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Bello e Potente

The Miles High Club #1

T L Swan

Indice

1. Emily 2.
Emily 3.
Emily 4.
Emily 5.
Emily 6.
Emily
7. Emily
8. Jameson
9. Emily
10. Jameson
11. Emily
12. Emily
13.
Emily
14.
Emily
15. Emily
16. Jameson
17. Emily
18.
Emily
19. Emily
20. Jameson
21. Jameson
22. Emily
23.
Emily
24.
Emily
25.
Emily
26. Emily
27. Jameson
Epilogo

Ringraziamenti
Queen Edizioni www.queenedizioni.com

Titolo originale: The stopover


Copyright © 2019 T L Swan
Immagine in copertina: shutterstock.com
Traduzione di: Valentina Chioma
Copyediting: Sofia Mazzanti
Copertina realizzata da: Marina Alesse
Impaginazione a cura di: Elira Pulaj

ISBN: 9788892890879

Tutti i diritti riservati


© 2021 Queen Edizioni

This edition is made possible under a license arrangement originating with Amazon Publishing,

www.apub.com, in collaboration with Thesis Contents srl. Prima Edizione Narrativa Queen

Edizioni Ottobre 2021

Tutti i personaggi e gli eventi descritti in questo libro sono frutto dell’immaginazione dell’autrice e
qualsiasi somiglianza con persone reali, viventi e non, è puramente casuale.
Vorrei dedicare questo libro all’alfabeto, perché quelle ventisei lettere
hanno cambiato la mia vita. In quelle ventisei lettere ho trovato me stessa
e ora vivo il mio sogno. La prossima volta che dirai l’alfabeto, ricorda il
suo potere. Io lo faccio ogni giorno.
Capitolo 1

Emily

«T ?» .
Mi giro con aria sorpresa verso l’uomo in fila dietro di me. «Chiedo
scusa?» domando frastornata. «Vuole superarmi?»
«No. Voglio che quegli idioti al bancone si diano una mossa. Perderò il
mio fottutissimo aereo.» Fa una smorfia e io sento l’odore dell’alcol
provenire da lui. «Mi fanno incazzare.» Torno a guardare in avanti.
Fantastico, un ubriaco nella fila del check-in. Proprio quello che mi
serviva.
L’aeroporto di Heathrow è in piena attività. A causa del maltempo, molti
voli hanno subìto dei ritardi, e sinceramente vorrei che fosse lo stesso anche
per il mio. Così potrei girarmi, andare in albergo e dormire per una
settimana.
Non sono dell’umore giusto per queste stupidaggini.
Sento l’uomo girarsi per lamentarsi con la gente dietro di lui, e alzo gli
occhi al cielo. Perché certe persone sono così maleducate?
Lo ascolto lamentarsi, sospirare e mugugnare per altri dieci minuti, e
alla fine non ne posso più. Mi giro verso di lui. «Stanno lavorando il più in
fretta possibile. Non c’è bisogno di essere scortesi», sbotto.
«Cosa?» grida, riversando la sua rabbia su di me.
«Le buone maniere sono gratis», borbotto sottovoce.
«Come ti permetti?» esclama lui. «Cosa sei, una maestrina? O solo una
grande stronza?»
Lo fulmino con lo sguardo.
Oh, altroché se mi permetto.
Ho appena passato le ultime quarantotto ore all’inferno. Ho attraversato
mezzo mondo per andare a un matrimonio, solo per vedere il mio ex
fidanzato appiccicato alla sua nuova fiamma. Oggi ho voglia di fare a
brandelli qualcuno.
Sarà meglio che nessuno mi provochi.
Gli do di nuovo le spalle, mentre la mia furia inizia a ribollire.
L’uomo dà un calcio alla valigia ai miei piedi, e io faccio un balzo
indietro.
«La smetta», gli ordino.
Il tizio accosta il suo viso al mio, e io sussulto al tanfo del suo fiato.
«Faccio quel cazzo che mi pare.»
Mi accorgo che la sicurezza sta attraversando la sala d’attesa, tenendolo
d’occhio. Lo staff ha visto cosa sta succedendo e ha chiamato i rinforzi.
Fingo un sorriso.
«Per favore, signore, non prenda a calci la mia valigia», dico con tono
dolce.
«Prendo a calci tutto quello che voglio.» Afferra il mio bagaglio e lo
scaglia in mezzo all’aeroporto.
«Ma che cazzo!» strillo.
«Ehi», grida un uomo dietro di noi. «Non tocchi le sue cose.
Sicurezza!»
Il signor Ubriachezza Molesta sferra un pugno al mio salvatore, e
scoppia una rissa. Gli agenti della sicurezza accorrono da ogni parte, e io
vengo spinta indietro mentre il tizio dà pugni e urla oscenità. Oh, cavolo,
oggi non mi ci voleva proprio.
Alla fine, riescono a farlo calmare e lo portano via in manette. Un
gentile addetto alla sicurezza prende la mia valigia. «Mi spiace per tutto
questo», si scusa. «Venga con me», mi invita, spostando il cordone della
fila.
«Grazie.» Sorrido impacciata al resto della fila. Detesto passare davanti
agli altri, ma, a questo punto, non mi importa più di niente. «Fantastico.» Lo
seguo imbarazzata, e la guardia mi accompagna al bancone presidiato da un
giovane uomo, che alza lo sguardo e mi fa un ampio sorriso. «Salve.»
«Salve.»
«Sta bene?» mi domanda.
«Sì, tutto a posto. Grazie per avermelo chiesto.»
«Prenditi cura di lei», dice l’addetto alla sicurezza al bigliettaio, e con
un occhiolino a entrambi sparisce tra la folla.
«Un documento d’identità, per favore», mi chiede il giovane.
Frugo nella borsa e tiro fuori il passaporto per porgerglielo; lui sorride
quando vede la foto. Oh, cavolo, è la peggiore che sia mai stata scattata al
mondo. «Mi ha vista su FBI: Most Wanted o qualche altra serie che parla di
ricercati?»
«Forse. Ma questa è davvero lei?» Scoppia a ridere.
Faccio un sorrisetto imbarazzato. «Spero di no, se no sarei nei guai.»
Inserisce i miei dati nel computer. «Okay, quindi oggi sta volando verso
New York con un…» Smette di scrivere e legge.
«Sì. Preferibilmente non vicino a quell’uomo.»
«Oggi quello non andrà da nessuna parte», replica lui, riprendendo a
battere sui tasti a una velocità ridicola. «Tranne che in una cella.»
«Perché ubriacarsi prima di venire qui?» domando. «Non è nemmeno
entrato in uno dei bar dell’aeroporto.»
«Sarebbe sorpresa da quello che succede ogni giorno», sospira il
bigliettaio.
Sorrido, quest’uomo è gentile.
Mi stampa il biglietto. «L’ho spostata in prima classe.»
«Cosa?»
«In prima classe, per scusarci di come quell’uomo ha bistrattato la sua
valigia.»
Sgrano gli occhi. «Oh, ma non è necessario… davvero», balbetto.
Mi porge il biglietto con un sorrisone. «Si goda il volo.»
«La ringrazio moltissimo.»
Mi fa l’occhiolino, e a me viene voglia di andare ad abbracciarlo.
Ovviamente non lo farò. Fingerò che cose fighe come questa mi succedano
tutti i giorni.
«Grazie di nuovo», gli dico con slancio.
«Ha accesso alla sala VIP che si trova al primo livello. Il pranzo e i
drink sono in omaggio. Le auguro un buon volo.» Con un ultimo sguardo
allegro, torna a concentrarsi sulla fila. «Il prossimo, per favore.»
Supero il controllo dei bagagli con un sorriso sciocco sul volto.
Prima classe… proprio quello che mi ci voleva.
Tre ore più tardi, sto salendo sull’aereo come una rock star. Alla fine, non
sono andata nella sala VIP perché, beh… faccio schifo. Ho i capelli scuri
raccolti in un’alta coda di cavallo, e porto un paio di leggings neri, un largo
maglione rosa e scarpe da tennis, ma almeno mi sono sistemata un po’ il
trucco, che è già qualcosa. Se avessi saputo che sarei stata spostata in prima
classe, avrei almeno cercato di calarmi nella parte della donna ricca e
facoltosa indossando qualcosa di elegante, e invece sembro una senzatetto.
Ma in ogni caso… a chi dovrebbe importare? Tanto non incontrerò nessuno
che conosco.
Consegno il biglietto all’assistente di volo. «Lungo il corridoio a
sinistra, poi alla sua destra.»
«Grazie.» Controllo le mie carte e attraverso l’aereo fino a trovare il
mio numero.
1B.
Accidenti, niente finestrino. Raggiungo la mia poltrona e l’uomo seduto
accanto all’oblò si gira verso di me. Grandi occhi blu incontrano i miei, e lo
sconosciuto sorride. «Salve.» «Buongiorno», dico io.
Oh, no… Sono seduta accanto al dono di Dio alle donne… solo ancora
più sexy.
E io faccio schifo. Cazzo.
Apro la cappelliera e lui si alza. «Ecco, lasci fare a me.» Mi prende la
valigia dalle mani e la ripone con cura. È alto e muscoloso, porta un paio di
jeans e una maglietta bianca e ha il profumo del miglior dopobarba del
mondo.
«Grazie», mormoro, passando una mano tra i capelli raccolti per cercare
di districare i nodi. Mi sto prendendo mentalmente a calci per non aver
indossato qualcosa di più carino.
«Vuole il posto vicino al finestrino?» mi domanda.
Lo fisso e il mio cervello si inceppa.
L’uomo indica la poltrona di fianco all’oblò.
«Non le dispiace?» gli chiedo, aggrottando la fronte.
«Niente affatto.» Mi sorride. «Io viaggio di continuo in aereo. Può
averlo lei.»
Mi costringo a rispondere vedendo l’espressione che mi rivolge.
«Grazie.» Quello sguardo significava chiaramente: “Povera senzatetto, lo so
che è stata spostata in prima classe, e mi dispiace per lei”. Mi accomodo sul
sedile e guardo nervosamente fuori, con le mani strette in grembo davanti a
me.
«Sta andando a casa?» mi domanda.
Mi volto verso di lui.
Oh, ti scongiuro, non mi parlare. Basta la tua presenza a rendermi
nervosa.
«No, sono stata a un matrimonio e, prima di tornare a casa, devo passare
da New York per un colloquio di lavoro. Rimarrò in città solo per un
giorno, poi andrò a Los Angeles. Vivo lì.»
«Ah.» Continua a sorridermi. «Capisco.»
Lo fisso per un momento, ora starebbe a me fargli una domanda. «Lei
sta… sta andando a casa?» gli chiedo.
«Sì.»
Annuisco, non sapendo cos’altro dire, quindi scelgo l’opzione più
noiosa e torno a guardare fuori dal finestrino.
La hostess si sta aggirando per il corridoio con una bottiglia di
champagne e dei bicchieri. Bicchieri di vetro. Da quando in qua le
compagnie aeree danno dell’autentico vetro?
Oh, giusto. Prima classe. Chiaro.
«Gradisce un po’ di champagne per iniziare, signore?» chiede la donna
al mio compagno di posto. Noto che la sua targhetta del nome dice
“Jessica”.
«Sarebbe fantastico.» Lui sorride e si gira verso di me. «Facciamo due,
per favore.»
Mi acciglio mentre l’assistente di volo versa due bicchieri di champagne
per porgerne uno a lui e uno a me. «Grazie», le dico con tono cordiale.
Aspetto che Jessica si allontani. «Ordina sempre da bere per le altre
persone?» chiedo.
L’uomo appare sorpreso dalla mia domanda. «Le ha dato fastidio?»
«Niente affatto.» Sbuffo. Al diavolo questo signor Elegantone che crede
di poter ordinare anche per me. «Ma mi piace ordinare i miei drink da sola.»
Lui sorride. «Beh, allora può ordinare i prossimi.» Solleva il bicchiere
con un ghigno e beve un sorso. Sembra divertito dalla mia irritazione.
Lo fisso impassibile. Rischia di essere la seconda vittima della mia
rabbia. Oggi non ho proprio voglia di farmi comandare a bacchetta da un
vecchio riccone qualunque. Sorseggio il mio champagne guardando fuori
dal finestrino. Beh, in realtà non è davvero vecchio. Deve avere tra i
trentacinque e i quarant’anni. Voglio dire, è vecchio rispetto a me, che ne ho
venticinque, ma non importa.
«Sono Jim», si presenta, porgendomi la mano per prendere la mia.
Oh Dio, ora mi tocca essere educata. Gliela stringo. «Salve, Jim. Sono
Emily.»
La malizia gli fa brillare lo sguardo. «Salve, Emily.»
I suoi occhi sono grandi, color blu acceso e dall’espressione sognante;
proprio il tipo di occhi in cui potrei perdermi. Ma perché mi sta fissando in
questo modo?
L’aereo inizia ad avanzare lentamente lungo la pista, e io sposto lo
sguardo tra gli auricolari e il bracciolo. Dove si attaccano? Sono altamente
tecnologici, il genere che usano gli YouTuber arroganti. Non hanno
nemmeno un cavo. Mi guardo intorno.
Beh, è stupido. Come li connetto?
«Sono Bluetooth», interviene Jim.
«Oh», borbotto, sentendomi una sciocca. Certo che lo sono. «Giusto.»
«Non hai mai volato in prima classe?» domanda.
«No, mi hanno spostata qui. Uno svitato ha tirato la mia valigia in
mezzo all’aeroporto perché aveva bevuto troppo, e credo che il tizio al
bancone si sia dispiaciuto per me.» Gli lancio un sorrisetto sghembo.
Lui stringe le labbra come se fosse divertito e sorseggia il suo
champagne, mentre i suoi occhi indugiano sul mio viso come se avesse
qualcosa in mente.
«Che c’è?» gli chiedo.
«Forse il tizio al bancone ti ha trovata bellissima e ti ha spostata in
prima classe per fare colpo su di te.»
«Non ci avevo pensato.» Bevo lo champagne cercando di nascondere
un’espressione compiaciuta. Che cosa strana da dire. «È quello che faresti
tu?» indago. «Se fossi al bancone, ti offriresti di spostare le donne in prima
classe per conquistarle?» «Assolutamente.» Sogghigno.
«Impressionare una donna da cui si è attratti è fondamentale», continua
lui.
Lo fisso, cercando di costringere la mia mente a stare al passo con la
conversazione. Perché questa affermazione mi è sembrata tanto provocante?
«E dimmi… tu come faresti colpo su qualcuna da cui sei attratto?»
domando, affascinata.
Sostiene il mio sguardo. «Le offrirei il posto vicino al finestrino.»
L’aria tra di noi si carica di elettricità, e io mi mordo il labbro per
nascondere un’espressione sciocca.
«Stai cercando di fare colpo su di me?»
Lui mi rivolge un pigro sorriso sexy. «Come me la sto cavando?»
Incurvo le labbra, non sapendo come rispondere.
«Sto solo dicendo che sei attraente, niente di più e niente di meno. Non
vederci qualcosa che non c’è. Era solo un’affermazione, non una proposta.»
«Oh.» Lo fisso, senza parole. Come dovrei rispondergli?
Un’affermazione, non una proposta… eh? “Non vederci qualcosa che
non c’è.” Questo tizio è strano… e davvero bellissimo.
L’aereo inizia a decollare rapidamente, e io afferro i braccioli, serrando
gli occhi.
«Non ti piacciono i decolli?» chiede.
«A te cosa sembra?» Sussulto, tenendomi stretta in modo disperato.
«Io li adoro», replica Jim con noncuranza. «Amo il senso di potere che
sento mentre l’aereo si alza in volo. La spinta della gravità.»
Okay… perché tutto quello che gli esce di bocca sembra qualcosa di
sessuale?
Dio, ho bisogno di farmi una scopata… presto.
Espiro e guardo fuori dal finestrino mentre saliamo sempre più in alto.
Oggi non ho le forze per sopportare le battutine di quest’uomo. Sono stanca,
sto smaltendo una sbronza, ho un aspetto terribile e il mio ex è uno stronzo.
Voglio andare a dormire e svegliarmi l’anno prossimo.
Decido di guardare un film. Inizio a scorrere la selezione sullo schermo
di fronte a me.
Jim si accosta al mio orecchio per dirmi: «Tra geni ci si intende. Anche
io guardo un film».
Fingo un sorriso.
Piantala di essere così figo e di starmi tanto vicino. Ad andar bene
sarai sposato con una patita di yoga vegana che fa meditazione e roba così.
«Fantastico», borbotto impassibile. Avrei dovuto volare in classe
turistica, almeno non avrei dovuto respirare il profumo di quest’uomo
bellissimo per otto lunghe e caste ore.
Scorro lo schermo e poi restringo il campo delle mie scelte.
Come farsi lasciare in 10 giorni.
Orgoglio e pregiudizio.
Corpi da reato.
Jumanji… beh, c’è The Rock… dovrebbe essere bello.
Notting Hill.
Ricatto d’amore.
50 volte il primo bacio.
Il diario di Bridget Jones.
Pretty woman.
Insonnia d’amore.
Magic Mike XXL.
Sorrido alla lista, che contiene tutti i miei film preferiti: questo volo sarà
un sogno. Non ho ancora visto il sequel di Magic Mike, quindi potrei
iniziare con quello. Getto uno sguardo per sbirciare cosa ha scelto Jim e
vedo apparire il titolo: Lincoln.
Bleah… un film politico. Chi guarda quella roba per divertirsi? Avrei
dovuto saperlo che sarebbe stato uno noioso.
Il mio compagno si allunga per toccare lo schermo, e solo allora noto il
suo orologio. Un grosso Rolex d’argento. Bah, è pure ricco.
Classico.
«Che cosa guarderai?» mi chiede.
Oh, no… non voglio sembrare una stupida. «Non ho ancora deciso»,
rispondo. Maledizione… Voglio guardare degli uomini che si spogliano. «E
tu?»
«Lincoln. È da tanto che volevo vederlo.»
«Sembra noioso», commento.
Sorride alla mia risposta. «Te lo farò sapere.» Si infila gli auricolari e
inizia il film, mentre io scorro di nuovo la lista.
Voglio davvero guardare Magic Mike XXL. Dopotutto, mi importa
davvero se mi vede? No… ma è imbarazzante. Mi farebbe sembrare
disperata. Chi voglio prendere in giro? Io sono disperata. Non vedo un
uccello da più di un anno.
Faccio partire Ricatto d’amore. Scambierò una fantasia per l’altra. Ho
sempre sognato di avere Ryan Reynolds come assistente personale.
Il film inizia e io guardo felice lo schermo. Lo adoro. A prescindere da
quante volte lo abbia visto, mi fa sempre ridere. Gammy è la mia preferita.
«Guardi un film d’amore?» mi domanda Jim.
«Una commedia romantica», rispondo. Santo cielo, quanto è impiccione
questo tizio.
Lui sogghigna come se si sentisse migliore di me.
«Altro champagne?» ci offre l’assistente di volo.
Occhi Blu mi lancia un’occhiata. «Ecco la tua occasione di ordinare per
me.»
Lo fisso con espressione impassibile. Va bene, ora sta iniziando a
irritarmi. «Prendiamo due bicchieri, grazie.»
«Che cosa ti piace delle commedie romantiche?» mi chiede lui, tenendo
lo sguardo sullo schermo davanti a sé.
«Gli uomini che non parlano durante i film», sussurro contro il mio
bicchiere di champagne.
Lui fa un ampio sorriso.
«Che cosa ti piace di…» Mi interrompo perché non so nemmeno di cosa
tratti Lincoln. «Che cosa ti piace dei film politici?» dico poi. «Il fatto che
siano noiosi da morire?»
«Mi piacciono le storie vere, a prescindere da quali siano.»
«Anche a me», replico. «È per questo che amo le commedie romantiche.
L’amore è vero.»
Jim ridacchia con le labbra accostate al bicchiere, come se la mia
risposta lo divertisse.
Gli getto uno sguardo. «Quello cosa vorrebbe dire?»
«Le commedie romantiche sono quanto di più lontano dalla realtà esista.
Scommetto che sei il tipo che legge anche stupidi romanzetti d’amore.»
Lo fisso, glaciale. Credo di odiarlo. «In realtà, sì… e, se lo vuoi sapere,
dopo questo guarderò Magic Mike XXL, così potrò ammirare degli uomini
splendidi che si spogliano.» Sorseggio il mio champagne in preda
all’irritazione. «E me lo godrò per tutto il tempo, a prescindere dal tuo
giudizio da snob.»
Lui scoppia in una fragorosa risata, ed è un suono profondo e forte che
mi smuove qualcosa nello stomaco.
Mi rimetto gli auricolari e fingo di concentrarmi sullo schermo. Ma non
ci riesco, perché mi sono resa assolutamente ridicola e mi sento arrossire.
Smettila di parlare.

Due ore dopo, sto guardando fuori dal finestrino. Il mio film è finito, ma
continuo a sentire il profumo dell’uomo che mi sta seduto accanto. Aleggia
attorno a me, stuzzicandomi con idee a cui non dovrei pensare. Come fa ad
avere un così buon odore?
Non sapendo cosa fare senza sembrare impacciata, decido di
concedermi un riposino per passare le prossime ore dormendo, ma prima
devo andare in bagno. Mi alzo.
«Chiedo scusa.»
Jim sposta lievemente le gambe, ma non abbastanza perché io possa
passare, così devo sporgermi su di lui per superarlo. Inciampo e cado,
appoggiandogli una mano su una coscia, che è ampia e dura al tatto.
«Mi dispiace tanto», balbetto, imbarazzata. «Va
tutto bene.» Mi fa un sorrisetto. «Più che bene.» Lo
fisso per un momento. Eh?
«C’è una logica dietro alla mia follia.»
Mi acciglio. Che cosa significa? Lo oltrepasso e vado in bagno, poi
passeggio un po’ per sgranchirmi le gambe mentre rifletto sulla sua
affermazione. Sono perplessa, non capisco.
«Che cosa volevi dire prima?» chiedo, lasciandomi cadere sul mio
sedile.
«Niente.»
«Mi hai offerto il posto vicino al finestrino perché poi avrei dovuto
scavalcarti?»
Jim piega di lato la testa. «No, ti ho lasciato il posto vicino al finestrino
perché lo volevi. Essere scavalcato è solo un valore aggiunto.»
Lo fisso, non sapendo bene come rispondere. Me lo sto immaginando?
Gli uomini ricchi e maturi di solito non mi parlano così… per niente.
«Stai flirtando con me, Jim?»
Lui mi fa un sorriso sexy. «Non lo so. Lo sto facendo?»
«Te l’ho chiesto prima io, non rispondere alla mia domanda con un’altra
domanda.»
Sogghigna e riporta la sua attenzione sullo schermo. «Credo che ora stia
a te cominciare a flirtare… Emily.»
Sento le guance colorarsi per l’imbarazzo, mentre cerco di nascondere
un’espressione sciocca di felicità. «Io non flirto. O voglio un uomo o non lo
voglio», dichiaro.
«Davvero?» dice Jim, come se fosse intrigato. «E quanto tempo dopo
averlo incontrato prendi questa decisione?»
«All’istante», mento. Non è vero, ma farò finta che sia così. Atteggiarmi
come se fossi sempre sicura di me è il mio superpotere.
«Sul serio?» mormora lui, mentre l’assistente ci supera. «Mi scusi,
possiamo avere altri due bicchieri di champagne, per favore?» le chiede.
«Certo, signore.»
Torna a incrociare il mio sguardo. «Allora, dimmi, qual è stata la tua
prima impressione su di me?»
Fingo di cercare Jessica, l’assistente di volo. «Ti potrebbe servire
qualcosa di più forte per sentirlo, Jim. Non ti piacerà.»
Scoppia a ridere, e io mi ritrovo a guardarlo con un ampio sorriso.
«Cosa c’è di così divertente?» gli domando.
«Tu.»
«Perché?» Mi acciglio.
«È questa tua aria di presunzione.»
«Oh, come se non l’avessi anche tu… signor Prenderò due bicchieri di
champagne.»
I nostri drink arrivano, e lui mi porge il mio con un sorriso. Continua a
tenermi gli occhi addosso, bevendo un sorso. «Che cosa facevi a Londra?»
«Bah.» Faccio una smorfia irritata. «Sono andata al matrimonio di
un’amica e, a essere sincera, vorrei non averlo fatto.»
«Perché no?»
«C’era anche il mio ex con la sua nuova fiamma, ed è stato super
affettuoso con lei per farmi incazzare.»
«Ovviamente ci è riuscito», commenta Jim, reclinando il bicchiere verso
di me.
«Mmh.» Sorseggio il mio drink, infastidita. «Appena un po’.»
«Com’era lei?»
«Lunghi capelli biondo platino, tette enormi e labbra siliconate,
lampadata, con le ciglia finte… tutto quello che non sono io.» «Mmh.» Mi
ascolta con attenzione.
«Come una Barbie un po’ vacca.»
Jim ridacchia. «A tutti piace il tipo Barbie un po’ vacca.»
Gli lancio un’occhiata disgustata. «A questo punto tu dovresti dirmi che
nessun uomo vorrebbe mai una donna del genere, Jim. Non conosci le
regole che stanno alla base di una conversazione educata in aereo?»
«Chiaramente no.» Aggrotta la fronte, riflettendo sulle mie parole.
«Perché dovrei?»
Spalanco gli occhi per sottolineare il concetto. «Per essere gentile.»
«Oh, giusto.» Si acciglia, come se si stesse preparando a mentire.
«Emily… a nessuno piacciono le Barbie un po’ vacche.»
Gli sorrido, reclinando il bicchiere verso di lui. «Ti ringrazio, Jim.»
«Tuttavia…» Si interrompe per un momento. «Se sanno fare bene i
pompini…»
Ma che diavolo?
Mando giù un sorso di champagne e rischio di strozzarmi. È l’ultima
cosa che mi sarei mai aspettata di sentirgli uscire di bocca.
«Jim», farfuglio, facendo schizzare ovunque il mio drink.
Lui scoppia a ridere, afferrando dei tovaglioli per porgermeli. Mi
asciugo il liquido che mi sta gocciolando sul mento.
Tossisco. «Gli uomini come te non dovrebbero parlare di pompini.»
«Perché no?» mi chiede incredulo. «E che cosa vuoi dire con gli uomini
come te?»
«Quelli seri e roba così.»
Mi fissa impassibile. «Definisci roba così.»
«Lo sai, maturi, ricchi e autoritari.»
Gli brillano gli occhi per il divertimento. «E cosa ti dà l’impressione che
io sia ricco e autoritario?»
Faccio un sospiro esagerato. «Sembri ricco.»
«Come sarebbe?»
«L’orologio costoso. Il taglio della camicia.» Abbasso lo sguardo sui
suoi piedi. «E non ho mai visto scarpe come quelle. Dove le hai prese?»
«In un negozio, Emily.» Si guarda l’orologio. «E ti informo che questo
mi è stato regalato da una fidanzata.»
Alzo gli occhi al cielo. «Scommetto che è una vegana maniaca dello
yoga.»
Jim sogghigna.
«So qual è il tuo tipo di donna.»
«Davvero?» Si sporge verso di me. «Ti prego, continua… questa tua
analisi del personaggio è davvero affascinante.»
Gli sorrido, mentre una vocina nel mio subconscio grida: Smettila di
bere, stupida! «Immagino che tu viva a New York.» «Giusto.»
«In un appartamento.»
«Affermativo.»
«Probabilmente lavori per qualche azienda importante.»
Jim sembra divertito, gli piace questo gioco. «Forse.»
«Dovresti avere una fidanzata o…» Abbasso lo sguardo. «Non indossi
una fede… quindi forse tradisci tua moglie mentre sei in viaggio per
lavoro?»
Ridacchia. «Dovresti farne una professione. Sono sbalordito dalla tua
precisione.»
Anche a me piace questo gioco. Gli faccio un ampio sorriso. «Tu cosa
pensi di me?» chiedo. «Qual è stata la tua prima impressione non appena
sono salita sull’aereo?»
«Dunque…» Aggrotta le sopracciglia, riflettendo sulla domanda. «Vuoi
la versione politicamente corretta?»
«No, voglio la verità.»
«Giusto… beh, in questo caso, ho notato le tue lunghe gambe e la curva
del tuo collo. La fossetta che hai sul mento. Sei la donna più attraente che
abbia visto da molto tempo, e, quando hai sorriso, mi hai fatto cadere ai tuoi
piedi.»
Gli rivolgo un’espressione dolce, mentre l’aria sfrigola tra di noi, carica
di elettricità.
«E poi hai iniziato a parlare… e hai rovinato tutto.»
Cosa?
Scoppio a ridere. «Ho rovinato tutto? Come avrei fatto?»
«Sei autoritaria e hai un sarcasmo pungente.»
«E quale sarebbe il problema?» farfuglio per lo sdegno.
«Beh, io sono autoritario e sarcastico.» Scrolla le spalle.
«E quindi?»
«E quindi non voglio uscire con me stesso. Mi piacciono le ragazze
dolci e riservate, che fanno quello che dico loro di fare.»
«Bleah.» Roteo gli occhi. «Quelle che puliscono la casa e fanno sesso il
sabato mattina.»
«Precisamente.»
Rido e sollevo il bicchiere per brindare con lui. «Non sei poi così male
per essere un vecchio noioso con delle strane scarpe.»
Lui scoppia a ridere. «E tu non sei così male per essere una giovane
saputella sexy.»
«Vuoi guardare Magic Mike XXL con me?» gli propongo.
«Immagino di sì, ma c’è una cosa che devi sapere… sono un ex
spogliarellista, quindi per me non c’è niente di nuovo.»
«Davvero?» Cerco di nascondere un sorriso. «Te la cavi bene con il
palo?»
Sostiene il mio sguardo. «Nessuno sa usare bene il palo come me.»
L’aria tra di noi crepita, e io devo impegnarmi per impedire alla mia
bocca sbronza di lasciarsi sfuggire qualcosa di volgare.
Jim fa partire Magic Mike XXL… e io mi illumino. Quest’uomo è
davvero sorprendente.
La prima classe è decisamente il modo giusto per viaggiare.

Sei ore dopo

«Okay, prossima domanda. Il posto più strano in cui hai fatto sesso?»
mormora lui.
Faccio un sorrisetto. «Non puoi chiedermelo.»
«Sì che posso. L’ho appena fatto.»
«È scortese.»
«Chi lo dice?» Si guarda intorno. «È solo una domanda, e non ci sta
ascoltando nessuno.»
Jim ed io abbiamo parlato, bisbigliato e ridacchiato per tutto il volo.
«Mmh.» Rifletto ad alta voce. «È difficile.»
«Perché?»
«Al momento sono in un periodo di magra. Mi ricordo a malapena il
sesso.»
«Da quanto tempo?» Si acciglia lui.
«Oh.» Alzo lo sguardo al soffitto mentre penso. «Non lo faccio da
tipo… diciotto mesi.»
La sua espressione si fa sgomenta per l’orrore. «Cosa?»
«È patetico, non è vero?» dico con una smorfia.
«Molto. Devi darti una mossa. Sono numeri terribili.»
«Lo so.» Ridacchio. Accidenti… quanto siamo brilli. «Perché ti sto
dicendo tutte queste cose?» bisbiglio. «Sei solo un tizio qualsiasi che ho
incontrato in aereo.»
«Che, guarda caso, è molto interessato all’argomento.»
«E come mai?»
Si sporge e, per non farsi sentire dall’assistente di volo, mormora: «Non
capisco come una ragazza bella come te non si faccia scopare tre volte al
giorno».
Lo fisso, sentendomi formicolare fino alla punta dei piedi. Smettila.
Quest’uomo è troppo vecchio per me, e non è affatto il mio tipo.
Jim abbassa lo sguardo sulle mie labbra, e l’aria tra di noi si carica di
elettricità.
«Per quanto tempo rimarrai a New York?» mi chiede.
Guardo la sua lingua guizzare fuori per muoversi lentamente sul suo
labbro inferiore. Riesco quasi a immaginarla tra le mie…
«Solo un pomeriggio. Ho il colloquio alle sei di stasera, e poi prenderò
l’ultimo volo per andarmene», bisbiglio. «Puoi cambiare il volo?» Perché?
«No.»
Mi studia con un sorrisetto, ed è ovvio che abbia in mente qualcosa.
«Che c’è?» gli chiedo divertita.
«Vorrei che fossimo su un jet privato.»
«E perché?»
Abbassa di nuovo lo sguardo sulle mie labbra. «Perché interromperei
questo tuo periodo di magra e ti accoglierei nel Miles High Club, il club del
sesso ad alta quota.»
Ho una visione di me mentre gli monto sopra, qui e ora. «Quello è il
Mile High Club, non Miles», mormoro.
«No… è proprio Miles.» Incurva le labbra mentre i suoi occhi si
incupiscono. «Fidati di me… è Miles.»
Dentro di me si spezza qualcosa, e all’improvviso voglio confessargli
qualcosa di folle e fuori dall’ordinario. Mi sporgo in avanti e gli bisbiglio
all’orecchio: «Lo sai, non ho mai scopato con uno sconosciuto prima».
Jim inspira bruscamente e incontra il mio sguardo. «Vuoi farlo?»
sussurra. L’eccitazione palpita tra di noi.
Lo fisso. È così insolito per me. Quest’uomo mi rende…
«Non essere timida», sussurra. «Dimmi, se in questo momento fossimo
da soli…» Si interrompe per scegliere le sue parole. «Che cosa mi daresti,
Emily?»
Lo guardo negli occhi, e forse è l’alcol, la carenza di sesso o la certezza
che non lo rivedrò mai più… o magari è solo che sono una zoccola.
«Me stessa», bisbiglio. «Ti darei me stessa.»
Senza mai distogliere lo sguardo, come se si fosse dimenticato di dove
ci troviamo, si allunga per posarmi una mano sul viso. I suoi occhi sono di
un blu molto intenso, e al suo tocco vengo attraversata da un’ondata di
eccitazione.
Voglio quest’uomo.
Voglio tutto di lui… fino all’ultima goccia.
«Salvietta calda?» ci offre Jessica, l’assistente di volo.
Ci allontaniamo di scatto l’una dall’altro, imbarazzati. Che cosa
penseranno di noi? Ci hanno visti flirtare spudoratamente per tutto il
viaggio.
«Grazie», balbetto, accettando la salvietta.
«A New York c’è una tempesta di neve, quindi dovremo volare in
cerchio per un po’ per vedere se è possibile atterrare», ci comunica.
«Che succede se non ci riusciamo?» chiede Jim.
«Andremo a Boston e faremo uno scalo d’emergenza per la notte.
Ovviamente vi verrà offerto un albergo. Lo sapremo nei prossimi dieci
minuti. Vi terrò aggiornati.»
«Grazie.»
La donna si allontana, diretta verso l’altro capo dell’aereo, e Jim mi si
avvicina per sussurrare: «Spero che New York congeli, cazzo».
Il mio stomaco fa una capriola, all’improvviso mi scopro molto nervosa.
«Come mai?»
«Ho dei piani in serbo per noi», mormora.
Lo fisso, con il cervello in panne. L’ho provocato da vera professionista,
ma in realtà non sono quel genere di ragazza. È facile mostrarsi audaci e
disinibite quando non c’è alcuna possibilità che succeda qualcosa. Inizio a
sudare. Perché ho bevuto così tanto? Per quale motivo gli ho raccontato del
mio periodo di magra?
Era un’informazione riservata, sciocca.
«Un altro drink?» mi offre Jim.
«Non posso… Questo pomeriggio ho un colloquio.»
«Non credo che ci andrai.»
«Non dirlo», balbetto. «Voglio quel lavoro.»
«Buonasera, passeggeri, è il capitano che vi parla.» Una voce risuona
dall’altoparlante, e io chiudo gli occhi. Merda. «A causa di una tempesta di
neve a New York, questa notte ci dirigeremo a Boston e pernotteremo lì.
Torneremo a New York domani mattina presto. Siamo spiacenti per
l’eventuale disagio, ma la nostra priorità è la sicurezza.»
Incontro lo sguardo di Jim, che mi lancia un pigro sorriso sexy,
sollevando le sopracciglia.
Oh, no.
Capitolo 2

Emily

«N », .
«Jim…» balbetto. Oh, diavolo, come glielo dico? «In realtà non sono il
tipo di ragazza che…» Mi interrompo.
«Che scopa al primo appuntamento?» finisce lui, concludendo la mia
frase.
«Sì.» Sussulto per la volgarità delle sue parole. «È solo che non voglio
che pensi…»
«Lo so. Non lo farei», risponde con tono brusco. «Non lo faccio.»
«Bene.» Mi sento sollevata. «Stavo flirtando con te quando credevo che
stessimo per atterrare e non ci saremmo mai più rivisti.» «Certo»,
commenta divertito.
«Non che non ti ritenga fantastico», aggiungo. «Perché, se fossi quel
tipo di ragazza, mi piaceresti un sacco. Scoperemmo come…» Mi
interrompo, cercando di pensare a una similitudine.
«Conigli?» propone lui.
«Sì.»
Jim alza le mani. «Lo capisco. Invece siamo solo umani uniti da una
relazione platonica.»
Gli faccio un ampio sorriso. «Sono così felice che tu capisca.»

Sette ore dopo


Mi spinge contro il muro, cercando di sollevarmi il maglione sui fianchi,
mentre si avventa sul mio collo a bocca aperta. «Porta», ansimo. «Apri
quella maledetta porta.»
Oh Dio… Non ho mai provato un’intesa simile con nessuno. Abbiamo
riso, ballato e ci siamo baciati per tutta Boston, e chissà come mi ha fatta
sentire a mio agio. È come se mi comportassi così abitualmente, come se
per me fosse normale. La cosa più strana è che mi sembra giusto. La
spontaneità di questa situazione mi rende coraggiosa. Quest’uomo è arguto,
divertente e volgare da morire, e, secondo me, anche se in realtà al
momento potrei essere completamente scombussolata dal consumo di alcol,
vale il rischio… perché so che non avrò mai più l’occasione di stare con
uno come lui.
È come se fossi morta e finita nello scalo per il paradiso delle ragazze
cattive.
Jim armeggia con la chiave ed entriamo in modo goffo nella mia
camera, poi lui mi spinge sul letto. Il mio petto si alza e si abbassa mentre ci
fissiamo a vicenda; l’aria in mezzo a noi crepita di elettricità.
«Non sono quel tipo di ragazza», gli ricordo.
«Lo so», sospira lui. «Non vorrei mai corromperti.»
«Ma è un periodo di magra», sussurro. «È tanto che non lo faccio… così
tanto…»
Solleva le sopracciglia, ansimando insieme a me. «Questo è vero.»
Lo fisso per un momento mentre cerco di dissipare la nebbia causata
dall’eccitazione. Il mio sesso pulsa e invoca il suo corpo. «Sarebbe un
peccato…» Mi interrompo.
«Lo so.» Si lecca le labbra in segno di apprezzamento, spostando gli
occhi su di me. «Un vero peccato, cazzo.»
Si sfila la camicia, e a me si mozza il respiro. Il suo petto è ampio e
muscoloso, dalla carnagione olivastra e con una spolverata di peluria che ha
origine dall’ombelico per sparire oltre il bordo dei pantaloni. Ha i capelli
scuri e gli occhi di un blu acceso, ma è il potere che essi contengono a farmi
desiderare che mi prenda. Nel suo tocco c’è un’intensità che non ho mai
sentito prima.
È tutto maschio e puro dominio. Non c’è dubbio su chi comandi qui.
Qualcosa in lui ha rivelato una parte di me di cui non conoscevo
l’esistenza. So che potrebbe avere qualsiasi donna desideri al mondo.
E, in questo momento, desidera me.
Abbiamo un’intesa innegabile, cruda, sincera e divorante. Non mi ha
quasi toccata, e già so che questa notte sarà speciale. Forse il destino mi ha
fatto un dono, tanto per cambiare.
Lentamente, con gli occhi fissi nei miei, si abbassa la zip dei pantaloni e
tira fuori il cazzo. È grosso e duro, e il mio petto si alza e si abbassa mentre
lo guardo. Il mio cuore batte all’impazzata. Sta succedendo davvero?
Oh. Mio. Dio.
Inizia lentamente a toccarsi, e io resto a fissarlo a bocca aperta, rapita.
Nessun uomo si è mai masturbato davanti a me prima d’ora.
Porca puttana. È pazzesco.
Appoggia un piede sul letto e comincia ad accarezzarsi con foga. I
muscoli delle spalle e delle braccia si flettono mentre si masturba con forza,
e il mio sesso si tende per il piacere improvviso quando immagino di essere
io a toccarlo.
È come un porno… solo dieci volte meglio.
Che diavolo ci faccio qui? Sono una brava ragazza, e le brave ragazze
non finiscono a letto con uomini come lui. Non abbiamo amici in comune,
non viviamo nella stessa città e forse non lo vedrò mai più. Tutto ciò mi
concede una libertà inaspettata. Posso essere una persona diversa.
Chiunque lui voglia che io sia.
Ha gli occhi fissi nei miei, la mascella serrata. «Vieni qui e succhiami il
cazzo, Emily», mormora.
Dio, sì.
Credevo che non me lo avrebbe mai chiesto. Mi inginocchio subito,
desiderosa di dargli piacere. Non so niente di lui, tranne che in questo
momento voglio essere la scopata migliore della sua vita. Lo prendo in
bocca, spacciandomi per la campionessa mondiale di ingoio profondo. Lo
stringo nel pugno con vigore, inseguendo le labbra con la mano. È passato
così tanto tempo che sento il mio punto più sensibile contrarsi, l’orgasmo
vicino al solo assaggio del suo seme.
«Cazzo… che bello», mormoro attorno a lui. «Il tuo sapore mi farà
venire.»
Jim piega indietro la testa e chiude gli occhi. «Nuda. Ti voglio nuda,
cazzo», ringhia con urgenza. Mi trascina su dal letto e, in un istante, la mia
gonna e le mie mutandine finiscono sul pavimento. Mi sfila la maglia e
getta di lato il reggiseno.
Poi si ferma… e, come al rallentatore, stringendo le mani attorno ai miei
fianchi, abbassa gli occhi lungo il mio corpo. Si gusta lo spettacolo, e io mi
sento accaldata, mentre il suo sguardo mi accarezza la pelle.
Il mio mondo smette di girare, e mi ritrovo davanti a lui nuda e
vulnerabile, in attesa della sua approvazione. Questa per me è una novità.
Non sono mai stata con un uomo tanto dominante e autoritario. I suoi occhi,
la sua voce e ogni suo tocco mi ricordano con chi sono e quanto sia
importante per me il suo piacere. Sento di voler accettare la sua sfida, e
sono colta dall’impulso primordiale di soddisfarlo.
Quando alza di nuovo lo sguardo sul mio viso, i suoi occhi ardono di
desiderio. Una corrente sotterranea di oscurità e dolcezza scorre tra di noi.
Forse mi sono dimenticata di come un uomo guarda una donna che desidera
con tutto sé stesso, perché, lo giuro su Dio, non credo di aver mai visto
questa espressione in tutta la mia vita.
«Sulla schiena», mormora.
Il mio volto si deforma per la paura.
Jim mi prende tra le braccia e mi bacia, tenendomi il viso tra le mani.
«Cosa c’è?» sussurra.
«È… è passato molto tempo», rispondo con il fiato corto.
«Mi prenderò cura di te, piccola», bisbiglia, scacciando i miei timori.
Cattura la mia bocca e insinua la lingua tra le mie labbra socchiuse,
leccandomi piacevolmente.
Mi tremano le ginocchia.
Mi fa sdraiare e spalancare le cosce, baciandomi lungo tutto il corpo con
un sorriso cupo.
Io fisso il soffitto, cercando di controllare il mio respiro irregolare,
nessuna quantità di alcol avrebbe potuto prepararmi a questo.
Mi solleva le gambe per mettersi i miei piedi sulle sue forti spalle e mi
fa spalancare le ginocchia.
Sono completamente aperta per Jim, che mi assale senza alcuna riserva,
succhiandomi con intensità.
Inarco la schiena. «Ah!» grido.
Ma lui non mi concede pietà e infila tre grosse dita dentro di me,
iniziando a spingere con forza.
Merda… non potremmo almeno iniziare piano?
Ha la lingua sul mio clitoride e le dita sul mio punto G.
Che diavolo sta succedendo qui?
Il mio corpo inizia a tremare come se fossi una bambola… la sua
bambola.
Quest’uomo è un dio.
Le mie gambe si alzano da sole dalle sue spalle, e io mi contorco,
attraversata da un orgasmo potente come un treno merci.
Ci sono voluti circa cinque secondi.
Oh, cacchio. Quanto è imbarazzante. Chissà cosa penserà di me…
Lui ridacchia come se fosse fiero di sé, e io mi copro gli occhi con
l’avambraccio, nascondendo il volto per la vergogna.
Jim allontana il braccio e mi stringe la mascella con una mano per
costringermi a guardarlo. «Non nasconderti da me, Emily. Mai», ordina.
Lo fisso negli occhi. Tutto questo è troppo per me… troppo.
Quest’uomo è troppo intenso.
«Rispondimi.»
«Che cosa vuoi che ti dica?» sussurro.
«Di’ di sì, così so che hai capito.»
L’aria tra di noi si carica di elettricità. «Sì», ansimo. «Ho capito.»
«Brava ragazza», bisbiglia lui, chinandosi per baciarmi di nuovo. La sua
lingua è pura e carezzevole perfezione, e ancora una volta le mie gambe si
aprono da sole. Jim si alza e tira fuori quattro preservativi dal portafoglio,
ne apre uno e me lo tende. «Mettimelo.»
Lo prendo e mi abbasso per premergli dolcemente le labbra sul membro
prima di infilargli il profilattico. «Sei davvero prepotente», dico divertita.
Lui mi rivolge un enorme sorriso e si lascia ricadere sulla schiena,
attirandomi a sé e trascinando il mio volto vicino al suo. «Prima mi scoperai
tu», mormora sulle mie labbra, «poi ti scoperò io non appena sarai pronta e
calda.»
Sorrido contro la sua bocca. «Io scopo una volta sola, ragazzone, e poi
mi addormento.»
Jim mi risponde incurvando lentamente le labbra in un’espressione sexy.
Salgo a cavalcioni su di lui e il nostro bacio si fa disperato. Il suo grosso
membro è ritto contro la mia pancia. Lui lo tiene sollevato per guidare i
miei fianchi su di sé.
Oh, brucia… è grosso.
«Ahi», mi lamento.
«Va tutto bene», sussurra lui. «Ondeggia da una parte all’altra.»
Mi stringe i seni tra le mani e mi fissa con quella che pare ammirazione.
Gli sorrido. «Che c’è?»
«Non appena oggi ti ho vista sull’aereo, ho desiderato che mi
cavalcassi.»
Faccio una risatina. «Ottieni sempre quello che vuoi?»
«Sempre.» Mi afferra i fianchi per tirarmi giù di colpo, e rimaniamo
entrambi a bocca aperta per il piacere.
Oh… è…
«Sei fottutamente stretta», sibila a denti stretti.
Senza mai distogliere lo sguardo dal mio, mi muove lentamente in su e
in giù, e io riesco a sentire ogni vena sulla sua grossa asta.
Mi guarda attraverso le palpebre socchiuse, e io mi chino in avanti per
baciarlo. «Lo sai quanto sei perfetto dentro di me?» sussurro, e poi lecco le
sue labbra aperte.
Rovescia gli occhi all’indietro. «Quanto sei sexy.» Mi afferra per le
anche e mi spinge di nuovo sul suo cazzo. Scoppio a ridere alla sensazione
travolgente di essere riempita fino all’orlo.
«Dio, riempimi», gemo. «Dammelo tutto», lo supplico. Adoro vederlo
scatenato. Mi fa impazzire. E poi, come se fossimo in un universo
alternativo, gli poso le labbra sul collo e succhio forte mentre lo cavalco.
Lui sibila e sembra perdere del tutto il suo autocontrollo. Mi disarciona,
tirandosi fuori da me, e mi fa sdraiare sotto di lui, sulla schiena. Si solleva
le mie gambe sulle spalle e affonda dentro al mio corpo, con tanta forza da
lasciarmi senza fiato.
Sorrido. Quindi gli piace quando dico cose sconce, eh? Beh, guarda
caso è proprio la mia specialità.
Fatti sotto.
Gli prendo il viso tra le mani. «Dio, hai un cazzo bellissimo», sussurro.
«È tutto bagnato per me, piccolo?» bisbiglio, contraendomi attorno a lui.
«Riesco a sentirlo pulsare.»
Jim mi rivolge un sorrisetto sexy, continuando a spingersi dentro di me.
«Tra un minuto mi tirerò via il profilattico e verrò in quella tua boccaccia
sporca.»
«Fai pure.» Rido mentre lui continua a spingere con vigore, e, in un
momento di perfetta chiarezza, si gira e mi bacia con dolcezza l’interno
della caviglia. Ci fissiamo a vicenda e tra di noi scorre qualcosa di intimo.
Un legame che questa situazione non dovrebbe consentire.
«Non guardarmi così», mormoro per spezzare la serietà del momento,
«o ti farò un altro succhiotto.»
Jim spalanca gli occhi. «Sarà meglio che io non abbia nessun segno
addosso, Emily.»
Scoppio a ridere, guardando l’enorme livido violaceo che gli si sta
formando sul collo.
Dio, ma cosa mi succede?
Sto leggendo troppi romanzi rosa con i vampiri.
«Finirai nei guai con tua madre?» lo provoco.
Lui ride e si muove dentro di me. Mi colpisce proprio nel punto giusto,
facendomi gemere. Oh… quest’uomo conosce davvero il corpo di una
donna…
Ogni suo tocco è perfetto e va dove deve. Jim sa esattamente come
ridurmi in mille pezzi. Con una mano mi solleva i fianchi e si muove in un
profondo movimento circolare. Il mio corpo assume una propria volontà
perché mi rendo conto che ho bisogno di venire. Tanto.
«Scopami», lo supplico. «Dammi il tuo bellissimo cazzo. Più forte. Dio,
lo voglio più forte.»
Chiude gli occhi per il piacere e affonda dentro di me con il ritmo di un
pistone. Mi stringo a lui più forte che posso e sussulto con violenza. Poi Jim
si ferma e grida contro il mio collo. Sento il suo sesso sobbalzare quando
viene.
Ci stringiamo l’uno all’altra ansimando, madidi di sudore, i nostri cuori
che battono insieme all’impazzata, e Jim sorride contro la mia guancia
come se gli fosse tornato in mente qualcosa.
«Che c’è?»
«Benvenuta nel Miles High Club, Emily.»
Io ridacchio e lo bacio. «Si viaggia solo in prima classe.»
Sono sdraiata nuda a letto, e Jim mi rivolge un sorriso sexy. È vestito, la sua
valigia è pronta e poggiata a terra vicino alla porta. «Devo andare.»
Faccio una smorfia e tendo le braccia verso di lui. «No, non lasciarmi»,
lo stuzzico con tono lamentoso.
Lui ridacchia, chinandosi per abbracciarmi un’ultima volta. Questa
mattina non prenderemo lo stesso volo per New York: il suo aereo parte
presto, e il mio più tardi. Mi bacia dolcemente.
«Che notte», sussurra.
Sorrido mentre Jim affonda la testa nell’incavo del mio collo,
mordicchiandomi lungo la clavicola. «Non camminerò per un mese, anzi,
un anno», borbotto sardonica.
Lui si abbassa e mi stringe forte un capezzolo tra i denti, facendomi
sobbalzare. Poi si raddrizza per guardarmi negli occhi.
Appoggio una mano sul suo viso. «Ho passato una serata incredibile.»
Mi sorride con tenerezza. «Anche io.»
Mi sporgo verso di lui per toccare il grosso succhiotto che ha sul collo, e
Jim fa lo stesso. «Che cavolo ti è venuto in mente?»
«Non ho idea di cosa mi sia preso.» Mi sfugge una risatina. «Il tuo
cazzo era troppo piacevole, mi ha trasformata in un animale.»
Mi mordicchia di nuovo. «Come faccio a salire in aereo con un
gigantesco succhiotto sul collo?» brontola. «Se sapessi quante riunioni
importanti ho questa settimana…»
Ridiamo entrambi, e poi il suo volto si fa serio mentre mi osserva. Non
sto scherzando, non voglio che mi lasci. Quest’uomo è tutto ciò che non
stavo cercando, ma chissà perché è perfetto per me.
E se non lo vedessi mai più?
Come posso dimenticare una notte come questa, cancellarla dalla mia
memoria e fingere che non sia mai avvenuta? Chiudo gli occhi, disgustata
da me stessa. È per questo che non ho rapporti occasionali. Non sono
tagliata per il sesso senza legami… non è da me. Non sarò mai quel tipo di
persona.
Detesto che lui lo sia.
«In effetti, ho una sciarpa in valigia. La vuoi?» gli offro.
«Sì», mi risponde con tono secco.
Mi alzo dal letto per raggiungere il mio bagaglio e inizio a rovistare al
suo interno. Jim ne approfitta per piazzarsi dietro di me, afferrarmi i fianchi
nudi e attirarmi contro il suo bacino. Mi raddrizzo e mi giro verso di lui.
«Non sto scherzando, vorrei che rimanessi un’altra notte.»
Jim mi passa un dito lungo il volto e mi appoggia una mano sulla
guancia, incontrando il mio sguardo.
«Non posso», bisbiglia guardandomi in viso. Nei suoi occhi c’è
qualcosa che non vuole dire.
C’è qualcuno che lo aspetta a casa? È per questo che non mi ha chiesto
il numero di telefono? L’inquietudine mi assale. Non sono proprio fatta per
questi stupidi incontri da una notte e via.
Gli do le spalle, tiro fuori la sciarpa e gliela porgo. È in cashmere color
crema, e sopra ha le mie iniziali: E.F. Il gruppo di tennis di mia madre me
l’ha regalata quando ho finito l’università. Mi piace… ma fa lo stesso.
Lui si acciglia, abbassando lo sguardo sulle lettere ricamate, e io la
riprendo per avvolgergliela attorno al collo e coprire il grande livido viola.
Lo osservo con un sorrisetto. Non sapevo nemmeno come si facessero i
succhiotti. Dovevo essere davvero concentrata.
«Per cosa sta la F?» mi chiede.
«Sta per Fuck Bunny, la coniglietta del sesso.» Sorrido per nascondere
la mia delusione. Non voglio fargli capire quanto il suo ultimo commento
mi abbia turbata.
Lui ridacchia e mi afferra bruscamente tra le braccia, spingendomi
all’indietro verso il letto. «Che descrizione appropriata.» Mi solleva una
gamba per avvolgersela attorno alla vita, e ci scambiamo un ultimo lento
bacio.
«Ciao, mia bellissima Fuck Bunny», bisbiglia.
Gli passo le dita tra i capelli, guardando il suo magnifico viso. «Ciao,
Occhi Blu.»
Lui solleva la sciarpa e inala a fondo. «Ha il tuo profumo.»
«Mettitela ogni volta che ti masturberai», gli dico dolcemente.
«Immagina che sia io a fare tutto il lavoro.»
Gli brillano gli occhi per l’eccitazione. «Lo sai, per essere una che non
faceva sesso da diciotto mesi, sei una vera sporcacciona.»
Faccio una risatina. «Adesso tornerò al mio periodo di magra. Lì sono al
sicuro… e riesco a camminare senza bisogno di aiuto.»
Jim mi rivolge uno sguardo triste, e io ho l’impressione che voglia dirmi
qualcosa ma che se lo stia impedendo.
«Perderai il tuo aereo.» Fingo un sorriso.
Ci baciamo ancora una volta e io lo tengo stretto. Dio, è davvero
incredibile.
Si alza e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata al mio corpo nudo sul
letto, si gira ed esce.
Sorrido tristemente guardando la porta che ha appena varcato. «Sì,
certo, puoi avere il mio numero», sussurro nella stanza silenziosa. Ma non
lo voleva. E ormai se ne è andato.

Un anno dopo

Sospiro e mi appoggio una mano sul cuore, fermandomi sul marciapiede e


alzando lo sguardo sul grattacielo di vetro davanti a me. Il mio cellulare
squilla, e il nome Mamma illumina lo schermo.
«Ciao», rispondo con tono allegro. Ho una visione della mia bellissima
madre. Ha un impeccabile caschetto biondo e una carnagione perfetta, ed è
sempre vestita in maniera impeccabile. Se alla sua età sarò in forma la metà
di lei, avrò vinto nella vita. Sento già la sua mancanza.
«Oh, cara, ti ho chiamata solo per augurarti buona fortuna.»
«Grazie.» Tamburello con il piede al suolo, non riuscendo a restare
ferma. «Sono così nervosa che stamattina ho vomitato.»
«Tesoro, ti adoreranno.»
«Oh Dio.» Espiro pesantemente. «Lo spero. Mi sono serviti sei dannati
colloqui per ottenere questo lavoro, e ho dovuto trasferirmi dall’altra parte
del paese.» Faccio una smorfia per la paura. «Ho preso la decisione giusta,
mamma?»
«Sì, amore, questa è la carriera dei tuoi sogni, e oltretutto dovevi
allontanarti da Robbie. Stargli lontana ti farà bene.»
Roteo gli occhi. «Mamma, non coinvolgere Robbie.»
«Tesoro, frequenti un uomo che è disoccupato e vive nel garage dei suoi
genitori. Non capisco cosa tu veda in lui.»
«È solo in un momento di transizione», replico con un sospiro.
«Ma se qui non ha niente in ballo, perché non è venuto a New York con
te?»
«Non gli piace questa città, è troppo frenetica per lui.»
«Oh, Emily, senti come lo giustifichi? Se ti amasse, sosterrebbe il tuo
sogno, dato che non ne ha di suoi.»
Lascio andare un respiro pesante. Sono tutte cose che penso anche io,
ma non lo ammetterei mai con nessuno.
«Mi hai chiamata per stressarmi su Robbie o per augurarmi buona
fortuna?» sbotto.
«Per augurarti buona fortuna. In bocca al lupo, cara. Vai e fagli vedere
di che pasta sei fatta.»
Mi agito nervosamente sul posto, guardando l’edificio imponente
davanti a me. «Grazie.»
«Ti richiamo questa sera per un rapporto dettagliato.»
«Okay.» Sorrido. «Entro.»
«Coraggio, tigre.» Chiude la chiamata.
Fisso il palazzo e le eleganti lettere dorate sul grande portone
d’ingresso: Miles Media.
Sospiro e raddrizzo le spalle. «Certo. Puoi farcela.»
Questa è un’occasione imperdibile. La Miles Media è il più grande
impero mediatico negli Stati Uniti, e uno dei maggiori al mondo, con uno
staff di più di duemila persone solo nella sede di New York. La mia
passione per il giornalismo è iniziata in terza media, quando avevo assistito
a un incidente d’auto mentre tornavo a casa da scuola. Essendo tra i
testimoni, avevo dovuto rilasciare una dichiarazione alla polizia e, non
appena si era scoperto che l’auto era stata rubata, ero stata intervistata dal
giornale locale. Quel giorno, mi ero sentita come una rock star, e
quell’entusiasmo non è mai svanito. Ho studiato giornalismo all’università e
ho fatto diversi tirocini con le migliori aziende degli Stati Uniti. Ma era la
Miles Media il mio obiettivo. Le loro storie sono una spanna sopra a tutte le
altre, e non mi voglio accontentare di nessun’altra compagnia. Mi sono
candidata per ogni posizione che si sia aperta negli ultimi tre anni, ma solo
di recente sono stata richiamata. E anche così, ho dovuto fare sei colloqui
prima di ricevere un’offerta di lavoro.
Dio, ti prego, fa che non rovini tutto.
Tiro fuori il mio tesserino e lo appendo al collo, lanciando uno sguardo
al telefono. Nessuna chiamata persa. Robbie non mi ha nemmeno telefonato
per augurarmi buona fortuna.
Uffa, gli uomini.
Mi avvio verso la reception. L’addetto alla sicurezza dietro al bancone
accetta la mia identificazione e mi dà un codice per usare l’ascensore. Il mio
cuore prende a battere più in fretta mentre entro nella cabina insieme a tutta
quella gente splendida ed elegante e premo il pulsante per il quarantesimo
piano. Osservo il mio riflesso nelle porte lucide. Indosso una longuette nera
che mi arriva a metà polpaccio, calze scure e semitrasparenti con scarpe di
vernice dai tacchi alti e una camicetta di seta color crema con le maniche
lunghe. Volevo apparire professionale ed elegante. Non sono certa di esserci
riuscita, ma è quello che spero. Mi passo una mano tra i folti capelli scuri
raccolti in una coda mentre l’ascensore sale sempre più in alto. Guardo di
sottecchi le altre persone insieme a me. Tutti gli uomini indossano completi
costosi, e le donne sono ultra-professionali e molto truccate.
Accidenti, avrei dovuto mettere un rossetto più vivace. Ne comprerò
uno durante la pausa pranzo. Le porte si aprono sul quarantesimo piano, e io
marcio fuori come se non avessi nessun timore al mondo.
Fingermi sicura di me stessa è il mio superpotere, e oggi ho intenzione
di fingere finché non mi verrà naturale.
O almeno morirò nel tentativo.
«Salve.» Sorrido alla donna dall’aspetto gentile in piedi alla reception.
«Sono Emily Foster. Comincio oggi.»
Mi fa un ampio sorriso. «Salve, Emily, io sono Frances, una dei
responsabili di piano.» Mi si avvicina per stringermi la mano. «Piacere di
conoscerti.»
Beh, sembra simpatica.
«Vieni, ti mostro la tua scrivania.» Si avvia, e io lancio un’occhiata
all’enorme spazio. Le scrivanie sono riunite in gruppi di quattro o sei,
separate dalle altre con delle partizioni. «Come sai, a ogni piano di questo
edificio si trova un ramo diverso della compagnia», spiega mentre
cammina. «Dal piano venti in giù ci si occupa delle notizie internazionali e
ci sono le sedi delle riviste. Dal piano trenta al quaranta ci occupiamo delle
novità e dell’attualità, e sopra il quarantesimo ci sono la televisione e il via
cavo.»
Annuisco con fare nervoso.
«I due piani più alti del palazzo sono solo per i senior manager, e non
potrai accedervi con il tuo tesserino. È consuetudine che i nuovi assunti
vengano accompagnati in un tour guidato dell’edificio, quindi Lindsay delle
risorse umane verrà a prenderti alle due di questo pomeriggio.»
«Okay, fantastico.» Le sorrido, pur sentendo tutta la mia sicurezza
uscire dal mio corpo per rovesciarsi sulla moquette. Dio, lei è così
professionale.
«La maggior parte delle persone inizia al quarto piano e si fa strada su
per il palazzo, quindi congratulazioni per aver iniziato dal quarantesimo.
Questo di per sé è già incredibile.» Mi rivolge un sorriso radioso.
«Grazie», rispondo con tono nervoso.
Mi guida verso un gruppo di quattro scrivanie vicino a una finestra e tira
fuori una sedia. «Questo è il tuo tavolo.»
«Oh.» Mi sento sbiancare in viso. Ho fatto decisamente il passo più
lungo della gamba. Mi lascio cadere al mio posto e il panico inizia a
montarmi dentro.
«Ciao», mi saluta un uomo, accomodandosi accanto a me. «Io sono
Aaron.» Si tende per stringermi la mano con un ampio sorriso. «Tu devi
essere Emily.»
«Ciao, Aaron», bisbiglio, sentendomi del tutto inadeguata.
«Ti lascio nelle ottime mani del tuo collega», mi annuncia allegra
Frances.
«Grazie.»
«Passa una splendida giornata.» La donna torna alla reception.
Fisso il computer sulla mia scrivania con il cuore che batte
all’impazzata.
«Sei emozionata?» domanda Aaron.
«Oh mio Dio, sono terrorizzata», sussurro, voltandomi verso di lui.
«Non ho mai fatto questo lavoro prima. Di solito davo la caccia alle storie
insieme al mio gruppo.»
Lui mi rivolge un’espressione affabile. «Non preoccuparti, ci siamo
sentiti tutti così all’inizio, ma non ti avrebbero dato questo lavoro se non
avessero pensato che potessi farcela.»
Gli faccio un sorriso poco convinto. «È solo che non voglio deludere
nessuno.»
Aaron allunga una mano e la appoggia sulla mia. «Non succederà.
Questo team è fantastico, e ci aiutiamo sempre l’un l’altro.»
Abbasso lo sguardo sulla sua mano, che è ancora sopra alla mia.
«Oh.» Lui la tira indietro, notando il mio disagio. «Sono totalmente gay
e a quanto pare troppo affettuoso. Dimmelo se invado i tuoi spazi. Non ho
alcuna sfera di riferimento.»
Sorrido, grata per la sua sincerità. «Okay.» Mi guardo intorno
nell’ufficio man mano che entrano gli altri impiegati. «Da quanto lavori
qui?»
«Da quattro anni. Lo adoro.» Finge di rabbrividire per sottolineare il
concetto. «Il miglior lavoro che abbia mai avuto. Mi sono trasferito da San
Francisco pur di accettarlo.»
«Io sono venuta dalla California», annuncio con un sorriso orgoglioso.
«Sei qui da sola?» mi domanda.
«Sì.» Faccio spallucce. «Ho preso un piccolo monolocale. Sono arrivata
venerdì.»
«E che cosa hai fatto per tutto il weekend?»
«Sono stata in ansia per oggi.»
Aaron scoppia a ridere. «Non preoccuparti, ci siamo passati tutti.»
Guardo verso le due sedie vuote. «Con chi altro lavoriamo?»
«Molly.» Indica il posto dietro di me. «Non inizia prima delle nove e
mezza. È una mamma single e prima deve portare a scuola i figli.» Sorrido.
Mi piace.
«E Ava. Lei è in ritardo solo perché probabilmente è uscita a fare festa
ieri notte.»
Mi scappa un sorrisetto.
Il mio nuovo collega alza gli occhi al cielo. «È una festaiola senza
ritegno e non è mai alla sua scrivania; trova sempre qualche altro posto
dove andare.»
«Ciao», ci saluta una ragazza mentre corre lungo il corridoio per
raggiungere la sua sedia. Ansimando mi tende una mano. «Io sono Ava.»
Gliela stringo e sorrido. «Sono Emily.»
Ava è più giovane di me e molto attraente, con i capelli color miele
tagliati a caschetto e un trucco piuttosto pesante. È alla moda e molto
newyorkese.
«Emily, accendi il tuo computer così ti mostro i nostri programmi», dice
Aaron.
«Okay», rispondo, concentrandomi sul mio compito.
«Oh Dio, Aaron», esclama Ava. «Ieri notte ho incontrato un uomo
fichissimo.»
«Rieccoci», sospira lui. «Incontri uomini fichissimi tutte le notti.»
Mentre li ascolto mi ritrovo a ridere.
«No, davvero, questa volta dico sul serio.»
Lancio un’occhiata ad Aaron, che mi fa un sorrisetto, alzando gli occhi
al cielo, come se quelle fossero cose già sentite. La nuova arrivata si mette
al lavoro, e il mio collega mi spiega uno per uno i nostri programmi mentre
io prendo appunti.
«Alle dieci iniziano ad arrivare le storie.» Lo ascolto con attenzione.
«Noi, come reporter, le controlliamo e decidiamo tutti insieme se sono
interessanti e se possiamo dedicargli un articolo.»
Aggrotto la fronte. «Ma come farò a capirlo?»
«Il più delle volte scegliamo le cose che ci interessano», commenta Ava.
«Ovviamente le notizie dell’ultima ora sono cruciali, ma sono le altre
informazioni quelle per cui ci pagano.» Legge una e-mail. «Per esempio, in
una settimana hanno chiuso tre caffè a due isolati l’uno dall’altro.» Rotea
gli occhi. «Sinceramente, chi se ne frega? Questa non è una notizia.»
Ridacchio.
«Eccone una.» Aaron legge ad alta voce: «Hanno beccato un
automobilista che faceva i duecentocinquanta all’ora, e, quando la polizia
gli ha ordinato di fermarsi, è scappato. È stato coinvolto in un inseguimento
e ha finito per schiantarsi contro alcune auto parcheggiate a Brooklyn».
Ava annuisce. «Sì, questa è buona.»
«Andremo con questa.» Aaron batte qualcosa sulla tastiera e sposta il
file in una cartella condivisa.
«Quindi, come funziona?» domando.
«Raccogliamo le storie, poi ne discutiamo tutti insieme e stiliamo una
lista. Bisogna sbrigare tutte le ricerche del caso e fare in modo che ogni
pomeriggio alle quattro gli articoli siano pronti per i giornali del giorno
seguente. Poi mandiamo tutto a Hayden, che invia gli articoli agli editor.
Ovviamente, se dovesse arrivare una grossa storia, avrebbe la priorità su
tutto il resto e finirebbe subito alle notizie in diretta.»
Lo ascolto con la fronte aggrottata. «Quindi ognuno di noi riceve storie
e indizi?»
«Sì, per e-mail, da altri impiegati su questo piano.»
Getto uno sguardo per osservare i colleghi attorno a noi.
«Seguiamo con attenzione i trend e le vere news», aggiunge Ava. «È il
lavoro migliore del mondo.»
Sorrido. Forse posso davvero farcela.
«Apri le tue e-mail.» Aaron si allunga nella mia direzione e avvia
qualcosa per me sul mio computer, e io rimango a guardare mentre il
programma continua a emettere dei bip.
«Questi sono tutti possibili articoli?» Mi acciglio.
«Già.» Lui mi fa un occhiolino divertito. «Inizia a leggere, piccola.
Arrivano a fiotti.»
Mi illumino, colta dall’entusiasmo.
«Accertati solo che i dettagli delle tue storie siano corretti. Non c’è
niente che faccia incazzare di più la direzione dei nomi sbagliati. Finiresti in
grossi guai.»
«Chiaro.»

Sono appena tornata dal pranzo quando il mio telefono squilla. «Ciao,
Emily, sono Lindsay delle risorse umane. Tra cinque minuti sarò lì per
venire a prenderti», mi dice una voce gentile dall’altro capo della linea.
Sussulto. Oh, è vero… ho quel dannato tour dell’edificio.
«Okay, grazie.» Riattacco. «Oh no, devo andare a fare il mio giro degli
uffici», bisbiglio ai miei colleghi.
«Nessun problema», replica Aaron, continuando a leggere le sue e-mail.
«Ho così tante storie da controllare…» balbetto. «Non riesco a stargli
dietro.»
«Non preoccuparti. Va tutto bene», mi consola lui.
«E se perdo una storia molto importante?»
«Non succederà… stai tranquilla. Darò un’occhiata io alle tue e-mail
mentre sei via.»
«Davvero?»
«Certo che sì. Non è previsto che tu sappia fare tutto il primo giorno.»
«Oh, no, ti tocca salire ai piani alti.» Ava fa una smorfia.
«Cosa c’è lassù?» le chiedo.
«Gli uffici dei senior manager.»
«E non sono gentili?»
«No, cazzo, sono orribili, e ci sono buone possibilità che tu venga
licenziata sul posto.»
«Cosa?»
«Oh, stronzate.» Aaron alza gli occhi al soffitto. «È solo che non…»
Arriccia il naso, scegliendo bene le sue parole. «Non usano mezzi termini.
Se c’è bisogno di dire qualcosa, lo comunicano chiaramente. Non si fanno
prendere per il culo da nessuno.»
«Chi sono?» sussurro.
«Beh, il signor Miles non ci sarà. Non c’è mai. Credo che sia a Londra.»
«Il signor Miles?» domando, sentendo i nervi scossi.
«L’amministratore delegato.»
«Sì, so chi è. Credo che lo sappiano tutti. Ma non ho mai visto una sua
foto. La compagnia è sua e dei suoi fratelli, vero?»
«Sì, è la famiglia Miles a possedere tutto. Lui e i suoi tre fratelli.»
«E stanno tutti al piano di sopra?» bisbiglio, tirando rapidamente fuori il
rossetto vivace che ho comprato durante la pausa pranzo per passarmelo
sulle labbra. Ho bisogno di un po’ di coraggio.
«L’importante è che tu non dica niente di stupido ai piani alti», mi
consiglia Ava.
Sgrano gli occhi. «Per esempio cosa? Cosa considerano stupido?» Sto
iniziando davvero a farmi prendere dal panico.
«Basta che tu tenga la bocca chiusa, faccia il tour e non dica niente alle
risorse umane.»
«Perché no?»
«Perché sono in contatto diretto con i senior manager. Tutto questo giro
che stai per fare è solo un modo per valutare la tua personalità nelle due ore
che gli serviranno per mostrarti il palazzo.» «Oh mio Dio.» Espiro in modo
brusco.
«Ciao. Emily, vero? Io sono Lindsay.»
Mi giro per vedere una bella bionda, e mi alzo immediatamente,
porgendole una mano. «Salve.»
Lei sorride ai miei colleghi. «Iniziamo. Partiremo dal primo piano e
risaliremo fino in cima.»
Faccio un saluto nervoso ai miei nuovi amici del lavoro e la seguo fuori
dall’ufficio e dentro l’ascensore. Ci siamo.

Un’ora e mezza dopo

«E questa è la palestra, a uso esclusivo del nostro staff.»


Mi guardo intorno nell’ampia e lussuosa area al sessantesimo piano.
«Wow.»
«È aperta dalle sei del mattino fino alle sei e mezza di sera. Ovviamente
prima del lavoro è più affollata, ma puoi venire qui anche durante la pausa
pranzo. Molti mangiano più tardi o in anticipo, così quando vengono non è
troppo pieno.»
Questo posto è assurdo. Una mensa al secondo piano che occupa
l’intero livello, un cinema, una palestra, un ufficio postale, tutto un piano
per i nostri geni del computer. Ogni cosa è progettata con moltissima
attenzione.
«Okay, andiamo.» Lindsay mi sorride. «Ora andiamo ai piani della
dirigenza.»
Mi si stringe lo stomaco per il nervoso mentre torniamo verso
l’ascensore.
La mia compagna entra e getta uno sguardo ai pulsanti. «Oh, guarda, sei
fortunata.» Mi acciglio, perplessa. «Il signor Miles è qui.» Fingo un sorriso.
«Ti accompagno a incontrare lui per primo.»
Oh Dio.
Non parlare. Non dire niente di stupido, ricordo a me stessa.
Mi torco nervosamente le dita mentre saliamo fino all’ultimo piano. Le
porte si aprono, io esco dalla cabina e mi paralizzo.
Ma che diavolo…
Marmo candido a perdita d’occhio, finestre alte fino al soffitto e un
lussuoso arredamento tutto in pelle bianca.
«Salve, Sammia.» Lindsey sorride mentre io mi guardo intorno
meravigliata. Questo posto è pazzesco.
Una donna splendida alza lo sguardo dal suo computer alla reception e
ci rivolge un’espressione piena di calore. «Salve.»
«Lei è Emily. È nuova e ha iniziato oggi al quarantesimo piano.»
Sammia esce da dietro alla scrivania per venire a stringermi la mano. «È
un piacere conoscerti, Emily.»
«Il signor Miles può ricevere visite?» chiede Lindsey.
«Sì.» Ci sorride. «Vi annuncio subito.»
Sta per annunciare me… oh, santo cielo.
Lindsey si stringe nelle spalle come se anche lei fosse nervosa.
Sammia prende il telefono. «Signor Miles, ho alla reception un nuovo
membro dello staff che vorrebbe incontrarla.» Ascolta per un momento e
poi sorride. «Sì, signore.» Riappoggia la cornetta. «Potete entrare.»
«Per di qua.» Lindsey mi guida dall’altra parte di un’enorme sala
riunioni, e i miei tacchi risuonano sul marmo. Perché le sue scarpe non
fanno nessun rumore?
Okay, domani compro un paio di scarpe con la suola di gomma.
Raggiungiamo la fine del salone e ci dirigiamo lungo un altro corridoio,
mentre i miei tacchi continuano a fare un gran baccano. Stanno irritando
persino me. Sembro un cavallo. Avrei voglia di togliermi le scarpe e gettarle
nella spazzatura.
Fate silenzio. Io qui sto cercando di sembrare professionale.
Arriviamo di fronte a una enorme porta nera. Lindsey bussa mentre il
cuore mi esplode nel petto.
Solo… non dire niente di stupido.
«Avanti», ci invita una voce profonda.
La mia compagna apre la porta per entrare nell’ufficio.
Un paio di familiari occhi blu si solleva per incontrare i miei da dietro
una grande scrivania in mogano, e io rimango immobile.
Cosa?
«Emily Foster, vorrei presentarti il signor Miles», dice Lindsey.
Lo fisso, incapace di parlare perché non ho più aria nei polmoni.
Lui solleva le sopracciglia e si accomoda sulla sua sedia con un
sorrisetto.
«Ciao, Emily.»
Il suo sguardo si fissa nel mio, quelli sono gli stessi grandi e splendidi
occhi blu che mi hanno ipnotizzata un anno fa.
È lui.
Capitolo 3

Emily

O D .
Si alza e fa il giro della sua scrivania, porgendomi la mano per stringere
la mia. «Jameson Miles.»
È lui, l’uomo dello scalo che non ha mai chiesto il mio numero di
telefono. Lo fisso con il cervello completamente inceppato.
Non riesco a crederci. È l’amministratore delegato?
«Emily, racconta qualcosa di te al signor Miles», suggerisce Lindsey,
come incoraggiandomi a parlare.
«Oh.» Mi riscuoto e gli stringo la mano. «Sono Emily Foster.»
Le sue dita sono calde e forti, e ripenso subito a come fosse sentirle
sulla mia pelle. Libero la mano dalla sua presa come se mi avesse dato la
scossa.
Mi guarda negli occhi con aria maliziosa, ma mantiene un’espressione
seria. «Benvenuta alla Miles Media», dice con calma.
«Grazie», gracchio. Lancio un’occhiata a Lindsey.
Oh Dio, lei lo sa che sono una gran maiala che dice porcherie e si è
scopata il boss del boss del nostro boss?
«Di qui in avanti me ne occupo io, Lindsey. Emily ti raggiungerà tra un
momento», dichiara.
Lei aggrotta la fronte e mi getta uno sguardo. «Io…»
«Aspetta fuori», aggiunge lui, congedandola.
Merda.
«Sì, signore», risponde la donna, affrettandosi verso la porta e
chiudendosela alle spalle.
Io sposto di nuovo gli occhi su di lui.
È alto, moro e indossa il completo blu più ben fatto nella storia dei
completi. Il suo sguardo si fissa nel mio. «Ciao, Emily.»
Mi torco le dita con fare nervoso. «Ciao.»
Non ha mai chiesto il tuo numero. Che se ne vada al diavolo.
Sollevo il capo, fingendomi coraggiosa. In ogni caso non avrei voluto
che mi chiamasse.
Un baluginio che non riesco a decifrare gli attraversa gli occhi, e lui
appoggia il fondoschiena contro la scrivania, incrociando le gambe di fronte
a sé. Abbasso gli occhi verso i suoi piedi. Ricordo quelle sue scarpe
pretenziose e costose.
«Hai lasciato succhiotti su qualche altro povero compagno di viaggio
ignaro?» mi chiede.
Oh, che cavolo, non se lo è dimenticato. Mi sento avvampare per
l’imbarazzo. Non riesco a credere di averlo fatto.
Merda, merda, merda.
«Sì, proprio la notte scorsa, in effetti.» Faccio una pausa drammatica.
«Sul mio volo per venire qui.»
Lui serra la mascella e solleva le sopracciglia, poco colpito.
«Quindi non sei Jim?» gli domando.
«Per alcune persone lo sono.»
«Intendi per le donne che rimorchi per una scopata e via.»
Il signor Miles incrocia le braccia di fronte a sé, sembra irritato. «Perché
fai così?»
«Non sto facendo niente», replico secca.
Lui solleva di nuovo le sopracciglia, e io avrei voglia di abbassargliele
fino al mento a suon di schiaffi. Mi guardo intorno nel suo ufficio
esageratamente lussuoso. È ridicolo, con una vista a trecentosessanta gradi
su New York. C’è una grande area relax con un bar ben fornito davanti al
quale sono allineati degli sgabelli di cuoio, e anche un tavolo per le
conferenze. Riesco a vedere un corridoio con un bagno privato, e accanto
qualche altra stanza.
Si passa le dita sul labbro inferiore mentre mi esamina, e io lo
percepisco fino alle dita dei piedi.
Dio, è magnifico.
Ho pensato spesso a lui nel corso dell’ultimo anno.
«Che cosa ci fai a New York?» chiede.
«Lavoro per la Miles Media.» Un pensiero mi attraversa la mente, e mi
acciglio ricordando una cosa che mi ha detto quella volta: “Benvenuta nel
Miles High Club…”
Buon Dio, pensavo che intendesse il club del sesso ad alta quota… e
invece parlava delle donne che finiscono a letto con lui.
Miles… lui è Miles… e c’è un club?
Dannazione, il sesso migliore della mia vita è stato solamente la mia
iniziazione a conquista di un sordido sciupafemmine.
Nell’ultimo anno, la notte che abbiamo trascorso insieme è stata per me
un evento speciale, a cui ho ripensato con affetto. Mi ha risvegliato dentro
qualcosa che non sapevo nemmeno esistesse, e ora scopro che sono stata
solo una tra le tante. Mi sento sprofondare il cuore per la delusione, e
stringo i denti per impedirmi di esplodere e cercare di ferirlo a mia volta.
Bastardo.
Devo andarmene di qui prima di farmi licenziare durante il mio primo
giorno.
«È stato bello rivederti.» Fingo un sorriso, con il cuore che mi batte
all’impazzata nel petto, poi mi giro ed esco dall’ufficio, chiudendomi la
porta alle spalle.
«Finito?» Lindsey mi sorride.
«Sì.»
Attraversiamo la reception ed entriamo nell’ascensore per iniziare la
discesa fino al mio piano. «Non essere scossa», mi dice piano.
Aggrotto le sopracciglia, perplessa.
«È un uomo molto irritante e non è bravo con le persone, ma ha una
mente incredibile.»
Come il suo uccello.
«Oh, okay», rispondo, guardando a terra. «Buono a sapersi.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«No», mento. «Abbiamo scambiato solo due chiacchiere di cortesia.»
Mi sorride. «Dovresti ritenerti molto fortunata. Jameson Miles non fa
chiacchiere di cortesia con nessuno.»
«Oh.» Mi acciglio. Le porte si aprono e io schizzo fuori per sfuggire a
quella conversazione. «Grazie mille per avermi fatto fare un giro.»
«Prego, e, se dovessi avere dei problemi relativi alle risorse umane, ti
prego di chiamarmi immediatamente.»
«Lo farò.» Le stringo la mano. Appartenere al club delle conquiste
sessuali dell’amministratore delegato si può ritenere un problema di
competenza delle risorse umane? «Grazie davvero.» Mi avvio verso la mia
scrivania, dove prendo discretamente il telefono dal cassetto. «Torno tra un
momento.»
Vado in bagno, apro di colpo la porta di una cabina e la richiudo a
chiave. Poi, nella privacy della toilette, cerco su Google: Jameson Miles.
Chiudo gli occhi, aspettando che si carichino le informazioni. Il cuore
mi batte furiosamente nel petto.
Ti prego, non essere sposato… ti prego, non essere sposato.
Ho continuato a flagellarmi su questa possibilità per tutto l’ultimo anno,
e ho anche pensato che potesse essere il motivo per cui non ha nemmeno
finto di volere il mio numero. Ho creduto che tra di noi ci fosse qualcosa,
ma c’era stato anche qualcosa di non detto. E, chissà perché, in seguito,
avevo avuto la sensazione che fosse sposato… o impegnato in una
relazione.
E questo mi renderebbe una gran puttana. Non sono mai stata con una
persona impegnata in una relazione stabile con qualcun altro, e le donne che
lo fanno consapevolmente mi danno la nausea.
Se avessi saputo quanto l’idea mi avrebbe tormentata, quella notte non
mi sarei nemmeno avvicinata a lui.

Jameson Grant Miles è un uomo d’affari e investitore americano. A


trentasette anni, Miles è il figlio maggiore del magnate dei media George
Miles Jr. e il nipote di George Miles Sr.
Nel 2012, ha ereditato il controllo dell’impero di famiglia, la Miles
Media Holdings Ltd., insieme a investimenti nella televisione, nel cinema e
in diverse altre compagnie. È l’ex presidente esecutivo della Publishing and
Consolidated Media Holdings, che ha soprattutto interessi nei media su una
varietà di piattaforme, ed è anche ex presidente esecutivo di Netflix.
Nel maggio del 2018, si ritiene che il suo patrimonio netto ammontasse
a cinque miliardi e mezzo, posizionandolo tra i cento americani più ricchi
del paese, insieme ai suoi tre fratelli.
Oh, cavolo. Continuo a leggere.

Vita privata
Estremamente riservato, è noto per il suo interesse per le belle donne.
Ha frequentato Claudia Mason dal 2011 al 2015, e da allora non si sa di
nessun’altra relazione personale.

Mi appoggio una mano sul petto e sospiro per il sollievo. Grazie a Dio.
Clicco sul link di Claudia Mason. Chi è? Appaiono immagini a raffica, e io
sento la mia sicurezza svanire nello scarico.

Claudia Mason è una donna d’affari inglese e un’icona della moda. Ha


trentaquattro anni.
Mason è una giornalista inglese. È la caporedattrice dell’edizione
britannica di Vogue, ed è anche la più giovane direttrice responsabile nella
storia della rivista. Ha preso le redini di Vogue nel 2014. Mason è una
delle voci più importanti del paese sulle tendenze della moda. In aggiunta
al suo lavoro con Vogue, Mason ha scritto alcune rubriche per la Miles
Media e ha pubblicato dieci libri.

Vita privata
Mason è la maggiore di cinque fratelli ed è figlia del politico francese
Marcel Angelo.
Dal 2011 al 2015 ha frequentato l’erede dell’impero mediatico della
Miles Media, Jameson Miles, con cui si è fidanzata, ma la relazione si è
interrotta, secondo le sue parole per via del carico di lavoro di entrambi e
degli impegni ai diversi angoli del globo. Attualmente frequenta Edward
Schneider, un avvocato che vive a Londra.

Fidanzata… erano fidanzati?


Espiro profondamente e chiudo la mia ricerca in preda al disgusto.
Figurati se non aveva frequentato una donna come lei.
Questo sì che è deprimente. La sua ex è la direttrice di British Vogue,
cazzo. Non posso competere con lei. A me sono serviti tre anni interi per
ottenere un cavolo di lavoro alla Miles Media. Mi lavo le mani e mi sistemo
i capelli, guardando il mio riflesso nello specchio. Tanto non ha nessuna
importanza.
Ho un ragazzo, e Jameson Miles non significa niente per me. Torno alla
mia scrivania con un fuoco che mi brucia dentro. Non lo vedrò mai più. Mi
lascio cadere sulla mia sedia.
«Come è andato il giro?» mi chiede Aaron.
«Ecco, bene», rispondo io serena, aprendo l’e-mail.
«Sei arrivata ai piani alti?»
«Sì.» Inizio a scorrere le cinquecento e-mail che sono arrivate nelle due
ore in cui mi sono allontanata.
Accidenti, ci sono un sacco di notizie da queste parti.
«Che mi dici degli uffici?» replica il mio collega. «Sono fenomenali,
vero? Tutto quel marmo bianco.»
Stringo le labbra, cercando di comportarmi in maniera disinvolta.
«Già…»
«Io non ho potuto vedere gli uffici della dirigenza quando ho iniziato»,
dice Molly. «Lui quel giorno non accettava visitatori.» Le lancio
un’occhiata.
«Io sono entrato nel suo ufficio, ma lui non c’era», salta su Aaron.
«Chi? Intendete Jameson Miles?» Mi fingo disinteressata alla
conversazione.
«Già, tu sei riuscita a vederlo?»
«Sì.» Apro un’e-mail. «L’ho incontrato.»
L’ho anche scopato alla grande.
«È stato un porco maleducato?» Molly si acciglia. «Hanno tutti una gran
paura di lui.»
«No, mi è sembrato un tipo a posto. Sono stata nel suo ufficio, e mi è
parso normale.»
«Sei stata nel suo ufficio mentre lui era lì?» Aaron corruga le
sopracciglia.
«Sì.» Continuo a scrivere al computer.
Vi prego, basta parlare di quell’uomo.
«Voi che cosa fate stasera?» ci domanda
Molly. «I miei figli sono con il padre, e
una pizza con una birra mi farebbero
bene. Al diavolo la dieta e la palestra.»
«Sì, ci sto», risponde Aaron.
«Dite davvero?» Mi illumino. Non riesco a credere che mi stiano
invitando a uscire con loro durante il mio primo giorno.
«Sì, perché no? Hai altro da fare?» domanda lei.
«Beh, dato che voi due siete le uniche persone che conosco a New York,
cos’altro potrei avere da fare?» Faccio allegramente spallucce.
«Allora che pizza e birra sia», dichiara la collega, continuando a battere
sulla tastiera.
Comincio a scorrere da capo l’intero elenco delle mie e-mail, finché ne
vedo una che attira la mia attenzione, visto che il mittente è Jameson Miles.
Cosa?
Mi guardo intorno con aria colpevole e clicco per aprirla. Deve essere
un messaggio di benvenuto che invia a tutti.

Emily, è richiesta la tua presenza nel mio ufficio domani alle 8:00 per una
riunione privata.
Supera la sicurezza e di’ loro che stai venendo a incontrarmi. Ti
faranno salire fino al mio piano.

Jameson Miles.
Amministratore delegato Miles Media
New York

«Ma che cavolo?» bisbiglio.


«Che c’è?» domanda Molly.
«Niente», balbetto, riducendo la schermata.
Merda. Che cosa vuole? Fai la finta tonta.
Spett.le signor Miles, vuole che
porti il mio team?

Emily

Tamburello la penna sulla scrivania e mi guardo intorno nervosamente,


aspettando la sua risposta.

Emily,
No.
Non voglio vedere il tuo team, né che parli con altri della riunione in
programma.
Questo particolare incontro è di natura privata.

Jameson Miles
Amministratore delegato Miles Media
New York
Sgrano gli occhi. Oh, mio Dio… di natura privata? Che diavolo significa?
Mi stringo la base del naso. Anche io ho bisogno di pizza e birra.
Arrivate in fretta, cinque del pomeriggio.

Il bar è rumoroso ed è un formicaio brulicante di attività, e io fatico a


trattenere un enorme sorriso guardando tutta quella gente appena uscita dal
lavoro. Sono seduta a un lungo tavolo insieme a Molly e Aaron in un bar, e
mi sento estremamente newyorkese.
È lunedì sera, e io sono in giro con quelle che mi paiono un milione di
persone fichissime.
«Sto solo dicendo», afferma Molly masticando la sua pizza, «che se non
vi siete visti per tutto il weekend e che a lui non ha dato fastidio, è un
problema.»
«Forse era solo impegnato», la schernisce Aaron.
«Forse è solo uno sfigato», sbuffa lei.
Stanno parlando del nuovo ragazzo di Aaron, e, chissà perché, mi trovo
tanto a mio agio con loro che decido di consolarlo, facendogli capire quanto
la mia situazione sia peggiore della sua.
«Beh, sentite questa.» Finisco di masticare il mio boccone. «Volete
sapere chi è davvero uno sfigato? Sto uscendo con un tizio per cui ho una
cotta da quando avevo tredici anni. È un campione della squadra di football
che si è interessato a me solo dopo aver subìto un infortunio. Abbiamo
passato qualche splendido mese insieme, e poi gli è venuta una qualche crisi
esistenziale.» Sorseggio la mia birra. «Non sa cosa vuole fare al di fuori del
football. È disoccupato e senza prospettive. Vive nel garage dei suoi
genitori e di recente ha rinunciato all’auto.» Scuoto la testa, disgustata, e
tiro fuori il cellulare dalla borsa. «Non è voluto venire qui con me perché
non gli piacciono le città affollate. Questa mattina non mi ha chiamata per
augurarmi buona fortuna, e ora sono le», guardo l’orologio, «nove di sera e
ancora non si è disturbato a telefonarmi per sapere come sia andato il mio
primo giorno.»
Entrambi emettono un verso schifato. «Che cazzo ci fai con lui?» dice
con una smorfia Aaron.
Bevo la mia birra, scrollando le spalle e alzando gli occhi al cielo. «E
chi lo sa?»
Tutti e due ridacchiano.
«Beh, io voglio solo un po’ di buon sesso», sospira Molly. «Ogni volta
che vedo qualcuno che mi piace, sono insieme ai ragazzi, quindi non posso
farci niente.»
Mi acciglio. «Non presenteresti qualcuno ai tuoi figli?»
«No. Mio Dio, stanno rendendo la vita del padre un inferno, ora che ha
una nuova ragazza.»
Aaron scoppia a ridere, come se gli fosse venuto in mente qualcosa.
«Che c’è?» domando.
Molly sogghigna. «I miei figli sono terribili, non puoi capire.»
Faccio una risatina. «Quanti anni hanno?»
«Mischa ne ha tredici e Brad ne ha quindici», risponde. «Tra tutti e due
hanno deciso di tormentare me e il loro padre, a meno che non decidiamo di
tornare insieme.»
«E in che modo?» Ridacchio.
«Brad è stato sospeso da scuola due volte in un anno, e ora anche
Mischa sta superando il limite. Qualche weekend fa, hanno invitato un
amico a casa del padre mentre lui e la sua ragazza erano fuori a cena.» La
ascolto con le sopracciglia aggrottate. «Si sono ubriacati con i liquori del
suo bar e hanno tagliato il cavallo di tutte le mutandine della sua ragazza.»
Aaron ride e io sgrano gli occhi inorridita. «E», Molly prende un sorso del
suo drink, «quando il padre ha chiesto loro cosa fosse successo, gli hanno
risposto che le mutandine erano marcite perché la sua vagina era
contaminata.»
Scoppio in una risata. «No…»
Lei scuote la testa, disgustata. «Vorrei che fosse uno scherzo.»
Aaron getta la testa all’indietro e ride. «Quanto adoro i tuoi figli. È un
classico.»
«No, è un incubo», replica lei con tono secco.
«Perché avete divorziato?» le chiedo.
«Sai, in realtà non ne ho idea.» Ci riflette per un istante. «Ci siamo
semplicemente allontanati. Stavamo lavorando moltissimo tutti e due, tanto
che eravamo sempre troppo stanchi per il sesso. Avevamo due figli e un
mutuo…» Scrolla le spalle. «Non uscivamo più insieme né ci impegnavamo
nella nostra relazione. Non c’è stato un momento preciso in cui abbiamo
capito che era finita. È solo finita.» «È triste», sospiro.
«Lui ha incontrato un’altra al lavoro e me ne ha parlato. A quel punto,
non era ancora successo niente, e me lo ha detto perché voleva che ci
sforzassimo per tornare a come eravamo un tempo.» «E tu non lo hai
fatto?» le chiedo.
«No», risponde Molly mesta. «E neanche lui. Abbiamo solo preso strade
diverse. A quel tempo, era tutto troppo difficile.» Ci pensa per un po’.
«Adesso me ne pento. È un uomo fantastico. E, con il senno di poi, credo
che molti dei nostri problemi derivassero dal fatto che stessimo
semplicemente invecchiando. Bisogna lavorare in due sul desiderio
sessuale, ma non ce ne siamo resi conto fino a quando non è stato troppo
tardi.» Fa un sorriso tenero. «Ora siamo grandi amici.»
Mmh.
Rimaniamo in silenzio.
«Sei fortunata che i tuoi figli abbiano tagliato le mutande della
concorrenza», commenta allegramente Aaron.
Scoppiamo tutti in una fragorosa risata. «Vagina contaminata. Come se
le inventano certe cose?»

Tengo l’abito nero contro il mio corpo e fisso il mio riflesso nello specchio.
Mmh. Lo getto sul letto insieme alla gruccia. Afferro la gonna grigia e la
giacca e me le appoggio addosso.
Forse è meglio il nero?
Merda. Che diavolo si indossa quando si vuole apparire sexy senza
cercare di sembrarlo? Sono le undici di sera e sto decidendo cosa mettere
domani per il mio incontro con il signor Miles. E in ogni caso perché vuole
vedermi?
Credo che sceglierò il vestito nero. Lo stendo sulla sedia. Prendo le mie
décolleté di vernice nera e le metto a terra sotto l’abito. Quali orecchini?
Rifletto, storcendo le labbra. Le perle. Sì, le perle non gridano “scopami”
come invece fanno gli orecchini d’oro. Le perle sono pratici orecchini da
lavoro.
Giusto.
Domani mattina mi laverò i capelli e li metterò in piega. Guardo il mio
riflesso e sollevo la chioma in un’alta coda di cavallo. Sì… una coda alta. A
lui piacciono così.
Smettila.
Mi siedo ai piedi del letto e mi guardo intorno nel mio piccolo
appartamento. È un monolocale al trentesimo piano, minuscolo e
caratteristico. Ma è moderno e si trova in un bel palazzo. È diverso da
quello a cui sono abituata; questa vita newyorkese mi è così estranea…
abitare da sola, andare a bere nei locali anche di lunedì sera…
Prendo il telefono e scorro i miei messaggi. Questa sera tutte e tre le mie
migliori amiche mi hanno scritto per sapere come abbia passato il primo
giorno di lavoro. Lo stesso mia madre. Robbie invece no. Sono assalita
dalla tristezza. Che ci sta succedendo? Forse dovrei chiamarlo. Dopotutto,
sono io quella che se ne è andata. Compongo il numero e il suo cellulare
squilla. Alla fine mi risponde.
«Ehi.»
«Ciao.» Mi illumino. «Come stai?»
«Stavo dormendo», borbotta lui. «Che ore sono?»
L’entusiasmo mi abbandona mentre controllo l’orologio. «Scusa.»
«Già, fa lo stesso. Ti chiamo domani, piccola.»
Mi sprofonda il cuore. «Okay.» Mi interrompo. «Mi dispiace averti
svegliato.»
«Ciao.» Riattacca.
Faccio un profondo sospiro. «Il mio primo giorno di lavoro è andato alla
grande, grazie per avermelo chiesto», borbotto seccamente.
Con il cuore dolorante e lo stomaco teso per i nervi, mi infilo nel letto e
sorrido nell’oscurità ricordando la mia serata con Jim. Mi è capitato spesso
di ripensarci, da sola, nel cuore della notte. È stata indubbiamente
l’esperienza sessuale più incredibile della mia vita. Non che lo ammetterò
mai con qualcuno, ma io lo so.
Domani mattina lo vedrò. Sento lo stomaco stringersi per l’ansia. Chissà
cosa mi dirà?
Jameson

Sono seduto alla mia scrivania e sto sfogliando una cartella, il fascicolo di
Emily Foster. Sto leggendo i suoi dati: i voti scolastici, le referenze e,
infine, la sua lettera di candidatura.
Era questo il lavoro per cui doveva fare un colloquio dodici mesi fa?
Sento il ronzio dell’interfono della sicurezza. Premo il pulsante per
parlare con la guardia al piano terra, e poi faccio lo stesso con un tasto sul
telecomando mentre alzo lo sguardo sullo specchio appeso al muro. Subito
il vetro si trasforma in uno schermo. «Sì.»
«C’è qui Emily Foster per vederla, signore.»
La vedo e sorrido. Eccola lì. «Mandatela su.»
La guardo mentre viene accompagnata all’ascensore dalla guardia, che
la fa entrare nella cabina. Vado alla reception e, non appena le porte si
aprono, lei appare alla mia vista.
«Buongiorno», la accolgo con un sorrisetto.
«Salve», bisbiglia. Mi sembra nervosa.
Tendo una mano per indicare il mio ufficio. «Prego, vieni pure.»
Emily cammina davanti a me, e mi cade lo sguardo sul suo didietro.
Indossa un aderente vestito nero, calze color carne e décolleté dai tacchi
alti. I suoi capelli sono raccolti in una ballonzolante coda di cavallo…
pronta per essere trascinata nella mia… Smettila.
«Accomodati», dico, sedendomi dietro alla mia scrivania.
Lei prende posto e si stringe la borsa in grembo, guardandomi negli
occhi.
Giro sulla poltrona mentre la osservo. È bella come ricordavo, e una
potente carica sessuale si irradia in lei. Lunghi capelli scuri, occhi marroni e
una bocca scopabile. Ho pensato spesso a lei, mi è stato impossibile
dimenticarla. Nessuna mi ha mai cavalcato come ha fatto Emily, né prima
né dopo. Mai più.
Il succhiotto sul collo non è stato l’unico segno che ha lasciato su di me
quella notte.
«Volevi vedermi?» mi chiede piano.
Il suono della sua voce ha un tale effetto su di me da mandarmi un
brivido lungo la schiena. Ripenso alle cose che mi ha detto durante il sesso
e a quanto sia stato eccitante sentire quella voce dolce pronunciare parole
tanto sporche.
«Sì.» La fisso. «Lo volevo.» Prima di incontrare Emily, era da
tantissimo tempo che non andavo a letto con una donna che non fosse a
conoscenza della mia vera identità. Stranamente, non avevo avuto bisogno
di essere qualcuno quella notte.
Mi era bastato essere Jim.
«Per quale motivo?»
Mi appoggio contro lo schienale, seccato dal suo atteggiamento. La
maggior parte delle donne stravede per me. Lei non proprio.
«Che cosa ci fai a New York?» le chiedo, nel tentativo di fare
conversazione.
«Me lo hai chiesto ieri», sbotta lei. «Arriva al punto.»
«Te lo sto chiedendo di nuovo oggi. Basta con questo atteggiamento del
cazzo.»
Lei stringe gli occhi, come se fosse irritata.
Mi sporgo in avanti. «Che problema hai?» la schernisco.
«Tu. Sei tu il mio problema.»
«Io?» domando, offeso. «Che cosa ho fatto?»
«Devi parlarmi di qualcosa che riguarda il lavoro, oppure no, Jim?»
La guardo di traverso. «Sei molto scortese.»
«E tu sei molto ricco.»
«Quindi?»
Emily fa spallucce.
«Che cosa significa?» sbotto.
«Niente.» Raddrizza la schiena. «Se non devi parlarmi di lavoro, è
meglio che vada.»
La fisso, serrando la mascella. L’aria tra di noi si carica di elettricità.
«Posso vederti questa sera?»
Emily sostiene il mio sguardo. «No.»
«Perché no?»
«Perché sono una professionista e non ho intenzione di mischiare lavoro
e piacere.»
Stringo i denti per impedirmi di sogghignare. Il mio interesse per lei
cresce ogni secondo. «Che cosa ti rende così sicura che sarebbe un
piacere?»
«La storia tende a ripetersi», sussurra lei, abbassando gli occhi scuri
sulle mie labbra.
Ho una visione di Emily nuda e sopra di me sulla mia poltrona, e prendo
un brusco respiro mentre il mio cazzo inizia a palpitare. «La storia sarà
gentile con me, perché intendo scriverla», dico.
«Ora cita Winston Churchill, signor Miles?» sospira lei.
Faccio un sorrisetto, divertito dalla sua intelligenza. «Devi guardare i
fatti perché essi ti guardano.»
«Non sono mai preoccupato dall’azione, solo dall’inattività», replica
subito senza esitazione.
«Esatto, quindi, in quanto appassionata di Churchill come me, esigo che
questa sera tu mi accompagni fuori a cena.»
Lei sorride e si alza. «Non posso.»
«Perché no?»
«Devo lavarmi i capelli.»
«Perché vorresti lavarli quando invece potresti sporcarteli?»
Emily scrolla le spalle con indifferenza. «È solo che non mi interessi.
Non sei il mio tipo.»
La fisso mentre le sue parole si aggirano nella mia mente.
Ahi.
Stringo le labbra, sostenendo il suo sguardo. Questa è la prima volta che
vengo respinto senza mezzi termini. «Molto bene, peggio per te.»
«Forse.» Si gira per andarsene. «Ma è stato bello rivederti. Devi essere
molto orgoglioso dei tuoi risultati.»
Mi alzo e mi affretto ad aprire la porta. Lei mi guarda, e io abbandono il
braccio lungo il fianco per trattenermi dal toccarla. «Ciao, Emily.»
«Ciao.» Lei espira, mentre l’aria turbina tra di noi. «Grazie per avermi
dato un lavoro.» Mi sorride.
Faccio un cenno con il capo.
Non è l’unico che avrei per te.
Emily si volta ed esce, diretta verso l’ascensore, e io sbatto la porta,
tornando nel mio ufficio.
Non sono il suo tipo… da quando?
Punto il telecomando verso lo schermo della sicurezza e lo riaccendo.
«Mostrami il quarantesimo piano», chiedo al controllo vocale.
L’immagine lampeggia, e poi appare il piano in questione. Osservo
Emily che esce dall’ascensore. «Seguila.»
La telecamera la segue mentre lei si incammina lungo il corridoio e
infine si accomoda al suo posto alla scrivania.
«La telecamera sopra quell’area», ordino.
Lo schermo sfarfalla, e lei riappare. L’ufficio è vuoto, ed Emily tira
fuori il cellulare, iniziando a scorrere lo schermo. Incrocia le gambe, e io mi
sporgo in avanti non appena appare una delle sue cosce attraverso lo spacco
nella gonna. La ammiro e la mia eccitazione mi monta nell’inguine.
È così… sexy, cazzo.
Sta cercando qualcosa. «Ingrandisci», ordino.
La telecamera zooma, e io socchiudo gli occhi, cercando di leggere cosa
sta cercando su Google.
Jameson Miles.
Mi appoggio allo schienale e sorrido.
Bingo.
Capitolo 4

Emily

«C ?» A . «U
pompiere sexy salva un gattino da uno scarico.»
Scrollo le spalle. «Io sarei felice di occuparmene.»
Lui sogghigna. «Anche io.»
«Che cosa fate nel weekend?» ci chiede Molly, mentre lavora.
«Niente», risponde il nostro collega. «Spero di vedere Paul.»
«Niente neanche io», sospiro.
Molly alza lo sguardo. «Credevo che tornassi a casa per vedere il tuo
ragazzo.»
Faccio spallucce. «Beh, avrei dovuto, ma abbiamo parlato per un totale
di quattro minuti in dieci giorni, e lui non mi ha chiamata neanche una
volta.» Giro sulla sedia, pensando alla mia deprimente situazione.
«Dio, devi mollarlo e passare a Ricardo.»
Roteo gli occhi. Ricardo lavora su questo piano e negli ultimi giorni ha
ronzato attorno alla mia scrivania, facendo chiacchiere inutili.
«Gli piaci», borbotta Molly. «Si aggira attorno al tuo tavolo come un
moscone.»
«Che peccato.» Sogghigno guardandolo parlare con qualcuno alla sua
scrivania. «In effetti, è molto attraente.» Ricardo è italiano e incarna l’uomo
perfetto: alto, tenebroso e affascinante. Purtroppo, la sua personalità non è
altrettanto gradevole. Prende di continuo in giro qualcuno, oppure si
riferisce a sé stesso usando la terza persona.
«Bleah.» Aaron sgrana gli occhi per il disgusto. «Di che cosa parleresti
con lui?»
«Non gli parleresti, lo imbavaglieresti e te lo scoperesti fino a svenire»,
risponde Ava, lanciando un’occhiata all’individuo in questione.
«Scommetto che ce l’ha grosso come un cavallo», mormora.
Scoppiamo tutti a ridere. «Tu cosa fai questo weekend?» le chiedo.
«Darà la caccia a dei ragazzi ricchi», dice Aaron.
«Puoi scommetterci.»
La guardo. «Che cosa vorrebbe dire?»
«Frequento dei club in cui gli uomini hanno un mucchio di soldi.»
«Perché?» Mi acciglio.
«Non voglio finire con un perdente squattrinato.»
Rimango a bocca aperta per l’orrore. «Quindi… saresti disposta a
sposare un uomo solo per i soldi?»
«No.» Scrolla le spalle. «Forse.» Alza lo sguardo. «Oh, no, eccolo che
arriva», sussurra.
Ricardo si avvicina e si siede su un angolo della mia scrivania. La
responsabile di piano è tornata a casa per la giornata, quindi lui non si
preoccupa nemmeno di fingere di lavorare.
«Ehilà.» Mi rivolge un sorriso.
«Ciao», rispondo con tono secco.
Ti prego, vattene, sei imbarazzante.
«Ricardo voleva sapere come sta la sua collega preferita.»
Fisso lo stupido essere umano di fronte a me. «Perché parli di te in terza
persona?» gli domando.
Aaron ridacchia, fingendo di non ascoltare.
«Ricardo si chiede perché non vai mai a trovarlo alla sua scrivania.»
«A Emily piace sbrigare il suo lavoro», borbotto con tono deciso.
«Oh.» Ride, puntandomi un dito contro. «A Ricardo piace il tuo stile,
Emily.»
Riprendo a lavorare, e lui rimane seduto sul mio tavolo continuando a
blaterare, interrompendosi a malapena per riprendere fiato. Di tanto in
tanto, noi quattro ci scambiamo un’occhiata, colpiti da quanto sia stupido.
Con la coda dell’occhio, noto aprirsi le porte dell’ascensore, e poi mi
accorgo che gli impiegati stanno tornando in fretta alle proprie postazioni di
lavoro.
Eh?
Alzo lo sguardo per vedere Jameson Miles avanzare lungo il corridoio
tappezzato di moquette, diretto verso la mia scrivania. Sta digrignando i
denti e guarda Ricardo di traverso.
I nostri colleghi si sollevano dai propri cubicoli per controllare chi sia e,
quando lo vedono, si lasciano subito ricadere sulle sedie in preda al terrore.
Che diavolo ci fa qui?
Come al rallentatore, lo vedo fermarsi di fronte alla mia postazione.
Ricardo gli lancia un’occhiata e quasi si strozza con la sua stessa lingua,
alzandosi di scatto. «Signor Miles», balbetta. «Salve, signore.» «Che cosa
stai facendo?» ringhia lui.
«Stavo formando la nostra nuova dipendente», farfuglia. «Lei è Emily»,
dice, presentandomi.
Aaron incrocia il mio sguardo, in preda all’orrore.
«Sono ben consapevole di chi sia Emily Foster e di quanto spesso
frequenti la sua postazione. Questo è il tuo primo e ultimo avvertimento»,
gli intima a denti stretti. «Torna al lavoro e non farti più trovare qui.»
Ricardo sbianca. «Sì, signore», sussurra.
Il signor Miles lo fulmina con lo sguardo, serrando la mascella per la
rabbia. «Vai. Ora.»
Il mio collega praticamente corre verso la sua scrivania, e io fisso la
splendida creatura davanti a me. Completo grigio, camicia bianca, cravatta
dal motivo cachemire. È davvero la quintessenza del porno in giacca e
cravatta.
«Emily, devo vederti nel mio ufficio. Subito», sbotta prima di voltarsi e
tornare a grandi passi verso l’ascensore, senza disturbarsi ad aspettare la
mia risposta.
Mi alzo, deglutendo il groppo che ho in gola.
Aaron, Molly e Ava hanno gli occhi sgranati per la paura. “Ma che
cazzo?” mima Aaron con le labbra, stringendomi una mano per solidarietà.
Rilascio un respiro pesante, poi mi alzo e mi appresto a seguire la
divinità dell’ufficio dentro l’ascensore, sotto lo sguardo incredulo di tutti.
La cabina si chiude dietro di noi.
Jameson fissa torvo le porte, e io mi torco con nervosismo le dita mentre
saliamo verso i piani alti.
Oh, accidenti, ha intenzione di licenziarmi.
Quel maledetto stupido di Ricardo mi ha messa nei guai. È tutta colpa
sua. Non gli stavo nemmeno rispondendo… lo sapete.
Arrivati all’ultimo piano, le porte si aprono, e, ancora una volta, il mio
capo si incammina a grandi falcate. Esito. Si aspetta che gli corra dietro?
Non sono un cagnolino del cazzo. Chi diavolo si crede di essere questo
stronzo?
Rivolgo un sorriso falso alla sua assistente e lo seguo. Jameson tiene
aperte le porte dell’ufficio per me, e io lo supero. Poi le chiude e gira la
chiave.
«Che stai facendo?» esplode.
«È una domanda a trabocchetto?» Spalanco le braccia. «Sono nel tuo
ufficio, cosa ti sembra?»
«Voglio dire, perché diavolo stai flirtando con quell’idiota del piano di
sotto?» mi domanda con veemenza.
Rimango a bocca aperta per l’incredulità di fronte alla sua accusa. «Non
stavo flirtando con lui.»
«Stronzate. L’ho visto con i miei stessi occhi, cazzo.»
«Cosa?» sbotto. «Non dirmi che mi hai trascinata fin quassù per
rimproverarmi di aver parlato alla mia scrivania durante il lavoro.» «Non ti
sto pagando per farti rimorchiare», ringhia.
Appoggio le mani sui fianchi con la furia che mi scorre nelle vene.
«Stammi a sentire.» Sollevo un dito. «Per prima cosa, mi faccio rimorchiare
da chiunque io voglia.» Jameson socchiude gli occhi e appoggia le mani sui
fianchi, proprio come me, copiando la mia posizione. «Secondo», sollevo
un altro dito, «essendo il mio capo, non hai il diritto di fare commenti sulla
mia vita sentimentale.»
«Ah», sbuffa lui, roteando gli occhi con espressione disgustata.
«Terzo.» Alzo tre dita. «Sono nuova qui e non ho nessun amico, quindi
se Ricardo vuole essere gentile con me, io non ho intenzione di essere
scortese, non ti pare?»
«Non mentre lavori per me», replica Jameson a denti stretti.
«Mi hai davvero trascinata fin qui solo per dirmi questo?» Mi acciglio.
«No», ribatte. «Voglio sapere perché non vuoi uscire con me.»
Rimango sgomenta. «Fai sul serio?» sussurro.
«Da morire.»
L’atmosfera tra di noi cambia, e la rabbia lascia il passo a qualcos’altro.
«Perché non posso rischiare di perdere il mio lavoro se le cose tra di noi
non dovessero andare bene.»
Mi fissa per un momento. «Quel colloquio a cui stavi andando un anno
fa… era per questo posto?»
Esito per un istante. Ora sì che gli sembrerò una perdente. «Sì.»
«Da quanto tempo stai cercando di farti assumere qui?»
«Tre anni», sbuffo. «Quindi scusami se non voglio gettare via tutto
quanto per la storia di una notte.»
«Perché, pensi che ti licenzierei?»
«Non è quello che fanno gli amministratori delegati una volta che hanno
finito con le loro dipendenti? Non si sbarazzano di loro?»
Lui mi fissa con le sopracciglia aggrottate. «Non saprei… non sono mai
stato attratto da qualcuno con cui lavoro. E, oltretutto, credo che questo
posto sia abbastanza grande perché possiamo restare lontani l’uno dall’altra,
nel caso.»
«Sei ancora attratto da me?» bisbiglio.
«Lo sai che è così, ed è solo una cena», sbotta lui. «Nessuno lo
saprebbe, e di certo io non ti licenzierei il mattino dopo.»
«Quindi…» Sbatto le palpebre, cercando di capire che diavolo vuole.
«Sarei il tuo piccolo, sporco segreto?»
Lui avanza fino a quando i nostri volti si trovano a un paio di centimetri
di distanza, i nostri sguardi fissi l’uno dentro l’altro. Tra di noi crepita
dell’energia, e io mi sento montare dentro l’eccitazione.
«Avevi una ragazza quando abbiamo passato insieme quella notte?» gli
chiedo.
«Perché me lo domandi?»
«Non mi hai mai chiesto il numero.»
Lui mi fa un sorriso sexy, passandomi una ciocca di capelli dietro un
orecchio. «Ti chiedono tutti il numero, Emily?» La sua voce assume un
tono profondo e sensuale.
«Più o meno.»
«All’epoca, non ero alla ricerca di una relazione, e di certo non dico alle
donne che le chiamerò quando non ho intenzione di farlo.» Mi sfiora il
labbro inferiore con un dito mentre io lo fisso nei suoi grandi occhi blu.
«Questa sera», sussurra.
Il suo respiro mi solletica la pelle e io gli sorrido dolcemente. È
davvero…
«Ti vengo a prendere. Cena nel mio ristorante italiano preferito…» Si
interrompe, come se stesse immaginando qualcos’altro.
Oh, sembra fantastico.
Continuo a sorridere mentre lui si fa più vicino. Mi appoggia una mano
su una guancia e preme le labbra sulle mie con una delicatezza inaspettata.
Chiudo gli occhi e alzo un piede dal pavimento.
Robbie… che diavolo sto facendo?
Maledetto uomo. Come fa ad avere su di me un potere tale da
convincermi a fare qualsiasi cosa? Tipo, avere avventure da una notte, farmi
dimenticare che ho una relazione e che… devo respirare.
Oh, mio Dio. Ho un ragazzo. Merda.
«Mi dispiace se ti ho dato l’impressione sbagliata.» Faccio un passo
indietro. «Sto con qualcuno», gli dico di colpo.
Fa una smorfia inorridita. «Cosa?»
«Lo so.» Sussulto. «Io… io…» Scuoto la testa perché non ci sono
parole che possano tirarmi fuori da questa situazione. «Ho un ragazzo e non
posso uscire con te.»
«Mollalo», replica subito lui.
«Cosa?» gracchio.
«Mi hai sentito. Mollalo.» Si sporge verso di me.
Indietreggio per mettere dell’altro spazio tra di noi. «Sei pazzo?»
«Forse.»
«Non posso lasciare il mio ragazzo per una notte di sesso.»
«Sì che puoi.»
«Jameson.» Mi passo una mano tra i capelli. «Hai perso del tutto la
testa?»
«È possibile.» Mi porge un biglietto da visita. «Chiamami, e io verrò a
prenderti.»

Jameson Miles
Miles Media
212-639-8999

Fisso il biglietto che ho in mano, la mia mente in preda alla confusione.


Alzo gli occhi per incontrare i suoi. So cos’è questo per lui. Si tratta solo di
un’altra notte di sesso occasionale. Una notte che potrebbe rovinare ogni
mio progetto e mettere a rischio la mia carriera. Mi sono impegnata troppo
per riuscire ad arrivare a New York, solo per gettare via tutto per una serata
con un playboy. È così strano, non ho capito che era un dongiovanni quando
siamo stati insieme, ma più lo conosco e più comprendo di non aver mai
conosciuto il vero Jameson.
La parte peggiore è che so che Jameson Miles è il tipo di droga a cui
non devo assolutamente assuefarmi.
Il ricordo della nostra notte insieme è già abbastanza soverchiante per
me.
«Mi dispiace. Non posso e basta.» Mi volto per uscire dall’ufficio. Il
mio corpo sta gridando di tornare indietro, ma poi mi fermo non appena la
mia mente viene attraversata da un pensiero. Mi giro nella sua direzione.
«Come lo sapevi?»
Jameson solleva la testa mentre lo fisso negli occhi.
Torno verso di lui. «Come sapevi che Ricardo veniva alla mia
scrivania?» Mi guardo intorno nella stanza e vedo solo uno specchio sulla
parete. «Hai delle telecamere qui?» chiedo.
«Non ci pensare.»
«Oh, invece sì», ribadisco. «Credo di avere il diritto di saperlo, se
riguarda me.»
Lui prende un telecomando dalla sua scrivania e preme un pulsante.
«Mostrami il quarantesimo piano, per favore», ordina.
Lo specchio si tramuta in uno schermo. L’immagine cambia un paio di
volte, e infine appare il mio ufficio. Vedo Aaron e Molly e… la mia
scrivania.
Ma che cavolo…
«Mi stavi guardando?» Sussulto. «Perché?»
Sostiene il mio sguardo. «Perché mi eccita.» Mi afferra una mano e se la
appoggia sull’inguine. Riesco a sentire la sua erezione dura come una roccia
sotto i pantaloni del completo.
Alzo gli occhi su di lui, rimanendo di colpo senza fiato e, incapace di
fermarmi, avvolgo le dita attorno alla sua rigida lunghezza. Ci fissiamo a
vicenda, conquistati dal desiderio dei nostri corpi.
«Non posso», bisbiglio.
Jameson mi appoggia una mano su una guancia. «Ti voglio.»
«Non si ottiene sempre quello che si vuole», ansimo.
«Io lo ottengo sempre, invece.» Abbassa la bocca sulla mia spalla e, con
sfacciata lentezza, mi lecca dalla clavicola al collo, per poi sussurrarmi
all’orecchio: «Liberati di lui».
Ho i brividi lungo la schiena, e indietreggio, sopraffatta dall’effetto che
ha su di me.
Lui si afferra l’erezione nei pantaloni e si sistema, mentre ci guardiamo
l’un l’altra.
«Devo tornare al lavoro», mormoro.
Jameson mi lancia un’occhiataccia, la sua espressione è gelida, e io
devo lottare contro l’attrazione che provo per lui, il petto ancora ansante.
Sto usando ogni briciola del mio autocontrollo per non saltargli addosso qui
e ora.
È così duro sotto il completo… che spreco.
No.
Mi volto ed esco, prendo l’ascensore, e, prima di rendermene conto,
sono di nuovo al mio piano. Il cuore mi batte all’impazzata nel petto e sono
in preda allo shock più totale. Questa potrebbe essere la cosa più sexy che
mi sia mai capitata.
Mi lascio cadere al mio posto, visibilmente scossa.
«Oh mio Dio», sussurra Aaron.
Molly fa scivolare la sedia verso di me. «Porca miseria, cosa è
successo?»
«Non ne ho idea», mormoro, alzando gli occhi verso il soffitto. Dove
sono le telecamere?
Ripenso all’angolazione che ho visto sul suo schermo e, guardando in
quella direzione, la vedo. Una piccola cupola di vetro scuro. Le lancio
un’occhiataccia, perché so che lui mi sta osservando. Riesco a sentire i suoi
occhi sulla mia pelle. A che cosa pensa mentre mi guarda?
Un’indesiderata ondata di eccitazione mi attraversa quando lo immagino
lassù, duro e pronto mentre mi studia. Avrei voglia di togliermi i vestiti e
sdraiarmi sulla schiena con le gambe aperte per dargli davvero qualcosa da
guardare. Può sentire quello che stiamo dicendo? Quella cosa avrà l’audio?
«Cosa è successo?» sussurra Aaron.
«Ora non posso parlarne. Ci sono le telecamere», mormoro con la testa
china. «Ma dobbiamo andare a bere qualcosa di molto forte dopo il lavoro.»
«Gesù», bisbiglia Molly, girandosi verso il suo computer.
«Stupido Ricardo», sbuffa Ava. «Ci farà licenziare tutti. Perché non è
stato trascinato lui in quel dannato ufficio?»
«Non lo so.» Apro la mia e-mail e la fisso per un momento, cercando di
calmarmi.
Invece so esattamente il perché. Perché Jameson Miles non vuole
scoparsi Ricardo, vuole scoparsi me.
Mi mordo il labbro per evitare di lasciarmi sfuggire un sorriso
malizioso.
New York è così divertente…

Sono le cinque e mezza, siamo appena usciti dal lavoro e siamo fermi sul
marciapiede davanti al palazzo della Miles Media, mentre decidiamo dove
andare per cena. È una cosa stranissima. È come se insieme a questo lavoro
io avessi ricevuto tre amici e delle possibilità illimitate. Ogni sera è sabato
sera a New York.
Abbiamo età diverse, stili di vita diversi, ma, chissà perché, ce la
intendiamo a meraviglia. Ava ha un appuntamento e non viene con noi, ma
Aaron e Molly rimangono al mio fianco.
«Cosa avete voglia di mangiare?» chiede Molly, cercando sul cellulare.
«Qualcosa di unto e grasso. Paul non mi ha richiamato», sospira Aaron.
«Mi ha stufato.»
«Oh Dio, lo vuoi mollare?» sbuffa la nostra amica, roteando gli occhi.
«Sono sicura che si stia vedendo con qualcun altro, e oltretutto non è
abbastanza bello per te.»
Un uomo in completo nero apre il portone principale del palazzo, e noi
tre ci giriamo. Jameson Miles sta uscendo insieme a qualcun altro. I due
sono immersi in una fitta conversazione e non stanno prestando attenzione a
nient’altro.
«Chi è quello con lui?» sussurro.
«È uno dei suoi fratelli, Tristan Miles. È a capo delle acquisizioni
internazionali», sussurra Aaron, tenendo gli occhi incollati su di loro.
«Giuro su Dio, quegli uomini sono così fighi, cazzo, che non si possono
guardare.»
Sono circondati da un che di carismatico, il loro atteggiamento trasmette
la quintessenza del potere. Intorno a loro si fermano tutti a fissarli.
Abbigliati con costosi completi fatti su misura, belli da mozzare il fiato,
acculturati e ricchi. Deglutisco il groppo che ho in gola, osservandoli in
silenzio. Come al rallentatore, escono dal palazzo per salire nel retro di una
limousine nera in attesa. L’autista chiude lo sportello, e l’auto si allontana
sotto i nostri occhi.
Mi giro verso i miei nuovi amici. «Ho assoluto bisogno di parlare con
qualcuno.»
«Di cosa?» si acciglia Aaron.
«Voi due sapete tenere un segreto?» bisbiglio.
Si scambiano un’occhiata. «Sì, certo.»
«Andiamo al bar.» Sospiro, prendendoli a braccetto e iniziando a
trascinarli con me per attraversare la strada. «Non crederete a cosa ho da
dirvi.»

Molly arriva con i nostri drink su un vassoio e si lascia cadere al suo posto.
«Dai, dicci. Hai ricevuto un ammonimento scritto?»
Sorseggio il mio Margarita. «Mmh, è buono.» Corrugo le sopracciglia,
ispezionando il gelido liquido giallo.
Aaron beve il suo. «Oh, odio questo barista.» Fa una smorfia.
«Vuoi smetterla di lamentarti?» sbotta Molly. «È come stare insieme ai
miei figli, cazzo.»
«Questo drink è troppo forte», boccheggia lui. «Ho visto che tu non ne
hai preso uno.»
La collega riporta l’attenzione su di me. «Comunque sia, qual è questo
segreto?»
Li fisso. Dio, non so nemmeno se dovrei parlarne con qualcuno, ma ho
bisogno di confrontarmi con delle altre persone.
«Promettetemi che non direte niente a nessuno. Nemmeno ad Ava»,
dico.
«Sì.» Entrambi roteano gli occhi.
«Okay», continuo. «Vi ho raccontato che sto cercando di ottenere un
lavoro alla Miles Media da tre anni, no?»
«Certo.»
«Beh, poco più di un anno fa, sono andata a un matrimonio a Londra, e
poi sono venuta direttamente a New York per fare un colloquio qui.» Aaron
si acciglia, concentrato sulla mia storia. «All’aeroporto di Londra, uno
svitato in fila dietro di me ha avuto una specie di crisi e ha iniziato a
lanciare la mia valigia per tutto l’aeroporto.» Entrambi mi guardano,
confusi. «In ogni caso, una delle guardie della sicurezza mi ha fatta
avvicinare al bancone del check-in e ha chiesto all’impiegato di occuparsi
di me, così sono stata spostata in prima classe.»
«Che figo.» Aaron sorride, sollevando allegramente il suo bicchiere.
Mi preparo per la parte seguente della storia. «Mi sono seduta vicina a
un uomo, abbiamo iniziato a bere champagne e…» Scrollo le spalle. «Più
bevevamo e più diventavamo inappropriati, e abbiamo preso a parlare della
nostra vita sessuale.»
«Vi hanno cacciati dal volo?» chiede Aaron, con gli occhi sgranati.
«No.» Bevo un sorso del mio drink. «Ma avrebbero potuto
tranquillamente farlo.» Lui si appoggia le mani al petto per il sollievo. «Ma
poi a New York c’era una tempesta di neve, quindi abbiamo dovuto fare
scalo a Boston per una notte. Quell’uomo era… terribilmente sexy.»
Sorrido, ripensandoci. «Non era affatto il mio tipo, e io non ero il suo, ma,
per qualche motivo, abbiamo finito per fare sesso tutta la notte come
conigli. È stato il miglior sesso della mia vita.»
«Adoro questa storia.» Molly pare compiaciuta. «Hai fatto benissimo.»
«Non l’ho mai più rivisto.»
Si intristisce subito. «Non ti ha più chiamata?»
«Non mi ha mai chiesto il numero.» «Ahi.»
Aaron fa una smorfia.
«Lo so, quindi potete immaginare il mio orrore quando l’ho visto al
lavoro questa settimana.»
«Cosa?» Sussultano entrambi.
«Oh mio Dio, è quel dannato Ricardo, non è vero?» Aaron si acciglia,
bevendo una lunga sorsata del suo drink. «Non riesco a credere a questa
storia. Ti prego, non dirmi che lo hai scopato e che ti ha trasmesso una
malattia venerea. Non potrei sopportarlo.»
«Era Jameson Miles.»
A Molly schizzano quasi gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Mi prendi per il culo?» Aaron sobbalza. Il drink gli finisce su per il
naso per errore, e lui viene colto da un attacco di tosse.
Entrambi mi fissano con gli occhi sgranati.
«Quando sono andata nel suo ufficio, durante il tour del palazzo, è
voluto rimanere da solo con me.»
La mia nuova amica scuote la testa. «È tutto vero?»
Annuisco.
«Non ho parole», bisbiglia.
«Io sì. Oh, porca puttana.» Aaron la colpisce su un braccio per
l’eccitazione. «Che cos’è successo?»
«Mi ha invitata a cena.»
«Ma che cazzo!» esclama Molly.
«Shh», sussurro, guardando la gente attorno a noi. «Tieni bassa la
voce.»
«Dici sul serio?» bisbiglia lei.
«Ho detto di no.»
«Cosa?» Questa volta è Aaron a gridare.
«Tieni. Bassa. La. Voce», gli ordino. «Non posso uscire con lui. Ho un
ragazzo.»
«Il tuo ragazzo è un coglione. Lo hai detto tu stessa», farfuglia Molly.
«Lo so, ma io non sono fatta così. Non tradirei mai nessuno.»
Aaron scuote la testa. «Jameson Miles potrebbe farmi fare qualsiasi
cosa volesse.»
«Vero?» concorda Molly. «E cos’è successo oggi?»
«Mi ha portata nel suo ufficio e mi ha accusata di farmi rimorchiare
durante il mio orario di lavoro.» Rimangono entrambi a bocca aperta.
«E…» Mi interrompo. Probabilmente non dovrei dirgli che siamo osservati.
Questo lo terrò per me. Tiro fuori il suo biglietto da visita dal portafoglio e
lo faccio scivolare sul tavolo.
Molly lo prende e lo fissa. «Persino il suo nome è sexy.» Legge il
biglietto ad alta voce. «Jameson Miles. Miles Media. 212-639-8999.»
«Gli ho detto che non può avere tutto ciò che vuole, lui ha risposto: Io
lo ottengo sempre, invece, e poi mi ha leccato il collo», dico di colpo.
«Ti ha leccato il collo?» strilla Aaron. «Oh, Signore, abbi pietà.» Prende
il menù e inizia a sventolarsi il viso. «Ti prego, dimmi che stasera uscirai
con lui.»
«No.» Scrollo le spalle. «Non posso, e oltretutto è il modo più veloce
che conosco per farmi licenziare.»
«Nessun lavoro ne vale la pena», esclama lui. «Io non lo rifiuterei
nemmeno per diventare il presidente, cazzo.»
Ridacchiamo tutti, e poi il mio cellulare inizia a vibrare sul tavolo.
«Oh… porca puttana», sussurra Molly, fissando il telefono. «È lui.»
«Cosa?» balbetto, abbassando lo sguardo sul numero che sta
illuminando lo schermo.
Lei solleva il biglietto da visita che ha tra le mani, e li confrontiamo.
«Il numero che ti sta chiamando è il suo.» Sgrano gli occhi.
Cazzo.
Capitolo 5

Emily

«R , !» A .
«Che cosa faccio?» Gesticolo in preda al panico.
«Porca puttana. Rispondi», ordina Molly, prendendo il telefono.
«Non farlo», balbetto, cercando di toglierglielo dalle mani. Lei lo
solleva in aria e lo agita.
«Rispondi, donna», esclama.
Glielo strappo e lo guardo vibrare. «Non ho intenzione di rispondere.»
Aaron me lo ruba e preme il tasto verde. «Pronto», dice con una finta
voce da ragazza, poi me lo passa.
“Ma che cazzo?” mimo con le labbra.
«Pronto, Emily», mormora la voce vellutata di Jameson.
Sgrano gli occhi di fronte alle espressioni ammirate dei miei amici.
Aaron si fa il segno della croce, come se fosse in chiesa, e congiunge le
mani in segno di preghiera. «Ciao.»
«Dove sei?» mi chiede.
«In un bar.» Mi guardo intorno, tenendo una mano sopra l’altro
orecchio per cercare di sentirlo meglio. Merda, non ho intenzione di dirgli
dove sono, ho un aspetto tremendo. Lo ascolto trattenendo il fiato.
«Voglio vederti.»
Mi mordo il labbro inferiore, e Molly mi colpisce su un braccio per
riscuotermi dalla mia paralisi nervosa. «Ti ho detto che ho un ragazzo»,
rispondo in fretta. «Non posso incontrarti.»
«Porca di quella grandissima puttana», sussurra Aaron alla nostra
collega, infilandosi le mani tra i capelli.
«E io ti ho detto di liberarti di lui.»
«Chi ti credi di essere?» farfuglio.
I miei amici ascoltano con attenzione.
«Esci da lì. Non riesco a sentirti», mi ordina con voce secca.
Mi alzo e attraverso il bar per andare sul marciapiede, e tutto tace.
«Così va meglio», commenta.
Lancio un’occhiata in strada, verso i taxi tutti in fila. «Che cosa vuoi,
Jameson?»
«Lo sai cosa voglio.»
«Ho un ragazzo.»
«E io ti ho detto cosa fare.»
«Non è così semplice.»
«Sì, lo è. Dammi il suo numero, ti risparmio la fatica.»
Faccio un sorrisetto di fronte all’audacia di quest’uomo. «Lo sai, la tua
arroganza mi fa passare qualsiasi voglia.»
È una sfacciata bugia, non è affatto vero.
«E tu me la fai venire. Sono duro da tutto il giorno. Vieni qui e metti
fine al mio tormento.»
Mi sento il cuore rimbombare nelle orecchie. Sta succedendo davvero?
Una coppia di ubriachi mi supera barcollando, e devo spostarmi per non
farmi travolgere. «Scusa», mi dicono.
«Domani mattina parto per la California», sbotto.
«Per vederlo?»
«Sì.»
«È rimasto lì?»
Contorco il viso in una smorfia.
Dannazione. Perché gliel’ho detto?
«Sì?»
«Quando lo vedi, voglio che tu faccia una cosa per me.»
«Che sarebbe?»
«Chiedigli se si sente morire al pensiero di non poterti più toccare.»
Mi acciglio. «Perché dovrei dirgli una cosa del genere?» bisbiglio.
«Perché c’è un altro uomo che si sente così.» Sento un click quando
chiude la telefonata.
Fisso il telefono che ho in mano con la fronte aggrottata, attraversata dai
brividi fino alla punta dei piedi.
Porca di quella puttana.
Mi premo una mano sulla bocca, non riesco a credere a quello che è
appena successo.
Rientro nel bar sulle gambe malferme, e trovo i miei due amici che
quasi saltellano sulle loro sedie, in attesa del mio ritorno.
«Che cosa è successo?» strillano.
Mi accascio, infilandomi le mani tra i capelli. «Voleva che andassi a
casa sua e mettessi fine al suo tormento.»
«Porca puttana», esclama Aaron. «Posso avere il tuo autografo?»
«Ci vai?» farfuglia Molly. «Ti prego, dimmi che ci vai.»
Scuoto la testa. «No.» Rifletto per un momento. «Mi ha detto di
chiedere al mio ragazzo se si sentirebbe morire al pensiero di non toccarmi
mai più.» Mi ascoltano con espressioni perplesse. «Perché c’è un altro
uomo che lo farebbe.»
«Cosa?» urla Molly. «Oh santo cielo, ci serve della tequila.» Si alza e
sparisce verso il bar.
«Ti ha invitata a casa sua?» squittisce Aaron.
Annuisco.
«Sai dove vive?»
«No.»
«Park Avenue, con vista su Central Park.»
«Come fai a saperlo?»
«Google. Viveva nello One57, il Billionaire Building, ma lo ha lasciato
per trasferirsi nel palazzo su Park Avenue. Il suo appartamento vale
qualcosa come cinquanta milioni di dollari.»
«Cinquanta milioni…» Sussulto. «Dici sul serio? Come fa una qualsiasi
cosa a valere così tanto? È ridicolo.»
Lui fa spallucce. «Non ne ho idea. Avrà i gabinetti d’oro o chissà che
altro.»
Ridacchio, immaginandomi una persona seduta su un water d’oro.
Molly torna al suo posto e mi porge uno shot di tequila. «Bevi questo e
poi vai a scopartelo senza pietà.» «Non ci vado», esclamo.
«Beh, qual è il piano d’attacco?» domanda lei. «Vuoi fare la preziosa?»
«Nessun piano di attacco. Domani vado a casa per vedere Robbie.»
Rilascio un sospiro grave. «Devo fare chiarezza nella nostra relazione, e
spero che lui tornerà qui con me.»
Aaron solleva gli occhi in un’espressione delusa. «Non riesci a essere
eccitata per Jameson Miles almeno quanto noi?»
«No, non lo sono. E, ricordate, non una parola con nessuno.» Bevo il
mio drink. «So esattamente cosa succederebbe. Andremmo a letto una volta,
poi Jameson passerebbe alla sua prossima vittima e io verrei licenziata.»
Scuoto la testa, disgustata. «Mi sono impegnata troppo per ottenere questo
lavoro, e quello è l’uomo che non ha nemmeno voluto il mio numero
l’ultima volta che siamo stati a letto insieme.»
Il mio collega storce il naso. «Dio, perché sei così giudiziosa?»
«Lo so, è davvero uno schifo.» Sospiro.
Il telefono di Molly squilla. «Ti prego, fa che sia Jameson Miles alla
ricerca di un piano B.» Sbuffa con espressione frustrata. «Pronto.» Si
acciglia mentre ascolta. «Oh, salve, Margaret. Sì, mi ricordo di lei. È la
madre di Chanel.» Sorride, continuando a prestare attenzione alla donna,
ma poi la sua espressione si fa sgomenta. «Cosa?» Sgrana gli occhi. «Dice
sul serio?» Si stringe la base del naso. «Sì.» Sembra che non riesca a dire
una parola. «Capisco perché sia sconvolta.» Socchiude gli occhi, scuotendo
la testa verso di noi. «Mi dispiace moltissimo.»
Aaron ed io ci guardiamo preoccupati. «Che cos’è successo?» le chiedo
a bassa voce.
«Quanto espliciti sarebbero?» domanda lei alla persona dall’altro capo
del telefono. Spalanca di nuovo gli occhi. «Oh mio Dio, mi dispiace così
tanto.» Continua ad ascoltare. «No, la prego, non vada dal preside.
Apprezzo che abbia chiamato prima me.» Chiude gli occhi con il telefono
ancora incollato all’orecchio. «Di nuovo, le mie più sincere scuse. Grazie.
Me ne occuperò io, sì. Arrivederci.»
«Che c’è?» domando.
Lei si prende la testa tra le mani. «Oh mio Dio. Era la madre di Chanel,
la ragazza per cui mio figlio ha una cotta. Ha guardato nel cellulare della
figlia e ha scoperto che si sono scambiati dei messaggi piccanti.»
Mi mordo il labbro per impedirmi di sorridere a quella notizia. «È
piuttosto normale di questi tempi, non è vero?» Cerco di consolarla. «Credo
che lo facciano tutti.»
«Quanti anni ha questa ragazza?» chiede Aaron.
«Quindici!» grida lei.
Ridacchio per la sua reazione. Dio, non riesco a immaginare come sia
avere un figlio adolescente.
Molly compone il numero dell’ex marito. «Pronto», sbotta. «Vai in
camera di tuo figlio, prendi il suo cellulare e butta quel maledetto coso nel
gabinetto. È in punizione a vita.» Rimane in ascolto, mentre Aaron ed io
iniziamo a ridere in maniera incontrollata. «Michael», fa lei, inspirando a
fondo per cercare di calmarsi. «Lo so che si stanno frequentando e che
probabilmente a lei sta bene. Ma lui ha quindici anni», bisbiglia furiosa.
«Prendi il suo cellulare, o preparati, perché verrò io lì e lo farò a pezzi.»
Riattacca di colpo e appoggia la testa sul tavolo, fingendo di sbatterla
ripetutamente contro di esso.
Il mio collega ed io scoppiamo a ridere, mentre le do qualche pacca
consolatoria sulla schiena. «Vuoi un altro po’ di tequila, Moll?» le chiedo
con dolcezza.
«Sì… la voglio. Falla doppia», mi risponde con rabbia.
Ferma davanti al bancone del bar, lancio un’occhiata verso il tavolo:
Aaron ha una mano premuta sulla bocca in preda a un attacco di ilarità.
Abbasso la testa per nascondere il mio sorrisetto sciocco.
È esilarante… ma solo perché non sta succedendo a me.

«Ehi.» Non appena Robbie apre la porta, mi illumino.


«Ehi a te.» Lui mi sorride, stringendomi tra le braccia. «Che sorpresa.»
«Lo so. Mi mancavi, quindi questa mattina sono tornata a casa per un
paio di giorni.»
«Vieni dentro.» Mi attira nel suo garage convertito ad appartamento.
La notte scorsa non ho dormito. Ero in ansia per via dei miei sentimenti,
e non sono riuscita a smettere di pensare a quello stupido di Jameson Miles.
Mi sono alzata per andare direttamente in aeroporto e prendere un volo per
la California. Mi guardo intorno nel minuscolo monolocale del mio ragazzo,
osservando i cartoni vuoti della pizza e i bicchieri sporchi sparsi in giro.
«Che cosa stavi facendo?» gli chiedo.
«Niente», mi risponde con tono allegro. Si sdraia sul letto e dà una
pacca sul materasso accanto a sé. Mi stendo, e lui mi infila una mano sotto
alla maglietta, abbassando lo sguardo su di me.
«Hai fatto qualche colloquio di lavoro questa settimana?» domando.
«Nah, non c’era nessun annuncio che facesse per me.»
Mi acciglio. «Qualsiasi lavoro andrebbe bene… non è così?» chiedo
speranzosa.
«Sto aspettando quello giusto.» Mi bacia con dolcezza.
Lo guardo, sentendo la sua erezione crescere contro la mia gamba.
«Robbie, vieni a New York insieme a me. C’è tantissimo lavoro lì, per te
sarebbe un nuovo inizio. Potremmo esplorare insieme la città.»
Lui strappa via la mano dal mio seno e si allontana da me. «Non iniziare
con le tue cazzate. Ti ho detto che non mi trasferirò a New York.»
Mi alzo di scatto. «Che cosa te lo impedisce? Non hai nemmeno un
lavoro. Cosa ti trattiene? Spiegamelo.»
«Mi piace vivere qui. Non pago l’affitto e mia madre cucina per me. Sto
alla grande. Perché me ne dovrei andare?» «Hai venticinque anni, Robbie.»
«E questo cosa vorrebbe dire?» sbotta.
«Non vuoi mantenerti da solo e provare a fare qualcosa di diverso?»
«No. Mi piace qui.»
«Devi crescere», scatto, ed entrambi ci alziamo.
«E tu devi tornare sul pianeta terra, cazzo. Il mondo non gira attorno a
te.»
«Io voglio vivere a New York.» Lo prendo per mano, cercando di
convincerlo. «Dovresti vederla, Robbie. Adoreresti stare lì. Ha un’atmosfera
che non ho mai percepito in nessun altro posto.»
«Emily, New York è il tuo sogno, non il mio. Non mi trasferirò mai lì.»
Oh, cavolo. Siamo due mondi distanti. «Come possiamo stare insieme
se viviamo ai due lati opposti del Paese?» gli chiedo piano.
Lui fa spallucce. «Avresti dovuto pensarci prima di fare domanda per
quello stupido lavoro.»
«Non è uno stupido lavoro.» Lo supplico: «Non vuoi sostenere il mio
sogno? Hai almeno intenzione di venire a trovarmi?»
«Te l’ho detto, non mi piacciono le grandi città.»
«Quindi mi stai dicendo che, se non torno in California, non ti potrò
vedere.»
Robbie scrolla le spalle e si risiede, prendendo il controller della
Playstation.
«Fai sul serio?» esplodo, iniziando a vedere rosso. «Mi sono fatta tutto
il viaggio fino a casa per parlare del nostro futuro, e tu giochi a quel cazzo
di Fortnite?»
Lui rotea gli occhi e avvia il gioco. «Smettila di rompere.»
«Oh, la smetterò», sbotto. «Non voglio vivere nel garage dei tuoi
genitori, Robbie.»
«Allora non farlo.»
«Che problema hai?» grido in preda alla rabbia. «Perché vuoi marcire
qui? Hai venticinque anni. Devi crescere.»
Lui alza gli occhi al cielo. «Se sei tornata qui solo per fare la stronza,
non avresti dovuto disturbarti.»
Mi esce il fumo dalle orecchie. «Robbie, se esco da quella porta, tra noi
è finita», gli dico. Mi guarda negli occhi. «Dico sul serio», bisbiglio. «Ti
voglio nella mia vita, ma non sacrificherò la mia felicità perché tu sei
troppo pigro per muovere il culo e crearti un futuro.»
Lui serra la mascella e torna al suo gioco, iniziando una partita.
Lo fisso tra le lacrime, sentendo i battiti furiosi del mio cuore nelle
orecchie. «Ti prego», sussurro. «Vieni con me.»
Robbie rimane concentrato sullo schermo e comincia a sparare ai
personaggi nel suo videogame. «Chiudi la porta mentre esci.» Si infila le
cuffie per ignorarmi.
Ho un groppo in gola e finalmente vedo la nostra relazione per quello
che è.
Una farsa.
Lancio una lunga occhiata alla sua stanza mentre lui gioca, e capisco
all’istante cosa sta per succedere. Questo è il momento cruciale in cui devo
capire quanto valgo e decidere cosa voglio dalla mia vita. Non posso
salvarlo… se lui non lo vuole. Io voglio qualcuno che desideri crescere con
me, anche se non so nemmeno di che crescita si possa trattare. Ma non
posso più continuare a marcire qui, nel garage dei suoi genitori.
Non mi riconosco nemmeno più… ma questa non sono io.
Io sono la donna che vuole vivere a New York e ha ottenuto il lavoro dei
suoi sogni.
La tristezza mi travolge. So cosa devo fare.
Mi avvicino a lui e gli tolgo le cuffie. «Io vado.» Mi fissa. «Sei migliore
di così», sussurro. Lui serra i denti. «Robbie», bisbiglio. «Sei molto di più
di un giocatore di football. Devi crederci.» Mi guarda negli occhi. «Trova
qualcuno che possa aiutarti.» Osservo la sua stanza. «Anche se per noi
ormai è troppo tardi, vorrei che lo facessi per te stesso.» Lui abbassa la testa
e fissa il pavimento, così gli prendo una mano nella mia. «Vieni con me»,
mormoro. «Ti prego, Robbie, tirati fuori da questa situazione, se non per
me, fallo per te.»
«Non posso, Em.»
Mi si riempiono gli occhi di lacrime e mi chino per baciarlo. Gli
accarezzo la guancia ispida di barba e lo guardo in viso. «Trova una cosa
qualsiasi che ti renda felice», bisbiglio.
«Anche tu», sussurra lui triste. Capisco che non vuole nemmeno
opporsi, sa che è meglio così. Sorrido per un momento dolceamaro e lo
bacio piano un’ultima volta, mentre le lacrime mi solcano le guance.
Entro nell’auto di mia madre e fisso a lungo la sua casa.
È stato molto più semplice e decisamente più difficile di quanto
immaginassi.
Metto in moto la macchina e mi immetto in strada. Mi asciugo le
lacrime con l’avambraccio, sentendo che un capitolo della mia vita si è
appena chiuso.
Avanzo lungo la via, uscendo dalla vita di Robbie McIntyre. «Ciao,
Robbie», dico ad alta voce. «Durante i momenti buoni, è stato fantastico.»

Lunedì mattina

«E cosa crede che succederebbe se raccontasse i suoi sospetti alla polizia?»


chiedo.
«Niente. Niente di niente», risponde l’anziana e fragile signora. Deve
avere almeno novant’anni. I suoi capelli bianchi sono acconciati in onde
perfette e indossa un abito di una bella sfumatura color malva. «Sono
inutili.»
Scrivo diligentemente la sua risposta sul taccuino. Oggi sono sul campo
per seguire una notizia. Di recente, qualcuno ha cominciato a lasciare
graffiti satanici sulle facciate di alcune case, e l’abitazione di questa donna è
stata colpita tre volte. Esasperata dalla mancanza di supporto del
dipartimento di polizia, ha contattato la Miles Media, e io sono stata la
fortunata che ha risposto al telefono.
«Quindi… mi racconti quando è iniziato tutto», proseguo.
«A novembre.» Si interrompe, cercando di ricordare. «Il sedici di
novembre è successo la prima volta. Un enorme murale del diavolo in
persona.»
«Giusto.» Alzo lo sguardo dai miei appunti. «Che aspetto aveva?»
«La malvagità.» Le appare un’espressione distante negli occhi. «Pura
malvagità, così realistico, con zanne enormi e sangue che grondava
ovunque.»
«Deve essere stato terrificante per lei.»
«È così. È stato quando hanno rapinato la gioielleria all’angolo, quindi
me lo ricordo bene.»
«Oh.» Mi acciglio. Non ne aveva parlato prima. «Crede che ci sia un
collegamento?» La donna mi fissa senza comprendere. «Tra i graffiti e la
rapina, intendo», chiarisco.
«Non lo so.» Si ferma per un momento e poi fa una smorfia come se ci
stesse riflettendo. «Non ci ho mai pensato prima, ma ora tutto ha più senso.
La polizia è coinvolta in questa cospirazione.» Inizia a camminare avanti e
indietro. «Sì, sì, è così.» Si batte una mano in cima alla testa, aggirandosi
per la stanza.
Mmh. Qui c’è qualcosa di strano. Questa donna è sana di mente?
«Che cosa ha fatto quando ha trovato i graffiti sulla sua casa?»
«Ho chiamato gli agenti, e loro mi hanno detto di non avere tempo per
venire qui per dei murales, ma di fare una foto e inviarla per e-mail.»
«E lo ha fatto?»
«Sì.»
«E poi cos’è successo?»
«Mio figlio ha fatto fare un lavaggio con soluzione acida alla mia casa
per rimuoverli, ma tre notti dopo è successo di nuovo. Quella volta era
l’immagine di una persona che veniva uccisa, una donna pugnalata. Il
murales era così complesso che sembrava un dipinto.»
«Oh.» Continuo a prendere appunti. «E quella volta che cosa ha fatto?»
«Sono andata alla stazione di polizia e ho preteso che qualcuno venisse
a vedere la mia casa. Anche quella del mio vicino era stata vandalizzata.»
«Okay.» Scrivo la sua storia. «Qual è il nome del suo vicino?»
«Robert Day Daniels.»
Alzo lo sguardo dal taccuino, sorpresa dal nome. «Si chiama Robert
Day Daniels?»
«O è Daniel Day Roberts?» Si interrompe mentre riflette. «Mmh.» La
fisso, aspettando che decida qual è. «Non me lo ricordo.» Si infila le mani
nei capelli, come se stesse per farsi cogliere da un attacco di panico.
«Va tutto bene. Per il momento scriverò Robert Day Daniels, e ci
ritorneremo più tardi.»
«Sì, okay.» Sorride, compiaciuta che non stia insistendo per sapere il
nome esatto.
«Cos’hanno disegnato sulla sua casa?» chiedo.
«Una di quelle orribili stelle del diavolo.»
«Capisco. Mi dica, cos’ha fatto la polizia quella volta?»
«Niente. Non sono nemmeno venuti a vederli.»
«Sono molto impegnati», la rassicuro mentre scrivo. «Mi racconti
dell’ultima volta che è successo.»
«L’intera casa è stata verniciata di rosso.»
Alzo lo sguardo, sorpresa. «La casa era rossa?»
«Non solo la casa, tutta la strada.»
Sono assalita da un senso di disagio. «È strano.» Mi acciglio.
La donna si sporge verso di me, così che solo io possa sentirla. «Crede
che si tratti del diavolo?» sussurra.
«Cosa?» Le sorrido. «No, probabilmente è solo opera di qualche
ragazzino», dico, cercando di rassicurarla. «Ne ha parlato con qualcun
altro?»
«No, solo con la Miles Media. Voglio che pubblichi questa storia in
modo che la polizia le presti davvero attenzione. Comincio a temere che si
tratti di qualcosa di più sinistro.»
Le stringo una mano. «Sì, credo di avere abbastanza materiale per
scrivere l’articolo.»
«Oh, grazie, cara.» Mi afferra forte le dita.
«Le viene in mente altro che potrebbe essere rilevante?» le chiedo.
«Solo che vivo ogni notte nel terrore che torni il diavolo. I miei vicini
hanno detto che può andare a parlare anche con loro.»
«Okay, fantastico.» Le porgo il mio biglietto da visita. «Se dovesse
ricordare qualsiasi altra cosa, mi chiami, la prego.» «Sì, lo farò.» Stringe
con forza il biglietto.
Scendo in strada e intervisto altre sette persone, e tutte le storie
combaciano. Ho abbastanza prove per andare avanti. Torno in ufficio per
scrivere l’articolo al computer e consegnarlo a Hayden. Mi sembra una
notizia interessante.

Sono seduta alla mia scrivania e fisso lo schermo del computer. Sono le
quattro di lunedì e sono un po’ depressa. Da quando, ieri sera tardi, sono
tornata a New York, sono sopraffatta dal senso di colpa. Pur sapendo che io
e Robbie stavamo arrivando al capolinea, mi sento come se avessi
accelerato il processo e non avessi permesso alla nostra storia di fare il suo
corso. Ma, d’altronde, eravamo in quella situazione di stallo da mesi, e se
ho accettato questo lavoro consapevole che lui non mi avrebbe seguita… è
perché inconsciamente sapevo che eravamo vicini alla fine.
«Il dio è tra noi», sussurra Aaron.
Alzo lo sguardo. «Chi?» «Tristan
Miles», bisbiglia lui.
Sbircio da sopra il divisorio sulla mia scrivania e lo noto mentre parla
con una responsabile di piano, Rebecca. Indossa un completo gessato blu
scuro, i suoi capelli mossi e castano scuro sono scompigliati alla perfezione
e ha un sorriso affascinante sul viso mentre parla. Ha i denti più bianchi che
abbia mai visto e delle profonde fossette sulle guance.
«Rebecca sta ridacchiando come una scolaretta.» Aaron corruga la
fronte.
«Non scende mai a questo piano», commenta Molly.
«Cosa credete che stia facendo qui?» sussurra l’altro, con lo sguardo
incollato su quel magnifico esemplare di uomo.
«Il suo lavoro», replico impassibile. «Lavora qui, sapete.»
Più ci penso e più capisco di aver idealizzato tutta la faccenda con
Jameson Miles. Io non gli piaccio. È solo arrapato. C’è una grossa
differenza. Probabilmente avrà fatto sesso con altre cinque donne da quando
abbiamo parlato venerdì sera. È da allora che non lo sento, né voglio farlo.
Non ho lasciato il mio ragazzo perché me lo ha ordinato lui, ma perché
Robbie ha smesso di combattere per noi. Se Jameson venisse a sapere che ci
siamo mollati, penserebbe che l’ho fatto perché voglio tornare a letto con
lui… e non è così.
Non voglio assolutamente. Stupidi uomini.
Non dirò ai miei colleghi che ci siamo lasciati. Preferisco che non ne
facciano un dramma. Mi serve un po’ di tempo per fare ordine tra i miei
pensieri.
Tristan Miles dice qualcosa e Rebecca ride. Poi lui svanisce
nell’ascensore, e torniamo tutti al lavoro.

Sto lottando con l’ombrello mentre avanzo lungo il marciapiede sotto la


pioggia. New York è un po’ meno incantevole tutta bagnata. Aspettando che
il semaforo cambi, prendo il Gazette e me lo infilo nella borsa. Lo leggerò
mentre aspetto il caffè. Sento il telefono che squilla.
«Pronto, parla Emily Foster», rispondo, camminando a passo svelto tra
la folla.
«Salve, Emily», dice una voce familiare.
Mi acciglio, non riuscendo a capire di chi si tratti. «Chi parla, scusi?»
«Sono Marjorie. Abbiamo parlato ieri.» Oh, merda, la donna dei
graffiti.
«Oh, sì, salve, Marjorie. La linea è disturbata, non riuscivo a sentirla
bene», mento.
«È Danny Rupert», replica lei.
«Chiedo scusa?» mi acciglio.
«Il nome del mio vicino è Danny Rupert. Ieri non riuscivo a ricordarlo.»
Sobbalzo e faccio una smorfia. Oh Dio. Spero che l’articolo non sia già
andato in stampa. Mi sono completamente dimenticata di cambiarlo. Il
panico comincia a crescere dentro di me.
Merda.
«Credo che la storia sia già andata in stampa, Marjorie. Sono davvero
dispiaciuta di non averlo ricontrollato con lei.»
«Oh, non c’è problema, cara. Non importa. Mi sentivo sciocca a non
ricordarlo, per cui ho deciso di richiamarla.»
Mi si stringe lo stomaco in una morsa. Invece ha importanza. Non si
sbagliano i nomi in un articolo. Sono le basi del giornalismo.
Cazzo.
Gonfio le guance e poi rilascio il fiato, travolta da un senso di delusione
nei miei confronti. Dannazione. Non è un piccolo errore, è un grosso casino.
«Grazie per la telefonata, Marjorie. La richiamerò non appena sarò in
ufficio per farle sapere quando l’articolo verrà pubblicato.» Con un po’ di
fortuna, non sarà prima di domani, e io avrò il tempo per cambiare il nome.
Chiudo, maledicendomi internamente.
Dannazione. Rimani concentrata.
Entro nel bar di fronte al palazzo della Miles Media e ordino il mio
caffè. Tiro fuori il giornale dalla borsa e lo sbatto sul tavolo.
Non riuscirò a tenermi il lavoro facendo errori grossolani come questo.
Sono davvero irritata con me stessa.
Sfoglio il giornale, ma qualcosa cattura il mio sguardo.

Graffiti satanici a New York

Una serie di bizzarri attacchi a suon di graffiti sulle case del West Village
ha gettato i residenti nel panico. L’abitazione di Marjorie Bishop è stata
vandalizzata tre volte e la polizia si rifiuta di intervenire. Anche un altro
cittadino, Robert Day Daniels, è stato colpito.

Aggrotto le sopracciglia, leggendo l’articolo.


Cosa?
Marjorie ha detto di non averne parlato con nessun altro oltre a me. Lo
leggo e lo rileggo. La mia storia è citata quasi alla lettera, e a ogni rilettura
sono sempre più confusa.
Che abbia detto lo stesso nome sbagliato a un altro giornalista? Tiro
fuori il cellulare e compongo il suo numero. La donna risponde al primo
squillo.
«Pronto, Marjorie, parla Emily Foster.»
«Oh, salve, cara. È stata veloce.»
«Marjorie, ha parlato di questa storia dei graffiti con qualcuno di un
altro giornale?»
«No, cara.»
«Non lo ha detto a nessuno?» Mi acciglio.
«Nemmeno a un’anima. Con il vicinato abbiamo deciso che volevamo
che solo la Miles Media scrivesse l’articolo. Così saremmo stati certi che la
polizia ci avrebbe prestato ascolto.»
Inizio a sentire il cuore rombarmi nelle orecchie. Che diavolo sta
succedendo?
«Un caffè per Emily», mi chiama il cassiere.
«Grazie.» Prendo il mio bicchiere ed esco di nuovo sotto la pioggia,
confusa da morire.

È l’una e sono in pausa pranzo. Arrivo all’ultimo piano e attraverso la


reception.
«Salve.» Sorrido nervosa. «Sono qui per vedere il signor Miles. È una
questione urgente.»
Mi sono tormentata per tutto il giorno per la questione dell’articolo sul
Gazette, e l’unica ipotesi che mi è venuta in mente non è bella. Devo
parlarne con Jameson.
L’assistente bionda mi sorride. «Solo un momento, per favore. Il nome
è…»
«Emily Foster.»
Preme un pulsante sull’interfono. «Signor Miles, c’è Emily Foster qui
per vederla.»
«Mandala dentro», mormora la sua voce vellutata senza esitazione.
Mi sento sprofondare lo stomaco per l’ansia, e seguo la donna lungo il
corridoio dal pavimento di marmo. Dannazione, non ho ancora comprato
delle scarpe con la suola di gomma. Cerco di camminare in punta di piedi
per non fare rumore mentre avanzo. «Bussa pure alla porta in fondo.»
Porca miseria.
Il mio cuore comincia a battere all’impazzata, ma mi costringo a
sorridere. «Grazie.»
L’assistente svanisce, e io mi fermo di fronte all’ufficio con gli occhi
chiusi, per prepararmi.
Okay, eccoci qui.
Toc, toc, toc.
«Avanti», sento rispondere Jameson.
Serro le palpebre, tesa per il nervoso. Apro, e lui è seduto dietro alla
scrivania, avvolto in un completo blu scuro. Con una camicia bianca, quei
capelli scuri e i suoi penetranti occhi blu, sembra il dono di Dio alle donne.
Forse lo è.
«Ciao, Emily», mormora, guardandomi con un’espressione seducente.
«Salve.»
Jameson si alza e mi osserva. Ci fissiamo a vicenda, e l’aria tra di noi si
carica di elettricità. «Prego, accomodati.»
Mi lascio cadere su una sedia, e lui torna a sedersi alla sua scrivania,
appoggiandosi allo schienale della poltrona, senza mai distogliere lo
sguardo da me.
«Volevo vederti per un motivo ben preciso», dico, lanciando un’occhiata
al bicchiere di scotch che ha accanto.
Non so che razza di impiego preveda l’alcol, ma dov’è il mio bicchiere?
Avrei proprio bisogno di un drink in questo momento. O magari di dieci.
Jameson mi fa un sorrisetto, come se fosse divertito.
«Ehm.» Mi interrompo e cerco di scacciare la secchezza che avverto in
gola. «Dunque, è successa una cosa, e so che potrei finire nei guai, ma
credo che tu debba saperlo», confesso di colpo.
«Sarebbe?»
«Ho sbagliato un nome in un articolo.» Il suo sguardo poco colpito
incrocia il mio. «Ma è stranissimo», balbetto. «Oggi il Gazette ha
pubblicato la stessa storia… con dentro il mio errore.»
Lui si acciglia. «Cosa?»
«Senti, non lo so, e potrei sbagliarmi completamente, ma credo…» Mi
interrompo.
«Credi cosa?» sbotta.
«L’unica cosa di cui sono certa è che quelli del Gazette non hanno
ottenuto la storia da soli, ed è impossibile che abbiano fatto il mio stesso
errore. La signora anziana che ho citato nell’articolo ha contattato
direttamente me perché voleva parlare solo con la Miles Media.» Appoggio
il giornale sulla scrivania di fronte a lui, e Jameson lo legge per poi fissarmi
per un istante, come se stesse elaborando le mie parole.
«Ne sei sicura?»
«Al cento percento. Ho sbagliato il nome.» Indico il punto con il mio
errore. «Questo qui è il mio sbaglio.»
Jameson si passa il pollice sul labbro inferiore, guardando pensieroso il
giornale di fronte a sé. «Grazie. Ne parlerò con Tristan e ti farò sapere.»
«Okay.» Mi alzo. «Mi dispiace per l’errore. Non è stato professionale e
non succederà più.» Sposto lo sguardo su di lui, e aspetto che dica qualcosa.
Abbiamo già finito?
«Arrivederci, Emily», mi saluta, impassibile.
Oh, mi sta congedando.
«Arrivederci.» Mi volto, avvilita, e torno al piano di sotto. Non so se ho
fatto la cosa giusta esponendogli la mia teoria. Forse la mia scelta si
rivolterà contro di me.

Sono le quattro e sto bevendo il mio caffè pomeridiano. Mi squilla il


telefono e io rispondo. «Pronto.»
«Pronto, Emily, sono Sammia. Il signor Miles vorrebbe vederti nel suo
ufficio, per favore.»
Mi acciglio. «Ora?»
«Sì, per favore.»
«Okay. Salgo subito.»
Dieci minuti più tardi, sto bussando alla porta di Jameson. «Avanti», mi
dice.
Entro e lo trovo seduto dietro la sua grande scrivania. Non appena
incontra il mio sguardo, sul suo viso appare un sorriso sexy.
«Ciao.»
Il mio stomaco si stringe in una morsa per il nervoso. «Ciao.»
«Hai passato una bella giornata?» mi chiede, e io lo guardo umettarsi il
labbro inferiore come al rallentatore. È diverso da questo pomeriggio. Ha
un atteggiamento giocoso.
«Volevi vedermi?» gli chiedo.
«Sì, ho parlato con Tristan, e abbiamo un progetto speciale su cui
vorremmo che lavorassi», dice, reclinando all’indietro lo schienale della
poltrona.
«Davvero?»
«Sì. Vorremmo che scrivessi un articolo da pubblicare.»
Deglutisco il groppo che ho in gola. «Okay.» Faccio spallucce. «Su cosa
deve essere?»
Jameson socchiude gli occhi mentre riflette. «Stavo pensando… a
qualcosa sui morsi d’amore.»
Aggrotto le sopracciglia, perplessa. «Morsi d’amore?»
Per un istante gli appare sul volto un’espressione divertita, come se si
stesse sforzando per rimanere serio. «Proprio quelli.»
Lo fisso per un momento, in preda alla confusione. Non capisco.
Oh mio Dio.
Sta parlando del succhiotto che gli ho fatto. Che sfacciato. È proprio da
lui ritirare fuori quella storia.
Sollevo la testa con aria di sfida. «Credo che scrivere un articolo
sull’eiaculazione precoce sarebbe più nelle mie corde. Così potresti
aiutarmi», replico.
Gli brillano gli occhi, deliziato. «È così?»
«Sì», rispondo, seria. «È sempre meglio quando le notizie sono
supportate da prove.»
Il divertimento gli attraversa il viso mentre sorseggia il suo drink. Non
ho idea di cosa abbia per la testa questo pomeriggio. Forse ha bevuto troppo
scotch. Ci fissiamo a vicenda, e io vorrei domandargli: “Pensi mai a me?”,
ma non posso perché questo è lavoro e soprattutto perché mi sto fingendo
disinteressata. Anzi, riformulo: non sono affatto interessata, solo vagamente
affascinata. C’è un’enorme differenza.
«Come è andato il weekend?» mi domanda.
«Bene.»
Solleva un sopracciglio. «Solo bene?»
Annuisco. «Sì.» Non voglio dirgli che io e Robbie ci siamo lasciati, ma
non voglio nemmeno mentirgli.
«Sei tornata domenica notte?»
«Sì.»
Incrocia il mio sguardo, e capisco che vorrebbe sapere di Robbie e me,
ma che si sta trattenendo dal domandarmelo.
«Come è stato il tuo weekend, invece?» gli chiedo.
«Fantastico», risponde, abbassando gli occhi sulle mie labbra. «Ho
passato uno splendido fine settimana.»
Mi acciglio. Fantastico significa genericamente buono oppure “Ho fatto
sesso bollente con una donna splendida e sexy per tutto il weekend”?
Smettila.
«Chiedo scusa», esordisce Tristan, entrando nella stanza. Mi fa un
caloroso sorriso e mi stringe la mano. «Sono Tristan.» È poco più giovane
di Jameson e ha i capelli leggermente mossi e castani chiari. I suoi occhi
sono grandi e marroni. È molto diverso dal fratello, ma trasmette lo stesso
senso di potere.
«Sono Emily.»
Sostiene il mio sguardo. «Salve, Emily.» Lui e Jameson si scambiano
un’occhiata, e in quel momento capisco che sa dei nostri trascorsi.
Deglutisco il groppo nervoso che ho in gola.
Perché avrebbe raccontato a suo fratello di me?
Tristan abbassa lo sguardo sullo scotch di Jameson. «Che ore sono? È
già iniziato l’happy hour?»
«Le quattro e mezza, e sì», replica lui.
L’uomo più giovane va al bar per versarsi lo stesso liquido ambrato.
Solleva il bicchiere. «Gradiresti un drink, Emily?» «No,
grazie. Sto lavorando», rispondo, un po’ nervosa.
Mentre Jameson si porta lo scotch alle labbra, sul suo volto appare un
lampo di divertimento. Okay, che diavolo era quell’espressione? Un ghigno
accondiscendente o quasi un sorriso? Non riesco proprio a capire
quest’uomo.
Jameson rimane seduto immobile e mi guarda. Ci fissiamo a vicenda, e
l’aria tra di noi si carica di elettricità.
«Volevate vedermi?» domando.
Non so che razza di riunione preveda lo scotch. Forse avrei dovuto
accettare un bicchiere.
Dio, no. Ricordati cosa hai fatto l’ultima volta che ti sei ubriacata con
lui. Hai cercato di succhiargli via tutto il sangue.
«Come stavamo dicendo poco fa, abbiamo un progetto speciale su cui
vorremmo che lavorassi», risponde Jameson.
Annuisco, facendo slittare lo sguardo tra i due uomini.
«Sì. Alla luce di ciò che mi hai detto questa mattina, vorremmo che
scrivessi un articolo da pubblicare.»
Deglutisco per schiarirmi la gola. «Okay.» Li guardo entrambi. «Su
cosa?»
«Proponi tu un argomento.» Jameson tira fuori la lingua per umettarsi il
labbro inferiore, e io avverto una scossa che mi fa rabbrividire fino alla
punta dei piedi. «Stiamo lavorando a un progetto segreto e vorrei
coinvolgerti, ma devo sapere se sei in grado di scrivere un articolo.»
«Sai che posso. Ho lavorato cinque anni come reporter per dei giornali
regionali.»
«È strettamente confidenziale», interviene Tristan. «Non puoi parlarne
con nessuno. È fondamentale.»
«Non lo farò», replico, guardando prima l’uno e poi l’altro.
«È da un po’ che crediamo che qualcuno al tuo piano stia vendendo le
nostre storie alla concorrenza, perché le pubblichi prima di noi. Quello che
ci hai detto questa mattina ne è la conferma.»
Mi acciglio. «Come fate a saperlo?»
«Fidati di me, lo sappiamo e basta», risponde Jameson. «Le nostre
azioni stanno crollando, e così la nostra credibilità. Questa faccenda deve
finire.» Li ascolto con la fronte aggrottata. «Vogliamo che inventi una
notizia falsa e la invii tramite i soliti canali, così vedremo se apparirà sulle
riviste della concorrenza.»
Lo fisso, cercando di costringermi a tenere il passo. «Di cosa dovrei
scrivere?»
«Di qualcosa che valga la pena di essere venduto. Non deve essere vero.
Più finto è e meglio sarà, così sarà più facile da seguire.»
«Chi credete possa essere?» domando, attraversata da una scarica di
entusiasmo. Questa è la mia occasione. Se lavoro bene, posso dimostrare di
essere una dipendente valida. E se risolvessi il caso? Mi mordo il labbro
inferiore per nascondere un sorriso. Devo comportarmi come se eventi
emozionanti come questo mi capitassero ogni giorno.
«Non ne abbiamo idea, ma sappiamo che non sei tu.»
«E come mai?»
«Perché questa faccenda è iniziata prima che ti assumessimo», risponde
Jameson, alzandosi e dirigendosi verso il bar.
«Okay.» Rifletto per un momento. «Posso farlo.» Li guardo entrambi.
«Per quando volete l’articolo?»
«Per domani pomeriggio, se possibile.»
«Va bene.»
Una voce emerge dall’interfono. «Tristan, hai Londra in linea sulla
due.»
Lui si alza e preme un tasto. «Dammi un momento per tornare nel mio
ufficio.»
«Okay», replica l’assistente.
«Scusate, devo rispondere. Ci stiamo accordando con una nuova
compagnia. Riprenderemo il discorso domani pomeriggio.»
«Certo.» Gli sorrido. Oh, mi piace. È più amichevole di suo fratello.
Mi stringe la mano. «Ricorda, non una parola con nessuno. Detesterei
doverti licenziare.» Mi fa un occhiolino divertito, ma qualcosa mi dice che
non sta scherzando. Mi acciglio.
Ma che cavolo?
«Okay.»
«Non vedo l’ora di leggere il tuo articolo», conclude. Si gira per lasciare
l’ufficio e si chiude la porta alle spalle.
Mi volto verso Jameson. I suoi occhi sono cupi e lui ha in mano il
bicchiere di scotch. Sorseggia lentamente il liquido all’interno, e io gli
sorrido nervosa, con il cuore che batte all’impazzata. Mentre ne beve un
altro sorso, solleva un sopracciglio. La tensione tra di noi è palpabile
nell’aria.
«Dovrei tornare alla mia scrivania», bisbiglio.
Lui tiene lo sguardo fisso su di me come se volesse dire qualcosa, ma
rimane in silenzio.
«C’è altro che posso fare?» mormoro, alzandomi.
Jameson appoggia il suo bicchiere sul tavolo e si incammina verso di
me. «Sì, in effetti. Qualcosa ci sarebbe.»
Si ferma davanti a me, a meno di un centimetro dal mio volto, e io alzo
lo sguardo su di lui. La sua vicinanza mi toglie il respiro, e, come un’onda
nell’oceano, l’eccitazione monta tra di noi.
«Lo riesci a sentire?» sussurra.
Annuisco, perché è innegabile.
«Sono così sessualmente attratto da te che lo trovo quasi assurdo»,
bisbiglia. «E lo sono dal primo momento in cui ti ho vista su quell’aereo.»
Lo fisso, immaginandolo mentre mi getta sulla sua scrivania.
Lui mi fa scorrere l’indice lungo il viso, fino al centro del petto, tra i
miei seni e poi più in basso, sul mio stomaco, sfiorandomi l’osso pubico
prima di appoggiare la mano sul mio fianco. «Ho una richiesta.»
«Sì.» Chiudo gli occhi, sentendomi sciogliere sotto il suo tocco.
Lui si sporge verso di me fino a quando le sue labbra arrivano quasi a
toccarmi un orecchio. Il suo respiro mi fa il solletico e mi manda una serie
di brividi giù per la schiena.
«Voglio che domani indossi la gonna grigia, quella con lo spacco.»
Aggrotto le sopracciglia, ascoltando le sue parole sussurrate.
«La camicetta di seta bianca e quel reggiseno di pizzo che porti sotto.»
Porca puttana…
«Niente calze.» Mi stringe il fianco, e il mio sesso si contrae. Mi lecca
l’orecchio. «Voglio che ti raccogli i capelli in una coda, perché io possa
avvolgermela attorno a una mano.»
Ho una visione di lui che stringe la mia chioma tra le dita e rischio di
prendere fuoco.
Quest’uomo è un dio.
Lo fisso. «Qualcos’altro?» ansimo.
«Sì.» I suoi occhi si incupiscono e alza una mano per strofinarmi
l’indice sul labbro inferiore. «Questa notte, voglio che tu prenda il tuo
vibratore.» Ha una voce profonda e bassa, che mi fa sentire dentro delle
cose che non credevo possibili. Sgrano gli occhi quando lui fa dischiudere
delicatamente le mie labbra con il dito. Poi me lo spinge in bocca, e io mi
ritrovo a succhiarlo. Mentre mi guarda, gli si dilatano le pupille e un sorriso
sexy gli appare sul viso. «Voglio che ti scopi. A lungo… lentamente e
profondamente.»
Oh… Signore, abbi pietà.
«Perché dovrei farlo?» Espiro in modo brusco.
«Perché so che quando verrai vedrai il mio volto.» Si china e mi
accarezza il collo con la lingua, per poi mordicchiarmi l’orecchio. Le mie
gambe minacciano di cedere. «Fai i tuoi compiti e verrai ben
ricompensata», mi sussurra prima di baciarmi la gola.
Sono come argilla tra le sue mani. Non posso nemmeno fingere di
oppormi a tutto questo… qualsiasi cosa questo sia. Mi sfiora le labbra con
le sue, ma poi indietreggia e il mio corpo sobbalza per quella lontananza
improvvisa. Lo fisso, ansimante.
«Fai i tuoi compiti, Emily. Ci vediamo domani.»
Lo guardo per un momento, mi sta congedando.
Quando Jameson si volta per tornare a sedersi alla sua scrivania come se
niente fosse accaduto, mi acciglio. Lui solleva il suo scotch e lo sorseggia,
sostenendo il mio sguardo. Poi fa scivolare una chiave di sicurezza sul
tavolo. «Con questa potrai accedere al mio piano.»
Oh. Che cavolo è stato?
Afferro la chiave e lascio il suo ufficio in preda all’agitazione. Entro
nell’ascensore con il cuore che rischia di esplodere da un momento all’altro.
Cristo santo. Ho bisogno di ritrovare un po’ di autocontrollo, e devo
farlo in fretta.
Perché per ora il controllo della situazione lo ha tutto lui.
Capitolo 6

Emily

S M M .M
sono detta che sono qui solo per prendere qualcosa da portare a casa per
cena. Ma la verità è che voglio vederlo andare via. Voglio vedere il suo viso
per scoprire se è accaldato quanto me. Sono talmente vicina ad avere un
orgasmo in pubblico che non è nemmeno divertente. Come può eccitarmi
così tanto un dito passato sopra ai vestiti? Quest’uomo mi fa sciogliere, mi
riduce in una poltiglia sdolcinata, bagnata e arrendevole. Non ho nessuna
resistenza quando mi tocca.
Per più di un anno ho sognato Jim, l’uomo divertente e spensierato con
cui ho passato quella notte. E ora che ho incontrato un’altra versione di lui,
non sono certa che mi piaccia. Voglio dire, è sexy e bollente da morire. Un
vero inferno fiammeggiante di sensualità.
Chi è Jameson Miles?
Mi siedo sulla panca vicina alla vetrina e guardo dall’altra parte della
strada, fino a quando vedo arrivare la limousine e subito dopo la vedo
entrare nel parcheggio.
Mi raddrizzo. Mi si stringe lo stomaco e trattengo il fiato mentre il
portone si apre. Lui esce, camminando come al rallentatore. È una rock star,
e tutti si voltano ad ammirarlo.
Il signor Orgasmo.
Lo vedo salire sui sedili posteriori della limousine, poi l’autista gli
chiude la portiera alle spalle e lentamente riporta l’auto in strada.
Continuo a seguirla con lo sguardo mentre svanisce lungo la via, e
un’ondata di delusione si abbatte su di me. Mi chiedo cosa farà questa sera.
È tardi, sono quasi le sei e mezza, e il palazzo della Miles Media si è
svuotato. Non posso credere di aver aspettato qui fuori solo per dargli
un’occhiata mentre se ne andava… che sfigata. Già che ci sono, potrei
ordinare qualcosa da mangiare al bar. Tanto cenerei comunque a casa da
sola. Prendo il menù e studio i piatti, poi le porte della Miles Media si
aprono di nuovo ed emerge Tristan. Lo guardo con la fronte aggrottata. È
insieme a una donna; lei è bionda, bellissima e indossa un aderente abito di
lana e stivaletti neri con il tacco alto. Ha l’aria di essere una molto alla
moda e i suoi capelli sono raccolti in una coda alta. Dice qualcosa e lui ride.
Girano l’angolo senza ancora svanire dalla mia vista, e Tristan le appoggia
una mano sul sedere, chinandosi per baciarla.
Chi è?
Poi lui la prende per mano, e i due svaniscono insieme lungo la strada.
Lavora nel palazzo? Credevo ci fossero delle regole che impedissero le
relazioni tra dipendenti.
Forse è una specie di buffet aperto a tutti, e i capi salgono piano per
piano scopandosi tutte le donne?
Sono l’unica con cui Jameson sta flirtando? O convoca anche altre
ragazze nel suo ufficio?
Chiudo gli occhi, disgustata.
Smettila.
Dio, devo darmi una calmata.

Rovisto nel mio armadio e tiro fuori i vestiti per domani. È tardi, ho
lavorato finora all’articolo che vogliono. Spero che vada bene. Questa volta
ero molto più preparata al riguardo. Cosa dovrei indossare domani? Faccio
come mi ha detto?
Appoggio sul letto gli abiti che Jameson mi ha ordinato di mettere e li
fisso. La gonna grigia con lo spacco, la camicetta di seta bianca. Come fa a
sapere che indosso un reggiseno di pizzo con questa camicia? E come
conosce questo outfit?
Mi guarda.
Sono attraversata da un brivido. Cazzo, quell’uomo mi sta incasinando
la testa. Mi sono trasformata in una massa di ormoni in subbuglio e
praticamente non mi ha nemmeno toccata.
Chissà come mi ridurrei se lo facesse.
Ripenso a questo pomeriggio e al modo in cui mi ha sfiorato tutto il
corpo con un dito, a come me lo ha infilato in bocca e l’ho succhiato.
Mi tornano in mente le sue parole: “Voglio che ti scopi. A lungo…
lentamente e profondamente”.
Chiudo gli occhi e comincia a ribollirmi il sangue nelle vene per
l’eccitazione. Vuole che io venga pensando a lui. Vado fino al mio
comodino e tiro fuori il vibratore. Lo tengo in mano per guardarlo.
«È un sostituto molto freddo, signor Miles», mormoro nel silenzio. Ho
una gran voglia di chiamarlo e dirgli di venire qui per occuparsene di
persona.
Ma ovviamente non lo farò. Spengo la luce e mi infilo sotto le coperte.
Mi sfioro il seno nudo con una mano. Chiudo gli occhi e apro le gambe,
immaginando che Jameson Miles sia qui con me.

«Volete mangiare qualcosa dopo il lavoro?» chiedo a Molly e ad Aaron.


«Sì, certo. Ma qualcosa di salutare», risponde lei, battendo sulla tastiera
del computer. «Non riuscirò mai a farmi una scopata se non inizio a
lavorare su questo culone.» Non smette di scrivere mentre parla con me. «E
ho bisogno di finire per le otto. Devo andare a prendere i ragazzi.»
«Sì, okay», sospira Aaron. «Mi sembra una buona idea.»
«Questo pomeriggio devo fare formazione», comunico, cercando di
sembrare disinvolta.
Entrambi alzano lo sguardo dal loro lavoro. «Dove?»
«Negli uffici della dirigenza.»
«Oh mio Dio.» Molly fa un sorrisetto. «Lui ti ha detto qualcosa?»
Chino il capo e lancio un’occhiata alle telecamere. «Ve lo racconterò
questa sera.»
«Dio, vivo per ascoltare i tuoi resoconti», bisbiglia Aaron. «Ti prego,
dimmi che te lo sei fatto sulla sua scrivania.»
Ridacchio e concludo quello che sto facendo. «No, non essere sciocco.»
Prendo la mia cartella con il falso articolo. «Ci vediamo dopo.»
I due mi guardano con un ghigno. «Buona fortuna.»
Cinque minuti dopo, mi ritrovo all’ultimo piano con il cuore che mi
batte nel petto come un tamburo. Ho deciso di non indossare quello che
Jameson mi aveva chiesto, sarei stata troppo diligente. E comunque cosa gli
fa credere di potermi dire come vestirmi?
Sammia sorride non appena mi vede. «Signor Miles, c’è qui Emily
Foster per vederla.»
«Puoi farla entrare», replica la sua voce morbida.
Attraverso il corridoio di marmo in punta di piedi, riappuntandomi
mentalmente di comprare un paio di scarpe con la suola in gomma. Perché
continuo a dimenticarlo? Busso alla sua porta.
«Avanti», mi dice.
Apro e lo trovo seduto alla sua scrivania, al telefono. Mi getta uno
sguardo.
“Ciao, Emily”, mima con le labbra.
«Ciao», lo saluto cortese, stringendo la mia cartella.
“Prego, accomodati.” Indica una sedia e solleva un dito. “Un minuto”,
mi comunica ancora senza emettere un suono.
Annuisco compiacente e mi siedo.
«Lo capisco, Richard. Sì, lo so.» Resta in ascolto. «Non mi importa se
lavora sodo. Ha infranto il protocollo e ci sono delle conseguenze.» Mi
acciglio. Ma che accidenti… Con chi sta parlando?
«Richard», sbotta. «O la licenzi questo pomeriggio, o lo faccio io. Ed
entrambi sappiamo chi lo farebbe in maniera meno dolorosa.» Alza gli
occhi al cielo. «Tristan lo sa, sì», dice con tono secco. «Ma, in quanto
amministratore delegato, sono io ad avere il controllo. Hai due ore per
scortare Lara Aspin fuori dall’edificio, o scenderò di persona.» Riattacca
furioso.
Lo guardo sbalordita. Che cosa avrà mai fatto quella donna?
Jameson si morde il labbro con fare rabbioso, fissandomi in viso.
«Ho l’articolo che mi hai chiesto», mormoro.
«Bene.» Prende la mia cartella e spinge la sedia all’indietro per iniziare
a leggerlo.
Oggi è diverso, è arrabbiato. Ma forse è solo per la chiamata che ha
appena concluso.
Inspira a fondo e sfoglia le pagine, chiaramente frustrato.
«Va bene?»
Jameson alza un sopracciglio, come se fosse ben poco colpito. Io mi
acciglio.
«Un grosso evento climatico non è una gran notizia, non ti pare?»
«Beh, di cosa vuoi che scriva?» balbetto. «Non posso fare nomi di
persone, luoghi o altro perché è una storia falsa. Non voglio che ci facciano
causa.»
«Sono ben consapevole di cos’è, signorina Foster», sbotta lui.
«Che cos’hai che non va oggi?» sussurro.
Jameson sfoglia le pagine mentre riprende a leggere. «Niente.»
Continua con l’articolo. «Questo non va bene. Lo scriverò io stesso.»
Aggrotto le sopracciglia. «Ieri notte ci ho lavorato per quattro ore.» Lui
alza gli occhi dai fogli, e io mi faccio piccola sotto il suo sguardo severo.
«Beh, di cosa vuoi che scriva, allora?» insisto.
«Di qualsiasi cosa che non sia il meteo, cazzo.» Chiude la cartella come
se ne fosse disgustato e la appoggia sul tavolo. Preme un pulsante
sull’interfono. «Tristan, vieni qui, per favore.»
«Certo.»
Mi faccio ancora più piccola sulla mia sedia. Dio, è cattivo quando è
arrabbiato.
Tristan entra nell’ufficio e Jameson fa un sospiro profondo. «La
signorina Foster ha scritto il suo articolo.» Indica la cartella.
«Bene.» Il fratello sorride, la prende e inizia a leggere.
«Un evento sismico non va affatto bene», sbotta Jameson.
Tristan stringe le labbra, continuando a leggere. «Però è un ottimo
articolo», commenta.
Mmh, ho una cotta per il fratello sbagliato… il mio è uno stronzo.
«Grazie.» Fingo un sorriso. «Con il dovuto rispetto, Jameson», dichiaro,
«se diamo un nome a questo evento e pubblicizziamo il suo arrivo nei
prossimi quattro mesi, dicendo che provocherà dei seri danni, la storia
prenderà piede. Non ci saranno nomi a cui risalire, nessuna persona o luogo.
Non vedo come avrei potuto scrivere di qualcos’altro senza compromettere
la nostra integrità.»
«Non siamo qui per dimostrare la nostra integrità», ringhia lui. «Stiamo
cercando di tenercela stretta.»
Mi appoggio allo schienale della sedia, irritata.
«Voglio una storia su un caso di omicidio seguito dall’FBI.» Riflette,
socchiudendo gli occhi. «Inventa un finto omicidio e una falsa indagine.
Scrivi quanto sono vicini a risolvere il caso.»
La rabbia mi ribolle nelle vene. «Se sapevi cosa volevi che scrivessi,
perché non me lo hai detto ieri?» gli chiedo con tono secco. «Mi hai detto di
fare quello che volevo, e io ho passato quattro ore a scrivere questo articolo
per te.»
Tristan stringe le labbra per nascondere un sorrisetto. «Ho delle cose da
fare. Fatemi sapere quale articolo useremo», annuncia, incamminandosi
verso l’uscita. «Grazie, Emily. Ottimo lavoro.» Chiude la porta dietro di sé.
Guardo in cagnesco il bastardo di fronte a me. «Quindi, cosa vuoi che
faccia?»
Jameson alza uno sguardo gelido a incontrare il mio. «Ieri ti ho detto
cosa volevo che facessi, ma non mi hai obbedito… non è vero?»
Mi acciglio. Un secondo, di cosa sta parlando? Sono confusa. Non è
necessario che sia così dannatamente scortese.
Riprendo di scatto la cartella dal tavolo. «Va bene», gli dico. «Scriverò
un falso articolo sul falso omicidio di un falso amministratore delegato per
mano di una falsa nuova dipendente.» Mi lancia un’occhiataccia. «Con una
falsa ascia.»
«Beh…» replica lui con una smorfia, «accertati che lei abbia addosso
una cazzo di gonna grigia.»
Rimango a bocca aperta, è arrabbiato perché non ho fatto come mi
aveva chiesto. L’arroganza di questo bastardo…
«No, non mette gonne grigie su richiesta. È nuda perché ha fatto del
sesso selvaggio con il suo sexy fidanzato, appena prima di mozzare
l’uccello del viziato amministratore delegato.»
Jameson socchiude gli occhi in un’espressione carica di disprezzo.
Mi alzo. «Avrai la tua storia per le cinque. Te la manderò per e-mail.»
«No, me la consegnerai di persona.»
«Con tutto il dovuto rispetto, signor Miles», dico, sorridendo, «non ho
voglia di rivederti oggi. La consegnerò a Tristan.»
«Provaci e vedrai che cosa succede», replica brusco.
Mi volto ed esco furibonda dall’ufficio, con il fumo che mi esce dalle
orecchie.
Quest’uomo è un vero porco.
Sono le cinque e mezza e io sono seduta alla scrivania a battere l’ultima
parola del mio articolo falso. Detesto ammetterlo, ma questo è migliore del
primo. I miei colleghi sono andati al bar, e io li raggiungerò lì a breve.
Dovrei portare il mio lavoro su in ufficio, ma non lo farò.
Che Jameson vada a fanculo.
Premo Invio per spedirgli l’articolo via e-mail, poi spengo il computer e
raccolgo le mie cose dalla scrivania.
Il mio telefono comincia a squillare, e la lettera J illumina lo schermo.
Ho salvato il numero con la sua iniziale, così saprò se mi chiama. Prendo il
cellulare e premo Rifiuta, poi faccio un sorriso di sfida alla telecamera,
sapendo bene che mi sta osservando.
Non ho appena rotto con uno stronzo egoista per cominciare a
frequentarne un altro. Può baciarmi le chiappe. Ricevo subito un messaggio.

J: Rispondi a quel cazzo di telefono.

Guardo di traverso quelle parole e gli rispondo.

I : Non ho niente da dirti. Ho finito di lavorare per oggi. Hai il tuo articolo.
Buona fortuna.

Arriva subito una replica.

J: Questa è una telefonata di natura personale.

Roteo gli occhi, disgustata, e rispondo di nuovo.


I : Trova qualche altra donna con una gonna grigia che ti succhi il cazzo su
richiesta. Non sono interessata all’incarico.

Tolgo la suoneria al cellulare, lo infilo nella borsa e continuo a riordinare la


scrivania. Prendo l’ascensore per il foyer e, mentre lo sto attraversando,
noto che una guardia di sicurezza è al telefono.
«Mi scusi, signorina», mi chiama.
«Sì?»
«Mi hanno detto di chiederle di aspettare qui.»
Merda. Sta scendendo.
«Ehm, no, non posso. Mi dispiace. Chieda scusa da parte mia», balbetto,
superandolo e uscendo dal portone d’ingresso. Giro l’angolo di corsa e, non
appena sono fuori dalla visuale della guardia, corro dall’altra parte della
strada per entrare nel bar di ieri e rimanere a guardare.
Che cosa vuole?
Mi accomodo su una sedia vicino alla vetrina e vedo Jameson uscire in
fretta dall’edificio e poi guardare su e giù per la strada. Tira fuori il cellulare
e chiama qualcuno. Il mio telefono inizia a vibrare nella borsa.
Merda. Finirò per rovinare questa opportunità e mi farò licenziare.
È per questo che oggi ha fatto licenziare quell’altra ragazza? Andava a
letto con lui e le cose si sono messe male? Lo guardo continuare a
controllare da una parte all’altra della strada e comporre di nuovo il mio
numero. Lascio che il telefono squilli a vuoto. Jameson è evidentemente
furioso.
Il portone si riapre e ne esce Tristan. Jameson gli dice qualcosa che lo fa
scoppiare a ridere. Che cosa gli avrà detto? Osservo i due uomini che si
guardano intorno con il cuore che mi batte all’impazzata, e alla fine arriva
la limousine. Jameson mi chiama di nuovo, e io chiudo gli occhi.
Smettila di telefonarmi.
Alla fine i due salgono nell’auto, che si allontana sotto ai miei occhi. Mi
passo una mano sul viso in preda alla disperazione. Il suo caratterino
insieme al mio dà origine a una pessima combinazione.
Noi due siamo ufficialmente una pessima idea.
Un’ora dopo
«Cosa vuoi dire?» Molly mi rivolge un’espressione accigliata. «Sono
confusa.»
«È tutto un gran casino», sospiro. «Sono tornata a casa in California, ed
è venuto fuori che a Robbie non importa niente di me, quindi l’ho lasciato.
Ma non l’ho detto a Jameson perché non voglio che pensi che lo abbia fatto
per lui.»
«Sì, questo l’ho capito.» Aggrotta le sopracciglia. «Ma perché ora
Jameson sta facendo lo stronzo?»
«Perché Emily non ha messo la gonna grigia», interviene Aaron. «Non
l’hai ascoltata?»
«Ma perché?» esclama lei. «È ridicolo.»
«Lo so», sbotto.
«Non è per la gonna», risponde lui masticando. «È una questione di
potere. Vuole che lei faccia quello che le dice.»
Mi rabbuio, ascoltandolo. «Lo pensi davvero?»
«Continuo a non capire.» Molly sbatte le palpebre, confusa.
«Per lui è un gesto simbolico: vuole che Emily si sottometta.»
«Beh, non ho intenzione di cedere.» Sbuffo. «Davvero, è uno stupido se
crede che lo farò.»
Molly alza gli occhi al cielo. «Oh Dio, se mi chiedesse di indossare una
gonna fatta di reni lo farei», commenta irritata, fissando un punto nel vuoto.
«Ucciderei persino cinquanta uomini per recuperare tutti quegli organi.»
Aaron ridacchia. «Vero? Anche io. Non c’è niente che non potrebbe
chiedermi di fare.» Alza le mani verso il soffitto. «Farei di tutto.»
Sollevo lo sguardo, esasperata, e poi tutti rimaniamo a riflettere per un
momento.
«Sai cosa farei se fossi in te?» dice Molly.
«Cosa?»
«Domani metterei la gonna grigia e poi lo ignorerei completamente.» La
fisso. «Fai disperare quel bastardo.»
«Giusto.» Aaron mi rivolge un ampio sorriso. «Flirta con tutta te stessa
dentro a quella gonna grigia.»
Mentre l’idea comincia a prendere piede nella mia mente, faccio un
sorrisetto soddisfatto. «Sapete, ragazzi… in effetti, è proprio un consiglio
niente male.»
Alzo il bicchiere in aria, sorridendo ai miei due amici.
«All’operazione La Sgualdrinella Provocante dell’Ufficio», dichiara
allegramente Molly, accostando il suo bicchiere al mio e facendo tintinnare
il vetro.
La guardo e faccio lo stesso. «Che il gioco abbia inizio.»

Marcio nell’ufficio come una rock star.


Niente calze: fatto.
Reggiseno di pizzo bianco: presente.
Camicetta di seta bianca: presente.
Coda alta: presente.
Gonna grigia con lo spacco: presente, presente, assolutamente presente.
«Buongiorno.» Arrivo alla scrivania e sorrido ai miei amici.
Loro spostano lo sguardo su di me e sogghignano entrambi vedendo che
indosso gli abiti richiesti da Jameson. Aaron mi fa un occhiolino e torna a
girarsi verso il suo computer.
«Qualcuno vuole un caffè?» chiedo.
«Sì, grazie», rispondono tutti e due.
Mi dirigo verso la cucina, e Ricardo mi segue. «Ehi, piccola, ti stavo
aspettando.»
Gli rivolgo un sorriso esagerato e falso. Dio… non potrei avere
qualcuno di meglio di questo tizio con cui fingere di flirtare?
«Ciao», rispondo con entusiasmo. «Come va?»
«Tutto bene.» Si illumina sentendo il mio slancio. «Senti, mi dispiace di
averti messa nei guai l’altro giorno.»
Incurvo le labbra in un sorriso, passandomi le dita tra i capelli raccolti.
«Non c’è problema. Che ne dici di venirmi a trovare più tardi?»
Gli si illumina lo sguardo. «Okay, siamo d’accordo.»
Torno alla mia scrivania e mi siedo, portando i nostri tre caffè. Apro la
casella di posta elettronica e mi metto al lavoro. La notte scorsa, Jameson
mi ha chiamata tre volte, e io non so il perché. Non so se volesse scusarsi o
magari litigare… ma non gli darò la soddisfazione di rispondere alle sue
telefonate perché possa fare una delle due cose.
Passerò una bella giornata e non penserò a Jameson Miles nemmeno
una volta.

Sono le tre e l’operazione La Sgualdrinella Provocante dell’Ufficio è in


pieno svolgimento. Oggi ho ridacchiato e flirtato con ogni sfigato del
palazzo. Non so nemmeno se lui mi stia guardando, ma sto per alzare la
posta in gioco. Sto andando da Tristan per parlare dell’articolo che ho
scritto.
Le porte dell’ascensore si aprono e io rivolgo un sorriso all’assistente.
«Salve, sono qui per vedere Tristan.»
«Certo, solo un momento.» Aggrotta le sopracciglia, cercando di
ricordare il mio nome.
«Sono Emily Foster.»
«Giusto. Chiedo scusa.» Fa la chiamata. «Tristan, c’è Emily Foster qui
per vederti.»
«Okay, mandala dentro», risponde lui con tono allegro.
«Attraversa la sala conferenze e, invece di voltare a sinistra per andare
nell’ufficio di Jameson, gira a destra, poi segui il corridoio sull’altro lato del
palazzo.»
«Grazie.» Seguo le sue indicazioni e mi dirigo verso l’altro capo
dell’edificio. Aggrotto le sopracciglia, trovando quattro uffici. Esito. Quale
aveva detto?
Proseguo lungo il corridoio, e si apre una porta. Jameson è lì dentro, sta
parlando con un uomo. «Scusa il disturbo. L’ufficio di Tristan è quaggiù?»
gli chiedo.
Non appena mi vede il suo viso si incupisce.
«La prossima porta», risponde l’altro.
Gli faccio un sorriso dolce. «Grazie.» Proseguo e vado a bussare
all’ufficio di Tristan.
«Avanti», dice, e io entro, richiudendomi la porta alle spalle.
«Buon pomeriggio.»
«Ciao, Emily», mi saluta lui calorosamente, indicando la sedia davanti
alla sua scrivania. «Prego, accomodati.»
Mentre mi siedo, mi accorgo che quest’uomo non mi rende affatto
nervosa; vorrei che fosse così anche con suo fratello.
«Mi chiedevo solo se avessi avuto il tempo di leggere l’articolo che ho
scritto.»
«L’ho fatto, sì, e mi è piaciuto molto. Tu ne sei soddisfatta?»
«Sì, credo che vada molto meglio rispetto al primo. Non ero sicura di
come dovessi procedere.»
Lui corruga la fronte. «Dovremo inviarlo come se fosse un fatto di cui
sei venuta a conoscenza tu. Hai parlato con Jameson?»
«Ehm…»
La porta del suo ufficio si apre e Jameson entra a passo di marcia.
«Ciao.»
«Parli del diavolo…» Tristan sorride.
«Ciao», rispondo, e poi riporto la mia attenzione sul fratello più
giovane. È difficile non fissare Jameson quando è in una stanza. Domina
ogni spazio.
Fare la preziosa è più arduo di quanto sembri.
«Emily è qui per parlare dell’articolo che ha scritto.»
«Capisco.» Mi fissa, e io mi sento avvolgere dall’attrazione magnetica
che lui esercita su di me.
«Andava bene?» chiedo.
«Sì.» Sostiene il mio sguardo. «Molto bene.»
«Lo inviamo come se fosse una notizia scoperta da Emily?» domanda
Tristan.
Jameson non distoglie gli occhi da me. «Sì, direi di sì.»
Guardo i due uomini. «Okay. Lo invierò e vi farò sapere cosa succede.»
Il maggiore dei due fratelli continua a fissarmi. «Ho bisogno che tu
aggiunga un dettaglio. Ce l’ho sul computer. Vieni con me, te lo prendo
subito.»
Sento la pelle formicolare. «Okay», rispondo alzandomi in piedi.
Jameson allunga un braccio. «Prima le signore.»
Mi volto verso suo fratello. «Grazie. Ci vediamo più tardi.»
Tristan mi fa un ampio sorriso. «Arrivederci. Passa un bel pomeriggio.»
Mi avvio verso l’ufficio di Jameson e percepisco il calore del suo
sguardo sul mio sedere.
Fai la disinvolta… non flirtare… non toccarlo. Fai l’indifferente.
Sono qui solo per provocare questo bastardo… niente di più, niente di
meno. Raggiungiamo il suo ufficio e lui apre la porta. Lo supero, e Jameson
chiude subito a chiave.
Mi volto mentre lui avanza lentamente verso di me. Si ferma ad appena
un centimetro dal mio volto. Ci guardiamo negli occhi e, senza dire una
parola, Jameson mi afferra i capelli raccolti per avvolgerseli attorno a una
mano e attirarmi ancora più a sé.
«Non oppormi resistenza», sussurra, chinandosi per sfiorarmi le labbra
con la lingua.
«E tu non fare lo stronzo», bisbiglio.
Si abbassa e mi accarezza una gamba nuda, stringendo la mia coda tra le
dita. Mi lecca il collo, che ho piegato per lui, e poi mi afferra il sedere.
«Dimmi che non stai più con lui», mormora contro il mio orecchio,
baciandolo dolcemente.
Ah… Non era così che il piano sarebbe dovuto andare. A questo punto,
avrei dovuto respingerlo.
Missione annullata…
«Non stiamo più insieme», ansimo.
Cattura le mie labbra, infilandomi facilmente la lingua in bocca, e tutti i
miei sensi si risvegliano. Con una mano mi attira contro la sua erezione in
attesa, mentre il nostro bacio si fa frenetico. Mi spinge contro il muro,
tirandomi su la gonna e infilando le sue grosse dita sotto le mie mutandine.
I suoi occhi cupi sono fissi su di me.
«Questa notte scopiamo.»
Capitolo 7

Emily

«J », . «F .» R fianchi.
Lui sorride contro il mio collo e mi attira di più a sé. Sfiora le mie
labbra con le sue, prendendomi il viso tra le mani. Il bacio è
intenzionalmente lento e passionale, e io mi ritrovo quasi a fluttuare per
aria.
«Cena?» ansima.
«Mmh.» Sorrido contro di lui mentre mi stringe il viso. Quel bacio è
inconfondibile. È seducente, sensuale e promette soddisfazione sessuale.
«A che ora ti vengo a prendere?»
«Dipende.»
«Da cosa?»
«Se credi di potermi dire o meno cosa indossare e cosa fare.»
Mi fa un sorriso tenero, e il mio cuore perde un battito. È dalla sera che
ci siamo conosciuti che non mi guarda in questa maniera.
«Perdonami», sussurra, chinandosi per baciarmi di nuovo. «Volevo solo
che indossassi i miei vestiti preferiti per poterti ammirare.» Abbassa le
labbra sul mio collo, come se non riuscisse a fermarsi. «Non avevo
intenzione di offenderti.»
«Devi proprio essere così brusco con me?» bisbiglio mentre mi sfiora la
mascella con i denti.
«Io sono sempre brusco.»
«L’uomo che ho conosciuto su quell’aereo era divertente e spensierato.»
Fa un’espressione divertita, spostandomi un paio di ciocche ribelli dalla
fronte. «Il nostro incontro è stato un lusso che non mi era mai stato
concesso.»
«Come sarebbe?»
«Per una volta, ho avuto il dono dell’anonimato.»
Le nostre labbra si sfiorano, e io gli accarezzo le guance ruvide.
«Perché sei così diverso qui?» mormoro.
Jameson si libera dal mio abbraccio e torna alla sua scrivania. «Sono chi
devo essere, Emily. Un uomo divertente e spensierato non può gestire in
modo efficace un impero mediatico.»
Lo guardo, riflettendo per un momento su ciò che ha appena detto.
«Okay, allora immagino di dover rifiutare l’invito a cena.»
«Perché?»
«Perché voglio passare una serata con Jim.» Sostiene il mio sguardo.
«L’amministratore delegato Jameson Miles non mi interessa. Non mi
importa nulla dei tuoi soldi o del tuo potere.» Mi fissa per un lungo
momento, come se stesse elaborando le mie parole. Mi avvicino a lui e lo
bacio dolcemente. «Di’ a Jim di venire a prendermi alle sette», mormoro,
passandogli la lingua sulle labbra. «Muoio dalla voglia di rivederlo.» Il suo
viso è pervaso dalla tenerezza. «Vedrò cosa posso fare.»

Torno al mio piano e mi siedo alla scrivania.


«Come è andata?» bisbiglia Aaron, continuando a scrivere. «Lo hai fatto
supplicare?»
«Dio, non sono capace di fare la preziosa», sospiro.
Molly sogghigna. «Non lo siamo tutti?» Accendo il
computer.
«Allora?» sussurra Aaron, smettendo di lavorare. «Racconta.»
«Stasera ceniamo insieme», rispondo, cercando di fingermi disinvolta.
«Oh mio Dio», bisbiglia Molly in preda all’eccitazione. «Accidenti,
cosa ti metterai?»
«Non lo so.» Mi acciglio. «Qualcosa di assurdamente sexy.»

Mi premo una mano sul cuore, cercando di costringerlo a rallentare, e lancio


un’occhiata all’orologio sul muro. Le sei e cinquantacinque.
Jameson sarà qui da un momento all’altro.
Scuoto le mani, camminando avanti e indietro. «Rimani calma… non
andare a letto con lui. Qualsiasi cosa succeda, non fare la ragazza facile»,
ricordo a me stessa, parlando ad alta voce. Torno allo specchio del bagno e
sistemo il rossetto. «Imparate a conoscervi, e poi prendi una decisione
ponderata in base alla sua personalità e non a quanto ti eccita.» Faccio un
sorrisetto alla ragazza ridicola che parla al suo riflesso. Ma, d’altronde, se il
suo cazzo non fosse tanto perfetto, io non ci starei pensando… non è così?
Il mio cellulare vibra. «Pronto», rispondo con il cuore che batte
all’impazzata.
«Sono al piano di sotto», mormora la sua voce profonda e vellutata.
«Qual è il tuo campanello?»
«Scendo subito. Ci vediamo tra poco.»
Mi posiziono davanti allo specchio a figura intera e mi do un’ultima
occhiata. Indosso un aderente abitino nero che mi arriva appena sotto alle
ginocchia. Ha spalline sottili e una profonda scollatura sulla schiena. È
perfetto con i tacchi a spillo neri e la pochette coordinata. Ho acconciato i
miei capelli scuri in grandi boccoli hollywoodiani e li ho tirati indietro solo
da un lato. Ho fatto del mio meglio con il trucco, con uno smokey eye
grigio sugli occhi e lucide labbra rosse.
E, ovviamente, sono depilata in maniera piuttosto accurata… per ogni
evenienza.
Prendo l’ascensore e, mentre attraverso l’atrio per uscire, lo scorgo al di
là delle porte di vetro del palazzo. Indossa una giacca sportiva color blu
scuro, un paio di jeans e una maglietta bianca. Sembra appena uscito da una
rivista.
Non appena lo vedo, rimango senza fiato e sorrido quando si volta verso
di me.
«Ciao.» Ricambia il mio sorriso.
«Ciao.»
Fa scorrere lo sguardo lungo tutto il mio corpo, prendendomi una mano
nella sua. «Sei bellissima.»
«Grazie», rispondo con fare timido.
Ci fissiamo l’un l’altra… ed eccola di nuovo: l’elettricità che scorre tra
di noi ogni volta che siamo da soli.
«Che cosa vuoi fare?» mi chiede, abbassando lo sguardo sulle mie
labbra.
Sorrido. Jim è qui… Jameson non mi domanderebbe mai cosa voglio
fare.
«Non hai parlato di cibo italiano?»
Lui si china e mi bacia, succhiandomi il labbro inferiore quanto basta
per farmi fluttuare a qualche centimetro dal pavimento. Gli passo le braccia
attorno al collo e rimaniamo in strada a fissarci per qualche istante.
«Mi ecciti da morire, Emily Foster.»
Sorrido e gli affondo le dita tra i capelli scuri. «Hai attraversato tutta la
città per pomiciare con me in strada?» gli domando con finta innocenza.
«No.» Fa un sorrisetto. «Ma ora che sono qui è l’unica cosa che voglio
fare.»
Ci baciamo di nuovo, in modo lento e dolce. Sento l’eccitazione alzarsi
come un 747.
La sua rigida lunghezza fa la sua comparsa contro la mia pancia, e io
sorrido.
«Che c’è?»
«Viene anche lui a cena?» gli chiedo.
Jameson ridacchia. «Beh, sembra che voglia fare capolino ogni volta
che sei nei paraggi.»
«Io non userei un diminutivo per descrivere quella cosa.»
Nei suoi occhi brilla un certo nonsoché, e mi prende una mano nella
sua. «Di qua.»
«Andiamo a piedi?» chiedo sorpresa.
«Mi sono fatto lasciare qui. Più tardi verranno a prenderci. Useremo un
taxi per andare al ristorante.»
«Okay.»
Giriamo l’angolo e lui chiama un’auto. Saliamo sui sedili posteriori del
taxi. «Waverly Place, per favore.»
«Certo.» L’autista si immette nel traffico.
«Da quanto tempo vivi a New York?» gli domando.
«Da tutta la vita.»
«I tuoi genitori abitano qui?» Aggrotto la fronte. Non riesco a
immaginare di crescere in una città come questa.
«Sì, anche se sono andato a scuola altrove.»
«Dove?»
«In molti posti, ma ho finito ad Aspen.»
Lo fisso. Ma che cavolo?
«Sei andato da solo a scuola ad Aspen?»
«No, ho sempre avuto i miei fratelli con me.» Mi solleva una mano per
baciarmi il dorso con un sorriso tenero.
Lo osservo. Veniamo da mondi completamente diversi. Non riesco
nemmeno a immaginare come sia stata la sua vita.
«Cos’è quello sguardo?» mi domanda.
«Io non potevo nemmeno restare a dormire a casa di un’amica.»
«Nella mia famiglia è sempre stata incoraggiata l’indipendenza.»
Non appena mi viene in mente una cosa, mi scappa un sorriso.
«Che c’è?»
«Se vivi da solo da quando avevi…» Mi interrompo, aspettando la sua
risposta.
«Dodici anni.»
«Dovresti avere l’intelligenza emotiva di un novantenne. Non è vero?»
Lui getta la testa all’indietro, scoppiando a ridere. «Dovrei è la parola
chiave.» Gli brillano gli occhi per l’allegria. «E la tua come sarebbe?»
«Mmh.» Aggrotto le sopracciglia, riflettendo. «Emotivamente credo di
essere intorno ai trent’anni.»
«E fisicamente?» sogghigna.
«Oh, Dio. Diciotto anni.» Rido. «Non ho molta esperienza.» Mi guarda
negli occhi, e io riesco a percepire addosso il calore del suo sguardo. «E la
tua esperienza fisica come sarebbe?» sussurro.
«Preferisco mostrartelo invece che raccontartelo.» Mi rivolge un sorriso
sexy. «E sarei felice di farlo.»
Ridacchio mentre il taxi inizia a fermarsi. «Ci scommetto.»
Usciamo dal veicolo e, due minuti dopo, Jameson mi sta tirando per
mano dentro un ristorante di nome Babbo. Dall’esterno sembra un piccolo
pub inglese, carino e pittoresco, ma, una volta attraversate le porte, si rivela
molto più grande di quanto appaia. Lo spazio è scuro e malinconico, e i
lampadari dorati creano una certa atmosfera. Ci sono fiori freschi dentro
vasi sparsi ovunque, ed è incredibilmente romantico.
«Salve, signor Miles.» L’uomo al bancone ci accoglie amichevolmente.
«Il suo tavolo è da questa parte.»
Jameson mi stringe la mano e mi guida fino a un angolo del ristorante; il
cameriere scosta la mia sedia e mi fa accomodare.
«Grazie.»
«Gradite qualcosa da bere per iniziare?»
«Sì.» Jameson studia il menù del vino. «Rosso?» mi chiede.
«Va bene qualsiasi cosa.» Scrollo le spalle con un sorriso nervoso.
«Prendiamo una bottiglia di Henschke.»
«Sì, signore, quale?»
«Hill of Roses, grazie», risponde lui, chiudendo il menù. Il cameriere
svanisce, lasciandoci da soli.
«Suppongo che tu conosca bene i vini», osservo.
Lui versa l’acqua a entrambi. «Vado solo nei ristoranti che tengono le
marche che mi piacciono. Quindi sì, direi che li conosco.»
«Ah, capisco.» Faccio un sorrisetto. «Sei uno di quelli.»
Lui incurva le labbra. «Forse.»
I nostri sguardi indugiano l’uno nell’altro per un momento.
«Non riesco a credere che tu sia l’amministratore delegato.»
Jameson ridacchia e appoggia il mento su una mano. «Credevo che
stasera volessi un appuntamento con Jim.»
«Lo volevo… voglio dire, lo voglio.»
«Beh, allora perché stiamo parlando di amministratori?»
Sorrido dolcemente. «Non lo so.»
Il cameriere torna e apre una bottiglia di vino, per poi versarne un po’
per Jameson, che lo assaggia. «Va bene.» L’uomo riempie i nostri bicchieri
e svanisce.
Il mio compagno solleva il suo drink e io brindo con lui per poi bere un
sorso e assaporarne il gusto ricco e vellutato. «Mmh.» Annuisco. «Sono
colpita.»
«Ho un gusto eccellente.» Sorride prima di tornare di nuovo serio. «In
tutte le cose.»
Gli rivolgo un’espressione imbarazzata: sta parlando di me.
«Raccontami dello scorso weekend», mi esorta.
«Non c’è molto da dire.»
«Lo hai lasciato?»
«Avrei dovuto farlo tanto tempo fa.»
«Non eri felice?»
«No, da molto.»
«Come si chiama? Che cosa fa?»
«Non ti dirò il suo nome», rispondo con tono secco. «È un uomo
d’affari, affascinante e di successo», mento.
Lui sorseggia il suo vino e mi fissa, e io capisco che ha in mente
qualcos’altro.
«Che c’è?» gli chiedo.
«Hai mai ripensato a me?»
«Sì.» Sorrido appena. «E tu?»
«In effetti, sì.» Sostiene il mio sguardo.
«A che cosa pensavi?»
Un’espressione sexy gli attraversa lentamente il volto.
«Cosa?»
«Non lo vuoi sapere.»
«No, invece lo voglio.» Gli sorrido. «Dimmelo.»
«Pensavo che sei stata la scopata più bollente che io abbia mai avuto.»
Abbassa gli occhi sulle mie labbra. L’aria tra di noi si riempie di elettricità.
L’eccitazione è palpabile. «E anche adesso, ogni volta che sono in una
stanza insieme a te, è come se il mio corpo si caricasse di un bisogno tutto
suo.» Il tempo sembra fermarsi mentre ci fissiamo. Lui sorseggia
lentamente il suo vino. «Quando ti guardo… ho una cosa sola in mente»,
mormora. «Non posso farci niente. È quasi primordiale.»
Primordiale.
«Sta diventando maledettamente difficile controllarmi», sussurra con
fare tenebroso.
Dannazione, quest’uomo è davvero speciale, ma ogni campanello
d’allarme mi sta avvertendo che dovrei scappare via più in fretta che posso.
Se riesce a farmi questo effetto dopo una notte… cosa potrebbe farmi dopo
due?
Incrocio il suo sguardo e l’attrazione che provo per lui mi fa ribollire il
sangue. All’improvviso, non ho più voglia di fare la preziosa, non mi
importa che non ci conosciamo. Non mi interessano i rischi. Ha qualcosa di
cui ho bisogno… e, maledizione, lo prenderò senza fare domande.
«Dovremmo ordinare», sussurro.
Lui apre il menù con una certa urgenza. «Che cosa vuoi?»
«Il piatto più veloce.»

Un’ora più tardi, mi sta quasi trascinando lungo il marciapiede, tenendomi


per mano.
«La mia auto è parcheggiata quaggiù.»
Si gira per prendermi tra le braccia e mi posa sulle labbra un bacio
possessivo. Sorrido contro la sua bocca. La maniera in cui abbiamo riso e
parlato durante la cena mi ha riportato alla mente il Jim dei miei ricordi,
l’uomo sull’aereo che era interessato a tutto di me e della mia vita. Come se
anche lui se ne fosse accorto, abbiamo quasi pomiciato al centro del
ristorante affollato. Ha ragione, questa attrazione tra di noi è assurda.
«Sbrighiamoci», bisbiglio, le labbra a pochi millimetri dalle sue.
Una cosa è uscire a cena con un uomo affascinante, tutta un’altra è
passare la serata intera a immaginarsi sotto il tavolo a succhiargli l’uccello.
Non so se sia perché mi ha detto che sono stata la migliore scopata che
abbia mai avuto, ma… accidenti, voglio farlo andare fuori di testa. Non
vedo l’ora di spogliarlo. Voglio tornare a essere la ragazza in cui mi ha
trasformata quando ci trovavamo a Boston. Mi è mancata.
Giriamo l’angolo, e vedo la grande limousine nera parcheggiata accanto
al marciapiede. Mi blocco.
«Che c’è?» si acciglia lui.
«La limousine è qui?»
«Sì, quindi?»
Lo fisso per un lungo momento.
Jameson rotea gli occhi e apre la portiera posteriore. «Entra.»
Salgo, e in due secondi anche lui è nell’auto, e mi ritrovo a cavalcioni
sul suo grembo con il vestito arrotolato fin quasi alla vita. Il pannello
divisorio è alzato, garantendoci un po’ di privacy. Il suo membro è duro. Mi
afferra per i fianchi e strofina il mio sesso avanti e indietro su di sé mentre
ci baciamo. Tiene le mani sul mio sedere per poi spostarle su e giù lungo la
mia schiena non appena il mio corpo assume un suo ritmo.
Con uno sguardo cupo, mi infila le dita nelle mutandine, facendole
scivolare fino al mio punto più sensibile.
«Cazzo», sussurra. «Potrei venire anche solo toccandoti e sentendo
quanto sei calda e bagnata.»
Inizio a spingermi su di lui con forza, alla ricerca di una connessione più
profonda, e Jameson rimane a bocca spalancata, fissandomi. Non so che
accidenti di pillole afrodisiache mi abbiano messo nel bicchiere durante la
cena, ma, pochi secondi dopo, mi ritrovo sul pavimento tra le sue gambe,
intenta ad abbassargli la zip dei jeans.
Quando lo spingo all’indietro sul sedile e gli apro bruscamente le cosce,
lui emette un sibilo eccitato. Ci fissiamo mentre lecco il liquido che cola
dalla sua punta. Jameson mi appoggia una mano su una guancia, e io lo
prendo a fondo in gola, facendolo irrigidire di colpo.
«Cazzo», mormora piano con la voce roca, contraendo gli addominali.
«Porca puttana, Emily.»
Prendo a stringerlo con forza nel pugno, e lui trema sotto di me. Sta per
esplodere. Voglio che venga subito, in fretta… e senza freni. Questa notte
sento il bisogno di farlo mio. Dargli piacere mi fa sentire bene con me
stessa, e questa nuova versione di Emily è una persona che mi piace. Voglio
tenermela stretta.
«Emily», ringhia lui a denti stretti, afferrandomi i capelli. «Siamo a
casa.» Attiva il blocco dello sportello appena prima che il suo autista riesca
ad aprirlo.
Mi rialzo rapidamente, tornando sul sedile, e lui si chiude i jeans.
Entrambi ansimiamo, cercando di riprendere fiato. Ma che cavolo mi
succede? Quest’uomo ha la capacità di trasformarmi in un animale.
Si gira verso di me e mi fa un sorrisetto, sistemandomi i capelli.
«Entriamo in casa, va bene?» Mi bacia con dolcezza, la sua bocca indugia
sulla mia mentre continuiamo a fissarci. «È bello rivederti, Emily Foster»,
bisbiglia.
Mi lecco le labbra, risalendo a cavalcioni sul suo grembo. «È bello
assaporarti di nuovo, Jameson Miles.» Strofino il mio sesso su di lui, e Jim
mi afferra all’altezza dei fianchi per tenermi ferma.
«Smettila», mi ordina. «Ora fermati.»
Accosto la bocca al suo orecchio. «Voglio farti venire nella tua auto»,
sussurro prima di morderlo. «Scopami qui.»
«Gesù Cristo.» Mi spinge giù dalle sue gambe e apre la portiera
dell’auto con un rapido movimento. L’autista china la testa, fingendo di non
sapere cosa stessimo facendo lì dentro.
«Grazie», gli dice Jameson, tirandomi fuori e dirigendosi a grandi passi
verso il palazzo.
Entriamo in ascensore, e l’operatore dentro alla cabina guarda dritto
davanti a sé. Io sto ansimando, sono fradicia e il mio sesso pulsa.
Sono un gran casino.
Gli occhi di Jameson sono cupi di desiderio mentre fissa le porte chiuse
di fronte a sé.
Dio, ho bisogno di lui.
Quando le porte si riaprono, Jameson prende la mia mano e mi trascina
fuori. Le sue labbra catturano di nuovo le mie, mentre mi spinge all’interno
del suo appartamento.
«Non è così che siamo entrati in camera l’ultima volta?» Quando mi
solleva, non posso fare a meno di sorridere.
«Più o meno.»
Mi mette giù e io mi guardo intorno, con il cuore che mi piomba nello
stomaco.
«Ma che cavolo, Jim…» sussurro in preda allo shock.
«Che c’è?» Si acciglia.
«Questa è casa tua?» gli domando, studiando la sala.
Lui abbassa le labbra sul mio collo, leccando e succhiando la pelle fino
a raggiungere la clavicola; è completamente concentrato.
L’appartamento è enorme e moderno, con finestre alte fino al soffitto e
le luci di New York che filtrano all’interno da ogni parte io guardi. Alcune
lampade sono posizionate in maniera strategica per creare un’atmosfera
calda. Non sono mai stata in un posto tanto bello… o in cui mi sentissi tanto
fuori posto.
I pavimenti sono ricoperti di parquet di legno chiaro, e lo spazio è
arredato con lussuosi divani di velluto e pelle. Nel soggiorno c’è un
caminetto su cui è appeso un gigantesco specchio dalla cornice dorata, e a
terra c’è uno splendido tappeto antico.
«Smettila di guardare la casa e pensa a me.» Mi prende il viso tra le
mani per costringermi a guardarlo.
Io lo fisso.
«Che c’è?» mormora.
«Questo appartamento.»
«E allora?»
«Vieni da un mondo diverso dal mio», bisbiglio.
«A chi importa?» Mi fissa negli occhi. «Ti voglio, e tu vuoi me.
Cos’altro c’è da dire?»
Il nostro bacio si fa disperato quando mi preme contro il muro e mi
toglie il vestito con un solo rapido movimento. Gli spingo la giacca giù
dalle spalle, afferro la maglia per sollevargliela e poi abbasso la zip dei
jeans, che lui calcia di lato.
Ci fissiamo, entrambi quasi nudi, ansimanti e desiderosi di un contatto
più profondo.
È come la mattina di Natale… solo meglio.
Poi so solo che lui mi sta trascinando attraverso l’appartamento per
gettarmi sul letto. Mi strappa l’intimo di dosso e il suo sguardo voglioso
percorre ogni centimetro di me, gustandosi la vista.
Ed eccolo lì: il fuoco che quest’uomo trasmette con i suoi occhi
potrebbe illuminare il globo. Non ho mai dimenticato la maniera in cui mi
ha guardata quella notte.
Mi solleva le gambe per avvolgersele attorno alla vita e poi inizia a far
scivolare il suo grosso membro proprio sul mio punto più sensibile.
Mentre mi osserva, un sorriso sexy gli attraversa il viso. «Ora mi
ricordo.»
«Che cosa?»
«Per cosa sta la F delle tue iniziali. Fuck Bunny, la coniglietta del
sesso.»
Scoppio a ridere. «Lo avevo dimenticato.»
«Come hai potuto? Ogni dettaglio di quella notte è impresso a fuoco
nella mia mente.» Mi porge un profilattico. «Mettimelo.»
Bacio delicatamente la punta dell’erezione prima di seguire le sue
istruzioni. È così autoritario…
«Che cosa ricordi con esattezza?» gli chiedo in un mormorio. Mi
stendo, e lui gattona di nuovo sopra di me.
«Il modo in cui mi guardavi, il tuo sapore sulla mia lingua…» Le sue
labbra catturano le mie, e il nostro bacio si approfondisce. «Ricordo
com’era sentire ogni muscolo dentro di te quando il tuo corpo si è stretto
attorno al mio.»
Alzo uno sguardo incantato su di lui, accarezzandogli la mascella ispida.
Ti prego, non diventare ancora più magnifico. Non saprei cosa farne di
te.
«Ma ciò che ricordo meglio è il modo in cui mi hai baciato.»
Lo guardo negli occhi. «E in che modo ti avrei baciato?»
«Come se avessi aspettato tutta la vita per farlo.»
Sprofonda dentro di me, e mi si stringe il cuore. Sollevo di più le
gambe. «Forse è così.»
I nostri occhi si incastrano gli uni negli altri, lui dentro di me, e,
nonostante io sappia che sia solo sesso e non significa niente, sembra intimo
e speciale… più di quanto dovrebbe essere.
Smettila. Non pensarci troppo.
«Hai intenzione di continuare a chiacchierare, o vuoi scoparmi?» lo
stuzzico per alleggerire il momento.
Lui ridacchia, si tira fuori e sprofonda di nuovo dentro di me,
lasciandomi senza fiato. Poi grido.
Oh… buon Dio. Credo di aver appena risvegliato il diavolo.
Si spinge dentro di me tenendo le mie ginocchia spalancate. Pompa
sempre più forte, e con ogni colpo mi fa inarcare la schiena e mi allarga un
po’ di più le gambe. Si ferma per fare un movimento circolare mentre è
ancora dentro al mio corpo. Reclino la testa all’indietro, abbandonando ogni
pensiero coerente.
«Oh Dio», gemo mentre mi sfiora il collo con i denti. «È così bello…»
Jameson ripete quel delizioso movimento, accarezzandomi il clitoride
con il pollice. Inizio a tremare, e lui mi afferra il viso, costringendomi a
voltarmi nella sua direzione. Mi inarco, contorcendomi sotto il suo corpo, e
i nostri sguardi si incontrano.
«Guardami mentre vieni sul mio cazzo», mi ordina, raddrizzando le
braccia e sollevando le mie gambe fino a posarsi le mie caviglie sulle spalle.
Il cambio di posizione lo spinge ancora più a fondo, e, non appena inizia a
muoversi, sobbalzo. Comincia a prendermi con un ritmo serrato, e gli
stringo le braccia, senza distogliere gli occhi da lui.
«Cazzo, sì», geme. «Cazzo… cazzo…» Lascia andare indietro la testa,
gridando, e percepisco il sussulto rivelatore mentre viene dentro di me.
Siamo madidi di sudore, e lui si china per catturare le mie labbra con le
sue. Il mio cuore batte fuori controllo mentre fisso il soffitto, cercando di
riprendere aria. Jameson preme il volto contro il mio collo, sfiorandomi la
clavicola con la bocca.
Che cazzo è stato? Non era sesso, ma un evento apocalittico.
Sono rovinata.

Mi sveglio immersa nell’oscurità. Il bagliore delle luci di New York infonde


un chiarore soffuso nella stanza. È tardi… o troppo presto. Saranno circa le
quattro del mattino, o almeno è quello che penso. Non abbiamo tirato le
tende prima di andare a dormire. Che notte…
Ci siamo divorati a vicenda fino a quando non ci è rimasto più niente.
Lo fisso, steso sulla schiena in un sonno esausto. Non so cosa siamo
l’uno per l’altra, ma è ovvio che lui sia la mia anima gemella sessuale. È
una cosa che esiste? I nostri corpi sono come animali quando siamo
insieme, nessuno dei due riesce mai ad averne abbastanza. Una sete che non
può essere placata.
Se si dovesse svegliare adesso, sarei subito eccitata, come so che lo
sarebbe anche lui.
Ha ragione: questo è primordiale.
Ho sete, quindi scendo dal letto e mi getto addosso la sua vestaglia per
andare in cucina alla ricerca di acqua. Abbiamo lasciato le lampade accese,
quindi le stanze sono parzialmente illuminate. Non mi ricordo nemmeno
come sono arrivata alla camera da letto.
Trovo un bicchiere e mi verso dell’acqua dal frigo e, quando mi guardo
intorno, mi sento sprofondare il cuore nel petto. Che razza di cucina è
questa? Sembra di essere in un ristorante.
Torno in soggiorno e guardo la città ben più in basso rispetto a dove ci
troviamo noi.
Sposto lo sguardo nell’appartamento, mentre il cuore continua a
palpitarmi contro lo sterno come una percussione. Questi sono i soldi veri.
Stupido denaro.
Tutta la mia casa potrebbe entrare nella sua camera da letto. Quanto
costa un posto del genere? I nostri vestiti sono sparsi a terra, li sollevo per
piegarli e appoggiarli sul tavolino da caffè. Poi vedo qualcosa illuminarsi
sul pavimento.
Accigliata, mi chino per raccogliere il telefono di Jameson. Deve
essergli caduto dalla tasca mentre ci stavamo spogliando. Il cellulare si
illumina per l’arrivo di un messaggio, e il nome Chloe lampeggia sullo
schermo.

C : Dove sei? La tua riunione è finita tardi?


Fisso il telefono.
Ma che cazzo? Chi è Chloe?

Jameson
Non appena la sveglia comincia a suonare, apro gli occhi e sorrido,
stiracchiandomi. Sono soddisfatto e ancora un po’ assonnato.
Mi sento rilassato per la prima volta dopo tanto tempo.
Che notte… che donna.
Allungo un braccio verso Emily e, nel momento in cui mi accorgo che
non è nel letto con me, mi acciglio. Deve essere in bagno. Sonnecchio per
un’altra ventina di minuti e, alla fine, quando non ritorna, mi alzo.
«Emily?» la chiamo, entrando in bagno.
È vuoto.
Vado nella zona giorno. «Emily?» ripeto.
Silenzio.
«Ma dov’è?»
Mi guardo intorno, scoprendo che i miei vestiti sono ben ripiegati sul
tavolino da caffè, e noto che i suoi… sono svaniti.
«Emily?» la chiamo, facendo un giro completo dell’appartamento.
«Emily?»
Mentre la rabbia inizia a montare dentro di me, digrigno i denti.
Compongo il suo numero, con la vista annebbiata da una nube rossastra.
Sento i battiti furiosi del mio cuore e l’adrenalina che mi pompa nelle vene.
«Pronto?» risponde lei.
«Dove cazzo sei?» chiedo con tono sprezzante.
Capitolo 8

Jameson

«D », .
«Perché?»
«Avevo bisogno di arrivare presto al lavoro.»
«Non hai pensato di svegliarmi?» sbotto. «Mi fai incazzare quando ti
comporti così.»
«Non iniziare con le tue cazzate moraliste con me. Me ne vado quando
cazzo mi pare.» La telefonata si interrompe.
Inspiro in modo brusco, nessuno mi sbatte il telefono in faccia.
Nessuno.
Serro i denti e getto il telefono sul divano. Quella donna è dannatamente
irritante.
Vado nel mio studio, apro il portatile e accedo alle riprese di sicurezza.
Mi siedo, aspettando che si carichino. Appare un’immagine della mia porta
d’ingresso, e premo Riavvolgi rimanendo a guardare mentre il video va
rapidamente all’indietro. La vedo andarsene e fermo la ripresa. Che ore
erano?
Le 3:58. Doveva arrivare presto al lavoro? Cazzate.
Ha aspettato che mi addormentassi e poi se ne è subito andata. Mi
appoggio contro lo schienale della sedia, mentre la mia ira cresce.
«Non so a che cazzo di gioco stai giocando, Emily Foster, ma non ci sto.
Se stai con me, stai con me. E fai quel cazzo che ti dico io.»
Chiudo con forza il computer e mi dirigo rapidamente al piano di sopra.
Vuole la guerra? È quello che avrà.

Un’ora più tardi, attraverso l’ingresso del mio palazzo e vado spedito verso
la mia auto.
«Buongiorno, signor Miles.» Alan mi sorride, aprendo la portiera della
limousine.
«’Giorno», rispondo, salendo.
Sul sedile c’è la solita pila di giornali insieme al mio caffè, e inizio il
mio rituale mattutino. Ci mettiamo quaranta minuti per percorrere i venti
chilometri fino all’edificio della Miles Media, quindi sfrutto quel tempo per
tenere d’occhio la concorrenza. Scorro la pila e prendo il Gazette, il nostro
diretto concorrente, per controllare la prima pagina.
«Che impaginazione raccapricciante», borbotto sottovoce aprendo il
giornale. Leggo le prime due pagine, e poi arrivo alla terza.
Notizia dell’ultima ora

Il Dipartimento di Polizia di New York sta per concludere un’indagine per


omicidio top secret.
In origine il crimine era stato attribuito a un uomo che gli agenti
avevano soprannominato Stoneface, collegato a più di ottantacinque furti
d’appartamento a Brooklyn, New York.
Ma grazie alle prove del DNA, ora gli investigatori credono che tutti i
crimini siano stati commessi dal sospettato soprannominato Red Ribbon
Killer in altre zone dello stato.
“Grazie a questo nuovo dato, abbiamo collegato ufficialmente
Stoneface a un individuo noto come Red Ribbon Killer”, ha affermato
Matthew Price, procuratore distrettuale della contea di Brooklyn.

Stoneface, un meccanico, è ricercato da quando la polizia è arrivata a lui


confrontando il suo DNA con i dati di un sito di genealogia.
È stato accusato dell’omicidio e dello stupro di quarantacinque
persone, in quella che la polizia definisce una serie di crimini premeditati.
È stato soprannominato Red Ribbon Killer perché legava un nastro
rosso attorno al collo delle sue vittime dopo la loro morte.
La polizia lo ha rintracciato e si aspetta di eseguire l’arresto in
giornata.

«Cazzo.» È l’articolo di Emily, solo formulato in modo differente. Tiro


fuori il cellulare e chiamo Tristan, con la pressione sanguigna alle stelle.
«Ehi», mi risponde.
«Pagina tre del Gazette», gli dico con tono secco.
«Stai scherzando?»
«No.»
«Porca puttana.» Sospira. «Ci vediamo tra poco.»
Riattacco e il mio cellulare vibra. Il nome Chloe illumina il mio
schermo, ma premo Rifiuta.
Bevo il mio caffè e guardo fuori dal finestrino, trasudando sdegno da
tutti i pori. Una cosa è essere raggirato, ma essere venduto da un membro
del tuo stesso staff è un tradimento di un altro livello.
Quando metterò le mani sul responsabile di tutto questo, me la pagherà
molto cara.

Mezz’ora più tardi, entro nell’ufficio e trovo dentro tre delle mie persone
preferite. I miei fratelli.
«Ciao.» Sogghigno. «Gesù, siete diventati tutti e due più brutti
dall’ultima volta che vi ho visti. Non credevo che fosse possibile.»
Loro ridacchiano, e subito dopo ci abbracciamo. Mi sono mancati. Il
loro ruolo nella compagnia gli richiede di vivere in Inghilterra. Lavorano
nella divisione londinese. Riesco a vederli solo una volta al mese, quando
vado lì, e per Tristan è lo stesso. Almeno lui può rimanere un po’ più a
lungo, quindi può trascorrere più tempo insieme a loro.
Sbatto il Gazette sulla scrivania. «Che diavolo è questo?»
«Porca puttana», bisbiglia Tristan, mentre tutti si accomodano attorno al
tavolo.
«Che sta succedendo?» sbotta Elliot. «Non posso crederci.»
Prendo un respiro profondo. «Abbiamo un nuovo membro dello staff,
Emily Foster.»
Tristan fa un sorrisetto, e io roteo gli occhi. «E?» interviene Christopher.
«Il suo secondo giorno ha pubblicato un articolo e non era certa del
nome di una delle persone coinvolte, quindi ne ha inventato uno su due
piedi con l’intenzione di cambiarlo una volta tornata in ufficio.» Mi
ascoltano con la fronte corrugata. «Solo che se lo è dimenticato.»
«Gesù.» Elliot alza lo sguardo al cielo. «Che incapace.»
«No», dice Tristan. «Diabolico. Il giorno dopo il Gazette ha pubblicato
esattamente la stessa storia… con il nome finto.» I nostri due fratelli si
accigliano nel sentire la notizia.
«Come fate a saperlo?» chiede Christopher.
«Conosco la giornalista. Ci siamo incontrati un po’ di tempo fa.» Mi
interrompo, preferendo non approfondire oltre.
«Sapete chi è?» fa Tristan, sogghignando.
«Chi?» Elliot sposta lo sguardo tra di noi.
«Ricordate che un secolo fa Jay si è ritrovato addosso un gigantesco
succhiotto?»
Rimangono entrambi a bocca aperta. «No!»
Elliot si stringe la base del naso. «Ti prego… non dirmelo.» Scoppia in
una risata. «Come lo avevi definito? La vergogna dello scalo?»
«Ho dovuto portare un dannato dolcevita per due settimane.» Sospiro
disgustato.
«Ricordate la cena elegante per l’ente benefico di mamma?» Tristan
getta la testa all’indietro e ride. «E tu avevi il succhiotto più grande che
chiunque avesse mai visto.» Ridacchia, ripensando al ricordo. «E hai
dovuto nasconderti dalla mamma per tutta la serata e mettere il fondotinta
sul collo. È stato esilarante.»
«Mortificante.» Rabbrividisco al solo pensiero. «Comunque, tornando
alla storia.» Lancio un’occhiataccia a Tristan per aver tirato fuori quella
faccenda. «A mia insaputa, Emily, è così che si chiama, ha ottenuto un
lavoro qui. Tre settimane fa ha iniziato, e c’è stato questo disguido del
nome. È venuta da me, sospettando che stesse avvenendo qualcosa di losco.
Un nome finto che aveva inventato lì per lì non poteva essere una
coincidenza.» Guardo i miei fratelli attorno a me. «Le nostre notizie
vengono vendute al mercato nero.»
«Ma che cazzo», esplode Elliot.
«I prezzi delle nostre azioni sono in calo perché non pubblichiamo più
notizie dell’ultima ora.»
Lui scuote la testa, disgustato.
«Questo perché i giornalisti che stiamo pagando lavorano per la
concorrenza», dichiara secco Tristan.
«Questa settimana abbiamo messo alla prova la teoria. Abbiamo chiesto
a Emily di scrivere una storia fasulla e di inviarla tramite i normali canali, e
guardate.» Sbatto le nocche sul giornale. «Eccola qui, a pagina tre del
Gazette.»
Fissano tutti il quotidiano di fronte a noi, assorti nei loro pensieri.
«Quindi… che cosa facciamo?»
«Per me possiamo anche licenziare tutti quanti», dichiaro brutalmente.
«No, dobbiamo farlo per bene. Ci sono centinaia di persone a quel
piano. Senza parlare degli informatici e dell’ufficio spedizione.»
I tre iniziano a chiacchierare, discutendo delle possibili opzioni.
Nel frattempo, premo un pulsante sull’interfono. «Puoi mandarci
Richard dell’ufficio legale, per favore?»
«Sì, signore.»
«Emily potrebbe scrivere un altro articolo, così potremo seguirlo più da
vicino», propone Elliot.
«No», rispondo io. «Non voglio coinvolgerla di nuovo. Anzi, non la
voglio più quassù.»
Tristan fa un sorrisetto.
«Tra un secondo ti cancello quella stupida espressione dalla faccia», lo
minaccio.
«Hai paura che ti lasci un altro succhiotto?» scherza Elliot. «Deve
essere brava a succhiare.» Ridono tutti.
Gli lancio un’occhiataccia. «Dacci un taglio. Oggi non sono dell’umore
per queste cazzate.»
Qualcuno bussa alla porta. «Avanti», dico. Appare Richard. «Prego,
accomodati.»
«Come posso aiutarvi?» Ci sorride.
«Abbiamo ragione di credere che qualcuno al piano delle notizie stia
vendendo le nostre storie alla concorrenza. Come possiamo gestirla dal
punto di vista legale?»
Richard si acciglia, spostando lo sguardo tra di noi. «Ne siete sicuri?»
«Sì.»
«Beh.» Emette un sospiro mentre riflette. «Dovreste assumere
un’agenzia specializzata in investigazione aziendale.» «Di cosa si occupa?»
chiedo.
«Lavora nell’ambiente delle grandi aziende e si può occupare di
verificare la legittimità di un partner aziendale o di un accordo, di indagare
sulla perdita o sul furto di informazioni proprietarie, di identificare il
potenziale di una reputazione danneggiata, e altre cose simili.»
«No», dico, alzandomi in piedi. «Non voglio uno sconosciuto che ficchi
il naso qua intorno. E se si venisse a sapere? Danneggerebbe ancora di più
la nostra reputazione.»
«Con tutto il dovuto rispetto, Jameson, non vedo quale altra scelta lei
abbia», dice Richard.
«Conosci qualche agenzia?» gli chiede Tristan.
«No. Ma posso trovarne una da assumere.»
«Non mi piace.»
«Sono professionisti. Si occupano di continuo di cose come questa. Non
saprà nemmeno che sono nell’edificio», insiste il legale.
«Come funziona?»
«Di solito si recano sul luogo sotto copertura, fingendosi dipendenti per
indagare e seguire le tracce.»
Roteo gli occhi per il disgusto. «Ridicolo. Questo non è un dannato
episodio di MacGuyver.» Fisso i miei fratelli, e capisco che mi hanno messo
spalle al muro. Non c’è modo per evitarlo, e so che devo arrendermi. «Va
bene.»

Emily
Un’ora prima
Marcio in strada tra la folla. Non mi abituerò mai ai gremiti marciapiedi
newyorkesi, a prescindere da quanto tempo vivrò qui. Sono esausta. Ho
passato metà della notte sveglia a fare sesso e non sono più tornata a
dormire dopo che ho lasciato l’appartamento di Jameson alle quattro del
mattino. Dio, questa situazione è un incubo. E chi cazzo è Chloe?
Ordino il mio caffè freddo e, mentre aspetto, compro il Gazette al
chiosco dei giornali. Lo leggerò durante il pranzo. Mi chiedo se ci siano dei
lavori disponibili. Probabilmente me ne servirà uno di qui a poco. Con il
cuore sofferente, torno con il pensiero a Jameson. Dannazione, perché deve
sempre esserci qualcosa che non va negli uomini che mi piacciono? Se solo
fosse un tipo normale, con un normale appartamento del cavolo, una
macchina pessima e nessuna donna che gli scrive, sarebbe perfetto. Sotto
ogni punto di vista.
Ho un’immagine di noi la notte scorsa mentre facciamo l’amore e ci
baciamo per ore, e vengo travolta dalla tristezza.
Detesto la profondità del nostro legame fisico.
È solo sesso, cretina.
Fantastico, mozzafiato e piacevolissimo sesso.
Suppongo che Jameson Miles lo faccia con qualsiasi donna con cui
vada. È quel tipo di uomo, con quel tipo di uccello.
Uffa. Prendo il mio caffè e mi dirigo con aria mesta verso l’ufficio.
Oggi non penserò a lui, e di certo non gli dirò che so di Chloe.
Chiunque Chloe sia.
Tutto quello che so è che se gli manda dei messaggi nel cuore della
notte per chiedergli dove sia, allora deve esserci sotto qualcosa, e può
assolutamente tenersi Jameson.
Posso essere molte cose, ma non sono una ladra di uomini.
Stronzo. Come ha osato usarmi per il sesso? Il gusto amaro del
tradimento mi riempie la bocca. Posso fingermi coraggiosa quanto mi pare,
ma la verità è che sono sconvolta. La notte scorsa è stata perfetta, più che
perfetta, e lui ha dovuto rovinare tutto.
Credevo di aver passato la notte con Jim, e invece mi sono ritrovata con
Jameson Miles, la sua versione squallida. Come ho potuto non
accorgermene?
Arranco nel palazzo e salgo fino al mio piano, per poi lasciarmi cadere
disgustata sulla sedia. «Ciao», esordisco.
«Ehi.» Aaron rotea la sedia di fronte a me. «Come è andata?»
Lancio un’occhiata alla telecamera sopra di noi. «Bene», mento. «Ti
racconterò stasera. Dobbiamo andare a bere.»
«Bere?»
«Tutto ciò che possiamo.»
Il suo entusiasmo svanisce. «Oh… quindi è quel tipo di bere.»
«Precisamente», borbotto con tono secco.
«Che sta succedendo oggi?» bisbiglia lui.
«Che cosa vuoi dire?» Alzo lo sguardo dal computer.
«Tristan sta ronzando qui attorno, e Jameson è già sceso a questo
piano.»
«Che ore sono?» Guardo l’orologio. «Sono solo le otto e tre quarti. Non
sono mai quaggiù a quest’ora, le rare volte in cui scendono.»
«Lo so.»
«Mmh.» Vedo il minore dei due fratelli mentre parla con un
responsabile di piano, e sembra avere un’espressione severa. «Credi ci sia
qualcosa che non va?» gli domando.
«Non lo so. Hai fatto incazzare il signor J. la notte scorsa?»
Sogghigno.
«Forse è al piano di sopra a fare i capricci.»
«Probabilmente sto per essere licenziata.» Sorrido allegramente mentre
accendo il mio computer.
Bene, spero sia furioso.

Due ore più tardi, alzo lo sguardo e noto due uomini che non ho mai visto
prima. «Chi sono?» bisbiglio.
Molly dà un’occhiata e rimane a bocca aperta. «Oh signore, abbi
misericordia… Dio, ti ringrazio.» «Eh?» Mi acciglio.
«Sono Elliot e Christopher Miles. Sono arrivati dall’Inghilterra. Questa
settimana deve esserci una riunione del consiglio di amministrazione o
qualcosa del genere.»
Sgrano gli occhi. «I fratelli di Jameson?»
Lei sorride con aria sognante, continuando a guardarli. «Esatto.» Getta
uno sguardo ad Aaron. Anche lui li sta fissando apertamente. «Io voglio
Elliot.»
«Bene, perché io voglio Christopher», bisbiglia lui a sua volta.
«Ti prego, puoi organizzarci un appuntamento con i fratelli?» mormora.
«Sì, e poi dobbiamo scambiarceli», aggiunge Aaron. «Perché li voglio
tutti e quattro. Non posso scegliere.»
«Riesci a immaginartelo?» dice Molly. «Il solo pensiero mi fa
arrossire.» Si sventaglia il viso con una cartellina, tenendo gli occhi
incollati sui fratelli Miles. «Immaginali tutti e quattro a letto insieme… a
fare a turno con il tuo corpo.»
Roteo gli occhi, disgustata. «Se lo chiedi a me, i fratelli Miles sono
sopravvalutati.»
Ma non è vero. Sto mentendo spudoratamente. Tutti mori, alti e
muscolosi… con le loro mascelle squadrate e i loro abiti firmati da playboy.
Tutto in loro quattro grida potere e fascino. Stronzi.
Oggi Jameson non è venuto a cercarmi. Non ho più avuto sue notizie, e
con ogni probabilità ora sarà al piano di sopra a pomiciare con Chloe sul
divano dell’ufficio.
Bleah. Ho chiuso con gli uomini. Come ho potuto essere tanto stupida?

Ore 16:30

«Oh mio Dio, hai visto la storia sul Gazette?» esclama Molly.
«No, quale storia?»
«Quella del Red Ribbon Killer. Stasera non mi sentirò sicura nemmeno
in metropolitana.»
Le lancio un’occhiata. «Cosa?»
«Sì, è una delle loro notizie principali di oggi. La stavo leggendo online
proprio ora.»
«Mi prendi in giro?» Clicco sul loro sito web per cercare l’articolo, e
ovviamente lo trovo, parola per parola… le mie parole.
Lo leggo, portandomi le mani alla bocca per l’orrore.
Oh mio Dio. È per questo che oggi sono tutti qui. Stanno cercando di
limitare i danni.
Fisso la notizia sul mio computer. È lì, nero su bianco, ma non riesco a
crederci davvero. Guardo le persone in ufficio, che si stanno comportando
con calma e professionalità. Chi sarà la talpa?
Ladro bastardo.
«Devo andare a parlare con una persona. Torno tra un minuto.»
Praticamente corro verso l’ascensore e salgo fino all’ultimo piano. Perché
Jameson non mi ha detto niente?
«Salve», dico, superando l’assistente.
«Scusa, Emily», mi chiama la donna. «Al momento non riceve visite.»
«Non importa.» Mi precipito verso l’ufficio di Jameson e busso alla sua
porta.
«Sì?» risponde lui con tono secco.
Apro e lo trovo seduto dietro alla sua grande scrivania. I suoi occhi blu
si alzano per incontrare i miei. «Che c’è?» mi chiede freddo.
Entro e mi chiudo la porta alle spalle. «Ho visto l’articolo.»
«E?»
«Beh… perché non me lo hai detto? Era il mio articolo. Pensavo che mi
avresti almeno informata.»
«Signorina Foster», serra la mascella come se fossi un’enorme
seccatura, «non ho tempo per i tuoi giochetti infantili.»
«Che cosa significa?»
«Significa che sono molto impegnato.» Torna a scrivere al computer.
Lo fisso per un momento.
Cosa?
«Chiudi la porta quando esci, per favore.»
Che faccia tosta, quest’uomo. Viene a letto con me mentre si frequenta
con un’altra e poi ha l’audacia di trattarmi così. Qualcosa dentro di me si
spezza.
«Chi diavolo ti credi di essere?» «Ed
eccoci…» borbotta lui sottovoce.
«Cosa?» esclamo. «Ed eccoci? Fai sul serio?»
Jameson appoggia il mento su una mano e mi guarda di traverso.
«Che cos’è stata la scorsa notte? Eh?» grido. Dei campanelli d’allarme
iniziano a squillare nel mio cervello. Questa è la cosa peggiore che io possa
fare, ma ho perso ogni controllo. «Ti vedi con qualcun’altra?» farfuglio.
«Chi è Chloe, Jameson?»
Lui solleva le sopracciglia, poi si alza e si incammina verso la porta.
«Fuori.»
«Cosa?» sbotto incredula. «Mi stai cacciando?»
«Quello che sto facendo è comportarmi in maniera professionale. Ti
suggerisco di fare lo stesso.» Incombe su di me.
«Sai che c’è?» bisbiglio tra le lacrime di rabbia. «Puoi andare a
fanculo.»
Mi guarda con uno sguardo gelido negli occhi. «Non che siano affari
tuoi, ma Chloe è la mia massaggiatrice. Ieri notte avevo un appuntamento
con lei, ma non ero in casa. Quei messaggi sono arrivati ore dopo rispetto a
quando me li ha mandati.» Lo fisso con il cuore che mi martella nel petto.
«Non guardare mai più il mio cazzo di telefono», dice con tono sprezzante,
per poi darmi le spalle e tornare a sedersi alla sua scrivania.
Continuo a guardarlo con gli occhi annebbiati dalle lacrime. Mi sento…
usata. «Credevo ci fosse qualcosa tra di noi.»
«Anche io.» Le sue iridi fredde incontrano le mie. «Ma questa mattina
tu hai rovinato tutto scappando come una bambina di due anni.» Si volta
verso il suo computer.
«Vai a letto con la tua massaggiatrice?»
Mi lancia un’occhiata. «Non sono affari tuoi. Ora vattene.»
Capitolo 9

Emily

M ,
infilarmi nella toilette delle signore. Entro di scatto in una cabina, mi siedo
e affondo il viso tra i palmi delle mani.
Sono pervasa dall’imbarazzo. Ho perso completamente il controllo e ho
fatto la figura della sciocca.
Stupida cretina che non sei altro.
I battiti del mio cuore mi rimbombano nel petto, e la rabbia rischia di
accecarmi. Mi tornano in mente le sue parole: “Ma questa mattina tu hai
rovinato tutto scappando come una bambina di due anni”.
Dio.
Lacrime furiose mi scivolano lungo il viso, e le asciugo non appena
appaiono.
Smettila di piangere, mocciosa.
Non sono nemmeno sconvolta… sono furente. Ora devo andarmene da
questo piano senza che nessuno mi veda.
Perché cazzo sto piangendo? Lo so il perché. Perché non ho dormito
abbastanza e merito di essere trattata meglio, ecco perché. Quel maledetto
stronzo. Chi diavolo pensa di essere?
Più a lungo rimango qui e peggio sarà. Mi lavo la faccia, mi asciugo gli
occhi e raddrizzo le spalle, preparandomi a oltrepassare la reception.
Sto bene, bene… assolutamente bene. Jameson Miles non ha nessun
potere su di me.
Apro la porta del bagno ed esco proprio nel momento in cui Tristan gira
l’angolo. Quando mi vede, la sua espressione si fa preoccupata. «Emily?»
Si acciglia. «Stai bene?»
«Sì, certo.» Lo supero in fretta.
«Ha avuto una brutta giornata!» mi grida lui dietro, e mi si riempiono di
nuovo gli occhi di lacrime. Sì, beh… anche io.

«Dove sei stata?» chiede Molly non appena ritorno alla scrivania.
«Sono andata a trovare Ricardo», mento.
«Quindi stasera dove vuoi andare?»
«Oh.» Sussulto. Non riesco a pensare a niente di peggio. «Mi dispiace,
ragazzi. Devo darvi buca. Ho bisogno di dormire.»
«Ma noi vogliamo sentire tutti i dettagli succosi.»
«Oh.» Mi sprofonda il cuore. Non voglio che sappiano che sono la più
grande sfigata del mondo. «Ieri sera non ci siamo visti. Si è tirato indietro.»
«Cosa?» Aaron si acciglia.
«Fa lo stesso, non mi importa.» Scrollo le spalle, facendo l’indifferente.
Adesso vorrei non avergli mai raccontato niente su di lui.
«Va bene, allora. Tanto devo risparmiare», sospira il mio collega,
chiudendo il computer.
«Tu vieni?» mi domanda Molly.
«Voglio finire questo.» Riaccendo il mio computer. L’ultima cosa che
voglio è dare a quel bastardo un motivo per licenziarmi. Concludo il mio
compito e finalmente, un’ora più tardi, spengo il computer e scendo al piano
terra.
Attraverso le porte d’ingresso e alzo lo sguardo, accorgendomi della
limousine nera parcheggiata vicino al marciapiede.
Merda.
Mi guardo intorno con fare nervoso. È lì dentro? Accidenti, non voglio
vederlo. Attraverso rapidamente la strada verso il rifugio sicuro del bar.
Ordino un drink e mi accomodo vicino alla vetrina.
Fantastico.
Mi passo una mano sul volto. Davvero, e adesso cosa dovrebbe
succedere? Questa è l’ultima cosa che mi serve.
«Ecco a lei.» Il cameriere sorride, lasciandomi davanti il mio tè
ghiacciato.
«Grazie.»
Osservo l’autista dall’altra parte della strada, appoggiato alla limousine,
e ripenso all’altra sera, quando ero in ginocchio e lui ha cercato di aprire la
portiera bloccata. Mi chiedo da quanto tempo lavori per Jameson e cosa
possa aver visto. Lo guardo rispondere al telefono, poi entrare in auto e
andarsene.
Eh?
Che Jameson fosse già in macchina? Perché l’autista se ne è andato?
Che strano…
Le porte del palazzo si aprono, ed esce un gruppo di uomini. Merda,
sono loro. Prendo il menù e mi copro il viso, sbirciando dall’altra parte
della strada attraverso il vetro.
Tristan, Elliot, Christopher, Jameson… e la ragazza bionda che era con
Tristan l’altra sera. È estremamente affascinante, e i suoi abiti da lavoro
sembrano usciti da un servizio fotografico di alta moda. I quattro uomini si
somigliano moltissimo. Elliot è quello più simile a Jameson, moro e con
penetranti occhi azzurri. Tristan e Christopher sono identici, con i loro
capelli mossi leggermente più chiari. Parlano mentre camminano. Jameson
dice qualcosa con un’espressione seria e tutti scoppiano a ridere.
Che cosa avrà detto?
Girano l’angolo. Elliot appoggia con affetto una mano sulla schiena di
Jameson mentre attraversano la strada, presi dalla loro conversazione.
Continuano lungo la via fino a entrare in un cocktail bar.
Mi stringo la base del naso e chiudo gli occhi, emettendo un lungo
sospiro triste.
Voglio solo che questa giornata finisca.

È incredibile cosa possano fare un weekend e un po’ di sonno per una


ragazza.
Lunedì marcio dentro al palazzo della Miles Media come se fossi la
donna più potente della terra.
«Buongiorno.» La guardia mi sorride mentre supero il controllo di
sicurezza.
«Buongiorno», lo saluto allegramente. «Bella giornata, non è vero?»
«Certo che lo è.» Quando lo oltrepasso, mi fa un occhiolino.
Al diavolo Jameson Miles.
E quindi? Abbiamo fatto sesso. E allora? È stato fantastico. Ma sapete
che c’è? Non mi importa. Non gli permetterò di spegnere il mio entusiasmo
per New York. Mi sono trasferita qui per iniziare una nuova vita eccitante e,
a essere sincera, le prime tre settimane sono state davvero incredibili… beh,
eccetto l’ultima. Ma quella l’ho cancellata, quindi non conta.
Vado avanti e punto in alto, e quando, tra dodici mesi, ripenserò a tutto
questo, probabilmente mi verrà da ridere.
Arrivo al mio piano e trovo Ava e la sua amica Renee che chiacchierano
appena fuori dall’ascensore. «Ciao, ragazze.»
«Ciao.» Ava mi sorride. «Come va?»
«Bene. Anzi, alla grande. Che cosa state facendo?»
«Stiamo decidendo dove vogliamo andare questo weekend.»
«Oh.»
«Ehi, dovresti venire per locali con noi», mi invita.
«Davvero?»
«Sì, certo. Ce la spasseremo.»
«Sai una cosa? Mi piacerebbe moltissimo.» Mi illumino.
«Fantastico.» Prende il cellulare dalla tasca e si salva il mio numero.
«Di solito ci incontriamo attorno alle otto o alle nove di sabato sera.»
«Si va prima a cena?» domando.
«No», sogghigna lei. «Di solito mangiamo dei maccheroni al formaggio
a casa prima di uscire, così poi possiamo comprarci dei drink super costosi.
Le priorità.»
Scoppio a ridere. «Okay, mi sta bene.»
Mi dirigo verso la mia scrivania e trovo Aaron già al lavoro. «Ciao.»
«Ciao», mi risponde lui con un’espressione mogia.
«Cosa c’è che non va?» Mi acciglio, sedendomi al mio posto.
«Ieri sera sono stato bidonato di nuovo.» Fa un sospiro. «Mi sto
stancando di questa storia, sai?»
«Gli hai parlato?»
«No, è sempre al lavoro, è impegnato con qualcosa, o ha una scusa
legittima. Forse sto cercando dei problemi che non esistono.»
«Forse», replico. «In ogni caso, sarai felice di sapere che oggi il mio
umore è migliorato.»
«Davvero?» Fa un sorrisetto. «E qual è il tuo segreto?»
«Il sonno», rispondo. «E la settimana prossima inizierò persino ad
andare alla palestra del terzo piano. Vuoi venire con me?» «Forse…» Ci
riflette su.
«Potremmo diventare dei patiti del fitness super sexy.»
Aaron ridacchia. «Sì, certo. Hai fatto uso di droghe, per caso?»
«È che venerdì ho passato una giornata davvero terribile e mi sono
decisa a cambiare mentalità.»
«Buon per te.»
Molly arriva e appoggia rumorosamente la borsa sul tavolo. «Qualcuno
vuole un ragazzino?»
Mi sfugge una risatina. «E ora che succede?»
«Bah.» Lei si lascia cadere sulla sua sedia. «Sapete già che abbiamo
beccato Brad a mandare messaggi sconci a quella ragazza, no? Gli ho
requisito il cellulare perché suo padre non ha voluto farlo», annuncia con
tono irritato.
«Okay.»
«Beh, era arrabbiato, ma non veramente furioso, capite?»
«Che cosa intendi dire?»
«Insomma, non mi assillava di continuo per riavere il telefono, come fa
di solito, e ieri sera voleva andare a letto molto presto.» La ascolto,
corrugando la fronte. «Sentivo che c’era qualcosa di strano, quindi ho
controllato nel nascondiglio per vedere se il cellulare era ancora lì, e c’era.
Ma poi ho avuto la strana idea di controllare la SIM.» Aaron ridacchia,
capendo già come sta per finire la storia. «Quello stronzetto aveva tolto la
SIM per metterla in un vecchio telefono.»
«Oh, accidenti.»
«Mi sono precipitata nella sua stanza e, come era ovvio, l’ho trovato al
cellulare, nascosto sotto le coperte. Gliel’ho preso e mi sono chiusa in
bagno per controllare cosa ci fosse dentro. Brad ha iniziato a bussare alla
porta come un pazzo, quindi ho capito subito che c’era qualcosa che non
voleva che vedessi.» Sgrano gli occhi. «Sentite questa», ci dice con una
smorfia. «Anche la piccola e pura Chanel gli ha mandato delle sue foto…
nuda.» Mi acciglio. «E quella ragazzina di quindici anni ha il fisico di una
modella di Penthouse.» Entrambi ridacchiamo. «Oh, ma c’è di peggio»,
continua la nostra collega. «Mentre stavo controllando il cellulare, è
arrivato un suo nuovo messaggio.»
«Che cosa diceva?»
«Mi sono fatta una ceretta brasiliana come volevi. Ti piace?» Rimango
a bocca aperta. «Riuscite a crederci?» Non riesco più a trattenermi e
scoppio a ridere. «Anche io lo troverei divertente, se non fosse mio figlio»,
mormora lei. «Poi Brad ha avuto una vera e propria crisi di nervi e mi ha
detto che, se avessi chiamato i genitori di Chanel, per lui sarebbe stato a
tutti gli effetti un suicidio sociale, perché avrei completamente rovinato la
sua reputazione, e che quindi non sarebbe mai più andato a scuola.» Sferra
una manata rumorosa sulla tastiera del computer.
«È vero», replica Aaron. «Non puoi chiamare sua madre.»
«Quindi lei può chiamare me, ma io non posso chiamare lei?» farfuglia
Molly.
«Non lo so», mormoro. «Probabilmente non la chiamerei neanche io.»
«Beh, tu cosa faresti?» mi chiede.
«Gli comprerei una scatola di preservativi, ecco cosa farei.» Mi fissa
con gli occhi sgranati. «Perché immagina se la mettesse incinta…»
aggiungo.
«Oh, mio Dio.» Molly si passa una mano sulla faccia. «Non posso più
sopportare questi ragazzini. Sono troppo stupidi.»
«La quantità di testosterone in un adolescente maschio è ridicola»,
commenta Aaron con disinvoltura. «Quando avevo quindici anni, mi
masturbavo quattro volte al giorno.» Molly ed io facciamo una smorfia.
«Quattro volte al giorno?» balbetto.
«Le ragazze non lo fanno?» Lui si acciglia per la sorpresa.
«No!» esclamiamo noi.
«Gli uomini sono disgustosi.» Fingo un brivido di orrore.
Il telefono sulla mia scrivania squilla. «Pronto», rispondo.
«Pronto, Emily, sono Sammia, l’assistente personale del signor Miles.»
Che cosa vuole?
«Salve.»
«Il signor Miles mi ha chiesto di farti sapere che avete una riunione nel
suo ufficio tra un’ora.»
«Oggi sono molto occupata. Puoi dire al signor Miles che purtroppo non
riuscirò a essere presente?»
«Mi ha detto che la tua presenza è obbligatoria e che ha già parlato con
la tua responsabile per farti avere l’autorizzazione.»
Roteo gli occhi. Stupida cretina. «Va bene. Ci sarò. Grazie.»

Toc, toc. Busso con esitazione all’ufficio di Jameson.


«Avanti», risponde la sua voce forte.
Con lo stomaco stretto per il nervoso, apro la porta. Jameson è seduto da
solo dietro alla sua scrivania; alza gli occhi per incontrare i miei.
«Volevi vedermi?»
«Sì, prego, accomodati.»
Mi siedo, stringendo tanto i pugni da far diventare bianche le nocche di
entrambe le mani.
Lui continua a fissarmi. «Come stai?»
«Bene, grazie.» Abbasso lo sguardo sul suo tavolo. Non ho intenzione di
guardarlo in quelle splendide iridi blu. È come il serpente de Il libro della
Giungla, uno sguardo a quei dannati cosi ipnotici e ti ritrovi senza più le
mutandine addosso.
«Guardami, per favore», mi ordina.
«Che cosa vuoi, Jameson?» sbotto. «Non ho tempo per i tuoi giochetti.»
«Voglio che mi guardi.» Alzo a fatica gli occhi su di lui. «Perché non
vuoi guardarmi?»
Lo fisso per un momento. «Perché la tua faccia mi suscita davvero…
molta violenza.»
Lui sogghigna e si appoggia all’indietro contro lo schienale della
poltrona, chiaramente divertito. «Davvero?»
«Sì, esatto.» Faccio scorrere lo sguardo per tutto il suo ufficio.
«Possiamo parlare di lavoro?»
«Più tardi. Ora vorrei discutere della tua scenata di venerdì.»
«Io preferirei di no.»
«È la mia massaggiatrice.»
«Come hai detto, non sono affari miei.» Gli lancio un’occhiataccia, la
mia migliore espressione da stronza totale.
«Ieri notte volevo chiamarti.»
Ora tocca a me mostrarmi divertita. «È stato meglio che tu non lo abbia
fatto. Tanto non ti avrei risposto.»
Jameson si strofina un’unghia sul labbro inferiore mentre mi fissa, come
se fosse affascinato dalla mia reazione. «Perché sei così bisbetica?»
«Non sono bisbetica. È solo che non ho intenzione di subire le angherie
di uno stronzo privilegiato. Qui sarai anche l’amministratore delegato,
ma…»
Lui si appoggia all’indietro e solleva la testa, come se fosse irritato.
«Finisci quello che volevi dire.»
«No. Ho concluso.» Stringo i denti per impedirmi di continuare.
«Qui sarò anche l’amministratore… ma cosa?» insiste, girandosi sulla
poltrona.
«Venerdì non ero arrabbiata con te. Me ne sono andata nel mezzo della
notte perché ero confusa… riguardo a un mucchio di cose. Una volta che mi
fossi schiarita le idee, sarei venuta a parlare con te, proprio perché non
volevo farne una tragedia.» I nostri occhi si incontrano. «E poi sono entrata
nel tuo ufficio, e tu mi hai trattata come una puttana da due soldi con cui eri
stato la notte prima.» Lui digrigna i denti. «Non sono la puttana di nessuno,
Jameson, men che meno la tua. Nessun lavoro vale la mia dignità.» L’aria
tra di noi si carica di elettricità. «Quindi scusa se il privilegio di succhiare il
tuo uccello dorato da amministratore delegato non mi esalta più.»
Jameson continua a strofinarsi il labbro inferiore con il pollice,
fissandomi negli occhi.
«Eri nella squadra di dibattito, signorina Foster?»
«E questo cosa c’entra?» sbotto, seccata.
«Hai argomentato bene.» Si lecca il labbro, cercando di nascondere il
suo divertimento. «Notevole.»
Alzo gli occhi al cielo. Stronzo bastardo. Dio, mi fa arrabbiare da
morire. Ho una visione di me stessa mentre mi butto sopra la sua scrivania e
lo colpisco con un pugno sul naso con tutta la mia forza. Cancellerei quel
sorrisetto arrogante dalla sua stupida faccia. Non scherzo, mi suscita
davvero violenza.
«Ma per favore», borbotto sottovoce.
«Per favore cosa?»
«Per favore, smettila di insultare la mia intelligenza. Andiamo avanti
con la riunione, così poi posso tornare al lavoro. Mi stai facendo perdere
tempo.»
Toc, toc.
«Avanti», dice Jameson.
Tristan fa capolino nell’ufficio e ci lancia un’occhiata. «Siamo pronti?»
Ho la sensazione che Jameson gli abbia detto di darci dieci minuti da
soli prima di unirsi a noi. «Sì, venite pure», risponde lui con calma,
riordinando alcune carte sul tavolo.
I restanti fratelli Miles entrano in massa nell’ufficio, e io mi raddrizzo
sulla sedia. Questi quattro uomini insieme sono un vero pugno allo
stomaco. Un eccesso di bellezza.
«Ciao», mi sorride Tristan. «Emily, loro sono Elliot e Christopher, i
nostri fratelli.» Mi alzo e stringo la mano a entrambi.
«Ciao», mi salutano loro due, con tono cordiale.
«Salve.»
«Prego, sedetevi», ordina Jameson. «Tristan, puoi fare tu gli onori, per
favore?»
«Okay. Dunque, come abbiamo deciso durante l’ultima riunione di
venerdì, abbiamo assunto un’agenzia investigativa privata che lavori sul tuo
piano per venire a capo di questa faccenda.» «Okay.» Sposto lo sguardo tra
di loro.
«Quello che vogliamo che tu faccia è che continui a inviare articoli
fasulli.»
Aggrotto le sopracciglia. «Perché?»
«Perché più storie false finiranno in mano alla concorrenza e più sarà
facile per noi seguire i loro movimenti.» Mi appoggio allo schienale,
seccata.
«E come capirai…» continua Tristan.
Jameson alza una mano. «Aspetta.» Sposta l’attenzione su di me. «Cosa
c’è, Emily?» Lo fisso. «Cosa volevi dire poco fa?»
Sposto lo sguardo tra i quattro uomini. «Con tutto il dovuto rispetto,
signor Miles, non mi sono candidata per il lavoro dei miei sogni per scrivere
articoli falsi.»
«Giusta osservazione», risponde subito lui, strofinandosi il mento.
«Che cosa succederà quando tutto questo sarà finito?» gli chiedo.
«Tornerai ai tuoi normali compiti.»
«Lo vorrei per iscritto, per favore», dico con decisione.
Elliot fa un sorrisetto e china il capo.
Jameson mi guarda negli occhi. «Molto bene.» Riporta l’attenzione su
Tristan. «Prego, continua.»
«L’investigatore inizierà lunedì della prossima settimana, e, Emily,
vorremmo che tu fossi i suoi occhi sul piano.»
Mi acciglio. «Preferirei non essere coinvolta in tutta questa faccenda.»
«Ti sei coinvolta da sola nell’istante in cui hai attraversato la porta del
mio ufficio», replica Jameson.
Incasso le spalle. Dio.
«Emily, se entro il prossimo lunedì riuscissi a fornirci qualche articolo
falso per iniziare, sarebbe perfetto.»
«Okay, su cosa volete che scriva?»
Jameson incrocia il mio sguardo. «Vorrei che il primo fosse su un finto
racket di prostituzione.» Sbatto le palpebre un paio di volte, perplessa.
«Definisci la capobanda una puttana da due soldi.»
Che razza di faccia tosta ha quest’uomo.
«Okay.» Sorrido con condiscendenza. «Ho già abbastanza materiale per
lavorare sull’argomento.»
«Bene», approva Tristan, compiaciuto. «Datti da fare con questa storia,
poi ci metteremo in contatto con te il prossimo lunedì pomeriggio.»
«Sì, d’accordo», rispondo, alzandomi e incamminandomi verso la porta.
«Mi sembra perfetto.»
«Emily, vorrei parlarti un momento, per favore», mi dice con calma
Jameson.
Mi fermo di colpo.
Ma sul serio?
Gli altri uomini lasciano l’ufficio. «Arrivederci, Emily», mi salutano.
«Arrivederci.»
La porta si chiude dietro di loro, e Jameson si alza per raggiungermi.
Sento il calore del suo corpo. Il potere che emana e che quasi mi striscia
sulla pelle è una sensazione che non ho mai provato prima. Mi afferra i
capelli, avvolgendosi la mia coda di cavallo attorno alla mano, e mi fa
piegare la testa di lato per avere libero accesso al mio collo. Lentamente, mi
passa la lingua dalla clavicola alla mascella, e avvicina le labbra al mio
orecchio.
«Non avevo ancora potuto assaporarti.»
Chiudo gli occhi mentre l’eccitazione si abbatte sul mio corpo come le
rapide di un fiume. Ho la pelle d’oca lungo tutta la schiena.
Mi volto verso di lui, e Jameson mi prende una mano per appoggiarsela
sulla grossa erezione ancora chiusa nei pantaloni. Una corrente elettrica
scorre tra di noi. Non riusciamo a distogliere lo sguardo l’uno dall’altra. Il
mio respiro si fa affannato.
«Posso vederti questa sera?» mi domanda in un sussurro.
Gli stringo il membro attraverso la stoffa dei pantaloni, mentre il mio
sesso si contrae in segno di apprezzamento.
«No, Jameson, non puoi.»
Mi giro ed esco dal suo ufficio con il cuore che mi martella nel petto.
Entro in ascensore nonostante tutto il corpo mi gridi di tornare indietro.
Ogni cellula di me desidera quell’uomo. Ma è solo uno stronzo… e io sono
solo una tra le sue tante groupie. Non succederà.

È sabato sera, e siamo in fila per entrare nello Sky Bar. Sono insieme ad Ava
e Renee, e questo è il nostro terzo club. È quasi mezzanotte. Non mi sono
mai divertita tanto. Abbiamo riso, ballato e provocato ogni stupido uomo di
New York.
«E comunque perché stiamo facendo la fila qui?» Metto il broncio.
«Che cosa c’era che non andava nell’ultimo posto?»
«Niente. Questo locale è migliore, ma non si anima prima delle undici.»
«Oh.» Faccio spallucce. Cielo, non so proprio niente della vita notturna
di New York. L’usciere toglie il cordone rosso che blocca la porta per
invitarci a entrare, e io rimango senza fiato.
Wow, questo locale è al cinquantesimo piano e ha un enorme balcone
affacciato sulle luci della città. C’è una pista da ballo e diversi cocktail bar,
e le ragazze avevano ragione: gli uomini sono di tutto un altro livello.
Abbasso lo sguardo sul mio corpo con un certo nervosismo. Spero di
andare bene. Ho lasciato sciolti i miei lunghi capelli scuri e indosso un abito
aderente color crema, con le maniche che mi arrivano ai polsi e una
scollatura vertiginosa. Non ho badato a spese e ho acquistato un vestito
nuovo per stasera, perché volevo essere carina.
Sta dando i suoi frutti: non ho mai ricevuto tante attenzioni maschili in
tutta la vita. Incredibile cosa possano fare un abitino aderente e un po’ di
scollatura per una ragazza.
Ordiniamo da bere e andiamo a cercare un posto in cui fermarci, mentre
io continuo a guardarmi intorno meravigliata. Non sono mai stata in un
locale tanto bello.
«Questo posto è incredibile.» Sorrido alle ragazze.
«Vero?» risponde Ava. «Gli uomini qui sono da sballo.»
«E schifosamente ricchi», aggiunge Renee.
«A chi importa dei soldi?» ribatto, sorseggiando il mio drink.
«A me», replicano loro due, all’unisono.
«Se devi stare con qualcuno, tanto vale che sia facoltoso, se lo chiedi a
me. Non ho intenzione di mettermi con un povero bastardo. Io sono povera,
e non c’è dubbio che gli opposti si attraggano», aggiunge Ava.
La ascolto e poi scoppio a ridere.
«Dunque, chi abbiamo qui stanotte?» continua lei, guardandosi attorno
nel club.
«Che cosa vuoi dire?» le chiedo, osservando i suoi occhi guizzare per la
sala.
«Questo è un importante luogo di ritrovo per le celebrità.»
«Davvero?» Sbatto le palpebre, dando uno sguardo al locale. «Io non so
nemmeno se riconoscerei qualcuno.»
Nel corso dell’ora seguente, balliamo e ridiamo, e Ava mi spiega nel
dettaglio chi è chi. A quanto pare, gli uomini sono tutti personalità notevoli.
Ma nessuno risveglia la mia fantasia.
Un tipo affascinante si fa strada in mezzo alla folla e mi appoggia le
mani sulle cosce. «Vuoi ballare?» mi chiede. È biondo e massiccio e sta
invadendo il mio spazio personale, ma con l’aspetto che si ritrova credo di
poterlo sopportare.
«Sì che vuole», farfuglia Ava, fissando il dio di fronte a noi.
Lui mi prende per mano e mi trascina sulla pista da ballo, mentre io
sgrano gli occhi e saluto le mie amiche con un gesto nervoso delle dita. Ava
mi lancia un bacio, ridacchiando per l’eccitazione.
«Come ti chiami?» mi chiede lo sconosciuto, stringendomi tra le
braccia.
Appoggio le mani sulle sue spalle e alzo lo sguardo su di lui. «Emily. E
tu?»
«Rocco.»
Sorrido. Che nome strano. Dio, sono già brilla. Devo smetterla di bere.
«È la tua prima volta qui?» domanda, come se conoscesse già la
risposta.
«Come fai a saperlo?»
«Ti avrei notata, se fossi già stata qui.»
Gli rivolgo un sorriso timido.
Le sue mani scendono fino al mio fondoschiena, e io gliele sposto sulla
mia vita. «Sei molto audace, Rocco.»
«So cosa voglio quando lo vedo.» Mi illumino mentre lui si china e mi
avvicina le labbra all’orecchio. «E io voglio te», sussurra.
Capitolo 10

Jameson

«M , », C piuttosto attraente ci passa davanti.


La guardiamo entrambi avvicinarsi al bar. Indossa un aderente abitino
nero e ha un sedere alto e perfetto. Io arriccio il naso, infastidito.
«Mediocre.»
«Non è mediocre.» Mio fratello abbassa lo sguardo sul suo didietro e
non lo solleva più. «Anzi, tutt’altro.»
«Non fa per me.»
Sospiro contro il mio bicchiere, guardandomi attorno nel club affollato.
Di questi tempi, è raro che una donna attiri la mia attenzione, fatta
eccezione per la Signorina Bisbetica. Lei non mi basta mai… anche se è
completamente ingestibile. Ripenso al nostro alterco di quel lunedì nel mio
ufficio, ed emetto un respiro profondo per calmarmi.
È dannatamente complicata, cazzo.
Sarebbe utile se, quando la vedo, riuscissi a tenere la bocca chiusa. Per
qualche motivo, mi spinge a darle ordini e ad afferrarla per i capelli. È come
se il mio corpo prendesse le redini, animato dal bisogno, ed escludesse del
tutto il mio cervello. Ogni volta che Emily lascia il mio ufficio in preda
all’ira, mi pento di averla trattata male.
Conosco le donne, so come pensano e di solito posso convincerle a fare
qualsiasi cosa io voglia. Lei, invece… non proprio.
Christopher si lecca le labbra, ammirando la rossa. «Io mi butto.»
Attraversa il club fino al bar per dirle qualcosa, e lentamente lei gli rivolge
un sorriso.
Faccio un ghigno, sorseggiando il mio drink e guardandolo entrare in
azione. Ama le donne… tutte quante. Sembra essere una caratteristica di
famiglia, siamo fatti tutti così. Ma, di recente, qualcosa in me è cambiato.
La mia voglia di varietà è svanita. C’è qualcosa che non va, e non riesco a
capire cosa. Lancio un’occhiata verso Tristan ed Elliot, che stanno parlando
con due ragazze nella sala lounge. Le donne sembrano eccitate e ridono
quasi a comando a qualsiasi cosa esca dalle loro labbra.
Oche giulive.
Bevo il mio drink, guardandomi intorno nella sala. «Ehi», fa
Tristan, raggiungendomi. «Guarda un po’ chi c’è.» «Chi?»
borbotto disinteressato.
«Vestito color crema, capelli sciolti e un aspetto assolutamente
sensazionale.»
Mi acciglio, lanciando uno sguardo verso il punto che sta indicando.
È lei. Emily è qui.
Un largo sorriso mi illumina il viso. «Bene, bene. La notte è appena
diventata interessante.»
Mio fratello ridacchia. «Certo, se prima non vi uccidete a vicenda.» Mi
dà una manata sulla schiena. «Vado al bar.»
«Sì, okay.»
Emily è insieme a due donne che non ho mai visto prima, nonostante
abbiano un’aria familiare. Potrebbero essere colleghe del lavoro. Stanno
parlando e ridendo. Lei indossa un aderente abito color crema, con le
maniche lunghe e una scollatura vertiginosa. Riesco a vedere ogni curva del
suo fisico mozzafiato, e il mio membro si ingrossa per l’apprezzamento. Ha
i capelli sciolti, li sposta su un lato mentre parla. Posso vedere la curva del
suo collo nudo e sento una vampata di calore concentrarsi nel basso ventre
per l’eccitazione.
Cazzo… quanto è sexy.
Non ho mai avuto una reazione fisica tanto intensa per una donna. Non
mi stanco mai del suo corpo. Più la possiedo e più la desidero. Se solo non
avesse l’atteggiamento più irritante che io abbia mai visto… Forse è questo
che mi intriga?
La maggior parte delle donne cade ai miei piedi, lei, invece, sembra
decisa a respingermi. Mmh. È qualcosa su cui dovrei riflettere. A dirla tutta,
farei meglio a starle alla larga. Lavora per me, ha un bel caratterino, e chissà
cosa farebbe se litigassimo di nuovo. Sogghigno. So già che ricapiterà, il
futuro è scritto. Nessuno mi fa incazzare quanto lei.
Inizia una canzone che pare piacerle, ed Emily comincia a ballare sul
posto. Muove lentamente il fondoschiena, seguendo il ritmo, e io rimango
immobile a fissarla, folgorato dalla dea di fronte a me.
Non ha idea di quanto sia arrapante.
«Un New York Sour», annuncia Tristan, porgendomi il drink.
«Grazie.» Glielo prendo di mano.
«Lo sai che il modo in cui la stai guardando è illegale in certi paesi,
vero?»
Ammiro il movimento circolare dei suoi fianchi e me li immagino sopra
di me a fare la stessa cosa. Inspiro bruscamente, mentre l’eccitazione prende
a palpitarmi tra le gambe.
«Sei mai stato tanto attratto fisicamente da una donna da non riuscire
più a pensare quando lei è nei paraggi?»
«No, grazie al cielo», risponde mio fratello, guardandola ballare.
«Anche se con quel sedere posso immaginare…»
«Non osare fissarle il culo, o ti sbatto a terra», sbotto, interrompendolo.
Lui ridacchia. «Guardati, stai diventando possessivo.» Beve un sorso del
suo drink e il suo viso si illumina di malizia. «Ha voluto parlare con me di
quell’articolo, sai.»
Gli lancio un’occhiata perentoria. «E tu devi discuterne con me, stronzo.
Prova ad avvicinarti a lei e morirai.»
Tristan getta indietro la testa e scoppia in una risata fragorosa.
Un uomo biondo si accosta a Emily per dirle qualcosa, e lei gli sorride.
«Oh, attenzione», mi provoca mio fratello. «Concorrenza all’orizzonte.»
Il nuovo arrivato le tocca le cosce, e io serro i denti. Sorseggio il drink
senza distogliere lo sguardo da loro. Il biondo le dice qualcosa e lei ride, poi
l’uomo la prende per mano e la conduce sulla pista da ballo.
Cazzo, vogliamo scherzare?
Tristan si gira e ridacchia, notando la mia espressione. «Beh, le cose
stanno per farsi interessanti.»
Il biondo le abbassa le mani sul sedere, e lei gliele fa sollevare fino alla
vita. Mentre li osservo, inizio a vedere rosso per la rabbia.
Levale di dosso quelle cazzo di mani.
Lui dice qualcosa, ed Emily scoppia a ridere ancora una volta.
Deglutisco il groppo che ho in gola. Quindi è per questo che è qui? Per
rimorchiare un altro uomo? La furia inizia a montare dentro di me.
«Sembra che qualcuno stia per invadere il tuo territorio», commenta
Tristan, divertito.
«Tris, chiudi il becco, se non vuoi che ti prenda a pugni», sbotto,
tenendo lo sguardo incollato su di loro.
Il biondo si china verso di lei per baciarle il collo. In quel momento,
qualcosa dentro di me si spezza e, prima di capire cosa sto facendo, mi
ritrovo sulla pista da ballo accanto a loro.
«Levati dal cazzo», ringhio, rivolto all’uomo.
Emily si gira verso di me, rivolgendomi un’espressione raggelata.
«Jameson», balbetta.
Le avvolgo un braccio attorno alla vita e la tiro via dalla presa dello
sconosciuto. «Lei è con me.»

Emily

Oh mio Dio, che diavolo ci fa Jameson qui? Mi allontano dalla divinità


bionda, che mi afferra per attirarmi di nuovo a sé.
«Non provarci», sbotta.
«Non provarci tu», replica Jameson a denti stretti. Mi strappa via dalle
braccia del tizio e mi stringe contro il suo petto. «Ho detto che è con me»,
ripete.
Il biondo mi fissa, e io annuisco piano. Non voglio guai, desidero solo
che questo tizio sparisca.
«Sto con lui», bisbiglio.
Con un’ultima occhiata a Jameson e me, quello si gira per dirigersi
furioso verso il bar. A quel punto, rivolgo la mia totale attenzione su
Jameson Miles, questo bastardo esasperante, e mi libero dalla sua presa.
«Che cosa credi di fare?»
«Che cosa pensi di fare tu, cazzo», ringhia in risposta.
«Non imprecare di fronte a me.»
«Sei venuta qui per rimorchiare?»
Appoggio le mani sui fianchi, indignata. «Sono qui per ballare. Cosa ci
fai tu qui, piuttosto.»
«Sono venuto con i miei fratelli.»
«Allora tornatene indietro e rovina la serata a loro», sbuffo.
Faccio per girarmi, ma Jameson mi afferra per un braccio e mi trascina
verso il bordo della pista da ballo, per poi spingermi contro il muro. Il suo
corpo copre il mio, e io riesco a sentire la sua erezione dura contro la mia
pancia. Ci fissiamo a vicenda, e subito l’atmosfera tra di noi cambia.
«Non farlo», mormoro.
«Non fare cosa?»
«Non ipnotizzarmi con quel cazzo magico.»
Mi fa un occhiolino sfacciato. «Hai capito male, piccola. Sei tu che hai
ipnotizzato me», bisbiglia, chinandosi verso di me. Mi infila lentamente la
lingua in bocca e mi bacia di nuovo, succhiandomi appena il labbro
inferiore, e le mie ginocchia tremano tanto che minacciano di cedere.
Buon Dio… quest’uomo sì che sa baciare.
«Jameson», sussurro. «Non dovremmo.» Le sue mani si muovono su e
giù per il mio corpo e, Dio, è così bello.
«Non discutere con me di questo», mormora, spingendomi contro il
muro con i fianchi.
«Non posso.»
«Puoi e lo farai. Perché vorresti negare al tuo corpo ciò che vuole tanto
disperatamente da me?»
Oh Dio, ha ragione. Il mio corpo ha bisogno del suo… moltissimo. Così
tanto…
Il nostro bacio si fa disperato, e io gli affondo le mani nei capelli. Lo so
che è una follia, ma lo voglio… voglio tutto di lui, non solo il suo corpo. Ci
baciamo a lungo come se fossimo le ultime due persone rimaste sulla Terra.
Premuti contro il muro e celati alla vista degli altri, Jameson schiacciato
contro di me. Due corpi all’inseguimento del reciproco piacere
nell’oscurità.
«Ho bisogno di te», mormora contro le mie labbra.
Quando la sua bocca aperta si abbassa sul mio collo, mi sfugge un
gemito. Dio… il modo in cui mi tocca è così… «Jameson.»
«Adesso.» Mi blocca contro la parete, e io sento il suo cazzo pulsare.
Gesù, c’è quasi. Ha davvero bisogno di me.
«Casa mia», boccheggia sulle mie labbra.
«Casa mia», replico subito io.
«No, casa mia», pretende lui.
Indietreggio per guardarlo in faccia. «O casa mia o niente. Prendere o
lasciare.»
Jameson serra la mascella, è palese che detesti perdere uno scontro…
qualsiasi scontro. «Va bene.» Mi prende per mano. «Da questa parte.»
«No.» Mi libero dalla sua presa. «Non voglio che qualcuno ci veda.»
Lui aggrotta le sopracciglia, perplesso. «Sei il mio capo», gli ricordo. «E io
sono qui con le amiche del lavoro.»
Alza gli occhi al cielo. «Va bene. Vai a salutarle, io ti aspetto al piano di
sotto. Hai due minuti prima che torni su per trascinarti fuori.» Mi bacia
lentamente e a lungo e poi, quando mi giro, mi dà una pacca sul sedere.
L’adrenalina mi scorre nelle vene mentre raggiungo le mie amiche.
Jameson è qui. Sto per andarmene con lui. Sta succedendo. Sono carica di
eccitazione, anche se cerco di comportarmi con disinvoltura.
«Ehi, dov’è quel dio?» chiede Renee.
«Oh.» Mi acciglio. «Era uno stronzo», mento.
Ava rotea gli occhi. «Tipico. Gli uomini tanto belli non possono avere
anche un cervello funzionante.»
Faccio un sorrisetto. Conosco qualcuno dotato di entrambe le
caratteristiche, ma lo terrò per me. Sposto lo sguardo e vedo Jameson
dirigersi verso l’ascensore; mi lancia un’occhiata come per ordinarmi di
darmi una mossa. Sorrido, l’attrazione che provo per lui è così intensa da
farmi stare male.
«Ragazze, devo andare.»
«Cosa?» Entrambe mettono il broncio. «Perché? La notte è ancora
giovane.»
«Lo so. Mi sono divertita moltissimo, ma i piedi mi stanno uccidendo.
Queste stupide scarpe nuove sono l’inferno in Terra. Mi farò perdonare il
prossimo weekend, ve lo prometto. Vado a prendere un taxi giù
all’ingresso.»
«Okay.» Tutte e due mi rivolgono una smorfia delusa e mi danno un
bacio sulla guancia.
«Scrivimi quando arrivi a casa», dice Ava.
«Lo farò.» Sorrido, felice che non siano arrabbiate. «Grazie per avermi
invitata a uscire con voi.»
Due uomini si avvicinano, e le ragazze rivolgono loro degli ampi
sorrisi. Lo prendo come il momento giusto per andarmene. «Ci vediamo»,
le saluto, dirigendomi verso l’ascensore.
«Ciao», mi dicono.
Entro nella cabina. «Dove la porto?» mi chiede l’addetto.
«Piano terra.»
L’uomo spinge il pulsante, e iniziamo la nostra discesa. Il cuore mi
martella nel petto. Jameson Miles mi rende nervosa da morire. Non riesco a
ricordare un’altra volta in cui sia stata tanto eccitata alla prospettiva di avere
un uomo tutto per me.
Rimani calma… devi solo mantenere la calma.
Le porte dell’ascensore si aprono, e io esco, guardandomi attorno.
Dov’è? Attraverso il foyer e scruto fuori nella strada affollata. Non riesco a
vedere Jameson.
Ma che cavolo… Se ne è andato senza di me?
«Hai perso qualcosa?» chiede una voce profonda alle mie spalle.
Mi volto e lo trovo appoggiato contro il muro. Il cuore mi fa una
capriola nel petto. Mi avvicino, e Jameson mi prende tra le braccia. «Sì, in
effetti.» Gli sorrido.
Ci baciamo in un modo molto diverso dal solito: Jameson è dolce e
affettuoso, come se anche lui non avesse desiderato altro che il momento in
cui mi avrebbe avuta di nuovo tutta per sé.
«Andiamo a casa», sussurra.
Gli sorrido. Mi sembra un’ottima idea. «Okay.» Usciamo e Jameson
chiama un taxi. Dieci minuti dopo, ci fermiamo di fronte al mio
appartamento.
«Grazie», dico, uscendo dall’auto. Mi giro e gli porgo venti dollari, ma
lui scuote la testa come se fosse seccato.
«Ci penso io», ribatte.
Esce, e attraversiamo l’atrio, mano nella mano. Jameson rimane in
silenzio.
«Dov’è il portiere?» domanda, guardandosi attorno.
«Non c’è.»
«Non c’è un addetto alla sicurezza in questo palazzo?» Aggrotta la
fronte per la sorpresa.
«Sì che c’è.» Indico il citofono sul muro. «Nessuno può entrare senza
che qualcuno gli abbia aperto.»
Lui lo guarda, accigliandosi. «Qualsiasi stronzo potrebbe entrare qua
dentro.»
«E stasera sei tu lo stronzo in questione.» Faccio un sorrisetto.
Ridacchia, prendendomi tra le braccia. «Lo sono.»
Saliamo fino al mio piano e attraversiamo il corridoio. Il mio cuore
batte all’impazzata. È diverso rispetto alle altre volte in cui siamo stati
insieme. Di norma, siamo così accecati dall’eccitazione che non ricordiamo
nemmeno di aver superato la soglia.
Apro la porta e lo accolgo nel mio appartamento, trattenendo il fiato
mentre lui lo osserva. Casa mia è minuscola, entrerebbe letteralmente nella
sua camera da letto.
«È carino», commenta.
Ridacchio. «Come bugiardo sei terribile.»
Jameson ride e mi prende tra le braccia. «Qualsiasi posto va bene se
sono con te.»
Ci fissiamo negli occhi e qualcosa tra di noi cambia. La rabbia e
l’animosità vengono sostituite dalla tenerezza. L’uomo che ho conosciuto a
Boston è qui.
«Hai fame?» gli chiedo. «Potremmo chiamare Uber Eats e ordinare una
cheesecake al caramello.»
«Cosa? Non usi sul serio Uber Eats, vero?» mi domanda, inorridito.
«Lo uso sempre.» Scrollo le spalle.
«Dici sul serio?» farfuglia. «Permetti davvero che degli sconosciuti
abbiano libero accesso al tuo cibo?»
«Non sono degli sconosciuti, sono dei fattorini. Perché non dovrei?»
«Vedono un pasto per una persona sola, mettono del Rohypnol nel tuo
cibo, aspettano mezz’ora perché tu lo abbia mangiato e sia svenuta, poi
tornano, fanno irruzione nell’appartamento e si approfittano del tuo corpo.»
Fa il gesto di spolverarsi le mani. «Fatto, il crimine più semplice della
storia.»
Rimango sgomenta. «Cosa?»
Dio, non ci avevo mai pensato.
«Storia vera», dice lui, camminando per il mio appartamento. «Se fossi
uno stupratore, è quello che farei.»
«Non so se essere affascinata o terrorizzata da questo ragionamento
perverso.»
Jameson si volta verso di me e la sua espressione si fa più dolce.
«Affascinata. Facciamo che sei rimasta affascinata.»
Ridacchio mentre lui mi prende tra le braccia. «Okay», mormoro. «E
affascinata sia. Perché sei stato così irritabile con me durante tutta la
settimana?» gli chiedo a bassa voce, passandogli le dita tra i capelli scuri.
«Perché eri arrabbiata con me», bisbiglia. «E non mi piace.» Cattura la
mia bocca con la sua e mi passa lentamente la lingua sulle labbra.
«Ora non sono arrabbiata.»
«E guarda quanto sei bella», dice con dolcezza, prendendomi il viso tra
le mani.
Il nostro bacio si fa più intenso, e io mi rendo conto che lo voglio nudo.
Nel mio letto e nudo. Gli sollevo la maglia sopra la testa e gli abbasso la zip
dei pantaloni. Le sue labbra rimangono incollate alle mie, come se non
potesse allontanarle.
Il suo torace è ampio e cosparso di peluria scura, lo stomaco è piatto e
muscoloso… ma è il suo sesso a spiccare. Quest’uomo ce lo ha grosso come
un cavallo. Non so nemmeno se quel coso vada mai giù. Di certo io non
l’ho mai visto flaccido.
«Ora devi sdraiarti di schiena sul mio letto», mormoro, abbassando lo
sguardo sul suo magnifico corpo nudo.
Lui fa un ampio sorriso. «È la cosa più bella che tu mi abbia mai detto.»
Mi trascina attraverso l’appartamento fino alla mia camera da letto. Con un
rapido gesto, mi apre il vestito e poi lo fa scivolare lentamente a terra.
Mi tiene per mano mentre io esco dall’abito, e lui fissa famelico il mio
fisico. «Cazzo, Emily, sei così bella.»
Il mio cuore perde un battito per il modo in cui mi sta guardando.
Mi fa sdraiare e mi spalanca le gambe, accarezzandosi piano con gli
occhi puntati su di me. Mi contorco in attesa del suo tocco. Prende uno dei
miei capezzoli tra le labbra, e io mi inarco sul letto. Le sue dita scivolano
fino al mio punto più sensibile. Quando si accorge di quanto sono bagnata,
Jameson emette un sibilo di approvazione. Mi concedo un respiro tremante.
È così…
Jameson Miles sa come toccare una donna.
Ogni cosa è amplificata, al punto che persino il suo sguardo rovente
potrebbe portarmi all’orgasmo. Le sue labbra si muovono lungo il mio
corpo, mandandomi dei brividi di piacere, e poi lui mi bacia l’interno
coscia. Abbasso le mani fino a raggiungere la sua nuca, mentre lui mi tiene
le gambe spalancate, e la sua lingua scorre su di me.
Inarco la schiena, reclinando la testa verso il soffitto. «Oh Dio.»
Inizia a leccarmi, prima lentamente, e poi, come se non riuscisse a
controllarsi, prende a divorarmi. Le sue guance ispide mi pizzicano quando
comincio a spingermi contro il suo viso. «Oh… è così bello…» gemo.
Solleva le mie gambe per appoggiarsele sulle spalle, e il cambio di
posizione mi fa tremare di desiderio.
«Oh Dio», ansimo, affondando le mani tra i suoi capelli.
«Vieni per me. Voglio sentire il tuo sapore», mugola dentro di me.
Vengo scossa da un brivido e tremo fin nel profondo, stringendomi a lui.
Jameson mi assapora come se fossi il suo ultimo pasto, poi indietreggia per
aprire un profilattico e porgermelo. Glielo infilo dopo avergli posato un
bacio sulla punta. Con gli occhi fissi nei miei, mi fa avvolgere le gambe
attorno al suo bacino e scivola dentro di me con un movimento improvviso.
Ci guardiamo, entrambi senza più fiato nei polmoni.
«Cazzo, è così bello…» mormora, mentre ci fissiamo negli occhi.
Indietreggia e poi rientra lentamente. Rimango a bocca aperta di fronte
alla sensazione di essere presa in quel modo. Nessuno scopa come Jameson
Miles… nessuno. Posso provare a negare il nostro legame emotivo quanto
voglio, ma quello fisico… sarebbe impossibile farlo.
Si muove in cerchio dentro di me e poi affonda di nuovo in profondità.
Grido, quasi senza fiato. Solo allora comincia a scoparmi, con spinte
profonde e violente, e il mio letto sbatte contro il muro con tanta forza da
rischiare di abbatterlo.
«Cazzo, cazzo, cazzo», mormora contro il mio collo.
Mi solleva una gamba, e io non riesco più a trattenermi. Il mio corpo si
contrae attorno al suo, mentre Jameson geme e viene insieme a me.
Ci stringiamo l’una all’altro ansimando, e io sorrido mentre un’euforia
tutta nuova mi scorre nelle vene.
Jameson Miles è la mia nuova droga.
E io sono completamente assuefatta.
Mi sveglio sentendo un respiro leggero accanto a me e mi giro con un
sorriso. Jameson sta dormendo al mio fianco, sdraiato sulla schiena.
Abbiamo passato una notte incredibile. L’uomo tenero e arguto è tornato…
e non ho visto traccia dell’amministratore delegato stronzo.
Mi puntello su un gomito per osservarlo meglio. I capelli scuri gli
ricadono sulla fronte, le grandi labbra rosse sono dischiuse e gli occhi
tremano appena dietro alle palpebre mentre dorme. Ha un braccio piegato
dietro la testa e l’altro appoggiato sullo stomaco. È bellissimo. Tutto il suo
corpo è splendido. E la scorsa notte ho visto che forse anche dentro è
altrettanto bello.
Smettila. Stai diventando pedante e appiccicosa.
Jameson non è il tipo di uomo a cui affezionarsi.
Si sveglia con un profondo sospiro e apre lentamente gli occhi per
guardare verso di me. «Ehi, bellissima», bisbiglia con la voce roca,
appoggiandomi una mano sul viso.
Gli sorrido, sporgendomi verso di lui per baciarlo. «Buongiorno,
Jameson.»
«Chiamami Jay.» Aggrotto le sopracciglia, perplessa. «I miei amici mi
chiamano così.»
«Quindi ora siamo amici?»
Mi attira contro il suo petto. «No, tu sei la mia coniglietta del sesso.»
Sorrido, baciando i suoi pettorali.
«Cosa c’è in programma per oggi?» mi chiede.
«Niente.»
Corruga la fronte, come se stesse cercando di trovare un significato
nascosto nelle mie parole, e si pizzica la base del naso. «Dirò al mio autista
di venire a prenderci e preparerò la colazione a casa mia.»
Mi appoggio su un gomito e abbasso lo sguardo su di lui. «Che c’è che
non va con il mio appartamento? Ho del cibo con cui potresti cucinare.»
«Niente. È solo che sono più a mio agio da me. Oggi rimarremo lì.» «E io
sono più a mio agio qui, Jameson», rispondo, vagamente irritata.
«Cosa?» Sussulta. «Come è possibile?»
Mi alzo a sedere, offesa. «E questo cosa vorrebbe dire?» sbotto.
Lui rotea gli occhi. «Eccoci di nuovo.»
«Cosa vorresti dire?»
«Me lo hai chiesto due volte», risponde con tono secco. «Devi discutere
per tutto quello che facciamo?»
«Non sto discutendo. Sto solo dicendo che oggi voglio stare qui. Il tuo
appartamento sarà anche lussuoso, ma non mi ha colpita quanto credi.» Mi
fissa per un secondo. «E, per la cronaca, non discuto per tutto. L’ultima
volta ero incazzata all’idea che avessi un rapporto tanto intimo con la tua
massaggiatrice, addirittura al punto da ricevere quel genere di messaggi.»
Jameson alza gli occhi al cielo e si posa l’avambraccio sugli occhi. «E
rieccoci.»
«Vuoi smetterla di ripeterlo?» scatto, alzandomi dal letto e infilandomi
la vestaglia. «Ero sdraiata lì a riflettere su quanto fossi bello, e tu hai dovuto
aprire la tua boccaccia e rovinare tutto.»
«È quello che penso anche io», sbotta lui, scendendo dal letto. «E
smettila di parlare di Chloe… non abbiamo una relazione.» Mi blocco. Che
diavolo vuole dire?
«Che cosa intendi dire con: non abbiamo una relazione? Che fate
sesso?»
Lui si china e prende i jeans, ignorandomi.
«Jameson.» Appoggio le mani sui fianchi e lo fisso.
Infila i pantaloni e chiude la zip. «A volte.»
Trasalisco. «Fai sesso con lei?»
«Ho un appuntamento fisso tutti i martedì e i giovedì. Non viene per
fare sesso, ma a volte succede e basta. Lei mi tocca, io sono coperto di
olio… capita.»
Rimango a bocca aperta. «Hai fatto sesso con lei durante questa ultima
settimana? Da quando sei stato con me?» Lui rotea gli occhi. «Smettila di
alzare gli occhi al cielo quando parlo», scatto.
«No. Non ho fatto sesso con lei questa settimana.»
«Però ti sei fatto fare i tuoi soliti massaggi?»
«Sì.»
«Quindi hai avuto le mani di un’altra donna su tutto il tuo corpo?» Sono
furiosa.
«Come tu hai avuto addosso le mani di un altro uomo sulla pista da
ballo. Smetti di cercare di litigare, Emily. Mi stai facendo incazzare.»
«Beh, anche tu. Vattene da qui.»
«Me ne sto già andando», replica lui in modo brusco.
«Vai a farti fare un massaggio, razza di depravato.»
Jameson scuote la testa, disgustato. «La sai una cosa? Sei perfetta per
scrivere quelle notizie fasulle. Il dramma è proprio il tuo forte.» Si infila la
maglia e poi si siede sul letto per mettersi le scarpe.
Sono assalita dalla rabbia, così afferro una delle sue scarpe e la scaglio
dall’altra parte della stanza.
«Non riesco a credere che tu sia così irritata», sbuffa lui.
Socchiudo gli occhi, mentre la furia mi fa ribollire il sangue. «Già, lo
sono. Come sicuramente lo è la vagina della tua Chloe. Quanti clienti si
scopa ogni settimana?»
«Non è la mia Chloe.»
«Beh, sai cosa? Dovrebbe diventarlo, perché io non ho intenzione di
prendere i suoi avanzi.»
«E questo cosa vorrebbe dire?»
«Che o vieni a letto con me e solo con me, o puoi uscire dalla mia vita.»
Lui si appoggia le mani sui fianchi, indignato. «Non sono interessato ad
avere una relazione.»
«Bene. Ho avuto la mia risposta. Vattene.»
«Sai cosa ti dico? Questo tuo giochino del dottor Jekyll e del signor
Hyde mi fa davvero passare la voglia.»
«Perché, che effetto credi mi faccia il tuo cazzo in compartecipazione?»
strillo io. «Sei un insulto alla mia intelligenza, Jameson. Tornatene al tuo
elegante appartamento con la tua macchina lussuosa e vai a fare sesso con
chiunque tu voglia.» Mi stringo nella vestaglia con disgusto. «Tanto io sono
troppo per te.»
Mi guarda di traverso. «Perché sei così stronza?»
«Perché tu sei un bastardo egocentrico. Vattene di qui!» grido. Prendo
un cuscino e glielo lancio.
Lui mi supera in fretta. «Nessuno mi ha mai trattato come mi tratti tu,
Emily!» urla, precipitandosi verso la porta.
«Perché li paghi!» esclamo io. «Sei fortunato perché hai un mucchio di
soldi, Jameson. Ti servono. Nessuno sopporterebbe gratis le tue cazzate.»
Si gira e mi fissa in cagnesco. «Questo è un colpo basso.»
Gli faccio un sorriso falso. «Ti auguro una buona vita, stronzo.» Mi
volto per andare in bagno e chiudo a chiave la porta.
Che se ne vada al diavolo.
Capitolo 11

Emily

C ,
Nutella di cui è coperto mentre fisso la televisione. Sono le quattro del
pomeriggio, sono ancora in pigiama e ho passato una giornata tremenda.
Dopo essermi risvegliata in un sogno, sdraiata accanto all’uomo più
affascinante del pianeta, quello stronzo dell’amministratore delegato
Jameson Miles ha deciso di fare la sua comparsa e di rovinare tutto.
A essere sincera, una parte di me si sta pentendo di non essere andata a
casa sua per fare colazione, ma l’altra parte è felice di non averlo fatto,
perché altrimenti non avrei mai saputo di Chloe, la sua massaggiatrice.
Scopano.
Detesto quanto mi dia fastidio. Odio ritrovarmi sempre più legata a lui
quando è chiaro che Jameson non prova lo stesso per me.
Infilo di nuovo il cucchiaio nel barattolo di Nutella. Il cioccolato mi si
scioglie sulla lingua, offrendomi una temporanea distrazione. Guardo
intorpidita la televisione, c’è un film horror. Il mio genere preferito, le
commedie romantiche, è stato eliminato dal repertorio. Ripenso al mio
primo incontro con Jameson, quando mi ha detto che trova non realistiche
le commedie romantiche.
Forse aveva ragione. È possibile che sia solo una stupida illusa?
Lui prova qualcosa per Chloe? A chi importa? È uno stronzo.
Devo piantarla. Devo smetterla di pensare a lui. È un playboy egoista
che va a letto con chiunque, ogni volta che lo vuole. Mi guardo intorno nel
mio squallido appartamentino e vengo colta dalla tristezza. Se gli piacessi,
non gli importerebbe dove stiamo, vorrebbe solo passare del tempo con me.
Invece non vedeva l’ora di andarsene.
Torno con la mente al nostro litigio di questa mattina.
“Nessuno mi ha mai trattato come mi tratti tu, Emily!”
“Perché li paghi! Sei fortunato perché hai un mucchio di soldi, Jameson.
Ti servono. Nessuno sopporterebbe gratis le tue cazzate.”
“Questo è un colpo basso.”
Ho esagerato? È stato davvero un colpo basso? Forse, ma che cosa si
aspettava? Non posso credere che nessuno lo abbia mai trattato come l’ho
trattato io. Se si comporta sempre così con le donne, come fanno a
sopportarlo? Nessuno è tanto stupido… non è vero?
“Non sono interessato ad avere una relazione.”
Sferro un pugno al cuscino che ho in grembo, presa dal disgusto.
Nessun’altra frase mi ha mai fatta sentire tanto miserabile, come se non
valessi niente.

Lunedì mattina entro nell’ascensore per salire fino all’ultimo piano.


Abbiamo fissato questa riunione la settimana scorsa, perché potessi
conoscere l’investigatore privato, ma ora preferirei fare tutt’altro.
Voglio dimenticarmi di Jameson Miles e di aver mai incontrato
l’affascinante Jim… o Jay, o come accidenti dovrei chiamarlo. Sono
arrivata alla conclusione che sono un pacchetto unico, e purtroppo non
posso avere Jim senza Jameson, nonostante io desideri solo il primo. Quindi
farò quello che è meglio per me. Taglierò i ponti, non cadrò nell’abitudine
di andare a letto con lui, portando avanti una storia priva di legami, nella
speranza di riuscire a intravedere Jim di tanto in tanto.
Sarebbe facile… troppo facile.
Ma so già che il mio povero cuore non riuscirebbe a sopportarlo. Non
sono fatta per il sesso occasionale. Semplicemente non fa per me.
Mi comporterò in modo professionale e cercherò di concentrarmi sul
lavoro. Se non fossi costretta a vederlo, sarebbe più semplice, ma è così che
vanno le cose. Devo imparare ad accettarlo. Lui non se ne andrà da nessuna
parte, e io voglio davvero tenermi questo lavoro.
Dannazione, Emily, perché prendi sempre la strada più ardua? Perché
ti innamori sempre dell’uomo sbagliato?
L’ultimo era privo di motivazione, e questo ne ha fin troppa. A nessuno
dei due importava abbastanza di me da spingerli a compiere uno sforzo in
più. Forse ho aspettative troppo alte per via dei miei fidanzati immaginari
dei romanzi d’amore che leggo; magari Jameson aveva ragione su quello.
Ma, accidenti, per una volta vorrei vivere una favola.
Le porte dell’ascensore si aprono, e io esco per attraversare la reception.
«Buongiorno, Emily», dice Sammia.
«Buongiorno.» Le sorrido.
«Vai pure nel suo ufficio.»
«Grazie.» Mi incammino lungo il corridoio e busso alla porta.
«Avanti», risponde la sua voce profonda.
Chiudo gli occhi e mi preparo. Raddrizzo le spalle e apro la porta. Poi
mi blocco sul posto.
Merda.
La stanza è piena di uomini.
«Entra pure», dice Jameson, la voce priva di qualsiasi emozione.
«Accomodati.»
«Grazie.» Mi lascio cadere nervosamente su una sedia a un’estremità
del grande tavolo rettangolare.
Jameson siede a capotavola, mentre Tristan, Elliot, Christopher e un
uomo più maturo sono alla sua sinistra. Ci sono anche altri sei individui che
non ho mai visto prima.
Jameson incontra il mio sguardo. «Lei è Emily Foster», mi presenta.
«Salve», mi salutano gli altri.
Sorrido imbarazzata, osservando la tavolata.
«Emily, lui è mio padre, George.» Indica l’uomo anziano.
«Salve», bisbiglio nervosa.
«Buongiorno, cara.» Mi rivolge un’espressione calorosa. È sulla
sessantina e sembra una versione più matura di Jameson ed Elliot. Ha un
aspetto affascinante e distinto, e anche lui mi guarda con un paio di
penetranti occhi blu.
«Loro sono Martin e Gerrard, Max e Barry» continua Jameson,
indicando i vari uomini intorno al tavolo. «E a quel capo ci sono Calvin e
Jake.»
«Salve.» Mi costringo a sorridere. Non ricorderò mai tutti questi nomi.
«È il team di investigazione aziendale», riprende lui. «Jake sarà i loro
occhi al piano, e gli altri cinque valuteranno le informazioni che
raccoglierà.»
Lo guardo mentre parla, completamente impassibile, e mi si spezza un
po’ il cuore. Non è affatto turbato da me… da noi.
Perché non c’è alcun noi.
«Okay.» Guardo il team con espressione accomodante. «Piacere di
conoscervi.»
«Questa mattina partiremo in quarta», continua Jameson. «Emily,
accompagnerai Jake a fare un giro del piano e poi farai direttamente
rapporto a Tristan riguardo agli articoli che invierai.»
Mi sprofonda il cuore nel petto, ma mi sforzo di annuire. Lancio
un’occhiata a Tristan, che mi rivolge uno sguardo cordiale. Sa perché sono
stata assegnata a lui. Avrei voglia di buttarmi a terra e fare una scenata
isterica.
«Grazie. È perfetto», mento.
Nei quindici minuti successivi, rimango seduta sulla mia sedia a fissare
l’amministratore delegato che affronta uno per uno i punti del giorno con
controllato distacco. È deciso, severo e brillante, e l’intera sala pende dalle
sue labbra.
E si scopa la sua massaggiatrice tutti i martedì e i giovedì.
Non so come ho fatto a cacciarmi in questo pasticcio, ma deve finire.
Beh… è già finito, quindi non devo più preoccuparmi.
«Grazie, questo è tutto. Vorrei un rapporto sulla mia scrivania alle
quattro e mezza di ogni pomeriggio», informa gli uomini dell’agenzia
investigativa.
«Sì, signore», rispondono loro mentre si alzano. Io aspetto in fondo alla
stanza, incerta se andarmene o meno.
«Emily, solo un minuto, per favore», mi chiede Jameson.
Il mio cuore ha un sobbalzo. «Sì.»
«Puoi accompagnare Jake al tuo piano con la scusa che è nuovo e che
state affrontando insieme un programma di formazione?»
Lo scruto dritto negli occhi. Lui mi fissa impassibile, freddo come il
ghiaccio.
«Certo.» Mi volto verso Jake e sorrido. «Sei pronto?»
«Fammi strada», replica lui con tono scherzoso. «Dopo di te.»
Mi volto ed esco dall’ufficio con il cuore che scivola fin sotto ai miei
tacchi alti. Beh, è la fine.
Ha chiuso. Vorrei che fosse lo stesso per me. Ma ci riuscirò, lo faccio
sempre.

Mi siedo dentro al bar, sulla panca accanto alla vetrina, e fisso la limousine
in attesa davanti alla Miles Media, dall’altra parte della strada. È stata una
lunga settimana, e oggi è stato un giorno particolarmente monotono.
È giovedì, il giorno del massaggio.
Ho una visione di Jameson tutto unto di olio su un lettino mentre
un’altra donna muove le mani sul suo corpo. Mi si stringe lo stomaco,
mentre me lo immagino con fin troppa chiarezza. La mente mi gioca brutti
scherzi e mi mostra il peggior scenario pornografico della storia.
Jim… che viene toccato da un’altra donna.
È vestita mentre lo massaggia? Parlano? Ridono come facciamo noi?
Devo smetterla, è troppo doloroso. Sto desiderando un uomo che
nemmeno esiste.
L’autista apre la porta d’ingresso del palazzo, e io guardo Jameson
Miles uscire come al rallentatore, nel suo completo blu, con la postura
perfetta, i capelli scuri che gli scivolano sulla fronte… circondato da
un’aura quasi palpabile di potere.
Tutti si bloccano e lo ammirano mentre entra nel retro della limousine.
L’autista chiude la porta, poi l’auto esce lentamente dal parcheggio e
svanisce in fondo alla strada.
Osservo il toast al prosciutto e formaggio di fronte a me, la mia cena. Lo
sconforto mi assale. Ho appena perso l’appetito.

È venerdì pomeriggio e sono le tre. Sto fissando la storia falsa davanti a me.
Ah… che barzelletta. Mi sono trasferita a New York per inventare notizie
fasulle per un imbecille, la sua società mediatica imbecille… e quegli
imbecilli dei suoi fratelli.
Batto con forza sui tasti del mio computer. Imbecilli, imbecilli…
maledetti imbecilli.
Alla faccia di tutti i miei anni di studio all’università. I miei genitori
devono essere proprio orgogliosi. Quando mi è stato offerto questo incarico,
ho creduto che sarebbe stato emozionante, oltre che un’occasione per
dimostrare il mio valore. Ma forse mi sono sbagliata.
«Laggiù in fondo», sento dire a qualcuno. Alzo lo sguardo e vedo un
uomo con una grande busta di carta marrone in mano.
«Uber Eats per Emily Foster.»
«Cosa?» Mi guardo intorno, imbarazzata. «Ma io non ho ordinato
niente.»
Il fattorino legge il biglietto. «Qui c’è scritto che…» Si interrompe,
leggendo e accigliandosi come se fosse confuso. «C’è scritto che questa
consegna Uber Eats è controllata e sicura per il consumo umano.» Gli
lancio un’occhiata e accetto la busta.
L’uomo socchiude gli occhi, continuando a leggere la distinta. «Non ha
alcun senso.»
«Che cosa?»
«Qui dice: Zucchero per addolcirti.»
Apro la busta e trovo un’enorme cheesecake al frutto della passione.
Alzo gli occhi verso la telecamera e faccio un sorrisetto. Mi prende in giro?
«Chi l’ha mandata?» domando.
«Sembra che il mittente sia un tale Signor Brav’uomo.»
Lo fisso senza battere ciglio. «Signor Brav’uomo?»
«Già. Strano, eh?»
«Grazie.» Faccio del mio meglio per non sorridere. So che mi sta
guardando.
Molly e Aaron sbirciano dentro la busta. «Bingo», strilla il mio collega.
«Prendo dei piatti.» E corre verso la nostra cucina dello staff.
«Grazie, oh Signore, per la cheesecake», esclama Molly, eccitata.
Okay… ha fatto la prima mossa. Ora come rispondo?
Tiro fuori il cellulare e gli mando un messaggio.
I : Caro Signor Brav’uomo, grazie. Anche se vorrei assicurarti che sono già
abbastanza dolce.
Premo Invio e aspetto. Arriva subito una risposta.

J: Non ho alcun dubbio al riguardo. Posso portarti fuori a cena questa


sera?

Mi appoggio all’indietro contro lo schienale, sorpresa dalla sua richiesta. È


una situazione impossibile. Lui vuole avere una compagna di scopate in più
nel suo harem, mentre io lo voglio tutto per me. Gli scrivo.

I : Credo che domenica mattina ci siamo detti entrambi tutto ciò che c’era
da dirsi.

Dio… perché non può essere normale? Ricevo immediatamente una


risposta.

J: Ho una proposta per te.

Fisso il messaggio ma non rispondo. Una proposta? Che c’è, vuole che sia
la sua nuova massaggiatrice? Mi sento ribollire di rabbia al solo pensiero di
quella donna che lo tocca.
Dieci minuti dopo, arriva un altro messaggio.

J: Dammi una possibilità, per favore.


Per favore. Ha detto per favore. Oh, va bene. Rispondo.
I : Okay.

Rimango in attesa.

J: Vengo a prenderti alle sette.

«Ecco a te», dice Aaron, passandomi un piatto con la fetta di cheesecake più
grande che abbia mai visto. Porge a Molly la sua e poi si accomoda con la
propria.
«È assolutamente deliziosa», borbotta la nostra collega con la bocca
piena.
Aaron geme in segno di apprezzamento. «Oh, cazzo, sto avendo un
orgasmo da cibo.»
Prendo un boccone, concentrandomi con tutte le mie forze per non
sorridere troppo, giusto nel caso mi stesse guardando. Bella mossa, signor
Miles… bella mossa.

A volte te lo senti dentro che non dovresti fare una certa cosa. Il risultato è
già scritto nelle stelle, e sarebbe meglio essere forte e dire di no. Ma se
proprio non ce la fai?
Questa sera non riesco a impedirmi di uscire con lui. La masochista
dentro di me vuole vederlo. La stessa masochista vuole che mi prenda, mi
spinga sul suo letto lussuoso e mi scopi fino a farmi dimenticare il mio
nome. È stata una settimana lunga e solitaria. Ma devo resistere. Se adesso
cedo, gli ultimi giorni saranno stati per niente. E sono ancora convinta di
ciò che ho detto domenica. Sono troppo per lui per com’è al momento. Non
voglio condividerlo con altre donne, e per me i soldi non hanno alcuna
importanza. Deve decidersi a venirmi incontro oppure a lasciarmi perdere.
Suona il campanello, e il mio stomaco si stringe in una morsa. Lui è qui.
«Chi è?»
«Uber Eats.» Sento la sua voce vellutata.
Faccio un ampio sorriso. «Che cos’ha per me?»
«Salsiccia italiana.»
«Mmh», lo stuzzico. «Ha per caso intenzione di drogare la salsiccia e di
approfittare del mio corpo non appena cadrò svenuta?»
«Indubbiamente.»
Divertita, premo il pulsante per farlo salire, poi inizio a camminare
avanti e indietro nell’appartamento, gesticolando senza controllo per il
nervosismo che si sta impossessando di me.
Rimani calma… rimani calma… rimani calma.
Toc, toc.
Apro rapidamente la porta, ed eccolo lì, in maglietta grigia e jeans
neri… con i suoi ardenti occhi blu. Un pigro sorriso sexy gli attraversa il
viso.
«Ciao.»
«Ciao», bisbiglio, fissando il magnifico esemplare di uomo che mi sta di
fronte. Vorrei gettarmi tra le sue braccia. L’attrazione che provo per lui è
incredibile.
Si china e mi bacia una guancia, superandomi per entrare nel mio
appartamento.
«Sei pronta?» mi chiede.
«Prontissima.» Prendo la borsa e lo scialle.
Jameson abbassa lo sguardo lungo il mio corpo fasciato da un abitino
nero. «Sei incantevole.» «Grazie», mormoro.
«Andiamo.» Mi porge il braccio, e io lo afferro.
Entriamo in ascensore avvolti da un silenzio imbarazzante. Lui è
pensieroso e io sono nervosa da morire. Interpretare la donna calma,
tranquilla e composta è terrificante, e ricordo a me stessa che questa sera
non devo bere troppo.
Usciamo dal mio palazzo, la sua limousine è parcheggiata davanti al
marciapiede. Apre la portiera e io salgo. Vengo assalita dai ricordi della
prima volta in cui sono stata su questi sedili posteriori, e la parola
“puttanella” mi aleggia nella mente.
Scivolo da una parte e lui entra accanto a me, poi mi prende una mano
per stringerla e appoggiarsela in grembo. Okay… è affettuoso. Che cosa
significa?
Non so cosa dire, né come reagire, dato che sto interpretando la parte
della difficile, ma il calore del suo tocco è così confortante che glielo lascio
fare. La limousine attraversa la città, e io guardo fuori dal finestrino mentre
un milione di pensieri mi passa per la mente. Questa notte è importante:
dobbiamo raggiungere un accordo o fare in modo di limitare il più possibile
i danni. Non possiamo continuare a litigare per un nonnulla come abbiamo
fatto finora.
L’auto si ferma e l’autista apre la portiera. Esco e Jameson mi prende
per mano per guidarmi dentro un ristorante elegante, il Lucino’s.
«Prenotazione per Miles», dice, stringendomi forte le dita tra le sue.
«Da questa parte, signore.»
Con un sorriso, il cameriere ci fa strada attraverso il locale, portandoci
fino a un tavolino accogliente in un angolo. Sposta indietro la mia sedia, e
io mi accomodo. Jameson si siede di fronte a me. Il ristorante è buio, con
candele sui tavoli e lucine appese al soffitto. C’è un’atmosfera molto
romantica.
Non ti emozionare. Probabilmente è solo un caso.
«Posso portarvi qualcosa da bere?» ci chiede il cameriere.
«Sì, prendiamo una bottiglia di champagne Salon, per favore.» Chiude il
menù e glielo porge.
Io lo fisso.
Ecco che ci risiamo.
L’uomo sparisce, e Jameson mi guarda con i suoi grandi occhi blu. Mi
stringe di nuovo la mano attraverso il tavolo. «Ehi», sorride con dolcezza,
come se finalmente si stesse rilassando.
Lascio perdere la discussione sul vino. Non ha importanza chi lo abbia
ordinato. «Ciao», gli rispondo a mia volta.
Mi accarezza le nocche con il pollice e mi fissa negli occhi. «Come
stai?»
«Bene.»
Oh, il suo tocco mi rende debole. Vorrei confessargli che sto mentendo,
che ho passato una settimana pessima e che lui è il re di tutti gli imbecilli.
Ci guardiamo attraverso il tavolo. È come se nessuno dei due volesse
parlare, per evitare di far scoppiare una guerra aperta.
«Qual è questa proposta, Jameson?» Lui si appoggia allo schienale,
apparentemente seccato dal mio tono. Gli stringo la mano. «Non sto
cercando di litigare. Voglio solo sapere a cosa stai pensando», dico piano.
«Smettila di stare sulla difensiva quando sei con me.»
Si rilassa appena, ma, proprio in quel momento, il cameriere torna con
la bottiglia di champagne e la apre. Ne versa un po’ in un flûte e Jameson lo
assaggia.
«Va bene.»
Allora l’uomo riempie i nostri bicchieri e ci lascia da soli.
«Ho pensato a quello che hai detto lo scorso weekend.»
«E?»
Sorseggia il suo drink. «Questa settimana ho cancellato i miei
massaggi.»
Faccio un sorrisetto, guardandolo negli occhi, ma rimango in silenzio.
«Il fatto è che io…» Si interrompe. Aspetto che parli e, quando non lo
fa, gli stringo la mano in un gesto rassicurante. «Sono sposato con il mio
lavoro, Em.» Mi acciglio. «Quando ho detto di non essere interessato a una
relazione, non intendevo…» Scrolla le spalle, come se gli mancassero le
parole.
«Che cosa non intendevi?»
«Non intendevo che non voglio frequentarti. Volevo dire che sono uno
stacanovista, e so che pochissime donne sopporterebbero il tempo che
dedico al lavoro.»
«Jameson, a me non importa quanto sei impegnato. È solo che non
voglio essere una delle tante.»
Lui aggrotta le sopracciglia. «Cosa vorrebbe dire?»
«Che non sono fatta per le avventure di una notte. Non sono così. Ma
neanche io sto cercando una relazione seria e profonda. Mi hai fraintesa.»
«E allora che cosa vuoi?»
«Voglio avere un rapporto di amicizia con un uomo e sapere che sono
l’unica persona con cui va a letto.» Mi ascolta. «E di certo non voglio
condividerti con una massaggiatrice del cazzo.» Rotea gli occhi. «E non
voglio neanche che tu faccia quelle smorfie quando parlo.»
Lui serra i denti, irritato. «Modera il tono», mi avverte.
«Lo vedi?» gli dico.
«Cosa?»
«Questo atteggiamento ostile. Quando siamo tra di noi, deve sparire.
Non possiamo continuare a discutere per ogni minuscola cosa come
facciamo ora.»
«Tu non sei migliore di me, da questo punto di vista», sbotta lui a sua
volta.
«Lo so, e sto cercando di smetterla. Proprio adesso ho tenuto a freno la
lingua, nonostante tu abbia ordinato da bere senza chiedermi cosa volessi.»
«Sono abituato ad avere il controllo, Emily», dichiara con tono secco.
«Anche io. Questo non cambierà.» Mi guarda negli occhi e si sistema il
tovagliolo in grembo come se stesse riflettendo. «Non ti sto chiedendo di
essere il mio fidanzato, Jameson», bisbiglio. «Non è di questo che si tratta.
Abbiamo un’ottima intesa sessuale, e io vorrei continuare questa cosa.
Sento di doverlo fare… ma non posso, non se so che vai anche con altre
donne. Devo essere l’unica.»
«Va bene, non andrò a letto con nessun’altra», dichiara esasperato.
«E?» insisto.
Alza gli occhi al cielo. «E ti puoi ordinare da sola i tuoi drink.»
Capitolo 12

Emily

R . «Q ,J .»
«Allora di cosa, per l’amor del cielo? Parla chiaramente.»
«Voglio che tu smetta di stare tanto sulla difensiva quando sei con me.»
«Non lo faccio.»
«Invece sì», mormoro, stringendogli la mano nella mia.
«Allora lo fai anche tu.»
«È così, ma lo faccio perché sento che, altrimenti, mi metteresti i piedi
in testa.»
Aggrotta la fronte. «Non lo farei mai.»
«Non di proposito.»
Serra i denti, e io capisco di avere ragione.
«Voglio solo l’uomo che ho conosciuto in aereo. Quello che si lasciava
andare.»
Sostiene il mio sguardo. «Em, io non so come continuare a essere quella
persona. È una parte molto piccola della mia personalità.» «Allora
risparmia quella parte solo per me», sussurro.
Mi guarda mentre sorseggia il drink, e il suo volto viene attraversato da
un sorriso tenero. «E cosa aveva di così bello il tizio dell’aereo?»
«Mi faceva ridere.» Incurvo le labbra, ripensando a quella giornata. «E
mi ha fatto fare il sesso migliore della mia vita.»
«Di tutta la tua vita?»
«Di tutta la mia vita.»
Si illumina, soddisfatto di sé.
«Quindi siamo d’accordo?» gli domando.
«Fammi capire bene, vuoi avere una relazione di amicizia con benefici,
ma limitata solo a noi due?»
«Sì.»
«Che succede quando sono al lavoro o devo andare via, e tu sei in giro
e…» Si interrompe.
«Allora ti chiamerò e ti dirò che ho bisogno di te.» Incrocia il mio
sguardo. «E tu mi aiuterai parlandomi al telefono, oppure aspetterò il tuo
ritorno a casa.»
Mi ascolta, strofinandosi il pollice sul labbro inferiore, come se fosse
affascinato dalle mie parole.
«Non voglio fare sesso con nessun altro, Jameson. Non sono quel tipo di
ragazza. Tu sei l’unica avventura di una notte che mi sia mai concessa.» Mi
stringe le dita, compiaciuto da quella risposta. «Ho fatto sesso con quattro
persone in tutta la mia vita, e tu sei uno di questi.» Jameson appoggia il
mento sul palmo della mano, sorridendomi con aria sognante.
«Che c’è?»
«Sai quanto spesso penso di scoparti?»
Ridacchio, sorpresa da quella dichiarazione. «Quanto spesso?»
«Di continuo. Come se fossi un diciottenne innamorato.»
«Non si direbbe.»
«Perché?»
«Per tutta la settimana ti sei comportato come se mi odiassi. Sai essere
così freddo quando vuoi…»
Si raddrizza sulla sedia, irrigidendo la schiena. «Non mi piace essere
sfidato per il solo gusto di farlo, Emily. La settimana scorsa mi hai attaccato
soltanto per dimostrare qualcosa. Mi hai fatto arrabbiare.»
«No. La settimana scorsa ti ho attaccato perché volevo trascorrere la
giornata nel mio appartamento, e tu hai dato per scontato che casa tua fosse
migliore della mia. I tuoi soldi non mi fanno alcuna impressione, Jameson.
Non mi interessa il tuo appartamento di lusso. Il mio è altrettanto comodo.»
Alza gli occhi al cielo. «Ora dobbiamo litigare sul perché abbiamo
litigato?»
Sorrido. Ha ragione, è ridicolo. «No. Basta litigi.» Sollevo la sua mano
e me la appoggio su una guancia. «Ceneremo, poi torneremo a casa tua e io
ti cavalcherò, proprio come piace a te», bisbiglio.
Lui inala bruscamente e i suoi occhi si accendono di smania. «Mi ecciti
da morire.»
Mi infilo il suo pollice in bocca e lo succhio con lentezza, senza
distogliere lo sguardo dal suo. «Sono la tua coniglietta del sesso personale,
signor Miles, e, in quanto tale, prendo il mio lavoro in modo molto serio»,
sussurro con la voce roca. «Ogni tuo desiderio è un ordine.»
Jameson mi fa un pigro sorriso sexy. «Ora sì che ragioniamo.»

Due ore dopo

Coperta da una patina di sudore, mi muovo in avanti su Jameson, che è


seduto con la schiena appoggiata alla testiera del letto. Ha una mano stretta
attorno al mio fianco, mentre con l’altra mi tocca il seno.
È così grosso che sento ogni centimetro di lui dentro il mio corpo. La
prima volta mi ha presa con forza e in fretta. Io ero in ginocchio e lui dietro
di me. Ci ho guardati nello specchio e ho visto ogni muscolo del suo torace
contrarsi mentre si spingeva in me, con gli occhi cupi puntati nei miei.
È stato lo spettacolo più sensuale che abbia mai visto.
Ora mi stringe un fianco con forza e mi aiuta a muovermi avanti e
indietro su di lui. Ci fissiamo, e questo è uno di quei momenti in cui
nessuno di noi due parla. È perfetto così, in silenzio.
Mi afferra per i capelli e mi trascina verso di sé. Cattura le mie labbra
con le sue in un bacio passionale. Mi infila la lingua in bocca proprio con la
giusta angolazione.
«Gambe in su», bisbiglia, sollevandomi le ginocchia per farmi sistemare
accovacciata su di lui. La mia espressione vacilla. «Che c’è?»
«Stai attento.»
«Non ti farò male, lo sai.»
Mi bacia di nuovo, succhiandomi le labbra. Il mio corpo sa chi ha il
controllo. Jameson Miles può avermi concesso di ordinare i nostri drink, ma
è lampante che non abbia nessuna intenzione di mollare le redini in camera
da letto. Non che io lo voglia: quello che fa è pura perfezione.
Comincia a sollevarmi, lentamente e con cautela, e ci muoviamo a una
velocità controllata. Mi guarda affascinato. «Oh», gemo. «È così…
bello…»
Lui alza gli occhi, sollevandomi più in alto e sbattendomi in giù con più
forza. Mi reggo alle sue ampie spalle e sento i suoi muscoli contrarsi sotto
le mie dita. Mentre mi attira contro il suo corpo, inizia a gemere, e
l’espressione sul suo volto è di pura estasi.
Quando un orgasmo potente quanto un treno merci si abbatte su di me,
risalendomi dentro, mando indietro la testa.
«Oh, cazzo», esclama lui, affondando dentro di me e poi fermandosi di
colpo. Percepisco il sobbalzo rivelatore del momento in cui viene.
Mi guarda negli occhi e mi appoggia piano una mano sul viso per
avvicinarlo al suo. Le nostre labbra si incontrano in un bacio lento, dolce e
intimo, niente affatto simile al sesso distaccato di cui abbiamo discusso. Lui
è proprio qui con me. So che lo è.
«Sei così bella, cazzo», mormora contro le mie labbra, stringendomi a
sé.
Mi stendo sul suo petto e sorrido contro la sua pelle mentre Jameson mi
avvolge tra le braccia. Percepisco il suo cuore battere forte contro il mio, e
mi sento al sicuro e amata. So che dovremmo essere solo amici con
benefici, ma non è così… c’è qualcosa di più. Ma di che cosa si tratti,
proprio non lo so.

Sento una mano che mi accarezza il sedere per poi darmi una pacca su una
natica. «Andiamo.»
Faccio una smorfia e mi giro verso Jameson. «Cosa?»
«Alzati, su.»
«Eh?» Mi stiracchio e apro gli occhi. Le tende sono aperte e il sole filtra
nella stanza dalle enormi vetrate. Mi guardo intorno, ancora mezza
addormentata. «Che ore sono?»
«Sono le otto. Alzati. Andiamo a fare una corsa a Central Park.»
«Chi ci va?» Mi acciglio. Jameson è avvolto in un asciugamano e
sembra appena uscito dalla doccia.
«Tu ed io.»
Mi gratto la testa, confusa. «Ti sei fatto una doccia per andare a
correre?»
«Odoravo di sesso.» Fa un sorrisetto, chinandosi per baciarmi sulle
labbra. Lo stringo tra le braccia e lo trattengo, ma lui si libera dalla mia
presa. «Andiamo.»
«Ma qui non ho niente. Che scarpe dovrei mettere?»
«Che numero porti?»
«Trentotto e mezzo.»
«Mmh.» Si appoggia le mani sui fianchi e riflette. «Beh, puoi mettere
un paio delle mie.»
«Inciamperò e mi spezzerò l’osso del collo, Jameson.»
«Mmh, okay.» Sparisce nella cabina armadio ed emerge in un paio di
pantaloncini neri della Nike e una maglietta blu della stessa marca.
Lo guardo sorridendo.
«Che c’è?»
«Oggi sei sponsorizzato dalla Nike?»
Lui abbassa lo sguardo su di sé, divertito. «No, sono solo vestiti
comodi.»
«Come questo letto.» Incurvo le labbra, assonnata, rinfilandomi sotto le
coperte. Jameson si siede per mettersi le scarpe, e io lo guardo per un
momento. «Quindi come funziona?» gli domando.
«Come funziona cosa?»
«Beh…» Mi fermo, cercando di spiegare quello che voglio dire senza
sembrare appiccicosa. «Non ho mai avuto una relazione occasionale.»
Scrollo le spalle in modo timido. «Come ci comportiamo? Quando ci
vediamo?»
«Dunque…» Si china per allacciarsi una scarpa. «Suppongo che
possiamo improvvisare.»
Mi acciglio. E se non mi chiamasse? Passerei tutta la settimana ad
aspettarlo. Oh, non mi piace. «Credo che preferirei stabilire dei giorni.»
Lui aggrotta la fronte. «Quanti giorni?»
Scrollo le spalle. Diamine, sono sembrata insistente? Devo
sdrammatizzare. «Uno alla settimana.»
«Voglio vederti più di un giorno alla settimana», sbuffa lui.
«Davvero?»
Sogghigna, capendo subito cosa sto facendo. Si rialza e poi si china per
baciarmi. «Sì, tre volte alla settimana.»
Cerco di nascondere il sorriso. «Quando?»
«Dobbiamo avere dei giorni prestabiliti?»
«Io lo vorrei.»
«Perché?»
Faccio spallucce, torcendo il lenzuolo tra le dita, imbarazzata dal mio
atteggiamento. Devo sembrargli proprio una sciocca piuttosto pedante.
Jameson mi appoggia le dita sotto il mento per sollevare il mio volto
verso il suo. «Perché, Emily?»
«Perché detesto aspettare a vuoto, e così sapremo entrambi che non
dobbiamo organizzare nient’altro durante i nostri giorni.»
«Okay.» Si appoggia le mani sui fianchi. «Quando vuoi vedermi?»
«Magari due volte durante la settimana e una nel weekend?» Esito,
cercando di interpretare i segnali che mi sta lanciando. «Ma solo per
qualche ora alla volta, ovviamente.» «No.»
Merda. Sto facendo delle richieste eccessive.
«Due notti intere durante la settimana e una notte intera e mezza
giornata nel weekend.»
Sorrido. «Mezza giornata.»
«Sì, a partire da oggi. Voglio la mia mezza giornata questa mattina.»
«Oggi? Perché oggi?»
«Ho intenzione di andare a fare una corsa mentre tu ti rimetti a dormire.
Poi tornerò a casa, ci faremo una doccia e ti preparerò la colazione.»
Incurvo le labbra in un sorriso dolce. Mi sembra perfetto. «Poi torneremo a
letto e ti scoperò di nuovo fino a farti perdere i sensi, così riuscirò a
resistere qualche giorno senza di te.» Mi appoggia una mano sul viso.
«Okay?»
È davvero fantastico quando fa il carino. Annuisco, cercando di
impedirmi di sorridere come una stupida.
Tira le tende, mi fa stendere e mi rimbocca le coperte, baciandomi con
tenerezza su una tempia. «Torna a letto, dolcezza», sussurra.
Chiudo gli occhi sorridendo contro il cuscino, e lo sento lasciare
l’appartamento. Mi giro sulla schiena e alzo lo sguardo sull’elaborato
soffitto.
Quest’uomo è un dio.
Dormicchio per la mezz’ora successiva e mi sveglio quando Jameson
rientra in camera da letto. È madido di sudore e sta ansimando. Mi puntello
sui gomiti per guardarlo.
«Fino a dove hai corso, in Antartide?» Lui ridacchia e scuote la testa,
ancora senza fiato. «Mi dai l’idea di essere uno che corre proprio veloce,
non è vero?»
Annuisce, appoggiandosi le mani sui fianchi. «Più forte corro e migliori
sono gli effetti.»
«Gli effetti su cosa?» Mi acciglio.
«Sul mio livello di stress.» Sparisce in bagno e apre la doccia.
Oh, questa è una novità. Ha problemi a gestire lo stress? Beh, immagino
abbia senso. Dopotutto ha un enorme carico di lavoro sulle spalle.
«Vieni anche tu?» mi chiama.
«Sì», rispondo, raggiungendolo con calma.
È sotto la doccia, l’acqua gli scorre sulla testa. Il suo respiro sta
tornando normale. Entro, e lui mi stringe tra le braccia, baciandomi
dolcemente.
«Buongiorno», mormoro.
«Buongiorno a te, mia Em.» Mi sfiora le labbra con le sue.
Io gli faccio un sorriso sciocco.
«Che c’è?»
«Mi piace quando mi chiami così.»
«Davvero?» Ne sembra felice.
«La tua principessa Em.» Batto le ciglia per dimostrare cosa intendo.
Jameson ridacchia, poi prende il sapone e inizia a lavarmi. «Non ho
alcun dubbio che sotto quell’atteggiamento aggressivo la signorina Foster
sia dolce e pura.»
«Non sono mai stata aggressiva, neanche una volta», esclamo.
Lui mi sorride, infilandomi una ciocca di capelli dietro a un orecchio.
«E guarda quanto sei bella.»
Faccio una risatina e mi appoggio al suo petto. Mi lava la schiena, le
spalle, i seni e poi scende lungo le mie gambe. Lo osservo concentrarsi sul
suo compito. Poi passa al mio sesso e, quando mi tocca lì, alza lo sguardo
su di me.
Ci stiamo fissando, ma non sembra qualcosa di davvero erotico o
sensuale. È solo intimo.
Lo guardo nei suoi grandi occhi blu, e giuro che questo non è lo stesso
uomo che gestisce la Miles Media. Quello che adesso è qui con me è dolce e
tenero. Tutto ciò che Jameson Miles non è.
«Lascia che ti lavi.»
Prendo il sapone e mi strofino le mani per poi passargliele sull’ampio
petto, sulle spalle muscolose e sui bicipiti. Dopodiché passo agli addominali
in rilievo e all’inguine. Mentre lo insapono proprio lì, sento una sensazione
di calore irradiarsi dentro di me. Lui si china e mi bacia su una tempia,
come se fosse consapevole che mi sto trattenendo dal saltargli addosso.
Dobbiamo smetterla di fare sesso di continuo, sta diventando una cosa
ridicola.
L’attrazione sessuale tra di noi è così forte che nessuno dei due riesce
mai ad averne abbastanza dell’altro.
«Mi hai trasformata in una vera maniaca sessuale», bisbiglio.
Mi sorride, posando le labbra sulle mie. «A giudicare dalla nostra ultima
notte insieme, temo che tu soffrissi già di questo disturbo prima di
conoscermi.»
«Non mi sono mai comportata così prima.»
«Così come?»
«Tu mi fai sentire delle cose che non ho mai provato per nessun altro
uomo.» Lo scruto negli occhi. «Sei diverso da chiunque altro io abbia
frequentato in passato.»
L’acqua cade su di noi, e io mi rendo conto che non so perché gli ho
appena detto una cosa simile. Mi accorgo che mi sto affezionando a lui e
non so come smettere di confessargli i miei segreti. Finirò per rovinare
tutto.
Piantala di parlare, stupida.
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia. Insinua la lingua nella mia
bocca socchiusa per concedermi un bacio profondo, erotico, dolce e,
maledizione… così dannatamente perfetto che quasi non riesco a
sopportarlo.
«Ti riporto a letto», mormora con la voce roca per il desiderio.
«Ti prego», gemo.
Usciamo, e lui ci asciuga entrambi prima di guidarmi di nuovo tra le
lenzuola, farmi sdraiare e aprirmi le gambe. Lo guardo infilarsi un
preservativo e stendersi su di me. Ci fissiamo a vicenda mentre lui si solleva
sui gomiti e si fa strada tra le mie cosce. Gli afferro il sedere, ma Jameson
mi impedisce di attirarlo dentro di me.
«Voglio farlo lentamente», ansima.
Oh Dio, il mio stomaco viene stretto in una morsa per l’eccitazione. «Ti
desidero.»
Cattura le mie labbra con le sue, e il nostro bacio si fa frenetico mentre
affonda piano dentro di me. Inarco la schiena sul letto per il piacere di
sentirlo centimetro dopo centimetro. Gemo, e lui rotea gli occhi per il
piacere.
Per venti minuti, ci godiamo con calma i nostri corpi. Jameson è gentile
e affettuoso anche quando sprofonda del tutto dentro di me. Muove le
labbra sulle mie clavicole e sul mio collo, per poi spostarle dalla mascella
alla mia bocca.
«Cazzo, Emily», bisbiglia. «Mi stravolgi, piccola.»
Se potessi rispondergli, lo farei, ma sono troppo presa dalla sensazione
paradisiaca del sesso. Farsi scopare con forza da Jameson Miles è sexy da
morire, ma fare dolcemente l’amore con lui è qualcosa di sconvolgente.
Non sarò mai più la stessa.
Dove diavolo può andare una ragazza dopo aver fatto un sesso così?
Continua a muoversi dentro di me, e io inizio a tremare, ma lui, invece
di spingere con più forza come fa di solito, si blocca.
«Prendilo», sussurra.
«Cosa?»
«Rimani ferma e prendi quello che ti do. Voglio che tu venga
stringendomi dentro di te.»
Lo guardo negli occhi. Porca puttana. Non ce la faccio, quest’uomo è
troppo sensuale.
«Scopami», bisbiglia. «Non muovere un muscolo, tranne che questi.»
Flette il suo membro, e io lo sento in profondità. «Voglio che mi mostri…
quello che senti, solo a me.» «Oh Dio», gemo.
«Fallo», mi ordina.
Serro i muscoli e lui fa un sorriso cupo. «Più forte.»
Lo faccio di nuovo, e Jameson piega le labbra in un sorriso eccitato.
«Così, piccola.» Chiude gli occhi in preda all’estasi. «Stringimi, fammi
vedere a chi appartengo.»
Quando lo sento dire che il suo cazzo appartiene a me, qualcosa dentro
di me si spezza. Sollevo le gambe e gliele avvolgo attorno alla vita,
iniziando a contrarre ritmicamente i muscoli. Lui ansima in segno di
approvazione.
«È così… bello», sussurro, mentre ci fissiamo a vicenda. «Così…
dannatamente bello…»
Al mondo esterno potremmo sembrare immobili, stretti in un abbraccio,
ma dentro di me ogni muro che io abbia mai eretto sta andando in mille
pezzi, una contrazione alla volta.
Jameson inizia a gemere, ed è così piacevole che non riesco a
trattenermi. Serro i muscoli più forte che posso, ed entrambi gridiamo,
attraversati dall’orgasmo. Poi mi bacia, in modo dolce e tenero, e io sento la
potenza di ciò che c’è tra di noi. Lo tengo stretto a me, guancia a guancia,
aggrappandomi a lui come se ne andasse della mia vita.
«Cazzo, Emily, sei perfetta», sussurra.
Gli passo le dita sulla mascella ruvida. «Sei tu che sei perfetto.» Lo
bacio piano. «Dovresti smetterla subito.» «E perché?» Mi sorride.
«Credo di essere assuefatta.»
Lui ridacchia, girandosi sulla schiena e attirandomi su di sé. «No, ti
voglio così.»
Scoppio a ridere. «Perché mi vorresti assuefatta?»
«Perché lo sono anche io, e non voglio trovarmi da solo in questa
situazione.» Mi guarda dritto negli occhi, e io sento il cuore palpitarmi nel
petto.
«Non sei da solo, Jay.»
«Bene.» Mi bacia una tempia e sembra rilassarsi.
Rimaniamo aggrovigliati in quel modo, e lui si riaddormenta dopo poco,
mentre la mia mente parte in quarta. Provo qualcosa per lui, so che è così.
In soli due giorni, ho maturato dei sentimenti nei suoi confronti. Come
andrà a finire?
Sono completamente fregata.
Un’ora più tardi, vengo svegliata dall’odore del bacon che cuoce, e sorrido
guardando verso il soffitto. Non so che universo alternativo sia questo, ma
mi piace. Mi infilo una vestaglia che trovo appesa in bagno ed esco per
andare in soggiorno. Giro l’angolo, ritrovandomi di fronte a una vetrata con
vista su New York e Central Park. Il lusso e l’esagerata opulenza di questo
appartamento mi colpiscono allo stomaco, e mi blocco sul posto. Non riesco
a capacitarmi che tutto questo sia suo.
Che tutti questi soldi siano suoi.
Il mio sguardo vaga sugli splendidi pavimenti, sui magnifici tappeti e
sull’arredamento, poi sul caminetto e sull’enorme specchio dalla cornice
dorata appeso al di sopra di esso. Non ho mai visto un appartamento come
questo neanche in una rivista di arredamento, figurarsi se ci sono mai
entrata. Mi sento terribilmente fuori luogo.
«Ehi, eccoti qui.» Il volto di Jameson si illumina appena gira l’angolo e
mi vede. Gli rivolgo un sorrisetto sghembo, e lui si acciglia, osservando il
mio viso. «Che c’è che non va?»
Mi torco nervosamente le dita. «Il tuo appartamento mi sconvolge.»
«Perché?»
Scrollo le spalle, imbarazzata da quelli che sono i miei miseri standard.
«È troppo elegante. Ho l’impressione che questo non sia il posto adatto a
me.»
Mi prende tra le braccia. «Che cosa vuoi dire?» Faccio spallucce. «È per
questo che non volevi venire qui lo scorso weekend?»
Annuisco. «Sì.»
«Mi spieghi il motivo?»
«Quando sono qui, mi torna in mente quanto poco abbiamo in comune.»
«E questo ti dà fastidio?»
Gli rivolgo un timido cenno di assenso.
Jameson aggrotta la fronte, come se stesse cercando di capire. «Sei la
prima donna che abbia mai avuto un problema con i miei soldi.» «Mi fa
passare la voglia.» «Cosa?» farfuglia.
«In effetti, preferirei se fossi povero.» Sorrido, consapevole di quanto
suoni ridicolo.
Lui ridacchia. «Beh, questo lo vorresti solo tu.»
Mi guida in cucina, dove trovo una colazione a base di bacon e uova
sopra a una fetta di pane casereccio, con un contorno di avocado.
«Buono», commento con tono allegro, sedendomi.
«Devi sapere che sono molto bravo a preparare la colazione.» Si
accomoda di fianco a me, ha un’aria piuttosto compiaciuta di sé stesso.
Il mio sorriso svanisce mentre prendo coltello e forchetta.
È bravo perché lo fa spesso.
Smettila.
Mando giù il primo boccone, chiedendomi quante donne si siano sedute
qui come me e abbiano mangiato il suo cibo dopo aver fatto del sesso
fantastico per tutta la notte.
Per l’amor di Dio, piantala.
«Che cosa devi fare oggi?» gli chiedo, per distrarmi dai pensieri
negativi.
«Questo pomeriggio ho in programma una partita di golf con i miei
fratelli, e poi probabilmente cenerò con loro e con i miei genitori. Questa
settimana torneranno a Londra.» Sorseggia il suo caffè. «Tu?»
Sorrido, immaginandoli tutti e quattro mentre giocano a golf. «Devo
andare a fare la spesa. Poi uscirò per una passeggiata e scriverò qualche
altra storia falsa.»
Jameson smette di mangiare. «Non sei costretta a lavorare nel weekend,
lo sai.»
«Lo so. È solo che mi piace portarmi avanti, nel caso succeda
qualcosa.»
Annuisce e torna alla sua colazione. «Stasera esci?» mi chiede con
disinvoltura.
Non ne ho intenzione, ma non voglio che pensi che rimarrò a casa a
struggermi per lui. «Sì.»
Sposta lo sguardo su di me e serra la mascella come se fosse arrabbiato.
«Dove vai?»
«Fuori a cena con Molly e Aaron.»
«Chi è Aaron?»
«Un amico con cui lavoro, quello seduto di fianco a me. È gay.»
«Oh.» Taglia un pezzo del suo toast, rabbonito, almeno per il momento.
Lo guardo per un istante mentre mangia in silenzio. «Ti darebbe fastidio
se andassi in discoteca?»
Beve il suo caffè, prendendo tempo prima di rispondere. «Beh, se
ripenso alla tua performance del weekend scorso, sì, mi darebbe fastidio.»
Gli rivolgo un sorriso sornione. «Che c’è?»
«Niente.» Scrollo le spalle, sono felice che lo infastidirebbe.
Mi strofina una mano lungo la coscia nuda e si sporge per baciarmi una
guancia. «Non ho intenzione di dividerti con nessuno. Non voglio che balli
con altri uomini.»
Incurvo le labbra e gli accarezzo le guance ispide, guardandolo nei suoi
grandi occhi blu. «Bene, allora non lo farò.»

Un’ora più tardi, la limousine si ferma di fronte al mio appartamento.


Jameson mi solleva una mano per baciarne il dorso, incrociando il mio
sguardo.
«Ci vediamo martedì.»
Sorrido con dolcezza all’uomo affascinante che ho davanti. «A
martedì.»
Lo bacio sulle labbra. L’autista apre la portiera dell’auto e io mi dirigo
verso l’ingresso del mio palazzo, girandomi per fargli un ultimo cenno di
saluto. L’auto rimane ferma fino a quando non entro, e poi riparte
lentamente, immettendosi in strada.
Faccio un profondo respiro, prevedendo di passare da sola il resto del
weekend.
Dannazione, martedì è così lontano…

Sono sdraiata sul divano in uno stato di assoluto relax. A dispetto di quello
che sostiene Jameson, ho ordinato Uber Eats per me, e sì, ho messo la
catena alla porta, giusto per sicurezza.
Il mio telefono vibra dal tavolo dove l’ho lasciato, e il nome di Aaron
illumina lo schermo.
«Pronto.» Faccio un sorrisetto, quest’uomo mi fa tanto ridere.
«Oh… cazzo», balbetta. «Sono appena entrato nell’e-mail di Paul, e
stasera si vede con un tizio in una discoteca.»
Mi raddrizzo. «Cosa?»
«Sì, e c’è di peggio.»
«Com’è possibile?»
«È stato su Grindr.»
«Oh mio Dio, mi prendi in giro?» esclamo. «Su Grindr?»
«Sì, vestiti. Andiamo là a spaccargli il culo.» «Cosa?»
strillo.
«Mi hai sentito. Mettiti qualcosa di sexy. Sarò da te tra mezz’ora.»
«Ma…»
Quando lui riattacca, il telefono emette un click.
Oh, cacchio. Accidenti, stasera non ho voglia di uscire.
Il mio telefono vibra di nuovo, e il nome di Molly illumina lo schermo.
«Lo so», rispondo, sapendo che Aaron deve aver chiamato anche lei.
«Cazzo, è su Grindr?» esclama.
«Lo so.»
«Devi farmi un favore. Questa notte, quando vedrai quel cazzo moscio
di Paul, lo devi ridurre in poltiglia sotto al tacco della tua scarpa.»
Ridacchio. «Quello spero di non vederlo, Moll.»
«Non riesco a credere a questa stronzata», esclama lei, in preda
all’indignazione.
«Lo so.»
«Aaron è troppo per lui.»
«Lo so. Vieni anche tu in questa missione spacca-culi?»
«Non posso. Ho i ragazzi. Mettiti una GoPro in testa così posso vedere
cosa succede.»
«Non puoi lasciarli al padre?» le chiedo. «Questa è un’emergenza.»
«No. È andato a un appuntamento con una sgualdrina.»
Ridacchio di nuovo. «Cazzo, stanno succedendo un sacco di cose
orribili ultimamente.»
«Lo so», esclama lei. «Okay, ti chiamerò ogni ora. Rispondi al
telefono.» E riattacca.
Un’ora dopo, Aaron mi sta guidando attraverso un locale, scrutando la sala.
È piccolo e buio, e la musica è quella tipica da discoteca, il ritmo sfrenato
mi fa vibrare la cassa toracica.
«Lo vedi?» grido.
«No.» Socchiude gli occhi, guardandosi attorno.
«Che cosa intendi fare se lo trovi?» chiedo.
«La farò finita.»
«Perché non farla finita e basta?» Mi acciglio.
«Ho bisogno di prove.»
«Quell’e-mail è la prova, Aaron», sbuffo.
«Lo sapevo che stava combinando qualcosa», esclama lui, furioso.
«Quel maledetto stronzo ha passato la settimana scorsa nel mio letto, e ora è
su Grindr in cerca di sesso.»
«Stavate insieme? Cioè, avevate una relazione vera e propria?»
«No, mi ha detto di non volere un fidanzato, ma che desiderava fare
sesso solo con me.»
Aggrotto la fronte. Mi sembra molto familiare. «Quindi tu sei stato solo
con lui per tutto questo tempo?»
«Certo che sì. Non vado a scopare in giro.»
Arriccio il naso per il disgusto. «Sul serio, ti devi liberare di quel
bastardo.»
«Lo farò. Non appena lo troverò.»
Roteo gli occhi e sento il mio cellulare vibrare nella borsa. Lo tiro fuori.
«Ciao, Molly.»
«Che sta succedendo?»
«Non riusciamo a trovarli», rispondo, guardandomi attorno.
«Andate a sedervi in un angolo riparato e aspettate che arrivino. Non
state dove possono vedervi.»
«Oh, giusto.» Appoggio una mano sul telefono. «Molly dice che
dovremmo andare a sederci in un posto appartato, per non farci vedere.»
Aaron punta un dito contro di me. «Bella idea.» Mi prende per mano e
mi trascina verso un separé. «Io mi siedo qui. Tu va’ a prendere da bere»,
mi ordina, scivolando sulla panca.
Alzo gli occhi al cielo. «Hai davvero i figli a casa?» chiedo a Molly.
«Perché sono rimasta incastrata in questa faccenda?»
Lei scoppia a ridere. «Ti chiamo tra un’ora.» E poi riattacca.
«Che cosa vuoi da bere?» domando ad Aaron.
«Un Pink Flamingo.»
Lo guardo, impassibile. «È il cocktail più gay che abbia mai sentito
nominare.»
«È perché sono gay.» Sgrana gli occhi, esasperato; stasera non ha voglia
di scherzare. «Vallo a prendere e basta.»
Con una risatina, mi dirigo verso il bar per mettermi in fila.
«Ehi, Foster», sento una voce maschile chiamarmi alle mie spalle. Mi
giro e vedo Jake della squadra investigativa.
«Oh, ciao.» Gli sorrido. «Che ci fai qui?»
Lui solleva il suo drink. «Bevo.»
«Ovviamente.» Sogghigno.
Fa scorrere uno sguardo lascivo lungo il mio fisico fasciato nell’abitino
nero. «Wow, sei sexy.»
Gli faccio un sorriso timido. È imbarazzante. «Grazie.»
«Ti va di ballare?»
«Ehm.» Mi acciglio. Oh, Dio. «No, grazie lo stesso. Sono qui con
Aaron.»
«Oh, dov’è?» Si guarda intorno.
Oh, cazzo, l’ho fatta grossa.
«È dietro a un separé verso il fondo del locale.»
«Vado a salutarlo.» Svanisce in quella direzione.
Fantastico.
Ora dovremo comportarci normalmente, quando invece vorremo solo
sparlare di Paul e spiarlo.
Prendo i nostri drink e torno verso il tavolo, trovando Aaron e Jake
immersi in una conversazione riguardante il lavoro. Mmh. Mi viene un
dubbio. Non è che Jake crede che Aaron sia coinvolto nel furto delle notizie
e stia cercando di strappargli delle informazioni?
Mentre loro parlano, sorseggio il mio drink ed esamino Jake di
sottecchi. È piuttosto attraente, con quei capelli castano chiaro, la mascella
squadrata e le fossette sulle guance, ha anche una bella risata. Non l’ho mai
notato prima perché, ogni volta che Jameson è in una stanza, tutti gli altri
uomini impallidiscono al suo confronto.
«Vado a prendere da bere e torno a sedere con voi», dice alzandosi.
«Vuoi qualcosa, Foster?» «No,
grazie.» Fingo un sorriso.
«Tu, Az?»
«No, sono a posto», risponde lui.
Jake sparisce verso il bar.
«Oh mio Dio», sbuffa Aaron. «Non sono venuto qui per parlare di
lavoro, e cosa sono quei soprannomi del cazzo? Non è mio amico.» «Lo so,
hai ragione.» Alzo gli occhi al cielo.
«Perché gli hai detto dov’ero?»
«Non lo so», farfuglio. «Mi ha presa in contropiede.»
«Oh, fantastico. Ora dobbiamo stare con quel cretino.»
«Non possiamo andarcene e basta?» bisbiglio. «Tutta questa serata è un
disastro.»
«No. Rimarremo qui fino a quando non riaccenderanno le luci.»
Affondo il viso nei palmi delle mani, e in quel momento il mio cellulare
inizia a squillare. «Ehi, Molly», rispondo brusca, innervosita dal fatto che la
mia amica sia riuscita a evitare questo inferno. «Non è successo ancora un
cazzo di niente.»

Lunedì mattina, ore 10:00

Il cellulare sulla mia scrivania squilla. «Pronto, Emily», dice Sammia. «Il
signor Miles vorrebbe vederti subito nel suo ufficio, per favore.»
Vengo attraversata da una scossa di eccitazione. «Okay, sto arrivando.»
Mi sistemo i capelli e mi ripasso il rossetto sulle labbra, per poi
precipitarmi letteralmente verso l’ascensore. Spero che abbia sentito la mia
mancanza e che abbia trovato una scusa per vedermi. Arrivo all’ultimo
piano e avanzo attraverso il foyer.
«Ciao, Sammia.»
«Ehi, Emily. Vai pure.»
«Grazie.»
Oggi posso camminare tranquillamente sul pavimento di marmo perché
ho finalmente comprato le scarpe con le suole di gomma. Non si sente
nemmeno un ticchettio.
Busso alla sua porta.
«Avanti», risponde la sua voce profonda e sensuale.
Apro e l’entusiasmo scivola via dal mio volto. Jake è seduto davanti alla
sua scrivania. «Ciao.» Gli sorrido.
Che ci fa lui qui?
Vattene via. Ora tocca a me stare insieme a Jameson.
Jake si gira verso di me e il suo viso si illumina. «Ehi, Foster.»
Jameson gli punta addosso lo sguardo. «Voi due sembrate in
confidenza.»
«Sabato sera siamo andati insieme in discoteca, non è vero, Foz?»
Sorride allegramente.
Jameson sposta gli occhi su di me, e la sua mascella trema per la rabbia.
Porca puttana.
Capitolo 13

Emily

«E », . «C , tutto.»
Jameson inarca un sopracciglio, poco convinto.
«Oh, non essere timida, Foster. Ce la intendiamo a meraviglia», dichiara
Jake l’imbecille.
Sento il mio volto sbiancare.
Vuoi chiudere il becco?
Torno a rivolgermi verso Jameson, sperando di cambiare argomento.
«Volevi vedermi?»
«Sì.» Guarda Jake. «Voglio sapere che indizi ha trovato, signor Peters.»
«Mi chiami Jake», dice lui.
Jameson gli lancia un’occhiataccia, ma rimane in silenzio.
Oh, accidenti. È troppo imbarazzante.
Stringo il mio taccuino con tanta forza che le nocche mi diventano
bianche. Perché ha dovuto dire che siamo usciti insieme? Non lo abbiamo
fatto. Mi accorgo che sto iniziando a sudare.
«Arrivi al punto», ordina Jameson con tono secco.
«Beh, sto seguendo qualche pista, ma ancora niente di concreto. Siamo
solo agli inizi.»
«Gli inizi?» ripete lui. «Signor Peters, è consapevole dell’importanza di
trovare una soluzione rapida a questa situazione?»
«Sì, signore, ma…»
«Niente ma», ringhia lui. «Oggi le nostre azioni sono crollate di quattro
milioni di dollari. Ogni dannato giorno che passa calano della stessa cifra.»
Sbatte una mano sul tavolo, facendoci sobbalzare entrambi. «Non mi dica
che è solo l’inizio», grida.
Jake ed io ci rimpiccioliamo sulle nostre sedie. Non ho mai visto
Jameson tanto arrabbiato. È davvero stressato. Mi chiedo se sia andato a
correre anche questa mattina. Suppongo di no.
«Signor Miles», lo interrompo.
Lui alza una mano per chiedermi di fare silenzio. «Emily, voglio quattro
articoli questa settimana.»
«Sì, signore.»
«Devono essere forti, rilevanti e, soprattutto, tracciabili.»
Annuisco. «Okay.»
«Puoi andare», ordina. «È tutto.»
Aggrotto la fronte e sposto lo sguardo tra lui e Jake. Con chi sta
parlando?
«Io?» Mi punto un dito verso il petto.
«Sì, tu», sbotta Jameson. «Con chi altro dovrei parlare?»
Sento la rabbia arpionarmi lo stomaco. «Bene.» Prendo il mio taccuino
e mi alzo.
«Voglio le storie per le quattro di ogni giorno.»
«Perfetto», replico, mentre mi dirigo verso la porta.
«E manda dentro Tristan», aggiunge.
Non sono la tua dannata segretaria.
Apro, facendo un sorriso falso. «Certo», dico a denti stretti,
richiudendomi la porta alle spalle.
Maledetto stronzo. Chi diavolo crede di essere?
Chiudo gli occhi, dispiaciuta per Jake. Sarà divorato vivo là dentro.
Jameson Miles è davvero cattivo quando è stressato. Capisco perché corra,
probabilmente per rimanere fuori dalla galera. Cosa succederebbe se non si
allenasse?
Raggiungo la reception e mi dirigo verso l’altra ala del palazzo, per
bussare all’ufficio di Tristan.
«Avanti», dice.
Sorrido, sentendo quanto sia simile a suo fratello. Apro la porta ed
esordisco: «Jameson mi ha chiesto di…» Mi interrompo, cercando di far
sembrare la richiesta più cortese di quanto non sia stata.
«Vuole vedermi?» Lui sogghigna.
«Sì.»
Si alza. «Va tutto bene?» mi chiede con tono tranquillo, mentre
torniamo verso la reception.
«È…» Scrollo le spalle, cercando di pensare a una descrizione
appropriata. «È agitato.»
«Mmh.» Si acciglia come se fosse preoccupato. «Ha molti pensieri per
la testa, ma questo lo sai già.»
«Sì.» Sorrido, guardandolo negli occhi. Lui lo sa?
Mi fa l’occhiolino, prendendo il corridoio che porta all’ufficio di suo
fratello. «Ci vediamo.»
Che cos’era quell’espressione? Stava per: “So che te lo scopi”? Sa che
siamo tornati insieme?
Merda.
L’assistente non è alla sua scrivania, e io lancio un’occhiata lungo il
corridoio in cui si trova l’ufficio di Jameson.
Maledizione, che starà succedendo là dentro?
La porta si apre.
Cazzo, non voglio che mi vedano.
Mi chino dietro il tavolo della reception, e poi sento la voce secca di
Jameson che dice qualcosa e sobbalzo. Jake mi supera in fretta, entrando
nell’ascensore e premendo con forza il pulsante. La cabina si chiude, e io
sgrano gli occhi, sbirciando da dietro la scrivania. Che accidenti gli avrà
detto?

Jameson

Inspiro a fondo dal naso, cercando di calmarmi.


«Per l’amor del Cielo, Jameson», sbotta Tristan. «Modera i toni. Quel
povero bastardo sta facendo del suo meglio.»
«Stronzate. È inutile. È qui da una settimana e non ha la minima idea di
che cazzo stia succedendo. È più interessato a provarci con le ragazze dei
piani inferiori.» Vado al bar e mi verso uno scotch, per poi tornare alla
finestra e fissare la città al di sotto.
«Sono le dieci», dice mio fratello con tono secco, guardandomi.
«Quindi?» domando, bevendo il mio drink e sentendo il calore
dell’alcol scivolarmi giù per la gola.
«E la ragazza dei piani inferiori non sarà per caso Emily Foster, vero?»
«Non iniziare.» Alzo gli occhi verso il soffitto. Sono furibondo all’idea
che sia uscita con lui nel weekend. «Hai la relazione di gestione?» gli
chiedo per cambiare argomento.
«No, è nel mio ufficio.» Si dirige verso la porta. «Vado a prenderla.»
Sparisce, mentre io fisso New York.
«Ciao.» Sento una voce dolce alle mie spalle.
Sospiro, tenendo lo sguardo puntato fuori dalla finestra. «Torna al
lavoro, Emily.»
«Stai bene?» mi chiede, avvicinandosi a me.
«Sì.» Serro i denti per impedirmi di guardarla.
Mi raggiunge, prende lo scotch e va al lavandino per versarlo nello
scarico.
«Che diavolo stai facendo?» Mi acciglio.
Mi sorride, infilando le mani sotto la giacca del mio completo per
abbracciarmi. «Mi sto prendendo cura del mio uomo.»
«Non osare mai più buttare via il mio drink.»
«E tu non bere di mattina solo perché sei stressato. Stai giocando con il
fuoco, Jameson.»
«Non sei mia madre.»
Mi fa un sorriso sexy e si alza in punta di piedi per baciarmi in modo
tenero.
Io la guardo di traverso. «Sono furioso con te.»
«Lo so.» Mi bacia di nuovo. «Non avevo intenzione di uscire, ma poi io
e Aaron siamo dovuti andare a spiare il suo ragazzo perché si stava vedendo
con uno conosciuto su Grindr. E Jake è comparso dal nulla, non la smetteva
più di parlarci. È così seccante…» Le lancio un’occhiataccia.
Emily mi sorride e si spinge contro il mio petto. «Mi sei mancato questo
weekend.»
Mi sento rilassato per la prima volta da domenica, da quando l’ho
riportata a casa.
«Non dovresti, Em.» Sospiro.
«Non posso farci niente.» Mi bacia sulle labbra, incurante di qualsiasi
cosa le stia dicendo. «Se sei stressato vai giù in palestra, o vieni a cercare
me. Che ne dici del karate? Ho sentito dire che è fantastico.»
Roteo gli occhi. «Fare karate e diventare un Kung Fu Panda del cazzo
non allevierà il mio stress, Emily. È ridicolo se pensi che funzioni.»
«Okay, beh, accidenti, allora vai a correre. Non voglio che tu beva di
mattina.»
Le avvolgo di scatto un braccio attorno alla vita, non riuscendo più a
controllarmi. «E io ho detto che non voglio che tu esca ancora con altri
uomini. Soprattutto con quello.»
Emily mi passa le dita sulla mascella e sorride con dolcezza. «Sei tu il
mio unico uomo», bisbiglia. «È a te che penso.»
Sento la rabbia dissiparsi lentamente mentre ci baciamo.
«Stanotte ho bisogno di te», dice piano.
Dio, anche io ho bisogno di lei.
No, attieniti alle regole.
«Non è martedì.»
«Non mi importa.»
«Devi disobbedirmi per ogni minima cosa, signorina Foster?»
«Aspetta e vedrai quanto sarò ribelle questa notte, signor Miles», mi
sussurra quando la attiro contro di me per farle sentire la mia erezione.
«Ehm…» Una voce proveniente dalla soglia ci riscuote, ed entrambi ci
giriamo, sorpresi.
Emily si allontana da me con un balzo. «Tristan», farfuglia. «Stavo
solo…» Sposta uno sguardo nervoso tra lui e me. «Voglio dire, io…»
Mio fratello ridacchia. «Volete che me ne vada?»
«No», balbetta lei. «Me ne stavo andando io.» Quasi corre verso la
porta. «Ah, ehm, arrivederci.»
Quando vedo il suo volto tingersi di rosso scarlatto, faccio un sorrisetto.
Tristan lo sa già, noi due ci diciamo ogni cosa. «Arrivederci, signorina
Foster. Ti manderò una macchina per le sette.»
Lei annuisce imbarazzata e scappa via dall’ufficio, mentre io la guardo
con un sorriso.
Tristan sostiene il mio sguardo per un momento. «Ha una buona
influenza su di te.»
«Questo è opinabile.»
Emily
Mentre le porte dell’ascensore si chiudono di fronte a me, mi illumino. Ha
funzionato. Volevo calmarlo e ci sono riuscita. È come uno specchio. Se io
sono calma, anche lui si calma.
Forse, se sarò sincera, lo sarà anche lui, e non so cosa questo implichi
per i miei piani di fingermi una difficile, ma suppongo che lo scoprirò
presto. Non mi è sembrato arrabbiato quando gli ho detto che avevo sentito
la sua mancanza… anzi, è parso sollevato. O forse sto solo proiettando su di
lui i miei desideri. Torno al mio piano e do un’occhiata alla sala, diretta
verso la mia scrivania.
Qualcuno che lavora qui, al mio fianco, è un ladro, sta rubando alla
famiglia Miles. Il valore della compagnia sta precipitando e il mio Jay è
stressato oltre ogni dire. Vorrei poter parlare di questa storia con Molly e
Aaron. Sono sicura che, se ci riflettessimo insieme, scopriremmo molte più
cose di Jake. Ma non posso, ho dato la mia parola che non lo avrei detto ad
anima viva.
Mi riaccomodo alla mia scrivania.
«Come è andata?» chiede Aaron.
«Bene», mento.
«È palese che il signor Miles abbia un debole per te», dice Molly con un
sorrisetto.
«Perché?» domando.
«Noi non abbiamo mai dovuto seguire un programma di formazione
tanto accurato.» La donna sposta lo sguardo su Aaron. «Non è vero?»
«Già», risponde lui, tenendo gli occhi incollati sullo schermo. «Ti
prego, dimmi che segretamente vai lassù per succhiargli il cazzo.»
Sogghigno, ma rimango in silenzio.
Molly mi lancia un’occhiata inquisitoria. «È così?»
Scrollo le spalle. Non posso mentire, ma non dirò niente di troppo
preciso.
«Ma che cazzo!» bisbiglia Aaron, avvicinando la sedia alla mia. Molly
fa lo stesso. «Vi siete visti?»
«Forse.»
«Cosa?» sussurra la collega. «Quando?»
«Diverse volte, ma l’ultima è stata venerdì sera.»
Aaron fa il segno della croce e finge di pregare. «Grazie, Gesù.»
«Ma non dite nulla», bisbiglio. «È tutto molto casuale, non c’è ancora
niente per cui esaltarsi.»
Molly sgrana gli occhi per l’esasperazione. «Mi prendi in giro? Farsi
Jameson Miles è assolutamente qualcosa per cui esaltarsi, donna. Ce l’hai
presente?»
Faccio un ampio sorriso alle loro reazioni esagerate. «Sto solo cercando
di prenderla con calma, ma, comunque sia, vado al piano di sopra per un
progetto con Tristan, non per vedere Jay.» Questa non è una bugia. È vero…
più o meno.
Aaron si appoggia una mano sul petto. «Oh, diavolo, lo chiama Jay. Mi
batte forte il cuore.»
«Uccidetemi ora», sospira sognante Molly. «Sei stata nel suo
appartamento?»
«Sì, e lui ha passato la notte nel mio.»
Spalancano gli occhi. «È venuto a casa tua?» strilla Aaron.
«Shh», bisbiglio guardando la gente attorno a noi. «Abbassate la voce e
non ditelo a nessuno. Soprattutto non ad Ava, sapete com’è.»
«Oh Dio, riesci a immaginarlo?» Molly alza gli occhi al cielo.
«Diventerebbe la tua nuova amica del cuore, se sapesse che stai con lui. Ti
si appiccicherebbe con la colla, se pensasse di avere una possibilità di
arrivare ai suoi fratelli.»
«Beh, non può avere Tristan.» Emetto un verso di disapprovazione
mentre accendo il computer. «È decisamente troppo gentile per lei.» Scrollo
le spalle. «E credo che sia impegnato.»
Iniziamo a lavorare, e il cellulare di Aaron squilla. «È Paul», balbetta in
preda al panico.
«Rifiuta la chiamata», dico senza alzare lo sguardo.
«Ma voglio sentire cosa ha da dire.» Prende il telefono e Molly glielo
strappa di mano per premere Rifiuta.
«Dice al mondo intero: Venite su Grindr a scoparmi. Vuoi smetterla di
essere così patetico? Manda lo stronzo a quel paese», sbotta lei.
Aaron incassa le spalle, mentre io gli strofino la schiena con fare
compassionevole. «Con il tempo diventerà più facile, tesoro.»
«Sì, quando avremo dato fuoco alle sue viscide palle», mormora Molly,
furiosa.
Ridacchio. «Dare fuoco alle sue viscide palle… sei così eloquente,
Moll.»
«Vero? È per questo che sono una giornalista.» Si alza. «Vado a
preparare il caffè. Lo volete anche voi?»
«Sì, grazie.»
Aaron sospira, depresso. «Riesci a trovare anche un po’ di torta? Di
certo sarà il compleanno di qualcuno, qui dentro.»
Molly si guarda intorno. «Sì, dov’è il tizio di Uber Eats quando
abbiamo bisogno di lui?» Poi mi guarda. «Oh mio Dio, la cheesecake della
settimana scorsa te l’aveva mandata Jameson?»
Faccio un ampio sorriso.
Aaron abbassa la testa e finge di sbatterla sulla scrivania. «Le manda
persino le cheesecake. Quell’uomo è davvero un dio.»

Qualcuno suona alla mia porta. «Chi è?» dico sorridendo.


«Salve, signorina Foster. Sono Alan, l’autista del signor Miles.»
Mi incupisco. «Oh. Va tutto bene?»
«Sì. Il signor Miles mi ha chiesto di venire a prenderla per portarla al
suo appartamento. È stato trattenuto da una teleconferenza e la raggiungerà
a breve.»
«Oh, okay. Arrivo subito.» Prendo la borsa che ho preparato per la notte
e, con un ultimo sguardo al mio appartamento, scendo al piano di sotto.
Esco sul marciapiede e trovo l’autista nel suo solito abito scuro in piedi
accanto alla limousine.
«Salve», lo saluto con un certo nervosismo, avvicinandomi.
«Salve.»
«Sono Emily.» Gli porgo la mano, imbarazzata di non essermi ancora
presentata.
«Io sono Alan.» Mi fa un sorriso pieno di calore mentre ci stringiamo le
mani. «È pronta?»
«Sì.»
Mi apre la portiera, e io salgo sui sedili posteriori dell’auto. La richiude,
e ci mettiamo in viaggio nella notte newyorkese. Non mi sembra reale: sono
seduta nel retro di una limousine mentre l’autista di Jameson mi
accompagna al suo appartamento.
Arriviamo al palazzo. L’uomo si ferma nel parcheggio e riapre la
portiera.
«La accompagno su.» E fa per prendere la mia borsa.
«Non c’è problema, posso fare da sola. Grazie lo stesso.»
Alan si acciglia, e io noto il suo disappunto.
«A meno che non voglia portarla lei», aggiungo subito.
«Grazie.» Mi sorride, prendendomela di mano. «Preferirei.»
Accidenti. Si è offeso perché volevo portarmi la borsa da sola. Cos’è
questo universo alternativo?
Entriamo nel lussuoso ascensore, e l’addetto sa già a quale piano
portarci. Deve conoscere Alan.
Trattengo il fiato, nervosa, e saliamo in silenzio. Raggiungiamo il piano,
e io, con una certa esitazione, seguo Alan, che apre la porta.
«Il signor Miles non dovrebbe metterci molto. È ancora in ufficio. La
sua chiamata sta durando più a lungo del previsto.» «Grazie», gli dico con
un sorriso.
«Ha bisogno di qualcos’altro?»
«No, sono a posto.»
Con un cenno cortese, chiude la porta e mi lascia da sola. Mi volto,
vedendo le lampade lasciate strategicamente accese per creare un’atmosfera
mozzafiato. Le luci sfavillanti di New York sono a dir poco spettacolari.
Tiro fuori il cellulare e scatto qualche foto. D’altronde, quando Jameson è
qui, non posso permettermi di fare la fangirl.
Vado in camera da letto per lasciare la mia borsa nella cabina armadio
vuota, e poi entro nella sua. Completi e camicie sono allineati in maniera
ordinata, e ci sono file su file di costose scarpe lucide. Mentre mi guardo in
giro, passo una mano sulle maniche delle giacche. Apro il primo cassetto
del comò e sorrido notando la sua esagerata organizzazione. Le cravatte
sono tutte arrotolate e messe in mostra come in una boutique di lusso di
abiti da uomo. Gli orologi… li conto. Dieci costosi dispositivi sono
sistemati in fila. E poi vedo qualcosa piegato accanto agli orologi. Mi si
ferma il cuore quando noto le iniziali. E.F.
La mia sciarpa.
L’ha conservata.
Non solo l’ha conservata, l’ha anche riposta insieme ai suoi oggetti più
speciali. La prendo e la stringo tra le mani, fissandola. Chiudo gli occhi e
inalo profondamente, aleggia ancora il vago sentore del mio profumo.
Allora non me lo sono immaginato. Lui era davvero lì con me. Mi
illumino e la rimetto dov’era, richiudendo il cassetto con cura. Non so cosa
fare di questa informazione, ma sono molto felice della mia scoperta. Mi
batte forte il cuore.
L’ha tenuta.
Mi aggiro per l’appartamento, guardandomi intorno. Accarezzo i ripiani
di marmo della cucina e sorrido pensando al lusso sfrenato di questo posto.
Mi domando se Jameson abbia già mangiato.
Apro il frigo, ma lo trovo sorprendentemente semivuoto. Ci sono del
pollo e pochi altri ingredienti. Apro la dispensa e trovo qualcos’altro. Do
un’occhiata alla cantinetta e mi acciglio. Quella è piena.
Certo che lo è.
Quanto spesso il signor Miles si fa una cena liquida?
Mmh, devo trovare un modo per tenere sotto controllo il suo stress.
Mi verso un bicchiere di vino, tiro fuori gli ingredienti e cerco le
pentole, le padelle, i taglieri e i coltelli dentro ai mobili. Accedo a Spotify
sul mio cellulare e metto su della musica rilassante. Inizio a tagliare il pollo
con un sorrisone sciocco stampato sul viso. Ha conservato la mia sciarpa.

Quarantacinque minuti più tardi, sento aprirsi la porta d’ingresso.


«Em?» mi chiama.
«In cucina.»
«Mmh… sento un buon odore.» Dopo avermi raggiunta, mi stringe tra
le braccia da dietro e mi bacia. «Che cosa stai cucinando?»
«Stufato di coniglietta del sesso.»
Jameson scoppia in una fragorosa risata, ed è un suono bellissimo. Mi
smuove qualcosa dentro. «Tua madre sa che sei una cannibale?» Si sporge
in avanti per baciarmi una guancia.
Ridacchio, mescolando il contenuto della pentola. «No, quindi non
dirglielo.»
«Non era necessario che cucinassi. Ti avrei portata fuori.» Si versa un
bicchiere di vino.
«È lunedì.» Mi acciglio.
«Quindi?» Beve il suo drink.
«Non si esce a cena durante un giorno feriale.»
«Io esco tutte le sere.»
«Cosa?» Aggrotto la fronte. «Mangi fuori ogni sera?»
«Sì, certo. Perché?»
Rimango a bocca aperta e mi appoggio una mano su un fianco.
«Jameson Miles, hai più denaro che buon senso. Come fai a rilassarti se esci
a cena tutte le sere?»
«Mi siedo in un ristorante e mangio.» Scrolla le spalle. «È piuttosto
semplice, in realtà.»
Alzo gli occhi al cielo per il disgusto e continuo a mescolare. «Hai
appetito?»
«Sto morendo di fame.» Mi prende tra le braccia e mi fissa. «Ti sono
davvero mancato durante il weekend?»
Mi alzo in punta di piedi e bacio le sue belle labbra carnose. «In effetti,
sì.»
Mi stringe forte.
«Questa è la parte in cui mi dici che anche tu hai sentito la mia
mancanza», borbotto contro la sua spalla.
«A me non mancano le persone.»
«Oh, uffa.» Sbuffo e mi libero dalle sue braccia per tornare a mescolare
la cena. «Ora puoi uscire dalla stanza così posso drogare il tuo cibo?» gli
chiedo. «Ho intenzione di svaligiare questa casa.»
Jameson ridacchia. «Solo se prometti di approfittarti del mio corpo
mentre sto dormendo.»
Incurvo le labbra in un sorriso, divertita. «Affare fatto.»
Sistemo la cena nei piatti, e poi ci accomodiamo entrambi al bancone
della cucina. Trattengo il fiato mentre lui prende il primo boccone.
«Mmh, delizioso», mugugna.
Sorrido orgogliosa.
«Una coniglietta che sa cucinare», dice con un sorrisetto mentre si infila
in bocca un’altra forchettata di cibo.
«Adoro cucinare. È il mio hobby.»
Jameson aggrotta la fronte e mi osserva per un momento. «Non ho mai
incontrato qualcuno come te, Emily.»
«Cosa intendi?»
«Non lo so. Non riesco a spiegarlo. Sei…» Si interrompe, pensando alla
parola giusta. «Incontaminata.»
«Incontaminata da cosa?» gli chiedo divertita mentre mangio.
Lui fa spallucce. «Da New York.»
«Non hai mai avuto una ragazza che cucinasse per te?»
«Ho avuto una sola relazione seria, e lei era una stacanovista come me.»
Scrolla di nuovo le spalle. «Tornavamo entrambi tardi dal lavoro. Mangiare
fuori era più semplice.»
Sorseggio il mio vino e lo osservo. Mi piacerebbe fargli un milione di
domande su di lei… ma non lo farò. Mi fingerò disinteressata.
Jameson si sporge sul tavolo per prendere del vino e sussulta.
«Che c’è?»
«Mi fa male la schiena.» Si alza e fa delle torsioni con il busto per
stiracchiarsi. «Qualcuno ha insistito perché licenziassi la
mia massaggiatrice.»
«Oh, quella.» Sbuffo. «Non rovinarmi la serata. Domani te ne troverò
una nuova.»
Si stiracchia ancora un po’. «Sì, per favore.»
«Perché ti si irrigidisce tanto la schiena?»
Torna a sedersi. «Succede quando sono nervoso.»
«E che altro succede quando sei nervoso?»
Mastica il suo cibo come se stesse riflettendo sulla risposta da darmi.
«La rabbia prende il sopravvento.»
Gli faccio un sorrisone.
«Che c’è?» mi chiede con fare sornione.
«Per tutto questo tempo ho creduto che fossi uno stronzo, e invece eri
solo stressato?»
Ridacchia. «E qual è la tua scusa per essere una stronza, invece?»
Sorseggio il mio vino. «Nessuna. Sono davvero una stronza.»
Jameson solleva il bicchiere e lo avvicina al mio. Negli occhi ha una
luce tenera. «Grazie per la cena. Era deliziosa.» Si sporge verso di me e mi
bacia. «Come te.»
Mi viene in mente una cosa. «Oh, sarai felice di sapere che ho portato
dietro degli abiti sportivi, così domani mattina posso venire a correre con
te.»
«Davvero?» mi domanda sorpreso.
«Già.»
«Io corro veloce.»
«Bene, perché io cammino piano.»

Qualche ora più tardi, entrambi stiamo ridendo fragorosamente, avvolti


nell’oscurità.
«Non lo hai fatto davvero», dice lui.
Ridacchio. «E invece sì.» È tardi e siamo stesi a letto, rivolti l’uno verso
l’altra, e chiacchieriamo dopo aver fatto l’amore.
«Ma come è possibile?» Mentre mi ascolta, mi accarezza il ventre e la
curva del seno con una mano. Il suo volto è illuminato dalla malizia.
«Come?»
«Beh…» Rifletto per un momento. «Era la mia prima auto e ce l’avevo
da una sola settimana. Stavo facendo un giro con un’amica, ed era una
giornata calda da morire. Stavamo andando a comprarci dei jeans da due
soldi in un mercatino, quando l’indicatore della temperatura ha iniziato a
salire.» Jameson mi ascolta, sorridendo. «Ci siamo fermate in una stazione
di servizio e io ho chiamato mio padre, che mi ha detto di metterci dentro
dell’olio.» Scrollo le spalle. «Ma non sapevamo dove andasse, quindi
abbiamo immaginato che si mettesse in quel piccolo foro da cui lo si
misura.»
«L’asta dell’olio?» Sobbalza lui, incredulo. «Come avete fatto a
versarglielo dentro?»
Rido. Questa è la storia più ridicola che si sia mai sentita. «Abbiamo
preso in prestito un imbuto per farlo colare dentro, ed è traboccato
ovunque.» Scuoto la testa, il ricordo è ancora chiaro come il sole.
«Credevamo che andasse tutto bene e abbiamo ripreso il viaggio, ma poi
l’olio che avevamo fatto cadere sul motore ha preso fuoco.»
Sgrana gli occhi. «Cos’è successo?»
«La mia adorata auto da cinquecento dollari, per cui avevo risparmiato
per un anno intero, è andata a fuoco dopo appena una settimana, ecco cos’è
successo.»
Entrambi ridiamo e alla fine rimaniamo in silenzio.
Mi puntello su un gomito per guardare lo splendido uomo nudo accanto
a me. «Dovrai aver fatto qualcosa di stupido nella tua vita, Jameson Miles.»
Mi sorride dolcemente nella semioscurità. «Sì, l’ho fatto.» «Cosa?»
sogghigno.
Si sporge verso di me per posarmi una mano su una guancia,
sfiorandomi il labbro inferiore con il pollice. «Non ti ho mai chiesto il
numero di telefono.»
Capitolo 14

Emily

«V , ?» J , davanti a me.
Sto ansimando come un mantice mentre cerco di stargli dietro.
Oh, cavolo, sta cercando di uccidermi.
«Che fretta c’è?»
Lui si gira e torna indietro fino a raggiungermi, ed io lo guardo con la
fronte aggrottata. «Dio, di mattina sei così vivace ed energico…»
Jameson scoppia a ridere, scattando in avanti, e io trascino i piedi dietro
di lui. Fa un giro per continuare a guardarmi, e poi torna da me.
«Come fai a correre tanto veloce?»
Saltella all’indietro davanti a me mentre parliamo. «Beh, mi immagino
di essere inseguito da un maniaco con un’ascia.» Non ha nemmeno il
respiro affannoso.
«Cosa?» Mi acciglio. «Mi prendi in giro?»
Jameson scuote la testa con un sorrisetto sfacciato.
«La tua tecnica per rilassarti è pensare che qualcuno ti stia dando la
caccia con una cazzo di ascia.»
Ride, continuando a correre all’indietro. «Funziona. Corro molto più
velocemente così.»
«Ora tutto ha un senso», sbuffo. «Il puzzle sta prendendo forma.»
«Quale puzzle?»
«Hai la schiena rigida perché la tua massaggiatrice te la rovina per
scoparti di continuo.» Mi fa un sorriso. «Per rilassarti ti fai inseguire da un
assassino armato di ascia.» Scoppia a ridere. «Ed esci sette sere alla
settimana. È ovvio che sei un bastardo stressato e fuori di testa.»
Mi attira a sé per la maglietta e mi bacia sulle labbra. «Allora sono
molto fortunato che ci sia tu a calmarmi con il sesso, vero?»
«Altroché», ansimo. Dobbiamo smettere di parlare. Non posso correre e
discutere allo stesso tempo. Che razza di atleta olimpica crede che sia?
«Quale esercizio mi consiglieresti? Per rilassarmi, intendo», mi
domanda, prendendo ad avanzare più lentamente accanto a me.
Ci penso per un momento. «Aerobica in acqua.»
«Ah-ah», ride lui. «Non sono così vecchio.»
«Sei piuttosto anziano, invece», ribatto.
«Vuoi fare una gara con me?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché quell’assassino mi ha infilato l’ascia nei polmoni, e morirò da
un momento all’altro. Spero che tu sappia fare la rianimazione.»
Lui ridacchia. «Pappamolle.» Parte a gran velocità, e io avanzo a fatica,
ammirandolo mentre corre in cerchio dentro Central Park, senza mai
perdermi di vista.
Jameson Miles è estremamente in forma… e davvero sexy.
E, per mia fortuna, io sono la sua coniglietta del sesso.

Sono nel foyer ad aspettare Ava e Molly. Stiamo solo andando a fare la
pausa pranzo, e Molly si è messa a parlare con una delle guardie di
sicurezza. Credo che abbia un debole per lui.
«Questo weekend pensi di uscire?» mi chiede Ava.
«Ehm, non lo so ancora. Forse torno a casa.» Accidenti, non voglio
uscire di nuovo con lei. È interessata agli uomini solo se sono ricchi. Lo
trovo così strano che non riesco ancora a capacitarmene.
Uno degli ascensori si apre e ne emerge Tristan, seguito da Jameson.
Insieme a loro ci sono altri due uomini. Con indosso un completo blu scuro
e una camicia bianca inamidata, Jameson è la personificazione del fascino.
Capelli scuri, mascella squadrata, penetranti occhi blu… È difficile credere
che, appena sei ore fa, fosse dentro di me sotto la doccia. Questa mattina,
dopo essere tornati dalla nostra corsa, lo abbiamo fatto due volte. È un vero
animale. Il suo cazzo è la fine del mondo.
Sono morta e sono finita nel paradiso degli amministratori delegati.
«Oh mio Dio», bisbiglia Ava. «Guarda chi sta arrivando.»
Jameson sta attraversando il foyer affollato, assorto in una
conversazione con gli altri uomini. Tutti si fermano e li fissano. Rimango
immobile mentre mi supera, e, all’ultimo momento, lui alza lo sguardo e mi
nota. Esita, e io gli faccio un discreto cenno con il capo. Non voglio che
qualcun altro sappia di noi. Annuisce rapidamente come per segnalarmi di
aver capito e continua a camminare, riprendendo a parlare. Lui e gli altri
escono dal portone d’ingresso e svaniscono in strada. Probabilmente stanno
andando a pranzo.
«Davvero, dove troviamo degli uomini come i fratelli Miles?» sospira
Ava.
«Già.» Osservo la strada in cui sono spariti.
«Uno di questi giorni», mormora lei. «Uno di questi giorni.»

Mi chiedo se Jameson abbia fatto un lungo pranzo alcolico, e soprattutto se


abbia riportato indietro della torta. Sta arrivando quell’ora del giorno in cui
la mia mente si focalizza su qualcosa di dolce da mangiare insieme al caffè.
«Ehi, Emily, hai già gli articoli che dobbiamo pubblicare domani?» mi
chiede Hayden.
Gli sorrido. Mmh. «Credevo di doverli consegnare entro le quattro, e
sono solo le tre.»
Hayden è la persona a cui consegno le notizie, e lui a sua volta deve
passarle alla fase successiva.
«Lo so, ma mi piace portarmi avanti», mi risponde tranquillo.
Avanti con cosa? È lui che sta vendendo le nostre storie? È per questo
che le vuole in anticipo, così può mandarle al miglior offerente?
«Non sono ancora pronti.»
«Okay, va bene.» Mi sorride. «Mandameli per e-mail non appena li hai
finiti.»
Incrocio il suo sguardo. «Certo.»
Lo osservo tornare alla sua scrivania e iniziare una conversazione con la
persona seduta accanto a lui.
Ti sto tenendo d’occhio, bastardo.
Mi guardo intorno nell’ufficio con una nuova determinazione.
Vi sto tenendo d’occhio tutti. Ognuno di voi.

Sono appena le quattro, e sto scrivendo a Jameson.

Ciao, ti ho prenotato un massaggio con un fisioterapista. Sarà a casa tua


alle
sette. Spero sia compatibile con i tuoi impegni.

FB
xoxoxo

Qualche momento più tardi, ricevo una risposta.

Cara FB,
un fisioterapista?

J xx

Roteo gli occhi. Sapevo che me lo avrebbe chiesto.

Caro signor J,
un uomo, un fisioterapista professionista che pratica massaggi e non
atti sessuali. Specializzato in trattamenti per la schiena e decisamente
costoso.

FB
xoxoxo

Aspetto qualche istante, e arriva subito una replica.

FB, va bene, ma potresti farlo entrare tu nel mio appartamento, per favore?
Chiederò ad Alan di venire a prenderti alle sei e mezza. Ci vediamo lì, forse
con un quarto d’ora di ritardo.

J xoxo

Faccio un ampio sorriso mentre la speranza mi sboccia nel petto. Gli scrivo
di nuovo.

Stasera ci vediamo?

Lui mi risponde.

Sì. Starò via per tutta la settimana prossima, quindi voglio anticipare anche
i futuri incontri. Ci vediamo stasera.
Jay
xox
o

Probabilmente dovrei fare la preziosa e fingere di avere altri impegni… ma


non ci riesco. Gli mando una e-mail in risposta.

Jay, preparerò la cena. Che cosa


vuoi?

FB
xoxo

Ricevo subito il suo messaggio.

L’unica cosa che voglio stanotte sei tu. Ora torna al lavoro, prima che ti
pieghi a novanta sulla scrivania.

xoxo

Mi sento avvampare ed esco dalla mia casella di posta. È senza dubbio


l’uomo più sexy del pianeta.

Mi sento una grande chef nella cucina super accessoriata di Jameson. Sono
appena le sette, e io sto accendendo il gas per mettere una pentola piena
d’acqua sul fuoco. Mi piace l’idea di fargli trovare la cena pronta. So che
non gli è mai successo, quindi sento che è un gesto speciale.
Suona il campanello e io mi guardo intorno.
Merda. Dov’è il citofono?
Noto una cornetta e uno schermo vicini alla porta d’ingresso. Sollevo la
cornetta. «Chi è?»
«Salve, sono Matthew, il fisioterapista. Sono qui per il massaggio.»
Guardo lo schermo con un sorriso. Matthew è attraente, ha il classico
fascino scandinavo.
«Salga pure.» Premo il pulsante e gli apro il portone, e l’uomo sparisce
dentro l’ascensore. Qualche momento più tardi, bussa alla porta
dell’appartamento. «Salve», lo accolgo con tono cordiale.
«Salve.» Lui entra, indossa un’uniforme bianca e porta con sé un lettino
pieghevole per massaggi.
Wow… È davvero sexy. Magari dovrei farmi fare un massaggio anche
io.
«Dove vuole che mi sistemi?» mi domanda.
«Mmh.» Aggrotto la fronte, guardandomi attorno. Dove voglio che si
metta? «Aspetti solo un secondo.» Mi incammino lungo il corridoio e
sbircio dentro le stanze. In fondo ce n’è una con un tapis roulant e una
panca per i pesi. «Quaggiù, per favore.»
L’uomo avanza con un’andatura sensuale e inizia a prepararsi.
All’improvviso, mi viene in mente che questo è esattamente lo scenario in
cui Jameson si trovava con Chloe… solo che poi loro facevano sesso per
davvero. Mi si ribalta lo stomaco al pensiero.
Smettila.
«Sarò qui fuori se ha bisogno di me.»
Torno in cucina, un po’ nervosa. Merda, è sicuro lasciarlo là da solo?
Dovrei tenerlo d’occhio o qualcosa del genere?
Getto uno sguardo lungo il corridoio per accertarmi che non esca dalla
stanza per andare a curiosare in giro. Oh, accidenti, qual è la procedura con
gli sconosciuti in un posto del genere?
Sento un click provenire dall’ingresso, e Jameson appare nel mio campo
visivo. «Ciao», dice con tono secco.
Gli sorrido. «Ciao.» Lo stringo in un abbraccio. «Come sta il mio
uomo?»
«Bene.» Mi sorpassa rapidamente.
Oh. Mi acciglio. Non è il saluto che speravo di ricevere.
«È già qui?»
«Sì, nella stanza in fondo.»
«Mi faccio una doccia veloce. Gli puoi dire che sarò da lui in cinque
minuti, per favore?»
«Certo.»
Sparisce dentro la camera da letto, e io attraverso di nuovo il corridoio.
«Jameson si sta facendo una doccia veloce. Gli serve solo qualche minuto.»
«Okay, grazie.» Matthew mi sorride.
Torno in cucina e mescolo le verdure che ho messo a cuocere. Forse
stasera sarei dovuta rimanere a casa mia. Non è sembrato molto felice di
vedermi.
Dieci minuti più tardi, un paio di mani calde mi si stringono attorno alla
vita da dietro, e Jameson preme le labbra sulla mia tempia. «Ehi, piccola»,
bisbiglia.
Mi volto, trovandolo con un asciugamano bianco stretto attorno alla
vita. «Va tutto bene?»
«Sì, sono solo molto stanco.» Fa un lungo sospiro. «L’ultima cosa di cui
ho voglia è un dannato massaggio», mormora, appoggiando una guancia
contro la mia.
«Dopo ti sentirai molto meglio», gli dico. «Massaggio, cena e letto.»
Alza gli occhi al cielo e si avvia con passo pesante lungo il corridoio.

Con un sorriso sulle labbra, sto ascoltando Jameson che russa piano ogni
volta che espira. Sono seduta sul divano in pigiama e sto guardando un
film, mentre lui è steso con la testa sul mio grembo, profondamente
addormentato.
Mi sembra stranamente… normale.
Non stava scherzando quando ha detto di essere stanco. È più che
stanco… è esausto.
Credo che si tratti più di stanchezza mentale che fisica; non riesco a
immaginare cosa debba affrontare ogni giorno sul lavoro. La pressione della
gestione della Miles Media ricade su di lui sin da quando era molto giovane.
Persino da ragazzo, deve essere stato istruito per questo ruolo. Ma
l’amministratore delegato Jameson Miles è un comune mortale, e io mi
sento protettiva nei suoi confronti.
Gli passo distrattamente le dita tra i capelli e mi godo questo momento
intimo con lui. Non credo che molte persone lo abbiano visto così rilassato.
«Jay», bisbiglio. Si acciglia nel sonno. «Jay, è ora di andare a dormire,
piccolo.»
Lui inspira, stiracchiandosi e sbattendo le palpebre, come se non capisse
dove si trova.
Gli accarezzo i capelli. «È ora di andare a dormire.» Sorrido con
dolcezza.
Mi alzo, spegnendo le luci e il televisore, poi Jameson mi prende per
mano e mi guida lungo il corridoio fino alla sua camera da letto. Si lava i
denti e si sistema sotto alle coperte.
Qualche momento più tardi, non appena sono pronta, mi infilo nel letto
accanto a lui, e Jameson mi attira tra le sue braccia.
«Buonanotte, tesoro», sussurra baciandomi la fronte.
Siamo stesi guancia a guancia. Tra di noi c’è una vicinanza che non ho
mai sentito prima.
«Buonanotte.» Mi accoccolo contro il suo petto.
Questa notte tra di noi non c’è stato nulla di sessuale… ma è stato tutto
così normale… e stranamente intimo. Potrei diventarne dipendente.

Vengo svegliata dalla sensazione di due mani forti che mi aprono le cosce.
La testa di Jameson è tra le mie gambe, e la sua lingua sta leccando il mio
punto più sensibile. Getto il capo all’indietro e appoggio le mani sulla sua
nuca. Il mio corpo palpita per l’eccitazione, e così capisco che ha iniziato
già da un po’.
«Oh Dio», gemo. «Buongiorno, Jay.»
Lui si volta per baciarmi l’interno coscia. «Buongiorno.»
Mi mordicchia il clitoride, e io chiudo gli occhi.
Buon Dio.
È sveglio in tutto il suo splendore. Continua a succhiarmi mentre il
piacere comincia ad attraversarmi a ondate. Spinge tre dita dentro di me e io
sussulto. Questa è la sua specialità, scoparmi con le dita con tanta forza da
farmi venire prima ancora di iniziare a fare sesso. Non sono mai stata con
un uomo in grado di darmi piacere in così tanti modi diversi. Inizia a
muovere la mano avanti e indietro, concentrato sul suo compito. Spingo le
gambe sul materasso, e Dio…
«Oh Dio… è così bello…» ansimo.
Il suono bagnato della mia eccitazione riecheggia nella stanza silenziosa
mentre Jameson è all’opera su di me. Quest’uomo è un pazzo. Solo dieci
minuti fa ero profondamente addormentata.
Si sporge verso di me e mi mordicchia di nuovo il clitoride, e io mi
contorco sotto di lui, venendo di colpo. Inarco la schiena, ma lui mi spinge
di nuovo giù.
«Shh», sussurra, provando a calmarmi. «Ancora», mormora,
guardandomi negli occhi.
«No.» Mi alzo a sedere di scatto e lo afferro per le spalle per attirarlo
verso di me. Ci baciamo e ricadiamo sul materasso, mentre io gli avvolgo le
gambe attorno alla vita. Accidenti, che modo per svegliarmi. Il nostro bacio
si fa frenetico, e io sento il suo membro premere contro la mia apertura.
Jameson si blocca.
«Va bene, prendo la pillola», sussurro, tenendo il suo volto vicino al
mio.
Jameson chiude gli occhi per un brevissimo istante, e poi, come se non
riuscisse a rilassarsi senza un preservativo addosso, si trascina via da me per
raggiungere il suo comodino. Lo guardo mentre apre un profilattico e se lo
infila.
Poi è subito su di me. Si spinge dentro al mio corpo con un unico,
rapido movimento. Lancio un grido e inizio a contrarmi attorno al suo
grosso membro.
«Aspetta», ringhia.
Cazzo… come dovrei fare? Come se fosse semplice…
Jameson abbassa lo sguardo su di me. La sua pelle olivastra è lucida di
sudore, i suoi occhi blu brillano e io guardo meravigliata questo perfetto
esemplare di uomo sopra di me… e dentro di me.
Allarga le cosce e si sistema sulle ginocchia, poi solleva le mie gambe,
tenendole per le caviglie, e inizia a muoversi con spinte dure e potenti,
dischiudendo le labbra mentre fissa il punto in cui i nostri corpi si
incontrano. Riesco a vedere ogni muscolo del suo addome contrarsi mentre
si spinge in avanti. Accidenti… guardare Jameson Miles scopare è il porno
migliore del mondo. Prende velocità, e io perdo completamente la testa.
Stringo tra le dita le lenzuola sotto di me, sentendo montare l’orgasmo.
Il rumore dei nostri corpi che si muovono in sincronia riecheggia nella
stanza. Jameson chiude gli occhi, in preda all’estasi, e geme, prendendo a
spingersi dentro di me con ancora più forza.
«Ci sono quasi», rantolo.
«Aspetta», mi ordina con tono secco, continuando a pompare.
«Jameson…»
Mi afferra le gambe per spostarle di lato, e vedo i suoi occhi
lampeggiare per l’eccitazione mentre le sue spinte si fanno più lente e
misurate.
Oh… al mio uomo piace stretta.
Mi contraggo, e Jameson getta la testa all’indietro. Lo faccio di nuovo, e
lui non riesce a trattenersi. Affonda dentro di me e io mi accorgo dal suo
sobbalzo che sta venendo. Conclude e poi, consapevole che non posso fare
lo stesso in questa posizione, si solleva sopra di me e mi bacia,
ricominciando a fare dolcemente l’amore con me.
È quello che amo… il mio tipo di sesso preferito con lui. Un amore
tenero e gentile. Si sostiene sui gomiti e preme le labbra sulle mie, dandomi
esattamente ciò di cui ho bisogno.
Lui… ho bisogno di lui, di tutto quanto.
Ci fissiamo negli occhi, mentre qualcosa di bellissimo scorre tra di noi.
Ci scambiamo una serie di baci ricolmi di tenerezza, ma io sono commossa
dall’espressione sul suo viso.
Ci stiamo innamorando l’uno dell’altra.
Quella che c’è tra di noi non è una relazione di sesso occasionale, non si
tratta nemmeno di solo sesso. È amore, ne sono più che certa. Non potrebbe
essere nient’altro.
«Jay», ansimo, cercando il suo sguardo.
«Lo so, piccola», bisbiglia.
Gli stringo le spalle e lui si solleva, mentre il mio corpo si contrae
attorno al suo. Cattura le mie labbra in un bacio dolce e rilassato, che è tutto
ciò che non ho mai avuto. Lentamente mi fa venire e poi si lascia cadere sul
materasso accanto a me, attirandomi perché mi giri verso di lui.
Ci guardiamo, e io sono sopraffatta da un senso improvviso di intimità.
Fisso il suo bellissimo viso e sorrido. «Credo che…»
«No», mi interrompe. «Cosa?» Mi acciglio.
«Non rovinare tutto.»
Non capisco che cosa voglia dire. «Come potrei rovinare tutto questo?»
«Non innamorarti di me, Emily.» Ma che cavolo?
Lo fisso. «Perché no?»
«Perché non fa per noi. Ficcatelo bene in testa. Subito.» Si alza di colpo
e va in bagno, tirandosi dietro la porta, che si chiude con un tonfo.
Mi giro sulla schiena e fisso il soffitto. Stavo per dirgli che per me
quella era stata la sveglia migliore di tutti i tempi.
L’amore era solo ai margini del mio pensiero.
Capitolo 15

Emily

M . L sotto la
doccia.
«Per la cronaca, Jameson», sbotto, «volevo solo dirti che dovresti
svegliarmi così tutti i giorni.» Lui socchiude gli occhi, lanciandomi uno
sguardo rabbioso. «Secondo me, l’unico che sta pensando all’amore qui sei
tu.» Alza gli occhi al cielo mentre si insapona l’inguine, e la sua espressione
supponente mi fa infuriare. «Quindi non rigirare la frittata e non
allontanarmi solo perché ti stai innamorando di me!»
Non so cos’altro dire, quindi mi precipito fuori. Prendo la mia borsa e
mi dirigo verso uno degli altri bagni per lavarmi. Non ho intenzione di
farmi la doccia insieme a lui.
Stupido idiota.
Mezz’ora più tardi, vado in cucina e vi trovo l’amministratore delegato
Miles, con tanto di completo grigio, camicia bianca e atteggiamento
nervoso e controllato di nuovo al loro posto.
«Sei pronta?»
«Sì.» Mi guardo attorno. «Vado solo a prendere le mie cose.» Torno in
camera e getto uno sguardo al mio riflesso nello specchio. Oggi indosso i
suoi vestiti preferiti, e lui non lo ha nemmeno notato.
Beh… affari suoi.
Questo maledetto maniaco del controllo mi sta facendo incazzare.
Esco di nuovo, con la mia borsa per la notte su una spalla. «Andiamo.»
Jameson corruga le sopracciglia vedendo cosa ho con me. «Che ci fai
con quella? Puoi prenderla più tardi.»
«La porto al lavoro. Non c’è problema.» Lo guardo negli occhi. «Ho
molto da fare questa settimana.»
Lui stringe i denti e mi guarda di traverso. «Bene.» Si gira per uscire, e
io faccio un sorrisetto.
Ti ho lasciato avere il controllo per qualche giorno, signor Miles, ma
non credere che la mia sottomissione implichi debolezza.
Non supplicherò nessun uomo perché mi ami, che sia un amministratore
delegato miliardario dagli occhi blu o meno.
Non rovinare tutto.
Lo so che gli ho detto che voglio solo un rapporto di amicizia con
benefici… ma le regole sono cambiate. Per me, almeno.
Entriamo in ascensore, e io guardo fisso davanti a me. Riesco a
percepire l’astio che trasuda da lui. Una parte di me detesta farlo arrabbiare
prima ancora che la giornata inizi, ma al diavolo. Non posso passare la vita
ad aggirarmi in punta di piedi attorno al suo stress soltanto per non irritarlo.
Usciamo nel foyer, e la limousine è già parcheggiata e in attesa. Alan è
in piedi accanto alla porta.
«Salve, Alan.» Sorrido mentre ci avviciniamo, come se non avessi un
solo pensiero al mondo.
L’uomo ricambia il sorriso con un cenno di saluto, invece Jameson
rimane in silenzio. Con un gesto della mano, mi invita a salire per prima.
Entro in auto, scivolando sul sedile, e lui mi segue.
Proprio accanto a me, si trova un giornale ben ripiegato, così lo prendo
e inizio a leggere. Jameson mi fissa. So che è il suo giornale. Beh, peccato,
sono arrivata prima io. Per dieci minuti leggo in silenzio. Oggi non c’è
nessuno dei miei articoli falsi. Mmh. Mi chiedo se abbia a che fare con il
fatto che ieri non l’ho consegnato a Hayden prima delle quattro. Rifletto per
un momento. Oggi testerò questa teoria. Gli farò avere un articolo per le tre
e vedrò cosa succederà.
«Che cosa fai stasera?» mi chiede.
«Esco con Ava», mento, passandogli il giornale.
«Ti ho detto che non voglio che tu vada per locali insieme a lei.»
Gli sorrido. Che faccia tosta, questo maniaco del controllo. «Quello che
faccio quando non sono con te non ti riguarda, Jameson.»
«Quindi ora vuoi fare la melodrammatica?»
Roteo gli occhi. «La vuoi smettere?»
«Smettere di fare cosa?»
Sostengo il suo sguardo. «Non sono innamorata di te. Quindi… puoi
smetterla di preoccuparti che lo sia. Mi piace la tua compagnia, ma è ovvio
che tu hai qualche problema con le persone che vogliono prendersi cura di
te, tanto da credere che si tratti di amore.» Gli rivolgo un’espressione
esasperata. «A essere sincera, trovo tutto troppo difficile.»
Lui serra la mascella, e capisco che dentro di sé è furibondo. «Che cosa
significa?»
«Cosa?» gli chiedo.
«Che è troppo difficile.»
«Significa che puoi andare a cercarti qualcun altro che non si innamori
di te.» Scrollo le spalle. «Per me va bene.»
«Per te andrebbe bene», bisbiglia lui, furioso. «Quindi, se stasera facessi
sesso con un’altra, tu non avresti problemi?»
Lo guardo accigliata. Ma che diavolo ha nella testa? Mi passo una mano
sul viso. «Jameson, per l’amor del cielo. Che cosa vuoi da me?» «Non lo
so», sbotta.
«Va bene.» Emetto un sospiro profondo. «Allora finiamola qui.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Mio Dio», esplodo, esasperata. «Per essere un uomo intelligente, ti stai
comportando davvero da stupido. Non posso aiutarti a capire che cosa vuoi
da me, Jameson.» Lui mi fissa. «Un minuto prima mi dici di non rovinare
tutto innamorandomi di te, e quello dopo che non vuoi che esca senza di
te.» Si appoggia all’indietro contro lo schienale, offeso. «Io voglio un buon
amico con cui fare sesso. Ne abbiamo già parlato. Mi sembra che l’unica
persona che stia infrangendo le regole qui sia tu. Perché mai stai pensando
all’amore?»
«Non rigirare la frittata, Emily», bisbiglia lui furioso.
«Come vuoi, allora», sbotto. «Riesci a guardarmi negli occhi e a dirmi
che non provi niente per me?» Lui fa un’espressione disgustata. «Ci riesci?»
«Certo che sì.»
Lo fisso dritto in viso. «Allora fallo.»
«Cosa?»
«Dimmi che non provi niente per me. Dimmi che, durante l’ultimo
anno, non hai pensato a me nemmeno una volta e che non hai conservato la
mia sciarpa.» Jameson socchiude gli occhi e mi getta uno sguardo furente.
«Come pensavo», sbuffo, voltandomi verso il finestrino.
«Mi chiedevo quanto tempo ci sarebbe voluto perché la stronza
bisbetica tornasse a mostrare il suo brutto muso», borbotta sottovoce.
«Beh», esclamo, «almeno questa stronza sa cosa vuole.» «Che sarebbe?» mi
deride Jameson.
«Un uomo, ecco cosa vuole. Uno che non ha paura dei suoi sentimenti.»
«Vai all’inferno», mormora lui. «Piantala di parlare. Mi stai stressando
da morire con tutte queste cazzate. Se avessi voluto una psichiatra, ne avrei
frequentata una.»
Faccio un sorrisetto, continuando a guardare fuori dall’auto. «Noi non ci
stiamo frequentando, Jameson. Stiamo scopando. Non fraintendere.»
«Se stasera esci con Ava per andare a caccia di uomini, non faremo più
nemmeno quello.»
«Chiedo scusa?» esclamo, mentre la rabbia inizia a montare in me.
«Non puoi dirmi cosa fare.»
Mi fissa negli occhi. «Posso. E l’ho appena fatto.»
«Jameson.» Mi interrompo, cercando di pensare a una risposta calma e
intelligente da dargli. «Non andrei mai a letto con qualcun altro a tua
insaputa. Questo lo sai. Ma non puoi dirmi dove ho il permesso di andare.
Anche se tu mi amassi, e non è così, non ti permetterei di impormi cosa
posso fare.»
«Dico sul serio.»
«Vai all’inferno.» La limousine si ferma all’angolo dove devo scendere,
e apro subito la portiera.
«Ci vediamo stasera», mi dice lui con tono secco mentre esco.
Mi sporgo verso di lui. «Certo, aspettami pure. Sarò da te non appena
gli asini avranno imparato a volare.» Sbatto di colpo lo sportello.
La limousine parte e si avvia lentamente lungo la strada che porta al
palazzo della Miles Media, e io inspiro per cercare di calmare i battiti
furiosi del mio cuore. Stupido coglione.

«Mi chiedo di cosa si tratti.» Molly si acciglia, leggendo le storie sul suo
computer.
«Di cosa parli?» rispondo io mentre batto sulla tastiera.
«Qui dice che oggi, alla Miles Media, ci sarà una riunione di emergenza
con gli azionisti, e che sono in programma altri incontri a Londra la
settimana prossima.»
Mi sprofonda il cuore, è là che Jameson andrà tra pochi giorni. «Cosa?»
La mia collega gira lo schermo verso di me, e io leggo l’articolo di
rassegna finanziaria sul crollo dei prezzi delle azioni della Miles Media.
Appoggio il mento al palmo della mano mentre continuo a leggere.
Dio… che incubo.
Alzo lo sguardo e vedo Jake impegnato a ridere con una delle ragazze
nel suo cubicolo, come se non avesse un solo pensiero al mondo. Che cosa
sta facendo quello stupido idiota? Sta indagando sul caso? Oh, credo
davvero che sia l’uomo sbagliato per questo lavoro. Sembra che non stia
portando a termine nessuna indagine, mentre sono certa che abbia
memorizzato il numero di telefono di ogni singola ragazza del piano.
Dovrei parlargli dei miei dubbi su Hayden? No, è solo una sensazione
ancora priva di fondamento. Oggi metterò alla prova la mia teoria.
Al diavolo. Dovrò scoprire da sola chi è il responsabile. È palese che
Jake non ne abbia la più pallida idea.
Con la coda dell’occhio, mi accorgo che i miei colleghi stanno correndo
alle loro scrivanie, e alzo lo sguardo per vedere Jameson e Tristan intenti ad
attraversare il piano. Mentre cammina, Tristan sorride e chiacchiera con i
dipendenti. Jameson, invece, è solenne in tutto il suo irritabile splendore.
Ha la schiena dritta come un fuso e il suo viso è così baciabile da far male.
Sei arrabbiata con lui… te lo ricordi, stupida? Distogli lo sguardo,
distogli lo sguardo.
Torno al mio computer, ma poi mi accorgo di avere il familiare
completo grigio accanto. Alzo la testa e trovo Jameson in piedi vicino alla
scrivania.
«Salve, signor Miles.» Fingo un sorriso.
Lui incontra il mio sguardo. «Salve.»
«Posso aiutarla, signore?»
«Dov’è Jake?» mi domanda a denti stretti.
«Sarà da qualche parte a flirtare», rispondo. «Cerchi una bella donna e
lo troverà lì.» Indico con la penna la direzione in cui, poco fa, ho visto
l’investigatore.
Jameson inspira in modo brusco, lanciando un’occhiataccia a Jake, che
sta chiacchierando con una bionda, totalmente inconsapevole di essere
osservato. Poi l’amministratore delegato guarda verso Tristan, ed entrambi
scuotono la testa in maniera a malapena percettibile.
«Tristan, mi stavo chiedendo se, questo pomeriggio, potessi vederla per
qualche minuto», gli chiedo.
«Sì, certo. Vieni su tra mezz’ora.»
Jameson tiene gli occhi puntati su di me per un istante più a lungo del
necessario, come se stesse aspettando che io gli dica qualcosa. Gli faccio un
sorriso caloroso, nascondendo la mia ira. Forse ha ragione, sono davvero
una stronza.
«Arrivederci.»
«Arrivederci», mi dice, voltandosi e puntando dritto su Jake.
Quando l’investigatore lo vede arrivare e balza in piedi di scatto, non
riesco a non ridacchiare. Jameson gli dice qualcosa, e poi Jake viene
scortato all’ascensore sotto il mio sguardo.
Spero che lo licenzino. Di certo non è affatto interessato all’importanza
di questo caso.

Quaranta minuti più tardi, busso alla porta di Tristan.


«Avanti», mi dice.
«Salve», gli sorrido.
«Salve, Emily.» Indica la sua scrivania. «Vieni, accomodati.»
Mi siedo. «Volevo solo aggiornarti su una cosa che è successa ieri e che
mi è sembrata strana.»
«Fantastico, sì.» Tiene la penna tra le mani. «Di cosa si tratta?»
«Hayden è venuto a chiedermi gli articoli in anticipo di un’ora.» Mi
ascolta con la fronte aggrottata. «Ho trovato strano che gli servissero tanto
prima. Quindi… ho mentito e ho detto che non erano ancora pronti.»
«E?»
«E oggi non è stato pubblicato alcun articolo falso.» Lui restringe gli
occhi a due fessure. «Non so se sto vedendo collegamenti che non ci sono,
ma ho la sensazione che le mie storie vengano vendute alla concorrenza
solo se sono pronte per la stampa entro una certa ora.»
«Interessante. Un lavoro eccellente.» Riflette per un istante. «Oggi
consegna l’articolo il più tardi possibile per mettere alla prova questa teoria,
e intanto io inizio a cercare delle informazioni su Hayden. Ben fatto.» Mi
alzo. «Va tutto bene?» mi chiede poi.
«Sì, perché?»
Incrocia il mio sguardo per un momento, e io capisco che Jameson gli
ha detto qualcosa sul nostro litigio di stamattina. «Giusto per sapere.»
«Va tutto benissimo.»
«Ottimo, allora.»
«Ci vediamo.» Esco dal suo ufficio con il passo leggero, come se non
avessi un solo pensiero al mondo.

È venerdì sera ed è tardi. Sto fissando il televisore con la mente in preda


alla confusione. Non ho più avuto notizie di Jameson dopo il nostro litigio
di mercoledì mattina. L’ho visto di sfuggita al lavoro, ma tutto qui. Forse è
finita e non ci vedremo mai più.
Mercoledì, la romantica che è in me si era convinta che provasse
davvero qualcosa nei miei confronti e che sarebbe tornato supplicandomi in
ginocchio. Giovedì ho deciso che quell’uomo doveva avere dei profondi
problemi emotivi se non riusciva a capire di essere innamorato di me.
Oggi… mi chiedo se per lui io abbia mai significato qualcosa. Forse ho
preso la situazione con troppo ottimismo. Per tutto il tempo Jameson mi ha
lanciato dei segnali, e io, come una sciocca, li ho ignorati tutti.
Credo che lunedì parta per Londra, anche se non potrei sapere se i suoi
piani fossero cambiati.
Torno con la mente al volo su cui ci siamo conosciuti, e ora che so che
vita conduce… riesco a vedere tutto in modo molto più chiaro. All’epoca
non mi ha chiesto il numero di telefono perché non voleva niente da me…
lo ha persino ammesso. Ma io non gli ho creduto. Pensavo ci fosse
un’ulteriore motivazione e che quella fosse solo la bugia che la nascondeva.
Ma magari certe persone sono programmate per non desiderare niente di più
del sesso. O forse Jameson non ha ancora incontrato la persona giusta.
Le possibilità sono svariate.
In quel momento, suona il campanello, e io mi alzo imbronciata per
premere il pulsante. «Chi è?»
«Ehi.» La voce dall’altro lato è disturbata.
«Chi è?»
«Sono io», risponde l’uomo alla porta.
«Jameson?»
«Stavi aspettando qualcun altro?» mi domanda, ovviamente irritato.
Sorrido e gli apro, poi corro in camera da letto per sfilarmi la camicia da
notte cenciosa su cui ho versato la cioccolata calda. Mi agito, in preda al
panico, e afferro un asciugamano da uno scaffale. Me lo avvolgo attorno al
corpo per fingere di essere appena uscita dalla doccia. È molto meglio di
una camicia da notte macchiata con sopra degli orsacchiotti ballerini. Non
capirò mai perché secondo mia nonna mi servissero degli orsetti.
Sento bussare alla porta e la apro di corsa. Lui è lì. Mi ritrovo davanti i
suoi penetranti occhi blu. È fradicio di sudore e sta ansimando.
La mia espressione si fa sgomenta. «Hai corso fino a qui?» Jameson
annuisce. Trasmette un senso di malinconia. «Stai bene?» gli domando.
Scrolla le spalle, guardandomi negli occhi. «Jay», bisbiglio, e il mio cuore
si scioglie. Lo prendo tra le braccia e lo stringo forte. Lui si aggrappa a me
come se ne andasse della sua vita.
Rimaniamo a lungo l’una tra le braccia dell’altro, non servono parole. In
questo momento, lui ha solo bisogno di me.
«L’assassino armato di ascia ti ha inseguito fino al mio appartamento?»
mormoro contro la sua guancia.
Mi sorride e mi stringe più forte. «Forse.»
«Sono stata io a pagarlo perché lo facesse.»
«Strega», sogghigna.
«Andiamo, ti porto a fare una doccia.» Lo prendo per mano e lo guido
in bagno, dove apro l’acqua e gli sfilo la maglia da sopra la testa.
Le sue pupille si dilatano, e io gli abbasso lentamente i pantaloni
sportivi lungo le gambe.
«Ho passato dei giorni terribili», mormora.
Annuisco e gli tolgo i boxer. «Lo so, piccolo. Questo incubo al lavoro
presto finirà.»
«Non ha niente a che vedere con il lavoro.»
«E con cosa ha a che vedere?»
Incrocia il mio sguardo e deglutisce il groppo che ha in gola. «Con te.»
Sorrido con dolcezza mentre il cuore mi palpita nel petto. «Ti sono
mancata?»
Fa segno di sì con il capo, come se temesse di sembrare stupido.
Lo bacio, tenendo il suo viso tra le mani. «Anche tu mi sei mancato,
sciocco.»
«Ma hai detto…»
«Non preoccuparti di cosa ha detto quella stronza bisbetica. È matta
come un cavallo. Non darle retta.»
Lui fa un sorrisetto e abbassa le mani sul mio sedere. «Come un
cavallo? Che diavolo significa, Emily?»
Ridacchio. «Quando le stronze bisbetiche danno i numeri, diventano
matte come cavalli.»
Jameson ride, stringendomi forte e respirando tra i miei capelli con aria
sollevata.
«Non so cosa stia succedendo tra di noi, Jay.» Esito, cercando di
spiegare quello che voglio dire. «Ma puoi contare su di me. Non avere
paura di noi. Perché io non ce l’ho.» «Dovresti», ribatte.
«Perché dovrei avere paura di qualcuno che mi fa provare le sensazioni
che mi regali tu?»
La sua espressione si addolcisce, e lui mi sfiora il labbro inferiore con il
pollice. «Sono stati dei giorni duri senza di te.»
Gli sorrido con tenerezza. Lo amo quando è così. «Fatti una doccia,
lavati via di dosso la settimana passata e rimani con me.»
Il nostro bacio diventa più intenso, sento la sua erezione premermi
contro la pancia. Mi tira via l’asciugamano e mi attira con sé sotto la doccia
per spingermi contro il muro. Ci baciamo come se fossimo affamati l’uno
dell’altra. Il mio uomo, Jim, è tornato… e io mi sento come se avessimo
superato un ostacolo invisibile in mezzo a noi.
Non so esattamente cosa stiamo facendo, ma sento che, se riesco a
tenere Jim con me abbastanza a lungo perché le cose tra di noi diventino
reali, forse potrò aiutare Jameson a trovare un equilibrio tra vita e lavoro.
Lunedì mattina
Mentre ci salutiamo, Jay mi stringe forte tra le braccia. Oggi parte per
Londra, dove rimarrà una settimana, e ogni giorno sarà impegnato con delle
riunioni. Abbiamo trascorso un weekend straordinario. Siamo stati nel mio
appartamento per tutto il tempo. Ho cucinato per noi, abbiamo fatto l’amore
e abbiamo guardato dei film, siamo persino andati a correre.
L’amministratore delegato non si è mai visto. Ieri sera siamo andati a casa
sua perché preparasse le valigie, e poi siamo tornati a dormire qui da me.
Ho l’impressione che, quando è nel mio appartamento, riesca ad
allontanarsi dall’amministratore Jameson Miles per essere un uomo
normale… il mio uomo. Per un po’, può dimenticarsi chi è e cosa ci si
aspetta da lui.
Le dinamiche tra di noi sono cambiate. Non so come impedirmelo, ma
mi sto innamorando di lui. Mi sento sprofondare in un oceano, il suo
oceano… è questo il potere che ha su di me.
«Niente scali, okay?» bisbiglio. Mi sorride mentre ci baciamo. «Non si
parla con le ragazze che vengono spostate in prima classe.»
Jameson mi stringe una natica. «Smettila di parlare, donna.»
Lo abbraccio con più forza. «Oh. Detesto il pensiero di una settimana
senza di te.» Mi bacia di nuovo, ma non dice niente. «Vuoi dirmi
qualcosa?» mormoro. «Di’ qualcosa di dolce per liberarmi da questo
tormento.»
Incrocia il mio sguardo, prendendomi il viso tra le mani. «Ho messo la
tua sciarpa nella mia valigia.» Sorrido. «Non è una novità. La porto con me
in ogni viaggio che faccio… da quando ci siamo conosciuti.»
Sono travolta da un’ondata di emozioni, e mi si riempiono gli occhi di
lacrime. Batto le ciglia per scacciarle, nella speranza che lui non le veda.
«Davvero?» sussurro.
Annuisce e mi bacia, carezzandomi il viso, ed è tenero e perfetto e, Dio,
vorrei solo confessargli che forse adesso sono davvero innamorata di lui.
Ma non lo farò, perché so che rovinerei quello che c’è tra di noi. Di
qualsiasi cosa si tratti.
Sono stesa a letto e sto scorrendo distrattamente i post di Instagram. Non
sono per niente concentrata sul mio feed. Penso solo a Jameson. Questa
settimana mi è mancato, e so che anche io sono mancata a lui. Nonostante
tutte le sue riunioni e lo stress, si è tenuto in costante contatto con me. Con
un po’ di fortuna, al suo ritorno potremo cercare di capire che cosa stia
davvero succedendo tra noi. Il mio telefono squilla, e la lettera J illumina lo
schermo.
«Pronto.» Sorrido.
«Ehi», mormora la sua voce profonda e vellutata.
«Come sta il mio uomo?»
«Bene, impegnato. Come stai tu?»
«Mi sento sola.»
Abbiamo parlato ogni giorno da quando se ne è andato… due volte al
giorno, in realtà.
Ridacchia. «Non sembravi tanto sola durante la sessione di Skype di ieri
sera.»
Mi sento arrossire. Ci siamo mandati messaggi sconci quasi ogni notte,
ed è possibile che ieri gli abbia mostrato uno spettacolino con il mio
vibratore. L’espressione sul suo viso era di puro piacere. Il mio sesso si
contrae al solo pensiero del modo in cui si è accarezzato guardandomi.
Dio… siamo due depravati.
«Cos’hai fatto oggi, tesoro?» mi chiede.
Ogni volta che mi chiama così, il mio stomaco fa le capriole, non mi
stancherà mai.
«Ho lavorato.» Cerco di non parlare del lavoro con lui. Voglio tenere la
nostra relazione il più lontano possibile dalla mia carriera. «E tu cosa stai
facendo?»
«Sto per andare a cena fuori con Elliot. Mi deve presentare una ragazza
che ha conosciuto.»
«Davvero?» Sorrido. «Si è innamorato?»
«Dio, no. Ha una nuova fiamma ogni settimana.» Faccio una risatina.
«Esci stasera?»
Roteo gli occhi. «No, Jay, rilassati, dai.»
Cielo, è rimasto davvero traumatizzato dalla sera in cui ho ballato con
quel bell’uomo biondo.
«È difficile rilassarsi quando so che sei bella, tutta sola e dall’altra parte
del mondo.»
«Beh, tra quattro giorni sarai di ritorno.» Getto uno sguardo al mio
orologio. «Devo andare, oppure perderò l’autobus.»
«Okay, ti lascio andare. Passa una bella giornata, piccola.» Sospira.
«Anche tu», mormoro.
Jameson rimane in linea. Persino ora che si trova dall’altro capo del
mondo, ha un certo effetto su di me. Sta aspettando che gli dica che sento la
sua mancanza… lui lo fa sempre.
«Mi manchi», gli dico sorridendo.
«Anche tu.»
«Ci sentiamo stasera.»
«Okay. Ciao.»

Molly ed io siamo state fuori a cena, e ora lei mi sta riaccompagnando a


casa. Il suo cellulare squilla attraverso il Bluetooth dell’auto a cui è
collegato. Il nome Michael illumina lo schermo.
«Pronto», risponde.
«Oh mio Dio, Molly. Mi serve il tuo aiuto.»
«Che c’è che non va?» farfuglia lei, rallentando.
Michael è il suo ex marito. Io ascolto con gli occhi sgranati.
«Ho preso qualcosa e mi sono messo alla guida. Sono appena svenuto e
ho colpito il guardrail con la macchina.»
«Cosa?» strilla la mia amica, fermandosi sul ciglio della strada.
«Mi gira tanto la testa.»
«Porca miseria, dimmi dove sei!»
«Sono in autostrada, vicino alla stazione di servizio dove spesso
facciamo rifornimento.»
«Okay, sto arrivando.» Fa un’inversione a U e sfreccia nella direzione
opposta.
Guida come una matta, e io mi tengo con tutte le mie forze. «Sai fare la
respirazione bocca a bocca?» le chiedo.
«No.» Scrolla le spalle. «Forse un pochino. Puoi cercare su Google cosa
può significare uno svenimento?»
Le obbedisco. «Non dovremmo chiamare un’ambulanza?»
«Forse.» Mi guarda e poi torna a concentrarsi sulla strada, richiamando
l’ex marito.
«Pronto», risponde lui con voce debole.
«Stai bene?»
«Sì.»
«Devo chiamare un’ambulanza?»
«No», replica Michael con tono secco. «Vieni qui e basta.»

Cinque minuti più tardi, ci fermiamo dietro la macchina di Michael e lo


vediamo accasciato sul sedile davanti. Entrambe usciamo per accorrere
verso di lui.
«Grazie a Dio sei qui», farfuglia l’uomo, vedendo la mia collega. Poi mi
nota e la sua espressione si fa sgomenta.
«Va tutto bene. Lei è Emily», mi presenta Molly. «Che cosa è
successo?»
Michael punta un dito contro di noi. «Giurate di non dirlo a nessuno.»
«Cosa?»
Esce dalla macchina, e tutte e due abbassiamo lo sguardo: ha
un’erezione gigantesca.
«Ma che cazzo!» esclama Molly.
«Stasera avevo un appuntamento con una tizia conosciuta su Tinder,
quindi ho preso un Viagra, ma sembrava che non funzionasse e allora ne ho
presi altri due.»
Inorridita, mi porto una mano alla bocca, mentre Molly sgrana gli occhi.
«Hai preso tre Viagra?»
Lui annuisce, con un’eccitazione tale che rischia di spaccargli i
pantaloni.
«Cazzo, sei l’uomo più stupido che abbia mai conosciuto.»
«Senza dubbio.» Michael sussulta. Fa per muoversi, ma ha un capogiro
e deve reggersi all’auto per rimanere in piedi.
«Sali in macchina», gli ordina la mia amica. «Ti porto al pronto
soccorso.»
«Cosa?» balbetta lui. «No.»
«Non ti rimane più sangue in tutto il corpo, stupido coglione!» esclama
Molly.
Michael affonda il viso tra le mani, e io vorrei davvero scoppiare a
ridere. Mordo il labbro per impedirmelo, spostando lo sguardo tra i due.
«Che cosa possono fare al pronto soccorso?» grida lui.
«A parte ridere dell’uomo di mezza età con un’erezione da Tinder,
niente. Sali su quella dannata auto.»
Il suo ex marito cerca di incamminarsi, ma finisce per cadere a terra, ed
entrambe accorriamo per farlo alzare e metterlo a sedere sul sedile del
passeggero di Molly. Io salgo dietro.
La mia amica gli lancia un’occhiataccia mentre lui si stende sul sedile,
in preda al dolore. Rimango in silenzio, non sapendo cosa dire. Al pronto
soccorso prenderò un taxi per tornare a casa. Non voglio restare loro tra i
piedi.
Mentre guida, Molly non smette di scuotere la testa. «Quindi… fammi
capire bene, Michael. Stasera saresti dovuto uscire con Madame Puttanone
e ti sei ridotto così per soddisfare a letto questa sconosciuta?»
Michael le lancia un’occhiataccia e serra la mascella, come se sapesse
cosa sta per succedere.
«Non ti disturbavi nemmeno più a fare sesso con me, Michael!» esplode
lei. «Come diavolo pensi che mi faccia sentire questo?»
«Perché a te non piaceva, cazzo», sbotta a sua volta lui.
«Perché mi davi solo due bottarelle.»
Spalanco gli occhi. Oh, cacchio. In questo momento, non vorrei proprio
essere qui. Sprofondo nel sedile per nascondermi.
«Perché credi che debba prendere quella roba? Eh?» grida Michael.
«Perché ho sempre saputo di essere una gran delusione per te.»
Molly strabuzza gli occhi, furiosa. «Non sei mai stato una delusione. Eri
pigro e non te ne fregava nulla.»
«Sì che mi importava!» esclama lui. «Averti persa è il mio più grande
rimpianto.»
Mi prendo la testa tra le mani, imbarazzatissima. Mi domando se si
accorgerebbero se mi gettassi fuori dall’auto in corsa.
La mia amica gli rivolge uno sguardo torvo, e la macchina si avvicina
pericolosamente al guardrail. «Occhi sulla strada, Moll», bisbiglio. Lei
raddrizza il volante.
«E perché stasera non hai chiamato quella per farti venire a prendere,
eh?»
«Perché non voglio dirle niente di me», sospira lui, prendendosi il volto
tra le mani, chiaramente turbato.
«Perché no?» grida Molly.
«Perché lei non è te!»
Nell’auto cala il silenzio, e i miei occhi si riempiono di lacrime. È
ancora innamorato di Molly. Oh… è così triste…
Qualche momento più tardi, arriviamo in ospedale. Lo aiutiamo a uscire
dall’auto e a entrare nella sala d’attesa, dove Molly si dirige subito al
bancone.
«Mio marito deve vedere qualcuno, per favore.»
«Qual è il problema?» chiede l’infermiera.
Lei raddrizza le spalle, preparandosi a dichiararlo ad alta voce. «Per
sbaglio gli ho dato troppo Viagra.»
Michael le prende una mano in un ringraziamento silenzioso, e io
sorrido dolcemente. Lo sta coprendo per evitargli l’imbarazzo.
«Oh.» L’infermiera rimane sgomenta e va a prendere una sedia a rotelle.
Con Molly accanto, lui viene portato via lungo il corridoio.
Mi accomodo e faccio un profondo respiro, ritrovando la mia fede nella
razza umana. Stasera ho imparato una lezione: l’amore può assumere tante
forme e dimensioni diverse.

Jameson

A mano a mano che elenco gli argomenti della nostra riunione, tamburello
le dita sulla lavagna bianca di fronte a me. «Questa proiezione è basata sulla
situazione attuale. Tuttavia, qualcosa potrebbe cambiare alla fine delle
elezioni.»
Una vibrazione. Il mio cellulare scivola sul ripiano, e io getto uno
sguardo verso gli uomini seduti attorno al tavolo delle conferenze.
Dannazione, lo lascerò suonare. Nello stesso istante, Elliot dà un’occhiata al
mio telefono, vedendo il nome di chi mi sta chiamando: FB.
Voglio sentire la sua voce, e non sarà un problema se mi prendo due
minuti di pausa. «Devo rispondere a questa telefonata. Elliot, nel frattempo
potresti spiegare la strategia pubblicitaria per il prossimo mese, per
favore?»
«Certo.» Mio fratello si alza e subentra al mio posto, mentre io rispondo
alla chiamata uscendo dalla sala e dirigendomi nell’ufficio di Christopher lì
accanto.
«Pronto.»
«Ciao.» La voce allegra di Emily risuona dall’altro capo del telefono.
«Ehi.» Mi ritrovo a sorridere come uno sciocco, di fronte a una finestra
che dà su Londra.
«Ho interrotto qualcosa?» mi chiede.
Faccio un sorrisetto. Solo una riunione con dodici dirigenti. «No, niente
affatto.»
«Ti ho chiamato per dirti che ho comprato un nuovo paio di scarpe da
ginnastica.»
Sorrido. «Davvero?»
«Già, hanno le rotelle, quindi, da adesso in avanti, quando andremo a
correre nel parco, ti farò mangiare la polvere. Ho solo pensato di avvertirti.»
Dio… è così piacevolmente normale. Quando è mai successo che una
donna mi chiamasse per dirmi che aveva comprato un paio di scarpe da
ginnastica nuove?
«Ne dubito fortemente.»
«Oh, accidenti, non crederai a cosa è successo ieri notte», continua lei.
«L’ex marito di Molly ha preso due Viagra, forse tre, ed è svenuto mentre
stava guidando perché non aveva più sangue in corpo, visto che era tutto
affluito al suo pisello, quindi abbiamo dovuto portarlo al pronto soccorso.»
Scoppio a ridere. «Ma che diavolo? Può succedere davvero una cosa del
genere?»
«A quanto pare, sì. E chi lo sapeva?»
Sgrano gli occhi. Gesù. «Dovrò smettere di prenderlo, allora», scherzo.
Emily fa una risata. «No, fai pure. Ora so perfettamente cosa fare. Vale
la pena di svenire. Continua pure a prendere le tue pillole, dobbiamo solo
legarti stretto l’uccello. Ho tutto sotto controllo.»
Entrambi ridiamo e poi rimaniamo in silenzio.
«Tre giorni», mormoro.
«Tre giorni», ripete lei.
Dio, non sono mai stato tanto ansioso di tornare a casa in tutta la mia
vita.
«Che stai facendo adesso?» le domando.
«Sto per farmi una maschera al viso e infilarmi nella vasca da bagno
con delle fette di cetriolo sugli occhi. Ti stai perdendo un vero spettacolo.»
«Senza dubbio.» Sorrido. Possiede una bellezza naturale, per nulla
artefatta. Non cerca di essere qualcosa che non è. Amo questo lato di lei.
Amo molti lati di lei… «Quindi ora hai aggiunto i cetrioli alla tua beauty
routine?» le chiedo.
«Già, a quanto pare servono a ridurre il gonfiore del contorno occhi.»
Faccio un ampio sorriso. «I cetrioli sono utili per molte cose. Forse
dovremmo aggiungerli anche alla nostra routine sessuale.»
Emily scoppia a ridere. «Sei un pervertito, signor Miles.»
«Me lo dici sempre.»
«Adesso ti lascio andare.»
Faccio un sorrisetto, guardando fuori dalla finestra. «Ci sentiamo,
Emily.»
«Ci sentiamo, Jay», bisbiglia lei. Chiude la chiamata, e io torno in sala
riunioni per riprendere il mio posto.
In questo momento, è Christopher a parlare, e io mi accomodo accanto a
Elliot. Lui si sporge verso di me e mormora: «Ora hai Zuckerberg tra le
chiamate rapide?»
«Eh?» Aggrotto la fronte.
«FB… sta per Facebook, giusto?»
Mi acciglio e poi mi rendo conto che sta parlando della telefonata di
Emily.
FB sta per Fuck Bunny, la coniglietta del sesso, non per Facebook.
Ghigno e mi stringo la base del naso mentre mi sfugge una risatina.
«Che c’è di tanto buffo?» sussurra Elliot.
«Zuckerberg ha comprato un paio di scarpe da ginnastica con le
rotelle.»
Mio fratello rotea gli occhi. «Non mi sorprende. Quel tizio è fuori di
testa.»

Salgo in taxi con un migliaio di pensieri che si affollano nella mia mente.
Ne abbiamo passate così tante, noi due… Sto andando a trovare la mia ex,
la donna che sarebbe dovuta essere l’amore della mia vita.
Da quando ho visto Claudia, è passato ormai molto tempo. L’ultima
volta in cui sono venuto a Londra, lei era in America. Il fatto che siamo
entrambi maniaci del lavoro è sempre stato contro di noi, il tempo insieme
era prezioso.
Busso alla porta ed espiro; ho i nervi a fior di pelle. Lei apre di colpo e
il suo bellissimo viso appare nel mio campo visivo. Mi fa un ampio sorriso
e mi getta le braccia attorno al collo.
«Grazie a Dio sei qui», sussurra contro la mia pelle. «Mi sei mancato.»
Capitolo 16

Jameson

«C .» M . I tocco è
caldo… familiare. «Come stai?» le chiedo.
«Bene ora che sei qui.» Mi prende tra le braccia, e io le sorrido. Tra di
noi c’è un legame che non potrà mai spezzarsi. Poi mi rendo conto di cosa
sto facendo, così mi libero dal suo abbraccio e mi allontano. Non avevo
intenzione di ritrovarmi stretto a lei oggi.
Claudia mi rivolge un’espressione triste, ma si riprende in fretta. «Ci
sono novità sul sabotaggio della Miles Media?»
«No, non ancora.»
Mi osserva per un momento, e il suo sguardo penetrante incrocia il mio.
«Hai qualcosa per la testa. Di cosa si tratta?»
«Ho conosciuto qualcuno.»
«No.» Mi dà le spalle, va in cucina e mette la teiera sul fuoco.
«Non ho potuto farci niente.» Mi avvicino a lei e allungo una mano per
toccarla, ma poi mi trattengo. Faccio un passo indietro per sicurezza.
«Non dirmi che non sei riuscito a impedirtelo, quando sappiamo
entrambi che puoi eccome.»
«Provo una forte attrazione per lei.»
«Un’attrazione fisica?» mi chiede con la voce piatta.
Stringo le labbra, guardandola; da un momento all’altro darà di matto.
«All’inizio, sì. Credevo che fosse solo fisica.»
Mi fissa negli occhi. «Da quanto tempo la conosci?»
«Da un anno.»
Mi rivolge un’espressione infuriata. «Ti vedi con una donna da un
anno?»
«No», sbotto. «Ci siamo incontrati in aereo un anno fa, abbiamo passato
una notte insieme durante uno scalo e di recente ci siamo rivisti.»
«E quindi? Jameson, sei andato a letto con moltissime donne durante la
nostra pausa», replica lei, furiosa.
«Questa è diversa, Claudia», dico piano.
Rotea gli occhi, disgustata, e mi dà di nuovo la schiena.
«Ho pensato a lei.» Mi interrompo, incerto su quanto raccontarle. «Mi è
capitato spesso da quando ci siamo conosciuti, e poi è stato come se…»
Smetto di parlare e la fisso, aspettando che mi dica qualcosa.
«Come se cosa?» mi domanda alla fine.
«Come se l’avessi riportata nella mia vita con il pensiero.»
Si gira bruscamente verso di me. «Che cosa vuoi dire?»
«Pensavo di continuo a lei… e poi è apparsa nel mio ufficio.»
Claudia alza gli occhi al cielo, poco colpita. «Ovvio che sia tornata… tu
sei Jameson Miles.»
«Non aveva idea di chi fossi quando ci siamo conosciuti. Le ho dato un
nome falso.»
«Quindi perché sei qui, Jameson?» domanda.
Scaccio il rimpianto che mi chiude la gola. «Sono qui per chiudere la
nostra storia.»
«Non farlo.» Punta un dito contro di me. «Non osare gettare via tutto
ciò per cui abbiamo lottato tanto.» Le si riempiono gli occhi di lacrime.
«Claud.» Sospiro. «Non stiamo bene insieme. Siamo due stacanovisti,
viviamo ai lati opposti del globo, e, a meno che uno di noi due non perda il
lavoro, questo non cambierà mai. Io posso stare solo a New York.» «Se
tornassi in città?» suggerisce.
«E rinunceresti al lavoro dei tuoi sogni?» Sospiro di nuovo. «Non ti
permetterei mai di fare una cosa del genere per me. Lo so quanto ti sei
impegnata per la tua carriera.»
Claudia mi fissa, e io la prendo tra le braccia. «Devi innamorarti di
qualcuno che possa sostenerti nel tuo ruolo.»
«L’ho già fatto», bisbiglia lei, aggrappandosi a me.
Chiudo gli occhi e le bacio una tempia. «Due persone tanto simili non
possono avere una relazione duratura. Dobbiamo stare con il nostro
opposto, Claud.» La stringo un po’ più forte. «Due maniaci del lavoro come
noi non possono funzionare. Siamo entrambi troppo concentrati e troppo
stressati per prenderci cura l’uno dell’altra.»
Claudia mi guarda, e capisco che, nel profondo, sa che ho ragione. Ha
gli occhi lucidi. «Che cosa è successo al nostro piano quinquennale?»
bisbiglia.
«Era buono nella teoria, ma, andiamo… Quando ci siamo presi questa
pausa, sapevamo entrambi che c’era una grossa possibilità che non ci
rimettessimo insieme.»
«Tornerò a New York», mi supplica.
Sostengo il suo sguardo e so che non c’è un modo semplice per dirlo.
«È troppo tardi. Provo qualcosa per Emily. È lei che voglio ora.»
Il suo viso si contorce in una smorfia di pura rabbia. «Quindi si chiama
Emily, eh?» dice con la voce carica di disprezzo. Stringo i denti. «Chi
sarebbe? Che cosa fa?»
«È solo una ragazza normale di periferia.»
Claudia rotea gli occhi, disgustata. «Tu… con una ragazza normale? Ah,
bello scherzo. Immagino che cucini, pulisca, si prenda cura di te e ti succhi
il cazzo a comando, vero?»
Inspiro a fondo per tenere a bada l’ira. «È la persona giusta per me.»
«Io sono quella giusta per te», sbotta lei.
«Come collega di lavoro o dipendente, sì. Come compagna di vita…
non proprio.» Le si riempiono di nuovo gli occhi di lacrime. «E io non sono
quello giusto per te.» Scrollo le spalle. «Sono così impegnato che non posso
essere presente. Meriti qualcuno che si prenda cura di te, ma io non posso
farlo da New York. Lo sai che non posso. Non c’è modo di superare questa
situazione. Le nostre vite seguono strade diverse. Due amministratori
delegati di due grandi aziende non possono portare avanti le loro carriere e
coltivare una relazione ai lati opposti del mondo. È una missione
impossibile.» Mi interrompo, cercando di spiegare bene ciò che voglio dire.
«Prima di incontrare lei… non avevo capito cosa entrambi ci stessimo
perdendo. Sia tu che io.» Mi guarda fisso negli occhi. «Vorrei che fosse
toccato a te dirmi che hai conosciuto qualcuno, così non dovrei farlo io. Ti
amo, e sei l’ultima persona che vorrei ferire. Preferirei di gran lunga che tu
ferissi me.»
Claudia si allontana per lasciarsi cadere sul divano, mentre elabora
quell’informazione. Rimango in silenzio a osservarla.
«E quindi adesso cosa succede?» mi chiede.
«Tornerò a casa e le chiederò di venire a vivere da me.»
Il suo volto assume un’espressione sgomenta. «Cosa?»
«E annuncerò la nostra relazione.»
Claudia china il capo per la tristezza. «Che fretta c’è?»
«Mi conosci. Sono un tipo da tutto o niente.»
Mi rivolge una smorfia senza smettere di piangere. «Hai intenzione di
sposarla?» Resto in silenzio. «Mi hai chiesto di sposarti quattro settimane
dopo che ci siamo conosciuti. Sei…» Le manca la voce per il dolore che
deve provare in questo momento.
Stringo i denti per impedirmi di dire qualcosa di cui mi pentirei. Lei
abbassa di nuovo la testa, singhiozzando. Devo andarmene prima che si
arrabbi. «Ora vado via.»
Alza lo sguardo a incontrare il mio. «Ti amo», bisbiglia.
Faccio un sorriso triste e la prendo tra le braccia. «Anche io ti amo.» Ci
stringiamo a lungo. «Sii felice», sussurro tra i suoi capelli.
«Come potrei mai esserlo senza di te, Jameson?» mormora lei di
rimando. «Non andare…»
«Devo.»
Mi libero dal suo abbraccio e, senza un’altra parola, mi giro ed esco
dalla casa a schiera di Claudia. Salgo sui sedili posteriori dell’auto in attesa
e, mentre il veicolo parte, guardo fuori dal finestrino.
«Addio, Claudia», bisbiglio, fissando il panorama che scorre via. «Punta
sempre in alto, piccola.» Mi si stringe la gola al pensiero di tutti i bei
momenti che abbiamo condiviso. «Ti meriti il meglio.»

Sfreccio attraverso l’ultimo isolato. Sono le quattro del mattino, e sto


correndo a New York.
Amo questa città di notte, c’è un’aura di pace che manca durante il
giorno.
La notte scorsa, in aeroporto, ho fatto il pieno di scotch e ho dormito per
tutto il viaggio fino a casa, quindi ora sono carico di energia. Il mio volo è
atterrato alle due, troppo tardi per andare da Emily… non che questo mi
abbia impedito di correre fino a qui.
Ansimando, raggiungo il suo palazzo, lo fisso e mi avvicino al citofono.
Alzo il dito, pronto a premere sul pulsante. Il mio petto si alza e si abbassa
in un ritmo concitato, e io ho un attimo di esitazione. Sono le quattro del
mattino, e domani Emily deve lavorare.
Non essere sciocco.
Cazzo, con lei non riesco a trattenermi… sono un maledetto egoista. La
vorrei a tutte le ore del giorno e della notte.
Torno in strada e mi fermo sul canale di scolo, con le mani sui fianchi
mentre cerco di riprendere fiato. Inizia a cadere qualche goccia di pioggia, e
alzo lo sguardo verso il cielo. Adoro correre mentre piove. L’acqua prende a
scendere con maggiore intensità, e mi giro per guardare di nuovo il palazzo
di Emily. Conto i piani fino a posare lo sguardo sulle sue finestre.
La immagino addormentata nel suo letto, con i lunghi capelli scuri
sparsi sul cuscino, lo splendido corpo voluttuoso piegato come suo solito e
quegli occhi, che potrebbero convincermi a fare qualsiasi cosa, chiusi nel
sonno.
Domani… Beh, ormai oggi.
Mentre la pioggia si tramuta in un vero e proprio diluvio, sorrido nella
direzione della sua finestra e mi giro per iniziare la lunga corsa fino a casa.
Domani ripartirò da zero con Emily Foster.

Emily

Attraverso il controllo della sicurezza quasi saltellando. La scorsa notte,


Jameson è tornato a casa e oggi potrò vederlo. Sono così emozionata che mi
sono persino alzata prima per arricciarmi i capelli e ho messo anche la mia
gonna grigia. Una settimana non mi è mai sembrata tanto lunga. Prendo
l’ascensore per il mio piano e mi accomodo alla mia scrivania.
«Ehi», mi saluta Aaron da sopra la sua tazza di caffè.
«Ciao anche a te.» Gli sorrido.
«Cos’è questo look?» mi domanda malizioso.
«Jameson è tornato a casa.»
«Come lo sai?»
«Beh, è quello che mi auguro. Mi ha chiamata dall’aeroporto ed era un
po’ alticcio, quindi spero sia riuscito a salire sull’aereo.»
Alzo lo sguardo e noto Hayden vicino alla fotocopiatrice, intento a
parlare con un gruppo di ragazze. «Quanto bene conosci Hayden?» gli
chiedo.
«Mmh.» Ci riflette per un istante. «Non molto. Molly lo ha conosciuto
durante il suo impiego precedente.»
«E dov’era?» domando, accendendo il computer.
«Hanno lavorato insieme al Gazette.»
Gli lancio un’occhiata. «Molly è stata al Gazette?» «Sì, per
degli anni. Poi è stata reclutata dalla Miles Media.» Merda.
Un pensiero ben poco confortante mi attraversa la mente.
No, non Molly. Non essere sciocca. Non potrebbe essere lei. Non
pensarci nemmeno.
La settimana scorsa, Tristan ed io abbiamo messo alla prova la mia
teoria, e ogni volta che ho consegnato una storia ad Hayden prima delle
quattro, il giorno successivo è finita sul Gazette. C’è di sicuro qualche
collegamento. Ciò che stiamo cercando di scoprire è se il colpevole sia
Hayden o qualcuno sopra di lui.
Mi piace Tristan. È divertente, intelligente e con un carattere molto
meno scontroso rispetto a quello di suo fratello.
«Che cos’è successo con Paul la notte scorsa?» gli chiedo.
«È venuto da me.» Aaron mi guarda, imbarazzato.
«Oh Dio», borbotto con tono secco. «Non dirmi che sei andato a letto
con lui.»
Aaron batte con forza sulla tastiera del suo computer. «Già. Non riesco a
resistere a quel bastardo.»
«Vi siete chiariti?»
«No. Voglio beccarlo in flagrante.»
«Allora perché te lo stai ancora scopando?» sbotto. «Cazzo, Aaron,
smetti di farti usare.»
«Per la cronaca, sono io che sto usando lui.» Alza gli occhi al cielo,
bevendo un sorso del suo caffè.
«Nessuno ha un uccello che valga tanto», sbuffo.
«Tranne lui», sospira Aaron con tono triste.
«Che schifo.» Faccio una smorfia. «Lasciami da sola con quello stronzo
e un trinciapollo per cinque minuti. Glielo stacco, così te lo puoi portare
via.» Lui scoppia a ridere, e il mio telefono squilla. «Pronto.»
«Salve, Emily, sono Sammia.» «Oh,
salve.» L’eccitazione mi assale.
«Il signor Miles vorrebbe vederti subito nel suo ufficio, per favore.»
Un enorme sorriso illumina il mio volto. «Arrivo.» Riattacco e mi
alzo.
«Dove stai andando?»
«Oh, altra formazione», mento.
«Gesù, presto sarai più qualificata di chiunque altro in questo ufficio.»
«Lo so.» Gli sorrido. «Torno tra poco.» Prendo l’ascensore fino
all’ultimo piano e le porte si aprono. Riesco a malapena a rimanere seria.
Lui è qui.
Vorrei mettermi a correre.
«Buongiorno, Emily», mi accoglie Sammia con il suo solito tono
cortese. «Vai pure.»
«Buongiorno. Okay, grazie.» Attraverso il corridoio fino all’ufficio di
Jameson e busso alla sua porta.
«Avanti», dice la sua voce morbida e profonda.
Apro, e lui mi guarda con l’espressione più carica di desiderio sessuale
che abbia mai visto. Rimango senza fiato. In piedi accanto alla finestra, con
il suo completo blu scuro e la camicia candida, è un perfetto esemplare di
virilità. Mi ero dimenticata di quanto fosse magnifico.
Mi rivolge un sorriso sexy. «Ciao.»
«Ehi», sussurro. Devo impedirmi di correre fino a lui.
L’aria tra di noi crepita di eccitazione. Jameson mi raggiunge per
prendermi il viso tra le mani e baciarmi, sfiorandomi la lingua con la sua.
Mi sento cedere le ginocchia.
«Mi è mancata la mia ragazza», mormora contro le mie labbra.
Gli sorrido, e lui si avvolge la mia coda di cavallo tre volte attorno a una
mano per piegarmi la testa all’indietro. Mi passa la lingua sulla clavicola e
mi lecca lungo il collo.
«Io ti sono mancato?» mi domanda, stringendo la mia carne tra i denti.
Sussulto, preda dell’eccitazione che mi scorre nelle vene come le rapide
di un fiume. Gesù, l’amministratore delegato è tornato in tutta la sua gloria.
«Dio, sì», ansimo.
Mi bacia di nuovo, e in quel momento la porta si apre. «Ehi», dice la
voce di Tristan, e Jameson si interrompe all’istante.
«Non ora, Tristan», gli risponde senza lasciare andare i miei capelli. I
suoi occhi cupi rimangono fissi nei miei.
Il modo in cui mi sta guardando mi fa battere forte il cuore. È diverso…
più intenso.
«Scusate», replica suo fratello, prima di chiudere la porta.
Jameson mi bacia di nuovo. La mia testa è reclinata all’indietro, proprio
come vuole lui. «Voglio provarci.» «A fare cosa?» sussurro.
«Questo, noi due.»
«Credevo che lo stessimo già facendo.» Aggrotto le sopracciglia.
«No. Prima stavamo scopando. Ora ti voglio.» Mi morde il collo, e io
gemo. «Voglio tutto di te.» Mi afferra il sedere e mi attira contro il suo
membro duro e in attesa.
Oh, accidenti… bentornato a casa.
Bacio le sue labbra carnose. «Okay.»
Mi tiene il viso tra le mani e mi fissa, mentre io rimango senza aria nei
polmoni. «Questa sera. Casa mia», sussurra.
Sorrido dolcemente e il mio punto più sensibile inizia a pulsare, mentre
io inizio già a pregustare quello che succederà. «Sì.»
«Vuoi andare fuori a cena?»
«No, voglio cucinare. Hai qualcosa in casa?»
Aggrotta le sopracciglia. «Dirò ad Alan di andare a fare un po’ di
spesa.»
«No», rispondo, accigliandomi. «Andrò io al supermercato.»
Non smette di muovere le mani lungo il mio corpo con fare
febbricitante, come se non sapesse da che parte iniziare. «Almeno prendi la
limousine.»
Arriccio il naso. «Non ho intenzione di andare a fare la spesa in
limousine.»
Mi afferra le dita per appoggiarsele sulla grossa erezione sotto ai
pantaloni del completo, e io la stringo. Gli brillano gli occhi per
l’eccitazione. «Ho bisogno di te», ansima, mordendomi il labbro inferiore.
«Oh Dio, anche io.» Mi libero dalla sua stretta, cercando di riprendere
fiato. «Ma devo tornare al lavoro.»
Cazzo… e invece sarebbe così facile restare qui e scoparmi il capo.
«Chiederò ad Alan di portarti la macchina. Puoi usarla tu d’ora in
avanti.»
«La macchina?» Mi acciglio.
Ha una macchina?
«Usala come se fosse tua.» Mi stringe contro il suo corpo. È
completamente distratto per l’eccitazione che prova.
«Mi serve solo oggi per fare la spesa. Non infastidire Alan. Posso venire
io a prenderla al tuo appartamento.»
«Il nostro appartamento.» Mi affonda i denti nel collo, come per
divorarmi. Ho la pelle d’oca su tutto il corpo.
«Eh?»
«Verrai a vivere da me.»
«Cosa?» La nebbia di eccitazione si dirada per un attimo, e mi libero dal
suo abbraccio. «Che cosa hai detto?»
I suoi occhi blu scuro brillano, deliziati. «Se prendo una decisione, lo
faccio per bene.»
Lo fisso. Ma che cavolo?
«Io non faccio le cose a metà, Emily. Se stai con me, stai con me.»
«Jameson», bisbiglio. «Sei impazzito?»
«Ho in programma una riunione dopo l’altra per tutto il giorno, o ti
piegherei subito sulla mia scrivania.» Mi fa voltare e mi dà una pacca sul
sedere. «Ora torna al lavoro prima che lo faccia per davvero.»
Guardo la porta, ansimando. L’immagine di me stesa sul suo tavolo a
gambe aperte mi turbina nella mente. Come posso riuscire a mettere
insieme un pensiero coerente dopo che mi ha detto una cosa simile?
«Sissignore.» Mi incammino verso l’uscita.
«Ah, Emily?» mi chiama con il suo tono imperioso. Mi giro. «Oggi
annuncerò che abbiamo una relazione.»
Lo guardo con le sopracciglia aggrottate. Il mio cervello è in preda alla
confusione. «Perché?»
«Perché detesto fare le cose di nascosto.» Si interrompe e incrocia il
mio sguardo. «E voglio che tutti sappiano che sei mia.» Continuo a fissarlo.
Eh?
Sua.
Non ho parole… mi ha lasciata completamente ammutolita.
«Oh.» Lo guardo. «Okay?» Poi mi volto e mi dirigo verso il foyer. «Ci
vediamo», borbotto, distratta.
O Jameson Miles è impazzito del tutto, o sono finita in un universo
parallelo.

Due ore più tardi, sono seduta a fissare il mio computer. Quando sono
tornata, ero troppo sbalordita per parlare dell’incontro in stile Ai confini
della realtà di questa mattina nell’ufficio di Jameson. Mi è servito tutto
questo tempo per comprendere le sue parole.
Sono arrivata alla conclusione che è intontito da morire dal jet lag e che
sta avendo un qualche tipo di allucinazione. Il mio cellulare vibra sulla
scrivania, e appare la mia lettera preferita: J.
Gli rispondo con un sorriso. «Salve, signor Miles.»
«Come sta la mia ragazza?» mormora la sua voce sexy dall’altra parte
della linea.
«Ti senti bene?» gli domando perplessa.
«Benissimo, perché?»
«È solo che sei molto…» mi interrompo, cercando la parola giusta,
«strano.»
Lui emette una risata morbida e profonda, e la sento fin dentro le ossa.
«Non mi sento strano.»
«Ti stai comportando in modo strano, però.»
«Ti chiamo solo per dirti che domani sera avremo una cena.»
«Che cena?»
«I Media Awards», mi risponde con calma.
«I Media Awards», ripeto.
«Sì, è quello che ho detto.»
Lancio un’occhiata ai miei due amici del lavoro, che sono totalmente
ignari delle assurdità che stanno uscendo dalla bocca del mio compagno di
jogging. «Dove sarebbe?»
«Qui a New York. Ci sarà la mia famiglia. Potrai conoscerli tutti.»
Sgrano gli occhi mentre il panico si impossessa di me. «Bene, e come ci
si deve vestire?»
«In abito formale.»
Mi sento sbiancare. «Non ho nessun vestito da sera qui», balbetto. Non
ne ho neanche a casa dai miei, ma non è necessario che lui lo sappia.
«Non c’è problema. Chiederò che ci portino qualcosa stasera
all’appartamento, così potrai scegliere quello che vuoi.»
Mi gratto la testa, confusa. «Potrei venire al prossimo evento», gli
propongo. «Ti aspetterò a casa, a letto. I Media Awards non fanno proprio
per me.»
«Emily», mi dice lui con tono calmo.
«Sì?»
«Verrai con me.»
«Jay», bisbiglio, sentendo il panico arpionarmi la gola.
«Ci vediamo stasera. Farò un po’ tardi perché ho una teleconferenza.
Alan ti aspetterà di fronte all’ingresso laterale alle cinque, con le chiavi
dell’auto e quelle dell’appartamento.»
«Okay.» Riempio le guance d’aria e poi rilascio il fiato, cercando di
calmarmi. «Ci vediamo dopo.»
Riattacco e mi prendo la testa tra le mani.
«Che c’è?» mi chiede Molly.
«Jameson è impazzito.»
«Perché?»
«Vuole che domani vada a non so che cena di premiazione con tutta la
sua famiglia.»
Aaron e Molly sgranano gli occhi. «Cosa?»
«E mi ha detto che posso usare la sua auto come se fosse mia, ma io non
so nemmeno dove trovare un supermercato a New York.» «Oh, dovresti
andare a quello sulla Quinta.» «E come ci arrivo?» Mi acciglio.
«È sulla strada. Se vuoi posso venire con te, e poi da lì prenderò la
metropolitana.»
«Ne sei sicura?»
«Sì, tanto questa settimana non ho i ragazzi. Non è che abbia chissà che
altro da fare.»
Sono le cinque del pomeriggio e abbiamo appena finito di lavorare. «Dove
ha detto che ti avrebbe aspettata?» mi chiede Molly, prendendomi
sottobraccio mentre usciamo dal palazzo della Miles Media attraverso il
portone principale.
«Qui dietro, all’uscita laterale.»
«Che cosa cucinerai?» mi domanda.
«Mmh, costata di manzo con una salsa ai funghi, carote al miele e
broccoletti.»
«Mmh, che buono. È un bastardo fortunato. Vorrei che qualcuno venisse
da me a cucinare tutte queste cose.»
«Vero.» Giriamo l’angolo, alziamo lo sguardo ed entrambe ci fermiamo
di colpo. «Ma che cazzo…» sussurro.
Alan è in piedi accanto a quella che sembra una macchina del tempo, e
io sgrano gli occhi in preda al panico. È un’auto nera e bassa, nonché la più
sportiva che io abbia mai visto. I suoi cerchi in lega da soli devono costare
più di un normale veicolo.
Alan mi fa un sorriso pieno di calore. «Salve, Emily.»
Guardo prima la macchina e poi la gente di passaggio che la sta
occhieggiando. «Salve.»
Mi consegna le chiavi e una tessera. «Queste sono per l’auto, e questa è
la sua nuova chiave dell’appartamento.»
Fisso i due oggetti che ho in mano. «Quella è l’auto?» bisbiglio, bianca
in volto.
Lui ridacchia nel vedere la mia reazione.
Molly si preme le mani sulla bocca e inizia a ridere in modo nervoso,
ricordandomi la sua presenza al mio fianco. «Lei è Molly, una mia amica»,
la presento.
«Salve.»
Lei gli sorride.
«Il signor Miles mi ha chiesto di accordarmi con lei per quando vuole
organizzare il trasloco dal suo appartamento.»
Mi schizzano gli occhi fuori dalle orbite. «Cosa?»
«Domenica mattina andrebbe bene? Posso chiamare una ditta di
traslochi.»
Getto uno sguardo verso Molly, che mi sta fissando sbalordita. Okay,
che cazzo sta succedendo qui? «Le farò sapere», rispondo.
L’uomo mi sorride con gentilezza. «Certo.» Apre la portiera dell’auto.
«Dunque, ovviamente sa come guidare una vettura con il cambio manuale,
dico bene?»
«Potrebbe aspettare un minuto?» Sollevo un dito. «Solo un minuto.»
Do le spalle a entrambi e compongo il numero di Jameson.
«Pronto», mormora la sua voce sexy.
«Che razza di macchina è mai questa?» bisbiglio.
«Una Bugatti.»
«Che sarebbe?» sibilo, girandomi di nuovo a guardarla.
«Una Bugatti Veyron. È un’edizione limitata.» «Non
posso guidarla», sussurro, furiosa.
«Perché no?»
«Beh…» Mi guardo attorno, imbarazzata. «Non sono molto brava a
guidare, Jameson. Andrò sicuramente a schiantarmi con questa cosa.»
Lui scoppia a ridere, un suono profondo e morbido che mi fa sorridere.
«Emily, ti assicuro che chiunque può guidare quell’auto. In pratica si
guida da sola. Rilassati. Andrai benissimo.»
«Quando hai parlato di una macchina, pensavo ti riferissi a una
Toyota… come una persona normale», balbetto. «E se la
distruggo?» «Non mi importa, purché tu stia bene.» «Jameson»,
sussurro.
«Piccola, al momento sono impegnato in una riunione dello staff con
venti persone. Prendi quello che ti serve, e poi ci vediamo a casa», mi dice
con calma.
«Oh mio Dio!» grido, immaginando tutto il suo staff seduto lì ad
ascoltare la nostra conversazione. «A dopo.» Riattacco in fretta.
Torno da Alan e Molly, che aspettano entrambi che io dica qualcosa. «A
quanto pare, Jameson è impazzito del tutto», mormoro, fissando la
macchina.
Alan ridacchia, e Molly guarda incredula l’auto.
«Credevo che fosse una Toyota», aggiungo con una smorfia.
L’autista sorride e apre la portiera dal lato del guidatore. «Il signor
Miles non guida le Toyota, Emily.»
Entro nell’auto, e Molly si accomoda sul sedile del passeggero.
«Dove state andando?» ci chiede l’autista.
«A Las Vegas.» Molly ride. «Andiamo a Las Vegas. Quanto vale questa
macchina, Alan?»
«Credo sia costata intorno ai due milioni di dollari.»
«Porca puttana!» strilla la mia amica. «Salga, Alan, andiamo davvero a
Las Vegas.»
Appoggio la testa sul volante e scoppio a ridere. «È incredibile.»
«Andrà benissimo», commenta Alan divertito, sporgendosi dentro per
farmi vedere come avviare la macchina. Fa le fusa come un micio. «Freccia,
freno, marcia indietro.» Indica i vari pomelli e manopole. «Ci vada piano,
schizza come un razzo.» Chiude la portiera, e io metto la freccia.
Mi immetto lentamente nel traffico, accompagnata dalle grida e dalle
risate eccitate di Molly, e, non appena scompariamo dalla vista di Alan,
anche io scoppio a ridere.
«Ma che cazzo sta succedendo?» esclamo.

Due ore più tardi, entro nel parcheggio sotterraneo del palazzo di Jameson.
Ho capito perché prende quella maledetta limousine. Trovare un posto dove
lasciare la macchina in questa città è assurdo. Alla fine, ho lasciato Molly
ad aspettarmi in auto nel parcheggio mentre io prendevo al volo quello che
mi serviva, e poi l’ho accompagnata a casa. Ero terrorizzata che qualcuno
potesse rubare la macchina. Alan mi sta aspettando e mi guida nel garage,
dove parcheggio.
«Grazie.» Gli sorrido, tirando fuori la spesa dal bagagliaio. «Questa
macchina ha l’aria di essere troppo arrogante.»
Lui prende le buste con un piccolo ghigno, e insieme ci avviamo verso
l’ascensore.
«Ha chiuso la macchina, Emily?» mi ricorda.
«Oh, giusto.» Mi volto, sollevando il telecomando, che emette un bip
mentre blocca le serrature. Ridacchio. «Ops.»
Entriamo in ascensore, e lui rimane in silenzio, guardando dritto di
fronte a sé.
«Da quanto tempo lavora per Jameson?» gli chiedo.
«Da dieci anni.»
«Oh.» Mi acciglio. «È parecchio.»
Lui mi sorride. «Sì, è molto gentile con me.»
Arriviamo all’ultimo piano, e Alan apre la porta per entrare e
appoggiare la spesa sul bancone della cucina. «Le serve altro?» mi
domanda. «Il signor Miles è ancora in riunione. Sarà impegnato almeno per
un’altra mezz’ora.»
Lo guardo negli occhi e mi rendo conto che vorrei porgli un milione di
domande sull’enigmatico signor Miles. «Parla spesso con lui durante il
giorno?» gli chiedo.
«No.» Sorride all’idea. «Sono in contatto costante con la sua assistente
personale.»
«Oh.»
«La fisioterapista dovrebbe arrivare alle sette.» Lancia un’occhiata
all’orologio. «Vuole che la aspetti?» «La?» Aggrotto la fronte.
«Ah.» Si corregge. «Ora è un uomo, vero?»
Qualcosa mi dice che Alan sa molto di più del signor Miles di quanto
non lasci intendere.
«Già, comunque no, sono a posto. Lo farò entrare io.» Fingo un sorriso.
«Grazie.» Lo accompagno alla porta.
«Mi chiami se dovesse avere bisogno di qualsiasi cosa», mi dice con
tono cordiale.
«Okay, grazie.»
Torno in cucina e inizio a mettere via la spesa, quando suona il
campanello.
«Chi è?» chiedo, premendo il pulsante sul citofono.
«Salve, sono qui per il massaggio.»
«Salga pure.»
Apro la porta e aspetto che Matthew arrivi.
«Buonasera», mi saluta con tono allegro. «Stessa stanza dell’altra
volta?»
«Sì, per favore.»
L’uomo si avvia lungo il corridoio per prepararsi. Poi la porta si riapre
con un click, e Jameson appare nel mio campo visivo. Ogni volta che lo
vedo in giacca e cravatta, mi torna in mente esattamente chi è. La
personificazione del potere.
«Ciao», mi saluta con aria felice, prendendomi tra le braccia.
«Ehi.» Le sue labbra sfiorano le mie, e io mi sciolgo sotto al suo tocco.
«La tua macchina è ridicola.» Gli sorrido.
Lui ridacchia, prendendomi la mascella tra le dita, poi mi bacia più a
fondo, e io appoggio le mani sulle sue spalle.
Il citofono squilla di nuovo.
«Per l’amor del Cielo, questo posto è un aeroporto», mormoro, irritata
dall’interruzione del mio bacio.
«Oh, devono essere le stiliste con i tuoi vestiti», dice Jameson.
«Il tuo massaggiatore è pronto nella stanza in fondo al corridoio.»
Mi bacia di nuovo. «Falle entrare e scegli quello che vuoi.»
«Jay», bisbiglio, guardandolo negli occhi. Questo suo cambiamento mi
sta confondendo.
«Prendine più di uno.» Mi stringe il sedere. «Io faccio una doccia
veloce.» Svanisce lungo il corridoio, mentre io apro la porta d’ingresso.
Rimango sgomenta quando vedo due splendide donne che spingono un
enorme appendiabiti carico di vestiti magnifici.
«Salve.»
Una è alta con lunghi capelli scuri, e l’altra è bionda e davvero bella.
Entrambe sembrano molto sicure del proprio aspetto e sfoggiano un look
all’ultima moda.
«Buonasera. Il signor Miles ha ordinato dei vestiti», esordisce la bionda.
«Sono Celeste, e lei è Saba.»
«Sì, prego, entrate», mormoro imbarazzata. «Sono Emily.» Ci
stringiamo la mano.
Dio, non dirmi che mi guarderanno provare tutta questa roba. È
mortificante.
«Di qua.» Mostro loro il soggiorno, e le due donne iniziano a tirare fuori
scarpe e accessori mentre io le osservo, a disagio. Mi sembra tutto fin
troppo eccessivo.
«Torno subito», dico con tono educato.
Mi volto per andare in camera da letto, ed entro di colpo in bagno,
trovando Jay che si sta lavando sotto la doccia. «Che diavolo sta
succedendo?» sussurro in preda al panico.
«A cosa ti riferisci?» Lui si acciglia, del tutto inconsapevole di ciò a cui
mi sto riferendo.
«Là fuori ci sono due modelle di Penthouse con un mucchio di vestiti
davvero troppo eleganti per me, ho guidato una maledetta macchina del
tempo, mi hai detto che devo venire a vivere con te e sto andando fuori di
testa, Jameson», sbotto di colpo.
Mi fa un sorrisetto, chiudendo il getto dell’acqua. «Devi solo andare a
scegliere quello che ti piace, Emily. Non rimuginare.»
«Non rimuginare», ripeto io a bassa voce. «Ci ho già rimunto.»
«Rimunto non è una parola», commenta lui tranquillo mentre si asciuga.
«Oh mio Dio», farfuglio, agitata dalla sua noncuranza, e mi precipito di
nuovo dalle stiliste. «Scusate», dico loro, fermandomi accanto
all’appendiabiti. Mi torco le dita con aria nervosa.
«Mi parli del suo stile», esordisce la bionda con tono cordiale. «Che
cos’è che la esalta?»
La fisso. Oh, cavolo. Che cosa sono queste cazzate? «Ehm.» Guardo i
vestiti che ho di fronte.
«Che cosa la fa sentire viva e sexy?» esclama la mora. «Quando si sta
godendo i momenti migliori della sua vita.» Oh, Gesù… questo no.
«Ecco.» Indico l’appendiabiti. «Darò un’occhiata per vedere se trovo
qualcosa che mi piace.»
Inizio a scorrere i vestiti. Wow… sono tutti splendidi.
«Hai trovato qualcosa di tuo gusto, tesoro?» Sento la voce profonda di
Jameson provenire dalle mie spalle.
Mi volto, trovandolo dietro di me con un asciugamano bianco avvolto
attorno alla vita. Ha i capelli bagnati e i suoi muscoli abbronzati sono in
bella mostra. Cazzo, è così bello che mi viene voglia di divorarlo.
Alle due strafighe qui presenti escono gli occhi dalle orbite. «Salve,
signor Miles», balbettano entrambe, facendo scivolare lo sguardo lungo il
suo corpo.
«Salve.» Jameson rivolge loro un sorriso sexy.
Lo fisso impassibile. Fa sul serio?
«Non ne sono sicura. Mi piace tutto», sbotto, tornando a girarmi verso
l’appendiabiti.
È venuto qui solo con un asciugamano addosso… e poi?
Uffa.
Si avvicina a me da dietro e mi appoggia una mano su un fianco,
osservando con attenzione gli abiti. «Prendiamo questo, questo… e questo.»
Studia gli altri. «E tutti quelli da qui in avanti.» «Sì,
signore», esclamano entusiaste le due ragazze.
Lui sposta lo sguardo sulle scarpe e sulla lingerie che hanno disposto sul
tavolino da caffè.
«Prendiamo tutto l’intimo e qualsiasi paio di scarpe Emily scelga.» Poi
mi guarda e mi sorride, chinandosi per baciarmi. «Fatto.» Le due donne ci
osservano, trattenendo il fiato.
Jameson abbassa una mano sul mio fondoschiena e mi dà una bella
strizzata a una natica. «Piacere di avervi conosciute, signore», dice, prima
di avviarsi lungo il corridoio per il suo massaggio.
Mi giro verso le due stiliste che lo stanno guardando allontanarsi con
espressioni estasiate.
Oh Signore.
Credo di aver appena incontrato il vero Jameson Miles… in tutta la sua
gloria.
Capitolo 17

Emily

M
pensieri. Jameson è diverso… e intendo diverso quanto in un episodio di Ai
confini della realtà. Non sono sicura se sia una cosa buona o l’inizio della
fine per noi due. Mi ero appena abituata alla sua precedente stranezza, e ora
lui alza la posta in gioco.
Il massaggiatore se ne è appena andato, e Jameson è di nuovo sotto la
doccia per lavarsi via l’olio. Non ho intenzione di raggiungerlo, perché
finiremmo per fare sesso, e la cena è quasi pronta… ho bisogno di parlargli
senza una nebbia di eccitazione a ottenebrarmi il cervello.
Mi capita fin troppo spesso con lui.
Torna fuori, avvolto nel suo asciugamano, e mi punta addosso lo
sguardo dall’altra parte della stanza. Mi rivolge il più sensuale dei sorrisi.
«Potresti non aggirarti solo con un telo addosso quando abbiamo ospiti,
per favore?» domando. Lui mi fa un ghigno. «In questo momento, quelle
due galline sono a casa a darci dentro con i loro vibratori, immaginandoti in
quell’asciugamano bianco.» Roteo gli occhi. «A godersi», sollevo le dita
per sottolineare il concetto, «i momenti migliori della loro vita.»
Jameson ridacchia, prendendomi tra le braccia. «Sei gelosa, forse?»
«In effetti, sì. Non mi piace che altre donne ti guardino. Mi rende
violenta», gli dico con tono secco mentre mescolo la salsa. «E smettila
anche con quei sorrisetti sexy.»
Mi preme le labbra sul collo, stringendomi da dietro, e sento la sua
erezione contro il mio sedere. «Andiamo a letto.»
«No, prima devi mangiare.» Indico il bancone della cucina. «Siediti.»
Gli brillano gli occhi per la gioia, e fa come gli ho detto. Gli metto
davanti la sua cena. «Mmh, ha un bell’aspetto.» Mi sorride.
Mi accomodo accanto a lui e lo guardo per un momento mentre mangia.
«Perché hai detto ad Alan di far portare qui le mie cose?»
Mastica la sua bistecca. «Perché voglio che tu venga a vivere con me.»
«Da quando? Non ne abbiamo mai discusso.»
«Sì che lo abbiamo fatto.» Manda giù il boccone. «Questa mattina.»
«Quando?» Mi acciglio.
«Quando ti ho detto che volevo fare le cose per bene e tu hai risposto
che era okay.»
Lo fisso, con la mente in preda alla confusione. «Jameson, per me fare
le cose per bene significa tenerci per mano in pubblico e uscire insieme.
Magari conoscere le nostre famiglie.» Mi guarda, aggrottando la fronte.
«Cos’è questo cambiamento improvviso? La settimana scorsa ti sei
infuriato perché mi sono innamorata di te. Non ho potuto nemmeno
guardarti dopo il sesso senza che tu dessi in escandescenze.»
Beve il suo vino, chiaramente irritato. «Avevi detto di non essere
innamorata. Adesso invece ammetti che è così?»
«Non è questo il punto. Sai cosa voglio dire.»
«Voglio che proviamo a far funzionare questa relazione.» Scrolla le
spalle. «Quindi oggi mi sono portato avanti con i piani.»
«Piani?» Mi acciglio. «Non sono una transazione d’affari, Jameson.
Non puoi fare piani senza prima parlarne con me. Questa storia non
riguarda soltanto te, lo sai.» Jameson serra la mascella, seccato, e ricambia
il mio sguardo. «Ci sono due persone in questa relazione, Jay, e il fatto che
tu sia innamorato di me non significa che tu possa sopraffarmi.»
«Questo lo so», dice lui secco. «Quindi adesso sei innamorata di me?
Deciditi, donna.»
«Smettila di cambiare argomento. Capisci cosa ti sto dicendo?»
«Sì, Emily.» Sospira come se il preside della scuola gli stesse facendo
una ramanzina.
«È solo che non so perché tu abbia cambiato idea così all’improvviso.»
Faccio spallucce. «È strano.»
«Non ho affatto cambiato idea. È la situazione che è cambiata.»
«Che cosa significa?» Aggrotto la fronte.
Jameson emette un lungo sospiro. «Sono andato a trovare Claudia a
Londra.»
Oh, no, la sua ex. Ma non dovrei sapere chi è. È meglio che faccia finta
di niente.
«Chi è Claudia?»
«La mia ex.»
Faccio una smorfia e mi sforzo per tenere a freno la lingua.
Rimani calma, rimani calma.
«L’ho lasciata.»
Sgrano gli occhi in preda all’orrore. «Ma che cavolo stai dicendo?»
esplodo. «Stavi ancora con lei?»
«No, ma ci eravamo promessi che non saremmo usciti seriamente con
nessun altro.»
Comincio a sudare freddo, cercando di mantenere il controllo.
«Perché?»
«Perché avevamo deciso di tornare insieme tra qualche anno.»
Lo sapevo. Lo avevo capito già allora che c’era qualcosa di strano sotto.
Dannazione, perché non ho notato i segnali? Prendo il mio bicchiere di vino
e lo scolo mentre lo fisso negli occhi. Accidenti, questa sì che è una notizia.
Una pessima notizia.
«Le ho detto che provo dei sentimenti molto forti per te.»
«Davvero?» Mi acciglio, e un minuscolo seme di speranza mi sboccia
nel petto.
Sorride, passandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Davvero.»
«Cos’altro le hai detto?» gli chiedo con calma. Vorrei fargli un milione
di domande su loro due.
«Che tra di noi è finita.»
«La amavi?»
«Sì.» Si interrompe per un momento, come per riflettere su
quell’affermazione. «A modo mio, la amavo. A posteriori, mi rendo conto
che la mia relazione con Claudia non è mai stata normale. Non come la
nostra, in ogni caso.»
Lo fisso, senza parole, grata che finalmente sia sincero e tuttavia
terrorizzata che il loro legame fosse così forte da resistere a una relazione
aperta. Io non ci sarei mai riuscita.
«Credi che la nostra relazione sia normale?» chiedo.
Mi sorride e si sporge in avanti per baciarmi dolcemente. «Tu no?»
«No. Per me la nostra relazione è eccitante e meravigliosa e tutto
fuorché ordinaria.» Lo fisso. «La normalità annoia in fretta, Jameson.»
«Le ho detto che voglio costruirmi un futuro con te.»
Okay, questo suona molto meglio. Incurvo le labbra, lottando per
trattenere un sorriso.
«Le ho anche detto che provo qualcosa per te sin dal primo giorno in cui
ci siamo conosciuti e che sei l’unica donna con cui voglio stare d’ora in
avanti.»
Questa volta un’espressione di sciocca felicità mi si dipinge sul volto.
«Le hai detto che ho delle scarpe da ginnastica con le rotelle?» sussurro.
Lui ridacchia e, mentre mi prende il viso tra le mani, noto che nei suoi
occhi brilla qualcosa che non vi ho mai visto prima. «L’ho fatto.»
«Che cosa significa questo, Jay?» Lo scruto in volto. «Per noi, intendo.»
«Significa che sono tutto tuo.» Scrolla le spalle. «Se mi vuoi.» Cosa?
Tutto mio?
Sbatto le palpebre… in preda allo shock. «Ti sei frenato per tutto questo
tempo?»
«Esatto, e non posso continuare così.»
«Che cosa significa… per noi?»
«Significa che voglio che tu venga a vivere da me e che, d’ora in avanti,
procederemo a pieno ritmo.»
«Che fretta c’è?» domando, perplessa. «Non possiamo andare avanti per
gradi?»
Lui si sporge verso di me e mi bacia con tenerezza, poi mi guarda con i
suoi grandi occhi blu. «Non faccio le cose a metà, Emily.» «Vale a dire?»
bisbiglio.
«Che la mia donna è tutto il mio mondo.» Punto lo sguardo su di lui,
restando senza fiato. «Io lavoro duro… ma amo con ancora più intensità.»
Sento i battiti del mio cuore risuonarmi nelle orecchie. Sta succedendo
davvero? «Sono innamorato di te, Emily Foster.» Si avvicina per baciarmi.
Mi infila la lingua tra le labbra socchiuse, e io vengo sopraffatta
dall’emozione al punto che mi si chiude la gola. «Non posso farci niente.
Ho cercato di impedirmelo e non ci sono riuscito. Credo di amarti sin dalla
nostra prima notte insieme a Boston. Mi sei rimasta dentro. Mi sono
sforzato, e tuttavia non ho potuto dimenticarti. Mi porto dietro la tua sciarpa
come un idiota malato d’amore da più di un anno.» Lo fisso. «Quindi ti
prego di perdonarmi se voglio procedere a pieno ritmo. Questa non è una
decisione improvvisa. Era nell’aria da parecchio e, ora che posso farlo, non
voglio perdere altro tempo. Ti voglio con me. Al mio fianco.»
Continuo a guardarlo mentre il mio cervello comprende a pieno cosa sta
succedendo.
Ma che… Porca miseria.
Solleva coltello e forchetta. «Ora mangerò questa splendida cena che
hai preparato per me, poi ti porterò a letto e ti farò dimenticare di averti
detto di non innamorarti di me. Se sarò fortunato, anche tu mi dimostrerai di
provare qualcosa nei miei confronti.» Gli sorrido con il cuore gonfio di
gioia. «Okay?» mi chiede, prima di mangiare un boccone.
«Okay.»
Prendo un sorso del mio vino con mano tremante. Abbasso lo sguardo
sulla cena e faccio un sorrisetto. Salsa di funghi… la mia nuova pozione
d’amore.
Abracadabra.
Jameson Miles mi ha appena lasciata a bocca aperta.

Mi giro, allungando una mano, e mi acciglio. Jameson non è nel letto


accanto a me. Getto uno sguardo all’orologio: le 3:33. Dov’è?
Mi alzo e mi incammino lungo il corridoio alla ricerca del mio uomo.
La luce della cucina è accesa.
Mmh, ma niente Jay.
Mi dirigo verso l’altro capo dell’appartamento, notando una luce
provenire dal suo ufficio. Mi avvio in punta di piedi lungo il corridoio.
Jameson è seduto alla scrivania e si sta strofinando l’unghia del pollice
sul labbro inferiore, fissando lo schermo del computer che illumina la
stanza.
Rimango ferma alla porta a guardarlo. È accigliato e profondamente
concentrato. Che cosa lo tiene sveglio nel cuore della notte? Cos’è che lo
preoccupa?
Lo osservo in silenzio per cinque minuti. Riesco a percepire l’ansia che
emana. Alla fine, non riesco più a resistere.
«Ehi», bisbiglio.
Alza lo sguardo, sorpreso di trovarmi lì. «Ciao, dolcezza.» Mi sorride.
Lo raggiungo e guardo lo schermo da sopra la sua spalla, dove si trova
un grafico con una linea rossa che declina gradualmente.
Valore di mercato: Miles Media.
Merda.
Gli salgo in braccio e lo bacio piano sulle labbra. «Non riesci a
dormire?»
Mi passa una mano sulla schiena nuda. «Sto bene.»
Ma non è così, il valore della sua compagnia sta crollando. Quanti
milioni ha perso la sua famiglia solo oggi?
«Ci sono novità?» sussurro, fissando il grafico di fronte a me.
«Su cosa?»
«Sul caso.»
Scuote la testa. Mentre riporta gli occhi sul grafico, gli pulsa un
muscolo della guancia per la rabbia. È come un bozzolo di ansia e furia,
riesco quasi a percepire il suo dolore. Devo farglielo dimenticare per un
momento. Lo bacio sul collo, e lui sorride quando scendo a mordicchiarlo
lungo la clavicola. Mi lascio scivolare a terra tra le sue gambe, e Jay
abbassa lo sguardo su di me, passandomi una mano tra i capelli. L’emozione
scorre tra di noi, una corrente elettrica che non so spiegarmi.
«Mi sei mancato mentre eri via», bisbiglio, sfilandogli lentamente i
boxer.
Bacio la punta della sua erezione e lui mi sorride. Il suo membro si
flette in segno di approvazione. «Ho sentito la mancanza del mio uomo»,
bisbiglio, e poi lo prendo in bocca. «Il mio corpo ha sentito la tua
mancanza.» Devo fargli dimenticare dov’è, chi è. Deve liberarsi di questo
stress. Ora voglio essere la donna spontanea che ha conosciuto un anno fa,
quella che lo ha sconvolto.
Inspira in modo brusco e spalanca le gambe, dandomi completo accesso
a lui. Ci fissiamo negli occhi mentre succhio la parte più privata del suo
corpo, quella che nessun altro potrà più ammirare. È grosso e duro, e riesco
a vedere ogni vena sulla sua gonfia lunghezza. Gli lecco tutta l’asta e poi
muovo rapidamente la lingua sulla punta, riuscendo quasi a percepire
l’eccitazione che attraversa il suo corpo come un fiume.
«Scopami la bocca», bisbiglio, guardandolo. Gli si dilatano le pupille.
«Prendimi i capelli tra le mani e scopa la mia bocca», mormoro attorno a
lui.
Nei suoi occhi arde un fuoco, e subito dopo mi stringe la chioma tra le
dita prima di spingersi avanti.
Sono premiata con un primo schizzo di sperma, e chiudo gli occhi,
mugolando. Jameson inizia a spingere il suo membro fino in fondo alla mia
gola, e io gemo attorno a lui. Come devo sembrare, sulle mani e sulle
ginocchia, nuda, sotto la scrivania del mio ragazzo? La mia eccitazione
prende forma, e spalanco le cosce. Lui geme, iniziando davvero a spingere.
Lo prendo in mano e seguo le labbra con il pugno, cominciando ad
accarezzarlo con forza. Ha bisogno di questa intensità. Riesco a vedere ogni
muscolo del suo addome contrarsi mentre si tende verso di me. Gli spalanco
ancora di più le gambe e gli carezzo i testicoli.
«Cazzo», geme.
«Vieni», bisbiglio. «Esplodi. Voglio berti tutto.»
Rotea gli occhi per il piacere, e fa come gli ho detto. Mi illumino, colta
dall’eccitazione più primitiva. Adoro farlo venire così. È come se uscissi dal
mio corpo e lo guardassi da fuori, con uno speciale distacco. Un pubblico di
una persona sola per il miglior porno del pianeta.
Contrae i muscoli, e sorrido mentre mi schizza in gola. Mi concentro per
non strozzarmi. È difficile con un cazzo tanto grande, ma, quando lui apre
gli occhi, e io li vedo fiammeggianti di piacere… tutte le mie paure si
placano.
Questo è ciò che amo. Amo amare Jameson con la passione sfrenata che
risveglia in me. Non sono mai stata questo tipo di donna, ma con lui… mi
viene naturale. Come se fosse l’anello mancante della mia sessualità.
Abbiamo già fatto sesso un’altra volta questa notte, ed è stato intimo e
tenero. Niente affatto come ora, ma altrettanto importante.
Continuo ad accarezzarlo, spremendo il suo bellissimo corpo fino a
quando non mi trascina su di lui e mi fa salire sul suo grembo. Cattura le
mie labbra con le sue e geme, assaporandosi nella mia bocca. Mi scosto
appena da lui per osservarlo; mentre ci fissiamo negli occhi, l’aria tra di noi
crepita di elettricità.
«Ti amo», sussurro.
Sorride e preme con forza la bocca sulla mia. Il nostro bacio si fa
disperato. Jameson si alza per trasportarmi lungo il corridoio fino al letto, e
io mi stringo a lui.
Il nostro legame è profondo.
Davvero profondo.
Per la prima volta nella mia vita, sento di essere a casa.

Sono seduta a guardare Hayden che attraversa la strada, diretto verso il bar
dove ci troviamo anche noi. Ha con sé una ventiquattrore. Perché ha
bisogno della sua valigetta durante la pausa pranzo? Questo tizio è sospetto
da morire.
«Da quanto conosci Hayden, Moll?» le chiedo.
Aaron beve il suo drink con la cannuccia, ascoltandoci e tenendo
d’occhio il nostro collega in strada. Noi tre siamo nel posto in cui
preferiamo pranzare e siamo seduti sulla panca vicina alla vetrina.
Lei storce le labbra. «Da circa otto anni, mi sembra.»
«Aaron mi ha detto che siete stati colleghi anche al tuo vecchio lavoro.»
«Già.» Mastica il suo sandwich con gli occhi fissi sull’uomo in
questione. «Ha lavorato al Gazette insieme a me.»
Anche io torno a guardarlo. «Lo sai, credo che stia combinando
qualcosa…»
«Non mi sorprenderebbe.» Si pulisce la bocca con un tovagliolo.
«Perché lo dici?»
«Il Gazette lo ha licenziato.»
«Per quale motivo?» domanda Aaron con la fronte aggrottata.
«Non ne sono sicura, ma ho sentito dire che era coinvolto in uno
scandalo legato a delle intercettazioni telefoniche.»
«Cosa?»
«Pare sia così.» Fa una smorfia. «Sono solo illazioni, ma sembra sia
stato scoperto a intercettare il telefono di una delle sue colleghe per rubarle
le storie.»
Sgrano gli occhi. «Davvero? Chi?»
«Una ragazza di nome Keeley May.»
«Oh, sì, la rossa», commenta Aaron. «Una bomba sexy.»
Molly ed io spostiamo lo sguardo sul nostro amico. «E da quando trovi
sexy le ragazze?» gli chiede Molly.
«Sono gay, non cieco. Posso apprezzare un bel corpo femminile quando
lo vedo», sbuffa lui.
Entrambe alziamo gli occhi al cielo.
«Perché credi che stia combinando qualcosa?» mi domanda poi Molly.
Dio, posso dirglielo? No… prima devo discuterne con Tristan. Non
posso minare la fiducia che i fratelli Miles nutrono nei miei confronti.
«L’altro giorno gli ho parlato di una delle mie storie e ho visto che l’ha
inviata come se fosse sua», mento.
La mia amica stringe gli occhi. «Che viscida serpe.»
«Non ho prove, ovviamente», aggiungo. «Ma mi stavo chiedendo che
tipo fosse, ecco tutto.»
«Per come lo conosco io», mi dice con tono asciutto, «non mi fiderei
minimamente di lui.»
«Come Paul», commenta critico Aaron.
«Oh Dio, e ora cos’è successo?» gli chiedo.
«Niente», sospira lui. «È solo uno stronzo, ecco.»
Molly fa una smorfia disgustata. «Sai che ti dico, Aaron? Devi smetterla
di fare la parte della vittima. Sai che scopa con altri, eppure continui ad
andare a letto con lui. Essere ingannati è una cosa, ma andare a cercarsela,
quando sai con esattezza cosa sta succedendo, è assolutamente patetico.»
Lui alza gli occhi al cielo. «Non devi per forza essere così stronza.»
«Sì, invece. Ti comporti come una damigella in difficoltà. Ma non hai
figli con lui, non avete un mutuo e non lavorate insieme. Mollarlo sarebbe
facile. Digli di andarsene a fanculo e volta pagina», sbuffa. «Lasciarsi è
difficile. Ma rimanere con uno stronzo è anche peggio.»
«A proposito di voltare pagina, Jameson mi ha chiesto di andare a
vivere con lui», annuncio per cambiare argomento.
Aaron rischia di strozzarsi con il suo drink, che gli finisce su per il naso.
«Ma che diavolo?»
«Così pare.» Faccio spallucce.
Il mio collega si acciglia. «Come mai questa inversione di rotta?»
«È andato a trovare la sua ex, Claudia, mentre era a Londra.» «E
hanno scopato?» mi chiede lui, masticando la cannuccia.
«No, Aaron, scoparsi altre persone non è normale», sbotta Molly.
«Ficcatelo bene in quella tua testolina. Hai una visione davvero distorta
della realtà.»
«Cazzo, lo sai che oggi sei davvero una stronza?» la attacca lui.
«Beh, l’uccello in compartecipazione del tuo ragazzo mi fa incazzare»,
replica lei.
Aaron ed io roteiamo gli occhi. Oggi Molly è particolarmente
suscettibile.
«Mi ha detto che lui e Claudia avevano progettato di tornare insieme,
ma le ha spiegato che vuole un futuro con me e l’ha lasciata
definitivamente.»
«Porca miseria», sussurra il mio collega.
«E mi ha detto che mi ama.»
«Ma che cazzo?» esclama Molly. «Dici sul serio?»
«Ma…» Scrollo le spalle.
«Ma cosa?» bisbiglia Aaron. «Non dovrebbe esserci nessun ma in
questa storia.»
«Sta andando tutto così velocemente… D’altronde che fretta c’è?»
Faccio spallucce. «Ho paura che sia solo stressato.» Entrambi continuano ad
ascoltarmi. «A sentire lui, prova qualcosa per me sin dal nostro primo
incontro, e tutto questo era nell’aria da un po’.»
«Potrebbe essere vero.» Molly corruga la fronte.
«Potrebbe.» Bevo un sorso del mio caffè. «Ma potrebbe anche essere la
sua strategia per conquistarmi.»
«Che strategia?» mi domanda perplessa.
«Jameson Miles ottiene sempre quello che vuole», rispondo. «Se ha
deciso che vuole me…»
«Ed è così», interviene Aaron.
«… lo farà succedere. Non lo so.» Scrollo le spalle. «È solo che mi
sembra troppo bello per essere vero, e la faccenda di Claudia mi ha
sconvolta. Posso davvero credere che ora lui e la sua ex interromperanno
tutte le comunicazioni?»
Molly alza lo sguardo verso il soffitto. «Ci risiamo. Voi due idioti oggi
vi siete sniffati le cartucce dell’inchiostro?» Accartoccia con violenza il suo
tovagliolo. «Piantala di essere così negativa, cazzo. Quando non ti diceva
che ti amava, era un problema. Ora che lo ha fatto, ci deve essere un
secondo fine.» Gesticola, con un’espressione disgustata sul viso. «Volete
tornare sulla Terra?» Si alza. «Dobbiamo andare al lavoro.» Esce come una
furia, mentre Aaron ed io la guardiamo attraversare la strada.
«Ha bisogno di farsi una bella scopata», borbotta il mio amico. «È in
modalità stronza-totale.»
Ridacchio, seguendola con lo sguardo mentre rientra nel palazzo.
«Potresti avere ragione.»

Fisso il mio riflesso nello specchio ed emetto un lungo sospiro. Mi volto per
controllare il mio didietro. Indosso un abito dorato di Chanel che ieri
Jameson ha scelto tra quelli sull’appendiabiti. I miei lunghi capelli scuri
sono acconciati in boccoli voluminosi e fermati dietro a un orecchio, e ho
un trucco elegante, con le labbra tinte di un rossetto rosso lucido.
Sono nervosa da morire. Questa è la prima volta che lo accompagno a
un evento formale… e, ovviamente, tutta la sua famiglia sarà lì ad assistere.
Potrebbe essere un totale disastro.
Stai solo attenta a non versarti niente sul vestito, a non bere troppo
champagne e a non fare niente di imbarazzante, rammento a me stessa.
Dio, non posso farcela.
La cosa peggiore è che, essendo così stressata, vorrei solo scolarmi
qualcosa di molto, molto alcolico.
«Sei pronta, mia coniglietta?» mi chiama Jameson. Appare sulla soglia e
mi rivolge un sorriso sexy, abbassando lo sguardo lungo il mio corpo.
«Gesù, sei bellissima.»
Passo nervosamente le mani sulle cosce. «Così vado bene?»
«Sei perfetta.» Mi prende tra le braccia e mi bacia sulla guancia. «Ma
non mi piacciono quelle labbra rosse.» «Oh.» Mi incupisco.
«Non posso baciarti senza portarne addosso le prove.»
Mentre lui continua a tenermi stretta, gli sorrido. Oggi è cambiato
ancora qualcosa tra di noi.
Un nuovo giorno, una nuova dinamica di coppia a cui abituarsi.
Lo sento davvero vicino. Ieri, qualcosa nel modo in cui mi ha parlato ha
abbattuto le difese che avevo eretto contro di lui. Molly ha ragione, sto
cercando un risvolto negativo, ma non posso farci niente, temo che il mio
cuore sia in grave pericolo.
Se mi lasciasse… come farei a sopportarlo?
Sono già stata ferita in passato e, sapendo che Jameson è ben al di sopra
degli uomini con cui sono stata, la prospettiva mi terrorizza. Farebbe
male… terribilmente male.
Lui indossa uno smoking nero con un papillon; i suoi occhi sono blu
acceso e i capelli scuri gli incorniciano il bellissimo viso.
Nessun uomo mi ha mai spaventata tanto quanto Jameson Miles. È tutto
ciò che non ho mai saputo di volere.
Mi prende una mano tra le sue. «Hai preso quello che ti serve?»
«Sì.» Mi appoggio un palmo sul cuore, cercando di costringerlo a
rallentare.
«Che c’è che non va?» chiede piano.
«Sono nervosa.»
Mi rivolge un sorriso sensuale. «Andrai benissimo.»
«Non farmi bere troppo, va bene?»
«Okay.» Mentre ci avviamo verso la porta, mi lancia un sorrisetto furbo.
«E, se mi vedi bere troppo, toglimi il bicchiere.» Si acciglia. «Davvero,
Jay. Divento un’ubriaca molesta già dopo due sorsi.»
Allora lui sorride e poi, riflettendo sulla mia affermazione, manda
indietro la testa e scoppia in una fragorosa risata. «Non ho mai sentito
parole più vere.»
Spalanco la bocca, fingendomi scandalizzata. «Non stavo parlando di
pompini, Jameson.»
«Ma io sì.» Mi bacia una mano. «E, per la cronaca, diventi una
splendida ubriaca molesta.»
Faccio un sorrisetto, e lui si china per baciarmi il collo, le spalle e infine
il seno attraverso la stoffa del vestito.
«Prima arriviamo e prima potremo andarcene.» Mi accarezza il sedere e
mi dà una sonora sculacciata.

Mezz’ora più tardi, la limousine si ferma nel parcheggio, e io lancio


un’occhiata a tutte quelle persone bellissime in abito elegante. Non appena
il nervosismo comincia a farsi sentire, Jameson mi prende la mano e ne
bacia il dorso, ignaro del mio travaglio interiore.
Che cosa dirò a sua madre? A suo padre? Oh, diavolo… perché sono
venuta qui?
Alan apre la portiera, il mio compagno esce e mi porge una mano per
aiutarmi a uscire. Poi mi appoggia delicatamente le dita alla base della
schiena.
«Grazie», dice ad Alan.
«Grazie», gli faccio eco con un sorriso.
Jameson mi stringe la mano, e ci dirigiamo verso le grandi porte
d’ingresso. Qualcuno sobbalza vedendoci insieme, e diverse persone ci
fissano. Mentre lui mi guida tra la folla, trattengo il fiato.
«Salve, Jameson», gli dice qualcuno.
Lui risponde con un cenno educato, ma non si ferma per chiacchierare.
Attraversiamo le porte, e mi conduce direttamente verso un tavolo in prima
fila. È rotondo, coperto da una tovaglia di lino bianco e con delle posate
d’argento ben allineate; al centro, sono stati posati degli splendidi fiori
bianchi insieme a delle candele.
Cacchio, in che ordine si usano le posate? Devo andare in bagno e
cercare questa roba su Google. Il padre di Jameson è seduto al tavolo
insieme a una donna dai capelli scuri raccolti in un perfetto chignon. È
molto attraente e indossa un elegante abito da sera con le maniche lunghe.
«Mamma, papà, lei è Emily», mi presenta lui, orgoglioso. «Loro sono i
miei genitori, Elizabeth e George.»
«Ciao, cara.» Sua madre si alza e mi bacia su entrambe le guance, per
poi allontanarsi e squadrarmi da capo a piedi. «Beh, devi essere davvero
una ragazza speciale.» Mi rivolge un caloroso sorriso.
Oh, è gentile.
Le rispondo con un’espressione imbarazzata, e il padre di Jameson mi
attira a sé per baciarmi sulla guancia. «Salve, Emily. L’altro giorno non
abbiamo avuto modo di parlare con calma. È bello rivederti.» «Sì, anche per
me», bisbiglio.
Jameson tira fuori la mia sedia, e io mi accomodo con il cuore che mi
esplode nel petto. Sento il mio viso farsi bollente e ho l’impressione di
morire un po’ dentro.
Adesso non arrossire, stupida.
Ho un’immagine della mia faccia rossa come un peperone mentre sto
seduta di fianco al signor Meraviglia. Il mio compagno mi versa un
bicchiere di champagne e me lo passa.
«Grazie», sussurro, accettandolo. Incrocio il suo sguardo in una
silenziosa richiesta di soccorso.
Lui mi fa un occhiolino malizioso e allunga un braccio sullo schienale
della mia sedia. «Dov’è Tris?» chiede tranquillo, guardandosi attorno.
«Sta arrivando», risponde suo padre.
Getto uno sguardo a tutte le persone che stanno riempiendo la sala da
ballo. Chiunque sia “qualcuno” è qui. Non che io conosca i loro nomi, mi
sto basando solo sulle informazioni che mi hanno dato Molly e Aaron per
prepararmi a questa serata. Due dei manager che ho visto all’ultimo piano
arrivano con le loro compagne.
«Salve.» Si stringono tutti la mano, e poi gli uomini aggrottano la fronte
quando mi vedono.
«Avete già conosciuto Emily, la mia ragazza?» fa Jameson.
«Oh, sì.» Mi rivolgono dei sorrisi esagerati. «Salve, Emily», farfugliano
tutti e quattro prima di stringermi la mano e accomodarsi al nostro tavolo.
Jameson è seduto accanto a me, suo padre è di fronte a noi, affiancato
da sua madre e dagli ultimi quattro arrivati. Sulla mia sinistra sono rimaste
due sedie vuote. Devono essere per Tristan.
«Buonasera», esclama allegramente il suddetto, comparendo alle mie
spalle. Mi giro e vedo che con lui c’è la donna bionda che ho già visto altre
volte.
«Buonasera», rispondono gli altri.
«Emily, lei è Melina», la presenta Tristan.
«Salve.» Le stringo la mano.
«Buonasera», mi sorride la donna, accomodandosi accanto a me e
guardandosi intorno. «Non riuscivo a decidere cosa mettere questa sera. Voi
come state?»
Le persone sedute al tavolo iniziano subito a chiacchierare con Melina.
Lei è sicura di sé e bellissima, e ha l’aria di una supermodella piuttosto che
di… giusto, cos’è che fa per vivere?
Spostando lo sguardo, mi accorgo che Jameson e suo padre si stanno
scambiando discretamente un’occhiata esasperata.
Mmh, di cosa si tratterà?
Tristan inizia a parlare con un uomo al tavolo accanto al nostro e ride
rumorosamente. È davvero molto amichevole.
Melina tira fuori il cellulare e si scatta un selfie con la “duck face”, poi
si piega verso di me. «Vieni anche tu», mi dice. «Ti taggo.»
Mi libero dalla sua presa e mi sposto di lato. «No, grazie.» Le sorrido.
«Non uso i social.»
«Cosa?» esclama lei, squadrandomi disgustata da capo a piedi. «Perché
no? Cos’hai che non va?»
Okay… questa donna è una gran maleducata.
«Non mi piacciono, ecco tutto.» Scrollo le spalle.
«Cos’hanno di sbagliato?» Continua a scattarsi delle foto.
La fisso impassibile. «Danno una rappresentazione falsa della società
tramite fotografie poco realistiche che ritraggono uno stile di vita finto e
ideali impossibili da raggiungere», rispondo io, bevendo il mio vino.
Non farmi incazzare, stronzetta.
Jameson sogghigna, continuando a guardare dritto di fronte a sé, poi mi
accarezza una spalla nuda con le dita.
«Oh Dio.» Melina alza gli occhi al cielo e si fa un altro selfie.
Sposto lo sguardo, e la madre di Jameson mi fa un sorrisetto e un
occhiolino. Riesco a sentire i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle
orecchie.
Dio, piantala con questo atteggiamento da stronza bisbetica, Emily,
ricordo a me stessa. Sii carina per una volta.
Il mio uomo e suo padre si mettono a parlare, e io rimango seduta in
silenzio. Il cameriere arriva e fa per riempirmi di nuovo il bicchiere.
«No, grazie», gli dico con gentilezza.
Melina chiacchiera con le altre persone al tavolo, ride in modo
fragoroso e si gode le attenzioni che riceve. Non è affatto il tipo di donna
che credevo piacesse a Tristan.
«Emily, devi venire a trovarci negli Hamptons», dice la madre di
Jameson.
«Grazie.» Le sorrido. «Sarebbe bellissimo.» Devo sforzarmi di fare
conversazione. «Ci andate nei weekend?»
«In realtà, ora viviamo quasi stabilmente lì», mi spiega lei. «Certo,
abbiamo ancora i nostri appartamenti qui in città, ma è fantastico cambiare
aria ogni tanto.»
«Oh.» Stringo le labbra. Quanti appartamenti avranno? Accidenti,
appartengono davvero a un altro mondo rispetto al mio. «Sembra
fantastico.»
«Jameson ha detto che vieni dalla California, giusto?» mi domanda.
«Sì.» Fingo un sorriso. Gli ha parlato di me? «Sono qui da appena un
mese.»
«E che ne pensi di New York?»
«La adoro.» La mia espressione si fa allegra. «È incredibile.»
Jameson mi appoggia una mano su una spalla per darmi sostegno
morale, mentre continua a parlare con suo padre.
«Ci ha anche detto che vi siete conosciuti più di un anno fa», continua
Elizabeth.
«Sì.» Le rivolgo un altro sorriso tirato.
Oh, buon Dio. Cosa gli ha detto del modo in cui ci siamo conosciuti? Ti
prego, fa’ che non sia la verità, che eravamo seduti vicini in aereo, che
abbiamo bevuto e flirtato come stupidi arrapati e che alla fine, durante uno
scalo di dodici ore, abbiamo fatto selvaggiamente l’amore e io ho cercato di
risucchiargli ogni goccia di sangue dal collo. Scolo il mio vino, gettando la
testa all’indietro, e sferro un calcio al piede di Jameson.
Aiutami, bastardo.
Lui sorride come se sapesse già cosa mi sta passando per la mente.
Infine Tristan torna a sedersi al suo posto, e Melina si sporge per
baciarlo. «Andiamo a socializzare.»
Lui aggrotta le sopracciglia, bevendo il suo primo sorso di scotch. «No,
piccola. Io rimango qui, ma tu vai pure.»
Melina fa un cenno di saluto a una donna che si trova all’altro capo
della sala e si alza. «Torno tra un momento», si accomiata allegramente dal
tavolo prima di precipitarsi dall’amica e scoccarle due baci sulle guance.
«Tesoro», esclama, e le due si scambiano a vicenda moine poco credibili.
Lancio un’occhiata a Jameson, e lui stringe le labbra, divertito. È come
se mi leggesse nella mente. Quella donna è una cretina. Poi lui solleva di
scatto la testa e si passa la lingua sui denti come in preda alla furia. Seguo la
direzione del suo sguardo e vedo un gruppo di uomini e donne che sta
raggiungendo un tavolo poco lontano dal nostro. Anche suo padre e sua
madre li stanno fissando.
«Chi sono?» bisbiglio.
«La famiglia Ferrara.» Mi acciglio perplessa. «Sono i proprietari del
Gazette della Ferrara Media.»
Sgrano gli occhi. «Oh.» Torno a guardarli mentre si siedono attorno al
tavolo. Tre figli, padre e madre, tutti italiani, a giudicare dall’aspetto.
Persone dall’aria piuttosto distinta, con chiome castane e occhi scuri. Solo
uno dei figli è accompagnato, gli altri due sono da soli. Il maggiore alza lo
sguardo e sorride quando ci vede. Fa un cenno di saluto e china il capo.
Jameson fa lo stesso, in un gesto educato ma freddo.
«Chi è quello?» sussurro.
«Gabriel Ferrara», mi risponde, bevendo il suo drink. Sprizza disprezzo
da tutti i pori. «L’amministratore delegato.»
Spalanco gli occhi. È chiaro che non corra buon sangue tra le due
famiglie. Amministratore contro amministratore.
«Emily?» esclama poi una voce femminile dietro di noi.
Ci giriamo tutti e vediamo una donna. La conosco. «Athena.» Mi alzo,
ridendo. Athena è sulla sessantina, ed è una persona di mondo. La adoro.
«Oh mio Dio», dice senza fiato, attirandomi in un abbraccio. «Jameson
Miles, come diavolo fai a conoscere Emily Foster?» Lui ridacchia. «Emily è
stata la mia stagista durante le vacanze estive per tutti e tre gli anni di
college», spiega Athena, deliziata. George sembra colpito. «Ma non è voluta
venire qui per lavorare per me.» Mi sorride, strofinandomi una mano sul
braccio.
«Che cosa vuoi dire?» chiede il padre di Jameson.
«La migliore giornalista che abbia mai avuto, accidenti», risponde lei.
«Le ho offerto un incarico ogni anno da quando si è laureata, ma lei ha
sempre rifiutato, dicendo che si sarebbe trasferita a New York solo per la
Miles Media.»
Faccio un’espressione imbarazzata.
Ti prego, chiudi la bocca. Sto cercando di fare la disinvolta.
«È così?» George mi rivolge un sorriso. «Beh, ha trovato il suo posto
nella nostra compagnia.»
Athena abbassa lo sguardo sulle dita di Jameson, appoggiate sul mio
fianco. «Lo vedo.» Incurva le labbra. «Emily, vieni, c’è una persona che
voglio presentarti.» Lancia un’occhiata al mio compagno. «Te la posso
rubare per un momento, per favore?»
«Certo.» Lui mi bacia una mano prima di lasciarmi andare. I suoi occhi
indugiano sul mio viso, e io gli sorrido dolcemente.
Quest’uomo è così…
Athena mi guida verso l’altro capo della sala. «Oh mio Dio», esclama,
mentre ci muoviamo in mezzo ai tavoli. «Stai uscendo con Jameson Miles.»
«Già.» Ridacchio.
«È l’uomo più meraviglioso del pianeta.» Si gira verso di me con aria
allegra. «E il più irascibile.» Emetto una risatina, e lei mi trascina fino a un
gruppo di uomini e donne, tutti in piedi attorno al bar. «Lauren, guarda chi
c’è! Emily Foster.»
«Oh mio Dio.» Lauren ride e mi abbraccia. Noi due siamo state stagiste
insieme durante il nostro secondo anno, poi lei è rimasta a lavorare con
Athena. «Che ci fai qui?» mi chiede con entusiasmo.
«Mi sono trasferita a New York e lavoro per la Miles Media.»
«Davvero?»
Rido. «Già.»
«Oh mio Dio, dobbiamo recuperare il tempo perso.»
«Certo.» Sarebbe così bello avere un’amica con cui non lavoro.
«Facciamo in modo di scambiarci i numeri.»
Mi guardo intorno, tutti hanno un drink in mano. «Vado solo a prendere
un altro champagne.»
Qualcuno mi stringe il gomito da dietro, io mi giro e vengo subito presa
in contropiede. È l’uomo italiano alto, l’amministratore delegato del
Gazette.
«Buonasera.» Mi rivolge un sorriso sexy.
«Buonasera.»
«Chi sei tu?» mi domanda.
Mi acciglio e lancio un’occhiata al tavolo. Jameson sta parlando con
Tristan.
«Emily», rispondo con un certo nervosismo.
Mi prende una mano e ne bacia il dorso. «Mi chiamo Gabriel Ferrara.»
«Oh.»
«E mi piace conquistare tutto ciò che è di Jameson Miles.» Sgrano gli
occhi. Le sue iridi scure si abbassano sulle mie labbra. «Donne incluse.»
Capitolo 18
Emily

«C ?» A ,
mano dalla sua presa. «Che cosa ha detto?»
Mi sorride malizioso. «Stavo semplicemente constatando che sei
bellissima. Non ti innervosire.»
«Beh, lei allora non lo faccia», sbotto.
L’uomo sorseggia il suo drink con un’espressione compiaciuta,
chiaramente divertito dalla mia reazione. «Ma chi sei?»
«Qualcuno la cui intelligenza si sente insultata dalla sua audacia. A mai
più, signor Ferrara. Se ne vada.» Gli do le spalle e prendo posto al bar.
Lui mi avvicina le labbra all’orecchio da dietro. «È stato splendido
conoscerti, Emily. Ci incontreremo di nuovo. Farò in modo che succeda.» Il
suo respiro mi solletica il collo, e dei brividi traditori mi scivolano lungo le
braccia.
«Non si prenda il disturbo», lo schernisco, irritata dalla mia reazione
fisica nei suoi confronti.
Mi batte forte il cuore. Non c’è da meravigliarsi se il povero Jameson
sia tanto stressato. Deve affrontare delle vere e proprie vipere. Santo Cielo,
sono assolutamente scossa.
Prendo il mio drink e torno a parlare con Lauren, ma ho la mente
ovunque tranne che sulla nostra conversazione. Quel maledetto bastardo di
Gabriel sta sabotando l’azienda di Jameson e ci prova apertamente con le
sue donne.
Con la sua donna.
Sono indignata, una parte di me vorrebbe marciare fino al tavolo per
dire a Jameson cosa è appena successo, ma l’altra parte non vuole
stressarlo. Anche se forse è esattamente questo che vuole Gabriel… una
guerra aperta.
Merda… che disastro.
Dalla mia posizione accanto al bar, guardo una processione di persone
che sfila fino al tavolo dei Miles per salutare la famiglia, come per farsi
notare da loro. Tristan è tutto sorrisi e allegria, Jameson e suo padre sono
solo educati. È palese che non si facciano affatto incantare dai falsi saluti e
dagli auguri.
Dopo la conversazione più lunga della storia, torno da Jameson. Mi
siedo accanto a lui, che mi prende una mano nella propria per appoggiarsela
su una coscia.
«Ti piacciono davvero tutte queste persone?» bisbiglio.
Incrocia il mio sguardo. «Solo quelle sedute a questo tavolo.»
Mi guardo attorno con un certo nervosismo.
«Che succede?» mi chiede, intuendo che c’è qualcosa che non va.
«Niente», sussurro, avvicinandomi a lui per baciarlo con dolcezza sulle
labbra. «È solo che qui non mi convince nessuno.»
«Neanche a me, ma finché ti piaccio io non ci sono problemi»,
mormora.
Sorrido al mio bellissimo uomo e mi sporgo per sussurrargli
all’orecchio: «Mi piaci eccome».
Mi stringe la mano nella sua. «Due ore, e poi possiamo andare.»
«Bene.»

La cena è stata servita, siamo ormai al dessert, e la cerimonia di


premiazione sta per avere inizio. Sono state abbassate le luci, e il palco è
illuminato da un unico faretto mentre i presentatori elencano le varie
categorie. Prima devono consegnare i premi minori.
Jameson è seduto con lo sguardo fisso sul palco, mentre tiene una delle
mie mani sulla sua grossa coscia muscolosa. È del tutto impassibile, non ho
idea di cosa stia pensando. È bravissimo a tenere le sue emozioni
completamente sotto controllo.
Tristan sta ridendo e chiacchierando delle categorie premiate insieme
agli altri manager presenti al tavolo. È del tutto rilassato e sta trascorrendo
una bella serata. Come fanno a essere così diversi questi due fratelli?
Tristan è aperto e gioviale, e Jameson è chiuso e rigido… almeno con il
mondo esterno.
Tuttavia, sapendo che il ruolo di Tristan nella compagnia è occuparsi di
acquisizioni, anche lui deve essere uno tosto, a modo suo. Forse anche più
di tutti gli altri, perché rileva aziende e le dissolve. Ci rifletto per un
momento mentre lo fisso. No, è impossibile, nessuno potrebbe essere più
rigido di Jameson. Sposto lo sguardo sul loro padre, che sta fissando il
palco con la stessa espressione di ghiaccio… forse George lo è.
Ripenso all’infanzia di Jameson, al fatto che sia andato in collegio in
Europa con i suoi fratelli. Come si può imparare a essere teneri e amorevoli
in un freddo ambiente scolastico? Mi chiedo se sia per questo che è così “o
tutto o niente” con me.
Deve darsi il permesso di provare qualcosa prima di poterlo fare
fisicamente? Avrebbe senso. Voglio dire, da quando mi ha detto che mi
vuole, la nostra relazione ha fatto dei passi da gigante. Sento che mi lascia
entrare un po’ di più dopo ogni tocco. È perché adesso può finalmente
esprimersi?
Faccio un lungo sospiro mentre applaudo per un premio. La mia mente
è ben distante da qui. Sono concentrata sull’uomo complicato di cui mi
sono innamorata, sto cercando di sbrogliare i suoi demoni interiori.
Forse Jay ha bisogno di parlare della compagnia. Forse gli serve
qualcuno con cui non debba fingere di avere tutto sotto controllo. È
l’amministratore delegato della Miles Media. La famiglia si rivolge a lui
perché la guidi. Si aspetta che risolva la situazione. Ovvio che sia stressato.
La giornalista che è in me vorrebbe affrontare la questione, trovare la
talpa e riportare la società al vertice con le unghie e con i denti.
L’innamorata che è in me vorrebbe trascinare via il mio Jay per portarlo su
un’isola delle Bahamas dove potrebbe condurre uno stile di vita pacifico e
sereno… nel quale dovrebbe preoccuparsi solo di spingere i suoi figli su
un’altalena.
I suoi figli.
Mi sento stringere il petto a quella visione del mio futuro con Jameson.
I suoi figli subiranno la stessa quantità di stress? Riusciranno a
percepire l’ansia del padre nel suo tocco? Sicuramente sì, so che per me è
così.
Dio, devo aiutarlo a calmarsi perché possa gestire tutto questo caos.
Come posso fare? Ci penso per un attimo e applaudo al momento giusto,
quando viene assegnato un altro premio.
Deve lasciare New York. Sì, è così. Un weekend lontano da qui, in un
posto del tutto diverso. Sorrido mentre l’idea prende forma nella mia mente.
«E ora il premio principale di questa serata», annuncia il presentatore.
«Il Diamond Award per l’eccellente copertura mediatica va a…» Rullo di
tamburi. Apre la busta e sorride, scuotendo la testa. «Bene, bene… sembra
abbiamo un cambio di guardia.» La folla ammutolisce. «La Ferrara Media
si aggiudica il premio.»
La folla applaude, e il tavolo dei Ferrara esplode in fischi e applausi,
festeggiando la vittoria. Jameson serra la mascella e poi beve un sorso del
suo drink.
«Cazzo», borbotta Tristan sottovoce.
Il nostro tavolo rimane in silenzio mentre guardiamo Gabriel Ferrara
salire sul palco per accettare il premio. Lo solleva in aria, tra le grida e gli
applausi del pubblico, poi prende il microfono.
«Grazie.» Si guarda intorno nella sala. «Questo significa molto per me.
Mi dispiace davvero per la Miles Media, che, negli ultimi sedici anni, ha
sempre vinto questo premio.» Lancia un bacio a Jameson con aria sfacciata
e ci fa un cenno di saluto.
Jameson lo guarda di traverso. Si passa la lingua sui denti, trasudando
disprezzo da tutti i pori.
«Credo si possa dire», Gabriel sorride sarcastico, «che nell’ultimo anno
abbiamo dominato il mercato con la nostra presentazione all’avanguardia
delle notizie.» Solleva un dito. «E ora siamo l’impero mediatico numero
uno al mondo.»
La folla applaude e grida, in visibilio.
Lui alza di nuovo il trofeo.
Il tavolo dei Ferrara impazzisce.
«Vorrai scherzare», sbuffo, non riuscendo a trattenermi.
La famiglia Miles lancia diverse occhiatacce all’uomo sul palco… e io
riesco a percepire la loro rabbia perché la provo a mia volta. La sento
crescere dentro di me come una malattia. Una cosa sarebbe perdere la
corona, ma farsela sottrarre da un ladro che sta rubando tutto il tuo duro
lavoro è ben altra cosa. Gabriel bacia il trofeo davanti agli obbiettivi dei
fotografi. Questa vittoria sarà sulla prima pagina di tutti i giornali del Paese.
Furia e silenzio calano sul nostro tavolo. Nessuno dice una parola.
Io fisso l’individuo dall’altra parte della sala e mi dico che vorrei
cancellare quel sorriso viscido dal suo bel viso.
È quello che farò.
Preparati, signor Gabriel Ferrara. Ti distruggerò.

Annaspo per riprendere fiato mentre guardo Jameson correre attorno a me a


Central Park. Sono le sei del mattino e il sole sta sorgendo. Oggi corre
particolarmente in fretta… e io glielo lascio fare. Adesso lo capisco, le sue
responsabilità non sono un peso che può far solo sparire alla fine della
giornata. Ora lo percepisco anche io. Ma la notte scorsa, nonostante sia stata
irritante, mi ha insegnato una lezione preziosa sui suoi avversari. Non
hanno morale né paura, e ciò li rende dei nemici davvero pericolosi.
Jameson si gira e torna verso di me. Sta sempre attento a tenermi
d’occhio.
La notte scorsa, quando siamo tornati a casa, era silenzioso, assorto nei
suoi pensieri. Ci siamo infilati sotto la doccia e abbiamo fatto l’amore, e
finalmente si è calmato un po’. Ho preparato qualcosa da mangiare per tutti
e due, e ci siamo stesi sul divano, l’una tra le braccia dell’altro, a guardare
un film. Siamo andati a letto tardi, ma avevamo bisogno di quel tempo
insieme per rilassarci. Nessuno dei due ha accennato alla cerimonia di
premiazione. Non ne abbiamo parlato affatto, non c’era niente da dire.
È andata così. Niente al mondo può cancellare il fatto che la Ferrara
Media sia stata premiata per aver imbrogliato. Questa consapevolezza mi
dilania, e posso solo immaginare cosa stia facendo a Jameson.
Si ferma di fronte a me, ansimando. «Sei particolarmente lenta questa
mattina», mi stuzzica.
«Sei particolarmente veloce, oggi. Devi essere irritato.»
Lui ridacchia, chinandosi per baciarmi. «Da morire.» Ci giriamo e
cominciamo una lenta corsetta fino a casa. «Chiedo ad Alan di venire a
prendere le tue cose nel weekend?» mi chiede, avanzando.
«A questo proposito…»
«Sì?» ansima, ancora esausto per lo scatto di prima.
«Ho una proposta per te.»
Si ferma. «Che sarebbe?»
Mi volto e lo prendo per mano. «Verrò a vivere con te a una
condizione.»
«Quale?» Mi fissa come se il mio mercanteggiare lo stesse già irritando.
«Mi trasferirò da te se possiamo andarcene via da New York durante i
weekend.»
«Cosa?»
«Beh, non durante tutti i weekend.» Scrollo le spalle. «Ma abbastanza
da poterci rilassare.»
«New York è casa mia. Io sono rilassato. Di che cosa stai parlando,
donna?»
Sorrido e riprendo a correre, lui mi raggiunge.
«Che c’è?»
«È impossibile rilassarsi qui, Jay. Questa città è frenetica. L’energia di
questo posto si vede persino dallo spazio. Ci sono sirene che suonano tutta
la notte, auto, traffico e milioni di persone che si aggirano per le strade
facendo i mille all’ora.» Mi ascolta, tenendo gli occhi su di me. «Non è
necessario che andiamo lontano. Ho già prenotato un viaggio a sorpresa per
noi per questo weekend.»
«E quando lo avresti fatto?»
«Ieri.» Sto mentendo spudoratamente, ma va bene lo stesso. «Pensaci.
Viviamo nel tuo appartamento per tutta la settimana e lavoriamo sodo. Poi,
nei weekend, ci stacchiamo del tutto. Niente telefoni e niente internet. Solo
noi.»
«Cosa?» Si acciglia. «È impossibile. Devo essere sempre raggiungibile,
Emily.»
«No», sbuffo io mentre corriamo. «Quello che devi fare è ricaricarti per
poter essere il miglior amministratore delegato possibile. Una versione
stanca e stressata di te non sarà mai altrettanto efficiente.»
Avanziamo fino alla strada, e guardiamo in entrambe le direzioni
aspettando di attraversare.
«E oltretutto», ansimo, «così io avrei il meglio di entrambi i mondi.»
«Che cosa vuoi dire?»
«Beh, sono follemente innamorata del mio Jim, l’uomo che ho
incontrato sull’aereo.» Mi ascolta. «E sto imparando ad amare anche lo
stressato amministratore che a volte prende il controllo del suo corpo.»
Jameson fa un sorrisetto, mettendo finalmente insieme i pezzi. «In questa
maniera…» sbuffo. Dio, ma perché insisto per parlare e correre allo stesso
tempo? «In questa maniera, potrò passare del tempo con entrambi i miei
uomini.»
Mi prende una mano e mi attira a sé. Le sue labbra catturano le mie
mentre mi tiene il viso tra le mani. Mi infila la lingua in bocca, e il nostro
bacio si fa intenso, passionale. Ci baciamo ancora e ancora, e io gli
appoggio le mani sui fianchi. Chissà che impressione facciamo, mentre
pomiciamo in un angolo della strada.
Lo fisso negli occhi. «Allora, affare fatto?» sussurro. «Mi trasferisco da
te?»
Mi passa un dito lungo il viso. «Immagino che possiamo raggiungere un
accordo per il weekend.» Sorrido. «Solo perché entrambi i tuoi uomini
adorano scoparti.» Mi afferra i fianchi e li attira contro i propri.
Ridacchio contro le sue labbra, premendo la fronte contro la sua. «Sei
un maniaco sessuale, signor Miles», bisbiglio.
Mi stringe di nuovo il sedere, e sentiamo un clacson. «Prendetevi una
stanza», ci grida un uomo.
Entrambi ridiamo e iniziamo a correre lungo la strada. Mentre
sfrecciamo, gli rivolgo un sorriso.
«Cosa?» mi chiede lui con un ghigno.
«Niente.» Gli do una pacca sul fondoschiena. «Arrivo prima io.»
Accelero.
«Potrei batterti anche con le gambe legate.» Ride dietro di me. «In
effetti, se ti batto, ho intenzione di legarti.»
«Non se ti lego prima io», grido, scattando in avanti. Mi sfugge una
risatina sentendo i suoi passi alle mie spalle. Questo sì che è un incentivo a
correre più in fretta.

Toc, toc. Busso alla porta di Tristan.


«Avanti», risponde la sua voce profonda.
Faccio capolino nell’ufficio. Tristan è seduto alla sua scrivania. «Entra
pure, Em.» Mi sorride.
Em.
Ricambio l’espressione e mi accomodo davanti al suo tavolo. Ho deciso
di tenerlo aggiornato… su tutto. Vuole bene a Jameson, e saprà decidere
cosa suo fratello debba sapere oppure no.
Mi rivolge un sorriso tenero. «Ieri sera hai fatto colpo sui nostri
genitori.»
Mi illumino. «Davvero?»
«Questa mattina mia madre non faceva che parlare di te.» Sembra
compiaciuto. Tiene una penna in mano e si gira sulla sua sedia.
«Volevo solo aggiornarti su qualche questione.»
Si acciglia. «Okay.»
«Terrò la mia relazione con Jameson completamente separata dal
lavoro. Credo che abbia bisogno di staccare.»
«Sono d’accordo. È vero.»
«Quindi ci sono un paio di cose di cui volevo parlare con te.»
«Ottimo, spara.»
«Beh, hai presente i miei sospetti su Hayden?»
«Sì.» Aggrotta la fronte.
«Ho scoperto da Molly, ma sono solo voci di corridoio, che è stato
licenziato dal Gazette per uno scandalo legato a delle intercettazioni
telefoniche.»
Lui si sporge in avanti sulla sedia. «Sarebbe a dire?»
«Sinceramente, non ho idea se sia vero, ma Molly mi ha riferito che,
all’epoca, si diceva che stesse tenendo sotto controllo il telefono di una
giornalista di nome Keeley May per rubare le sue storie.»
«Cosa?» esplode. «Mi prendi in giro?»
«No.»
Fa un ampio sorriso. «È eccellente. Questo mi fornisce un’ottima
scusa.»
«Per fare cosa?»
«Per poter effettuare una ricerca sui suoi computer. Non lo abbiamo
ancora controllato.»
Mi illumino, orgogliosa di me. «Speriamo che ci aiuti.»
«Bel lavoro, Em.» Si gira sulla sedia e scribacchia qualcosa su un
foglio.
Lo guardo per un momento. «È successa anche un’altra cosa.» Alza lo
sguardo. «Non ho detto niente a Jameson, ma la scorsa notte Gabriel Ferrara
ci ha provato con me.»
La sua espressione si fa sgomenta. «Cosa ha fatto?» sbotta.
«Rimani calmo», gli dico, agitata.
«Che cosa ti ha detto?»
Aggrotto la fronte, ripensando alla sera prima. «Ero al bar, e lui mi ha
chiesto chi fossi. Ho pensato che volesse solo essere gentile, così gli ho
risposto che mi chiamo Emily.» Tristan mi ascolta, accigliato. «Poi mi ha
preso una mano per baciarmela e ha detto: Mi chiamo Gabriel Ferrara e mi
piace conquistare tutto ciò che è di Jameson Miles.» Lui sgrana gli occhi.
«E alla fine ha aggiunto: Donne incluse.»
«Ma che cazzo!» esplode. «Dici sul serio?» Si alza di colpo.
«Non so se l’ho interpretato nel modo sbagliato o…» balbetto. «Non
voglio farla più grande di quanto non sia, ma mi è sembrato molto strano.»
Gli occhi di Tristan fiammeggiano per la rabbia. «Che cosa gli hai
risposto?»
«Che stava insultando la mia intelligenza e di andarsene via.» Arriccio
le labbra per il disgusto. «Mi ha fatto accapponare la pelle.»
«Cazzo.» Sospira e si gira verso la finestra con le mani nelle tasche,
assorto nei suoi pensieri.
«Non l’ho raccontato a Jameson perché credo che sia proprio ciò che
Gabriel voleva che facessi.»
A Tristan guizza un muscolo della guancia per l’ira. «Vuole dare il via a
una guerra.»
«È quello che mi è sembrato… non possono esserci altre spiegazioni»,
mormoro.
«Sta cercando di turbarlo attaccandolo sul piano personale.»
«Già.» Sospiro, con il cuore dolorante per quello che sta succedendo
nella vita di Jay. «Ho pensato tutta la notte se dirtelo o meno.» Sposta lo
sguardo su di me. «Non raccontarlo a Jameson.»
«Okay.»
«Teniamo questa cosa per noi.» Espiro profondamente. «Sono
preoccupato per mio fratello», spiega lui. «Sta per cedere.»
«Lo so, voglio provare a portarlo via dalla città nel weekend per farlo
staccare. Sto facendo tutto il possibile per tenerlo calmo.»
«Buona idea.» Annuisce, ancora pensieroso. «Se gli avessi detto di
Gabriel, ora sarebbe laggiù a strangolarlo.»
Mi stringo la base del naso. «Lo so.»
«Hai fatto la cosa giusta.» Mi sorride. «Grazie per avermelo riferito.»
Sostengo il suo sguardo. «Detesto non parlarne con Jameson, ma sento
di doverlo proteggere. Gabriel sta solo cercando di innervosirlo.»
«Proprio quello che credo anche io», concorda. «Grazie, ora ci penso io.
Puoi farmi un favore e cercare di scoprire tutto quello che puoi sulla vita
privata di Hayden? Dove trascorre il suo tempo, i suoi partner, questo
genere di cose.»
«Okay, me ne occupo subito.» Mi alzo ed esco dal suo ufficio per
dirigermi verso quello di Jameson e, una volta lì, busso alla sua porta.
«Avanti», dice la sua voce calda e morbida.
Apro e trovo il mio bellissimo uomo seduto dietro la sua scrivania. Mi
fa un sorriso caloroso quando mi nota e si dà una pacca sulle gambe.
Chiudo a chiave la porta, gli siedo in grembo e catturo le sue labbra con
le mie. «Salve, capo.»
Jameson mi passa una mano lungo la coscia. Abbassa la bocca sul mio
collo e io sorrido, ma poi lo vedo. Un bicchiere di scotch mezzo vuoto
appoggiato sul tavolo. Lancio un’occhiata al mio orologio.
«Sono le undici del mattino, Jameson.»
Lui rotea gli occhi e mi spinge via. «Avevo bisogno di qualcosa che mi
calmasse. Cazzo, Emily, non cominciare.»
«Okay», bisbiglio. «Stai bene?»
«Benissimo», sbotta, tornando a girarsi verso la sua scrivania.
«Tre giorni al nostro fine settimana fuori porta», dico piano.
Il suo telefono squilla, e lui dà uno sguardo allo schermo. «Non vedo
l’ora che arrivi. Ora devo rispondere, ci vediamo stasera.»
Lo bacio con dolcezza, e lui risponde alla chiamata. Subito la sua voce
assume il tono autoritario che usa con tutti gli altri. Mi fermo sulla soglia a
osservarlo, mentre lui ascolta la persona dall’altro capo della linea.
Distrattamente prende lo scotch e beve un sorso prima di parlare.
Molti amministratori delegati stressati sono caduti nell’alcolismo.
Ti prego, non il mio…
Mi guardo intorno con aria colpevole e poi torno al mio computer,
scrivendo “fine settimana fuori economico” nella barra di ricerca. «Dio»,
sospiro. «Dove posso portarlo?»
«Stai ancora parlando di quella storia?» mi chiede Aaron.
Molly scivola con la sedia verso di me per sbirciare da sopra una mia
spalla.
«Voglio portarlo in un posto che non si possa comprare con il denaro.»
Rifletto, stringendo le labbra. «Deve essere davvero speciale.»
Aaron ridacchia. «Il tuo speciale e lo speciale di Jameson Miles
potrebbero essere un po’ diversi.»
«Il fatto è che, quando si trova nel mio appartamento, si dimentica di chi
è. Voglio che si renda conto che non dobbiamo vivere per forza in una casa
lussuosa per essere felici.»
«Sei fuori di testa.» Molly sospira. «Che cosa non darei per vivere nel
suo appartamento elegante. Chiunque lì sarebbe felice come un maiale nel
fango. Quando pensi di invitarci, stronzetta?»
«Vero?» ride Aaron.
«Mmh.» Socchiudo gli occhi, riflettendo.
«Che ne dici del campeggio?» propone la mia collega.
Le lancio un’occhiata. «Oh, ma non abbiamo una tenda né altro, e non
avrei il tempo per comprare l’attrezzatura.»
«Ho tutto io. Puoi prendere in prestito la mia. Michael e i ragazzi vanno
sempre in campeggio.»
La fisso per un momento. «Credi che ci sia mai stato?»
«Mmh… direi proprio di no.» Aaron sgrana gli occhi per sottolineare il
concetto. «Nessuno va in campeggio di propria spontanea volontà.»
L’eccitazione mi pervade. «Davvero? E possiamo prendere in prestito la
tua attrezzatura? Non ti dispiacerebbe?»
«Niente affatto. Prendi tutto. Questo venerdì, Michael e i ragazzi vanno
a Dallas per una settimana a vedere i suoi genitori. Non gli servirà.»
«Potrei farlo.» L’idea prende forma nella mia mente e io sorrido. «Ma la
macchina…» dico, pensando ad alta voce.
«Puoi usare Bessie, il pick-up di Michael. Fagli vedere come vive la
gente di palude.»
«Sul serio?» Sogghigno, immaginando Jameson in un pick-up.
«Sì, è un catorcio, ma è affidabile.»
Aaron scuote la testa per il disgusto. «Stai cercando di spaventarlo di
proposito?»
«No, voglio riportarlo con i piedi per terra.» Mi illumino, entusiasta.
«Atterrerà con un tonfo, questo è certo.» Mi fa un sorrisetto.
Rido e inizio a cercare dei campeggi su Google. «Sarà così
divertente…»

Venerdì pomeriggio entro nel parcheggio sotterraneo del palazzo di


Jameson con un enorme sorriso sul volto. Ho riso per tutta la strada fin dalla
casa di Molly. Ho chiamato Jay e gli ho detto di aspettare il mio arrivo
vicino al portone.
Giro l’angolo e lo vedo aspettarmi con le nostre borse insieme ad Alan.
Lui mi vede, e l’entusiasmo svanisce dal suo viso.
Suono il clacson, sbracciandomi dal sedile, e parcheggio il pick-up di
nome Bessie accanto a lui.
Con un’espressione orripilata mi raggiunge, e io abbasso il finestrino.
«Vai da qualche parte?» gli chiedo.
«Ma che cazzo è questo?» sibila.
«È Bessie.» Sorrido orgogliosa.
Alan si preme una mano sulla bocca per impedirsi di scoppiare a ridere.
«Cosa?» Jameson si acciglia, guardando l’enorme e malconcio veicolo
color azzurro chiaro. Poi riporta lo sguardo su di me.
«Sali, Miles.» Sposto in su e in giù le sopracciglia, divertita. «Ti porto
in campeggio.»
Capitolo 19
Emily

L , .
Alan china la testa e si fa sfuggire una risatina.
Jameson mi guarda… sconvolto.
Scoppio a ridere per l’espressione che ha sul viso. Spengo il pick-up e
salto fuori per gettare le nostre borse sul retro.
«Non puoi essere seria», balbetta lui.
«Sono terribilmente seria.»
Osserva il mezzo malconcio. «Questa auto non è nemmeno sicura.»
«Non è un’auto, è un pick-up.» Sorrido, richiudendo il portello
posteriore. «Si chiama Bessie.»
Jameson si appoggia le mani sui fianchi. Getta uno sguardo ad Alan, che
sta ridendo in modo fragoroso.
«Cazzo, Alan, non è divertente», sbotta. «Io non vado in campeggio,
Emily. E tu lo sapevi. Come diavolo ti è venuta un’idea tanto strampalata?
Non mi rilassa neanche un po’. Sento la pressione sanguigna schizzare alle
stelle dopo ogni secondo che passa.»
Alan abbassa la testa, ridendo senza riuscire a trattenersi. «Mi perdoni,
capo, ma questa è la cosa più divertente che sia mai successa. Posso fare
una foto per Tris?» chiede.
«Assolutamente no», sbuffa lui. «Chiudi il becco, o ti costringerò a
venire con noi.» Alan si morde il labbro inferiore per fermare le risatine.
«Perché dovremmo prendere questo…» Si interrompe, cercando la parola
giusta. «Perché dovremmo prendere questo rottame?»
«Per sparire dai radar.»
«Emily Foster, questo non è sparire dai radar. Questa è una garanzia di
morte istantanea.»
Sprofondo nel sedile e gli faccio una smorfia. «Me lo hai promesso.
Sono solo tre giorni, Jameson, poi torneremo indietro e io verrò a vivere da
te.»
Tenendo le mani sui fianchi, alza gli occhi al cielo, ma so che ce l’ho in
pugno. Me lo ha promesso davvero. Suono il clacson, e lui si avvicina al
lato del guidatore per aprire la portiera.
«Che cosa stai facendo?» gli chiedo, accigliata.
«Guido.»
«Sai usare un cambio a colonna?»
«Un cosa?» Aggrotta le sopracciglia.
Indico il cambio sul volante.
Fa una smorfia. «Ma è legale portare una cosa del genere in strada?»
Scoppio a ridere. «Sì.»
«Allora esci, guido io.» Mi costringe a uscire dall’auto, e io corro verso
il lato del passeggero per risalire.
Lui entra e prova le varie marce con un’espressione di pura
concentrazione sul viso. Alan ed io ridacchiamo, aspettando che capisca
come funziona.
«Okay, ci sono», dichiara Jameson Miles, maniaco del controllo.
«Andiamo», canticchio. «Suona il clacson per Alan.»
Jameson mi guarda impassibile, e io mimo il gesto di suonare il clacson
che facevo ai camionisti quando ero bambina.
«Emily, non so cosa significhi, ma è un modo sicuro per farsi gettare nel
bagagliaio.»
Alan scoppia di nuovo a ridere, e io mi agito sul sedile per l’eccitazione.
«Ciao, Alan», grido.
L’uomo mi fa un cenno con la mano.
Jameson si ferma e chiama il suo autista attraverso il finestrino aperto.
«Tieni il telefono acceso. Ci dovrai venire a prendere dal bordo della strada
tra una trentina di chilometri, quando questo coso andrà in panne.»
Alan ed io ridiamo di nuovo, e, mentre lui ci saluta, Jameson porta il
pick-up fuori dal parcheggio. Arriviamo al cancello di sicurezza, ma siamo
troppo in alto perché riesca a strisciare il suo tesserino.
«Fanculo a questo catorcio», borbotta sottovoce, parcheggiando l’auto e
uscendo per avvicinare la tessera allo schermo. Dopodiché, i cancelli si
aprono lentamente. Rientra e mette in moto il pick-up, uscendo dal garage
con uno stridio.
«Cazzo», sussulta. «E comunque di chi è questo ammasso di ferraglia?»
mi domanda, mentre ci immettiamo in mezzo al traffico di New York.
«Di Michael, il marito di Molly.»
Mi lancia un’occhiataccia. «Non è il coglione che si è fatto un’overdose
di Viagra e che hai dovuto accompagnare al pronto soccorso?» «È lui.»
Sorrido.
«Ti pareva», bofonchia, guidando. «Okay, dove stiamo andando?»
Trovo la mappa sul mio cellulare. «Dunque… dobbiamo prendere
l’autostrada.» Mi guarda perplesso. «Andremo all’High Point State Park,
nel New Jersey.»
«Cosa?» Si acciglia. «E che diavolo c’è lì?»
«Io.» Mi illumino, sporgendomi per baciargli un lato del viso.
«Nient’altro che me.»
Mi sorride e, tenendo gli occhi fissi sulla strada, allunga una mano verso
la mia coscia per stringermela. «È una fortuna che sia tu quello che
preferisco, vero?»
Un’espressione raggiante mi accende il volto. Lo sta facendo sul serio.
«È vero.» Mi sporgo e inizio a riempirlo di baci su tutta la guancia.
Fa una smorfia. «Smettila, è già abbastanza difficile guidare Baracca
così com’è.»
«Si chiama Bessie, non Baracca.»
Sogghigna. «Vediamo se riesce a riportarci a casa tutti interi, va bene?»

Due ore più tardi, vediamo il cartello dell’High Point State Park. C’è una
strada sterrata, e Jameson mi guarda con aria interrogativa.
«È questa?»
Faccio spallucce, sentendomi all’improvviso nervosa. «Mmh.» Mi
guardo intorno. «Credo di sì.»
Ho davvero bisogno che questo weekend vada per il meglio, voglio che
ci divertiamo e ci rilassiamo. Dentro di me so che, se Jay non riuscirà a
tenere sotto controllo lo stress per il lavoro, potrei perderlo. Non potrei
convivere a lungo con la sua rabbia.
Usciamo dalla strada principale e guidiamo lungo il sentiero. Entrambi
rimaniamo in silenzio mentre seguiamo il percorso. Studio la mappa sul
cellulare.
«Qui dice di andare dritto fino alla fine della strada e poi di girare a
destra.»
«Okay», risponde lui, mentre il pick-up sobbalza sul terreno dissestato.
Mi getta un’occhiata. «Sei sicura che sia quaggiù?»
Mi stringo nelle spalle. «È quello che dice qui.»
Gli alberi sono alti e bloccano gli ultimi raggi del sole.
«Una volta ho visto un documentario che hanno girato da queste parti»,
commenta Jameson, concentrato sulla strada.
«Cos’era?»
«The Blair Witch Project», borbotta con tono secco.
Mi scappa da ridere a mano a mano che ci addentriamo sempre di più
nel bosco. Che cavolo avevo pensato? La situazione sta innervosendo
persino me. Superiamo un accampamento situato alla nostra sinistra,
proseguendo giù da una collina. Ci sono una piccola tenda e due ragazzi
adolescenti seduti di fronte a un falò. Li guardo mentre li superiamo.
«Sembra che si stiano divertendo.» Sorrido.
«Stanno per entrare nella tenda per scopare», bofonchia lui. «È l’unico
motivo logico che possa averli spinti a venire qui.»
Faccio un sorrisetto. «Vuoi smetterla di essere così pessimista? Sono tre
notti, e possiamo stare da soli senza nessuno attorno.»
Annuisce e poi, non appena gli viene in mente una cosa, mi rivolge uno
sguardo accigliato. «Dove sono i bagni?» Sposta rapidamente gli occhi su di
me. «Abbiamo un nostro bagno, vero?» «Beh…» Mi interrompo.
«Beh, cosa?» sbotta. «Non starò da nessuna parte senza un cazzo di
bagno, Emily.»
«Ci sono dei bagni.» Giro la mappa sul telefono, cercando di capire
dove si trovano rispetto alla nostra tenda. «Ah, sì, eccoli qui. Sono proprio a
due passi.»
«Due passi?» Mi lancia un’occhiata ansiosa. «Definisci due passi.» Oh,
accidenti, sono ben più di due passi, ma ancora non glielo dirò. Potrebbe
girare l’auto e portarci via di qui. «Sono vicini, non ti preoccupare», mento.
Raggiungiamo il fondo della collina, e la strada si biforca. Davanti a noi
c’è un lago. La luce del sole sta iniziando a svanire proprio adesso. Mi
illumino, emozionata. «Gira a destra.» Lui obbedisce, e procediamo per un
po’. «Dovrebbe essere proprio qui.» «Dove?» Si acciglia lui.
«Parcheggia pure dove vuoi.»
«Che cosa vuoi dire?» Mi fissa.
«Possiamo montare la tenda dove preferiamo.»
«Intendi dire…» fa una smorfia, guardandosi attorno, «per terra?»
Io rido. «Ti aspettavi un parquet di rovere?»
Jameson rotea gli occhi e ferma il pick-up. Io esco e cammino avanti e
indietro sul bagnasciuga. «Che cosa stai facendo?» mi chiede.
«Sto cercando un buon punto dove mettere la tenda. Deve essere una
zona alta e piatta.»
«Perché alta?» mi chiede, iniziando a guardarsi attorno.
«Nel caso in cui dovesse piovere.»
Mi rivolge uno sguardo inorridito. «Non dirlo nemmeno.»
«Dai, dobbiamo darci una mossa.»
«Perché?»
«Si sta facendo buio, poi non avremo più luce.»
Jameson alza lo sguardo verso il cielo. «Non c’è illuminazione?»
«Abbiamo una torcia e due di quei faretti che si mettono sulla testa.»
«Buon Dio», esplode lui, prendendo a gettare fuori le nostre cose dal
retro della macchina. «Non mi metterò un cazzo di faro in testa come in uno
stupido episodio di Uomo vs Natura. È già abbastanza terribile adesso che
riesco a vedere cosa ho attorno.»
Ridacchio, prendendo la tenda dal borsone e iniziando ad aprirla. Gli
porgo la scopa. «Spazza via la terra.»
Mi fissa, del tutto spaesato. «Cosa?»
«Spazza via la terra… libera una zona. Non devono esserci rametti né
altro sotto la tenda.»
«Devo… spazzare via la terra», ripete lui.
«Sì, Jameson. Muoviti, o dovrai farlo con il buio.»
«Gesù Cristo… ora le ho sentite proprio tutte», borbotta, cominciando a
spazzare un’area per ripulirla. «Chi spazza via la terra, cazzo?»
«I campeggiatori.» Gli faccio un sorrisetto mentre apro le istruzioni, e
poi rimango a bocca aperta. Sembrano fatte per costruire un reattore
nucleare. Oh, accidenti, Molly aveva detto che sarebbe stata facile da
montare.
Okay… chi se ne frega. Andrà tutto bene. Dentro di me sento montare il
panico. Non torneremo a casa.
Allargo la tenda, e sento il rumore di uno schiaffo. «Ahi.»
Continuo a concentrarmi e tiro fuori i pali dalla sacca.
Sento un altro schiaffo. «Ma che diavolo?» grida Jameson.
«Che c’è?»
«Queste bestie sembrano uscite da Jurassic Park.» Agita le braccia
attorno a sé per allontanare gli insetti. «Nessuna zanzara dovrebbe essere
così grossa.»
Torno alle mie istruzioni. Okay, qui dice che questo palo va dentro
questo…
«Ah!» grida Jameson, schiaffeggiandosi le braccia. «Cazzo, Emily, mi
sto prendendo la malaria qui.»
Roteo gli occhi. «Smettila di fare il bambino.» Infilo il palo nel posto
giusto. «Puoi prendere l’angolo e tirare, per favore?»
Agitando ancora le braccia, si avvicina per fare come gli ho chiesto. Il
sole sta tramontando. «Indietreggia un po’», gli chiedo.
Si colpisce le gambe. «Fanculo», bisbiglia, muovendo una mano e
cercando di colpire qualsiasi cosa contro cui si stia accanendo.
«Un po’ di più.»
Cammina all’indietro e inciampa su una roccia, cadendo in un
cespuglio. «Ah», esclama.
«Oh.» Scoppio a ridere e corro ad aiutarlo a rialzarsi.
«Che razza di folle fa una cosa del genere per divertirsi?» farfuglia,
emergendo dalla vegetazione.
«Noi.» Ridacchio.
«Non è divertente, Emily.» Sbuffa, pulendosi di dosso la terra. «Questo
è un inferno in un vivaio idroponico per insetti geneticamente mutati.»
Qualcosa lo pizzica di nuovo, e lui si colpisce il collo. «Levati dal cazzo»,
bisbiglia all’animale.
«Per l’amor del cielo, principino, prendi l’antizanzare. È nel pick-up,
dentro alla borsa con le provviste.»
«Abbiamo l’antizanzare?» Mi guarda impassibile. «Cazzo, me lo dici
adesso che ho già perso due litri di sangue?»
Si precipita verso il veicolo, e lo sento spruzzare lo spray… ancora… e
ancora… e ancora.
«Ne stai lasciando un po’ per me?» gli chiedo.
«Questo è Uomo vs Natura, ognuno pensa solo per sé. Non hai guardato
Survivor? Questa notte ti caccerò dall’isola», grida, prima di essere colto da
un attacco di tosse e iniziare ad agitare le mani di fronte a sé. «E comunque,
cos’è questa roba?»
«Veleno.» Sgrano gli occhi. «Per uccidere gli insetti.»
Torna rapidamente da me. «Datti una mossa con la tenda», mi ordina.
«Perché ci stai mettendo tanto?»
«Montala tu, dato che sei così perfetto», sbotto.
«Va bene.» Mi strappa di mano le istruzioni e le fissa per un momento,
lanciando delle occhiate alla tenda stesa a terra. Volta il foglio e gira la testa.
«Beh, ora ha tutto perfettamente senso.»
«Davvero?» Mi acciglio. «Io non sono riuscita a capirci niente.»
«Queste non sono le istruzioni per montare una tenda, è una mappa per
scappare da Alcatraz.» Scoppio a ridere. «Che c’è di divertente?» dice lui
con tono secco. «Non c’è niente di buffo in questa situazione, Emily.»
Volta il foglio e poi lo gira ancora e ancora. Entrambi lo fissiamo.
«Okay, ora capisco.»
«Sì?» gli chiedo speranzosa.
«No, invece. Cerchiamo un albergo.»
«Jameson», lo supplico. «Volevo farti fare qualcosa che tu non abbia già
vissuto con una tua ex. Desideravo che provassimo insieme questa prima
esperienza. Puoi accontentarmi, per favore?» Fa un lungo sospiro. Lo
prendo per mano. «Lo so che non è quello a cui sei abituato, ma era per
tirarti fuori dalla tua zona di comfort. Ci tengo davvero, per me è
importante. Nel tuo appartamento lussuoso io mi sento altrettanto a
disagio.»
«Non è possibile.» Sostiene il mio sguardo e poi sbuffa, sconfitto. «Va
bene.» Riprende a studiare le istruzioni. La luce sta svanendo e deve
strizzare gli occhi per vedere.
Raggiungo la scatola dell’attrezzatura e prendo i due faretti. Ne metto
uno sulla sua testa e l’altro sulla mia, poi li accendo. Jameson alza lo
sguardo con un’espressione impassibile. Mi premo una mano sulla bocca
non appena mi scappa da ridere, e lui continua a leggere le istruzioni.
«Okay, dice che i pali sono in una sacca separata», annuncia.
«Ce li ho.»
«E dobbiamo attaccare gli angoli ai picchetti.»
«Già fatto.» Gli strofino la schiena e il sedere, e lui scaccia via la mia
mano.
«Dobbiamo infilare i pali nelle estremità e sollevarli.»
«Okay.» Mi chino per baciarlo.
«Emily.» Mi guarda, e la luce attaccata alla sua fronte mi acceca per
qualche istante. «Puzzo come una discarica di veleni tossici per insetti e non
mi sono mai sentito meno sexy in tutta la mia vita. Non sarei sorpreso se lo
spray mi avesse seccato il pisello come un’erbaccia.»
Scoppio a ridere. «Non smetterai mai di essere sexy per me, e il tuo
pisello è più un albero che un’erbaccia.»
Inarca un sopracciglio, poco entusiasta, mentre io vengo scossa da una
serie di risatine incontrollate. Ha davvero un’aria ridicola. Vorrei scattargli
una foto da inviare ad Alan, ma so che darebbe di matto. È già al limite.
«Okay, diamoci dentro e montiamo questa tenda, così poi possiamo
gonfiare il letto.» Sorrido.
La sua espressione si fa sgomenta. «Dobbiamo gonfiare il letto con una
pompa?»
«No, devi soffiarci dentro con la bocca», lo stuzzico.
Lui getta le istruzioni per aria. «Basta così, me ne vado.»
Scoppio a ridere. «No, invece. Ti sto solo prendendo in giro. Abbiamo la
pompa.» Si appoggia le mani sui fianchi e mi fissa per un momento.
«Jameson.» Gli sorrido dolcemente. «Questo weekend è una metafora della
nostra relazione. Tu ti aspetti che io rinunci a tutto ciò che conosco per
vivere in un mondo che mi è completamente estraneo.» Mi fissa. «Ti chiedo
solo tre giorni.» Sposto il peso da un piede all’altro. «Ti prego. Puoi farlo…
per me?»
Si stringe la base del naso, e io capisco che l’ho quasi convinto. Mi
sporgo e gli poso un bacio sulle labbra carnose. «Mi farò perdonare, te lo
prometto.»
«Va bene», sbotta. Poi si china per prendere le istruzioni e inizia a
leggerle di nuovo. «Prendimi il palo più lungo.»

Due ore più tardi, abbiamo finalmente montato la tenda. Il letto è pronto, e
io tiro fuori due sedie pieghevoli. «Vieni a sederti con me.» Gli sorrido,
aprendo una bottiglia di vino rosso.
Lui si accomoda e io gli passo un bicchiere di vetro. Ne ho portati due.
Sapevo che, se avessi tentato di farlo bere da uno di plastica, sarebbe finita.
Seduto sull’economica sedia pieghevole, Jameson accetta il vino. Io
brindo a lui con un sorriso. «Al successo della nostra fuga da Alcatraz.»
Jay fa un sorrisetto, bevendo un sorso e guardandosi attorno
nell’oscurità. «Okay, e ora cosa facciamo?»
«Questo.»
«Questo?» Si acciglia.
«Sì… devi solo stare seduto qui.»
«A fare cosa?»
«A rilassarti.»
«Oh.» Guarda il bosco buio attorno a sé e sorseggia il suo vino, mentre
io mi mordo il labbro inferiore per impedirmi di ridere. Ormai è notte e gli
alberi che ci circondano si stanno animando, pieni di creature. In lontananza
udiamo l’eco del verso di un qualche animale.
Dentro di sé, Jameson è in modalità panico e sta cercando di
controllarsi. Manda indietro la testa per svuotare il bicchiere e poi me lo
porge per farselo riempire subito.
«Che cosa stai facendo?»
«Mi sto sbronzando, così non mi ricorderò di essere stato divorato da un
orso.» Scuote la testa. «È l’unico modo.»
Rido. «Siamo totalmente al sicuro, Jameson.»
Lui sgrana gli occhi. «È quello che ha detto Daniel appena prima di
sparire.»
«Chi è Daniel?»
«Daniel di Blair Witch… non lo hai mai visto?» borbotta con tono
secco, guardandosi attorno.
«No», rispondo con un sorrisetto.
«Forse è meglio che tu non lo faccia.» Sposta lo sguardo sugli alberi. «È
tremendamente familiare.»
Ridacchio e poi mi alzo. «Vado in bagno.»
«Cosa?» Si solleva di colpo. «E dov’è?»
«Lungo il sentiero.»
Si incupisce. «Non puoi andare là da sola. È pericoloso.»
«No, non lo farò. Tu verrai con me.»
«Cosa?» Aggrotta la fronte.
«Andiamo, Jay,»
«No, non ci allontaneremo dall’accampamento. Non voglio andarmene
a zonzo.»
Sorrido, lanciando uno sguardo verso il lago. La luce della luna danza
sull’acqua. «Va bene.» Mi sfilo la maglietta e poi mi abbasso le mutandine.
«Che stai facendo?»
«Vado a fare il bagno nuda.»
«Cosa?» Guarda verso l’acqua scura. «No… no, che non lo farai. Te lo
proibisco.»
Mi tolgo il reggiseno e glielo getto sulla testa, ma lui se lo leva di dosso.
«Emily.»
Allontano le mutandine con un calcio.
«Sei completamente impazzita?» bisbiglia Jameson.
«Forse.»
Si guarda intorno. «Chiunque potrebbe vederci.»
Sorrido e corro verso il bagnasciuga. «Vuoi venire, coniglio?» Mi
addentro nell’acqua fino a quando non mi arriva a metà coscia.
«Sei fuori di testa!» grida lui dalla riva.
Gli spruzzo un po’ d’acqua addosso. «Entra, codardo.»
Si infila le mani nei capelli, in preda al panico. «Emily, non è sicuro.»
«È molto più sicuro che a New York, Jay. Andiamo… goditela un po’.»
Lui guarda prima a sinistra e poi a destra, serrando le mani a pugno lungo i
fianchi. «Jay, andiamo, piccolo.» Gli sorrido, abbassandomi nell’acqua. «Ti
proteggerò io.» Lui chiude gli occhi. Vorrebbe entrare, so che lo vorrebbe.
«Dai.» Rido, continuando a nuotare. «L’acqua è bellissima.»
Scuotendo la testa, Jameson si toglie la maglietta e la getta di lato. Io
continuo a ridere, galleggiando sulla schiena, e lui entra nel lago.
«Togliti i pantaloncini.»
«Non ho intenzione di usare il cazzo come se fosse un’esca viva per
anguille», dichiara lui.
Mi raggiunge e mi stringe a sé. L’acqua è fredda e pulita, e io gli
avvolgo subito le braccia attorno al collo.
La luce della luna si riflette sul lago e lui sorride, baciandomi
gentilmente. «Sei matta, Emily Foster.»
«E ti amo.» Lo guardo con gioia. Mi sembra folle… follemente bello.
«Sarà meglio.» Sfiora le mie labbra.
Gli avvolgo le gambe attorno alla vita, sentendo la mia eccitazione
risvegliarsi dal torpore. Il nostro bacio si fa più appassionato. «Credo che
dovremmo battezzare il lago», mormoro.
«Sei davvero una maniaca sessuale.»
Sorrido e premo le labbra sulle sue, abbassandogli un po’ i pantaloncini.
«Questo lo abbiamo già stabilito. Ora scopami, Ragazzo del Lago, prima
che il tuo pisello venga divorato, e non intendo da me.»
Sogghigna di nuovo contro le mie labbra e mi afferra per il sedere. «Stai
zitta. Stai rovinando il momento.»

Una goccia.
Un’altra.
Un’altra ancora.
Dal mio sonno profondo, sento la pioggia cadere sulla tenda.
Sempre di più. Inizia a farsi intensa.
«Cazzo, non dirmelo», bisbiglia Jameson accanto a me.
Crash. Un tuono risuona in lontananza, ed entrambi sobbalziamo per lo
spavento quando il bosco si illumina quasi a giorno.
«Non puoi fare sul serio», borbotta lui nell’oscurità.
Gli sto dando la schiena, e mi mordo il labbro per evitare di ridere.
Quando siamo andati a letto, ha avuto una crisi isterica perché i rumori
degli animali nel bosco lo tenevano sveglio… in effetti, ha avuto circa dieci
crisi isteriche.
Questa sarà la ciliegina sulla torta.
La pioggia comincia a fare sul serio, e i tuoni rimbombano
ripetutamente.
«Beh, è davvero fantastico, cazzo», sbuffa.
Sorrido e mi giro verso di lui. «Va tutto bene. La tenda è impermeabile.
Torna a dormire.»
La tenda si illumina di continuo di un bianco iridescente mentre i lampi
attraversano il cielo. Jameson si alza a sedere e tasta in giro nell’oscurità.
Cerca a lungo sulle mani e sulle ginocchia.
«Che stai facendo?»
«Sto cercando una dannata luce!»
Scoppio a ridere.
«Come fai a trovarlo divertente? Non c’è un cazzo di niente da ridere,
Emily.»
Alla fine trova la torcia e se la mette in testa, poi la accende e mi
guarda. Ha i capelli scompigliati e ritti da tutte le parti, e i suoi occhi sono
sgranati e spiritati.
Non riesco a trattenermi, vengo colta da un attacco di risa.
«Che c’è?»
«Se potessi…» Devo smettere di parlare perché sto ridendo troppo. «Se
solo potessi vederti.»
Lui sogghigna, e poi un fulmine atterra tanto vicino a noi che sembra
aver colpito un albero qui accanto.
«Cazzo, moriremo qui stanotte», balbetta Jameson in preda al panico.
La pioggia cade con violenza, e io apro la tenda. Entrambi sbirciamo
fuori la tempesta apocalittica. L’acqua sta venendo giù a dirotto, così
richiudo l’entrata.
«Va tutto bene. La tenda è impermeabile, dobbiamo solo dormirci su.»
«Sei completamente impazzita?» sbotta lui. «Chi potrebbe dormire in
mezzo a questa bufera?»
«Io… io potrei.» Mi stendo di nuovo e mi tiro addosso il lenzuolo del
sacco a pelo.
Sorrido, ricordando la sceneggiata precedente di Jameson al pensiero di
non potermi toccare all’interno del sacco a pelo. In un’operazione durata
un’ora, ha aperto la zip di entrambi i sacchi, e ne ha messo uno sotto di noi
e l’altro sopra, perché potessimo accoccolarci insieme durante la notte. È
troppo adorabile.
La tenda inizia a ondeggiare a mano a mano che la tempesta si fa più
violenta.
«Porca puttana… ecco che ci siamo», borbotta, alzando lo sguardo
verso il soffitto.
Un capo del telone si solleva per il vento e lui ci salta sopra per tenerlo a
terra. Io scoppio di nuovo a ridere.
«Non sei d’aiuto», grida.
Continuando a ridacchiare, mi alzo e prendo la sua giacca per
mettermela addosso.
«Che cosa stai facendo?» Si acciglia.
«Devo infilare di nuovo il piolo in terra.» Mi sistemo la torcia in testa.
Jameson rimane a bocca aperta per l’orrore. «Cosa?»
«Solo così la tenda rimarrà in piedi.»
«Non andrai là fuori. È pericoloso», bisbiglia furioso.
«Qualcuno deve farlo.» Prendo il martello.
Lui mi strappa l’attrezzo di mano. «Questa sarà la mia fine.»
Rispondo con l’ennesima risata. «Addio, Emily.» Abbassa la zip. «È
stato bello conoscerti.» Svanisce sotto la bufera.
«È per questo che sei l’amministratore delegato», dico divertita,
sentendo i colpi metallici mentre lui pianta per bene il piolo a terra.
La pioggia cade a catinelle, e il vento è sempre più violento. Sul serio,
quante possibilità c’erano che beccassimo proprio una bufera?
Accidenti a te, tempo.
Apro la tenda e scruto fuori tra la pioggia fitta. Jameson fatica a tenersi
in piedi per via delle raffiche e sta martellando i pioli a terra, con il faretto
ancora sulla testa. È fradicio e coperto di fango. Ancora una volta sono colta
da un attacco di risa e, non riuscendo a trattenermi, afferro il telefono per
scattargli qualche foto. Sono certa che un giorno lo troverà divertente.
Dopo dieci minuti, torna dentro. Sta ansimando, è bagnato ed è coperto
di fango per via degli schizzi della pioggia. Prendo un telo e inizio ad
asciugargli i capelli. Gli sfilo la maglia di dosso e gli abbasso i pantaloni
della tuta.
«Asciugati. Smetterà presto», dico per cercare di calmarlo.
Il rumore della pioggia è assordante attorno a noi, e Jameson si
ripulisce. Frugo nella borsa per trovargli dei vestiti asciutti, e la tenda
riprende a ondeggiare mentre lui saltella in giro ancora umido, cercando di
coprirsi.
Poi la tenda si solleva di nuovo.
«Vaffanculo», sbotta.
Oh mio Dio… è davvero tremendo.
Sentiamo uno strappo fragoroso e sgraniamo gli occhi.
«Oh, no… la tenda», sussurro. «Non possiamo danneggiarla… è di
Michael.»
«Comprerò un camper a quel poveretto. Questo è intollerabile, cazzo»,
bofonchia lui.
Rip. La stoffa si strappa a metà. «Ah!» grido quando le nostre cose
prendono il volo in mezzo alla bufera. Corro in giro cercando di gettare
tutto nelle borse.
Jameson perde definitivamente la sua lucidità mentale: si appoggia le
mani sui fianchi, manda indietro la testa, verso il cielo, e scoppia a ridere.
«Non è divertente. Porta le borse al pick-up», grido.
Lui ride… e ride… e ride. Invece io cerco di tenere asciutti i nostri
telefoni e corro verso il veicolo con le borse.
«Jameson», strillo. «Fai qualcosa.»
Lui si gira verso di me, mi prende tra le braccia sotto la pioggia battente
e mi bacia. Le torce che abbiamo in testa cozzano tra di loro, e a quel punto
anche io scoppio a ridere.
«È ridicolo», bisbiglio.
«Albergo?»
«Per favore.»

«Salve.» Sorrido alla receptionist del centro turistico. «Avete qualche bed
and breakfast disponibile per due notti, per favore?»
La donna dietro al bancone si mette subito al computer.
Ieri notte siamo stati in un albergo orrendo, e Jameson si rifiuta di
rimanere lì. Ha detto che possiamo stare fuori città per l’intero weekend
solo se trovo un posto quantomeno decente per i prossimi due giorni. In
questo momento, lui è fuori a cercare del caffè.
Ormai ha smesso di piovere, e prima o poi dovremo tornare indietro a
recuperare l’attrezzatura da campeggio di Michael dall’apocalisse della
notte scorsa, dato che abbiamo preso solo le nostre cose e siamo scappati. In
ogni caso, non potevamo fare altro nel bel mezzo della notte e in quelle
condizioni.
«Ho solo una fattoria.» La donna batte qualcosa sulla tastiera e poi
legge. «È la proprietà Arndell.» La ascolto con la fronte aggrottata. «È
disponibile per due notti e, se vi va bene, potete averla a un prezzo ridotto.»
Sorrido. Adoro che pensi ci serva uno sconto. «Okay, mi sembra
fantastico. Grazie.» Le passo la carta di credito di Jameson, e lei si occupa
dei documenti.
«Ecco le chiavi.» Mi porge una mappa. «Andate giù per Falls Road, la
proprietà ha una strada privata sulla destra.»
«Oh, quanto è grande?»
«La casa si trova su un terreno stupendo di trecento acri. L’edificio è un
po’ malconcio, ma la location è incredibile.»
Sorrido. «Bene, ottimo.»
Torno al pick-up e vedo il mio povero uomo tutto scarmigliato. Sembra
abbia attraversato l’inferno e, stranamente, credo di non averlo mai visto
più rilassato. È come se, quando la notte scorsa ha perso la testa, abbia
anche abbandonato parte della tensione che lo stressava tanto.
«Okay, abbiamo una fattoria.»
Si china su di me per appoggiarmi una mano sulla coscia e porgermi il
caffè. Inserisce la prima e si immette in strada. Sorrido, guardando fuori dal
finestrino, mentre il pick-up parte con un sobbalzo.
«Lo sai che non abbiamo ancora incrociato nemmeno un’auto?» mi fa
notare Jameson, tenendo gli occhi sulla strada.
«È bello, no?»
Lui fa spallucce. «È diverso.»
Seguiamo le indicazioni e dieci minuti dopo raggiungiamo un grande
ingresso di pietra con un cartello che dice: “Arndell”.
«Ci siamo.»
Entriamo nel vialetto e io mi illumino. Ai lati della strada ci sono
enormi alberi che formano quasi un colonnato. Delle dolci colline verdi si
estendono a perdita d’occhio.
«Oh, guarda questo posto.» Sorrido con ammirazione. «Quella donna mi
aveva avvisata del fatto che il terreno è stupendo.» Guidiamo per cinque
minuti fino a quando non raggiungiamo la cima della collina e troviamo una
grande e vecchia casa. È bianca, con un ampio portico che le corre tutto
intorno. Il tetto è di tegole, e deve avere un centinaio di anni.
Jameson mi lancia un’occhiata.
«Non dire niente», sogghigno.
Lui alza le mani come per dichiarare la propria sconfitta.
Scendiamo dall’auto e apriamo la porta d’ingresso per sbirciare dentro.
Sono estasiata. Pavimenti in legno, un enorme caminetto e grandi finestre
che danno su tutta la proprietà. Da qui si riesce a vedere il terreno
circostante per chilometri. Il mobilio è datato, ma a noi non importa.
Mentre facciamo un giro e ci guardiamo attorno, prendo Jameson per
mano. Al piano di sotto ci sono un grande soggiorno, una sala da pranzo
formale, una vasta cucina, un bagno e una camera da letto. C’è una vecchia
scalinata di legno, così saliamo al piano superiore, trovando altre cinque
camere e un bagno.
Mi volto verso Jameson e gli getto le braccia attorno al collo. «Così va
meglio, signor Miles?»
Lui sorride, chinandosi per baciarmi. «Può andare.»

Ci stendiamo su un telo posizionato sull’erba. Il calore del sole è piacevole


sui nostri volti. È domenica pomeriggio e siamo rilassati e assonnati. La
notte scorsa è stata paradisiaca. Abbiamo acceso il fuoco, e Jameson mi ha
accontentata, aiutandomi a portare lì davanti il materasso perché potessimo
dormire accanto al camino. Oggi abbiamo esplorato la proprietà e siamo
andati in città a comprare qualche provvista con il nostro pick-up azzurro.
Da quando conosco Jameson, è la prima volta che non mi sembra
stressato, sul punto di perdere il controllo. E io sono felice… davvero tanto
felice.
Mi giro verso di lui. «Parlami della tua relazione con Claudia.»
Si acciglia e si sistema su un fianco per guardarmi in viso. «Che cosa
vuoi sapere?»
«Tutto.»
Solleva una mano e mi sfiora il labbro inferiore con un dito. «La
relazione che avevo con lei non era affatto come la nostra.»
«In che senso?»
«Beh, per molto tempo siamo stati amici. Non c’è mai stata questa
attrazione istantanea o…» Si interrompe.
«No, continua», lo incoraggio. «Voglio sapere.»
«Ha seguito alcune notizie per noi e abbiamo avuto modo di conoscerci.
Poi… nel corso del tempo, siamo diventati amici.» Lo guardo. «Pensavo…»
Esita, giocherellando con il telo sotto di lui; sembra che stia riflettendo su
qualcosa.
«Cosa pensavi?»
«Credevo che fosse l’amore della mia vita. Era come me. Motivata.»
Scrolla le spalle. «Mi capiva.» Mi si stringe lo stomaco per la gelosia.
«Siamo stati insieme per tre anni. Ci siamo fidanzati.»
Mi acciglio. «Eravate fidanzati?» Questo non lo sapevo. Era nella
biografia di Claudia ma non nella sua, e speravo che fosse un’informazione
errata.
«Sì.»
Incrocio il suo sguardo. «Che cosa è successo?»
Emette un sospiro pesante. «Le hanno offerto il lavoro di caporedattrice
dell’edizione inglese di Vogue. Era un grande traguardo, e lei ha lavorato
sodo per raggiungerlo.» Lo osservo mentre continua a raccontare. «Si è
trasferita e…» La sua voce si spegne.
«Cosa?»
«Abbiamo provato ad avere una relazione a distanza, ma io ho avuto
qualche difficoltà a gestire la mancanza di sesso. Non fa per me.» Mi
acciglio. «Quindi abbiamo fatto un patto. Ci siamo detti che saremmo stati
con altre persone, ma che avremmo riprovato a stare insieme di lì a qualche
anno. Avevamo il progetto di tornare insieme dopo cinque anni.»
Il cuore mi sprofonda nel petto.
È ancora innamorato di lei.
«Ma poi, un anno fa, ho incontrato una ragazza su un aereo.» Faccio un
sorrisetto. «E lei era tutto ciò che non stavo cercando.» Ci fissiamo negli
occhi, e l’aria tra di noi si carica di elettricità. «Ma non potevo corteggiarla
per via della mia promessa a Claudia.» Prende il mio volto tra le mani e mi
accarezza delicatamente il labbro inferiore con il pollice. «Volevo farlo. Lo
volevo davvero. Ho sentito una connessione fisica con lei sin dall’inizio. Ce
l’ho avuto duro per tutto il viaggio in aereo, e la nostra notte insieme è stata
pazzesca.» Mi sorride con dolcezza. «In quella ragazza c’era qualcosa che
non sono riuscito a dimenticare. Mi è rimasta nella mente. Da allora, ho
paragonato a lei ogni altra donna e ogni altra esperienza sessuale.» Si
interrompe, cercando le parole giuste per esprimere quello che pensa. «E
nessuna era mai all’altezza… nemmeno Claudia.» Gli rivolgo un sorriso,
con la speranza che mi sboccia nel petto. «Di recente ho pensato molto a lei,
e ho persino contattato la compagnia aerea per scoprire il suo nome.»
«Davvero?» bisbiglio.
Questa è una novità.
Annuisce. «Sei settimane prima che tu cominciassi a lavorare per noi,
mi sono fatto mandare una fotocopia del tuo passaporto. Avevo progettato
di contattarti, ma con tutto quello che stava succedendo sul lavoro non ci
ero ancora riuscito. Non avevo idea che stessi per iniziare a lavorare per la
Miles Media.»
«Beh, questo spiega tutto», commento con un sorrisetto.
«Spiega cosa?»
«Perché non mi hai mai chiamata. Nella foto del passaporto sembro una
carcerata.»
Lui ridacchia. «È vero.» Si china e mi bacia dolcemente. «Parlami dei
tuoi amori passati.»
Lo scruto negli occhi. «Non posso.» Jameson aggrotta la fronte. «Da
quando ti ho incontrato, ho capito di non essere mai stata innamorata
prima.»
Mi sorride, intenerito. «E il tizio con la Barbie un po’ vacca?»
Mi scappa da ridere. «Te lo ricordi?»
«Sì.» Sogghigna e mi attira contro al suo corpo, stringendomi forte.
«Jay, quello che ho provato per gli altri non è paragonabile a ciò che
provo per te.» Rimaniamo sdraiati in silenzio per un po’, e io guardo gli
alberi che ondeggiano al vento sopra di noi. «Ti amo», sussurro.
Mi bacia una tempia. «Bene, perché io non faccio campeggio all’inferno
per chiunque.»
Faccio una risatina e lo abbraccio. Quest’uomo sarà la mia rovina.

Jameson
Fissiamo il fuoco che tremola nel camino. Di tanto in tanto, scoppietta
mentre il legno brucia. Emily è davanti a me, sul nostro letto improvvisato
sul pavimento. Abbiamo appena fatto l’amore e siamo stanchi ma rilassati.
Domani torniamo a casa.
A essere sincero, potrei rimanere qui per sempre.
Lei trasforma qualsiasi posto in una casa.
Mi sorride. I suoi lunghi capelli scuri sono sparsi sul cuscino, e i suoi
grandi occhi mi offrono un enorme conforto. Allungo una mano per
sfiorarle un seno sodo, mentre con l’altra scivolo più in basso, lungo il suo
ventre. Le faccio girare la testa per catturare le sue labbra con le mie. Le
nostre lingue danzano in un ballo lento ed erotico.
Sono così innamorato di questa donna… Quando siamo soli, nient’altro
ha importanza.
«Grazie», bisbiglio.
Mi scruta negli occhi. «Per cosa?»
«Per avermi trovato.»
Si gira verso di me e mi prende il viso tra le mani. «Ci saremmo
ritrovati in ogni caso», mormora. «Le anime gemelle lo fanno.»
Faccio un sorrisetto e le passo una ciocca di capelli dietro all’orecchio.
«Non credi davvero in quelle stupidaggini paranormali delle anime gemelle,
vero?»
«Prima no.» Mi bacia piano. «Poi ti ho conosciuto.»
Ci fissiamo nella luce tremante. Se potessi intrappolare nel tempo
questo momento, lo farei. Non ho mai provato niente di tanto naturale e
puro in tutta la mia vita. Il suo amore è come una luce… la mia luce.
«Jay», sussurra, passandomi le dita sulla mascella ispida. Mi guarda
negli occhi.
«Sì, piccola?»
«Possiamo tornare qui il prossimo fine settimana?» mi chiede
speranzosa.
«Vuoi davvero tornare qui?» mormoro.
Lei annuisce con un piccolo sorriso. «Mi piace questa vecchia casa.»
Piego le labbra in un’espressione divertita. A dire la verità, anche a me
non dispiace. «Forse.»
Si accoccola contro il mio petto. La sento rilassarsi tra le mie braccia, e,
dopo un po’, il ritmo regolare del suo respiro mi fa capire che si è
addormentata. Inspiro profondamente tra i suoi capelli e sorrido, guardando
il fuoco.
Ci siamo. Posso smettere di cercare. L’ho trovata.
Capitolo 20

Jameson

E ’ ,
delizioso aroma del cibo che Emily sta cucinando. Sorrido, appoggio la
borsa del computer e mi dirigo verso la cucina, trovando la mia splendida
donna che sta ballando mentre prepara da mangiare, con la schiena rivolta
verso di me. Mi fermo sulla soglia e la guardo per un momento. Indossa una
gonna nera e una camicia bianca, i suoi lunghi capelli scuri sono raccolti in
una coda, e il suo viso naturalmente bello sembra quasi brillare. Sono
attraversato da una sensazione calda di pace di fronte alla sua evidente
felicità.
Va tutto bene nel mio mondo quando lei è con me. È la cosa più strana
che mi sia mai successa. Non vorrei essere in nessun altro luogo a parte che
qui con lei. Ho cominciato a guardare l’orologio dalle tre di questo
pomeriggio, aspettando il momento di poter tornare a casa.
La guardo mentre prende il suo bicchiere di vino e beve un sorso, il
rossetto color borgogna lascia sul vetro una perfetta impronta delle sue
labbra, e io sorrido. Persino il suo rossetto su un bicchiere mi scatena
qualcosa dentro. Non vorrei lavarlo mai più, sono come uno scolaretto
innamorato.
Il suo sedere si muove in maniera sensuale, seguendo il ritmo della
musica, e io lo ammiro, incantato da questa bellissima donna nella mia
cucina. In quel momento, lei si gira e si accorge di me, così mi rivolge un
sorrisetto sexy. «Ciao.»
Mi raggiunge e la stringo tra le braccia.
«Come sta il mio uomo?» domanda, baciandomi teneramente.
«Bene ora che sono a casa.»
Le nostre labbra si incontrano ancora e ancora, e io la faccio sedere sul
bancone della cucina per infilarmi tra le sue gambe mentre ci baciamo.
«Ci godiamo un antipasto prima della cena, signor Miles?» sussurra
contro la mia bocca.
Mi abbasso la zip. «Sembra proprio di sì.»

È giovedì e qui è un manicomio. Stiamo preparando i rapporti per la


riunione del consiglio di domani. È bello tornare al lavoro senza la
pressione aggiuntiva di tutte le altre cose che stanno succedendo. Tristan ed
io siamo seduti alla mia scrivania, per discutere del nuovo budget
pubblicitario che abbiamo stabilito, quando qualcuno bussa al mio ufficio.
«Avanti», dico. La porta si apre e un viso familiare appare nel mio
campo visivo. Il buonumore svanisce dal mio volto, e mi alzo
immediatamente. «Claudia.»
Tristan sgrana gli occhi e si rimette in piedi, lanciandomi uno sguardo
confuso. «Ciao, Claud.» La raggiunge e le bacia una guancia. «Come stai?»
le chiede.
Lei si costringe a sorridere. «Bene, grazie… e tu?»
«Tutto a posto.» Mio fratello incrocia il mio sguardo dall’altra parte
della stanza. «Ho delle cose da fare. Ci vediamo più tardi, Claud.»
«A dopo.» Il suo sorriso svanisce, e lei sposta lo sguardo nervoso su di
me. «Ciao, Jameson.»
«Ciao.» Mi avvicino a lei, baciandola sulla guancia, il suo profumo
familiare risveglia in me dei ricordi dolorosi del nostro passato insieme.
«Come stai?» le chiedo.
Lei stringe la sua borsa. «Ho dato le dimissioni da Vogue e sto tornando
a casa, a New York.» La fisso, senza parole. «Mi sei mancato troppo,
Jameson. Non posso vivere senza di te», bisbiglia.
Il cuore mi sprofonda nel petto. «Claud, no…»
I suoi occhi si riempiono di lacrime. «Hai detto che era la lontananza.»
La osservo con compassione nello sguardo. Non sopporto di vederla
sconvolta, così la prendo tra le braccia.
«Non è più per quello», mormoro tra i suoi capelli. La porta si apre, ed
Emily entra con passo allegro. Non appena vede Claudia tra le mie braccia,
la felicità svanisce dal suo viso e lei si blocca sul posto.
«Oh… sono…»
«Entra pure, Emily», le dico.
Claudia si libera dal mio abbraccio e punta uno sguardo folle su di lei.
«Claudia, lei è Emily… la mia ragazza», le presento.
Lei sposta lo sguardo tra noi due, e poi porge la mano alla mia ex.
«Salve, Claudia. Piacere di conoscerti.» Le sorride con gentilezza.
Lei ricambia la stretta. «Salve.» Riporta subito l’attenzione su di me.
Emily fa scorrere di nuovo uno sguardo interrogativo tra noi due. «Vi
lascio un po’ di privacy.»
«Grazie», bisbiglio, tenendo lo sguardo fisso su Claudia. Detesto ferirla.
«Arrivederci», la saluta Emily. «È stato un piacere.»
Mentre la porta si chiude con un click sordo, gli occhi di Claudia si
riempiono di nuovo di lacrime. «Almeno sa chi sono?» mormora.
«Sì.»
«Ed è serena all’idea di lasciarti qui con me nonostante mi abbia vista
tra le tue braccia?» borbotta con tono sarcastico.
Sostengo il suo sguardo, irritato dall’insinuazione che Emily possa
avere dei motivi validi per essere insicura. «Sa a chi appartiene il mio
cuore.»
Claudia ricomincia a piangere, e io mi prendo mentalmente a calci per
essere un tale bastardo. «Sto tornando a casa, a New York, Jameson.
Possiamo rimetterci insieme.»
«No, non possiamo.» Mi fissa. «La sposerò, Claud.»
«Non dirlo», mormora. «Per te è solo la scelta più facile, perché non ti
offre nessuna sfida.»
«Ti sbagli, è l’amore della mia vita.»
Lei serra la mascella, in preda all’ira. «Che bastardo.»
«Mi dispiace.» Faccio un passo indietro. «Ma non c’è altro modo per
dirlo.»
La rabbia divampa in lei. «Quindi… cosa succederà quando ti vedrò in
giro?» sbotta.
«Mi saluterai.»
«Credi di potermi sostituire tanto facilmente?» farfuglia. La fisso, mi
dispiace che stia tanto male. «Io ti amo, Jameson. Torna da me», mi
supplica, prendendomi una mano tra le sue. «Ora devi andare, Claud.» «Mi
stai cacciando via?» strilla.
«No. Ti sto chiedendo di andartene.»
«È la stessa cosa.»
Espiro profondamente, questa storia non finirà bene. Devo chiuderla
prima che scoppi una guerra aperta. Le do un bacio sulla fronte, poi vado
alla porta e la apro. «Addio, Claudia.»
Lei si asciuga le lacrime con un gesto rabbioso e mi supera come una
furia. Chiudo la porta e fisso la moquette per un momento. Finalmente mi
sembra che tutto stia andando al suo posto. Torno alla scrivania e faccio il
numero di Emily.
«Ciao», mi risponde lei.
«Ehi.»
«Ero venuta su per vedere se oggi volevi andare a pranzo fuori.»
Sorrido. Amo questa donna. Non prova un briciolo di insicurezza.
«Certo. Ci vediamo nel foyer all’una.»

Emily

Sono quasi le tre del pomeriggio.


Mi volto verso Aaron. «Vorrei davvero che apparisse dal nulla una
dannata cheesecake a domicilio.» «Sì, anche io», borbotta lui.
«Vado a fare il caffè.» Mi alzo e mi dirigo verso la cucina. Preparo una
tazza per Aaron e per Molly, e poi, mentre sto facendo il mio, Jake entra
nella saletta.
«Ciao, Emily.»
«Oh, ciao.» Mescolo il caffè.
«Cavolo, dovresti prepararti ad affrontare una vera e propria tempesta
mediatica per domani.»
«Perché?»
Si guarda intorno e si sporge verso di me, come se non volesse farsi
sentire da nessun altro. «Vedrai cosa faranno uscire sui giornali i Ferrara.»
«Che cosa?» Aggrotto la fronte.
«Non puoi dirlo a nessuno», bisbiglia.
«Non lo farei mai.»
«Hanno delle informazioni su Jameson Miles. Sta per scoppiare uno
scandalo.»
Sgrano gli occhi. «Cosa? E tu come fai a saperlo?»
«Il nostro infiltrato nel loro ufficio ci ha appena informati.»
«E di cosa si tratta?»
Lui si guarda attorno. «A quanto pare…»
Qualcun altro entra in cucina, ed entrambi ci allontaniamo l’uno
dall’altra con aria colpevole. Il nuovo arrivato inizia a chiacchierare di cose
inutili con Jake. Se rimanessi qui ad aspettare, gli farei capire che voglio
parlargli da sola. Cazzo, verrò di nuovo qui più tardi.
Ritorno alla mia scrivania con il cuore in gola. Che informazioni hanno
scovato su Jay? Oh, cavolo, devo scoprire di cosa si tratta.
Tengo d’occhio la cucina, e non appena vedo Jake tornare alla sua
scrivania, mi dirigo verso di lui. I suoi occhi si illuminano quando mi vede.
«Ciao.»
«Vediamoci nella stanza della fotocopiatrice, per favore», mormoro.
«Certo.»
Vado ad aspettarlo e, qualche istante più tardi, lui mi raggiunge.
«Che accidenti sta succedendo?» sibilo.
«Non posso dirtelo qui, è troppo rischioso», risponde, guardandosi
attorno.
«Dimmelo e basta.» Quasi lo supplico.
«Incontriamoci dopo il lavoro, e ti dirò tutto quanto davanti a un drink
veloce.»
Lo fisso. «A che ora?»
«Alle sei e mezza?»
Ci rifletto per un momento. Così avrei il tempo di andare da Tristan
subito dopo, se ce ne fosse bisogno. «Dimmelo adesso e basta.»
«Assolutamente no. Te ne parlerò stasera, è una questione troppo
complicata.»
Dannazione, non voglio vedermi con questo idiota, ma, se non lo faccio,
come riuscirò a scoprire cosa stanno tramando i Ferrara? Se ne vengo a
capo, forse potremo ottenere un’ingiunzione e impedire alla storia di andare
in stampa.
«Okay, va bene. Dove?»
«All’Harry’s Bar alle sei e mezza.»
«Va bene, ci vediamo lì.»
Torno alla mia scrivania e mi guardo intorno con aria colpevole. Il mio
cuore batte all’impazzata. Che cosa sanno di Jameson? Oh, no, il mio
povero uomo.
Entrambi i miei colleghi non sono alla loro scrivania, e so che devo
approfittare di questo momento per chiamare Jay e fargli sapere che farò
tardi. In questo modo, Molly e Aaron non mi sentiranno mentirgli e io potrò
usarli come alibi per la serata.
Compongo il suo numero, nervosa.
«Ehi», mi risponde la sua voce sexy.
«Ciao.» Comincio a sudare, preparandomi a raccontargli una bugia.
«Stasera devo uscire a cena con Molly e Aaron.» Faccio una smorfia.
«Aaron è un po’ giù e vogliamo provare a tirarlo su di morale.»
«Oh.» Mi sembra sorpreso.
«Per te va bene?» replico preoccupata.
«Certo che sì.»
«Arrivo non appena finisco, non farò tardi.»
«Okay, piccola.»
«Che cosa mangerai?» Mi acciglio. Detesto non cucinare per lui.
Prendermi cura di Jameson è diventata la mia attività preferita.
«Troverò qualcosa, non preoccuparti per me.» «Oh, okay.»
Ammutolisco, sentendomi in colpa.
Come se avesse percepito il mio travaglio interiore, mi chiede: «Va tutto
bene, Emily?»
«Sì, certo. Ti amo. Ci vediamo stasera.» Riattacco rapidamente prima di
confessare la mia bugia.
Alle sei e trenta in punto, entro nell’Harry’s Bar. Sono già stata qui con
Aaron e Molly, quindi so dove si trova. Jake è in un angolo in fondo, e,
quando mi vede, agita allegramente una mano. Gli sorrido imbarazzata e mi
dirigo verso il tavolo. C’è un bicchiere di vino ad aspettarmi.
«Ciao.» Mi siedo di fronte a lui.
«Ciao. Sei bellissima.» Si illumina, squadrandomi da capo a piedi, e io
mi acciglio. Sono andata a casa per lavarmi e cambiarmi rapidamente.
Spero che non creda che lo abbia fatto per lui. Mi sono cambiata per Jay,
per quando lo vedrò più tardi.
«Mi hai ordinato da bere?» gli domando.
«Sì.» Mi fa un sorriso caloroso. «Spero che ti piaccia, è
Cabernetsauvignon.»
«Grazie.» Ne bevo un sorso. «Qual è la notizia su Jameson?»
Lui apre il menù. «Dovremmo prendere qualcosa da mangiare?»
«In realtà, non ho fame», rispondo. Voglio solo ottenere l’informazione
e andarmene da qui.
Jake continua a leggere il menù. «Potrei prendere delle patatine.»
«Mi dici quello che sai?» gli chiedo di nuovo.
«Beh, è una faccenda intricata.»
Bevo un sorso del mio vino mentre lo fisso. Sono così innervosita da ciò
che sta per dirmi che ho quasi la nausea.
«A quanto pare domani pubblicheranno un lungo articolo.»
Bevo un altro sorso. «Su cosa?»
«Beh…» Si ferma. «Credo che prenderò le patatine, tu le vuoi?»
«Va bene, prendi queste dannate patatine», sbotto.
Lui legge ancora il menù, e io sono sul punto di esplodere.
Decidi cosa vuoi mangiare, maledetto idiota.
«Vado a prendere le patatine», gli dico, alzandomi in piedi di colpo.
«Tutto qui? Non vuoi altro?»
«No, grazie.»
Marcio verso il bancone. «Posso avere una porzione di patatine con tre
salse, per favore?» Espiro profondamente, cercando di calmarmi.
Rimani concentrata.
«Emily.» Sento una voce che mi chiama da dietro le spalle.
«È tutto?» mi chiede il cameriere.
«Sì, grazie.» Gli sorrido e mi volto verso la voce che mi ha appena
chiamata. Jake mi prende per mano e mi bacia sulle labbra. Faccio un passo
indietro, scioccata. «Che stai facendo?»
«Ti sto baciando.» Mi sorride e si sporge in avanti per farlo di nuovo.
Faccio un balzo indietro, allontanandomi dalla sua portata. «Ma che
cavolo, Jake! Non mi piaci in quel senso», sbotto, strofinandomi la bocca.
«Credevo che, siccome abbiamo un appuntamento…»
«Cosa?» balbetto, orripilata. «Sono venuta qui solo per sapere di
Jameson.»
Lui mi rivolge un sorrisone sfacciato e poi fa un occhiolino.
Lo guardo in cagnesco. «Non c’è nessuna notizia, vero?»
Jake scrolla le spalle. «Potremmo crearne una noi trascorrendo insieme
una notte di passione sfrenata.»
«Sei un coglione», esclamo. «Tu non mi interessi.»
«Oh, ma dovrei.» Mi prende di nuovo per mano, e io lo colpisco sul
petto.
«Smettila.»
«Sono ventidue dollari», dice il povero cameriere, spostando lo sguardo
tra di noi.
«Non pagherò le patatine di questo imbecille», dichiaro con tono secco.
«A mai più, Jake», dico, precipitandomi fuori dalla porta.
«Emily… andiamo. Saremmo perfetti insieme», mi grida dietro.
Esco dal bar furiosa, con il fumo che mi esce dalle orecchie. Sono stata
in ansia per tutto il giorno, e per cosa? Per una bugia che quello stupido di
Jake mi ha raccontato per vedermi da sola. È un viscido verme. E ora non
posso nemmeno andare a casa perché ho mentito a Jay su dove sarei stata.
Entro in un ristorante thailandese e un cameriere si avvicina.
«Posso avere un tavolo per uno, per favore?» chiedo con tono triste.
Cenerò da sola e poi tornerò a casa dal mio uomo.
Non posso credere di essere caduta in un trabocchetto simile. Che
stronzo.
Almeno non c’è nessuna notizia.

Jameson
Mi chino e bacio Emily sulla fronte nell’oscurità. Sta ancora dormendo.
«Piccola, io vado.»
«Mmh.» Mi stringe le braccia attorno ai fianchi e mi attira verso di sé.
«No, non andare. Oggi saltiamo il lavoro.»
Sorrido tra le sue braccia. «Non posso, questa mattina ho una riunione.»
Sospiro. Devo limitare il più possibile i danni. Anche se la minaccia
immediata di una fuga di notizie si è conclusa, questa battaglia con i Ferrara
non è ancora finita. Anzi, sento che la situazione sta per precipitare. «Due
giorni e poi andremo via», le ricordo.
Mi sorride con gli occhi ancora chiusi. «Due giorni sono troppi, signor
Miles. Prima o poi ti rapirò.»
Ci baciamo dolcemente, ancora e ancora, e sento l’eccitazione crescere
tra le mie gambe. Mi allontano da lei. «Devo andare», le sussurro tra i
capelli. «Se rimango qui, finirò per scoparti e arriverò in ritardo.»
«Bene.» Fa un sorrisetto. «Scopami e arriva tardi.»
Ridacchio contro le sue labbra e poi, dopo averle dato un ultimo bacio,
mi alzo e la guardo stesa nel mio letto, che è tutto in disordine. Lei mi
sorride e mi si stringe il cuore. Niente mi è mai parso tanto perfetto… né
altrettanto giusto. Nonostante tutto il caos di questi giorni, Emily mi
trasmette un senso di calma, come se nel mondo esistesse ancora qualcosa
di buono, e tutto perché noi ci apparteniamo.
«Ti amo.»
«Io ti amo di più.» Mi sorride, sollevandosi e facendo un ultimo
tentativo di trascinarmi a letto. È dannatamente dura andarsene quando fa
così.
Scendo le scale e vedo il mio fidato amico Alan in piedi accanto
all’auto.
«Buongiorno», gli sorrido.
Lui mi risponde con un sorriso triste, e io mi acciglio. «Va tutto bene?»
Alan apre la porta della limousine, e io vedo Tristan, Christopher ed
Elliot sui sedili posteriori che mi aspettano. Aggrotto le sopracciglia.
«Ciao.» Lancio un’occhiata interrogativa al mio autista. «Cosa sta
succedendo?»
«Entra», sospira Elliot.
Li guardo uno a uno. Mi rivolgono tutti la stessa espressione cupa, e
capisco che deve essere successo qualcosa. «Papà sta bene?» gli chiedo.
«Sì, sta bene.»
«La mamma?»
«Benissimo. Entra.»
Salgo in auto e chiudo la portiera, poi la limousine si immette nel
traffico.
«Voglio che tu sappia che non crediamo a niente di tutta questa faccenda
e che siamo semplicemente qui per te», dichiara Tristan.
«Che sta succedendo?» sbotto, preso dall’agitazione.
Elliot mi porge il giornale. Lo fisso per un momento, mi serve qualche
secondo per elaborare quello che sto vedendo. Sulla prima pagina del
Gazette c’è un’enorme immagine di Emily che sta baciando Jake,
l’investigatore. Lo tiene per mano e sta sorridendo mentre lui preme le
labbra sulle sue. Sembra che siano in un ristorante o un posto del genere.
Mi acciglio e sento una fitta al cuore. «Che cazzo è questa roba?»
esclamo con rabbia, aprendo il giornale. Leggo la storia.

Jameson Miles: la caduta in disgrazia del guru dei media

In quello che sembra il colpo di grazia per Jameson Miles, la sua


fidanzata, Emily Foster, ha intrapreso una relazione segreta. I due sono
stati visti in diversi luoghi e due mesi fa sono stati ripresi durante una
vacanza in Italia. Estratti conto bancari divulgati oggi dimostrano che
Jameson Miles ha sottratto indebitamente denaro per trasferirlo in un
conto offshore. Oggi il consiglio dovrebbe licenziarlo dalla sua posizione di
amministratore delegato della Miles Media, e verrà mossa a suo carico
un’accusa. A quanto pare, Emily Foster ha abbandonato la nave appena in
tempo.
Capitolo 21
Jameson

A , .
Riabbasso gli occhi sulla foto di Emily. Indossa il vestito giallo… lo
stesso che portava ieri. Aggrotto le sopracciglia, cercando di trovare un
senso a tutto questo.
«Quando è stata scattata?»
«Non ne abbiamo idea, ma deve essere recente. Ha il braccialetto che le
hai comprato.»
Lancio un’occhiata al suo polso, e, in effetti, porta il gioiello in oro e
diamanti. È possibile? Mi acciglio. Ho un mucchio di domande… non la
mia Emily, no.
«Lo sappiamo che non sei stato tu», dice Elliot. «Siamo stati hackerati e
lo dimostreremo. Te lo prometto.»
«Cosa?» Aggrotto la fronte, incapace di mettere insieme una frase
coerente. Sollevo lo sguardo sui miei fratelli in preda alla confusione.
«Sono stati fatti dei trasferimenti di denaro, Jameson. Milioni di dollari
sono spariti dai nostri conti dopo alcuni accessi eseguiti con la tua
password», mi spiega Christopher.
Socchiudo gli occhi. «Di cosa state parlando?» bisbiglio. «Non
capisco.» Guardo di nuovo l’immagine. «Quando è stata scattata questa
foto?»
«È una montatura, ne sono sicuro», dichiara Tristan con tono secco.
«Emily non lo farebbe mai.»
«Cosa?» Non riesco a credere a quello che sento. Mi passo le mani tra i
capelli, iniziando a sudare. L’adrenalina mi scorre nelle vene.
«Sono stronzate e tu lo sai», sbotta Elliot. «La tempistica della
pubblicazione di questa foto non è una coincidenza.» Mi acciglio, alzando
gli occhi su di lui.
«Emily è mai stata da sola nel tuo appartamento?» mi chiede.
Lo fisso con la mente ingarbugliata.
«Ha mai avuto accesso ai tuoi computer, Jameson?» sbotta Christopher.
Faccio una smorfia. «Sì… ma…»
Si appoggiano tutti all’indietro sui sedili, come se fossero arrivati nello
stesso momento alla medesima conclusione. Sposto lo sguardo tra di loro.
«Che c’è?» bisbiglio.
«Credo che Emily lavori per Gabriel Ferrara. È una coincidenza un po’
eccessiva, se lo chiedi a me. È stata mandata per tenerti impegnato mentre
lui progettava la tua rovina.»
«Cosa?» esplodo. «È ridicolo.»
«Sì, lo è», concorda Tristan. «È ridicolo, cazzo.»
«Pensateci», insiste di colpo Elliot. «Quella donna si presenta
casualmente qui e, in poche settimane, ti tiene per le palle.»
«Che cosa?» Faccio una smorfia. «Sono stronzate.»
Rileggo l’articolo, mentre dentro di me divampa un’ira mai provata
prima.
Elliot colpisce il giornale con il dorso della mano. «E allora cos’è questa
foto, eh?»
«Una montatura», dice Tristan.
Osservo l’immagine: Emily tiene Jake per mano e sta sorridendo mentre
lui la bacia… sembra che sia felice di essere lì. Getto uno sguardo
interrogativo a Tristan. Non so cosa pensare… che cazzo sta succedendo
veramente qui?
«Te lo assicuro, è solo l’angolatura della telecamera, sai meglio di
chiunque altro che la giusta angolazione può raccontare una storia
completamente diversa», insiste lui.
«Cazzate. Non c’è fumo senza arrosto», ringhia Elliot. «In ogni caso,
Emily Foster è del tutto irrilevante. Più tardi ti occuperai di lei. Ma sei stato
accusato di appropriazione indebita. Potresti finire in galera, Jameson.»
Mi infilo entrambe le mani tra i capelli, tornando a concentrarmi sui
fatti. Sento una scarica di adrenalina scorrermi in corpo, mi pizzica la pelle.
«Che cos’è successo?» domando. Riesco a udire i battiti furiosi del mio
cuore nelle orecchie.
«Non ne siamo sicuri. Sono stati fatti dei grossi trasferimenti dai nostri
conti bancari, e nessuno lo ha notato», risponde Christopher.
«Per dove?» Mi acciglio.
«Un conto offshore.»
«Perché cazzo dovrei essere implicato io in questa faccenda?» Abbasso
di nuovo gli occhi sull’immagine di Emily che bacia Jake, e vorrei uccidere
qualcuno… Gabriel Ferrara. «Non capisco.» Sposto lo sguardo su mio
fratello per cercare di concentrarmi su ciò che sta avvenendo.
«Sembra che i trasferimenti siano stati fatti con i tuoi dati di accesso.»
«Che cosa?» Faccio una smorfia perplessa. «È impossibile, non uso i
nostri conti da mesi. Non avrei alcuna ragione per farlo.»
«È quello che ho detto io», sbotta Tristan. «Sono io che mi occupo del
lato economico, lo sapete tutti.»
«Abbiamo un appuntamento con il team legale e quello commerciale
alle otto in ufficio», risponde Elliot.
Gli lancio un’occhiata. «Papà lo sa?»
«Sì.» Emette un sospiro pesante. «Ci aspetta lì.»
Stringo i denti e guardo fuori dal finestrino mentre sfrecciamo attraverso
le strade di New York. Non vedo altro che rabbia, confusione e tradimento.
Mi passo una mano sul viso e inspiro a fondo, cercando di rallentare i battiti
del mio cuore. Mi sento persino più agitato di prima.
La mia reputazione… la mia attività.
La mia ragazza.
Fisso lo sguardo fuori dal finestrino, e qualche momento dopo arriviamo
al palazzo della Miles Media. Sono appena le 7:20, e saliamo fino all’ultimo
piano. Ho bisogno di rimanere solo prima che inizi tutta la baraonda. Entro
nel mio ufficio, chiudo la porta e mi lascio cadere sulla sedia dietro alla mia
scrivania.
La stanza è silenziosa… e vuota.
Attraverso le finestre vedo la vivace città di New York che si prepara
per la giornata. Tutto laggiù sembra così normale… e in ordine.
La mia ira ribolle come un vulcano, ed è pericolosamente vicina a
esplodere. Non so se sto per distruggere qualcosa o scoppiare a piangere. In
ogni caso, mi sento del tutto instabile. Con i gomiti sulla scrivania, lascio
cadere la testa tra le mani. Mi trema il fiato ogni volta che inspiro, nel
tentativo di calmarmi.
Ieri Emily mi ha detto che sarebbe uscita con Molly e Aaron. Ripenso
alla conversazione che abbiamo avuto quando è tornata a casa.
«Come stavano i tuoi amici?» le ho chiesto.
«Benissimo… è stato bello uscire con loro», mi ha risposto.
Ha mentito.
Io ero a casa a sentire la sua mancanza… e lei era fuori con un altro
uomo. Sento un groppo ostruirmi la gola mentre la realtà mi piomba
addosso. Io mi stavo perdutamente innamorando di lei… ed Emily si stava
vedendo con qualcun altro.
Sento aprirsi la porta, e chiudo gli occhi per cercare di bloccare
Tristan… so che è lui. Mi conosce meglio di chiunque altro. Va verso il bar,
mette del ghiaccio in due bicchieri, poi odo il rumore confortante dello
scotch che viene versato. Me ne appoggia uno davanti, e io alzo uno
sguardo affaticato su di lui.
Fa tintinnare il bicchiere contro il mio, che ho stretto in mano. «Beh,
questa giornata fa già schifo.» Si siede sulla mia scrivania.
«Tu credi?» borbotto, bevendo un sorso. Sento il bruciore dell’alcol che
mi scivola giù per la gola.
«Quando è stata scattata la foto?» mi domanda.
«Ieri sera.» Si acciglia.
Serro la mascella, fissando fuori dalla finestra. Mi vergogno che la
donna che amo non mi ricambi.
«Ha detto che era fuori con Molly e Aaron.»
Tristan beve un sorso del suo scotch e solleva le sopracciglia, come se
fosse sorpreso che mi abbia mentito.
«Credevo che fosse quella giusta.»
Corrugo la fronte, e sento di nuovo una fitta al petto. «Siamo in due.»
Il silenzio cala tra di noi.
«Superiamo la giornata e dimostriamo la tua innocenza», sospira lui,
scolando il resto del contenuto del suo bicchiere.
Annuisco.
Mio fratello mi guarda per un momento, e alla fine mi domanda: «Stai
bene?»
Annuisco di nuovo, non riuscendo a pronunciare ad alta voce quella che
sarebbe una bugia a tutti gli effetti.
«Dimostreremo che sei innocente, Jay.» Mi appoggia una mano su una
spalla, provando a confortarmi. «Te lo prometto.»
Finisco il mio scotch e vado al bar per riempire di nuovo il bicchiere.
Tristan mi fissa, e so che sta scegliendo con cura le sue parole. «Dimmi
che stai bene.»
Stringo le labbra e alzo gli occhi su di lui. «Sto bene.»
«Perché ho la sensazione che tu stia per perdere la testa e uccidere
qualcuno?»
«Se oggi vuoi salvare una vita, liberati di Jake Peters.»
«Già fatto. L’ho chiamato e l’ho licenziato questa mattina alle cinque,
non appena ho visto l’articolo.»
Mando giù un sorso del liquido ambrato, che mi riscalda la gola nella
sua discesa.
Si interrompe prima di chiedermi: «Vuoi che licenzi Emily?»
Fisso la città fuori dalla finestra. «No.»
«Stavo pensando…» continua.
«Esci», gli ordino con tono secco.
«Ma…»
«Ora.»
La porta si chiude piano dietro di lui, e io mi alzo per andare alla
finestra e guardare New York. L’adrenalina mi scorre nel corpo, e ho la
sensazione che la terra si stia sfaldando sotto ai miei piedi. Bevo il mio
scotch mentre una fredda e distante determinazione invade la mia anima.
Nessuno mi prende per il culo in questa maniera e la passa liscia.
Preparati ad andare al Creatore, signor Ferrara.
Il tuo giorno si avvicina.

Emily

Mi dirigo verso la limousine in attesa e vedo il fedele Alan in piedi accanto


alla macchina. Mi apre la portiera. «Buongiorno, Alan.»
Lui mi fa un cenno. «Buongiorno.»
Aggrotto le sopracciglia e salgo. Oggi non è di buon umore. Chiude lo
sportello dietro di me e io mi guardo attorno alla ricerca del giornale.
Mmh… questa mattina, Jameson deve averlo preso con sé. Sono ancora
assonnata e letargica. Fare esercizio di prima mattina ha molti pregi, tra cui
quello di svegliarti e prepararti a dovere per la giornata. Avrei dovuto farlo
anche oggi. Appoggio la testa all’indietro e chiudo gli occhi mentre
avanziamo in mezzo al traffico.
Dopo quelli che mi sembrano dieci minuti, l’auto si ferma e si spegne.
Alzo lo sguardo. Siamo davanti al mio palazzo. Eh?
Alan apre la portiera.
«Che cosa stai facendo?» gli chiedo.
«Il signor Miles mi ha chiesto di portarla qui questa mattina.»
«Cosa… perché?»
«Ha suggerito che si prendesse una giornata libera.» Mi fa cenno con la
mano di uscire dalla macchina.
«Eh?» Mi acciglio. «Che cosa sta succedendo, Alan?»
«Non ne sono sicuro, ma il signor Miles ha detto che non vuole che
vada in ufficio e che si metterà in contatto con lei.»
Faccio una smorfia. «Si metterà in contatto… cosa significa? Perché
non posso andare in ufficio? Sono confusa.»
«Deve uscire dall’auto, Emily», dichiara.
«Cosa?»
Mi fa di nuovo un cenno con la mano, e io esco indignata.
«È successo qualcosa?» farfuglio, superandolo. «Jameson sta bene?»
«Deve parlare con lui.»
«Va bene, lo farò», sbotto, tirando fuori il telefono e facendo il suo
numero.
«Arrivederci, Emily», dice Alan, prima di entrare nella limousine e
andarsene in fretta.
Il cellulare di Jameson squilla senza che nessuno risponda. Lo chiamo di
nuovo… e mi risponde direttamente la segreteria telefonica. Ha spento il
telefono.
«Ma che cazzo?» bisbiglio, irritata.
Faccio per chiamare Sammia, la sua assistente personale, ma poi mi
rendo conto che sono solo le otto del mattino e che lei non è ancora al
lavoro.
Che diavolo sta succedendo? Attraverso la strada e raggiungo quasi
correndo l’edicola all’angolo. Vedo la prima pagina del Gazette, e sbianco
non appena noto la grande foto di me e Jake che ci baciamo. «Buon Dio»,
sussurro, poi leggo la storia.
Jameson Miles: la caduta in disgrazia del guru dei Media

In quello che sembra il colpo di grazia per Jameson Miles, la sua


fidanzata, Emily Foster, ha intrapreso una relazione segreta. I due sono
stati visti in diversi luoghi e due mesi fa sono stati ripresi durante una
vacanza in Italia. Estratti conto bancari divulgati oggi dimostrano che
Jameson Miles ha sottratto indebitamente denaro per trasferirlo in un
conto offshore. Oggi il consiglio dovrebbe licenziarlo dalla sua posizione di
amministratore delegato della Miles Media, e verrà mossa a suo carico
un’accusa. A quanto pare Emily Foster ha abbandonato la nave appena in
tempo.

Cosa?
Mi porto una mano alla bocca, in preda all’orrore.
Oh mio Dio, povero Jameson.
«Non sono la sua fidanzata, imbecilli», dichiaro con disprezzo. «Quanti
dettagli potete sbagliare in un unico articolo?»
Mi volto e inizio a dirigermi verso il mio appartamento, componendo il
suo numero con urgenza.
«Ehi», mi chiama l’edicolante. «Non mi ha pagato per quello!»
«Oh, mi dispiace», mi scuso, tornando indietro per tendergli una
banconota. «Ero distratta. Grazie.»
Ancora una volta mi risponde direttamente la segreteria telefonica di
Jameson.
Che cosa faccio? Che cosa faccio? Vado a sbattere contro un uomo che
mi sta superando.
«Ehi, guarda dove vai», mi grida.
«Scusi», balbetto.
Faccio il numero di Tristan.
«Ciao, Em.»
«Tristan, che diavolo sta succedendo?» esclamo.
«Siamo in riunione, ti chiamo più tardi.»
«Cosa?» Riattacca. «Ah!» strillo. I miei occhi si riempiono di lacrime
per la frustrazione.
Non ci crederebbe. Di certo sa che non è vero… ma c’è una foto come
prova.
Compongo il numero di Molly.
«Ehi, bella, vuoi un caffè?» mi chiede allegramente.
«Molly», esclamo, sollevata che qualcuno abbia risposto al dannato
telefono. «Oh mio Dio, sono tutte bugie.» Mi blocco dove sono sul
marciapiede affollato e mi sposto di lato verso un edificio per parlare.
«Che sta succedendo?»
«Il Gazette», farfuglio. «Cerca il Gazette su Google. Sulla prima pagina
c’è una foto di me mentre bacio Jake, e l’articolo dice che abbiamo una
relazione.»
«Cosa?»
«Qualcuno deve avermi seguita, o…» Scuoto la testa per cercare di
trovare una spiegazione logica. «Che diavolo sta succedendo?» bisbiglio
furiosa.
«Porca puttana.» Si blocca. «La sto vedendo. Aspetta… quando cazzo
hai baciato Jake?»
«Lui mi ha baciata ieri sera», balbetto. «Per l’amor del Cielo, non l’ho
ricambiato. Tu…»
«Un secondo, sto leggendo», mi interrompe.
Mi passo una mano sul viso, aspettando che finisca.
«Oh mio Dio», sussurra lei.
«Alan mi ha riportata al mio appartamento e mi ha detto che oggi non
devo venire al lavoro.»
«Cosa?»
«Secondo lui il signor Miles mi contatterà in seguito.»
«Beh, e Jameson cosa ha detto?»
«Non risponde al telefono. Ho chiamato Tristan, ma lui mi ha detto che
sono in riunione e che mi avrebbe chiamata più tardi.» «Porca puttana… è
una brutta situazione.» «Tu credi?» grido.
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Non lo so. Che cosa faccio?»
«Beh, se Jameson ti ha detto di rimanere a casa, forse dovresti farlo.»
«Perché?»
«Perché non ha bisogno di altre attenzioni su di lui, qui c’è scritto che è
stato accusato di furto.»
Sgrano gli occhi, immaginando la tempesta mediatica che si scatenerà
su di lui dopo quell’articolo.
«Ma se Jameson ci credesse?» balbetto. «Non sono mai stata con Jake.
Sono tutte cazzate. Io amo lui.»
«Ti ha detto che si sarebbe messo in contatto con te… lo farà.» La
ascolto, con la mente che sfreccia a un milione di chilometri all’ora. «Devi
solo aspettare.»
Faccio una smorfia mentre piango. «Non credi che dovrei venire lì?»
«Dio, no. Non ha il tempo per preoccuparsi anche di te.» «Ma io non
ho fatto nulla», sussurro.
«Lo so. Andrò nel suo ufficio e gli racconterò tutto.»
«Davvero?» bisbiglio, speranzosa.
«Em, se ora vieni qui, tutto il palazzo ti attaccherà.»
Mi appoggio una mano sul volto, sconvolta, pensando al fatto che si
sono svegliati tutti con questa notizia. Diventerò il nemico pubblico numero
uno della Miles Media.
«Vado al lavoro e scopro che diavolo sta succedendo, poi ti richiamo, va
bene?» mi dice.
Annuisco con gli occhi pieni di lacrime. Non posso credere che stia
succedendo tutto questo. «Okay.»
«Torna al tuo appartamento e aspetta. Mi farò viva io.»
«Grazie», bisbiglio, rimanendo in linea. «Aspetta, cosa dirai a
Jameson?»
«Gli dirò solo la verità. Ti richiamo tra mezz’ora.»
Chino le spalle. «Okay, grazie.» Riattacco.

Esco dalla cucina per andare in salotto. Mi volto e torno da dove sono
venuta. Sono passati quaranta minuti. Jameson continua a non rispondere al
telefono, e Molly non mi ha ancora richiamata.
Che diavolo sta succedendo là?
Mando un messaggio a Jameson.
I : Jay, non so che diavolo stia succedendo. Quella foto è una montatura.
Lo sai che ti amo e non farei mai una cosa del genere. Richiamami, ti
prego. Sto impazzendo!!!

Getto il telefono sul divano e continuo a camminare avanti e indietro.


Perché nessuno si fa vivo?
Aspetto venti minuti e poi gli scrivo di nuovo. Mi squilla il cellulare, e
mi affretto a rispondere. È Molly.
«Pronto.»
«Ciao.»
«Cos’è successo?»
«Non sono riuscita a entrare per vederlo, era in riunione con gli
avvocati», sussurra lei. «Ha cose più grosse a cui pensare al momento, Em.
Potrebbe finire in prigione.»
Mi acciglio. Cosa? «Oh mio Dio.»
«La direzione sta andando fuori di testa. Devo chiudere prima che mi
licenzino.»
«Come?» Mi si riempiono gli occhi di lacrime… Io non ho fatto niente.
«Adesso non me ne frega un cazzo della compagnia. Ho bisogno che lui
sappia che non ho fatto niente con Jake. Tutta questa storia è fasulla.»
«Lo so. Tornerò su durante la pausa pranzo. Ma per ora tieni duro.» Mi
premo una mano sulla bocca e un attacco di nausea mi stringe lo stomaco.
«Ti richiamo non appena ho parlato con lui.» Aspetto in linea, sperando che
mi dica ancora qualcosa. «Okay?» mi chiede.
«Sì, okay», bisbiglio prima di riattaccare.
Inizio di nuovo ad aggirarmi avanti e indietro per il mio appartamento
con un rinnovato senso di angoscia. E se Jameson credesse a questa storia?
E se il consiglio credesse che lui ha rubato quei soldi?
E se fosse accusato… e finisse in prigione?
Oh mio Dio. Gli mando un altro messaggio.
I : Dico sul serio. Richiamami SUBITO!!! Sto andando fuori di testa qui.
Passano altri trenta minuti, che trascorro camminando avanti e indietro. Non
posso sopportare questa attesa. Chiamo Molly, e mi risponde subito la sua
segreteria telefonica. Riattacco in fretta e chiamo Aaron. Il suo telefono
squilla senza che lui risponda.
«Ma che diavolo!» grido tra le lacrime. «Che sta succedendo laggiù?»
Scrivo di nuovo a Jameson.

I : Chiamami subito, o verrò in ufficio!!! Mi sto arrabbiando, sappi che sto


dando di matto.

Il mio telefono squilla, e la lettera J illumina lo schermo. Rispondo subito.


«Oh mio Dio, Jay.»
«Ciao», mi risponde con la voce piatta.
«Che sta succedendo?» bisbiglio. «Jay, non puoi credere a quelle bugie.
Mi ha baciata una volta e io l’ho colpito. Ti giuro che non sto uscendo con
quel verme.» Lui non dice niente. Sono colta da un senso di terrore. Perché
è così silenzioso? «Jay.»
«Non hai pensato di dirmelo?»
«È successo ieri sera.»
«Avevi detto che eri con Molly e Aaron, cazzo!» esplode.
Sentendo quanto è arrabbiato, i miei occhi si riempiono di lacrime. «Hai
ragione, ma Jake mi aveva detto di avere delle informazioni su un articolo
che i Ferrara avrebbero scritto su di te, e sapevo che non avresti voluto che
lo incontrassi da sola.»
«Mi chiedo come mai!» urla lui.
Faccio una smorfia. «Non essere arrabbiato con me», sussurro. «Quella
foto è…» Scuoto la testa, cercando le parole giuste per dirgli ciò che devo.
«È estrapolata dal contesto, te lo garantisco.»
«Devo andare. Non farti vedere in ufficio. Non posso pensare anche a
te.»
«Cosa?» balbetto.
«Sono troppo impegnato.»
«Non andare», lo supplico. «Jay, dobbiamo parlarne. Ora vengo lì da
te.»
«Non osare», mi ordina con il tono carico di disprezzo.
Sgrano gli occhi. «Che cosa vuoi dire?»
«In questo momento ho più di un milione di persone nel mio ufficio, e
non ho il tempo per occuparmi delle tue stronzate», ringhia.
Sussulto… Dio, non l’ho mai sentito tanto furioso. «Ti vedrò stasera?»
sussurro.
«Ciao, Emily.» La chiamata si interrompe.
Mi lascio cadere sul divano e fisso il muro… una paura ben precisa
inizia a farsi strada in me… Ci crede. Porca puttana.

Quella sera, ore 20:00

Sono seduta sul divano e ascolto il rumore di un film in onda sulla


televisione. Non riesco a guardare il telegiornale. Ho dovuto cambiare
canale. Non facevano che parlare delle prove contro Jameson e del caso di
appropriazione indebita.
La mia mente è lontana chilometri da qui. Jameson non mi ha
richiamata per tutto il giorno, e non so cosa stia succedendo alla Miles
Media, ma deve essere davvero un circo mediatico.
Sono divisa tra la necessità di lasciargli lo spazio che gli serve e il
desiderio di correre da lui il più in fretta possibile, ma ho deciso che farò
come mi ha chiesto e rimarrò qui ferma e buona. Mi chiamerà lui non
appena potrà. Lo so che lo farà. E ha ragione, la mia presenza là fuori
servirebbe solo a gettare altra benzina sul fuoco. In questo momento, non
può permettersi di pensare anche a me.
Ho finalmente compreso quanto sia grave l’intera situazione. Che cosa
succederà se non riescono a scoprire chi ha trasferito quel denaro? Quanto a
lungo Jameson potrà sopportare questo tipo di pressione?
Con un groppo in gola inizio a camminare avanti e indietro. Devo aver
consumato la moquette con il mio andirivieni di oggi. Non riesco a
ricordare di essere mai stata tanto in ansia per qualcosa.
Alle ventitré, non ho ancora ricevuto notizie da Jameson, e ho
letteralmente la nausea per la preoccupazione.
Ho dato di stomaco due volte. Decido di chiamarlo un’ultima volta…
dov’è?
Con le dita tremanti, compongo il suo numero. Il telefono squilla, ma
poi mi risponde la segreteria telefonica. Ha rifiutato la chiamata. Mi
sprofonda il cuore nel petto e i miei occhi si riempiono di lacrime.
«Sono Jameson Miles, lasciate un messaggio», dice la voce registrata.
«Ciao.» Mi interrompo. «Jay», sussurro. «Piccolo.» Mi si stringe la
gola. «Mi dispiace di averti mentito. Stavo cercando di scoprire di più sul
caso, e poi lui mi ha baciata e…» Mi si rompe la voce. «Lo so come
sembra, ma devi credermi. Jake non mi interessa nemmeno come amico, lo
sai.» Vado alla finestra e guardo il traffico. «Sto impazzendo qui… Ti amo.»
Rimango in silenzio, incerta su cosa dire. «Non lasciare che ti avvelenino la
mente, Jay. Tu sei l’unico a sapere cosa c’è tra di noi», sussurro tra le
lacrime. «Vieni a casa da me, dove è giusto che tu stia.» Mi interrompo di
nuovo, sperando che le mie parole lo stiano raggiungendo. «Non voglio
nemmeno riattaccare… ho bisogno di te. Ti prego, vieni da me… ti sto
supplicando.» Dall’altro capo mi risponde solo un silenzio mortale, e io
faccio una smorfia di dolore. «Ti amo», bisbiglio. Suona un bip, e vengo
interrotta. Getto il telefono sul divano e scoppio a piangere. Che diavolo sta
succedendo?

Con il cuore in gola, entro nel palazzo della Miles Media. Sono le otto e
mezza del mattino e sto andando al lavoro.
Ieri notte Jay non mi ha richiamata, e non posso dire di biasimarlo.
Ho pianto fino a addormentarmi… beh, in realtà non ho proprio
dormito, quindi non credo che conti. Sento un peso sullo stomaco che non
vuole andarsene via. Posso incolpare solo me stessa per questo pasticcio.
Ho mentito al mio amore, la cosa mi si è ritorta contro, e ora lui pensa il
peggio. Quindi oggi sono qui per cercare di farmi perdonare.
È ferito… so che lo è.
Sembra che il mio povero uomo abbia tutto il mondo contro di lui e
sono terribilmente in ansia. Quanto stress può sopportare prima di cedere?
Entro nell’ascensore e striscio il mio tesserino di sicurezza per accedere
ai piani alti, ma si accende una luce rossa. No. Lo striscio una seconda volta
e vedo di nuovo lampeggiare rosso.
«No, Jay… non farlo», bisbiglio tra le lacrime. «Non chiudermi fuori,
cazzo.» Lo striscio ancora, ma per la terza volta si accende la luce rossa.
«Che figlio di puttana», mormoro con tono rabbioso.
Premo il pulsante per il quarantesimo piano, e appare una luce verde. Il
cuore mi martella nel petto. Ha bloccato il mio accesso al suo piano. Tiro
fuori il cellulare e gli mando un messaggio.

I : Fai sul serio? Non vuoi nemmeno parlare con me?

Le porte dell’ascensore si aprono, e io esco al mio piano, cercando di


placare la mia ira. Lo so che ha parecchio a cui pensare, ma lui è
consapevole che mi sta facendo del male e sembra che non gli importi
nulla. È così che intende agire? Vuole tagliarmi fuori dalla sua vita senza
nemmeno lasciarmi spiegare?
Mi siedo alla scrivania e fisso il vuoto. Tamburello un piede a terra per
il nervoso… che cosa faccio? Come posso fargli capire che è tutto un
malinteso se non vuole nemmeno parlare con me?
Alcune ragazze escono dall’ascensore per incamminarsi lungo il
corridoio, ma si bloccano di colpo quando mi vedono, come se fossero
scioccate. Le fisso e loro si scambiano delle occhiate per poi sogghignare.
«Ciao.» Una di loro finge un sorriso.
«Ciao», rispondo. Mi volto e accendo il computer.
Fantastico. Ora tutto l’ufficio sta spettegolando su di me. La situazione
può andare peggio di così?
«Evviva, sei qui.» La voce familiare di Molly risuona alle mie spalle.
Ruoto sulla sedia per voltarmi verso di lei, e la sua espressione si
intristisce non appena vede la mia. «Oh, piccola», mormora, stringendomi
in un abbraccio. «Stai bene?»
«Ha bloccato il mio accesso al suo piano», sussurro contro la sua spalla.
«Cosa?» replica piano, sistemandomi i capelli. «È solo un…» Esita.
«Dio, non so nemmeno cosa dire, Em.»
Guardo tristemente il mio computer.
«Facciamo il nostro lavoro, così poi possiamo pensare a una soluzione
durante il pranzo.» Mi sorride e mi accarezza una spalla.
«Va bene.»
Nella mezz’ora seguente, vedo il resto del personale entrare per iniziare
la giornata, notarmi, e poi mettersi a bisbigliare con la persona più vicina.
Non solo tutto l’ufficio spettegola su di me, ma mi ritiene anche una
puttana. L’idiota che ha tradito l’amministratore delegato con il viscido
dell’ufficio… sono imbarazzata, mi vergogno, e tutta questa situazione è
spaventosa.

Sono le quattro del pomeriggio, e Jameson non ha risposto a nessuna delle


mie telefonate. Credo di essere sul punto di perdere la testa.
Aaron pensa che dovrei dargli tempo. Secondo Molly dovrei farmi
portare nel suo ufficio in elicottero… quello, oppure dovrei bombardare
tutto il piano.
Io… vorrei solo strisciare sotto una roccia e nascondermi.
La mia collega torna dalla sala della fotocopiatrice e mi rivolge un
sorrisetto soddisfatto.
«Che c’è?»
«Di’: Grazie, Molly. Sei la mia salvezza.» Fa un altro sorrisino. Io mi
acciglio. Mi consegna un tesserino di sicurezza, e io lo fisso sulla mia
mano. «Cos’è questo?»
«È la tessera di Melissa per salire ai piani alti. L’ho rubata.»
Sgrano gli occhi. «Hai rubato il suo tesserino?» sussurro, guardandomi
intorno con aria colpevole.
«In che altro modo potresti salire per vedere quello stupido bastardo?»
mormora lei.
Sorrido per la scelta eccellente di termini con cui lo ha appena descritto.
«Grazie.»
Vado in bagno e guardo il mio riflesso allo specchio: ho un aspetto
terribile. Raddrizzo le spalle e inspiro a fondo per prepararmi. Devo farcela.
Prendo l’ascensore per l’ultimo piano, con il cuore che mi martella nel
petto. Non ho idea di cosa troverò ad aspettarmi, ma qualunque cosa sia che
si faccia sotto, perché ora mi sto arrabbiando. Come osa non lasciarmi
nemmeno spiegare?
La cabina si apre, e, non appena si accorge di me, Sammia mi rivolge
uno sguardo carico di sgomento.
«Emily», balbetta, alzandosi. «Il signor Miles non è qui.»
La supero a grandi passi e attraverso il corridoio per aprire di colpo la
sua porta… e lui è lì, seduto alla scrivania, con quella maschera fredda e
controllata sul volto.
Elliot è insieme a lui, e alza di scatto gli occhi appena mi vede. «Come
sei arrivata qui?»
Incontro lo sguardo di Jameson dall’altra parte della stanza, e riesco a
vedere da qui il dolore che prova.
«Puoi lasciarci un momento, per favore?» chiedo a suo fratello.
«No», sbotta lui. «Ora puoi andare.»
La mia ira ribolle. «Con tutto il dovuto rispetto, questi non sono affari
tuoi», replico con tono secco.
Elliot socchiude gli occhi e si alza. «Come ti permetti… certo che sono
affari miei!»
«Oh, mi permetto eccome», rispondo subito.
Jameson stringe i denti, e in quel momento Tristan entra nell’ufficio.
Quando mi vede, ha un attimo di esitazione. «Emily.» Aggrotta la fronte,
spostando lo sguardo tra noi tre.
«Tristan, ho bisogno di un momento con Jameson, per favore», gli
chiedo speranzosa.
«Certo.» Si costringe a farmi un debole sorriso. «Elliot, fuori.» Suo
fratello mi lancia un’occhiataccia. «Ora», ripete Tristan.
I due escono dall’ufficio, e Jameson ed io rimaniamo da soli. Lui si alza
per andare alla finestra, dandomi le spalle.
Oh, Dio, come risolvo questa situazione?
«Jay», sussurro, avvicinandomi a lui. «Piccolo, non fare così… devi
credermi. So come sembra.» Rimane in silenzio. «È stato lui a baciarmi, e
io l’ho colpito. Non avevo idea che qualcuno ci stesse scattando una foto»,
farfuglio. Silenzio. Da dove sono, lo vedo serrare la mascella mentre
continua a guardare New York al di là delle vetrate. «Hai almeno intenzione
di parlarmi?» esclamo. «Perché hai bloccato il mio accesso al piano?»
Si volta, furioso. «Perché non mi fido di te.»
Faccio un passo indietro, sconvolta. «Cosa?»
«Mi hai sentito. Non mi fido di te. Ora vattene.»
Gli rivolgo un’espressione sconvolta. «Jameson, lo so che sei sotto
pressione.»
«Questo non ha un cazzo a che fare con la pressione che sto subendo!»
grida lui.
Dentro di me, mi riduco in mille pezzi. «Ti puoi fidare di me, te lo
giuro.»
«Dove mi hai detto che ti trovavi giovedì sera, Emily?» mi domanda
con disprezzo.
Lo fisso tra le lacrime. «Stavo cercando di capire che informazioni
avessero su di te i Ferrara.»
«Mentendomi?»
Annuisco. «Lo so come sembra…»
«Come se non potessi fidarmi di te.» Si volta di nuovo e solleva la testa
con aria di sfida. «Al momento ho ben altro a cui pensare che a una
fidanzata disonesta.»
«Jameson», mormoro.
«Non abbiamo nient’altro da dirci, Emily… esci», dice con calma.
«No», lo supplico. «Non me ne vado. Io ti amo.»
Si gira e il suo sguardo gelido mi inchioda. «Ti eri preparata questo
discorso?»
Mi sprofonda il cuore nel petto… oh, è così incazzato…
«Jay…»
«Se non te ne vai tu… lo farò io.» Avanza a grandi passi verso la porta,
la attraversa e la richiude piano dietro di sé.
Serro le palpebre nel silenzio dell’ufficio e mi concedo alcuni respiri
tremanti.
Ha chiuso la nostra storia?
Non può succedere per davvero.

Sono le sei del pomeriggio, e io sono seduta nel bar di fronte al palazzo
della Miles Media. Sto guardando il circo dei giornalisti che si sta
raggruppando in attesa che Jameson lasci l’edificio.
Questo scandalo dell’appropriazione indebita è una notizia… una
notizia molto grossa, e, mentre il mondo segue la vicenda, io ho passato la
giornata trovandomi sempre sul punto di piangere.
Non so cosa fare o come raggiungerlo. Ha sollevato le sue difese, e, con
tutto ciò che gli sta capitando al momento, non so quanto poter insistere
senza fargli perdere del tutto la testa. Non voglio stressarlo ancora, ma
adesso più che mai so che ha bisogno di me.
Mi prendo il capo tra le mani. Perché diavolo sono andata a
quell’incontro con Jake? A che cazzo stavo pensando? Come ho fatto a
credere che fosse una buona idea?
Rivivo quella sera nella mia mente, e mi sento mentire a Jameson
quando torno a casa… perché? Sul momento, ho creduto che così lo avrei
protetto. Ora so che ho sbagliato. È un gran disastro, e non ho idea di come
risolverlo. Ripenso al denaro che è stato sottratto dai loro conti. Sono tutti
convinti che sia stato Ferrara, ma perché un uomo come quello, che
guadagna già miliardi di dollari ogni anno, dovrebbe rischiare ogni cosa per
rovinare un concorrente? Non ha proprio alcun senso per me. A mio parere,
una persona che ruba dei milioni ha bisogno di quei soldi.
Ma chi è stato? E come diavolo ha avuto accesso ai dati bancari di
Jameson?
C’è sotto più di quanto sembri.
Domani a colazione, Aaron, Molly ed io faremo una riunione
d’emergenza e, con un po’ di fortuna, riusciremo a organizzare un piano
d’attacco.
Mi accorgo di un certo fermento, e alzo lo sguardo appena in tempo per
vedere Jameson lasciare l’edificio, circondato da alcuni agenti della
sicurezza, mentre i giornalisti si affollano attorno a lui, gridando il suo
nome e scattando foto. Lui tiene la testa bassa senza rilasciare commenti, ed
entra nel retro della limousine.
L’auto si allontana dal marciapiede e lo porta via nella notte… ancora
più lontano da me.
Un’insopportabile tristezza mi penetra fin dentro le ossa.
Cosa potrei fare per aiutarlo?

«Okay, questi sono i fatti», dichiara Molly. Stiamo facendo colazione,


cercando di analizzare quel casino che è la mia vita. Dopo due notti insonni,
sono più uno zombie che un essere umano. Sto bevendo già il mio secondo
caffè, e sono solo le sette del mattino. «Hai mentito a Jameson su dove stavi
andando e sei uscita a cena con Jake», continua la mia amica. Roteo gli
occhi. «Sei tornata a casa e gli hai mentito di nuovo su dove eri stata.»
Emetto un profondo respiro. «Corretto.»
«Adesso», va avanti lei, «tutta la vita di Jameson sta andando in pezzi,
ed è stato accusato di un crimine che non ha commesso.» «Sì», confermo,
prima di bere un sorso del mio caffè.
«L’intero mondo lo sta guardando, e tu sei il nemico pubblico numero
uno.»
«Come fa a essermi d’aiuto tutto questo?» domando, nervosa.
Aaron e Molly si scambiano un’occhiata attraverso il tavolo. «Non si
mette bene», commenta lui.
«Lo so.» Mi prendo la testa tra le mani. «Non so come aiutarlo. Ho
rovinato tutto. Sono la cattiva della storia, quando invece vorrei essere
l’eroina.»
Il silenzio cala tra di noi mentre beviamo i nostri caffè.
Aaron si illumina. «Ci sono.»
«Eh?»
«So come puoi diventare l’eroina.»
Alzo gli occhi al cielo. «E come?»
«Risolvi il caso… sei una giornalista, hai già fatto queste cose.» Mi
raddrizzo, improvvisamente interessata alle sue parole. «Quegli
investigatori privati sono chiaramente inutili, non stanno facendo un
cazzo.»
«Questo è vero.» Mi acciglio. «Ma non so niente di computer. Da dove
potrei cominciare per risalire a quei trasferimenti?»
«Non lo so, ma, secondo me, l’unico modo per tirare Jameson fuori da
questo guaio è scoprire dove sono finiti quei soldi.»
Molly scrolla le spalle. «Noi potremmo aiutarti?»
Ci penso su per un momento. In effetti, perché non potrei riuscirci? Ho
già risolto dei casi simili in passato, e anche grossi.
«Sapete una cosa? Avete ragione.» Sento un fuoco ardermi nelle vene.
«Scoprirò chi è il colpevole.» I miei due amici sorridono. «E quando lo avrò
fatto», mi sferro un pugno contro una mano, «desidererà essere morto,
invece di aver infastidito il mio uomo.»
«Brava ragazza», esulta Molly. Lei e Aaron si battono il cinque.
Mentre bevo un sorso del mio caffè, per la prima volta dopo giorni, mi
sento speranzosa. Sollevo la mia tazza e brindiamo insieme.
«All’Operazione Eroina.»

Jameson

Corro lungo la strada più velocemente che posso, la mia mente è immersa in
una fitta nebbia. Mi sento meglio dopo ogni passo che faccio. Sono passati
tre giorni da quando l’ho vista… tre giorni incarcerato all’inferno.
Non posso vederla. Non posso più cacciarmi in una situazione come
questa.
Nessuno vale tutta la sofferenza che sto provando… nessuno.
Giro l’angolo e supero rapidamente una fila di ristoranti per raggiungere
un parco, e vedo qualcuno davanti a me nell’oscurità. La sua posizione mi
sembra familiare, così strizzo gli occhi per vedere meglio. Mentre corro,
sono colpito dalla gelida consapevolezza di sapere di chi si tratta. Gabriel
Ferrara. È al cellulare e sta fumando un sigaro, appoggiato alla sua Ferrari
nera. Non mi ha ancora visto.
Rallento e mi avvicino a lui, ansimando.
Cane bastardo.
Non sopporto che abbia messo quella foto di Emily sulla prima pagina
del suo giornale. È stato un attacco diretto nei miei confronti… e ha colpito
in pieno il bersaglio.
Girandosi, mi nota e la sua espressione si fa cupa. «Devo andare.»
Chiude la telefonata.
«Guarda chi è strisciato fuori dalla fogna», sbuffo.
Lui sogghigna e dà un tiro al suo sigaro. «Miles.» Lo guardo di traverso.
«Come sta la tua ragazza?» mi chiede, facendomi l’occhiolino. «Dovresti
tenerla al guinzaglio.»
Lo fulmino con lo sguardo. Gabriel scrolla il sigaro verso di me, e io
comincio a ribollire di rabbia. Faccio un passo in avanti.
«Lo sai che ci ha provato anche con me? Sembra che tu abbia perso il
tuo tocco con tutto: con la compagnia, con i conti in banca, con il sesso.
Come ci si sente a sapere che la propria donna deve andare alla ricerca di
qualcun altro che la soddisfi?»
Inizio a vederci rosso… la rabbia mi sta accecando. Perdo il controllo e
gli sferro un violento pugno in pieno volto, e poi lo colpisco ancora e
ancora in rapida successione.
Cade a terra accanto alla sua auto, e io sento qualcuno gridare:
«Chiamate la polizia!»
«Cazzo…» Abbasso lo sguardo sul suo corpo accasciato a terra e sul
sangue che gli cola dal naso.
Cosa ho fatto?
Mi giro e corro più in fretta che posso nell’oscurità. Supero un isolato e
taglio in mezzo al parco, sentendo le sirene della polizia in lontananza.
Cazzo.
Attraverso la strada e un’auto sbuca dal nulla.
Una luce accecante, un clacson, la vista annebbiata.
La macchina mi colpisce e io volo per aria.
Le tenebre piombano su di me… poi il nulla.
Capitolo 22
Emily

S . Non ho niente su cui lavorare oltre a Hayden. Non mi viene in


mente nessun altro che abbia un passato oscuro e che tradirebbe la Miles
Media. Ma vendere articoletti è ben diverso da rubare milioni di dollari da
una società di importanza globale. Non credo che sia capace di un gesto
simile.
Quindi perché l’istinto mi dice che è coinvolto?
Controllo il telefono… nessun messaggio.
Ti prego, chiamami.
Ho una visione del mio Jameson tutto solo nel suo grande appartamento,
e mi si stringe il cuore nel petto. Ho deciso che domani notte andrò da lui e
busserò fino a buttare giù la porta, se si rivelerà necessario. Non posso
lasciargli lo spazio che gli serve… ho bisogno di lui.
Il mio campanello suona, e io balzo in piedi, emozionata. Jameson.
Corro al citofono, ma nello schermo vedo due agenti di polizia. Premo il
pulsante.
«Chi è?»
«Parlo con Emily Foster?»
«Sì.»
«Possiamo salire, per favore?»
«Che succede?» sussurro.
Oh mio Dio, cosa è capitato?
«Dobbiamo parlare con lei.» «È
successo qualcosa?» balbetto.
«Ci faccia salire, per favore.»
«Okay.» Premo il pulsante d’apertura con il cuore che mi batte
all’impazzata.
Qualche momento più tardi, bussano alla porta, e io la apro di scatto.
«Salve.»
Due agenti di polizia dall’aria solenne si costringono a sorridermi. «È
lei Emily Foster?»
«Sì.» Mi batte forte il cuore.
«Possiamo parlarle per un momento, per favore?»
Mi faccio da parte. «Sì, prego, entrate.»
«Vorremmo parlare con Jameson Miles.» Si guardano intorno nel mio
appartamento e poi riportano l’attenzione su di me. «È qui?»
«No, non c’è.» I battiti del cuore si fanno sempre più violenti contro la
mia cassa toracica. «Di che cosa si tratta?»
«È ricercato perché dobbiamo interrogarlo relativamente a
un’aggressione avvenuta questa sera.» «Cosa?» Mi acciglio.
«Questa notte Gabriel Ferrara è stato aggredito dal signor Miles davanti
a un ristorante. È stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti.»
«Sta bene?»
«Il signor Ferrara ha riportato gravi ferite al volto ed è stato portato in
ospedale.»
Mi copro la bocca con una mano, in preda all’orrore. «Cos’è successo?»
domando.
«Il signor Ferrara stava entrando in auto quando il signor Miles gli si è
avvicinato nel buio. È scoppiata una rissa, e il signor Miles lo ha
aggredito.»
«Dov’è successo?»
«Davanti a Bryant Park, di fronte al Lucina’s.»
«Oh mio Dio», sussurro. «Jameson sta bene?»
«I testimoni dicono che è scappato nel parco.»
Chiudo gli occhi, sollevata… grazie a Dio.
«State dando la caccia alla persona sbagliata», balbetto. «Jameson non
aggredirebbe mai nessuno. È l’amministratore delegato di una prestigiosa
compagnia, non un attaccabrighe.» È assolutamente falso, so che Jameson
adorerebbe ridurre Ferrara in poltiglia… «Non so dove sia», dichiaro con
rinnovata determinazione.
«Possiamo controllare il suo appartamento?» mi chiede un agente.
«Certo, ma lui non è qui.» Indietreggio per lasciarli entrare.
Gli agenti perquisiscono il mio appartamento e poi tornano in
soggiorno. Mi porgono un biglietto da visita. «Ci chiami non appena avrà
sue notizie. Se non lo farà, potrebbe essere accusata di intralcio alla
giustizia. Nascondere un sospettato alle autorità è un reato molto grave.»
«Okay.» Vado in fretta alla porta e la apro rapidamente. «Buona serata.»
Loro se ne vanno, e io la richiudo di colpo.
Mi porto le mani alla bocca per l’orrore, poi afferro il cellulare e
compongo il numero di Jameson. Il suo telefono squilla a vuoto… ma tanto
non avrebbe mai risposto a una mia chiamata. «Dannazione.»
In preda al panico, chiamo Tristan.
«Pronto.»
«Tristan», balbetto. «Sai dov’è Jameson?»
«Che succede?» mi chiede.
«La polizia è appena stata qui. A quanto pare, Jameson ha aggredito
Ferrara. Hanno emesso un mandato d’arresto. Sai dove si trova?»
«Che cosa?»
«Non risponde alle mie chiamate, e dei testimoni dicono che è scappato
in mezzo al parco.»
«Ma che cazzo!»
«Che cosa faccio?»
«Provo a chiamarlo e poi ti faccio sapere.»
«Okay.» Riattacco e inizio a camminare avanti e indietro… Dove sei?
Qualche momento più tardi, Tristan mi richiama. «Non mi risponde. Sto
arrivando.»
«Grazie.»

Un’ora più tardi, Tristan ed io stiamo attraversando Bryant Park. Non ci


siamo detti una parola, al di là del necessario per metterci a cercare
Jameson. Ce l’ha con me per via di Jake e ovviamente non ne vuole
discutere. È furioso.
È l’una del mattino e ormai sto diventando nervosa. Osservo il parco
avvolto nell’oscurità.
«Dove può essere?» sussurro.
«Non lo so. Prova a chiamarlo di nuovo», dice lui.
Faccio il suo numero continuando a camminare nel parco buio, quando
sentiamo qualcosa.
Tristan sgrana gli occhi e solleva una mano. «Shh, ascolta.»
Dalle tenebre si alza il rumore fioco di una suoneria. Non appena si
interrompe, io rifaccio il numero. Entrambi ci guardiamo intorno con una
certa frenesia, e poi notiamo il chiarore di uno schermo illuminato.
«Qui!»
Corro da quella parte e trovo il telefono nell’erba. Sgrano gli occhi,
spaventata, mentre Tristan lo solleva. Lo ripulisce per inserire il codice e
accede alla schermata principale.
Sposta lo sguardo su di me. «È il telefono di Jameson.»
Entrambi lanciamo un’occhiata al parco buio, e un senso di timore mi
pervade. «Che diavolo gli è successo?» bisbiglio.

Sono le quattro del mattino, e Tristan ed io siamo disperati. Camminiamo da


ore. Alan, Elliot e Christopher sono anche loro in giro a cercare Jameson.
«Probabilmente si sta nascondendo da qualche parte dalla polizia.
Vedrai che sta bene», cerca di consolarmi Tristan.
Ormai sono in lacrime, è inutile nascondere la mia angoscia. «È tutta
colpa mia», mormoro mentre camminiamo. «Se non fossi caduta in quella
trappola, non sarebbe successo niente di tutto questo.»
«Che cosa intendi dire con trappola?»
«Jake mi ha detto di avere delle informazioni a proposito di un articolo
su Jameson, che Ferrara avrebbe pubblicato il giorno seguente, e che me ne
avrebbe parlato dopo il lavoro. Non volevo far preoccupare Jay, quindi gli
ho mentito e sono andata a incontrarmi con quell’uomo. In realtà lui voleva
solamente rimanere da solo con me, e mi ha baciata. L’ho colpito e me ne
sono andata, e poi il giorno dopo…» Scrollo le spalle. «Hai visto la foto.»
Si acciglia. «Quindi non ti stavi frequentando con Jake?»
«No», esplodo. «Sono innamorata di Jameson, idiota che non sei altro.»
Inizio a singhiozzare. «E lui non mi permette di spiegarmi.»
«Cazzo, che casino.» Il suo telefono squilla, e Tristan risponde subito.
«Pronto.» Resta in ascolto. «Sì.» Continua ad ascoltare. «Sta bene?»
Sussulta, posandosi una mano sul petto. «Grazie a Dio.»
«Cosa?» gli chiedo a bassa voce.
«Grazie. Sto arrivando.» Riattacca.
«Che c’è?» gli chiedo piano.
«Jameson è in ospedale.»
«Che cos’è successo?»
«È stato investito da un’auto.»
Mi premo le mani sulla bocca per l’orrore.
«Sta bene, ha solo una commozione cerebrale.»
«Oh, grazie a Dio.»
«Vado a prenderlo.»
«Vengo con te», dichiaro decisa.
«Em…» Si interrompe. «Non credo che sia una buona idea. Dopo
questa cazzata con Ferrara, ci saranno paparazzi ovunque, e a Jameson non
serve altra pubblicità. Chissà quanti giornalisti saranno già all’ospedale…
Mio fratello ti vuole lontana dai riflettori. Lascia che parli con lui, e, quando
saremo a casa, ti chiamerò.» La speranza mi sboccia nel petto.
Sta cercando di proteggermi?
«Ma io non ho fatto niente di male, Tristan. Voglio vederlo.»
Si lascia travolgere dalla compassione e mi stringe a sé. «Lascia che lo
porti a casa, al sicuro, e poi ti chiamerò.» Fa un passo indietro e mi studia,
tenendomi per le braccia. «Ti prometto che ti chiamerò. Adesso ti
riaccompagno a casa, mi occupo di lui e poi mi metterò in contatto con te.
Hai la mia parola.» Mi fissa negli occhi.
«Okay.»
Camminiamo in silenzio per un momento.
«Scoprirò chi ha rubato quei soldi, anche se dovesse essere l’ultima cosa
che faccio», mormoro.
«Emily, è una pessima idea. Lascia fare ai detective. Sei stanca ed
emotiva in questo momento. Andiamo a casa.»
Annuisco, sapendo che ha ragione su tutto e detestando ancora di più
questa situazione.
Jameson
Guardo l’infermiera che mi sta tenendo per mano per misurarmi i battiti e
inspiro profondamente. È una signora anziana e dall’aria materna, il tipo
che vorresti per prendersi cura di te.
«Come va il mal di testa?» mi chiede.
«Ancora lì.»
Mi sorride e prende la torcia per puntarmela negli occhi e controllare le
mie pupille. «Hai preso un brutto colpo. Sei fortunato a essere ancora vivo,
giovanotto.»
Sento delle voci fuori dalla camera, e Tristan appare sulla soglia. «Ehi.»
«Ciao.» Faccio un sorrisetto, notando l’ansia sul suo viso.
Mio fratello accorre al mio fianco. «Stai bene?»
«Certo.»
«No, che non sta bene», interviene l’infermiera. «È stato investito da
un’auto. Avrebbe potuto morire. Per il momento, ha una grave commozione
cerebrale.»
Tristan si passa una mano sul viso. «Gesù.»
«Rimarrà qui per la notte e domani, se i test preliminari saranno buoni,
potrà tornare a casa.»
«Okay… grazie.» Lui si accascia su una sedia accanto al letto.
«Tornerò tra un’ora con degli antidolorifici.» L’infermiera mi sorride.
«Non mi servono», replico.
«Tornerò in ogni caso.»
Alzo gli occhi al cielo, e la donna ci lascia da soli.
«Scusami», mormoro.
«Cazzo, Jay, stavamo impazzendo di paura. Ti abbiamo cercato per tutta
la notte.» Mi riempio le guance d’aria e poi espiro lentamente. «La polizia è
andata da Emily, lei mi ha chiamato, e poi abbiamo trovato il tuo telefono a
Bryant Park.»
«Emily?» Mi acciglio. «Perché l’hai coinvolta?»
«È terrorizzata, Jameson. Voleva aiutarci a trovarti.»
Roteo gli occhi. «Ne dubito fortemente.»
«Lo sai, non credo che stia con quell’imbecille di Jake. È stato tutto un
equivoco.»
«Ma chiudi il becco», lo zittisco.
«No, chiudilo tu. Perché non vuoi nemmeno parlare con lei?»
«Perché mi hai mentito guardandomi negli occhi e sei uscita con un
altro uomo.» Mio fratello mi guarda. «E non ho bisogno di questo tipo di
stronzate nella mia vita. Ho già abbastanza a cui pensare, nel caso non lo
avessi notato.»
«Vuole vederti.»
«Sì, beh, io non voglio vedere lei», sbotto.
«Allora devi lasciarla una volta per tutte. È fuori di sé per l’ansia.»
Faccio una smorfia irritata. «Vattene a casa e basta. Domani chiederò ad
Alan di venire a prendermi.»
«Perché non vuoi neanche parlarne?»
«Perché non sono affari tuoi. Emily ed io abbiamo chiuso. È finita nel
momento in cui ha iniziato a mentirmi.» Riappare l’infermiera. «Sono
stanco», annuncio.
La donna mi sorride. «Certo, okay.» Rivolge l’attenzione verso Tristan.
«La chiameremo in mattinata, quando sarà pronto per essere dimesso.»
«Sì, va bene», risponde lui. Sostiene il mio sguardo, ed è chiaro che ha
capito che non sono stanco per niente.
L’infermiera va in bagno.
«E cosa dovrei dire a Emily? Sta aspettando una mia telefonata»,
bisbiglia furioso.
«Non me ne frega un cazzo di cosa le vuoi dire. Non è un mio
problema.»
Si stropiccia di nuovo il viso con una mano, sospirando. «A volte sei
davvero un figlio di puttana egoista.»
«E con questo?»
Mi fissa per un lungo momento. «Ci vediamo domani.»

Emily
Il mio telefono vibra sul tavolino da caffè, e io rispondo subito.
«Sta bene», sospira Tristan.
«Grazie a Dio.» Chiudo gli occhi per il sollievo. «Posso vederlo?»
«Ha riportato una commozione cerebrale e dovrà rimanere in ospedale
per qualche giorno.»
«Cosa?»
«Ha detto che è meglio che tu non vada là, non vuole generare un altro
circo mediatico.»
Mi si riempiono gli occhi di lacrime. Dannazione. In questo momento
mi sembra di non far altro che piangere.
«Ora sta dormendo.»
«Ha detto qualcosa? Su di me?» Mi fermo, cercando di articolare i
pensieri. «Come posso convincerlo ad ascoltarmi, Tristan?»
Lui espira profondamente. «Non lo so. Ha un sacco di casini a cui
pensare, Em. Non credo che al momento sia molto lucido. Cercherò di
parlargli domani mattina.»
Serro le palpebre, rischiando di essere sopraffatta dal pianto. «Okay»,
mormoro. «Potresti richiamarmi… per favore?» Dio, sembro la più grande
sfigata del mondo, ma non so cos’altro fare. «Sono così preoccupata per lui,
Tristan…»
«Lo siamo tutti, Em. Ti chiamo domani. Cerca di dormire un po’.»
«Okay. Buona notte.» Riattacco e vado a farmi una doccia, e lì scoppio
a piangere per il sollievo. Almeno sta bene, e domani è un altro giorno.
Tornerà da me. So che lo farà.

Mi abbasso sul sedile, scrutando dall’altra parte della strada. Sono


impegnata nell’Operazione Spie-Come-Noi. Hayden è il soggetto che sto
seguendo. Non so perché, ma non riesco a lasciarlo perdere.
Mi sono data malata al lavoro. Credo che questo potrebbe essere il caso
più importante della mia carriera. Non ho ancora parlato con Jameson e, a
mano a mano che i giorni passano, perdo sempre più la speranza.
Sono le sette di sera. Porto una parrucca bionda e un paio di occhiali
scuri, e ho persino noleggiato un’auto. Sono seduta qui da otto ore, ma
ancora nessuna traccia di quello stupido di Hayden. Vive in una zona
movimentata della città, dentro a un bel condominio, la strada è affollata e
c’è gente ovunque. Devo rimanere concentrata per non perdermi nulla.
Maledizione, vuoi uscire?
Ho mangiato tutti i miei snack. Ho fame e devo assolutamente andare in
bagno, ma, accidenti, voglio un indizio o qualcosa… qualsiasi cosa… un
po’ di pietà.
Getto uno sguardo lungo la strada buia e poi dall’altra parte. Dio,
Hayden ormai sarà in viaggio verso Istanbul. È quello che farei io se venissi
licenziata per aver rubato sul lavoro. Ma, a quanto pare, non ha idea di
essere ancora sotto indagine. Crede che sia finito tutto con il licenziamento.
Mi allungo sul sedile ed emetto un sospiro sconsolato. Getto uno
sguardo alle mie spalle e vedo che Hayden è fermo sul marciapiede, intento
a parlare con una donna.
Merda.
Mi abbasso ancora di più. Saranno appena tornati da chissà dove.
Sembrano essere immersi in una conversazione seria, e lei ha una grossa
borsa sulla spalla. Tiro fuori il telefono e scatto una foto. Zoomo e ne scatto
ancora qualcuna. Chi è? È la sua ragazza?
Scrivo a Molly e ad Aaron in una chat di gruppo e invio loro le
immagini.

I : Conoscete questa ragazza?

Continuo a guardarli mentre loro parlano. Li tengo d’occhio per cinque


minuti, e poi Molly mi risponde.

M : L’ho già vista, ma non mi ricordo dove. Lavora in un bar o in un posto


del genere??

Mmh. Le rispondo.
I : Non ne ho idea.
Arriva un messaggio da Aaron.

A : Sì, lavorava alla Miles Media.

Sgrano gli occhi, e gli scrivo a mia volta.

I : Quanto tempo fa?

Lui mi risponde.

A : Non ne ho idea, ma non la vedo da un po’.

Merda. Mando una foto a Tristan e gli scrivo.

I : Tristan, sembra che questa ragazza lavorasse per la Miles Media, puoi
scoprire chi è dalle risorse umane, per favore?

Ricevo immediatamente una risposta.

T : Certo. Stai bene?


Replico.
I : Sì, sono nel bel mezzo di un appostamento.

Lui mi manda subito un altro messaggio.

T : Vuoi che venga a darti una mano?

Faccio un sorrisetto.

I : Credevo che la ritenessi una pessima idea.

Lui mi risponde.

T : È così, ma non voglio che tu ti metta nei guai.

Gli scrivo a mia volta.

I : Non è necessario che tu venga, ma puoi parlare con le risorse umane


per me, per favore?

Arriva subito la sua replica.


T : Ok.
Aspetto, aspetto e aspetto, e alla fine ricevo un nuovo messaggio.

T : Si chiama Lara Aspin. Domani mattina quelli delle risorse umane


cercheranno il suo curriculum. Ti tengo aggiornata.

Sorrido, felice di aver scoperto almeno un piccolo indizio. Non ho idea di


cosa significhi, ma almeno è qualcosa. Gli rispondo.

I : Grazie.

Controllo il telefono… nessuna chiamata persa.


Faccio partire l’auto e mi immetto nel traffico, con un brutto
presentimento a stringermi lo stomaco. La notte è il momento peggiore, il
mio letto è freddo senza Jameson al mio fianco. C’è un vuoto dove
dovrebbe esserci lui. Mi fa male il cuore.
Sto perdendo la speranza per noi… E lui mi manca.

Sono stesa sul divano e fisso il televisore. Il cuscino sotto alla mia testa è
bagnato di lacrime.
Sono passati tre giorni da quando Jameson è stato investito da un’auto.
Sei giorni da quando l’ho visto l’ultima volta… Non riesco a mangiare. Non
riesco a dormire.
Sono all’inferno.
Peggio ancora, l’altra sera mi sono messa in imbarazzo andando fino al
suo appartamento e piangendo di fronte alla telecamera di sicurezza, mentre
lo supplicavo di farmi entrare. Non lo ha fatto, e, dopo mezz’ora, il suo
portiere mi ha accompagnata fuori dal palazzo.
Mi vergogno.
Non so cosa fare… Non vuole vedermi, non vuole parlarmi.
Tutto l’amore e la gioia che abbiamo condiviso sono state ridotte in
niente. È come se non fossi mai stata nulla per lui… e forse è proprio così.
Sapevo che aveva la fama di essere freddo, ma questo… questo gelo è tutto
un altro livello.
Come ha potuto guardarmi singhiozzare e supplicarlo dalla telecamera
senza nemmeno farmi entrare?
Prendo il telefono e gli mando un messaggio.

I : Mi manchi.

Fisso il cellulare, e poi vedo animarsi i puntini. Mi alzo a sedere… sta


scrivendo qualcosa. Il mio cuore inizia a battere più velocemente. È la
prima volta. Guardo i puntini continuare ad apparire e rimango in attesa…
ma, dopo poco, quelli svaniscono.
No… cosa? Dov’è il messaggio?
Aspetto.
I puntini riappaiono, e io sorrido tra le lacrime… sì. Sta rispondendo.
Aspetto e aspetto.
Poi svaniscono di nuovo.
«Manda questo messaggio, maledizione!» esclamo.
Rimango in attesa, ma non arriva niente per una buona mezz’ora. La
mia rabbia inizia a ribollire. Come si permette di ignorarmi in questo modo?
Chi si crede di essere quello stronzo?
Gli riscrivo, furiosa.

I : Almeno abbi il fegato di dirmi a cosa stai pensando.


Ricevo subito una risposta.

J: Volta pagina, io l’ho fatto.


Leggo il messaggio e poi lo rileggo di nuovo tra le lacrime… cosa? Come
se niente fosse… voltare pagina? Che bastardo.
Mi alzo e scaglio via il cellulare più forte che posso. Lo schermo si
frantuma sul tavolino da caffè. Sono così furiosa che non ho alcun controllo
sulla situazione. Mi precipito in bagno, mi infilo sotto la doccia e, non
riuscendo a trattenermi, piango… e piango… e piango. Dei singhiozzi
rumorosi mi scuotono il petto, mentre ansimo tanto che devo reggermi alla
parete per non crollare.
Lacrime di rabbia, di frustrazione e di dolore.
Sapevo che stava per succedere… nel profondo, per tutto questo tempo,
lo avevo saputo, ma, porca puttana… quanto fa male.

Jameson

Raddrizzo le spalle, seduto sui sedili posteriori della mia limousine, e mi


preparo per quello che sto per fare.
«Ne è sicuro?» mi chiede Alan, aprendo la portiera.
«Sì. Vada come vada, non ho più intenzione di nascondermi», dico,
uscendo dall’auto. Alzo lo sguardo sull’insegna del Dipartimento di Polizia
di New York sopra la porta ed entro.
L’agente alla reception sorride. «Posso aiutarla, signore?»
«Sì, mi chiamo Jameson Miles e vorrei consegnarmi.»
L’espressione del poliziotto vacilla. «È ricercato?»
«Sono stato coinvolto in un alterco con un uomo di nome Gabriel
Ferrara e poi sono andato in ospedale. Fino a ieri notte non sapevo che mi
steste cercando. Le mie scuse per averci impiegato tanto a venire qui.»
L’agente sorride di nuovo. «Grazie a lei per essere venuto.» Apre una porta
sul lato della reception. «Prego, da questa parte.»
Cinque ore dopo, sono sul marciapiede davanti al palazzo dei Ferrara e sto
guardando verso i piani più alti. Compongo un numero che ho da anni ma
che non ho mai chiamato.
«Gabriel Ferrara», risponde una voce profonda.
«Sono Jameson Miles. Mi trovo davanti al tuo palazzo, vieni giù
subito.»
Chiudo e inspiro profondamente, poi mi appoggio alla mia limousine.
Dopo aver passato le ultime cinque ore alla centrale di polizia, non ho
voglia di aspettare quel coglione, ma c’è una cosa che devo dirgli, o
continuerà a marcirmi dentro. Ho detto alla polizia che il pugno che ho
sferrato a Ferrara è stato per autodifesa e che avrebbero dovuto controllare
per bene i video di sorveglianza. Non so se basterà, ma così avrò un po’ di
tempo. Gli agenti di polizia sono stati tranquilli e mi hanno detto che, dato
che Gabriel ha agitato il sigaro verso di me, probabilmente sarò accusato
solo di aggressione e mi sarà concessa la cauzione per buona condotta.
Posso sopportarlo.
Gabriel Ferrara appare dalla porta principale, accompagnato da quattro
guardie di sicurezza. Ha un occhio nero e uno zigomo gonfio. Sogghigno,
vedendo il suo viso conciato in quel modo.
«Hai un aspetto terribile.»
«Sì, beh, sono stato aggredito da un pazzo», borbotta lui con tono secco.
Faccio un passo in avanti, colto di nuovo dalla rabbia. «So cosa stai
facendo.» Gabriel mi lancia un’occhiataccia. «Non mi fai paura. È ridicolo
quanto tu sia diventato vile.»
Alza gli occhi al cielo. «Vaffanculo, Miles.»
«Se credi di poter distruggere la Miles Media con questo subdolo
comportamento criminale, ti sbagli di grosso», lo schernisco. Mi fissa in
cagnesco. «La Miles Media è leader del mercato da trent’anni e continuerà a
dominarlo. Dimmi, tuo padre lo sa cosa ti sei ridotto a fare?»
Il mio avversario solleva il capo con aria di sfida. «Comportamento
criminale… di che diavolo stai parlando? Quell’incidente d’auto ti ha reso
folle.»
«Sai esattamente di cosa sto parlando.» Ci guardiamo di traverso, l’odio
aleggia nell’aria come un gas velenoso. «So cosa stai facendo», bisbiglio.
Lui sostiene il mio sguardo. «E, non appena avrò le prove, ti distruggerò in
tribunale.»
«Vorrei proprio vederti mentre ci provi.»
Lo fisso, ripensando a quanto sia stato piacevole colpire quel bastardo.
«Ti ho rotto lo zigomo?» Mi lancia un’occhiataccia, e io capisco che è così.
«Lascia che ti dica una cosa… manca di nuovo di rispetto a Emily Foster, e
la prossima volta… non ti spaccherò solo uno zigomo. Ti ucciderò», lo
avviso, la voce carica di disprezzo.
Lui solleva un sopracciglio, come se fosse sorpreso da quella
dichiarazione. «È una minaccia, Miles.?»
«È una cazzo di promessa», ringhio. «Lasciala fuori da questa storia.»
Mi volto per salire in auto, Alan mette in moto e ci allontaniamo lungo
la strada. Guardo Gabriel Ferrara precipitarsi come una furia dentro
l’edificio, circondato dalle sue guardie.
Il giorno in cui distruggerò questo stronzo la vittoria sarà dolce.

Corro lungo la strada, avvolto dal buio. È appena mezzanotte. Non vengo
qui da un po’, ma, per qualche motivo, questa notte ne avevo bisogno.
Il palazzo di Emily.
Conto le finestre fino a raggiungere il suo appartamento con lo sguardo
e lo fisso. Che cosa starà facendo? Sentirà la mia mancanza almeno quanto
io sento la sua?
Mi immagino di suonare il suo campanello e di chiederle di salire. Ci
abbracceremmo, e io sarei felice… proprio come un tempo. Ma poi ricordo
la sofferenza che ho provato la settimana scorsa dopo che mi ha mentito, e
quanto mi sento privato del controllo ogni volta in cui sono con lei, la
maniera in cui i miei nemici l’hanno usata per arrivare a me, e il modo in
cui Emily ha regalato loro munizioni come fossero caramelle…
E so che niente potrebbe distruggermi… niente, tranne lei.
È la mia unica debolezza.
E la debolezza è qualcosa che non posso permettermi di avere.
Né ora né mai.
Rimango a guardare a lungo il suo appartamento, e poi, con il cuore
pesante, mi giro e inizio la deprimente corsa verso casa. Non mi sono mai
sentito tanto solo.
Emily

Fisso il caffè di fronte a me, ma il pensiero di berlo mi dà la nausea. Sono


passati quattro giorni da quando ho ricevuto quel terribile messaggio di
cinque parole da Jameson.

J: Volta pagina, io l’ho fatto.

Quattro giorni sono un tempo molto lungo da trascorrere con il cuore


spezzato, debole e a malapena aggrappato alla vita. Continuo a sperare e a
pregare che torni indietro con qualche gesto grandioso. Allargherebbe le
braccia, io correrei da lui e finalmente questo incubo finirebbe.
Se solo fosse così…
La mia mente è invasa dai ricordi dell’uomo che credevo di conoscere.
Questo vuoto nella mia vita è immenso, e io non capisco come ci si possa
innamorare tanto di qualcuno in un periodo così breve.
Sarei dovuta restare con Robbie, perché, con il senno di poi, il mio ex
ragazzo era sicuro. Non avrebbe mai potuto ferirmi tanto in profondità…
ma così non avrei conosciuto Jameson e non avrei scoperto com’è avere
questo amore divorante dentro di me. A prescindere da come è finita, non
scambierei quella sensazione con nient’altro. Anche se è stata mia solo per
poco.
Attualmente, gli unici che mi spingono a tenere duro sono Molly e
Aaron. Sono stati fantastici. Mi hanno sostenuta dalle retrovie,
ricordandomi perché sono venuta a New York quando invece mi sono
trovata a pensare quanto sarebbe stato facile scappare a casa con la coda tra
le gambe.
«Quello non lo finisci?» Molly indica il mio panino mezzo
sbocconcellato.
Arriccio il naso. «No, lo vuoi?»
«Dimentica di averlo mai incontrato, Em», sospira Aaron. «Nessun
uomo vale tanta sofferenza.»
Mi costringo a sorridere debolmente. «Tornerà, Aaron. So che lo farà.»
«Tu continui a dirlo, Em, ma dov’è quel maledetto bastardo?» replica
Molly.
«È solo…» Scrollo le spalle, cercando di articolare in maniera coerente i
miei pensieri. «È solo che in questo momento si è perduto.»
«No, sai cos’è? È uno stronzo egoista», sbuffa lei. «Tanti saluti, dico io,
hai schivato un proiettile.»
Non corre buon sangue tra i miei due amici e Jameson.
«Forse.» Sospiro con aria mesta.
«Andiamo, dobbiamo tornare indietro.» Il mio collega si alza. «La
pausa pranzo è finita.»
Usciamo in strada e ci incamminiamo verso il palazzo della Miles
Media, quando, all’improvviso, Molly si blocca sul posto. «Cazzo»,
bisbiglia.
«Che c’è?»
«Guardate.»
Alziamo lo sguardo e vediamo Jameson diretto verso di noi insieme a
una donna. Lui indossa il suo classico completo blu scuro e ha un aspetto
impeccabile. I due sono assorti in una fitta conversazione.
«Oggi è venuto al lavoro?» Lo guardo accigliata. Non sapevo nemmeno
che fosse tornato. Jameson non ci ha notati, e continua a parlare mentre
cammina. «Chi è la donna?» chiedo. Ha un’aria familiare, ma non riesco a
ricordare chi sia.
Molly mi afferra un braccio con una certa urgenza. «Andiamo, da questa
parte.» Cerca di spingermi dentro a un negozio.
«Chi è la donna?» ripeto mentre loro si avvicinano.
«Claudia Mason.»
Rimango di colpo senza fiato… La sua ex.
È con la sua ex?
Inizio a sentire i battiti del mio cuore rimbombarmi nelle orecchie e la
terra tremare sotto ai miei piedi.
«Andiamo, è meglio che non ci veda.» Molly mi spinge via,
afferrandomi di nuovo per un braccio, ma io mi libero dalla sua presa e
rimango ferma dove sono.
Quando Jameson ci raggiunge, alza il capo e mi nota. Esita sui suoi
passi, ma poi stringe i denti e non incrocia il mio sguardo.
I miei occhi si riempiono di lacrime.
Si ferma con la schiena rivolta verso di me, e io trattengo il fiato.
Girati… girati.
Dopo un momento, riprende a camminare accanto alla donna e sparisce
in strada senza guardarsi indietro.
Un dolore bruciante mi stringe il petto mentre lotto per trattenere le
lacrime. Chino il capo per la tristezza. Ecco la mia risposta. È vero… tra di
noi è finita.

È venerdì sera, e io sono sprofondata nel sedile dell’auto che ho noleggiato,


mentre scruto dall’altra parte della strada buia. Mi sono gettata anima e
corpo nella risoluzione di questo caso, quantomeno per distrarmi. Mi trovo
davanti all’appartamento di Hayden, e so che probabilmente è del tutto
inutile stare qui, ma cos’altro dovrei fare? Mi sono stancata di piangere e
fissare il muro.
In quel preciso istante, mi arriva un messaggio sul telefono, e io abbasso
lo sguardo. Quando vedo la lettera J sullo schermo, il mio cuore salta un
battito.
Lo leggo e quasi lascio cadere il cellulare per lo shock.

J: Un ultimo scalo. Aeroporto JFK. Sabato, alle 20:00. JFK Clubhouse Bar.
Ho bisogno di vederti. J xxx
Mi raddrizzo a sedere. Cosa?
Ha bisogno di vedermi… ha bisogno di vedermi?
La speranza mi sboccia nel petto. Oh mio Dio. Chiamo immediatamente
Molly.
«Pronto», mi risponde.
«Jameson mi ha appena scritto. Vuole vedermi domani sera!» le dico di
colpo.
«Cosa?» esplode lei. «Gli hai detto di andarsene a fanculo?»
«No.»
«Perché no?»
«Perché…» Cerco di pensare alla spiegazione perfetta. «Magari vedere
Claudia lo ha fatto tornare in sé, e anche io lo voglio incontrare, Moll. È
quello che ho desiderato per tutto questo tempo.»
«Oh Dio, ma riesci a sentirti? Perché vorresti vederlo? È un gran
bastardo.»
«Lo so, ma è stato molto sotto pressione. Ho solo bisogno di parlare con
lui.»
«Per la cronaca, io credo che sia una pessima idea», sospira lei.
Sorrido tra me e me. Si sbaglia… è un’idea eccellente. Rispondo a
Jameson.

I : Ci vediamo lì. x

Guardo fuori dal parabrezza con un’espressione beata e vedo che Hayden
sta parlando con la stessa ragazza che lavorava alla Miles Media.
Lara Aspin… C’è qualcosa di losco anche in lei, e io ne voglio sapere di
più, soprattutto perché finora non sono riuscita a scoprire niente, nemmeno
un indirizzo. La giovane donna conclude la conversazione e si avvia lungo
la strada. Sposto lo sguardo tra lei e l’uomo.
Merda, che cosa faccio?
Guardo Hayden sparire dentro il suo palazzo.
Beh, so già dove vive lui. Se lascio andare la ragazza, rischio di non
ritrovarla mai più. Devo davvero scoprire dove abita. La seguo con gli occhi
mentre cammina lungo la via. Dannazione. Salto fuori dall’auto e attraverso
la strada, tallonandola sul marciapiede.
Scende le scale per entrare in metropolitana, e io esito. È buio, e solo
Dio sa dove sta andando… Merda.
La guardo sparire giù per la scalinata, e mi faccio forza. Maledizione.
Devo seguirla.
Aspettiamo sulla banchina della metro per un po’, e, quando sale sul
vagone, io entro dietro di lei. Mi fermo vicino alle porte e guardo fuori dal
finestrino, assicurandomi di tenerla nel mio campo visivo.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e devo ammettere che è persino
divertente. Avrei dovuto fare la poliziotta.
Superiamo quattro stazioni, e poi la ragazza si alza e si avvicina alle
porte. È la fermata della Central Station, cosa che mi porta a trarre un
sospiro di sollievo. Almeno questo è un posto sicuro.
Scendiamo dal vagone e io rimango un po’ indietro rispetto a lei per
evitare che si insospettisca. Camminiamo ancora, ancora e ancora…
accidenti, ma dove sta andando?
Svanisce tra la folla, e di tanto in tanto io faccio un saltello per vedere se
riesco a ritrovarla. Procedo, ma non la vedo più. È sparita nel nulla.
Dannazione.
Mi volto e lancio un’occhiata lungo la strada che abbiamo appena
percorso. Dov’è andata? Faccio qualche passo indietro, e finalmente la
intravedo dentro a un negozio.
Grazie a Dio.
Entro, notando solo dopo che è un banco dei pegni. Fingo di guardare
qualcosa sul fondo del negozio mentre Lara Aspin parla con l’uomo al
bancone.
«Beh, non vale molto», le sta dicendo lui.
«Vorrei cinquecento dollari. Funziona ancora perfettamente», risponde
la ragazza.
«Te lo sogni. Scordatelo.»
Sbircio attraverso uno spazio vuoto di una libreria esposta e noto un
MacBook. Merda… sta vendendo il suo computer. Perché mai dovrebbe
fare una cosa del genere? Inizio ad arrovellarmi sui possibili motivi mentre i
due contrattano sul prezzo. Alla fine, il venditore la spunta e le consegna
duecento dollari. Guardo Lara Aspin sparire al di là della porta. Aspetto
qualche minuto e poi vado al bancone.
«Salve.» Faccio un sorriso disinvolto.
«Ehi», borbotta il venditore sovrappeso, contando il contenuto della
cassa.
Questa potrebbe essere la cosa più folle che io abbia mai fatto, e dire
che ne ho fatte tante. «Vorrei comprare quel computer, per favore.» L’uomo
si acciglia, lanciandomi un’occhiata. «Quale?» Indico il MacBook che Lara
Aspin gli ha appena venduto.
«Nah, non l’ho ancora svuotato. Vai all’armadietto sulla sinistra e
trovatene un altro.»
«No, deve essere quello lì.»
«Non è ancora in vendita. Torna tra due giorni.»
Quando tornerò tra due giorni, lo avrà ripulito. «Mi dica quanto vuole»,
dichiaro, sentendomi coraggiosa.
Lui si interrompe e alza lo sguardo su di me. «Mille dollari.» Inarca un
sopracciglio in una sfida silenziosa.
«Lo ha appena pagato duecento dollari… è impazzito?» balbetto.
Il venditore scrolla le spalle e torna a quello che stava facendo.
Fisso il computer sul bancone, e non so perché ma il mio istinto mi sta
dicendo di comprarlo. «Dannazione, okay, va bene. Così com’è, subito, per
mille dollari.»
Mi fa un sorriso viscido. «Okay, tesoro.»
Gli porgo la carta di credito di mia madre, quella che dovrei usare solo
per le emergenze… Scusa, mamma.
Pago i mille dollari, prendo il computer ed esco.
Il mio telefono squilla, e il nome di Tristan illumina lo schermo. Che
tempismo perfetto.
«Pronto», rispondo.
«Scusa se ci ho messo così tanto per richiamarti. Senti questa: quella
ragazza su cui mi hai chiesto di indagare, Lara Aspin… lavorava nella
contabilità», mi dice rapidamente.
«Che cosa significa?» Mi acciglio.
«Che aveva accesso ai nostri dati bancari.»
«Oh mio Dio, Tristan», bisbiglio, guardandomi intorno con aria
colpevole. «L’ho appena seguita in metropolitana. Ha venduto il suo
computer a un banco dei pegni, e lo so che è pazzesco, ma l’ho ricomprato
per mille dollari.»
«Cosa? Ce l’hai tu? Hai il suo computer?»
Sorrido orgogliosa. «Già.»
«Dove sei? Vengo subito a prenderti.»
Attraverso l’aeroporto con il cuore in gola. Mi porto dietro il trolley per
interpretare la parte della viaggiatrice stanca… o forse sto solo cercando di
fingere con me stessa che questa non sia una pessima idea.
Perché so che lo è. Nel profondo, so che non dovrei partecipare a questo
gioco pericoloso con lui. Dovremmo metterci seduti e fare una
conversazione civile, da adulti.
Ma la disperazione mi ha resa debole, e spero che stanotte io e Jameson
riusciremo parlare… e che lui mi supplichi di tornare indietro, così io potrò
punirlo e poi torneremo a vivere la nostra storia con serenità.
Non ho più visto Claudia, quindi non ho idea di cosa stia succedendo
con la sua ex, ma il fatto che questa sera Jameson abbia voluto vedermi mi
dice che non deve essere niente.
Spero che non sia niente… Dio, lo spero…
Smettila.
Mi infilo in bagno per farmi un ultimo discorsetto di incoraggiamento.
Mi passo di nuovo sulle labbra il rossetto rosso, il suo preferito, e fisso il
mio riflesso nello specchio. I miei lunghi capelli scuri sono sciolti e
acconciati in boccoli morbidi. Avrei voluto indossare un vestito, ma non
volevo sembrare troppo impaziente, quindi mi sono decisa per un paio di
pantaloni neri aderenti e una camicia di seta dello stesso colore, con il
bottone in cima strategicamente aperto. Se mi muovo nel modo giusto, al di
sotto si intravede il reggiseno di pizzo nero. Ho messo il profumo che ama
di più, e credo di essere sexy senza sembrare che mi sia impegnata…
sempre che sia possibile.
Solo Dio lo sa. Immagino che presto lo scoprirò.
Non essere appiccicosa… lamentosa… ed eccessivamente
melodrammatica, ricordo a me stessa. Sii sexy e seducente… come eri la
prima volta in cui vi siete incontrati.
Giusto, posso farcela.
Raddrizzo le spalle, faccio un respiro profondo e mi preparo per la
serata che mi aspetta. Da questa notte dipende il mio futuro. Devo
ricordargli perché si è innamorato di me… come diavolo ha potuto
dimenticarselo?
Questo, in sé e per sé, è un problema… chiudo gli occhi, disgustata.
Smettila di rimuginare.
Mi avvio lungo il corridoio fino a quando non trovo il Clubhouse Bar. È
animato e vivace. Entro e mi accomodo a un tavolino per due in un angolo.
Se vuole vedermi, può venire a cercarmi. Sono a uno scalo e sono del tutto
ignara di ciò che mi circonda.
Tiro fuori il mio portatile e apro le e-mail.
«Posso portarle da bere?» chiede il cameriere, che si è avvicinato al mio
tavolo.
«Sì, per favore.» Sorrido, porgendogli la carta di credito. «Un Margarita
della migliore qualità, per favore.»
Lui ricambia l’espressione e se ne va dopo avermi lanciato un
occhiolino sfacciato. Dannazione, Jameson Miles mi ha viziata. A quanto
pare, mi sono abituata alla roba di prima qualità, e ormai l’ordinazione mi
sfugge dalla bocca fin troppo facilmente.
Riporto l’attenzione sulle mie e-mail e fingo che siano
interessantissime.
Non è così.
E ciò che vorrei fare davvero è controllare questo posto con un occhio
di falco… lui sarà qui?
Il cameriere torna con il mio drink. «Ecco a lei, un Margarita di prima
qualità.» Lo appoggia sul tavolo. «E il gentiluomo al bar mi ha chiesto di
portarle queste.» Mi lascia un grande piatto di fragole e una tazza di
cioccolata calda.
Lancio un’occhiata nella direzione che sta indicando e vedo Jameson
seduto al bancone del bar. Indossa dei jeans scuri e una camicia bianca che
gli ho comprato io. I suoi capelli scuri sono scarmigliati alla perfezione.
Incrocio il suo sguardo, e lui solleva il suo bicchiere prima di bere un sorso.
Mi si stringe lo stomaco per l’eccitazione. Non mi guarda in questa
maniera da moltissimo tempo.
«Grazie», rispondo al cameriere, completamente distratta dal magnifico
uomo al bar.
Sorseggio il mio Margarita, cercando di levarmi il sorriso ebete dal
volto, e torno alle e-mail per fingere disinteresse.
Fragole e cioccolata calda, è impossibile mangiarle senza succhiarle e
sembrare un animale.
Faccio un sorrisetto… forse è quello che vuole?
Allora giochiamo.
Con gli occhi fissi sullo schermo del computer, prendo un frutto e lo
immergo nella cioccolata prima di leccarlo e infilarmelo in bocca con aria
seducente. Succhio la cioccolata e mi strofino la fragola sulle labbra.
Bevo un sorso del mio Margarita e ripeto la mossa.
Sorrido tra me e me… Che diavolo sto facendo? Sono nel bar di un
aeroporto, pur non dovendo andare da nessuna parte, e fingo di non
conoscere un uomo, che invece conosco benissimo, mentre faccio un
pompino a una fragola. È del tutto assurdo.
Se solo Molly e Aaron potessero vedermi ora…
Il cameriere arriva con un altro Margarita. «Con i complimenti del suo
amico al bar.»
«Grazie.» Tengo basso lo sguardo, partecipando al gioco e rifiutando di
guardarlo.
Dieci minuti dopo, bevo l’ultimo sorso del mio drink e mi permetto di
lanciare un’occhiata verso Jameson: i suoi occhi scuri sono su di me, e un
fuoco divampa tra di noi. Conosco quello sguardo, dice: “Ti scoperò…
come non mai”.
Sento l’eccitazione iniziare a pulsare e, con gli occhi fissi su di lui,
prendo un’altra fragola e la lecco.
Jameson si alza come se fosse stato evocato dalla mia lingua. Non
smettiamo di guardarci, e io succhio il frutto mentre lui si avvicina al mio
tavolo.
«Ti dispiace se mi siedo?» mormora con la sua voce profonda e sexy.
«Niente affatto.» Abbasso lo sguardo sul rigonfiamento nei suoi
pantaloni e inarco un sopracciglio.
«Non giudicarmi.» Sorride, lasciandosi cadere sul divanetto accanto a
me. «Ho appena ammirato il miglior porno con le fragole della mia vita.»
«Davvero?» Faccio un sorrisetto. Sento il calore della sua vicinanza e
devo lottare per non sporgermi verso di lui.
Allunga una mano verso di me. «Sono Jim.»
Sento il cuore precipitarmi nel petto. Proprio come la prima volta.
Stringo le sue dita e sento una scarica elettrica attraversarmi il braccio.
«Salve, Jim, io sono Emily.»
Quindi vogliamo fare questo gioco? Fingeremo di non conoscerci.
Stiamo davvero rivivendo lo scalo. Farò tutto ciò che serve pur di spezzare
il gelo tra di noi.
Appoggiando i gomiti sul tavolo, Jameson unisce le mani sotto il mento.
I suoi occhi brillano, pieni di malizia. «Dove sei diretta, Emily?»
«Londra.» Sorseggio il mio drink. «Tu?»
«Dubai. Il mio volo è in ritardo.»
«Anche il mio.»
Senza smettere di guardarci, beviamo un sorso dei nostri drink. L’aria
tra di noi è elettrica, e, a prescindere dall’amore che provo per quest’uomo,
l’intesa sessuale che ho con lui è innegabilmente fuori da questo mondo.
«Grazie per il drink.» Sorrido con dolcezza.
«Non c’è di che.» I suoi occhi cupi sono socchiusi, e io riesco a sentire
la sua eccitazione fino a qui.
«Che cosa fai per vivere?» gli chiedo.
«Sono una guida turistica», risponde senza esitazione.
«Davvero? E che tour organizzi?»
«Visite ai campeggi.»
Mi finisce il drink di traverso mentre ridacchio. «Oh.» Tossisco.
«Quindi… sei un amante dell’aria aperta?»
«Certo.» Beve un sorso del suo Margarita. «Sono un tutt’uno con la
natura.» Incrocia le dita per dimostrare esattamente quanto vi sia legato.
Cerco inutilmente di nascondere il mio ampio sorriso. «Buono a sapersi.
I cavernicoli mi eccitano moltissimo.»
Il suo sguardo brilla, deliziato. Gli piace questo gioco. E piace anche a
me.
«Tu cosa fai?»
«Sono una sensitiva.»
Scoppia a ridere. Oh, è bello sentirlo ridere di nuovo. «Una sensitiva?»
Sgrana gli occhi per la sorpresa. «Sì.»
«Quindi… leggi la mente?»
«Esatto.»
«Va bene.» Si guarda intorno nel bar e indica una donna con il suo
bicchiere. «Dimmi cosa sta dicendo quella signora laggiù.»
Lancio un’occhiata e studio la sconosciuta di mezza età che sembra
impegnata a riprendere il marito, mentre quello si beve una birra. «Gli sta
dicendo che dovrebbe sbrigarsi a mettere le sue calze a compressione prima
del volo, e che ha bevuto abbastanza. Non lo lasceranno salire in aereo se è
ubriaco.»
«Mmh.» Jameson fa un sorrisetto e guarda di nuovo in giro. «E lui?»
Mi volto verso un uomo che sta fissando il cellulare. «Sta cercando
delle prostitute per il suo viaggio di lavoro.»
«E quello?»
«Si sta chiedendo se la moglie vada a letto con il suo capo.»
Il suo sorriso si allarga. «Sei brava.»
Piego la testa di lato. «Lo so.»
«E lei?»
«Sta cercando infezioni fungine su Google. È preoccupata di aver preso
qualcosa dopo un sabato sera scatenato e una scappatella non protetta.»
Gli brillano gli occhi per il divertimento mentre si guarda intorno nel
bar, e infine torna a girarsi verso di me. «E io?»
«Vuoi sapere che cosa stai pensando?»
«Sì.»
Ci fissiamo a vicenda… merda, mi ero promessa che stanotte non avrei
fatto la melodrammatica, e questo è di sicuro un modo per provocarmi.
Potrei dire addio ai piani che ho fatto e dirgli quanto sia stato stronzo… e lo
farò, ma più tardi.
«Adesso?» gli chiedo.
«Sì.» Mi fissa con lo sguardo cupo per il desiderio.
«È bello vederti.»
Mi fa un lento sorriso sexy e si sporge verso di me. «Lo è.» Mi appoggia
una mano su una guancia, e il mio cuore si blocca. «Anche se non stavo
pensando solo a quello.»
«No», ansimo. «Lo so.»
Sorride come se fosse intrigato, i nostri volti a pochi centimetri di
distanza. «Perché non mi dici a cos’altro stavo pensando?» Abbassa gli
occhi sulle mie labbra.
«Ti stavi chiedendo com’è il sapore del cioccolato sulla mia bocca»,
bisbiglio. Come faccio a mettere insieme delle frasi di senso compiuto
quando lui mi guarda così?
Al rallentatore, si china in avanti e lecca le mie labbra socchiuse. Il mio
punto più sensibile si contrae per la scarica improvvisa di eccitazione.
Oh Dio…
«Stai flirtando con me, Jim?» sussurro.
Mi lecca di nuovo. «Sì. Come me la sto cavando?»
Mi viene la pelle d’oca lungo tutta la schiena, e deglutisco il groppo che
ho in gola. «Non male.»
«Solo non male?»
Annuisco, senza fiato per il suo tocco.
«E quando faccio così?» Mi bacia con estrema lentezza, infilando la
lingua dentro la mia bocca aperta e carezzandomi con dolcezza.
«Potrebbe funzionare», mormoro contro le sue labbra.
«E così?» Il bacio si fa più profondo, e io sento la mia eccitazione
risvegliarsi dal suo torpore.
Chiudo gli occhi, attraversata dall’emozione… non va bene. Un solo
bacio, e sto già per scoppiare a piangere.
Come hai potuto trattarmi tanto male?
Non fare la pappamolle…
Devo tenere sotto controllo i miei sentimenti… almeno per ora. Domani
sarà tutta un’altra storia, ma questa notte è per celebrare ciò che c’è tra di
noi.
Interrompo il bacio. «Non so che razza di donna tu creda che io sia, Jim,
ma posso assicurarti che rimorchiare guide turistiche di campeggi in un bar
dell’aeroporto non è nel mio stile.» Mi appoggio all’indietro contro lo
schienale del divanetto e raddrizzo la camicetta, sorseggiando il Margarita.
Jameson stringe le labbra come se fosse divertito dal gioco, e mi solleva
una mano per portarsela alle labbra. Inizia a baciarla, e poi la gira e mi lecca
il palmo. Sento di nuovo la stessa scarica elettrica accumularsi tutta nel
basso ventre… cazzo. Sto perdendo il controllo della situazione.
In fretta.
Alzo gli occhi e vedo due ragazze sedute accanto a noi, incantate, che lo
fissano con la bocca spalancata. Come gli sembreremo? Un uomo
affascinante seduto qui a pomiciare con la mia mano, mentre io mi fingo
completamente disinteressata. Fingo è la parola cruciale.
«Stai dando spettacolo», mormoro, guardandolo.
«Non posso farci niente», bisbiglia lui contro la mia pelle. «È passato
troppo tempo.»
«Quanto?» gli chiedo.
«Quindici giorni.» Mi bacia di nuovo la mano. «Quindici lunghi
giorni.»
È il tempo che abbiamo trascorso separati… sa con precisione da quanto
non ci vediamo. Anche lui vuole spezzare il gelo tra di noi. Ha sentito la
mia mancanza, so che è così. All’improvviso, non voglio fare la preziosa.
Lo desidero intensamente… e subito.
Allontano la mano dalle sue labbra. «Offrimi un altro drink, e forse
dopo ti libererò dalle tue sofferenze.»
I suoi occhi brillano per l’eccitazione, e alza immediatamente le dita per
chiamare il cameriere. «Sì, signore.»
«Due…»
«Quattro», lo interrompo.
Lui si acciglia, probabilmente scoraggiato dal tempo in più che ci
servirà per berli. «Quattro Margarita, per favore», ripete poi al cameriere.
«Sì, signore.»
«In fretta, per cortesia», aggiunge.
Il cameriere aggrotta la fronte davanti alla sua apparente disperazione.
«Sì, signore, certo.» E si affretta verso il bar.
Ci fissiamo a vicenda mentre l’elettricità sfrigola tra di noi. Non
servono parole. Entrambi sentiamo questa attrazione magnetica che ci
unisce, è troppo forte per negarla.
«È davvero… è davvero bello vederti, Em», sussurra.

Un’ora più tardi stiamo camminando lungo il corridoio dell’albergo, mano


nella mano. Siamo entrambi silenziosi, persi nei nostri pensieri. Il mio
cuore batte all’impazzata, perché so cosa sta per succedere… e non vedo
l’ora.
Lui apre la porta e mi guida dentro la suite. Mi guardo intorno e subito
mi rendo conto della persona con cui mi trovo qui. Per me, certe volte, è fin
troppo facile dimenticare quanto sia ricco, ma lui, in verità, non smette mai
di esserlo. La porta si chiude alle nostre spalle, e Jim si gira verso di me. Ci
fissiamo a vicenda, poi lui mi prende tra le braccia per stringermi forte e
appoggiare la mia testa nell’incavo del suo collo. Continua a tenermi stretta
a sé… come se avesse paura di lasciarmi andare.
L’amore tra di noi è palpabile. Proviamo così tante emozioni, così tanti
rimpianti, che mi ritrovo in lacrime. Vorrei dirgli quanto lo amo, che mi ha
ferita, che sono arrabbiata, ma preferisco lasciare che questo momento
trascorra così. Preferisco che i sentimenti che proviamo l’uno per l’altra
parlino al nostro posto, le parole sembrano irrilevanti in confronto a quello
che c’è tra di noi.
Jameson indietreggia e mi scruta negli occhi. «Mi sei mancata»,
sussurra.
Gli prendo il viso tra le mani e lo bacio a lungo e lentamente, proprio
come piace a lui. Sorride contro le mie labbra mentre mi sbottona poco alla
volta la camicia e la getta di lato. Mi sfila il reggiseno e mi stringe i seni,
muovendo i pollici sui capezzoli turgidi. Le nostre labbra sono ancora
incollate quando lui mi apre i pantaloni per abbassarmeli e togliermeli.
Si lascia cadere in ginocchio, e io trattengo il respiro mentre mi fa
scorrere le mutandine lungo le gambe e me le sfila. Si sporge in avanti e
inspira a fondo il mio odore. Socchiude gli occhi per il piacere e poi inizia a
baciarmi proprio lì.
Oh… mi era mancato.
Ripenso alla prima notte che abbiamo passato insieme durante il nostro
scalo. È stata così diversa da questa… All’epoca, il suo tocco era carico di
lussuria, ora è pieno di amore e adorazione.
Mi solleva una gamba sulla spalla e lecca la mia parte più privata, quella
che nessuno tranne lui conosce. Istintivamente gli appoggio le mani sulla
testa.
È pazzesco. Non l’ho toccato nemmeno una volta, e lui è in ginocchio di
fronte a me, completamente vestito… a godersela come non mai.
La sua lingua trova un ritmo, e il mio corpo inizia a muoversi da solo,
guidandolo nel punto giusto. Inizio a tremare, e chiudo gli occhi per cercare
di bloccarlo. Mi sta toccando da soli quattro minuti e sto già per venire…
Resisti.
Mi cedono le ginocchia e vacillo contro di lui. Lo sento sorridere su di
me. Mi lecca e poi mi spinge sul letto. Mi fa sistemare come vuole lui,
spalancando le mie gambe per godersi ogni parte di me.
«Sei così… maledettamente perfetta», bisbiglia tra sé e sé.
Con urgenza, si sfila via la maglia da sopra la testa e si abbassa i jeans.
Il suo cazzo è duro e pronto tra le sue gambe.
È così bello… il tipico esemplare di uomo.
Gli sorrido, e lui infila una mano in tasca per tirare fuori un
preservativo. Sono colta dall’inquietudine.
«Che cosa stai facendo?»
«Ti voglio più di una volta, e non voglio perdere la sensibilità.»
Mi acciglio, guardandolo mentre se lo infila… È strano, in passato lo ha
sempre fatto fare a me, come se lui non potesse.
Si stende sul letto al mio fianco e mi passa le dita tra i capelli,
guardandomi. Questa notte non riesco a capirlo per niente. Ha un’aria… più
intensa del solito.
«Mi sembra molto sentimentale questa sera, signor Miles», bisbiglio.
«Forse lo sono.»
Allungo una mano verso di lui e gliela appoggio sul viso. Sembra quasi
sperduto. «Stai bene?»
«Questa notte sì.»
Si china e mi bacia, e io sento l’emozione che c’è dietro quel tocco. È
come se stesse incanalando tutto il suo amore nelle labbra, cancellando ogni
mio pensiero coerente. Si sdraia su di me e i nostri corpi si muovono come
se avessero una propria mente, prendendo forma l’uno sull’altro. Il nostro
bacio si fa frenetico, e lui mi solleva una gamba per scivolare dentro di me.
Mi sento quasi lacerata dalla sua invasione. È impossibile dimenticare
quanto sia grosso. È osceno.
Entrambi gemiamo per il piacere. Jameson scivola fuori e poi rientra
lentamente dentro di me. Sono bagnata, davvero bagnata, e il suono della
mia eccitazione riecheggia nell’aria.
«Gesù Cristo, Emily», sussurra, perdendo il controllo. Affonda dentro di
me e mi lascia senza fiato.
E poi cominciamo a darci dentro. Il letto colpisce il muro con forza,
mentre noi ci fissiamo in silenzio… con reciproca ammirazione. Questa è
tutta un’altra storia. I nostri corpi sono fatti per stare insieme. Noi siamo
fatti per stare insieme.
Jameson fa una smorfia, come se stesse soffrendo. «Non riesco a
trattenermi, piccola», ansima.
Sorrido. Mi piace sapere che non può resistermi.
«Lasciati andare», sussurro contro le sue labbra. «Abbiamo l’intera
notte. Dammi tutto.»
Mi giro e sussulto quando sento un dolore sordo esplodermi dentro.
Oh, accidenti. Sono distrutta. Jameson Miles mi ha scopata per tutta la
notte. Con forza e in ogni modo, e oggi ne pagherò le conseguenze.
Mi volto verso di lui. È sdraiato su un fianco, puntellato su un gomito, e
mi sta guardando.
«Ciao.» Gli sorrido dolcemente, imbarazzata da ciò che deve aver visto.
«Ciao.» Si china e mi bacia, prima di prendermi tra le braccia e
stringermi forte.
«Sono tutta dolorante», bisbiglio.
«Siamo in due.» Sogghigna.
Chiudo gli occhi contro il suo petto, e rimaniamo sdraiati in pace per
un’altra mezz’ora, sonnecchiando.
Più tardi, quando mi alzo per andare in bagno, noto il cestino dei rifiuti
pieno di preservativi… mmh, li ha usati per tutta la notte. Sul momento, non
me ne sono accorta.
Torno a letto accanto a lui e mi accoccolo contro il suo petto. «Perché
ieri notte hai usato i preservativi?» Lo sento irrigidirsi sotto di me, e capisco
subito che lo ha fatto di proposito, ma lui non mi risponde. «Jim?» Mi alzo
a sedere, con la fronte aggrottata.
«Non farlo.» Fa per attirarmi di nuovo contro il suo petto. «Godiamoci
una mattinata tranquilla insieme.»
Lo fisso. «Perché li hai usati quando so quanto li detesti?»
Lui espira profondamente, come se fosse irritato, e si alza dal letto.
«Non voglio incidenti.»
«Cosa?»
Emette un lungo sospiro, con aria frustrata.
Mi raddrizzo. «Credi che sarei in grado di intrappolarti di proposito con
una gravidanza?» Jameson rotea gli occhi. «Ma che cavolo!» sbotto,
saltando giù dal letto. «Fai sul serio?»
«Non stiamo insieme, Emily. Sarei un idiota se non prendessi
precauzioni.»
La mia espressione si riempie di sgomento. «Che cos’è stato per te ieri
notte?»
Jameson sostiene il mio sguardo. «Un addio.»
«Cosa?» Sento i miei occhi riempirsi di lacrime per lo shock.
«Non prendertela», dice lui.
«Non prendertela?» grido, iniziando a perdere il controllo. «Mi hai
chiesto di incontrarci qui anche se non avevi nessuna intenzione di tornare
insieme a me?» Mi fissa. «È così?» strillo.
«Non sono l’uomo per te, Emily», risponde con calma, e io capisco che
questo è un discorso che si è preparato.
Mi acciglio e ho l’impressione che le pareti inizino a chiudersi attorno a
me. «Cosa?» sussurro.
«Tu sei innamorata di Jim.»
Con un gesto rabbioso mi asciugo le lacrime che iniziano a scendere
lungo le mie guance.
«Io sono Jameson. Jim non esiste, Emily. È frutto della tua
immaginazione, è l’uomo che vorresti che io fossi.» «Di che cazzo stai
parlando?» ribatto. «Del fatto che starai meglio senza di me.» «Se è per
Jake…» balbetto.
«Non si tratta di lui, anche se odio che tu mi abbia mentito.»
«Ti giuro che non è successo niente!» esclamo.
«So che è così.»
«Allora perché?» bisbiglio. «Non capisco. Noi ci apparteniamo, Jay.»
«Non posso.» Chiude gli occhi e si interrompe per un istante, come se si
stesse preparando a spingere quelle parole fuori dalla sua bocca. «Io non
voglio sposarmi, né voglio avere dei figli. Non voglio le stesse cose che
vuoi tu. Non sono fatto per essere normale, Emily. Sono sposato con il mio
lavoro, e questo non cambierà mai. Ci ho riflettuto molto a lungo.» Mi
allontano da lui mentre l’orrore mi pervade. Riesco a sentire i battiti del mio
cuore nel silenzio. «Ti amerò per sempre», mormora.
Lo guardo tra le lacrime… che cazzo sta succedendo?
Mi sorpassa per andare in bagno e chiude la porta. Fisso un frammento
della moquette per terra, sconvolta fino al midollo. Dopo la splendida notte
che abbiamo passato insieme… è così che mi tratta?
Riappare completamente vestito e mi guarda negli occhi. «Posso
accompagnarti da qualche parte?»
«Se ora esci da quella porta, noi avremo chiuso per sempre», sussurro.
Sostiene il mio sguardo. «Lo so.» Fa un passo verso di me e mi bacia
con dolcezza, tenendomi il viso tra le mani. Sul suo volto scorgo la
medesima smorfia di dolore che so troverei sul mio. «È meglio così,
soprattutto per te, un altro uomo potrà renderti più felice.»
Faccio un passo indietro, furiosa. «Non osare propinarmi queste
cazzate.»
«Vuoi un passaggio o no?»
«Vai all’inferno», sibilo.
Mi guarda con gli occhi fiammeggianti. «Ci sono già.» Si volta ed esce
dalla porta, richiudendola piano alle sue spalle.
Singhiozzo nel silenzio. Mi ha spezzato il cuore. Di nuovo.
Capitolo 23

Emily

S ,
appoggiata al divano, e sto facendo roteare il telefono. Lo guardo girare fino
a quando non perde lo slancio, e poi gli do un altro colpetto.
Oggi è stata una giornata strana, durante la quale ho tratto delle
conclusioni ben precise e ho chiuso un capitolo della mia vita.
Non sto piangendo. Non mi rimangono più lacrime da versare per
Jameson Miles.
A essere sincera, sono solo arrabbiata, soprattutto con me stessa, per
averlo incontrato la notte scorsa e per essermi fatta trattare come una
marionetta per l’ennesima volta.
Su Netflix c’è Magic Mike XXL, e io lo sto guardando di nuovo. È
davvero ironico che abbiamo iniziato la nostra relazione davanti a questo
film e che ora lo stia riguardando dopo la fine della nostra relazione.
Ho riflettuto a lungo. Devo prendere alcune decisioni, delle decisioni
molto importanti. Su cosa voglio fare della mia vita… con la mia carriera e
il mio futuro alla Miles Media. Ma so già cosa devo fare. Alzo lo sguardo
verso il televisore. C’è una scena di un falò in spiaggia, e gli uomini stanno
parlando di una donna di cui uno di loro era innamorato.
“Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.”
Mi si stringe il cuore pensando alle implicazioni di questa frase. Ho
passato settimane a rifiutarmi di credere che Jameson Miles avesse un cuore
di ghiaccio. Ma è così. A prescindere da come l’uomo che credevo di
conoscere si presentava… la sua realtà è una menzogna.
“Jim non esiste”, mi ha detto.
Il mio telefono squilla e il nome Tristan illumina lo schermo. Mi
acciglio. «Pronto.»
«Oh mio Dio, Em. Pensano di averle trovate.»
Mi raddrizzo a sedere. «Cosa?»
«Il computer di Lara Aspin… dentro ci sono le prove che è stato usato
per accedere ai nostri conti bancari.»
«Che cosa?» ripeto piano, sgranando gli occhi.
«Non abbiamo ancora i dettagli, ma gli analisti dei computer hanno
appena chiamato per farci sapere che la sua cronologia sembra molto
promettente.»
Sorrido. «È fantastico.»
«Ci vediamo in ufficio domani mattina? Sali all’ultimo piano appena
arrivi.»
«Sì, certo.» Rimango un attimo in silenzio, poi aggiungo: «Ehi, grazie
per avermi informata».
«Ci vediamo domani», dice lui con tono allegro.
Chiudo e mi perdo a fissare il vuoto per un momento, un sorriso triste
sul mio viso. Mi alzo e accendo il portatile sul tavolo della cucina per
iniziare a scrivere.
Ti credo, Jameson… Finalmente ti credo.

«Oh mio Dio, Em, lo hai saputo?» Aaron mi rivolge un sorriso entusiasta,
girando la sedia verso di me.
È mattina, sono appena arrivata al lavoro e sto appoggiando la borsa
sulla scrivania. «Cosa?»
«I giornali di oggi dicono che è stato fatto un arresto per il caso di
appropriazione indebita.»
«Davvero?» Fingo un sorriso. «È fantastico.» Mi guardo intorno.
«Molly è già qui?»
«No, ma arriverà presto.» Torna a voltarsi verso il suo computer.
«Okay. Torno tra un momento.» Prendo una busta dalla mia borsa e poi
striscio il mio tesserino nell’ascensore per salire all’ultimo piano.
Stranamente, oggi funziona.
Le porte si aprono e Sammia mi fa un gran sorriso, come se fosse felice
di vedermi. «Buongiorno, Emily.»
«Ciao.» Mi guardo intorno. «Tristan c’è?»
«Sì, è nell’ufficio di Jameson. Vai pure.»
Lo stomaco mi sprofonda fino ai piedi. «Okay, grazie.» Attraverso il
pavimento piastrellato e prendo mentalmente nota del rumore. Ora le mie
scarpe non ticchettano più sul marmo, e ripenso a quando lo facevano.
Lancio un’occhiata attorno a me e scatto una fotografia mentale. Amo
questo palazzo… ho tanti ricordi emozionanti di quando ho iniziato a salire
fino a questo piano.
Busso alla porta e sento la voce autorevole di Jameson dire: «Avanti».
Ci siamo.
Cerco di tenere a bada i nervi e apro la porta. Quando Tristan si accorge
di me, il suo volto si illumina. «Eccola qui. L’eroina della giornata.»
«Ciao.» Incontro lo sguardo di Jameson dall’altra parte della stanza.
«Buongiorno.» Lui china il capo come se si vergognasse per qualcosa.
«Tutte le prove erano su quel computer, Em.» Tristan è entusiasta. «Ce
l’hai fatta, hai risolto il caso. Non so perché tu abbia continuato a seguirla,
ma, accidenti, ti sono incredibilmente grato per averlo fatto.»
«Sono felice di essere stata d’aiuto.»
«Grazie.» Jameson aggrotta la fronte come se vedermi qui lo facesse
soffrire. «Ti sono molto riconoscente per il tuo impegno nella risoluzione
del caso.»
Tristan guarda prima lui e poi me, e sembra accorgersi della tensione tra
di noi. «Vi lascio da soli. Dobbiamo festeggiare… stasera», ci grida,
lasciando la stanza in un turbine di eccitazione. Per lui la conclusione
dell’indagine contro Jameson deve essere un vero sollievo.
Chiudo gli occhi. Dannazione, devo farla finita. Porgo la busta a
Jameson, e lui la fissa con aria confusa. «Che cos’è?» mi domanda.
«La mia lettera di dimissioni.»
Mi guarda con la fronte aggrottata. «No, Em.» Scuote la testa. «Non
posso accettarle.»
Le emozioni mi travolgono, e sbatto le palpebre un paio di volte per non
piangere. «Non posso più lavorare qui, Jameson.»
«Tu ami la Miles Media… lavorare qui era il tuo sogno», bisbiglia.
«No. Ti sbagli. Io amavo te… eri tu il mio sogno. Ho accettato
un’offerta di lavoro da Athena, nel posto in cui ho fatto il tirocinio. Inizio
lunedì prossimo.»
Mi scruta dritto negli occhi. «Em…»
Mi sfugge una lacrima lungo la guancia, e la asciugo con un sorriso
nervoso. «Sai, ho guardato Magic Mike XXL ieri sera.» Mi ascolta. «E nel
film c’è una frase toccante che mi ha aiutata a dare un senso a tutto quanto.»
«Quale frase?»
«Quando qualcuno ti mostra chi è… credigli.» Lui si acciglia, senza
capire. «Finalmente ti credo, Jameson.»
«Credi a cosa?»
«Che sei un codardo.» Lui serra la mascella. «Che hai troppa paura di
amarmi.» Ci fissiamo negli occhi, mentre tra di noi scorre una corrente di
rabbia. «E io merito qualcuno che sappia che valgo il rischio.» Jameson mi
fissa, serrando la mascella. «È solo che tu non sei abbastanza coraggioso da
amarmi.»
«Questo non è giusto», sussurra.
«No.» Scuoto piano la testa. «Innamorarmi di te non è stato giusto. Non
ho mai avuto alcuna possibilità… e tu lo hai sempre saputo. Il tuo cuore è in
un congelatore ermeticamente chiuso di marca Miles-High, e si può solo
ammirare dall’esterno.»
La sua espressione si incupisce, e io mi volto per lasciare il suo ufficio.
Chiudo piano la porta quando esco, e la fisso per un momento mentre
raccolgo il coraggio che mi serve per allontanarmi da lì per l’ultima volta.
In qualche strano e assurdo modo, questo è stato il periodo migliore e
peggiore della mia vita.
Addio, signor Miles. Mi mancherai per sempre.

Jameson

Guardo Emily uscire dall’ufficio con il cuore in gola. Richiude piano la


porta, e le pareti iniziano a stringersi attorno a me. In automatico, mi verso
un bicchiere di scotch e vado alla finestra. Fisso New York, lottando contro
un’ondata travolgente di tristezza.
Se ne è andata.
Toc, toc. Tristan appare e fa un ampio sorriso vedendo il mio drink.
«Stiamo già festeggiando?»
«Sembra di sì.»
Si guarda intorno. «Dov’è Emily?»
«Se ne è andata.» Sorseggio il mio scotch e sento il calore del liquido
ambrato scorrermi nella gola. Lo ammiro dentro al bicchiere. «Si è
licenziata. Con effetto immediato.»
«Cosa?» Tristan rimane sbalordito. «Non puoi dire sul serio.»
«È la cosa migliore.»
«Ma che cazzo dici? Come fa a essere la cosa migliore?»
«Le cose tra di noi non avrebbero mai funzionato, Tris, lo sapevi.» Mi
interrompo. «Ci sarà sempre uno stronzo come Ferrara pronto a sfruttarla
per distruggermi. Non voglio che venga trascinata di nuovo nel fango.»
«È questo che ti stai raccontando?» Sbuffa. Io guardo fuori dalla
finestra, senza rispondere. «Cazzo, non ti capisco. Sei follemente
innamorato di lei. Perché la stai lasciando andare?»
Mi fermo, riflettendo sulla domanda. «Si merita di meglio della vita che
le posso dare io.»
«Ma vaffanculo», sbotta mio fratello. «Non potrebbe mai avere una vita
migliore di quella che le potresti dare tu. Non le mancherebbe nulla.» «Non
le interessano i soldi», borbotto con tono secco.
«E cosa vuole?»
«Cose…» Mi acciglio, cercando di esprimere i miei pensieri. «Cose…
che non sono in grado di darle.»
«Tipo quali?»
«Il tempo.»
Tristan mi fissa, smarrito. «Ma ti sei impegnato senza problemi con
Claudia.»
Sollevo le sopracciglia mentre sorseggio il mio scotch.
«Che cosa significa?»
«Non mi importava se Claudia era a casa ad aspettarmi. Non mi
importava di quanto tempo passavo lontano da lei. Potevo viaggiare,
lavorare, concentrarmi… ero soddisfatto di metterla in quarta o quinta
posizione, e lei non si è mai aspettata niente di diverso.» Espiro
profondamente, sentendo il peso del mondo sulla mia schiena. «Stare con
Claudia era semplice.»
«Perché non la amavi veramente?»
Faccio spallucce, non riuscendo a dare un nome ai miei sentimenti.
Lui mi appoggia una mano sulla spalla. «Tu non sei solo un
amministratore delegato, Jameson. Anche tu meriti di essere felice. Perché
credi che debba essere o l’una o l’altra cosa?» Mi acciglio, addolorato.
«Non permettere all’amore della tua vita di andarsene perché hai paura di
perderlo.»
«È inevitabile, Tristan… presto o tardi, lei se ne sarebbe andata
comunque. Sarebbe stata costretta.»
«E cosa ne sarà di te?» sbotta. «Diventerai il classico amministratore
delegato solo, stressato e alcolizzato?» Alzo lo sguardo per incontrare il
suo. «Oh, aspetta.» Indica il mio drink. «Sta già succedendo.» Scuote la
testa, disgustato. «Quando troverò la donna adatta a me, smuoverò mari e
monti per tenerla al mio fianco.»
«Vattene», sospiro. «Non hai nessuna idea di cosa stai dicendo.»
«In realtà, sono quasi felice di vederti mandare a puttane la tua vita»,
grida, dirigendosi verso l’uscita. «Ora so cosa non dovrò fare.»
Bevo un sorso del mio scotch, mentre lui sbatte la porta dietro di sé.
L’interfono sulla mia scrivania emette un trillo, e io premo un pulsante.
«Sì, Sammia.»
«I detective sono qui per vederla, signore.»
Scolo il mio bicchiere… bene, una distrazione.
«Grazie, mandali dentro.»

Emily

«Un brindisi.» Molly sorride, sollevando il suo bicchiere.


Aaron ed io alziamo i nostri e li facciamo tintinnare contro il suo.
«Ai nuovi inizi.»
«Ai nuovi inizi», ripetiamo.
«Te la caverai benissimo», mi garantisce Aaron. «Dammi retta,
conquisterai la redazione in un batter d’occhio.»
Siamo in un bar per cenare e festeggiare. Domani inizio il mio nuovo
lavoro. È passata una settimana da quando ho lasciato la Miles Media.
Mi sembra sia stato una vita fa.
Avevo intenzione di tornare in California per andare a trovare i miei
genitori, ma mi è mancata l’energia mentale per farlo. Invece sono rimasta a
casa per prendermi cura di me. Avevo bisogno di trascorrere un po’ di
tempo da sola per leccarmi le ferite e guarire. Mi sono fatta fare qualche
massaggio e qualche seduta di Reiki per lenire il dolore, ho mangiato cibi
sani e sono andata a correre due volte al giorno per sfogare l’energia in
eccesso, in modo che la notte il mio corpo non potesse far altro che dormire.
Sto bene… sono svuotata, ma me la cavo bene.
Ho smesso di leggere i giornali, così non devo vedere il suo nome.
Durante la corsa, vado nella direzione opposta per non vedere il palazzo
della Miles Media, i ristoranti o qualsiasi luogo che mi ricordi lui o il tempo
che abbiamo trascorso insieme.
Lui…
Non riesco nemmeno a costringermi a dire il suo nome.
L’ho chiuso in una cassaforte, e nessuno osa parlarne quando sono nei
paraggi. È come se non fosse mai esistito… e magari è così.
«Che cosa indosserai domani?» mi chiede Molly, iniziando a tagliare la
sua bistecca.
«Stavo pensando al completo blu.» Prendo un boccone della mia cena.
«Voglio sembrare professionale ed elegante.»
«Niente gonna grigia?» domanda Aaron con un sorrisetto.
Mi pulisco la bocca con il tovagliolo. «Ho gettato via quella robaccia.»
«Cosa?» strilla Molly. «Adoravo quella gonna! L’avrei presa io.»
«Era un oggetto sfortunato», replico. «Fidati di me, non vuoi quel tipo
di negatività nella tua vita.»
«Parole sante.» Aaron alza il bicchiere e brindiamo di nuovo.
«Michael mi ha invitata a uscire sabato sera», ci informa Molly con
noncuranza.
Per lo stupore, lascio cadere le posate, che colpiscono il piatto con
fragore, e alzo gli occhi per incontrare i suoi. «Cosa?»
Lei scrolla le spalle. «Non so davvero cosa pensare.»
«Ti ha semplicemente invitata fuori a cena? Sei sicura che sia un
appuntamento?» le domanda Aaron, accigliandosi.
«Beh, le sue parole esatte sono state: Sabato sera ti va di uscire con me
per un appuntamento?»
Le sorrido. «Ci andrai?»
«Non lo so.» La mia amica sospira. «È passata talmente tanta acqua
sotto i ponti da quando ci siamo lasciati… Siamo riusciti a ricostruire un
rapporto di amicizia e di fiducia. Non voglio rovinarlo…»
«Scopandotelo?» sogghigna Aaron prendendo un boccone del suo pasto.
«Beh, se lo scopassi e lui non si esibisse nel trucchetto del doppio
Viagra, rimarrei mortalmente offesa. Ora so quali assi ha nella manica.»
Tutti e tre ridacchiamo.
«Dio, quanto è stata divertente quella notte», aggiungo, ricordando
quando era svenuto per il troppo sangue affluito al suo membro. Molly rotea
gli occhi. «Forse per te.»
Torniamo in silenzio mentre mangiamo.
«Buona fortuna per domani, tesoro», mi augura Aaron.
«Grazie, ragazzi.» Gli sorrido. «Siete le due cose migliori di New
York.»
«Dio, hai proprio ragione», borbotta Molly, le labbra accostate al
bicchiere. «E anche questi Margarita non sono da meno.» Solleva il suo
drink verso di me. «Quindi dovrei uscire con Mike?» «Certo», esclamiamo
io e Aaron. «Vai.»

«Emily.» Athena mi sorride, stringendomi tra le braccia. «È bello vederti.


Benvenuta.»
«Ciao.» Ricambio nervosamente il suo sorriso.
«Ti piacerà moltissimo qui.» Dopo avermi presa per mano, mi trascina
attraverso la stanza. «Ecco il tuo ufficio.»
Mi illumino, sorpresa. «Ne ho uno tutto mio?»
«Certo che sì.»
Mi guardo intorno nel piccolo spazio. Non è un ufficio da manager ai
piani alti, ma per me è perfetto. Ha una finestra e in un angolo c’è una
scrivania con una sedia. È piuttosto accogliente. Mi giro verso di lei.
«Grazie per avermi assunta. Te ne sono davvero grata.»
Athena mi sorride, carezzandomi un braccio. Quando l’ho chiamata per
avere un lavoro, non mi ha nemmeno domandato che cosa fosse successo
con la Miles Media o alla mia relazione con Jameson. In ogni caso, doveva
sapere che ero a pezzi e che non avevo nessun altro posto dove andare, ma
che correre a casa con la coda tra le gambe non era un’opzione praticabile.
E aveva ragione.
Ho intenzione di ripagarla: sarò la migliore giornalista che abbia mai
avuto.
«Ti lascio», mi dice con gentilezza. «Alle dieci ci sarà una riunione con
lo staff per presentarti agli altri. Abbiamo delle ciambelle di benvenuto.»
Le sorrido. «Grazie, sarà fantastico.»
Lei sparisce lungo il corridoio, e io mi accomodo alla mia nuova
scrivania, guardandomi intorno in quello spazio vuoto. Mi mancano Molly e
Aaron… e il fermento della Miles Media.

Jameson

«Con questa proiezione, la previsione è di una crescita del dieci percento


nei prossimi dieci mesi.» Harrison del dipartimento finanziario tamburella
sul grafico sullo schermo di proiezione mentre si rivolge al consiglio di
amministrazione.
Il tavolo si anima di un chiacchiericcio entusiasta. Dopo i problemi
degli ultimi quattro mesi, la strategia per la rimonta è in atto.
Ma io… sono a chilometri di distanza. Non riesco a concentrarmi… non
riesco a pensare… Mi sento come se non potessi respirare. Forse non sto
bene.
Oggi Emily ha iniziato il suo nuovo lavoro, e io avrei voluto chiamarla
per augurarle buona fortuna. Ci ho pensato così tanto che non sono riuscito
a dormire, e ho persino preso il telefono un paio di volte. Chino il capo.
Ma che senso ha…
Mi chiedo se questa mattina sia andata a correre. Ha messo le scarpe
con le rotelle di cui mi ha parlato? Sorrido tra me e me, ricordando che
Elliot aveva pensato che stessi parlando di scarpe con Zuckerberg. Idiota…
Mi sistemo sulla sedia per raddrizzare la schiena. Avrei proprio bisogno di
un massaggio.
A Emily non piace che me li faccia fare. Ripenso al tipo di massaggi
che ricevevo un tempo, e mi sembra un’altra vita. PE: Prima di Emily…
Smettila.
«Jameson ve ne parlerà questa mattina.»
Alzo lo sguardo, smarrito. Di che cosa stanno parlando?
Tutti i membri del consiglio attorno al tavolo mi fissano, aspettando la
mia risposta, e io getto uno sguardo a Tristan perché mi dia una mano.
«Quando questa sera andrai a Seattle…» mi suggerisce gentilmente mio
fratello, sollevando le sopracciglia.
«Sì.» Annuisco. «Giusto.»
In questo momento, Tristan mi sta puntellando sul lavoro, ben
consapevole del mio stato mentale.
La riunione prosegue, e io bevo un sorso d’acqua per cercare di
riportare la mente dove deve essere.
Così non basta, Jameson. Concentrati.

Salgo sull’aereo.
«Buonasera, signor Miles. La sua poltrona è da questa parte, signore.
Posto A1.»
«Grazie.» Mi lascio cadere sul sedile in prima fila nella prima classe.
L’aereo si riempie lentamente, mentre io guardo fuori dal finestrino.
Volare non mi ha mai dato fastidio, ma ora lo odio. Detesto che mi ricordi
lei… e il modo in cui ci siamo conosciuti. La notte che abbiamo passato
insieme. E quanto sono andate male le cose alla fine.
Con un gomito appoggiato sul bracciolo, mi stringo la base del naso.
Voglio solo arrivare a destinazione, raggiungere il mio albergo e dormire.
Sono stanco e non sono dell’umore giusto per queste cazzate.
«Posso portarle qualcosa, signor Miles?»
«Uno scotch, per favore.»
Un uomo anziano si accomoda sul sedile di fronte a me. Mi fa un cenno
con il capo. «Salve.»
«Buonasera», lo saluto con un sorriso.
Riporto l’attenzione fuori dal finestrino, verso l’equipaggio che si sta
occupando dei bagagli sulla pista; sono tutti impegnati a svolgere il loro
lavoro e a correre in giro per fare gli ultimi controlli di sicurezza.
Si muovono a bordo di carrelli, fanno segnali luminosi e agitano
bandiere.
A me non importerebbe niente se l’aereo si schiantasse.
Bruciare all’inferno deve essere meglio di questa vita.

Quattro giorni dopo

Sorrido ad Alan, che è in piedi accanto alla limousine in aeroporto. «Salve,


signore. Ha fatto buon viaggio?»
«Tutto tranquillo, grazie», rispondo, salendo sui sedili posteriori.
«Vuole prendere la solita strada, signore?» mi domanda lui dalla
portiera.
«Sì, per favore.»
Mi sorride. «Molto bene.» Chiude lo sportello, e qualche istante più
tardi l’auto si avvia in mezzo al traffico.
Mezz’ora dopo, rallenta mentre passiamo di fronte all’appartamento di
Emily, e io scruto fuori dal finestrino.
Sarà qui?
Lo faccio ogni sera prima di tornare a casa. È il mio stupido modo per
augurarle la buonanotte… Se non lo faccio, più tardi finisco per tornare fino
a qui di corsa. Chi voglio prendere in giro? In realtà corro fino a casa sua
quasi tutte le sere.
Trattengo il fiato mentre superiamo la palazzina, sperando di
scorgerla… Non mi è mai successo. Mi sprofonda il cuore nel petto. Non è
qui.
Guardo indietro attraverso il lunotto posteriore, mentre avanziamo
lungo la strada.
Emily… dove sei?
Emily

Sto tornando a casa in autobus e sono seduta a leggere un libro sul mio
Kindle. È buio e sono appena le sei di sera. Sono più felice… più forte.
Ormai ho iniziato il mio nuovo lavoro da tre settimane e lo adoro. Ho fatto
la scelta giusta. Le persone sono tutte fantastiche, fortunatamente non sono
più l’oggetto delle chiacchiere in ufficio, e ho un ruolo più importante
rispetto a quello che ricoprivo alla Miles Media. Mi vedo ancora spesso con
Molly e Aaron per bere e cenare insieme, e ho in programma di tornare dai
miei genitori nel weekend.
Sto correndo molto… e stranamente non devo fingere di essere
inseguita da un maniaco armato di ascia. Sono così arrabbiata che non
posso fare a meno di sfrecciare con tutte le mie forze. Il jogging pacifico
non fa più parte del mio repertorio.
L’autobus rallenta. Spengo il Kindle e mi alzo, aspettando che il mezzo
si fermi. Scendo i gradini e inizio la camminata di due isolati per
raggiungere il mio appartamento. La stagione si sta facendo fredda. Ogni
mio respiro crea una nuvoletta di condensa, e io mi stringo nell’ampio
cappotto per tenermi al caldo mentre avanzo.
Potrei prendere del cibo indiano per cena.
No… attieniti al budget, nel frigo hai gli avanzi dell’altra sera.
Raggiungo il mio palazzo e frugo nella borsa alla ricerca delle chiavi.
«Ciao, Em», dice una voce familiare alle mie spalle.
Mi volto, sorpresa. Jameson è di fronte a me, e, non appena lo vedo, mi
si stringe il petto come in una morsa. «Che ci fai qui?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Avevo bisogno di vederti.»
La sua apparizione risveglia un’ondata inaspettata di emozione, che in
precedenza avevo creduto di avere sotto controllo. Lo fisso tra le lacrime
che minacciano di iniziare a scendere.
Lui fa un cauto passo in avanti. «Come stai?»
All’improvviso, sono furiosa… come un toro scatenato, e chino la testa
per armeggiare dentro la borsa. Devo allontanarmi da lui.
Dove cazzo sono le chiavi?
«Bene», sbotto. Finalmente le trovo e mi giro verso la porta.
«Mi manchi.»
Mi fermo e chiudo gli occhi.
«Non riesco…» Si interrompe. «Non riesco a voltare pagina se non so
che siamo a posto.»
Corrugo la fronte e torno a guardarlo. La sua espressione è addolorata,
sembra nervoso. I nostri occhi si incontrano, i miei pieni di lacrime… i suoi
pieni di rimpianto. Si gira per lanciare un’occhiata verso la sua macchina,
che non avevo notato, parcheggiata nel buio.
«Ti ho portato una cosa.»
Praticamente corre fino all’automobile per prendere un enorme bouquet
di rose gialle, poi torna da me per consegnarmelo.
Lo fisso confusa. «Rose gialle?»
Mi sorride con dolcezza. «Dovrebbero essere un simbolo di amicizia.»
«Vuoi essere mio amico?»
Lui annuisce speranzoso. «Possiamo ricominciare da capo?»
Qualcosa dentro di me si spezza. «Hai un bel coraggio, cazzo.» La sua
espressione si intristisce. «Torni qui dopo avermi spezzato il cuore e mi
porti delle cazzo di rose gialle?» grido. Jameson fa un passo indietro,
sconvolto dall’astio nel mio tono di voce. «Non sarei amica di un coglione
egoista come te neanche se fossi l’ultima persona sul pianeta Terra!» urlo,
mentre le lacrime di rabbia iniziano a scendermi sul volto.
Perdo del tutto il controllo e inizio a fare a brandelli le rose, strappo i
fiori, li distruggo, poi li getto a terra e ci salto sopra. Voglio ferire queste
stupide piante tanto quanto lui ha ferito me.
Jameson mi guarda con gli occhi sgranati.
L’adrenalina mi scorre nel corpo, e, ancora insoddisfatta dallo stato delle
rose, sollevo il mazzo da terra e scendo in strada per gettarlo con più forza
possibile sull’asfalto. Un autobus gli passa sopra.
«Ecco cosa puoi farci con la tua amicizia», gli dico con il tono carico di
disprezzo, superandolo.
Apro il portone ed entro nel mio palazzo senza guardarmi indietro.
Premo con forza il pulsante dell’ascensore e, con la coda dell’occhio, vedo
Jameson al di là della porta a vetri, che ancora mi guarda. Le lacrime mi
scorrono giù per il viso, e sono furibonda per avergli lasciato vedere quanto
sono fuori di me.
L’ascensore si apre, così entro e premo di nuovo il pulsante.
Le porte si richiudono, mentre il mio viso si contorce per il pianto, e io
inizio a singhiozzare.
Che tu sia maledetto, Jameson Miles…
Capitolo 24

Emily

C
dimenticare. Certe situazioni che sono fondamentali e determinano chi sei.
La notte scorsa è stato uno di quei momenti.
Che razza di psicopatica fa a pezzi un mazzo di rose a mani nude,
gridando come una matta? Mi vergogno di me stessa. Questo… questo è il
livello a cui mi sono abbassata.
Stranamente, la notte scorsa è anche stata la prima volta in cui ho
dormito bene dopo settimane. Come se aver rilasciato un po’ di vapore dalla
pentola a pressione mi avesse placato l’anima.
Non mi sento in colpa per essere stata tanto cattiva… di norma, ci starei
male. Ma Jameson Miles, in sé e per sé, è un enigma… uno per cui non
provo più compassione.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra”, gli ho detto… anzi, glielo ho urlato. È
stata una cosa dura da dire, la peggiore, ma lui ha avuto quello che si
meritava.
Le porte dell’ascensore del mio palazzo si aprono, così esco e raggiungo
la strada.
«Che diavolo è successo qui?» sento borbottare sottovoce la donna
davanti a me, che si è fermata per guardare il massacro.
Ci sono petali di rose gialle sparsi ovunque, boccioli ammaccati e
rovinati gettati sull’asfalto. In strada giace la carcassa del bouquet
schiacciato con il suo grande fiocco di seta color crema.
Gesù…
Abbasso la testa e supero quella carneficina. Lancio un’occhiata verso il
tetto, per controllare le telecamere. Mi chiedo se qualcuno abbia visto
quello spettacolo nelle riprese di sicurezza.
Spero di no… che imbarazzo.
Salgo sull’autobus e accendo il mio Kindle. Non sto leggendo uno dei
miei soliti romanzi rosa. Non riuscirei a sopportare il pensiero di tutte
quelle stronzate. Ho variato un po’ e sto leggendo Pet Semetary, e forse è
colpa sua. Stephen King mi sta portando verso il lato oscuro. Quello in cui
non accetti cazzate e la vendetta sulle rose gialle è doverosa.
Bene… Fatevi sotto. Ho voltato pagina.
Questo è il mio momento di gloria.

Jameson

Bevo il mio caffè seduto nel bar di fronte alla Miles Media. Da un paio di
giorni vengo qui prima del lavoro. Alan mi ha detto che Emily era solita
trovarsi qui con i suoi amici. Spero di incontrarli.
Perché? Non lo so.
Le parole che mi ha gridato l’altra notte continuano a risuonarmi nella
mente.
“Non sarei amica di un coglione egoista come te neanche se fossi
l’ultima persona sul pianeta Terra.” Nemmeno io vorrei essere mio amico,
se mi trovassi al suo posto.
Non l’ho mai vista tanto arrabbiata… e magra. Ha perso molto peso.
Odio averla fatta soffrire così tanto, non lo meritava.
Sorseggio il mio caffè e sento una mano appoggiarsi sulla mia spalla.
«Ehi», dice Tristan, sedendosi su uno sgabello accanto a me.
«Ciao.»
«Stai cercando Emily?» mi chiede con aria noncurante.
«No.»
«Bugiardo», replica con un sorrisetto sfacciato. «Ehi, io e i ragazzi
abbiamo organizzato un viaggio a Las Vegas per questo weekend. Il jet è già
pronto.» Faccio una smorfia. Non riesco a pensare a niente di peggiore.
«Sarà fantastico. Beviamo, giochiamo d’azzardo. Introduciamo qualche
bella donna al Miles High Club. Devi riprenderti e tornare in sella. Ho in
mente una bionda o due… per un po’ lasciamo perdere le more, e, oltretutto,
dobbiamo festeggiare la tua assoluzione. Elliot e Christopher arrivano
questo venerdì.» Mi fa l’occhiolino, cercando di rendermi appetibile la
proposta.
«Sì, mi sembra una vera merda», borbotto con tono secco.
«Non mi importa cosa ne pensi. Tu ci vieni.»
Guardo fisso davanti a me. Ultimamente ho perso la capacità di
entusiasmarmi per qualsiasi cosa.
Lui si fa serio. «Sono preoccupato per te, Jay.» Alzo gli occhi al cielo.
«Lo siamo tutti. Non ti stai comportando da te.»
«Sto bene», mormoro con il viso rivolto verso il mio caffè. Mi guardo
intorno ancora una volta, ricordandomi perché mi trovo qui.
«Perché non vai da lei, se la vuoi vedere?» mi chiede.
«Ci ho provato, la notte scorsa.»
«Com’è andata?»
Mi concedo un lungo respiro. «È andata fuori di testa e…» Mi
interrompo, cercando le parole giuste per spiegare la situazione. «Le ho
portato delle rose gialle, e lei le ha fatte a pezzi come una matta.»
«Ah, davvero?» Mio fratello sogghigna, e poi il suo sorrisetto si allarga,
come se fosse colpito. «Perché portarle rose gialle e non rosse?»
«Ho pensato…» Espiro profondamente. «Ho pensato che quelle gialle
fossero più sicure perché sono un simbolo di amicizia. Così Emily avrebbe
acconsentito a parlare con me. Volevo solo scambiare due parole.»
«Ma questo non glielo hai detto, vero?»
«Sì, invece.»
Lui scuote piano la testa, come se io fossi uno stupido. «E lei come l’ha
presa?»
«È stato a quel punto che si è trasformata in Hulk.»
«A dire la verità, non la biasimo.» Gli lancio un’occhiata interrogativa.
«L’hai fottuta alla grande.»
«Non l’ho fottuta», sibilo. «Sto cercando di proteggerla.»
«Ascolta, puoi mentire a te stesso quanto ti pare, ma non disturbarti a
raccontare queste cazzate a me. Sei un pessimo bugiardo… il peggiore.»
«Vaffanculo, Tris, è troppo presto per queste stupidaggini.» Sospiro.
«Tristan», lo chiama la ragazza dietro il bancone.
Lui si alza, va a prendere il suo caffè. Quando torna verso di me, mi dà
una pacca sulla spalla. «Rimani qui a fare il cazzone depresso?»
«Fottiti», grugnisco. Lui mi sorride e se ne va senza un’altra parola.
Faccio un lungo sospiro e abbasso lo sguardo sul mio caffè. Ripenso alla
sofferenza che c’era sul viso di Emily la notte scorsa, e mi si stringe il petto.
Continuo a rivederla nella mia mente, vorrei solo sapere se sta bene. Forse
così riuscirei a perdonare me stesso e a smettere di pensare a lei in ogni
istante della giornata. Tiro fuori il telefono. La chiamerò. No,
riattaccherebbe e basta. Meglio scriverle… ma cosa?

I : Buongiorno. Hai assassinato qualche rosa oggi?

Premo Invio e aspetto. Bevo il mio caffè e fisso il telefono, in attesa che mi
risponda… ma non lo fa.

I : Ti prego, rispondimi.

Ordino un altro caffè mentre rimango in attesa. Sono le otto e un quarto del
mattino e so che non ha ancora iniziato a lavorare. So anche che deve avere
il telefono con sé e che sta ignorando di proposito i miei messaggi.
Fanculo. Compongo il suo numero. Il cellulare squilla… Aspetto con gli
occhi chiusi, ma quello squilla fino a spegnersi.
Cazzo. Ha rifiutato la chiamata.
Le scrivo ancora una volta.
I : Rispondi al telefono o vengo lì.
Il messaggio non parte… Eh? La chiamo di nuovo, ma il telefono non
squilla nemmeno. Che sta succedendo? Ci provo ancora una volta… niente.
Per dieci minuti, tento di connettermi. Non ci riesco. Cosa succede?
Digito su Google: “Perché non posso scrivere a qualcuno o chiamarlo?”
La risposta che ricevo mi ferisce quasi a morte: “Sei stato bloccato”.
Ha bloccato il mio numero? Ma che cazzo?
La rabbia mi monta dentro, nessuno mi ha mai bloccato prima. Non
nella vita professionale, né in quella privata… né tantomeno una donna. È
proprio vero che non vuole essere mia amica… in nessun modo.
Mi sprofonda il cuore nel petto. Come diavolo ho fatto a sbagliare
tanto?
Fisso il palazzo della Miles Media attraverso la vetrina del locale, e il
pensiero di entrare lì e di fingere che vada tutto bene rischia di sopraffarmi.
Scrivo a Tristan.

I : Mi prendo il giorno libero. Ci vediamo domani.

Rimango seduto a finire il mio caffè, e in quel momento inizia una canzone:
Bad Liar, “Pessimo bugiardo”, degli Imagine Dragons.
La ascolto… Mio fratello mi ha detto che non so mentire e,
ironicamente, i versi della canzone risuonano veritieri. Con
un’imprecazione, mi trascino fuori dal bar per prendere un taxi.
«Dove la porto?» mi chiede il tassista.
«A Park Avenue.»
L’auto si immette nel traffico, mentre io mi infilo le cuffie, accendo
Spotify e ascolto di nuovo la canzone.
Bad Liar… il mio nuovo inno.
Cerco su Google le foto di alcuni posti all’estero. Voglio andare a sciare.
Penso alla Svizzera. Ho bisogno di allontanarmi. New York è troppo
piccola… o soffocante… o minacciosa… o qualcosa che non riesco a
comprendere del tutto. In ogni caso, devo andarmene da qui.
Mi ha bloccato.
Potrei lavorare da Londra per un po’… sì, potrei fare così. Avrebbe
senso. Avrei l’occasione di passare più tempo con Elliot e Christopher. Mi si
stringe il petto quando mi ricordo che anche qualcun altro vive lì. Sarei più
vicino a Claudia, ma proprio qualche giorno fa ho spezzato il cuore anche a
lei. Voleva tornare insieme a me, e io le ho detto che probabilmente non
l’avevo mai amata per davvero… Lei si è arrabbiata, e di base è una
situazione del cazzo su tutti i fronti.
No, non posso lavorare da Londra… troppo complicato. Idea cancellata.
Per quanto tempo potrei rimanere in Svizzera? Rifletto sulle date.
Magari un mese? Mmh… Apro la mia agenda del lavoro e inizio a
sfogliarla. Mi spettano un mucchio di ferie arretrate e tanto vale che me ne
faccia un po’.
Non appena entro nel mio appartamento, l’interfono di sicurezza squilla,
e io rispondo. «Pronto?»
«Buon pomeriggio, signor Miles. La signora Miles è qui all’ingresso per
vederla.»
Chiudo gli occhi. Merda.
«La faccia pure salire, grazie.»
Qualche istante più tardi, le porte dell’ascensore si aprono, ed esce mia
madre. Il suo volto si illumina non appena mi vede. «Ciao, caro.»
«Ciao, mamma.»
Mi prende tra le braccia e mi stringe a sé per un momento, come
percependo che c’è qualcosa che non va.
«Che ci fai qui?» Le sorrido, liberandomi dal suo abbraccio.
«Dovrei farti la stessa domanda», risponde lei, seguendomi per
accomodarsi sul divano.
«È solo che…» Mi interrompo, mentre cerco di delineare la bugia adatta
da propinarle. «Ho solo bisogno di un po’ di tempo per me dopo tutto quel
casino dell’appropriazione indebita.»
Mia madre incrocia il mio sguardo. «Bene, ne sono felice.»
«Posso offrirti qualcosa?» Mi alzo, sentendomi a disagio all’idea di
continuare a mentirle.
«Un po’ di tè, caro, grazie.»
Vado in cucina e inizio a prepararlo. Tiro fuori la sua teiera di porcellana
rosa e oro e una tazza, quella da cui beve sempre quando è qui.
Lei mi segue e si siede al bancone in mezzo alla cucina.
«Ti ha mandato Tristan?» le chiedo, dandole la schiena.
«È preoccupato per te.»
«Sto bene, mamma.»
«Questo lo giudicherò io. Che cosa sta succedendo con Emily?»
«Niente.»
«Perché?»
«Non stiamo più insieme.»
«Per quale motivo?» Continuo a preparare il tè. «Guardami, Jameson.»
Trascino lo sguardo fino a lei. «Perché non stai più insieme a Emily?» mi
chiede ancora.
«Merita di meglio.» Mia madre mi osserva. «Ferrara.» Corrugo la
fronte, per cercare di trovare le parole giuste. «Non voglio questa vita per
lei.»
«Cioè, non vuoi che stia con un maniaco del lavoro?»
Scrollo le spalle, porgendole la tazza.
«Quindi, l’hai lasciata… per il suo bene?» Serro le labbra, rimanendo in
silenzio. «Beh, questa ne è la dimostrazione, Jameson.»
«Di cosa?»
«Del fatto che è quella giusta.» Mi acciglio. «Sai, è da quando eri un
bambino che fai così.»
«Che faccio cosa?» Di
che cosa sta parlando?
«Quando eri molto piccolo, forse a tre o quattro anni, avevi questo
piccolo pick-up giocattolo azzurro chiaro.» La ascolto. «Lo adoravi. Stava
nel palmo della tua mano, e te lo portavi sempre in giro. Era il tuo orgoglio
e la tua gioia.» Sorrido appena. «Il fatto è che anche a Tristan piaceva. Ne
aveva uno tutto suo, ma il tuo era speciale. E, anche se tu adoravi quel
giocattolo con tutto il tuo cuore, non appena Tristan si arrabbiava per
qualche motivo… lo davi a lui. Non riuscivi a sopportare di vederlo turbato
e ti sentivi responsabile per la sua felicità.» Mi acciglio. «A mano a mano
che sei cresciuto, te l’ho visto fare molte volte, Jameson, e con tante cose
diverse. Per il mondo esterno tu sei sempre stato un uomo freddo e distante,
ma per i tuoi cari faresti qualsiasi cosa pur di renderli felici. Hai più cuore
che buon senso.» Sostengo il suo sguardo. «Perché credi che Emily non
sarebbe felice con te?»
La fisso per un momento, attraversato da una miriade di emozioni
confuse. «Perché prima o poi la deluderei», sussurro.
La sua espressione si addolcisce. «Jameson, caro, come? Lavorando
troppo? Comportandoti con troppo onore nei confronti della compagnia
della famiglia?» Chiudo gli occhi. «Io sono innamorata di un uomo che è
fatto proprio come te. Tu lo conosci bene, visto che si tratta di tuo padre.
Come te, anche lui è uno stacanovista.»
«Come…» Aggrotto la fronte. «Non so come tu riesca a farcela,
mamma.»
«Cerca di capirlo.» La fisso. «Emily ama te, Jameson, non i tuoi soldi…
o la tua società. Ama te… per quello che sei.» Abbasso la testa. «Smettila di
essere così maledettamente altruista e fai quello che vuoi.» «Non so più che
cosa voglio», bisbiglio.
«Oh, sciocchezze», sbotta lei. «Dimmi una cosa. Se fossi su un’isola
deserta, chi vorresti al tuo fianco?»
«Emily», mormoro senza alcuna esitazione.
«Essere innamorati è come trovarsi su un’isola deserta, Jameson. Puoi
concentrarti solo e unicamente sull’altra persona, e devi fare in modo che
tutto il resto le si adegui.» Inspiro profondamente. «Se non vuoi affrontare il
tuo futuro con lei, allora non farlo. Ma non osare allontanarti dalla felicità
per proteggerla.» La ascolto, serrando i denti. «Non capirò mai come fa un
uomo a essere tanto spietato negli affari e così generoso con chi ama… ma
il fatto è che tuo padre è come te, e io so che è fattibile.» Mi prende il viso
tra le mani. «L’uomo che io amo e quello che il mondo conosce sono due
persone molto diverse… ed è così che mi piace. Mi piace essere l’unica a
vedere la sua parte più tenera.» Le rivolgo un sorriso dolce. «Per tuo padre
io sono tutto il suo mondo, ha fatto funzionare la nostra relazione
nonostante la compagnia. Non mi sono mai sentita ignorata o trascurata. Per
lui sono sempre stata una priorità.» La guardo mentre quelle parole
aleggiano nella mia mente. «L’uomo che Emily ama e quello che tu credi di
essere sono due individui molto diversi. Devi permetterti di essere la
persona che sei davvero con Emily e anche il Jameson Miles che il mondo
conosce. Non devi scegliere tra l’uno e l’altro come pensi. Il fatto che tu
abbia messo la felicità di Emily davanti alla tua è la prova che lei è la donna
giusta per te.»
«Non vuole parlarmi», sussurro.
Si alza. «Allora convincila a starti a sentire.» Mi stringe tra le braccia.
«Vai a riprenderti la tua innamorata, afferrala con entrambe le mani… e non
lasciarla mai più andare.» Mi dà un bacio sulla guancia e, senza dire altro,
esce dal mio appartamento.
Le parole di mia madre mi risuonano dentro, forti e chiare.
“Devi permetterti di essere la persona che sei davvero con Emily e
anche il Jameson Miles che il mondo conosce. Non devi scegliere tra l’uno
e l’altro come pensi.”

Sono le cinque del mattino e sono steso sul divano a fissare il soffitto del
mio salotto. Ho ancora indosso i vestiti che portavo ieri. Non ho dormito
per tutta la notte. Continuo a ripetermi nella testa le parole di mia madre. È
convinta che io possa diventare l’uomo che Emily desidera e allo stesso
tempo quello che devo essere.
Per come la vedo io, ho tre possibilità: la prima è lasciare la Miles
Media per diventare un uomo con cui valga la pena di stare; la seconda è
lasciare che Emily esca per sempre dalla mia vita, ma mi si stringe lo
stomaco al solo pensiero di trascorrere la mia esistenza senza di lei; la terza
è provare a essere entrambi… ma è davvero possibile vivere come due
persone diverse?
Mi alzo e, per la prima volta da molto tempo, mi ritrovo a essere
completamente lucido.
Vaffanculo.
Ci proverò e, se non riuscirò a farlo funzionare, lascerò la Miles Media.
Mi riprenderò la mia ragazza.
È lei la mia priorità.
Capitolo 25
Emily

S ,
l’ascensore. Sono una degli ultimi a lasciare l’ufficio. È stata una lunga
giornata, ma ho raggiunto dei grandi risultati. È stranissimo, ma bloccare
Jameson ieri è stata la cosa più soddisfacente che io abbia fatto da quando
ho assassinato quelle rose.
In qualche modo perverso, essere cattiva con lui mi permette di sfogare
una parte della rabbia. Ferirlo è la migliore terapia. Devo essere davvero
messa male, oppure la vendetta è semplicemente molto appagante. Ieri sera
ho guardato il film John Wick e ho sorriso per tutto il tempo… questa cosa
dice molto sul mio attuale stato mentale.
Prendo l’ascensore ed esco in strada. È freddo e buio, e io alzo il
colletto del pesante cappotto per stare più calda e riparata.
«Emily.»
Sento una voce dietro di me. Mi blocco sui miei passi… merda.
Jameson… che ci fa qui? Abbasso la testa e continuo a camminare.
«Emily», ripete lui.
Mi volto di scatto. «Che c’è, Jameson?» esplodo.
«Posso parlare con te?»
«No. Vattene.» Mi giro e inizio a dirigermi a grandi passi verso la
fermata dell’autobus.
Mentre cammino, Jameson mi segue. «Voglio solo cinque minuti del tuo
tempo.»
Rimango in silenzio.
Corre per raggiungermi. «Lo so che ho fatto un casino… un
grandissimo casino.»
Lo guardo di traverso, immaginando di prendere a pugni la sua stupida e
bellissima faccia. Riesco a visualizzare la sua testa che scatta all’indietro
quando lo colpisco.
«Ti prego», balbetta, continuando a seguirmi. «Devo spiegarti il
perché.»
«Non sono interessata.» Procedo a passo di marcia.
Mi corre dietro ancora per un po’, come se non sapesse cosa dirmi.
«Continuerò a venire con te fino a quando non mi parlerai. Possiamo bere
qualcosa insieme?»
«No.»
«Una cena?»
«Va’. Via. Jameson.»
«Non ti lascerò», farfuglia, affrettando il passo per starmi dietro.
«Lo hai già fatto. Levati di torno.»
Mi si para davanti e si gira verso di me, cominciando a camminare
all’indietro. «Intendo dire che non ti lascerò più… mai più.»
«Allora sarà una relazione a senso unico, perché non voglio avere più
niente a che fare con te. Mai più.»
La sua espressione si intristisce. «Non dire così.»
Un uomo va a sbattere contro di lui, mentre Jameson continua a
muoversi all’indietro. «Stai attento», sbotta il tizio, sorpassandolo.
«Voglio solo dieci minuti del tuo tempo», insiste ancora lui.
«No.» Arriviamo alla fermata, e io mi metto in fila. Jameson si ferma
accanto a me.
«Alan può venire a prenderci, sai?» Guarda la lunga fila di persone.
«Non dobbiamo per forza prendere l’autobus.»
Gli lancio un’occhiataccia, poco colpita.
Moccioso viziato.
Mi sorride. «Sei sempre bellissima quando sei arrabbiata… lo sai
questo?» commenta ad alta voce, e il resto della fila inizia a voltarsi verso
di noi.
Mi esce il fumo dalle orecchie di fronte a questo suo spettacolo.
«Jameson, vattene a casa, cazzo», bisbiglio furiosa.
«No.» Incrocia le braccia al petto come un adolescente petulante. «Non
me ne vado senza di te.»
La gente attorno a noi ci guarda. Tiro fuori il mio Kindle e lo accendo…
qualsiasi cosa pur di ignorarlo.
«Che cosa stai leggendo?»
Rimango in silenzio, fingendomi concentrata sulle parole.
Maledetto… crede di poter venire qui e pretendere di vedermi… può
baciarmi le chiappe.
«Io sto leggendo un bel libro, al momento», ricomincia a parlare, mentre
io continuo a leggere. «Si intitola…» Si interrompe, riflettendoci un
momento. «Si intitola Come riprendersi la propria ragazza dopo una crisi
di mezza età.»
Le ragazze dietro di me fanno un risolino.
Faccio una smorfia per cercare di nascondere un sorrisetto.
Ora non fare il carino, stronzo.
«Il primo capitolo si chiama Missione autobus», continua. Mi mordo
l’interno della guancia. «Sì, dice di seguirla fino alla fermata del bus e di
continuare a parlare a vanvera fino a quando non si stanca del suono della
tua voce e deve per forza risponderti… anche se le prime parole sono Stai
zitto… è sempre qualcosa, giusto?»
Giro le pagine sul mio Kindle per impedirmi di cascare nella sua
trappola e intimargli di stare zitto. Le donne dietro di me ridacchiano di
nuovo. Guardo in cagnesco il dispositivo che ho tra le mani. Non rimarrei
sorpresa se lo schermo si frantumasse sotto quella pressione.
«Cosa dice il secondo capitolo?» gli chiede una delle donne alle mie
spalle, mentre l’autobus arriva e si ferma. Salto a bordo.
«Di salire sull’autobus», lo sento dire dietro di me.
Continuo a camminare per fermarmi a un sedile in fondo accanto al
finestrino, e lui si siede accanto a me. Mi prende in giro? «È un ottimo
posto», bisbiglia. «Mi piace.» «Smettila di parlarmi», ringhio.
«Non posso. Vedi, finalmente l’ho capito. E ho bisogno che tu mi
ascolti, così possiamo risolvere questo pasticcio.» Fisso lo sguardo fuori dal
finestrino.
«Voglio dire, come possiamo aggiustare le cose se tu non mi rivolgi la
parola?»
«Non lo faremo. È questo il punto», borbotto con tono secco.
«Non dire così, FB.»
Lo guardo storto mentre un chiarore rossastro invade il cielo.
Non abboccare, non dargli questa soddisfazione.
Mi sorride con dolcezza, totalmente ignaro della mia ira. «È così bello
rivederti…»
Roteo gli occhi e sposto di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino.
Non parlargli… nemmeno una parola… non cedere.
«Dio… quanto mi sei mancata, Em», mormora.
Qualcosa dentro di me si spezza.
«Non hai il diritto di dirlo», sbotto.
«Ma è vero.»
«Stai zitto, Jameson. Il tempo di parlare è finito.» Il veicolo raggiunge
la mia fermata, e io mi alzo e lo supero. Lui mi corre dietro mentre avanzo a
grandi passi sul marciapiede.
«Non me ne vado fino a quando non avrai parlato con me.»
Continuo a camminare.
«Aspetterò qui fuori tutta la notte.»
Continuo a camminare.
«Em, andiamo», sospira.
Continuo a camminare.
«Come puoi essere tanto fredda?» mi domanda.
Mi volto, come indemoniata. «Non osare definirmi fredda, ipocrita che
non sei altro. Sei tu quello freddo, cazzo.»
«Ed eccola qui.» Mi sorride come se fosse orgoglioso di sé per avermi
costretta a rispondergli.
Rimango sgomenta di fronte alla mia stessa debolezza. «Jameson»,
bisbiglio.
«Piccola.» Mi prende le mani nelle sue. «Ti prego, parla con me. Mi
manchi e so che anche io ti manco. Devo risolvere questa situazione tra di
noi, possiamo superarla.»
Al suo tocco le lacrime mi riempiono gli occhi, e sono furiosa con me
stessa per avergli permesso di avvicinarsi tanto a me. «Non posso.» Lo
sorpasso.
«Ti prego, Em», mi chiama, dietro di me. «Sono pronto a supplicarti.»
Continuo a camminare.
«Vuoi che mi metta in ginocchio proprio qui? Perché lo farò.»
Non mi fermo, e lui mi corre dietro. «Dimmi come aggiustare le cose.
Dimmi cosa fare, e io ti obbedirò.»
Mi giro verso di lui. «Volta pagina… io l’ho fatto.»
Rimane senza parole. «Okay… me lo sono meritato.»
«Io no», dico tra le lacrime, oltrepassandolo e riprendendo a camminare.
«Lo so, Em», grida. «Mi dispiace davvero tanto. Quell’uomo…
quell’uomo è stato un pazzo a lasciarti andare in quel modo. Ero
completamente fuori di testa, cazzo.»
Raggiungo la mia palazzina, e lui mi arriva alle spalle proprio mentre
inserisco la chiave nella serratura. Mi passa un braccio attorno alla vita e mi
attira a sé. «Ti prego», mormora tra i miei capelli. «Io ti amo.»
Chiudo gli occhi per il dolore che il suo tocco scatena dentro di me…
Mi manca.
Poi mi divincolo dalla sua presa. «Non toccarmi», sputo. «Che cosa ti fa
pensare di poter tornare qui e dirmi una cosa del genere?»
Mi scruta dritto negli occhi. «Perché tu mi ami… e due torti non fanno
una ragione. Se non mi permetterai di aggiustare questa situazione per pura
testardaggine, cosa che è estremamente possibile…» si interrompe,
cercando di trovare le parole giuste, «entrambi ce ne pentiremo per sempre.
Sai che sarà così.»
Lo fisso per un momento, mentre quella dichiarazione aleggia nella mia
mente. Mi volto, entro nel palazzo e chiudo la porta dietro di me. Lui mi
guarda attraverso il vetro.
Premo il pulsante dell’ascensore, che si apre immediatamente. Mi
affretto a entrare e premo i tasti per richiudere le porte, con gli occhi pieni
di lacrime.
Bastardo.

Esco dal mio palazzo alle otto precise del mattino. Non ho dormito molto e
continuo a vedere l’espressione triste che Jameson aveva ieri notte quando
l’ho lasciato. Detesto essere preoccupata per lui. Le sue parole hanno
continuato a risuonarmi in testa, ancora e ancora. Detesto che le abbia
pronunciate. Detesto che abbiano senso.
“Perché tu mi ami… e due torti non fanno una ragione. Se non mi
permetterai di aggiustare questa situazione per pura testardaggine, cosa che
è estremamente possibile… entrambi ce ne pentiremo per sempre. Sai che
sarà così.”
Dio, che disastro.
«Buongiorno.»
Sento una voce allegra dietro di me. Jameson è in piedi accanto alla
porta, avvolto nel suo completo blu, tutto agghindato e niente affatto
scoraggiato come invece dovrebbe essere.
«Che ci fai qui?»
«Ti stavo aspettando.» Mi sorride, afferrando la mia borsa della palestra
per caricarsela su una spalla. «Prendiamo l’autobus oggi?»
Lo fisso, impassibile. «Io prendo l’autobus. Quello che fai tu… non
posso proprio saperlo.»
«Ti seguirò fino a quando non accetterai di uscire a cena con me.»
«Non succederà, Jameson.»
«Okay», risponde lui, iniziando a incamminarsi verso la fermata.
«Allora ti seguirò per sempre.» Lo fisso, e lui mi rivolge un sorrisetto sexy.
«Sei bellissima oggi.»
«Smettila.»
«No.»
Mi dirigo verso la fermata, accompagnata da Jameson. Resto in silenzio,
mentre lui continua a blaterare.
«Sei andata a correre questa mattina?» mi chiede. «Io l’ho fatto.» Lo
guardo. «Sono piuttosto in forma, in questo momento. Tutta questa
sofferenza mi spinge a correre a velocità record», continua.
Siamo in due… ma io tengo la bocca chiusa. Non voglio fargli sapere
che anche io sto correndo perché spronata dalla rabbia nei suoi confronti.
Prendiamo l’autobus. Continuo a non dire niente, mentre lui chiacchiera
come se fossimo due migliori amici che si sono ritrovati dopo molto tempo.
«Vuoi andare in campeggio questo weekend?» chiede, aprendo il
giornale.
«No. Andrò dai miei genitori», rispondo impassibile.
«Oh.» La sua espressione perde tutto l’entusiasmo. «Beh, sarà
imbarazzante.»
«Cosa?»
«Quando ti seguirò dai tuoi genitori.»
«Non verrai dai miei», sbuffo.
«Scommettiamo?» Gli brillano gli occhi di malizia. «Se non parli con
me, continuerò a seguirti fino a quando non cambierai idea.»
«Non voglio che tu mi segua. In effetti, non voglio avere niente a che
fare con te.»
«Non c’è bisogno di fare la bisbetica», dice lui, girando la pagina del
giornale. «È sconveniente.»
Gli lancio un’occhiataccia. «Lo sai che cosa è sconveniente?» bisbiglio
furiosa. «Gli stronzi che spezzano il cuore alle ragazze e credono di poterle
riavere indietro in un batter d’occhio, solo schioccando le dita.»
Jameson mi fa un sorrisetto. «Sì, devo concordare. Ma se i due sono
destinati a stare insieme, e lui era convinto di fare la cosa giusta…»
«Oh, ti prego», dico, irritata. «Ma ti senti?»
«Vieni a cena con me stasera?»
«No.»
L’autobus raggiunge la mia fermata, e lui si alza per prendere la mia
borsa da palestra e mettersela in spalla. Lo guardo attraversare il veicolo per
scendere, e sorrido tra me e me. Ha mai preso un autobus prima d’ora?
Idiota.
Ci incamminiamo in silenzio lungo la strada, e, quando mi volto, noto
subito la limousine parcheggiata di fronte a noi. Alan è appoggiato al
veicolo e mi sorride, facendomi un cenno.
«Alan sa che sei qui?» sussurro mortificata.
«Lo sanno tutti», dice lui con noncuranza, restituendomi la borsa. «Non
è un segreto che ti rivoglio con me. Ho dichiarato le mie intenzioni.» Lo
fisso. «Ci vediamo questo pomeriggio.» «Jameson», sospiro.
«Non ho intenzione di rinunciare a noi, Em… mai.» Mi sorride con
dolcezza. «Noi siamo fatti l’uno per l’altra.» Mi gratto la testa per la
frustrazione. «Passa una bella giornata.» Mi guarda con le mani nelle
tasche, a distanza di sicurezza.
«Ciao.» Mi volto ed entro nell’edificio. Subito dopo, il mio telefono
notifica l’arrivo di un messaggio. Arriva da un numero sconosciuto.

Passa una bella giornata. Questo è il mio telefono usa e getta in caso di
emergenza.
Jameson. Si è procurato un altro cellulare, uno che non ho bloccato. Salgo
in ascensore e mi ritrovo a fare un sorrisetto verso terra.
Smettila… è uno stronzo… non dimenticarlo mai.

Sono le tre del pomeriggio e io sto finendo un’inchiesta che verrà


pubblicata in settimana. Adoro questo lavoro. Voglio dire, non quanto
amavo la Miles Media, ma quella nave ormai è salpata. Tanto vale
approfittarne. Tutti i colleghi sono molto amichevoli e gentili, e mi hanno
accolta a braccia aperte.
«Consegna per Emily Foster», sento dire a qualcuno.
Alzo lo sguardo e vedo un uomo attraversare il piano con una scatola
bianca tra le mani. Ma che cavolo?
«Oh, è in quell’ufficio laggiù», lo informa uno dei miei colleghi.
Lui bussa alla mia porta. «È lei Emily Foster?»
«Sì.»
«Ho una consegna per lei.» Mi porge la scatola bianca.
La accetto. «Grazie.»
«Ehm.» L’uomo fa un sorrisetto, spostando il peso da un piede all’altro
con fare imbarazzato. «È da parte di Kung Fu Panda.»
«Cosa?»
«Mi è stato detto di dirle che la manda Kung Fu Panda.»
Cerco di nascondere un sorriso, ma fallisco miseramente. «Grazie.»
Se ne va, così io ne approfitto per aprire la scatola: all’interno trovo
un’enorme cheesecake al caramello con un bigliettino bianco lì accanto.

Una cheesecake per la mia cheesecake.


xoxoxo

La richiudo e sogghigno. È un idiota, e io non sono una cheesecake. Se


crede di poter tornare nelle mie grazie facendo il carino, ha capito male.
Kung Fu Panda… da dove gli escono queste cazzate?
Una ragazza dell’ufficio accanto fa capolino sulla soglia. «Cos’è
quella?»
«Una cheesecake, ne vuoi una fetta?»
«Certo che sì, prendo i piatti.» Sparisce in cucina.
Fisso il telefono per un momento. Dovrei scrivergli per ringraziarlo?
No, è per questo che lo ha fatto, per ottenere una reazione. Sa che sono una
persona educata e che non accetterei mai un regalo senza ringraziare il
mittente. Starà aspettando la mia chiamata. Beh, peccato per quello stupido
Kung Fu Panda. Peggio per lui. Ha creato questa bestia e può vivere con la
mia scortesia. Mi ha fatta incazzare.

Alle sei di sera mi dirigo verso il piano terra. È possibile che mi sia
sistemata i capelli e mi sia data il rossetto… non che lo ammetterei mai,
certo.
Lascio l’edificio per uscire in strada, e vedo Jameson appoggiato al
muro. Indossa il suo completo grigio, quello che mi piace tanto. I capelli
scuri gli ricadono sulla fronte, e rivedere la sua mascella scolpita risveglia
delle sensazioni nascoste dentro di me. Mi fa un ampio sorriso e si stacca
dalla parete con una spinta non appena nota che sto arrivando. Da quanto
tempo è lì?
«Buon pomeriggio, signorina Foster.»
«Non sapevo che conoscessi il kung fu», dico, superandolo.
«Oh, sì», risponde, seguendomi a ruota. «Ci sono molte cose su di me
che non sai. Ti ho detto che sto diventando un grande appassionato di sport
estremi?»
Rimango in silenzio mentre camminiamo. È difficile mantenere
un’espressione seria quando lui è di questo umore.
«Sì, ho pensato che potrei iniziare a scalare montagne e ad andare in
campeggio. Potrei accendere un fuoco a mani nude e fare altre cose così.»
Sogghigno, non riuscendo a trattenermi, e continuo a camminare di
fianco a lui. «Davvero?»
«Già. Vedi? Sto diventando un tutt’uno con la natura.»
«Tu. Un tutt’uno con la natura. Mi piacerebbe vederlo», borbotto con
tono secco.
«Okay, possiamo fare un’escursione in montagna questo weekend,
allora. Che ne dici del monte Kosciuszko?»
«Sono impegnata», replico, continuando a procedere.
«Giusto, hai ragione, questo weekend andiamo dai tuoi genitori.»
«Tu non verrai con me, Jameson.»
«Quando ho chiamato tua madre, mi ha detto che posso, invece.»
Mi volto verso di lui, incredula. «Hai chiamato mia madre?»
«No, ma lo farò se non vieni a cena con me.» Mi sorride con fare
speranzoso.
Lo fisso. «Jameson, se secondo te basta che Kung Fu Panda mi mandi
una torta e mi chiami cheesecake per riparare i danni che hai causato, allora
sei proprio un illuso.»
Mi prende le mani tra le sue. «Non è così, Em, ma, ti prego…
permettimi solo di dirti quello che devo.» Lo guardo. «E poi, se non vorrai
vedermi mai più, smetterò di seguirti.» Sostiene il mio sguardo. «Dobbiamo
parlarne, sai che è così.» Roteo gli occhi. «Ti prego.» Sbatte le ciglia per
cercare di fare il carino, ed è piuttosto irritante che riesca nel suo intento.
«Va bene, hai dieci minuti», sospiro.
«Dove vuoi andare?» Mi sorride.
«Va bene qualsiasi posto, basta che sia vicino.»
«Okay.» Si guarda intorno. «Che ne dici di quel ristorante italiano
dall’altra parte della strada.»
«Va bene.» Cerca di prendermi per mano, e io lo allontano di colpo.
«Vorrai scherzare», sbotto.
«Gesù, calmati», borbotta lui.
Lo seguo attraverso la strada e all’interno del ristorante, e ci
accomodiamo in fondo al locale. È piccolo e buio, e ci sono delle candele
sopra ai tavoli coperti da tovaglie rosse. È tutta un’altra cosa rispetto agli
esclusivi ristoranti italiani in cui andavamo di solito, ma andrà bene.
«Posso portarvi da bere?» chiede il cameriere.
Jameson fa un sorrisetto e mi indica. «Prendo quello che prende lei.»
Lo fisso per un momento e apro il menù. «Va bene, vorremmo una
bottiglia dell’Henscheke Hill of Grace, per favore.»
«Sì, signora.» Il cameriere sparisce in fondo al bar.
Jameson sposta lo sguardo su di me e, con un sorrisetto, mi prende le
mani sopra il tavolo.
«Lo sai quanto mi sei mancata?» sussurra. Lo guardo con uno strano
senso di distacco. «Io ti sono mancato?»
All’improvviso, sono travolta dai sentimenti che provo. Rimango in
silenzio, lottando contro il groppo che ho in gola. Detesto quanto debole e
vulnerabile lui mi faccia sentire. Tiro via le mani dalla sua presa. Ho
bisogno di creare un po’ di distanza tra di noi.
«Em.» Aggrotta le sopracciglia. «Io…» È chiaro che non abbia la
minima idea di cosa voglia dire. «Quando ho visto la tua foto mentre
baciavi Jake…»
«Jameson…» balbetto io.
Alza una mano per chiedermi di fare silenzio, e io chiudo la bocca.
«Qualcosa si è spezzato dentro di me. Ero così sconcertato da quanto
profondamente fossi sconvolto che io…» Si acciglia, ripensandoci. «Ero
furioso… innanzitutto con te, ma poi con me stesso.» Ci fissiamo negli
occhi. «Stavo avendo così tanti problemi sul lavoro, e l’ultima persona sulla
Terra che credevo mi avrebbe mentito… eri tu.» Chino la testa per la
vergogna. «Ma poi, quando qualche giorno più tardi, mi sono calmato, mi
sono reso conto che ti avevano teso una trappola e ho capito che il futuro
era già segnato.» Aggrotto le sopracciglia, confusa. «Ci sarà sempre
qualcuno come Ferrara, pronto ad attaccarti per ferire me.» Mi sprofonda il
cuore nel petto. «E non è ciò che voglio per te.» «Jay», bisbiglio con tono
triste.
«Non voglio che tu sia sposata con un maniaco del lavoro
costantemente in viaggio e fuori di sé per lo stress, che tu debba ricordare a
tuo marito di non bere troppo o di non essere scortese con gli altri solo
perché è troppo impegnato per pensarci, né che tu debba fargli presente che
ti sta trascurando.»
«La vostra bottiglia.» Il cameriere appare dal nulla. La apre e versa il
vino a entrambi.
«Grazie», rispondo, poi riporto lo sguardo su Jameson.
Il cameriere ci lascia soli.
«Non voglio che tu sia meno importante della Miles Media, né di
qualsiasi altra cosa.»
«Ma…»
«Lasciami finire, per favore», mi chiede.
Mi appoggio allo schienale, irritata dal fatto che voglia parlare per
primo.
«Il punto è che, se starai con me, se diventerai mia moglie, è così che
andrà la tua vita.» Il groppo che ho in gola si fa più pesante. «Ti amo troppo
per farti vivere così, Em.»
Mi sta lasciando di nuovo. Mi si riempiono gli occhi di lacrime.
Mi prende una mano da sopra il tavolo e se la porta alle labbra per
baciarla. «Non piangere. Detesto il pensiero che tu abbia pianto per colpa
mia.» Sbatto le palpebre per cercare di scacciare quelle stupide lacrime.
«Ho preso la decisione di proteggerti da quella vita. Di allontanarti. Perché
sapevo che, un giorno, avresti finito per essere infelice… e non posso
sopportarlo.»
«Non stava a te prendere quella decisione», bisbiglio con tono rabbioso.
Lui aggrotta la fronte. «Il mio compito è prendermi cura di te e
compiere le scelte difficili che non riesci a prendere tu stessa.» «Jameson.»
Lo guardo tra le lacrime.
«Ma è successo qualcosa mentre ero lontano da te.» Si china in avanti e
mi appoggia una mano sul viso. «Mi sono reso conto che neanche io volevo
vivere in quel modo.» Lo scruto dritto negli occhi. «Non posso vivere senza
di te, Em. Sono stato tanto miserabile da non riuscire a sopportarlo.» Si
china su di me e mi bacia con delicatezza, poi mi fissa, sfiorandomi il
labbro inferiore con il pollice. «Se non mi vuoi come sono adesso, mi
licenzierò subito dalla Miles Media e poi potremo trasferirci in mezzo al
nulla e, non lo so, vivere in una cazzo di tenda chissà dove.»
Faccio un sorrisetto. «Che idiota», mormoro.
Mi sorride, continuando a tenere il mio viso tra le mani.
«Ti amo così come sei. Non voglio che cambi niente.»
«Davvero?»
«Ma non…» Mi interrompo, cercando di esprimere quello che provo.
«Come posso dimenticare il modo in cui mi hai trattata?»
«Non lo so.»
«Non posso fingere che non sia mai successo, Jameson. Mi hai ferita
troppo in profondità.»
«Lo so, e non voglio che tu lo faccia», balbetta. «Ma non possiamo
solo…» scrolla le spalle, «iniziare a frequentarci da capo? Prenderla con
calma?» Lo fisso con aria confusa. «Lo so che ci vorrà del tempo per
tornare come prima, ma abbiamo il resto delle nostre vite. Questa volta
potremmo uscire insieme e imparare a conoscerci davvero.»
Mi appoggio all’indietro contro lo schienale, riflettendo sulla sua
proposta e bevendo un sorso del mio vino. «Lo sai, ho sempre sognato di
incontrare l’uomo dei miei sogni, di innamorarmi e di vivere un finale
smielato.»
Lui arriccia il naso. «Un finale smielato? Sembra noioso.»
Ridacchio, immaginando a cosa stia pensando. «No, intendo una
proposta.»
«Vuoi una proposta sdolcinata?» Si acciglia. «Non ne preferiresti una
semplicemente romantica?»
«In realtà no. Ma quello che voglio dire è che non mi aspettavo che le
cose andassero così.»
«Neanche io.» Prende una delle mie mani tra le sue. «Anzi, pensavo
proprio il contrario. Sono ufficialmente un idiota. Concedimi un’altra
occasione, Em. Non farò un casino, te lo prometto.» Lo fisso. «Io ti amo e
tu ami me.» Scrolla le spalle. «Possiamo superare questa situazione, e forse,
con il tempo, riuscirai a dimenticarti che sia mai avvenuta, per vivere per
sempre felice e contenta con un Kung Fu Panda amante degli spazi aperti e
della natura.» Mi sorride fiducioso.
«Sei un idiota, signor Miles.»
«Un idiota che è perdutamente innamorato di te.» Si sporge verso di me
per baciarmi ancora una volta con dolcezza, e io sento svanire le mie
resistenze. «Ti amo, cheesecake», mi sussurra.
«Non osare chiamarmi così.»
Ridacchia contro le mie labbra. «Esagerato?»
«Decisamente.»
Capitolo 26
Emily

C , .
Jameson sembra su di giri e parla di continuo, mentre io rimango in
silenzio. Mi irrita che sia bastato un incontro a cena per ritrovarmi qui con
lui.
Sono ufficialmente una pappamolla.
Debole come un fuscello.
Il suo cellulare squilla per l’arrivo di un messaggio. Lui fruga in tasca
per recuperarlo e sorride. «Tristan.» Legge il testo ad alta voce. «Com’è
andata?»
Io roteo gli occhi. «Scrivigli: Non sono ancora fuori dai guai. C’è
sempre il rischio che domani mi trovi morto in un fosso.»
Jameson sogghigna. «No, meglio di no. Non vorrei che finissi in
prigione se succedesse per davvero.» Si volta verso di me e mi passa una
ciocca di capelli dietro un orecchio. «Non mi uccideresti mai.» Si china e
mi bacia con dolcezza.
Sostengo il suo sguardo. «Dici di no?»
Mi sorride e, continuando a tenermi per mano, mi accompagna fino alla
porta.
«Buonanotte», annuncio.
«Cosa?»
«Non puoi entrare.»
«Perché no?»
«Jameson, all’ottanta percento sono ancora arrabbiata con te.»
«Sì, lo so. Lasciami rimediare.» Mi rivolge un sorriso, lo sguardo
annebbiato dal desiderio.
Mi libero dalla sua stretta e indietreggio. «Non mi puoi scopare per
farmi dimenticare come mi hai trattata.» La sua espressione si rabbuia.
«Quando ho accettato di riprovarci, è stato solo questo… un nuovo
tentativo. Non ti prometto nulla e non so come andrà a finire. Sinceramente
non sono sicura che riusciremo a tornare come prima. Quella mattina in cui
mi hai lasciata, dopo il secondo scalo, hai distrutto qualcosa che c’era tra di
noi. Non mi sono mai sentita tanto devastata in tutta la mia vita. È stato
terribile. Venire a letto con te ora è l’ultima cosa che voglio fare.»
«Em», dice a bassa voce. «Non potevo parlartene perché essere costretto
ad allontanarti mi uccideva. Ero in lotta con me stesso.»
«Buonanotte, Jameson.»
Lui si guarda attorno, in preda all’agitazione. «Beh, quando ti vedrò di
nuovo?»
Scrollo le spalle. «È giovedì e questo weekend sono via, quindi direi la
settimana prossima.»
«La settimana prossima?» sbuffa lui. «È tra quattro giorni.»
«Davvero?» rispondo impassibile, iniziando a cercare le chiavi nella
borsa. Devo mettere più in ordine questa maledetta borsetta. È una specie di
Triangolo delle Bermuda.
«Beh, è troppo tempo», farfuglia. «Non ti vedo da un mese. Ho bisogno
di stare di più con te.»
«Prendere o lasciare», rispondo.
«Em?»
Mi volto e lo bacio sulle labbra, e lui mi stringe subito in un abbraccio
passionale. Per qualche minuto, rimaniamo immobili l’una tra le braccia
dell’altro, tenendoci forte, sentendo il bisogno della nostra reciproca
vicinanza. Mi è mancato disperatamente e adesso sarebbe così semplice
portarlo su da me…
No… Ho dei seri problemi di fiducia da risolvere. E anche lui.
«Dormirò sul divano», mormora. «Non posso stare lontano da te per
un’altra notte. Non chiedermelo.»
Mi allontano, sapendo come andrebbe a finire se rimanessi tra le sue
braccia. «Buonanotte, Jameson.»
Mi fissa negli occhi, supplicandomi silenziosamente di farlo salire con
me.
Mi costringo a sorridere e apro la porta, mentre lui rimane sul
marciapiede. Gli faccio un cenno di saluto e, ancora seguita dal suo
sguardo, sparisco all’interno dell’ascensore. Le porte della cabina si
chiudono, e io emetto un sospiro di sollievo. Brava ragazza… continua a
resistere.
Mi do una passata di rossetto e sorrido al mio riflesso nello specchio.
Ieri, non appena è tornato a casa, Jameson mi ha chiamata per
augurarmi la buonanotte. Mi sento stranamente bene a riaverlo nella mia
vita… ma quanto durerà? Nel mio cervello c’è una vocina irritante che
continua a ricordarmi cosa mi ha fatto e quanto mi ha trattata male. Sto
cercando di dare retta alle sue ragioni e di fidarmi delle sue parole, ma è
difficile fingere che non sia successo niente tra di noi. Non è stato niente. È
stata un’Apocalisse, e mi è crollato il mondo addosso. Non mi piace il
modo in cui dipendo da Jameson per essere felice.
Non succederà più. Non lo permetterò… anche se dovesse significare
tenerlo a distanza per il resto della mia vita… o per il tempo che
trascorreremo insieme.
Ed eccoli di nuovo.
I pensieri negativi… uffa.
Scendo al piano terra, portando con me la valigia per il weekend, esco e
vedo Jameson appoggiato al muro: completo grigio, splendido viso e un
sorriso da mozzare il fiato… solo per me. «Buongiorno, bellissima.»
«Ciao.» Gli sorrido.
Si china per prendermi il viso tra le mani e baciarmi, e io sento cedere le
ginocchia. «Come ha dormito la mia ragazza?» Mi prende per mano e
afferra la mia valigia.
«Bene, grazie.»
«Oggi possiamo farci portare al lavoro come persone civili?» mi chiede.
Mi guardo intorno e noto Alan con la limousine parcheggiata sul bordo
del marciapiede, dall’altra parte della strada. «Ehm.» Aggrotto la fronte.
«Tu vai pure con Alan. Io voglio prendere l’autobus.»
Lui inarca un sopracciglio con aria poco entusiasta. «Okay, vada per
l’autobus.»
«Non sei costretto ad accompagnarmi al lavoro, Jameson. Sono
perfettamente in grado di andarci da sola.»
«Lo so, voglio solo passare questi venti minuti con te. Non ti vedrò per
tutto il weekend, ricordi?» Mi fa un occhiolino sexy, e il mio stomaco fa
una capriola. Ci avviamo verso la fermata, mano nella mano.
«Hai saputo più niente su Lara Aspin e Hayden?»
«No. Sono stati incriminati, ma ci vorrà un po’ per il processo. Non
riesco a credere che tu abbia risolto il caso. Non sai quanto ti sono grato.»
Sorrido, sentendomi orgogliosa di me. «Come ti trovi al tuo nuovo posto di
lavoro?» mi chiede.
Scrollo le spalle. «È fantastico.»
Jameson mi guarda negli occhi. «Sarebbe a dire davvero fantastico o
accettabile?»
«Sarebbe a dire che mi ci sto abituando.»
«Perché non torni alla Miles Media?»
«No. Da adesso in avanti, terrò separate le nostre vite professionali.»
«Mmh.» Si acciglia, poco convinto. «Vedremo.»
L’autobus arriva e noi saliamo. Oggi è affollato, io trovo un sedile, ma
Jameson deve restare in piedi. Si ritrova strizzato tra un tizio puzzolente e
una donna che sembra avere la rabbia. Dal mio posto, ammiro lui e l’orrore
dipinto sul suo viso mentre la gente gli si stringe attorno. Mi devo mordere
il labbro per impedirmi di scoppiare a ridere. Finalmente l’autobus
raggiunge la nostra fermata, e Jameson scende in fretta.
«Basta così», sbuffa, lisciandosi il completo come lo snob che è. «Basta
con questi cazzo di autobus. Ora dovremo farci disinfettare. Hai visto che
gente c’era là dentro?»
Ridacchio. «È stato solo un viaggio un po’ scomodo.»
«Dico sul serio, Emily», insiste. «Basta autobus. D’ora in avanti, Alan
sarà il tuo autista. Dovrai uccidermi prima di convincermi a salire di nuovo
là sopra.»
«Sì, capo.» Mi illumino quando mi prende di nuovo per mano e ci
incamminiamo verso il mio ufficio.
«A che ora hai l’aereo?» mi chiede.
«Alle tre.»
Si immusonisce. «Vai via così presto?»
«Sì, oggi lavoro solo mezza giornata.»
«Avevo intenzione di accompagnarti in aeroporto.» Mi guarda con la
fronte aggrottata. «Ho una riunione del consiglio alle quattro e non posso
liberarmi.»
«Fa lo stesso.»
«Merda… magari posso annullarla?»
«Jameson, va bene così. Non annullerai una riunione per portarmi in
aeroporto. Smettila. Ci vedremo quando ci vedremo.»
Mi fissa, elaborando le mie parole. «Ti accompagnerà Alan.»
Annuisco, sapendo che, se non accetto, annullerà davvero la sua
riunione. «Okay.»
Arriviamo al mio ufficio, e Jameson mi fa voltare verso di lui. «Mi
chiamerai quando arrivi?»
«No.»
«Perché no?»
«Ti chiamerò prima di andare a letto.» Continua a fissarmi. «Che cosa
farai questo weekend?» gli chiedo.
«Questa sera i miei fratelli andranno a Las Vegas.»
«E tu?»
«Io no.»
«Perché no?»
«Vanno a sbronzarsi e a correre dietro a donne disinibite.»
Faccio una smorfia, e Jameson mi avvolge in un abbraccio. «Io ne ho
già una, non sono interessato a quello che andranno a cercare.» Gli sorrido,
sorprendentemente grata che rimanga a casa.
«Sentirai la mia mancanza?» mi domanda.
«Probabilmente no.»
«Magari potresti tentare di flirtare un po’ di più durante le nostre
conversazioni, che ne dici?»
«Potrei?» Le nostre labbra si incontrano e lui mi bacia con tenerezza.
«Sei sicura che devi andare?» mormora contro la mia bocca.
«Sì, Jameson.»
«Ti amo», sussurra.
Mi sobbalza il cuore nel petto, sentendo quelle parole tanto preziose.
«Passa una buona giornata.»
«Non è quello che volevo sentirmi dire.»
«Ma è tutto ciò che otterrai.» Gli poso un rapido bacio sulle labbra e mi
libero dal suo abbraccio. «Ti prego, smettila di farmi pressioni. Ti chiamerò
stasera.»
Jameson si infila le mani nelle tasche del completo e mi rivolge
un’espressione sensuale mentre mi guarda entrare nel palazzo.
Salgo in ascensore con il cuore che mi martella nel petto e le guance
arrossate. Perché è così maledettamente affascinante?

Esco dal lavoro appena dopo l’una del pomeriggio, trovando ad aspettarmi
la limousine e Alan in piedi accanto all’auto. Lui mi rivolge un sorriso
caloroso e apre la portiera posteriore, invitandomi a entrare. Lo ricambio
mentre lo raggiungo. Non ho notizie di Jameson per tutta la giornata e non
ero sicura che Alan sarebbe venuto a prendermi.
«Salve.»
Lui mi rivolge un’espressione affettuosa. «Salve, Emily. È bello
rivederla.»
Salgo nel retro della limousine e vedo una singola rosa rossa ad
aspettarmi sui sedili.
Oh.
Sorrido e inspiro a fondo, un dolce profumo riempie lo spazio attorno a
me. L’auto si allontana dal marciapiede, e io mi rivedo mentalmente mentre
distruggo le rose gialle, solo un paio di notti prima.
Che pazza.
Speravo quasi di ritrovarmi Jameson seduto nell’auto ad aspettarmi.
Non sono neanche certa se adesso sia giusto che me ne vada. Non sarebbe
più importante risolvere la situazione con lui?
No. Avevi fatto questo programma prima che Jameson decidesse di
tornare nella tua vita… rispettalo.
Ma dovrei almeno chiamare per ringraziarlo. Compongo il suo numero.
«Pronto», mormora la sua voce sexy dall’altro capo della linea.
Quando sento quel suono, lo stomaco mi si stringe in una morsa.
«Ciao», sussurro.
«Sei con Alan?»
«Sì. Grazie per la rosa.»
«Quindi è meglio rossa?»
«Sembra di sì.» Sento le mie guance avvampare per l’imbarazzo.
«Appunto mentale: non comprare mai più niente di giallo.» Io ridacchio,
imbarazzata. «Passa un buon weekend», mi dice poi.
«Anche tu.»
«Non ti chiamerò in questi giorni.»
«Perché no?» gli domando.
«Le tue parole continuano a risuonarmi in testa.»
«Quali?»
«Mi hai detto di non farti pressioni.» Lo ascolto. «Quindi farò un passo
indietro.»
Mi sprofonda il cuore nel petto. «Ti stai arrendendo?»
«No. Proprio il contrario: sto facendo dei piani per il nostro futuro. Ma
capisco che ti serva del tempo. Non è una mossa furba spingerti a
perdonarmi prima che tu sia pronta a farlo davvero.»
Sorrido dolcemente, sentendo quelle parole, e la speranza mi sboccia di
nuovo dentro.
«Chiamami ogni volta che vorrai parlare con me», mi dice.
«Okay.»
«E può anche essere cinquanta volte al giorno. Aspetterò le tue
telefonate come un ragazzino innamorato.»
Continuo a sorridere, rimanendo in linea… Questo weekend vorrei
davvero vederlo.
No.
«Okay.» «Ciao,
Emily.» «Ciao»,
sussurro.
Riattacco, poi annuso la rosa e sorrido in modo malinconico, mentre
New York sfreccia fuori dal mio finestrino. Mi sento sospesa in un limbo,
intrappolata tra due uomini. E di entrambi ho dei ricordi ben precisi: la
freddezza con cui mi ha respinta Jameson e l’amore con cui mi ha travolta
Jim. Ogni volta che mi ritrovo ad avvicinarmi a uno dei due, l’altro si mette
nel mezzo. Non sono sicura di come risolvere la situazione, ma devo trovare
un modo… il prima possibile.
Mezz’ora dopo, la limousine si ferma in aeroporto, e Alan apre lo
sportello per farmi scendere. Stringo forte la rosa, sapendo di non poterla
portare con me.
L’autista recupera la mia valigia dal bagagliaio. «Vuole che la porti per
lei?» mi chiede.
«No, grazie.» Abbasso gli occhi sul fiore. Mi sento stranamente legata a
esso e non riesco a sopportare il pensiero che muoia. «Riusciresti a metterla
nell’acqua per me, per favore?» gli domando.
Mi fa un sorriso pieno di calore. «Ma certo.» La prende. «La metterò in
un vaso nell’appartamento del signor Miles per lei.»
«Grazie.» Scrollo le spalle, sentendomi stupida all’improvviso.
«Arrivederci, Alan.»
«Ci vediamo domenica, quando la verremo a prendere.»
«Okay.» Con un debole cenno di saluto, mi dirigo verso il banco del
check-in, e sorprendentemente non trovo fila. «Salve. Ho una prenotazione
a nome Emily Foster.» Spingo la patente sul ripiano verso l’impiegata.
«Salve.» La donna scrive il mio nome nel suo computer. «Ah, sì,
signorina Foster. Vedo che si è fatta spostare in prima classe.»
Mi acciglio. «No, deve esserci un errore.»
Ricontrolla le informazioni. «Sì, i suoi due biglietti sono stati modificati
ieri notte.»
«Due biglietti?»
«Sì, ne è stato prenotato un altro, ed entrambi sono stati spostati in
prima classe.» Jameson.
«Oh, capisco. Okay, grazie.» Prendo il mio biglietto e attraverso il
controllo di sicurezza per recarmi al bar. Ho quasi due ore prima che il mio
aereo parta.
«Cosa le servo?» mi chiede il barista mentre mi accomodo.
«Un Margarita, grazie.» Scrivo a Jameson.

I : Signor Miles, grazie per avermi spostata in prima classe. L’ho davvero
apprezzato. Dimmi, il secondo posto è per te o è per essere sicuro che non
mi sieda accanto a nessun altro?

Il cameriere mi serve il mio drink, e intanto ricevo un messaggio in risposta.


J: Mia cara signorina Foster, mi indigna pensare che tu mi creda tanto
calcolatore. È ovvio: non voglio che tu ti sieda accanto a nessun altro. So
quanto sei irresistibile. xoxoxo
Sorrido, bevendo un sorso del mio Margarita, e ricevo un altro messaggio.

J: Ma, se non stessi facendo il gioco duro e non mi fossi deciso a non
insistere, ti avrei portata dalla tua famiglia con il jet della compagnia e ti
avrei introdotta al vero Miles High Club. Non avresti camminato per una
settimana. Goditi la calma e il silenzio. xoxoxo

Stringo le labbra per nascondere un sorrisetto e gli rispondo.

I : Ciao, Jameson. È bello sapere che il tuo comportamento deviato è


sempre presente. Mi stavo preoccupando. xoxoxo

Ricevo subito un altro messaggio da parte sua.

J: Non ne hai idea. E niente Magic Mike. Guarda invece Vecchi Uomini
Brontoloni, così io ti sembrerò più affascinante. xoxoxo

Sorseggio il mio drink e mi ritrovo a sorridere come una sciocca guardando


nel vuoto. Le cose si stanno mettendo bene… per la prima volta dopo tanto
tempo, mi sento più emozionata per il futuro. Vedremo cosa succederà.

Fisso il soffitto buio, stesa sul mio letto. È mezzanotte. La mia vecchia
camera mi dà un conforto sorprendente, di cui non sapevo di avere bisogno.
È fantastico essere qui con la mia famiglia, ma New York mi sembra così
lontana…
Non ho chiamato Jameson come avevo detto che avrei fatto; in effetti,
non ho parlato con lui per tutta la sera.
Stare qui, insieme a delle persone che mi vogliono bene, mi ha fatto
capire quanto sono stata fragile. Ero completamente sola e affranta a New
York. Voglio dire, ho Molly e Aaron, certo, ma li conosco da appena tre
mesi. Non è come avere attorno la propria famiglia, disposta a starti accanto
nel bene e nel male.
Non so cosa succederà con Jameson, so solo che questa sera non volevo
parlare con lui. Perché?
Forse non mi libererò mai di questo dolore, magari mi ha inflitto un
danno irreversibile. Forse sono troppo per lui e per le sue cazzate… e non
dovrebbe esserci un forse in questa frase, perché so che è così.
Il telefono vibra sul comodino, e io mi acciglio vedendo la lettera J
illuminare lo schermo.
Espiro a fondo e rispondo: «Pronto».
«Ciao.» Fa una breve pausa. «Non dovevi chiamarmi questa sera?»
«Sono stata occupata.»
Silenzio lungo la linea. Alla fine parla: «Em».
«Sì.»
«Sei andata dai tuoi per allontanarti da me?»
Alzo gli occhi al cielo per la frustrazione. «No, Jameson», bisbiglio con
tono rabbioso. «Perché deve riguardare tutto quanto te? Ho organizzato
questo viaggio due settimane fa.»
«Okay. Ho solo chiesto. Gesù. Perché sei così arrabbiata?»
Sento le lacrime pungermi gli occhi. «Devi davvero chiedermelo?»
«Dimmi tu il perché.»
All’improvviso, un vulcano, di cui non conoscevo nemmeno l’esistenza,
esplode dentro di me. «Perché sono innamorata di uno stronzo egoista, non
so come smetterla e sto aspettando che succeda qualcos’altro e che tu te ne
vada via di nuovo», sbotto di colpo. Rimane in silenzio. «E il modo in cui
sei tornato indietro e pretendi il mio perdono mi fa incazzare.» Mi sta
ascoltando. «Potresti avere qualsiasi donna al mondo, sono tutte in fila per
te. Quindi perché mi stai facendo passare questo inferno? Non voglio più
soffrire, Jameson.»
«È questo che pensi? Che io voglia una donna qualsiasi?»
Le lacrime mi scivolano lungo il viso, e me le asciugo con rabbia. «Non
ho più idea di che cosa tu voglia.»
«Basta con queste stronzate, Emily», esplode lui. «Ascoltami, e stai
bene attenta. Io non voglio nessun’altra. Faccio sesso da quando ho diciotto
anni. Sono andato a letto con un mucchio di donne… e intendo davvero
tante. Tu sei l’unica con cui abbia mai sentito questo legame. L’unica donna
che abbia mai amato così. Quindi non osare gettarmi in faccia queste idiozie
sul volere qualcun altro. Ti ho mai dato ragione per dubitare di me?» «La
tua massaggiatrice», dico con tono secco.
«È stato prima che ti incontrassi, cazzo», ringhia lui. Riesco a sentire
l’ira nella sua voce. «Se non mi vuoi, allora va bene, ti lascerò in pace. Ma
non tenermi in sospeso a cercare disperatamente di far funzionare le cose, se
sai già che non hai intenzione di tornare con me.» Contorco il viso in una
smorfia mentre piango. «Solo tu puoi decidere se lo vuoi, Emily. Il perdono
è una scelta.» Rimango in silenzio. «Vuoi allontanarti per sempre da me o
vuoi provare a far funzionare la nostra relazione?»
Non gli rispondo.
«Beh?» insiste lui.
«Lo sai che voglio provarci», bisbiglio.
«Allora smettila di pensare alle cose negative e pensa a ciò che c’è di
buono tra di noi.»
«Non posso.»
«Perché no?»
«Perché tu mi spaventi.»
Jameson ammutolisce. «Hai paura di me?»
«Sì.» Annuisco tra le lacrime.
«Piccola», mormora, la sua voce si riempie di compassione. «Non devi.
Ti prego, non avere mai paura di me. Io ti amo.»
«Ci sto provando», singhiozzo. «Ma non posso farci niente.»
Rimaniamo entrambi senza parlare per un po’, persi nei nostri pensieri.
«Voglio che tu ti prenda questo weekend per pensare a noi. L’altra sera
dicevo sul serio: se non vuoi vivere a New York, possiamo andarcene in
qualsiasi posto desideri. Mi dimetterò immediatamente dalla mia
posizione.»
«Jameson», sospiro. «Perché faresti una cosa del genere?»
«Perché voglio che tu sappia che ora sei la mia priorità. Tutte queste
stronzate, i miei soldi, il mio appartamento, il mio lavoro, New York, non
significano un cazzo se sono infelice, Emily. E, credimi, sono davvero
infelice senza di te. Se vuoi vivere in una tenda nel bel mezzo del nulla,
allora possiamo farlo.»
Vengo colpita da un’immagine di Jameson in una tenda, mangiato vivo
ogni giorno dalle zanzare. «Che idiota.» Sorrido. «Non voglio vivere in una
tenda. Adoro New York. Adoro che tu gestisca la Miles Media. Non
cambierei niente di te. Perché pensi che lo voglia?»
«Perché so che è difficile accettarmi. Una volta mi hai detto che amare
significa essere coraggiosi. E io ho bisogno che tu sia coraggiosa, Emily, e
che superi tutto questo. Ti prego, pensaci. Torna a New York e a me al cento
per cento, così potremo iniziare una nuova vita insieme. Tenermi a distanza
non è il modo giusto per affrontare la situazione. Non riusciremo a
risolverla se non siamo insieme.» «Lo so», sussurro.
«Penserai a cosa vuoi davvero?»
Ancora una volta, non gli rispondo.
«Ti prego, Em.»
«Sì, okay. Lo farò. Te lo prometto.» Per un momento, il silenzio aleggia
tra di noi, e io sento il bisogno di cambiare argomento. «Che cosa farai
domani?» gli chiedo.
«Vado a fare compere.»
«Compere? Tu? Che cosa devi comprare?»
«Beh, dove si comprano le tende con dentro il bagno?»
Sorrido. «Nel bel mezzo del nulla.»
Lui ridacchia, ed è un suono bellissimo, che mi smuove qualcosa dentro.
È passato molto tempo da quando l’ho sentito ridere.
«Em… non ho intenzione di chiamarti più fino a quando non ti verrò a
prendere in aeroporto domenica sera. Voglio che rifletti davvero sul tuo
futuro e su chi vuoi che ci sia con te. O torni da me a braccia aperte, e ci
impegniamo con tutti noi stessi, o mi lasci definitivamente.» Mi sprofonda
il cuore nel petto. «Deve essere così. Se non posso avere tutto di te,
preferisco non averti per niente.»
Lo ascolto e la mia mente va in sovraccarico… mi sta dando un
ultimatum.
Tutto o niente.
Sinceramente, non so se posso dargli il mio tutto. Non credo che il mio
tutto esista più.
«Ci vediamo lì, allora?» mi chiede speranzoso.
«Okay.»
«Ti amo.» Chiude la telefonata.
Mi giro nell’oscurità e faccio un profondo sospiro. Che cosa voglio per
il mio futuro? Voglio lasciare Jameson? O voglio dargli tutta me stessa?
Quantomeno ciò che resta del mio cuore, che è stato ridotto in mille pezzi.
Non ne ho davvero idea.
Capitolo 27

Jameson

T ’
collo per guardare attraverso il traffico fermo davanti a noi. Merda. Premo il
pulsante per parlare con la parte anteriore della limousine.
«Arriveremo tardi?» chiedo ad Alan.
«No, signore. Siamo in anticipo di un’ora. Abbiamo tutto il tempo
necessario.»
«Non voglio perdermi il suo arrivo. Fai la strada da dietro.»
«Non succederà. Si rilassi.»
Mi appoggio contro lo schienale e cerco di tenere l’agitazione sotto
controllo. Emily non mi ha contattato per tutto il weekend, e sono
abbastanza certo che stia tornando a casa per lasciarmi. Sono andato a
correre di continuo. Solo dopo aver percorso tutti i marciapiedi di New
York, sono riuscito a trovare una parvenza di pace.
Non riesco ad accettare la possibilità di non essere nella sua vita, e che
lei non sia nella mia… il solo pensiero mi dà la nausea.
Come ho potuto essere così stupido, cazzo?
Ho cercato di trovare nella mia testa un’argomentazione logica con cui
replicare, se dovesse chiudere la nostra storia… ma finora non mi è venuto
in mente niente.
La limousine si ferma all’aeroporto, e io esco in fretta e furia. «Ci
aspetterai qui?» chiedo ad Alan.
«No, faccio un giro qui intorno. Mi faccia sapere quando la troverà, e io
tornerò indietro. Ha ancora cinquanta minuti prima che il suo aereo atterri.»
«Sì, sì, lo so.» Mi tasto le tasche, guardandomi nervosamente attorno.
«Ho tutto?» Sono agitato e confuso.
«Sì, signore.»
Raddrizzo le spalle ed emetto un lungo sospiro. «Augurami buona
fortuna.»
Alan mi rivolge un ampio sorriso e, con un cenno gioviale, mi dice:
«Buona fortuna, signore».
Mi addentro nell’aeroporto fino al gate di arrivo del suo aereo. Ho
ancora quaranta minuti. Getto uno sguardo al bar, che chiama il mio nome
con voce suadente. Uno scotch sarebbe perfetto adesso… mi libererebbe da
questa tensione.
No.
Devo piantarla con quella merda. Non mi sono concesso nemmeno un
drink per tutto il weekend. Emily si merita ben più di un ubriacone.
Nervoso e teso come una corda di violino, attraverso tutto l’aeroporto
fino in fondo e poi torno indietro, verso la sala d’aspetto. Do un’occhiata
all’orologio. Mancano trentacinque minuti. Lo faccio ancora e ancora.
Non riesco a stare seduto.
Non so cosa stia per succedere e non sono mai stato tanto in ansia per
qualcosa.

Emily

Entro nella sala d’attesa con il resto della folla. Il mio volo è appena
atterrato, e il cuore mi batte all’impazzata nel petto. Questo weekend ho
scavato fino in fondo alla mia anima alla ricerca di risposte. Per cercare di
capire cosa fare della mia vita e con chi farlo.
Una cosa è chiara. L’unico dettaglio di cui sono certa… è di chi sono
innamorata. Non posso negarlo.
Jameson Miles è inciso nel mio cuore, e, per quanto io sia terrorizzata
all’idea che mi ferisca di nuovo, continuo a pensare alle sue parole: “Amare
significa essere coraggiosi”.
Manderò giù il mio orgoglio e sarò coraggiosa. Mi lascerò andare…
sperando con tutto il cuore che sia la cosa giusta, perché non potrei farlo di
nuovo.
Jameson appare nel mio campo visivo e, non appena incrocia il mio
sguardo, mi sorride. Sono colta dall’eccitazione e, dopo aver fatto un balzo
in avanti, inizio a correre per gettarmi tra le sue braccia spalancate. Ci
stringiamo a vicenda in un abbraccio a dir poco stritolante. Non parliamo,
non ci baciamo, ci limitiamo a rimanere l’una tra le braccia dell’altro. Ci
aggrappiamo disperatamente alla speranza di riuscire a superare tutto
questo.
Per un po’, le mie incertezze e le mie paure vengono spazzate via.
«Mi sei mancata», mi sussurra tra i capelli.
«Anche tu.»
Si china su di me e la sua bocca cattura la mia mentre ci dimentichiamo
persino di chi siamo. La sua lingua mi accarezza lentamente tra le labbra
socchiuse. Jameson mi prende il viso tra le mani ed entrambi ci perdiamo
nel momento. Il suo bacio è dolce e, cosa più importante, familiare.
Con lui mi sento come a casa.
Un’ora più tardi, entriamo nel mio appartamento mano nella mano.
Quasi non abbiamo parlato lungo la strada di casa. Sono stata seduta sul
suo grembo, al sicuro tra le sue forti braccia, e mi sono goduta la sua
vicinanza. Jameson mi ha sfiorato una tempia con le labbra, stringendomi
forte, come se fosse incredulo che mi trovassi lì con lui.
Mi era mancata quell’intimità. La nostra intimità.
Non si tratta più nemmeno di sesso, ormai. Voglio dire, all’inizio lo era.
Ma il mio cuore ha eclissato qualsiasi bisogno fisico del mio corpo… e so
che per lui è lo stesso.
Mi fa voltare verso di sé e mi guarda negli occhi. «Em…» Si
interrompe, come per cercare di trovare le parole giuste nella sua mente. «Ti
giuro, da questo momento in avanti… tu sarai il mio tutto. La nostra nuova
vita insieme inizia ora.»
Gli sorrido e i miei occhi si riempiono ancora di lacrime. «Ti amo.»
«Anche io ti amo.» Ci baciamo e, invece della tenerezza che abbiamo
condiviso nell’ultima ora, veniamo colti da una nuova disperazione.
All’improvviso lo desidero… desidero tutto di lui. «Portami a letto.»
Mi solleva tra le braccia e mi porta in camera come una sposa, per poi
rimettermi a terra di fronte a sé. Abbassa le labbra sul mio collo, e io sorrido
verso il soffitto, sentendo la pelle d’oca lungo tutto il corpo. Mi mordicchia
con una passione che ricordo molto bene. Oh, quanto mi è mancato…
Gli sollevo la maglia sopra la testa e la getto di lato, e lui fa lo stesso
con la mia. Diventiamo animali, strappandoci di dosso i vestiti con una foga
che conosciamo bene. Ora non resta niente tra di noi. Solo pelle… e amore.
Le sue labbra catturano le mie mentre mi spinge sul letto, poi si spostano
sul mio collo e iniziano a scendere. Io mi stringo a lui.
«No, ti voglio quassù con me.»
Ci fissiamo a vicenda, in una specie di esperienza ultraterrena. Questa
volta è speciale. Vorrei poter fissare nel tempo questo momento.
«Ora, Jim», sussurro. «Ora ho bisogno di te.»
Chiude gli occhi in un’espressione di puro piacere, stendendosi sopra di
me. Le nostre labbra sono incollate le une alle altre, mentre le mie gambe
sono aperte, pronte ad accogliere il suo grosso corpo che si preme contro il
mio, alla ricerca dell’orgasmo. Con una profonda spinta ben mirata scivola
dentro di me, ed entrambi gemiamo per l’estasi.
«Cazzo, Em», bisbiglia contro il mio collo.
Mi stringo a lui, cavalcando l’onda di piacere. «Lo so, piccolo, lo so.»
Jay indietreggia, spingendosi di nuovo dentro di me, e io inarco i fianchi
per andargli incontro. Il desiderio di qualcosa in più ci travolge, mentre io
inizio a inarcarmi sotto di lui.
«Scopami», lo supplico. «Dio, dammi tutto di te.»
Si tira fuori e poi affonda in me, lasciandomi senza fiato. Si appoggia le
mie gambe sulle spalle e, guardandomi con gli occhi annebbiati dal
desiderio, mentre io lotto per tenerlo dentro di me, inizia a montarmi. Spinte
intense e possessive. Il letto inizia a sbattere contro il muro e io non posso
fare altro che ammirare questo perfetto esemplare di uomo in tutta la sua
gloria.
Jameson Miles è l’essere più sexy ed eccitante che abbia mai
conosciuto.
Tutto in lui grida “scopami”.
Guardarlo in preda alla passione, mentre cerca di mantenere il controllo,
è la fantasia definitiva di ogni donna, è come una bomba sessuale a
orologeria pronta a esplodere. Il sudore gli imperla la pelle, i suoi capelli
scuri gli ricadono sulla fronte e il suo respiro inizia a farsi tremante, nel
tentativo di trattenere l’orgasmo.
Le sue spinte diventano violente come colpi di pistone, e il fuoco della
passione mi travolge, spingendomi nell’abisso. Grido, fatta a brandelli da
un orgasmo potente, poi mi contraggo con forza attorno a lui.
«Cazzo, cazzo, cazzo», geme, affondando ripetutamente dentro di me. Il
rumore del letto che colpisce il muro riecheggia nell’appartamento.
Getta la testa all’indietro, si spinge fino in fondo e geme ad alta voce,
venendo con violenza nel mio corpo. Poi ci baciamo, e tutto il mondo
ritorna bello, ritrasformandosi nel luogo che mi era mancato così tanto.
L’emozione tra di noi è così intensa da farmi venire le lacrime agli occhi.
«Bentornata a casa, coniglietta», bisbiglia contro le mie labbra.
«Bentornata.»

Una settimana dopo

«Dobbiamo realizzare un seguito, un articolo del tipo Dove sono adesso»,


sta dicendo Athena, al mio fianco davanti alla stampante.
«Sì, lo so. Darò un’occhiata agli appunti questo pomeriggio, non appena
ne avrò modo.»
Oggi l’ufficio è in fermento, perché questa notte si è diffusa una grossa
notizia. Un senatore sposato è stato sorpreso insieme alla sua segretaria, uno
scandalo vero e proprio, e i nostri telefoni stanno impazzendo. Tutti sono
all’opera per cercare di distinguere la verità dalle voci che si stanno
spargendo a macchia d’olio.
E, se devo essere sincera, io sto facendo fatica a concentrarmi. Sono
ancora al settimo cielo per via di Jameson. Credo si potrebbe persino dire
che mi sono unita al Miles High Club, da quanto sto volando in alto.
L’ultima settimana è stata… magica. Sono assolutamente e completamente
innamorata di quell’uomo. Durante il weekend, mi sono trasferita nel suo
appartamento. Qualsiasi apprensione provassi è finalmente sparita.
Sento un rumore insolito provenire dall’ufficio, e io e Athena alziamo
gli occhi, sotto lo sguardo di tutto lo staff. È The Piña Colada Song, e io
aggrotto le sopracciglia non appena Jameson appare tra le scrivanie.
Tristan è con lui, e tiene tra le mani uno stereo vecchio stile. La
familiare canzone risuona per tutto il piano.
If you like piña coladas, And
getting caught in the rain.

«Ma che accidenti…» Mi acciglio.


Non appena mi raggiunge, Jameson mi sorride speranzoso. Mi guarda
negli occhi.
L’ufficio tace e tutti continuano a fissarci.
«Emily Foster», dice lui.
«Sì?»
Si abbassa su un ginocchio, e i miei colleghi sussultano all’unisono,
mentre io mi porto una mano alla bocca.
«Vuoi sposarmi?» Apre una scatola nera e mi porge un anello con un
diamante.
Lo guardo per un momento, con il cervello in pappa. Sta succedendo
davvero? Lancio un’occhiata a Tristan. Sono in stato di shock.
«Io sono il DJ.» Lui mi sorride, tamburellando le dita sullo stereo come
se fosse molto orgoglioso di sé.
«Sei pazzo», bisbiglio io.
«E questa ne è la dimostrazione», borbotta Jameson con tono secco,
alzando lo sguardo su di me da dove si è inginocchiato.
Sgrano gli occhi, sconvolta fin nel profondo.
«Rispondi alla domanda», mi esorta lui.
Annuisco tra le risate, mentre The Piña Colada Song riecheggia
nell’ufficio. «Sì.»
Jameson mi infila l’anello al dito. È un diamante ovale su una sottile
banda d’oro, e io lo fisso, ancora incredula che tutto questo stia succedendo
davvero. Poi mi chino verso di lui e ci baciamo, mentre i miei colleghi
esplodono in risate e applausi. Ridiamo senza interrompere il bacio, sotto a
una pioggia di applausi.
Non posso credere che stia succedendo davvero.
Jameson si alza e mi prende tra le braccia. «Abbastanza sdolcinato per
te?» Mi sorride.
Lo stringo forte, facendo una risatina. «Sdolcinato da morire… e
perfetto. Ti amo, signor Miles.»
La canzone finisce, Tristan preme Play e la fa ripartire. Tutti gli
impiegati esultano.
Jameson ride imbarazzato e si china per baciarmi. «Cosa non farei per
te, Emily Foster, cosa non farei…»
Epilogo
Un mese dopo

Emily

L .

Oggi, Hayden Morris e Lara Aspin sono stati dichiarati colpevoli per
l’accusa di appropriazione indebita di sette milioni di dollari di proprietà
della Miles Media.
In quella che è stata descritta come una moderna storia alla Bonnie e
Clyde, i due, fidanzati da cinque anni, hanno compiuto la frode in un
periodo di tre anni. Il crimine sarebbe potuto passare inosservato, e sono
stati scoperti solo quando Morris è stato licenziato dalla Miles Media.
Spinti dal desiderio di vendetta, hanno scioccamente deciso di
incastrare Jameson Miles per il crimine. La cosa gli si è ritorta contro in
maniera spettacolare, e tale decisione ha segnato il loro destino. La coppia
sconterà una pena di dieci anni in diverse prigioni dello stato.
Jameson Miles è stato completamente scagionato. La Miles Media
tocca oggi un nuovo picco nel mercato azionario, mai raggiunto dopo
l’aprile del 2018.
Faccio un ampio sorriso. Sembra che sia successo talmente tanto tempo
fa… una vita intera fa, se devo essere sincera.
Grazie al cielo è finita.
Abbiamo un matrimonio da pianificare. Jameson mi ha dato tre mesi di
tempo. Ci sono così tante cose da fare e decisioni da prendere… Dove ci
sposeremo? Non ne ho idea. Jameson mi ha detto che sta a me scegliere un
posto, perché, finché ci sono io, a lui non importa dove lo terremo.
Aspetto sul marciapiede del garage sotterraneo. È venerdì pomeriggio.
«Che cosa ha detto che stava facendo?» chiedo perplessa ad Alan.
«Credo che ne sarà piacevolmente sorpresa», mi sorride lui.
Aggrotto la fronte, considerando le varie possibilità. È tutta la settimana
che Jameson si comporta in modo strano. Fa telefonate di nascosto e ha
l’aria di essere molto soddisfatto di sé. Magari ha prenotato in segreto la
location per il matrimonio?
Lo spero proprio… mi sarebbe di aiuto.
Sento lo stridio tipico di una frizione, alzo lo sguardo e sbatto le
palpebre un paio di volte, incredula. Bessie avanza a balzelli davanti a noi,
con Jameson al volante. Alan scoppia a ridere.
Rimango a bocca aperta per la sorpresa. «Ma che accidenti…»
Si ferma accanto a me, e io apro la portiera.
«Vai da qualche parte?» Sorride, strizzandomi un occhio con aria sexy.
Rispondo con una risata fragorosa. «Che cosa stai facendo?»
«Ti porto via per qualche giorno.»
«Davvero?»
«Le tue cose sono già nel bagagliaio.» «E
andiamo via con Bessie?» farfuglio io.
«Sì, con Baracca. L’ho presa in prestito da Viagra Mike. Ma, devo
dirtelo, ti ho ordinato una nuova Range Rover. Questa auto è
insopportabile.»
«Che snob.» Ridacchio, poi mi giro e abbraccio Alan per la felicità.
Lui ride. «Passi un bel weekend, signorina Foster», mi augura,
aiutandomi a salire in auto. Mi allungo per afferrare Jameson e baciarlo
dritto in faccia. Adoro che abbia preso in prestito Bessie per me.
Lui suona il clacson. «Ciao, Alan», grida, in un saluto esagerato.
Rido di nuovo per quel comportamento, così inusuale per lui. «Ciao,
Alan!»
Usciamo dal parcheggio, e lui mi prende una mano per baciarne il
dorso. «Dove vuoi andare, mia piccola coniglietta?»
Sorrido al mio splendido uomo. «Nel bel mezzo del nulla.»

Due ore dopo


Jameson entra nel vialetto di ingresso della tenuta Arndell, e io saltello sul
sedile, preda dell’eccitazione. «Andiamo alla nostra casa?» strillo, felice
come non mai.
«Sì, l’ho prenotata per tutto il weekend.»
Sgancio la cintura di sicurezza, scivolo accanto a lui e inizio a coprirgli
il viso di baci, mentre Jameson ridacchia per il mio comportamento
infantile. Arriviamo alla vecchia tenuta, e io balzo fuori dall’auto prima
ancora che si fermi, per correre fino alla porta principale. Mi giro e ammiro
la vista dello splendido terreno che avvolge la casa.
«Oh, Jameson, adoro questo posto.» Sorrido con aria sognante, mentre
lui mi raggiunge.
«Lo so.» Mi consegna un portachiavi a cui è legato un fiocco rosso. Mi
acciglio, fissando l’oggetto che ho in mano. «È per questo che te l’ho
comprato.»
Incontro il suo sguardo. «Cosa?»
«Hai sentito bene. Ho pensato che potremmo stare qui nei weekend e
durante le vacanze.»
«Vuoi diventare un uomo delle paludi insieme a me?» bisbiglio,
sorpresa.
Lui si raddrizza e mi prende tra le braccia. «Posso essere tutto, Emily
Foster… finché sono con te.»
Ringraziamenti

Non ci sono parole abbastanza profonde per ringraziare il mio magnifico


team.
Non scrivo da sola i miei libri. Ho un esercito. Il migliore del mondo.
Kellie, la più fantastica assistente personale sulla Terra. Sei incredibile.
Grazie per tutto ciò che fai per me.
Keeley, non sei solo una figlia meravigliosa, ora sei anche una
dipendente eccezionale. Grazie per aver voluto lavorare insieme a me.
Significa davvero tanto.
Alle mie favolose beta reader: mamma, Vicki, Am, Rachel, Nicole, Lisa
K., Lisa D., Nadia e Charlotte. Grazie. Ne avete sopportate tante e non vi
siete mai lamentate, nemmeno quando vi ho fatto aspettare per il capitolo
successivo. Non so come mi sia capitata la fortuna di avervi nella mia vita e
di potervi definire mie amiche.
A Rena, sei entrata nella mia vita come una ventata d’aria fresca e chissà
come mi hai adottata. Grazie per aver creduto in me. Sei lo yin del mio
yang, o il tic del mio toc.
Vic, mi rendi una persona migliore, e apprezzo moltissimo la tua
amicizia.
A tutti i bastardoni che mi hanno motivata. Vi adoro. Voi sapete chi
siete.
A Linda e al mio team di PR di Forward. Siete con me sin dall’inizio, e
mi starete accanto fino alla fine. Grazie di tutto.
Alle mie ragazze della Swan Squad. Sento di poter fare qualsiasi cosa
con voi al mio fianco. Grazie perché mi fate ridere ogni singolo giorno.
Quest’anno aggiungo qualcuno di nuovo al mio elenco.
Amazon.
Grazie per avermi fornito una fantastica piattaforma su cui trasformare i
miei libri in realtà.
Ora sono il capo di me stessa.
La tua fiducia e il tuo sostegno del mio lavoro in quest’ultimo anno sono
stati assolutamente incredibili.
E alle mie quattro ragioni di vita, il mio affascinante marito e i miei tre
figli. Il vostro amore è la mia droga, la mia motivazione e la mia
ispirazione. Senza di voi, io non ho niente. Tutto ciò che faccio è per voi.
Gratitudine.
La qualità di essere grati.
Disponibilità a dimostrare apprezzamento e a ricambiare la gentilezza.
Credete all’universo.
Vi ripagherà sempre.

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