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Anna Nicoletto
Copyright testi © Anna Nicoletto
ISBN: 978-1-64633-568-8
I Edizione: luglio 2019
Tutti i diritti riservati.
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Instagram: @anna_nicoletto
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Gli effetti collaterali della felicità
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Ringraziamenti
Altri libri dell’autrice
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Lei era come l’arte, e l’arte non doveva essere bellissima: doveva
farti provare qualcosa.
Rainbow Rowell
Tommaso
***
***
«Sei un deficiente.»
Schivo lo Shuto Uke di Massimiliano e cerco di afferrargli il polso,
ma lui è più veloce: flette le ginocchia e sguscia via. «Perché?»
«Perché» sospira, aggiustandosi la casacca del kimono. «Perché
la madre di Nicolò non sa più cosa inventarsi per farsi invitare fuori
mentre tu te ne stai a sorriderle, appoggiato al tavolo delle iscrizioni,
con i tuoi pettorali in vista mentre fai il coglione prezioso.»
«Cazzate» taglio corto.
Mi muovo lateralmente, con la guardia alta, aspettando il
momento migliore per attaccare.
Le lezioni di oggi sono terminate, dovremmo chiudere la sala ma
in questi giorni sia io sia Massimiliano siamo nervosi, neanche
quattro turni di allenamenti ci hanno tolto la tensione di dosso.
Ci controlliamo a distanza, ci scrutiamo per mirare dritti alla falla.
Ognuno si porta dietro una falla.
Ci si nasce insieme, la si coltiva, si fa di tutto per sradicarla,
eppure quella se ne sta accozzata a ricordarci che nessuno diventa
invincibile: solo più esperto a nasconderla. Noi due ci conosciamo da
così tanti anni, ci siamo presentati le nostre e ora lui usa le mie
debolezze contro di me.
«Massi, oh, i tuoi tentativi di distrarmi solo perché non sopporti
quando ti batto sono patetici.»
Scatto in avanti e tento un pugno sull’addome, ma lui lo devia con
l’avambraccio. «Sei fiacco stasera, TomTom.»
«Le tue chiacchiere mi stremano.»
Ma non è vero.
Sto lasciando che si trastulli, prima di abbatterlo.
«Hai paura di rimetterti in gioco» sancisce.
Il suo piede mira dritto ai gioielli di famiglia. Blocco il tentativo e
rispondo con una finta. Massi arretra, si asciuga il sudore sulla
fronte. Sorride.
«La madre di Nicolò è divorziata come te» parte con l’invettiva,
«ha due anni in meno di te, è gentile, ti guarda come se fossi una
specie di fantasia sessuale ambulante. E, devo dirlo? È molto
scopabile.»
L’escalation della sua argomentazione renderebbe fiero ogni
manuale di dialettica.
Rispondo simulando un attacco di braccia. Massimiliano lo para
con prontezza, ma non è quello il mio obiettivo. Dopo averlo distratto
con la finta, spazzo il suo piede d’appoggio e lo sbilancio. Lo afferro
per il bavero del kimono. Prova a colpirmi. Faccio un passo indietro
e il calcio esterno va a segno sfiorandogli il collo dietro l’orecchio.
«Cazzo!» esclama, saltellando via.
L’orgoglio lo fa contrattaccare subito; mi caccia in sequenza una
finta, due pugni e un calcio esterno. Paro i primi, schivo il secondo,
poi perdo stabilità e lo trascino con me nella caduta.
«Sei un infame, Tommaso» sbotta il mio amico, rotolando sul
tatami. «Un vero infame. Sono il tuo maestro.»
«Eri il mio maestro» prendo una boccata d’aria. «Adesso sei il mio
socio. Di una società che sta a galla per sbaglio.»
«Agonizzanti eppure ancora vivi. Alla faccia di Ginetti.»
Nessuno dei due specifica che, con la nuova convenzione, alla
fine dell’anno sportivo i corsi non basteranno per stipendiarci
entrambi. Non che sia preoccupato. Assieme alla laurea al DAMS ho
ottenuto di diritto anche l’attestato di “specialista dei lavori
occasionali diversamente ben pagati”.
Il karate ci rientra a pieno titolo, ma la soddisfazione che mi
restituisce è senza prezzo. Il peso specifico, la monumentale
solennità della tecnica. La vivisezione chirurgica del movimento. La
stessa dose di disciplina di quando disegno.
«Senti, TomTom» il mio amico si tira in piedi, «hai visto
l’application per l’estemporanea che ti ho mandato?»
«Stavolta salto» lo precedo, alzandomi. Domani mattina la sala
verrà usata per dei corsi di ginnastica premaman ed è compito di
ogni istruttore non far trovare le proprie attrezzature in mezzo alle
palle, così comincio a smontare i pezzi che compongono il tatami.
«Solo perché dalla Galleria niente?» chiede lui, aiutandomi.
«La Galleria non c’entra.» Accatasto una pila di tasselli in un
angolo. «Ma tu e Gabriele provateci.»
Non commenta.
Conosce la mia falla, non ne ha bisogno.
Dopo aver rassettato il tavolo e riposto il quaderno ad anelli con le
ricevute dei pagamenti, getto la felpa di traverso sulla spalla e
scendiamo le scale. La sala pesi ormai è chiusa e, alla reception, è
rimasta solo Gloria. Massimiliano la saluta fissandola come un
diabetico a dieta di fronte a un tiramisù e lei alza la testa dal
computer per scannerizzargli le chiappe. È stata Gloria a porre la
regola dell’Unica Volta tra loro, chissà per quale motivo, ma Massi
non si è ancora arreso ad accettarla. Dice che una sola volta,
quando il sesso è ottimo, è limitante. Uno spreco di risorse. Lo ripete
anche adesso, mentre entriamo negli spogliatoi deserti. Ignorando le
analogie con altre recentissime prime e ultime volte, mi libero dei
vestiti e lascio che l’acqua calda della doccia allevi la morsa che mi
serra la gola da una settimana.
Da quando io e la fatina ci abbiamo dato dentro.
Se Massimiliano sapesse di lei, mi grazierebbe risparmiandomi i
discorsi da fratello maggiore. Ma non lo sa e non lo saprà, perché
non glielo rivelerò mai. Né a lui, né a Caterina Marte, né a nessun
altro.
Che io sia fulminato, porterò il segreto con me fino alla tomba.
***
Liam Jerrod e la sua fidanzata Allyson restano divisi nel primo giorno
post tour del Canada!
La coppia, appena riunita a Los Angeles dopo il ritorno di Liam J, ha
deciso di trascorrere la giornata di ieri separatamente, nonostante
fosse la prima dopo tre settimane di lontananza.
Uscito di corsa di casa, il frontman degli Space Predators si mostra
particolarmente cupo mentre sale su un taxi (foto 1). Quindici minuti
più tardi, Allyson lo imita nascosta sotto un cappellino e, sguardo
assente, rimane al telefono tutto il tempo mentre si reca al suo
consueto allenamento in palestra a West Hollywood, Calif (foto 2).
Proprio prima della partenza, Liam J ha dichiarato di essere
innamoratissimo della sua musa al punto da volerla sposare.
Litigio di routine o aria di tempesta?
***
***
Ti amo.
Sono sbronzo.
Me lo sto immaginando.
Sbatto le palpebre per mettere a fuoco e ricomincio da “Gentile”.
Il testo non cambia.
È sempre lì.
Corro sul finire della lettera e mi accorgo di alcune parole
scarabocchiate in fondo. Inchiostro nero-blu, tratto stilografico.
Scrittura curatissima, ariosa, di una mano che sa come muoversi
su carta.
Precipita a terra anche il mazzo di chiavi.
Rileggo l’articolo.
Ancora e ancora.
Il battito cardiaco impenna come dopo una corsa senza ossigeno,
mentre lotto con me stesso per mettere in prospettiva la notizia.
Sono stronzate.
È un sito di gossip, vive di notizie fondate sul niente.
Un’acchiappa clic del cazzo.
Però resta il fatto che lei non lo porta nella tenuta dove noi ci
siamo sposati. In un anno e mezzo non lo ha mai portato lì.
Mai.
Emetto in lungo sospiro.
Mannaggia di quella puttana, ho commemorato la morte di questa
relazione per tutta la notte, quali altre prove mi servono per metterci
una pietra sopra?
«Tommaso?»
E ora mi immagino pure le persone.
È impossibile che la fatina sia in piedi, adesso, appoggiata al
cornicione della cucina, e mi guardi come io guardo i documentari di
Alberto Angela sulle meraviglie dell’arte.
È impossibile, pertanto non è vera.
Comunque, per essere un’allucinazione, mi complimento con
l’emisfero creativo del mio cervello: lo studio dei soggetti è servito a
qualcosa, è così realistica da essere credibile. È credibile il modo
con cui lei allarga gli occhi quando lo sguardo le si posa sul torace
nudo, si sofferma sui boxer e scende lentamente sulle gambe. È
credibile il modo in cui apre la bocca in una simmetrica O, è credibile
persino il broncio infantile che le disegna le labbra.
Invece la cosa incredibile è essermi spinto in là tanto da averle
fornito un’abbinata pantalone e camicetta adeguata al suo raffinato
gusto estetico.
Chapeau a me.
«Ho… preparato il caffè» dice la mia allucinazione.
L’odore della caffeina, in effetti, è piuttosto concreto.
«Sei qui» deduco.
Lei aggrotta la fronte. «Sì, ovvio. Vieni?» Mi gira le spalle e torna
in cucina come se niente fosse.
Sono sconcertato.
«Mi inviti a casa mia?» domando, seguendola.
Olivia non risponde. Prende la moka e le tazzine e le posa sul
tavolo, quindi si siede e si immerge nel suo smartphone.
C’è qualcosa di diverso nell’ambiente stamattina, ma proprio non
riesco a identificare cosa.
Il tavolo è in ordine, la luce grigia di dicembre entra dai vetri della
portafinestra. Cerco risposte sul piano cottura e noto un mucchietto
di fogli accatastati accanto al microonde.
Li riconosco, li ho scarabocchiati ieri mentre “cenavo”.
Quando ci siamo sposati Allyson indossava un abito meraviglioso
con il pizzo che le si arrampicava su per la schiena e poi giù per le
braccia, e il retro era chiuso con qualcosa come centocinquanta
bottoncini che alla sera, in camera io e lei, dopo averli slacciati giuro
che mi aspettavo trenta minuti di applausi.
Lo schizzo sopra la pila raffigura proprio la schiena di Ally che
occhieggia da sotto i bottoncini, il profilo del viso inclinato sulla
spalla, i capelli che le scivolano via dall’acconciatura.
Non so perché, ma mi mette a disagio l’idea che Olivia l’abbia
visto. Sarà tremenda come persona ma anche lei, come Stefano
Marte, è dotata di un istinto affilato per collegare i punti.
Mi siedo in silenzio e riempio la tazzina di caffè.
C’è un imbarazzo inusuale per due persone che fino a qualche
ora fa stavano pomiciando senza ritegno.
«Non dovresti essere al lavoro?» le chiedo.
«Sto già lavorando.» Non alza la testa dallo schermo del telefono.
«Ho scritto dodici e-mail e risposto a tre telefonate, mentre dormivi.»
«Sei una di quelle brutte persone che non staccano mai, eh?»
«C’è chi non se lo può permettere.»
Già.
Temo di essere stato inappropriato in molti modi, stanotte.
«Senti, fatina» esordisco, sotto il giogo di una fitta atroce alla
fronte. «Se sei offesa per il disegno sul tuo letto, lo posso
rimediare.»
«Davvero?» dice, fissa sul cellulare. «Disegnerai dei fiorellini di
campo al posto dei soldi? Perché, in tal caso, sono allergica alle
graminacee.»
L’ultimo ricordo prima del buio sono io che mi annullo sulla sua
bocca, il suo corpo che lenisce il mio. Ricordo noi distesi a letto, le
mie mani che la tengono.
E ora lei si comporta come se non fosse successo.
«Olivia…»
«Tommaso» mi fa il verso. «Mi lasci finire la mail? Dario non è una
persona paziente.»
Sono talmente incasinato, stamattina, che al solo sentire quel
nome un pezzo di stomaco finisce per auto-corrodersi.
Trangugio l’ultimo sorso di caffè e accantono la tazzina di lato.
«Trascorrerai con lui le feste di Natale?»
La domanda finalmente le fa alzare la fronte. È stupita.
Sono stupito anch’io di averglielo chiesto.
«Io vado dai miei genitori a Bresso» dico per riempire il vuoto. «Ci
saranno anche mia sorella e…»
«Tommaso, no» mi interrompe. «Abbiamo già dato ieri sera con le
confessioni. Direi che è stato sufficiente.»
Non so perché il cuore mi sprofondi un po’ più giù.
Galleggia a metà pancia, come una boa alla deriva.
Il cervello – o quel che ne resta – tenta di nuovo la fuga, così
chiudo gli occhi e mi massaggio le tempie per convincerlo a restare
dov’è.
«Avrei dovuto disegnarci anche la coda e le corna, a quella
fatina» borbotto.
«Ed è per questo che io evito di propinare scuse in cui non
credo.»
«No, infatti. Tu la lingua la risparmi per altro.»
Mani sulla tavola, Olivia si alza di scatto. Le gambe della sedia
stridono sul pavimento.
Merda.
Ho esagerato.
Olivia affonda i denti nel labbro inferiore, mi guarda come se
avesse appena pestato una merda con la suola rossa delle sue
scarpe alte. Scuote la testa, scappa verso l’ingresso.
Ho cercato così tanto una sua reazione e, ora che me la schiaffa
in faccia, scopro che vederla ferita fa stare malissimo anche me.
Che diavolo mi succede? Non è la mia ragazza, non mi deve
niente, è liberissima di fare ciò che vuole della propria vita.
Pur con i riflessi rallentati, mi alzo anch’io. Sta tirando la maniglia
d’ingresso, quando con il palmo aperto rimando la porta verso il
cornicione. Il tonfo rimbomba per tutto l’appartamento.
Per sicurezza tengo la mano premuta sul legno. Incastrata tra me
e la porta, Olivia mi rivolge la schiena, le sue spalle si alzano e si
abbassano a un soffio dal mio torace. Incamera un profondo respiro
prima di voltarsi.
«Gradirei uscire.»
Nel suo volto fermo ci vedo riflesso solo il disastro del mio.
Il resto è già tutto sparito.
«Fammi chiedere scusa, prima» la prego.
«Ti concedo dieci secondi.»
«Okay. Quindi…» Mi copro le palpebre con il pollice e l’indice
della mano libera. Il dolore mi frastorna, non riesco a farlo smettere.
«Ho sbagliato.»
«Non sono scuse.»
«Cosa?» biascico.
«Hai detto “ho sbagliato”. È diverso da “scusa”. “Ho sbagliato”
registra l’errore, non il pentimento.»
Sbuffo, trattenendo un’imprecazione. Ho bisogno di un’aspirina,
una doccia e un litro di acqua.
«Sei puntigliosa…»
«Scrivo contratti per lavoro» ribatte. «Quindi è tutto qui quello che
sai fare?»
«Mi hai spogliato tu, stanotte?»
La domanda le lascia uno stupore adorabile sul viso. «Cosa
c’entra?»
«C’entra» m’impunto. «Allora?»
Lei alza gli occhi al cielo. «Mi hai trascinata dall’atelier al letto
promettendomi grandi cose e poi sei semisvenuto nel momento in
cui hai toccato le lenzuola. Eri pesante come una statua, blateravi
che avevi caldissimo e che dovevo assolutamente aiutarti a toglierti i
vestiti perché ti davano fastidio. Alla fine sono riuscita a lasciarti
addosso i boxer.»
Imbarazzante…
«Dunque mi hai spogliato.»
«Ho compiuto questo sacrificio, sì.» Un sorriso velocissimo le
attraversa le labbra. «Abbiamo finito?»
«Scusa.»
Dirlo mi alleggerisce. Peccato che la sua espressione corrucciata
mi restituisca il doppio del peso di cui mi ero appena sbarazzato.
«Okay» dice.
È chiaro che niente sia okay.
Fa per rivolgermi la schiena, ma io le prendo un braccio, la volto,
la blocco tra me e la porta con tutta la delicatezza che mi riesce.
«Aspetta. Non ho finito. Non mi piace che tu vada via incazzata.»
«Non ti importava di come stavo quando mi hai buttata fuori sul
pianerottolo in biancheria intima.»
Cristo! Perché deve essere sempre così, con lei?
Perché, quando mi è vicina, non riconosco più niente di me?
«Dimmi cosa posso fare per pareggiare» insisto.
«Che cosa vorresti pareggiare?»
«La cucina» rispondo, in preda a una rivelazione tardiva. «Sei
rimasta con me ieri sera. Non eri tenuta a farlo, ma l’hai fatto. Mi hai
spogliato, sei rimasta e mi hai sistemato la cucina. Il tavolo… le
immondizie sul tavolo, le bottiglie vuote, le briciole, il colore a dita…»
«Non andrai a tenere i corsi in palestra in questo stato mentale,
spero. Neanche il più illuminato dei datori di lavoro ti risparmierebbe
un licenziamento.»
Le lascio una carezza sul profilo del braccio, le fermo il viso con la
mano. Il pollice mi finisce sulle labbra schiuse.
«Sei carina a preoccuparti per me…»
Lei sbatte le lunghissime ciglia sopra quegli occhi verdi da paura.
Il mio dito resta lì, sulla bocca, e nonostante il mal di testa,
nonostante il cervello in fumo, la trovo una visione così innocente e
allo stesso tempo così erotica che mi viene voglia di chiederle di
aspettarmi mentre recupero la dignità sotto la doccia, per poi
impegnarmi tantissimo a ricordarle che non sono un disastro in tutto.
Il mio corpo traditore si avvicina al suo.
È mentre lo fa che ricordo la faccenda della mail all’investitore. Il
fatto che passerà il Natale con lui e che se lo scoperà vestita da elfa
dei boschi.
La consapevolezza mi fa piegare le ginocchia. Mi sostengo
appoggiando entrambi i palmi sulla porta.
Olivia deve tradurlo come un effetto naturale del post sbornia e,
con parecchio ottimismo, cerca di sorreggermi con le mani.
Il fatto che io sia quasi nudo non aiuta. Reagisco istantaneamente
a lei. Anche lei reagisce. Lo sforzo che fa per mostrarsi
imperturbabile viene tradito da un sospiro.
Con cautela spingo i fianchi sui suoi palmi aperti.
Mi rendo conto di essere in pessime condizioni, eppure riesco
solo a pensare che la desidero con un’intensità che non mi spiego, e
allo stesso tempo odio l’assurdo magnetismo che mi porta verso di
lei.
È un rapporto storto, non fa bene a nessuno dei due.
Credo che lo pensi anche lei perché, seppur con riluttanza, ritrae
le mani e a me sembra di sprofondare nel vuoto.
«Vai a riposarti, Tommaso. Hai una cera pietosa.»
«Fatina…»
«E comprati un vestito per il 31 dicembre. Il Gala di Capodanno è
un evento di rilevanza e dentro il tuo armadio hai davvero un
completo dei grandi magazzini che ti consiglio di gettare
nell’indifferenziata.»
La sorpresa mi fa compiere un passo indietro.
«Ma che accidenti?»
«Non è colpa mia se sei disordinatissimo. Hai lasciato sul tavolo la
lettera della commissione.»
Per assonanza, il cervello mi porta a un’altra questione.
«Cosa è successo sul campo da tennis, sabato scorso?»
«Cos…? Niente!»
«Te lo chiederò finché non risponderai» mi rabbuio.
«Vuol dire che hai tempo da perdere e che ti piace sprecare
fiato.» Si volta, abbassa la maniglia. La tira. «Ci vediamo, Tommaso.
Buon Natale.»
Il rumore della porta chiusa mi vibra fin nelle ossa.
E io mi domando quante scosse siano necessarie per demolire le
certezze che mi sono tanto impegnato a costruire.
13
Tommaso
Nonostante mi sia sposato tre giorni prima del Natale, non lo odio
a prescindere. Ma quest’anno, seduto a tavola dei miei a Bresso, è
dura.
Sono arrivato nel loro appartamento da circa due ore, abbiamo
scollinato la metà del pranzo, mio padre ha aperto la seconda
bottiglia di vino che io ho solo assaggiato, memore della fin troppo
recente sbronza. Mia sorella sorveglia a distanza Rachele, che un
po’ gattona e un po’ tenta di camminare nel salotto, mentre suo
marito ci racconta della promozione nell’azienda edile in cui lavora
da più di dieci anni.
Insomma, all’apparenza va tutto benissimo.
Se non fosse che in realtà non va bene per niente.
Mia madre sforza cordialità, raccoglie i piatti sporchi, ma quando
pensa di non essere vista mi lancia occhiate cariche di
preoccupazioni che non voglio indagare. Mio padre non fa che
congratularsi con mio cognato ed è il suo modo di compensare la
delusione per il vanto che non gli do io.
Aver mollato Statistica dopo il primo anno per iscrivermi al DAMS
e seguire l’arte è stata la prima martellata caduta sul nostro rapporto.
I miei erano quasi rassegnati ad accettare un figlio destinato ad
arrabattarsi tra lavoretti occasionali per mantenere un hobby che
difficilmente sarebbe diventato un vero lavoro. Erano convinti che ci
avrebbe pensato la vita a farmi rinunciare e “mettere la testa a
posto”.
Ma poi mi sono trasferito sulla costa ovest degli Stati Uniti per
frequentare il corso d’arte e seguire la ragazza che amavo, è quella
è stata la seconda martellata. Sposare Ally è stata la terza e tornare
a casa con il cuore spezzato è stata la sublimazione del “te
l’avevamo detto”.
Per tutto il tempo in cui siamo stati una coppia, i miei non hanno
mai conosciuto Allyson a parte qualche breve saluto su Skype.
Hanno sempre dato per scontato che sarebbe stata di passaggio per
me e che non sarebbe mai arrivata ad avere un ruolo rilevante per
loro.
Be’, in effetti avevano ragione.
Ho un gene cretino nel DNA, sono attratto da ciò che sfida il
buonsenso, le probabilità, sono intrigato dall’alternativa sfigata
anche se il banco vince sempre.
«’Io!» Una manina compare sui miei jeans. Sollevo mia nipote per
le ascelle e la faccio sedere sulle ginocchia. Rachele si sporge sul
tavolo, assalta la ciotola delle olive e io aspetto il momento in cui mia
sorella si incazzerà perché ne ha mangiate troppe.
«’Io» mi chiama, «oia» aggiunge, premendomene una sulla
bocca. La assecondo e la inghiottisco. Rachele ride gorgogliando di
piena soddisfazione.
Lei è una delle cose belle dell’essere tornato. Mi piace stare con
questi dieci chili di raffreddore perenne e parole smozzicate. Mi
piace anche che mia sorella si fidi al punto di lasciarmela al bisogno.
Mio padre ride a una battuta di mio cognato, butta giù un sorso di
vino e mi guarda con la coda dell’occhio. Non mi chiede come va il
lavoro, ma se “questo mese riesco a pagare l’affitto”. Mi dice che un
suo amico sta cercando manodopera per la ditta di traslochi e che gli
farebbero comodo delle braccia solide come le mie.
Comando al mio viso di sorridere.
Mando giù.
Rispondo che ci penserò.
Quando, qualche ora più tardi, esco nella strada, ho le mani
infilate nel giaccone invernale e l’umore guastato. Cammino verso la
fermata dell’autobus rendendomi conto di non aver nemmeno
raccontato che un mio lavoro è stato accettato all’esposizione di
Capodanno della Galleria.
Scendo dall’autobus, cambio linea e percorro l’ultimo tratto a
piedi, immerso nel grigiore dei casermoni che toccano il cielo. Cate e
James sono rimasti in Germania per Natale, Massimiliano e Gabriele
festeggiano in famiglia e la fatina negli scorsi due giorni è stata fuori
fino a tardissimo e non si è più fatta viva per raccattare il letto
dell’IKEA.
Nell’atrio del condominio mi accoglie il miscuglio di odori dei menu
natalizi. Salgo le scale silenziando l’idea stupida che si sta
ingigantendo come una spugna immersa nell’acqua.
È il pomeriggio di Natale.
Molto probabilmente non è in casa.
E, nel caso remoto in cui ci fosse, sono l’ultima persona che
vorrebbe vedere.
È stata chiara, l’ultima volta.
Mentre la intrappolavo contro la porta…
Arrivato al piano, ordino a me stesso di proseguire dritto. Le
gambe disobbediscono. Si fermano. Deviano.
Mi ritrovo con le nocche appoggiate sulla porta dietro cui vive lei.
Aspetto, in silenzio, per captare rumori dall’interno.
Non ne sento nessuno.
Busso.
Che accidenti sto facendo?
Busso di nuovo, con più insistenza, poi mi ricordo che esistono i
campanelli e suono.
Passi disordinati si avvicinano. L’attimo successivo la porta si apre
a fessura e il mio cuore si prende un battito o due di sciopero totale,
perché Olivia ci appare all’interno.
Ha i capelli biondi raccolti disordinatamente in una coda alta che
pende da un lato e indossa dei pantaloni sportivi e un morbido
maglione di lana di una taglia più grande.
Nel momento in cui intercetta il mio sguardo, il sospetto le dipinge
il viso.
«Ci tenevi a farmi gli auguri di persona?»
No, ci tenevo a sputtanarmi il cinque percento del cervello che
finora era coraggiosamente sopravvissuto.
«Ho finito lo zucchero» sparo. «Tu invece hai dimenticato il tuo
letto da me.»
Il sorriso le arriva fino agli occhi, anche se sparisce subito dopo.
«Non ho lo zucchero, ma il letto lo rivorrei volentieri indietro.»
«E io vorrei riportartelo. Adesso è in mezzo al corridoio e per
passare lo devo saltare.»
Olivia esita. «Aspettami» dice. «Mi infilo le scarpe e lo
spostiamo.»
Socchiude la porta dell’appartamento e sparisce dentro.
Il mio battito invece subisce una spinta feroce verso la tachicardia.
Il che è assurdo, perché non sono mica sul suo zerbino con una
patetica scusa inventata per rivederla e accertarmi che non fosse
con l’investitore.
Il letto dovevo restituirglielo, era una questione di educazione.
Un dovere di vicinato, ecco.
Sono un idiota.
Un idiota che finirà malissimo!
Olivia ritorna poco dopo con delle scarpe da ginnastica addosso.
«Andiamo?»
Apriamo le porte per facilitarci lo spostamento e le do indicazioni
su come sollevare e inclinare la struttura. Infine, agguanto il letto
dalla testiera e comincio a camminare all’indietro.
Il secondo seguente, un boato mi paralizza.
Olivia è a mani vuote e la struttura è schiantata a terra.
«E tanti saluti alle raccomandazioni» la prendo in giro.
«Mi è scivolata» mormora, accucciandosi. «Mi dispiace.»
«È troppo pesante? Ce la fai?»
«S-sì, è che…» Indica la testiera dipinta. «L’hai cambiata.»
Già.
Ieri, preso da un moto di civiltà, ho cancellato le banconote nelle
mani del soggetto e le ho sostituite con una bottiglia di champagne.
Il resto dei soldi svolazzanti è diventato un tripudio di calici e fragole
e la scritta si è trasformata in Sweet but psycho, dolce ma
psicopatica.
«Meglio o peggio?» le chiedo.
Olivia la scruta qualche secondo.
«Morirai con il dubbio, Tommaso.» Rinsalda le labbra e solleva la
struttura. «Dài, muoviamoci.»
Superiamo il pianerottolo con il letto di traverso e lo giriamo per
farlo entrare nel suo appartamento.
«Da qui in poi mi devi guidare tu, fatina. In quale stanza lo
portiam…»
No, un momento.
Fermi tutti.
Dove accidenti sono finito?
Mi guardo attorno, spaesato, perché ci deve essere un errore.
«Fatina?»
«S-sì, ecco» balbetta. «Non avevo in previsione di investire
sull’arredamento.»
«No, davvero…»
Infatti il salotto è spoglio.
Spoglio del tutto.
Non c’è un divano, una tv, non ci sono mobili o libri. Ci sono solo
tre valigie grandi accatastate in un angolo. E poi un’aspirapolvere,
una scopa e un secchio con dentro stracci e detersivi.
E basta.
«Non sapevo che l’affittuario avesse tolto gli arredi…»
«Non lo ha fatto.» Olivia inghiotte aria. «La maggior parte era
delle inquiline precedenti, si sono portate via le loro cose quando
hanno traslocato. Sono sopravvissuti il mobile della cucina, quello
del bagno e qualcosa nella vecchia stanza della tizia che sta con
Stefano.»
Fingere indifferenza non sembra una missione facile, oggi.
Immagino che sia dura passare dagli appartamenti lussuosi della
Milano bene a… questo.
«Prima di proseguire, le stanze non sono molto meglio» mi
avverte.
«Peggio di così la vedo difficile…»
Una decina di passi dopo, vengo smentito.
Esiste qualcosa di peggio del salottino vuoto, ed è l’ex camera da
letto di Melissa, con un materasso steso sul pavimento e coperto da
un piumino rimboccato. Un armadio. Una vecchia scrivania sopra la
quale è aperto un bagaglio a mano in fase di riempimento. Fine.
«Porca miseria, fatina, dimmi che almeno ti funziona il
riscaldamento.»
La smorfia storta che ottengo viene interrotta dal trillo del
campanello.
Olivia trasalisce.
È chiaro che non aspettava ospiti, presenti inclusi.
Il pensiero corre all’investitore, anche se dubito che lei lo farebbe
entrare. Se il tizio non morisse di infarto precoce dopo essere stato
stordito da tre piani di puzza, il colpo mortale glielo darebbe entrare
in questo posto.
Il campanello trilla ancora, e nello stesso momento il cellulare
della fatina complotta squillando nella sua tasca.
Olivia controlla lo schermo.
«Tutto bene?» le chiedo d’istinto.
Lei fa una smorfia, poi se lo porta all’orecchio. Non so cosa
ascolti, ma non mi piace. Quando finisce, il suo volto è terreo.
Un altro trillo prolungato la fa trasalire. «Merda!»
Vorrei fare il superiore, ma la curiosità mi uccide.
«L’investitore ti ha trovata?» butto lì.
Olivia scuote la testa. «Peggio! Sono i miei.»
«I tuoi» ripeto, confuso.
«Sì, i miei genitori» precisa. «Qui!»
«Qui nel senso di sotto casa?» cerco di raccapezzarmi. «Ma non
sei stata da loro, oggi?»
«Scherzi?! Neanche per sogno. Non potevo, cioè…» Olivia si
chiude la testa tra le mani, sospira. «Loro non sanno niente della mia
nuova situazione. Sapevano» si corregge. «Se sono qui, temo che
qualcosa l’abbiano scoperto.»
Percorre il breve corridoio verso il salotto vuoto. La seguo.
Nonostante il maglione pesante, sta tremando.
«Quindi non sapevano neanche che adesso abiti qui?» indago.
«Soprattutto quello! Io… non gli ho raccontato dei problemi
dell’azienda. E neanche del trasferimento.»
Scuoto la testa. «E allora come…»
«Credo sia colpa di mia cugina. Mi odia! Mi odia perché il mondo
è diviso in due squadre e tu e lei siete tesserati in quella in cui non
sono io.»
«Non sono sicuro di capire» ammetto.
«Su, coraggio. Chiedimi chi mi ha fatto sapere che questo
appartamento era disponibile.»
«Uhm, strano gioco, ma perché no» la assecondo. «Tua cugina?»
«Sì, lei» ribatte piccata. «Deve essersi accorta che stavo
vendendo l’appartamento in Brera… be’, l’annuncio era pubblicato
su Internet. Comunque, una sera ci siamo incontrate per caso a un
evento e Miriam dal nulla ha cominciato a parlarmi di questo
comodissimo appartamento che una sua amica aveva appena
liberato. Mi ha dato il numero di telefono dell’amministratore nel caso
conoscessi qualcuno che fosse interessato.»
«Tua cugina e Melissa? Com’è che vi conoscete tutte?»
«Erano nello stesso team di lavoro alla MarsTech. La tizia insulsa
faceva la programmatrice e lei era la responsabile commerciale del
progetto. So che sono rimaste in contatto» rivela con il timbro piatto.
«Pensavi che fosse un caso essere finita nell’appartamento della
nuova compagna del mio ex?»
«No» dico, «mi è sempre sembrato strano.»
«Non “strano”, Tommaso. La stronza si diverte così. Me l’ha fatta
pagare per tutti gli anni in cui sono stata gerarchicamente più
rilevante di lei alla MarsTech, e poi con la mia avventura solista.»
«Scommetto che non ti comportavi come un agnellino.»
Lei fa una smorfia. «Era una cosa a doppio senso. Io sono figlia
unica, lei è figlia unica, le nostre madri sono sorelle. Ti lascio
immaginare la competizione.»
«Una di quelle sane e pulite alla Gossip Girl, scommetto.»
«Già» si acciglia. «Oggi le nostre famiglie hanno organizzato il
pranzo congiunto di Natale. Ho detto ai miei che non sarei andata e
le ho tolto il piacere di sbandierarmi in faccia i suoi successi davanti
a dei testimoni. Sai, un lavoro lontano dal fallimento, o il fatto che lei
sta per sposare un economista con un discreto portafoglio… Solo
per dimostrare alle nostre madri che sulla lunga distanza non sono io
la figlia di cui essere fieri.»
Dio, che brutta cosa le assonanze.
Che brutta, bruttissima cosa.
Mi fregano sempre.
«E ora per farmela completa ha spedito qui i miei genitori, che
picchietteranno l’entrata del condominio finché non uscirò! E
vorranno salire e accertarsi di dove sono finita…»
E inorridiranno.
Considerando il tipo di famiglia, capisco perché si vergogni a far
entrare un parente stretto qui dentro.
«Aprigli» le ordino.
Il panico dilaga nei suoi occhioni verdi. «No, dico, hai sentito
almeno una parola di quello che ho detto?»
«Le ho sentite tutte. Vai giù e aprigli il portone.»
«Ehm, scusa!» Allarga le braccia spaziando sul salotto. «Ti
sembra un ambiente accogliente e decoroso, a misura di essere
umano, oppure vedi anche tu la concorrenza di una squallida
prigione russa?»
«Mica li fai entrare qui. Li porti da me» ribatto, con tutta la
semplicità del mondo.
Olivia incassa.
Deglutisce.
Il cellulare le vibra tra le mani.
È così scioccata che accetta la chiamata in automatico.
«Ehi, mamma, ciao» prende fiato, massaggiandosi la fronte con i
polpastrelli. «No, come ti ho detto non sto bene. Ah sì, ho fatto la
doccia, avevo il phon acceso, per questo non ho sentito il
campanello. Sì, mi sono appena trasferita, non ve lo avevo ancora
detto perché… Ma non credo sia il caso che voi… suggerisco
piuttosto che sia io a scendere così ci salutiamo in strada…»
Con uno scatto, le sottraggo il telefono e me lo porto all’orecchio.
«Signora, salve, mi chiamo Tommaso. Sono un amico di Olivia.
Piacere di conoscerla.» Olivia si fionda su di me, ma io sono più
veloce a sfuggirle. «Scendo io ad aprirvi il portone, mentre Olivia
finisce di sistemarsi i capelli. Mi dia solo un minuto.»
Una voce delicata si profonde in ringraziamenti, si dice dispiaciuta
di non aver avvisato dell’arrivo, mi assicura che aspetterà volentieri e
che non vede l’ora di conoscermi.
A dirla tutta non sembra così sgradevole, ma aspetto di vederla
prima di pronunciarmi in via definitiva.
«Vedi, non era così difficile» commento, restituendo il Samsung a
Olivia.
Lei lo accetta ma rinsalda le labbra, espira con il naso. Mi osserva
come se le avessi appena rasato i capelli nel sonno.
Potrei giurare che le stia pulsando la palpebra sinistra.
«Che cazzo hai appena fatto?» prorompe.
Seconda parolaccia in meno di cinque minuti.
Lo prendo per un segnale infausto.
«Ripeto» espira, a un passo dall’iperventilazione. «Che cazzo hai
appena fatto?!»
I miei riflessi intercettano il suo braccio in movimento. Ma mi
rendo conto di averla innervosita, così evito di pararglielo e lascio
che mi picchietti il centro del petto con il palmo.
«Accidenti a te, Tommaso! Che cosa ti è saltato in testa!»
«Il mio appartamento fa così schifo?»
«Sono i miei genitori!» esplode. «Viaggiano con una valigia di
aspettative su di me e tu li hai appena invitati ad aprirla e illustrartele
tutte!»
«Capirai, ogni genitore ce l’ha.» Le catturo la mano picchiatrice
nella mia. «E io sono bravissimo con i genitori, anche con gli snob
che crescono figlie anaffettive. Mettimi alla prova. Offro loro un tè e li
stordisco con qualche sorriso mentre tu dimostri che non vivi nella
Batcaverna dei poveri.»
Per un secondo la convinco, poi qualcosa nella sua espressione
muta.
«Hai un altarino votivo dedicato alla tua ex moglie, in cucina!»
Ops.
«E non ci avevi neanche pensato!»
Beccato.
«Non c’è problema: dammi trenta secondi e tolgo tutto.»
Lei trasecola dalla sorpresa. Almeno finché realizza che ho
davvero intenzione di mantenere la parola data.
Sono già nella mia cucina a staccare l’asticella di legno che fa da
supporto ai disegni, quando i suoi passi mi raggiungono. I fogli sono
pinzati a cascata, mi sposto sollevando la specie di tenda di carta in
modo che non strascichi sul pavimento.
«Li hai tolti!» Il suo strillo scioccato mi si conficca tra le scapole.
«Li hai tolti, così!»
«Sì, così, in quale altro modo dovevo toglierli? Vai a sistemarti, io
nascondo questi. C’è qualcosa che devo assolutamente sapere
prima di scendere a prendere i tuoi?»
«Non so neanche da che parte cominciare!»
Okay.
È sconvolta, lo capisco.
Controllo sommariamente la cucina, rassetto il divano, getto un
paio di scontrini accartocciati. Finalmente mi lascio alle spalle le sue
grida di protesta e scendo le scale fischiettando.
Mi dico che lo sto facendo per lei, perché così può almeno in parte
riscattarsi con la sua famiglia, ma l’egoistica realtà dei fatti è che
Olivia Ranieri è un’esemplare indecifrabile e io ho bisogno di sapere
quanto si sia costruita in prima persona e quanta responsabilità
invece se la contende l’ambiente dove è nata.
Voglio conoscere queste persone altolocate e snob che l’hanno
cresciuta, voglio vederli storcere il naso di fronte al mio modesto
appartamento, voglio che lei si trovi costretta a difendere l’alternativa
sfigata che di norma disprezzerebbe.
Oppure voglio qualcosa di ancora più inammissibile e, per
l’ennesima volta, sto mentendo a me stesso.
14
Tommaso
Liv.
Be’, ciao Liv.
E grazie per avermi appena ucciso, Liv.
15
Olivia
Los Angeles non è mai stata così calda! Mentre la sua fidanzata sta
trascorrendo le vacanze natalizie sottozero tra la neve del Colorado
con la famiglia, Liam J sembra voler innalzare le temperature del
circondario: una sessione improvvisata di autografi con i fan (foto 1)
si trasforma in un momento hot mentre lui firma il seno a una procace
rossa (foto 2) con cui poi sale in taxi. (foto 3) Termine della corsa? La
residenza di Bel-Air… che lui condivide con Allyson!
L’ereditiera gli perdonerà questo colpo di testa, oppure tra loro è finita
per sempre?
Los Angeles non è mai stata così calda! Mentre la sua fidanzata sta
trascorrendo le vacanze natalizie sottozero tra la neve del Colorado
con la famiglia, Liam J sembra voler innalzare le temperature del
circondario: una sessione improvvisata di autografi con i fan (foto 1)
si trasforma in un momento hot mentre lui firma il seno a una procace
rossa (foto 2) con cui poi sale in taxi. (foto 3) Termine della corsa? La
residenza di Bel-Air… che lui condivide con Allyson!
L’ereditiera gli perdonerà questo colpo di testa, oppure tra loro è finita
per sempre?
***
***
È la verità, Tommaso.
***
Quando apro gli occhi, la prima mattina dell’anno, tutto ciò che
vedo è il viso di Olivia affondato nel cuscino.
Mi sfrego gli occhi per metterla a fuoco.
Nonostante la notte turbolenta, il suo respiro è regolare. Le ciglia
sono un arco scuro interrotto da un ciuffo disordinato di capelli biondi
e le labbra sono piegate in un broncio da sonno pacifico.
Siamo sul mio letto, la camera è immersa nella quiete.
Non riesco a credere che siamo arrivati al punto che per lei è
naturale dormire da me e per me è naturale trovarmela accanto
quando mi sveglio.
Tuttavia è successo, e questo dimostra che non importa se ho già
concorso una volta, a quanto pare posso partecipare anche
quest’anno al premio “Idioti che non imparano dai propri errori” e
vincerlo.
Scacciando l’istinto di avvicinarmi a lei e abbracciarla, rotolo sul
fianco opposto alla ricerca del cellulare. Lo trovo abbandonato sopra
i pantaloni eleganti ammucchiati a terra. L’orologio sul display segna
le nove. Da quando ci siamo tuffati sotto il piumone dopo essere
rincasati prendendo un taxi di fortuna, ho dormito meno di quattro
ore.
Grandioso.
Sto per riporre il cellulare e vedere se riesco a riaddormentarmi,
ma lo schermo si illumina. Al centro rimbalza la foto di Caterina, un
mezzobusto sorridente dietro l’Hollywood Sign della città degli
angeli.
Sorrido. Poi realizzo con orrore chi sta dormendo accanto a me e
ritratto la gioia. Non è mai scorso buon sangue tra la mia migliore
amica e la donna che mi ha invaso l’esistenza senza permesso, non
mi pare il caso di ricongiungerle adesso.
Scosto il piumino, infilo in fretta una maglia e vado in cucina. Un
sole freddo e pallido entra di traverso dal vetro della finestra.
«Ehi, Bresso!» mi saluta la mia migliore amica.
Giganteschi fuochi d’artificio squarciano la porzione di cielo scuro
alle sue spalle. Da lei deve essere appena scattata la mezzanotte.
Un breve calcolo del fuso orario unito al City Hall alle sue spalle
mi aiutano a collocarla nello spazio: è al Grand Park di Los Angeles.
Per un attimo fugace, la sgradevole sensazione di trovarmi dal
lato sbagliato del mondo mi stiletta senza pietà.
«Bresso, com’è andata la mostra stasera? Su, stringetevi tutti che
così vi vede!»
Nell’inquadratura compare James, suo marito e mio amico, con il
quale tra le altre cose ho condiviso troppi turni nella palestra a North
Hollywood e uno straziante periodo di cuore spezzato.
Sto per gracchiare un saluto cameratesco, ma l’aggiunta di due
sagome familiari me lo impedisce.
Stefano Marte è con loro.
Accanto a lui, la mia ex vicina di casa appare felice e spensierata
come una nerd a una Comic Con.
«Ragazzi» li saluto, stropicciandomi il volto con la mano libera.
«Hai un aspetto terribile, Bresso!» mi apostrofa Cate. «Che
diamine hai combinato?»
Me lo sto chiedendo anch’io.
Lancio un’occhiata all’ex fidanzato della fatina e il mio stomaco si
contrae in uno spasmo.
Merda!
Non ha senso.
Conosco Stefano. È una bravissima persona. Sono stato a cena
da lui al Bosco Verticale un paio di settimane prima di conoscere
Olivia! Per cui non ha senso, non ha alcun senso che solo a
guardarlo mi senta travolto dalla necessità di fare pipì per marcare il
territorio.
Non ne ha.
«Oh. Ehm. Bene?»
«Bene» s’insospettisce Caterina. «Ti chiedo che diamine hai
combinato e tu rispondi “bene”.»
Con discrezione controllo l’assenza di segni di vita nel corridoio.
Se Olivia si alza adesso, sono fottuto. Non so che cosa sia in corso
tra noi, ma manca solo lei al quadretto per dare vita a una pessima
puntata di C’è posta per te.
Premo le spalle contro la parete, assicurandomi che niente e
nessuno al di fuori dell’intonaco bianco entri nell’inquadratura. Le
apparizioni divine ce le risparmiamo per un altro giorno.
James si morde il labbro inferiore, divertito. «TomTom, lei dove
l’hai lasciata?»
Bastardo di un californiano!
«Non è nessuno.»
Così ti crederanno di certo.
«Cioè, ha ovviamente un’identità, ma è qui per sbaglio.»
«Dove con “qui” intendi il tuo appartamento, o meglio, il tuo letto?»
sghignazza Jay.
Cristo, ma dov’ero quando veniva distribuita la capacità di
mentire?! Ah già, forse nella fila di quelli che riescono ad aprire una
bottiglia di birra usando i rebbi della forchetta.
Non ho parole.
E nemmeno energie per inventare una scusa decente.
«Ehm. Forse?»
Sbircio di nuovo Stefano e Melissa. Sono belli insieme. Equilibrati.
Mi domando come accidenti la prenderebbero se sapessero a chi mi
sono addormentato avvinghiato stanotte. Come reagirebbe Caterina.
Ci vediamo poco, ma le voglio un bene che non si quantifica. E
Olivia è stata la causa scatenante che ha rotto l’equilibrio della sua
famiglia.
«Oh mio Dio! Sono così felice, Bresso» esclama Cate. «Sarà un
anno fantastico!»
«Più che altro, stando alle premesse, può solo che migliorare»
sussurro, così piano che lei non lo sente.
«Ah, parlando di cose belle: sono incinta!»
Le interferenze di comunicazione transoceanica miste ai fuochi
d’artificio sono gli unici suoni che seguono.
Nessuno parla per un lunghissimo minuto.
E James… il maledetto, sorride.
Bastardo fortunato.
«Ragazzi, io… congratulazioni» bofonchio. «Sono felice per voi.»
«Tommaso, aspetta, non rilasciare dichiarazioni prima del tempo.
Non precipitiamo i giudizi» mormora Stefano, sotto shock. «Ho
capito bene?»
«Sei incinta?» gli fa eco Melissa. «Oh mio Dio, sei incinta?!»
«E quando aspettavi a… quando pensavi di… cioè, come caspita
è…» prosegue suo fratello.
«Ste, non essere il solito maniaco del controllo» lo rimbrotta Cate.
«Concentrati sul fatto che stai per diventare zio.»
Stefano si massaggia il centro del petto con le dita. «Ecco, brava!
Non mi ero ancora ripreso dal sapere che ti sei sposata di
nascosto!»
«Sì, a proposito di quello. Avete impegni il 16 febbraio?» chiede
James.
Un fuoco d’artificio incornicia l’espressione sospettosa di Stefano.
«Perché?»
Jay avvolge la piccola Marte abbracciandola. «Io e Cate ci
sposiamo.»
Un altro lungo silenzio precipita come una bomba tra noi.
«Oddio, no, aspettate un secondo: ma siete peggio delle storyline
secondarie di Game of Thrones! Non eravate già sposati?»
domanda Melissa.
Stefano alza un angolo della bocca. «Amore, temo che qui ci sia
una discrepanza tra i libri e la serie TV.»
«Oh, grazie per averlo fatto notare!» replica. «Datemi una linea
del tempo e nessuno si farà male.»
Caterina ridacchia. «Quanto siete nerd! Non è un vero
matrimonio, vogliamo ripetere lo scambio delle promesse davanti
alle famiglie e agli amici, possibilmente prima che io diventi una
balenottera spiaggiata. Tu riesci a prenderti dei giorni dai tuoi dieci
lavori, Tommaso?»
«Dove lo festeggiate?» chiedo.
«Qui, a Los Angeles. La famiglia di James è numerosa e non è il
caso di spostare tutti a Milano, anche perché la mia non…»
La sua non verrà.
I suoi genitori non ci saranno.
«Pensavi di metterli al corrente?» le chiede Stefano.
«Non era nei piani» risponde Cate. «Preferisco vivermi le
promesse nuziali in tranquillità e temo che, se loro lo sapessero,
rovinerebbero… tutto.»
«Tommaso, tu ci sarai, vero?» interviene Jay. «Avrei difficoltà a
risposarmi senza il mio testimone.»
«Stai scherzando?»
«Assolutamente no! Sei uno dei miei migliori amici, ci hai fatto
conoscere tu. Non potrei chiederlo a nessun altro.»
«Siete degli infami, ditelo che volete farmi secco» borbotto,
sorreggendomi al muro. «Certo che ci sarò. Il tempo di recarmi al
reparto di nefrologia per farmi espiantare un rene e compro il
biglietto aereo.»
«Quanto sei sciocco, ovviamente al viaggio ci penso io» ridacchia
Cate. «Ma in cambio pretendo una tua crosta dipinta in diretta su
Instagram senza maglietta.»
«Cate!» la rimproverano Stefano e James.
La conversazione vira sul viaggio di Stefano e Melissa in
California. Cate mi assicura che mi manderà i dati del volo previsto
per il mese prossimo e io li saluto. Non appena riattacco, la cucina
torna quieta.
Il sonno si è dileguato; la sensazione di trovarmi nel lato sbagliato
del mondo, invece, è di nuovo qui.
Basta così poco per riportare il baricentro al legittimo posto,
oppure non si è mai spostato e la scorsa notte è stata un’illusione?
Sospirando, lancio il telefono sul divano e strascico i piedi verso la
mia camera. Olivia dorme raggomitolata sul fianco. Penso a noi sulla
panchina dietro il Duomo, alla magia di ieri sera. Penso al fatto che
può esserci del buono in lei, ma nessuno cambia così tanto in così
poco tempo.
La sto guardando davvero, o sto vedendo solo quello che ho
disperatamente bisogno di trovare in lei?
«Tommaso…»
La fatina si gira sotto le lenzuola, mi cerca sul materasso. Mi
sporgo sopra il piumone e le fermo la mano tra le mie.
«Dormi, è presto.»
«Cosa… tu… torni a letto?»
«Mi aspettano a teatro. Resta quanto vuoi, hai bisogno di
riposarti.»
In risposta, mugugna qualcosa di incomprensibile. La sua mano
rimane impigliata nella mia. Una forza attrattiva mi sbilancia. Ci lotto
contro.
Vince lei.
Affondo il naso nei suoi capelli. Poi scendo e premo le labbra sulla
fronte.
In che diamine di guaio mi sono cacciato?
Ho bisogno di aria.
Adesso.
Inalo una profonda boccata d’ossigeno, quindi indosso a tempo
record i jeans e una felpa, prima di scappare da casa mia.
21
Olivia
***
Mollati!
***
Olivia: Sei a casa?
Tommaso: Sto arrivando.
Olivia: Io sono arrivata da poco. Sei libero stasera? Ho ordinato delle
provviste alimentari che vorrei condividere con qualcuno.
Tommaso: Ti prego, dimmi che non è ancora quella zuppa del
ristorante thai che ti piace tanto.
Olivia: Il khao soi è buonissimo!
Olivia : Comunque no, niente zuppa. E non mi hai detto se sei
libero.
Tommaso: Sono già davanti alla tua porta, fatina.
***
***
***
Arretro.
Respiro.
Il cellulare squilla ancora.
È sempre lui.
Non rispondere.
«Pronto?» dico, portandomelo all’orecchio.
Non sono chi si aspettava. L’investitore si blocca, indugia, impalca
il tono professionale. «Sto cercando Olivia Ranieri.»
La cerca alle dieci di sera.
Come se fosse normale, per lui, disporre del suo tempo senza
alcuna restrizione.
Mi viene in mente che nello scorso mese e mezzo Olivia non mi
ha mai spiegato con chiarezza quello che sta facendo per risanare la
sua azienda. Da quel che so lei e il suo consulente stanno ancora
galleggiando nella nebbia.
«Olivia non può rispondere in questo momento. Vuole lasciare un
messaggio?»
«Con chi sto parlando?»
«Il fratello» sparo a caso.
«Ah.»
È incazzato.
Si sta sforzando di fare l’educato, ma è incazzato. È uno stronzo,
uno che non ha rispetto di lei, uno scarto incattivito dell’insuccesso.
«Le riferisca che il mio ufficio legale attende una controproposta
sul contratto che le ho inviato. È da un mese che ci lavoriamo sopra,
gradirei concludere.»
Un mese!
Un maledetto mese.
«Certo, signor Lodisini. Riferisco.»
Riaggancio.
Nel corridoio torna il silenzio, ma ora la luce del bagno si spande
sul pavimento fino ai miei piedi. Non ho bisogno di voltarmi per
sapere che lei è qui. Ma lo faccio ugualmente.
Olivia è bardata nel mio accappatoio, i capelli gocciolano acqua
sulla spugna. Non fa niente per dissimulare. Il suo gemito sorpreso
dice tutto. È sconvolta, ma io la batto.
Abbasso lo sguardo sul telefono ancora in mano, sul mio corpo
nudo, sui pettorali macchiati di colore sceso sugli addominali,
nell’ombelico, e quello che abbiamo condiviso poco fa acquista una
sfumatura così grottesca da far spavento.
Si è sciolto tutto, come la tempera che le imbrattava i capelli. Si è
sciolto ed è finito giù nello scarico assieme all’idea insana di salvare
qualcosa di noi.
Le premo il cellulare al centro dell’accappatoio. «Questo è tuo.»
«Tommaso…»
Scuoto la testa. «Mi sono sbagliato.»
«No, Tommaso, qualsiasi cosa ti abbia detto, lasciami spiegare…»
Non so con quale forza rido, visto che dentro mi sento morto.
«Hai avuto tutto il tempo per spiegare, Olivia.» Mi prendo la base
del naso tra le dita. «Adesso vattene.»
«Tommaso, ti giuro che non è come pensi. Lasciami spiegare.
Non lo frequento, è lui che…»
«Ma per favore! Sei tu che ti sei tenuta uno spiraglio perché ti
servono i suoi soldi! E non importa se lo fai per una nobile causa, hai
dei dipendenti fantastici e okay, non meritano di restare senza
lavoro, ma sai cosa ti dico? A una certa, chi se ne frega! Non sei
obbligata a stringere patti con il diavolo! Quella è una tua scelta, una
scelta che hai preso in totale libertà perché davi per scontato che
questa cosa» indico lo spazio tra me e lei, «sarebbe durata fino a
oggi.»
A vederla così, bagnata, fragile, con il labbro inferiore che trema,
sono costretto a ostacolare l’istinto pazzesco che mi spingerebbe a
consolarla.
Non so neanche perché aspetto la sua risposta come un assetato
nel deserto. Tanto, qualsiasi cosa dirà, sarà una mezza verità per
pararsi il culo.
Tuttavia non riesco a staccarle gli occhi di dosso, a guardarla
come l’ultima sfortunata esposizione prima di un saccheggio d’arte.
Non riesco a impedirmi di morire nel suo sguardo.
«Negalo, se hai il coraggio» la provoco.
Si irrigidisce. La vedo valutare quanto sbilanciarsi, cosa giocarsi
per vendersi al meglio. La morbosità di saperlo mi tiene appeso a un
filo.
Poi lei parla.
«Non è questo, Tommaso» dichiara, «è che… io… sono
innamorata di te.»
Cade il silenzio.
Cade così rumoroso che temo abbiano sentito il colpo fino al
piano terra.
Quattro parole.
Sono sufficienti per pietrificarmi sul posto.
Mi fanno smettere di respirare.
Nello spazio di un battito, constato che pagherei tutto quello che
ho per tornare indietro e non averle sentite. Mi distrugge sapere che,
tra le scuse che poteva usare, abbia scelto di togliere valore proprio
a questo.
«È la verità, Tommaso» prosegue, cauta. «Sono innamorata di te.
Mi sento… non lo so, io con te cammino perennemente sull’orlo del
baratro tra felicità e…»
Patetica.
«Tu non hai assolutamente idea di cosa voglia dire amare
qualcuno.»
«È vero» ammette di malavoglia. «È vero, non lo sapevo prima e
forse non lo so neanche adesso. Ma non ho mai provato niente di
paragonabile per nessuno, prima di te… deve pur significare
qualcosa.»
Altre due battute e le do il numero di Massimiliano per iscriversi
alla compagnia di teatro.
È così convinta che rischio di crederci.
«Sai, Olivia, da quando ti conosco ho sempre apprezzato un’unica
cosa di te. Si chiamava “sincerità”.»
Qualcosa nella mia voce la allarma. «Tommaso, ti prego, lascia
che ti spieghi…»
«Spiegarmi?» domando allibito. «Okay, spiegami come accidenti
siamo tornati a questo punto. Spiegami come riesci a guardare in
faccia quell’uomo fingendo che non ti schifi!»
Lei fa una smorfia. «È stato per lavoro, l’ho visto solo per lavoro,
mai da soli…»
«Quando? Ieri sera?»
«S-sì, ma solo perché eravamo allo stesso evento…»
«E poi?» la interrompo. «Quante altre volte?»
«Due… no, tre, ma erano incontri professionali e…»
«E? No, dài, non essere timida. Spiegami come siete passati da
Capodanno a un contratto di fusione! Perché uno come lui
difficilmente compra aziende azzoppate come se fossero caramelle.
E non è che vi siate lasciati così bene l’ultima volta che vi ho visti
insieme! Quindi? Cosa ha preteso in cambio?»
«Io… lui… le mie scuse» mormora.
«Le tue scuse?! E per cosa?»
«Per quello che è successo a Capodanno.»
«Tu non hai fatto niente a Capodanno. Sono stato io a fermarlo.»
Lei tentenna. «Infatti. Io… mi… sono scusata per te.»
Il bello di essere stati feriti a morte è che quello che arriva in
seguito a confronto è il niente, o almeno è quello che mi sono
raccontato fino ad adesso.
Invece ora vengo sbalzato giù, nel vuoto, ed è esattamente come
lo ricordo.
Caduta troppo lunga, impatto troppo violento.
«Cosa…»
«Tommaso, ti prego» mi anticipa. «Ero al centro di una sala piena
di possibili clienti e lui insisteva. L’ho fatto perché non potevo
permettermi una scenata, solo per quello. Non conta niente che
l’abbia detto, perché non lo penso.»
Olivia fa per prendermi un braccio, ma io sono più veloce a
scostarmi.
«Fanculo alla scenata! Sai cosa non potevi permetterti di perdere?
La tua dignità. Ma ormai è troppo tardi anche per quella.»
In una manciata di falcate sono davanti alla porta di casa. La
spalanco, ma lei non si muove. Stretta nel mio accappatoio, mentre
scuote con vigore la testa, ci mette tutto l’impegno che può per
restare ferma come un albero che non si piega a una folata di vento.
«Non me ne vado, Tommaso. Non stavolta.»
«Tua scelta anche questa» le accordo. «Ma, se vengo lì, ti sollevo
di peso e ti metto sul pianerottolo. E io stavolta sì che lo faccio.»
Olivia tira su con il naso.
«So che sei arrabbiato, ma a mente fredda ti renderai conto che
non è così grave come pensi e che io non ho fatto niente che…»
Come fa a non accorgersene?
«È questo il problema.» La furia mi spinge verso di lei. D’istinto,
Olivia si rinsalda meglio allargando i piedi sul pavimento. «Che tu, a
mente fredda, non ti renda conto di quanto pesano le conseguenze
di ciò che fai.»
Non le lascio altro spazio.
La sollevo, e mi allevia così tanto tenerla addosso che quasi vorrei
non lasciarla. Ma è solo un’illusione: la causa non è mai la cura.
Rinuncio e la deposito sul pianerottolo assieme al cellulare e alle
chiavi di casa.
«Ti lascio i vestiti appesi alla maniglia, quando li ritrovo in giro per
casa.» Sto per sbattere la porta ma all’ultimo ci ripenso, sapendo
che questa è la nostra penosa conclusione.
«Avevi ragione, Liv, io l’avrei distrutta la scacchiera di merda su
cui voi giocate.»
E, a quel punto, la porta si chiude in ogni senso.
26
Tommaso
«Tom!»
Nella folla che occupa il gate degli arrivi del LAX intravedo una
camicia a scacchi riempita da due spalle muscolose. Avanzo tra
gomiti sporgenti e schiene in T-shirt svolazzanti per raggiungerlo.
«Disgraziato di un californiano.» Mollo valigia e bagaglio a mano e
lo stringo in un abbraccio.
La prima volta che sono atterrato al Los Angeles International,
dopo le ore passate alla frontiera, ho trovato Allyson al di là dei vetri
con il cartello “italian hottest artist” sollevato sopra la testa.
L’ultima volta che sono stato in questo aeroporto vagavo nella
zona partenze da solo, con la carta del divorzio in una tasca e i
sogni impacchettati e rispediti al mittente nell’altra.
«È bello che tu sia in questo fuso orario.» Jay mi lascia una pacca
sulla spalla, prima di aiutarmi con il bagaglio a mano. «Hai una
faccia orrenda, ma è bello vederla dal vivo.»
«Grazie.» Mi scompiglio i capelli, prima di trascinare la valigia.
L’aeroporto è trafficato e, fuori, l’aria di Los Angeles è il riassunto di
tutto ciò che mi è mancato nel grigiore dell’inverno italiano. La inalo
e il cervello processa “finalmente”.
Per un attimo è tutto quello a cui riesco a pensare.
Io che, dopo più di un anno e mezzo di assenza autoimposta,
sono tornato nel posto a cui non ho mai smesso di appartenere.
«Allora, cosa hai combinato?» mi chiede Jay, mentre camminiamo
sotto il tiepido sole verso il parcheggio riservato agli accompagnatori.
«In che senso?»
«Nel senso, ti sei guardato allo specchio nelle ultime ore?»
«Nei riflessi del finestrino dell’aereo conta?»
«Cosa hai combinato?» ripete James.
Il freddo qui è un lontano ricordo, come dovrebbe esserlo tutto ciò
che è successo prima della mia partenza e che invece non fa che
tormentarmi da quando sono uscito di casa.
«Un casino» ammetto.
«Perché la cosa non mi stupisce? C’entra la donna di
Capodanno?»
«No.»
«Okay, c’entra lei» deduce il mio amico, aprendo il bagagliaio. La
sua Chrysler rossa è peggio di una Delorean, mi riporta a un passato
lontano che diventa sempre più vicino.
«Viaggi ancora con la macchina a noleggio?» gli domando.
«Io e Cate l’abbiamo riscattata, è nostra. E tu stai cambiando
argomento, strategia che non ti permetterò. Se mia moglie ti vede
così, rischi l’interrogatorio livello CIA. Parlami, lo faccio per il tuo
bene.»
Appoggio la valigia nel baule e mi accascio sul sedile del
passeggero, aspettando che Jay prenda posto alla guida. La luce si
riflette sul parabrezza, dalla radio esce un’allegra canzonetta pop,
l’abitacolo profuma di inchiostro fotografico e pino sintetico.
«Okay, sì. C’entra lei» mi arrendo. «Dove con “lei” intendo la
persona più sbagliata che potevo incontrare. Io… cazzo, Jay, io non
lo so. È inaffidabile, è manipolatrice, Cate la odia…»
«Mia moglie la conosce?» si sorprende James, immettendoci sulla
strada che ci porta nel denso traffico californiano.
«È la sua ex cognata. Quella con cui stava suo fratello prima di
Melissa.»
«Oh.»
Apprezzo che, da gran signore qual è, James si esprima fino a lì,
ma ho bisogno di lui in questa conversazione in cui mi ha gettato a
tradimento.
«Senza filtri, Jay. Parla e basta.»
Lui tamburella le dita sul volante. «Ti sei invaghito di miss
Arrampicatrice Letale. Più che chiederti qualcosa, dovrei consolarti.
È davvero terribile come la descrivono i Marte?»
Ripenso alla cosa pazzesca che abbiamo condiviso la scorsa
notte. A quanto mi abbia devastato stare dentro di lei, sentirla
fondersi con me, un lunghissimo istante senza barriere in cui siamo
esistiti solo noi.
Alla sua bugia che ha rovinato tutto.
«Lei è…» vado alla ricerca della giusta definizione, ma le parole
mi sgusciano via, «non lo so, ma so che sono stato uno stupido a
credere che…»
«Avesse un cuore?»
«Sì. No. È che… Dio, Jay, non la tollero. Non tollero quello che
è.»
«E allo stesso tempo non riesci a farne a meno» conclude per me.
«Ci sono passato.»
Per un secondo sono tentato di chiedergli come si guarisce, ma
poi faccio presente a me stesso che lui, la sua tentazione, se la
sposa domani per la seconda volta.
Le palme fuori dal finestrino si stagliano correndo su un cielo
vagamente opaco. L’interstatale a quattro corsie che ci sta
conducendo nel cuore della città è larga e affollata. Quando ci
fermiamo in coda, qualcuno suona il clacson, un pickup risponde con
una seconda strombazzata.
«È un bene che io sia qui» realizzo d’un tratto.
«A seimila miglia da Milano?»
Annuisco. «E pensare che per un po’ persino il muro che divideva
i nostri appartamenti mi è sembrato di troppo.»
Il traffico è congestionato e, non appena ci muoviamo, James
imbocca il primo svincolo, schivando per un pelo uno scooter
imbizzarrito.
«Tom?»
«Eh.»
«Sei proprio sicuro?»
«Di cosa?»
Jay abbassa la voce. «È che tu dici questo, ma non sembri tanto
convinto.»
«Lo sono» taglio corto. «Io con lei vedo nero. Nessun colore, solo
nero. Questo non è… amore. Questo è desiderare di non averla mai
incontrata.»
Jay si concentra sulla strada, nessuno parla più per quasi un
miglio.
La periferia di Los Angeles pian piano si trasforma, gli edifici si
alzano, diventano più ravvicinati, le insegne pubblicitarie si fanno più
grandi, il traffico più stretto.
È quando parcheggiamo davanti all’hotel in cui starò nei prossimi
giorni che il mio amico torna a rivolgermi la parola.
«Hai intenzione di raccontarlo a Cate?»
«Di me e della sua nemesi? Neanche per sogno» sentenzio. «È
un capitolo chiuso, e voi vi sposate domani. Non voglio rovinarvi la
festa.»
«Non la rovineresti. Sai che lei c’è per te, così come ci sono io.
Matrimonio o non matrimonio» mi rivolge un cenno complice, prima
di scendere.
Il mio cellulare squilla.
Olivia.
Non la vedo da circa ventisei ore che, a seconda della prospettiva,
pesano come un secondo o come una vita intera.
Nei due minuti e mezzo in cui lei è rincasata nel suo
appartamento per togliersi l’accappatoio gocciolante e infilarsi
qualcosa di asciutto, io ho preso le valigie, ho appeso la sua
vestaglia alla maniglia e sono fuggito di casa. Ero già nell’atrio, giù,
quando l’ho sentita picchiare le mani sulla porta implorandomi di
aprirle.
L’unica cosa che ho aperto è stato il portone per uscire in strada.
Rifiuto la chiamata con il pollice e spengo il telefono. Voleva la sua
distrazione, ha avuto la sua distrazione. Si è presa a forza quel poco
che mi era rimasto, non ho intenzione di lasciarle contaminare anche
questa porzione di mondo.
***
Qualche ora più tardi, indosso una maglietta pulita, sono sull’uscio
del piccolo appartamento di East Hollywood di Cate e per poco non
mi cade la mascella dalla sorpresa.
«Ammetto che mi immaginavo un’accoglienza diversa.»
«Proprio tu, Tommaso TomTom Bresso Cattaneo, che con
l’immaginazione ci vivi?»
Il folletto che mi viene incontro ha un sorriso luminoso come un
metallo radioattivo, i capelli mezzi acconciati di lato e un vestito di
pizzo bianco a sirena che evidenzia la lieve curva sotto la stoffa
aderente.
Ho visto questa piccola donna in tutte le salse. Euforica, sull’orlo
della disperazione, caparbia, battagliera, spezzata. Ma mai, mai, mai
l’ho vista piena di una felicità che per disegnarla rendendole giustizia
dovrei inventarmi una nuova corrente espressiva.
L’attimo successivo ho le braccia di Caterina Marte attorno al collo
e la sua pancia che preme sugli addominali. «Quanto mi sei
mancato, Bresso! Sappi che ho litigato con James perché ti volevo io
come testimone!»
«Chi sarà il tuo?»
«Loro.» Staccandosi, Cate indica un punto del salotto accanto al
divano.
Un punto dove ci sono Stefano e Melissa.
«Tommaso, è un piacere rivederti» mi porge la mano Stefano,
cordiale.
Purtroppo, non posso dire lo stesso.
Ad averlo vicino, i nervi si tendono come di fronte a un nemico
sotto copertura.
Dio! Quando finirà questa cosa? Non siamo mai stati in
competizione per la stessa donna! Sospetto anzi che nessuno di noi
due l’abbia mai veramente avuta. Ma questo mi guarderò bene dal
dirglielo.
«Ehi, ciao» ricambio velocemente la stretta e ripiego su Melissa,
reputandola la scelta più gestibile.
Nell’istante in cui la osservo, mi rendo conto che sbagliavo.
Il suo aspetto da brava ragazza, con morbidi capelli castani che le
incorniciano il volto che è la quintessenza della dolcezza, non
sortisce alcun effetto rilassante. All’improvviso anche lei è diventata
pericolosa.
Forse perché indossa un vestito color pesca con il bustino
aderente e la gonna che è un tripudio di tulle, che capisco essere
l’abbigliamento da damigella e non una sottoveste provocante, ma
che inevitabilmente mi sradica dall’adesso catapultandomi indietro
nel tempo.
O forse perché mi fissa come se sapesse tutto.
Datti una calmata, porca miseria!
Nessuno lo sa.
«Quindi, ora che abbiamo appurato che il vestito mi entra
nonostante il marziano in crescita, posso toglierlo così James può
entrare senza rischiare di vederlo» dice Cate. «Melissa, tesoro, vieni
di là ad aiutarmi con la cerniera?»
«Certo» risponde la mia ex vicina di casa.
Le due ragazze se ne vanno. Nel salotto restiamo io e l’erede
della dinastia Marte. Stefano si è spostato a ridosso del muro, sta
fissando la parete tappezzata di fotografie scattate da sua sorella e
James.
Nonostante mi senta un grosso pesce in una vasca troppo piccola
per due, mi impongo di ragionare con il cervello e non con il pene.
Non è che devo saldare un debito d’onore con lui. E comunque le
idee omicide non sono una vera alternativa.
Lo squadro a distanza, mentre è distratto.
Capelli scuri, occhi castani. Profilo molto maschile. Indossa un
paio di pantaloni navy e una camicia bianca aperta sotto il pomo
d’Adamo. Pur riconoscendogli un elevato standard di bellezza,
l’aspetto oggettivo passa in secondo piano rispetto al resto. È
l’eleganza a trasparire. L’incapacità di trovarsi a disagio. È la
padronanza di chi ha sempre la fortuna di trovarsi nell’esatto punto
della vita in cui vuole essere. In un altro mondo sarebbe stato un
principe perfetto. In questo, è un uomo che ha ottenuto ciò che
desiderava. E ciò, se possibile, vale ben più di un reame
immaginario.
È mentre gli sto prendendo le misure che lui si volta.
«Caterina ci ha raccontato che hai un colloquio per una galleria
qui a Los Angeles, lunedì.»
«È così.»
«Dice anche che possiamo farti le congratulazioni perché quel
posto è tuo» prosegue, poi storce la bocca, «ma forse questo era
meglio non dirlo.»
«Caterina tende a esagerare» gli accordo.
Il mio tono però non deve convincerlo molto.
«È per quello che sei preoccupato?»
No.
Mi preoccupa continuare a guardarti in faccia e vederci l’impronta
degli occhi dolci che ti faceva la fatina, nonostante se ne fregasse di
te.
«Scusa, non volevo essere invadente» mi precede Stefano,
infilando una mano nella tasca dei pantaloni. «So che non ci
conosciamo molto, ma Caterina ti considera più di famiglia della sua
stessa famiglia e Melissa garantisce per il tempo in cui siete stati
vicini di casa. Quindi in automatico diventi di famiglia anche per me.»
Ecco, proprio quello che dicevo.
Stefano Marte uguale bella persona.
Non è così difficile da comprendere, pezzo di idiota che sono!
«Grazie» sospiro, e sono sincero. Mi dispiace davvero
soccombere all’istinto di biasimarlo, nella stessa misura in cui mi
dispiace non riuscire a farmelo piacere del tutto.
Per fortuna, passi in arrivo dal corridoio ci distraggono.
«Mannaggia a me che non ho bandito il tulle dalla lista dei requisiti
approvati.» Jeans e maglietta, Melissa compare nel salotto assieme
alla futura sposa bis. «Avrei dovuto dirtelo che ne sono diventata
allergica.»
«Sei la solita ribelle indisciplinata» la riprende Cate. «Non ti fai
mai vestire come dico io.»
«Perché mica faccio Barbie di cognome!»
«No che non lo fai, il cognome di Barbie è Roberts.»
«Ma davvero?» si stranisce Melissa.
«Sì. E ha pure un secondo nome. Millicent.»
«Come quella di Harry Potter?»
«Perché con te si finisce sempre a parlare di cose come Harry
Potter o Star Wars o che ne so? Fa niente, non dirmelo. Tanto,
qualsiasi cosa ti inventerai, sul tulle non cederò.»
«Dovresti, invece! Quando ero piccola mi piaceva, ma ora non
riuscirò più a guardarlo con gli occhi del cuore.»
Melissa lo dice e aspetta una reazione. Quando le è chiaro che
nessuno ha colto la presunta battuta, sbuffa. «Boris! Davvero?
Nessuno?! Argh! Non ci credo» si esaspera. «È una pietra miliare
della serialità italiana!»
«Mmm… e questo Boris cosa c’entrerebbe con il mio tulle?»
mugugna Caterina.
«Lui niente» risponde Melissa, «ma a inizio dicembre ho aperto la
porta dell’appartamento di Stefano a Olivia Ranieri, e lei c’entra
eccome visto che se ne stava sullo zerbino in una tenuta super sexy
da ballerina e con una bottiglia di champagne in mano.»
Per poco non mi soffoco con la saliva.
«No!» trasecola Cate.
«Sì, invece! Ho aperto come se niente fosse, mi aspettavo il
fattorino delle pizze e invece c’era lei. Si è presentata dal nulla e
devo darle atto che era bellissima con quella stoffa rosa che le
svolazzava intorno. Solo che adesso, ogni volta che vedo un pezzo
di tulle, penso a lei.»
Anch’io.
«Oh mio Dio!» le fa eco Cate. «Dovevi dirmelo quando ci siamo
viste a Capodanno, te lo avrei risparmiato.»
«Se tu non mi avessi distratta con la storia della gravidanza…»
«Dettagli irrilevanti. Ma perché è venuta? Era interessata a una
cosa a tre?»
«Caterina» tenta di placcarla Stefano, in imbarazzo.
«Nah, nei suoi piani io ero quella di troppo. Comunque, a parte la
faccia funerea di chi non sa neanche perché lo sta facendo, era
davvero provocante. Cioè, se fossi stata single, lesbica e non
l’avessi già conosciuta, ci sarei stata senza se e senza ma.»
«Melissa!» scandisce Stefano. «Ti prego, non posso sentirti
parlare così della mia ex.»
«Cosa c’entra, Ste, gli occhi ce li ho pure io.»
«Sì, bella è bella, lo è sempre stata. È tutto il resto che le manca»
conviene Caterina. «Che so, l’umanità, i muscoli deputati a un vero
sorriso, la capacità di provare pietà…»
«Però era strana, quella sera. Non so… pareva me quando ho
perso il dottorato. Stessa allegria. Se anche quella era una recita,
una candidatura agli Emmy’s non gliela leva nessuno.»
«Come ti suona il premio “Miglior stronza protagonista”?»
«Male» ammette Melissa. «Al massimo accetto un “non
protagonista”.»
«Che fine ha fatto, adesso?» chiede Cate a suo fratello. «Lavora
ancora con il signor padre?»
Stefano scuote la testa. «È passata alla concorrenza. Lodisini è
peggio, se possibile, ma questo non sembra averla scoraggiata.»
«Scoraggiata? Perché?»
«Non mi tengo aggiornato, Cate» ribatte, insofferente. «Ma si dice
che gli sta vendendo la società. Fusione per incorporazione. Se così
fosse, giocandosela bene finisce con il suo nome sopra una sedia
nel direttivo.»
«Be’, che novità!» ironizza Cate. «Quelle come lei cadono sempre
in piedi.»
L’unica cosa che precipita è il mio umore.
Si schianta con così tanta potenza che per incassare il colpo
appoggio una mano alla consolle d’ingresso, tiro dentro una famelica
boccata d’aria.
«Ehi, Tommaso, stai bene?» si accerta Caterina.
Riemergo dalla confusione e mi tocco la faccia, me la sento
sciolta come acrilico che cola.
«S-sì» farfuglio, «alla grande.»
Poco dopo, il baricentro della conversazione si sposta e io smetto
di ascoltare.
27
Tommaso
«Ma questi nodi infami delle cravatte… l’ho già detto che sono
infami?»
James sorride. Stringo il tessuto, ma il nodo esce comunque
storto. Sciolgo tutto e ci riprovo.
«Fa niente se esce imperfetto, Tom.»
«Non ho tantissimi compiti come testimone. Vorrei portare a
termine almeno il minimo sindacale.»
«Stai andando alla grande.»
«Mani che tremano a parte» mi prendo in giro. «Sul serio Cate è
riuscita a tenere il matrimonio social free?»
«Incredibile ma vero. Vedrai tu stesso, sarà una cosa molto
raccolta. Nessuna lotta all’ultimo post o story su Instagram.» Non
appena finisco di annodargli la cravatta, James si specchia e la
accarezza, soddisfatto. «Grande, Tom! Perfetto quasi quanto quello
che fai sul karategi.»
«Niente è perfetto come il mio nodo sul karategi» ribatto. «Non ti
manca mai, il karate?»
«Ogni tanto. No, spesso» si corregge, indossando le scarpe. «Ma
sono così pieno di commissioni che ho rinunciato a praticarlo anche
come allievo. Di recente sono stato a Città del Messico per un
servizio di moda.»
«Di recente a me è venuta voglia di rovinare il naso dello sposo
con un pugno» gli faccio eco, sarcastico. Infilo la camicia dentro i
pantaloni del vestito, lo stesso che ho usato al Gala di Capodanno e
che la fatina mi ha aiutato minuziosamente a togliere quella stessa
notte.
Il fatto che ogni dettaglio mi ricordi la donna che sto cercando di
dimenticare a tutti i costi non è di buon auspicio.
La rabbia, la delusione, la disperazione arrivano tutti insieme
quando si tratta di lei, e io non me lo aspetto, non sono preparato, ci
affogo dentro.
«Quando vuoi che ci picchiamo, basta dirlo» prosegue Jay. «Ora
che ti ritrasferisci, potrai mostrarmi sul tatami quanto vale
l’allenamento italiano.»
Sospiro. «Perché date tutti per scontato che il posto sia mio?»
«Perché Cate ha sguinzagliato le sue conoscenze e mi ha detto
che il tipo con cui farai il colloquio è noto per essere estremamente
selettivo. Se ti vuole incontrare, è più per una conferma che per una
decisione.» James indossa la giacca, se la liscia. «È il tuo telefono?»
Lotto con i bottoni sui polsini della camicia e dico: «Sì. Fammi un
piacere, guarda chi è.»
«Olivia» legge, sul display. «Che ore sono, in Italia?»
«Mezzanotte» calcolo a mente.
«E…?»
«E non le risponderò.»
Jay si acciglia. «Sembra una cosa urgente.»
«È più urgente evitarla.»
«Come preferisci, non insisto.» Appoggia il telefono sulla scrivania
della sua camera di ragazzo, otto metri quadrati di coppe, poster e
fotografie scolastiche dall’infanzia alle superiori che urlano “ragazzo
popolare”.
Siamo a una trentina di chilometri da Los Angeles, a Thousand
Oaks, la cittadina delle querce dove Jay è nato e cresciuto. Dopo la
notte trascorsa in albergo l’ho raggiunto nella casa della sua famiglia
come da tradizione del testimone. Dal piano di sotto arrivano
andirivieni, gridolini, raccomandazioni gridate da un lato all’altro della
casa. C’è un entusiasmo palpabile, una promessa di felicità nell’aria.
La sua famiglia non vede l’ora di partire verso la cerimonia, ma Jay,
ora vestito di tutto punto, sta chiaramente temporeggiando.
Compie alcuni passi avanti e indietro, si ferma al centro della
moquette.
«Sai qual è il nostro problema, TomTom?» dice, come a
conclusione di un discorso avvenuto solo nella sua testa.
«Che, per quanto ci sforziamo con i vestiti eleganti, il nostro cuore
batte sempre e solo per il Camicie a scacchi club?»
È sarcasmo, ma lui accenna comunque un sorriso complice.
«Anche. Ma no, intendevo che quando tu sei entrato nella palestra a
NoHo per la prima volta, io ti ho riconosciuto subito. Non perché
anche tu eri spiantato. Non perché carburavi a sogni. E neanche
perché hai serie difficoltà a chiedere aiuto, anche se pure questo ci
accomuna drammaticamente. No, la cosa che ti riconosco in
assoluto di me, è la capacità di passare da bravo ragazzo ad angelo
vendicatore incazzato, se qualcuno di cui ti fidi ti ferisce.»
E di nuovo torniamo a parlare di lei.
Capisco che chi è felice pretenda che l’universo colmi il dislivello
per chi non lo è, ma qui si sta esagerando. I casi persi è meglio
lasciarli dove stanno. «E perché sarebbe un problema?»
«Ecco, proprio per questo motivo.»
«Quale?»
«Questo! Questa cosa nera che ti ritrovi davanti alla faccia e che ti
impedisce di vedere altro, come quando dimentichi il coperchio
sull’obiettivo della macchina fotografica.»
Faccio spallucce. «Cos’altro c’è da vedere?»
«Be’, per me c’è stato molto, una volta che ho smesso di
intestardirmi a fissare il copri obiettivo. Ma immagino che la risposta
specifica sia diversa per ciascuno.»
«È il secondo matrimonio con la stessa donna, oppure con l’arrivo
di un figlio ti viene somministrata di diritto una dose di maturità
esistenziale?»
James mi tira una manata sulla nuca.
«Cretino! Sei tu, TomTom. Mi sembra di parlare con me quando
ho rivisto Caterina dopo troppi mesi di vuoto.»
«Ah sì? Sbandavi tra volerle saltare addosso e volerla uccidere
nel giro di un minuto?»
«A volte anche in contemporanea» ridacchia.
In quel momento, sua madre urla un disperato “Jay” dal giardino,
suo padre strombazza il clacson dell’auto.
James si fa serio. «È ora. Ti sorprenderà sapere che una donna
incinta ci sta aspettando assieme ad alcuni invitati in abiti eleganti e
un tizio che si spaccia per officiante di re-wedding.»
«E io che pensavo ci fossimo conciati così per fare i camerieri a
Beverly Hills.»
Raccolgo il cellulare tornato silenzioso e mi tiro in piedi, quindi
incollo un sorriso a beneficio dei miei due migliori amici, pronto a
testimoniare un amore nato da mille splendidi effetti collaterali.
***
***
Caro Tommaso,
benvenuto nella scuderia! È un piacere saperti a bordo.
Trovi i documenti richiesti per il contratto in allegato. Data la tua
disponibilità a partire da subito, troverai le date modificate rispetto al
previsto. Per qualunque cosa (anche relativa al trasferimento in
California) sono qui.
Non vedo l’ora di cominciare a lavorare con te!
Buona giornata,
G.
Giles Hoffman
Hoffman Gallery Director
In art we trust!
***
***
***
***
Cate from the world firma una linea vestiti per XoXo
L’impero Caterina Marte acquisisce un nuovo investimento: Cate
from the world ha concluso un accordo per una linea di abiti per
XoXo Inghilterra, Spagna e Olanda, disponibile nei negozi dal
prossimo autunno.
***
***
***
Quando apro gli occhi, la mattina dopo, tutto ciò che vedo è il viso
di Olivia affondato nel divano.
Bella è bella, le va riconosciuto.
Una bellezza da manuale di proporzione fisionomica.
Ma ora, con i capelli scompigliati, la bocca semiaperta e rilassata,
il gomito che si sporge scomposto, è molto meglio di bella.
È reale.
In totale democrazia decido che è questa la prima cosa che voglio
vedere ogni mattina del mio futuro prossimo. E anche più in là, se
vogliamo peccare di presunzione.
La luce solare si spande dalla tapparella della cucina.
L’appartamento di Olivia è tranquillo, ma terribilmente vuoto. La
fatina non ha comprato altri mobili oltre al divano e al muro ha
appeso solo tre… un momento, che diamine ci fanno i miei quadri
qui?
Torno sul suo viso, come se guardarla potesse darmi le risposte
che cerco.
Non nutrendo grande fiducia negli interrogatori durante il sonno,
comunque, opto per alzarmi e lasciarla riposare. Compio il giro del
salotto, raccatto i vestiti e mi affretto a scrivere a mia sorella prima
che porti Rachele all’asilo.
Quasi tre giorni di ritardo hanno sballato la programmazione
serrata del rientro, ho un arretrato da far paura e, se non bastasse,
incontro Aaron in tarda mattinata da qualche parte sui Navigli – il che
significa che il resto del tempo sarà suo d’ufficio.
Lunga, lunga giornata.
Le lenzuola si muovono quando Olivia si gira su un fianco.
La guardo un’ultima volta, prima di alzare la valigia dal pavimento
e sparire oltre la porta del suo appartamento.
***
Dodici ore più tardi, sono dall’altro lato della stessa porta, teso
come un bambino il primo giorno di scuola.
Accantono l’agitazione sotto la faccia da poker e busso. La porta
si apre. Olivia trasecola, si aggrappa al bordo. Assottiglia lo sguardo
come se si trovasse di fronte a uno dei vampiri cattivi delle serie tv.
«Buonasera» la saluto.
«Ho provato a chiamarti tutto il giorno!»
«Ah, scusa» dico, «non ho guardato il cellulare…»
«Mi sono preoccupata!»
Okay, non è l’accoglienza che speravo…
«Non puoi arrivare dal nulla dopo due mesi che non ti vedo, tre se
non contiamo quei dieci minuti in galleria e la mezz’ora di taxi
dall’albergo all’aeroporto di Los Angeles, scoparmi, farmi sentire la
più vergognosa delle fortunate e poi sparire come se niente fosse
mentre dormo!»
«Olivia…»
«Svegliarsi e non vederti dove ti ho lasciato la sera precedente fa
schifo!»
Finalmente qualcosa su cui siamo d’accordo.
Tento una contromossa, ma lei è un fiume inarrestabile.
«Senti, io non so che cosa tu abbia in mente di fare, in generale,
adesso, tra qualche mese, con me, con la tua ex moglie… e non te
lo chiedo neanche, perché non pretendo spiegazioni che magari non
hai ancora. Ma un minimo di decenza!»
«La decenza è la mia missione di vita» le confermo.
«Dio, perché ci parlo, con te?» sbotta. «Se sei tornato perché hai
dimenticato qualcosa ieri sera, puoi pure recarti nel luogo magico e
misterioso dove sei sparito! Non hai lasciato proprio niente qui,
niente di tuo e nemmeno niente che assomigli a un biglietto con
sopra scritto “ehi, sono uscito ma non a prendere le sigarette, torno
prima di sei mesi, ciao”.»
La sua invettiva furibonda mi fa sorridere.
È tenera da incazzata.
«Mi fai entrare?»
«No!»
Mi guarda. Si morde il labbro.
Apre del tutto la porta.
«Solo perché non mi va di fare scenate sul pianerottolo.»
«Abbiamo fatto di peggio, dietro le porte di questo pianerottolo» le
dico con accenno divertito.
Per una frazione di secondo è allineata con me, ma poi ritorna
l’arrabbiatura. Aspetta che entri e poi appoggia la schiena contro la
porta fino al clic della serratura.
Uno di fronte all’altra, tra queste mura così vicine alle mura da cui
è cominciato tutto, siamo due gladiatori nell’arena della resa dei
conti.
E così sei tu.
Tu e il tuo disequilibrio di imperfezioni.
Tu e basta, che mi fissi con gli occhioni sgranati, sconcertati, tu
che ti chiedi come ci siamo arrivati da un caricatore per cellulari
prestato sulle scale a questo gioco del silenzio a cui partecipano due
persone che assomigliano così poco a un american boy e una fatina
di ghiaccio.
«Mi sembra di capire che avresti gradito un post-it» esordisco.
«Ma allora non hai capito niente! Era solo un esempio, Tommaso!
Solo un esempio per…»
Le allungo una cartellina trasparente.
Impreparata, lei la afferra.
«Cos’è questa roba?»
«Ieri sera le cose ci sono sfuggite di mano. Colpa mia, più che
tua. Però è doveroso recuperarle. Mi sono permesso di preparare
una cosa.»
Olivia abbassa lo sguardo sul malloppo, estrae dalla busta di
plastica un plico di fogli A4 pinzati nell’angolo in alto.
Il logo sulla parte superiore della prima pagina è inconfondibile,
difatti lo riconosce subito.
«La mia carta intestata?» si acciglia. «Come fai ad averla?»
«L’ho chiesta alla tua assistente.»
«E quando l’avresti fatto?»
«Oggi. Teresa è stata molto gentile. Le ho telefonato in mattinata
spiegandole che me ne serviva un po’ per una cosa molto
importante. Mentre tu eri impegnata in una riunione telefonica, sono
passato nel tuo nuovo ufficio e lei me ne ha fornita in abbondanza,
per fare le prove.»
«Ma che accidenti dici? Quali prove?»
«Be’, è stata una preparazione piuttosto lunga. Non sapevo se ci
sarebbe stato tutto e se avrebbe funzionato al primo colpo.»
Non sa cosa dire. Cerca indizi sul plico e si stupisce ancora di più.
«Ma che…»
«Leggilo a voce alta, su.»
Riservandomi un’occhiata sospettosa, incolla gli occhi sul
frontespizio e obbedisce.
«Base Comune tra Tommaso Cattaneo e Olivia Ranieri, bozza di
accordo?» Alza la fronte dai fogli. «Che cos’è?»
Compio un predatorio passo avanti.
«Vedi, Olivia, il fatto è questo. Abbiamo svariati problemi, io e te, e
decisamente poche soluzioni. Quindi ho pensato che fosse meglio
evitare di cadere nei quattordici milioni di futuri possibili prima di
beccare quello giusto. Doctor Strange insegna.»
«Non so di cosa tu stia parlando.»
«Immaginavo. Per fortuna ci sono io in questa coppia.»
«C-oppia?»
«Arriveremo anche a quello, a breve. Prima, però, una doverosa
premessa: cinque mesi e mezzo fa ho seguito una lezione sulle
relazioni nell’appartamento accanto. Era tenuta da una fatina vestita
di rosa. Magari la conosci. Ora, forse la docente credeva che io non
la stessi ascoltando perché troppo preso dalle sue tette strizzate
nell’arma letale chiamato babydoll con cui si è presentata. Pensiero
più che legittimo, ma errato. Ho ascoltato tutto e questa che tieni in
mano è la tesina di fine corso. Forza, aprila.»
Assaporo il suo stupore trasformarsi in totale sconcerto. È al di là
del trauma.
Va be’, in fondo anche nella mia testa era una scena allineata al
suo lato romantico pressoché nullo.
«O… kay» cede, se non altro perché dopo aver mappato ogni
centimetro del soffitto non sa più da che parte alzare gli occhi.
Sfoglia la prima pagina con il polpastrello e legge a voce alta.
«Tommaso Cattaneo e Olivia Ranieri, da qui in poi i contraenti, si
impegnano a rendere chiare ed esplicite le condizioni di partenza e
gli obiettivi comuni per progredire nel…» La sua voce si affievolisce.
«Tommaso, ma sul serio?»
«Vai avanti, per favore.»
«Davvero, perché ti sto dando retta?» protesta. «… per progredire
nella loro storia.» Si ferma. «Da quando abbiamo una storia?»
«Non so, da oggi? Oppure preferisci che ce l’abbiamo da ieri? Per
me è uguale, anche se è giusto che tu sappia che mi sono
innamorato di te un po’ prima di questi due giorni.»
Le cade il plico dalle mani. Il viso le si riempie di un’emozione
selvaggia, sui contorni delle palpebre spunta un lucido sospetto.
Ecco, questo è vero shock.
«Tommaso…»
Faccio uno sforzo immane per non affrettare le cose. Mi limito a
inginocchiarmi per raccoglierle il malloppo e restituirglielo.
«Vai avanti, per favore.»
Lei lo riprende, riapre la pagina, sulle prime la voce non le esce.
«C-con la presente scrittura, i c-contraenti…» Si schiarisce la
gola. «I contraenti decidono insieme una serie di variabili atte a
proteggere, orientare e far crescere il loro rapporto. I contraenti
concordano sulla monogamia della loro relazione che si definisce a
carattere esclusivo e stabiliscono che la sede principale della stessa
sarà Milano, salvo futuri stravolgimenti di carriera di cui discuteranno
insieme di caso in caso…» si blocca, spiazzata. «Milano?»
«Esatto.»
«Resti?»
«Resto.»
«Cioè, per più di qualche giorno?»
Sorrido.
«Molto più di qualche giorno.»
Ha la faccia di una che non ci crede per niente.
«E la galleria?» obietta. «Los Angeles? La tua vita là?»
«Il primo contratto con Hoffman era di tre mesi ed è scaduto
quattro giorni fa. Ho scelto di non rinnovarlo.»
Lei impallidisce.
«Cosa vuol dire che lo hai scelto tu? Ma sei impazzito?»
Adoro il modo in cui si sconvolge per così poco.
«Sì, fatina. Completamente impazzito» le confermo. «Del tutto
andato.»
«M-ma… era la tua carriera!»
«Sei carina a preoccuparti per me, tuttavia ti sollevo dal compito:
pianifico il passaggio da due mesi. Dalla mattina dopo che ti ho
accompagnata in aeroporto, per la precisione. Giles Hoffman ha
deciso di tenermi per altri sei mesi come collaboratore a distanza in
smart working per i progetti che lo consentono. Il costo è che ogni
tanto dovrò lavorare sul fuso californiano. E il resto del mio tempo
l’ho venduto all’agenzia con cui collabora Aaron.»
«Ti sei venduto ad Aaron Spellman?!» Si porta una mano sulla
fronte. «È ancora peggio!»
«Già» ridacchio. «Aaron ne è stato felicissimo, ha detto che
chiunque sano di mente scapperebbe da Los Angeles. E poi c’è quel
particolare che è un pazzo stacanovista che mi schiavizzerà a orari
improbabili. Ma è anche grazie a lui se posso restare qui… almeno
finché qui ci sei tu.»
Olivia non dice niente. Non ci riesce, forse non vuole nemmeno.
«Prosegui con la lettura?» le suggerisco.
«No.»
«Dài, dammi fiducia! Leggi, va bene anche a saltelli se non vuoi
seguire l’ordine cronologico.»
«Perché?»
Indico il plico tra noi.
«Perché se vuoi davvero continuare con me, Liv, devi sapere in
cosa ti stai imbarcando. Sono impegnativo nelle relazioni.»
Le sottraggo con gentilezza il fascicolo e lo sfoglio fino al punto
che mi interessa. «Per esempio, senti. I contraenti decidono di vivere
insieme tra tre mesi e mezzo e individuano nell’appartamento di
Tommaso la locazione ideale per fare cose sconce.»
«Non c’è davvero scritto così!» Con uno scatto me lo ruba dalle
mani. «E poi, perché tre mesi e mezzo?»
«Perché da contratto l’inquilino non se ne va fino alla fine di
agosto. Quando gli ho ceduto il subaffitto, ero convinto di restare di
più in California» ammetto. «Ero parecchio incazzato.»
«Tommaso…»
«Anche con te, ma principalmente non con te» specifico. «La fuga
è sempre stata la mia specialità. Non va una cosa? Prendo e vado.
Faccio casini? Il mondo è grande abbastanza per ricominciare da
un’altra parte. Ma quando mi hai fatto capire di aver sbagliato tutto
quella sera, dopo che ti ho dipinta… Non darti fiducia è stato il mio
più grande errore, Liv. E io stavo morendo quando ti ho trovata nella
galleria a Los Angeles, quando ho capito che avevo fottuto tutto da
solo. Ti avrei seguita subito, quella notte in aeroporto, senza
nemmeno le valigie, avrei fatto la pazzia…»
«Non era della pazzia che avevo bisogno, e tu hai fatto bene a
restare» mi ferma. «Anche se potevi evitare tutti quegli articoli,
dopo.»
«Li avrei evitati volentieri. Non ci ero abituato neanch’io. Allyson
ha scritto in ogni dove che non c’era più niente tra di noi. Lei non sta
bene, Liv. Sta soffrendo molto per la sua rottura, e io… io stavo
soffrendo la mia.»
«Avreste potuto tentare altri modi per consolarvi» insinua. «Non ti
è mai passato per la mente?»
«Mai.»
Lei guarda in basso, non dice niente.
«Davvero» le alzo il mento con le dita, voglio che sappia quanto
sono sincero, «mai. Zero. Niente.»
«Neanche una volta?»
«No» scuoto la testa. «Non era lei che volevo. Puoi continuare a
leggere? Altrimenti lo faccio io.»
Le sottraggo dolcemente il plico.
«I contraenti sono consapevoli che la parte maschile della coppia
prima o poi si inginocchierà di fronte alla parte femminile. La parte
femminile si impegna a non fare battute sulla grandezza dello
zircone.»
A questo punto la tensione di Olivia schizza alle stelle. Si copre la
mano con la bocca.
Neanche glielo stessi chiedendo adesso!
«C’è scritto “prima o poi”» le faccio notare.
«Tommaso…»
«Ti verrà un infarto leggendo ogni punto? Perché, se è così, forse
è meglio che per ora saltiamo la parte relativa ai figli.»
«C’è anche una parte sui figli?!»
Ops.
«A me l’idea di diventare genitore piace parecchio.»
«Io non ci ho neanche mai pensato!»
«Quando sarai pronta, allora. Per me va bene quando va bene
per te.»
«Non sarò mai pronta.»
«Nel senso che preferisci tentare la strada delle adozioni?»
«No, nel senso che con i bambini faccio schifo!»
«Non è vero» obietto. «Mia sorella mi ha raccontato che in mia
assenza vi siete incontrate qualche volta per imballare scatoloni e
che Rachele è pazza di te.»
«E tu ti fidi del giudizio di una bambina di un anno?»
Ridacchio. «No, ma di quello di mia sorella sì. E comunque, se
davvero non vuoi figli, questo punto è trattabile.»
«I-io… dammi qui.» Mi ruba a sua volta il fascicolo. «Le parti bla
bla la fiducia bla bla e qualora ci fosse un’incomprensione, le parti si
impegnano a non saltare a conclusioni affrettate e a chiedere
spiegazioni in modo educato e fiducioso. Nel caso la richiesta non
andasse a buon fine la prima volta, si ritenterà l’operazione fino alla
completa eliminazione del malinteso.»
«Quanta saggezza. Non sembra nemmeno scritto da me.»
Olivia non mi bada. Divora altre righe a mente, per fermarsi su un
punto successivo.
«Rapporti con gli ex: le parti si impegnano a reazioni civili qualora
l’altro intrattenga rapporti di diplomatica cordialità con un ex. Nel
caso scaturissero delle incomprensioni, vedi punto precedente»
legge. «Cosa accidenti sono i rapporti di diplomatica cordialità? L’ha
redatto il presidente della NATO questo documento?»
«Orari dell’arte: l’arte non ha orari, ma ha sempre bisogno di
muse. La parte femminile presta il suo consenso a trasformarsi
occasionalmente in musa?»
Socchiude il plico, sospira. «Perché, più vado avanti, più le cose si
fanno folli?»
«Mi sono lasciato prendere la mano, fatina. Quattordici milioni di
scenari possibili sono davvero tanti da gestire.»
«Mica dico di no, ma…» L’occhio le cade su un’altra pagina.
«Tempo di attesa post coito prima di farsi i fatti propri?! Oddio,
Tommaso, dimmi che non lo hai scritto per davvero.»
«Invece sì, sono sensibile all’argomento. Mi piace un minimo di “ti
abbraccio, ti bacio, stai un altro secondo nuda”, dopo essere stato
dentro di te.»
«A-ehm…»
«A te non piace?»
«Sì, cioè…»
«Vuoi sperimentarlo prima di decidere?»
Mi avvicino. La afferro per i fianchi, sento la sua impazienza sotto
le dita.
«Magari una volta sola…» tentenna, «per scopi accademici.»
Sto ancora ridendo, quando mi prendo un bacio che si chiude in
uno sfarfallio di vocali. Tirandomela contro, voglio sprofondare in lei
come un marinaio impazzito per il canto delle sirene.
«Ti amo, Olivia.»
Lei si immobilizza.
Ne approfitto per afferrarla per i glutei e sollevarla verso il divano.
«Lascia che te lo dica anche dopo che abbiamo fatto l’amore. Ti
prometto che ne varrà la pena.»
Mi siedo con lei sopra a cavalcioni. Sfilarle il cardigan è un dovere
morale, toglierle la blusa un obbligo imprescindibile. I suoi leggings
domestici fanno la stessa fine sul pavimento.
In un attimo, sono libero anch’io dai jeans.
Lei completamente nuda su di me.
«È bello da essere quasi doloroso» confessa, scendendo piano.
Io, dentro di lei.
Stupefacente.
Immenso.
Le bacio la spalla nuda. «È bello perché sei tu.»
«Non ho mai detto “ti amo” a qualcuno, credendoci.»
«Te la senti di rompere questo record, oppure stai concorrendo a
un guinness tematico?»
Lei ride.
«Per me non si è mai trattato di scegliere. Sei sempre stato tu.»
Con i palmi aperti, le fermo i fianchi che dondolano su di me. «Ti
amo davvero, Olivia.»
«Lo so. Il passato sta nel passato per entrambi.» Si aggrappa ai
miei polsi. Sorride. «È una reazione civile accettabile?»
«Non c’è nessuna di cui tu debba essere gelosa» le assicuro.
«Nessuna.»
«Ci sono delle cose che vorrei contestare del contratto.»
Lo dice e ruota il bacino, portandomi nell’iperuranio delle
sensazioni preorgasmiche.
«Adesso?»
«Adesso, sì! O hai qualche problema di concentrazione, signor
Cattaneo?»
«Giusto un paio… Se non sono d’accordo, metto il veto. Orgasmo
o meno.»
«Certo. Come preferisci.»
Altra rotazione. Testa reclinata leggermente all’indietro. I capelli le
piovono dalla spalla assieme a un lamento ai limiti del pornografico.
«Sei una strega» bofonchio, «una strega cattiva.»
«Mhm… lo so! Ma i tre mesi e mezzo io non li aspetto. Voglio che
tu venga da me.»
«Dammi un altro po’ di tempo e vengo eccome…»
Lei alza gli angoli della bocca. «Okay, ma fuori!»
La intrappolo tra le braccia. «E poi?»
Olivia si preme contro il mio torace, un braccio dietro la nuca per
sostenersi, la fronte appoggiata nell’incavo del collo.
È vicina in tutti i sensi.
«Cos’è per te la felicità?»
Sono vicino pure io.
In tutti i sensi.
«Perché per me è questo, Tommaso.»
«Questo?»
«Sì» stabilisce. «Quando mi capiti tu, io sono felice.»
Sto per morire.
È una morte bellissima.
È bellissimo vederla rinunciare a ogni prudenza, è bellissimo che
si abbandoni nel piacere. E io non posso fare altro che sorreggerla e
infine scostarla e raggiungerla, stremato, inabile a qualsiasi ulteriore
contrattazione.
È lei la prima a riprendersi.
«Quindi ora mi ricordi quanto mi ami?»
Gran provocatrice che non è altro.
Reclinando la testa sul divano, la tiro a me per la vita. «Dobbiamo
cominciare a usare delle protezioni più sicure, altrimenti dovrai
rivedere il punto sui figli prima del previsto.»
Ride. «Hai ragione.»
«E prometto anche che questa risata la facciamo uscire più
spesso.»
Liv mi prende il viso tra le mani, mi trattiene come per imprimersi
ogni dettaglio di me.
«Non dovrai sforzarti molto.»
«Mi ci impegnerò comunque. Voglio darti tutto, Olivia. Tutto.»
«Io invece non voglio niente di più.»
Questo punto è da ridiscutere ma pazienza, il tempo non mi
manca.
«Ah, un’altra cosa, riguardo al contratto.»
«Cosa?»
Mi scocca un’occhiata furba. «Che lo straccio e lo riscriviamo.»
«Okay.»
«Okay?» si meraviglia. «Non protesti?»
«L’esperta sei tu.»
«Mi dai carta bianca?»
«Rischiando molto, e di questo devi darmene atto, sì. Hai carta
bianca.»
«Ottimo!» Si alza, nuda, prende una penna dalla borsa e raccoglie
dal pavimento il plico ormai spiegazzato, sul quale traccia alcuni
lunghi segni. «Ti faccio avere subito la tua copia.»
«Subito nel senso di ora?»
«Subito nel senso che l’ho già corretto. L’hai detto, sono io
l’esperta. So quello che faccio.»
E chi l’avrebbe mai detto?
Lo sa davvero.
***
«Tommaso?»
«Sto tacendo.»
«Dài, Tommaso.»
«Shhh.»
«Uff, e va bene! Sto per sedermi, parla.»
«Il contratto ha anche un allegato.»
«E cosa aspettavi a dirmelo?!»
«Aspettavo che tu fossi in piedi per prenderlo.»
«Cominciamo malissimo, signor Cattaneo! E va bene, dimmi dove
si trova questo allegato.»
«Busta di plastica.»
«Non c’è altro nella busta di plastic… oh.
Oh.
OH!
Tommaso!»
«Dimmi, amore.»
«Che accidenti… come… quando… non è possibile!»
«Per fortuna non hai tirato fuori quel plico per primo. Rischiavo di
bruciarmi l’effetto sorpresa.»
«Tommaso!»
«Ti prego di ricordare come mi fa sentire il mio nome pronunciato
da te in bilico tra rimprovero e shock. E ti prego anche di ricordare
che l’abbiamo appena fatto e che c’è bisogno di un minimo recupero,
prima di riprendere.»
«Cretino.»
«Non ti do torto.»
«Pazzo!»
«Neanche su questo ti do torto.»
«Sono bellissimi.»
«Per forza che lo sono. Ci sei disegnata sopra tu.»
«Quando…»
«Andando a memoria, il primo dovrebbe essere stato… il primo
gennaio. Comunque, come sai io dato sempre i miei schizzi, per cui
puoi controllare.»
«Sì, il primo gennaio! Dopo lo spettacolo di Massimiliano?»
«Non appena sono rincasato.»
«Ma io ero rincasata con te!»
«Infatti tu eri in bagno.»
«Oddio!»
«Non è colpa mia. È la tua faccia che ha voluto essere abbozzata
in quel momento, mentre aspettavo che tu uscissi.»
«Quanto sei scemo! L’ultimo invece è di Los Angeles? È datato tre
giorni fa.»
«L’ho fatto durante lo scalo a Washington. Attesa snervante, sedie
scomode, io raggrumato tra zaino e bagaglio, non sapevo cosa fare,
i gate non aprivano mai.»
«E gli altri in mezzo… oddio, ce ne sono tantissimi. Sono sempre
io!»
«Sei sempre tu.»
«Avrò un altarino votivo!»
«Anche no.»
«Mi merito un altarino votivo!»
«Non avrai nessun altarino votivo, signora Ranieri.»
«Perché no, io lo voglio.»
«Ora mi alzo, te li rubo e li nascondo per sempre.»
«Non puoi eliminare l’allegato! Fa parte del documento. Se lo
facessi, si annullerebbe tutto.»
«Mmm, okay allora.»
«Okay? Perché me le dai vinte tutte, oggi? Cos’hai in mente?»
«Niente.»
«Non ti credo! Dimmi cos’hai in mente.»
«Vieni qui, che te lo dico in un orecchio.»
«Sei un maniaco!»
«Lo sapevo che te ne saresti accorta, prima o poi…»
«Tommaso.»
«Eh.»
«Ora che sono in braccio tuo…»
«Nuda. Sempre nuda. Brava, i vestiti sono sopravvalutati.»
«Dicevo, ora che sono qui, e tu tanto per cambiare scambi alcune
parti anatomiche di me per antistress, me lo dici quello che hai in
mente?»
«No.»
«Che stronzo!»
«Stiamo insieme da tipo cinque minuti, e mi hai già insultato dieci
volte.»
«Stiamo insieme da tipo cinque minuti, e tu stai cercando di
portarmi a letto di nuovo.»
«Con “letto” ti riferisci al tuo singolo modello sweet but psycho?
Preferisco il divano. Dobbiamo ammobiliare questo posto.»
«Potremmo cominciare recuperando il tuo atelier dalla cantinetta
di Massimiliano.»
«Davvero?»
«Avrai pure bisogno di un posto dove posso farti da musa.»
«Oh.»
«Ho ancora gli slip color pelle, da qualche parte…»
***
Anna
FB: @annanicolettoauthor
Instagram: @anna_nicoletto
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#1 Vicini, 2018
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#2.5 Novella, prossimamente
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