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BI BL I OTE CA D E L L’«A R CH I VIO D I F ILOS OF IA»

collana fon data da marco m. ol i v ett i

dir ettore: stefan o s e mp l i ci


vic ed irettor i: fr an cesco paolo ci g l i a , p i e r lui g i va l e n za

40.
L’ANALOGIA
D E L LA PE RSONA
I N E DITH STEIN
FRANCESCO VALERIO TOMMASI

PIS A · ROMA
FABRIZ IO SERRA E D ITO RE
MMXII
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isbn 978-88-6227-490-6
e-isbn 978-88-6227-491-3
Sommario

SOMMARIO
Introduzione 9

capitolo i
analogia dell ’ ente
1. Le Quaestiones disputatae de veritate 21
2. I trascendentali e l’analogia dell’ente 25
3. Tra idealismo e realismo 34
4. Filosofia egocentrica e teocentrica 61
5. Maritain e Przywara : la filosofia cristiana 68
6. L’analogia dell’ente in Essere finito ed essere eterno 77
7. Un’analogia temporale 82

capitolo ii
analogia della persona
1. L’analogia della persona in Essere finito ed essere eterno 91
2. La filosofia della persona e l’antropologia di Münster 106
3. Analogia ed empatia 112
4. La motivazione 119
5. Libertà e grazia 125
6. Simbolo e analogia 131
7. Analogia e croce 135

Bibliografia 145
Indice dei nomi 155
Introduzione

INTRODUZIONE

L o scopo di questo testo è duplice. Da un lato si intende fornire un contributo allo


studio di un argomento specifico nella produzione scientifica di Edith Stein, ossia
la questione dell’analogia ; e si tenta di mostrare come tale tema, quanti altri mai “clas-
sico” nella storia della filosofia e della teologia, riceva in questa pensatrice una pie-
gatura peculiare in termini antropologici. Stein si avvicina all’analogia interessandosi
di Tommaso d’Aquino, ma la iscrive in una cornice fenomenologica, ed in particola-
re nell’analisi dell’io : l’analogia dell’ente diviene così quella che si può definire – ma
l’espressione, si badi, non è di Stein – un’analogia della persona. La teoria steiniana
dell’analogia rappresenta dunque un momento originale e degno di attenzione della
lunghissima storia della questione, in generale, e nel panorama del Novecento e della
neoscolastica in modo particolare.
Per altro verso, pur incentrata su una questione che viene sviluppata da Stein a par-
tire dal suo confronto con Tommaso e con la scolastica, questa monografia attraversa
l’intero percorso intellettuale dell’autrice ; cogliamo infatti nello sviluppo teorico della
domanda sull’analogia e nella sua articolazione in termini personali un filo rosso e qua-
si un momento di arrivo della sua opera. Da questo punto di vista, quindi, il presente
lavoro cerca di offrire anche una chiave di lettura innovativa per seguire nelle sue di-
verse fasi il pensiero poliedrico e sfaccettato di un’autrice che sfugge alla riconduzione
in categorie usuali o semplificatorie, e che con altrettanta difficoltà si lascia indagare in
modo settoriale.
Il libro condivide perciò almeno in parte un vizio di fondo che, a nostro giudizio, ha
sovente caratterizzato la ricerca su Stein : ossia quello di offrire studi panoramici sul
complesso della sua opera, intraprendendo solo di rado il tentativo di affrontare ana-
liticamente, e magari con una ricostruzione del contesto e delle fonti, aspetti specifici
o singoli temi. Ad un approccio più approfondito e scientifico, tuttavia, stanno contri-
buendo sia il recentissimo riordino del materiale di archivio del lascito manoscritto, sia
la recente più rigorosa edizione delle opere complete, i cui volumi sono dotati di seri
apparati.
Questo problema, su cui torneremo, è strettamente connesso con un secondo difet-
to, probabilmente ancora più grave, di molte pubblicazioni su Stein, ossia l’accostarsi
al suo pensiero sulla scorta di cause occasionali, magari celebrative, legate anzitutto
alla sua nota vicenda biografica. Sotto questo aspetto, evidentemente, la ricerca risulta
talvolta contaminata o influenzata da interessi estrinseci e non immediatamente scien-
tifici. È quindi subito opportuno sgombrare il campo da possibili equivoci e prendere
esplicitamente le distanze da questo tipo di scritti, che pure evidentemente hanno una
legittimità o quantomeno un senso. Lo studio che qui ci proponiamo vuole inquadrare
con il massimo rigore la proposta teorica dell’autrice nel quadro della ricerca filoso-
fica. Questa doverosa, ancorché, dal nostro punto di vista, quasi scontata premessa,
permette d’altronde anche di non negare che il fascino suscitato dalla personalità di
Edith Stein abbia contribuito alla scelta di avvicinarsi alle sua opere e di intraprendere
questo lavoro. Ma ci consente di considerare altresì con lucidità, al di là delle soggettive
propensioni che portano ad occuparsi di un tema o di un autore, che nel pensiero di
Stein, ed in particolare nell’attenzione alla questione antropologica, al tema della per-
10 introduzione
sona, e dunque alla declinazione che in questo senso riceve l’analogia, l’influenza della
biografia ha giocato un ruolo che è impossibile misconoscere. L’attenzione teorica alla
persona è in Stein afflato verso una esistenza che sia colma di senso, e viceversa. Se
quindi lungo tutto il volume abbiamo cercato di evitare i riferimenti alla vita di Stein,
nelle parti conclusive, laddove ci rivolgiamo ai suoi ultimi testi di tema prevalentemen-
te mistico e cerchiamo contestualmente di tirare le fila della proposta teorica descritta
appunto nei termini di un’analogia della persona, non abbiamo potuto presciderne ; in
Stein il nesso tra vita e pensiero è inscindibile e l’analogia della persona rappresenta
non tanto o non solo il fondamento di un sistema teorico, quanto la chiave di accesso al
rapporto esistenziale con l’altra persona umana ed al rapporto mistico con la persona
divina. Nell’espressione « analogia della persona », dunque, non solo il genitivo è sia og-
gettivo, sia soggettivo, trattandosi di una analogia che riguarda la persona, e che prende
le mosse dalla persona stessa. Ma il termine « persona » indica sia un argomento teorico,
sia la « cosa stessa » in « carne ed ossa », per riprendere ben note espressioni husserliane.
Si tratta d’altronde proprio di una ispirazione fenomenologica : una fedeltà radicale ai
fenomeni implica che la ricerca della verità e la questione religiosa non possano non
coinvolgere la persona nella sua integralità. Ma si tratta anche di una modalità del tutto
soggettiva e appunto personale che Stein stessa confessa :
I miei lavori [teorici] sono sempre e soltanto la ricaduta di ciò che mi occupa nella vita. Perché
sono strutturata così, devo riflettere. 1
L’analogia diviene questione « personale » in tutti i sensi. Di conseguenza, il porre atten-
zione a come un argomento così compromesso da un punto di vista metafisico, e così
astratto, come quella dell’analogia, riceva una declinazione che vogliamo definire di
tipo personale, permette a nostro giudizio di ovviare a, o quanto meno di ridurre, i due
suddetti rischi, cui, come detto, consapevolmente non ci sottraiamo del tutto : da un
lato una ricerca contaminata da considerazioni di tipo non immediatamente scientifico
o appunto anche personali, che si devono chiamare in causa laddove la realizzazione
della persona, e non la costruzione di un’impalcatura di pensiero, è la chiave dell’opera
dell’autrice. Dall’altro, l’approccio panoramico all’intera produzione scientifica, inevi-
tabile nel momento in cui si affronta una questione eminentemente neoscolastica (e
che perciò interviene tardi nel pensiero di Stein), la cui declinazione originale dipende
però dalla fenomenologia (dunque dai saggi giovanili). Se gli studi e i lavori fenome-
nologici, l’avvicinamento al pensiero scolastico e le originali sintesi della maturità di
Stein sono difficilmente comprensibili, in generale, ad un’indagine che li consideri in
modo reciprocamente irrelato, una disamina dell’analogia è ancor meno in condizione
di sottrarsi alla presa in esame di tutti i periodi della sua opera.
Il tema antropologico è d’altronde macroscopicamente centrale nell’arco di tutti
gli scritti steiniani, e non a caso già diversa letteratura secondaria vi ha soffermato la
propria attenzione. 2 Questo volume si propone allora di legarlo, in un modo sinora
1
E. Stein, Briefe an Roman Ingarden [BI] in Selbstbildnis in Briefen iii, Edith Stein Gesamtausgabe 4, Freiburg-
Basel-Wien, Herder, 20052, p. 143. In questo volume tutte le opere steiniane sono citate secondo l’edizione
della ESGA. Da ora in poi le menzioneremo in nota con la sola indicazione del titolo (di volta in volta ab-
breviato) e il numero del volume di questa collana. Laddove qualche testo non fosse ancora disponibile in
questa nuova serie delle opere complete, non ancora ultimata, si farà riferimento alla prima edizione degli
Edith Steins Werke [ESW] o ad altre edizioni disponibili. I riferimenti dettagliati sono in bibliografia. Tutte
le traduzioni sono nostre.
2
Cfr., tra gli altri : P. Secretan, Personne, Individu et Responsabilité chez Edith Stein, « Analecta Husser-
introduzione 11
intentato, all’analogia, che forse non appare come una questione altrettanto centrale in
Stein, e che di conseguenza sinora non è stata oggetto di una trattazione così specifica
come quella che si tenta qui. L’analogia costituisce un argomento non adeguatamente
tematizzato dalla ricerca steiniana. 1
Eppure, il titolo dell’opera che notoriamente rappresenta l’espressione matura e più
completa delle posizioni teoriche di Stein, e in cui si intraprende un articolato e com-
plesso tentativo di innalzare un edificio speculativo che faccia sintesi delle esigenze del
metodo fenomenologico e della metafisica classica e scolastica, rimanda proprio ad una
teoria dell’analogia, declinata in senso anzitutto temporale, e poi personale : Essere finito
ed essere eterno, infatti, pretende di offrire una ascesa al senso dell’essere che prenda le mos-
se dalla constatazione di come la teoria metafisica di Tommaso d’Aquino, paradigma
in questo senso, per Stein, di ogni filosofia cristiana, sia fondata sulla contemporanea
differenza e partecipazione tra essere in potenza ed essere in atto. Si tratta di due esseri
incomparabili, ma in comunicazione tra loro ; ogni essere che possiede in sé anche po-
tenza, infatti, è creato sul modello dell’essere che è pura attualità : ne è infinitamente
distante, ma allo stesso tempo è conformato ad esso. L’essere frammisto di potenza ed
atto trova la sua ultima costituzione di senso nell’essere in atto. Ecco l’analogia dell’en-
te. Non a caso, il volume si apre confessando una decisa dipendenza da Erich Przywara
e dalla sua Analogia entis. 2
Forse qualcuno si chiederà in che rapporto stia il presente libro con la Analogia entis di Padre
Erich Przywara S.J. Si tratta in entrambi i casi della stessa questione, e P. E. Przywara ha fatto

liana », 5 (1976), pp. 247-258 ; Id., Essence et personne. Contribution à la connaissance d’Edtih Stein, « Freiburger
Zeitschrift für Philosophie und Theologie », 26/2-3 (1979), pp. 481-504 ; M. C. Baseheart, Edith Stein’s Phi-
losophy of the Person, in J. Sullivan (a cura di), Edith Stein Symposium (Carmelite Studies 4), Washington DC,
ICS Publications, 1987, pp. 34-49 ; E. Otto, Welt-Person-Gott. Eine Untersuchung zur theologischen Grundlage der
Mystik bei E. Stein, Vallendar-Schönstatt, Patris Verlag, 1990 ; R. Ingarden, Zu Edith Steins Analyse der Einfüh-
lung und des Auf baus der menschlichen Person, in W. Herbstrith (a cura di), Denken im Dialog : zur Philosophie
Edith Steins, Tübingen, Attempto Verlag, 1991, pp. 72-82 ; E. García Rojo, La constitucion de la persona en
Edith Stein, « Revista de Espiritualidad », 50 (1991), pp. 333-357 ; A. Ales Bello, Fenomenologia dell’essere umano.
Lineamenti di una filosofia al femminile, Roma, Città Nuova, 1992 ; Id., Soggetto, persona, comunità, « Aquinas »,
40/3 (1997), pp. 441-452 ; Id., Husserl and Stein : the question of the Human Subject, « American Catholic Philoso-
phical Quarterly », 82 (2008), pp. 143-159 ; R. L. Fetz, Ich, Seele, Selbst. Edith Steins Theorie personaler Identität,
in R. L. Fetz, M. Rah e P. Schulz (a cura di), Studien zur Philosophie von Edith Stein, Freiburg-München, Alber,
1993, pp. 286-319 ; P. Schulz, Edith Steins Theorie der Person. Von der Bewußtseinsmetaphysik zur Geistesmeta-
physik, Freiburg/München, Alber, 1994 ; A. M. Pezzella, L’antropologia filosofica di Edith Stein : indagine feno-
menologica della persona umana, Roma, Città Nuova, 2003. F. Haya, La estructura de la persona humana según
Edith Stein, in J. F. Sellés (a cura di), Modelos antropológicos del siglo xx, Pamplona, Servicio de Publicationes
de la Universidad de Navarra, 2004, pp. 61-81 ; P. J. Schulz, Toward the Subjectivity of the Human Person : Edith
Stein’s Contribution to the Theory of Identity, « American Catholic Philosophical Quarterly », 82/1 (2008), pp.
161-176 ; S. Borden Sharkey, Thine Own Self. Individuality in Edith Stein’s Later Writings, Washington D.C.,
The Catholic University of America Press, 2010.
1
Sul tema, cfr. soprattutto gli studi di E. Garulli, Conoscenza analogica e simbolica secondo Edith Stein,
in Metafore dell’invisibile : ricerche sull’analogia, Brescia, Morcelliana, 1984, pp. 163-173 ; K. Hedwig, Edith Stein
und die analogia entis, in R. L. Fetz, M. Rah e P. Schulz (a cura di), Studien zur Philosophie von Edith Stein, cit.,
pp. 320-352 ; ma anche il significativo, anche se breve, P. Secretan, L’analogie du « je suis » selon Edith Stein, in P.
Gisele e P. Secretan (a cura di), Analogie et dialectique. Essais de théologie fondamentale, Genève, Labor et fides,
1982, pp. 140-142. Nessuno di questi lavori mette adeguatamente in luce la centralità ed il ruolo decisivo
dell’analogia nell’opera di Stein.
2
Cfr. E. Przywara, Analogia entis. Metaphysik, München, Kösel u. Pustet, 1932. L’espressione analogia
entis non è di Tommaso, e la sua origine esatta è incerta : cfr. J. Terán-Dutari, Die Geschichte des Terminus
« Analogia entis » und das Werk Erich Przywaras, « Philosophisches Jahrbuch », 77 (1970), pp. 163-179.
12 introduzione
cenno, nella sua prefazione, a come siano stati significativi per lui i primi sforzi dell’Autrice di
confrontare Tommaso e Husserl. La prima versione del suo libro e la versione finale di Analogia
entis sono stati scritti pressoché contemporaneamente, ma l’Autrice ha potuto leggere i primi
abbozzi di Analogia entis e più in generale ha potuto avere un vivo scambio di pensiero con P. E.
Przywara negli anni 1925-1931. 1
La coppia concettuale di potenza e atto (che dava il titolo alla prima e parziale versione
dell’opera) viene rinvenuta da Stein nella coscienza trascendentale, punto di partenza
di ogni filosofare che voglia fondarsi su un terreno di certezza indubitabile ; lo strato
più originario dell’io, infatti, secondo le ricerche che Husserl conduceva proprio negli
anni in cui ebbe Stein come assistente, è di tipo temporale. Nella vita della coscienza si
individua la contrapposizione ed il rapporto tra la finitezza e l’eternità.
Così essere eterno ed essere temporale, immutabile e mutabile, e anche il non essere, sono idee
che lo spirito trova entro di sé, e che non sono desunte da altro […] . A partire da qui risulta
immediatamente chiara anche l’analogia entis, compresa come relazione di ciò che è temporale
a ciò che è eterno. 2
In un procedere che contamina le categorie della metafisica aristotelica e poi scolastica,
le analisi husserliane e la filosofia esistenziale di Heidegger, ma anche tesi di Conrad-
Martius, questa declinazione temporale dell’analogia entis riceve una ulteriore virata
di tipo personale, nel duplice senso che abbiamo detto : si tratta infatti di un rapporto
esistenziale tra l’io in tutte le sue dimensioni, soprattutto di motivazione, di forza vitale
e di senso, e la persona del suo creatore e redentore.
Al dato di fatto innegabile che il mio essere è fuggevole, limitato nel tempo ed esposto alla
possibilità del non essere, corrisponde l’altro dato di fatto altrettanto innegabile che nonostante
questa mutevolezza io sono e, di momento in momento, io vengo conservato nell’essere (im Sein
erhalten), e che nel mio essere mutevole ne includo uno durevole. So di essere conservato e ne
traggo tranquillità e sicurezza – non la sicurezza autoconsapevole dell’uomo che in virtù della
propria potenza riposa su un terreno tranquillo, ma la dolce e beata sicurezza del bambino
che viene portato da un braccio forte – una sicurezza che, concepita oggettivamente (sachlich
betrachtet), non è meno razionale. Oppure si potrebbe definire « razionale » il bambino che avesse
una paura costante che la madre lo possa far cadere ?3
Ma si tratta anche, in senso teorico stretto, della nozione di persona, in cui il rapporto
tra essere finito ed essere eterno trova esplicita fondazione filosofica.
L’essere « fuggevole » non è in possesso dell’ente che è fuggevole : gli deve essere donato in modo
sempre nuovo. Solo chi possiede veramente l’essere, tuttavia, e chi ne è signore, lo può donare.
Ed essere signore è possibile solo per chi è persona. 4
Perciò sosteniamo la tesi che l’analogia, e in particolare una analogia della persona, è de-
scrivibile come l’architrave di quella che si può definire come l’opera principale di Stein.
Il rapporto dell’« Io sono » divino con la molteplicità dell’ente finito è l’analogia entis più origina-
ria. Solo per il fatto che ogni ente finito ha il suo modello nell’« Io sono » divino tutto possiede un
senso che è comune. Poiché però l’essere si divide nella creazione, esso non ha lo stesso signifi-
cato in senso stretto in ogni ente, ma accanto ad una consistenza di senso (Sinnbestand) comune,
ne ha anche una differente. 5
1
Endliches und ewiges Sein. Versuch eines Aufstiegs zum Sinn des Sein [EeS], ESGA 11/12, pp. 4-5.
2 3
EeS, ESGA 11/12, p. 42. EeS, ESGA 11/12, pp. 59-60.
4 5
EeS, ESGA 11/12, p. 100. EeS, ESGA 11/12, p. 297.
introduzione 13

Per converso, il presente lavoro possiede anche un ulteriore scopo : si tratta cioè non
solo di uno studio monografico su Edith Stein e l’analogia, ma anche della ricostru-
zione di un capitolo che appare particolarmente rilevante nella storia della questione
filosofica dell’analogia, tema che ci appassiona molto e che già altrove, a più riprese,
abbiamo indagato. Si può dire anzi che, per certi aspetti, siamo interessati a Stein in
quanto siamo interessati all’analogia, e non viceversa. Proprio la possibilità di vederla
declinata, implicitamente, nei termini di analogia della persona, ci sembra un motivo
di assoluto interesse rispetto al dibattito sulla questione che si registra nel corso del
Novecento, grazie anche ai contributi decisivi della neoscolastica, ma anche della fe-
nomenologia. Le due correnti sono obiettivamente molto distanti tra loro. Non solo
quando parlano di analogia, perché Husserl, secondo quanto ribadiremo, la accosta
all’empatia, o comunque alla questione della conoscenza di alter ego, piuttosto che
leggerla in una cornice di metafisica dell’essere, che evidentemente gli è estranea ; 1
e che però, significativamente, si ritrova in Heidegger, formatosi appunto in ambito
neoscolastico. 2
Ma i due movimenti di pensiero sono molto diversi anche in termini generali : la fe-
nomenologia muove da un’istanza radicalmente teorica priva di rimandi storici, riven-
dica un pensiero senza presupposti e porta con sé appunto un rifiuto della metafisica ;
la neoscolastica invece ha un riferimento storico privilegiato ben preciso nel pensiero
medievale e soprattutto di Tommaso d’Aquino, conosce un’ispirazione anzitutto con-
fessionale, quella della chiesa cattolica, e mira a riproporre la validità della metafisica.
Non a caso, Stein stessa si avvicina alla neoscolastica a seguito della scelta per il catto-
licesimo, e non viceversa. Ma per altro verso i molti rapporti storici tra neoscolastica e
fenomenologia sono un dato di fatto, si pensi a Brentano o come detto al giovane Hei-
degger, o all’accusa di voler fondare « una nuova scolastica » rivolta alla Ricerche logiche.
In qualche modo, Stein incrocia molto di tutto ciò. Anche proprio accostando talora
arditamente categorie tra loro distanti, fino quasi a presentare oscillazioni o passaggi
non facilmente chiarificabili, l’opera steiniana non solo si sottrae ad una classificazione
banale, ma offre un punto di osservazione privilegiato su un’epoca ed alcuni movimen-
ti teorici che trascendono il suo pensiero individuale. Stein conferisce una innovativa
svolta ad una metafisica dell’essere pensata su basi tomiste, accettando il presupposto
moderno dell’inaggirabilità metodologica dell’io e del più generale primato dell’uo-
mo : il suo pensiero affronta la religione anzitutto come domanda di senso personale,
come questione del « vissuto religioso » ; 3 significativamente è stato interpretato persino
secondo un accostamento a pensatori che teorizzano un superamento della metafisica
ontologica, come Levinas ; 4 e non a caso proprio Przywara ha caratterizzato la feno-

1
Cfr. J.-F. Courtine, L’être et l’autre. Analogie et intersubjectivité chez Husserl, « Les Etudes Philosophiques »,
3-4 (1989), pp. 249-273.
2
Cfr. Id., Inventio analogiae. Métaphysique et ontothéologie, Paris, Vrin, 2005 ; F. Volpi, Heidegger e Bren-
tano. L’aristotelismo e il problema dell’univocità dell’essere nella formazione filosofica del giovane Martin Heidegger,
Padova, Cedam, 1976.
3
Cfr. B. Beckmann, Phänomenologie des religiösen Erlebnisses. Religionsphilosophische Überlegungen im an-
schluß an Adolf Reinach und Edith Stein, Würzburg, Königshausen und Neumann, 2003.
4
Pensiamo in particolare ai lavori di A. U. Müller, formatosi alla scuola di Bernhard Casper : cfr. Grund-
züge der Religionsphilosophie Edith Steins, Freiburg-München, Alber, 1993 o Emmanuel Levinas und Edith Stein,
« Edith-Stein Jahrbuch », 3 (1997), pp. 367-384.
14 introduzione
menologia come una « svolta verso l’uomo ». 1 All’opposto, Stein supera un pensiero
puramente funzionalistico ed incapace di profondità spirituale : sino a riguadagnare, in
modo sorprendente, proprio una metafisica dell’essere.
Attraverso la sua opera risultano allora chiariti, sia pur indirettamente, anche alcuni
momenti decisivi di entrambe le correnti, fenomenologia e neoscolastica. La genera-
zione di Stein, probabilmente, è l’ultima a credere veramente nella possibilità di con-
trapporre tout court la validità teorica del tomismo al pensiero moderno, almeno in
ambito cosiddetto « continentale » ; e tale tentativo si incentra spesso proprio sull’analo-
gia. 2 Stein stessa polemizza già con quello che definisce « tomismo di sistema », astorico
e privo di rigore filologico. Ma dal canto suo la fenomenologia prenderà, nei decenni
successivi, quella che è stata chiamata una « svolta teologica ». 3 Inoltre l’analogia di Stein
si situa storicamente, sia pur senza prendervi parte direttamente, nel dibattito tra Przy-
wara e Karl Barth e dunque tra analogia entis, da un lato, e analogia fidei e analogia rela-
tionis dell’altro. Significativamente, poi, recenti tentativi ispirati dalla fenomenologia,
da Heidegger, ma provenienti da ambiti cattolici, e tuttavia non neoscolastici, hanno
parlato di « analogia temporale » e di « analogia del soggetto ». 4 Certo, è in qualche modo
schematico e semplificatorio condurre parallelismi di tal fatta. A tali questioni saranno
rivolti approfondimenti futuri, se le circostanze lo permetteranno. È utile però sotto-
lineare qui come l’espressione « analogia della persona » condensi o abbia sullo sfondo
anche tutto ciò.
Il nostro interesse primario in questo testo, dunque, è l’analogia in Edith Stein. Il
tema della persona viene chiamato in causa piuttosto come declinazione dell’analogia
stessa e non come aspetto centrale. Si è detto di come la ricerca si sia già soffermata
sull’antropologia steiniana ; ne tratteremo perciò solo secondariamente e derivativa-
mente. Lo stesso contemplare l’intero spettro degli scritti steiniani, che si è ribadito,
proprio perché richiesto dalla scelta di una questione che solo tardivamente diviene
centrale nell’interesse della pensatrice, non ha condotto ad un’organizzazione del vo-
lume che segua una linea di sviluppo cronologica (anche questo elemento si ripresenta
sin troppo spesso nei testi su Stein) ; abbiamo optato invece per un ordinamento tema-
tico e concettuale.
Il primo capitolo cerca quindi di descrivere la ripresa steiniana della questione
dell’analogia dell’ente come condensato di una serie di temi che ruotano attorno alla
comprensione del dissidio tra filosofia scolastica e moderna ; la contrapposizione tra le
due è concepita inizialmente da Stein sulla base di un interesse primario rivolto all’on-
tologia, da un lato, o alla teoria della conoscenza dall’altro, “vulgata” piuttosto diffusa
e riscontrabile in parte anche in Przywara.
Il testo si apre con una rapida analisi dei primissimi confronti steiniani con Tommaso
d’Aquino, iniziati con lo studio e la traduzione delle Quaestiones disputatae de veritate,

1
Cfr. E. Przywara, Wende zum Menschen, « Stimmen der Zeit », 119 (1930), pp. 1-10.
2
Si pensi solo a J. Maritain, De l’analogie, appendice II di Distinguer pour unir ou les dégres du savoir, Paris,
Desclée de Brouwer, 19638 ; o a E. Gilson, Analogie, causalité et finalité, cap. V di L’esprit de la philosophie
médiévale, Paris, Vrin 19482.
3
L’espressione è stata resa celebre da D. Janicaud, in Le tournant théologique de la phénoménologie française,
Combas, éditions de l’éclat, 1991.
4
Cfr. B. Casper, Analogia temporum et orationis, in V. Melchiorre (a cura di), Pensare l’essere. Percorsi di
una nuova razionalità, Genova, Marietti 1989, pp. 87-105 ; M. M. Olivetti, Analogia del soggetto, Roma-Bari,
Laterza 1992.
introduzione 15
perché è l’interesse per questo autore, mediato dalla neoscolastica, che porta Stein ad
occuparsi dell’analogia come questione metafisica. Ci soffermiamo quindi sulle parti
di commento che l’autrice dedica alla prima quaestio di tale scritto, in cui si espone
la dottrina dei trascendentali e il tema della verità come adaequatio. Il rapporto tra
conoscenza e realtà, secondo il commento che Stein dedica a quelle pagine, deve far
presupporre molteplici significati di essere e quindi, implicitamente, una comprensione
analogica dell’ente.
Ma il rapporto tra conoscenza e realtà era stato già oggetto di una lunga riflessione
steiniana anche durante il periodo eminentemente fenomenologico. L’avvicinamento
a Husserl era infatti avvenuto negli anni immediatamente successivi alla pubblicazione
del primo volume delle Idee, che segnò la ben nota svolta trascendentale della fenome-
nologia. Unitamente al trasferimento dello stesso Husserl da Gottinga a Friburgo e alla
tragedia della guerra, in cui morì Adolf Reinach, quegli anni tracciarono un confine
netto, che solo Stein riuscì a valicare, grazie, ancora una volta, anche a circostanze
personali. Si trovò, infatti, ad essere la prima assistente di Husserl nella nuova sede, e a
lavorare direttamente, tra l’altro, sui manoscritti di Idee ii e su quelli delle lezioni sulla
fenomenologia della coscienza interna del tempo, intervenendo anche direttamente
su questi testi ; così che la ricerca husserliana ancora non ha potuto fare chiarezza de-
finitiva sulla questione della proprietà intellettuale di alcune di quelle pagine. Stein
viene sovente ricondotta frettolosamente ai fenomenologi cosiddetti « realisti » ; certo,
proprio anche nelle sue analisi antropologiche è forte la sua dipendenza da Scheler ;
così come stretti sono i legami, nuovamente anzitutto a livello personale, con molti
dei fenomenologi di Gottinga e di Monaco. Tuttavia Stein accettò il nuovo corso di
pensiero husserliano, come attesta la presenza in tutte le sue opere, anche quelle più
tarde, dell’elemento che più lo caratterizza : la riduzione trascendentale. Nel volume si
ricostruiscono quindi le principali posizioni steiniane attorno a tale tema, comunque
talora oscillanti, che costituiscono un retroterra importante della matura teorizzazione
dell’analogia.
Difatti, una risposta alla questione della disputa tra idealismo e realismo è rinve-
nibile nella prima vera opera di confronto teorico tra fenomenologia e neoscola-
stica, il dialogo tra Husserl e Tommaso d’Aquino, scritto originariamente appunto
nella vivace forma di una conversazione e pubblicato poi come un saggio di tipo
tradizionale nel volume del 1929 dello Jahrbuch fenomenologico dedicato ad Edmund
Husserl. In questo testo, la distinzione fondamentale tra le impostazioni dei due pen-
satori, di cui si sottolineano punti di comunanza e di differenza, viene rinvenuta nel
fondamento della filosofia, che per il primo è definito « egocentrico », per il secondo
invece « teocentrico ». È l’ultimo livello in cui si radica il processo costitutivo, il piano
cioè su cui si determina il senso dei fenomeni, che costituisce la vera e decisiva dif-
ferenza tra i due pensatori, paradigmi a loro volta della modernità e della scolastica ;
a partire da questo scritto non è più la contrapposizione tra ontologia e teoria della
conoscenza ad essere decisiva. Stein offre così una lettura estremamente originale
della questione ; e ciò non manca di avere influsso nell’impalcatura di Essere finito
ed essere eterno, che appunto dall’indagine della vita intima dell’io si apre all’essere
e ascende al suo senso, rintracciandolo in Dio, secondo un movimento di pensiero
decisamente qualificabile come « teocentrico » e che tuttavia si pretende ancora fedel-
mente fenomenologico.
Non si tratta certo, dicevamo già, di una fenomenologia di stretta osservanza husser-
16 introduzione
liana. Per altro verso non si tratta ovviamente, per quanto l’influenza di questo autore
1

sia confessata, di una ontologia di tipo heideggeriano. Ma non siamo in presenza ne-
anche di un tomismo di scuola, come conferma il movimento teorico di rinvenimento
di Dio nell’intimo di sé, di tipo piuttosto agostiniano (ma anche, nella lettura steiniana,
evidententemente cartesiano-husserliano) ; o le originali posizioni su temi specifici, qua-
li il processo di astrazione, gli universali, la natura degli spiriti puri, il principio di indi-
viduazione ; e soprattutto l’impostazione dei rapporti ragione-fede : pur sottolineando
sempre una certa continuità tra i due piani, Stein ne mette in risalto anche la differenza
profonda, rifiutando esplicitamente l’impostazione di Przywara, che teorizzava la possi-
bilità di gettare un ponte tra natura e sovranatura mediante la metafisica. Se la ragione,
come detto, si apre alla pienezza dell’esperienza personale ed è strumento di una più
ampia ricerca di senso esistenziale, la fede da parte sua viene descritta da Stein come un
rapporto personale, che ingloba sia l’aspetto conoscitivo, sia quello pratico, lasciando
spazio alle facoltà dell’uomo, ma anche e soprattutto all’iniziativa della gratuità divina. 2
La visione steiniana, inoltre, nella proposta di una filosofia cristiana e nella distinzione
tra natura e condizione della filosofia, è ispirata in modo decisivo da Jacques Maritain ;
i due si conobbero personalmente all’incontro della Societé thomiste a Juvisy nel 1932 e
intrattennero poi una corrispondenza. Proprio alla questione del Senso e della possibilità
di una filosofia cristiana sono dedicate alcune considerazioni introduttive di Essere finito
ed essere eterno, che fanno seguito all’introduzione esplicita della questione dell’analogia.
Le pagine centrali del nostro volume sono quindi incentrate su un’analisi dettagliata sia
dei passaggi di questa opera steiniana in cui si menziona esplicitamente l’analogia, sia
della sua struttura generale, come detto costruita attorno ad un’ottica e ad una dina-
mica analogica. E si segue nello specifico il passaggio, più volte qui sottolineato, da una
analogia dell’ente ad una analogia temporale e poi ad una analogia della persona.

1
Come non ha mancato di rilevare, ad esempio, K-H. Lembeck, per il quale significativamente risulta
davvero incomprensibile la contaminazione di fenomenologia e fede : cfr. Zwischen Wissenschaft und Glau-
ben : die Philosophie Edith Steins, « Zeitschrift für katholische Theologie », 112/3 (1990), pp. 271-287 ; e Id., Glau-
be im Wissen ? Zur aporetischen Grundstruktur der Spätphilosophie Edith Steins, in W. Herbstrith (a cura di),
Denken im Dialog…, cit., pp. 156-175.
2
Così, molti studiosi di Tommaso o veri e propri tomisti hanno, sia pur con toni diversi, rimarcato l’in-
fedeltà e/o l’originalità della lettura steiniana dell’Aquinate, soffermandosi soprattutto su questo punto dei
rapporti tra ragione e fede e quindi sulla comprensione, cui accenneremo subito, della « filosofia cristiana ».
Come si può vedere, la sua figura e si suoi studi hanno attirato l’attenzione di moltissimi rilevanti esponenti
della neoscolastica, anche se nella maggior parte dei casi si stratta di esposizioni di tipo generale e panora-
mico : cfr. S. Vanni Rovighi, Recensione a Festschrift Edmund Husserl zum 70. Geburtstag gewidmet, « Rivista
di filosofia neoscolastica », 22/6 (1930), pp. 491-494 ; A. Gemelli, Edith Stein, « Rivista di Vita Spirituale », 5
(1951), pp. 375-396 ; M. Campo, Recensione a Edith Steins Werke i e ii , « Rivista di Filosofia Neoscolastica »,
43/4, 1951, pp. 355-357 ; A. Ales Bello, Fenomenologia e tomismo in Edith Stein, in L’essere. Tommaso d’Aquino
nel suo settimo centenario. Atti del convegno di Studi, Napoli, Edizioni Domenicane italiane, 1977, pp. 469-479 ;
R. McInerny, Edith Stein and Thomism, « Carmelite Studies » 4 (1987), pp. 74-87 ; C. Fabro, Linee dell’attività
filosofico-teologica della Beata Edith Stein, « Aquinas » 32/2 (1989), pp. 193-256 ; L. Elders, Edith Stein und Tho-
mas von Aquin, in Id. (a cura di), Edith Stein – Leben, Philosophie, Vollendung. Abhandlungen des internationalen
Edith-Stein-Symposiums Rolduc, 2.-4. November 1990, Würzburg, Naumann, 1991, pp. 253-271 ; I. Mancini, Edith
Stein e la filosofia sull’essere e sull’uomo « Rivista di Vita Spirituale », 46 (1992), pp. 319-336 ; B. Mondin, Filosofia
cristiana, fenomenologia e metafisica secondo E. Stein, « Aquinas », 37/2 (1994), pp. 377-386 ; A. Molinaro, Edith
Stein – Fenomenologia e/o metafisica, « Aquinas », 37/2 (1994), pp. 395-401 ; J. H. Nota, Edith Stein – Christli-
che Philosophie oder Fideismus ?, « Jahrbuch für Philosophie, Kultur und Gesellschaft », 1 (1994), pp. 18-24 ; H.
Seidl, Über Edith Steins Vermittlungsversuch zwischen Husserl und Thomas v. Aquin, « Forum Katholische Theo-
logie », 2 (1999), pp. 114-133 ; A. Zimmermann, Begriff und Aufgabe einer christlichen Philosophie bei Edith Stein,
in W. Herbstrith (a cura di), Denken im Dialog…, cit., pp. 133-140.
introduzione 17
Nel secondo capitolo, invece, dopo aver osservato il culmine personale dell’analo-
gia secondo la descrizione di Essere finito ed essere eterno, che come detto è individuato
nell’analogia di ogni ente con l’« io sono » divino, si indaga il retroterra di questa impo-
stazione nell’analogia tra persone umane. Si tratta di una comprensione del termine
più ampia, e non solo legata ad una dottrina metafisica sull’essere. Il noto scritto de-
dicato all’empatia parlava già di analogia, tuttavia in riferimento alla conoscenza dei
vissuti altrui, secondo il senso anche husserliano di cui si è detto. In una dettagliata di-
samina tecnica, Stein differenzia l’analogia, criticandola, dall’empatia stessa. Dopo l’av-
vicinamento alla neoscolastica, invece, le riflessioni di antropologia sembrano sovrap-
porre l’analogia all’empatia, o comunque parlano di conoscenza analogica dell’altro.
Sulla scorta di questo uso tardo, quindi, si può affermare che, sin dalla dissertazione,
l’analogia della persona, intesa appunto come analisi dei vissuti di altri io, è l’interesse
principale di Stein. La conoscenza delle persone spirituali e di Dio, d’altronde, viene
considerata da questi primi saggi come un caso specifico della conoscenza di altri. Nel
momento in cui la dimensione religiosa si dischiude, il parallelo viene reso esplicito.
Quando vogliamo cercare di spingerci il più avanti possibile nel grado di comprensione raggiun-
gibile nello statu viae, dobbiamo tener conto che questa può essere solo una comprensione analo-
gica. Possiamo cioè prendere le mosse solo da qualcosa che abbiamo già ora, e che in sé e al di
là di sé muove nella direzione della visio. Abbiamo però dei punti di partenza. Due in particolare
mi sembrano molto importanti : anzitutto la fede, nella misura in cui costituisce un inizio della
vita eterna e, come la visione, ha per oggetto Dio stesso ; poi la conoscenza di quelle creature
che più di tutte sono analogabili a Dio : gli uomini, nella misura in cui sono persone spirituali. Se la
visio viene definita un guardare Dio faccia a faccia, non dobbiamo rappresentarci questa visione
come quella sensibile, rivolta alle cose materiali. Dio è puro spirito, e così anche la visione di Dio
può essere solo un atto puramente spirituale. Dio è persona e dunque una conoscenza che lo
riguarda può essere solo di un tipo che corrisponda alla personalità. 1
L’empatia della vita di coscienza altrui è descritta, nelle pagine della dissertazione,
come vissuto decisivo per una comprensione anche degli strati del sé e per la costitu-
zione dell’individuo psicofisico ; mentre poi nelle descrizioni antropologiche ispirate
dalla scolastica si definisce la persona come apertura spirituale al mondo, ad altri e a
Dio, secondo quella che viene presentata esplicitamente come una analogia strutturale
di ambito interiore ed esteriore. Un’altra simmetria tra descrizione fenomenologica e
comprensione più lata di metafisica della persona è rinvenibile poi nella trattazione stei-
niana della motivazione. Il tema si inserisce in un dibattito fenomenologico all’epoca
vivace, viene trattato tra gli altri da Pfänder e se ne trova traccia significativa nel secon-
do volume delle Idee : ma le analisi steiniane che individuano nella motivazione la legge
più intima della vita dell’io sono all’opera nella comprensione più tarda della grazia
come motivazione fondamentale che può riempire la coscienza. Per Stein, infatti, la
libertà è in sé vuota, e la coscienza deve sempre legarsi ad un regno spirituale.
Tale legame viene approfondito negli ultimi scritti, che come detto sono prevalen-
temente di natura mistica. In un saggio su Dionigi Areopagita si tratta ancora espli-
citamente della questione dell’analogia nella conoscenza di Dio, e si descrive la nota
dinamica della teologia negativa. La struttura della rivelazione divina, che permane
sempre misteriosa e che delinea una dialettica costante tra avvicinamento ed allontana-
mento, viene indagata in questo scritto ancora principalmente a livello teorico, come

1
Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie, ESGA 15, p. 39.
18 introduzione
questione della conoscenza di Dio ; eppure viene radicata, ancora una volta, nel rap-
porto personale con Dio stesso, considerato come culmine e presupposto di ogni pos-
sibilità di approccio anche intellettuale al divino. Nell’opera dedicata invece a Giovanni
della Croce, la Scienza della croce, si ritrova poi non solo radicalizzata, sin dal titolo, la
contrapposizione tra fenomenologia (come « scienza » rigorosa) e cristianesimo, ma an-
che quella tra piano teorico ed esistenziale. L’analogia come conoscenza misteriosa di
Dio, come rapporto di unione e distanza, diviene definitivamente il paradosso di notte
e fiamma d’amore. 1
L’analogia della persona, quindi, lungi dall’essere semplicemente un pensiero astrat-
to, viene ricondotta alla questione del senso esistenziale, che diverse volte nella vita
di Stein si è presentata come perdita di motivazione e di energia vitale ; come dispera-
zione, di fronte alla quale Stein ha ritenuto di poter rintracciare, nella propria vicenda,
interventi di Dio.
Nel sentimento di sicurezza che si impossessa di noi proprio in una situazione “disperata”, quan-
do ragionevolmente non vediamo via d’uscita e quando in tutto il mondo non c’è nessuno che
abbia il potere o la volontà di consigliarci o di aiutarci : in un siffatto senso di sicurezza ci si offre
una consapevolezza di una forza spirituale indipendente da ogni esperienza esterna. Non sap-
piamo che cosa sarà di noi, davanti a noi si spalanca un abisso verso cui la vita ci trascina senza
pietà, procedendo e non tollerando passi indietro. Ma nel momento in cui pensiamo di precita-
re, ci sentiamo « nelle mani di Dio », che ci sostiene e non ci lascia cadere. In questo vissuto non ci
viene manifestata solo la sua esistenza, ma diviene visibile nei suoi ultimi riverberi anche che cosa
egli è, la sua essenza : la forza che ci difende, allorquando tutte le forze umane vengono meno ;
che dona nuova vita quando riteniamo di spegnerci interiormente ; che fortifica la nostra volon-
tà quando essa minaccia di anchilosarsi. Questa forza appartiene ad un essere onnipotente. La
fiducia che ci lascia supporre un senso della nostra vita anche laddove la comprensione umana
non riesce a decifrarlo, ci fa conoscere la sua sapienza. E la fiducia che questo senso è un senso
di salvezza, che tutto, anche le prove più dure, sono in ultima istanza al servizio della nostra
salvezza ; che questo essere superiore ha misericordia di noi quando gli uomini ci abbandonano ;
e che egli non conosce alcuna abiezione : tutto ciò ci rivela la sua perfetta bontà. 2
Si tratta della stessa dialettica di precarietà e sicurezza con cui si rintracciava al fon-
do dell’essere finito la presenza dell’essere eterno ; ma anche delle esperienze, centrali
nella spiritualità carmelitana, del profeta Elia, a cui Dio dona del cibo per continuare
il cammino allorquando egli voleva lasciarsi morire ; o di Teresa d’Avila, che nella Vida
descrive come dall’abbandono sia giunta al matrimonio mistico ; o della Notte oscura di
Giovanni della Croce, nella quale Dio non cessa di essere presente. Non una struttura
di pensiero conciliante e rassicurante, l’analogia della persona rintracciata ultimamente
nella croce è un paradosso, il cui senso non è in possesso dell’uomo.
Ho intenzione di condurre alcuni studi e mi cerco un’università che offra garanzie di un certo
tipo nella mia disciplina. Si tratta di un nesso sensato e comprensibile. Il fatto che io in quella

1
Il percorso di Stein è stato quindi significativamente letto secondo queste tensioni : cfr. R. Guileaud, De
la Phénoménologie à la science de la croix. L’itinéraire d’Edith Stein, Louivain-Paris, Nauwelaerts, 1974 ; H. Hec-
ker, Phänomenologie des Christlichen bei Edith Stein, Würzburg, Echter, 1995 ; cfr. anche R. Schmitz-Perrin,
Phänomenologie und Scientia Crucis im Denken von Edith Stein : Von der Einfühlung zur Mit-Fühlung, « Freiburger
Zeitschrift für Philosophie und Theologie », 42/3 (1995), pp. 346-366.
2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 171-172. Significativamente, la biografia di Stein di R. Leuven
pubblicata negli ESW x era intitolata : Heil im Unheil. Das Leben Edith Steins : Reife und Vollendug, Freiburg-
Basel-Wien, Herder, 1983.
introduzione 19
città conosca un uomo, che anche « per caso » studia là, e il fatto che un giorno « per caso » parli
con lui di questioni esistenziali, mi sembra invece a prima vista un nesso assolutamente non
prevedibile. Ma quando dopo anni rifletto sulla mia vita, allora mi diviene chiaro che quel col-
loquio ebbe un’influenza decisiva su di me, e che forse è stato « più essenziale » di tutto il mio
studio, e giungo quindi all’idea che forse « proprio per quello » io « dovevo andare » in quella città.
Quello che non era nel mio progetto, giaceva invece nel progetto di Dio. E quanto più spesso
faccio questa esperienza, tanto più viva si fa in me la convinzione di fede che – dal punto di vista
di Dio – non esiste il « caso », e che la mia intera esistenza sin nei suoi particolari è prefigurata
nel progetto della divina provvidenza, e che all’occhio onniveggente di Dio è un nesso di senso
compiuto. 1
Circostanze teoriche ed esistenziali, come sempre avviene, si sono intrecciate anche
nella genesi materiale di questo volume, la cui realizzazione è stata resa possibile da di-
verse persone, che è qui doveroso ringraziare. Il Professor Pierluigi Valenza, responsa-
bile di un assegno di ricerca dedicato al Tema dell’analogia in filosofia della religione : onto-
teologia e critica dell’onto-teologia nella “aetas kantiana” e nella fenomenologia contemporanea
che ha permesso di condurre la ricerca presso il Dipartimento di filosofia della Sapienza,
Università di Roma. Il Prof. Stefano Semplici, che ha accolto il volume nella collana della
Biblioteca dell’« Archivio di Filosofia » da lui diretta. Il Prof. Andreas Speer, che ha seguito
la ricerca durante diversi periodi di soggiorno trascorsi presso il Thomas Institut della
Universität zu Köln, e con cui da anni curiamo l’edizione critica delle traduzioni steinia-
ne di Tommaso d’Aquino per la Edith Stein Gesamtausgabe edita da Herder. La Prof.ssa
Marta Fattori, che ha molto incoraggiato la presente pubblicazione. L’Edith Stein Archiv
di Colonia e la Direttrice, Sr. Dr. Antonia Sondermann, che mi hanno permesso l’acces-
so al materiale autografo steiniano e a diversa letteratura secondaria. L’Internationales
Edith Stein Institut di Würzburg e il Padre Ulrich Dobhan. Il Professor Josef Seifert e la
Internationale Akademie für Philosophie. I Professori Angela Ales Bello, Stefano Bancalari,
Gianfranco Basti, Beate Beckmann, Sarah Borden Sharkey, Daniel Dwyer, Emmanuel
Falque, Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz, Patrizia Manganaro, Claudia Mariéle Wulf,
Albert Zimmermann, che a più riprese mi hanno rivolto preziosi consigli. I colleghi
Emanuele Caminada, Maria Giulia Cremonesi, Diana Di Segni, Giuseppe Di Salvatore,
Wolfgang Dickhut, Francesco Lanzillotti, Pietro Secchi, Paolo Zordan. Aurora Corti, in
modo particolare, che ha anche rivisto le bozze. Grazie di cuore ai miei genitori. Infine,
un ringraziamento a Marco Maria Olivetti, che per primo ha creduto in questa ricerca,
e a cui queste pagine sono dedicate.

1
EeS, ESGA 11/12, pp. 106-107.
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1. Le Quaestiones disputatae de veritate

Capitolo i
ANALOGIA DELL’ENTE

1. Le Quaestiones disputatae de veritate

D opo il battesimo, inizia per Edith Stein un nuovo percorso anche sotto il profilo
intellettuale e scientifico. Nelle righe di apertura della Prefazione di Essere finito ed
essere eterno, che com’è noto costituisce l’opera matura in cui le sue posizioni teoriche
ricevono un’organizzazione sistematica, si trova un passaggio significativo, sovente ci-
tato :
Questo libro è stato scritto da una discente per colleghi che apprendono insieme a lei. In un’età
in cui altri possono osare definirsi insegnanti, è stata infatti costretta a ricominciare il suo cam-
mino dall’inizio. Formata alla scuola di Edmund Husserl, aveva scritto una serie di lavori secon-
do il metodo fenomenologico. Questi trattati erano apparsi sullo Jahrbuch di Husserl e perciò
il suo nome divenne noto proprio nel periodo in cui smise di lavorare e in cui pensava a tutto
tranne che ad un ruolo pubblico. Aveva trovato la via a Cristo e alla sua chiesa ed era impegnata
a trarne le conseguenze pratiche. Ebbe l’opportunità di familiarizzare con il mondo cattolico
concreto quale insegnante presso il collegio delle Domenicane a Spira. Così sorse presto in lei
il desiderio di conoscere i fondamenti di pensiero di questo mondo. Andò praticamente da sé il
rivolgersi anzitutto agli scritti di Tommaso d’Aquino. La traduzione delle Questiones disputatae
de veritate costituì la via per il suo ritorno al lavoro filosofico. 1
Edith Stein si avvicina a Tommaso per ragioni che sono espressamente confessionali e che
sono conseguenza di un cammino esistenziale e di scelte personali. Se una tradizione cat-
tolica di lunghissima data vedeva in Tommaso l’autorità principale di riferimento, nel 1879
l’enciclica Aeterni patris aveva sancito ufficialmente tale autorità, e, contemporaneamente,
rilanciato gli studi e l’interesse per l’Aquinate. Stein incontra il mondo cattolico nei decen-
ni in cui forse nel modo più evidente si avvertono le conseguenze di questa energica spinta
intellettuale impressa dal documento pontificio. L’inizio del Novecento, ed in particolare
gli anni venti e trenta, conoscono infatti una vera e propria “primavera” della neoscolasti-
ca. Per altro verso si tratta anche di un periodo in cui il movimento neoscolastico inizia a
conoscere una divisione che condurrà gli studi di carattere storico-filosofico e filologico a
prendere le distanze e a rendersi autonomi da quelli di tipo teorico, volti invece a difendere
e promuovere la validità del pensiero di Tommaso rispetto alla filosofia moderna. Stein si
inserisce a pieno titolo, e allo stesso tempo con un ruolo autonomo ed originale, in questo
contesto, riuscendo a coniugare lavori impostati secondo il più rigoroso metodo storico
(e che non a caso vennero all’epoca apprezzati e pubblicamente lodati dai più eminenti
studiosi di questo orientamento, come Martin Grabmann), 2 con l’interesse e l’approfon-
dimento più squisitamente speculativo. Il rapporto tra Stein e la scolastica inizia quindi,
secondo quanto ella stessa scrive nella testimonianza citata, con una traduzione, per poi
prendere le forme di un confronto anche teorico.
1
EeS, ESGA 11/12 p. 3.
2
Cfr. M. Grabmann, Geleitwort a E. Stein, Des Hl. Thomas von Aquino Untersuchungen über die Wahrheit
[DeV], ESGA 23 e 24, qui v. 24, pp. 921-27.
22 capitolo i
Formatasi nello studio della filosofia moderna, ed in particolare evidentemente alla
scuola fenomenologica di Edmund Husserl, Stein affronta il pensiero di Tommaso
d’Aquino a partire dalle Quaestiones disputatae de veritate perché ritiene di poter trova-
re in quello scritto una attenzione particolare per il problema della teoria della cono-
scenza. Una diffusa opinione, certo non priva di fondamenti oggettivi, ma progressiva-
mente messa in questione dalla ricerca storica, riteneva infatti di poter contrapporre la
filosofia medievale a quella moderna sulla base di un interesse maggiore rivolto da un
lato alla metafisica o all’ontologia (che tuttavia è un termine la cui occorrenza inizia a
riscontrarsi, come è ormai acclarato, solo al fine del xvi secolo), e dall’altro al problema
gnoseologico.
Il De veritate rappresenta un punto di partenza e, progressivamente, permette anche
una svolta. Le circostanze del suo avvicinamento a quest’opera, e quindi a Tommaso,
sono particolarmente interessanti, sia in senso lato rispetto alle vicende biografiche,
sia per la cornice storico filosofica di sviluppo della neoscolastica in cui si inquadrano,
sia per i temi teorici che Stein, con tutta probabilità, sviluppa sulla scorta di questo la-
voro di traduzione, tra cui proprio la questione dell’analogia. Altrove abbiamo potuto
ricostruirle nel dettaglio, qui ci soffermeremo su alcuni passaggi fondamentali, utili
appunto soprattutto ad introdurre il tema di cui ci occupiamo direttamente. 1
Se il 1 Gennaio del 1922, nel suo trentunesimo anno d’età, Stein viene battezzata, e
nel corso del 1923 inizia a lavorare come insegnante presso il Collegio delle Domenica-
ne di Spira, al 1925 datano le prime testimonianze dell’inizio della sua opera sul testo di
Tommaso. Il 9 Ottobre del 1926 Stein scrive all’amico e collega Roman Ingarden :
Utilizzo il poco tempo che il mio lavoro giornaliero mi lascia per l’attività scientifica dedican-
domi alla resa in tedesco della teoria della conoscenza di S. Tommaso secondo le Quaestiones de
veritate. Resta da vedere se io possa giungere ad una conclusione e anche solo ad un chiarimento
dei concetti fondamentali che vorrei trarvi. 2
Sulla decisione di rivolgersi a questo testo giocò un influsso probabilmente tutt’altro
che marginale Erich Przywara. Ma in generale questo è il primo nome a cui si deve far
riferimento nel pensare al ritorno di Stein al lavoro scientifico, dopo la conversione,
e quindi per contestualizzare il suo avvicinamento con il mondo della neoscolastica. 3
È dunque particolarmente significativo, per il nostro lavoro, il fatto che Przywara sia
noto anche e forse soprattutto per il suo scritto Analogia entis, pubblicato nel 1932. 4 An-
cora in una testimonianza epistolare di Stein si può leggere :
[Przywara] è un ottimo conoscitore della filosofia moderna (è responsabile per la filosofia in
Stimmen der Zeit) e nel nostro scambio epistolare si è visto che entrambi consideriamo come un
compito di particolare urgenza nella situazione attuale la medesima questione : un confronto
tra la filosofia cattolica tradizionale e la filosofia moderna (ma anche per lui la fenomenologia è
la cosa più importante). In un colloquio mi ha esortato con veemenza a tornare al lavoro scien-
tifico e a tal fine a ridurre le mie ore di insegnamento […]. Ho quindi rapidamente concluso,

1
Cfr. A. Speer e F. V. Tommasi, Einleitung a DeV, ESGA 23 e 24, pp. xi- ciii.
2
Cfr. BI, ESGA 4, p. 172.
3
Cfr. A. U. Müller e M. A. Neyer, Edith Stein. Das Leben einer ungewöhnlichen Frau, Zürich-Düsseldorf,
Benziger, 1998, pp. 171 ss. Sulla biografia di Stein, oltre a questo volume, si vedano tra gli altri : T. R. Posselt,
Edith Stein, Nürnberg, Glock und Lutz, 1952 ; R. Leuven, Heil im Unheil..., cit. ; B. W. Imhof, Edith Steins
Philosophische Entwicklung. Leben und Werk, Basel-Boston, Birkhauser, 1987 ; H.-B. Gerl, Unerbittliches Licht.
Edith Stein. Philosophie-Mystik-Leben, Mainz, Matthias Grünewald, 19982.
4
Cfr. E. Przywara, Analogia entis, cit.
analogia dell ’ ente 23
anzitutto, il volume di Newman che avevo intrapreso, e ho cominciato da poco con lo studio
dell’opera filosofica principale di Tommaso d’Aquino – le Quaestiones disputatae de veritate. […]
Ancora non so prevedere che cosa ne uscirà, se una traduzione (che ancora non c’è) con un
apparato di note o una trattazione sulla teoria della conoscenza e la metodologia tomista, consi-
derate in sé o in rapporto con la fenomenologia, oppure ancora qualcos’altro. 1
Mentre Przywara, da parte sua, racconta :
Così, ci accordammo rapidamente : non solo sulla forma dell’edizione di Newman, ma anche
sul prosieguo del lavoro filosofico di Edith Stein, per il quale ella desiderava un mio consiglio.
Decidemmo per una traduzione e commento della pressoché sconosciuta e vasta Quaestio dispu-
tata de veritate di Tommaso d’Aquino. L’opera, che successivamente purtroppo uscì solo presso
un piccolo editore (poiché la casa editrice cattolica la cui grandezza, invece, era corrisponden-
temente adeguata, non ne volle sapere !), diede un duplice risultato : - Da un lato Edith Stein
tentò di porre l’una di fronte all’altra la fenomenologia di Ed. Husserl e la filosofia e la teologia
di Tommaso d’Aquino ; e in anni successivi trattò il tema in modo più esplicito in un colloquio
anche letterariamente significativo tra E. Husserl e Tommaso d’Aquino, scritto per il volume
commemorativo per Ed. Husserl (ma che poi per volontà di Heidegger dovette purtroppo esse-
re trasformato in un cosiddetto articolo neutrale). Questo confronto decisivo per tutto il pensie-
ro moderno ha altresì preso forma, successivamente, nel suo ultimo grande lavoro sistematico
redatto nel Carmelo. – Per altro verso, l’esito di questo confronto venne per così dire a mani-
festarsi nel fatto che Martin Grabmann, il grande storico della scolastica, scrisse la prefazione
alla traduzione della Quaestio disputata de veritate, con la chiara consapevolezza che Edith Stein
fu la prima a realizzare quello che era lo scopo primario del lavoro del gruppo di ricerca Ehrle
– Denifle – Bäumker – Grabmann : confrontare tutta la profondità della scolastica classica con
la vita intellettuale attuale. In ciò Edith Stein rappresenta davvero il completamento dell’opera
svolta da Maréchal nei lavori in cui ha genialmente gettato un ponte tra Kant e Hegel da un lato
e Tommaso d’Aquino dall’altro. 2
L’avvicinamento di Stein al testo di Tommaso, tuttavia, non deve essere stato facile.
Gli accenni steiniani citati, in cui si evince l’incertezza per l’esito di uno studio che,
inizialmente, non sa nemmeno che forma specifica prenderà (uno studio di confronto
analitico o una traduzione), sono testimoniati in modo ancora più evidente da questo
passaggio, tratto dal manoscritto della traduzione della prima quaestio :
Se si proviene dalla moderna teoria della conoscenza è straordinariamente difficile raggiungere
anche solo una semplice comprensione della teoria della conoscenza di Tommaso, per non par-
lare poi di una sua possibile valutazione critica. Le domande che sono centrali per uno studioso
moderno di teoria della conoscenza – ad esempio la questione fenomenologica « che cos’è la co-
noscenza secondo la sua essenza ? » oppure quella kantiana « come è possibile la conoscenza ? » –
non sono poste ex professo, ma si deve faticosamente cercare di recuperare una risposta a partire
da osservazioni slegate tra loro – e non si sa nemmeno se una risposta in generale sia possibile.
Per altro verso vengono trattate delle cose che giacciono completamente al di fuori dell’oriz-

1
BI, ESGA 4, p. 158. Di J. H. Newman, e proprio su impulso di Przywara, che come vedremo in quel
periodo si stava interessando a questo pensatore, Stein tradusse il testo L’idea dell’università, oltre a lettere
e diari (cfr. ESGA 21 e 22).
2
E. Przywara, Edith Stein. Zu ihrem zehnten Todestag, in Id., In und Gegen. Stellungnahmen zur Zeit, Nürn-
berg, Glock und Lutz, 1955, p. 63. Cfr. anche Id., Edith Stein und Simone Weil – Zwei philosophische Grundmoti-
ve, in W. Herbstrith, Edith Stein. Eine grosse Glaubenszeugin. Leben. Neue Dokumente. Philosophie, Annweiler,
Thomas Plöger, 1986, pp. 231-247. Sulla descrizione di Stein da parte di Przywara cfr. K.-H. Wiesemann,
Edith Stein im Spiegel des Denkwegs Erich Przywaras, in B. Beckmann u. H.-B. Gerl-Falkovitz (a cura di), Edith
Stein. Themen, Bezüge, Dokumente, Königshausen u. Neumann, 2003, pp. 189-200.
24 capitolo i
zonte della filosofia moderna e che a prima vista sono irrilevanti […] . Credo tuttavia che non
ci si debba accontentare di ciò. Se c’è anche solo un nucleo di verità da entrambe le parti, allora
devono esserci anche dei ponti. Certo dobbiamo seguire le vie del santo se vogliamo ottenere
qualcosa da lui rispetto al nostro problema. Ma non possiamo perdere di vista proprio lo scopo.
Dobbiamo cercare di scoprire se in ciò che troviamo in lui si possa rinvenire una risposta alle
nostre domande – oppure dei motivi per un abbandono della questione moderna. Così, tutte le
Quaestiones saranno attraversate dal filo conduttore : che cos’è la conoscenza ? 1
La questione della teoria della conoscenza, formulata in un modo che richiama chiara-
mente l’impostazione fenomenologica, ed in particolare ovviamente la fenomenologia
delle Ricerche logiche, ossia la ricerca dell’essenza, è l’interesse che, secondo quanto già si
accennava, sembra muovere Stein ad affrontare questo testo di Tommaso. Il confronto
con i moderni e con la fenomenologia deve avvenire su tale terreno. Ma non sono solo
ragioni di provenienza teorica o di contesto a rendere particolarmente significativo il
lavoro di Stein, ma anche motivi formali e contenutistici interni al testo stesso.
Lo scopo di fondo, abbiamo detto, è quello di aprire un varco alla conoscenza del
maestro scolastico a tutti coloro che, come lei, avevano avuto una formazione orientata
principalmente alla filosofia moderna. Ma l’opera appare ardua, così che Stein abbando-
na presto l’idea di elaborare un saggio di confronto e si rivolge ad una traduzione, com-
pito apparentemente più abbordabile o comunque terreno più sicuro da cui prendere
le mosse. Il primo problema che si presenta, allora, è di tipo linguistico. Il passaggio
storico dal pensiero scolastico al pensiero moderno si è caratterizzato anche come un
processo di traduzione del lessico tecnico dal latino alle lingue volgari ; ed ovviamente
ciò non è avvenuto senza conseguenze teoriche. 2 Se quindi il lavoro steiniano si pone
programmaticamente come un “ponte” tra scolastica e modernità, il più fondamentale
ambito in cui si può misurare il senso della sua impresa è proprio questo. L’analisi dei
manoscritti della traduzione delle Quaestiones disputatae de veritate è in grado di testi-
moniare come nel tempo si sia registrato un affinamento delle sue scelte linguistiche ; 3
e più in generale si può osservare come Stein, superato lo straniamento iniziale, acqui-
sisca una sensibilità linguistica ed un’accuratezza sempre maggiore, sino a definire un
lessico molto elaborato, di cui si può trovare riscontro sia nell’Indice appunto lessico-
grafico che viene pubblicato in appendice alla traduzione, 4 sia nelle successive opere di
resa in tedesco del latino di Tommaso, su tutte il De ente et essentia. 5
Ma al di là delle scelte concrete di traduzione è interessante rilevare come Stein ma-
turi anche una riflessione di principio sul compito e il ruolo delle traduzioni, di cui
si trova una ricaduta esplicita in Essere finito ed essere eterno, che dedica proprio alle
Difficoltà dell’espressione linguistica un paragrafo introduttivo, in cui si manifesta piena
consapevolezza dell’equivocità del lessico metafisico, in cui si sedimentano, tra le altre,
la tradizione greca, latina e tedesca. 6 Abbiamo detto delle difficoltà di Stein nell’av-
vicinamento ad un mondo intellettuale lontano da quello in cui era stata cresciuta.
L’esperienza della traduzione le conferisce quindi la piena coscienza dell’equivocità
del linguaggio filosofico, con cui inevitabilmente si deve confrontare ogni trattazione

1
DeV, ESGA 23, p. 3 ss.
2
Cfr. ad esempio T. Gregory, Origini della terminologia filosofica moderna, Firenze, Olschki, 2006.
3
Cfr. A. Speer e F. V. Tommasi, Einleitung a DeV, ESGA 23, pp. lii ss.
4
Cfr. DeV, ESGA 24, pp. 875-918.
5
Cfr. Thomas von Aquin. Über das Seiende und das Wesen, ESGA 26.
6
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 15-20.
2. I trascendentali e l’analogia dell’ente

analogia dell ’ ente 25


metafisica o filosofica in generale che pretenda di avere a che fare con « le cose stesse ».
La sua opera, d’altronde, si inscrive in un dibattito molto vivace, all’epoca, relativo
all’utilizzo del tedesco e alla opportunità di “germanizzare” i termini la cui origine non
fosse puramente tedesca. 1 Proprio con una metafora che fa riferimento alla questione
linguistica, d’altronde, Stein descrive il più ampio problema del confronto tra pensiero
moderno e scolastico.
Si giunse quindi alla divisione della filosofia in due eserciti, che marciavano separati, parlavano
lingue diverse e non si sforzavano più di comprendersi reciprocamente : la filosofia moderna e la
filosofia scolastica cattolica, che considerava se stessa la philosophia perennis, ma che era consi-
derata da coloro che le erano estranei come una mera occupazione privata di facoltà teologica,
seminari per sacerdoti o scuole di ordini religiosi. 2
Inoltre, la traduzione steiniana modifica la struttura dello scritto in modo che, perden-
dosi la tipica forma scolastica delle quaestiones, si abbia piuttosto un trattato moderno,
ossia un testo unitario e non suddiviso schematicamente nell’esposizione degli argo-
menti della tesi opposta, nella presa di posizione e poi nella risposta alle obiezioni. 3
Questi fattori, che ad una coscienza filologica attuale potrebbero generare scettici-
smo, corrispondono da un lato al grado di sviluppo dello studio dei testi e della tradi-
zione dell’epoca, nonché all’impostazione, tipica del motivo ispiratore principale della
neoscolastica in genere e anche di quello steiniano nello specifico, per cui il significato
del testo e la dottrina di Tommaso costituivano l’interesse primario. Non a caso la sua
opera, che costituiva sicuramente un contributo innovativo e pionieristico, oltre ad es-
sere la prima traduzione tedesca di quel testo di Tommaso venne ampiamente lodata,
come si iniziava ad accennare, non solo da studiosi con un forte interesse speculativo,
quali Przywara, ma anche da storici e filologi come il già citato Grabmann. 4
Per altro verso, la riorganizzazione (e la selezione di passi, perché la traduzione, pur
essendo molto ampia, non è completa) operata da Stein sul testo permette anche di
cogliere snodi concettuali molto interessanti e di mettere in luce strutture ed elementi
di tensione interni al testo dell’Aquinate che una lettura più neutra invece farebbe tra-
sparire con maggiore difficoltà. Infine, e questo forse è l’elemento per noi più impor-
tante, Stein interviene nel testo stesso, affiancando alla traduzione alcuni commenti.
Ogni quaestio termina con un riassunto dai forti tratti interpretativi, ma anche la vera
e propria traduzione è intervallata talora da incursioni steiniane, riconoscibili perché
stampate in corsivo.

2. I trascendentali e l’analogia dell’ente


Un esempio lampante è la trasposizione del densissimo primo articolo della prima que-
stione di Tommaso. In esso si prende in considerazione la dottrina dei trascendenta-
li. L’analisi di questo tema è introdotta nell’Aquinate dalla domanda quid est veritas

1
Cfr. F. V. Tommasi, Die Frage der « Verdeutschung » in den latein-deutschen Übersetzungen des Thomas von
Aquin um die Zeit Edith Steins, di prossima pubblicazione in M. Lebech e J. H. Gurmin (a cura di), Edith Stein.
2
Intersubjectivity, Humanity and Being, Nordhausen, Traugott Bautz. EeS, ESGA 11/12, p. 13.
3
Cfr. A. Speer e F. V. Tommasi, Einleitung a DeV, ESGA 23, pp. xlvii ss. Significativamente tale processo
per cui le quaestiones vengono sistematizzate si registra storicamente già agli albori della cosidetta moderni-
tà, soprattutto nelle scuole gesuitiche. Cfr. C. H. Lohr, Latin Aristotle Commentaries, Introduction, pp. xiv-xv,
Firenze, Olschki, 1988.
4
Cfr. A. Speer e F. V. Tommasi, Einleitung a DeV, ESGA 23, pp. lxvii ss.
26 capitolo i
(was ist Wahrheit). Dopo aver elencato una serie di idee e di auctoritates che farebbero
propendere per la tesi della coincidenza tra ens e verum (verum est id quod est secondo
Agostino), 1 e di converso alcuni sed contra, Tommaso risponde con un testo di rara
intensità speculativa.
In queste righe, ed in modo particolare grazie alla lettura che ne dà Stein, può emer-
gere con evidenza la centralità della questione della comprensione analogica dell’ente
nell’impalcatura metafisica di Tommaso in generale. Soprattutto, la lettura steiniana
lascia trasparire una circolarità tra « ente » e « vero », rintracciata nella contrapposizione
tra essere e conoscenza, che, come detto, guida l’avvicinamento di Stein al testo. In
questa circolarità, che ritroveremo in certo modo già anche nella disamina steiniana
della questione del rapporto tra idealismo e realismo, si può a nostro giudizio rinvenire
un motivo ispiratore centrale della riformulazione dell’analogia in termini di analogia
della persona. Ma occorre procedere con ordine.
Come si iniziava a dire, nel primo articolo della prima quaestio di quest’opera, Tom-
maso d’Aquino sviluppa la trattazione delle nozioni che la tradizione medievale defini-
sce usualmente come prima e communissima e che successivamente saranno registrate
dalla tradizione filosofica come trascendentali. Si tratta di quelle nozioni che, trascen-
dendo le categorie aristoteliche, sono predicabili di tutto e perciò sono altresì fonda-
mentali per la metafisica. Sono appunto i termini primi, predicabili universalmente. La
dottrina dei trascendentali costituisce un elemento fondamentale della impostazione
metafisica di Tommaso e significativamente è messa in rilievo in alcune sue recenti
interpretazioni che si segnalano tra le più interessanti ed originali. 2 Come abbiamo
potuto mettere in rilevo anche altrove, occupandoci nello specifico della lunga durata
della dottrina dei trascendentali e della sua influenza sullo sviluppo del concetto kan-
tiano di « trascendentale », la questione scolastica dei trascendentali è connessa indis-
solubilmente proprio con il tema dell’analogia : è infatti nella comprensione dell’ente
come nozione prima e, al contempo, come nozione che trascende i generi, che si deve
necessariamente postulare la sua analogicità. 3
La questione dell’analogia in generale gioca un ruolo centrale nella storia della ri-
cezione del pensiero di Tommaso d’Aquino e di conseguenza anche nell’ambito co-
siddetto neoscolastico. Molti sono gli autori e commentatori che l’hanno affrontata,
contribuendo ad un dibattito che non sembra accennare a perdere di interesse e che
investe sia l’interpretazione del suo peso nel pensiero dell’Aquinate ; 4 sia la sua storia
più in generale e il problema teorico in sé. 5 Da quest’ultimo punto di vista l’applicazio-

1
Cfr. DeV, ESGA 23, pp. 7 ss.
2
Cfr. soprattutto J. A. Aertsen, Medieval Philosophy and the Trascendentals. The Case of Thomas Aquinas,
Leiden-New York-Köln, Brill, 1996.
3
Cfr. F. V. Tommasi, Philosophia transcendentalis. La questione antepredicativa e l’analogia tra la Scolastica
e Kant, Firenze, Olschki, 2008.
4
Cfr., tra i testi dedicati strettamente al tema : H. Lyttkens, The Analogy between God and the World. An
Investigation of its Background and Interpretation of its Use by Thomas of Aquino, Uppsala, diss., 1952 ; B. Mon-
tagnes, La doctrine de l’analogie de l’être d’après Saint Thomas d’Aquin, Louvain, Publicationes Universitaires,
1963 ; R. McInerny, The Logic of Analogy. An Interpretation of St. Thomas, The Hague, M. Nijhoff, 1961 e Id.,
Aquinas and Analogy, Washington, The Catholic University of America Press, 1996 ; E. Nicoletti, L’analogia
in S. Tommaso in G. Casetta (a cura di), Origini e sviluppi dell’analogia. Da Parmenide a S. Tommaso, Roma, ed.
Vallombrosa, 1987, pp. 116-175.
5
Da questo punto di vista si tratta di un problema davvero macroscopico. Cfr., solo come orientamento
generale, W. Kluxen, art. Analogie, in J. Ritter, K. Gründer e G. Gabriel (a cura di) Historisches Wörterbuch der
Philosophie, vol. 1, Basel e Stuttgart, Schwabe & co, 1971, coll. 214-27 ; J. F. Courtine, Inventio analogiae, cit.
analogia dell ’ ente 27
ne del termine a problemi differenti, per un verso, o la presenza palese della questione
in alcuni ambiti in cui però non si riscontri il termine specifico, complicano notevol-
mente il quadro. Ma in ogni caso è con riferimento più o meno diretto a Tommaso
che deriva molta parte dell’interesse rivolto nella storia del pensiero a questo tema.
E da Tommaso, come si è detto, dipende anche l’interesse che vi rivolge Stein. Ma, a
testimonianza di come l’analogia sia un tema derivativamente centrale in Tommaso, e
cioè rilevante a partire dalle sue interpretazioni, Stein stessa sembra porvi attenzione
grazie a Przywara. Va dunque tenuto presente che l’espressione « analogia dell’ente »
non è di Tommaso, che nemmeno il termine « trascendentale » si rinviene nell’Aquinate
ma è frutto della tradizione successiva, e che anche « analogia » non compare in queste
pagine del primo articolo.
Fatte salve queste cautele di tipo terminologico, possiamo procedere ad osservare
come, avvicinandosi al pensiero scolastico e a quello di Tommaso in particolare, Stein
incontra anzitutto proprio il problema della plurivocità dei sensi con cui si predica l’en-
te, a partire dalla questione dei trascendentali e di quella della verità, e nello snodo tra
teoria della conoscenza e metafisica.
Tentando di riassumere queste righe, si può dire che l’Aquinate muova, sull’esem-
pio di Avicenna, ponendo un parallelo tra l’ordine della dimostrazione e quello dei
concetti, e affermi la necessità per entrambi, secondo la classica impostazione degli
Analitici posteriori, di essere ricondotti ad un punto di partenza certo ed indiscutibile. Se
il principio di non contraddizione funge a tale scopo per le dimostrazioni, la nozione di
ens si pone invece quale fondamento di ogni altro termine, perché è ciò che l’intelletto
concepisce primariamente. L’ente è la nozione che è alla base del processo di resolutio
di ogni altro concetto, e perciò ha predicabilità universale. Il primato dell’ente nell’or-
dine della conoscenza non è ovviamente da concepire, secondo l’Aquinate, né in senso
temporale, ossia secondo una qualche intuizione originaria, né semplicemente come
risultato di una astrazione o di un processo graduale, come avviene per tutte le altre
conoscenze : va invece pensato come oggetto dell’intellectus principiorum che raggiunge
in modo diretto ed evidente i principi metafisici, e che però si serve al contempo di un
movimento di resolutio per arrivare a ciò che è originario. Come l’intelletto che divide
e compone ha alla sua base il principio di non contraddizione, così l’intelletto astraente
i concetti si fonda sulla nozione di ens. Tra i due principi, il secondo qui menzionato,
che regola anche la funzione più originaria dell’intelletto (quella giudicante è infatti
secondaria rispetto a quella astraente), ha il ruolo primario. Anche il principio di non
contraddizione, allora, rimanda in ultima istanza alla nozione di ente.
Per questo il suo carattere di primato e di predicabilità universale, e qui si arriva
subito al cuore della cosiddetta trascendentalità della nozione, l’ente non può essere
concepito come un genere :
Perciò [ossia dal fatto che l’ente sia la nozione primaria] è opportuno che tutti gli altri concetti
dell’intelletto vengano desunti da qualche cosa che si aggiunge all’ente (ex additione ad ens). Ma
all’ente non può essere aggiunto qualcosa come una natura estranea nel modo in cui la differen-
za si aggiunge al genere o l’accidente al soggetto, perché qualsivoglia natura è essenzialmente
un ente ; di conseguenza anche il Filosofo nel III libro della Metafisica sostiene che l’ente non può
essere un genere, ma di alcune cose si dice che si aggiungano all’ente, perché esprimono un suo
modo, che non viene invece espresso dal nome di ente. 1

1
Tommaso d’Aquino, Quaestiones disputatae de veritate, i, 1, resp. (in Opera omnia, voll. 22/1-3, Roma,
Commissio Leonina, 1970-1976).
28 capitolo i

Questa espressione di modi dell’ente può avvenire secondo Tommaso in due direzioni :
secondo una prima si tratta di « un qualche speciale modo dell’ente » (aliquis specialis
modus entis) cioè la sostanza, che indica un ente per sé, e le altre categorie, che tutte
indicano solo un ambito speciale dell’ente ; secondo una seconda direzione, poi, « così
che il modo espresso sia un modo che consegue generalmente ad ogni ente » (ita quod
modus expressus sit modus generaliter consequens omne ens). 1 La seconda direzione di dispie-
gamento del significato di ente è quella propria appunto dei cosiddetti trascendentali.
Si tratta di modi che conseguono ad ogni ente, dunque di termini che, come l’ente,
possiedono predicabilità universale, e, in virtù di tale carattere, non costituiscono un
genere, che è invece appunto solo una sezione di realtà.
In una articolata distinzione, Tommaso divide poi questo secondo gruppo in nozio-
ni che appartengono all’ente in sé, secondo ciò che esso esprime di affermativo e di
negativo (e queste sarebbero res e unum), e quelle che invece si riferiscono all’ordine di
una cosa rispetto ad un’altra : le seconde a loro volta si specificano in nozioni che espri-
mono la divisione di un ente dagli altri (aliquid) e nozioni che invece denotano la sua
« convenienza » con altro. Queste ultime possono manifestare tale convenientia grazie
all’anima (quae quodammodo est omnia, come notoriamente affermato nel iii capitolo
del De anima). In riferimento allora alla sua facoltà appetitiva l’unione con l’ens è detta
bonum, mentre in riferimento a quella cognitiva è detta verum.
Il convenire dell’ente con l’intelletto è espresso dal nome di « vero » […] e questo è dunque ciò
che il vero aggiunge all’ente, ossia la conformità o l’adeguazione della cosa e dell’intelletto ; e
a tale conformità segue […] la conoscenza della cosa. Così dunque l’entità della cosa precede il
senso della verità (rationem veritatis), ma la conoscenza è un certo effetto della verità. 2
In base a queste osservazioni Tommaso conclude il suo respondeo dando una triplice
definizione di verità : egli riprende anzitutto il verum est id quod est agostiniano che aveva
aperto la trattazione, e in cui si esprime secondo lui il fondamento di ciò che è vero, ossia
il rimando imprescindibile all’essere, espresso appunto nella nozione primaria di ens. Fa
riferimento poi in un secondo senso a ciò che la nozione di verità porta a compimento
da un punto di vista formale, ossia la suddetta conformità, da cui sorge la nota definizio-
ne di adaequatio rei et intellectus. In una terza accezione infine la verità può essere intesa
per Tommaso secondo il suo effetto conseguente, ossia la conoscenza, come sostengo-
no Ilario di Poitiers (verum est declarativum et manifestativum esse) e Agostino (veritas est
qua ostenditur id quod est). E infatti l’Aquinate aveva sostenuto, come si è detto, che da
un lato l’entità della cosa precede la verità (« il senso » della verità, secondo la traduzione
che abbiamo improvvisato di ratio, cercando una via intermedia tra il significato troppo
gnoseologico di « concetto » e quello troppo ontologico di « natura » : il termine ratio,
d’altronde, presenta problemi di traduzione non indifferenti anche a Stein) ; 3 dall’altro
lato però la conoscenza è una conseguenza, un effetto della verità stessa.
Tommaso scompone dunque i diversi significati della nozione di verum, e ne mette in
1 2
Cfr. ibidem. Ibidem.
3
Il termine ratio, solo per fare un esempio, viene tradotto da Stein, nel passaggio appena citato, con
Idee (cfr. DeV, ESGA 23, p. 9 ; ma l’apparato critico del volume permettte di osservare come nel manoscritto
il termine fosse stato tradotto prima con Wesen e poi con Begriff, ossia « essenza » e « concetto ») ; nella sua
traduzione (Thomas von Aquin, Von der Wahrheit, Q. 1, Lateinisch-Deutsch, Hamburg, Meiner, 1986), A.
Zimmermann opta invece per Begriff. La plurivocità dei modi con cui Stein traduce ratio è osservabile
nell’indice lessicografico : cfr. DeV, ESGA 24, pp. 909-910.
analogia dell ’ ente 29
luce i rapporti con l’ente e con la conoscenza. Il vero è ancorato e fondato nell’essere,
può costituirsi però solo grazie all’intervento dell’anima e ha come sua conseguenza la
conoscenza : questa la tesi centrale. Il lavoro steiniano presenta detta tesi direttamente
in apertura, traducendo immediatamente il respondeo. Il suo testo riproduce anzitutto
fedelmente l’esposizione tommasiana. Subito dopo, senza alcuna cesura evidente da un
punto di vista grafico (non c’è divisione in paragrafi o altro), Stein prende in conside-
razione le risposte che il pensatore scolastico dà ad alcuni degli argomenti iniziali che
sostenevano la tesi dell’equiparazione tra verum e id quod est, dunque tra vero ed ente.
Già nella scelta di tali argomenti e risposte, probabilmente mossa da proprie urgenze
teoriche, Stein guida il lettore in un percorso che sfocerà nelle righe finali dell’articolo
in cui la traduttrice si riserva lo spazio per presentare in corsivo un riassunto di ciò che
si è trattato : tale esposizione, come mostreremo nel dettaglio, costituisce però al con-
tempo anche un significativo commento.
Prima di seguire nel dettaglio Stein, e come introduzione all’orizzonte di questioni
che risulterà centrale, possiamo già ora sottolineare come il problema teorico principa-
le nel trattare della definizione che Tommaso dà qui del « vero », in rapporto all’« ente »,
consista nel tentativo di tenere assieme la assoluta convertibilità delle due nozioni senza
però lasciare che esse vengano a coincidere concettualmente (ossia nella definizione) e
dunque vengano ad essere sinonimi. Si tratta appunto di concepire il carattere trascen-
dentale di questi termini. Tale carattere, nella necessità di assoluta convertibilità e di
contemporanea distinzione, viene ad essere tutt’uno con il loro significato analogico.
Due nozioni assolutamente univoche non sono infatti distinguibili, ma due nozioni
equivoche, da parte loro, non hanno assoluta identità di predicabilità.
Per quanto riguarda poi nello specifico l’ente ed il vero, se i due termini coincides-
sero concettualmente – e qui è il cuore della questione nella lettura steiniana, come si
vedrà – non vi sarebbe più possibilità di distinguere il pensiero dall’essere. Allo stesso
modo, ed esprimendo altrimenti la stessa situazione, dato che ente e vero si predicano
di tutto, se essi fossero riducibili ad un genere, tutto verrebbe solo a costituire parte di
questo genere, senza più possibilità di differenze reali tra gli enti ; l’ente avrebbe una
definizione rigidamente e assolutamente univoca attribuibile ad ogni cosa (persino a
Dio, e non a caso il problema dell’analogia si manifesta anche e forse anzitutto come
problema delle predicabilità di attributi in ambito teologico, come vedremo anche
in Stein) : tutto risulterebbe concettualmente coincidente. La necessità di distinguere
nell’ordine dei concetti (ratione, o, nella traduzione di Stein, der Idee nach) ente e vero
si radica ancora più profondamente, e in certo modo corrisponde, alla necessità che la
nozione stessa di ente non sia univoca e dunque di evitare il monismo. Si vedrà quindi
come la lettura steiniana conduca alla messa in evidenza di una distinzione irriducibile
e di una contemporanea comunicabilità tra piano del pensiero e piano dell’essere, e si
descriveranno le tensioni che, secondo una necessaria ma al contempo difficile soste-
nibilità teorica, si nascondono in essa. Vedremo inoltre come le questioni tommasiane
del trascendentale e dell’analogia, già sin d’ora emerse come strettamente unite tra
loro, si possano, e anzi forse si debbano leggere quali originariamente radicate in que-
ste tensioni ; quali radicate cioè nel rapporto tra essere e pensiero, nel problema della
verità. Ma procediamo più analiticamente.
Dopo aver aperto il testo con la traduzione del respondeo di Tommaso, Stein prende
in considerazione le risposte ad alcune obiezioni, a cominciare dal terzo argomento
che l’Aquinate presentava a supporto dell’identità assoluta tra verum e ens. Tutte le cose
30 capitolo i
che sono identiche concettualmente non possono essere concepite separatamente, e
infatti l’ente non può essere pensato senza che con esso venga concepito direttamente
anche il vero.
Ma il fatto che qualcosa possa essere conosciuta senza un’altra può essere compreso in un du-
plice senso. Da un lato, nel senso che una viene conosciuta senza che si conosca l’altra – e così
quelle cose che sono diverse secondo il loro contenuto di senso (ratione, Bedeutungsgehalt nella
traduzione di Stein) sono tali per cui l’una può essere compresa senza l’altra. Dall’altro lato,
invece, l’essere conosciuto dell’una cosa senza l’altra può essere compreso così, che l’una viene
conosciuta senza che l’altra esista ; e in questo senso l’ente non può essere conosciuto senza
corrispondere allo spirito che conosce o che gli si adegui. 1
Ente e vero non hanno la stessa ratio, l’intensione dei due termini è diversa, pur essendo
invece uguale l’estensione, vale a dire la loro universale predicabilità. Il fatto che le due
nozioni non possano essere pensate in modo indipendente, significa allora qualcosa di
diverso : l’ente non può essere concepito senza l’« esistenza » del vero. Ogni volta che si
conosce qualcosa in modo corretto, infatti, tale sapere è qualcosa di vero. Non si dà co-
noscenza dell’ente senza « conoscenza ». La conoscenza dell’ente quindi implica neces-
sariamente, « sempre già » verrebbe da dire con espressione cara alla fenomenologia o,
ancora, « trascendentalmente » (nel senso di inevitabilmente), il vero. Tommaso dunque
risponde all’obiezione distinguendo tra concetti ed essere.
Che statuto d’« essere » però possiede la nozione di verum ? In che senso e fino a che
punto si può concepire qualcosa come il suo essere indipendentemente dal suo con-
cetto ? E dunque, di conseguenza e viceversa, fino a che punto lo stesso ens può essere
concepito senza ridursi ad un concetto, ossia al di fuori dell’intelletto con cui deve cor-
rispondere e nel cui ambito si trova sempre già ? Tommaso cerca di mantenere rigoro-
samente il primato dell’ente nel processo conoscitivo, sostiene però al contempo la sua
assoluta convertibilità con la nozione di verum. In che misura si può mantenere questa
situazione peculiare in cui due nozioni sono assolutamente convertibili, una delle due
però possiede al contempo un primato ?
Stein procede poi con la presentazione della risposta di Tommaso ad quartum : se il
vero non coincide concettualmente con l’ente, si chiedeva il filosofo, deve essere una
sua disposizione (dispositivo, Disposition). Ma ens e verum hanno sempre le stesse dispo-
sizioni, dunque devono essere omnino idem. La risposta riposa anche qui su una sottile
differenziazione, in base alla quale l’Aquinate sostiene che il vero è sì una disposizione
dell’ente, ma non nel modo di una qualità, altrimenti i due non sarebbero convertibili
e l’ente sarebbe sovraordinato al vero così come la sostanza lo è rispetto alle altre ca-
tegorie ; esso esprime qualcosa che si trova in ogni ente, ma non è contenuto dal senso
del termine ente : è una disposizione nel senso di un ordine (secundum quod importat
quemdam ordinem). 2
Riassumendo Tommaso, che partiva dall’osservazione delle cause (e per cui ciò che
più è causa di altri enti è massimamente ente, e ciò che più è causa di verità è mas-
simamente vero), Stein presenta poi la risposta successiva (ad quintum) nella quale si
sostiene che laddove si trova l’ente in massimo grado, allo stesso tempo è da trovarsi
anche il vero in massimo grado e così via, secondo un ordine simmetrico. Tale ordine
però non è dato, e qui si ribadisce la soluzione precedente nonché la tesi centrale, dalla
convenienza concettuale delle due nozioni (che non sono ratione idem, non possiedono,
1 2
Cfr. DeV, ESGA 23, p. 10. Cfr. DeV, ESGA 23, pp. 10-11.
analogia dell ’ ente 31
secondo la traduzione che Stein utilizza questa volta, begriffliche Übereinstimmung), ma
dal fatto che un qualcosa, nella misura in cui possiede entità (ex hoc quod aliquid habet
de entitate), ossia nella misura del proprio grado di essere, è predisposto (natus est, ist
geschaffen) a corrispondere all’intelletto. In questo modo la nozione di vero segue quella
di ente (ratio veri sequitur rationem entis, der Idee nach folgt das Wahre dem Seienden). 1
Ancora una volta Stein può leggere qui in Tommaso una riaffermazione del primato
assoluto dell’ente e la contemporanea completa convertibilità con esso del vero. Le due
affermazioni (primato assoluto e completa convertibilità) sono compossibili, si ripete,
perché tra le due nozioni in questione non c’è identità concettuale, ossia non si tratta
di sinonimi in senso stretto. Non c’è univocità. Ma nemmeno si tratta di due nozioni
irrelate, con due definizioni solo diverse, dunque di termini equivoci. Il passo in avanti
che ora si guadagna nella spiegazione di tale difficile situazione è dato dalla ripresa
dell’origine del vero dall’attività dell’intelletto, elemento che era stato introdotto nel
respondeo. L’intelletto costituisce per così dire il perno attraverso cui l’ente, principio
fondamentale e insostituibile, entra nell’ambito della filosofia e viene subito a costituire
il vero, originando infine la conoscenza. Ens e verum sono allora in certo modo insepa-
rabili, ma non sono assolutamente identici.
Stein prende infine in considerazione le risposte di Tommaso alle obiezioni sesta e
settima, in cui si affrontavano definitivamente il problema di cosa apporti il vero all’en-
te, e le domande se le due nozioni siano differenti e se la seconda possa precedere la
prima. Non si ha infatti tra esse, manifestamente, una diversità per essentiam, né data da
qualche altra differenza.
Nell’ad sextum Tommaso sostiene per la prima volta che nella ratione di vero ci sia
qualcosa in più che in quella di ente, ma non viceversa. L’affermazione sbilancia il suo
discorso, che sinora aveva mantenuto ferma la convertibilità totale, ma è sostenibile
proprio sulla base del fatto che non si trattava di una identità di definizione. E, non a
caso, l’affermazione sbilancia il discorso in modo simmetrico rispetto all’altra apparen-
te incongruenza segnalata precedentemente, ossia l’anteriorità della nozione di ente. 2
L’equilibrio, però, lo si deve ripetere, è difficile, tant’è che Tommaso inizia l’ad septi-
mum, ossia la risposta all’ultima obiezione, affermando ancora una volta che : « il vero
non è presente in più cose rispetto all’ente ». Se il vero infatti si predica anche del non-
ente, ossia anche di negazioni e privazioni, l’ente stesso, « compreso in un certo senso, si
predica del non ente » ; e ciò « nella misura in cui il non ente è conosciuto dall’intelletto ».
Tommaso conclude allora sostenendo che : « da ciò risulta evidente che ogni vero è in
qualche modo un ente (ex quo patet quod omne verum est aliquo modo ens) ». 3 La tensione è
chiaramente tutta contenuta in quell’aliquo modo.
La traduttrice interviene allora personalmente subito dopo la conclusione della ri-
sposta ad sextum, dove Tommaso aveva sostenuto che il vero aggiunge concettualmen-
te qualcosa all’ente, e che però le due nozioni al contempo non si distinguono né per
essenza, né secondo qualche altra differenza. Utilizzando come dicevamo il corsivo, a
rimarcare le parti di testo in cui si abbandona momentaneamente l’opera di traduzio-
ne per riassumere o comunque cercare di facilitare la comprensione al lettore, Stein
afferma : « Il vero non aggiunge quindi nulla di materiale all’ente » ; 4 e introducendo la
risposta ad septimum procede :

1 2
Cfr. DeV, ESGA 23, p. 11. Cfr. DeV, ESGA 23, p. 11.
3 4
DeV, ESGA 23, p. 11. DeV, ESGA 23, p. 11.
32 capitolo i

E anche formalmente – o secondo l’ambito di essere (dem Seinsbereich nach), l’ente può essere
compreso in senso così ampio che comprende assieme il vero e il non ente. 1
Ciò perché, come detto, il vero si predica anche di negazioni e privazioni, che, in questo
senso, sono in certo modo un ente. Anche il non-ente infatti, era giunto a sostenere
Tommaso, è un ente ; però, e ciò è decisivo, appunto aliquo modo. Così, il primo articolo
si conclude con queste righe di bilancio steiniano :
Qui viene dunque distinto un duplice concetto di essere. L’ente viene anzitutto preso – contro
l’utilizzo che se ne è fatto sinora – come ciò che è oggetto della conoscenza. Ciò si può applicare
però anche al non ente (concepito come tale rispetto al senso con cui l’ente è stato compreso
sinora) e al vero in quanto tale, ossia in ciò che lo differenzia dall’ente (nel senso con cui si è inte-
so sinora). L’ente nel senso con cui si è inteso sinora è ciò che possiede una propria consistenza
di essere (Seinsbestand) o una propria essenza (Wesen) (essentia) ; e ciò manca sia al non ente che
al vero. Il non ente è ciò che non ha consistenza d’essere, mentre il vero ha una consistenza
d’essere, tuttavia non in quanto vero, ma come ente. All’ente in questo senso pertiene il poter
essere conosciuto (Erkanntwerdenkönnen), ma gli è secondario. Per l’ente inteso invece nell’altro
senso, essere ed essere conosciuto coincidono. Parleremo invece altrove di come vada compresa
la conoscenza del non ente. 2
Il passaggio è significativamente, ed in tutti i sensi, impregnato di equivocità e perciò
di non immediata comprensibilità. Stein legge dunque in Tommaso una distinzione tra
due modi di intendere l’ens : uno secondo l’accezione più immediata e da cui il testo
ha anche preso le mosse, ossia come indicante qualcosa di realmente esistente, o me-
glio, come qualcosa che ha una consistenza di essere ; l’altra invece in senso astratto e
formale, e dunque secondo un significato capace di accogliere anche le negazioni e di
riassumere in sé persino il proprio contrario (non ens). L’ente è quindi una nozione che
si predica in sensi diversi e non è un concetto rigidamente univoco. Tuttavia pare man-
tenere una qualche forma di unità di significato alla base. L’unità linguistica posseduta
dall’ente sembra essere la prova più evidente del suo significato analogico, piuttosto
che equivoco, e se dietro all’utilizzo del termine di ente nei suoi diversi significati sem-
bra potersi celare un senso minimamente unitario, questa impressione si fa sempre più
debole laddove il termine ente pare predicabile anche del suo contraddittorio, ossia del
non ente.
Appare perciò necessario, nella comprensione tommasiana, pensare il rapporto tra
ente e vero in modo paradossale, secondo l’impossibilità di concepire uno dei due ele-
menti come originario e secondo la contemporanea inevitabilità di dover considerare
l’ente come anteriore. Non a caso il vero viene descritto da Tommaso sia come un
elemento in certo modo indipendente (uno dei trascendentali), sia come una relazione
(tra ente ed intelletto). La questione descritta si esplicita nella tensione tra il tentativo di
comprendere l’ente come un qualcosa che ha un fondamento unitario e accomunante
tutto (e questa sarebbe la sua comprensione quale genere, quale communissimum), ma
che al contempo lascia intatta la differenza reale e incolmabile tra le diverse sostanze
(perché non è riducibile ad una categoria, ma è primum). Se l’ente fosse riducibile ad
un genere, se le sostanze dunque fossero riassorbibili in una definizione unitaria, tut-
to verrebbe solo ad essere parte dell’ente, ed esso sarebbe invece concepito in modo
strettamente univocante. È in questo senso che si può dire che l’analogia dell’ente sia
1 2
DeV, ESGA 23, p. 11. DeV, ESGA 23, p. 12.
analogia dell ’ ente 33
in Tommaso non solo un aspetto marginale della metafisica o un metodo estrinseco
per la conoscenza di Dio, ma la costituzione metafisica stessa intrinseca all’essere e
l’espressione della sua trascendentalità : vi è partecipazione universale all’essere, ma in
una maniera che tiene radicalmente ferme le differenze reali e perciò irriducibili tra le
sostanze.
Specularmente a quanto detto in termini metafisici, la questione dell’analogia è an-
che la possibilità da parte dell’intelletto umano di porre in certo modo un proprio or-
dine nella realtà, di dover però in fondo adeguarsi, nel porre tale ordine, a ciò che la
realtà è, prima ed al di là di ogni pensiero. Tale situazione viene alla luce pienamente
nella questione del vero, in cui si originano i diversi significati di ente. Senza il rapporto
tra intelletto e realtà non vi sarebbe überhaupt questa comprensione articolata dell’ente,
perché non vi sarebbe affatto comprensione o pensiero dell’ente, e quindi la possibilità
di ricercarne un senso. La tensione, in Tommaso, sembra essere tra l’immediatezza con
cui la nozione di ente, nella sua attualità, si deve dare all’intelletto (che è in certo modo
radicalmente passivo nei suoi confronti e lo coglie come principio fondante della filoso-
fia), e il fatto che però l’ente è anche risultato di un operare dell’intelletto stesso, di una
risalita a ciò che è più semplice e universale nell’ordine dei concetti, in certo modo di
una « costituzione ». Che il conoscere avvenga per Tommaso proprio grazie alla doppia
capacità dell’anima di essere assieme agente e possibile, non è probabilmente che la
riprova di tale situazione. L’ente pensato è considerato da Tommaso specchio fedele
dell’essere, ma non con esso coincidente. Si potrebbe dire, per spiegare tale concezione,
che l’intelletto in certo modo torna sull’ente reale e si riapre ad esso una volta che lo ha
pensato e dunque categorizzato, anche se non si tratta qui di due movimenti separati,
ma piuttosto, ancora, di tenere assieme l’attività e la passività. L’anima ha dunque, per
così dire, un potere di intervento sulla realtà non pensata, costituendo il verum ; esso
però a sua volta deve essere riferito di nuovo alla realtà stessa (altrimenti non avrebbe
criterio di comparazione e dunque non ci sarebbe possibilità di definire appunto qual-
cosa come vero, ma tutto verrebbe ad essere una mera rappresentazione). Tra ente
reale e ente pensato c’è dunque un ponte, costituito dall’attività intellettiva. 1 Vedremo
quindi presto, nel prossimo paragrafo, come Stein, cresciuta nel dibattito fenomeno-
logico tra realismo e idealismo, possa rinvenire in queste righe echi molto significativi
di problemi con i quali si era già confrontata ed in particolare della questione della
costituzione.
Prima di passare però all’analisi specifica proprio di quel retroterra, vogliamo sotto-
lineare rapidamente un ulteriore elemento che probabilmente gioca un ruolo impor-
tante nella successiva riflessione steiniana su questi temi : la circolarità del rapporto tra
ente ed intelletto sembra sostenibile solo grazie al ruolo di Dio, che fonda nell’ente ciò
che esso possiede di assolutezza cui l’intelletto deve adeguarsi : e difatti la verità esiste-
rebbe, sostiene Tommaso nel secondo articolo, anche senza la presenza dell’intelletto
umano, perché garantita dal creatore. L’esistenza di Dio stesso quale atto puro d’essere

1
Naturalmente, secondo Tommaso, qualcosa è buono o vero non perché l’anima vi tenda, ma viceversa,
l’anima vi tende perché è buono o vero : il problema teorico che qui si vuole iniziare a far rimarcare è però
se tale situazione non presenti forti possibilità di convertirsi immediatamente nel suo contrario. Significa-
tive al proposito sono espressioni dello stesso Tommaso nella Summa theologiae : sensibile in actu est sensus
in actu o intelligibile in actu est intellectus in actu (S. Th., i, 14, 2). Nel terzo articolo del De veritate, inoltre,
anziché di adaequatio rei et intellectus si parla di comparatio entis ad intellectum e si sostiene che l’intelletto
format quidditates rerum (cfr. i, 3, 3).
3. Tra idealismo e realismo

34 capitolo i
però è guadagnata filosoficamente da Tommaso sulla base della compresenza nella no-
zione di ente di un senso secondo il quale esso è meramente esistente, e di un senso per
cui tale esistenza, che realizza l’essenza stessa attualizzandola, è una perfezione : e que-
sti erano proprio anche gli elementi che costituivano i termini di riferimento del movi-
mento dell’intelletto nella ricerca del vero. Dal fatto che nessun ente, pur avendo tale
perfezione dell’esistenza, la possieda in modo assoluto, ossia per essenza, si dimostra
infatti secondo l’Aquinate l’esistenza di Dio, ipsum esse subsistens. Il significato equivoco
dell’ente (che è anche perfezione) sembra perciò sostenibile grazie alla presenza del
creatore, ottenuta da un punto di vista teorico a sua volta grazie proprio all’equivocità
dell’ente stesso. La presupposizione di Dio sembra necessaria per il guadagno pieno
della trascendentalità e dell’analogia, per il mantenimento del difficile equilibrio ; ma
a livello filosofico si giunge all’esistenza di Dio proprio a partire dall’equivocità dell’es-
sere.
Non è un caso comunque che una ulteriore circolarità emerga ancora nel secondo arti-
colo di questa prima questione, laddove Tommaso definisce significativamente l’intelletto
come il luogo proprio della verità. Sulla base della eminenza attribuita alla causalità fina-
le, l’Aquinate conclude infatti che il fine del processo conoscitivo risiede nell’intelletto.
Un ritorno alle cose, allora, è garantito solo dall’attività pratica, che trova appunto negli
enti, sotto la forma del bonum, lo scopo finale del proprio tendere. L’Aquinate fa espresso
riferimento qui alla citata circolarità aristotelica del De anima. Il problema teorico che si
costituisce sembra quindi essere quello di come l’intelletto possa rivolgersi di nuovo alle
« cose stesse », una volta conosciute : ossia di come esso possa uscire da se stesso e “tocca-
re” la realtà senza però influenzarla o obiettivarla definitivamente, senza ridurla cioè alle
proprie categorie in questo raggiungerla, ma essendone semplicemente specchio : e da
queste righe pare che ciò sia reso possibile solo dall’ambito pratico. Tutto ruota in maniera
decisiva attorno all’intelletto, alla sua attività in certo modo formatrice nei confronti del
reale, ma al contempo anche semplicemente adeguantesi a ciò che in esso vi è di perfezio-
ne, ossia a ciò che nel reale vi è di creaturalità e dunque dipende da Dio. 1
A partire quindi dal problema del vero, Stein rinviene in questo primo articolo della
prima questione del De veritate una circolarità tra essere e conoscenza : tale circolarità
viene fatta risalire ad una inevitabile plurivocità del termine « ente », che per un verso,
ed in senso stretto, è ciò che ha una consistenza di essere e dunque una esistenza reale,
per altro verso è invece in senso lato qualsiasi cosa, persino il « non ente ».

3. Tra idealismo e realismo


Si può notare a questo punto più nel dettaglio come a Stein, già assistente di Husserl
e formatasi alla tradizione della filosofia classica tedesca, apparisse una conclusione
filosoficamente non impensabile l’equiparazione tra essere e pensiero, e dunque fosse
necessario per lei distinguere ciò che in Tommaso era in certo modo implicito.

1
Ma la circolarità della conoscenza è espressa anche nella descrizione della conoscenza stessa che Tom-
maso dà nel nono articolo, relativamente alla questione se il vero sia anche nei sensi : « le sostanze spirituali,
che sono le più perfette tra gli enti, ritornano alla propria essenza secondo un movimento di ritorno com-
pleto (redeunt ad suam essentiam reditione completa) : conoscendo qualcosa al di fuori di sé, escono in qualche
modo da sé. Ma nel momeno in cui conoscono di conoscersi, iniziano già a rientrare in sé, perché l’atto di
conoscenza è un medio tra il conoscente e il conosciuto ; ma questo ritorno si completa solo con la cono-
scenza della propria essenza, come si dice nel Liber de causis : chiunque conosce la propria essenza ritorna
alla sua essenza in un ritorno completo » (Tommaso d’Aquino, Quaestiones…, cit., i, 9, resp.) .
analogia dell ’ ente 35
Com’è noto, Stein aveva iniziato a studiare fenomenologia a Gottinga proprio negli
anni in cui, con l’uscita del primo volume delle Idee, la corrente inaugurata da Husserl
aveva definitivamente intrapreso quella che a molti discepoli, educati al metodo delle
Ricerche logiche, appariva una indebita svolta idealistica. Nel testo di Tommaso abbiamo
riconosciuto una tensione implicita tra ente e vero che all’ottica di Stein risultava parti-
colarmente interessante perché sembrava coinvolgere la questione del rapporto tra te-
oria della conoscenza e metafisica. Stein quindi ritrova in Tommaso, in qualche modo,
i termini di un dibattito che le era molto familiare e a cui aveva anche partecipato ; e
che evidentemente si radicalizzano nel momento in cui si prende in esame il rapporto
tra un pensiero che non si pone come punto di partenza la questione della conoscenza
e una filosofia invece « trascendentale » nel senso moderno, cioè post-kantiano. Ma che
ciononostante, come abbiamo avuto modo di dire, è tutt’altro che ingenuo rispetto ai
problemi gnoseologici.
È perciò proficuo per il nostro tema cercare di ricostruire rapidamente alcuni tratti
fondamentali della posizione di Stein relativa alla questione dell’impostazione idealisti-
ca della fenomenologia. 1 Oltre infatti a costituire, come si è visto, il retroterra nel quale
matura il suo avvicinamento a Tommaso, questo sfondo risulterà decisivo anche per
capire alcuni aspetti dell’originale impostazione che riceve l’analogia nel suo pensiero.
La difficile decidibilità tra idealismo e realismo concepiti in modo eccessivamente stati-
co o unilaterale, infatti, condurrà Stein al tentativo di impostare l’analogia non solo in
termini classicamente e astrattamente metafisici o comunque non solo come analogia
dell’ente ; ma come rapporto anzitutto tra due persone.
La giovane fenomenologa, come avremo modo di ribadire a più riprese, sembra aver
condiviso, o quantomeno seguito in alcune sue premesse fondamentali, la linea « tra-
scendentale » husserliana, considerandola ovviamente una posizione non riducibile a
quella dell’idealismo classico e anzi come l’unica vera forma con cui il pensiero può
muovere da premesse rigorosamente certe e incontestabili. Per altro verso, ne vede
molti limiti e condivide una esigenza fondamentalmente « realista » o comunque la ne-
cessità che il pensiero si apra sempre di nuovo all’essere.
D’altronde, se l’idealismo assoluto sembra essere conseguenza inevitabile di un pen-
siero che radicalizza l’inaggirabilità dell’io, come vedremo, e il monismo a sua volta
deriva da una posizione strettamente univocante, lo stesso Tommaso, da quanto già si
è potuto osservare, non pare sostenere una posizione ingenuamente realista o comun-
que non manca di tener conto del necessario ruolo dell’intelletto.
Come iniziavamo a dire, con la pubblicazione, nel 1913, del primo volume delle Idee,

1
Descrizioni equilibrate della posizione steiniana, rispetto a tale questione, sono rinvenibili in A. Ales
Bello, Fenomenologia dell’essere umano…, cit., pp. 60-67 ; H.-R. Sepp, Edith Steins Stellung innerhalb der phä-
nomenologischen Bewegung, « Edith Stein Jahrbuch », 4 (1998), pp. 495-510 ; Id. Edith Steins Position in der Idea-
lismus-Realismus Debatte, in B. Beckmann e H.-B. Gerl-Falkovitz (a cura di), Edith Stein. Themen, Bezüge,
Dokumente, cit., pp. 13-24 ; P. Volek, Erkenntnistheorie bei Edith Stein. Metaphysische Grundlagen der Erkenntnis
bei Edith Stein im Vergleich mit Husserl und Thomas von Aquin, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1998 ; B. Beckmann,
Phänomenologie des religiösen Erlebnisses…, cit., pp. 171 ss. Con un’espressione efficace, se intesa non in senso
tecnico (perché Husserl la critica esplicitamente nelle Meditazioni cartesiane, e Stein non se ne serve mai),
ma solo genericamente come idea di conciliazione tra due punti di vista apparentemente opposti, P. Se-
cretan ha definito « realismo trascendentale » la filosofia steiniana in Erkenntnis und Aufstieg. Einführung in
die Philosophie von Edith Stein, Innsbruck-Wien-Würzburg, Tyrolia-Echter, 1992, cit., p. 116. Cfr. anche F. V.
Tommasi, Lo sviluppo di un dibattito fenomenologico : idealismo e realismo nel pensiero di Edith Stein, « Aquinas »,
45 (2002), pp. 171-186.
36 capitolo i
Husserl parve introdurre un mutamento radicale nell’impostazione del suo pensiero.
Tale almeno fu la sensazione dei suoi discepoli di Gottinga che, cresciuti con il metodo
introdotto nelle Ricerche logiche, non si riconobbero più nel nuovo indirizzo trascenden-
tale. Il « tornare alle cose stesse », che era divenuto motto di una filosofia direttamente
rivolta ai fenomeni e fiduciosa di poterli ordinare secondo le loro essenze, contrappo-
nendosi a quelle che Husserl considerava invece le astrattezze teoriche del positivismo
e del kantismo, sembrava tradito dal ricorso alla riduzione trascendentale, che appariva
quale una deriva kantiana e idealistica. A partire da Max Scheler, che in parallelo con
il fondatore della fenomenologia portava avanti il nuovo corso di pensiero, molti gio-
vani discepoli husserliani (tra i quali, per la radicalità delle critiche, spiccarono Hedwig
Conrad-Martius, Theodor Conrad, Roman Ingarden e Dietrich von Hildebrand, tutti
personalmente ed intellettualmente molto vicini ad Edith Stein) contestarono l’impo-
stazione trascendentale e rimasero fedeli ad un modello realista. 1
La questione chiaramente non è dirimibile con eccessiva rapidità, e meriterebbe una
lunga e autonoma trattazione. Anzitutto, infatti, è la polivocità degli stessi termini « re-
alismo » e « idealismo » a complicare la discussione, perché si tratta di categorie di carat-
tere generale, incapaci di rendere conto del dettaglio in cui le opinioni dei singoli autori
si delineano. Essendo possibili sfumature e posizioni intermedie a riguardo di tali que-
stioni, il pensiero husserliano è risultato di difficile interpretazione, presentandosi in
modo diverso e con articolazioni complesse lungo tutto il corso del suo sviluppo, senza
giungere mai, probabilmente, a una chiarezza definitiva. E se le stesse Ricerche logiche,
che avevano suscitato l’entusiasmo degli allievi di Gottinga, non presentano secondo
alcuni una impostazione che sarebbe definibile realista, lo studio del lavoro husserliano
tra il 1900 (anno di pubblicazione di questo testo) e il 1913, permette di interpretare lo
sviluppo delle posizioni del volume delle Idee piuttosto secondo un’ipotesi di continu-
ità. 2 È stato inoltre sostenuto con buoni argomenti che Husserl non fu mai realista, e
che tale posizione fu propria solo di alcuni discepoli gottinghesi influenzati da Adolf
Reinach, di cui primo maestro fu Theodor Lipps animatore del circolo che a Monaco
conduceva in qualche modo una fenomenologia autonoma e cui presero parte, tra gli
altri, Alexander Pfänder, Dietrich von Hildebrand e Moritz Geiger. 3
Ai nomi di coloro che non accettarono l’indirizzo proposto da Husserl nelle Idee vie-
ne di solito associato, nelle descrizioni manualistiche della scuola fenomenologica, an-
che quello di Stein. Abbiamo accennato alla sua amicizia con molte delle figure che più
decise furono nella critica al presunto nuovo corso della fenomenologia husserliana ;

1
Cfr. E. Avé-Lallement e K. Schuhmann, Ein Zeitzeuge über die Anfänge der phänomenologischen Bewe-
gung : Theodor Conrads Bericht aus dem Jahre 1954, « Husserl Studies » 9 (1992), pp. 77-90.
2
Sia T. De Boer, in The Development of Husserl’s Thought, The Hague, M. Nijhoff, 1978, p. 260, sia D.
Zahavi, in Constitution and Ontology : some Remarks on Husserl’s Ontological Position in the ‘Logical Investiga-
tions’, « Husserl Studies », 9 (1992), pp. 111-124, hanno messo in discussione la caratterizzazione del passaggio
tra le Ricerche logiche e il primo volume delle Idee quale mera conversione da una posizione realista ad una
idealista.
3
Questa sarebbe stata l’opinione di van Breda : cfr. R. Ingarden, On the Motives which led Husserl to Tra-
scendental Idealism, M. Nijhoff, The Hague 1975, p. 4. Sulla fenomenologia cosiddetta realista in generale
cfr. H. Spiegelberg, The phänomenological Movement, The Hague, M. Nijhoff, pp. 165 ss. E. Avé-Lallemant,
R. Gladiator e H. Kuhn (a cura di), Die Münchener Phänomenologie, Den Haag, M. Nijhoff, 1975 ; H.-R. Sepp
(a cura di), Die Münchener-Göttinger Phänomenologie, Freiburg i.B, Alber, 1994 ; S. Besoli e L. Guidetti (a cura
di), Il realismo fenomenologico. Sulla filosofia dei circoli di Monaco e Gottinga, Macerata, Quodlibet, 2000 ; ma
anche l’antologia di R. De Monticelli (a cura di), La persona : apparenza e realtà. Testi fenomenologici 1911-1933,
Milano, R. Cortina, 2000.
analogia dell ’ ente 37
questa prossimità su di un piano personale è sovente accompagnata da testimonianze
di condivisione di posizioni teoriche specifiche ; ma, in termini più generali, sembra che
proprio il ricorso a fattori biografici possa essere utile per contribuire al chiarimento di
alcuni passaggi di questa controversia. La reazione degli allievi gottinghesi di Husserl,
che talora appare anche eccessivamente ferma e quasi immotivata, sembra infatti spie-
gabile anche grazie a particolari di contesto. Molti discepoli, come accennato, si trova-
vano a Monaco, e quindi erano maturati allo studio delle Ricerche logiche, senza però poi
poter seguire direttamente le lezioni del fondatore della fenomenologia, in cui appunto
l’indirizzo trascendentale veniva preparato, così come alcuni altri, pur avendo trascorso
un periodo a Gottinga, non erano più là. La scuola aveva allora già una certa autono-
mia, mentre gli studenti più giovani non avevano potuto, per ragioni opposte, seguire
per intero i passaggi di pensiero husserliani. L’esperienza della guerra, che era risultata
drammatica per l’intera Germania, aveva inoltre avuto gravi ripercussioni sulla cerchia
di coloro che ruotavano attorno al fondatore della fenomenologia, non ultima la mor-
te di Adolf Reinach, lasciandolo definitivamente solo nel momento in cui (1917) egli si
trasferì, come detto, a Friburgo.
Una testimonianza steiniana tratta dalla sua autobiografia rende molto bene il modo
in cui a Gottinga, nel seminario avanzato di Husserl, venne inizialmente recepita l’usci-
ta del primo volume delle Idee :
Tutti avevano in mente la stessa domanda […]. Tutti i giovani fenomenologi erano realisti con-
vinti. Tuttavia nelle Idee sembrava che per certi aspetti il maestro volesse tornare all’idealismo.
La spiegazione che ci diede a voce non bastò a cancellare i dubbi. Era l’inizio di una evoluzione
che condusse sempre più Husserl a vedere in ciò che egli chiamava « idealismo trascendentale »
– che non corrisponde all’idealismo trascendentale delle scuole kantiane – l’autentico nocciolo
della sua filosofia e ad impiegare tutte le sue energie per la sua fondazione : una strada, questa, su
cui i suoi vecchi allievi di Gottinga, con loro e con suo rincrescimento, non poterono seguirlo. 1
Anche a seguito delle circostanze di cui si diceva, però, Stein divenne la prima assisten-
te di Husserl a Friburgo. Dopo aver discusso la propria tesi di dottorato, infatti, decise
di proporre il suo aiuto a Husserl, rimasto solo nella nuova sede, e tale offerta aveva
incontrato la positiva reazione del maestro. Iniziò quindi una collaborazione le cui dif-
ficoltà concrete si intrecciano al problema teorico della ricostruzione delle reciproche
posizioni.
Da quello che sappiamo, quindi, Stein iniziò con entusiasmo il suo lavoro accanto a
Husserl, spinta dalla eccitante prospettiva di operare accanto a colui che reputava « il
maestro », il più grande dei pensatori viventi, e per il quale nutriva dunque una venera-
zione assoluta ed incondizionata. Tale sentimento la portava ad affermare di « ritenere
molto più importante di una qualsiasi eventuale produzione propria il fatto che i suoi
[di Husserl] lavori vengano conosciuti ». 2 Tuttavia ben presto si trovò a fronteggiare le
non poche difficoltà di un lavoro in cui ella si adoperava per sistemare i testi e gli appun-
ti (scritti secondo la stenografia Gabelsberger) di Husserl, mentre il maestro trovava
con estrema difficoltà il tempo di seguirla in tale opera, che si rivelava ardua non solo
per ciò che concerneva l’aspetto pratico e materiale del riordino dei manoscritti, ma
anche ed evidentemente per le questioni teoriche connessevi. 3

1 2
Aus dem Leben einer jüdischen Familie, ESGA 1, p. 220. BI, ESGA 4, p. 57.
3
Riguardo a tali difficoltà, Landgrebe ha scritto : « Dei problemi che si presentarono a Edith Stein nel
suo lavorare accanto ad Husserl, posso ben raccontare per esperienza personale. Nel momento in cui una
38 capitolo i
Da quanto si evince dall’epistolario steiniano con Ingarden, Husserl pare essere stato
anche notevolmente incostante nell’opera di revisione che egli stesso auspicava, così
che Stein decise talvolta di procedere autonomamente al riordino dei manoscritti au-
torizzandosi anche, nel momento in cui Husserl non l’avesse fatto personalmente, a
chiarire i punti poco chiari. Stein dichiara infatti di voler portare il materiale presente
nei manoscritti ad una prima unitaria elaborazione che serva da base per il lavoro di
Husserl, che altrimenti rimarrebbe sempre bloccato sui particolari singoli ; e solo nel
peggiore dei casi, se cioè Husserl sfugga anche alla ultima elaborazione, di voler ten-
tare da sola : il lavoro però, ammette, le richiederebbe anni, ed ella non se lo augura. 1
Stein d’altronde non manca di ricevere attestati di fiducia da parte di Husserl, che vo-
leva affidarle il ruolo che era stato di Reinach a Gottinga. 2 E il suo lavoro oscilla tra
periodi di crisi, anche personale, e fasi di fiducia, che probabilmente influenzano anche
le sue posizioni teoriche.
In particolare, Stein lavorò in quegli anni agli appunti preparati da Husserl per la
pubblicazione del secondo volume delle Idee, in cui la questione delle diverse possibili
interpretazioni della fenomenologia emerge con urgenza ; e in questo caso i continui
ripensamenti husserliani ebbero come conseguenza che il volume non venne concluso.
Pur pubblicato nella collana della Husserliana, il testo di Idee ii sta trovando solo in que-
sti anni una edizione critica che cerchi di fare il punto sulla questione dei presunti inter-
venti steiniani sul testo. Ma una questione simile si è originata anche relativamente ad
un altro testo che Stein si trovò a rielaborare, ossia i manoscritti sulla fenomenologia
della coscienza interna del tempo, poi editi nel periodo in cui Heidegger fu assistente di
Husserl. Il problema di risalire alle esatte posizioni husserliane e steiniane riguardo al
problema della costituzione ha condotto alcuni studiosi ad ipotizzare larghi interventi
dell’assistente sui testi husserliani, laddove essi sembrano presentare un’impostazione
sostanzialmente realista. 3
Lo stesso Husserl, per altro verso, sembra oscillare molto su diverse questioni, in
quel periodo ; non a caso per molti anni non pubblicherà nulla. In più di una testimo-
nianza steiniana si racconta persino di come egli fosse sempre meno convinto della
soluzione che sinora aveva conferito al problema della costituzione, e e di come soste-
nesse la necessità di ripensare l’intera dottrina, e a tal fine di dover rivedere la prima
parte delle Idee. 4
Al di là delle circostanze personali, e al di là degli eventuali interventi steiniani sui
testi di Husserl, questione immensa che travalica le possibilità e gli scopi di questo vo-
lume, un passaggio in particolare, però, sembra particolarmente rappresentativo delle
convinzioni di Stein sulla disputa tra idealismo e realismo e sul problema della costitu-
zione :

rielaborazione [dei suoi manoscritti stenografati] poteva dirsi pronta, egli era già da tempo impegnato con
altre riflessioni e bisognava spendere molte energie per riguadagnare il suo interesse riguardo a ciò che era
stato fatto » (cfr. L. Landgrebe Über die Arbeit, die E. Stein für E. Husserl geleistet hat, in W. Herbstrith, Edith
Stein, eine grosse Glaubenszeugin…, cit., pp. 147-148, qui p. 148).
1 2
Cfr. BI, ESGA 4, p. 57. Cfr. BI, ESGA 4, p. 46.
3
Cfr. R. Boehm, Einleitung a E. Husserl, Zur Phänomenologie des inneren Zeitbewusstsein, Husserliana x,
The Hague, M. Nijhoff, 1966, pp. xiii-xliii, qui pp. xxix-xxx, nota 1 ; cfr. anche M. Sawicki, Body, Text and
Science, Dordrecht-Boston-London, Kluwer, 1997. Alla tesi di pesanti rimaneggiamenti steiniani ha reagito
lo stesso Ingarden, pubblicando parte del suo carteggio con Stein : cfr. R. Ingarden, Edith Stein on her Acti-
vity as an Assistant of Edmund Husserl, « Philosophy and Phenomenological Research », 23 (1962), pp. 155-175.
4
Cfr. BI, ESGA 4, pp. 32 e p. 46.
analogia dell ’ ente 39

Una passeggiata filosofica verso Haslach fatta insieme di recente mi ha reso nuovamente fi-
duciosa. Tra l’altro, in coincidenza di essa si è compiuto del tutto improvvisamente in me un
nuovo passaggio, a seguito del quale mi illudo di sapere abbastanza cosa sia costituzione, ma in
rottura con l’idealismo. Le premesse perché si possa costituire una natura osservabile (anschau-
liche Natur) mi sembrano essere da un lato una natura fisica assolutamente esistente e dall’altro
una soggettività con determinate strutture. Non sono ancora arrivata a confessare al maestro
questa eresia. 1
In questo passaggio, quindi, Stein sembra voler tenere conto delle esigenze sia del reali-
smo, ritenendo necessaria per la costituzione una natura « assolutamente esistente », sia
dell’idealismo, con il quale pure si proclama in rottura, considerando necessaria anche
« una soggettività con determinate strutture » perché si dia una natura intuibile. Stein
racconta poi, in una lettera di poco successiva datata 20 Febbraio 1917, di una discussio-
ne di due ore, col maestro, su questo tema della costituzione, in cui nessuno dei due
è riuscito a convincere l’altro, ma nella quale Husserl ha ancora una volta preso atto
della necessità di riesaminare nuovamente e per intero la questione. Stein non racconta
purtroppo i termini della disputa e promette di farlo successivamente, ma ciò avviene
solo in minima parte : nella lettera del 20 Marzo si viene a sapere che ella ha tentato di
mettere per iscritto le sue differenze teoretiche rispetto al maestro, riassunte in un’an-
notazione : « necessità di un corpo (Leib) per l’empatia ». 2
Questi accenni fanno naturalmente pensare ad un’“eresia” tendente al realismo, ri-
spetto all’idealismo husserliano, e sono confermati da una testimonianza in cui Stein
racconta di adoperarsi alla critica di alcuni punti di Idee i, proprio a cominciare dall’ide-
alismo ; in questo stesso passaggio, tuttavia, Stein afferma esplicitamente di non con-
dividere le critiche realiste, ad esempio, di Hedwig Conrad-Martius, di cui ha potuto
leggere qualche osservazione, che però non le pare cogliere il cuore del problema.3 In
una lettera datata 24 Giugno 1918, inoltre, Stein sostiene di essersi essa stessa « converti-
ta all’idealismo […] che può essere compreso in modo tale da soddisfare anche metafi-
sicamente », anche se aggiunge subito :
ma molto, di ciò che c’è nelle Idee, andrebbe compreso altrimenti, ossia nel senso di Husserl, se
solo egli prendesse tutto assieme ciò che ha e non lasciasse fuori dalla considerazione in momen-
ti decisivi qualcosa che appartiene necessariamente alla questione. 4
Stein descrive anche la stanchezza e le difficoltà pratiche di Husserl che, nella nuova
sede di Friburgo, ormai senza aiutanti progrediti nella fenomenologia, ha sempre il
problema sostanziale di non riuscire a essere sintetico ; tale impaccio non nasce per
caso, dato che le analisi delle complesse questioni da lui affrontate ripetutamente lo

1
BI, ESGA 4, p. 40. Nella postfazione all’edizione degli ESW della Einführung in die Philosophie, che tra
poco analizzeremo, H.-B. Gerl-Falkovitz sostiene che il sottolineare la necessità di una « natura fisica asso-
lutamente esistente » rimandi non tanto ad una natura sensibile ed empirica, quanto al suo rispondere a
leggi oggettive. Cfr. H.-B. Gerl-Falkovitz, Nachwort a Einführung in die Philosophie, ESW xiii, pp. 265-278,
2
in particolare le pp. 270-271. BI, ESGA 4, p. 51.
3
Cfr. BI, ESGA 4, pp. 52 ss. Il dibattito coinvolse a più riprese diversi allievi di Husserl, che sempre di nuo-
vo tornarono sul tema : cfr. H. Conrad-Martius, Zur Ontologie und Erscheinungslehre der realen Aussenwelt,
in « Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung », 3 (1916), pp. 345-542 ; Id. Realontologie,
« Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung », 6 (1923), pp. 159-333 ; R. Ingarden, Der
Streit um die Existenz der Welt, Tübingen, M. Niemeyer, 1964. Ma si pensi anche all’opera di Nicolai Hart-
4
mann. BI, ESGA 4, p. 87.
40 capitolo i
portano a cogliere sempre nuovi aspetti, che poi in effetti risulta impossibile tenere
assieme. Da qui le incomprensioni e i mutamenti di posizione. Poche righe più avanti,
Stein, commentando un lavoro ingardeniano su Bergson e, in particolare, l’analisi degli
schemi di azione, specifica la sua affermazione precedente sulla questione dell’idea-
lismo, sostenendo che dal punto di vista della coscienza e dell’analisi costitutiva nes-
suno strato noematico possa essere preferito come più obiettivo, tantomeno la « real-
tà » : l’atteggiamento naturale non possiede motivi di privilegio, anche perché in esso
scompaiono gli altri strati possibili di costituzione, mentre questi ultimi permettono il
mantenimento del correlato « realtà ». Un punto di attacco per giustificare la preferenza
accordata alla esistenza reale del mondo esterno (che dunque qui Stein sembra ancora
voler salvare) potrebbe essere allora rinvenuto da un punto di vista pratico, dato che
esso, ella sostiene, coincide con l’atteggiamento naturale e potrebbe fornire un tipo
privilegiato di appercezione. 1 La sua osservazione non viene purtroppo specificata ul-
teriormente, accrescendo il rammarico che spesso generano nel lettore queste lettere,
che necessariamente non possono dilungarsi su questioni teoriche. 2
Nella stessa lettera Stein comunica che le prime due parti di Idee ii (ossia quelle re-
lative alla costituzione della natura materiale e della natura animale) sono pressoché
sistemate senza necessità di suoi interventi, mentre la sezione sullo spirito deve essere
completamente rielaborata. Poco prima, d’altronde, aveva affermato di essere avanza-
ta, nella revisione di Idee ii, senza imbattersi in contraddizioni sino alla [costituzione
della] persona. 3
Il 6 Luglio, invece, si era avuta per la prima volta notizia dei manoscritti sul tempo ;
e durante quell’estate infatti Husserl si recò a Bernau dove elaborò nuove numerose ri-
flessioni su questo tema. 4 Poco dopo (26 Agosto), l’opera di riordino steiniana si rivolge
anche ad alcuni appunti dedicati alla costituzione dello spazio, 5 e poi le viene affidato
anche il compito di iniziare la revisione della vi Ricerca logica ; incarico che ella, viste le
condizioni del maestro, che ormai vedeva la questione in modo completamente diver-
so rispetto alla stesura originaria, ritiene « impossibile in questa vita ». 6
Stein ed Ingarden non discuteranno più della questione dell’idealismo, almeno in
senso tecnico ; l’unico accenno che ulteriormente si rinviene è una notazione di Stein
che si proclama idealista nel senso di linguaggio ordinario del termine, interessandosi
all’anima dei singoli e delle comunità, volendo tradurre nella realtà i principi dei suoi
orientamenti politici e dichiarandosi indifferente agli aspetti materiali della questioni,
seppur poi nella stessa lettera dimostri autoironia, commentando, a proposito di una
lieve malattia di Ingarden, che in effetti gli ambiti materiali sono tutt’altro che indiffe-
renti. 7
Nella lettera del 19 Febbraio 1918, Stein, a cui nel frattempo è stato affidato anche

1
BI, ESGA 4, p. 87.
2
Stein accenna anche al fatto di aver iniziato a mettere per iscritto le sue divergenze con il maestro ri-
guardo al tema della costituzione, ma di non poterle comunicare nello specifico nelle lettere (cfr. BI, ESGA
3
4, p. 53). Cfr. BI, ESGA 4, p. 36.
4
Cfr. BI, ESGA 4, pp. 61-62. Ingarden testimonia come Husserl gli abbia mostrato più di 500 pagine di
manoscritti elaborati solo a Bernau : cfr. R. Ingarden (a cura di), Edmund Husserl. Briefe an Roman Ingarden,
Den Haag, M. Nijhoff, 1968, p. 154.
5 6
Cfr. BI, ESGA 4, p. 65. Cfr. BI, ESGA 4, p. 92.
7
Cfr. BI, ESGA 4, p. 118. L’impegno politico di Stein nel DDP (Deutsche Demokratische Partei, di orienta-
mento liberale, che assieme al Zentrum e alla SPD aveva formato il primo governo post-bellico), così come
quello per il voto alle donne, le produrranno presto delusione e stanchezza (cfr. BI, ESGA 4, pp. 119-120).
analogia dell ’ ente 41
il compito di tenere dei corsi introduttivi alla fenomenologia, comunica allora ad In-
garden di aver fatto presente a Husserl come il lavoro di riordino fosse di principio
impossibile.
Posso pormi al servizio di una causa (Sache) o fare molto per amore di un uomo, ma pormi al
servizio di un uomo, ossia obbedire, questo non posso farlo. 1
Non trascorse molto tempo che Stein abbandonò il lavoro ; Husserl, dal canto suo,
accettò benevolmente la sua decisione. Al di là delle vicende biografiche, chiamate in
causa per la loro rilevanza rispetto alla questione teorica, e al di là della controversa
questione degli interventi steiniani sui testi husserliani, come detto molto difficilmente
dirimibile, abbiamo potuto descrivere la “via mediana” della giovane fenomenologa
rispetto al realismo dei critici radicali di Husserl e all’idealismo trascendentale del ma-
estro.
Un maggiore dettaglio si evince tuttavia da passaggi espliciti delle sue opere dedicate
alla fenomenologia. Procederemo quindi ad una rapida analisi dei passi che, in tali ope-
re, affrontano il tema in questione.
Già il saggio sull’empatia si apre con una premessa sul metodo utilizzato in cui si
descrive anzitutto la messa tra parentesi della posizione d’essere :
L’atteggiamento (Einstellung) in cui svolgiamo tutto ciò [ossia il tema trattato nel testo] è quello
della « riduzione fenomenologica ». Scopo della fenomenologia è il chiarimento, e con ciò anche
la fondazione di ogni conoscenza. Per giungere a tale scopo, mette fuori gioco (ausschalten) dalle
sue considerazioni tutto ciò che in qualche modo è sottoponibile a dubbio. 2
Nel campo delle cose dubbie, da fedele discepola husserliana, Stein include sia i risultati
delle scienze, sia l’esperienza naturale, sia il mondo, sia il soggetto reale che ne fa espe-
rienza, lasciando spazio solo al campo dei vissuti.
Ma quello che non posso mettere fuori gioco (ausschalten), ciò che non soggiace ad alcun dub-
bio, è il mio avere esperienza (erleben) delle cose (l’apprensione percettiva, di memoria o di
qualsivoglia altro tipo) insieme al suo correlato, il pieno « fenomeno della cosa » (Dingphänomen)
(l’oggetto che si presenta come lo stesso in serie molteplici di percezioni o ricordi), il quale resta
mantenuto nel suo pieno carattere e può essere reso oggetto di trattazione. 3
Lo stesso testo prosegue poi, secondo quanto diremo ancora, con una acuta critica
all’analisi di Lipps e Scheler dei vissuti di « unipatia » (Einsfühlung) e « simpatia » (Sympa-
thie) : evitando per ora di seguire nel dettaglio queste descrizioni, vale però la pena
notare che Stein si basa sull’accettazione dell’ego puro per criticare la teoria del filosofo
monachese di un io sovrapersonale rappresentato da un flusso originario e non indivi-
duato di coscienza, dal quale, secondo lei, sarebbe poi impossibile differenziare ciò che
è proprio da ciò che è altrui, per il circolo in cui si cade nella deduzione dell’individuale
dalla totalità. Proprio per evitare tali errori Husserl avrebbe introdotto, a giudizio di
Stein, la distinzione tra percezione interna (rivolta, così come quella esterna, a delle
trascendenze) e riflessione, in cui le datità, nella sospensione del loro statuto reale, si
portano ad immanenza e vengono descritte oggettivamente.
Una posizione più articolata e specifica sul problema si ha comunque nel testo co-
nosciuto come Introduzione alla filosofia. Originatosi probabilmente da un nucleo di

1 2
BI, ESGA 4, p. 72. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 11.
3
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 11.
42 capitolo i
appunti per alcune lezioni che Stein tenne a Breslavia nei mesi immediatamente suc-
cessivi alla sospensione dell’attività di assistente presso Husserl nel 1918, esso fu poi
sviluppato ripetutamente dall’autrice. 1 Il testo ha come tema un’analisi dei fondamenti
di costituzione della realtà, suddivisa in natura e soggettività, secondo uno schema di
fondo che si ritrova in Idee ii e appunto segue la bipartizione fondamentale in natura e
spirito. Husserl stesso aveva tenuto, poco tempo prima, un seminario dedicato proprio
a Natur und Geist e lavorava attorno a questo binomio. L’inizio dell’indagine ha, anche
in questo convoluto, movenze classicamente fenomenologiche, venendo delineato il
risalimento all’io puro come condizione necessaria di partenza della ricerca, la quale
non può basarsi né su certezze di fatto, né su dati già acquisiti da altre scienze, ma deve
invece trovare l’ultima fondazione in un piano di assoluta certezza. Ci si rivolge perciò
al dubbio cartesiano, che svela il terreno della coscienza pura, su cui si costituiscono
necessariamente elementi noetici e noematici.
Il campo di ricerca della filosofia deve essere un campo di certezza assoluta e di conoscenza
irrevocabile. In tutto il campo dell’esperienza non si dà però una conoscenza indubitabile. Di
principio, ogni esperienza può essere superata da un’altra esperienza e il suo valore conoscitivo
può essere cancellato. La percezione più chiara ed evidente, in cui una cosa ci è a portata di
mano, davanti agli occhi, può rivelarsi un sogno, un’allucinazione. Se la filosofia deve essere
un campo di conoscenza scevra da dubbio, dobbiamo mettere fuori gioco non solo i risultati
delle singole scienze, ma dobbiamo anche « mettere tra parentesi » tutto ciò che sappiamo grazie
all’esperienza. 2
Stein descrive quindi la fenomenologia come scienza dei vissuti, che hanno un versante
soggettivo ed un versante oggettivo, noesi e noema. E afferma :
Da ciò deriva che tutto il mondo di oggetti, che nella messa fuori gioco dell’esperienza naturale
minacciava di scomparire, viene incluso con un segno diverso nella contemplazione fenome-
nologica : non come mondo essente, come lo pone l’esperienza naturale, ma come correlato
di vissuto. Lasciamo per ora da parte come stiano le cose rispetto alla questione dell’esistenza
del mondo. Non facendo uso dell’esperienza naturale non la neghiamo, solo esercitiamo una
sospensione di giudizio – epoché, come erano soliti dire gli scettici. 3
Stein prende altresì le distanze dalla psicologia, e sottolinea come l’« io puro », cui quin-
di fa esplicito riferimento, non sia ovviamente l’io psicologico.
Se possiamo affermare che il vissuto del dubbio (o anche del sogno etc…) e il suo soggetto
permangono come resto intoccabile, [bisogna osservare] che questo soggetto non è l’individuo
reale e il dubbio, la percezione, il sogno etc… non sono suoi stati psichici. L’io che resta dopo il
compimento della messa fuori gioco, della riduzione (der Vollzug der Ausschaltung, der Reduktion),
non è altro che il soggetto del vissuto, non ha proprietà e non è sottoposto a condizioni reali ;
non se ne può dire nulla, se non che in esso splenda (ausstrahlt) il vissuto, che in lui vive. Lo
definiamo « io puro » (reines Ich). 4
Pur fondandosi sul dubbio metodico, la riduzione trascendentale e l’io puro, anche in
questa opera Stein sembra riproporre un’impostazione in qualche modo “mediana” tra
realismo ed idealismo descritta sinora. Si potrebbe anzi affermare che il testo si fondi

1
Cfr. C. M. Wulf, Hinführung a Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. xx ss.
2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 16.
3
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 19.
4
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 20-21.
analogia dell ’ ente 43
sull’espressione citata in precedenza, ossia la necessità di « una soggettività con deter-
minate strutture » e di « una natura assolutamente esistente ». 1
Nella prima parte dello scritto, quindi, dedicata ai Problemi della filosofia della natura,
il testo pare rimandare ad un modello vagamente kantiano, anche se meno strutturato.
Riprendendo considerazioni husserliane sulla costituzione della cosa e dello spazio,
testi di cui si è anche occupata nel suo periodo di lavoro come assistente, Stein apre la
trattazione rivolgendosi proprio ad un’analisi dello spazio. Con riferimento alla que-
stione delle essenze, è molto interessante ciò che si afferma riguardo alle geometrie
non euclidee. Esse opererebbero con differenti forme di spazio, ma sempre nello spa-
zio stesso, che non è definibile secondo una forma particolare. Questo significa che
con le geometrie non euclidee non si è guadagnata, per Stein, una conoscenza diversa
dell’essenza dello spazio, ma solo maggior rigore nel distinguere materia e forma di
una scienza : spazio e forme spaziali sono la materia della geometria, la cui forma è co-
stituita invece dalle relazioni degli elementi materiali (il sistema), che avvengono però
sempre grazie alle leggi logiche. Qui si introduce la distinzione, che si vedrà in seguito
essere fondamentale, tra essenzialità (Wesenheit) ed essenza (Wesen) nel concreto, esem-
plificata dalla differenza tra lo spazio puro e le forme in cui esso si realizza, che possono
essere quelle codificate dai vari modelli di geometria. Lo stesso può esser detto altresì
per il tempo. Le essenzialità, prosegue Stein, possono semplicemente essere nominate
e intuite, ma non concettualizzate, descritte o analizzate. Le essenzialità possiedono
inoltre generalità in un duplice senso, ossia in riferimento alle differenze specifiche
ed in riferimento alle forme reali in cui si realizzano, venendo a costituire una sorta di
nucleo dell’essenza.
La necessità delle essenzialità pure e la loro caratteristica fonda l’assolutezza di prin-
cipio del movimento e dello spazio : essi sono intrinsecamente connessi, ma non sono
la stessa cosa, per cui, per esempio, il movimento di un passeggero che percorra, su
una nave, un tratto di spazio uguale e contrario a quello effettuato da questa nello stes-
so tempo non è un movimento inesistente ; nullo invece risulterà solo il risultato del
moto. La relatività del movimento ha senso solo se si presuppone un percorrimento
assoluto dello spazio, ossia l’assolutezza dello spazio stesso, premessa senza la quale
non avrebbe senso dire che il percorrimento dello spazio è inverificabile con certezza :
tutti i movimenti sono invece in realtà assoluti, essendo impossibile stabilire quale sia
« il » movimento assoluto, mentre la possibilità del movimento relativo si ha solamente
all’interno di un sistema spaziale definito ; si può però parlare di sistema spaziale solo se
si danno movimenti che hanno diversi risultati di percorrimenti spaziali all’interno del
sistema rispetto allo spazio assoluto, come si è detto precedentemente. 2
Il tema delle essenzialità giocherà un ruolo importante anche in Essere finito ed essere
eterno. Ma proprio già nella lettera ad Ingarden dove confessava la sua eresia sul tema
della costituzione, 3 poche righe più avanti, Stein si dedica ad una descrizione del proble-
ma delle essenze secondo le analisi del collega fenomenologo Jan Héring, autore di stu-
di su Eidos e morfé che più avanti saranno pubblicati con il titolo Osservazioni sull’essenza,

1
Con riferimento anche a questi passaggi, E. Ströker, in Die Phaenomenologin Edith Stein – Schulerin, Mi-
tarbeiterin und Interpretin Edmund Husserls, « Edith-Stein Jahrbuch », 1 (1995), pp. 15-35, ha sottolineato l’equi-
librio di Stein, affermando persino come la giovane fenomenologa abbia visto forse più chiaramente di
Husserl il senso che ha la messa tra parentesi della realtà.
2 3
Cfr. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 23-54. Cfr. BI, ESGA 4, p. 41.
44 capitolo i
l’essenzialità e l’idea (Berkungen über das Wesen, die Wesenheit und die Idee).1 Stein descrive
come Héring distingua negli oggetti una essenza peculiare di ciascuno (il Sosein, poion
einai, ossia l’« essere tale ») e una essenza comune a tutti gli oggetti di una specie (la
Washeit, tì einai, ossia la « quiddità ») : entrambe sarebbero « forme », morfai, ossia essenze
concretizzate. Ad esse andrebbero contrapposte le essenzialità pure, divise corrispon-
dentemente secondo eidos e oggetto ideale (idealer Gegenstand), sulla base della stessa
differenza, solo su un piano di considerazione astratto dagli oggetti reali. La differenza
tra le essenzialità pure e le realizzazioni sembra essere di tipo ontologico formale, os-
sia quella che intercorre tra significato nominale e attributi o predicati su di un piano
apofantico (descrive le essenzialità come il nucleo delle essenze concretizzate). Ciò che
Héring intende per « idea » sembrerebbe invece essere sinonimo di « significato » (Bedeu-
tung), senza però che tale impostazione, secondo quanto fa presente Stein ad Ingarden,
sia portata avanti in modo coerente. Essa sarebbe lo strumento per individuare le classi
dell’essente (ossia le essenzialità, le essenze e gli oggetti), ma non una classe in sé : tali
distinzioni sarebbero originate dalla necessità di rendere più rigoroso il discorso hus-
serliano sull’ideazione, non essendoci nel fondatore della fenomenologia una distin-
zione tra il momento di individuazione del piano eidetico e le oggettualità stesse che
ne risultano. Notiamo sin da ora come l’essenzialità è per Héring la prote ousia, mentre
l’essenza ideale è una sua singolarizzazione e l’oggetto reale un realizzatore.
Ritornando alla descrizione della Introduzione alla filosofia, osserviamo come alla De-
scrizione dei fenomeni della natura, cui era dedicato il primo paragrafo della prima parte,
segua una sezione dedicata alla Scienza della natura come problema filosofico, ossia una
riflessione sul metodo della fisica, e poi una dedicata alla Conoscenza della natura come
problema filosofico, che si interroga sul correlato soggettivo della conoscenza della natu-
ra. Stein quindi ribadisce :
Qui non facciamo psicologia. Si tratta molto di più di come sia in generale possibile che qualcosa
come una natura venga a datità in una coscienza e di cosa appartiene secondo una generalità di
principio alla coscienza corrispondente. 2
Si procede analizzando poi nello specifico il processo conoscitivo :
La cosa ci si presenta come un ente durevole. Esiste, anche se non la percepiamo, e se la percepia-
mo, la prendiamo per qualcosa che c’era anche prima della nostra percezione ed eventualmente
come la stessa che avevamo incontrato già nelle nostre percezioni precedenti. Però, possiamo
affermare il fatto che esista (Daß es aber existiert) solo sulla base della percezione. 3
Una cosa esiste infatti indipendentemente dal fatto che la percepiamo, ma il fatto che
esista si può appurare solo grazie alla percezione stessa : da essa vengono dati gli oggetti
« in carne ed ossa », i quali però, secondo la più classica delle descrizioni fenomenologi-

1
Cfr. J. Héring, Bemerkungen über das Wesen, die Wesenheit und die Idee, « Jahrbuch für Philosophie und
phänomenologische Forschung », 4 (1921), pp. 495-543. Lo stesso Ingarden scriverà allora sulle Essentiale
Fragen, « Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Philosophie », 7 (1925), pp. 125-304. Conrappo-
nendola schematicamente a S. Weil, la cui ricerca sarebbe stata caratterizzata da un riflessione sull’esisten-
za, Przywara vede nella ricerca sulle essenze l’elemento centrale della riflessione di Stein (cfr. Edith Stein
et Simone Weil, essentialisme, existentialisme, analogie, in Les études philosophiques, 11/3 (1956), pp. 458-472).
Questo retroterra fenomenologico condurrà Stein ad avvicinarsi alla tradizione agostiniana e francescana,
nelle opere mature, come molti hanno rilevato : cfr. ad esempio P. Secretan, Erkenntnis und Aufstieg...., cit.,
pp. 128-30.
2 3
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 63. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 64.
analogia dell ’ ente 45
che, presentano secondo Stein sempre degli adombramenti. Perché un adombramento
sia tale deve accompagnare sempre una forma oggettiva, altrimenti perde il suo signi-
ficato essenziale, secondo un’osservazione cui si era già accennato in precedenza. Nel
momento in cui l’intenzione si rivolge direttamente all’adombramento, tralasciando
la cosa intera, si ha allora un dato singolo, una sensazione (Empfindung) e non più una
percezione (Wahrnehmung). Qui si raggiunge il punto di origine della distinzione tra ciò
che è soggettivo e oggettivo.
Mentre l’oggetto si fa incontro all’io, che lo osserva come qualcosa di separato e autonomo ri-
spetto a lui, il dato della sensazione non possiede alcun significato che oltrepassi la soggettività.
Tale dato appartiene inseparabilmente al flusso della vita di coscienza, benché stia in un certo
modo di fronte all’io, e nonostante sia qualcosa di estraneo all’io (Ichfremdes). 1
Il dato di sensazione si colloca nel punto in cui si separano soggetto ed oggetto, è rivol-
to ad altro, ma in sé non ha nulla che oltrepassi la coscienza, è al confine tra immanenza
e trascendenza. La costituzione poi delle oggettività nel flusso di coscienza e a partire
dalle sensazioni, sostiene Stein, ha una rigida legalità, per cui la prima « apprensione » di
ciò che è dato non avviene a livello arbitrario, non essendo un tipo di deduzione logica,
ma « qualcosa che è prima di ogni operazione logica », ossia una « apprensione di qualità
che appaiono iscritte in uno schema » : 2 si è ad un livello precedente ogni attività di tipo
logico nella vita naturale della coscienza, che secondo una rigida legge interna deter-
mina il primo stadio della costituzione e quindi il successivo possibile superamento
della mera apprensione verso « ciò che è “rappresentato” dai dati sensibili ». 3 Stein rein-
terpreta dunque la nozione kantiana dello schematismo, facendo di questa struttura
una regola necessaria della percezione, operante implicitamente, e coglibile poi ad una
considerazione essenziale della realtà e con una riflessione sulla percezione, ossia quan-
do il dato si è già costituito e viene giudicato obiettivamente. Il primo darsi di oggetti
pare allora essere necessario e, anzi, il livello originario di indistinzione tra costituente e
costituito viene qui descritto come forse irraggiungibile, dato che « già in qualsiasi fase
del vissuto originario si può distinguere il vivere ed il suo contenuto ». 4
Le indagini steiniane proseguono poi proprio con un significativo paragrafo intito-
lato : Significato metafisico del problema della percezione. La questione dell’idealismo. Stein
introduce le considerazioni sostenendo che mentre la questione principale della teoria
della conoscenza riguarda il fondamento di diritto della conoscenza, il suo problema
metafisico è se gli oggetti della conoscenza stessa abbiano una esistenza indipendente
da una qualsivoglia coscienza, ossia se sia possibile una conoscenza di « cose in sé ».
Dopo aver menzionato Berkeley, la fenomenologa muove ad un confronto con Kant,
delineando la sua impostazione critica. Le strutture aprioriche della conoscenza sono
qui genericamente paragonate e ricondotte ancora alla nozione di schema, intesa come
condizione della possibilità di costituzione della cosa. Gli schemi infatti sono, nell’in-
terpretazione di Stein, le strutture fondamentali dell’oggettività ; e si tiene momen-
taneamente sospesa la questione riguardo all’esistenza del mondo reale esterno alla
coscienza. Gli schemi così intesi possiedono un essere quasi assoluto, che ha i requisiti
delle idee platoniche e quindi non dipende dalla soggettività ; con lo schema si costi-

1
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 66-67.
2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 68.
3
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 68.
4
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 68.
46 capitolo i
tuisce infatti una cosa, ma non la si esaurisce, perché gli oggetti singoli non sono mai
completamente « riempiti » dalle caratteristiche semplicemente appartenenti allo sche-
ma. Resta allora la questione se la coscienza dipenda dalla natura o viceversa. Stein si
trova d’accordo con Husserl nel definire l’essere della coscienza come assoluto (« l’esse-
re della coscienza è un essere assoluto », afferma esplicitamente), 1 in contrapposizione
soprattutto alla posizione empirico-naturalista che vuole ridurre la vita di coscienza ad
epifenomeno dei processi fisici, ma che cade poi nelle contraddizioni proprie di ogni
scetticismo, ed evidenziate da Husserl stesso già nelle Ricerche Logiche. In questo senso
la posizione delle Idee, secondo quanto accennavamo, sembra essere effettivamente
comprensibile come direttamente in continuità con quella espressa in precedenza, nel
rifiuto di una naturalizzazione dell’io. « La coscienza – sostiene Stein – non può, per la
sua essenza, essere fondata sulla natura ». 2
Con il rifiuto del punto di vista naturalistico non viene tuttavia messo da parte il realismo, che
considera il mondo esterno reale come dotato di essere ; altresì non viene nemmeno fondato
l’idealismo, che sostiene la dipendenza del mondo dalla coscienza. La seconda domanda che ci
siamo posti, rimane infatti ancora da discutere : è pensabile una natura, se ad essa non corrispon-
de nessuna coscienza ? 3
Escludere dunque il punto di vista naturalistico e ribadire il primato della coscienza
non significa per Stein affermare un punto di vista metafisicamente idealistico, ossia la
non esistenza di un mondo indipendente dalla coscienza. La discussione viene impo-
stata nuovamente sulla base dell’analisi dei dati di sensazione, che presentano elementi
assolutamente soggettivi riferentisi però ad un qualcosa di oggettivo, e che dunque
sono al confine tra soggettività ed oggettività. L’oggettività tuttavia è tale in quanto
condivisa dai soggetti, e Stein nota allora come per il suo raggiungimento si renda
necessaria l’introduzione di analisi intersoggettive : l’essere degli altri, infatti, non è ne-
gato nemmeno dal punto di vista dell’idealismo, ma solo dalla posizione del solipsista,
che però per affermarla deve necessariamente presupporre un interlocutore, e dunque
si autocontraddice. La riduzione dell’altro alla propria coscienza, si prosegue, sembra
impossibile per ciò che riguarda l’io puro altrui come principio originario irriducibile
alla sfera egologica del solus ipse. Vi è perciò almeno un’esperienza che trascende se
stessa, quella dell’altro io ; per la sua esistenza, infatti, non è indispensabile il fatto di
essere più o meno esperito da me : e così si raggiunge, secondo Stein, la possibilità de-
finitiva di sottrarsi al rischio soggettivistico.
Il porre altri soggetti che fanno esperienza assieme all’io (mit-erfahrende Subjekte) è di significato
metafisico particolare. Qui si trova un essere che si estende oltre la coscienza che fa esperienza e
che è indipendente da essa, e che anche il filosofo idealista non vuole relativizzare. C’è tuttavia
un punto di vista filosofico – il solipsismo – che ritiene l’io l’unica realtà. Ma il solipsista rinuncia
al suo punto di vista nel momento in cui lo espone, perché così facendo assume un interlocutore
dotato capace di comprensione. Per dimostrare che non si dà un « altro », si rivolge ad un altro. 4
Solo con un « essere » che sia dello stesso livello del proprio io puro si riesce ad uscire da
questa sfera originaria : si tratta di una esperienza, per Stein, « che trascende se stessa ». 5
Se però è necessaria l’esperienza di un altro soggetto, si conferma implicitamente, al-

1 2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 73. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 74.
3 4
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 75. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 77.
5
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 79.
analogia dell ’ ente 47
meno in parte, la posizione tendente all’idealismo per cui nel caso degli oggetti naturali
non si può parlare in senso vero e proprio di indipendenza dall’io ; si conferma cioè, per
esprimersi in termini molto riduttivi, e che nel rapporto tra io e natura fisica l’io ha
sempre e comunque una preminenza.
L’analisi prosegue con la questione della teoria della conoscenza, in cui quaestio iuris
e quaestio facti andrebbero comprese sulla base di che cos’è originariamente conoscen-
za, dunque riportando la domanda più a monte. La conoscenza è sempre originaria-
mente presa d’atto (Kenntnisnahme), ossia una datità diretta di qualcosa (che può essere
una percezione sensibile, l’intuizione geometrica, il sentire un valore ecc...), su cui poi
si costruisce il giudizio, e di conseguenza la logica. Solo su questo livello mediato si può
parlare di verità o falsità, mentre nel primo l’errore è piuttosto un’illusione. I sillogi-
smi rimandano sempre a tale livello originario, per cui la conoscenza è prima di tutto
l’aprirsi di qualcosa : alcune prese d’atto sono infinitamente correggibili (percezione
sensibile), altre risultano invece definitive (conoscenza essenziale). La descrizione del
giudizio che si introduce rimanda a considerazioni di Husserl : nel giudicare « l’oggetto
non è semplicemente accettato, piuttosto è posto come soggetto » ; 1 nel percepire inve-
ce non si ha mai il « porre qualcosa come ».
Ogni posizione logica (vogliamo indicare così tutte le tesi appartenenti al complesso del giudi-
zio) considera l’oggetto da un determinato « punto di vista », con un significato generale. 2
Il giudicare scompone l’unitarietà originaria del percepire, astraendone una qualità che
coglie nel senso di un significato generale. Così si comprendono anche verità e validità
del giudizio, che deve infatti corrispondere all’oggettualità percepita e possedere una
forma generale ; e la conseguente necessità di una ontologia formale e di una logica for-
male. È necessario però, secondo Stein, anche un passo ulteriore all’ontologia formale,
ossia il tener conto delle prese d’atto e dei corrispondenti oggetti reali e individuali,
altrimenti si resta sempre solo ad un livello astratto che non può spiegare esauriente-
mente il fenomeno della conoscenza.
La filosofia critica, per Stein, ha ragione nel ritenere che si possa parlare solo di ciò
che è conosciuto, e che dunque si possa sostenere qualcosa sulle prese d’atto e sui
loro contenuti solo quand’essi siano conosciuti, ma in un certo senso si può « cogliere »
anche ciò che viene prima della conoscenza. Il rapporto tra la conoscenza e ciò che
la precede sarebbe parallelo a quello tra la coscienza e il vivere proprio, che non è
oggettivabile, ma si presenta piuttosto come « una luce che lo illumina dall’interno ». 3
Ma si potrebbe obiettare, osserva inoltre Stein, che percezione e realtà sono necessaria-
mente sottoposte alle condizioni della conoscenza e sono possibili solo in quanto così
costituite : « la percezione è percezione di un oggetto solo in virtù della sintesi », ed essa
« garantisce l’essere oggettivo solo in virtù degli elementi categoriali ». 4 Infatti, oggetti e
stati di cose corrispondenti sono categorie formali che necessitano di un riempimento
materiale per essere costituenti di cose reali e concretizzarsi, ma in sé hanno un essere
non vincolato al loro riempimento, secondo la considerazione delle essenzialità descrit-
ta in precedenza, e sono indagate dall’ontologia formale, mentre l’apofantica formale
si rivolge solo all’aspetto della validità del giudizio espresso. A livello di possibilità es-
senziale ad ogni stato di cose sussistente appartiene idealmente una conoscenza che lo
1 2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 83. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 83.
3
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 85.
4
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 99-100.
48 capitolo i
verifica ed una proposizione vera nella quale la conoscenza si esprime, così che vi sono
oggettualità formali, ontologiche e apofantiche.
Stein conclude allora sospendendo il giudizio tra le posizioni estreme del realismo e
dell’idealismo :
Se vogliamo sapere se la natura, di cui facciamo esperienza, abbia un essere assoluto, ossia
che esiste indipendentemente da ogni soggetto che ne fa esperienza, dobbiamo arrivare alla
chiarezza su come vadano considerati i dati sensibili. Abbiamo riconosciuto come indipen-
dente dalla coscienza che fa esperienza la « forma » della natura che ordina il materiale sen-
sibile e che regola il corso della nostra esperienza. In base al modo in cui dobbiamo consi-
derare i dati sensibili (che costituiscono la materia della nostra esperienza della realtà), ossia
se come puramente appartenenti al campo della soggettività o come introdotti « da fuori »,
decideremo per il punto di vista « idealistico » o « realistico », e considereremo la natura come
« parvenza » (Erscheinung) o come « cosa in sé ». L’idealismo, così come lo capiamo, potrebbe
non essere un idealismo « soggettivo », che pone la coscienza come l’unico essere assoluto,
ma riconoscere una oggettività fondata sulle categorie, che sono a loro volta indipendenti
dalla coscienza, e rendere solo la realtà dipendente anche dalla coscienza. Il realismo invece,
che ci sembra un risultato possibile della ricerca condotta, potrebbe non essere un realismo
« ingenuo », che recepisce con fiducia il mondo così come questo si offre ai sensi ; ma potrebbe
tranquillamente considerare il mondo, nel modo in cui appare, come condizionato anche dal-
la struttura della soggettività. Decisiva è la convinzione che l’esistenza reale significhi qual-
cosa d’altro dalla semplice presenza (Vorhandensein) di decorsi di coscienza che seguono una
regola oggettiva. Non prendiamo qui una posizione tra idealismo e realismo, ma lasciamo il
problema aperto. 1
La disputa tra idealismo e realismo si decide, secondo questo passaggio, sul piano dei
dati intuitivi che devono essere sistematizzati dalle categorie, alle quali invece è im-
possibile negare un’oggettualità indipendente dalla coscienza : l’analisi ha comunque
dimostrato che l’idealismo non può essere assolutamente soggettivo ossia solipsismo,
mentre il realismo non può essere ingenuo.
Il testo prosegue poi con la sezione riguardante direttamente la soggettività e la costi-
tuzione dei suoi strati : qui sono riprese e approfondite alcune considerazioni che erano
già state anticipate nella dissertazione sull’empatia e che verranno poi ulteriormente
sviluppate nel lavoro riguardante la psicologia e le scienze dello spirito, di cui avremo
modo di dire. Sintetizziamo qui i tratti generali di queste considerazioni, sia perché se
ne deducono, almeno indirettamente, ulteriori elementi relativi alla disputa tra ideali-
smo e realismo, sia perché si delineano i tratti generali di un’antropologia a cui Stein si
manterrà, nelle linee di fondo, sempre sostanzialmente fedele e che avremo modo di
ritrovare.
Le indagini si aprono riprendendo la descrizione della persona anzitutto come sog-
getto della vita dell’io, della vita riflessiva, che viene caratterizzata come una funzio-
ne comune ad ogni ego, ma al contempo anche assolutamente individualizzante. La
conoscenza immediata della coscienza si presenta come il dato di base ultimo e im-
prescindibile, in un livello in cui analisi soggettiva e ontologica non sono scindibili ; si
tratta, secondo l’autrice, di « conoscenza » solo secondo un’accezione metaforica del
termine, perché in realtà è un’apprensione originaria e diretta, non oggettivante, di
un’appercezione (anche se Stein non usa tale termine), secondo la preminenza data alla
presa d’atto, e che si è vista essere caratteristica di questo scritto. Conoscenza in senso
1
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 97-98.
analogia dell ’ ente 49
proprio può esserci solo del corso dei vissuti, del flusso, e per la sua possibilità vanno
necessariamente presupposte coscienza originaria, ritenzione, riflessione, libertà della
riproduzione e capacità di estrarre un contenuto identico da produzioni differenti : trat-
to quest’ultimo che determina il fatto che della coscienza si possa avere solo conoscen-
za, in senso rigoroso, di tipo essenziale.
Se le considerazioni svolte finora hanno tentato di avviare l’indagine da una con-
siderazione astratta del flusso di coscienza, ora il testo si rivolge ad un’analisi ontica
della totalità persona, ossia del suo essere un ente costituito, tra gli altri del mondo.
Stein descrive dettagliatamente le realtà del corpo proprio, della sensibilità, della
capacità di movimento autonomo (ossia non determinato casualmente da altro)
che si origina da un nucleo che presiede anche allo sviluppo, fenomeno questo che
permette l’analisi della peculiarità umana in cui anche l’autodeterminazione, oltre
ad un principio di spontaneità involontaria, regola il processo. L’esperienza di fatti
indipendenti dall’io, come la crescita, o di alcuni sentimenti vitali, come stanchezza
o freschezza, testimoniano che l’io sia collocato nel nucleo della persona, ma non
lo esaurisca. C’è comunque sempre rapporto e ripercussione tra i vissuti pertinen-
ti alle diverse sfere della persona (sensazioni corporali, stati d’animo, motivazioni
spirituali), a testimonianza dell’intimo legame tra le « parti » di essa, che non vanno
concepite come unità separate rigidamente, ma piuttosto come profondità diverse di
un continuo. Oltre a trasmettere la dipendenza dell’io dagli agenti esterni, il corpo
è anche viceversa mediatore della vita spontanea personale sul resto, è organo della
volontà e di espressione, dunque possiede un ruolo la cui importanza era d’altronde
già emersa. 1
Stein procede poi con la trattazione dell’anima (o psiche, i termini qui sono sinoni-
mi), distinta ancora una volta dalla coscienza pura :
per psiche si intende una realtà del mondo, mentre la coscienza – colta in purezza – è libera e
contrapposta al nesso di tutti gli enti – come ciò per la quale questo tutto è qui. Come un on
(ente) del mondo reale la psiche si inserisce, allo stesso modo della cosa materiale, nella catego-
ria suprema della realtà. 2
La psiche è nella temporalità oggettiva, mentre partecipa della spazialità solo in virtù
della mediazione del corpo. L’insieme dei vissuti psichici, sganciato dal riferimento al
mondo reale, forma il flusso puro della coscienza, mentre la vita psichica attuale è co-
stituita da sensibilità e spiritualità connesse con la realtà : all’interno di questa vita, il ca-
rattere è determinato dall’affettività e dalla volontà, che indicano a loro volta l’apertura
alla gerarchia dei valori, le oggettualità di questa sfera. La maggiore o minore apertura
ad un determinato ambito di valori, secondo Stein, marca la peculiarità individuale,
connessa intimamente con il nucleo personale cui si è accennato in precedenza. Ciò si
esprime poi all’esterno, tanto che :
Tutto il mondo, di cui un individuo si occupa, porta l’impronta della sua personalità, dei suoi
tratti tipici come della sua caratteristica personale. 3
Il nucleo della persona è l’essenza della persona, che non conosce sviluppo, ma solo
dispiegamento. Di conseguenza :
Il nucleo della personalità – possiamo dire così riassumendo in breve i risultati da noi raggiunti

1
Cfr. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 101-123.
2 3
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 124. Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 144.
50 capitolo i
fino a questo momento – è ciò che si dispiega nello sviluppo psicofisico della persona empirica
rendendola una persona unitaria con qualità individuali. 1
Si prosegue poi con l’analisi della conoscenza dei fenomeni e degli strati propri della
soggettività, che è resa possibile non solo dall’osservazione di sé, ma anche dal rappor-
to con altri : esperienza primaria nell’atteggiamento naturale, la conoscenza di soggetti
diversi da sé è fondata fenomenologicamente nel vissuto dell’empatia. L’io proprio in-
contra un corpo fisico altrui e, al presentificarsi di vitalità e sensibilità, gli attribuisce le
caratteristiche di un corpo vivente e quindi lo recepisce come un individuo psicofisico.
Così però non si è ancora giunti a considerare l’altro come persona, ossia come dota-
to di capacità spirituali : ciò è possibile solo attraverso l’osservazione delle peculiarità
espressive del corpo altrui ; anche queste, secondo Stein, vengono mediate dal corpo,
ad esempio dagli occhi.
Si riprendono qui considerazioni sul fenomeno dell’espressività già proprie del trat-
tato sull’empatia, e su cui dovremo tornare in seguito nel dettaglio, perché sono parti-
colarmente significative per una analogia della persona. Stein sostiene che l’espressività
è solo in un certo senso assimilabile all’empatia, perché mentre nell’empatia un vissuto
del soggetto altrui è posto assieme all’oggetto che percepisco direttamente, ma lo sguar-
do è anzitutto diretto all’elemento fisico originario (percependo una mano arrossata,
solo successivamente empatizzo il freddo), nell’espressione si è rivolti direttamente al
vissuto espresso, al significato, e non all’elemento fisico significante, che non è dunque
l’oggetto naturale primario del vissuto. Avviene ciò che si riscontra nel linguaggio, con
la differenza però che in esso c’è differenza tra significato ed oggetto, mentre nel caso
dell’espressione fisica significante non si rimanda ad un qualcosa di oggettivo che si
trova al di là ; il significato giace infatti direttamente ed immediatamente in essa.
Se è vero che anche nell’espressione mimica deve esservi un rimando ad un termine
generale, e che da parte sua anche la parola è in sé un dato individuale, la peculiarità
dell’espressione mimica stessa è di portare immediatamente a datità ciò che vi è nell’ani-
ma. La gestualità, o più in generale l’espressività corporea non linguistica, possiede
dunque per Stein un rimando diretto allo stato dell’esprimente, mentre il linguaggio
parlato, mediato dalla generalità dei significati, non possiede la stessa immediatezza.
Immediatamente dopo la conoscenza altrui, e come sottoparagrafo di questa parte
dedicata alla conoscenza delle altre persone, si descrive poi il caso particolare del vis-
suto in cui, nelle situazioni disperate, capita di avvertire un immotivato sentimento di
sicurezza che testimonia l’esistenza di Dio e la sua essenza di amore : di un Dio perso-
nale che si comunica.
Nel sentimento di sicurezza che si impossessa di noi proprio in una situazione “disperata”,
quando ragionevolmente non vediamo via d’uscita e quando in tutto il mondo non c’è nessuno
che abbia il potere o la volontà di consigliarci o di aiutarci : in un siffatto senso di sicurezza ci si
offre una consapevolezza di una forza spirituale indipendente da ogni esperienza esterna. Non
sappiamo che cosa sarà di noi, davanti a noi si spalanca un abisso verso cui la vita ci trascina
senza pietà, procedendo e non tollerando passi indietro. Ma nel momento in cui pensiamo di
precitare, ci sentiamo « nelle mani di Dio », che ci sostiene e non ci lascia cadere. In questo vis-
suto non ci viene manifestata solo la sua esistenza, ma diviene visibile nei suoi ultimi riverberi
anche che cosa egli è, la sua essenza : la forza che ci difende, allorquando tutte le forze umane
vengono meno ; che dona nuova vita quando riteniamo di spegnerci interiormente ; che for-

1
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 144.
analogia dell ’ ente 51
tifica la nostra volontà quando essa minaccia di anchilosarsi. Questa forza appartiene ad un
essere onnipotente. La fiducia che ci lascia supporre un senso della nostra vita anche laddove
la comprensione umana non riesce a decifrarlo, ci fa conoscere la sua sapienza. E la fiducia che
questo senso è un senso di salvezza, che tutto, anche le prove più dure, sono in ultima istanza
al servizio della nostra salvezza ; che questo essere superiore ha misericordia di noi quando
gli uomini ci abbandonano ; e che egli non conosce alcuna abiezione : tutto ciò ci rivela la sua
perfetta bontà. 1
Tale considerazione, sulla cui valutazione Stein sospende il giudizio, è introdotta per
mostrare come alcuni vissuti che pretendono validità mostrino la possibilità di una
conoscenza spirituale non mediata da una apparenza sensibile esterna. In questo caso
si ha, secondo l’autrice, una apprensione dell’altro sulla base degli effetti che manifesta
in noi, anche se tale fenomeno, come tutti i vissuti empatici, deve poi essere sottoposto
a verifica.
Se in una persona noto modi di comportamento che non concordano con le caratteristiche a
me note o con il comportamento tenuto fino a questo momento, e se le esperienze più diverse
hanno una forza di convinzione tale che nonostante la contraddizione non vengono annullate,
allora suppongo che ci siano influssi motivanti che hanno causato un cambiamento. 2
Vedremo come questa sorta di “motivazione immotivata”, che non si trasmette sensi-
bilmente ma che poi sensibilmente manifesta i suoi effetti, rappresenti, a livello teori-
co e a livello esistenziale, la chiave di volta dell’analogia della persona steiniana. Così,
procede Stein, dall’osservazione delle opere si può risalire alla personalità dell’autore.
Anche nella conoscenza dell’altro, come in quella della natura, l’esperienza è guidata
da schemi, che si costituiscono progressivamente su gradi diversi di esperienza ; alcuni
di essi, quelli cioè che oltrepassano la percezione del corpo estraneo, non possono es-
sere riempiti dalla semplice percezione esterna. Infine, si deve considerare altresì come
gli atti che presentificano la coscienza estranea testimonino anche l’esistenza della co-
scienza propria. L’anima propria ha sempre già « coscienza » originaria di sé, mentre
dei vissuti si possiederebbe solo « conoscenza ». Anche il corpo proprio si percepisce in
modo radicalmente diverso nella percezione esterna, in quella interna psicologica e in
una peculiarmente propria, differente dalle altre due. Stein sottolinea poi come l’analisi
della persona ottenuta dalle indagini basate sull’esperienza di sé sia carente e vada inte-
grata con l’esperienza dell’altro, che porta a definitivo riempimento alcune possibilità
intuitive. Fintantoché ci si limita alla considerazione solo del proprio io, il corpo viven-
te apparirebbe come un qualcosa di assolutamente unico nella natura, sembrando un
mero annesso della vita interiore psichica, un qualcosa che è racchiuso in essa anziché
racchiuderla. Ma, come si ribadirà trattando più dettagliatamente dell’empatia, l’alteri-
tà risulta fondamentale anche per la possibilità dell’autoriflessione e dunque, parrebbe
necessario concludere, anche se Stein non si spinge così avanti, per la possibilità del
passaggio dalla vita ingenua alla vita cosciente.
In questi casi vediamo che una datità pienamente evidente relativa a persone – sia la propria che
quella estranea – è possibile soltanto se l’esperienza propria e quella dell’altro si intrecciano e si
completano vicendevolmente. In modo particolare l’unità della persona ci si fa incontro sul fon-
damento di questa cooperazione. Quello che abbiamo definito nucleo della persona, la radice
formativa, a partire dal quale si forma in modo unitario tutto il suo essere interno e esterno, non
1
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, pp. 171-172. Già citato : cfr. nota 2 alla p. 18 dell’Introduzione.
2
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 172.
52 capitolo i
si può rinvenire se isoliamo le singole componenti dell’apprensione ; saremo condotti ad esso
solo mediante l’osservazione dell’unità nella quale le diverse componenti si intrecciano. 1
Si tratta, evidentemente, di un ulteriore elemento che procede nella direzione di in-
dirizzare un problema astrattamente teorico in una direzione più latamente persona-
le. L’analogia della persona è necessaria alla costituzione dell’io stesso : la questione
dell’idealismo monistico viene quindi superata su questo piano. Tuttavia non siamo in
presenza di considerazioni che contrappongono fattori di tipo esistenziale o irraziona-
le alla considerazione fenomenologica, che si pretende scienza rigorosa ; né appunto
viene sostenuto un realismo ingenuo. Piuttosto, è la stessa fondazione razionale che
pare dover aprirsi inevitabilmente, secondo le esigenze ad essa intrinseche, all’alterità
personale.
Il testo procede poi con la sezione conclusiva, riguardante le scienze della soggetti-
vità : e se in qualche modo la sezione appena descritta e relativa agli strati della perso-
nalità sembra corrispondere a Idee ii, le considerazioni seguenti rimandano dal canto
loro al terzo volume delle Idee stesse. Le discipline si formano, secondo Stein, sulla
base degli strati del soggetto e dei suoi atti. Ci sarebbero dunque fisiologia, psicofisica,
psicologia e scienze dello spirito. Le scienze dello spirito si dividono in aprioriche ed
empiriche (quest’ultime hanno a che fare con oggettualità reali) e la loro peculiarità ri-
spetto alle discipline che riguardano la natura è il doversi occupare di individualità non
generalizzabili. Si tratta infatti di singolarità uniche, portatrici di uno stato qualitativo
proprio non semplicemente numerico, ossia non sono semplici casi di una molteplicità.
Lo storico, ad esempio, dovendo descrivere una personalità, per la quale parlando con
rigore solo il nome proprio risulta appropriato, potrà procedere attribuendole unità di
senso che concorrono a formare una unità individuale, nella consapevolezza che l’esat-
tezza matematica in questo campo si rivela impossibile e che dunque si tratta di scienze
più simili all’arte che alle discipline matematiche e naturalistiche.
Il problema risulta nuovamente quello dell’espressione, ossia di ciò che permette
l’accesso all’unità di senso, così come si era visto per i rapporti tra corpo proprio e vita
spirituale. Si prende la storia quale esempio e si intraprende una disamina della nozione
di fonte, considerando come tale ogni elemento espressivo che consenta di cogliere la
vita spirituale trascorsa. Le fonti vanno sottoposte a determinazione, interpretazione
e critica. Un’interpretazione totalmente esauriente degli avvenimenti storici in tutto il
loro portato di senso, così come avviene d’altronde anche per la realtà presente, non è,
secondo lei, mai raggiungibile, ma ci potranno essere solo approssimazioni successive,
che coglieranno strati differenti : anche le letture degli avvenimenti condotte da diverse
ottiche (politica, storica, economica ecc…) non devono far propendere per un relativi-
smo interpretativo, ma indicano la molteplicità di sensi racchiusi in un evento. L’inda-
gine sulle scienze dello spirito, che si originava necessariamente dall’osservazione dei
vissuti psichici, richiede inoltre la presa in considerazione degli elementi psicologici e
fisiologici che vi sono inevitabilmente intrecciati.
Ancora una volta, dunque, le dettagliate descrizioni di Stein in questa opera riman-
dano, stavolta con dovizia di analisi, ad una posizione che si sottrae sia ad un idealismo
assoluto e soggettivo, sia ad un realismo ingenuo ; Stein si distanzia esplicitamente da
entrambe le posizioni. Si è sottolineato inoltre il ruolo che la soggettività altrui sem-
bra rivestire, secondo una linea di considerazioni che la filosofa segue sin dal trattato
1
Einführung in die Philosophie, ESGA 8, p. 199.
analogia dell ’ ente 53
dell’empatia, e che vanno nella direzione di rendere necessaria l’apertura dell’io ad altri.
Se infatti il punto di partenza certo ed indubitabile della filosofia è il soggetto proprio
e la riduzione trascendentale da lui operata, che mette tra parentesi tutto il resto del
mondo, lo stesso io ha poi bisogno di altri anche per raggiungere una costituzione di
sé ; certo, la presenza di un soggetto estraneo non sembra mettere in questione il livello
costituivo originario, ma solo la costituzione psicofisica. Eppure, nel momento in cui
ad esempio il corpo proprio può costituirsi come tale solo grazie al rapporto con altri,
sembra legittimo domandarsi quanto tale rapporto non metta in questione anche una
riduzione trascendentale condotta solitariamente dall’io proprio. La posizione steinia-
na, in effetti, sembra presupporre in qualche modo aproblematicamente la coincidenza
dell’io trascendentale con l’io proprio : una volta operata la riduzione, altri io si presen-
tano alla coscienza : e se ne guadagnano gli strati costitutivi, che poi retroagiscono sugli
stessi strati costitutivi dell’io proprio. Piuttosto che lavorare nella direzione di un ap-
profondimento di questo problema, come vedremo, Stein scioglierà il nodo basandosi
sull’altro elemento che, abbiamo sottolineato, si presenta nell’ambito della conoscenza
delle persone estranee : ossia il vissuto di conoscenza di un’alterità spirituale non media-
ta sensibilmente e che riempie di forza vitale. I due aspetti sono comunque chiaramente
in connessione. Si è evidenziato infine, in questo testo, un riferimento privilegiato piut-
tosto insolito al criticismo kantiano, nell’utilizzo di una determinata terminologia, ma
più in generale come ispirazione teorica di fondo.
Con riferimento generico proprio a Kant, un altro scritto da cui trarre elementi per
desumere le posizioni steniane sulla contrapposizione tra idealismo e realismo è la re-
censione di un’opera di Gertrude Kusnitzky, dal titolo Esperienza di natura e coscienza di
realtà, pubblicata appunto su Kant-Studien e risalente al 1920. 1 Stein espone il pensiero
dell’autrice, secondo la quale nella conoscenza delle cose si presenta immediatamente
il loro essere, che non è né un valore, né un genere comune, ma viene appreso senza
concetto. Nel caso della manifestazione sensibile si avrebbe infatti una auto-rivelazione
della cosa e non il darsi di un senso, come per le parole o l’espressione corporale : si
tratterebbe piuttosto dell’apprensione di un assoluto nelle cose, come avviene per la
vita interiore. Il reale si dà nell’esperienza tramite gli enti, ma non l’essere. L’autrice
distinguerebbe poi il modo di datità degli enti a seconda che essi siano cose (Dinge),
o persone. Le prime verrebbero conosciute per ideazione dell’individuale dato nella
percezione sensibile (al fondo della quale ci sarebbe una materia originale già sempre
categorizzata) e il vissuto in cui si darebbero è sempre costituito da un’unione di essere
e « essere tale » (Sosein). Lo stesso avverrebbe nella persona, con il rapporto tra l’io (fon-
do da presupporre, ma inconoscibile) e i suoi atti. Dopo l’esposizione, Stein nota come
il lavoro risenta dell’influsso di Husserl e Scheler e come l’autrice, pur richiamandosi
al trascendentalismo, se ne distacchi sostenendo che gli apriori materiali siano delle
essenzialità in sé, mentre le forme sarebbero date dalla coscienza. Si conclude infine
ribadendo come il problema della costituzione vada sollevato anche per le oggettualità
categoriali e come, una volta deciso il loro statuto più o meno indipendente dalla co-
scienza, non si sia comunque ancora presa posizione per l’idealismo o il realismo.
Le questioni più specificamente antropologiche ed in particolare la trattazione del-
la vita psichica sono approfondite da Stein nello scritto dedicato alla psicologia e alle

1
Cfr. Recensione a G. Kusnitzky, Naturerfahrung und Realitätsbewußtsein, « Kantstudien », 24/4 (1920),
pp. 402-405.
54 capitolo i
scienze dello spirito, pubblicato sullo Jahrbuch husserliano nel 1922 (ma redatto già nel
1919-20). 1 Rilevante per noi, come ribadiremo, è soprattutto la trattazione della moti-
vazione. Basandosi sulle lezioni husserliane dedicate al tempo, cui aveva avuto accesso
privilegiato, Stein procede in queste pagine all’analisi degli strati originari dell’io nel
flusso di coscienza. La psicologia si presenta quale scienza obiettiva dei vissuti costituiti
nel flusso, per cui lo psichico è definito come l’insieme immanente dei dati trascenden-
ti, mentre la coscienza è il trascendente dei dati immanenti. Correggendo una teoria
degli atti volitivi già impostata da Alexander Pfänder, Stein descrive la motivazione
come il legame che ordina il nesso dei vissuti nell’io puro, e che poi regola il loro ten-
dere ad un oggetto sul presupposto dell’intenzionalità : oltre ad essere lo stadio più
complesso di aggregazione di vissuti, quello cioè delle scelte consapevoli, la motivazio-
ne si presenta anche come il più basilare, perché la legalità e il nesso tra vissuti stessi è
descritto come radicato in un rapporto di motivazione. Si danno casi – quali i motivi
inconsci o il paradosso agostiniano del volere ciò che non si vuole – che non possono
essere spiegati mediante la teoria di Pfänder della volontà quale autodeterminazione
e fondamento della vita dell’io puro : la motivazione quindi non può essere pensata
solo come culmine auto trasparente della vita dell’io. Stein suggerisce allora un’impo-
stazione che, descrivendo l’azione motivata come l’ascolto di un’esigenza interiore a
cui l’io può rispondere più o meno affermativamente, la riconduce o quantomeno la
radica in un livello che precede l’obiettivazione e che si costituisce nell’immanenza del
flusso. Sembrerebbe quasi possibile parlare, nel pensiero steiniano, di un fondamento
motivazionale del flusso temporale. Tuttavia tale fondamento non inficerebbe il ruolo
né dell’io puro, né della riduzione. Come detto, torneremo su questi passaggi, che sono
decisivi per rinvenire una piegatura « personalistica » della fenomenologia steiniana, ma
che in qualche modo vengono ad essere anche risposta al dilemma tra impostazione
realistica ed idealistica della fenomenologia : si riscontra un piano di rapporto motiva-
zionale, e quindi piuttosto orientato personalisticamente, a costituzione della stessa
costituzione trascendentale : più trascendentale del trascendentale, verrebbe da dire,
senza essere nuovamente ontologico.
Ma seguiamo per ora ancora nello specifico la questione delle posizioni steiniane
relative al presunto idealismo husserliano, soffermandoci su un ulteriore testo che, tra
l’altro, costituisce la prima testimonianza di una presa di posizione filosofica dopo il
battesimo : si tratta dell’articolo intitolato Cos’è la fenomenologia ? pubblicato nel 1924. 2 Il
testo sostiene che la filosofia moderna sarebbe divisa in due grandi filoni scarsamente
comunicanti, quello del pensiero cattolico che prosegue la scolastica, rifacendosi ge-
neralmente soprattutto a Tommaso, e quello della filosofia che per eccellenza si defi-
nisce « moderna », e che inizierebbe con il Rinascimento e troverebbe il suo culmine in
Kant. Negli anni recenti, afferma Stein, le due correnti si sarebbero finalmente aperte
a conoscenza reciproca e nessuno da parte non-cattolica avrebbe preparato il terreno
per tale incontro, anche se inconsapevolmente, come Husserl ; si ricostruiscono allora
rapidamente i tratti fondamentali del pensiero del maestro, notando tra l’altro come
la fenomenologia sia nata con le Ricerche Logiche ma abbia trovato la sua definitiva si-

1
Cfr. Beiträge zur philosophischen Begründung der Psychologie und der Geisteswissenschaften, ESGA 6. Questo
testo costituisce il primo tentativo steiniano di abilitazione : cfr. B. Beckmann-Zöller, Einführung a Beiträge
zur philosophischen Begründung der Psychologie…, ESGA 6, pp. ix ss.
2
Cfr. Was ist Phänomenologie ?, « Wissenschaft / Volksbildung – wissenschaftliche Beilage zur neuen pfal-
zischen Landes-Zeitung » 5 (1924) (ora anche in « Theologie und Philosophie » 66 (1991), pp. 570-573).
analogia dell ’ ente 55
stematizzazione solo in Idee, e sottolineando dunque più la continuità che gli eventuali
elementi di rottura tra i due testi. Quali elementi precipui del pensiero fenomenologi-
co, Stein descrive la tendenza all’essenzialità e all’obiettività nella conoscenza, contro
ogni forma di relativismo ; il fatto che la verità venga scoperta e non generata (erzeugt) ;
l’importante ruolo attribuito all’aspetto intuitivo della conoscenza (carattere presente,
secondo Stein, in tutti i grandi filosofi, sia pur in misura diversa), per cui la filosofia non
sarebbe una scienza né deduttiva, né induttiva, metodi che la possono solo aiutare ma
che devono essere fondati dal « vedere spirituale » : con quest’espressione, d’altronde,
non andrebbe intesa una forma di intuizione mistica. L’aspetto intuitivo del conoscere,
che sarebbe estraneo sia alla tradizione aristotelico-tomista che a quella neokantiana,
osserva poi l’autrice, potrebbe invece trovare dei precursori nella scuola agostiniano-
francescana.
Stein si sofferma quindi esplicitamente sul presunto idealismo husserliano, che avreb-
be permesso di accostare il fondatore della fenomenologia al neokantismo : si tratta di
un elemento controverso e discusso, perché se idealismo significa in generale dipen-
denza del mondo dalla coscienza, non è chiaro se Husserl lo abbia effettivamente soste-
nuto ; nelle Idee si legge, infatti, che eliminando la coscienza sparirebbe anche il mondo,
e Scheler e i monachesi si sono schierati duramente contro tale posizione ; ma Husserl
sarebbe stato solito ripetere che la fenomenologia non coincide con l’idealismo. Tutta-
via, la mancanza di recenti contatti diretti con il maestro le fa concludere sospendendo
il giudizio relativamente alla posizione husserliana, non potendo sostenere con cer-
tezza che egli si esprima ancora come un tempo. L’idealismo, conclude Stein, sarebbe
comunque una scelta personale e non una conseguenza della fenomenologia, che può
avere e di fatto ha avuto sviluppi realistici (vengono citati Reinach e Conrad-Martius) ;
l’accusa di idealismo sarebbe altresì attribuibile solo a pochi passi husserliani, non in
grado tra l’altro di disturbare il senso generale della sua filosofia.
Che la decisione sull’ultima fondazione razionale sia più che altro il frutto di una
scelta personale, sarà sostenuto da Stein anche in una lettera ad Ingarden del Dicembre
1927, nella quale, a seguito della ripresa dei contatti tra lei ed Husserl, afferma :
Il fatto che sulla strada del problema della costituzione (che io non sottovaluto) si dovesse o si
potesse giungere all’idealismo, non lo credo. Mi sembra che questa domanda non sia assoluta-
mente decidibile per vie filosofiche, ma sia già sempre decisa quando uno inizia a filosofare. E
poiché qui si esprime subito anche una posizione personale, è comprensibile che anche in Hus-
serl questo punto resti indiscutibile. 1
Così, in un’altra lettera di poco precedente Stein critica il realismo assoluto dell’amico,
sostenendo che si fonda paradossalmente sugli stessi presupposti dell’idealismo :
A pagina 3 [Stein si riferisce allo scritto di Ingarden Űber die Stellung der Erkenntnistheorie im
System der Philosophie] si sostiene che il soggetto della teoria pura della conoscenza sia libero
da condizionamenti empirici : su questo non Le crederà nessun uomo (eccetto qualche feno-

1
BI, ESGA 4, p. 185. In questa lettera Stein manifesta anche sorpresa e ammirazione per Heidegger, che
sino a quel momento aveva giudicato solo sulla base degli effetti che il suo lavoro produceva nella scuola
husserliana ; la lettura di Essere e tempo, come ribadiremo, la colpisce molto e prevede che anche Husserl
resterà sbalestrato. Stein condivide allora il giudizio di Ingarden, secondo cui « Heidegger sarebbe qualcosa
di grande, che potrebbe metterci tutti in tasca ». Potenza ed atto, ma poi anche Essere finito ed essere eterno,
saranno profondamente influenzati dal pensiero di Heidegger. In appendice ad Essere finito ed essere eterno si
trova un testo dal titolo Martin Heideggers Existenzphilosophie, dedicata ad un confronto critico con Essere e
tempo, L’essenza del fondamento, il Kant-Buch e Was ist Metaphysik (cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 443-499).
56 capitolo i
menologo di stretta osservanza husserliana e qualche neokantiano, che sono abituati a pensare
trascendentemente). Anche filosofi che vanno presi molto sul serio ritengono un fatto inevi-
tabile che colui che fa teoria della conoscenza, come tutti gli altri uomini, compia i suoi atti
sotto le condizioni della natura umana e non possa farne a meno così come non può saltare
sulla propria ombra […] . Io pongo un grosso punto di domanda dietro la concreta assolutezza
e libertà di questa disciplina [la teoria della conoscenza] da ogni dogmatismo. Ossia io concedo
l’indipendenza […] da ogni altra scienza e anche la funzione che essa ha per le altre scienze. Ma
discuto la possibilità di fondarla scientificamente. Ella inizia con una posizione, la posizione della
conoscenza, al contempo sia come fatto che come idea. 1
È interessante, quindi, osservare come anche dopo la conversione Stein mantenga po-
sizioni molto simili alle precedenti riguardo alla questione dell’impostazione idealistica
o realistica da assegnare al metodo fenomenologico.
In Potenza ed atto, perciò, testo maturo redatto agli inizi degli anni ’30 e che co-
stituisce la prima versione di Essere finito ed essere eterno, si ritrova ancora una volta
l’indecidibilità tra idealismo e realismo. Nel paragrafo dedicato proprio all’idealismo
trascendentale Stein analizza ancora una volta approfonditamente tutto il problema,
ribadendo le sue posizioni, formulandole però a partire dal confronto con presup-
posti nuovi. 2 In queste pagine viene descritto anzitutto il punto di vista husserliano,
presentato come un tentativo di eliminare quello che nella filosofia kantiana era il
residuo della « cosa in sé » :
« Cosa » e « mondo oggettivo » (dingliche Welt) qui non sarebbe niente di più di un titolo per un
insieme di atti, nei quali un soggetto spirituale (al livello più alto una comunità intersoggettiva
di monadi che comprende scambievolmente il mondo), procedendo di atto in atto secondo una
ferrea legalità motivazionale, dona senso ad un materiale sensibile predato ed in sé privo di sen-
so, costruendo con ciò un oggetto intenzionale. 3
Si noti sia il riferimento alla comunità intersoggettiva monadica, su cui torneremo im-
mediatamente, e che presuppone la lettura dello Husserl di quegli anni ; sia la descri-
zione della vita di coscienza come « legalità motivazionale ». Stein sottolinea come il
mondo sembri presentarsi con una esistenza indipendente alla coscienza stessa, e dun-
que come la fedeltà ai fenomeni dovrebbe condurre ad una descrizione di esso come as-
solutamente esistente. Si rivolge poi però alle possibilità della memoria e della fantasia,
che a loro volta sembrano conferire al soggetto una certa libertà sul mondo stesso, ma
che non sembrano inficiarne, anzi ne presuppongono, l’esistenza oggettiva. Per altro
verso, ogni « senso », ogni carattere con cui si presentano i vissuti, è un carattere che essi
ricevono negli atti soggettivi in cui si costituiscono.
Si può dire che l’essere obiettivo del mondo di esperienza significa che con l’offrirsi di determi-
nati dati sensibili quali dati assieme immanenti e trascendenti vengono motivati, in un soggetto

1
BI, ESGA 4, pp. 161-162.
2
Cfr. Potenz und Akt. Studien zu einer Philosophie des Seins, ESGA 10, pp. 235 ss. Il testo era stato scritto
per un rinnovato tentativo di abilitazione a Friburgo e presentato a Heidegger. Sulle circostanze storiche
che hanno portato alla sua elaborazione cfr. H.-R. Sepp, Einführung a Potenz und Akt, ESGA 10, pp. xi ss.
Heidegger suggerì a Stein di rivolgersi a Honecker, che teneva la cattedra concordataria : la questione è
stata ricostruita anche da H. Ott (che ha pubblicato gli appunti di Honecker al citato testo Potenza ed atto di
Stein) : cfr. H. Ott, Edith Stein (1891-1942) in Freiburg, « Freiburger Diözesan-Archiv », 107 (1987), pp. 253-274 ;
e Id., Edith Stein und Freiburg in R. L. Fetz, M. Rah e P. Schulz (a cura di), in Studien zur Philosophie von Edith
3
Stein, cit., pp. 107-139. Potenz und Akt, ESGA 10, pp. 235-6
analogia dell ’ ente 57
con determinate strutture, atti che gli presentano davanti agli occhi un mondo oggettivo con il
carattere fenomenale dell’indipendenza dell’essere ? 1
Se così è, prosegue il testo :
Sembrerebbe che i diversi possibili modi di datità del mondo osservabile (anschauliche Welt) non
vadano interpretati in modo ontico, ma possano essere chiariti in modo soddisfacente grazie a
queste leggi di costituzione (Auf baugesetze) della vita spirituale. 2
Stein si rivolge allora alle Meditazioni cartesiane, definendole il modello di dottrina della
costituzione sinora « più chiuso » da lui elaborato. 3 Ogni monade, si riassume, ha il suo
proprio mondo, in cui compaiono altri soggetti che sembrano analogabili all’io proprio
e a cui quindi si possono attribuire mondi analoghi. Nello scambio e nella comprensio-
ne con altri si costituisce un mondo intersoggettivo, che tuttavia, evidentemente, resta
diverso dall’idea di un mondo oggettivo. Stein si appella allora alla nozione heidegge-
riana di Dasein e alla conseguente fatticità (Faktizität) con cui è comprensibile l’io.
Il vero io si trova « nell’esistenza » (im Dasein) e la sua esistenza, come dato di fatto (Tatsache) non
è separabile da lui, anche se può pensare alla possibilità del suo non essere. 4
L’evidenza dell’io e della sua fatticità, per Stein, non possono essere smentite, al contra-
rio di quello che avviene nel caso di tutte le altre percezioni e conoscenze. Certo, l’io
ha una certa libertà su di sé, ma questa di fonda su una « non libertà », quella dell’essere
« posto nell’esistenza » (ins Dasein gesetzt). 5
Così, l’io si trascende nella direzione di qualcosa in cui ha il fondamento del proprio essere (ossia
una trascendenza opposta a quella dell’idealismo trascendentale).
Il mondo esterno non possiede il grado di assolutezza né dell’io (mostrata dal dubbio
iperbolico), né tantomeno quella del fondamento dell’io stesso appena chiamato in
causa (e che non si descrive più dettagliatamente).
Nel mondo troviamo le altre « monadi ». Che cosa conferisce alla loro esistenza (Dasein) un pri-
mato rispetto alle altre cose del mondo ? Che io le concepisca come analoga di me stesso (Analoga
meiner selbst). Quella cosa che è il suo corpo vivente annuncia una vita soggettiva analoga alla
mia e motiva il fatto di credere (Glaube) ad un’esistenza che per altri è un fatto assoluto, proprio
come la mia lo è per me. Ma per me essa non possiede questa fatticità assoluta ; è invece sottopo-
nibile al dubbio proprio come quella delle cose materiali. 6
Ciò che infatti percepiamo come un’altra persona, potrebbe sempre rivelarsi un fan-
toccio. Potrei essere in un sogno o delirare. Certo, continua il testo, l’idealismo non
sostiene la dipendenza materiale del mondo da un soggetto, nel qual caso sarebbe so-
lipsismo ; ma solo la relatività di un mondo rispetto ad individui con una certa struttura,
che lo costituiscono nella loro vita intenzionale. Non ha senso parlare di un ente che
assolutamente e di principio non possa venir esperito : l’essere non coincide con l’essere
conosciuto ; ma « ciò che non è spirituale non può provenire da sé » (Ungeistiges kann
nicht aus sich selbst sein) ». 7 Allora, si può concludere anche qui, con posizioni simili a
quelle espresse nell’Introduzione alla filosofia :

1 2
Potenz und Akt, ESGA 10, pp. 242-243. Potenz und Akt, ESGA 10, p. 243.
3 4
Potenz und Akt, ESGA 10, p. 243. Potenz und Akt, ESGA 10, p. 243.
5 6
Potenz und Akt, ESGA 10, p. 243. Potenz und Akt, ESGA 10, p. 245.
7
Potenz und Akt, ESGA 10, p. 245.
58 capitolo i

È molto giusto sostenere che il mondo, nel modo in cui ci appare, per manifestarsi in tali corsi di
apparizioni (Erscheinungsverläufen), deve essere ordinato a soggetti del nostro tipo. 1
Allo stesso tempo, procede lo scritto, non è privo di senso sostenere come forse l’essere
del mondo non sia esattamente coincidente con questo suo apparire e sia invece pen-
sabile un essere del mondo creato di fronte a Dio. Ciò prova, secondo Stein, che una
impostazione trascendentale e costitutiva non sia inevitabilmente in contrapposizione
con l’insegnamento della fede riguardo alla creazione, sebbene relativizzi alle strutture
del soggetto molto di quanto la posizione realista considera assoluto.
Stein sostiene dunque, ancora una volta, una sorta di correlazione necessaria tra
soggetto costituente e mondo. Rifiuta il realismo ingenuo e arriva a sostenere la com-
patibilità dell’impostazione trascendentale con l’insegnamento dottrinario cattolico.
Oltre all’equilibrio mostrato relativamente alla questione del rapporto tra io proprio
e mondo, si deve sottolineare qui come Stein si avvicini alla considerazione della sfe-
ra intersoggettiva orizzontale, stavolta mediata dalle considerazioni husserliane delle
Meditazioni cartesiane, per trovare una via d’uscita alla disputa tra idealismo e realismo ;
ma come infine prediliga, secondo quanto si accennava, e con un movimento teorico
che sarà espresso in modo più articolato in Essere finito ed essere eterno, rivolgersi al fon-
damento assoluto della vita dell’io, concepito ora a partire da categorie heideggeriane.
In quelle pagine, secondo quanto avremo modo di descrivere dettagliatamente, è la
finitezza temporale la base del riferimento a Dio.
Potenza ed atto testimonia perciò che all’inizio degli anni ’30 Stein continua a seguire il
dibattito fenomenologico e ad interessarsi della situazione riguardante la sua scuola filo-
sofica di origine. Altri manoscritti lo confermano : nel Significato della fenomenologia come
visione del mondo, 2 Stein nota che oramai « per vaste cerchie di persone interessate alla filo-
sofia, il nome di Husserl viene quasi dopo quelli di Max Scheler e Martin Heidegger ». 3 Si
prende in esame quale « visione del mondo » (Weltanschauung) abbiano questi tre filosofi,
ossia che impostazione metafisica generale si possa ricavare dalle loro opere. E mentre si
descrive ancora una volta il percorso di Husserl evidenziandone la continuità e mettendo
altresì in rilievo come egli abbia voluto fondare un metodo piuttosto che una sistema,
la questione della « svolta trascendentale » è affrontata nello specifico attraverso l’analisi
delle critiche che Scheler gli ha rivolto : si sottolinea infatti come quel processo che è il
costruirsi (Auf bau) del mondo secondo gli atti della coscienza, e che è definito da Husserl
come « costituzione » (Konstitution), abbia suscitato molte polemiche. Stein sostiene che :
la scoperta della sfera della coscienza e della questione della costituzione è sicuramente uno
dei grandi guadagni husserliani, che oggi viene valutato troppo poco. Ciò che fece scandalo
nel circolo dei suoi amici ed allievi fu una conseguenza – a nostro avviso non necessaria – che
egli trasse dal fatto della costituzione : quando determinati e regolati corsi di coscienza portano
necessariamente al fatto che un mondo oggettivo viene a datità per il soggetto, allora essere og-
gettivo significa solamente essere dato così e così per una coscienza. 4

1
Potenz und Akt, ESGA 10, p. 246.
2
Cfr. Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, pp. 1-17 ; il testo è databile intorno agli
anni ’30 per la menzione delle Ricerche Logiche come un testo di trenta anni prima, per il riferimento alle
Meditazioni cartesiane e per il fatto che si parla della morte di Scheler, avvenuta nel 1928. Cfr. L. Gelber,
Vorwort a ESW vi, pp. xviii-xix.
3
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, p. 4.
4
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, p. 10.
analogia dell ’ ente 59

Questa posizione, osserva Stein, definita « idealismo trascendentale », ha preso negli ul-
timi scritti husserliani la piega di una fondazione intersoggettiva della costituzione. 1 A
Scheler ed ai suoi discepoli non è parso accettabile questo che sembrava un ritorno al
kantismo, sebbene, si nota significativamente, Husserl « riconosca il loro [dei realisti]
modo di ricerca e mostri di metterlo in un ordine sensato dal suo punto di vista. » 2
Scheler d’altronde ha apportato un grande contributo nei campi dell’etica, della filo-
sofia della religione e della sociologia, ma il suo limite, secondo Stein, è stato quello
di possedere un modo tipicamente intuitivo di filosofare, privo di approfondimento
rigoroso ; ecco la causa probabile del suo non aver mostrato alcuna comprensione per
la problematica della costituzione. Heidegger, invece, colloca l’uomo direttamente
nell’esistenza concreta, ed è simile in ciò a Scheler ; ma al contempo la sua scelta di
incentrare le analisi sull’uomo, lo rende accostabile a Husserl. Stein nota altresì come il
Dasein heideggeriano non sia riconducibile né all’io puro, né all’uomo dell’antropolo-
gia empirica o delle scienze dello spirito, ma indichi l’essere gettato nell’esistenza, una
struttura d’esistere radicalmente temporale che è accompagnato da una strutturale
oscurità e vive fondamentalmente nel modo della cura.
Quale significato materiale e formale – si chiede Stein – apportano queste tre diverse
impostazioni alla filosofia in generale ? Per quanto riguarda Husserl si afferma che se le
monadi sono concepite in modo radicale non può più esserci posto per Dio, nonostante
Husserl pretenda esplicitamente che nella fondazione intersoggettiva ci sia ancora spa-
zio per le grandi questioni di etica e di filosofia della religione ; il metodo husserliano,
d’altro canto, avrebbe apportato rigore, obbedienza alle cose ed umiltà nella ricerca, e
non a caso avrebbe permesso a molti suoi discepoli di avvicinarsi al cattolicesimo. Ciò
è vero anche delle analisi materiali di Scheler, soprattutto di quelle del suo periodo
centrale, che Stein definisce come fondate su un modello agostiniano, ma anche più
vicine a Tommaso di quanto sia parso a molti commentatori neoscolastici. Scheler ha
descritto una scala di valori e di esseri che culmina in Dio : alla mancanza di rigore è
attribuito però anche il fatto che Scheler, nelle parole di Stein, abbia alla fine « perso
ciò che era più essenziale. » 3 Il suo modo di portare avanti la filosofia potrebbe essere
descritto come quello dello sguardo aperto e fiducioso (che non sempre, però, si pre-
senterebbe tout court come un elemento positivo), contrapposto all’approccio critico ed
esaminatore di Husserl. Su Heidegger, invece, Stein rileva come sia ancora prematuro
dare un giudizio, perché seppur molto nelle sue opere vada in direzione del nichilismo,
vi sarebbero espressioni che lascerebbero aperte altre possibilità. Affascinante, confessa
Stein, è comunque tutto il suo incedere filosofico. Questo breve scritto si conclude poi
con il richiamo ancora una volta al motto paolino, che sollecita a vagliare tutto e tenere
ciò che è buono. 4
Stein si trovò ancora a prendere posizione sulla fenomenologia in occasione della

1
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi p. 10. Nello stesso volume degli Edith Steins
Werke è pubblicato anche un manoscritto steniano intitolato Edmund Husserl e la crisi delle scienze europee (pp.
35-38), che però si limita ad una rapida descrizione di quest’opera del fondatore della fenomenologia, osser-
vando come egli finalmente abbia intrapreso ricerche di storia della filosofia. Tra le poche osservazioni di
commento, Stein sottolinea come in Husserl manchino tuttavia riferimenti alla filosofia medievale.
2
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, p. 11.
3
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, p. 14.
4
Die weltanschauliche Bedeutung der Phänomenologie, ESW vi, p. 16.
60 capitolo i
Journées d’études de la Société thomiste tenutasi nel Settembre del 1932 a Juvisy, e dedicata al
tema della fenomenologia. 1 Il metodo fenomenologico, sostiene Stein intervenendo nel
dibattito, non è propriamente deduttivo, ma procede in modo ostensivo e riflessivo : par-
tendo infatti dal mondo dato nell’atteggiamento naturale, si risale con analisi regressiva
a descrivere gli atti in cui il mondo stesso si costituisce per la coscienza e infine il flusso
temporale in cui a loro volta gli atti stessi si costituiscono come unità di durata ; a ciò però
si affianca un processo inverso, che partendo dall’io trascendentale mostra come in que-
sta vita attuale si costituiscano gli atti e i loro correlati obiettivi a diversi livelli. In poche
righe, quindi, si espone il metodo husserliano come risalita all’io trascendentale quale
campo di certezza (e al suo livello costitutivo temporale) e il successivo riguadagno della
realtà su basi sicure : un movimento che si ritroverà in Essere finito ed essere eterno. 2
Stein allora ricostruisce il percorso husserliano, accennando ancora a Scheler, Hei-
degger e stavolta, in riferimento alle Meditazioni cartesiane, anche ad Eugen Fink, del
quale rileva il fatto che sia stato allievo di Husserl nel periodo in cui il maestro era in-
centrato sul problema dell’idealismo trascendentale, e che sia stato influenzato anche
da Fichte e da Hegel ; Stein si sofferma poi sull’influsso reciproco tra il fondatore della
fenomenologia e Natorp, che però viene individuato più nei problemi che nel metodo,
perché il neokantismo partirebbe dal dato di fatto delle scienze, deducendone poi le
condizioni trascendentali, mentre Husserl rifiuterebbe la presupposizione anche del-
le scienze e adotterebbe appunto un metodo riflessivo. Riguardo alla questione della
continuità tra le Ricerche logiche e le Idee, viene detto qui molto significativamente che
la prima opera, ed in particolare la quinta e la sesta ricerca, contengono temi che avreb-
bero chiaramente dovuto condurre alla posizione della costituzione trascendentale,
e che Husserl sarebbe potuto arrivare sino a quell’esito generale anche senza passare
attraverso il dubbio cartesiano. 3
Infine, riguardo alla questione che più di ogni altra interessava quello specifico udi-
torio, ossia i rapporti tra la fenomenologia e il tomismo, Stein sostiene che l’elemento
centrale di somiglianza è l’analisi delle essenze, che anche nella filosofia di Husserl non
sarebbe una visione immediata, ma un intus legere implicante un processo di astrazio-
ne e di espunzione dell’accidentale. Però, procede Stein, c’è probabilmente differenza
sull’ampiezza ammissibile alla conoscenza d’essenza, equiparata qui alla conoscenza
dei principi. Si sofferma poi sulla necessità di rinvenire un punto di partenza assoluta-
mente certo per la filosofia, esigenza giustificata dalla possibilità dell’illusione e dell’er-
rore, e sostiene che sia Tommaso che Husserl hanno considerato la conoscenza come
naturalmente rivolta al mondo esterno. La riduzione trascendentale sembra giustifica-
ta metodologicamente dalla necessità di rendere evidente la sfera degli atti costituenti ;
tuttavia ci si può chiedere, e qui vengono citati i lavori di Conrad-Martius, se il fenome-
no della realtà non costringa ad abbandonare la riduzione e a non poter fare a meno
della nozione di esistenza. Si pone allora la difficile questione del materiale hyletico cui
l’atto intenzionale, specialmente nella percezione, deve già sempre far riferimento ; l’in-
tenzionalità, secondo la filosofa, permette di evitare l’idealismo berkeleyano, mentre il
kantismo resta una possibilità aperta, incapace però di provare la relatività esistenziale
del mondo esterno. 4 La pienezza di esistenza e di essenza che riempie il soggetto, e
1
La Phénoménologie. Juvisy 12 septembre 1932, in Journées d’études de la Société Thomiste, Vol. i, Kain-Juvisy,
La Saulchoir-Cerf, 1932, pp. 101-111.
2 3
Cfr. La Phénoménologie, cit., pp. 101-102. Cfr. La Phénoménologie, cit., pp. 102-103.
4
Partendo dall’osservazione che al di fuori della cultura occidentale, in un’ottica non egocentrata e non
4. Filosofia egocentrica e teocentrica

analogia dell ’ ente 61


che eccede la possibilità di misurazione da parte della coscienza, è però un argomento
molto importante, secondo l’opinione di Stein in questo testo, contro la riduzione e
contro la tesi di una semplice donazione di senso da parte del soggetto. È quindi l’ana-
lisi fedele della datità della realtà, conclude Stein, che permette di propendere per la
tesi realista. 1
Ma al confronto più esplicito tra fenomenologia e pensiero di Tommaso d’Aquino
erano state dedicate alcune riflessioni precedenti, cui ora ci rivolgeremo nel dettaglio.
Riassumendo brevemente i risultati di questo lungo paragrafo, in cui abbiamo cercato
di seguire la posizione della fenomenologia steiniana relativamente alla controversia
tra idealismo e realismo, possiamo ribadire come : Stein aveva rintracciato in Tomma-
so l’equivocità dell’essere sulla scorta del ruolo inaggirabile della coscienza in ogni
considerazione sulla realtà e sull’essere stesso ; la contrapposizione tra primato della
conoscenza o della realtà, con cui Stein affronta inizialmente il rapporto tra pensiero
moderno e medievale, è rintracciabile già nella disputa tra idealismo e realismo in fe-
nomenologia ; rispetto a tale questione, Stein ha idee oscillanti, che però non le fanno
mai prendere posizione in modo deciso per una impostazione : il realismo ingenuo, così
come l’idealismo assoluto, vengono entrambi rifiutati ; tali oscillazioni derivano anche
da contingenze, in tutti i sensi, personali (rapporto di lavoro con Husserl, amicizia con i
fenomenologi « realisti », conversione religiosa…) ; la stessa decisione finale nei confron-
ti di una metafisica idealistica o realistica viene fatta derivare, talvolta, proprio da scelte
di tipo personale piuttosto che teorico ; l’intersoggettività e gli altri soggetti sembra-
no essere un campo di realtà che con particolare difficoltà si lascia ridurre al soggetto
proprio, e quindi uno degli ambiti in cui la posizione realista sembra avere maggiori
argomenti a suo favore ; addirittura il soggetto altrui sembra giocare un ruolo decisivo
persino nella costituzione del soggetto proprio, almeno nei suoi strati psicofisici ; una
peculiare esperienza di personalità estranea è il vissuto con cui si descrive il recupero
di forza vitale e il guadagno di motivazione indipendentemente dalla mediazione sen-
sibile, e dunque il rapporto con persone spirituali ; questa direzione viene sviluppata da
Stein nella direzione del rinvenimento, nella vita intima dell’io, di un fondamento asso-
luto che lo sostiene. Quest’ultima è la linea che verrà sviluppata in modo compiuto in
Essere finito ed essere eterno, ma che si ritrova già nella idea di una filosofia « teocentrica »
che ora passeremo a descrivere. In queste pagine, come si dirà, dedicate al confronto
tra Husserl e Tommaso, il punto centrale di differenza verrà rinvenuto nel « chi » si con-
sidera ultimamente responsabile del senso.

4. Filosofia egocentrica e teocentrica


Le prime vere conclusioni personali di Stein sulla questione dei rapporti tra la feno-
menologia di Husserl e la filosofia di Tommaso d’Aquino e di un loro tentativo di

obiettivizzante, l’elemento fenomenologicamente materiale riveste una grande importanza, A. Ales Bel-
lo, in L’incarnazione nella prospettiva della hyletica fenomenologica, « Archivio di filosofia », 68 (1998), pp. 105-113,
ha sostenuto l’opportunità di ripensare la nozione dell’hyletica fenomenologica (secondo quanto emerge
anche da manoscritti husserliani ed è rinvenibile anche in alcuni passaggi di Conrad-Martius e di Stein stes-
sa) in senso non inerte e dipendente dal momento noetico, ma come noema di una noesi non ego centrata,
cioè come un nucleo strettamente connesso con un’intenzionalità che consente la manifestatività stessa
della noesi. Tutto ciò viene legato allo sviluppo mistico di Stein e alla sua lettura della teologia negativa (cfr.
Id., Teologia negativa, mistica, hyletica fenomenologica, « Archivio di Filosofia », 70 (2002) pp. 809-820).
1
Cfr. La Phénoménologie, cit., pp. 109-111.
62 capitolo i
confronto si ritrovano in un articolo che porta appunto questo titolo (La fenomenolo-
gia di Husserl e la filosofia di S. Tommaso d’Aquino) pubblicato nel volume speciale dello
Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung uscito nel 1929 in occasione del
settantesimo compleanno di Husserl. 1 L’articolo era stato inizialmente concepito come
vera e propria drammatizzazione di un dialogo immaginario tra Husserl e Tommaso,
che però Heidegger, allora direttore dello Jahrbuch, ritenne poco adatta alla rivista, invi-
tando Stein a riscriverlo secondo i canoni classici. Tra i manoscritti della filosofa però è
rimasta la versione originaria intitolata Was ist Philosophie ? Ein Dialog zwischen Edmund
Husserl und Thomas von Aquin, a cui preferiamo qui far riferimento : la brillantezza e vi-
vacità del dialogo, infatti, non lede minimamente il grado di scientificità del lavoro.
Il testo si apre con la descrizione immaginaria di Husserl che, nella sua camera, la
sera del suo compleanno, parlando tra sé ripercorre con gioia la giornata trascorsa tra
gli omaggi degli amici :
Le care persone hanno veramente avuto un pensiero cordiale con le loro visite e certo non
dovrei rimpiangere nulla. Ma dopo una giornata così è difficile trovare la tranquillità, e io ho
sempre tenuto ad avere un buon riposo notturno. In verità, dopo tutto questo chiacchierare
mi piacerebbe ora un ordinato discorso filosofico, in modo tale che in testa si rimetta tutto sui
binari giusti. 2
In quel momento quindi Husserl sente bussare alla porta, e, nonostante la sorpresa per
l’ora tarda, permette al nuovo ospite l’ingresso ; si tratta di un monaco vestito di bian-
co, con un mantello nero, che si scusa per il fatto di presentarsi di sera, e si giustifica
affermando di non prender parte alla vita di società. Con molta cortesia Husserl invita
lo sconosciuto a sedersi, chiedendogli di aiutarlo a ricordasi chi sia : nonostante ci siano
molti religiosi alle sue lezioni, non ricorda infatti nessuno con tale abito. Quando allora
l’ospite si presenta come Tommaso d’Aquino, Husserl, in preda all’emozione, lo prega
di prendere posto sul vecchio divano del suo studio, nel quale Stein stessa ricordava in
alcune testimonianze di aver discusso con lui. 3 Husserl manifesta quindi un certo imba-
razzo nel rammentare come all’accusa di portare avanti una nuova scolastica, seguita
alla pubblicazione delle Ricerche Logiche, avesse sbrigativamente risposto di non cono-
scere la scolastica : se i suoi pensieri davvero le potevano essere paragonati, allora « tan-
to meglio per la scolastica », aveva affermato ; ma in realtà per problemi di tempo non
era mai riuscito ad occuparsi seriamente del pensiero medievale. Sorridendo, Tomma-
so lo invita a non preoccuparsi, conoscendo il suo modo di lavorare, sempre orientato
a nuove ricerche, e il suo costume di delegare le ricerche di confronto delle proprie idee
con gli altri pensatori alle tesi di dottorato degli allievi. L’Aquinate propone allora una
chiacchierata filosofica e Husserl, con umiltà, si dichiara disposto ad ascoltare come da
un maestro.
Tommaso cerca un punto di partenza comune, e lo individua in Franz Brentano, le
cui lezioni erano state seguite dal fondatore della fenomenologia e che al contempo

1
L’articolo Husserls Phänomenologie und die Philosophie des hl. Thomas von Aquin [HT], « Jahrbuch fűr Phi-
losophie und phänomenologische Forschung », Ergänzugsband, Tübingen, Max Niymeyer, 10 (1929), pp.
315-338. Nella versione dialogica originale il testo è stato pubblicato in ESW xv, pp. 19-48, con il titolo Was ist
Philosophie ? Ein Gespräch zwischen Husserl und Thomas von Aquin. Il citato volume della Festschrift husserliana
comprende, tra gli altri testi : lo scritto di Heidegger Sull’essenza del fondamento ; Osservazioni sul problema
‘idealismo-realismo’ di Ingarden ; un articolo Sul giudizio di H. Lipps ; il saggio intitolato Sulla dottrina divina
di Jakob Böhme. Un frammento di Koyrè e quello di Conrad-Martius Colori. Un capitolo dell’ontologia reale.
2 3
HT, ESW xv, p. 19. Cfr. BI, ESGA 4, p. 46.
analogia dell ’ ente 63
aveva una formazione decisamente improntata alla scolastica : l’idea di filosofia come
« scienza rigorosa » proverrebbe proprio da là, così che la chiarezza che tanto affascinò
il giovane Husserl, formatosi a studi di matematica, può essere in qualche modo ricon-
dotta ad una lontana origine scolastica. 1 Per la mediazione di Brentano, quindi, anche
lo stesso Husserl apparterrebbe in un certo modo alla lunga tradizione della cosiddetta
philosophia perennis, che non andrebbe però concepita, nelle parole del Tommaso stei-
niano, come un sistema chiuso di dottrine, quanto piuttosto come un modo di fare
filosofia secondo il massimo rigore. Questo è il logos o la ratio che muove colui che
nasce filosofo e che può poi attualizzare le sue potenzialità nell’incontro con un mae-
stro. Fonti ispiratori primarie di Tommaso sarebbero Aristotele, Platone ed Agostino,
mentre quelle di Husserl andrebbero rinvenute in Cartesio, Hume e appunto Brentano.
Husserl e Tommaso, fa dire poi Stein ancora all’Aquinate, sono d’accordo nel concepi-
re la filosofia quale scienza rigorosa e nel voler scoprire il logos intrinseco alle cose ; le
divergenze inizierebbero nel momento di determinare i confini posti a tale possibilità
di conoscenza, perché Tommaso, pur non avendo mai dubitato, come Husserl, delle
capacità della ratio, avrebbe distinto tra ragione naturale e soprannaturale. Qui la linea
di demarcazione decisiva.
Il fondatore della fenomenologia appare a questo punto desideroso di intervenire
nel dialogo, ma viene preceduto dall’Aquinate, che prosegue : certo, con « Vernuft als
solcher » (ragione in sé) si intende qualcosa che è prima di ogni differenza empirica, an-
che di quella, eventualmente, tra ragione naturale e soprannaturale. Ammettendo di
non aver mai condotto una critica trascendentale, il Tommaso di Stein ritiene possibile
affermare qualcosa sulla « ragione in sé », sulla « ratio della ratio », indipendentemente
dai modi di conoscenza diversi per i diversi esseri. Ma ciò non sarebbe sufficiente, se-
condo lui, per porre i limiti della conoscenza, perché si è sempre costretti a lavorare
con i propri organi e non è possibile saltare sulla propria ombra. Per Husserl, secondo
il Tommaso del testo steiniano, è come se la ragione umana non avesse limiti ; e per
quanto il pensatore scolastico possa dirsi d’accordo sul fatto che nel campo della filoso-
fia la verità sia solo una idea regolativa, così come sul fatto che la filosofia stessa abbia
un carattere inevitabilmente incompleto, egli non può però accettare che la ragione sia
l’unica via alla verità. Infatti :
la piena verità esiste (ist), c’è (es gibt) una conoscenza che la abbraccia completamente, che non è
un processo infinito, ma un infinito e riposante riempimento, e questa è la conoscenza divina. 2
Alla pienezza di questo conoscere possono partecipare tutti gli esseri spirituali, secondo
Tommaso, nella misura della loro capacità : lo spirito umano è destinato al riempimen-
to completo solo nella patria celeste, ma quanto necessario a tal fine gli è comunicato
qui ed ora dalla fede, che dunque è una seconda via.
Husserl risponde sostenendo di non aver mai voluto mettere in discussione il diritto
della fede, che è l’istanza propria dell’ambito religioso così come i sensi lo sono sul pia-
no dell’esperienza esterna. Come tutte le regioni di essere, cui corrispondono atti spe-
cifici, anche la fede come modalità conoscitiva particolare può essere indagata. Però,

1
La ricerca si è anche soffermata sull’ origine scolastica della teoria brentaniana dell’intenzionalità, cfr.
H. Spiegelberg, “Intention” and “Intentionality” in the Scholastics, Brentano and Husserl, « Philosophische Hef-
te » 5 (1936), pp. 72-91. Ma cfr. anche D. Perler, Theorien der Intentionalität im Mittelalter, Frankfurt a.M., V.
2
Klostermann, 2004. HT, ESW xv, p. 24.
64 capitolo i

la teoria della fede, come quella dell’esperienza sensibile, è una questione non di questi atti spe-
ciali stessi, ma della conoscenza razionale che riflette su (auf und über) questi atti come su tutti
gli altri. 1
Con conoscenza razionale, afferma poi lo Husserl steiniano, che ritiene in questo di
essere d’accordo con Tommaso, non si intende un metodo particolare (ad esempio il
logico deduttivo contrapposto all’intuitivo), ma la conoscenza razionale in generale, o,
se si vuole, la conoscenza di ragione naturale ; e su questo l’Aquinate si dichiara d’ac-
cordo. Così Husserl può concludere sostenendo che se persino la filosofia della religio-
ne va ritenuta materia di ragione e non di fede, allora non è pensabile che la fede possa
avere legittimità in altre discipline filosofiche che nemmeno si occupano di religione.
Dall’esposizione di Tommaso, infatti, sembrava legittimo trarre l’idea di un suo ruolo
decisivo nella teoria della conoscenza. L’Aquinate allora afferma :
Ella descrive proprio il punto decisivo. Non si tratta infatti di una domanda filosofica speciale,
ma del porre i limiti della ragione naturale e dunque al contempo della filosofia proveniente
dalla pura ragione naturale. 2
La fede quindi, nel Tommaso letto da Stein in modo certo non convenzionale, trova un
ruolo anche in ambito filosofico, e nello specifico nella delimitazione dei limiti della fi-
losofia stessa. Tommaso continua paragonando questo compito filosofico nientemeno
che all’impresa teorica di Kant ; questi però, sulla scia della filosofia moderna, ha prete-
so che la ragione lo portasse avanti autonomamente, mentre il maestro scolastico del
testo di Stein si chiede se per risolvere tale problema non si debba guadagnare un punto
archimedeo fuori di sé. Il problema, prosegue ancora Tommaso, sorge allorquando si
concepisce la fede come un qualcosa di irrazionale che non ha a che fare con la verità e
la falsità, mentre essa è una via alla verità, anche a verità che altrimenti non sono rag-
giungibili, e persino dotata di un grado di certezza superiore alla ragione.
Si configura perciò, nelle parole del Tommaso steiniano, una doppia dipendenza,
materiale e formale, della filosofia dalla fede. Dipendenza materiale, perché la filosofia,
che secondo la sua ratio intrinseca cerca la verità, non può rifiutare, senza venire meno
al suo stesso senso, le risposte che le vengono proposte dalla fede e che autonomamen-
te non potrebbe acquisire riguardo a determinate domande fondamentali. Dipendenza
formale, perché se la fede è la conoscenza più alta, la filosofia la userà come criterio. Si
può allora parlare di filosofia naturale e soprannaturale, come avviene per la teologia,
perché alcune verità sono raggiungibili dalla sola ragione, ma per stabilire quali esse
siano serve la ragione soprannaturale, che deve inoltre controllare ciò che è raggiunto
dalla prima facoltà e completarla materialmente.
Una comprensione razionale del mondo, ossia una metafisica – e questa è l’intenzione, più o
meno esplicita, di ogni filosofia – può essere guadagnata solo grazie alla cooperazione della
ragione naturale e di quella soprannaturale. 3
La valutazione filosofica delle verità di fede è compito, nuovamente, della facoltà che
prescinde dall’aiuto del lume sovraumano, ma sempre sotto la guida di esso. Infine – e
qui emerge la consapevolezza steiniana di sostenere una posizione che di certo non è
quella del tomismo classico, che solitamente sottolinea con energia come l’Aquinate

1 2 3
HT, ESW xv, p. 25. HT, ESW xv, p. 25. HT, ESW xv, pp. 27-28.
analogia dell ’ ente 65
abbia distinto chiaramente filosofia e teologia e abbia ritenuto di competenza della sola
ragione il primo ambito – Tommaso nota che tutto ciò non è rinvenibile esplicitamente
nelle sue opere, ma sarebbe comunque ricavabile da esse. Husserl domanda allora :
se la fede è l’ultimo criterio di tutte le altre verità, quale è il criterio per la fede stessa ; che cosa
mi garantisce (verbürgt) la verità della certezza di fede ? 1
A tale interrogativo Tommaso risponde che la fede si fonda (il verbo, anche più avanti,
è sempre verbürgen) da sola ; si potrebbe infatti anche rispondere che Dio, che si rivela,
ci garantisce della sua verità, ma si tratterebbe semplicemente di un modo differente di
affermare la stessa cosa, perché, volendo prendere queste espressioni singolarmente, si
avrebbe il circolo vizioso che di Dio, che fonda la fede, si diventa certi grazie alla fede
stessa. Nemmeno il ricorso alle prove dell’esistenza di Dio può essere d’aiuto, perché,
servendosi della ragione naturale, danno solo la certezza propria di quell’ambito, e
non quella della fede. Si può solo mostrare che tale certezza di fede ha per il credente
una sicurezza cui tutto il resto si deve sottoporre. « La certezza specifica della fede è un
dono di grazia ». 2
Tommaso procede poi confrontando questa impostazione della filosofia con quella
della modernità, che cercando l’autofondazione nella conoscenza naturale e mettendo
fuori gioco la fede, che era l’orizzonte basilare della filosofia precedente, deve necessa-
riamente intraprendere come primo compito la critica della conoscenza. Così è stato,
nota l’Aquinate, anche per Husserl. Il Tommaso steiniano procede quindi ad una espo-
sizione del cammino teorico di Husserl, proponendo la ricerca d’essenza, il dubbio me-
todico e il ripensamento del kantismo quali tre tappe fondamentali che hanno condotto
il fondatore della fenomenologia alla scoperta della coscienza trascendentale, campo
della nuova « filosofia prima ». Manifestandosi però delle trascendenze anche nella co-
scienza trascendentale, la tensione husserliana all’immanenza, ossia ad una conoscenza
che sia tutt’uno col suo oggetto, non ha potuto acquietarsi ; Tommaso sostiene quindi
che una conoscenza di questo tipo si può avere solo in Dio.
L’Aquinate afferma poi di non ritenere privo di valore il metodo critico, e giustifi-
ca il suo procedere, che ad un moderno apparirebbe « dogmatico », affermando che
il suo interesse era rivolto più al « cosa » che al « come » della conoscenza ; che per lui
era benvenuta ogni strada che conduce alla verità ; che si è servito delle auctoritates e
ha mostrato grande rispetto per loro, senza però limitarsi ad accettare un argomento
solo sulla base dell’autorità umana. Tommaso nota poi come nella sua opera non si è
addentrato in analisi di temi specifici (come quello della conoscenza) perché concepiva
come differente il suo compito ; e sostiene infine di non aver costruito un « sistema », ma
di aver sempre cercato di seguire la verità in domande e risposte su singole questioni.
In questa descrizione si può trovare traccia indiretta della fatica e dell’acquisizione,

1
Si è evidenziato il verbo verbürgen (« obbligare, garantire »), usato anche nelle transazioni economiche o
in generale personali (Verbürgung, il sostantivo, indicava anche il matrimonio), perché la radice richiama il
sostantivo Burg, « castello », che ha echi nella vicenda steiniana : nella sua biografia, infatti, aveva ricordato
come nei tempi della scuola superiore, che frequentò in un istituto di confessione protestante, vi fosse l’uso
di cantare un inno di Lutero (Ein feste Burg ist unser Gott) in cui si dice : « e se anche il mondo fosse pieno di
diavoli, non ci lasciamo spaventare, il nostro Dio è una rocca sicura ». Tali parole, cui ella non attribuiva
ancora un significato religioso, ma che nel suo animo collegava alla sua compagnia di amici, avevano la
forza di darle, seppur momentaneamente, energia e speranza nei momenti di sconforto, secondo quel
sentimento che descriviamo come decisivo nella sua esperienza religiosa (cfr. Aus dem Leben einer jüdischen
2
Familie, ESGA 1, p. 169). HT, ESW xv, p. 29.
66 capitolo i
da parte di Stein, del procedere della scolastica, che all’inizio, come si è potuto dire, è
risultato tutt’altro che agevole.
Siamo partiti entrambi dal fatto che all’idea della verità appartenga un sussistere oggettivo indi-
pendente dal ricercatore o da colui che conosce, ma le nostre strade si dividono sulla questione
della prima verità e quindi della prima filosofia. La prima verità, il principio e criterio di ogni ve-
rità, è Dio stesso. Questo è, se vogliamo, il primo assioma filosofico. Ogni verità di cui possiamo
fare conoscenza, proviene da lui. Da ciò deriva il compito della filosofia : deve avere Dio come
oggetto. Deve sviluppare l’idea di Dio, il senso dell’essere e la relazione con Dio in cui si trova
tutto il resto, secondo la sua essenza e la sua esistenza, così come il rapporto con la conoscenza
divina che pertiene alla conoscenza degli altri esseri dotati di questa facoltà 1
La distinzione ultima che Stein vede tra i due pensatori è quella, secondo le parole che
affida a Tommaso, tra « filosofia teocentrica ed egocentrica ». 2
Questa è la contrapposizione più radicale tra la fenomenologia trascendentale e la mia [di Tom-
maso] filosofia : da un lato orientamento teocentrico, dall’altro, invece, egocentrico. 3
Tommaso sostiene nel dialogo che per lui la prima verità è Dio stesso e tutte le altre
verità discendono da lui, dunque anche la filosofia deve avere Dio come oggetto, svi-
luppare l’idea e il senso del suo essere, nonché la relazione essenziale ed esistenziale
che tutti gli esseri hanno con lui, ed ancora il rapporto che la loro conoscenza ha con
quella divina. Per far ciò bisogna servirsi di tutte le possibili vie, naturali e soprannatu-
rali, compresa quella, prediletta da Stein, che va dalla conoscenza della struttura della
nostra anima alla conoscenza di Dio e delle altre creature. Così la gnoseologia è solo
una parte specifica di una teoria generale della realtà in base alla quale tutti gli esseri
sono ordinati assieme alle loro facoltà conoscitive. La fenomenologia trascendentale
di Husserl
è questa ontologia generale, con una radicale messa tra parentesi, secondo il Suo [Tommaso si ri-
ferisce all’interlocutore] stesso modo di esprimersi, perché risponde ad un diverso punto di vista.
Per Lei la questione è : come si costruisce il mondo per una coscienza che posso studiare nell’im-
manenza ? Il mondo interiore ed esteriore, naturale e spirituale, dei valori e dei beni, e finalmente
e ultimativamente anche il mondo governato dal senso religioso, ossia la sfera di Dio. 4
Secondo il discorso che Stein attribuisce al suo Tommaso immaginario, Husserl ha
cercato di risolvere il problema della costituzione del mondo secondo uno schema so-
stanzialmente duale, ossia grazie ad una serie di atti spirituali soggettivi che ordinano a
livelli diversi un materiale ricevuto passivamente, ma nel momento di dover trovare il
fondamento di tale processo costitutivo non è riuscito ad andare oltre al soggetto come
punto di partenza e fondamento centrale della filosofia.

1
HT, ESW xv, p. 32.
2
È il titolo del paragrafo 4 di questo testo : cfr. HT, ESW xv, p. 32.
3
HT, ESW xv, p. 34. Così, nel suo testo del 1930 intitolato Wende zum Menschen… cit., Przywara può
descrivere l’io husserliano con dei tratti quasi divini, una tendenza d’altronde che egli ascrive alla feno-
menologia già nelle sue descrizioni degli anni precedenti, come diremo più avanti ; mentre per altro verso
ha sempre sottolineato come l’analogia sia principio di un pensiero fondato sulla creaturalità. Se dunque
è evidente come Stein e Przywara siano reciprocamente dipendenti in molte analisi, talora è difficile de-
terminare chi dipenda da chi. Il pensiero di Przywara è stato descritto come incentrato sull’idea di una
analogia di tipo antropologico in S. Nieborak, « Homo analogia ». Zur philosophisch-theologischen Bedeutung
der « analogia entis » im Rahmen der existentiellen Frage bei Erich Przywara S.J. (1889-1972), Frankfurt a.M., Peter
4
Lang, 1994. HT, ESW xv, p. 33.
analogia dell ’ ente 67
Nel dialogo, quindi, Husserl ricorda con dispiacere come su questo argomento ci
siano state discussioni con i suoi allievi sin dalla pubblicazione delle Idee e si rammarica
di non essere mai riuscito pienamente a convincerli, cercando tutt’ora una strada per
esporre in una forma ancora più chiara i suoi pensieri. Il fondatore della fenomenologia
chiede poi a Tommaso una chiarificazione sull’uso dei termini metafisica ed ontologia,
che nell’esposizione dell’Aquinate sono stati usati come sinonimi ; per Husserl, infat-
ti, le ontologie, formale e materiali, sarebbero le scienze puramente essenziali di un
campo, senza alcun riferimento empirico, mentre la metafisica nel senso classico del
termine riguarderebbe semplicemente questo specifico mondo concreto. Tommaso
ammette di non aver portato avanti la distinzione con lo stesso rigore con cui lo ha fat-
to il suo interlocutore, perché per lui si trattava proprio di guadagnare un’immagine di
questo mondo. Nel medioevo si considerava il raggiungimento della verità come mas-
simo ideale per l’intelletto, coincidente con la felicità. Ciononostante la filosofia non
era mai concepita come un puro sapere slegato da ogni esigenza pratica. Per indagare
questo mondo si doveva dunque svolgere una analisi empirica ed eidetica al contempo,
distinzione che comunque Tommaso sostiene di aver avuto chiara sotto i termini di
« essenza » e « accidente ». Per la scolastica, tuttavia, l’essenza era sempre riferita alla real-
tà, non ad una pura possibilità, così che nel trattare ad esempio dell’essenza degli angeli
si intendeva trattare di esseri considerati esistenti, non di meri esperimenti mentali.
Ma i problemi ontologici sono davvero molti, ammette il Tommaso di Stein, e forse
una prima via di risolverli potrebbe essere quella di confrontare gli scritti sull’ontologia
formale e sulle ontologie materiali di Husserl e dei suoi discepoli.
Si affronta allora la domanda sull’intuizione o visione d’essenza, che è stato il punto
d’inciampo sia dei neoscolastici, sia dei neokantiani ; e che è un termine carico di una
lunga storia, legata persino alla mistica. Tommaso fa notare come, al di là di questo
tema specifico, tra la sua impostazione gnoseologica e quella di Husserl ci siano tre
punti fondamentali di accordo. Anzitutto che la conoscenza inizia dai sensi ; anche la
scienza d’essenze husserliana è infatti possibile solo su questa base. Poi, che la cono-
scenza stessa procede sempre mediante una rielaborazione intellettuale di quei pri-
mi dati ricevuti : Husserl ha infatti rifiutato l’astrazione nel senso dell’induzione delle
scienze naturali che non danno certezza assoluta, ma solo probabilità, e ha sostenuto
la necessità di raggiungere la ratio delle cose ; d’altro canto per Tommaso l’intus legere
è sostanzialmente un processo passivo, che Husserl avrebbe accentuato dovendo con-
frontarsi con la filosofia soggettivistica e razionalistica dei suoi predecessori. Infine, e
questo sarebbe il terzo punto di accordo, proprio il carattere passivo dell’intelletto e
dunque la critica all’arbitrio soggettivo.
Si apre allora il problema dell’immediatezza della conoscenza, che Tommaso ha attri-
buito solo all’intellectus principiorum ; Husserl sembra invece attribuire questo carattere
ad ogni verità essenziale. Il fondatore della fenomenologia interviene rimarcando come,
tradizionalmente, per principî si siano intese solo le verità logico-formali : ma questo
senso è insufficiente, perché principî sono non solo le verità secondo (nach) le quali si giu-
dica, ma anche quelle dalle (aus) quali si procede ; ad esempio, nel campo della matema-
tica vi sono gli assiomi accanto alle regole logiche. Tommaso risponde che tra le verità
immediate contenutistiche ha considerato solo l’idea del bene e, in un certo senso, ma
solo secondariamente, anche la nozione della propria esistenza : in quest’ultimo caso,
per quanto egli abbia parlato di verità prima, non si deve intendere tale primato da un
punto di vista temporale, perché la conoscenza è originariamente rivolta agli oggetti.
L’Aquinate procede quindi distinguendo tre sensi di conoscenza mediata : tramite
5. Maritain e Przywara : la filosofia cristiana

68 capitolo i
l’intelletto, e questo tipo di mediazione è necessario per ogni conoscenza umana ; tra-
mite le forme o specie (species) ; e tramite gli altri oggetti di conoscenza. La conoscenza
di sé non abbisogna di mediazioni del secondo e terzo tipo e non avviene grazie a spe-
cie, ma a partire da specie ; muovendo cioè dalle specie degli oggetti esterni, lo spirito
umano riflette su di sé e si conosce. Conoscenza attraverso specie è invece quella del
mondo esterno. Tale è anche quella dell’essenza (Wesen), mentre la conoscenza delle
specie stesse è mediata di nuovo solo nel primo senso. La conoscenza di Dio da parte
dell’uomo è sempre solo mediata, e sempre solo negativa : avviene tramite i suoi effetti,
ossia le creature. La stessa visione beatifica è immediata, ma non ha lo stesso grado di
immediatezza col quale Dio conosce se stesso : « solo Dio stesso è la conoscenza in cui
conoscenza ed oggetto coincidono ». 1 Tommaso conclude poi affermando che è erro-
neo sostenere l’identità tra specie ed essenza, perché non si ha mai conoscenza piena
di ciò che una cosa è ; Husserl, d’altronde, si sarebbe preservato da tale errore proprio
con il metodo della riduzione trascendentale : « la visione d’essenza è diretta all’intera
essenza, ma a questa intenzione corrisponde solo un riempimento parziale ». 2 Questo in-
tenso testo si conclude quindi con un riassunto di ciò che è emerso nella discussione,
per bocca dell’Aquinate, che infine si congeda dall’ospite.
Stein ha dunque chiarito da un punto di vista teoretico i principali punti che unisco-
no e separano la fenomenologia e la scolastica, e se il tema di raccordo principale può
essere considerato quello dell’idea della filosofia quale « scienza rigorosa », la divergenza
più importante si trova al culmine della fondazione di essa, ossia nel problema della co-
stituzione, secondo una differenza che Stein non vede però incentrata sulla questione
idealismo-realismo ; si supera quindi la contrapposizione tra conoscenza e essere, e si
incentra la differenza sul fondamento teocentrico od egocentrico del pensiero. Il piano
in cui si gioca la questione è quello dell’ultimo stadio della costituzione, di chi vera-
mente possiede il senso della realtà.
Stein sostiene quindi la necessità che la filosofia si ampli con il dato di fede : la ragione
deve essere integrata con il punto di vista soprannaturale e anzi solo questo, come pro-
spettiva ad essa esterna, come punto archimedeo che la trascende, è in grado di deter-
minarne il limite. Si tratta certo di una prospettiva fenomenologicamente scandalosa. 3
Ma si tratta anche di una prospettiva tomisticamente scandalosa. 4 L’idea di una filosofia
soprannaturale che non sia teologia è infatti una concezione assolutamente originale ;
come abbiamo visto, nella posizione steiniana si distinguono sia la filosofia che la teo-
logia in un ambito naturale e soprannurale : un’ottica che troveremo, pur moderata ed
espressa in altri termini, nella sua idea di filosofia cristiana. Decisivo per lo sviluppo di
essa è, oltre al Przywara teorico del pensiero creaturale, Jacques Maritain ; altra figura
che, non a caso, rivolgeva in quegli anni la propria attenzione anche all’analogia. 5

5. Maritain e Przywara : la filosofia cristiana


Il quarto paragrafo del primo capitolo di Essere finito ed essere eterno si intitola Sen-
so e possibilità di una « filosofia cristiana ». Giungiamo quindi finalmente a trattare di
1 2
HT, ESW xv, p. 46. HT, ESW xv, p. 46.
3
Cfr. sopra, nota 1 a p. 16 dell’Introduzione.
4
Cfr. sopra, nota 2 a p. 16 dell’Introduzione. Ma a tal proposito cfr. ancora F. Gaboriau, Edith Stein philo-
sophe, Paris, fac, 1989 pp. 76-162 ; R. Guilead, De la phénoménologie à la science de la croix..., cit., pp. 137-316 ; P.
Secretan, Erkenntnis und Aufstieg…, cit., pp. 1-43 e 113-145.
5
Cfr. sopra, nota 2 a p. 14 dell’Introduzione.
analogia dell ’ ente 69
quest’opera, sinora tante volte annunciata, rivolgendoci a questo tema esposto da
Stein come considerazione introduttiva di tipo metodologico, ed affiancata a quelle
linguistiche cui già si è fatto riferimento in apertura. Stein cerca infatti di giustificare
il fatto che nel suo testo si contamineranno elementi di ragione e di fede, sia pur
evidentemente secondo un ordine e con un criterio. La questione è legata diretta-
mente all’analogia. Questa digressione introduttiva, infatti, fa seguito alla disamina
del problema della potenza e dell’atto con cui si era aperto il testo e che, come vedre-
mo, conduce immediatamente ad una prima e basilare formulazione del principio
dell’analogia.
In queste pagine si sottolinea come nella storia del pensiero ispirato alla fede si po-
trebbero distinguere tre posizioni fondamentali : quella dei Padri della Chiesa, che con-
sideravano la verità rivelata come filosofia tout court, nel senso di una sapienza capace
di rispondere alle esigenze profonde delle ricerche degli antichi ; quella di chi ha cercato
di costruire una filosofia anche con elementi di teologia ; e quella infine di chi definisce
« cristiana » una filosofia che non rifiuta di principio l’influsso della luce soprannaturale,
pur volendo però tenere i due ambiti distinti : in quest’ultimo senso sarebbe cristiana la
filosofia medievale, e questa sarebbe altresì la posizione di Gilson e Maritain. Stein ope-
ra questa distinzione tripartita sulla base dei risultati della giornata di studi della Sociéte
Thomiste tenutasi l’anno successivo a quella già descritta riguardante la fenomenologia,
ossia nel 1933. 1
Stein conobbe Maritain proprio nel 1932 a Juvisy ; in questo paragrafo appare evidente
l’influsso del filosofo francese, con cui ella mantenne negli anni un dialogo epistolare. 2
Viene ripresa infatti una distinzione centrale nel suo pensiero – condotta nello scritto
pubblicato nel 1933 e intitolato De la philosophie chrétienne – ossia quella tra natura e con-
dizione della filosofia : 3 di principio la filosofia sarebbe puramente naturale, ma nella
situazione contingente, susseguente alla caduta e alla redenzione, si potrebbe parlare di
una condizione cristiana della filosofia. Maritain riconosce quindi più di un elemento di
ragione alle tesi di Blondel, esposte in modo specifico nel volume Le Problème de la Philo-
sophie catholique, seppure poi distingua tra affermazione dell’insufficienza della filosofia
ed edificazione della filosofia dell’insufficienza. 4
Stein sostiene che un sapere sulla realtà compiutamente definito sarebbe infatti in sé
una idea che, come emerso anche in precedenza, non potrebbe mai realizzarsi in via de-
finitiva. Lo stesso d’altronde potrebbe dirsi per ogni scienza particolare, in cui si devo-
no distinguere la regolarità ideale pura e la condizione contingente. Nella molteplicità
delle scienze, la filosofia avrebbe il compito peculiare di dare ordine e fondamento. Se
per Tommaso era la scienza che rimandava all’ambito della ragione, mentre la teologia
si basava sulla rivelazione, bisognerebbe tener conto di come nel medioevo la filosofia
comunque operasse costantemente « all’ombra della dottrina di fede ». 5 « Compito della

1
Cfr. EeS, ESGA 11/12, nota 28, p. 20 ; il curatore del volume fa riferimento erroneamente alla giornata di
Juvisy sulla fenomenologia : si tratta, in realtà, della seguente : cfr. La philosophie chrétienne. Juvisy 11 septem-
bre 1933, in Journées d’études de la Société Thomiste, Vol. ii, Kain-Juvisy, La Saulchoir-Cerf, 1933. Cfr. i dialoghi
preparatori nel « Bulletin de la Societé francaise de philosophie » del 1931. Cfr. anche F. van Steenberghen,
La ii e Journée d’études de la Société Thomiste et la notion de la « philosophie chrétienne », « Revue néo-scolastique
de philosophie », 35 (1933), pp. 539-554.
2
Cfr. A. Speer e F. V. Tommasi, Einleitung a DeV, ESGA 23, p. xxxiii.
3
Cfr. J. Maritain, De la philosophie chrétienne, Paris, Desclée de Brouwer, 1933.
4
Cfr. ivi, p. 32 (il volume citato è M. Blondel, Le Problème de la Philosophie catholique, Paris, Bloue e Gay,
5
1932). EeS, ESGA 11/12, p. 21.
70 capitolo i
filosofia è il chiarimento dei fondamenti di tutte le scienze », 1 e per questo Tommaso
l’aveva definita perfectum opus rationis. Tuttavia, nella condizione di sottomissione al
peccato, prosegue Stein, è necessario l’ausilio della luce soprannaturale :
Ciò che Maritain ha sostenuto per l’agire umano, e cioè che deve essere assunto così com’è ef-
fettivamente, sulla base del peccato originale e della redenzione, e che di conseguenza la morale
non può compiersi come filosofia pura, ma solo dipendendo dalla teologia, ossia mediante il
completamento delle proprie verità fondamentali con la teologia ; questa posizione – secondo
una certa variazione ed estensione – mi sembra valere per la totalità dell’ente e per l’intera fi-
losofia. Le verità fondamentali della nostra fede – riguardo alla creazione, al peccato originale,
alla redenzione e al compimento finale – mostrano ogni ente in una luce secondo la quale ap-
pare impossibile che una filosofia pura, cioè una filosofia di semplice ragione naturale, sia nella
condizione di compiersi perfettamente, ossia di portare a termine un perfectum opus rationis. Ha
bisogno del completamento della teologia, senza perciò divenire essa stessa teologia. 2
Nel suo procedere storico, dunque, la filosofia dipende dalla fede e dalla teologia per la
sua concreta realizzazione. Lo stesso Tommaso avrebbe avuto sempre, nelle sue ana-
lisi, un canale di dialogo aperto con il lume soprannaturale. Molte nozioni teologiche
avrebbero portato allo sviluppo e all’approfondimento di concetti filosofici, senza però
che in conseguenza di ciò la scienza razionale venisse intaccata nella sua natura : allo
stesso modo infatti si potrebbero notare anche dipendenze della filosofia dalle scienze
naturali o da altre discipline. 3
Ciò che proviene dalla visione comune di verità di fede e conoscenza filosofica porta il sigillo
di questa doppia fonte e la fede è una luce oscura : ci dà a comprendere qualcosa, ma solo per
rimandare a qualcos’altro che per noi resta irraggiungibile. Poiché il fondamento ultimo di ogni
ente è inscrutabile, allora tutto ciò che è visto a partire da esso cade nella « luce oscura » della
fede e del mistero, e tutto ciò che è concettuale ottiene un fondamento inconcettualizzabile.
Questo è ciò che P. Przywara ha descritto come reductio ad mysterium. 4
Si chiama quindi in causa Przywara e il principio dinamico che sorregge l’analogia entis
nell’opera omonima ; Stein si dichiara altresì d’accordo con il gesuita polacco nel vedere
un completamento della filosofia « mediante » la teologia, ma non « come » teologia ;
tuttavia, ella non condivide l’idea che tale unione delle due discipline avvenga grazie
alla metafisica, perché anch’essa andrebbe divisa, secondo quanto lo stesso Przywara
sembra ammettere, in una parte teologica ed una filosofica. 5
E pur avendo la teologia un primato formale come ultimo giudice della verità, spet-
terebbe comunque alla filosofia il compito di stabilire l’unità delle due discipline nel
formare il perfectum opus rationis : questo è lo spirito delle Summae medievali. Tale com-
pito, tuttavia, è infinito, perché mira ad indagare la completezza dell’ente (alles Seien-
des), che è inesauribile. La teologia stessa non possiede infatti, secondo Stein, un carat-

1 2
EeS, ESGA 11/12, p. 21. EeS, ESGA 11/12, p. 30.
3
Questa la posizione di E. Gilson, citata da Stein stessa, in L’esprit de la philosophie médiévale, cit. Nella
consapevolezza di come il concetto di « filosofia cristiana » non sia attribuibile senza difficoltà a Tommaso,
Stein cita anche le critiche presentate da Mandonnet durante la giornata di studi a Juvisy (cfr. EeS, ESGA
4
11/12, pp. 20-21). EeS, ESGA 11/12, p. 32.
5
Sulla complessità del pensiero di Przywara rispetto ai rapporti tra ragione e fede cfr. J. Terán-Dutari,
Christentum und Metaphysik. Das Verhältnis beider nach der Analogielehre Erich Przywaras, München, Berch-
manskolleg, 1973. In particolare, alle pp. 186 ss. si tratta della questione della metafisica, sottolineando
l’influsso proprio di Husserl e della sua comprensione della « filosofia prima » sullo sviluppo del tema nel
gesuita polacco.
analogia dell ’ ente 71
tere definitivo, ma procede lungo la storia per successive acquisizioni, e anche qualora
fosse completa, non costituirebbe ancora la totalità della verità, non potendo la stessa
rivelazione racchiudere la pienezza di Dio.
L’autrice ha qui dunque l’occasione di distinguere tra visio beatifica, visio mystica e fi-
des. Accettando le verità di fede si crede a Dio, ma ciò è possibile solo se si crede che Dio
esiste ed è Dio, ossia l’essere sommo e perfetto. Accogliendo le verità di fede si accoglie
allora Dio, che è il loro oggetto, e dunque si tende a lui, ma ciò non è possibile senza
un previo venir afferrati dalla grazia, cui dunque ci si deve aprire per sperimentare la
vita divina. La fede è luce oscura, perché non ha la certezza dell’intelletto, e in questo
consiste il progresso descritto da Giovanni della Croce, ossia nel fondarsi sempre più
nella semplicità della verità divina. Il compito della filosofia cristiana sarebbe allora
quello di preparare la strada alla fede, dialogando con i non credenti alla luce del motto
paolino, nuovamente chiamato in causa, che invita all’esame attento di ogni cosa per
poter scegliere ciò che vale la pena di accettare. Colui che non condivide la fede, d’altra
parte, può nell’opinione di Stein discutere col credente, partendo dal punto di vista
di ritenere le proposizioni provenienti dal lume sovra-razionale come ipotesi anziché
come tesi e poi vagliando razionalmente la loro accettabilità, in un atteggiamento che
però, se vuole propriamente presentarsi come filosofico, deve essere realmente privo
di pregiudizi. 1
Si è fatto riferimento al ruolo di Przywara e di Analogia entis, di cui d’altronde si era
già sottolineata, proprio in apertura del volume, l’importanza. Anche nella corrispon-
denza steiniana in generale si ha traccia evidente del dialogo intellettuale tra i due, ed
in una lettera nello specifico si ha notizia di osservazioni steiniane sulla stesura del vo-
lume appena descritto. 2 Ma soprattutto, per ammissione esplicita di Stein, Essere finito
ed essere eterno risente di una dipendenza diretta dallo scritto di Przywara.
Forse qualcuno si chiederà in che rapporto stia il presente libro con la Analogia entis di Padre
Erich Przywara S.J. Si tratta in entrambi i casi della stessa questione, e P. E. Przywara ha fatto
cenno, nella sua prefazione, a come siano stati significativi per lui i primi sforzi dell’Autrice di
confrontare Tommaso e Husserl. La prima versione del suo libro e la versione finale di Analogia
entis sono stati scritti pressoché contemporaneamente, ma l’Autrice ha potuto leggere i primi
abbozzi di Analogia entis e più in generale ha potuto avere un vivo scambio di pensiero con P.E
Przywara negli anni 1925-1931. 3
È opportuno dunque presentare, nelle linee generali, l’opera del sacerdote polacco che
ebbe un determinante influsso sul pensiero di Stein. Per Przywara, l’analogia è il princi-
pio che costituisce la struttura della realtà e ne regola la dinamica intrinseca. Stein rico-
nosce proprio in questo senso strutturale la sua vicinanza con l’analogia di Przywara.

1
Il concetto di « filosofia cristiana » utilizzato da Stein ha quindi suscitato un certo interesse. Cfr. X. Til-
liette, La filosofia cristiana di Edith Stein, « Aquinas » 32/1 (1989), pp. 131-137 ; Id., Edith Stein et la philosophie
chrétienne : à propos d’être fini et être éternel, « Gregorianum » 71 (1990), pp. 97-113 ; M. Filippa, Edith Stein e il
problema della filosofia cristiana, Roma, Edizioni Università della Santa Croce, 2001 ; M. Paolinelli, La ragio-
ne salvata. Sulla « filosofia cristiana » di Edith Stein, Roma, Franco Angeli, 2001.
2
Cfr. in particolare Selbstbildnis in Briefen i, ESGA 2, pp. 236-7 e p. 326, dove sono menzionate tutte le let-
tere in cui compare il suo nome o in cui esso è citato nell’apparato critico ; cfr. quindi anche Selbstbildnis in
Briefen ii, ESGA 3, p. 603 ; e BI, ESGA 4, p. 246. Inoltre, in Selbstbildnis in Briefen ii, ESGA 3, p. 126, Stein viene
scambiata da Johannes Hogg con Thoma Angelica Walter, autrice di Seinsrythmik. Studie zur Begründung
einer Metaphysik der Geschlechter, Freiburg i. B., Herder, 1932 e le vengono richieste indicazioni bibliografiche
relative alla possibilità di una Analogia Trinitatis.
3
EeS, ESGA 11/12, pp. 4-5 ; già citato nella nota 1 a p. 12 dell’Introduzione.
72 capitolo i

Il primo volume di Analogia entis, già pubblicato, è da un punto di vista tematico un esame
metodico-critico preliminare alla trattazione delle questioni che formano l’oggetto del presente
libro e che P. E. Przywara ha previsto di affrontare nel suo secondo volume (coscienza, essere,
mondo). Si trova, tuttavia, un certo punto di contatto : infatti, da un lato l’analogia viene indicata
come principio fondamentale che governa tutti gli enti e che perciò deve essere determinante
anche come metodo ; dall’altro lato, la ricerca che ha come oggetto tematico direttamente l’ente
conduce fino al senso dell’essere alla scoperta del principio fondamentale. 1
Improntato, nell’impostazione filosofica e teologica, all’idea agostiniana del « Dio den-
tro di noi e Dio sopra di noi », il lavoro di Przywara tenta di tenere assieme teologia
affermativa e negativa in quella che viene definita dall’autore una « polarità dinamica »,
o una « unità nella tensione » e che viene descritta anche come mistica di amore e notte.2
Nella Prefazione Przywara ricostruisce il corso di pensiero che lo ha portato alla stesura
dell’opera, e menziona esplicitamente il ruolo di Scheler, di Heidegger e quello di Stein
stessa :
La conformazione filosofica [dell’opera] è derivata soprattutto dai vivi legami con la fenomeno-
logia, ottenuti in modo decisivo grazie all’opportunità di essere coinvolto abbondantemente nei
lavori di Edith Stein dedicati al confronto tra Husserl e Tommaso. Sono stati anzitutto i legami
fruttuosi avviati da Edith Stein con Husserl che hanno esercitato un influsso sulla messa in for-
ma dell’aspetto metodico. 3
Przywara d’altronde si è interessato a più riprese di fenomenologia, approfondendo
non solo Husserl, ma anche Scheler, che viene accostato a Newman. 4 I legami di di-
pendenza di questo pensatore da Rudolf Eucken, a sua volta allievo di Trendelenburg,
sono sottolineati da Przywara per rintracciare una parentela della fenomenologia con
la scolastica, che è evidenziata anche nel caso di Husserl, allievo di Brentano. Przywara
rinviene quindi nella fenomenologia un movimento di pensiero molto interessante,
perché mette in atto un ribaltamento di Kant e del pensiero moderno, con una rinno-
vata apertura alla realtà, senza tuttavia negare il ruolo del soggetto. 5
La fenomenologia si pone “a metà” tra il metodo della scolastica ed una filosofia ancorata al
soggetto. 6
Anche Przywara tenta un confronto analitico tra la fenomenologia e la neoscolastica,
soffermandosi sulla conoscenza delle essenze e sulla loro presunta datità intuitiva, sulla
teoria della conoscenza e sulla questione dell’idealismo trascendentale, descrivendo-
la come una posizione contraria di principio allo spirito stesso della fenomenologia ;
scritti in anni evidentemente significativi (l’inizio della seconda decade del Novecento),
questi saggi furono probabilmente letti e studiati da Stein. E difatti alcuni passaggi
1
EeS, ESGA 11/12, p. 5.
2
Cfr. E. Przywara, Analogia entis. Metaphysik, cit., p. vii. Ma cfr. anche, per una prima esposizione di
questa idea fondamentale : Id., Gott in uns oder über uns ? (Immanenz und Transzendenz im heutigen Geistesle-
ben), « Stimmen der Zeit » 105 (1923), pp. 343-362.
3
E. Przywara SJ, Analogia entis.., cit., p. vi.
4
Cfr. E. Przywara, Religionsbegründung. Max Scheler – J.H. Newman, Freiburg i.B, Herder, 1923.
5
Cfr. E. Przywara, Gottesgeheimnis der Welt. Drei Vorträge über die geistige Krisis der Gegenwart, München,
Theatiner-Verlag, 1923 ; o Id., Zu Max Schelers Religionsauffassung, « Zeitschrift für katholische Theologie »,
47 (1923), pp. 25-49 ; o ancora Id. Drei Richtungen in der Phänomenologie, « Stimmen der Zeit », 115 (1928), pp.
252-264. Sappiamo d’altronde come Przywara stesso commissionò a Stein traduzioni di Newman.
6
Id., Religionsbegründung…, cit., p. 10.
analogia dell ’ ente 73
sembrano richiamati nel dialogo tra Tommaso e Husserl. Sarebbe quindi interessante
farne oggetto di analisi comparativa. Per altro verso, laddove Przywara definisce la fe-
nomenologia come la nostalgia del mondo intellettuale moderno, cartesiano-kantiano,
per il cattolicesimo, ci sarebbe da chiedersi quanto la sua lettura dipenda proprio dal
rapporto avviato con Stein e dalla testimonianza ricevuta da lei. Queste pagine del 1923
sono significative :
La fenomenologia è la via di ritorno a casa del mondo spirituale non cattolico verso il duomo
della vecchia filosofia. 1
Ed è molto interessante notare come già in quel periodo Przywara, pur con cautela,
sottolineasse le possibilità offerte da Heidegger di un ritorno ad un realismo depurato
da una « distruzione » dei sistemi storici di pensiero
[Heidegger mira] alla realtà attraverso una « distruzione storico-critica » (historisch-kritisch Destru-
ktion) : si tratta di una liberazione della realtà stessa, “nascosta” dai sistemi di pensiero storici. 2
Dopo l’uscita di Essere e tempo, quindi, Przywara scrisse un saggio sulle Tre direzioni della
fenomenologia, confrontando Husserl, Scheler e Heidegger. 3 Mentre in Husserl sarebbe
centrale la questione della verità, Scheler si interesserebbe a quella del bene, mentre
Heidegger al problema della vita e dell’essere. Questa presentazione sommaria è forse
piuttosto scontata, e le descrizioni di dettaglio dei singoli pensatori sono piuttosto ge-
nerali ; interessante ci sembra invece l’idea che tutte e tre le « direzioni » fenomenlogiche
siano, secondo Przywara, caratterizzate dalla « visione di essenza » (Wesensschau), che in
Husserl sarebbe « ideazione » (Ideation), in Scheler « sentimento del valore » (Wertfühlen)
e in Heidegger « comprensione dell’essere » (Seinsverständnis). Questa caratteristica por-
terebbe la fenomenologia, in tutte le sue possibili declinazioni, a cadere nella tentazione
di assumere il punto di vista di Dio ; ma per altro verso rappresenta anche una positiva
uscita fuori dall’io in direzione della realtà. Per questo, secondo Przywara, ogni meta-
fisica equilibrata deve essere consapevole della creaturalità del proprio punto di vista,
tendere alla verità e all’oggettività, mantenendo però la consapevolezza che la pienezza
del sapere è irraggiungibile e appunto è solo appannaggio di Dio. Si tratta di una
umiltà dell’evidenza, che deve comprendersi quale evidenza in realtà creaturale, e per la qua-
le ogni intuizione della verità, in modo originariamente agostiniano, è un guardare-attraverso
(Hindurch-schauen) rivolto all’unica verità, che è Dio. 4
Queste considerazioni rivelano già la struttura dell’analogia dell’ente, principio che poi
viene esplicitamente chiamato in causa in questa stessa pagina come rapporto del « di-
venire » della creatura con l’« essere » di Dio. Si tratta quindi di un pensiero che è acco-
stabile alle posizioni steiniane descritte, soprattutto alla contrapposizione tra « filosofia
teocentrica » ed « egocentrica », che tuttavia non è chiamata in causa esplicitamente.
Queste linee di fondo sono riprese e sviluppate compiutamente in Analogia entis. Nel-
le pagine di apertura del volume, Przywara esamina la questione se la metafisica deb-
ba essere anzitutto una riflessione sull’oggetto (dunque una « meta-ontica », secondo

1
Id., Gottesgeheimnis…, cit., ora in Id. Schriften, Bd. ii, Religionsphilosophische Schriften, Ensiedeln, Jo-
2
hannes Verlag, 1962, p. 121-242, qui p. 125. Ivi, p. 128.
3
Cfr. Id., Drei Richtungen…, cit. Sulla possibilità di leggere Przywara, a livello teorico, sulla scia delle
esigenze di Heidegger, cfr. K. Metzl, Phänomenologische Hermeneutik und Analogia entis, Passau/Winter,
4
Edition Tre Fiume, 2007. E. Przywara, Drei Richtungen…, cit., p. 264.
74 capitolo i
l’espressione del testo) o sull’atto stesso della riflessione (« meta-noetica ») ; si riprendo-
no, quindi, i termini con cui, come detto, la neoscolastica impostava il suo tentativo di
confronto con la modernità. Descrivendo un rimando reciproco tra i due poli Przywa-
ra rifiuta un punto di partenza filosofico assoluto, e sostiene l’impossibilità dell’« auto
chiusura nella sfera del puro » ; 1 anche in questo tratto, quindi, si possono cogliere asso-
nanze con alcune posizioni steiniane descritte. Questo carattere di impossibile purezza,
inoltre, viene connesso anche in queste pagine da Przywara alla creaturalità dell’uomo,
elemento che si ripresenta come decisivo.
Il problema del rapporto tra meta-ontico e meta-noetico, nella sua radicalizzazio-
ne, diviene poi secondo Przywara il problema dei trascendentali, su cui non a caso
abbiamo posto l’attenzione in apertura ; si contrappone la comprensione scolastica,
che descriveva queste nozioni come le strutture costitutive della realtà, alla compren-
sione kantiana, che le ha trasformate nelle strutture della conoscenza (non a caso, le
tre critiche indagano le facoltà dell’uomo relative al vero, al buono e al bello, tre dei
classici trascendentali). Nel filosofare si dà quindi una alternativa di fondo tra metafisica
trascendentale e trascendentalismo metafisico, ipotesi che sono descritte però nuova-
mente, in base a quanto appena detto, come « utopie di “una incondizionata purezza
dello stile” ». 2 Elemento accomunante delle due posizioni è il muoversi nello spazio di
tensione interno allo schema dell’« essenza dentro-sopra l’esistenza ». Infatti, nel succes-
sivo terzo capitolo Przywara si pone la domanda su quelle che ha definito « le quinte »
della scienza, ossia sul « fondamento, fine e senso ». 3 Colui che pone tale domanda è già
sempre necessariamente sul « palcoscenico », per cui non può darsi un soggetto assolu-
tamente puro, ma « il problema completo si ha solo nel richiamarsi e nel compenetrarsi
dei due aspetti ». 4 Per altro verso si potrebbe descrivere il problema, secondo Przywara,
come questione dell’oggetto metafisico e del suo atto, che potrebbero essere indagati in
modo eidetico e quindi deduttivamente, o in modo morfologico ossia induttivamente,
a seconda che si parta da un principio assolutamente aprioristico o invece da una realtà
a posteriori. 5 Si parla anche di « devoluzione » da un lato ed « evoluzione » dall’altro. Ma il
testo prosegue anche sottolineando una irrisolvibile dialettica, nell’analisi del pensiero
di un autore del passato, tra ciò che ha realmente detto e ciò che, invece, ha sostenuto
veramente, nel senso delle conclusioni a cui il suo pensiero, portato avanti secondo il
massimo rigore, sarebbe dovuto giungere.
Da tutte queste analisi rimandanti ad una irrisolvibile dialettica di fondo allora risulta
la cosiddetta « metafisica creaturale ». Il pensiero può prendere le mosse considerando
Dio « sopra » o « dentro » l’esistenza : si tratterà allora di una « metafisica teologica » o
« filosofica ». La pretesa di sciogliere tale tensione, invece, implica lo spostamento su
una posizione teopanistica, da un lato, o panteistica dall’altro : la prima è quella in cui,
accentuando l’apriorismo, Dio si fa cosmo e lo informa pienamente, e tale impostazio-
ne sarebbe tipica della teologia protestante ; mentre la seconda, sottolineando l’aspetto
dell’aposteriori, vedrebbe il cosmo farsi Dio ; e questa linea di pensiero caratterizza per

1
Id. Analogia entis…, cit., p. 4. Una buona descrizione del testo di Przywara, che significativamene sot-
tolinea anche proprio il principio di creaturalità è E. Naab, Zur Begründung der analogia entis bei Erich Przy-
wara. Eine Erörterung, Regensburg, F. Pustet, 1987.
2
E. Przywara, Analogia entis…, cit., p. 12.
3 4
Cfr. ivi, p. 13. Ivi, p. 15.
5
Si vedrà come anche Stein utilizzi i termini eídos e morfé per riferirsi rispettivamente all’essenza al di là
o all’interno dell’ente.
analogia dell ’ ente 75
Przywara soprattutto il messianesimo ebraico. La teologia cattolica è allora l’unica in
grado di tenere compresenti entrambi gli aspetti.
A ratio e natura corrisponderebbero poi sul piano soprannaturale fides e gratia ; il testo
conduce in queste pagini affascinanti sul rapporto tra teologia e filosofia, tra credo ut
intelligam ed intellego ut credam, tra mysterium e profanum, dinamiche che però, pur nella
loro armonia, non potrebbero sbocciare hegelianamente in un concetto sintetico, ma
andrebbero mantenute su un piano rigidamente formale, e tenendo aperta la tensione :
tale sarebbe per Przywara anche la linea del primo Concilio Vaticano, che, proprio in
contrapposizione al pensiero di Hegel, avrebbe ribadito la già reductio in mysterium,
ossia
una via nel mistero « dentro » al concetto e « sopra » il concetto, oltre ad esso, come risposta al
tentativo di Hegel di comprendere il mistero « come » concetto (nel « sapere assoluto ») sulla base
del fatto che primariamente il concetto si mostra « come » mistero. 1
È in questo modo che si guadagna l’analogia come principio ordinante. L’analogia sa-
rebbe in rapporto da un lato con ogni lógos, ossia con la logica, che rispecchia l’ideale
della piena sapienza divina, dall’altro con la dialettica, che a sua volta può essere di tipo
irrisolto (una rinuncia all’ordine) o di tipo risolutore (venendo invece in questo caso
appunto a coincidere con la logica) : la chiave, secondo Przywara, è nel mantenere la
tensione, senza accentuare né il polo risolutore, né quello disgregatore. La fondazione
vera e propria dell’analogia entis avviene allora grazie al principio di non contraddizio-
ne, che è l’unica nozione formale in grado di mediare, aristotelicamente, tra eracliti-
smo e parmenidismo. Logica e dialettica invece riducono inevitabilmente, in due modi
opposti ma speculari, il principio di non contraddizione al principio di identità.
L’analogia infine deve anche spiegare il rapporto tra contingente ed assoluto, e ciò
avviene sulla base delle categorie, fondamentali in Stein, di potenza ed atto : la prima
è l’insieme delle possibilità formalmente realizzabili e di quelle « motivate », ossia che
premono per venire ad essere ; mentre l’atto è un principio positivo, ma anche eviden-
temente limitante. Il divenire si colloca quindi tra l’assoluto vuoto della possibilità in
sé e l’atto puro. La sfera contingente riceve l’essere solo grazie all’atto puro, mentre il
rapporto tra le due viene definito come una « relazione di alterità contrapposte », 2 in cui
appunto si ha un principio positivo, ossia la relazione, continuamente rimandante ad
uno negativo, l’alterità contrapposta. Dopo una digressione storica, quindi Przywara
conclude sostenendo come l’analogia non sia una semplice qualità dell’essere, ma l’es-
sere stesso, così come anche il pensiero sarebbe analogia ; in quanto originariamente
dinamico, tale principio analogico è definibile come « ritmo », secondo il modello delle
fughe di Bach, che si intrecciano continuamente per superarsi nel silenzio. 3
Anche solo questa rapidissima descrizione dell’opera di Przywara permette di mette-
re in luce diverse affinità con il pensiero steiniano, in parte già evidenziate : si pensi alla
dialettica tra aspetto noetico ed ontico, che richiama la struttura noetico-noematica
della fenomenologia, ma, più in generale, la contrapposizione più volte chiamata in
causa tra indagine orientata gnoseologicamente od ontologicamente, tra idealismo e

1 2
E. Przywara, Analogia entis…, cit., p. 60. Ivi, p. 95.
3
Tale conclusione richiamantesi al tema musicale delle fughe appare solo nella riedizione del testo del
1962, in cui fu aggiunta anche l’intera seconda parte, costituita da articoli in cui l’autore affronta le applica-
zioni concrete del suo principio (cfr. E. Przywara, Analogia entis. Metaphysik. Ur-Struktur und All-Rythmus,
Einsiedeln, Johannes Verlag, 1962).
76 capitolo i
realismo. L’impostazione generale di pensiero, anche a livello architettonico, rispecchia
poi la struttura fondamentale di Essere finito ed essere eterno, come diremo. Anche in
Analogia entis, infatti, sulla scorta del movimento che si è schematizzato quale « dentro-
sopra », si teorizza una ascesa a Dio e un riguadagno del creato, reso possibile da un
lato grazie alla « metafisica filosofica », dall’altro alla « metafisica teologica », che arric-
chisce la verità dell’essere dei contenuti ottenuti mediante il lume soprannaturale. In
Stein si potrà descrivere un movimento molto simile. Tuttavia, vi sono anche punti di
distacco decisivi tra i due : ad esempio il ruolo delle prove dell’esistenza di Dio, ritenute
valide da Stein solo a livello astrattamente teorico, ma considerate come incapaci di
fornire la certezza propria della fede, ambito peculiare in cui avviene il discorso teolo-
gico. Quest’ultimo va quindi impostato in tutta la sua profondità e le sue implicazioni
esistenziali, e non solo con un mero approccio intellettuale, dimensione pur ritenuta
evidentemente importante anche da Stein. Abbiamo detto, d’altronde, della critica stei-
niana all’idea che la metafisica possa essere considerata come abito di mediazione tra
naturale e soprannaturale.
Vale allora la pena di notare, sia pur solo incidentalmente, come, con questa corre-
zione di approccio, Stein non solo testimoni il suo retroterra fenomenologico e la sua
provenienza quindi da un ambito che affronta la religione anzitutto come un « vissuto ».
Ma anche come il pensiero steiniano sembri in grado di poter meglio fronteggiare le
notissime obiezioni che Karl Barth mosse a Przywara. E forse anche in questo famoso
dibattito, destinato ad influenzare larga parte della teologia cattolica e luterana del
Novecento, va rinvenuto un motivo ispiratore delle critiche steiniane alla metafisica
e alla possibilità che il pensiero abbia validità stringente in questioni esistenziali. O
quantomeno, pur senza poter individuare la questione come fonte esplicita o diretta
di Stein, che mai la cita, vale però la pena osservare come la teoria da lei sviluppata,
appunto sulla scorta della formazione fenomenologica, sia in qualche modo in grado
di rappresentare una proficua « via mediana ».
Sviluppando la linea del commento luterano alla Epistola ai romani di Paolo, Barth ar-
rivò a definire l’analogia entis come « l’invenzione dell’Anticristo », paventando il rischio
che, nel momento in cui la relazione tra creatore e creatura venga impostata a livello
ontologico, la grazia si riduca ad un elemento naturale. L’analogia tra Dio e uomo può
darsi secondo lui a livello teorico solo mediante la Scrittura ; per parlare del creatore si
possono usare solo le parole rivelate. Oppure mediazione si dà sul piano pratico, lad-
dove, mediante la fede, la grazia opera determinando direttamente la libertà umana :
ecco quella che, secondo una tradizione protestante di lunga durata, Barth definisce
analogia fidei. 1 Secondo Przywara, evidentemente, tale impostazione eliminerebbe di
fatto l’analogia e andrebbe ricondotta a quello che egli ha definito « teopanismo », ossia
alla riconduzione di tutta la natura alla grazia. L’impostazione di Stein, invece, che
assegna validità all’analogia dell’essere e quindi alla conoscenza naturale di Dio e al
discorso razionale in ambito teologico, ma che rimarca anche lo scarto che intercorre
tra la filosofia e il piano della fede, e coinvolge quindi l’integralità della persona, sembra

1
Cfr. K. Barth, Die kirchliche Dogmatik i, 1, Zollikon-Zürich, Evangelischer Verlag, 19482, pp. viii ss.
Una ricostruzione dell’enorme ma interessantissimo dibattito, cui presero parte, tra gli altri, anche von
Balthasar, Jüngel, Pannenberg, Söhngen è in E. Mechels, Analogie bei Erich Przywara und Karl Barth. Das
Verhältnis zwischen Offenbarugstheologie und Metaphysik, Düsseldorf, Neukirchener, 1974. Cfr. anche H.-G.
Pöhlmann, Analogia entis oder analogia fidei ? Die Frage der Analogie bei Karl Barth, Göttigen, Vandenhoeck
und Ruprecht, 1965.
6. L’analogia dell’ente in Essere finito ed essere eterno

analogia dell ’ ente 77


tener conto delle esigenze di entrambe le posizioni. Se infatti Stein si colloca nella linea
classica cattolica per cui le conseguenze del peccato originale non sono tali da aver
completamente corrotto le facoltà naturali dell’uomo, la sua impostazione del piano
teologico appare meno compromessa con una fondazione assolutamente razionale,
che d’altronde Przywara stesso non intendeva probabilmente sostenere, avendo pro-
clamato il principio della reductio ad mysterium. Una analogia della persona può altresì
avvicinarsi alla teorizzazione di Barth della analogia relations. Ma il discorso sarebbe
evidentemente lungo e complesso. 1
Inoltre, l’idea di Stein che debba essere il piano filosofico, in quanto insufficiente, a
dover decidere di quale completamento aver bisogno, sembra poter dare risposta ad
un’altra obiezione mossa a Przywara, ossia quella di uno slittamento dal piano reli-
gioso a quello specificamente cristiano nel momento in cui si tratta di definire il myste-
rium : verrebbe meno, così, la coerenza dell’analogia, secondo cui invece è necessario
tenere aperta la tensione tra il piano del predicabile e dell’indefinibile (ossia un piano
di religione positiva e uno di puro mistero). 2 E se è vero che anche tale critica non
sembra cogliere appieno l’impostazione di Przywara, che aveva in precedenza definito
il suo principio come caratteristica peculiare della teologia cattolica, giustificando così
il ricorso ad essa, una volta fondato il principio, la posizione steiniana sembra comun-
que presentare un’altra soluzione valida al problema : vi sono secondo Stein motivi di
preferibilità della fede cattolica, per cui la ragione, cui manca un completamento nella
ricerca della verità, si affida alla teologia che più le appare corrispondere all’esigenza
propria delle sue domande.
Ma descrivendo ora nel dettaglio la posizione steiniana sull’analogia delineata in Es-
sere finito ed essere eterno avremo modo di riprendere questi temi, e di osservare appunto
come Stein rinvenga proprio il principio dell’analogia quale architrave della sua sintesi
teorica. Tale principio è ancorato al vissuto religioso di fiducia in Dio, di cui abbiamo
detto, che si può rinvenire nel profondo della coscienza e nei momenti di disperazione.
Ad esso, però, viene assegnata anche una notevole rilevanza teorica, nonostante lo si
riconosca come diverso da una “prova” dell’esistenza di Dio. Inoltre, Stein propone
una metafisica forse ancora più « ontologica » e « classica » di Przywara, riprendendo
numerose e tradizionali categorie del pensiero scolastico e seguendo più nel dettaglio
Tommaso d’Aquino su molti punti ; ma al contempo radicalizza quello che abbiamo
descritto come principio di creaturalità, contaminando le sue analisi con considerazioni
di tipo fenomenologico, sia husserliano che heideggeriano. Si insegue, come già detto,
un perfectum opus rationis. Ma si distinguono la natura e la condizione della filosofia.
Cerchiamo perciò di osservare come sia possibile il tentativo di armonizzare il tutto.

6. L’Analogia dell’ente in Essere finito ed essere eterno


Il cammino svolto sinora, che è servito di preparazione per comprendere il modo ori-
ginale con cui Stein imposta la discussione sul tema dell’analogia, può essere evidente-
mente letto anche specularmente : l’analogia, ed in modo specifico l’analogia della per-
sona, costituiscono la sintesi di molte tra le istanze teoriche principali che, in generale,

1
Cfr. K. Hammer, Analogia relations gegen analogia entis, in Parrhesia. Karl Barth zum achtzigsten Geburts-
tag, Zürich, EVZ Verlag, 1966, p. 288-304.
2
Cfr. P. Volontè, Introduzione alla tr. it. di E. Przywara, Analogia entis. La struttura originaria e il ritmo
cosmico, Milano, Vita e Pensiero, 1995, pp. xi ss. (in particolare p. xxxii).
78 capitolo i
animano la riflessione di Stein. Osserveremo così come le questioni sinora descritte si
condensino nell’analogia, che appunto Stein declina con tratti di particolare originalità.
Proprio attorno all’impostazione steiniana dell’analogia, vedremo, può infatti trovare
un punto di raccordo la difficile comprensione dei modi con cui la scolastica e la feno-
menologia impostano il loro confronto con la filosofia. D’altronde, nell’affrontare la
questione della verità in Tommaso si è rivelato necessario chiamare in causa molteplici
significati dell’essere. Ma un equivoco affetta il problema dei rapporti tra conoscenza
ed esistenza del mondo già nella fenomenologia, combattuta tra idealismo e realismo :
e il nodo non si lascia sciogliere, nelle pagine steiniane, solo sulla base di motivazioni
teoriche, ma implica una presa di posizione personale. Tale presa di posizione può
avvenire nell’intimo della coscienza, laddove si riconosce un fondamento più assoluto
dell’io stesso. In questo senso Stein ha parlato di « filosofia teocentrica ». Ma tale fonda-
mento, che secondo Stein è una persona, e il cui riconoscimento dipende da una scelta
personale, viene presentanto anche secondo un movimento teorico che si pretende
rigoroso, come diremo.
Sulla scorta dell’influsso di Przywara, Stein si riferirà costantemente alla dottrina
dell’analogia nel pensiero di Tommaso, in quest’opera, mediante l’espressione analogia
entis ; come si diceva in apertura, tale espressione costituisce una “invenzione” neosco-
lastica che accentua evidentemente proprio il peso sistematico del principio dell’ana-
logia, legandolo immediatamente alla questione dell’ente e quindi conferendogli una
centralità metafisica che, se si segue solo l’uso terminologico, non è così esplicitamente
rintracciabile nei testi di Tommaso, pur non sembrando infedele allo “spirito” della sua
impostazione teorica. 1
Il punto da cui prenderà le mosse la nostra analisi è un passaggio testuale che ci
appare, per molteplici ragioni, di particolare rilevanza. Si tratta del secondo capitolo
dell’opera matura, Essere finito ed essere eterno, in cui Stein riprende ed amplia le pagine
con cui aveva aperto quella che, come detto, era la prima versione dell’opera, ossia
Potenza ed atto. La trattazione svolta in questo capitolo mostra l’architrave fondamen-
tale su cui è strutturato l’edificio della proposta teorica che il pensiero dell’autrice ha
raggiunto in uno scritto che per molti aspetti, come è noto, costituisce una “summa”
finale.
Stein propone le categorie di potenza ed atto come fondamento della metafisica di
Tommaso d’Aquino, ma altresì come categorie decisive per interpretare in modo ori-
ginale la dinamica fondamentale della vita dell’io puro fenomenologico. In entrambi i
casi, prima a livello metafisico e poi a livello fenomenologico, è l’analogia a costituire il
fulcro dell’analisi : si tratta di un’analogia tra due enti, che per il suo essere radicata in
un piano temporale diviene un’analogia della persona. Da qui il titolo dell’opera, che
appunto affianca « essere finito » ed « essere eterno », e che riassume il percorso che l’au-
trice porta avanti nella stessa, ossia una « ascesa al senso dell’essere », come recita il sot-
totitolo, nonché la chiave di volta della sua proposta teorica in generale : detta in prima
battuta essa consiste, appunto, nella posizione di due piani di essere la cui distinzione
è netta ; e che tuttavia risultano in qualche modo comunicanti, essendo possibile una
« ascesa » dal primo al secondo, ed essendo il primo modellato di principio sul secon-
do. Finitezza ed eternità sono due piani essenzialmente diversi, eppure comunicanti.
L’essere finito e l’essere eterno sono appunto due « esseri ». Ecco l’analogia, riproposta

1
Cfr. sopra, nota 2 a p. 11 dell’Introduzione.
analogia dell ’ ente 79
secondo i termini che classicamente ne costituiscono la tensione, e tuttavia appunto
impostata con tratti di originalità, ossia in una declinazione che, tramite il metodo
fenomenologico e l’analisi temporale, sfocerà in un esito personale.
L’analisi del capitolo in questione permetterà quindi di abbordare subito il cuore
del pensiero steiniano, di rintracciarne in posizione determinante l’analogia, nonché di
apprezzare la peculiarità del modo con cui la stessa viene descritta. Lo svolgimento di
queste pagine riprende i due passaggi centrali che in Potenza ed atto erano altresì pre-
sentati nel primo capitolo, e suddivisi in modo molto netto in due paragrafi, dedicati
rispettivamente ad una Prima introduzione nel significato di « atto » e « potenza » secondo il
De Potentia, e al Punto di partenza immanente della filosofia. Potenza ed atto nella sfera im-
manente. Dalla sfera immanente a quella trascendente. 1 Da parte sua, il secondo capitolo di
Essere finito ed essere eterno si intitola : Atto e potenza come modi di essere (Seinsweisen) ; ed
il primo paragrafo è dedicato alla Esposizione secondo il De ente et essentia. 2 Stein porta
avanti esplicitamente le considerazioni con cui si apriva Potenza ed atto. Nelle righe di
apertura di questo capitolo si legge :
La dottrina dell’atto e della potenza è stata come il portale di un grande edificio, che da lontano
si mostrava in tutta la sua altezza. Già anche questo primo sguardo da lontano ha offerto una
comprensione provvisoria di come con questa coppia concettuale si possa abbracciare l’intera
estensione dell’ente. 3
La centralità del binomio atto-potenza deriva a Stein anzitutto dall’influenza dello stu-
dio di Gallus Manser, esplicitamente citato in queste pagine, e del suo lavoro Das Wesen
des Thomismus, che definisce la dottrina dell’atto e della potenza come l’« intima essenza
del tomismo » ; 4 ed essa, per Stein, « conduce immediatamente nel cuore della filosofia
tomistica ». 5
La prima domanda che Tommaso pone nelle Quaestiones disputatae de potentia è : Dio possiede
potenza ? E nella risposta si dispiega un duplice senso di potenza ed atto. L’intero sistema dei
concetti fondamentali viene attraversato da una radicale linea di separazione che – a partire
dall’essere – suddivide ciascuno di essi, così da mostrare un volto diverso al di qua e al di là :
niente può essere detto nello stesso senso di Dio e delle creature. Se ciononostante è lecito che vengano
utilizzate le stesse espressioni per entrambi gli ambiti, ciò dipende dal fatto che questi termini
non sono predicati in un unico senso (einsinnig) (univocamente), ma nemmeno solamente in senso
duplice (zweideutig) (equivocamente) ; essi si trovano invece in un rapporto di conformità (Übe-
reinstimmungsverhältnis) (analogamente). Così si potrebbe dare il nome di Analogia entis alla linea
di demarcazione che caratterizza il rapporto tra Dio e l’uomo. 6
Così, per Dio si può parlare di potenza solo in senso analogo, essendo Dio atto puro.
Stein procede allora affrontando la questione dell’atto e della potenza come modi di
essere, e introduce il De ente et essentia. Se infatti la dottrina dell’atto e della potenza
andrebbe rinvenuta soprattutto nelle quaestiones disputatae che sono dedicate a questo
tema, ossia appunto quelle de potentia, la trattazione di quelle pagine di Tommaso, a cui
come detto era dedicato il primo paragrafo anche di Potenza ed atto, si rivela nell’opinio-
ne espressa in questo scritto da Stein, di non facile utilizzabilità : è infatti eccessivamen-

1
Cfr. Potenza ed atto, ESGA 10, § 1 e 2 del cap. i, pp. 7 ss. e 9 ss.
2 3
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 37 ss. EeS, ESGA 11/12, p. 37.
4
Cfr. EeS, ESGA 11/12 p. 9 nota 2 (lo studio in questione è G. Manser, Das Wesen der Thomismus, Fribou-
rg, Rutschi, 19352).
5 6
EeS, ESGA 11/12. p. 9. EeS, ESGA 11/12, p. 10.
80 capitolo i
te teologica. Probabilmente, sostiene l’autrice, perché scritta nello stesso periodo in cui
Tommaso redasse anche la prima parte della Summa theologiae.
Essendo dunque inutilizzabili le Quaestiones disputatae de potentia, Stein si rivolge
all’opuscolo De ente et essentia. Questo passaggio denota evidentemente un maggiore
respiro assunto dalla trattazione steiniana : la coppia concettuale potenza ed atto viene
rinvenuta sin nei concetti più fondamentali del pensiero di Tommaso, a cui si rivolge
appunto questo testo giovanile quale esplicazione ad uso degli allievi dell’Aquinate del
lessico fondamentale della metafisica.
Qui troviamo naturalmente solo un primo approccio, che sta in rapporto alla dottrina descritta
come un germe ad un grande albero. Ma proprio questo, forse, ci può aiutare ad avvicinarci ad
una comprensione originaria della cosa. 1
L’opera viene definita quale un « abbozzo di una dottrina dell’essere », che descrive « il
complesso degli enti come una scala progressiva (Stufenreich) ». 2 Tre sono i gradini, se-
condo la descrizione steiniana, molto fedele al testo di Tommaso, che si possono di-
stinguere nell’essere : l’ambito materiale, ossia le cose che sono composte di materia e
forma, e quindi il mondo dei corpi ; le sostanze semplici o spirituali, ossia le forme pure,
come gli angeli ; e infine l’ente primo, ossia Dio. Stein ricostruisce quindi rapidamente
il contesto storico in cui si colloca il lavoro di Tommaso e sottolinea l’originalità della
posizione dell’Aquinate rispetto all’idea dominante all’epoca per cui anche gli angeli
sarebbero composti di forma e una qualche materia, benché spirituale.
Probabilmente la descrizione storica steiniana è ispirata in questi passaggi proprio
dalla dettagliata descrizione data da Rolland-Gosselin nella introduzione alla sua edi-
zione del De ente et essentia – da cui Stein cita e in cui c’è un capitolo sulla questione
dell’individuazione mediante la materia, che ha interessato molto l’autrice in chiave
antropologica. Tommaso invece ritiene che gli spiriti siano pure forme ; in quanto crea-
ti, non possono però essere pensati come spiriti assolutamente puri, ed egli deve quindi
rinvenire anche in loro una qualche composizione, altrimenti non potrebbero distin-
guersi da Dio. È a questo punto che la coppia concettuale di atto e potenza viene fatta
valere in tutta la sua portata speculativa. Anche gli spiriti sono in qualche modo com-
posti, e nello specifico la loro composizione è di forma ed essere. Non hanno l’essere di
per sé, perché lo ricevono dal creatore.
Ma tutto ciò che riceve l’essere da qualcosa d’altro è in potenza rispetto ad esso, e quanto invece
viene ricevuto è per lui atto. Dunque la quiddità (Washeit) o la forma stessa che costituisce l’ente
spirituale deve essere in potenza rispetto all’essere che riceve da Dio, e quell’essere ricevuto è
nel modo dell’atto. Così, negli enti spirituali si trovano potenza ed atto, tuttavia non forma e
materia. 3
Negli spiriti, l’essenza (was-Sein) è distinta dal’essere (Sein) stesso. Essi ricevono un es-
sere che è autonomo nella realtà (Stein traduce subsistentia in rerum natura con in der
Wirklichkeit selbständiges Sein) grazie all’atto primo, che è anche il primo essere ; di per
se stessi sono solo in potentia (Sein-Können), così come tutta la creazione. In questo « po-
ter essere » o « essere in potenza », si nasconde un essere in un duplice senso, secondo
Stein : un « essere ordinati » (Hinordnung) all’essere stesso, ma anche, in qualche modo,
un essere autonomo : « essere possibile, infatti non significa solamente non essere ». 4 Se

1 2
EeS, ESGA 11/12, p. 38. EeS, ESGA 11/12, p. 9.
3 4
EeS, ESGA 11/12, p. 38. EeS, ESGA 11/12, p. 39.
analogia dell ’ ente 81
non fosse così, si procede, non avrebbe senso parlare di gradazioni o di potenzialità, o
di maggiore o minore attualità in un ente.
Così arriviamo a distinguere livelli di essere (Abstufungen des Seins) e a comprendere l’atto e la
potenza come modi di essere (Weisen des Seins). Il passaggio dalla potenza all’atto o – come adesso
possiamo dire – dall’essere possibile a quello reale (vom möglichen zum wirklichen Sein) è un passag-
gio da un modo di essere all’altro, e nello specifico da uno più basso ad uno più alto. 1
La dottrina della potenza e dell’atto è quindi letta come una dottrina dell’essere, e nello
specifico dei suoi diversi gradi. L’attualità, che coincide con l’essere stesso, è suddivisa
nella lettura steiniana di Tommaso in gradazioni che vanno da una minore ad una
maggiore, ossia, si può dire con i termini usati da Stein, ad una maggiore realtà e ad
un maggior essere. L’essere, possiamo quindi concludere, non è un concetto univoco,
perché al suo interno è suddiviso in diversi livelli. Tutti gli enti si possono corretta-
mente dire tali, ossia sono in qualche misura « essere » ; tuttavia il concetto va predicato
in modo diverso di ciascuno di essi. Dio, le creature spirituali e le creature composte
di materia e forma, nella lettura steiniana di Tommaso, sono enti, sono esseri, ma in
modo radicalmente diverso, proprio perché, secondo quanto aveva premesso in aper-
tura, la dottrina dell’analogia entis separa radicalmente in due la realtà distinguendo
creatore e creature. Se l’essere fosse un concetto univoco, infatti, le creature verrebbero
ridotte allo stato di nulla, o viceversa sarebbero coincidenti con il creatore stesso.
Stein non nomina qui in modo esplicito, nuovamente, l’analogia. Tuttavia è evidente
come la dottrina che vi fa riferimento sia decisiva per comprendere quanto descritto,
e anzi, sia la struttura stessa che informa e organizza la trattazione e, dunque, tutta la
realtà. Quella che nelle prime pagine era stata introdotta come una questione di pre-
dicazione (« niente può essere detto nello stesso modo del creatore e delle creature ») è
immediatamente anche una questione metafisica. Come il problema si giochi anche al
confine tra un aspetto linguistico ed un aspetto reale è confermato implicitamente dalle
righe finali del paragrafo, in cui Stein afferma di aver raggiunto, con le considerazioni
che abbiamo seguito, una comprensione generale dei termini « potenza » ed « atto », e
in cui però si chiede anche come giungere, a questo punto, ad una comprensione reale
ed oggettiva (sachlich). Per descrivere la differenza viene introdotto un esempio tipica-
mente fenomenologico : quando il cieco sente parlare del rosso, del blu o del verde, si
tratta per lui di termini privi di senso ; egli sa di certo che si tratta di colori, ma non li
conosce veramente. « C’è una via per raggiungere una maggiore vicinanza alla cosa
(Sachnähe) ? », si chiede Stein. 2
L’argomentare steiniano procede a questo punto in modo apparentemente parados-
sale : viene infatti introdotta la riduzione trascendentale, ossia un aspetto che a prima
vista potrebbe essere definito come “funzionalistico”, per chiarire in modo più « og-
gettuale » (sachlich) i termini di « potenza » ed « atto », introdotti sinora in riferimento
all’essere, e dunque quali categorie ontologiche.
Prima di osservare però nel dettaglio questi passaggi, vale la pena riassumere bre-
vemente quanto raggiunto sinora. Sulla base del De ente et essentia Stein ha potuto de-
scrivere una struttura metafisica che ruota attorno alla differenza tra potenza e l’atto,
costituendo diversi strati di realtà e quindi una gradazione gerarchica nell’essere. Sif-
fatta gradazione è fondata nella distinzione tra ente creato e ente creatore, ossia nel

1 2
EeS, ESGA 11/12, p. 39. EeS, ESGA 11/12, p. 40.
7. Un’analogia temporale

82 capitolo i
principio dell’analogia entis, con cui si è aperta l’opera. L’essere in potenza è fondato
nell’essere in atto, pur essendone infinitamente distante : per questo non si tratta né di
mera equivocità, né di univocità. I concetti di potenza ed atto, che di per sé non hanno
riferimento diretto ad enti, ma sono piuttosto modi o funzioni, hanno quindi ricevu-
to una piegatura che permette di rinvenire una organizzazione generale della totalità
del reale. In questo senso accennavamo all’importanza del De ente et essentia rispetto
anche al nuovo titolo conferito all’opera : da una analisi dei concetti di atto e potenza,
si arriva ad una « ascesa al senso dell’essere » che prende le mosse dalla distinzione fon-
damentale tra l’essere che si è, e quello che si deve raggiungere e in cui è radicato il
senso. Il movimento di passaggio tra i due esseri, e la loro distinzione fondamentale,
saranno individuati, proprio sulla scorta delle nozioni di potenza ed atto, nell’aspetto
temporale. Il passaggio dalla potenza all’atto, infatti, implica evidentemente il tempo.
Dalla trattazione di essere in potenza ed essere in atto si passa dunque a quella di essere
finito ed essere eterno. Qui entrano in gioco le considerazioni di tipo fenomenologico,
che, come vedremo, risentono in modo particolare soprattutto della confidenza avuta
da Stein con i testi husserliani sulla coscienza interna del tempo, nonché con l’analitica
esistenziale di Heidegger.
Vogliamo ancora notare incidentalmente come proprio criticando Heidegger e la
sua sbrigativa trattazione del pensiero medievale, Stein altrove individui nell’analogia
entis il « senso dell’essere », confermando ulteriormente la nostra lettura che interpreta
Essere finito ed essere eterno, quale trattato di Ascesa al senso dell’essere, come un volume
incentrato sull’analogia. Nel testo pubblicato in appendice all’opera maggiore e intito-
lato Martin Heideggers Existenzphilosophie, dopo aver sottolineato appunto come Essere e
tempo si confronti con la scolastica solo in note a margine che ne evidenziano i presunti
errori, Stein afferma :
Non sarebbe valsa la pena di studiare se negli sforzi attorno alla analogia entis non risieda l’auten-
tica questione sul senso dell’essere ? 1
Stein fa riferimento quindi al primo articolo della prima questione del De veritate, su cui
ci siamo intrattenuti, per evidenziare come in Tommaso si dia un quadruplice signifi-
cato della verità e il giudizio non sia l’unico luogo in cui essa si costituisce. Il percorso
iniziato con quella traduzione e con l’individuazione di molteplici significati dell’essere
viene a culminare nella tesi dell’analogia dell’ente come senso dell’essere. Ma Stein non
si ferma qui : osserviamo dunque, secondo quanto accennavamo, come introducendo
la riduzione trascendentale l’analogia prenda una declinazione temporale che contem-
pla anche un confronto con le categorie heideggeriane.

7. Un’analogia temporale
Gli oggetti (Gegenstände) chiamati in causa da S. Tommaso per la ricerca sull’essere possono appa-
rire irraggiungibilmente lontani a chi è estraneo al pensiero medievale : Dio e gli angeli : che cosa
ne sappiamo e da quali fonti ? « …Cherubini e Serafini… : quanto li crediamo assenti, secondo la
parola che ci annuncia di certe potenze celesti » (Agostino, De Trinitate x, 3). Invece c’è qualcosa che
ci è vicino in modo completamente diverso e anzi inevitabilmente vicino. Ogniqualvolta lo spirito
umano ha cercato un punto di partenza indubitabilmente sicuro nella sua ricerca della verità, si è
scontrato con questa vicinanza inevitabile : il dato di fatto del proprio essere. 2

1
Martin Heideggers Existenzphilosophie, in ESGA 11/12, pp. 445-499, qui p. 483.
2
EeS, ESGA 11/12, p. 40.
analogia dell ’ ente 83

Stein cita a questo punto esplicitamente sia Agostino che Cartesio e in particolare i ben
noti passaggi in cui entrambi gli autori, con un argomentare simile, giungono alla cer-
tezza dell’esistenza del proprio io. 1 In particolare, il dubbio universale delle Meditationes
viene accostato all’epoché husserliana quale tentativo di fondazione del metodo feno-
menologico : essa viene esercitata, si specifica ancora in quest’opera, sia nei confron-
ti dell’atteggiamento naturale (natürliche Einstellung), sia rispetto ai dati acquisiti dalle
scienze settoriali. In questo modo resta solo il dominio della coscienza (Bewußtsein),
definita anche « vita dell’io » (Ichleben). Secondo le movenze ben note dell’argomento :
si può dubitare se quanto viene percepito in una sensazione esiste veramente o meno,
ma la percezione in quanto tale non si può eliminare ; si può dubitare se la conclusione
che viene tratta è corretta o meno, ma il pensiero che trae le conclusione è un dato di
fatto indubitabile.
In ognuno di questi fenomeni – nella « vita » di Agostino, nell’« io penso » di Cartesio e nella
« coscienza » (Bewußt-sein) o nell’« avere vissuti » (Erleben) di Husserl – ovunque si nasconde un
« io sono » (Ich bin) […] . Questa consapevolezza del proprio essere è – in un certo senso – la co-
noscenza più originaria : non la prima temporalmente, perché « l’atteggiamento naturale » dell’uomo
è prima di tutto rivolto al mondo esterno e ha bisogno di molto prima di trovarsi ; nemmeno nel
senso di un principio (Grundsatz), a partire dal quale si lasciano dedurre logicamente tutte le altre
verità o rispetto al quale tutte le altre andrebbero misurate, come con una unità di misura ; ma
nel senso di ciò che mi è più vicino, che mi è inseparabile e che è quindi un punto di partenza
dietro al quale non si può retrocedere oltre. 2
Si tratta, procede Stein, di una certezza irriflessa, che precede ogni pensiero rivolto su
di sé e che sottrae lo spirito all’atteggiamento originario per cui è indirizzato esterna-
mente agli oggetti. La descrizione che la filosofa dà di questa certezza dell’io è quindi
particolarmente originale : per un verso, Agostino, Cartesio ed Husserl vengono acco-
munati nell’idea che l’individuazione dell’io e della sua vita di coscienza siano in grado
di garantire uno strato che si sottrae al dubbio scettico. In questo senso, Stein sembra
seguire Husserl nella sua idea di essere un radicalizzatore di Cartesio : ed infatti la de-
scrizione della certezza del fenomeno di coscienza, al di là dell’esistenza dell’oggetto,
è evidentemente husserliana. Tuttavia in Stein la vita di coscienza sembra assumere
immediatamente uno spessore sostanziale o un carattere ontologico, nel momento in
cui la certezza originaria raggiunta è quella dell’« io sono ». Si tratta, ancora una volta
secondo considerazioni che sono già di Husserl, ma che assumono qui una piegatura
nuova, di una certezza che non è originaria né di fatto (ossia la prima da un punto
di vista temporale), né di principio (quale un assioma da cui dedurre altre verità). Il
primato e l’originalità dell’« io sono » di Stein consiste in una inaggirabilità che certo
richiama il pensiero trascendentale in generale, ma che è descritta appunto in modo
inedito come prossimità ed inseparabilità rispetto a sé stessi. Non sembra trattarsi solo
della funzione che accompagna tutte le rappresentazioni o la vita di coscienza, ma di
una forma di presenza di sé a se stessi da cui non ci si può mai separare : un qualcosa, in
questo senso, che mostra nuovamente caratteri di concretezza e di effettività e rispetto
al quale non sembra assente un influsso heideggeriano. Cosa accade allora, si chiede
Stein, quando si presta attenzione a questo « dato di fatto semplice » (einfache Tatsache) ?
Immediatamente emergerebbero tre domande, relative al che cos’è questo essere che

1 2
Vgl. EeS, ESGA 11/12, pp. 40-41. EeS, ESGA 11/12, p. 41.
84 capitolo i
costituisce l’io interiormente, che cos’è l’io, e che cos’è il sentimento spirituale che
genera questa coscienza. Stein prende le mosse allora dalla constatazione che l’essere
che io sono presenta un duplice ed ambiguo volto : quello dell’essere e quello del non
essere ; ciò dipende dalla sua intrinseca temporalità.
Esso [l’essere dell’io] è, come essere « attuale » – ossia come essere presente e reale (gegenwärtig-
wirklich), puntuale : un « ora » tra un « non più » e un « non ancora ». Ma per il fatto di separarsi in
essere e non essere, nel suo aspetto di scorrimento, svela anche l’idea dell’essere puro, che non ha
nulla in sé di non essere, in cui non c’è nessun « non più » e « non ancora » e che non è temporale,
ma eterno. 1
Stein arriva quindi immediatamente alla distinzione tra essere finito ed essere eterno,
muovendo dalla vita di quell’« io sono » che ha descritto come punto di partenza assolu-
tamente certo ed indubitabile per la riflessione filosofica. Di sicuro ancora nulla è detto
relativamente all’esistenza dell’essere eterno. Evidentemente Stein sta riprendendo qui
l’argomento già espresso in Potenza ed atto, per cui al fondo della vita della coscienza si
può riscontrare la presenza di un essere assoluto ; e declina quindi in termini metafisici
quel vissuto di esperienza religiosa per cui ci si sente sorretti e si possiede una apparen-
temente immotivata fiducia. Vedremo infatti come Stein accosti espressamente questi
due passaggi teorici.
Come idea, l’eterno emerge immediatamente assieme alla vita di coscienza. In que-
sta vita di coscienza già sempre temporale, nell’essere inevitabilmente temporale che
io sono, si chiarisce e, al contempo, si declina in modo nuovo anche l’analogia entis,
stavolta chiamata direttamente in causa da Stein.
Così essere eterno ed essere temporale, immutabile e mutabile, e anche il non essere, sono idee
che lo spirito trova entro di sé, e che non sono desunte da altro. Una filosofia fondata sull’at-
teggiamento naturale trova qui un legittimo punto di partenza (si può per ora tralasciare se sia
l’unico possibile). A partire da qui risulta immediatamente chiara anche l’analogia entis, compre-
sa come relazione di ciò che è temporale a ciò che è eterno. 2
Stein quindi definisce esplicitamente in termini temporali l’analogia entis. Il binomio
stesso che costituisce il titolo dell’opera, ossia essere finito ed essere eterno, che già
lasciava intravedere la dinamica dell’analogia entis, viene qui ricondotto senza mezzi
termini ad essa. L’analogia dell’essere è quindi guadagnata in modo originale a partire
da movenze fenomenologiche ed in modo particolare a partire da una analisi della
struttura temporale della coscienza. Nello specifico, la dinamica che si descrive sembra
essere la seguente : l’essere dell’io è, nell’istante momentaneo in cui è, un essere attuale
del tipo dell’essere puro che non ha mutamenti nel tempo. Ma proprio per il fatto di
esserlo momentaneamente, l’io non coincide con l’essere eterno stesso, ma ne è solo –
così dice Stein esplicitamente – un analogon o una copia (Abbild) di esso, in cui l’aspetto
della dissomiglianza prevale su quello della somiglianza. 3 Stein cita quindi la formula-
zione dottrinale del principio dell’analogia determinata dal iv Concilio Lateranense :
inter creatorem et creaturam non potest tanta similitudo notari, quin inter eos maior sit dissimilitudo
notanda. 4
1
EeS, ESGA 11/12, p. 42.
2
EeS, ESGA 11/12, p. 42. Già citato : cfr. nota 2 a p. 12 dell’Introduzione.
3
EeS, ESGA 11/12, p. 42.
4
Cfr. EeS, ESGA 11/12, p. 42. Cfr. H. Denzinger, Enchiridion Symbolorum definitionum et declarationum de
rebus fidei et morum, 806 (ed. Freiburg i.B., Herder, 199137, p. 361).
analogia dell ’ ente 85

Stein procede sottolineando come la distinzione tra essere finito ed eterno, sinora gua-
dagnata astrattamente, non sia tale da permettere di parlare di una relazione reale tra i
due ambiti e quindi di chiamare in causa i termini di creatore e creatura. La vita dell’es-
sere eterno, infatti, è rimasta fino a questo momento una mera possibilità teorica. Si
è manifestata invece solo la vita presente e reale (gegenwärtig-wirklich) dell’io, che ha
dischiuso la nozione di attualità. Anche il non essere ancora e l’essere già stato, tuttavia,
non sono puro nulla : non solo perché hanno un essere nell’intelletto e nella memoria,
ma anche, su di un piano più strettamente metafisico, perché lo stesso essere presente
e reale dell’io non è pensabile come esistente in modo autonomo, allo stesso modo in
cui il punto non è pensabile senza la linea e l’istante momentaneo senza la durata. L’io
si dà come qualcosa che emerge dall’oscurità, per attraversare un raggio di luce e spro-
fondare nuovamente nell’oscurità : la dinamica temporale che caratterizza la vita dell’io
rivela l’agire di attualità e potenzialità già a questo livello.
Il mio essere presente è un essere attuale e potenziale, reale e possibile allo stesso tempo ; e
nella misura in cui è reale, è realizzazione di una possibilità, che già prima sussisteva. Attualità
e potenzialità come modi di essere (Seinsweisen) sono contenute già nel semplice fatto di essere
e vanno ricavate da là. 1
Anche il ricordo (Erinnerung) e l’aspettativa (Erwartung), tuttavia, non sono completa-
mente definibili come non essere, ma come essere in potenza : ed in quanto tali, cioè in
quanto ricordo ed aspettativa, sono anche presenti. Stein si riferisce quindi alle analisi
condotte da Hedwig Conrad-Martius in un saggio sul tempo, in cui le considerazioni
che qui si sono descritte venivano per grandi linee già anticipate, in particolare la con-
trapposizione tra la puntualità del presente e l’estensione dell’esistenza temporale nelle
sue altre due dimensioni. 2 L’essere viene quindi definito come strutturalmente tempo-
rale, e l’essere dell’io, in particolare, « ha bisogno del tempo » (bedarf der Zeit). 3 Rispetto
a Conrad Martius, tuttavia, Stein rimarca la propria comprensione dell’attualità come
non meramente fondata sull’accadere (passieren), quanto piuttosto sulla perfezione :
perciò anche l’essere presente, reale e puntuale, secondo Stein, non è una pura attua-
lità, non solo perché è sempre sottomesso alle dimensioni potenziali del passato e del
futuro, ma anche perché non tutte le cose che sono attualmente presenti in lui lo sono
nella stessa misura, con lo stesso grado e la stessa intensità. Ciò che si è, nel presente, è
il dispiegamento delle possibilità della propria essenza. Solo in Dio, procede Stein, tutte
le possibilità sono attualmente e al massimo grado dispiegate in un presente eterno,
e per questo si può dire che essere ed essenza vengono nel suo caso a coincidere. Per
questo Dio si sarebbe attribuito, secondo il noto passo dell’Esodo che Stein legge con
Agostino, il nome di « essere ».
Alla unità perfetta dell’essere divino si contrappone la frammentazione e suddivisione dell’esse-
re creato. Ma nonostante l’abisso, tra i due vi è una comunanza che permette di parlare di essere

1
EeS, ESGA 11/12, p. 43.
2
Cfr EeS, ESGA 11/12, pp. 44-45. Cfr. H. Conrad-Martius, Die Zeit, « Philosophischer Anzeiger », 2 (1927-
1928), pp. 143-182 e 354-390 (ristampato in Schriften zur Philosophie, I, Münche, Kosel, 1963, pp. 101-184). Sul
rapporto tra Stein e Conrad-Martius cfr. A. Ales Bello, Edith Stein und Hedwig Conrad-Martius : eine mensch-
liche und intellektuelle Begegnung, in R. L. Fetz, M. Rah e P. Schulz (a cura di), Studien zur Philosophie von Edith
Stein, cit., pp. 256-284 ; A. Ales Bello, F. Alfieri, M. Shahid (a cura di), Edith Stein – Hedwig Conrad-Martius.
3
Fenomenologia Metafisica Scienze, Bari, Laterza, 2010. EeS, ESGA 11/12, p. 45.
86 capitolo i
in entrambi i casi. Tutto ciò che è, nella misura in cui è, è qualcosa secondo il modo dell’essere
divino. Ma ad ogni essere, tranne che all’essere divino, è frammisto qualcosa del non essere. E
ciò ha conseguenze in tutto ciò che esso è. Dio è actus purus. 1
Tanto più un ente partecipa dell’essere divino, tanto maggiore è, evidentemente, il suo
grado di attualità. Ciò invece che è, senza essere in atto, ossia senza essere realmente
presente, è in potenza : e la potenza ovviamente è attribuibile solo alle creature. La pura
potenzialità è il modo di essere della materia, non si presenta però mai unicamente
come tale. Attualità e potenzialità sono così ribadite da Stein quali modi di essere (Seins-
weisen). Così, dopo aver distinto con acribia linguistica attualità e potenzialità, essere in
atto e in potenza, e atto e potenza, Stein si dedica nel dettaglio a cercare di definire che
cosa significhi appunto « modo di essere ».
La riflessione prende le mosse da una considerazione relativa alle unità di durata
(Dauereinheiten), con cui normalmente si ragiona nel quotidiano, e che di principio,
rispetto a quanto descritto, non sarebbero ammissibili. L’attualità è stata rinvenuta,
infatti, nell’istante momentaneo : ma il senso comune abitualmente ragiona con feno-
meni, ad esempio la paura, o la gioia etc… che si costituiscono in un lasso di tempo
(Zeitstrecke), e formano una unità di vissuto (Erlebniseinheit). La vita dell’io, il suo essere
vivo, è rappresentato proprio dal costituirsi (auf bauen) temporale di queste unità, in un
continuo divenire. Perciò Stein può ribadire, introducendo anche Eraclito e Parmenide
come paradigmi della contrapposizione, la distinzione tra l’essere eterno e immutabile
e quello temporale.
Divenire ed essere. Non si frantuma così anche per noi, con il riconoscimento di questo contrasto,
l’unità dell’essere ? E tuttavia questo abisso spalancatoci non deve farci perdere di vista la comu-
nanza complessiva che abbiamo riconosciuto nel nome analogia entis (conformità dell’essere in
ogni ente – una conformità tuttavia, a cui corrisponde una maggiore difformità). Il divenire non
è scindibile dall’essere, ossia dall’essere vero, in senso proprio, perché secondo il suo senso è un
passaggio all’essere (Übergang zum Sein). 2
Divenire ed essere sono quindi i modi di essere che si svelano nella vita dell’io ed in
particolare nelle unità di vissuto. Stein ribadisce comunque come l’idea dell’essere puro
sia, per l’appunto, una idea, e che ancora da chiarire resti la questione relativa alla sua
effettiva esistenza o meno.
Si analizza quindi la costituzione (qui, ancora, Auf bau) e le condizioni di essere
delle unità di vissuto ; si isola anzitutto il contenuto (Gehalt), che è ciò che le rende
unitarie ; poi la direzione (Richtung) con cui l’io si rivolge ad esso, ossia l’intenzione
fenomenologica, che impegna l’io in modi diversi anche contemporaneamente (ad
esempio intuizione di un oggetto e gioia rispetto ad esso). Inoltre, non è possibile ave-
re un vissuto, senza che l’io in qualche modo non venga con-vissuto. Si deve quindi
distinguere, rispetto all’io originario in cui si costituiscono i vissuti di coscienza, l’io
psicologico, che è trascendente tanto quanto l’oggetto. L’io dei vissuti di coscienza
viene invece definito, ancora in modo genuinamente fenomenologico, come io puro
(reines Ich).
Il flusso in cui si costituiscono (auf bauen) sempre nuove unità di vissuto è la sua [dell’io] vita.
Questo tuttavia significa qualcosa in più rispetto al semplice fatto che gli appartengono tutti i
contenuti di vissuto. L’io vive e la vita è il suo essere. 3

1 2 3
EeS, ESGA 11/12, P. 46. EeS, ESGA 11/12, p. 49. EeS, ESGA 11/12, p. 52.
analogia dell ’ ente 87

L’io ha una preminenza rispetto ai vissuti, che gli devono l’essere, stavolta nel senso del
portatore rispetto a ciò che viene portato ; e può avere diversi gradi di vita e vitalità.
Dopo aver chiarito la possibilità della presentificazione (Vergegenwärtigung), averla distinta
come modalità da quella con cui si offrono i fenomeni in modo originario (ursprünglich)
e averla accostata a quella dei vissuti altrui, con evidente eco delle ricerche sull’empatia
su cui avremo modo di tornare, Stein si sofferma altresì sui difetti che possono verificarsi
nella vita di coscienza (mancanze di memoria, sonno senza sogni etc…). L’io vive i propri
vissuti, ma se questi cessano, è vuoto ; diventa un nulla. I vissuti d’altronde non gli si pre-
sentano come un dominio privo di problemi ed illimitato. E, talvolta, l’io è decisamente
passivo nei confronti di essi. Un rumore o una gioia, ad esempio, possono invaderlo ed
impossessarsene. Qualcosa come una gioia, quindi, sembra provenire da una profondità
che in qualche modo è trascendente (jenseitige Tiefe) rispetto all’io stesso : tale profondità
si apre nel vissuto cosciente della gioia, senza tuttavia essere trasparente.
La vita cosciente dell’io è dipendente nei suoi contenuti da un doppio al di là (jenseits) (« tra-
scendenza » nel senso husserliano), da un mondo « esterno » e da un mondo « interno » che si
annunciano nella vita cosciente dell’io, nell’ambito di essere (Seinsbereich) che gli è inseparabile
(« immanenza » in senso husserliano). 1
Con la sua vita strutturalmente e costitutivamente temporale, sostiene Stein citando a
questo punto esplicitamente Martin Heidegger, e pur nella sua eminenza, l’io non è un
qualcosa che possieda il proprio essere in virtù delle sue capacità e delle sue forze, quan-
to un qualcosa di « gettato nell’esistenza » (ins Dasein geworfenes). L’io non possiede mai
veramente il proprio essere, che invece ha il carattere dell’essere « ricevuto » (empfangen),
ed è sottomesso ad una doppia trascendenza : da un lato quella dei fenomeni del mondo
esterno, rispetto ai quali però la vita di coscienza sembra poter essere costitutiva, secon-
do la descrizione husserliana della fenomenologia trascendentale che Stein, nelle linee
generali, sembra condividere ; ma questa trascendenza dei fenomeni pare poter essere
in qualche modo annullabile e, appunto, « riducibile » dall’io. Per altro verso, all’io si apre
una ulteriore « trascendenza », che proviene piuttosto dal suo interno, quella per esempio
di una gioia che lo pervade sino ad impossessarsene. Ed è proprio in questa direzione
che a nostro giudizio trova un ulteriore chiarimento la questione del presunto realismo
della fenomenologia di Stein. Anche la trascendenza dei fenomeni, infatti, viene recupe-
rata solo nel momento in cui essi possiedono una qualità tale da conquistare l’io, e ciò
può avvenire solo nel caso in cui si originino nella profondità dell’io stesso.
L’essere dell’io, sostiene Stein, è un essere che in ogni momento è posto di fronte al
nulla e che in ogni momento ha bisogno di ricevere l’essere. Tuttavia è, e viene mante-
nuto nell’essere con una certa costanza : per questo si trova altresì posto in prossimità
della pienezza dell’essere (die Fülle des Seins).
Le unità di vissuto, il cui essere è un divenire e un trascorrere, hanno bisogno dell’io per giun-
gere all’essere. Ma l’essere che ricevono tramite l’io non è l’essere eterno e senza cambiamenti
[…]. L’io sembra essere simile all’essere puro, perché raggiunge la vetta dell’essere non per un
solo momento, ma vi è mantenuto in ogni momento, certo non in modo immutabile, ma con
una condizione di vita costantemente mutevole. 2
Si ribadisce poi come l’essere dell’io conosca livelli diversi e vi siano perciò gradi di

1 2
EeS, ESGA 11/12, p. 56. EeS, ESGA 11/12, p. 58.
88 capitolo i
vicinanza all’idea della pienezza dell’essere, rispetto sia alla durata che alla profondità.
L’idea dell’atto puro è quindi la misura dell’essere dell’io : « ma come arriva a vedere
in esso anche la fonte o l’autore del suo proprio essere » ? 1 La nullità e sfuggevolezza del
proprio essere appaiono con chiarezza all’io quando questi pensa al proprio essere. Ma
anche l’angoscia (Angst), secondo la descrizione di Heidegger, porta per Stein l’uomo
direttamente di fronte al nulla del proprio essere. Questo stato, per un verso, esprime
una condizione che per Stein è oggettivamente propria dell’io : il non essere in pieno
possesso del proprio essere. Tuttavia questo stato è altresì descritto come una situazio-
ne malata, perché normalmente la condizione dell’io è quella di trovarsi in un essere il
cui possesso è percepito come sicuro. Che cosa significa questa percezione di sicurezza
che accostava l’essere dell’io all’ideale della pienezza ? È del tutto infondata ?
Assolutamente no. Perché al dato di fatto innegabile che il mio essere è fuggevole, limitato
nel tempo ed esposto alla possibilità del non essere corrisponde l’altro dato di fatto altrettanto
innegabile che nonostante questa mutevolezza io sono e, di momento in momento, io vengo
conservato nell’essere (im Sein erhalten) e che nel mio essere mutevole ne includo uno durevole.
So di essere conservato e ne traggo tranquillità e sicurezza – non la sicurezza autoconsapevole
dell’uomo che in virtù della propria potenza riposa su un terreno tranquillo, ma la dolce e beata
sicurezza del bambino che viene portato da un braccio forte – una sicurezza che, concepita og-
gettivamente (sachlich betrachtet), non è meno razionale. Oppure si potrebbe definire « razionale »
il bambino che avesse una paura costante che la madre lo possa far cadere ? 2
Ecco, dunque, il culmine personale dell’analogia : si tratta del rapporto tra un bambi-
no e sua madre. Cercando di descrivere in modo fenomenologicamente oggettivo la
vita dell’io, Stein ne ha messo in luce la dialettica tra essere e nulla. L’io ha un essere
che non è descrivibile come essere pieno, e perciò è sottomesso alla contingenza del-
la condizione temporale che lo espone al nulla. Tuttavia, altrettanto oggettivamente,
esso percepisce una sicurezza abitudinaria del proprio essere che permette di descrivere
l’angoscia come uno stato non ordinario. Da dove proviene allora all’io questa sicurez-
za ? Ecco la dinamica che per Stein permette di giungere alla conclusione dell’esistenza
dell’essere eterno. Tale dinamica pare essere in certo modo parallela, o anzi dipendere
direttamente da quella descritta precedentemente rispetto alla trascendenza interiore.
La qualità relativa al sentimento dell’io rispetto alla propria vita proviene da una pro-
fondità appunto interiore e si impossessa dell’io stesso. Tale qualità, ordinariamente, è
di sicurezza ; ma non si tratta di un terreno assolutamente certo, perché costantemente
esposto alla mutevolezza e alla possibilità del nulla. L’angoscia nei confronti del nulla, a
sua volta, non pare essere descrivibile come condizione normale dell’io. Perciò questo
senso di certezza, in cui l’io si percepisce costantemente immerso e che quindi gli è
trascendente, va ricondotto ad altro.
Nel mio essere io mi imbatto (ich stoße) in un altro che non è mio ma che è sostegno e fonda-
mento del mio essere che invece in sé è privo di sostegno e fondamento. Lungo due percorsi
posso giungere a riconoscere come l’essere eterno questo fondamento del mio essere in cui io mi
imbatto in me stesso. La via della fede […], [che] non è quella della conoscenza filosofica [e] la
via del pensiero logico e consequenziale (das schlußfolgernde Denken), percorsa invece dalle prove
dell’esistenza di Dio. Fondamento e autore del mio essere, così come di ogni essere finito, può in
conclusione essere solo un essere che al contrario di ogni essere proprio dell’uomo, non sia un

1
EeS, ESGA 11/12, p. 59.
2
EeS, ESGA 11/12, pp. 59-60. Già citato : cfr. nota 3 a p. 12 dell’Introduzione.
analogia dell ’ ente 89
essere ricevuto : deve invece provenire da sé ; si tratta di un essere che, al contrario di tutto ciò che
ha un inizio, non può non essere, ma è necessario. 1
Si noti come la considerazione precedentemente esposta del vissuto religioso di fidu-
cia, l’indagine fenomenologica della coscienza interna del tempo, i termini heidegge-
riani e le categorie aristoteliche e tomiste di potenza ed atto siano chiamate in causa in
una mossa teorica originale. L’analogia dell’essere, letta temporalmente, diviene una
analogia della persona.
Ma Stein si riferisce qui esplicitamente ancora a Hedwig Conrad-Martius e alla sua
formulazione di una prova dell’esistenza di Dio così formulata : « Se si dà l’esistenza
temporale […] allora si dà anche l’esistenza eterna ». 2 Stein infatti vuole rimarcare che
non si tratta tanto di un passaggio logico del tutto argomentato, quanto di una perce-
zione molto oscura (ein sehr dunkles erspüren).
La sicurezza d’essere che avverto nel mio essere mutevole rinvia ad un ancoraggio nell’ultimo
sostegno e fondamento del mio essere […] . Si tratta di una percezione molto oscura, che a
malapena si può definire « conoscenza ». […] . Il pensiero logico e consequenziale conia concetti
nitidi, ma anche questi non sono in grado di cogliere l’incomprensibile, e anzi lo ricacciano in
quella lontananza che è propria di tutto ciò che è concettuale. La via della fede ci offre più della
via della conoscenza filosofica : il Dio della vicinanza personale, amorevole e misericordioso, e
con una certezza che non è propria di alcuna conoscenza naturale. Ma anche la via della fede
è oscura. Dio stesso abbassa il suo linguaggio ai canoni umani per renderci comprensibile l’in-
comprensibile. 3
Anche qui viene chiamata nuovamente in causa l’autorità di Agostino, prima di citare
la rivelazione del nome di Dio secondo il racconto dell’Esodo, per cui all’« io sono colui
che sono » viene affiancato anche « il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe » come
nome che Mosè deve comunicare agli Israeliti. Con queste righe, quindi, si conclude il
capitolo steiniano.
1 2 3
EeS, ESGA 11/12, p. 60. EeS, ESGA 11/12, p. 60, nota 54. EeS, ESGA 11/12, p. 61.
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1. L’analogia della persona in Essere finito ed essere eterno

Capitolo ii
ANALOGIA DELLA PERSONA

1. L’analogia della persona in Essere finito ed essere eterno

S tein riprende esplicitamente la questione dell’analogia entis nel sesto capitolo di


questo volume, intitolato « il senso dell’essere » (der Sinn des Seins). Nel percorso che
separa questa trattazione dalle analisi del secondo capitolo che abbiamo seguito nel
dettaglio, Stein procede secondo la via che definisce « aristotelica », ossia di risalita al
« senso dell’essere » attraverso l’analisi del mondo esterno, giustapponendola al percor-
so invece « agostiniano » che aveva ispirato l’analisi dell’io. Dopo aver descritto, ancora
una volta con chiaro riferimento all’impostazione fenomenologica, l’essere essenziale,
e aver cercato di districarsi nella selva di termini con cui la tradizione prima greca,
poi latina, e infine della filosofia tedesca definiscono l’essenza, la sostanza, la forma,
il sostrato, l’ipostasi, etc…, Stein giunge alla disamina dell’ente in quanto ente e quin-
di, seguendo Tommaso ed in particolare, evidentemente, il primo articolo della prima
questione delle Quaestiones de veritate, alla descrizione dei trascendentali. Queste analisi
danno luogo a posizioni molto originali su diverse questioni, quali lo statuto ontolo-
gico delle essenze, la conciliazione tra intuizione intellettuale e astrazione metafisica,
o, soprattutto, la scelta, decisiva a livello antropologico, relativa al problema dell’in-
dividuazione. Cerchiamo di seguirne rapidamente qualche passaggio, limitandoci ad
evidenziare ciò che è funzionale in generale al nostro tema : in particolare, si tratta di
osservare come il percorso di Stein si prefigga di giungere al senso dell’essere in sé, e
proceda in tale percorso di ascesa (Aufstieg) con il chiarimento della struttura dell’ente
nelle sue qualificazioni prima categoriali e poi trascendentali.
Nel terzo capitolo Stein inizia ad interrogarsi sui rapporti tra temporalità e finitezza,
termini che per ora sono stati usati pressoché come sinonimi, notando che non tutto
ciò che è finito è necessariamente temporale. 1 I vissuti del flusso di coscienza, infatti,
possiedono almeno un aspetto che permane nonostante la loro mutevolezza : una gioia
specifica può manifestarsi e poi scomparire, ma ciò non avviene della gioia in quanto
tale. Si tratta, per Stein, della questione dell’essenzialità (Wesenheit) : secondo il « plato-
nismo » tipico soprattutto del primo Husserl, di cui abbiamo detto, l’aspetto essenziale
è espressamente descritto come necessario alla costituzione dei vissuti singoli : è certa-
mente vero, da una parte, che se non si desse mai una gioia concreta tale sentimento
non sarebbe di fatto sperimentabile, ma è altrettanto vero, per altro verso, che se non
ci fosse una preminenza ontologica dell’essenzialità (Wesenheit) « gioia », un vissuto spe-
cifico di quel tipo non potrebbe mai formarsi secondo quel determinato modo. Senza
la gioia reale non si può dare quindi solo l’esperienza della gioia, il vissuto della gioia ;
la gioia in sé invece, appunto nella sua essenzialità, è per Stein indipendente. Senza la
presenza delle essenzialità, la vita dell’io risulterebbe allora un caos inestricabile, per-
ché non sarebbe possibile il costituirsi di qualcosa come un senso e la comprensibilità :
ma – si chiede allora l’autrice – che significa il termine « senso » (Sinn) ?

1
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 62 ss.
92 capitolo ii

Non possiamo né dirlo, né spiegarlo, perché si tratta del fondamento ultimo di tutto il dire e di
tutto lo spiegare […] . Senso e comprensione si appartengono reciprocamente (Sinn und Verstehen gehö-
ren zueinender). Senso è ciò che può essere compreso, e comprendere è coglimento di senso […]
« Ratio » (procedimento logico) è deduzione di senso da senso o riconduzione da senso a senso. 1
Qui si giunge quindi alla questione della sfera originaria del comprendere e del signifi-
care, e Stein porta avanti considerazioni che abbiamo ritrovato anche nel suo dialogo
immaginario tra Husserl e Tommaso, laddove si evidenziava la questione della ratio
della ratio. La fenomenologia e il pensiero dell’Aquinate, entrambi presi in senso lato,
erano considerati come due impostazioni di pensiero simili, condividendo appunto la
ricerca del fondamento del sapere razionale.
Stein si dilunga quindi in una complessa disamina relativa all’essere essenziale, di
cui possiamo accennare appunto solo qualche tratto fondamentale. Le essenzialità
non andrebbero confuse con i concetti formati dall’intelletto, con le parole che si usa-
no per nominarle o con i vissuti in cui vengono conosciute. Si tratta perciò di affronta-
re il problema di che specie di essere posseggano, e di determinare in che misura esso
si differenzi da quello dell’atto puro, rispetto al quale evidentemente non posseggono
lo stesso grado di perfezione (pur non essendo sottoposte alla temporalità, sono co-
munque affette dalla finitezza) e da cui sono distinte anche per l’assenza di effettività
reale. L’essere delle essenzialità, che non è reale (wirklich) nel senso in cui lo è quello
degli enti che normalmente si definiscono esistenti, non può tuttavia nemmeno dirsi
assolutamente un « non essere », perché lo si è descritto quale condizione di possibilità
degli stessi esseri reali. Per ora Stein definisce quindi tale essere come essere essen-
ziale (wesenhaftes Sein). L’essenzialità in sé non è definibile, perché è condizione di
possibilità della definizione stessa. Questa indefinibilità e questo primato sono altresì
legati, in modo estremamente interessante, ad un argomento, per così dire, di tipo
fenomenologico-esperienziale. Non si può sapere cos’è una gioia, se non se la si vive
personalmente :
È stato detto : le essenzialità non si possono definire. Nessuno mi può rendere comprensibile
che cos’è la gioia, se io non ho vissuto una gioia in prima persona. Se ho fatto esperienza di una
gioia, allora capisco anche cos’è la gioia « in sé » (Freude überhaupt). 2
L’essenzialità, quindi, è legata in modo immediato all’esperienza fenomenologica e non
alla definizione. È invece l’essenza (Wesen) l’elemento che, declinando l’essenzialità nei
singoli enti, permette la risposta alla domanda classica sul « che cos’è », e determina
« l’essere tale » (Sosein) di questo o quell’oggetto, venendo a sua volta a costituire la base
per l’apprensione del concetto, che è foggiato invece dall’intelletto. Ogni cosa ha la sua
essenza e a sua volta ogni essenza deve essere essenza di qualcosa.
Dopo aver distinto di conseguenza il significato universale e quello individuale
dell’essenza, per cui una gioia particolare deve possedere un’essenza particolare, Stein
affronta la questione del valore dei nomi, sostenendo che ciò che esprimono propria-
mente ed in ultima analisi sono le essenzialità. Se non esprimessimo altro, tuttavia, la
lingua sarebbe costituita solo da nomi propri : ma non è possibile possedere una cono-
scenza delle essenze così precisa. Stein trova quindi spazio, in una interessante nota, per
descrivere come proprio dall’interpretazione husserliana della visione d’essenza, che

1 2
EeS, ESGA 11/12, pp. 65-66. EeS, ESGA 11/12, p. 68.
analogia della persona 93
porrebbe l’attenzione solo sul suo versante universale, recidendone ogni legame con la
realtà, si sarebbe potuta originare la sua successiva concezione idealistica. 1
Si pone a questo punto il problema della possibilità di mutazione dell’essenza : nello
sviluppo dell’essere umano, ad esempio, si registrano cambiamenti tali che permettono
di ipotizzare un cambiamento di essenza nello stesso individuo : Stein allora teorizza
un necessario terzo elemento che « abbraccia e fonda il passaggio dall’una all’altra », 2 e
che viene definito come « nucleo essenziale » (Wesenskern). Viene ripresa e approfondita
poi l’analisi dell’essere essenziale in rapporto alla potenza e all’atto, e si osserva come
per l’essere essenziale si debba parlare, con riferimento all’espressione aristotelica tò tì
en einai, di mancanza di mutamenti temporali, di un essere in quiete, che in tedesco
verrebbe reso dal verbo wesen : la distinzione di Tommaso tra esse ed essentia potrebbe
perciò essere resa, secondo Stein, da quella wesen-Wesen (essere in quiete-essenza). 3 Le
essenze tuttavia non sono in grado di produrre per virtù propria il passaggio all’essere
reale, altrimenti non avrebbero un semplice essere quiescente, ma una efficacia creatri-
ce, attribuibile invece solo alla perfezione compiuta dell’atto puro. 4 Rispetto alle que-
stione degli universali, infine, l’autrice definisce la sua concezione come intermedia tra
platonismo e realismo moderato, assimilandola a quella scotista e ritoccando Tomma-
so grazie all’assegnazione di un essere indipendente alle essenzialità, oltre a quello che
invece esse possiederebbero nello cose reali-attuali o nello spirito umano, ossia l’essere
in quiete. 5 Stein tira a questo punto le somme :
Guardiamo indietro alla via che abbiamo percorso. Abbiamo preso le mosse dall’incancellabile
dato di fatto del nostro essere, che si è rivelato mutevole, limitato di momento in momento e
perciò impensabile senza un altro essere, fondato in se stesso, creatore, signore di tutto l’essere,
che fosse l’essere stesso. Abbiamo inoltre incontrato qualcosa di altro che sorge nel nostro essere
scorrevole e mutevole […] [e che] per quanto sorto nel flusso del tempo, appare esserne sottrat-
to e privo di tempo. Il flusso temporale, l’avere esperienza di vissuti (Erleben) […] è sottoposto
a leggi che determinano il suo andamento […] . È una molteplicità di unità di senso diverse per
contenuto e reciprocamente separate. Il « mondo reale » […] è fondato in questo « regno del sen-
so » (Reich des Sinnes) e ha in esso il fondamento della sua possibilità. Le unità di senso sono finite
(endlich), nella misura in cui « sono qualcosa e non tutto ». Ma non hanno possibilità di inizio e
fine nel tempo. 6
A questo punto, con una mossa tanto decisa quanto rapida, Stein sostiene ciò che già in
alcuni passaggi precedenti aveva lasciato intendere, ossia che anche l’essere essenziale
non può essere pensato autonomamente rispetto a quello divino e che tale essere divi-
no va pensato come personale.
L’essere « fuggevole » non è di possesso dell’ente che è fuggevole : gli deve essere donato in modo
sempre nuovo. Solo chi possiede veramente l’essere, tuttavia, e chi ne è signore, lo può donare.

1 2
Cfr. EeS, ESGA 11/12, p. 82, nota 45. EeS, ESGA 11/12, p. 82.
3
Il tedesco wesen, quale verbo, indica l’essere presente e attivo, soprattutto nel suo fondamento, per cui
si capisce come Stein possa definirlo anche come essere oltre i mutamenti temporali. « Come tutto il movi-
mento tende alla quiete, così ogni divenire ha di mira un essere in quiete (wesen) » (EeS, ESGA 11/12, p. 90).
Sembra perciò appropriata la traduzione italiana proposta da Luciana Vigone in Essere finito ed Essere eterno,
Roma, Città nuova, 1988, p. 131, di wesen con « essere in quiete », perché si fa qui riferimento in particolare
al momento temporale.
4
Sull’indistizione in Dio, secondo Stein, dell’essere attuale-reale e di quello essenziale cfr. anche M. C.
Baseheart, Person in the World, Dordrecht-Boston-London, Kluwer, 1997, p. 93.
5
Cfr. sul tema A. Höflinger, Das Universalienproblem in Edith Steins Werk „Endliches und ewiges Sein“,
6
Freiburg Schweiz, Universitätsverlag, 1968. EeS, ESGA 11/12, p. 99.
94 capitolo ii
Ed essere signore è possibile solo per chi è persona. Ma egli non sarebbe signore dell’essere se
qualcosa si sottraesse al suo potere sull’essere : se si desse un essere o un non essere indipenden-
temente da lui. Così, anche l’essere delle unità di senso non può essere indipendente da Dio.
Decade così nel flusso del tempo ? Anche questo non è possibile. 1
Le unità di senso, tutto l’essere essenziale nelle sue diverse forme, infatti, pur non es-
sendo temporali, non possiedono l’essere per autonoma virtù. È l’essere dell’io che le
rende reali e dona loro l’essere ; ma l’essere dell’io, a sua volta, era stato descritto come
un essere ricevuto da altro, ossia dall’essere eterno.
Il « senso » si è mostrato certamente come la legge che domina questo flusso e che riposa in se
stessa. Ma davvero le unità di senso riposano « in sé » ? L’essere che attribuiamo loro è veramen-
te loro ? Quando una unità di senso diviene reale in me, allora sono io ciò che riceve l’essere in
dono, e attraverso l’essere che mi è donato essa diviene reale. Ma non è l’essere che dà la forma
all’unità di senso a donarmi l’essere ; invece, assieme all’essere mi viene donato questo senso, e
io vengo formato attraverso di esso. Ciò che mi dà l’essere e che allo stesso tempo colma questo
essere di senso deve essere non solo signore dell’essere, ma anche del senso. 2
A livello di essenze si riproduce una dinamica parallela a quella che si è descritta come
propria della vita dell’io trascendentale. La descrizione cioè di una regione di essere
dall’eminenza particolare, e che tuttavia non può trovare in se stessa il motivo ultimo
del suo consistere. In particolare, Stein descrive il fondamento del senso nel logos che
per la tradizione cristiana è la seconda persona della Trinità, e descrive a sua volta la
relazione interna alla vita divina come fondata su un’unica essenza ma su diversi esseri
reali, che hanno origine nella persona del Padre, a cui Stein rimanda anche l’interpre-
tazione dell’arché dell’incipit del Vangelo di Giovanni. In realtà però, prosegue l’autrice,
in Dio essere ed essenza non possono nemmeno venir pensati distinti e se si riuscisse a
intendere questo pensiero in tutta chiarezza si avrebbero i fondamenti per una “prova
ontologica dell’esistenza di Dio” », 3 che, sostiene Stein, in senso stretto non sarebbe
nemmeno una prova che pretende di concludere logicamente, ma solo una declinazio-
ne dell’idea secondo la quale l’esistenza di un Dio sarebbe autoevidente, sulla scorta del
fatto che Dio è il suo stesso essere : tale tipo di passaggio non sarebbe rifiutato nemme-
no da Tommaso, che negherebbe la possibilità reale per l’intelletto umano di cogliere
direttamente l’essenza divina ; solo in conseguenza di ciò, infatti, Tommaso negherebbe
anche la possibilità di avere una certezza immediata della sua esistenza. Perciò, sostiene
Stein, non è giustificato l’argomento confutatorio della prova ontologica che a volte
si attribuisce a Tommaso, ossia quello di un illegittimo passaggio dal piano logico a
quello ontologico, perché si tratta invece dello spostarsi dall’essenza all’essere, movi-
mento che però in Dio non va visto come un salto, perché i due elementi coincidono.
Tuttavia non è possibile per la mente umana dare riempimento adeguato all’intenzione
di un’essenza che sia solo essere. Nel « paradosso proprio dello spirito umano, nel suo
essere teso tra finitezza e infinità » 4 – sostiene Stein con una considerazione che sembra
richiamare il principio dinamico dell’analogia di Przywara – è il destino della prova
ontologica, che trova quindi sempre nuovi sostenitori e detrattori. 5

1
EeS, ESGA 11/12, p. 100. Già citato : cfr. nota 4 a p. 12 dell’Introduzione.
2 3 4
EeS, ESGA 11/12, p. 100. EeS, ESGA 11/12, p. 103. EeS, ESGA 11/12, p. 104.
5
Sulla base del realismo fenomenologico e della conoscenza essenziale J. Seifert ha tentato una ripro-
posizione dell’argomento ontologico in Gott als Gottesbeweis, Heidelberg, Universitätsverlag Carl Winter,
1996.
analogia della persona 95

Chi si è spinto sino al pensiero dell’essere divino – dell’« atto puro », primo, eterno, infinito – non
può sottrarsi alla necessità d’essere che vi è racchiusa. Non appena però egli cerca di coglierlo
come si è soliti cogliere qualcosa di adeguato alla conoscenza, allora esso gli si sottrae e non ap-
pare più come un fondamento sufficiente per costruirvi l’edificio di una prova. Al credente, che
nella fede è certo del suo Dio, appare talmente impossibile il pensare Dio come non esistente,
che fiducioso intraprende l’opera di convincere l’insipiens dell’esistenza di Dio. Il pensatore che
applica il metro della conoscenza naturale indietreggia sempre di nuovo di fronte al salto sopra
l’abisso. Ma le prove a posteriori […] hanno forse miglior fortuna ? Quanti non credenti hanno
acquisito la fede grazie alle prove dell’esistenza di Dio di Tommaso ? 1
Il problema, dunque, è visto soprattutto nella strutturale limitatezza dell’essere uma-
no, così che anche in questo caso la dinamica centrale sembra essere proprio quella
del principio dell’analogia, cui ancora una volta Stein fa implicitamente riferimento in
queste righe :
Ma poiché Dio non è comprensibile per noi né come essere, né come essenza, poiché ci avvici-
niamo a lui solo con l’aiuto di immagini finite nelle quali essere ed essenza sono separate, questo
avvicinamento si verifica talvolta sul versante dell’essenza, talvolta su quello dell’essere, e perciò
parliamo come di un qualcosa di diviso di ciò che in sé non è divisibile. 2
E proprio l’analogia viene esplicitamente chiamata in causa come principio per chia-
rire, ad esempio, il rapporto tra Logos come persona divina e logos come senso, se-
condo una dinamica di corrispondenza e non corrispondenza (Übereinstimmung-
Nichtübereinistimmung). 3 Il rapporto per cui il logos di tutto consisterebbe nel Logos non
va naturalmente pensato in modo panteistico, secondo Stein, ma come una « totalità di
senso » (Sinn-Ganze), la cui immagine più significativa si ritroverebbe nella vita di ciascu-
no, in cui sembrerebbero intrecciarsi eventi intenzionali e eventi casuali ; essi sono tali
però solo apparentemente, perché osservati dopo un certo tempo apparirebbero dotati
di un significato chiarentesi definitivamente grazie all’eterno.
Ho intenzione di condurre alcuni studi e mi cerco un’università che offra garanzie di un certo
tipo nella mia disciplina. Si tratta di un nesso sensato e comprensibile. Il fatto che io in quella
città conosca un uomo, che anche « per caso » studia là, e il fatto che un giorno « per caso » parli
con lui di questioni esistenziali (weltanschauliche Fragen), mi sembra invece a prima vista un nesso
assolutamente non prevedibile. Ma quando dopo anni rifletto sulla mia vita, allora mi diviene
chiaro che quel colloquio ebbe un influenza decisiva su di me, e che forse è stato « più essen-
ziale » di tutto il mio studio, e giungo quindi all’idea, che forse « proprio per quello » io « dovevo
andare » in quella città. Quello che non era nel mio progetto, giaceva invece nel progetto di Dio.
E quanto più spesso faccio questa esperienza, tanto più viva si fa in me la convinzione di fede
che – dal punto di vista di Dio – non esiste il « caso », e che la mia intera esistenza sin nei suoi
particolari è prefigurata nel progetto della divina provvidenza, e che all’occhio onniveggente di
Dio è un nesso di senso compiuto. 4
Per Dio nulla avviene per caso, e nel lume della gloria tutto sarà svelato nel suo senso
definitivo, non solo l’esistenza individuale, ma anche quella dell’umanità.
Così giungiamo ad un doppio significato dell’essere del finito nell’Eterno : al venir compreso di

1 2
EeS, ESGA 11/12, p. 104. EeS, ESGA 11/12, p. 105.
3
Stein osserva come la traduzione tedesca della Summa, secondo il principio di “germanizzazione” dei
termini tedeschi di cui si è detto, parli di Verhältnisgleichheit (cfr. EeS, ESGA 11/12, p. 105, nota 110).
4
EeS, ESGA 11/12, pp. 106-107. Già citato : cfr. nota 1 alla p. 19 dell’Introduzione.
96 capitolo ii
ogni « senso » nello spirito divino e all’essere fondato archetipico e causativo di tutto l’ente (alles
Seienden) nell’essenza divina. 1
Nella prima parte delle indagini qui svolte, conclude allora Stein, si è potuti giungere
all’essere eterno : dapprima a partire dall’analisi dell’essere finito ed in particolare nella
struttura dell’io e dei suoi vissuti, e poi nell’indagine delle essenze. La migliore conci-
liazione dei due risultati avviene secondo l’autrice su un piano teologico, nell’accenna-
ta trattazione della Trinità. In questo senso, dunque, l’ambito rivelato verrebbe in aiuto
delle questioni filosofiche, secondo una modalità di cooperazione che più avanti, trat-
tando della comprensione steiniana della filosofia cristiana, avremo modo di descrivere
nel dettaglio. Va notato, inoltre, come tutte le direzioni di ricerca intraprese possiedano
una caratterizzazione che mette in luce l’aspetto personale. Sia nel punto di partenza
individuato nell’io ; sia nel punto di arrivo, in un ente che per poter donare l’essere
deve avere caratteristiche di tipo personale ; sia nella dinamica esistenziale di angoscia
e fiducia ; sia nel senso teorico per cui solo la nozione di persona esprime la possibilità
di signoria sull’essere. L’esito trinitario, che più avanti verrà ribadito da Stein, è dun-
que particolarmente significativo sia a livello metodologico, sia a livello contenutistico,
come anche noi potremo ancora rimarcare.
Una sottolineatura dell’aspetto personale è rinvenibile anche nel lungo e complesso
quarto capitolo in cui Stein prosegue il suo cammino di ascesa al senso dell’essere dedi-
candosi alle categorie classiche della metafisica aristotelica, e in particolare allo spinoso
problema dell’ousia ; l’attenta e articolata trattazione steiniana, che riprende e appro-
fondisce anche in questo caso molti elementi già introdotti in Potenza ed atto, si profila
ancora una volta come un interessante tentativo di conciliare le nozioni della filosofia
classica con un punto di vista fenomenologico, impostato in questo caso soprattutto
sulla distinzione tra ontologia formale e materiale.
Di queste dettagliate analisi – che, vale la pena notarlo, meriterebbero una trattazio-
ne autonoma che ne mostrasse i nessi e l’originalità rispetto al contesto neoscolastico
e fenomenologico – ci interessa qui sottolineare solo qualche elemento di carattere
generale utile ad un inquadramento delle tesi fondamentali di Stein e del loro influsso
rispetto alla questione che intendiamo seguire nel dettaglio. L’autrice sembra anco-
ra una volta cercare una conciliazione tra aristotelismo e platonismo, così come una
piegatura, per così dire, « genetica » e « dinamica » della metafisica classica. 2 Se dunque
Aristotele sembra oscillare, nella definizione dell’ousia, tra l’individuo composto di ma-
teria e forma e l’essenza, l’opinione che Stein qui ribadisce è quella per cui la morfé
indica piuttosto la forma essenziale (Wesensform), ossia la guida del processo per cui
« tutto ciò che appartiene all’essere [di un individuo] è cresciuto come da una radice
unitaria ». 3 Considerata in sé essa è una forma pura (eidos), in cui essere ed essenza non
sono distinguibili, e che poi nella realtà orienta il dispiegarsi dell’individuo secondo le
sue caratteristiche.
Anche per quanto riguarda la nozione di materia Stein introduce delle novità rispetto
alla concezione classica : si sottolinea il problema di descriverla come un qualcosa di in-

1
EeS, ESGA 11/12, p. 109.
2
Come la metafisica steiniana sia improntata ad un dinamiso radicato nella temporalità, e dunque ri-
chiami in qualche modo Bergson, è stato sottolineato in M. Barukinamwo : cfr. Edith Stein. Pour une ontolo-
gie dynamique, ouverte à la trascendance totale, Frankfurt a.M.-Bern, P. Lang, 1982.
3
EeS, ESGA 11/12, p. 141.
analogia della persona 97
determinato, ma non completamente tale, perché non potrebbe coincidere con il nulla,
venendo a riproporsi la necessità della definizione della materia in sé, separata dalla
forma, e che viene trovata nella determinabilità (Bestimmbarkeit) : tale essere proprio e
in un certo modo indipendente, che viene attribuito da Stein alla materia sulla scorta
di Duns Scoto, non toglie comunque il fatto che essa venga sempre necessariamente
creata assieme alla forma. Si espone poi ancora, come già in Potenza ed atto, la distinzio-
ne tra Stoff e Materie, cioè tra una pienezza sostanziale estesa e una pienezza pesante
opaca, che viene ripresa a sua volta dalle analisi di Conrad-Martius e dal suo tentativo di
proporre appunto una concezione dinamica della natura accanto a quella atomistica. 1
Dopo la discussione delle nozioni di sostrato o soggetto (upokeimenon) e di sostanza
o supporto (ipostasis), questo capitolo si chiude quindi con la descrizione di come il
culmine della natura sia da rilevare negli esseri viventi ; e mentre negli esseri inferiori
l’unità di materia e forma è inscindibile, per i viventi invece l’anima è un principio ulte-
riore, che però poi diviene anche forma dell’intero.
È quindi la teoria husserliana dell’intuizione intellettuale nel senso di visione dell’es-
senza ad aprire il capitolo quinto, dedicato ai trascendentali. Secondo Stein, la Wesens-
schau non rappresenta una sorta di illuminazione, ma un processo cognitivo che, in
quanto fondato nella percezione sensibile, sarebbe compatibile con la teoria classica
dell’astrazione – altro tema, questo, meritevole di una dettagliata e autonoma tratta-
zione e che qui si deve solo menzionare rapidamente. L’autrice sostiene come detta in-
tuizione intellettuale possa riguardare sia aspetti materiali e contenutistici, che formali,
anche se i primi verrebbero intuiti sempre necessariamente per mezzo dei secondi. Il
termine formale più generale – ecco quindi introdotti i trascendentali – è l’« oggetto »
in senso più ampio (aliquid), capace di comprendere non solo le categorie, ma anche
tutto l’ente (alles Seiendes) in generale : solo del primo ente dunque non si può predicare
che sia « qualcosa » senza limitarlo. I trascendentali della tradizione scolastica, infatti,
rappresentavano com’è noto i termini più generali applicabili universalmente e quindi,
per definizione, eccedenti le categorie, che invece determinano sfere di enti limitate.
Per Tommaso, in particolare, che anche per questo tema svolge il ruolo di autorità di
riferimento della tradizione, i trascendentali erano ens, res, unum, aliquid, bonum e ve-
rum : nel pensiero dell’Aquinate, come abbiamo visto in apertura, l’ente in sé indicava
positivamente solo la res (che però si riferiva più propriamente alla quiddità), l’uno era
rivolto all’indivisione e l’aliquid alla contrapposizione con un altro, mentre i restanti
trascendentali venivano definiti grazie al rapporto con l’ente che ha la caratteristica es-
senziale di convenire con ogni ente, ossia l’anima (nel suo volere e nel suo conoscere).
Abbiamo detto di come la dottrina dei trascendentali sia interconnessa con la compren-
sione analogica dell’ente ; la nozione di ens, nota qui Stein, deve altresì abbracciare, in
qualche modo, sia l’essere creato che quello increato.
Il concetto trascendentale fondamentale è quello dell’« ens ut ens » (on e on), dell’ente in quanto
tale. Secondo Gredt va concepito in modo così generale da comprendere in sé sia l’ente creato
che quello increato, e così sia l’ente reale che quello possibile (attuale e potenziale), poiché solo
l’ente increato è atto puro, mentre tutto il reale creato è in parte attuale e in parte potenziale. Ma
proprio questa è la grande questione, se e come una tale costruzione concettuale che riassuma
il creato e l’increato sia possibile (ossia giustificabile oggettivamente). 2
Con riferimento a Gredt, Stein distingue qui poi il significato di ente come sostantivo
1 2
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 153 ss. EeS, ESGA 11/12, p. 246.
98 capitolo ii
da quello di ente come participio : in quest’ultimo senso, secondo Gredt, sarebbe per-
tinente solo per Dio, in quanto nell’essere finito si dovrebbero distinguere l’essere e il
quod est e quindi l’essere sarebbe qualcosa di aggiunto esternamente. L’essere come
nome invece indicherebbe in qualche modo qualsiasi cosa che, sotto qualsivoglia for-
ma, è ; dunque soprattutto l’aspetto di « cosalità ». Stein tuttavia contesta questa divi-
sione, sostenendo che anche nel nome di « ente » sarebbe immediatamente incluso il
suo significato di participio. Il significato di « cosa », d’altronde, viene adeguatamente
espresso dalla res. 1
Sulla scorta dell’analisi dei trascendentali, quindi, ed in particolare della Überinestim-
mung dell’anima con l’ente, che è chiamata in causa dal « vero » e dal « buono », Stein può
ulteriormente differenziare la verità logica (adeguazione del sapere con l’oggetto, ossia
la verità del giudizio), dalla verità ontologica (come autenticità dell’ente sulla base della
sua forma pura) e da quella trascendentale (la proprietà dell’essere manifesto di un ente
nel momento in cui viene conosciuto, che non era considerata dalla verità logica e che
appartiene costitutivamente ad ogni ente). Secondo Stein si può altresì parlare di verità
artistica (che consisterebbe in un rapporto speciale tra l’artista, l’idea pura e la materia)
e verità divina (si tratterebbe di un sapere dall’eternità, sapere creatore e in cui sareb-
be impossibile avere distinzioni, elemento questo che a sua volta ridurrebbe, secondo
Stein, la portata della tradizionale disputa tra intellettualismo e volontarismo). In Dio
essere e verità coincidono, dunque non si può parlare propriamente di una relazione tra
i due elementi, mentre per gli spiriti creati la perfezione ha fondamento nella relazione
con il divino e si guadagna progressivamente attraverso il rapporto con gli altri enti cre-
ati. Si può notare qui il riproporsi dell’andamento steiniano descritto in apertura, con
l’essere degli enti trascendentalmente manifesto all’io, e tuttavia fondato ultimamente
nell’essere divino.
Con la trattazione dei trascendentali, quindi, Stein è giunta al culmine del suo cam-
mino di ascesa al senso dell’essere attraverso il mondo esterno, riassunto in queste
nozioni fondamentali che abbracciano tutto. Il serrato confronto con molti elementi
fondamentali della classica tradizione metafisica, letti originalmente, ancora una volta,
alla luce di un’impostazione fenomenologica, ha condotto sino al « senso dell’essere »,
cui espressamente viene dedicato il sesto capitolo dell’opera.
Possiamo tentare ora di determinare il contenuto di senso (Sinnbestand) comune a tutto l’essere
(finito) : essere finito è il dispiegarsi di un senso ; essere essenziale è dispiegamento privo di tempo al di là
della contrapposizione tra potenza ed atto ; essere reale è il dispiegamento da una forma essenziale dalla
potenza all’atto, nel tempo e nello spazio. Essere pensato è dispiegamento in un senso molteplice. 2
A questo punto si pone chiaramente il problema della pluralità degli tipologie di enti
e, ancora più in generale, degli enti tout court rispetto all’idea e al discorso di un essere
unico.
Quando definiamo l’essere come uno non intendiamo l’unità di un qualcosa di « generale » ; non
è un genere che si divide in specie e si isola in individui. Quando S. Tommaso afferma che l’ente
non è un genere, siccome sta trattando dell’ente in quanto tale, la sua affermazione vale anche
per l’essere. Resta allora la questione di che senso mantengano il discorso sulle diverse modalità

1
Il testo di Gredt a cui si fa riferimento è : I. Gredt, Elementa Philosophiae aristotelico-thomisticae, Freiburg
i. B., Herder, 1931. Sulla dottrina steiniana dei trascendentali cfr. A. Bejas, Vom Seienden als solchen zum Sinn
des Seins. Die Transzendentalienlehre bei Edith Stein und Thomas von Aquin, Frankfurt a.M.-New York, Peter
2
Lang, 1994. EeS, ESGA 11/12, pp. 284-285.
analogia della persona 99
di essere (Seinsweisen), il discorso su un ente singolo contrapposto ad un altro (ossia di un’unità
numerica) e il discorso su un essere che appartiene ad ogni singolo ente come il suo proprio
essere. 1
Dopo aver fatto riferimento al senso comune che sempre già assume come un dato di
fatto l’esistenza di una molteplicità di enti reciprocamente indipendenti, e aver fatto
rapido cenno al tentativo di correzione aristotelica della filosofia degli eleati, Stein cer-
ca di impostare il problema del rapporto tra unità e pluralità dell’essere partendo da
quanto aveva guadagnato poco prima in una riflessione sui trascendentali del buono e
del bello, ossia di una unità che è data dall’ordine armonioso delle parti. Tale unità però
è stata descritta come divisa secondo molteplici livelli di complicazione, nell’essere na-
turale realmente esistente, in quello spirituale con la sua intenzionalità e in quello es-
senziale. Tutte queste specie di essere sono fondati nell’essere divino, in cui è racchiusa
ogni pienezza di essere.
Si è detto in precedenza che il divenire reale di un quid (Was) essenzialmente possibile non è
comprensibile né a partire dall’essere essenziale (come essere di una struttura di significato limi-
tata) né a partire dall’essere reale (come essere di un finito reale), ma solo a partire da un essere,
che è al contempo essenzialmente e realmente e che è entrambe le cose dall’eternità. 2
Solo con un atto puro che dall’eternità sia essenziale e reale in massimo grado si po-
trebbe spiegare infatti il realizzarsi di un quid essenzialmente possibile, che né l’essere
essenziale in sé, né l’essere reale sarebbero invece nella condizione di attuare. Stein
dedica a questo punto, come si iniziava ad accennare in precedenza, un paragrafo al
primo ente (Das erste Sein) e all’analogia entis. L’ascesa al senso dell’essere ha infatti con-
dotto a dover ipotizzare questo atto puro, essere puro, primo ente.
Ma l’« ente » – come tutti i nomi trascendentali – vale nel suo caso solo in senso analogico, e certo
questo è il luogo proprio dell’« analogia entis » ossia del rapporto che si instaura propriamente tra
essere finito ed eterno e che permette di parlare in entrambi i casi di « essere », sulla scorta di una
comune consistenza di senso (Sinnbestand). 3
Stein analizza qui dunque l’analogia entis a partire da Aristotele, ed in particolare evi-
dentemente dai passaggi in cui si teorizza la molteplicità dei modi di dire l’essere, che
tuttavia fanno riferimento ad una unità di fondo. Non viene evidenziato il fatto che
Aristotele non menziona esplicitamente il termine analogia (così come d’altronde lo
stesso Tommaso o i pensatori medievali non hanno utilizzato l’espressione analogia
entis, secondo quanto abbiamo detto) : pur non priva di sensibilità storica e filologica,
Stein si trova ad operare in un contesto che ancora non ha sviluppato, relativamente
a tali questioni, la chiarezza che si ha in epoca odierna, e ha in ogni caso di mira an-
zitutto la valenza teorica della questione. Secondo Tommaso, prosegue Stein, ciò che
permette di parlare di essere sia per Dio che per la creatura sarebbe un rapporto di
somiglianza. Come in Dio l’essere divino è atto della sua essenza, lo stesso rapporto,
secondo un’analogia di proporzionalità, si riscontrerebbe nelle nature finite a partire
dall’essere creato, e l’infinita distanza tra i due ambiti sarebbe mantenuta dal fatto che
nell’atto puro dell’essere sussistente per sé, l’essere e l’essenza coinciderebbero in real-
tà perfettamente, così che il rapporto di potenza ed atto o le altre distinzioni vengono
introdotte solo per facilitare la comprensione ed adeguarsi al linguaggio e al pensiero

1 2 3
EeS, ESGA 11/12, p. 286. EeS, ESGA 11/12, pp 287-288. EeS, ESGA 11/12, p. 288.
100 capitolo ii
umano. Stein si domanda quindi che senso possa avere, una volta rimarcata l’infinità
della distanza, l’utilizzare queste espressioni a riguardo del creatore, e risponde soste-
nendo che la coincidenza in Dio di essere ed essenza e alcune formulazioni che si rin-
vengono in Tommaso, del tipo « Dio è la sua bontà, la sua vita, il suo essere etc. », sono
solo tentativi di formulare con un giudizio ciò che invece in tale forma, cui pertiene
necessariamente una divisione di parti, non può più essere espresso : per cui l’asserto
meno inadeguato sarebbe « Dio è – Dio ». 1
Stein prende quindi ancora una volta in considerazione il brano della Bibbia di Es. 3,
14 e, dopo aver accennato alle possibili traduzioni dall’ebraico di tale noto passo in cui
si ha quella che viene presentata come una manifestazione del Dio del popolo eletto
a Mosè, si pronuncia nuovamente a favore dell’interpretazione agostiniana, che vede
il significato dell’espressione tradotta come « Io sono colui che sono » nella definizione
dell’essere in persona : la fonte prima dell’essere e del senso, secondo quanto si è già
avuto modo di notare, non può infatti secondo Stein non possedere caratteristiche per-
sonali, ossia ragione e libertà.
Colui, il cui nome è « Io sono », è l’essere in persona. Che il cosiddetto « ente primo » debba essere
persona va dedotto già da molte cose che sono state dette in precedenza : solo una persona può
creare (erschaffen), ossia chiamare all’essere in virtù della sua volontà. E l’efficacia della « prima
causa » non è pensabile che come atto libero (freie Tat), perché ogni efficacia che non è atto libero,
è causa su base di altro (verursacht) e dunque non è efficacia prima. Rimanda ad una persona
come autore anche l’ordine razionale e la conformità al fine del mondo : solo mediante un essere
(Wesen) razionale si può porre in opera un ordine razionale ; solo un essere (Wesen) che conosce
ed è dotato di volontà può porre degli scopi ed ordinarvi dei mezzi. Ragione e libertà, tuttavia,
sono caratteristiche essenziali della persona. 2
« Io » può definirsi solo un ente che ha in sé il proprio essere, che lo possiede per sé e
che mediante queste caratteristiche è essenzialmente distinto da ogni altro ente ; la de-
finizione di « io » è segno della vita cosciente (anche se da un punto di vista temporale
ci potrebbe essere una sfasatura tra la pronuncia del termine e l’inizio effettivo della
consapevolezza), la quale a sua volta si dispiega secondo le varie modalità ampiamente
descritte in precedenza : l’io possiede una duplice eminenza di essere, per cui la sua vita
è in ogni momento presente ed attuale, al contrario di quella dei suoi vissuti ; così come
è portatore dei vissuti stessi, che solo in esso ricevono essere ed unità. Nonostante ciò,
l’io è anche bisognoso di sostegno e costantemente sottomesso al nulla ; ed è vuoto
se non riceve contenuti da un’al di là, che sia esterno od interno ; la sua vita procede
dall’oscurità e muove verso un’oscurità.
Da qui [dall’io] giungiamo ad una comprensione – sia pur solo analoga (gleichnishaften) –
dell’essere divino, se eliminiamo tutto ciò che è non essere. In Dio non c’è, come invece
nell’uomo, una contrapposizione tra vita dell’io ed essere. Il suo « Io sono » è presente che
vive in eterno, senza inizio né fine, senza lacune né oscurità. Questa vita dell’io ha in sé e da
sé tutta la pienezza [… è] la pienezza dell’essere in forma personale (die Fülle des Seins persönlich
geformt). 3
In Dio non si dà opposizione fra essere e vita dell’io, ma pienezza di essere in forma
personale. Si tratta di una pienezza che abbraccia ogni tipologia di essere, quella essen-
ziale, quella reale nonché quella pensata (trattandosi di uno spirito). Quid e esse sono

1 2 3
EeS, ESGA 11/12, p. 293. EeS, ESGA 11/12, pp. 293-4. EeS, ESGA 11/12, p. 295.
analogia della persona 101
contenuti inscindibilmente nell’« io sono » che trascende non solo le divisioni categoriali
dell’ente finito, ma anche quelle trascendentali dei modi di essere universali, che ap-
punto di Dio si possono predicare solo analogamente.
Il rapporto dell’« Io sono » divino con la molteplicità dell’ente finito è l’analogia entis più origina-
ria. Solo per il fatto che ogni ente finito ha il suo modello nell’« Io sono » divino tutto possiede
un senso che è comune. Poiché però l’essere si divide nella creazione, esso non ha lo stesso
significato in senso stretto in ogni ente, ma accanto ad una consistenza di senso (Sinnbestand)
comune, anche una differente. 1
Il risultato che emerge quindi dalla risalita steiniana al culmine del senso dell’essere è
che l’analogia entis più originaria è quella della molteplicità dell’essere creato, secondo
i suoi livelli, con l’essere divino, per cui ogni cosa ha un fondo di significato comune
solo grazie a tale rapporto primario : al contempo, l’opposizione e la maior dissimilitudo
insita nel concetto stesso di analogia implica l’irriducibilità del creatore all’essere finito
e il conseguente rifiuto del panteismo.
L’autonomia del creato non deve essere posta quale quella dell’immagine nei confronti di ciò
che rappresenta, o dell’opera rispetto all’artista. Piuttosto, si può trarre un paragone con l’im-
magine dello specchio e l’oggetto riflessovi o con la luce ed un suo raggio, anche se pure in
questi casi si tratta di descrizioni imperfette di ciò che non ha paragoni. 2
La questione dell’immagine di Dio nel creato conduce Stein ad affrontare ancora il pro-
blema delle relazioni intra-trinitarie : la seconda persona della Trinità, infatti, è definita
classicamente come immagine perfetta del Padre. Si riprende l’ipotesi che la pluralità
delle persone sia intima alla stessa essenza divina e che si tratti di un « noi » perfetto,
senza contrapposizione tra universale e particolare, ma con entrambi gli elementi com-
presenti al livello massimo di perfezione possibile.
Il noi come unità di io e tu è un’unità più alta di quella dell’io. Si tratta, nel suo senso più
perfetto, di una unità d’amore. L’amore come assenso ad un bene è possibile anche come
amore di un io. Ma l’amore è più di questo assenso, di una « stima di ciò che ha valore »
(Wertschätzung). È dono di sé ad un tu e nella sua perfezione – sulla base del reciproco dono di
sé – essere uno. Poiché Dio è amore, l’essere divino deve presentarsi come essere uno di una
pluralità di persone (Einssein einer Mehrheit von Personen) e il suo nome « io sono » significa « io
mi dono completamente ad un tu », « sono una cosa sola con un tu » e perciò significa anche
« noi siamo ». 3
L’amore reciproco del Padre e del Figlio (o di uno nei confronti dell’altro) secondo la
tradizione, genera lo Spirito. Anche la relazione tra essere eterno ed essere finito acqui-
sta secondo Stein maggiore chiarezza nella presupposizione del dogma della Trinità,
perché gli enti creati sono, tramite le loro forme pure, da sempre nel Verbo e ivi anche
conosciute ; ed essendo anche il piano della creazione previsto dal principio, si può pen-
sare, secondo Stein, che nel generare il Figlio, il Padre gli consegni da sempre il mondo

1
EeS, ESGA 11/12, p. 297. Già citato : cfr. nota 5 a p. 12 dell’Introduzione. Cfr. P. Secretan, L’analogie du « je
2
suis » selon Edith Stein cit. EeS, ESGA 11/12, p. 297.
3
EeS, ESGA 11/12, p. 299. Tali considerazioni sulla vita intersoggettiva permetterebbero di correggere, a
livello dell’io, quello che si è detto precedentemente nel piano più generico dei trascendentali, ossia l’origi-
narietà della nozione di ente e lo scaturire del rapporto con l’alterità solo dalla determinazione in un certo
modo secondaria dell’uno. Si avrebbe quindi qui un mantenimento dell’impostazione già notata nel primo
scritto sull’empatia e nelle altre opere fenomenologiche dell’autrice, ossia un’accentuazione dell’importan-
za dell’aspetto comunitario.
102 capitolo ii
in virtù di quel doppio volto del Logos/logos che si è descritto anche in precedenza,
quale immagine perfetta e unita a Dio e al contempo senso dell’universo. 1
Ancora una volta, quindi, il principio dell’analogia si dimostra centrale nell’impalca-
tura metafisica di Stein : il paragrafo dedicato espressamente all’analogia entis si colloca
infatti nel cuore di questo capitolo intitolato « il senso dell’essere », nel quale si giunge al
culmine del percorso di ascesa e si affronta direttamente il tema che era annunciato nel
sottotitolo dell’opera. Se quindi il titolo del volume conteneva già in sé, implicitamen-
te, la questione dell’analogia nonché la declinazione in termini temporali che abbiamo
potuto descrivere nel dettaglio, nuovamente questi passaggi hanno rivelato come la
questione ontologica prenda una piegatura particolare nell’attenzione alla persona, e
come il ragionamento filosofico sia costantemente innervato ed ispirato dal dato di
fede. L’analogia originaria e più fondamentale è quella con l’« io sono » divino. Il percor-
so del volume procede su questa direttrice, e i capitoli successivi prendono lungamente
in esame il modo in cui l’essere finito possa rispecchiare il creatore. 2
L’analisi si rivolge anzitutto ad un approfondimento proprio della nozione di persona
e parte dalla Trinità stessa : si è giunti, infatti, al termine dell’indagine precedente e col
sostegno del lume soprannaturale, a Dio come essere in tre persone : sulla scorta della
nota definizione boeziana, che qualifica la persona come rationalis naturae individua
substantia, e dei relativi commenti di Tommaso, si individua allora il significato gene-
rale di sussistenza (Subsistenz) come quello che è in grado di restituire il senso della
nozione di persona in un modo migliore rispetto a quello, tramandato dalla tradizione
greca, di « ipostasi », che invece risulta utilizzabile anche per la sostanza nei confronti
degli accidenti. La sussistenza delle persone divine è supporto della loro essenza, senza
però che vi sia una materia o un contenuto differenti ; avviene dunque in questo caso
qualcosa di simile a ciò che si era riscontrato per l’io puro e i suoi vissuti, per la persona
finita e le sue particolarità, per la forma dell’oggetto nei confronti della sua pienezza di
contenuto, tutte relazioni che trovano quindi, secondo Stein, il loro archetipo nella vita
trinitaria, nella quale però forma e pienezza sono in realtà inscindibili.
Attraverso l’approfondimento della nozione di spirito, l’autrice giunge allora a diffe-
renziare l’io, quale vita che sgorga da sé, dalla persona, quale capacità di comandare e
dirigere tale vita. Le descrizioni antropologiche che si conducono qui sono basate sem-
pre sulla triplice struttura corpo, anima, spirito, ma traggono il loro punto di partenza,
secondo l’impostazione già presente in Potenza ed atto ed all’inizio di questa opera,
dall’osservazione dell’oscurità in cui la vita cosciente si trova immersa, per cui essa :
non si identifica con « il mio essere », ma sembra simile ad una superficie illuminata su di un
fondo oscuro, che si annuncia grazie a tale superficie. 3
Stein ha quindi l’occasione per sottolineare nuovamente il ruolo dell’io, e per descri-
vere più nel dettaglio il suo rapporto, quale vita coscienziale, con il corpo e l’anima.
Nel momento in cui si mostri in grado di esercitare il dominio di sé, questo io è inoltre
definibile quale persona. Stein nota come non è possibile vivere semplicemente quale
io puro, perché la sua vita dipende dalla pienezza d’essenza che esso per un verso sostie-
ne, ma dalla quale è a sua volta sostenuto : in questa doppia struttura emerge quindi la

1
Sulla presenza di un modello trinitario nella creazione secondo Essere finito ed essere eterno cfr. J. Ruf,
Das Abbild der Dreifaltigkeit in der Schöpfung in Edith Steins Buch : Endliches und ewiges Sein, München, diss.,
1973.
2 3
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 303 ss. EeS, ESGA 11/12, p. 311.
analogia della persona 103
caratteristica tipica della persona umana, che si differenzia dagli spiriti puri finiti, dotati
di una continua e completa chiarezza rispetto al proprio essere : la persona umana si
avvicina però a Dio in modo peculiare proprio grazie a questa profondità d’essere da
cui pare provenire, e che gli angeli, nella loro assoluta trasparenza a se stessi, non pos-
siederebbero.
Dopo aver definito lo spirito in generale come « senso e vita – in piena realtà : vita ri-
empita di senso » 1 e aver sottolineato come la pienezza di vita non formata si definisca
« forza » (Kraft) e il senso senza pienezza di vita « idea » (Idee), Stein passa ad una tratta-
zione filosofica dell’angelologia. A prima vista una tale disamina sembrerebbe ancora
più difficilmente giustificabile di quella dell’essere eterno. Si sottolinea allora come il
clima intellettuale della sua epoca rese ovvio, a Tommaso, rivolgersi ad un tale tema ; e
si evidenzia il tentativo dell’Aquinate di procedere quasi ad una dimostrazione raziona-
le dell’esistenza degli angeli (sostenendo che mancherebbe qualcosa in natura se oltre
agli esseri corporei e corporeo-spirituali non vi fossero anche quelli puramente spiri-
tuali). Stein dichiara poi di voler procedere da un punto di vista strettamente filosofico,
secondo lo stile husserliano, considerando gli angeli come mera possibilità essenziale,
e sospendendo dunque la questione sulla esistenza o meno di puri spiriti (che è comun-
que, viene ribadito, una verità di fede).
Si descrive quindi, in una disamina che non vale qui la pena di seguire nel dettaglio,
conoscenza superiore, unità di vita e di forza degli angeli, e vengono introdotte anche
notazioni molto interessanti sul rapporto tra natura e grazia, per cui mentre la prima
in un certo senso separa da Dio (anche se non allo stesso modo della natura decaduta),
con il porre esseri con un grado relativo di indipendenza, la seconda invece riconduce al
creatore. Viene inoltre trattato il problema del male, del quale si sostiene che la sempli-
ce definizione di mancanza di essere, formulata per evitare il dualismo manicheo, non
rende conto della differenza tra una privazione naturale e il male in quanto voluto, tra i
termini tedeschi Schlecht e Böse ; differenza che, tra l’altro, Stein osserva essere presente
nella dottrina teologica del peccato e della punizione : il male originario (Urböse) è nella
ribellione della volontà creata contro quella del creatore, l’opposto della apertura alla
grazia, e da tale disobbedienza di principio si originerebbe poi il male fisico.
Con Duns Scoto, inoltre, Stein attribuisce agli spiriti puri una certa materialità (che
non è corporeità), quella cioè di una materia primo prima completamente coincidente
con la forma, in cui l’elemento passivo è solo la ricettività possibile nei confronti di
una pienezza spirituale esterna, per cui gli angeli sono assieme in una comunità di
vita. In analogia con essa, va pensata anche la chiesa, e qui Stein si rifà alle analisi dello
pseudo Dionigi Areopagita, autorità richiamata d’altronde più volte in queste analisi
di angelologia ; e con termini ancora significativamente antropologici, Stein descrive la
comunità dei fedeli come ancorata, paolinamente, a « Cristo capo e Corpo vivo ». 2 Se
allora la materia corporea viene definita pienezza indeterminata di spazio, quella spiri-
tuale è pienezza indeterminata di vita : le determinazioni verrebbero ricevute tramite
la forma, la quale a sua volta ottiene determinazione grazie al senso.
Nella relativa autonomia dell’ente creato, nella sua pienezza che è di senso, e nel
suo manifestarsi in una vita, sia pur secondo gradi diversi, Stein ritrova ancora un’im-

1
EeS, ESGA 11/12, p. 323.
2
Sull’angelologia steiniana cfr. X. Tilliette, Edith Stein. La dottrina degli angeli, « Aquinas », 34/3 (1991),
pp. 447-457.
104 capitolo ii
magine della Trinità divina, in cui si può parlare di un fondamento permanente nella
persona del Padre, di una pienezza di significato nel Figlio e di una irradiazione di vita
nello Spirito Santo. Anche gli oggetti materiali esprimerebbero infatti un senso me-
diante il quale potrebbero trascendere la semplice corporeità, acquistando in un certo
modo un essere spirituale : così la tripartizione in corpo, anima e spirito si ritrova in
tutto l’essere :
arriviamo ad un secondo significato di corpo vivente – anima – spirito, secondo il quale queste
nozioni descrivono le forme dell’essere reale : l’essere animato come mobilità fluente che spin-
ge per dar forma, l’essere corporeo come possesso dell’essenza dispiegatasi, l’essere spirituale
come il libero uscire da sé, l’esprimersi o il respirare fuori da sé dell’essenza. 1
La somiglianza della Trinità nella persona umana troverebbe quindi una ulteriore ana-
logia nella natura creata, in cui entrambe si rispecchiano. Nel costituirsi dell’ente ma-
teriale tramite un supporto, una forma che lo attua e che poi si sviluppa, oppure nei
movimenti di dispiegamento temporale dell’essenza, ossia formazione, possesso di sé
ed uscita da sé, andrebbero rinvenuti due modelli trinitari di marca fortemente geneti-
co-dinamica. Ma un’ulteriore immagine trinitaria nella natura sarebbe, per Stein, anche
la divisione dei tre stati della materia (solido, liquido e gassoso). Tale struttura viene
quindi osservata nel dettaglio nelle piante, negli animali e infine nell’uomo, lo sviluppo
della cui forma ha una parte involontaria e una guidata razionalmente. La capacità di
un autoformarsi conscio da parte dell’anima matura presuppone secondo Stein la co-
noscenza di sé, che si dà secondo vari livelli, a partire da quello dell’immediata certezza
di sé dell’io, in cui non vi è ancora obiettivazione e quindi distinzione tra conoscente e
conosciuto ; si sperimentano però vari strati di profondità di vissuti, per cui l’io scopre
l’anima e cerca di illuminarla, operazione possibile solo per gradi, e che quindi si pre-
senta soprattutto quale compito.
Stein si sofferma inoltre, in queste pagine, sul venire alla luce della vita dell’anima
come vita dello spirito, ossia sull’uscire da quello che viene definito un « fondo oscuro »
per giungere al guadagno della certezza di sé. L’io che vive nella profondità dell’anima
può comprendere al meglio le connessioni significative degli eventi e regolare le sue
azioni di conseguenza : la sua vita è allora sensata ; e tanto più esso vive ed è raccolto in
sé, secondo l’autrice, tanto più la sua vita interna può essere anche irradiata all’esterno.
L’ultimo strato dell’anima, però, resta sempre un mistero persino per l’io stesso : qui si
trova infatti qualcosa che è in grado di attrarre l’anima più del mondo esteriore, che la
spinge a rimanere nella sfera interiore e che poi nel suo profondo si manifesta quale un
nuovo uscire da sé.
Anche la vita dell’anima umana è immagine della Trinità ; ripresi gli esempi agosti-
niani delle triadi di spirito, amore, conoscenza e di memoria, intelletto, volontà, Stein
sviluppa molteplici possibilità di approfondimento, il cui culmine si ritrova nell’ina-
bitazione reale di Dio nell’anima stessa, per cui essa vivrebbe una vera e propria vita
trinitaria, abbandonandosi alla volontà del Padre e in ciò permettendo in sé, in modo
misterioso, la generazione del Figlio e la vita dello Spirito Santo. Ciò avviene grazie
all’apertura del fondo dell’anima all’essere spirituale. Ogni comunità di persone, infine,
e in massimo grado, si è visto, la gerarchia angelica, rappresenta per Stein un’ulteriore
immagine della Trinità.

1
EeS, ESGA 11/12, p. 357.
analogia della persona 105
L’ultimo capitolo di questo imponente testo si apre invece ad un’indagine sul senso
dell’essere individuale dell’uomo. 1 A tal fine, Stein muove anzitutto ad una definizione
dell’individualità in sé. Secondo una prima approssimazione, si sostiene in queste pa-
gine che un ente dotato di tale caratteristica è quello che non si può più chiamare con
un nome (che è necessariamente universale), ma solo indicare con un gesto. Viene ridi-
scussa perciò la dottrina del principio di individuazione che, secondo Tommaso, andava
rinvenuto nella materia determinata dall’estensione (materia signata quantitate). Stein
nota però anzitutto come la determinazione della materia possa già sempre avvenire
solo mediante una forma : così si ottiene infatti la sussistenza e da questa l’individualità,
anche se il fondamento ultimo è da rinvenirsi ulteriormente nel suppositum, ossia in
ciò che sorregge le altre determinazioni ; l’esistenza reale è invece una caratteristica
che non pertiene necessariamente a tutti i sussistenti. L’essenza individuale è altresì il
supporto delle proprietà specifiche e del loro sviluppo. Stein sottolinea inoltre come
l’individualità possieda un senso molto più spiccato nell’uomo che nelle altre creature,
grazie all’incomparabilità della parte più intima dell’anima, da cui tutta la persona ri-
ceve forma. In tale profondità risiede Dio, l’unico in grado di conoscere il vero nome
di ciascuno. 2
Lo scritto si conclude quindi con un paragrafo strettamente teologico su « Cristo uni-
co capo e corpo », in cui si analizzano le questioni relative all’unità del genere umano
e la lettura del suo destino alla luce della storia della salvezza, nel ruolo centrale dato
nella creazione all’uomo, che come medio tra natura e spirito ha accolto l’incarnazione
di Cristo, rivolta così a tutto l’universo. L’analogia tra Dio e mondo, tra essere finito ed
essere eterno, trova quindi il suo culmine nella persona di Cristo, in cui si realizza pie-
namente quella che qui abbiamo potuto descrivere come una analogia della persona. 3
Essere finito ed essere eterno rappresenta, come abbiamo detto più volte, una sorta di
sintesi delle ricerche filosofiche e teologiche di Stein. Per comprendere come il proble-
ma dell’analogia, secondo quanto descritto, rappresenti in un certo modo sia il fonda-
mento, sia la struttura e la dinamica che sorregge l’intera imponente opera, abbiamo
dovuto procedere ad una descrizione dettagliata del punto di partenza dell’opera e ad
una panoramica sull’andamento complessivo della stessa. Stein prende le mosse dalle
nozioni di atto e potenza, che delineano appunto l’analogia dell’ente ; queste categorie
vengono rinvenute poi nella coscienza trascendentale e nel suo flusso temporale, così
da rappresentare un primum sia a livello ontologico che fenomenologico. Nella vita
dell’io, sottoposta alla temporalità finita e, quindi, all’angoscia esistenziale, Stein rin-
viene un fondamento privo di potenzialità e di finitezza : è l’essere eterno, che sorregge
ontologicamente, costituisce fenomenologicamente e motiva esistenzialmente la vita

1
Cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 395 ss.
2
Sulla questione del principio di individuazione in Stein cfr. S. Borden Sharkey, Thine Own Self, cit.,
e F. Alfieri, La presenza di Duns Scoto nel pensiero di Edith Stein. La questione dell’individualità, Bari, Laterza,
2011.
3
In Edith Stein und die analogia entis, cit., Hedwig muove critiche a nostro avviso troppo sbrigative :
sostiene infatti che Przywara, nella questione dell’analogia, non abbia distinto adeguatamente tra piano
logico e ontologico ; che in Stein non sia presente lo schema cosiddetto « dentro-sopra » (pur non esplici-
tato, a noi appare invece macroscopicamente in azione) ; e che la posizione steiniana dell’analogia non sia
tomista (e anche in questo caso, se la “lettera” sembra dargli ragione, lo “spirito” ci sembra ben diverso).
Hedwig inoltre è molto deciso nel criticare la difficile fondazione teologica dell’analogia steiniana ; e parla
persino di una sua presunta critica irata di Stein a Heidegger, motivata dal fatto di non riuscirne a venire a
capo filosoficamente.
2. La filosofia della persona e l’antropologia di Münster

106 capitolo ii
dell’io. A partire da questo fondamento più intimo all’io dell’io stesso, e al contempo
radicalmente diverso e altro da lui, la ricerca di Stein si apre al guadagno dell’intera
realtà e all’« ascesa al senso dell’essere ». Si passa perciò attraverso l’essere essenziale
e quello reale per giungere, oltre la trattazione dei trascendentali e dell’ente in sé, al
senso dell’essere e alla sua pienezza in Dio ; e Dio è persona. È l’« io sono » originario,
dal quale tutto il resto dell’essere è creato e rispetto al quale tutto il resto dell’essere
si costituisce per analogia. Raggiunta questa vetta, il movimento teorico dell’opera si
indirizza nuovamente alla realtà, in una sorta di “ridiscesa” che la ricomprenda alla luce
del significato dischiusosi in vetta.
Al di là del fondamento nell’essere eterno, quindi, di cui abbiamo detto più volte,
nella sua dinamica generale il procedere del testo appare riprendere il modello fenome-
nologico così come Stein, in particolare, lo aveva descritto a Juvisy : ossia regressione al
piano ultimativamente costitutivo e poi riguadagno della realtà. Il perno però attorno a
cui ruota il movimento, in questo caso, non è più l’io, ma Dio, secondo il passaggio da
filosofia egocentrica a teocentrica. Si giunge infatti al fondamento ultimo della costitu-
zione dell’io, degli enti, del loro essere e del loro senso in Dio ; e si procede poi alla loro
nuova descrizione, che deve avere come punto di riferimento e modello Dio stesso. Ma
la dinamica, è evidente, è fortemente ispirata anche dalle tesi di Przywara.
Con il suo continuo riferire secondo gradazioni di senso e di dipendenza i livelli
ontologici progressivamente scoperti a Dio, radice ultima della costituzione e quindi
dell’essere, l’analogia pare allora essere descrivibile quasi come una sorta di corrispet-
tivo metafisico del procedimento fenomenonologico. Per altro verso, proprio l’impo-
stazione fenomenologica trasforma l’analogia dell’ente in una analogia della persona.
Non ci si trova in presenza, evidentemente, di un semplice tentativo di trasformare la
fenomenologia trascendentale in una metafisica di stampo tomista, e anzi, vale la pena
ribadirlo ancora una volta, il metodo trascendentale husserliano è anche qui il punto di
partenza e la chiave di volta. Non a caso in Stein si registra un allontanamento teorico
esplicito da numerose posizioni di Tommaso. Per altro verso si tratta di un tentativo
che sembra cogliere il cuore e lo spirito della filosofia di Tommaso.

2. La filosofia della persona e l’antropologia di Münster


Dopo aver delineato come la metafisica steiniana sia fondata sull’architrave dell’analo-
gia e come quest’ultima, a sua volta, assuma una declinazione molto originale nei ter-
mini di una analogia temporale prima, e di una analogia della persona poi, ci rivolgia-
mo ora ad osservare come il nesso tra analogia e persona, che abbiamo descritto come
culmine di una serie di esigenze teoriche maturate nel corso della sua opera, presenti
altri rilevanti tracce. Al di là dei dettagli tecnici e delle analisi molto raffinate svolte da
Stein sugli strati di costituzione e i livelli in cui si può scomporre la persona umana, che
per certi versi rappresentano l’interesse primario della sua indagine teorica, nostra cura
specifica sarà rivolgerci alla questione dell’analogia nei termini con cui, sin dal trattato
sull’empatia, essa viene utilizzata per inquadrare teoreticamente la questione dell’al-
tro io ; per arrivare a mostrare come il rapporto personale con Dio, ossia l’analogia
della persona nei termini fondativi che abbiamo descritto, che per un verso è risposta
alla questione della costituzione nel rapporto tra realtà e conoscenza, sia modellata
sull’analogia per così dire “orizzontale” con altri soggetti personali umani. Abbiamo
detto di come il rinvenimento di una analogia della persona quale fondamento della
analogia della persona 107
sua sintesi teorica risieda piuttosto nello sviluppo della questione religiosa e teologica ;
di come cioè il tema intersoggettivo sia indagato da Stein nei termini di un vissuto
peculiare, ma poi, nonostante alcuni accenni molto interessanti, non approfondito in
una direzione costitutiva radicale. Tuttavia il nesso è complicato, perché appunto la
conoscenza religiosa era descritta da Stein come un caso specifico della conoscenza di
persone estranee. È dunque su questo modello che viene pensata e sviluppata. Husserl
stesso, com’è noto, tratta in termini di analogia la questione empatica e il rischio so-
lipsistico, soprattutto in alcune celebri pagine delle Meditazioni cartesiane.1 Se la radice
e il culmine dell’analogia dell’ente vanno rinvenuti in un’analogia tra essere finito ed
essere eterno che è anzitutto un’analogia tra persona umana e persona divina, è estre-
mamente significativo come il rapporto interpersonale, prima della riflessione su temi
neoscolastici, venga più volte concepito da Stein, direttamente od indirettamente pro-
prio mediante la figura dell’analogia.
Si tratterà dunque, in queste pagine, di temi soprattutto fenomenologici. Per rin-
tracciarne il nesso con quanto esposto sinora, tuttavia, e soprattutto con la descrizione
dell’analogia a livello personale che abbiamo seguito analiticamente in Essere finito ed
essere eterno, intendiamo procedere in certo modo a ritroso, prendendo le mosse cioè
da alcune riflessioni dedicate da Stein all’antropologia negli anni ’30 ; si tratta perciò di
analisi già marcate dall’assunzione dell’orizzonte di riferimento cristiano in generale
e tomista nello specifico, ma in cui emergono altresì tracce fenomenologiche, cui ci
rivolgeremo poi progressivamente nelle opere precedenti la conversione.
Dopo aver tentato invano la possibilità dell’abilitazione a Friburgo con lo scritto Po-
tenza ed Atto, Stein aveva ricevuto un incarico di insegnamento presso il Deutsches Insti-
tut für Wissenschaftspedagogik di Münster, nel 1932. Del breve periodo trascorso in quella
sede (già nel 1933 Stein entrerà nel Carmelo di Colonia) sono rimaste due serie di ap-
punti preparatori per le lezioni, che sviluppano una antropologia ispirata a Tommaso
d’Aquino : l’antropologia, infatti, è per Stein la scienza teorica che deve essere posta a
fondamento della pedagogia. 2
La prima serie di appunti, intitolata La costituzione della persona umana (Der Auf bau
der menschlichen Person), prende le mosse da una analisi del modello di uomo veicolato
da quella che Stein chiama la « metafisica cristiana », e lo confronta con le proposte
dell’idealismo tedesco, della psicologia del profondo e della filosofia esistenziale hei-
deggeriana. 3 Il titolo è molto significativo : nella sua autobiografia, Stein notava che fin
dal trattato sull’empatia il suo oggetto di interesse primario era stata la questione della
costituzione della persona umana :
In una prima parte [della dissertazione], avevo esaminato l’atto dell’« empatia », con riferimento
ad accenni delle lezioni husserliane, come un atto specifico della conoscenza. Ma a partire da là
mi ero spinta su un terreno che mi stava molto a cuore, e che nei lavori successivi mi avrebbe
impegnato sempre di nuovo : la costituzione della persona umana (Der Auf bau der menschlichen
Person). 4

1
Cfr. al proposito J.-F. Courtine, L’être et l’autre, cit.
2
Cfr. B. Beckmann, Edith Stein’s Theory of the Person in her Münster Years (1932-1933), « American Catholic
Philosophical Quarterly », 82/1 (2008), pp. 47-70 ; C. M. Wulf, Subjekt-Person-Religion. Edith Steins Vermitt-
lung zwischen philosophischer und theologischer Anthropologie, « Freiburger Zeitschrift fuer Philosophie und
Theologie », 49/3 (2002), pp. 347-369.
3
Cfr. Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15.
4
Aus dem Leben einer jüdischen Familie, ESGA 1, p. 328.
108 capitolo ii

Dopo aver accennato a diversi modelli di antropologia, il testo prende le mosse da una
distinzione molto rigorosa tra filosofia e teologia, secondo una ripresa di Tommaso
stavolta piuttosto classica, forse perché finalizzata all’insegnamento in un contesto isti-
tuzionalmente cattolico. Stein si propone di seguire un’indagine puramente razionale,
sulla base però non delle opere dell’Aquinate, che non ha scritto direttamente di antro-
pologia, ma partendo da movenze fenomenologiche. La fenomenologia viene descritta
allora come un metodo guidato dalle cose stesse, ma non per questo empiristico, per-
ché rivolto alle essenze : non si menziona in questo caso la riduzione trascendentale,
forse perché l’analisi è indirizzata direttamente ad una ontologia materiale, tralascian-
do il problema costitutivo ; o forse, ancora una volta, in considerazione dell’uditorio,
che non è specialistico. 1
Stein descrive l’uomo anzitutto come oggetto materiale, per poi passare alla sua
struttura organica e a quella animale, ed arrivare infine anche in questo caso alla tratta-
zione dello spirito ; le linee fondamentali sono dunque quelle di Essere finito ed essere eter-
no, e di cui abbiamo in parte detto, con alcuni tratti però di originalità. Stein si sofferma
infatti sulla Gestalt, sul movimento, o sulle datità acustiche, con analisi che sarebbero
meritevoli di una disamina dettagliata. Analizza poi i caratteri vegetativi dell’uomo,
giungendo a correggere la teoria di Tommaso dell’unità della forma sostanziale, che
vedeva la pluralità delle forme risolversi in quella superiore. Per Stein va invece con-
cepita piuttosto una forma composta (Formgefüge), in cui c’è unità grazie alla legalità
interna che divide le funzioni superiori e inferiori ; è la forma dominante a definire la
finalità ed essa può dunque essere a tutti gli effetti considerata la forma sostanziale, seb-
bene l’intera sostanza non sia determinata solo da essa. Stein si pone così in condizione
di attribuire un principio spirituale anche allo sviluppo dell’embrione (cosa che sulla
base del tomismo di stretta osservanza non risulta possibile : per l’Aquinate, infatti, sino
ad una certa fase di sviluppo sono presenti solo l’anima vegetativa, poi anche quella ani-
male, ma solo in un terzo momento subentra quella razionale) ; per Stein l’embrione è
invece dotato da subito di un’anima spirituale, che guida lo sviluppo delle altre parti. In
modo corrispondente, e dunque facendo riferimento ancora una volta ad un possibile
sviluppo interno presieduto dalla forma, Stein si rivolge anche al problema dell’origine
della specie, analizzandolo da un punto di vista filosofico, e cercando una correzione di
elementi tomistici che rendano la dottrina classica almeno in parte conciliabile con le
acquisizioni scientifiche della biologia. Le innovazioni introdotte nella dottrina metafi-
sica di Tommaso, anche in queste pagine, sono comunque di natura anzitutto genetica
e temporale. 2
La trattazione prosegue quindi distinguendo nell’uomo i fattori genericamente ani-
mali da quelli specificamente antropologici : in modo particolare il secondo paragrafo
di questo capitolo, il sesto, presenta un passaggio particolarmente rilevante per noi
perché si intitola : Chiarimento analogico di ciò che è estraneo mediante ciò che è proprio, e di
ciò che è proprio mediante ciò che è estraneo (Analogische Deutung des Fremden durch Eigenes
und des Eigenen durch Fremdes).
Uno studio di critica della conoscenza dovrebbe chiedersi in che misura quanto di ciò che perce-
piamo come animato negli uomini e negli animali è un chiarimento delle apparenze esterne se-

1
Cfr. Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, pp. 1-28.
2
Cfr. Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, pp. 29-75.
analogia della persona 109
condo un’analogia con ciò che percepiamo di animato in noi, e in che misura questo chiarimen-
to analogizzante può procedere. Ma anche, viceversa, quanto di ciò che percepiamo in noi e di
noi è determinato mediante l’analogia con ciò che cogliamo dell’essere umano nell’esperienza
esterna. Il fatto che chiariamo ciò che ci è estraneo con l’analogia rispetto a ciò che ci è proprio
vale soprattutto per l’esperienza della vita attuale. Il fatto invece che ci consideriamo secondo
l’analogia con l’altro ha più significato per il coglimento dell’essere durevole dell’anima, dell’uo-
mo come integralità psicofisica, delle sue potenze. 1
Sfortunatamente, tuttavia, questo paragrafo è esaurito completamente da questo breve
testo e Stein non dice altro. Infatti le pagine immediatamente seguenti, che aprono il
paragrafo dedicato alle Strutture dell’anima, affermano :
Appartiene all’uomo stesso il fatto di possedere una doppia esperienza di altri uomini, sia inte-
riore che esteriore ; e il fatto che queste due entrino in un’unità dell’esperienza. Ma di ciò non
ci occuperemo qui. 2
Si procede invece ad analisi degli strati della persona in termini generali, e senza rife-
rimento alla modalità di costituzione : da una descrizione di istinti, affetti, tendenze e
sentimenti sensibili sino all’io, alla sua libertà, al sé e al rapporto dell’anima con il cor-
po ; si giunge infine alla nozione dello spirito, declinata sia in ambito individuale, sia,
soprattutto, in ambito sociale. Per quanto riguarda il primo aspetto, Stein scrive :
Spiritualità personale significa vigilanza (Wachtheit) e apertura (Aufgeschlossenheit). Non solo sono
e non solo vivo, ma so del mio essere e della mia vita. E tutto ciò è uno. La forma originaria del
sapere che appartiene all’essere e alla vita spirituale non è una forma successiva e riflessa, in cui
la vita diviene oggetto del sapere, ma è come una luce, da cui la vita spirituale in quanto tale
viene illuminata. La vita spirituale è allo stesso modo sapere originario di altro rispetto a sé.
Significa essere in altre cose, guardare dentro un mondo che sta di fronte alla persona. Il sapere
di sé è apertura verso l’interno, il sapere di altro è apertura verso l’esterno. 3
Ma appunto interno ed esterno sono due aspetti della stessa questione. Poche righe
prima, infatti, Stein aveva affermato :
Guardo negli occhi di un uomo e il suo sguardo mi risponde. Mi lascia entrare nel suo intimo
o mi respinge. È signore della sua anima e può aprire o chiudere le sue porte. Può uscire da sé
ed entrare nelle cose. Quando due uomini si guardano reciprocamente, allora un io e un altro
io stanno reciprocamente davanti. Può trattarsi di un incontro che avviene sulla soglia o di un
incontro che avviene all’interno. Se si tratta di un incontro che avviene interiormente, allora
l’altro io è un tu. Lo sguardo dell’uomo parla. Un io signore di sé, vigilante, mi guarda. Rispetto
a ciò parliamo anche di una persona spirituale libera. 4
L’apertura (Erschlossenheit) che caratterizza secondo Stein l’essere umano, infatti, è la
stessa che gli permette di cogliere il proprio mondo interiore, il mondo esterno e Dio.
L’esistenza umana è aperta verso l’interno, è un’esistenza dischiusa nei confronti di se stessa, ma
è aperta e dischiusa anche verso l’esterno, in modo che possa accogliere in sé un mondo […] .
Dentro come fuori di sé, l’uomo trova richiami a qualcosa che è sopra di lui e sopra a tutte le
cose, e da cui egli stesso e tutto il resto dipende. 5

1
Cfr. Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, pp. 75-76.
2
Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, p. 76.
3
Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, p. 78-9.
4
Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, p. 78.
5
Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, p. 32.
110 capitolo ii

L’analisi introduce poi due capitoli molto interessanti dedicati all’essere sociale delle
persone, che rappresenta per Stein il vertice della costituzione della persona umana,
secondo quanto, come diremo, aveva già teorizzato nei suoi studi fenomenologici ; le
considerazioni si aprono con questa osservazione : « troviamo l’uomo sempre in un
mondo di uomini » ; 1 la considerazione isolata dell’uomo, infatti, è un’astrazione. Stein
analizza gli atti sociali, le relazioni sociali e le costruzioni sociali. Sviluppa quindi una
teoria tipologica e si sofferma sulle caratteristiche proprie di un popolo, così come
sul rapporto del singolo con il popolo stesso. Il metro finale della vita umana, in ogni
caso, consiste secondo queste pagine in ciò che si fa non per la famiglia, la comunità, il
popolo o l’umanità, ma nel seguire la chiamata di Dio. L’opera prende infine in conside-
razione l’aspetto teologico e termina con una rapida descrizione del ruolo pedagogico
delle verità eucaristiche.
Tale integrazione teologica della descrizione naturale viene condotta più diffusa-
mente negli appunti per le lezioni del semestre estivo successivo, quello del 1933 dedi-
cati a una Antropologia teologica (Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie) lavoro
che ha per scopo, secondo le parole dell’autrice stessa, quello di « esporre l’immagi-
ne dell’uomo che è contenuta nella nostra dottrina di fede », tenendo tuttavia fisso lo
sguardo, come anche nelle lezioni precedenti, sulle finalità precipuamente pedagogi-
che. 2 Anche questa opera, che accenna a molti temi che saranno ripresi nelle opere più
tarde dedicate specificamente alla mistica, si apre con una considerazione della natura
umana comune a tutti gli individui, tratta poi della condizione umana prima della cadu-
ta originaria, dello stato della natura ferita, dell’incarnazione di Cristo, della redenzione
e dello stato antropologico dei redenti, concludendosi con un’analisi dei sacramenti e
dei rapporti tra grazia e fede.
Si tratta quindi di riflessioni che si muovono da cima a fondo all’interno della dottrina
cattolica e che inscrivono la trattazione antropologica in questo orizzonte. Va notato in
modo particolare, rispetto a quanto si è detto sulla filosofia teocentrica e sulla filosofia
cristiana, come Stein descriva qui la grazia in termini molto tradizionali. Anche il rap-
porto tra ragione e fede è modellato su quello espresso dal magistero.
La fede è descritta come in accordo con la ragione naturale nella misura in cui motivi razionali
muovono a favore della sua accettazione. Ma l’atto di fede non è in se stesso un atto della ragio-
ne naturale. 3
Qui vengono distinti ancora una volta l’ordine naturale e quello soprannaturale, sia
secondo il principio che secondo l’oggetto : provenendo però entrambi da Dio non
possono essere in contraddizione, conclude Stein con piena fedeltà alla più classica
delle impostazioni di stampo cattolico. Il lavoro termina quindi con la citazione del-
la condanna del modernismo da parte di Pio IX, cui Stein sembra adeguarsi senza
riserve. 4
Anche in questo testo, però, si fa menzione della questione dell’analogia ; e pur pren-
dendo le mosse da termini molto generali, che non si discostano dalla dottrina di marca
teologica che regola la possibilità di comprendere le realtà soprannaturali che abbiamo

1
Der Auf bau der menschlichen Person, ESGA 15, p. 135.
2
Cfr. Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie, ESGA 15, pp. 3 e ss.
3
Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie, ESGA 15, p. 171.
4
Cfr. Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie, ESGA 15, pp. 173 ss.
analogia della persona 111
già potuto esporre, va notato soprattutto come, ancora una volta, Stein declini la que-
stione in termini personali. Si sta trattando il problema della visio beatifica e si afferma :
Quando vogliamo cercare di spingerci il più avanti possibile nel grado di comprensione raggiun-
gibile nello statu viae, dobbiamo tener conto che questa può essere solo una comprensione analo-
gica. Possiamo cioè prendere le mosse solo da qualcosa che abbiamo già ora e che in sé e al di là
di sé muove nella direzione della visio. Abbiamo però dei punti di partenza. Due in particolare
mi sembrano molto importanti : anzitutto la fede, nella misura in cui costituisce un inizio della
vita eterna e, come la visione, ha per oggetto Dio stesso ; poi la conoscenza di quelle creature
che più di tutte sono analogabili a Dio : gli uomini, nella misura in cui sono persone spirituali. Se la
visio viene definita un guardare Dio faccia a faccia, non dobbiamo rappresentarci questa visione
come quella sensibile, rivolta alle cose materiali. Dio è puro spirito, e così anche la visione di Dio
può essere solo un atto puramente spirituale. Dio è persona e dunque una conoscenza che lo
riguarda può essere solo di un tipo che corrisponda alla personalità. 1
Gli uomini, ed in particolare la caratteristica della personalità, vengono ribaditi da Stein
come l’elemento che più di ogni altro è in grado di rappresentare un ponte analogico
per poter pensare di avvicinare Dio. Anche la conoscenza dell’altro uomo, procede poi
Stein, prende le mosse dal sensibile per giungere allo spirituale. Per entrare nella alte-
rità spirituale della persona che si incontra ci sono diverse vie : la simbolica del corpo
come modalità espressiva e, ovviamente, la comunicazione linguistica.
Infine, e con considerazioni che le derivano ancora dal suo scritto sull’empatia,
Stein conclude questa sezione osservando come il processo con cui si accede allo stato
d’animo dell’altro non sia di tipo conoscitivo in senso stretto. La comprensione vera
e propria si raggiunge quando si hanno gli elementi (oggetto, motivazioni etc…) che
caratterizzano il vissuto. Il primo approccio al vissuto stesso, però, è di condivisione.
I due aspetti si devono integrare, così che l’amore e la conoscenza, nei rapporti perso-
nali, procedono secondo Stein di pari passo. Il rapporto con un’altra persona, proprio
come il rapporto con Dio, richiede fiducia e capacità di avanzare lungo tracce oscure,
sottraendosi alla verificabilità assoluta.
Non ci sarebbe dunque uno scarto assoluto, in queste pagine di Stein, tra la cono-
scenza di Dio e quella dell’altro : la stessa doppia apertura, interiore ed esteriore, che
governa il processo di conoscenza dell’alterità personale governa per Stein anche il pro-
cesso di approccio alla realtà spirituali e religiose, concepite anzitutto proprio come un
rapporto personale. La seconda, in qualche modo, potrebbe essere pensata quasi come
un’analogia alla doppia potenza, ossia come un’analogia dell’analogia intersoggettiva.
Se è proprio nelle realtà sociali che si estrinseca la spiritualità della persona, queste
stesse realtà sociali rappresentano il veicolo principale perché la spiritualità stessa possa
giungere al livello che Stein considera come il più elevato, ossia quello religioso. Quella
che abbiamo definito semplicisticamente come una analogia elevata a potenza è quindi
veicolata e strettamente connessa alla prima. Abbiamo già osservato in precedenza
come l’eventuale conoscenza di persone spirituali fosse considerato da Stein quale un
caso specifico della conoscenza generale dei vissuti altrui ; e abbiamo potuto rimarcare
come l’analisi dell’alterità personale umana non venisse sviluppata da Stein nella dire-
zione di avere un significato costitutivo decisivo, nonostante accenni importanti : alter
ego per Stein gioca un ruolo nella costituzione psicofisica dell’io proprio, ma non mette

1
Was ist der Mensch ? Theologische Anthropologie, ESGA 15, p. 39. Già citato : cfr. nota 1 alla p. 17 dell’Intro-
duzione.
3. Analogia ed empatia

112 capitolo ii
in questione la riduzione trascendentale. Nemmeno, evidentemente, il piano intersog-
gettivo è l’unico in cui si dia analogia personale, anzi, come detto, Stein sembra predi-
ligere la via dell’analogia personale rivolta direttamente alla persona spirituale di Dio e
alla trascendenza. Ma, significativamente, pensa le due analogie in analogia reciproca.
Dedichiamoci ora finalmente a descrivere più nel dettaglio il modo con cui Stein si è
occupata di tali questioni sin dal trattato sull’empatia, il suo esordio filosofico.

3. Analogia ed empatia
Le considerazioni relative alla conoscenza dell’altro uomo e al procedimento analo-
gico che le presiede rimandano, infatti, con tutta evidenza, ai lavori fenomenologici
steiniani ; ed in particolare, ovviamente, al primo scritto dedicato all’empatia. Può es-
sere molto proficuo mettere in diretta connessione questo testo, che Stein considerò
« uno schema, [… da] completare nel corso della vita », 1 con gli appunti delle lezioni del
1932 e del 1933, per osservare come quella che all’inizio, nella questione fenomenolo-
gica dell’empatia, è una analogia intersoggettiva, abbia potuto prendere un significato
teologico ed assumere quindi la declinazione di cui abbiamo detto. Anche se, come
osserveremo nel dettaglio seguendo il linguaggio tecnico steiniano, va sottolineato sin
da subito che l’analogia non viene affiancata in questo studio all’empatia, ma anzi con-
trapposta ad essa ; così che il suo utilizzo per la conoscenza dell’altro io sembra essere
una mediazione successiva, derivata dalla sovrapposizione sul termine scolastico di una
più generale teoria della conoscenza intersoggettiva, che in una fase più tarda, e con un
altro contesto di riferimento, non deve più preoccuparsi di un confronto specifico con
altre elaborazioni tecniche sul tema, ma può permettersi considerazioni più ampie e
quindi un lessico più generale.
Altresì preliminarmente bisogna osservare come il testo che oggi si possiede, ossia
quello che all’epoca fu preparato per la pubblicazione, consista solo della seconda parte
della tesi di dottorato vera e propria, riguardante l’essenza degli atti di empatia ; al mo-
mento della pubblicazione, dovendo risparmiare, Stein stralciò le considerazioni della
prima sezione, che avevano una natura storica ed esponevano i problemi fino ad allora
emersi negli studi sul tema. Tale trattazione purtroppo non è oggi più reperibile, per
cui la parte del lavoro pubblicata e oggi analizzabile si apre direttamente con un’inte-
ressante premessa sul metodo fenomenologico, in cui Stein in modo esplicito rimanda
all’impostazione husserliana del primo volume delle Idee, secondo quanto abbiamo già
avuto modo di sottolineare. 2
Oggetto del lavoro è l’indagine di quei fenomeni per cui si può avere esperienza di
altri soggetti psichici dotati delle stesse caratteristiche che si riscontrano come proprie,
a partire dalla percezione del loro corpo vivente (Leib) ; i corpi degli esseri animati,
infatti, non si annunciano all’io quale un semplice oggetto meramente fisico (Körper).
Il vissuto che permette di comprendere l’altro in quanto soggetto psichico è appunto
quello dell’empatia o, come anche si rende talvolta in italiano il termine Einfühlung,
dell’« entropatia » (che vuole esprimere il prefisso ein-, l’ingresso nella vita altrui).
È possibile giungere alla vita dell’altro io, nella descrizione di Stein, non con un atto
di percezione diretta (non si percepisce, infatti, direttamente lo stesso dolore o la stessa
gioia del soggetto estraneo), ma con quella che, in termini husserliani, viene defini-
ta una ripresentazione, in un modo cioè simile a quanto accade nel caso del ricordo,
1 2
BI, ESGA iv, p. 57. Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 11 ss.
analogia della persona 113
dell’attesa o della fantasia ; il vissuto cioè non è direttamente presente. Nel caso dei
vissuti empatici, la non originarietà è data ovviamente non da uno scarto temporale,
ma dal fatto che ci si riferisce ad una coscienza altrui. 1
Il processo con cui si raggiunge il vissuto dell’altro io viene scomposto da Stein se-
condo tre gradi : anzitutto si ha l’emersione del vissuto altrui in modo fisico, sensibile,
per cui si « legge », ad esempio, il volto dell’altro e se ne traggono delle notizie sui suoi
stati d’animo. Si ha poi la cosiddetta « esplicitazione riempiente », mediante la quale la
manifestazione del vissuto di altri attrae in modo quasi naturale dentro di sé e conduce
a vivere « nell’ » atto dell’altro ; in questa fase, un elemento di particolare interesse è
dato dal fatto che il vissuto altrui non è tematizzato, perché si ha di mira direttamente
il suo oggetto di riferimento : ossia si prende il posto dell’altro io e si esperisce il suo
atto, vivendone l’intenzione. Se ad esempio si empatizza la gioia per una buona notizia
occorsa ad altri, si giunge in questo caso a riprodurre l’atto intenzionante e ad aver di
mira la stessa buona notizia come oggetto di riferimento. Questo, secondo Stein, è il
punto più alto del vissuto d’empatia. Nel terzo stadio invece si ha quella che viene defi-
nita « oggettivazione comprensiva del vissuto esplicito », in cui si giunge a tematizzare il
vissuto empatico, e a rendere lo stato d’animo vero e proprio un « oggetto in sé » ; e qui
si riscontrerebbe invece il vertice nella chiarificazione teorica.
Tale impostazione viene poi confrontata da Stein soprattutto con quelle di Lipps e
di Scheler. Il primo ha caratterizzato la Einfühlung come un fenomeno che, secondo
Stein, dovrebbe essere definito piuttosto di Einsfühlung, ossia di « unipatia ». Lipps in-
fatti sostiene che si possa giungere a vivere lo stesso identico vissuto assieme, perché
una volta attratti nel vissuto non originario avverrebbe una naturale identificazione dei
due soggetti ; e solo in questo caso sarebbe lecito parlare di empatia in senso stretto. A
ciò Stein obietta che, pur non essendo l’altro io un vero e proprio oggetto del vissuto
proprio, tuttavia identificazione tra soggetti si verifica solo nei casi di vissuti che si ri-
feriscono ad un « noi », fenomeno questo che comunque non implica una coincidenza
in un solo e medesimo « io ». Quali esempi per marcare le differenze vengono addotti
i vissuti di gioia tra amiche per l’esame superato da una di esse (in cui una sola ha un
vissuto originario) o di entusiasmo per una notizia che coinvolge entrambe allo stesso
modo ed è appresa contemporaneamente ed insieme (in cui dunque c’è la stessa base) ;
in entrambi i casi, pur avendo lo stesso oggetto, i vissuti risultano comunque differenti.
Ma l’esempio che più di tutti comproverebbe la necessità di correggere Lipps è quello
della paura provata dall’acrobata e dallo spettatore durante uno spettacolo pericoloso :
evidentemente non si tratta dello stesso identico vissuto, seppure in entrambi coloro
che lo vivono esso abbia il medesimo oggetto. 2
Nella sua analisi dell’empatia, dal canto suo, Scheler ha sostenuto che l’esperienza
vissuta dell’altro sarebbe tanto originaria quanto la propria, perché in questi casi si
darebbe un flusso originario e indifferenziato di coscienza, dal quale poi si differenzie-
rebbero i vissuti propri ed estranei. Tale premessa, nota Stein, rende però impossibile la
pretesa distinzione tra ciò che è mio e ciò che invece è altrui, secondo il circolo vizioso
che necessariamente si viene a creare nel momento in cui si cerca di dedurre l’indivi-
dualità dalla totalità : ogni esperienza di vissuti è infatti inscindibile dall’io. L’errore di
Scheler, secondo Stein, deriverebbe proprio dal misconoscere la teoria dell’io puro. Egli

1
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 14 ss.
2
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 26 ss.
114 capitolo ii
confonderebbe infatti la percezione interna, in cui si offrono, di fatto, tutti i vissuti, e
che però va messa tra parentesi dalla riduzione, e la riflessione, con cui invece « disto-
gliendo lo sguardo dall’oggetto lo [si] rivolge all’esperienza vissuta di quest’oggetto »
che è « attuale » e ci dà « un essere assoluto ». 1 Da ciò deriverebbe la sua nota teoria
degli idoli. 2 Proprio per evitare tali fraintendimenti, prosegue Stein, Husserl avrebbe
rinunciato all’uso del termine « percezione interna » per utilizzare appunto quello di
« riflessione » : il fondatore della fenomenologia non avrebbe così attribuito alcuna pre-
ferenza alla percezione interna su quella esterna, come invece appunto Scheler, ma già
anche Brentano, essendo entrambe rivolte a delle trascendenze. Superando dunque
quello che naturalmente potrebbe apparire come un controsenso, Stein sostiene che sia
proprio la corretta teorizzazione dell’io puro a permettere di evitare l’idealismo di un
io sovrapersonale. L’empatia, viene quindi ribadito, si delinea come un vissuto simile
alla percezione, perché presenta in modo diretto, ma dissimile da essa, in quanto non
capace di raggiungere immediatamente ed in modo originario il suo ultimo oggetto di
riferimento, venendo questo ad essere proprio della coscienza altrui. 3
Oltre a quello con Lipps e Scheler, Stein conduce un confronto anche con le teorie di
Volkelt e Stern sull’associazione, e con le posizioni di Münstenberg ; ma è un altro pa-
ragrafo a rivestire per noi importanza specifica, quello cioè dove Stein prende in esame
la teoria dell’inferenza per analogia (Analogieschlußtheorie). Si tratterebbe, prima delle
critiche rivoltele proprio da Lipps, della teoria più accreditata per descrivere l’esperien-
za altrui, e sostenuta tra gli altri da J. S. Mill.
Conosco il corpo estraneo e le sue modificazioni, conosco il corpo proprio e le sue modifica-
zioni ; nel secondo caso so che sono condizioni e conseguenze dei miei vissuti (che sono dati
contestualmente). Ora, poiché in un caso la successione dei fenomeni corporei è possibile solo
tramite la mediazione del vissuto, assumo la presenza di una tale mediazione anche laddove mi
si diano solo manifestazioni corporee. 4
Se per le altre teorie, procede il testo, si poteva affermare che non conducessero al
fenomeno dell’esperienza altrui, in questo caso si può persino sostenere che questo fe-
nomeno venga del tutto ignorato da una teoria siffatta. Nella conoscenza del vissuto al-
trui, ammette Stein, non sono del tutto assenti inferenze di tipo analogico : è possibile,
infatti, che un’espressione altrui me ne rammenti una propria e che quindi io proceda
ad attribuire all’altro la mia. Ma appunto si tratterebbe di casi in cui manca il vissuto

1
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 45.
2
Cfr. M. Scheler, Die Idole der Selbsterkenntnis, in Vom Umsturz der Werte, GW III, Bern-München, Fran-
ke, 1972.
3
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 43 ss. ; l’opera principale di Scheler con cui si confronta
Stein è evidentemente Zur Phänomenologie und Theorie der Sympathiegefühle von Liebe und Haß, Halle, M. Nie-
meyer, 1913 ; ma non è l’unica. Sul tema cfr. P. Zordan, Edith Stein e Max Scheler. Un confronto a partire dalle
analisi del Problema dell’empatia, « Segni e comprensione », 54 (2005), pp. 64-78, che sottolinea molto oppor-
tunamente come Scheler giochi un ruolo decisivo anche nella trattazione steiniana della persona. Un’opera
diffusa che faccia il punto dei diversi e complessi rapporti tra Stein e Scheler è ancora un desideratum della
ricerca. Per una analisi in generale di questo lavoro cfr. invece E. Costantini, Einfühlung und Intersubjektivi-
tät bei E. Stein und bei Husserl, « Analecta Husserliana », 11, Dordrecht, D. Reidel, 1981, pp. 335-339 ; C. Balzer,
The Empathy Problem in E. Stein, « Analecta Husserliana » 35, Dordrecht-Boston-London, Kluwer, 1991, pp.
271-279 ; K. Hedwig, Über den Begriff der Einfühlung in der Dissertationsschrift Edith Steins, in L. Elders (a cura
di), Edith Stein – Leben, Philosophie, Vollendung, cit., pp. 239-252 ; P. Manganaro, L’« Einfühlung » nell’analisi fe-
nomenologica di Edith Stein : Una fondazione filosofica dell’alterità personale, « Aquinas », 43/1 (2000), pp. 101-121.
4
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 41.
analogia della persona 115
empatico, in cui cioè è assente l’esperienza del vissuto, sia pur indiretta, altrui. Qui la
critica steiniana fondamentale a questa teoria che si basa sostanzialmente su un piano
inferenziale e che quindi riconduce anche la questione dell’analogia a questo livello.
Le analisi di Stein procedono quindi con il ruolo dell’empatia per la costituzione
dell’individuo psicofisico, e riprendono quanto accennavamo in precedenza rispetto
all’importanza della conoscenza dei vissuti altrui anche per il sé. L’io puro viene com-
preso, immediatamente, non come un io solo.
Abbiamo trattato dell’io puro, sinora, come del soggetto dei vissuti privo di qualità altrimenti
indescrivibile. In diversi autori – ad esempio Lipps – abbiamo ritrovato la tesi che questo io non
sia «individuale», ma sia tale solo in contrapposizione ad un «tu» e ad un «egli». 1
L’importanza dell’altro io è descritta quindi in riferimento alla comprensione di sé
come ipse.
E questa alterità [di un altro io] si annuncia nel modo della datità. [L’altro io] si rivela come un
altro rispetto all’io nella misura in cui mi è dato altrimenti rispetto a « io ». Perciò è un « tu » ; ma
questi si vive così come io vivo me stesso, e perciò il « tu » è « un altro io ». Così l’io non esperisce
l’individualizzazione per il fatto che si trova dinanzi un altro, ma la sua individualità o, come
noi preferiamo dire, la sua ipseità (dobbiamo risparmiare la designazione di « individualità » per
altro) viene messa in risalto dal confronto con l’alterità dell’altro. 2
Stein nota allora come al flusso di coscienza di un io possano affiancarsi altri flussi ana-
loghi. Ipseità e diversità qualitativa dei vissuti sono dunque due gradi di avvicinamento
a ciò che generalmente, dice Stein, si intende per « io individuale », ossia l’unità psicofi-
sica. Essa può essere considerata anzitutto dal punto di vista meramente psichico ; e in
relazione a ciò l’analisi steiniana affronta un tema apparentemente sorprendente, ossia
quello dell’anima sostanziale. Questa viene definita come « unità individuale della psi-
che in quanto tale » e come « qualcosa che sta alla base dei vissuti e manifesta se stessa e
le sue proprietà costanti così come il suo identico portatore », 3 ossia è ciò che permette
che i vissuti abbiano determinate qualità, una certa colorazione, alcune sfumature che
rendono noto l’intimo dell’io puro : l’anima, dunque, è il flusso reale dei vissuti ; ed essa
è necessariamente sempre anima di un corpo proprio.
Quest’ultimo si presenta come un fenomeno peculiare, perché la sua inaggirabilità
e il nostro essere inevitabilmente legati ad esso lo manifestano come differente rispetto
alle altre realtà percepibili. La datità del corpo proprio si costituisce sulla base delle
sensazioni che non risultano mai provenire dall’io puro, perché sono sempre localizzate
a distanza da esso ; anche se propriamente parlando il cogito non ha una localizzazione
vera e propria (esso è nella testa per le sensazioni visive, nella parte centrale del corpo
per le sensazioni tattili ecc., ossia dipende dagli elementi reali che lo costituiscono) ; e la
distanza da un corpo altro non può mai essere paragonata a quella dal corpo proprio.
Fondamentale risulta la distinzione fenomenologica che c’è, ad esempio nella perce-
zione di un oggetto esterno, tra oggetto stesso, percezione di esso, sensazione vissuta
e percezione del corpo proprio : questi due ultimi elementi, ossia la mera sensazione
e il costituirsi del corpo vivente, risultano strettamente connessi. Inoltre, per il corpo
vivente, così come avviene per tutte le percezioni, si riscontra il fenomeno cosiddetto

1
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 54.
2
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 54.
3
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 55-56.
116 capitolo ii
della « fusione », ossia del comune formare, da parte di sensazioni diverse, un’oggettua-
lità : ciò non avviene però semplicemente con il giustapporsi di dati provenienti da sensi
differenti (la vista darebbe la forma e il colore, il tatto la levigatezza o meno ecc.), ma
con un trascorrere reale e continuo degli elementi propri di un modo di datità ad un al-
tro (la vista « vede » la durezza). Tale approfondimento, non riducibile secondo Stein ad
una semplice questione di associazioni psicologiche (per cui « io vedo la durezza dello
zucchero e mi ricordo della sua dolcezza ») non viene però ulteriormente sviluppato. 1
Dopo aver analizzato già qui come si presenta il problema costitutivo nei confronti
del movimento, Stein sostiene che sussista la possibilità di un io senza corpo proprio
(naturalmente si tratterebbe di capire che tipo di io e di che rapporti potrebbe avere
con il mondo), ma non viceversa, perché il corpo è costituito in modo essenziale da
sensazioni, che devono essere ricondotte inevitabilmente all’io. Si dà forse, in astratto,
la possibilità di una coscienza fornita solo di atti sensibili senza atti egologici, ossia di
un corpo animato ma senza io, anche se tale ipotesi sarebbe difficilmente difendibile.
Presenta difficoltà anche il giudicare della questione di un io senziente senza corpo.
Così come in sospeso resta la domanda sui rapporti causali reciproci tra psiche e corpo,
che viene solo marginalmente trattata, laddove si accenna alle questioni dei rapporti
tra sentimenti ed espressione di essi (in cui si afferma che il sentimento necessariamen-
te richieda un’espressione, le cui forme possono essere considerate essenzialmente) e
tra volontà e corpo proprio. Riassumendo, conclude Stein, l’individuo è un qualcosa
di unitario, in cui l’unità della coscienza di un io e di un corpo fisico si congiungono
indissolubilmente ; pertanto ciascuno dei due assume un carattere nuovo : il corpo si
presenta come corpo proprio di un io, mentre la coscienza si presenta come anima
dell’individuo.
Descritto l’individuo proprio, Stein passa ad esaminare i gradi con cui invece l’in-
dividuo estraneo viene a costituirsi. 2 Le sensazioni altrui, così come i vissuti, sono
raggiungibili secondo Stein mediante endosensazione, considerata come un grado
basilare dell’empatia ; essa permette di pervenire al corpo estraneo come punto zero
d’orientamento del mondo spaziale e trasporsi nel « suo punto di vista ». Ciò rende pos-
sibile inoltre la costituzione completa anche del corpo proprio, che viene considerato
« un » corpo al pari di altri ; nell’esperienza meramente originaria esso era invece solo
un corpo vivente ; e nella percezione esterna un corpo dato imperfettamente in quanto
inaggirabile. Tale conoscenza di sé anche, sotto alcuni aspetti, come « uno dei tanti », si
presenta come un elemento radicalmente presente in molti vissuti. Infine è di grande
importanza la ripresa della considerazione che aveva mosso il lavoro, ossia che l’espe-
rienza empatica, fondamento dell’intersoggettività, diviene anche fondamento della
« possibilità di una conoscenza del mondo esterno esistente », 3 come sostengono anche
Husserl nelle Idee e Royce : l’assumere l’ottica dell’altro permette infatti di cogliere un
aspetto differente delle apparizioni del mondo e di uscire dall’ambito della sfera mera-
mente egologica, arrivando finalmente a un mondo in sé costituentesi in una moltepli-
cità di coscienze.
Stein conduce poi considerazioni di estremo interesse sull’« espressione », che non
si presenterebbe come mero segno dello stato d’animo, bensì come simbolo di esso ;

1
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 56 ss.
2
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 74 ss.
3
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 81 ss.
analogia della persona 117
non vi sarebbe un rimando, ma il contenuto si darebbe direttamente nella manife-
stazione :
L’espressione triste del volto non è propriamente un tema che rinvii ad un altro tema, bensì una
sola cosa con la tristezza […] l’espressione del volto è il lato esteriore della tristezza ed entrambe
costituiscono un’unità naturale. 1
Sostenere però, come Lipps, che anche l’espressione linguistica sia un simbolo e che in
essa sia direttamente presente un atto del soggetto (di comprensione nel caso della pa-
rola, di giudizio per quel che riguarda una frase) è per Stein un errore : le parole infatti
non sono un tema, rimandano tuttavia ad un tema altro. Esse però non sono nemmeno
meri segnali, perché vivono sempre in virtù di una coscienza, mentre invece i segnali,
una volta prodotti, assumono vita propria ; ossia, per essere più esatti, il segnale sembra
avere un corpo più materiale della parola. Le parole, inoltre, rimandano sempre ad un
significato, ossia ad una formulazione necessariamente logico-categoriale di uno stato
di cose, non a tale stato di cose semplicemente :
se qualcuno mi dice che è triste, io comprendo il senso delle sue parole. La tristezza, di cui ora
so, non è affatto « viva » com’è viva la datità percettiva che mi sta di fronte. 2
Nell’espressione linguistica si raggiunge sempre un universale che va integrato con
l’intuizione, ed è questa che permette di capire l’esatto riferimento individuale mo-
mentaneo.
Così, Stein può giungere anche alla definizione del fenomeno della motivazione, di
cui si accennava in precedenza, secondo la quale non si tratterebbe solo del caso specifi-
co di causalità psichica proprio degli atti volontari ; viene definita infatti come scaturire
di un vissuto da un altro vissuto nella pura immanenza, senza deviazione nell’ambito
degli oggetti : è il rapporto, dice Stein, tra la vergogna e l’arrossire, non quello tra lo
sforzo e l’arrossire stesso. 3 Un accadere che avviene solo nell’ambito della coscienza,
che non si manifesta nel modo del « se … allora », e che appunto « motiva » il passaggio
da un vissuto ad un altro. Cosicché anche il comprendere non è che il vivere questi
rapporti tra vissuti (e non un oggettivare) :
[La motivazione] appartiene essenzialmente alla sfera dei vissuti. Non si danno altrove rapporti
di questo tipo. Siamo soliti definire il rapporto di motivazione, in contrapposizione a quello cau-
sale, come comprensibile (verständlich) o sensato (sinnvoll). Comprendere (verstehen) non vuol
dire altro che vivere il passaggio da una parte ad un’altra di una totalità di vissuti (non : avere
oggettivamente, gegenständlich), e tutto ciò che è obbiettivo (objektiv), tutto il senso dell’oggetto
(Gegenstandssinn) si costituisce soltanto mediante vissuti di questa specie. Un’azione è unità di
comprensione o di senso, in quanto i vissuti parziali che la costituiscono sono tra loro in rap-
porto che può essere vissuto (erlebbar). E nello stesso senso il vissuto e l’espressione formano un
tutto comprensibile. Comprendo un’espressione, mentre una sensazione posso soltanto portar-
mela a datità. 4

1 2
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 95. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 99.
3
Significative sono le somiglianza tra alcune descrizioni heideggeriane dell’arrossire e queste steinia-
ne : cfr. S. Bancalari, La carne come limite e il limite della carne : Heidegger e il fenomeno dell’erröten. A pro-
posito del contributo di Jean Greisch, « Archivio di Filosofia », 68 (1999), pp. 83-103. Heidegger tuttavia come
« simbolo » quello che qui Stein definisce « segno » (cfr. al riguardo anche F. V. Tommasi, Prima e al di là di
ogni intenzione. Teologia negativa ed eccedenza fenomenologica in Edith Stein e Emmanuel Levinas, « Archivio
di filosofia », 70, 2002, pp. 821-848).
4
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 102-103.
118 capitolo ii

Nel cogliere i nessi significativi si possono correggere le interpretazioni che si traggono


dai vissuti di empatia e tale possibilità permette inoltre di costituire il carattere dell’al-
tro, elemento questo che fungerà poi a sua volta da base per ulteriori interpretazioni
o correzioni.
Infine, e così si conclude questa sezione relativa all’esperienza altrui, la costituzione
dell’individuo estraneo sembra essere anche condizione per quella propria, secondo
l’ordine di considerazioni che si anticipava già in precedenza, anche negli strati su-
periori : l’esperienza della sfera psichica altrui come « simile », che avviene necessaria-
mente per oggettivazione grazie alla mediazione del corpo estraneo e quindi del non
presentarsi originariamente del flusso di vissuto dell’altro io, permette l’oggettivazione
anche dello psichico proprio, che altrimenti in modo spontaneo viene vissuto in modo
non riflessivo e non oggettivante. Empatia e percezione interna collaborano allora alla
conoscenza di se stessi. 1
La trattazione steiniana avanza quindi con la parte dedicata all’empatia come com-
prensione delle persone spirituali ; 2 il dato di fatto che la coscienza possa obiettivizzare
ed essere costitutiva, infatti, ha mostrato come essa non si ponga solo come una real-
tà della natura, ma anche quale correlato di essa, quindi come spirito. L’espressione
e gli atti di volontà sono le manifestazioni principali dello spirito. Per questo, la vita
spirituale è essenzialmente di tipo motivazionale, e le scienze dello spirito si fondano
sulla questione della comprensione. Viene quindi chiamato in causa Dilthey, che ha
tentato di fondare le scienze dello spirito basandosi sulla psicologia descrittiva anziché
esplicativa, dunque sulla motivazione anziché sulla causa. Si deve infatti giungere non
tanto ad afferrare il motivo causale effettivo di un fenomeno, ma a comprendere ciò
che veramente lo fa essere ciò che è, ossia la struttura categoriale interna, il senso. Gli
atti della persona, ossia gli atti spirituali, sono tra loro in rapporto di nessi significativi,
ossia in rapporto motivazionale :
il soggetto spirituale è per sua essenza subordinato alle leggi della ragione e […] i suoi vissuti
stanno in rapporti intelligibili. 3
I vissuti emotivi sono particolarmente importanti per la costituzione spirituale, perché
sul piano degli atti della quotidianità è possibile immaginare un soggetto che viva sem-
pre rivolto agli oggetti senza mai riflettere sugli atti stessi e dunque accorgersi di sé : nel
sentire però ciò non è possibile, l’io « vive se stesso » secondo diversi strati di profondità,
anche se tale io non è l’io puro, che invece non ha profondità. Oltre alla profondità, i
vissuti si distinguono anche per raggio d’azione (ossia per quanta parte dell’io coinvol-
gono) e per durata nel tempo. L’analisi degli atti dell’io, tuttavia, va sempre condotta
per Stein in correlazione con quella dei suoi oggetti, e legando il piano del sentimento
ad un’assiologia. Nel rapporto tra le componenti soggettive e oggettive si può costruire
una teoria della personalità, qui solo abbozzata, che, accenna Stein, rappresentereb-
be il fondamento ontologico delle scienze dello spirito secondo la ricerca di Dilthey.
Se tale proposta pare essere fortemente scheleriana, nel suo riferirsi anche esplicito al
Formalismo, 4 la considerazione che il fondamento vada trovato comunque nell’unità di
1
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 106 ss.
2
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 108 ss.
3
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 115.
4
Cfr. M. Scheler, Der Formalismus in der Ethik und die materiale Wertethik. Neuer Versuch der Grundlegung
eines ethischen Personalismus, in GW ii, Bern, Franke, 19665.
4. La motivazione

analogia della persona 119


significato costituentesi nell’esperienza vissuta subordinata alle leggi di ragione, ossia
nei vissuti e nella loro legalità a priori, sembra rimarcare la fedeltà husserliana dell’in-
dagine. Dilthey da parte sua aveva legato indissolubilmente essere e dovere nel mondo
dello spirito, ossia i valori sarebbero per lui coincidenti con i nessi della ragione, per cui
chi sente un valore e può realizzarlo, lo fa ; ma con ciò, sostiene Stein, non si afferme-
rebbe ancora nulla riguardo al valore stesso.
Nella parte conclusiva, infine, il testo prosegue analizzando come sia altamente va-
riabile la tipologia personale e come l’empatia nel campo dello spirito debba basarsi su
tutta la persona, dovendo cogliere un’unità significativa, e non sul mero campo percet-
tivo. L’empatia permette certo di porre il proprio sé quale oggetto, risultando dunque
significativa per l’autoconoscenza, ma si rivela fondamentale anche per l’autovaluta-
zione. Il lavoro steiniano si chiude con un dubbio riguardo alla esperienza religiosa : ci
si chiede cioè se non si tratti in realtà di uno scheleriano « idolo dell’autoconoscenza »,
problema che è introdotto dalla questione circa la possibilità di un’empatia tra spiriti
non mediata dal corpo. 1

4. La motivazione
Le considerazioni del lavoro sull’empatia, ed in particolare della loro sezione conclu-
siva riguardante la soggettività, sono approfondite nel lavoro dal titolo Contributi per
una fondazione filosofica della psicologia e delle scienze dello spirito, pubblicato solo nel 1922
sullo Jahrbuch husserliano, ma scritto probabilmente già nel 1919 o nel 1920, così da
tradire una decisa vicinanza, in molti passaggi, con il secondo volume delle Idee. 2 Oltre
a tentare di descrivere in generale alcune delle tesi fondamentali del volume, porremo
attenzione però in particolare alla motivazione, che abbiamo chiamato in causa diverse
volte, sia come direzione “personalistica” su cui si dirime la questione della disputa
relativa al problema costitutivo, sia ora come vissuto centrale per una comprensione
delle scienze dello spirito.
Se in Essere finito ed essere eterno, ed in generale negli scritti dopo la conversione,
Stein sembra individuare una trascendenza costitutiva della stessa vita egologica dell’io
puro (e non tanto una trascendenza irriducibile all’io, secondo quanto vorrebbe il rea-
lismo), questa tesi pare già anticipata dall’idea per cui il flusso temporale di coscienza
sia originariamente di tipo motivazionale, dunque spirituale ; e come, di per sé vuoto,
trovi riempimento solo in un regno appunto spirituale che lo ricolmi. Vedremo quindi
come la motivazione descritta quale vita dell’io venga da Stein legata al problema della
grazia, con una considerazione che in senso tecnico sembra riprendere la descrizione
del vissuto di recupero della forza vitale mediante un intervento esterno, inaspettato,
di Dio.
Questo scritto originariamente progettato per un primo tentativo di abilitazione
all’insegnamento universitario è diviso in due sezioni, una dedicata al problema della
Causalità psichica, l’altra ad Individuo e comunità. Il saggio si avvia con una disamina del
concetto di causa, centrale nelle discipline scientifiche, che andrà applicata nell’ambito
1
Cfr. Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, pp. 135-136.
2
Cfr. B. Beckmann-Zöller, Einleitung a Beiträge…, cit., pp. xiv ss. ; cfr. anche M. Shahid, A Phenom-
enological Analysis of the Psiche in Ideas ii and A Phenomenological Psychology, « International Journal of Phi-
losophy of Culture and Axiology », 8 (2007), pp. 50-58 ; M. Lebech, Study Guide to Edith Stein’s Philosophy of
Psychology and the Humanities « Yearbook of the Irish Philosophical Society : Voices of Irish Philosophy », 4
(2004), pp. 40-76.
120 capitolo ii
in questione, e dalla frequentemente misconosciuta distinzione tra coscienza e psiche :
la differenza è parallela, ovviamente, a quella tra fenomenologia e psicologia. Parten-
do anche in questo caso dalle ricerche husserliane sul tempo e sul flusso originario di
coscienza, Stein risale all’origine della vita dell’io, in cui non si può più riscontrare lo
schema duale della costituzione, ossia al flusso stesso dei vissuti, dove vive la coscienza
costituente ultima. All’epoca in cui Stein scrisse questo testo, gli appunti husserliani
sul tempo erano ancora inediti : perciò, Stein si vede costretta a dover giustificare l’im-
postazione della sua analisi in una annotazione, in cui si augura l’approvazione del
maestro per l’impostazione pionieristica del saggio, rivolto direttamente al flusso e non
al risalimento degli strati costitutivi del mondo dato nell’atteggiamento obiettivante,
come era avvenuto per le Idee. 1
Si procede allora ad una descrizione minuziosa di questo livello originario di coscien-
za : il flusso si presenta come un continuum, ma è al contempo costituito da fasi, che co-
stituiscono a loro volta delle unità, ossia i vissuti, tra i quali non si riscontra un semplice
congiungimento, ma anche un rapporto causale di tipo meccanico. In ognuno di essi si
possono poi distinguere, così come già si era visto nel caso dell’empatia, un contenuto
ricevuto nella coscienza, il momento in cui si vive questo contenuto, e la coscienza del
vivere. Nell’ambito dello psichico si potrebbe parlare di causalità reale in analogia con
ciò che avviene nel mondo fisico, basandosi sul concetto di forza vitale :
Non esiste realtà psichica senza causalità. Se vengono meno la forza vitale e l’effettualità feno-
menica che da essa nasce, non c’è alcuna possibilità di costituzione di una psiche con qualità e
stati reali. 2
La forza vitale non sarebbe determinabile esattamente e numericamente, ma ciò non
significa, per l’autrice, che non siano osservabili in essa differenze di massima : non si
possono determinare tutte le sfumature di rosso, ma si può distinguere il rosso dal blu.
La vita dello spirito comincia invece con intenzionalità, riflessione e oggettivazione,
mediante le quali si esce dalla mera sfera passiva del flusso considerata in modo astrat-
to, per giungere ad entità che si costituiscono secondo gradi diversi, ossia nell’appren-
sione (aggiunta di ciò che segue a ciò che precede), nell’appercezione (connessione
delle singole apprensioni, sintesi) e nella messa in movimento di quello che segue per
mezzo di ciò che precede. A quest’ultimo livello corrisponde la motivazione, secondo
l’ampliamento del suo concetto tradizionale (che si limitava genericamente a identifi-
carla con gli atti liberi) che già si era notata nella dissertazione sull’empatia e che qui
è ulteriormente sviluppata, al punto da renderla non solo elemento culminante della
costituzione dei vissuti, ma anche suo fondamento.
Tale sviluppo del concetto avviene probabilmente in rapporto agli studi di Alexander
Pfänder che nell’opera intitolata Motive und Motivation aveva distinto i fenomeni del
mero tendere (semplice assecondamento di un impulso) e del volere (atto spontaneo
di autodeterminazione, in cui l’io è sia soggetto sia oggetto e che, tra l’altro, permette
la coscienza immediata di sé). 3 Il motivo si presenta come fondamento del volere con-
forme all’esigenza, e « motivazione » viene definita quella relazione speciale che sussiste
tra il fondamento conforme all’esigenza e l’atto del volere che si appoggia su di esso. Il

1
Cfr. Beiträge…, ESGA 6, p. 11.
2
Beiträge…, ESGA 6, p. 29. Sul concetto di « forza vitale » cfr. C. Betschart, Was ist Lebenskraft ? Eine
Auseinandersetzung mit Edith Steins Untersuchung „Psychische Kausalität“, Roma, diss., 2008.
3
Cfr. A. Pfänder, Motive und Motivation, München, J. A. Barth, 19633 (19111).
analogia della persona 121
motivo dunque, dovendo essere accolto dall’io come fonte del volere, non causa il vo-
lere, come invece gli stimoli e gli impulsi, ma lo fonda quale esigenza pratica. Secondo
Pfänder, l’elemento principale che permette di distinguere la causalità dalla motiva-
zione è che quest’ultima può essere costituita da qualcosa che non è reale, ad esempio
un qualcosa di meramente pensato od immaginato ; realtà e causalità vengono quin-
di poste in stretta connessione reciproca, essendo la prima costituita solo da ciò che
è assolutamente determinabile e quindi definibile causalmente sul fondamento delle
categorie logico-matematiche. Il motivo invece offre solo supporti ideali e innesca un
movimento di ascolto interiore dell’esigenza e di decisione. 1 Su queste basi Pfänder era
giunto persino a teorizzato una scienza dei propositi pratici, analoga alla logica. 2
Per Stein, invece, nel paragrafo intitolato La motivazione come legalità fondamentale
della vita spirituale (stesso titolo, tra l’altro, del paragrafo 56 di Idee ii), la motivazione è
invece anzitutto e in generale il legame che connette gli atti tra loro : si tratta del prove-
nire di vissuti dall’io puro, del loro susseguirsi sensato attraverso lo stesso io puro, e del
loro tendere finale ad un’oggettualità sul presupposto dell’intenzionalità. Rifacendosi
al § 47 del primo volume delle Idee, dove tale ampliamento del significato di motiva-
zione è già introdotto da Husserl come una « generalizzazione » dell’uso abituale del
termine, 3 Stein afferma che si tratta del sorgere di un atto grazie ad un altro, sulla base
di un contenuto di senso e del loro successivo rivolgersi ad oggetti. Così, con gli atti
e le loro motivazioni si scopre il dominio del senso, che regola la vita del flusso, e che
viene dischiuso ponendosi « sul » flusso, e non più solo « in » esso. L’io compie un atto
sul fondamento del fatto che ne ha già compiuto un altro, scoprendo così una legalità
diversa rispetto a quella del semplice causarsi meccanico dei vissuti indipendente da un
suo diretto intervento.
Quando definiamo in generale il legame tra atti, cui ci rivolgiamo qui, come motivazione, siamo
consapevoli di distanziarci dall’uso linguistico comune, che limita questa espressione al campo
degli « atti liberi » ed in particolare della volontà. Ma riteniamo che questo ampliamento abbia
un buon motivo, e che ciò che abbiamo di mira ora sia una struttura generale valida per l’intero
ambito dei vissuti intenzionali. 4
La motivazione quindi sembra non essere solo una tipologia specifica di atti, ma ap-
punto la modalità più profonda con cui ciascun atto intenzionale opera, perché regola
la vita del flusso e dell’io.
La motivazione nel nostro senso generale è il legame che unisce gli atti tra loro : non un
mero fondersi, come quello delle fasi del flusso di vissuti che scorrono contemporaneamente
o che si susseguono ; né un nesso associativo di vissuti ; ma un derivare (Hervorgehen) dell’uno
1
Ma il caso di possibili motivi inconsci, per quanto preso in considerazione da Pfänder, sembra difficil-
mente armonizzabile con questa impostazione : appare infatti difficilmente ipotizzabile che una volontà
non sappia ciò che la muove, nel momento in cui la motivazione stessa è stata descritta come il vissuto in
cui l’io vive la sua più alta realtà spirituale e trova in qualche modo auto trasparenza e autodfondazione.
Come nota Roberta De Monticelli : « una volontà può ignorare i suoi atti propri ? Gli atti del volere non sono
per definizione dei sì o dei no impressi dall’io ai propositi consci considerati ? Di più, non sono in Pfaender i
veri luoghi della costituzione di questo io, che si afferma determinandosi o identificandosi nel progetto con-
siderato e dissociandosi dal progetto rifiutato ? … come ammettere dunque un volere che ignora se stesso
dopo averlo definito il modo della presenza a sé del soggetto ? » (R. De Monticelli, La persona : apparenza e
realtà, Milano, R. Cortina, 2000, p. 36 nota 1)..
2
Stein cita qui esplicitamente Pfänder, cfr. Beiträge…, ESGA 6, p. 52.
3
Cfr. E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und einer phänomenologischen Philosophie, i, Husser-
4
liana iii, The Hague, M. Nijhoff, 1959, p. 89. Beiträge…, ESGA 6, pp. 35-36.
122 capitolo ii
dall’altro un compiersi (Sichvollziehen) o essere compiuto dell’uno sulla base dell’altro, grazie
all’altro. 1
Seppur velata, la motivazione è tuttavia presente anche negli atti di livello più basso,
come la percezione. Tutti i tipi di atti dell’io, nessuno escluso, sono accomunati dal fatto
di obbedire a questa legalità di tipo motivazionale. Gli atti liberi invece presuppongono
esplicitamente un motivo, ma poi è sempre necessario un impulso non motivato e libe-
ro che provenga dall’io. Tale spinta personale tuttavia, non deve essere necessariamente
obiettivizzata in un proposito, ma può semplicemente essere l’ascolto di un’esigenza
interiore cui si risponde con un atto volontario. Stein comunque assegna di rimando
anche al tendere una possibile consapevolezza dell’oggetto, e la nega solo all’impul-
so. Dunque la differenza tra motivazione e tendenza non risiede nell’obiettivazione,
ma nell’intervento originale dell’io. Questo elemento, insieme all’ampliamento della
portata semantica del termine, permette di avanzare l’ipotesi che la motivazione, qui
presentata espressamente anche come un terzo livello di costituzione dei vissuti dopo
appercezione e sintesi, ossia come piano spirituale dopo quelli fisico e psichico, possa
però essere considerata anche come il fondamentale, essendo presente implicitamente,
come detto, in ogni livello.
Causalità e motivazione sono comunque intrecciate, perché è certo pensabile astrat-
tamente una coscienza che viva solo degli atti motivanti, ma di fatto essa è sempre
sottoposta all’influsso causale dei mutamenti di vitalità, e viceversa : Stein descrive poi,
seppure incidentalmente, l’esperienza che ricorre con insistenza nelle sue testimonian-
ze, della perdita della forza vitale e del recupero di essa mediante l’abbandono in Dio,
che non richiede sforzo di volontà, ma solo la capacità di lasciarsi riempire. Distingue
le varie specie di atti motivati, ad esempio quelli razionali e quelli irrazionali. La stessa
epoché è presentata come un atto motivato dalla insufficiente credibilità del mondo.
La conclusione di questa sezione stabilisce infine che le leggi associative dei vissuti
rendono possibili previsioni dell’accadere psichico, ma non una rigida determinazione
di esso. Si critica dunque la possibilità della psicologia quale scienza esatta di tipo ma-
tematico.
Stein si rivolge poi, nella seconda sezione, alla analisi dei rapporti tra individuo e
comunità. Prendendo come presupposto la celebre opera di Tönnies su Comunità e
società, 2 il testo afferma che società si darebbe quando i soggetti sono oggettivizzati,
possibilità attuabile però solo su una base previa di altro tipo ; la comunità senza società
è dunque possibile, ma non viceversa. Pur nella sua assoluta irriducibile individualità,
l’io ha per Stein la possibilità di possedere dei vissuti in comunione con altri : si porta
come esempio una truppa addolorata per la perdita del comandante. Si tratta eviden-
temente di vissuti diversi rispetto a quelli di empatia tra due soggetti, sia a livello del
soggetto che li vive, sia a livello di struttura del vissuto, sia per quanto riguardo il flusso
in cui si inseriscono. Non esiste in effetti, a giudizio dell’autrice, un io puro comunita-
rio, ma solo qualcosa come una personalità globale. Ogni individuo ha la sua tristezza,
benché d’altro canto si sia autorizzati a dire che tutti sentono la stessa tristezza. La
tristezza è un contenuto individuale che sento ma non è solo questo. Essa ha un senso
e pretende, in virtù di questo senso, di essere valida per qualcosa che si trova al di là

1
Beiträge…, ESGA 6, p. 36.
2
Cfr. Beiträge…, ESGA 6, pp. 110 ss. (cfr. F. Tönnies, Gemeinschaft und Gesellschaft, Leipzig, Reisland,
1887).
analogia della persona 123
del vivere individuale, che esiste oggettivamente e per mezzo del quale essa è fondata
razionalmente.
L’oggettività della perdita del comandante è un correlato di vissuto comune, che
poi può riempire in modi differenti l’intenzione dei singoli, a seconda di come sono
vissute le esigenze del contenuto di senso. La comunità non ha solo un contenuto di
vissuto comune, ma anche un vivere sovraindividuale, di cui però c’è coscienza solo
negli individui che ne fanno parte : dunque per le comunità si deve distinguere il flusso
di coscienza (che non c’è), dal flusso di vissuto : ciò che l’individuo vive, come membro
della comunità, forma il materiale su cui sono costituiti i vissuti comunitari. Questi si
possono poi estendere per generazioni e costituirsi grazie all’appoggio degli individui
(ad esempio l’odio dei guelfi contro i ghibellini).
Quali vissuti individuali sono adatti a costituire un vivere comunitario ? L’analisi det-
tagliata giunge ad evidenziare il carattere comunitario degli oggetti di esperienza (a
partire dalle realtà materiali sino alle costituzioni di livello superiore) e quindi a ribadire
la necessità di una teoria dell’empatia per una descrizione esaustiva dell’esperienza.
Stein nota inoltre come esista un mondo comunitario di fantasia (le favole), nonostante
tale vissuto sia radicalmente individuale : quando infatti il vissuto individuale fanta-
stico assume un significato, esso risulta accessibile all’altro, come avviene per tutte le
costituzioni di senso. Possiedono un significato generale anche gli atti categoriali, che
escludendo di principio l’elemento dell’individualità sensibile (su cui comunque si fon-
dano).
Dobbiamo dunque distinguere il significato in quanto oggettività normalmente determinata in
sé, il contenuto di significato dei singoli vissuti e il contenuto di significato dei vissuti comunitari ;
gli ultimi due tendono ad un significato ideale compiuto e sono in una relazione reciproca, dal
momento che il contenuto comunitario è costituito dai contenuti singoli ed è inteso in essi. 1
La matematica come forma ideale sarebbe invece sia un’esperienza del singolo che del-
la comunità, ricevendo colorazioni diverse nella sua essenzialità identica. Nella sfera del
sentimento, invece, ossia degli oggetti quali portatori di valori che costituiscono vissuti
corrispondenti, si potrebbe avere anche un’unità comunitaria.
Si procede poi ad esaminare quali dei legami tra vissuti, presenti nella vita individua-
le, ritornino nella vita comunitaria : non c’è, secondo l’autrice, associazione per conti-
guità (si darebbe nei singoli, ma non nel vissuto comunitario), mentre le connessioni
intellettuali (scienza) e di solidarietà sono motivazioni sovraindividuali. Si definisce
inoltre la possibilità di un rapporto causale, ossia di una trasmissione della forza vitale,
del contagio psichico, distinguendolo dalla comprensione, in cui invece l’impressione è
colta come espressione di uno stato interno e per la quale è necessaria la vita spiritua-
le. Viene ammessa infine l’eventualità di un’azione volontaria sovraindividuale, se una
molteplicità di soggetti è accomunata da uno scopo volontario, nonostante l’impulso
con cui inizia il libero agire sia riservato all’individuo e possa presentare sfumature o
caratteristiche diverse.
Nella seconda sezione Stein si rivolge allo studio della comunità reale e della sua
struttura ontica, descrivendola in analogia con la personalità individuale per ciò che
riguarda la forza vitale (che nella comunità è data da quella degli individui, dagli influssi
esterni, dalle azioni sociali e da fonti oggettive, ossia oggettualità reali quali il clima, un

1
Beiträge…, ESGA 6, pp. 132.
124 capitolo ii
paesaggio, oppure opere culturali, tradizioni ecc. secondo molteplici possibilità di com-
binazione). Si affronta inoltre il problema della possibilità di attribuzione di qualità alla
comunità, che non possiederebbe le capacità psichiche inferiori, ma quelle superiori,
ossia intelletto e volontà. Il nucleo della persona, che risiede nel suo carattere e dun-
que nel suo rapporto col mondo dei valori, è descritto come il luogo di radicamento
dell’anima, l’elemento specifico umano (in contrapposizione, ad esempio, agli indivi-
dui corporeo-spirituali). L’anima ha per Stein pesantezza e rigida determinazione, al
contrario dello spirito ; anche se un’analisi dettagliata rivela la difficoltà di distinguerli,
come non semplice si rivela la comprensione del modo in cui si costituisce il nucleo
individuale con le qualità caratteriali permanenti e quelle invece che si formano. La
questione che più direttamente interessa in quest’opera, in ogni caso, è quello di sta-
bilire se anche la comunità abbia un’anima. Vengono differenziate a tal fine la costitu-
zione della massa (individui che si comportano con uniformità grazie alla reciproca
eccitabilità della psiche), della società (individui riuniti per il raggiungimento di uno
scopo e dunque obiettivizzati, in quanto unificati meccanicamente e razionalmente),
della comunità. La conclusione dell’indagine rivelerà come, in certa misura, si possa
parlare di un’anima delle comunità, ossia di un elemento centrale del loro flusso di
vissuto, ma non propriamente di un nucleo, che le equiparerebbe in tutto e per tutto a
delle personalità.
In appendice si tratta infine della distinzione epistemologica tra psicologia e scien-
ze dello spirito, dipendente dal tema sotteso all’intera trattazione, ossia quello della
differenza tra psiche e spirito : anzitutto è emerso che la vita psichica è rigidamente
individuale, mentre lo spirito si presenta invece come un uscire da se stessi, verso il
mondo oggettivo e verso gli altri. Anche l’individuo spirituale può isolarsi, ma ciò con-
traddice la sua tendenza originaria di apertura, su cui si basano anche le formazioni
sovraindividuali : le connessioni psichiche, infatti, si propagano e possono essere messe
in comune grazie allo spirito. La confusione tra psicologia e scienze dello spirito, nota
Stein, si è iniziata a chiarire solo da poco (grazie a Dilthey, Spranger e Münsterberg) con
l’introduzione della psicologia descrittiva e analitica accanto a quella esplicativa, ossia
dell’utilizzo del « comprendere » accanto allo « spiegare », come dicevamo. Nell’ambito
dello spirito, al contrario che in quello della natura, ogni individuo ha qualità peculiari
irriducibili a categorie generali. Le scienze descrittive evidenzierebbero i tipi i cui esem-
plari sono da ritenersi le singole cose, le scienze esplicative, invece, le leggi causali da
cui si ricava lo stato dei singoli oggetti. Da un confronto con Windelband e Rickert, che
non riconoscono lo spirito come elemento classificatorio, perché non distinguono tra
psiche e spirito, e che quindi sostengono che la differenza delle scienze dello spirito da
quelle naturali vada rintracciata solo nel metodo (nomotetico e ideografico al contem-
po), Stein prende poi spunto per le sue considerazioni conclusive : la fenomenologia è
scienza della coscienza pura, mentre le scienze dello spirito si occupano degli atti nel
loro intreccio col mondo. Il cosmo spirituale e gli atti spirituali trascendono allora la
coscienza. L’io puro è funzionale, soggetto d’irradiazione, mentre soggetto della vita
spirituale è la persona. Nella misura in cui entra in relazione spirituale con la persona
il mondo è spirito oggettivo.
Ma se il comprendere e la motivazione sono stati descritti come le modalità proprie
dello spirito, per un verso, e la legalità più profonda e fondamentale del flusso, pare
presentarsi una strutturale ambiguità : sembrerebbe infatti che la motivazione sia da
un lato lo stadio più complesso di aggregazione di vissuti, il culmine degli atti motivati
5. Libertà e grazia

analogia della persona 125


in senso tradizionale, quelli che pertengono alle scienze dello spirito ; per altro verso
anche come il più basilare, perché è ciò che genera i vissuti stessi, ossia il legame degli
atti nell’io puro.1 Anche questo problema resta aperto e sarebbe meritevole di un appro-
fondimento che potrebbe probabilmente gettare luce maggiore sulla questione della
genesi controversa di Idee ii . Ciò che vale qui rilevare, comunque, è come questa tratta-
zione della motivazione verrà da Stein sviluppata nel senso di un rapporto con la grazia
in cui, ancora una volta, la presenza del divino si rinviene al fondo della persona.

5. Libertà e grazia
Un testo che forse non è tra i più noti di Stein, ma che è molto rilevante per noi pro-
prio perché declina il tema della motivazione nei termini teologici che accennavamo,
è quello che sino a pochi anni fa, per un errore materiale, si riteneva fosse intitolato
La struttura ontica della persona e la sua problematica teoretico-conoscitiva, e il cui titolo
in realtà è Natura, libertà, grazia. Inoltre, sinora il testo era datato all’inizio degli anni
’30, ma alcuni elementi di contenuto, come ad esempio lo scarso riferimento (una sola
citazione) a Tommaso d’Aquino e la descrizione condotta esclusivamente sul piano del
vissuto esperienziale religioso, e anche proprio la vicinanza di alcune considerazioni
con lo scritto appena trattato sulla psicologia, hanno portato ad ipotizzare una sua
datazione più antica. In una lettera ad Ingarden del 1921, per altro, Stein menziona il
suo lavorare ad uno studio di filosofia della religione. Alcuni riferimenti heideggeriani
abbastanza palesi, tuttavia, fanno suppore come pressoché inevitabile la dipendenza di
questo testo da Essere e tempo. 2
L’indagine, divisa in cinque parti, si apre con una considerazione in generale dell’ani-
ma che richiama appunto i lavori fenomenologici, perché si distingue la vita psichica
sottoposta alla legge di impressioni e reazioni e quella invece centrata nell’io e nella sua
libertà, che è al contempo, e qui subito si esprime il motivo fondamentale del testo, vita
intima e scaturente dall’alto :
[l’anima] infatti non può essere al sicuro in se stessa senza essere sollevata sopra se stessa, nel
regno dell’altezza. Con l’essere rientrata in sé e per essere ancorata in alto, l’anima viene anche
cinta di protezione (umfridet), sottratta alle impressioni del mondo e al rischio di venire saccheg-
giata senza difesa. Questo è ciò che sopra abbiamo descritto come essere liberata (befreit). 3
Non esite infatti, secondo l’apertura di queste pagine steiniane, la possibilità di atti
veramente liberi se non si è liberati dalla natura e dal mondo. Le prese di posizione
1
B. W. Imhof, Edith Steins philosophische Entwicklung, Basel-Boston, Birkhäuser, 1987, pp.187-191 ha signifi-
cativamente affermato che Stein ascriverebbe la motivazionalità sia alla fenomenologia trascendentale che
alle scienze dello spirito, riconducendo l’ambiguità ad una posizione realista.
2
Il testo Natur, Freiheit, Gnade era presente con il titolo Die ontische Struktur der Person und ihre erkenntnis-
theorethische Problematik in ESW vi, pp. 137-197. Lo citeremo da quella edizione, l’unica sinora disponibile,
però con il titolo corretto. Sulle circostanze di composizione del testo cfr. C.-M. Wulf, Rekonstruktion und
Neudatieriung einiger früher Werke Edith Steins, in B. Beckmann e H.-B. Gerl-Falkovitz, Edith Stein. The-
men, Bezüge, Dokumente, cit., pp. 249-267, in particolare le pp. 261 ss. La lettera ad Ingarden è in BI, ESGA 4,
p. 140.
3
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 138. Nell’introduzione all’edizione francese del testo, Secretan ha
sottolineato il concetto di « essere liberati », evidenziando quindi l’aspetto di passività. (cfr. P. Secretan,
Introduction a E. Stein, De la Personne, Fribourg, Cerf, 1992. L’introduzione di Secretan mette bene in luce,
anche se necessariamente in modo molto sintetico, il progresso nella analisi della persona steiniana e il
legame di questo testo con le opere prime fenomenologiche, le successive di pedagogia, antropologia ed
ontologia e le ultime di mistica.
126 capitolo ii
dell’anima provengono da un centro. La sua attività si caratterizza per una passività
strutturale, perché questo centro, che in sé è vuoto, viene costantemente occupato da
altro. Questo altro appunto può essere il mondo, oppure un ancoraggio in qualcosa di
più alto, che libera la libertà stessa : con l’apparente paradosso che proprio nel luogo
della libertà, nel nucleo profondo dell’io, non si farebbe alcun uso proprio della libertà.
Ma la rinuncia alla libertà e all’attività, si chiede allora Stein, non sono esse stesse un
atto libero ? Ossia quella che si è definita « vita liberata » non presuppone essa stessa la
libertà ?
Prima della caduta si viveva nel regno della grazia secondo la vita naturale, al modo
in cui tutt’ora vivrebbero gli angeli, che sono sottomessi senza sottomettersi ; il loro
stato presuppone infatti la libertà, e perciò la possibilità di rifiutare l’obbedienza, ma
non l’uso della libertà nel senso di un originario atto di sottomissione. La libertà natu-
rale sarebbe di principio la vita originaria dell’uomo, ma in uno stato in cui la condizio-
ne iniziale è stata rovinata, può essere richiesto un atto libero per riacquisire la libertà
stessa, e così tra il regno di natura e quello di grazia si ha quello della libertà. La liber-
tà, prosegue Stein, non si presenta in questa condizione decaduta propriamente come
un regno, come invece natura e grazia, perché non possiede dimensioni. A giudizio
dell’autrice infatti l’assoluta libertà si risolve in una assenza di essa e in una esposizione
al vuoto, che viene riempito solo dal regno cui ci si dona.
Propriamente non è possibile parlare di un regno della libertà, perché questo regno non ha di-
mensioni e si riduce ad un punto. La persona, presa solo come soggetto libero, non è capace di
alcun movimento dell’anima ; ogni movimento dell’anima si gioca in un regno, che possiede
un’estensione, e l’anima per dispiegarsi ha bisogno del legame con un tale regno. 1
Perciò il suddetto paradosso, di doversi consegnare per diventare liberi :
Il soggetto libero, dunque, per poter iniziare qualcosa con la sua libertà deve, anche se in parte,
lasciare la libertà stessa ; per guadagnare anima e vita deve legarsi ad un regno. 2
Si tratta, dice Stein, di una « attività passiva ». 3 Questo è il livello in cui si svolge la vita
personale. L’anima che affida la propria libertà al regno della grazia diviene padrona di
sé e acquisisce così un centro. Proprio nel suo essere obbediente, sostiene Stein, gua-
dagna la sua libertà. Solo così, infatti, sono possibili atti liberi che distinguano l’anima
dalle bestie. Su questo piano sono possibili dominio di sé, autoeducazione e anche vero
e proprio superamento di sé. L’anima diventa un cosmo e può altresì conoscere (er-
kennen) se stessa e la propria struttura, fino a dominare le leggi che scopre nel proprio
intimo, al contrario di coloro che sono sottoposti al regno di natura, che possono solo
prendere atto (Kenntnis nehmen) e sapere (wissen). Nell’anima regna infatti la descritta
legalità razionale delle motivazioni, qui chiamata nuovamente in causa, e colui che ha
raggiunto il nucleo del suo essere si rivolge consciamente alle sue leggi interne, senza
limitarsi a subirle passivamente.
Le leggi di ragione, infatti, motivano (motivieren), e non necessitano (necessitieren), al contrario
delle leggi di natura, che sono operanti solo nella vita di un’anima il cui soggetto non è in pos-
sesso della libertà o non ne fa uso. 4
La conoscenza viene ad essere un elemento centrale della distinzione tra l’anima che

1
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 140.
2 3 4
Ivi, p. 140. Ivi, p. 138. Ivi, p. 142.
analogia della persona 127
cerca di vivere nel suo centro e quella disordinata e dispersa nell’esteriorità della natu-
ra. Tuttavia, sussiste sempre anche la possibilità dell’errore.
La persona che vuole stare nella sua libertà e essere signora a sé stessa resta esposta al pericolo di
ricadere nell’irrazionalità. La vita della sua anima è specificamente insicura (ungeborgene). 1
Se infatti nella vita di natura l’anima si disperde, nella vita di libertà essa può anche solo
svuotarsi di ciò che le proviene dall’esterno, senza però guadagnare nulla : in questo
modo l’anima riesce solo a consumarsi, perché perde progressivamente le dimensioni
abbandonate senza però trovarne altre, ma raggiungendo, in questo percorso di astra-
zione dai vincoli, solo il vuoto. Si è detto, infatti, di come la mera libertà non sia un
regno, ma un punto senza dimensioni.
L’anima può allora affidarsi ad un regno spirituale che la riempia, liberandosi così
definitivamente dai condizionamenti della natura, ma in tal modo non ha ancora cer-
tezza di essersi definitivamente riguadagnata, perché ciò dipende evidentemente dal
tipo di spirito (persona o sfera spirituale) cui si affida. Ma ogni sfera spirituale procede
da persone e quindi affidarsi ad una sfera spirituale significa inevitabilmente affidarsi a
persone.
Sottoporsi ad uno spirito ha di conseguenza un duplice senso : significa introdursi in una sfera spi-
rituale e lasciarsene riempire. E contemporaneamente significa anche sottomettersi alla persona
che è il centro di questa sfera. 2
Nel tentativo, ad esempio, di dominare la natura e di porsi dal punto di vista dell’io
assolutamente libero e padrone si può cadere schiavi, secondo Stein, del regno in cui
vige la legalità della signoria dominante, e di questa situazione sono emblematiche le
figure letterarie di Prospero e Faust. 3 Sembra infatti che gli spiriti obbediscano a queste
figure, ma è un’illusione (Schein), perché si può entrare in rapporto con spiriti che sono
al di fuori dell’ambito naturale solamente sottomettendosi alla loro sfera. Per ritrovare
se stessa, l’anima deve invece entrare nel regno della luce e della pace, ossia il regno di
grazia, ma ciò è possibile solo se qualcosa le viene incontro e solo se essa è in grado di
accoglierlo, perché il semplice vedere la sfera spirituale non permette di entrarvi.
L’essere libero ha la possibilità di sottrarsi al fondamento di natura e di guardare al di là della sua
sfera naturale. Ma questo evidentemente può accadere solo se gli viene incontro qualcosa dalla
sfera che deve nuovamente guadagnare. La sua libertà gli basta per rivolgere lo sguardo a sfere
libere e per giungerne alle soglie. Ma solo nella misura in cui esse gli si offrono. Non può infatti
conquistare ciò che non gli si vuole dare. L’uomo può afferrare la grazia, solo nella misura in cui
la grazia lo afferra. Può cadere nel male, solo nella misura in cui il male lo tenta. Come essere
di natura, è al di là del bene e del male. Entrambe le possibilità gli si presentano nella misura in
cui trascende la natura. 4
Il fatto che ci si possa sottomettere sia al dominio del bene sia a quello del male implica
1 2
Ivi, p. 143. Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 144.
3
Si possiede anche un commento steiniano al Faust di Goethe dal titolo Natura e sovranatura nel Faust di
Goethe, nel quale, rivolgendosi ad un pubblico confessionale, la filosofa vaglia l’opportunità di sottoporre
giovani studenti alla lettura di tale opera ; ancora sotto la guida del motto paolino « vagliate tutto e prendete
ciò che è buono », e pur mettendo in risalto come il romanzo sia una delle poche grandi opere in cui emer-
ge con vigore l’ampiezza dell’anima umana e la ricerca del suo destino e della sua salvezza, Stein mette in
guardia dagli elementi che non sono compatibili con il cristianesimo, sostenendo che non è questa l’opera
principale su cui educare dei giovani allo spirito del Vangelo (cfr. Natur und Übernatur in Goethes Faust, ESW
4
vi, pp. 19-31). Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 147.
128 capitolo ii
allora che l’anima possieda in sé i principi di entrambi, e di ciò essa si accorge perché le
capita di odiare ciò che naturalmente sente che sarebbe degno di amore e viceversa.
Dopo aver descritto sommariamente come si presentano i regni del bene e del male,
Stein passa alla questione di cosa resti dell’individualità dell’anima una volta che ci si
sia sottomessi allo spirito, e risponde considerando come sicuramente nella nuova sfera
vi sia un mutamento tale da poter essere definito « rinascita », sostenendo però anche
che l’individualità propria, che è dietro a tutte le disposizioni, non scompare, ma anzi
si riguadagna completamente e attraverso la grazia ha addirittura se stessa e il proprio
autentico essere in regalo.
La seconda parte del testo si apre con la citazione evangelica « chi vorrà preservare
la propria anima la perderà », sulla scia della quale Stein analizza come l’anima possa
paradossalmente trovare se stessa quando non ha a che fare con sé, mentre coloro che
cercano di liberarsi dal mondo, di contrapporsi ad esso, o di entrare nel regno della
grazia con l’interesse di trovare se stessi, finiscono inevitabilmente per fallire. 1 La chiave
per capire soprattutto l’ultimo errore sarebbe nell’analisi del termine di « cura » (Sorge) ;
per Stein si dà una cura che è sempre presso gli oggetti e li tiene stretti a sé, mentre
un’altra non è diretta a nessun contenuto specifico in particolare, ma è una angoscia
generica, e viene defnita Angst.
L’angoscia di cui viene riempita ogni anima che non è rinata può prendere diverse forme, ma ciò
che le è caratteristico, in ognuna di queste forme è che non è angoscia di qualcosa di determina-
to che le stia davanti agli occhi. Si attacca talvolta ad una cosa, talvolta ad un’altra […] . Ma certo
è lo stato dell’anima che fa scaturire l’angoscia in essa. 2
L’angoscia dunque è angoscia dell’anima per se stessa, ma ha la caratteristica di non
dover essere oggettivata per poter essere conosciuta ; viene invece provata (gespürt).
L’origine di questa angoscia andrebbe rinvenuta nel peccato, sia in quello attuale che in
quello di origine, perché finché viene scambiata con la paura di qualcosa, ci si muove
sempre solo alla periferia dell’anima. Si deve invece cogliere il senso metafisico dell’an-
goscia. Essa sopravviene come inquietudine promossa dalla grazia. Si può, allora, se-
condo l’autrice, abbandonare il proprio io e convertirsi al regno della luce ; ma donarsi
completamente ad esso è opera della grazia preparatoria stessa, e dal momento che le
si appartiene non c’è più necessità di un atto espresso di dono di sé, perché la grazia
stessa fluirebbe nell’anima aperta e ne prenderebbe possesso :
allo sguardo di colui che prende parte a questa via della grazia – come Lutero – si può comprensi-
bilmente sottrarre del tutto la collaborazione della libertà. 3
Abbiamo detto di come l’analogia della persona steiniana sia pensabile come una via
mediana tra analogia dell’ente e analogia della fede. Bisogna abbandonarsi allora com-
pletamente a questa nuova vita, che come visto è descritta da Stein quale liberante ; ma
ciò richiede tempo, perché per poterlo fare occorrere possedersi completamente : si
tratta, sostiene l’autrice, della battaglia di una vita intera, al cui culmine però « la dona-
zione di sé è l’atto più libero della libertà ». 4
Dopo una discussione sulla speranza della salvezza universale, che non toglie però la
possibilità di principio della dannazione, Stein si rivolge nella terza parte alla conside-
razione della possibilità della mediazione delle persone finite all’azione della grazia. In

1
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, pp. 153 ss.
2 3 4
Ivi, p. 155. Ivi, p. 157. Ivi, p. 156.
analogia della persona 129
tale trattazione, svolta secondo le linee del diritto puro, e dunque ispirate probabilmen-
te al considerazioni fenomenologiche di Reinach, 1 si sostiene subito l’imprescindibilità
della considerazione di Dio non solo secondo l’attributo della somma giustizia, ma
anche di quello somma misericordia
Il fatto che la libertà divina si sottometta quasi, nell’ascolto della preghiera, alla volontà dei suoi
diletti è il fatto più meraviglioso della vita religiosa. Il perché ciò avvenga supera ogni concet-
to. 2
Il testo prende allora in esame la comunione dei santi, la chiesa e Cristo come capo
di essa, nonché la possibilità dell’espiazione vicaria aperta anche ai figli di Dio, cui è
affidata la responsabilità dei fratelli, ma anche in un certo senso dell’intera creazione
(ed è interessante notare come Stein differenzi gli animali dall’uomo in quanto privi
dell’angoscia metafisica).
La quarta parte tratta poi, nuovamente, del legame necessario che intercorre tra
l’anima e il corpo vivente (Leib). Secondo l’autrice, il Leib si distingue dagli oggetti ma-
teriali per il fatto che prova (spürt) tutti i suoi stati, e quindi appartiene necessariamente
ad un soggetto che ha sensazioni, esprime la sua vita interiore ed è inserito in quella
esteriore attraverso la corporeità stessa. Il provare gli stati corporali può avvenire in
vari modi secondo varie intenzionalità, dirette ad esempio ad un punto preciso, che
può provocare dolore, o al corpo proprio in generale, che può essere centro della vita
priva dello sguardo spirituale, per cui
il soggetto non gli è contrapposto, ma affondato in esso, [ed allora] è primariamente un soggetto
corporale, soggetto degli stati sensibili. 3
Come polo opposto si presenta la possibilità di essere completamente indifferenti a ciò
che accade al corpo, e a questo punto si è, secondo Stein, pronti per lasciarlo. La vita pe-
riferica e la vita centrale dell’anima sarebbero comunque in comunicazione diretta, così
che un corso di pensieri e un dolore non possono non influenzarsi vicendevolmente.
Riemerge allora il concetto che già si era visto essere centrale nella vita psichica, ossia
quello di energia vitale, che qui è ricavato soprattutto nell’analisi della connessione tra
anima e corpo proprio ; si sottolinea quindi come la forza vitale sia la fonte principale
della vita dell’interiorità, considerata assolutamente in sé e definita, nella sua chiusura
monadica, come psiche, qui contrapposta alla nozione di anima, che invece ne sarebbe
la parte profonda.
Solo allorquando si è compresa la psiche si può capire che senso ha il fatto che essa sia inserita
nell’interiorità del corpo vivente e il suo crescere assieme. 4
Ma, prosegue Stein riequilibrando l’indagine, non ha senso cercare la liberazione
dell’anima dal corpo se proprio per suo tramite essa può riacquisire freschezza ed ener-

1
Cfr. A. Reinach, Die apriorischen Grundlagen des bürgerlichen Rechts, « Jahrbuch für Philosophie und
phänomenologische Forschung », 1 (1913), pp. 685-847 (ora in Sämtliche Werke, München-Hamden-Wien,
Philosophia Verlag, 1989, vol. 1, pp. 141-278). Tali ricerche di Reinach tornano ad ispirare anche il volume
steiniano Eine Untersuchung über den Staat, ESGA 7, pubblicato originariamente sul volume del 1925 dello
Jahrbuch fenomenologico. Questa ricerca politica sembra presentare alcune movenze di fondo accostabili
al testo che stiamo analizzando, perché lo Stato viene descritto come una entità puramente formale, che si
deve riempire dei contenuti concreti conferitigli dalla comunità.
2
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 161.
3 4
Ivi, p. 173. Ivi, p. 175.
130 capitolo ii
gia vitale ; d’altronde non si deve nemmeno permettere che la vita del corpo stesso
prevalga su quella interiore, perché in generale la persona è tanto più libera quanto più
è in grado di dominare il suo corpo, e a tal fine è prevista l’ascesi. Nuovamente, la via
del perfezionamento della libertà non è solo opera della libertà stessa, ma anche del re-
gno dello spirito, che potrebbe influire sull’energia vitale ed anzi il riferimento ad esso
si renderebbe necessario per evitare che un’ascesi fine a se stessa porti al suicidio, per lo
svuotamento prima descritto dell’anima in una libertà non fondata.
Inoltre il corpo proprio non va concepito, secondo Stein, come la prigione dell’ani-
ma, ma secondo il suo senso originario ne costituirebbe lo specchio ; ciò da cui ci si
deve liberare è piuttosto il corpo corrotto (verdorbene), cosicché è più corretto dire
che l’anima liberata deve santificare il corpo ; in questo senso il santo è anche medico,
perché può ristabilire la costituzione originaria del corpo, sebbene tale processo vada
concepito come miracoloso piuttosto che come sottomesso ad una legalità meccanica.
Nell’opera di liberazione e santificazione dell’anima troverebbero posto anche i sacra-
menti, che oltre ad essere segni visibili della grazia, sarebbero efficaci nell’apportare
giustizia e santità. 1 Essi sono, secondo Stein, funzionali alla natura sensibile dell’uo-
mo e connessi strettamente al mistero dell’incarnazione di Cristo. La grazia non passa
sempre solo attraverso di essi, ma laddove si ha la possibilità di accedervi non si ha il
permesso di rifiutarli.
Naturalmente, e così inizia la quinta parte, le questioni concernenti la chiesa sono
di fede e quindi ci si deve rivolgere ad esse differenziando prima di tutto il significato
generico del termine da quello strettamente religioso. Si introduce allora una divisio-
ne tra conoscenza (Erkenntnis) di un contenuto (Sachverhalt) e convinzione (Überzeu-
gung) del suo consistere (Bestehen), vissuto questo che può ricevere modificazioni di
certezza, tra le quali rientra anche quella del credere. La fede in senso religioso è per
Stein anzitutto un atto proprio e non un carattere d’atto come la credenza ; inoltre,
non si tratta di un atto fondato in altro, ma di un atto semplice, perché rivolto diretta-
mente ad un oggetto e non mediato da un contenuto. Infine, non si tratta di un atto
meramente teorico :
non si apprende semplicemente qualcosa e lo si ritiene vero – in una posizione distanziata, come
se non ci fosse nulla che mi riguardi, al modo dell’atteggiamento naturale –, ma quello che ap-
prendo, non appena ciò avviene, mi invade (eindringet) ; mi prende nel mio centro personale e io
mi tengo legata ad esso. Il non appena va preso qui in senso stretto, perché non c’è qui né prima
né poi, né da un punto di vista temporale, né contenutistico. 2
La fede, procede Stein, porta con sé assieme i momenti della conoscenza, dell’amore
e dell’azione : il suo oggetto è Dio, « la fede è fede in Dio », e in quell’« in » si evidenzia
la differenza tra l’atto specifico di cui si tratta qui per il vivere religioso e invece gli atti
teoretici, come mostrato anche dallo stesso senso che si può esprimere nella fiducia
« in » un uomo.
E noi crediamo anche senza vedere, ossia senza poter addurre prove dall’esperienza, o senza
usarle come fondamenti della fede laddove sono a disposizione. 3

1
Interessante è ciò che Stein dice a riguardo del pentimento e della remissione della colpa, che di princi-
pio apparirebbe essere un movimento interiore così spirituale da non dovere richiedere un sacramento, ma
di fatto si presenta come un processo che non investe solo lo spirito e l’anima, ma anche e necessariamente
le leggi della psiche, e che dunque dovrebbe tener conto del legame necessario con la sensibilità.
2 3
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, p. 188. Ivi, p. 189.
6. Simbolo e analogia

analogia della persona 131

L’atto di fede raggiunge quindi uno strato della persona così originario da far quasi
venire meno la distinzione tra soggetto conoscente ed oggetto conosciuto, tra teoria e
pratica. La fiducia tra uomini, come anticipato già nella trattazione dell’empatia, è ciò
che per la filosofa permette di capire meglio la fede stessa ; ma quest’ultima avrebbe
una certezza infinitamente superiore, tanto che non sarebbe richiesto il fondamento
del « vedere », elemento centrale della fenomenologia. In Dio c’è per Stein l’assoluta
sicurezza (Geborgenheit).
Si unisce allora assieme ciò che si è detto sulla fede e ciò che prima si era detto della grazia. La
grazia è lo Spirito di Dio che viene a noi […] . La grazia comunicata a noi obiettivamente diviene
propria soggettivamente per noi nella fede […] . Diventare credenti senza ricevere la grazia è
impossibile. In virtù della libertà ci si può solo predisporre alla grazia. Per altro verso la fede non
può dispiegarsi se la grazia non viene colta con libertà. Grazia e libertà sono costitutive della
fede. Grazia e libertà divengono costitutive per la fede […] , non ci si può legare però a Cristo
senza al contempo seguirlo. 1

6. Simbolo e analogia
Negli ultimi anni della sua vita, significativamente, Stein rivolse la propria attenzione
intellettuale soprattutto a scritti di ambito mistico. L’intenzione appena citata di segui-
re Cristo, infatti, la condusse com’è noto nel Carmelo, dove scrisse, oltre ad una serie
di testi spirituali dedicati alla vita conventuale, anche due importanti saggi di natura
scientifica, uno dedicato allo pseudo Dionigi Areopagita e l’altro a Giovanni della Cro-
ce. Rifugiatasi ad Echt per tentare di sottrarsi alle persecuzioni naziste, nel 1941 Stein
redasse il primo testo, intitolato Vie della conoscenza di Dio (Wege der Gotteserkenntnis). Si
tratta di uno studio su Dionigi, accompagnato, come spesso avveniva nel suo approccio
a nuovi autori, anche da una traduzione.
Secondo una dialettica in cui sembrano agire ancora una volta le strutture fonda-
mentali di Przywara e dunque anche quelle di Essere finito ed essere eterno, Stein espone il
paradosso derivabile dalle opere di Dionigi e in base al quale la crescita della familiarità
con l’ambito del divino porta con sé, contemporaneamente e corrispondentemente,
anche una crescita di ciò che se ne ignora. 2 Su questa dialettica, qui esposta soprattutto
in termini concettuali e scientifici, nella Scienza della croce declinati invece in modo piut-
tosto esistenziale, intendiamo soffermare ancora la nostra attenzione. Si tratta infatti,
qui in modo esplicito, di una ripresa della questione dell’analogia, ancora una volta
radicata in modo personale nel rapporto con Dio.
Questo articolo espone in termini generali gli scritti di colui che, ritenuto il discepolo
convertito da Paolo ad Atene, era stato perciò investito di grande autorità nel medio-
evo. Presentato dunque l’ambito generale di riferimento e riassunta la questione filo-
logica relativa alla datazione degli scritti di questa misteriosa figura, Stein procede col
descrivere nello specifico il testo del de mystica theologia. Si sostiene allora come Dionigi
intenda con teologia non tanto una scienza o un sapere sistematico, quanto piuttosto
i modi diversi di parlare di Dio (genitivo oggettivo) che si possono realizzare solo nella
misura in cui ci sia quale presupposto un parlare di Dio (genitivo soggettivo) in cui egli
stesso si rivela e ispira una parola proveniente dalla sua vita intima. Per questo Stein

1
Natur, Freiheit, Gnade, ESW vi, pp. 196-197.
2
Cfr. Wege der Gotteserkenntnis. Studie zu Dionysius Areopagita und Übersetzung seiner Werke, ESGA 17.
132 capitolo ii
può chiarire l’espressione « teologia mistica » con quella di « rivelazione misteriosa » (ge-
heime Offenbarung). 1 Si tratta di una misteriosa ascesa (Aufstieg), nel silenzio e nel buio,
accostata alla ascesa di Mosè sul monte. 2
Stein descrive inoltre la struttura generale del pensiero dionisiano come un ordine
gerarchico dell’essere cui corrisponde un ordine di conoscenza, entrambi dipendenti
però dall’azione divina e chiariti secondo l’espressione di Alberto Magno : ad locum,
unde exeunt, flumina revertuntur, ut iterum fluant. 3 Dio si rivela misteriosamente, e coloro
che ricevono tale rivelazione devono poi comunicarla agli altri. Anche gli angeli dun-
que sono secondo questa visione teologi, ma teologo originario è il Cristo, in quanto
verbo divino.
Conoscere e annunciare si coappartengono. Ma quanto più alta è la conoscenza, tanto più essa
è oscura e misteriosa (geheimnisvoller) dunque tanto meno è possibile comprenderla (fassen) in
parole. L’ascesa a Dio è un’ascesa verso il buio e il silenzio. 4
Così è possibile distinguere vari livelli di teologia, ossia di discorso sul divino : ad una
teologia cosiddetta « positiva » (tale in quanto affermativa, non in quanto rivelata, come
precisa Stein stessa), che a partire dal mondo esperibile cerca i nomi che possano essere
predicabili di Dio in modo sempre meno imperfetto, si deve contrapporre una teologia
« negativa », che riconosca appunto la limitatezza presente in ogni determinazione e
quindi la superi progressivamente, per ottenere una conoscenza migliore del divino. La
teologia affermativa procede dalle caratteristiche che possono essere con più ragione
trasposte a colui che secondo la fede è comunque al di là di esse, quindi, ad esempio,
dalla bontà o dalla vita, mentre la via che nega prende al contrario le mosse da ciò che
più lontano sembra essere dall’immagine vera di lui. Quest’ultima strada, notoriamen-
te, è ritenuta da Dionigi la più adeguata, o, per esprimersi più correttamente, la meno
inadeguata : anche la via negativa, infatti, deve negare se stessa. Il supporre o il negare
qualcosa di Dio non tocca direttamente colui che è al di sopra di ogni predicazione
quale causa di tutto e dunque sempre già al di là (jenseits) anche di ogni negazione. La
teologia positiva, che Stein ritiene fondata in modo per noi molto significativo, come
diremo subito, nell’analogia entis, va completata sempre dalla teologia negativa, dun-
que alla similitudo deve sempre far seguito una maior dissimilitudo ; ma l’opposizione tra
le due non è ultimativa, perché in certo modo a fondamento di essa e dunque della via
di ascesa c’è la « teologia mistica », in cui
Dio stesso svela (entschleiert) i suoi misteri (Geheimnisse), ma al contempo rende sensibile (spürbar
macht) l’impenetrabilità di essi. 5
Stein dunque accosta l’analogia entis direttamente alla teologia affermativa, e ad essa
viene contrapposta la maior dissimilitudo e dunque la preminenza del linguaggio negati-
vo. Si ha, in questo caso, una sfasatura rispetto a quanto descritto in precedenza, in cui
anche l’aspetto negativo e di dissomiglianza veniva ricondotto all’interno dell’analogia
stessa, con riferimento come detto alla formulazione dogmatica del iv Concilio Late-

1
Wege der Gotteserkenntnis, ESGA 17, p. 27.
2
Il tema dell’Aufstieg, tipico della mistica carmelitana spagnola, dove viene espresso espresso col termine
subida, si ritrova nel sottotitolo di Endliches und ewiges Sein, ossia Aufstieg zum Sinn des Seins, che era conce-
pito appunto come una salita al senso dell’essere.
3
Wege der Gotteserkenntnis, ESGA 17, p. 27.
4 5
Ivi, p. 25. Ivi, p. 29.
analogia della persona 133
ranense del 1215, così che la negazione non costituiva una vera e propria opposizione
rispetto a questo principio, quanto parte della sua stessa espressione.
La teologia positiva si fonda sulla corrispondenza di essere (Seinsentsprechung) tra creatore e
creatura – l’analogia entis, come Tommaso l’ha espressa in riferimento ad Aristotele ; la teologia
negativa invece sul fatto che accanto alla similitudo si dà una maior dissimilitudo, come d’altronde
Tommaso stesso ha sempre sottolineato. Le due coincidono (fallen zusammen) al culmine (im
Gipfel), nella « teologia mistica ». 1
Traccia di tale ambiguità si rivela nel fatto che Stein abbia cancellato questa parte di te-
sto, che si riviene quindi solo nel manoscritto. È d’altronde un’ambiguità classicamente
insita nell’analogia, che esprimendo somiglianza sembra accostabile tout court ad una
possibilità positiva, per altro verso implica però necessariamente anche distanza, dif-
ferenza ; sia in sé, che nella formulazione dogmatica. Tale difficoltà, che emerge qui
in modo peculiare, è probabilmente interna al principio in generale, tanto è vero che
spesso nella storia del pensiero è stato ricondotto direttamente e solo al suo aspetto
positivo, cioè ad una teologia che per quanto con cautela, però vuole e riesce a predi-
care qualche cosa di Dio. Al vertice della dialettica tra somiglianza e differenza, inoltre,
secondo la Stein lettrice di Dionigi, ma anche e molto più come struttura e motore
interno di tutto il principio, vi è la relazione mistica, ossia personale, con Dio.
Dopo queste considerazioni introduttive Stein procede con l’analisi specifica del te-
sto della Teologia simbolica, in cui si tratta di trasporre (übertragen) 2 il linguaggio umano
a Dio, e dei livelli possibili di comprensione della parola ispirata. La questione lingui-
stica è strettamente connessa, nella trattazione steiniana, con la questione semiotica.
L’immagine (Bild) che si utilizza simbolicamente, si dice, è tratta dal mondo esperibile
e ha due sensi : un senso immediato ed uno mediato. Con l’espressione « simbolo » si
indica secondo Stein un segno (Zeichen), che è segno distintivo e di riconoscimento
(Kennzeichen e Erkennungszeichen) e si cita quale esempio del secondo tipo il simbolo
della fede. Il simbolo fa riferimento a qualcosa di costruito (Gebildetes), che ha una for-
ma (Gestaltung) comprensibile e che rimanda a Dio come un’immagine che ci si foggia
in anticipo (Vorbild) rispetto al suo riempimento (Erfüllung), o una copia (Abbild) nei
confronti dell’originale (Urbild).
La dialettica di Abbild ed Urbild rimanda esplicitamente ad un passo di Essere finito ed
essere eterno dedicato all’analogia. Si tratta di queste righe :
Ciò vuol dire che l’essere attuale è una copia che ha somiglianza con l’archetipo, ma che in mag-
gior grado ha non-somiglianza rispetto ad esso [ein Abbild, das Ähnlichkeit mit dem Urbild hat, aber
weit mehr Unähnlichkeit]. 3
Esse infatti seguono immediatamente un passaggio che abbiamo già citato e che chia-
mava in causa l’analogia entis :
A partire da qui [il dato di fatto del proprio essere] risulta immediatamente chiara anche l’analo-
gia entis, compresa come relazione di ciò che è temporale con ciò che è eterno. 4
Ma il movimento analogico della conoscenza, anche in questo caso, viene ricondotto
1
Wege der Gotteserkenntnis, ESGA 17, p. 29.
2
Übertragung era stata definita da Stein anche la sua traduzione delle Quaestiones disputatae de veritate di
3
Tommaso (cfr. DeV, ESGA 23 e 24). Cfr. EeS, ESGA 11/12, p. 42.
4
Già citato: p. 12, nota 2. Sulla questione cfr. P. Zordan, Immagine e simbolo. Alcune considerazioni sul pen-
siero di Edith Stein, « Divus Thomas », 111/2 (2008), pp. 143-160.
134 capitolo ii
ad un rapporto personale. Le parole, infatti, ci trasmettono l’immagine che viene tra-
sposta a Dio. Ma perché il teologo possa parlare di Dio e l’ascoltatore comprendere è
necessario, secondo Stein, che si conoscano entrambi i termini di riferimento dell’im-
magine, ossia quello finito e quello infinito ; e il primo ambito ovviamente non sembra
presentare eccessivi problemi, essendo le immagini tratte da esperienze comuni, per
il secondo il discorso è più complesso. Stein schematizza allora secondo tre ordini di
grandezza le fonti sulle cui basi il teologo può esprimersi e conseguentemente l’uditore
comprendere. Una è quella della cosiddetta teologia naturale, la cui possibilità è stata
forse lasciata aperta, secondo l’autrice, dall’Areopagita ; ma è molto raro ed improba-
bile che il teologo che si esprime con il solo riferimento al mondo non possieda altre
basi alle spalle. Queste andrebbero individuate negli altri due livelli, ossia la fede, intesa
anche qui come adesione più o meno personale e convinta alla dottrina e alle verità
rivelate, e l’esperienza soprannaturale. Ogni grado viene descritto da Stein come inten-
zione (Intention) che ottiene il suo riempimento (Erfüllung) solo in quello superiore. Il
rapporto personale con Dio e l’esperienza diretta di lui, quindi, sono guida e scopo di
ogni possibile teologia. Dio stesso è in senso proprio il teologo originario (Ur-Theologe),
perché nella creazione manifesta se stesso, e tale linguaggio è in qualche modo acces-
sibile a tutti gli uomini.
Tutte le forme di esperienza soprannaturale – ma il fare conoscenza personale (persönliches Ken-
nenlernen) in modo particolare – si rapportano alla fede nel modo in cui nel campo naturale la
conoscenza per esperienza in prima persona (persönliche Begegnung) si rapporta al sapere per ap-
prendimento esterno. Cioè come un riempimento (Erfüllung) di qualcosa che sino a quel momento
era solo pensato, e recepito senza presa d’atto originaria e in prima persona. L’incontro personale
si segnala come riempimento anche nei confronti della conoscenza mediata di esperienza. 1
La conoscenza personale, a sua volta, trova secondo Stein un riempimento finale
nell’esperienza mistica dei livelli più alti, e poi, in grado ultimo e perfetto, nella visio
ultraterrena.
Anche nel leggere Dionigi e nel soffermarsi sulla questione conoscitiva e semiotica
della teologia simbolica, dunque, Stein sembra fondarsi sulla struttura dell’analogia e
teorizzarne il riferimento primario in un rapporto di tipo personale. Può allora essere
molto interessante richiamare qui di nuovo in modo esplicito le descrizioni dell’empa-
tia in base alle quali nelle espressioni altrui non si darebbero semplicemente segni dello
stato d’animo dell’altro, bensì simboli di esso, in quanto non si avrebbe un rimando,
ma il contenuto si presenterebbe direttamente nella manifestazione. Le questioni del
simbolo e dell’espressione, infatti, erano state legate esplicitamente da Stein alla cono-
scenza altrui e al volto d’altri.
l’espressione triste del volto (Miene) non è propriamente un tema che rinvii ad un altro tema,
bensì una sola cosa con la tristezza […] l’espressione del volto è il lato esteriore della tristezza ed
entrambe costituiscono un’unità naturale. 2
Tale fenomeno, secondo quanto si è potuto dire, è essenzialmente diverso da quello
rappresentato ad esempio dalla presenza di fumo che rinvia al fuoco come un segno,
inferenza che avverrebbe come passaggio da un tema ad un altro tema, come invece
nel linguaggio.

1
Wege der Gotteserkenntnis, ESGA 17, p. 48.
2
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 95. Già citato: p. 117, nota 1.
7. Analogia e croce

analogia della persona 135

se qualcuno mi dice che è triste, io comprendo il senso delle parole. La tristezza, di cui ora so,
non è affatto « viva » com’è viva la datità percettiva che mi sta di fronte. 1
Questo tipo di vissuto, come detto, veniva legato dalla Stein fenomenologa immedia-
tamente anche alla motivazione, nel nuovo e più generale senso attribuito a questo
termine e che abbiamo ribadito ; e quindi veniva messo in connessione con il fenomeno
del comprendere tipico delle scienze dello spirito. La legalità che connette al suo fon-
damento i vissuti e che era esemplificata da Stein in modo esplicito con le espressioni
della persona, si ritrova nella conoscenza di Dio, che è di tipo simbolico, ma che ri-
manda ad un rapporto personale. Il regno che si trova al fondo della coscienza assume
infatti i tratti di un volto. Ma questa conoscenza simbolica, a sua volta, richiamava la
dinamica dell’analogia. Ancora, dunque, non solo l’analogia dell’ente è declinata in
senso personale, come esperienza di tipo mistico che deve essere a culmine, oltre che
a fondamento, della conoscenza di Dio. Ma l’analogia tra esseri umani, come grado
massimo della conoscenza simbolica, sembra a sua volta direttamente connessa con
l’analogia tra persona umana e divina. La simbolicità con cui si articola la conoscenza
di Dio sembra possedere una struttura simmetrica a quella con cui si articola la cono-
scenza dell’espressione presente sul fondo altrui. E questa, a sua volta, è rinvenibile
come struttura originaria della conoscenza nella motivazione come legalità primaria
degli atti. La struttura stessa della coscienza trova al suo fondo, come necessaria mo-
tivazione originaria, un’alterità, ossia quello che Stein ha definito un regno altro. Tale
sfera ha le caratteristiche di un’alterità personale.
Si è dunque ribadita più volte, e a diversi livelli, quella che qui abbiamo definito
come analogia della persona. Secondo queste considerazioni, dunque, si articola ul-
teriormente l’analogia della persona. Questa espressione, infatti, con cui abbiamo vo-
luto descrivere anzitutto e più nello specifico il movimento teorico di Essere finito ed
essere eterno, trova quindi da un lato un retroterra fenomenologico molto dettagliato,
dall’altro un approfondimento ed un ispessimento in una direzione che non è possibile
definire se non come « mistica » : un ambito cioè di tipo spirituale che nella relazione
personale con Dio, concepito come forza vitale e motivazione originaria che è al fondo
della coscienza e che è in grado di salvare la vita, trova il suo terreno ultimo. L’analogia
della persona di Stein, quindi, va rinvenuta in ultima analisi su di un piano esperienziale
e quindi personale a tutti gli effetti.

7. Analogia e croce
A ridosso di questo scritto su Dionigi, appena descritto, ed in occasione del quattro-
centesimo anniversario della nascita di Giovanni della Croce, Stein intraprese lo studio
intitolato Scienza della croce. In questo testo si cerca di offrire un’esposizione sistematica
e, appunto, « scientifica », degli scritti del riformatore dell’ordine carmelitano. Nell’in-
troduzione alla recente edizione dell’opera per la Edith Stein Gesamtausgabe, Ulrich
Dobhan sottolinea come Stein probabilmente sia entrata in contatto con la figura di
Giovanni della Croce già nel periodo degli studi o nei mesi di lavoro come assistente di
Husserl, e forse grazie alla mediazione del Sacro di Rudolf Otto, che il fondatore della

1
Zum Problem der Einfühlung, ESGA 5, p. 99. Già citato: p. 117, nota 2.
136 capitolo ii
fenomenologia lesse proprio in quegli anni. 1 A quell’epoca risalgono comunque le pri-
me tracce di un confronto di Stein con tematiche religiose.
Prima di soffermarci sul modo con cui viene letto Giovanni della Croce, vogliamo
evidenziare qualche passaggio di tale avvicinamento steiniano alla religione, insistendo
ancora una volta sulla dinamica di disperazione e salvezza, strutturale nell’incontro
steiniano con il fenomeno religioso in generale, con il cristianesimo e con la spiritualità
carmelitana in particolare, ma altresì nella maturazione di un’analogia della persona
declinata in senso di rapporto mistico con Dio. Si tratta in sostanza, come abbiamo vi-
sto, di una forma di crisi di senso, forse di depressione, di perdita comunque di energia
vitale, che Stein sembra aver sperimentato in alcuni passaggi decisivi della sua esisten-
za ; nei quali tuttavia le si è presentata una forza misteriosa, che viene interpretata in
senso religioso, e poi declinata in senso cristiano e cattolico ; questa forza trascende il
fondo dell’anima, nelle descrizioni di Stein, ed è in grado di riportarla in vita e ridonarle
energia e sensatezza.
Molto noto è il passaggio di una lettera steiniana dell’8 Giugno 1918 in cui si racconta
di una sua passeggiata a tre con Husserl e il « piccolo » Heidegger, e nella quale si sa-
rebbe discusso di temi di filosofia della religione. 2 Altre simili testimonianze o episodi
dell’epoca si potrebbero citare, come la lettura delle opere di Dostoijevski, o l’avvici-
namento agli Esercizi spirituali di S. Ignazio di Loyola, a Kierkegaard, a Schleiermacher,
che hanno indubbiamente contribuito alla formazione di un clima ideale favorevole alla
sua scelta di fede cristiana. E poi la lettura della biografia di Teresa d’Avila, a casa dei
coniugi Conrad, ultimo e famoso passaggio. 3
Ma prima di tutto ciò, l’esperienza fondamentale che toccò profondamente Stein
fu il modo in cui Anne Reinach, moglie di Adolf, si mostrò capace grazie alla fede
di affrontare la morte del marito in guerra. L’evento aveva segnato profondamente e
gettato nello sconforto anche Stein, che rimase colpita dalla forza e tranquillità mo-
strate dall’amica. Reinach era il rappresentante principale della giovane generazione di
fenomenologi e quindi del mondo di Gottinga, che lasciava presagire la possibilità di
uno sviluppo felice ed armonioso della scuola husserliana e del suo grandioso progetto
scientifico comunitario, in cui Stein si era gettata con entusiasmo ; ma era era anche un
caro amico di Stein. Ingarden scrive :
io ho visto la sua [di Stein] reazione dopo la morte di Reinach. Che impressione terribile le ha
fatto ! Sono dell’idea che sia stato l’inizio di alcune “peregrinazioni” interiori che si sono poi
completate in lei. 4
Negli anni del conflitto Stein aveva potuto scrivere a Fritz Kaufmann come le giun-
gesse notizia che Reinach non si ritenesse più interessato alla filosofia e anzi non si
reputasse nemmeno dotato per tali argomenti, mentre volesse dedicarsi interamente
alla religione, 5 e qualche anno dopo ella avrebbe potuto leggere, rivedendo le opere

1
Cfr. U. Dobhan, Einführung a Kreuzeswissenschaft. Studie über Johannes vom Kreuz, ESGA 18, pp. xi ss., qui
2
in particolare p. xii. Cfr. BI, ESGA 4, p. 85.
3
Cfr. soprattutto E. Otto, Welt, Person, Gott. Eine Untersuchung zur theologischen Grundlage der Mystik bei
E. Stein, Vallendar-Schönstatt, Patris, 1990, che ricostruisce molto bene gli elementi che hanno contribuito
al cammino di conversione di Stein. Cfr. anche A. U. Müller e M. A. Neyer, Edith Stein…, cit., pp. 101 ss.
4
Cfr. R. Ingarden, Über die philosophischen Forschungen Edith Steins, in W. Herbstrith, Edith Stein. Eine
grosse Glaubenszeuging, cit., pp. 203-229, qui p. 208. Sul rapporto tra Stein e Reinach cfr. K. Schuhmann, Edith
Stein und Adolf Reinach, in R. L. Fetz (a cura di), Studien zur Philosophie von Edith Stein, cit., pp. 53-88.
5
Cfr. Selbstbildnis in Briefen i, EGA ii, p. 22.
analogia della persona 137
dell’amico per la pubblicazione di un volume commemorativo, il manoscritto Sull’asso-
luto, composto proprio durante l’esperienza sotto le armi, negli ultimi mesi di vita. In
queste breve ma dense pagine si legge :
cerchiamo di entrare più profondamente nel segreto di come l’esperire terreno (irdisches Erle-
ben), che come tutto ciò che è terreno deve muoversi tra gradazioni gerarchiche di perfezione
e imperfezione, possa comunque prendere parte all’assoluto. Nel distinguere in un vissuto il
contenuto (Gehalt) dal suo rendersi valevole, determiniamo l’assolutezza dell’uno e la relatività
dell’altro. Per servirci di un’analogia con le relazioni terrene : possiamo esperire solo limita-
tamente la forte compassione che riconosciamo di dovere ad un uomo. In questa situazione
vanno distinti chiaramente due casi : non tributo ad un uomo la compassione che gli spetta ; e
gli tributo questa compassione, ma questa non entra nel vissuto. Ci si chiede allora se la distin-
zione tra la compassione pienamente vissuta e il sapere che ci venga richiesta una compassione
che non possiamo vivere sia sufficiente a rendere conto di questo stato di cose. L’«assolutezza»
appartiene interamente al contenuto del vissuto (Gehalt des Erlebten) e non al suo venir vissuto
(Erleben). Certo, alla assolutezza corrisponde qualcosa anche nell’esperire il vissuto ; si esprime
con le parole : essere completamente pervasi, interamente riempiti. 1
La giovane moglie di Reinach, di confessione protestante, trovò appunto nell’unione
con il Cristo crocifisso la forza necessaria per proseguire la propria vita con serenità e
coraggio. Molti anni più avanti Stein avrebbe confidato, a riguardo della signora Rei-
nach :
Questo fu il mio primo incontro con la croce e con la potenza divina che essa condivide con
coloro che la portano. Io vidi per la prima volta in modo palpabile di fronte a me la chiesa nata
dalle sofferenze redentrici di Cristo nella vittoria sull’aculeo della morte. Fu il momento in cui la
mia incredulità crollò, l’ebraismo sparì e Cristo rifulse : Cristo nel mistero della croce.2
La morte di Reinach fu l’elemento centrale del crollo del mondo in cui Stein era cresciu-
ta e aveva alimentato gli ideali della sua giovinezza, della fede in cui era cresciuta ma
che presto aveva rifiutato, delle future gloriose sorti della fenomenologia e dell’imma-
gine romantica di solidità e valore della Germania prussiana. In alcune lettere risalenti
al febbraio del 1917 Stein aveva confidato ad Ingarden di sentirsi assolutamente sicura
che la guerra sarebbe finita in estate con la vittoria tedesca, ritenendo tale certezza al
livello del fenomenologico « principio di tutti i principi » e, esprimendosi in modo quasi
hegeliano sulla situazione politica e storica, aveva proclamato all’amico :
lo Stato è il popolo cosciente di sé, che disciplina la sua funzione. Poiché sembra che il rafforzarsi
dell’autocoscienza sia legato ad una crescente tendenza allo sviluppo, così l’organizzazione mi
sembra un segno di forza interiore, e il popolo tanto più perfetto […] quanto più è Stato. E credo
di poter dire obiettivamente che dai tempi di Sparta e Roma non si sia mai data una così potente
coscienza statale come in Prussia e nel nuovo impero tedesco. Perciò ritengo escluso che adesso
noi si soccomba. 3
Facile è immaginare allora la delusione provata poi da Stein di fronte alla diversa re-
altà degli eventi. In una lettera racconta poi della lettura dei patrioti polacchi, in cui
si mostra come l’amore per il proprio popolo possa vincere anche l’esperienza delle
contrarietà ; e come si possa superare l’idea della virtù romana dell’orgoglio, incapace

1
A Reinach, Bruckstück einer religionsphilosophischen Ausführung in Sämtliche Werke, München-Hamden-
Wien, Philosophia Verlag, 1989, vol. 1, pp. 605-611, qui p. 609.
2 3
Cfr. T.-R. Posselt, Edith Stein, cit. , p. 68. BI, ESGA 4, p. 43.
138 capitolo ii
di accettare la sconfitta e portata, di fronte ad essa, a vedere nel suicidio l’unica scelta
possibile per riscattare l’onore. 1
Abbiamo detto poi delle difficoltà di Stein nel lavoro con Husserl. Anche il periodo
di scrittura della tesi di dottorato sull’empatia fu caratterizzato da una fatica enorme. Il
tutto le richiedeva un lavoro quasi ininterrotto dalle sei del mattino a mezzanotte, con
una riflessione che non si interrompeva nemmeno durante le notti, in cui, racconta,
teneva un foglio e una matita sul comodino per segnare le idee che le sarebbero venute
in mente : la durezza di tale estenuante attività e la difficoltà nel venire a capo della que-
stione la gettarono « in un’autentica disperazione », tanto da affermare :
Era la prima volta in vita mia che mi trovavo di fronte a qualcosa che non potevo ottenere con
la mia volontà […] non riuscivo più ad attraversare una strada senza avere il desiderio che una
macchina mi investisse. 2
Abbiamo poi detto anche dell’impossibilità di conseguire l’abilitazione per l’insegna-
mento universitario, a cui forse si devono aggiungere anche due inizi di legami d’amo-
re, entrambi non andati a buon fine. 3 La questione religiosa assume, nelle sue poche
testimonianze di quegli anni, anche la forma di un interrogarsi sui rapporti tra il senso
della storia (Stein aveva sempre mantenuto, come detto, un vago senso del destino) e la
libertà dell’individuo, rapporto la cui problematicità si acuisce nel periodo della guer-
ra. 4 Così, confidò ad Ingarden :
È impossibile costruire una teoria della persona senza affrontare le domande su Dio, ed è altresì
impossibile comprendere cos’è la storia. 5
Non si capisce la persona, evidentemente, se non ci si interroga sul destino. Sul legame
cioè di essa con leggi che la trascendono e che magari giungono a determinarla. Otto
Gründler, che frequentò in quegli anni i seminari steiniani di introduzione alla scuola
di pensiero husserliana scrive :
nelle descrizioni di Stein desidereremmo la risposta alla domanda fondamentale, ossia come
vada compresa la dipendenza della persona dalle leggi di ragione […] . Il fatto che gli atti perso-
nali sottostiano alle leggi di ragione non significa altro se non che essi, secondo la loro essenza,
richiedano di essere giudicati in base a tale legalità : essa però non regola il loro corso fattivo –
come avviene per le leggi di natura con gli eventi naturali –, ma è una norma secondo la quale
devono procedere. Come però debbano accadere gli atti singoli di una persona non è stabilito
né dalle leggi di natura né da quelle di ragione, ma solamente dall’essenza della persona stessa
[…]. 6

1
BI, ESGA 4,p. 104.
2
Aus dem Leben einer jüdischen Familie, ESGA 1, pp. 226-227.
3
Vari impedimenti si presentano rispetto alla questione dell’abilitazione, ma la difficoltà maggiore risie-
de inizialmente nella chiusura della carriera accademica alle donne (cfr. BI, ESGA 4, pp. 124-125), ostacolo
che anche Husserl, nonostante le proteste della moglie e della figlia, aveva mostrato di non voler superare
per ragioni « di principio » (cfr. BI, ESGA 4, p. 46). D’altronde, in un’inchiesta ministeriale del 1907, solo Max
Lemahnn, David Hilbert e Carl Runge si erano espressi a favore dell’apertura della carriera accademica alle
donne (cfr. M. A. Neyer und A. U. Müller, Edith Stein…, cit., p. 108). Husserl in particolare vedeva difficol-
tà concrete per una donna nel condurre un’attività accademica e nel portare avanti la famiglia (compito cui
era a suo giudizio destinato per natura il sesso femminile) : cfr. T. Wobbe, „Sollte die akademische Lauf bahn
für Frauen geöffnet werden…“ Edmund Husserl und Edith Stein, « Edith-Stein-Jahrbuch », 2 (1996), pp. 361-374.
4 5
Cfr. BI, ESGA 4, p. 72. BI, ESGA 4, p. 47.
6
O. Gründler, Elemente zu einer Religionsphilosophie auf phaenomenologischer Basis, München, Kosel &
Pustet, 1922, p. 80.
analogia della persona 139

La questione che resta sempre aperta, dunque, è quella del nucleo più profondo dell’io,
dell’ultimo piano di costituzione, ossia, secondo quanto detto, di cosa guidi la legalità
della vita motivazionale. Da dove nasce la motivazione ? Cosa fonda la persona ? Abbia-
mo visto come Stein fornisca in qualche modo la risposta a questa domanda nello scrit-
to su natura, libertà e grazia. Ma la chiave di volta va rinvenuta, oramai è chiaro, nella
dinamica che abbiamo potuto descrivere più volte. In una lettera del 10 Ottobre 1918 si
apprende del maturo avvicinamento di Stein al « Cristianesimo positivo », descritto in
questo termini :
Non so se da espressioni già usate in precedenza Lei ha potuto intuire che mi sono avvicinata
sempre più ad un cristianesimo positivo. Ciò mi ha liberato dalla vita che mi aveva atterrita e
mi ha dato allo stesso tempo la forza di assumere la vita in modo nuovo e riconoscente. Posso
parlare di « rinascita » in senso profondo. 1
Il passo decisivo di Stein avvenne, come è risaputo e come abbiamo già accennato,
grazie alla lettura della Vita di Teresa d’Avila. 2 Una notte dell’estate del 1921, mentre
si trovava nella casa di Bad-Bergzaben dei coniugi Conrad, e non riuscendo a prende-
re sonno, Stein trova nella libreria questo libro, al termine della cui lettura prende la
decisione di farsi battezzare. L’idea principale che probabilmente la colpì nella lettura
dello scritto di Teresa è quella della vicinanza di Dio, anzi della sua intima e profonda
presenza nell’anima umana, che può avere esperienza diretta e quasi sensibile del so-
prannaturale, se si abbandona ad esso, venendone sommersa d’amore. Questa idea,
detto in termini molto generici, pare possedere tratti eminentemente cattolici, per cui
Stein si decise per quella confessione. 3
Teresa vede in Dio la fonte di ogni verità e, pur rimarcando la differenza infinita che
intercorre tra ciò che è terreno e ciò che e celeste, non disdegna di servirsi di metafore
tratte dalla quotidianità della vita per descrivere quelle che ritiene realtà della vita di
orazione, in cui si scopre la verità di Dio. Tale verità è sostanzialmente descritta in
termini di amore e richiede quindi la donazione della persona nella sua integralità, per-
mettendo però poi a colui che si avvia per questa strada di sperimentare quella che vie-
ne definita una nuova nascita. Teresa scrive, con parole che potrebbero essere di Stein :
Sia benedetto Dio, che mi ha dato vita per sottrarmi ad una morte così spaventosa ! La mia ani-
ma ha avuto, credo, grandi forze dalla maestà divina […] Io desideravo con ardore la vita, perché
vedevo chiaramente che non vivevo, ma lottavo con una sorta di ombra di morte, e non avevo
trovato nessuno che mi desse vita, né potevo darmela da me. 4
La donazione e il servizio si realizzano massimamente, secondo Teresa, nel modo
dell’orazione, che ha come oggetto immediato Dio stesso. Questa è la peculiarità dello

1
BI, ESGA 4, p. 106.
2
Nel Libro de la Vida, Teresa descrive la sua vita e le sue lotte spirituali fino al 1554, anno della « conversio-
ne definitiva » in cui si risolve all’abbandono di quelle che erano anche solo piccole abitudini negative, dopo
una vita di difficoltà e crisi interiori ; il testo ha poi una parte che concerne più strettamente e obiettivamen-
te la vita di preghiera e una riguardante l’umanità di Gesù, per poi riprendere la trattazione autobiografica
con la descrizione delle esperienze mistiche più alte.
3
Sembra che Stein ebbe una volta a confidare all’amica Conrad-Martius : « Il cielo è chiuso per i prote-
stanti, mentre è aperto per i cattolici » (cfr. J. M. Österreicher, Walls are crumbling, New York, Devin Aldair
Company, 1952, p. 397).
4
Teresa d’Avila, Libro della vita, cap. viii.
140 capitolo ii
spirito dell’ordine carmelitano, che si esplica nel ritiro dal mondo, nel silenzio e nella
penitenza, strumenti per permettere all’anima di raggiungere il rapporto più intimo
possibile con Dio. Nelle descrizioni di Teresa la preghiera però non è altro che la rispo-
sta dell’anima all’affacciarsi del suo Signore, cui pertiene sempre il primo movimento.
Teresa esprime tutto ciò anche con la metafora del rituale matrimoniale.
Nel Castello interiore, opera commentata anche da Stein, si descrive quindi il cammi-
no dell’anima verso l’unione con Dio, secondo un processo diviso in quelle che meta-
foricamente sono chiamate « stanze » o « mansioni », e che termina appunto con il cosid-
detto « matrimonio mistico ». 1 Il testo descrive minuziosamente tutte le esperienze che
si provano nel progredire nell’ambito dell’orazione, dal semplice primo rientrare in sé
stessi, abbandonando la vita delle mura del castello (ossia l’essere rivolti all’esteriorità e
dunque servirsi quasi unicamente dei sensi), verso la stanza, la settima, dove « il re ha il
suo trono di luce ». Dopo aver iniziato sottolineando di scrivere per pura obbedienza ai
superiori e di controvoglia, Teresa rimarca subito la profonda ignoranza dell’anima in
cui si trovano tutti per propria colpa :
tornando ora al nostro splendido e delizioso castello, dobbiamo appurare innanzitutto come
possiamo entrarvi. Sembra che dica uno sproposito, perché se il castello è l’anima stessa, è tanto
ovvio che non occorre entrarvi, in quanto l’individuo fa tutt’uno con esso ; esattamente come
parrebbe idiozia dire ad uno di entrare in una stanza, quando egli vi si trova già. Dovete però
sapere che c’è modo e modo di starvi. Vi sono infatti molte anime che sostano sul cammina-
mento di ronda del castello, ossia là dove s’aggirano le sentinelle di guardia [nella metafora è la
parte corporea dell’anima, in cui si trovano i sensi e le facoltà o potenze], senza darsi pensiero
di entrarvi, senza sapere né cosa ci sia in quella sontuosa dimora, né chi vi abiti, né addirittura
quanti locali contenga. 2
Colui che inizia ad abbandonare le vie del peccato può compiere, secondo Teresa, il
percorso ascetico per guadagnare, in una dialettica misteriosa tra il piano soprannatu-
rale e quello umano, una vita di grazia stabile che lo conduce fino ai primi fenomeni
mistici descritti nelle quarte mansioni. Qui c’è ancora confusione, ma si può iniziare a
distinguere tra « soddisfazioni » e « gusti » spirituali, ossia tra piaceri che sono procurati
nell’orazione dall’anima stessa attraverso il suo impegno, e doni che invece sono diret-
tamente infusi : la differenza, apparentemente impossibile a cogliersi, è invece secondo
Teresa chiarissima all’anima giunta a questo livello, che se ne rende conto immediata-
mente, allo stesso modo in cui si nota la diversità tra una fonte che scaturisce natural-
mente e l’acqua che invece proviene attraverso un complicato sistema di canalizzazioni
e tubature. I « gusti », che non vanno assolutamente ricercati per se stessi, ma sono
dono divino, si riconoscono per la proprietà che hanno di dilatare il cuore e di lasciarlo
in una grande pace, mentre le « soddisfazioni » producono un certo sentimento di re-
stringimento del cuore stesso. I primi trovano « scaturigine non nel cuore, bensì in un
punto ancor più interno, come in un nucleo profondo. Penso debba essere il centro
dell’anima », sostiene Teresa arrivando quindi ad analisi che sono assonanti al pensiero
steiniano. 3
Dopo l’analisi ulteriormente dettagliata dei fenomeni soggettivi e degli interventi

1
Per il commento steiniano, che è in appendice a Essere finito ed essere eterno, subito dopo il confronto con
la filosofia di Heidegger, cfr. EeS, ESGA 11/12, pp. 501 ss.
2
Teresa d’Avila, Castello interiore, Roma-Morena, ed. ocd, 20004, tr. it. di P. E. Martinelli, p. 39.
3
Ivi, p. 104
analogia della persona 141
divini nell’anima, scaturenti da livelli diversi di orazione, e che sembra quasi essere
un’analisi fenomenologica della preghiera, Teresa rimarca la centralità dell’amore ver-
so il prossimo contro il rischio di quello che si potrebbe definire un « egocentrismo
spirituale ». Si procede poi verso le mansioni più alte, in cui si deve morire al mondo per
vivere in Dio, cercare di conformare completamente la propria volontà a quella divina,
secondo l’immagine del baco da seta, che lavora per costruirsi la dimora in cui morirà,
e da cui scaturirà però una farfalla : ossia, l’anima che ha provato una prima unione con
Dio, e che è stata dunque solo presentata allo Sposo, sperimenta uno stato di completo
assopimento delle facoltà, resta ferita dall’amore divino, e ne esce trasformata ; si passa
cioè dall’orazione cosiddetta di riposo a quella di unione, di cui Teresa descrive le estasi,
mettendo però anche in risalto il coraggio necessario a ricevere grandi grazie da Dio.
Infatti, dopo aver dovuto a questo punto affrontare delle prove molto dure di fedeltà,
che costituiscono per l’anima il « fidanzamento interiore », corrispondente anche allo
stadio che S. Giovanni della Croce descrive come la « notte oscura », avviene, nella setti-
ma stanza, il « matrimonio spirituale », laddove « Dio introduce l’anima nel suo apparta-
mento privato, che è poi il centro dell’anima stessa ». 1
Dopo la conversione Stein avrebbe avuto il desiderio di entrare subito nell’ordine
delle carmelitane, ma sia la necessità di abituarsi alla vita nella nuova fede, sia la pro-
fonda incomprensione, cui si è accennato, che incontrò nella famiglia e tra alcuni ami-
ci, la costrinsero a rivedere i progetti. 2 Il rapporto con la madre in particolare risultò
molto doloroso, dopo il battesimo, per la assoluta impossibilità di dialogo su questioni
religiose.
Da quanto abbiamo potuto descrivere, Stein trovò sia a livello teorico che a livello
esistenziale una forte consonanza con la spiritualità carmelitana, con gli scritti di Teresa
d’Avila, e con una mistica incentrata sulla croce. Non a caso, il nome che scelse all’in-
gresso nell’ordine fu quello di Teresa Benedetta della Croce. La dialettica di morte e
rinascita, ma anche le analisi psicologiche presenti nelle opere di Teresa sembrano aver
toccato alcune sue corde molto sensibili. Ma questi ed altri elementi di consonanza con
il proprio pensiero e la propria vicenda si ritrovano altresì nello scritto dedicato a Gio-
vanni della Croce. Anche in questo lavoro, che si propone nientemeno che di rendere
a livello scientifico e sistematico il tema mistico della croce, si può rinvenire una forte
impronta fenomenologica, sia di metodo che di contenuto.
Quando parliamo di scienza della Croce non bisogna intendere ciò nel senso di scienza : non si
tratta infatti di una mera teoria […] ma di una verità viva, reale ed effettiva : come un granello di
senapa, viene seminata nell’anima e vi getta radici e cresce, dando all’anima una forma partico-
lare e determinandola nel suo fare ed agire, rilucendo e rendendosi riconoscibile in essi. 3
Stein avvia le sue indagini seguendo gli anni dell’infanzia di Giovanni della Croce, in-
dagando i suoi primi contatti con l’esperienza della croce e narrandone poi le ulterio-
ri vicende esistenziali, soprattutto l’esperienza di prigionia e catene, nella quale ogni

1
Cfr. ivi, p. 283.
2
Una delle sorelle testimonia : « Conoscevamo il cattolicesimo solo dall’esperienza delle classi basse della
nostra patria nella Slesia orientale e credevamo che la religione cattolica consistesse nell’inginocchiarsi e
baciare le scarpe al sacerdote. Così non riuscivamo proprio a renderci conto di come lo spirito della nostra
elevatissima Edith avesse potuto decadere verso quello setta superstiziosa ». (cit. da T. R. Posselt, Edith
Stein, cit., p. 70). Anche Ingarden le confida che il cattolicesimo gli appariva solo un « apparato di dogmi
pensato per il dominio delle masse », cfr. BI, ESW xiv, p. 153.
3
Kreuzeswissenschaft, ESGA 18, p. 5.
142 capitolo ii
conforto, anche quelli sacramentali, gli erano negati. Secondo le testimonianze che
Stein descrive, anche in quei periodi molto bui la vita divina continuava a irrorare l’in-
timo della sua anima, dandogli la certezza di un fondamento sicuro in fondo al grande
sconforto. Si sottolinea, quindi, ancora una volta, il vissuto religioso decisivo. Signifi-
cativamente, inoltre, Stein parla di « messaggio » (Botschaft) sia della Scrittura che della
croce, e di « incontri » (Begegnungen) con la croce : il livello del discorso è quindi del tutto
personale. 1
Lo scritto steiniano si indirizza poi all’analisi delle opere, esponendone in modo si-
stematico il contenuto, e il cui tema centrale è il risalimento dell’anima verso le sue
profondità sino a raggiungere Dio, attraverso quella che viene descritta simbolicamen-
te come una notte, dettagliatamente esposta nelle sue diverse ore, sino al raggiungi-
mento dell’alba. Stein si sofferma anche qui su una analisi tecnica di tipo semiotico,
distinguendo l’immagine della notte da quella della croce. La croce è un segno, perché
non possiede un rimando diretto ed immediato al suo significato, ossia la sofferenza,
mentre la notte è un simbolo.

L’immagine (Bild), intesa come copia (Abbild) rimanda al copiato (Abgebildete) attraver-
so una somiglianza interna. Chi la vede, viene indirizzato subito al modello (Urbild),
che così viene conosciuto o riconosciuto. 2
La croce, come oggetto costruito dall’uomo, rimanda al suo significato simbolico me-
diante una comprensione storica. La notte è invece qualcosa di naturale, è un’« espres-
sione cosmica » di cui si deve comprendere il senso mistico. Stein fa riferimento quindi
alla poesia di Giovanni, descrivendo i significati con cui viene introdotto il termine di
« notte », e analizzando il loro rapporto con la vita spirituale soggettiva.
Dietro a tutto ciò che egli [Giovanni della Croce] scrive si trova una ontologia dello spirito [Onto-
logie des Geistes]. Ma non ne possiediamo alcuna trattazione e forse egli non si è nemmeno mai
sforzato di portare al livello della «teoria» tutto ciò che possedeva come sapere abituale e che
caratterizzava occasionalmente le sue espressioni. 3
Il percorso è descritto da Stein nel dettaglio a riguardo non solo dei fenomeni, ma anche
dell’impostazione letteraria del mistico spagnolo, con un commento che ne segue anali-
ticamente gli scritti. Se i primi passi nella notte sono definibili quali un’attività dell’anima,
un seguire la croce frutto di una decisione, quelli successivi risultano piuttosto caratte-
rizzati da passività, dall’essere crocifissi : nei primi si abbandonano i sensi, nei secondi le
facoltà più alte dell’anima. La notte rappresenta un percorso di apparente distacco, per-
dita e allontanamento, che in realtà costituisce una purificazione che porta all’incontro e
all’unione con Dio. Le potenze dell’anima vengono messe fuori gioco e appunto anche
la fede sembra spegnersi e attraversare il buio. Ma si tratta di una ascesi, la salita (Austieg)
al monte Carmelo, secondo il titolo di un’opera di Giovanni. L’anima viene bruciata,
purificata e forgiata. Il cammino avviene sotto la guida divina, e sembra presupporre
la descrizione dell’anima, dell’io e della libertà e del loro rapporto ai regni spirituali de-
scritta in precedenza. Al culmine di questo percorso in cui il divino deve riempire e anzi
prendere il posto dell’umano, le facoltà dell’anima stessa devono allora essere sostituite
dalle virtù teologali : l’intelletto dalla fede, la memoria dalla speranza e la volontà dalla
carità. Si giunge così ad una rinascita dello spirito sul piano soprannaturale.
1
Cfr. Kreuzeswissenschaft, ESGA 18, p. 9 ss.
2 3
Kreuzeswissenschaft, ESGA 18, p. 31. Kreuzeswissenschaft, ESGA 18, p. 46.
analogia della persona 143

Ogni uomo è libero e viene posto ogni giorno e ogni ora di fronte a decisioni. La parte più
intima dell’anima, tuttavia, è il luogo dove Dio dimora «tutto solo», fintanto che l’anima non
giunge alla più perfetta unione di amore ; la Madre Teresa la chiama la settima stanza, che si
dischiude all’anima solo nel matrimonio mistico. 1
Si distinguono inoltre, di nuovo, tre livelli di possibile conoscenza di Dio e di rapporto
dell’anima con lui.
Giovanni ha distinto tre modi di unione dell’anima a Dio : attraverso il primo egli abita essen-
zialmente (wesenhaft) in tutte le cose create e così le possiede nell’essere ; nel secondo si tratta
dell’abitare della grazia nell’anima, mentre nel terzo si avrebbe un’unione formante e diviniz-
zante con l’amore perfetto. 2
Gli ultimi due modi sarebbero solo due livelli della stessa realtà. Prima di raggiun-
gere il culmine, la risurrezione, l’anima sperimenta una vera e propria morte. Stein
vi può riconoscere ancora la propria esperienza. L’ordine carmelitano, d’altronde,
rinviene in Elia il padre della propria spiritualità ; e questa pagina, in cui ancora si de-
scrive un’esperienza analoga, è notevolmente significativa di questo tratto più volte
ribadito :
Ma egli stesso proseguì per un giorno di viaggio in territorio aspro e giunse ad un ginepro, sotto
il quale si sedette : e chiese di morire e disse : « è abbastanza, ora o Signore, prendi la mia vita,
perché io non sono migliore dei miei padri ». E giacque e dormì sotto il ginepro fin quando un
angelo lo scosse e gli disse : « alzati e mangia. » Egli guardò e scorse del pane cotto sulla pietra e
una brocca d’acqua vicino ad esso. E mangiò e bevve e si stese di nuovo. Allora l’angelo del Si-
gnore venne di nuovo una seconda volta, lo scosse e gli disse : « alzati e mangia, perché il viaggio
è ancora troppo lungo per te. » Così egli si alzò, mangiò e bevve e camminò con la forza di quel
cibo per quaranta giorni e quaranta notti fino all’Oreb, il monte di Dio. 3
Alla morte dell’anima in ascesi, fa seguito anche in Giovanni l’unione con la « fiamma
viva d’amore », e la partecipazione progressivamente più piena possibile alla vita trinita-
ria, culminante appunto nel matrimonio mistico. Tale unione, in questa vita, è sempre
inevitabilmente, e misteriosamente, mediata dalla croce.
L’uomo nuovo porta le piaghe di Cristo sul suo corpo vivente : il ricordo della sofferenza del pecca-
to (Sündenelend) da cui è stato richiamato alla vita beata, e del prezzo che per ciò è stato pagato.
E gli rimane il dolore della nostalgia per la pienezza di vita, fino al momento in cui potrà entrare,
attraverso la vera morte corporale, nella luce senza ombre. Così, l’unione sponsale dell’anima
con Dio è il fine per cui è stata creata, guadagnato con la croce, portato a termine sulla croce e
per tutta l’eternità segnato della croce. 4
La vita di Stein giunge alla sua tragica conclusione proprio quando si stavano ultiman-
do le pagine di quest’opera. Se in Essere finito ed essere eterno l’analogia della persona,
impostata a livello teorico da un punto di vista filosofico-teologico, era culminata nelle
pagine dedicate a Cristo, in questo scritto si radicalizza il tratto esistenziale espresso
dalla croce. In un modo che non cessa di lasciare attoniti, Stein sembra quasi viver in
prima persona il senso di una teoria della persona che non si è mai lasciata ridurre ad
un aspetto meramente astratto e che ha trovato il suo apice nel rapporto con la croce.
Ma la croce prelude all’unione sponsale.
1 2 3
Ivi, p. 135. Ivi, p. 139. 1 Re 19, 4-8.
4
Kreuzeswissenschaft, ESGA 18, p. 227.
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Indice dei nomi

INDICE DEI NOMI

Aertsen, Jan A. 26n Dostoijevski, Fëdor 136


Agostino 26, 28, 63, 82, 83, 85, 89 Duns Scoto 97, 103
Alberto Magno 132
Ales Bello, Angela 11n, 16n, 35n, 61n, 85n Ehrle, Franz 23
Alfieri, Francesco 85n, 105n Elders, Leo 16n, 114n
Aristotele 63, 96, 99, 133 Elia 18, 143
Avé-Lallemant, Eduard 36n Eraclito 86
Avicenna 27 Eucken, Rudolf 72

Bach, Johann Sebastian 75 Fabro, Cornelio 16n


Balzer, Carmen 114n Faust 127, 127n
Bancalari, Stefano 117n Fetz, Reto Luzius 11n, 56n, 85n, 136n
Barth, Karl 14, 76, 76n, 77, 120n Fichte, Johann Gottlieb 60
Barukinamwo, Matthieu 96n Filippa, Mario 71n
Baseheart, Mary Catharine 11n, 93n Fink, Eugen 60
Bäumker, Clemens 23
Beckmann-Zöller, Beate 13n, 23n, 35n, 54n, Gaboriau, Florent 68n
107n, 119n, 125n Gabriel, Gottfried 26n
Bejas, Andrés 98n Garcia Rojo, Ezequiel 11n
Bergson, Henry 40, 96n Garulli, Enrico 11n
Berkeley, George 45 Geiger Moritz 36
Gelber, Lucie 58n
Besoli, Stefano 36n
Gemelli, Agostino 16n
Betschart, Christoph 120n
Gerl-Falkovitz, Hanna-Barbara 23n, 35n, 39n,
Blondel, Maurice 69, 69n
125n
Boehm, Rudolph 38n
Gilson, Etienne 14n, 69, 70n,
Borden Sharkey, Sarah 11n, 105n Giovanni della Croce 18, 71, 131, 135, 136, 141, 142
Brentano, Franz 13, 62, 63, 72, 114 Gisele, Pierre 11n
Campo, Mariano 16n, Gladiator, Reinhold 36n
Goethe, Johann Wolfgang 127n
Cartesio, René 63, 83 Grabmann, Martin 21, 21n, 23, 25
Casetta, Giuseppe 26n Gredt, Joseph 97, 98, 98n
Casper, Bernhard 13n, 14n Gregory, Tullio 24n
Conrad, Theodor 36 Gründer, Karlfried 26n
Conrad-Martius, Hedwig 12, 36, 39, 39n, 55, 60, Gründler, Otto 138, 138n
61n, 62n, 85, 85n, 89, 97, 136, 139n Guidetti, Luca 36n
Costantini, Elio 114n Guileaud, Reuben 18n
Courtine, Jean-François 13n, 26n, 107n
Hammer, Karl 77n
De Boer, Theodore 36n Hartmann, Nicolai 39n
De Monticelli, Roberta 36n, 121n Haya, Fernando 11n
Denifle, Heinrich 23 Hecker, Herbert 18n
Denzinger, Heinrich 84n Hedwig, Klaus 11n, 105n, 114n
Dilthey, Wilhelm 118, 119, 124 Hegel, Georg W.F. 23, 60, 75
Dionigi Aeropagita 17, 103, 131, 132, 133, 134, Heidegger, Martin 12, 13, 14, 23, 38, 55n, 56n,
135 58, 59, 60, 62, 62n, 72, 73, 73n, 82, 87, 88, 105n,
Dobhan, Ulrich 135, 136n 117n, 136, 140n
156 indice dei nomi
Herbstrith, Waltraud 11n, 16n, 23n, 38n, 136n Metzl, Klaus 73n
Héring, Jan 43, 44, 44n Mill, John Stuart 114
Hilbert, David 138n Molinaro, Aniceto 16n
Höflinger, Anton 93n Mondin, Battista 16n
Hogg, Johannes 71n Montagnes, Bernard 26n
Honecker, Martin 56n Mosè 89, 100, 132
Hume, David 63 Müller, Andreas Uwe 13n, 22n, 136n, 138n
Husserl, Edmund 12, 13, 15, 21, 22, 23, 34, 35, 35n, Münsterberg, Hugo 124
36, 37, 37n, 38, 38n, 39, 39n, 40, 40n, 41, 42, 43n,
46, 47, 53, 54, 55, 55n, 56, 58, 59, 59n, 60, 61, 62, Naab, Erich 74n
63, 64, 65, 66, 67, 68, 70n, 71, 72, 73. 83, 91, 92, Natorp, Paul 60
107, 114, 116, 121, 121n, 135, 136, 138, 138n Newman, John Henry 23, 23n, 72, 72n
Neyer, Maria Amata 22n, 136n, 138n
Ignazio di Loyola 136 Nicoletti, Enrico 26n
Ilario di Poitiers 28 Nieborak, Stefan 66n
Imhof, Beat W. 22n, 125n Nota, Jan H. 16n
Ingarden, Roman 11n, 22, 36, 36n, 38, 38n, 39n,
40, 40n, 41, 43, 44, 44n, 55, 55n, 62n, 125, 125n, Olivetti, Marco Maria 14n
136, 136n, 137, 138, 141n Österreicher, John Maria 139n
Ott, Hugo 56n
Janicaud, Dominique 14n Otto, E lisabeth 11n, 135n
Jüngel, Eberhard 76n Otto, R udolf 135

Kant, Immanuel 23, 45, 53, 54, 64, 72 Pannenberg, Wolf hart 76n
Kaufmann, Fritz 136 Paolinelli, Marco 71n
Kierkegaard, Soren 136 Paolo 76, 131
Kluxen, Wolfgang 26n Parmenide 86
Koyrè, Alexandre 62n Pezzella, Anna Maria 11n
Kuhn, Helmut 36n Pfänder, Alexander 17, 36, 54, 120, 120n, 121,
Kusnitzky, Gertrude 53, 53n 121n
Pöhlmann, Horst Georg 76n
Landgrebe, Ludwig 37n, 38n Posselt, Teresa Renata 22n, 137n, 141n
Lebech, Mette 25n, 119n Prospero 127
Lemahnn, Max 138n Przywara, Erich 11, 11n, 12, 13, 14, 14n, 16, 22,
Lembeck, Karl-Heinz 16n 22n, 23, 23n, 25, 27, 44n, 66n, 68, 70, 70n, 71,
Leuven, Romaeus 18n, 22n 72, 72n, 73, 73n 74, 74n 75, 75n, 76, 77, 77n, 78,
Levinas, Emmanuel 13 94, 105n, 106, 131
Lipps, Theodor 36, 41, 62n, 113, 114, 115, 117
Lohr, Charles H. 25n Rah, Matthias 11n, 56n, 85n
Lutero, Martin 65n, 128 Reinach, Adolf 15, 36, 37, 38, 55, 129, 129n, 136,
Lyttkens, Hampus 26n 136n, 137, 137n
Reinach, Anne 137
Mancini, Italo 16n Rickert, Heinrich 124
Mandonnet, Pierre 70n Ritter, Joachim 26n
Manganaro, Patrizia 114n Rolland-Gosselin, Bernard 80
Manser, Gallus 79, 79n Royce, Josiah 116
Maréchal, Joseph 23 Ruf, Josef 102n
Maritain, Jacques 14n, 16, 68, 69, 69n, 70 Runge, Carl 138n
Martinelli, Edoardo 140n
McInerny, Ralph M. 16n, 26n Sawicki, Marianne 38n
Mechels, Eberhrd 76n Scheler, Max 15, 36, 41, 53, 55, 58, 58n, 59, 60, 72,
Melchiorre, Virgilio 14n 73, 113, 114, 114n, 118n
indice dei nomi 157
Schleiermacher, Friedrich 136 62, 63, 64, 65, 66, 67, 68, 69, 70, 70n, 71, 72,
Schmitz-Perrin, Rudolph 18n 73, 77, 78, 79, 80, 81, 82, 91, 92, 93, 94, 95, 97,
Schuhmann, Karl 36n, 136n 98, 99, 100, 102, 103, 105, 106, 107, 108, 125,
Schulz, Peter J. 11n, 56n, 85n 132, 133, 133n
Secretan, Philibert 10n, 11n, 35n, 44n, 68n, Tönnies, Ferdinand 122, 122n
101n, 125n Trendelenburg, Friedrich A. 72
Seidl, Horst 16n
Seifert, Joseph 94n van Breda, Herman Leo 36n
Sélles, Juan Fernando 11n van Steenberghen, Fernand 69n
Sepp, Hans Rainer 35n, 36n, 56n Vanni Rovighi, Sofia 16n
Shahid, Mobeen 85n, 119n Vigone, Luciana 93n
Söhngen, Gottlieb 76n Volek, Peter 35n
Speer, Andreas 22n, 24n, 25n, 69n Volkelt, Johannes 114
Spiegelberg, Herbert 36n, 63n Volontè, Paolo 77n
Spranger, Eduard 124 Volpi, Franco 13n
Stern, Paul 114 von Balthasar, Hans 76n
Ströker, Elisabeth 43n von Hildebrand, Dietrich 36
Sullivan, John 11n
Walter, Thoma Angelica 71n
Terán-Dutari, Julio 11n, 70n Weil, Simone 44n
Teresa d’Avila 18, 136, 139, 139n, 140, 140n, 141, Wiesemann, Karl Heinz 23n
143 Windelband, Wilhelm 124
Tilliette, Xavier 71n, 103n Wobbe, Theresia 138n
Tommasi, Francesco V. 22n, 24n, 25n, 26n, Wulf, Claudia Marièle 42n, 107n, 125n
35n, 69n, 117n
Tommaso d’Aquino 9, 11, 11n, 12, 13, 14, 15, Zahavi, Dan 36n
16n, 19, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 27n, 28, 29, Zimmermann, Albert 16n, 28n
30, 31, 32, 33, 33n, 34, 34n, 35, 54, 59, 60, 61, Zordan, Paolo 114n, 133n
co m p osto in ca r atte re da n te monotype dalla
fa b rizio se rr a e dito re, pisa · roma.
sta m pato e ril e gato nella
t i p o g r a fia di ag na n o, ag nano pisano (pisa).

*
Maggio 2012
(c z 2 · f g 1 3 )
Biblioteca dell’«Archivio di filosofia»
Fondata da
Marco M. Olivetti

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Stefano Semplici, Socrate e Gesù. Hegel dall’ideale della grecità al
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2. 
Francesco Paolo Ciglia, Un passo fuori dall’uomo. La genesi del
pensiero di Levinas, 1988, pp. 236.
3. 
Irene Kajon, Ebraismo e sistema di filosofia in Hermann Cohen,
1989, pp. 192.
4. 
La recezione italiana di Heidegger, a cura di M. M. Olivetti, 1989,
pp. viii-604.
5. L’argomento ontologico, a cura di M. M. Olivetti, 1990, pp. 766.
6. 
Stefano Semplici, Dalla teodicea al male radicale. Kant e la dottri-
na illuminista della «giustizia di Dio», 1990, pp. 320.
7. 
Alberto Iacovacci, Idealismo e Nichilismo. La «lettera» di Jacobi a
Fichte, 1992, pp. 176.
8. Religione, Parola, Scrittura, a cura di M. M. Olivetti, 1992, pp. 560.
9. La storia della filosofia ebraica, a cura di I. Kajon, 1993, pp. xvi­-548.
10. Pierluigi Valenza, Reinhold e Hegel. Ragione storica e inizio asso­
luto della filosofia, 1994, pp. 312.
11. Filosofia della rivelazione, a cura di M. M. Olivetti, 1994, pp. 994.
12. Trascendenza Trascendentale Esperienza, a cura di G. Derossi, M.
M. Olivetti, A. Poma, G. Riconda, 1995, pp. 600.
13. Irene Kajon, Profezia e filosofia nel Kuzari e nella Stella della re-
denzione. L’influenza di Yehudah Ha-Lewi su Franz Rosenzweig,
1996, pp. 152.
14. Philosophie de la religion entre éthique et ontologie, a cura di M. M.
Olivetti, 1996, pp. 832.
15. Enrico Castelli, Diari, a cura di E. Castelli Gattinara Jr., vol. i
(1923-1945), 1997, pp. xxx-650, ill. f.t. 8.
16. Vol. ii (1945-1948), 1997, pp. viii-716.
17. Vol. iii (1949-1955), 1997, pp. viii-764.
18. Vol. iv (1956-1976), 1997, pp. viii-784.
19. Incarnation, a cura di M. M. Olivetti, 1999, pp. 748.
20. Francesco Paolo Ciglia, Scrutando la «Stella». Cinque studi su
Rosenzweig, 1999, pp. 192.
21. Pierluigi Valenza, Logica e filosofia pratica nello Hegel di Jena,
1999, pp. 428.
22. Stefano Bancalari, L’altro e l’esserci. Il problema del Mitsein nel
pensiero di Heidegger, 1999, pp. 256.
23. Martin Heidegger, Colloquio sulla dialettica, a cura di Mauro
Vespa, 1999, pp. 80.
24. Friedrich Heinrich Jacobi, Woldemar, a cura di Serenella Iovi-
no, 2000, pp. 340.
25. Mauro Vespa, Heidegger e Hegel, 2000, pp 260.
26. Intersubjectivité et théologie philosophique, a cura di M. M. Olivetti,
2001, pp. 828.
27. Richard Swinburne, Esiste un Dio? 2001, pp. 132.
28. Stefano Semplici, Il soggetto dell’ironia, 2002, pp. 256.
29. Théologie négative, a cura di M. M. Olivetti, 2002, pp. 884.
30. Bernhard Casper, Evento e preghiera, a cura di S. Bancalari, 2003,
pp. 172.
31. Pierluigi Valenza, Oltre la soggettività finita. Morale, religione e
linguaggio nella filosofia classica tedesca, 2003, pp. 200.
32. Man and God in Hermann Cohen’s Philosophy, ed. by G. Gigliotti, I.
Kajon, A. Poma, 2003, pp. 312 + 4 ill. f.t.
33. Stefano Bancalari, Intersoggettività e mondo della vita. Husserl e
il problema della fenomenologia, 2003, pp. 196.
34. Le don et la dette, textes réunis par Marco M. Olivetti, 2004, pp.
610.
35. K
 . L. Reinhold. Am Vorhof des Idealismus, hrsg. von Pierluigi Valen-
za, 2005, pp. 380.
36. L e Tiers, a cura di Marco M. Olivetti, 2006, pp. 596.
37. E
 manuela Pistilli, Tra dogmatismo e scetticismo. Fonti e genesi del-
la filosofia di F. H. Jacobi, 2007, pp. 232.
38. R
 udolf Otto, Opere, a cura di Stefano Bancalari, 2010, pp. 464.
39. L ’assoluto e il divino. La teologia cristiana di Hegel, a cura di Tom-
maso Pierini, Georg Sans, Pierluigi Valenza, Klaus Vieweg, 2011,
pp. 212.
40. F
 rancesco Valerio Tommasi, L’analogia della persona in Edith
Stein, 2012, pp. 172.
ARCHIVIO DI FILOSOFIA
la rivista dal 1945 si pubblica
in numeri monografici

La crisi dei valori, 1945, pp. 176.


L’esistenzialismo, 1946, pp. 240.
Il problema dell’immortalità, 1946, pp. 184.
Leibniz, 1947, pp. 108.
Umanesimo e machiavellismo, 1949, pp. 208.
Esistenzialismo cristiano, 1949, pp. 160.
Filosofia e linguaggio, 1950, pp. 132.
Il Solipsismo. Alterità e comunicazione, 1950, pp. 148.
Testi umanistici inediti sul «De Anima», 1951, pp. 228.
Fenomenologia e sociologia, 1951, pp. 144.
Il compito della metafisica, 1952, pp. 130.
Filosofia e psicopatologia, 1952, pp. 190.
Filosofia dell’arte, 1953, pp. 246.
Kierkegaard e Nietzsche, 1953, pp. 282.
Testi umanistici su la retorica, 1953, pp. 160.
La filosofia della storia della filosofia, 1954, pp. 276.
Apocalisse e Insecuritas, 1954, pp. 186.
Testi umanistici sull’ermetismo, 1955, pp. 164.
Studi di filosofia della religione, 1955, pp. 240.
Semantica, 1955, pp. 436.
Metafisica ed esperienza religiosa, 1956, pp. 300.
Filosofia e simbolismo, 1956, pp. 310, tav. fuori testo i.
Il compito della fenomenologia, 1957, pp. 278.
La filosofia dell’arte sacra, 1957, pp. 212.
Il tempo, 1958, pp. 252.
Umanesimo e simbolismo, 1958, pp. 320, tavv. fuori testo xxxii.
Tempo e eternità, 1959, pp. 200.
La diaristica filosofica, 1959, pp. 256.
Husserliana. Tempo e intenzionalità, 1960, pp. 204.
Umanesimo e esoterismo, 1960, pp. 448, tavv. fuori testo xxiii.
Il problema della demitizzazione, 1961, pp. 336.
Filosofia della alienazione e analisi esistenziale, 1961, pp. 250.
Demitizzazione e immagine, 1962, pp. 352.
Pascal e Nietzsche, 1962, pp. 218.
Ermeneutica e tradizione, 1963, pp. 450.
Umanesimo e ermeneutica, 1963, pp. 164.
Tecnica e casistica, 1964, pp. 373.
Cusano e Galileo, 1964, pp. 128.
Demitizzazione e morale, 1965, pp. 440.
Surrealismo e simbolismo, 1965, pp. 156.
Logica e analisi, 1966, pp. 104.
Mito e fede, 1966, pp. 586.
Filosofia e informazione, 1967, pp. 152.
Il mito della pena, 1967, pp. 484.
Il problema della domanda, 1968, pp. 176.
L’ermeneutica della libertà religiosa, 1968, pp. 646.
Campanella e Vico, 1969, pp. 204.
L’analisi del linguaggio teologico. Il nome di Dio, 1969, pp. 552.
Il senso comune, 1970, pp. 188.
L’infallibilità. L’aspetto filosofico e teologico, 1970, pp. 628.
Ermeneutica e escatologia, 1971, pp. 294.
Rivelazione e storia, 1971, pp. 260.
Significato e previsione, 1971, pp. 204.
La testimonianza, 1972, pp. 536.
Informazione e testimonianza, 1972, pp. 158.
Il simbolismo del tempo. Studi di filosofia dell’arte, 1973, pp. 188, ill. f.t. 76.
Demitizzazione e ideologia, 1973, pp. 596.
La filosofia della storia della filosofia. I suoi nuovi aspetti, 1974, pp. 348.
Il sacro. Studi e ricerche, 1974, pp. 494.
Prospettive sul sacro, 1975, pp. 236.
Temporalità e alienazione, 1975, pp. 496.
Schelling, 1976, pp. 186.
Ermeneutica della secolarizzazione, 1976, pp. 504.
Prospettive sulla secolarizzazione, 1977, pp. 148.
L’ermeneutica della filosofia della religione, 1977, pp. 486.
Lo spinozismo ieri e oggi, 1978, pp. 410.
Religione e politica, 1978, pp. 414.
Indici degli Atti dei convegni romani sulla demitizzazione e l’ermeneutica (1961-1977),
1979, pp. 296.
Il pubblico e il privato, 1979, pp. 280.
Esistenza Mito Ermeneutica, 1980 (2 voll.), pp. 448, 506.
Filosofia e religione di fronte alla morte, 1981, pp. 564.
Nuovi studi di filosofia della religione, 1982, pp. 352.
Indici 1931-1981, 1982, pp. 210.
Neoplatonismo e religione, 1983, pp. 480.
Schleiermacher, 1984, pp. 652.
Ebraismo Ellenismo Cristianesimo, 1985 (2 voll.), pp. 392, 484.
Intersoggettività Socialità Religione, 1986, pp. 812.
Etica e pragmatica, 1987, pp. 508.
Teodicea oggi?, 1988, pp. 724.
La recezione italiana di Heidegger, 1989, pp. xii-672.
L’argomento ontologico, 1990, pp. 796.
Studi di filosofia tedesca, 1991, pp. 424.
Religione, Parola, Scrittura, 1992, pp. 600.
La storia della filosofia ebraica, 1993, pp. xvi-548.
Filosofia della rivelazione, 1994, pp. 994.
Trascendenza Trascendentale Esperienza, 1995, pp. 600.
Filosofia della religione tra etica e ontologia, 1996, pp. 896.
Enrico Castelli. Diari:
1997, Vol. i (1923-1945), pp. xxx-650, ill. f.t. 8.
Vol. ii (1945-1948), pp. viii-716.
1998, Vol. iii (1949-1955), pp. viii-764.
Vol. iv (1956-1976), pp. viii-784.
Incarnazione, 1999, pp. 768.
Heideggeriana, 2000, pp. 352.
Intersoggettività e teologia filosofica, 2001, pp. 828.
Teologia negativa, 2002, pp. 884.
Unità della coscienza e unicità di Dio in Hermann Cohen, 2003, pp. 512+4 ill. f.t.
Il dono e il debito, 2004, pp. 610.
K. L. Reinhold. Alle soglie dell’idealismo, 2005, pp. 380.
Le Tiers, 2006, pp. 596.
Filosofia della religione oggi?, 2007, pp. 454.
Tra dogmatismo e scetticismo: fonti e genesi della filosofia di F. H. Jacobi, 2007, pp. 230.
Il sacrificio, 2008, pp. 414.
Marco Maria Olivetti. Un filosofo della religione, 2008, pp. 300.
Opere di Rudolf Otto, 2009, pp. 466.
Riconoscimento e comunità. A partire da Hegel, 2009, pp. 256.
L’impossibile, 2010, pp. 432.
L’assoluto e il divino. La teologia cristiana di Hegel, 2010, pp. 212.
Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture, 2011, pp. 212.
Cinquant’anni di Colloqui Castelli, 2011, pp. 236.
L’analogia della persona in Edith Stein, 2011, pp. 172.
Riviste · Journals

ACTA PHILOSOPHICA
Rivista internazionale di filosofia
diretta da Francesco Russo

ANTIQVORVM PHILOSOPHIA
An International Journal
Rivista diretta da Giuseppe Cambiano

ARCHIVIO DI FILOSOFIA
Rivista fondata nel 1931 da Enrico Castelli
diretta da Stefano Bancalari

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Ricerche filosofiche e materiali storico-testuali
Rivista diretta da Eugenio Canone

HISTORIA PHILOSOPHICA
An International Journal
Rivista diretta da Paolo Cristofolini

FABRIZIO SERRA EDITORE


PISA · ROMA
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Regole editoriali,
tipografiche & redazionali
Seconda edizione
Prefazione di Martino Mardersteig · Postfazione di Alessandro Olschki
Con un’appendice di Jan Tschichold
Dalla ‘Prefazione’ di Martino Mardersteig
[…] O ggi abbiamo uno strumento […], il
presente manuale intitolato, giustamente, ‘Re-
gole’. Varie sono le ragioni per raccomandare
quest’opera agli editori, agli autori, agli appas-
sionati di libri e ai cultori delle cose ben fatte e
soprattutto a qualsiasi scuola grafica. La prima
è quella di mettere un po’ di ordine nei mille
criteri che l’autore, il curatore, lo studioso ap-
plicano nella compilazione dei loro lavori. Si
tratta di semplificare e uniformare alcune nor-
me redazionali a beneficio di tutti i lettori. In
secondo luogo, mi sembra che Fabrizio Serra
sia riuscito a cogliere gli insegnamenti prove-
nienti da oltre 500 anni di pratica e li abbia in-
seriti in norme assolutamente valide. Non pos-
siamo pensare che nel nome della proclamata
‘libertà’ ognuno possa comporre e strutturare
un libro come meglio crede, a meno che non si
tratti di libro d’artista, ma qui non si discute di
questo tema. Certe norme, affermate e conso-
lidatesi nel corso dei secoli (soprattutto sulla
leggibilità), devono essere rispettate anche og-
gi: è assurdo sostenere il contrario. […] Fabri-
zio Serra riesce a fondere la tradizione con la Non credo siano molte le case editrici che
tecnologia moderna, la qualità di ieri con i curano una propria identità redazionale metten-
mezzi disponibili oggi. […] do a disposizione degli autori delle norme di sti-
le da seguire per ottenere una necessaria unifor-
* mità nell’ambito del proprio catalogo. Si tratta di
Dalla ‘Postfazione’ di Alessandro Olschki
una questione di immagine e anche di profes-
[…] Q ueste succinte considerazioni sono
soltanto una minuscola sintesi del grande im-
sionalità. Non è raro, purtroppo, specialmente
nelle pubblicazioni a più mani (atti di convegni,
pegno che Fabrizio Serra ha profuso nelle pa- pubblicazioni in onore, etc.) trovare nello stesso
gine di questo manuale che ripercorre minu- volume testi di differente impostazione redazio-
ziosamente le tappe che conducono il testo nale: specialmente nelle citazioni bibliografiche
proposto dall’autore al traguardo della nascita delle note ma anche nella suddivisione e nel-
del libro; una guida puntualissima dalla quale l’impostazione di eventuali paragrafi: la consi-
trarranno beneficio non solo gli scrittori ma an- dero una sciatteria editoriale anche se, talvolta,
che i tipografi specialmente in questi anni di non è facilmente superabile. […]
transizione che, per il rivoluzionario avvento
dell’informatica, hanno sconvolto la figura
classica del ‘proto’ e il tradizionale intervento 2009, cm 17 × 24, 220 pp., € 34,00
del compositore. isbn: 978-88-6227-144-8
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