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BIBLIOTHECA ARETINA 2008


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Laura Quercioli-Mincer

IL FRANKISMO NELLA CULTURA POLACCA

1.

Józef Frank - Jakub Lejbowicz - nemico nr. 1 di tutto ciò che è polacco, del Popolo
Polacco e del Libero e Indipendente Stato Polacco, polonofobo, sovversivo, è l’iniziatore del
cosiddetto movimento frankista nel territorio dello stato polacco, i cui membri in massa fingevano
di collaborare con i seguaci della fede cattolica. Il creatore di questo movimento invece lavorava
alla caduta politica della Polonia.
(da un sito Internet polacco, autunno 20071)

Diversi anni fa, durante il mio primo soggiorno di studio in Polonia, nella
Biblioteca dell’Università di Varsavia mi imbattei per la prima volta nella storia del
movimento frankista. L’incontro avvenne grazie a un opuscolo in cui venivano
schizzate brevemente le vicende dell’oscuro falso Messia di Podolia, del fastoso
battesimo suo e dei suoi seguaci, del loro singolare ingresso nelle file della nobiltà
polacca. Il volumetto, se ben ricordo ornato da riproduzioni di serigrafie d’epoca,
terminava più o meno con queste parole: «Dopo la morte di Ewa Frank la setta fondata
dal padre andò dispersa. Ogni memoria ne fu cancellata, ogni ricordo distrutto». Quando
feci ritorno a Varsavia, già dopo lo stato di guerra del 1981, potei solo constatare che in
effetti l’opuscolo era stato rimosso dal catalogo della biblioteca, e non l’ho mai più
ritrovato. Mi si perdoni la sfacciata citazione di un aneddoto personale, ma questo
piccolo episodio mi è utile per definire la questione a cui tenterò una sia pur parziale
risposta nelle pagine a seguire. L’estensore dell’opuscolo su Frank – che, nonostante
svariate ricerche, è rimasto per me anonimo – aveva ragione nel sostenere la totale
scomparsa dell’episodio frankista dalla memoria collettiva polacca? O questa memoria
– o meglio, l’insieme di fobie, timori e leggende che l’avventura di Frank ha contribuito
1
Lista żydów w zniewalanej Polsce (Elenco degli ebrei nella Polonia schiavizzata),
<www.polonica net>, grassetto nell’originale. Tutti i siti Internet citati in questo articolo sono stati visitati
nel periodo settembre-ottobre 2007. Ove non specificato diversamente, le traduzioni sono mie.
4

a creare – non ha forse continuato a giocare un ruolo nella cultura polacca ben oltre il
1816, anno della morte di Ewa, la figlia ed ‘erede’ di Frank?
L’altra domanda da porsi riguarda l’identità stessa dell’autore. Chi, fra il
pubblico o i figuranti di questo ben singolare «giocattolo di Dio»2 costituito dal
movimento frankista, avrebbe potuto desiderarne la cancellazione? Si trattava forse di
un polacco moderatamente antisemita, che sognava che l’onta dell’origine, ovvero
‘l’imbastardimento’ di parte della nobiltà polacca seguito al battesimo frankista venisse
cancellata dalla storia? O forse l’autore era un ebreo, assimilato alla cultura polacca
tanto da scrivere in questa lingua, ma non così lontano dal suo gruppo di origine da non
desiderare che non si fosse mai verificata l’onta del tradimento, il terribile tradimento
operato da Frank e dai suoi seguaci nei confronti degli altri ebrei, un tradimento che
solo per una serie di casi fortuiti non portò a una sanguinosa e forse definitiva catastrofe
dell’intero ebraismo polacco? E infine, esiste ancora qualcuno in Polonia, oggi, a cui
interessi di Jakub Frank? C’è ancor chi voglia sentir parlare dei «suoi miracoli, le sue
orge, le sue follie»3?

Il frankismo era in realtà circondato, per sua stessa essenza, da un’aura di


ermetismo. Durante il periodo del socialismo reale poi, come tutti gli altri soggetti
inerenti l’ebraismo – e forse ancor di più - , è stato avvolto da una spessa coltre di
reticenze, vergogna e silenzio. Gli studi sul frankismo hanno cominciato a moltiplicarsi
solo quando la Polonia è entrata nel novero delle nazioni democratiche. Dopo il 1989 in
Polonia hanno scritto di questo tema in particolare: Jan Doktór, uno dei più importanti
esperti di Frank nel mondo, autore di numerosi saggi e volumi e il primo ad aver edito i
testi basilari del frankismo; lo studioso di messianesimo Michał Galas dell’Università di
Cracovia, e Maria Janion, fra i massimi critici e storici della letteratura in questo paese.
Di frankismo hanno scritto anche i polacchi all’estero, come Jadwiga Maurer,
professore emerito dell’Università del Kansas, autrice di un libro che, gettando un sasso
nell’acqua stagnante della polonistica patriottarda, ha riaperto il dibattito sulle possibili

2
L’espressione è del massimo poeta del Rinascimento polacco, Jan Kochanowski. Lo storico
Norman Davies lo ha preso a titolo della sua celebre storia della Polonia, God’s Playground. I frankisti
partecipano di pieno diritto alla ‘storia sacra’ della Polonia anche nelle sue espressioni letterarie, avendo
un ruolo da comprimari in La non-divina commedia del vate romantico Zygmunt Krasiński, di cui si
parlerà oltre.
3
I. B. Singer, Shosha (1974), trad. it. di M. Biondi, Milano 1978, p. 181.
5

origini frankiste di Mickiewicz4, o Paweł Maciejko dell’Università di Chicago, autore,


fra l’altro, di una dettagliata voce su Frank per la YIVO Encyclopedia of Jews in Eastern
Europe, di futura pubblicazione presso la Yale University Press. Era nato in Polonia, ed
era riuscito a fuggirne all’alba della seconda guerra mondiale, anche Abraham Gordon
Duker, i cui studi, apparsi negli Stati Uniti in un periodo assai precedente a quello della
democratizzazione della vita pubblica in Europa centro-orientale, costituiscono un
riferimento indispensabile e continuo a qualsiasi riflessione sui rapporti fra frankismo e
polonità5.
I diversi studiosi rimarcano quanto l’impatto esercitato dal frankismo sulla
società polacca sia stato diversificato, andando dall’ammirazione suscitata dall’enorme
contributo dato alla Polonia dai discendenti dei frankisti, all’interesse per la Qabbalà e
la tradizione esoterica ebraica risvegliato dalla vicenda frankista6, all’odio e al terrore
provocato dall’idea dell’introduzione di sangue contaminato e ‘marrano’ all’interno
della collettività polacca. Ma forse ancora più importante è che il frankismo in Polonia
abbia generalmente finito per simboleggiare e riassumere l’intera sfera problematica
relativa ai neofiti - e, se vogliamo, a ogni elemento percepito come ‘diverso’ e straniero
– a alla possibilità e volontà della società polacca di accettarli e integrarli. In altre
parole, su questa questione si confrontano i sostenitori di una Polonia multietnica e
4
J. Maurer, ‘Z matki obcej...’. Szkice o powiązaniach Mickiewicz ze światem Żydów (‘Di madre
straniera…’. Schizzi sui legami di Mickiewicz con il mondo degli ebrei), Londyn 1990. Per un’esposizione
sintetica delle stesse tematiche: J. Maurer, The Omission of Jewish Topics in Mickiewicz Scholarship, in «Polin»,
5 (1990). Per un panorama della battaglia sulle origini di Mickiewicz vedi anche: L. Quercioli Mincer, La
controversia sulle origini ebraiche di Mickiewicz, in Per Mickiewicz, Atti del Convegno internazionale nel
bicentenario della nascita di Adam Mickiewicz, a cura di A. Ceccherelli – L. Marinelli – M. Piacentini – K.
Żaboklicki, Roma 2001 e The Controversy Over Mickiewicz’s Jewish Origin, in «Polin», 19 (2007).
5
Si tratta in particolare degli articoli Polish Frankism’s Duration: From Cabbalistic Judaism to
Roman Catholicism and from Jewishness to Polishness, in «Jewish Social Studies», 25 (1963) e Frankism
as a Movement of Polish-Jewish Synthesis, in Tolerance and Movements of Religious Dissent in Eastern
Europe, B. Király, ed., Boulder CO. 1975. Era ovviamente polacco Aleksander Kraushar, la cui opera
(Frank i Frankiści polscy, 1726-1816, Kraków 1895) era stata appoggiata dagli stessi frankisti più
assimilati alla società polacca, desiderosi di mitigare l’atmosfera di ostilità e sospetto nei loro confronti.
6
Posizione non condivisa da tutti gli studiosi: ad esempio J. Kalik della Hebrew University di
Gerusalemme la definisce «very problematic», in quanto l’interesse per la Qabbalà sarebbe giunto in
Polonia dall’Occidente, come ampiamente dimostrato dalle fonti, e ogni sua connessione con il frankismo
è estremamente incerta (cfr. J. Kalik, Polish Attitudes towards Jewish Spirituality in the Eighteen
Century, in «Polin», 15, 2002, p. 85). In genere sull’origine ‘non autoctona’ dell’interesse per il
misticismo ebraico negli autori polacchi e in particolare in Mickiewicz, cfr. anche J. D. Klier, Mesjanizm
żydowski w wieku Mickiewicza (Il messianismo ebraico nel periodo di Mickiewicz), in Duchowość
żydowska w Polsce. Materiały z międzynarodowej konferencji dedykowanej pamięci profesora Chone
Shmeruka, Kraków 26-28 kwietnia 1999 (La spiritualità ebraica in Polonia. Atti della conferenza in
memoria del professor Chone Shmeruk, Cracovia 26-28 aprile 1999), red. M. Galas, Kraków 2000.
6

multireligiosa, in cui apporti anche eterodossi siano possibili e auspicato, ovvero i


fautori di una Polonia etno-nazionalista, etnicamente e religiosamente uniforme, con a
unico modello la figura del ‘polacco-cattolico’. L’importanza concreta e simbolica del
frankismo in Polonia è dovuta sia allo shock causato dalla conversione di massa dei
seguaci di Frank (la prima mai avvenuta in questo paese) che alla contrapposizione,
avvenuta proprio sul frankismo, di due giganti della letteratura e del pensiero polacco: i
vati romantici Adam Mickiewicz (1798-1855) e Zygmunt Krasiński (1812-1859).

E’ stato più volte notato che la letteratura e i simboli, che costituiscono un modo
per interpretare il passato e, tramite esso, il presente, hanno un peso particolare nella
vita pubblica polacca. E’ dal momento della finis Poloniae, ovvero dalla scomparsa di
questo paese dalle carte geografiche in seguito alle spartizioni, che «ciò che avveniva
nella sfera degli eventi storici […] trovava un singolare corrispettivo nella vita
immaginativa […] e a volte erano proprio i progetti dell’immaginazione ad avere
l’impatto più forte sulla realtà»7. Come e più ancora di altri paesi privi di realtà statuale
la Polonia ottocentesca si trovò a trasferire ambizioni e sogni nella sfera della
letteratura. I modelli culturali formatisi allora continuano per buona parte a fornire la
struttura attraverso cui i polacchi contemporanei interpretano il reale; anche per questo
motivo la controversia fra questi due grandi poeti nazionali ha un carattere di
sconcertante attualità.

Il democratico e rivoluzionario Mickiewicz, che sognava una Polonia in cui vi


fosse «libertà di culto e associazione», la parola fosse «libera e liberamente
manifestata» e al «fratello maggiore» Israele venisse assicurato «rispetto, fratellanza,
auto nella via al suo bene eterno e terrestre; eguaglianza del tutto nei diritti politico-
civili»8, a prescindere da qualsiasi possibile o immaginario legame familiare nutriva
certamente nei confronti degli ebrei un interesse appassionato e spesso
appassionatamente partecipe; in antitesi al conte Krasiński, reazionario, malato di nervi

7
M. Janion, Polski korowód (Il carosello polacco), in Ead., Mity i stereotypy w dziejach Polski,
Warszawa 1991, p. 186.
8
A. Mickiewicz, Simbolo politico polacco. Il Simbolo venne redatto da Mickiewicz
contemporaneamente in italiano e in polacco, e firmato dai primi dodici membri della Legione polacca in
Italia; fu pubblicato per la prima volta a Roma nel 1848 da Propaganda Fide; in Id., Gli slavi. Preceduto
dal Libro della nazione e dei pellegrini polacchi coi documenti della Legione polacca del ’48 e gli
articoli sulla questione italiana del ’49, a cura di M. Bersano Begey, Torino 1947, p. 237.
7

e succube di un padre dittatoriale, che negli ebrei vedeva artefici di complotti,


doppiogiochisti e insorti alla guida di rivoluzioni contro il cristianesimo, la polonità e
ogni ordine prestabilito. Nell’intervista Mickiewicz: un pensatore religioso moderno,
pubblicata nel 1998 dal settimanale cattolico di Cracovia «Tygodnik Powszechny»,
forse il più importante organo della Chiesa Aperta polacca, Maria Janion così
riassumeva l’importanza di tale contrasto: «La controversia fra Mickiewicz e Krasiński
[sul ruolo degli ebrei convertiti in una futura Polonia] non si limita al periodo romantico
ma travaglia l’intero secolo XIX e XX e costituisce parte integrale del paradigma della
cultura polacca moderna. Se non ci rendiamo conto del carattere e dell’ampiezza di
questa controversia, non possiamo parlare di cultura polacca»9. Nelle prossime pagine
desidero illustrare il ruolo, a volte esplicito e a volte sottaciuto, giocato dal frankismo in
questo scontro.

Quale che sia il punto di vista adottato, non si può negare che questo movimento
presenti alcune caratteristiche inquietanti o morbose. Vale la pena rammentare che la
conversione dei frankisti risultò presto essere almeno parzialmente falsa; infatti molti
frankisti di prima generazione non avevano rinnegato l’ebraismo per il cattolicesimo,
ma, come dimostrano ampiamente i lavori di Jan Doktór, erano diventati fedeli di quella
che lo studioso definisce una «nuova religione completa», ricca di elementi sincretistici
e antinomici di entrambe le confessioni; e che molti di questi convertiti entrarono a far
parte della szlachta, la nobiltà polacca, ovvero nel centro vitale della cultura di questo
popolo. I frankisti si presentarono alla società polacca in un momento in cui essa stava
precipitando nel baratro della scomparsa statuale. Nel 1759 mancavano solo 13 anni alla
prima spartizione; alla luce della tragedia futura, il teatro macabro e fastoso della
Disputa di Leopoli acquista un carattere ancora più inquietante e luciferino.
L’attribuzione del blasone nobiliare – fieramente osteggiata da una parte della
szlachta, e operata riesumando uno statuto lituano del 1588 – fece sì che intorno ad
antiche casate dai nomi magniloquenti come Lanckoroński, o Zbitniewski blasone Orso
Nero, o Nowakowski blasone Tre Lune, cominciasse ad aleggiare l’aura del dubbio (o
meglio il foetor judaicus) un dubbio che riguardava la purezza del loro sangue, l’arianità

9
Intervista di T. Fiałkowski i M. Stala, Mickiewicz: nowożytny myśliciel religijny, ora in Ead.,
Do Europy tak, ale razem z naszymi umarłymi (In Europa sì, ma insieme ai nostri morti), Warszawa 2000.
La citazione è a p. 71.
8

del loro profili. Si può aggiungere per inciso che quella polacca è una cultura nobiliare,
ovvero essa si basa su una classe che era sì estremamente ampia rispetto alla media di
altri paesi europei, arrivando a includere oltre il 10% della popolazione, ma che, ciò non
di meno, era per sua stessa natura una casta unita e mantenuta da legami di sangue, a cui
si poteva accedere solo in virtù della nascita; un fattore questo che rese ancora più
temibile e sconcertante l’ingresso dei frankisti.

Da parte ebraica, almeno a partire dal Novecento, la bizzarra commistione fra


nobili ed ebrei e in genere la scalata di alcuni frankisti e dei lori discendenti ai vertici
sociali, è stata spesso vista con un certo compiacimento. E ciò benché, come è noto,
nella Disputa di Leopoli i frankisti fossero arrivati a sostenere la verità della più terribile
e sanguinosa accusa rivolta agli ebrei in era premoderna, l’accusa dell’omicidio rituale,
in Polonia usata a pretesto di pogrom e assassinii ancora nel secondo dopoguerra10, e
benché molti discendenti di famiglie frankiste avessero assunto atteggiamenti a volte
violentemente antisemiti e cercando a tutti i costi di distanziarsi dall’ambiente di
origine11. Mentre il giudizio sullo stesso Frank non poteva essere altro che di totale
esecrazione, il successo dei frankisti all’interno della società polacca è spesso visto
come riprova delle potenzialità ebraiche, libere di svilupparsi non appena venissero loro
garantiti uguali diritti; esso inoltre costituisce di per sé una beffa in grado di scardinare
qualsiasi principio razzistico. Questa è fra l’altro la posizione dello storico e filologo
Mateusz (Matatiahu) Mieses (1885-1942?), la cui opera più nota è il testo in due volumi
Polacy chrześcijanie pochodzenia żydowskiego (I polacchi cristiani di origine ebraica)
pubblicato nel 193812. «Dove andare a rintracciare – si domanda Mieses con una certa
ironia - quelle duemila fanciulle ebree che duecento anni fa padre Turczynowicz
convertì al cristianesimo e, sposate a uomini che appartenevano come minimo alla

10
Anche se l’ultimo processo per omicidio rituale si svolse a Kiev nel 1913, l’accusa del sangue
funse da detonatore e pretesto del pogrom di Kielce del 4 luglio 1946. Com’è noto, l’omicidio rituale è
recentemente tornato in auge grazie al controverso volume di A. Toaff Pasque di sangue (Bologna 2007);
in Polonia i sostenitori della fondatezza di tale accusa si rifanno anche alle tesi sostenute dai frankisti a
Leopoli. Cfr. per esempio l’articolo del noto pubblicista antisemita J.R. Nowak Szkalowanie kardynala
Sapiehy (La diffamazione del cardinal Sapieha), anche in
<http://ojczyznamojkraj.blog.onet.pl/2,ID213123313,index.html>.
11
Cfr G.A. Duker, Polish Frankism’s, cit., pp. 314-315.
12
Nel 1991 ne è stata pubblicata a Varsavia un’edizione molto abbreviata e corretta rispetto
l’opera originale, dal titolo Z rodu żydowskiego. Zasłużone rodziny polskie krwi niegdyś żydowskiej (Di
stirpe ebraica. Famiglie polacche benemerite dal sangue un tempo ebraico), Warszawa 1991.
9

classe media, furono madri, nonne o bisnonne di centinaia di migliaia di bravi autentici
polacchi?»13. E come d’altra parte negare l’apporto alla cultura e alla storia polacca di
casate di accertata origine frankista, come quella degli Szymanowski, in cui nascono per
esempio il generale Józef, soldato napoleonico ed eroe dell’insurrezione del 1831, e
Maria, pianista di fama internazionale e madre di Celina, la moglie di Adam
Mickiewicz (a questo elenco Mieses avrebbe potuto aggiungere anche il nome del
grande musicista Karol14), o dei Grabowski, da cui discendono il poeta della Giovane
Polonia e cantore delle montagne polacche Kazimierz Przerwa-Tetmajer e il grande
critico letterario e traduttore Tadeusz Boy-Żeleński15?

2.
- Scriverò la vita di un falso Messia che predicava che Dio vuole che la gente pecchi. Lo
stesso falso Messia si coricava con la propria figlia e con le mogli dei propri discepoli.
- Aveva un letto così largo?
- Non contemporaneamente… o forse anche tutte assieme. Era abbastanza ricco da potersi
permettere un letto grande come tutta Otwock16.

Nella letteratura ebraica e yiddish Frank non compare di frequente. Gli dedicò
un dramma imperniato sul rapporto conflittuale fra sabbatianesimo e chassidismo il
poeta Arn (Aron) Tseytlin, amico di Isaac Bashevis Singer17. Fu però proprio Singer a
subire in particolare il fascino del falso messia; la torbida commistione fra religione e
sessualità ne facevano un personaggio ideale per le sue opere e non poteva non attrarlo
anche, o forse sopratutto, il peculiare incontro fra ebrei e polacchi a cui il frankismo
aveva portato. Ne La famiglia Moskat compaiono nobili polacchi dal profilo ebraico;
nel romanzo Il mago di Lublino, il protagonista, Yasha, è l’amante della patriota
polacca Emilia, che «aveva fatto sapere a Yasha che era una Wołowski da parte di sua
madre, e pronipote del famoso frankista Elisha Shur. Sì, il sangue ebraico le scorreva
13
M. Mieses, Z rodu żydowskiego, cit., p. 34.
14
Che fu peraltro costretto a difendere la sua musica dalle accuse di influenze ebraiche (cfr. A.
G. Duker, Polish Frankism’s Duration, cit., p. 332).
15
Ivi, pp. 217-223 e 225-227.
16
I. B. Singer, Shosha, cit., p. 177.
17
Si tratta di Yankev frank: drame in zeks bilder (Jakub Frank; dramma in sei quadri), Vilne
1929. Per tutte le notizie riguardanti la letteratura yiddish sono debitrice al professor Hugh Denman
dell’Università di Londra, a cui colgo qui l’occasione di esprimere la mia profonda gratitudine.
10

nelle vene, come scorreva nelle vene di quasi tutta la nobiltà polacca». Emilia, che porta
il lutto per la fallita insurrezione del 1862, e legge con passione i romantici polacchi, era
«una bellezza polacca dagli zigomi alti, dal naso slavo, ma con neri occhi ebraici pieni
di arguzia e di passione»18.
A Frank e al frankismo Singer dedica due romanzi, ma senza grande fortuna: il
‘mago della 58° strada’, come sarà appellato lo scrittore, tratta del messia di Podolia nel
romanzo biografico Der zindiker meshiekh (Il messia peccatore, 1935-36), pubblicato a
puntate, come la maggior parte delle opere di Singer, dalla rivista newyorkese
«Forverts», e mai tradotto né apparso in forma di volume. Si tratta della prima opera di
Singer che includa personaggi polacchi e che si soffermi sulla relazione fra i due popoli.
Benché vi avesse dedicato molti sforzi e un enorme lavoro preparatorio, il risultato fu
deludente, un vero fallimento letterario, come ebbe a lamentarsi lo scrittore stesso. Il
«fallimento frankista» di Singer fu così profondo da aver contribuito se non addirittura
determinato un lungo periodo di quasi totale silenzio letterario, durato fino al 1943.
Molti anni dopo, nel romanzo Shosha, Singer si concede un successo
compensatorio grazie al suo alter ego Arn Greidinger, autore di una biografia di Frank:
«in via Krochmalna, la leggevano tutti: i ladri, le passeggiatrici, gli stalinisti della
vecchia guardia e i trotskisti neofiti. Talvolta mentre camminavo per strada sentivo i
venditori del mercato che parlavano di Jacob Frank».19 Singer tornerà al frankismo con
Der man fun khaloymes (L’uomo dei sogni), anch’esso apparso a puntate in «Forverts»
(1970-71), mai tradotto né apparso in volume. Il romanzo, che tratta dei frankisti a
Varsavia e a Lublino nel XIX secolo, ha la forma di un diario tradotto dal polacco. Così
lo riassume Hugh Denman:

The protagonist, Tuvye Yerakhmiel Alter ben Tsien Koyen, is a bigamist and womanizer
who moves between Orthodox, Frankist, Protestant, Catholic worlds and who eventually finds
peace in his marriage (in which he successfully plays the role of Borekh Leyvin, a pious and
prosperous Jewish Merchant) to Dvoyre the daughter of a Hasidic saint. Polish-Jewish relations
are explored in the figure of Mieczysław Majewski, leading Warsaw Frankist, Polish patriot and
relative of Adam Mickiewicz20.

18
I. B. Singer, Il Mago di Lublino (1971) trad. it. di B. Oddera, Milano 2006, p. 71.
19
I. B. Singer, Shosha, cit., 181.
20
In H. Denman, Guide To Yiddish Literature, di prossima uscita.
11

Resta da chiedersi come mai dalle trame così romanzesche della vita del messia
peccatore e dei suoi seguaci Singer non sia riuscito a trarre il capolavoro che sperava.
Forse il tradimento frankista, ovvero la conferma dell’accusa del sangue, era un tema
troppo scabroso persino per uno scrittore come lui, avvezzo a trattare con dei e dèmoni.

La situazione è diversa nella letteratura in polacco; l’ebreo convertito è qui una


figura ricorrente. Va peraltro notato che i classici di questa letteratura riservano agli
ebrei un trattamento assai migliore che le altre letterature coeve (e in particolare in
quella russa). A descrivere in maniera positiva i personaggi ebraici non è il solo
Mickiewicz, ma anche autori come, per restare all’Ottocento, Eliza Orzeszkowa, Maria
Konopnicka e altri. Sono peraltro numerose, sia nella letteratura polacca che in quella
yiddish ed ebraica, le storie d’amore fra rappresentanti delle due etnie. Eppure è
sintomatico il fatto che «in Polish and Jewish works alike, the romances never end in
intermarriage»21. E se al matrimonio si arriva (grazie alla conversione del partner
ebreo), l’effetto è generalmente devastante. Come notava Duker, se i matrimoni
strettamente endogamici osservati dai frankisti almeno fino alla metà dell’Ottocento
potevano giustificare le accuse di separatismo rivolte loro, quando, tramite i matrimoni
misti, essi cominciarono a fondersi alla società polacca, gli antisemiti ebbero gioco per
lamentarne il complotto antipolacco, realizzato grazie l’inquinamento della stirpe22. Di
simili fobie e dell’impossibilità di unione fra due concezioni del mondo tanto
discordanti, quanto quelle rappresentate quasi ‘ontologicamente’ da ebrei e polacchi,
fornisce una straordinaria e amara descrizione il giovane Witold Gombrowicz nel
Diario di Stefan Czarniecki pubblicato nel 193323, grottesca summa dei rapporti
interetnici in quegli anni. Il racconto, che mette ferocemente alla berlina l’esasperato
nazionalismo polacco del periodo fra le due guerre, cerca di chiarire l’«enigma» che
tormenta il giovane protagonista e narratore in prima persona Stefan Czarniecki, e che
nell’età adulta finirà per condurlo «allo sfacelo morale» (p. 25). L’enigma è quello

21
M. Opalski, I. Bartal, Poles and Jews: a Failed Brotherhood, Hanover NH 1992, p. 94.
22
A. G. Duker, Polish Frankism’s Duration, cit., p. 330.
23
W. Gombrowicz, Il Diario di Stefano Czarniecki, in Id., Bacacay. Ricordi del periodo della
maturazione, a cura di F. M. Cataluccio, trad. it. di R. Landau, Milano 2004, pp. 25-39 (I riferimenti ai
numeri di pagina saranno indicati all’interno del testo).
12

presentato dall’unione misteriosa fra il padre, nobile decaduto, «un uomo affascinante,
altero, un volto che con il suo sguardo, i suoi lineamenti, i suoi capelli grigi
personificava una razza perfetta e nobile» (ibid), e la consorte ebrea da lui detestata e
sposata per denaro, volgare e invadente, il cui corpo «traboccava da ogni dove» (p. 26).
Come tanti ebrei neofiti, alla ricerca fanatica di accettazione da parte della società
polacca e desiderosi di recidere ogni contatto con un passato percepito come degradante
e meschino, la madre nutre una religiosità furibonda e caricaturale, una vera e propria
«ingordigia» cultuale. «Più digiuni! Più preghiere! Più azioni pie!» grida nella cappella
privata, dove costringe il figlio a interminabili orazioni, facendo «sobbalzare la
pappagorgia come un tuorlo d’uovo» (p. 27). Per molti frankisti, così come per altri
convertiti, il cambio di identità religiosa era equivalso all’assunzione di posizioni di un
cattolicesimo esasperato, se non addirittura antisemite; un passaggio che spesso
avveniva «often right after the visit to the baptisimal font»24. Nella maggior parte dei
casi neanche le più fervide manifestazioni di fede e le più appassionate dichiarazioni di
polonità riuscivano però a estinguere lo stigma della razza. Come sempre «impeccabile
nella sua eleganza» così esordisce il padre di Stefan:

Credimi, mia cara. E’ un indelicatezza da parte tua. Quando ti vedo davanti all’altare con
quel tuo naso, con le tue orecchie, con le tue labbra – sono convinto che anche Cristo si sente a
disagio. Non ti nego il diritto alla religiosità – aggiungeva – anzi, una neofita è una gran bella cosa,
ma che ci vuoi fare, la natura è quella che è, non la puoi cambiare, neppure a forza di preghiere.
Ricordati il proverbio francese: ‘Dieu pardonnera, les hommes oublieront, mais le nez restera’ (p.
28).

Scrutando con ansia il volto del figlio bambino, egli vi vede un naso ariano, ma
occhi e orecchie semiti, e gli suggerisce come unica soluzione «un pogrom interiore»
(ibid.). Di fronte a tanto odio il ragazzo si chiede perplesso come mai la madre «non
sentiva ribrezzo per lui [il padre], anzi, le piaceva accarezzarlo in presenza di ospiti,
perché allora egli non si ribellava» (p. 26). La famiglia di Czarniecki potrebbe essere
ispirata a quella del già menzionato Przerwa-Tetmajer, figlio di un conte decaduto e di
una ricca frankista, autore di pamphlet antisemiti e che nel romanzo Panna Mery (La
signorina Mery, 1901) delinea un’immagine sconsolata dei matrimoni misti.

24
A. G. Duker, Frankism as a Movement, cit., p. 145.
13

La mésalliance che segue alla conversione, la contaminazione del sangue, il


contatto fisico con il diverso e il temibile «ignoto»25 che gli ebrei comunque
rappresentano suscita in molti polacchi un ribrezzo quasi metafisico. Così descrive alla
moglie i sentimenti da lei suscitati il conte Czarniecki: «Sei orrenda. Non ti rendi
neppure conto che aspetto orribile hai. Del resto, la calvizie non è che un particolare,
come il naso, ci possono essere particolari repellenti, capita anche tra gli ariani. Ma tu,
tu sei orrenda tutta, tu sei ributtante, tu stessa sei dalla testa ai piedi la personificazione
dell’orrore…» (p. 26).
Nelle pagine seguenti si parlerà di questo «orrore» e del suo radicamento nella
cultura e nella letteratura polacca; ma anche di come, in questa cultura, siano altrettanto
presenti una profonda fascinazione per l’ebraismo e una forte spinta alla fratellanza con
questo popolo. Sono due atteggiamenti simbolizzati, come già in precedenza accennato,
dalle figure titaniche di Mickiewicz e Krasiński.

4.

Vi ho detto che il nostro paese è la principale sede della più antica e misteriosa delle
nazioni, la nazione d'Israele. Io che vi parlo, polacco e compatriota dei miei fratelli d'Israele, sono
stato necessariamente chiamato a intrattenervi del Messianesimo, poiché la Provvidenza ha
intimamente legato le due nazionalità, in apparenza così straniere fra loro 26.

Adam Mickiewicz non solo sovrasta il panorama della letteratura polacca per la
capacità artistica e visionaria, per il vigore morale e la facoltà ‘profetica’, ma costituisce
anche il simbolo di una Polonia aperta, pluralista, e libera dal veleno dell’antisemitismo.
E’ a lui che si richiamano i critici e gli storici della letteratura che desiderano rinnovare
le tradizioni umanistiche di questo paese; come Jan Błoński che, nel suo celebre saggio
Autoportret żydowski (Autoritratto ebraico) fa appello allo «spirito di Mickiewicz»,
ovvero alla sua visione in cui ebrei e polacchi avrebbero potuto vivere «in stretta

25
Cfr. F. Jesi, L’accusa del sangue. Mitologie sull’antisemitismo, Brescia 1993, p. 52.
26
A. Mickiewicz, Gli slavi, cit., p. 219, lezione del 23 aprile 1844.
14

familiarità, senza turbare affatto i rispettivi spazi spirituali»27. La poesia di Mickiewicz,


che un altro grande poeta, Tadeusz Różewicz, definisce «pane» in grado di trasformarsi
«in sangue vivo della nazione», è infatti quella che, nelle parole di Maria Janion, «crea
le premesse per il dialogo ebraico-polacco»28. Alla base della particolarissima
concezione mickiewiczana dell’importanza e del valore del popolo ebraico sta il suo
interesse per il messianesimo. Vale la pena rammentare che è stato proprio Mickiewicz
colui che, più di ogni altro letterato e pensatore, ha dato forma e senso a questo
fondamentale paradigma della polonità, e al tempo stesso colui che, da appassionato
pensatore cattolico, più di ogni altro ha sottolineato affinità e connessioni spirituali fra
ebrei e polacchi, uniti da un’analoga tensione messianica29. Sempre secondo Janion, la
grandiosa capacità di visione pluralistica è, in Mickiewicz, un derivato della «matrice
frankista»; un frankismo che non è necessario far risalire a un’origine biologica
dell’artista, ma che costituisce piuttosto un «modello di pensiero»30. E’ un pensiero che
esalta gli elementi comuni alle due religioni, che proprio nel sincretismo frankista, nella
commistione di misticismo cristiano e messianesimo ebraico, avrebbero trovato una
sintesi tipicamente polacca, nazionale, familiare. Il sospetto di un’origine frankista,
forse anche diffusa ad arte dal rivale Krasińki, circondò d’altronde Mickiewicz fin dagli
inizi dell’esilio parigino. Non è questo il luogo per riassumere una lunga e spesso accesa
polemica che ancora oggi continua a infuocare gli animi, le cui ultime appendici sono
descritte nell’articolo di Irena Grudzińska-Gross. Mi limiterò ad aggiungere che
certamente frankista fu la moglie di Mickiewicz, Celina (e questo in un periodo in cui
fra i frankisti erano ancora forti le tendenze endogamiche); che suo segretario personale,

27
J. Błoński, Autoportret żydowski czyli o żydowskiej szkole w literaturze polskiej (Autoritratto
ebraico, ovvero della scuola ebraica nella letteratura polacca), pubblicato la prima volta in «Tygodnik
Powszechny», 51 (1982); ora in Id., Biedni Polacy patrzą na getto (I poveri polacchi guardano il ghetto),
Kraków 1994, p. 59.
28
M. Janion, Do Europy, tak, cit., p. 53.
29
L’influsso del messianismo ebraico su quello polacco e cattolico è più volte sottolineato da
Mickiewicz. Nella lezione del 1 luglio 1842 il poeta affermava che «la filosofia polacca si occupa al
tempo stesso di un’altra, assai importante questione. Il messianismo deve risolvere le più antiche e
complesse di tutte le questioni: quella inerente il popolo ebraico. Non invano questo popolo ha scelto
come propria patria la Polonia» e, poco più oltre, proseguiva: «Questo popolo è l’unico e il solo che non
abbia mai cessato di attendere il Messia, e questa fede non è certo stata senza influenza sul carattere del
messianismo polacco». Nella stessa lezione Mickiewicz definisce il popolo «d’Israele» come «il più
spirituale di tutti i popoli della terra, in grado di comprendere ciò che nell’umanità vi è di più sublime»
(A. Mickiewicz, Literatura słowiańska. Kurs trzeci i czwarty, La letteratura slava. Corso terzo e quarto,
trad. pol. di L. Płoszewski, in Id., Dzieła, Warszawa 1955, vol. XI, pp. 421-422).
30
M. Janion, Do Europy, tak, cit., p. 62.
15

a partire dal 1853, fu il francese Armand Lévy, discendente da una famiglia di neofiti,
ma ancora molto vicino alla causa ebraica; che il poeta morì, nel 1855, a Costantinopoli,
dove si era recato nell’intento di creare una legione ebraica che, combattendo Za
wolność waszą i naszą (Per la vostra e la nostra libertà, come suona il motto delle
insurrezioni polacche) potesse contribuire alla nascita di una nuova Polonia
indipendente. L’elenco degli enigmi ebraici nella vita e nell’opera di Mickiewicz è
ancora lungo. Ma dal nostro punto di vista il fatto più importante è forse che egli, con la
figura del cembalista Jankiel, «l’onesto ebreo [che] amava la patria come un vero
polacco», abbia creato una figura rara se non unica per i suoi tempi: un ebreo ortodosso
(«vicerabbino»), artista («vi erano molti suonatori di cembalo, / ma nessuno osava
suonare alla presenza di Jankiel»31) e fervente patriota, che dell’epos nazionale polacco
Pan Tadeusz (1834) costituisce probabilmente l’unico personaggio positivo. Il
personaggio di Jankiel, la cui ideazione è certamente frutto della «matrice frankista» di
cui parla Janion, controbilancia nella letteratura romantica polacca la presenza nefasta
dei Neofiti ritratti da Zygmunt Krasiński. Alla loro descrizione, anch’essa densa di
riferimenti frankisti, seppur in questo caso in senso solo negativo, sono dedicate le
pagine seguenti.

L’ideologia del conte Krasiński è agli antipodi della posizione inclusiva di


Mickewicz. Rampollo di un’antica casata nobiliare, figlio di un generale napoleonico,
Krasiński fu tenuto a battesimo dallo stesso Imperatore. Ma, dopo la caduta di
Napoleone, il padre passò al servizio dello zar - ovvero di uno dei più crudeli nemici
dell’indipendenza polacca – segnando in maniera indelebile il destino del figlio, di cui
così riassume la biografia Krystyna Jaworska:

Tutta la vita di Zygmunt Krasiński pare segnata da una dissonanza tra i suoi sentimenti e
le scelte che compie, piegandosi alla volontà paterna, per ottemperare ai dettami del ruolo sociale,
impossibilitato a vivere liberamente la propri esistenza, tormentato da una salute cagionevole e
dalla consapevolezza dell’approssimarsi della morte, che lo porta a un malessere profondo in cui
alle aspirazioni e alle speranze metafisiche si accompagna il dubbio della dissoluzione e
dell’abisso del nulla32

31
I. Mickiewicz, Pan Tadeusz czyli ostatni zajazd na Litwie (Pan Tadeusz ovvero l’ultimo zajazd
in Lituania), Paryż 1934; trad. it di C. Garosci, Torino 1955, pp. 344 e 340.
32
K. Jaworska, Il romanticismo dopo l’Insurrezione, in Storia della letteratura polacca, a cura
di L. Marinelli, Torino 2004, p. 243.
16

Krasiński scrive La non-divina commedia, il suo capolavoro, a soli 21 anni33. Sul


dramma, definito «uno dei migliori testi teatrali del romanticismo europeo»34 pesa in
maniera determinante l’esperienza dell’insurrezione polacca del 1831, che il giovane,
ubbidendo a un ordine paterno, aveva vissuto solo da lontano. Si è già detto che la
partecipazione di molti frankisti nelle file dell’ala radicale dell’insurrezione portò
all’acuirsi dei sentimenti antisemiti già diffusi fra la szlachta al finire del XVIII secolo,
e alla nascita dello stereotipo dell’ebreo sovversivo e rivoluzionario, alla radice di tante
catastrofi nella storia ebraica ed europea35. La non-divina commedia è una descrizione
straordinariamente potente e moderna della lotta fra rivoluzione e forze conservatrici,
impersonate dal Conte Henryk e dal plebeo Pankracy. Benché sia evidente l’identificarsi
dello scrittore con l’aristocrazia, il fascino del testo sta anche nel fatto che entrambe le
posizioni sono estremamente sfumate, e la ragione non si trova necessariamente presso
uno dei due contendenti. Sia il protagonista che il suo antagonista sono destinati alla
sconfitta, e il finale, benché sembri additare la Croce come unica soluzione ai conflitti,
lascia in realtà spazi di ambiguità e sospensione. Ma in tanta artistica complessità e
intersecarsi di piani uno solo dei vari attori del dramma – secondo lo stesso autore
fondamentale e ineliminabile dalla struttura del testo36 - non gode di alcuna attenuante.
Si tratta del «Coro dei neofiti» anonimi che costituiscono l’armata rivoluzionaria
guidata da Pankracy e del loro capo, anch’egli definito semplicemente come «il
Neofita»37 che compaiono nella parte terza dell’opera. Prima di descrivere brevemente il

33
Krasiński ha terminato di scrivere La non-divina commedia nel 1833; l’opera è stata pubblicata
nel 1835. Ne esistono due versioni italiane: La non divina commedia, a cura di M. A. Kulczycka, Proemio
di R. Pollack, Roma 1926 (le indicazioni dei numeri di pagina, che fanno riferimento a questo volume,
saranno inserite all’interno del testo), e la recente La commedia non divina, versione poetica in lingua
italiana di G. Pampiglione, introduzione di L. Masi, Roma 2006. Per la trascrizione del titolo mi attengo
alla versione proposta nel già citato saggio di K. Jaworska.
34
Da H. B. Segel, L’immagine dell’ebreo nelle letterature russa e polacca, trad. it. di G.
Covella, di prossima pubblicazione in «e-Samizdat. Rivista di culture dei paesi slavi», 3, V (2007),
<www.esamizdat.it>. A questo articolo si rimanda anche per una visione panoramica e molto positiva
della letteratura polacca nei confronti della tematica ebraica.
35
L’accusa che l’ebreo fosse il creatore e diffusore del bacillo bolscevico con cui avrebbe
distrutto la civiltà cristiana ha fornito, secondo lo storico R. Pipes dell’Università di Harvard, «the
ideological and psychological foundation of the Nazi ‘final solution’» (R. Pipes, Jews and the Russian
Revolution: A Note, in «Polin», 9, 1996, p. 54). In Polonia il mito del cosiddetto giudocomunismo
(żydokomuna) viene ancora oggi usato come giustificazione di ogni eccesso compiuto dai polacchi nei
confronti degli ebrei.
36
M. Janion, Mit założycielski polskiego antysemityzmu, cit., p. 38.
37
Przechrzta, lett. convertito; «marrano» nella traduzione di G. Pampiglione. Gli ebrei in
Krasiński non hanno nome, salvo che per uno «Jankiel» che compare in bocca al Neofita (p. 82).
17

ruolo che Krasiński attribuisce agli ebrei nella storia del mondo, è necessario fare un
passo indietro. Si è già accennato all’importanza che ebbe nella vita del poeta la figura
del padre, dispotico e adorato. E probabilmente è il padre a instillare in Zygmunt
l’amore per la Polonia tradizionale, cattolica e aristocratica, il disprezzo i movimenti
socialisti e le classi inferiori, e infine l’odio e la paura nei confronti degli ebrei,
sopratutto se convertiti. Nel 1818 il conte Wincenty Krasiński aveva pubblicato un
libello dal titolo Aperçu sur les Juifs de Pologne par un officier général polonais, nonce
à la diète in cui i frankisti sono descritti come una setta pericolosa e oscura. Per il
generale Krasiński, come sarà opinione diffusa nella pubblicistica antisemita del
Novecento, i frankisti sono la dimostrazione dell’immutabilità dell’essenza ebraica. «Un
ebreo resta sempre un ebreo», afferma citando quella che sarebbe a suo vedere una
massima dello stesso Frank. Sono essi «i nefasti convertiti, i falsi cristiani, [che]
diventeranno il vero incubo della stirpe dei Krasiński. E’ assolutamente indispensabile
smascherarli»38. Un’ulteriore ispirazione in senso antiebraico era giunta a Zygmunt dai
pressi di Montepulciano. E’ qui infatti che era nato lo studioso di lingue orientali e
sedicente semitista, l’ecclesiastico italiano Luigi Chiarini (1789-1832), fanatico
avversario del Talmud e anch’egli convinto sostenitore dell’esistenza di un complotto di
neofiti per la distruzione della cristianità. Professore all’Università di Varsavia, Chiarini
fu stimato precettore del piccolo Zygmunt e certamente contribuì alla sua ossessione
antiebraica. I guasti fatti da Chiarini in Polonia non si limitano peraltro all’influsso
nefasto esercitato su uno dei massimi poeti di questo paese: convocato come esperto
dalla Commissione per gli Ebrei attiva durante il Regno di Polonia (1815-1832),
Chiarini si impegnò affinché non venisse realizzata nessuna legge tendente
all’equiparazione giuridica degli ebrei, e concentrò i suoi sforzi nel tentativo limitare la
diffusione del detestato Talmud39. Come molti antisemiti ottocenteschi, Chiarini vedeva
nel Talmud, considerato una raccolta di insegnamenti occulti su come distruggere la
cristianità, l’epitome di ogni nequizia ebraica. «Da lui ci vengono la forza e la dolcezza,
per i cristiani amarezza e veleno», sibila Il Neofita nella Non-divina commedia.

38
M. Janion, Mit założycielski polskiego antysemityzmu, cit., pp. 18-19.
39
Cfr. ivi, pp. 23-25 e I. Schiper, Przyczynki do dziejów chasydyzmu w Polsce, Warszawa 1992,
pp. 108-109 e 118-119. Su Chiarini cfr. anche R. Marcinkowski, Luigi Chiarini (1789-1832) - An anti-
Judaistic Reformer of Judaism, in «Studia Judaica», 7 (2004), pp. 237-248.
18

Chiarini, morto nel 1832, non fece in tempo a gustare il capolavoro del suo pupillo,
dalla cui posizione ideologica avrebbe certamente tratto grande soddisfazione.

Nella Non-divina commedia i neofiti compaiono nel momento in cui stanno per
decidersi le sorti della rivoluzione. Mentre il Conte Henryk organizza la resistenza
dell’aristocrazia nel Santuario della Santissima Trinità, i rivoluzionari festeggiano
l’imminente vittoria in un accampamento eretto «fra le colline e lunghe file di pioppi»
(p. 78), bevendo e gridando: «Pane! Pane! Morte ai signori! Morte ai negozianti!» (p.
79). Il destino della civiltà europea sembra già segnato: «Il mondo s’aggira nella sua
corsa fatale: alcuni cadono, scompaiono, riappaiono, poi precipitano di nuovo, poiché il
cammino è sdrucciolevole: c’è molto sangue, sangue, sangue dappertutto. C’è molto
sangue, vi dico!» (p. 76). A capo del campo dei ribelli, Pankracy, che Mickiewicz
definisce «una sorta di sintesi fra Cromwell, Danton e Robespierre» e Danton40. Suo
servo, Il Neofita, la cui descrizione partecipa o forse anticipa la costruzione dello
stereotipo del corpo ebraico lascivo, femmineo e sgraziato, che andrà diffondendosi nel
corso di tutto l’Ottocento per trovare la sua cristallizzazione nella propaganda dei regimi
totalitari del secolo seguente: «Gli occhi di costui orientali, neri, sono ombreggiati da
lunghe ciglia; le spalle ha ricadenti, le gambe leggermente curve, il corpo appoggiato su
un fianco in atto d’indolenza, sulle sue labbra erra un non so che di voluttuoso e di
maligno» (p. 78). La contiguità magica e diabolica fra gli ebrei e l’oro, caratteristica
della figura ebraica già dal medioevo, è confermata dall’aspetto del Neofita, che «ha le
mani cariche di anelli d’oro» (ibid); egli è inoltre codardo, volgare e violento. Durante il
loro incontro il Conte si rivolge a lui col tono sprezzante che si usa coi servitori, e lo
appella «Vile mentitore della libertà» o, sarcasticamente, «Signor ebreo»; quello gli
risponde con l’intercalare yiddish «Ay way» (ahimé), spesso usato dai polacchi per
deridere gli ebrei (pp. 97, 98). Lo stesso Pankracy lo tratta in modo arrogante: «cittadino
neofita, dammi il fazzoletto» (p. 78). Con involontaria ironia, la traduttrice de La non-
divina commedia nell’edizione del 1926, l’italo-polacca Maria Antonietta Kulczycka,
avvertiva in una nota: «Da notare qui la bella descrizione del tipo di ebreo, del quale
durante quasi tutta la terza parte di questo libro sarà fatto anche un interessante ritratto
morale» (ibid). Agli ordini del Neofita il Coro composto da altri Neofiti altrettanto

40
A. Mickiewicz, Literatura słowiańska, cit., p. 81.
19

malvagi e subdoli, che forniscono alla rivoluzione armi, denaro e corde per impiccare.
Nel dramma il Neofita prende la parola la prima volta nel buio di una tenda, dove
compulsa segretamente il Talmud. Egli si rivolge quindi ai suoi «fratelli», ovvero gli
altri ebrei falsamente convertiti, incitandoli a «dissetarsi» le pagine del libro sacro
ebraico con queste parole: «Vili fratelli miei, fratelli assetati di vendetta, fratelli miei
carissimi» (p. 79). Nella descrizione di personaggi ebraici, che devono conquistare il
mondo con l’inganno e la doppiezza, Krasiński ribalta dunque le coordinate morali, e
persino l’appellativo ingiurioso di «vili» si trasforma in complimento e merito.
I Neofiti svelano immediatamente il carattere puramente fittizio della loro
conversione e, al tempo stesso, la potenza del loro complotto: «Jehova è l’unico signor
nostro. Egli ci ha dispersi sulla terra, perché noi, come anelli di un immenso rettile,
circondiamo il mondo degli adoratori della Croce, dei padroni nostri superbi, sciocchi,
ignoranti. Tre volte sputiamo su di loro, tre volte imprechiamo alla loro rovina» (Ibid).
L’importanza di questi versi nel percorso europeo e mondiale dello stereotipo
antisemita è stata rilevata recentemente da Cesare G. De Michelis. Il paragone fra gli
ebrei e il «rettile, che circonda il mondo» è l’immagine su cui si articolano i Protocolli
dei savi di Sion. Così esordisce in questo celebre falso, tuttora usato in molti paesi come
istigazione all’odio e all’omicidio, il «rappresentante di Sion»: «Ecco un disegno in cui
è raffigurato tutto il cammino che abbiamo percorso ed è indicato il piccolo spazio che
ci è rimasto da percorrere per chiudere il ciclo del serpente simbolico, quale noi
rappresentiamo il nostro popolo. Quando questo ciclo sarà definitivamente concluso,
tutti gli stati europei ne saranno serrati in forti morse»41. Si tratta del «serpente
simbolico la cui testa doveva costituire il governo degli ebrei […] e il tronco – il popolo
giudaico», come è spiegato nella Postilla del Traduttore dei Protocolli; le tappe del
serpente, i suoi «anelli», iniziarono nella Grecia di Pericle, e termineranno a
Costantinopoli, con la definitiva presa del potere mondiale da parte degli ebrei 42. Il
serpente come metafora del male è un’immagine antichissima. Ma, come dimostra De
Michelis, il modello autorefenziale dell’ebraismo come serpente venne fornito
all’estensore dei Protocolli precisamente da questo passo di Krasiński, «Viene così

41
I Protocolli dei savi di Sion, in appendice a C. G. De Michelis, Il manoscritto inesistente. I
‘Protocolli dei savi di Sion’: un apocrifo del XX secolo, Venezia 1998, pp. 247-248.
42
Ivi, pp. 286-289.
20

confermato – sostiene lo studioso – che la giudeofobia russa trae origine in buona


misura dai mitologemi di quella polacca»43. De Michelis ratifica così l’intuizione di
Duker, il quale, ribadendo che «the antisemitic uses of Frank’s prophecies have been
under-estimated by historians», indicava come «Zygmunt Krasiński’s Undivine Comedy
is one of the earliest antecedents of the Protocols of the Elders of Zion». La stessa
fabbricazione di questo terribile documento – proseguiva lo studioso americano -
originerebbe nell’interesse dimostrato dal governo russo per la vicenda frankista44.

Varie teorie sono state proposte riguardo la provenienza dell’immagine dei


Neofiti nel dramma di Krasiński. La già citata Kulczycka ci avvertiva che «Secondo una
nota profezia, tutti gli ebrei, al momento della fine del mondo, dovranno convertirsi. Per
questa ragione ne La non-divina commedia troviamo soltanto ebrei cosiddetti neofiti,
perché da poco battezzati» (pp. 78-79). Profezie sulla fine del mondo vengono citate
anche da Juliusz Kleiner nella monografia su Krasiński del 1948, e sono riproposte da
Mieczysław Inglot nel libro Postać Żyda w literaturze polskiej lat 1822-1864 (La figura
dell’ebreo nella letteratura polacca degli anni 1822-1864)45. E’ però più che lecito
supporre che l’ispirazione per il Coro dei Neofiti sia stata fornita a Krasiński
direttamente dalla sua conoscenza, anche diretta, del frankismo. Giustificano tale
interpretazione l’odio antifrankista espresso nel libro del generale Wincenty; la già
nominata e vituperata partecipazione frankista alla fallita e sanguinosa insurrezione del
1931; i numerosi riferimenti ai frankisti presenti in lettere e appunti del poeta; infine la
sua rivalità, anche politica, con Mickiewicz: «Da dove vengono le simpatie pro-
rivoluzionarie, secondo Krasiński, di Mickiewicz? Mickiewicz è ebreo [ovvero
frankista, n.d.a.], accusa Krasiński, e la rivoluzione è giudaismo»46.

La stessa Janion si sente obbligata a ritrattare una tesi precedente: «Quando


scrissi l’Introduzione a La non-divina commedia per la collana della Biblioteca

43
Ivi, p. 94.
44
G. A. Duker, Polish Frankism’s Duration, cit., p. 307, nota 112.
45
M. Inglot, Postać Żyda w literaturze polskiej lat 1822-1864, Wrocław 1999.
46
M. Bieńczyk, Wilenski debiut Juliana Klaczki (Il debutto di Julian Klaczko a Vilna), in
«Zeszyty Literackie», 28 (1989), p. 55.
21

Nazionale feci riferimento ai marrani dimenticando i frankisti. Si è trattato di un


classico lapsus mentale: capita di non vedere l’esempio che si ha a portata di mano»47.

Krasiński non è clemente con il proletariato, descritto come rozzo e sanguinario,


con le donne che «non hanno educato i figli come guerrieri» e sono state «invece amanti
di ebrei, di avvocati» (p. 148); ma a nessun altro attore di questo dramma mette in bocca
parole terribili come queste del Neofita: «Sulla libertà del disordine, sulla strage senza
fine, sulla rissa e la violenza, sulla sciocca superbia degli altri, fonderemo la forza
d’Israele! Non restano ormai che pochi potenti da abbattere! Coi loro cadaveri
copriremo i resti della Croce» (p. 80). A questo invito il Coro risponde: «La croce è ora
il nostro simbolo: l’acqua del fonte battesimale ci ha unito agli uomini. I disprezzatori
hanno creduto all’amore dei disprezzati! La libertà delle genti è divenuta la nostra legge,
il benessere del popolo il nostro scopo: i figli di Cristo hanno creduto ai figli di Caifa!»
(ibid.), dove le parole d’ordine dei movimenti socialisti mostrano la loro essenza
recondita: non si tratta altro che di trappole poste ai cristiani e ai «signori», gli ultimi
rimasti a difendere la Croce, dai «figli di Caifa», ovvero i discendenti diretti di coloro
che hanno martirizzato Gesù.

Adam Mickiewicz considerava La non-divina commedia uno dei massimi


capolavori del suo tempo, e vi dedicò ben cinque delle celebri lezioni al Collége de
France. Nella penultima di esse egli vi rivolge però anche una critica severa. Credo
valga la pena citare questo lungo brano nella sua interezza.

Ho già detto che questo dramma è interamente nazionale. L’autore vi ha toccato tutte le
problematiche del messianesimo ebraico, da noi già discusse lo scorso anno. Nel dramma egli ha
introdotto il popolo israelita, il popolo slavo, ovvero i contadini, la szlachta, il clero, ma al tempo
stesso ha descritto in maniera errata le caratteristiche di tutti i tipi nazionali. Si può dire che abbia
commesso una scelleratezza nazionale oltraggiando il carattere degli israeliti: egli mostra il popolo
d’Israele intento nell’attesa del momento opportuno per poter distruggere la szlachta e i contadini,
per portare a termine lo sterminio della cristianità. In bocca ai rappresentanti d’Israele egli ha
posto le parole più odiose e crudeli. Esistono indubbiamente fra questo popolo sette che portano
agli estremi limiti l’odio per il cristianesimo, così come fra la plebe si possono trovare singoli che
parlino con lo stesso linguaggio usato dalle associazioni di lacché e macellai presenti nel dramma;
ma non è certo possibile giudicare in tal maniera l’insieme del popolo. E’ errato spiegare in

47
M. Janion, Do Europy, tak, cit., p. 62.
22

maniera tanto avventata i verdetti della Provvidenza, poiché non è privo di motivazione
provvidenziale il fatto che gli israeliti da così tanti secoli vivano fra i polacchi, e che il loro destino
sia tanto strettamente legato a quello popolo polacco48.

Non fu solo Mickiewicz a protestare contro la visione del mondo reazionaria e


razzista proposta da Krasiński. La stigmatizzò fra gli altri l’attivista democratico Leon
Zienkowicz, lamentando che il poeta applicasse «il perpetuum stabile della razza
persino al sistema di casta»49. E’ un peccato però che oggi manuali e storie della
letteratura non indichino i riferimenti con il pensiero antisemita presenti ne la parte terza
de La non-divina commedia; ciò potrebbe contribuire a smorzarne l’impatto profondo
sulla psiche dei lettori, e, senza nulla togliere alla bellezza di questo testo, renderlo
meno nocivo. La non-divina commedia è certamente un capolavoro; ma un capolavoro,
nelle parole di Maria Janion, «con una macchia». Non è l’unico caso nelle letterature
nazionali, sia in Europa che negli Stati Uniti. In un suo articolo sulle radici
dell’antisemitismo, lo scrittore e critico Leslie Fiedler, citando una serie di grandi autori
americani che nelle loro opere hanno espresso forti sentimenti antisemiti50, si sofferma
in particolare sulla figura di Shylock, un personaggio che «vive la vita immortale di un
autentico mito, facendo leva sulla paranoia che persiste, consciamente o
inconsciamente, nel profondo della psiche di tutti gentili»51. Dopo aver narrato della
vergogna e dello spaesamento che, ai tempi della scuola, gli procurava lo studio del
Mercante di Venezia, Fiedler confessa ancor oggi di «fremere di rabbia» quando
incontra Shylock sulla carta stampata:

E continuerò infatti a trasalire, ne sono sicuro, fino a che non saranno i gentili a fremere
per aver identificato tanta ambiguità morale esclusivamente in noi. E non possiamo essere noi
ebrei ad accelerare questo processo protestando e predicando. Devono essere loro stessi ad arrivare
a capire che Shylock è il prodotto della loro colpa e della loro paura, uno stratagemma per

48
A. Mickiewicz, Literatura słowiańska, cit., pp. 109-110. Mickiewicz dedica al dramma di
Krasiński le lezioni del 24 e del 31 gennaio, del 7 e del 21 febbraio e, in parte, del 4 aprile 1843.
49
Cit. da M. Inglot, Postać Żyda, cit., p. 46.
50
L. Fiedler, Le radici dell’antisemitismo: qualche riflessione dall’Italia, in Id., Dodici passi sul
tetto. Saggi sulla letteratura e l’identità ebraica, trad. it. di M. Baiocchi, Roma 1999. Solo in ambito
statunitense, oltre ai noti esempi di Thomas S. Eliot ed Ezra Pound, Fiedler cita Edward E. Cummings,
Henry James ed Ernest Hemyngway.
51
Ivi, p. 25.
23

proiettare nell’altro, nello straniero, il male che devono sentire il bisogno di riconoscere in se
stessi52.

E’ una richiesta che riguarda dunque tutta la cultura occidentale e le sue


propaggini, una cultura fortemente basata sulla differenziazione dall’Altro, e in cui ha
giocato un ruolo identitario fondante l’evento simbolico alla base del cristianesimo: la
crocifissione con l’assenso del popolo ebraico. In tale contesto allargato il frankismo
non costituisce altro che un episodio. Eppure il suo ruolo nella storia del pensiero
antisemita polacco non è del tutto irrilevante. Elaborando tematiche care a Krasiński,
l’odio antifrankista divenne un’arma potente nella saggistica antisemita del periodo fra
le due guerre mondiali. Esse, e il loro funzionamento nella cultura e nella subcultura
polacche attuali53, sono il tema del capitolo seguente.
Vale forse la pena aggiungere al margine che il frankismo ha tuttora, in Polonia,
un funzionamento anche nella comunicazione quotidiana. Ne testimoniano alcune
spigolature, come il piccolo scandalo suscitato in certi ambienti dall’affermazione del
politico della destra ultra cattolica Piotr Naimski di essere «frankista come
Mickiewicz»54; o le recenti dichiarazioni del regista Krzysztof Zanussi, che, lodando
l’apporto frankista alla cultura polacca, avrebbe sostenuto che «la presenza dei frankisti
nella vita culturale polacca rimane sempre enorme. E nell’ambito cattolico i frankisti
sono moltissimi»55, o un’annotazione vista in Internet, quando, nel marzo del 2007, i
giornali hanno riportato la notizia che Ludwik Dorn, già presidente del Parlamento
polacco per il partito di destra PiS, si fosse «convertito per amore», ovvero per poter
sposare in chiesa la sua cattolicissima compagna. Fra i vari commenti anonimi, uno dei

52
Ivi, p. 31.
53
Per la definizione di subcultura prendo a prestito quella utilizzata da C. G. De Michelis nel
volume La giudeofobia in Russia: «per subcultura dell’antisemitismo russo intendiamo un determinato
settore dell’insieme culturale russo che non esiste autonomamente… ma che da un lato è sottoposto alle
leggi generali ed entra nel campo semantico complessivo, e dall’altro possiede la capacità di codificare le
altre subculture con un codice proprio [Zolotonosov 1995, p. 162]. La subcultura antisemita cioè
‘accumula materiale estraneo’ (immagini, principi, categorie di altre subculture), rendendolo omogeneo ai
propri fini e alle proprie ossessioni» (C. G. De Michelis, La giudeofobia in Russia. Dal libro del ‘kahal’
ai Protocolli dei savi di Sion. Con un’antologia di testi, Torino 2001, p. 16). E’ ovviamente aperta la
questione dei legami e influssi reciproci fra sub-cultura e cultura ‘alta’.
54
L’esternazione è ripresa da Blondet nell’articolo Epilogo in cronaca, in «effedieffe»,
06.09.2006, <http://www.effedieffe.com/rx.php?id=1415%20&chiave=La >.
55
P. Mattei, Intervista con Krzysztof Zanussi: ‘Jacob Frank? Un soggetto affascinante’, in «30
giorni», 2 (2002). In questa intervista il regista dichiara di aver avuto intenzione di girare un film su Jakub
Frank (cfr. <http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=286>).
24

più gentili si augurava: «Speriamo almeno che sia una conversione sincera, e non il
solito FRANKISTA!».

3.
C’è stato un periodo della cultura polacca in cui il franksimo non era una
tematica esoterica o appannaggio di letterati, in cui nessun velo di silenzio tentava di
coprirlo; anzi, si trattava di un soggetto continuamente citato, quasi alla moda. Il
frankismo è stato infatti uno degli argomenti centrali nelle tesi di pubblicisti e autori
antisemiti del ventennio fra le due guerre, di personaggi che, come è stato scritto,
potevano costituire i «padrini spirituali» della Soluzione finale di Hitler56.
Antisemitismo razziale, teoria del complotto, ossessione del sangue e della genealogia
non sono di certo esclusiva della cultura e della sub-cultura polacca; ma nella loro
dimensione specifica essi hanno, sullo sfondo, la figura minacciosa e grottesca di Jakub
Frank. Il timore - o il ribrezzo - suscitato dal frankismo costituisce il modello attraverso
cui una parte della cultura polacca si appropria della leggenda sulla congiura mondiale
ebraica; come si è visto, un filo rosso lega idealmente l’odio antifrankista ai Protocolli
dei savi di Sion. Il modello frankista inficia il valore cristiano del battesimo come
purificazione e ingresso in una nuova vita e conferma la verità già emersa dai processi
ai marrani e ai conversos nella Spagna cinquecentesca: l’ebreo rimane per sempre
ebreo, nulla può farlo mutare. L’assillante ricerca delle origini giunge in Polonia a dar
forma a una vera e propria «categoria culturale» di cui fornisce un’immagine
contemporanea e inquietante l’articolo di Irena Grudzińska-Gross in questo volume, e
non può non richiamare alla mente i processi per limpieza de sangre in voga nella
Spagna dei monarchi cattolicissimi. L’assurdità dell’Inquisizione spagnola che arrivava
a contare i due o tre quarti di sangue neo-cristiano ricorda le disquisizioni genealogiche
sulle madri dei poeti polacchi; ma la storia è spesso beffarda, e così come «it is difficult
for any Spaniard to claim that he is completely free from any tinture of Jewish blood»57,
lo stesso si può dire per gli odierni discendenti dei sarmati.

56
Th. R. Weeks, The ‘International Jewish Conspiracy’ Reaches Poland: Teodor Jeske-Choiński
and His Works, in «East European Quarterly», XXXI, 1 (1997), p. 48.
57
C. Roth, Marranos and Racial Antisemitism. A Study in Parallels, in «Jewish Social Studies»,
3 (1940), p. 248.
25

E’ probabilmente caratteristica polacca l’alleanza, suggellata nel periodo


romantico e tuttora salda, fra il tipo di razzismo che si conferma nell’odio anti frankista,
ovvero nel terrore verso gli ebrei convertiti e nella convinzione che nulla, e neanche il
battesimo, possa mutare la nefasta essenza ebraica, e la parte oscurantista della chiesa
che si riconosce nelle posizioni etno-nazionaliste, che impone il modello del polacco-
cattolico come unica forma della polonità e che, nel ventennio dell’indipendenza
polacca, si riconosceva nella politica dell’Endecja e ne venerava il leader, Roman
Dmowski.

Nel 1975, Abraham G. Duker avvertiva: «One may venture to predict that
Frankism will continue to serve as an important weapon in the armoury of
antisemitism»58. Si può dire che la previsione dello studioso statunitense si sia almeno
in parte realizzata. Il frankismo continua ad avere in Polonia sia un funzionamento
simbolico, «fantasmatico», per usare un termine caro a Maria Janion, che concreto,
presentandosi anche nelle sue reali coordinate storiche. Un esempio può esserne anche
la voce in exergo a questo articolo. Nel lungo elenco degli «Ebrei e persone di origine
ebraica dai cognomi originali, di famiglia oppure modificati» diffuso in Internet, fra le
svariate centinaia di individui e protagonisti della vita pubblica e culturale polacca
indicati come «ebrei» o «di origine ebraica» (fra cui anche alcune decine di vescovi e
preti) Frank è l’unico a non appartenere alla contemporaneità.

Nell’articolo Frankism and Its Impact on the Mutual Perceptions of Christians


and Jews in Poland Jan Doktór rileva che «in the works of propagators of antisemitism
during the inter-war period, Frankism and Frank were major themes»59. Ma cosa
avviene oggi? E’, credo, degno di nota il fatto che la circolazione della propaganda
antisemita, tanto ampia nel ventennio, non si limiti a quel periodo inquieto; che i suoi
testi maggiori vengano oggi ripubblicati e distribuiti in centinaia di librerie (e
specialmente in quelle annesse a chiese e parrocchie); che i volumi antisemiti appaiano
sugli stand della annuale Fiera degli Editori Cattolici; che tali opere vengano
propagandate da Radio Maryja e che facciano parte del bagaglio culturale esplicito di

58
A. G. Duker, Frankism as a Movement, cit., p. 153.
59
«Kwartalnik Historii Żydów», 4 (2004), p. 490.
26

partiti governativi60; è degna di nota l’aura di rispettabilità che, seppur non condivisa da
tutta la società polacca, circonda alcuni di questi autori, e in particolare il più noto e
prolifico fra loro, Feliks Koneczny (1862-1949); infine, che uno dei più ferventi
propagatori dell’opera di Koneczny, Maciej Giertych, figlio del celebre autore etno-
nazionalista Jędrzej, sia egli stesso parlamentare europeo e padre di Roman, ex ministro
alla cultura del governo polacco61.
Le espressioni di odio antiebraico in Polonia a volte sembrano sfiorare la
boutade. Come la ‘scoperta’ avvenuta nel 2006 di un discorso violentemente antisemita
dell’ecclesiastico e noto biblista Waldemar Chrostowski sul tema del dialogo con gli
ebrei. Il discorso, tenuto a porte chiuse durante un seminario formativo per cappellani
militari a Jasna Góra, era stato diffuso in Internet, senza suscitare alcuna reazione né
smentita da parte del prelato. La vicenda potrebbe sembrare forse triste ma banale, se
non fosse che padre Chrostowski ricopriva da anni il ruolo di co-presidente del
Consiglio per il Dialogo Ebraico-Polacco. Forse è altrettanto paradossale la storia del
sunnominato europarlamentare Maciej Giertych, che nel febbraio del 2007 aveva
provocato un certo clamore distribuendo fra i suoi colleghi di Bruxelles un libello
basato sulla teoria classificatoria delle civiltà ideata da Koneczny e contenente una serie
di luoghi comuni dell’antisemitismo classico – il tutto stampato, a quanto pare, a spese
della Comunità europea62.

Koneczny è probabilmente il più interessante degli autori qui trattati. Le sue idee
sul frankismo e sull’ebraismo in genere sono espresse in maniera articolata e forniscono
un ampio panorama della struttura dell’antisemitismo polacco del periodo. Ne elenco
qui i punti salienti, che trovano riscontro anche nella maggior parte dei pubblicisti della
sua formazione.

60
Come il PiS (Prawo i Sprawiedliwość, Legge e Giustizia), il partito dei fratelli Kaczyński, o la
LPR (Liga Polskich Rodzin, Lega delle Famiglie Polacche), cui afferisce Roman Giertych, ministro alla
cultura dal maggio 2006 al luglio 2007. Nel momento in cui scrivo, entrambi i partiti potrebbero essere
usciti dal governo in seguito alle elezioni dell’ottobre 2007.
61
Sulla famiglia Giertych vedi l’ampio servizio di A. Domosławski, Saga rodu Giertychów (La
saga della stirpe dei Giertych), in «Gazeta Wyborcza» (11.10 e 18.10.2002);
<http://serwisy.gazeta.pl/kraj/1,62906,1062309.html>.
62
Il testo di Civilisations at War (questo il titolo inglese del libello), è consultabile per intero in
Internet all’indirizzo <http://polish-youth.org/civilisations-at-war>.
27

1. La conversione di tutti i frankisti fu meramente strumentale e operata al fine


di ingannare i tradizionalmente «ingenui» polacchi, introducendosi in maniera
fraudolenta all’interno delle loro strutture sociali. Poiché la conversione degli ebrei è in
ogni caso unicamente finalizzata a uno scopo (distruttivo per il mondo cristiano), e non
ne modifica in alcun caso la natura, il termine frankista può venir usato in genere come
sinonimo di neofita o convertito.
2. L’accusa di omicidio rituale trova puntuale conferma nelle tesi frankiste della
Disputa di Leopoli del 1759 (su questo punto le posizioni possono differire);
3. Le ambizioni territoriali di Frank e la sua spesso sottolineata predilezione per
la Polonia indicano la nascita dei progetti di autonomia politica e territoriale ebraica in
questa terra. L’enclave frankista è il prodromo della futura Judeopolonia (una parte del
territorio polacco in cui gli ebrei avrebbero regnato riducendo i polacchi in schiavitù);
4. La partecipazione di molti frankisti nel campo dei rivoluzionari di sinistra
durante le insurrezioni polacche, e in genere l’attesa messianica ‘attiva’ messa in moto
dal frankismo testimonia della parentela intima fra ebrei e rivoluzione e conduce al
cristallizzarsi dell’immagine dell’ebreo sovversivo (socialista o comunista);
5. Grazie alla penetrazione nella società polacca e nelle file della nobiltà e grazie
al successo economico che ha arriso a molti suoi discendenti, il frankismo ha costituito
una tappa importante nel processo di conquista del mondo da parte degli ebrei; esso è di
per sé dimostrazione sufficiente dell’autenticità del complotto universale ebraico.

Molti dei documenti di cui mi servo in questa parte del presente articolo sono
stati reperiti tramite Internet. La diffusione capillare e la grande facilità di accesso
garantita dalla rete aumentano l’interesse di questi testi e il loro potenziale distruttivo.
E’ possibile accennare per inciso alla grande quantità e alla particolare virulenza dei siti
antisemiti e «patriottici» polacchi. Valga per tutti www.polonica.net, da cui ho tratto
svariate informazioni preziose. La sua home page si apre con lo slogan «La verità
contro il mondo! Contro la giudocrazia! Polonia senza giudaismo e giudei! Polska bez
żydostwa i żydzizmów!», e si chiude con l’immagine di un cappio nero e la scritta:
«Pena di morte! Pena di morte per gli assassini, i criminali, i pedofili, gli abortisti, i
depravati, i traditori, i giudocomunisti! Morte per morte!». Polonica.net, pur
rivolgendosi chiaramente a un pubblico marginale, ciò nondimeno è portavoce anche di
sentimenti diffusi in una parte, forse piccola ma comunque esistente, della società
28

polacca. E’ tramite questo sito che è stato diffuso il citato articolo di Chrostowski. Gli
autori più caldeggiati da polonica.net sono Stanisław Trzeciak, Feliks Koneczny e
Maciej Giertych.

Stanisław Trzeciak (1873-1944), prete cattolico, morto durante l’Insurrezione di


Varsavia, fu attivo in svariati campi dell’educazione e dell’assistenza sociale. Professore
di Teologia a Pietroburgo dal 1907 al 1918, fu cofondatore della Società polacca per
l’aiuto alle vittime della prima guerra mondiale, difensore di Leopoli, autore di decine
di ‘saggi scientifici’ dedicati all’ebraismo e alla massoneria. Durante la sua vita
Trzeciak, considerato uno dei massimi esperti di ebraismo in Polonia, fu circondato da
grande stima e approvazione sociale. Oggi, per quanto è possibile giudicare dal modo in
cui è composta la voce che lo riguarda nella versione polacca di Wikipedia, e dal
numero di siti che promuovono la vendita dei suoi libri (ivi compreso quello del
quotidiano «Życie Warszawy», nato come organo del Partito Operaio Polacco e uno dei
più importanti quotidiani durante il passato regime) nulla sembrerebbe essere cambiato.
Negli anni trenta Trzeciak, che aveva compiuto i suoi studi fra l’altro a
Gerusalemme, venne convocato dal Parlamento polacco in qualità di esperto di
ebraismo. Qui si realizzò il suo maggior «successo», come si esprime l’autore del lungo
articolo a lui dedicato in Wikipedia, ovvero, l’approvazione, il 1 gennaio del 1937, di
una legge che limitava fortemente la macellazione rituale e che tendeva alla sua
completa abolizione (il divieto totale sarebbe dovuto entrare in vigore nel 1939)63. Egli
va inoltre annoverato fra coloro che più fortemente sostennero l’autenticità dei
Protocolli dei savi di Sion: «in questa convinzione d’altronde non era isolato», come
nota la già citata voce polacca di Wikipedia. La posizione del prelato non si basava
tanto su documentazione di tipo filologico, quanto su una interna convinzione morale,
confermata dalla sua osservazione della realtà storica. Il suo volume Program światowej
polityki żydowskiej. Konspiracja i dekonspiracja (Il programma della politica mondiale
ebraica. Complotto e svelamento) pubblicato nel 1936, attualmente consultabile
interamente in Internet64 e riedito nel 2000 dalla casa editrice etno-cattolica Wers, è
un’esegesi e un commento del testo dei Protocolli, la cui veridicità trova, secondo

63
Su questo tema cfr. Sz. Rudnicki, Ritual Slaughter as a Political Issue, in «Polin», 7 (1992),
pp. 147-160.
64
<http://www.polonica.net/Programswiatowej-politykizydowskiej.htm>.
29

Trzeciak, puntuale conferma nella rivoluzione russa e in una serie di citazioni,


deformate in maniera generalmente grossolana, tratte da articoli di giornali o da
dichiarazioni di «rappresentanti ebrei» come Karl Marx o il noto storico Mejer Bałaban.
Inoltre Trzeciak, partendo da un accenno presente nei Protocolli riguardo l’assoluzione
impartita a Yom Kippur «di tutte le malefatte compiute dagli ebrei nei confronti dei
non-ebrei»65, elabora un lungo e ‘dotto’ capitolo dedicato alla descrizione di formule
religiose ebraiche e di brani del Talmud, alterati in modo da confermare la falsità «di
ogni dichiarazione o giuramento ebraico».
La parte centrale de Il programma della politica mondiale ebraica è dedicata al
comunismo. Nel capitolo VII, La rivoluzione e gli ebrei, l’identificazione fra
comunismo ed ebraismo è diretta e immediata: «Il bolscevismo non è una malattia
dell’anima, ma un grande imbroglio ebraico, e chi parla di comunismo senza parlare di
ebrei non ha assolutamente idea di cosa sia il comunismo, perchè comunismo e
giudaismo sono in pratica due concetti identici». Ma non solo il comunismo è un
«imbroglio ebraico»; tutte le rivolte e le agitazioni avvenute nel corso della storia sono
state fomentate ad arte dagli ebrei, che sono stati gli unici a trarne guadagno. Ogni
rivolta è un gradino in più nella strada che conduce alla loro conquista del mondo. «Il
mezzo più efficace per la conquista del potere e dei patrimoni dei popoli originari è la
rivoluzione – scrive Trzeciak, - lo vediamo bene del corso di tutte le rivolte politiche
moderne, dove gli ebrei hanno acquistato importanza e ricchezze. Ciò è confermato in
particolare dalla Russia, che gli ebrei hanno distrutta, depredata e schiavizzata, e in cui
finora governano». La sua idea di storia, fieramente avversa a ogni tipo di rivolta,
contrasta nettamente con il romanticismo eroico che contraddistingue l’autoimage e la
raffigurazione esterna dei polacchi; essa non è però espressione di una concezione
isolata, bensì, come si vedrà anche in seguito, di un’intera scuola di pensiero.
La soluzione proposta da padre Trzeciak per il problema ebraico è così delineata
al termine del già citato volume:

Sono ben lontano dal generalizzare – afferma il prelato - ovvero dal condannare il popolo
ebraico nella sua interezza, o di attribuire a tutti gli ebrei ambizioni di dominio mondiale. Ho
sempre rispettato e rispetto gli ebrei onesti, la cui attività sia utile anche alla società non ebraica.

65
C. G. De Michelis, Il manoscritto inesistente, cit., p. 288.
30

Ma se all’interno di questo popolo una percentuale così enorme ostacola le ambizioni e gli scopi
della Polonia, allora la Polonia per la propria dignità e la propria autodifesa deve inesorabilmente
eliminare questi elementi.

Nel libro di Trzeciak Jakub Frank viene nominato espressamente due volte. La
prima volta il messia di Podolia compare per ratificare gli aspetti più subdoli del
carattere ebraico:

[…] con l’astuzia, l’inganno e la truffa essi tendono allo scopo prefissato, perché, come
insegna il Talmud: «Quando la saggezza giunge all’uomo, vi giunge anche l’astuzia». Trionfa qui
dunque il principio: lo scopo giustifica i mezzi! Lo stesso principio viene sostenuto da Jakób
Lejbowicz Frank Dobrucki, che si faceva passare per messia in Polonia, e che diceva: «Dobbiamo
cavarcela con le dolci parole e con l’inganno, finché tutto non sarà in mano nostra…»

Il secondo punto è ancora più interessante, dato che Frank è iscritto direttamente
all’interno della stessa catena di trasmissione che unisce Marx a Trockij:

E’ cosa comprensibile, perchè l’ebreo Trockij e altri suoi compari così fortemente
tendevano a suscitare una rivoluzione mondiale, loro imbevuti di concetti dei Protocolli dei Savi di
Sion sapevano che l’ultimo pseudo messia Jakób Lejbowicz Frank Dobrucki, figlio di un rabbino,
dopo un tentativo non riuscito di fondare uno stato in Polonia aveva preannunciato «Ora la stella
(di Giacobbe, che contraddistingue il messia) deve trovare un modo diverso per sfondare». La
maniera per ‘sfondare’ ovvero arrivare allo scopo con la prepotenza e l’inganno grazie al
socialismo, venne indicata dal «discendente di una serie di rabbini e trasparente talmudista», Karl
Marx, come dice l’ebreo Bernard Lazare.

E’ il messianesimo pratico, nella versione di esso fornita dai Protocolli, a turbare


Trzeciak. Trzeciak del messianesimo è un grande conoscitore:

Il messianesimo è la chiave per comprendere la questione ebraica. Esso è insito


nell’anima dell’ebraismo e si riflette in tutte le sue manifestazioni esteriori, e in particolar modo
nelle sue pretese politico-sociali. Infatti il regno messianico e il comunismo mondiale, come
abbiamo visto, sono due concetti identici. Perciò gli ebrei attendono il messia con tanto ardore e
tanto alacremente lavorano all’introduzione del regime comunista. Da ciò non sono escluse le sfere
religiose, perché nel comunismo vedono la realizzazione dell’ideale messianico così come da essi
concepito.
31

L’insegnamento di Trzeciak fu di ispirazione in particolare per l’opera di Feliks


Koneczny, astro del pensiero reazionario polacco contemporaneo. Autore di alcune
decine di libri e di svariati saggi, professore all’Università di Vilna dal 1920 al ’29
(deposto per le sue critiche al maresciallo Piłsudski), il suo massimo e più noto
raggiungimento intellettuale, che godé anche di un certo riscontro a livello europeo 66, è
la creazione di una «scienza delle civiltà» tramite il cui prisma è possibile interpretare le
vicende del mondo. Ma non del genere umano: perché Koneczny rifiuta recisamente la
teoria dell’unità di base delle varie stirpi dell’homo sapiens e quindi il concetto stesso di
umanità. La ‘razza’ umana secondo Koneczny si suddivide in sette grandi civilizzazioni
storiche, impermeabili l’una alle altre: cinese, araba, turanica (ovvero russa), ebraica,
braminica, bizantina e latina. Ogni tentativo di fusione fra esse non può dare altro
risultato che un deprecato «imbastardimento».
Alla civiltà ebraica, definita «semisacrale» (civiltà sacrale sarebbe per esempio
quella braminica), Koneczny dedica quello che almeno in Polonia è forse il suo testo più
famoso, Cywilizacja żydowska (La civiltà ebraica). Interamente disponibile in Internet
grazie a un link presente nella voce su Koneczny in Wikipedia, Cywilizacja żydowska è
stato ‘scoperto’ e trascritto nell’esilio londinese (come molte altre opere di Koneczny)
da Jędrzej Giertych. Non intendo proporre una disamina dettagliata di ogni tematica
trattata in questo lungo libro (466 pagine nella versione in Internet, 1.662.171 battute) e
neanche farne un resoconto complessivo, perché questo impegno devierebbe troppo dal
tema del presente articolo; mi limiterò a proporre un florilegio di alcune delle sue
tematiche principali, che aiuterà a illustrarne il carattere scientifico e filosofico67.
Al frankismo e alla sue conseguenze Koneczny dedica due interi capitoli, il
XXX, La setta dei frankisti, e il XXXI, I primi ‘emancipati’. Ma impliciti o espliciti
riferimenti a Frank costituiscono una parte centrale anche dei capitoli XXXII, Nota
sull’omicidio rituale, XXXIII, Emancipazione e assimilazione, e XXXIV,
Judeopolonia. Nel «Kwartalnik Historii Nauki i Techniki» («Rivista di storia della

66
La traduzione inglese di forse il più presentabile fra i suoi libri porta la prefazione di Arnold
Toynbee. Si tratta di On the Plurality of Civilisations (O wielości cywilizacyj), London 1962.
67
Basandomi sulla versione scaricata da Internet
(<http://pl.wikipedia.org/wiki/Feliks_Koneczny>), i riferimenti ai numeri di pagina sono solo indicativi.
Appariranno all’interno del testo con la sigla Cż.
32

scienza e della tecnica») pubblicata dall’Accademia Polacca delle Scienze, Koneczny è


stato definito recentemente «il creatore della filosofia della storia in Polonia, un grande
pensatore cattolico, un professore universitario e un umanista nel senso più pertinente
del termine»68. Civiltà ebraica è redatto in uno stile assai sciatto ma con ambizioni
accademicheggianti; ambizioni forse non sufficienti a frenare, almeno in queste pagine,
un linguaggio quasi volgare, difficile da rendere in italiano in tutta la sua crudezza.
Koneczny non sembra però peritarsene e conclude il suo volume, terminato di scrivere a
Cracovia e datato 8.IX.1943 (sei mesi dopo la deportazione del ghetto di Cracovia,
cinque mesi dopo l’Insurrezione e la distruzione del ghetto di Varsavia) con la seguente
frase: «Ho voluto semplicemente analizzare la questione ebraica da un punto di vista
scientifico, e mi sembra che il mio lavoro costituisca il primo tentativo del genere».
Si è già detto che la cultura ebraica è definita da Koneczny «semisacrale». Essa
era infatti sacrale agli albori della sua storia, quando il suo insegnamento era tratto dalla
Bibbia; ma ha perso ogni connotazione positiva di tale qualifica dai tempi della stesura
e diffusione del Talmud (il cui solo apprendimento «è causa dell’abbassarsi del livello
intellettuale di quegli ‘studiosi’», p. 83), su cui l’autore ironizza per diverse pagine. Il
Talmud infatti insegna agli ebrei, oltre al rispetto di regole ridicole, l’odio e il disprezzo
per i «goy» (questa è l’espressione usata da Koneczny per definire i non ebrei) e
l’utilizzo di ogni sotterfugio per poter giungere al dominio del mondo. Lo studioso di
Cracovia svela anche la motivazione recondita che spinge gli ebrei ad allacciare ogni

68
Da P. Biliński, Feliks Karol Koneczny, «Kwartalnik Historii Nauki i Techniki», (2005), pp.
95-115. Può essere interessante la lettura dell’intero abstract di questo articolo, che qui riporto. «Feliks
Koneczny's (1862-1949) ideas in history and philosophy of history are well-known in today's world. Yet
there hasn't been even one thorough biography of that outstanding scholar based on an in-depth archival
query. The author's research provided the answer to the hitherto unexplained, mysteries concerning Feliks
Koneczny. After graduating from the Faculty of Philosophy at the Jagiellonian University in Krakow he
began to work as an office senior lecturer at the Academy of Arts and Sciences; since 1897, he worked at
the Jagiellonian Library. In 1919 he became an assistant professor and in 1920 a professor of the Stefan
Batory University in Vilnius. His interests moved from purely historical research to the philosophy of
history, religion and philosophy. His pioneering works dealing with the history of Russia as well as his
theory the evolution of civilizations are among his greatest achievements. Anton Hilckman, Arnold
Toynbee and Samuel Huntington widely draw upon Koneczny's works and achievements. His written
scholarly output encompassed 26 volumes, each of them being 300 to 400 pages long, not to mention
more than 300 articles, brochures and reprints. In fact not many Polish historians can pride themselves on
such an enormous scope of research, which included anthropology, sociology, philosophy, theology,
ethnology, psychology, economics, history and law. This list, impressive as it may be, fails to do justice
to the moral and personal dimension of his work. This loner by choice was the creator of Polish
philosophy of history, a major Catholic thinker, a university professor and humanist in the most
significant sense of the word» (in <http://cejsh.icm.edu.pl/cejsh/cgi-
bin/getdoc.cgi?05PLAAAA0028641>).
33

rapporto umano: semplicemente far sì che «regni l’inimicizia generale di tutti contro
tutti – e che il giudaismo tragga il massimo profitto possibile dal cristianesimo in
decadimento».
La parte maggiore del libro è però dedicata al rapporto fra ebrei e polacchi,
ovvero all’influsso distruttivo esercitato dagli ebrei sulla storia e la moralità polacca.
Nel pensiero di Koneczny, così come per il suo maestro Trzeciak, non esistono
mezze misure. Gli ebrei «hanno fatto legge del principio secondo cui favorevole a loro è
tutto ciò che è negativo per la Polonia» (p. 400).
Fra le caratteristiche della formazione Trzeciak-Koneczny-Giertych, fedelissimi
e collaboratori di Roman Dmowski, si trova la loro aderenza assoluta alle teorie
geopolitiche del leader dell’Endecja, elaborate in netta opposizione a quelle
dell’antagonista, il maresciallo Piłsudski. Secondo Dmowski l’eterno nemico della
Polonia non si trova a est ma a occidente; i polacchi devono dunque anzitutto guardarsi
dai tedeschi, e cercare l’intesa con i russi69. La vicinanza culturale fra ebrei ashkenaziti
e tedeschi può essere facilmente dimostrata, grazie alle somiglianze del linguaggio (lo
yiddish ha una forte componente di origine germanica) e all’alto livello di integrazione
di cui, per un lungo periodo, avevano goduto gli ebrei in Germania. Da qui sembra
inevitabile la conclusione che gli ebrei collaborino con i tedeschi per la caduta della
Polonia. Anche l’ostilità antitedesca di Dmowski sembrava derivare dalla sua
ossessione antiebraica: il leader dei nazionalisti polacchi era infatti animato dalla
convinzione che «l’imperialismo tedesco fosse promosso dalla massoneria e dagli
ebrei»70. Una caratteristica che accomuna ebrei e tedeschi (o meglio, secondo il lessico
di Koneczny, i «prussiani», diversi dai tedeschi meridionali e cattolici che appartengono
all’ambito della cultura latina) è l’amore per il militarismo. Le guerre sono l’ambiente
naturale ebraico, e gli ebrei sono sempre gli unici a trarne profitto. «Favorevole» alle

69
Jędrzej Giertych è stato così radicale in queste convinzioni da non voler ammettere la
colpevolezza sovietica nella strage di Katyń. Allo stesso tempo egli considera alla stregua di criminali i
membri dell’AK, l’esercito clandestino che durante la seconda guerra mondiale combatté i nazisti. La
differenza fra Dmowski e Piłsudski viene così riassunta dallo storico E. Melzer: «the view of Piłsudski
[was] characterized by an anti-Russian orientation and, originally, by the notion of the superiority of the
state over the nation; on the other hand was the view of Roman Dmowski, which was anti-German and
considered the Polish nationality as the supreme bearer of the state sovereignty» (E. Melzer, Anti-
Semitism in the Last Years of the Second Polish Republic, in Y. Gutman – E. Mendelshon – Ch. Shmeruk
– Y. Reinharz, eds., The Jews of Poland Between Two World Wars, Hanover - London 1989, p. 127).
70
A. Micewski, Roman Dmowski, Warszawa, 1971, p. 367, cit. da Y. Gutman, Polish
Antisemitism Between the Wars: An Overview, in The Jews of Poland, cit., p. 107.
34

ambizioni ebraiche e negativo per la Polonia è dunque tutto ciò che vi ha a che fare: «Il
militarismo era una strada per il potere ebraico, ma la rovina per la civiltà latina» (p.
320). Ma se Dmowski era certo che la Germania avesse smesso di costituire una
minaccia una volta che Hitler aveva fatto piazza pulita degli ebrei e dei massoni, la
stessa considerazione non vale per Koneczny e il suo maestro Trzeciak. Essi sono infatti
così convinti della comunanza ideale fra ebrei e «prussiani» da dedurne che il nazismo
stesso sia una creazione ebraica, anzi, che derivi direttamente dallo «spirito del
Talmud», dalla concezione «razzistica e tribale» della Bibbia. Koneczny dedica a questo
punto il capitolo XXXVI di Civiltà ebraica, intitolato Hitleryzm zażydzony (Hitlerismo
ingiudeato). Questa apparentemente bizzarra considerazione gli provocò alcune
inimicizie negli ambienti del NSDAP, il che non precluse peraltro allo studioso di
Cracovia, così come al suo maestro Trzeciak e al discepolo Giertych, di approvare con
vigore la politica nazista nei confronti degli ebrei (almeno fino alla soluzione finale).
Si era già accennato in precedenza a come Trzeciak considerasse le insurrezioni
perniciose alla Polonia; simile è la visione di Koneczny e di Giertych. Essa può venir
sommariamente riassunta nei termini seguenti: le rivolte vennero sobillate da ebrei e
massoni (la differenza fra i due essendo solo nominale, in quanto la massoneria è
governata dagli ebrei), finanziate dal capitale internazionale (anch’esso in mano
ebraica) e armate dai tedeschi «prussiani» (la cui cultura e la cui religione protestante
sono esse stesse zażydzone, impregnate di spirito ebraico).
Da Kościuszko a Kołłątaj fino a Piłsudski, questi solo apparenti «eroi» della
causa polacca non furono altro che marionette più o meno coscientemente manovrate
dagli ebrei, fautori della rovina della patria71.

71
La posizione di Jędrzej Giertych è illustrata nel suo libro Tragizm losów Polski (Il tragico nelle
sorti della Polonia), Warszawa 1936; ultima edizione: Krzeszowice 2005. Il sito www.jedrzejgiertych.pl
ne riporta un’interessante recensione di penna dello stesso Koneczny, apparsa nel 1937 sul settimanale
«Myśl Narodowa» (n. 24, pp. 372-373). Koneczny così riassume il contenuto del libro: «Il nostro autore
si è creato uno schema interpretativo basato sulla convinzione che la storia moderna della Polonia sia
dipesa dalle associazioni segrete, sorte (casì egli presume) già alla corte della regina Bona, e che hanno
quindi preso forma nella massoneria, sostenuta dall’ebraismo. Queste società hanno acquistato così tanto
potere che il popolo polacco non è stato in grado di tenergli capo né con la forza fisica, né con
l’intellighenzia. Esse hanno atteso alla spartizione della Polonia già dal XVII secolo (re Carlo Gustavo),
esse ci hanno imposto illusioni prussofile veramente suicide e infine hanno preparato le insurrezioni, dopo
le quali siamo sprofondati ancora più in basso». Koneczny non concorda però interamente con la tesi del
suo discepolo e la corregge nei seguenti termini: «Solo in un periodo più tardo la massoneria è finita sotto
l’influsso e quindi sotto la guida degli ebrei. Solo allora è andato stringendosi il patto fra la massoneria
(nella sua quasi interezza) e la Prussia, perché la Prussia è militarismo, è eterna minaccia di guerra, e gli
interessi economici degli ebrei esigono la guerra. E’ del tutto indubbio che le società segrete augurassero
35

Una delle ossessioni di Koneczny è la questione della Judeopolonia, ovvero la


creazione, all’interno dei confini polacchi, di uno stato ebraico, creato con l’aiuto dei
tedeschi-prussiani, dove i polacchi non sarebbero ammessi - oppure ridotti in schiavitù.
Che la leggenda nera della Judeopolonia abbia le sue origini nell’avventura
frankista è stato notato da Maria Janion, che nella già citata intervista così si esprimeva:
«Il contributo ebraico alla cultura polacca e alle lotte per l’indipendenza polacca è
enorme. Ma la partecipazione dei frankisti […] alla nostra storia e alla nostra cultura è
diventata anche, e molto presto, la motivazione dello sciagurato fantasma della
Judeopolonia, di una combriccola che complotta per la distruzione della cristianità»72.
Koneczny descrive l’apparizione di Frank nella storia polacca «nella metà del
XVIII secolo [quando] la Polonia intera era angosciata, satura del timore suscitato dagli
assassinii rituali e di conseguenza piena di disprezzo e di odio nei confronti del
Talmud». La figura di Frank è raccontata con feroce ironia. Koneczny a dir il vero
sottolinea quanto i progetti territoriali frankisti fossero frutto della sua megalomania
personale del «messia» piuttosto che espressione delle esigenze dell’intero popolo
ebraico (su questo punto egli si distanzia da Trzeciak, secondo cui Frank era un rabbino,
longa manus dell’ebraismo mondiale). «Se la questione fosse solo quella della
Judeopolonia nel mero significato politico, l’intero frankismo sarebbe per noi privo di
significato e rimarrebbe un episodio di secondo o addirittura di terz’ordine» (p. 375),
ammette Koneczny. Ma Frank è comunque una figura di primo piano nella sua
ricostruzione della storia polacca ed ebraica, tanto che l’intera questione del
messianesimo ebraico applicato alla storia è, secondo Koneczny, un derivato delle
vicende frankiste. Frank «non ebbe successori, ma dopo di lui è rimasta (soprattutto in
Polonia) la convinzione che l’arrivo del messia sia una faccenda attuale, inerente alla
storia contemporanea» (p. 116). E’ dunque da Frank che originano tutti le aspirazioni
ebraiche terrene, riassumibili con le denominazioni, spesso coincidenti, di Judeopolonia
e socialismo (ovvero comunismo). E proprio nel capitolo Judeopolonia Koneczny

alla Polonia ogni male, e che le spartizioni siano state preparate dalla grandi logge, ma ciò dipende dal
fatto che si trattava di un movimento anticattolico, e la Polonia era uno stato cattolico; il protestantesimo
invece consiste nella regiudeizzazione del pensiero europeo e da qui le sue simpatie verso gli ebrei,
andate a finire così che questo movimento è caduto sotto il dominio ebraico». Va aggiunto che sia
Kościuszko che Kołłątaj e Piłsudski condividevano l’idea di una Polonia multinazionale e multireligiosa.
72
M. Janion, Do Europy tak, cit., p. 53.
36

presenta in forma condensata una prima soluzione al problema ebraico, e in particolare


alla questione territoriale a esso relativa: «Bisogna anzitutto levar di testa agli ebrei la
loro idea statale, in altre parole tutta la sacralità della loro cultura! Ovvero bisogna
semplicemente che gli ebrei smettano di essere ebrei» (p. 401).

La Judeopolonia è ritornata a essere ultimamente il ritornello di una certa


pubblicistica polacca. Vi si dedicano in particolare il già nominato Maciej Giertych, il
prolifico pubblicista J. R. Nowak, e Andrzej Leszek Szcześniak, autore di un libro che
porta questo titolo e di una voce sulla Encyklopedia Białych Plam (Enciclopedia delle
macchie bianche - o delle lacune, ossia delle tematiche storiche e culturali rimosse dal
precedente regime)73. L’europarlamentare Maciej Giertych così lamentava nel 1997:

I piani tedesco-ebraici di costruire uno stato ebraico in terra polacca sono oggi
stranamente taciuti dalla storiografia […]. Quanti polacchi si rendono conto di che enorme
pericolo abbiamo evitato? Ma gli ebrei si dispiacciono di non aver potuto realizzare il loro sogno
di fondare la Judeopolonia. Forse per questo ci
calunniano senza sosta, per nascondere dietro l’accusa della collaborazione polacco-tedesca la loro
collaborazione con i tedeschi in funzione antipolacca. 74

La creazione della Judeopolonia è probabilmente la meta centrale di tutti gli


ebrei europei, e senza dubbio degli ebrei polacchi. «E non c’è speranza che essi
smettano di costruire la loro Judeopolonia, finché rimarrà loro una speranza di poterlo
fare – sostiene Koneczny. - Fra gli ebrei in Polonia non c’è neanche una sola
organizzazione, neanche solo raggruppamento che non abbia come scopo la
Judeopolonia» (p. 401).

73
A. L. Szcześniak, Judeopolonia - żydowskie państwo w państwie polskim (Judeopolonia – uno
stato ebraico all’interno dello stato polacco), Radom 2001. Sulla copertina, una mappa d’Europa tagliata
in due da una minacciosa macchia rossa che va dal Mar Nero al Baltico e include Odessa, Varsavia, Vilna
e Riga. La voce Judeopolonia appare in Encyklopedia Białych Plam, Radom 2000 (indirizzo Internet:
<http://www.polwen.pl/?k=Encyklopedia+%22Bia%B3ych+Plam%22>).
74
M. Giertych, Nie przemogą ! - Antykościół, antypolonizm, masoneria (Non prevarrano!
Antichiesa, antipolonismo, massoneria), Wrocław 1997; la citazione è tratta da
<http://www.kki.pl/piojar/polemiki/land/land1.html>. Giertych trova le prove della collaborazione degli
ebrei con i tedeschi per la creazione dello stato ebraico in Polonia nella notizia che, come riportato anche
dall’Encyclopaedia Judaica, dal 1939 all’aprile del 1940 i nazisti avevano pensato di creare a Lublino
una ‘riserva’ per il concentramento degli ebrei deportati dalle zone polacche occupate dalla Germania e
dalle altre zone annesse al Reich.
37

Nell’pera di Koneczny non mancano neanche annotazioni involontariamente


ironiche, come la seguente: «Il giudeologo polacco [si tratta di Trzeciak, n.d.a.]
aggiunge a queste informazioni la seguente nota: ‘Questa percorso viene loro preparato
dalla scuola di istruttori militari e sportivi a Zielonka nei pressi di Varsavia. E’ qui che
gli ebrei si preparano in maniera pianificata e sistematica a fondare il loro regno’» (p.
403).

La struttura del potere ebraico è comunque già abbastanza salda e ramificata dal
far sì che gli ebrei, non paghi di tenersi già «in tasca l’intera Polonia» (p. 369),
determinino lo svolgersi della storia europea:

La storia ci presenta fin troppi fatti che testimoniano di come la giudeizzazione delle
strutture sociali in Europa sia arrivata al punto che il potere degli ebrei supera quello di ogni
autorità statale. Durante l’affare Dreyfus il gran rabbino di Parigi Sadok Khan si rivolse al prefetto
di polizia Lepine dicendogli che, se Dreyfus fosse stato sottoposto al tribunale militare, in Francia
sarebbe scoppiata la guerra civile, e gli ebrei avevano i mezzi per farla durare. Il rabbino diceva la
verità, infatti gli ebrei dispongono in ogni paese del proprio esercito; esso è composto
dall’organizzazione socialista, sempre pronta a ubbidire a ogni cenno del capo dei suoi comandanti
ebrei. Non è stato forse proprio questo ‘esercito ebraico’ a imporre Piłsudski alla Polonia nel 1926,
e non sono state queste stesse organizzazioni socialiste a indebolire la forza militare della Francia
nel 1939? (Cż, p. 419)

Il potere ebraico non è però solamente militare; esso coinvolge tutte le sfere
dell’essere, penetra ogni angolo della vita organizzata e determina il carattere dei
rapporti interumani. Non mancano dunque osservazioni dedicate alla sfera più intima,
ovvero la sessualità. Non può stupirci la considerazione che «nessuno ama la
pornografia tanto quanto gli ebrei» (p. 430); ben più importante è il modo in cui la
mentalità pornografa ebraica è riuscita a impregnare di sé l’ambiente circostante:
«Siamo giudaizzati anche nell’interpretare i nostri rapporti sessuali. Ecco tutto in una
sola frase: ci inquinano le fonti stesse della nostra cultura […]; ma avviene anche
qualcosa di più. Spesso, molto spesso, essi esercitano appositamente la pornografia nei
confronti dei goj, per depravarci» (pp. 419 e 431).
Il giudaismo trova le strade più bizzarre e inaspettate per infiltrarsi all’interno
della società polacca:
38

La creazione di nuove espressioni, spesso stravaganti, quasi degli acrostici, non aiuta la
memoria ma la affatica, tanto più che queste bizzarrie si moltiplicano senza sosta. Sempre più
spesso capita di vedere nei giornali un gruppo di lettere enigmatiche, e non sappiamo
assolutamente di cosa si tratti. Fra non molto sarà necessario pubblicare un dizionario delle
abbreviazioni, ma ogni volta che ci imbattiamo in un simile ABCDi (abcdi), rammentiamoci che ci
stiamo giudaizzando di nostra propria volontà. Lo vediamo, lo sguardo ci si sofferma a ogni
passeggiata in città. Le nuove insegne dei negozi dei nostri celebri venditori e mercanti ne
riportano il cognome scritto tutto in minuscole. E’ una moda… giudaica, dato che l’alfabeto
ebraico non ha le lettere maiuscole (Cż, p. 432).

E’ proprio nel campo semantico delle infiltrazioni subdole e inaspettate che,


secondo Koneczny, i suoi maestri e i suoi seguaci, il frankismo dimostra tutta la sua
forza devastatrice. Non è stato tanto il messianesimo attivo di Frank e dei sui seguaci ad
aver marchiato profondamente la storia della società polacca. Lo studioso di Cracovia
liquida infatti in modo sprezzante le convinzioni «di alcuni» secondo cui Frank sarebbe
«addirittura il motore recondito della storia polacca, che, pur non essendo riuscito
ritagliarsi la sua Judeopolonia, avrebbe predisposto le spartizioni!» (p. 369). Gli ‘alcuni’
cui fa riferimento Koneczny potrebbero essere personaggi come Stanisław Kowalski,
autore di un libro intitolato Żydzi chrzczeni (Gli ebrei battezzati) pubblicato nel 1935 e
riedito nel 2000, e secondo il quale Frank, spia al soldo dei russi, avrebbe ordito insieme
a loro la Finis Poloniae. L’effetto del frankismo nella società polacca è però altrettanto
micidiale.
Non attribuendo alcun valore alla loro conversione, Koneczny può definire i
frankisti come i primi «ebrei emancipati»:

Molti frankisti iniziarono a far sfoggio di nobiltà, usando nomi e blasoni polacchi. […]
Grazie al frankismo reale o solo di facciata, gli ebrei raggiunsero in Polonia l’emancipazione
civica. Ciò ebbe inizio in Polonia assai prima che in Francia, una generazione intera prima della
rivoluzione francese (ancor prima dell’anno 1764). E’ un fatto di grandissima rilevanza, e finora
ignorato, che i frankisti sono stati i primi ‘emancipati’ in tutta Europa (Cż, 377).

L’emancipazione è, come spiega Koneczny in un altro punto del volume, un


«dono» fatto dagli ingenui «goy» agli ebrei, a cui tale generosità poco interessava.
Hanno però saputo sfruttarla, usandola ai fini del loro progetto di dominio mondiale.
39

Qualsiasi forma di emancipazione – è uno dei topoi centrali è più ribaditi del testo di
Koneczny, che anche sotto questo aspetto risulta pienamente ‘canonico’
dell’immaginario antisemita – serve solo per consentire agli ebrei una migliore
«penetrazione» nel corpo sociale polacco.
L’immagine dell’ebreo come «elemento esterno di un corpo straniero che erode
il sano tessuto sociale» e che impedisce per la sua stessa intrinseca forza corruttrice la
restaurazione «dell’ordine, della stabilità e dell’identità» all’interno di una collettività
organica, «omogenea e trasparente», è alla base dell’antisemitismo moderno, la cui
nascita è stata parallela a quella del formarsi degli stati-nazione75. Studiosi come George
Mosse, Hans Meyer, Sander L. Gilman o David Biale si sono occupati delle connessioni
fra stereotipi sessuali, nazionalismo e antisemitismo. Trascende i limiti di questo
articolo ogni considerazione suscitata dalla fobia della penetrazione ebraica,
continuamente ribadita da Koneczny: leggendo queste pagine vengono però spontanee
alla mente le assonanze fra antisemitismo e omofobia, ed è difficile non pensare agli
effetti devastanti del desiderio rimosso e trasformato in esecrazione e odio, della paura
dell’ignoto e del diverso e del sogno impronunciabile di esserne posseduti.
E’ necessario però limitarsi qui a considerazioni più semplici e razionali:
Koneczny teme la penetrazione ebraica, e di questa penetrazione i frankisti sono
l’avanguardia.

Il frankismo oggi ha forse cessato di esistere? Frank si preoccupò del mantenimento della
setta, ordinò ai suoi adepti di battezzarsi, ma allo stesso tempo vietò di sposare dei cristiani.
Sulima Przyborowski annota che i frankisti «fino agli anni quaranta del XIX secoli vivevano in
grandi gruppi... si sposavano solo fra loro e officiavano dei riti misteriosi». Nel 1893 questo
(serissimo) autore scrive che «fino a pochissimo tempo fa si sposavano solo fra loro». In base alle
mie osservazioni personali aggiungo che anche oggi (1942) non mancano famiglie da tempo
battezzate, ma interamente ebraiche dal punto di vista razziale, che controllano che i figli
mantengano la purezza della razza. A che scopo? Quel che conta non è la razza, è la tradizione
culturale. Se nel periodo del Sejm dei Quattro Anni [1798-1792, n.d.a.] in Polonia si contavano
24.000 convertiti, e costoro si sono mescolati alla società polacca senza essersi prima affrancati
dalla cultura ebraica, quante caratteristiche ebraiche, a partire da quel tempo, sono andate
penetrando nella nostra intelligenza collettiva? Quanto rifiuto del personalismo, dello storicismo, e

75
Sono definizioni di Slavoj Žižek, citate da M. Janion in Mit założycielski polskiego
antysemityzmu (Il mito fondatore dell’antisemitismo polacco), in Społeczeństwa europejskie i Holokaust,
Warszawa 2004, pp. 30-31.
40

invece quanto legalismo, quanto collettivismo? Quanto sprezzo del cattolicesimo ecc. ecc.? Alcuni
autori vanno raccogliendo gli esempi di come, durante tutto il XIX secolo, i discendenti dei neofiti
abbiano condotto la Polonia alla rovina (Cż, p. 377).

La continuità clandestina della setta frankista turbava anche Stanisław Kowalski


che, nel già citato Gli ebrei battezzati, sosteneva:

Frank non consentiva ai suoi seguaci di sciogliersi (assimilarsi) nel nuovo ambiente
(polacco), vietava loro di fraternizzare con la popolazione originaria, di sposare donne polacche
(eventualità questa favorevole ai polacchi, poiché grazie a essa il sangue polacco è stato meno
insudiciato), considerava il suo gruppo (campo) una setta a parte nonostante il battesimo, e se
stesso il messia infallibile. Tre quarti del suo campo, nonostante il terribile dispotismo di Frank,
osservava con rigore i suoi ordini. Fino all’anno 1810 i frankisti hanno costituito un gruppo di finti
neofiti impostori, estranei allo spirito e al rituale cattolico. La loro vera religione era costituita da
cerimonie e credenze sabbatiano-teosofiche. Solo pochi sapevano scrivere e parlare in polacco.
Questo esclusivismo ebraico doveva durare cent’anni; benché la quarta e la quinta generazione di
frankisti, purtroppo, abbia già iniziato a mescolarsi con i polacchi originari grazie al matrimonio -
ci sono tuttora discendenti dei frankisti che non dimenticano il loro capo spirituale e portano con
sé il suo ritratto nel portafoglio o nel portamonete 76.

Alcuni antisemiti polacchi modificarono almeno momentaneamente le loro


posizioni quando si trovarono a testimoniare la crudeltà delle persecuzioni naziste.
L’esempio più noto è quello dell’agitatrice antisemita Zofia Kossak-Szczucka, che nel
1942 decise che era ora di sospendere ‘il tempo dell’odio’ e fu fra i fondatori di Żegota,
l’associazione clandestina polacca per l’aiuto agli ebrei77. Ben diversa è la reazione di
Koneczny che, nel maggio del 1945, sottolineando di non voler modificare in nulla il
suo testo, vi aggiunge la seguente nota:

Da qualche mese siamo testimoni di come in occidente si sproni alla simpatia nei
confronti dei tedeschi e all’antipatia verso la Polonia. Per cancellare la propensione ebraica verso

76
S. Kowalski, Żydzi chrzczeni, reprint dell’edizione del 1935. Ultima edizione: Warszawa 2000.
Il capitolo da cui è tratta la citazione è consultabile all’indirizzo
<http://www.polonica.net/zydzi_chrzczeni.htm>.
77
Su Kossak-Szczucka cfr. C. Tonini, Il tempo dell’odio e il tempo della cura. Storia di Zofia
Kossak, la polacca antisemita che salvò migliaia di ebrei, Torino 2005.
41

la Germania non basterebbero due Hitler! Ce la metteranno tutta per far sì che la Germania abbia
le migliori condizioni possibili, e i polacchi le peggiori. Hanno scelto però un’altra strada. Anche
se non riusciranno resuscitare lo Stato tedesco, la vittoria del socialismo in quasi tutta Europa
garantisce loro le prospettive migliori per il presente e per il prossimo futuro. La Judeopolonia
verrà fondata dalla parte russa, la stanno già creando davanti ai nostri occhi. Come gli ebrei stessi
spesso ammettono, è proprio questo il motivo per cui si legano al bolscevismo, i sionisti in
particolare (Cż, p. 406).

E’ noto che nel ventennio fra le due guerre il governo polacco aveva tentato
varie strade per liberarsi al più presto dei suoi cittadini ebrei. Fra di esse vi era un
progetto polacco-francese mirato alla creazione di una colonia ebraica in Madagascar78.
L’antisemitismo etno-cattolico, spiritualista e ‘culturale’ della formazione Trzeciak-
Koneczny-Giertych, a cui la teoria delle civiltà elaborata da Koneczny fornisce la
necessaria copertura scientifica, si fa vanto di rifiutare soluzioni violente e radicali,
«estranee allo spirito dei Vangeli»:

Rigettiamo qualsiasi razzismo, in quanto si tratta di un atteggiamento che insulta la


morale e l’intelletto. Non disprezziamo nessuno per il fatto di essere nato ebreo. Di cosa ne ha
colpa, e che genere di merito attribuire a chi invece nell’ebraismo non ci è nato? La giustizia esige
però reciprocità e che si faccia uso di uno stesso peso. Poiché gli ebrei ci considerano alla stregua
del bestiame, è difficile supporre che ciò non faccia nascere fra di noi delle reazioni. E siamo noi a
doverci chiedere: che razza di virtù è, esser nati ebrei? (Cż, p. 459).

La questione ebraica non è solo socio-politica; essa tocca le corde più profonde
dell’essere. Risolverla equivale a ritrovare l’ordine intellettuale e morale, sottoporsi a
una sorta di radicale terapia psichiatrica. Ogni altra soluzione proposta risulta «priva di
metodo», se non ci si pone prima la questione di «come risolvere la questione ebraica,
se il nostro stesso cervello è giudaizzato? Ogni cosa sarà inutile, finché non estirpiamo
il giudaismo da noi stessi» (Cż, p. 457).
A differenza di Kossak-Szczucka, ardentemente razzista79, anche nel capitolo
conclusivo, intitolato appunto Come risolvere la questione ebraica, Koneczny rimarca
che il problema degli ebrei non è biologico ma inerente alla «civiltà» (è una sprawa

78
Vedi C. Tonini. Operazione Madagascar. La questione ebraica in Polonia 1918-1968,
Bologna 1999.
79
Cfr. C. Tonini, Il tempo dell’odio, cit., p. 82.
42

cywilizacyjna). La storia umana è da tempo guidata dallo scontro fra culture diverse; la
conclusione di Koneczny è che esso possa venir sussunto nella contrapposizione fra
civiltà ebraica e latina. La vittoria del bene si avrà solo nel momento in cui l’elemento
nocivo rappresentato dal giudaismo verrà «definitivamente» eradicato: «La lotta delle
civiltà si riduce tutta alla questione dell’ingiudeamento e del degiudeamento. Il
degiudeamento, se non è radicale, si trasforma in ingiudeamento» (Odżydzenie, jeżeli
nie jest radykalne, zamienia się w zażydzenie. Cż, p. 455). In Cywilizacja żydowska
Koneczny non specifica quali mezzi usare per la realizzazione dell’auspicato
«degiudeamento radicale».
Ma ripetiamolo: Koneczny non vuole essere confuso con il campo del razzismo
biologico di tipo «prussiano», né mescolarsi alla loro civiltà di tipo inferiore e, come
abbiamo visto, penetrata di spirito ebraico e talmudico. Nonostante tutto, agli ebrei
polacchi è offerta una possibilità di redenzione tramite il battesimo; basta che esso
venga attuato attenendosi ad alcune semplici regole.

L’ebreo degiudaizzato solo a metà è diventato senza dubbio per noi il peggior insetto
nocivo, benché abbia accettato il battesimo. Non dovrebbe essere consentito battezzare chi non
abbia prima tagliato i ponti con l’intera cultura ebraica. Nelle nostre condizioni, vale a dire nel
nostro tempo e nel nostro modo di essere, si può dire abbia abbandonato la cultura ebraica solo
l’ebreo che sia diventato nemico della massoneria e del socialismo, e ne abbia fornito
dimostrazione. Guardiamoci intorno attentamente, e riconosceremo l’infallibilità e la ‘praticità’ di
tale richiesta […]. La neutralità nei confronti del socialismo va invece interpretata come una
simpatia nascosta.
Il secondo criterio è semplice: come non sospettare di un battesimo grazie al quale
l’ebreo… abbia guadagnato? E dunque il convertito si attenga a quel mestiere che avrebbe potuto
esercitare anche senza battesimo… e il problema dei convertiti smetterà di esistere.
E quell’ebreo che non si voglia adeguare a queste richieste, farà meglio a non battezzarsi!
Ma di tutto cuore riconosciamo nostri fratelli coloro che si atterranno ai detti criteri (Cż, p. 456).
.
Vicino a queste posizioni e in parte loro precursore è lo scrittore reazionario
etno-cattolico Teodor Jeske-Choiński (1854-1920), autore di un volume intitolato
Neofiti polscy (I neofiti polacchi, 1904) dedicato in buona parte ai neofiti frankisti.
Jeske-Choiński godette ai suoi tempi di una discreta popolarità anche come autore di
romanzi storici, e molte sue opere sono tradotte in italiano. Non sono tradotti però i suoi
43

numerosi libri e libelli ferocemente antisemiti, di cui il più celebre è probabilmente


Poznaj Żyda! (Riconosci l’ebreo!, 1912). Jeske-Choiński, che pure condivide con il
nostro gruppo la teoria del complotto ebraico e il razzismo blandamente camuffato
tipico dell’etno-cattolicesimo polacco, vi differisce su due punti: 1. non sembra del tutto
convinto della realtà dell’omicidio rituale; 2. ha un atteggiamento diverso rispetto ai
frankisti, verso i quali dimostra addirittura una certa ammirazione:

Choiński's depiction of the Frankists - scrive Theodore R. Weeks - is also rather original,
not to say inconsistent with his general racist theses: The Frankists cannot be reduced to the
common denominator of usual neophytes [i.e., converts]. They were dreamers who endured misery
and persecution for their convictions. Only Frank himself was in this `company' a typical careerist
and a swindler...80.

La non coincidenza di prospettive sul frankismo fra Jeske-Choiński e la


formazione ispirata a Koneczny è dunque evidente. Choiński non solo attesta la buona
fede dei frankisti ma – entro certi limiti – testimonia della loro positiva fusione
all’interno della società polacca. Potrebbe forse essere questo il motivo per cui mentre,
come si è visto, la maggior parte dei testi canonici dell’antisemitismo del ventennio
vengono oggi ripubblicati e sono ampiamente diffusi, i libri di Choiński, che fra questi
autori era uno dei più celebri, sono difficilmente reperibili e nessuno dei suoi testi
compare in Internet81.

Numerosi altri autori vicini alla formazione Trzeciak-Koneczny-Giertych ne


hanno condiviso l’interesse ansioso e astioso nei confronti dei frankisti. Uno di questi è
Stanisław Didier, autore di Rola neofitów w dziejach Polski (Il ruolo dei neofiti nella
storia polacca, 1934), ripubblicato nel 1999 dall’editore Wers; un lungo frammento del
libro dedicato ai frankisti è consultabile in Internet82. Il più acuto avversario di Didier e
di Trzeciak fu Samuel Jakub Imber, protagonista dell’articolo di Joanna B. Michlic in

80
Th. R. Weeks, The ‘International Jewish Conspiracy’ Reaches Poland, cit., p. 43.
81
Ciò non impedisce tuttavia che la lunga voce a lui dedicata nell’edizione polacca di Wikipedia
sia interamente elogiativa e lodi anche le «coraggiose» idee dello scrittore riguardo la «complicata
questione ebraica».
82
In < http://www.naszawitryna.pl/ksiazki_110.html>.
44

questo volume, con il libro Asy czystej rasy (Assi di razza pura) del 193483. Di
frankismo avrebbe scritto anche l’ecclesiastico Józef Kruszyński (1887-1953), direttore
dell’Università Cattolica di Lublino dal 1925 al 1933, fondatore del centro di studi
biblici di quella università84, di cui mi limito a citare i titoli dei testi più diffusi, di per sé
eloquenti: Dlaczego występuję przeciwko żydom? (Perchè prendo la parola contro gli
ebrei?, 1923), Antysemityzm, Antyjudaizm, Antygoizm (Antisemitismo, antigiudaismo,
antigoysmo, 1924), Żydzi a świat chrześcijański (Gli ebrei e il mondo cristiano, 1924),
Stanisław Staszic a kwestia żydowska (Stanisław Staszic e la questione ebraica, 1925);
Talmud co zawiera i co naucza (Il Talmud, cosa contiene e cosa insegna, 1925), tutti
ripubblicati in Polonia nel corso degli ultimi anni e facilmente reperibili, anche via
Internet, tramite i maggiori distributori polacchi, o grazie alla Libreria Universitaria di
Varsavia, intitolata allo scrittore positivista e non antisemita Bolesław Prus. Nel sito
della Libreria Prus i testi di Kruszyński vengono presentati come opere scientifiche,
accurate e affidabili.
Probabilmente Kruszyński condivideva con Koneczny la sua maggiore paura.
Poiché solo la Chiesa cattolica può garantire la salvezza della cultura latina, le mire
ebraiche più ambiziose, temibili e occulte riguardano la sua stessa essenza. «La
giudeizzazione della Chiesa sarebbe il culmine dei trionfi d’Israele», scrive Koneczny; a
riprova che le sue idee non siano del tutto isolate ne troviamo una traccia nell’Italia
odierna. A coglierne il testimone è infatti l’italiano Maurizio Blondet, direttore del
giornale antisemita online «effedieffe» (e collaboratore de «L’Avvenire», «Il Giornale»
e «La Padania») che, intervistato dal mensile «30 giorni», diretto da Giulio Andreotti,
descrive la sua tesi del complotto frankista e, sulle pagine di «effedieffe», vi mette a
capo Giovani Paolo II85.
Sulla figura del papa polacco innamorato di Mickiewicz il cerchio si chiude.
Non è questo il luogo per analizzare se, e quanto, il frankismo abbia contribuito alla

83
Cfr. anche A. G. Duker, Polish Frankism’s Duration, cit., p. 331.
84
Cfr M. Galas, ‘Od kabalistycznego judaizmu do rzymskiego katolicyzmu i od żydowskości do
polskości’ – kilka uwag do historii frankizmu i jego oddziaływania na kulturę polską (‘Dal giudaismo
cabalistico al cattolicesimo romano e dall’ebraismo alla polonità’ – alcune osservazioni sulla storia del
frankismo e i suoi influssi sulla cultura polacca) in Duchowość żydowska w Polsce, cit., p. 266.
85
M. Blondet, Sul ‘complotto’ contro la Chiesa in Polonia, in «effedieffe» (31.1.2007),
<http://www.effedieffe.com/interventizeta.php?id=1696&parametro=religione>; D. Malacaria, Jacob
Frank, il Messia militante. Intervista a Maurizio Blondet, in «30 giorni», 12 (2001),
<http://www.30giorni.it/it/articolo.asp?id=4170>.
45

forma precipua del cattolicesimo polacco, o quanto radicata fosse la passione cristiana
dei frankisti, né come gli elementi messianici, cristologici e antinomici propri di questa
setta siano presenti nell’insegnamento dei maestri del chassidismo, il grande movimento
di rinnovamento religioso e sociale ebraico sorto quasi contemporaneamente all’eresia
frankista. Sono discussioni ancora aperte, che riguardano alcuni degli snodi principali
della storia degli ebrei, dell’Europa e in genere del mondo moderno.

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