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T L Swan
Indice
1. Emily 2.
Emily 3.
Emily 4.
Emily 5.
Emily 6.
Emily
7. Emily
8. Jameson
9. Emily
10. Jameson
11. Emily
12. Emily
13.
Emily
14.
Emily
15. Emily
16. Jameson
17. Emily
18.
Emily
19. Emily
20. Jameson
21. Jameson
22. Emily
23.
Emily
24.
Emily
25.
Emily
26. Emily
27. Jameson
Epilogo
Ringraziamenti
Queen Edizioni www.queenedizioni.com
ISBN: 9788892890879
This edition is made possible under a license arrangement originating with Amazon Publishing,
www.apub.com, in collaboration with Thesis Contents srl. Prima Edizione Narrativa Queen
Tutti i personaggi e gli eventi descritti in questo libro sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e
qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi e non, è puramente casuale.
Vorrei dedicare questo libro all’alfabeto, perché quelle ventisei lettere
hanno cambiato la mia vita. In quelle ventisei lettere ho trovato me stessa
e ora vivo il mio sogno. La prossima volta che dirai l’alfabeto, ricorda il
suo potere. Io lo faccio ogni giorno.
Capitolo 1
Emily
«T ?» .
Mi giro con aria sorpresa verso l’uomo in fila dietro di me. «Chiedo
scusa?» domando frastornata. «Vuole superarmi?»
«No. Voglio che quegli idioti al bancone si diano una mossa. Perderò il
mio fottutissimo aereo.» Fa una smorfia e io sento l’odore dell’alcol
provenire da lui. «Mi fanno incazzare.» Torno a guardare in avanti.
Fantastico, un ubriaco nella fila del check-in. Proprio quello che mi
serviva.
L’aeroporto di Heathrow è in piena attività. A causa del maltempo, molti
voli hanno subìto dei ritardi, e sinceramente vorrei che fosse lo stesso anche
per il mio. Così potrei girarmi, andare in albergo e dormire per una
settimana.
Non sono dell’umore giusto per queste stupidaggini.
Sento l’uomo girarsi per lamentarsi con la gente dietro di lui, e alzo gli
occhi al cielo. Perché certe persone sono così maleducate?
Lo ascolto lamentarsi, sospirare e mugugnare per altri dieci minuti, e
alla fine non ne posso più. Mi giro verso di lui. «Stanno lavorando il più in
fretta possibile. Non c’è bisogno di essere scortesi», sbotto.
«Cosa?» grida, riversando la sua rabbia su di me.
«Le buone maniere sono gratis», borbotto sottovoce.
«Come ti permetti?» esclama lui. «Cosa sei, una maestrina? O solo una
grande stronza?»
Lo fulmino con lo sguardo.
Oh, altroché se mi permetto.
Ho appena passato le ultime quarantotto ore all’inferno. Ho attraversato
mezzo mondo per andare a un matrimonio, solo per vedere il mio ex
fidanzato appiccicato alla sua nuova fiamma. Oggi ho voglia di fare a
brandelli qualcuno.
Sarà meglio che nessuno mi provochi.
Gli do di nuovo le spalle, mentre la mia furia inizia a ribollire.
L’uomo dà un calcio alla valigia ai miei piedi, e io faccio un balzo
indietro.
«La smetta», gli ordino.
Il tizio accosta il suo viso al mio, e io sussulto al tanfo del suo fiato.
«Faccio quel cazzo che mi pare.»
Mi accorgo che la sicurezza sta attraversando la sala d’attesa, tenendolo
d’occhio. Lo staff ha visto cosa sta succedendo e ha chiamato i rinforzi.
Fingo un sorriso.
«Per favore, signore, non prenda a calci la mia valigia», dico con tono
dolce.
«Prendo a calci tutto quello che voglio.» Afferra il mio bagaglio e lo
scaglia in mezzo all’aeroporto.
«Ma che cazzo!» strillo.
«Ehi», grida un uomo dietro di noi. «Non tocchi le sue cose.
Sicurezza!»
Il signor Ubriachezza Molesta sferra un pugno al mio salvatore, e
scoppia una rissa. Gli agenti della sicurezza accorrono da ogni parte, e io
vengo spinta indietro mentre il tizio dà pugni e urla oscenità. Oh, cavolo,
oggi non mi ci voleva proprio.
Alla fine, riescono a farlo calmare e lo portano via in manette. Un
gentile addetto alla sicurezza prende la mia valigia. «Mi spiace per tutto
questo», si scusa. «Venga con me», mi invita, spostando il cordone della
fila.
«Grazie.» Sorrido impacciata al resto della fila. Detesto passare davanti
agli altri, ma, a questo punto, non mi importa più di niente. «Fantastico.» Lo
seguo imbarazzata, e la guardia mi accompagna al bancone presidiato da un
giovane uomo, che alza lo sguardo e mi fa un ampio sorriso. «Salve.»
«Salve.»
«Sta bene?» mi domanda.
«Sì, tutto a posto. Grazie per avermelo chiesto.»
«Prenditi cura di lei», dice l’addetto alla sicurezza al bigliettaio, e con
un occhiolino a entrambi sparisce tra la folla.
«Un documento d’identità, per favore», mi chiede il giovane.
Frugo nella borsa e tiro fuori il passaporto per porgerglielo; lui sorride
quando vede la foto. Oh, cavolo, è la peggiore che sia mai stata scattata al
mondo. «Mi ha vista su FBI: Most Wanted o qualche altra serie che parla di
ricercati?»
«Forse. Ma questa è davvero lei?» Scoppia a ridere.
Faccio un sorrisetto imbarazzato. «Spero di no, se no sarei nei guai.»
Inserisce i miei dati nel computer. «Okay, quindi oggi sta volando verso
New York con un…» Smette di scrivere e legge.
«Sì. Preferibilmente non vicino a quell’uomo.»
«Oggi quello non andrà da nessuna parte», replica lui, riprendendo a
battere sui tasti a una velocità ridicola. «Tranne che in una cella.»
«Perché ubriacarsi prima di venire qui?» domando. «Non è nemmeno
entrato in uno dei bar dell’aeroporto.»
«Sarebbe sorpresa da quello che succede ogni giorno», sospira il
bigliettaio.
Sorrido, quest’uomo è gentile.
Mi stampa il biglietto. «L’ho spostata in prima classe.»
«Cosa?»
«In prima classe, per scusarci di come quell’uomo ha bistrattato la sua
valigia.»
Sgrano gli occhi. «Oh, ma non è necessario… davvero», balbetto.
Mi porge il biglietto con un sorrisone. «Si goda il volo.»
«La ringrazio moltissimo.»
Mi fa l’occhiolino, e a me viene voglia di andare ad abbracciarlo.
Ovviamente non lo farò. Fingerò che cose fighe come questa mi succedano
tutti i giorni.
«Grazie di nuovo», gli dico con slancio.
«Ha accesso alla sala VIP che si trova al primo livello. Il pranzo e i
drink sono in omaggio. Le auguro un buon volo.» Con un ultimo sguardo
allegro, torna a concentrarsi sulla fila. «Il prossimo, per favore.»
Supero il controllo dei bagagli con un sorriso sciocco sul volto.
Prima classe… proprio quello che mi ci voleva.
Tre ore più tardi, sto salendo sull’aereo come una rock star. Alla fine, non
sono andata nella sala VIP perché, beh… faccio schifo. Ho i capelli scuri
raccolti in un’alta coda di cavallo, e porto un paio di leggings neri, un largo
maglione rosa e scarpe da tennis, ma almeno mi sono sistemata un po’ il
trucco, che è già qualcosa. Se avessi saputo che sarei stata spostata in prima
classe, avrei almeno cercato di calarmi nella parte della donna ricca e
facoltosa indossando qualcosa di elegante, e invece sembro una senzatetto.
Ma in ogni caso… a chi dovrebbe importare? Tanto non incontrerò nessuno
che conosco.
Consegno il biglietto all’assistente di volo. «Lungo il corridoio a
sinistra, poi alla sua destra.»
«Grazie.» Controllo le mie carte e attraverso l’aereo fino a trovare il
mio numero.
1B.
Accidenti, niente finestrino. Raggiungo la mia poltrona e l’uomo seduto
accanto all’oblò si gira verso di me. Grandi occhi blu incontrano i miei, e lo
sconosciuto sorride. «Salve.» «Buongiorno», dico io.
Oh, no… Sono seduta accanto al dono di Dio alle donne… solo ancora
più sexy.
E io faccio schifo. Cazzo.
Apro la cappelliera e lui si alza. «Ecco, lasci fare a me.» Mi prende la
valigia dalle mani e la ripone con cura. È alto e muscoloso, porta un paio di
jeans e una maglietta bianca e ha il profumo del miglior dopobarba del
mondo.
«Grazie», mormoro, passando una mano tra i capelli raccolti per cercare
di districare i nodi. Mi sto prendendo mentalmente a calci per non aver
indossato qualcosa di più carino.
«Vuole il posto vicino al finestrino?» mi domanda.
Lo fisso e il mio cervello si inceppa.
L’uomo indica la poltrona di fianco all’oblò.
«Non le dispiace?» gli chiedo, aggrottando la fronte.
«Niente affatto.» Mi sorride. «Io viaggio di continuo in aereo. Può
averlo lei.»
Mi costringo a rispondere vedendo l’espressione che mi rivolge.
«Grazie.» Quello sguardo significava chiaramente: “Povera senzatetto, lo so
che è stata spostata in prima classe, e mi dispiace per lei”. Mi accomodo sul
sedile e guardo nervosamente fuori, con le mani strette in grembo davanti a
me.
«Sta andando a casa?» mi domanda.
Mi volto verso di lui.
Oh, ti scongiuro, non mi parlare. Basta la tua presenza a rendermi
nervosa.
«No, sono stata a un matrimonio e, prima di tornare a casa, devo passare
da New York per un colloquio di lavoro. Rimarrò in città solo per un
giorno, poi andrò a Los Angeles. Vivo lì.»
«Ah.» Continua a sorridermi. «Capisco.»
Lo fisso per un momento, ora starebbe a me fargli una domanda. «Lei
sta… sta andando a casa?» gli chiedo.
«Sì.»
Annuisco, non sapendo cos’altro dire, quindi scelgo l’opzione più
noiosa e torno a guardare fuori dal finestrino.
La hostess si sta aggirando per il corridoio con una bottiglia di
champagne e dei bicchieri. Bicchieri di vetro. Da quando in qua le
compagnie aeree danno dell’autentico vetro?
Oh, giusto. Prima classe. Chiaro.
«Gradisce un po’ di champagne per iniziare, signore?» chiede la donna
al mio compagno di posto. Noto che la sua targhetta del nome dice
“Jessica”.
«Sarebbe fantastico.» Lui sorride e si gira verso di me. «Facciamo due,
per favore.»
Mi acciglio mentre l’assistente di volo versa due bicchieri di champagne
per porgerne uno a lui e uno a me. «Grazie», le dico con tono cordiale.
Aspetto che Jessica si allontani. «Ordina sempre da bere per le altre
persone?» chiedo.
L’uomo appare sorpreso dalla mia domanda. «Le ha dato fastidio?»
«Niente affatto.» Sbuffo. Al diavolo questo signor Elegantone che crede
di poter ordinare anche per me. «Ma mi piace ordinare i miei drink da sola.»
Lui sorride. «Beh, allora può ordinare i prossimi.» Solleva il bicchiere
con un ghigno e beve un sorso. Sembra divertito dalla mia irritazione.
Lo fisso impassibile. Rischia di essere la seconda vittima della mia
rabbia. Oggi non ho proprio voglia di farmi comandare a bacchetta da un
vecchio riccone qualunque. Sorseggio il mio champagne guardando fuori
dal finestrino. Beh, in realtà non è davvero vecchio. Deve avere tra i
trentacinque e i quarant’anni. Voglio dire, è vecchio rispetto a me, che ne ho
venticinque, ma non importa.
«Sono Jim», si presenta, porgendomi la mano per prendere la mia.
Oh Dio, ora mi tocca essere educata. Gliela stringo. «Salve, Jim. Sono
Emily.»
La malizia gli fa brillare lo sguardo. «Salve, Emily.»
I suoi occhi sono grandi, color blu acceso e dall’espressione sognante;
proprio il tipo di occhi in cui potrei perdermi. Ma perché mi sta fissando in
questo modo?
L’aereo inizia ad avanzare lentamente lungo la pista, e io sposto lo
sguardo tra gli auricolari e il bracciolo. Dove si attaccano? Sono altamente
tecnologici, il genere che usano gli YouTuber arroganti. Non hanno
nemmeno un cavo. Mi guardo intorno.
Beh, è stupido. Come li connetto?
«Sono Bluetooth», interviene Jim.
«Oh», borbotto, sentendomi una sciocca. Certo che lo sono. «Giusto.»
«Non hai mai volato in prima classe?» domanda.
«No, mi hanno spostata qui. Uno svitato ha tirato la mia valigia in
mezzo all’aeroporto perché aveva bevuto troppo, e credo che il tizio al
bancone si sia dispiaciuto per me.» Gli lancio un sorrisetto sghembo.
Lui stringe le labbra come se fosse divertito e sorseggia il suo
champagne, mentre i suoi occhi indugiano sul mio viso come se avesse
qualcosa in mente.
«Che c’è?» gli chiedo.
«Forse il tizio al bancone ti ha trovata bellissima e ti ha spostata in
prima classe per fare colpo su di te.»
«Non ci avevo pensato.» Bevo lo champagne cercando di nascondere
un’espressione compiaciuta. Che cosa strana da dire. «È quello che faresti
tu?» indago. «Se fossi al bancone, ti offriresti di spostare le donne in prima
classe per conquistarle?» «Assolutamente.» Sogghigno.
«Impressionare una donna da cui si è attratti è fondamentale», continua
lui.
Lo fisso, cercando di costringere la mia mente a stare al passo con la
conversazione. Perché questa affermazione mi è sembrata tanto provocante?
«E dimmi… tu come faresti colpo su qualcuna da cui sei attratto?»
domando, affascinata.
Sostiene il mio sguardo. «Le offrirei il posto vicino al finestrino.»
L’aria tra di noi si carica di elettricità, e io mi mordo il labbro per
nascondere un’espressione sciocca.
«Stai cercando di fare colpo su di me?»
Lui mi rivolge un pigro sorriso sexy. «Come me la sto cavando?»
Incurvo le labbra, non sapendo come rispondere.
«Sto solo dicendo che sei attraente, niente di più e niente di meno. Non
vederci qualcosa che non c’è. Era solo un’affermazione, non una proposta.»
«Oh.» Lo fisso, senza parole. Come dovrei rispondergli?
Un’affermazione, non una proposta… eh? “Non vederci qualcosa che
non c’è.” Questo tizio è strano… e davvero bellissimo.
L’aereo inizia a decollare rapidamente, e io afferro i braccioli, serrando
gli occhi.
«Non ti piacciono i decolli?» chiede.
«A te cosa sembra?» Sussulto, tenendomi stretta in modo disperato.
«Io li adoro», replica Jim con noncuranza. «Amo il senso di potere che
sento mentre l’aereo si alza in volo. La spinta della gravità.»
Okay… perché tutto quello che gli esce di bocca sembra qualcosa di
sessuale?
Dio, ho bisogno di farmi una scopata… presto.
Espiro e guardo fuori dal finestrino mentre saliamo sempre più in alto.
Oggi non ho le forze per sopportare le battutine di quest’uomo. Sono stanca,
sto smaltendo una sbronza, ho un aspetto terribile e il mio ex è uno stronzo.
Voglio andare a dormire e svegliarmi l’anno prossimo.
Decido di guardare un film. Inizio a scorrere la selezione sullo schermo
di fronte a me.
Jim si accosta al mio orecchio per dirmi: «Tra geni ci si intende. Anche
io guardo un film».
Fingo un sorriso.
Piantala di essere così figo e di starmi tanto vicino. Ad andar bene
sarai sposato con una patita di yoga vegana che fa meditazione e roba così.
«Fantastico», borbotto impassibile. Avrei dovuto volare in classe
turistica, almeno non avrei dovuto respirare il profumo di quest’uomo
bellissimo per otto lunghe e caste ore.
Scorro lo schermo e poi restringo il campo delle mie scelte.
Come farsi lasciare in 10 giorni.
Orgoglio e pregiudizio.
Corpi da reato.
Jumanji… beh, c’è The Rock… dovrebbe essere bello.
Notting Hill.
Ricatto d’amore.
50 volte il primo bacio.
Il diario di Bridget Jones.
Pretty woman.
Insonnia d’amore.
Magic Mike XXL.
Sorrido alla lista, che contiene tutti i miei film preferiti: questo volo sarà
un sogno. Non ho ancora visto il sequel di Magic Mike, quindi potrei
iniziare con quello. Getto uno sguardo per sbirciare cosa ha scelto Jim e
vedo apparire il titolo: Lincoln.
Bleah… un film politico. Chi guarda quella roba per divertirsi? Avrei
dovuto saperlo che sarebbe stato uno noioso.
Il mio compagno si allunga per toccare lo schermo, e solo allora noto il
suo orologio. Un grosso Rolex d’argento. Bah, è pure ricco.
Classico.
«Che cosa guarderai?» mi chiede.
Oh, no… non voglio sembrare una stupida. «Non ho ancora deciso»,
rispondo. Maledizione… Voglio guardare degli uomini che si spogliano. «E
tu?»
«Lincoln. È da tanto che volevo vederlo.»
«Sembra noioso», commento.
Sorride alla mia risposta. «Te lo farò sapere.» Si infila gli auricolari e
inizia il film, mentre io scorro di nuovo la lista.
Voglio davvero guardare Magic Mike XXL. Dopotutto, mi importa
davvero se mi vede? No… ma è imbarazzante. Mi farebbe sembrare
disperata. Chi voglio prendere in giro? Io sono disperata. Non vedo un
uccello da più di un anno.
Faccio partire Ricatto d’amore. Scambierò una fantasia per l’altra. Ho
sempre sognato di avere Ryan Reynolds come assistente personale.
Il film inizia e io guardo felice lo schermo. Lo adoro. A prescindere da
quante volte lo abbia visto, mi fa sempre ridere. Gammy è la mia preferita.
«Guardi un film d’amore?» mi domanda Jim.
«Una commedia romantica», rispondo. Santo cielo, quanto è impiccione
questo tizio.
Lui sogghigna come se si sentisse migliore di me.
«Altro champagne?» ci offre l’assistente di volo.
Occhi Blu mi lancia un’occhiata. «Ecco la tua occasione di ordinare per
me.»
Lo fisso con espressione impassibile. Va bene, ora sta iniziando a
irritarmi. «Prendiamo due bicchieri, grazie.»
«Che cosa ti piace delle commedie romantiche?» mi chiede lui, tenendo
lo sguardo sullo schermo davanti a sé.
«Gli uomini che non parlano durante i film», sussurro contro il mio
bicchiere di champagne.
Lui fa un ampio sorriso.
«Che cosa ti piace di…» Mi interrompo perché non so nemmeno di cosa
tratti Lincoln. «Che cosa ti piace dei film politici?» dico poi. «Il fatto che
siano noiosi da morire?»
«Mi piacciono le storie vere, a prescindere da quali siano.»
«Anche a me», replico. «È per questo che amo le commedie romantiche.
L’amore è vero.»
Jim ridacchia con le labbra accostate al bicchiere, come se la mia
risposta lo divertisse.
Gli getto uno sguardo. «Quello cosa vorrebbe dire?»
«Le commedie romantiche sono quanto di più lontano dalla realtà esista.
Scommetto che sei il tipo che legge anche stupidi romanzetti d’amore.»
Lo fisso, glaciale. Credo di odiarlo. «In realtà, sì… e, se lo vuoi sapere,
dopo questo guarderò Magic Mike XXL, così potrò ammirare degli uomini
splendidi che si spogliano.» Sorseggio il mio champagne in preda
all’irritazione. «E me lo godrò per tutto il tempo, a prescindere dal tuo
giudizio da snob.»
Lui scoppia in una fragorosa risata, ed è un suono profondo e forte che
mi smuove qualcosa nello stomaco.
Mi rimetto gli auricolari e fingo di concentrarmi sullo schermo. Ma non
ci riesco, perché mi sono resa assolutamente ridicola e mi sento arrossire.
Smettila di parlare.
Due ore dopo, sto guardando fuori dal finestrino. Il mio film è finito, ma
continuo a sentire il profumo dell’uomo che mi sta seduto accanto. Aleggia
attorno a me, stuzzicandomi con idee a cui non dovrei pensare. Come fa ad
avere un così buon odore?
Non sapendo cosa fare senza sembrare impacciata, decido di
concedermi un riposino per passare le prossime ore dormendo, ma prima
devo andare in bagno. Mi alzo.
«Chiedo scusa.»
Jim sposta lievemente le gambe, ma non abbastanza perché io possa
passare, così devo sporgermi su di lui per superarlo. Inciampo e cado,
appoggiandogli una mano su una coscia, che è ampia e dura al tatto.
«Mi dispiace tanto», balbetto, imbarazzata. «Va
tutto bene.» Mi fa un sorrisetto. «Più che bene.» Lo
fisso per un momento. Eh?
«C’è una logica dietro alla mia follia.»
Mi acciglio. Che cosa significa? Lo oltrepasso e vado in bagno, poi
passeggio un po’ per sgranchirmi le gambe mentre rifletto sulla sua
affermazione. Sono perplessa, non capisco.
«Che cosa volevi dire prima?» chiedo, lasciandomi cadere sul mio
sedile.
«Niente.»
«Mi hai offerto il posto vicino al finestrino perché poi avrei dovuto
scavalcarti?»
Jim piega di lato la testa. «No, ti ho lasciato il posto vicino al finestrino
perché lo volevi. Essere scavalcato è solo un valore aggiunto.»
Lo fisso, non sapendo bene come rispondere. Me lo sto immaginando?
Gli uomini ricchi e maturi di solito non mi parlano così… per niente.
«Stai flirtando con me, Jim?»
Lui mi fa un sorriso sexy. «Non lo so. Lo sto facendo?»
«Te l’ho chiesto prima io, non rispondere alla mia domanda con un’altra
domanda.»
Sogghigna e riporta la sua attenzione sullo schermo. «Credo che ora stia
a te cominciare a flirtare… Emily.»
Sento le guance colorarsi per l’imbarazzo, mentre cerco di nascondere
un’espressione sciocca di felicità. «Io non flirto. O voglio un uomo o non lo
voglio», dichiaro.
«Davvero?» dice Jim, come se fosse intrigato. «E quanto tempo dopo
averlo incontrato prendi questa decisione?»
«All’istante», mento. Non è vero, ma farò finta che sia così. Atteggiarmi
come se fossi sempre sicura di me è il mio superpotere.
«Sul serio?» mormora lui, mentre l’assistente ci supera. «Mi scusi,
possiamo avere altri due bicchieri di champagne, per favore?» le chiede.
«Certo, signore.»
Torna a incrociare il mio sguardo. «Allora, dimmi, qual è stata la tua
prima impressione su di me?»
Fingo di cercare Jessica, l’assistente di volo. «Ti potrebbe servire
qualcosa di più forte per sentirlo, Jim. Non ti piacerà.»
Scoppia a ridere, e io mi ritrovo a guardarlo con un ampio sorriso.
«Cosa c’è di così divertente?» gli domando.
«Tu.»
«Perché?» Mi acciglio.
«È questa tua aria di presunzione.»
«Oh, come se non l’avessi anche tu… signor Prenderò due bicchieri di
champagne.»
I nostri drink arrivano, e lui mi porge il mio con un sorriso. Continua a
tenermi gli occhi addosso, bevendo un sorso. «Che cosa facevi a Londra?»
«Bah.» Faccio una smorfia irritata. «Sono andata al matrimonio di
un’amica e, a essere sincera, vorrei non averlo fatto.»
«Perché no?»
«C’era anche il mio ex con la sua nuova fiamma, ed è stato super
affettuoso con lei per farmi incazzare.»
«Ovviamente ci è riuscito», commenta Jim, reclinando il bicchiere verso
di me.
«Mmh.» Sorseggio il mio drink, infastidita. «Appena un po’.»
«Com’era lei?»
«Lunghi capelli biondo platino, tette enormi e labbra siliconate,
lampadata, con le ciglia finte… tutto quello che non sono io.» «Mmh.» Mi
ascolta con attenzione.
«Come una Barbie un po’ vacca.»
Jim ridacchia. «A tutti piace il tipo Barbie un po’ vacca.»
Gli lancio un’occhiata disgustata. «A questo punto tu dovresti dirmi che
nessun uomo vorrebbe mai una donna del genere, Jim. Non conosci le
regole che stanno alla base di una conversazione educata in aereo?»
«Chiaramente no.» Aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole.
«Perché dovrei?»
Spalanco gli occhi per sottolineare il concetto. «Per essere gentile.»
«Oh, giusto.» Si acciglia, come se si stesse preparando a mentire.
«Emily… a nessuno piacciono le Barbie un po’ vacche.»
Gli sorrido, reclinando il bicchiere verso di lui. «Ti ringrazio, Jim.»
«Tuttavia…» Si interrompe per un momento. «Se sanno fare bene i
pompini…»
Ma che diavolo?
Mando giù un sorso di champagne e rischio di strozzarmi. È l’ultima
cosa che mi sarei mai aspettata di sentirgli uscire di bocca.
«Jim», farfuglio, facendo schizzare ovunque il mio drink.
Lui scoppia a ridere, afferrando dei tovaglioli per porgermeli. Mi
asciugo il liquido che mi sta gocciolando sul mento.
Tossisco. «Gli uomini come te non dovrebbero parlare di pompini.»
«Perché no?» mi chiede incredulo. «E che cosa vuoi dire con gli uomini
come te?»
«Quelli seri e roba così.»
Mi fissa impassibile. «Definisci roba così.»
«Lo sai, maturi, ricchi e autoritari.»
Gli brillano gli occhi per il divertimento. «E cosa ti dà l’impressione che
io sia ricco e autoritario?»
Faccio un sospiro esagerato. «Sembri ricco.»
«Come sarebbe?»
«L’orologio costoso. Il taglio della camicia.» Abbasso lo sguardo sui
suoi piedi. «E non ho mai visto scarpe come quelle. Dove le hai prese?»
«In un negozio, Emily.» Si guarda l’orologio. «E ti informo che questo
mi è stato regalato da una fidanzata.»
Alzo gli occhi al cielo. «Scommetto che è una vegana maniaca dello
yoga.»
Jim sogghigna.
«So qual è il tuo tipo di donna.»
«Davvero?» Si sporge verso di me. «Ti prego, continua… questa tua
analisi del personaggio è davvero affascinante.»
Gli sorrido, mentre una vocina nel mio subconscio grida: Smettila di
bere, stupida! «Immagino che tu viva a New York.» «Giusto.»
«In un appartamento.»
«Affermativo.»
«Probabilmente lavori per qualche azienda importante.»
Jim sembra divertito, gli piace questo gioco. «Forse.»
«Dovresti avere una fidanzata o…» Abbasso lo sguardo. «Non indossi
una fede… quindi forse tradisci tua moglie mentre sei in viaggio per
lavoro?»
Ridacchia. «Dovresti farne una professione. Sono sbalordito dalla tua
precisione.»
Anche a me piace questo gioco. Gli faccio un ampio sorriso. «Tu cosa
pensi di me?» chiedo. «Qual è stata la tua prima impressione non appena
sono salita sull’aereo?»
«Dunque…» Aggrotta le sopracciglia, riflettendo sulla domanda. «Vuoi
la versione politicamente corretta?»
«No, voglio la verità.»
«Giusto… beh, in questo caso, ho notato le tue lunghe gambe e la curva
del tuo collo. La fossetta che hai sul mento. Sei la donna più attraente che
abbia visto da molto tempo, e, quando hai sorriso, mi hai fatto cadere ai tuoi
piedi.»
Gli rivolgo un’espressione dolce, mentre l’aria sfrigola tra di noi, carica
di elettricità.
«E poi hai iniziato a parlare… e hai rovinato tutto.»
Cosa?
Scoppio a ridere. «Ho rovinato tutto? Come avrei fatto?»
«Sei autoritaria e hai un sarcasmo pungente.»
«E quale sarebbe il problema?» farfuglio per lo sdegno.
«Beh, io sono autoritario e sarcastico.» Scrolla le spalle.
«E quindi?»
«E quindi non voglio uscire con me stesso. Mi piacciono le ragazze
dolci e riservate, che fanno quello che dico loro di fare.»
«Bleah.» Roteo gli occhi. «Quelle che puliscono la casa e fanno sesso il
sabato mattina.»
«Precisamente.»
Rido e sollevo il bicchiere per brindare con lui. «Non sei poi così male
per essere un vecchio noioso con delle strane scarpe.»
Lui scoppia a ridere. «E tu non sei così male per essere una giovane
saputella sexy.»
«Vuoi guardare Magic Mike XXL con me?» gli propongo.
«Immagino di sì, ma c’è una cosa che devi sapere… sono un ex
spogliarellista, quindi per me non c’è niente di nuovo.»
«Davvero?» Cerco di nascondere un sorriso. «Te la cavi bene con il
palo?»
Sostiene il mio sguardo. «Nessuno sa usare bene il palo come me.»
L’aria tra di noi crepita, e io devo impegnarmi per impedire alla mia
bocca sbronza di lasciarsi sfuggire qualcosa di volgare.
Jim fa partire Magic Mike XXL… e io mi illumino. Quest’uomo è
davvero sorprendente.
La prima classe è decisamente il modo giusto per viaggiare.
«Okay, prossima domanda. Il posto più strano in cui hai fatto sesso?»
mormora lui.
Faccio un sorrisetto. «Non puoi chiedermelo.»
«Sì che posso. L’ho appena fatto.»
«È scortese.»
«Chi lo dice?» Si guarda intorno. «È solo una domanda, e non ci sta
ascoltando nessuno.»
Jim ed io abbiamo parlato, bisbigliato e ridacchiato per tutto il volo.
«Mmh.» Rifletto ad alta voce. «È difficile.»
«Perché?»
«Al momento sono in un periodo di magra. Mi ricordo a malapena il
sesso.»
«Da quanto tempo?» Si acciglia lui.
«Oh.» Alzo lo sguardo al soffitto mentre penso. «Non lo faccio da
tipo… diciotto mesi.»
La sua espressione si fa sgomenta per l’orrore. «Cosa?»
«È patetico, non è vero?» dico con una smorfia.
«Molto. Devi darti una mossa. Sono numeri terribili.»
«Lo so.» Ridacchio. Accidenti… quanto siamo brilli. «Perché ti sto
dicendo tutte queste cose?» bisbiglio. «Sei solo un tizio qualsiasi che ho
incontrato in aereo.»
«Che, guarda caso, è molto interessato all’argomento.»
«E come mai?»
Si sporge e, per non farsi sentire dall’assistente di volo, mormora: «Non
capisco come una ragazza bella come te non si faccia scopare tre volte al
giorno».
Lo fisso, sentendomi formicolare fino alla punta dei piedi. Smettila.
Quest’uomo è troppo vecchio per me, e non è affatto il mio tipo.
Jim abbassa lo sguardo sulle mie labbra, e l’aria tra di noi si carica di
elettricità.
«Per quanto tempo rimarrai a New York?» mi chiede.
Guardo la sua lingua guizzare fuori per muoversi lentamente sul suo
labbro inferiore. Riesco quasi a immaginarla tra le mie…
«Solo un pomeriggio. Ho il colloquio alle sei di stasera, e poi prenderò
l’ultimo volo per andarmene», bisbiglio. «Puoi cambiare il volo?» Perché?
«No.»
Mi studia con un sorrisetto, ed è ovvio che abbia in mente qualcosa.
«Che c’è?» gli chiedo divertita.
«Vorrei che fossimo su un jet privato.»
«E perché?»
Abbassa di nuovo lo sguardo sulle mie labbra. «Perché interromperei
questo tuo periodo di magra e ti accoglierei nel Miles High Club, il club del
sesso ad alta quota.»
Ho una visione di me mentre gli monto sopra, qui e ora. «Quello è il
Mile High Club, non Miles», mormoro.
«No… è proprio Miles.» Incurva le labbra mentre i suoi occhi si
incupiscono. «Fidati di me… è Miles.»
Dentro di me si spezza qualcosa, e all’improvviso voglio confessargli
qualcosa di folle e fuori dall’ordinario. Mi sporgo in avanti e gli bisbiglio
all’orecchio: «Lo sai, non ho mai scopato con uno sconosciuto prima».
Jim inspira bruscamente e incontra il mio sguardo. «Vuoi farlo?»
sussurra. L’eccitazione palpita tra di noi.
Lo fisso. È così insolito per me. Quest’uomo mi rende…
«Non essere timida», sussurra. «Dimmi, se in questo momento fossimo
da soli…» Si interrompe per scegliere le sue parole. «Che cosa mi daresti,
Emily?»
Lo guardo negli occhi, e forse è l’alcol, la carenza di sesso o la certezza
che non lo rivedrò mai più… o magari è solo che sono una zoccola.
«Me stessa», bisbiglio. «Ti darei me stessa.»
Senza mai distogliere lo sguardo, come se si fosse dimenticato di dove
ci troviamo, si allunga per posarmi una mano sul viso. I suoi occhi sono di
un blu molto intenso, e al suo tocco vengo attraversata da un’ondata di
eccitazione.
Voglio quest’uomo.
Voglio tutto di lui… fino all’ultima goccia.
«Salvietta calda?» ci offre Jessica, l’assistente di volo.
Ci allontaniamo di scatto l’una dall’altro, imbarazzati. Che cosa
penseranno di noi? Ci hanno visti flirtare spudoratamente per tutto il
viaggio.
«Grazie», balbetto, accettando la salvietta.
«A New York c’è una tempesta di neve, quindi dovremo volare in
cerchio per un po’ per vedere se è possibile atterrare», ci comunica.
«Che succede se non ci riusciamo?» chiede Jim.
«Andremo a Boston e faremo uno scalo d’emergenza per la notte.
Ovviamente vi verrà offerto un albergo. Lo sapremo nei prossimi dieci
minuti. Vi terrò aggiornati.»
«Grazie.»
La donna si allontana, diretta verso l’altro capo dell’aereo, e Jim mi si
avvicina per sussurrare: «Spero che New York congeli, cazzo».
Il mio stomaco fa una capriola, all’improvviso mi scopro molto nervosa.
«Come mai?»
«Ho dei piani in serbo per noi», mormora.
Lo fisso, con il cervello in panne. L’ho provocato da vera professionista,
ma in realtà non sono quel genere di ragazza. È facile mostrarsi audaci e
disinibite quando non c’è alcuna possibilità che succeda qualcosa. Inizio a
sudare. Perché ho bevuto così tanto? Per quale motivo gli ho raccontato del
mio periodo di magra?
Era un’informazione riservata, sciocca.
«Un altro drink?» mi offre Jim.
«Non posso… Questo pomeriggio ho un colloquio.»
«Non credo che ci andrai.»
«Non dirlo», balbetto. «Voglio quel lavoro.»
«Buonasera, passeggeri, è il capitano che vi parla.» Una voce risuona
dall’altoparlante, e io chiudo gli occhi. Merda. «A causa di una tempesta di
neve a New York, questa notte ci dirigeremo a Boston e pernotteremo lì.
Torneremo a New York domani mattina presto. Siamo spiacenti per
l’eventuale disagio, ma la nostra priorità è la sicurezza.»
Incontro lo sguardo di Jim, che mi lancia un pigro sorriso sexy,
sollevando le sopracciglia.
Oh, no.
Capitolo 2
Emily
«N », .
«Jim…» balbetto. Oh, diavolo, come glielo dico? «In realtà non sono il
tipo di ragazza che…» Mi interrompo.
«Che scopa al primo appuntamento?» finisce lui, concludendo la mia
frase.
«Sì.» Sussulto per la volgarità delle sue parole. «È solo che non voglio
che pensi…»
«Lo so. Non lo farei», risponde con tono brusco. «Non lo faccio.»
«Bene.» Mi sento sollevata. «Stavo flirtando con te quando credevo che
stessimo per atterrare e non ci saremmo mai più rivisti.» «Certo»,
commenta divertito.
«Non che non ti ritenga fantastico», aggiungo. «Perché, se fossi quel
tipo di ragazza, mi piaceresti un sacco. Scoperemmo come…» Mi
interrompo, cercando di pensare a una similitudine.
«Conigli?» propone lui.
«Sì.»
Jim alza le mani. «Lo capisco. Invece siamo solo umani uniti da una
relazione platonica.»
Gli faccio un ampio sorriso. «Sono così felice che tu capisca.»
Un anno dopo
Sono appena tornata dal pranzo quando il mio telefono squilla. «Ciao,
Emily, sono Lindsay delle risorse umane. Tra cinque minuti sarò lì per
venire a prenderti», mi dice una voce gentile dall’altro capo della linea.
Sussulto. Oh, è vero… ho quel dannato tour dell’edificio.
«Okay, grazie.» Riattacco. «Oh no, devo andare a fare il mio giro degli
uffici», bisbiglio ai miei colleghi.
«Nessun problema», replica Aaron, continuando a leggere le sue e-mail.
«Ho così tante storie da controllare…» balbetto. «Non riesco a stargli
dietro.»
«Non preoccuparti. Va tutto bene», mi consola lui.
«E se perdo una storia molto importante?»
«Non succederà… stai tranquilla. Darò un’occhiata io alle tue e-mail
mentre sei via.»
«Davvero?»
«Certo che sì. Non è previsto che tu sappia fare tutto il primo giorno.»
«Oh, no, ti tocca salire ai piani alti.» Ava fa una smorfia.
«Cosa c’è lassù?» le chiedo.
«Gli uffici dei senior manager.»
«E non sono gentili?»
«No, cazzo, sono orribili, e ci sono buone possibilità che tu venga
licenziata sul posto.»
«Cosa?»
«Oh, stronzate.» Aaron alza gli occhi al soffitto. «È solo che non…»
Arriccia il naso, scegliendo bene le sue parole. «Non usano mezzi termini.
Se c’è bisogno di dire qualcosa, lo comunicano chiaramente. Non si fanno
prendere per il culo da nessuno.»
«Chi sono?» sussurro.
«Beh, il signor Miles non ci sarà. Non c’è mai. Credo che sia a Londra.»
«Il signor Miles?» domando, sentendo i nervi scossi.
«L’amministratore delegato.»
«Sì, so chi è. Credo che lo sappiano tutti. Ma non ho mai visto una sua
foto. La compagnia è sua e dei suoi fratelli, vero?»
«Sì, è la famiglia Miles a possedere tutto. Lui e i suoi tre fratelli.»
«E stanno tutti al piano di sopra?» bisbiglio, tirando rapidamente fuori il
rossetto vivace che ho comprato durante la pausa pranzo per passarmelo
sulle labbra. Ho bisogno di un po’ di coraggio.
«L’importante è che tu non dica niente di stupido ai piani alti», mi
consiglia Ava.
Sgrano gli occhi. «Per esempio cosa? Cosa considerano stupido?» Sto
iniziando davvero a farmi prendere dal panico.
«Basta che tu tenga la bocca chiusa, faccia il tour e non dica niente alle
risorse umane.»
«Perché no?»
«Perché sono in contatto diretto con i senior manager. Tutto questo giro
che stai per fare è solo un modo per valutare la tua personalità nelle due ore
che gli serviranno per mostrarti il palazzo.» «Oh mio Dio.» Espiro in modo
brusco.
«Ciao. Emily, vero? Io sono Lindsay.»
Mi giro per vedere una bella bionda, e mi alzo immediatamente,
porgendole una mano. «Salve.»
Lei sorride ai miei colleghi. «Iniziamo. Partiremo dal primo piano e
risaliremo fino in cima.»
Faccio un saluto nervoso ai miei nuovi amici del lavoro e la seguo fuori
dall’ufficio e dentro l’ascensore. Ci siamo.
Emily
O D .
Si alza e fa il giro della sua scrivania, porgendomi la mano per stringere
la mia. «Jameson Miles.»
È lui, l’uomo dello scalo che non ha mai chiesto il mio numero di
telefono. Lo fisso con il cervello completamente inceppato.
Non riesco a crederci. È l’amministratore delegato?
«Emily, racconta qualcosa di te al signor Miles», suggerisce Lindsey,
come incoraggiandomi a parlare.
«Oh.» Mi riscuoto e gli stringo la mano. «Sono Emily Foster.»
Le sue dita sono calde e forti, e ripenso subito a come fosse sentirle
sulla mia pelle. Libero la mano dalla sua presa come se mi avesse dato la
scossa.
Mi guarda negli occhi con aria maliziosa, ma mantiene un’espressione
seria. «Benvenuta alla Miles Media», dice con calma.
«Grazie», gracchio. Lancio un’occhiata a Lindsey.
Oh Dio, lei lo sa che sono una gran maiala che dice porcherie e si è
scopata il boss del boss del nostro boss?
«Di qui in avanti me ne occupo io, Lindsey. Emily ti raggiungerà tra un
momento», dichiara.
Lei aggrotta la fronte e mi getta uno sguardo. «Io…»
«Aspetta fuori», aggiunge lui, congedandola.
Merda.
«Sì, signore», risponde la donna, affrettandosi verso la porta e
chiudendosela alle spalle.
Io sposto di nuovo gli occhi su di lui.
È alto, moro e indossa il completo blu più ben fatto nella storia dei
completi. Il suo sguardo si fissa nel mio. «Ciao, Emily.»
Mi torco le dita con fare nervoso. «Ciao.»
Non ha mai chiesto il tuo numero. Che se ne vada al diavolo.
Sollevo il capo, fingendomi coraggiosa. In ogni caso non avrei voluto
che mi chiamasse.
Un baluginio che non riesco a decifrare gli attraversa gli occhi, e lui
appoggia il fondoschiena contro la scrivania, incrociando le gambe di fronte
a sé. Abbasso gli occhi verso i suoi piedi. Ricordo quelle sue scarpe
pretenziose e costose.
«Hai lasciato succhiotti su qualche altro povero compagno di viaggio
ignaro?» mi chiede.
Oh, che cavolo, non se lo è dimenticato. Mi sento avvampare per
l’imbarazzo. Non riesco a credere di averlo fatto.
Merda, merda, merda.
«Sì, proprio la notte scorsa, in effetti.» Faccio una pausa drammatica.
«Sul mio volo per venire qui.»
Lui serra la mascella e solleva le sopracciglia, poco colpito.
«Quindi non sei Jim?» gli domando.
«Per alcune persone lo sono.»
«Intendi per le donne che rimorchi per una scopata e via.»
Il signor Miles incrocia le braccia di fronte a sé, sembra irritato. «Perché
fai così?»
«Non sto facendo niente», replico secca.
Lui solleva di nuovo le sopracciglia, e io avrei voglia di abbassargliele
fino al mento a suon di schiaffi. Mi guardo intorno nel suo ufficio
esageratamente lussuoso. È ridicolo, con una vista a trecentosessanta gradi
su New York. C’è una grande area relax con un bar ben fornito davanti al
quale sono allineati degli sgabelli di cuoio, e anche un tavolo per le
conferenze. Riesco a vedere un corridoio con un bagno privato, e accanto
qualche altra stanza.
Si passa le dita sul labbro inferiore mentre mi esamina, e io lo
percepisco fino alle dita dei piedi.
Dio, è magnifico.
Ho pensato spesso a lui nel corso dell’ultimo anno.
«Che cosa ci fai a New York?» chiede.
«Lavoro per la Miles Media.» Un pensiero mi attraversa la mente, e mi
acciglio ricordando una cosa che mi ha detto quella volta: “Benvenuta nel
Miles High Club…”
Buon Dio, pensavo che intendesse il club del sesso ad alta quota… e
invece parlava delle donne che finiscono a letto con lui.
Miles… lui è Miles… e c’è un club?
Dannazione, il sesso migliore della mia vita è stato solamente la mia
iniziazione a conquista di un sordido sciupafemmine.
Nell’ultimo anno, la notte che abbiamo trascorso insieme è stata per me
un evento speciale, a cui ho ripensato con affetto. Mi ha risvegliato dentro
qualcosa che non sapevo nemmeno esistesse, e ora scopro che sono stata
solo una tra le tante. Mi sento sprofondare il cuore per la delusione, e
stringo i denti per impedirmi di esplodere e cercare di ferirlo a mia volta.
Bastardo.
Devo andarmene di qui prima di farmi licenziare durante il mio primo
giorno.
«È stato bello rivederti.» Fingo un sorriso, con il cuore che mi batte
all’impazzata nel petto, poi mi giro ed esco dall’ufficio, chiudendomi la
porta alle spalle.
«Finito?» Lindsey mi sorride.
«Sì.»
Attraversiamo la reception ed entriamo nell’ascensore per iniziare la
discesa fino al mio piano. «Non essere scossa», mi dice piano.
Aggrotto le sopracciglia, perplessa.
«È un uomo molto irritante e non è bravo con le persone, ma ha una
mente incredibile.»
Come il suo uccello.
«Oh, okay», rispondo, guardando a terra. «Buono a sapersi.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«No», mento. «Abbiamo scambiato solo due chiacchiere di cortesia.»
Mi sorride. «Dovresti ritenerti molto fortunata. Jameson Miles non fa
chiacchiere di cortesia con nessuno.»
«Oh.» Mi acciglio. Le porte si aprono e io schizzo fuori per sfuggire a
quella conversazione. «Grazie mille per avermi fatto fare un giro.»
«Prego, e, se dovessi avere dei problemi relativi alle risorse umane, ti
prego di chiamarmi immediatamente.»
«Lo farò.» Le stringo la mano. Appartenere al club delle conquiste
sessuali dell’amministratore delegato si può ritenere un problema di
competenza delle risorse umane? «Grazie davvero.» Mi avvio verso la mia
scrivania, dove prendo discretamente il telefono dal cassetto. «Torno tra un
momento.»
Vado in bagno, apro di colpo la porta di una cabina e la richiudo a
chiave. Poi, nella privacy della toilette, cerco su Google: Jameson Miles.
Chiudo gli occhi, aspettando che si carichino le informazioni. Il cuore
mi batte furiosamente nel petto.
Ti prego, non essere sposato… ti prego, non essere sposato.
Ho continuato a flagellarmi su questa possibilità per tutto l’ultimo anno,
e ho anche pensato che potesse essere il motivo per cui non ha nemmeno
finto di volere il mio numero. Ho creduto che tra di noi ci fosse qualcosa,
ma c’era stato anche qualcosa di non detto. E, chissà perché, in seguito,
avevo avuto la sensazione che fosse sposato… o impegnato in una
relazione.
E questo mi renderebbe una gran puttana. Non sono mai stata con una
persona impegnata in una relazione stabile con qualcun altro, e le donne che
lo fanno consapevolmente mi danno la nausea.
Se avessi saputo quanto l’idea mi avrebbe tormentata, quella notte non
mi sarei nemmeno avvicinata a lui.
Vita privata
Estremamente riservato, è noto per il suo interesse per le belle donne.
Ha frequentato Claudia Mason dal 2011 al 2015, e da allora non si sa di
nessun’altra relazione personale.
Mi appoggio una mano sul petto e sospiro per il sollievo. Grazie a Dio.
Clicco sul link di Claudia Mason. Chi è? Appaiono immagini a raffica, e io
sento la mia sicurezza svanire nello scarico.
Vita privata
Mason è la maggiore di cinque fratelli ed è figlia del politico francese
Marcel Angelo.
Dal 2011 al 2015 ha frequentato l’erede dell’impero mediatico della
Miles Media, Jameson Miles, con cui si è fidanzata, ma la relazione si è
interrotta, secondo le sue parole per via del carico di lavoro di entrambi e
degli impegni ai diversi angoli del globo. Attualmente frequenta Edward
Schneider, un avvocato che vive a Londra.
Emily, è richiesta la tua presenza nel mio ufficio domani alle 8:00 per una
riunione privata.
Supera la sicurezza e di’ loro che stai venendo a incontrarmi. Ti
faranno salire fino al mio piano.
Jameson Miles.
Amministratore delegato Miles Media
New York
Emily
Emily,
No.
Non voglio vedere il tuo team, né che parli con altri della riunione in
programma.
Questo particolare incontro è di natura privata.
Jameson Miles
Amministratore delegato Miles Media
New York
Sgrano gli occhi. Oh, mio Dio… di natura privata? Che diavolo significa?
Mi stringo la base del naso. Anche io ho bisogno di pizza e birra.
Arrivate in fretta, cinque del pomeriggio.
Tengo l’abito nero contro il mio corpo e fisso il mio riflesso nello specchio.
Mmh. Lo getto sul letto insieme alla gruccia. Afferro la gonna grigia e la
giacca e me le appoggio addosso.
Forse è meglio il nero?
Merda. Che diavolo si indossa quando si vuole apparire sexy senza
cercare di sembrarlo? Sono le undici di sera e sto decidendo cosa mettere
domani per il mio incontro con il signor Miles. E in ogni caso perché vuole
vedermi?
Credo che sceglierò il vestito nero. Lo stendo sulla sedia. Prendo le mie
décolleté di vernice nera e le metto a terra sotto l’abito. Quali orecchini?
Rifletto, storcendo le labbra. Le perle. Sì, le perle non gridano “scopami”
come invece fanno gli orecchini d’oro. Le perle sono pratici orecchini da
lavoro.
Giusto.
Domani mattina mi laverò i capelli e li metterò in piega. Guardo il mio
riflesso e sollevo la chioma in un’alta coda di cavallo. Sì… una coda alta. A
lui piacciono così.
Smettila.
Mi siedo ai piedi del letto e mi guardo intorno nel mio piccolo
appartamento. È un monolocale al trentesimo piano, minuscolo e
caratteristico. Ma è moderno e si trova in un bel palazzo. È diverso da
quello a cui sono abituata; questa vita newyorkese mi è così estranea…
abitare da sola, andare a bere nei locali anche di lunedì sera…
Prendo il telefono e scorro i miei messaggi. Questa sera tutte e tre le mie
migliori amiche mi hanno scritto per sapere come abbia passato il primo
giorno di lavoro. Lo stesso mia madre. Robbie invece no. Sono assalita
dalla tristezza. Che ci sta succedendo? Forse dovrei chiamarlo. Dopotutto,
sono io quella che se ne è andata. Compongo il numero e il suo cellulare
squilla. Alla fine mi risponde.
«Ehi.»
«Ciao.» Mi illumino. «Come stai?»
«Stavo dormendo», borbotta lui. «Che ore sono?»
L’entusiasmo mi abbandona mentre controllo l’orologio. «Scusa.»
«Già, fa lo stesso. Ti chiamo domani, piccola.»
Mi sprofonda il cuore. «Okay.» Mi interrompo. «Mi dispiace averti
svegliato.»
«Ciao.» Riattacca.
Faccio un profondo sospiro. «Il mio primo giorno di lavoro è andato alla
grande, grazie per avermelo chiesto», borbotto seccamente.
Con il cuore dolorante e lo stomaco teso per i nervi, mi infilo nel letto e
sorrido nell’oscurità ricordando la mia serata con Jim. Mi è capitato spesso
di ripensarci, da sola, nel cuore della notte. È stata indubbiamente
l’esperienza sessuale più incredibile della mia vita. Non che lo ammetterò
mai con qualcuno, ma io lo so.
Domani mattina lo vedrò. Sento lo stomaco stringersi per l’ansia. Chissà
cosa mi dirà?
Jameson
Sono seduto alla mia scrivania e sto sfogliando una cartella, il fascicolo di
Emily Foster. Sto leggendo i suoi dati: i voti scolastici, le referenze e,
infine, la sua lettera di candidatura.
Era questo il lavoro per cui doveva fare un colloquio dodici mesi fa?
Sento il ronzio dell’interfono della sicurezza. Premo il pulsante per
parlare con la guardia al piano terra, e poi faccio lo stesso con un tasto sul
telecomando mentre alzo lo sguardo sullo specchio appeso al muro. Subito
il vetro si trasforma in uno schermo. «Sì.»
«C’è qui Emily Foster per vederla, signore.»
La vedo e sorrido. Eccola lì. «Mandatela su.»
La guardo mentre viene accompagnata all’ascensore dalla guardia, che
la fa entrare nella cabina. Vado alla reception e, non appena le porte si
aprono, lei appare alla mia vista.
«Buongiorno», la accolgo con un sorrisetto.
«Salve», bisbiglia. Mi sembra nervosa.
Tendo una mano per indicare il mio ufficio. «Prego, vieni pure.»
Emily cammina davanti a me, e mi cade lo sguardo sul suo didietro.
Indossa un aderente vestito nero, calze color carne e décolleté dai tacchi
alti. I suoi capelli sono raccolti in una ballonzolante coda di cavallo…
pronta per essere trascinata nella mia… Smettila.
«Accomodati», dico, sedendomi dietro alla mia scrivania.
Lei prende posto e si stringe la borsa in grembo, guardandomi negli
occhi.
Giro sulla poltrona mentre la osservo. È bella come ricordavo, e una
potente carica sessuale si irradia in lei. Lunghi capelli scuri, occhi marroni e
una bocca scopabile. Ho pensato spesso a lei, mi è stato impossibile
dimenticarla. Nessuna mi ha mai cavalcato come ha fatto Emily, né prima
né dopo. Mai più.
Il succhiotto sul collo non è stato l’unico segno che ha lasciato su di me
quella notte.
«Volevi vedermi?» mi chiede piano.
Il suono della sua voce ha un tale effetto su di me da mandarmi un
brivido lungo la schiena. Ripenso alle cose che mi ha detto durante il sesso
e a quanto sia stato eccitante sentire quella voce dolce pronunciare parole
tanto sporche.
«Sì.» La fisso. «Lo volevo.» Prima di incontrare Emily, era da
tantissimo tempo che non andavo a letto con una donna che non fosse a
conoscenza della mia vera identità. Stranamente, non avevo avuto bisogno
di essere qualcuno quella notte.
Mi era bastato essere Jim.
«Per quale motivo?»
Mi appoggio contro lo schienale, seccato dal suo atteggiamento. La
maggior parte delle donne stravede per me. Lei non proprio.
«Che cosa ci fai a New York?» le chiedo, nel tentativo di fare
conversazione.
«Me lo hai chiesto ieri», sbotta lei. «Arriva al punto.»
«Te lo sto chiedendo di nuovo oggi. Basta con questo atteggiamento del
cazzo.»
Lei stringe gli occhi, come se fosse irritata.
Mi sporgo in avanti. «Che problema hai?» la schernisco.
«Tu. Sei tu il mio problema.»
«Io?» domando, offeso. «Che cosa ho fatto?»
«Devi parlarmi di qualcosa che riguarda il lavoro, oppure no, Jim?»
La guardo di traverso. «Sei molto scortese.»
«E tu sei molto ricco.»
«Quindi?»
Emily fa spallucce.
«Che cosa significa?» sbotto.
«Niente.» Raddrizza la schiena. «Se non devi parlarmi di lavoro, è
meglio che vada.»
La fisso, serrando la mascella. L’aria tra di noi si carica di elettricità.
«Posso vederti questa sera?»
Emily sostiene il mio sguardo. «No.»
«Perché no?»
«Perché sono una professionista e non ho intenzione di mischiare lavoro
e piacere.»
Stringo i denti per impedirmi di sogghignare. Il mio interesse per lei
cresce ogni secondo. «Che cosa ti rende così sicura che sarebbe un
piacere?»
«La storia tende a ripetersi», sussurra lei, abbassando gli occhi scuri
sulle mie labbra.
Ho una visione di Emily nuda e sopra di me sulla mia poltrona, e prendo
un brusco respiro mentre il mio cazzo inizia a palpitare. «La storia sarà
gentile con me, perché intendo scriverla», dico.
«Ora cita Winston Churchill, signor Miles?» sospira lei.
Faccio un sorrisetto, divertito dalla sua intelligenza. «Devi guardare i
fatti perché essi ti guardano.»
«Non sono mai preoccupato dall’azione, solo dall’inattività», replica
subito senza esitazione.
«Esatto, quindi, in quanto appassionata di Churchill come me, esigo che
questa sera tu mi accompagni fuori a cena.»
Lei sorride e si alza. «Non posso.»
«Perché no?»
«Devo lavarmi i capelli.»
«Perché vorresti lavarli quando invece potresti sporcarteli?»
Emily scrolla le spalle con indifferenza. «È solo che non mi interessi.
Non sei il mio tipo.»
La fisso mentre le sue parole si aggirano nella mia mente.
Ahi.
Stringo le labbra, sostenendo il suo sguardo. Questa è la prima volta che
vengo respinto senza mezzi termini. «Molto bene, peggio per te.»
«Forse.» Si gira per andarsene. «Ma è stato bello rivederti. Devi essere
molto orgoglioso dei tuoi risultati.»
Mi alzo e mi affretto ad aprire la porta. Lei mi guarda, e io abbandono il
braccio lungo il fianco per trattenermi dal toccarla. «Ciao, Emily.»
«Ciao.» Lei espira, mentre l’aria turbina tra di noi. «Grazie per avermi
dato un lavoro.» Mi sorride.
Faccio un cenno con il capo.
Non è l’unico che avrei per te.
Emily si volta ed esce, diretta verso l’ascensore, e io sbatto la porta,
tornando nel mio ufficio.
Non sono il suo tipo… da quando?
Punto il telecomando verso lo schermo della sicurezza e lo riaccendo.
«Mostrami il quarantesimo piano», chiedo al controllo vocale.
L’immagine lampeggia, e poi appare il piano in questione. Osservo
Emily che esce dall’ascensore. «Seguila.»
La telecamera la segue mentre lei si incammina lungo il corridoio e
infine si accomoda al suo posto alla scrivania.
«La telecamera sopra quell’area», ordino.
Lo schermo sfarfalla, e lei riappare. L’ufficio è vuoto, ed Emily tira
fuori il cellulare, iniziando a scorrere lo schermo. Incrocia le gambe, e io mi
sporgo in avanti non appena appare una delle sue cosce attraverso lo spacco
nella gonna. La ammiro e la mia eccitazione mi monta nell’inguine.
È così… sexy, cazzo.
Sta cercando qualcosa. «Ingrandisci», ordino.
La telecamera zooma, e io socchiudo gli occhi, cercando di leggere cosa
sta cercando su Google.
Jameson Miles.
Mi appoggio allo schienale e sorrido.
Bingo.
Capitolo 4
Emily
«C ?» A . «U
pompiere sexy salva un gattino da uno scarico.»
Scrollo le spalle. «Io sarei felice di occuparmene.»
Lui sogghigna. «Anche io.»
«Che cosa fate nel weekend?» ci chiede Molly, mentre lavora.
«Niente», risponde il nostro collega. «Spero di vedere Paul.»
«Niente neanche io», sospiro.
Molly alza lo sguardo. «Credevo che tornassi a casa per vedere il tuo
ragazzo.»
Faccio spallucce. «Beh, avrei dovuto, ma abbiamo parlato per un totale
di quattro minuti in dieci giorni, e lui non mi ha chiamata neanche una
volta.» Giro sulla sedia, pensando alla mia deprimente situazione.
«Dio, devi mollarlo e passare a Ricardo.»
Roteo gli occhi. Ricardo lavora su questo piano e negli ultimi giorni ha
ronzato attorno alla mia scrivania, facendo chiacchiere inutili.
«Gli piaci», borbotta Molly. «Si aggira attorno al tuo tavolo come un
moscone.»
«Che peccato.» Sogghigno guardandolo parlare con qualcuno alla sua
scrivania. «In effetti, è molto attraente.» Ricardo è italiano e incarna l’uomo
perfetto: alto, tenebroso e affascinante. Purtroppo, la sua personalità non è
altrettanto gradevole. Prende di continuo in giro qualcuno, oppure si
riferisce a sé stesso usando la terza persona.
«Bleah.» Aaron sgrana gli occhi per il disgusto. «Di che cosa parleresti
con lui?»
«Non gli parleresti, lo imbavaglieresti e te lo scoperesti fino a svenire»,
risponde Ava, lanciando un’occhiata all’individuo in questione.
«Scommetto che ce l’ha grosso come un cavallo», mormora.
Scoppiamo tutti a ridere. «Tu cosa fai questo weekend?» le chiedo.
«Darà la caccia a dei ragazzi ricchi», dice Aaron.
«Puoi scommetterci.»
La guardo. «Che cosa vorrebbe dire?»
«Frequento dei club in cui gli uomini hanno un mucchio di soldi.»
«Perché?» Mi acciglio.
«Non voglio finire con un perdente squattrinato.»
Rimango a bocca aperta per l’orrore. «Quindi… saresti disposta a
sposare un uomo solo per i soldi?»
«No.» Scrolla le spalle. «Forse.» Alza lo sguardo. «Oh, no, eccolo che
arriva», sussurra.
Ricardo si avvicina e si siede su un angolo della mia scrivania. La
responsabile di piano è tornata a casa per la giornata, quindi lui non si
preoccupa nemmeno di fingere di lavorare.
«Ehilà.» Mi rivolge un sorriso.
«Ciao», rispondo con tono secco.
Ti prego, vattene, sei imbarazzante.
«Ricardo voleva sapere come sta la sua collega preferita.»
Fisso lo stupido essere umano di fronte a me. «Perché parli di te in terza
persona?» gli domando.
Aaron ridacchia, fingendo di non ascoltare.
«Ricardo si chiede perché non vai mai a trovarlo alla sua scrivania.»
«A Emily piace sbrigare il suo lavoro», borbotto con tono deciso.
«Oh.» Ride, puntandomi un dito contro. «A Ricardo piace il tuo stile,
Emily.»
Riprendo a lavorare, e lui rimane seduto sul mio tavolo continuando a
blaterare, interrompendosi a malapena per riprendere fiato. Di tanto in
tanto, noi quattro ci scambiamo un’occhiata, colpiti da quanto sia stupido.
Con la coda dell’occhio, noto aprirsi le porte dell’ascensore, e poi mi
accorgo che gli impiegati stanno tornando in fretta alle proprie postazioni di
lavoro.
Eh?
Alzo lo sguardo per vedere Jameson Miles avanzare lungo il corridoio
tappezzato di moquette, diretto verso la mia scrivania. Sta digrignando i
denti e guarda Ricardo di traverso.
I nostri colleghi si sollevano dai propri cubicoli per controllare chi sia e,
quando lo vedono, si lasciano subito ricadere sulle sedie in preda al terrore.
Che diavolo ci fa qui?
Come al rallentatore, lo vedo fermarsi di fronte alla mia postazione.
Ricardo gli lancia un’occhiata e quasi si strozza con la sua stessa lingua,
alzandosi di scatto. «Signor Miles», balbetta. «Salve, signore.» «Che cosa
stai facendo?» ringhia lui.
«Stavo formando la nostra nuova dipendente», farfuglia. «Lei è Emily»,
dice, presentandomi.
Aaron incrocia il mio sguardo, in preda all’orrore.
«Sono ben consapevole di chi sia Emily Foster e di quanto spesso
frequenti la sua postazione. Questo è il tuo primo e ultimo avvertimento»,
gli intima a denti stretti. «Torna al lavoro e non farti più trovare qui.»
Ricardo sbianca. «Sì, signore», sussurra.
Il signor Miles lo fulmina con lo sguardo, serrando la mascella per la
rabbia. «Vai. Ora.»
Il mio collega praticamente corre verso la sua scrivania, e io fisso la
splendida creatura davanti a me. Completo grigio, camicia bianca, cravatta
dal motivo cachemire. È davvero la quintessenza del porno in giacca e
cravatta.
«Emily, devo vederti nel mio ufficio. Subito», sbotta prima di voltarsi e
tornare a grandi passi verso l’ascensore, senza disturbarsi ad aspettare la
mia risposta.
Mi alzo, deglutendo il groppo che ho in gola.
Aaron, Molly e Ava hanno gli occhi sgranati per la paura. “Ma che
cazzo?” mima Aaron con le labbra, stringendomi una mano per solidarietà.
Rilascio un respiro pesante, poi mi alzo e mi appresto a seguire la
divinità dell’ufficio dentro l’ascensore, sotto lo sguardo incredulo di tutti.
La cabina si chiude dietro di noi.
Jameson fissa torvo le porte, e io mi torco con nervosismo le dita mentre
saliamo verso i piani alti.
Oh, accidenti, ha intenzione di licenziarmi.
Quel maledetto stupido di Ricardo mi ha messa nei guai. È tutta colpa
sua. Non gli stavo nemmeno rispondendo… lo sapete.
Arrivati all’ultimo piano, le porte si aprono, e, ancora una volta, il mio
capo si incammina a grandi falcate. Esito. Si aspetta che gli corra dietro?
Non sono un cagnolino del cazzo. Chi diavolo si crede di essere questo
stronzo?
Rivolgo un sorriso falso alla sua assistente e lo seguo. Jameson tiene
aperte le porte dell’ufficio per me, e io lo supero. Poi le chiude e gira la
chiave.
«Che stai facendo?» esplode.
«È una domanda a trabocchetto?» Spalanco le braccia. «Sono nel tuo
ufficio, cosa ti sembra?»
«Voglio dire, perché diavolo stai flirtando con quell’idiota del piano di
sotto?» mi domanda con veemenza.
Rimango a bocca aperta per l’incredulità di fronte alla sua accusa. «Non
stavo flirtando con lui.»
«Stronzate. L’ho visto con i miei stessi occhi, cazzo.»
«Cosa?» sbotto. «Non dirmi che mi hai trascinata fin quassù per
rimproverarmi di aver parlato alla mia scrivania durante il lavoro.» «Non ti
sto pagando per farti rimorchiare», ringhia.
Appoggio le mani sui fianchi con la furia che mi scorre nelle vene.
«Stammi a sentire.» Sollevo un dito. «Per prima cosa, mi faccio rimorchiare
da chiunque io voglia.» Jameson socchiude gli occhi e appoggia le mani sui
fianchi, proprio come me, copiando la mia posizione. «Secondo», sollevo
un altro dito, «essendo il mio capo, non hai il diritto di fare commenti sulla
mia vita sentimentale.»
«Ah», sbuffa lui, roteando gli occhi con espressione disgustata.
«Terzo.» Alzo tre dita. «Sono nuova qui e non ho nessun amico, quindi
se Ricardo vuole essere gentile con me, io non ho intenzione di essere
scortese, non ti pare?»
«Non mentre lavori per me», replica Jameson a denti stretti.
«Mi hai davvero trascinata fin qui solo per dirmi questo?» Mi acciglio.
«No», ribatte. «Voglio sapere perché non vuoi uscire con me.»
Rimango sgomenta. «Fai sul serio?» sussurro.
«Da morire.»
L’atmosfera tra di noi cambia, e la rabbia lascia il passo a qualcos’altro.
«Perché non posso rischiare di perdere il mio lavoro se le cose tra di noi
non dovessero andare bene.»
Mi fissa per un momento. «Quel colloquio a cui stavi andando un anno
fa… era per questo posto?»
Esito per un istante. Ora sì che gli sembrerò una perdente. «Sì.»
«Da quanto tempo stai cercando di farti assumere qui?»
«Tre anni», sbuffo. «Quindi scusami se non voglio gettare via tutto
quanto per la storia di una notte.»
«Perché, pensi che ti licenzierei?»
«Non è quello che fanno gli amministratori delegati una volta che hanno
finito con le loro dipendenti? Non si sbarazzano di loro?»
Lui mi fissa con le sopracciglia aggrottate. «Non saprei… non sono mai
stato attratto da qualcuno con cui lavoro. E, oltretutto, credo che questo
posto sia abbastanza grande perché possiamo restare lontani l’uno dall’altra,
nel caso.»
«Sei ancora attratto da me?» bisbiglio.
«Lo sai che è così, ed è solo una cena», sbotta lui. «Nessuno lo
saprebbe, e di certo io non ti licenzierei il mattino dopo.»
«Quindi…» Sbatto le palpebre, cercando di capire che diavolo vuole.
«Sarei il tuo piccolo, sporco segreto?»
Lui avanza fino a quando i nostri volti si trovano a un paio di centimetri
di distanza, i nostri sguardi fissi l’uno dentro l’altro. Tra di noi crepita
dell’energia, e io mi sento montare dentro l’eccitazione.
«Avevi una ragazza quando abbiamo passato insieme quella notte?» gli
chiedo.
«Perché me lo domandi?»
«Non mi hai mai chiesto il numero.»
Lui mi fa un sorriso sexy, passandomi una ciocca di capelli dietro un
orecchio. «Ti chiedono tutti il numero, Emily?» La sua voce assume un
tono profondo e sensuale.
«Più o meno.»
«All’epoca, non ero alla ricerca di una relazione, e di certo non dico alle
donne che le chiamerò quando non ho intenzione di farlo.» Mi sfiora il
labbro inferiore con un dito mentre io lo fisso nei suoi grandi occhi blu.
«Questa sera», sussurra.
Il suo respiro mi solletica la pelle e io gli sorrido dolcemente. È
davvero…
«Ti vengo a prendere. Cena nel mio ristorante italiano preferito…» Si
interrompe, come se stesse immaginando qualcos’altro.
Oh, sembra fantastico.
Continuo a sorridere mentre lui si fa più vicino. Mi appoggia una mano
su una guancia e preme le labbra sulle mie con una delicatezza inaspettata.
Chiudo gli occhi e alzo un piede dal pavimento.
Robbie… che diavolo sto facendo?
Maledetto uomo. Come fa ad avere su di me un potere tale da
convincermi a fare qualsiasi cosa? Tipo, avere avventure da una notte, farmi
dimenticare che ho una relazione e che… devo respirare.
Oh, mio Dio. Ho un ragazzo. Merda.
«Mi dispiace se ti ho dato l’impressione sbagliata.» Faccio un passo
indietro. «Sto con qualcuno», gli dico di colpo.
Fa una smorfia inorridita. «Cosa?»
«Lo so.» Sussulto. «Io… io…» Scuoto la testa perché non ci sono
parole che possano tirarmi fuori da questa situazione. «Ho un ragazzo e non
posso uscire con te.»
«Mollalo», replica subito lui.
«Cosa?» gracchio.
«Mi hai sentito. Mollalo.» Si sporge verso di me.
Indietreggio per mettere dell’altro spazio tra di noi. «Sei pazzo?»
«Forse.»
«Non posso lasciare il mio ragazzo per una notte di sesso.»
«Sì che puoi.»
«Jameson.» Mi passo una mano tra i capelli. «Hai perso del tutto la
testa?»
«È possibile.» Mi porge un biglietto da visita. «Chiamami, e io verrò a
prenderti.»
Jameson Miles
Miles Media
212-639-8999
Sono le cinque e mezza, siamo appena usciti dal lavoro e siamo fermi sul
marciapiede davanti al palazzo della Miles Media, mentre decidiamo dove
andare per cena. È una cosa stranissima. È come se insieme a questo lavoro
io avessi ricevuto tre amici e delle possibilità illimitate. Ogni sera è sabato
sera a New York.
Abbiamo età diverse, stili di vita diversi, ma, chissà perché, ce la
intendiamo a meraviglia. Ava ha un appuntamento e non viene con noi, ma
Aaron e Molly rimangono al mio fianco.
«Cosa avete voglia di mangiare?» chiede Molly, cercando sul cellulare.
«Qualcosa di unto e grasso. Paul non mi ha richiamato», sospira Aaron.
«Mi ha stufato.»
«Oh Dio, lo vuoi mollare?» sbuffa la nostra amica, roteando gli occhi.
«Sono sicura che si stia vedendo con qualcun altro, e oltretutto non è
abbastanza bello per te.»
Un uomo in completo nero apre il portone principale del palazzo, e noi
tre ci giriamo. Jameson Miles sta uscendo insieme a qualcun altro. I due
sono immersi in una fitta conversazione e non stanno prestando attenzione a
nient’altro.
«Chi è quello con lui?» sussurro.
«È uno dei suoi fratelli, Tristan Miles. È a capo delle acquisizioni
internazionali», sussurra Aaron, tenendo gli occhi incollati su di loro.
«Giuro su Dio, quegli uomini sono così fighi, cazzo, che non si possono
guardare.»
Sono circondati da un che di carismatico, il loro atteggiamento trasmette
la quintessenza del potere. Intorno a loro si fermano tutti a fissarli.
Abbigliati con costosi completi fatti su misura, belli da mozzare il fiato,
acculturati e ricchi. Deglutisco il groppo che ho in gola, osservandoli in
silenzio. Come al rallentatore, escono dal palazzo per salire nel retro di una
limousine nera in attesa. L’autista chiude lo sportello, e l’auto si allontana
sotto i nostri occhi.
Mi giro verso i miei nuovi amici. «Ho assoluto bisogno di parlare con
qualcuno.»
«Di cosa?» si acciglia Aaron.
«Voi due sapete tenere un segreto?» bisbiglio.
Si scambiano un’occhiata. «Sì, certo.»
«Andiamo al bar.» Sospiro, prendendoli a braccetto e iniziando a
trascinarli con me per attraversare la strada. «Non crederete a cosa ho da
dirvi.»
Molly arriva con i nostri drink su un vassoio e si lascia cadere al suo posto.
«Dai, dicci. Hai ricevuto un ammonimento scritto?»
Sorseggio il mio Margarita. «Mmh, è buono.» Corrugo le sopracciglia,
ispezionando il gelido liquido giallo.
Aaron beve il suo. «Oh, odio questo barista.» Fa una smorfia.
«Vuoi smetterla di lamentarti?» sbotta Molly. «È come stare insieme ai
miei figli, cazzo.»
«Questo drink è troppo forte», boccheggia lui. «Ho visto che tu non ne
hai preso uno.»
La collega riporta l’attenzione su di me. «Comunque sia, qual è questo
segreto?»
Li fisso. Dio, non so nemmeno se dovrei parlarne con qualcuno, ma ho
bisogno di confrontarmi con delle altre persone.
«Promettetemi che non direte niente a nessuno. Nemmeno ad Ava»,
dico.
«Sì.» Entrambi roteano gli occhi.
«Okay», continuo. «Vi ho raccontato che sto cercando di ottenere un
lavoro alla Miles Media da tre anni, no?»
«Certo.»
«Beh, poco più di un anno fa, sono andata a un matrimonio a Londra, e
poi sono venuta direttamente a New York per fare un colloquio qui.» Aaron
si acciglia, concentrato sulla mia storia. «All’aeroporto di Londra, uno
svitato in fila dietro di me ha avuto una specie di crisi e ha iniziato a
lanciare la mia valigia per tutto l’aeroporto.» Entrambi mi guardano,
confusi. «In ogni caso, una delle guardie della sicurezza mi ha fatta
avvicinare al bancone del check-in e ha chiesto all’impiegato di occuparsi
di me, così sono stata spostata in prima classe.»
«Che figo.» Aaron sorride, sollevando allegramente il suo bicchiere.
Mi preparo per la parte seguente della storia. «Mi sono seduta vicina a
un uomo, abbiamo iniziato a bere champagne e…» Scrollo le spalle. «Più
bevevamo e più diventavamo inappropriati, e abbiamo preso a parlare della
nostra vita sessuale.»
«Vi hanno cacciati dal volo?» chiede Aaron, con gli occhi sgranati.
«No.» Bevo un sorso del mio drink. «Ma avrebbero potuto
tranquillamente farlo.» Lui si appoggia le mani al petto per il sollievo. «Ma
poi a New York c’era una tempesta di neve, quindi abbiamo dovuto fare
scalo a Boston per una notte. Quell’uomo era… terribilmente sexy.»
Sorrido, ripensandoci. «Non era affatto il mio tipo, e io non ero il suo, ma,
per qualche motivo, abbiamo finito per fare sesso tutta la notte come
conigli. È stato il miglior sesso della mia vita.»
«Adoro questa storia.» Molly pare compiaciuta. «Hai fatto benissimo.»
«Non l’ho mai più rivisto.»
Si intristisce subito. «Non ti ha più chiamata?»
«Non mi ha mai chiesto il numero.» «Ahi.»
Aaron fa una smorfia.
«Lo so, quindi potete immaginare il mio orrore quando l’ho visto al
lavoro questa settimana.»
«Cosa?» Sussultano entrambi.
«Oh mio Dio, è quel dannato Ricardo, non è vero?» Aaron si acciglia,
bevendo una lunga sorsata del suo drink. «Non riesco a credere a questa
storia. Ti prego, non dirmi che lo hai scopato e che ti ha trasmesso una
malattia venerea. Non potrei sopportarlo.»
«Era Jameson Miles.»
A Molly schizzano quasi gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Mi prendi per il culo?» Aaron sobbalza. Il drink gli finisce su per il
naso per errore, e lui viene colto da un attacco di tosse.
Entrambi mi fissano con gli occhi sgranati.
«Quando sono andata nel suo ufficio, durante il tour del palazzo, è
voluto rimanere da solo con me.»
La mia nuova amica scuote la testa. «È tutto vero?»
Annuisco.
«Non ho parole», bisbiglia.
«Io sì. Oh, porca puttana.» Aaron la colpisce su un braccio per
l’eccitazione. «Che cos’è successo?»
«Mi ha invitata a cena.»
«Ma che cazzo!» esclama Molly.
«Shh», sussurro, guardando la gente attorno a noi. «Tieni bassa la
voce.»
«Dici sul serio?» bisbiglia lei.
«Ho detto di no.»
«Cosa?» Questa volta è Aaron a gridare.
«Tieni. Bassa. La. Voce», gli ordino. «Non posso uscire con lui. Ho un
ragazzo.»
«Il tuo ragazzo è un coglione. Lo hai detto tu stessa», farfuglia Molly.
«Lo so, ma io non sono fatta così. Non tradirei mai nessuno.»
Aaron scuote la testa. «Jameson Miles potrebbe farmi fare qualsiasi
cosa volesse.»
«Vero?» concorda Molly. «E cos’è successo oggi?»
«Mi ha portata nel suo ufficio e mi ha accusata di farmi rimorchiare
durante il mio orario di lavoro.» Rimangono entrambi a bocca aperta.
«E…» Mi interrompo. Probabilmente non dovrei dirgli che siamo osservati.
Questo lo terrò per me. Tiro fuori il suo biglietto da visita dal portafoglio e
lo faccio scivolare sul tavolo.
Molly lo prende e lo fissa. «Persino il suo nome è sexy.» Legge il
biglietto ad alta voce. «Jameson Miles. Miles Media. 212-639-8999.»
«Gli ho detto che non può avere tutto ciò che vuole, lui ha risposto: Io
lo ottengo sempre, invece, e poi mi ha leccato il collo», dico di colpo.
«Ti ha leccato il collo?» strilla Aaron. «Oh, Signore, abbi pietà.» Prende
il menù e inizia a sventolarsi il viso. «Ti prego, dimmi che stasera uscirai
con lui.»
«No.» Scrollo le spalle. «Non posso, e oltretutto è il modo più veloce
che conosco per farmi licenziare.»
«Nessun lavoro ne vale la pena», esclama lui. «Io non lo rifiuterei
nemmeno per diventare il presidente, cazzo.»
Ridacchiamo tutti, e poi il mio cellulare inizia a vibrare sul tavolo.
«Oh… porca puttana», sussurra Molly, fissando il telefono. «È lui.»
«Cosa?» balbetto, abbassando lo sguardo sul numero che sta
illuminando lo schermo.
Lei solleva il biglietto da visita che ha tra le mani, e li confrontiamo.
«Il numero che ti sta chiamando è il suo.» Sgrano gli occhi.
Cazzo.
Capitolo 5
Emily
«R , !» A .
«Che cosa faccio?» Gesticolo in preda al panico.
«Porca puttana. Rispondi», ordina Molly, prendendo il telefono.
«Non farlo», balbetto, cercando di toglierglielo dalle mani. Lei lo
solleva in aria e lo agita.
«Rispondi, donna», esclama.
Glielo strappo e lo guardo vibrare. «Non ho intenzione di rispondere.»
Aaron me lo ruba e preme il tasto verde. «Pronto», dice con una finta
voce da ragazza, poi me lo passa.
“Ma che cazzo?” mimo con le labbra.
«Pronto, Emily», mormora la voce vellutata di Jameson.
Sgrano gli occhi di fronte alle espressioni ammirate dei miei amici.
Aaron si fa il segno della croce, come se fosse in chiesa, e congiunge le
mani in segno di preghiera. «Ciao.»
«Dove sei?» mi chiede.
«In un bar.» Mi guardo intorno, tenendo una mano sopra l’altro
orecchio per cercare di sentirlo meglio. Merda, non ho intenzione di dirgli
dove sono, ho un aspetto tremendo. Lo ascolto trattenendo il fiato.
«Voglio vederti.»
Mi mordo il labbro inferiore, e Molly mi colpisce su un braccio per
riscuotermi dalla mia paralisi nervosa. «Ti ho detto che ho un ragazzo»,
rispondo in fretta. «Non posso incontrarti.»
«Porca di quella grandissima puttana», sussurra Aaron alla nostra
collega, infilandosi le mani tra i capelli.
«E io ti ho detto di liberarti di lui.»
«Chi ti credi di essere?» farfuglio.
I miei amici ascoltano con attenzione.
«Esci da lì. Non riesco a sentirti», mi ordina con voce secca.
Mi alzo e attraverso il bar per andare sul marciapiede, e tutto tace.
«Così va meglio», commenta.
Lancio un’occhiata in strada, verso i taxi tutti in fila. «Che cosa vuoi,
Jameson?»
«Lo sai cosa voglio.»
«Ho un ragazzo.»
«E io ti ho detto cosa fare.»
«Non è così semplice.»
«Sì, lo è. Dammi il suo numero, ti risparmio la fatica.»
Faccio un sorrisetto di fronte all’audacia di quest’uomo. «Lo sai, la tua
arroganza mi fa passare qualsiasi voglia.»
È una sfacciata bugia, non è affatto vero.
«E tu me la fai venire. Sono duro da tutto il giorno. Vieni qui e metti
fine al mio tormento.»
Mi sento il cuore rimbombare nelle orecchie. Sta succedendo davvero?
Una coppia di ubriachi mi supera barcollando, e devo spostarmi per non
farmi travolgere. «Scusa», mi dicono.
«Domani mattina parto per la California», sbotto.
«Per vederlo?»
«Sì.»
«È rimasto lì?»
Contorco il viso in una smorfia.
Dannazione. Perché gliel’ho detto?
«Sì?»
«Quando lo vedi, voglio che tu faccia una cosa per me.»
«Che sarebbe?»
«Chiedigli se si sente morire al pensiero di non poterti più toccare.»
Mi acciglio. «Perché dovrei dirgli una cosa del genere?» bisbiglio.
«Perché c’è un altro uomo che si sente così.» Sento un click quando
chiude la telefonata.
Fisso il telefono che ho in mano con la fronte aggrottata, attraversata dai
brividi fino alla punta dei piedi.
Porca di quella puttana.
Mi premo una mano sulla bocca, non riesco a credere a quello che è
appena successo.
Rientro nel bar sulle gambe malferme, e trovo i miei due amici che
quasi saltellano sulle loro sedie, in attesa del mio ritorno.
«Che cosa è successo?» strillano.
Mi accascio, infilandomi le mani tra i capelli. «Voleva che andassi a
casa sua e mettessi fine al suo tormento.»
«Porca puttana», esclama Aaron. «Posso avere il tuo autografo?»
«Ci vai?» farfuglia Molly. «Ti prego, dimmi che ci vai.»
Scuoto la testa. «No.» Rifletto per un momento. «Mi ha detto di
chiedere al mio ragazzo se si sentirebbe morire al pensiero di non toccarmi
mai più.» Mi ascoltano con espressioni perplesse. «Perché c’è un altro
uomo che lo farebbe.»
«Cosa?» urla Molly. «Oh santo cielo, ci serve della tequila.» Si alza e
sparisce verso il bar.
«Ti ha invitata a casa sua?» squittisce Aaron.
Annuisco.
«Sai dove vive?»
«No.»
«Park Avenue, con vista su Central Park.»
«Come fai a saperlo?»
«Google. Viveva nello One57, il Billionaire Building, ma lo ha lasciato
per trasferirsi nel palazzo su Park Avenue. Il suo appartamento vale
qualcosa come cinquanta milioni di dollari.»
«Cinquanta milioni…» Sussulto. «Dici sul serio? Come fa una qualsiasi
cosa a valere così tanto? È ridicolo.»
Lui fa spallucce. «Non ne ho idea. Avrà i gabinetti d’oro o chissà che
altro.»
Ridacchio, immaginandomi una persona seduta su un water d’oro.
Molly torna al suo posto e mi porge uno shot di tequila. «Bevi questo e
poi vai a scopartelo senza pietà.» «Non ci vado», esclamo.
«Beh, qual è il piano d’attacco?» domanda lei. «Vuoi fare la preziosa?»
«Nessun piano di attacco. Domani vado a casa per vedere Robbie.»
Rilascio un sospiro grave. «Devo fare chiarezza nella nostra relazione, e
spero che lui tornerà qui con me.»
Aaron solleva gli occhi in un’espressione delusa. «Non riesci a essere
eccitata per Jameson Miles almeno quanto noi?»
«No, non lo sono. E, ricordate, non una parola con nessuno.» Bevo il
mio drink. «So esattamente cosa succederebbe. Andremmo a letto una volta,
poi Jameson passerebbe alla sua prossima vittima e io verrei licenziata.»
Scuoto la testa, disgustata. «Mi sono impegnata troppo per ottenere questo
lavoro, e quello è l’uomo che non ha nemmeno voluto il mio numero
l’ultima volta che siamo stati a letto insieme.»
Il mio collega storce il naso. «Dio, perché sei così giudiziosa?»
«Lo so, è davvero uno schifo.» Sospiro.
Il telefono di Molly squilla. «Ti prego, fa che sia Jameson Miles alla
ricerca di un piano B.» Sbuffa con espressione frustrata. «Pronto.» Si
acciglia mentre ascolta. «Oh, salve, Margaret. Sì, mi ricordo di lei. È la
madre di Chanel.» Sorride, continuando a prestare attenzione alla donna,
ma poi la sua espressione si fa sgomenta. «Cosa?» Sgrana gli occhi. «Dice
sul serio?» Si stringe la base del naso. «Sì.» Sembra che non riesca a dire
una parola. «Capisco perché sia sconvolta.» Socchiude gli occhi, scuotendo
la testa verso di noi. «Mi dispiace moltissimo.»
Aaron ed io ci guardiamo preoccupati. «Che cos’è successo?» le chiedo
a bassa voce.
«Quanto espliciti sarebbero?» domanda lei alla persona dall’altro capo
del telefono. Spalanca di nuovo gli occhi. «Oh mio Dio, mi dispiace così
tanto.» Continua ad ascoltare. «No, la prego, non vada dal preside.
Apprezzo che abbia chiamato prima me.» Chiude gli occhi con il telefono
ancora incollato all’orecchio. «Di nuovo, le mie più sincere scuse. Grazie.
Me ne occuperò io, sì. Arrivederci.»
«Che c’è?» domando.
Lei si prende la testa tra le mani. «Oh mio Dio. Era la madre di Chanel,
la ragazza per cui mio figlio ha una cotta. Ha guardato nel cellulare della
figlia e ha scoperto che si sono scambiati dei messaggi piccanti.»
Mi mordo il labbro per impedirmi di sorridere a quella notizia. «È
piuttosto normale di questi tempi, non è vero?» Cerco di consolarla. «Credo
che lo facciano tutti.»
«Quanti anni ha questa ragazza?» chiede Aaron.
«Quindici!» grida lei.
Ridacchio per la sua reazione. Dio, non riesco a immaginare come sia
avere un figlio adolescente.
Molly compone il numero dell’ex marito. «Pronto», sbotta. «Vai in
camera di tuo figlio, prendi il suo cellulare e butta quel maledetto coso nel
gabinetto. È in punizione a vita.» Rimane in ascolto, mentre Aaron ed io
iniziamo a ridere in maniera incontrollata. «Michael», fa lei, inspirando a
fondo per cercare di calmarsi. «Lo so che si stanno frequentando e che
probabilmente a lei sta bene. Ma lui ha quindici anni», bisbiglia furiosa.
«Prendi il suo cellulare, o preparati, perché verrò io lì e lo farò a pezzi.»
Riattacca di colpo e appoggia la testa sul tavolo, fingendo di sbatterla
ripetutamente contro di esso.
Il mio collega ed io scoppiamo a ridere, mentre le do qualche pacca
consolatoria sulla schiena. «Vuoi un altro po’ di tequila, Moll?» le chiedo
con dolcezza.
«Sì… la voglio. Falla doppia», mi risponde con rabbia.
Ferma davanti al bancone del bar, lancio un’occhiata verso il tavolo:
Aaron ha una mano premuta sulla bocca in preda a un attacco di ilarità.
Abbasso la testa per nascondere il mio sorrisetto sciocco.
È esilarante… ma solo perché non sta succedendo a me.
Lunedì mattina
Sono seduta alla mia scrivania e fisso lo schermo del computer. Sono le
quattro di lunedì e sono un po’ depressa. Da quando, ieri sera tardi, sono
tornata a New York, sono sopraffatta dal senso di colpa. Pur sapendo che io
e Robbie stavamo arrivando al capolinea, mi sento come se avessi
accelerato il processo e non avessi permesso alla nostra storia di fare il suo
corso. Ma, d’altronde, eravamo in quella situazione di stallo da mesi, e se
ho accettato questo lavoro consapevole che lui non mi avrebbe seguita… è
perché inconsciamente sapevo che eravamo vicini alla fine.
«Il dio è tra noi», sussurra Aaron.
Alzo lo sguardo. «Chi?» «Tristan
Miles», bisbiglia lui.
Sbircio da sopra il divisorio sulla mia scrivania e lo noto mentre parla
con una responsabile di piano, Rebecca. Indossa un completo gessato blu
scuro, i suoi capelli mossi e castano scuro sono scompigliati alla perfezione
e ha un sorriso affascinante sul viso mentre parla. Ha i denti più bianchi che
abbia mai visto e delle profonde fossette sulle guance.
«Rebecca sta ridacchiando come una scolaretta.» Aaron corruga la
fronte.
«Non scende mai a questo piano», commenta Molly.
«Cosa credete che stia facendo qui?» sussurra l’altro, con lo sguardo
incollato su quel magnifico esemplare di uomo.
«Il suo lavoro», replico impassibile. «Lavora qui, sapete.»
Più ci penso e più capisco di aver idealizzato tutta la faccenda con
Jameson Miles. Io non gli piaccio. È solo arrapato. C’è una grossa
differenza. Probabilmente avrà fatto sesso con altre cinque donne da quando
abbiamo parlato venerdì sera. È da allora che non lo sento, né voglio farlo.
Non ho lasciato il mio ragazzo perché me lo ha ordinato lui, ma perché
Robbie ha smesso di combattere per noi. Se Jameson venisse a sapere che ci
siamo mollati, penserebbe che l’ho fatto perché voglio tornare a letto con
lui… e non è così.
Non voglio assolutamente. Stupidi uomini.
Non dirò ai miei colleghi che ci siamo lasciati. Preferisco che non ne
facciano un dramma. Mi serve un po’ di tempo per fare ordine tra i miei
pensieri.
Tristan Miles dice qualcosa e Rebecca ride. Poi lui svanisce
nell’ascensore, e torniamo tutti al lavoro.
Una serie di bizzarri attacchi a suon di graffiti sulle case del West Village
ha gettato i residenti nel panico. L’abitazione di Marjorie Bishop è stata
vandalizzata tre volte e la polizia si rifiuta di intervenire. Anche un altro
cittadino, Robert Day Daniels, è stato colpito.
Emily
S M M .M
sono detta che sono qui solo per prendere qualcosa da portare a casa per
cena. Ma la verità è che voglio vederlo andare via. Voglio vedere il suo viso
per scoprire se è accaldato quanto me. Sono talmente vicina ad avere un
orgasmo in pubblico che non è nemmeno divertente. Come può eccitarmi
così tanto un dito passato sopra ai vestiti? Quest’uomo mi fa sciogliere, mi
riduce in una poltiglia sdolcinata, bagnata e arrendevole. Non ho nessuna
resistenza quando mi tocca.
Per più di un anno ho sognato Jim, l’uomo divertente e spensierato con
cui ho passato quella notte. E ora che ho incontrato un’altra versione di lui,
non sono certa che mi piaccia. Voglio dire, è sexy e bollente da morire. Un
vero inferno fiammeggiante di sensualità.
Chi è Jameson Miles?
Mi siedo sulla panca vicina alla vetrina e guardo dall’altra parte della
strada, fino a quando vedo arrivare la limousine e subito dopo la vedo
entrare nel parcheggio.
Mi raddrizzo. Mi si stringe lo stomaco e trattengo il fiato mentre il
portone si apre. Lui esce, camminando come al rallentatore. È una rock star,
e tutti si voltano ad ammirarlo.
Il signor Orgasmo.
Lo vedo salire sui sedili posteriori della limousine, poi l’autista gli
chiude la portiera alle spalle e lentamente riporta l’auto in strada.
Continuo a seguirla con lo sguardo mentre svanisce lungo la via, e
un’ondata di delusione si abbatte su di me. Mi chiedo cosa farà questa sera.
È tardi, sono quasi le sei e mezza, e il palazzo della Miles Media si è
svuotato. Non posso credere di aver aspettato qui fuori solo per dargli
un’occhiata mentre se ne andava… che sfigata. Già che ci sono, potrei
ordinare qualcosa da mangiare al bar. Tanto cenerei comunque a casa da
sola. Prendo il menù e studio i piatti, poi le porte della Miles Media si
aprono di nuovo ed emerge Tristan. Lo guardo con la fronte aggrottata. È
insieme a una donna; lei è bionda, bellissima e indossa un aderente abito di
lana e stivaletti neri con il tacco alto. Ha l’aria di essere una molto alla
moda e i suoi capelli sono raccolti in una coda alta. Dice qualcosa e lui ride.
Girano l’angolo senza ancora svanire dalla mia vista, e Tristan le appoggia
una mano sul sedere, chinandosi per baciarla.
Chi è?
Poi lui la prende per mano, e i due svaniscono insieme lungo la strada.
Lavora nel palazzo? Credevo ci fossero delle regole che impedissero le
relazioni tra dipendenti.
Forse è una specie di buffet aperto a tutti, e i capi salgono piano per
piano scopandosi tutte le donne?
Sono l’unica con cui Jameson sta flirtando? O convoca anche altre
ragazze nel suo ufficio?
Chiudo gli occhi, disgustata.
Smettila.
Dio, devo darmi una calmata.
Rovisto nel mio armadio e tiro fuori i vestiti per domani. È tardi, ho
lavorato finora all’articolo che vogliono. Spero che vada bene. Questa volta
ero molto più preparata al riguardo. Cosa dovrei indossare domani? Faccio
come mi ha detto?
Appoggio sul letto gli abiti che Jameson mi ha ordinato di mettere e li
fisso. La gonna grigia con lo spacco, la camicetta di seta bianca. Come fa a
sapere che indosso un reggiseno di pizzo con questa camicia? E come
conosce questo outfit?
Mi guarda.
Sono attraversata da un brivido. Cazzo, quell’uomo mi sta incasinando
la testa. Mi sono trasformata in una massa di ormoni in subbuglio e
praticamente non mi ha nemmeno toccata.
Chissà come mi ridurrei se lo facesse.
Ripenso a questo pomeriggio e al modo in cui mi ha sfiorato tutto il
corpo con un dito, a come me lo ha infilato in bocca e l’ho succhiato.
Mi tornano in mente le sue parole: “Voglio che ti scopi. A lungo…
lentamente e profondamente”.
Chiudo gli occhi e comincia a ribollirmi il sangue nelle vene per
l’eccitazione. Vuole che io venga pensando a lui. Vado fino al mio
comodino e tiro fuori il vibratore. Lo tengo in mano per guardarlo.
«È un sostituto molto freddo, signor Miles», mormoro nel silenzio. Ho
una gran voglia di chiamarlo e dirgli di venire qui per occuparsene di
persona.
Ma ovviamente non lo farò. Spengo la luce e mi infilo sotto le coperte.
Mi sfioro il seno nudo con una mano. Chiudo gli occhi e apro le gambe,
immaginando che Jameson Miles sia qui con me.
I : Non ho niente da dirti. Ho finito di lavorare per oggi. Hai il tuo articolo.
Buona fortuna.
Emily
«J », . «F .» R fianchi.
Lui sorride contro il mio collo e mi attira di più a sé. Sfiora le mie
labbra con le sue, prendendomi il viso tra le mani. Il bacio è
intenzionalmente lento e passionale, e io mi ritrovo quasi a fluttuare per
aria.
«Cena?» ansima.
«Mmh.» Sorrido contro di lui mentre mi stringe il viso. Quel bacio è
inconfondibile. È seducente, sensuale e promette soddisfazione sessuale.
«A che ora ti vengo a prendere?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Se credi di potermi dire o meno cosa indossare e cosa fare.»
Mi fa un sorriso tenero, e il mio cuore perde un battito. È dalla sera che
ci siamo conosciuti che non mi guarda in questa maniera.
«Perdonami», sussurra, chinandosi per baciarmi di nuovo. «Volevo solo
che indossassi i miei vestiti preferiti per poterti ammirare.» Abbassa le
labbra sul mio collo, come se non riuscisse a fermarsi. «Non avevo
intenzione di offenderti.»
«Devi proprio essere così brusco con me?» bisbiglio mentre mi sfiora la
mascella con i denti.
«Io sono sempre brusco.»
«L’uomo che ho conosciuto su quell’aereo era divertente e spensierato.»
Fa un’espressione divertita, spostandomi un paio di ciocche ribelli dalla
fronte. «Il nostro incontro è stato un lusso che non mi era mai stato
concesso.»
«Come sarebbe?»
«Per una volta, ho avuto il dono dell’anonimato.»
Le nostre labbra si sfiorano, e io gli accarezzo le guance ruvide.
«Perché sei così diverso qui?» mormoro.
Jameson si libera dal mio abbraccio e torna alla sua scrivania. «Sono chi
devo essere, Emily. Un uomo divertente e spensierato non può gestire in
modo efficace un impero mediatico.»
Lo guardo, riflettendo per un momento su ciò che ha appena detto.
«Okay, allora immagino di dover rifiutare l’invito a cena.»
«Perché?»
«Perché voglio passare una serata con Jim.» Sostiene il mio sguardo.
«L’amministratore delegato Jameson Miles non mi interessa. Non mi
importa nulla dei tuoi soldi o del tuo potere.» Mi fissa per un lungo
momento, come se stesse elaborando le mie parole. Mi avvicino a lui e lo
bacio dolcemente. «Di’ a Jim di venire a prendermi alle sette», mormoro,
passandogli la lingua sulle labbra. «Muoio dalla voglia di rivederlo.» Il suo
viso è pervaso dalla tenerezza. «Vedrò cosa posso fare.»
Jameson
Non appena la sveglia comincia a suonare, apro gli occhi e sorrido,
stiracchiandomi. Sono soddisfatto e ancora un po’ assonnato.
Mi sento rilassato per la prima volta dopo tanto tempo.
Che notte… che donna.
Allungo un braccio verso Emily e, nel momento in cui mi accorgo che
non è nel letto con me, mi acciglio. Deve essere in bagno. Sonnecchio per
un’altra ventina di minuti e, alla fine, quando non ritorna, mi alzo.
«Emily?» la chiamo, entrando in bagno.
È vuoto.
Vado nella zona giorno. «Emily?» ripeto.
Silenzio.
«Ma dov’è?»
Mi guardo intorno, scoprendo che i miei vestiti sono ben ripiegati sul
tavolino da caffè, e noto che i suoi… sono svaniti.
«Emily?» la chiamo, facendo un giro completo dell’appartamento.
«Emily?»
Mentre la rabbia inizia a montare dentro di me, digrigno i denti.
Compongo il suo numero, con la vista annebbiata da una nube rossastra.
Sento i battiti furiosi del mio cuore e l’adrenalina che mi pompa nelle vene.
«Pronto?» risponde lei.
«Dove cazzo sei?» chiedo con tono sprezzante.
Capitolo 8
Jameson
«D », .
«Perché?»
«Avevo bisogno di arrivare presto al lavoro.»
«Non hai pensato di svegliarmi?» sbotto. «Mi fai incazzare quando ti
comporti così.»
«Non iniziare con le tue cazzate moraliste con me. Me ne vado quando
cazzo mi pare.» La telefonata si interrompe.
Inspiro in modo brusco, nessuno mi sbatte il telefono in faccia.
Nessuno.
Serro i denti e getto il telefono sul divano. Quella donna è dannatamente
irritante.
Vado nel mio studio, apro il portatile e accedo alle riprese di sicurezza.
Mi siedo, aspettando che si carichino. Appare un’immagine della mia porta
d’ingresso, e premo Riavvolgi rimanendo a guardare mentre il video va
rapidamente all’indietro. La vedo andarsene e fermo la ripresa. Che ore
erano?
Le 3:58. Doveva arrivare presto al lavoro? Cazzate.
Ha aspettato che mi addormentassi e poi se ne è subito andata. Mi
appoggio contro lo schienale della sedia, mentre la mia ira cresce.
«Non so a che cazzo di gioco stai giocando, Emily Foster, ma non ci sto.
Se stai con me, stai con me. E fai quel cazzo che ti dico io.»
Chiudo con forza il computer e mi dirigo rapidamente al piano di sopra.
Vuole la guerra? È quello che avrà.
Un’ora più tardi, attraverso l’ingresso del mio palazzo e vado spedito verso
la mia auto.
«Buongiorno, signor Miles.» Alan mi sorride, aprendo la portiera della
limousine.
«’Giorno», rispondo, salendo.
Sul sedile c’è la solita pila di giornali insieme al mio caffè, e inizio il
mio rituale mattutino. Ci mettiamo quaranta minuti per percorrere i venti
chilometri fino all’edificio della Miles Media, quindi sfrutto quel tempo per
tenere d’occhio la concorrenza. Scorro la pila e prendo il Gazette, il nostro
diretto concorrente, per controllare la prima pagina.
«Che impaginazione raccapricciante», borbotto sottovoce aprendo il
giornale. Leggo le prime due pagine, e poi arrivo alla terza.
Notizia dell’ultima ora
Mezz’ora più tardi, entro nell’ufficio e trovo dentro tre delle mie persone
preferite. I miei fratelli.
«Ciao.» Sogghigno. «Gesù, siete diventati tutti e due più brutti
dall’ultima volta che vi ho visti. Non credevo che fosse possibile.»
Loro ridacchiano, e subito dopo ci abbracciamo. Mi sono mancati. Il
loro ruolo nella compagnia gli richiede di vivere in Inghilterra. Lavorano
nella divisione londinese. Riesco a vederli solo una volta al mese, quando
vado lì, e per Tristan è lo stesso. Almeno lui può rimanere un po’ più a
lungo, quindi può trascorrere più tempo insieme a loro.
Sbatto il Gazette sulla scrivania. «Che diavolo è questo?»
«Porca puttana», bisbiglia Tristan, mentre tutti si accomodano attorno al
tavolo.
«Che sta succedendo?» sbotta Elliot. «Non posso crederci.»
Prendo un respiro profondo. «Abbiamo un nuovo membro dello staff,
Emily Foster.»
Tristan fa un sorrisetto, e io roteo gli occhi. «E?» interviene Christopher.
«Il suo secondo giorno ha pubblicato un articolo e non era certa del
nome di una delle persone coinvolte, quindi ne ha inventato uno su due
piedi con l’intenzione di cambiarlo una volta tornata in ufficio.» Mi
ascoltano con la fronte corrugata. «Solo che se lo è dimenticato.»
«Gesù.» Elliot alza lo sguardo al cielo. «Che incapace.»
«No», dice Tristan. «Diabolico. Il giorno dopo il Gazette ha pubblicato
esattamente la stessa storia… con il nome finto.» I nostri due fratelli si
accigliano nel sentire la notizia.
«Come fate a saperlo?» chiede Christopher.
«Conosco la giornalista. Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa.» Mi
interrompo, preferendo non approfondire oltre.
«Sapete chi è?» fa Tristan, sogghignando.
«Chi?» Elliot sposta lo sguardo tra di noi.
«Ricordate che un secolo fa Jay si è ritrovato addosso un gigantesco
succhiotto?»
Rimangono entrambi a bocca aperta. «No!»
Elliot si stringe la base del naso. «Ti prego… non dirmelo.» Scoppia in
una risata. «Come lo avevi definito? La vergogna dello scalo?»
«Ho dovuto portare un dannato dolcevita per due settimane.» Sospiro
disgustato.
«Ricordate la cena elegante per l’ente benefico di mamma?» Tristan
getta la testa all’indietro e ride. «E tu avevi il succhiotto più grande che
chiunque avesse mai visto.» Ridacchia, ripensando al ricordo. «E hai
dovuto nasconderti dalla mamma per tutta la serata e mettere il fondotinta
sul collo. È stato esilarante.»
«Mortificante.» Rabbrividisco al solo pensiero. «Comunque, tornando
alla storia.» Lancio un’occhiataccia a Tristan per aver tirato fuori quella
faccenda. «A mia insaputa, Emily, è così che si chiama, ha ottenuto un
lavoro qui. Tre settimane fa ha iniziato, e c’è stato questo disguido del
nome. È venuta da me, sospettando che stesse avvenendo qualcosa di losco.
Un nome finto che aveva inventato lì per lì non poteva essere una
coincidenza.» Guardo i miei fratelli attorno a me. «Le nostre notizie
vengono vendute al mercato nero.»
«Ma che cazzo», esplode Elliot.
«I prezzi delle nostre azioni sono in calo perché non pubblichiamo più
notizie dell’ultima ora.»
Lui scuote la testa, disgustato.
«Questo perché i giornalisti che stiamo pagando lavorano per la
concorrenza», dichiara secco Tristan.
«Questa settimana abbiamo messo alla prova la teoria. Abbiamo chiesto
a Emily di scrivere una storia fasulla e di inviarla tramite i normali canali, e
guardate.» Sbatto le nocche sul giornale. «Eccola qui, a pagina tre del
Gazette.»
Fissano tutti il quotidiano di fronte a noi, assorti nei loro pensieri.
«Quindi… che cosa facciamo?»
«Per me possiamo anche licenziare tutti quanti», dichiaro brutalmente.
«No, dobbiamo farlo per bene. Ci sono centinaia di persone a quel
piano. Senza parlare degli informatici e dell’ufficio spedizione.»
I tre iniziano a chiacchierare, discutendo delle possibili opzioni.
Nel frattempo, premo un pulsante sull’interfono. «Puoi mandarci
Richard dell’ufficio legale, per favore?»
«Sì, signore.»
«Emily potrebbe scrivere un altro articolo, così potremo seguirlo più da
vicino», propone Elliot.
«No», rispondo io. «Non voglio coinvolgerla di nuovo. Anzi, non la
voglio più quassù.»
Tristan fa un sorrisetto.
«Tra un secondo ti cancello quella stupida espressione dalla faccia», lo
minaccio.
«Hai paura che ti lasci un altro succhiotto?» scherza Elliot. «Deve
essere brava a succhiare.» Ridono tutti.
Gli lancio un’occhiataccia. «Dacci un taglio. Oggi non sono dell’umore
per queste cazzate.»
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti», dico. Appare Richard. «Prego,
accomodati.»
«Come posso aiutarvi?» Ci sorride.
«Abbiamo ragione di credere che qualcuno al piano delle notizie stia
vendendo le nostre storie alla concorrenza. Come possiamo gestirla dal
punto di vista legale?»
Richard si acciglia, spostando lo sguardo tra di noi. «Ne siete sicuri?»
«Sì.»
«Beh.» Emette un sospiro mentre riflette. «Dovreste assumere
un’agenzia specializzata in investigazione aziendale.» «Di cosa si occupa?»
chiedo.
«Lavora nell’ambiente delle grandi aziende e si può occupare di
verificare la legittimità di un partner aziendale o di un accordo, di indagare
sulla perdita o sul furto di informazioni proprietarie, di identificare il
potenziale di una reputazione danneggiata, e altre cose simili.»
«No», dico, alzandomi in piedi. «Non voglio uno sconosciuto che ficchi
il naso qua intorno. E se si venisse a sapere? Danneggerebbe ancora di più
la nostra reputazione.»
«Con tutto il dovuto rispetto, Jameson, non vedo quale altra scelta lei
abbia», dice Richard.
«Conosci qualche agenzia?» gli chiede Tristan.
«No. Ma posso trovarne una da assumere.»
«Non mi piace.»
«Sono professionisti. Si occupano di continuo di cose come questa. Non
saprà nemmeno che sono nell’edificio», insiste il legale.
«Come funziona?»
«Di solito si recano sul luogo sotto copertura, fingendosi dipendenti per
indagare e seguire le tracce.»
Roteo gli occhi per il disgusto. «Ridicolo. Questo non è un dannato
episodio di MacGuyver.» Fisso i miei fratelli, e capisco che mi hanno messo
spalle al muro. Non c’è modo per evitarlo, e so che devo arrendermi. «Va
bene.»
Emily
Un’ora prima
Marcio in strada tra la folla. Non mi abituerò mai ai gremiti marciapiedi
newyorkesi, a prescindere da quanto tempo vivrò qui. Sono esausta. Ho
passato metà della notte sveglia a fare sesso e non sono più tornata a
dormire dopo che ho lasciato l’appartamento di Jameson alle quattro del
mattino. Dio, questa situazione è un incubo. E chi cazzo è Chloe?
Ordino il mio caffè freddo e, mentre aspetto, compro il Gazette al
chiosco dei giornali. Lo leggerò durante il pranzo. Mi chiedo se ci siano dei
lavori disponibili. Probabilmente me ne servirà uno di qui a poco. Con il
cuore sofferente, torno con il pensiero a Jameson. Dannazione, perché deve
sempre esserci qualcosa che non va negli uomini che mi piacciono? Se solo
fosse un tipo normale, con un normale appartamento del cavolo, una
macchina pessima e nessuna donna che gli scrive, sarebbe perfetto. Sotto
ogni punto di vista.
Ho un’immagine di noi la notte scorsa mentre facciamo l’amore e ci
baciamo per ore, e vengo travolta dalla tristezza.
Detesto la profondità del nostro legame fisico.
È solo sesso, cretina.
Fantastico, mozzafiato e piacevolissimo sesso.
Suppongo che Jameson Miles lo faccia con qualsiasi donna con cui
vada. È quel tipo di uomo, con quel tipo di uccello.
Uffa. Prendo il mio caffè e mi dirigo con aria mesta verso l’ufficio.
Oggi non penserò a lui, e di certo non gli dirò che so di Chloe.
Chiunque Chloe sia.
Tutto quello che so è che se gli manda dei messaggi nel cuore della
notte per chiedergli dove sia, allora deve esserci sotto qualcosa, e può
assolutamente tenersi Jameson.
Posso essere molte cose, ma non sono una ladra di uomini.
Stronzo. Come ha osato usarmi per il sesso? Il gusto amaro del
tradimento mi riempie la bocca. Posso fingermi coraggiosa quanto mi pare,
ma la verità è che sono sconvolta. La notte scorsa è stata perfetta, più che
perfetta, e lui ha dovuto rovinare tutto.
Credevo di aver passato la notte con Jim, e invece mi sono ritrovata con
Jameson Miles, la sua versione squallida. Come ho potuto non
accorgermene?
Arranco nel palazzo e salgo fino al mio piano, per poi lasciarmi cadere
disgustata sulla sedia. «Ciao», esordisco.
«Ehi.» Aaron rotea la sedia di fronte a me. «Come è andata?»
Lancio un’occhiata alla telecamera sopra di noi. «Bene», mento. «Ti
racconterò stasera. Dobbiamo andare a bere.»
«Bere?»
«Tutto ciò che possiamo.»
Il suo entusiasmo svanisce. «Oh… quindi è quel tipo di bere.»
«Precisamente», borbotto con tono secco.
«Che sta succedendo oggi?» bisbiglia lui.
«Che cosa vuoi dire?» Alzo lo sguardo dal computer.
«Tristan sta ronzando qui attorno, e Jameson è già sceso a questo
piano.»
«Che ore sono?» Guardo l’orologio. «Sono solo le otto e tre quarti. Non
sono mai quaggiù a quest’ora, le rare volte in cui scendono.»
«Lo so.»
«Mmh.» Vedo il minore dei due fratelli mentre parla con un
responsabile di piano, e sembra avere un’espressione severa. «Credi ci sia
qualcosa che non va?» gli domando.
«Non lo so. Hai fatto incazzare il signor J. la notte scorsa?»
Sogghigno.
«Forse è al piano di sopra a fare i capricci.»
«Probabilmente sto per essere licenziata.» Sorrido allegramente mentre
accendo il mio computer.
Bene, spero sia furioso.
Due ore più tardi, alzo lo sguardo e noto due uomini che non ho mai visto
prima. «Chi sono?» bisbiglio.
Molly dà un’occhiata e rimane a bocca aperta. «Oh signore, abbi
misericordia… Dio, ti ringrazio.» «Eh?» Mi acciglio.
«Sono Elliot e Christopher Miles. Sono arrivati dall’Inghilterra. Questa
settimana deve esserci una riunione del consiglio di amministrazione o
qualcosa del genere.»
Sgrano gli occhi. «I fratelli di Jameson?»
Lei sorride con aria sognante, continuando a guardarli. «Esatto.» Getta
uno sguardo ad Aaron. Anche lui li sta fissando apertamente. «Io voglio
Elliot.»
«Bene, perché io voglio Christopher», bisbiglia lui a sua volta.
«Ti prego, puoi organizzarci un appuntamento con i fratelli?» mormora.
«Sì, e poi dobbiamo scambiarceli», aggiunge Aaron. «Perché li voglio
tutti e quattro. Non posso scegliere.»
«Riesci a immaginartelo?» dice Molly. «Il solo pensiero mi fa
arrossire.» Si sventaglia il viso con una cartellina, tenendo gli occhi
incollati sui fratelli Miles. «Immaginali tutti e quattro a letto insieme… a
fare a turno con il tuo corpo.»
Roteo gli occhi, disgustata. «Se lo chiedi a me, i fratelli Miles sono
sopravvalutati.»
Ma non è vero. Sto mentendo spudoratamente. Tutti mori, alti e
muscolosi… con le loro mascelle squadrate e i loro abiti firmati da playboy.
Tutto in loro quattro grida potere e fascino. Stronzi.
Oggi Jameson non è venuto a cercarmi. Non ho più avuto sue notizie, e
con ogni probabilità ora sarà al piano di sopra a pomiciare con Chloe sul
divano dell’ufficio.
Bleah. Ho chiuso con gli uomini. Come ho potuto essere tanto stupida?
Ore 16:30
«Oh mio Dio, hai visto la storia sul Gazette?» esclama Molly.
«No, quale storia?»
«Quella del Red Ribbon Killer. Stasera non mi sentirò sicura nemmeno
in metropolitana.»
Le lancio un’occhiata. «Cosa?»
«Sì, è una delle loro notizie principali di oggi. La stavo leggendo online
proprio ora.»
«Mi prendi in giro?» Clicco sul loro sito web per cercare l’articolo, e
ovviamente lo trovo, parola per parola… le mie parole.
Lo leggo, portandomi le mani alla bocca per l’orrore.
Oh mio Dio. È per questo che oggi sono tutti qui. Stanno cercando di
limitare i danni.
Fisso la notizia sul mio computer. È lì, nero su bianco, ma non riesco a
crederci davvero. Guardo le persone in ufficio, che si stanno comportando
con calma e professionalità. Chi sarà la talpa?
Ladro bastardo.
«Devo andare a parlare con una persona. Torno tra un minuto.»
Praticamente corro verso l’ascensore e salgo fino all’ultimo piano. Perché
Jameson non mi ha detto niente?
«Salve», dico, superando l’assistente.
«Scusa, Emily», mi chiama la donna. «Al momento non riceve visite.»
«Non importa.» Mi precipito verso l’ufficio di Jameson e busso alla sua
porta.
«Sì?» risponde lui con tono secco.
Apro e lo trovo seduto dietro alla sua grande scrivania. I suoi occhi blu
si alzano per incontrare i miei. «Che c’è?» mi chiede freddo.
Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «Ho visto l’articolo.»
«E?»
«Beh… perché non me lo hai detto? Era il mio articolo. Pensavo che mi
avresti almeno informata.»
«Signorina Foster», serra la mascella come se fossi un’enorme
seccatura, «non ho tempo per i tuoi giochetti infantili.»
«Che cosa significa?»
«Significa che sono molto impegnato.» Torna a scrivere al computer.
Lo fisso per un momento.
Cosa?
«Chiudi la porta quando esci, per favore.»
Che faccia tosta, quest’uomo. Viene a letto con me mentre si frequenta
con un’altra e poi ha l’audacia di trattarmi così. Qualcosa dentro di me si
spezza.
«Chi diavolo ti credi di essere?» «Ed
eccoci…» borbotta lui sottovoce.
«Cosa?» esclamo. «Ed eccoci? Fai sul serio?»
Jameson appoggia il mento su una mano e mi guarda di traverso.
«Che cos’è stata la scorsa notte? Eh?» grido. Dei campanelli d’allarme
iniziano a squillare nel mio cervello. Questa è la cosa peggiore che io possa
fare, ma ho perso ogni controllo. «Ti vedi con qualcun’altra?» farfuglio.
«Chi è Chloe, Jameson?»
Lui solleva le sopracciglia, poi si alza e si incammina verso la porta.
«Fuori.»
«Cosa?» sbotto incredula. «Mi stai cacciando?»
«Quello che sto facendo è comportarmi in maniera professionale. Ti
suggerisco di fare lo stesso.» Incombe su di me.
«Sai che c’è?» bisbiglio tra le lacrime di rabbia. «Puoi andare a
fanculo.»
Mi guarda con uno sguardo gelido negli occhi. «Non che siano affari
tuoi, ma Chloe è la mia massaggiatrice. Ieri notte avevo un appuntamento
con lei, ma non ero in casa. Quei messaggi sono arrivati ore dopo rispetto a
quando me li ha mandati.» Lo fisso con il cuore che mi martella nel petto.
«Non guardare mai più il mio cazzo di telefono», dice con tono sprezzante,
per poi darmi le spalle e tornare a sedersi alla sua scrivania.
Continuo a guardarlo con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Mi sento…
usata. «Credevo ci fosse qualcosa tra di noi.»
«Anche io.» Le sue iridi fredde incontrano le mie. «Ma questa mattina
tu hai rovinato tutto scappando come una bambina di due anni.» Si volta
verso il suo computer.
«Vai a letto con la tua massaggiatrice?»
Mi lancia un’occhiata. «Non sono affari tuoi. Ora vattene.»
Capitolo 9
Emily
M ,
infilarmi nella toilette delle signore. Entro di scatto in una cabina, mi siedo
e affondo il viso tra i palmi delle mani.
Sono pervasa dall’imbarazzo. Ho perso completamente il controllo e ho
fatto la figura della sciocca.
Stupida cretina che non sei altro.
I battiti del mio cuore mi rimbombano nel petto, e la rabbia rischia di
accecarmi. Mi tornano in mente le sue parole: “Ma questa mattina tu hai
rovinato tutto scappando come una bambina di due anni”.
Dio.
Lacrime furiose mi scivolano lungo il viso, e le asciugo non appena
appaiono.
Smettila di piangere, mocciosa.
Non sono nemmeno sconvolta… sono furente. Ora devo andarmene da
questo piano senza che nessuno mi veda.
Perché cazzo sto piangendo? Lo so il perché. Perché non ho dormito
abbastanza e merito di essere trattata meglio, ecco perché. Quel maledetto
stronzo. Chi diavolo pensa di essere?
Più a lungo rimango qui e peggio sarà. Mi lavo la faccia, mi asciugo gli
occhi e raddrizzo le spalle, preparandomi a oltrepassare la reception.
Sto bene, bene… assolutamente bene. Jameson Miles non ha nessun
potere su di me.
Apro la porta del bagno ed esco proprio nel momento in cui Tristan gira
l’angolo. Quando mi vede, la sua espressione si fa preoccupata. «Emily?»
Si acciglia. «Stai bene?»
«Sì, certo.» Lo supero in fretta.
«Ha avuto una brutta giornata!» mi grida lui dietro, e mi si riempiono di
nuovo gli occhi di lacrime. Sì, beh… anche io.
«Dove sei stata?» chiede Molly non appena ritorno alla scrivania.
«Sono andata a trovare Ricardo», mento.
«Quindi stasera dove vuoi andare?»
«Oh.» Sussulto. Non riesco a pensare a niente di peggio. «Mi dispiace,
ragazzi. Devo darvi buca. Ho bisogno di dormire.»
«Ma noi vogliamo sentire tutti i dettagli succosi.»
«Oh.» Mi sprofonda il cuore. Non voglio che sappiano che sono la più
grande sfigata del mondo. «Ieri sera non ci siamo visti. Si è tirato indietro.»
«Cosa?» Aaron si acciglia.
«Fa lo stesso, non mi importa.» Scrollo le spalle, facendo l’indifferente.
Adesso vorrei non avergli mai raccontato niente su di lui.
«Va bene, allora. Tanto devo risparmiare», sospira il mio collega,
chiudendo il computer.
«Tu vieni?» mi domanda Molly.
«Voglio finire questo.» Riaccendo il mio computer. L’ultima cosa che
voglio è dare a quel bastardo un motivo per licenziarmi. Concludo il mio
compito e finalmente, un’ora più tardi, spengo il computer e scendo al piano
terra.
Attraverso le porte d’ingresso e alzo lo sguardo, accorgendomi della
limousine nera parcheggiata vicino al marciapiede.
Merda.
Mi guardo intorno con fare nervoso. È lì dentro? Accidenti, non voglio
vederlo. Attraverso rapidamente la strada verso il rifugio sicuro del bar.
Ordino un drink e mi accomodo vicino alla vetrina.
Fantastico.
Mi passo una mano sul volto. Davvero, e adesso cosa dovrebbe
succedere? Questa è l’ultima cosa che mi serve.
«Ecco a lei.» Il cameriere sorride, lasciandomi davanti il mio tè
ghiacciato.
«Grazie.»
Osservo l’autista dall’altra parte della strada, appoggiato alla limousine,
e ripenso all’altra sera, quando ero in ginocchio e lui ha cercato di aprire la
portiera bloccata. Mi chiedo da quanto tempo lavori per Jameson e cosa
possa aver visto. Lo guardo rispondere al telefono, poi entrare in auto e
andarsene.
Eh?
Che Jameson fosse già in macchina? Perché l’autista se ne è andato?
Che strano…
Le porte del palazzo si aprono, ed esce un gruppo di uomini. Merda,
sono loro. Prendo il menù e mi copro il viso, sbirciando dall’altra parte
della strada attraverso il vetro.
Tristan, Elliot, Christopher, Jameson… e la ragazza bionda che era con
Tristan l’altra sera. È estremamente affascinante, e i suoi abiti da lavoro
sembrano usciti da un servizio fotografico di alta moda. I quattro uomini si
somigliano moltissimo. Elliot è quello più simile a Jameson, moro e con
penetranti occhi azzurri. Tristan e Christopher sono identici, con i loro
capelli mossi leggermente più chiari. Parlano mentre camminano. Jameson
dice qualcosa con un’espressione seria e tutti scoppiano a ridere.
Che cosa avrà detto?
Girano l’angolo. Elliot appoggia con affetto una mano sulla schiena di
Jameson mentre attraversano la strada, presi dalla loro conversazione.
Continuano lungo la via fino a entrare in un cocktail bar.
Mi stringo la base del naso e chiudo gli occhi, emettendo un lungo
sospiro triste.
Voglio solo che questa giornata finisca.
È sabato sera, e siamo in fila per entrare nello Sky Bar. Sono insieme ad Ava
e Renee, e questo è il nostro terzo club. È quasi mezzanotte. Non mi sono
mai divertita tanto. Abbiamo riso, ballato e provocato ogni stupido uomo di
New York.
«E comunque perché stiamo facendo la fila qui?» Metto il broncio.
«Che cosa c’era che non andava nell’ultimo posto?»
«Niente. Questo locale è migliore, ma non si anima prima delle undici.»
«Oh.» Faccio spallucce. Cielo, non so proprio niente della vita notturna
di New York. L’usciere toglie il cordone rosso che blocca la porta per
invitarci a entrare, e io rimango senza fiato.
Wow, questo locale è al cinquantesimo piano e ha un enorme balcone
affacciato sulle luci della città. C’è una pista da ballo e diversi cocktail bar,
e le ragazze avevano ragione: gli uomini sono di tutto un altro livello.
Abbasso lo sguardo sul mio corpo con un certo nervosismo. Spero di
andare bene. Ho lasciato sciolti i miei lunghi capelli scuri e indosso un abito
aderente color crema, con le maniche che mi arrivano ai polsi e una
scollatura vertiginosa. Non ho badato a spese e ho acquistato un vestito
nuovo per stasera, perché volevo essere carina.
Sta dando i suoi frutti: non ho mai ricevuto tante attenzioni maschili in
tutta la vita. Incredibile cosa possano fare un abitino aderente e un po’ di
scollatura per una ragazza.
Ordiniamo da bere e andiamo a cercare un posto in cui fermarci, mentre
io continuo a guardarmi intorno meravigliata. Non sono mai stata in un
locale tanto bello.
«Questo posto è incredibile.» Sorrido alle ragazze.
«Vero?» risponde Ava. «Gli uomini qui sono da sballo.»
«E schifosamente ricchi», aggiunge Renee.
«A chi importa dei soldi?» ribatto, sorseggiando il mio drink.
«A me», replicano loro due, all’unisono.
«Se devi stare con qualcuno, tanto vale che sia facoltoso, se lo chiedi a
me. Non ho intenzione di mettermi con un povero bastardo. Io sono povera,
e non c’è dubbio che gli opposti si attraggano», aggiunge Ava.
La ascolto e poi scoppio a ridere.
«Dunque, chi abbiamo qui stanotte?» continua lei, guardandosi attorno
nel club.
«Che cosa vuoi dire?» le chiedo, osservando i suoi occhi guizzare per la
sala.
«Questo è un importante luogo di ritrovo per le celebrità.»
«Davvero?» Sbatto le palpebre, dando uno sguardo al locale. «Io non so
nemmeno se riconoscerei qualcuno.»
Nel corso dell’ora seguente, balliamo e ridiamo, e Ava mi spiega nel
dettaglio chi è chi. A quanto pare, gli uomini sono tutti personalità notevoli.
Ma nessuno risveglia la mia fantasia.
Un tipo affascinante si fa strada in mezzo alla folla e mi appoggia le
mani sulle cosce. «Vuoi ballare?» mi chiede. È biondo e massiccio e sta
invadendo il mio spazio personale, ma con l’aspetto che si ritrova credo di
poterlo sopportare.
«Sì che vuole», farfuglia Ava, fissando il dio di fronte a noi.
Lui mi prende per mano e mi trascina sulla pista da ballo, mentre io
sgrano gli occhi e saluto le mie amiche con un gesto nervoso delle dita. Ava
mi lancia un bacio, ridacchiando per l’eccitazione.
«Come ti chiami?» mi chiede lo sconosciuto, stringendomi tra le
braccia.
Appoggio le mani sulle sue spalle e alzo lo sguardo su di lui. «Emily. E
tu?»
«Rocco.»
Sorrido. Che nome strano. Dio, sono già brilla. Devo smetterla di bere.
«È la tua prima volta qui?» domanda, come se conoscesse già la
risposta.
«Come fai a saperlo?»
«Ti avrei notata, se fossi già stata qui.»
Gli rivolgo un sorriso timido.
Le sue mani scendono fino al mio fondoschiena, e io gliele sposto sulla
mia vita. «Sei molto audace, Rocco.»
«So cosa voglio quando lo vedo.» Mi illumino mentre lui si china e mi
avvicina le labbra all’orecchio. «E io voglio te», sussurra.
Capitolo 10
Jameson
Emily
Emily
C ,
Nutella di cui è coperto mentre fisso la televisione. Sono le quattro del
pomeriggio, sono ancora in pigiama e ho passato una giornata tremenda.
Dopo essermi risvegliata in un sogno, sdraiata accanto all’uomo più
affascinante del pianeta, quello stronzo dell’amministratore delegato
Jameson Miles ha deciso di fare la sua comparsa e di rovinare tutto.
A essere sincera, una parte di me si sta pentendo di non essere andata a
casa sua per fare colazione, ma l’altra parte è felice di non averlo fatto,
perché altrimenti non avrei mai saputo di Chloe, la sua massaggiatrice.
Scopano.
Detesto quanto mi dia fastidio. Odio ritrovarmi sempre più legata a lui
quando è chiaro che Jameson non prova lo stesso per me.
Infilo di nuovo il cucchiaio nel barattolo di Nutella. Il cioccolato mi si
scioglie sulla lingua, offrendomi una temporanea distrazione. Guardo
intorpidita la televisione, c’è un film horror. Il mio genere preferito, le
commedie romantiche, è stato eliminato dal repertorio. Ripenso al mio
primo incontro con Jameson, quando mi ha detto che trova non realistiche
le commedie romantiche.
Forse aveva ragione. È possibile che sia solo una stupida illusa?
Lui prova qualcosa per Chloe? A chi importa? È uno stronzo.
Devo piantarla. Devo smetterla di pensare a lui. È un playboy egoista
che va a letto con chiunque, ogni volta che lo vuole. Mi guardo intorno nel
mio squallido appartamentino e vengo colta dalla tristezza. Se gli piacessi,
non gli importerebbe dove stiamo, vorrebbe solo passare del tempo con me.
Invece non vedeva l’ora di andarsene.
Torno con la mente al nostro litigio di questa mattina.
“Nessuno mi ha mai trattato come mi tratti tu, Emily!”
“Perché li paghi! Sei fortunato perché hai un mucchio di soldi, Jameson.
Ti servono. Nessuno sopporterebbe gratis le tue cazzate.”
“Questo è un colpo basso.”
Ho esagerato? È stato davvero un colpo basso? Forse, ma che cosa si
aspettava? Non posso credere che nessuno lo abbia mai trattato come l’ho
trattato io. Se si comporta sempre così con le donne, come fanno a
sopportarlo? Nessuno è tanto stupido… non è vero?
“Non sono interessato ad avere una relazione.”
Sferro un pugno al cuscino che ho in grembo, presa dal disgusto.
Nessun’altra frase mi ha mai fatta sentire tanto miserabile, come se non
valessi niente.
Mi siedo dentro al bar, sulla panca accanto alla vetrina, e fisso la limousine
in attesa davanti alla Miles Media, dall’altra parte della strada. È stata una
lunga settimana, e oggi è stato un giorno particolarmente monotono.
È giovedì, il giorno del massaggio.
Ho una visione di Jameson tutto unto di olio su un lettino mentre
un’altra donna muove le mani sul suo corpo. Mi si stringe lo stomaco,
mentre me lo immagino con fin troppa chiarezza. La mente mi gioca brutti
scherzi e mi mostra il peggior scenario pornografico della storia.
Jim… che viene toccato da un’altra donna.
È vestita mentre lo massaggia? Parlano? Ridono come facciamo noi?
Devo smetterla, è troppo doloroso. Sto desiderando un uomo che
nemmeno esiste.
L’autista apre la porta d’ingresso del palazzo, e io guardo Jameson
Miles uscire come al rallentatore, nel suo completo blu, con la postura
perfetta, i capelli scuri che gli scivolano sulla fronte… circondato da
un’aura quasi palpabile di potere.
Tutti si bloccano e lo ammirano mentre entra nel retro della limousine.
L’autista chiude la porta, poi l’auto esce lentamente dal parcheggio e
svanisce in fondo alla strada.
Osservo il toast al prosciutto e formaggio di fronte a me, la mia cena. Lo
sconforto mi assale. Ho appena perso l’appetito.
È venerdì pomeriggio e sono le tre. Sto fissando la storia falsa davanti a me.
Ah… che barzelletta. Mi sono trasferita a New York per inventare notizie
fasulle per un imbecille, la sua società mediatica imbecille… e quegli
imbecilli dei suoi fratelli.
Batto con forza sui tasti del mio computer. Imbecilli, imbecilli…
maledetti imbecilli.
Alla faccia di tutti i miei anni di studio all’università. I miei genitori
devono essere proprio orgogliosi. Quando mi è stato offerto questo incarico,
ho creduto che sarebbe stato emozionante, oltre che un’occasione per
dimostrare il mio valore. Ma forse mi sono sbagliata.
«Laggiù in fondo», sento dire a qualcuno. Alzo lo sguardo e vedo un
uomo con una grande busta di carta marrone in mano.
«Uber Eats per Emily Foster.»
«Cosa?» Mi guardo intorno, imbarazzata. «Ma io non ho ordinato
niente.»
Il fattorino legge il biglietto. «Qui c’è scritto che…» Si interrompe,
leggendo e accigliandosi come se fosse confuso. «C’è scritto che questa
consegna Uber Eats è controllata e sicura per il consumo umano.» Gli
lancio un’occhiata e accetto la busta.
L’uomo socchiude gli occhi, continuando a leggere la distinta. «Non ha
alcun senso.»
«Che cosa?»
«Qui dice: Zucchero per addolcirti.»
Apro la busta e trovo un’enorme cheesecake al frutto della passione.
Alzo gli occhi verso la telecamera e faccio un sorrisetto. Mi prende in giro?
«Chi l’ha mandata?» domando.
«Sembra che il mittente sia un tale Signor Brav’uomo.»
Lo fisso senza battere ciglio. «Signor Brav’uomo?»
«Già. Strano, eh?»
«Grazie.» Faccio del mio meglio per non sorridere. So che mi sta
guardando.
Molly e Aaron sbirciano dentro la busta. «Bingo», strilla il mio collega.
«Prendo dei piatti.» E corre verso la nostra cucina dello staff.
«Grazie, oh Signore, per la cheesecake», esclama Molly, eccitata.
Okay… ha fatto la prima mossa. Ora come rispondo?
Tiro fuori il cellulare e gli mando un messaggio.
I : Caro Signor Brav’uomo, grazie. Anche se vorrei assicurarti che sono già
abbastanza dolce.
Premo Invio e aspetto. Arriva subito una risposta.
I : Credo che domenica mattina ci siamo detti entrambi tutto ciò che c’era
da dirsi.
Fisso il messaggio ma non rispondo. Una proposta? Che c’è, vuole che sia
la sua nuova massaggiatrice? Mi sento ribollire di rabbia al solo pensiero di
quella donna che lo tocca.
Dieci minuti dopo, arriva un altro messaggio.
Rimango in attesa.
«Ecco a te», dice Aaron, passandomi un piatto con la fetta di cheesecake più
grande che abbia mai visto. Porge a Molly la sua e poi si accomoda con la
propria.
«È assolutamente deliziosa», borbotta la nostra collega con la bocca
piena.
Aaron geme in segno di apprezzamento. «Oh, cazzo, sto avendo un
orgasmo da cibo.»
Prendo un boccone, concentrandomi con tutte le mie forze per non
sorridere troppo, giusto nel caso mi stesse guardando. Bella mossa, signor
Miles… bella mossa.
A volte te lo senti dentro che non dovresti fare una certa cosa. Il risultato è
già scritto nelle stelle, e sarebbe meglio essere forte e dire di no. Ma se
proprio non ce la fai?
Questa sera non riesco a impedirmi di uscire con lui. La masochista
dentro di me vuole vederlo. La stessa masochista vuole che mi prenda, mi
spinga sul suo letto lussuoso e mi scopi fino a farmi dimenticare il mio
nome. È stata una settimana lunga e solitaria. Ma devo resistere. Se adesso
cedo, gli ultimi giorni saranno stati per niente. E sono ancora convinta di
ciò che ho detto domenica. Sono troppo per lui per com’è al momento. Non
voglio condividerlo con altre donne, e per me i soldi non hanno alcuna
importanza. Deve decidersi a venirmi incontro oppure a lasciarmi perdere.
Suona il campanello, e il mio stomaco si stringe in una morsa. Lui è qui.
«Chi è?»
«Uber Eats.» Sento la sua voce vellutata.
Faccio un ampio sorriso. «Che cos’ha per me?»
«Salsiccia italiana.»
«Mmh», lo stuzzico. «Ha per caso intenzione di drogare la salsiccia e di
approfittare del mio corpo non appena cadrò svenuta?»
«Indubbiamente.»
Divertita, premo il pulsante per farlo salire, poi inizio a camminare
avanti e indietro nell’appartamento, gesticolando senza controllo per il
nervosismo che si sta impossessando di me.
Rimani calma… rimani calma… rimani calma.
Toc, toc.
Apro rapidamente la porta, ed eccolo lì, in maglietta grigia e jeans
neri… con i suoi ardenti occhi blu. Un pigro sorriso sexy gli attraversa il
viso.
«Ciao.»
«Ciao», bisbiglio, fissando il magnifico esemplare di uomo che mi sta di
fronte. Vorrei gettarmi tra le sue braccia. L’attrazione che provo per lui è
incredibile.
Si china e mi bacia una guancia, superandomi per entrare nel mio
appartamento.
«Sei pronta?» mi chiede.
«Prontissima.» Prendo la borsa e lo scialle.
Jameson abbassa lo sguardo lungo il mio corpo fasciato da un abitino
nero. «Sei incantevole.» «Grazie», mormoro.
«Andiamo.» Mi porge il braccio, e io lo afferro.
Entriamo in ascensore avvolti da un silenzio imbarazzante. Lui è
pensieroso e io sono nervosa da morire. Interpretare la donna calma,
tranquilla e composta è terrificante, e ricordo a me stessa che questa sera
non devo bere troppo.
Usciamo dal mio palazzo, la sua limousine è parcheggiata davanti al
marciapiede. Apre la portiera e io salgo. Vengo assalita dai ricordi della
prima volta in cui sono stata su questi sedili posteriori, e la parola
“puttanella” mi aleggia nella mente.
Scivolo da una parte e lui entra accanto a me, poi mi prende una mano
per stringerla e appoggiarsela in grembo. Okay… è affettuoso. Che cosa
significa?
Non so cosa dire, né come reagire, dato che sto interpretando la parte
della difficile, ma il calore del suo tocco è così confortante che glielo lascio
fare. La limousine attraversa la città, e io guardo fuori dal finestrino mentre
un milione di pensieri mi passa per la mente. Questa notte è importante:
dobbiamo raggiungere un accordo o fare in modo di limitare il più possibile
i danni. Non possiamo continuare a litigare per un nonnulla come abbiamo
fatto finora.
L’auto si ferma e l’autista apre la portiera. Esco e Jameson mi prende
per mano per guidarmi dentro un ristorante elegante, il Lucino’s.
«Prenotazione per Miles», dice, stringendomi forte le dita tra le sue.
«Da questa parte, signore.»
Con un sorriso, il cameriere ci fa strada attraverso il locale, portandoci
fino a un tavolino accogliente in un angolo. Sposta indietro la mia sedia, e
io mi accomodo. Jameson si siede di fronte a me. Il ristorante è buio, con
candele sui tavoli e lucine appese al soffitto. C’è un’atmosfera molto
romantica.
Non ti emozionare. Probabilmente è solo un caso.
«Posso portarvi qualcosa da bere?» ci chiede il cameriere.
«Sì, prendiamo una bottiglia di champagne Salon, per favore.» Chiude il
menù e glielo porge.
Io lo fisso.
Ecco che ci risiamo.
L’uomo sparisce, e Jameson mi guarda con i suoi grandi occhi blu. Mi
stringe di nuovo la mano attraverso il tavolo. «Ehi», sorride con dolcezza,
come se finalmente si stesse rilassando.
Lascio perdere la discussione sul vino. Non ha importanza chi lo abbia
ordinato. «Ciao», gli rispondo a mia volta.
Mi accarezza le nocche con il pollice e mi fissa negli occhi. «Come
stai?»
«Bene.»
Oh, il suo tocco mi rende debole. Vorrei confessargli che sto mentendo,
che ho passato una settimana pessima e che lui è il re di tutti gli imbecilli.
Ci guardiamo attraverso il tavolo. È come se nessuno dei due volesse
parlare, per evitare di far scoppiare una guerra aperta.
«Qual è questa proposta, Jameson?» Lui si appoggia allo schienale,
apparentemente seccato dal mio tono. Gli stringo la mano. «Non sto
cercando di litigare. Voglio solo sapere a cosa stai pensando», dico piano.
«Smettila di stare sulla difensiva quando sei con me.»
Si rilassa appena, ma, proprio in quel momento, il cameriere torna con
la bottiglia di champagne e la apre. Ne versa un po’ in un flûte e Jameson lo
assaggia.
«Va bene.»
Allora l’uomo riempie i nostri bicchieri e ci lascia da soli.
«Ho pensato a quello che hai detto lo scorso weekend.»
«E?»
Sorseggia il suo drink. «Questa settimana ho cancellato i miei
massaggi.»
Faccio un sorrisetto, guardandolo negli occhi, ma rimango in silenzio.
«Il fatto è che io…» Si interrompe. Aspetto che parli e, quando non lo
fa, gli stringo la mano in un gesto rassicurante. «Sono sposato con il mio
lavoro, Em.» Mi acciglio. «Quando ho detto di non essere interessato a una
relazione, non intendevo…» Scrolla le spalle, come se gli mancassero le
parole.
«Che cosa non intendevi?»
«Non intendevo che non voglio frequentarti. Volevo dire che sono uno
stacanovista, e so che pochissime donne sopporterebbero il tempo che
dedico al lavoro.»
«Jameson, a me non importa quanto sei impegnato. È solo che non
voglio essere una delle tante.»
Lui aggrotta le sopracciglia. «Cosa vorrebbe dire?»
«Che non sono fatta per le avventure di una notte. Non sono così. Ma
neanche io sto cercando una relazione seria e profonda. Mi hai fraintesa.»
«E allora che cosa vuoi?»
«Voglio avere un rapporto di amicizia con un uomo e sapere che sono
l’unica persona con cui va a letto.» Mi ascolta. «E di certo non voglio
condividerti con una massaggiatrice del cazzo.» Rotea gli occhi. «E non
voglio neanche che tu faccia quelle smorfie quando parlo.»
Lui serra i denti, irritato. «Modera il tono», mi avverte.
«Lo vedi?» gli dico.
«Cosa?»
«Questo atteggiamento ostile. Quando siamo tra di noi, deve sparire.
Non possiamo continuare a discutere per ogni minuscola cosa come
facciamo ora.»
«Tu non sei migliore di me, da questo punto di vista», sbotta lui a sua
volta.
«Lo so, e sto cercando di smetterla. Proprio adesso ho tenuto a freno la
lingua, nonostante tu abbia ordinato da bere senza chiedermi cosa volessi.»
«Sono abituato ad avere il controllo, Emily», dichiara con tono secco.
«Anche io. Questo non cambierà.» Mi guarda negli occhi e si sistema il
tovagliolo in grembo come se stesse riflettendo. «Non ti sto chiedendo di
essere il mio fidanzato, Jameson», bisbiglio. «Non è di questo che si tratta.
Abbiamo un’ottima intesa sessuale, e io vorrei continuare questa cosa.
Sento di doverlo fare… ma non posso, non se so che vai anche con altre
donne. Devo essere l’unica.»
«Va bene, non andrò a letto con nessun’altra», dichiara esasperato.
«E?» insisto.
Alza gli occhi al cielo. «E ti puoi ordinare da sola i tuoi drink.»
Capitolo 12
Emily
R . «Q ,J .»
«Allora di cosa, per l’amor del cielo? Parla chiaramente.»
«Voglio che tu smetta di stare tanto sulla difensiva quando sei con me.»
«Non lo faccio.»
«Invece sì», mormoro, stringendogli la mano nella mia.
«Allora lo fai anche tu.»
«È così, ma lo faccio perché sento che, altrimenti, mi metteresti i piedi
in testa.»
Aggrotta la fronte. «Non lo farei mai.»
«Non di proposito.»
Serra i denti, e io capisco di avere ragione.
«Voglio solo l’uomo che ho conosciuto in aereo. Quello che si lasciava
andare.»
Sostiene il mio sguardo. «Em, io non so come continuare a essere quella
persona. È una parte molto piccola della mia personalità.» «Allora
risparmia quella parte solo per me», sussurro.
Mi guarda mentre sorseggia il drink, e il suo volto viene attraversato da
un sorriso tenero. «E cosa aveva di così bello il tizio dell’aereo?»
«Mi faceva ridere.» Incurvo le labbra, ripensando a quella giornata. «E
mi ha fatto fare il sesso migliore della mia vita.»
«Di tutta la tua vita?»
«Di tutta la mia vita.»
Si illumina, soddisfatto di sé.
«Quindi siamo d’accordo?» gli domando.
«Fammi capire bene, vuoi avere una relazione di amicizia con benefici,
ma limitata solo a noi due?»
«Sì.»
«Che succede quando sono al lavoro o devo andare via, e tu sei in giro
e…» Si interrompe.
«Allora ti chiamerò e ti dirò che ho bisogno di te.» Incrocia il mio
sguardo. «E tu mi aiuterai parlandomi al telefono, oppure aspetterò il tuo
ritorno a casa.»
Mi ascolta, strofinandosi il pollice sul labbro inferiore, come se fosse
affascinato dalle mie parole.
«Non voglio fare sesso con nessun altro, Jameson. Non sono quel tipo di
ragazza. Tu sei l’unica avventura di una notte che mi sia mai concessa.» Mi
stringe le dita, compiaciuto da quella risposta. «Ho fatto sesso con quattro
persone in tutta la mia vita, e tu sei uno di questi.» Jameson appoggia il
mento sul palmo della mano, sorridendomi con aria sognante.
«Che c’è?»
«Sai quanto spesso penso di scoparti?»
Ridacchio, sorpresa da quella dichiarazione. «Quanto spesso?»
«Di continuo. Come se fossi un diciottenne innamorato.»
«Non si direbbe.»
«Perché?»
«Per tutta la settimana ti sei comportato come se mi odiassi. Sai essere
così freddo quando vuoi…»
Si raddrizza sulla sedia, irrigidendo la schiena. «Non mi piace essere
sfidato per il solo gusto di farlo, Emily. La settimana scorsa mi hai attaccato
soltanto per dimostrare qualcosa. Mi hai fatto arrabbiare.»
«No. La settimana scorsa ti ho attaccato perché volevo trascorrere la
giornata nel mio appartamento, e tu hai dato per scontato che casa tua fosse
migliore della mia. I tuoi soldi non mi fanno alcuna impressione, Jameson.
Non mi interessa il tuo appartamento di lusso. Il mio è altrettanto comodo.»
Alza gli occhi al cielo. «Ora dobbiamo litigare sul perché abbiamo
litigato?»
Sorrido. Ha ragione, è ridicolo. «No. Basta litigi.» Sollevo la sua mano
e me la appoggio su una guancia. «Ceneremo, poi torneremo a casa tua e io
ti cavalcherò, proprio come piace a te», bisbiglio.
Lui inala bruscamente e i suoi occhi si accendono di smania. «Mi ecciti
da morire.»
Mi infilo il suo pollice in bocca e lo succhio con lentezza, senza
distogliere lo sguardo dal suo. «Sono la tua coniglietta del sesso personale,
signor Miles, e, in quanto tale, prendo il mio lavoro in modo molto serio»,
sussurro con la voce roca. «Ogni tuo desiderio è un ordine.»
Jameson mi fa un pigro sorriso sexy. «Ora sì che ragioniamo.»
Sento una mano che mi accarezza il sedere per poi darmi una pacca su una
natica. «Andiamo.»
Faccio una smorfia e mi giro verso Jameson. «Cosa?»
«Alzati, su.»
«Eh?» Mi stiracchio e apro gli occhi. Le tende sono aperte e il sole filtra
nella stanza dalle enormi vetrate. Mi guardo intorno, ancora mezza
addormentata. «Che ore sono?»
«Sono le otto. Alzati. Andiamo a fare una corsa a Central Park.»
«Chi ci va?» Mi acciglio. Jameson è avvolto in un asciugamano e
sembra appena uscito dalla doccia.
«Tu ed io.»
Mi gratto la testa, confusa. «Ti sei fatto una doccia per andare a
correre?»
«Odoravo di sesso.» Fa un sorrisetto, chinandosi per baciarmi sulle
labbra. Lo stringo tra le braccia e lo trattengo, ma lui si libera dalla mia
presa. «Andiamo.»
«Ma qui non ho niente. Che scarpe dovrei mettere?»
«Che numero porti?»
«Trentotto e mezzo.»
«Mmh.» Si appoggia le mani sui fianchi e riflette. «Beh, puoi mettere
un paio delle mie.»
«Inciamperò e mi spezzerò l’osso del collo, Jameson.»
«Mmh, okay.» Sparisce nella cabina armadio ed emerge in un paio di
pantaloncini neri della Nike e una maglietta blu della stessa marca.
Lo guardo sorridendo.
«Che c’è?»
«Oggi sei sponsorizzato dalla Nike?»
Lui abbassa lo sguardo su di sé, divertito. «No, sono solo vestiti
comodi.»
«Come questo letto.» Incurvo le labbra, assonnata, rinfilandomi sotto le
coperte. Jameson si siede per mettersi le scarpe, e io lo guardo per un
momento. «Quindi come funziona?» gli domando.
«Come funziona cosa?»
«Beh…» Mi fermo, cercando di spiegare quello che voglio dire senza
sembrare appiccicosa. «Non ho mai avuto una relazione occasionale.»
Scrollo le spalle in modo timido. «Come ci comportiamo? Quando ci
vediamo?»
«Dunque…» Si china per allacciarsi una scarpa. «Suppongo che
possiamo improvvisare.»
Mi acciglio. E se non mi chiamasse? Passerei tutta la settimana ad
aspettarlo. Oh, non mi piace. «Credo che preferirei stabilire dei giorni.»
Lui aggrotta la fronte. «Quanti giorni?»
Scrollo le spalle. Diamine, sono sembrata insistente? Devo
sdrammatizzare. «Uno alla settimana.»
«Voglio vederti più di un giorno alla settimana», sbuffa lui.
«Davvero?»
Sogghigna, capendo subito cosa sto facendo. Si rialza e poi si china per
baciarmi. «Sì, tre volte alla settimana.»
Cerco di nascondere il sorriso. «Quando?»
«Dobbiamo avere dei giorni prestabiliti?»
«Io lo vorrei.»
«Perché?»
Faccio spallucce, torcendo il lenzuolo tra le dita, imbarazzata dal mio
atteggiamento. Devo sembrargli proprio una sciocca piuttosto pedante.
Jameson mi appoggia le dita sotto il mento per sollevare il mio volto
verso il suo. «Perché, Emily?»
«Perché detesto aspettare a vuoto, e così sapremo entrambi che non
dobbiamo organizzare nient’altro durante i nostri giorni.»
«Okay.» Si appoggia le mani sui fianchi. «Quando vuoi vedermi?»
«Magari due volte durante la settimana e una nel weekend?» Esito,
cercando di interpretare i segnali che mi sta lanciando. «Ma solo per
qualche ora alla volta, ovviamente.» «No.»
Merda. Sto facendo delle richieste eccessive.
«Due notti intere durante la settimana e una notte intera e mezza
giornata nel weekend.»
Sorrido. «Mezza giornata.»
«Sì, a partire da oggi. Voglio la mia mezza giornata questa mattina.»
«Oggi? Perché oggi?»
«Ho intenzione di andare a fare una corsa mentre tu ti rimetti a dormire.
Poi tornerò a casa, ci faremo una doccia e ti preparerò la colazione.»
Incurvo le labbra in un sorriso dolce. Mi sembra perfetto. «Poi torneremo a
letto e ti scoperò di nuovo fino a farti perdere i sensi, così riuscirò a
resistere qualche giorno senza di te.» Mi appoggia una mano sul viso.
«Okay?»
È davvero fantastico quando fa il carino. Annuisco, cercando di
impedirmi di sorridere come una stupida.
Tira le tende, mi fa stendere e mi rimbocca le coperte, baciandomi con
tenerezza su una tempia. «Torna a letto, dolcezza», sussurra.
Chiudo gli occhi sorridendo contro il cuscino, e lo sento lasciare
l’appartamento. Mi giro sulla schiena e alzo lo sguardo sull’elaborato
soffitto.
Quest’uomo è un dio.
Dormicchio per la mezz’ora successiva e mi sveglio quando Jameson
rientra in camera da letto. È madido di sudore e sta ansimando. Mi puntello
sui gomiti per guardarlo.
«Fino a dove hai corso, in Antartide?» Lui ridacchia e scuote la testa,
ancora senza fiato. «Mi dai l’idea di essere uno che corre proprio veloce,
non è vero?»
Annuisce, appoggiandosi le mani sui fianchi. «Più forte corro e migliori
sono gli effetti.»
«Gli effetti su cosa?» Mi acciglio.
«Sul mio livello di stress.» Sparisce in bagno e apre la doccia.
Oh, questa è una novità. Ha problemi a gestire lo stress? Beh, immagino
abbia senso. Dopotutto ha un enorme carico di lavoro sulle spalle.
«Vieni anche tu?» mi chiama.
«Sì», rispondo, raggiungendolo con calma.
È sotto la doccia, l’acqua gli scorre sulla testa. Il suo respiro sta
tornando normale. Entro, e lui mi stringe tra le braccia, baciandomi
dolcemente.
«Buongiorno», mormoro.
«Buongiorno a te, mia Em.» Mi sfiora le labbra con le sue.
Io gli faccio un sorriso sciocco.
«Che c’è?»
«Mi piace quando mi chiami così.»
«Davvero?» Ne sembra felice.
«La tua principessa Em.» Batto le ciglia per dimostrare cosa intendo.
Jameson ridacchia, poi prende il sapone e inizia a lavarmi. «Non ho
alcun dubbio che sotto quell’atteggiamento aggressivo la signorina Foster
sia dolce e pura.»
«Non sono mai stata aggressiva, neanche una volta», esclamo.
Lui mi sorride, infilandomi una ciocca di capelli dietro a un orecchio.
«E guarda quanto sei bella.»
Faccio una risatina e mi appoggio al suo petto. Mi lava la schiena, le
spalle, i seni e poi scende lungo le mie gambe. Lo osservo concentrarsi sul
suo compito. Poi passa al mio sesso e, quando mi tocca lì, alza lo sguardo
su di me.
Ci stiamo fissando, ma non sembra qualcosa di davvero erotico o
sensuale. È solo intimo.
Lo guardo nei suoi grandi occhi blu, e giuro che questo non è lo stesso
uomo che gestisce la Miles Media. Quello che adesso è qui con me è dolce e
tenero. Tutto ciò che Jameson Miles non è.
«Lascia che ti lavi.»
Prendo il sapone e mi strofino le mani per poi passargliele sull’ampio
petto, sulle spalle muscolose e sui bicipiti. Dopodiché passo agli addominali
in rilievo e all’inguine. Mentre lo insapono proprio lì, sento una sensazione
di calore irradiarsi dentro di me. Lui si china e mi bacia su una tempia,
come se fosse consapevole che mi sto trattenendo dal saltargli addosso.
Dobbiamo smetterla di fare sesso di continuo, sta diventando una cosa
ridicola.
L’attrazione sessuale tra di noi è così forte che nessuno dei due riesce
mai ad averne abbastanza dell’altro.
«Mi hai trasformata in una vera maniaca sessuale», bisbiglio.
Mi sorride, posando le labbra sulle mie. «A giudicare dalla nostra ultima
notte insieme, temo che tu soffrissi già di questo disturbo prima di
conoscermi.»
«Non mi sono mai comportata così prima.»
«Così come?»
«Tu mi fai sentire delle cose che non ho mai provato per nessun altro
uomo.» Lo scruto negli occhi. «Sei diverso da chiunque altro io abbia
frequentato in passato.»
L’acqua cade su di noi, e io mi rendo conto che non so perché gli ho
appena detto una cosa simile. Mi accorgo che mi sto affezionando a lui e
non so come smettere di confessargli i miei segreti. Finirò per rovinare
tutto.
Piantala di parlare, stupida.
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Insinua la lingua nella mia
bocca socchiusa per concedermi un bacio profondo, erotico, dolce e,
maledizione… così dannatamente perfetto che quasi non riesco a
sopportarlo.
«Ti riporto a letto», mormora con la voce roca per il desiderio.
«Ti prego», gemo.
Usciamo, e lui ci asciuga entrambi prima di guidarmi di nuovo tra le
lenzuola, farmi sdraiare e aprirmi le gambe. Lo guardo infilarsi un
preservativo e stendersi su di me. Ci fissiamo a vicenda mentre lui si solleva
sui gomiti e si fa strada tra le mie cosce. Gli afferro il sedere, ma Jameson
mi impedisce di attirarlo dentro di me.
«Voglio farlo lentamente», ansima.
Oh Dio, il mio stomaco viene stretto in una morsa per l’eccitazione. «Ti
desidero.»
Cattura le mie labbra con le sue, e il nostro bacio si fa frenetico mentre
affonda piano dentro di me. Inarco la schiena sul letto per il piacere di
sentirlo centimetro dopo centimetro. Gemo, e lui rotea gli occhi per il
piacere.
Per venti minuti, ci godiamo con calma i nostri corpi. Jameson è gentile
e affettuoso anche quando sprofonda del tutto dentro di me. Muove le
labbra sulle mie clavicole e sul mio collo, per poi spostarle dalla mascella
alla mia bocca.
«Cazzo, Emily», bisbiglia. «Mi stravolgi, piccola.»
Se potessi rispondergli, lo farei, ma sono troppo presa dalla sensazione
paradisiaca del sesso. Farsi scopare con forza da Jameson Miles è sexy da
morire, ma fare dolcemente l’amore con lui è qualcosa di sconvolgente.
Non sarò mai più la stessa.
Dove diavolo può andare una ragazza dopo aver fatto un sesso così?
Continua a muoversi dentro di me, e io inizio a tremare, ma lui, invece
di spingere con più forza come fa di solito, si blocca.
«Prendilo», sussurra.
«Cosa?»
«Rimani ferma e prendi quello che ti do. Voglio che tu venga
stringendomi dentro di te.»
Lo guardo negli occhi. Porca puttana. Non ce la faccio, quest’uomo è
troppo sensuale.
«Scopami», bisbiglia. «Non muovere un muscolo, tranne che questi.»
Flette il suo membro, e io lo sento in profondità. «Voglio che mi mostri…
quello che senti, solo a me.» «Oh Dio», gemo.
«Fallo», mi ordina.
Serro i muscoli e lui fa un sorriso cupo. «Più forte.»
Lo faccio di nuovo, e Jameson piega le labbra in un sorriso eccitato.
«Così, piccola.» Chiude gli occhi in preda all’estasi. «Stringimi, fammi
vedere a chi appartengo.»
Quando lo sento dire che il suo cazzo appartiene a me, qualcosa dentro
di me si spezza. Sollevo le gambe e gliele avvolgo attorno alla vita,
iniziando a contrarre ritmicamente i muscoli. Lui ansima in segno di
approvazione.
«È così… bello», sussurro, mentre ci fissiamo a vicenda. «Così…
dannatamente bello…»
Al mondo esterno potremmo sembrare immobili, stretti in un abbraccio,
ma dentro di me ogni muro che io abbia mai eretto sta andando in mille
pezzi, una contrazione alla volta.
Jameson inizia a gemere, ed è così piacevole che non riesco a
trattenermi. Serro i muscoli più forte che posso, ed entrambi gridiamo,
attraversati dall’orgasmo. Poi mi bacia, in modo dolce e tenero, e io sento la
potenza di ciò che c’è tra di noi. Lo tengo stretto a me, guancia a guancia,
aggrappandomi a lui come se ne andasse della mia vita.
«Cazzo, Emily, sei perfetta», sussurra.
Gli passo le dita sulla mascella ruvida. «Sei tu che sei perfetto.» Lo
bacio piano. «Dovresti smetterla subito.» «E perché?» Mi sorride.
«Credo di essere assuefatta.»
Lui ridacchia, girandosi sulla schiena e attirandomi su di sé. «No, ti
voglio così.»
Scoppio a ridere. «Perché mi vorresti assuefatta?»
«Perché lo sono anche io, e non voglio trovarmi da solo in questa
situazione.» Mi guarda dritto negli occhi, e io sento il cuore palpitarmi nel
petto.
«Non sei da solo, Jay.»
«Bene.» Mi bacia una tempia e sembra rilassarsi.
Rimaniamo aggrovigliati in quel modo, e lui si riaddormenta dopo poco,
mentre la mia mente parte in quarta. Provo qualcosa per lui, so che è così.
In soli due giorni, ho maturato dei sentimenti nei suoi confronti. Come
andrà a finire?
Sono completamente fregata.
Un’ora più tardi, vengo svegliata dall’odore del bacon che cuoce, e sorrido
guardando verso il soffitto. Non so che universo alternativo sia questo, ma
mi piace. Mi infilo una vestaglia che trovo appesa in bagno ed esco per
andare in soggiorno. Giro l’angolo, ritrovandomi di fronte a una vetrata con
vista su New York e Central Park. Il lusso e l’esagerata opulenza di questo
appartamento mi colpiscono allo stomaco, e mi blocco sul posto. Non riesco
a capacitarmi che tutto questo sia suo.
Che tutti questi soldi siano suoi.
Il mio sguardo vaga sugli splendidi pavimenti, sui magnifici tappeti e
sull’arredamento, poi sul caminetto e sull’enorme specchio dalla cornice
dorata appeso al di sopra di esso. Non ho mai visto un appartamento come
questo neanche in una rivista di arredamento, figurarsi se ci sono mai
entrata. Mi sento terribilmente fuori luogo.
«Ehi, eccoti qui.» Il volto di Jameson si illumina appena gira l’angolo e
mi vede. Gli rivolgo un sorrisetto sghembo, e lui si acciglia, osservando il
mio viso. «Che c’è che non va?»
Mi torco nervosamente le dita. «Il tuo appartamento mi sconvolge.»
«Perché?»
Scrollo le spalle, imbarazzata da quelli che sono i miei miseri standard.
«È troppo elegante. Ho l’impressione che questo non sia il posto adatto a
me.»
Mi prende tra le braccia. «Che cosa vuoi dire?» Faccio spallucce. «È per
questo che non volevi venire qui lo scorso weekend?»
Annuisco. «Sì.»
«Mi spieghi il motivo?»
«Quando sono qui, mi torna in mente quanto poco abbiamo in comune.»
«E questo ti dà fastidio?»
Gli rivolgo un timido cenno di assenso.
Jameson aggrotta la fronte, come se stesse cercando di capire. «Sei la
prima donna che abbia mai avuto un problema con i miei soldi.» «Mi fa
passare la voglia.» «Cosa?» farfuglia.
«In effetti, preferirei se fossi povero.» Sorrido, consapevole di quanto
suoni ridicolo.
Lui ridacchia. «Beh, questo lo vorresti solo tu.»
Mi guida in cucina, dove trovo una colazione a base di bacon e uova
sopra a una fetta di pane casereccio, con un contorno di avocado.
«Buono», commento con tono allegro, sedendomi.
«Devi sapere che sono molto bravo a preparare la colazione.» Si
accomoda di fianco a me, ha un’aria piuttosto compiaciuta di sé stesso.
Il mio sorriso svanisce mentre prendo coltello e forchetta.
È bravo perché lo fa spesso.
Smettila.
Mando giù il primo boccone, chiedendomi quante donne si siano sedute
qui come me e abbiano mangiato il suo cibo dopo aver fatto del sesso
fantastico per tutta la notte.
Per l’amor di Dio, piantala.
«Che cosa devi fare oggi?» gli chiedo, per distrarmi dai pensieri
negativi.
«Questo pomeriggio ho in programma una partita di golf con i miei
fratelli, e poi probabilmente cenerò con loro e con i miei genitori. Questa
settimana torneranno a Londra.» Sorseggia il suo caffè. «Tu?»
Sorrido, immaginandoli tutti e quattro mentre giocano a golf. «Devo
andare a fare la spesa. Poi uscirò per una passeggiata e scriverò qualche
altra storia falsa.»
Jameson smette di mangiare. «Non sei costretta a lavorare nel weekend,
lo sai.»
«Lo so. È solo che mi piace portarmi avanti, nel caso succeda
qualcosa.»
Annuisce e torna alla sua colazione. «Stasera esci?» mi chiede con
disinvoltura.
Non ne ho intenzione, ma non voglio che pensi che rimarrò a casa a
struggermi per lui. «Sì.»
Sposta lo sguardo su di me e serra la mascella come se fosse arrabbiato.
«Dove vai?»
«Fuori a cena con Molly e Aaron.»
«Chi è Aaron?»
«Un amico con cui lavoro, quello seduto di fianco a me. È gay.»
«Oh.» Taglia un pezzo del suo toast, rabbonito, almeno per il momento.
Lo guardo per un istante mentre mangia in silenzio. «Ti darebbe fastidio
se andassi in discoteca?»
Beve il suo caffè, prendendo tempo prima di rispondere. «Beh, se
ripenso alla tua performance del weekend scorso, sì, mi darebbe fastidio.»
Gli rivolgo un sorriso sornione. «Che c’è?»
«Niente.» Scrollo le spalle, sono felice che lo infastidirebbe.
Mi strofina una mano lungo la coscia nuda e si sporge per baciarmi una
guancia. «Non ho intenzione di dividerti con nessuno. Non voglio che balli
con altri uomini.»
Incurvo le labbra e gli accarezzo le guance ispide, guardandolo nei suoi
grandi occhi blu. «Bene, allora non lo farò.»
Sono sdraiata sul divano in uno stato di assoluto relax. A dispetto di quello
che sostiene Jameson, ho ordinato Uber Eats per me, e sì, ho messo la
catena alla porta, giusto per sicurezza.
Il mio telefono vibra dal tavolo dove l’ho lasciato, e il nome di Aaron
illumina lo schermo.
«Pronto.» Faccio un sorrisetto, quest’uomo mi fa tanto ridere.
«Oh… cazzo», balbetta. «Sono appena entrato nell’e-mail di Paul, e
stasera si vede con un tizio in una discoteca.»
Mi raddrizzo. «Cosa?»
«Sì, e c’è di peggio.»
«Com’è possibile?»
«È stato su Grindr.»
«Oh mio Dio, mi prendi in giro?» esclamo. «Su Grindr?»
«Sì, vestiti. Andiamo là a spaccargli il culo.» «Cosa?»
strillo.
«Mi hai sentito. Mettiti qualcosa di sexy. Sarò da te tra mezz’ora.»
«Ma…»
Quando lui riattacca, il telefono emette un click.
Oh, cacchio. Accidenti, stasera non ho voglia di uscire.
Il mio telefono vibra di nuovo, e il nome di Molly illumina lo schermo.
«Lo so», rispondo, sapendo che Aaron deve aver chiamato anche lei.
«Cazzo, è su Grindr?» esclama.
«Lo so.»
«Devi farmi un favore. Questa notte, quando vedrai quel cazzo moscio
di Paul, lo devi ridurre in poltiglia sotto al tacco della tua scarpa.»
Ridacchio. «Quello spero di non vederlo, Moll.»
«Non riesco a credere a questa stronzata», esclama lei, in preda
all’indignazione.
«Lo so.»
«Aaron è troppo per lui.»
«Lo so. Vieni anche tu in questa missione spacca-culi?»
«Non posso. Ho i ragazzi. Mettiti una GoPro in testa così posso vedere
cosa succede.»
«Non puoi lasciarli al padre?» le chiedo. «Questa è un’emergenza.»
«No. È andato a un appuntamento con una sgualdrina.»
Ridacchio di nuovo. «Cazzo, stanno succedendo un sacco di cose
orribili ultimamente.»
«Lo so», esclama lei. «Okay, ti chiamerò ogni ora. Rispondi al
telefono.» E riattacca.
Un’ora dopo, Aaron mi sta guidando attraverso un locale, scrutando la sala.
È piccolo e buio, e la musica è quella tipica da discoteca, il ritmo sfrenato
mi fa vibrare la cassa toracica.
«Lo vedi?» grido.
«No.» Socchiude gli occhi, guardandosi attorno.
«Che cosa intendi fare se lo trovi?» chiedo.
«La farò finita.»
«Perché non farla finita e basta?» Mi acciglio.
«Ho bisogno di prove.»
«Quell’e-mail è la prova, Aaron», sbuffo.
«Lo sapevo che stava combinando qualcosa», esclama lui, furioso.
«Quel maledetto stronzo ha passato la settimana scorsa nel mio letto, e ora è
su Grindr in cerca di sesso.»
«Stavate insieme? Cioè, avevate una relazione vera e propria?»
«No, mi ha detto di non volere un fidanzato, ma che desiderava fare
sesso solo con me.»
Aggrotto la fronte. Mi sembra molto familiare. «Quindi tu sei stato solo
con lui per tutto questo tempo?»
«Certo che sì. Non vado a scopare in giro.»
Arriccio il naso per il disgusto. «Sul serio, ti devi liberare di quel
bastardo.»
«Lo farò. Non appena lo troverò.»
Roteo gli occhi e sento il mio cellulare vibrare nella borsa. Lo tiro fuori.
«Ciao, Molly.»
«Che sta succedendo?»
«Non riusciamo a trovarli», rispondo, guardandomi attorno.
«Andate a sedervi in un angolo riparato e aspettate che arrivino. Non
state dove possono vedervi.»
«Oh, giusto.» Appoggio una mano sul telefono. «Molly dice che
dovremmo andare a sederci in un posto appartato, per non farci vedere.»
Aaron punta un dito contro di me. «Bella idea.» Mi prende per mano e
mi trascina verso un separé. «Io mi siedo qui. Tu va’ a prendere da bere»,
mi ordina, scivolando sulla panca.
Alzo gli occhi al cielo. «Hai davvero i figli a casa?» chiedo a Molly.
«Perché sono rimasta incastrata in questa faccenda?»
Lei scoppia a ridere. «Ti chiamo tra un’ora.» E poi riattacca.
«Che cosa vuoi da bere?» domando ad Aaron.
«Un Pink Flamingo.»
Lo guardo, impassibile. «È il cocktail più gay che abbia mai sentito
nominare.»
«È perché sono gay.» Sgrana gli occhi, esasperato; stasera non ha voglia
di scherzare. «Vallo a prendere e basta.»
Con una risatina, mi dirigo verso il bar per mettermi in fila.
«Ehi, Foster», sento una voce maschile chiamarmi alle mie spalle. Mi
giro e vedo Jake della squadra investigativa.
«Oh, ciao.» Gli sorrido. «Che ci fai qui?»
Lui solleva il suo drink. «Bevo.»
«Ovviamente.» Sogghigno.
Fa scorrere uno sguardo lascivo lungo il mio fisico fasciato nell’abitino
nero. «Wow, sei sexy.»
Gli faccio un sorriso timido. È imbarazzante. «Grazie.»
«Ti va di ballare?»
«Ehm.» Mi acciglio. Oh, Dio. «No, grazie lo stesso. Sono qui con
Aaron.»
«Oh, dov’è?» Si guarda intorno.
Oh, cazzo, l’ho fatta grossa.
«È dietro a un separé verso il fondo del locale.»
«Vado a salutarlo.» Svanisce in quella direzione.
Fantastico.
Ora dovremo comportarci normalmente, quando invece vorremo solo
sparlare di Paul e spiarlo.
Prendo i nostri drink e torno verso il tavolo, trovando Aaron e Jake
immersi in una conversazione riguardante il lavoro. Mmh. Mi viene un
dubbio. Non è che Jake crede che Aaron sia coinvolto nel furto delle notizie
e stia cercando di strappargli delle informazioni?
Mentre loro parlano, sorseggio il mio drink ed esamino Jake di
sottecchi. È piuttosto attraente, con quei capelli castano chiaro, la mascella
squadrata e le fossette sulle guance, ha anche una bella risata. Non l’ho mai
notato prima perché, ogni volta che Jameson è in una stanza, tutti gli altri
uomini impallidiscono al suo confronto.
«Vado a prendere da bere e torno a sedere con voi», dice alzandosi.
«Vuoi qualcosa, Foster?» «No,
grazie.» Fingo un sorriso.
«Tu, Az?»
«No, sono a posto», risponde lui.
Jake sparisce verso il bar.
«Oh mio Dio», sbuffa Aaron. «Non sono venuto qui per parlare di
lavoro, e cosa sono quei soprannomi del cazzo? Non è mio amico.» «Lo so,
hai ragione.» Alzo gli occhi al cielo.
«Perché gli hai detto dov’ero?»
«Non lo so», farfuglio. «Mi ha presa in contropiede.»
«Oh, fantastico. Ora dobbiamo stare con quel cretino.»
«Non possiamo andarcene e basta?» bisbiglio. «Tutta questa serata è un
disastro.»
«No. Rimarremo qui fino a quando non riaccenderanno le luci.»
Affondo il viso nei palmi delle mani, e in quel momento il mio cellulare
inizia a squillare. «Ehi, Molly», rispondo brusca, innervosita dal fatto che la
mia amica sia riuscita a evitare questo inferno. «Non è successo ancora un
cazzo di niente.»
Il cellulare sulla mia scrivania squilla. «Pronto, Emily», dice Sammia. «Il
signor Miles vorrebbe vederti subito nel suo ufficio, per favore.»
Vengo attraversata da una scossa di eccitazione. «Okay, sto arrivando.»
Mi sistemo i capelli e mi ripasso il rossetto sulle labbra, per poi
precipitarmi letteralmente verso l’ascensore. Spero che abbia sentito la mia
mancanza e che abbia trovato una scusa per vedermi. Arrivo all’ultimo
piano e avanzo attraverso il foyer.
«Ciao, Sammia.»
«Ehi, Emily. Vai pure.»
«Grazie.»
Oggi posso camminare tranquillamente sul pavimento di marmo perché
ho finalmente comprato le scarpe con le suole di gomma. Non si sente
nemmeno un ticchettio.
Busso alla sua porta.
«Avanti», risponde la sua voce profonda e sensuale.
Apro e l’entusiasmo scivola via dal mio volto. Jake è seduto davanti alla
sua scrivania. «Ciao.» Gli sorrido.
Che ci fa lui qui?
Vattene via. Ora tocca a me stare insieme a Jameson.
Jake si gira verso di me e il suo viso si illumina. «Ehi, Foster.»
Jameson gli punta addosso lo sguardo. «Voi due sembrate in
confidenza.»
«Sabato sera siamo andati insieme in discoteca, non è vero, Foz?»
Sorride allegramente.
Jameson sposta gli occhi su di me, e la sua mascella trema per la rabbia.
Porca puttana.
Capitolo 13
Emily
«E », . «C , tutto.»
Jameson inarca un sopracciglio, poco convinto.
«Oh, non essere timida, Foster. Ce la intendiamo a meraviglia», dichiara
Jake l’imbecille.
Sento il mio volto sbiancare.
Vuoi chiudere il becco?
Torno a rivolgermi verso Jameson, sperando di cambiare argomento.
«Volevi vedermi?»
«Sì.» Guarda Jake. «Voglio sapere che indizi ha trovato, signor Peters.»
«Mi chiami Jake», dice lui.
Jameson gli lancia un’occhiataccia, ma rimane in silenzio.
Oh, accidenti. È troppo imbarazzante.
Stringo il mio taccuino con tanta forza che le nocche mi diventano
bianche. Perché ha dovuto dire che siamo usciti insieme? Non lo abbiamo
fatto. Mi accorgo che sto iniziando a sudare.
«Arrivi al punto», ordina Jameson con tono secco.
«Beh, sto seguendo qualche pista, ma ancora niente di concreto. Siamo
solo agli inizi.»
«Gli inizi?» ripete lui. «Signor Peters, è consapevole dell’importanza di
trovare una soluzione rapida a questa situazione?»
«Sì, signore, ma…»
«Niente ma», ringhia lui. «Oggi le nostre azioni sono crollate di quattro
milioni di dollari. Ogni dannato giorno che passa calano della stessa cifra.»
Sbatte una mano sul tavolo, facendoci sobbalzare entrambi. «Non mi dica
che è solo l’inizio», grida.
Jake ed io ci rimpiccioliamo sulle nostre sedie. Non ho mai visto
Jameson tanto arrabbiato. È davvero stressato. Mi chiedo se sia andato a
correre anche questa mattina. Suppongo di no.
«Signor Miles», lo interrompo.
Lui alza una mano per chiedermi di fare silenzio. «Emily, voglio quattro
articoli questa settimana.»
«Sì, signore.»
«Devono essere forti, rilevanti e, soprattutto, tracciabili.»
Annuisco. «Okay.»
«Puoi andare», ordina. «È tutto.»
Aggrotto la fronte e sposto lo sguardo tra lui e Jake. Con chi sta
parlando?
«Io?» Mi punto un dito verso il petto.
«Sì, tu», sbotta Jameson. «Con chi altro dovrei parlare?»
Sento la rabbia arpionarmi lo stomaco. «Bene.» Prendo il mio taccuino
e mi alzo.
«Voglio le storie per le quattro di ogni giorno.»
«Perfetto», replico, mentre mi dirigo verso la porta.
«E manda dentro Tristan», aggiunge.
Non sono la tua dannata segretaria.
Apro, facendo un sorriso falso. «Certo», dico a denti stretti,
richiudendomi la porta alle spalle.
Maledetto stronzo. Chi diavolo crede di essere?
Chiudo gli occhi, dispiaciuta per Jake. Sarà divorato vivo là dentro.
Jameson Miles è davvero cattivo quando è stressato. Capisco perché corra,
probabilmente per rimanere fuori dalla galera. Cosa succederebbe se non si
allenasse?
Raggiungo la reception e mi dirigo verso l’altra ala del palazzo, per
bussare all’ufficio di Tristan.
«Avanti», dice.
Sorrido, sentendo quanto sia simile a suo fratello. Apro la porta ed
esordisco: «Jameson mi ha chiesto di…» Mi interrompo, cercando di far
sembrare la richiesta più cortese di quanto non sia stata.
«Vuole vedermi?» Lui sogghigna.
«Sì.»
Si alza. «Va tutto bene?» mi chiede con tono tranquillo, mentre
torniamo verso la reception.
«È…» Scrollo le spalle, cercando di pensare a una descrizione
appropriata. «È agitato.»
«Mmh.» Si acciglia come se fosse preoccupato. «Ha molti pensieri per
la testa, ma questo lo sai già.»
«Sì.» Sorrido, guardandolo negli occhi. Lui lo sa?
Mi fa l’occhiolino, prendendo il corridoio che porta all’ufficio di suo
fratello. «Ci vediamo.»
Che cos’era quell’espressione? Stava per: “So che te lo scopi”? Sa che
siamo tornati insieme?
Merda.
L’assistente non è alla sua scrivania, e io lancio un’occhiata lungo il
corridoio in cui si trova l’ufficio di Jameson.
Maledizione, che starà succedendo là dentro?
La porta si apre.
Cazzo, non voglio che mi vedano.
Mi chino dietro il tavolo della reception, e poi sento la voce secca di
Jameson che dice qualcosa e sobbalzo. Jake mi supera in fretta, entrando
nell’ascensore e premendo con forza il pulsante. La cabina si chiude, e io
sgrano gli occhi, sbirciando da dietro la scrivania. Che accidenti gli avrà
detto?
Jameson
Emily
«V , ?» J , davanti a me.
Sto ansimando come un mantice mentre cerco di stargli dietro.
Oh, cavolo, sta cercando di uccidermi.
«Che fretta c’è?»
Lui si gira e torna indietro fino a raggiungermi, ed io lo guardo con la
fronte aggrottata. «Dio, di mattina sei così vivace ed energico…»
Jameson scoppia a ridere, scattando in avanti, e io trascino i piedi dietro
di lui. Fa un giro per continuare a guardarmi, e poi torna da me.
«Come fai a correre tanto veloce?»
Saltella all’indietro davanti a me mentre parliamo. «Beh, mi immagino
di essere inseguito da un maniaco con un’ascia.» Non ha nemmeno il
respiro affannoso.
«Cosa?» Mi acciglio. «Mi prendi in giro?»
Jameson scuote la testa con un sorrisetto sfacciato.
«La tua tecnica per rilassarti è pensare che qualcuno ti stia dando la
caccia con una cazzo di ascia.»
Ride, continuando a correre all’indietro. «Funziona. Corro molto più
velocemente così.»
«Ora tutto ha un senso», sbuffo. «Il puzzle sta prendendo forma.»
«Quale puzzle?»
«Hai la schiena rigida perché la tua massaggiatrice te la rovina per
scoparti di continuo.» Mi fa un sorriso. «Per rilassarti ti fai inseguire da un
assassino armato di ascia.» Scoppia a ridere. «Ed esci sette sere alla
settimana. È ovvio che sei un bastardo stressato e fuori di testa.»
Mi attira a sé per la maglietta e mi bacia sulle labbra. «Allora sono
molto fortunato che ci sia tu a calmarmi con il sesso, vero?»
«Altroché», ansimo. Dobbiamo smettere di parlare. Non posso correre e
discutere allo stesso tempo. Che razza di atleta olimpica crede che sia?
«Quale esercizio mi consiglieresti? Per rilassarmi, intendo», mi
domanda, prendendo ad avanzare più lentamente accanto a me.
Ci penso per un momento. «Aerobica in acqua.»
«Ah-ah», ride lui. «Non sono così vecchio.»
«Sei piuttosto anziano, invece», ribatto.
«Vuoi fare una gara con me?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché quell’assassino mi ha infilato l’ascia nei polmoni, e morirò da
un momento all’altro. Spero che tu sappia fare la rianimazione.»
Lui ridacchia. «Pappamolle.» Parte a gran velocità, e io avanzo a fatica,
ammirandolo mentre corre in cerchio dentro Central Park, senza mai
perdermi di vista.
Jameson Miles è estremamente in forma… e davvero sexy.
E, per mia fortuna, io sono la sua coniglietta del sesso.
Sono nel foyer ad aspettare Ava e Molly. Stiamo solo andando a fare la
pausa pranzo, e Molly si è messa a parlare con una delle guardie di
sicurezza. Credo che abbia un debole per lui.
«Questo weekend pensi di uscire?» mi chiede Ava.
«Ehm, non lo so ancora. Forse torno a casa.» Accidenti, non voglio
uscire di nuovo con lei. È interessata agli uomini solo se sono ricchi. Lo
trovo così strano che non riesco ancora a capacitarmene.
Uno degli ascensori si apre e ne emerge Tristan, seguito da Jameson.
Insieme a loro ci sono altri due uomini. Con indosso un completo blu scuro
e una camicia bianca inamidata, Jameson è la personificazione del fascino.
Capelli scuri, mascella squadrata, penetranti occhi blu… È difficile credere
che, appena sei ore fa, fosse dentro di me sotto la doccia. Questa mattina,
dopo essere tornati dalla nostra corsa, lo abbiamo fatto due volte. È un vero
animale. Il suo cazzo è la fine del mondo.
Sono morta e sono finita nel paradiso degli amministratori delegati.
«Oh mio Dio», bisbiglia Ava. «Guarda chi sta arrivando.»
Jameson sta attraversando il foyer affollato, assorto in una
conversazione con gli altri uomini. Tutti si fermano e li fissano. Rimango
immobile mentre mi supera, e, all’ultimo momento, lui alza lo sguardo e mi
nota. Esita, e io gli faccio un discreto cenno con il capo. Non voglio che
qualcun altro sappia di noi. Annuisce rapidamente come per segnalarmi di
aver capito e continua a camminare, riprendendo a parlare. Lui e gli altri
escono dal portone d’ingresso e svaniscono in strada. Probabilmente stanno
andando a pranzo.
«Davvero, dove troviamo degli uomini come i fratelli Miles?» sospira
Ava.
«Già.» Osservo la strada in cui sono spariti.
«Uno di questi giorni», mormora lei. «Uno di questi giorni.»
FB
xoxoxo
Cara FB,
un fisioterapista?
J xx
Caro signor J,
un uomo, un fisioterapista professionista che pratica massaggi e non
atti sessuali. Specializzato in trattamenti per la schiena e decisamente
costoso.
FB
xoxoxo
FB, va bene, ma potresti farlo entrare tu nel mio appartamento, per favore?
Chiederò ad Alan di venire a prenderti alle sei e mezza. Ci vediamo lì, forse
con un quarto d’ora di ritardo.
J xoxo
Faccio un ampio sorriso mentre la speranza mi sboccia nel petto. Gli scrivo
di nuovo.
Stasera ci vediamo?
Lui mi risponde.
Sì. Starò via per tutta la settimana prossima, quindi voglio anticipare anche
i futuri incontri. Ci vediamo stasera.
Jay
xox
o
FB
xoxo
L’unica cosa che voglio stanotte sei tu. Ora torna al lavoro, prima che ti
pieghi a novanta sulla scrivania.
xoxo
Mi sento una grande chef nella cucina super accessoriata di Jameson. Sono
appena le sette, e io sto accendendo il gas per mettere una pentola piena
d’acqua sul fuoco. Mi piace l’idea di fargli trovare la cena pronta. So che
non gli è mai successo, quindi sento che è un gesto speciale.
Suona il campanello e io mi guardo intorno.
Merda. Dov’è il citofono?
Noto una cornetta e uno schermo vicini alla porta d’ingresso. Sollevo la
cornetta. «Chi è?»
«Salve, sono Matthew, il fisioterapista. Sono qui per il massaggio.»
Guardo lo schermo con un sorriso. Matthew è attraente, ha il classico
fascino scandinavo.
«Salga pure.» Premo il pulsante e gli apro il portone, e l’uomo sparisce
dentro l’ascensore. Qualche momento più tardi, bussa alla porta
dell’appartamento. «Salve», lo accolgo con tono cordiale.
«Salve.» Lui entra, indossa un’uniforme bianca e porta con sé un lettino
pieghevole per massaggi.
Wow… È davvero sexy. Magari dovrei farmi fare un massaggio anche
io.
«Dove vuole che mi sistemi?» mi domanda.
«Mmh.» Aggrotto la fronte, guardandomi attorno. Dove voglio che si
metta? «Aspetti solo un secondo.» Mi incammino lungo il corridoio e
sbircio dentro le stanze. In fondo ce n’è una con un tapis roulant e una
panca per i pesi. «Quaggiù, per favore.»
L’uomo avanza con un’andatura sensuale e inizia a prepararsi.
All’improvviso, mi viene in mente che questo è esattamente lo scenario in
cui Jameson si trovava con Chloe… solo che poi loro facevano sesso per
davvero. Mi si ribalta lo stomaco al pensiero.
Smettila.
«Sarò qui fuori se ha bisogno di me.»
Torno in cucina, un po’ nervosa. Merda, è sicuro lasciarlo là da solo?
Dovrei tenerlo d’occhio o qualcosa del genere?
Getto uno sguardo lungo il corridoio per accertarmi che non esca dalla
stanza per andare a curiosare in giro. Oh, accidenti, qual è la procedura con
gli sconosciuti in un posto del genere?
Sento un click provenire dall’ingresso, e Jameson appare nel mio campo
visivo. «Ciao», dice con tono secco.
Gli sorrido. «Ciao.» Lo stringo in un abbraccio. «Come sta il mio
uomo?»
«Bene.» Mi sorpassa rapidamente.
Oh. Mi acciglio. Non è il saluto che speravo di ricevere.
«È già qui?»
«Sì, nella stanza in fondo.»
«Mi faccio una doccia veloce. Gli puoi dire che sarò da lui in cinque
minuti, per favore?»
«Certo.»
Sparisce dentro la camera da letto, e io attraverso di nuovo il corridoio.
«Jameson si sta facendo una doccia veloce. Gli serve solo qualche minuto.»
«Okay, grazie.» Matthew mi sorride.
Torno in cucina e mescolo le verdure che ho messo a cuocere. Forse
stasera sarei dovuta rimanere a casa mia. Non è sembrato molto felice di
vedermi.
Dieci minuti più tardi, un paio di mani calde mi si stringono attorno alla
vita da dietro, e Jameson preme le labbra sulla mia tempia. «Ehi, piccola»,
bisbiglia.
Mi volto, trovandolo con un asciugamano bianco stretto attorno alla
vita. «Va tutto bene?»
«Sì, sono solo molto stanco.» Fa un lungo sospiro. «L’ultima cosa di cui
ho voglia è un dannato massaggio», mormora, appoggiando una guancia
contro la mia.
«Dopo ti sentirai molto meglio», gli dico. «Massaggio, cena e letto.»
Alza gli occhi al cielo e si avvia con passo pesante lungo il corridoio.
Con un sorriso sulle labbra, sto ascoltando Jameson che russa piano ogni
volta che espira. Sono seduta sul divano in pigiama e sto guardando un
film, mentre lui è steso con la testa sul mio grembo, profondamente
addormentato.
Mi sembra stranamente… normale.
Non stava scherzando quando ha detto di essere stanco. È più che
stanco… è esausto.
Credo che si tratti più di stanchezza mentale che fisica; non riesco a
immaginare cosa debba affrontare ogni giorno sul lavoro. La pressione della
gestione della Miles Media ricade su di lui sin da quando era molto giovane.
Persino da ragazzo, deve essere stato istruito per questo ruolo. Ma
l’amministratore delegato Jameson Miles è un comune mortale, e io mi
sento protettiva nei suoi confronti.
Gli passo distrattamente le dita tra i capelli e mi godo questo momento
intimo con lui. Non credo che molte persone lo abbiano visto così rilassato.
«Jay», bisbiglio. Si acciglia nel sonno. «Jay, è ora di andare a dormire,
piccolo.»
Lui inspira, stiracchiandosi e sbattendo le palpebre, come se non capisse
dove si trova.
Gli accarezzo i capelli. «È ora di andare a dormire.» Sorrido con
dolcezza.
Mi alzo, spegnendo le luci e il televisore, poi Jameson mi prende per
mano e mi guida lungo il corridoio fino alla sua camera da letto. Si lava i
denti e si sistema sotto alle coperte.
Qualche momento più tardi, non appena sono pronta, mi infilo nel letto
accanto a lui, e Jameson mi attira tra le sue braccia.
«Buonanotte, tesoro», sussurra baciandomi la fronte.
Siamo stesi guancia a guancia. Tra di noi c’è una vicinanza che non ho
mai sentito prima.
«Buonanotte.» Mi accoccolo contro il suo petto.
Questa notte tra di noi non c’è stato nulla di sessuale… ma è stato tutto
così normale… e stranamente intimo. Potrei diventarne dipendente.
Vengo svegliata dalla sensazione di due mani forti che mi aprono le cosce.
La testa di Jameson è tra le mie gambe, e la sua lingua sta leccando il mio
punto più sensibile. Getto il capo all’indietro e appoggio le mani sulla sua
nuca. Il mio corpo palpita per l’eccitazione, e così capisco che ha iniziato
già da un po’.
«Oh Dio», gemo. «Buongiorno, Jay.»
Lui si volta per baciarmi l’interno coscia. «Buongiorno.»
Mi mordicchia il clitoride, e io chiudo gli occhi.
Buon Dio.
È sveglio in tutto il suo splendore. Continua a succhiarmi mentre il
piacere comincia ad attraversarmi a ondate. Spinge tre dita dentro di me e io
sussulto. Questa è la sua specialità, scoparmi con le dita con tanta forza da
farmi venire prima ancora di iniziare a fare sesso. Non sono mai stata con
un uomo in grado di darmi piacere in così tanti modi diversi. Inizia a
muovere la mano avanti e indietro, concentrato sul suo compito. Spingo le
gambe sul materasso, e Dio…
«Oh Dio… è così bello…» ansimo.
Il suono bagnato della mia eccitazione riecheggia nella stanza silenziosa
mentre Jameson è all’opera su di me. Quest’uomo è un pazzo. Solo dieci
minuti fa ero profondamente addormentata.
Si sporge verso di me e mi mordicchia di nuovo il clitoride, e io mi
contorco sotto di lui, venendo di colpo. Inarco la schiena, ma lui mi spinge
di nuovo giù.
«Shh», sussurra, provando a calmarmi. «Ancora», mormora,
guardandomi negli occhi.
«No.» Mi alzo a sedere di scatto e lo afferro per le spalle per attirarlo
verso di me. Ci baciamo e ricadiamo sul materasso, mentre io gli avvolgo le
gambe attorno alla vita. Accidenti, che modo per svegliarmi. Il nostro bacio
si fa frenetico, e io sento il suo membro premere contro la mia apertura.
Jameson si blocca.
«Va bene, prendo la pillola», sussurro, tenendo il suo volto vicino al
mio.
Jameson chiude gli occhi per un brevissimo istante, e poi, come se non
riuscisse a rilassarsi senza un preservativo addosso, si trascina via da me per
raggiungere il suo comodino. Lo guardo mentre apre un profilattico e se lo
infila.
Poi è subito su di me. Si spinge dentro al mio corpo con un unico,
rapido movimento. Lancio un grido e inizio a contrarmi attorno al suo
grosso membro.
«Aspetta», ringhia.
Cazzo… come dovrei fare? Come se fosse semplice…
Jameson abbassa lo sguardo su di me. La sua pelle olivastra è lucida di
sudore, i suoi occhi blu brillano e io guardo meravigliata questo perfetto
esemplare di uomo sopra di me… e dentro di me.
Allarga le cosce e si sistema sulle ginocchia, poi solleva le mie gambe,
tenendole per le caviglie, e inizia a muoversi con spinte dure e potenti,
dischiudendo le labbra mentre fissa il punto in cui i nostri corpi si
incontrano. Riesco a vedere ogni muscolo del suo addome contrarsi mentre
si spinge in avanti. Accidenti… guardare Jameson Miles scopare è il porno
migliore del mondo. Prende velocità, e io perdo completamente la testa.
Stringo tra le dita le lenzuola sotto di me, sentendo montare l’orgasmo.
Il rumore dei nostri corpi che si muovono in sincronia riecheggia nella
stanza. Jameson chiude gli occhi, in preda all’estasi, e geme, prendendo a
spingersi dentro di me con ancora più forza.
«Ci sono quasi», rantolo.
«Aspetta», mi ordina con tono secco, continuando a pompare.
«Jameson…»
Mi afferra le gambe per spostarle di lato, e vedo i suoi occhi
lampeggiare per l’eccitazione mentre le sue spinte si fanno più lente e
misurate.
Oh… al mio uomo piace stretta.
Mi contraggo, e Jameson getta la testa all’indietro. Lo faccio di nuovo, e
lui non riesce a trattenersi. Affonda dentro di me e io mi accorgo dal suo
sobbalzo che sta venendo. Conclude e poi, consapevole che non posso fare
lo stesso in questa posizione, si solleva sopra di me e mi bacia,
ricominciando a fare dolcemente l’amore con me.
È quello che amo… il mio tipo di sesso preferito con lui. Un amore
tenero e gentile. Si sostiene sui gomiti e preme le labbra sulle mie, dandomi
esattamente ciò di cui ho bisogno.
Lui… ho bisogno di lui, di tutto quanto.
Ci fissiamo negli occhi, mentre qualcosa di bellissimo scorre tra di noi.
Ci scambiamo una serie di baci ricolmi di tenerezza, ma io sono commossa
dall’espressione sul suo viso.
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altra.
Quella che c’è tra di noi non è una relazione di sesso occasionale, non si
tratta nemmeno di solo sesso. È amore, ne sono più che certa. Non potrebbe
essere nient’altro.
«Jay», ansimo, cercando il suo sguardo.
«Lo so, piccola», bisbiglia.
Gli stringo le spalle e lui si solleva, mentre il mio corpo si contrae
attorno al suo. Cattura le mie labbra in un bacio dolce e rilassato, che è tutto
ciò che non ho mai avuto. Lentamente mi fa venire e poi si lascia cadere sul
materasso accanto a me, attirandomi perché mi giri verso di lui.
Ci guardiamo, e io sono sopraffatta da un senso improvviso di intimità.
Fisso il suo bellissimo viso e sorrido. «Credo che…»
«No», mi interrompe. «Cosa?» Mi acciglio.
«Non rovinare tutto.»
Non capisco che cosa voglia dire. «Come potrei rovinare tutto questo?»
«Non innamorarti di me, Emily.» Ma che cavolo?
Lo fisso. «Perché no?»
«Perché non fa per noi. Ficcatelo bene in testa. Subito.» Si alza di colpo
e va in bagno, tirandosi dietro la porta, che si chiude con un tonfo.
Mi giro sulla schiena e fisso il soffitto. Stavo per dirgli che per me
quella era stata la sveglia migliore di tutti i tempi.
L’amore era solo ai margini del mio pensiero.
Capitolo 15
Emily
M . L sotto la
doccia.
«Per la cronaca, Jameson», sbotto, «volevo solo dirti che dovresti
svegliarmi così tutti i giorni.» Lui socchiude gli occhi, lanciandomi uno
sguardo rabbioso. «Secondo me, l’unico che sta pensando all’amore qui sei
tu.» Alza gli occhi al cielo mentre si insapona l’inguine, e la sua espressione
supponente mi fa infuriare. «Quindi non rigirare la frittata e non
allontanarmi solo perché ti stai innamorando di me!»
Non so cos’altro dire, quindi mi precipito fuori. Prendo la mia borsa e
mi dirigo verso uno degli altri bagni per lavarmi. Non ho intenzione di
farmi la doccia insieme a lui.
Stupido idiota.
Mezz’ora più tardi, vado in cucina e vi trovo l’amministratore delegato
Miles, con tanto di completo grigio, camicia bianca e atteggiamento
nervoso e controllato di nuovo al loro posto.
«Sei pronta?»
«Sì.» Mi guardo attorno. «Vado solo a prendere le mie cose.» Torno in
camera e getto uno sguardo al mio riflesso nello specchio. Oggi indosso i
suoi vestiti preferiti, e lui non lo ha nemmeno notato.
Beh… affari suoi.
Questo maledetto maniaco del controllo mi sta facendo incazzare.
Esco di nuovo, con la mia borsa per la notte su una spalla. «Andiamo.»
Jameson corruga le sopracciglia vedendo cosa ho con me. «Che ci fai
con quella? Puoi prenderla più tardi.»
«La porto al lavoro. Non c’è problema.» Lo guardo negli occhi. «Ho
molto da fare questa settimana.»
Lui stringe i denti e mi guarda di traverso. «Bene.» Si gira per uscire, e
io faccio un sorrisetto.
Ti ho lasciato avere il controllo per qualche giorno, signor Miles, ma
non credere che la mia sottomissione implichi debolezza.
Non supplicherò nessun uomo perché mi ami, che sia un amministratore
delegato miliardario dagli occhi blu o meno.
Non rovinare tutto.
Lo so che gli ho detto che voglio solo un rapporto di amicizia con
benefici… ma le regole sono cambiate. Per me, almeno.
Entriamo in ascensore, e io guardo fisso davanti a me. Riesco a
percepire l’astio che trasuda da lui. Una parte di me detesta farlo arrabbiare
prima ancora che la giornata inizi, ma al diavolo. Non posso passare la vita
ad aggirarmi in punta di piedi attorno al suo stress soltanto per non irritarlo.
Usciamo nel foyer, e la limousine è già parcheggiata e in attesa. Alan è
in piedi accanto alla porta.
«Salve, Alan.» Sorrido mentre ci avviciniamo, come se non avessi un
solo pensiero al mondo.
L’uomo ricambia il sorriso con un cenno di saluto, invece Jameson
rimane in silenzio. Con un gesto della mano, mi invita a salire per prima.
Entro in auto, scivolando sul sedile, e lui mi segue.
Proprio accanto a me, si trova un giornale ben ripiegato, così lo prendo
e inizio a leggere. Jameson mi fissa. So che è il suo giornale. Beh, peccato,
sono arrivata prima io. Per dieci minuti leggo in silenzio. Oggi non c’è
nessuno dei miei articoli falsi. Mmh. Mi chiedo se abbia a che fare con il
fatto che ieri non l’ho consegnato a Hayden prima delle quattro. Rifletto per
un momento. Oggi testerò questa teoria. Gli farò avere un articolo per le tre
e vedrò cosa succederà.
«Che cosa fai stasera?» mi chiede.
«Esco con Ava», mento, passandogli il giornale.
«Ti ho detto che non voglio che tu vada per locali insieme a lei.»
Gli sorrido. Che faccia tosta, questo maniaco del controllo. «Quello che
faccio quando non sono con te non ti riguarda, Jameson.»
«Quindi ora vuoi fare la melodrammatica?»
Roteo gli occhi. «La vuoi smettere?»
«Smettere di fare cosa?»
Sostengo il suo sguardo. «Non sono innamorata di te. Quindi… puoi
smetterla di preoccuparti che lo sia. Mi piace la tua compagnia, ma è ovvio
che tu hai qualche problema con le persone che vogliono prendersi cura di
te, tanto da credere che si tratti di amore.» Gli rivolgo un’espressione
esasperata. «A essere sincera, trovo tutto troppo difficile.»
Lui serra la mascella, e capisco che dentro di sé è furibondo. «Che cosa
significa?»
«Cosa?» gli chiedo.
«Che è troppo difficile.»
«Significa che puoi andare a cercarti qualcun altro che non si innamori
di te.» Scrollo le spalle. «Per me va bene.»
«Per te andrebbe bene», bisbiglia lui, furioso. «Quindi, se stasera facessi
sesso con un’altra, tu non avresti problemi?»
Lo guardo accigliata. Ma che diavolo ha nella testa? Mi passo una mano
sul viso. «Jameson, per l’amor del cielo. Che cosa vuoi da me?» «Non lo
so», sbotta.
«Va bene.» Emetto un sospiro profondo. «Allora finiamola qui.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Mio Dio», esplodo, esasperata. «Per essere un uomo intelligente, ti stai
comportando davvero da stupido. Non posso aiutarti a capire che cosa vuoi
da me, Jameson.» Lui mi fissa. «Un minuto prima mi dici di non rovinare
tutto innamorandomi di te, e quello dopo che non vuoi che esca senza di
te.» Si appoggia all’indietro contro lo schienale, offeso. «Io voglio un buon
amico con cui fare sesso. Ne abbiamo già parlato. Mi sembra che l’unica
persona che stia infrangendo le regole qui sia tu. Perché mai stai pensando
all’amore?»
«Non rigirare la frittata, Emily», bisbiglia lui furioso.
«Come vuoi, allora», sbotto. «Riesci a guardarmi negli occhi e a dirmi
che non provi niente per me?» Lui fa un’espressione disgustata. «Ci riesci?»
«Certo che sì.»
Lo fisso dritto in viso. «Allora fallo.»
«Cosa?»
«Dimmi che non provi niente per me. Dimmi che, durante l’ultimo
anno, non hai pensato a me nemmeno una volta e che non hai conservato la
mia sciarpa.» Jameson socchiude gli occhi e mi getta uno sguardo furente.
«Come pensavo», sbuffo, voltandomi verso il finestrino.
«Mi chiedevo quanto tempo ci sarebbe voluto perché la stronza
bisbetica tornasse a mostrare il suo brutto muso», borbotta sottovoce.
«Beh», esclamo, «almeno questa stronza sa cosa vuole.» «Che sarebbe?» mi
deride Jameson.
«Un uomo, ecco cosa vuole. Uno che non ha paura dei suoi sentimenti.»
«Vai all’inferno», mormora lui. «Piantala di parlare. Mi stai stressando
da morire con tutte queste cazzate. Se avessi voluto una psichiatra, ne avrei
frequentata una.»
Faccio un sorrisetto, continuando a guardare fuori dall’auto. «Noi non ci
stiamo frequentando, Jameson. Stiamo scopando. Non fraintendere.»
«Se stasera esci con Ava per andare a caccia di uomini, non faremo più
nemmeno quello.»
«Chiedo scusa?» esclamo, mentre la rabbia inizia a montare in me.
«Non puoi dirmi cosa fare.»
Mi fissa negli occhi. «Posso. E l’ho appena fatto.»
«Jameson.» Mi interrompo, cercando di pensare a una risposta calma e
intelligente da dargli. «Non andrei mai a letto con qualcun altro a tua
insaputa. Questo lo sai. Ma non puoi dirmi dove ho il permesso di andare.
Anche se tu mi amassi, e non è così, non ti permetterei di impormi cosa
posso fare.»
«Dico sul serio.»
«Vai all’inferno.» La limousine si ferma all’angolo dove devo scendere,
e apro subito la portiera.
«Ci vediamo stasera», mi dice lui con tono secco mentre esco.
Mi sporgo verso di lui. «Certo, aspettami pure. Sarò da te non appena
gli asini avranno imparato a volare.» Sbatto di colpo lo sportello.
La limousine parte e si avvia lentamente lungo la strada che porta al
palazzo della Miles Media, e io inspiro per cercare di calmare i battiti
furiosi del mio cuore. Stupido coglione.
«Mi chiedo di cosa si tratti.» Molly si acciglia, leggendo le storie sul suo
computer.
«Di cosa parli?» rispondo io mentre batto sulla tastiera.
«Qui dice che oggi, alla Miles Media, ci sarà una riunione di emergenza
con gli azionisti, e che sono in programma altri incontri a Londra la
settimana prossima.»
Mi sprofonda il cuore, è là che Jameson andrà tra pochi giorni. «Cosa?»
La mia collega gira lo schermo verso di me, e io leggo l’articolo di
rassegna finanziaria sul crollo dei prezzi delle azioni della Miles Media.
Appoggio il mento al palmo della mano mentre continuo a leggere.
Dio… che incubo.
Alzo lo sguardo e vedo Jake impegnato a ridere con una delle ragazze
nel suo cubicolo, come se non avesse un solo pensiero al mondo. Che cosa
sta facendo quello stupido idiota? Sta indagando sul caso? Oh, credo
davvero che sia l’uomo sbagliato per questo lavoro. Sembra che non stia
portando a termine nessuna indagine, mentre sono certa che abbia
memorizzato il numero di telefono di ogni singola ragazza del piano.
Dovrei parlargli dei miei dubbi su Hayden? No, è solo una sensazione
ancora priva di fondamento. Oggi metterò alla prova la mia teoria.
Al diavolo. Dovrò scoprire da sola chi è il responsabile. È palese che
Jake non ne abbia la più pallida idea.
Con la coda dell’occhio, mi accorgo che i miei colleghi stanno correndo
alle loro scrivanie, e alzo lo sguardo per vedere Jameson e Tristan intenti ad
attraversare il piano. Mentre cammina, Tristan sorride e chiacchiera con i
dipendenti. Jameson, invece, è solenne in tutto il suo irritabile splendore.
Ha la schiena dritta come un fuso e il suo viso è così baciabile da far male.
Sei arrabbiata con lui… te lo ricordi, stupida? Distogli lo sguardo,
distogli lo sguardo.
Torno al mio computer, ma poi mi accorgo di avere il familiare
completo grigio accanto. Alzo la testa e trovo Jameson in piedi vicino alla
scrivania.
«Salve, signor Miles.» Fingo un sorriso.
Lui incontra il mio sguardo. «Salve.»
«Posso aiutarla, signore?»
«Dov’è Jake?» mi domanda a denti stretti.
«Sarà da qualche parte a flirtare», rispondo. «Cerchi una bella donna e
lo troverà lì.» Indico con la penna la direzione in cui, poco fa, ho visto
l’investigatore.
Jameson inspira in modo brusco, lanciando un’occhiataccia a Jake, che
sta chiacchierando con una bionda, totalmente inconsapevole di essere
osservato. Poi l’amministratore delegato guarda verso Tristan, ed entrambi
scuotono la testa in maniera a malapena percettibile.
«Tristan, mi stavo chiedendo se, questo pomeriggio, potessi vederla per
qualche minuto», gli chiedo.
«Sì, certo. Vieni su tra mezz’ora.»
Jameson tiene gli occhi puntati su di me per un istante più a lungo del
necessario, come se stesse aspettando che io gli dica qualcosa. Gli faccio un
sorriso caloroso, nascondendo la mia ira. Forse ha ragione, sono davvero
una stronza.
«Arrivederci.»
«Arrivederci», mi dice, voltandosi e puntando dritto su Jake.
Quando l’investigatore lo vede arrivare e balza in piedi di scatto, non
riesco a non ridacchiare. Jameson gli dice qualcosa, e poi Jake viene
scortato all’ascensore sotto il mio sguardo.
Spero che lo licenzino. Di certo non è affatto interessato all’importanza
di questo caso.
Jameson
A mano a mano che elenco gli argomenti della nostra riunione, tamburello
le dita sulla lavagna bianca di fronte a me. «Questa proiezione è basata sulla
situazione attuale. Tuttavia, qualcosa potrebbe cambiare alla fine delle
elezioni.»
Una vibrazione. Il mio cellulare scivola sul ripiano, e io getto uno
sguardo verso gli uomini seduti attorno al tavolo delle conferenze.
Dannazione, lo lascerò suonare. Nello stesso istante, Elliot dà un’occhiata al
mio telefono, vedendo il nome di chi mi sta chiamando: FB.
Voglio sentire la sua voce, e non sarà un problema se mi prendo due
minuti di pausa. «Devo rispondere a questa telefonata. Elliot, nel frattempo
potresti spiegare la strategia pubblicitaria per il prossimo mese, per
favore?»
«Certo.» Mio fratello si alza e subentra al mio posto, mentre io rispondo
alla chiamata uscendo dalla sala e dirigendomi nell’ufficio di Christopher lì
accanto.
«Pronto.»
«Ciao.» La voce allegra di Emily risuona dall’altro capo del telefono.
«Ehi.» Mi ritrovo a sorridere come uno sciocco, di fronte a una finestra
che dà su Londra.
«Ho interrotto qualcosa?» mi chiede.
Faccio un sorrisetto. Solo una riunione con dodici dirigenti. «No, niente
affatto.»
«Ti ho chiamato per dirti che ho comprato un nuovo paio di scarpe da
ginnastica.»
Sorrido. «Davvero?»
«Già, hanno le rotelle, quindi, da adesso in avanti, quando andremo a
correre nel parco, ti farò mangiare la polvere. Ho solo pensato di avvertirti.»
Dio… è così piacevolmente normale. Quando è mai successo che una
donna mi chiamasse per dirmi che aveva comprato un paio di scarpe da
ginnastica nuove?
«Ne dubito fortemente.»
«Oh, accidenti, non crederai a cosa è successo ieri notte», continua lei.
«L’ex marito di Molly ha preso due Viagra, forse tre, ed è svenuto mentre
stava guidando perché non aveva più sangue in corpo, visto che era tutto
affluito al suo pisello, quindi abbiamo dovuto portarlo al pronto soccorso.»
Scoppio a ridere. «Ma che diavolo? Può succedere davvero una cosa del
genere?»
«A quanto pare, sì. E chi lo sapeva?»
Sgrano gli occhi. Gesù. «Dovrò smettere di prenderlo, allora», scherzo.
Emily fa una risata. «No, fai pure. Ora so perfettamente cosa fare. Vale
la pena di svenire. Continua pure a prendere le tue pillole, dobbiamo solo
legarti stretto l’uccello. Ho tutto sotto controllo.»
Entrambi ridiamo e poi rimaniamo in silenzio.
«Tre giorni», mormoro.
«Tre giorni», ripete lei.
Dio, non sono mai stato tanto ansioso di tornare a casa in tutta la mia
vita.
«Che stai facendo adesso?» le domando.
«Sto per farmi una maschera al viso e infilarmi nella vasca da bagno
con delle fette di cetriolo sugli occhi. Ti stai perdendo un vero spettacolo.»
«Senza dubbio.» Sorrido. Possiede una bellezza naturale, per nulla
artefatta. Non cerca di essere qualcosa che non è. Amo questo lato di lei.
Amo molti lati di lei… «Quindi ora hai aggiunto i cetrioli alla tua beauty
routine?» le chiedo.
«Già, a quanto pare servono a ridurre il gonfiore del contorno occhi.»
Faccio un ampio sorriso. «I cetrioli sono utili per molte cose. Forse
dovremmo aggiungerli anche alla nostra routine sessuale.»
Emily scoppia a ridere. «Sei un pervertito, signor Miles.»
«Me lo dici sempre.»
«Adesso ti lascio andare.»
Faccio un sorrisetto, guardando fuori dalla finestra. «Ci sentiamo,
Emily.»
«Ci sentiamo, Jay», bisbiglia lei. Chiude la chiamata, e io torno in sala
riunioni per riprendere il mio posto.
In questo momento, è Christopher a parlare, e io mi accomodo accanto a
Elliot. Lui si sporge verso di me e mormora: «Ora hai Zuckerberg tra le
chiamate rapide?»
«Eh?» Aggrotto la fronte.
«FB… sta per Facebook, giusto?»
Mi acciglio e poi mi rendo conto che sta parlando della telefonata di
Emily.
FB sta per Fuck Bunny, la coniglietta del sesso, non per Facebook.
Ghigno e mi stringo la base del naso mentre mi sfugge una risatina.
«Che c’è di tanto buffo?» sussurra Elliot.
«Zuckerberg ha comprato un paio di scarpe da ginnastica con le
rotelle.»
Mio fratello rotea gli occhi. «Non mi sorprende. Quel tizio è fuori di
testa.»
Salgo in taxi con un migliaio di pensieri che si affollano nella mia mente.
Ne abbiamo passate così tante, noi due… Sto andando a trovare la mia ex,
la donna che sarebbe dovuta essere l’amore della mia vita.
Da quando ho visto Claudia, è passato ormai molto tempo. L’ultima
volta in cui sono venuto a Londra, lei era in America. Il fatto che siamo
entrambi maniaci del lavoro è sempre stato contro di noi, il tempo insieme
era prezioso.
Busso alla porta ed espiro; ho i nervi a fior di pelle. Lei apre di colpo e
il suo bellissimo viso appare nel mio campo visivo. Mi fa un ampio sorriso
e mi getta le braccia attorno al collo.
«Grazie a Dio sei qui», sussurra contro la mia pelle. «Mi sei mancato.»
Capitolo 16
Jameson
«C .» M . I tocco è
caldo… familiare. «Come stai?» le chiedo.
«Bene ora che sei qui.» Mi prende tra le braccia, e io le sorrido. Tra di
noi c’è un legame che non potrà mai spezzarsi. Poi mi rendo conto di cosa
sto facendo, così mi libero dal suo abbraccio e mi allontano. Non avevo
intenzione di ritrovarmi stretto a lei oggi.
Claudia mi rivolge un’espressione triste, ma si riprende in fretta. «Ci
sono novità sul sabotaggio della Miles Media?»
«No, non ancora.»
Mi osserva per un momento, e il suo sguardo penetrante incrocia il mio.
«Hai qualcosa per la testa. Di cosa si tratta?»
«Ho conosciuto qualcuno.»
«No.» Mi dà le spalle, va in cucina e mette la teiera sul fuoco.
«Non ho potuto farci niente.» Mi avvicino a lei e allungo una mano per
toccarla, ma poi mi trattengo. Faccio un passo indietro per sicurezza.
«Non dirmi che non sei riuscito a impedirtelo, quando sappiamo
entrambi che puoi eccome.»
«Provo una forte attrazione per lei.»
«Un’attrazione fisica?» mi chiede con la voce piatta.
Stringo le labbra, guardandola; da un momento all’altro darà di matto.
«All’inizio, sì. Credevo che fosse solo fisica.»
Mi fissa negli occhi. «Da quanto tempo la conosci?»
«Da un anno.»
Mi rivolge un’espressione infuriata. «Ti vedi con una donna da un
anno?»
«No», sbotto. «Ci siamo incontrati in aereo un anno fa, abbiamo passato
una notte insieme durante uno scalo e di recente ci siamo rivisti.»
«E quindi? Jameson, sei andato a letto con moltissime donne durante la
nostra pausa», replica lei, furiosa.
«Questa è diversa, Claudia», dico piano.
Rotea gli occhi, disgustata, e mi dà di nuovo la schiena.
«Ho pensato a lei.» Mi interrompo, incerto su quanto raccontarle. «Mi è
capitato spesso da quando ci siamo conosciuti, e poi è stato come se…»
Smetto di parlare e la fisso, aspettando che mi dica qualcosa.
«Come se cosa?» mi domanda alla fine.
«Come se l’avessi riportata nella mia vita con il pensiero.»
Si gira bruscamente verso di me. «Che cosa vuoi dire?»
«Pensavo di continuo a lei… e poi è apparsa nel mio ufficio.»
Claudia alza gli occhi al cielo, poco colpita. «Ovvio che sia tornata… tu
sei Jameson Miles.»
«Non aveva idea di chi fossi quando ci siamo conosciuti. Le ho dato un
nome falso.»
«Quindi perché sei qui, Jameson?» domanda.
Scaccio il rimpianto che mi chiude la gola. «Sono qui per chiudere la
nostra storia.»
«Non farlo.» Punta un dito contro di me. «Non osare gettare via tutto
ciò per cui abbiamo lottato tanto.» Le si riempiono gli occhi di lacrime.
«Claud.» Sospiro. «Non stiamo bene insieme. Siamo due stacanovisti,
viviamo ai lati opposti del globo, e, a meno che uno di noi due non perda il
lavoro, questo non cambierà mai. Io posso stare solo a New York.» «Se
tornassi in città?» suggerisce.
«E rinunceresti al lavoro dei tuoi sogni?» Sospiro di nuovo. «Non ti
permetterei mai di fare una cosa del genere per me. Lo so quanto ti sei
impegnata per la tua carriera.»
Claudia mi fissa, e io la prendo tra le braccia. «Devi innamorarti di
qualcuno che possa sostenerti nel tuo ruolo.»
«L’ho già fatto», bisbiglia lei, aggrappandosi a me.
Chiudo gli occhi e le bacio una tempia. «Due persone tanto simili non
possono avere una relazione duratura. Dobbiamo stare con il nostro
opposto, Claud.» La stringo un po’ più forte. «Due maniaci del lavoro come
noi non possono funzionare. Siamo entrambi troppo concentrati e troppo
stressati per prenderci cura l’uno dell’altra.»
Claudia mi guarda, e capisco che, nel profondo, sa che ho ragione. Ha
gli occhi lucidi. «Che cosa è successo al nostro piano quinquennale?»
bisbiglia.
«Era buono nella teoria, ma, andiamo… Quando ci siamo presi questa
pausa, sapevamo entrambi che c’era una grossa possibilità che non ci
rimettessimo insieme.»
«Tornerò a New York», mi supplica.
Sostengo il suo sguardo e so che non c’è un modo semplice per dirlo.
«È troppo tardi. Provo qualcosa per Emily. È lei che voglio ora.»
Il suo viso si contorce in una smorfia di pura rabbia. «Quindi si chiama
Emily, eh?» dice con la voce carica di disprezzo. Stringo i denti. «Chi
sarebbe? Che cosa fa?»
«È solo una ragazza normale di periferia.»
Claudia rotea gli occhi, disgustata. «Tu… con una ragazza normale? Ah,
bello scherzo. Immagino che cucini, pulisca, si prenda cura di te e ti succhi
il cazzo a comando, vero?»
Inspiro a fondo per tenere a bada l’ira. «È la persona giusta per me.»
«Io sono quella giusta per te», sbotta lei.
«Come collega di lavoro o dipendente, sì. Come compagna di vita…
non proprio.» Le si riempiono di nuovo gli occhi di lacrime. «E io non sono
quello giusto per te.» Scrollo le spalle. «Sono così impegnato che non posso
essere presente. Meriti qualcuno che si prenda cura di te, ma io non posso
farlo da New York. Lo sai che non posso. Non c’è modo di superare questa
situazione. Le nostre vite seguono strade diverse. Due amministratori
delegati di due grandi aziende non possono portare avanti le loro carriere e
coltivare una relazione ai lati opposti del mondo. È una missione
impossibile.» Mi interrompo, cercando di spiegare bene ciò che voglio dire.
«Prima di incontrare lei… non avevo capito cosa entrambi ci stessimo
perdendo. Sia tu che io.» Mi guarda fisso negli occhi. «Vorrei che fosse
toccato a te dirmi che hai conosciuto qualcuno, così non dovrei farlo io. Ti
amo, e sei l’ultima persona che vorrei ferire. Preferirei di gran lunga che tu
ferissi me.»
Claudia si allontana per lasciarsi cadere sul divano, mentre elabora
quell’informazione. Rimango in silenzio a osservarla.
«E quindi adesso cosa succede?» mi chiede.
«Tornerò a casa e le chiederò di venire a vivere da me.»
Il suo volto assume un’espressione sgomenta. «Cosa?»
«E annuncerò la nostra relazione.»
Claudia china il capo per la tristezza. «Che fretta c’è?»
«Mi conosci. Sono un tipo da tutto o niente.»
Mi rivolge una smorfia senza smettere di piangere. «Hai intenzione di
sposarla?» Resto in silenzio. «Mi hai chiesto di sposarti quattro settimane
dopo che ci siamo conosciuti. Sei…» Le manca la voce per il dolore che
deve provare in questo momento.
Stringo i denti per impedirmi di dire qualcosa di cui mi pentirei. Lei
abbassa di nuovo la testa, singhiozzando. Devo andarmene prima che si
arrabbi. «Ora vado via.»
Alza lo sguardo a incontrare il mio. «Ti amo», bisbiglia.
Faccio un sorriso triste e la prendo tra le braccia. «Anche io ti amo.» Ci
stringiamo a lungo. «Sii felice», sussurro tra i suoi capelli.
«Come potrei mai esserlo senza di te, Jameson?» mormora lei di
rimando. «Non andare…»
«Devo.»
Mi libero dal suo abbraccio e, senza un’altra parola, mi giro ed esco
dalla casa a schiera di Claudia. Salgo sui sedili posteriori dell’auto in attesa
e, mentre il veicolo parte, guardo fuori dal finestrino.
«Addio, Claudia», bisbiglio, fissando il panorama che scorre via. «Punta
sempre in alto, piccola.» Mi si stringe la gola al pensiero di tutti i bei
momenti che abbiamo condiviso. «Ti meriti il meglio.»
Emily
Due ore più tardi, sono seduta a fissare il mio computer. Quando sono
tornata, ero troppo sbalordita per parlare dell’incontro in stile Ai confini
della realtà di questa mattina nell’ufficio di Jameson. Mi è servito tutto
questo tempo per comprendere le sue parole.
Sono arrivata alla conclusione che è intontito da morire dal jet lag e che
sta avendo un qualche tipo di allucinazione. Il mio cellulare vibra sulla
scrivania, e appare la mia lettera preferita: J.
Gli rispondo con un sorriso. «Salve, signor Miles.»
«Come sta la mia ragazza?» mormora la sua voce sexy dall’altra parte
della linea.
«Ti senti bene?» gli domando perplessa.
«Benissimo, perché?»
«È solo che sei molto…» mi interrompo, cercando la parola giusta,
«strano.»
Lui emette una risata morbida e profonda, e la sento fin dentro le ossa.
«Non mi sento strano.»
«Ti stai comportando in modo strano, però.»
«Ti chiamo solo per dirti che domani sera avremo una cena.»
«Che cena?»
«I Media Awards», mi risponde con calma.
«I Media Awards», ripeto.
«Sì, è quello che ho detto.»
Lancio un’occhiata ai miei due amici del lavoro, che sono totalmente
ignari delle assurdità che stanno uscendo dalla bocca del mio compagno di
jogging. «Dove sarebbe?»
«Qui a New York. Ci sarà la mia famiglia. Potrai conoscerli tutti.»
Sgrano gli occhi mentre il panico si impossessa di me. «Bene, e come ci
si deve vestire?»
«In abito formale.»
Mi sento sbiancare. «Non ho nessun vestito da sera qui», balbetto. Non
ne ho neanche a casa dai miei, ma non è necessario che lui lo sappia.
«Non c’è problema. Chiederò che ci portino qualcosa stasera
all’appartamento, così potrai scegliere quello che vuoi.»
Mi gratto la testa, confusa. «Potrei venire al prossimo evento», gli
propongo. «Ti aspetterò a casa, a letto. I Media Awards non fanno proprio
per me.»
«Emily», mi dice lui con tono calmo.
«Sì?»
«Verrai con me.»
«Jay», bisbiglio, sentendo il panico arpionarmi la gola.
«Ci vediamo stasera. Farò un po’ tardi perché ho una teleconferenza.
Alan ti aspetterà di fronte all’ingresso laterale alle cinque, con le chiavi
dell’auto e quelle dell’appartamento.»
«Okay.» Riempio le guance d’aria e poi rilascio il fiato, cercando di
calmarmi. «Ci vediamo dopo.»
Riattacco e mi prendo la testa tra le mani.
«Che c’è?» mi chiede Molly.
«Jameson è impazzito.»
«Perché?»
«Vuole che domani vada a non so che cena di premiazione con tutta la
sua famiglia.»
Aaron e Molly sgranano gli occhi. «Cosa?»
«E mi ha detto che posso usare la sua auto come se fosse mia, ma io non
so nemmeno dove trovare un supermercato a New York.» «Oh, dovresti
andare a quello sulla Quinta.» «E come ci arrivo?» Mi acciglio.
«È sulla strada. Se vuoi posso venire con te, e poi da lì prenderò la
metropolitana.»
«Ne sei sicura?»
«Sì, tanto questa settimana non ho i ragazzi. Non è che abbia chissà che
altro da fare.»
Sono le cinque del pomeriggio e abbiamo appena finito di lavorare. «Dove
ha detto che ti avrebbe aspettata?» mi chiede Molly, prendendomi
sottobraccio mentre usciamo dal palazzo della Miles Media attraverso il
portone principale.
«Qui dietro, all’uscita laterale.»
«Che cosa cucinerai?» mi domanda.
«Mmh, costata di manzo con una salsa ai funghi, carote al miele e
broccoletti.»
«Mmh, che buono. È un bastardo fortunato. Vorrei che qualcuno venisse
da me a cucinare tutte queste cose.»
«Vero.» Giriamo l’angolo, alziamo lo sguardo ed entrambe ci fermiamo
di colpo. «Ma che cazzo…» sussurro.
Alan è in piedi accanto a quella che sembra una macchina del tempo, e
io sgrano gli occhi in preda al panico. È un’auto nera e bassa, nonché la più
sportiva che io abbia mai visto. I suoi cerchi in lega da soli devono costare
più di un normale veicolo.
Alan mi fa un sorriso pieno di calore. «Salve, Emily.»
Guardo prima la macchina e poi la gente di passaggio che la sta
occhieggiando. «Salve.»
Mi consegna le chiavi e una tessera. «Queste sono per l’auto, e questa è
la sua nuova chiave dell’appartamento.»
Fisso i due oggetti che ho in mano. «Quella è l’auto?» bisbiglio, bianca
in volto.
Lui ridacchia nel vedere la mia reazione.
Molly si preme le mani sulla bocca e inizia a ridere in modo nervoso,
ricordandomi la sua presenza al mio fianco. «Lei è Molly, una mia amica»,
la presento.
«Salve.»
Lei gli sorride.
«Il signor Miles mi ha chiesto di accordarmi con lei per quando vuole
organizzare il trasloco dal suo appartamento.»
Mi schizzano gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Domenica mattina andrebbe bene? Posso chiamare una ditta di
traslochi.»
Getto uno sguardo verso Molly, che mi sta fissando sbalordita. Okay,
che cazzo sta succedendo qui? «Le farò sapere», rispondo.
L’uomo mi sorride con gentilezza. «Certo.» Apre la portiera dell’auto.
«Dunque, ovviamente sa come guidare una vettura con il cambio manuale,
dico bene?»
«Potrebbe aspettare un minuto?» Sollevo un dito. «Solo un minuto.»
Do le spalle a entrambi e compongo il numero di Jameson.
«Pronto», mormora la sua voce sexy.
«Che razza di macchina è mai questa?» bisbiglio.
«Una Bugatti.»
«Che sarebbe?» sibilo, girandomi di nuovo a guardarla.
«Una Bugatti Veyron. È un’edizione limitata.» «Non
posso guidarla», sussurro, furiosa.
«Perché no?»
«Beh…» Mi guardo attorno, imbarazzata. «Non sono molto brava a
guidare, Jameson. Andrò sicuramente a schiantarmi con questa cosa.»
Lui scoppia a ridere, un suono profondo e morbido che mi fa sorridere.
«Emily, ti assicuro che chiunque può guidare quell’auto. In pratica si
guida da sola. Rilassati. Andrai benissimo.»
«Quando hai parlato di una macchina, pensavo ti riferissi a una
Toyota… come una persona normale», balbetto. «E se la
distruggo?» «Non mi importa, purché tu stia bene.» «Jameson»,
sussurro.
«Piccola, al momento sono impegnato in una riunione dello staff con
venti persone. Prendi quello che ti serve, e poi ci vediamo a casa», mi dice
con calma.
«Oh mio Dio!» grido, immaginando tutto il suo staff seduto lì ad
ascoltare la nostra conversazione. «A dopo.» Riattacco in fretta.
Torno da Alan e Molly, che aspettano entrambi che io dica qualcosa. «A
quanto pare, Jameson è impazzito del tutto», mormoro, fissando la
macchina.
Alan ridacchia, e Molly guarda incredula l’auto.
«Credevo che fosse una Toyota», aggiungo con una smorfia.
L’autista sorride e apre la portiera dal lato del guidatore. «Il signor
Miles non guida le Toyota, Emily.»
Entro nell’auto, e Molly si accomoda sul sedile del passeggero.
«Dove state andando?» ci chiede l’autista.
«A Las Vegas.» Molly ride. «Andiamo a Las Vegas. Quanto vale questa
macchina, Alan?»
«Credo sia costata intorno ai due milioni di dollari.»
«Porca puttana!» strilla la mia amica. «Salga, Alan, andiamo davvero a
Las Vegas.»
Appoggio la testa sul volante e scoppio a ridere. «È incredibile.»
«Andrà benissimo», commenta Alan divertito, sporgendosi dentro per
farmi vedere come avviare la macchina. Fa le fusa come un micio. «Freccia,
freno, marcia indietro.» Indica i vari pomelli e manopole. «Ci vada piano,
schizza come un razzo.» Chiude la portiera, e io metto la freccia.
Mi immetto lentamente nel traffico, accompagnata dalle grida e dalle
risate eccitate di Molly, e, non appena scompariamo dalla vista di Alan,
anche io scoppio a ridere.
«Ma che cazzo sta succedendo?» esclamo.
Due ore più tardi, entro nel parcheggio sotterraneo del palazzo di Jameson.
Ho capito perché prende quella maledetta limousine. Trovare un posto dove
lasciare la macchina in questa città è assurdo. Alla fine, ho lasciato Molly
ad aspettarmi in auto nel parcheggio mentre io prendevo al volo quello che
mi serviva, e poi l’ho accompagnata a casa. Ero terrorizzata che qualcuno
potesse rubare la macchina. Alan mi sta aspettando e mi guida nel garage,
dove parcheggio.
«Grazie.» Gli sorrido, tirando fuori la spesa dal bagagliaio. «Questa
macchina ha l’aria di essere troppo arrogante.»
Lui prende le buste con un piccolo ghigno, e insieme ci avviamo verso
l’ascensore.
«Ha chiuso la macchina, Emily?» mi ricorda.
«Oh, giusto.» Mi volto, sollevando il telecomando, che emette un bip
mentre blocca le serrature. Ridacchio. «Ops.»
Entriamo in ascensore, e lui rimane in silenzio, guardando dritto di
fronte a sé.
«Da quanto tempo lavora per Jameson?» gli chiedo.
«Da dieci anni.»
«Oh.» Mi acciglio. «È parecchio.»
Lui mi sorride. «Sì, è molto gentile con me.»
Arriviamo all’ultimo piano, e Alan apre la porta per entrare e
appoggiare la spesa sul bancone della cucina. «Le serve altro?» mi
domanda. «Il signor Miles è ancora in riunione. Sarà impegnato almeno per
un’altra mezz’ora.»
Lo guardo negli occhi e mi rendo conto che vorrei porgli un milione di
domande sull’enigmatico signor Miles. «Parla spesso con lui durante il
giorno?» gli chiedo.
«No.» Sorride all’idea. «Sono in contatto costante con la sua assistente
personale.»
«Oh.»
«La fisioterapista dovrebbe arrivare alle sette.» Lancia un’occhiata
all’orologio. «Vuole che la aspetti?» «La?» Aggrotto la fronte.
«Ah.» Si corregge. «Ora è un uomo, vero?»
Qualcosa mi dice che Alan sa molto di più del signor Miles di quanto
non lasci intendere.
«Già, comunque no, sono a posto. Lo farò entrare io.» Fingo un sorriso.
«Grazie.» Lo accompagno alla porta.
«Mi chiami se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa», mi dice con
tono cordiale.
«Okay, grazie.»
Torno in cucina e inizio a mettere via la spesa, quando suona il
campanello.
«Chi è?» chiedo, premendo il pulsante sul citofono.
«Salve, sono qui per il massaggio.»
«Salga pure.»
Apro la porta e aspetto che Matthew arrivi.
«Buonasera», mi saluta con tono allegro. «Stessa stanza dell’altra
volta?»
«Sì, per favore.»
L’uomo si avvia lungo il corridoio per prepararsi. Poi la porta si riapre
con un click, e Jameson appare nel mio campo visivo. Ogni volta che lo
vedo in giacca e cravatta, mi torna in mente esattamente chi è. La
personificazione del potere.
«Ciao», mi saluta con aria felice, prendendomi tra le braccia.
«Ehi.» Le sue labbra sfiorano le mie, e io mi sciolgo sotto al suo tocco.
«La tua macchina è ridicola.» Gli sorrido.
Lui ridacchia, prendendomi la mascella tra le dita, poi mi bacia più a
fondo, e io appoggio le mani sulle sue spalle.
Il citofono squilla di nuovo.
«Per l’amor del Cielo, questo posto è un aeroporto», mormoro, irritata
dall’interruzione del mio bacio.
«Oh, devono essere le stiliste con i tuoi vestiti», dice Jameson.
«Il tuo massaggiatore è pronto nella stanza in fondo al corridoio.»
Mi bacia di nuovo. «Falle entrare e scegli quello che vuoi.»
«Jay», bisbiglio, guardandolo negli occhi. Questo suo cambiamento mi
sta confondendo.
«Prendine più di uno.» Mi stringe il sedere. «Io faccio una doccia
veloce.» Svanisce lungo il corridoio, mentre io apro la porta d’ingresso.
Rimango sgomenta quando vedo due splendide donne che spingono un
enorme appendiabiti carico di vestiti magnifici.
«Salve.»
Una è alta con lunghi capelli scuri, e l’altra è bionda e davvero bella.
Entrambe sembrano molto sicure del proprio aspetto e sfoggiano un look
all’ultima moda.
«Buonasera. Il signor Miles ha ordinato dei vestiti», esordisce la bionda.
«Sono Celeste, e lei è Saba.»
«Sì, prego, entrate», mormoro imbarazzata. «Sono Emily.» Ci
stringiamo la mano.
Dio, non dirmi che mi guarderanno provare tutta questa roba. È
mortificante.
«Di qua.» Mostro loro il soggiorno, e le due donne iniziano a tirare fuori
scarpe e accessori mentre io le osservo, a disagio. Mi sembra tutto fin
troppo eccessivo.
«Torno subito», dico con tono educato.
Mi volto per andare in camera da letto, ed entro di colpo in bagno,
trovando Jay che si sta lavando sotto la doccia. «Che diavolo sta
succedendo?» sussurro in preda al panico.
«A cosa ti riferisci?» Lui si acciglia, del tutto inconsapevole di ciò a cui
mi sto riferendo.
«Là fuori ci sono due modelle di Penthouse con un mucchio di vestiti
davvero troppo eleganti per me, ho guidato una maledetta macchina del
tempo, mi hai detto che devo venire a vivere con te e sto andando fuori di
testa, Jameson», sbotto di colpo.
Mi fa un sorrisetto, chiudendo il getto dell’acqua. «Devi solo andare a
scegliere quello che ti piace, Emily. Non rimuginare.»
«Non rimuginare», ripeto io a bassa voce. «Ci ho già rimunto.»
«Rimunto non è una parola», commenta lui tranquillo mentre si asciuga.
«Oh mio Dio», farfuglio, agitata dalla sua noncuranza, e mi precipito di
nuovo dalle stiliste. «Scusate», dico loro, fermandomi accanto
all’appendiabiti. Mi torco le dita con aria nervosa.
«Mi parli del suo stile», esordisce la bionda con tono cordiale. «Che
cos’è che la esalta?»
La fisso. Oh, cavolo. Che cosa sono queste cazzate? «Ehm.» Guardo i
vestiti che ho di fronte.
«Che cosa la fa sentire viva e sexy?» esclama la mora. «Quando si sta
godendo i momenti migliori della sua vita.» Oh, Gesù… questo no.
«Ecco.» Indico l’appendiabiti. «Darò un’occhiata per vedere se trovo
qualcosa che mi piace.»
Inizio a scorrere i vestiti. Wow… sono tutti splendidi.
«Hai trovato qualcosa di tuo gusto, tesoro?» Sento la voce profonda di
Jameson provenire dalle mie spalle.
Mi volto, trovandolo dietro di me con un asciugamano bianco avvolto
attorno alla vita. Ha i capelli bagnati e i suoi muscoli abbronzati sono in
bella mostra. Cazzo, è così bello che mi viene voglia di divorarlo.
Alle due strafighe qui presenti escono gli occhi dalle orbite. «Salve,
signor Miles», balbettano entrambe, facendo scivolare lo sguardo lungo il
suo corpo.
«Salve.» Jameson rivolge loro un sorriso sexy.
Lo fisso impassibile. Fa sul serio?
«Non ne sono sicura. Mi piace tutto», sbotto, tornando a girarmi verso
l’appendiabiti.
È venuto qui solo con un asciugamano addosso… e poi?
Uffa.
Si avvicina a me da dietro e mi appoggia una mano su un fianco,
osservando con attenzione gli abiti. «Prendiamo questo, questo… e questo.»
Studia gli altri. «E tutti quelli da qui in avanti.» «Sì,
signore», esclamano entusiaste le due ragazze.
Lui sposta lo sguardo sulle scarpe e sulla lingerie che hanno disposto sul
tavolino da caffè.
«Prendiamo tutto l’intimo e qualsiasi paio di scarpe Emily scelga.» Poi
mi guarda e mi sorride, chinandosi per baciarmi. «Fatto.» Le due donne ci
osservano, trattenendo il fiato.
Jameson abbassa una mano sul mio fondoschiena e mi dà una bella
strizzata a una natica. «Piacere di avervi conosciute, signore», dice, prima
di avviarsi lungo il corridoio per il suo massaggio.
Mi giro verso le due stiliste che lo stanno guardando allontanarsi con
espressioni estasiate.
Oh Signore.
Credo di aver appena incontrato il vero Jameson Miles… in tutta la sua
gloria.
Capitolo 17
Emily
M
pensieri. Jameson è diverso… e intendo diverso quanto in un episodio di Ai
confini della realtà. Non sono sicura se sia una cosa buona o l’inizio della
fine per noi due. Mi ero appena abituata alla sua precedente stranezza, e ora
lui alza la posta in gioco.
Il massaggiatore se ne è appena andato, e Jameson è di nuovo sotto la
doccia per lavarsi via l’olio. Non ho intenzione di raggiungerlo, perché
finiremmo per fare sesso, e la cena è quasi pronta… ho bisogno di parlargli
senza una nebbia di eccitazione a ottenebrarmi il cervello.
Mi capita fin troppo spesso con lui.
Torna fuori, avvolto nel suo asciugamano, e mi punta addosso lo
sguardo dall’altra parte della stanza. Mi rivolge il più sensuale dei sorrisi.
«Potresti non aggirarti solo con un telo addosso quando abbiamo ospiti,
per favore?» domando. Lui mi fa un ghigno. «In questo momento, quelle
due galline sono a casa a darci dentro con i loro vibratori, immaginandoti in
quell’asciugamano bianco.» Roteo gli occhi. «A godersi», sollevo le dita
per sottolineare il concetto, «i momenti migliori della loro vita.»
Jameson ridacchia, prendendomi tra le braccia. «Sei gelosa, forse?»
«In effetti, sì. Non mi piace che altre donne ti guardino. Mi rende
violenta», gli dico con tono secco mentre mescolo la salsa. «E smettila
anche con quei sorrisetti sexy.»
Mi preme le labbra sul collo, stringendomi da dietro, e sento la sua
erezione contro il mio sedere. «Andiamo a letto.»
«No, prima devi mangiare.» Indico il bancone della cucina. «Siediti.»
Gli brillano gli occhi per la gioia, e fa come gli ho detto. Gli metto
davanti la sua cena. «Mmh, ha un bell’aspetto.» Mi sorride.
Mi accomodo accanto a lui e lo guardo per un momento mentre mangia.
«Perché hai detto ad Alan di far portare qui le mie cose?»
Mastica la sua bistecca. «Perché voglio che tu venga a vivere con me.»
«Da quando? Non ne abbiamo mai discusso.»
«Sì che lo abbiamo fatto.» Manda giù il boccone. «Questa mattina.»
«Quando?» Mi acciglio.
«Quando ti ho detto che volevo fare le cose per bene e tu hai risposto
che era okay.»
Lo fisso, con la mente in preda alla confusione. «Jameson, per me fare
le cose per bene significa tenerci per mano in pubblico e uscire insieme.
Magari conoscere le nostre famiglie.» Mi guarda, aggrottando la fronte.
«Cos’è questo cambiamento improvviso? La settimana scorsa ti sei
infuriato perché mi sono innamorata di te. Non ho potuto nemmeno
guardarti dopo il sesso senza che tu dessi in escandescenze.»
Beve il suo vino, chiaramente irritato. «Avevi detto di non essere
innamorata. Adesso invece ammetti che è così?»
«Non è questo il punto. Sai cosa voglio dire.»
«Voglio che proviamo a far funzionare questa relazione.» Scrolla le
spalle. «Quindi oggi mi sono portato avanti con i piani.»
«Piani?» Mi acciglio. «Non sono una transazione d’affari, Jameson.
Non puoi fare piani senza prima parlarne con me. Questa storia non
riguarda soltanto te, lo sai.» Jameson serra la mascella, seccato, e ricambia
il mio sguardo. «Ci sono due persone in questa relazione, Jay, e il fatto che
tu sia innamorato di me non significa che tu possa sopraffarmi.»
«Questo lo so», dice lui secco. «Quindi adesso sei innamorata di me?
Deciditi, donna.»
«Smettila di cambiare argomento. Capisci cosa ti sto dicendo?»
«Sì, Emily.» Sospira come se il preside della scuola gli stesse facendo
una ramanzina.
«È solo che non so perché tu abbia cambiato idea così all’improvviso.»
Faccio spallucce. «È strano.»
«Non ho affatto cambiato idea. È la situazione che è cambiata.»
«Che cosa significa?» Aggrotto la fronte.
Jameson emette un lungo sospiro. «Sono andato a trovare Claudia a
Londra.»
Oh, no, la sua ex. Ma non dovrei sapere chi è. È meglio che faccia finta
di niente.
«Chi è Claudia?»
«La mia ex.»
Faccio una smorfia e mi sforzo per tenere a freno la lingua.
Rimani calma, rimani calma.
«L’ho lasciata.»
Sgrano gli occhi in preda all’orrore. «Ma che cavolo stai dicendo?»
esplodo. «Stavi ancora con lei?»
«No, ma ci eravamo promessi che non saremmo usciti seriamente con
nessun altro.»
Comincio a sudare freddo, cercando di mantenere il controllo.
«Perché?»
«Perché avevamo deciso di tornare insieme tra qualche anno.»
Lo sapevo. Lo avevo capito già allora che c’era qualcosa di strano sotto.
Dannazione, perché non ho notato i segnali? Prendo il mio bicchiere di vino
e lo scolo mentre lo fisso negli occhi. Accidenti, questa sì che è una notizia.
Una pessima notizia.
«Le ho detto che provo dei sentimenti molto forti per te.»
«Davvero?» Mi acciglio, e un minuscolo seme di speranza mi sboccia
nel petto.
Sorride, passandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Davvero.»
«Cos’altro le hai detto?» gli chiedo con calma. Vorrei fargli un milione
di domande su loro due.
«Che tra di noi è finita.»
«La amavi?»
«Sì.» Si interrompe per un momento, come per riflettere su
quell’affermazione. «A modo mio, la amavo. A posteriori, mi rendo conto
che la mia relazione con Claudia non è mai stata normale. Non come la
nostra, in ogni caso.»
Lo fisso, senza parole, grata che finalmente sia sincero e tuttavia
terrorizzata che il loro legame fosse così forte da resistere a una relazione
aperta. Io non ci sarei mai riuscita.
«Credi che la nostra relazione sia normale?» chiedo.
Mi sorride e si sporge in avanti per baciarmi dolcemente. «Tu no?»
«No. Per me la nostra relazione è eccitante e meravigliosa e tutto
fuorché ordinaria.» Lo fisso. «La normalità annoia in fretta, Jameson.»
«Le ho detto che voglio costruirmi un futuro con te.»
Okay, questo suona molto meglio. Incurvo le labbra, lottando per
trattenere un sorriso.
«Le ho anche detto che provo qualcosa per te sin dal primo giorno in cui
ci siamo conosciuti e che sei l’unica donna con cui voglio stare d’ora in
avanti.»
Questa volta un’espressione di sciocca felicità mi si dipinge sul volto.
«Le hai detto che ho delle scarpe da ginnastica con le rotelle?» sussurro.
Lui ridacchia e, mentre mi prende il viso tra le mani, noto che nei suoi
occhi brilla qualcosa che non vi ho mai visto prima. «L’ho fatto.»
«Che cosa significa questo, Jay?» Lo scruto in volto. «Per noi, intendo.»
«Significa che sono tutto tuo.» Scrolla le spalle. «Se mi vuoi.» Cosa?
Tutto mio?
Sbatto le palpebre… in preda allo shock. «Ti sei frenato per tutto questo
tempo?»
«Esatto, e non posso continuare così.»
«Che cosa significa… per noi?»
«Significa che voglio che tu venga a vivere da me e che, d’ora in avanti,
procederemo a pieno ritmo.»
«Che fretta c’è?» domando, perplessa. «Non possiamo andare avanti per
gradi?»
Lui si sporge verso di me e mi bacia con tenerezza, poi mi guarda con i
suoi grandi occhi blu. «Non faccio le cose a metà, Emily.» «Vale a dire?»
bisbiglio.
«Che la mia donna è tutto il mio mondo.» Punto lo sguardo su di lui,
restando senza fiato. «Io lavoro duro… ma amo con ancora più intensità.»
Sento i battiti del mio cuore risuonarmi nelle orecchie. Sta succedendo
davvero? «Sono innamorato di te, Emily Foster.» Si avvicina per baciarmi.
Mi infila la lingua tra le labbra socchiuse, e io vengo sopraffatta
dall’emozione al punto che mi si chiude la gola. «Non posso farci niente.
Ho cercato di impedirmelo e non ci sono riuscito. Credo di amarti sin dalla
nostra prima notte insieme a Boston. Mi sei rimasta dentro. Mi sono
sforzato, e tuttavia non ho potuto dimenticarti. Mi porto dietro la tua sciarpa
come un idiota malato d’amore da più di un anno.» Lo fisso. «Quindi ti
prego di perdonarmi se voglio procedere a pieno ritmo. Questa non è una
decisione improvvisa. Era nell’aria da parecchio e, ora che posso farlo, non
voglio perdere altro tempo. Ti voglio con me. Al mio fianco.»
Continuo a guardarlo mentre il mio cervello comprende a pieno cosa sta
succedendo.
Ma che… Porca miseria.
Solleva coltello e forchetta. «Ora mangerò questa splendida cena che
hai preparato per me, poi ti porterò a letto e ti farò dimenticare di averti
detto di non innamorarti di me. Se sarò fortunato, anche tu mi dimostrerai di
provare qualcosa nei miei confronti.» Gli sorrido con il cuore gonfio di
gioia. «Okay?» mi chiede, prima di mangiare un boccone.
«Okay.»
Prendo un sorso del mio vino con mano tremante. Abbasso lo sguardo
sulla cena e faccio un sorrisetto. Salsa di funghi… la mia nuova pozione
d’amore.
Abracadabra.
Jameson Miles mi ha appena lasciata a bocca aperta.
Sono seduta a guardare Hayden che attraversa la strada, diretto verso il bar
dove ci troviamo anche noi. Ha con sé una ventiquattrore. Perché ha
bisogno della sua valigetta durante la pausa pranzo? Questo tizio è sospetto
da morire.
«Da quanto conosci Hayden, Moll?» le chiedo.
Aaron beve il suo drink con la cannuccia, ascoltandoci e tenendo
d’occhio il nostro collega in strada. Noi tre siamo nel posto in cui
preferiamo pranzare e siamo seduti sulla panca vicina alla vetrina.
Lei storce le labbra. «Da circa otto anni, mi sembra.»
«Aaron mi ha detto che siete stati colleghi anche al tuo vecchio lavoro.»
«Già.» Mastica il suo sandwich con gli occhi fissi sull’uomo in
questione. «Ha lavorato al Gazette insieme a me.»
Anche io torno a guardarlo. «Lo sai, credo che stia combinando
qualcosa…»
«Non mi sorprenderebbe.» Si pulisce la bocca con un tovagliolo.
«Perché lo dici?»
«Il Gazette lo ha licenziato.»
«Per quale motivo?» domanda Aaron con la fronte aggrottata.
«Non ne sono sicura, ma ho sentito dire che era coinvolto in uno
scandalo legato a delle intercettazioni telefoniche.»
«Cosa?»
«Pare sia così.» Fa una smorfia. «Sono solo illazioni, ma sembra sia
stato scoperto a intercettare il telefono di una delle sue colleghe per rubarle
le storie.»
Sgrano gli occhi. «Davvero? Chi?»
«Una ragazza di nome Keeley May.»
«Oh, sì, la rossa», commenta Aaron. «Una bomba sexy.»
Molly ed io spostiamo lo sguardo sul nostro amico. «E da quando trovi
sexy le ragazze?» gli chiede Molly.
«Sono gay, non cieco. Posso apprezzare un bel corpo femminile quando
lo vedo», sbuffa lui.
Entrambe alziamo gli occhi al cielo.
«Perché credi che stia combinando qualcosa?» mi domanda poi Molly.
Dio, posso dirglielo? No… prima devo discuterne con Tristan. Non
posso minare la fiducia che i fratelli Miles nutrono nei miei confronti.
«L’altro giorno gli ho parlato di una delle mie storie e ho visto che l’ha
inviata come se fosse sua», mento.
La mia amica stringe gli occhi. «Che viscida serpe.»
«Non ho prove, ovviamente», aggiungo. «Ma mi stavo chiedendo che
tipo fosse, ecco tutto.»
«Per come lo conosco io», mi dice con tono asciutto, «non mi fiderei
minimamente di lui.»
«Come Paul», commenta critico Aaron.
«Oh Dio, e ora cos’è successo?» gli chiedo.
«Niente», sospira lui. «È solo uno stronzo, ecco.»
Molly fa una smorfia disgustata. «Sai che ti dico, Aaron? Devi smetterla
di fare la parte della vittima. Sai che scopa con altri, eppure continui ad
andare a letto con lui. Essere ingannati è una cosa, ma andare a cercarsela,
quando sai con esattezza cosa sta succedendo, è assolutamente patetico.»
Lui alza gli occhi al cielo. «Non devi per forza essere così stronza.»
«Sì, invece. Ti comporti come una damigella in difficoltà. Ma non hai
figli con lui, non avete un mutuo e non lavorate insieme. Mollarlo sarebbe
facile. Digli di andarsene a fanculo e volta pagina», sbuffa. «Lasciarsi è
difficile. Ma rimanere con uno stronzo è anche peggio.»
«A proposito di voltare pagina, Jameson mi ha chiesto di andare a
vivere con lui», annuncio per cambiare argomento.
Aaron rischia di strozzarsi con il suo drink, che gli finisce su per il naso.
«Ma che diavolo?»
«Così pare.» Faccio spallucce.
Il mio collega si acciglia. «Come mai questa inversione di rotta?»
«È andato a trovare la sua ex, Claudia, mentre era a Londra.» «E
hanno scopato?» mi chiede lui, masticando la cannuccia.
«No, Aaron, scoparsi altre persone non è normale», sbotta Molly.
«Ficcatelo bene in quella tua testolina. Hai una visione davvero distorta
della realtà.»
«Cazzo, lo sai che oggi sei davvero una stronza?» la attacca lui.
«Beh, l’uccello in compartecipazione del tuo ragazzo mi fa incazzare»,
replica lei.
Aaron ed io roteiamo gli occhi. Oggi Molly è particolarmente
suscettibile.
«Mi ha detto che lui e Claudia avevano progettato di tornare insieme,
ma le ha spiegato che vuole un futuro con me e l’ha lasciata
definitivamente.»
«Porca miseria», sussurra il mio collega.
«E mi ha detto che mi ama.»
«Ma che cazzo?» esclama Molly. «Dici sul serio?»
«Ma…» Scrollo le spalle.
«Ma cosa?» bisbiglia Aaron. «Non dovrebbe esserci nessun ma in
questa storia.»
«Sta andando tutto così velocemente… D’altronde che fretta c’è?»
Faccio spallucce. «Ho paura che sia solo stressato.» Entrambi continuano ad
ascoltarmi. «A sentire lui, prova qualcosa per me sin dal nostro primo
incontro, e tutto questo era nell’aria da un po’.»
«Potrebbe essere vero.» Molly corruga la fronte.
«Potrebbe.» Bevo un sorso del mio caffè. «Ma potrebbe anche essere la
sua strategia per conquistarmi.»
«Che strategia?» mi domanda perplessa.
«Jameson Miles ottiene sempre quello che vuole», rispondo. «Se ha
deciso che vuole me…»
«Ed è così», interviene Aaron.
«… lo farà succedere. Non lo so.» Scrollo le spalle. «È solo che mi
sembra troppo bello per essere vero, e la faccenda di Claudia mi ha
sconvolta. Posso davvero credere che ora lui e la sua ex interromperanno
tutte le comunicazioni?»
Molly alza lo sguardo verso il soffitto. «Ci risiamo. Voi due idioti oggi
vi siete sniffati le cartucce dell’inchiostro?» Accartoccia con violenza il suo
tovagliolo. «Piantala di essere così negativa, cazzo. Quando non ti diceva
che ti amava, era un problema. Ora che lo ha fatto, ci deve essere un
secondo fine.» Gesticola, con un’espressione disgustata sul viso. «Volete
tornare sulla Terra?» Si alza. «Dobbiamo andare al lavoro.» Esce come una
furia, mentre Aaron ed io la guardiamo attraversare la strada.
«Ha bisogno di farsi una bella scopata», borbotta il mio amico. «È in
modalità stronza-totale.»
Ridacchio, seguendola con lo sguardo mentre rientra nel palazzo.
«Potresti avere ragione.»
Fisso il mio riflesso nello specchio ed emetto un lungo sospiro. Mi volto per
controllare il mio didietro. Indosso un abito dorato di Chanel che ieri
Jameson ha scelto tra quelli sull’appendiabiti. I miei lunghi capelli scuri
sono acconciati in boccoli voluminosi e fermati dietro a un orecchio, e ho
un trucco elegante, con le labbra tinte di un rossetto rosso lucido.
Sono nervosa da morire. Questa è la prima volta che lo accompagno a
un evento formale… e, ovviamente, tutta la sua famiglia sarà lì ad assistere.
Potrebbe essere un totale disastro.
Stai solo attenta a non versarti niente sul vestito, a non bere troppo
champagne e a non fare niente di imbarazzante, rammento a me stessa.
Dio, non posso farcela.
La cosa peggiore è che, essendo così stressata, vorrei solo scolarmi
qualcosa di molto, molto alcolico.
«Sei pronta, mia coniglietta?» mi chiama Jameson. Appare sulla soglia e
mi rivolge un sorriso sexy, abbassando lo sguardo lungo il mio corpo.
«Gesù, sei bellissima.»
Passo nervosamente le mani sulle cosce. «Così vado bene?»
«Sei perfetta.» Mi prende tra le braccia e mi bacia sulla guancia. «Ma
non mi piacciono quelle labbra rosse.» «Oh.» Mi incupisco.
«Non posso baciarti senza portarne addosso le prove.»
Mentre lui continua a tenermi stretta, gli sorrido. Oggi è cambiato
ancora qualcosa tra di noi.
Un nuovo giorno, una nuova dinamica di coppia a cui abituarsi.
Lo sento davvero vicino. Ieri, qualcosa nel modo in cui mi ha parlato ha
abbattuto le difese che avevo eretto contro di lui. Molly ha ragione, sto
cercando un risvolto negativo, ma non posso farci niente, temo che il mio
cuore sia in grave pericolo.
Se mi lasciasse… come farei a sopportarlo?
Sono già stata ferita in passato e, sapendo che Jameson è ben al di sopra
degli uomini con cui sono stata, la prospettiva mi terrorizza. Farebbe
male… terribilmente male.
Lui indossa uno smoking nero con un papillon; i suoi occhi sono blu
acceso e i capelli scuri gli incorniciano il bellissimo viso.
Nessun uomo mi ha mai spaventata tanto quanto Jameson Miles. È tutto
ciò che non ho mai saputo di volere.
Mi prende una mano tra le sue. «Hai preso quello che ti serve?»
«Sì.» Mi appoggio un palmo sul cuore, cercando di costringerlo a
rallentare.
«Che c’è che non va?» chiede piano.
«Sono nervosa.»
Mi rivolge un sorriso sensuale. «Andrai benissimo.»
«Non farmi bere troppo, va bene?»
«Okay.» Mentre ci avviamo verso la porta, mi lancia un sorrisetto furbo.
«E, se mi vedi bere troppo, toglimi il bicchiere.» Si acciglia. «Davvero,
Jay. Divento un’ubriaca molesta già dopo due sorsi.»
Allora lui sorride e poi, riflettendo sulla mia affermazione, manda
indietro la testa e scoppia in una fragorosa risata. «Non ho mai sentito
parole più vere.»
Spalanco la bocca, fingendomi scandalizzata. «Non stavo parlando di
pompini, Jameson.»
«Ma io sì.» Mi bacia una mano. «E, per la cronaca, diventi una
splendida ubriaca molesta.»
Faccio un sorrisetto, e lui si china per baciarmi il collo, le spalle e infine
il seno attraverso la stoffa del vestito.
«Prima arriviamo e prima potremo andarcene.» Mi accarezza il sedere e
mi dà una sonora sculacciata.
«C ?» A ,
mano dalla sua presa. «Che cosa ha detto?»
Mi sorride malizioso. «Stavo semplicemente constatando che sei
bellissima. Non ti innervosire.»
«Beh, lei allora non lo faccia», sbotto.
L’uomo sorseggia il suo drink con un’espressione compiaciuta,
chiaramente divertito dalla mia reazione. «Ma chi sei?»
«Qualcuno la cui intelligenza si sente insultata dalla sua audacia. A mai
più, signor Ferrara. Se ne vada.» Gli do le spalle e prendo posto al bar.
Lui mi avvicina le labbra all’orecchio da dietro. «È stato splendido
conoscerti, Emily. Ci incontreremo di nuovo. Farò in modo che succeda.» Il
suo respiro mi solletica il collo, e dei brividi traditori mi scivolano lungo le
braccia.
«Non si prenda il disturbo», lo schernisco, irritata dalla mia reazione
fisica nei suoi confronti.
Mi batte forte il cuore. Non c’è da meravigliarsi se il povero Jameson
sia tanto stressato. Deve affrontare delle vere e proprie vipere. Santo Cielo,
sono assolutamente scossa.
Prendo il mio drink e torno a parlare con Lauren, ma ho la mente
ovunque tranne che sulla nostra conversazione. Quel maledetto bastardo di
Gabriel sta sabotando l’azienda di Jameson e ci prova apertamente con le
sue donne.
Con la sua donna.
Sono indignata, una parte di me vorrebbe marciare fino al tavolo per
dire a Jameson cosa è appena successo, ma l’altra parte non vuole
stressarlo. Anche se forse è esattamente questo che vuole Gabriel… una
guerra aperta.
Merda… che disastro.
Dalla mia posizione accanto al bar, guardo una processione di persone
che sfila fino al tavolo dei Miles per salutare la famiglia, come per farsi
notare da loro. Tristan è tutto sorrisi e allegria, Jameson e suo padre sono
solo educati. È palese che non si facciano affatto incantare dai falsi saluti e
dagli auguri.
Dopo la conversazione più lunga della storia, torno da Jameson. Mi
siedo accanto a lui, che mi prende una mano nella propria per appoggiarsela
su una coscia.
«Ti piacciono davvero tutte queste persone?» bisbiglio.
Incrocia il mio sguardo. «Solo quelle sedute a questo tavolo.»
Mi guardo attorno con un certo nervosismo.
«Che succede?» mi chiede, intuendo che c’è qualcosa che non va.
«Niente», sussurro, avvicinandomi a lui per baciarlo con dolcezza sulle
labbra. «È solo che qui non mi convince nessuno.»
«Neanche a me, ma finché ti piaccio io non ci sono problemi»,
mormora.
Sorrido al mio bellissimo uomo e mi sporgo per sussurrargli
all’orecchio: «Mi piaci eccome».
Mi stringe la mano nella sua. «Due ore, e poi possiamo andare.»
«Bene.»
L , .
Alan china la testa e si fa sfuggire una risatina.
Jameson mi guarda… sconvolto.
Scoppio a ridere per l’espressione che ha sul viso. Spengo il pick-up e
salto fuori per gettare le nostre borse sul retro.
«Non puoi essere seria», balbetta lui.
«Sono terribilmente seria.»
Osserva il mezzo malconcio. «Questa auto non è nemmeno sicura.»
«Non è un’auto, è un pick-up.» Sorrido, richiudendo il portello
posteriore. «Si chiama Bessie.»
Jameson si appoggia le mani sui fianchi. Getta uno sguardo ad Alan, che
sta ridendo in modo fragoroso.
«Cazzo, Alan, non è divertente», sbotta. «Io non vado in campeggio,
Emily. E tu lo sapevi. Come diavolo ti è venuta un’idea tanto strampalata?
Non mi rilassa neanche un po’. Sento la pressione sanguigna schizzare alle
stelle dopo ogni secondo che passa.»
Alan abbassa la testa, ridendo senza riuscire a trattenersi. «Mi perdoni,
capo, ma questa è la cosa più divertente che sia mai successa. Posso fare
una foto per Tris?» chiede.
«Assolutamente no», sbuffa lui. «Chiudi il becco, o ti costringerò a
venire con noi.» Alan si morde il labbro inferiore per fermare le risatine.
«Perché dovremmo prendere questo…» Si interrompe, cercando la parola
giusta. «Perché dovremmo prendere questo rottame?»
«Per sparire dai radar.»
«Emily Foster, questo non è sparire dai radar. Questa è una garanzia di
morte istantanea.»
Sprofondo nel sedile e gli faccio una smorfia. «Me lo hai promesso.
Sono solo tre giorni, Jameson, poi torneremo indietro e io verrò a vivere da
te.»
Tenendo le mani sui fianchi, alza gli occhi al cielo, ma so che ce l’ho in
pugno. Me lo ha promesso davvero. Suono il clacson, e lui si avvicina al
lato del guidatore per aprire la portiera.
«Che cosa stai facendo?» gli chiedo, accigliata.
«Guido.»
«Sai usare un cambio a colonna?»
«Un cosa?» Aggrotta le sopracciglia.
Indico il cambio sul volante.
Fa una smorfia. «Ma è legale portare una cosa del genere in strada?»
Scoppio a ridere. «Sì.»
«Allora esci, guido io.» Mi costringe a uscire dall’auto, e io corro verso
il lato del passeggero per risalire.
Lui entra e prova le varie marce con un’espressione di pura
concentrazione sul viso. Alan ed io ridacchiamo, aspettando che capisca
come funziona.
«Okay, ci sono», dichiara Jameson Miles, maniaco del controllo.
«Andiamo», canticchio. «Suona il clacson per Alan.»
Jameson mi guarda impassibile, e io mimo il gesto di suonare il clacson
che facevo ai camionisti quando ero bambina.
«Emily, non so cosa significhi, ma è un modo sicuro per farsi gettare nel
bagagliaio.»
Alan scoppia di nuovo a ridere, e io mi agito sul sedile per l’eccitazione.
«Ciao, Alan», grido.
L’uomo mi fa un cenno con la mano.
Jameson si ferma e chiama il suo autista attraverso il finestrino aperto.
«Tieni il telefono acceso. Ci dovrai venire a prendere dal bordo della strada
tra una trentina di chilometri, quando questo coso andrà in panne.»
Alan ed io ridiamo di nuovo, e, mentre lui ci saluta, Jameson porta il
pick-up fuori dal parcheggio. Arriviamo al cancello di sicurezza, ma siamo
troppo in alto perché riesca a strisciare il suo tesserino.
«Fanculo a questo catorcio», borbotta sottovoce, parcheggiando l’auto e
uscendo per avvicinare la tessera allo schermo. Dopodiché, i cancelli si
aprono lentamente. Rientra e mette in moto il pick-up, uscendo dal garage
con uno stridio.
«Cazzo», sussulta. «E comunque di chi è questo ammasso di ferraglia?»
mi domanda, mentre ci immettiamo in mezzo al traffico di New York.
«Di Michael, il marito di Molly.»
Mi lancia un’occhiataccia. «Non è il coglione che si è fatto un’overdose
di Viagra e che hai dovuto accompagnare al pronto soccorso?» «È lui.»
Sorrido.
«Ti pareva», bofonchia, guidando. «Okay, dove stiamo andando?»
Trovo la mappa sul mio cellulare. «Dunque… dobbiamo prendere
l’autostrada.» Mi guarda perplesso. «Andremo all’High Point State Park,
nel New Jersey.»
«Cosa?» Si acciglia. «E che diavolo c’è lì?»
«Io.» Mi illumino, sporgendomi per baciargli un lato del viso.
«Nient’altro che me.»
Mi sorride e, tenendo gli occhi fissi sulla strada, allunga una mano verso
la mia coscia per stringermela. «È una fortuna che sia tu quello che
preferisco, vero?»
Un’espressione raggiante mi accende il volto. Lo sta facendo sul serio.
«È vero.» Mi sporgo e inizio a riempirlo di baci su tutta la guancia.
Fa una smorfia. «Smettila, è già abbastanza difficile guidare Baracca
così com’è.»
«Si chiama Bessie, non Baracca.»
Sogghigna. «Vediamo se riesce a riportarci a casa tutti interi, va bene?»
Due ore più tardi, vediamo il cartello dell’High Point State Park. C’è una
strada sterrata, e Jameson mi guarda con aria interrogativa.
«È questa?»
Faccio spallucce, sentendomi all’improvviso nervosa. «Mmh.» Mi
guardo intorno. «Credo di sì.»
Ho davvero bisogno che questo weekend vada per il meglio, voglio che
ci divertiamo e ci rilassiamo. Dentro di me so che, se Jay non riuscirà a
tenere sotto controllo lo stress per il lavoro, potrei perderlo. Non potrei
convivere a lungo con la sua rabbia.
Usciamo dalla strada principale e guidiamo lungo il sentiero. Entrambi
rimaniamo in silenzio mentre seguiamo il percorso. Studio la mappa sul
cellulare.
«Qui dice di andare dritto fino alla fine della strada e poi di girare a
destra.»
«Okay», risponde lui, mentre il pick-up sobbalza sul terreno dissestato.
Mi getta un’occhiata. «Sei sicura che sia quaggiù?»
Mi stringo nelle spalle. «È quello che dice qui.»
Gli alberi sono alti e bloccano gli ultimi raggi del sole.
«Una volta ho visto un documentario che hanno girato da queste parti»,
commenta Jameson, concentrato sulla strada.
«Cos’era?»
«The Blair Witch Project», borbotta con tono secco.
Mi scappa da ridere a mano a mano che ci addentriamo sempre di più
nel bosco. Che cavolo avevo pensato? La situazione sta innervosendo
persino me. Superiamo un accampamento situato alla nostra sinistra,
proseguendo giù da una collina. Ci sono una piccola tenda e due ragazzi
adolescenti seduti di fronte a un falò. Li guardo mentre li superiamo.
«Sembra che si stiano divertendo.» Sorrido.
«Stanno per entrare nella tenda per scopare», bofonchia lui. «È l’unico
motivo logico che possa averli spinti a venire qui.»
Faccio un sorrisetto. «Vuoi smetterla di essere così pessimista? Sono tre
notti, e possiamo stare da soli senza nessuno attorno.»
Annuisce e poi, non appena gli viene in mente una cosa, mi rivolge uno
sguardo accigliato. «Dove sono i bagni?» Sposta rapidamente gli occhi su di
me. «Abbiamo un nostro bagno, vero?» «Beh…» Mi interrompo.
«Beh, cosa?» sbotta. «Non starò da nessuna parte senza un cazzo di
bagno, Emily.»
«Ci sono dei bagni.» Giro la mappa sul telefono, cercando di capire
dove si trovano rispetto alla nostra tenda. «Ah, sì, eccoli qui. Sono proprio a
due passi.»
«Due passi?» Mi lancia un’occhiata ansiosa. «Definisci due passi.» Oh,
accidenti, sono ben più di due passi, ma ancora non glielo dirò. Potrebbe
girare l’auto e portarci via di qui. «Sono vicini, non ti preoccupare», mento.
Raggiungiamo il fondo della collina, e la strada si biforca. Davanti a noi
c’è un lago. La luce del sole sta iniziando a svanire proprio adesso. Mi
illumino, emozionata. «Gira a destra.» Lui obbedisce, e procediamo per un
po’. «Dovrebbe essere proprio qui.» «Dove?» Si acciglia lui.
«Parcheggia pure dove vuoi.»
«Che cosa vuoi dire?» Mi fissa.
«Possiamo montare la tenda dove preferiamo.»
«Intendi dire…» fa una smorfia, guardandosi attorno, «per terra?»
Io rido. «Ti aspettavi un parquet di rovere?»
Jameson rotea gli occhi e ferma il pick-up. Io esco e cammino avanti e
indietro sul bagnasciuga. «Che cosa stai facendo?» mi chiede.
«Sto cercando un buon punto dove mettere la tenda. Deve essere una
zona alta e piatta.»
«Perché alta?» mi chiede, iniziando a guardarsi attorno.
«Nel caso in cui dovesse piovere.»
Mi rivolge uno sguardo inorridito. «Non dirlo nemmeno.»
«Dai, dobbiamo darci una mossa.»
«Perché?»
«Si sta facendo buio, poi non avremo più luce.»
Jameson alza lo sguardo verso il cielo. «Non c’è illuminazione?»
«Abbiamo una torcia e due di quei faretti che si mettono sulla testa.»
«Buon Dio», esplode lui, prendendo a gettare fuori le nostre cose dal
retro della macchina. «Non mi metterò un cazzo di faro in testa come in uno
stupido episodio di Uomo vs Natura. È già abbastanza terribile adesso che
riesco a vedere cosa ho attorno.»
Ridacchio, prendendo la tenda dal borsone e iniziando ad aprirla. Gli
porgo la scopa. «Spazza via la terra.»
Mi fissa, del tutto spaesato. «Cosa?»
«Spazza via la terra… libera una zona. Non devono esserci rametti né
altro sotto la tenda.»
«Devo… spazzare via la terra», ripete lui.
«Sì, Jameson. Muoviti, o dovrai farlo con il buio.»
«Gesù Cristo… ora le ho sentite proprio tutte», borbotta, cominciando a
spazzare un’area per ripulirla. «Chi spazza via la terra, cazzo?»
«I campeggiatori.» Gli faccio un sorrisetto mentre apro le istruzioni, e
poi rimango a bocca aperta. Sembrano fatte per costruire un reattore
nucleare. Oh, accidenti, Molly aveva detto che sarebbe stata facile da
montare.
Okay… chi se ne frega. Andrà tutto bene. Dentro di me sento montare il
panico. Non torneremo a casa.
Allargo la tenda, e sento il rumore di uno schiaffo. «Ahi.»
Continuo a concentrarmi e tiro fuori i pali dalla sacca.
Sento un altro schiaffo. «Ma che diavolo?» grida Jameson.
«Che c’è?»
«Queste bestie sembrano uscite da Jurassic Park.» Agita le braccia
attorno a sé per allontanare gli insetti. «Nessuna zanzara dovrebbe essere
così grossa.»
Torno alle mie istruzioni. Okay, qui dice che questo palo va dentro
questo…
«Ah!» grida Jameson, schiaffeggiandosi le braccia. «Cazzo, Emily, mi
sto prendendo la malaria qui.»
Roteo gli occhi. «Smettila di fare il bambino.» Infilo il palo nel posto
giusto. «Puoi prendere l’angolo e tirare, per favore?»
Agitando ancora le braccia, si avvicina per fare come gli ho chiesto. Il
sole sta tramontando. «Indietreggia un po’», gli chiedo.
Si colpisce le gambe. «Fanculo», bisbiglia, muovendo una mano e
cercando di colpire qualsiasi cosa contro cui si stia accanendo.
«Un po’ di più.»
Cammina all’indietro e inciampa su una roccia, cadendo in un
cespuglio. «Ah», esclama.
«Oh.» Scoppio a ridere e corro ad aiutarlo a rialzarsi.
«Che razza di folle fa una cosa del genere per divertirsi?» farfuglia,
emergendo dalla vegetazione.
«Noi.» Ridacchio.
«Non è divertente, Emily.» Sbuffa, pulendosi di dosso la terra. «Questo
è un inferno in un vivaio idroponico per insetti geneticamente mutati.»
Qualcosa lo pizzica di nuovo, e lui si colpisce il collo. «Levati dal cazzo»,
bisbiglia all’animale.
«Per l’amor del cielo, principino, prendi l’antizanzare. È nel pick-up,
dentro alla borsa con le provviste.»
«Abbiamo l’antizanzare?» Mi guarda impassibile. «Cazzo, me lo dici
adesso che ho già perso due litri di sangue?»
Si precipita verso il veicolo, e lo sento spruzzare lo spray… ancora… e
ancora… e ancora.
«Ne stai lasciando un po’ per me?» gli chiedo.
«Questo è Uomo vs Natura, ognuno pensa solo per sé. Non hai guardato
Survivor? Questa notte ti caccerò dall’isola», grida, prima di essere colto da
un attacco di tosse e iniziare ad agitare le mani di fronte a sé. «E comunque,
cos’è questa roba?»
«Veleno.» Sgrano gli occhi. «Per uccidere gli insetti.»
Torna rapidamente da me. «Datti una mossa con la tenda», mi ordina.
«Perché ci stai mettendo tanto?»
«Montala tu, dato che sei così perfetto», sbotto.
«Va bene.» Mi strappa di mano le istruzioni e le fissa per un momento,
lanciando delle occhiate alla tenda stesa a terra. Volta il foglio e gira la testa.
«Beh, ora ha tutto perfettamente senso.»
«Davvero?» Mi acciglio. «Io non sono riuscita a capirci niente.»
«Queste non sono le istruzioni per montare una tenda, è una mappa per
scappare da Alcatraz.» Scoppio a ridere. «Che c’è di divertente?» dice lui
con tono secco. «Non c’è niente di buffo in questa situazione, Emily.»
Volta il foglio e poi lo gira ancora e ancora. Entrambi lo fissiamo.
«Okay, ora capisco.»
«Sì?» gli chiedo speranzosa.
«No, invece. Cerchiamo un albergo.»
«Jameson», lo supplico. «Volevo farti fare qualcosa che tu non abbia già
vissuto con una tua ex. Desideravo che provassimo insieme questa prima
esperienza. Puoi accontentarmi, per favore?» Fa un lungo sospiro. Lo
prendo per mano. «Lo so che non è quello a cui sei abituato, ma era per
tirarti fuori dalla tua zona di comfort. Ci tengo davvero, per me è
importante. Nel tuo appartamento lussuoso io mi sento altrettanto a
disagio.»
«Non è possibile.» Sostiene il mio sguardo e poi sbuffa, sconfitto. «Va
bene.» Riprende a studiare le istruzioni. La luce sta svanendo e deve
strizzare gli occhi per vedere.
Raggiungo la scatola dell’attrezzatura e prendo i due faretti. Ne metto
uno sulla sua testa e l’altro sulla mia, poi li accendo. Jameson alza lo
sguardo con un’espressione impassibile. Mi premo una mano sulla bocca
non appena mi scappa da ridere, e lui continua a leggere le istruzioni.
«Okay, dice che i pali sono in una sacca separata», annuncia.
«Ce li ho.»
«E dobbiamo attaccare gli angoli ai picchetti.»
«Già fatto.» Gli strofino la schiena e il sedere, e lui scaccia via la mia
mano.
«Dobbiamo infilare i pali nelle estremità e sollevarli.»
«Okay.» Mi chino per baciarlo.
«Emily.» Mi guarda, e la luce attaccata alla sua fronte mi acceca per
qualche istante. «Puzzo come una discarica di veleni tossici per insetti e non
mi sono mai sentito meno sexy in tutta la mia vita. Non sarei sorpreso se lo
spray mi avesse seccato il pisello come un’erbaccia.»
Scoppio a ridere. «Non smetterai mai di essere sexy per me, e il tuo
pisello è più un albero che un’erbaccia.»
Inarca un sopracciglio, poco entusiasta, mentre io vengo scossa da una
serie di risatine incontrollate. Ha davvero un’aria ridicola. Vorrei scattargli
una foto da inviare ad Alan, ma so che darebbe di matto. È già al limite.
«Okay, diamoci dentro e montiamo questa tenda, così poi possiamo
gonfiare il letto.» Sorrido.
La sua espressione si fa sgomenta. «Dobbiamo gonfiare il letto con una
pompa?»
«No, devi soffiarci dentro con la bocca», lo stuzzico.
Lui getta le istruzioni per aria. «Basta così, me ne vado.»
Scoppio a ridere. «No, invece. Ti sto solo prendendo in giro. Abbiamo la
pompa.» Si appoggia le mani sui fianchi e mi fissa per un momento.
«Jameson.» Gli sorrido dolcemente. «Questo weekend è una metafora della
nostra relazione. Tu ti aspetti che io rinunci a tutto ciò che conosco per
vivere in un mondo che mi è completamente estraneo.» Mi fissa. «Ti chiedo
solo tre giorni.» Sposto il peso da un piede all’altro. «Ti prego. Puoi farlo…
per me?»
Si stringe la base del naso, e io capisco che l’ho quasi convinto. Mi
sporgo e gli poso un bacio sulle labbra carnose. «Mi farò perdonare, te lo
prometto.»
«Va bene», sbotta. Poi si china per prendere le istruzioni e inizia a
leggerle di nuovo. «Prendimi il palo più lungo.»
Due ore più tardi, abbiamo finalmente montato la tenda. Il letto è pronto, e
io tiro fuori due sedie pieghevoli. «Vieni a sederti con me.» Gli sorrido,
aprendo una bottiglia di vino rosso.
Lui si accomoda e io gli passo un bicchiere di vetro. Ne ho portati due.
Sapevo che, se avessi tentato di farlo bere da uno di plastica, sarebbe finita.
Seduto sull’economica sedia pieghevole, Jameson accetta il vino. Io
brindo a lui con un sorriso. «Al successo della nostra fuga da Alcatraz.»
Jay fa un sorrisetto, bevendo un sorso e guardandosi attorno
nell’oscurità. «Okay, e ora cosa facciamo?»
«Questo.»
«Questo?» Si acciglia.
«Sì… devi solo stare seduto qui.»
«A fare cosa?»
«A rilassarti.»
«Oh.» Guarda il bosco buio attorno a sé e sorseggia il suo vino, mentre
io mi mordo il labbro inferiore per impedirmi di ridere. Ormai è notte e gli
alberi che ci circondano si stanno animando, pieni di creature. In lontananza
udiamo l’eco del verso di un qualche animale.
Dentro di sé, Jameson è in modalità panico e sta cercando di
controllarsi. Manda indietro la testa per svuotare il bicchiere e poi me lo
porge per farselo riempire subito.
«Che cosa stai facendo?»
«Mi sto sbronzando, così non mi ricorderò di essere stato divorato da un
orso.» Scuote la testa. «È l’unico modo.»
Rido. «Siamo totalmente al sicuro, Jameson.»
Lui sgrana gli occhi. «È quello che ha detto Daniel appena prima di
sparire.»
«Chi è Daniel?»
«Daniel di Blair Witch… non lo hai mai visto?» borbotta con tono
secco, guardandosi attorno.
«No», rispondo con un sorrisetto.
«Forse è meglio che tu non lo faccia.» Sposta lo sguardo sugli alberi. «È
tremendamente familiare.»
Ridacchio e poi mi alzo. «Vado in bagno.»
«Cosa?» Si solleva di colpo. «E dov’è?»
«Lungo il sentiero.»
Si incupisce. «Non puoi andare là da sola. È pericoloso.»
«No, non lo farò. Tu verrai con me.»
«Cosa?» Aggrotta la fronte.
«Andiamo, Jay,»
«No, non ci allontaneremo dall’accampamento. Non voglio andarmene
a zonzo.»
Sorrido, lanciando uno sguardo verso il lago. La luce della luna danza
sull’acqua. «Va bene.» Mi sfilo la maglietta e poi mi abbasso le mutandine.
«Che stai facendo?»
«Vado a fare il bagno nuda.»
«Cosa?» Guarda verso l’acqua scura. «No… no, che non lo farai. Te lo
proibisco.»
Mi tolgo il reggiseno e glielo getto sulla testa, ma lui se lo leva di dosso.
«Emily.»
Allontano le mutandine con un calcio.
«Sei completamente impazzita?» bisbiglia Jameson.
«Forse.»
Si guarda intorno. «Chiunque potrebbe vederci.»
Sorrido e corro verso il bagnasciuga. «Vuoi venire, coniglio?» Mi
addentro nell’acqua fino a quando non mi arriva a metà coscia.
«Sei fuori di testa!» grida lui dalla riva.
Gli spruzzo un po’ d’acqua addosso. «Entra, codardo.»
Si infila le mani nei capelli, in preda al panico. «Emily, non è sicuro.»
«È molto più sicuro che a New York, Jay. Andiamo… goditela un po’.»
Lui guarda prima a sinistra e poi a destra, serrando le mani a pugno lungo i
fianchi. «Jay, andiamo, piccolo.» Gli sorrido, abbassandomi nell’acqua. «Ti
proteggerò io.» Lui chiude gli occhi. Vorrebbe entrare, so che lo vorrebbe.
«Dai.» Rido, continuando a nuotare. «L’acqua è bellissima.»
Scuotendo la testa, Jameson si toglie la maglietta e la getta di lato. Io
continuo a ridere, galleggiando sulla schiena, e lui entra nel lago.
«Togliti i pantaloncini.»
«Non ho intenzione di usare il cazzo come se fosse un’esca viva per
anguille», dichiara lui.
Mi raggiunge e mi stringe a sé. L’acqua è fredda e pulita, e io gli
avvolgo subito le braccia attorno al collo.
La luce della luna si riflette sul lago e lui sorride, baciandomi
gentilmente. «Sei matta, Emily Foster.»
«E ti amo.» Lo guardo con gioia. Mi sembra folle… follemente bello.
«Sarà meglio.» Sfiora le mie labbra.
Gli avvolgo le gambe attorno alla vita, sentendo la mia eccitazione
risvegliarsi dal torpore. Il nostro bacio si fa più appassionato. «Credo che
dovremmo battezzare il lago», mormoro.
«Sei davvero una maniaca sessuale.»
Sorrido e premo le labbra sulle sue, abbassandogli un po’ i pantaloncini.
«Questo lo abbiamo già stabilito. Ora scopami, Ragazzo del Lago, prima
che il tuo pisello venga divorato, e non intendo da me.»
Sogghigna di nuovo contro le mie labbra e mi afferra per il sedere. «Stai
zitta. Stai rovinando il momento.»
Una goccia.
Un’altra.
Un’altra ancora.
Dal mio sonno profondo, sento la pioggia cadere sulla tenda.
Sempre di più. Inizia a farsi intensa.
«Cazzo, non dirmelo», bisbiglia Jameson accanto a me.
Crash. Un tuono risuona in lontananza, ed entrambi sobbalziamo per lo
spavento quando il bosco si illumina quasi a giorno.
«Non puoi fare sul serio», borbotta lui nell’oscurità.
Gli sto dando la schiena, e mi mordo il labbro per evitare di ridere.
Quando siamo andati a letto, ha avuto una crisi isterica perché i rumori
degli animali nel bosco lo tenevano sveglio… in effetti, ha avuto circa dieci
crisi isteriche.
Questa sarà la ciliegina sulla torta.
La pioggia comincia a fare sul serio, e i tuoni rimbombano
ripetutamente.
«Beh, è davvero fantastico, cazzo», sbuffa.
Sorrido e mi giro verso di lui. «Va tutto bene. La tenda è impermeabile.
Torna a dormire.»
La tenda si illumina di continuo di un bianco iridescente mentre i lampi
attraversano il cielo. Jameson si alza a sedere e tasta in giro nell’oscurità.
Cerca a lungo sulle mani e sulle ginocchia.
«Che stai facendo?»
«Sto cercando una dannata luce!»
Scoppio a ridere.
«Come fai a trovarlo divertente? Non c’è un cazzo di niente da ridere,
Emily.»
Alla fine trova la torcia e se la mette in testa, poi la accende e mi
guarda. Ha i capelli scompigliati e ritti da tutte le parti, e i suoi occhi sono
sgranati e spiritati.
Non riesco a trattenermi, vengo colta da un attacco di risa.
«Che c’è?»
«Se potessi…» Devo smettere di parlare perché sto ridendo troppo. «Se
solo potessi vederti.»
Lui sogghigna, e poi un fulmine atterra tanto vicino a noi che sembra
aver colpito un albero qui accanto.
«Cazzo, moriremo qui stanotte», balbetta Jameson in preda al panico.
La pioggia cade con violenza, e io apro la tenda. Entrambi sbirciamo
fuori la tempesta apocalittica. L’acqua sta venendo giù a dirotto, così
richiudo l’entrata.
«Va tutto bene. La tenda è impermeabile, dobbiamo solo dormirci su.»
«Sei completamente impazzita?» sbotta lui. «Chi potrebbe dormire in
mezzo a questa bufera?»
«Io… io potrei.» Mi stendo di nuovo e mi tiro addosso il lenzuolo del
sacco a pelo.
Sorrido, ricordando la sceneggiata precedente di Jameson al pensiero di
non potermi toccare all’interno del sacco a pelo. In un’operazione durata
un’ora, ha aperto la zip di entrambi i sacchi, e ne ha messo uno sotto di noi
e l’altro sopra, perché potessimo accoccolarci insieme durante la notte. È
troppo adorabile.
La tenda inizia a ondeggiare a mano a mano che la tempesta si fa più
violenta.
«Porca puttana… ecco che ci siamo», borbotta, alzando lo sguardo
verso il soffitto.
Un capo del telone si solleva per il vento e lui ci salta sopra per tenerlo a
terra. Io scoppio di nuovo a ridere.
«Non sei d’aiuto», grida.
Continuando a ridacchiare, mi alzo e prendo la sua giacca per
mettermela addosso.
«Che cosa stai facendo?» Si acciglia.
«Devo infilare di nuovo il piolo in terra.» Mi sistemo la torcia in testa.
Jameson rimane a bocca aperta per l’orrore. «Cosa?»
«Solo così la tenda rimarrà in piedi.»
«Non andrai là fuori. È pericoloso», bisbiglia furioso.
«Qualcuno deve farlo.» Prendo il martello.
Lui mi strappa l’attrezzo di mano. «Questa sarà la mia fine.»
Rispondo con l’ennesima risata. «Addio, Emily.» Abbassa la zip. «È
stato bello conoscerti.» Svanisce sotto la bufera.
«È per questo che sei l’amministratore delegato», dico divertita,
sentendo i colpi metallici mentre lui pianta per bene il piolo a terra.
La pioggia cade a catinelle, e il vento è sempre più violento. Sul serio,
quante possibilità c’erano che beccassimo proprio una bufera?
Accidenti a te, tempo.
Apro la tenda e scruto fuori tra la pioggia fitta. Jameson fatica a tenersi
in piedi per via delle raffiche e sta martellando i pioli a terra, con il faretto
ancora sulla testa. È fradicio e coperto di fango. Ancora una volta sono colta
da un attacco di risa e, non riuscendo a trattenermi, afferro il telefono per
scattargli qualche foto. Sono certa che un giorno lo troverà divertente.
Dopo dieci minuti, torna dentro. Sta ansimando, è bagnato ed è coperto
di fango per via degli schizzi della pioggia. Prendo un telo e inizio ad
asciugargli i capelli. Gli sfilo la maglia di dosso e gli abbasso i pantaloni
della tuta.
«Asciugati. Smetterà presto», dico per cercare di calmarlo.
Il rumore della pioggia è assordante attorno a noi, e Jameson si
ripulisce. Frugo nella borsa per trovargli dei vestiti asciutti, e la tenda
riprende a ondeggiare mentre lui saltella in giro ancora umido, cercando di
coprirsi.
Poi la tenda si solleva di nuovo.
«Vaffanculo», sbotta.
Oh mio Dio… è davvero tremendo.
Sentiamo uno strappo fragoroso e sgraniamo gli occhi.
«Oh, no… la tenda», sussurro. «Non possiamo danneggiarla… è di
Michael.»
«Comprerò un camper a quel poveretto. Questo è intollerabile, cazzo»,
bofonchia lui.
Rip. La stoffa si strappa a metà. «Ah!» grido quando le nostre cose
prendono il volo in mezzo alla bufera. Corro in giro cercando di gettare
tutto nelle borse.
Jameson perde definitivamente la sua lucidità mentale: si appoggia le
mani sui fianchi, manda indietro la testa, verso il cielo, e scoppia a ridere.
«Non è divertente. Porta le borse al pick-up», grido.
Lui ride… e ride… e ride. Invece io cerco di tenere asciutti i nostri
telefoni e corro verso il veicolo con le borse.
«Jameson», strillo. «Fai qualcosa.»
Lui si gira verso di me, mi prende tra le braccia sotto la pioggia battente
e mi bacia. Le torce che abbiamo in testa cozzano tra di loro, e a quel punto
anche io scoppio a ridere.
«È ridicolo», bisbiglio.
«Albergo?»
«Per favore.»
«Salve.» Sorrido alla receptionist del centro turistico. «Avete qualche bed
and breakfast disponibile per due notti, per favore?»
La donna dietro al bancone si mette subito al computer.
Ieri notte siamo stati in un albergo orrendo, e Jameson si rifiuta di
rimanere lì. Ha detto che possiamo stare fuori città per l’intero weekend
solo se trovo un posto quantomeno decente per i prossimi due giorni. In
questo momento, lui è fuori a cercare del caffè.
Ormai ha smesso di piovere, e prima o poi dovremo tornare indietro a
recuperare l’attrezzatura da campeggio di Michael dall’apocalisse della
notte scorsa, dato che abbiamo preso solo le nostre cose e siamo scappati. In
ogni caso, non potevamo fare altro nel bel mezzo della notte e in quelle
condizioni.
«Ho solo una fattoria.» La donna batte qualcosa sulla tastiera e poi
legge. «È la proprietà Arndell.» La ascolto con la fronte aggrottata. «È
disponibile per due notti e, se vi va bene, potete averla a un prezzo ridotto.»
Sorrido. Adoro che pensi ci serva uno sconto. «Okay, mi sembra
fantastico. Grazie.» Le passo la carta di credito di Jameson, e lei si occupa
dei documenti.
«Ecco le chiavi.» Mi porge una mappa. «Andate giù per Falls Road, la
proprietà ha una strada privata sulla destra.»
«Oh, quanto è grande?»
«La casa si trova su un terreno stupendo di trecento acri. L’edificio è un
po’ malconcio, ma la location è incredibile.»
Sorrido. «Bene, ottimo.»
Torno al pick-up e vedo il mio povero uomo tutto scarmigliato. Sembra
abbia attraversato l’inferno e, stranamente, credo di non averlo mai visto
più rilassato. È come se, quando la notte scorsa ha perso la testa, abbia
anche abbandonato parte della tensione che lo stressava tanto.
«Okay, abbiamo una fattoria.»
Si china su di me per appoggiarmi una mano sulla coscia e porgermi il
caffè. Inserisce la prima e si immette in strada. Sorrido, guardando fuori dal
finestrino, mentre il pick-up parte con un sobbalzo.
«Lo sai che non abbiamo ancora incrociato nemmeno un’auto?» mi fa
notare Jameson, tenendo gli occhi sulla strada.
«È bello, no?»
Lui fa spallucce. «È diverso.»
Seguiamo le indicazioni e dieci minuti dopo raggiungiamo un grande
ingresso di pietra con un cartello che dice: “Arndell”.
«Ci siamo.»
Entriamo nel vialetto e io mi illumino. Ai lati della strada ci sono
enormi alberi che formano quasi un colonnato. Delle dolci colline verdi si
estendono a perdita d’occhio.
«Oh, guarda questo posto.» Sorrido con ammirazione. «Quella donna mi
aveva avvisata del fatto che il terreno è stupendo.» Guidiamo per cinque
minuti fino a quando non raggiungiamo la cima della collina e troviamo una
grande e vecchia casa. È bianca, con un ampio portico che le corre tutto
intorno. Il tetto è di tegole, e deve avere un centinaio di anni.
Jameson mi lancia un’occhiata.
«Non dire niente», sogghigno.
Lui alza le mani come per dichiarare la propria sconfitta.
Scendiamo dall’auto e apriamo la porta d’ingresso per sbirciare dentro.
Sono estasiata. Pavimenti in legno, un enorme caminetto e grandi finestre
che danno su tutta la proprietà. Da qui si riesce a vedere il terreno
circostante per chilometri. Il mobilio è datato, ma a noi non importa.
Mentre facciamo un giro e ci guardiamo attorno, prendo Jameson per
mano. Al piano di sotto ci sono un grande soggiorno, una sala da pranzo
formale, una vasta cucina, un bagno e una camera da letto. C’è una vecchia
scalinata di legno, così saliamo al piano superiore, trovando altre cinque
camere e un bagno.
Mi volto verso Jameson e gli getto le braccia attorno al collo. «Così va
meglio, signor Miles?»
Lui sorride, chinandosi per baciarmi. «Può andare.»
Jameson
Fissiamo il fuoco che tremola nel camino. Di tanto in tanto, scoppietta
mentre il legno brucia. Emily è davanti a me, sul nostro letto improvvisato
sul pavimento. Abbiamo appena fatto l’amore e siamo stanchi ma rilassati.
Domani torniamo a casa.
A essere sincero, potrei rimanere qui per sempre.
Lei trasforma qualsiasi posto in una casa.
Mi sorride. I suoi lunghi capelli scuri sono sparsi sul cuscino, e i suoi
grandi occhi mi offrono un enorme conforto. Allungo una mano per
sfiorarle un seno sodo, mentre con l’altra scivolo più in basso, lungo il suo
ventre. Le faccio girare la testa per catturare le sue labbra con le mie. Le
nostre lingue danzano in un ballo lento ed erotico.
Sono così innamorato di questa donna… Quando siamo soli, nient’altro
ha importanza.
«Grazie», bisbiglio.
Mi scruta negli occhi. «Per cosa?»
«Per avermi trovato.»
Si gira verso di me e mi prende il viso tra le mani. «Ci saremmo
ritrovati in ogni caso», mormora. «Le anime gemelle lo fanno.»
Faccio un sorrisetto e le passo una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Non credi davvero in quelle stupidaggini paranormali delle anime gemelle,
vero?»
«Prima no.» Mi bacia piano. «Poi ti ho conosciuto.»
Ci fissiamo nella luce tremante. Se potessi intrappolare nel tempo
questo momento, lo farei. Non ho mai provato niente di tanto naturale e
puro in tutta la mia vita. Il suo amore è come una luce… la mia luce.
«Jay», sussurra, passandomi le dita sulla mascella ispida. Mi guarda
negli occhi.
«Sì, piccola?»
«Possiamo tornare qui il prossimo fine settimana?» mi chiede
speranzosa.
«Vuoi davvero tornare qui?» mormoro.
Lei annuisce con un piccolo sorriso. «Mi piace questa vecchia casa.»
Piego le labbra in un’espressione divertita. A dire la verità, anche a me
non dispiace. «Forse.»
Si accoccola contro il mio petto. La sento rilassarsi tra le mie braccia, e,
dopo un po’, il ritmo regolare del suo respiro mi fa capire che si è
addormentata. Inspiro profondamente tra i suoi capelli e sorrido, guardando
il fuoco.
Ci siamo. Posso smettere di cercare. L’ho trovata.
Capitolo 20
Jameson
E ’ ,
delizioso aroma del cibo che Emily sta cucinando. Sorrido, appoggio la
borsa del computer e mi dirigo verso la cucina, trovando la mia splendida
donna che sta ballando mentre prepara da mangiare, con la schiena rivolta
verso di me. Mi fermo sulla soglia e la guardo per un momento. Indossa una
gonna nera e una camicia bianca, i suoi lunghi capelli scuri sono raccolti in
una coda, e il suo viso naturalmente bello sembra quasi brillare. Sono
attraversato da una sensazione calda di pace di fronte alla sua evidente
felicità.
Va tutto bene nel mio mondo quando lei è con me. È la cosa più strana
che mi sia mai successa. Non vorrei essere in nessun altro luogo a parte che
qui con lei. Ho cominciato a guardare l’orologio dalle tre di questo
pomeriggio, aspettando il momento di poter tornare a casa.
La guardo mentre prende il suo bicchiere di vino e beve un sorso, il
rossetto color borgogna lascia sul vetro una perfetta impronta delle sue
labbra, e io sorrido. Persino il suo rossetto su un bicchiere mi scatena
qualcosa dentro. Non vorrei lavarlo mai più, sono come uno scolaretto
innamorato.
Il suo sedere si muove in maniera sensuale, seguendo il ritmo della
musica, e io lo ammiro, incantato da questa bellissima donna nella mia
cucina. In quel momento, lei si gira e si accorge di me, così mi rivolge un
sorrisetto sexy. «Ciao.»
Mi raggiunge e la stringo tra le braccia.
«Come sta il mio uomo?» domanda, baciandomi teneramente.
«Bene ora che sono a casa.»
Le nostre labbra si incontrano ancora e ancora, e io la faccio sedere sul
bancone della cucina per infilarmi tra le sue gambe mentre ci baciamo.
«Ci godiamo un antipasto prima della cena, signor Miles?» sussurra
contro la mia bocca.
Mi abbasso la zip. «Sembra proprio di sì.»
Emily
Jameson
Mi chino e bacio Emily sulla fronte nell’oscurità. Sta ancora dormendo.
«Piccola, io vado.»
«Mmh.» Mi stringe le braccia attorno ai fianchi e mi attira verso di sé.
«No, non andare. Oggi saltiamo il lavoro.»
Sorrido tra le sue braccia. «Non posso, questa mattina ho una riunione.»
Sospiro. Devo limitare il più possibile i danni. Anche se la minaccia
immediata di una fuga di notizie si è conclusa, questa battaglia con i Ferrara
non è ancora finita. Anzi, sento che la situazione sta per precipitare. «Due
giorni e poi andremo via», le ricordo.
Mi sorride con gli occhi ancora chiusi. «Due giorni sono troppi, signor
Miles. Prima o poi ti rapirò.»
Ci baciamo dolcemente, ancora e ancora, e sento l’eccitazione crescere
tra le mie gambe. Mi allontano da lei. «Devo andare», le sussurro tra i
capelli. «Se rimango qui, finirò per scoparti e arriverò in ritardo.»
«Bene.» Fa un sorrisetto. «Scopami e arriva tardi.»
Ridacchio contro le sue labbra e poi, dopo averle dato un ultimo bacio,
mi alzo e la guardo stesa nel mio letto, che è tutto in disordine. Lei mi
sorride e mi si stringe il cuore. Niente mi è mai parso tanto perfetto… né
altrettanto giusto. Nonostante tutto il caos di questi giorni, Emily mi
trasmette un senso di calma, come se nel mondo esistesse ancora qualcosa
di buono, e tutto perché noi ci apparteniamo.
«Ti amo.»
«Io ti amo di più.» Mi sorride, sollevandosi e facendo un ultimo
tentativo di trascinarmi a letto. È dannatamente dura andarsene quando fa
così.
Scendo le scale e vedo il mio fidato amico Alan in piedi accanto
all’auto.
«Buongiorno», gli sorrido.
Lui mi risponde con un sorriso triste, e io mi acciglio. «Va tutto bene?»
Alan apre la porta della limousine, e io vedo Tristan, Christopher ed
Elliot sui sedili posteriori che mi aspettano. Aggrotto le sopracciglia.
«Ciao.» Lancio un’occhiata interrogativa al mio autista. «Cosa sta
succedendo?»
«Entra», sospira Elliot.
Li guardo uno a uno. Mi rivolgono tutti la stessa espressione cupa, e
capisco che deve essere successo qualcosa. «Papà sta bene?» gli chiedo.
«Sì, sta bene.»
«La mamma?»
«Benissimo. Entra.»
Salgo in auto e chiudo la portiera, poi la limousine si immette nel
traffico.
«Voglio che tu sappia che non crediamo a niente di tutta questa faccenda
e che siamo semplicemente qui per te», dichiara Tristan.
«Che sta succedendo?» sbotto, preso dall’agitazione.
Elliot mi porge il giornale. Lo fisso per un momento, mi serve qualche
secondo per elaborare quello che sto vedendo. Sulla prima pagina del
Gazette c’è un’enorme immagine di Emily che sta baciando Jake,
l’investigatore. Lo tiene per mano e sta sorridendo mentre lui preme le
labbra sulle sue. Sembra che siano in un ristorante o un posto del genere.
Mi acciglio e sento una fitta al cuore. «Che cazzo è questa roba?»
esclamo con rabbia, aprendo il giornale. Leggo la storia.
A , .
Riabbasso gli occhi sulla foto di Emily. Indossa il vestito giallo… lo
stesso che portava ieri. Aggrotto le sopracciglia, cercando di trovare un
senso a tutto questo.
«Quando è stata scattata?»
«Non ne abbiamo idea, ma deve essere recente. Ha il braccialetto che le
hai comprato.»
Lancio un’occhiata al suo polso, e, in effetti, porta il gioiello in oro e
diamanti. È possibile? Mi acciglio. Ho un mucchio di domande… non la
mia Emily, no.
«Lo sappiamo che non sei stato tu», dice Elliot. «Siamo stati hackerati e
lo dimostreremo. Te lo prometto.»
«Cosa?» Aggrotto la fronte, incapace di mettere insieme una frase
coerente. Sollevo lo sguardo sui miei fratelli in preda alla confusione.
«Sono stati fatti dei trasferimenti di denaro, Jameson. Milioni di dollari
sono spariti dai nostri conti dopo alcuni accessi eseguiti con la tua
password», mi spiega Christopher.
Socchiudo gli occhi. «Di cosa state parlando?» bisbiglio. «Non
capisco.» Guardo di nuovo l’immagine. «Quando è stata scattata questa
foto?»
«È una montatura, ne sono sicuro», dichiara Tristan con tono secco.
«Emily non lo farebbe mai.»
«Cosa?» Non riesco a credere a quello che sento. Mi passo le mani tra i
capelli, iniziando a sudare. L’adrenalina mi scorre nelle vene.
«Sono stronzate e tu lo sai», sbotta Elliot. «La tempistica della
pubblicazione di questa foto non è una coincidenza.» Mi acciglio, alzando
gli occhi su di lui.
«Emily è mai stata da sola nel tuo appartamento?» mi chiede.
Lo fisso con la mente ingarbugliata.
«Ha mai avuto accesso ai tuoi computer, Jameson?» sbotta Christopher.
Faccio una smorfia. «Sì… ma…»
Si appoggiano tutti all’indietro sui sedili, come se fossero arrivati nello
stesso momento alla medesima conclusione. Sposto lo sguardo tra di loro.
«Che c’è?» bisbiglio.
«Credo che Emily lavori per Gabriel Ferrara. È una coincidenza un po’
eccessiva, se lo chiedi a me. È stata mandata per tenerti impegnato mentre
lui progettava la tua rovina.»
«Cosa?» esplodo. «È ridicolo.»
«Sì, lo è», concorda Tristan. «È ridicolo, cazzo.»
«Pensateci», insiste di colpo Elliot. «Quella donna si presenta
casualmente qui e, in poche settimane, ti tiene per le palle.»
«Che cosa?» Faccio una smorfia. «Sono stronzate.»
Rileggo l’articolo, mentre dentro di me divampa un’ira mai provata
prima.
Elliot colpisce il giornale con il dorso della mano. «E allora cos’è questa
foto, eh?»
«Una montatura», dice Tristan.
Osservo l’immagine: Emily tiene Jake per mano e sta sorridendo mentre
lui la bacia… sembra che sia felice di essere lì. Getto uno sguardo
interrogativo a Tristan. Non so cosa pensare… che cazzo sta succedendo
veramente qui?
«Te lo assicuro, è solo l’angolatura della telecamera, sai meglio di
chiunque altro che la giusta angolazione può raccontare una storia
completamente diversa», insiste lui.
«Cazzate. Non c’è fumo senza arrosto», ringhia Elliot. «In ogni caso,
Emily Foster è del tutto irrilevante. Più tardi ti occuperai di lei. Ma sei stato
accusato di appropriazione indebita. Potresti finire in galera, Jameson.»
Mi infilo entrambe le mani tra i capelli, tornando a concentrarmi sui
fatti. Sento una scarica di adrenalina scorrermi in corpo, mi pizzica la pelle.
«Che cos’è successo?» domando. Riesco a udire i battiti furiosi del mio
cuore nelle orecchie.
«Non ne siamo sicuri. Sono stati fatti dei grossi trasferimenti dai nostri
conti bancari, e nessuno lo ha notato», risponde Christopher.
«Per dove?» Mi acciglio.
«Un conto offshore.»
«Perché cazzo dovrei essere implicato io in questa faccenda?» Abbasso
di nuovo gli occhi sull’immagine di Emily che bacia Jake, e vorrei uccidere
qualcuno… Gabriel Ferrara. «Non capisco.» Sposto lo sguardo su mio
fratello per cercare di concentrarmi su ciò che sta avvenendo.
«Sembra che i trasferimenti siano stati fatti con i tuoi dati di accesso.»
«Che cosa?» Faccio una smorfia perplessa. «È impossibile, non uso i
nostri conti da mesi. Non avrei alcuna ragione per farlo.»
«È quello che ho detto io», sbotta Tristan. «Sono io che mi occupo del
lato economico, lo sapete tutti.»
«Abbiamo un appuntamento con il team legale e quello commerciale
alle otto in ufficio», risponde Elliot.
Gli lancio un’occhiata. «Papà lo sa?»
«Sì.» Emette un sospiro pesante. «Ci aspetta lì.»
Stringo i denti e guardo fuori dal finestrino mentre sfrecciamo attraverso
le strade di New York. Non vedo altro che rabbia, confusione e tradimento.
Mi passo una mano sul viso e inspiro a fondo, cercando di rallentare i battiti
del mio cuore. Mi sento persino più agitato di prima.
La mia reputazione… la mia attività.
La mia ragazza.
Fisso lo sguardo fuori dal finestrino, e qualche momento dopo arriviamo
al palazzo della Miles Media. Sono appena le 7:20, e saliamo fino all’ultimo
piano. Ho bisogno di rimanere solo prima che inizi tutta la baraonda. Entro
nel mio ufficio, chiudo la porta e mi lascio cadere sulla sedia dietro alla mia
scrivania.
La stanza è silenziosa… e vuota.
Attraverso le finestre vedo la vivace città di New York che si prepara
per la giornata. Tutto laggiù sembra così normale… e in ordine.
La mia ira ribolle come un vulcano, ed è pericolosamente vicina a
esplodere. Non so se sto per distruggere qualcosa o scoppiare a piangere. In
ogni caso, mi sento del tutto instabile. Con i gomiti sulla scrivania, lascio
cadere la testa tra le mani. Mi trema il fiato ogni volta che inspiro, nel
tentativo di calmarmi.
Ieri Emily mi ha detto che sarebbe uscita con Molly e Aaron. Ripenso
alla conversazione che abbiamo avuto quando è tornata a casa.
«Come stavano i tuoi amici?» le ho chiesto.
«Benissimo… è stato bello uscire con loro», mi ha risposto.
Ha mentito.
Io ero a casa a sentire la sua mancanza… e lei era fuori con un altro
uomo. Sento un groppo ostruirmi la gola mentre la realtà mi piomba
addosso. Io mi stavo perdutamente innamorando di lei… ed Emily si stava
vedendo con qualcun altro.
Sento aprirsi la porta, e chiudo gli occhi per cercare di bloccare
Tristan… so che è lui. Mi conosce meglio di chiunque altro. Va verso il bar,
mette del ghiaccio in due bicchieri, poi odo il rumore confortante dello
scotch che viene versato. Me ne appoggia uno davanti, e io alzo uno
sguardo affaticato su di lui.
Fa tintinnare il bicchiere contro il mio, che ho stretto in mano. «Beh,
questa giornata fa già schifo.» Si siede sulla mia scrivania.
«Tu credi?» borbotto, bevendo un sorso. Sento il bruciore dell’alcol che
mi scivola giù per la gola.
«Quando è stata scattata la foto?» mi domanda.
«Ieri sera.» Si acciglia.
Serro la mascella, fissando fuori dalla finestra. Mi vergogno che la
donna che amo non mi ricambi.
«Ha detto che era fuori con Molly e Aaron.»
Tristan beve un sorso del suo scotch e solleva le sopracciglia, come se
fosse sorpreso che mi abbia mentito.
«Credevo che fosse quella giusta.»
Corrugo la fronte, e sento di nuovo una fitta al petto. «Siamo in due.»
Il silenzio cala tra di noi.
«Superiamo la giornata e dimostriamo la tua innocenza», sospira lui,
scolando il resto del contenuto del suo bicchiere.
Annuisco.
Mio fratello mi guarda per un momento, e alla fine mi domanda: «Stai
bene?»
Annuisco di nuovo, non riuscendo a pronunciare ad alta voce quella che
sarebbe una bugia a tutti gli effetti.
«Dimostreremo che sei innocente, Jay.» Mi appoggia una mano su una
spalla, provando a confortarmi. «Te lo prometto.»
Finisco il mio scotch e vado al bar per riempire di nuovo il bicchiere.
Tristan mi fissa, e so che sta scegliendo con cura le sue parole. «Dimmi
che stai bene.»
Stringo le labbra e alzo gli occhi su di lui. «Sto bene.»
«Perché ho la sensazione che tu stia per perdere la testa e uccidere
qualcuno?»
«Se oggi vuoi salvare una vita, liberati di Jake Peters.»
«Già fatto. L’ho chiamato e l’ho licenziato questa mattina alle cinque,
non appena ho visto l’articolo.»
Mando giù un sorso del liquido ambrato, che mi riscalda la gola nella
sua discesa.
Si interrompe prima di chiedermi: «Vuoi che licenzi Emily?»
Fisso la città fuori dalla finestra. «No.»
«Stavo pensando…» continua.
«Esci», gli ordino con tono secco.
«Ma…»
«Ora.»
La porta si chiude piano dietro di lui, e io mi alzo per andare alla
finestra e guardare New York. L’adrenalina mi scorre nel corpo, e ho la
sensazione che la terra si stia sfaldando sotto ai miei piedi. Bevo il mio
scotch mentre una fredda e distante determinazione invade la mia anima.
Nessuno mi prende per il culo in questa maniera e la passa liscia.
Preparati ad andare al Creatore, signor Ferrara.
Il tuo giorno si avvicina.
Emily
Cosa?
Mi porto una mano alla bocca, in preda all’orrore.
Oh mio Dio, povero Jameson.
«Non sono la sua fidanzata, imbecilli», dichiaro con disprezzo. «Quanti
dettagli potete sbagliare in un unico articolo?»
Mi volto e inizio a dirigermi verso il mio appartamento, componendo il
suo numero con urgenza.
«Ehi», mi chiama l’edicolante. «Non mi ha pagato per quello!»
«Oh, mi dispiace», mi scuso, tornando indietro per tendergli una
banconota. «Ero distratta. Grazie.»
Ancora una volta mi risponde direttamente la segreteria telefonica di
Jameson.
Che cosa faccio? Che cosa faccio? Vado a sbattere contro un uomo che
mi sta superando.
«Ehi, guarda dove vai», mi grida.
«Scusi», balbetto.
Faccio il numero di Tristan.
«Ciao, Em.»
«Tristan, che diavolo sta succedendo?» esclamo.
«Siamo in riunione, ti chiamo più tardi.»
«Cosa?» Riattacca. «Ah!» strillo. I miei occhi si riempiono di lacrime
per la frustrazione.
Non ci crederebbe. Di certo sa che non è vero… ma c’è una foto come
prova.
Compongo il numero di Molly.
«Ehi, bella, vuoi un caffè?» mi chiede allegramente.
«Molly», esclamo, sollevata che qualcuno abbia risposto al dannato
telefono. «Oh mio Dio, sono tutte bugie.» Mi blocco dove sono sul
marciapiede affollato e mi sposto di lato verso un edificio per parlare.
«Che sta succedendo?»
«Il Gazette», farfuglio. «Cerca il Gazette su Google. Sulla prima pagina
c’è una foto di me mentre bacio Jake, e l’articolo dice che abbiamo una
relazione.»
«Cosa?»
«Qualcuno deve avermi seguita, o…» Scuoto la testa per cercare di
trovare una spiegazione logica. «Che diavolo sta succedendo?» bisbiglio
furiosa.
«Porca puttana.» Si blocca. «La sto vedendo. Aspetta… quando cazzo
hai baciato Jake?»
«Lui mi ha baciata ieri sera», balbetto. «Per l’amor del Cielo, non l’ho
ricambiato. Tu…»
«Un secondo, sto leggendo», mi interrompe.
Mi passo una mano sul viso, aspettando che finisca.
«Oh mio Dio», sussurra lei.
«Alan mi ha riportata al mio appartamento e mi ha detto che oggi non
devo venire al lavoro.»
«Cosa?»
«Secondo lui il signor Miles mi contatterà in seguito.»
«Beh, e Jameson cosa ha detto?»
«Non risponde al telefono. Ho chiamato Tristan, ma lui mi ha detto che
sono in riunione e che mi avrebbe chiamata più tardi.» «Porca puttana… è
una brutta situazione.» «Tu credi?» grido.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so. Che cosa faccio?»
«Beh, se Jameson ti ha detto di rimanere a casa, forse dovresti farlo.»
«Perché?»
«Perché non ha bisogno di altre attenzioni su di lui, qui c’è scritto che è
stato accusato di furto.»
Sgrano gli occhi, immaginando la tempesta mediatica che si scatenerà
su di lui dopo quell’articolo.
«Ma se Jameson ci credesse?» balbetto. «Non sono mai stata con Jake.
Sono tutte cazzate. Io amo lui.»
«Ti ha detto che si sarebbe messo in contatto con te… lo farà.» La
ascolto, con la mente che sfreccia a un milione di chilometri all’ora. «Devi
solo aspettare.»
Faccio una smorfia mentre piango. «Non credi che dovrei venire lì?»
«Dio, no. Non ha il tempo per preoccuparsi anche di te.» «Ma io non
ho fatto nulla», sussurro.
«Lo so. Andrò nel suo ufficio e gli racconterò tutto.»
«Davvero?» bisbiglio, speranzosa.
«Em, se ora vieni qui, tutto il palazzo ti attaccherà.»
Mi appoggio una mano sul volto, sconvolta, pensando al fatto che si
sono svegliati tutti con questa notizia. Diventerò il nemico pubblico numero
uno della Miles Media.
«Vado al lavoro e scopro che diavolo sta succedendo, poi ti richiamo, va
bene?» mi dice.
Annuisco con gli occhi pieni di lacrime. Non posso credere che stia
succedendo tutto questo. «Okay.»
«Torna al tuo appartamento e aspetta. Mi farò viva io.»
«Grazie», bisbiglio, rimanendo in linea. «Aspetta, cosa dirai a
Jameson?»
«Gli dirò solo la verità. Ti richiamo tra mezz’ora.»
Chino le spalle. «Okay, grazie.» Riattacco.
Esco dalla cucina per andare in salotto. Mi volto e torno da dove sono
venuta. Sono passati quaranta minuti. Jameson continua a non rispondere al
telefono, e Molly non mi ha ancora richiamata.
Che diavolo sta succedendo là?
Mando un messaggio a Jameson.
I : Jay, non so che diavolo stia succedendo. Quella foto è una montatura.
Lo sai che ti amo e non farei mai una cosa del genere. Richiamami, ti
prego. Sto impazzendo!!!
Con il cuore in gola, entro nel palazzo della Miles Media. Sono le otto e
mezza del mattino e sto andando al lavoro.
Ieri notte Jay non mi ha richiamata, e non posso dire di biasimarlo.
Ho pianto fino a addormentarmi… beh, in realtà non ho proprio
dormito, quindi non credo che conti. Sento un peso sullo stomaco che non
vuole andarsene via. Posso incolpare solo me stessa per questo pasticcio.
Ho mentito al mio amore, la cosa mi si è ritorta contro, e ora lui pensa il
peggio. Quindi oggi sono qui per cercare di farmi perdonare.
È ferito… so che lo è.
Sembra che il mio povero uomo abbia tutto il mondo contro di lui e
sono terribilmente in ansia. Quanto stress può sopportare prima di cedere?
Entro nell’ascensore e striscio il mio tesserino di sicurezza per accedere
ai piani alti, ma si accende una luce rossa. No. Lo striscio una seconda volta
e vedo di nuovo lampeggiare rosso.
«No, Jay… non farlo», bisbiglio tra le lacrime. «Non chiudermi fuori,
cazzo.» Lo striscio ancora, ma per la terza volta si accende la luce rossa.
«Che figlio di puttana», mormoro con tono rabbioso.
Premo il pulsante per il quarantesimo piano, e appare una luce verde. Il
cuore mi martella nel petto. Ha bloccato il mio accesso al suo piano. Tiro
fuori il cellulare e gli mando un messaggio.
Sono le sei del pomeriggio, e io sono seduta nel bar di fronte al palazzo
della Miles Media. Sto guardando il circo dei giornalisti che si sta
raggruppando in attesa che Jameson lasci l’edificio.
Questo scandalo dell’appropriazione indebita è una notizia… una
notizia molto grossa, e, mentre il mondo segue la vicenda, io ho passato la
giornata trovandomi sempre sul punto di piangere.
Non so cosa fare o come raggiungerlo. Ha sollevato le sue difese, e, con
tutto ciò che gli sta capitando al momento, non so quanto poter insistere
senza fargli perdere del tutto la testa. Non voglio stressarlo ancora, ma
adesso più che mai so che ha bisogno di me.
Mi prendo il capo tra le mani. Perché diavolo sono andata a
quell’incontro con Jake? A che cazzo stavo pensando? Come ho fatto a
credere che fosse una buona idea?
Rivivo quella sera nella mia mente, e mi sento mentire a Jameson
quando torno a casa… perché? Sul momento, ho creduto che così lo avrei
protetto. Ora so che ho sbagliato. È un gran disastro, e non ho idea di come
risolverlo. Ripenso al denaro che è stato sottratto dai loro conti. Sono tutti
convinti che sia stato Ferrara, ma perché un uomo come quello, che
guadagna già miliardi di dollari ogni anno, dovrebbe rischiare ogni cosa per
rovinare un concorrente? Non ha proprio alcun senso per me. A mio parere,
una persona che ruba dei milioni ha bisogno di quei soldi.
Ma chi è stato? E come diavolo ha avuto accesso ai dati bancari di
Jameson?
C’è sotto più di quanto sembri.
Domani a colazione, Aaron, Molly ed io faremo una riunione
d’emergenza e, con un po’ di fortuna, riusciremo a organizzare un piano
d’attacco.
Mi accorgo di un certo fermento, e alzo lo sguardo appena in tempo per
vedere Jameson lasciare l’edificio, circondato da alcuni agenti della
sicurezza, mentre i giornalisti si affollano attorno a lui, gridando il suo
nome e scattando foto. Lui tiene la testa bassa senza rilasciare commenti, ed
entra nel retro della limousine.
L’auto si allontana dal marciapiede e lo porta via nella notte… ancora
più lontano da me.
Un’insopportabile tristezza mi penetra fin dentro le ossa.
Cosa potrei fare per aiutarlo?
Jameson
Corro lungo la strada più velocemente che posso, la mia mente è immersa in
una fitta nebbia. Mi sento meglio dopo ogni passo che faccio. Sono passati
tre giorni da quando l’ho vista… tre giorni incarcerato all’inferno.
Non posso vederla. Non posso più cacciarmi in una situazione come
questa.
Nessuno vale tutta la sofferenza che sto provando… nessuno.
Giro l’angolo e supero rapidamente una fila di ristoranti per raggiungere
un parco, e vedo qualcuno davanti a me nell’oscurità. La sua posizione mi
sembra familiare, così strizzo gli occhi per vedere meglio. Mentre corro,
sono colpito dalla gelida consapevolezza di sapere di chi si tratta. Gabriel
Ferrara. È al cellulare e sta fumando un sigaro, appoggiato alla sua Ferrari
nera. Non mi ha ancora visto.
Rallento e mi avvicino a lui, ansimando.
Cane bastardo.
Non sopporto che abbia messo quella foto di Emily sulla prima pagina
del suo giornale. È stato un attacco diretto nei miei confronti… e ha colpito
in pieno il bersaglio.
Girandosi, mi nota e la sua espressione si fa cupa. «Devo andare.»
Chiude la telefonata.
«Guarda chi è strisciato fuori dalla fogna», sbuffo.
Lui sogghigna e dà un tiro al suo sigaro. «Miles.» Lo guardo di traverso.
«Come sta la tua ragazza?» mi chiede, facendomi l’occhiolino. «Dovresti
tenerla al guinzaglio.»
Lo fulmino con lo sguardo. Gabriel scrolla il sigaro verso di me, e io
comincio a ribollire di rabbia. Faccio un passo in avanti.
«Lo sai che ci ha provato anche con me? Sembra che tu abbia perso il
tuo tocco con tutto: con la compagnia, con i conti in banca, con il sesso.
Come ci si sente a sapere che la propria donna deve andare alla ricerca di
qualcun altro che la soddisfi?»
Inizio a vederci rosso… la rabbia mi sta accecando. Perdo il controllo e
gli sferro un violento pugno in pieno volto, e poi lo colpisco ancora e
ancora in rapida successione.
Cade a terra accanto alla sua auto, e io sento qualcuno gridare:
«Chiamate la polizia!»
«Cazzo…» Abbasso lo sguardo sul suo corpo accasciato a terra e sul
sangue che gli cola dal naso.
Cosa ho fatto?
Mi giro e corro più in fretta che posso nell’oscurità. Supero un isolato e
taglio in mezzo al parco, sentendo le sirene della polizia in lontananza.
Cazzo.
Attraverso la strada e un’auto sbuca dal nulla.
Una luce accecante, un clacson, la vista annebbiata.
La macchina mi colpisce e io volo per aria.
Le tenebre piombano su di me… poi il nulla.
Capitolo 22
Emily
Emily
Il mio telefono vibra sul tavolino da caffè, e io rispondo subito.
«Sta bene», sospira Tristan.
«Grazie a Dio.» Chiudo gli occhi per il sollievo. «Posso vederlo?»
«Ha riportato una commozione cerebrale e dovrà rimanere in ospedale
per qualche giorno.»
«Cosa?»
«Ha detto che è meglio che tu non vada là, non vuole generare un altro
circo mediatico.»
Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Dannazione. In questo momento
mi sembra di non far altro che piangere.
«Ora sta dormendo.»
«Ha detto qualcosa? Su di me?» Mi fermo, cercando di articolare i
pensieri. «Come posso convincerlo ad ascoltarmi, Tristan?»
Lui espira profondamente. «Non lo so. Ha un sacco di casini a cui
pensare, Em. Non credo che al momento sia molto lucido. Cercherò di
parlargli domani mattina.»
Serro le palpebre, rischiando di essere sopraffatta dal pianto. «Okay»,
mormoro. «Potresti richiamarmi… per favore?» Dio, sembro la più grande
sfigata del mondo, ma non so cos’altro fare. «Sono così preoccupata per lui,
Tristan…»
«Lo siamo tutti, Em. Ti chiamo domani. Cerca di dormire un po’.»
«Okay. Buona notte.» Riattacco e vado a farmi una doccia, e lì scoppio
a piangere per il sollievo. Almeno sta bene, e domani è un altro giorno.
Tornerà da me. So che lo farà.
Mmh. Le rispondo.
I : Non ne ho idea.
Arriva un messaggio da Aaron.
Lui mi risponde.
I : Tristan, sembra che questa ragazza lavorasse per la Miles Media, puoi
scoprire chi è dalle risorse umane, per favore?
Faccio un sorrisetto.
Lui mi risponde.
I : Grazie.
Sono stesa sul divano e fisso il televisore. Il cuscino sotto alla mia testa è
bagnato di lacrime.
Sono passati tre giorni da quando Jameson è stato investito da un’auto.
Sei giorni da quando l’ho visto l’ultima volta… Non riesco a mangiare. Non
riesco a dormire.
Sono all’inferno.
Peggio ancora, l’altra sera mi sono messa in imbarazzo andando fino al
suo appartamento e piangendo di fronte alla telecamera di sicurezza, mentre
lo supplicavo di farmi entrare. Non lo ha fatto, e, dopo mezz’ora, il suo
portiere mi ha accompagnata fuori dal palazzo.
Mi vergogno.
Non so cosa fare… Non vuole vedermi, non vuole parlarmi.
Tutto l’amore e la gioia che abbiamo condiviso sono state ridotte in
niente. È come se non fossi mai stata nulla per lui… e forse è proprio così.
Sapevo che aveva la fama di essere freddo, ma questo… questo gelo è tutto
un altro livello.
Come ha potuto guardarmi singhiozzare e supplicarlo dalla telecamera
senza nemmeno farmi entrare?
Prendo il telefono e gli mando un messaggio.
I : Mi manchi.
Jameson
Corro lungo la strada, avvolto dal buio. È appena mezzanotte. Non vengo
qui da un po’, ma, per qualche motivo, questa notte ne avevo bisogno.
Il palazzo di Emily.
Conto le finestre fino a raggiungere il suo appartamento con lo sguardo
e lo fisso. Che cosa starà facendo? Sentirà la mia mancanza almeno quanto
io sento la sua?
Mi immagino di suonare il suo campanello e di chiederle di salire. Ci
abbracceremmo, e io sarei felice… proprio come un tempo. Ma poi ricordo
la sofferenza che ho provato la settimana scorsa dopo che mi ha mentito, e
quanto mi sento privato del controllo ogni volta in cui sono con lei, la
maniera in cui i miei nemici l’hanno usata per arrivare a me, e il modo in
cui Emily ha regalato loro munizioni come fossero caramelle…
E so che niente potrebbe distruggermi… niente, tranne lei.
È la mia unica debolezza.
E la debolezza è qualcosa che non posso permettermi di avere.
Né ora né mai.
Rimango a guardare a lungo il suo appartamento, e poi, con il cuore
pesante, mi giro e inizio la deprimente corsa verso casa. Non mi sono mai
sentito tanto solo.
Emily
J: Un ultimo scalo. Aeroporto JFK. Sabato, alle 20:00. JFK Clubhouse Bar.
Ho bisogno di vederti. J xxx
Mi raddrizzo a sedere. Cosa?
Ha bisogno di vedermi… ha bisogno di vedermi?
La speranza mi sboccia nel petto. Oh mio Dio. Chiamo immediatamente
Molly.
«Pronto», mi risponde.
«Jameson mi ha appena scritto. Vuole vedermi domani sera!» le dico di
colpo.
«Cosa?» esplode lei. «Gli hai detto di andarsene a fanculo?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché…» Cerco di pensare alla spiegazione perfetta. «Magari vedere
Claudia lo ha fatto tornare in sé, e anche io lo voglio incontrare, Moll. È
quello che ho desiderato per tutto questo tempo.»
«Oh Dio, ma riesci a sentirti? Perché vorresti vederlo? È un gran
bastardo.»
«Lo so, ma è stato molto sotto pressione. Ho solo bisogno di parlare con
lui.»
«Per la cronaca, io credo che sia una pessima idea», sospira lei.
Sorrido tra me e me. Si sbaglia… è un’idea eccellente. Rispondo a
Jameson.
I : Ci vediamo lì. x
Guardo fuori dal parabrezza con un’espressione beata e vedo che Hayden
sta parlando con la stessa ragazza che lavorava alla Miles Media.
Lara Aspin… C’è qualcosa di losco anche in lei, e io ne voglio sapere di
più, soprattutto perché finora non sono riuscita a scoprire niente, nemmeno
un indirizzo. La giovane donna conclude la conversazione e si avvia lungo
la strada. Sposto lo sguardo tra lei e l’uomo.
Merda, che cosa faccio?
Guardo Hayden sparire dentro il suo palazzo.
Beh, so già dove vive lui. Se lascio andare la ragazza, rischio di non
ritrovarla mai più. Devo davvero scoprire dove abita. La seguo con gli occhi
mentre cammina lungo la via. Dannazione. Salto fuori dall’auto e attraverso
la strada, tallonandola sul marciapiede.
Scende le scale per entrare in metropolitana, e io esito. È buio, e solo
Dio sa dove sta andando… Merda.
La guardo sparire giù per la scalinata, e mi faccio forza. Maledizione.
Devo seguirla.
Aspettiamo sulla banchina della metro per un po’, e, quando sale sul
vagone, io entro dietro di lei. Mi fermo vicino alle porte e guardo fuori dal
finestrino, assicurandomi di tenerla nel mio campo visivo.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e devo ammettere che è persino
divertente. Avrei dovuto fare la poliziotta.
Superiamo quattro stazioni, e poi la ragazza si alza e si avvicina alle
porte. È la fermata della Central Station, cosa che mi porta a trarre un
sospiro di sollievo. Almeno questo è un posto sicuro.
Scendiamo dal vagone e io rimango un po’ indietro rispetto a lei per
evitare che si insospettisca. Camminiamo ancora, ancora e ancora…
accidenti, ma dove sta andando?
Svanisce tra la folla, e di tanto in tanto io faccio un saltello per vedere se
riesco a ritrovarla. Procedo, ma non la vedo più. È sparita nel nulla.
Dannazione.
Mi volto e lancio un’occhiata lungo la strada che abbiamo appena
percorso. Dov’è andata? Faccio qualche passo indietro, e finalmente la
intravedo dentro a un negozio.
Grazie a Dio.
Entro, notando solo dopo che è un banco dei pegni. Fingo di guardare
qualcosa sul fondo del negozio mentre Lara Aspin parla con l’uomo al
bancone.
«Beh, non vale molto», le sta dicendo lui.
«Vorrei cinquecento dollari. Funziona ancora perfettamente», risponde
la ragazza.
«Te lo sogni. Scordatelo.»
Sbircio attraverso uno spazio vuoto di una libreria esposta e noto un
MacBook. Merda… sta vendendo il suo computer. Perché mai dovrebbe
fare una cosa del genere? Inizio ad arrovellarmi sui possibili motivi mentre i
due contrattano sul prezzo. Alla fine, il venditore la spunta e le consegna
duecento dollari. Guardo Lara Aspin sparire al di là della porta. Aspetto
qualche minuto e poi vado al bancone.
«Salve.» Faccio un sorriso disinvolto.
«Ehi», borbotta il venditore sovrappeso, contando il contenuto della
cassa.
Questa potrebbe essere la cosa più folle che io abbia mai fatto, e dire
che ne ho fatte tante. «Vorrei comprare quel computer, per favore.» L’uomo
si acciglia, lanciandomi un’occhiata. «Quale?» Indico il MacBook che Lara
Aspin gli ha appena venduto.
«Nah, non l’ho ancora svuotato. Vai all’armadietto sulla sinistra e
trovatene un altro.»
«No, deve essere quello lì.»
«Non è ancora in vendita. Torna tra due giorni.»
Quando tornerò tra due giorni, lo avrà ripulito. «Mi dica quanto vuole»,
dichiaro, sentendomi coraggiosa.
Lui si interrompe e alza lo sguardo su di me. «Mille dollari.» Inarca un
sopracciglio in una sfida silenziosa.
«Lo ha appena pagato duecento dollari… è impazzito?» balbetto.
Il venditore scrolla le spalle e torna a quello che stava facendo.
Fisso il computer sul bancone, e non so perché ma il mio istinto mi sta
dicendo di comprarlo. «Dannazione, okay, va bene. Così com’è, subito, per
mille dollari.»
Mi fa un sorriso viscido. «Okay, tesoro.»
Gli porgo la carta di credito di mia madre, quella che dovrei usare solo
per le emergenze… Scusa, mamma.
Pago i mille dollari, prendo il computer ed esco.
Il mio telefono squilla, e il nome di Tristan illumina lo schermo. Che
tempismo perfetto.
«Pronto», rispondo.
«Scusa se ci ho messo così tanto per richiamarti. Senti questa: quella
ragazza su cui mi hai chiesto di indagare, Lara Aspin… lavorava nella
contabilità», mi dice rapidamente.
«Che cosa significa?» Mi acciglio.
«Che aveva accesso ai nostri dati bancari.»
«Oh mio Dio, Tristan», bisbiglio, guardandomi intorno con aria
colpevole. «L’ho appena seguita in metropolitana. Ha venduto il suo
computer a un banco dei pegni, e lo so che è pazzesco, ma l’ho ricomprato
per mille dollari.»
«Cosa? Ce l’hai tu? Hai il suo computer?»
Sorrido orgogliosa. «Già.»
«Dove sei? Vengo subito a prenderti.»
Attraverso l’aeroporto con il cuore in gola. Mi porto dietro il trolley per
interpretare la parte della viaggiatrice stanca… o forse sto solo cercando di
fingere con me stessa che questa non sia una pessima idea.
Perché so che lo è. Nel profondo, so che non dovrei partecipare a questo
gioco pericoloso con lui. Dovremmo metterci seduti e fare una
conversazione civile, da adulti.
Ma la disperazione mi ha resa debole, e spero che stanotte io e Jameson
riusciremo parlare… e che lui mi supplichi di tornare indietro, così io potrò
punirlo e poi torneremo a vivere la nostra storia con serenità.
Non ho più visto Claudia, quindi non ho idea di cosa stia succedendo
con la sua ex, ma il fatto che questa sera Jameson abbia voluto vedermi mi
dice che non deve essere niente.
Spero che non sia niente… Dio, lo spero…
Smettila.
Mi infilo in bagno per farmi un ultimo discorsetto di incoraggiamento.
Mi passo di nuovo sulle labbra il rossetto rosso, il suo preferito, e fisso il
mio riflesso nello specchio. I miei lunghi capelli scuri sono sciolti e
acconciati in boccoli morbidi. Avrei voluto indossare un vestito, ma non
volevo sembrare troppo impaziente, quindi mi sono decisa per un paio di
pantaloni neri aderenti e una camicia di seta dello stesso colore, con il
bottone in cima strategicamente aperto. Se mi muovo nel modo giusto, al di
sotto si intravede il reggiseno di pizzo nero. Ho messo il profumo che ama
di più, e credo di essere sexy senza sembrare che mi sia impegnata…
sempre che sia possibile.
Solo Dio lo sa. Immagino che presto lo scoprirò.
Non essere appiccicosa… lamentosa… ed eccessivamente
melodrammatica, ricordo a me stessa. Sii sexy e seducente… come eri la
prima volta in cui vi siete incontrati.
Giusto, posso farcela.
Raddrizzo le spalle, faccio un respiro profondo e mi preparo per la
serata che mi aspetta. Da questa notte dipende il mio futuro. Devo
ricordargli perché si è innamorato di me… come diavolo ha potuto
dimenticarselo?
Questo, in sé e per sé, è un problema… chiudo gli occhi, disgustata.
Smettila di rimuginare.
Mi avvio lungo il corridoio fino a quando non trovo il Clubhouse Bar. È
animato e vivace. Entro e mi accomodo a un tavolino per due in un angolo.
Se vuole vedermi, può venire a cercarmi. Sono a uno scalo e sono del tutto
ignara di ciò che mi circonda.
Tiro fuori il mio portatile e apro le e-mail.
«Posso portarle da bere?» chiede il cameriere, che si è avvicinato al mio
tavolo.
«Sì, per favore.» Sorrido, porgendogli la carta di credito. «Un Margarita
della migliore qualità, per favore.»
Lui ricambia l’espressione e se ne va dopo avermi lanciato un
occhiolino sfacciato. Dannazione, Jameson Miles mi ha viziata. A quanto
pare, mi sono abituata alla roba di prima qualità, e ormai l’ordinazione mi
sfugge dalla bocca fin troppo facilmente.
Riporto l’attenzione sulle mie e-mail e fingo che siano
interessantissime.
Non è così.
E ciò che vorrei fare davvero è controllare questo posto con un occhio
di falco… lui sarà qui?
Il cameriere torna con il mio drink. «Ecco a lei, un Margarita di prima
qualità.» Lo appoggia sul tavolo. «E il gentiluomo al bar mi ha chiesto di
portarle queste.» Mi lascia un grande piatto di fragole e una tazza di
cioccolata calda.
Lancio un’occhiata nella direzione che sta indicando e vedo Jameson
seduto al bancone del bar. Indossa dei jeans scuri e una camicia bianca che
gli ho comprato io. I suoi capelli scuri sono scarmigliati alla perfezione.
Incrocio il suo sguardo, e lui solleva il suo bicchiere prima di bere un sorso.
Mi si stringe lo stomaco per l’eccitazione. Non mi guarda in questa
maniera da moltissimo tempo.
«Grazie», rispondo al cameriere, completamente distratta dal magnifico
uomo al bar.
Sorseggio il mio Margarita, cercando di levarmi il sorriso ebete dal
volto, e torno alle e-mail per fingere disinteresse.
Fragole e cioccolata calda, è impossibile mangiarle senza succhiarle e
sembrare un animale.
Faccio un sorrisetto… forse è quello che vuole?
Allora giochiamo.
Con gli occhi fissi sullo schermo del computer, prendo un frutto e lo
immergo nella cioccolata prima di leccarlo e infilarmelo in bocca con aria
seducente. Succhio la cioccolata e mi strofino la fragola sulle labbra.
Bevo un sorso del mio Margarita e ripeto la mossa.
Sorrido tra me e me… Che diavolo sto facendo? Sono nel bar di un
aeroporto, pur non dovendo andare da nessuna parte, e fingo di non
conoscere un uomo, che invece conosco benissimo, mentre faccio un
pompino a una fragola. È del tutto assurdo.
Se solo Molly e Aaron potessero vedermi ora…
Il cameriere arriva con un altro Margarita. «Con i complimenti del suo
amico al bar.»
«Grazie.» Tengo basso lo sguardo, partecipando al gioco e rifiutando di
guardarlo.
Dieci minuti dopo, bevo l’ultimo sorso del mio drink e mi permetto di
lanciare un’occhiata verso Jameson: i suoi occhi scuri sono su di me, e un
fuoco divampa tra di noi. Conosco quello sguardo, dice: “Ti scoperò…
come non mai”.
Sento l’eccitazione iniziare a pulsare e, con gli occhi fissi su di lui,
prendo un’altra fragola e la lecco.
Jameson si alza come se fosse stato evocato dalla mia lingua. Non
smettiamo di guardarci, e io succhio il frutto mentre lui si avvicina al mio
tavolo.
«Ti dispiace se mi siedo?» mormora con la sua voce profonda e sexy.
«Niente affatto.» Abbasso lo sguardo sul rigonfiamento nei suoi
pantaloni e inarco un sopracciglio.
«Non giudicarmi.» Sorride, lasciandosi cadere sul divanetto accanto a
me. «Ho appena ammirato il miglior porno con le fragole della mia vita.»
«Davvero?» Faccio un sorrisetto. Sento il calore della sua vicinanza e
devo lottare per non sporgermi verso di lui.
Allunga una mano verso di me. «Sono Jim.»
Sento il cuore precipitarmi nel petto. Proprio come la prima volta.
Stringo le sue dita e sento una scarica elettrica attraversarmi il braccio.
«Salve, Jim, io sono Emily.»
Quindi vogliamo fare questo gioco? Fingeremo di non conoscerci.
Stiamo davvero rivivendo lo scalo. Farò tutto ciò che serve pur di spezzare
il gelo tra di noi.
Appoggiando i gomiti sul tavolo, Jameson unisce le mani sotto il mento.
I suoi occhi brillano, pieni di malizia. «Dove sei diretta, Emily?»
«Londra.» Sorseggio il mio drink. «Tu?»
«Dubai. Il mio volo è in ritardo.»
«Anche il mio.»
Senza smettere di guardarci, beviamo un sorso dei nostri drink. L’aria
tra di noi è elettrica, e, a prescindere dall’amore che provo per quest’uomo,
l’intesa sessuale che ho con lui è innegabilmente fuori da questo mondo.
«Grazie per il drink.» Sorrido con dolcezza.
«Non c’è di che.» I suoi occhi cupi sono socchiusi, e io riesco a sentire
la sua eccitazione fino a qui.
«Che cosa fai per vivere?» gli chiedo.
«Sono una guida turistica», risponde senza esitazione.
«Davvero? E che tour organizzi?»
«Visite ai campeggi.»
Mi finisce il drink di traverso mentre ridacchio. «Oh.» Tossisco.
«Quindi… sei un amante dell’aria aperta?»
«Certo.» Beve un sorso del suo Margarita. «Sono un tutt’uno con la
natura.» Incrocia le dita per dimostrare esattamente quanto vi sia legato.
Cerco inutilmente di nascondere il mio ampio sorriso. «Buono a sapersi.
I cavernicoli mi eccitano moltissimo.»
Il suo sguardo brilla, deliziato. Gli piace questo gioco. E piace anche a
me.
«Tu cosa fai?»
«Sono una sensitiva.»
Scoppia a ridere. Oh, è bello sentirlo ridere di nuovo. «Una sensitiva?»
Sgrana gli occhi per la sorpresa. «Sì.»
«Quindi… leggi la mente?»
«Esatto.»
«Va bene.» Si guarda intorno nel bar e indica una donna con il suo
bicchiere. «Dimmi cosa sta dicendo quella signora laggiù.»
Lancio un’occhiata e studio la sconosciuta di mezza età che sembra
impegnata a riprendere il marito, mentre quello si beve una birra. «Gli sta
dicendo che dovrebbe sbrigarsi a mettere le sue calze a compressione prima
del volo, e che ha bevuto abbastanza. Non lo lasceranno salire in aereo se è
ubriaco.»
«Mmh.» Jameson fa un sorrisetto e guarda di nuovo in giro. «E lui?»
Mi volto verso un uomo che sta fissando il cellulare. «Sta cercando
delle prostitute per il suo viaggio di lavoro.»
«E quello?»
«Si sta chiedendo se la moglie vada a letto con il suo capo.»
Il suo sorriso si allarga. «Sei brava.»
Piego la testa di lato. «Lo so.»
«E lei?»
«Sta cercando infezioni fungine su Google. È preoccupata di aver preso
qualcosa dopo un sabato sera scatenato e una scappatella non protetta.»
Gli brillano gli occhi per il divertimento mentre si guarda intorno nel
bar, e infine torna a girarsi verso di me. «E io?»
«Vuoi sapere che cosa stai pensando?»
«Sì.»
Ci fissiamo a vicenda… merda, mi ero promessa che stanotte non avrei
fatto la melodrammatica, e questo è di sicuro un modo per provocarmi.
Potrei dire addio ai piani che ho fatto e dirgli quanto sia stato stronzo… e lo
farò, ma più tardi.
«Adesso?» gli chiedo.
«Sì.» Mi fissa con lo sguardo cupo per il desiderio.
«È bello vederti.»
Mi fa un lento sorriso sexy e si sporge verso di me. «Lo è.» Mi appoggia
una mano su una guancia, e il mio cuore si blocca. «Anche se non stavo
pensando solo a quello.»
«No», ansimo. «Lo so.»
Sorride come se fosse intrigato, i nostri volti a pochi centimetri di
distanza. «Perché non mi dici a cos’altro stavo pensando?» Abbassa gli
occhi sulle mie labbra.
«Ti stavi chiedendo com’è il sapore del cioccolato sulla mia bocca»,
bisbiglio. Come faccio a mettere insieme delle frasi di senso compiuto
quando lui mi guarda così?
Al rallentatore, si china in avanti e lecca le mie labbra socchiuse. Il mio
punto più sensibile si contrae per la scarica improvvisa di eccitazione.
Oh Dio…
«Stai flirtando con me, Jim?» sussurro.
Mi lecca di nuovo. «Sì. Come me la sto cavando?»
Mi viene la pelle d’oca lungo tutta la schiena, e deglutisco il groppo che
ho in gola. «Non male.»
«Solo non male?»
Annuisco, senza fiato per il suo tocco.
«E quando faccio così?» Mi bacia con estrema lentezza, infilando la
lingua dentro la mia bocca aperta e carezzandomi con dolcezza.
«Potrebbe funzionare», mormoro contro le sue labbra.
«E così?» Il bacio si fa più profondo, e io sento la mia eccitazione
risvegliarsi dal suo torpore.
Chiudo gli occhi, attraversata dall’emozione… non va bene. Un solo
bacio, e sto già per scoppiare a piangere.
Come hai potuto trattarmi tanto male?
Non fare la pappamolle…
Devo tenere sotto controllo i miei sentimenti… almeno per ora. Domani
sarà tutta un’altra storia, ma questa notte è per celebrare ciò che c’è tra di
noi.
Interrompo il bacio. «Non so che razza di donna tu creda che io sia, Jim,
ma posso assicurarti che rimorchiare guide turistiche di campeggi in un bar
dell’aeroporto non è nel mio stile.» Mi appoggio all’indietro contro lo
schienale del divanetto e raddrizzo la camicetta, sorseggiando il Margarita.
Jameson stringe le labbra come se fosse divertito dal gioco, e mi solleva
una mano per portarsela alle labbra. Inizia a baciarla, e poi la gira e mi lecca
il palmo. Sento di nuovo la stessa scarica elettrica accumularsi tutta nel
basso ventre… cazzo. Sto perdendo il controllo della situazione.
In fretta.
Alzo gli occhi e vedo due ragazze sedute accanto a noi, incantate, che lo
fissano con la bocca spalancata. Come gli sembreremo? Un uomo
affascinante seduto qui a pomiciare con la mia mano, mentre io mi fingo
completamente disinteressata. Fingo è la parola cruciale.
«Stai dando spettacolo», mormoro, guardandolo.
«Non posso farci niente», bisbiglia lui contro la mia pelle. «È passato
troppo tempo.»
«Quanto?» gli chiedo.
«Quindici giorni.» Mi bacia di nuovo la mano. «Quindici lunghi
giorni.»
È il tempo che abbiamo trascorso separati… sa con precisione da quanto
non ci vediamo. Anche lui vuole spezzare il gelo tra di noi. Ha sentito la
mia mancanza, so che è così. All’improvviso, non voglio fare la preziosa.
Lo desidero intensamente… e subito.
Allontano la mano dalle sue labbra. «Offrimi un altro drink, e forse
dopo ti libererò dalle tue sofferenze.»
I suoi occhi brillano per l’eccitazione, e alza immediatamente le dita per
chiamare il cameriere. «Sì, signore.»
«Due…»
«Quattro», lo interrompo.
Lui si acciglia, probabilmente scoraggiato dal tempo in più che ci
servirà per berli. «Quattro Margarita, per favore», ripete poi al cameriere.
«Sì, signore.»
«In fretta, per cortesia», aggiunge.
Il cameriere aggrotta la fronte davanti alla sua apparente disperazione.
«Sì, signore, certo.» E si affretta verso il bar.
Ci fissiamo a vicenda mentre l’elettricità sfrigola tra di noi. Non
servono parole. Entrambi sentiamo questa attrazione magnetica che ci
unisce, è troppo forte per negarla.
«È davvero… è davvero bello vederti, Em», sussurra.
Emily
S ,
appoggiata al divano, e sto facendo roteare il telefono. Lo guardo girare fino
a quando non perde lo slancio, e poi gli do un altro colpetto.
Oggi è stata una giornata strana, durante la quale ho tratto delle
conclusioni ben precise e ho chiuso un capitolo della mia vita.
Non sto piangendo. Non mi rimangono più lacrime da versare per
Jameson Miles.
A essere sincera, sono solo arrabbiata, soprattutto con me stessa, per
averlo incontrato la notte scorsa e per essermi fatta trattare come una
marionetta per l’ennesima volta.
Su Netflix c’è Magic Mike XXL, e io lo sto guardando di nuovo. È
davvero ironico che abbiamo iniziato la nostra relazione davanti a questo
film e che ora lo stia riguardando dopo la fine della nostra relazione.
Ho riflettuto a lungo. Devo prendere alcune decisioni, delle decisioni
molto importanti. Su cosa voglio fare della mia vita… con la mia carriera e
il mio futuro alla Miles Media. Ma so già cosa devo fare. Alzo lo sguardo
verso il televisore. C’è una scena di un falò in spiaggia, e gli uomini stanno
parlando di una donna di cui uno di loro era innamorato.
“Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.”
Mi si stringe il cuore pensando alle implicazioni di questa frase. Ho
passato settimane a rifiutarmi di credere che Jameson Miles avesse un cuore
di ghiaccio. Ma è così. A prescindere da come l’uomo che credevo di
conoscere si presentava… la sua realtà è una menzogna.
“Jim non esiste”, mi ha detto.
Il mio telefono squilla e il nome Tristan illumina lo schermo. Mi
acciglio. «Pronto.»
«Oh mio Dio, Em. Pensano di averle trovate.»
Mi raddrizzo a sedere. «Cosa?»
«Il computer di Lara Aspin… dentro ci sono le prove che è stato usato
per accedere ai nostri conti bancari.»
«Che cosa?» ripeto piano, sgranando gli occhi.
«Non abbiamo ancora i dettagli, ma gli analisti dei computer hanno
appena chiamato per farci sapere che la sua cronologia sembra molto
promettente.»
Sorrido. «È fantastico.»
«Ci vediamo in ufficio domani mattina? Sali all’ultimo piano appena
arrivi.»
«Sì, certo.» Rimango un attimo in silenzio, poi aggiungo: «Ehi, grazie
per avermi informata».
«Ci vediamo domani», dice lui con tono allegro.
Chiudo e mi perdo a fissare il vuoto per un momento, un sorriso triste
sul mio viso. Mi alzo e accendo il portatile sul tavolo della cucina per
iniziare a scrivere.
Ti credo, Jameson… Finalmente ti credo.
«Oh mio Dio, Em, lo hai saputo?» Aaron mi rivolge un sorriso entusiasta,
girando la sedia verso di me.
È mattina, sono appena arrivata al lavoro e sto appoggiando la borsa
sulla scrivania. «Cosa?»
«I giornali di oggi dicono che è stato fatto un arresto per il caso di
appropriazione indebita.»
«Davvero?» Fingo un sorriso. «È fantastico.» Mi guardo intorno.
«Molly è già qui?»
«No, ma arriverà presto.» Torna a voltarsi verso il suo computer.
«Okay. Torno tra un momento.» Prendo una busta dalla mia borsa e poi
striscio il mio tesserino nell’ascensore per salire all’ultimo piano.
Stranamente, oggi funziona.
Le porte si aprono e Sammia mi fa un gran sorriso, come se fosse felice
di vedermi. «Buongiorno, Emily.»
«Ciao.» Mi guardo intorno. «Tristan c’è?»
«Sì, è nell’ufficio di Jameson. Vai pure.»
Lo stomaco mi sprofonda fino ai piedi. «Okay, grazie.» Attraverso il
pavimento piastrellato e prendo mentalmente nota del rumore. Ora le mie
scarpe non ticchettano più sul marmo, e ripenso a quando lo facevano.
Lancio un’occhiata attorno a me e scatto una fotografia mentale. Amo
questo palazzo… ho tanti ricordi emozionanti di quando ho iniziato a salire
fino a questo piano.
Busso alla porta e sento la voce autorevole di Jameson dire: «Avanti».
Ci siamo.
Cerco di tenere a bada i nervi e apro la porta. Quando Tristan si accorge
di me, il suo volto si illumina. «Eccola qui. L’eroina della giornata.»
«Ciao.» Incontro lo sguardo di Jameson dall’altra parte della stanza.
«Buongiorno.» Lui china il capo come se si vergognasse per qualcosa.
«Tutte le prove erano su quel computer, Em.» Tristan è entusiasta. «Ce
l’hai fatta, hai risolto il caso. Non so perché tu abbia continuato a seguirla,
ma, accidenti, ti sono incredibilmente grato per averlo fatto.»
«Sono felice di essere stata d’aiuto.»
«Grazie.» Jameson aggrotta la fronte come se vedermi qui lo facesse
soffrire. «Ti sono molto riconoscente per il tuo impegno nella risoluzione
del caso.»
Tristan guarda prima lui e poi me, e sembra accorgersi della tensione tra
di noi. «Vi lascio da soli. Dobbiamo festeggiare… stasera», ci grida,
lasciando la stanza in un turbine di eccitazione. Per lui la conclusione
dell’indagine contro Jameson deve essere un vero sollievo.
Chiudo gli occhi. Dannazione, devo farla finita. Porgo la busta a
Jameson, e lui la fissa con aria confusa. «Che cos’è?» mi domanda.
«La mia lettera di dimissioni.»
Mi guarda con la fronte aggrottata. «No, Em.» Scuote la testa. «Non
posso accettarle.»
Le emozioni mi travolgono, e sbatto le palpebre un paio di volte per non
piangere. «Non posso più lavorare qui, Jameson.»
«Tu ami la Miles Media… lavorare qui era il tuo sogno», bisbiglia.
«No. Ti sbagli. Io amavo te… eri tu il mio sogno. Ho accettato
un’offerta di lavoro da Athena, nel posto in cui ho fatto il tirocinio. Inizio
lunedì prossimo.»
Mi scruta dritto negli occhi. «Em…»
Mi sfugge una lacrima lungo la guancia, e la asciugo con un sorriso
nervoso. «Sai, ho guardato Magic Mike XXL ieri sera.» Mi ascolta. «E nel
film c’è una frase toccante che mi ha aiutata a dare un senso a tutto quanto.»
«Quale frase?»
«Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.» Lui si acciglia, senza
capire. «Finalmente ti credo, Jameson.»
«Credi a cosa?»
«Che sei un codardo.» Lui serra la mascella. «Che hai troppa paura di
amarmi.» Ci fissiamo negli occhi, mentre tra di noi scorre una corrente di
rabbia. «E io merito qualcuno che sappia che valgo il rischio.» Jameson mi
fissa, serrando la mascella. «È solo che tu non sei abbastanza coraggioso da
amarmi.»
«Questo non è giusto», sussurra.
«No.» Scuoto piano la testa. «Innamorarmi di te non è stato giusto. Non
ho mai avuto alcuna possibilità… e tu lo hai sempre saputo. Il tuo cuore è in
un congelatore ermeticamente chiuso di marca Miles-High, e si può solo
ammirare dall’esterno.»
La sua espressione si incupisce, e io mi volto per lasciare il suo ufficio.
Chiudo piano la porta quando esco, e la fisso per un momento mentre
raccolgo il coraggio che mi serve per allontanarmi da lì per l’ultima volta.
In qualche strano e assurdo modo, questo è stato il periodo migliore e
peggiore della mia vita.
Addio, signor Miles. Mi mancherai per sempre.
Jameson
Emily
Jameson
Salgo sull’aereo.
«Buonasera, signor Miles. La sua poltrona è da questa parte, signore.
Posto A1.»
«Grazie.» Mi lascio cadere sul sedile in prima fila nella prima classe.
L’aereo si riempie lentamente, mentre io guardo fuori dal finestrino.
Volare non mi ha mai dato fastidio, ma ora lo odio. Detesto che mi ricordi
lei… e il modo in cui ci siamo conosciuti. La notte che abbiamo passato
insieme. E quanto sono andate male le cose alla fine.
Con un gomito appoggiato sul bracciolo, mi stringo la base del naso.
Voglio solo arrivare a destinazione, raggiungere il mio albergo e dormire.
Sono stanco e non sono dell’umore giusto per queste cazzate.
«Posso portarle qualcosa, signor Miles?»
«Uno scotch, per favore.»
Un uomo anziano si accomoda sul sedile di fronte a me. Mi fa un cenno
con il capo. «Salve.»
«Buonasera», lo saluto con un sorriso.
Riporto l’attenzione fuori dal finestrino, verso l’equipaggio che si sta
occupando dei bagagli sulla pista; sono tutti impegnati a svolgere il loro
lavoro e a correre in giro per fare gli ultimi controlli di sicurezza.
Si muovono a bordo di carrelli, fanno segnali luminosi e agitano
bandiere.
A me non importerebbe niente se l’aereo si schiantasse.
Bruciare all’inferno deve essere meglio di questa vita.
Sto tornando a casa in autobus e sono seduta a leggere un libro sul mio
Kindle. È buio e sono appena le sei di sera. Sono più felice… più forte.
Ormai ho iniziato il mio nuovo lavoro da tre settimane e lo adoro. Ho fatto
la scelta giusta. Le persone sono tutte fantastiche, fortunatamente non sono
più l’oggetto delle chiacchiere in ufficio, e ho un ruolo più importante
rispetto a quello che ricoprivo alla Miles Media. Mi vedo ancora spesso con
Molly e Aaron per bere e cenare insieme, e ho in programma di tornare dai
miei genitori nel weekend.
Sto correndo molto… e stranamente non devo fingere di essere
inseguita da un maniaco armato di ascia. Sono così arrabbiata che non
posso fare a meno di sfrecciare con tutte le mie forze. Il jogging pacifico
non fa più parte del mio repertorio.
L’autobus rallenta. Spengo il Kindle e mi alzo, aspettando che il mezzo
si fermi. Scendo i gradini e inizio la camminata di due isolati per
raggiungere il mio appartamento. La stagione si sta facendo fredda. Ogni
mio respiro crea una nuvoletta di condensa, e io mi stringo nell’ampio
cappotto per tenermi al caldo mentre avanzo.
Potrei prendere del cibo indiano per cena.
No… attieniti al budget, nel frigo hai gli avanzi dell’altra sera.
Raggiungo il mio palazzo e frugo nella borsa alla ricerca delle chiavi.
«Ciao, Em», dice una voce familiare alle mie spalle.
Mi volto, sorpresa. Jameson è di fronte a me, e, non appena lo vedo, mi
si stringe il petto come in una morsa. «Che ci fai qui?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Avevo bisogno di vederti.»
La sua apparizione risveglia un’ondata inaspettata di emozione, che in
precedenza avevo creduto di avere sotto controllo. Lo fisso tra le lacrime
che minacciano di iniziare a scendere.
Lui fa un cauto passo in avanti. «Come stai?»
All’improvviso, sono furiosa… come un toro scatenato, e chino la testa
per armeggiare dentro la borsa. Devo allontanarmi da lui.
Dove cazzo sono le chiavi?
«Bene», sbotto. Finalmente le trovo e mi giro verso la porta.
«Mi manchi.»
Mi fermo e chiudo gli occhi.
«Non riesco…» Si interrompe. «Non riesco a voltare pagina se non so
che siamo a posto.»
Corrugo la fronte e torno a guardarlo. La sua espressione è addolorata,
sembra nervoso. I nostri occhi si incontrano, i miei pieni di lacrime… i suoi
pieni di rimpianto. Si gira per lanciare un’occhiata verso la sua macchina,
che non avevo notato, parcheggiata nel buio.
«Ti ho portato una cosa.»
Praticamente corre fino all’automobile per prendere un enorme bouquet
di rose gialle, poi torna da me per consegnarmelo.
Lo fisso confusa. «Rose gialle?»
Mi sorride con dolcezza. «Dovrebbero essere un simbolo di amicizia.»
«Vuoi essere mio amico?»
Lui annuisce speranzoso. «Possiamo ricominciare da capo?»
Qualcosa dentro di me si spezza. «Hai un bel coraggio, cazzo.» La sua
espressione si intristisce. «Torni qui dopo avermi spezzato il cuore e mi
porti delle cazzo di rose gialle?» grido. Jameson fa un passo indietro,
sconvolto dall’astio nel mio tono di voce. «Non sarei amica di un coglione
egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra!» urlo,
mentre le lacrime di rabbia iniziano a scendermi sul volto.
Perdo del tutto il controllo e inizio a fare a brandelli le rose, strappo i
fiori, li distruggo, poi li getto a terra e ci salto sopra. Voglio ferire queste
stupide piante tanto quanto lui ha ferito me.
Jameson mi guarda con gli occhi sgranati.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e, ancora insoddisfatta dallo stato delle
rose, sollevo il mazzo da terra e scendo in strada per gettarlo con più forza
possibile sull’asfalto. Un autobus gli passa sopra.
«Ecco cosa puoi farci con la tua amicizia», gli dico con il tono carico di
disprezzo, superandolo.
Apro il portone ed entro nel mio palazzo senza guardarmi indietro.
Premo con forza il pulsante dell’ascensore e, con la coda dell’occhio, vedo
Jameson al di là della porta a vetri, che ancora mi guarda. Le lacrime mi
scorrono giù per il viso, e sono furibonda per avergli lasciato vedere quanto
sono fuori di me.
L’ascensore si apre, così entro e premo di nuovo il pulsante.
Le porte si richiudono, mentre il mio viso si contorce per il pianto, e io
inizio a singhiozzare.
Che tu sia maledetto, Jameson Miles…
Capitolo 24
Emily
C
dimenticare. Certe situazioni che sono fondamentali e determinano chi sei.
La notte scorsa è stato uno di quei momenti.
Che razza di psicopatica fa a pezzi un mazzo di rose a mani nude,
gridando come una matta? Mi vergogno di me stessa. Questo… questo è il
livello a cui mi sono abbassata.
Stranamente, la notte scorsa è anche stata la prima volta in cui ho
dormito bene dopo settimane. Come se aver rilasciato un po’ di vapore dalla
pentola a pressione mi avesse placato l’anima.
Non mi sento in colpa per essere stata tanto cattiva… di norma, ci starei
male. Ma Jameson Miles, in sé e per sé, è un enigma… uno per cui non
provo più compassione.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra”, gli ho detto… anzi, glielo ho urlato. È
stata una cosa dura da dire, la peggiore, ma lui ha avuto quello che si
meritava.
Le porte dell’ascensore del mio palazzo si aprono, così esco e raggiungo
la strada.
«Che diavolo è successo qui?» sento borbottare sottovoce la donna
davanti a me, che si è fermata per guardare il massacro.
Ci sono petali di rose gialle sparsi ovunque, boccioli ammaccati e
rovinati gettati sull’asfalto. In strada giace la carcassa del bouquet
schiacciato con il suo grande fiocco di seta color crema.
Gesù…
Abbasso la testa e supero quella carneficina. Lancio un’occhiata verso il
tetto, per controllare le telecamere. Mi chiedo se qualcuno abbia visto
quello spettacolo nelle riprese di sicurezza.
Spero di no… che imbarazzo.
Salgo sull’autobus e accendo il mio Kindle. Non sto leggendo uno dei
miei soliti romanzi rosa. Non riuscirei a sopportare il pensiero di tutte
quelle stronzate. Ho variato un po’ e sto leggendo Pet Semetary, e forse è
colpa sua. Stephen King mi sta portando verso il lato oscuro. Quello in cui
non accetti cazzate e la vendetta sulle rose gialle è doverosa.
Bene… Fatevi sotto. Ho voltato pagina.
Questo è il mio momento di gloria.
Jameson
Bevo il mio caffè seduto nel bar di fronte alla Miles Media. Da un paio di
giorni vengo qui prima del lavoro. Alan mi ha detto che Emily era solita
trovarsi qui con i suoi amici. Spero di incontrarli.
Perché? Non lo so.
Le parole che mi ha gridato l’altra notte continuano a risuonarmi nella
mente.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra.” Nemmeno io vorrei essere mio amico,
se mi trovassi al suo posto.
Non l’ho mai vista tanto arrabbiata… e magra. Ha perso molto peso.
Odio averla fatta soffrire così tanto, non lo meritava.
Sorseggio il mio caffè e sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
«Ehi», dice Tristan, sedendosi su uno sgabello accanto a me.
«Ciao.»
«Stai cercando Emily?» mi chiede con aria noncurante.
«No.»
«Bugiardo», replica con un sorrisetto sfacciato. «Ehi, io e i ragazzi
abbiamo organizzato un viaggio a Las Vegas per questo weekend. Il jet è già
pronto.» Faccio una smorfia. Non riesco a pensare a niente di peggiore.
«Sarà fantastico. Beviamo, giochiamo d’azzardo. Introduciamo qualche
bella donna al Miles High Club. Devi riprenderti e tornare in sella. Ho in
mente una bionda o due… per un po’ lasciamo perdere le more, e, oltretutto,
dobbiamo festeggiare la tua assoluzione. Elliot e Christopher arrivano
questo venerdì.» Mi fa l’occhiolino, cercando di rendermi appetibile la
proposta.
«Sì, mi sembra una vera merda», borbotto con tono secco.
«Non mi importa cosa ne pensi. Tu ci vieni.»
Guardo fisso davanti a me. Ultimamente ho perso la capacità di
entusiasmarmi per qualsiasi cosa.
Lui si fa serio. «Sono preoccupato per te, Jay.» Alzo gli occhi al cielo.
«Lo siamo tutti. Non ti stai comportando da te.»
«Sto bene», mormoro con il viso rivolto verso il mio caffè. Mi guardo
intorno ancora una volta, ricordandomi perché mi trovo qui.
«Perché non vai da lei, se la vuoi vedere?» mi chiede.
«Ci ho provato, la notte scorsa.»
«Com’è andata?»
Mi concedo un lungo respiro. «È andata fuori di testa e…» Mi
interrompo, cercando le parole giuste per spiegare la situazione. «Le ho
portato delle rose gialle, e lei le ha fatte a pezzi come una matta.»
«Ah, davvero?» Mio fratello sogghigna, e poi il suo sorrisetto si allarga,
come se fosse colpito. «Perché portarle rose gialle e non rosse?»
«Ho pensato…» Espiro profondamente. «Ho pensato che quelle gialle
fossero più sicure perché sono un simbolo di amicizia. Così Emily avrebbe
acconsentito a parlare con me. Volevo solo scambiare due parole.»
«Ma questo non glielo hai detto, vero?»
«Sì, invece.»
Lui scuote piano la testa, come se io fossi uno stupido. «E lei come l’ha
presa?»
«È stato a quel punto che si è trasformata in Hulk.»
«A dire la verità, non la biasimo.» Gli lancio un’occhiata interrogativa.
«L’hai fottuta alla grande.»
«Non l’ho fottuta», sibilo. «Sto cercando di proteggerla.»
«Ascolta, puoi mentire a te stesso quanto ti pare, ma non disturbarti a
raccontare queste cazzate a me. Sei un pessimo bugiardo… il peggiore.»
«Vaffanculo, Tris, è troppo presto per queste stupidaggini.» Sospiro.
«Tristan», lo chiama la ragazza dietro il bancone.
Lui si alza, va a prendere il suo caffè. Quando torna verso di me, mi dà
una pacca sulla spalla. «Rimani qui a fare il cazzone depresso?»
«Fottiti», grugnisco. Lui mi sorride e se ne va senza un’altra parola.
Faccio un lungo sospiro e abbasso lo sguardo sul mio caffè. Ripenso alla
sofferenza che c’era sul viso di Emily la notte scorsa, e mi si stringe il petto.
Continuo a rivederla nella mia mente, vorrei solo sapere se sta bene. Forse
così riuscirei a perdonare me stesso e a smettere di pensare a lei in ogni
istante della giornata. Tiro fuori il telefono. La chiamerò. No,
riattaccherebbe e basta. Meglio scriverle… ma cosa?
Premo Invio e aspetto. Bevo il mio caffè e fisso il telefono, in attesa che mi
risponda… ma non lo fa.
I : Ti prego, rispondimi.
Ordino un altro caffè mentre rimango in attesa. Sono le otto e un quarto del
mattino e so che non ha ancora iniziato a lavorare. So anche che deve avere
il telefono con sé e che sta ignorando di proposito i miei messaggi.
Fanculo. Compongo il suo numero. Il cellulare squilla… Aspetto con gli
occhi chiusi, ma quello squilla fino a spegnersi.
Cazzo. Ha rifiutato la chiamata.
Le scrivo ancora una volta.
I : Rispondi al telefono o vengo lì.
Il messaggio non parte… Eh? La chiamo di nuovo, ma il telefono non
squilla nemmeno. Che sta succedendo? Ci provo ancora una volta… niente.
Per dieci minuti, tento di connettermi. Non ci riesco. Cosa succede?
Digito su Google: “Perché non posso scrivere a qualcuno o chiamarlo?”
La risposta che ricevo mi ferisce quasi a morte: “Sei stato bloccato”.
Ha bloccato il mio numero? Ma che cazzo?
La rabbia mi monta dentro, nessuno mi ha mai bloccato prima. Non
nella vita professionale, né in quella privata… né tantomeno una donna. È
proprio vero che non vuole essere mia amica… in nessun modo.
Mi sprofonda il cuore nel petto. Come diavolo ho fatto a sbagliare
tanto?
Fisso il palazzo della Miles Media attraverso la vetrina del locale, e il
pensiero di entrare lì e di fingere che vada tutto bene rischia di sopraffarmi.
Scrivo a Tristan.
Rimango seduto a finire il mio caffè, e in quel momento inizia una canzone:
Bad Liar, “Pessimo bugiardo”, degli Imagine Dragons.
La ascolto… Mio fratello mi ha detto che non so mentire e,
ironicamente, i versi della canzone risuonano veritieri. Con
un’imprecazione, mi trascino fuori dal bar per prendere un taxi.
«Dove la porto?» mi chiede il tassista.
«A Park Avenue.»
L’auto si immette nel traffico, mentre io mi infilo le cuffie, accendo
Spotify e ascolto di nuovo la canzone.
Bad Liar… il mio nuovo inno.
Cerco su Google le foto di alcuni posti all’estero. Voglio andare a sciare.
Penso alla Svizzera. Ho bisogno di allontanarmi. New York è troppo
piccola… o soffocante… o minacciosa… o qualcosa che non riesco a
comprendere del tutto. In ogni caso, devo andarmene da qui.
Mi ha bloccato.
Potrei lavorare da Londra per un po’… sì, potrei fare così. Avrebbe
senso. Avrei l’occasione di passare più tempo con Elliot e Christopher. Mi si
stringe il petto quando mi ricordo che anche qualcun altro vive lì. Sarei più
vicino a Claudia, ma proprio qualche giorno fa ho spezzato il cuore anche a
lei. Voleva tornare insieme a me, e io le ho detto che probabilmente non
l’avevo mai amata per davvero… Lei si è arrabbiata, e di base è una
situazione del cazzo su tutti i fronti.
No, non posso lavorare da Londra… troppo complicato. Idea cancellata.
Per quanto tempo potrei rimanere in Svizzera? Rifletto sulle date.
Magari un mese? Mmh… Apro la mia agenda del lavoro e inizio a
sfogliarla. Mi spettano un mucchio di ferie arretrate e tanto vale che me ne
faccia un po’.
Non appena entro nel mio appartamento, l’interfono di sicurezza squilla,
e io rispondo. «Pronto?»
«Buon pomeriggio, signor Miles. La signora Miles è qui all’ingresso per
vederla.»
Chiudo gli occhi. Merda.
«La faccia pure salire, grazie.»
Qualche istante più tardi, le porte dell’ascensore si aprono, ed esce mia
madre. Il suo volto si illumina non appena mi vede. «Ciao, caro.»
«Ciao, mamma.»
Mi prende tra le braccia e mi stringe a sé per un momento, come
percependo che c’è qualcosa che non va.
«Che ci fai qui?» Le sorrido, liberandomi dal suo abbraccio.
«Dovrei farti la stessa domanda», risponde lei, seguendomi per
accomodarsi sul divano.
«È solo che…» Mi interrompo, mentre cerco di delineare la bugia adatta
da propinarle. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per me dopo tutto quel
casino dell’appropriazione indebita.»
Mia madre incrocia il mio sguardo. «Bene, ne sono felice.»
«Posso offrirti qualcosa?» Mi alzo, sentendomi a disagio all’idea di
continuare a mentirle.
«Un po’ di tè, caro, grazie.»
Vado in cucina e inizio a prepararlo. Tiro fuori la sua teiera di porcellana
rosa e oro e una tazza, quella da cui beve sempre quando è qui.
Lei mi segue e si siede al bancone in mezzo alla cucina.
«Ti ha mandato Tristan?» le chiedo, dandole la schiena.
«È preoccupato per te.»
«Sto bene, mamma.»
«Questo lo giudicherò io. Che cosa sta succedendo con Emily?»
«Niente.»
«Perché?»
«Non stiamo più insieme.»
«Per quale motivo?» Continuo a preparare il tè. «Guardami, Jameson.»
Trascino lo sguardo fino a lei. «Perché non stai più insieme a Emily?» mi
chiede ancora.
«Merita di meglio.» Mia madre mi osserva. «Ferrara.» Corrugo la
fronte, per cercare di trovare le parole giuste. «Non voglio questa vita per
lei.»
«Cioè, non vuoi che stia con un maniaco del lavoro?»
Scrollo le spalle, porgendole la tazza.
«Quindi, l’hai lasciata… per il suo bene?» Serro le labbra, rimanendo in
silenzio. «Beh, questa ne è la dimostrazione, Jameson.»
«Di cosa?»
«Del fatto che è quella giusta.» Mi acciglio. «Sai, è da quando eri un
bambino che fai così.»
«Che faccio cosa?» Di
che cosa sta parlando?
«Quando eri molto piccolo, forse a tre o quattro anni, avevi questo
piccolo pick-up giocattolo azzurro chiaro.» La ascolto. «Lo adoravi. Stava
nel palmo della tua mano, e te lo portavi sempre in giro. Era il tuo orgoglio
e la tua gioia.» Sorrido appena. «Il fatto è che anche a Tristan piaceva. Ne
aveva uno tutto suo, ma il tuo era speciale. E, anche se tu adoravi quel
giocattolo con tutto il tuo cuore, non appena Tristan si arrabbiava per
qualche motivo… lo davi a lui. Non riuscivi a sopportare di vederlo turbato
e ti sentivi responsabile per la sua felicità.» Mi acciglio. «A mano a mano
che sei cresciuto, te l’ho visto fare molte volte, Jameson, e con tante cose
diverse. Per il mondo esterno tu sei sempre stato un uomo freddo e distante,
ma per i tuoi cari faresti qualsiasi cosa pur di renderli felici. Hai più cuore
che buon senso.» Sostengo il suo sguardo. «Perché credi che Emily non
sarebbe felice con te?»
La fisso per un momento, attraversato da una miriade di emozioni
confuse. «Perché prima o poi la deluderei», sussurro.
La sua espressione si addolcisce. «Jameson, caro, come? Lavorando
troppo? Comportandoti con troppo onore nei confronti della compagnia
della famiglia?» Chiudo gli occhi. «Io sono innamorata di un uomo che è
fatto proprio come te. Tu lo conosci bene, visto che si tratta di tuo padre.
Come te, anche lui è uno stacanovista.»
«Come…» Aggrotto la fronte. «Non so come tu riesca a farcela,
mamma.»
«Cerca di capirlo.» La fisso. «Emily ama te, Jameson, non i tuoi soldi…
o la tua società. Ama te… per quello che sei.» Abbasso la testa. «Smettila di
essere così maledettamente altruista e fai quello che vuoi.» «Non so più che
cosa voglio», bisbiglio.
«Oh, sciocchezze», sbotta lei. «Dimmi una cosa. Se fossi su un’isola
deserta, chi vorresti al tuo fianco?»
«Emily», mormoro senza alcuna esitazione.
«Essere innamorati è come trovarsi su un’isola deserta, Jameson. Puoi
concentrarti solo e unicamente sull’altra persona, e devi fare in modo che
tutto il resto le si adegui.» Inspiro profondamente. «Se non vuoi affrontare il
tuo futuro con lei, allora non farlo. Ma non osare allontanarti dalla felicità
per proteggerla.» La ascolto, serrando i denti. «Non capirò mai come fa un
uomo a essere tanto spietato negli affari e così generoso con chi ama… ma
il fatto è che tuo padre è come te, e io so che è fattibile.» Mi prende il viso
tra le mani. «L’uomo che io amo e quello che il mondo conosce sono due
persone molto diverse… ed è così che mi piace. Mi piace essere l’unica a
vedere la sua parte più tenera.» Le rivolgo un sorriso dolce. «Per tuo padre
io sono tutto il suo mondo, ha fatto funzionare la nostra relazione
nonostante la compagnia. Non mi sono mai sentita ignorata o trascurata. Per
lui sono sempre stata una priorità.» La guardo mentre quelle parole
aleggiano nella mia mente. «L’uomo che Emily ama e quello che tu credi di
essere sono due individui molto diversi. Devi permetterti di essere la
persona che sei davvero con Emily e anche il Jameson Miles che il mondo
conosce. Non devi scegliere tra l’uno e l’altro come pensi. Il fatto che tu
abbia messo la felicità di Emily davanti alla tua è la prova che lei è la donna
giusta per te.»
«Non vuole parlarmi», sussurro.
Si alza. «Allora convincila a starti a sentire.» Mi stringe tra le braccia.
«Vai a riprenderti la tua innamorata, afferrala con entrambe le mani… e non
lasciarla mai più andare.» Mi dà un bacio sulla guancia e, senza dire altro,
esce dal mio appartamento.
Le parole di mia madre mi risuonano dentro, forti e chiare.
“Devi permetterti di essere la persona che sei davvero con Emily e
anche il Jameson Miles che il mondo conosce. Non devi scegliere tra l’uno
e l’altro come pensi.”
Sono le cinque del mattino e sono steso sul divano a fissare il soffitto del
mio salotto. Ho ancora indosso i vestiti che portavo ieri. Non ho dormito
per tutta la notte. Continuo a ripetermi nella testa le parole di mia madre. È
convinta che io possa diventare l’uomo che Emily desidera e allo stesso
tempo quello che devo essere.
Per come la vedo io, ho tre possibilità: la prima è lasciare la Miles
Media per diventare un uomo con cui valga la pena di stare; la seconda è
lasciare che Emily esca per sempre dalla mia vita, ma mi si stringe lo
stomaco al solo pensiero di trascorrere la mia esistenza senza di lei; la terza
è provare a essere entrambi… ma è davvero possibile vivere come due
persone diverse?
Mi alzo e, per la prima volta da molto tempo, mi ritrovo a essere
completamente lucido.
Vaffanculo.
Ci proverò e, se non riuscirò a farlo funzionare, lascerò la Miles Media.
Mi riprenderò la mia ragazza.
È lei la mia priorità.
Capitolo 25
Emily
S ,
l’ascensore. Sono una degli ultimi a lasciare l’ufficio. È stata una lunga
giornata, ma ho raggiunto dei grandi risultati. È stranissimo, ma bloccare
Jameson ieri è stata la cosa più soddisfacente che io abbia fatto da quando
ho assassinato quelle rose.
In qualche modo perverso, essere cattiva con lui mi permette di sfogare
una parte della rabbia. Ferirlo è la migliore terapia. Devo essere davvero
messa male, oppure la vendetta è semplicemente molto appagante. Ieri sera
ho guardato il film John Wick e ho sorriso per tutto il tempo… questa cosa
dice molto sul mio attuale stato mentale.
Prendo l’ascensore ed esco in strada. È freddo e buio, e io alzo il
colletto del pesante cappotto per stare più calda e riparata.
«Emily.»
Sento una voce dietro di me. Mi blocco sui miei passi… merda.
Jameson… che ci fa qui? Abbasso la testa e continuo a camminare.
«Emily», ripete lui.
Mi volto di scatto. «Che c’è, Jameson?» esplodo.
«Posso parlare con te?»
«No. Vattene.» Mi giro e inizio a dirigermi a grandi passi verso la
fermata dell’autobus.
Mentre cammino, Jameson mi segue. «Voglio solo cinque minuti del tuo
tempo.»
Rimango in silenzio.
Corre per raggiungermi. «Lo so che ho fatto un casino… un
grandissimo casino.»
Lo guardo di traverso, immaginando di prendere a pugni la sua stupida e
bellissima faccia. Riesco a visualizzare la sua testa che scatta all’indietro
quando lo colpisco.
«Ti prego», balbetta, continuando a seguirmi. «Devo spiegarti il
perché.»
«Non sono interessata.» Procedo a passo di marcia.
Mi corre dietro ancora per un po’, come se non sapesse cosa dirmi.
«Continuerò a venire con te fino a quando non mi parlerai. Possiamo bere
qualcosa insieme?»
«No.»
«Una cena?»
«Va’. Via. Jameson.»
«Non ti lascerò», farfuglia, affrettando il passo per starmi dietro.
«Lo hai già fatto. Levati di torno.»
Mi si para davanti e si gira verso di me, cominciando a camminare
all’indietro. «Intendo dire che non ti lascerò più… mai più.»
«Allora sarà una relazione a senso unico, perché non voglio avere più
niente a che fare con te. Mai più.»
La sua espressione si intristisce. «Non dire così.»
Un uomo va a sbattere contro di lui, mentre Jameson continua a
muoversi all’indietro. «Stai attento», sbotta il tizio, sorpassandolo.
«Voglio solo dieci minuti del tuo tempo», insiste ancora lui.
«No.» Arriviamo alla fermata, e io mi metto in fila. Jameson si ferma
accanto a me.
«Alan può venire a prenderci, sai?» Guarda la lunga fila di persone.
«Non dobbiamo per forza prendere l’autobus.»
Gli lancio un’occhiataccia, poco colpita.
Moccioso viziato.
Mi sorride. «Sei sempre bellissima quando sei arrabbiata… lo sai
questo?» commenta ad alta voce, e il resto della fila inizia a voltarsi verso
di noi.
Mi esce il fumo dalle orecchie di fronte a questo suo spettacolo.
«Jameson, vattene a casa, cazzo», bisbiglio furiosa.
«No.» Incrocia le braccia al petto come un adolescente petulante. «Non
me ne vado senza di te.»
La gente attorno a noi ci guarda. Tiro fuori il mio Kindle e lo accendo…
qualsiasi cosa pur di ignorarlo.
«Che cosa stai leggendo?»
Rimango in silenzio, fingendomi concentrata sulle parole.
Maledetto… crede di poter venire qui e pretendere di vedermi… può
baciarmi le chiappe.
«Io sto leggendo un bel libro, al momento», ricomincia a parlare, mentre
io continuo a leggere. «Si intitola…» Si interrompe, riflettendoci un
momento. «Si intitola Come riprendersi la propria ragazza dopo una crisi
di mezza età.»
Le ragazze dietro di me fanno un risolino.
Faccio una smorfia per cercare di nascondere un sorrisetto.
Ora non fare il carino, stronzo.
«Il primo capitolo si chiama Missione autobus», continua. Mi mordo
l’interno della guancia. «Sì, dice di seguirla fino alla fermata del bus e di
continuare a parlare a vanvera fino a quando non si stanca del suono della
tua voce e deve per forza risponderti… anche se le prime parole sono Stai
zitto… è sempre qualcosa, giusto?»
Giro le pagine sul mio Kindle per impedirmi di cascare nella sua
trappola e intimargli di stare zitto. Le donne dietro di me ridacchiano di
nuovo. Guardo in cagnesco il dispositivo che ho tra le mani. Non rimarrei
sorpresa se lo schermo si frantumasse sotto quella pressione.
«Cosa dice il secondo capitolo?» gli chiede una delle donne alle mie
spalle, mentre l’autobus arriva e si ferma. Salto a bordo.
«Di salire sull’autobus», lo sento dire dietro di me.
Continuo a camminare per fermarmi a un sedile in fondo accanto al
finestrino, e lui si siede accanto a me. Mi prende in giro? «È un ottimo
posto», bisbiglia. «Mi piace.» «Smettila di parlarmi», ringhio.
«Non posso. Vedi, finalmente l’ho capito. E ho bisogno che tu mi
ascolti, così possiamo risolvere questo pasticcio.» Fisso lo sguardo fuori dal
finestrino.
«Voglio dire, come possiamo aggiustare le cose se tu non mi rivolgi la
parola?»
«Non lo faremo. È questo il punto», borbotto con tono secco.
«Non dire così, FB.»
Lo guardo storto mentre un chiarore rossastro invade il cielo.
Non abboccare, non dargli questa soddisfazione.
Mi sorride con dolcezza, totalmente ignaro della mia ira. «È così bello
rivederti…»
Roteo gli occhi e sposto di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino.
Non parlargli… nemmeno una parola… non cedere.
«Dio… quanto mi sei mancata, Em», mormora.
Qualcosa dentro di me si spezza.
«Non hai il diritto di dirlo», sbotto.
«Ma è vero.»
«Stai zitto, Jameson. Il tempo di parlare è finito.» Il veicolo raggiunge
la mia fermata, e io mi alzo e lo supero. Lui mi corre dietro mentre avanzo a
grandi passi sul marciapiede.
«Non me ne vado fino a quando non avrai parlato con me.»
Continuo a camminare.
«Aspetterò qui fuori tutta la notte.»
Continuo a camminare.
«Em, andiamo», sospira.
Continuo a camminare.
«Come puoi essere tanto fredda?» mi domanda.
Mi volto, come indemoniata. «Non osare definirmi fredda, ipocrita che
non sei altro. Sei tu quello freddo, cazzo.»
«Ed eccola qui.» Mi sorride come se fosse orgoglioso di sé per avermi
costretta a rispondergli.
Rimango sgomenta di fronte alla mia stessa debolezza. «Jameson»,
bisbiglio.
«Piccola.» Mi prende le mani nelle sue. «Ti prego, parla con me. Mi
manchi e so che anche io ti manco. Devo risolvere questa situazione tra di
noi, possiamo superarla.»
Al suo tocco le lacrime mi riempiono gli occhi, e sono furiosa con me
stessa per avergli permesso di avvicinarsi tanto a me. «Non posso.» Lo
sorpasso.
«Ti prego, Em», mi chiama, dietro di me. «Sono pronto a supplicarti.»
Continuo a camminare.
«Vuoi che mi metta in ginocchio proprio qui? Perché lo farò.»
Non mi fermo, e lui mi corre dietro. «Dimmi come aggiustare le cose.
Dimmi cosa fare, e io ti obbedirò.»
Mi giro verso di lui. «Volta pagina… io l’ho fatto.»
Rimane senza parole. «Okay… me lo sono meritato.»
«Io no», dico tra le lacrime, oltrepassandolo e riprendendo a camminare.
«Lo so, Em», grida. «Mi dispiace davvero tanto. Quell’uomo…
quell’uomo è stato un pazzo a lasciarti andare in quel modo. Ero
completamente fuori di testa, cazzo.»
Raggiungo la mia palazzina, e lui mi arriva alle spalle proprio mentre
inserisco la chiave nella serratura. Mi passa un braccio attorno alla vita e mi
attira a sé. «Ti prego», mormora tra i miei capelli. «Io ti amo.»
Chiudo gli occhi per il dolore che il suo tocco scatena dentro di me…
Mi manca.
Poi mi divincolo dalla sua presa. «Non toccarmi», sputo. «Che cosa ti fa
pensare di poter tornare qui e dirmi una cosa del genere?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Perché tu mi ami… e due torti non fanno
una ragione. Se non mi permetterai di aggiustare questa situazione per pura
testardaggine, cosa che è estremamente possibile…» si interrompe,
cercando di trovare le parole giuste, «entrambi ce ne pentiremo per sempre.
Sai che sarà così.»
Lo fisso per un momento, mentre quella dichiarazione aleggia nella mia
mente. Mi volto, entro nel palazzo e chiudo la porta dietro di me. Lui mi
guarda attraverso il vetro.
Premo il pulsante dell’ascensore, che si apre immediatamente. Mi
affretto a entrare e premo i tasti per richiudere le porte, con gli occhi pieni
di lacrime.
Bastardo.
Esco dal mio palazzo alle otto precise del mattino. Non ho dormito molto e
continuo a vedere l’espressione triste che Jameson aveva ieri notte quando
l’ho lasciato. Detesto essere preoccupata per lui. Le sue parole hanno
continuato a risuonarmi in testa, ancora e ancora. Detesto che le abbia
pronunciate. Detesto che abbiano senso.
“Perché tu mi ami… e due torti non fanno una ragione. Se non mi
permetterai di aggiustare questa situazione per pura testardaggine, cosa che
è estremamente possibile… entrambi ce ne pentiremo per sempre. Sai che
sarà così.”
Dio, che disastro.
«Buongiorno.»
Sento una voce allegra dietro di me. Jameson è in piedi accanto alla
porta, avvolto nel suo completo blu, tutto agghindato e niente affatto
scoraggiato come invece dovrebbe essere.
«Che ci fai qui?»
«Ti stavo aspettando.» Mi sorride, afferrando la mia borsa della palestra
per caricarsela su una spalla. «Prendiamo l’autobus oggi?»
Lo fisso, impassibile. «Io prendo l’autobus. Quello che fai tu… non
posso proprio saperlo.»
«Ti seguirò fino a quando non accetterai di uscire a cena con me.»
«Non succederà, Jameson.»
«Okay», risponde lui, iniziando a incamminarsi verso la fermata.
«Allora ti seguirò per sempre.» Lo fisso, e lui mi rivolge un sorrisetto sexy.
«Sei bellissima oggi.»
«Smettila.»
«No.»
Mi dirigo verso la fermata, accompagnata da Jameson. Resto in silenzio,
mentre lui continua a blaterare.
«Sei andata a correre questa mattina?» mi chiede. «Io l’ho fatto.» Lo
guardo. «Sono piuttosto in forma, in questo momento. Tutta questa
sofferenza mi spinge a correre a velocità record», continua.
Siamo in due… ma io tengo la bocca chiusa. Non voglio fargli sapere
che anche io sto correndo perché spronata dalla rabbia nei suoi confronti.
Prendiamo l’autobus. Continuo a non dire niente, mentre lui chiacchiera
come se fossimo due migliori amici che si sono ritrovati dopo molto tempo.
«Vuoi andare in campeggio questo weekend?» chiede, aprendo il
giornale.
«No. Andrò dai miei genitori», rispondo impassibile.
«Oh.» La sua espressione perde tutto l’entusiasmo. «Beh, sarà
imbarazzante.»
«Cosa?»
«Quando ti seguirò dai tuoi genitori.»
«Non verrai dai miei», sbuffo.
«Scommettiamo?» Gli brillano gli occhi di malizia. «Se non parli con
me, continuerò a seguirti fino a quando non cambierai idea.»
«Non voglio che tu mi segua. In effetti, non voglio avere niente a che
fare con te.»
«Non c’è bisogno di fare la bisbetica», dice lui, girando la pagina del
giornale. «È sconveniente.»
Gli lancio un’occhiataccia. «Lo sai che cosa è sconveniente?» bisbiglio
furiosa. «Gli stronzi che spezzano il cuore alle ragazze e credono di poterle
riavere indietro in un batter d’occhio, solo schioccando le dita.»
Jameson mi fa un sorrisetto. «Sì, devo concordare. Ma se i due sono
destinati a stare insieme, e lui era convinto di fare la cosa giusta…»
«Oh, ti prego», dico, irritata. «Ma ti senti?»
«Vieni a cena con me stasera?»
«No.»
L’autobus raggiunge la mia fermata, e lui si alza per prendere la mia
borsa da palestra e mettersela in spalla. Lo guardo attraversare il veicolo per
scendere, e sorrido tra me e me. Ha mai preso un autobus prima d’ora?
Idiota.
Ci incamminiamo in silenzio lungo la strada, e, quando mi volto, noto
subito la limousine parcheggiata di fronte a noi. Alan è appoggiato al
veicolo e mi sorride, facendomi un cenno.
«Alan sa che sei qui?» sussurro mortificata.
«Lo sanno tutti», dice lui con noncuranza, restituendomi la borsa. «Non
è un segreto che ti rivoglio con me. Ho dichiarato le mie intenzioni.» Lo
fisso. «Ci vediamo questo pomeriggio.» «Jameson», sospiro.
«Non ho intenzione di rinunciare a noi, Em… mai.» Mi sorride con
dolcezza. «Noi siamo fatti l’uno per l’altra.» Mi gratto la testa per la
frustrazione. «Passa una bella giornata.» Mi guarda con le mani nelle
tasche, a distanza di sicurezza.
«Ciao.» Mi volto ed entro nell’edificio. Subito dopo, il mio telefono
notifica l’arrivo di un messaggio. Arriva da un numero sconosciuto.
Passa una bella giornata. Questo è il mio telefono usa e getta in caso di
emergenza.
Jameson. Si è procurato un altro cellulare, uno che non ho bloccato. Salgo
in ascensore e mi ritrovo a fare un sorrisetto verso terra.
Smettila… è uno stronzo… non dimenticarlo mai.
Alle sei di sera mi dirigo verso il piano terra. È possibile che mi sia
sistemata i capelli e mi sia data il rossetto… non che lo ammetterei mai,
certo.
Lascio l’edificio per uscire in strada, e vedo Jameson appoggiato al
muro. Indossa il suo completo grigio, quello che mi piace tanto. I capelli
scuri gli ricadono sulla fronte, e rivedere la sua mascella scolpita risveglia
delle sensazioni nascoste dentro di me. Mi fa un ampio sorriso e si stacca
dalla parete con una spinta non appena nota che sto arrivando. Da quanto
tempo è lì?
«Buon pomeriggio, signorina Foster.»
«Non sapevo che conoscessi il kung fu», dico, superandolo.
«Oh, sì», risponde, seguendomi a ruota. «Ci sono molte cose su di me
che non sai. Ti ho detto che sto diventando un grande appassionato di sport
estremi?»
Rimango in silenzio mentre camminiamo. È difficile mantenere
un’espressione seria quando lui è di questo umore.
«Sì, ho pensato che potrei iniziare a scalare montagne e ad andare in
campeggio. Potrei accendere un fuoco a mani nude e fare altre cose così.»
Sogghigno, non riuscendo a trattenermi, e continuo a camminare di
fianco a lui. «Davvero?»
«Già. Vedi? Sto diventando un tutt’uno con la natura.»
«Tu. Un tutt’uno con la natura. Mi piacerebbe vederlo», borbotto con
tono secco.
«Okay, possiamo fare un’escursione in montagna questo weekend,
allora. Che ne dici del monte Kosciuszko?»
«Sono impegnata», replico, continuando a procedere.
«Giusto, hai ragione, questo weekend andiamo dai tuoi genitori.»
«Tu non verrai con me, Jameson.»
«Quando ho chiamato tua madre, mi ha detto che posso, invece.»
Mi volto verso di lui, incredula. «Hai chiamato mia madre?»
«No, ma lo farò se non vieni a cena con me.» Mi sorride con fare
speranzoso.
Lo fisso. «Jameson, se secondo te basta che Kung Fu Panda mi mandi
una torta e mi chiami cheesecake per riparare i danni che hai causato, allora
sei proprio un illuso.»
Mi prende le mani tra le sue. «Non è così, Em, ma, ti prego…
permettimi solo di dirti quello che devo.» Lo guardo. «E poi, se non vorrai
vedermi mai più, smetterò di seguirti.» Sostiene il mio sguardo. «Dobbiamo
parlarne, sai che è così.» Roteo gli occhi. «Ti prego.» Sbatte le ciglia per
cercare di fare il carino, ed è piuttosto irritante che riesca nel suo intento.
«Va bene, hai dieci minuti», sospiro.
«Dove vuoi andare?» Mi sorride.
«Va bene qualsiasi posto, basta che sia vicino.»
«Okay.» Si guarda intorno. «Che ne dici di quel ristorante italiano
dall’altra parte della strada.»
«Va bene.» Cerca di prendermi per mano, e io lo allontano di colpo.
«Vorrai scherzare», sbotto.
«Gesù, calmati», borbotta lui.
Lo seguo attraverso la strada e all’interno del ristorante, e ci
accomodiamo in fondo al locale. È piccolo e buio, e ci sono delle candele
sopra ai tavoli coperti da tovaglie rosse. È tutta un’altra cosa rispetto agli
esclusivi ristoranti italiani in cui andavamo di solito, ma andrà bene.
«Posso portarvi da bere?» chiede il cameriere.
Jameson fa un sorrisetto e mi indica. «Prendo quello che prende lei.»
Lo fisso per un momento e apro il menù. «Va bene, vorremmo una
bottiglia dell’Henscheke Hill of Grace, per favore.»
«Sì, signora.» Il cameriere sparisce in fondo al bar.
Jameson sposta lo sguardo su di me e, con un sorrisetto, mi prende le
mani sopra il tavolo.
«Lo sai quanto mi sei mancata?» sussurra. Lo guardo con uno strano
senso di distacco. «Io ti sono mancato?»
All’improvviso, sono travolta dai sentimenti che provo. Rimango in
silenzio, lottando contro il groppo che ho in gola. Detesto quanto debole e
vulnerabile lui mi faccia sentire. Tiro via le mani dalla sua presa. Ho
bisogno di creare un po’ di distanza tra di noi.
«Em.» Aggrotta le sopracciglia. «Io…» È chiaro che non abbia la
minima idea di cosa voglia dire. «Quando ho visto la tua foto mentre
baciavi Jake…»
«Jameson…» balbetto io.
Alza una mano per chiedermi di fare silenzio, e io chiudo la bocca.
«Qualcosa si è spezzato dentro di me. Ero così sconcertato da quanto
profondamente fossi sconvolto che io…» Si acciglia, ripensandoci. «Ero
furioso… innanzitutto con te, ma poi con me stesso.» Ci fissiamo negli
occhi. «Stavo avendo così tanti problemi sul lavoro, e l’ultima persona sulla
Terra che credevo mi avrebbe mentito… eri tu.» Chino la testa per la
vergogna. «Ma poi, quando qualche giorno più tardi, mi sono calmato, mi
sono reso conto che ti avevano teso una trappola e ho capito che il futuro
era già segnato.» Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Ci sarà sempre
qualcuno come Ferrara, pronto ad attaccarti per ferire me.» Mi sprofonda il
cuore nel petto. «E non è ciò che voglio per te.» «Jay», bisbiglio con tono
triste.
«Non voglio che tu sia sposata con un maniaco del lavoro
costantemente in viaggio e fuori di sé per lo stress, che tu debba ricordare a
tuo marito di non bere troppo o di non essere scortese con gli altri solo
perché è troppo impegnato per pensarci, né che tu debba fargli presente che
ti sta trascurando.»
«La vostra bottiglia.» Il cameriere appare dal nulla. La apre e versa il
vino a entrambi.
«Grazie», rispondo, poi riporto lo sguardo su Jameson.
Il cameriere ci lascia soli.
«Non voglio che tu sia meno importante della Miles Media, né di
qualsiasi altra cosa.»
«Ma…»
«Lasciami finire, per favore», mi chiede.
Mi appoggio allo schienale, irritata dal fatto che voglia parlare per
primo.
«Il punto è che, se starai con me, se diventerai mia moglie, è così che
andrà la tua vita.» Il groppo che ho in gola si fa più pesante. «Ti amo troppo
per farti vivere così, Em.»
Mi sta lasciando di nuovo. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Mi prende una mano da sopra il tavolo e se la porta alle labbra per
baciarla. «Non piangere. Detesto il pensiero che tu abbia pianto per colpa
mia.» Sbatto le palpebre per cercare di scacciare quelle stupide lacrime.
«Ho preso la decisione di proteggerti da quella vita. Di allontanarti. Perché
sapevo che, un giorno, avresti finito per essere infelice… e non posso
sopportarlo.»
«Non stava a te prendere quella decisione», bisbiglio con tono rabbioso.
Lui aggrotta la fronte. «Il mio compito è prendermi cura di te e
compiere le scelte difficili che non riesci a prendere tu stessa.» «Jameson.»
Lo guardo tra le lacrime.
«Ma è successo qualcosa mentre ero lontano da te.» Si china in avanti e
mi appoggia una mano sul viso. «Mi sono reso conto che neanche io volevo
vivere in quel modo.» Lo scruto dritto negli occhi. «Non posso vivere senza
di te, Em. Sono stato tanto miserabile da non riuscire a sopportarlo.» Si
china su di me e mi bacia con delicatezza, poi mi fissa, sfiorandomi il
labbro inferiore con il pollice. «Se non mi vuoi come sono adesso, mi
licenzierò subito dalla Miles Media e poi potremo trasferirci in mezzo al
nulla e, non lo so, vivere in una cazzo di tenda chissà dove.»
Faccio un sorrisetto. «Che idiota», mormoro.
Mi sorride, continuando a tenere il mio viso tra le mani.
«Ti amo così come sei. Non voglio che cambi niente.»
«Davvero?»
«Ma non…» Mi interrompo, cercando di esprimere quello che provo.
«Come posso dimenticare il modo in cui mi hai trattata?»
«Non lo so.»
«Non posso fingere che non sia mai successo, Jameson. Mi hai ferita
troppo in profondità.»
«Lo so, e non voglio che tu lo faccia», balbetta. «Ma non possiamo
solo…» scrolla le spalle, «iniziare a frequentarci da capo? Prenderla con
calma?» Lo fisso con aria confusa. «Lo so che ci vorrà del tempo per
tornare come prima, ma abbiamo il resto delle nostre vite. Questa volta
potremmo uscire insieme e imparare a conoscerci davvero.»
Mi appoggio all’indietro contro lo schienale, riflettendo sulla sua
proposta e bevendo un sorso del mio vino. «Lo sai, ho sempre sognato di
incontrare l’uomo dei miei sogni, di innamorarmi e di vivere un finale
smielato.»
Lui arriccia il naso. «Un finale smielato? Sembra noioso.»
Ridacchio, immaginando a cosa stia pensando. «No, intendo una
proposta.»
«Vuoi una proposta sdolcinata?» Si acciglia. «Non ne preferiresti una
semplicemente romantica?»
«In realtà no. Ma quello che voglio dire è che non mi aspettavo che le
cose andassero così.»
«Neanche io.» Prende una delle mie mani tra le sue. «Anzi, pensavo
proprio il contrario. Sono ufficialmente un idiota. Concedimi un’altra
occasione, Em. Non farò un casino, te lo prometto.» Lo fisso. «Io ti amo e
tu ami me.» Scrolla le spalle. «Possiamo superare questa situazione, e forse,
con il tempo, riuscirai a dimenticarti che sia mai avvenuta, per vivere per
sempre felice e contenta con un Kung Fu Panda amante degli spazi aperti e
della natura.» Mi sorride fiducioso.
«Sei un idiota, signor Miles.»
«Un idiota che è perdutamente innamorato di te.» Si sporge verso di me
per baciarmi ancora una volta con dolcezza, e io sento svanire le mie
resistenze. «Ti amo, cheesecake», mi sussurra.
«Non osare chiamarmi così.»
Ridacchia contro le mie labbra. «Esagerato?»
«Decisamente.»
Capitolo 26
Emily
C , .
Jameson sembra su di giri e parla di continuo, mentre io rimango in
silenzio. Mi irrita che sia bastato un incontro a cena per ritrovarmi qui con
lui.
Sono ufficialmente una pappamolla.
Debole come un fuscello.
Il suo cellulare squilla per l’arrivo di un messaggio. Lui fruga in tasca
per recuperarlo e sorride. «Tristan.» Legge il testo ad alta voce. «Com’è
andata?»
Io roteo gli occhi. «Scrivigli: Non sono ancora fuori dai guai. C’è
sempre il rischio che domani mi trovi morto in un fosso.»
Jameson sogghigna. «No, meglio di no. Non vorrei che finissi in
prigione se succedesse per davvero.» Si volta verso di me e mi passa una
ciocca di capelli dietro un orecchio. «Non mi uccideresti mai.» Si china e
mi bacia con dolcezza.
Sostengo il suo sguardo. «Dici di no?»
Mi sorride e, continuando a tenermi per mano, mi accompagna fino alla
porta.
«Buonanotte», annuncio.
«Cosa?»
«Non puoi entrare.»
«Perché no?»
«Jameson, all’ottanta percento sono ancora arrabbiata con te.»
«Sì, lo so. Lasciami rimediare.» Mi rivolge un sorriso, lo sguardo
annebbiato dal desiderio.
Mi libero dalla sua stretta e indietreggio. «Non mi puoi scopare per
farmi dimenticare come mi hai trattata.» La sua espressione si rabbuia.
«Quando ho accettato di riprovarci, è stato solo questo… un nuovo
tentativo. Non ti prometto nulla e non so come andrà a finire. Sinceramente
non sono sicura che riusciremo a tornare come prima. Quella mattina in cui
mi hai lasciata, dopo il secondo scalo, hai distrutto qualcosa che c’era tra di
noi. Non mi sono mai sentita tanto devastata in tutta la mia vita. È stato
terribile. Venire a letto con te ora è l’ultima cosa che voglio fare.»
«Em», dice a bassa voce. «Non potevo parlartene perché essere costretto
ad allontanarti mi uccideva. Ero in lotta con me stesso.»
«Buonanotte, Jameson.»
Lui si guarda attorno, in preda all’agitazione. «Beh, quando ti vedrò di
nuovo?»
Scrollo le spalle. «È giovedì e questo weekend sono via, quindi direi la
settimana prossima.»
«La settimana prossima?» sbuffa lui. «È tra quattro giorni.»
«Davvero?» rispondo impassibile, iniziando a cercare le chiavi nella
borsa. Devo mettere più in ordine questa maledetta borsetta. È una specie di
Triangolo delle Bermuda.
«Beh, è troppo tempo», farfuglia. «Non ti vedo da un mese. Ho bisogno
di stare di più con te.»
«Prendere o lasciare», rispondo.
«Em?»
Mi volto e lo bacio sulle labbra, e lui mi stringe subito in un abbraccio
passionale. Per qualche minuto, rimaniamo immobili l’una tra le braccia
dell’altro, tenendoci forte, sentendo il bisogno della nostra reciproca
vicinanza. Mi è mancato disperatamente e adesso sarebbe così semplice
portarlo su da me…
No… Ho dei seri problemi di fiducia da risolvere. E anche lui.
«Dormirò sul divano», mormora. «Non posso stare lontano da te per
un’altra notte. Non chiedermelo.»
Mi allontano, sapendo come andrebbe a finire se rimanessi tra le sue
braccia. «Buonanotte, Jameson.»
Mi fissa negli occhi, supplicandomi silenziosamente di farlo salire con
me.
Mi costringo a sorridere e apro la porta, mentre lui rimane sul
marciapiede. Gli faccio un cenno di saluto e, ancora seguita dal suo
sguardo, sparisco all’interno dell’ascensore. Le porte della cabina si
chiudono, e io emetto un sospiro di sollievo. Brava ragazza… continua a
resistere.
Mi do una passata di rossetto e sorrido al mio riflesso nello specchio.
Ieri, non appena è tornato a casa, Jameson mi ha chiamata per
augurarmi la buonanotte. Mi sento stranamente bene a riaverlo nella mia
vita… ma quanto durerà? Nel mio cervello c’è una vocina irritante che
continua a ricordarmi cosa mi ha fatto e quanto mi ha trattata male. Sto
cercando di dare retta alle sue ragioni e di fidarmi delle sue parole, ma è
difficile fingere che non sia successo niente tra di noi. Non è stato niente. È
stata un’Apocalisse, e mi è crollato il mondo addosso. Non mi piace il
modo in cui dipendo da Jameson per essere felice.
Non succederà più. Non lo permetterò… anche se dovesse significare
tenerlo a distanza per il resto della mia vita… o per il tempo che
trascorreremo insieme.
Ed eccoli di nuovo.
I pensieri negativi… uffa.
Scendo al piano terra, portando con me la valigia per il weekend, esco e
vedo Jameson appoggiato al muro: completo grigio, splendido viso e un
sorriso da mozzare il fiato… solo per me. «Buongiorno, bellissima.»
«Ciao.» Gli sorrido.
Si china per prendermi il viso tra le mani e baciarmi, e io sento cedere le
ginocchia. «Come ha dormito la mia ragazza?» Mi prende per mano e
afferra la mia valigia.
«Bene, grazie.»
«Oggi possiamo farci portare al lavoro come persone civili?» mi chiede.
Mi guardo intorno e noto Alan con la limousine parcheggiata sul bordo
del marciapiede, dall’altra parte della strada. «Ehm.» Aggrotto la fronte.
«Tu vai pure con Alan. Io voglio prendere l’autobus.»
Lui inarca un sopracciglio con aria poco entusiasta. «Okay, vada per
l’autobus.»
«Non sei costretto ad accompagnarmi al lavoro, Jameson. Sono
perfettamente in grado di andarci da sola.»
«Lo so, voglio solo passare questi venti minuti con te. Non ti vedrò per
tutto il weekend, ricordi?» Mi fa un occhiolino sexy, e il mio stomaco fa
una capriola. Ci avviamo verso la fermata, mano nella mano.
«Hai saputo più niente su Lara Aspin e Hayden?»
«No. Sono stati incriminati, ma ci vorrà un po’ per il processo. Non
riesco a credere che tu abbia risolto il caso. Non sai quanto ti sono grato.»
Sorrido, sentendomi orgogliosa di me. «Come ti trovi al tuo nuovo posto di
lavoro?» mi chiede.
Scrollo le spalle. «È fantastico.»
Jameson mi guarda negli occhi. «Sarebbe a dire davvero fantastico o
accettabile?»
«Sarebbe a dire che mi ci sto abituando.»
«Perché non torni alla Miles Media?»
«No. Da adesso in avanti, terrò separate le nostre vite professionali.»
«Mmh.» Si acciglia, poco convinto. «Vedremo.»
L’autobus arriva e noi saliamo. Oggi è affollato, io trovo un sedile, ma
Jameson deve restare in piedi. Si ritrova strizzato tra un tizio puzzolente e
una donna che sembra avere la rabbia. Dal mio posto, ammiro lui e l’orrore
dipinto sul suo viso mentre la gente gli si stringe attorno. Mi devo mordere
il labbro per impedirmi di scoppiare a ridere. Finalmente l’autobus
raggiunge la nostra fermata, e Jameson scende in fretta.
«Basta così», sbuffa, lisciandosi il completo come lo snob che è. «Basta
con questi cazzo di autobus. Ora dovremo farci disinfettare. Hai visto che
gente c’era là dentro?»
Ridacchio. «È stato solo un viaggio un po’ scomodo.»
«Dico sul serio, Emily», insiste. «Basta autobus. D’ora in avanti, Alan
sarà il tuo autista. Dovrai uccidermi prima di convincermi a salire di nuovo
là sopra.»
«Sì, capo.» Mi illumino quando mi prende di nuovo per mano e ci
incamminiamo verso il mio ufficio.
«A che ora hai l’aereo?» mi chiede.
«Alle tre.»
Si immusonisce. «Vai via così presto?»
«Sì, oggi lavoro solo mezza giornata.»
«Avevo intenzione di accompagnarti in aeroporto.» Mi guarda con la
fronte aggrottata. «Ho una riunione del consiglio alle quattro e non posso
liberarmi.»
«Fa lo stesso.»
«Merda… magari posso annullarla?»
«Jameson, va bene così. Non annullerai una riunione per portarmi in
aeroporto. Smettila. Ci vedremo quando ci vedremo.»
Mi fissa, elaborando le mie parole. «Ti accompagnerà Alan.»
Annuisco, sapendo che, se non accetto, annullerà davvero la sua
riunione. «Okay.»
Arriviamo al mio ufficio, e Jameson mi fa voltare verso di lui. «Mi
chiamerai quando arrivi?»
«No.»
«Perché no?»
«Ti chiamerò prima di andare a letto.» Continua a fissarmi. «Che cosa
farai questo weekend?» gli chiedo.
«Questa sera i miei fratelli andranno a Las Vegas.»
«E tu?»
«Io no.»
«Perché no?»
«Vanno a sbronzarsi e a correre dietro a donne disinibite.»
Faccio una smorfia, e Jameson mi avvolge in un abbraccio. «Io ne ho
già una, non sono interessato a quello che andranno a cercare.» Gli sorrido,
sorprendentemente grata che rimanga a casa.
«Sentirai la mia mancanza?» mi domanda.
«Probabilmente no.»
«Magari potresti tentare di flirtare un po’ di più durante le nostre
conversazioni, che ne dici?»
«Potrei?» Le nostre labbra si incontrano e lui mi bacia con tenerezza.
«Sei sicura che devi andare?» mormora contro la mia bocca.
«Sì, Jameson.»
«Ti amo», sussurra.
Mi sobbalza il cuore nel petto, sentendo quelle parole tanto preziose.
«Passa una buona giornata.»
«Non è quello che volevo sentirmi dire.»
«Ma è tutto ciò che otterrai.» Gli poso un rapido bacio sulle labbra e mi
libero dal suo abbraccio. «Ti prego, smettila di farmi pressioni. Ti chiamerò
stasera.»
Jameson si infila le mani nelle tasche del completo e mi rivolge
un’espressione sensuale mentre mi guarda entrare nel palazzo.
Salgo in ascensore con il cuore che mi martella nel petto e le guance
arrossate. Perché è così maledettamente affascinante?
Esco dal lavoro appena dopo l’una del pomeriggio, trovando ad aspettarmi
la limousine e Alan in piedi accanto all’auto. Lui mi rivolge un sorriso
caloroso e apre la portiera posteriore, invitandomi a entrare. Lo ricambio
mentre lo raggiungo. Non ho notizie di Jameson per tutta la giornata e non
ero sicura che Alan sarebbe venuto a prendermi.
«Salve.»
Lui mi rivolge un’espressione affettuosa. «Salve, Emily. È bello
rivederla.»
Salgo nel retro della limousine e vedo una singola rosa rossa ad
aspettarmi sui sedili.
Oh.
Sorrido e inspiro a fondo, un dolce profumo riempie lo spazio attorno a
me. L’auto si allontana dal marciapiede, e io mi rivedo mentalmente mentre
distruggo le rose gialle, solo un paio di notti prima.
Che pazza.
Speravo quasi di ritrovarmi Jameson seduto nell’auto ad aspettarmi.
Non sono neanche certa se adesso sia giusto che me ne vada. Non sarebbe
più importante risolvere la situazione con lui?
No. Avevi fatto questo programma prima che Jameson decidesse di
tornare nella tua vita… rispettalo.
Ma dovrei almeno chiamare per ringraziarlo. Compongo il suo numero.
«Pronto», mormora la sua voce sexy dall’altro capo della linea.
Quando sento quel suono, lo stomaco mi si stringe in una morsa.
«Ciao», sussurro.
«Sei con Alan?»
«Sì. Grazie per la rosa.»
«Quindi è meglio rossa?»
«Sembra di sì.» Sento le mie guance avvampare per l’imbarazzo.
«Appunto mentale: non comprare mai più niente di giallo.» Io ridacchio,
imbarazzata. «Passa un buon weekend», mi dice poi.
«Anche tu.»
«Non ti chiamerò in questi giorni.»
«Perché no?» gli domando.
«Le tue parole continuano a risuonarmi in testa.»
«Quali?»
«Mi hai detto di non farti pressioni.» Lo ascolto. «Quindi farò un passo
indietro.»
Mi sprofonda il cuore nel petto. «Ti stai arrendendo?»
«No. Proprio il contrario: sto facendo dei piani per il nostro futuro. Ma
capisco che ti serva del tempo. Non è una mossa furba spingerti a
perdonarmi prima che tu sia pronta a farlo davvero.»
Sorrido dolcemente, sentendo quelle parole, e la speranza mi sboccia di
nuovo dentro.
«Chiamami ogni volta che vorrai parlare con me», mi dice.
«Okay.»
«E può anche essere cinquanta volte al giorno. Aspetterò le tue
telefonate come un ragazzino innamorato.»
Continuo a sorridere, rimanendo in linea… Questo weekend vorrei
davvero vederlo.
No.
«Okay.» «Ciao,
Emily.» «Ciao»,
sussurro.
Riattacco, poi annuso la rosa e sorrido in modo malinconico, mentre
New York sfreccia fuori dal mio finestrino. Mi sento sospesa in un limbo,
intrappolata tra due uomini. E di entrambi ho dei ricordi ben precisi: la
freddezza con cui mi ha respinta Jameson e l’amore con cui mi ha travolta
Jim. Ogni volta che mi ritrovo ad avvicinarmi a uno dei due, l’altro si mette
nel mezzo. Non sono sicura di come risolvere la situazione, ma devo trovare
un modo… il prima possibile.
Mezz’ora dopo, la limousine si ferma in aeroporto, e Alan apre lo
sportello per farmi scendere. Stringo forte la rosa, sapendo di non poterla
portare con me.
L’autista recupera la mia valigia dal bagagliaio. «Vuole che la porti per
lei?» mi chiede.
«No, grazie.» Abbasso gli occhi sul fiore. Mi sento stranamente legata a
esso e non riesco a sopportare il pensiero che muoia. «Riusciresti a metterla
nell’acqua per me, per favore?» gli domando.
Mi fa un sorriso pieno di calore. «Ma certo.» La prende. «La metterò in
un vaso nell’appartamento del signor Miles per lei.»
«Grazie.» Scrollo le spalle, sentendomi stupida all’improvviso.
«Arrivederci, Alan.»
«Ci vediamo domenica, quando la verremo a prendere.»
«Okay.» Con un debole cenno di saluto, mi dirigo verso il banco del
check-in, e sorprendentemente non trovo fila. «Salve. Ho una prenotazione
a nome Emily Foster.» Spingo la patente sul ripiano verso l’impiegata.
«Salve.» La donna scrive il mio nome nel suo computer. «Ah, sì,
signorina Foster. Vedo che si è fatta spostare in prima classe.»
Mi acciglio. «No, deve esserci un errore.»
Ricontrolla le informazioni. «Sì, i suoi due biglietti sono stati modificati
ieri notte.»
«Due biglietti?»
«Sì, ne è stato prenotato un altro, ed entrambi sono stati spostati in
prima classe.» Jameson.
«Oh, capisco. Okay, grazie.» Prendo il mio biglietto e attraverso il
controllo di sicurezza per recarmi al bar. Ho quasi due ore prima che il mio
aereo parta.
«Cosa le servo?» mi chiede il barista mentre mi accomodo.
«Un Margarita, grazie.» Scrivo a Jameson.
I : Signor Miles, grazie per avermi spostata in prima classe. L’ho davvero
apprezzato. Dimmi, il secondo posto è per te o è per essere sicuro che non
mi sieda accanto a nessun altro?
J: Ma, se non stessi facendo il gioco duro e non mi fossi deciso a non
insistere, ti avrei portata dalla tua famiglia con il jet della compagnia e ti
avrei introdotta al vero Miles High Club. Non avresti camminato per una
settimana. Goditi la calma e il silenzio. xoxoxo
J: Non ne hai idea. E niente Magic Mike. Guarda invece Vecchi Uomini
Brontoloni, così io ti sembrerò più affascinante. xoxoxo
Fisso il soffitto buio, stesa sul mio letto. È mezzanotte. La mia vecchia
camera mi dà un conforto sorprendente, di cui non sapevo di avere bisogno.
È fantastico essere qui con la mia famiglia, ma New York mi sembra così
lontana…
Non ho chiamato Jameson come avevo detto che avrei fatto; in effetti,
non ho parlato con lui per tutta la sera.
Stare qui, insieme a delle persone che mi vogliono bene, mi ha fatto
capire quanto sono stata fragile. Ero completamente sola e affranta a New
York. Voglio dire, ho Molly e Aaron, certo, ma li conosco da appena tre
mesi. Non è come avere attorno la propria famiglia, disposta a starti accanto
nel bene e nel male.
Non so cosa succederà con Jameson, so solo che questa sera non volevo
parlare con lui. Perché?
Forse non mi libererò mai di questo dolore, magari mi ha inflitto un
danno irreversibile. Forse sono troppo per lui e per le sue cazzate… e non
dovrebbe esserci un forse in questa frase, perché so che è così.
Il telefono vibra sul comodino, e io mi acciglio vedendo la lettera J
illuminare lo schermo.
Espiro a fondo e rispondo: «Pronto».
«Ciao.» Fa una breve pausa. «Non dovevi chiamarmi questa sera?»
«Sono stata occupata.»
Silenzio lungo la linea. Alla fine parla: «Em».
«Sì.»
«Sei andata dai tuoi per allontanarti da me?»
Alzo gli occhi al cielo per la frustrazione. «No, Jameson», bisbiglio con
tono rabbioso. «Perché deve riguardare tutto quanto te? Ho organizzato
questo viaggio due settimane fa.»
«Okay. Ho solo chiesto. Gesù. Perché sei così arrabbiata?»
Sento le lacrime pungermi gli occhi. «Devi davvero chiedermelo?»
«Dimmi tu il perché.»
All’improvviso, un vulcano, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza,
esplode dentro di me. «Perché sono innamorata di uno stronzo egoista, non
so come smetterla e sto aspettando che succeda qualcos’altro e che tu te ne
vada via di nuovo», sbotto di colpo. Rimane in silenzio. «E il modo in cui
sei tornato indietro e pretendi il mio perdono mi fa incazzare.» Mi sta
ascoltando. «Potresti avere qualsiasi donna al mondo, sono tutte in fila per
te. Quindi perché mi stai facendo passare questo inferno? Non voglio più
soffrire, Jameson.»
«È questo che pensi? Che io voglia una donna qualsiasi?»
Le lacrime mi scivolano lungo il viso, e me le asciugo con rabbia. «Non
ho più idea di che cosa tu voglia.»
«Basta con queste stronzate, Emily», esplode lui. «Ascoltami, e stai
bene attenta. Io non voglio nessun’altra. Faccio sesso da quando ho diciotto
anni. Sono andato a letto con un mucchio di donne… e intendo davvero
tante. Tu sei l’unica con cui abbia mai sentito questo legame. L’unica donna
che abbia mai amato così. Quindi non osare gettarmi in faccia queste idiozie
sul volere qualcun altro. Ti ho mai dato ragione per dubitare di me?» «La
tua massaggiatrice», dico con tono secco.
«È stato prima che ti incontrassi, cazzo», ringhia lui. Riesco a sentire
l’ira nella sua voce. «Se non mi vuoi, allora va bene, ti lascerò in pace. Ma
non tenermi in sospeso a cercare disperatamente di far funzionare le cose, se
sai già che non hai intenzione di tornare con me.» Contorco il viso in una
smorfia mentre piango. «Solo tu puoi decidere se lo vuoi, Emily. Il perdono
è una scelta.» Rimango in silenzio. «Vuoi allontanarti per sempre da me o
vuoi provare a far funzionare la nostra relazione?»
Non gli rispondo.
«Beh?» insiste lui.
«Lo sai che voglio provarci», bisbiglio.
«Allora smettila di pensare alle cose negative e pensa a ciò che c’è di
buono tra di noi.»
«Non posso.»
«Perché no?»
«Perché tu mi spaventi.»
Jameson ammutolisce. «Hai paura di me?»
«Sì.» Annuisco tra le lacrime.
«Piccola», mormora, la sua voce si riempie di compassione. «Non devi.
Ti prego, non avere mai paura di me. Io ti amo.»
«Ci sto provando», singhiozzo. «Ma non posso farci niente.»
Rimaniamo entrambi senza parlare per un po’, persi nei nostri pensieri.
«Voglio che tu ti prenda questo weekend per pensare a noi. L’altra sera
dicevo sul serio: se non vuoi vivere a New York, possiamo andarcene in
qualsiasi posto desideri. Mi dimetterò immediatamente dalla mia
posizione.»
«Jameson», sospiro. «Perché faresti una cosa del genere?»
«Perché voglio che tu sappia che ora sei la mia priorità. Tutte queste
stronzate, i miei soldi, il mio appartamento, il mio lavoro, New York, non
significano un cazzo se sono infelice, Emily. E, credimi, sono davvero
infelice senza di te. Se vuoi vivere in una tenda nel bel mezzo del nulla,
allora possiamo farlo.»
Vengo colpita da un’immagine di Jameson in una tenda, mangiato vivo
ogni giorno dalle zanzare. «Che idiota.» Sorrido. «Non voglio vivere in una
tenda. Adoro New York. Adoro che tu gestisca la Miles Media. Non
cambierei niente di te. Perché pensi che lo voglia?»
«Perché so che è difficile accettarmi. Una volta mi hai detto che amare
significa essere coraggiosi. E io ho bisogno che tu sia coraggiosa, Emily, e
che superi tutto questo. Ti prego, pensaci. Torna a New York e a me al cento
per cento, così potremo iniziare una nuova vita insieme. Tenermi a distanza
non è il modo giusto per affrontare la situazione. Non riusciremo a
risolverla se non siamo insieme.» «Lo so», sussurro.
«Penserai a cosa vuoi davvero?»
Ancora una volta, non gli rispondo.
«Ti prego, Em.»
«Sì, okay. Lo farò. Te lo prometto.» Per un momento, il silenzio aleggia
tra di noi, e io sento il bisogno di cambiare argomento. «Che cosa farai
domani?» gli chiedo.
«Vado a fare compere.»
«Compere? Tu? Che cosa devi comprare?»
«Beh, dove si comprano le tende con dentro il bagno?»
Sorrido. «Nel bel mezzo del nulla.»
Lui ridacchia, ed è un suono bellissimo, che mi smuove qualcosa dentro.
È passato molto tempo da quando l’ho sentito ridere.
«Em… non ho intenzione di chiamarti più fino a quando non ti verrò a
prendere in aeroporto domenica sera. Voglio che rifletti davvero sul tuo
futuro e su chi vuoi che ci sia con te. O torni da me a braccia aperte, e ci
impegniamo con tutti noi stessi, o mi lasci definitivamente.» Mi sprofonda
il cuore nel petto. «Deve essere così. Se non posso avere tutto di te,
preferisco non averti per niente.»
Lo ascolto e la mia mente va in sovraccarico… mi sta dando un
ultimatum.
Tutto o niente.
Sinceramente, non so se posso dargli il mio tutto. Non credo che il mio
tutto esista più.
«Ci vediamo lì, allora?» mi chiede speranzoso.
«Okay.»
«Ti amo.» Chiude la telefonata.
Mi giro nell’oscurità e faccio un profondo sospiro. Che cosa voglio per
il mio futuro? Voglio lasciare Jameson? O voglio dargli tutta me stessa?
Quantomeno ciò che resta del mio cuore, che è stato ridotto in mille pezzi.
Non ne ho davvero idea.
Capitolo 27
Jameson
T ’
collo per guardare attraverso il traffico fermo davanti a noi. Merda. Premo il
pulsante per parlare con la parte anteriore della limousine.
«Arriveremo tardi?» chiedo ad Alan.
«No, signore. Siamo in anticipo di un’ora. Abbiamo tutto il tempo
necessario.»
«Non voglio perdermi il suo arrivo. Fai la strada da dietro.»
«Non succederà. Si rilassi.»
Mi appoggio contro lo schienale e cerco di tenere l’agitazione sotto
controllo. Emily non mi ha contattato per tutto il weekend, e sono
abbastanza certo che stia tornando a casa per lasciarmi. Sono andato a
correre di continuo. Solo dopo aver percorso tutti i marciapiedi di New
York, sono riuscito a trovare una parvenza di pace.
Non riesco ad accettare la possibilità di non essere nella sua vita, e che
lei non sia nella mia… il solo pensiero mi dà la nausea.
Come ho potuto essere così stupido, cazzo?
Ho cercato di trovare nella mia testa un’argomentazione logica con cui
replicare, se dovesse chiudere la nostra storia… ma finora non mi è venuto
in mente niente.
La limousine si ferma all’aeroporto, e io esco in fretta e furia. «Ci
aspetterai qui?» chiedo ad Alan.
«No, faccio un giro qui intorno. Mi faccia sapere quando la troverà, e io
tornerò indietro. Ha ancora cinquanta minuti prima che il suo aereo atterri.»
«Sì, sì, lo so.» Mi tasto le tasche, guardandomi nervosamente attorno.
«Ho tutto?» Sono agitato e confuso.
«Sì, signore.»
Raddrizzo le spalle ed emetto un lungo sospiro. «Augurami buona
fortuna.»
Alan mi rivolge un ampio sorriso e, con un cenno gioviale, mi dice:
«Buona fortuna, signore».
Mi addentro nell’aeroporto fino al gate di arrivo del suo aereo. Ho
ancora quaranta minuti. Getto uno sguardo al bar, che chiama il mio nome
con voce suadente. Uno scotch sarebbe perfetto adesso… mi libererebbe da
questa tensione.
No.
Devo piantarla con quella merda. Non mi sono concesso nemmeno un
drink per tutto il weekend. Emily si merita ben più di un ubriacone.
Nervoso e teso come una corda di violino, attraverso tutto l’aeroporto
fino in fondo e poi torno indietro, verso la sala d’aspetto. Do un’occhiata
all’orologio. Mancano trentacinque minuti. Lo faccio ancora e ancora.
Non riesco a stare seduto.
Non so cosa stia per succedere e non sono mai stato tanto in ansia per
qualcosa.
Emily
Entro nella sala d’attesa con il resto della folla. Il mio volo è appena
atterrato, e il cuore mi batte all’impazzata nel petto. Questo weekend ho
scavato fino in fondo alla mia anima alla ricerca di risposte. Per cercare di
capire cosa fare della mia vita e con chi farlo.
Una cosa è chiara. L’unico dettaglio di cui sono certa… è di chi sono
innamorata. Non posso negarlo.
Jameson Miles è inciso nel mio cuore, e, per quanto io sia terrorizzata
all’idea che mi ferisca di nuovo, continuo a pensare alle sue parole: “Amare
significa essere coraggiosi”.
Manderò giù il mio orgoglio e sarò coraggiosa. Mi lascerò andare…
sperando con tutto il cuore che sia la cosa giusta, perché non potrei farlo di
nuovo.
Jameson appare nel mio campo visivo e, non appena incrocia il mio
sguardo, mi sorride. Sono colta dall’eccitazione e, dopo aver fatto un balzo
in avanti, inizio a correre per gettarmi tra le sue braccia spalancate. Ci
stringiamo a vicenda in un abbraccio a dir poco stritolante. Non parliamo,
non ci baciamo, ci limitiamo a rimanere l’una tra le braccia dell’altro. Ci
aggrappiamo disperatamente alla speranza di riuscire a superare tutto
questo.
Per un po’, le mie incertezze e le mie paure vengono spazzate via.
«Mi sei mancata», mi sussurra tra i capelli.
«Anche tu.»
Si china su di me e la sua bocca cattura la mia mentre ci dimentichiamo
persino di chi siamo. La sua lingua mi accarezza lentamente tra le labbra
socchiuse. Jameson mi prende il viso tra le mani ed entrambi ci perdiamo
nel momento. Il suo bacio è dolce e, cosa più importante, familiare.
Con lui mi sento come a casa.
Un’ora più tardi, entriamo nel mio appartamento mano nella mano.
Quasi non abbiamo parlato lungo la strada di casa. Sono stata seduta sul
suo grembo, al sicuro tra le sue forti braccia, e mi sono goduta la sua
vicinanza. Jameson mi ha sfiorato una tempia con le labbra, stringendomi
forte, come se fosse incredulo che mi trovassi lì con lui.
Mi era mancata quell’intimità. La nostra intimità.
Non si tratta più nemmeno di sesso, ormai. Voglio dire, all’inizio lo era.
Ma il mio cuore ha eclissato qualsiasi bisogno fisico del mio corpo… e so
che per lui è lo stesso.
Mi fa voltare verso di sé e mi guarda negli occhi. «Em…» Si
interrompe, come per cercare di trovare le parole giuste nella sua mente. «Ti
giuro, da questo momento in avanti… tu sarai il mio tutto. La nostra nuova
vita insieme inizia ora.»
Gli sorrido e i miei occhi si riempiono ancora di lacrime. «Ti amo.»
«Anche io ti amo.» Ci baciamo e, invece della tenerezza che abbiamo
condiviso nell’ultima ora, veniamo colti da una nuova disperazione.
All’improvviso lo desidero… desidero tutto di lui. «Portami a letto.»
Mi solleva tra le braccia e mi porta in camera come una sposa, per poi
rimettermi a terra di fronte a sé. Abbassa le labbra sul mio collo, e io sorrido
verso il soffitto, sentendo la pelle d’oca lungo tutto il corpo. Mi mordicchia
con una passione che ricordo molto bene. Oh, quanto mi è mancato…
Gli sollevo la maglia sopra la testa e la getto di lato, e lui fa lo stesso
con la mia. Diventiamo animali, strappandoci di dosso i vestiti con una foga
che conosciamo bene. Ora non resta niente tra di noi. Solo pelle… e amore.
Le sue labbra catturano le mie mentre mi spinge sul letto, poi si spostano
sul mio collo e iniziano a scendere. Io mi stringo a lui.
«No, ti voglio quassù con me.»
Ci fissiamo a vicenda, in una specie di esperienza ultraterrena. Questa
volta è speciale. Vorrei poter fissare nel tempo questo momento.
«Ora, Jim», sussurro. «Ora ho bisogno di te.»
Chiude gli occhi in un’espressione di puro piacere, stendendosi sopra di
me. Le nostre labbra sono incollate le une alle altre, mentre le mie gambe
sono aperte, pronte ad accogliere il suo grosso corpo che si preme contro il
mio, alla ricerca dell’orgasmo. Con una profonda spinta ben mirata scivola
dentro di me, ed entrambi gemiamo per l’estasi.
«Cazzo, Em», bisbiglia contro il mio collo.
Mi stringo a lui, cavalcando l’onda di piacere. «Lo so, piccolo, lo so.»
Jay indietreggia, spingendosi di nuovo dentro di me, e io inarco i fianchi
per andargli incontro. Il desiderio di qualcosa in più ci travolge, mentre io
inizio a inarcarmi sotto di lui.
«Scopami», lo supplico. «Dio, dammi tutto di te.»
Si tira fuori e poi affonda in me, lasciandomi senza fiato. Si appoggia le
mie gambe sulle spalle e, guardandomi con gli occhi annebbiati dal
desiderio, mentre io lotto per tenerlo dentro di me, inizia a montarmi. Spinte
intense e possessive. Il letto inizia a sbattere contro il muro e io non posso
fare altro che ammirare questo perfetto esemplare di uomo in tutta la sua
gloria.
Jameson Miles è l’essere più sexy ed eccitante che abbia mai
conosciuto.
Tutto in lui grida “scopami”.
Guardarlo in preda alla passione, mentre cerca di mantenere il controllo,
è la fantasia definitiva di ogni donna, è come una bomba sessuale a
orologeria pronta a esplodere. Il sudore gli imperla la pelle, i suoi capelli
scuri gli ricadono sulla fronte e il suo respiro inizia a farsi tremante, nel
tentativo di trattenere l’orgasmo.
Le sue spinte diventano violente come colpi di pistone, e il fuoco della
passione mi travolge, spingendomi nell’abisso. Grido, fatta a brandelli da
un orgasmo potente, poi mi contraggo con forza attorno a lui.
«Cazzo, cazzo, cazzo», geme, affondando ripetutamente dentro di me. Il
rumore del letto che colpisce il muro riecheggia nell’appartamento.
Getta la testa all’indietro, si spinge fino in fondo e geme ad alta voce,
venendo con violenza nel mio corpo. Poi ci baciamo, e tutto il mondo
ritorna bello, ritrasformandosi nel luogo che mi era mancato così tanto.
L’emozione tra di noi è così intensa da farmi venire le lacrime agli occhi.
«Bentornata a casa, coniglietta», bisbiglia contro le mie labbra.
«Bentornata.»
Emily
L .
Oggi, Hayden Morris e Lara Aspin sono stati dichiarati colpevoli per
l’accusa di appropriazione indebita di sette milioni di dollari di proprietà
della Miles Media.
In quella che è stata descritta come una moderna storia alla Bonnie e
Clyde, i due, fidanzati da cinque anni, hanno compiuto la frode in un
periodo di tre anni. Il crimine sarebbe potuto passare inosservato, e sono
stati scoperti solo quando Morris è stato licenziato dalla Miles Media.
Spinti dal desiderio di vendetta, hanno scioccamente deciso di
incastrare Jameson Miles per il crimine. La cosa gli si è ritorta contro in
maniera spettacolare, e tale decisione ha segnato il loro destino. La coppia
sconterà una pena di dieci anni in diverse prigioni dello stato.
Jameson Miles è stato completamente scagionato. La Miles Media
tocca oggi un nuovo picco nel mercato azionario, mai raggiunto dopo
l’aprile del 2018.
Faccio un ampio sorriso. Sembra che sia successo talmente tanto tempo
fa… una vita intera fa, se devo essere sincera.
Grazie al cielo è finita.
Abbiamo un matrimonio da pianificare. Jameson mi ha dato tre mesi di
tempo. Ci sono così tante cose da fare e decisioni da prendere… Dove ci
sposeremo? Non ne ho idea. Jameson mi ha detto che sta a me scegliere un
posto, perché, finché ci sono io, a lui non importa dove lo terremo.
Aspetto sul marciapiede del garage sotterraneo. È venerdì pomeriggio.
«Che cosa ha detto che stava facendo?» chiedo perplessa ad Alan.
«Credo che ne sarà piacevolmente sorpresa», mi sorride lui.
Aggrotto la fronte, considerando le varie possibilità. È tutta la settimana
che Jameson si comporta in modo strano. Fa telefonate di nascosto e ha
l’aria di essere molto soddisfatto di sé. Magari ha prenotato in segreto la
location per il matrimonio?
Lo spero proprio… mi sarebbe di aiuto.
Sento lo stridio tipico di una frizione, alzo lo sguardo e sbatto le
palpebre un paio di volte, incredula. Bessie avanza a balzelli davanti a noi,
con Jameson al volante. Alan scoppia a ridere.
Rimango a bocca aperta per la sorpresa. «Ma che accidenti…»
Si ferma accanto a me, e io apro la portiera.
«Vai da qualche parte?» Sorride, strizzandomi un occhio con aria sexy.
Rispondo con una risata fragorosa. «Che cosa stai facendo?»
«Ti porto via per qualche giorno.»
«Davvero?»
«Le tue cose sono già nel bagagliaio.» «E
andiamo via con Bessie?» farfuglio io.
«Sì, con Baracca. L’ho presa in prestito da Viagra Mike. Ma, devo
dirtelo, ti ho ordinato una nuova Range Rover. Questa auto è
insopportabile.»
«Che snob.» Ridacchio, poi mi giro e abbraccio Alan per la felicità.
Lui ride. «Passi un bel weekend, signorina Foster», mi augura,
aiutandomi a salire in auto. Mi allungo per afferrare Jameson e baciarlo
dritto in faccia. Adoro che abbia preso in prestito Bessie per me.
Lui suona il clacson. «Ciao, Alan», grida, in un saluto esagerato.
Rido di nuovo per quel comportamento, così inusuale per lui. «Ciao,
Alan!»
Usciamo dal parcheggio, e lui mi prende una mano per baciarne il
dorso. «Dove vuoi andare, mia piccola coniglietta?»
Sorrido al mio splendido uomo. «Nel bel mezzo del nulla.»