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Io difendo sempre ciò che possiedo. Compresa Keira Kilgore. Lei è mia.

Non mi basta più il suo corpo.


È una donna orgogliosa, ma prima o poi si arrenderà.
Niente ci può tenere separati.
Nessuno deve mettersi fra noi.
Keira pagherà il suo debito fino in fondo. Con il cuore.

Meghan March, avvocato e autrice best seller, ha venduto più di due


milioni di copie negli Stati Uniti. Desire è l’ultimo capitolo di una trilogia,
pubblicata da SEM, che si apre con King e prosegue con Queen.
Meghan March

Desire
L’impero del desiderio

Traduzione di
Cristina Proto
Questo eBook è stato acquistato e condiviso dal Team dell'alberello in via totalmente gratuita per tutti.
Se l'hai pagato in qualsiasi modo (tramite abbonamento o acquisto diretto), sei stato truffato.
Questo libro è un’opera di fantasia. Personaggi e luoghi citati sono invenzioni dell’autore e hanno lo
scopo di conferire veridicità alla narrazione. Qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone reali è
assolutamente casuale.

Desire
L’impero del desiderio
di Meghan March
Published by arrangement with
Bookcase Literary Agency and Donzelli Fietta Agency Srls

ISBN 978-88-93-90097-3

© Titolo originale dell’opera: Sinful Empire


Copyright © 2017 Meghan March

Copyright © 2018 Società Editrice Milanese


1
Mount

Ventotto anni prima

«Ehi stronzetto! Torna qui! Il tuo culo finirà in galera per questo!»
Attraversai di corsa la folla sbattendo contro i turisti e continuando a
girarmi per seminare il tizio che mi urlava dietro. Un vero spreco: a quel
punto non potevo più approfittare della confusione per rubare qualche altro
portafogli bello gonfio o qualche grazioso orologio.
E tutto perché avevo voglia di una cazzo di barretta Snickers per mettere
a tacere il mio stomaco un paio d’ore, e non mi andava di separarmi dai
soldi che mi ero sudato. Essere un ladruncolo di strada a New Orleans non
era roba da teppistelli senza palle. Il lato oscuro di questa città ti avrebbe
ingoiato e risputato prima che tu imparassi il significato dell’espressione
sacco da morto.
Non farti amici; solo alleati. E non fidarti di loro se non li puoi tenere
d’occhio.
«Ti vedo, ragazzo! I poliziotti stanno arrivando! A questo giro sei
fottuto!»
Quel pezzo di merda di Ernie, il proprietario del minimarket più
taccheggiato del quartiere, era deciso a mandarmi al fresco per sempre. Ma
prima doveva acciuffarmi.
Ero in strada da tre anni: nessuno conosceva la zona meglio di me.
Mi intrufolai tra la gente, mi fiondai in un vicolo e mi infilai tra due
sbarre piegate di una ringhiera in ferro battuto. Il grosso culo di Ernie non
sarebbe mai riuscito a passarci. Schizzai lungo un vialetto di mattoni e
andai a sbattere contro un cancello di metallo. Chiuso. Ma non era certo un
problema per me.
Mi arrampicai come una scimmia, atterrando in piedi sul lato opposto
dell’isolato. Quel coglione non mi avrebbe mai trovato. Ficcai le mani in
tasca e tirai fuori i portafogli che avevo rubato prima di tentare il colpo da
Ernie. Dovevo sbarazzarmene, nel caso mi pizzicassero.
Ispezionai la strada in entrambe le direzioni, prima di voltarmi e aprirne
uno: ne estrassi due biglietti da venti. Non male. Ci avrei mangiato per
qualche settimana. Stavo per gettare il portafogli nel tombino, quando mi
cascò l’occhio sulla carta d’identità che c’era dentro.
Rocky Mount. Dal nome sembrava un coglione. Chi avrebbe mai
chiamato un figlio così? Ma scacciai subito quel pensiero dopo averlo
avuto: almeno loro si erano disturbati a darglielo, un nome.
Aprii il secondo portafogli e trovai un bigliettone da cento. Figata. Se
facevo il bravo, ero a posto almeno per un paio di mesi; o magari, se mi
prendevo qualche rischio, potevo pure raddoppiare i miei soldi.
Sbirciai anche qui il documento. Lachlan Thorpe. Meglio di Rocky
Mount. Ma anche questo...
Gettai il secondo portafogli nel tombino, scartai la barretta e me la infilai
in bocca intera per liberarmi di ogni prova, masticando con energia anche se
mi si appiccicava ai denti. Il mio stomaco era in preda ai morsi della fame e
non aspettava altro: cercavo sempre di non passare più di un giorno o due
senza mangiare, ma a volte non avevo scelta.
«Ti ho visto, teppistello!»
Girai la testa in direzione della voce di Ernie.
Merda.
Spuntò da dietro l’angolo trascinandosi dietro la sua mole imponente: era
seguito da due sbirri, e io cominciai a correre nella direzione opposta.
Ero più veloce. E più furbo. O almeno era ciò che mi ripetevo mentre me
la davo a gambe levate lungo il marciapiede tutto spaccato.
«Fermati, ragazzo!»
Il rumore dei loro passi incalzava alle mie spalle e mentre raggiungevo
l’incrocio mi voltai indietro invece di tenere sott’occhio dove stavo
andando.
Un errore da pivello.
Una Mercedes nera bruciò uno stop e mi prese in pieno.
Merda. Che male.
Dopo l’impatto, d’istinto il mio corpo s’irrigidì, ma poi mi rannicchiai
rotolando sopra il cofano e andando a sbattere con i gomiti sul parabrezza,
mentre l’auto inchiodava scagliandomi in avanti. Un istante prima di
staccarmi e finire con il culo sull’asfalto, qualcosa trafisse il mio fianco.
Che cazzo di dolore. Piantai i palmi sul selciato e, soffocando un gemito,
mi sollevai da terra.
Ernie e gli sbirri si strinsero intorno a me, urlando come degli idioti.
Tutto frastornato, mi tirai su. Dovevo andarmene da lì o ero spacciato.
Avevo la caviglia in fiamme e quando ci appoggiai sopra il peso cedette,
facendomi cadere di nuovo, così mi aggrappai all’auto in cerca di un
sostegno. Le costole gridavano per le fitte lancinanti, ma strinsi i denti: non
era la prima volta che me le spezzavo, sapevo già per esperienza che
sarebbe stata una rogna. Dovevo solo allontanarmi e trovare un posto dove
svenire prima che il dolore mi mettesse al tappeto. Perché se andavo giù
proprio lì, ero veramente fottuto.
Due portiere della macchina si aprirono – quella dell’autista e una
posteriore – mentre io restavo avvinghiato allo stemma ammaccato della
Mercedes per rimanere in piedi invece di picchiare ancora le ginocchia in
terra.
Fanculo ai ricchi nelle loro auto da favola e alle loro decorazioni sul
cofano.
«Non provare a muoverti, ragazzo! Questa volta finirai in gal...»
Ernie si bloccò: cercai di concentrarmi, ma la vista mi si riempì di
puntini neri.
Sia il proprietario del negozio che i due sbirri dietro di lui erano fermi
impalati in mezzo alla strada.
«Signor Morello... mi dispiace tanto, signore. Le togliamo subito di
mezzo questo rifiuto umano.» Era stato uno degli sbirri a parlare.
«Potete spiegarmi cosa sta succedendo qui, signori miei?» La voce era
profonda e aveva un lieve accento italiano.
Morello. Morello. Il mio cervello non funzionava un granché in quel
momento, ma il nome non mi era nuovo. Dovevo conoscerlo quel tizio.
Morello.
«Solo un ladruncolo di strada. Sono quasi due cazzo di anni che cerco di
acchiapparlo.» Una grassa risata chiuse la spiegazione di Ernie.
«Quindi o lui è furbo come il demonio, oppure voi siete una manica di
incompetenti. Quale delle due?» La voce aveva un tono che non esprimeva
rispetto né per Ernie né per i poliziotti, e io feci due più due.
Porca puttana. Morello era Johnny Morello, l’attuale boss della famiglia
Morello. Avevano in mano la città. New Orleans era loro.
Comunque la rigiravo, ero fottuto. Avevo distrutto l’auto di Morello, e
per questo il suo scagnozzo mi avrebbe sicuramente piantato una pallottola
in testa sotto gli occhi di quegli sbirri senza palle, tanto non avrebbero osato
fargli niente. Nessuno poteva fargli qualcosa.
E se non mi sparava, mi avrebbe consegnato ai poliziotti e a Ernie, e
sarei finito dentro. Era un periodo in cui i ragazzi venivano processati per
qualunque reato, come adulti a tutti gli effetti: di sicuro Ernie avrebbe fatto
qualsiasi cosa per sbattermi in prigione a vita.
Mentre ero piegato in due, aggrappato all’auto, due lucenti scarpe nere di
pelle entrarono nel mio campo visivo. Soffocai l’impulso di vomitare
l’anima sulla Mercedes e su quelle scarpe e mi costrinsi a raddrizzarmi,
nonostante il bruciore e le fitte insopportabili che sentivo fra le costole a
ogni respiro.
«Come ti chiami, ragazzo?» La domanda di Morello era pacata, ma
aveva il peso dell’autorità. Stando a quello che avevo sentito, era un uomo
che non potevi prendere per il culo pensando di cavartela.
Incrociai il suo sguardo determinato a non mostrare paura, il contrario di
quello che avevano fatto Ernie e gli sbirri. Scommetto che loro si stanno
pisciando sotto.
Non mi ero dato un nome nei due anni vissuti in strada. Avevo
abbandonato Michael Arch dietro il cassonetto che avevo usato come riparo
mentre osservavo l’assistente sociale prelevare Hope e Destiny dal ricovero
della chiesa. Ero nato senza nome e vivevo senza nome. Ma non potevo
certo rispondere così a Johnny Morello. E non avevo nessuna intenzione di
dirgli che mi chiamavo Michael Arch: per quanto ne sapevo, Michael Arch
era ancora ricercato per omicidio.
«Non farmelo ripetere, ragazzo.»
Qualcuno da dietro mi diede una spinta e io mi raddrizzai, le costole
morse da un dolore che non volevo mostrare.
Gli occhi neri di Morello mi perforarono, mentre il mio cervello si
sforzava di trovare qualcosa da dirgli. Poi mi ricordai delle carte d’identità
che avevo appena buttato nel tombino e mi venne un’idea.
«Mi chiamo Lachlan Mount, signore. Mi scuso per il danno che ho
provocato, non l’ho fatto apposta. Non intendevo mancarle di rispetto.»
Morello mi studiò, sicuramente prendendo in esame il mio aspetto
malconcio, lo sguardo indurito e i tratti affilati. «Lachlan Mount. Un nome
importante, adatto a un ragazzo sveglio. Tu lo sei, Mount?»
«Sì, signore.»
«Sei davvero sfuggito agli sbirri per due anni?» Socchiuse gli occhi,
come se si aspettasse una menzogna. Non aveva capito che io non avevo
più niente da perdere.
«Sì, signore.»
Le sue sopracciglia scure si alzarono appena. «Allora oggi non è andata
come avevi previsto.»
«No, signore. Per niente.» Serrai i denti mentre il dolore aumentava via
via che rimanevo in piedi.
«Mi hai rovinato l’auto, Mount. Sei in debito con me.»
Annuii e infilai una mano in tasca per estrarre i contanti che avevo
appena rubato.
«Chiedo scusa, signore.» Glieli porsi. «È tutto ciò che ho.»
Lui abbassò gli occhi sulle banconote che tenevo in mano ed esplose in
una risata profonda cui fecero eco gli alti edifici di mattoni intorno a noi
che mi impedivano la fuga.
«Hai idea di quanto costa quest’auto, ragazzo? I tuoi spiccioli non
sistemeranno neanche lo stemma.»
«È tutto ciò che ho, signore.»
Mi attendevo la pressione di una canna sulla nuca, perché avevo sentito
dire che questi tizi della mafia preferivano lo “stile esecuzione”, ma non
arrivò.
Morello piegò la testa di lato, studiandomi. «Quanto ci hai impiegato a
rubare quei soldi?»
«Qualche minuto. Li ho sgraffignati mentre andavo al negozio di quel
ciccione di merda.»
«Ehi...» gridò Ernie, pronto a difendersi, ma Morello alzò una mano e lui
si zittì all’istante.
Il boss si passò le dita sui baffi scuri già un po’ brizzolati e continuò a
osservarmi. «Quanti anni hai, Mount?»
Più pronunciava il nome che mi ero scelto, più mi piaceva. Suonava
bene. Come una seconda pelle.
Raddrizzai le spalle, nonostante il male: il mio orgoglio era più forte.
«Quindici, quasi sedici.» L’ultima parte era una bugia, perché non avevo la
minima idea di quando fosse realmente il mio compleanno.
Morello allontanò la mano dai baffi e mi trafisse con un’occhiata. «Hai
tre possibilità oggi, Mount, perché mi sento piuttosto generoso.»
Rimasi in silenzio, in attesa del verdetto che stava per emettere.
«Numero uno: ti consegno ai poliziotti e loro ti processano come un
adulto, sbattendo le tue chiappe al fresco. Dubito che sopravvivresti più di
un giorno senza diventare la puttana di qualcuno.»
Mi costrinsi a non reagire, anche se la sua affermazione mi fece venir
voglia di vomitare le budella; forse perché sapevo che aveva ragione.
«Numero due: Frankie ti spara qui sul posto per aver distrutto la mia
auto preferita, poi abbandoniamo il tuo corpo in una fogna, che
probabilmente è il luogo dove ti aspettavi di crepare.»
Non aveva torto neanche su questo, ma non replicai.
«Numero tre: sali sul sedile posteriore, ti portiamo dal dottore per farti
medicare, e tu lavori per me finché non ripaghi ogni centesimo per i danni
alla mia auto. Se non farai cazzate, vedremo che ruolo darti, e forse avrai un
vero lavoro invece di borseggiare i turisti.»
Uno dei poliziotti alla fine trovò le palle per rispondere. «Signor
Morello, signore, possiamo portarlo noi via da qui. Non occorre che si
disturbi lei a...»
Morello spostò di scatto l’attenzione verso di lui, interrompendolo. «Se
volevo la tua opinione, te la chiedevo. E adesso chiudi quella cazzo di
bocca.»
Riportò lo sguardo su di me e io sentii il grilletto di una pistola.
Immaginai fosse Frankie, il tirapiedi di Morello, che si preparava a eseguire
l’opzione numero due o a uccidere un poliziotto in pieno giorno.
Le mie viscere si sciolsero, ma non mostrai paura. Presi l’unica
decisione possibile.
«Tre, signore. Scelgo la tre.»
Morello annuì. «È quello che mi aspettavo, perché non sei un idiota del
cazzo come questi coglioni.» Girò la testa per un istante verso i poliziotti
prima di lanciare un’occhiata oltre le mie spalle. «Mettilo nell’auto, poi
chiama il dottore e digli di venire da noi.»
Non appena le mani dell’uomo mi afferrarono, mi voltai digrignando i
denti per evitare di gridare dal dolore. «Posso salire da solo.»
Un bagliore di divertimento attraversò lo sguardo di Frankie. «Sali
davanti, ragazzo.»
Zoppicai verso la portiera e la aprii, crollando letteralmente all’interno
prima di sbatterla dietro di me. Per fortuna nessuno riuscì a captare il mio
sibilo di dolore, perché Morello e Frankie erano ancora là fuori ad
affrontare Ernie e i poliziotti. Le loro voci mi arrivavano forti e chiare dalla
portiera posteriore ancora aperta.
«Signore, con tutto il dovuto rispetto...»
«Voi non avete mai sentito il nome di Lachlan Mount. Non lo ripeterete
mai. Non lo avete mai visto prima e vi dimenticherete della sua esistenza.
Adesso fa parte della mia organizzazione, e se anche solo vi salta in mente
di corrergli dietro, starò a guardare mentre i miei uomini vi spellano vivi e
riderò quando strillerete come i maiali che siete. Dopodiché ficcherò una
pallottola in testa a tutti i vostri cari. Che ne pensate?»
I tre uomini, compresi i due in uniforme, ondeggiarono la testa come
degli idioti e farfugliarono le loro risposte.
«Afferrato, signore.»
«Mai sentito nominare.»
«Non so di cosa parla, signor Morello. Noi stavamo giusto tornando
verso la stazione.»
Si poteva quasi sentire il fetore della loro paura. O forse qualcuno se
l’era fatta davvero addosso. Avrei detto uno dei poliziotti, per quanto gli
tremavano le gambe. Ma una macchia scura si stava allargando sui
pantaloni di Ernie.
Si era pisciato addosso. Non esiste, cazzo.
Ma in fondo non ero sorpreso. Morello era inamovibile, i suoi ordini
categorici: senza dubbio li avrebbe uccisi sul posto mettendo in pratica le
sue minacce.
Non avevo mai visto in azione quel genere di potere. Né avevo mai visto
quel tipo di paura sulla faccia di un poliziotto. Ne feci tesoro.
Che sensazione si provava a incutere quel tipo di rispetto?
Morello salì sul sedile posteriore della Mercedes e Frankie chiuse lo
sportello.
«Non farmene pentire, Mount, perché giuro che ti seppellisco vivo, se
tradisci me o i miei.»
«Afferrato, signore. Non se ne pentirà.»
«Bene.»
Frankie salì e mise in moto l’auto ammaccata che mi aveva salvato la
vita. Da qualche parte, lungo quel percorso accidentato che ci avrebbe
condotto in chissà quale cazzo di inferno, il dolore mi fece perdere i sensi.
2
Keira

Oggi

Quando riprendo conoscenza, il dolore mi trafigge. La portiera dell’auto si


apre e il peso mi fa scivolare di lato. Un paio di braccia robuste fermano la
mia caduta.
«Ti tengo. Apri gli occhi, piccola ribelle. Apri quei cazzo di occhi per
me. Non ti perderò proprio ora.»
Quella voce. Profonda. Torva. Rauca. A lungo è stata la voce del diavolo,
ma adesso non più. Ora è la voce dell’uomo che non potrò più tenermi una
volta tornati a New Orleans, e il pensiero mi rende furiosa.
Socchiudo le palpebre per un attimo e sento di avere un bozzo in testa
nel punto dove ho sbattuto contro il finestrino, mentre giravamo l’angolo a
tutta velocità travolgendo un lampione. Le tempie mi pulsano senza sosta.
Quando riesco a incrociare quello sguardo scuro così familiare, la paura si
tramuta in sollievo: il fuoco di quegli occhi, che in passato mi metteva i
brividi, ora mi dona forza.
«Grazie al cielo!» Con la fronte sfiora la mia, e io inspiro il suo profumo
che sa di bosco e di agrumi.
«Pensavi di liberarti di me così facilmente?» Le parole mi escono deboli
e biascicate, senza quel minimo di sicurezza che intendevo ostentare. Cerco
di mettermi a sedere, ma avverto una fitta al fianco destro. «Cavolo, fa
male. Che è successo?»
«Non importa. Starai bene. Ti giuro sulla mia vita che tu starai bene.»
Gli credo per il modo in cui lo dice, sottolineando con assoluta
convinzione ogni parola.
Abbasso lo sguardo sul sangue che ricopre la mia camicetta e sui
frammenti di vetro sparsi ovunque. «Oddio.»
Lui mi afferra il mento con una mano e riporta la mia attenzione sui suoi
occhi, ma faccio in tempo a vedere la macchia rossa che si sta allargando
anche sui suoi vestiti.
«Oh mio Dio! Abbiamo bisogno di aiuto.»
«Staremo bene. Hai capito? Devi resistere. Puoi provarci?»
Io annuisco mentre la mia testa sembra spaccarsi in due per la pressione.
La bile mi sale in gola.
«Controlla il dolore. Puoi farcela.»
Respiro appena e tremo. «Posso farcela» ripeto, senza sapere se sto
mentendo o no.
«Brava ragazza.» Si toglie la giacca e me la preme contro il fianco.
«Tienila stretta, come se ne andasse della tua vita, cazzo. Okay?»
Quando Lachlan Mount ti dice di fare qualcosa come se ne andasse della
tua vita, è probabile che sia davvero così. Ripenso alla paura nei suoi occhi
che ho visto solo qualche istante fa.
«Sto morendo?» Invece di sentirmi triste, sono invasa dalla rabbia. Non
sono ancora pronta. Non ho finito con questo mondo. Non ho finito neanche
con quest’uomo.
«Stronzate! Tu non stai morendo. Non lo permetterò.» Le sue parole
sono sorrette da una determinazione d’acciaio e da pura tenacia.
«Okay.» Mi tampono con la giacca il fianco dolorante, mentre lui mi
cinge dietro la schiena con un braccio.
«Usciremo da questa situazione di merda. I miei uomini stanno
arrivando. Tieni duro.»
Annuisco di nuovo: a ogni minimo movimento vedo letteralmente le
stelle, mentre Lachlan mi trascina fuori dall’auto, tenendosi basso e
aggirandola sul retro, per andare poi tra la parte anteriore fracassata e
l’edificio contro cui ci siamo schiantati. Ma lui inciampa, lasciandosi
sfuggire un grugnito, e quell’indizio che sta soffrendo mi trafigge più del
dolore che provo in questo momento.
«Fermati. Sei ferito. Non...»
«No, almeno finché non sei al sicuro. Non ti farò correre altri rischi.
Dove cazzo sono?» Si gira da una parte e dall’altra, mentre sento la mia
vista oscurarsi di nuovo.
Cos’ha la mia testa che non va?
Mi sforzo di restare lucida: non voglio svenire un’altra volta. Posso
farcela.
Gli stringo la mano per attirare la sua attenzione. «Neanch’io ti perderò.
Intesi? Smettila di fare il testone. Fottuto bastardo.»
Abbassa lo sguardo su di me e ogni traccia di dolore sembra svanita,
mentre un angolo della sua bocca si socchiude per dirmi: «D’accordo».
D’improvviso uno stridore di pneumatici mi fa voltare: una fitta mi
attraversa le tempie strappandomi una smorfia. Non faccio in tempo a
vedere niente, però, perché Lachlan mi afferra e mi allontana dalla strada,
stringendomi più forte mentre gira le spalle all’auto che sopraggiunge. Mi
sta facendo da scudo.
«Non azzardarti...»
«Chiudi il becco, Keira. Per te sono pronto a rischiare tutto.» Mi
appoggia una mano sulla nuca e se l’avvicina al petto.
Un’altra auto frena bruscamente, e il rumore delle portiere che si aprono
mi trapana la testa. Alcuni passi risuonano sull’asfalto e Lachlan si gira a
guardare.
«Sì, cazzo» sussurra, mentre si rilassa e ruota su se stesso finché io non
intravedo Scar.
Un altro volto che prima m’incuteva paura e ora mi provoca puro
sollievo: si precipita verso di noi, silenzioso come sempre, ma con
un’espressione rabbiosa stampata in faccia.
Lachlan mi abbraccia più forte. «Prendila. Portala al sicuro. E proteggila
a ogni costo. Chiaro?»
L’uomo annuisce in silenzio e Lachlan allenta la presa su di me. «Non
morire adesso, Keira, o giuro, cazzo, che butterò giù le porte del paradiso e
verrò a riprenderti di persona.»
Le braccia di Scar mi accolgono come una culla, una stretta che conosco
fin troppo bene, ma le mie dita non mollano il colletto di Lachlan. Mentre
Scar mi allontana, però, perdo la presa.
«Io non ti lascio!» Cerco di divincolarmi, anche se ho lo stomaco sempre
più sottosopra e il corpo mi implora di fermarmi. «Mettimi giù. Voglio
restare con lui.»
Scar mi grugnisce qualcosa nell’orecchio, ma il mio sguardo è incollato
alla camicia di Lachlan: la parte sinistra è completamente impregnata di
sangue. Sulle prime penso sia il mio, ma il tessuto strappato e il fiotto
costante dicono che mi sto sbagliando.
«Lasciami! Salva lui! Servi più a lui che a me.» Le lacrime mi rigano il
volto. Scar mi stringe con maggior vigore e senza farsi scoraggiare dai miei
sforzi patetici mi separa da Lachlan.
Altri due uomini ci raggiungono di corsa, ma io non so chi siano.
«Uccidili!» grido e neanche riconosco la mia voce. «Non osate toccarlo,
bastardi!»
Lachlan barcolla e quegli uomini lo afferrano, uno per lato.
«Portala al sicuro...» ripete e s’interrompe crollando tra le braccia dei
due sconosciuti.
«No!» urlo, ma Scar prosegue verso l’auto, ignaro di cosa stia
succedendo. «Fermati! Devi tornare indietro per aiutare lui!»
Mi ribello alla sua presa, artigliandogli le spalle. L’orrore che provo
sovrasta qualsiasi dolore, mentre i due trascinano il corpo esanime di
Lachlan verso un’auto sconosciuta e Scar si dirige invece verso quella che
mi è familiare.
«Lasciami andare!» insisto, ma la voce mi si incrina e lui mi fa sdraiare
sul sedile posteriore sbattendo la portiera in faccia alle mie proteste.
Mi allungo a tentoni verso la maniglia, nel tentativo disperato d’impedire
a quegli uomini di portare via Lachlan, ma Scar è già seduto davanti. Le
portiere scattano, lui mette in moto e imbocca a tutto gas una via del
Quartiere Francese.
Qualche settimana fa sarei stata felicissima di essere condotta a gran
velocità lontano da Lachlan Mount, ma ora non è più così. Lui ha detto una
cosa giusta quando eravamo nell’hangar.
Tutto è cambiato.
Le lacrime mi scorrono sul volto come un fiume, mentre mi giro a
guardare fuori dal finestrino oscurato. In lontananza, sempre più distanti,
due uomini stanno caricando il corpo svenuto di Lachlan sul sedile
posteriore dell’altra berlina.
La mia voce si fa rauca mentre grido ancora a Scar di riportarmi indietro,
ma poi voltiamo l’angolo e io non lo vedo più.
3
Keira

Non ricordavo di essere svenuta, ma quando mi risveglio in una stanza con


le pareti bianche, il pavimento grigio e un odore diffuso di antisettico, mi
rendo conto che devo aver perso conoscenza.
Mi siedo di scatto sul letto d’ospedale, voltandomi da una parte e
dall’altra. Pessima mossa. La testa torna a pulsarmi e la vista mi si offusca
ancora.
Attraverso la nebbia, però, individuo un altro letto vuoto a due metri dal
mio.
Dov’è lui? Le immagini di Lachlan che viene trascinato via da quegli
sconosciuti mi scorrono nella mente come un incubo. Devo trovarlo.
Mi libero degli elettrodi fissati sul petto e il bip regolare del macchinario
diventa un improvviso grido d’allarme.
Sono ancora attaccata a una flebo, così mi strappo il cerotto e mi preparo
a estrarre l’ago. Ma la porta si apre ed entra una donna che non ho mai visto
prima.
«Ferma. Se se la toglie, dovremo mettergliene un’altra. Lui ha insistito
perché ci prendessimo cura di lei. In modo quasi ossessivo mi verrebbe da
dire, ma non sono io il boss.»
«Dov’è?» Stringo le dita intorno al tubo, come se fossi un paziente
psichiatrico pronto a tagliarsi le vene con un coltello. «Me lo dica, o me la
strapperò via prima che riesca a fare un altro passo.»
La testa le scatta all’indietro. «I dottori lo stanno medicando. Non c’è
alcun bisogno che si ferisca da sola, lui finirebbe per incazzarsi con me.»
Allento la presa.
«Medicarlo? Quanto è grave?» Mi tornano in mente lo strappo nella sua
camicia e il suo fianco sanguinante. «Cos’è successo? Dove mi trovo?»
Ho ricordi, se possibile, ancora più vaghi di quando mi sono ubriacata a
Dublino.
Quella notte ho ballato con Lachlan in un pub.
La donna mi risponde partendo dall’ultima domanda. «Ci troviamo nella
clinica all’interno della sua proprietà. Qui siamo autosufficienti. Mount è
stato colpito da una pallottola che l’ha passato da parte a parte. Lei invece
ha una bella commozione cerebrale, oltre a tagli superficiali, lividi, e una
lacerazione di una certa importanza sul fianco destro. È stata fortunata: se
fosse stata più profonda, le sarebbero serviti i punti, invece è bastato un
adesivo cutaneo. L’abbiamo rimessa in sesto e sottoposta a una serie di
esami. Si riprenderà benissimo.»
Abbasso gli occhi sul camice azzurro che ho addosso come se potessi
vedere cosa c’è sotto. «Ferite, lividi e una commozione? Non dovrei sentire
dolore?»
La donna, che ormai presumo sia una dottoressa o un’infermiera, scoppia
a ridere. «Tesoro, lei è sotto anestetici, ha talmente tanti antidolorifici in
corpo da non sentire nulla. Solo... la prego, non si stacchi la flebo. Abbiamo
già ripulito fin troppo sangue per oggi.»
Okay, so abbastanza di ciò che mi riguarda.
«Tra quanto ritorna lui? Era molto grave la ferita? Starà bene, vero? Lui
mi ha detto che sarebbe stato bene. Me lo ha promesso.»
La “dottoressa” mi studia come se fossi una sorta di creatura selvatica, e
in effetti al momento mi sento esattamente così.
«Lui ha perso una grande quantità di sangue, molto più di lei. Non si è
neppure preoccupato di fermare l’emorragia, anche se non è uno
sprovveduto.»
Nei miei ricordi annebbiati rivedo che ha dato a me la sua giacca per
tamponare la mia emorragia. E forse così ha messo a rischio la sua stessa
vita.
«Non morirà.» La mia non è una domanda. Non può succedere e basta,
ne uscirei pazza.
Ma l’infermiera, o dottoressa, o chiunque sia, è d’accordo. «No. Ha
ragione. Non morirà. È troppo caparbio. Persino il diavolo lo rispedirebbe
indietro.»
Un piccolo brivido di sollievo si fa strada nel panico che mi opprime.
«È sicura?»
Lei annuisce. «Due dei nostri dottori più qualificati si stanno occupando
di lui: solo il meglio per Mount. Quel testardo però non ha voluto farsi
toccare finché non hanno finito con lei.»
«Cosa?» La voce mi si spezza.
«Gli ha puntato una pistola addosso.»
Sembra esattamente il tipo di cosa che farebbe l’uomo che conosco e
amo.
Aspetta, che cosa mi è scappato detto, fra me e me?
Amo?
Quella parola mi sfonda il cervello come la pallottola che ha mandato in
frantumi il parabrezza dell’auto.
Non può essere che...
Mi accascio sul letto, esausta, e la donna si avvicina.
«Sta bene, signorina Kilgore?»
Sto bene?
Non so rispondere. Al momento sto realizzando la cosa più scioccante –
ma ovvia – della mia vita.
Mi sto innamorando di Lachlan Mount.
Mi correggo. Non mi sto innamorando. Sono già innamorata.
«Signorina Kilgore? C’è qualcosa che non va? Sente dolore?»
Scuoto la testa. «No, non è quello. Io... è solo...»
Il suo sguardo si fa empatico. «Shock a effetto ritardato?»
«Forse.» Il cuscino mi culla la testa mentre fisso il soffitto e scendo a
patti con la verità.
Ho sentito dire che le esperienze traumatiche possono chiarirti d’un
tratto le idee, ma come ho potuto ignorare in questo modo quello che stava
nascendo fra noi?
«Balla con me, Lachlan. Balla con me a Dublino.»
Il suo sorriso di quella sera mi lampeggia davanti agli occhi. È in quel
momento che è successo? E, in ogni caso, ha importanza saperlo?
«Mi faccia riattaccare gli elettrodi così possiamo tenerla sotto controllo.
Sono piuttosto sicura che lui mi ucciderebbe se le accadesse qualcosa
proprio ora e io non fossi pronta.»
Mi mette un nuovo cerotto sul braccio e poi si avvicina alla macchina,
distendendo i fili aggrovigliati che mi sono strappata di dosso. Li riattacca
uno a uno, ma io non le presto più attenzione.
Così, fino a quando lei non parla, non mi rendo conto che ha aggiunto
qualcosa al mix nella flebo.
«Ha bisogno di riposare» dice togliendo il sacchetto appeso sull’asta.
«Che cosa ha fatto?»
«Le ho solo dato qualcosina che la aiuti a stare tranquilla.»
Le mie palpebre diventano pesanti e io apro la bocca per protestare, ma
non posso competere con l’effetto del farmaco, qualunque esso sia.
«Vedrà che quando si sveglia lui sarà qui.»
4
Mount

Le grida di Keira riecheggiano contro le pareti del mio cervello mentre


combatto con le lenzuola e riemergo a fatica da un sonno inquieto. Cosa mi
hanno dato? Gli ho detto che non mi serviva niente. Dovevo restare vigile.
All’erta.
Da quando quella cazzo di pallottola ha sfondato il parabrezza, ho in
testa un solo pensiero. Non posso perderla. Non provate a portarmela via.
«Lei dov’è?» La mia voce mi suona rauca quando alla fine riesco a
parlare, e il tono disperato della mia domanda è palese. «Keira sta bene?»
«Sono qui.»
Keira mi stringe la mano e la tensione abbandona all’istante il mio
corpo.
«Ti ho fatto spostare più vicino a me. Volevano ammanettarmi al letto
perché ho provato in tutti i modi a raggiungerti.» La sua voce è bassa e
supera di poco il rumore delle macchine, ma le sue parole mi avvolgono e
mi tranquillizzano. Non capirò mai come ho fatto a guadagnarmi quella
dedizione da parte sua, certo è che non lascerò che ci ripensi.
Esamino con attenzione ogni centimetro del suo corpo, scendendo dai
capelli rossi e scompigliati lungo il camice da ospedale che porta addosso.
Nessuna traccia di sangue. È tutta intera, e il suo volto non è più deformato
dal dolore.
«Per favore, dimmi che stai bene.» Nel mio incubo lei gridava perché
stava morendo, e io non riuscivo a salvarla. Quelle urla erano peggio di
qualunque pallottola mi abbia mai colpito. Un milione di volte peggio della
botta presa da quella Mercedes ormai tanti anni fa. Peggio di qualsiasi
coltellata o ferita che io riesca a immaginare.
«Sto bene. E anche tu starai bene. Staremo entrambi bene, o giuro su Dio
che darò la caccia a chiunque sia stato e lo ucciderò di persona.» Una fredda
determinazione accompagna ogni sua parola.
La mia ribelle assetata di sangue.
La mia regina indomabile.
Non dovrei riderne, ma con questa donna non c’è più niente di razionale.
Lei arrivava da un altro pianeta, un luogo in cui non ho mai vissuto. E
quando l’ho trascinata nell’oscurità, non ho pensato alle conseguenze, ma
solo alla soddisfazione che avrei provato nel sottometterla.
Sono un egoista. Mi conosco abbastanza bene da accettarlo. Io prendo,
prendo, e prendo ancora.
Intendevo fare così con Keira Kilgore. Prenderla fino a esserne sazio.
Ma stasera l’unica cosa che vorrei prendere è il suo dolore, e farmene carico
fino in fondo anche se dovesse uccidermi.
Non ho mai creduto nell’altruismo. Credevo fosse un mito. Da quando
conosco Keira Kilgore, però, qualcosa è cambiato.
Tutto è cambiato.
Nella vita avevo imparato a non attaccarmi a una cazzo di cosa soltanto,
perché non c’è nulla a questo mondo che duri per sempre. Tutto è
temporaneo.
Ma se si tratta di lei, questo non vale più. Lei è mia. E lo resterà.
Neppure l’anima nera che mi ritrovo potrebbe sopportare di perderla. La
terrò al sicuro fino al mio ultimo respiro, se sarà necessario.
Ho sempre rifuggito ogni debolezza così come gli altri uomini fuggono
da Satana... o da me. Ma non mi importava niente della mia debolezza
quando ho rischiato di non vederla più. È allora che ho capito cos’è
successo: perdere Keira Kilgore vorrebbe dire perdere la mia forza.
Questa rossa focosa dagli occhi verdi ha cambiato le fondamenta del mio
intero mondo.
«Pensavo che saresti morto» mi dice con lo sguardo colmo di angoscia.
«Non voglio più sentirmi così.»
«Non succederà. Neanche il diavolo riuscirà a fottermi.»
«Promettimelo.»
Niente è definitivo, mi ricorda la mia vocina interiore. Ma io sono
Lachlan Mount, che cazzo, detto io le regole e posso cambiarle quando
voglio: «Lo prometto».
Lei mi stringe più forte la mano. «Bene.»
«Dovrei farti partire. Mandarti in un luogo sicuro, il più possibile
lontano da me, ma...»
«Provaci.» Keira solleva il mento con aria di sfida.
«È esattamente quello che farei, se fossi un uomo migliore.»
Assume la sua tipica espressione cocciuta, irrigidendo la mascella.
«Allora è un bene che tu non lo sia.»
La porta si apre ed entra uno dei dottori. «Signor Mount, come si sente?»
Dovrei mollare subito la mano di Keira e assicurarmi che il medico non
si accorga di quanto stravedo per lei, perché sarebbe un’ammissione di
debolezza. Ma non ci penso neanche.
Al contrario, intreccio le mie dita alle sue, e facciamo fronte comune.
«Come se mi avessero sparato e ricucito.»
«Posso far aumentare gli antidolorifici, così non sentirà male.»
Torna verso la porta ma io lo fermo.
«No. Me ne avete già dati anche troppi. Non voglio altro. Voglio sentire
ogni singola fitta. Non mi stordirà di nuovo.»
«Lachlan...» La voce di Keira è flebile ma la sua mano tiene la mia con
forza. Quando le restituisco la stretta, lei rimane in silenzio.
«Si assicuri che la signorina Kilgore riceva tutti gli antidolorifici
necessari e ogni altra medicina che potrebbe esserle utile, ma per quanto mi
riguarda, mi lasci perdere. Dica a V di venire qui.»
Il dottore annuisce e si gira per andarsene, lo sguardo sulle nostre mani
unite.
«Una sola parola su quello che è successo stasera e...»
«Non oserei mai, signore. Suonate il campanello se avete bisogno di
qualcosa. Restiamo a vostra disposizione.»
Non appena lascia la stanza, Keira libera la sua mano dalla mia. Vorrei
riprendermela, ma lei è troppo impegnata a farmi segno di no
sventolandomi un dito davanti alla faccia.
«Non provare a sopportare il dolore come uno stupido testardo. Prendi le
medicine.»
Mi giro verso di lei, anche se tutto il mio corpo protesta, ma devo
guardarla negli occhi in modo che comprenda esattamente perché le ho
rifiutate.
«Sotto farmaci, non sono in grado di proteggerti, e questa non è una
opzione. Tu sei legata a me. La tua sicurezza – la tua vita – è nelle mie
mani, e non intendo metterla a rischio solo per risparmiarmi qualche ora di
sofferenza.»
«Qualche ora?» Mi schernisce. «Ti hanno sparato. Non è come farsi un
taglietto con la carta.»
«Non è stata la prima volta. E probabilmente neanche l’ultima.»
Keira ringhia. Tutte le paure che nutriva nei miei confronti, anche quelle
più nascoste, sono chiaramente svanite. «Non provare a farti sparare
ancora.»
«Non posso promettertelo.»
«Allora mentimi. Dammi qualcosa a cui credere.»
Una risata brusca mi sgorga dal profondo. È davvero unica. Lo sapevo
già, ma ogni giorno che passa me ne dà dimostrazione.
Menzogne. Non ho mai avuto difficoltà. Mi vengono naturali, e sono
sempre la mia prima opzione. Ma non in questo caso.
«Basta bugie. Almeno tra noi, non diciamone più.»
Keira scatta all’indietro, sorpresa. «Significa che mi dirai tutti i tuoi
segreti se te li chiedo?»
Alzo gli occhi al soffitto. È di certo pronta a farlo, altrimenti non sarebbe
la compagna che desidero e di cui ho bisogno.
Respiro a fondo, e una buona parte di me non crede a quello che sto per
dire. Ma come ho realizzato poco fa, tutto è cambiato.
«Cosa vuoi sapere?»
5
Keira

Non. Ci. Credo.


Mi sta dando davvero carta bianca? Posso fargli sul serio qualunque
domanda? La sincerità che leggo nei suoi occhi bui sembra proprio
innegabile. E così appare anche la sua spossatezza.
Un tempo avrei fatto salti di gioia di fronte alla possibilità di fargli il
terzo grado e ottenere risposta a tutte le domande che ho accumulato, ma
ora non me la sento. Voglio concentrarmi su di lui adesso, sulla sua
guarigione.
La salute e la sicurezza di Lachlan sono schizzate in cima alla lista delle
mie priorità quando ho visto quei tizi in strada trascinarlo via da me.
«Hai bisogno di dormire. E riposare. Perché presto dovrai scatenare
l’inferno su questa città, in modo che tutti sappiano che nessuno può
scherzare con Lachlan Mount, né con la sua donna.»
È nuovamente sorpreso, e mi fissa come se non mi avesse mai visto
prima. Forse ha ragione. Nemmeno io mi sono mai sentita così in passato.
«La mia donna?»
Punto i miei occhi su di lui. «Tu per primo hai voluto che ammettessi di
essere tua. A quanto pare, guardare in faccia la morte aiuta a chiarirsi le
idee.»
Chiude le palpebre prima di rispondermi. «Sono le medicine a parlare
per te. Quando uscirai da qui, ricomincerai a inveirmi contro,
supplicandomi di lasciarti andare.»
Serro le labbra e incrocio le braccia al petto, nascondendo la fitta che mi
trapassa nonostante gli antidolorifici.
Sono le medicine? Mi rifiuto di crederlo. Il senso di possesso che ho
percepito, e il desiderio di sfondare quel vetro per raggiungerlo mentre me
lo portavano via, non erano un effetto delle medicine. Poteva forse essere
adrenalina. Ma era di sicuro qualcosa di assolutamente reale.
«Scommetto che scopriremo presto chi ha ragione. Perché ho già un’idea
precisa di come andrà a finire.»
«Come?» chiede lui, ma prima che io possa rispondere la porta si apre.
6
Mount

Non appena V entra, mi basta guardarlo in viso per capire la situazione.


Siamo nella merda. Fino al collo.
Ho imparato molto tempo fa che, se lui non mi manda messaggi, l’unico
modo per sapere qualcosa è fargli domande che prevedano un sì o un no
come risposta. Non ho idea di dove sia il mio telefono, perciò non mi resta
che fargli quel tipo di domande.
«Hanno trovato chi ha sparato?» Non avranno certo aspettato me: appena
ricevuta la notizia, J avrà cominciato a cercarlo.
V scuote la testa.
«Si sono occupati dei poliziotti?» Magari sono stati chiamati per
l’incidente, e se sono arrivati sulla scena prima che fosse ripulita, occorre
che dimentichino tutto. Nessuno deve sapere cosa è successo. Se girasse
voce che qualcuno ha avuto il fegato di provare a uccidermi, gli equilibri di
potere potrebbero risentirne. Per fortuna in questa città sono io che tengo
d’occhio un bel po’ di poliziotti e non il contrario.
V annuisce.
«Avete trainato l’auto in garage e sgombrato la scena?»
Annuisce di nuovo.
«La pallottola?»
Solleva pollice e indice separati da un paio di centimetri. So cosa
significa. Non ancora, ma ci manca poco.
«Ribaltate quell’auto. Il proiettile deve essere lì dentro, non ho visto
alcun foro d’uscita. Scopri da dove cazzo è partito e rintraccia il cecchino.
Dobbiamo scoprire chi è stato così fottutamente stupido da provarci.»
V mi fa segno di sì un’ultima volta, poi si gira per andarsene, ma io lo
blocco.
«Sei stato bravo. La sua sicurezza personale deve essere sempre la tua
priorità, a qualunque costo. Prima pensi a lei e poi al resto, proprio come
hai fatto.»
Keira interviene, interrompendo la conversazione. «No! Non sono per
niente d’accordo.»
Le lancio un’occhiataccia. «Non hai voce in capitolo. Non scenderò mai
a patti su questo.»
«Sì, ma non a scapito della tua protezione. Non darmi questo peso da
portare. Il rischio è troppo alto.»
V sposta lo sguardo tra noi, sorpreso dall’argomento della nostra
discussione.
«Chi ti dà gli ordini, V?» sbotto, riportando la sua attenzione su di me. E
quando lui mi indica, mi rivolgo a Keira. «Non conta niente quello che dici
tu, comando io.»
«E io dico che è una stronzata.»
«Peccato.»
V torna a concentrarsi su di me e io gli parlo ancora.
«Rimani di guardia. Nessuno entra qui a meno che non sia in corso
un’emergenza medica, e dev’essere personale autorizzato. Mi dicono che
devo riposare, per poter scatenare l’inferno su questa città e su chiunque sia
stato.» Faccio un sorriso sbilenco in direzione di Keira.
V annuisce e si dirige alla porta. Quando si richiude alle sue spalle, la
stanchezza mi piomba addosso, ma riesco ancora ad allungare la mano per
afferrare quella di Keira, e lei la stringe.
Tutta questa situazione – con lei che non mi combatte, e non cerca di
fuggire via – è surreale. Esattamente come il fatto che io le do retta.
«Non ti permetterò...»
La interrompo con un’occhiata. «Non dovevo riposarmi per essere
pronto alla vendetta?»
Keira solleva le sopracciglia. «Mi darai davvero ascolto?»
«A una condizione.»
«Quale?» risponde senza esitazione.
«Che riposi anche tu.»
La sua bocca si contorce in un’espressione di sfida, ma questa volta per
una ragione del tutto diversa dal solito. «Io faccio la guardia. Tu riposi.»
«C’è V fuori che la fa. Nessuno passa con lui, cazzo, quindi riposati. Ho
bisogno che tu stia bene. Ho dei progetti per te, donna.»
Keira mi studia per qualche attimo prima di replicare. «Se io lo faccio lo
farai anche tu?»
«Sì.»
«D’accordo.»
Mi tende la mano e io la stringo, sigillando il patto.
In qualche modo, in mezzo al caos, le nostre posizioni sono cambiate.
Non sono più io che la costringo a piegarsi ai miei desideri perché non ha
scelta. Ora siamo alla pari. Soci.
È una sensazione nuova che dovrebbe spaventarmi a morte, ma non mi
sembra affatto una debolezza. Anzi, non mi sono mai sentito così forte.
Mi addormento tenendo le dita intrecciate alle sue.
7
Keira

Sono comunque la prima a svegliarsi, anche se sono strafatta di


antidolorifici. Mi sono costretta a riprendere conoscenza perché dovevo
assicurarmi che Lachlan respirasse ancora.
Le mie ferite non mi interessano minimamente, sono molto più
preoccupata per lui. Il suo viso è teso anche nel sonno.
Ho giurato di odiarlo fino al mio ultimo respiro. Che non gli avrei mai
dato ciò che voleva, costruendo mura impenetrabili intorno al mio cuore,
anche se mi avesse confuso la testa costringendo il mio corpo a tradirmi.
Lachlan Mount invece ha abbattuto quelle mura. Quando si è girato di
schiena, usando se stesso come scudo umano, ho capito perfettamente qual
era il mio posto. Lo sapevo prima ancora di accorgermi che gli avevano
sparato.
A essere onesta fino in fondo, però, non è allora che le mie mura hanno
iniziato a franare. No, quel cemento ha cominciato a cedere quando ho
capito che mi stava portando a Dublino per realizzare il sogno della mia
vita, anche se quel sogno non lo riguardava.
Non ho ancora avuto modo di porgli le mie domande, ma scommetto
qualsiasi cosa sul fatto che l’altruismo rappresenti una novità per Lachlan
Mount.
La porta si apre di nuovo ed entra V.
L’ennesimo cambiamento, visto che nella mia testa non lo chiamo più
Scar. Perché non è più uno dei responsabili della mia prigionia, ma un altro
uomo disposto a morire per me.
«Va tutto bene?» sussurro.
So che non mi risponderà, e anche se la mia amica Magnolia sostiene
che Lachlan gli ha tagliato la lingua, sono sicura al cento per cento che si
sbaglia. Lealtà come quella che V dimostra al suo capo non nascono dalla
paura e dall’intimidazione. Sono frutto di rispetto.
V annuisce, ma mi porge qualcosa.
La mia borsa. E nell’altra mano? Il mio cellulare.
Li appoggia entrambi sul letto accanto a me, facendo più volte cenno in
direzione del telefono.
Lancio un’occhiata allo schermo e vedo diverse chiamate perse di mio
padre e dei messaggi di Temperance.
Merda. È l’una del pomeriggio, e siamo un giorno avanti rispetto a
quello che pensavo.
Ho dormito molto di più di quanto credevo.
Non aiuta certo il fatto che abbia perso la cognizione del tempo per via
del cambio di fuso orario dopo il volo, per i farmaci, e per la mancanza di
un orologio in questa stanza.
Sblocco il display e per prima cosa leggo gli sms.
Temperance: I NOSTRI TELEFONI SQUILLANO INCESSANTEMENTE. TUO PADRE.
LA STAMPA. L’ENTE DEL TURISMO. I DISTRIBUTORI. TUTTI VOGLIONO SAPERE DEL
PREMIO VINTO AL GWSC. SO CHE ANDARCI È STATA UNA DECISIONE
DELL’ULTIMO MINUTO, MA DEVO PUR DIRGLI QUALCOSA, CAPO. AIUTAMI.
Temperance: STAI BENE? DOVE SEI?
Temperance: KEIRA, PER FAVORE, RISPONDIMI. TUO PADRE HA DETTO CHE
DOMATTINA PRENDERÀ UN AEREO E VERRÀ QUI.
L’ultimo sms è di un’ora fa.
Merda. Ora come ora non voglio mio padre neanche nei paraggi di New
Orleans. Soprattutto vista la situazione in cui mi sono ficcata. Lachlan mi
ha giurato che avrebbe tenuto la mia famiglia al sicuro e io gli credo, ma
continuo a non volerli qui.
Verifico le tacche e scopro di non avere connessione.
Guardo V. «Devo fare delle telefonate. Mandare messaggi. Devi
aiutarmi. Devo impedire a mio padre di venire qui.»
V getta un’occhiata alla sagoma di Lachlan addormentato nel letto e poi
guarda di nuovo me. È combattuto tra noi due, non sa verso chi mostrare la
sua lealtà.
«Mi bastano pochi minuti. Per favore, è importante. Credimi, non ti
chiederei di allontanarmi da lui se non fosse davvero necessario.»
Qualcosa lo convince, non so se le mie parole o il tono che ho usato, ma
annuisce e alza un dito. Il gesto universale per dire aspetta un secondo.
Lascia la stanza e torna poco dopo con l’infermiera che mi ha impedito di
togliermi la flebo dalla mano.
«Ha bisogno di qualcosa? Che succede?» Sposta lo sguardo da me a
Lachlan.
«Ho bisogno che mi liberi. Devo fare alcune telefonate. È di estrema
importanza.»
Socchiude gli occhi. «Ha l’approvazione di Mount?»
«Glielo spiegherà lei come mai non ha eseguito un ordine così semplice?
Perché le assicuro che a questo punto per lui respingere una mia richiesta è
come respingerne una sua.» Il tono che uso non invita alla discussione e
pronuncio ogni parola ostentando autorità.
La mia affermazione la scuote e decide in un lampo. «Mi dia un
momento per liberarla, signora.»
La sua voce è innegabilmente rispettosa. Con movimenti rapidi ed
efficienti mi toglie gli elettrodi dal petto e mi stacca la flebo.
«Non ne ha più bisogno, ma è meglio se gli dice che ha voluto toglierla
lei, o passerò dei guai.»
«Non si preoccupi. So gestirlo.» Rivolgo un’occhiata a V che mi aspetta
in silenzio. «Vai a scegliere qualcuno che ti sostituisca fuori dalla porta.
Qualcuno di cui ti fidi ciecamente.» Gli indico con la testa la figura
addormentata di Lachlan.
V mi fa segno di aver capito e alza ancora una volta un dito prima di
sparire.
Quando torna io sono già in piedi, più instabile di quanto voglia
ammettere, e lui mi accompagna fuori dalla stanza. Sulle prime non
riconosco i due uomini all’ingresso, ma so di averli già visti.
Sono quelli che hanno afferrato Lachlan quando è caduto.
«Abbandonatelo anche solo per un secondo e vi uccido entrambi con le
mie mani. Sono stata chiara?» Formulo la minaccia senza esitazioni e lo
shock nei loro volti è quasi comico.
Mi sorprende soprattutto il piacere che ho provato nel dare quell’ordine.
A questo punto mi sento pronta a compiere azioni che prima non avrei mai
considerato. Ho venduto il mio corpo per tenere al sicuro la mia famiglia e i
miei amici. Ora venderei l’anima per proteggere Lachlan.
«Sì, signora. Nessuno passerà da qui» risponde uno degli uomini.
Rivolgo a entrambi un cenno di assenso e loro ricambiano il gesto con
rispetto.
I cambiamenti continuano ad aumentare.
Non sono più una prigioniera. Sono la consorte del re.

«Dove cavolo sei stata? È un’eternità che provo a contattarti» è il saluto di


Temperance.
Mi fa male la testa con il telefono all’orecchio, ma mi sforzo di
respingere il dolore. «C’è stato un ritardo imprevisto mentre tornavo da
Dublino. Mi spiace di non essere riuscita a telefonarti prima.» Sono
orgogliosa di quanto suoni professionale quella scusa del cazzo, e di quanto
la mia voce sia ferma.
«Ritardo imprevisto?» Se mi va bene, è soltanto scettica.
«Raccontami cosa sta succedendo, così possiamo sistemare tutto. Poi ho
io delle cose da dirti. Cose che non puoi ripetere a nessuno. E con nessuno
intendo proprio nessuno.»
A quel punto la mia assistente si calma. «Keira, c’entra per caso
quell’autista che hai assunto di punto in bianco un paio di settimane fa?»
Non mi meraviglia tanto che abbia notato V, quanto che si sia decisa ad
affrontare l’argomento solo ora.
«Sì, ma prima gli affari. Poi ti racconto il resto.»
Temperance parte con una lista di cose che richiedono la mia attenzione,
tutte derivanti dall’annuncio che lo Spirit of New Orleans ha portato a casa
un premio prestigioso. E adesso mi viene in mente che quel premio
potrebbe avermi salvato la vita deviando la pallottola fuoriuscita dal corpo
di Lachlan. Avrebbe senso, considerata la lacerazione che avevo al fianco
destro, là dove tenevo la bottiglia di vetro, che probabilmente è rimasta
nell’auto crivellata. Ma non intendo raccontarlo alla mia assistente.
«Allora, la stampa vuole una dichiarazione e vuole sapere se è prevista
una data di rilascio al pubblico. L’ente del turismo, visto il forte interesse
della stampa, chiede quand’è che faremo partire le visite. Tuo padre, invece,
vuole capire come cavolo hai fatto a trovare i soldi per andare al GWSC.
Ah, e tutti i nostri distributori vogliono scoprire quando riusciranno a
metterci le mani sopra.»
Respiro lentamente, cosciente di non essere al meglio, e mi concedo due
secondi per elaborare tutte le informazioni e per rientrare nei miei panni di
amministratore delegato.
«Butta giù un comunicato stampa. Informa i vari media che lo Spirit of
New Orleans verrà immesso molto presto sul mercato in edizione limitata
ed esclusiva, e che manderemo loro delle bottiglie in anticipo così che
possano recensirlo.» Faccio una pausa. «Di’ a Jeff Doon che apporteremo
delle migliorie sulla base di alcune pratiche che ho appreso visitando una
distilleria di Dublino, e che non appena avremo incrementato le misure di
sicurezza saremo pronti a partire. Digli pure che sarà compito suo
coordinarsi con gli inviati della stampa perché siano i primi a sperimentare
l’ultima attrazione di New Orleans.»
«Mi piace, capo. Sto prendendo appunti.»
«Bene. Passiamo ai distributori: fai in modo che ricevano lo stesso
comunicato stampa, e digli che prenderemo i loro ordini in anticipo, ma che
ci aspettiamo un acconto come garanzia, perché prevediamo di vendere le
prime partite nel giro di poco.»
«Oooh. Sei senza pietà. Questa suona anche meglio.»
Sono tentata di dirle che ho imparato dal migliore, ma mi trattengo.
Invece mi prendo un altro istante per rendermi conto di quanto Lachlan mi
abbia cambiato. L’autostima e il carisma che ho sviluppato non sono una
coincidenza: lui mi ha spinto a credere in me stessa, e questa è stata solo
una crepa nelle mura che circondavano il mio cuore e alla fine sono
crollate. Sorrido, e per la prima volta da quando ho preso possesso della
scrivania nel seminterrato, mi sento un amministratore delegato.
Eccomi quindi al problema successivo.
«A mio padre ci penso io. Non voglio che lui, la mamma o le mie sorelle
vengano qui per nessun motivo.»
Dall’altra parte del filo Temperance assume un tono riservato. «Ha a che
fare con le altre cose che devi dirmi?»
Per un momento mi chiedo se sia saggio condividere certe informazioni,
ma la mia assistente deve essere preparata. Per quanto ne so di Lachlan
Mount, finché là fuori esisterà una possibile minaccia contro di lui, e quindi
contro di me, non mi lascerà tornare alla mia vita normale, neanche in
piccola parte.
«Sì. E devi giurare su quello che hai di più caro di non dire niente a
nessuno. Fallo e potrebbe letteralmente costarti la vita.»
Temperance, invece di partire con una raffica di domande come mi
aspettavo, rimane in silenzio per diversi secondi. Se fossi in lei, vorrei
sapere se sto chiamando dal reparto psichiatrico dell’ospedale e se è per
questo che non è riuscita a contattarmi. Invece mi sorprende.
«So che pensi che nella vita tutto sia bianco o nero, Keira, ma per alcuni
di noi il grigio è molto più calzante. Qualunque cosa mi dirai rimarrà tra me
e te. Conosco già una marea di roba che potrebbero spedirmi sottoterra, e so
tenere la bocca cucita. Non è la prima volta che la mia esistenza, o
l’esistenza di qualcuno che amo, dipende da questo.»
Non mi aspettavo certo questa risposta, ma è tutto ciò che mi serve
sentire.
«Un giorno mi dirai cosa intendi, ma adesso non abbiamo tempo.»
«Ci sto, capo. Arriviamo al nocciolo della questione.»
«Per un po’ non tornerò in ufficio.»
«Cavolo, ora desidero davvero concordare con te una parola d’ordine nel
caso ti rapiscano.»
Non posso evitare di ridacchiare, e il mio corpo reagisce con una fitta.
«Già, probabilmente una parola d’ordine ci sarà utile, ma non oggi. Ho
avuto un piccolo incidente, e la mia sicurezza potrebbe essere...»
Temperance mi interrompe in preda al panico. «Incidente? Stai bene?
Cosa è successo?»
«Sto bene, però... le conseguenze di questo incidente vanno oltre me.
Non posso dirti tutto, ma ho bisogno che mi subentri e assumi il ruolo di
nuovo direttore operativo. Devi gestire l’attività in prima persona mentre io
lavorerò da remoto.»
La sua prima risposta è un respiro trattenuto. «Sto leggendo tra le righe,
Keira, e non mi piace.»
Deglutisco e tengo a bada il dolore, decisa a gestirlo come un vero capo.
«Sono al sicuro, e sono certa che non mi succederà niente. Ma per fare in
modo che tutto fili liscio, ho bisogno che tu faccia esattamente ciò che ti
dico.»
«Okay. La smetto con le domande. Facciamola breve: dimmi di cosa hai
bisogno.»
Passo altri cinque minuti a impartire nuovi ordini a Temperance, oltre a
confermarle l’aumento che le ho promesso. «Sarà già nel tuo prossimo
assegno.»
«Sei sicura?»
«Sì.»
Non mi preoccupo che sia il denaro di Lachlan a finanziare
temporaneamente l’aumento, perché il Seven Sinners, sempre grazie allo
stesso uomo, sta per scalare la classifica mondiale del whiskey. Oppure sto
solo diventando quel capo che credo di poter essere per merito suo. Un altro
cambiamento.
«Ho quello che mi serve. Tranne... posso dirti di fare attenzione? Lo so
che non mi hai rivelato tutto, ma mi basta per capire che è una situazione
seria. E se ha a che fare con ciò che penso, per favore, stai attenta alle tue
prossime mosse.»
«Certo, ti ringrazio.»
Rimane in silenzio per un altro attimo. «Okay, ora è meglio se chiami
tuo padre.»
«È la prossima voce sulla lista. Grazie per avermi ascoltato... e aver letto
tra le righe.»
«Aspetto sempre una parola d’ordine.»
«Prometto di inventarmi qualcosa sullo chardonnay o il prosecco.»
Temperance scoppia a ridere. «Così saprò che sei nella merda.»
«Esatto.»
Aggancio e resto a fissare il telefono, cercando il modo giusto per
cominciare la prossima conversazione.
8
Mount

«Dove cazzo è finita Keira?»


Non sono molto orgoglioso di dire che, quando apro gli occhi e vedo il
letto accanto al mio vuoto e il tubo della flebo penzolante, do letteralmente
di matto.
La porta si spalanca, Z e D si precipitano dentro.
«Dov’è lei?» chiedo, ed entrambi avvertono la velata minaccia nella mia
voce.
«Insieme a V. Doveva fare delle telefonate. Di lavoro. E alla famiglia.»
Il mio primo istinto è di farla sdraiare sulle mie ginocchia e sculacciarla
per essersi allontanata senza il mio permesso, ma cerco di controllarmi.
«Dove?»
«Di sopra, perché qui dentro siamo ancora senza segnale. Ordini suoi,
capo.»
V sa che se succedesse qualcosa a Keira mentre è sotto la sua custodia
pagherebbe con la vita, e ha già dimostrato di essere pronto a sacrificarsi
per me. Mi aspetto che faccia altrettanto per lei.
«Riportatela subito qui.»
«Ma, capo, la signorina Kilgore ci ha detto che non dovevamo
abbandonarla per nessun motivo. Ha detto...»
Quando Z si interrompe, lo invito a continuare. «Che cosa ha detto?»
«Che ci avrebbe ucciso con le sue mani se la lasciavamo da solo.»
Un sorriso mi solletica le labbra. Il fatto che ora Keira stia dando ordini
ai miei dipendenti è una vera sorpresa. Una parte di me pensava che le sue
affermazioni di prima fossero condizionate dai farmaci, dall’adrenalina e
dallo shock, ma a quanto pare si sbagliava. Keira sta assumendo quel ruolo
che non ero sicuro accettasse, e lo sta facendo senza che la incoraggi.
«E voi le avete creduto.»
I due annuiscono. «Sembrava seria, signore.»
Mi concedo di sorridere. La mia piccola ribelle.
«Mandate qualcuno di sopra a comunicarle che è stata richiesta la sua
presenza.»
La porta, ancora socchiusa, si apre del tutto.
«È stata richiesta la mia presenza? Suona terribilmente formale.»
Persino con addosso un camice color puffo di due taglie più grande,
Keira mantiene il portamento di una regina. Rivolge agli uomini un cenno
della testa e i due lasciano la stanza chiudendosi la porta alle spalle, mentre
lei si dirige al suo letto dal lato più vicino al mio.
«Hai sistemato le tue cose?»
«Sì. Per quanto possibile ho delegato Temperance: svolgerà il ruolo di
direttore operativo in mia assenza. Mio padre invece l’ho incastrato col
senso di colpa, e senza provare rimorsi, aggiungerei. Gli ho detto di non
raggiungermi finché non sarò pronta ad accoglierlo.»
L’accenno al padre mi gela. «Non è un buon momento per far venire la
tua famiglia in città.»
«Lo so. Non lo faranno. Hai qualcuno che può proteggerli? Tutti?»
«Sì. Li terrò sotto sorveglianza fino a nuovo ordine: un ordine che non
ho alcuna intenzione di dare. Ti ho fatto una promessa, e la manterrò.»
Keira si ferma tra i due letti. Avverto che è a corto di energie dopo gli
ultimi spostamenti. Nelle sofferenze io riesco anche a farmi forza, ma solo
perché non ho mai avuto alternative. Lei non dovrà mai farlo.
«Ti ringrazio.»
«Non occorre che mi ringrazi.» Mi allungo ad afferrarle la mano. «Vieni
qui.» La attiro con gentilezza mentre mi sposto nel letto, ignorando il dolore
provocato dalla ferita d’arma da fuoco.
«Non c’è spazio.»
«Stronzate.»
La bocca le si incurva in un’espressione caparbia, ma si avvicina
comunque e ci sdraiamo cercando di stare il più comodi possibile. Quando
parlo di nuovo il suo volto è a pochi centimetri dal mio.
«Hai detto che non mi avresti lasciato, e poi mi risveglio da solo.»
«Un’emergenza. Però mi sono assicurata che ci fosse qualcuno di
guardia.»
Scuoto la testa. «Non è compito tuo.»
«Tu non avresti fatto lo stesso per me?»
«È diverso.»
Mi fissa. «No, non lo è. Non so come siamo finiti in questo casino, ma
so che noi lo supereremo insieme.»
Noi. La parola mi risuona nel petto. Non sono mai stato parte di un noi,
ma il modo in cui lo dice, e il modo in cui si è fatta avanti, ora che la posta
si è alzata, mi fanno capire che questa è l’unica donna in grado di stare al
mio fianco.
«Okay dare ordini ai miei uomini, ma mai a scapito della tua sicurezza
personale. Questa è la regola.»
«Va bene» replica lei con evidente riluttanza.
«Dobbiamo fare un altro patto.»
La sua mano stringe la mia, e io sono dipendente dalla naturalezza dei
suoi gesti. «Sono pronta a sentire le tue condizioni, Lachlan.»
Sorrido di nuovo nel sentirla usare il mio nome: lo sto facendo un po’
troppo spesso per i miei gusti, ma forse un giorno mi abituerò alle mie
labbra che si curvano all’insù. Oppure per riequilibrare le cose potrei
tornare a inondare le strade di sangue.
«Eccole: a meno che non sia irraggiungibile, privo di sensi o in pericolo,
sono io a dare ordini ai miei uomini.» La sua bocca si apre per protestare,
ma io continuo prima che riesca ad articolare una sola parola. «Però farò
presente a tutti che un qualunque tuo ordine ha lo stesso peso dei miei.»
Stringe le labbra per un attimo prima di rispondere. «Può andare.»
«Secondo: se ti dico di fare qualcosa per metterti in salvo, tu la fai
subito. A questo punto avrai capito che starmi vicino significa trovarsi
spesso in pericolo di vita.»
«Sì, è chiaro.»
Il fatto che non ribatta mi accende un nuovo sentimento nel petto:
speranza per il futuro.
«Infine... sono sempre io a dettare le regole in camera da letto.»
Keira solleva il mento con quella ostinazione che ormai so riconoscere.
«Intendi mentire e dirmi che non ti piace?»
Lei scuote la testa. «No. Ma ogni tanto mi piacerebbe prendere il
controllo.»
«Vedremo.»
Questa volta un sorrisetto malizioso le attraversa il viso.
«Ancora una cosa.»
«Quale?» chiede quasi divertita.
«Baciami.»
Si morde il labbro e poi si allunga a sfiorarmi la bocca e io le rispondo
con altrettanta leggerezza. Quando mi allontano, mi porto dietro il sapore di
lei sulla lingua.
«Finché non guarisci non mi darai nessuno di quegli ordini» mi intima.
«Finché tu non sarai guarita» la correggo.
«Affare fatto.»
Prendo un lungo respiro, con calma. Non vorrei cambiare discorso, ma è
il momento. Prima di perdermi in lei e nel futuro che ci attende, devo
rispondere alle sue domande e dirle la verità.
È ora di mostrarle fino a che punto la mia anima è nera, e scoprire se
scapperà in direzione opposta.
Esattamente la scelta che dovrebbe fare.
9
Keira

«È arrivata l’ora di farmi le tue domande.»


Il repentino cambio di argomento in seguito alla nostra trattativa mi
mette in agitazione, e mi chiedo perché stia insistendo. Ma non glielo
domando. Ho la sensazione di conoscere già la risposta.
È un test. Questa prova deciderà se sono all’altezza dei miei nuovi
intenti e della posizione che rivendico, o se fuggirò urlando dalla stanza.
Sono abbastanza certa che farebbe saltare il nostro accordo se glielo
chiedessi. Anche lui è cambiato. Lo sento.
«Hai paura che scappi via non appena mi avrai risposto?»
«È questa la tua prima domanda?» Il tono è asciutto, ma percepisco il
messaggio implicito.
«No, la premessa. Voglio solo capire perché ci tieni tanto.»
Gli occhi bui di Lachlan mi trafiggono. «Non giudicarmi nel modo
sbagliato, Keira. Io non sono un uomo buono. Se ti aspetti una risposta
virtuosa a tutte le tue domande, resterai delusa. La tua prima impressione su
di me sarà sempre la più giusta.»
Le sue parole mi fanno tornare in mente cosa ho provato durante il
nostro primo colloquio nel mio ufficio. Ho sentito paura, ma anche altro: ha
attirato completamente la mia attenzione, mettendomi in allerta. La sua
reputazione mi spaventava, ma emanava un’energia che mi ha subito
risucchiata, prima ancora che mi accorgessi di essere in pericolo.
In realtà non è corretto dire che quella è stata l’impressione iniziale,
perché lo avevo già incontrato, anche se non sapevo chi fosse. La sera del
ballo in maschera. La sera che a mia insaputa ha cambiato il corso della mia
vita.
Ecco quale fu la mia prima vera impressione su Lachlan Mount: questo è
l’uomo che aspetto da tutta la vita, e che voglio tenermi stretto per sempre.
Quindi non conta cosa sta per scagliarmi addosso, io mi aggrapperò a
quel ricordo e a tutto quello che ha fatto da allora per dimostrarmi che
avevo ragione.
«Procediamo» gli dico senza esitazione.
«Allora spara pure.»
È quasi come se mettesse in dubbio le mie certezze, ma così mi rende
solo più risoluta. Forse si tratta di psicologia inversa. O forse è solo un’altra
paranoia, ma non credo: sono convinta che Lachlan si stia aprendo con me,
per quanto ne sia capace.
«Bene. Allora partiamo da una domanda semplice. Hai pagato tu mio
marito perché sparisse e simulasse la propria morte?»
Non mostra alcun rimorso. «Sì, ma questo lo sapevi già.»
«Lo hai ucciso?»
Lachlan si zittisce, e io mi chiedo se risponderà. Lo fa dopo qualche
istante. «Non ti dirò mai se ho ucciso o no qualcuno. Non perché non mi
fidi di te, ma perché non ti metterò mai nella posizione di dover sopportare
un tale peso, o di dover testimoniare su delle mie dichiarazioni.»
Mi mordo il labbro perché non è assolutamente quello che mi aspettavo.
Mi immaginavo un sì chiaro e definitivo, ma questa replica è molto più
complessa: ha in sé tutta l’onestà che potevo pretendere, e in qualche modo
mi fa sentire più al sicuro di come sarei stata con l’altra risposta.
È a questo punto che ho un’illuminazione: Lachlan Mount non sta solo
proteggendo il mio corpo, sta tentando di proteggere la mia anima dai
peccati che macchiano la sua.
Un’ondata di emozione mi travolge mentre assimilo la nuova scoperta.
Dice di non essere un brav’uomo, invece è decisamente migliore di quello
che potrebbe aver assassinato. Non ho dubbi al riguardo, ma devo sapere
comunque se Brett tornerà o se è sparito per sempre. Ho bisogno di questa
certezza: potrò andare avanti o dovrò temere che il mio passato torni a
perseguitarmi?
«Keira?» Lachlan mi pungola, facendomi capire che sono rimasta in
silenzio più di quanto pensassi. «Ci fermiamo alla prima domanda?»
Scuoto appena la testa. «No, sto solo... riflettendo.»
«E?»
«Devi dirmi se lui tornerà. Non mi servono i dettagli. Ho solo bisogno di
mettere un punto.»
Il volto di Lachlan si fa serio mentre dichiara: «Non dovrai più
preoccuparti di lui».
Dentro di me si sta già scatenando un vortice di sensazioni nuove, e
queste parole aggiungono una sana dose di sollievo al tutto.
«Ti ringrazio» sussurro.
Sembra sorpreso dalla mia reazione. «E perché dovresti ringraziarmi per
questo?»
«Perché non voglio più rivedere la sua faccia finché vivo.»
«Non succederà. Prossima domanda.»
Restiamo entrambi in silenzio per diversi secondi mentre scelgo il
quesito successivo. In fin dei conti, c’è una sola questione che non sono
proprio riuscita a spiegarmi.
Riguarda la sera in cui ho deciso che era l’uomo per me, quello che
aspettavo da tutta la vita: ancora non riesco a mettere insieme i vari pezzi
per capire com’è andata. Sembra quasi che ci sia stato un intervento divino,
ma ho bisogno di conoscere la verità.
«Come hai avuto il mio biglietto la sera del ballo in maschera?» Quando
ho scoperto che l’uomo era Lachlan e non Brett, l’ho attaccato ferendolo
profondamente, ma non è certo questo il mio intento ora.
«Il punto non è come, ma da chi» risponde con prudenza.
Diverse ipotesi si scatenano nella mia mente, mentre l’ansia aumenta a
ogni secondo che passa.
«Da chi?»
«Magnolia Maison.»
10
Mount

Vedo il volto di Keira sbiancare. Vorrei non essere stato costretto a dirglielo,
ma le ho promesso di non mentire più. E poi era necessario che lo sapesse,
anche se io desidero proteggerla da quella sensazione di tradimento che di
sicuro sta provando.
«Magnolia ti ha dato il biglietto? Come? Non capisco, perché l’avrebbe
fatto? Hai detto che pensavi che io fossi un regalo. Non ha senso.»
Vorrei avere risposte migliori per lei, ma non ho tirato in causa Magnolia
a questo scopo. «Non so quali fossero le sue ragioni, ma ne aveva
sicuramente una.»
«Ma...»
Sofferente. È l’unico modo in cui posso descrivere il suo viso. Intreccio
le dita alle sue e le stringo la mano: non voglio che questa faccenda si
insinui tra noi e finisca per allontanarci.
«Magnolia è una maîtresse. Si è fatta strada perché aveva le ragazze
migliori e le metteva a disposizione di chiunque per qualsiasi cosa.»
«Ma perché avrebbe coinvolto me?» È scioccata e lascia andare la mia
mano, spalancando la bocca per la meraviglia. Poi si mette a sedere con una
smorfia di dolore: prima che riesca a fermarla ha già abbassato le gambe
oltre il bordo del letto.
Voglio prenderla tra le braccia e impedirle di muoversi, soprattutto
perché odio vederla soffrire, ma è così che lei elabora i fatti. Ormai l’ho
imparato, e le lascio il suo spazio. Almeno per qualche istante.
Se solo potessi risparmiarle... ma non posso. Merita di conoscere la
verità.
«Lei sapeva che il biglietto doveva essere consegnato a Brett. Lei...»
Keira si interrompe, e io riesco a capire dove vuole arrivare.
«Ti ha suggerito lei di scriverlo?»
Annuisce, come se fosse a corto di parole, mentre le emozioni si
alternano sul suo volto. Prima che questa conversazione finisca, voglio che
almeno un concetto sia chiaro: sono maledettamente grato di aver ricevuto
quel biglietto.
Mi allungo a stringerle la mano. «Guardami, Keira.»
I suoi occhi si abbassano su di me.
«Tralasciando il come o il perché lo abbia fatto, ricevere quel biglietto è
stata la cosa migliore che mi sia mai capitata. È così che sei entrata nei miei
radar. Senza, non ti avrei mai notato.»
Lei deglutisce e mi fa un cenno di assenso con il capo. «Non è questa la
parte che mi crea problemi. Davvero, te lo giuro. Non cancellerei quella
notte per niente al mondo.» Ricambia la mia stretta.
Le sue parole e il suo tenermi la mano mi riempiono di nuova speranza.
Siamo più forti di questo. Più forti delle circostanze che ci hanno unito. Le
ragioni di Magnolia non contano più per me, ma so che hanno importanza
per Keira, e comprendo perché le occorrano risposte.
Sfortunatamente, non sono in grado di dargliele. L’unica altra piccola
informazione che ho, spero non le causerà ulteriore dolore.
«Ho ricevuto il biglietto tramite un corriere, e la cosa mi ha incuriosito.
Magnolia diceva di avere una persona veramente speciale, e il suo anonimo
dispensatore di regali pensava che avrei gradito conoscerla. Mi garantiva
che non avrei mai trovato un’altra donna che reggesse il confronto, e aveva
ragione. Tu sei ineguagliabile. Nessuno può dimenticarti.»
11
Keira

La mano di Lachlan stringe con forza la mia e io assorbo la sua energia,


persino adesso che devo affrontare l’innegabile shock dell’inganno messo
in piedi da Magnolia.
Prima d’ora non pensavo che si potesse essere preda di due emozioni
opposte. Sono grata che Magnolia mi abbia fatto incontrare Lachlan, ma
provo un’indiscutibile sensazione di tradimento.
Mentre da un lato mi dipingeva quest’uomo come più spaventoso del
diavolo in persona, dall’altro mi spediva tra le sue braccia. Non poteva
certo sapere come sarebbero andate le cose. Oppure sì?
Io... io proprio non capisco.
«Non so se la mia migliore amica giocava a fare cupido o se voleva
trasformarmi in una puttana.»
Lachlan mi stringe di nuovo la mano e con l’altra mi afferra il mento.
«Non provare neanche a dirlo. Ci ha fregato entrambi, Keira. Da vera
esperta. Ti ho detto che è la migliore in quello che fa per un motivo preciso.
Lei mi conosceva. Sapeva cosa poteva piacermi, forse più di quanto lo
sapessi io. E così ti ha messo sulla mia strada: aveva capito che saresti stata
l’unica donna che avrei continuato a desiderare. Eri la droga perfetta. Ha
scommesso che ne sarei diventato schiavo dopo un solo incontro, e aveva
ragione.»
Sono esterrefatta per l’ennesima volta negli ultimi minuti, e non solo
perché mi sentivo esattamente così dopo quella sera. Desideravo di più. Ne
avevo assoluto bisogno. Cristo, il giorno dopo, ho sposato il tizio con cui
pensavo di essere stata.
«Non capisco le sue motivazioni, però. È questo che non ha senso.» Ed è
davvero l’unica parte che mi disorienta completamente. Si trattava di un
altro caso in cui Magnolia sa sempre qual è la cosa migliore? O stava
giocando alla roulette russa con la mia vita?
«Vorrei avere una risposta per te, ma non ce l’ho. Magnolia Maison non
è arrivata dove si trova ora senza seguire una strategia. È intelligente. Si
muove con cautela. L’ho sempre rispettata. Ma devi sapere un’altra cosa
importante.»
Mi preparo a un’altra confessione che non sono certa di gestire.
«Quale?»
Lo sguardo scuro di Lachlan si addolcisce, mentre con il pollice mi
accarezza la guancia. «Due giorni dopo il ballo in maschera non riuscivo a
smettere di pensare a te. A quanto eri stata fottutamente incredibile,
reclamando quello che volevi, e allo stesso tempo concedendomi tutto.»
Le sue parole mi accendono nell’intimo, mentre i ricordi scorrono nella
mia testa: la sensazione di tradimento si attenua, perché mi concentro
sull’aspetto fondamentale, ossia dove mi ha condotto.
«Sono tornato da Magnolia e le ho detto che ti volevo ancora. Ma a
lungo termine. In esclusiva.»
«Davvero?» Lo shock mi fa sussultare.
Lachlan annuisce. «Certo che l’ho fatto. Quello che mi avevi dato e
richiesto era veramente unico. Lei aveva raggiunto il suo obiettivo. Sapeva
che mi sarei fatto accalappiare.»
Torno a essere confusa. «Cioè, secondo te, si aspettava che avrei
cominciato a lavorare per lei?»
«Non lo so, ma quando le ho chiesto informazioni sui termini e su come
potevo comprarti...»
Quando arriccio il naso per quel termine, lui mette il broncio.
«Piccola ribelle, io ero fatto così. Le donne per me erano proprietà. Da
possedere. Usare. E da dimenticare non appena le mie palle finivano di
pulsare. Non posso cambiare il passato.»
«Non occorre che quella parte mi piaccia.»
Mi trafigge con lo sguardo. «Io ero fatto così, prima di te» riprende,
sottolineando ogni parola. «Non riuscivo a toglierti dalla testa. Ti sei
insinuata nella mia vita. E hai cambiato tutto.»
La sua confessione mi conforta, ma resta comunque il fatto che
Magnolia mi ha mentito. Non è colpa di Lachlan, però, e non la scaricherò
su di lui.
«Allora, cosa è successo quando glielo hai chiesto?»
«Magnolia ha detto che l’avevi fatto solo per quell’occasione. Che eri
fuori dal giro, avevi bisogno di contanti e avevi accettato per un’unica
serata.»
L’oppressione che avvertivo sui polmoni si allenta appena. «Quindi non
aveva in mente di piazzarmi in giro.»
Lachlan scuote la testa. «No. Non capisco perché l’abbia architettato, ma
secondo me era sincera quando ha detto che eri una da una volta soltanto.»
Voglio crederlo, ma adesso non so cosa pensare della mia migliore
amica. Di certo non la ritenevo capace di una cosa del genere, perciò in
questo momento è difficile fidarsi di lei sotto ogni altro aspetto.
«Come puoi esserne così sicuro?»
«Perché le ho offerto una fortuna per passare un’altra notte con te, e lei
ha continuato a ripetere no.»
Ancora una volta le parole di un uomo che in passato mi spaventava
alleviano il dolore per un tradimento che scuote le mie fondamenta.
Poi intuisco il motivo per cui Magnolia non ha avuto scelta e lo ha
allontanato.
«Non poteva organizzarti un’altra notte perché io ero scappata con Brett.
L’ho sposato il giorno dopo spinta da quello che era successo al ballo in
maschera. Pensavo che lui fosse te. L’unica decisione impulsiva della mia
vita...»
Lachlan trattiene il respiro. «Vorrei essere andato da lei quella stessa
mattina: così saresti stata mia fin dalla prima notte. Ero furioso quando mi
ha detto che stavi per sposare un altro uomo e che eri fuori dalla mia
portata. Non facevi parte del nostro ambiente: furono queste le sue parole.»
«Non lo avrei mai sposato se avessi saputo...»
Con l’altro braccio mi cinge la vita e mi attira a sé, avvicinandomi le
labbra al viso. «Non ti avrei lasciata andare, cazzo. Per nulla al mondo.»
Mi bacia e io mi lascio trasportare, assorbendo il suo calore e la sua
convinzione. Quest’uomo, senza neanche saperlo, ha cambiato la mia
esistenza. Quando mi libera il mento, lo guardo negli occhi.
«Se hai dovuto lasciarmi andare per via di Brett, allora tutto questo»
indico lui e me «com’è successo?»
Assume un’espressione orgogliosa, più che di scuse. «Niente è fuori
dalla mia portata, Keira. Niente.»
Devo costringermi a non sorridere per la sua arroganza. In mezzo a
questo turbine di emozioni, una cosa è certa. Lachlan Mount non ha mai
avuto dubbi su ciò che voleva: me.
I vari pezzi iniziano a incastrarsi.
«Quindi tu... hai fatto in modo che accadesse. Sei stato tu che da quel
momento hai tirato tutti i fili.»
«Naturalmente. Di fronte a certi traguardi, nessuno sforzo è eccessivo.»
Come posso fargliene una colpa? In quale altro modo poteva farmi
innamorare di lui? Non riesco a immaginare un’altra strada che ci avrebbe
condotto qui. E questo rende tutta la faccenda ancora più complicata.
Ripenso alle parole di Magnolia: mi aveva detto che dovevo difendermi
e impedirgli di mettermi i piedi in testa. Che dovevo opporre resistenza.
Sapeva che così avrei alimentato il suo interesse? Forse devo riconsiderare
ogni affermazione della mia amica. Mentre rifletto, Lachlan prosegue il suo
racconto.
«L’ho costretta a dirmi il tuo nome. Ti ho rintracciato, ho capito chi
avevi sposato. E da quel giorno ho iniziato a tenerti d’occhio: mi sono
documentato, ho studiato le debolezze di Brett, ho scoperto che ti
ingannava. E poi ho aspettato...»
Si interrompe, lasciandomi impaziente di conoscere il seguito.
«Aspettato cosa?»
«Che capissi da sola chi era veramente. Mi sono imposto di rimanere a
distanza fino a quando non avresti tagliato i ponti con lui.»
«Perché attendere? Non è nel tuo stile.» Provo a darmi una spiegazione,
ma non ci riesco.
«Di solito no, ma tu eri diversa.» Inclina la testa.
Ancora un po’ confusa gli domando: «Stavi aspettando che toccassi il
fondo per approfittarne?».
Scuote la testa. «No, al contrario. Ti volevo al tuo massimo.»
«Ma se stavo crollando...»
«Non è così, Keira. Stavi imboccando la tua strada. Non credi che ci sia
voluto un gran coraggio per decidere di finirla?»
Batto le palpebre due volte. Ha ragione. Scegliere di porre fine al mio
matrimonio non è stata una passeggiata. Ho lottato e mi sono tormentata a
lungo. Faceva comunque un male cane ammettere quanto mi ero sbagliata,
persino in un matrimonio così breve.
«Quindi hai osservato e atteso. Questo spiega come hai individuato il
momento migliore. Quando sono andata da un avvocato e ho preso
l’appartamento, iniziando a sistemare le cose.» Mi premo due dita contro
una tempia mentre altri pezzi trovano il loro posto nel puzzle. Se non avessi
già un’emicrania, tutte queste riflessioni me ne farebbero venire una. «E
quel pezzo di merda ha accettato di prendere il denaro e andarsene, sapendo
che tu dopo mi avresti dato la caccia.»
Lachlan non cerca di negarlo. «Ho fatto quello che serviva per ottenere
ciò che desideravo.»
«Perciò in questa storia, fin dall’inizio, il denaro non contava nulla...»
Pronuncio le ultime parole sconvolta da questa rivelazione.
Lui alza una mano per infilarmi una ciocca di capelli dietro l’orecchio.
«No, Keira. L’unica a contare sei sempre stata tu.»
12
Keira

«L’unica a contare sei sempre stata tu.»


Il modo in cui lo dice mi provoca dei brividi lungo il corpo, ma la mia
non è paura. Non c’è più posto per la paura. Quei brividi sono scatenati da
qualcosa di completamente diverso: la certezza che nessuno mi ha mai
desiderato come mi desidera quest’uomo. Lo ha ammesso lui stesso. Io ero
la sua droga. Poteva far intervenire i suoi tirapiedi, infilarmi il cappuccio e
trascinarmi nel suo palazzo il giorno stesso in cui ha scoperto che avevo
sposato Brett, ma non l’ha fatto.
Lachlan Mount non è solo spietato, è un modello di perseveranza. Ha
detto che Magnolia è stata astuta, ma lui è un vero maestro della strategia.
Non posso incolparlo del risultato, ma devo riconoscere di essere stata solo
una pedina in una partita più grande di quanto avessi immaginato.
«Giocavi a scacchi con la mia vita, e io neanche sapevo di essere sulla
scacchiera.» Non sono arrabbiata. Provo solo a decifrare il mistero che
avvolge quest’uomo.
«È la vita, Keira, che è una partita a scacchi. Ogni fottuto giorno fai delle
mosse che determinano il tuo futuro.»
«E Magnolia mi ha trasformato in un suo pedone.»
«No.» Lachlan scuote la testa con lentezza, accarezzandomi ancora una
volta la guancia. «È qui che ti sbagli, piccola ribelle. Non sei mai stata un
pedone. Fin dal primo giorno sei stata la regina. Il pezzo più importante di
tutta quella cazzo di scacchiera.»
«In che senso?» D’un tratto vorrei essere stata più attenta quando da
bambina mio padre cercava di insegnarmi quel gioco.
«Il re è il pezzo di maggior valore, ma senza una regina al fianco il suo
potere è di gran lunga inferiore. Insieme è più probabile che vincano.» Si
ferma e mi sfiora di nuovo il viso come se fossi la cosa più preziosa che
abbia mai toccato. «Ho trascorso tutta la mia vita evitando di affezionarmi a
qualcuno. Pensavo che potesse essere una debolezza che i miei nemici
avrebbero sfruttato. Prima di conoscerti non avevo capito fino a che punto
mi sbagliavo. Tu mi hai dato forza e giuro su Dio che non permetterò a
nessuno di portarti via da me.»
La violenza delle sue parole dovrebbe spaventarmi, invece le trovo
confortanti. E poi lui aggiunge qualcosa che mi colpisce ancora più in
profondità.
«Tuttavia anche se non permetterei a nessuno di portarti via da me,
eccomi qui che ti offro la possibilità di rivolgermi tutte le domande che
vuoi. Di fare le tue valutazioni. E di prendere la tua decisione. Devo sapere
se sei in grado di affrontare una vita al mio fianco, Keira, perché se non ce
la fai, dovrò trovare il modo per lasciarti andare.»
Basta questa prospettiva a spezzarmi il cuore in un modo che non
credevo possibile: mi viene da piangere solo a pensarci.
«Se hai un’altra domanda, è il momento.»
Il mio cervello sta andando a mille all’ora ma non riesco a immaginare
nulla che mi faccia cambiare idea. Non ora.
Eccetto forse...
Mi copro la bocca con una mano mentre mi torna in mente quella prima
storia brutale che Magnolia mi raccontò su di lui. Di come aveva costretto
una donna a ballare sui vetri finché non si era tagliata i polsi. Non riesco a
conciliare quella diceria con l’uomo che ho di fronte. E non voglio neanche
dargli voce.
Lachlan nota la confusione sul mio volto e allenta la sua stretta.
«Chiedimelo, Keira.» È un ordine.
Prendo un bel respiro, raccogliendo il coraggio. Non so come reagirò se
mi sbaglio ed è vero. «Magnolia mi ha raccontato una storia su di te...»
La sua espressione si fa assente e dura: indossa quella maschera di
granito che non posso più vedere sul suo volto. È come se si aspettasse il
peggio, e forse è così.
«Circolano tante storie su di me, temo dovrai essere più specifica.
Alcune corrispondono a fatti reali, altre sono voci o leggende.»
Devo solo sputarlo fuori: è l’unica via. «La storia della donna costretta a
ballare su cocci di vetro. È vera?»
Non cambia per niente faccia mentre si allontana da me, e quella piccola
distanza tra noi ora sembra il Grand Canyon.
«Sì.»
13
Mount

Tengo a bada le emozioni in attesa dell’inevitabile: Keira fra poco mi dirà


che non può stare con un mostro come me. Io sono il diavolo in persona e
non c’è possibilità che lei desideri stare con un uomo capace di simili
azioni.
Lasciarla andare farà a brandelli quel che resta della mia umanità, ma
non la terrò intrappolata contro la sua volontà. Non ora. Abbiamo superato
quella fase. Se deciderà di andarsene, non la fermerò.
Il suo volto sbianca del tutto e il lampo di terrore che le attraversa lo
sguardo mi devasta.
Non voglio che mi tema, ma un uomo come me potrebbe meritarsi
qualcosa di diverso?
Lunghi attimi di silenzio ci dividono, poi Keira, la regina di cui non
sentivo il bisogno fino a quando non ci siamo ritrovati incastrati in una
situazione imprevista, ritrova la voce.
«Dimmi perché.»
La sua non è una domanda. È una richiesta, che neanche mi aspettavo:
non pensavo che le interessasse conoscere le ragioni di quell’atto.
«Ha importanza?»
Il cenno della sua testa è impercettibile, ma lo colgo.
«Sì, più di qualunque cosa ti abbia mai chiesto. Per favore, dimmi perché
avresti fatto una cosa del genere. Ho bisogno di credere che ci sia stato un
motivo.» È sull’orlo del pianto e preferirei prendermi un’altra pallottola in
corpo anziché sentire la sua voce spezzarsi così.
Non giustifico mai le mie azioni. Con nessuno. Ma so che in questo caso
devo fare un’eccezione o la perderò per sempre.
Distolgo lo sguardo, perché non voglio guardarla in faccia mentre le
racconto la storia.
«Circa dieci anni fa, c’era un ragazzino che ballava il tip tap agli angoli
delle strade del quartiere, vicino a Jackson Square. Lo vedevo praticamente
ogni volta che uscivo da qui. Sempre lo stesso ragazzino, un giorno dopo
l’altro. Le persone credono che quando sei il capo non noti i dettagli, ma è
un grosso errore. Quando detieni un potere come il mio, sai che i dettagli
fanno la differenza tra la vita e la morte. In quel caso non si trattava di un
particolare rilevante: che significato poteva avere per me incontrare ogni
giorno lo stesso ragazzino? Eppure c’era qualcosa che mi rivoltava lo
stomaco.»
Mi fermo, e rivedo l’espressione sul volto di quel ragazzino, poi mi
impongo di continuare. «Ogni volta che lo incrociavo, era sempre più
strano. Avrebbe dovuto essere a scuola, o almeno così pensavo. Al massimo
poteva avere sei o sette anni, non ne sono sicuro, ed era tutto pelle e ossa.»
Sento Keira trattenere il respiro, sconvolta dal quadro che le ho
tratteggiato, ma non la guardo. Sono troppo immerso nei ricordi.
«Alla fine un giorno mi sono fermato e mi sono seduto su una panchina a
guardarlo per sei ore, lui e il suo secchiello dove i turisti gettavano i loro
dollari. Ogni due ore un uomo o una donna strisciavano fuori dai bassifondi
e lo svuotavano, mentre il ragazzino continuava a ballare. Sono nel giro da
così tanto che ormai so riconoscere drogati di ogni specie: quelli da
metanfetamina sono facili da individuare.»
«Oh mio Dio!» bisbiglia Keira, che ha intuito come prosegue la storia.
Tengo gli occhi incollati alla parete più lontana della stanza, oltre le sue
spalle, perché non le voglio far vedere la rabbia che mi cresce dentro
mentre ci ripenso.
«Per favore dimmi che loro non...» Si interrompe, e a me piacerebbe
smentire le sue ipotesi.
«Lo sballo da cristalli, una delle varianti più potenti di metanfetamina,
può durare dalle otto alle ventiquattr’ore. Quando il ragazzino iniziava a
rallentare, afferravano il secchiello e lo portavano via per un po’. Ma quel
giorno gli andai dietro e beccai quella madre di merda mentre gliela
somministrava.»
Un singhiozzo sfugge dalla gola di Keira. «No. Come poteva?!»
«È pieno di genitori che fanno cose orribili ai propri figli, e non c’è
modo di salvarli tutti.»
«Non riesco neanche a immaginare...»
«Esatto. Certe schifezze non dovrebbero proprio succedere, e invece
accadono.»
«A quel punto che cosa hai fatto?»
«Chiamai alcuni dei miei. Afferrammo il ragazzino, la madre e
quell’altro coglione, che poi non era altro che il suo compagno e uno
spacciatore di merda.» Stacco gli occhi dalla parete e incrocio lo sguardo
inorridito di Keira mentre le confesso fino a che punto riesco a essere
crudele senza provare alcun rimorso. «Drogava suo figlio e lo costringeva a
ballare, si meritava quella fine.»
Keira si copre la bocca come se si sforzasse di non vomitare, e io non
posso biasimarla.
«La legge della strada non consiste in una tirata d’orecchi, non ti sbatte
in galera per qualche giorno. La legge della strada è più simile all’occhio
per occhio. È dura. Brutale. E io sono così, Keira. Del tutto privo di
rimorsi.»
Il disgusto sul suo volto mi fa desiderare per un momento di essere un
uomo diverso, qualcuno che la meriti. Ma non lo sono. Io sono cresciuto in
mezzo alle fiamme dell’inferno, mi hanno forgiato. Ho imparato a
sopravvivere per strada nell’unico modo che avevo a disposizione:
facendomi un nome al servizio di Johnny Morello.
Distolgo lo sguardo, convinto che Keira fuggirà via. Invece, con tono
tranquillo mi rivolge una domanda inaspettata.
«Come si chiamava il ragazzino?»
«Rubio.»
Studio il lenzuolo bianco che stringo nel pugno, concentrandomi su
qualsiasi cosa tranne che su di lei. Ma Keira non fugge ancora.
«Cosa gli è successo?»
Mi costringo ad allentare la presa e a mantenere la calma. «L’ho fatto
adottare da una buona famiglia, persone che sapevano cosa rischiavano a
trattarlo male. Gli pago gli studi in una scuola privata e lui prende sempre il
massimo dei voti. Diverse squadre di basket di Prima Divisione lo hanno
selezionato, ma lui sa che può andare dove vuole.»
Keira mi prende la mano, e io sollevo la testa di scatto.
«Lo hai salvato» sussurra.
«Ero lì mentre sua madre si tagliava i polsi.» Le mie parole sono glaciali,
come me. «Non provare a trasformarmi in una sorta di eroe, perché non lo
sono per niente.»
Gli occhi verdi di Keira assumono un’espressione severa. «Non mi serve
un cazzo di eroe, Lachlan. Mi serve un uomo che non abbia paura di lottare
per le persone indifese. Puoi chiamare questa cosa come ti pare, io la
chiamo giustizia.»
La fisso negli occhi. «Non afferri il punto.»
Lei scuote la testa, e alza il mento in segno di sfida. «No, sei tu che non
capisci. Scommetto che questo ragazzino non è l’unico che hai salvato da
un destino peggiore della morte. Per quanti altri innocenti hai combattuto?»

Diciotto anni prima

Il capo mi aveva mandato in missione a incontrare uno della vecchia


guardia, un ex leader del cartello che la CIA aveva sistemato in un comodo
rifugio nel Garden District, dandogli una sorta di premio pensione. Chi
pensa che il traffico di droga sia sorto esclusivamente per merito di quelli a
sud del confine dovrebbe guardare meglio in casa nostra. La lotta alla droga
è una presa in giro, perché è una lotta che abbiamo iniziato noi, e che non
finirà mai.
Avrei dovuto mollare un pacchetto e prenderne un altro. Denaro in
cambio di informazioni. Una lezione che avevo imparato da Johnny
Morello: le informazioni hanno un valore inestimabile.
Negli ultimi dieci anni mi ero fatto strada nella sua organizzazione
malavitosa. Una volta entrato, l’unico modo per uscirne era un sacco di
plastica, ma dato che non avevo un altro posto dove andare, ero contento di
spalare merda e di farmi largo, un passo alla volta.
In quel momento ricoprivo già una posizione di fiducia. Morello mi
stimava per ragioni che non capirò mai: ero stato istruito per fare carriera.
Lo sapevo io, e lo sapevano tutti gli altri. Evidentemente, lo sapeva anche
quel vecchio che sorseggiava tequila nel suo giardino come se avesse tutto
il tempo del mondo e io non dovessi andare da nessun’altra parte.
«Ha il pacchetto?» gli chiesi per la seconda volta. Proprio come Morello,
non ero solito ripetermi.
«Si sieda. Non mi piace la sua fretta.» L’inglese del vecchio aveva
ancora un forte accento, e io mi domandai cosa avesse barattato con i
Federali per quel bel posticino.
Occupai la sedia di fronte a lui, tamburellando le dita sui miei pantaloni
di lana italiana. Chiunque avrebbe detto che con il caldo che faceva a New
Orleans avrei grondato di sudore, ma il sarto di Morello, Giorgio, usava
solo le stoffe migliori.
Se dieci anni prima mi avessero detto che avrei indossato un completo al
posto delle canottiere strappate avrei riso. Ma dopo cinque anni di
ininterrotta lealtà, con sua grande soddisfazione, Morello mi aveva
introdotto nella sua cerchia ristretta, e Giorgio mi aveva confezionato il
primo completo.
Credevo che non mi sarei mai abituato alla sensazione della seta sulla
pelle, ma ormai era una seconda natura. Alla fine ho compreso perché gli
uomini in completo sembrano più determinati e sicuri di sé: la prima volta
che mi vidi allo specchio mi sentii esattamente così. Fu anche il giorno in
cui Morello assunse un tutore per insegnarmi a smettere di parlare come un
ragazzino di strada e per farmi sembrare più istruito, oltre che un
sanguinario e un sopravvissuto.
«Sembra un uomo intelligente, signor Mount. Morello l’ha tirata su
perché diventi il suo vice, giusto?»
«Signore, con tutto il rispetto, sono qui per il pacchetto. Ho altri
impegni.»
Il vecchio messicano scosse la testa. «Non mi abituerò mai ad alcune
delle vostre usanze tipicamente americane. Da noi le cose sono diverse.»
«Diciamo che non stiamo molto a perder tempo. Soprattutto
nell’organizzazione del signor Morello.»
Il vecchio prese la busta accanto a sé. Dentro c’erano le informazioni che
stavamo acquistando per assumere il controllo del narcotraffico in città e
tenere fuori quelli del cartello. Almeno per un po’. In realtà ero abbastanza
sveglio da cogliere i segni premonitori. Il loro potere continuava a crescere
e alla fine avremmo dovuto trovare un compromesso. Morello
probabilmente non era d’accordo, ma a volte la sua arroganza gli impediva
di vedere le cose con chiarezza.
Quando mi allungò il pacchetto, io lo afferrai, ma lui lo tenne stretto per
un lato.
«Mi dica, signor Mount, lei è una brava persona?»
Quella domanda mi fece indietreggiare. «Cosa cazzo c’entra?»
«Così, solo per soddisfare la curiosità di un vecchio.»
Lo guardai dritto negli occhi e gli dissi la verità. «No, non lo sono.»
Per qualche ragione la mia risposta gli piacque e sulla faccia gli si
allargò un sorriso.
«Rispetto la sua onestà.» Con la stessa velocità il suo volto tornò serio.
«Però non rispetto quella del suo capo. Governa questa città con la paura e
l’intimidazione, non con il rispetto. Ma il vero potere e la capacità di
mantenerlo richiedono tutte e tre queste componenti.»
La sua dichiarazione mi colpì profondamente e mi resi subito conto che
era vera. Tuttavia rimasi impassibile perché sapevo a chi andava la mia
fedeltà, di sicuro non a quel vecchio messicano.
«Se ha delle lamentele nei confronti del signor Morello, non è a me che
deve rivolgersi.»
Lui inclinò la testa di lato. «E se le dicessi che gli piacciono le
ragazzine?»
Serrai i denti. Quel tipo sembrava conoscere i miei punti deboli. «Finché
sono maggiorenni e consenzienti, non sono assolutamente affari miei.»
Sapevo cosa piaceva a Morello. Più erano giovani e bionde, e meglio
era. Avevo fatto le mie indagini, comunque, e mi ero assicurato che fossero
tutte maggiorenni e che nessuna venisse maltrattata. Potevo non essere un
brav’uomo, ma anch’io avevo delle regole.
«E se non fossero maggiorenni e consenzienti?»
Spinsi indietro la sedia e lo fissai. «Arrivi al punto, vecchio, perché non
sono qui per giocare agli indovinelli.» Rispetto e pazienza erano spariti
dalla mia voce.
Con la testa indicò il mio vestito. «Il vostro sarto ha una figlia. È giovane
e bionda. Quanti anni ha?»
Il fatto che avesse quel tipo di informazioni spiegava perché la CIA lo
assecondasse come un cazzo di re.
«Dove vuole arrivare?» sibilai. Non mi piaceva dove stava andando a
parare. Una parte di me pensava che volesse confondermi per capire fino a
che punto ero leale. Forse era un test: magari lo aveva pianificato insieme a
Morello.
«Se davvero gliene frega qualcosa, tenga d’occhio quella ragazzina. A
quanto pare il signor Morello ha perso qualsiasi interesse per le
maggiorenni.»
Il pensiero di Morello che toccava Greta – una ragazzina di quattordici
anni, l’età di Hope quando Jerry tentò di violentarla – mi causò la stessa
rabbia omicida che avevo sentito quella notte.
«Che cazzo ne sa? E perché lo sta dicendo a me?»
Il vecchio scrollò le spalle. «Forse perché non mi piacciono gli uomini
che fanno del male ai bambini. Ho sentito dire che è una cosa che io e lei
abbiamo in comune.»
Non poteva conoscere il mio passato. Era impossibile.
Gli strappai di mano la busta e la infilai sotto braccio. «È un piacere fare
affari con lei.»
«Anche con lei, signor Mount. Mi aspetto di rivederla presto.»

Le parole del vecchio messicano mi perseguitarono per giorni.


Consegnai la busta a Morello, ma non dissi una parola circa quelle
accuse. Semplicemente rimasi in attesa, con tutti i sensi in allerta. Speravo
davvero che quel vecchio fosse un bugiardo del cazzo.
Quando Morello spedì Giorgio in Italia per scegliere nuovi materiali,
ebbi uno strano presentimento. Greta viveva insieme al padre all’interno
della proprietà: Giorgio era vedovo e Morello gli aveva promesso di
prendersi cura della figlia in sua assenza.
Mi venne affidata una missione dopo l’altra, e per me fu impossibile
tenerla d’occhio come avevo fatto dormendo fuori dalla porta di Destiny e
sorvegliando Hope.
Desideravo che il vecchio si sbagliasse, ma l’istinto mi diceva il
contrario.
Feci in modo di tornare in anticipo da un incarico, usando una rete
segreta di corridoi per raggiungere l’ufficio di Morello. Era l’unica stanza
senza spioncini e vi entrai senza permesso.
Era una mossa che poteva costarmi la vita. Ma qualcosa mi spinse a
farla.
Non riuscivo a credere a quello che avevo di fronte. Morello stringeva
con una mano i capelli di Greta e la teneva sdraiata sulla sua scrivania. Si
era già tirato fuori il cazzo e le aveva strappato la camicia. Le grida della
ragazza e il sarcasmo di quel bastardo mi riempirono le orecchie. Perdere il
controllo fu un attimo.
Vidi Hope e Jerry. Non erano più Greta e Morello. Sentii salirmi una
calma omicida e non mi fermai a riflettere sulle conseguenze delle mie
azioni.
Estrassi la pistola dalla fondina che portavo sempre al fianco e
attraversai la stanza in silenzio. Poi, con il gelo nelle vene, premetti la
canna contro quella testa stempiata prima che facesse un’altra mossa.
«Toglile di dosso quelle tue mani di merda.» La mia voce era bassa e a
stento trattenevo la rabbia.
«Cosa cazzo ci fai qui, ragazzo?» mi chiese Morello in tono rude. «Esci
immediatamente o t’ammazzo.»
«Toglile. Le. Mani. Di. Dosso.»
«Che peccato vederti morire, ragazzo. Riponevo grandi speranze in te.»
Morello allontanò Hope, voglio dire Greta. Con la coda dell’occhio vidi il
suo volto rigato di lacrime e paralizzato dalla paura.
«Dimmi che è la prima volta che la tocchi e mi limiterò a ficcarti una
pallottola in testa.»
«Fottiti, ragazzo. Che cazzo di domande pensi di farmi? Terrò la tua testa
come fermacarte sulla scrivania.»
«Greta?» chiesi, senza guardarla, mantenendo la mia attenzione e la
pistola su Morello.
Lei singhiozzò senza rispondere.
«Convincimi, Morello. Fammi credere che non l’hai mai toccata prima,
cazzo, o sarà la tua testa a diventare un fermacarte.»
A quel punto si bloccò, perché aveva capito che facevo sul serio. «L’ho
appena sfiorata. Me l’ha chiesto lei. È entrata qui implorandomi di farlo.
Voleva assaggiare un vero uomo.»
«Sta mentendo» disse Greta, la voce incrinata. «Mi ha detto che mi
avrebbe ucciso se lo avessi raccontato a qualcuno.»
«Quante volte?» le chiesi.
«Ogni volta che papà non c’è.»
«Non ascoltare questa stupida troia. Vuole solo attenzioni come...»
Tirai indietro il grilletto e Morello si zittì.
«Quando avrò finito con te, mi supplicherai di spararti. Greta, esci subito
di qui. Vai nella tua stanza e chiuditi a chiave. Non far entrare nessuno.»
La ragazzina si alzò barcollando e si precipitò verso la porta,
armeggiando con la maniglia: il bastardo l’aveva chiusa a chiave.
Il vecchio messicano aveva ragione. Voleva che uccidessi Morello, e
sapeva che l’avrei fatto. Ma non mi importava. Anche se mi aveva fregato,
era l’ultima delle mie preoccupazioni.
Tenendogli la pistola alla nuca, agguantai il coltello a serramanico che
avevo in tasca. Una lama di quindici centimetri, ben affilata, che aveva
versato parecchio sangue per lui, e ora avrebbe stillato il suo.
«Morirai molto lentamente, figlio di puttana.»
«Tu sarai il prossimo, Mount.»
Premetti il bottone e la lama uscì di scatto. Quando glielo ficcai in un
rene, Morello strillò per il dolore.
«No. È qui che ti sbagli, stronzo, perché io prenderò il comando. Da oggi
quest’organizzazione è mia: chi non è d’accordo morirà come te.» Tirai
fuori il coltello e glielo piantai nell’altro rene, mentre il sangue iniziava a
scurire il suo completo fino ad allora immacolato.
Non fu né rapido, né piacevole.
Alla fine la sua testa mozzata giaceva nell’angolo della scrivania, sopra
una pila di carte. Il resto del suo corpo era seduto su una poltrona: quella
dei visitatori, non quella del capo. Poi chiamai ciascuno dei membri chiave
dell’organizzazione per comunicare il cambio di guardia.
Rivoluzioni e vendette non si fanno senza spargimenti di sangue.
14
Keira

Oggi

Glielo leggo in faccia: si aspetta che lo respinga insieme a tutto quello che
rappresenta. Ma Lachlan Mount non mi conosce abbastanza, e a quanto
pare nemmeno io.
La storia nella versione di Magnolia mi aveva dato il voltastomaco. E
una reazione ancora più forte me l’ha scatenata il racconto di Lachlan, ma
per una ragione completamente diversa.
Non ho più paura di lui. Neanche un briciolo.
Alla fine ho capito chi è veramente. Lachlan Mount non sarà mai un eroe
delle fiabe, ma scommetto che Rubio lo definirebbe un salvatore, e sono
sicura che ce ne sono molti altri pronti a chiamarlo nello stesso modo.
Lachlan Mount vive secondo il suo codice personale, senza il minimo
rimorso per le sue azioni, ma questo non significa che sia privo di scopi
onorevoli.
«Tu amministri la giustizia come meglio credi, ma non penso che tu
abbia mai fatto del male a un innocente volontariamente.»
«Non mentire a te stessa fingendo che aver salvato un paio di ragazzini
compensi tutti gli altri crimini che ho commesso. Non troveresti un’anima
più nera della mia neanche se scavassi sotto l’inferno.»
Crede sinceramente alle proprie parole. Glielo leggo in faccia, ma
secondo me si sbaglia.
«Vuoi che ti dica che mi fai schifo? Allora guardami negli occhi e giura
che non sei disposto a morire per salvarmi.»
I suoi occhi bui si dilatano prima che lui riesca a trattenere la sorpresa.
«Cosa cazzo cerchi di dimostrare?»
«Dillo.» Sono inflessibile come l’uomo che ho di fronte. «Convincimi.»
Il suo volto si contorce in una maschera di disgusto. «Non se ne parla.»
Il sorriso di trionfo che mi si dipinge sulle labbra è probabilmente
stravolto, ma non mi importa.
«Moriresti per me. Me lo hai già dimostrato. Cammineresti sotto una
pioggia di proiettili per evitarmi almeno una ferita. Non hai permesso che i
dottori ti toccassero finché non avevano finito con me, anche se ne avevi
molto più bisogno. Se vuoi farmi credere che sei un mostro, allora dovrai
impegnarti molto di più, perché tutto ciò che vedo è un uomo degno di stare
al mio fianco.»
Ha un attimo di smarrimento. «Cristo! Ti ho terrorizzato! Non
trasformarla in una cazzo di favola, Keira, perché non lo è di certo.»
Distoglie gli occhi, e questa volta sono io ad allungarmi per imitare uno
dei suoi gesti preferiti: gli appoggio la mano sulla guancia non sbarbata e lo
costringo a girarsi di nuovo verso di me.
«Non voglio una favola. Già una volta ho pensato di averla, e guarda
com’è finita. Voglio che sia vero, e tu sei la persona più vera che ho
incontrato nella mia vita. Non nascondi neanche uno dei tuoi peccati:
nascondi solo le motivazioni che ti guidano, ma quelle motivazioni fanno
tutta la differenza del mondo.»
Mi fermo. Un lampo di incredulità gli increspa la fronte, e poi... forse
una speranza?
Non ha ancora capito che non ha bisogno di speranze. Ha già me.
«Non mi hai terrorizzato. Forse il tuo personaggio mi ha spaventata un
po’, ma ti ho desiderato lo stesso, se non di più. Magnolia aveva ragione su
un paio di cose, incluso il fatto che mi avresti fottuto la testa, mandandola
in conflitto con il corpo. Ma aveva torto su quella più importante: mi ha
detto che non dovevo farti arrivare al mio cuore, ma la verità è che non
posso impedirti di farlo, perché sarebbe il mio rimpianto più grande. È già
tuo, che tu lo voglia o no.»
Gli occhi di Lachlan si chiudono per un secondo. Quando si riaprono, ho
la sensazione di fissare un uomo diverso. «Grazie al cielo, perché non ho la
minima idea di come potrei lasciarti andare.»
«Non te lo consentirei.»
«Non ti merito.»
Crede davvero a quello che dice. Non so se riuscirò mai a fargli
cambiare idea, ma farò tutto il possibile per dimostrargli che si sbaglia.
Mi avvicino a lui. «Fortunatamente non sta a te dirlo. Dipende da me, e
io ho già preso la mia decisione.»
Mi prende tra le braccia, facendo attenzione alle nostre ferite, e mi
riporta al suo fianco nel letto, stringendomi contro il suo corpo segnato
dalla battaglia. La mia guancia gli tocca il petto, il suo mento è appoggiato
sulla mia testa.
Lachlan Mount può anche pensare di essere un mostro dal sangue
freddo, ma io avverto il ritmo costante del suo cuore che mi batte
nell’orecchio mentre mi addormento.
15
Mount

Mentre il respiro di Keira rallenta assumendo un ritmo regolare, le sue


parole continuano a risuonarmi nella mente. Io non merito questa donna,
perché ho commesso troppi peccati, ma non rinuncerò a lei. Non sono così
onesto, anche se lei sembra vedere in me qualcosa che io non vedo. Come
cazzo fa, dopo la storia che le ho raccontato, a dormire serena tra le mie
braccia? E invece eccola qui. Forse, e dico forse, quello in cui crede è reale.
Le vite a cui ho posto fine sono molte. E prima che la mia si concluda,
porrò fine ad altre.
Ma qualcosa di quello che lei mi ha detto mi suona familiare.
«Tu sei la persona più vera che ho incontrato nella mia vita. Non
nascondi neanche uno dei tuoi peccati: nascondi solo le motivazioni che ti
guidano, ma quelle motivazioni fanno tutta la differenza del mondo.»
Non mentirò affermando che tutte le mie azioni sono guidate da nobili
motivi, ma una buona parte cela ragioni che considero del tutto legittime,
anche se non ho mai sentito il bisogno di giustificarmi con qualcuno,
neanche con me stesso. Il rimorso non è contemplato tra i miei sentimenti.
Alcune persone meritano di essere uccise e io non ho problemi a svolgere
quel compito.
Forse dovrei desiderare di essere un uomo migliore, per Keira, ma non
posso alimentare questo pensiero: se fossi davvero diverso, non la terrei tra
le mie braccia in questo momento.
Sono sopravvissuto a una vita di merda, e ora sto iniziando a credere che
la ragione fosse lei. Lei è la mia ricompensa. Posso anche averla costretta a
ficcarsi in questa situazione, ma lei mi si è concessa spontaneamente ed è
una cosa che non dimenticherò mai. La proteggerò con la mia stessa vita e
con tutta la forza che ho a disposizione.
Nessuno la toccherà. Mai.

Mi appisolo, ma come al solito dormo con un occhio solo. Quando la porta


si apre, stringo nella mano una pistola prima ancora di rendermi conto che
l’ho estratta da sotto il cuscino.
J.
Abbasso l’arma mentre il mio braccio destro entra. Keira continua a
russare piano tra le mie braccia.
«Abbiamo i risultati della balistica sulla pallottola recuperata dall’auto.»
«E?»
J attraversa la stanza e mi consegna il rapporto. «Calibro 5.7.
Subsonica.»
È il tipo di calibro che preferiscono gli uomini armati dei cartelli, perché
è una munizione perforante. Sono armi che non passano inosservate, e a
New Orleans c’è un particolare cartello che le usa ogni volta che gli si
presenta l’occasione. Un proiettile subsonico inoltre ha il vantaggio di
essere silenzioso. Significa che stanno cercando di tenere nascosta la cosa.
«È di sicuro un fucile calibro 5.7» dico. «Lo sparo è arrivato dal tetto.
Ho visto il raggio laser. È per quello che ho sterzato.»
J annuisce. «Peccato che non sia riuscito a mettersi in salvo più in fretta,
capo. Forse si sarebbe evitato tutte queste trasfusioni.»
«Fanculo il mio sangue. Hanno versato quello di Keira e per questo la
pagheranno. Le strade di New Orleans si tingeranno di rosso. Trova chi ha
sparato prima che inizi la nostra vendetta: li faremo fuori tutti.»
J sgrana gli occhi. «Tutti?»
Faccio cenno di sì. «Identifica il cecchino entro mezzanotte e raduna gli
uomini. Ci vediamo nella sala operativa alle dodici per preparare un piano
d’attacco e poi partiamo. Andremo a caccia.»
J incurva le labbra in un sorriso crudele. «Una caccia di sangue?»
Annuisco. «Vai.»
«Ci penso io, capo.»
Non appena la porta si chiude, Keira si sveglia di soprassalto tra le mie
braccia, le labbra serrate, bianche. «Che succede? Cosa mi sono persa? È
tutto a posto?»
Le stampo un bacio su quei suoi capelli rossi e scompigliati mentre una
fitta di dolore le attraversa il viso. «Niente. Andrà tutto bene. Tu però hai
bisogno di altri farmaci, lo vedo dalla tua faccia.»
Apre la bocca per ribattere, ma le appoggio un dito sulle labbra.
«Tutto questo è successo per causa mia, sono io che ti ho portato nel mio
mondo. Ora lascia che mi prenda cura di te, lasciami sistemare le cose.»
«Okay.»
Levo il dito dalle labbra e la bacio: anch’io avverto una fitta al fianco,
ma l’adrenalina che già mi scorre nelle vene la attenua. Non mi importa se
dovrò usare del nastro adesivo per coprire i punti. Niente mi impedirà di
ottenere la mia vendetta.
Penso davvero quello che ho detto a J. Dovranno pagare tutti con la vita
per aver ferito Keira. Nell’istante in cui mi hanno sparato, hanno infranto il
patto che gli permetteva di vendere le loro droghe nella mia città. Se sono
furbi, staranno all’erta, ma di certo non si aspettano una reazione così
brutale.
Dovrebbero.
Non avrò pietà per gli uomini che hanno sparato a Keira.
16
Keira

Lachlan lascia la stanza per gestire i suoi affari, promettendo di tornare


presto. V è di guardia fuori dalla porta. Rimango sola con i miei pensieri,
finché un uomo non porta giù un router wireless, un aggeggio che amplifica
il segnale, e la mia borsa con il portatile, che a quanto pare è stata
recuperata dall’auto. Adesso posso davvero lavorare.
Forse dovrei capire che cosa ha detto Lachlan alla polizia riguardo
l’incidente, ma a essere onesti non mi interessa. I miei pensieri sono
focalizzati su qualcosa di completamente diverso.
La mia migliore amica.
O forse ex migliore amica?
Cos’aveva in mente Magnolia quando ha deciso di dare il biglietto a
Lachlan invece che a Brett?
Voglio pensare che mi stesse proteggendo di nuovo, che nella sua testa
quella fosse la cosa migliore da fare. Ma scoprire che la tua migliore amica
ti ha mentito mette in discussione parecchie cose.
Mi aveva detto che le amanti di Lachlan sparivano nel nulla: come
poteva desiderare che fossi una di loro? Mi rendo conto di non avergli
rivolto quella domanda, ma in tutta sincerità non mi serviva: Lachlan non
ucciderebbe una donna innocente e io sono certa che non mi farebbe mai
del male. Mai.
Però Magnolia non lo conosce come me: se aveva il timore che ci fosse
anche solo una possibilità... come aveva potuto farlo?
Tengo più a lei che alle mie sorelle: a loro scrivo un messaggio e mando
un biglietto d’auguri per il compleanno, ma per quello di Magnolia mi
impegno seriamente, come lei fa per il mio. Qualche mese fa le ho fatto
arrivare nel suo appartamento una fantastica cena dal suo ristorante
preferito e ho commissionato a un artigiano un paio di incredibili bacchette
d’argento per i suoi capelli perché lei aveva la fissa di indossare il kimono.
Come ha potuto giocare d’azzardo con la mia vita con tanta leggerezza?
Non sopporto più di stare a letto. Gli antidolorifici stanno facendo effetto
e non soffro più come prima. L’infermiera mi ha tolto la flebo l’ultima volta
che è venuta a controllarmi, perché non ne avevo più bisogno: ora sono
libera di camminare su e giù per la stanza, mentre cerco di mettere insieme
una spiegazione sensata.
Ma non arrivo a una conclusione.
Le azioni di Magnolia mi hanno permesso di vivere la notte più
incredibile della mia vita, ma con l’uomo sbagliato. O, se si vuole essere
più precisi, con l’uomo giusto, solo che poi ho sposato quello sbagliato.
Ricordo come rimase sorpresa Magnolia quando le dissi cosa avevamo
fatto io e Brett. Pensavo che si sarebbe congratulata per il mio gesto
impulsivo, prendendomi in giro perché mi ero finalmente lasciata andare.
Invece si era limitata a guardarmi con aria sconvolta.
Lei non è stupida. Lo so per certo.
Come ha detto Lachlan, ha raggiunto la sua posizione comportandosi in
maniera spietata, ma io non rappresento la concorrenza. Sono la sua amica.
È una di quelle situazioni in cui tratti i tuoi migliori alleati peggio dei tuoi
nemici? Non credo.
Quando il tecnico finisce di sistemarmi l’attrezzatura, io non ho ancora
risposte. Appena lui esce, V mi rivolge uno sguardo di disapprovazione e
con la testa mi indica il letto, facendomi chiaramente intendere che devo
tornarci.
Mi giro in direzione del portatile poggiato sul materasso, ma prima
faccio questa dichiarazione, giusto per chiarire un punto. «Mi siedo di
nuovo solo perché così è più facile lavorare.»
Mi risponde con un prevedibile grugnito e mi lascia ancora da sola.
Fisso il mio telefono e passo il pollice sull’app per chiamate Wi-Fi.
Cerco il contatto di Magnolia, chiedendomi cosa cavolo posso dirle.
Ma in fondo, chi se ne frega. Devo solo farle una domanda.
Perché?
Clicco sull’icona e aspetto che lei risponda.
17
Keira

«Grazie a Dio stai bene, Ke-ke. Ho sentito che qualcuno ha cercato di far
fuori Mount, e che con lui c’era una donna. L’idea che potevi essere un
danno collaterale e il fatto che non mi rispondevi mi hanno mandato fuori di
testa, cazzo!»
Il tono di Magnolia rasenta l’isteria, ma io mi costringo a restare
distaccata, in stile Mount.
«Se fossi stata un danno collaterale, di chi sarebbe la colpa, Mags?»
«Di quegli stronzi che hanno un evidente istinto suicida!»
«Puttanate. Sei tu che mi hai ficcato in questa situazione, e io esigo delle
risposte. Cosa ti ha preso quando hai dato il mio biglietto a lui invece che a
Brett?»
Magnolia rimane in silenzio.
«Allora? Niente da dire? Pensavi che non l’avrei mai scoperto?»
«Ke-ke...»
«Non provare neanche a negarlo, Mags. Me l’ha detto lui che gliel’hai
dato tu. Mi hai incastrato.»
Prima di rendermene conto sono fuori dal letto che passeggio stringendo
il telefono: mi trema la mano.
Il silenzio si prolunga e la nostra amicizia si incrina sempre di più a ogni
secondo che passa.
«Ti prego, dimmi qualcosa. Sto cercando di capire, ma tu, Mags, devi
dirmi perché.» La mia voce si spezza. Il suo tradimento è troppo fresco e
doloroso per affrontarlo con razionalità. «Sei stata una sorella per me,
eppure mi hai offerto su un piatto d’argento a un uomo che consideravi il
male assoluto. Cosa devo pensare? Perché l’hai fatto?»
Quando Magnolia si decide a parlare, è come se ci fossimo scambiati i
ruoli. Non c’è emozione nella sua voce perché si è tutta riversata nella mia.
«Non volevi sentire ragioni su Brett Hyde. La donna più intelligente e
sensata che conosco diventava totalmente irrazionale quando parlava di lui.
Ho cercato di farti desistere, ma non ascoltavi. Ti aveva talmente
affascinato che non riuscivo a farti cambiare idea.»
«Avresti potuto spiegarmi che razza d’uomo era!»
«Mi avresti creduto? Ogni volta che affrontavo l’argomento, continuavi
a ripetermi che lui era la tua anima gemella. Che ne eri certa. Merda, Keira!
Eri così schifosamente felice, mentre io sapevo che si trattava di una bugia.
Come cazzo potevo strapparti il cuore e calpestarlo? Tu sei una sorella per
me e ho dovuto trovare il modo per fartelo vedere con i tuoi occhi, solo così
saresti scappata dalla parte opposta.»
«E quindi hai pensato che la strategia migliore fosse darmi in pasto a un
uomo che non avevo mai incontrato? Sei pazza?» Mi rigiro su me stessa in
preda alla rabbia.
«Non sopravvivi a lungo per le strade se non sviluppi un particolare
istinto, e di sicuro non sarei arrivata dove sono adesso se non avessi questa
capacità di intuire le cose che sembra un cazzo di sesto senso.»
Mi infilo una mano tra i capelli. «Cosa significa? Stai evitando la
domanda.»
«Smettila di camminare su e giù, Ke-ke, e siediti. Ora ti spiego perché
ero pronta a fare la scommessa della vita mentre in ballo c’era una delle
persone a cui tengo di più al mondo.»
Ringhio e mi siedo di nuovo sul letto, ma solo perché la testa ha ripreso a
martellarmi. Non sopporto che abbia capito che stavo camminando anche
senza vedermi.
«Allora dimmi. Dimmi com’è che ti sentivi così sicura da mettere a
rischio non solo la mia vita, ma la mia famiglia, i miei amici, i miei
dipendenti, la mia azienda... Cristo, ti sei giocata tutto sulla base delle tue
fottute intuizioni e poi mi hai mentito.»
Lo stomaco mi si rivolta mentre ripenso a tutte le bugie che mi ha
rifilato... e a come le ho prese per verità assolute.
«Tu eri persa dietro a Brett Hyde. E io osservavo Mount passare da una
donna all’altra, senza che nessuna catturasse la sua attenzione. Nelle mie
vene scorre il sangue di una sacerdotessa voodoo: forse non sono davvero
una sensitiva, ma quando avverto qualcosa con forza, tipo come avrebbe
reagito Mount nei tuoi confronti, non posso stare ferma.»
«Hai giocato con la mia vita!»
«No.» Magnolia improvvisamente si scalda. «Stavo cercando di darti
una vita migliore di quella che immaginavi. Sei nata per essere trattata
come una regina. Sei buona, leale, vera, e la tua forza risplende come il
fuoco più luminoso che io abbia mai visto. Ogni re vuole una regina come
te al suo fianco, anche se non ne è cosciente. Dentro di me sapevo che, se
Lachlan Mount avesse assaggiato quello che avevi da offrire, non ne
avrebbe fatto più a meno.»
Questa volta sono io a rimanere in silenzio. Non so cosa dirle. Ha avuto
ragione, ma non riesco a dimenticare come ci ha raggirato. A lei, però, non
servono risposte, perché non ha finito.
«Ci avevo visto giusto, ma tu te ne sei andata mandando tutto a puttane,
e scappando con quel pezzo di merda che non meritava neppure di respirare
la tua stessa aria. Se avessi potuto ucciderlo, lo avrei fatto con le mie mani.»
«E perché non mi hai messo al corrente del tuo fantastico piano, Mags?»
«Come potevo? Non lo avresti mai accettato. Ho sempre desiderato il
meglio per te, agendo di conseguenza. Sempre, anche quando tu non lo
sapevi o non riuscivi a capirlo. Ti proteggo ogni volta che posso. Ti spingo
quando serve. Ti stavo preparando a diventare il bene più prezioso che
Mount abbia mai posseduto.»
«Una proprietà, Cristo, non una relazione! E se a un certo punto si fosse
stufato, e si fosse liberato di me come ha fatto con le altre?»
«Ti ho spiegato come gestirlo, e tu ci sei riuscita. Ho. Avuto. Ragione.»
La sicurezza di Magnolia è granitica: crede di aver agito nel modo giusto
per farmi felice.
«Potevi sbagliarti!»
«Ma non è successo, vero?»
Chiudo a pugno la mano libera mentre la testa inizia a pulsarmi. Voglio
strangolarla adesso, per la sua ipocrisia e per aver scherzato con il fuoco,
rischiando di ridurre in cenere tutto il mio mondo. Anche se una parte di me
sa che dovrei ringraziarla, l’altra parte, quella che fa capo all’infanzia, non
sopporta che mi abbia ingannato.
«Perché continuare a mentire? Perché non dirmi che era tornato per
me?»
«Ho fatto ciò che dovevo. Come sempre. Dal succhiare cazzi al
prenderlo nel culo, ho fatto ogni sorta di sacrificio che poteva spezzarmi. E
continuerò a farli. Dimmi che avresti preferito il contrario. Convincimi a
rimettere tutto come prima. Ti sfido.»
«Non posso e lo sai, ma questa non è una giustificazione. Anni di
amicizia, e poi scopro da Lachlan che mi stai mentendo da mesi?»
«Lachlan, è così che lo chiami ora? Con una sola cazzo di parola hai
appena dimostrato che il mio piano è riuscito alla perfezione. Tu chiami per
nome l’uomo più temuto della città. E lo sai perché, Ke-ke? Provami che
non sei innamorata di lui.»
Vorrei mandarla a fanculo, perché odio sentirla così soddisfatta, ma
ancora una volta lei intuisce fin troppo bene la verità.
«Non serve neanche chiedertelo.»
Attraverso il telefono mi arriva, secca ma chiara, la risata di Magnolia.
«Liberati di quel tuo ego del cazzo, Ke-ke, perché io non mi scuserò mai
per quello che ho fatto. Sei esattamente dove devi stare. Su un trono accanto
all’uomo che governa questa città. Non ho bisogno di sentirtelo dire, perché
ho saputo che ti ha portato fino a Dublino. Ha perso la testa per te. E anche
se le mie informazioni non sono dirette, so che ci ho visto giusto.»
«Il fine giustifica i mezzi? Stai dicendo questo?»
«Ci puoi scommettere.»
Di fronte a quella sua certezza assoluta e alla sua assenza di rimorsi sono
travolta da una violenta cascata di emozioni. Non so perché mi aspettavo
qualcosa di diverso. Magnolia non è pentita per chi è, per cosa rappresenta,
e per come è sempre stata. Ma c’è dell’altro. C’è sempre quando c’è di
mezzo lei. Vorrei credere che le sue motivazioni siano pure come sostiene,
ma la conosco meglio delle mie sorelle.
«Allora giurami questo, Mags, che lo hai fatto solo per me, e che non
c’era niente in ballo per te.»
Si blocca per almeno tre secondi.
«Vuoi davvero parlarne, Ke-ke?»
«Ne stiamo già parlando, Mags. Basta bugie. Basta secondi fini. Voglio
tutta la verità, e subito. È l’unico modo che hai per mantenere intatto
almeno un brandello della nostra amicizia.»
«Non puoi semplicemente essere felice insieme all’uomo dei tuoi
sogni?»
È sufficiente per capire che ho ragione. C’è dell’altro.
«Dimmelo, Mags, o riaggancio questo telefono e non ti parlerò più.»
Persino formulare quella minaccia mi devasta. Perderla sarebbe comunque
come tagliarmi un braccio.
«Va bene, ma togliti quell’aria di superiorità. Ti ho sempre messa al
primo posto: che male c’è se portare Mount a innamorarsi di te mi ha reso
la vita un po’ più semplice?»
Ecco. La sua confessione mi fa girare la testa. Sospettavo che avesse un
secondo fine, ma sentirlo è come ricevere un pugno allo stomaco.
«Cosa cazzo significa?»
«Usa il cervello, donna. Mettiamo che tua sorella sposi il principe di
quella merda di Inghilterra. Non pensi che anche tu avresti vinto la lotteria
insieme a lei?»
Rido, o almeno il suono aspro che mi esce dalle labbra pare quello di una
risata.
Ora è tutto chiaro: cristallino, come il premio che è andato in frantumi
infilzandomi il fianco. «Hai cercato di giustificarti sostenendo che era per
me, incastrandomi per sempre, ma fin dall’inizio si trattava di te. Io ero un
pedone nelle tue mani.»
«Non credi che anch’io mi merito un po’ di tranquillità? Ho visto e fatto
cose che ti avrebbero mandata fuori di testa in un secondo. E mi vorresti
negare quel briciolo di beneficio che otterrei dal vostro stare insieme?»
Mi sento salire un viscido senso di colpa. «Tu stessa dici di non avere
rimorsi per le tue azioni e i pericoli in cui mi hai ficcato, perciò non provare
a fare leva sulla mia compassione.»
«Non fare la stronza, Ke-ke. Sappiamo entrambe che almeno in questo
sono la migliore.»
«Hai ragione. Lo sei.»
Magnolia copre il telefono e la sento gridare «Un attimo, arrivo!» prima
di tornare da me. «Il mio appuntamento è qui. Devo andare a sbrigare un
affare perché è così che mi guadagno da vivere. Mi vuoi odiare?
Accomodati. Ma non pensare che non mi sia presa cura di te. Sei dove eri
destinata a essere, vicino all’uomo che stavi cercando, e tutto grazie a me.
Ora devo andare.»
«Mags...»
«No, Ke-ke. Non ho più tempo di ascoltarti mentre mi getti addosso altra
merda. Ho da fare.»
La chiamata si interrompe e io resto a fissare il telefono come se avesse
appena sviluppato braccia e gambe. Sento i polmoni gonfiarsi e il sangue
tornare a scorrere mentre rivivo la confessione di Magnolia.
Come mai le persone che pensiamo di conoscere meglio, a volte sono
quelle che conosciamo di meno?
Non posso negare però che il suo istinto ha avuto ragione.
In ogni caso, la nostra conversazione non è ancora finita.
18
Keira

Cerco di concentrarmi nel lavoro, ma senza successo. Sono ancora immersa


nella discussione con Magnolia. Quando la porta si apre mi giro di scatto,
bloccandomi al centro della stanza che da mezz’ora sto percorrendo avanti e
indietro.
L’uomo che entra è quello che la mia migliore amica ha scelto per me.
Vorrei punirla per avermi mentito, ma ho dei problemi con la mia stessa
indignazione. Lachlan ora non sarebbe mio senza l’intervento di Mags, per
questo provo emozioni contrastanti nei suoi confronti.
Lachlan mi si para davanti, appoggiandomi le mani sulle spalle: quel
semplice contatto basta per calmarmi un po’.
«Dovresti riposare, invece sei in piena fase di ribellione.»
«Puoi dirlo forte.»
«Immagino tu abbia avuto le risposte che cercavi.»
Annuisco.
«Puoi conviverci?» È sicuro di sé, ma non si sente superiore. Avverto
cosa vorrebbe chiedermi.
Questo cambia le cose tra noi?
Incrocio quello sguardo scuro che ho imparato a conoscere così bene, per
come è capace di infiammarsi di passione, all’occasione essere freddo e
severo, oppure diventare opaco quando decide di chiudersi in se stesso. Ora
è una via di mezzo. Cauto e determinato.
«Non cambia niente.»
Il lampo di sollievo nei suoi occhi è così rapido da essere quasi
impercettibile, ma io lo intercetto prima che lui mi attiri a sé, cingendomi la
vita con un braccio e appoggiandomi l’altra mano alla nuca. Mi preme le
labbra sulla tempia prima di parlarmi all’orecchio con tono basso e fermo.
«Bene. Perché ormai non ti lascerò andare, a prescindere da come siamo
arrivati fin qui.»
Mi godo il battito forte e costante del suo cuore e mi immergo nel calore
del suo corpo.
Quest’uomo è mio. Nient’altro ha importanza.
Quando alla fine mi lascia andare, vedo una nuova intensità impressa sul
suo volto, così gli chiedo: «Cosa c’è?». Dopo la conversazione che ho
appena avuto, mi preparo per qualcosa di spiacevole.
«Ti trasferirai di nuovo nel nostro appartamento. Ti porterà V non
appena l’infermiera ti avrà controllato per un’ultima volta.»
Il nostro appartamento. Non suo. Non mio. Nostro.
«È decisamente preferibile a questa...» Faccio vagare lo sguardo sulle
pareti bianche e le attrezzature mediche. «E ora? Cosa succede? So che c’è
dell’altro che non mi stai dicendo.»
Serra le labbra mentre mi studia il viso come se lo volesse imparare a
memoria. «C’è sempre qualcos’altro, Keira. Ci sarà sempre. Alcune cose le
saprai, altre no. Comunque ci prenderemo la serata per noi, almeno qualche
ora.»
«Cosa intendi dire?» Le sue frasi sembrano un codice che non riesco a
interpretare.
«Lo vedrai. Vai con V. Ti porterà da me quando sarai pronta.» Abbassa la
testa, e con un bacio appassionato ferma le domande che ho sulla punta
delle labbra. «Ci vediamo presto, piccola ribelle.»
Mi sorride mentre mi lascia andare e si avvia verso la porta. Non mi leva
gli occhi di dosso finché non si volta per andarsene.
Cos’ha in mente? Mi concentro su quella domanda, grata di avere
qualcosa che mi distragga da tutto il resto.
L’infermiera mi somministra un’altra dose di antidolorifici e mi rivolge
un mucchio di quesiti per controllare il mio stato mentale, poi si limita a
commentare che il colpo in testa non è stato così forte come si era
immaginata.
Seguo V senza protestare mentre mi guida attraverso quella rete di
corridoi interni che ancora mi stupisce. Invece di andare verso l’ingresso
dell’appartamento, sbuchiamo in un corridoio da dietro un dipinto che va
dal pavimento al soffitto.
«Giuro che questo è il posto più incredibile che ho mai visto.»
V quasi sorride. Quasi. È più una sorta di tic all’angolo della bocca.
Quando ci fermiamo di fronte alle porte lucide di colore nero, indica con la
testa verso il basso, dirigendo la mia attenzione sul nuovo hardware
installato sulla parete di fianco. Pare una strumentazione high-tech. Forse
uno scanner per impronte digitali.
«Che cos’è?»
Mi indica la mano e poi il pannello sul muro. Tirando a indovinare,
appoggio una mano sul vetro: una luce verde si accende e la porta si
sblocca.
«Caspita. State aumentando le misure di sicurezza qui intorno?» Mi giro
a guardarlo e lui annuisce. «Tu puoi entrare?»
Mi fa segno di sì.
«Quanti altri?» Solleva tre dita. «Quindi Lachlan e...»
Non risponde, naturalmente, perciò decido che non conta. L’importante è
che Lachlan si fidi di loro.
Quando entro, V non mi segue. Chiude la porta alle mie spalle, e io
immagino che riprenda a fare la guardia lì fuori.
Il nostro appartamento. È la stessa stanza, ma ora sembra
completamente diversa. Non è più una prigione... è un rifugio. Qui è dove
Mount può essere Lachlan, e dove noi possiamo nasconderci dal resto del
mondo.
La stranezza del mobilio nero, bianco e oro non mi colpisce più, anzi è
confortante, perché la spiegazione che mi ha dato per quei colori è qualcosa
di così tipicamente suo che non posso fare a meno di sorridere.
Lachlan Mount è diverso da tutti gli altri uomini che ho conosciuto, e
anche se non è il primo che ho definito mio, spero sia l’ultimo.
Giro su me stessa con lentezza e vedo un biglietto appoggiato su una
scatola sopra il tavolo. Il mio nome, vergato con quella calligrafia che ormai
mi è familiare, cattura la mia attenzione.
Cos’ha in mente?
Apro il foglio e leggo cosa c’è scritto.
Porta la scatola in camera da letto.
Hai un’ora per prepararti.
Fidati di me.

Se non fosse per quelle ultime tre parole, quel biglietto sarebbe uguale ai
precedenti. Autoritario e freddo. Ma quelle tre parole cambiano tutto: mi
pare giusto, visto che tutto è cambiato.
Sollevo la scatola e mi ricorda quella che ho trovato sul letto nel mio
appartamento, ma la mia reazione ora è opposta.
L’ultima volta ho chiamato Magnolia, perché ero preoccupata di trovarci
dentro un pezzo del corpo di qualcuno che amavo, ma lei mi aveva
tranquillizzato. Perché aveva dei progetti per noi. Accantono quei ricordi,
decisa a non pensare di nuovo a lei, almeno per stasera.
Questa serata è per noi. Lachlan e me. Nessun altro.
Oltrepasso la porta della camera soppesando la scatola e cercando di
indovinarne il contenuto, ma ancora prima di fare delle ipotesi mi blocco.
Cosa cazzo...?
Disteso sul letto c’è un abito da ballo: la gonna pende oltre il bordo.
Quel corpetto di cristalli e lustrini lo conosco fin troppo bene, perché è lo
stesso vestito che ho indossato quel fatale Martedì Grasso del ballo in
maschera.
«Cosa ha in mente?» Formulo la domanda ad alta voce nella stanza
vuota e appoggio la scatola accanto all’abito.
Quando passo le dita sul corpetto i ricordi di quella notte mi
aggrediscono: sono attraversata da lampi di calore mentre i dettagli mi
travolgono per la milionesima volta.
Sollevo il coperchio della scatola e rimuovo la velina: in cima trovo la
maschera che indossavo quella sera. Forse dovrei esserne sorpresa, ma non
lo sono. Se era riuscito a ritrovare il vestito, poteva facilmente recuperare
anche la maschera.
La lascio sul letto e sposto altri strati di carta velina. Sotto c’è un
sostituto del perizoma che mi strappò di dosso prima di dimostrarmi chi era
il padrone, oltre a un paio di meravigliose scarpe con il tacco a spillo.
Sento la bocca inumidirsi, perché sto iniziando a capire dove va a parare
tutto questo: avremo una seconda occasione. Non so perché, e neanche mi
importa. Se dovessi scegliere una notte da rivivere ininterrottamente,
sarebbe quella.
Quando estraggo il perizoma e le scarpe, ancora più sensuali e costose di
quelle che ho indossato finora, in fondo alla scatola trovo un biglietto.

Non dire niente. Prendi tutto.

È un gioco di parole sulla falsariga del biglietto che mandai io quella


sera: il cuore prende a pulsarmi in gola mentre penso a quello che mi
aspetta.
Qualunque cosa abbia previsto, sono pronta.
19
Keira

Sono in piedi in bagno di fronte allo specchio a figura intera e mi lego la


maschera, fissando il riflesso di una donna diversa da quella che l’ha
indossata la prima volta.
Quella sera, annodando i nastri di seta, ero ansiosa e allo stesso tempo
eccitata. Piena di speranze, ma anche di timori. Ottimista, eppure dubbiosa.
Ora mi sento sicura come non mi è mai successo prima, e non è merito solo
dell’ultima scatola che ho trovato sul lavandino, sebbene dentro ci fosse
un’altra sorpresa.
Era una custodia quadrata, diciotto centimetri di lato e dieci di altezza.
Quando l’ho aperta, poggiata su velluto nero, c’era una tiara come quelle
delle principesse. No, anzi, delle regine.
«Fin dal primo giorno sei stata la regina. Il pezzo più importante di tutta
quella cazzo di scacchiera.»
Abbasso le braccia lungo i fianchi e studio il mio riflesso. Nonostante i
tagli e i lividi, stasera sembro davvero una regina e sono pronta per il mio
re.
Con un sorriso convinto mi allontano dallo specchio, attraverso il nostro
appartamento fino alla porta d’ingresso e la apro.
V è lì che mi aspetta paziente. Quando si gira sgrana gli occhi, e per la
prima volta un vero sorriso gli addolcisce i tratti. Chissà da quale destino
Lachlan lo ha salvato? La sua lealtà nasce di sicuro da qualcosa che
neanche riesco a immaginare.
«Ho fatto il possibile in un’ora, non credi?»
Non so perché glielo chiedo. Anche se sono un po’ ammaccata, sento di
avere un bell’aspetto. I capelli rossi scendono in onde setose lungo la
schiena e la tiara mi sta perfetta sulla testa. E poi c’è questa sicurezza che
mi pervade e che di certo mi dona un alone dorato.
V annuisce porgendomi il braccio come un vero gentiluomo, e io vi
appoggio la mano. Mi guida verso il quadro che va dal pavimento al
soffitto, e che scivola di lato non appena lui aziona il meccanismo. Poi mi fa
strada su e giù, a destra e a sinistra, finché un’altra porta segreta si apre su
una stanza bianca e oro poco illuminata.
È una... sala da ballo, dotata di lampadari più belli di quelli che ho visto
nei corridoi, ma anche di candelieri di cristallo che diffondono una luce
romantica e fioca. Non è grande come la sala da ballo de La Bella e la
Bestia, ma più piccola, adatta a creare una maggiore intimità. Mi ricorda
l’interno del Roosevelt Hotel, decorato di ori e marmi di un’altra epoca.
Riesco a immaginarmi le ragazze emancipate degli anni Venti intente a
ballare e a bere champagne in compagnia di uomini in frac.
V abbassa il braccio e indica una serie di tende che arrivano al soffitto.
Sono lunghe almeno sei metri.
«Lui si trova lì?» chiedo, indicando con la testa. Immagino nascondano
una sorta di alcova, se lo scopo di tutto questo è ricreare la sera del ballo in
maschera.
V scuote la testa, ma solleva un dito.
«Un minuto?» domando, tentando di interpretare il suo rudimentale
linguaggio dei segni.
Annuisce di nuovo.
Il mio cuore scalcia all’impazzata mentre l’adrenalina mi scorre nelle
vene e io mi dirigo verso le tende. Quando mi infilo nel passaggio tra due,
la luce proveniente da una finestra semicircolare con tanto di ringhiera si
trasforma in un arcobaleno di colori. È una sorta di balcone interno, che
attraverso la vetrata colorata offre la vista di un cortile luminoso, rischiarato
da una luna quasi piena.
Quella vetrata trasforma questo piccolo rifugio in un luogo di fiaba.
Cos’è questo posto? Mi aggrappo alla ringhiera, sentendo i passi di V
allontanarsi, ricolma di stupore e di aspettative mentre attendo che Lachlan
mi raggiunga.
Non lo sento. Non ci riesco mai. Ma la pelle formicola per l’eccitazione
quando la tenda alle mie spalle si apre per un attimo per poi richiudersi
completamente.
Mi mordo il labbro per non parlare e serro le dita sulla ringhiera per
evitare di girarmi.
Non seguo più le sue istruzioni spinta dalla paura, ma da una ragione
completamente diversa.
L’amore.
20
Mount

Da un angolo buio la osservo raggiungere il lato opposto della sala da ballo.


Sono nascosto nell’ombra, dove sono solito vivere e dove mi sono sempre
sentito a mio agio. È il mondo a cui appartengo. Keira invece... lei
appartiene alla luce.
Devo trovare il modo per far funzionare la nostra storia, perché non ho
alternative.
La sua mancanza di esitazione, il passo sicuro e la schiena dritta sono
segnali che tutto questo è esattamente ciò che desidera.
Non ha mai indietreggiato davanti a me, neanche la prima sera in
biblioteca, quando si è tolta il soprabito e mi ha sfidato con quel tatuaggio
all’henné.
Ma qui non si tratta più di tenermi testa. Keira Kilgore ha finalmente
acquisito piena consapevolezza di sé: è la donna più splendida che io abbia
mai visto. Mani come le mie, che spesso si sono macchiate di sangue, non
meriterebbero di toccarla, ma non la lascerò andare. Mai.
Attraverso la stanza in silenzio, un’abilità che ho acquisito molto tempo
fa per necessità e che ora impiego per scopi personali. Sposto la tenda con
una mano e faccio il mio ingresso dove non ci sono ombre, né una pallida
luce bianca, ma un arcobaleno di colori.
Forse questo è il luogo a cui apparteniamo come coppia.
Non siamo fatti per le ombre, né per la luce. Ma per un posto speciale
soltanto nostro.
Richiudo le tende alle mie spalle, sigillandoci dentro a quello spazio. I
suoi muscoli si tendono, ma non come se volesse fuggire. No, freme di
aspettive. O almeno è quello che sospetto, perché è così che mi sento io.
Nonostante le ferite recenti, non avverto alcun dolore. Non quando la
guardo. So che stasera non dovrei farla mia. Sarebbe meglio aspettare che si
rimetta completamente, ma al momento non ho il privilegio del tempo.
Stasera devo raddrizzare i torti del passato e forgiare un nuovo ricordo.
Mi avvicino, attirato dai suoi fiammeggianti capelli rossi, così intonati al
suo temperamento, e adoro il modo in cui resta immobile in attesa. Invece
di lasciarmi trascinare indietro a quella notte, la notte in cui pensava che io
fossi un altro, rimango saldamente ancorato al presente.
Perché stasera lei sa esattamente chi sono.
Copro la distanza che ci separa e le sposto i capelli di lato: vedere la
corona sulla sua testa mi riempie di soddisfazione. Si merita qualsiasi
gioiello, e forse neanche immagina che quegli smeraldi luccicanti nell’alone
bianco e oro di questo rifugio sono veri.
Basta con le finzioni. Basta con le imitazioni. D’ora in avanti tutto sarà
reale come sembra.
Keira Kilgore è mia.
21
Keira

Sento i brividi diffondersi sulla pelle nuda. Quando la bocca di Lachlan si


poggia su quel punto esatto, là dove la spalla incontra il collo, un gemito mi
sfugge dalle labbra, i miei capezzoli si drizzano contro il corpetto dell’abito
e il clitoride pulsa all’impazzata, sollecitato dal piercing.
Non so come fa il mio corpo a reagire ai suoi stimoli con tanta rapidità,
ma è così. Basta che lui mi sfiori per accendermi.
Mentre risale lungo il tendine del collo con i denti, piego le dita sulla
ringhiera e mi impongo di non mollare la presa. Lui mi mordicchia il lobo e
io inclino la testa all’indietro, appoggiandola sulla sua spalla. Un gesto di
resa. Di sottomissione.
Si diverte ad assaggiare ogni centimetro della mia pelle nuda prima di
sollevarmi la gonna e mettermi una mano tra le gambe. Un ringhio gli
ruggisce in gola quando scopre che sono già bagnata.
Una volta quel suono mi spaventava e allo stesso tempo mi eccitava, ora
mi provoca la pelle d’oca. Lui mi sfiora il piercing con il pollice: io sussulto
e sono attraversata dal piacere.
Ogni mio dolore è completamente sparito, compresa l’emicrania che mi
ha perseguitato per tutto il giorno. Non so se dipende da quest’uomo, dagli
antidolorifici o dalle sensazioni che mi stanno invadendo, ma sono pronta
ad accettare qualsiasi cosa voglia offrirmi.
Il suo palmo risale e con le dita avvolge l’elastico del perizoma,
strappandolo proprio come aveva fatto quella notte. Questa volta però è
decisamente più piacevole, perché so cosa sta per succedere.
Le mani di Lachlan stringono le mie sulla ringhiera, come se volesse
ricordarmi di non muoverle. Spingo il culo contro il rigonfiamento dei suoi
pantaloni per comunicargli tutto il mio assenso e invitarlo a procedere.
Rapide come sono apparse le sue mani spariscono e un dito mi trafigge,
strappandomi un altro gemito.
Il sibilo della sua lampo mi giunge un istante prima che la punta del suo
cazzo si spinga contro la mia fessura: lo infila solo un paio di centimetri,
poi si ferma. Non sono sicura di cosa stia aspettando, ma giro la testa
quanto basta per guardarlo negli occhi: i colori brillanti di questo posto li
illuminano come mai prima.
Forse è destino che io lo veda sotto una nuova luce.
Il suo sguardo è acceso dalla passione mentre mi bacia. Continuo a
fissarlo anche quando mi penetra, un centimetro alla volta. Con lentezza e
con premura. Ma riempiendomi completamente, fino al punto che non ho
più alcun dubbio, lui è la persona a cui appartengo.
Lachlan Mount mi possiede: corpo, cuore e anima.
22
Mount

A differenza di quella notte che cambiò le nostre vite, ora la prendo


lentamente, senza alcuna fretta, e con assoluta cura. Non solo per via delle
ferite che entrambi abbiamo riportato, ma perché stasera è tutto diverso, per
quanto sia iniziato nello stesso modo. Ogni cosa è cambiata.
Mi stringe con i suoi muscoli interni, e io le concedo finalmente di
spingermi oltre il limite.
Quando estraggo l’uccello, la faccio girare, lasciando ricadere la gonna
del vestito. Mentre mi abbottono i pantaloni alzo lo sguardo verso il suo
volto arrossato. La sua maschera si è inclinata, ma ora non serve più: mi
allungo dietro la sua testa, sciolgo il nastro di seta e la lascio cadere sul
pavimento. Questa sera io non ho indossato maschere, e la sua era solo un
simbolo.
Le sistemo la tiara sulla testa: persino con i capelli scompigliati – non ho
saputo resistere – è assolutamente regale.
«Grazie» dice.
«Per cosa?»
«Per avermi dato sempre quello che mi serviva, anche quando non
capivo di averne bisogno.»
Le prendo la mano, intrecciando le sue dita sottili alle mie, me l’avvicino
al viso e ne bacio il dorso. «Non abbiamo ancora finito. Per niente.»
L’attiro a me e mi avvinghio alle sue labbra, di cui non mi stancherò mai.
Non ho mai baciato una donna prima di lei, e lei sarà l’unica che bacerò.
Nessun altro uomo la bacerà mai. Né la toccherà. Né potrà assaggiarla,
ascoltandola venire.
Lei è mia. E dopo stasera non avrà più dubbi.
Quando la lascio andare e i suoi occhi si aprono di nuovo, la guido verso
la tenda. Lì mi fermo e le rivolgo la domanda più importante della mia vita.
23
Keira

«Ti fidi di me?» Nel chiedermelo il suo sguardo assume una nuova
intensità.
Come può metterlo ancora in dubbio?
«Certo.»
Mi dà un bacio sulle dita, poi le allontana. «Io provengo dall’oscurità.
Non sarò mai capace di vivere con te alla luce del sole e stare con me non
sarà mai normale. Non sarà mai come te l’eri immaginato.»
«Non mi importa. Non voglio la normalità. Voglio solo te.»
«Non so perché ti fidi.»
Lo afferro per il bavero della giacca. Non lo capisce, ma un giorno lo
capirà. «Perché non nascondi chi sei.»
«Sono il diavolo in un completo elegante.»
Scuoto la testa: si sbaglia di grosso. «Questo è quello che pensi tu, ma io
vedo quello che c’è sotto la superficie. Una bellezza che tu non riuscirai a
vedere finché non lo farai attraverso i miei occhi.»
«Non trasformarmi in un principe azzurro, Keira. Non lo sono per
niente.»
«No, non lo sei, ma non sei neanche il diavolo. Sei più l’arcangelo
Michele: colui che sconfisse Satana. Hai salvato persone che non erano in
grado di difendersi da sole, sei intervenuto e hai fatto giustizia. Tu mantieni
l’equilibrio. Pensa pure quanto vuoi di essere il male, ma io credo che tu
abbia eliminato molto più male di quanto ne hai compiuto.»
I suoi occhi bui si spalancano per un attimo, poi Lachlan domina il
proprio stupore e apre la tenda.
Mi conduce attraverso una serie di corridoi segreti, senza mai lasciare la
mia mano, finché non ci fermiamo di fronte a un dispositivo di sicurezza,
simile a quello che V mi ha mostrato alla porta dell’appartamento. Lachlan
vi preme le dita sopra e il pannello davanti a noi si sposta rivelando il nostro
guardaroba.
«Un giorno imparerò tutti questi corridoi.»
Lui mi sorride, con gentilezza. «Un giorno imparerai tutto, piccola
ribelle.»
La porta si chiude alle nostre spalle e lui si volta verso di me.
«Ho detto che ti avrei protetto e manterrò la promessa, con la mia stessa
vita e con tutto quello che ho a disposizione. È l’unico modo che conosco
per farlo. Ho un’altra scatola per te, Keira, stasera.» Serra la presa sulla mia
mano e mi accompagna attraverso il bagno fino alla camera da letto.
Sento il cuore accelerare quando lui afferra la maniglia e nella testa mi
ripeto le sue parole.
Cosa intende dire...
Non riesco a completare la domanda, perché Lachlan ha già aperto
rivelando la presenza di due uomini che attendevano in salotto. Sono
entrambi vestiti di nero, ma uno dei due porta un caratteristico collare
bianco.
«Padre. Giudice. Noi siamo pronti.»
24
Keira

Due giorni dopo.

«Continuiamo il nostro speciale mentre qui a New Orleans cresce a vista


d’occhio il numero dei cadaveri di noti esponenti del cartello. Le
dichiarazioni della polizia non ci offrono molte garanzie, a parte questo
avviso che le forze dell’ordine desiderano condividere con i nostri
spettatori: “Rimanete in casa. Uscite solo se è strettamente necessario”.
Finora non ci sono stati grossi danni collaterali e le autorità sperano di
mantenere questa situazione. Qui al canale non sappiamo ancora come
interpretare questa cosa, ma pare proprio che, mentre nelle strade scorre il
sangue, gli abitanti di certi quartieri stiano dichiarando di non essere
impauriti, ma di avvertire un nuovo senso di sicurezza.»

Nelle strade scorre il sangue e io non provo alcun senso di colpa. È una
semplice questione di causa-effetto. Di azioni e conseguenze. Per riportare
l’ordine.
Prima di tutto questo, sarei stata solo un altro residente spaventato da
quello che sta succedendo, ma ora vedo ogni cosa da una prospettiva
diversa, a mio parere più chiara.
Lachlan Mount non sta terrorizzando questa città. La sta rendendo più
sicura.
Non mi ha ancora contattato. Da giorni V fa la guardia fuori dalla mia
porta durante il giorno, e di notte quando sono in camera da letto dorme in
soggiorno, probabilmente con un occhio solo.
Sono nel luogo più sorvegliato che conosco, sotto lo sguardo vigile di un
angelo custode.
Ora ho solo bisogno che Lachlan torni a casa.
Nel frattempo cerco di distrarmi con il lavoro.
Il telefono squilla all’ora prevista.
Temperance.
«Ehi. Stanno tutti bene?»
«Sì. Come da tua richiesta, tutto il personale non indispensabile lavora
da casa, mentre il ristorante è ancora chiuso e la scorta che pattuglia
l’edificio ci fa sentire come se fossimo protetti dalla Guardia Nazionale.
Non so dove hai trovato i soldi, ma... sono davvero felice che tu ci sia
riuscita.»
Mi passo una mano sul viso, domandandomi ancora una volta se dirle la
verità, poi decido che meno sa, meglio è. Almeno per ora. «Se sospetti
anche solo per un secondo che potreste essere in pericolo lì in distilleria,
sospendiamo completamente la produzione e ve ne tornate tutti a casa.»
«Capo, noi non chiudiamo l’attività. Non ci sono femminucce qui alla
Seven Sinners. Ci vorrà molto più di qualche pallottola vagante per
impedirci di produrre whiskey. In più continuiamo a ricevere ordini che sto
tenendo in sospeso perché non c’è modo di poterli evadere tutti.»
Il mio cervello, assorbito dalla costante preoccupazione per Lachlan,
fino al punto che ho creato un solco nel tappeto della camera da letto, riesce
finalmente a concentrarsi di nuovo sugli affari. «Domanda e offerta.
Dobbiamo alzare i prezzi.»
Temperance rimane in silenzio per un istante. «Perché non ci ho
pensato?»
«Ci saresti arrivata. È solo che è stato tutto un po’ frenetico» le dico, ed
entrambe ridiamo per quello che sembra l’eufemismo dell’anno.
Discutiamo su come gestire l’incremento del prezzo, poi lei passa
all’argomento successivo.
«Ho appena ricevuto una telefonata dal capo PR dei Voodoo Kings: è
preoccupato che quest’anno il Martedì Grasso possa essere a rischio per via
della nuova ondata di violenza. Stanno già pensando di annullare l’evento,
anche se mancano ancora dei mesi. Gli ho detto che era irragionevole
reagire con tutta quella fretta: credo di averlo convinto, ma forse dovrai
intervenire per rassicurarlo.»
«Non possono cancellarlo.»
«Li ho scongiurati, ma se lo fanno...»
La mia mente corre al contratto. «Aspetta. Fammi controllare la clausola
di recesso. Non c’era un vincolo sulla perdita del deposito nel caso
cancellino l’evento entro un tot di giorni dalla data?»
L’avvocato aveva accennato a qualcosa del genere, ma non lo ricordo
con precisione perché ero più preoccupata di farglielo firmare, quel cavolo
di contratto.
«Sì! Sì, l’abbiamo messo!» risponde Temperance tutta eccitata.
Tiro fuori la mia copia e spulcio le righe in corpo piccolo, poi guardo il
calendario.
«Sono dentro l’intervallo. Perdono l’intero deposito, pari al cinquanta
per cento, se annullano ora.» Sono pervasa dal sollievo, un sollievo
inebriante. «Non pagheranno mai la metà di una festa senza esserne
l’attrazione, giusto?»
«Nossignora. Vuoi che li chiami per ricordarglielo, o ci pensi tu?»
Rifletto sulle alternative, continuando a camminare per la stanza. «Lo
faccio io e la metterò giù in tono amichevole. Tipo: “Mi dispiacerebbe farvi
perdere quel deposito solo per un piccolo spavento di breve durata”.»
«Hai per caso una qualche idea sulla durata di questa follia?» chiede
Temperance.
«Naturalmente no» rispondo, e non è una bugia vera e propria. «Ma
posso convincerli che sarebbe una pessima decisione, presa sulla base di
una paura immotivata, oltre a ribadirgli che così si giocano subito il
deposito.»
«Sì, penso proprio che sia meglio se te ne occupi tu, capo.»
«Mi sembra giusto. Prossimo argomento?»
«Jeff Doon vuole sapere a che punto siamo nell’organizzazione delle
visite guidate. Ovviamente non spinge per iniziarle subito.»
«Questo casino forse è una benedizione. Non siamo ancora pronti.
Altro?»
«Credo sia tutto per ora, a parte...» Temperance si blocca.
«Cosa?»
«Sei sempre al sicuro? Sai, sono preoccupata per te.»
Mi guardo intorno e penso che questo lussuoso appartamento si trova
senza dubbio nel complesso più vigilato della città. «Stai tranquilla,
davvero.»
«Vuoi dirmi altro?»
«Per ora no. Torno presto, comunque. E se credi che ci sia un problema,
ripeto, hai il mio permesso per dire a Louis di sospendere subito la
produzione ed evacuare l’edificio. I ragazzi della sicurezza vi porteranno a
casa e vi terranno d’occhio.»
«Noi non andiamo da nessuna parte, stanne certa. Louis lascerebbe un
neonato in strada piuttosto che abbandonare quegli alambicchi.»
Come mi sono guadagnata tanta devozione e lealtà dai miei dipendenti
non lo capirò mai, ma sono comunque grata per questo.
«Avrete entrambi l’indennità di rischio. Tienimi informata se cambia
qualcosa.»
«Lo farò. Fallo anche tu.»
Quando chiudiamo, chiamo Joseph, il capo PR dei Voodoo Kings, per
ricordargli la clausola di recesso che hanno sottoscritto. Protesta un po’, ma
alla fine quando gli assicuro che tutto andrà bene, accetta di non cancellare
l’evento.
Per oggi ho vinto.
Non appena riaggancio, ricomincio a fare su e giù.
È più forte di me.
Non riuscirò a smettere finché non rivedrò Lachlan con i miei occhi, e a
ogni ora che passa la mia preoccupazione aumenta.
25
Mount

«Quanti ancora?» chiedo a Saxon abbassando il mirino. In meno di


settantadue ore abbiamo liberato New Orleans da quasi tutti i membri della
banda di Eduardo.
«Quattro. Sono radunati come puttanelle in quel complesso.» Il mio
killer è disgustato dalla vigliaccheria mostrata dai leader del cartello.
«Li tieni per le palle, cos’altro vuoi aspettarti?»
Saxon inclina la testa di lato. «Vero.»
Keira mi ha paragonato all’arcangelo Michele – abbastanza inquietante,
visto il nome che portavo un tempo –, ma qui non andiamo a caccia di una
giustizia divina. Reclamo vendetta per ogni goccia del suo sangue, e porto a
termine una ritorsione in piena regola perché il cartello si è ritirato
dall’accordo.
Uno nei miei panni non mantiene il potere punendo un singolo uomo per
dare l’esempio. No, per dare l’esempio li punisce tutti. Nessuno escluso.
Quando a New Orleans questa fazione sarà estinta, il posto vacante sarà
preso dalla sua rivale, che nutrirà un grande rispetto per le mie regole,
forgiate con il sangue dei nemici.
Stiamo lanciando un avvertimento, che non è esattamente una
dichiarazione d’amore.
Sono vestito di nero, proprio come Saxon, indosso un giubbotto
antiproiettile e ho addosso più munizioni e armi di quelle in dotazione a un
marine durante uno scontro a fuoco. Siamo appollaiati in cima a un tetto a
mezzo miglio dal quartier generale del cartello, e stiamo cercando gli ultimi
quattro.
Ho spedito ai messicani un messaggio piuttosto chiaro: se ci mandano
anche un solo uomo oltre il confine, lo prenderò come un invito a fargli
visita in compagnia di un esercito. E quando dico un esercito, intendo il
meglio che lo zio Sam ha da offrire, reclutato fra tutte le agenzie con cui
sono in contatto. Questa guerra della droga poteva concludersi anni fa, ma è
troppo comoda per entrambe le parti.
Qualcun altro sale sul tetto: mezzo secondo e gli stiamo puntando contro
le armi.
È Ransom, che solleva le mani. «Avanti, sparatemi, cazzo. Poi chi li fa
sparire quando avrete finito di ammazzarli? Quelli della stampa
perderebbero la testa se sapessero quanti corpi la polizia non ha ancora
trovato.»
Sta dicendo la verità, perciò Saxon e io riportiamo i mirini sul
complesso: abbiamo lasciato in giro pochi cadaveri, giusto quelli necessari
a dimostrare quanto facciamo sul serio e a ottenere un po’ di risonanza
mediatica.
«Verrai pagato. Che ti frega?»
«Non sono un becchino del cazzo. Sono un contrabbandiere. Questo è
uno spreco delle mie capacità. Puoi scommetterci che dopo tutta questa
merda chiederò di più per far sparire la gente.»
Lancio un’occhiata a Ransom da dietro le spalle. «Perché non ti prendi
un fucile e ti unisci a noi per spezzare la monotonia?»
Estrae un coltellaccio che incute un certo timore. «Preferisco arrivare più
vicino, tipo faccia a faccia. Chi era quel generale che diceva di non sparare
finché non vedi il bianco degli occhi? È la mia specialità. Mica queste
puttanate a distanza.»
Saxon grugnisce, è un chiaro vaffanculo a Ransom. Lavoreranno anche
insieme, ma non sono esattamente due amiconi e non perdono occasione
per tormentarsi a vicenda.
«C’è del movimento» avverte Saxon, passando il dito sul grilletto del
suo fucile di precisione.
«Come cazzo riesce a vedere...»
Prima che Ransom finisca la frase, l’altro ha già sparato. Attraverso il
mio mirino vedo una testa esplodere in mezzo a una nuvola rossa.
«Bel colpo» bisbiglio secco e Saxon mi lancia un’occhiata sprezzante.
«Sono tutti bei colpi.»
Questa sua convinzione è la ragione per cui lo scelgo ogni volta che ho
un incarico delicato. Preferirebbe non lavorare più per me, perché secondo
lui rimangono troppe tracce, ma non me ne può fregare di meno.
Io assoldo il meglio e lo pago una fortuna. Può starci.
Un giorno sparirà e farà in modo che non possa più trovarlo, ma non
succederà prima della fine di questa missione.
«Quindi ne rimangono tre?»
Saxon annuisce.
«Mando la squadra all’interno. È ora di rendere la cosa più personale.»
26
Mount

Quando ho permesso a Keira di entrare nel mio mondo, proteggerla è


diventato un mio dovere. Questo implica non farle mai sapere che esistono
determinate minacce. Quando uno di questi stronzi le ha sparato mentre era
al mio fianco ha fatto un gran casino. Stasera la pagheranno e noi
metteremo la parola fine a questa storia.
Non so come ha fatto Ransom a ottenere la combinazione del cancello
che conduce al quartier generale del cartello, e neanche mi importa, ma
quando attraversiamo il cortile e passiamo sotto il porticato, tutto è
silenzioso.
J parla alla radio. «Abbiamo controllato ogni locale, capo. È tutto libero.
L’obiettivo è in salotto. Giri a destra subito dopo il salone d’ingresso. Non
può mancarlo.»
Il mio bersaglio è Eduardo, l’uomo che si è seduto di fronte alla mia
scrivania e ha accettato di gestire gli affari della coca, della metanfetamina
e delle pasticche sul mercato di New Orleans. Sono stato più che equo nella
spartizione, ma per qualche ragione del cazzo lui ha oltrepassato il limite,
infranto le regole, e distrutto il patto.
E ora faremo i conti.
Il cecchino piuttosto scarso che ha colpito il parabrezza è già stato
eliminato: prima di crepare ha detto che l’ordine era partito dal suo capo.
Adesso il suo capo dovrà risponderne.
Z apre la portiera della Escalade blindata e io scendo. Mentre mi avvio
all’ingresso, noto un paio di cesoie abbandonate da un giardiniere che
probabilmente è fuggito giorni fa quando le pallottole hanno iniziato a
fischiare. Z mi segue e io gliele indico con un cenno della testa.
«Prendile.»
«Certo, capo.»
Estraggo un cubano dalla tasca e lo accendo, faccio un paio di tiri, poi
ordino a Z di aprire la porta. Saxon, Ransom e una squadra dei miei uomini
migliori ci coprono le spalle da ogni angolazione. A questo punto però non
è rimasto nessuno che possa colpirmi.
Entro e le mie scarpe risuonano sul pavimento di marmo mentre
attraverso il salone e mi dirigo a destra, come mi ha suggerito J.
Eduardo è legato con del nastro adesivo a una sedia e sta letteralmente
schiumando dalla bocca, vomitando minacce in due lingue, forse tre. Non
mi interessa saperlo.
«Morirai per questo, Mount. Tirerai le cuoia. Tu e tutti quelli che ami.»
Aspiro una boccata dal sigaro, fissandolo. «Sei tu che hai infranto le
regole. Ti ho fatto entrare nella mia città e guadagnare un fottio di soldi, e in
cambio hai osato spararmi.»
«Col cazzo che ti ho sparato!» La saliva schizza dalla sua bocca mentre
il sudore gli cola sulla faccia.
«È stato il tuo uomo. Me lo ha confessato. Ha detto che glielo hai
ordinato tu.» Sono spietato. Nelle vene ho solo ghiaccio.
«Ha mentito!»
«Sicuro che non stai mentendo tu?» Guardo alle mie spalle in direzione
di Z. «Mettici un po’ di creatività con quelle cesoie.»
Mentre Z gli si avvicina, Eduardo inveisce contro di me, poi le sue
imprecazioni si trasformano in grida un attimo prima che il suo mignolo
precipiti sul pavimento. L’anulare lo segue a breve distanza. Quando la fede
d’oro che portava colpisce il marmo, emette un suono metallico.
«Fanculo, Mount! Creperai per questo! Io non ho ordinato un cazzo.»
Annuisco di nuovo a Z.
Le urla riempiono la stanza, ma l’unica cosa che riesco a immaginare è il
volto di Keira che sbianca mentre lotta per rimanere cosciente dopo
l’incidente.
«Tu non puoi scherzare con me, o con i miei.»
«Non sono stato io! È stato lui che ha fatto tutto da solo!»
«Dovevi controllare meglio la tua banda, allora. Per questo, e per aver
ferito la mia donna, pagherai con la vita.»
Incrocio i suoi occhi marrone scuro colmi d’odio, ira e paura. La mia
vendetta nei suoi confronti non è niente rispetto a quello che lui ha
combinato ad altri.
«Non so di che cazzo stai parlando, Mount.»
Prendo un’altra boccata di sigaro. «Allora non sei più di alcuna utilità.»
Z indietreggia e io gli faccio un cenno. «Poni fine alle sofferenze di
questo pezzo di merda. Non vale il mio tempo.»
Giro sui tacchi e mi dirigo all’ingresso principale: alle mie spalle sento
risuonare altre imprecazioni, poi il caratteristico suono silenziato di una
pallottola mette Eduardo a tacere per sempre.
27
Keira

«Il terrore che incendiava le strade di New Orleans questa settimana sembra
finalmente aver trovato una fine. Gli abitanti sono avvisati di fare
attenzione nel riprendere le loro attività quotidiane, ma le pallottole non
volano più. La polizia non ha ancora emesso un comunicato, ma ne
aspettiamo uno a momenti.»

Più passano le ore e più ho la sensazione di perdere la testa. I notiziari


online continuano a fare resoconti contrastanti su ciò che sta avvenendo, ma
il tono è cambiato.
Se le pallottole hanno smesso di fischiare, allora dove cavolo è finito
Lachlan?
Negli ultimi tre giorni ho praticamente creato un solco che va dal salotto
alla camera da letto, ma non me ne importa niente. L’unica cosa che voglio
è lui, qui, sano e salvo.
Il lavoro mi ha mantenuta sana di mente. La distilleria sta ancora
viaggiando a pieno ritmo: Louis si è rifiutato di andarsene e i dipendenti si
sono schierati con lui. Mi hanno ricordato che a New Orleans, Louisiana,
siamo gente tosta.
Temperance è un fantastico direttore operativo: anche a distanza siamo
riuscite a mandare avanti la baracca. Ma devo rientrare il prima possibile, se
non altro per ringraziare tutti i miei dipendenti per il loro impegno.
Faccio dietrofront per un altro giro su quel tappeto ormai così familiare,
ma sento bussare e mi blocco.
Per quanto speri di vedere Lachlan, so già che non è lui. Come? Perché
di certo lui non busserebbe.
Non siamo neanche a metà giornata e io ho già esaurito la mia dose
giornaliera di pazienza. Questo significa che ogni distrazione è ben accetta.
Vado in salotto ad aprire la porta e vi trovo V con il pranzo.
«Entra.» Mi gira intorno con il vassoio in mano e io chiudo la porta alle
sue spalle. «Sai dov’è? Puoi dirmi qualcosa?»
V sistema il portavivande sul tavolo dove mangio ormai da giorni, poi si
volta ad affrontarmi: la sua espressione è indecifrabile come sempre.
«Almeno sta bene? Se scopro che non è così e che tu me l’hai tenuto
nascosto, scateno il finimondo.» Sto gesticolando selvaggiamente, come se
questo lo possa convincere a rispondermi.
Grugnisce.
«Cosa significa?» La mia voce assume una nota stridula, mostrando
quanto sono vicina al limite.
V indica il vassoio coperto.
«Non me ne frega un tubo del cibo, V. Dimmi solo se sta bene.»
Annuisce.
«Allora dove cavolo è? È finita? Ho bisogno di sapere qualcosa.»
Continua a restare in silenzio, facendo raggiungere alla mia frustrazione
livelli record.
Poi prova a tornare verso la porta, ma lo blocco.
«Non andartene. Non ancora. Sto uscendo fuori di testa qui. Siediti e
aspetta con me.»
Mi fissa con gli occhi socchiusi, quasi sorpreso, si avvicina al tavolo e
indica di nuovo il cibo.
«Tu siediti e io mangio. D’accordo?»
Fa cenno di sì e si siede, togliendo il coperchio prima di spingere il
vassoio di fronte a me.
Con la mano che mi trema afferro la forchetta: quasi non sento il sapore
di quello che butto giù.
Ripetiamo la stessa procedura a cena, diverse ore dopo.
Ancora nessuna traccia di Lachlan Mount.
Dov’è finito?
28
Mount

Esausto, entro nel bagno collegato al mio ufficio e mi libero della giacca,
gettandola sul pavimento. Mi guardo le mani, poi apro il rubinetto e aspetto
che l’acqua bollente le colpisca prima di strofinarle con il sapone.
Per quanto me le lavi, continuo a vederci sopra il sangue. Ma non provo
rimorsi.
Faccio ciò che è necessario.
Paura. Intimidazione. Rispetto.
È così che governo il mio impero. È così che proteggo le mie persone.
Dopo la punizione che abbiamo impartito negli ultimi giorni, nessuno
metterà più in discussione la mia autorità, e solo qualcuno con un istinto
suicida oserebbe versare una goccia del sangue di Keira.
Tutte le questioni in sospeso sono finalmente concluse. Un patto è stato
stretto. E ora la vita va avanti.
Il vapore annebbia lo specchio quando chiudo l’acqua e afferro una
salvietta. Una volta asciugate le mani, la uso per spannare il vetro.
Raramente guardo il mio riflesso. Non ho bisogno di vedere il diavolo
che mi ricambia lo sguardo. Oggi, però, noto qualcosa in più, e non è solo il
sangue schizzato sulla camicia che prima era immacolata. No, è un uomo
determinato. Un uomo pronto a colorare le strade di rosso per proteggere il
suo bene più caro.
Prima di lei ho avuto ogni genere di bene materiale, ma niente da
perdere.
Ora sacrificherei tutto per tenerla al sicuro. Determinazione: è questo
che distingue la forza dalla debolezza.
Keira ha detto che le motivazioni fanno tutta la differenza del mondo.
Forse ha ragione. Guardando in questo specchio non vedrò mai una persona
nobile e onesta, ma se è questo l’uomo che lei vede quando mi guarda,
posso conviverci, almeno fino a quando lei resterà al mio fianco.
Mi libero degli altri vestiti ed entro nella doccia, strofinando ogni
centimetro per avere la certezza che non resti neanche una goccia di sangue.
Se non altro in superficie.
Rimarrò sempre brutale. Spietato. Feroce nel proteggere ciò che mi
appartiene.
Lei non deve vedere questa parte di me. Mai. Ma posso darle quello che
nessun altro ha mai avuto, sperando che sia sufficiente.

Quando mi infilo nel guardaroba attraverso il passaggio segreto, sono


silenzioso come sempre. Dalla camera da letto filtra un alone di luce, ogni
altra cosa però è immersa nel buio.
Senza fare rumore mi dirigo verso quella luce.
Verso di lei.
Si è addormentata al centro del letto, i capelli rossi sono raccolti in uno
chignon disordinato e la mano è stretta al telefono, come se aspettasse una
chiamata.
Avrei dovuto fargliela. Per dirle che stavo bene. Ma sono ancora
inesperto in queste cose.
Spero che non ci sia una prossima volta, ma mentirei a me stesso
ritenendolo possibile. Ci sarà sempre una prossima volta. Un’altra
minaccia. Un’altra persona da uccidere.
Fissando la donna nel mio letto, mi rendo conto però che non sono
costretto a farmi giustizia in prima persona.
Io devo stare qui. Con lei. Ad assicurarmi che non si addormenti da sola,
con le occhiaie scure sotto gli occhi.
Desidero con tutto me stesso svegliarla, o come minimo strisciarle
accanto. Invece occupo una sedia nell’ombra e veglio i suoi sogni.
È il mio privilegio e la mia punizione.
29
Keira

Un sogno terribile mi fa svegliare di soprassalto: Lachlan non tornava più


da me, il suo sangue colava giù per una fogna e il suo corpo non veniva più
ritrovato. Un incubo.
«No» sussurro. «No. Lui deve tornare a casa.» Mi stringo le braccia al
corpo, con forza.
«Sono già a casa.»
Giro la testa di scatto in direzione di quella voce profonda, euforica
perché l’uomo che aspetto di vedere da giorni è seduto su una poltrona
nell’angolo. «Grazie a Dio! Pensavo fossi morto.»
Salto fuori dal letto e corro verso di lui, che si sta alzando. Nella luce
soffusa noto che sul volto ha un’espressione granitica. Mount. Non Lachlan.
«Non sono morto.»
«Cosa c’è? Che è successo? Sei ferito?» Mi fermo incerta davanti a lui,
esaminandogli il completo immacolato, ma vorrei poter passare le mani su
ogni centimetro del suo corpo e controllare di persona.
«Non è successo niente. Sto bene.»
Uso quelle sue parole come scusa per coprire i pochi centimetri che ci
separano. Lui mi cinge con le braccia e mi tiene stretta al petto. Non fa
nessuna smorfia, e io spero che questo significhi non solo che la ferita da
arma da fuoco sta guarendo, ma che nel frattempo non se ne è procurato
altre.
«Ero così maledettamente preoccupata per te. La prossima volta devi
chiamarmi o mandarmi un messaggio, oppure un segnale come quello di
Batman. Qualunque cosa. V che grugnisce e annuisce non basta. Mi serve
una prova che stai bene.»
Mi appoggia una mano alla nuca.
«Segnale di Batman?»
Inspiro il suo profumo familiare, godendomelo senza preoccuparmi di
sembrare pazza. «Dato che in pratica sei Batman, un segnale luminoso
come il suo potrebbe essere utile.»
Sento il suo petto scuotersi e penso che stia ridendo di me, ma non
intendo muovermi per controllare.
«Sai che non ha quella funzione il suo segnale, vero?»
«Non discutere con me, Lachlan. È meschino. Quasi quanto abbandonare
tua moglie la notte di nozze senza farle sapere se sei vivo o morto.»
Mi appoggia le labbra sulla tempia. «È la mia prima esperienza come
marito. Sono sicuro che farò ancora molte cazzate.»
Socchiudo gli occhi e lo guardo. «Regola numero uno: far sapere a tua
moglie che sei vivo, soprattutto dopo che sei uscito a farti vendetta.»
Moglie. Non riesco ancora a capacitarmene, ma è vero: ho pronunciato
di nuovo le promesse, e per di più le sentivo veramente.
I suoi occhi scuri si accendono. «Mi stai dando delle regole?»
Sollevo il mento. «Sì. Ho sposato il re: questo mi dà diritto a certe
libertà.»
Mi stringe ancora di più. «Non riesco ancora a credere che hai detto sì.»
Libero un braccio dalla stretta e mi allungo a sfiorargli la guancia
sbarbata di fresco. «Certo che l’ho detto. Sono innamorata di te.»
Sul suo volto le emozioni si avvicendano incontrollate, ognuna più
vivace e intensa della precedente. «Non puoi parlare sul serio.»
Incrocio quel suo sguardo scuro e vibrante che un tempo mi incuteva un
timore reverenziale, togliendomi ogni potere sul mio corpo, e che ora mi
infonde sicurezza. «Pensi che altrimenti avrei promesso “finché morte non
ci separi”?»
«Hai la mia protezione...»
Gli tamburello il pollice sulle labbra, interrompendolo. «Io ho te. È tutto
quello che volevo. E se devo passare il resto della mia vita a dimostrarti che
penso veramente ogni fottuta parola, lo farò.»
«Non ti lascerò mai andare. Mai.»
Il suo giuramento ha la stessa convinzione del mio, e so che staremo
bene.
«Sono felice che siamo d’accordo. Ora riportami a letto: dobbiamo
recuperare una notte di nozze.»
30
Mount

Nella mia vita le parole non hanno mai avuto la stessa importanza delle
azioni. Almeno fino a questo momento e a questa donna.
«Sono innamorata di te.»
Ogni volta che mi ripeto quelle parole nella testa, un violento istinto di
possesso mi infiamma il sangue.
Non merito di essere amato. Né da lei, né da chiunque altro. Ma questo
non significa che non lo accetterò. Me lo terrò stretto. Come terrò stretta lei.
La proteggerò e me ne prenderò cura.
Ho mentito, ingannato, rubato e ucciso, e lo farò di nuovo, soprattutto se
servirà per mantenere le promesse che ho recitato di fronte a un uomo di
Dio e a un giudice.
Non c’è niente che non farei per lei.
Quando ci avviciniamo al letto l’aiuto a sdraiarsi con la stessa premura
che si ha verso un dono prezioso, ma so che questa tenerezza non durerà.
Non posso espellere dal mio corpo l’adrenalina che ho accumulato negli
ultimi giorni.
Ho bisogno di scopare la mia donna. Di possederla. Di immergermi in lei
fino a quando non grideremo entrambi.
In qualche modo lei lo ha intuito. E mi parla con voce sicura e limpida.
«Posso ricevere qualunque cosa tu abbia da offrirmi. Quindi farai bene a
darmi tutto quello che hai.»
Un ruggito mi sale in gola e lancio via la giacca. Keira mi attacca con
identico fervore e mi strappa la camicia, mentre io armeggio con i pantaloni
facendoli sparire. Resto nudo di fronte a lei, pronto a lacerarle i vestiti come
lei ha fatto con i miei.
Ma Keira solleva un dito, puntandolo verso di me. «Se tu al mondo
possedessi solo ciò che indossi in questo preciso momento, io ti vorrei
comunque con la stessa passione, e ti amerei con la stessa intensità.»
Io non so cosa dire, perché nella vita non mi è mai capitato nulla di
simile, ma per lei imparerò.
Il prima possibile.
«Ho bisogno di te. Ora.»
31
Keira

Lachlan si trasforma in un animale e mi fa a pezzi la camicia da notte di


seta. Mentre la sua bocca saccheggia la mia, gli affondo le unghie nelle
spalle come quella prima sera sul tavolo della sala da pranzo.
Provo sensazioni altrettanto intense questa mattina, ma scaturiscono da
un’emozione completamente diversa. Lui si divincola e mi schiaccia contro
il letto per poi baciarmi lungo tutto il corpo, stando attento alla mia ferita in
via di guarigione. Per quanto lo riguarda porta ancora una fasciatura, ma
non dà segno di sentire dolore.
Si inginocchia e mi spalanca le cosce. «Già tutta bagnata per me.»
Apro la bocca per rispondere, ma mi esce invece un gemito appena le
sue labbra si chiudono sul mio piercing. È un vantaggio ingiusto, però non
me ne lamenterò mai.
Lachlan continua a farmi gridare finché non immergo le dita nei suoi
capelli, attirandolo verso il mio viso. Quando le sue labbra incontrano di
nuovo le mie, sanno di me, e mi piace da impazzire.
«Tocca a me.»
Lui scuote la testa. «No, cazzo. Non posso aspettare.»
Mi afferra i fianchi, posizionando il suo uccello già duro davanti alla mia
fica. Sul volto ha un’intensa espressione di possesso. Non esita, e io non
desidero che lo faccia.
Un solo affondo gli è sufficiente per riempirmi, poi continua a spingere.
Alla fine il suo volto si contorce per il piacere e i miei muscoli interni lo
avvolgono.
«Ti amo, Lachlan Mount!»
32
Mount

Ho perso il conto degli orgasmi raggiunti da Keira, ma quando lei si


affloscia accanto a me sfinita, la stringo e ricopro i nostri corpi. Non siamo
ancora riusciti ad avere la nostra notte di nozze, ma mi farò perdonare.
Mi è impossibile dimenticare quello che ha detto, o meglio che ha urlato.
«Ti amo.»
Non ho mai saputo cosa cazzo significhi la parola amore. Quando cresci
senza riceverlo, senza provarlo, non è qualcosa che può avere un senso.
Mi farei sparare per lei. Morirei per lei. E vivrei per lei.
Se l’amore è questo, allora forse sto finalmente iniziando a scoprirlo.
Non c’è dubbio che ne comprendo almeno una parte: non voglio perderlo.
Così come non voglio perdere lei.
Di certo mi rifiuto di vedere ancora il suo sangue sulle mie mani. Mai
più.
Si accoccola vicino a me e io le bacio la tempia, stringendola più forte.
«Non ti toccheranno mai più.»
Gli occhi alla fine mi si chiudono, ma invece di godermi un sonno senza
sogni, combatto contro un incubo in cui qualcuno cerca di portarmela via.

Quando mi sveglio di scatto saltando su nel letto non so quanto tempo è


passato, ma gli occhi di Keira si aprono nello stesso istante.
«Che c’è? Cosa succede?» È subito pronta e si allunga verso il comodino
dove è custodita una pistola carica.
Questa donna è perfetta per me.
«Niente.» Le afferro la mano, spostandola prima che tocchi il revolver.
«Va tutto bene.»
Fa un profondo respiro. «Possiamo provare a svegliarci senza un infarto
la prossima volta? Sarebbe fantastico.»
Un suono mi fa prudere la gola, e mi rendo conto che è una risata. O un
abbozzo. «Ci proverò.»
«Bene.»
«Nel frattempo, prepara i bagagli. È tempo di portare le chiappe fuori
dalla città.»
I suoi occhi verdi si spalancano. «Perché? Pensavo fossimo al sicuro.»
«Lo siamo. Ma ti voglio tutta per me. Lontano da qui. Senza
distrazioni.»
«Tipo una luna di miele?»
«Chiamala come ti pare, ma è ora di andare. Farò rifornire il jet,
partiamo tra un’ora.»
Keira si morde il labbro. «So che ti suonerà strano, ma potresti per
favore tener conto da dove vengo.»
Mi preoccupo, chiedendomi cosa cazzo ha causato quell’espressione di
incertezza sul volto della mia piccola ribelle. «Cioè?»
«Non posso andarmene ora. Sono rimasta chiusa qui dentro per giorni,
cercando di mandare avanti la mia società – che sta cambiando in fretta –
dall’interno di queste mura. E prima ancora sono rimasta fuori dal paese per
circa una settimana senza averlo previsto. E poi c’è il premio, e un milione
di ordinazioni... Insomma la situazione della distilleria mi sta scappando di
mano. Devo per forza tornare in ufficio.»
Il mio primo istinto è quello di ignorare le sue proteste e dirle che è
ridicolo. Lei non ha bisogno di lavorare, non più. Ho abbastanza denaro da
garantirci una vita da nababbi per sempre. Tuttavia freno la mia reazione.
«Quindi essere sposati con un amministratore delegato comporta
questo.»
Lei annuisce. «Ho bisogno che tu sia d’accordo, perché per me è
importante.»
«Troviamo un compromesso allora.»
La testa di Keira si gira di scatto e le sopracciglia si alzano. «Conosci il
significato di questa parola?»
Sento le labbra contrarsi: forse sto cercando di sorridere. «Solo per te.»
«Allora ascolterò la tua proposta.»
Di fronte a quel tono insolente, la inchiodo sul letto. «Per prima cosa ti
scopo. Poi ti infiliamo quell’ultimo plug nel culo così sarai pronta per il mio
uccello.»
Solleva i fianchi e mi si strofina addosso. Sì, è la donna perfetta per me.
«È tutto?»
«Dopodiché V ti porta al lavoro, rimane con te, e tu torni non appena hai
la situazione sotto controllo. Hai due giorni, poi lasceremo di nuovo questo
dannato paese per diventare solo Lachlan e Keira, su una spiaggia da
qualche parte, senza nessun cazzo d’essere umano nel raggio di chilometri.»
Il suo sorriso è luminoso. «Ce la posso fare.»
«Bene. Perché non hai scelta.»
«Credevo fosse un compromesso.»
Scrollo le spalle. «Qualcosa di simile.»

Quando ore dopo le concedo finalmente di uscire dal letto, mi aggredisce


una sensazione di disagio. Forse per via degli eventi dell’ultima settimana,
o forse per qualcos’altro. Mentre lei si prepara, esco dalla porta
dell’appartamento e V si gira a guardarmi.
«Tienila d’occhio come se ne andasse della tua vita.»
33
Keira

Quando entro nello stabile, vado dritta nel mio ufficio, sperando di
raggiungere il seminterrato senza che nessuno noti la mia nuova guardia del
corpo.
Non sono sicura del perché Lachlan mi abbia messo V alle calcagna, ma
non farò domande. La mia vita è cambiata: quando ho pronunciato le
promesse, sapevo che stavo accedendo a un mondo diverso e devo trovare il
modo di farlo combaciare con il mio.
Temperance mi viene incontro sulla porta della mia stanza: la sua
attenzione si sposta da V a me. «L’autista non rimane più nell’auto?»
«Entriamo. Devo spiegarti alcune cose.»
V ci concede un po’ di privacy aspettando subito fuori: questa cosa
susciterà solo altre domande da parte dei miei dipendenti. Ed è proprio
quello che ho bisogno di valutare con Temperance.
Il mio nuovo direttore operativo non fa una piega, né si perde un
dettaglio: i suoi occhi corrono subito alla mia mano sinistra. È impossibile
non accorgersi dell’enorme diamante ovale montato sopra una sottile fede
d’oro rosa tempestata di altri diamantini. Devono essere in tutto più di
cinque carati. Non ho avuto il tempo né la voglia di chiedere a Lachlan
come abbia trovato un anello tanto bello con così poco preavviso, perché
ero troppo ammutolita dal fatto che ci stavamo sposando davvero. Ma in
fondo si tratta di Lachlan Mount: decide lui quando far succedere le cose.
A me l’intera cerimonia sembra ancora surreale, come lo è il peso di
un’altra fede nuziale sulla mia mano. Per qualche ragione, però, questa me
la sento perfetta.
«Cavolo, capo, quella è una gran bella pietra. Hai rapinato una gioielleria
e ti sei nascosta finché le acque non si sono calmate?»
«Non proprio.» Gli angoli della mia bocca si tendono verso l’alto in un
sorriso contenuto, cosa che capita spesso quando guardo quella pietra
scintillante.
«Quand’è il gran giorno?»
Stringo le labbra e quasi non mi capacito che glielo sto dicendo. «Ecco...
in realtà è già successo.»
Resta a bocca aperta e mi guarda incredula. «E non mi hai neanche
invitata?» Solleva una mano. «Scherzo, ma tu... dici sul serio? Avevo capito
che mi stavi tenendo nascoste alcune cose, ma questa è davvero grossa. E
non parlo solo dell’anello.»
«Come posso... è stato un gesto impulsivo.»
«E il fortunato?»
«Prima o poi lo conoscerai.»
Si lascia cadere sulla sedia di fronte alla mia. «Al momento non so
neanche come reagire.»
Vorrei aver parlato con Lachlan per decidere con lui cosa potevo dire alle
persone, ma per ora preferisco essere prudente. «Era quello che volevo.»
«Sicura? Nessuno ti ha puntato una pistola alla tempia, vero?» Formula
la domanda come se fosse davvero preoccupata.
Penso al giudice e al prete che hanno ascoltato le nostre promesse e a
tutti i documenti che abbiamo firmato. «No. È stata una mia libera scelta.»
«Prima o poi mi racconterai tutto, no?»
«Tutto quello che posso.»
Temperance inspira profondamente, fissandomi a lungo prima di
espirare. «Bene. Il capo sei tu. Allora, da dove vuoi partire?»
Quando ci immergiamo nella lista di argomenti da discutere, mi dimostra
subito fino a che punto merita la sua nuova posizione. Mi rendo anche
conto che sarà impossibile gestire tutto quello che necessita la mia
attenzione in soli due giorni.
Quindi ora devo trovare un modo per riportare Lachlan al tavolo di
negoziazione... ma fortunatamente ho un’idea.
34
Keira

«Ma non avevamo deciso che saresti tornata da me, moglie?»


Il tono possessivo con cui Lachlan pronuncia quella parola uscendo
dall’ascensore e avvicinandosi mi provoca brividi sulla schiena.
«I piani cambiano, marito. Siediti.» Gli indico il tavolo più richiesto del
Seven Sinners, imbandito con alcuni dei migliori cibi che New Orleans ha
da offrire, oltre ovviamente al miglior whiskey. «Ho più lavoro del previsto,
e dato che questo ci ha impedito di andare in luna di miele... ho pensato che
magari potevi apprezzare una cena con vista. Io non so cucinare, perciò era
senza dubbio la soluzione migliore che avevo a disposizione.»
Lui solleva un sopracciglio. «Cosa vuol dire che non sai cucinare?»
«Non me lo hai mai chiesto. Spero che per te non sia una ragione per
rompere, perché ormai ti ho incastrato.»
La sua risata rimbomba per tutto il ristorante, completamente vuoto.
Ho deciso di tenerlo chiuso fino a domani sera, ma ho implorato Odile di
restare disponibile. Ora le devo un favore enorme, e dal modo in cui ha
divorato V con gli occhi, quando lui mi ha seguito in cucina, temo di sapere
quale sarà quel favore.
Il fatto che lui non parla non sarà un problema per la mia sfrontata chef
di origine cajun. Lei parlerà senz’altro a sufficienza per entrambi.
«È una fortuna che tutti e due abbiamo uno chef, altrimenti moriremmo
di fame» dice Lachlan spostandomi la sedia.
Mentre gira intorno al tavolo per occupare il suo posto gli chiedo: «Non
sai cucinare neanche tu?».
«Niente che meriti di essere mangiato.»
«Stasera per fortuna ci ho pensato io a voi.» Odile attraversa la sala con
rinnovata energia, portando al nostro tavolo l’ultima richiesta che le ho
fatto: una piccola torta su un vassoio d’argento.
Non le ho confessato che è la mia torta nuziale, però, perché Dio solo sa
quante domande mi avrebbe rivolto. Grazie al cielo non ha notato il mio
anello.
Per prima cosa l’uomo seduto di fronte a me deve dirmi come cavolo
spiegare alla gente che mi sono improvvisamente sposata, e aiutarmi a
capire a chi posso comunicarlo. Lo so che lui ha detto che non sarebbe stato
normale, e non sto chiedendo il contrario, ma devo pur dire qualcosa alle
persone. Non riesco neanche a pensare a quando lo dirò alla mia famiglia.
«Grazie, Odile.»
Lei appoggia le mani sui fianchi. «C’è qualcos’altro che posso portarvi
prima di andare a casa?»
«No. È perfetta. Grazie.»
Squadra me e poi Lachlan. «Bon appétit.»
«La ringraziamo entrambi, signorina Bordelon.»
Non so perché mi sorprende il fatto che Lachlan conosca il suo
cognome, ma di certo lascia Odile esterrefatta.
Lei solleva il mento e replica: «Non mi occorre sapere niente, se non che
la tratterà bene, signore».
Mi mordo il labbro, chiedendomi cosa risponderà lui.
«Ha la mia parola.»
«Allora vi auguro una buona serata e me ne vado.»
Le sorrido mentre si allontana dal tavolo, lo sguardo rivolto verso V
posizionato vicino all’ascensore.
«V, scorta la signorina Bordelon giù alla sua auto e poi prenditi la serata
libera.»
All’ordine di Lachlan il volto di Odile si illumina: saltella letteralmente
in direzione dell’uomo silenzioso.
«Non sai cos’hai appena scatenato.»
Lo sguardo di Lachlan torna sul mio. «Non credi che lei sia in grado di
gestire V?»
Lancio un’occhiata verso Odile, che sta già chiacchierando con lui
mentre entrano nell’ascensore. «Non sono sicura che lui sia in grado di
gestire lei.»
Ancora una volta la risata di Lachlan risuona nella sala, un suono che mi
piacerebbe sentire più spesso.
Quando ha finito, dà un’occhiata alla torta e poi a me. «Lei lo sa?»
Scuoto la testa. «Ho detto lo stretto necessario solo a Temperance. Non
so cosa dire.»
«Quello che è più semplice per te. Tutto o niente. Se pensi che scatenerà
troppe domande, puoi anche non portare l’anello.»
Ritiro la mano coprendola con l’altra, come se lui avesse provato a
sottrarmi l’anello. «Non ho intenzione di toglierlo.»
Un sorriso soddisfatto gli attraversa il volto. «Bene. Perché adoro
vedertelo al dito.»
«Tu non ce l’hai, però. Anche se immagino che non lo porteresti, vero?»
«Perché no?»
«Non scatenerebbe troppe domande?»
«Nessuno me le fa tranne te.» Il suo sorriso si allarga, e io lo ricambio.
«Non intendo scusarmi per questo.»
«Non ti chiederò mai di farlo.»
Sorrido a mia volta mentre mi allungo verso il whiskey di fronte a me,
sollevandolo.
«A noi» dico, aspettando che lui prenda il suo.
«A noi» ripete lui.
«E al nostro impero» aggiungo, guardando fuori il sole che cala
sull’orizzonte di New Orleans, per lasciare spazio alla luna piena.
«A questo brindo anch’io di sicuro.»
Facciamo cin cin prima di svuotare i bicchieri. Quando appoggio il mio
sul tavolo, lo fisso dritto negli occhi.
«Per quella storia del plug... Esattamente quand’è che dovrei essere
pronta per usarlo?»
Un’altra risata risuona in tutto il salone: è il suono che prediligo al
mondo.
«Presto, piccola ribelle. Presto.»

Mentre facciamo onore al banchetto che abbiamo davanti, parlando di


qualunque cosa ci passi per la testa, nutro nuove speranze per il futuro.
Probabilmente è la seconda volta che mi sposo di impulso, anche se
ritengo che le circostanze siano del tutto diverse. Ma stavolta non ho dubbi
che funzionerà.
Non solo perché c’è dietro Lachlan Mount, ma perché entrambi
riconosciamo le sfide che abbiamo davanti e siamo pronti ad affrontarle
insieme.
Lui mi ha offerto il suo aiuto in ogni modo possibile. Il suo tempo. Il suo
talento. La sua fortuna. Ora devo solo fare in modo che si renda conto di
essere innamorato di me come io lo sono di lui.
Taglio due pezzetti di torta e li sistemo sui piattini che Odile ci ha
portato, poi ne sposto uno sul tavolo verso Lachlan. «Sai come funziona?»
Lui si acciglia. «La torta? La si mangia?»
Sorrido. «Questa non è solo una torta.»
Un’espressione di intesa gli illumina i tratti. «Ah, capisco. Stai provando
a convincermi perché ti lasci più tempo, invece di rapirti per qualche isola
deserta?»
«Sì.» Inclino la testa. «Ma come hai fatto a indovinare il mio scopo?»
Il suo sorriso è ipnotizzante quasi quanto la sua risata. «Perché tu ami
questo posto, e non te ne andrai finché non sarai certa che tutto fili alla
perfezione.»
Lui mi vede davvero: non solo il mio aspetto esteriore, ma fin dentro il
cuore.
«È un problema per te?»
Scuote la testa. «Sapevo esattamente chi mi stavo prendendo, e mi stava
bene fin dall’inizio.»
«Allora eri in vantaggio su di me, perché io non ne avevo alcuna idea.»
Faccio una pausa, in cerca delle parole giuste per spiegarglielo, e Lachlan
attende in silenzio, anche se impaziente. Probabilmente si aspetta il peggio,
ma non è quello che sto pensando. «Tu sei l’uomo più complicato che io
abbia mai conosciuto.»
Lui apre la bocca per parlare, ma io vado avanti.
«Ma non in senso negativo, ovvio.» Con un cenno della testa indico la
torta davanti a me. «Non ti avrei sposato se non avessi saputo di amarti, e
ho iniziato a innamorarmi di te quando finalmente mi hai fatto vedere il tuo
vero io. A Dublino. Là sono riuscita a conoscere Lachlan, non Mount.»
«L’uno non esiste senza l’altro.»
«Allora è una buona cosa che io abbia entrambi.» Mi alzo e sollevo il
mio piatto con la torta. «Su, rendiamolo ufficiale.»
Anche lui si alza, reggendo il suo piatto. «Pensavo che lo avessimo fatto
di fronte a un prete e a un giudice.»
«Sei proprio un uomo. Non è ufficiale fino alla torta e al ballo.» Lo
raggiungo.
«Il ballo?» chiede lui, sollevando un sopracciglio.
«Certo, il ballo.»
Mi mordicchia le dita cercando di agguantare il mio pezzo di dolce, e
offrendomi nello stesso tempo la fetta nel suo piatto: la torta al cioccolato di
Odile, con glassa alla crema di whiskey, si scioglie in bocca.
«Accidenti, è davvero buona» commenta Lachlan, e io sono d’accordo.
«Dopo il ballo ne puoi avere ancora.»
Mi prende il piatto dalle mani, facendoli tintinnare entrambi mentre li
riappoggia sul tavolo. «C’è qualcosa però che precede il ballo.»
«Ossia?»
Lachlan mi prende tra le braccia. «Devo baciare la sposa finché mi va.»
Le guance mi fanno male per quanto sorrido. «Ci sto.»
Le sue labbra si chiudono sulle mie e mi sento scoppiare dalla felicità.
35
Mount

Ignoro il mio telefono per i primi tre squilli, ma quando attacca il quarto,
Keira ridacchia e si allontana per cambiare musica.
Lo estraggo dalla tasca, incazzato che qualcuno osi interrompere la cosa
più simile a un ricevimento di nozze che potrò mai avere. Solo Keira e io,
che balliamo a lume di candela nel ristorante, con la luce chiara della luna
che risplende attraverso i vetri spessi delle finestre.
Lo schermo mi annuncia che è J.
«Cosa cazzo succede che non riesci a gestire da te?»
«Ho appena ricevuto la soffiata che i poliziotti faranno irruzione nel
casinò stasera, capo. Pensavo lo volesse sapere.»
Merda.
«Stasera? Quale fottuto stronzo non è sul nostro libro paga? Chi ci
proverebbe altrimenti?»
«Si vede che ci sono più poliziotti onesti di quanti pensavamo in questa
città.»
«Chiudi tutto e sbaracca.»
«Vuole occuparsene di persona, o vuole che li incontri io?»
Keira butta giù un altro bicchiere di whiskey canticchiando e scorrendo
la playlist, il che mi concede altro tempo per pensarci. Vorrei rimanere in
questa stanza per sempre, ma questa cosa è parte della mia vita: non ho
sempre il lusso di decidere io quando i poliziotti faranno un raid.
Chiarirò comunque che non sono benvenuti nel mio locale.
«Arrivo.»
«È sicuro? Perché...»
«Sistema tutto. Io sarò presente.»
«Bene, capo. Ci penso io.»
Keira abbassa il bicchiere vuoto sul tavolo mentre nei suoi occhi verdi
passa un lampo di apprensione. «Che c’è? Che succede?»
«Niente di cui tu debba preoccuparti, solo devo andare per occuparmi di
alcuni affari.» Le offro la mia mano, e lei intreccia le sue dita nelle mie.
«Ma presto riprenderemo la nostra luna di miele.»
«Siamo una squadra ora. Puoi dirmelo se ci sono problemi.»
Stringo i denti. La sua domanda e il tono sono ansiosi, e la mia reazione
istintiva è quella di proteggerla da tutto. «Ci saranno sempre cose che non
dovrai necessariamente sapere.»
«Ma ci sono cose che tu puoi dirmi. Se io ora avessi ricevuto una
telefonata che cambiava il mio umore come questa ha cambiato il tuo, non
mi avresti lasciato andare senza una spiegazione, Lachlan. Inoltre, nessuno
adesso può costringermi a testimoniare contro di te.»
Ha ragione, e io rispetto sia lei sia il suo desiderio di sapere. Non si tratta
di una questione di vita o di morte che devo tenere per me, quindi decido di
dirglielo.
«I poliziotti faranno irruzione nel casinò, quindi devo essere sicuro che
non ci sia un casinò da perquisire quando arriveranno.»
Le sue sopracciglia schizzano fino all’attaccatura dei capelli. «E tu
pensavi di averli fatti felici ripulendo le strade.»
«Immagino sia il loro modo per dirmi che non hanno gradito il mio
aiuto.»
«È già successo prima d’ora?»
Annuisco. «Quando ho preso il comando, all’inizio. Mi hanno messo alla
prova e siamo arrivati a un accordo. È rimasto valido per un sacco di tempo.
Questa è solo un’altra prova, ma non è un problema.»
«Okay. Non mi serve sapere di più. Vai a fare quello che devi.»
Mi guardo intorno nella stanza: non voglio lasciarla lì senza V, ma gli ho
concesso la serata libera. «Chi altro c’è qui?»
Keira dà un’occhiata all’orologio. «Di sera a quest’ora? Solo
Temperance. Le ho detto che non aveva il permesso di restare dopo di me,
ma ha risposto che non se ne sarebbe andata prima.»
«Chiamo V, aspetto che arrivi, e poi...»
Lei sospira esasperata. «Vai. Pensa ai tuoi affari. Starò bene.»
«Non ti lascio senza protezione.»
«Ho un arsenale in ufficio. Chiunque cerchi di arrivare a me cadrà
stecchito appena oltre la soglia. E anche Temperance sa badare a se stessa.»
Sembra sicura, ma continua a non piacermi l’idea che rimanga qui senza
V.
«Gli mando un sms. E tu non provare neanche a lasciare l’edificio senza
di lui.»
Keira mi stampa un bacio sulle labbra. «Non preoccuparti per me. Vai.»
Prima di allontanarmi le immergo la mano nei capelli e le restituisco un
bacio lunghissimo. «Ci vediamo più tardi. Tu e io, senza più interruzioni.»
«Ci sto.»
Mentre mi avvio verso l’ascensore, mi afferra di nuovo la stessa
sensazione di disagio di questa mattina. Scrivo a V di portare in fretta il suo
culo al Seven Sinners.
36
Keira

Non sono neanche arrivata al mio ufficio e il telefono già inizia a squillare.
Temperance.
«Sto venendo giù» le dico. «Che succede?»
«Allarme antincendio al magazzino di invecchiamento. Quando eri a
Dublino gli avevo detto di mettere il mio numero in cima alla lista in caso
di emergenza. Dobbiamo andare subito, ho già chiamato i vigili del fuoco:
sono in viaggio.»
Porca puttana.
«Arrivo» grido, poi riaggancio e raggiungo di corsa il mio ufficio.
Temperance è già in corridoio con la borsa. «Guido io.»
«Bene, perché io non ho uno straccio di macchina qui.» Parlerò con
Lachlan di come affrontare emergenze come queste.
Corriamo al parcheggio e saliamo sulla Tahoe di Temperance.
«Non possiamo perdere il magazzino. Questo è...» Sembra spaventata
quanto me.
«So che non possiamo. Saremmo fregati. Non può succedere proprio ora.
Deve essere un falso allarme.»
Sfreccia a tutta velocità verso la periferia: è l’incarnazione della frase
“guidare come se avessi il diavolo alle calcagna”. Il magazzino è un edificio
alto, ordinario, nessuno ne indovinerebbe il contenuto senza porci
attenzione.
Quando Lachlan mi ha praticamente confessato di aver fatto rubare un
barile di Spirit of New Orleans da lì, mi sono resa conto che dovevo
migliorare il sistema di sicurezza, ma con tutto quello che è successo da
allora non ne ho avuto il tempo.
E naturalmente doveva succedere proprio ora.
«Papà mi disconoscerà se accade qualcosa al whiskey.»
Temperance mi lancia un’occhiata attraverso il Suv. «Dimentica tuo
padre. Che cazzo diciamo ai distributori, abbiamo appena firmato con loro
dei contratti enormi!»
Copriamo il resto del tragitto immerse in un silenzio pieno d’ansia,
costeggiando il recinto di filo spinato che circonda l’edificio. Le fiamme si
alzano da una delle finestre dell’ultimo piano, ma non vedo nessun camion
dei pompieri.
«Porca puttana!»
Temperance inserisce il codice del cancello e le gomme fanno schizzare
la ghiaia quando lei entra slittando nel parcheggio e pianta il Suv in folle.
«Dove sono i vigili del fuoco?» chiedo.
«Non lo so! Io li ho chiamati. Il centralino mi ha assicurato che
sarebbero arrivati subito.»
Non si sente neanche una sirena in lontananza e lo stomaco mi sussulta.
«Chiamali di nuovo. Presto. Io vado a cercare un estintore.»
Mi afferra il braccio prima che riesca ad aprire la portiera. «Mi prendi
per il culo? Non puoi entrare lì dentro.»
«C’è il mio patrimonio! Non starò a guardarlo andare in fumo senza
neanche provare a salvarlo.»
Salto fuori dall’auto e mi precipito verso il magazzino, dirigendomi
all’ingresso laterale.
Stringendo il telefono in mano recupero il numero di Lachlan, ma non
riesco a chiamarlo perché qualcosa di pesante entra in collisione con la mia
nuca.
Sento solo un dolore acuto, poi tutto diventa nero.
37
Mount

Al mio arrivo il piano del casinò è stato sgombrato in parte, ma non del
tutto. Sarà pronto prima che si presentino i poliziotti, però, e io li aspetterò
per una discussione che non dovrebbe neanche servire. Quando se ne
andranno, non ci saranno dubbi che questa città mi appartiene ancora.
Mando un messaggio a V.
Mount: SEI DA LEI?
V: NON ANCORA. CI SONO QUASI.
Mount: DIMMI QUANDO CI SEI.
V: CERTO.
Aiuto a portar via i tavoli col sudore che mi scende lungo il colletto,
caricando un furgone dopo l’altro. Lasceranno la città in direzioni diverse.
V non mi ha ancora mandato un messaggio di conferma e sono già
passati quasi quaranta minuti. Qualcosa non quadra.
Mount: L’HAI TROVATA?
V: NON È QUI. HO CONTROLLATO. NON RIESCO A RINTRACCIARLA.
Ho vissuto affidandomi sempre all’istinto, avrei dovuto ascoltarlo anche
stavolta. Qualcosa non va, punto.
Mount: TROVALA SUBITO.
Poi telefono a J. «Ci è sfuggito qualcuno? Uno qualunque?» Non devo
specificare di cosa sto parlando.
«No, capo. Li abbiamo beccati tutti. Ogni singola testa di cazzo.»
«Ne siete certi? Perché se ti sbagli...»
«Non mi sbaglio. Cosa cazzo succede?»
«V non riesce a trovare Keira alla distilleria. C’è qualcosa che non va.»
«V sarebbe capace di annegare in una pozzanghera. E la distilleria è
grande. Magari si è perso.»
Il tono sprezzante di J mi fa imbestialire ma non mi disturbo a
rispondere. Riaggancio.
38
Keira

Mi sveglio con le mani legate dietro la schiena. Una puzza orribile mi


riempie le narici.
«Oddio. Cos’è?»
«Puttana del cazzo. Non vuoi proprio morire, vero?»
Apro gli occhi di scatto, concentrandomi sulla luce di una torcia e sulla
tipa bionda che ci sta dietro. I suoi capelli sono quasi bianchi al chiarore
della luna e non l’ho mai vista prima d’ora.
«Chi sei?» Pronuncio le parole con voce strozzata mentre quell’odore
nauseante minaccia di farmi vomitare tutto quello che ho mangiato stasera.
«Sono l’unica che lo comprende. L’unica che riuscirà a stare con lui.
Sono il suo destino.»
«Ma di cosa cazzo stai parlando?» Mi sforzo di mettermi a sedere, ma la
mia mano tocca qualcosa che scricchiola e si sbriciola sotto le dita.
Distolgo gli occhi da lei per un secondo e abbasso lo sguardo su quanto
viene illuminato dal fascio di luce, oltre a me.
«Oh mio Dio.» Sono sdraiata sopra una pila di corpi. Scheletri. Cadaveri
in decomposizione. Hanno tutti indosso abiti femminili.
La luce della luna si insinua tra le fessure nel soffitto, rivelando che mi
trovo in un mausoleo.
No. Non sta succedendo davvero. Sto avendo un incubo.
La bile mi sale in gola mentre lei solleva la canna di una pistola verso di
me.
«Quando vuoi una cosa fatta bene, devi fartela da sola.»
Preme il grilletto proprio mentre cerco di tirarmi su e allontanarmi. La
pallottola mi trafigge la spalla e io avverto una fitta di dolore violenta e
bruciante: mi leva il fiato e cado di lato su qualcosa di più morbido.
Mentre lei si gira per andarsene, la luce della torcia rimbalza e prima che
lei chiuda la porta finisce su un volto a pochi centimetri dal mio.
Il volto di Magnolia.
Oddio. No.
«Che cazzo hai fatto, stronza pazzoide?» grido.
«Sei tu la stronza pazzoide. Lui era mio prima, e lo sarà sempre. Hai
commesso un grosso errore, ma non lo ripeterai. Nessuna di voi ha una
seconda possibilità» dichiara, poi l’ultimo raggio di luce scompare,
lasciandomi ferita e sanguinante accanto alla mia migliore amica.
«Aiuto!» urlo finché la voce si indebolisce, poi tutto si fa di nuovo nero.
39
Mount

«Dove cazzo sei?» chiedo a J. «I poliziotti non si sono presentati. Chi cazzo
ti ha fatto la soffiata? Perché se era una stronzata, volerà qualche testa.»
«È una fonte affidabile. Sto arrivando. Sarò lì tra cinque minuti, capo.»
V non riesce ancora a trovare Keira. L’auto di Temperance è sparita. J
non è qui e io sto impazzendo.
La collana. Il suo localizzatore GPS. Keira ce l’ha sempre addosso.
Aziono l’app e aspetto un’eternità che si carichi.
Nessun segnale. Dimenticavo che qui al piano del casinò abbiamo
bloccato tutti gli accessi internet e wireless.
Cazzo. Cazzo.
Esco e mi precipito lungo i corridoi fino al mio ufficio. Una volta
arrivato cerco di caricare l’app sul telefono e nello stesso tempo faccio
uscire gli schermi del computer. Quando finalmente riesco a caricarla sul
mio desktop, J entra nel mio ufficio.
«Non ha alcun senso» bisbiglio. Conosco quel luogo, lo visito almeno
due volte all’anno. Deve esserci un errore.
«V l’ha trovata, capo?»
«No. Col cazzo che l’ha trovata. L’ho beccata io e ho bisogno che tu mi
dica cosa sta succedendo.»
Alzo gli occhi verso il volto di J, i suoi capelli biondo pallido sono sparsi
sulle spalle invece di essere raccolti nello chignon che porta di solito.
«Calmati, Mikey. Andrà bene.»
«Non chiamarmi così. Conosci le regole, J.»

Diciassette anni prima

Il mio cercapersone vibrò mostrando un numero che conoscevo fin troppo


bene, seguito dalle cifre 911.
In che cazzo di guaio si era cacciata ora Hope? Sapevo che stava
incontrando delle difficoltà. Tutti noi le avevamo per tutta quella merda che
avevamo passato.
Il giorno in cui Hope Jones salì i gradini di quella infernale casa
famiglia, avevo capito che niente sarebbe stato più lo stesso. Fu il mio
istinto a dirmelo.
Il primo uomo che avevo ucciso era stato quel pezzo di merda di Jerry,
perché aveva tirato fuori il suo uccello, pronto a stuprare una ragazzina di
quattordici anni. Avevo sperato che portarla fuori da quella casa prima che
lui riuscisse a toccarla le avrebbe garantito un futuro migliore, e così era
stato, almeno per un po’.
Negli anni che avevo trascorso in strada non avevo potuto fare molto, se
non assicurarmi che Hope e Destiny non lasciassero la loro nuova casa
ferite o malconce. Le avevo tenute d’occhio al meglio delle mie possibilità.
Quando Morello mi introdusse nell’organizzazione, la mia vita divenne di
sua proprietà. Con il tempo guadagnai un po’ più di potere e lo usai per fare
in modo che Hope si diplomasse al liceo e fosse in grado di ottenere la
custodia di Destiny.
Avevo pagato i loro conti per anni, e non solo perché Hope non aveva
ancora un diploma. Mi sentivo responsabile per loro. Non vegli su due
persone così a lungo per poi dimenticartene. Non io.
Forse era questo il problema: avrei dovuto costringere Hope ad
assumersi una maggiore responsabilità per quella sua cavolo di vita. Aveva
frequentato a lungo il college e non aveva ancora un diploma da presentare,
e non riuscivo neanche a farle ottenere un lavoro a tempo pieno.
Più che altro perché la volevo nei paraggi per Destiny: Hope poteva non
essere l’esempio migliore, ma era di gran lunga preferibile a ciò che ho
avuto io da adolescente.
Inoltre Destiny era furba come una volpe e aveva un futuro che io e sua
sorella volevamo proteggere.
Lasciai il mio ufficio – lo stesso ufficio dove avevo posto fine alla vita di
Morello per aver toccato un’altra ragazza come Jerry aveva fatto con Hope
– con un tirapugni e uno Zippo in una tasca, un coltello a serramanico
nell’altra, e due calibro 45 fissate sotto la giacca. Non portavo più solo un
dannato coltello, nel caso ci fosse uno scontro a fuoco.
Cazzo, in realtà non dovevo neanche più occuparmi io delle sparatorie.
Ma questa non era una cosa che ero disposto a delegare: Hope e Destiny
erano sempre state una questione personale.
Mi ci vollero solo dieci minuti per raggiungere la casa che le avevo
comprato. All’interno sentii piatti che andavano in frantumi e un uomo che
urlava.
Destiny era rannicchiata all’esterno sotto la scala d’ingresso e oscillava
avanti e indietro. Era quasi maggiorenne, ma così accoccolata e terrorizzata
mi ricordava la bambina di cinque anni che avevo conosciuto un tempo.
«Che cazzo sta succedendo?» le chiesi.
«Non so. Lui... è davvero fuori di sé. Hope lo ha svegliato per sbaglio e
lui ha iniziato a dare di matto. Lei si è messa tra noi e io sono scappata. È
già un po’ che non la sento, Mikey. Ho paura.» Destiny trattenne le lacrime.
«Perché non la sento più?»
Stavo già salendo i gradini due alla volta, troppo concentrato sulla
situazione per dirle di non chiamarmi con quel nome. Michael Arch era
morto quando avevo tredici anni.
Feci irruzione dalla porta, pistola in pugno, e perlustrai la stanza.
Non ero l’unico con una pistola in quella casa, però. Un uomo, in piedi
dietro l’isola della cucina, stava lanciando un piatto dopo l’altro sul
pavimento: dalla mano destra gli penzolava un revolver.
«Stupida troietta del cazzo. Sai bene che non devi far rumore quando
dormo.» Gettò un altro piatto.
Destiny aveva ragione. Neanch’io sentivo Hope, e non avrei sparato un
colpo prima di sapere dov’era, anche se tutto ciò che volevo fare era
piantare una pallottola nella testa di quello stronzo perché aveva spaventato
a morte Destiny.
«Gira il culo, pezzo di merda.»
Si voltò come ubriaco, sollevando quel revolver dall’aspetto antiquato e
puntandomelo di traverso, come un gangster. Fottuto idiota.
«Chi cazzo sei?»
«Dov’è Hope?»
«Non sono cazzi tuoi.»
Sollevò l’altra mano e caricò l’arma, e in quel momento notai qualcosa
di scuro gocciolare dall’impugnatura della pistola.
Sangue. Ne avevo visto abbastanza nella mia vita da riconoscerlo con
facilità.
«Abbassa quella pistola, subito, sennò neanche ti sparo, ti scuoio vivo
fino a farti implorare pietà.»
«Come osi? Sei peggio di quella puttanella insolente, ma le ho tappato la
bocca alla grande.»
Mi mossi verso di lui: a ogni passo il puzzo di sudore proveniente dal
suo corpo e l’odore di alcol si facevano più forti.
«Cosa cazzo pensi di far...»
Premetti il grilletto della mia 45 prima che lui riuscisse a finire la frase, e
lui gridò mentre il revolver si staccava dal resto penzolante e spappolato di
quella che un tempo era la sua mano. L’arma cadde a terra e partì un colpo.
Merda. Non doveva succedere.
«Mi hai sparato!» Agitò il moncone con il sangue che schizzava
all’impazzata e poi il suo sguardo scese al pavimento. «E anche a lei!»
Il mio cuore, quel pezzo nero di carbone che avevo nel petto, smise di
battere per un secondo.
«Cosa?»
Mi fiondai dietro il bancone e trovai il corpo di Hope curvo sul linoleum:
era rannicchiata in posizione di difesa, come se lui l’avesse presa a calci. I
frammenti di vetro dei piatti erano sparsi per il pavimento e lei era piena di
piccoli tagli alle braccia e alle gambe che stillavano sangue. Ma non era
tutto.
Destiny irruppe in casa brandendo una mazza da baseball, una Louisville
Slugger. Non era la stessa che avevo usato io, ma assomigliava davvero alla
mia prima arma da assassino.
«Non permettergli di farle ancora del male!» gridò disperata dalla soglia,
pronta ad accorrere in difesa della sorella maggiore.
Non sapevo se era stata la mia presenza a darle il coraggio, o se l’aveva
già trovato in precedenza. La parola ancora mi si appiccicò al cervello,
mentre il mio sguardo si fissò sull’enorme buco nel petto di Hope, e sui
capelli inzuppati di sangue nel punto in cui lui l’aveva colpita con la pistola.
Le due ferite stavano formando due pozze intorno al suo corpo. Non si
muoveva.
«Hai scherzato con le donne sbagliate, stronzo.»
Feci fuoco, facendogli saltare buona parte dell’altra mano, e Destiny si
lanciò verso la cucina. La afferrai per la vita perché non vedesse quello che
vedevo io.
Il cadavere della sorella.
Nella mia mente non avevo dubbi: Hope se n’era andata.
L’unica cosa che non sapevo era chi l’aveva uccisa: il pezzo di merda
che si contorceva sul pavimento accanto a lei con due monconi alle
estremità delle braccia, o io che avevo provocato lo sparo della pistola che
teneva in mano?
Quella possibilità mi rivoltò lo stomaco.
Cazzo, mi dispiace tanto, Hope.
Distraendomi, avevo sottovalutato quanto fosse agile Destiny, così lei ne
approfittò per sgusciarmi tra le braccia.
«No, Desi!» La strinsi proprio mentre con il piede nudo atterrava su una
scheggia di vetro. La sollevai tra le braccia e la feci girare contro il mio
petto.
«Lasciami andare!»
«No. Non c’è bisogno che tu veda.»
«Ma Hope...»
«Hope è morta, Desi. Mi dispiace tanto, cazzo.» La mia voce era rauca
per un’emozione che non provava più da anni.
«No!» Mentre la trasportavo fuori di casa continuò a urlare: le lacrime
mi bagnarono la camicia e le grida si trasformarono in singhiozzi
ininterrotti. «Per favore. No! No! No!»
Era praticamente sfinita quando arrivai all’auto. La misi a sedere davanti
e lei ripartì di nuovo, artigliandomi e cercando di tornare in quella casa, da
Hope.
La presi per le spalle magre e la scossi per ottenere la sua attenzione.
«Tu non tornerai là dentro. Mi capisci?»
«Mikey...»
«Mount» ribattei, correggendola per abitudine perché lei non sembrava
in grado di dimenticare il passato. Be’, cazzo, nessuno di noi avrebbe
dimenticato quella giornata.
«Hope...»
Incrociai il suo sguardo pieno di lacrime. «Riprenditi, Desi. Subito!
Hope non c’è più.»
«Non può essere morta.» La sua voce era così straziante che il resto del
mio cuore si incrinò nell’ascoltarla. Lei tirò su col naso e si cinse le braccia
intorno alle gambe, rannicchiandosi come una palla sul sedile, oscillando
avanti e indietro.
«Mi dispiace veramente, ma è così. Tu no, però, e noi ti porteremo fuori
da qui. Mi prenderò io cura di te, come ho sempre fatto, Desi. Mi capisci?»
La sua testa sobbalzava mentre lei continuava a fare avanti e indietro. Le
lacrime smisero di scendere sul suo viso, si morse il labbro e annuì.
Arginare le proprie emozioni così in fretta era un segno di incredibile forza
d’animo per un’adolescente.
«Per favore non lasciarla lì dentro con lui» mi implorò. «Per favore.»
«Non preoccuparti. Non la abbandonerò. Non l’abbandonerei mai. Puoi
essere forte per me?»
«Sì. Sì. Per favore, prendila e basta.»
«Respira, Desi.»
Continuando a oscillare, lei annuì ancora, ma inspirò profondamente.
Chiusi la portiera e per prima cosa mi diressi al capanno vicino alla casa.
Mi ci vollero trenta secondi per trovare una tanica di benzina. Corsi dentro
e su per le scale, poi versai il liquido su ogni superficie infiammabile,
tranne che sul copriletto. Quello lo strappai via, scesi di sotto e vi avvolsi
con attenzione il corpo di Hope.
Il pezzo di merda accanto a lei aveva già perso conoscenza. Non avrei
mai capito cosa era successo prima del mio arrivo, ma non aveva
importanza.
Afferrai lo Zippo dalla tasca, poi sollevai Hope tra le braccia e mi diressi
verso l’uscita. Davanti all’ingresso alzai il coperchio e azionai l’accendino.
Quando lo gettai sul pavimento del salotto, la benzina si infiammò. Mi
avvicinai all’auto sentendo il calore del fuoco sulla schiena. Il volto rigato
di Destiny mi fissava dal finestrino.
Aprii la portiera posteriore e sistemai il corpo di Hope all’interno. «Non
provare a guardare qui dietro, Desi.»
Lei girò di scatto lo sguardo in avanti e io chiusi lo sportello, poi saltai
sul sedile del guidatore e misi in moto.
«Tu non andrai più all’università della Louisiana, Desi. Andrai molto più
distante.»
Mentre consumavo le gomme sull’asfalto spaccato, lasciandomi alle
spalle la casa in fiamme, sentii l’ululato delle sirene.
Destiny tirò su col naso, trattenendo il proprio dolore come io avevo
soffocato il mio. «Io voglio stare con te.»
Bruciai uno stop, senza guardarla. «No. Non è un’opzione. Scegli il
college che ti pare, e ci entrerai. Ma non rimarrai qui. Ti voglio il più
lontano possibile da me.»
Eravamo quasi tornati al Quartiere Francese quando lei finalmente parlò
di nuovo.
«Ho sentito dire che il MIT ha un ottimo corso di informatica.»
Mi girai a guardarla: era una dura. Un altro fiore cresciuto tra le crepe
del marciapiede. «Allora vada per il MIT.»
Non parlammo mai più di Hope. Prima di spedire Destiny al MIT, cercai
di parlarle ancora di sua sorella, ma Destiny rimase muta come un pesce,
simile a un giocattolo guasto.
Non le dissi mai che avevo sotterrato sua sorella in un mausoleo fuori
città. Da allora mi sono sempre assicurato di farle avere fiori freschi per
l’anniversario della sua morte e per il suo compleanno.
E a Destiny non dissi neanche che non mi ero mai perdonato per quanto
accadde quel giorno. Per non averle protette meglio. Per non essere arrivato
prima. Perché non sapevo se ero io l’assassino di Hope.
Invece, mi concentrai sul futuro, accertandomi che quello di Destiny
fosse tracciato. Era l’unica cosa che potevo fare.
40
Keira

Oggi

Lotto per riemergere dall’oscurità e apro gli occhi. Il dolore che si diffonde
in tutto il corpo è maledettamente più forte di quello che sentivo dopo
l’incidente in auto.
L’unica luce in questa tomba proviene dalla luna piena che filtra tra le
fessure nel cemento in un angolo in alto. Non è sufficiente per vedere
l’orrore che mi circonda, ma riesco a sentirne l’odore.
«Mags?» La voce mi si spezza in un bisbiglio mentre mi preparo a
soffrire e mi allungo per toccarla. «Mags, non puoi essere morta. Ti prego.»
Le nostre ultime parole sono state pronunciate con rabbia e io non posso
conviverci.
Se riesco a uscirne viva.
Timorosa per quello che potrei incontrare, faccio scorrere le dita sulla
seta del suo kimono finché non raggiungo la pelle del collo.
È ancora calda.
«Mags!» Questa volta grido il suo nome, ma non ottengo risposta.
Non so quanto tempo impiega un corpo a raffreddarsi dopo che la vita lo
ha abbandonato, ma non voglio credere che stia succedendo ora.
«Non puoi essere morta, Magnolia Marie. Mi rifiuto di pensarlo.»
La spalla sinistra mi pulsa a ogni battito, avvertendomi che sto perdendo
sangue. Devo fermare l’emorragia, ma prima devo capire se Magnolia è
morta.
Le trovo l’arteria carotide e chiudo gli occhi, trattenendo il dolore e
pregando Dio che sia ancora viva.
All’inizio non sento niente. Ma poi... Eccolo. Debole, come dicono in
quei programmi girati nei pronto soccorso. Non è morta.
«Mags! Svegliati, ti prego!» Mi allungo a toccarle il viso, sperando che
mi risponda, ma non lo fa.
Sono in una tomba silenziosa, circondata dai corpi di donne che
probabilmente sono le amanti scomparse. Forse c’è persino Richelle
LaFleur.
Ma com’è possibile?
Lachlan Mount, l’uomo che ho sposato, non ucciderebbe femmine
innocenti. E quella puttana bionda? Sembrava fuori di testa.
Chi cazzo è?
«Rimani con me, Mags» sussurro, mentre mi strappo la manica destra
della camicetta per premerla sulla spalla. Il sangue inzuppa la stoffa nel giro
di pochi secondi.
Mi sto dissanguando. Non so come faccio a saperlo, ma è così.
Se muoio, Magnolia morirà con me e non riesco a sopportare l’idea.
Provo a tirarmi su e a mettermi in piedi, cercando disperatamente di
trovare una via d’uscita per entrambe, ma il dolore è intollerabile. Ho delle
macchie nere davanti agli occhi e crollo in mezzo a quel disastro
raccapricciante sentendo i corpi che scricchiolano sotto di me.
No, devo riprovarci. Le mie riserve di energia si stanno esaurendo e a
poco a poco sto perdendo i sensi.
Mentre svengo di nuovo, un ultimo pensiero mi attraversa la mente.
Se mi succede qualcosa, Lachlan raderà al suolo questa città.
41
Mount

Conosco molto bene il luogo che corrisponde a quelle coordinate GPS. E


non ha senso. O forse ne ha fin troppo.
Non è possibile.
Mi allontano dalla scrivania, afferrando una pistola dal cassetto.
«Che stai facendo?» chiede la mia vice.
«Vado a cercare mia moglie.»
«Hai sposato quella puttana?»
Bastano quelle parole perché tutto diventi fottutamente chiaro.
Sposto di scatto lo sguardo sul volto di J. «Tieni a freno la lingua quando
parli di lei e dimmi che cazzo hai fatto.» Le punto la pistola addosso.
J è venuta da me dopo quattro anni e una doppia specializzazione al
MIT: aveva trascorso i suoi fine settimana e le vacanze scolastiche a
frequentare un corso di combattimento riservato in genere a professionisti
della sicurezza. Quando aveva chiesto un posto nella mia organizzazione si
era autodefinita reduce di guerra e aveva dichiarato che New Orleans era la
sua casa e io ero la sua sola famiglia.
Le avevo risposto che, se la facevo rimanere, nessuno doveva sapere chi
era. Come chiunque altro nella mia organizzazione, da allora venne
identificata con un’unica lettera. La prima lettera del suo cognome: Jones.
«Come hai potuto sposarla?!» Il suo strillo rimbalza sulle pareti.
«Che cosa hai fatto, J?»
«Chiamami Destiny, maledizione!»
Ondeggia avanti e indietro sui tacchi, ricordandomi la ragazza spezzata
che avevo trovato nascosta sotto la scalinata d’ingresso, ma ora non posso
pensarci. Ora l’istinto mi dice che c’è lei dietro a tutto questo.
«Se non mi confessi entro due secondi cos’hai fatto a Keira, ti ucciderò
all’istante. Fanculo al passato.»
È sorpresa e intuisco che si sente tradita, poi però il suo sguardo si
indurisce. «Ho fatto ciò che dovevo.»
«Se hai alzato un cazzo di dito su di lei, giuro su Dio...»
«Cosa? Mi ucciderai, Mikey? Dopo tutto questo tempo? Lei era solo un
intralcio. Erano tutte un intralcio, ma io mi sono presa cura di loro non
appena tu ti stufavi, così non restavano questioni in sospeso. Poi quella
maîtresse è andata oltre i suoi compiti, offrendotene una che non era una
puttana, almeno all’inizio. Avrebbe dovuto fare più attenzione e non cercare
di ingannarti. Chi ci prova non rimane vivo.»
«Cosa le hai fatto?» Le parole mi escono come un ringhio.
«Non dovevi innamorarti di lei. Dovevi amare solo me. L’ho seppellita
come tutte le altre!»
Il mio ruggito riempie l’ufficio e un secondo dopo premo il grilletto. La
pallottola la colpisce alla mano: lei urla e il sangue esce a fiotti.
D irrompe nella stanza, i suoi occhi guizzano da J a me, poi di nuovo su
di lei.
«Capo?»
«Metti J sotto chiave. Non provare a perderla di vista o vi ammazzo
entrambi. Z e io andiamo a cercare mia moglie, e tu, J, farai meglio a
pregare che sia ancora viva.»
42
Keira

Ho perso la cognizione del tempo. Mi sveglio e lotto per rimanere


cosciente. Grido finché la voce non cede. Non riesco a trovare ferite sul
corpo di Magnolia, ma lo stringo al mio. Nessuna delle due reggerà ancora
a lungo.
Il rombo di un motore riporta la mia attenzione sul mondo esterno, fuori
da questa tomba dove ormai sono certa che morirò.
Urlo, portandomi al petto la testa di Magnolia, e le mie dita sfiorano
qualcosa di appuntito.
Le sue bacchette per capelli.
Ne sfilo via una, stringendola nella mano destra. Se quella puttana è
tornata, sarà lei a morire.
I miei pensieri sono confusi e il corpo grida di dolore quando cerco di
alzarmi.
Le ossa scricchiolano sotto di me e io quasi soffoco per quell’odore di
decomposizione: non lo dimenticherò per tutto il tempo che mi resta da
vivere.
«Aiuto!» sbraito con voce spezzata. Perdo l’equilibrio e cado in avanti,
atterrando di faccia su un cadavere, e il bastoncino d’argento mi vola via
dalla mano.
I cardini della porta emettono uno stridio metallico, poi il pesante
pannello di legno si spalanca.
Il mio piano era sbucare tra i corpi e pugnalare quella puttana nel cuore,
ma ho perso la mia unica arma.
«Tieni duro. Tieni duro, cazzo. Non provare a morirmi tra le braccia,
Keira!»
È la voce di Lachlan.
O sto sognando di nuovo?
Non riesco più a distinguere la realtà dagli incubi. Poi sollevo la testa e il
fascio di una torcia mi acceca.
«Keira!»
«Lachlan?»
Si allunga e la sua mano stringe la mia. «Non morirmi, piccola ribelle.
Né ora, né mai.»
Batto le palpebre e il suo sguardo terrorizzato mi trafigge il cuore mentre
il mio sembra spegnersi. Vedo delle macchie nere sul suo volto, e gracchio
un’ultima richiesta.
«Mags. Ti prego, salva anche Mags.»
43
Mount

Paura. È un sentimento che non provo da anni, ma mi afferra come un


demone infernale non appena gli occhi di Keira ruotano all’indietro e io la
estraggo da una pila di cadaveri all’interno del mausoleo di Hope.
Non riesco a credere a quello che sto vedendo. Non è possibile, cazzo. J
non sarebbe stata capace di farlo.
O forse sì?
Mi libero della giacca e la uso per tamponare la ferita di Keira.
Mags. Keira ha pronunciato il suo nome mentre sveniva, così io urlo a Z:
«Controlla se lì dentro c’è quella maîtresse. Io chiamo il 911».
In trent’anni non sono mai andato in ospedale né ho chiamato la polizia
per chiedere aiuto. Ma per Keira farei qualunque cosa.
La voce dell’operatore mi suona metallica all’orecchio, ma forse è il
sangue che vi martella dentro che fa sembrare strane le cose mentre faccio
pressione sul foro nella spalla di Keira.
Dovendo mantenere la calma, mi divido in due. Una parte di me perde
fottutamente la testa pensando a mia moglie che si sta dissanguando tra le
mie braccia, l’altra dichiara la nostra posizione, snocciolando quelle cazzo
di coordinate GPS, e minacciandoli se non arrivano qui in fretta. Quando la
centrale mi dice di attendere in linea, io riattacco e chiamo la cavalleria.
Il telefono di V accetta la chiamata, ma lui non parla.
«L’ho trovata, e non intendo perderla.» Gli do le stesse istruzioni che ho
dato all’operatore del 911.
Quando riaggancio, Z esce dalla tomba tenendo tra le braccia il corpo
esanime di Mags.
«Morta?»
Z la distende sul terreno accanto a Keira e le controlla il polso. «Quasi.
Ma non ancora.»
«Cazzo!»
Per la prima volta nella mia vita prego che le sirene diventino più forti e
arrivino in un baleno, perché tutto il mio mondo si sta sgretolando.
Nonostante la pressione che continuo a esercitare sulla ferita, il sangue di
Keira macchia l’erba e appare nero alla luce della luna.
«Non può succedere! Tu vivrai, maledizione! Non provare a lasciarmi!
Io ti amo!»
44
Mount

Credevo che l’inferno fosse il sistema di affidamento dei minori, o la vita di


strada. Mi sbagliavo. L’inferno è la sala d’attesa di un ospedale, quando non
sai se l’unica donna che hai mai amato sopravvivrà o morirà.
Se Dio, il diavolo, o qualsiasi altra entità superiore in ascolto, le
concederà di vivere, giuro che offrirò in cambio tutto quello che ho,
compresa la mia vita del cazzo.
Perché non prendete me? Io sono il pezzo di merda che non merita
neanche di toccare una persona buona come lei.
Forse ci sono alcune anime così nere che neppure l’inferno le vuole.
Mi inginocchio e, per la prima volta in più di trent’anni, sento qualcosa
di umido scivolarmi lungo le guance mentre prego.
45
Keira

«Svegliati, tesoro. Apri gli occhi per me. Ti prego, Keira.»


Le mie palpebre sono così pesanti... Inspiro, ma un peso mi schiaccia il
petto. «Uuh.»
«Keira! Tesoro! Torna da noi. Per favore.»
Una mano afferra la mia e la stringe. Quando mi impongo di aprire gli
occhi ho la vista offuscata.
Vorrei chiedere: “Che è successo?”. Ma mi esce una cosa tipo:
«Chesussso?».
«Va tutto bene. Ti rimetterai. Presto.»
La gola mi fa male. La spalla mi fa male. E anche la testa. Mi fa male
tutto. È come se non volessi più muovermi.
Giuro che non mi sono mai sentita così.
Pareti bianche. Disinfettante. Il bip di una macchina.
Sto sognando?
Una voce nella testa mi grida di svegliarmi e io sbatto due volte le
palpebre prima che la vista mi si schiarisca.
Il viso che ho davanti, però, non è quello che mi aspettavo di vedere.
Sobbalzo nel letto e giro la testa da una parte e dall’altra. Non c’è alcun
letto vuoto accanto al mio.
Cerco di far uscire un altro suono dalla mia gola, invece produco solo un
lamento stridulo.
Dov’è? È il primo pensiero... Dov’è Lachlan?
Ma questa domanda non varca le mie labbra.
«Mamma?»
«Grazie a Dio. Non spaventarci mai più in questo modo.» I suoi occhi
verdi, di una sfumatura più scura della mia, si riempiono di lacrime e la sua
faccia sembra più vecchia di quella che ho visto nella sua ultima foto.
«Buon Dio. Grazie, Signore.» La voce profonda di mio padre sovrasta la
sua, poi lo vedo entrare nel mio campo visivo.
«Papà?» Non ha senso. Come sono arrivati qui i miei genitori? E dov’è
Lachlan? «Come...»
«Ssh, tesoro. Non parlare. Sei stata per ore in sala operatoria. Hanno
detto che la gola ti avrebbe fatto male per via del respiratore. Santo cielo!
Abbiamo ricevuto la telefonata dalla società di sorveglianza, poi tu non hai
risposto, e Millie ha chiamato qualche ora dopo dicendo che eri arrivata qui
da sola in ambulanza...» Da sola? La voce di mia madre si incrina.
«Abbiamo infranto ogni divieto per arrivare qui il più in fretta possibile. Lei
non sapeva se ce l’avresti fatta.»
Millie? Il mio cervello arranca mentre esamino di nuovo la stanza,
guardando alle loro spalle in cerca dell’unico volto che ho bisogno di
vedere, ma non lo trovo.
Millie. La cugina di mia madre è un’infermiera del pronto soccorso. Il
che spiega come i miei genitori l’abbiano scoperto... ma da sola?
«Che è successo?» chiedo di nuovo, annebbiata da chissà quale
antidolorifico. «Dove...»
«Ti hanno sparato» dice mio padre. «Sono scomparsi sia quelli che ti
hanno soccorso sia l’ambulanza che ti ha portato qui. Che cavolo ti è
capitato, piccola?» Il suo tono è velato di rabbia, paura, e di un’emozione
che non gli sentivo provare da molto tempo.
Quando deglutisco e le labbra mi si screpolano, mamma scatta subito.
«Acqua. Hai bisogno di acqua.» Mi avvicina la cannuccia alla bocca
prima ancora che io riesca a rispondere.
Il sorso che bevo mi scende in gola dandomi refrigerio. «Sparato?»
«Ssh, tesoro. Va tutto bene. Non devi preoccuparti ora, ma solo...
riposare. Siamo così felici di vedere i tuoi bellissimi occhi. Fammi chiamare
l’infermiera.»
«Devo sapere chi cazzo ha ferito la mia piccola, così posso imbracciare
il fucile e una pala e occuparmi della faccenda.» Le dure parole di mio
padre mi aiutano a combattere la confusione mentale.
«Non lo so» mormoro, poi chiudo gli occhi. Sono ancora
maledettamente pesanti.
«Qualunque cosa. Nome. Luogo. Colore di capelli. Li scoverò io stesso.»
«Ssh, David. Smettila.»
«Non dirmi di smetterla, Kath. Qualcuno ha sparato alla mia bambina.»
Mantengo gli occhi chiusi mentre i miei genitori discutono a bassa voce.
I miei polmoni inspirano ed espirano poco per volta: mi concentro su questo
perché nient’altro ha senso.
Ho ricordi vaghi. Peggio di quella mattina in cui mi sono svegliata a
Dublino.
Dublino.
«Balla con me, Lachlan. Balla con me a Dublino.»
«Dov’è lui?» Il suono gracchiante della mia domanda farebbe
concorrenza a una rana toro della palude.
«Chi?» mi chiede mio padre. «L’uomo che ha fatto questo?»
Cerco di scuotere la testa, ma muoverla mi provoca le vertigini. È
avvolta in una fasciatura?
Provo a sollevare un braccio per toccarla, ma sembra pesantissimo. No, è
legato con qualcosa.
«Cosa è successo?» ripeto mentre abbasso lo sguardo e noto
un’imbracatura alla spalla.
«Siamo noi che lo chiediamo a te.»
Cadaveri. Magnolia. Oh mio Dio.
«Mags?»
«Lei c’entra con questo?» La voce di mia madre sale di un’ottava. «È
coinvolta?»
La porta si apre, lasciando entrare diverse persone e salvandomi dal
dover rispondere.
«Signorina Kilgore, che bello vederla sveglia. Come si sente?» esordisce
una donna bionda. Io mi irrigidisco.
Bionda. Il respiro accelera.
«Chi è lei?» Le parole mi escono tra un ansito e l’altro.
«Lei è la dottoressa, tesoro. È rimasta qui per tutto il tempo. Ed ecco
Millie. È rimasta per l’intera notte anche lei, ad aspettare con noi.»
Fisso la donna bionda, con la mia modalità combatti o fuggi inserita
sulla fuga. È lei? La mia memoria è ancora troppo frastornata, quindi non lo
so. Le mani si stringono ad artiglio, ma non ho armi. Niente che mi
protegga.
Lei è la dottoressa. Lo ha detto mia madre, ma io non posso fidarmi di
nessuno. Non ora. Dov’è Lachlan?
Guardo alle spalle della bionda, sperando di trovare quel suo sguardo
scuro puntato su di me, ma tutto ciò che vedo è una brunetta paffuta che ha
sempre un sorriso pronto sul volto.
«Che bello che sei sveglia, Keira» dice Millie.
«Può dirci come si sente?» mi chiede di nuovo la dottoressa.
«Stanca. Dolorante.» Solo risposte brevi. Non mi fido di lei, e il mio
cervello sembra fuori uso.
«Immagino. Ha subito una ferita da arma da fuoco, oltre a un trauma
cranico. Ricorda cosa è successo?»
Scuoto la testa, ma è una pessima idea. La vertigine mi assale,
ricordandomi l’ultima volta in cui mi sono risvegliata in un ambiente
ospedaliero tipo questo.
«Non ricordo niente.» Non ho neanche bisogno di provare a sembrare
convincente. La mia voce è devastata.
«Soffre di amnesia?» sbotta mia madre.
«È possibile che abbia subito una perdita di memoria a causa della ferita
alla testa.»
Vorrei dire alla mamma che non soffro di amnesia: semplicemente non
riesco a rimettere insieme tutti i pezzi, perché, senza l’unico uomo che
dovrebbe trovarsi qui, niente ha senso. Quando la mano sinistra mi si
chiude in un debole pugno sul petto, mi blocco e lo sguardo schizza in
basso.
L’anello è sparito. Mi porto la mano destra alla gola. Anche la collana è
sparita.
La dottoressa parla con i miei genitori, ma io mi estranio totalmente,
mentre una domanda terrificante mi esplode nel cervello.
Mi sono immaginata tutto? È per questo che lui non è qui? Lachlan
Mount è frutto della mia mente?
No. Questo non è possibile. Lui è reale. Ciò che abbiamo è reale.
Giusto? Lui non è un fantasma. È reale. Vero?
Mi guardo in giro nella stanza, il sangue mi fischia nelle orecchie
sovrastando tutto, tranne i miei pensieri.
«Che cosa è successo?» Mi impongo di far uscire la domanda e tutti
intorno a me si ammutoliscono.
«Ci piacerebbe capirlo, Keira» replica la dottoressa. «Non si affatichi.
Riposi e basta. Se fa riposare la mente magari riemergeranno alcuni
ricordi.»
«È sicura?» Ecco un altro quesito spaventato di mia madre, ma anch’io
voglio delle risposte.
La dottoressa si ferma un attimo. «È possibile che non recuperi tutto.
Dobbiamo solo aspettare e vedere.»
«Aspettare e vedere? Qualcuno ha sparato alla mia bambina!»
«David!» sbotta mamma, e papà si zittisce.
Poi tutti si occupano di me, mi controllano il cuore e il respiro, mi
prelevano il sangue... e io lascio che gli occhi si richiudano di nuovo.

Quando mi sveglio, mia madre è sempre qui, ma mio padre se n’è andato.
Questa volta sono meno annebbiata ma ancora totalmente confusa, perché
l’uomo che voglio vedere nella mia stanza non c’è ancora.
Non posso chiedere di lui. Mia mamma non sa dell’esistenza di Lachlan
Mount.
Ma io sì. Lui è reale. Io lo so. Ma allora dov’è?
«Tesoro, bevi ancora dell’acqua.» Mi riavvicina la cannuccia alle labbra
e io prendo un sorso. «Tuo padre sta uscendo di testa.»
«Mi dispiace.»
«Ssh. Non è certo colpa tua. Non hai chiesto tu di farti sparare, ne sono
sicura. Ma la polizia aspetta e hanno molte domande per le quali noi non
abbiamo risposte, tranne...»
«Cosa?» chiedo, guardandola fissa negli occhi.
«L’incendio al magazzino di invecchiamento. C’era la tua assistente.»
«Temperance! Come sta?»
«Calma, non agitarti. Sta bene. Ha ricevuto un colpo in testa. Appena
hanno buttato giù la porta i vigili del fuoco se la sono trovata davanti priva
di sensi.»
«Oh mio Dio.» Il cuore mi sobbalza nel petto quando penso a cosa
sarebbe potuto accadere. «Ma sta bene?» Le lacrime mi bruciano gli occhi.
È tutta colpa mia. Temperance poteva morire.
«Sta benone. Ha solo inalato del fumo. Per fortuna sono arrivati da lei in
tempo. L’hanno tenuta quella notte in osservazione per via della testa, ma il
mattino dopo l’hanno dimessa. È appena andata in bagno: è rimasta a
vegliarti con noi.»
Il mattino dopo? Quanto tempo mi sono persa?
«Che giorno è?»
«Hai trascorso due giorni tra sonno e veglia, tesoro.»
«Due giorni?»
Mia madre annuisce. «Lei è restata qui al tuo capezzale con tuo padre e
me. È una tua buona amica.»
Amica. La parola favorisce l’incastro di un altro frammento della mia
memoria.
«Magnolia.» Il nome mi sfugge dalle labbra. «Lei è... è...» Non riesco a
formulare l’ultima parola, ma ricordo la sua pelle morbida e il polso debole
sotto le mie dita.
I tratti di mia madre si irrigidiscono e le labbra tremano. «È in coma,
Keira. Non sanno se ce la farà.»
Stringo gli occhi. «No. Non può... Noi... Devo parlare con lei. Non
deve...»
«Ssh. È tutto a posto, anche noi stiamo pregando per lei e i dottori se ne
stanno prendendo cura. Sono andata io stessa a controllare le sue
condizioni: sapevo che lo avresti voluto.»
Non riesco ad accettare di aver rivolto alla mia migliore amica soltanto
parole dettate dalla rabbia durante la nostra ultima conversazione, a
prescindere da quello che ha fatto. Piango in preda a emozioni contrastanti e
vorrei che qualcuno mi dicesse dov’è Lachlan, ma non posso chiederlo.
Mio padre rientra nella stanza seguito da Temperance. Due agenti di
polizia chiudono il corteo.
«Keira!» La mia assistente supera papà di slancio e mi raggiunge per
prima. «Grazie a Dio sei viva.»
«Mi dispiace così tanto» le dico.
«Per cosa? Non è colpa tua.»
È qui che si sbaglia. Anche con il corpo malconcio e il cervello in panne,
so che è colpa mia al cento per cento. Non le sarebbe accaduto niente se
non fosse stato per me.
«Signorina Kilgore, pensa di poter rispondere a qualche domanda?»
«Non ora, signori.» Un’infermiera si fa largo e mi raggiunge, pronta a
sottopormi alla routine che mi hanno riservato negli ultimi due giorni.
«Dovete lasciarla riposare.»
«Con tutto il dovuto rispetto, signora, ci occorrono alcune risposte per
poter proseguire con la nostra indagine.»
Temperance si gira verso di loro. «Collaborare con i vigili del fuoco per
trovare chi ha appiccato l’incendio non basta a tenervi occupati? Perché noi
di sicuro non sappiamo ancora niente in merito. Oppure cercare chi mi ha
colpito in testa? Magari potreste provare a scoprire anche questo.»
«Signora, non è colpa nostra se le vostre telecamere di sicurezza non
hanno funzionato come si deve.»
«Cosa? Come?» chiedo.
«Mi dispiace, signora. Non ne siamo venuti a capo» mi dice l’agente. «È
stato giudicato incendio doloso, ma stiamo ancora lavorando sul movente.»
«Allora datevi da fare, perché vi ho già detto che non siamo stati noi.»
La replica di Temperance è una frustata. «Ci occorre ogni stramaledetta
botte per soddisfare gli ordini che abbiamo, quindi se pensate a un premio
assicurativo come movente, dovreste ripartire dalla scuola di polizia.»
«Noi non stavamo insinuando...»
«Certo che no» lo interrompe mio padre. «Perché nessun Kilgore o
dipendente del Seven Sinners avrebbe permesso che succedesse qualcosa a
quel whiskey. È il nostro sangue. Il nostro patrimonio. La nostra eredità.»
Mio padre rivolge alla mia assistente un cenno di approvazione come se
facessimo tutti parte di una squadra.
Il senso di colpa mi travolge perché so di essere io la causa. Nessuno di
loro ne ha il sospetto. «Mi dispiace, papà...»
Si gira di scatto a guardarmi. «Non è colpa tua. Chiunque sia stato
pagherà. Gliela faremo pagare.»
Batto le palpebre mentre le lacrime mi bruciano di nuovo gli occhi.
L’unico uomo che potrebbe rispondere a ogni singola domanda è sparito.
È la bionda la responsabile di tutto? Non riesco a ricordarla bene. Il suo
destino. Ma chi era?
«Signor Kilgore, signorina Ransom, non volevamo insinuare un vostro
coinvolgimento. Stiamo solo cercando di capire, come voi.»
«Io non ricordo.» Tutti mi guardano mentre la bugia mi sfugge dalle
labbra. «Non ricordo niente. Mi dispiace. Vorrei poter essere di aiuto.»
Dentro di me sono combattuta: antiche lealtà contro le nuove. A
prescindere da ciò che è successo e dal perché, parlare con la polizia non
porterà a niente. La giustizia viene compiuta diversamente ora. O almeno lo
sarà se lui torna.
Stringo gli occhi mentre la solita domanda mi rimbalza nel cervello
come la pallina in un flipper. Dov’è?
«Le lascio il mio biglietto in caso ricordi qualcosa» dice il poliziotto, e io
non riesco a interpretare il suo tono.
Sono una pessima bugiarda? Lui l’ha capito?
«Chiameremo senz’altro, ma nel frattempo fate il vostro dannato
mestiere.»
Mio padre li congeda e mentre gli agenti escono dalla stanza io tento di
mettere insieme il resto degli eventi. Apro gli occhi, fissando lo sguardo su
Temperance. Ho bisogno di parlare con lei da sola, ma non penso che mia
madre lo permetterà.
«Stai bene?» le chiedo.
Il mio direttore operativo annuisce. «Sto bene. Ho la pellaccia dura. Ci
vuole più di un colpo in testa per eliminarmi.»
«Tuo fratello...»
Socchiude gli occhi con aria d’intesa. «Sta facendo delle ricerche.»
Le sta facendo anche Lachlan? È per questo che non è qui?
Temperance abbassa lo sguardo sulla mia mano sinistra, spoglia, e poi
mi guarda negli occhi. «C’è qualcun altro che devo chiamare?»
«Hai il mio telefono?» Recupero un altro ricordo: quando tutto si è fatto
buio stavo per chiamare Lachlan.
«No. Sai dove lo hai perso?»
Perdere un telefono non è stato mai così drammatico: senza non posso
contattare mio marito. Non so il suo numero.
«Il magazzino. Ce l’avevo lì» le racconto, mentre il panico cresce.
«Nessuno ha detto di averlo trovato, ma posso chiamare chiunque tu
voglia.»
Mi mordo il labbro. «Io... apprezzo l’offerta, ma mi serve il mio
telefono, davvero.»
Temperance annuisce, mostrandomi di aver capito. «Chiederò ai vigili.
Forse ce l’hanno loro e lo stanno tenendo come prova, ma hanno
dimenticato di menzionarlo.»
«Ti ringrazio.»
«C’è altro che posso fare?»
«Puoi lasciarla tranquilla a riposare» dichiara mio padre con voce
burbera, ora che ha cacciato i due poliziotti. A quanto pare il suo rispetto
per Temperance si è esaurito in fretta.
«Papà, basta. Temperance è il mio direttore operativo ed è fantastica. Sii
gentile.»
«Direttore operativo?» Gira la testa di scatto verso di lei. «Pensavo che
fossi una segretaria.»
«Basta» ripeto, la voce indebolita. «Non posso affrontare anche questo
adesso.»
«David, ho bisogno di un altro caffè» interviene mia madre.
«Ma te ne ho appena...»
«Un altro. Subito.»
Mio padre brontolando si gira e se ne va.
Mamma mi rivolge un’occhiata di scuse. «Mi dispiace, tesoro. Si è
agitato.»
Temperance si allunga a intrecciare le sue dita con le mie. «Vuoi che
rimanga qui, o vuoi che vada a reggere il fortino?»
«Dovresti andare a casa a riposare.»
«Capo, sai che non sono fatta così. Mi hanno dato solo una botta in testa:
a me nessuno ha fatto un buco. Sto bene.»
«Non ti chiederò di lavorare. Non esiste.»
Sorride. «Non occorre, lo farei comunque. Se hai bisogno di qualunque
cosa, chiamami.»
Quando mi lascia la mano vorrei implorarla di cercare Lachlan e di
portarlo da me, ma non le ho mai raccontato di lui con precisione: l’unica
persona al mondo che sa di lui è Magnolia, e lei è da qualche parte in
ospedale, in coma. A causa di quella folle puttana bionda.
Chi era? È per questo che lui è sparito? Lo ha ferito lei? Il pensiero mi
annienta, confondendomi le idee. È morto?
No. No. No.
Rifiuto di crederci.
Lachlan Mount è sovrumano: neanche una pallottola potrebbe fermarlo.
Finora non è successo.
Allora perché non è qui? Sono dibattuta tra la rabbia e la disperazione,
pronta a barattare la mia anima solo per vedere il suo volto e assicurarmi
che stia bene.
Non mi lascerebbe. Non lo farebbe.
Sono di nuovo stanca, ma devo rivolgere alla mamma una domanda
molto importante.
«Ho avuto altre visite, mamma?» Quando lei annuisce, provo sollievo.
«Chi?»
«Sono passati praticamente tutti quelli che conosciamo in città: tuo padre
li ha trattenuti nell’atrio ma è stata una vera sfilata.»
«Qualcuno... qualcuno che non conoscevate?»
Aggrotta la fronte. «Cosa intendi, tesoro?»
Desidero disperatamente chiederglielo, ma non posso. Invece imbocco la
scappatoia dei codardi e chiudo gli occhi fingendo di dormire mentre la
testa mi va in frantumi di nuovo.
Dov’è?
46
Keira

«Balla con me, Lachlan. Balla con me a Dublino.»


Il suo volto, di solito così serio, stasera è cambiato. Lui è cambiato.
Quando mi prende per mano e mi trascina in mezzo alla folla di irlandesi
che ballano, un sorriso trasforma la sua bocca nella cosa più bella che io
abbia mai visto.
«Sei bellissimo» gli dico. Sono ubriaca e non mi importa.
«Gli uomini non sono bellissimi.»
«Bugie. Tutte bugie. Perché tu lo sei.»
Mi fa girare mentre fingiamo di conoscere questa giga irlandese, poi mi
riavvicina al suo corpo compatto. «Ognuno rimane della sua opinione.»
«Va bene. Ma ho comunque ragione io.»
Il suo sorriso illumina l’intera stanza: potrebbe illuminare un cielo nero
come la pece, giuro. Si china e mi sfiora l’orecchio con la bocca. «No, ma
sei comunque inestimabile.»
«Figurati. Entrambi conosciamo il mio prezzo: lo hai scoperto tu.» La
risposta mi sfugge dalle labbra senza riflettere, ogni filtro è svanito per via
dell’alcol.
Si allontana di scatto, fissandomi serio. «Non dirlo. Perché questa è una
vera stronzata. Tutti i soldi che ho non basterebbero a comprarti.»
«Ma...»
«Ma niente. Qualunque sia il tuo pensiero, ti sbagli, giuro.»
Sono davvero nei guai, perché non riesco più a controllare il mio cuore
mentre l’uomo che prima mi terrorizzava ora mi guarda con calore e
ammirazione.
«Attento, Lachlan. Rischi di affezionarti a me.»
Le sue labbra si abbassano, fermandomi il respiro. «Troppo tardi.»

Mi sveglio di scatto, aspettandomi di sentire un uomo in carne e ossa stretto


a me, ma lui non c’è.
«Dov’è?»
«Signorina Kilgore, sta bene?» L’infermiera che stringe la mia cartella la
mette da parte e mi si avvicina. È bionda. Mi irrigidisco subito. «Io... Io
sto...»
Mi interrompo perché non ho la minima idea di come sto. Ma certo non
bene.
«Il dolore sta peggiorando?»
«Sto meglio, davvero.»
«Non sembra.» Si dirige verso la flebo, ma io non mi fido di lei. Non mi
fido di nessuno di quelli che ho visto in questa stanza, tranne Temperance e
i miei genitori.
Dove cavolo sei, Lachlan? Ho bisogno di te.
«Mamma? Dille che sto bene. Non mi servono altri farmaci, posso
rimanere sveglia.» La mia voce suona debole, ma mia madre è l’unica
difesa che ho contro questa bionda non identificata.
Si sveglia di scatto. «Cosa? Che succede?»
«Cambio solo il dosaggio delle medicine, poi la porto giù per un esame.»
«Un esame?» Mia madre si raddrizza sulla sedia reclinabile alla mia
destra. «Che tipo di esame? Cosa c’è che non va?»
L’infermiera le lancia un’occhiata e io mi guardo in giro in cerca di
un’arma, in caso serva. Il vassoio di chissà quale pasto che non ho mangiato
è ancora sul tavolo vicino al letto.
Mentre la bionda snocciola spiegazioni su un particolare tipo di esame
neurologico, con la mano libera raggiungo il coltello del burro e lo infilo
sotto il lenzuolo. Non è molto, ma è meglio di niente.
Il metallo mi graffia il palmo, e io di colpo mi ricordo di aver stretto la
bacchetta d’argento che avevo regalato a Magnolia: pugnalerò quella
puttana bionda se torna. Peccato che non riesca a ricordarmi il suo volto.
«Va tutto bene, signora Kilgore, le garantisco che è ordinaria
amministrazione. Gliela riporto qui subito.» L’infermiera corregge il
dosaggio di quello che mi stanno somministrando via flebo e poi sgancia il
freno del letto.
«Vengo anch’io.»
Mia madre si alza dalla sedia e io mi chiedo se il suo istinto protettivo si
è attivato per la stessa ragione che ha risvegliato il mio. Se questa è davvero
quella folle puttana, non voglio che mia mamma le stia vicino. Soprattutto
se dovrò pugnalarla con un coltello da burro.
«Torniamo subito. Non c’è motivo che lei si affatichi per i corridoi per
poi aspettare fuori.» Mia madre è combattuta, ma l’infermiera aggiunge:
«Glielo giuro, è tutto a posto».
Il suo tono conciliante mi dà sui nervi, così mi preparo a dare battaglia.
Rimango tranquilla, però, perché non voglio fornire a mia madre un motivo
per accompagnarci.
Quando alla fine lei annuisce e si riaccomoda sulla sedia, le palpebre le
si abbassano quasi immediatamente.
«Mamma, andrà tutto bene. Torno subito, ma tu dovresti dormire.» Non
credo a quello che le sto dicendo, ma glielo dico comunque.
«Ti voglio bene, tesoro.»
«Anch’io ti voglio bene.»
Sta già russando quando l’infermiera spinge il mio letto fuori dalla sua
vista.

I corridoi dell’ospedale sono silenziosi, e questo mi provoca una tensione


ancora maggiore.
«Dove stiamo andando?»
«Giusto un rapido controllo della sua testa. Ha preso un brutto colpo,
sa.»
Mi viene quasi da chiederle se me l’ha dato lei, ma se ho ragione
perderei l’effetto sorpresa.
La mia paranoia aumenta via via che ci allontaniamo dalla mia stanza e
da mia mamma. Alla fine non riesco più a tollerarla: con il coltello da burro
stretto in mano giro la testa, ignorando il dolore martellante.
«Chi sei, e dove cavolo mi stai portando?»
Lei fa un passo avanti per premere un disco d’argento che apre le doppie
porte.
«Non occorre che si faccia prendere dal panico, Keira. Le prometto che
andrà tutto bene.» Mi accompagna verso una soglia aperta, oltre la quale c’è
solo buio.
«Se anche solo provi a toccarmi, giuro su Dio, io...»
Lei solleva una mano in un gesto di difesa. «Perché mi minaccia? Non le
farò del male, non ho istinti suicidi. Vi lascerò qualche minuto da soli.» Mi
spinge nella stanza priva di luce e si ritira.
Vi?
Mentre se ne va, le sue scarpe scricchiolano sul pavimento di mattonelle,
i miei occhi si abituano all’oscurità e nell’ombra trovo il suo volto.
47
Mount

Keira scoppia in lacrime e qualcosa di metallico rimbalza sulle mattonelle.


Porca puttana, le sue lacrime mi uccidono.
«Dove sei stato?» chiede tra i singhiozzi mentre io cado in ginocchio
accanto al suo letto.
Fiumi si riversano lungo le sue guance, così copiosi che i miei pollici
non riescono ad arginarli abbastanza in fretta, poi lei allontana di scatto il
volto dalle mie mani respirando agitata.
Negli ultimi giorni ho agognato qualche immagine in più di quelle
rubate: potevo vederla solo mentre la trasportavano in sedia a rotelle avanti
e indietro dalla sua stanza per degli esami, e poi la perdevo di nuovo
quando la infilavano da qualche altra parte. Ho maledetto l’ospedale perché
ha videocamere di sicurezza solo negli atri.
«Ho osservato in disparte. Sei stata protetta. Sei al sicuro, lo giuro.»
«Ma dov’eri?»
Il senso di colpa mi attanaglia sentendo la sua voce devastata. Ho spinto
questa donna forte e orgogliosa oltre il suo punto di rottura. E sono l’unico
responsabile di tutto questo.
«Non potevo stare qui. Tua madre e tuo padre sono arrivati prima che tu
uscissi dalla sala operatoria, così ho dovuto ritirarmi, e fingere che l’attesa
non mi stesse uccidendo.»
«Ma...»
«Quando hanno chiamato la tua famiglia di sopra, io non sono potuto
andare. Non potevo spiegargli chi cazzo sono per loro e chi sono per te: che
anch’io faccio parte della tua fottuta famiglia.» Rivivere quei momenti di
impotenza mi distrugge per una seconda volta.
«E così mi hai abbandonato? Da sola? Per giorni? Mentre io mi
domandavo se quella folle puttana bionda aveva ucciso anche te?»
So esattamente a quale puttana si riferisce. «Non eri sola. Neanche per
un istante, Keira. Se fosse successo, io sarei stato lì con te.»
«Com’è possibile che tu, Lachlan Mount, con tutto il tuo potere
sconfinato non sei riuscito a farmi arrivare un solo segno che stavi bene?»
Sbatto le palpebre quando finalmente capisco perché è così agitata: ha
passato tutto il tempo a preoccuparsi anche per me. «Non sapevo che ti
servisse un segno.»
«Sono uscita fuori di testa a furia di chiedermi se eri vivo! Credevo
d’essere pazza e ho messo in dubbio tutto.»
«Keira...»
Le sue lacrime scorrono più veloci ora. «Non c’è niente che abbia senso.
Non ho capito cosa è successo, devi dirmelo tu. Chi era quella donna? E
Mags: ha cercato di uccidere anche lei. Tutte quelle ragazze...»
La interrompo premendole due dita sulle labbra. Per quanto desideri
raccontarle tutto subito, non posso.
«Non qui. Non ora, Keira. Non ancora.»
«Quando? Io ho bisogno di sapere.»
Le prendo il volto tra le mani, cercando ancora una volta di catturarle le
lacrime con i pollici. «Basta lacrime, piccola ribelle. L’unica cosa su cui
devi concentrarti è guarire. Lascia che si prendano cura di te.»
«No! Ho bisogno di risposte, e ho bisogno del mio cavolo di marito.»
«Keira, io non posso...»
«Non dirmi che esiste qualcosa che non puoi fare, Lachlan, perché non ti
crederò.»
Sembra davvero convinta e io vorrei esserne all’altezza, ma non merito
quel tipo di fiducia da parte di nessuno. Soprattutto non ora.
«È qui che ti sbagli. Se potessi fare qualunque cosa, riporterei l’orologio
indietro e cancellerei tutto.»
48
Keira

Le sue parole mi feriscono più della pallottola nella spalla e lo stomaco mi


si contorce. «Tutto? Tu...» Sbatto le palpebre, perché quasi non ci vedo per
via delle lacrime.
Il suo volto si rattrista riflettendo il mio dolore, poi la porta si apre e
torna l’infermiera.
«Vuole che me ne vada?» chiede, accorgendosi del silenzio teso nella
stanza.
«No. Riportala indietro» dice Lachlan. «Sono sicuro che la sua famiglia
si sta preoccupando da quando è sparita.»
Apro la bocca per dire qualcosa. Qualunque cosa. Ma lui non è più
Lachlan. È Mount.
Serro le labbra, ma poi decido fanculo! Se questa è l’ultima volta che lo
vedo gli dirò esattamente cosa penso e sento.
«Io non ho ancora finito. Noi non abbiamo ancora finito.»
Lui mi guarda negli occhi. «Decido io quando abbiamo finito.»
Rimango esterrefatta: le sue parole ricordano troppo quelle che
pronunciò quella sera nella sua sala da pranzo, la prima notte che gli ho
lasciato i segni delle mie unghie sulla schiena.
Ruoto la testa e guardo dietro di me, verso l’infermiera. Avverto una
fitta, il dolore sta vincendo sui farmaci. «Esci.»
«Signorina Kilgore...»
«Esci. Di. Qui.»
L’infermiera si trascina via e la porta si chiude ancora una volta.
Mi giro e osservo mio marito. «Non abbiamo ancora concluso, ti è
chiaro? Ho pronunciato delle promesse e ho preso sul serio ogni singola
parola.»
Sul suo viso la maschera di durezza è sostituita da una di pura
confusione. «Stai cercando di dire che per me non era così?»
«Vuoi cancellare tutto? Finirla qui?»
Si ficca una mano nei capelli e mi inchioda con lo sguardo: sembra
totalmente distrutto.
«Porca puttana, Keira. Non è questo che intendevo, ma cazzo, dovrebbe
essere così. Se avessi un solo brandello di decenza nella mia anima,
cancellerei tutto a ritroso fino alla prima volta che ti ho sfiorato.» Sembra
imporsi di pronunciare quelle frasi. «Ma anche se avessi quel potere, non
ritratterei nulla. Neanche un solo fottuto secondo. E se questo mi rende il
più egoista figlio di puttana di questo pianeta, allora che sia così.»
«Allora cosa cavolo volevi dire?» Le mie lacrime cadono più copiose
ora. In parte perché al momento niente ha senso, ma soprattutto perché non
tollero di vedere quell’espressione tormentata sul suo volto.
«Che riporterei indietro il tempo per risparmiarti anche un solo istante di
dolore. Che vorrei tornare con te a quando stavamo mangiando la torta e
ballando. A prima che tu rischiassi di morire a causa mia.»
Il senso di colpa puntella ogni sua parola, e io odio questa cosa. Non è
colpa sua. Mi rifiuto di fargli portare un tale fardello.
«Non hai premuto tu il grilletto. Lei lo ha fatto.»
«Ma io avrei dovuto evitarlo. Avrei dovuto capirlo.»
Mi allungo a toccargli il braccio, traendo forza da lui, ansiosa di farmi
carico del suo dolore come lui vuole farsi carico del mio. «So che sei
sovrumano, ma anche tu non puoi sapere tutto.»
I muscoli della sua mascella si tendono mentre si china a coprirmi la
guancia con la mano. «Ho promesso che ti avrei tenuta al sicuro e non l’ho
rispettato: è una colpa con cui dovrò convivere per il resto della mia vita.»
Giro la testa e gli premo un bacio sul palmo. «Finché il resto della tua
vita lo passerai con me, lo affronteremo insieme.»
«Keira...» Il mio nome sembra una preghiera strappata alle sue labbra.
«Ho solo bisogno di sapere una cosa.»
«Cosa?» chiede, prendendomi il viso come se non volesse più lasciarlo
andare.
«Sono al sicuro ora?»
Annuisce. «Sì. Completamente. Mi sono occupato di tutto.»
Vorrei fargli un’altra dozzina di domande, ma come ha detto lui, ora non
è il caso. Così mi accontento di quella più importante.
«E cosa accadrà quando mi dimettono?»
Lachlan socchiude gli occhi e mi guarda con desiderio. «Torni a casa da
me. È quello il tuo posto.»
49
Keira

I fogli per la dimissione sono stati firmati. Dopo questi sette lunghi giorni di
degenza dovrei precipitarmi fuori dalla porta, ma non è così.
«Tesoro, sei sicura?» Mamma mi stringe la spalla mentre la mia sedia a
rotelle si ferma davanti alla porta di una camera privata. Sono pronta a
scommettere che quella stanza l’ha pagata mio marito.
«So che Mags non ti è mai piaciuta, ma...»
La sua stretta si irrigidisce. «Non è che non mi piacesse, tesoro. Temevo
soltanto che ti trascinasse sulla strada che aveva imboccato.»
Le sue parole mi fanno deglutire. Come posso spiegare a mia madre che
mi trovo alla fine di una strada molto più pericolosa di quella intrapresa da
Magnolia? Sono la regina di un impero del desiderio e progetto di passare il
resto della mia vita accanto all’uomo che ne è il re.
Inoltre non posso dirle che Magnolia è la responsabile principale della
mia posizione e che non c’è un altro luogo dove vorrei trovarmi.
Con la mano che non è bloccata dalla fasciatura mi allungo a prendere la
sua prima di alzare gli occhi verso di lei. «Ti voglio bene, mamma. Grazie
di tutto.»
«Ti voglio bene anch’io, tesoro.»
«Ora ho bisogno di qualche minuto da sola con Mags. Io... devo dirle
alcune cose e ho bisogno di spazio.»
Mi libera la spalla e si allontana. «Va bene. Sarò qui fuori, papà sta
sistemando tutto il resto.»
L’assistente mi spinge nella stanza e parcheggia la mia sedia accanto al
letto di Magnolia, poi si ritira, chiudendo la porta.
I capelli scuri della mia amica sono avvolti in una garza che le copre
tutta la testa. Nessuno mi ha dato informazioni sulle sue condizioni, so solo
che viene monitorata e che le vengono prestate le migliori cure possibili.
Non si è risvegliata, e nessuno è in grado di dire se ce la farà.
Allungo la mano libera per stringere la sua, priva di energia. «Magnolia
Marie Maison, sei sempre la solita.» Ricaccio indietro le lacrime. «Hai
dovuto mettere su una tragedia per attirare l’attenzione e lasciare tutti noi
sulle spine, a chiederci come finirà.»
Il bip del monitor è l’unica risposta alla mia scarsa battuta.
Le prendo le dita. «Mags, ti prego, devi svegliarti. Sei una combattente.
Sei la donna più tosta che conosco e non ti lascerai sconfiggere. Mi capisci?
Non accetto che molli.»
Il bip rimane costante, non c’è alcun indizio che lei mi stia ascoltando,
ma conosco degli studi su persone in coma che riescono a sentire quello che
gli altri dicono mentre loro sono privi di coscienza. Spero davvero che la
mia migliore amica possa farlo ora perché, se non mi aggrappo a questa
idea, inizierò a singhiozzare al suo capezzale.
Potrebbe succedere comunque, però.
Mi porto la mano di Magnolia alla guancia. «Fai attenzione, donna. Non
abbandonerai così questo mondo. Non te ne andrai in silenzio. Dovranno
strapparti da questa terra urlante e scalciante. Mi senti? Questo è ciò che sei.
Non osare deludermi. Ho bisogno che ti svegli. Devo dirti delle cose e ho
bisogno di sapere che riesci a sentirle.»
Il silenzio che mi risponde mi provoca un altro fiume di lacrime.
«Hai fatto quello che ritenevi giusto per me, lo so. Lo fai sempre. Non
mi importa delle tue motivazioni personali, perché il tuo è un regalo che
non potrò mai ricambiare. Dovevo ringraziarti quando ne ho avuto
l’occasione.»
Il battito del polso è appena percettibile e il petto si alza e si abbassa, ma
è tutto.
«Mags, come riuscirai a sorprendermi con un te l’avevo detto se non ti
svegli subito? Devi darmi la possibilità di dirti queste cose mentre sei
cosciente.»
Abbasso la testa e le mie lacrime le scorrono sul palmo.
«Ti perdono. Ti voglio bene. Per favore torna da me. Il mondo sarebbe
un posto più buio senza di te. Il mio mondo sarebbe più buio e so che tu
questo non lo vuoi.»
Attendo per alcuni istanti, ma lei continua a non riprendersi.
Ma cosa credevo? Pensavo di essere nella storia della Bella
Addormentata e che in qualche modo il mio perdono avrebbe risvegliato la
mia migliore amica, come il bacio del principe? Ovviamente non è così.
«Ti voglio bene, Mags.» Le bacio il palmo e le riappoggio la mano
vicino al fianco. «Torna da noi. Ti prometto che avrai tutti i privilegi che
spettano alla sorella della regina.»

Quando arriviamo all’uscita, mamma mi sta raccontando del posto


meraviglioso che lei e mio padre hanno affittato per le prossime settimane,
e di quanto mi piacerà. La loro auto a noleggio è ferma lungo il cordolo.
Non appena ci vede, mio padre salta fuori e raggiunge il marciapiede.
Un’altra macchina accosta dietro la sua. Una Mercedes-Maybach nera con i
finestrini oscurati. Non ho bisogno di spiare all’interno, però, per sapere
con esattezza chi è al volante.
«Staresti più comoda dietro o davanti, tesoro?» Mamma continua a
parlare, poi esamina la questione con mio padre, senza aspettare una mia
risposta.
È un bene, perché tutta la mia attenzione è focalizzata sull’auto nera.
La portiera del guidatore si apre e ne esce V, che lancia un’occhiata ai
miei genitori, del tutto inconsapevoli. Quando il suo sguardo si sposta su di
me, io annuisco e avviamo una conversazione silenziosa.
Sì, sono pronta ad andare a casa. Portami da lui.
V ricambia il mio cenno della testa e viene verso di me. Quando mi alzo
dalla sedia a rotelle sostenendomi su gambe malferme, lui subito mi
raggiunge.
Mia madre si gira di scatto e alla fine anche i miei si rendono conto che è
arrivata un’altra persona. «Tesoro! Che stai facendo? Chi è quest’uomo?»
V mi accompagna verso la portiera posteriore e la apre per me, ma prima
che io salga, mio padre si fionda verso di noi. Se avesse una pistola, sono
sicura che la canna sarebbe già premuta sulla testa di V.
«Non so cosa cavolo pensi di fare, ma togli quelle manacce da mia
figlia.»
«Tesoro? Che succede? Hai bisogno che chiami la sicurezza?» La paura
risuona nella voce di mia mamma, chiara come l’avvertimento di mio padre
che galleggia nell’aria.
Non posso biasimarli. Hanno ricevuto una chiamata nel cuore della notte
e quando sono arrivati la mia vita era appesa a un filo. Tuttavia non è
ancora il momento di dirgli la verità.
«Mamma, papà, questa è la mia auto. Il mio autista. Vi prometto che con
lui non mi accadrà nulla. Mi terrà più al sicuro di quanto abbiate mai
immaginato.»
Mio padre socchiude gli occhi e li punta verso V. «E dove era lui quando
ti sei beccata una pallottola, se è così bravo a proteggerti?»
D’istinto vorrei implorare mio padre di non discutere con me adesso,
invece per quanto riesco, date le mie ferite in via di guarigione, raddrizzo la
schiena e lo affronto.
«Ci sono cose che non posso dirti ora, papà.»
«Non mi piace. Non mi piace per niente.» Mia madre intreccia le dita in
preda all’agitazione. «Tesoro, ti prego, vieni con noi. Non salire su
quell’auto.»
V si schiarisce la voce. «La proteggerò con la mia vita. Glielo giuro.» La
sua voce profonda sembra arrugginita per il mancato uso.
Dentro di me vado su tutte le furie. Cioè mi vuoi dire che tu parli, V? Mi
stai prendendo per il culo?
Sollevo le sopracciglia fino all’attaccatura dei capelli, ma trattengo le
domande che supplicano di uscire dalle mie labbra.
«Chi sei? Per chi lavori? Ti ho mai visto prima?» La mascella di mio
padre si tende, le mani strette a pugno.
V si ammutolisce di nuovo, facendomi pensare che sentire la sua voce
sia come avvistare un leopardo albino in libertà. Capita una sola volta nella
vita.
Incrocio gli sguardi terrorizzati dei miei genitori. «Papà, fatti da parte.
Mamma, vi amo e vi giuro che starò bene. Mi farò sentire presto.»
«Keira...»
Mio padre pronuncia il mio nome in tono burbero, ma io lo interrompo
prima che riesca a lanciarsi in qualunque predica o rimprovero.
«Ci vediamo domattina in distilleria, papà. Mi sarebbe davvero utile la
tua competenza per valutare le nostre prossime mosse: cavolo, il Seven
Sinners era a un passo dal fare un salto di qualità, e io mi rifiuto di
mollare.»
La testa di mio padre scatta all’indietro. «Domani mattina? Dici sul
serio?»
Annuisco. «Sì. Ci sarò. Magari stasera potresti portare la mamma fuori a
cena. Avrà sentito la mancanza di un vero étouffée di gamberi.»
Mio padre studia me e poi V. «Aspetto presto delle risposte.»
Sorrido, sentendomi ridicolmente regale anche con la mia imbracatura.
«Le avrai quando sarò pronta. Ci vediamo domani.»
V mi aiuta a salire sul retro della Maybach e io sono grata per
l’incredibile comodità dei suoi interni. I miei genitori rimangono immobili
accanto alla loro auto mentre V si mette al posto di guida e parte.
«Allora, quando mi avresti detto che sei in grado di parlare? Non pensare
che ci passerò sopra.»
Lui mi lancia un’occhiata dallo specchietto retrovisore ed emette un
grugnito. Io rido, il primo suono felice che mi esce di bocca nell’ultima
settimana.
Sto andando a casa.
50
Mount

Già che ci sono, potrei pure cambiare il mio nome in Keira, visto che negli
ultimi dieci minuti non ho smesso un attimo di fare su e giù nel nostro
salotto. Ho provato a lavorare, ma la mia concentrazione è volata via al
pensiero che lei stava tornando a casa.
Casa.
Non ho mai chiamato così queste stanze, ma per merito suo qui è
cambiato tutto.
La serratura dell’ingresso scatta e lei oltrepassa la soglia, con i suoi
selvaggi capelli rossi raccolti in uno chignon disordinato in cima alla testa,
tranne alcune ciocche libere intorno al viso. V alle sue spalle annuisce verso
di me e chiude la porta appena lei entra.
Mia moglie.
La mia amante.
Il mio amore.
«Lui parla!» sbotta Keira.
Resto sorpreso, perché non è certo la prima cosa che mi aspettavo di
sentire. «Chi?»
«V! Ha parlato! Con i miei genitori. Mio padre era pronto a chiamare la
sicurezza, ma V... ha parlato.»
Sento un sorriso salirmi alle labbra: solo lei poteva riuscirci in questo
momento. «È sempre stato in grado di parlare, piccola ribelle. Ha solo
scelto di non farlo.»
Chiude le dita di una mano accanto a una tempia e poi le apre
allontanandole di scatto. «La mia mente. Wow! È andata.»
La risata ora mi fa rimbombare il petto, risuonando per tutta la stanza.
Solo questa donna...
Mi avvicino e con cautela la stringo tra le braccia. «Mi sei mancata,
cazzo.»
«Bene, perché non è stata proprio una passeggiata stare senza di te. Un
solo incontro clandestino nelle viscere dell’ospedale non mi è bastato.
Vediamo di non ripeterlo, d’accordo?»
Immergo il mento nei suoi capelli. «Affare fatto.»
Lei indietreggia e alza gli occhi verso di me. «Mi baceresti? Per favore?»
«Sei ancora in via di guarigione...»
I suoi occhi verdi mi implorano. Tutto il buonumore che aveva al suo
arrivo è svanito. «Lo so, ma quando mi sono svegliata in quel letto
d’ospedale, sola, senza anello né collana, per un minuto ho pensato... il mio
cervello era in panne, è chiaro... ma ho pensato che forse niente di ciò che
avevamo...» La sua voce si spezza.
«Non importa, piccola ribelle.»
Keira scuote la testa. «No. Devo tirarlo fuori.»
Le accarezzo la guancia e catturo una lacrima che le dondola su una
palpebra. «Allora dimmelo.»
«Per un momento ho pensato di essermi inventata tutto e che tu non fossi
reale... è stato devastante. Non voglio più provare niente di simile. Mai
più.»
La serro in un abbraccio ancora più forte. «Più reale di così non si può.
Tu e io. Per il resto delle nostre vite.»
«Lo prometti?»
La libero e metto la mano destra in tasca, estraendo l’anello che avevo
sottratto dai suoi effetti personali.
«Questo anello non lascerà più il tuo dito» le dico infilandolo di nuovo al
suo posto.
Gli occhi le si illuminano nel vederlo, poi incontrano i miei e mi
guardano con durezza. «Dovranno staccarmelo dalla mano, ma a quel punto
sarà fredda come il marmo.»
«Non dirlo neanche per scherzo. L’idea di perderti mi ha quasi
ammazzato mentre ero in quella sala d’attesa. E anch’io non voglio più
passarci.»
Deglutisce e sembra sul punto di piangere ancora, ma poi si china verso
di me. «Baciami, e l’accordo è fatto.»
Il dolore di quel momento scivola via quando le sue labbra toccano le
mie.
51
Keira

«Lachlan non mi impedirà di andare al lavoro. L’ho promesso a mio padre e


tu mi hai sentito. Sei un pazzo se pensi che lui non chiamerà la polizia
appena si accorgerà che non ci sono.»
V bofonchia e dato che ha ripreso il suo mutismo torna a far volare le sue
dita sul telefono. Un secondo e il mio vibra per l’arrivo di un messaggio:
davvero un modo scomodo e insoddisfacente di avere una conversazione.
V: IL CAPO HA ORDINATO DI RIMANERE QUI.
«Bene, allora dovrà dirmelo in faccia, altrimenti uscirò da quel dannato
cancello e chiamerò un taxi. Credi che lo renderà felice?»
Lui aggrotta le sopracciglia mentre mi scrive un altro sms.
V: È OCCUPATO. UNA TELEFONATA. LEI DEVE ASPETTARE.
«Di preciso, quand’è che ti è parso che mi piaccia aspettare? Mi metterò
a urlare come una pazza per tutta la casa, se sarà necessario. L’ultima cosa
di cui abbiamo bisogno è che mio padre chiami la polizia, lo sai meglio di
me.»
V grugnisce di nuovo e io gli pianto un dito in quel suo petto d’acciaio.
«Portami da lui subito o ti assicuro che avrai un problema più serio della
mia incazzatura.»
Si lamenta ancora.
«Subito» ripeto e lo colpisco con forza. Devo dire che questa cosa del
dare ordini mi viene piuttosto naturale.
Lui mi guarda di traverso e con un cenno brusco della testa mi indica la
porta. Conosco abbastanza la sua mimica da saperla tradurre: significa
seguimi.
«Vedi? Non è più facile quando ti limiti a darmi retta?»
Ci dirigiamo verso il cortile esterno: gli sto alle calcagna fino a quando
non ci intrufoliamo nel labirinto di cunicoli segreti, passando da dietro il
dipinto.
«Ma esiste una mappa? Pensi che me la darete un giorno? Perché non
sarebbe male spostarmi da sola.»
V non si disturba a rispondere, ma in fondo mi sta bene, ora mi interessa
solo arrivare da Lachlan il più in fretta possibile, preferibilmente prima che
mio padre faccia setacciare dalla polizia l’intera città per rintracciare me e
una Maybach nera.
Quando la libreria si apre scivolando di lato, V mi permette di entrare
per prima, ma non mi viene dietro. Lachlan è seduto alla sua scrivania e
parla al cellulare, discutendo con qualcuno. Appena mi vede si alza in piedi.
La domanda nel suo sguardo è chiara: “Che stai facendo?”.
Rispondo a gesti: “Devo andare al lavoro altrimenti mio padre chiama
gli sbirri”.
Solleva un dito e indica la soglia aperta dove è rimasto V. Io cammino su
e giù, per nulla paziente, mentre lui continua a discutere con chiunque si
trovi all’altro capo del telefono.
Ignoro di cosa si tratta, ma ho già deciso da un po’ di tempo che non mi
serve conoscere tutto degli affari di mio marito.
Raggiunto l’angolo della sua scrivania, giro sui tacchi, pronta a
camminare in direzione opposta, ma qualcosa sul monitor cattura il mio
sguardo.
Mentre mi avvicino mi sfugge un urlo e vado a sbattere contro lo spigolo
con un fianco. Quasi non percepisco il dolore lancinante che mi trafigge,
perché sullo schermo c’è una donna bionda ammanettata a un letto
d’ospedale: so chi è, fin dal nostro incidente d’auto.
Una donna bionda. La donna che mi ha sparato e mi ha chiuso in un
mausoleo con una pila di cadaveri. Compreso il corpo quasi esanime della
mia migliore amica.
«Che cazzo succede?» grido. «Cosa succede, porca puttana!»
Lachlan si volta verso di me. La sua espressione si fa vacua mentre
abbassa il telefono e chiude la chiamata senza aggiungere una parola.
«Keira...»
Si avvicina, ma io tendo una mano e la punto verso la telecamera.
«Devi spiegarmelo in questo preciso istante. Immediatamente. Perché
non ha alcun senso.»
«Keira...» Ripete il mio nome, ma la sua voce sovrasta a malapena il
ronzio che avverto nelle orecchie.
«Mi avevi assicurato di essertene occupato. E quando me lo hai detto, io
ti ho creduto! E sai perché? Perché le cose che prometti, tu le fai
veramente!»
«Vuoi calmarti...»
«Non provare nemmeno a domandarmelo! C’è anche mio marito laggiù?
Quante persone hai rinchiuso nel seminterrato?»
La sua espressione, già indurita, diventa di pietra. «Ma no! Lui è sul
fondale di quella merda di palude, non in quel triste seminterrato.»
Agito la mano fuori controllo verso il monitor. «Allora cosa cavolo ci fa
lei lì? Ha cercato di uccidermi! È la ragione per cui la mia migliore amica è
in coma! E poi c’erano tutte quelle altre donne dentro la tomba! Perché lei è
ancora viva?»
I tratti granitici di Lachlan si dissolvono in uno stato di pura angoscia.
«Perché non potevo ucciderla, va bene? Non sono riuscito a premere il
grilletto.»
Afferro l’angolo della scrivania: i miei polmoni provano a riempirsi
d’aria mentre mi sforzo di capire. È chiaro che mi sfugge qualcosa di
importante.
«Dimmi perché, Lachlan. Devi spiegarmi perché.» Pronuncio ogni
parola con attenzione, come se ne andasse della mia sanità mentale, e in
effetti potrebbe essere così.
Mio marito – che a questo punto dubito di conoscere davvero – si
strofina le mani sul volto. «È complicato.»
«Allora ti suggerisco di semplificarlo velocemente. Inizio a chiedermi
che cos’altro mi stai nascondendo di te, e non mi piace per niente.»
Lachlan si preme le dita sulle tempie e chiude per un attimo gli occhi
prima di fissarli su di me. «Il mio passato è sgradevole.»
«Sì, ma io ti ho sposato sapendo esattamente chi e cosa sei, o almeno lo
credevo.» Indico la donna sul monitor. «Lei mi ha sparato, dicendomi che
era il tuo destino e che tu avresti dovuto amare solo lei. Penso di meritarmi
una spiegazione.»
Il viso di Lachlan si trasforma nella maschera indecifrabile che ho già
visto fin troppe volte. «Allora farai meglio a sederti, perché non è una storia
breve. È la storia della mia intera fottuta esistenza.»
Crollo sulla sua sedia e avverto le mie ferite protestare per quel
cedimento improvviso. Poi osservo l’immagine di quella donna priva di
coscienza, legata in un letto d’ospedale, e sposto gli occhi su mio marito.
«Appena ti senti pronto, puoi iniziare. Preferibilmente subito.»
52
Mount

Tredici anni prima

Cerimonia di laurea. La prima a cui avessi mai partecipato, perché io non


avevo mai messo piede all’università. Osservare Destiny mentre
attraversava il palco e riceveva il suo diploma targato MIT mi scatenò
nell’anima un’ondata di orgoglio.
Dopo aspettai all’esterno in mezzo a una folla di famiglie che si
abbracciavano e festeggiavano: per quanto fosse costoso il mio completo,
non mi ero mai sentito così fuori posto in tutta la mia vita.
Quando Destiny si mise a correre facendosi largo tra la gente, non si
fermò a parlare con nessuno. I suoi occhi erano inchiodati su di me: mi
lanciò le braccia al collo e io per puro istinto la presi al volo.
«Hai visto? Ce l’ho fatta!»
«Non ho dubitato di te neanche per un secondo.» Lei era sempre stata
intelligente.
«Vorrei... vorrei che Hope fosse qui per vederlo.»
Il senso di colpa mi trafisse, più affilato del coltello a serramanico nella
mia tasca. Continuavo a non sapere se ero io l’assassino, o se Hope era già
morta prima del mio arrivo. Non mi sarei mai liberato di quel peso.
Guardai Destiny, stampandomi un sorriso sulla faccia. «Sono sicuro che
da lassù ti sta guardando.»
Un sorriso le tremò sulle labbra. «Lo pensi davvero?»
«Naturalmente.»
«Credo che tu abbia ragione.»
Ansioso di cambiare argomento, le chiesi: «Sei pronta?».
«Certo. Nel mio appartamento è già tutto imballato.»
Mi ero girato per andare, ma le parole che lei aveva appena pronunciato
mi bloccarono. «Mi riferivo alla cena, non a un trasloco. Non tornerai a
New Orleans. Lì non c’è niente per te.»
Destiny, quella ragazza che nella mia mente era ancora la bimba di
cinque anni che avevo protetto dormendo davanti alla sua porta, incrociò le
braccia con aria di sfida. «Io torno eccome. Non mi sono fatta il culo a
imparare tutta questa roba per metterla a frutto al servizio di qualcun altro.»
«Ma di cosa cavolo stai parlando?»
«Sto dicendo che vengo a lavorare per te.» Il suo tono era irremovibile,
ma non quanto lo fu il mio.
«Col cazzo che lo farai. Neanche per idea. Non dureresti un giorno nel
mio mondo, Desi. Devi rimanere lontana da me e da New Orleans il più a
lungo possibile d’ora in avanti.»
Mi diressi al parcheggio, ma i suoi tacchi risuonarono sul marciapiede
alle mie spalle mentre si affrettava per starmi dietro. Quando aprii l’auto a
noleggio, lei aveva raggiunto il lato del passeggero.
«Combattimento corpo a corpo. Addestramento da cecchino.
Identificazione delle microespressioni. Guida tattica.»
«Che cazzo significa?»
«Ho trascorso gli ultimi quattro anni a imparare ogni fottuta cosa, dentro
e fuori dall’aula, così da rappresentare una risorsa per l’organizzazione. Una
risorsa per te. Non ti sei mai chiesto perché mi serviva tutto quel denaro in
più? Ecco perché. Se pensi di spedirmi da qualche parte e ti aspetti che
resterò lontana, allora non mi conosci molto bene.»
«Destiny...»
«No. Sono J ora. Funziona in questo modo, no? Con la prima lettera del
mio cognome. Hai passato quasi vent’anni a proteggermi e ora tocca a me.
Mi farò valere. Non sono una ragazzina, Mount. Sono una risorsa. Usami.»
«Non è per questo che ti ho mandato qui, ma per darti la possibilità di
avere una vita normale.»
Destiny mi guardò con un’espressione di scherno sul viso. «Davvero?
Perché secondo te non provengo dalla stessa merda da cui vieni tu? Pensi
che di punto in bianco mi trasformerò nella casalinga perfetta e sfornerò
marmocchi per qualche tizio di ceto medio-alto che probabilmente si scopa
la segretaria? Vuoi questo per me?»
«Lo ucciderei.»
Sulla sua bocca si spalancò un sorriso di trionfo. «Esatto. E se qualcuno
si metterà sulla tua strada, lo ucciderò io. Adesso è il mio turno di ripagarti
per quello che hai fatto per me. Ti dimostrerò che sono abbastanza forte e
altrettanto brava. Era il nostro destino fin dall’inizio, Mount. Tu e io contro
il resto del mondo.»
Spalancai la portiera e mi sedetti, infilando la chiave mentre lei si
accomodava sul sedile del passeggero. Quando avviai l’auto, il mio unico
desiderio era poter dire che non sapevo da dove le era venuta quell’idea, ma
la verità era che lo sapevo eccome. Conoscevo bene quella voglia di
dimostrare il proprio valore, e di sentirsi parte di qualcosa.
«Non farmelo rimpiangere, J.» Le scoccai un’occhiata tagliente e inserii
la retromarcia.
«Le coprirò le spalle, capo. Vedrà.»
53
Keira

Oggi

Per ogni dettaglio che lui aggiunge alla storia di Hope e Destiny,
riferendomi tutto quello che hanno patito, il mio cuore si disintegra in
frammenti sempre più piccoli. Soprattutto per la parte sul trasporto di Hope
fuori dalla casa in fiamme sotto gli occhi della sorella.
Non soffro per me, ma per loro. Per tutti loro. Per i bambini che non
sono mai stati. Per l’occasione che hanno perso di avere una vita normale.
Lachlan ha trascorso l’ultima ora a raccontarmi tutto. Be’, in realtà, lo ha
raccontato alla mia spalla. O alla parete. O al soffitto.
Fino alla fine non ha incrociato il mio sguardo, e il dolore nei suoi occhi
ora è quasi intollerabile per me.
«Se lei fosse un’altra persona, chiunque altro, sarebbe già morta. Invece
non sono riuscito a premere il grilletto. Questo fa di me il più grande
ipocrita del mondo, perché ho eliminato un intero fottuto cartello da questa
città per averti ferito e invece la responsabile del piano era lei: è lei che ha
ingaggiato uno scagnozzo di poco conto del cartello perché sparasse. Non
lo hanno ordinato loro, e mentre tu eri in ospedale io ho trascorso l’ultima
settimana a riparare i danni che lei ha provocato. Per causa sua ho stretto un
accordo con l’altro cartello: si assumeranno loro la colpa e in cambio
otterranno il monopolio del narcotraffico in città.» Lancia un’altra occhiata
verso il soffitto. «Nonostante questo, non sono ancora riuscito a ficcarle nel
cervello la pallottola che si merita. Cazzo, non sono riuscito neanche a
ordinare a qualcun altro di farlo, perché...»
Lo interrompo. «Non sei il mostro che pensavi di essere? Perché sei
umano?»
Lachlan mi fulmina con lo sguardo. «No...»
Mi alzo e giro intorno alla scrivania, raggiungendo l’uomo che ho
sposato, convinta che per certi versi lo conosco meglio di quanto non si
conosca lui stesso.
«Tu non dovresti...»
«Amarti? O dirti che, dopo aver ascoltato la vostra storia, non riuscirei a
ucciderla nemmeno io se fossi nei tuoi panni? Perché è esattamente questo
che ti sto dicendo.»
Con attenzione mi siedo sulle sue ginocchia, prendo il suo braccio
impacciato e lo sistemo intorno a me.
Mi osserva con la confusione negli occhi. «Dovresti volerla morta per
quel che ha fatto a te e a Magnolia. E mio Dio... a tutte le altre ragazze.»
Lo stomaco mi si contrae al pensiero di tutti quei cadaveri, ma lo scaccio
via. «Come posso desiderarla morta quando so che tu hai vegliato su di lei
praticamente per tutta la sua esistenza? Per te è come una sorellina.
Nessuno di voi ha avuto una vera possibilità, fin dall’inizio. Lei è un’anima
spezzata, Lachlan. Ma non sei stato tu a farle del male. È stata la vita.»
«Questo non significa che lei non sia colpevole per le sue azioni.»
Sembrano parole arrugginite e contorte come quelle di V.
«Sì, lo è, come un qualunque pazzo criminale. La sua mente non è sana.
Non puoi pensare che lo sia.»
Lui distoglie lo sguardo, la mascella tesa. «Lei è un cazzo di genio,
Keira. Era la prima del suo corso al MIT. Non voglio trovare scuse per
lei...»
Gli afferro il mento e lo faccio girare di nuovo verso di me. «Allora lo
farò io. Perché lei può benissimo essere un genio tutto il santo giorno e al
contempo avere gravi disturbi mentali che ti ha tenuto nascosti. Ha bisogno
di aiuto.»
Lui deglutisce e il suo pomo d’Adamo va su e giù. «Ma come cavolo
glielo do? Conosce troppe cose, non posso consegnarla a una clinica perché
la tenga sottochiave da qualche parte.»
«Sei l’uomo più ricco che conosco. Non dirmi che non puoi farla aiutare
e insieme tenere i tuoi segreti al sicuro.»
Lui abbassa la testa fino ad appoggiare la sua fronte alla mia. «È il
dubbio che mi sta dilaniando da quando ho capito cosa aveva combinato.»
«Allora lascia che ti dia una mano a rincollare i pezzi. Siamo una
squadra, no? Non c’è niente che non possiamo affrontare.»
Qualcosa di simile allo stupore gli addolcisce i tratti. «Non ti merito.»
«Per fortuna so che ti sbagli. Su, andiamo, hai delle cose da sistemare,
dei piani da mettere in atto. Perché è questo che tu fai. E io devo andare al
lavoro prima che mio padre chiami quel cazzo di FBI.»
Lachlan mi infila una mano tra i capelli e sussurra una sola parola.
«Grazie.»
54
Keira

Tre mesi dopo

«Dove cazzo stiamo andando?» Lachlan mi ringhia la domanda


nell’orecchio mentre saliamo la scaletta del suo jet. Il jet che ho chiesto di
rifornire e tenere pronto per la luna di miele che ho pianificato.
Mi giro e gli faccio un sorriso ammiccante. «Hai presente quella volta
che mi hai detto che stavamo andando a Dublino solo dopo esserci alzati in
volo? Ti sto ripagando con la stessa moneta. Inoltre, ringhia pure quanto
vuoi: lo trovo molto sexy.»
«Keira...»
«Pazienza, marito. Pazienza.»
Il suo sguardo mi trapassa, ma non aggiunge altro. Sono sicura che stia
usando tutto il suo autocontrollo per non marciare verso la cabina e
chiedere la destinazione al pilota. Ma sarebbe inutile, perché è lo stesso
pilota che ho minacciato di licenziamento se si lascia sfuggire qualcosa.
E sembra proprio che ora, quando formulo un avvertimento, la gente mi
prenda sul serio.
Questo non significa che gli ultimi tre mesi siano stati privi di sfide.
Destiny è stata sistemata in una struttura blindata dove riceve giorno e notte
cure e una vagonata di farmaci, oltre a fare terapia. Ufficialmente gli è stato
diagnosticato un disturbo dissociativo dell’identità. Ma è anche
maledettamente furba e ha cercato di fuggire diverse volte: per fortuna le
eccezionali misure di sicurezza hanno sventato ogni suo tentativo prima che
si allontanasse troppo. Ha raccontato un sacco di cose, però, tipo come
aveva scoperto che Hope era seppellita in quel mausoleo: semplicemente
aveva seguito Lachlan l’anniversario della morte della sorella e lo aveva
visto mentre deponeva un mazzo di fiori sulle porte.
Magnolia alla fine si è svegliata, grazie a Dio, ma non ricorda niente di
ciò che è successo. Credo sia meglio così. È in “congedo” dal suo lavoro,
perché sta sostenendo un sacco di fisioterapia per recuperare. Di sicuro
beneficia di tutti i vantaggi dello status di sorella della regina.
La distilleria va a gonfie vele e produce il whiskey migliore della
nazione, ma è ovvio che io sono di parte. Anche se il magazzino ha preso
fuoco, non è andato tutto perduto. Il fumo e le fiamme hanno danneggiato
diversi barili, ma mio padre, forte della sua grande esperienza, ha
trasformato la cosa in un’idea geniale: ha pensato che fumo e frammenti
carbonizzati potevano attribuire un aroma del tutto diverso al whiskey,
qualcosa di speciale. E quando abbiamo imbottigliato alcuni barili che
avevano raggiunto il giusto livello di invecchiamento, il risultato è stato
incredibile. Forse non riusciremo mai a replicarlo, e dato che la quantità è
limitata, il prezzo è salito alle stelle.
Ora il Phoenix Label della Seven Sinners è uno dei whiskey più rari e
costosi sul mercato. Stiamo facendo nuovi esperimenti affumicando e
carbonizzando i nostri barili, ma questa volta senza bisogno di chiamare i
vigili del fuoco.
Abbiamo anche lanciato lo Spirit of New Orleans in edizione limitata,
ricevendo una risposta fantastica da parte del pubblico. Il progetto di
ampliamento è diventato la nostra priorità numero uno, perché dobbiamo
aumentare la produzione in men che non si dica. Appena sarà completato,
nel giro di sessanta giorni daremo inizio alle visite guidate dell’impianto e
New Orleans avrà un’attrazione nuova di zecca.
Mamma e papà sono tornati in Florida dopo circa un mese, ma prima di
partire mio padre mi ha detto qualcosa che aspettavo di sentire da anni:
«Non avrei potuto lasciare questa società in mani migliori delle tue. Mi hai
reso orgoglioso, Keira, e hai fatto compiere alla Seven Sinners balzi in
avanti che io non sarei neppure stato in grado di sognare. Tuo nonno e suo
padre prima di lui ne sarebbero felici. Sei un vanto per il nome della nostra
famiglia, piccola mia».
Non ho ancora confessato ai miei genitori che in realtà non porto più il
nome di famiglia, e che la pietra sul mio anulare non è solo un anello di
fidanzamento. Ho chiesto in proposito un consiglio a mio marito e la sua
risposta è stata semplice: «Diglielo, o anche no. Insomma fallo quando e
come preferisci. Io li terrò al sicuro per sempre in ogni caso».
Già... Ci sto ancora lavorando, ma sono piuttosto certa che mio padre lo
abbia già capito. Non è stupido e la costante presenza di V intorno alla
distilleria è un chiaro indizio che le cose sono molto, molto diverse rispetto
a prima.
Stranamente, però, papà non ha insistito e in qualche modo ho placato
anche mia madre.
Io non vivo più completamente alla luce del giorno, ma neanche mio
marito vive solo immerso nell’ombra. Abbiamo trovato un giusto equilibrio
ed è per questo che ora stiamo uscendo dal paese, così possiamo tornare a
essere di nuovo Lachlan e Keira, come lo siamo stati a Dublino.
Quando provo a occupare la sedia accanto a lui, mi prende sulle
ginocchia.
«Ora me lo dirai: pretendo di saperlo.»
«Tu pretendi? La cosa si fa seria. Voglio dire, considerata la tua
reputazione e tutto il resto.»
«Puoi scommetterci, piccola ribelle. Dovresti avere paura di me, perché
io ti possiedo.»
Usa un tono cupo e ruvido, perciò non riesco a evitare di sorridere.
«Mi possiedi, eh? Allora significa che il mio culo è tuo? Oppure mi sono
infilata quel mostruoso plug anale per niente?»
Sorpresa. Non è un’espressione che vedo spesso sul suo volto, ma ora
eccola lì, innegabile.
«Prego?»
Mi impongo di mantenere una faccia seria. «Io non mi ripeto.»
Il suo sguardo scuro si infiamma. «Allora immagino che dovrò scoprire
da solo se ho capito bene.»
Il jet sfreccia lungo la pista mentre le sue labbra premono contro le mie,
così mi dimeno sulle sue ginocchia mentre il calore che ho tra le gambe
diventa bollente.
Quando raggiungiamo l’altitudine di crociera, ho ormai perso la gonna e
ci ritroviamo avvinghiati sul lungo divano posizionato nel retro dell’aereo.
«Mi sa che ti serve un jet dotato di camera da letto. È ora di migliorarsi,
Lachlan.»
«Se avessi saputo di innamorarmi di una donna capace di farmi eccitare
con il suo solo respiro, ne avrei comprato subito uno.»
Quando glielo sento dire mi blocco. «Tu mi ami?»
Ormai sono passati mesi, e anche se sono certa che Lachlan Mount mi
ama, ascoltarlo direttamente dalla sua voce era il mio desiderio più grande.
Se non altro perché è un uomo d’azione più che di parole.
«Sei impazzita per caso, piccola ribelle? Certo che ti amo. L’idea di
perderti mi ha quasi ucciso. Prima non sapevo com’è che si ama qualcuno,
ma tu me l’hai insegnato. Hai reso impossibile non amarti.»
Mi mordo il labbro mentre le lacrime mi bruciano gli occhi.
«Non osare piangere. Non ora.»
«Non dirmi cosa devo fare, Lachlan Mount.»
«Ti dirò cosa fare tutte le volte che voglio, Keira Mount. Soprattutto
quando sei nuda.»
Il bruciore svanisce. «Non minacciarmi con il sesso.»
Le sue labbra scendono sulle mie, prendendo il controllo come ogni
volta. «Dimmi dove stiamo andando» mi ordina.
«No. Non ancora.»
«Quanto credi che riuscirai a resistere se ti tengo a un passo
dall’orgasmo?»
«Lo scopriremo.»
55
Mount

«Ti prego! Fammi venire!»


«Dimmelo.»
Mia moglie mi mostra i denti come un animale selvatico. I graffi sulla
mia schiena testimoniano che lo è davvero, ma non la vorrei diversa.
Faccio pressione sul plug che ha nel culo, e adoro come le cola la fica
mentre stuzzico il suo piercing con la lingua.
«No!»
«Che ribelle!» Gioco con il suo plug. «Scommetto che quando affonderò
il mio uccello in questo culetto stretto, griderai il mio nome e qualunque
altra cosa io voglio sentire.»
Lei inarca la schiena, sollevandosi verso di me.
In realtà non mi interessa dove andiamo: stare con Keira – soprattutto se
siamo nudi e le nostre volontà stanno conducendo una battaglia – è la cosa
che preferisco al mondo.
«Mettimi alla prova.» Pronuncia quelle parole a denti stretti, cercando
disperatamente di rubare un orgasmo, e io glielo lascio conquistare perché
non riesco a negarle nulla troppo a lungo.
Quando lei grida il mio nome, in effetti sono orgoglioso che lei abbia
resistito senza dirmelo. Non ho mai amato le sorprese prima d’ora, ma con
Keira tutto è diverso.
La vita non è più bianco o nero. È piena di colori, e non parlo solo
dell’oro.
«Intendi portare a termine la cosa, Lachlan, o tutto questo lavoro di
preparazione l’ho fatto per niente?»
Mi sfida in ogni istante. Mi tiene sulla corda – me e il mio cazzo duro –
praticamente ventiquattr’ore al giorno, sette giorni su sette.
«Ehi, piccola ribelle, dovresti sapere che è meglio non farmi arrabbiare.»
Le estraggo il plug dal culo e afferro il lubrificante che lei ha infilato in
borsa. Ho già detto che è la donna con più risorse che abbia mai
conosciuto?
Mi spremo su una mano il liquido e le riempio il suo buco con un dito.
«Di chi è questo culo?»
La sua espressione si fa cocciuta. «È mio.»
Le infilo un secondo dito e spingo un bottone sul telecomando accanto a
me. «Vuoi riprovarci?»
«Non è giusto!» La voce le sale di un’ottava mentre mi stringe le dita: le
vibrazioni del giocattolo nella sua vagina le percorrono il corpo. «Sto per
venire.»
«No, devi aspettare che io entri in quel culo che è solo mio. Come lo sei
tu. La mia donna. Mia moglie. Il mio amore.»
Un’espressione di tenerezza le passa sul volto. «Tu non giochi pulito.»
«Non l’ho mai fatto e non lo farò mai. Non quando ci sei di mezzo tu. E
ora dimmi ciò che voglio sentire.» Faccio entrare e uscire le dita, e lei serra
i muscoli.
«Ti amo.»
«E?»
56
Keira

Lui vince sempre, lo ammetto.


Ma per mia fortuna, quando vince lui, vinco anch’io.
Lachlan toglie le dita e afferra una salvietta umidificata che avevo
preparato insieme al lubrificante. Perché ora ho molta più esperienza, anche
se forse tecnicamente sono ancora vergine in quella zona. Lui si cosparge
l’uccello e io mi tendo in avanti quando lo preme contro il mio buco più
stretto.
Tira via dalla mia fica il vibratore che guidava a distanza e lo passa sul
mio piercing.
«Questo non è corretto!»
Si spinge in avanti quanto basta per fare breccia nell’anello di muscoli,
facendo vibrare di piacere le mie terminazioni nervose. Negli occhi mi
esplodono scintille.
«Dimmelo» mi dice stuzzicandomi il clitoride.
«Sono tua.» Il trionfo gli accende lo sguardo mentre mi penetra e io
pronuncio in un gemito le ultime parole. «Ma tu sei mio.»
Lui mi infila il suo uccello nel culo e sorride. «Farai meglio a crederci
davvero. Corpo. Cuore. E anima.»
Poi mio marito mi scopa a fondo, ma io sono già a un passo
dall’orgasmo.
Continuo a venire finché lui non mi segue lasciandosi andare a un
ruggito che risuona in tutta la cabina. I nostri cuori martellano all’unisono e
il sudore cola sulle nostre fronti.
«Allora, dove cazzo stiamo andando?»
Sorrido. «Lo vedrai.»
57
Mount

Quando l’aereo atterra sulla pista, Keira estrae un fascicolo dalla borsa e me
lo porge.
«Cos’è questo?»
«Non infuriarti...»
Mi preoccupo per il suo tono cauto. «Perché dovrei infuriarmi?»
«Perché ho rubato il tuo DNA, l’ho inviato con un falso nome usando
una casella postale...»
Sbatto due volte le palpebre, ripetendomi le sue parole nella testa. «E per
quale fottuta ragione?»
Le strappo il fascicolo dalle mani e abbasso lo sguardo. Non ho mai
voluto conoscere la donna che mi ha lasciato di fronte a una chiesa, ma mi
sono sempre chiesto quali fossero le mie origini, soprattutto dopo aver visto
come si era sentita Keira a Dublino.
«Volevo che sapessi da dove provieni. Volevo poter dire ai nostri figli
quali sono le loro origini, di entrambi i rami della famiglia.» Mi guarda di
traverso.
«Sei...»
Lei scuote la testa. «Non ancora. Ma un giorno magari.»
Figli. Una famiglia. Cose che non ho mai preso in considerazione prima
di lei, ma a cui ora penso di continuo. Evitavo qualunque legame per paura
che mi indebolisse, ma adesso non ho dubbi che lei sia la mia forza più
grande. Mi dà una ragione per svegliarmi ogni mattina e governare il nostro
impero con onore. Anche se è corrotto e segnato.
Apro il fascicolo, e leggo i risultati sulla prima pagina.

73% Italia/Grecia

«Quindi dove cazzo siamo?» Alzo gli occhi e mi sento profondamente


scosso.
«Grecia. Ho deciso di iniziare da qui e vedere cosa ne pensi. La prossima
tappa è la Sicilia. Mi sembrava appropriato. Poi potremmo spostarci in
qualsiasi altro luogo tu voglia visitare.»
«Non so cosa dire.»
«Non devi dire niente. Volevo solo farti un regalo che non ti saresti mai
concesso. Qualcosa che tu hai dato a me: l’occasione di scoprire le mie
radici.»
«Sono... senza parole.»
«Ed è bellissimo! Ma nel caso te lo stessi chiedendo, non ha importanza
da dove vieni. Quello che conta è che sei diventato l’uomo che sei. Io ti
amo e passerò il resto della mia vita con te. Insieme formeremo una
famiglia. E un giorno tu conoscerai i miei genitori, magari prima di avere
un figlio.»
Pronuncia l’ultima parte ridendo: io mi alzo e la faccio alzare dalla sedia.
«Possono raggiungerci in Italia. La Grecia è la nostra luna di miele. I
genitori non sono ammessi.»
Un sorriso illumina il suo volto: «Ci sto».
Epilogo
Keira

Un mese dopo – Martedì Grasso

A volte stringere un patto con il diavolo è la cosa migliore che puoi fare.
Soprattutto quando ti rendi conto che è tutt’altro che il diavolo.
A parte stasera.
Sorrido per il giocattolo che vibra dentro di me mentre ascolto il
proprietario dei Voodoo Kings di New Orleans glorificare le virtù del
whiskey Seven Sinners, in particolare del suo nuovo favorito, il Phoenix
Label.
«Sono davvero felice che lo apprezzi.»
«Comprerò tutte le bottiglie che posso. Scommetto che il commissario
ne gradirebbe una o due. Non pensavo davvero che lei riuscisse a superare
lo Spirit of New Orleans.»
«Mi assicurerò che ne mettano da parte un po’ per lei, signore.»
«Gliene sarei grato» risponde prima di bere un altro sorso.
«Se mi scusa solo un istante, dovrei controllare un paio di cose.»
«Naturalmente. Avete organizzato una gran bella festa. Riporteremo
senz’altro i nostri ragazzi qui in futuro.»
Con “i ragazzi” si riferisce all’intera squadra, e io mi trattengo a stento
dall’esultare agitando un pugno. «Non vediamo l’ora di stringere presto
nuovi accordi con voi.»
«Grazie, signorina Kilgore.»
Mi allontano da lui mentre una serie di vibrazioni mi percorre il corpo.
Lachlan e io abbiamo quasi litigato perché lui voleva prendere il
controllo del servizio di sicurezza per questa serata. Ma io non ero
d’accordo, il Seven Sinners è la mia creatura.
«Considerando il fatto che potresti essere la madre di mio figlio, ho il
diritto di tenerti al sicuro.»
«Non provarci neanche. Non sono ancora incinta.»
«Ci provo quanto mi pare. Sei mia moglie.»
La nostra discussione è sfociata in urla che hanno invaso l’appartamento,
ed è finita con noi che ci strappavamo i vestiti in preda alla frenesia: più o
meno tutti i nostri scontri finiscono così.
Dopo, con le lenzuola attorcigliate addosso, Lachlan ha proposto un
compromesso. Il mio servizio di sicurezza, se necessario, sarebbe stato
integrato dal suo, ma lui non avrebbe assunto il comando.
Ho accettato.
Quando stasera sono entrata in salotto nel mio abito da ballo, lui era in
attesa nel suo completo dal taglio perfetto e stringeva una scatola di pelle
dall’aspetto familiare. Ha fatto scattare il coperchio e all’interno è comparso
un giocattolo nero e oro dall’aspetto innocente, anche se io sapevo che non
lo era affatto.
«Puoi inserirlo tu, o ci penserò io. Ma non te ne andrai senza.»
«È una serata di affari, Lachlan.»
«Tic-tac, Keira.» Poi guardando l’orologio ha aggiunto: «Hai quindici
minuti prima di uscire.»
Io ho ringhiato, un’abitudine che ho copiato da lui, e ho ribattuto. «Solo
se prima tu ti inginocchi.» Ho appoggiato sulla sedia un piede fasciato in
una scarpa con il tacco a spillo e ho sollevato la gonna dell’abito perché lui
potesse vedere il perizoma luccicante al di sotto.
Il suo sguardo buio ha avuto un lampo. «Solo per te, sarò felice di farlo.»
«Puoi dirlo forte.»

Sorvolo sulle tre ore successive. In questo momento muoio dalla voglia che
lui mi trascini in un angolo per implorarlo di scoparmi. Ma prima devo
trovarlo, in questo mare di giganti con le maschere da Martedì Grasso
intonate ai vistosi completi su misura.
Annuisco e sorrido, contenta che il mio volto sia coperto così nessuno
può vedere la mia espressione vicina all’orgasmo. Passo la mezz’ora
successiva a cercarlo, mentre lui implacabile mi tormenta.
Dove cavolo è andato? Quando lo trovo, lo uccido.
V è posizionato vicino all’ascensore e indossa una maschera. Ha chiesto
lui quella postazione, così può tenere d’occhio la cucina e Odile. Non sono
sicura di cosa stia succedendo, ma è diventato protettivo nei suoi confronti.
Sono felice di vedere che sa sorridere, soprattutto perché non l’ho più
sentito parlare.
«Dove cazzo è mio marito?» gli sussurro nell’orecchio.
Indica verso il basso.
«Il mio ufficio?»
V annuisce.
Subdolo figlio di puttana.
Prendo l’ascensore per scendere nel seminterrato, ma si ferma al primo
piano.
Alla reception Temperance sta discutendo con un uomo alto e ben
piantato: gli sta spiegando la nostra politica di non restituzione delle chiavi.
«Tutto a posto?» le chiedo, tenendo aperte le porte.
Si gira a guardarmi mentre il tipo la fissa. «Certo, capo. Lui gioca per
vivere. Me la caverò da sola.»
Le narici del tizio fumano e io mi domando se farmi avanti per calmare
la situazione, ma il giocattolo dentro di me riprende vita. Per rimanere in
piedi mi aggrappo alla barra di metallo sulla parete.
Mi viene in mente che anche Z è qui fuori. “Starà bene“ mi dico. Qual è
la cosa peggiore che potrebbe accadere?
Premo il pulsante di chiusura delle porte: mentre l’ascensore riparte,
tamburello con il piede per l’eccitazione.
Quando mi avvicino al mio ufficio, sento dei passi provenire
dall’interno, e con il pensiero torno alla seconda notte in cui Lachlan Mount
ha cambiato la mia esistenza. Apro e scruto all’interno nella luce fioca che
si diffonde dalla mia scrivania.
«Che cosa vuole?» sussurro. «Perché è qui?»
Lui si alza in piedi, riabbottonandosi la giacca. Il volto rimane nascosto
nell’ombra.
«Lei ha un debito con me, signora Mount, e io sono qui per riscuoterlo.»
Ringraziamenti

Ho capito che la storia di Mount e Keira era speciale non appena Mount,
nell’ottobre 2016, ha fatto la sua prima comparsa nella mia mente. Da lì non
se n’è più andato. Era esigente. Autoritario. Logorante. Quando è arrivato
finalmente il suo turno, ha capovolto il mio mondo dando vita a una storia
ancora più epica di quella che mi prefiguravo. Dopo i primi tre giorni di
stesura ho capito che non c’era modo di contenere tutto questo in un unico
libro. Ho riversato cuore, anima ed emozioni autentiche in questo progetto,
e mi ha quasi distrutta. Una cosa è certa: non avrei potuto farcela da sola.
Ogni libro ha bisogno di un intero villaggio, ma questa storia ha reclamato
un esercito.
Anche se in genere lo lascio per ultimo, devo ringraziare mio marito per
aver miracolosamente tenuto insieme tutti i miei pezzi ogni volta che
crollavo per la mancanza di sonno, per la tensione da consegna o per i vari
colpi di scena della trama più intensa che io abbia mai domato. È il mio più
accanito sostenitore e la mia più grande forza. Grazie, JDW, per tutto ciò
che fai. Ti amo tantissimo.
Angela Smith. Wow! Abbiamo portato a termine un compito che
sembrava impossibile. Grazie per essere stata sempre presente mentre,
passo dopo passo, mi facevo strada in questa storia. Sei davvero una donna
straordinaria e sono molto grata di averti nella mia squadra e di poterti
considerare una cara amica.
Uno speciale ringraziamento va alla mia JJL crew. Mi avete scrollato e
tirato su di morale, soprattutto Mo, affinché mi dessi una mossa a finire
questo libro proprio quando pensavo che mi avrebbe consumata. Non ci
separeremo mai. Vi adoro tutti.
Pam Berehulke. Come sempre sei la calma nella tempesta dei miei
programmi, quelli che puntualmente stravolgo. Per favore non smettere mai
di fare ciò che fai. Adoro lavorare con te su ogni progetto che affrontiamo.
Grazie mille per la tua attenzione al dettaglio e la tua impeccabile
professionalità.
Danielle Sanchez. Anche quando la mia musa creativa decide di
annientare tutti i nostri piani, tu ti adatti e cambi rapidamente insieme a me.
Grazie per il tuo sostegno, le idee e l’incoraggiamento.
Jamie Lynn. Non posso ringraziarti abbastanza per avermi mantenuta
sana di mente e aver retto il fortino mentre sparivo nelle oscure profondità
della caverna della scrittura. Sono davvero fortunata ad averti nella mia
squadra e non vedo l’ora di scoprire la nostra prossima destinazione.
Kim e Natasha. Grazie di essere state straordinarie lettrici delle mie
versioni beta e di avermi aiutato a far diventare la storia di Mount e Keira
quello che speravo. Il vostro tempo è un dono prezioso e lo apprezzo più di
quanto pensiate.
Julie Deaton e Michelle Lim. Siete le mie correttrici numero uno! Grazie
per il vostro occhio attento e i giri di bozze incredibilmente veloci.
Letitia Hassar. Quando da una copertina siamo passate a tre, la tua
progettazione grafica ha dato il meglio di sé. Grazie per la tua creatività e
abilità!
Sara Eirew. Grazie per aver catturato le immagini perfette per questa
trilogia!

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