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Desire
L’impero del desiderio
Traduzione di
Cristina Proto
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Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo
scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone reali è
assolutamente casuale.
Desire
L’impero del desiderio
di Meghan March
Published by arrangement with
Bookcase Literary Agency and Donzelli Fietta Agency Srls
ISBN 978-88-93-90097-3
«Ehi stronzetto! Torna qui! Il tuo culo finirà in galera per questo!»
Attraversai di corsa la folla sbattendo contro i turisti e continuando a
girarmi per seminare il tizio che mi urlava dietro. Un vero spreco: a quel
punto non potevo più approfittare della confusione per rubare qualche altro
portafogli bello gonfio o qualche grazioso orologio.
E tutto perché avevo voglia di una cazzo di barretta Snickers per mettere
a tacere il mio stomaco un paio d’ore, e non mi andava di separarmi dai
soldi che mi ero sudato. Essere un ladruncolo di strada a New Orleans non
era roba da teppistelli senza palle. Il lato oscuro di questa città ti avrebbe
ingoiato e risputato prima che tu imparassi il significato dell’espressione
sacco da morto.
Non farti amici; solo alleati. E non fidarti di loro se non li puoi tenere
d’occhio.
«Ti vedo, ragazzo! I poliziotti stanno arrivando! A questo giro sei
fottuto!»
Quel pezzo di merda di Ernie, il proprietario del minimarket più
taccheggiato del quartiere, era deciso a mandarmi al fresco per sempre. Ma
prima doveva acciuffarmi.
Ero in strada da tre anni: nessuno conosceva la zona meglio di me.
Mi intrufolai tra la gente, mi fiondai in un vicolo e mi infilai tra due
sbarre piegate di una ringhiera in ferro battuto. Il grosso culo di Ernie non
sarebbe mai riuscito a passarci. Schizzai lungo un vialetto di mattoni e
andai a sbattere contro un cancello di metallo. Chiuso. Ma non era certo un
problema per me.
Mi arrampicai come una scimmia, atterrando in piedi sul lato opposto
dell’isolato. Quel coglione non mi avrebbe mai trovato. Ficcai le mani in
tasca e tirai fuori i portafogli che avevo rubato prima di tentare il colpo da
Ernie. Dovevo sbarazzarmene, nel caso mi pizzicassero.
Ispezionai la strada in entrambe le direzioni, prima di voltarmi e aprirne
uno: ne estrassi due biglietti da venti. Non male. Ci avrei mangiato per
qualche settimana. Stavo per gettare il portafogli nel tombino, quando mi
cascò l’occhio sulla carta d’identità che c’era dentro.
Rocky Mount. Dal nome sembrava un coglione. Chi avrebbe mai
chiamato un figlio così? Ma scacciai subito quel pensiero dopo averlo
avuto: almeno loro si erano disturbati a darglielo, un nome.
Aprii il secondo portafogli e trovai un bigliettone da cento. Figata. Se
facevo il bravo, ero a posto almeno per un paio di mesi; o magari, se mi
prendevo qualche rischio, potevo pure raddoppiare i miei soldi.
Sbirciai anche qui il documento. Lachlan Thorpe. Meglio di Rocky
Mount. Ma anche questo...
Gettai il secondo portafogli nel tombino, scartai la barretta e me la infilai
in bocca intera per liberarmi di ogni prova, masticando con energia anche se
mi si appiccicava ai denti. Il mio stomaco era in preda ai morsi della fame e
non aspettava altro: cercavo sempre di non passare più di un giorno o due
senza mangiare, ma a volte non avevo scelta.
«Ti ho visto, teppistello!»
Girai la testa in direzione della voce di Ernie.
Merda.
Spuntò da dietro l’angolo trascinandosi dietro la sua mole imponente: era
seguito da due sbirri, e io cominciai a correre nella direzione opposta.
Ero più veloce. E più furbo. O almeno era ciò che mi ripetevo mentre me
la davo a gambe levate lungo il marciapiede tutto spaccato.
«Fermati, ragazzo!»
Il rumore dei loro passi incalzava alle mie spalle e mentre raggiungevo
l’incrocio mi voltai indietro invece di tenere sott’occhio dove stavo
andando.
Un errore da pivello.
Una Mercedes nera bruciò uno stop e mi prese in pieno.
Merda. Che male.
Dopo l’impatto, d’istinto il mio corpo s’irrigidì, ma poi mi rannicchiai
rotolando sopra il cofano e andando a sbattere con i gomiti sul parabrezza,
mentre l’auto inchiodava scagliandomi in avanti. Un istante prima di
staccarmi e finire con il culo sull’asfalto, qualcosa trafisse il mio fianco.
Che cazzo di dolore. Piantai i palmi sul selciato e, soffocando un gemito,
mi sollevai da terra.
Ernie e gli sbirri si strinsero intorno a me, urlando come degli idioti.
Tutto frastornato, mi tirai su. Dovevo andarmene da lì o ero spacciato.
Avevo la caviglia in fiamme e quando ci appoggiai sopra il peso cedette,
facendomi cadere di nuovo, così mi aggrappai all’auto in cerca di un
sostegno. Le costole gridavano per le fitte lancinanti, ma strinsi i denti: non
era la prima volta che me le spezzavo, sapevo già per esperienza che
sarebbe stata una rogna. Dovevo solo allontanarmi e trovare un posto dove
svenire prima che il dolore mi mettesse al tappeto. Perché se andavo giù
proprio lì, ero veramente fottuto.
Due portiere della macchina si aprirono – quella dell’autista e una
posteriore – mentre io restavo avvinghiato allo stemma ammaccato della
Mercedes per rimanere in piedi invece di picchiare ancora le ginocchia in
terra.
Fanculo ai ricchi nelle loro auto da favola e alle loro decorazioni sul
cofano.
«Non provare a muoverti, ragazzo! Questa volta finirai in gal...»
Ernie si bloccò: cercai di concentrarmi, ma la vista mi si riempì di
puntini neri.
Sia il proprietario del negozio che i due sbirri dietro di lui erano fermi
impalati in mezzo alla strada.
«Signor Morello... mi dispiace tanto, signore. Le togliamo subito di
mezzo questo rifiuto umano.» Era stato uno degli sbirri a parlare.
«Potete spiegarmi cosa sta succedendo qui, signori miei?» La voce era
profonda e aveva un lieve accento italiano.
Morello. Morello. Il mio cervello non funzionava un granché in quel
momento, ma il nome non mi era nuovo. Dovevo conoscerlo quel tizio.
Morello.
«Solo un ladruncolo di strada. Sono quasi due cazzo di anni che cerco di
acchiapparlo.» Una grassa risata chiuse la spiegazione di Ernie.
«Quindi o lui è furbo come il demonio, oppure voi siete una manica di
incompetenti. Quale delle due?» La voce aveva un tono che non esprimeva
rispetto né per Ernie né per i poliziotti, e io feci due più due.
Porca puttana. Morello era Johnny Morello, l’attuale boss della famiglia
Morello. Avevano in mano la città. New Orleans era loro.
Comunque la rigiravo, ero fottuto. Avevo distrutto l’auto di Morello, e
per questo il suo scagnozzo mi avrebbe sicuramente piantato una pallottola
in testa sotto gli occhi di quegli sbirri senza palle, tanto non avrebbero osato
fargli niente. Nessuno poteva fargli qualcosa.
E se non mi sparava, mi avrebbe consegnato ai poliziotti e a Ernie, e
sarei finito dentro. Era un periodo in cui i ragazzi venivano processati per
qualunque reato, come adulti a tutti gli effetti: di sicuro Ernie avrebbe fatto
qualsiasi cosa per sbattermi in prigione a vita.
Mentre ero piegato in due, aggrappato all’auto, due lucenti scarpe nere di
pelle entrarono nel mio campo visivo. Soffocai l’impulso di vomitare
l’anima sulla Mercedes e su quelle scarpe e mi costrinsi a raddrizzarmi,
nonostante il bruciore e le fitte insopportabili che sentivo fra le costole a
ogni respiro.
«Come ti chiami, ragazzo?» La domanda di Morello era pacata, ma
aveva il peso dell’autorità. Stando a quello che avevo sentito, era un uomo
che non potevi prendere per il culo pensando di cavartela.
Incrociai il suo sguardo determinato a non mostrare paura, il contrario di
quello che avevano fatto Ernie e gli sbirri. Scommetto che loro si stanno
pisciando sotto.
Non mi ero dato un nome nei due anni vissuti in strada. Avevo
abbandonato Michael Arch dietro il cassonetto che avevo usato come riparo
mentre osservavo l’assistente sociale prelevare Hope e Destiny dal ricovero
della chiesa. Ero nato senza nome e vivevo senza nome. Ma non potevo
certo rispondere così a Johnny Morello. E non avevo nessuna intenzione di
dirgli che mi chiamavo Michael Arch: per quanto ne sapevo, Michael Arch
era ancora ricercato per omicidio.
«Non farmelo ripetere, ragazzo.»
Qualcuno da dietro mi diede una spinta e io mi raddrizzai, le costole
morse da un dolore che non volevo mostrare.
Gli occhi neri di Morello mi perforarono, mentre il mio cervello si
sforzava di trovare qualcosa da dirgli. Poi mi ricordai delle carte d’identità
che avevo appena buttato nel tombino e mi venne un’idea.
«Mi chiamo Lachlan Mount, signore. Mi scuso per il danno che ho
provocato, non l’ho fatto apposta. Non intendevo mancarle di rispetto.»
Morello mi studiò, sicuramente prendendo in esame il mio aspetto
malconcio, lo sguardo indurito e i tratti affilati. «Lachlan Mount. Un nome
importante, adatto a un ragazzo sveglio. Tu lo sei, Mount?»
«Sì, signore.»
«Sei davvero sfuggito agli sbirri per due anni?» Socchiuse gli occhi,
come se si aspettasse una menzogna. Non aveva capito che io non avevo
più niente da perdere.
«Sì, signore.»
Le sue sopracciglia scure si alzarono appena. «Allora oggi non è andata
come avevi previsto.»
«No, signore. Per niente.» Serrai i denti mentre il dolore aumentava via
via che rimanevo in piedi.
«Mi hai rovinato l’auto, Mount. Sei in debito con me.»
Annuii e infilai una mano in tasca per estrarre i contanti che avevo
appena rubato.
«Chiedo scusa, signore.» Glieli porsi. «È tutto ciò che ho.»
Lui abbassò gli occhi sulle banconote che tenevo in mano ed esplose in
una risata profonda cui fecero eco gli alti edifici di mattoni intorno a noi
che mi impedivano la fuga.
«Hai idea di quanto costa quest’auto, ragazzo? I tuoi spiccioli non
sistemeranno neanche lo stemma.»
«È tutto ciò che ho, signore.»
Mi attendevo la pressione di una canna sulla nuca, perché avevo sentito
dire che questi tizi della mafia preferivano lo “stile esecuzione”, ma non
arrivò.
Morello piegò la testa di lato, studiandomi. «Quanto ci hai impiegato a
rubare quei soldi?»
«Qualche minuto. Li ho sgraffignati mentre andavo al negozio di quel
ciccione di merda.»
«Ehi...» gridò Ernie, pronto a difendersi, ma Morello alzò una mano e lui
si zittì all’istante.
Il boss si passò le dita sui baffi scuri già un po’ brizzolati e continuò a
osservarmi. «Quanti anni hai, Mount?»
Più pronunciava il nome che mi ero scelto, più mi piaceva. Suonava
bene. Come una seconda pelle.
Raddrizzai le spalle, nonostante il male: il mio orgoglio era più forte.
«Quindici, quasi sedici.» L’ultima parte era una bugia, perché non avevo la
minima idea di quando fosse realmente il mio compleanno.
Morello allontanò la mano dai baffi e mi trafisse con un’occhiata. «Hai
tre possibilità oggi, Mount, perché mi sento piuttosto generoso.»
Rimasi in silenzio, in attesa del verdetto che stava per emettere.
«Numero uno: ti consegno ai poliziotti e loro ti processano come un
adulto, sbattendo le tue chiappe al fresco. Dubito che sopravvivresti più di
un giorno senza diventare la puttana di qualcuno.»
Mi costrinsi a non reagire, anche se la sua affermazione mi fece venir
voglia di vomitare le budella; forse perché sapevo che aveva ragione.
«Numero due: Frankie ti spara qui sul posto per aver distrutto la mia
auto preferita, poi abbandoniamo il tuo corpo in una fogna, che
probabilmente è il luogo dove ti aspettavi di crepare.»
Non aveva torto neanche su questo, ma non replicai.
«Numero tre: sali sul sedile posteriore, ti portiamo dal dottore per farti
medicare, e tu lavori per me finché non ripaghi ogni centesimo per i danni
alla mia auto. Se non farai cazzate, vedremo che ruolo darti, e forse avrai un
vero lavoro invece di borseggiare i turisti.»
Uno dei poliziotti alla fine trovò le palle per rispondere. «Signor
Morello, signore, possiamo portarlo noi via da qui. Non occorre che si
disturbi lei a...»
Morello spostò di scatto l’attenzione verso di lui, interrompendolo. «Se
volevo la tua opinione, te la chiedevo. E adesso chiudi quella cazzo di
bocca.»
Riportò lo sguardo su di me e io sentii il grilletto di una pistola.
Immaginai fosse Frankie, il tirapiedi di Morello, che si preparava a eseguire
l’opzione numero due o a uccidere un poliziotto in pieno giorno.
Le mie viscere si sciolsero, ma non mostrai paura. Presi l’unica
decisione possibile.
«Tre, signore. Scelgo la tre.»
Morello annuì. «È quello che mi aspettavo, perché non sei un idiota del
cazzo come questi coglioni.» Girò la testa per un istante verso i poliziotti
prima di lanciare un’occhiata oltre le mie spalle. «Mettilo nell’auto, poi
chiama il dottore e digli di venire da noi.»
Non appena le mani dell’uomo mi afferrarono, mi voltai digrignando i
denti per evitare di gridare dal dolore. «Posso salire da solo.»
Un bagliore di divertimento attraversò lo sguardo di Frankie. «Sali
davanti, ragazzo.»
Zoppicai verso la portiera e la aprii, crollando letteralmente all’interno
prima di sbatterla dietro di me. Per fortuna nessuno riuscì a captare il mio
sibilo di dolore, perché Morello e Frankie erano ancora là fuori ad
affrontare Ernie e i poliziotti. Le loro voci mi arrivavano forti e chiare dalla
portiera posteriore ancora aperta.
«Signore, con tutto il dovuto rispetto...»
«Voi non avete mai sentito il nome di Lachlan Mount. Non lo ripeterete
mai. Non lo avete mai visto prima e vi dimenticherete della sua esistenza.
Adesso fa parte della mia organizzazione, e se anche solo vi salta in mente
di corrergli dietro, starò a guardare mentre i miei uomini vi spellano vivi e
riderò quando strillerete come i maiali che siete. Dopodiché ficcherò una
pallottola in testa a tutti i vostri cari. Che ne pensate?»
I tre uomini, compresi i due in uniforme, ondeggiarono la testa come
degli idioti e farfugliarono le loro risposte.
«Afferrato, signore.»
«Mai sentito nominare.»
«Non so di cosa parla, signor Morello. Noi stavamo giusto tornando
verso la stazione.»
Si poteva quasi sentire il fetore della loro paura. O forse qualcuno se
l’era fatta davvero addosso. Avrei detto uno dei poliziotti, per quanto gli
tremavano le gambe. Ma una macchia scura si stava allargando sui
pantaloni di Ernie.
Si era pisciato addosso. Non esiste, cazzo.
Ma in fondo non ero sorpreso. Morello era inamovibile, i suoi ordini
categorici: senza dubbio li avrebbe uccisi sul posto mettendo in pratica le
sue minacce.
Non avevo mai visto in azione quel genere di potere. Né avevo mai visto
quel tipo di paura sulla faccia di un poliziotto. Ne feci tesoro.
Che sensazione si provava a incutere quel tipo di rispetto?
Morello salì sul sedile posteriore della Mercedes e Frankie chiuse lo
sportello.
«Non farmene pentire, Mount, perché giuro che ti seppellisco vivo, se
tradisci me o i miei.»
«Afferrato, signore. Non se ne pentirà.»
«Bene.»
Frankie salì e mise in moto l’auto ammaccata che mi aveva salvato la
vita. Da qualche parte, lungo quel percorso accidentato che ci avrebbe
condotto in chissà quale cazzo di inferno, il dolore mi fece perdere i sensi.
2
Keira
Oggi
Vedo il volto di Keira sbiancare. Vorrei non essere stato costretto a dirglielo,
ma le ho promesso di non mentire più. E poi era necessario che lo sapesse,
anche se io desidero proteggerla da quella sensazione di tradimento che di
sicuro sta provando.
«Magnolia ti ha dato il biglietto? Come? Non capisco, perché l’avrebbe
fatto? Hai detto che pensavi che io fossi un regalo. Non ha senso.»
Vorrei avere risposte migliori per lei, ma non ho tirato in causa Magnolia
a questo scopo. «Non so quali fossero le sue ragioni, ma ne aveva
sicuramente una.»
«Ma...»
Sofferente. È l’unico modo in cui posso descrivere il suo viso. Intreccio
le dita alle sue e le stringo la mano: non voglio che questa faccenda si
insinui tra noi e finisca per allontanarci.
«Magnolia è una maîtresse. Si è fatta strada perché aveva le ragazze
migliori e le metteva a disposizione di chiunque per qualsiasi cosa.»
«Ma perché avrebbe coinvolto me?» È scioccata e lascia andare la mia
mano, spalancando la bocca per la meraviglia. Poi si mette a sedere con una
smorfia di dolore: prima che riesca a fermarla ha già abbassato le gambe
oltre il bordo del letto.
Voglio prenderla tra le braccia e impedirle di muoversi, soprattutto
perché odio vederla soffrire, ma è così che lei elabora i fatti. Ormai l’ho
imparato, e le lascio il suo spazio. Almeno per qualche istante.
Se solo potessi risparmiarle... ma non posso. Merita di conoscere la
verità.
«Lei sapeva che il biglietto doveva essere consegnato a Brett. Lei...»
Keira si interrompe, e io riesco a capire dove vuole arrivare.
«Ti ha suggerito lei di scriverlo?»
Annuisce, come se fosse a corto di parole, mentre le emozioni si
alternano sul suo volto. Prima che questa conversazione finisca, voglio che
almeno un concetto sia chiaro: sono maledettamente grato di aver ricevuto
quel biglietto.
Mi allungo a stringerle la mano. «Guardami, Keira.»
I suoi occhi si abbassano su di me.
«Tralasciando il come o il perché lo abbia fatto, ricevere quel biglietto è
stata la cosa migliore che mi sia mai capitata. È così che sei entrata nei miei
radar. Senza, non ti avrei mai notato.»
Lei deglutisce e mi fa un cenno di assenso con il capo. «Non è questa la
parte che mi crea problemi. Davvero, te lo giuro. Non cancellerei quella
notte per niente al mondo.» Ricambia la mia stretta.
Le sue parole e il suo tenermi la mano mi riempiono di nuova speranza.
Siamo più forti di questo. Più forti delle circostanze che ci hanno unito. Le
ragioni di Magnolia non contano più per me, ma so che hanno importanza
per Keira, e comprendo perché le occorrano risposte.
Sfortunatamente, non sono in grado di dargliele. L’unica altra piccola
informazione che ho, spero non le causerà ulteriore dolore.
«Ho ricevuto il biglietto tramite un corriere, e la cosa mi ha incuriosito.
Magnolia diceva di avere una persona veramente speciale, e il suo anonimo
dispensatore di regali pensava che avrei gradito conoscerla. Mi garantiva
che non avrei mai trovato un’altra donna che reggesse il confronto, e aveva
ragione. Tu sei ineguagliabile. Nessuno può dimenticarti.»
11
Keira
Oggi
Glielo leggo in faccia: si aspetta che lo respinga insieme a tutto quello che
rappresenta. Ma Lachlan Mount non mi conosce abbastanza, e a quanto
pare nemmeno io.
La storia nella versione di Magnolia mi aveva dato il voltastomaco. E
una reazione ancora più forte me l’ha scatenata il racconto di Lachlan, ma
per una ragione completamente diversa.
Non ho più paura di lui. Neanche un briciolo.
Alla fine ho capito chi è veramente. Lachlan Mount non sarà mai un eroe
delle fiabe, ma scommetto che Rubio lo definirebbe un salvatore, e sono
sicura che ce ne sono molti altri pronti a chiamarlo nello stesso modo.
Lachlan Mount vive secondo il suo codice personale, senza il minimo
rimorso per le sue azioni, ma questo non significa che sia privo di scopi
onorevoli.
«Tu amministri la giustizia come meglio credi, ma non penso che tu
abbia mai fatto del male a un innocente volontariamente.»
«Non mentire a te stessa fingendo che aver salvato un paio di ragazzini
compensi tutti gli altri crimini che ho commesso. Non troveresti un’anima
più nera della mia neanche se scavassi sotto l’inferno.»
Crede sinceramente alle proprie parole. Glielo leggo in faccia, ma
secondo me si sbaglia.
«Vuoi che ti dica che mi fai schifo? Allora guardami negli occhi e giura
che non sei disposto a morire per salvarmi.»
I suoi occhi bui si dilatano prima che lui riesca a trattenere la sorpresa.
«Cosa cazzo cerchi di dimostrare?»
«Dillo.» Sono inflessibile come l’uomo che ho di fronte. «Convincimi.»
Il suo volto si contorce in una maschera di disgusto. «Non se ne parla.»
Il sorriso di trionfo che mi si dipinge sulle labbra è probabilmente
stravolto, ma non mi importa.
«Moriresti per me. Me lo hai già dimostrato. Cammineresti sotto una
pioggia di proiettili per evitarmi almeno una ferita. Non hai permesso che i
dottori ti toccassero finché non avevano finito con me, anche se ne avevi
molto più bisogno. Se vuoi farmi credere che sei un mostro, allora dovrai
impegnarti molto di più, perché tutto ciò che vedo è un uomo degno di stare
al mio fianco.»
Ha un attimo di smarrimento. «Cristo! Ti ho terrorizzato! Non
trasformarla in una cazzo di favola, Keira, perché non lo è di certo.»
Distoglie gli occhi, e questa volta sono io ad allungarmi per imitare uno
dei suoi gesti preferiti: gli appoggio la mano sulla guancia non sbarbata e lo
costringo a girarsi di nuovo verso di me.
«Non voglio una favola. Già una volta ho pensato di averla, e guarda
com’è finita. Voglio che sia vero, e tu sei la persona più vera che ho
incontrato nella mia vita. Non nascondi neanche uno dei tuoi peccati:
nascondi solo le motivazioni che ti guidano, ma quelle motivazioni fanno
tutta la differenza del mondo.»
Mi fermo. Un lampo di incredulità gli increspa la fronte, e poi... forse
una speranza?
Non ha ancora capito che non ha bisogno di speranze. Ha già me.
«Non mi hai terrorizzato. Forse il tuo personaggio mi ha spaventata un
po’, ma ti ho desiderato lo stesso, se non di più. Magnolia aveva ragione su
un paio di cose, incluso il fatto che mi avresti fottuto la testa, mandandola
in conflitto con il corpo. Ma aveva torto su quella più importante: mi ha
detto che non dovevo farti arrivare al mio cuore, ma la verità è che non
posso impedirti di farlo, perché sarebbe il mio rimpianto più grande. È già
tuo, che tu lo voglia o no.»
Gli occhi di Lachlan si chiudono per un secondo. Quando si riaprono, ho
la sensazione di fissare un uomo diverso. «Grazie al cielo, perché non ho la
minima idea di come potrei lasciarti andare.»
«Non te lo consentirei.»
«Non ti merito.»
Crede davvero a quello che dice. Non so se riuscirò mai a fargli
cambiare idea, ma farò tutto il possibile per dimostrargli che si sbaglia.
Mi avvicino a lui. «Fortunatamente non sta a te dirlo. Dipende da me, e
io ho già preso la mia decisione.»
Mi prende tra le braccia, facendo attenzione alle nostre ferite, e mi
riporta al suo fianco nel letto, stringendomi contro il suo corpo segnato
dalla battaglia. La mia guancia gli tocca il petto, il suo mento è appoggiato
sulla mia testa.
Lachlan Mount può anche pensare di essere un mostro dal sangue
freddo, ma io avverto il ritmo costante del suo cuore che mi batte
nell’orecchio mentre mi addormento.
15
Mount
«Grazie a Dio stai bene, Ke-ke. Ho sentito che qualcuno ha cercato di far
fuori Mount, e che con lui c’era una donna. L’idea che potevi essere un
danno collaterale e il fatto che non mi rispondevi mi hanno mandato fuori di
testa, cazzo!»
Il tono di Magnolia rasenta l’isteria, ma io mi costringo a restare
distaccata, in stile Mount.
«Se fossi stata un danno collaterale, di chi sarebbe la colpa, Mags?»
«Di quegli stronzi che hanno un evidente istinto suicida!»
«Puttanate. Sei tu che mi hai ficcato in questa situazione, e io esigo delle
risposte. Cosa ti ha preso quando hai dato il mio biglietto a lui invece che a
Brett?»
Magnolia rimane in silenzio.
«Allora? Niente da dire? Pensavi che non l’avrei mai scoperto?»
«Ke-ke...»
«Non provare neanche a negarlo, Mags. Me l’ha detto lui che gliel’hai
dato tu. Mi hai incastrato.»
Prima di rendermene conto sono fuori dal letto che passeggio stringendo
il telefono: mi trema la mano.
Il silenzio si prolunga e la nostra amicizia si incrina sempre di più a ogni
secondo che passa.
«Ti prego, dimmi qualcosa. Sto cercando di capire, ma tu, Mags, devi
dirmi perché.» La mia voce si spezza. Il suo tradimento è troppo fresco e
doloroso per affrontarlo con razionalità. «Sei stata una sorella per me,
eppure mi hai offerto su un piatto d’argento a un uomo che consideravi il
male assoluto. Cosa devo pensare? Perché l’hai fatto?»
Quando Magnolia si decide a parlare, è come se ci fossimo scambiati i
ruoli. Non c’è emozione nella sua voce perché si è tutta riversata nella mia.
«Non volevi sentire ragioni su Brett Hyde. La donna più intelligente e
sensata che conosco diventava totalmente irrazionale quando parlava di lui.
Ho cercato di farti desistere, ma non ascoltavi. Ti aveva talmente
affascinato che non riuscivo a farti cambiare idea.»
«Avresti potuto spiegarmi che razza d’uomo era!»
«Mi avresti creduto? Ogni volta che affrontavo l’argomento, continuavi
a ripetermi che lui era la tua anima gemella. Che ne eri certa. Merda, Keira!
Eri così schifosamente felice, mentre io sapevo che si trattava di una bugia.
Come cazzo potevo strapparti il cuore e calpestarlo? Tu sei una sorella per
me e ho dovuto trovare il modo per fartelo vedere con i tuoi occhi, solo così
saresti scappata dalla parte opposta.»
«E quindi hai pensato che la strategia migliore fosse darmi in pasto a un
uomo che non avevo mai incontrato? Sei pazza?» Mi rigiro su me stessa in
preda alla rabbia.
«Non sopravvivi a lungo per le strade se non sviluppi un particolare
istinto, e di sicuro non sarei arrivata dove sono adesso se non avessi questa
capacità di intuire le cose che sembra un cazzo di sesto senso.»
Mi infilo una mano tra i capelli. «Cosa significa? Stai evitando la
domanda.»
«Smettila di camminare su e giù, Ke-ke, e siediti. Ora ti spiego perché
ero pronta a fare la scommessa della vita mentre in ballo c’era una delle
persone a cui tengo di più al mondo.»
Ringhio e mi siedo di nuovo sul letto, ma solo perché la testa ha ripreso a
martellarmi. Non sopporto che abbia capito che stavo camminando anche
senza vedermi.
«Allora dimmi. Dimmi com’è che ti sentivi così sicura da mettere a
rischio non solo la mia vita, ma la mia famiglia, i miei amici, i miei
dipendenti, la mia azienda... Cristo, ti sei giocata tutto sulla base delle tue
fottute intuizioni e poi mi hai mentito.»
Lo stomaco mi si rivolta mentre ripenso a tutte le bugie che mi ha
rifilato... e a come le ho prese per verità assolute.
«Tu eri persa dietro a Brett Hyde. E io osservavo Mount passare da una
donna all’altra, senza che nessuna catturasse la sua attenzione. Nelle mie
vene scorre il sangue di una sacerdotessa voodoo: forse non sono davvero
una sensitiva, ma quando avverto qualcosa con forza, tipo come avrebbe
reagito Mount nei tuoi confronti, non posso stare ferma.»
«Hai giocato con la mia vita!»
«No.» Magnolia improvvisamente si scalda. «Stavo cercando di darti
una vita migliore di quella che immaginavi. Sei nata per essere trattata
come una regina. Sei buona, leale, vera, e la tua forza risplende come il
fuoco più luminoso che io abbia mai visto. Ogni re vuole una regina come
te al suo fianco, anche se non ne è cosciente. Dentro di me sapevo che, se
Lachlan Mount avesse assaggiato quello che avevi da offrire, non ne
avrebbe fatto più a meno.»
Questa volta sono io a rimanere in silenzio. Non so cosa dirle. Ha avuto
ragione, ma non riesco a dimenticare come ci ha raggirato. A lei, però, non
servono risposte, perché non ha finito.
«Ci avevo visto giusto, ma tu te ne sei andata mandando tutto a puttane,
e scappando con quel pezzo di merda che non meritava neppure di respirare
la tua stessa aria. Se avessi potuto ucciderlo, lo avrei fatto con le mie mani.»
«E perché non mi hai messo al corrente del tuo fantastico piano, Mags?»
«Come potevo? Non lo avresti mai accettato. Ho sempre desiderato il
meglio per te, agendo di conseguenza. Sempre, anche quando tu non lo
sapevi o non riuscivi a capirlo. Ti proteggo ogni volta che posso. Ti spingo
quando serve. Ti stavo preparando a diventare il bene più prezioso che
Mount abbia mai posseduto.»
«Una proprietà, Cristo, non una relazione! E se a un certo punto si fosse
stufato, e si fosse liberato di me come ha fatto con le altre?»
«Ti ho spiegato come gestirlo, e tu ci sei riuscita. Ho. Avuto. Ragione.»
La sicurezza di Magnolia è granitica: crede di aver agito nel modo giusto
per farmi felice.
«Potevi sbagliarti!»
«Ma non è successo, vero?»
Chiudo a pugno la mano libera mentre la testa inizia a pulsarmi. Voglio
strangolarla adesso, per la sua ipocrisia e per aver scherzato con il fuoco,
rischiando di ridurre in cenere tutto il mio mondo. Anche se una parte di me
sa che dovrei ringraziarla, l’altra parte, quella che fa capo all’infanzia, non
sopporta che mi abbia ingannato.
«Perché continuare a mentire? Perché non dirmi che era tornato per
me?»
«Ho fatto ciò che dovevo. Come sempre. Dal succhiare cazzi al
prenderlo nel culo, ho fatto ogni sorta di sacrificio che poteva spezzarmi. E
continuerò a farli. Dimmi che avresti preferito il contrario. Convincimi a
rimettere tutto come prima. Ti sfido.»
«Non posso e lo sai, ma questa non è una giustificazione. Anni di
amicizia, e poi scopro da Lachlan che mi stai mentendo da mesi?»
«Lachlan, è così che lo chiami ora? Con una sola cazzo di parola hai
appena dimostrato che il mio piano è riuscito alla perfezione. Tu chiami per
nome l’uomo più temuto della città. E lo sai perché, Ke-ke? Provami che
non sei innamorata di lui.»
Vorrei mandarla a fanculo, perché odio sentirla così soddisfatta, ma
ancora una volta lei intuisce fin troppo bene la verità.
«Non serve neanche chiedertelo.»
Attraverso il telefono mi arriva, secca ma chiara, la risata di Magnolia.
«Liberati di quel tuo ego del cazzo, Ke-ke, perché io non mi scuserò mai
per quello che ho fatto. Sei esattamente dove devi stare. Su un trono accanto
all’uomo che governa questa città. Non ho bisogno di sentirtelo dire, perché
ho saputo che ti ha portato fino a Dublino. Ha perso la testa per te. E anche
se le mie informazioni non sono dirette, so che ci ho visto giusto.»
«Il fine giustifica i mezzi? Stai dicendo questo?»
«Ci puoi scommettere.»
Di fronte a quella sua certezza assoluta e alla sua assenza di rimorsi sono
travolta da una violenta cascata di emozioni. Non so perché mi aspettavo
qualcosa di diverso. Magnolia non è pentita per chi è, per cosa rappresenta,
e per come è sempre stata. Ma c’è dell’altro. C’è sempre quando c’è di
mezzo lei. Vorrei credere che le sue motivazioni siano pure come sostiene,
ma la conosco meglio delle mie sorelle.
«Allora giurami questo, Mags, che lo hai fatto solo per me, e che non
c’era niente in ballo per te.»
Si blocca per almeno tre secondi.
«Vuoi davvero parlarne, Ke-ke?»
«Ne stiamo già parlando, Mags. Basta bugie. Basta secondi fini. Voglio
tutta la verità, e subito. È l’unico modo che hai per mantenere intatto
almeno un brandello della nostra amicizia.»
«Non puoi semplicemente essere felice insieme all’uomo dei tuoi
sogni?»
È sufficiente per capire che ho ragione. C’è dell’altro.
«Dimmelo, Mags, o riaggancio questo telefono e non ti parlerò più.»
Persino formulare quella minaccia mi devasta. Perderla sarebbe comunque
come tagliarmi un braccio.
«Va bene, ma togliti quell’aria di superiorità. Ti ho sempre messa al
primo posto: che male c’è se portare Mount a innamorarsi di te mi ha reso
la vita un po’ più semplice?»
Ecco. La sua confessione mi fa girare la testa. Sospettavo che avesse un
secondo fine, ma sentirlo è come ricevere un pugno allo stomaco.
«Cosa cazzo significa?»
«Usa il cervello, donna. Mettiamo che tua sorella sposi il principe di
quella merda di Inghilterra. Non pensi che anche tu avresti vinto la lotteria
insieme a lei?»
Rido, o almeno il suono aspro che mi esce dalle labbra pare quello di una
risata.
Ora è tutto chiaro: cristallino, come il premio che è andato in frantumi
infilzandomi il fianco. «Hai cercato di giustificarti sostenendo che era per
me, incastrandomi per sempre, ma fin dall’inizio si trattava di te. Io ero un
pedone nelle tue mani.»
«Non credi che anch’io mi merito un po’ di tranquillità? Ho visto e fatto
cose che ti avrebbero mandata fuori di testa in un secondo. E mi vorresti
negare quel briciolo di beneficio che otterrei dal vostro stare insieme?»
Mi sento salire un viscido senso di colpa. «Tu stessa dici di non avere
rimorsi per le tue azioni e i pericoli in cui mi hai ficcato, perciò non provare
a fare leva sulla mia compassione.»
«Non fare la stronza, Ke-ke. Sappiamo entrambe che almeno in questo
sono la migliore.»
«Hai ragione. Lo sei.»
Magnolia copre il telefono e la sento gridare «Un attimo, arrivo!» prima
di tornare da me. «Il mio appuntamento è qui. Devo andare a sbrigare un
affare perché è così che mi guadagno da vivere. Mi vuoi odiare?
Accomodati. Ma non pensare che non mi sia presa cura di te. Sei dove eri
destinata a essere, vicino all’uomo che stavi cercando, e tutto grazie a me.
Ora devo andare.»
«Mags...»
«No, Ke-ke. Non ho più tempo di ascoltarti mentre mi getti addosso altra
merda. Ho da fare.»
La chiamata si interrompe e io resto a fissare il telefono come se avesse
appena sviluppato braccia e gambe. Sento i polmoni gonfiarsi e il sangue
tornare a scorrere mentre rivivo la confessione di Magnolia.
Come mai le persone che pensiamo di conoscere meglio, a volte sono
quelle che conosciamo di meno?
Non posso negare però che il suo istinto ha avuto ragione.
In ogni caso, la nostra conversazione non è ancora finita.
18
Keira
Se non fosse per quelle ultime tre parole, quel biglietto sarebbe uguale ai
precedenti. Autoritario e freddo. Ma quelle tre parole cambiano tutto: mi
pare giusto, visto che tutto è cambiato.
Sollevo la scatola e mi ricorda quella che ho trovato sul letto nel mio
appartamento, ma la mia reazione ora è opposta.
L’ultima volta ho chiamato Magnolia, perché ero preoccupata di trovarci
dentro un pezzo del corpo di qualcuno che amavo, ma lei mi aveva
tranquillizzato. Perché aveva dei progetti per noi. Accantono quei ricordi,
decisa a non pensare di nuovo a lei, almeno per stasera.
Questa serata è per noi. Lachlan e me. Nessun altro.
Oltrepasso la porta della camera soppesando la scatola e cercando di
indovinarne il contenuto, ma ancora prima di fare delle ipotesi mi blocco.
Cosa cazzo...?
Disteso sul letto c’è un abito da ballo: la gonna pende oltre il bordo.
Quel corpetto di cristalli e lustrini lo conosco fin troppo bene, perché è lo
stesso vestito che ho indossato quel fatale Martedì Grasso del ballo in
maschera.
«Cosa ha in mente?» Formulo la domanda ad alta voce nella stanza
vuota e appoggio la scatola accanto all’abito.
Quando passo le dita sul corpetto i ricordi di quella notte mi
aggrediscono: sono attraversata da lampi di calore mentre i dettagli mi
travolgono per la milionesima volta.
Sollevo il coperchio della scatola e rimuovo la velina: in cima trovo la
maschera che indossavo quella sera. Forse dovrei esserne sorpresa, ma non
lo sono. Se era riuscito a ritrovare il vestito, poteva facilmente recuperare
anche la maschera.
La lascio sul letto e sposto altri strati di carta velina. Sotto c’è un
sostituto del perizoma che mi strappò di dosso prima di dimostrarmi chi era
il padrone, oltre a un paio di meravigliose scarpe con il tacco a spillo.
Sento la bocca inumidirsi, perché sto iniziando a capire dove va a parare
tutto questo: avremo una seconda occasione. Non so perché, e neanche mi
importa. Se dovessi scegliere una notte da rivivere ininterrottamente,
sarebbe quella.
Quando estraggo il perizoma e le scarpe, ancora più sensuali e costose di
quelle che ho indossato finora, in fondo alla scatola trovo un biglietto.
«Ti fidi di me?» Nel chiedermelo il suo sguardo assume una nuova
intensità.
Come può metterlo ancora in dubbio?
«Certo.»
Mi dà un bacio sulle dita, poi le allontana. «Io provengo dall’oscurità.
Non sarò mai capace di vivere con te alla luce del sole e stare con me non
sarà mai normale. Non sarà mai come te l’eri immaginato.»
«Non mi importa. Non voglio la normalità. Voglio solo te.»
«Non so perché ti fidi.»
Lo afferro per il bavero della giacca. Non lo capisce, ma un giorno lo
capirà. «Perché non nascondi chi sei.»
«Sono il diavolo in un completo elegante.»
Scuoto la testa: si sbaglia di grosso. «Questo è quello che pensi tu, ma io
vedo quello che c’è sotto la superficie. Una bellezza che tu non riuscirai a
vedere finché non lo farai attraverso i miei occhi.»
«Non trasformarmi in un principe azzurro, Keira. Non lo sono per
niente.»
«No, non lo sei, ma non sei neanche il diavolo. Sei più l’arcangelo
Michele: colui che sconfisse Satana. Hai salvato persone che non erano in
grado di difendersi da sole, sei intervenuto e hai fatto giustizia. Tu mantieni
l’equilibrio. Pensa pure quanto vuoi di essere il male, ma io credo che tu
abbia eliminato molto più male di quanto ne hai compiuto.»
I suoi occhi bui si spalancano per un attimo, poi Lachlan domina il
proprio stupore e apre la tenda.
Mi conduce attraverso una serie di corridoi segreti, senza mai lasciare la
mia mano, finché non ci fermiamo di fronte a un dispositivo di sicurezza,
simile a quello che V mi ha mostrato alla porta dell’appartamento. Lachlan
vi preme le dita sopra e il pannello davanti a noi si sposta rivelando il nostro
guardaroba.
«Un giorno imparerò tutti questi corridoi.»
Lui mi sorride, con gentilezza. «Un giorno imparerai tutto, piccola
ribelle.»
La porta si chiude alle nostre spalle e lui si volta verso di me.
«Ho detto che ti avrei protetto e manterrò la promessa, con la mia stessa
vita e con tutto quello che ho a disposizione. È l’unico modo che conosco
per farlo. Ho un’altra scatola per te, Keira, stasera.» Serra la presa sulla mia
mano e mi accompagna attraverso il bagno fino alla camera da letto.
Sento il cuore accelerare quando lui afferra la maniglia e nella testa mi
ripeto le sue parole.
Cosa intende dire...
Non riesco a completare la domanda, perché Lachlan ha già aperto
rivelando la presenza di due uomini che attendevano in salotto. Sono
entrambi vestiti di nero, ma uno dei due porta un caratteristico collare
bianco.
«Padre. Giudice. Noi siamo pronti.»
24
Keira
Nelle strade scorre il sangue e io non provo alcun senso di colpa. È una
semplice questione di causa-effetto. Di azioni e conseguenze. Per riportare
l’ordine.
Prima di tutto questo, sarei stata solo un altro residente spaventato da
quello che sta succedendo, ma ora vedo ogni cosa da una prospettiva
diversa, a mio parere più chiara.
Lachlan Mount non sta terrorizzando questa città. La sta rendendo più
sicura.
Non mi ha ancora contattato. Da giorni V fa la guardia fuori dalla mia
porta durante il giorno, e di notte quando sono in camera da letto dorme in
soggiorno, probabilmente con un occhio solo.
Sono nel luogo più sorvegliato che conosco, sotto lo sguardo vigile di un
angelo custode.
Ora ho solo bisogno che Lachlan torni a casa.
Nel frattempo cerco di distrarmi con il lavoro.
Il telefono squilla all’ora prevista.
Temperance.
«Ehi. Stanno tutti bene?»
«Sì. Come da tua richiesta, tutto il personale non indispensabile lavora
da casa, mentre il ristorante è ancora chiuso e la scorta che pattuglia
l’edificio ci fa sentire come se fossimo protetti dalla Guardia Nazionale.
Non so dove hai trovato i soldi, ma... sono davvero felice che tu ci sia
riuscita.»
Mi passo una mano sul viso, domandandomi ancora una volta se dirle la
verità, poi decido che meno sa, meglio è. Almeno per ora. «Se sospetti
anche solo per un secondo che potreste essere in pericolo lì in distilleria,
sospendiamo completamente la produzione e ve ne tornate tutti a casa.»
«Capo, noi non chiudiamo l’attività. Non ci sono femminucce qui alla
Seven Sinners. Ci vorrà molto più di qualche pallottola vagante per
impedirci di produrre whiskey. In più continuiamo a ricevere ordini che sto
tenendo in sospeso perché non c’è modo di poterli evadere tutti.»
Il mio cervello, assorbito dalla costante preoccupazione per Lachlan,
fino al punto che ho creato un solco nel tappeto della camera da letto, riesce
finalmente a concentrarsi di nuovo sugli affari. «Domanda e offerta.
Dobbiamo alzare i prezzi.»
Temperance rimane in silenzio per un istante. «Perché non ci ho
pensato?»
«Ci saresti arrivata. È solo che è stato tutto un po’ frenetico» le dico, ed
entrambe ridiamo per quello che sembra l’eufemismo dell’anno.
Discutiamo su come gestire l’incremento del prezzo, poi lei passa
all’argomento successivo.
«Ho appena ricevuto una telefonata dal capo PR dei Voodoo Kings: è
preoccupato che quest’anno il Martedì Grasso possa essere a rischio per via
della nuova ondata di violenza. Stanno già pensando di annullare l’evento,
anche se mancano ancora dei mesi. Gli ho detto che era irragionevole
reagire con tutta quella fretta: credo di averlo convinto, ma forse dovrai
intervenire per rassicurarlo.»
«Non possono cancellarlo.»
«Li ho scongiurati, ma se lo fanno...»
La mia mente corre al contratto. «Aspetta. Fammi controllare la clausola
di recesso. Non c’era un vincolo sulla perdita del deposito nel caso
cancellino l’evento entro un tot di giorni dalla data?»
L’avvocato aveva accennato a qualcosa del genere, ma non lo ricordo
con precisione perché ero più preoccupata di farglielo firmare, quel cavolo
di contratto.
«Sì! Sì, l’abbiamo messo!» risponde Temperance tutta eccitata.
Tiro fuori la mia copia e spulcio le righe in corpo piccolo, poi guardo il
calendario.
«Sono dentro l’intervallo. Perdono l’intero deposito, pari al cinquanta
per cento, se annullano ora.» Sono pervasa dal sollievo, un sollievo
inebriante. «Non pagheranno mai la metà di una festa senza esserne
l’attrazione, giusto?»
«Nossignora. Vuoi che li chiami per ricordarglielo, o ci pensi tu?»
Rifletto sulle alternative, continuando a camminare per la stanza. «Lo
faccio io e la metterò giù in tono amichevole. Tipo: “Mi dispiacerebbe farvi
perdere quel deposito solo per un piccolo spavento di breve durata”.»
«Hai per caso una qualche idea sulla durata di questa follia?» chiede
Temperance.
«Naturalmente no» rispondo, e non è una bugia vera e propria. «Ma
posso convincerli che sarebbe una pessima decisione, presa sulla base di
una paura immotivata, oltre a ribadirgli che così si giocano subito il
deposito.»
«Sì, penso proprio che sia meglio se te ne occupi tu, capo.»
«Mi sembra giusto. Prossimo argomento?»
«Jeff Doon vuole sapere a che punto siamo nell’organizzazione delle
visite guidate. Ovviamente non spinge per iniziarle subito.»
«Questo casino forse è una benedizione. Non siamo ancora pronti.
Altro?»
«Credo sia tutto per ora, a parte...» Temperance si blocca.
«Cosa?»
«Sei sempre al sicuro? Sai, sono preoccupata per te.»
Mi guardo intorno e penso che questo lussuoso appartamento si trova
senza dubbio nel complesso più vigilato della città. «Stai tranquilla,
davvero.»
«Vuoi dirmi altro?»
«Per ora no. Torno presto, comunque. E se credi che ci sia un problema,
ripeto, hai il mio permesso per dire a Louis di sospendere subito la
produzione ed evacuare l’edificio. I ragazzi della sicurezza vi porteranno a
casa e vi terranno d’occhio.»
«Noi non andiamo da nessuna parte, stanne certa. Louis lascerebbe un
neonato in strada piuttosto che abbandonare quegli alambicchi.»
Come mi sono guadagnata tanta devozione e lealtà dai miei dipendenti
non lo capirò mai, ma sono comunque grata per questo.
«Avrete entrambi l’indennità di rischio. Tienimi informata se cambia
qualcosa.»
«Lo farò. Fallo anche tu.»
Quando chiudiamo, chiamo Joseph, il capo PR dei Voodoo Kings, per
ricordargli la clausola di recesso che hanno sottoscritto. Protesta un po’, ma
alla fine quando gli assicuro che tutto andrà bene, accetta di non cancellare
l’evento.
Per oggi ho vinto.
Non appena riaggancio, ricomincio a fare su e giù.
È più forte di me.
Non riuscirò a smettere finché non rivedrò Lachlan con i miei occhi, e a
ogni ora che passa la mia preoccupazione aumenta.
25
Mount
«Il terrore che incendiava le strade di New Orleans questa settimana sembra
finalmente aver trovato una fine. Gli abitanti sono avvisati di fare
attenzione nel riprendere le loro attività quotidiane, ma le pallottole non
volano più. La polizia non ha ancora emesso un comunicato, ma ne
aspettiamo uno a momenti.»
Esausto, entro nel bagno collegato al mio ufficio e mi libero della giacca,
gettandola sul pavimento. Mi guardo le mani, poi apro il rubinetto e aspetto
che l’acqua bollente le colpisca prima di strofinarle con il sapone.
Per quanto me le lavi, continuo a vederci sopra il sangue. Ma non provo
rimorsi.
Faccio ciò che è necessario.
Paura. Intimidazione. Rispetto.
È così che governo il mio impero. È così che proteggo le mie persone.
Dopo la punizione che abbiamo impartito negli ultimi giorni, nessuno
metterà più in discussione la mia autorità, e solo qualcuno con un istinto
suicida oserebbe versare una goccia del sangue di Keira.
Tutte le questioni in sospeso sono finalmente concluse. Un patto è stato
stretto. E ora la vita va avanti.
Il vapore annebbia lo specchio quando chiudo l’acqua e afferro una
salvietta. Una volta asciugate le mani, la uso per spannare il vetro.
Raramente guardo il mio riflesso. Non ho bisogno di vedere il diavolo
che mi ricambia lo sguardo. Oggi, però, noto qualcosa in più, e non è solo il
sangue schizzato sulla camicia che prima era immacolata. No, è un uomo
determinato. Un uomo pronto a colorare le strade di rosso per proteggere il
suo bene più caro.
Prima di lei ho avuto ogni genere di bene materiale, ma niente da
perdere.
Ora sacrificherei tutto per tenerla al sicuro. Determinazione: è questo
che distingue la forza dalla debolezza.
Keira ha detto che le motivazioni fanno tutta la differenza del mondo.
Forse ha ragione. Guardando in questo specchio non vedrò mai una persona
nobile e onesta, ma se è questo l’uomo che lei vede quando mi guarda,
posso conviverci, almeno fino a quando lei resterà al mio fianco.
Mi libero degli altri vestiti ed entro nella doccia, strofinando ogni
centimetro per avere la certezza che non resti neanche una goccia di sangue.
Se non altro in superficie.
Rimarrò sempre brutale. Spietato. Feroce nel proteggere ciò che mi
appartiene.
Lei non deve vedere questa parte di me. Mai. Ma posso darle quello che
nessun altro ha mai avuto, sperando che sia sufficiente.
Nella mia vita le parole non hanno mai avuto la stessa importanza delle
azioni. Almeno fino a questo momento e a questa donna.
«Sono innamorata di te.»
Ogni volta che mi ripeto quelle parole nella testa, un violento istinto di
possesso mi infiamma il sangue.
Non merito di essere amato. Né da lei, né da chiunque altro. Ma questo
non significa che non lo accetterò. Me lo terrò stretto. Come terrò stretta lei.
La proteggerò e me ne prenderò cura.
Ho mentito, ingannato, rubato e ucciso, e lo farò di nuovo, soprattutto se
servirà per mantenere le promesse che ho recitato di fronte a un uomo di
Dio e a un giudice.
Non c’è niente che non farei per lei.
Quando ci avviciniamo al letto l’aiuto a sdraiarsi con la stessa premura
che si ha verso un dono prezioso, ma so che questa tenerezza non durerà.
Non posso espellere dal mio corpo l’adrenalina che ho accumulato negli
ultimi giorni.
Ho bisogno di scopare la mia donna. Di possederla. Di immergermi in lei
fino a quando non grideremo entrambi.
In qualche modo lei lo ha intuito. E mi parla con voce sicura e limpida.
«Posso ricevere qualunque cosa tu abbia da offrirmi. Quindi farai bene a
darmi tutto quello che hai.»
Un ruggito mi sale in gola e lancio via la giacca. Keira mi attacca con
identico fervore e mi strappa la camicia, mentre io armeggio con i pantaloni
facendoli sparire. Resto nudo di fronte a lei, pronto a lacerarle i vestiti come
lei ha fatto con i miei.
Ma Keira solleva un dito, puntandolo verso di me. «Se tu al mondo
possedessi solo ciò che indossi in questo preciso momento, io ti vorrei
comunque con la stessa passione, e ti amerei con la stessa intensità.»
Io non so cosa dire, perché nella vita non mi è mai capitato nulla di
simile, ma per lei imparerò.
Il prima possibile.
«Ho bisogno di te. Ora.»
31
Keira
Quando entro nello stabile, vado dritta nel mio ufficio, sperando di
raggiungere il seminterrato senza che nessuno noti la mia nuova guardia del
corpo.
Non sono sicura del perché Lachlan mi abbia messo V alle calcagna, ma
non farò domande. La mia vita è cambiata: quando ho pronunciato le
promesse, sapevo che stavo accedendo a un mondo diverso e devo trovare il
modo di farlo combaciare con il mio.
Temperance mi viene incontro sulla porta della mia stanza: la sua
attenzione si sposta da V a me. «L’autista non rimane più nell’auto?»
«Entriamo. Devo spiegarti alcune cose.»
V ci concede un po’ di privacy aspettando subito fuori: questa cosa
susciterà solo altre domande da parte dei miei dipendenti. Ed è proprio
quello che ho bisogno di valutare con Temperance.
Il mio nuovo direttore operativo non fa una piega, né si perde un
dettaglio: i suoi occhi corrono subito alla mia mano sinistra. È impossibile
non accorgersi dell’enorme diamante ovale montato sopra una sottile fede
d’oro rosa tempestata di altri diamantini. Devono essere in tutto più di
cinque carati. Non ho avuto il tempo né la voglia di chiedere a Lachlan
come abbia trovato un anello tanto bello con così poco preavviso, perché
ero troppo ammutolita dal fatto che ci stavamo sposando davvero. Ma in
fondo si tratta di Lachlan Mount: decide lui quando far succedere le cose.
A me l’intera cerimonia sembra ancora surreale, come lo è il peso di
un’altra fede nuziale sulla mia mano. Per qualche ragione, però, questa me
la sento perfetta.
«Cavolo, capo, quella è una gran bella pietra. Hai rapinato una gioielleria
e ti sei nascosta finché le acque non si sono calmate?»
«Non proprio.» Gli angoli della mia bocca si tendono verso l’alto in un
sorriso contenuto, cosa che capita spesso quando guardo quella pietra
scintillante.
«Quand’è il gran giorno?»
Stringo le labbra e quasi non mi capacito che glielo sto dicendo. «Ecco...
in realtà è già successo.»
Resta a bocca aperta e mi guarda incredula. «E non mi hai neanche
invitata?» Solleva una mano. «Scherzo, ma tu... dici sul serio? Avevo capito
che mi stavi tenendo nascoste alcune cose, ma questa è davvero grossa. E
non parlo solo dell’anello.»
«Come posso... è stato un gesto impulsivo.»
«E il fortunato?»
«Prima o poi lo conoscerai.»
Si lascia cadere sulla sedia di fronte alla mia. «Al momento non so
neanche come reagire.»
Vorrei aver parlato con Lachlan per decidere con lui cosa potevo dire alle
persone, ma per ora preferisco essere prudente. «Era quello che volevo.»
«Sicura? Nessuno ti ha puntato una pistola alla tempia, vero?» Formula
la domanda come se fosse davvero preoccupata.
Penso al giudice e al prete che hanno ascoltato le nostre promesse e a
tutti i documenti che abbiamo firmato. «No. È stata una mia libera scelta.»
«Prima o poi mi racconterai tutto, no?»
«Tutto quello che posso.»
Temperance inspira profondamente, fissandomi a lungo prima di
espirare. «Bene. Il capo sei tu. Allora, da dove vuoi partire?»
Quando ci immergiamo nella lista di argomenti da discutere, mi dimostra
subito fino a che punto merita la sua nuova posizione. Mi rendo anche
conto che sarà impossibile gestire tutto quello che necessita la mia
attenzione in soli due giorni.
Quindi ora devo trovare un modo per riportare Lachlan al tavolo di
negoziazione... ma fortunatamente ho un’idea.
34
Keira
Ignoro il mio telefono per i primi tre squilli, ma quando attacca il quarto,
Keira ridacchia e si allontana per cambiare musica.
Lo estraggo dalla tasca, incazzato che qualcuno osi interrompere la cosa
più simile a un ricevimento di nozze che potrò mai avere. Solo Keira e io,
che balliamo a lume di candela nel ristorante, con la luce chiara della luna
che risplende attraverso i vetri spessi delle finestre.
Lo schermo mi annuncia che è J.
«Cosa cazzo succede che non riesci a gestire da te?»
«Ho appena ricevuto la soffiata che i poliziotti faranno irruzione nel
casinò stasera, capo. Pensavo lo volesse sapere.»
Merda.
«Stasera? Quale fottuto stronzo non è sul nostro libro paga? Chi ci
proverebbe altrimenti?»
«Si vede che ci sono più poliziotti onesti di quanti pensavamo in questa
città.»
«Chiudi tutto e sbaracca.»
«Vuole occuparsene di persona, o vuole che li incontri io?»
Keira butta giù un altro bicchiere di whiskey canticchiando e scorrendo
la playlist, il che mi concede altro tempo per pensarci. Vorrei rimanere in
questa stanza per sempre, ma questa cosa è parte della mia vita: non ho
sempre il lusso di decidere io quando i poliziotti faranno un raid.
Chiarirò comunque che non sono benvenuti nel mio locale.
«Arrivo.»
«È sicuro? Perché...»
«Sistema tutto. Io sarò presente.»
«Bene, capo. Ci penso io.»
Keira abbassa il bicchiere vuoto sul tavolo mentre nei suoi occhi verdi
passa un lampo di apprensione. «Che c’è? Che succede?»
«Niente di cui tu debba preoccuparti, solo devo andare per occuparmi di
alcuni affari.» Le offro la mia mano, e lei intreccia le sue dita nelle mie.
«Ma presto riprenderemo la nostra luna di miele.»
«Siamo una squadra ora. Puoi dirmelo se ci sono problemi.»
Stringo i denti. La sua domanda e il tono sono ansiosi, e la mia reazione
istintiva è quella di proteggerla da tutto. «Ci saranno sempre cose che non
dovrai necessariamente sapere.»
«Ma ci sono cose che tu puoi dirmi. Se io ora avessi ricevuto una
telefonata che cambiava il mio umore come questa ha cambiato il tuo, non
mi avresti lasciato andare senza una spiegazione, Lachlan. Inoltre, nessuno
adesso può costringermi a testimoniare contro di te.»
Ha ragione, e io rispetto sia lei sia il suo desiderio di sapere. Non si tratta
di una questione di vita o di morte che devo tenere per me, quindi decido di
dirglielo.
«I poliziotti faranno irruzione nel casinò, quindi devo essere sicuro che
non ci sia un casinò da perquisire quando arriveranno.»
Le sue sopracciglia schizzano fino all’attaccatura dei capelli. «E tu
pensavi di averli fatti felici ripulendo le strade.»
«Immagino sia il loro modo per dirmi che non hanno gradito il mio
aiuto.»
«È già successo prima d’ora?»
Annuisco. «Quando ho preso il comando, all’inizio. Mi hanno messo alla
prova e siamo arrivati a un accordo. È rimasto valido per un sacco di tempo.
Questa è solo un’altra prova, ma non è un problema.»
«Okay. Non mi serve sapere di più. Vai a fare quello che devi.»
Mi guardo intorno nella stanza: non voglio lasciarla lì senza V, ma gli ho
concesso la serata libera. «Chi altro c’è qui?»
Keira dà un’occhiata all’orologio. «Di sera a quest’ora? Solo
Temperance. Le ho detto che non aveva il permesso di restare dopo di me,
ma ha risposto che non se ne sarebbe andata prima.»
«Chiamo V, aspetto che arrivi, e poi...»
Lei sospira esasperata. «Vai. Pensa ai tuoi affari. Starò bene.»
«Non ti lascio senza protezione.»
«Ho un arsenale in ufficio. Chiunque cerchi di arrivare a me cadrà
stecchito appena oltre la soglia. E anche Temperance sa badare a se stessa.»
Sembra sicura, ma continua a non piacermi l’idea che rimanga qui senza
V.
«Gli mando un sms. E tu non provare neanche a lasciare l’edificio senza
di lui.»
Keira mi stampa un bacio sulle labbra. «Non preoccuparti per me. Vai.»
Prima di allontanarmi le immergo la mano nei capelli e le restituisco un
bacio lunghissimo. «Ci vediamo più tardi. Tu e io, senza più interruzioni.»
«Ci sto.»
Mentre mi avvio verso l’ascensore, mi afferra di nuovo la stessa
sensazione di disagio di questa mattina. Scrivo a V di portare in fretta il suo
culo al Seven Sinners.
36
Keira
Non sono neanche arrivata al mio ufficio e il telefono già inizia a squillare.
Temperance.
«Sto venendo giù» le dico. «Che succede?»
«Allarme antincendio al magazzino di invecchiamento. Quando eri a
Dublino gli avevo detto di mettere il mio numero in cima alla lista in caso
di emergenza. Dobbiamo andare subito, ho già chiamato i vigili del fuoco:
sono in viaggio.»
Porca puttana.
«Arrivo» grido, poi riaggancio e raggiungo di corsa il mio ufficio.
Temperance è già in corridoio con la borsa. «Guido io.»
«Bene, perché io non ho uno straccio di macchina qui.» Parlerò con
Lachlan di come affrontare emergenze come queste.
Corriamo al parcheggio e saliamo sulla Tahoe di Temperance.
«Non possiamo perdere il magazzino. Questo è...» Sembra spaventata
quanto me.
«So che non possiamo. Saremmo fregati. Non può succedere proprio ora.
Deve essere un falso allarme.»
Sfreccia a tutta velocità verso la periferia: è l’incarnazione della frase
“guidare come se avessi il diavolo alle calcagna”. Il magazzino è un edificio
alto, ordinario, nessuno ne indovinerebbe il contenuto senza porci
attenzione.
Quando Lachlan mi ha praticamente confessato di aver fatto rubare un
barile di Spirit of New Orleans da lì, mi sono resa conto che dovevo
migliorare il sistema di sicurezza, ma con tutto quello che è successo da
allora non ne ho avuto il tempo.
E naturalmente doveva succedere proprio ora.
«Papà mi disconoscerà se accade qualcosa al whiskey.»
Temperance mi lancia un’occhiata attraverso il Suv. «Dimentica tuo
padre. Che cazzo diciamo ai distributori, abbiamo appena firmato con loro
dei contratti enormi!»
Copriamo il resto del tragitto immerse in un silenzio pieno d’ansia,
costeggiando il recinto di filo spinato che circonda l’edificio. Le fiamme si
alzano da una delle finestre dell’ultimo piano, ma non vedo nessun camion
dei pompieri.
«Porca puttana!»
Temperance inserisce il codice del cancello e le gomme fanno schizzare
la ghiaia quando lei entra slittando nel parcheggio e pianta il Suv in folle.
«Dove sono i vigili del fuoco?» chiedo.
«Non lo so! Io li ho chiamati. Il centralino mi ha assicurato che
sarebbero arrivati subito.»
Non si sente neanche una sirena in lontananza e lo stomaco mi sussulta.
«Chiamali di nuovo. Presto. Io vado a cercare un estintore.»
Mi afferra il braccio prima che riesca ad aprire la portiera. «Mi prendi
per il culo? Non puoi entrare lì dentro.»
«C’è il mio patrimonio! Non starò a guardarlo andare in fumo senza
neanche provare a salvarlo.»
Salto fuori dall’auto e mi precipito verso il magazzino, dirigendomi
all’ingresso laterale.
Stringendo il telefono in mano recupero il numero di Lachlan, ma non
riesco a chiamarlo perché qualcosa di pesante entra in collisione con la mia
nuca.
Sento solo un dolore acuto, poi tutto diventa nero.
37
Mount
Al mio arrivo il piano del casinò è stato sgombrato in parte, ma non del
tutto. Sarà pronto prima che si presentino i poliziotti, però, e io li aspetterò
per una discussione che non dovrebbe neanche servire. Quando se ne
andranno, non ci saranno dubbi che questa città mi appartiene ancora.
Mando un messaggio a V.
Mount: SEI DA LEI?
V: NON ANCORA. CI SONO QUASI.
Mount: DIMMI QUANDO CI SEI.
V: CERTO.
Aiuto a portar via i tavoli col sudore che mi scende lungo il colletto,
caricando un furgone dopo l’altro. Lasceranno la città in direzioni diverse.
V non mi ha ancora mandato un messaggio di conferma e sono già
passati quasi quaranta minuti. Qualcosa non quadra.
Mount: L’HAI TROVATA?
V: NON È QUI. HO CONTROLLATO. NON RIESCO A RINTRACCIARLA.
Ho vissuto affidandomi sempre all’istinto, avrei dovuto ascoltarlo anche
stavolta. Qualcosa non va, punto.
Mount: TROVALA SUBITO.
Poi telefono a J. «Ci è sfuggito qualcuno? Uno qualunque?» Non devo
specificare di cosa sto parlando.
«No, capo. Li abbiamo beccati tutti. Ogni singola testa di cazzo.»
«Ne siete certi? Perché se ti sbagli...»
«Non mi sbaglio. Cosa cazzo succede?»
«V non riesce a trovare Keira alla distilleria. C’è qualcosa che non va.»
«V sarebbe capace di annegare in una pozzanghera. E la distilleria è
grande. Magari si è perso.»
Il tono sprezzante di J mi fa imbestialire ma non mi disturbo a
rispondere. Riaggancio.
38
Keira
«Dove cazzo sei?» chiedo a J. «I poliziotti non si sono presentati. Chi cazzo
ti ha fatto la soffiata? Perché se era una stronzata, volerà qualche testa.»
«È una fonte affidabile. Sto arrivando. Sarò lì tra cinque minuti, capo.»
V non riesce ancora a trovare Keira. L’auto di Temperance è sparita. J
non è qui e io sto impazzendo.
La collana. Il suo localizzatore GPS. Keira ce l’ha sempre addosso.
Aziono l’app e aspetto un’eternità che si carichi.
Nessun segnale. Dimenticavo che qui al piano del casinò abbiamo
bloccato tutti gli accessi internet e wireless.
Cazzo. Cazzo.
Esco e mi precipito lungo i corridoi fino al mio ufficio. Una volta
arrivato cerco di caricare l’app sul telefono e nello stesso tempo faccio
uscire gli schermi del computer. Quando finalmente riesco a caricarla sul
mio desktop, J entra nel mio ufficio.
«Non ha alcun senso» bisbiglio. Conosco quel luogo, lo visito almeno
due volte all’anno. Deve esserci un errore.
«V l’ha trovata, capo?»
«No. Col cazzo che l’ha trovata. L’ho beccata io e ho bisogno che tu mi
dica cosa sta succedendo.»
Alzo gli occhi verso il volto di J, i suoi capelli biondo pallido sono sparsi
sulle spalle invece di essere raccolti nello chignon che porta di solito.
«Calmati, Mikey. Andrà bene.»
«Non chiamarmi così. Conosci le regole, J.»
Oggi
Lotto per riemergere dall’oscurità e apro gli occhi. Il dolore che si diffonde
in tutto il corpo è maledettamente più forte di quello che sentivo dopo
l’incidente in auto.
L’unica luce in questa tomba proviene dalla luna piena che filtra tra le
fessure nel cemento in un angolo in alto. Non è sufficiente per vedere
l’orrore che mi circonda, ma riesco a sentirne l’odore.
«Mags?» La voce mi si spezza in un bisbiglio mentre mi preparo a
soffrire e mi allungo per toccarla. «Mags, non puoi essere morta. Ti prego.»
Le nostre ultime parole sono state pronunciate con rabbia e io non posso
conviverci.
Se riesco a uscirne viva.
Timorosa per quello che potrei incontrare, faccio scorrere le dita sulla
seta del suo kimono finché non raggiungo la pelle del collo.
È ancora calda.
«Mags!» Questa volta grido il suo nome, ma non ottengo risposta.
Non so quanto tempo impiega un corpo a raffreddarsi dopo che la vita lo
ha abbandonato, ma non voglio credere che stia succedendo ora.
«Non puoi essere morta, Magnolia Marie. Mi rifiuto di pensarlo.»
La spalla sinistra mi pulsa a ogni battito, avvertendomi che sto perdendo
sangue. Devo fermare l’emorragia, ma prima devo capire se Magnolia è
morta.
Le trovo l’arteria carotide e chiudo gli occhi, trattenendo il dolore e
pregando Dio che sia ancora viva.
All’inizio non sento niente. Ma poi... Eccolo. Debole, come dicono in
quei programmi girati nei pronto soccorso. Non è morta.
«Mags! Svegliati, ti prego!» Mi allungo a toccarle il viso, sperando che
mi risponda, ma non lo fa.
Sono in una tomba silenziosa, circondata dai corpi di donne che
probabilmente sono le amanti scomparse. Forse c’è persino Richelle
LaFleur.
Ma com’è possibile?
Lachlan Mount, l’uomo che ho sposato, non ucciderebbe femmine
innocenti. E quella puttana bionda? Sembrava fuori di testa.
Chi cazzo è?
«Rimani con me, Mags» sussurro, mentre mi strappo la manica destra
della camicetta per premerla sulla spalla. Il sangue inzuppa la stoffa nel giro
di pochi secondi.
Mi sto dissanguando. Non so come faccio a saperlo, ma è così.
Se muoio, Magnolia morirà con me e non riesco a sopportare l’idea.
Provo a tirarmi su e a mettermi in piedi, cercando disperatamente di
trovare una via d’uscita per entrambe, ma il dolore è intollerabile. Ho delle
macchie nere davanti agli occhi e crollo in mezzo a quel disastro
raccapricciante sentendo i corpi che scricchiolano sotto di me.
No, devo riprovarci. Le mie riserve di energia si stanno esaurendo e a
poco a poco sto perdendo i sensi.
Mentre svengo di nuovo, un ultimo pensiero mi attraversa la mente.
Se mi succede qualcosa, Lachlan raderà al suolo questa città.
41
Mount
Quando mi sveglio, mia madre è sempre qui, ma mio padre se n’è andato.
Questa volta sono meno annebbiata ma ancora totalmente confusa, perché
l’uomo che voglio vedere nella mia stanza non c’è ancora.
Non posso chiedere di lui. Mia mamma non sa dell’esistenza di Lachlan
Mount.
Ma io sì. Lui è reale. Io lo so. Ma allora dov’è?
«Tesoro, bevi ancora dell’acqua.» Mi riavvicina la cannuccia alle labbra
e io prendo un sorso. «Tuo padre sta uscendo di testa.»
«Mi dispiace.»
«Ssh. Non è certo colpa tua. Non hai chiesto tu di farti sparare, ne sono
sicura. Ma la polizia aspetta e hanno molte domande per le quali noi non
abbiamo risposte, tranne...»
«Cosa?» chiedo, guardandola fissa negli occhi.
«L’incendio al magazzino di invecchiamento. C’era la tua assistente.»
«Temperance! Come sta?»
«Calma, non agitarti. Sta bene. Ha ricevuto un colpo in testa. Appena
hanno buttato giù la porta i vigili del fuoco se la sono trovata davanti priva
di sensi.»
«Oh mio Dio.» Il cuore mi sobbalza nel petto quando penso a cosa
sarebbe potuto accadere. «Ma sta bene?» Le lacrime mi bruciano gli occhi.
È tutta colpa mia. Temperance poteva morire.
«Sta benone. Ha solo inalato del fumo. Per fortuna sono arrivati da lei in
tempo. L’hanno tenuta quella notte in osservazione per via della testa, ma il
mattino dopo l’hanno dimessa. È appena andata in bagno: è rimasta a
vegliarti con noi.»
Il mattino dopo? Quanto tempo mi sono persa?
«Che giorno è?»
«Hai trascorso due giorni tra sonno e veglia, tesoro.»
«Due giorni?»
Mia madre annuisce. «Lei è restata qui al tuo capezzale con tuo padre e
me. È una tua buona amica.»
Amica. La parola favorisce l’incastro di un altro frammento della mia
memoria.
«Magnolia.» Il nome mi sfugge dalle labbra. «Lei è... è...» Non riesco a
formulare l’ultima parola, ma ricordo la sua pelle morbida e il polso debole
sotto le mie dita.
I tratti di mia madre si irrigidiscono e le labbra tremano. «È in coma,
Keira. Non sanno se ce la farà.»
Stringo gli occhi. «No. Non può... Noi... Devo parlare con lei. Non
deve...»
«Ssh. È tutto a posto, anche noi stiamo pregando per lei e i dottori se ne
stanno prendendo cura. Sono andata io stessa a controllare le sue
condizioni: sapevo che lo avresti voluto.»
Non riesco ad accettare di aver rivolto alla mia migliore amica soltanto
parole dettate dalla rabbia durante la nostra ultima conversazione, a
prescindere da quello che ha fatto. Piango in preda a emozioni contrastanti e
vorrei che qualcuno mi dicesse dov’è Lachlan, ma non posso chiederlo.
Mio padre rientra nella stanza seguito da Temperance. Due agenti di
polizia chiudono il corteo.
«Keira!» La mia assistente supera papà di slancio e mi raggiunge per
prima. «Grazie a Dio sei viva.»
«Mi dispiace così tanto» le dico.
«Per cosa? Non è colpa tua.»
È qui che si sbaglia. Anche con il corpo malconcio e il cervello in panne,
so che è colpa mia al cento per cento. Non le sarebbe accaduto niente se
non fosse stato per me.
«Signorina Kilgore, pensa di poter rispondere a qualche domanda?»
«Non ora, signori.» Un’infermiera si fa largo e mi raggiunge, pronta a
sottopormi alla routine che mi hanno riservato negli ultimi due giorni.
«Dovete lasciarla riposare.»
«Con tutto il dovuto rispetto, signora, ci occorrono alcune risposte per
poter proseguire con la nostra indagine.»
Temperance si gira verso di loro. «Collaborare con i vigili del fuoco per
trovare chi ha appiccato l’incendio non basta a tenervi occupati? Perché noi
di sicuro non sappiamo ancora niente in merito. Oppure cercare chi mi ha
colpito in testa? Magari potreste provare a scoprire anche questo.»
«Signora, non è colpa nostra se le vostre telecamere di sicurezza non
hanno funzionato come si deve.»
«Cosa? Come?» chiedo.
«Mi dispiace, signora. Non ne siamo venuti a capo» mi dice l’agente. «È
stato giudicato incendio doloso, ma stiamo ancora lavorando sul movente.»
«Allora datevi da fare, perché vi ho già detto che non siamo stati noi.»
La replica di Temperance è una frustata. «Ci occorre ogni stramaledetta
botte per soddisfare gli ordini che abbiamo, quindi se pensate a un premio
assicurativo come movente, dovreste ripartire dalla scuola di polizia.»
«Noi non stavamo insinuando...»
«Certo che no» lo interrompe mio padre. «Perché nessun Kilgore o
dipendente del Seven Sinners avrebbe permesso che succedesse qualcosa a
quel whiskey. È il nostro sangue. Il nostro patrimonio. La nostra eredità.»
Mio padre rivolge alla mia assistente un cenno di approvazione come se
facessimo tutti parte di una squadra.
Il senso di colpa mi travolge perché so di essere io la causa. Nessuno di
loro ne ha il sospetto. «Mi dispiace, papà...»
Si gira di scatto a guardarmi. «Non è colpa tua. Chiunque sia stato
pagherà. Gliela faremo pagare.»
Batto le palpebre mentre le lacrime mi bruciano di nuovo gli occhi.
L’unico uomo che potrebbe rispondere a ogni singola domanda è sparito.
È la bionda la responsabile di tutto? Non riesco a ricordarla bene. Il suo
destino. Ma chi era?
«Signor Kilgore, signorina Ransom, non volevamo insinuare un vostro
coinvolgimento. Stiamo solo cercando di capire, come voi.»
«Io non ricordo.» Tutti mi guardano mentre la bugia mi sfugge dalle
labbra. «Non ricordo niente. Mi dispiace. Vorrei poter essere di aiuto.»
Dentro di me sono combattuta: antiche lealtà contro le nuove. A
prescindere da ciò che è successo e dal perché, parlare con la polizia non
porterà a niente. La giustizia viene compiuta diversamente ora. O almeno lo
sarà se lui torna.
Stringo gli occhi mentre la solita domanda mi rimbalza nel cervello
come la pallina in un flipper. Dov’è?
«Le lascio il mio biglietto in caso ricordi qualcosa» dice il poliziotto, e io
non riesco a interpretare il suo tono.
Sono una pessima bugiarda? Lui l’ha capito?
«Chiameremo senz’altro, ma nel frattempo fate il vostro dannato
mestiere.»
Mio padre li congeda e mentre gli agenti escono dalla stanza io tento di
mettere insieme il resto degli eventi. Apro gli occhi, fissando lo sguardo su
Temperance. Ho bisogno di parlare con lei da sola, ma non penso che mia
madre lo permetterà.
«Stai bene?» le chiedo.
Il mio direttore operativo annuisce. «Sto bene. Ho la pellaccia dura. Ci
vuole più di un colpo in testa per eliminarmi.»
«Tuo fratello...»
Socchiude gli occhi con aria d’intesa. «Sta facendo delle ricerche.»
Le sta facendo anche Lachlan? È per questo che non è qui?
Temperance abbassa lo sguardo sulla mia mano sinistra, spoglia, e poi
mi guarda negli occhi. «C’è qualcun altro che devo chiamare?»
«Hai il mio telefono?» Recupero un altro ricordo: quando tutto si è fatto
buio stavo per chiamare Lachlan.
«No. Sai dove lo hai perso?»
Perdere un telefono non è stato mai così drammatico: senza non posso
contattare mio marito. Non so il suo numero.
«Il magazzino. Ce l’avevo lì» le racconto, mentre il panico cresce.
«Nessuno ha detto di averlo trovato, ma posso chiamare chiunque tu
voglia.»
Mi mordo il labbro. «Io... apprezzo l’offerta, ma mi serve il mio
telefono, davvero.»
Temperance annuisce, mostrandomi di aver capito. «Chiederò ai vigili.
Forse ce l’hanno loro e lo stanno tenendo come prova, ma hanno
dimenticato di menzionarlo.»
«Ti ringrazio.»
«C’è altro che posso fare?»
«Puoi lasciarla tranquilla a riposare» dichiara mio padre con voce
burbera, ora che ha cacciato i due poliziotti. A quanto pare il suo rispetto
per Temperance si è esaurito in fretta.
«Papà, basta. Temperance è il mio direttore operativo ed è fantastica. Sii
gentile.»
«Direttore operativo?» Gira la testa di scatto verso di lei. «Pensavo che
fossi una segretaria.»
«Basta» ripeto, la voce indebolita. «Non posso affrontare anche questo
adesso.»
«David, ho bisogno di un altro caffè» interviene mia madre.
«Ma te ne ho appena...»
«Un altro. Subito.»
Mio padre brontolando si gira e se ne va.
Mamma mi rivolge un’occhiata di scuse. «Mi dispiace, tesoro. Si è
agitato.»
Temperance si allunga a intrecciare le sue dita con le mie. «Vuoi che
rimanga qui, o vuoi che vada a reggere il fortino?»
«Dovresti andare a casa a riposare.»
«Capo, sai che non sono fatta così. Mi hanno dato solo una botta in testa:
a me nessuno ha fatto un buco. Sto bene.»
«Non ti chiederò di lavorare. Non esiste.»
Sorride. «Non occorre, lo farei comunque. Se hai bisogno di qualunque
cosa, chiamami.»
Quando mi lascia la mano vorrei implorarla di cercare Lachlan e di
portarlo da me, ma non le ho mai raccontato di lui con precisione: l’unica
persona al mondo che sa di lui è Magnolia, e lei è da qualche parte in
ospedale, in coma. A causa di quella folle puttana bionda.
Chi era? È per questo che lui è sparito? Lo ha ferito lei? Il pensiero mi
annienta, confondendomi le idee. È morto?
No. No. No.
Rifiuto di crederci.
Lachlan Mount è sovrumano: neanche una pallottola potrebbe fermarlo.
Finora non è successo.
Allora perché non è qui? Sono dibattuta tra la rabbia e la disperazione,
pronta a barattare la mia anima solo per vedere il suo volto e assicurarmi
che stia bene.
Non mi lascerebbe. Non lo farebbe.
Sono di nuovo stanca, ma devo rivolgere alla mamma una domanda
molto importante.
«Ho avuto altre visite, mamma?» Quando lei annuisce, provo sollievo.
«Chi?»
«Sono passati praticamente tutti quelli che conosciamo in città: tuo padre
li ha trattenuti nell’atrio ma è stata una vera sfilata.»
«Qualcuno... qualcuno che non conoscevate?»
Aggrotta la fronte. «Cosa intendi, tesoro?»
Desidero disperatamente chiederglielo, ma non posso. Invece imbocco la
scappatoia dei codardi e chiudo gli occhi fingendo di dormire mentre la
testa mi va in frantumi di nuovo.
Dov’è?
46
Keira
I fogli per la dimissione sono stati firmati. Dopo questi sette lunghi giorni di
degenza dovrei precipitarmi fuori dalla porta, ma non è così.
«Tesoro, sei sicura?» Mamma mi stringe la spalla mentre la mia sedia a
rotelle si ferma davanti alla porta di una camera privata. Sono pronta a
scommettere che quella stanza l’ha pagata mio marito.
«So che Mags non ti è mai piaciuta, ma...»
La sua stretta si irrigidisce. «Non è che non mi piacesse, tesoro. Temevo
soltanto che ti trascinasse sulla strada che aveva imboccato.»
Le sue parole mi fanno deglutire. Come posso spiegare a mia madre che
mi trovo alla fine di una strada molto più pericolosa di quella intrapresa da
Magnolia? Sono la regina di un impero del desiderio e progetto di passare il
resto della mia vita accanto all’uomo che ne è il re.
Inoltre non posso dirle che Magnolia è la responsabile principale della
mia posizione e che non c’è un altro luogo dove vorrei trovarmi.
Con la mano che non è bloccata dalla fasciatura mi allungo a prendere la
sua prima di alzare gli occhi verso di lei. «Ti voglio bene, mamma. Grazie
di tutto.»
«Ti voglio bene anch’io, tesoro.»
«Ora ho bisogno di qualche minuto da sola con Mags. Io... devo dirle
alcune cose e ho bisogno di spazio.»
Mi libera la spalla e si allontana. «Va bene. Sarò qui fuori, papà sta
sistemando tutto il resto.»
L’assistente mi spinge nella stanza e parcheggia la mia sedia accanto al
letto di Magnolia, poi si ritira, chiudendo la porta.
I capelli scuri della mia amica sono avvolti in una garza che le copre
tutta la testa. Nessuno mi ha dato informazioni sulle sue condizioni, so solo
che viene monitorata e che le vengono prestate le migliori cure possibili.
Non si è risvegliata, e nessuno è in grado di dire se ce la farà.
Allungo la mano libera per stringere la sua, priva di energia. «Magnolia
Marie Maison, sei sempre la solita.» Ricaccio indietro le lacrime. «Hai
dovuto mettere su una tragedia per attirare l’attenzione e lasciare tutti noi
sulle spine, a chiederci come finirà.»
Il bip del monitor è l’unica risposta alla mia scarsa battuta.
Le prendo le dita. «Mags, ti prego, devi svegliarti. Sei una combattente.
Sei la donna più tosta che conosco e non ti lascerai sconfiggere. Mi capisci?
Non accetto che molli.»
Il bip rimane costante, non c’è alcun indizio che lei mi stia ascoltando,
ma conosco degli studi su persone in coma che riescono a sentire quello che
gli altri dicono mentre loro sono privi di coscienza. Spero davvero che la
mia migliore amica possa farlo ora perché, se non mi aggrappo a questa
idea, inizierò a singhiozzare al suo capezzale.
Potrebbe succedere comunque, però.
Mi porto la mano di Magnolia alla guancia. «Fai attenzione, donna. Non
abbandonerai così questo mondo. Non te ne andrai in silenzio. Dovranno
strapparti da questa terra urlante e scalciante. Mi senti? Questo è ciò che sei.
Non osare deludermi. Ho bisogno che ti svegli. Devo dirti delle cose e ho
bisogno di sapere che riesci a sentirle.»
Il silenzio che mi risponde mi provoca un altro fiume di lacrime.
«Hai fatto quello che ritenevi giusto per me, lo so. Lo fai sempre. Non
mi importa delle tue motivazioni personali, perché il tuo è un regalo che
non potrò mai ricambiare. Dovevo ringraziarti quando ne ho avuto
l’occasione.»
Il battito del polso è appena percettibile e il petto si alza e si abbassa, ma
è tutto.
«Mags, come riuscirai a sorprendermi con un te l’avevo detto se non ti
svegli subito? Devi darmi la possibilità di dirti queste cose mentre sei
cosciente.»
Abbasso la testa e le mie lacrime le scorrono sul palmo.
«Ti perdono. Ti voglio bene. Per favore torna da me. Il mondo sarebbe
un posto più buio senza di te. Il mio mondo sarebbe più buio e so che tu
questo non lo vuoi.»
Attendo per alcuni istanti, ma lei continua a non riprendersi.
Ma cosa credevo? Pensavo di essere nella storia della Bella
Addormentata e che in qualche modo il mio perdono avrebbe risvegliato la
mia migliore amica, come il bacio del principe? Ovviamente non è così.
«Ti voglio bene, Mags.» Le bacio il palmo e le riappoggio la mano
vicino al fianco. «Torna da noi. Ti prometto che avrai tutti i privilegi che
spettano alla sorella della regina.»
Già che ci sono, potrei pure cambiare il mio nome in Keira, visto che negli
ultimi dieci minuti non ho smesso un attimo di fare su e giù nel nostro
salotto. Ho provato a lavorare, ma la mia concentrazione è volata via al
pensiero che lei stava tornando a casa.
Casa.
Non ho mai chiamato così queste stanze, ma per merito suo qui è
cambiato tutto.
La serratura dell’ingresso scatta e lei oltrepassa la soglia, con i suoi
selvaggi capelli rossi raccolti in uno chignon disordinato in cima alla testa,
tranne alcune ciocche libere intorno al viso. V alle sue spalle annuisce verso
di me e chiude la porta appena lei entra.
Mia moglie.
La mia amante.
Il mio amore.
«Lui parla!» sbotta Keira.
Resto sorpreso, perché non è certo la prima cosa che mi aspettavo di
sentire. «Chi?»
«V! Ha parlato! Con i miei genitori. Mio padre era pronto a chiamare la
sicurezza, ma V... ha parlato.»
Sento un sorriso salirmi alle labbra: solo lei poteva riuscirci in questo
momento. «È sempre stato in grado di parlare, piccola ribelle. Ha solo
scelto di non farlo.»
Chiude le dita di una mano accanto a una tempia e poi le apre
allontanandole di scatto. «La mia mente. Wow! È andata.»
La risata ora mi fa rimbombare il petto, risuonando per tutta la stanza.
Solo questa donna...
Mi avvicino e con cautela la stringo tra le braccia. «Mi sei mancata,
cazzo.»
«Bene, perché non è stata proprio una passeggiata stare senza di te. Un
solo incontro clandestino nelle viscere dell’ospedale non mi è bastato.
Vediamo di non ripeterlo, d’accordo?»
Immergo il mento nei suoi capelli. «Affare fatto.»
Lei indietreggia e alza gli occhi verso di me. «Mi baceresti? Per favore?»
«Sei ancora in via di guarigione...»
I suoi occhi verdi mi implorano. Tutto il buonumore che aveva al suo
arrivo è svanito. «Lo so, ma quando mi sono svegliata in quel letto
d’ospedale, sola, senza anello né collana, per un minuto ho pensato... il mio
cervello era in panne, è chiaro... ma ho pensato che forse niente di ciò che
avevamo...» La sua voce si spezza.
«Non importa, piccola ribelle.»
Keira scuote la testa. «No. Devo tirarlo fuori.»
Le accarezzo la guancia e catturo una lacrima che le dondola su una
palpebra. «Allora dimmelo.»
«Per un momento ho pensato di essermi inventata tutto e che tu non fossi
reale... è stato devastante. Non voglio più provare niente di simile. Mai
più.»
La serro in un abbraccio ancora più forte. «Più reale di così non si può.
Tu e io. Per il resto delle nostre vite.»
«Lo prometti?»
La libero e metto la mano destra in tasca, estraendo l’anello che avevo
sottratto dai suoi effetti personali.
«Questo anello non lascerà più il tuo dito» le dico infilandolo di nuovo al
suo posto.
Gli occhi le si illuminano nel vederlo, poi incontrano i miei e mi
guardano con durezza. «Dovranno staccarmelo dalla mano, ma a quel punto
sarà fredda come il marmo.»
«Non dirlo neanche per scherzo. L’idea di perderti mi ha quasi
ammazzato mentre ero in quella sala d’attesa. E anch’io non voglio più
passarci.»
Deglutisce e sembra sul punto di piangere ancora, ma poi si china verso
di me. «Baciami, e l’accordo è fatto.»
Il dolore di quel momento scivola via quando le sue labbra toccano le
mie.
51
Keira
Oggi
Per ogni dettaglio che lui aggiunge alla storia di Hope e Destiny,
riferendomi tutto quello che hanno patito, il mio cuore si disintegra in
frammenti sempre più piccoli. Soprattutto per la parte sul trasporto di Hope
fuori dalla casa in fiamme sotto gli occhi della sorella.
Non soffro per me, ma per loro. Per tutti loro. Per i bambini che non
sono mai stati. Per l’occasione che hanno perso di avere una vita normale.
Lachlan ha trascorso l’ultima ora a raccontarmi tutto. Be’, in realtà, lo ha
raccontato alla mia spalla. O alla parete. O al soffitto.
Fino alla fine non ha incrociato il mio sguardo, e il dolore nei suoi occhi
ora è quasi intollerabile per me.
«Se lei fosse un’altra persona, chiunque altro, sarebbe già morta. Invece
non sono riuscito a premere il grilletto. Questo fa di me il più grande
ipocrita del mondo, perché ho eliminato un intero fottuto cartello da questa
città per averti ferito e invece la responsabile del piano era lei: è lei che ha
ingaggiato uno scagnozzo di poco conto del cartello perché sparasse. Non
lo hanno ordinato loro, e mentre tu eri in ospedale io ho trascorso l’ultima
settimana a riparare i danni che lei ha provocato. Per causa sua ho stretto un
accordo con l’altro cartello: si assumeranno loro la colpa e in cambio
otterranno il monopolio del narcotraffico in città.» Lancia un’altra occhiata
verso il soffitto. «Nonostante questo, non sono ancora riuscito a ficcarle nel
cervello la pallottola che si merita. Cazzo, non sono riuscito neanche a
ordinare a qualcun altro di farlo, perché...»
Lo interrompo. «Non sei il mostro che pensavi di essere? Perché sei
umano?»
Lachlan mi fulmina con lo sguardo. «No...»
Mi alzo e giro intorno alla scrivania, raggiungendo l’uomo che ho
sposato, convinta che per certi versi lo conosco meglio di quanto non si
conosca lui stesso.
«Tu non dovresti...»
«Amarti? O dirti che, dopo aver ascoltato la vostra storia, non riuscirei a
ucciderla nemmeno io se fossi nei tuoi panni? Perché è esattamente questo
che ti sto dicendo.»
Con attenzione mi siedo sulle sue ginocchia, prendo il suo braccio
impacciato e lo sistemo intorno a me.
Mi osserva con la confusione negli occhi. «Dovresti volerla morta per
quel che ha fatto a te e a Magnolia. E mio Dio... a tutte le altre ragazze.»
Lo stomaco mi si contrae al pensiero di tutti quei cadaveri, ma lo scaccio
via. «Come posso desiderarla morta quando so che tu hai vegliato su di lei
praticamente per tutta la sua esistenza? Per te è come una sorellina.
Nessuno di voi ha avuto una vera possibilità, fin dall’inizio. Lei è un’anima
spezzata, Lachlan. Ma non sei stato tu a farle del male. È stata la vita.»
«Questo non significa che lei non sia colpevole per le sue azioni.»
Sembrano parole arrugginite e contorte come quelle di V.
«Sì, lo è, come un qualunque pazzo criminale. La sua mente non è sana.
Non puoi pensare che lo sia.»
Lui distoglie lo sguardo, la mascella tesa. «Lei è un cazzo di genio,
Keira. Era la prima del suo corso al MIT. Non voglio trovare scuse per
lei...»
Gli afferro il mento e lo faccio girare di nuovo verso di me. «Allora lo
farò io. Perché lei può benissimo essere un genio tutto il santo giorno e al
contempo avere gravi disturbi mentali che ti ha tenuto nascosti. Ha bisogno
di aiuto.»
Lui deglutisce e il suo pomo d’Adamo va su e giù. «Ma come cavolo
glielo do? Conosce troppe cose, non posso consegnarla a una clinica perché
la tenga sottochiave da qualche parte.»
«Sei l’uomo più ricco che conosco. Non dirmi che non puoi farla aiutare
e insieme tenere i tuoi segreti al sicuro.»
Lui abbassa la testa fino ad appoggiare la sua fronte alla mia. «È il
dubbio che mi sta dilaniando da quando ho capito cosa aveva combinato.»
«Allora lascia che ti dia una mano a rincollare i pezzi. Siamo una
squadra, no? Non c’è niente che non possiamo affrontare.»
Qualcosa di simile allo stupore gli addolcisce i tratti. «Non ti merito.»
«Per fortuna so che ti sbagli. Su, andiamo, hai delle cose da sistemare,
dei piani da mettere in atto. Perché è questo che tu fai. E io devo andare al
lavoro prima che mio padre chiami quel cazzo di FBI.»
Lachlan mi infila una mano tra i capelli e sussurra una sola parola.
«Grazie.»
54
Keira
Quando l’aereo atterra sulla pista, Keira estrae un fascicolo dalla borsa e me
lo porge.
«Cos’è questo?»
«Non infuriarti...»
Mi preoccupo per il suo tono cauto. «Perché dovrei infuriarmi?»
«Perché ho rubato il tuo DNA, l’ho inviato con un falso nome usando
una casella postale...»
Sbatto due volte le palpebre, ripetendomi le sue parole nella testa. «E per
quale fottuta ragione?»
Le strappo il fascicolo dalle mani e abbasso lo sguardo. Non ho mai
voluto conoscere la donna che mi ha lasciato di fronte a una chiesa, ma mi
sono sempre chiesto quali fossero le mie origini, soprattutto dopo aver visto
come si era sentita Keira a Dublino.
«Volevo che sapessi da dove provieni. Volevo poter dire ai nostri figli
quali sono le loro origini, di entrambi i rami della famiglia.» Mi guarda di
traverso.
«Sei...»
Lei scuote la testa. «Non ancora. Ma un giorno magari.»
Figli. Una famiglia. Cose che non ho mai preso in considerazione prima
di lei, ma a cui ora penso di continuo. Evitavo qualunque legame per paura
che mi indebolisse, ma adesso non ho dubbi che lei sia la mia forza più
grande. Mi dà una ragione per svegliarmi ogni mattina e governare il nostro
impero con onore. Anche se è corrotto e segnato.
Apro il fascicolo, e leggo i risultati sulla prima pagina.
73% Italia/Grecia
A volte stringere un patto con il diavolo è la cosa migliore che puoi fare.
Soprattutto quando ti rendi conto che è tutt’altro che il diavolo.
A parte stasera.
Sorrido per il giocattolo che vibra dentro di me mentre ascolto il
proprietario dei Voodoo Kings di New Orleans glorificare le virtù del
whiskey Seven Sinners, in particolare del suo nuovo favorito, il Phoenix
Label.
«Sono davvero felice che lo apprezzi.»
«Comprerò tutte le bottiglie che posso. Scommetto che il commissario
ne gradirebbe una o due. Non pensavo davvero che lei riuscisse a superare
lo Spirit of New Orleans.»
«Mi assicurerò che ne mettano da parte un po’ per lei, signore.»
«Gliene sarei grato» risponde prima di bere un altro sorso.
«Se mi scusa solo un istante, dovrei controllare un paio di cose.»
«Naturalmente. Avete organizzato una gran bella festa. Riporteremo
senz’altro i nostri ragazzi qui in futuro.»
Con “i ragazzi” si riferisce all’intera squadra, e io mi trattengo a stento
dall’esultare agitando un pugno. «Non vediamo l’ora di stringere presto
nuovi accordi con voi.»
«Grazie, signorina Kilgore.»
Mi allontano da lui mentre una serie di vibrazioni mi percorre il corpo.
Lachlan e io abbiamo quasi litigato perché lui voleva prendere il
controllo del servizio di sicurezza per questa serata. Ma io non ero
d’accordo, il Seven Sinners è la mia creatura.
«Considerando il fatto che potresti essere la madre di mio figlio, ho il
diritto di tenerti al sicuro.»
«Non provarci neanche. Non sono ancora incinta.»
«Ci provo quanto mi pare. Sei mia moglie.»
La nostra discussione è sfociata in urla che hanno invaso l’appartamento,
ed è finita con noi che ci strappavamo i vestiti in preda alla frenesia: più o
meno tutti i nostri scontri finiscono così.
Dopo, con le lenzuola attorcigliate addosso, Lachlan ha proposto un
compromesso. Il mio servizio di sicurezza, se necessario, sarebbe stato
integrato dal suo, ma lui non avrebbe assunto il comando.
Ho accettato.
Quando stasera sono entrata in salotto nel mio abito da ballo, lui era in
attesa nel suo completo dal taglio perfetto e stringeva una scatola di pelle
dall’aspetto familiare. Ha fatto scattare il coperchio e all’interno è comparso
un giocattolo nero e oro dall’aspetto innocente, anche se io sapevo che non
lo era affatto.
«Puoi inserirlo tu, o ci penserò io. Ma non te ne andrai senza.»
«È una serata di affari, Lachlan.»
«Tic-tac, Keira.» Poi guardando l’orologio ha aggiunto: «Hai quindici
minuti prima di uscire.»
Io ho ringhiato, un’abitudine che ho copiato da lui, e ho ribattuto. «Solo
se prima tu ti inginocchi.» Ho appoggiato sulla sedia un piede fasciato in
una scarpa con il tacco a spillo e ho sollevato la gonna dell’abito perché lui
potesse vedere il perizoma luccicante al di sotto.
Il suo sguardo buio ha avuto un lampo. «Solo per te, sarò felice di farlo.»
«Puoi dirlo forte.»
Sorvolo sulle tre ore successive. In questo momento muoio dalla voglia che
lui mi trascini in un angolo per implorarlo di scoparmi. Ma prima devo
trovarlo, in questo mare di giganti con le maschere da Martedì Grasso
intonate ai vistosi completi su misura.
Annuisco e sorrido, contenta che il mio volto sia coperto così nessuno
può vedere la mia espressione vicina all’orgasmo. Passo la mezz’ora
successiva a cercarlo, mentre lui implacabile mi tormenta.
Dove cavolo è andato? Quando lo trovo, lo uccido.
V è posizionato vicino all’ascensore e indossa una maschera. Ha chiesto
lui quella postazione, così può tenere d’occhio la cucina e Odile. Non sono
sicura di cosa stia succedendo, ma è diventato protettivo nei suoi confronti.
Sono felice di vedere che sa sorridere, soprattutto perché non l’ho più
sentito parlare.
«Dove cazzo è mio marito?» gli sussurro nell’orecchio.
Indica verso il basso.
«Il mio ufficio?»
V annuisce.
Subdolo figlio di puttana.
Prendo l’ascensore per scendere nel seminterrato, ma si ferma al primo
piano.
Alla reception Temperance sta discutendo con un uomo alto e ben
piantato: gli sta spiegando la nostra politica di non restituzione delle chiavi.
«Tutto a posto?» le chiedo, tenendo aperte le porte.
Si gira a guardarmi mentre il tipo la fissa. «Certo, capo. Lui gioca per
vivere. Me la caverò da sola.»
Le narici del tizio fumano e io mi domando se farmi avanti per calmare
la situazione, ma il giocattolo dentro di me riprende vita. Per rimanere in
piedi mi aggrappo alla barra di metallo sulla parete.
Mi viene in mente che anche Z è qui fuori. “Starà bene“ mi dico. Qual è
la cosa peggiore che potrebbe accadere?
Premo il pulsante di chiusura delle porte: mentre l’ascensore riparte,
tamburello con il piede per l’eccitazione.
Quando mi avvicino al mio ufficio, sento dei passi provenire
dall’interno, e con il pensiero torno alla seconda notte in cui Lachlan Mount
ha cambiato la mia esistenza. Apro e scruto all’interno nella luce fioca che
si diffonde dalla mia scrivania.
«Che cosa vuole?» sussurro. «Perché è qui?»
Lui si alza in piedi, riabbottonandosi la giacca. Il volto rimane nascosto
nell’ombra.
«Lei ha un debito con me, signora Mount, e io sono qui per riscuoterlo.»
Ringraziamenti
Ho capito che la storia di Mount e Keira era speciale non appena Mount,
nell’ottobre 2016, ha fatto la sua prima comparsa nella mia mente. Da lì non
se n’è più andato. Era esigente. Autoritario. Logorante. Quando è arrivato
finalmente il suo turno, ha capovolto il mio mondo dando vita a una storia
ancora più epica di quella che mi prefiguravo. Dopo i primi tre giorni di
stesura ho capito che non c’era modo di contenere tutto questo in un unico
libro. Ho riversato cuore, anima ed emozioni autentiche in questo progetto,
e mi ha quasi distrutta. Una cosa è certa: non avrei potuto farcela da sola.
Ogni libro ha bisogno di un intero villaggio, ma questa storia ha reclamato
un esercito.
Anche se in genere lo lascio per ultimo, devo ringraziare mio marito per
aver miracolosamente tenuto insieme tutti i miei pezzi ogni volta che
crollavo per la mancanza di sonno, per la tensione da consegna o per i vari
colpi di scena della trama più intensa che io abbia mai domato. È il mio più
accanito sostenitore e la mia più grande forza. Grazie, JDW, per tutto ciò
che fai. Ti amo tantissimo.
Angela Smith. Wow! Abbiamo portato a termine un compito che
sembrava impossibile. Grazie per essere stata sempre presente mentre,
passo dopo passo, mi facevo strada in questa storia. Sei davvero una donna
straordinaria e sono molto grata di averti nella mia squadra e di poterti
considerare una cara amica.
Uno speciale ringraziamento va alla mia JJL crew. Mi avete scrollato e
tirato su di morale, soprattutto Mo, affinché mi dessi una mossa a finire
questo libro proprio quando pensavo che mi avrebbe consumata. Non ci
separeremo mai. Vi adoro tutti.
Pam Berehulke. Come sempre sei la calma nella tempesta dei miei
programmi, quelli che puntualmente stravolgo. Per favore non smettere mai
di fare ciò che fai. Adoro lavorare con te su ogni progetto che affrontiamo.
Grazie mille per la tua attenzione al dettaglio e la tua impeccabile
professionalità.
Danielle Sanchez. Anche quando la mia musa creativa decide di
annientare tutti i nostri piani, tu ti adatti e cambi rapidamente insieme a me.
Grazie per il tuo sostegno, le idee e l’incoraggiamento.
Jamie Lynn. Non posso ringraziarti abbastanza per avermi mantenuta
sana di mente e aver retto il fortino mentre sparivo nelle oscure profondità
della caverna della scrittura. Sono davvero fortunata ad averti nella mia
squadra e non vedo l’ora di scoprire la nostra prossima destinazione.
Kim e Natasha. Grazie di essere state straordinarie lettrici delle mie
versioni beta e di avermi aiutato a far diventare la storia di Mount e Keira
quello che speravo. Il vostro tempo è un dono prezioso e lo apprezzo più di
quanto pensiate.
Julie Deaton e Michelle Lim. Siete le mie correttrici numero uno! Grazie
per il vostro occhio attento e i giri di bozze incredibilmente veloci.
Letitia Hassar. Quando da una copertina siamo passate a tre, la tua
progettazione grafica ha dato il meglio di sé. Grazie per la tua creatività e
abilità!
Sara Eirew. Grazie per aver catturato le immagini perfette per questa
trilogia!
Questo eBook è stato acquistato e condiviso dal Team dell'alberello in via totalmente gratuita per tutti.
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