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essereintegrale.com/stanchezza-difesa
Agostino Famlonga
“Vorrei iniziare questo progetto creativo che mi esprime un sacco, ma non riesco perché
sono sempre stanca”.
“So che dovrei cercare un nuovo lavoro perché questo non mi realizza, ma non posso
perché sono esausto”.
Magari hai sentito dire frasi così da un amico che ha condiviso una sua lamentela, oppure
proprio tu hai detto questo in un momento di difficoltà.
Il mio lavoro a stretto contatto con le persone mi espone quotidianamente a frasi simili.
Ho imparato con l’esperienza che ciò che si vede in superficie spesso è solo
l’apparenza di qualcosa di più profondo.
Molte volte la stanchezza acquisisce un ruolo difensivo, ovvero viene usata dalla
persona come subdola strategia di difesa.
Questo crea una contrapposizione di forze che porta facilmente in uno stallo in cui
non si procede né da una parte, né dall’altra.
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Vediamo di comprendere meglio come funziona la stanchezza da questo punto di vista.
La stanchezza non è una barriera, ma qualcosa che incontriamo nel procedere verso
qualcosa, e che ci induce a riposare. Il recupero permette di recuperare e di
procedere. Il riposo non è vissuto come una interruzione o una barriera, ma come parte
integrante del percorso.
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Si è portati a credere che quando la stanchezza superi una certa soglia, allora diventi una
barriera. Non è così.
Nel primo caso, la stanchezza può divenire una presenza costante che
semplicemente serve ad alimentare l’inconsapevolezza.
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Diventa un oggetto con cui ti tieni distratto per non rendere consapevole cosa vuoi
veramente. Non c’è tempo ed energia per esprimere chi sei, perché non lo sai, o non hai le
energie per scoprirlo (apparentemente).
Nel secondo caso, la stanchezza diventa una giustificazione per il non riuscire a procedere
verso la destinazione.
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Ecco che la stanchezza diventa una protezione che la persona usa per non fare, per non
agire.
C’è ancora una connessione con la destinazione, ma con una contrapposizione di forze:
una parte vuole, l’altra rema contro (e la stanchezza serve proprio a questo).
Il punto chiave è comprendere che una parte è consapevole, l’altra no. Il voglio è
consapevole, il non voglio è inconscio, ma entrambe queste forze sono auto-
generate.
Non sono forze esterne a noi, sono spinte contrapposte che abitano la nostra
interiorità.
La stanchezza diventa in questo modo una protezione che la persona usa per
“non fare”, per questo l’ho definita meccanismo difensivo. Non volendo fare, o avendo
paura di realizzare la meta, si aggrappa alla stanchezza, che diventa così una
protezione.
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La stanchezza viene in questo modo sia subita che generata. Si sente di subire la
stanchezza, perché è un peso che si fatica a lasciare andare. Al contempo si è fortemente
aggrappati alla stanchezza, perché ha una utilità inconscia, un “guadagno
nascosto.”
L’esperienza dice che fintanto che non si svela il guadagno nascosto, il meccanismo resta
attivo.
Il falso guadagno
Finché non si svela il guadagno nascosto, la persona troverà sempre un motivo per
stancarsi e “non fare”, ovvero non procedere verso la destinazione.
Temere la luce
C’è una frase bellissima di una poesia di Marianne Williamson che adoro perché esprime
in poche parole una verità molto profonda:
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Quando la stanchezza si è cronicizzata ed è diventata un meccanismo difensivo, scavando
si scopre questo: la stanchezza viene usata come protezione per non esporsi
verso la propria auto-realizzazione.
Grande impegno significa che molto spesso si incontrerà la fatica nel percorso, per
cui se interviene il meccanismo inconscio che abbiamo visto, è molto facile usare la
stanchezza come giustificazione, perché è quella più accessibile, pronta e subito
a disposizione, servita su un piatto d’argento.
Associato alla paura di brillare e realizzarsi c’è quasi sempre un altro meccanismo
inconscio limitante: la percezione del non meritare.
Non meritare
Abbiamo in noi una percezione interiore soggettiva che ci indica quanto
sentiamo di meritare. Lo percepiamo come un senso di merito, opposto al senso
di colpa. Tanto più ti senti in colpa, tanto meno ti senti meritevole, e viceversa.
Non entriamo qui nel dettaglio di questo meccanismo, per questo ti rimando ai corsi
dedicati.
Il punto che tengo a sottolineare qui è che per abbandonare la stanchezza hai bisogno di
acquisire merito, di sentire non solo che puoi vivere senza stanchezza, ma che meriti
di vivere in questo modo e di realizzare le tue mete auto-realizzanti.
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Se manca il senso di merito, ovvero ti senti in colpa e senti interiormente di non meritare,
le azioni che farai per contrastare la stanchezza ti faranno fare un passo avanti e uno
indietro.
Ti sottolineo ancora che siamo sempre noi a fare tutto, solo che una parte è
consapevole, l’altra no. Per questo è fondamentale prendersi una responsabilità
sempre maggiore e uscire fuori dal vittimismo.
Responsabilità
Per uscire dalla dinamica della stanchezza come meccanismo di difesa, serve essere attivi
nei confronti di essa. Invece di subirla in modo passivo, serve prendere
posizione attivamente.
Essere attivi nei confronti della stanchezza vuol dire prendersi la responsabilità di
rispondere ad essa.
Il guadagno nascosto svelato deve diventare poi una presa di posizione e una
assunzione di responsabilità.
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Il primo passo è avere un orientamento nella vita. Se non sai chi sei, non hai idea
di cosa è per te auto-realizzante, resti fermo nella condizione di distrazione, svago vuoto e
di falsi problemi.
Solo con la chiarezza di te stesso puoi dare una direzione alle tue azioni.
Ti invito quindi come primo passo a conoscere te stesso e a trovare il tuo orientamento
nella vita.
Il secondo step è riconoscere la barriera della stanchezza come tale, come una
strategia che tu hai usato con un secondo fine. Pur lamentandoti di essa, in fondo
è stata utile per uno scopo: ti ha protetto dall’esporti verso qualcosa che
temevi. Svela questo guadagno nascosto e prenditi la responsabilità di avere
agito in questo modo.
Sii disposto a lasciare andare la difesa della stanchezza: prendi posizione e scegli
di “giocare un altro gioco”.
Prendi atto che dietro il “non posso” c’è un “non voglio”, oppure un “ho
paura di…” (3)
Accogli questo timore e queste resistenze, sono parti di te, che vanno rese consapevoli
e accolte in piena accettazione. Sono emozioni messe in ombra importanti e la loro
accettazione con un pieno sentire è la chiave per andare oltre la stanchezza. Solo
accettando la paura e la resistenza, sentendole pienamente e prendendone la piena
responsabilità, puoi fare i passi per superare la barriera della stanchezza. (4)
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Una precisazione importante: superare la barriera della stanchezza non significa che
non ti stancherai mai più, che non incontrerai mai più questo vissuto. Significa che
quando lo incontri lo tratti non usandolo come scusante, e lo affronti recuperando,
con il riposo o con quello che serve per andare oltre.
Quando cammini sul tuo sentiero, la fatica di camminare fa parte integrante del
percorso stesso. Nella meta c’è la risoluzione della fatica spesa durante il cammino, e
tanto più questo è stato impegnativo, tanto maggiore sarà la soddisfazione e la
gratificazione auto-realizzante.
Te lo spiego con un esempio, derivato dalla mia esperienza in montagna. Vivo in un luogo
alpino, e l’arrampicata e l’alpinismo per me sono sia una passione che grandi insegnanti
per apprendere principi di vita da applicare anche a contesti completamente diversi.
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Per salire sulle cime bisogna camminare o arrampicare, spesso su percorsi impegnativi e
lunghi. Se hai già avuto esperienze di questo tipo ti puoi rendere conto facilmente che la
soddisfazione di arrivare in cima è proporzionale all’impegno che tu hai
messo nel tragitto.
Uno ha preso l’elicottero, è arrivato in cima in 5 minuti, bello riposato e fresco come una
rosa.
Ma interiormente? Quale dei due sarà più soddisfatto? Quale assaporerà quello
sguardo come un momento magico, di apice e di coronamento? La risposta è
ovvia e non serve approfondire.
Questo esempio per darti un messaggio importante: se stai procedendo con chiarezza nel
cammino della tua vita, incontrerai la fatica e anche la stanchezza, ma non solo non
ti ostacoleranno, ma daranno valore al tuo impegno.
Supera la stanchezza
Sia in questo articolo che nel precedente ti ho dato una serie di spunti per comprendere
alcune dinamiche fondamentali legate alla stanchezza. Come vedi l’argomento è molto
vasto, e permettimi di dire che quello che abbiamo visto qui è solo la punta dell’iceberg.
Due sono gli strumenti che ti consiglio per passare dalla teoria alla pratica:
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La dissociazione di sé e l’integrazione dell’ombra
essereintegrale.com/dissociazione
Agostino
Famlonga
Siamo nati interi, uniti. Lo siamo ancora, tutti… eppure nel nostro campo percettivo
l’esperienza di unità e di integrità è spesso preclusa. Ci sentiamo divisi interiormente,
frammentati in tante parti in contrasto e in conflitto tra di loro, e ci sentiamo separati
dal mondo e dagli altri.
Esiste una nascita biologica, fisica, ben conosciuta e documentata. Sappiamo quando
siamo nati, quanto pesavamo, come siamo stati accolti e tanti dettagli legati al venire al
mondo. Questa è la storia del nostro corpo biologico.
Esiste poi un’altra nascita, che accade sul piano interiore: il venire ad essere,
l’apparire di un io e tutti i processi evolutivi collegati a questi passaggi.
Venire al mondo
Quando veniamo al mondo nasciamo con un campo di coscienza unificato. Sia
nella gestazione in pancia che nel primo periodo di vita il neonato sperimenta il
mondo senza sentire alcun tipo di separazione. Vive e sperimenta tutto ciò che
vede, odora, sente… con un senso di profonda unione. Non si sente separato da ciò
che percepisce e sente. Percepisce e sperimenta tutto ciò che vive con un senso di
profonda e intima connessione.
Psicologicamente non esiste un “io”, non esiste un centro percettivo differenziato che
gli permette di distinguere sé stesso da ciò che sta sperimentando. Tecnicamente
possiamo dire che è in tutto ciò che vive e sperimenta. Cosa significa in concreto?
Quando un adulto sente mal di pancia, il suo vissuto è “io sento il mal di pancia”. Un
neonato, non avendo un io ancora formato, sperimenta tutto essendo ciò che vive,
senza separazione. Il neonato con il mal di pancia vive l’esperienza di essere
quell’insieme di sensazioni spiacevoli chiamate mal di pancia. Tutto viene vissuto in
questo modo: direttamente.
È un’unione “grezza”, è una fusione esistenziale con tutto ciò che viene vissuto. Il
mondo sia esteriore che interiore è vissuto con questa particolare esperienza soggettiva.
Definisco quest’esperienza “grezza” perché il neonato è completamente aperto e
in unione, ma non avendo un centro individuato ma non può riconoscerlo.
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Possiamo definire questa prima stazione di sviluppo come “essere tutto, senza
saperlo”.
La nascita di un io
Con la crescita del neonato lo sviluppo fisico prosegue, maturano nuove competenze, c’è
una crescita corporea notevole e una sempre maggiore maturazione del sistema
nervoso.
Ma cosa accade dal punto di vista interiore? Ad un certo punto accade un evento
straordinario, la nascita di un centro percettivo differenziato. Tecnicamente
viene definita: individuazione, la differenziazione interiore tra sé e ciò che è
altro da sé.
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La nascita di un “io”
Molti pensano che nasciamo già così, con un centro psicologico ben definito, ma in
realtà questa nascita psicologica è spostata nel tempo rispetto alla nascita fisica.
Generalmente accade intorno ai 5-6-7 mesi di vita, con chiare differenze individuali.
Non c’è nulla di sbagliato in questa nascita interiore, fa parte della maturazione ed
evoluzione dell’essere umano su più piani esistenziali.
Eppure, quello che normalmente accade è che con la nascita dell’io nasce anche il
senso di separazione: la sensazione soggettiva di sentirsi separati.
Non è la nascita dell’io ad essere sbagliata di per sé, ma il fatto che questo
sia diviso, ovvero che abbia delle parti dissociate (non sia completamente
integrato).
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Le parti di sé che risultano insostenibili perché troppo intense, o inaccettabili, o
non comprese, o che non sono accolte dalle figure che ci hanno accudito nella prima fase
di sviluppo, vengono spinte fuori dai confini dell’io.
Nasce con una parte consapevole e con una parte inconsapevole, inconscia,
resistita, dove sono accumulate le parti di sé non integrate.
La nascita di un io diviso
È una parte della nostra psiche che agisce con dinamiche e spinte proprie, a cui non
abbiamo diretto accesso tramite la consapevolezza, e per questo viene spesso definita
come ombra psicologica.
Come vedremo più avanti, tutta la vita può essere vista come una ricerca della
condizione di unione perduta. Ogni cosa che facciamo implicitamente ha questa
spinta come fondamento: il tentativo di ricomporre l’unione.
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L’ombra
La spaccatura dell’io in una parte consapevole e una inconscia può essere vista come
un’ombra che cala sulla propria interiorità. Un’ombra che copre alcuni
aspetti di sé non accettabili, oppure troppo intensi da sostenere, oppure
incomprensibili.
Nella realtà fisica un’ombra non fa scomparire qualcosa, ma la cela oscurando la luce
del sole. Allo stesso modo quando qualcosa viene messo nella zona d’ombra della nostra
interiorità questo non scompare, viene solo nascosto. Continua ad agire e ad
emanare i suoi effetti, anche se non è direttamente visibile sotto il riflettore della
consapevolezza.
Si crea una zona cieca interiore che impedisce di agire direttamente su alcune parti
di sé.
Più sono intensi, dolorosi e inaccettabili gli eventi e gli impulsi spinti fuori
dai confini dell’io, più è forte la resistenza nei confronti di questi aspetti
rinnegati di sé, e più è intenso il senso di separazione vissuto.
Il sentirsi separati ha la sua origine nella dissociazione da parti di sé, non nella nascita
di un centro di coscienza differenziato.
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2. Voler annientare il proprio io perché percepito come fonte di dolore e
separazione.
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soggiacente scompare e resta manifesta la verità fondamentale dell’esistenza.
Il fenomeno ricorda quello che accade durante un’eclisse: la luce del sole viene oscurata,
non viene eliminata. Durante l’eclisse viene semplicemente occultata, ma il sole
continua ad emanare la propria luce.
Allo stesso modo la dissociazione di parti di sé crea la quella spaccatura che nasconde
l’unione sottostante, come nell’eclisse.
Nasciamo con un’energia radiante, cioè che irradia. Così come un sole emette
luce partendo da sé e questa fa risplendere ciò che tocca, allo stesso modo l’individuo,
essendo completo e integro in sé, emana la sua energia e irradia ciò che incontra.
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Essere completi emana un’energia radiante
E questa configurazione è destinata a fallire in partenza, non può avere successo: non ci
sarà mai nulla fuori che può riempire il vuoto dentro.
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La separazione crea un’energia del vuoto che assorbe energia per sanare l’incompletezza
Come un buco nero attrae a sé e fagocita tutto ciò che gli orbita intorno, allo stesso
modo l’incompletezza si alimenta delle energie di ciò con cui entra in
contatto. Un buco nero cresce grazie a ciò che lo alimenta. Allo stesso modo
l’incompletezza alimentata tramite l’energia del vuoto non scompare, ma si
rinforza sempre di più. La separazione cresce e si rinforza invece che sanarsi.
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Proiezioni
La dissociazione è una mancata integrazione di parti di sé, non accettate, non
riconosciute o troppo intense per essere sostenute consapevolmente. Quando queste
parti di sé rinnegate vengono spinte fuori dal confine dell’io, ecco che si innesca un
processo psicologico particolare: la proiezione di queste parti di sé all’esterno,
su persone, cose ed eventi della vita.
Ciò che ci accade e le persone e gli eventi con cui interagiamo non vengono vissuti in
modo neutro, ma vengono distorti da questo meccanismo proiettivo. Non vediamo la
realtà per quella che è, ma la vediamo colorata dalle parti di noi stessi che
non riconosciamo come nostre.
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La proiezione agisce come un filtro che colora la realtà percepita
Cerchiamo di comprendere questo passaggio con un esempio: incontri una persona per
strada che ti guarda, magari per un tempo più lungo del “normale”. Di per sé è un
evento neutro, qualcosa che è accaduto e non ha un significato intrinseco. Se però è
attivo il meccanismo proiettivo ecco che potresti vivere questo sguardo in modo
tutt’altro che neutro. Potresti viverlo con l’interpretazione del tipo “mi sta giudicando”.
Oppure “mi sta sfidando”, oppure… “vuole farmi del male”. In realtà quello che è
accaduto è che stai vedendo su questo gesto una tua ombra proiettata: il tuo
giudicare, il tuo atteggiamento di sfida o il tuo impulso all’aggressione. Non
riconoscendoli in te li vedi fuori da te e li percepisci come reali.
Come vivrai questo evento dipende da cosa proietti sulla realtà che esperisci. Quello
che proietti è determinato da ciò che non hai integrato in te, dalle tue
ombre piscologiche.
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La realtà funge da specchio: mostra le parti di sé messe in ombra
Il falso sé compensatore
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Come abbiamo visto la dissociazione da parti di sé alienate e rinnegate genera un
senso di incompletezza: un sentire profondo e radicato di “non essere
completo”. Di riflesso, la dinamica che si viene a generare è quella di cercare fuori
da sé qualcosa che completi questa mancanza. Viene attivata una spinta
compensatrice.
Questa spinta alimenta costantemente una forza che cerca la completezza nel
raggiungimento di uno status, ovvero nell’ottenimento di un obiettivo. Una spinta
sempre orientata al futuro nel tentativo di compensare la parte mancante: viene definita
falso sé compensatore.
Traducendo il tutto in un concetto sintetico: più ti senti separato più sarai spinto
a fare qualcosa per essere completo.
Ma non solo, ogni volta che raggiungi quello status che inizialmente aveva in
sé la promessa implicita della completezza ti senti ancora più incompleto,
perché hai confermato il dato di partenza errato.
Inautenticità
Ogni volta che qualcosa viene messo in ombra, si genera una falsatura della
propria espressione, si perde un frammento di autenticità. Perché accade
questo?
Perché per mettere qualcosa in ombra bisogna celarlo dalla luce della
consapevolezza, e quindi nascondere la verità. La conseguenza è una falsatura.
Celando parti di sé, si genera un senso di sé falsato, non autentico.
Comprendere questo è importante, perché come vedremo uno dei passaggi chiave per
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integrare le proprie parti dissociate è invertire questo processo: ripristinare la
verità.
Come possiamo intraprendere un percorso inverso, che porti verso l’integrazione delle
proprie parti messe in ombra?
B) Contatta l’incompletezza
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Se interrompi i meccanismi psicologici della compensazione e della proiezione viene
esposto il buco nero dell’incompletezza, quella sensazione sgradevole e
resistita del sentirsi separati. L’attenzione deve ripercorrere a ritroso la spinta
compensatrice e mettere a nudo questo insieme di sensazioni, emozioni,
impressioni.
C) Integrare
Gli elementi messi in ombra sono carichi di resistenze. Resistere significa “dire
di no”.
Un no psicologico è una forza che invece di accogliere quello che stava emergendo alla
consapevolezza si è opposta. Proprio perché li hai resistiti sono finiti nell’ombra.
C’è bisogno ora di attuare un processo inverso: dire di sì, accogliere quell’insieme
di sensazioni, esperienze, vissuti, fare in modo che possano divenire consapevoli.
Significa stare in contatto con quelle sensazioni sgradevoli consumando le
resistenze nei loro confronti.
Ciò che non definisci ti definisce, ovvero agisce senza che tu ne sia consapevole.
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Definendo qualcosa lo rendi un oggetto della tua coscienza. Quello che prima
plasmava la tua identità, ora è divenuto un oggetto interiore con cui puoi relazionarti.
Ciò che è definito può essere integrato.
L’integrazione passa attraverso lo scioglimento di ogni resistenza, e per farlo c’è bisogno
di una identificazione consapevole con quell’oggetto di coscienza ora
definito.
D) Esponi la verità
L’ombra si dissolve sotto la luce della verità.
Come abbiamo già visto, quando qualcosa è stato espulso dai confini dell’io la verità è
stata celata, e si è creato il falso sé con le sue dinamiche. La cura che permette
di invertire questo processo è la verità.
La verità agisce in due modi e in due tempi diversi nel processo di integrazione
dell’ombra.
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2. Alla fine, per riconoscere la Verità più profonda: la nostra natura di
individui consapevoli, interi e completi, intoccati da questo processo.
Riconoscere la verità dell’essere, ciò che siamo sempre stati e sempre saremo, ciò
che è oltre ogni apparente divisione. Questo è il riconoscimento della verità
assoluta di ciò che siamo nella nostra essenza.
L’essere umano vive questa “duplice natura”. Il processo di dissociazione avviene nel
piano relativo, e come abbiamo visto questo oscura il piano assoluto. Il processo di
integrazione dell’ombra si attua quindi portando la luce della verità sul piano relativo,
ma si conclude nel riconoscimento della Verità di sé (su un piano assoluto).
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Il processo dissociativo procede da un “io” a un “tu” ad un “esso”.
Per integrare l’ombra serve fare il passaggio inverso, l’abbiamo visto nei paragrafi
precedenti. Qui lo riassumiamo brevemente e schematicamente: processo 3-2-1-0 di
integrazione dell’ombra.
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L’integrazione dell’ombra procede all’inverso: da un “esso” a un “tu” ad un “io”
#3 – Stop
Serve innanzitutto fermare la spinta del falso sé compensatore e interrompere
la proiezione per recuperare un rapporto io-tu con l’oggetto resistito.
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#2 – Definisci
Il passaggio seguente è sentire e definire bene l’oggetto da integrare. Da un
insieme senza forma di sensazioni, impressioni ed emozioni deve essere definito
all’interno dello spazio della tua consapevolezza.
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#1 – Identificati
Il passaggio seguente avviene tramite l’identificazione. Con un grande atto di
coraggio si diventa proprio quell’oggetto a lungo resistito. Si scivola dentro quella forma
che prima è stata definita assumendone la forma e le sembianze. Sentendo
pienamente cosa significa essere quell’oggetto. Questo atto di identificazione permette
di sciogliere ogni resistenza nei suoi confronti. L’oggetto che prima plasmava la
percezione soggettiva evapora, come una bolla di sapone che si dissolve.
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#0 – Disidentificati
Il passaggio conclusivo è il riconoscere l’essere che sei, ciò che sta oltre, la verità
indivisa della tua natura più profonda. Questo appare spontaneamente come
conseguenza di un atto integrativo ben riuscito, ma è buona prassi portarci
intenzionalmente l’attenzione.
Quindi, in conclusione del processo, porta l’attenzione a “chi sei tu” veramente.
Conclusioni
L’integrazione dell’ombra psicologica è un processo di crescita interiore
fondamentale che serve conoscere e padroneggiare per ricomporre la frattura
primordiale della dissociazione di sé. Molti ricercatori interiori si rivolgono alla
meditazione pensano di scavalcare questo passaggio. Sebbene sia possibile
sperimentare l’unione bypassando temporaneamente la separazione, senza un’adeguata
integrazione delle proprie parti dissociate, il permanere nella condizione di unione resta
un’esperienza transitoria.
Bibliografia
Gianpaolo Sasso – La nascita della coscienza
Silvano Brunelli – Nel labirinto della mente
Stephen Wolinsky – La via dell’umano
Ken Wilber – Integral spirituality
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Perché essere consapevole
essereintegrale.com/perche-essere-consapevole
Agostino
Famlonga
Perché ognuno conosce già sé stesso in una certa misura. Chi più, chi meno,
ognuno ha un certo grado di consapevolezza di sé. Questa viene allora data per scontata,
come se fosse un bene già acquisito e che non necessita di attenzione.
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Un valore da coltivare
Quali sono le azioni che permettono di spostare qualcosa nella scala delle priorità?
L’essere consapevole non è statico, ma per sua natura dinamico. Non è un sasso inerte,
ma è più simile a una pianta viva, che se coltivata può crescere, fiorire e donare i
suoi frutti.
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Decisioni giuste per te
La vita presenta innumerevoli bivi e infinite possibilità di scelta. Essere consapevole ti
permette di scegliere ciò che è giusto per te, di scoprire la tua strada.
Non è uguale fare il panettiere o fare il pittore o l’insegnante. Non è uguale vivere una
vita con una famiglia o una vita da single. Non è uguale sposare una persona o un’altra.
Come riconoscere ciò che è giusto per te? Solo se conosci te stesso sai ascoltare la tua
voce interiore profonda e riconoscere la tua strada.
Il risultato di questo processo è sentire di essere nel posto giusto e che stai facendo la
cosa giusta per te.
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Riconoscimento dei valori
Un valore è il riconoscimento che qualcosa è importante.
Essere consapevole dei propri valori crea armonia interiore e coerenza nel
comportamento.
Se riconosco l’importanza del curare il mio corpo per la mia salute, ne avrò cura,
diventerà per me una priorità. Nel tempo libero farò attività fisica per mantenere attivo
il suo metabolismo, mangerò cibo che gli permette di funzionare bene, curerò il suo
bisogno di riposo… sono azioni che riflettono il valore che ha per me la cura del corpo.
Se non tengo in me il valore della salute e della cura del corpo ho bisogno di motivarmi
per fare qualcosa in quest’area. Ho bisogno di motivazione per fare attività fisica, devo
usare una volontà ferrea e forzosa per mettermi a dieta, e via di seguito con tutte le
conseguenze del caso.
Così come l’acqua scorre naturalmente in discesa, così la consapevolezza del valore
di qualcosa fluisce in modo naturale verso un’azione che esprime quel
valore.
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Per approfondire » Il guidatore e l’elefante
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Con questi presupposti l’azione sarà appagante di per sé, diventa veicolo di auto-
realizzazione, anche se imperfetta nella sua esecuzione.
Questo non è intrinseco alle cose che fai, ma è in te, nella consapevolezza che hai di te
stesso.
Etica naturale
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L’essere umano vive numerose spinte e bisogni.
Il nostro corpo fisico ha una forte spinta biologica legata alla sua sopravvivenza. La
mente e le emozioni veicolano questa spinta in azioni, sentimenti e strategie che
permettono all’essere umano di sopravvivere nell’ambiente in cui vive e all’interno delle
relazioni con cui interagisce.
Questa spinta alla sopravvivenza e le strategie messe in atto dal nostro corpo, dalle
nostre emozioni e dalla mente agiscono nella vita con una dinamica competitiva. In
questo scenario sono contemplate la slealtà, la falsità e l’inganno.
L’essere consapevole infatti opera e interagisce nella vita con il principio di unione e
di inclusività.
Al tuo corpo fisico non importa se mangi un pasto rubato di nascosto ad un’altra
persona: secerne i succhi gastrici e lo digerisce per ricavarne nutrimento.
Se nel mangiare quel pasto rubato di nascosto sei consapevole di quello che hai fatto
sentirai una sensazione di disagio interiore, perché hai violato un ordine naturale,
sei andato contro dei principi etici intrinseci alla natura delle cose.
Non perché hai violato una legge o un codice morale, ma perché riconoscendo
nell’altro la tua medesima natura, con quell’azione hai ingannato te stesso.
L’essere consapevole permette di uscire dalla dinamica “il fine giustifica i mezzi” e
accende un’altra spinta: consapevole del fine trovo i mezzi che permettono di
realizzarlo rispettando gli altri e collaborando con chi ha lo stesso fine.
Un fine consapevole sommato ad un’azione etica rende la sua esecuzione forte di fronte
alla prova degli ostacoli per la sua realizzazione.
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Risoluzione a molti problemi della vita
Le persone sperimentano nella loro vita una serie di vissuti che vengono percepiti
come “problematici“.
Alcuni problemi richiedono l’esecuzione di azioni concrete per essere risolti, mentre
altri si possono sciogliere solamente elevando la propria consapevolezza.
Voglio andare da casa al lavoro e nel tragitto buco una gomma della mia auto. Se ho la
ruota di scorta e so cambiare la gomma, faccio quello che serve e supero questo
ostacolo. Se la ruota di scorta è sgonfia o se non sono capace di cambiare la gomma
bucata, può emergere il vissuto soggettivo chiamato “problema”.
In realtà non è stato risolto nulla, perché se la dipendenza resta attiva dopo poco la
situazione si ripresenterà nella medesima forma e probabilmente con una
maggiore gravità.
Questa dinamica la viviamo nelle singole aree della vita. Molti problemi nelle
relazioni e molti problemi personali si sciolgono solamente elevando la
propria consapevolezza, senza la necessità di fare qualcosa di concreto.
Amore incondizionato
La consapevolezza è qualcosa di invisibile, impalpabile. Non possiamo indicarla e dire
“ecco la consapevolezza”. Possiamo però, vivendola, riconoscerne le sue qualità
essenziali.
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L’esperienza dell’essere aperti e sentirci in unione è proprio quello che
chiamiamo amore.
Questo vissuto interiore può veicolare anche una serie di sentimenti e di emozioni, ma
la radice dell’amore è molto più profonda di un’emozione passeggera o di un
sentimento verso qualcuno o qualcosa: la sua radice è nella consapevolezza
stessa.
Essendo radicato nella natura stessa dell’individuo, l’amore ha una caratteristica che lo
distingue dalle emozioni e dai sentimenti: è incondizionato, ovvero non dipende
da condizioni esterne.
Più sei consapevole, più puoi accedere a questo vissuto di apertura e unione e
sperimentare cosa significa “essere amore.”
Completezza esistenziale
L’incompletezza è un senso interiore che esprime questo sentire: non vai bene così
come sei.
Questo vissuto genera una spinta automatica ad essere diverso da come sei. Un
impulso a fare qualcosa per compensare quella parte mancante.
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Le due parti non sono separabili tra di loro: sono una il rovescio della medaglia
dell’altra.
Tanto più il sentire di non andare bene così come sei è forte, tanto più è attiva e forte
la spinta compensatrice a fare qualcosa per essere diverso da ciò che sei.
L’incompletezza origina dal sentire di essere separarti da sé stessi, ovvero dal non
conoscersi completamente, dall’avere delle parti messe in ombra che oscurano la natura
dell’individuo.
Ciò che sei è completo in sé. Questa verità può solamente venire oscurata
ma mai intaccata.
La via per la completezza allora non sta nel cercare di riempire la parte che senti
mancante con azioni compensatrici, ma sta nello svelare questa tua natura
essenziale, nel vivere direttamente l’essere che sei.
Nei 35 anni in cui è stato praticato in Italia, grazie all’impegno di Silvano e Silvana
Brunelli, ha accompagnato migliaia di persone nel compiere un viaggio dentro loro
stesse per trovare la loro verità più profonda.
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Se senti in te la chiamata a intraprendere questo straordinario viaggio, ti invito col
cuore a partecipare al prossimo Intensivo sull’Essere Consapevole in partenza
a fine ottobre.
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Essere consapevole: due significati essenziali
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Agostino
Famlonga
Presenza consapevole
Essere presente significa tenere l’attenzione su di sé.
Semplificando possiamo dire che l’attenzione ha due direzioni: può essere rivolta verso
l’esterno o verso l’interno.
Puoi tenere l’attenzione su un oggetto che vedi, che senti, che percepisci tramite
la percezione dei tuoi sensi.
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Attenzione verso un oggetto
Attenzione su di sé
Puoi tenere il palmo della mano rivolto di fronte oppure voltato verso di te, queste sono
due posizioni diverse della mano. Allo stesso modo puoi invertire il flusso
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dell’attenzione da fuori a dentro.
Questa capacità di essere presenti può essere qualcosa che accade in modo naturale:
spontaneamente parte dell’attenzione viene tenuta su di sé.
Ma non è così per tutti. Molti conoscono solo una direzione dell’attenzione,
quella estroflessa (rivolta verso l’esterno) e hanno bisogno di sviluppare la capacità di
invertire il flusso dell’attenzione su loro stessi.
Nell’esplorare la tua interiorità c’è un’enorme differenza tra l’avere in mano una
candela, una torcia o un faro da stadio. Cambia la portata di quello che puoi vedere e
riconoscere di te.
E qui entriamo nel territorio del secondo significato di “essere consapevole”, cioè
conoscere sé stessi.
Conoscere sé stessi
La presenza consapevole ci permette di osservare e di sentire ciò che si muove
dentro di noi, di riconoscere gli automatismi, gli schemi di comportamento
condizionato e di interromperli, di accogliere le emozioni, di portare ordine e
armonia tra i nostri bisogni e desideri e di riconoscere i nostri fini esistenziali.
Abbiamo bisogno di portare la luce della consapevolezza su tutte queste nostre spinte
interiori: di riconoscerle, di accoglierle e di integrare tutto questo in un insieme
armonico.
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L’ordine interiore libera energia vitale e quest’energia liberata si trasforma in
presenza consapevole.
Disordine interiore
Immagina di muoverti al buio in una stanza disordinata, piena di oggetti
sparpagliati in modo caotico. Nel momento in cui vuoi andare da una parte ad un’altra
della stanza ti trovi a dover spostare ciò che ostacola il tuo percorso, a scavalcare
o aggirare qualcosa che non riesci a spostare, a inciampare in qualche oggetto di cui
nemmeno sapevi l’esistenza.
Quando una persona non conosce sé stessa “abita” una stanza buia disordinata e
caotica, piena di oggetti sconosciuti e spesso ingombranti, che le impediscono di
allineare intenzioni, pensieri e azioni.
Più la luce della consapevolezza è forte, più posso vedere con chiarezza ciò che c’è nella
stanza, anche negli angoli più bui. È il processo dell’integrazione della coscienza che
mette in ordine ciò che c’è dentro di noi.
La capacità di essere presente permette di differenziare ciò che c’è nella stanza.
Conoscere sé stessi significa mettere ordine, unendo e collegando ciò che c’è nella
stanza nel creare un insieme coerente e funzionale.
Conoscenza diretta di sé
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Ma la conoscenza di sé stessi va anche oltre questo: può culminare con la conoscenza
diretta dell’essere che sei.
Non dimentichiamoci che la consapevolezza non è qualcosa che hai, è ciò che
sei.
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Il processo integrativo della coscienza
essereintegrale.com
Agostino
Famlonga
E visto che l’integrazione – e i principi dell’integrazione – sta alla base del nostro
benessere psicologico, fisico e anche relazionale, ci è molto utile comprenderne
i concetti fondamentali.
Il modo più semplice per farti comprendere cosa significa integrazione è partire dal
risultato finale e poi scomporre questo nei suoi elementi fondamentali.
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Watch Video At: https://youtu.be/TyqXLFIMhk8
Ma un bel coro, o meglio, una bella canzone, non emerge semplicemente ammassando
casualmente un insieme di persone che cantano ognuna per conto suo. Il risultato sarà
gradevole e armonico se le voci si integrano tra di loro.
Singole voci che messe assieme danno origine a qualcosa di più grande della voce
individuale. L’integrazione fa emergere qualcosa che prima non c’era, con
delle qualità e delle proprietà che a livello della singola voce non esistono.
Ecco che possiamo usare questo esempio per vedere i due principi fondamentali
dell’integrazione all’opera: sono la differenziazione e il collegamento.
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Equilibrato significa che gli elementi che costituiscono il sistema sono equivalenti,
ovvero hanno lo stesso valore. Laddove l’enfasi viene posta temporaneamente su
un elemento, si torna in breve tempo ad essere bilanciati.
Per coerenza infine si intende lo stato del sistema in cui funzioni diverse vengono
attivate e collegate flessibilmente nel tempo.
Quelle che vengono definite emozioni positive sono un riflesso dell’aumento dello
stato di integrazione. La gioia, l’apertura, l’espansione e l’entusiasmo si manifestano
in concomitanza con l’aumento dello stato di integrazione.
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Per approfondire »
Strutture di coscienza
Differenziare
Abbiamo definito l’integrazione come la differenziazione e il collegamento di più
elementi in un insieme flessibile e coerente. Ma cosa vuol dire differenziare?
Differenziare vuol dire definire una parte rispetto al resto. Significa discriminare
qualcosa da un insieme indistinto.
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Da un mucchio, disordinato e confuso, estraggo e isolo un dato. Lo definisco nelle
sue caratteristiche.
Differenziare qualcosa vuol dire segregarlo, nel senso di isolarlo dal resto. Una volta
definito può poi essere collegato, e la somma di queste due azioni dà luogo
all’integrazione.
Collegare
Collegare significa connettere aree o funzioni separate e distinte, oppure
elementi differenti tra di loro.
Il collegamento avviene per risonanza, che è l’insieme delle interazioni tra due o più
entità differenziate (e relativamente indipendenti) che si influenzano a vicenda.
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Differenziare e collegare: un esempio
Immagina di aprire una scatola di un puzzle e di stendere i suoi pezzi su un tavolo. Ti
trovi davanti un mucchio di tessere confuso e caotico, indistinto.
Fa parte del bordo? Di che colore è? Come si relaziona rispetto alle altre tessere? ecc…
L’insieme di tutti i pezzi differenziati e collegati tra di loro crea un insieme armonico
e coeso, il mio bel puzzle completo.
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Perché l’esito di un puzzle è determinato a priori: qualcuno ha disegnato
per te il quadro finale prima che tu assembli i pezzi.
In un processo integrativo invece quello che emerge è completamente inedito: c’è
una transizione di stato; emerge una nuova configurazione con proprietà e
funzioni che prima dell’integrazione non esistevano.
Continuità significa che gli elementi acquisiti precedentemente hanno una forza che
li mantiene coesi nei vari cambiamenti di stato.
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La mancata integrazione genera caos o rigidità
Non integrare qualcosa significa non differenziarlo, oppure differenziarlo ma
isolarlo, senza connetterlo con il resto degli elementi che compongono il sistema di cui
fa parte.
Una mancata integrazione porta a una condizione di rigidità o caos. Rigidità significa
scarsa capacità di adattamento, fissità e poca elasticità nell’assorbire i
cambiamenti.
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Il flusso dell’integrazione
La dissociazione
Quando un evento particolare, un forte vissuto emozionale o una parte di sé non
vengono integrati nella coscienza viene a crearsi una dissociazione rispetto a questa
parte. Una dissociazione è una mancata integrazione, qualcosa è mantenuto
isolato dal resto degli elementi mentali.
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L’ombra e il falso sé
L’evento, il ricordo, oppure il vissuto emozionale vengono così occultati alla
consapevolezza ma non scompaiono. Restano attivi in una parte della mente
inconscia. L’individuo, pur non potendo accedere direttamente alla parte dissociata (a
causa dell’involucro di resistenza), ne subisce però gli effetti: è la cosiddetta ombra
psicologica.
Viene chiamata ombra sia perché segue costantemente la persona senza che possa
separarsene e anche perché incupisce la sua espressione che perde di brillantezza e
di veridicità.
Altri individui o situazioni infatti possono diventare un “gancio” per poter incollare le
parti dissociate di sé. Ecco che allora quando è attivo questo meccanismo non
vediamo più l’altro per quello che è, ma entriamo in relazione con la nostra
ombra proiettata all’esterno.
Come già detto, le due configurazioni non si escludono, possono manifestarsi in modo
alternato.
I principi dell’integrazione sono implicati nella vita relazionale, sia per quanto
riguarda il vissuto dei nostri primi anni di vita dove si viene a formare il nostro senso di
attaccamento (l’integrazione è messa in moto tramite processi diadici di risonanza e
di reciproca con chi si prende cura del bambino), e anche nella vita adulta, dove tramite
la relazione con l’altro possiamo accelerare il processo integrativo.
La relazione stessa inoltre può essere vista come l’incontro di due o più individui che
cercano di integrare loro stessi in un sistema sovraordinato. (vedi La diade relazionale)
I 10 domini dell’integrazione
Vediamo ora brevemente i 10 domini dell’integrazione, ovvero le aree della vita in
cui agisce l’integrazione (saranno oggetto di approfondimenti futuri, qui mi interessa
solo definirli).
2. Integrazione bilaterale
I nostri due emisferi cerebrali si sono specializzati in funzioni e modalità di
elaborazione dell’esperienza diverse tra di loro. Un emisfero è più orientato al
ricevere i segnali interni, l’altro è più orientato all’analisi e al ricevere input dall’esterno
del corpo fisico, uno è specializzato nell’elaborare le emozioni e l’altro ha un
funzionamento prevalentemente lineare, logico e “razionale”… e così via.
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3. Integrazione verticale
Il nostro sistema nervoso e in particolare il nostro cervello possiede una configurazione
a “strati”, dove vari livelli di complessità manifestano proprietà diverse.
7. Integrazione interpersonale
Integrazione interpersonale significa passare da un senso di “me” a un “noi”.
Questo passaggio richiede la differenziazione di un sé individuale e la sua messa
in rete con altri individui, mantenendo e rispettando le differenze individuali e
creando il contesto per un reciproco riconoscimento.
8. Integrazione temporale
Abbiamo la capacità di creare delle mappe temporali nella nostra mente, dove eventi
si configurano sull’asse del tempo passato-presente-futuro. Integrazione
temporale significa differenziare e connettere gli elementi o gli eventi sulla mappa
temporale.
L’invito è quello di vivere sempre di più una vita integrata, in ogni sua
dimensione. Questo permette di vivere una vita più in armonia con come le cose sono.
“l’esito finale di una vita integrata è imparare ad essere flessibili e pienamente presenti, e
a essere gentili e compassionevoli con gli altri e con noi stessi.”
Bibliografia
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I 4 livelli dell’intuizione
essereintegrale.com
L’intelligenza intuitiva
L’intuito è un linguaggio sottile che è utile imparare ad accogliere e decifrare.
Così come possediamo un’intelligenza che possiamo definire razionale, così siamo dotati
di un’intelligenza intuitiva.
“La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo
creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”.
Tutto ciò che non rientra nei parametri logici della ragione tende a essere “degradato”
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ad un livello di importanza inferiore.
Quando l’intelligenza intuitiva è ben sviluppata può darci una direzione verso le scelte
giuste per noi, può fornirci idee brillanti ed essere una fonte preziosa di creazioni
innovative.
L’istinto si manifesta come una spinta pre-verbale (cioè che viene prima delle parole) ad
agire in un certo modo o a compiere una determinata scelta.
È una dote naturale che possediamo come esseri umani e ne va riconosciuto il valore.
Alcune persone sono particolarmente ricettive nel cogliere i segnali dell’istinto, altre
meno. La mia esperienza è che questo va di pari passo allo sviluppo della capacità di
sentire.
I limiti dell’istinto
Pur essendo una fonte di preziose informazioni e di risposte rapide alle
situazioni, va riconosciuto che l’istinto ha anche due grossi limiti:
1. degli eventi significativi della tua storia passata che lasciano una traccia in
ciò che senti ora
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2. dei condizionamenti esterni mirati a modificare il tuo comportamento
Un esempio del primo tipo: immagina una donna che ha subito una violenza da parte di
un uomo. Facilmente il suo istinto la spingerà ad entrare in allerta quando
incontra una figura del sesso opposto, anche in assenza di pericolo oggettivo. È un
condizionamento limitante che risiede nella mente condizionata e agisce in
forma istintiva, reattiva e automatica e se questo residuo non viene pulito rischia
di dare una direzione ben precisa alla vita di questa persona. Senza nemmeno sapere il
perché, istintivamente potrebbe essere deviata da delle opportunità positive.
I condizionamenti in tempo reale invece sono degli stimoli esterni che agiscono a
livello istintivo per farti compiere un’azione. Pensa a tutte le strategie di
pubblicità e di neuromarketing che inviano messaggi mirati alla tua parte più
“primitiva” per fati acquistare istintivamente un prodotto.
Quando compiamo un acquisto spesso agiamo d’istinto, ovvero diamo ascolto alla
pancia o all’emotività, e solo dopo giustifichiamo razionalmente l’acquisto fatto (a
posteriori creiamo il motivo razionale dell’acquisto). Abbiamo l’illusione di
agire razionalmente, ma le ricerche mostrano che il processo agisce con una sequenza
opposta, partendo dall’impulso istintivo o quantomeno dall’emotività.
L’intelligenza del cuore ti spinge alla ricerca della bellezza e alla scoperta della gioia
di fare ciò che ami fare.
L’intelligenza del cuore ti porta ad andare oltre i limiti personali allo scopo di fare
del bene nella tua vita e all’interno delle tue relazioni.
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Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.
Può sembrare che questa citazione faccia riferimento ai sentimenti, ma invece punta
l’attenzione proprio a ciò di cui stiamo parlando: all’intelligenza intuitiva del
cuore.
È quella forza che ti dice di andare oltre una paura quando sai che quello che stai per
fare porta del bene nel mondo. Che ti fa agire con un moto di amore superando il
primordiale istinto di conservazione.
Sintetico perché mette in atto una sintesi (unione di più parti), e intuitivo nel
vero senso etimologico del termine: vedere dentro.
Questo tipo di intuizione è associata alla vista perché opera spesso sotto forma di
immagini e queste intuizioni vengono a volte percepite come “ visioni“, o come
“illuminazioni“.
Si tratta di immagini mentali, cariche di energia vitale, che spesso vengono percepite
con spiccata lucidità e chiarezza (di qui l’associazione alla lampadina che si
accende).
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Per approfondire » Le 4 qualità dell’esperienza (chiarezza)
Questo livello di intuizione viene anche comunemente definito “ sesto senso“. Con
questa definizione si punta l’attenzione al fatto che si può intuire qualcosa senza che
questa sia collegata ad una percezione sensoriale derivante dai tradizionali
cinque organi di senso.
Quando questo canale intuitivo è aperto e ben sviluppato si integra spesso con la
facoltà di avere sogni lucidi, e permette di accedere tramite queste esperienze a
elaborazioni profonde dei contenuti dell’inconscio.
A differenza di una scala però un gradino non esclude l’altro. Ogni gradino
include e trascende quello precedente; aggiunge proprietà e funzioni diverse, ma
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non spegne e non soffoca quello che viene prima: lo integra in un sistema più
ampio, in costante comunicazione bi-direzionale verso l’alto e verso il basso.
Ogni gradino infatti ha le sue peculiari funzioni, utili e indispensabili per garantire un
funzionamento armonico dell’intera scala.
Detto con un esempio: puoi essere tendenzialmente molto istintivo (una forte
connessione con il tuo istinto di pancia) ed avere comunque un accesso temporaneo ad
una intuizione creativa (potere visionario), anche se sei completamente sordo rispetto
all’intelligenza del tuo cuore.
Questo è piuttosto comune, ma va visto come uno sviluppo incompleto delle facoltà
intuitive.
Qual è il tuo “baricentro”? Ovvero… quale funzione intuitiva senti che predomina nella
tua vita?
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Agostino Famlonga
7/7
L’adolescenza, tra sfide e opportunità
essereintegrale.com/adolescenza
Agostino Famlonga
I miti dell’adolescenza
L’adolescenza è una fase della vita ricca di eventi significativi. È un periodo denso di
tappe evolutive che se affrontate in modo corretto diventano il trampolino di lancio
per tutto quello che verrà dopo. A volte però l’adolescenza diventa fonte di
disorientamento, sia per l’adolescente che la vive in prima persona che per l’adulto che
convive con le trasformazioni in atto ed è chiamato a trovare nuove modalità di
interazione.
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Mito #1: Gli ormoni fanno andare fuori di testa i ragazzi
Lo sviluppo ormonale in questa fase di vita subisce una profonda trasformazione. Una
credenza piuttosto diffusa è che siano proprio gli ormoni a creare le turbolenze
adolescenziali. Pur influenzando il manifestarsi di determinati tratti e specifici
comportamenti, è ormai noto che l’influenza ormonale è molto meno significativa
rispetto ai mutamenti che avvengono a livello cerebrale.
Gli ormoni si sommano alle modifiche cerebrali, ma sono secondari rispetto a queste
ultime.
Dan Siegel
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Mito #2: L’adolescenza è solo questione di immaturità
Un altro mito diffuso è che l’adolescenza sia semplicemente una fase da attraversare, un
momento difficile da sopportare nell’attesa che arrivi la maturità a sistemare le
cose. I genitori di fronte a comportamenti sconcertanti o insensati attendono che i figli
crescano e sopravvivano a questa fase con meno cicatrici possibili. I figli adolescenti
non si sentono compresi dagli adulti e si trovano soli ad affrontare le loro sfide
evolutive.
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Mito #3: L’adolescenza deve portare all’indipendenza
Una terza credenza errata riguardo l’adolescenza è la visione che l’adolescenza significhi
il passaggio dalla condizione di dipendenza dall’adulto a quella di indipendenza
totale. È un falso mito alimentato dal fatto che in questa fase di vita è presente una
naturale e sana spinta all’autonomia, un progressivo distacco dagli adulti che hanno
accompagnato le fasi precedenti.
In sostanza lo sviluppo passa da una fase infantile di dipendenza totale dalle cure
degli adulti, ad un allontanamento dalle figure genitoriali verso un avvicinamento ai
coetanei tipico dell’adolescenza, ad una fase di interdipendenza in cui sussiste uno
scambio reciproco tra sé e gli altri, adulti e non.
L’adolescenza andrebbe concepita come una fase in cui creare relazioni profonde e
legami affettivi di reciproco scambio e non come una fase autonomia spinta
all’estremo.
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indossando le lenti dei tre miti appena esposti predispone ad un atteggiamento passivo,
di sopravvivenza e di attesa, in cui l’adulto ha poco spazio di intervento e all’adolescente
viene lasciato il compito di attraversare la fase in modo autonomo. Riconoscere le false
credenze nei confronti dell’adolescenza permette di svelarne la sua vera natura.
L’adolescenza è una importantissima fase densa di opportunità di crescita, sia per i
ragazzi che la vivono che per gli adulti che li accompagnano.
Nel periodo tra l’infanzia e l’adolescenza sono quattro i circuiti cerebrali fondamentali
che subiscono profonde modifiche, e sono proprio quattro tratti distintivi tipici di questo
periodo.
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Nell’adolescenza infatti cerchiamo gratificazioni attraverso la sperimentazione della
novità, ci relazioniamo diversamente con i coetanei , proviamo emozioni più intense
e il punto di vista tradizionale assunto nella fase infantile viene messo in discussione alla
ricerca di punti di vista inediti e costruiti personalmente.
Vediamoli uno per uno cercando di comprenderne gli aspetti positivi e quelli
potenzialmente negativi.
L’aspetto negativo di questa importante modifica cerebrale è che viene posta maggiore
enfasi alle esperienze che portano eccitazione. I comportamenti rischiosi sono visti
come una possibile fonte di esperienze positive in quanto vengono minimizzate le
possibili conseguenze negative. Questo espone potenzialmente l’adolescente alla
ricerca di comportamenti dannosi e pericolosi. Le intenzioni possono venire
impulsivamente messe in atto senza che siano accompagnate da una riflessione sulle
possibili conseguenze.
L’aspetto positivo è che la ricerca della novità può tradursi in curiosità nei confronti
della vita, progettualità e spirito di avventura, apertura nei confronti del
cambiamento e passione di vivere.
Il coinvolgimento sociale
L’adolescenza è caratterizzata dall’intensificarsi dei legami con i coetanei e dalla
formazione di nuovi e intensi legami di amicizia.
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relazioni sono uno dei fattori più importanti nel prevedere il benessere, la longevità e il
grado di soddisfazione nella vita.
Le emozioni intense
Il mutamento cerebrale che si manifesta nella fase adolescenziale favorisce un
intensificarsi della vita emotiva , spesso accompagnato da una scarsa capacità di
gestire consapevolmente tutto ciò che accade interiormente.
Il lato negativo di queste emozioni intense è che l’emotività può facilmente prendere
il sopravvento, causando impulsività, sbalzi d’umore e reattività accentuata. Tutto
può predisporre a vivere esperienze in cui l’aspetto emozionale deriva in modo
imprevedibile rendendo difficile gestire gli eventi e le risposte, sia per l’adolescente che
lo vive che per l’adulto che interagisce con la situazione.
L’aspetto positivo è che le emozioni intense sono fonte di energia e carica vitale,
donano entusiasmo e gusto per la vita.
Lo status quo viene messo in discussione e vengono generati nuovi schemi mentali e
punti di vista innovativi. I problemi vengono spesso affrontati con strategie creative
fuori dagli schemi tradizionali.
L’aspetto negativo di questa estrema rinegoziazione di ciò che è stato acquisito è che
può portare ad una crisi di identità personale ed esporre l’adolescente alle influenze
negative a volte derivanti dal gruppo degli amici. Se la crisi di identità non sfocia in una
profonda individuazione, in una definizione della propria identità e del proprio
orientamento nella vita facilmente può lasciare un senso di svuotamento e di
mancanza di senso, portando a nichilismo esistenziale potenzialmente
autodistruttivo.
Il rovescio positivo della medaglia è che questo ampliamento dei propri punti di vista
permette di immaginare e percepire il mondo da angolazioni inedite e di esplorarlo
con creatività. Se mantenuta nel tempo questa capacità creativa e innovativa
permette una transizione verso l’età adulta dove l’apertura a nuovi e creativi punti di
vista permane e dona all’esistenza un senso di continua scoperta e creatività.
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Dai limiti imposti agli accordi
Nell’adolescenza si verifica un miglioramento nella maggior parte degli aspetti misurabili
della vita, come la forza fisica, la funzione immunitaria, la prontezza dei riflessi ecc.
Porre confini e limiti in modo forzato ai ragazzi a scopo preventivo, spesso ottiene
l’effetto opposto: un moto di ribellione che spinge ancora di più il ragazzo verso la
trasgressione e i comportamenti rischiosi.
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Consapevolezza dei limiti
Un tratto caratteristico dell’adolescenza è quello della messa in discussione dei limiti
imposti da fuori, verso un’esplorazione dei limiti personali conquistati tramite la
sperimentazione in prima persona e tramite l’esplorazione creativa di nuovi modi di
fare le cose.
L’adulto che ha a che fare con l’adolescente dovrebbe riconoscere in questo movimento
rivoluzionario tutto il suo incredibile potenziale di crescita. Invece di vederlo come un
moto di ribellione, l’adulto può accogliere questo aspetto riconoscendolo come un
elemento positivo intrinseco all’adolescenza stessa. Invece di limitarsi ad osservare
sconcertato ciò che accade, o invece di tentare di porre limiti con la forza, può diventare
consapevole della natura dell’adolescenza e accompagnare il ragazzo verso la
definizione consapevole dei limiti.
I limiti da rispettare sono quei limiti fisiologici e di buon senso e che preservano
l’integrità fisica di sé e delle persone che stanno attorno. Guidare a tutta velocità in
centro città espone a inutili rischi e mette a repentaglio l’incolumità di altri. Questo è un
limite da rispettare.
Questo principio è valido sia per gli adulti che per i giovani, ma assume nel contesto del
nostro discorso una valenza importantissima.
L’adulto che conosce questo principio può aiutare l’adolescente in due modi: può
aiutarlo a portare consapevolezza verso i limiti da rispettare e sostenerlo nel
superamento dei suoi limiti di crescita.
L’adulto deve riconoscere che laddove impone forzatamente un limite al giovane, si trova
di fronte a un una serie di effetti: alcuni manifesti e altri nascosti.
Forse il limite viene rispettato da parte del ragazzo, ovvero l’adolescente segue
controvoglia le richieste dell’adulto. Questo è ciò che si vede.
Quello che non si vede è che questo va a discapito della relazione con l’adulto. La
relazione subisce uno strappo. La relazione è compromessa ed è sempre più difficile poi
prendere ulteriori accordi sui limiti. Questa spirale negativa più subire un’escalation
fino al punto di compromettere definitivamente la relazione adulto-ragazzo.
Un altro effetto che non si nota in modo esplicito è che, proprio perché il limite è stato
imposto in modo forzato, l’adolescente sarà portato a trasgredirlo appena ne avrà
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l’occasione. Quando l’adulto perderà il controllo della situazione, il ragazzo troverà
finalmente l’occasione di superare il limite imposto con la forza, trovandosi proprio a
fare quello che l’adulto non voleva in buonafede che facesse.
Oltre a quanto detto prima riguardo i limiti da rispettare e i limiti da superare, la strategia
più funzionale per definire i limiti è quella che rispetta la libertà di scelta del ragazzo.
Quando l’adolescente sente accolti i suoi bisogni da parte dell’adulto e sente
rispettato il suo punto di vista, può nascere in lui uno spazio per accogliere il punto di
vista dell’adulto. Questa comprensione reciproca è il terreno fertile da cui può nascere
un accordo consapevole riguardo un limite.
Gli adulti si mettono generalmente nella posizione di pretesa: pretendono che il ragazzo
segua le indicazioni in qualità del loro ruolo genitoriale. Tendono a mettersi in modalità
prevaricante: è l’adulto che dice cosa fare, il ragazzo segue. Questo atteggiamento di
partenza, quando è presente, pone le basi per il mancato rispetto della libertà di
scelta del ragazzo. Sentendo violato questo suo diritto fondamentale, la reazione di
conseguenza sarà calibrata su una risposta tendenzialmente opposta e equivalente: il
limite è imposto in modo forzoso, allora forzo il limite per superarlo, dimostrando nel
superamento del limite che sono indipendente e sono libero di scegliere cosa fare.
Un accordo preso reciprocamente per libera scelta invece non subisce questa
dinamica, viene facilmente rispettato perché se ne comprende il senso e si assume la
responsabilità di mantenere l’accordo.
Gli adulti generalmente pensano che sia il ragazzo a dovere accogliere per primo il punto
di vista dell’adulto. D’altronde è l’adulto nella posizione di definire i limiti e di dare
indicazioni. Se questa posizione può funzionare nella fase dell’infanzia,
nell’adolescenza trova un grosso limite , quello dell’individuazione del ragazzo.
L’adulto per primo dovrebbe porsi nella posizione di accogliere il punto di vista del
giovane. Quando l’adolescente si sente accolto e compreso nella relazione , quando il
suo punto di vista è recepito come equivalente e non calpestato come inferiore, in lui si
apre lo spazio necessario per accogliere il punto di vista dell’adulto. Da questo
reciproco scambio possono nascere accordi consapevoli che vengono rispettati con
fiducia reciproca.
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La difficoltà sta nel far sì che l’adulto si metta in una relazione in cui prima accoglie il
punto di vista del ragazzo e poi espone il suo punto di vista con un principio di
equivalenza.
Generalmente è difficile farlo perché l’adulto percepisce il suo ruolo con un valore
superiore. È certamente vero che l’adulto ha delle responsabilità nei confronti del
ragazzo, ma dal punto di vista umano la relazione si manifesta su un piano di
equivalenza.
Dall’altro lato gli adulti stessi possono beneficiare dei nuovi punti di vista scaturiti
dalla spinta dei ragazzi. Se è vero che il punto di vista tradizionale è stato utile e ciò che
funziona si mantiene, è altrettanto vero che il progresso avviene introducendo punti
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di vista inediti, e questi spesso vengono da giovani che hanno incanalato la loro spinta
creativa in modo costruttivo.
Pre-adolescenza
La fase di transizione dall’infanzia all’adolescenza è una delle più complesse e
affascinanti nell’arco della vita. Un momento di cambiamento accelerato, sia fisico che
psichico che sociale.
A volte nel definire questa fase vengono impiegati termini diversi come se fossero tra
loro sinonimi, quando in realtà definiscono aspetti diversi che caratterizzano questa fase
di vita: pre-adolescenza e pubertà.
Questa fase è infatti caratterizzata dall’esordio della pubertà, cioè dall’insieme delle
trasformazioni fisiche che segnano l’uscita dall’infanzia.
Pubertà
La pubertà non è un singolo processo o stadio, ma è un processo di sviluppo continuo,
che implica una serie di cambiamenti ormonali e fisici interconnessi che si concludono
con lo sviluppo delle capacità riproduttive e nell’aspetto adulto.
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La pubertà copre generalmente un periodo di vita della durata di 5-6 anni e implica i
seguenti cambiamenti esterni e interni.
Queste modificazioni fisiche avvengono principalmente tra gli 11 e i 14 anni, con una
differenza di esordio tra maschi e femmine.
Tutte le trasformazioni fisiche del periodo puberale esercitano un profondo effetto sul
pre-adolescente, influiscono sulla sua identità e lo espongono a rinegoziare il
rapporto con il proprio corpo.
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L’aspetto fisico tende ad influenzare l’immagine di sé, l’autostima e lo status sociale.
Queste implicazioni sono una novità rispetto a come il corpo viene vissuto nell’infanzia.
La pubertà con le sue modificazioni mette in crisi gli equilibri interni raggiunti, apre alla
definizione della propria identità di genere e al possesso della propria fisicità
sessuata.
È possibile definire, riguardo questa fase evolutiva, dei compiti evolutivi (obiettivi specifici
di questa fase di vita).
È certamente vero che è possibile recuperare ciò che non è stato fatto in precedenza, ma
è altrettanto vero che esistono delle finestre temporali entro cui siamo chiamati a
compiere determinati step evolutivi. Farlo fuori da queste finestre temporali è
un’azione riparatrice fuori tempo. Oltre ad essere più difficile, va riconosciuto che
l’approccio ottimale è quello di affrontare e impegnarsi nel portare a compimento gli
step evolutivi proprio quando si presentano.
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Lo sviluppo della sessualità
È possibile suddividere, all’interno del percorso di sviluppo psicosessuale, un insieme di
compiti evolutivi:
Tra tutti questi assume un ruolo predominante per l’adolescente la formazione della
propria identità di genere.
L’identità di genere
Il concetto di genere è stato introdotto in tempi relativamente recenti nell’ambito della
riflessione psicologica, per definire il ruolo di un individuo nella società come
maschio o femmina.
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soggettiva riguardo il proprio genere. Il concetto di identità infatti si riferisce proprio a
questo aspetto soggettivo. Un’identità è uno stato assunto come una definizione di sé:
“io sono…”
Il ruolo sessuale attivato dalla maturazione sessuale e ormonale manifesta una serie di
stati psicofisici (eccitazione, desiderio sessuale ecc) che possono essere accettati o
rifiutati come inquietanti o come pericolose perdite di controllo. L’integrazione della
mascolinità e della femminilità nell’immagine di sé richiede anche una rielaborazione
dei rapporti interni fra i diversi ruoli affettivi, cioè le precedenti identificazioni e
introiezioni di madre e padre. Per mettere in atto un sano processo integrativo è
necessario un processo di dis-identificazione tra questi ruoli introiettati, e spesso questo
risulta difficile per il ragazzo: lo può esporre a una crisi d’identità, una vulnerabilità e
un’emancipazione che spesso viene resistita.
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Percorsi di sviluppo dell’identità di genere
Possiamo delineare 3 livelli di complessità nello sviluppo dell’identità di genere, che
derivano dall’osservazione dei meccanismi messi in atto dall’energia vitale nell’essere
umano.
L’essere umano possiede tutte queste funzioni, diverse tra di loro ma unite in una
complessità funzionale.
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Tre livelli di complessità del genere umano
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discordanza tra quello che sento e quello che credo di me.
Appare evidente che le traiettorie dello sviluppo possono combinarsi in vario modo. Non
necessariamente sono vissute come disturbanti per chi le sperimenta.
Sono due gli aspetti importanti su cui portare l’attenzione per permettere un sano
sviluppo della sessualità e dell’identità di genere:
Quando sussistono queste due condizioni la sessualità si può orientare con serenità
verso l’esterno nella costruzione di relazioni affettive.
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Circa il 10% degli adolescenti si considera gay, lesbica o bisessuale
Le ragazze con una leggera prevalenza sui maschi (2-3%) dichiarano relazioni
omosessuali.
La prima consapevolezza della propria omosessualità appare in genere attorno ai
13 anni per i maschi e a 16 per le femmine.
Donald Meltzer
Così come il corpo fisico ha bisogno di cibo per sopravvivere, così la mente
dell’adolescente necessità di verità. La mente dell’adolescente è protesa verso la verità
come un bisogno fondamentale.
Ne ha bisogno per emanciparsi, per uscire fuori dalla confusione, dalle illusioni
dell’infanzia e della pubertà.
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La rinuncia alle illusioni infantili lo espone a un vuoto da riempire. Da questo vuoto
emerge la spinta alla ricerca della propria verità.
Il vuoto lasciato dalla disillusione in cui incorrono le figure genitoriali può essere
destabilizzante, e portare a ciò che può essere definita crisi d’identità. La crisi d’identità
si può manifestare nella sua duplice valenza: la ricerca della verità di sé in un processo
di continuità e discontinuità, e anche con la sua accezione etimologica più profonda: la
rottura di un equilibrio precostituito alla ricerca di un equilibrio più funzionale.
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L’identità corrisponde a un sentimento soggettivo di unità e continuità personale,
costruito attraverso processi d’integrazione di sentimenti e di rappresentazioni che
collegano il passato con il futuro.
Vediamo alcune aree su cui agisce il Respiro Circolare praticato in adolescenza e i suoi
effetti.
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Incanalare l’energia vitale
L’energia vitale in adolescenza tende a risvegliarsi naturalmente e a sommarsi alla
sessualità. I due processi tendono a intersecarsi e a creare effetti sovrapposti. In
adolescenza, proprio perché è la fase formativa in cui si accende in modo marcato la
sessualità e l’energia vitale, è utile imparare ad accettare e sostenere la propria
energia vitale senza entrare nel meccanismo oscillatorio della repressione e della
sfrenatezza.
Non è affatto scontato che il fiorire della sessualità sia accolto con apertura e positività
da parte del giovane. Un importante passo di crescita per il giovane è quello di
riconoscere ed accogliere la propria sessualità. Questo passo apre poi alla possibilità
di indirizzare la sessualità in una relazione affettiva, in cui la sessualità può
trasformarsi in coesione reciproca.
Nel Respiro Circolare dedicato agli adolescenti vengono affrontati dal punto di vista
teorico entrambi gli aspetti: l’accogliere la propria sessualità e come tradurla in relazione.
Il percorso di crescita è composto da tre elementi che lavorano in modo sinergico tra di
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loro.
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Vivere ed esprimere le emozioni
La fase adolescenziale è caratterizzata da una forte intensità emotiva. Le emozioni
possono prendere il sopravvento e se non vissute correttamente possono lasciare
strascichi, residui negativi; o anche possono causare ferite e strappi nelle relazioni se non
espresse in modo corretto.
La tecnica del Respiro Circolare permette all’adolescente sia di entrare in contatto con
il suo mondo emotivo, permettendosi di sentire pienamente ciò che sta sentendo, che
di imparare ad esprimere le proprie emozioni senza ledere gli altri e il contesto che
gli sta attorno.
Nelle sedute di Respiro Circolare dedicato agli adolescenti sono previsti, dopo la seduta
vera e propria di respiro, degli esercizi di comunicazione. Questi esercizi, quando
includono l’espressione di ciò che si sente, permettono di apprendere una importante
alfabetizzazione emotiva, un’abilità fondamentale che rientra tra le competenze di
base dell’intelligenza emotiva.
Coesione significa sentirsi vicini agli altri, riconoscersi in un gruppo che condivide un
vissuto comune.
Il Respiro Circolare per i ragazzi è dedicato a loro, agli adolescenti e chi si trova nella
prima età adulta: l’età dei partecipanti è simile.
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Avere uno spazio in cui potersi mostrare reciprocamente nei propri vissuti personali
permette sentirsi visti e di instaurare rapporti autentici, un aspetto importantissimo
e spesso denso di difficoltà per l’adolescente.
Le nuove generazioni si sentono spesso separate dagli altri: pur condividendo i medesimi
spazi e passando del tempo in comune, a volte patiscono la mancanza di una vera e
profonda relazione.
Pur essendo una realtà presente da sempre, questa separazione è diventata sempre più
marcata con la complicità dei dispositivi elettronici: i giovani sono sempre connessi
elettronicamente e in rete tramite i social, ma spesso questo va a discapito della
connessione umana con l’amico con cui si condivide l’attività.
Questo atteggiamento mindful è una vera e propria abilità introspettiva che in modo
trasversale si propaga in ogni area della vita. La medesima capacità di essere presenti a
sé stessi, messa in pratica mentre si respira in modo circolare, viene attivata mentre si
eseguono altre attività: mentre si studia, mentre si è in relazione, mentre si fa sport… con
immediati risvolti positivi.
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Le ricerche scientifiche sugli adolescenti ci mostrano molti dati su cui riflettere, e uno di
questi è il progressivo deperimento della capacità di sostenere l’attenzione.
Sembra che le nuove generazioni, cresciute con stimoli sempre più rapidi e immediati,
si siano adattate a queste richieste da parte dell’ambiente, diminuendo la loro capacità di
restare concentrati e focalizzati su una singola azione alla volta. Vista da una certa
angolazione la questione sembra avere dei risvolti positivi, come la capacità di
mantenere l’attenzione su più attività contemporaneamente; in realtà questo
deperimento dell’attenzione manifesta a cascata una serie di conseguenze negative, sia
dal punto di vista dell’efficienza e dei risultati che dal punto di vista della conoscenza di
sé.
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la continuità con il proprio passato e la discontinuità rispetto alle innumerevoli
prospettive che il futuro propone.
A volte gli adulti vedono gli adolescenti come immaturi e quindi li giudicano incapaci di
prendere impegni a lungo termine. In realtà è proprio nell’adolescenza che il ragazzo
dovrebbe gettare le basi per ciò che verrà dopo. Riconoscendo il valore di questa
conoscenza possiamo sostenere gli adolescenti nel processo di divenire
maggiormente consapevoli di loro stessi.
La verità di sé infatti diventa autoevidente quando tutto quello che la cela viene tolto.
Il Respiro Circolare permette proprio di mettere in atto questo duplice processo: aiuta il
giovane adolescente a riconoscere il proprio posto nel mondo e gli fornisce
strumenti essenziali per esprimere con entusiasmo la propria identità.
Bibliografia
Dan Siegel – La mente adolescente
A. Maggiolini, G. Pietropolli Charmet – Manuale di psicologia dell’adolescenza: compiti e
conflitti
Alberto Pellai – L’età dello tsunami
Silvana Tiani Brunelli – L’arte di educare
Silvano Brunelli – Le abilità personali nell’educazione
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Osservare e sentire per divenire consapevoli
essereintegrale.com/osservare-sentire
Agostino Famlonga
Sono due processi interiori diversi tra di loro, che si intersecano e si sovrappongono nel
movimento necessario a rendere consapevole qualcosa.
Sommati tra loro rendono possibile il divenire consapevoli, se sono disgiunti invece
possono ostacolare il processo.
Osservare
Osservare vuol dire essere presenti a quello che accade: è una condizione di
testimonianza consapevole.
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La funzione di osservare è una testimonianza muta, una condizione in cui il significato
o la narrazione associati a quello che si osserva vengono a cadere.
Sentire
Sentire vuol dire essere aperti all’esperienza che si sta vivendo, accogliendola in sé.
Il senso del sentire è una funzione pre-verbale, cioè che viene prima della parola.
Come l’osservare appena visto, anche il sentire è di per sé muto, e questo a volte rende le
due funzioni confuse tra di loro.
Il senso del sentire appare come una funzione biologica perché quando sentiamo
qualcosa lo sentiamo nel corpo.
È il corpo il trasduttore che emana le sensazioni che percepiamo tramite il senso del
sentire.
Più è forte il radicamento nel corpo maggiore è la quantità e la qualità di ciò che siamo in
grado di sentire, e questo non si limita al sentire solo quello che stiamo vivendo a livello
personale.
Il canale del sentire infatti apre le porte al sentire quello che sente l’altro, e anche alla
percezione energetica dell’esperienza che stai vivendo.
Immagina di fare una passeggiata nella natura: se ti apri a sentire l’esperienza che stai
vivendo, ti apri a sentire l’energia che ti circonda.
E non per niente a volte nel descrivere l’esperienza diciamo “un’immersione nella
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natura”.
Condurre e costruire
Quando ti apri al sentire qualcosa sei in contatto con la sensazione allo stato puro.
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Facciamo un paragone per comprendere: supponiamo che l’esperienza che stai vivendo
sia acqua saponata, e tu l’anello che serve per fare le bolle di sapone.
Le bolle sono sempre bolle, l’esperienza è sempre lei, ma quello che accade con le due
funzioni è diverso.
Ovvero, detto in un altro modo: per testimoniare un’esperienza serve prima sentirla
pienamente.
Senza il sentire l’osservare è falsato: le bolle costruite non sono le reali bolle
dell’esperienza, ma sono qualcos’altro, un’idea astratta lontana dalla realtà
dell’esperienza.
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Un esempio: consapevolezza del respiro
Una pratica diffusa per avvicinare la persone alla pratica della consapevolezza è quella di
imparare ad essere consapevoli del respiro.
Se sei in modalità conduttore, lasci che la sensazione dell’aria che entra ed esce dalle
narici fluisca alla consapevolezza.
[ Una precisazione: ho preso questo esercizio perché è molto diffuso e spesso viene dato come
allenamento iniziale per sviluppare l’abilità di attenzione focalizzata.
Ciò non toglie che respiro e consapevolezza possano combinarsi per altri scopi e in modalità
differenti da quelli usati qui come esempio. ]
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Quando l’osservare diventa distanziarsi
Esiste un curioso tranello che a volte colpisce chi si avvicina alle pratiche di
consapevolezza.
L’istruzione di “essere testimoni di ciò che accade” può infatti essere utilizzata come
modo per distanziarsi ancora di più da qualcosa di spiacevole.
Oppure può funzionare da rinforzo nel mantenere attiva nell’inconscio una barriera che
trattiene elementi, percepiti come sgradevoli o minacciosi, dall’essere resi consapevoli.
Più la persona ha il canale del sentire congelato, più è portata a prendere questa strada,
in cui la funzione di costruzione ha preso il sopravvento su quella di conduzione.
Proprio per questo appare sempre più evidente come sia necessario integrare
entrambe queste due nostre funzioni: sentire e osservare.
Condurre e costruire.
Entrambe le modalità sono positive e si integrano tra di loro nel diventare consapevoli.
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Cosa accade se, invece di indirizzare la consapevolezza verso un oggetto, poniamo
l’attenzione sulla consapevolezza stessa?
Uno spazio di pura coscienza che si manifesta con le sue qualità peculiari, infinita
apertura e ricettività, che sente e osserva ogni cosa.
_________
Bibliografia
8/8
Le fasi di sviluppo della volontà e della resa
essereintegrale.com/sviluppo-volonta-resa
Agostino Famlonga
Abbiamo cioè la capacità di imprimere al corso degli eventi un direzione, di dare una
forma alla vita che stiamo vivendo.
Apparentemente questa dote è in contrasto con un’altra capacità che possediamo: quella
di vivere le cose così come sono, accettandole pienamente senza modificarle,
riconoscendo la perfezione intrinseca di tutto ciò che avviene.
Quello che ho potuto vedere nella mia esperienza di accompagnamento alla crescita in
consapevolezza con le persone è che c’è una tendenza a creare polarizzazioni
interiori: c’è chi usa solo la volontà, innescando a volte anche dei meccanismi di
forzatura della vita e delle relazioni.
Al contrario c’è chi si polarizza verso l’apertura e nell’accettazione passiva di ogni cosa.
Entrambi gli estremi non risolvono la questione , lasciano una potenzialità di sviluppo
inespressa e quindi innescano una frustrazione.
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L’elemento che gioca a sfavore è che questa frustrazione manifesta i suoi effetti a lungo
termine. Nell’immediato sembra che schierarsi da una parte (volontà o resa), risolva la
questione.
Ognuno sceglie in base alla propria predisposizione “da che parte stare”, ovvero come
vuole vivere la propria vita, e si sente a posto così. In realtà nel lungo periodo questo
diventa controproducente, generando un senso di insoddisfazione radicale che a volte la
persona non riesce a comprendere.
Sì, esiste.
Come?
Procediamo per gradi, dando delle definizioni più specifiche di quello che sono la volontà
e la resa.
La volontà
Quando parlo di volontà mi riferisco all’intenzionalità che l’essere umano è in grado
originare e manifestare nelle sue azioni.
Un’intenzione è una spinta ad agire, una forza pre-verbale che crea un movimento.
Originare, nel senso di creare qualcosa. Questa creazione parte dalla nostra interiorità. È
l’essere consapevole che siamo che crea e origina un’intenzione.
Finalizzata: l’azione è connessa al fine, cioè alla cosa che vuoi ottenere.
L’azione è finalizzata e connessa allo scopo quando sai cosa vuoi ottenere e perché lo vuoi
ottenere.
Da leggere » La scelta
La resa
Alla parola resa spesso è associato un connotato negativo. In realtà l’atto di resa non è da
intendersi come una sconfitta rispetto a qualcosa.
Questo implica un lasciarsi andare nell’esperienza che si sta vivendo nel momento
presente, e anche un lasciare andare l’esperienza vissuta nel passato e un aprirsi agli
eventi futuri riconoscendo che in gran parte non sono determinabili da noi.
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Nella resa semplicemente ci si apre a quello che c’è, nel flusso dinamico della vita.
In questa profonda apertura si scioglie l’attaccamento al risultato delle proprie azioni.
Sequenza di sviluppo
La volontà e la resa sembrano in antitesi quando la sequenza di sviluppo di queste
nostre due facoltà incontra degli intoppi evolutivi, cioè quando le tappe non vengono
portate a termine nei tempi e nei modi idonei.
La sequenza di sviluppo naturale prevede che prima si sviluppi la volontà, poi l’atto di
apertura.
Quando questo accade in modo naturale, le due funzioni poi si integrano tra di loro,
senza alcuna contrapposizione, senza alcun contrasto percepito soggettivamente.
Purtroppo, spesso questo non accade. Vediamo perché e quali sono le conseguenze.
Intoppi evolutivi
Quando ci sono degli intoppi evolutivi, come ad esempio quando la volontà individuale
viene limitata da un’educazione repressiva, la persona cresce con questa funzione
“menomata”, limitata nella sua piena espressione.
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L’individuo che subisce una repressione della propria intenzionalità impara ad
arrendersi, nel senso che la sua volontà subisce una sconfitta e da qui nasce
l’accezione negativa associata al termine resa.
Un altro intoppo evolutivo molto comune nello sviluppo delle due funzioni accade
quando, nell’aprirsi la persona subisce delle ferite.
Il dolore di una ferita provoca una chiusura, che è proprio quello che impedisce
l’apertura del cuore, e di conseguenza inibisce la resa.
Allora, in questo caso la persona si rifugia nell’uso forzoso della volontà. Il baricentro
delle due funzioni viene spostato sull’atto volitivo, spesso connesso ad una componente
di forzatura, che altro non è che la mancata integrazione dell’altra polarità, quella della
resa.
Se nell’aprirsi riceve delle ferite si polarizza sull’uso della volontà, con una componente
di forzatura.
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Fase 0: Reazione
Il punto di partenza è la condizione in cui le due funzioni sono latenti, non sono ancora
sviluppate.
La persona in questo caso reagisce a quello che sta vivendo in base a degli automatismi
mentali, condizionati dalle esperienze passate.
Questa risposta non può essere ricondotta al un atto di volontà, perché nella volontà,
per come l’abbiamo definita all’inizio dell’articolo, sono incluse la consapevolezza e
l’intenzionalità, che in questo caso sono assenti.
Fase 1: Dicotomia
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Questa è la prima reale fase di sviluppo, quella precedente è una condizione in cui lo
sviluppo è fermo a livello zero.
In questa condizione la persona sente che ha due opzioni di fronte agli eventi: o usare
la volontà, oppure usare la resa.
Cioè, se ad esempio nella vita ti accorgi che usi tantissimo la volontà, senza mai lasciarti
andare aprendoti a quello che potrebbe accadere fuori dalla sfera del tuo controllo,
porta l’attenzione a quest’ultima opzione. Riconoscila come possibile alternativa al tuo
naturale modo di essere nella vita.
Fase 2: Sequenza
La sequenza di sviluppo naturale prevede prima lo sviluppo della volontà poi quello
della resa. Per questo motivo, anche nell’azione di sviluppare intenzionalmente queste
due funzioni, l’ordine è il medesimo.
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Prima manifesti la volontà, con intensità esprimi la tua intenzione e agisci
nell’esperienza connettendoti al tuo scopo.
Quando senti che questa ha raggiunto l’apice di ciò che sei capace di fare in quel
determinato momento, scivoli nella resa, cioè nell’apertura incondizionata a quello
che sarà.
L’atteggiamento interiore è di sentire che hai fatto tutto quello che era in tuo potere per
dare una direzione al corso degli eventi, e ora puoi solo lasciare che le cose vadano e che
il risultato arrivi.
L’elemento cruciale, per passare da questa fase a quella successiva, è quello di imparare
a sciogliere le forzature mentre eserciti la volontà.
Forzare gli eventi vuol dire volerli rendere diversi da come sono.
Fase 3: Unificazione
Quando le forzature nell’uso della volontà sono completamente sciolte, la volontà e la
resa si manifestano contemporaneamente, simultaneamente. Si unificano. Diventano la
manifestazione di una sola forza.
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È l’essere consapevole che sei che si manifesta con queste due caratteristiche che gli
appartengono: l’apertura e l’intenzionalità.
Origini intenzioni e le manifesti con intensità, con una forte volontà che imprime agli
eventi una direzione, ma anche al contempo sei completamente aperto e arreso a quello
che si manifesta, momento per momento.
Senti che è la vita stessa che agisce attraverso di te, manifestando le sue intenzioni e i suoi
scopi.
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La forzatura va prima resa consapevole e poi sciolta.
L’effetto è quello di rendere la resa una “sconfitta della volontà”, e quindi un’arresa,
alimentando uno dei possibili intoppi evolutivi che abbiamo visto precedentemente.
Perché è un errore? È vero che nella fase di unificazione la volontà personale diventa
qualcos’altro, diventa una volontà non-personale, ma in questa transizione la volontà
personale viene inclusa e trascesa in qualcosa di più grande, non viene negata o
repressa.
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La tua esperienza con la volontà e la resa
Nell’articolo ho delineato una sequenza di sviluppo di queste due facoltà in una
prospettiva integrativa. Certamente i punti possono essere approfonditi ulteriormente,
ma questo è a mio avviso uno schema sufficiente per comprendere molte delle
dinamiche che intercorrono tra lo sviluppo della volontà e della resa.
Ora passo la parola a te, ponendoti delle domande per riflettere su questi aspetti.
Se ti fa piacere, puoi lasciare le tue riflessioni o la tua esperienza su questi temi nei
commenti qui sotto.
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Il guidatore e l’elefante: una visione integrata
essereintegrale.com/guidatore-elefante
Agostino Famlonga
L’animo molteplice
È meraviglioso riconoscere come l’interiorità dell’essere umano sia composta da più
parti. Possediamo un insieme di funzioni con modalità di azione e scopi diversi tra di
loro, e questa è una nostra ricchezza. Il rovescio della medaglia è che a volte queste
funzioni possono essere in contrasto.
Pensa alla classica contrapposizione “mente e cuore“. La mente dice una cosa, e il cuore
ne dice un’altra. Si crea immediatamente una tensione interiore di non facile risoluzione.
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Spesso le persone, per risolvere la tensione, si polarizzano su una posizione dando
“vittoria” ad una parte e giustificando a posteriori la posizione presa.
Queste funzioni ci appartengono in quanto esseri umani. Possono essere divise tra di
loro, creando spinte contrastanti, o integrate in un insieme più grande. Non parlo solo
dell’esempio mente-cuore appena fatto, ma di tutte le innumerevoli spinte che
agiscono dentro di noi.
Nel corso della storia, spesso chi ha compiuto questa conciliazione interiore ha tentato di
veicolare il suo insegnamento ad altri usando delle metafore. Queste hanno lo scopo di
veicolare un messaggio profondo e simbolico. Colpiscono perché agiscono con delle
immagini e degli archetipi, quindi restano più impresse rispetto ad un insegnamento
linguistico che si ferma al livello del significato semantico.
Vediamo due famose metafore storiche che tentano di dare una spiegazione di come
unire la divisione tra la parte razionale e quella emotiva-istintiva dell’essere umano.
L’auriga e i cavalli
La prima è la famosa metafora della coppia di cavalli e del carro guidato dall’auriga. È
stata ideata da Platone nel tentativo di descrivere la natura dell’anima.
Secondo questo mito le parti della nostra interiorità possono essere raffigurate come un
carro trainato da una coppia di cavalli. I due cavalli sono molto diversi tra di loro, e sono
raffigurati simbolicamente contrapponendo i colori bianco e nero.
Quello nero raffigura la parte legata al mondo terreno, incline a lasciarsi trascinare dal
piacere e dei sensi.
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Il guidatore del carro (l’auriga) rappresenta l’intelletto e la ragione, che cerca di
indirizzare entrambi i cavalli verso il cielo, cioè verso il mondo delle idee, che secondo
Platone è la sede dell’essere autentico.
“Ebbene, dei due cavalli quello in posizione migliore è di figura eretta e ben costruita […]
amante di onore, ma con temperanza e pudore, e compagno dell’opinione veritiera, non
bisognoso di frusta, si lascia guidare solo con l’incitamento e la parola. L’altro, invece, è storto,
tozzo, conformato a caso […], compagno di tracotanza e vanteria, sordo, a mala pena
obbediente alla frusta coi pungoli.”
Per Platone, alcune delle emozioni e delle passioni sono di valore (per esempio, l’amore
per l’onore) e aiutano ad accompagnare l’io nella giusta direzione, mentre altre sono
sconvenienti (per esempio, gli appetiti e la lussuria).
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Il guidatore e l’elefante
Un’altra metafora che tenta di rappresentare la nostra interiorità a livello simbolico è
stata trasmessa da un altro grande saggio, il Buddha.
Questa metafora è per alcuni versi simile a quella di Platone, ma rappresenta in modo
simbolico le proporzioni diverse tra le parti in gioco. La parte emotiva-istintiva ha un
peso e una forza maggiore rispetto a quello della ragione.
Questa mia mente, che un tempo vagava a suo piacimento da un oggetto all’altro, in balia
di ogni capriccio e desiderio, la dominerò ora come il mahout guida l’elefante in calore
con la sua asta uncinata.
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L’elefante sente, il portatore giustifica
Nelle condizioni ordinarie il portatore dell’elefante è molto lontano dal domare il grosso
elefante su cui è seduto.
Le ricerche nel campo della psicologia ci dicono che al massimo può essere visto come
un consulente o un servitore, non un re, un presidente o un auriga con una presa salda
sulle redini.
Significa che…
È l’elefante che decide cosa è buono o cattivo, bello o brutto. Sono le sensazioni
viscerali, le intuizioni e i giudizi avventati che ricorrono costantemente e
automaticamente.
L’avvocato è il portatore (la parte razionale) e prende ordini dall’elefante (la parte
automatica e inconscia).
Inoltre ha un controllo limitato, può dare la direzione, ma per andare in quella direzione
deve muovere l’elefante.
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La funzione dell’elefante
L’elefante rappresenta i comportamenti automatici, istintivi, abitudinari. Sono molto
forti e resistenti al cambiamento.
Se l’elefante possiede delle sane abitudini e una serie di abilità funzionali apprese, il
portatore può dedicare la sua attenzione alla direzione a lungo termine sapendo che
l’elefante resterà ben saldo sulla strada scelta. È una forza che dà sicurezza al
portatore.
Viceversa, dal punto di vista negativo, quando l’elefante spinge in una direzione, è sordo
ai ragionamenti. Non è con la logica che si può direzionare l’elefante.
Quindi, di fronte ad una pianificazione a lungo termine da parte del portatore, dove sono
spesso implicate delle rinunce e dei sacrifici, tende ad andare in sofferenza e ad agire in
direzione discordante, cioè verso il piacere immediato.
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L’elefante non è attratto dagli elementi positivi, cerca piuttosto di evitare quelli negativi e
dolorosi.
Il grande piacere futuro è un’ipotesi, una promessa del portatore, non è certo che ci
sarà. L’elefante non ha questa connessione con il futuro, le sue reazioni sono immediate
e istintive.
Il guidatore è attratto dai grandi e potenziali piaceri futuri ed è disposto ad affrontare dei
disagi momentanei per perseguire una strada di maggiore realizzazione. Cosa che
l’elefante non è disposto a fare.
Un elefante condizionato
Nell’epoca in cui ci troviamo questi principi sono ben conosciuti e sono usati per
direzionare il comportamento delle persone, o per meglio dire, dei consumatori. Ci
troviamo ora nella situazione in cui l’elefante viene letteralmente addestrato a ripetere
determinati comportamenti.
Il mondo dei social network, per fare un facile esempio, è studiato e calibrato per dare
piccole gratificazioni immediate, utilizzando come innesco le relazioni. Un like su
facebook, una notifica di un tag da parte di un amico, è proprio quel piccolissimo
8/13
condizionamento diretto all’elefante, che gli da la gratificazione immediata che
cerca, a costo forse del perdere di vista la strada che stava percorrendo assieme al
guidatore.
La consapevolezza
Per come è stata tramandata la metafora nel corso della storia, c’è stata una
sovrapposizione tra la parte razionale della mente e l’auto-coscienza della persona.
Haidt nel suo famoso libro ha dato il via a questa interpretazione che poi è stata ripresa
praticamente da tutti coloro che hanno utilizzato la metafora in tempi recenti.
La consapevolezza può essere consapevole dei pensieri e anche del contenitore dei
pensieri (la mente pensante).
Ecco allora che dovremmo cambiare leggermente il modo di interpretare la metafora del
guidatore e dell’elefante, avvicinandoci di più al messaggio originario del Buddha.
Nella metafora originaria, il messaggio veicolato non era “la ragione dominerà
l’istinto.”
Vorrei che, da qui in avanti, nella lettura tornassimo a questo intento di unificazione.
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Domare l’elefante
Domare l’elefante, in entrambe le sue parti, significa accogliere le sue spinte e parlare
il suo linguaggio.
La parte emozionale e istintiva parla la lingua dei sensi, delle emozioni e dell’istinto,
non quella della ragione. Per addestrare questa parte dell’elefante serve dunque porsi su
questo piano, che è il livello del sentire, non del pensare.
La mente è incorporata, nel senso di “radicata nel corpo”. E allora per integrare
entrambe queste due componenti dell’elefante, serve passare attraverso il corpo, la sua
biologia, il suo sentire.
Questo non significa che il sentire è più importante del pensare. Potremmo dire che
è più fondamentale, nel senso che viene prima e quindi fa da fondamento a quello che
viene dopo.
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Sono semplicemente due parti dell’animo umano che vanno messe assieme. L’essere
umano le possiede entrambe, e vanno integrate.
Volendo usare un movimento simbolico, domare l’elefante non significa che l’individuo
si eleva sopra e domina l’elefante, ma che scende e si radica, prende pieno e
consapevole possesso dell’elefante.
In questo passaggio c’è un abbraccio unitario di ciò che è, c’è apertura e accoglienza a
tutto quello che il corpo sente. Allora, fatto questo, potremmo dire che l’individuo
doma l’elefante, non perché lo controlla, ma perché lo possiede come luogo di
identificazione.
Allora il pensiero non è più distaccato dal sentire. Il pensare e il sentire sono integrati
nella consapevolezza.
Se hai piacere puoi condividere il tuo pensiero utilizzando i commenti qui sotto.
Bibliografia
Platone – Fedro
Jonathan Haidt – Felicità, un’ipotesi
Manuel Petrucci -Il cervello emotivo 2.0
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Divenire: quando il fare incontra l’essere
essereintegrale.com/divenire-fare-essere
Agostino Famlonga
Spesso leggo accesi dibattiti tra i due schieramenti, su cosa sia necessario fare per
vivere una vita piena e realizzata.
L’altra opzione è quella della ricerca della conquista della vita. Quindi obiettivi concreti,
materiali e successo personale.
Esiste un modo di unire queste due visioni per avere una crescita personale
consapevole?
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La crescita orientata al fare
La crescita personale per come è concepita ordinariamente è incentrata sul
miglioramento di un aspetto della propria vita.
Da questo punto di partenza orienti la tua attenzione e le tue azioni in quest’area della
vita per crescere e migliorare, per portarla ad un nuovo livello.
Questo modo di crescere riflette il modo in cui noi occidentali ci rivolgiamo alla vita: con
degli obiettivi.
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Vogliamo ottenere qualcosa dalla nostra vita. Vogliamo migliorare, e siamo disposti a
fare qualcosa per questo.
La motivazione iniziale
La crescita orientata al fare origina spesso dal rendersi conto di qualcosa che manca
nella propria vita, o dall’impulso a volere di più.
In sostanza esiste un spinta interiore che emana dal sentire che “devo essere diverso
da come sono.”
Così come sono non vado bene, devo fare qualcosa. Oppure, allo stesso modo: quello
che ho non è sufficiente, voglio di più.
Si viene invitati ad assumere dei modelli di pensiero: possono essere riferiti alla
mentalità vincente, alla mentalità dell’abbondanza, agli atteggiamenti del seduttore di
successo… insomma ci siamo capiti.
Questo modo di crescere a volte si dimostra vincente dal punto di vista pratico: si
raggiungono gli obiettivi prefissati, spesso anche in breve tempo.
Assumere un modello di pensiero, un modo di essere che non è tuo, ti allontana dalla
tua verità: ti allontani da chi sei tu. Questo alla lunga si paga dal punto di vista umano,
sempre.
Quando c’è una sconnessione tra quello che fai e quello che sei, i risultati non appagano
fino in fondo.
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La crescita orientata all’essere
L’altro versante della crescita è quello orientato alla ricerca interiore: la crescita nella
consapevolezza.
Constatato l’insuccesso dal punto di vista della realizzazione umana del modello
precedente, ci si orienta verso l’interiorità, alla ricerca della completezza esistenziale.
La crescita in questo campo allora si traduce nel restare sempre più aderenti a questa
condizione. Sempre più ritirati in sé stessi, sempre più distaccati dall’illusione della
vita.
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Sembra la soluzione definitiva all’errore della via orientata al fare. Finalmente, trovata la
completezza ricercata, è possibile direzionare lì i propri sforzi di crescita.
Sfuggendo dal narcisismo della crescita per obiettivi concreti si cade nel narcisismo della
crescita interiore.
Il ritirarsi nell’essere può rivelarsi una via di fuga dorata, originata dall’incapacità
individuale di vivere e di relazionarsi con gli altri.
A volte origina nella persona come moto spontaneo dopo aver esplorato entrambe le
polarità.
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Orientarsi in questo fin dall’inizio permette di risparmiare tempo e di agire fin da subito
nella direzione migliore. Io la definisco la crescita “orientata al divenire”.
Sapere chi sei, e rimanere aderente alla tua verità, è il punto di origine per orientare la tua
esistenza.
Non una fuga all’indietro, ma un abbraccio consapevole della vita e delle relazioni .
Un abbraccio attivo, costruttivo. Un abbraccio che vuole…
Significa conoscere direttamente quello spazio neutro, indefinito, che è la nostra vera
natura, e riconoscere che seppur vuoto, tremendamente vuoto, contiene dei semi che
vogliono tradursi in qualcosa di reale.
Accade in modo spontaneo e naturale, è una diretta conseguenza di quello che accade a
livello interiore rimanendo aderenti alla propria consapevolezza e assecondando il moto
creativo che spontaneamente emerge da quello “spazio vuoto”, origine di tutto.
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Un nuovo significato alla crescita personale
L’approccio descritto propone una sintesi tra la crescita interiore e quella esteriore,
partendo dalla prima, partendo cioè dalla conoscenza di sé. L’esperienza ha reso
evidente che una senza l’altra non porta alla pienezza esistenziale tanto ricercata.
Esiste un percorso ideale, che permette di passare gli stadi della crescita in una
progressione ottimale. La crescita crescita descritta ha tre fasi, che andrebbero
conosciute e vissute pienamente senza scavalcarle.
Conoscere i condizionamenti
La prima è una fase di de-strutturazione, di conoscenza dei processi mentali che
hanno direzionato e condizionato la vita e le scelte fatte.
Lo scopo è ottenere la piena consapevolezza di sé, cioè fare crollare l’impalcatura che
tiene in piedi la dualità, il sentire di essere separati, dagli altri, dalla vita, da sé stessi. Si
tratta di una condizione di unione diretta e consapevole con sé stessi, in grado di
donare una completezza esistenziale indescrivibile.
Questa è la terza fase della crescita: il tradurre sé stessi nella vita tramite le abilità,
attraverso le relazioni, restando consapevoli di sé in ogni contesto.
Ora è possibile farlo nel modo ottimale perché si sono puliti a sufficienza i meccanismi
sabotanti della mente e perché si conosce sé stessi in profondità.
Questo è il vero significato del termine divenire: quando quello che fai è in stretto
contatto con quello che sei. Quando c’è questa unione, ecco che si attinge alla vera
motivazione, ad una fonte pressoché infinita di energia vitale.
Non più una motivazione di carenza o di mancanza. Non più una lacuna da colmare, ma
una pienezza da donare.
Ogni fase ha i suoi scopi e suoi strumenti, non andrebbero confusi o sovrapposti tra di
loro.
Negli anni ho visto persone compiere i giri più articolati all’interno di questi tre passaggi,
partendo dalla terza fase e finendo nella prima, per poi tornare di nuovo alla fase di
costruzione.
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A volte il prossimo passo significa tornare indietro a sistemare quello che non si è
portato a conclusione.
In realtà non si torna mai indietro, si va sempre avanti nel proprio percorso di crescita.
Non potrebbe essere altrimenti.
A volte il prossimo passo significa lasciare una fase ed entrare in quella seguente.
Ora conosci a grandi linee quelli che sono i passi da compiere. A te la scelta, come
sempre.
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La gioia di dare dura di più di quella di ricevere
essereintegrale.com/gioia-dare-ricevere
Agostino Famlonga
Lo scambio del dare e del ricevere doni rende l’atmosfera natalizia densa di gratitudine
e questo la rende speciale, per i bambini ovviamente, protagonisti di questo momento,
ma anche per gli adulti.
Il gesto del dare e del ricevere un dono è equivalente nel darci un senso di gioia.
Attraverso la gioia che l’altro sperimenta nel ricevere un nostro dono possiamo vivere il
medesimo sentire.
Chiaramente esistono un’infinità di vissuti individuali sul movimento del dare e del
ricevere, tanti quanti gli individui che popolano il pianeta.
Così è anche in questo caso. Uno studio recentissimo (sarà pubblicato a breve) ha
provato ad indagare il vissuto personale di un centinaio di persone su questo aspetto.
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Quello che ha scoperto è che… la differenza in pratica c’è.
Vediamo qual è.
Uno studio recente ha indagato se questo adattamento si presentasse anche nel gesto
del donare qualcosa, e il risultato ha dimostrato che…
nel fare un dono ad un altro, la gioia soggettiva di chi dona non diminuisce, ma rimane
costante anche al ripetersi del gesto.
Invece nel ricevere più volte un dono, dopo un po’ la gioia cala.
Nel dare lo stesso dono più volte, la gioia percepita in chi dona resta costante.
Lo studio sarà pubblicato a breve sulla rivista Psychological Science, ma i dati sono già a
disposizione (vedi bibliografia).
Nel ricevere un dono, l’attenzione di chi riceve è sul dono, cioè sull’oggetto che si ha
ricevuto.
Nell’atto di donare invece l’attenzione è sul gesto del donare.
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Il cambio del focus di attenzione rilevato nello studio è accaduto spontaneamente nei 96
soggetti che hanno partecipato alla ricerca.
Ecco allora che da questo studio possiamo trarre un utile spunto per il natale alle porte:
possiamo portare l’attenzione sul nostro gesto di donare e sul movimento del
ricevere, invece di concentrarci su cosa abbiamo donato e su cosa abbiamo ricevuto.
Sicuramente questo amplificherà la bellezza dei momenti passati assieme ai nostri cari
rendendo il natale ancora più caldo e interiormente appagante.
L’intenzione è sia quella di darti uno spunto di riflessione in tema natalizio, che spero sia
stato gradito, e di darti assieme a questo un caloroso augurio di un sereno natale.
Agostino
Bibliografia
O’Brien, Ed, Samantha Kassirer – Repeated getting vs Repeated giving
The joy of giving last longer than the joy of getting
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Teoria, ipotesi o legge?
essereintegrale.com/teoria-ipotesi-legge
Agostino Famlonga
Esistono un’infinità di teorie costruite dall’uomo per spiegare la natura delle cose.
La teoria della selezione naturale, ad esempio, è una teoria che cerca di spiegare le
origini dell’uomo secondo un modello evoluzionistico.
La teoria del cambiamento climatico tenta di spiegare il perché del cambiamento in atto.
E potremmo proseguire con un’infinità di esempi.
Il fatto che siano solo teorie, agli occhi di qualcuno le rende deboli, come se fossero
prive di fondamenta. In fondo, essendo teorie, possono essere messe in discussione.
Chiunque ipoteticamente può inventare una sua teoria per spiegare le realtà delle cose.
Ed in effetti, questo è ciò che accade ai tempi nostri, in cui chiunque si sente legittimato a
dire la sua, mettendo in discussione qualunque cosa. Siamo infatti nell’epoca della post-
verità [LINK], in cui chiunque può mettere in dubbio tutto.
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Queste parole non sono prive di significato, e non andrebbero confuse una con l’altra.
Solo comprendendo il significato dietro una parola possiamo recuperare un dialogo
comune che porti alla comprensione (sia tra gli individui che della realtà in cui viviamo).
Le 3 verità
Tutti abbiamo in noi una tensione alla ricerca della verità. In un certo senso la vita
stessa può essere vista come la ricerca continua di una verità assoluta, inconfutabile,
inamovibile.
La realtà delle cose ci pone però di fronte all’opposto: ci confrontiamo con una verità
relativa che è in continuo mutamento. Ciò che è considerato vero in un’epoca, non lo è
più in un’altra.
Verità oggettive
Un tempo era considerato vero che il sole girasse attorno alla terra, ora è considerato
vero il contrario.
Sono state cioè ideate nel tempo due diverse teorie per spiegare la realtà delle cose.
Sono equivalenti? No. Sono entrambe relative, ma non sono equivalenti.
Fra qualche anno potremmo mettere in discussione quello che oggi consideriamo vero.
Perché questa affermazione? Per comprenderlo serve innanzitutto fare una prima
distinzione tra quella che è una dimensione oggettiva e quella soggettiva.
Il metodo di verifica che permette questo ordine è il metodo scientifico, che distingue
tra una teoria, una legge e un’ipotesi.
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La scienza, nella dimensione oggettiva, è alla continua ricerca di una teoria che spieghi in
modo sempre più vero la realtà delle cose. Cercando conferme e smentite delle ipotesi,
le varie teorie hanno nel tempo fornito una risposta sempre più adeguata
all’interpretazione della realtà.
Verità soggettive
Per la dimensione soggettiva invece abbiamo un’altra metodologia di indagine, che non
segue il metodo scientifico.
Esiste, nella dimensione soggettiva, un altro criterio per valutare la verità delle cose: è la
sincerità.
Una verità soggettiva è più vera di un’altra se chi la sperimenta è più sincero a sé stesso
nello sperimentare quella cosa.
Equivalenza
Le tre dimensioni esistenziali sono equivalenti tra di loro.
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Anche trovando la completezza esistenziale nella dimensione della consapevolezza, non
si spegne la tensione alla ricerca di verità relative sempre più vere nelle dimensioni
oggettiva e soggettiva.
Un linguaggio comune
Per comprenderci maggiormente abbiamo bisogno di un usare dei termini che
permettano di definire bene a cosa ci stiamo riferendo.
Iniziamo dunque dal distinguere 4 elementi che a volte vengono confusi tra di loro:
Fatto
Ipotesi
Teoria
Legge
Sono quattro fattori determinanti nella nostra ricerca di un ordine nelle verità relative.
Tutti e quattro sono indispensabili, al loro posto, con un ordine una valenza precisa.
Fatto
Un fatto è un’osservazione che possiamo fare del mondo attorno a noi.
Un esempio banale: guardi alla finestra e vedi che fuori c’è la luce.
Hai osservato un fatto: fuori c’è luce.
L’osservazione è sia il punto di partenza che il punto di arrivo del metodo scientifico.
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Ipotesi
Un’ipotesi è una proposta di spiegazione di un fenomeno, che diventa il punto di partenza
per ulteriori indagini.
La luna è esplosa.
C’è un ufo che sta illuminando il giardino.
È sorto il sole.
Se esci fuori e c’è il sole, l’ipotesi del sole è confermata. Hai fatto un’osservazione
scientifica.
Test
Un test è una verifica delle ipotesi. Osservando elimini le ipotesi sbagliate e confermi
quella esatta.
Uscendo in giardino puoi vedere che non ci sono ufo, che la luna è al suo posto e che il
sole splende alto nel cielo.
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Confermi semplicemente un’ipotesi corretta. Non è una teoria o una legge o una verità
assoluta, è semplicemente una possibile spiegazione per qualcosa. Qualcosa che ti può
portare a una nuova ipotesi, che ti può confermare o disconfermare questa ipotesi, in un
ciclo potenzialmente infinito.
Teoria
Una teoria è una spiegazione dettagliata di un fenomeno acquisita tramite il metodo
scientifico e ripetutamente testata e confermata tramite osservazione e sperimentazione.
Maggiori sono le ipotesi confermate, più la teoria è solida, regge cioè il test di realtà.
Le teorie ci permettono non solo di vedere come sono le cose, ma anche di prevedere
come saranno in futuro. Più una teoria è esatta, più accurata sarà la previsione.
Il ciclo è questo:
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Legge
Una legge è un’affermazione basata su ripetute osservazioni sperimentali che descrive un
fenomeno, spesso espressa tramite una modalità matematica.
Osservando una mela che cade da un albero puoi descrivere il suo moto tramite delle
precise leggi matematiche (le leggi di Newton).
È una legge perché descrive in modo preciso come accadono le cose, ma non spiega il
perché questo accade.
È la teoria definitiva che spiega la gravità? Certamente no, perché ad esempio non
spiega alcuni fenomeni della meccanica quantistica, quindi anch’essa è una teoria
incompleta.
Significa che non ha valore? Assolutamente no, perché permette, ad oggi, una
spiegazione e una previsione accurata di moltissimi fenomeni. Significa semplicemente
che deve essere integrata in alcuni suoi aspetti fondamentali.
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Questo è valido per tutte le teorie.
Per quanto possano essere incomplete in alcune loro parti, le teorie basate su una
verifica secondo il metodo scientifico sono l’interfaccia migliore che abbiamo per
interagire con la realtà.
Possiamo utilizzare una teoria consapevoli dei suoi limiti e forti delle sue solide verifiche
empiriche.
Quando vedo dilagare il nichilismo della post-verità, sento un moto interiore che mi
spinge a tentare di ridare un ordine di valore alle verità relative.
L’altro movente è quello di darti uno spaccato di quelle che sono le fondamenta
teoriche del sito che stai leggendo.
Quello che scrivo negli articoli che leggi su questo blog ha due riferimenti teorici
importanti: la Teoria Integrale di Ken Wilber e la Teoria dell’essere di Silvano
Brunelli.
Entrambe sono teorie che forniscono uno spaccato della realtà.
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La Teoria Integrale è un
modello teorico che fornisce
(ad oggi) il contenitore più
ampio e integrato possibile
per includere ogni campo di
ricerca della realtà, sia essa
oggettiva, soggettiva,
intersoggettiva o
interoggettiva.
Le sue fondamenta poggiano
sul pluralismo metodologico,
che altro non è che
l’integrazione di più metodi
di ricerca, differenziati a
seconda della dimensione di
indagine.
Uno dei punti di forza di questa teoria è che indaga una la dimensione della
consapevolezza da una prospettiva priva di mistificazioni.
Il mio tentativo, con gli articoli di questo blog, è quello di unire le due teorie e di darti
degli strumenti di conoscenza utili alla tua crescita, sia in consapevolezza che nella vita,
sia nella dimensione individuale che sociale.
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Dalla teoria alla pratica
Nel campo della crescita, sia essa interiore che esteriore, avere una conoscenza
maggiore di un tema non si tramuta necessariamente in qualità di vita. Conoscere di più
una teoria non significa avere fatto un passo di crescita.
La pratica senza teoria però può essere davvero frustrante e portarti fuori strada in un
processo continuo di prova ed errore.
Ecco allora che la teoria non è inutile, anzi. Ti da una direzione, ti da la mappa di un
territorio.
Bibliografia
Ken Wilber – Pluralismo Metodologico Integrale
Silvano Brunelli – La teoria dell’essere vol. 1 e vol. 2
Thomas Kuhn – La struttura delle rivoluzioni scientifiche
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Le emozioni e l’ombra
essereintegrale.com/emozioni-ombra
Agostino Famlonga
Quando le emozioni non sono gestite correttamente, quello che emerge è un insieme di
emozioni che ristagnano: bussano ripetutamente alla porta della consapevolezza per
essere integrate. Spesso si ripresentano sotto forma di schemi emozionali, o anche
sotto forma di una singola emozione (spesso giudicata come negativa), che frenano e
ostacolano la crescita.
Quello che accade è che spesso, nonostante l’impegno personale nel cercare di andare
oltre questi schemi, essi si ripresentano.
Cambiano le situazioni, ma si ripresenta il medesimo schema emozionale.
Uno dei possibili motivi è che si sta trattando un’emozione secondaria, senza attingere
alla sua fonte, cioè l’emozione primaria che l’ha originata.
Esistono delle emozioni stratificate, in cui una è il riflesso di un’altra messa in ombra.
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Quando le emozioni si stratificano, tu senti quella che sta sopra, e non hai accesso a
quella che sta sotto.
L’articolo che stai leggendo parla proprio di questo: di come svelare una falsa
emozione e di come attingere all’emozione primaria. Tramite il processo di
trasmutazione delle emozioni, puoi accedere all’energia libera trattenuta alla base di
questa emozione.
Ombra
Il termine ombra, in campo psicologico, è usato per definire quella nostra parte mentale
ed emozionale che non è direttamente accessibile alla consapevolezza. È un’area
mentale inconscia che racchiude un vasto insieme di pensieri, sentimenti e dinamiche
che agiscono in modo autonomo.
L’ombra è per definizione il regno dell’oscurità e di ciò che rifiutiamo poiché non ci
piace o non ci fa essere a nostro agio con noi stessi o nei confronti degli altri. Spesso in
essa si racchiudono emozioni giudicate come fortemente negative.
Il sentire l’emozione può venire deviato in vari modi: può essere congelato, represso,
negato, distorto.
Quando questo accade,
Questa emanazione ha effetto sul pensiero, sul comportamento e a volte nella genesi di
emozioni secondarie, che definiamo in questo articolo come “false emozioni.”
È falsa perché è solo un effetto di un’emozione più profonda non sentita completamente.
Proprio su questo punto si commettono spesso molti errori.
Vediamo subito quello tipico.
Un errore comune
Un errore comune nel cercare di affrontare il proprio mondo emozionale è quello di
cercare di fare qualcosa con l’emozione secondaria , cioè con la falsa emozione.
Questo è un sentire che va riconosciuto e validato completamente, con il solo scopo
di accedere a quello che sta sotto, l’emozione primaria.
Alterandolo mantieni in vita proprio la barriera che tiene l’emozione primaria in ombra,
quindi continui ad alimentare il meccanismo.
Falsa Emozione
Cos’è dunque una falsa emozione?
Nello schema qui sotto, reso semplice per chiarezza espositiva, ti ho elencato alcuni
esempi di falsa emozione.
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Serve a questo punto fare una precisazione importante: la definizione “falsa emozione”
non dovrebbe farti cadere nell’errore di considerare quest’emozione irreale. Per chi la
sperimenta, che sia un’emozione secondaria o primaria, questa è altamente reale.
Il sentire è autentico.
Semplicemente va svelato quello che sta sotto, la vera emozione, o l’emozione originaria
se preferisci chiamarla così.
Tutto questo si traduce in una profonda autenticità, non solo emozionale, ma che
coinvolge tutta la persona nella sua interezza.
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Possiamo riassumere il lavoro interiore sulle emozioni scomponendolo in una sequenza
in 3 stadi:
La genesi dell’ombra
Quando un evento, un impulso personale, un’emozione, un pensiero va oltre la soglia di
tolleranza e di accettazione personale o sociale, questo viene messo “fuori dai confini
dell’io.”
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Questi poi vengono proiettati su qualcosa, su una persona o sulle persone, su un
oggetto, su un evento, sulla vita in generale. L’oggetto viene “colorato” da questo vissuto
personale dissociato.
Il passaggio poi può proseguire oltre nel negare totalmente il vissuto originario,
perdendo il contatto con il sentire originale.
2. Identificazione in 2a persona
Quando una parte di sé non è posseduta viene dissociata in una identificazione in 2a
persona. Si genera una relazione, con questa parte di sé, fuori da sé .
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In questa fase non senti più di essere arrabbiato, ma senti che gli altri sono arrabbiati
con te.
Potresti in questo stadio riconoscere che “Io non sono arrabbiato, sei tu che ce l’hai con
me”.
3.Identificazione in 3a persona
Se ancora il vissuto soggettivo è considerato sgradevole e insostenibile, questo viene
spinto ancora oltre: passa ad una identificazione in 3a persona, cioè diventa qualcosa
che non ti riguarda più. Diventa un oggetto esterno che non ha nessun legame con
te.
Riappropriarsi dell’ombra
Per accedere al vissuto messo in ombra bisogna invertire la rotta: l’elemento
dissociato, finito in una prospettiva in 3a persona deve diventare un qualcosa a cui è
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possibile relazionarsi (un tu, una prospettiva in 2a persona) e infine deve diventare
oggetto di identificazione (un Io, deve cioè essere vissuto in prima persona).
Da qualcosa che mi irrita senza nemmeno rendermene conto a qualcosa a cui posso
relazionarmi, fino a diventare io stesso proprio quella cosa.
3. Affrontalo
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Osserva il disturbo attentamente. Descrivilo. Chiarisci la situazione e il rapporto con le
persone interessate.
Nell’esempio della rabbia, questa non viene più riconosciuta, ma viene vissuta come
emozione secondaria, come tristezza, o come irritazione. Descrivi la situazione che
genera fastidio, con tutti gli elementi che concorrono a generare il tuo vissuto.
Non minimizzare il vissuto, prendi il tempo che ti serve per descriverlo il più
dettagliatamente possibile.
2. Parlaci
Entra in relazione con il vissuto, con l’esperienza in questione o con le persone
interessate.
Potresti simulare un dialogo con questo oggetto, creando in questo modo una
relazione più profonda.
Potresti chiedergli “Cosa sei? Chi sei? Da dove vieni? Cosa vuoi da me? Cosa mi stai
comunicando?…“
Permetti al disturbo di risponderti.
1. Diventalo
Dopo avere esplorato questo oggetto, questa situazione o questa emozione è arrivato il
momento di identificarti con esso.
Vuol dire diventare completamente questo oggetto o questa immagine o sensazione.
Vuol dire metterti in prima persona nei panni di quell’oggetto che prima hai
descritto, entrando completamente nella sua prospettiva. Devi arrivare al punto di
vedere il mondo come lui lo vede, diventando l’oggetto stesso.
Questo è il passaggio più difficile, perché proprio da qui è partito il processo dissociativo.
Sembra impossibile, è difficile e crea disagio. Ricorda che
se non creasse disagio stare in quel vissuto, non sarebbe finito fuori dai tuoi confini.
Quindi, con un atto di coraggio, entra in questa prospettiva, aiutandoti anche con dei
bei respiri pieni profondi.
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Inizialmente ci si avvicina con il sentire. Si inizia con il sentire quello che sente l’oggetto,
poi si intensifica il sentire e ci si apre, letteralmente “scivolando dentro” l’oggetto fino
a prenderne le sembianze e la prospettiva.
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Sequenza di 5 passaggi per la trasmutazione delle emozioni
1. Osserva cosa senti e come si manifesta nel tuo corpo (sia dal punto di vista fisico
che energetico).
2. Sospendi ogni tendenza a giudicare quello che senti. Se ti accorgi che stai
giudicando quello che senti, riconoscilo con accettazione.
3. Se la tua emozione riguarda qualcosa o qualcuno, rilassa il tuo rapporto con questa
cosa o persona. Lascia che l’energia emozionale sia quello che è.
Nota che sta emergendo in te facendo un cambio di prospettiva: da “mi fai
sentire così”, a “questo sentire emerge in me“. Prenditi piena responsabilità in
prima persona di ciò che senti.
4. Senti pienamente l’energia della tua emozione. Respira in modo circolare,
facendo dei respiri pieni e permettendo all’emozione di esprimersi completamente.
Quando inspiri, lascia che l’emozione si intensifichi e che “venga a te”.
Quando espiri, lasciala andare.
Dopo qualche respiro inizierai a sentire che l’emozione cambia, si mette in
movimento.
5. Tieni l’attenzione sul processo di transizione dell’emozione. Riconosci la natura
mutevole dell’emozione e attingi all’energia grezza sottostante che si è liberata.
Energia liberata
Non è necessario fare qualcosa per attingere a questo serbatoio di energia grezza.
La definisco grezza non nel senso di rozza. Vuol dire primordiale, aderente alla tua
essenza. È pura energia vitale disponibile per la tua evoluzione.
Continuiamo con l’esempio della rabbia. Dietro questa emozione umana c’è moltissima
energia. Quando la rabbia entra nel processo di trasmutazione delle emozioni si
trasforma in pura essenza e diventa energia libera da impiegare nell’ottenere chiarezza,
nell’agire verso la situazione che ha generato la rabbia cercando di modificarla in modo
costruttivo e consapevole.
La rabbia non scompare nel nulla: diventa qualcos’altro, e diventa una grande risorsa
da impiegare nella tua crescita interiore e non.
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Nello schema che segue ti ho riassunto in modo semplificato i principali effetti della
trasmutazione delle emozioni.
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Chiaramente lo schema serve a dare un’idea generale dei concetti: non è possibile
catturare l’intera fluidità delle emozioni in schemi rigidi.
Come
In questo articolo ti ho dato uno spaccato generale dell’interazione tra le emozioni e
l’ombra, cercando di farti comprendere i concetti generali.
Mi auguro che questo sia uno stimolo teorico per iniziare un lavoro di tipo pratico su
questo aspetto importantissimo della tua crescita interiore.
1. La psicoterapia
Uno degli scopi della psicoterapia è proprio quello di svelare l’ombra e di integrarla.
Quando è fatta bene, raggiunge il suo scopo.
2. Il Respiro Circolare
La respirazione circolare è una tecnica che permette di innescare sia il processo di
svelamento dell’ombra che di integrazione delle emozioni che qui abbiamo chiamato
trasmutazione.
La tecnica è semplice, alla portata di chiunque. Si apprende tramite un insegnante
qualificato poi si può praticare in autonomia ogniqualvolta se ne senta il bisogno.
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modo intenso e profondo dalla tecnica stessa. Per come è strutturato il corso, fornisce un
sostegno significativo che permette alla persona di andare a fondo nelle sue dinamiche
interiori.
NB: non mettiamo in ombra solo le emozioni spiacevoli, ma anche quelle assolutamente
positive. (Ma questo sarà argomento di un altro articolo)
Bibliografia:
Silvano Brunelli – Nel labirinto della mente
Ken Wilber – Integral Life Practice
Ken Wilber – Integral Spirituality
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Coscienza e consapevolezza: qual è la differenza?
essereintegrale.com/coscienza-consapevolezza-differenza
Agostino Famlonga
Non è quindi mia pretesa, con questo breve articolo, fare un trattato su questo tema.
La mia opinione personale è che i vari punti di vista, anche se a volte apparentemente
discordanti, verranno inclusi in un sistema più ampio , che permetta cioè di includerli
tutti in un “contenitore” più grande. Un approccio multidisciplinare e integrato, come
quello che sta da anni proponendo Ken Wilber con i suoi studi in questo campo.
La mia intenzione con questo articolo è quella di portare la tua attenzione alla tua
prospettiva personale, soggettiva, dell’esperienza della coscienza e della
consapevolezza.
Possiamo passare delle giornate intere a discutere della differenza tra coscienza e
consapevolezza, e certamente sarebbe un utile approfondimento, ma non è detto che
questo porti a qualcosa di spendibile. Per spendibile intendo qualcosa di applicabile
immediatamente nella vita.
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In bibliografia ti lascio delle utili risorse di approfondimento riguardo questi temi, per cui,
se sei interessato ad andare più a fondo nella conoscenza teorica della questione,
consulta queste fonti per trovare quello che cerchi.
Difficoltà
Le difficoltà nell’affrontare la questione su quale sia la differenza tra coscienza e
consapevolezza sono due.
1. Da una parte entrambe non sono qualcosa di definibile oggettivamente. Non sono
“oggetti”, ovvero non puoi dire “questa è la coscienza, eccola qui.”
La coscienza non è qualcosa. Idem la consapevolezza.
Puoi definire da dove viene, puoi studiare i correlati neuronali della coscienza, puoi
anche misurare il grado di coscienza di una persona (vedi gli studi del ricercatore
italiano Giulio Tononi), ma anche riuscendo a misurarla, ti ritrovi con un dato, con
una “misura del grado di coscienza”, che non è la coscienza stessa.
2. L’oggetto di indagine è il soggetto che mette in atto l’indagine stessa.
Il tentativo di definire cos’è la coscienza e cos’è la consapevolezza è messo in atto
proprio da colui che è cosciente e consapevole . Così come l’occhio non può
vedere sé stesso, così il tentativo di osservare l’osservatore porta ad un processo
ricorsivo, cioè che si riavvolge su sé stesso.
Un approccio soggettivo
Non è compito di questo articolo cercare di superare difficoltà di cui sopra nell’andare a
studiare l’argomento coscienza e consapevolezza: semplicemente le riconosciamo e le
accettiamo.
Quindi, da qui in avanti, ciò che leggi ha questo focus: pratico e soggettivo, cioè in prima
persona.
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Coscienza
Le varie branche del sapere umano hanno cercato di dare una definizione di cosa sia la
coscienza, e spesso quello che è fanno è contrapporlo a ciò che non è.
Nella psicologia si distingue ciò che è cosciente rispetto a ciò che è inconscio come
qualcosa di accessibile all’elaborazione consapevole.
Nella psichiatria si definisce la coscienza come quella proprietà che definisce i confini
dell’io, rispetto a ciò che è definibile come non-io.
Nello studio della morale la coscienza è la capacità di distinguere il bene dal male,
contrapposta alla mancanza di coscienza, ovvero all’ignoranza di ciò che è bene e ciò che
è male.
la coscienza è quell’aspetto della tua esperienza umana che ti consente di essere qui, ora,
presente.
Se non sei cosciente non sei presente, non sei qui, non sei ora. Sei da un’altra parte, in un
altro tempo. O forse, più semplicemente, non sei.
“Io sono” non è un’affermazione mentale, ma è una qualità delle tua esperienza
cosciente.
Puoi anche dirti la frase mentalmente, ma questa dovrebbe essere un veicolo per
spostare la tua attenzione a questa qualità del tuo essere nel mondo. L’esserci. Qui.
Adesso.
3/8
Questo è il tuo vissuto personale dell’essere cosciente.
Consapevolezza
Non solo sei qui, ora, presente (coscienza), ma lo sai, ovvero ne sei consapevole.
Puoi essere cosciente, in questo momento, di un’infinità di cose. Ma non tutte queste
sono consapevoli. Quando diventano consapevoli, sai di conoscerle.
4/8
Non solo qualcosa esiste nella tua coscienza, ma tu ne sei consapevole, cioè sai che
esiste.
Portando la luce della consapevolezza su una cosa specifica, la fai esistere in te.
Proprietà diverse
La prima differenza tra coscienza e consapevolezza è questa:
La consapevolezza invece può essere veicolata. Puoi cioè veicolare più o meno
consapevolezza nel tuo essere cosciente.
Quindi
non puoi scegliere se essere cosciente o no, ma puoi scegliere di essere più consapevole.
Questo accade quando sei nell’esperienza, senza alcuna consapevolezza di quello che
stai facendo, senza alcuna intenzione, senza essere presente a te stesso.
Il contrario non può accadere: per essere consapevole devi essere cosciente.
5/8
Detto in un altro modo: non puoi essere consapevole se non tramite l’essere
cosciente.
[ Questo principio viene a cadere negli stati avanzati di meditazione, in cui coscienza e
consapevolezza si separano nelle loro proprietà fondamentali, per approfondire Gli stadi
della meditazione LINK ].
Funzioni diverse
L’essere cosciente ti permette di vivere e di interagire con la vita.
Tramite la coscienza vedi, senti, gusti (…), ovvero sei nell’esperienza della vita.
Aumentare la consapevolezza
Perché
Abbiamo delineato gli elementi essenziali di distinzione tra la coscienza e la
consapevolezza.
Quello che emerge è che non ci è dato più di tanto di intervenire sul nostro essere
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coscienti, ma piuttosto diventa evidente l’esigenza su più livelli di divenire più
consapevoli.
Più sei consapevole, più strumenti hai per vivere in armonia con come le cose sono, e
quindi per avere una vita meno dolorosa.
Viviamo anche in un’epoca densa di problemi sociali, relazionali, di risorse… per risolvere
molti dei nostri attuali problemi, individuali e collettivi, non ci servono più informazioni,
ma più consapevolezza.
La specie umana, avendo superato l’emergenza della sopravvivenza fisica, affronta ora
una priorità evolutiva del tutto differente: divenire più consapevole.
Come
Come innescare il processo del divenire più consapevoli?
Ecco che per divenire più consapevoli di sé stessi, dell’altro essere umano e della vita
serve recuperare la nostra capacità di veicolare in modo intenzionale l’attenzione e
incanalarla nel modo giusto: verso sé, verso l’altro, verso la vita. Questa modalità di
conoscenza permette di esserci, in modo pienamente consapevole, nelle interazioni e di
costruire una vita migliore per sé stessi e per gli altri.
Uno strumento
Nella nostra epoca storica abbiamo a disposizione uno strumento d’eccellenza che mette
in atto questo processo in modo efficace e diretto: si chiama Intensivo sull’Essere
Consapevole. Si tratta di un seminario residenziale interamente dedicato al conoscere sé
stessi e al divenire più consapevoli.
Ti invito ad approfondire il tema leggendo la pagina dedicata alla descrizione dello scopo
7/8
e del metodo del corso.
Concludo questa breve rassegna sulla differenza tra coscienza e consapevolezza con una
citazione che è sia di ispirazione che di incitamento a prendere azione:
Silvano Brunelli
Bibliografia
Silvano Brunelli – Teoria dell’essere vol I e II
Silvano Brunelli – Il paradigma della comprensione
Agostino Famlonga – Sistema Operativo non-duale
Gerald Edelman e Giulio Tononi – Un universo di coscienza. Come la materia diventa
immaginazione.
Giulio Tononi, Christof Koch – Consciousness: here, there and everywhere?
David Charlmers – Che cos’è la coscienza
Guido Brunetti – La coscienza come fenomeno biologico
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Che differenza c’è tra istinto e intuito?
essereintegrale.com/istinto-intuito
Agostino Famlonga
2 processi distinti
Intuito e istinto possono apparire uguali, ma in realtà sono due processi distinti.
Quando segui l’istinto agisci guidato da un movimento irrazionale, che non sai
spiegare, che ti guida nel compiere una azione o nel fare una scelta.
Tutti abbiamo un istinto che ci guida. Quello che varia da persona a persona è il grado di
sintonizzazione rispetto a questo elemento.
Queste funzioni sono a volte confuse perché agiscono entrambe fuori dagli schemi
della logica e del pensiero razionale, eppure sono molto diverse tra di loro.
1/4
L’istinto
L’istinto è sempre presente e viene vissuto come un movimento che agisce “dal basso
verso l’alto”.
Si tratta di una componente innata, ereditata dalla nostra specie. Abbiamo un istinto di
sopravvivenza, di riproduzione, un istinto all’affermazione…
Quando sei sintonizzato con il tuo istinto, lo riconosci come qualcosa che era già
presente, un sentire non razionale che ti spinge ad agire.
2/4
L’intuito
L’intuito invece viene percepito come un movimento che agisce “dall’alto verso il
basso”.
Il processo dell’intuito è strettamente collegato a quello della creatività. Ciò che li unisce
è la consapevolezza.
L’azione della creatività viene vissuta con una fragranza di innovazione, a volte di
stupore e di meraviglia.
Essendo qualcosa di grezzo, primitivo, ancestrale, tende a non ascoltarlo e a dare più
peso alla ragione, alla funzione mentale razionale considerata più evoluta e funzionale.
Sebbene questo sia a volte utile e saggio (pensa ad un istinto omicida), quando ti
scolleghi dal tuo istinto perdi una parte importante della tua umanità.
Come essere umano sei dotato di entrambe le funzioni, e per la piena espressione della
tua umanità, hai bisogno di connetterle.
Sia per muoverti verso l’alto ad acquisire nuove intuizioni, sia nell’ascoltare verso il basso
quello che ti dice l’istinto, hai bisogno di essere aperto e consapevole di ciò che è.
Poca apertura e poca consapevolezza ti portano non essere in contatto con l’istinto e a
non poter accedere all’intuito.
Questo a cascata porta a confusione (non sapere cosa fare) e rigidità (poche opzioni tra
cui scegliere).
Dunque, se vuoi potenziare queste tue due doti naturali, lavora sugli elementi che hanno
in comune: la tua consapevolezza e la tua capacità di aprirti all’esperienza.
4/4
La completezza esistenziale e l’Esperienza Diretta di sé
essereintegrale.com/esperienza-diretta
Agostino Famlonga
Lo faremo con una intenzione chiara: delineare una strada verso una completezza
esistenziale duratura.
Un saggio disse che “un grammo di pratica vale di più di una tonnellata di teoria.”
1/31
L’incompletezza
Per parlare della completezza esistenziale, è corretto partire descrivendo l’incompletezza.
Si tratta di una condizione nota, di un punto di partenza comune.
L’incompletezza è un senso interiore muto che emana questo sentire: non vai bene così
come sei.
La sua controparte attiva è una spinta ad esser diversi da come si è . Sentendo di non
andare bene così come sei, c’è una spinta ad “rimediare”, a fare qualcosa per
compensare questo sentire di essere mancanti di qualcosa.
Queste due parti non sono separabili tra di loro: sono una il rovescio della medaglia
dell’altra.
Tanto più il sentire di non andare bene così come sei è forte, tanto più è attiva e forte la
spinta compensatrice a fare qualcosa per essere diverso da ciò che sei.
Da dove deriva questo senso muto di incompletezza?
La separazione
Cosa significa sentirsi separati da sé stessi?
Significa che quando cerchi di portare l’attenzione su di te, invece di avere una
percezione unitaria del tuo esserci, percepisci un velo che ti preclude questo esperienza.
Un velo di separazione, che ti fa sentire di non potere accedere completamente alla
tua piena consapevolezza nel momento presente.
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Accade quando l’attenzione non ha accesso immediato a tutta l’informazione a sua
disposizione.
Tanto comune da essere considerata per molti l’unico modo di stare nella vita.
Fenomeni psicologici che sono sì ordinari, ma non dovrebbero essere considerati come
l’unico modo di stare al mondo.
Dovremmo concepire uno stare nella vita in modo integro, completo, non separato.
Questa condizione dovrebbe essere la nostra condizione ordinaria, non il suo opposto.
Il corpo e la mente
Muoviamo il primo passo riconoscendo questo binomio: il corpo e la mente.
3/31
[ Per adesso mettiamo assieme alla mente anche le emozioni. Lo facciamo per
semplificare il discorso, poi approfondiremo meglio. ]
La prima cosa su cui porre l’attenzione è il fatto che, seppur distinguibili tra di loro, i due
poli “corpo” e “mente” si trovano lungo un continuum.
Alcuni autori l’hanno definita “mente incorporata”, cioè radicata biologicamente nel
corpo: una mente in stretta connessione con la biologia.
Queste due componenti del tuo stare nel mondo sono dunque strettamente
interconnesse tra di loro, e hanno la capacità di influenzarsi reciprocamente.
Quello che accade a livello fisico influenza tuo stato mentale ed emozionale.
Un esempio: se bevi 5 caffè il tuo stato mentale/emotivo verrà in qualche modo alterato
da questo.
Quello che accade a livello mentale influenza ciò che accade a livello fisico.
4/31
Ad esempio: se percepisci di essere in una condizione di pericolo il tuo corpo si mette in
allerta, aumenta il tuo battito cardiaco e tutto si predispone a reagire al pericolo (che
questo sia reale o meno).
La consapevolezza
Inseriamo ora nel nostro discorso la consapevolezza.
Questo semplice esempio ci dice pone di fronte al fatto che conosciamo tante cose…
ma non tutto ciò che conosciamo è consapevole.
L’attenzione.
La consapevolezza di sé
Abbiamo usato un esempio semplice, la consapevolezza del colore del tuo divano, cioè la
consapevolezza riferito qualcosa di specifico e definito.
Abbiamo compreso che l’attenzione è quella abilità umana che ti permette di rendere
un’informazione consapevole.
Facciamo un altro passo: cosa accade se vuoi divenire più consapevole di te stesso?
Non vuoi conoscere di più il colore del divano, ma vuoi conoscere di più te stesso.
Il principio è lo stesso, ma spesso nel fare questo passaggio si incontrano più difficoltà
rispetto a prima. È sempre il medesimo “sapere di sapere”, ma appare più sfuggente,
meno definito.
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Serve andare alla radice: che cos’è la consapevolezza di sé?
È sapere chi si è.
Passa anche attraverso dei significati che tu dai al tuo essere al mondo, ad esempio “io
sono padre, io sono un italiano, io sono onesto… ecc”, ma a livello fondamentale è quella
proprietà che resta quando tutti i significati sono stati conosciuti.
Sta prima di ogni significato. O dopo che hai lasciato andare ogni significato, quello che
rimane non cambia.
Muto, silenzioso.
Tanto quanto tu riesci a mantenere l’attenzione su di te, tanto tu aumenti il tuo sapere di
essere, la consapevolezza che tu hai di te stesso.
Il primo fra tutti è l’attenzione, che come abbiamo visto è la porta di accesso alla
consapevolezza. Tanto più tu sei in grado di mantenere l’attenzione con intensità, durata
e purezza su di te, tanto tu puoi divenire consapevole.
Tanto più ampia è la parte separata e frammentata di te stesso che senti di non
possedere, tanto più sarà impedita la tua capacità di conoscerti in modo integrale.
Tanto più forte è la somma del dolore e della paura delle esperienze che non sono
state integrate, tanto più forte sarà la barriera che ti tiene separato dalla piena
consapevolezza di te stesso.
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Tanto più ampia e resistita è l’informazione inaccessibile alla consapevolezza, tanto
più l’integrità della consapevolezza è messa in ombra, e tanto più forte è il senso di
incompletezza esistenziale che abbiamo visto all’inizio, e tanto più forte sarà la
spinta compensatrice a cercare di colmare questa incompletezza.
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Una cosa importante da notare è che è un triangolo equilatero. Le tre dimensioni sono
equivalenti, cioè hanno pari valore tra di loro.
Equivalenti non significa uguali, infatti ogni dimensione ha delle funzioni diverse e delle
proprietà specifiche.
Le funzioni
Vediamo graficamente le funzioni del corpo, della mente e delle consapevolezza.
Una funzione del corpo è quella di garantire la sopravvivenza fisica alla persona. Serve
riconoscere anche che il corpo ha dei bisogni, che sono in stretta relazione con questa
sua funzione.
Un esempio per chiarire questo aspetto. Se devi scegliere tra più posti di lavoro, la tua
mente farà delle valutazioni di vario tipo (quale ha lo stipendio più alto, quale è il più
sicuro ecc). I dati consapevoli servono a valutare, ma poi la scelta è determinata dalla
consapevolezza che hai di te stesso. Potresti per esempio, scegliere un posto di lavoro
8/31
semplicemente perché sai (sei consapevole) che quel posto di lavoro ti piace di più di un
altro.
La mente elabora dati e crea significati, ma poi è l’individuo consapevole che crea con
questi mattoni. La mente fornisce il materiale con cui costruire (i mattoni), l’individuo
consapevole crea delle creazioni inedite e innovative.
Mentre la mente può solo replicare quello che conosce, o al massimo combinare in
modo diverso i dati a sua disposizione, la consapevolezza è in grado di originare
qualcosa che prima non c’era.
Le dinamiche
Abbiamo visto le funzioni di queste 3 dimensioni, vediamone ora le 3 dinamiche
principali.
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La mente opera entro una dinamica di sopravvivenza orientata al massimizzare il
guadagno e a limitare la perdita. Soppesa la situazione e valuta calcolando quello che
conviene. Anche in questa dimensione umana è presente dinamica competitiva.
Tanto più sei consapevole di te, tanto più il tuo comportamento sarà orientato da un forte
senso etico.
Questo non significa che gli altri bisogni saranno azzerati. Saranno inclusi in un ordine
superiore.
Perché…
Tanto più la natura della consapevolezza è discriminata dal corpo e dalla mente, tanto più
il triangolo è in modo naturale equilatero: ogni dimensione umana risulta differenziata e
integrata in un funzionamento globale equilibrato.
Nella completezza esistenziale le dimensioni umane non sono spente, azzerate. Sono
incluse in modo equivalente in un adattamento funzionale integrato.
Il nostro tema è quello della completezza esistenziale, per cui concentriamoci su questo
vertice del triangolo per comprendere qual è il nostro modo ordinario di conoscere il
mondo.
10/31
Supponiamo, per comodità della nostra spiegazione, di posizionare la consapevolezza
nel punto di contatto tra una dimensione esteriore e una interiore.
In realtà la consapevolezza non è locata, cioè non puoi definire dove sia.
Così come i confini tra fuori e dentro, non sono così definibili come sembra ad un primo
sguardo.
Però è utile rappresentarla in questo modo, perché ci spiega molti principi utili.
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La conoscenza del mondo esteriore
Supponiamo che tu voglia conoscere una sedia. Che tu voglia divenire consapevole di
questo oggetto.
Quello che accade è che originerai un flusso di attenzione che origina da te e si dirige
verso la sedia.
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Una volta che hai toccato con l’attenzione la sedia, ne sei divenuto consapevole tramite
un processo di conoscenza indiretto.
Conoscenza duale significa che esistono 2 poli di conoscenza: tu che conosci, e l’oggetto
conosciuto. Due estremità. Un punto di partenza e un punto di arrivo.
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Possiamo schematizzare questa modalità di conoscenza così:
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1. C’è un soggetto: tu che conosci la sedia.
2. C’è un oggetto conosciuto: la sedia.
3. C’è un processo di conoscenza.
Quando senti l’emozione quello che accade è che ne divieni consapevole tramite il
processo del sentire, in una modalità di conoscenza mediata, di nuovo, duale.
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Il principio di conoscenza è lo stesso della sedia, non cambia.
È rivolto verso un oggetto interiore, un’emozione. Usi il sentire, invece della vista o del
tatto, ma la modalità con cui conosci l’emozione è sempre indiretta, mediata,
processuale.
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Vediamo i 3 punti dell’esperienza.
Mi spiego meglio.
Torniamo di nuovo ad occuparci della sola consapevolezza isolandola per un attimo dalle
altre nostre dimensioni.
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Abbiamo detto prima che divenire consapevoli significa conoscere di più sé stessi.
Non su una sedia, non su un’emozione, ma sulla fonte stessa dell’attenzione. Su di te.
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Tu che cerchi di divenire più consapevole di te significa che cerchi di mantenere
l’attenzione su di te, per conoscenti maggiormente.
Nel grafico sopra ti ho raffigurato questo processo di conoscenza con una linea
tratteggiata, perché?
Un punto importante da comprendere, fondamentale per capire tutto il discorso fatto fin
qui riguardo la completezza, è che, a causa della separazione…
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C’è un bipolo di conoscenza: tu che tieni l’attenzione su di te per conoscerti di più.
Vediamo i 3 punti dell’esperienza, come abbiamo fatto per la sedia e per l’emozione
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La risposta è sì per le prime due domande. Per la terza… continua a leggere.
Esperienza Diretta
Esiste una modalità di conoscenza che non è duale, ma diretta.
È il modo in cui l’individuo conosce sé stesso quando il velo della separazione da sé stessi
viene tolto.
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Oltre ad essere pura e continua, l’attenzione deve essere intensa, forte, determinata.
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In questa condizione l’individuo non si conosce tramite un processo, bensì direttamente.
soggetto e oggetto non sono separati, sono nel loro stato naturale di unione.
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La naturale condizione di unione è totalizzante e permette alla persona di esperire un
senso di intima unione con il mondo di cui è parte.
Unione con sé stessi. Unione con la vita. Unione con l’altro essere umano.
Tutto ciò che viene esperito viene vissuto con un profondo senso di unione essenziale.
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Le due modalità di conoscenza di sé – diretta e indiretta – sono radicalmente diverse tra
di loro, e hanno esisti altrettanto diversi.
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Una modalità di conoscenza indiretta permette di maturare uno stato che potremmo
definire “io so”.
Non esiste purtroppo in italiano una parola che descriva un’esperienza che avviene
senza alcun processo.
Usiamo la parola Esperienza Diretta per indicare una meta, un punto di arrivo.
Per conoscere il suo vero significato serve viverla in prima persona, altrimenti resta solo
un nome privo di senso.
Ma non solo.
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Tutto ciò che l’individuo percepisce viene esperito mantenendo l’accesso all’unione
soggiacente.
Tutto viene intriso dalla propria natura consapevole, donando infinito valore e prezioso
significato a ciò che si conosce.
È una cosa naturale, spontanea. Non c’è bisogno di fare qualcosa di particolare. È il modo
nuovo che ha la persona di stare nel mondo dopo che ha vissuto l’Esperienza Diretta.
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Le dimensioni esistenziali, equivalenti tra di loro, si pongono in una condizione di
equilibrio, potremmo dire “in periferia” rispetto alla centralità dell’individualità
consapevole.
Porre l’individuo al centro significa che l’integrità dell’essere diventa il nuovo punto di
ricezione. Il centro di gravità e di ricezione degli stimoli che giungono a te da tutte le
dimensioni.
Questo non significa che in tutte le dimensioni umane magicamente si risolva tutto
ciò che non funziona.
Nella tua mente gli irrisolti busseranno ancora per reclamare di essere integrati.
Quello che cambia è che in tutto questo movimento ci sarà un punto nuovo di
ricezione, chiaramente differenziato e integrato.
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Di per sé dona significato e valore ad una intera esistenza.
E si rivela anche…
verso una vita originata e posseduta partendo dalla centralità della consapevolezza di sé.
Emerge una spinta intenzionale e consapevole protesa verso il rendere la propria vita ad
immagine e somiglianza della propria verità.
Può certamente volerci del tempo per rendere reale questa condizione.
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Come accedere a questa esperienza?
Nella pratica sono poche le persone in grado di farlo, a causa della difficoltà del percorso,
della disciplina e della costanza della pratica richieste.
Viene infatti definito “Percorso per le Esperienze Dirette”, perché questo è il suo fine.
Nei 35 anni in cui si è praticato in Italia si è rivelato uno strumento di eccellenza per
accedere a questa conoscenza.
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Ti invito a vivere questa esperienza in prima persona, per comprendere fino in fondo
quello che le parole non possono veicolare.
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Amore perfetto, relazioni imperfette – John Welwood
[Recensione Libro]
essereintegrale.com/amore-perfetto-relazioni-imperfette-john-welwood
Agostino Famlonga
Il sentirsi amati e l’amare l’altro è un bisogno basilare, una spinta che ci porta a
instaurare rapporti in cui poter vivere questa esperienza.
Nella relazione con l’altro possiamo toccare l’esperienza dell’amore: è il legame iniziale
che dà origine alla relazione stessa.
La relazione sul piano della personalità umana, per sua natura limitata e imperfetta, è il
veicolo attraverso il quale si manifesta l’amore, che per sua natura è perfetto.
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Unire in una relazione la duplice natura dell’amore – la sua perfezione assoluta e il
suo veicolo, la relazione imperfetta – è una sfida che non tutte le coppie riescono
superare.
Quando nella coppia questa differenza non è riconosciuta e integrata, quello che emerge
è il reciproco risentimento. Tanto più la coppia sperimenta l’amore perfetto senza
riconoscere quale sia la sua vera origine, tanto più prova il dolore del vivere una
relazione imperfetta.
La relazione imperfetta porta così ad allontanarsi sempre più dal contatto con l’amore
perfetto, che resta solo un ricordo.
Ciò che aveva unito – l’apertura, la vulnerabilità e la disponibilità – col tempo lascia spazio
al dolore e al risentimento.
Nel suo libro Welwood ci parla proprio di questo problema e di come poterlo superare.
L’intenzione è triplice.
Voglio portare alla tua attenzione la questione e dandoti degli spunti desidero invogliarti
ad approfondire l’argomento con la lettura del libro.
Dichiarate le intenzioni, possiamo iniziare con l’ardito tentativo di descrivere che cos’è
l’amore.
La natura dell’amore
Sono stati scritti innumerevoli trattati sull’amore. Puoi trovare interi testi filosofici,
psicologici, poesie, canzoni… ogni approccio veicola la sua importante prospettiva con il
suo mezzo.
3/12
L’unione del contatto e dell’accoglienza fa emergere l’esperienza del sentirsi contenuti
dall’amore.
Emerge il sentimento di non sentirsi amati, che possiamo tradurre come il non sentirsi
amati per come si è. È una vera e propria ferita che fa emerge il dolore della
separazione e dal dolore il risentimento verso l’altro che non ci ha contenuti, visti e
riconosciuti come avremmo avuto bisogno.
Il modo in cui abbiamo vissuto il contenimento genera queste due possibili dinamiche.
In genere nella coppia adulta la ferita del cuore si manifesta con una dinamica
polarizzata: in chi è mancato il contatto c’è la spinta ad attaccarsi eccessivamente al
partner, cioè insegue.
Nella relazione imperfetta il dolore della ferita del cuore crea in questo modo la dinamica
“inseguitore e fuggitivo.”
4/12
L’incapacità di fermarsi e riconoscere l’amore, anche quando c’è ma non è manifesto,
porta al rancore nei confronti dell’altro. Reciprocamente si arriva a dire “So che mi ami,
ma non mi sento amata”.
Il sentimento del non amore è il sospetto radicato di non poter essere amati e di non essere
degni di amore solo per quello che siamo.
Risentimento
Il risentimento è un sentimento misto di rabbia e di desiderio di rivalsa nei confronti di
qualcuno.
Il risentimento viene agito non solo nel conflitto manifesto. A volte si insinua in maniera
più sottile nelle nostre azioni, come nella critica, nel giudizio, nel biasimo.
Ciò che accomuna ognuna di queste forme di risentimento è la tendenza a creare dei
nemici e ad attaccarli, in forme più o meno evidenti.
L’avere ragione è un modo per giudicare e rifiutare l’altro, un modo per punirlo.
Fermare il risentimento ci porta in contatto con il dolore del non sentirci amati per come
siamo, per questo motivo investiamo tantissima energia in esso..
Dissociazione
Riassumiamo per punti la genesi della ferita del cuore e la dinamica di risentimento che
ne consegue.
1. Il non ricevere l’amore incondizionato di cui abbiamo bisogno crea in noi un profondo
dolore.
La stessa cosa avviene per l’amore assoluto. Viene solo coperto e celato dal dolore
della ferita del cuore, ma è sempre presente, intoccato, inalterato.
Quando ci apriamo ad essere chi siamo e quando l’essere che siamo entra in
contatto con l’altro.
Ciò che crea problemi nelle relazioni e il credere che la fonte di questo amore risieda
nell’altro.
Amore relativo
Il cuore umano è il canale attraverso il quale l’amore assoluto si riversa nella vita.
Il problema emerge quando immaginiamo che sia l’altro a dover essere una fonte di
amore perfetto amandoci sempre proprio nel modo in cui noi ci aspettiamo. È una
fantasia che viene inevitabilmente disattesa.
Visto che le nostre esperienze di amore avvengono in relazione, siamo portati in modo
spontaneo a considerare i rapporti come la fonte principale d’amore.
Il primo passo per liberarsi dal risentimento è proprio quello di rendersi conto della
differenza tra amore assoluto e relativo.
Al livello più profondo del nostro essere, siamo uniti, non c’è separazione alcuna.
Il nostro corpo è separato, la nostra mente è separata. Abbiamo valori, ideali, storie di
vita, prospettive diverse. E questo è stupendo se è riconosciuto e integrato nell’unità
sottostante.
Integrare la diversità nell’unità è quello che Welwood ci invita a fare quando indica di
metterci in contatto essere con essere, perché a livello del puro essere e della pura apertura
siamo una cosa sola.
7/12
L’amore relativo è invece lo scambio che avviene a livello della forma, persona con
persona, corpo con corpo, mente con mente.
Cercare l’unione assoluta con mezzi relativi porta inevitabilmente alla frustrazione
e al dolore. Nelle parole di Welwood:
L’unica fonte affidabile di amore perfetto è ciò che è perfetto: il cuore aperto e vivo in
fondo all’essere.
Solo questo ci permette di conoscere l’unione perfetta dove tutto ci appartiene perché
noi apparteniamo a tutto. Aspettarci questo dai rapporti ci porta inevitabilmente a
soffrire.
Quando ci sentiamo amati dall’altro, in realtà quello che accade è che l’apertura
dell’altro induce in noi la disponibilità ed entrare in contatto con l’amore assoluto.
L’apertura dell’altro induce il tuo cuore ad aprirti, rendendo disponibile l’amore come
personale esperienza.
… siamo ossessionati dall’idea che sia l’altro a fornirci l’amore, quando in realtà il calore
che sentiamo viene dalla luce del grande amore che penetra in nostro cuore.
Aprirsi all’amore
Prima di riuscire ad amare completamente l’altro è necessario riconoscere la fonte di
amore assoluto in noi. Welwood spiega molto bene questo passaggio dicendo che “non
possiamo dare quello che non riceviamo”. Cioè non possiamo amare l’altro se non ci
apriamo prima all’amore assoluto.
Il punto cardine di tutto il libro è in questo: riconoscere che non è l’altro la fonte
dell’amore, ma che l’amore è la tua natura.
La chiave per amare sta nel diventare più permeabili all’amore, lasciarlo entrare
completamente dentro di noi, in modo che possa vivere e respirare dall’interno verso
l’esterno.
Tutto ruota attorno alla capacità di ricevere amore. Non da una fonte esterna, non dal
tuo partner, ma dalla tua natura.
Welwood sostiene che è molto più spaventoso e minaccioso ricevere amore che
darlo. Nella sua esperienza clinica ha notato che la difficoltà maggiore sta nell’aprirsi
all’amore e lasciarlo entrare completamente.
8/12
Quello che spesso accade nelle relazioni è che il risentimento porta a mettere in atto
delle strategie che evitano il rischio di aprirsi completamente all’amore.
La cura è nel sentire il dolore del non sentirsi amati per come si è, nell’accoglierlo
completamente in noi.
Welwood nel suo libro propone questi passaggi per accedere a quella che lui definisce
presenza incondizionata:
1. Riconoscimento
2. Ammissione
3. Apertura
4. Entrata
Infine si conclude con quella che Welwood chiama entrata, che in termini dinamici
possiamo definire identificazione completa con l’oggetto prima separato da noi (il
dolore o qualsiasi cosa esso sia). Significa diventare quello che è percepito come
separato. Significa permettersi di esserlo completamente.
Questo processo porta a dissolvere il dolore del sentirsi non amati e ad aprirsi
progressivamente all’esperienza dell’amore.
9/12
Quando incontrate voi stessi nel luogo dove vi sentite inappagati […] cominciate ad
abitare voi stessi. Tornate ad abitare il vostro cuore solitario e lo riportate alla vita.
Relazioni imperfette
Il processo di apertura alla nostra natura essenziale potrebbe apparire come sufficiente
a sperimentare l’amore assoluto e la completezza esistenziale che tutti noi desideriamo.
In fondo, se la fonte dell’amore non è l’altro, ma è in me… che bisogno ho delle relazioni
imperfette?
Non sarebbe più facile ritirarsi dalle relazioni imperfette e restare nell’essere, fonte di
amore assoluto e perfetto?
Sì, certamente sarebbe più facile, ma non sarebbe sufficiente a darti la completezza che
desideri. [Sarebbe un bypass spirituale]
Welwood nel suo libro chiama questa sintesi unione tra il risveglio e l’individuazione.
diventare una persona vera, qualcuno capace di contatto genuino, trasparenza personale e
intimità con gli altri.
10/12
Aprirsi all’amore assoluto e riconoscere l’essenza della nostra natura come amore è il
risveglio.
è il mezzo per evolvere in una vera persona, qualcuno che può dar corpo all’amore in
modo intimo e personale.
Ecco l’importanza delle relazioni imperfette, fondamentali per mettere in atto questo
processo.
Per realizzare questa sintesi siamo chiamati a mettere la nostra natura essenziale in
relazione con un altro essere umano, unendo il piano relativo, imperfetto, con quello
assoluto di pura apertura e perfezione.
Se volessimo andare alla radice delle nostre azioni, tutto quello che facciamo può essere
ricondotto a questo.
Il libro tratta l’argomento da un punto di vista che per molti può essere inedito,
spostando l’attenzione sul piano della consapevolezza e della sintesi tra la relazione
sui due piani, quello relativo imperfetto e quello perfetto dell’amore assoluto.
Alle persone a volte manca l’esperienza di che cosa sia l’amore assoluto. È
un’esperienza che è lontana dal loro vissuto. Conoscono solo l’amore relativo della
relazione imperfetta.
Riconoscere che non è questa la fonte di amore perfetto può essere per loro una svolta
importante. Poi certamente questo va sperimentato direttamente, altrimenti resta solo
una conoscenza mentale che non diventa crescita nella relazione.
A volte invece l’amore assoluto è conosciuto, è una condizione che appartiene alla
persona, ma cade nel tranello di pensare che questo sia sufficiente a fare
funzionare un rapporto.
Purtroppo non è così: oltre al reciproco riconoscimento sul piano della natura di individui
consapevoli è necessaria la sintesi tra le personalità, le emozioni, i corpi.
11/12
La completezza della relazione richiede dunque questo duplice compito: conoscere
l’amore perfetto e manifestarlo in una relazione imperfetta.
Il libro di Welwood è certamente utile per comprendere questi passaggi e per iniziare a
compiere i primi passi in questa direzione.
Riconosci la ferita del cuore che deriva dal non sentirti amato/a per come sei?
Riconosci che questo genera in te dolore e un moto di risentimento nei confronti
dell’altro?
Riconosci in te la fonte dell’amore perfetto, o hai l’impressione che questo derivi
costantemente dalla relazione con l’altro?
Oppure all’opposto hai l’impressione che l’altro sia superfluo visto che la fonte
dell’amore assoluto è custodito in te?
Qual è la difficoltà maggiore che incontri nel tentativo di unire l’amore assoluto in
una relazione imperfetta?
12/12
I 3 ingredienti dell’amore completo: passione, intimità e…
essereintegrale.com/amore-completo
Agostino Famlonga
Secondo Sternberg, uno psicologo statunitense, sì, esiste. Non solo esiste, ma ha delle
caratteristiche definibili.
Nelle sue ricerche ha ideato un modello che è a mio avviso utilissimo nell’autoanalisi di
un rapporto di coppia.
Ti può essere utile per individuare i punti deboli e punti di forza del tuo rapporto.
Vediamo assieme quello che lui definisce “la scala triangolare dell’amore”.
1/9
Prima di mescolare gli ingredienti, vediamoli presi singolarmente.
Passione
L’aspetto passionale è l’elemento più istintivo, legato al desiderio romantico e sessuale.
Questo forte è spesso mescolato alla ricerca del contatto emotivo, cioè alla
condivisione del proprio vissuto emozionale.
Intimità
L’intimità è riferita al grado di affinità, di confidenza, di condivisione che si ha con il
partner.
Decisione e Impegno
La decisione è la presa di posizione dell’individuo nei confronti della relazione .
Ogni vera decisione è seguita da della azioni. Quando le azioni vengono mantenute nel
tempo, queste dimostrano un impegno duraturo.
Infatuazione
Se un rapporto di coppia si basa solo sulla passione, senza alcuna intimità e impegno, è
in atto un’infatuazione.
Per questo motivo generalmente si conclude con una disillusione, che significa appunto
dis-illusione, cioè la fine di un’illusione.
Simpatia
Quando non c’è passione e nemmeno un impegno formale, e il rapporto è basato
sull’intimità, si genera un rapporto di simpatia.
Amore vuoto
Se c’è solo la decisione e l’impegno, ma mancano la passione e l’intimità, quello che ne
consegue è un amore vuoto, freddo.
È questa la situazione tipica di chi sta insieme per dovere, per convenienza pratica, per
un qualche tipo di guadagno.
Le combinazioni
Abbiamo visto cosa accade se è presente uno solo di questi elementi.
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Amore romantico
La passione e l’intimità generano un amore romantico.
Questa lacuna impedisce alla coppia di progettare il suo futuro e di restare salda di
fronte alle difficoltà.
Quando ci sono solo passione e intimità, la coppia non regge la prova delle avversità
della vita.
Amore amicale
In questo tipo di relazione c’è intimità, affinità, condivisione unita alla decisione e
all’impegno, ma manca la passione.
Viene definito amore amicale proprio perché ricorda un tipico rapporto di amicizia.
Amore fatuo
5/9
In questo tipologia di rapporti di coppia c’è una forte e intensa passione reciproca. Da
questa nasce la decisione di stare assieme e di mantenere l’impegno di coppia nel
tempo.
È questo un legame tipico delle coppie dipendenti, in cui c’è un legame basato su
qualche tipo di dipendenza affettiva.
C’è un qualche tipo di guadagno nascosto che tiene salda una coppia di questo tipo.
Il legame di dipendenza infatti può fare durare questi rapporti anche per lunghi periodi
di tempo.
Questi grafici non sono inventati ma sono derivati da uno studio su delle coppie
autentiche (vedi bibliografia).
L’aspetto passionale è quella componente che si accende nei primi incontri, ed è quello
che attrae enormemente le due persone una all’altra.
6/9
È questo il grande magnete che mette in moto tutto quello viene dopo.
Come vedi dal grafico, questo picco di intensità passionale dopo qualche mese scende,
e tende verso un valore di equilibrio, molto più basso rispetto a quello iniziale.
Però c’è qualcosa che aumenta, in modo progressivo. L’amore amicale, composto dalla
decisione e l’impegno, sommati all’intimità reciproca.
Ci si conosce di più, si impara a stare assieme, c’è più confidenza. Questa cresce in modo
costante nel tempo. (Chiaramente per le coppie che superano i punti critici delle
montagne russe della passione iniziale.)
Come vedi aumenta sempre di più l’amore amicale, ma la passione tende a spegnersi
nel tempo.
Questo grafico ci mostra quello che accade nella realtà nelle coppie stabili nel tempo.
7/9
Tutti questi elementi sono necessari per una vita di coppia che sia fonte di pienezza e
realizzazione esistenziale.
I due grafici che abbiamo visto sopra ci danno delle indicazioni importanti.
Superata la fase iniziale, quello che generalmente manca alle coppie per avere un
amore completo è la passionalità espressa all’interno della coppia.
Questo lato del triangolo è il grande attrattore, il magnete, l’innesco di tutto. Ed è poi nel
tempo l’elemento che genera squilibrio rispetto agli altri.
È il “luogo” dove questa apertura e comprensione reciproca può trovare la sua massima
espressione.
Pur essendo potenziale, questa piena espressione reciproca viene spesso vista come una
chimera, un ideale irrealizzabile.
8/9
È un rapporto che si costruisce partendo da delle basi solide: una affinità di base, dei
valori di vita condivisi, dei fini comuni, una passione reciproca, la coesione.
Queste sono le fondamenta, ma da sole non sono sufficienti a reggere la prova del
tempo.
Serve riconoscere il valore della coppia. Riconoscere quanto è importante per te.
Tutte queste intenzioni partono da una scelta consapevole: quella di impegnarti per
costruire un rapporto di coppia che esprima un amore completo.
È questa una conquista, non è un qualcosa che si trova già confezionato e pronto
all’uso.
E proprio perché viene modellata in base all’interazione di due individui, ogni coppia è
unica. Anche questa unicità è un valore da tenere nel cuore.
Non esiste la coppia modello , esiste l’equilibrio risultante dall’incontro di due individui.
Mi auguro, con questo articolo, di averti dato degli spunti su cui riflettere. Degli elementi
da prendere in considerazione nell’osservare la tua relazione di coppia o il tuo modo di
vedere l’amore completo espresso in coppia.
Ti invito, se hai piacere, di condividere nei tuoi commenti qui sotto cosa ne pensi.
Bibliografia
9/9
La scelta: 4 principi fondamentali
essereintegrale.com/scelta-4-principi-fondamentali
Agostino Famlonga
Alzi la mano chi non ha mai preso una decisione importante per l’anno entrante.
E cosa è successo a queste decisioni? Sono diventate qualcosa, o sono solo rimasti buoni
propositi?
Una minima parte di queste decisioni viene mantenuta per un tempo sufficiente a
portare al risultato voluto.
1/10
Gli ultimi dati riportano che solo il 12% va a buon fine, cioè raggiunge l’obiettivo
prefissato.
Il resto viene abbandonato lungo l’anno… la metà non passa nemmeno il primo mese.
Che dobbiamo rinunciare in partenza? Che queste intenzioni a migliorarsi non servono a
nulla?
Quello che vedo io è un gran numero di persone che tentano di migliorare loro
stesse, e questo è bellissimo!
Ma se questo tentativo non va a buon fine perché non si sa come fare, cioè mancano
delle conoscenze.
Oppure forse non hanno gli strumenti per farlo, mancano cioè le abilità necessarie.
2/10
Chi sceglie?
Determinare chi sceglie è il punto centrale attorno a cui ruota il successo o il fallimento di
un qualsiasi proposito, piccolo o grande che sia.
Se la scelta è autentica questa vince la prova del tempo e vince la prova delle avversità.
Più sei consapevole di te, più sei in grado di scegliere correttamente e di mantenere
questa scelta nel tempo.
3/10
Quello che appare, visibile a te e agli altri, è una conseguenza di ciò che fai (le tue azioni).
Le decisioni che non passano la prova del tempo si fermano ai due strati esterni, ciò che
si vede e quello che fai.
Sono decisioni prese dall’esterno verso l’interno e che non arrivano al punto di origine.
Da questo punto di origine le azioni sono diretta conseguenza di ciò che sei.
Sono il riflesso nella realtà di ciò che sei nel profondo di te stesso.
Quando è la mente a scegliere al posto tuo entrano in gioco vari tipi di guadagno
personale: volere apparire in qualche modo, oppure avere qualcosa (i due strati esterni).
Quando scegli tu, in base alla consapevolezza che hai di te stesso, il guadagno
personale va in secondo piano.
Tu origini le scelte, e la tua mente diventa strumento per renderle concrete attraverso il
fare qualcosa.
Cioè che fai lo fai perché sei tu, e non puoi fare a meno di essere te stesso.
La mente, o la consapevolezza?
4/10
Perché
C’è un modo per spostare il baricentro della scelta verso l’interno?
Tenere l’attenzione al perché permette di smontare le false decisioni, quelle che sono
fatte per apparire in qualche modo o per avere qualcosa.
Puoi darti una risposta mentale, oppure puoi attingere alla consapevolezza.
Quando hai esaurito i perché mentali, quello che resta è l’infinitezza di ciò che sei, senza
alcun perché.
Cioè fai quello che fai perché è una conseguenza di chi sei.
5/10
Nell’essere ciò che sei… fai, agisci.
E visto che non puoi fare a meno di essere ciò che sei, la tua decisione permane nel
tempo in modo naturale.
Silvano Brunelli
Ricordo che quando l’ho sentito per la prima volta mi è apparso crudo, freddo.
Le altre possibilità.
6/10
Quando decidi dai vittoria ad una parte.
Hai deciso, sai per certo che quella è la cosa giusta per te, e rinunci a tutte le altre.
E questo è certo.
Dipenderà da te.
E proprio qui sta la potenza di questo principio legato alla scelta: dipende da te.
Tanto quanto la tua scelta è autentica, basata sulla conoscenza che hai di te stesso,
tanto sarai in grado di mantenerla nel tempo, semplicemente perché non puoi farne a
meno.
La otterrai?
Entrano in gioco qui gli altri due fattori, ricordi cosa ci siamo detti all’inizio?
E visto che sei tu che scegli… la certezza risiede in te, non fuori da te, e questo è
meraviglioso e potente.
7/10
Comunica la tua scelta
Quante persone conoscono la tua scelta?
Cioè comunicando la tua scelta chiarisci a te stesso se è vera o falsa per te.
Questo principio va ben oltre la tua chiarezza personale, perché comunicandola a chi la
comprende la rendi reale.
L’aiuto a cui mi riferisco è un sostegno interiore, un sentire che non sei solo nella tua
decisione.
Se stiamo parlando di scelte di crescita, è certo che prima o poi incontrerai sul tuo
percorso delle sfide.
È vero, sarai sempre tu a fare i tuoi passi di crescita, ma il sentire che non sei solo ti
permette di tenere oltre la tua misura, e di superare un tuo limite.
Quando vogliamo tenere una decisione nascosta, ci sono questi due ragionamenti attivi:
Però… trattenendo la tua comunicazione con l’altro stai anche limitando il tuo
potere di azione, proprio per il principio visto prima.
Il consiglio che posso darti è quello di comunicare la tua scelta a chi ti sostiene
credendo in te.
Conclusione
Ci sono tanti altri principi legati alla scelta, ma questi quattro a mio avviso sono
fondamentali.
Spero ti vengano in mente nel momento in cui deciderai qualcosa di importante, e che
diventino un tuo strumento acquisito, naturale.
9/10
Conoscevi già questi 4 principi?
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I 6 tipi di inconscio
essereintegrale.com/inconscio-6-tipi
Agostino Famlonga
In ogni istante siamo consapevoli solo di una minima parte della nostra esperienza.
Gran parte di ciò che va a comporre la nostra esperienza soggettiva nel momento
presente opera al di fuori dal nostro accesso consapevole.
1/23
Quello a cui abbiamo accesso tramite la consapevolezza è solo la punta di un
iceberg.
La punta dell’iceberg.
Questa definizione da una parte è utile, perché discrimina due qualità della nostra
esperienza: una consapevole, e l’altra no.
Dall’altra parte può essere fuorviante, perché raccoglie in un unico “contenitore” una
serie di processi inconsci completamente diversi tra di loro.
Ma alcuni processi sono inconsci per loro natura, e non diverranno mai accessibili
alla consapevolezza.
Altre componenti della nostra psicologia invece sono inconsci ma non dovrebbero
esserlo.
Consapevolmente decidi una cosa, e poi il tuo comportamento e le tue azioni remano
contro la decisione che hai preso.
2/23
Ti è già successo di trovarti in una situazione simile?
C. Jung
Sulla scia di questa citazione illustre, andiamo ad esplorare come la parte conscia e
quella inconscia della nostra psiche costruiscono la nostra esperienza soggettiva.
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I 6 tipi di inconscio – Infografica
Conscio vs inconscio
Abbiamo fatto una prima distinzione: esperienza cosciente in opposizione alla parte
inconscia della psiche.
4/23
Alla consapevolezza arrivano solo una parte degli stimoli che esistono in ogni momento.
L’inconscio elabora miliardi di bit di informazione, derivanti dai sensi, dall’ambiente, dalla
memoria, dalle emozioni, e da tutto questo emergono dei “dati” che divengono
consapevoli.
Posso decidere di portare l’attenzione – ad esempio – al computer con cui sto scrivendo
questo articolo.
Posso concentrare tutta l’attenzione sul tasto della lettera A della tastiera.
Per questo è corretto dire che l’attenzione è l’organo di senso della consapevolezza.
Emergeranno in modo spontaneo sulla punta dell’iceberg dei dati, delle qualità
dell’esperienza che stai vivendo.
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Ti faccio notare che l’oggetto su cui puoi poggiare l’attenzione non è solamente un
oggetto fisico.
Su un pensiero.
Queste due modalità di tenere l’attenzione ci rivelano una differenza sostanziale tra la
parte conscia e quella inconscia della psiche.
Riassumiamo il concetto:
6/23
Abbiamo toccato con questa distinzione un primo tipo di inconscio: l’inconscio
cognitivo.
Inconscio cognitivo
Innanzitutto: cosa significa cognitivo?
Nell’inconscio cognitivo ci sono tutte quelle funzioni che concorrono, senza l’intervento
dell’attenzione consapevole, alla costruzione della tua esperienza.
Le informazioni che giungono ai tuoi sensi (visive, uditive, tattili, cinestetiche ecc) si
combinino tra di loro -e assieme alla memoria- per comporre quella che è la
tua esperienza.
Il processo per cui tutte le informazioni del momento si combinano tra di loro per darti
l’esperienza soggettiva della mela avviene nell’inconscio cognitivo.
7/23
Ma è un processo limitato.
Non puoi modificare il modo in cui i tuoi circuiti cerebrali portano alla coscienza
l’informazione della mela che vedi.
Un esempio più chiaro per spiegarti come lavora l’inconscio cognitivo è l’azione del
parlare.
Quando parli non pensi nei termini di soggetto, verbo, coniugazioni ecc.
Se dovessi pensare, oltre a cosa dire, anche a come costruire le frasi, saresti lentissimo
nel parlare.
Mia figlia ha 4 anni, e parla benissimo. Se le chiedessi: come hai articolato la sintassi della
frase che mi hai detto?
Che risposta mi darebbe secondo te? Non ne avrebbe la minima idea. Eppure lo fa, e lo
fa benissimo. Lo fa il suo inconscio cognitivo.
L’inconscio cognitivo comprende tutti quei processi che ti portano a dire: “so farlo, ma
non so dire come.”
Tornando all’esempio del parlare, noi adulti che abbiamo studiato grammatica e sintassi
a scuola, possiamo intervenire consapevolmente sul processo.
Ci può essere cioè uno scambio di informazioni dall’alto verso il basso (top-down).
Ho fatto l’esempio relativo al linguaggio, ma potrei prendere altre azioni che svolgiamo
inconsapevolmente.
Se sei adulto e guidi la macchina immagina questa scena: mentre guidi parli con la
persona che hai di fianco.
Ti “dimentichi” della guida e sei completamente immerso nel discorso con il tuo
passeggero. Eppure guidi.
Regoli l’acceleratore, cambi marcia, mantieni la distanza di sicurezza e fai migliaia di altre
piccole azioni senza che ci sia un’attenzione consapevole. Sono tutte azioni che
avvengono in modo inconscio.
8/23
Vengono elaborate ed eseguite nell’inconscio cognitivo. Ed è bene che sia così!
L’inconscio cognitivo è molto più veloce ed elabora tante informazioni in una volta
sola.
Questo significa che è infallibile e sempre esatto? È questa la chiave per la felicità?
Dobbiamo lobotomizzare la nostra parte consapevole e affidarci totalmente a questi
processi inconsci?
No.
Inconscio rimosso
Entriamo ora nel territorio ombroso dell’inconscio rimosso.
9/23
Nella storia della psicologia sono state elaborate una marea di teorie funzionali e di
mappe per definire questo tipo di inconscio.
quando un individuo cosciente non riesce a stare di fronte ad un’esperienza questa non
viene integrata nella consapevolezza.
L’esperienza -o una sua parte- viene rimossa, non è più accessibile in modo diretto.
Stare di fronte vuol dire essere presente, senza forzare e senza resistere,
all’esperienza che sta accadendo.
Se degli elementi dell’esperienza sono troppo forti, intensi, pericolosi, l’individuo non
riesce a starci di fronte, e mette in atto una forzatura, o una resistenza.
Non abbiamo accesso diretto ai singoli elementi che compongono queste strutture ma
ne sentiamo l’effetto: la loro emanazione.
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È un’ombra che ti segue e che colora le esperienze che vivi.
È un’ombra che viene proiettata sugli altri, dipingendoli di un colore che non è loro ma
è tuo.
Fa parte del modo in cui la tua mente costruisce la percezione della realtà.
Vedi la differenza tra questo spazio inconscio -rimosso- e quello di prima -cognitivo-?
Dai tempi di Jung c’è stato un grosso salto evolutivo in questo campo.
Sono state create delle tecniche efficacissime per pulire questo deposito di esperienze
rimosse.
Lo studio innovativo sulla mente del Centro Studi Podresca e il corso Abilità della persona:
La mente ha (anche) questo scopo: pulire l’inconscio rimosso.
È possibile integrarlo.
11/23
Da leggere 2 » Il sogno
Per esserci un inconscio rimosso deve esserci un io che rimuove delle parti
dell’esperienza tramite i suoi meccanismi di difesa.
Poi nasce un “io mentale” dalla differenziazione tra le emozioni e il primo piano mentale.
I primi due stadi di sviluppo sono pre-verbali, per cui i meccanismi sono anch’essi pre-
verbali.
12/23
L’”io mentale” nella serie dei tre stadi che ti ho presentato.
Ecco quindi che entra in scena un’altra parte dell’inconscio, quella più antica, l’inconscio
non rimosso.
Nei primi due fulcri di sviluppo la rimozione propria dell’io, la classica rimozione
dinamica, non è ancora operativa, semplicemente perché non c’è ancora un io mentale
che la può mettere in atto.
Sono esperienze emozionali, fantasie e schemi che appartengono ad un’ epoca pre-
verbale dello sviluppo, dal concepimento fino ai primi due anni di vita.
13/23
In questa parte dell’inconscio sono memorizzati i Modelli Operativi Interni, gli stili di
attaccamento, le Rappresentazioni di Interazioni Generalizzate.
Questi schemi agiscono in modo simile all’inconscio cognitivo: sono lenti mute
attraverso cui viene costruita la nostra interazione con il mondo, con l’altro, con
noi stessi.
Sono schemi pre-verbali, per cui non possono essere ricordati in modo diretto.
Tecnicamente non sono stati rimossi, ma sono incistati nel modo in cui percepiamo tutto
quanto, compreso noi stessi.
Modellano in modo affettivo e somatico il nostro essere nel mondo e il nostro essere
in relazione.
Ad ogni stadio di sviluppo ci sono dei meccanismi psichici in azione, dai più grossolani ai
più raffinati.
In termini evolutivi, più è precoce l’esperienza sopraffacente più grave l’effetto che ha
questa sulla psiche della persona (vedi il Continuum della psicopatologia nel paragrafo
Dissociazione).
14/23
Ad ogni stadio la sua tecnica di integrazione
Ogni stadio evolutivo ha le sue funzioni di difesa.
1) L’inconscio rimosso può essere integrato, ma serve una tecnica idonea allo
stadio evolutivo in cui è avvenuta la rimozione.
Un esempio pratico per capirci: è inefficace la psicoterapia per integrare rimozioni del
primo fulcro di sviluppo (l’io corporeo).
15/23
Si tratta di processi pre-verbali, nati evolutivamente prima dello sviluppo del linguaggio.
È vero anche il contrario! Con le tecniche corporee difficilmente integri gli elementi
rimossi agli altri livelli.
Difficilmente integrerai elementi rimossi a livello mentale solo facendo (ad esempio)
rolfing.
Dico questo sapendo benissimo che ci sono alcune tecniche che hanno uno spettro
più ampio, cioè che abbracciano più stadi di sviluppo.
Sapendo benissimo che spesso agendo dal basso si sblocca anche tutto quello che
sta sopra.
Però lo scrivo perché è giusto sapere che ad ogni stadio c’è una tecnica specifica.
Diffida da chi ti propone una sola tecnica che agisce su tutta la scala dello
sviluppo. Semplicemente non esiste.
2) L’evoluzione della coscienza non si ferma mai, per cui la rimozione è sempre
possibile.
Pur integrando l’inconscio rimosso passato, è possibile continuare a crearlo nel presente.
Purtroppo più si sale la scala dello sviluppo più sono le possibilità che qualcosa vada
storto.
Questo non deve essere un deterrente. Non puoi fare a meno di evolvere, è la tua spinta
evolutiva che agisce dal basso verso l’alto.
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Inconscio emergente
Questo discorso ci porta direttamente ad un altro tipo di inconscio: quello emergente
La spinta evolutiva preme verso l’alto verso una complessità sempre maggiore.
Pur essendo gli stadi di sviluppo conosciuti e universali, la forma individuale che la
coscienza acquista in ogni stadio è unica. È la tua forma.
È un’attrazione pre-verbale, non puoi dirla a parole, però c’è. Ti invito a sentirla.
Quando la spinta evolutiva che viene dal basso si incontra con l’attrazione
dell’inconscio emergente ecco che avviene il salto evolutivo.
17/23
E ed ogni stadio evolutivo come abbiamo visto c’è la possibilità che vada storto qualcosa,
che qualcosa venga rimosso.
Da una parte c’è un’attrazione fisiologica e dall’altra c’è una resistenza verso il
cambiamento dalla condizione attuale.
Si sale il gradino solo quando si è maturi, prima non sarebbe possibile, e anzi sarebbe
dannoso.
In altri contesti sociali ci si ferma molto prima, possiamo quindi ritenerci fortunati.
Andare oltre questo stadio di sviluppo è possibile, ma sarà molto più difficile, perché per
far emergere le strutture di coscienza più elevate l’individuo deve andare oltre il
centro di gravità collettivo.
Ho voluto fare questa precisazione per avvisarti che se deciderai di lasciare spazio
all’inconscio emergente dovrai scontrarti con queste resistenze, oltre alle tue.
Inconscio collettivo
Abbiamo toccato l’argomento collettività.
Questa parte dell’inconscio può assumere molti significati, e cercherò di elencarti tutti
quelli che conosco.
Non si tratta solo della somma della parte inconscia dei singoli.
L’inconscio collettivo è quello che la collettività non conosce, a livello interiore ma anche
esteriore.
Da leggere » Quadranti
C’erano, facevano il loro lavoro come lo fanno ora, ma noi come società non ne eravamo
consapevoli.
Applicando lo stesso principio alla dimensione interiore emergono altre due definizioni.
Nel caso degli stadio di sviluppo, l’inconscio collettivo è la media dello sviluppo
collettivo: l’abbiamo chiamato “centro di gravità” parlando dell’inconscio emergente.
19/23
Questo centro di gravità è reale, è collettivo, ed è inconscio.
Esiste poi nella dimensione interiore una parte emergente dall’incontro di più individui.
È una dimensione sempre presente, anche se non viene riconosciuta, risulta inconscia.
Archetipi di pensiero
L’inconscio collettivo è anche il terreno entro cui emergono gli archetipi del pensiero.
Gli archetipi sono quelle forme di pensiero che ereditiamo in quanto esseri umani.
Agiscono come degli “stampini” entro cui prende forma il nostro pensiero.
Gli archetipi in realtà non hanno una valenza particolare, sono semplicemente universali.
20/23
Inconscio non-duale
Concludo la rassegna delle componenti dell’inconscio con un’affermazione
controintuitiva.
L’esperienza ordinaria, per come la viviamo normalmente, viene esperita in una modalità
duale.
Per oggetto intendo qualsiasi cosa: una penna, un pensiero, un’emozione, una fantasia,
l’altro essere umano, un ricordo…
Ci illudiamo che il soggetto che esperisce (l’ io) sia permanente: in realtà anche lui è
transitorio, cambia continuamente.
L’unica cosa che non è mutevole in ogni esperienza è che sia il soggetto che l’oggetto
emergono in un campo indifferenziato di consapevolezza, detto non-duale perché
privo di separazione.
21/23
Questa caratteristica non è mutevole, è permanente.
Bibliografia
22/23
Giampaolo Sasso – La nascita della coscienza
Silvano Brunelli – La mente reattiva
Eric Kandel – L’età dell’inconscio
Giuseppe Craparo – Inconscio non rimosso
Loredana Cena, Antonio Imbasciati – Neuroscienze e teoria psicanalitica
Ken Wilber – Le trasformazioni della coscienza
Paolo Migone – L’inconscio psicoanalitico e l’inconscio cognitivo
23/23
La mindfulness nella diade relazionale
essereintegrale.com/la-mindfulness-nella-diade-relazionale
Agostino Famlonga
L’obiettivo è mettere in risalto il potenziale evolutivo della relazione tra due individui
consapevoli.
MINDFULNESS
Cos’è la mindfulness
1/39
In occidente il concetto di mindfulness si è affermato solamente in tempi recenti: per la
prima il vocabolo appare nel 1921 (Davids and Stede, 1986/1921). Eppure proprio lo
stesso concetto di mindfulness fa parte di una tradizione millenaria.
La sua origine può essere ricondotta alla parola sati della lingua pali, che indica al
contempo consapevolezza, attenzione e ricordo (Didonna, 2012).
Il ricordo è inteso come “ricordo di sé”, nel senso di ricordarsi di essere consapevoli e
di prestare attenzione: con questo si vuole sottolineare l’importanza dell’intenzione
sottesa al focalizzare l’attenzione al momento presente in una modalità non
categorizzante (Amadei, 2013).
Il termine sati esprime nella sua lingua originaria una sfumatura che connette la
presenza mentale alla consapevolezza del cuore, intesa come wholeheartedness nella
sua traduzione inglese, ovvero “pienezza del cuore”: la consapevolezza mindfulness è per
sua natura intrisa di compassione (Siegel, 2007b).
La pratica della mindfulness non è una pratica di soppressione dei pensieri, ma piuttosto
considera ogni evento emergente nel flusso di consapevolezza come un oggetto da
osservare, non come una distrazione: riconosciuta la deviazione dell’attenzione il focus
2/39
attentivo viene riportato all’oggetto originario, impedendo quindi elaborazioni
secondarie di pensieri, emozioni o sensazioni (Bishop, 2004).
Da leggere: Consapevolezza
3/39
Il fattore comune tra le psicoterapie
In ambito psicoterapeutico si può rilevare, fin dai suoi esordi, un interesse particolare
verso la ricerca di quali fattori si rendano necessari per garantire un trattamento di
successo. La letteratura sulla psicoterapia abbonda di studi riguardo la ricerca di questi
fattori comuni, e i risultati delle analisi possono essere riassunti con la seguente
affermazione: “Sappiamo che molte forme di psicoterapia diverse tra di loro funzionano”
(Germer, 2005, p.4) o con il famoso “verdetto di Dodo”: tutti hanno vinto e tutti
meritano un premio (Luborsky and Singer, 1975). Questa sentenza fa proprio l’assunto
emergente dall’osservazione di svariate modalità terapeutiche diverse tra di loro, che ha
evidenziato pochissima differenza nel loro outcome, indipendentemente dal loro
orientamento teorico o dalle tecniche specifiche impiegate (Seligman, 2005).
È interessante notare che sia Carl Rogers (1957) e prima di lui Rosenzweig (1936)
credevano che le caratteristiche del terapeuta, quali l’empatia, la genuinità e la
considerazione positiva incondizionata (Rogers, 1961), non solo fossero necessarie,
ma fossero piuttosto fattori sufficienti per stimolare il cambiamento.
4/39
Queste indicazioni mettono al centro del processo di cambiamento la relazione e
l’abilità del terapeuta di incarnare senza artifici le caratteristiche empatiche necessarie
ad incontrare il cliente nella seduta clinica.
In qualità di fattore comune, la mindfulness può essere vista sia come un ingrediente
determinante nelle relazioni terapeutiche, ma anche come una “tecnologia” rivolta
al clinico per coltivare le sue qualità terapeutiche personali (Germer et al., 2005,
p.9). Le tre modalità con la quale la mindfulness entra nel processo terapeutico sono le
seguenti:
Come verrà esposto in seguito, la “diade” relazionale, oggetto di analisi di questo articolo,
possiede nella sua struttura tutte le caratteristiche sopra descritte. Anche se non viene
utilizzata in ambito clinico, i suoi meccanismi d’azione che, come vedremo, possono
essere ricondotti ai principi della mindfulness, si rivelano trasversali e potenzialmente
inseribili in ampi contesti.
La “teoria dei sistemi” (Thelen et al., 1994), o “teoria della complessità” (Witherington,
2007) nasce dall’indagine di fenomeni chiamati dinamici, non lineari, autorganizzanti,
complessi o caotici, e viene poi applicata ai sistemi biologici complessi quale l’essere
umano, in quanto rispondente ai medesimi principi. La prospettiva presa in esame
considera il sistema vivente:
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non lineare: minime variazioni negli input possono portare a cambiamenti
notevoli e imprevedibili degli output (Guastello et al., 2009). Riportato ad un
organismo vivente, il principio della complessità si traduce in questa constatazione:
piccoli cambiamenti nelle microcomponenti del sistema possono portare a grossi
cambiamenti nel macrocomportamento dell’organismo.
I processi mentali sono visti come emergenti dalle funzioni neurali dell’intero
organismo (non solo del cervello) e da processi relazionali: la funzione auto-
organizzante del sistema è in parte diadica, cioè parte dell’interazione fra due
individui e non solo dell’integrazione neurale interna (Fogel, 1987, 1993).
La mente è dunque vista come un processo incarnato e relazionale con una funzione
regolativa, nel senso che auto-organizza il movimento dei flussi di energia e
informazioni all’interno dell’organismo e nelle interazioni con gli altri (Siegel, 1999).
Lo sviluppo di ogni essere vivente può essere visto come un movimento dalla
semplicità alla complessità (Thelen et al., 1994), in un processo interattivo con
l’ambiente in cui è inserito.
Gli stati del sistema che massimizzano la complessità raggiungono maggiore stabilità
(Sporns, 2010).
L’integrazione consente coordinamento ed equilibrio: gli elementi del sistema sono allo
stesso tempo differenziati e collegati tra di loro.
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All’interno di stati diadici possono quindi svilupparsi complessi fenomeni di risonanza
che permettono a ciascuno dei membri della coppia di acquisire nuove capacità
integrative: la sintonizzazione condivisa è in grado di stimolare la crescita
neuronale in senso integrativo negli individui che la sperimentano.
Pluralismo metodologico
L’analisi effettuata in questo articolo si propone di adottare in ogni componente
investigata un pluralismo metodologico, inteso ad unificare e connettere campi di
conoscenza tra di loro complementari, abbattendone l’apparente contrasto includendoli
in una prospettiva “integrale” (Marquis, 2008; Saiter, 2009).
Da leggere: Quadranti
LA DIADE RELAZIONALE
Con il termine “diade” mi riferisco ad una modalità specifica di interazione tra due
individui: sono predisposti un setting e un timing specifici che scandiscono, ad intervalli
regolari, degli scambi interattivi, generalmente di natura comunicativa, tra i due
individui partecipanti alla “diade”.
I ruoli seguono uno scambio alternato: in un primo turno un individuo parla e l’altro
riceve la comunicazione, mentre nel secondo turno i ruoli si invertono: chi stava
parlando ora ascolta, e chi stava ascoltando ora comunica.
Attivo è colui che sta compiendo l’atto comunicativo, o che comunque sta
eseguendo un lavoro introspettivo alla ricerca di un contenuto da comunicare.
Ricettivo è colui che si pone in secondo piano e rimane in ascolto di quello che gli
viene comunicato o comunque in totale apertura nei confronti della persona che ha di
fronte a sé, anche se non sta comunicando nulla perché impegnata nell’elaborare una
comunicazione.
Il turno inizia con una richiesta da parte del partner ricettivo, che pone in forma
verbale un’istruzione al partner attivo. La richiesta varia a seconda dello scopo e del
setting all’interno del quale avviene la “diade”; possiamo suddividere per comodità in
due le modalità utilizzate: comunicazione e conoscenza di sé.
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La modalità comunicativa viene generalmente impiegata in percorsi di crescita ad
indirizzo specifico. Inizialmente viene eseguita una lezione didattica frontale dove
vengono esposte delle nozioni teoriche. Nella fase seguente ai partecipanti sono invitati
a svolgere delle “diadi” che permettono di mettere a fuoco i concetti appresi
contestualizzandoli nella propria realtà personale.
Nell’impiego della “diade” con il fine di aumentare la conoscenza di sé, non cambiano i
tempi né le regole per gestire gli scambi comunicativi; quest’applicazione non prevede
un eserciziario con domande specifiche, ma la richiesta che viene rivolta al partner
attivo avviene sotto forma di quesito esistenziale.
Come verrà esposto in modo più approfondito più avanti, un quesito esistenziale
fondamentale è la domanda “chi sono io?” e viene posto in “diade” con l’espressione: “Vivi
direttamente chi sei tu.” L’istruzione non ha una risposta specifica che possa essere
considerata corretta, ma veicola la richiesta di compiere uno specifico compito cognitivo.
Il partner attivo, ricevuta l’istruzione, compie l’atto interiore richiesto, ovvero cerca di
vivere direttamente chi lui è in quel particolare momento, e poi comunica a chi ha di
fronte il contenuto che è emerso.
I principi nelle due applicazioni restano dunque i medesimi, ma quello che varia è il
contenuto comunicato, che non è più indirizzato ad argomenti specifici.
In entrambi gli utilizzi della “diade,” una volta effettuata la richiesta, il partner ricettivo
si pone in ascolto di quello che il partner attivo gli comunica nel tempo a sua
disposizione (turno di 5 minuti), senza intervenire in alcun modo. Non ci sono
interruzioni e interventi con domande chiarificatrici da parte di chi ascolta, né cenni di
assenso o dissenso nei confronti del contenuto della comunicazione.
Al partner attivo è riconosciuta piena libertà di espressione, sia con riferimento alla
lunghezza della risposta che alla profondità dell’indagine. La libertà di espressione ha
soltanto un vincolo di natura etica: il conduttore chiede espressamente di garantire che
la comunicazione avvenga in modo non lesivo, rispettando cioè colui che la riceve e i
partecipanti vicini che potrebbero udirla.
Finito il turno comunicativo, della durata di 5 minuti, scandito dal timer, i partner si
ringraziano reciprocamente e si invertono i ruoli.
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Mentre delle “diadi” a finalità di ricerca esistenziale il partner ricettivo rivolge sempre la
medesima domanda al partner attivo, nelle “diadi” a finalità comunicativa la domanda
cambia nella successione delineata dall’eserciziario. Può cambiare nell’arco dei 5 minuti o
vedere il partner attivo impegnato a rispondere in modo a sua avviso esauriente per due
o tre turni consecutivi. Come verrà esposto nel paragrafo relativo alle tempistiche,
questo scambio avviene 4 volte a testa, per un totale di 8 turni per la coppia . Finita la
“diade” si chiede di cambiare attività per 10-15 minuti prima di iniziare un nuovo ciclo,
allo scopo di evitare un decadimento della qualità dell’attenzione.
Di solito i partner sono intercambiabili tra una “diade” e la successiva, viene chiesto
espressamente di non ripetere la “diade” con la stessa persona per due volte di fila .
In questo modo si rompe la tendenza all’abituazione. Questa intercambiabilità viene
calibrata in base al contesto, non è una regola fissa.
La garanzia della riservatezza non sussiste, si tratta di una presa di posizione personale
dei partecipanti. L’esperienza ha dimostrato che sensibilizzando i partecipanti in questo
senso, si ottiene un aumento immediato di assunzione di responsabilità individuale, tale
da garantire un accordo di fiducia reciproca che non viene violato.
Si chiede inoltre di non riferirsi in modo esplicito a persone che potrebbero, udendo il
loro nome, capire che ci si sta alludendo a loro: ognuno mantiene per questo la
comunicazione anonima, sostituendo il nome dell’interessato con una locuzione
neutra, come ad esempio “una persona”: in questo modo si assicura sia l’autenticità
dell’espressione che l’anonimato dell’individuo a cui ci si riferisce.
Comunicazione
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Per poter svolgere l’esercizio in “diade” l’unità fondamentale è formata da due persone.
L’applicazione pratica di questa attività prevede generalmente un contesto di gruppo. Il
gruppo è guidato da un conduttore che svolge un’attività formativa specifica e che può
eventualmente essere accompagnato da assistenti che coordinano le attività dei
partecipanti.
La pratica della “diade” può essere impiegata in svariati contesti: il suo impiego è
trasversale e multidisciplinare.
Il luogo fisico dove si può svolgere non patisce particolari vincoli, se non quello di uno
spazio sufficiente per contenere i partecipanti disposti in coppie, seduti uno di fronte
all’altro.
La distanza tra i membri della singola coppia dipende dalla loro preferenze, i due
raggiungono un compromesso tra una vicinanza non invadente, e una distanza non
separante. Gli studi riguardo la prossemica (Hall, 1966) indicano che una distanza di 10-
15 cm tra le ginocchia di due persone sedute una di fronte all’altra pur rientrando
nella distanza intima (0-45cm) non risulta invasiva, in quanto la distanza tra i due volti
resta all’interno della distanza personale (45-120 cm), garantendo un’interazione
coinvolgente ma rispettosa.
Chi conduce chiede esplicitamente di evitare il contatto fisico tra i membri della
“diade”. Questo ha due scopi: evitare un possibile disagio in colui che è toccato, ed
evitare che colui che tocca si distragga dalla focalizzazione introspettiva richiesta dalla
pratica.
La distanza tra le coppie sedute in “diade” viene calibrata in base allo spazio a
disposizione: si cerca in questo caso un compromesso tra una lontananza che permetta
di non essere eccessivamente disturbati dalle comunicazioni dei vicini e una vicinanza
che consenta di percepire di fare parte del gruppo, e non di essere isolati dalle coppie
vicine.
La tempistica
L’impostazione temporale della “diade” è settata per favorire il mantenimento
dell’attenzione ad un livello sempre massimale.
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È noto che la vigilanza ha un calo progressivo nelle attività che richiedono un’attenzione
sostenuta sul medesimo compito (Davies and Parasuraman, 1982). Storicamente si è
ritenuto che questo decremento fosse il riflesso dell’esaurimento delle risorse attentive
(Helton and Warm, 2008; MacLean et al., 2009). Recenti studi hanno invece dimostrato
che questo decremento è causato dall’assuefazione al compito (goal habituation), e che se
il sistema cognitivo di controllo è in grado di mantenere il task goal attivo per il tempo
richiesto, la performance non decrementa, anche se lo sforzo attentivo rimane di tipo
sostenuto (Ariga, Lleras, 2011). Per prevenire l’assuefazione al compito è sufficiente
un disimpegno temporaneo dal compito richiesto, anticipando la piena
abituazione: in questo modo il livello di attivazione del compito resta massimale nel
momento della ripresa.
Gli studi dimostrano che è possibile mantenere un alto livello di vigilanza per un lungo
periodo di tempo (40 minuti) tramite l’uso di brevi, rare e attivamente controllate
interruzioni dal compito (Ariga and Lleras, 2011). Nella pratica della “diade”, questo
principio è sfruttato nella sua configurazione temporale: un turno, sia esso attivo o
ricettivo, dura circa 5 minuti. Il numero di scambi è limitato a 8 consecutivi, per un totale
di 4 a testa di tipo attivo e 4 di tipo ricettivo alternati tra di loro. All’interno del turno di
5 minuti è dunque possibile mantenere un’attenzione sostenuta con intensità
massimale.
L’alternanza dei ruoli, da ricettivo ad attivo e viceversa, permette, grazie al cambio del
compito richiesto, di mantenere la “freschezza cognitiva” necessaria a garantire
l’impiego totale delle risorse attentive nel compito. L’ascoltare senza la richiesta di
rispondere e senza alcuna interpretazione permette al partner ricettivo di focalizzare
completamente la sua attenzione al contenuto esposto dal partner attivo e all’individuo
consapevole che sta comunicando con lui. Il compito cognitivo proprio del turno attivo
richiede invece una focalizzazione interiore volta a sentire cosa emerge in merito alla
richiesta ricevuta, e ad elaborare una comunicazione che possa esprimere in maniera
comprensibile il contenuto; si interrompe quindi la modalità cognitiva richiesta nel turno
ricettivo.
Come è risaputo da studi sulla qualità dell’attenzione (Davies and Parasuraman, 1982), la
prestazione ha una curva di decadimento con una flessione più o meno marcata a
seconda del soggetto e del compito, ma che raggiunge dopo 40-45 minuti un livello
minimo. Gli incontri di psicanalisi hanno una durata di circa 50’ anche per questo motivo
(Langs, 1998). Nella pratica della “diade”, nonostante il cambio di attività ostacoli il
decadimento, si interrompono comunque gli scambi dopo 8 turni (circa 40’) .
L’intervallo tra le “diadi” varia, con un minimo di 10’-15’ a un massimo che dipende
dall’impostazione del corso. In questo intervallo i partecipanti fanno altro: questo
permette di tornare alla “diade” seguente con un’energia e una motivazione rinnovata.
Inoltre, lo svolgere compiti diversi negli intervalli, permette una stabilizzazione del
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materiale emerso, che come abbiamo visto tramite l’integrazione trova una sistemazione
all’interno dei network associativi della persona (Siegel, 2007a). Da questo processo
possono emergere altri contenuti, che vengono poi comunicati nella “diade” seguente.
Alla ricezione della domanda segue una fase introspettiva in cui l’individuo scansiona la
sua mente e le sue emozioni per sentire quello che emerge e per elaborarlo.
Alla fase introspettiva segue la verbalizzazione del proprio vissuto che il soggetto
comunica in modo completo e dettagliato al partner.
L’auto-ascolto richiede una capacità introspettiva che può essere vista come la somma di
svariate funzioni cognitive/affettive che in più parti si intrecciano e favoriscono la
consapevolezza mindful.
È stato infatti rilevato che in individui con tratti mindful nominare un’emozione può
ridurre attivazioni limbiche: possono cioè controllare un’emozione parlandone (Cresswell
et al., 2007, p.25).
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Il raggiungimento di tale stato di equanimità avviene appunto tramite l’integrazione
emozionale, favorita dal contenimento del partner di “diade”, che accoglie
empaticamente il vissuto del partner attivo manifestato tramite la sua
comunicazione (verbale e non).
L’atteggiamento non valutante, in cui gli stimoli sono descritti semplicemente per quello
che sono, fa crescere la disponibilità a provare emozioni e diminuisce le reazioni
emotive secondarie, cioè i tentativi di controllare, sopprimere o evitare esperienze
interne indesiderate, che come è stato dimostrato provocano in realtà un effetto
paradosso, cioè l’incremento della frequenza, gravità e accessibilità di queste esperienze
(Salters-Pedneault et al., 2004).
È lecito supporre che osservare in modo non reattivo i pensieri così come si presentano,
definendoli con precisione senza lasciarsi condizionare dal loro contenuto, così come
avviene in “diade”, favorisca la capacità di decentramento, nella quale i pensieri sono
colti e definiti come contenuti mentali transitori piuttosto che aspetti di sé o
importanti verità che devono dettare il modo di agire.
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la pratica della “diade”, che come abbiamo visto è equiparabile nei suoi elementi
fondamentali ai trattamenti basati su mindfulness e accettazione, porta nel tempo a
una modalità di pensiero decentrata e scevra da ruminazione.
Nei percorsi di studio proposti dal CSP viene posta una particolare attenzione ai processi
di decentramento e di defusione, al punto che in alcuni di essi (es: “Abilità della persona,
la mente”) viene offerto un training apposito: tramite esercizi mirati gli individui
procedono alla differenziazione del processo percettivo nelle sue tre componenti:
soggetto, oggetto e processo stesso (Brunelli, 2011a).
Dalle analisi fatte in questo contesto è stato rilevato che solamente il 9% dei partecipanti
è in grado di discriminare completamente i 3 elementi. Le evidenze pratiche
suggeriscono che un training dedicato a questa abilità incrementi notevolmente la
capacità di differenziazione. L’aumento della capacità di defusione è notoriamente
associata alla flessibilità psicologica (Ely, 2012), e quest’ultima è associata al benessere
psicologico, con una riduzione di sintomi clinici e un incremento dell’attività basata sui
valori (Brunelli, 2001).
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I processi di decentramento, defusione, regolazione emozionale sono facilitati e
amplificati dalla relazione diadica.
Appare evidente come la condivisione dei flussi di energia e di informazioni tra due
individui porti all’attivazione dei meccanismi di integrazione di energia e di informazioni
nel loro sistema nervoso.
Per fare in modo che questo avvenga, il ricevente deve essere in grado di percepire i
segnali verbali e non verbali che gli vengono trasmessi e di rispondere accordando i suoi
stati della mente con quelli del partner attivo; fra gli stati emozionali primari
psicobiologici dei due individui può così crearsi una risonanza diretta (Siegel, 1999).
A livello neurologico questi processi di risonanza avvengono fra gli emisferi destri delle
due persone coinvolte (dx media segnali non verbali). Le funzioni di interpretazione
dell’emisfero sinistro dei membri della “diade” svolgono un ruolo attivo e importante,
dato che sono implicati negli scambi verbali e nelle riflessioni logiche sulle domande
poste. Le funzioni di interprete dell’emisfero sinistro cercano di dare un senso alle
esperienze dell’individuo e di organizzare i suoi processi narrativi.
È noto che traumi, lutti, divorzi mettono a dura prova la capacità di coping, ma
anche che possono diventare importanti punti di forza quando vengono integrati nella
vita di una persona (Calhoun and Tedeschi, 2006; Nader, 2006). Il dato cruciale è se
questi eventi sono stati o meno incorporati in narrazioni coerenti della propria storia
(Main et al., 2008). La resilienza può emergere da autoriflessione e relazioni che
promuovono l’integrazione di memoria, emozioni e altri processi neurali (Siegel,
1999).
La pratica della “diade” può permettere alle persone con perdite o traumi non elaborati
di collegare questi aspetti della memoria alle loro passate esperienze e di comprendere
le cause dei loro disturbi.
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Lo sviluppo di funzioni mentalizzanti e coscienza autonoetica permette
all’individuo di dare un significato al passato, di comprendere il presente e di
programmare attivamente il futuro (Siegel, 1999).
L’integrazione crea in questo modo l’esperienza del Sé che cambia nel tempo.
Mentre muove verso la complessità il sistema dei flussi di energia e informazioni
all’interno del corpo e del mondo sociale, la mente recluta processi distinti in stati unitari
e coesi.
Il termine coesione si riferisce alla caratteristica di uno stato in cui componenti diverse
vengono collegate fra di loro in un determinato momento. Queste associazioni funzionali
– in un dato momento (coesione) o nel corso del tempo (coerenza) – sono il risultato di
processi di integrazione che attraverso meccanismi di rientro connettono circuiti
differenziati in sistemi più ampi, in cui le attività delle varie componenti si influenzano
reciprocamente in uno stato di risonanza.
L’integrazione utilizza la risonanza fra sottosistemi diversi per raggiungere una coesione
degli stati della mente e un flusso coerente di stati nel tempo. Ciò permette la creazione
di sistemi funzionali più complessi, che a loro volta possono diventare componenti di
sistemi ancora più ampi e articolati. Il fenomeno del rientro è quel processo con cui
feedback positivi rinforzano pattern di attività iniziali, all’interno del cervello come
nelle comunicazioni interpersonali.
L’integrazione può essere vista come una forma di risonanza, intesa come l’insieme
delle interazioni fra due o più entità differenziate e relativamente indipendenti che si
influenzano a vicenda (Tucker et al., 2008), che consente a sistemi distinti di
amplificare e co-regolare le loro attività.
L’attenzione focalizzata richiesta nella pratica della “diade” può attivare circuiti neurali di
autoregolazione mentre l’individuo usa la consapevolezza per modulare i vincoli interni
del cervello (Siegel, 2007a), e la relazione con il partner di “diade” può fornire il
vincolo esterno che contribuisce a modificare le sue capacità di auto-organizzazione. A
tutti gli effetti, come scrive Siegel (1999, p.219): il termine auto-organizzazione può
essere impreciso e fuorviante; i processi di auto-organizzazione sono legati a
interazioni con altri Sé – non sono monadici ma diadici.
Le capacità di integrazione, con tutte le funzioni della mente, sono costantemente create
fra processi neurofisiologici interni e relazioni interpersonali. Le capacità di regolazione
riflettono le capacità di integrazione, che consentono il collegamento delle funzioni
esecutive prefrontali con le reti neurali limbiche, bulbari e anche viscerali (Thayer et al.,
2009).
Dopo le esperienze di attaccamento dei primi anni di vita, successive relazioni diadiche
possono continuare a influenzare la maturazione di funzioni regolative (Cassidy et al.,
2008; Feeney and Van Vleet, 2010; Laurent and Powers, 2007). Forme di attaccamento
insicuro conferiscono vulnerabilità in quanto non alimentano processi di auto-
organizzazione integrativi.
Equilibrio significa che il sistema acquista stabilità mantenendosi fra i due estremi:
continuità e rigidità da un lato, novità e caos dall’altro . In questo flusso ottimale di
stati vengono reclutati e collegati processi diversi, interni e interpersonali; l’integrazione
comporta meccanismi di co-regolazione reciproca in quella che abbiamo definito
“risonanza”. Con risonanza intendiamo la proprietà per cui le attività di sistemi che
interagiscono fra loro si influenzano a vicenda.
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Il turno ricettivo della diade
Ho scelto consapevolmente di non chiamare “passivo” il turno in cui il partecipante alla
“diade” si ritrova a svolgere la funzione di ascolto, in quanto durante questi 5 minuti si
dispiegano una serie di processi che rendono questa modalità di relazione tutt’altro che
passiva. Innanzitutto, dopo aver posto la richiesta al suo compagno di “diade”, esso si
pone in “ascolto attivo”, inteso in questo contesto con l’accezione Rogersiana: un
massimo sforzo per entrare nella pelle della persona con cui sta comunicando,
cercando di vivere gli atteggiamenti espressi invece di osservarli, di cogliere ogni
sfumatura della loro natura mutevole (Rogers, 1951, p.60).
Dal punto di vista dinamico questa abilità viene acquisita quando l’individuo non
proietta sull’altro i propri stati emotivi, soprattutto quando si tratta di condivisione di
stati negativi.
Ne deriva che per essere disponibili ad andare verso l’altro, risulta necessario non
essere assorbiti da problematiche affettive personali negative troppo forti, cioè da
qualcosa che, risultando spiacevole, tende ad essere proiettato, e che occlude la
possibilità di introiezione, in quanto è noto che la proiezione impedisce l’empatia
(Bolognini et al., 2002).
Come abbiamo visto precedentemente nella “diade” accadono una serie di processi che
promuovono un progressivo aumento di integrazione e l’individuo acquisisce una
consapevolezza mindful rispetto al proprio sentire: ciò consente al partner ricettivo di
aprire le porte ad un processo empatico di risonanza che non è di tipo fusionale, ma che
può essere ricondotto a, come lo definisce Bolognini, una fusionalità non confusiva, un
evento condizionato dal rilassarsi dell’Io difensivo in una apertura di confine
benigna (Bolognini, 1997).
Questo processo non è del tipo “tutto o nulla”, ma avviene in fasi progressive, in una
complessità che cresce da un livello primitivo di fusionalità (livello di indistinzione tra
soggetto e oggetto), passando per un livello di frammentaria separatezza per giungere
infine ad un livello di separazione definitiva con confini del sé sufficientemente stabili
(Fonda, 2000) che permettono all’individuo di arrivare a percepire che: ognuno di noi
era il sé che elaborava, insieme all’altro sé, la sua situazione così come la viveva
(Rogers, 1951, p.68).
Nella letteratura riguardante la psicoterapia sono state effettuate una serie di descrizioni
teoriche di quella che è stata definita con il termine presenza, andando a delinearne le
qualità fondamentali. Essa è stata descritta come il portare il proprio intero sé
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nell’impegno con l’altro e come l’essere pienamente nel presente con e per l’altro,
con nessuno scopo o obiettivo personale in mente (Craig, 1986; De Rosis, 1969;
Hycner and Jacobs, 1995; Robbins, 1998).
Lo scambio dei turni fa sì che il sentirsi compreso nel turno attivo susciti nell’animo di chi
riceve questo dono la spontanea tendenza a comprendere l’altro, in una spirale
ascendente di apertura reciproca: i cicli di dare-ricevere attenzione e
comprensione si sommano e si amplificano.
Il cambiare partner dopo 8 scambi permette di recepire aspetti diversi delle proprie
parti proiettate e di capire che l’altro, in senso universale, è impersonale: viene resa
evidente la relazione Io-Tu esposta in modo magistrale nell’approccio dialogico di Buber
(1966). Egli sosteneva che la guarigione avviene nell’incontro tra due individui divenuti
completamente presenti l’uno nei confronti dell’altro (Buber, 1958), in una relazione
implicante apertura, franchezza, mutualità e presenza. Le tradizioni dialogiche
descrivono la disponibilità, un aspetto della presenza, come modalità di ascoltare che
è anche un modo di offrire sé stessi all’altro (Hycner, 1991), avendo l’intenzionalità
di permettere a sé stessi di essere modificati dalla soggettività dell’altro (Wachtel,
1994). In questo ascolto c’è dunque una sospensione del giudizio (Craig, 1986) e una
presenza nel momento presente che, come asseriva Buber, dona spazio
all’emergere della dimensione numinosa e spirituale.
La pratica della “diade”, in entrambi i contesti presi in esame, fa sì che questo training di
amorevole gentilezza diventi una modalità operativa concreta, e non solo di tipo
immaginativo individuale.
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L’alternanza dei turni permette da un lato di coltivare la compassione di sé,
dall’altro la compassione per il partner di “diade”, in un crescendo di vicendevole
apertura e risonanza empatica.
L’aspetto che in questo contesto appare cruciale è che tale abilità non solo è
auspicabile, ma può essere appresa. La struttura della “diade”, al riguardo, appare
come un laboratorio ideale dove i partecipanti allenano, in un setting protetto, le
proprie abilità di mindfulness toccando immediatamente dal punto di vista
relazionale l’aumento di abilità di risonanza. La capacità del partner ricettivo di
sintonizzarsi interiormente e nei confronti dell’altro, fa sì che il partner attivo acquisisca
un incremento della propria abilità di sintonizzarsi su di sé mentre elabora i propri
contenuti. Come scrive Siegel (2007a, p.260): la sintonizzazione interpersonale di tipo
sicuro crea uno stato di integrazione che promuove la risonanza interna e la mindfulness
di tratto.
Portnoy (1999, p.23), sostenendo questo concetto in ambito terapeutico, asseriva che
quando il paziente internalizza l’empatia dello psicoterapeuta, sviluppa la capacità di
assumere un atteggiamento riflessivo, comprensivo, accettante, rassicurante nei
confronti delle proprie emozioni e bisogni.
Nel caso della “diade” il membro ricettivo della coppia non è uno psicoterapeuta, ma i
principi che sottostanno all’internalizzazione della relazione (Stolorow et al., 1987)
sono i medesimi.
Nell’esporre le funzioni implicate nella pratica della “diade” nel turno attivo, ho
menzionato la funzione riflessiva e la capacità di mentalizzazione. Quest’ultima è stata
denominata da Siegel (2010b) con il termine mindsight, a sottolineare la capacità di
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percepire la mente propria e altrui. Lo sviluppo della mindsight permette di identificare le
proprie aree personali affette da caos o rigidità e di promuovere in tali aree la crescita di
una maggiore integrazione.
Nella “diade” questa capacità diviene preponderante anche nel turno ricettivo.
L’ascolto consapevole è stato definito (Shafir et al., 2008) come l’insieme delle seguenti
abilità:
Conoscenza di sé
La tempistica
In un Intensivo sull’essere consapevole la giornata è lunga e intensa (di solito dalle 6 alle
23 circa), e l’attività di ricerca – svolta con apposita tecnica – è continua.
I quesiti esistenziali
I quesiti esistenziali sono dei quesiti che corrispondono a delle domande-chiave
esistenziali, irresolubili sul piano logico. Questo permette di arrivare a
comprendere che la ragione non è in grado di risolvere il problema centrale della
conoscenza di sé (Lamparelli, 2010).
Ai fini pratici non sussistono differenze sostanziali tra i quattro quesiti esistenziali, ma il
lavoro di ricerca su uno piuttosto che sull’altro fa emergere contenuti mentali ed
emozionali differenti, e permette un’integrazione più completa in aree specifiche
della vita del partecipante.
Vivi direttamente
L’intero intensivo ha un solo scopo: permettere ai partecipanti di avere la cosiddetta
esperienza diretta. Con questo termine si intende uno stato non-duale di
consapevolezza indifferenziata (Brunelli, 1992).
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È utile per chiarire questo termine distinguere quella che i cognitivisti chiamano
elaborazione top-down e bottom-up. La rappresentazione sensoriale contiene
informazioni riguardanti sensazioni legate ad input che provengono dal mondo esterno,
dal corpo (enterocezione) e dal cervello. I dati sensoriali che derivano dall’ambiente sono
legati a canali sensoriali specifici: immagini, suoni, odori, sensazioni gustative e tattili;
questi segnali, derivati dall’attivazione di recettori specifici, sono definiti dai cognitivisti
con il termine sensazione. La percezione invece si manifesta quando le aree sensoriali
della corteccia cerebrale ricevono questi segnali tramite le vie neurali specifiche (filtrate
dal talamo).
Nelle parole di Brunelli (2009, p.38), diviene evidente che chi cerca è l’oggetto cercato.
Chi cerca è il cercare, e il cercare è la sostanza di chi cerca.
L’apertura include sia la disponibilità ad esperire quello che lui è in quel momento, sia il
contenuto emergente come conseguenza dell’intento: si tratta di una componente
essenziale della mindfulness. L’atto interiore di viversi direttamente fa emergere
elementi di varia natura: mentali, emozionali, associativi.
Il partner attivo esegue dunque tutti i passi della tecnica di consapevolezza: intento,
apertura e comunicazione.
Come abbiamo visto nella descrizione del processo “diadico” relativo alla comunicazione,
la comprensione reciproca mette in atto una serie di processi (defusione,
decentramento, integrazione) che permettono all’individuo di giungere all’esperienza
del “Sé come contesto”: avviene una dis-identificazione dai contenuti e una
liberazione dall’attaccamento ad un sé concettualizzato.
A prescindere da quante siano le autoaffermazioni generate su chi siamo, c’è un “io” che
può osservare queste autoaffermazioni. Questo “io” è vissuto come costante e stabile,
mentre le autovalutazioni come transienti (Hayes et al., 1999). Dalla prospettiva del sé
come contesto, le persone arrivano a rendersi conto che possono tralasciare le
autovalutazioni inutili pur mantenendo il proprio senso di sé integro (Pierson et al.,
2004).
29/39
In questo ambito si rende necessaria una distinzione fondamentale: l’integrazione non è
una funzione del Sé, è ciò che il Sé è (Ogawa et al., 1997, p.9).
La risposta alla domanda “ chi sono io?” è il Sé integro (Brunelli, 2009), ma questo Sé
non è semplicemente la risultante del processo integrativo: è il processo stesso
(Siegel, 2007a).
Il culmine di questo processo avviene quando tutti e due i partecipanti alla “diade”,
avendo preso atto della propria natura indifferenziata, entrano in relazione in
questa modalità, senza comunicare alcunché verbalmente, ma manifestandosi l’un
l’altro mostrando il Vero Sé.
Sia l’approccio intersoggettivo che quello dialogico riconoscono in questo incontro una
dimensione che trascende le esistenze personali: l’incontro accade nella sfera della
trascendenza e, così collocato, fonda nel loro essere – nell’incontro – la stessa
esistenza di coloro che si incontrano.
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39/39
Sviluppo: la porta è sempre aperta
essereintegrale.com/sviluppo-porta-sempre-aperta
Agostino Famlonga
Guardati dentro: sei cambiato rispetto a dieci anni fa? Certo, è autoevidente. Ma cosa è
cambiato?
Esiste un senso di continuità, che non viene alterato dal tempo: è il tuo senso di esistere,
muto e e preverbale, immutabile.
La forma che questo assume invece cambia nel tempo, in un incessante divenire.
La scala evolutiva
Per comprendere cosa significhi sviluppo mi piace usare questa semplice metafora:
l’individuo sale una scala, partendo sempre dal piolo più basso, e ad ogni gradino ha a
disposizione una prospettiva diversa, sia sull’esteriorità che rispetto alla propria
interiorità.
Nel suo sviluppo l’individuo sale una scala evolutiva: ad ogni gradino ha a disposizione
una prospettiva diversa.
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In questa metafora si possono individuare tre elementi:
La scala, cioè la progressione delle strutture di coscienza, dalla più semplice alla
più complessa.
Lo scalatore, l’individuo che sale i gradini.
La vista, cioè la prospettiva da ogni gradino.
Tuttavia anni di studi hanno confermato che la linea cognitiva è il presupposto delle
altre.
la capacità cognitiva è necessaria (ma non sufficiente) per lo sviluppo della linea del
Sé,
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la linea del Sé è necessaria (ma non sufficiente) per lo sviluppo della capacità
interpersonale,
la capacità interpersonale è necessaria (ma non sufficiente) per lo sviluppo morale.
La linea cognitiva è il presupposto per le altre: devo essere consapevole di qualcosa prima
di integrarlo.
Tutte le scale condividono tra loro la misura dell’altezza, determinata dalla linea
cognitiva.
Possiamo definire più stadi evolutivi (sia individuali che collettivi). Essi non sono fissi e
rigidi ma flessibili: per questo li si può definire anche flussi, o di onde, di coscienza.
Prospettive in evoluzione
Lo sviluppo cognitivo comporta un ampliamento della capacità di prendere
prospettive:
3/8
In seguito conquista l’abilità di operare sui propri
pensieri (stadio operatorio formale, prospettiva in
terza persona).
Gradini emergenti
Lo sviluppo seguente non è scontato nella nostra epoca: lo sarà in futuro quando più
persone avranno lasciato un solco nell’utilizzare queste strutture emergenti. Si tratta
della struttura relativista (prospettiva in quarta persona) emersa negli anni ’50-60.
Questa struttura è definita post-moderna, e riesce a cogliere la relazione tra sistemi:
riconosce il pluralismo di vedute.
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Sottolineo la parola riconosce: il fatto che riconosca
la pluralità dei punti di vista, questi non sono
ancora integrati in un adattamento funzionale.
5/8
Da leggere: Spettro evolutivo
Gli strumenti
Quali strumenti abbiamo per salire la scala evolutiva?
Lo studio
Tutti gli argomenti trattati in questo sito hanno questo scopo. Ti invito, se non l’hai
ancora fatto, a leggere il Sistema Operativo non-duale per avere una conoscenza teorica
a 360° di quelle che sono le tue possibilità evolutive.
La comunicazione
La comunicazione con gli altri, tramite un ascolto attivo, cioè intenzionale e sostenuto
consapevolmente, ci permette di prendere una prospettiva diversa dalla nostra,
aumentando l’elasticità del sistema cognitivo eprospettico.
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La meditazione
Lo strumento più efficace per favorire lo sviluppo è la meditazione. È l’unico strumento
che finora ha empiricamente dimostrato di promuovere lo sviluppo in modo sistematico.
Nel processo evolutivo spontaneo il soggetto di uno stadio diventa l’oggetto del soggetto
dello stadio seguente.
L’ombra
Una nota doverosa:
Ognuno di noi è chiamato da una forza interiore verso una complessità sempre più elevata.
È una spinta insita nella nostra natura, è la forza evolutiva che preme verso l’alto e
verso l’altro.
Se questa forza non viene riconosciuta, conosciuta e liberata nella sua espressione, si
atrofizza, rimane al minimo dei giri. Direi che diventa un’energia di sussistenza:
mantiene, forse anche a fatica, l’equilibrio esistenziale raggiunto, senza procedere oltre.
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Eppure, anche se dormiente, l’evoluzione individuale rimane latente e potenziale. Non
importa dove si trovi l’individuo nel suo percorso di vita, la porta è sempre aperta.
Puoi sempre salire di un gradino sulla scala evolutiva.
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Eye Contact Experiment: lo sguardo che unisce
essereintegrale.com/eye-contact-experiment
Agostino Famlonga
L’idea dell’Eye Contact Experiment è semplice: mettiamo due sconosciuti uno di fronte
all’altro che si guardano negli occhi. Facciamolo tutti assieme, riuniti localmente, e nello
stesso momento in tutto il mondo. Tramite la relazione diretta con l’altro ripristiniamo il
contatto umano e tramite il contatto umano costruiamo un’umanità migliore. Un’idea
semplice dunque, ma con una portata ampissima. Vediamo meglio come funziona
questo grandioso esperimento sociale.
La coppia si regola autonomamente riguardo la durata temporale del confronto, che non
è definita a priori. Le linee guida indicano come punto di partenza un minuto di
sguardo condiviso. In realtà questo si allunga spesso oltre il minuto. Il senso temporale
si dilata, mantenendo le persone in relazione per un tempo ben più lungo.
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Alla fine dello scambio può esserci una condivisione verbale per esprimere a parole il
proprio vissuto. Dal contatto umano spontaneamente nascono abbracci, sorrisi,
commozione reciproca.
Eye Contact Experiment nasce in risposta all’isolamento sociale che affligge il nostro
tempo. Oggi la relazione con l’altro è divenuta secondaria rispetto a mille altre apparenti
priorità. E quando c’è interazione tra le persone, la relazione è generalmente superficiale,
non è nutriente dal punto di vista umano.
Eye Contact Experiment vuol fornire alle persone lo stimolo per capire quanto è
importante il contatto umano. Il fine è quello di accendere il desiderio di relazione,
così che le persone portino questa fiammella nella loro vita, nelle loro interazioni
quotidiane. Ripristinare il contatto umano è il modo per promuovere un
miglioramento sociale, costruito a partire dal singolo individuo.
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Eye Contact Experiment è organizzato per questo motivo in luoghi dove c’è passaggio di
molte persone: piazze e parchi sono la scelta preferenziale. Questo permette di accedere
all’Eye Contact Experiment non solo a chi ne conosce l’esistenza, ma anche al passante
che incuriosito da quello che accade si lascia coinvolgere. Il luogo è scelto per
intercettare più persone possibili con questa modalità.
L’idea si è evoluta successivamente in Australia grazie a Peter Sharp che, a fine 2015 con
The Liberators International, ha diffuso in tutto il mondo il primo The World’s Biggest
Eye Contact Experiment. L’anniversario è stato replicato il 29 ottobre 2016 ed è stato
accolto in 42 Stati, con 193 città partecipanti, coinvolgendo milioni di persone in tutto il
mondo.
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Watch Video At: https://youtu.be/vRex3RKcQdk
Perché funziona
Eye Contact Experiment raggiunge efficacemente il suo scopo, ripristinare la relazione
umana, perché lo fa in modo essenziale e diretto. Due persone, una di fronte all’altra,
che mantengono una connessione con lo sguardo. Questa è l’essenza della relazione. È
il punto di partenza per esplorare il rapporto con l’altro.
Da questa condizione inizia il sintonizzarsi con il proprio sentire, con il sentire dell’altro, e
l’apertura reciproca. Ognuno ha il proprio modo di fare questi passaggi. Ognuno ha un
suo limite di apertura e una certa capacità di empatia con l’altro. Da poche linee guida di
partenza ogni partecipante è in grado di fare in modo autonomo il passo che gli serve
per aprirsi un po’ di più nella relazione, con i tempi che gli servono. Non c’è nulla di
impostato a priori, nessuno che spiega cosa fare e come farlo. La scoperta dell’altro è
libera e spontanea. In questo senso l’Eye Contact Experiment diventa un grande
contesto di allenamento per le proprie capacità relazionali.
Proprio per queste sue caratteristiche piace alle persone. Il suo successo è dovuto a mio
avviso dall’unione di questi due fattori: risponde ad un bisogno umano fondamentale, e
lo fa con semplicità, immediatezza, spontaneità, accessibilità.
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Il ponte della relazione
Vediamo meglio cosa accade quando due individui si mettono uno di fronte all’altro e si
danno attenzione reciproca. Questo approfondimento vuole essere uno spunto di
riflessione per i partecipanti all’Eye Contact Experiment. Conoscere i principi su cui
poggia la relazione è un modo per accelerare la costruzione di una relazione di
qualità.
Ognuno di noi si differenzia per la qualità della sua attenzione. L’attenzione cioè può
essere sostenuta per un tempo più o meno lungo, può essere intensa o superficiale, e
può essere più o meno disturbata. Le caratteristiche dell’attenzione – durata, intensità,
purezza – determinano quanto e come io sono in grado di relazionarmi
consapevolmente con l’altro creando un ponte della relazione saldo. Lo chiamiamo
ponte della relazione perché è il collegamento non fisico che unisce i due individui
in relazione. È il collegamento che va dalla mia consapevolezza alla consapevolezza
dell’altro.
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Questo ponte può crearsi in modo spontaneo, come spesso accade all’Eye Contact
Experiment, oppure può essere costruito in modo intenzionale e consapevole,
tramite i flussi di attenzione. Esiste cioè un modo per facilitare la relazione sul piano
della consapevolezza. Invece di lasciare questo evento accada in modo casuale, può
essere letteralmente costruito. Il fatto che sia fatto intenzionalmente non lo rende falso.
Semplicemente ne rende certa la sua riuscita. Quando il ponte della relazione c’è, è vero
per chi lo sperimenta, né più né meno di quando accade in modo spontaneo.
I flussi di attenzione
Analizziamo i primi quattro flussi di attenzione, che permettono di stabilire la base
per la relazione sul piano della consapevolezza. Lo studio è frutto di 30 anni di ricerca
applicata all’Intensivo sull’Essere Consapevole. Nel suo libro, La teoria dell’Essere I,
Silvano Brunelli analizza nel dettaglio i 12 flussi di attenzione: i quattro di base e gli otto
complessi. Per un approfondimento ti rimando a questo testo che trovi in bibliografia.
Per acquisire la posizione non si devono ripetere mentalmente le parole (Ad esempio
nella prima posizione “Io sono, Io sono, Io sono…”). Si tratta di posizioni di
consapevolezza pre-verbali, che esistono cioè prima della parola stessa. Le parole
sono semplicemente un’indicazione su dove indirizzare l’attenzione.
Io sono
La prima posizione su cui poggiare l’attenzione è sulla consapevolezza di sé. È il fatto che
ci sei, qui, in questo momento. Io esisto.
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Io so di essere
Il secondo flusso di attenzione è rivolto al sapere che ci sei. Dallo io sono, si passa allo io
so che io sono. È il sapere di esserci: io sono consapevole del fatto che esisto. Io so di
esistere.
Tu sei
Il terzo flusso di attenzione si rivolge all’altro individuo riconoscendo che esiste. La
posizione acquisita è tu sei, cioè tu esisti.
Tu sai di essere
Nel quarto flusso di attenzione si poggia l’attenzione non solo al fatto che l’altro esiste,
ma al fatto che è consapevole di esistere. La posizione è tu sai che tu sei , cioè tu sai di
esistere.
Queste quattro posizioni della coscienza sono in grado di creare il ponte della relazione,
un canale di attenzione che va da te all’altro . Quanto il ponte sarà stabile dipenderà
dalle caratteristiche individuali dell’attenzione. Può essere solido e ininterrotto, o può
essere fragile e intermittente.
Riconoscimento empatico
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Un ponte della relazione saldo permette di lasciare fluire il proprio sentire e di
sintonizzarsi empaticamente con il sentire dell’altro . Senza la stabilità dei flussi di
attenzione la persona si identifica con il proprio vissuto emozionale o mentale, o con
quello dell’altro. La conseguenza è che le emozioni o le interpretazioni mentali portano a
spasso l’individuo, rompendo la relazione consapevole.
La stabilità del ponte della relazione permette invece un pieno sentire emozionale,
senza che questo faccia decadere la qualità di attenzione consapevole a sé e all’altro. La
relazione diviene così l’àncora che tiene l’individuo nel momento presente,
permettendogli di liberare completamente il suo sentire emozionale.
Consapevolezza in relazione
Una proprietà fondamentale della consapevolezza è la seguente: quando un individuo è
riconosciuto sul piano della consapevolezza da parte di un altro individuo, la sua auto-
consapevolezza si accende. L’attenzione invece di decadere come fa normalmente, si
accende, e con essa anche l’energia vitale.
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Come usiamo questa attenzione ed energia risvegliata è una nostra scelta. All’Eye
Contact Experiment, il mio consiglio è quella di convogliarla nuovamente nei flussi di
attenzione, in modo da stabilizzare il ponte della relazione.
La relazione che si instaura tra gli individui sul piano della consapevolezza permette di
costruire la dimensione della consapevolezza . Vediamo brevemente cosa vuol dire.
Queste qualità si riflettono di conseguenza nella sua dimensione non fisica, non locata
nello spazio: è una dimensione che pervade e permea ogni cosa. La coscienza è dunque
la “sostanza” potenzialmente presente in ogni dimensione: esteriore e interiore, fisica e
mentale/emozionale/biologica.
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Come partecipare
Partecipare all’Eye Contact Experiment è semplice, non serve nulla se non la curiosità
di provare. L’evento globale Eye Contact Experiment si svolge una volta all’anno, ma
localmente questo viene ripetuto nell’arco di tutto l’anno. Consulta la pagina Facebook
di Eye Contact Experiement Italy dove trovi il calendario dei raduni in tutta Italia.
Se senti la chiamata puoi organizzare tu stesso un evento nella tua città: sulla pagina
trovi tutte le indicazioni necessarie.
Eye Contact Experiment è un potenziale veicolo per costruire relazioni più autentiche e
per aprirci alla nostra umanità. Ti invito caldamente a provare questa esperienza, ne
sarai entusiasta. Soprattutto ti invito a tradurre il vissuto dell’evento in qualità di
relazione quotidiana, cioè a portare la tua umanità in ogni singolo incontro con l’altro.
In ogni incontro con l’altro c’è la possibilità di costruire un’umanità migliore. La
scelta è nostra, in ogni istante.
Gandhi
La tua esperienza
Hai partecipato in passato ad un raduno Eye Contact Experiment?
Sei riuscito a portare questo tipo di contatto umano nella tua vita?
Racconta la tua esperienza nei commenti qui sotto, sarà da stimolo per chi ancora non
ha partecipato!
Ringraziamenti
Ringrazio di cuore per la disponibilità Salvatore Di Maria e Francesca Corti dei Liberators
of Lecco.
Bibliografia
10/10
Il bypass spirituale: se lo conosci puoi superarlo
essereintegrale.com/bypass-spirituale-conoscerlo-superarlo
Agostino Famlonga
Il bypass spirituale può essere definito come trascendenza prematura: voler elevarsi
oltre il proprio lato umano senza averlo prima conosciuto e integrato completamente.
Il bypass spirituale è l’uso, consapevole o meno, di idee e pratiche spirituali per evitare di
affrontare problemi psicologici aperti, materiale emozionale irrisolto, ferite non
rimarginate o tappe di sviluppo non portate a termine.
È fin troppo facile cadere in questo meccanismo, tanto che è universalmente diffuso in
tutti i circoli spirituali o pseudo tali. Lo si deve ovunque, nelle sue varie forme. Come
sempre, conoscere i meccanismi di queste dinamiche è il primo passo per poter andare
oltre e spianare la strada alla propria evoluzione. Vediamo dunque come si genera, quali
sono le sue manifestazioni e come andare oltre questa trappola evolutiva.
L’inizio
L’inizio di un percorso di crescita spirituale muove generalmente da una motivazione di
carenza. Non è un principio matematico, ma di solito accade questo: senti che in te c’è
un qualche tipo di disagio e tenti di superarlo, o di attenuarlo, per stare meglio. Può
trattarsi di un disagio psicologico, relazionale, fisico o anche esistenziale e filosofico. Il
movimento può essere schematizzato così: un sentire che “così come sono non vado
bene” associato alla sua controparte “devo fare qualcosa per andare bene.”
1/16
Il passo seguente diviene l’intraprendere una via di crescita interiore. Un seminario, un
ritiro, l’affidarsi a una relazione di aiuto. Questo ti da la possibilità di andare oltre, di
uscire dal disagio e toccare con mano la bellezza del liberarsi delle proprie limitazioni.
Nel migliore dei casi c’è un contatto con la dimensione soggettivamente assoluta, che
dona alla persona la completezza, prima ricercata in posti inadeguati. La perfezione
della realtà non-duale scioglie ogni tensione e imperfezione.
Detto in modo ancora più diretto: sapere chi sei veramente non paga le bollette.
Con questo non sto dicendo che la ricerca spirituale sia inutile, tutt’altro. Sapere chi sei è
l’origine per creare il tuo modo di pagare le bollette, il modo che ti rappresenta e ti
realizza. Questo è il passo fondamentale per avere la tua completezza esistenziale.
Se di base hai la credenza che la consapevolezza sistemi da sola ogni cosa, la pratica
spirituale può diventare una via di fuga dalla realtà. Un seminario può diventare una
sorta di valium metafisico. Una vera e propria “dose” di verità assoluta.
Questo bisogno nasce quando nella vita quotidiana non sei in contatto con questa tua
verità. Allora devi riempire il serbatoio, devi prendere un’altra dose per tirare avanti nella
vita e nelle relazioni.
2/16
Dissociazioni
Da dove origina questa tendenza alla trascendenza difensiva? La sua origine può
essere ricondotta alla dissociazione. Il bypass è in sostanza una scissione nelle
dimensioni esistenziali, quindi in realtà la dissociazione ne rappresenta sia la causa che
l’effetto.
Mi spiego meglio: la dissociazione è il fatto che abbiamo delle parti non integrate, delle
parti che nascondiamo a noi stessi e che non vogliamo o riusciamo a vedere. A livello
individuale questo si traduce nel fatto che abbiamo una parte conscia, un io,
contrapposto ad una parte inconscia, percepita come separata, o apparentemente
inaccessibile.
Il bypass spirituale è una frattura tra la realtà non-duale e la nostra natura umana .
È una contrapposizione tra una parte della vita ritenuta elevata e virtuosa rispetto al suo
opposto, ritenuto inferiore.
Sistema di credenze
Il bypass spirituale raggiunge il suo apice quando si manifesta in una pseudo-
spiritualità completamente scollegata dalla pratica. Nei casi estremi di questa
dinamica la persona non è mai venuta in contatto con la dimensione non-duale ma
assume semplicemente un sistema di credenze come modo di vivere . Lo fa perché
intuisce che dovrebbe essere così, perché è poeticamente affascinante, o perché
apparentemente lo eleva sopra gli altri, o ancora perché questo gli permette di
mantenere una relazione con un gruppo con cui sente appartenenza. Le motivazioni
possono essere molteplici.
Il segnale di allarme per questa condizione è una mancanza di coerenza, con sé stessa
e con gli altri: dice una cosa e ne fa un’altra. Fa una cosa quando è in relazione con gli
altri, e l’esatto opposto quando è da sola.
A volte gli ideali spirituali sono messi in pratica nei confronti degli altri (ad esempio
gentilezza e compassione), ma verso sé stessi invece il trattamento è alquanto differente:
la persona manifesta rigidità e durezza.
Identità compensatoria
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Quando è in atto il bypass spirituale, essere eccellente nella pratica spirituale diviene una
identità compensatoria, che difende e nasconde una identità carente, quel senso di
“non vado bene” all’origine di tutto. Anche se la pratica è eseguita con diligenza, in realtà
è una negazione, un vero e proprio meccanismo di difesa. La pratica soggettivamente
diviene un dovere, un modo per cercare di sentirsi bene con sé.
Questa dinamica porta a una scissione nelle aree della vita: la pratica rimane segregata
dal resto. La pratica spirituale non è integrata nel funzionamento globale
dell’individuo, non penetra cioè nella sua vita. Un altro modo di dirlo: la vita non è a
immagine e somiglianza della verità di sé.
Super-io spirituale
Quando gli insegnamenti spirituali vengono incorporati in un sistema di credenze si
cristallizza un’immagine idealizzata di sé. Invece di sentire che vai bene così come sei,
questo meccanismo ti fa sentire sempre in carenza di qualcosa. È un sorta di super-io
5/16
spiritualizzato che riempie la testa di dovrei: dovrei pensare questo, dovrei fare quello,
dovrei sentirmi così e via dicendo.
Il meccanismo psicologico è attivo, come sempre, in duplice direzione: il senso del dovrei
è anche proiettato sull’altro. Allora l’altro non va bene così com’è, ma dovrebbe essere
in un certo modo, dovrebbe comportarsi e vivere secondo dei canoni idealizzati.
Vivere un ideale invece di essere chi sei veramente è una forma di violenza
interiore che ti divide in due parti, una contro l’altra. Ogni forma di idealizzazione è un
atto di violenza verso di sé.
L’attaccamento
Una parte fondamentale degli insegnamenti spirituali concerne l’attaccamento.
L’attaccamento è rifiutato e considerato un legame limitante, un vincolo alla natura
umana che impedisce di dimorare permanentemente nella libertà dell’essere.
6/16
L’attaccamento su cui gli insegnamenti spirituali pongono l’accento è l’afferrare, o
tenere, eccessivamente qualcosa. Può essere riferito a qualsiasi cosa: un oggetto,
un’emozione, un’idea, un sentire, una relazione. Per non confonderlo con l’attaccamento
psicologico lo possiamo definire grasping (dall’inglese grasp: afferrare).
Il distacco (non-attaccamento) è una difesa per non sentire il dolore che sta sotto la
mancanza di relazione, quella che avrebbero dovuto ricevere e invece non hanno
ricevuto.
Evitare l’attaccamento non significa essere liberi dell’attaccamento, è solo un’altra forma
di grasping: l’aggrapparsi alla negazione dei proprio bisogni di attaccamento umani,
dovuti alla mancanza di fiducia che l’amore può essere affidabile e sicuro. [ Per
approfondire: La psicoterapia di Dio ]
Agostino Famlonga
La volontà e la resa
La volontà è un altro aspetto colpito in modo massiccio dal bypass spirituale. La dinamica
è simile a quello che abbiamo appena visto riguardo l’attaccamento.
Attenzione e scelta sono due organi della consapevolezza di sé. La prima è l’organo di
senso, la seconda è l’organo di azione.
La scelta è lo strumento con cui l’individuo consapevole interagisce con tutto ciò che
esiste, sul piano fisico, emozionale, mentale e relazionale.
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Molti pensano che la scelta sia una proprietà mentale, ma si tratta di un dato errato: la
scelta appartiene all’essere consapevole.
Una retta azione è guidata da una scelta consapevole, da una volontà posseduta e
incarnata pienamente, e priva di attaccamento al risultato. La vera resa è la resa del
risultato dell’azione, con un’attenzione concentrata in modo naturale sull’azione stessa,
in totale apertura al momento presente. L’azione è mossa da piena consapevolezza e
volontà. Essendo l’attenzione concentrata nel qui e ora, non è rivolta al risultato. Questa
è la resa.
Riassumendo:
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Il bypass spirituale del corpo
Il corpo è la prima dimensione umana ad essere colpita dal bypass spirituale. I motivi
sono due.
Dal corpo fisico emerge il senso somatico. Se il sentire è troppo forte o doloroso,
interviene un meccanismo psicologico che crea una distanza dal proprio sentire. Il corpo
è dunque la prima dimensione esistenziale ad essere “spenta” per non sentire qualcosa
di sopraffacente.
Inoltre il corpo eredita a livello culturale un giudizio negativo portato avanti dalle
tradizioni religiose, che hanno per secoli considerato il corpo come la prigione
dell’anima. Questo schema archetipico, seppur in via d’estinzione, è ancora attivo a livello
inconscio.
La fame diviene un bisogno da superare in virtù del valore della purezza dell’anima.
Il sonno divine una forma di accidia, di inerzia all’azione, e acquisisce quindi una
colorazione negativa.
In sostanza mancando il contatto con il proprio corpo, con il proprio sentire, i bisogni
corporei sono o non sentiti completamente, oppure interpretati secondo degli schemi
mentali con impronta spirituale. In termini bioenergetici manca il grounding, il
radicamento nel proprio corpo e nel proprio sentire somatico.
10/16
Quando il corpo è vissuto nella sua interezza e integrato con le altre dimensioni
esistenziali dell’individuo, i suoi bisogni sono ritenuti di primaria importanza, soddisfatti
senza eccessi e con tempistiche adeguate. Il corpo allora cessa di essere una prigione,
diviene un tempio.
Manca il pieno sentire dell’emozione, che è proprio l’elemento che permette di far
evaporare ogni tipo di residuo emozionale. Non viene riconosciuto che ogni emozione è
di valore: interviene un’interpretazione mentale.
11/16
Il bypass spirituale della mente
La funzione della mente è quella di elaborare e interpretare gli input sensoriali, e di
generare forme di pensiero superiore, come ad esempio il linguaggio e la sintesi in
schemi cognitivi. Non c’è nulla di negativo in tutto questo. Eppure la dimensione mentale
viene spesso colpita pesantemente dal bypass spirituale.
La prima dinamica è la repressione della propria mente, o per meglio dire il tentativo di
reprimere la propria mente. Siamo all’estremo opposto del bypass del proprio corpo
visto prima.
Il sentire viene elevato sopra il pensare . Viene dato estremo valore a quello che si
sente, cercando di spegnere la pensiero. Generalmente si ottiene proprio l’effetto
opposto. Invece di integrare il sentire con il pensare, viene messa in atto una scissione.
Spesso questo meccanismo si manifesta con una forte oscillazione bipolare tra il
sentire e il pensare, con una serie di giudizi negativi associati a quest’ultima funzione.
Un altro effetto, corollario del precedente, è quello del cercare di non giudicare, di non
interpretare. Si cerca di rinnegare proprio la funzione peculiare della mente. Detto con
un esempio banale: se vedo un’auto che mi sta investendo, ringrazio la mia funzione
mentale che mi permette di interpretare questo evento e mi permette di scansarmi. Di
nuovo, si cerca di sopprimere una dimensione esistenziale umana, chiaramente senza
successo.
Quando è in atto il bypass spirituale la pratica spirituale è usata come mezzo per evitare
la relazione, per creare una distanza sociale. La persona in questo caso è fredda e
distante a livello relazionale. Si sente persa quando deve interagire direttamente con
l’altro o esprimere i propri sentimenti in modo trasparente.
L’essere solitari e ritirati è un modo di vivere che in alcuni ambiti spirituali è considerato
virtuoso, perché manifesta l’avvenuto distacco con il mondo della forma . In questo
caso l’isolamento diviene un meccanismo di difesa.
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Il bypass spirituale si manifesta anche in una versione opposta: quando la persona ha dei
confini dell’io labili si perde letteralmente nella relazione con l’altro.
In questo processo perdono ogni contatto con la realtà fisica, con le loro
responsabilità in quanto esseri umani. In realtà si tratta di una negazione, del loro
meccanismo difensivo in azione. Perdere il contatto significa non riconoscerne il valore e
trascurarla in virtù di valori spirituali ritenuti più elevati. Significa agire in modo
disfunzionale, fuori dal tempo e dalle relazioni.
L’essere umano funziona nella realtà fisica con un corpo fisico, e la dimensione fisica è
proprio quella dimensione che permette la piena realizzazione dei propri fini
esistenziali. Quando l’individuo integra le dimensioni esistenziali in un adattamento
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funzionale, la dimensione fisica diviene amica, terreno di gioco per la propria
autorealizzazione.
Scelta di un mentore
Come abbiamo visto i meccanismi del bypass spirituale sono numerosi e alquanto
pervasivi. È necessario, innanzitutto, che tu conosca queste dinamiche ed effettuando
un’autoanalisi riconoscere se stai agendo una di queste. La consapevolezza è sempre il
primo passo per poter uscire dagli automatismi difensivi.
Anche il mentore che sceglierai è bene che conosca i meccanismi del bypass, e che operi
per disinnescarli alla loro radice, sia in sé stesso che nelle persone da lui seguite.
Esseri umani
La dimensione della consapevolezza è una dimensione esistenziale che ci appartiene in
quanto esseri umani. La sua bellezza e la libertà che essa dona non deve diventare
motivo per declassare le altre dimensioni dell’esistenza.
Ogni qualvolta interviene qualche tipo di bypass spirituale perdiamo contatto con una
dimensione esistenziale e quindi con una parte della nostra umanità. Rimaniamo
scollegati e frammentati da parti dell’esistenza che ci appartengono.
Come abbiamo visto nella rubrica sulla Consapevolezza Multidimensionale lo scopo della
pratica spirituale è quello di travasare la consapevolezza all’interno di tutte le
dimensioni, di integrarle in un adattamento funzionale con lo scopo di esprimere e
realizzare l’individualità consapevole che noi siamo. Superare il bypass spirituale è un
passo fondamentale per realizzare questo processo.
La tua opinione
Questo articolo vuole essere semplicemente una guida introduttiva. Ho toccato solo i
punti principali relativi al bypass spirituale, senza andare in profondità nei singoli
meccanismi. Ci sarà tempo in articoli futuri per approfondire i vari elementi.
Mi farebbe molto piacere di sapere la tua opinione in merito a quanto hai letto.
Ho dimenticato in questo articolo di citare degli elementi che ritieni entrino nella
definizione di bypass spirituale?
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Hai scelto una scuola spirituale e un mentore che agiscono per rompere questi
meccanismi di difesa?
Bibliografia
Robert Augustus Masters – Spiritual Bypassing: When Spirituality Disconnects Us from What
Really Matters
On Spiritual Bypassing, Relationship, and the Dharma An interview with John Welwood by Tina
Fossella
Photo credit
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Meditazione: concentrarsi o lasciare andare?
essereintegrale.com/meditazione-concentrarsi-lasciare-andare
Agostino Famlonga
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Se spogliata da ogni aspetto superficiale la meditazione è il processo di
ristrutturazione dell’attività cognitiva, cioè del modo in cui la coscienza elabora e
costruisce la percezione soggettiva. La ristrutturazione avviene usando l’attenzione. Per
gli scopi di questo articolo è sufficiente comprendere il senso generale di questa
affermazione. Se vuoi approfondire questo aspetto ti invito a leggere introduzione alla
meditazione.
Il modo in cui l’attenzione viene usata può essere suddiviso in due modalità differenti.
Le pratiche hanno effetti diversi in stadi diversi. Per fare chiarezza serve avere un quadro
d’insieme: ci viene in aiuto il modello delle pratiche meditative.
Orientamento all’oggetto
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Questa dimensione si riferisce al grado in cui l’attenzione dell’individuo è indirizzata
verso uno specifico oggetto, o verso una classe di oggetti. L’oggetto può emergere nel
campo di consapevolezza tramite la percezione, il ricordo o l’immaginazione.
Da notare che l’orientamento all’oggetto non dipende dal fatto che un particolare oggetto
sia selezionato. Ad esempio, nel tentare di riconoscere una singola persona nel mezzo di
una folla, le altre persone non sono selezionate direttamente, ma l’attenzione è
comunque fortemente orientata verso un oggetto, cioè la persona cercata.
Dis-identificazione
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Questa dimensione riflette il grado in cui i pensieri, le sensazioni, le emozioni e le
percezioni sono interpretati come processi mentali o come realtà vere e proprie.
[Una precisazione: in termini tecnici la dis-identificazione riguarda il senso del sé. Questa
scala include tutto ciò che è compreso nel campo della consapevolezza . Il termine
esatto sarebbe de-reificazione. Ho preferito usare il termine più conosciuto dis-
identificazione perché più accessibile anche ai non addetti ai lavori.]
Consapevolezza
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Questa dimensione concerne il monitorare l’esperienza: l’attenzione è diretta verso il
notare i contenuti della coscienza per divenirne consapevoli. Si tratta della
consapevolezza riflessiva, cioè il processo che costituisce l’introspezione. Tecnicamente
è definita consapevolezza in posizione meta, cioè che sta sopra, che monitora
l’esperienza.
All’estremo inferiore della scala (0) troviamo una consapevolezza tipica di un principiante
che coinvolto in una pratica di attenzione focalizzata è in grado di rilevare solo le grosse
distrazioni. Perde l’oggetto di attenzione e si accorge dopo qualche tempo che è
intervenuta una distrazione. All’atro estremo della scala, l’1, troviamo un meditante
esperto che è in grado di mantenere la consapevolezza in posizione meta rilevando tutti
i dettagli che compongono l’esperienza. Divengono accessibili a livello fenomenologico
tutte le caratteristiche dell’esperienza: il contesto, lo sfondo, i singoli elementi che la
compongono. L’individuo è consapevole delle minime variazioni in ognuna di queste e
nel loro insieme. Con la maestria questa condizione è mantenuta senza alcun oggetto di
attenzione specifico.
Apertura
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Rappresenta quanto è concentrato o
diffuso il focus dell’attenzione. Può
essere ristretto su un singolo oggetto, come
nell’attenzione focalizzata, oppure
completamente aperto come durante la
presenza aperta.
Chiarezza
Stabilità
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La stabilità indica il grado di persistenza
nel tempo dell’esperienza. Può emergere
spontaneamente, come nel caso di un
umore depressivo che persiste nel tempo,
oppure come condizione interiore coltivata
intenzionalmente, come nel caso di
attenzione sostenuta verso un oggetto o
verso una qualità dell’esperienza.
Sforzo
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non è direzionata in modo univoco verso questi fini. Si inserisce in modo intrusivo e
spesso è percepita come un disturbo. Più spesso ancora la persona non si accorge
nemmeno di quanto sia distratta la sua condizione mentale.
Nei termini del modello qui proposto possiamo inquadrare questa condizione con una
consapevolezza molto bassa, una dis-identificazione molto bassa, cioè quello che è
percepito è considerato una rappresentazione accurata della realtà, e un orientamento
all’oggetto che è in modo variabile nel mezzo del continuum proposto.
a stabilità è bassa, ci sono continui cambi del contenuto. L’apertura è bassa, ovvero sono
elaborati solo pochi stimoli alla volta. La chiarezza è, nell’ipotesi ottimista, a un livello
medio. Infine lo sforzo è minimo. Non c’è sforzo consapevole perché la mente è lasciata
vagare in modo ordinario.
Ruminazione
Il primo che descriverò è la ruminazione. Il termine ruminazione è usato in campo
psicologico per descrivere la condizione in cui la persona rielabora continuamente
un pensiero. Il contenuto mentale si ripresenta continuamente e ripetutamente. La
persona percepisce una resistenza nei confronti di questo contenuto, e proprio
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questa resistenza fa sì che esso si ripresenti nuovamente. Questo è percepito come un
disturbo, perché tiene impegnata l’attività mentale della persona su un unico contenuto,
o comunque su un tema specifico. La condizione è definita ruminazione perché rende in
modo figurato l’idea di un riprendere più volte un contenuto e continuare a elaborarlo.
Dipendenza
Un’altra condizione disfunzionale è quella della dipendenza, da qualsiasi tipo di
sostanza. All’estremo troviamo le dipendenze da alcol e droghe, ma le qualità della
condizione descritta sono le stesse anche in caso di dipendenze minori: caffè, sigarette,
cibo ecc. Sono considerate dipendenze di minore entità, socialmente accettate, ma lo
schema è il medesimo.
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Qui lo stato mentale è fortemente orientato verso l’oggetto, l’identificazione è fortissima
e la consapevolezza dell’attrazione verso il contenuto è presente in maniera debole.
Il focus dell’attenzione è molto ristretto, concentrato sull’unico oggetto che pare in grado
di placare il fastidio dell’astinenza. La sostanza desiderata è tenuta a mente con una
chiarezza medio-bassa e con una stabilità altissima. Lo sforzo intenzionale è minimo,
perché tutto l’impianto è mantenuto attivo da un funzionamento automatico
disfunzionale fuori dal controllo cosciente della persona.
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Lo stato mentale è fortemente orientato all’oggetto. È presente un certo grado di
consapevolezza che monitora quando l’attenzione è distolta dall’oggetto e
l’identificazione cade circa a metà del continuum proposto.
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L’apertura è sempre bassa, perché il compito dell’esercizio è sempre quello di restringere
il focus di attenzione. L’oggetto è visto in modo sempre più chiaro e vivido. Quando il
praticante raggiunge la maestria di questo compito cognitivo, la stabilità è aumentata a
un livello alto e lo sforzo diventa minimo.
Quello che cambia è il grado di apertura. Il focus di attenzione si amplia proprio perché
è variato il compito cognitivo richiesto. La chiarezza dell’oggetto viene in qualche modo
offuscata perché il compito è nuovo, e quindi l’oggetto su cui si convoglia l’attenzione è
diverso e non visto in modo chiaro. La stabilità conquistata in precedenza tende a
retrocedere e assestarsi a un livello medio: s’inseriscono nuove distrazioni, nuovi
ostacoli. Si ripresenta nuovamente un certo grado di sforzo. Non è più uno sforzo
paragonabile alla fase del principiante nella meditazione di attenzione focalizzata. Al
praticante è richiesto di calibrare accuratamente lo sforzo in questa fase: troppo
sforzo non permette di proseguire nelle fasi seguenti, così come uno troppo blando.
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La presenza aperta dell’esperto
Vediamo ora la condizione di un praticante esperto che ha affrontato l’intero percorso e
ha raggiunto la maestria della meditazione di discernimento (presenza aperta).
Vediamo che c’è una completa dis-identificazione rispetto a ciò che è percepito. Il
termine esatto è la massima de-reificazione: la realtà viene “vista” come l’insieme dei
processi di elaborazione e costruzione soggettiva di ciò che viene percepito. Questo
spostamento verso la soggettività è indicato come lo spostamento verso lo zero nella
scala di orientamento all’oggetto. L’individuo è consapevole dell’insieme dei processi che
concorrono alla co-costruzione della realtà: la consapevolezza in posizione meta è
massima.
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Un certo grado di impegno e di sforzo è richiesto durante tutto il percorso , con
intensità variabile a seconda degli stadi in cui ci si trova. All’inizio lo sforzo è massimo
perché si sta cercando di apprendere una nuova abilità e non si sa come fare. Poi via via
questo diminuisce ed è calibrato dal praticante, scelto in modo consapevole. Né
troppo, né troppo poco. Quello che serve per progredire. Si acuisce la capacità di
riconoscere quando si sta spingendo troppo, andando a finire nella forzatura, così come
quando si sta facendo troppo poco, rimanendo inutilmente rallentati.
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Ora rivelerò il vero senso del titolo del post. Ho contrapposto le due condizioni, il
Negli stadi finali si ha la comprensione esperienziale che tutto va bene così com’è, non
c’è bisogno di cambiare nulla. Chi si impegna e si sforza sta tentando di alterare ciò che
è e quindi si sta allontanando dall’obiettivo, fluire con la vita.
Il problema è che non funziona. A lungo termine non funziona perché non può essere
mantenuta la stabilità della condizione. Si può tentare di toccare l’esperienza della
presenza aperta nella sua apertura totale, stabilità, chiarezza e assenza di sforzo, ma se
non ci sono le condizioni che hanno costruito le basi, la condizione non può essere
mantenuta a lungo. La condizione può essere toccata, certo. Svariate testimonianze ci
confermano questa possibilità. Si tratta però di una toccata e fuga. Un’esperienza che
poi è persa nel tempo.
Le basi si costruiscono con l’impegno, con la pratica quotidiana, sapendo in quale fase
ci si trova e facendo un passo alla volta, sforzandosi di andare oltre i propri limiti. Si,
andare oltre ai propri limiti richiede una certa dose di sforzo.
Bibliografia
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Photo credit: Aperture Yogi via VisualHunt / CC BY-NC-SA
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I 4 significati della parola spiritualità
essereintegrale.com/4-significati-della-parola-spiritualita
Agostino Famlonga
Ognuno ha un senso personale riguardo ciò che per lui è spirituale o meno. Per la
maggior parte delle persone è considerato spirituale ciò che va oltre l’aspetto fisico
della realtà.
quella parte della vita che si rivolge alla ricerca dell’essenza delle cose.
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Possiamo tutti richiamare in mente degli individui che hanno una spiccata abilità in
un’area specifica della vita, ad esempio un atleta con uno sviluppo fuori dal comune nella
linea evolutiva cinestetica, ma aventi contemporaneamente una carenza di sviluppo in
un’altra linea evolutiva, ad esempio quella interpersonale.
Da leggere: Psicografico
Ecco dunque che appare una prima possibile interpretazione di quella che potrebbe
essere considerata la spiritualità: lo sviluppo massimo possibile in ognuna delle linee
evolutive.
La spiritualità può essere intesa proprio con queste peculiarità. A fasi di sviluppo minore
questa linea evolutiva mostra un atteggiamento egocentrico, centrato sui propri bisogni
e l’incapacità di prendere la prospettiva dell’altro. Difficilmente questa modalità di
interazione interpersonale è considerata spirituale.
Questo ragionamento vale per ognuna delle linee evolutive: emozionale, cognitiva,
morale, ecc.
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Ai livelli di sviluppo massimo queste linee mostrano delle qualità e delle proprietà
che possono essere interpretate come spirituali.
La suddivisione in stadi può essere di tipo grossolano, del tipo pre-personale, personale
e transpersonale; oppure molto più dettagliata come ad esempio i 7 stadi della fede
individuati dagli studi di James Fowler, che ora non analizzeremo.
Il concetto di fondo non cambia: la linea alla nascita si trova a livello zero e nella vita,
come ogni altra abilità, trova il modo di aumentare la sua complessità in stadi
progressivi.
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L’esperienza di unione, di espansione della coscienza o di completa dis-identificazione
dal corpo, o ancora l’esperienza meditativa di trascendenza dell’io… questi e molti altri
sono gli stati di coscienza che possono essere classificati come non-ordinari, e dunque,
secondo questa interpretazione, di tipo spirituale.
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L’atteggiamento della gentilezza, di compassione, di aiuto e di servizio all’altro sono
considerati spirituali, in contrapposizione all’egoismo, allo sfogo della rabbia, all’invidia e
a tutti quei sentimenti/atteggiamenti che in genere allontanano dall’esperienza di
comunione con l’altro.
Si nota immediatamente che tutti questi atteggiamenti interiori esulano dai parametri
delle definizioni precedenti.
Si tratta semplicemente di una predisposizione interiore che può essere scelta dalla
persona ad ognuno degli stadi evolutivi, indipendentemente dallo stato di
coscienza in cui si trova.
In questo caso è la scelta dell’individuo che determina la traduzione nella sua vita di
questo tipo di atteggiamento, qualunque esso sia. Ad esempio scegliere di adottare un
codice etico di comportamento è una scelta di maturità interiore, perché permette di
costruire la propria vita in base ai propri valori.
All’opposto adottare schemi di comportamento rigidi, imposti e non scelti, applicati forse
per paura di punizioni di qualche tipo porta invece a una spiritualità di facciata, ma ad
una falsità di fondo che non è per nulla costruttiva.
Tutti questi approcci alla spiritualità hanno una propria validità e un legittimo diritto di
essere tenuti in considerazione.
Quando, non comprendendo queste quattro sfumature, una persona parla della
spiritualità intendendo un significato ad un’altra che invece ne sottintende un altro.
L’incomprensione è garantita.
Quando si considera un’unica interpretazione della spiritualità non considerando
valide le altre. Rimangono precluse notevoli possibilità di crescita.
Alla luce di queste conoscenze, le soluzioni sono semplici, speculari rispetto ai due
problemi appena esposti:
Non il contatto con qualcosa di trascendente, che va oltre, ma con qualcosa che
appartiene all’essere umano in quanto individuo consapevole di esistere.
Che si consideri la spiritualità come lo sviluppo massimo delle linee evolutive, come linea
evolutiva a sé, come un particolare stato di coscienza o come un atteggiamento verso la
vita, in ogni caso si ha a che fare con aspetti che ci caratterizzano in quanto esseri umani
dotati di consapevolezza.
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Ho esposto qui varie interpretazioni, diversi possibili approcci a questa affascinante
tematica. Ognuno di noi ha una sua particolare concezione riguardo alla spiritualità. Si
tratta di una costruzione derivata dalla propria esperienza di vita, ed è affascinante
notare sia le differenze tra una e l’altra che l’elemento comune che soggiace a tutte.
Per questo ti chiedo, se ti va, di condividere qui nei commenti la tua opinione: che cos’è
per te la spiritualità?
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I trance che le persone vivono
essereintegrale.com/trance-persone-vivono-stephen-wolinsky
Agostino Famlonga
Imbambolati, persi nei nostri pensieri, oppure in balia di meccanismi reattivi fuori
controllo, letteralmente ipnotizzati. Auto-ipnotizzati. O per meglio dire, ipnotizzati dalla
nostra mente.
Essere in trance: uno stato di perdita di contatto con il presente causato da meccanismi
psicologici automatici che portano la persona in uno spazio psicologico interpretato e
lontano dal contatto con la realtà.
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La prospettiva qui proposta è capovolta, c’è un radicale cambio di paradigma: tutti noi
abbiamo, in misura variabile e con intensità differente, dei trance automatici già
operativi che ci allontanano dal contatto con il momento presente. La
consapevolezza è letteralmente portata a spasso da costruzioni, interpretazioni e
dinamiche mentali: sono i cosiddetti trance comuni quotidiani. Non necessariamente
questi sono di tipo patologico. Il funzionamento mentale “normale”, per come è
comunemente inteso, è caratterizzato da un’alternanza continua di questi stati di trance,
con poca o nessuna consapevolezza dell’automatismo che sta dietro queste distorsioni
della percezione/creazione della realtà soggettiva.
I trance automatici ci separano dal contatto con il presente e ci proiettano in uno spazio
psicologico interpretato.
Ogni qual volta l’individuo è rapito dal trance è succube di un automatismo psicologico,
emozionale o comportamentale. Dal punto di vista dell’emancipazione individuale, cioè
della progressiva liberazione della consapevolezza individuale dagli schemi automatici di
risposta, è dunque necessario de-ipnotizzare l’individuo fuori dagli stati di trance in cui
si trova già costantemente immerso.
Vediamo ora come sono costruiti questi trance, quali sono, come è possibile riconoscerli
e, soprattutto, come disattivarli andando oltre ad essi. Nel linguaggio di Wolinsky: come
raggiungere la trascendenza del trance, il trance-end.
Le nostre risposte automatizzate sono stati di trance che accadono fuori dal controllo
cosciente dell’individuo. Ogni risposta automatica ci pone dunque di fronte ad un trance
che sta accadendo dentro di noi. La nostra opportunità di crescita risiede nella
possibilità che abbiamo di divenirne consapevoli e di interrompere l’automatismo. Invece
di essere vittime inconsapevoli degli stati di trance che ci accadono, possiamo avere
l’esperienza di esserne creatori. La regola d’oro, come in ogni processo di crescita, è
quella di differenziare e integrare.
Il trance è generato come meccanismo di protezione quando l’individuo non sta di fronte a
un’esperienza.
Vari episodi di questo tipo, cioè tante esperienze non integrate perché sopraffacenti, si
uniscono in cluster (associazioni di trance): ogni esperienza con la sua resistenza e con il
suo trance associato. Ne emerge una struttura psicologica che emana il profumo di
queste esperienze resistite (e delle sensazioni, emozioni, interpretazioni associate) con
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il quale la persona non è più in contatto.
Da inter-personale a intra-personale
Nella fase di formazione della consapevolezza individuale, l’individuo riceve
riconoscimento consapevole da coloro che lo accudiscono (generalmente i genitori).
Significa che il genitore che entra in relazione con il bambino lo riconosce non solo con
un corpo, con un piano emozionale e mentale, ma anche come individuo consapevole
di esistere. Significa che, avendo il genitore la consapevolezza di esserci, ed essendo
sufficientemente radicato nella propria auto-consapevolezza, è in grado di riconoscerla
nel suo bambino e di entrare in relazione anche da quel piano tramite i flussi di
attenzione consapevole (Per approfondire vedi La teoria dell’essere di Brunelli).
Quando questo riconoscimento non avviene, accade che il bambino, di fronte agli eventi
di intensità oltre la sua portata, perda l’integrità dell’essere. Da questo processo ha
origine la dissociazione e la formazione dei trance.
I trance hanno un’origine nel contesto inter-personale (da sé verso l’altro), e poi sono
interiorizzati e messi in automatico, cioè funzionano fuori dal controllo cosciente
dell’individuo a livello intra-personale (da sé verso sé).
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Tutto questo ci fornisce una preziosa indicazione riguardo alle azioni necessarie per
invertire il processo.
Sarà approfondito verso la fine dell’articolo, ma qui è utile sottolineare che il processo
deve subire un’inversione: da automatismo intra-personale deve di nuovo diventare
inter-personale. Un altro individuo consapevole, che dona la sua attenzione
consapevole riconoscendo la nostra equivalenza sul piano dell’essere cosciente, ci ancora
nel presente e ci permette interrompere il trance, di ripristinare l’integrazione che si era
arrestata nella fase formativa. Lo riprenderemo verso la fine dell’articolo.
La con-fusione
Quando la consapevolezza è ancorata nel presente, elabora i dati in ingresso dagli organi
di senso in modo fluido. La consapevolezza è libera di toccare tutte le categorie
esistenziali:
Biologica (organica)
Emozionale
Mentale
Dimensione fisica (oggettiva)
Dimensione interpersonale
Nella genesi del trance c’è una con-fusione tra le dimensioni esistenziali interessate
dall’evento sopraffacente. Queste possono venire sia unite (fuse) che invertite nelle
loro funzioni/bisogni originali. Finché è presente la con-fusione delle dimensioni
esistenziali è presente un qualche tipo di trance, e viceversa. I due fenomeni sono
collegati a livello profondo.
Si può dire che ogni problema, lamentela o patologia psicologica che l’adulto presenta sia
il sintomo di un trance messo in automatico (o più presumibilmente, una loro somma),
originato durante il suo processo di crescita in un contesto inter-personale e poi
interiorizzato a livello intra-personale.
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Per interrompere il trance non è vitale il totale riconoscimento dell’evento
originale.
I primi eventi dissociativi avvengono quando la memoria a lungo termine non è ancora
formata, per cui sono immagazzinati come impressioni pre-verbali.
Per de-ipnotizzare la persona fuori dal trance non è fondamentale sapere cosa ha
originariamente generato il trance, ma serve sapere come la persona costruisce e
mantiene in vita il trance ora, come adulto.
La bellezza del lavoro di crescita con i trance è di ribaltare anche in questo caso il
paradigma di riferimento: ci si concentra sul pulire il processo (interrompere i trance
automatici) e questo permette l’affiorare dei contenuti integrandoli in uno spazio
mentale funzionale.
La testimonianza consapevole
La maggior parte di noi ricrea automaticamente (o inconsciamente) stati di coscienza dal
passato come fenomeni di trance nel presente. Molti stati di mentali coinvolgono alcune
combinazioni di stati di trance; si può supporre che ogni stato problematico contenga
uno o più fenomeni di trance.
Nel momento in cui sono testimone di qualcosa, significa che sono dis-identificato da
essa.
In effetti vaghiamo in uno stato di trance per tutto il giorno, molto più spesso di quello
che crediamo. Nell’esperienza quotidiana accadono una serie di stati di trance, alcuni
piacevoli, altri meno. Noi saltelliamo da un trance all’altro in una serie continua di
identificazioni e attaccamenti agli stati.
Identificando i vari stati di trance emerge in modo sempre più evidente il fattore
comune dei trance: l’individuo consapevole che sta dietro, o se vogliamo “oltre”, i
trance.
Per di più, diviene sempre più evidente anche il processo creativo messo in atto
dall’individuo consapevole. I trance hanno, nel tempo presente, un funzionamento
automatico. Eppure nel passato sono stati creati dall’individuo con lo scopo di auto-
protezione.
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all’età di trenta (o più) non lo è più, perché le risorse di metabolizzazione sono
aumentate e perché è possibile avvalersi anche di una relazione di aiuto sotto richiesta
esplicita.
Permettersi di modificare gli stati di trance riconosciuti rende evidente come questi
siano stati, a tutti gli effetti, creati da noi stessi.
Per esempio, se la tua mente sta tornando al passato, potrebbe essere una regressione
d’età. Se la tua mente sta andando nel futuro, potresti essere nel trance dello pseudo –
orientamento nel tempo. Quando ti senti spazioso, forse ti stai dissociando dall’evento.
Se stai sognando ad occhi aperti, forse stai avendo un sogno ipnotico. E via dicendo,
seguendo l’elenco presentato dopo. In questo modo inizi a differenziare fenomeni
specifici di trance profonda dalla massa diffusa degli stati di trance.
Chiamalo suggestione post-ipnotica, questa è l’etichetta che puoi dare a questo pensiero
e al suo aspetto emotivo.
Serve riappropriarsi del processo creativo, per questo il secondo step è quello di
intensificare, alterare o modificare l’esperienza che stai creando.
Riassumendo sinteticamente:
Vediamo ora brevemente, uno per uno, quali sono i fenomeni di trance.
Regressione d’età
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La regressione d’età e probabilmente il fenomeno di trance più frequente. È
l’interpolazione di una esperienza passata congelata nel tempo con la realtà
presente. L’individuo non può avere una adeguata esperienza del tempo presente,
perché è distorto da questa proiezione di esperienze passate. Sono attuali riattivazioni
di stati mentali provati in precedenza e non influenzati dai pattern mentali acquisiti dopo
le esperienze originali.
Dissociazione
La dissociazione è usata per demarcare “comparti” della psiche della persona in unità
separate. La persona isola alcuni input sensoriali (interni o esterni) perché sono
troppo intensi. Il risultato a breve termine è che il processamento di quelle informazioni
è bloccato, con la conseguenza a lungo termine di avere quella specifica via di
elaborazione sensoriale bloccata dalla resistenza e isolata dalla mente funzionale. La
dissociazione può essere esperita in queste tre modalità:
Il caso estremo è quello della personalità multipla, dove si alternano al comando della
persona identità e vere e proprie strutture di personalità dissociate una dall’altra. In
questo caso le parti dissociate si uniscono a formare un’unità più grande con un
funzionamento autonomo. L’effetto della dissociazione può essere così profondo che il
corpo fisico della persona davvero subisce cambiamenti notevoli e misurabili quando la
personalità va e viene. Senza spingersi a questi estremi, l’ingrediente della dissociazione
è presente in forma minore in moltissimi stati di trance.
Suggestione post-ipnotica
Una suggestione è una credenza, un’identità, un modo di funzionamento
automatico che è acquisito dall’esterno, senza l’intervento consapevole di chi lo riceve.
In questo caso la suggestione è definita post-ipnotica perché avviene dopo che il trance è
messo in automatico. Nella sua fase formativa il bambino si adatta al suo ambiente
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familiare interiorizzando le suggestioni post-ipnotiche dei genitori. Queste sono
messe in automatico: significa che il bambino, adolescente e giovane adulto continua ad
auto-suggerirsi comportamenti limitanti fuori dal contesto.
Un esempio banale: un bambino che riceve una suggestione dai suoi genitori del tipo “sei
uno stupido”, la acquisisce e la mette in automatico, agendo e concretando questa
identità oppure resistendola e facendo di tutto per dimostrare a se stesso e al mondo
che non è uno stupido. Il secondo modo di reazione non è necessariamente migliore
dell’altro, perché anch’esso implica la necessità di mantenere viva e funzionante la parte
resistita, non voluta, cioè l’identità di stupido. La vera libertà è conquistata quando
l’individuo va oltre la suggestione e sceglie intenzionalmente e consapevolmente da
quale identità agire.
Amnesia
In termini psicologici questo trance è spesso definito come negazione. Significa negare
l’esistenza di qualcosa di evidente che sta accadendo ora oppure il non ricordare
eventi specifici che sono accaduti in passato (non necessariamente remoto). Un esempio
classico è quello di un marito che vive con una moglie che lo tradisce (o viceversa). La
cosa è sotto gli occhi di tutti, tutti lo sanno, la sua casa è piena di indizi che indicano,
eppure lui non li vede, o per meglio dire, non li vuole vedere. L’occhio vede gli indizi ma
la mente li nega. Un altro esempio è quello di una persona che ha subito una violenza in
passato e che isola i ricordi dell’evento dalla propria memoria consapevole.
Ipermnesia
È il trance opposto di quello precedente. Si tratta di uno stato di ipervigilanza in cui la
persona è costantemente allerta ed elabora in modo frenetico tutti gli input che riceve.
L’ambiente è percepito come minaccioso, per cui la persona si protegge aumentando il
suo grado di allerta. Per proteggersi dalla minaccia di un ambiente instabile, il bambino
sviluppa quella che è chiamata “dimenticanza resistita”, cioè resiste il dimenticarsi degli
eventi che gli sono accaduti. Sembrerebbe a prima vista come un funzionamento
cognitivo favorevole, costruttivo. In realtà non è così, è altamente disfunzionale. Si tratta
più subdolo trance che può sfociare, nei casi più estremi, in una patologia paranoide.
Allucinazione negativa
Negativa non è un giudizio di valore. Allucinazione negativa significa che si toglie
qualcosa all’elaborazione della realtà così com’è nel momento presente. Cerco sul
bancone di lavoro il cacciavite, che è proprio lì davanti al mio naso, ma non lo vedo. Il
segnale visivo che riceve l’informazione del cacciavite arriva in ingresso ai miei organi di
senso (cioè l’occhio vede il cacciavite), ma a livello mentale questa informazione non è
elaborata, non diviene consapevole. Questo trance può essere di tre tipi: visivo,
uditivo o cinestetico (o una combinazione di questi tre).
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Allucinazione positiva
Anche in questo caso, positiva non significa che è benefica. Significa che ai dati della
realtà presente sono sovrapposti elementi immaginati e percepiti come reali. Il
caso estremo è quello della psicosi, in cui la persona vede, ode e sente oggetti o persone
che non esistono e li percepisce come reali. Senza spingersi fino a questi estremi
patologici, il trance comune quotidiano dell’allucinazione positiva potrebbe essere quello
del fantasticare, cioè dell’immaginare la realtà diversa da quella che è. Quando si parla
di trance si parla di un continuum, cioè una scala di gradazione che sfuma da un
estremo all’altro. Il fantasticare può essere funzionale, come ad esempio fantasticare
per trovare la soluzione a un problema attuale. Diventa un problema (un trance) quando
l’individuo non è più in grado di interrompere il processo e inizia a confondere la sua
fantasia immaginata (allucinazione positiva) con la realtà del presente.
Confusione
La confusione è un trance in cui la persona perde il contatto con la realtà che lo circonda,
o con la sua realtà interiore. Il suo spazio percettivo diviene nebuloso, offuscato.
L’impressione soggettiva è quella di non riuscire a elaborare i dati in ingresso in quel
momento. Si potrebbe dire che il sistema va in tilt. Lo stato di trance della confusione è
originato, come tutti gli stati di trance, come uno schermo che bambino pone dal vivere
pienamente un’esperienza che per lui è sopraffacente. Inizialmente il bambino resiste
l’esperienza, e da questa resistenza generalizzata (quindi non specifica a un canale
sensoriale o a un elemento presente nella realtà) emerge uno stato globale di
confusione e disorientamento.
Distorsione temporale
Il tempo dell’orologio e il tempo vissuto soggettivamente sono molto diversi; penso
che questa sia un’esperienza che è stata vissuta da chiunque. Quando ti trovi in una
situazione sgradevole, sembra che il tempo rallenti e che l’esperienza non finisca più.
Quando ti trovi in una condizione piacevole, il tempo vola. Quello che mette in moto il
meccanismo è la resistenza all’esperienza che sta accadendo. Maggiori sono le
resistenze messe in atto, maggiore è l’effetto di distorsione temporale nel verso del
rallentamento. Viceversa, più la persona è aperta e lascia fluire l’esperienza, più questa è
vissuta rapidamente (in senso soggettivo). È un effetto paradossale del meccanismo della
resistenza: chiudersi all’esperienza è proprio quell’elemento che fa sì che
l’esperienza diventi lunghissima soggettivamente. L’intenzione originale, resisto
l’esperienza perché non la voglio, desidero che cessi immediatamente, ottiene proprio
l’effetto contrario.
12/18
Il meccanismo psico-fisiologico che mette in atto il rallentamento è in modo evidente e
reversibile legato al corpo della persona. Per resistere l’esperienza, la persona rallenta o
blocca il respiro e contrae i muscoli. Per invertire il processo, una volta riconosciuto il
trance, è possibile agire in senso opposto, partendo cioè dalla respirazione e dalle
contrazioni muscolari per togliere progressivamente queste resistenze in-corporate.
Sogno ipnotico
Il sogno ipnotico è il classico “sogno ad occhi aperti”. La persona fantastica riguardo
mondi e situazioni immaginari e questo “film” si frappone fra l’individuo e
l’esperienza della realtà attuale. Il sogno ipnotico procede in automatico e fuori dal
controllo cosciente dell’individuo.
Distorsione sensoriale
La distorsione sensoriale avviene quando un input sensoriale è attenuato
(desensibilizzazione) oppure accentuato nella sua intensità (sovra-
sensibilizzazione). Si tratta, come tutti gli altri trance, di un meccanismo protettivo che
serve a impedire il processamento di stimoli fuori portata. Il meccanismo psico-
fisiologico può seguire questi due andamenti:
13/18
I trance associati
Abbiamo visto con una sintetica carrellata le tipologie dei trance che avvengono
comunemente. È importante comprendere che raramente un trance è messo in atto per
conto suo, spesso si trovano associati in cluster, cioè assemblati in gruppi di più
trance.
Per esempio il sogno ipnotico può essere associato alla regressione di età.
L’allucinazione negativa all’amnesia. E via dicendo in una varietà infinita di
combinazioni e di sfumature di intensità. Per interrompere gli automatismi è
importante riconoscere anche queste associazioni lineari.
Si inizia differenziando un trance alla volta. Dalla massa indistinta dei trance si
riconosce e si interrompe quello più evidente. Avendo la chiarezza di uno poi emerge
quello sta sotto, o quello che l’ha preceduto temporalmente nella catena
associativa.
14/18
Lo chiameremo innesco. Si tratta dell’interruttore che avvia il meccanismo reattivo del
trance.
L’innesco del trance inizialmente è molto specifico, poi tende ad essere generalizzato a
varie circostanze e eventi.
È importante, nel riconoscere gli inneschi dei trance ti accadono ora, compiere il
percorso inverso di questo meccanismo di generalizzazione. Riconoscere l’innesco
generalizzato e ricondurlo a qualcosa di sempre più specifico.
Anche qui, quello che ci interessa è il processo, non il contento. Non importa tanto il
recupero globale dell’evento originale, bensì è importante riconoscere l’innesco specifico
che – ora – dà il via al trance (o ai trance).
Quello che è mancato, nel momento della genesi del trance, è il riconoscimento
dell’individuo consapevole da parte degli altri che erano in relazione con lui.
15/18
L’esperienza è vissuta e integrata, senza che lasci residui. L’ingrediente che sta
all’origine del trance è la mancata relazione da individuo a individuo. La colla che
tiene assieme i trance e li rende automatici è la mancanza di consapevolezza da parte di
chi ha subito un evento senza essere ancorato dalla consapevolezza dell’altro.
Questo meccanismo, che può a prima vista suonare astratto e metafisico, è invece
altamente concreto e operativo. È possibile utilizzarlo per integrare le esperienze
sospese e per divenire consapevoli dei trance.
Differenziare e integrare
Il lavoro con i trance è impegnativo ma molto efficace per l’emancipazione individuale.
Riconoscere e disinnescare il funzionamento automatico dei trance permette di
riacquisire pieno possesso delle funzioni cognitive funzionali, che stanno sul versante
“non patologico” del continuum dei trance.
16/18
La regola d’oro, come in ogni processo di crescita in consapevolezza, è quella di
differenziare e integrare. Detto in altro modo: trascendere e includere.
Inoltre diviene evidente anche che il trance era creato da me . C’è un riappropriarsi di
quella funzione prima automatica. Questa è l’integrazione.
Pensare di integrare una funzione senza prima rompere l’identificazione con il processo
automatico, significa mettere un altro strato di vernice: non funziona perché è una
compensazione, e perché quello che sta sotto è più forte, più antico.
Come in tutti i processi di crescita, serve prima una parte de-costruttiva e poi una
costruttiva. Non serve distruggere, non serve fare battaglie con la propria mente. È
necessario però de-costruire.
Proprio con questi due elementi, con la curiosità e con il fine di emanciparti, ti invito a
iniziare questo splendido processo di auto-conoscenza.
Ti invito a condividere le tue scoperte e le tue conquiste, qui nei commenti o tramite i
social. Sono fonti preziose di comprensione per tutti quelli che le leggono e anche per te
che le condividi.
Bibliografia
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Stephen Wolinsky – Trances people live
Silvano Brunelli – Nel labirinto della mente
Photo credit
18/18
La consapevolezza multidimensionale per la realizzazione
dell’unità [Rubrica]
essereintegrale.com/consapevolezza-multidimensionale-realizzazione-unita
Agostino Famlonga
Questo articolo è il primo di una serie che affronterà un tema fondamentale della
ricerca: la multidimensionalità. Si tratta dell’aspetto fondamentale che può
consentire all’individuo di stabilizzare in modo permanente la consapevolezza non-duale.
La perdita dell’esperienza
Il primo passo della ricerca spirituale è scoprire chi sei tu, cioè avere la conoscenza
diretta e integrata della natura illimitata della consapevolezza. Il secondo passo è
stabilizzare quell’esperienza e renderla costante nel tempo. Il fine perseguito è
passare da una verità esperienziale a una verità esistenziale.
Mi azzardo a dire che il primo passo è relativamente semplice. Con gli strumenti oggi a
nostra disposizione, come l’intensivo sull’essere consapevole, questa conoscenza diviene
accessibile a chiunque sia realmente intenzionato ad affrontare questa ricerca e abbia il
coraggio per farlo. Il risultato non è scontato, certo non è una passeggiata, ma è
comunque accessibile.
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Il secondo passo è molto più impegnativo di quello che sembra; il percorso non è lineare
ed è molto più lungo di quello necessario per toccare la singola esperienza non-duale. Le
vette di consapevolezza durano per un certo tempo poi si perdono quando entri in
contatto con la quotidianità. È un vissuto piuttosto comune. A una prima analisi pare
che per mantenere stabile quella chiarezza della consapevolezza sia necessario ritirarsi
dal mondo e rifugiarsi interamente nella dimensione della consapevolezza. In effetti, un
tempo questa era la soluzione che veniva proposta. Si trattava di una falsa soluzione.
Spesso, entrando in contatto con il mondo “vero”, anche coloro che si ritirano dalla vita e
sembrano aver stabilizzato la loro esperienza si scontrano con la loro parte non integrata
che torna prepotentemente a galla. È evidente che, tranne alcuni rari casi, si tratta di un
ritirarsi dal pericolo, uno scappare dal mondo vissuto soggettivamente come
sopraffacente. In sostanza, in questo frangente, mancano le conoscenze e le abilità per
vivere nel mondo mantenendo stabile la consapevolezza non-duale.
Lo faremo tramite lo studio della multidimensionalità. Serve discernere una per una ogni
dimensione esistenziale indagando con curiosità entrambe le polarità: ciò che è inibito e
ciò che è fissato.
Per approfondire >> Libro “Nel labirinto della mente” di Silvano Brunelli
2/9
Perché accade che le dimensioni non siano separate in modo netto e che al loro interno
ci siano delle zone oscure o delle fissazioni? L’origine di questo fenomeno è il collasso
delle dimensioni.
Nella fase evolutiva, ogni qual volta l’individuo si trova a dover affrontare un evento che
non è in grado di sostenere, avvengono una dissociazione dalla parte insostenibile e
un collasso delle dimensioni interessate.
Un semplice esempio può essere utile per chiarire. Un bambino sente una forte
emozione (dimensione emozionale) e ha bisogno che sua madre lo contenga e lo
riconosca in questo suo disagio. La madre non è in grado in quel momento di
riconoscere il suo bisogno, e aspetta. Il disagio emozionale cresce e va oltremisura. Il
bambino piange disperato e la madre si accorge che qualcosa non va. Lo prende in
braccio, e non riconoscendo il suo bisogno di essere semplicemente accolto nella sua
emozione andata fuori controllo, pensa erroneamente che il bambino abbia fame. Gli da
un biberon di latte che gli riempie lo stomaco (dimensione biologica). Le due dimensioni
vengono in questo modo con-fuse: quando il bambino crescendo sentirà disagio
emozionale, sarà portato a compensarlo mangiando in modo compulsivo per placare
l’emozione. Nella dimensione emozionale ci sarà una parte inaccessibile, e nella
dimensione biologica ci sarà un’attenzione fissa, incollata.
Serve ridare a ogni dimensione la sua piena funzionalità. Per farlo, il primo passo è
riconoscere l’esistenza di ogni dimensione. Il secondo passo è quello di conoscerla
completamente e infine di rispettarla nei suoi principi di funzionamento e nei suoi
bisogni.
Le dimensioni esistenziali
Le dimensioni che affronteremo in questa rubrica sono sei. Ognuna ha il diritto di essere
riconosciuta, differenziata e integrata con le altre nella consapevolezza funzionale. Non
esiste una dimensione che è più importante delle altre, sono equivalenti tra di loro.
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Dimensione Esteriore
Dimensione Biologica
Dimensione Emozionale
Dimensione Mentale
Dimensione Collettiva
Dimensione dell’Essere consapevole
Vediamole ora brevemente, una per una. Saranno toccate in modo dettagliato nei
prossimi articoli della rubrica. Nel frattempo, se vuoi approfondire queste brevi
descrizioni, poi leggere, all’interno del Sistema Operativo non-duale, i moduli relativi ai
Quadranti e all’Essere consapevole.
Dimensione Esteriore
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La dimensione esteriore è quella fisica, oggettiva, materiale, tangibile. È quello che
tutti definiamo realtà concreta, misurabile con gli strumenti di misura e investigabile
tramite la scienza empirica. Apparentemente sembra scontata e “semplice” da capire, ma
vedremo come il meccanismo psicologico di proiezione e di co-costruzione della
realtà crei un vero e proprio velo di interpretazione soggettiva anche sulla
dimensione oggettiva.
Dimensione Biologica
Dimensione Emozionale
L’aspetto emozionale dell’essere umano con i suoi stati emozionali quali rabbia, felicità,
tristezza, paura ecc… Ogni stato emozionale ha un correlato psico-energetico
specifico, che dirige l’energia integrativa. L’emozione è l’energia che dirige, organizza,
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amplifica e modula l’attività cognitiva. Le emozioni possono essere considerate
cambiamenti nello stato di integrazione.
Dimensione Mentale
Dimensione Collettiva
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La dimensione individuale ha una controparte collettiva. Non potrebbe essere altrimenti:
così come non può esserci un interiore senza un esteriore, così non può esserci un
singolare senza un collettivo. Questa dimensione comprende l’aspetto culturale e
sociale che plasma in modo invisibile la costruzione della realtà soggettiva
individuale.
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Le dimensioni esistenziali sono equivalenti: vanno differenziate ed integrate nella
consapevolezza funzionale.
Il principio di non porre gerarchie è valido anche al contrario, non solo dall’alto verso il
basso. C’è un trend in continuo aumento negli ambienti di crescita che sostiene la
supremazia delle emozioni (o del sentire) rispetto al pensiero. “Non è come pensi, è come
senti.” Oppure “Segui le emozioni, non possono mai essere sbagliate.” Qui si vede
all’opera la gerarchia precedente al contrario. Essendo le emozioni più fondamentali
(stanno più in basso nella gerarchia) sono, in effetti, più semplici per quanto riguarda
la loro complessità strutturale. Possono essere più veritiere proprio per questa loro
intrinseca semplicità e per la loro spinta integrativa (vedremo più avanti questo
principio). Portato a un livello estremo questa visione vorrebbe togliere la dimensione
del pensiero all’essere umano e renderlo un animale (dimensione biologica) che sente e
prova emozioni (dimensione emozionale) e basta. Anche in questo caso, come nel
precedente, il principio dell’equivalenza delle dimensioni non è rispettato.
Questo esempio rappresenta una tipica fallacia pre-trans nelle due varianti, dal basso
verso l’alto e dall’alto verso il basso.
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dimensione. Il tempo che intercorre tra un articolo e l’altro ti darà l’opportunità di poter
sperimentare e di iniziare a integrare la dimensione per poi passare a quella seguente.
Nel frattempo potrai sfruttare i commenti qui sotto per condividere la tua esperienza o
per chiedere chiarimenti e toglierti ogni dubbio. I commenti possono essere fonte di
scambio di opinioni tra tutti i lettori e fornire preziosi spunti per tutti.
Bibliografia
9/9
Gli effetti della meditazione: libertà e pienezza
essereintegrale.com/effetti-della-meditazione-liberta-pienezza
Agostino Famlonga
Quando ti sei avvicinato alla meditazione, l’hai fatto per un motivo. Oppure, se ancora
non hai iniziato a meditare, stai leggendo questo articolo per capire quali benefici ne
potresti ricavare.
Ancora: potresti cercare nella meditazione una via di fuga da una contesto di vita che
ti respinge.
Oppure potresti essere mosso da una autentica spinta alla ricerca interiore.
Quale che sia il motivatore iniziale, per proseguire con costanza nella pratica è
necessario avere bene in mente il fine della meditazione. Il fine visto in senso ampio
comprende anche gli effetti della meditazione.
Gli effetti della meditazione non sono il fine in sé, ma nemmeno effetti collaterali da
ignorare. Sono segnali che ti indicano se stai proseguendo nella giusta direzione.
Uso il termine vigilanza per non confonderlo con lo stato di veglia. Si tratta di due
elementi differenti.
Inizialmente c’è un risveglio della consapevolezza nello stato di veglia. Nella veglia
ordinaria la consapevolezza è carpita dalle impressioni sensoriali e dalla mente pensante.
La meditazione consente di accendere la consapevolezza testimoniante e di mantenerla
per un tempo prolungato durante le normali attività.
2/8
Quando questa viene rinforzata in modo adeguato, il baricentro si sposta nello stato di
sogno. Significa che la lucidità conquistata durante il giorno diventa accessibile anche
durante lo stato di sogno. La mente sogna, e la consapevolezza è lucida e risvegliata.
Non si tratta di due fenomeni che si escludono, anzi possono essere integrati. È proprio
quello che accade nella progressione degli stadi meditativi.
La progressione continua poi nello stato di sonno senza sogni . In questo stato non c’è
contenuto di coscienza, nessun sogno, niente che appare alla coscienza. Si entra nel
dominio causale. Eppure, anche qui, pur non essendoci un contenuto, la consapevolezza
può essere lucida e risvegliata. Il baricentro ha fatto un altro passo.
3/8
custodita nella sua consapevolezza, al di là di quelle che possono essere le condizioni
esteriori. La libertà interiore di essere chi si è, e di scegliere in base a questo.
Questo è il primo effetto della meditazione.
Più la consapevolezza è sciolta dal vincolo della struttura, maggiore è la libertà percepita
soggettivamente.
Strutture di coscienza
La seconda sfaccettatura che concerne l’elevare la consapevolezza è la crescita
verticale nelle strutture di coscienza.
4/8
Più sono le prospettive incluse più sono ampi i confini di ciò in cui è possibile
identificarsi. Più sono ampi i confini, più sono pieno . Una struttura ancorata alla
prospettiva egocentica, in prima persona, ha un confine limitato. Se questa cresce in
complessità, può abbracciare nel suo punto di vista una prospettiva etnocentrica: non
esisto solo io, ma anche il mio gruppo, e posso prendere il punto di vista di questo. E così
via, da etnocentrico a mondocentrico, e poi cosmocentrico: i confini si allargano, i sistemi
con cui ci si identifica crescono.
Prima, nel paragrafo relativo agli stati di coscienza, ho scritto che se la consapevolezza è
sotto il dominio della struttura, ne è in qualche modo limitata, condizionata. Ora invece
sostengo che più la struttura è complessa maggiore è la completezza esistenziale che
dona. Come si integrano questi due elementi? Le strutture sono da includere o da
trascendere?
Profondità o altezza?
L’aver attraversato tutti gli stati di coscienza nella progressione degli stadi della
meditazione ci mette in contatto con la profondità dell’essere.
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Un gradino sul sentiero contemplativo porta ad una maggiore profondità esistenziale.
Una struttura di coscienza più complessa dona la capacità di vedere il mondo in modo
differente, una prospettiva che le strutture più semplici non sono in grado di prendere.
Non possono, perché l’apparato cognitivo non ha la complessità per farlo.
Alla domanda “profondità o altezza?” si può dunque rispondere: tutte e due. Una
evoluzione completa comporta una crescita orizzontale, con l’obiettivo finale di
raggiungere la liberazione della consapevolezza , e una crescita verticale, con
l’obiettivo di includere e trascendere tutte le strutture, tutti i punti di vista .
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La progressione verticale porta allo stadio transpersonale in cui il senso di identità si
apre alle totalità sistemiche e si identifica con esse. Le modalità di percezione che
emergono sono di tipo sintetico, la vasta totalità con cui ci si identifica appare unificata
già in origine. Si raggiunge la pienezza esistenziale.
In passato questa conoscenza non era acquisita. Si pensava che l’evoluzione individuale
comprendesse esclusivamente il completamento del sentiero contemplativo. Le nuove
conoscenze integrano questa visione aggiungendo un tassello ulteriore: la crescita nelle
strutture.
7/8
Integrare la profondità dell’essere con la complessità della struttura porta a libertà e
pienezza: questi sono gli effetti della meditazione e della crescita della consapevolezza.
Questa è la visione finale che tiene il praticante sul percorso.
8/8
Qual è la differenza tra uno stato di coscienza e uno
stadio di coscienza?
essereintegrale.com/differenza-stato-stadio-coscienza
Agostino Famlonga
Questa elaborazione può avvenire in modi semplici oppure più complessi, con
un’infinità di gradazioni nel mezzo e senza alcun limite nella crescita in senso verticale.
Nel suo sviluppo, l’essere umano passa da modalità di elaborazione delle informazioni
molto grezze, poco differenziate, a modalità sempre più differenziate e articolate. Sono
stadi di coscienza.
Ad esempio, nello stato di veglia, sono elaborati e interpretati gli input sensoriali
esteriori, così come quelli interiori.
Lo stato di veglia, di sogno e di sonno senza sogni, che sono i tre stati di coscienza
naturali, sono toccati da tutti in tutte le fasi di sviluppo.
Mentre al contrario, non tutti gli stadi di sviluppo vengono esperiti da tutti , si tratta
di una progressione evolutiva sequenziale e per nulla scontata.
Nel tempo cambia la complessità (lo stadio), ma gli stati sono sempre quelli.
Per approfondire leggi i moduli del Sistema Operativo non-duale relativi agli Stati di
coscienza e alle Strutture di coscienza.
3/3
I pilastri della pratica di consapevolezza
essereintegrale.com/5-pilastri-pratica
Agostino
Famlonga
Sebbene i passi sul percorso evolutivo abbiano una progressione comune, impersonale,
le nostre differenze individuali ci impongono una personalizzazione degli strumenti a
disposizione.
Dal mio punto di vista questo è un bene. È positivo testare sulla propria pelle cosa ci
piace e cosa no.
1/11
Un po’ come quando si sceglie il compagno di vita: sei proprio sicuro che il primo
fidanzato sia quello giusto? Apparentemente sembra di sì: il primo innamoramento ti fa
vedere quella persona come unica, perfetta. Eppure, senza avere sulla propria pelle
esperienze diverse, non è possibile avere un confronto realistico. Si viaggia
nell’idealizzazione continua.
La stessa cosa avviene nel mondo della crescita personale e ancor più in quella
spirituale. Sei certo che il primo corso o ritiro che hai frequentato fornisca gli strumenti
ideali, proprio adatti a te? Può essere, a volte questo succede. Ma non sempre è così.
La selezione
Dopo la fase perlustrativa, più o meno lunga, avviene di solito la selezione. L’affinità
guida la scelta del percorso da intraprendere. Cosa guida questa selezione? Con quali
parametri hai scelto il tuo percorso?
Sono solo alcuni esempi dei criteri che potrebbero essere entrati in gioco nella selezione
di un percorso di crescita. Spesso la scelta scaturisce da una combinazione di questi
elementi.
Purtroppo in questa scelta entra in gioco, soprattutto all’inizio, un elemento che spesso
è fuorviante: il senso di benessere. Scelgo il percorso che mi fa stare meglio. Se
sto bene significa che sono sulla strada giusta.
In questa prospettiva ogni esperienza che mi manda in crisi e che mi mette in difficoltà
viene bandita. Viene messa in atto una censura, consapevole o meno, rispetto a ciò che
sta oltre i limiti della zona di comfort.
La crescita avviene quando l’individuo supera i suoi limiti. Nel superare il limite incontra
una crisi.
Con questo non sto dicendo che il percorso giusto per te è quello più doloroso.
Assolutamente no. Ho semplicemente sottolineato questo aspetto perché so che spesso
interviene e sposta le persone nel momento della scelta. E le sposta facendole entrare
nella gabbia della zona di comfort. A volte c’è solo una parvenza di progresso. Altre volte
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invece c’è semplicemente la stasi. La persona si concentra in quelle aree in cui
sa di avere vita facile, trascurando il resto. Il risultato è uno squilibrio, non è
crescita.
I pilastri fondamentali
Come è possibile capire se quello che stai facendo copre tutte le aree indispensabili alla
crescita?
Corpo
Mente ed emozioni
Consapevolezza
Integrazione dell’ombra
Relazioni
Prova a inserire la tua pratica, quello che stai facendo ora, in questo quadro di
riferimento. Cosa stai facendo mantenere sano ed efficiente il tuo corpo? Con cosa nutri
la tua mente? Hai una pratica di consapevolezza? Hai delle tecniche che ti permetto di
accedere all’integrazione delle tue parti mentali reattive? Le tue relazioni hanno la
finalità di creare comprensione reciproca?
Questi sono i pilastri della pratica. Ognuno di noi ha un’area di forza, un settore in cui
eccelle. Può succedere di concentrarsi su quello che ci risulta facile e di trascurare il
resto. Per assurdo, in questo caso, proprio lì dove la persona non vuole mettere
3/11
piede, c’è il suo gradino evolutivo. Tutti e 5 i pilastri sono indispensabili per creare
una completezza esistenziale.
Proprio dove la persona non vuole mettere piede c’è il suo prossimo gradino evolutivo.
Una mente che è gonfia di conoscenze in un corpo gravemente malato che non riesce a
mettere i pratica le brillanti intuizioni.
Il corpo tonico e sano di una persona che vive in completa solitudine e isolamento.
Serve armonia tra questi pilastri fondamentali. Quando c’è armonia, si crea sinergia,
ovvero un potenziamento del singolo effetto. Vediamoli uno per uno.
L’armonia tra le aree della crescita crea sinergia: il potenziamento del singolo effetto.
Corpo
Ogni pratica che si focalizza sull’aspetto corporeo della tua vita rientra in questa
categoria. Potrebbe trattarsi di un‘attività sportiva, indipendentemente dalla sua
qualità specifica: corsa, nuoto, ciclismo, sollevamento pesi, hatha yoga, qigong, ecc.
Ognuna è adatta, purché sia praticata con equilibrio e armonizzata con il contesto di
crescita. Se l’attività sportiva occupa l’intera giornata andrà a inficiare le altre aree di
vita (a meno che tu non sia un atleta professionista).
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Anche la cura della nutrizione è un elemento imprescindibile che cade entro questa
categoria.
La vera trascendenza opera con il principio “includi e trascendi”, non con il principio
“nega e reprimi”. Andare oltre la fisicità passa attraverso l’inclusione dell’aspetto
fisico/biologico della propria esistenza.
Mente ed emozioni
Per il nostro scopo, ovvero quello di individuare una pratica di consapevolezza
integrale che copra ogni area dell’esistenza, ci è molto utile discriminare,
nell’interiorità dell’essere umano, la sua componente emotiva e quella mentale.
Sappiamo bene che queste operano in un continuum, non si può definire esattamente
dove inizia una e dove finisce l’altra, anche in relazione alla componente biologica/fisica
umana. Non per niente si definisce la mente incorporata, ovvero radicata nella biologia
e nella fisicità.
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Le emozioni
Così come per l’aspetto corporeo della nostra umanità, anche le emozioni a volte
vengono considerate con un valore inferiore (o addirittura come un disturbo) da
chi si avvicina ad un percorso di consapevolezza. Il risultato è una battaglia interiore,
uno scontro di forze che crea tensione.
Anche per questo aspetto della nostra umanità serve operare con il principio “includi e
trascendi”. Le emozioni vanno incluse, non represse.
La mente
La pratica a livello mentale ha due finalità specifiche:
Cosa significa? Significa che il punto di vista che emana da sé e rimane vincolato in
prima persona non è vincolante, ma è un semplice stadio evolutivo. La capacità di
prendere prospettive è spesso atrofizzata, congelata in prima persona, quando a tutti gli
effetti potrebbe essere ampliata ed includere un numero maggiore di prospettive.
7/11
Consapevolezza
In questa categoria rientrano tutte quella pratiche che hanno lo scopo di aumentare la
consapevolezza di sé. La consapevolezza è quell’elemento indicibile che emana dal
senso di esistere. La natura della consapevolezza è semplicemente sapere di esserci, in
modo preverbale, senza alcun attributo o connotato.
Potenzialmente ogni attività, dalla più semplice alla più complessa, può essere
concepita con la finalità di aumentare la consapevolezza. Ciò che fa da spartiacque è la
qualità dell’attenzione che metti nel fare una determinata azione. Se l’attenzione,
invece di essere completamente rivolta all’azione, è direzionata a chi compie l’azione,
ecco che la consapevolezza diviene parte fondante di quell’attività.
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Integrazione dell’ombra
Esistono meccanismi di difesa che ci impediscono di prendere consapevolezza delle
componenti dissociate della nostra psiche. Le parti insostenibili, sopraffacenti,
vengono segregate in un’area mentale inconsapevole. Seppur non accessibile
consapevolmente all’individuo, questa emana influenze continue sulla struttura
di personalità, condizionando la vita della persona. Nel peggiore dei casi
l’intera struttura della persona è edificata a sostegno di queste difese.
Si tratta della cosiddetta ombra psicologica: un’ombra che origina dalla persona e
che la segue costantemente. Un’altra definizione che rende in modo figurato il concetto
è la mente reattiva: quel bagaglio mentale che agisce in modo reattivo e non
intenzionalmente guidato dall’individuo.
9/11
Relazioni
La nostra crescita coinvolge gli altri. Apparentemente è più facile proseguire in modo
individualistico, senza occuparsi di chi ci circonda, senza investire nelle relazioni. In
realtà si tratta solamente di un falso progresso.
Questi due flussi, conoscere gli altri e farci conoscere dagli altri, non possono essere
messi in secondo piano rispetto al resto, sono basilari.
La relazione con l’altro ci consente di andare oltre noi stessi, di rompere quella
dinamica identificativa con un ego separato e limitato. Il confine dell’ego individuale ha
la possibilità di allargare i propri orizzonti, in un’identificazione sempre più ampia: da
un io a un noi, cioè un gruppo o una famiglia, per poi proseguire in una dinamica
sempre più ampia: tutti noi, cioè tutta l’umanità indistintamente.
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Il riconoscimento dell’altro come individuo consapevole, dotato di libertà di scelta ed
equivalente nella dimensione della consapevolezza è il processo che ci consente di
creare la dimensione dell’essere.
Questi sono alcuni dei motivi fondamentali per cui è necessario, nel nostro percorso di
crescita, prenderci cura dell’aspetto relazionale.
La tua pratica
In questo breve articolo ho toccato, anche se in modo superficiale, i punti cardinali della
pratica. Ogni paragrafo merita un approfondimento a sé. In futuro i singoli punti
verranno sviscerati in modo più dettagliato. La mia intenzione qui è quella di fornirti un
panorama, una visione d’insieme.
Porta l’attenzione alla tua pratica, a quello che stai facendo ora per crescere. Riesci a
riconoscere un equilibrio? Ci sono aree carenti? Hai scoperto delle zone di cui non eri a
conoscenza? Oppure secondo te ho tralasciato qualcosa di importante che merita
attenzione?
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La scala della responsabilità
essereintegrale.com/responsabilita
Agostino Famlonga
Essere vittima delle circostanze o responsabile della propria vita conduce a due stili di vita
completamente diversi. Non serve che ti dica qual è il migliore, è auto-evidente. Il
vittimismo conduce alla decadenza e l’azione responsabile conduce alla crescita e al
miglioramento.
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I bivi della vita
La vita è un continuo susseguirsi di eventi ed esperienze. In ogni esperienza che vivi si
apre dinanzi a te una strada a due vie.
2/7
Una porta verso una risposta consapevole, utile, costruttiva, responsabile.
Esiste una tua predisposizione naturale a pensare e agire in un certo modo di fronte agli
eventi, un riflesso istintivo frutto delle tue esperienze passate.
Poi divieni consapevole dell’esistenza di questo bivio, riconosci che esiste una
possibilità di scelta: puoi scegliere quale strada imboccare cambiando l’atteggiamento
messo in atto.
Vediamo prima la somma degli atteggiamenti che porta verso la condizione di vittima, per
poi poter comprendere come agire in senso inverso e riacquistare sempre più potere di
azione.
1. Evitamento
Il primo atteggiamento che conduce verso il vittimismo è quello in cui si cerca di
togliere l’attenzione dall’evento stesso. Si evita di stare in relazione con
l’esperienza.
Stare di fronte vuol dire coinvolgere la propria attenzione con qualcosa. Sto di fronte a
qualcosa quando sono in relazione con esso e ci do attenzione.
Quando ciò verso cui si porta attenzione crea disagio (è sgradevole, o è troppo
intenso da sostenere), scatta il riflesso naturale a distogliere l’attenzione. È la
prima forma di evitamento, da cui derivano in cascata tutti gli step seguenti.
2. Resistenza e negazione
I primi due step sono spesso associati tra di loro. Oltre a togliere l’attenzione infatti, si
innesca il meccanismo della resistenza.
É una chiusura, una condizione in cui si rifiuta ciò che è. La resistenza quando
diventa esplicita può addirittura manifestarsi come negazione: la persona resiste così
tanto da negare i fatti concreti quando qualcun altro glieli fa notare.
3/7
3. Proiezione
La proiezione è il meccanismo con cui si scarica la responsabilità fuori da sé,
incolpando gli altri (o le circostanze) per ciò che è accaduto. La responsabilità in
un attimo diventa colpa, accusa.
In tutta la scala viene perso potere di azione, ma è in questo è il gradino in cui decade
drammaticamente perché viene spostato esternamente a sé.
4. Giustificazione
A questo punto della scala il castello dell’impotenza ha delle solidissime fondamenta,
serve solo mettere un tetto e decorarlo.
Ecco che si trovano delle scusanti per giustificare il fatto che non si possa agire, che
non ci sia nulla da fare o che “non è compito mio”. É un rinforzo dei passaggi fatti prima.
La scusante è una razionalizzazione che spiega il perché è giusto fare o non fare una
determinata cosa.
5. Impotenza e vittimismo
L’opera è completa: sommando tutti i passaggi precedenti siamo giunti alla condizione in
cui si è creata la condizione di vittima, atteggiamento in cui si subisce impotenti ciò
che accade.
Questo diventa uno stallo in cui si resta in attesa che accada un evento magico, che
gli altri facciano qualcosa, che la vita si sistemi da sola nella direzione voluta.
La parola chiave in questo caso è passivamente. Anche all’altro estremo della scala ci si
apre con fiducia all’imprevedibilità degli eventi, ma mettendo però in atto un’azione
responsabile.
4/7
Vediamo ora quali sono i passaggi interiori che permettono la genesi dell’atteggiamento
responsabile. Ti accorgerai che la scala si struttura in modo speculare e inverso:
sono l’esatto opposto di quelli appena visti.
5/7
1. Apertura e curiosità
L’attenzione viene coinvolta attivamente con l’evento, anche se questo è difficile
da sostenere.
Detto tecnicamente: l’Individuo Cosciente sta di fronte a ciò che è. Questa attenzione
direzionata permette di riconoscerlo, e quindi è il pre-requisito per poter agire su di esso.
2. Comprensione e conoscenza
L’attenzione e l’apertura permettono di riconoscere e comprendere ciò che accade. Si è
attivamente coinvolti nel cercare di capire cosa sta succedendo.
3. Volontà
Avendo compreso a sufficienza la questione, può innescarsi la parte attiva della
risposta.
Nella discesa verso il vittimismo questo 3° gradino era quello più rilevante nel perdere
potere di azione. In modo speculare, ritroviamo qui l’evento significativo del recupero
della responsabilità individuale.
Invece di delegarla all’esterno (proiezione), prendendo atto di ciò che è possibile fare, si
assume la responsabilità di fare la propria parte.
4. Ricerca di soluzioni
Nel primo gradino della scala l’apertura era rivolta all’evento: “che cos’è?”. Ora il
medesimo atteggiamento di apertura e curiosità può essere rivolto alla ricerca di
soluzioni.
La volontà ad agire e coinvolgersi nel fare la propria parte cerca una forma: cosa
posso fare? Prima di assumere una forma concreta, nel gradino finale della scala della
responsabilità, ci si apre alle opzioni a disposizione indagando quale siano e qual è
la migliore in base al contesto.
6/7
La somma di tutti i passaggi porta ad agire con un’azione coerente e responsabile,
nel vero senso profondo del termine. Respons-abile, abile di rispondere, capace di
agire.
Una risposta concreta che porta con sé tutte le caratteristiche dei gradini precedenti,
mettendo in atto il proprio potere di azione sull’evento assumendosi la responsabilità sia
dell’azione che delle sue conseguenze.
Ci sono dei passaggi più profondi da mettere in atto, e la scala della responsabilità
permette di comprendere come farlo: ti permette di comprendere sia dove ti trovi (quali
sono i tuoi atteggiamenti attuali), sia come poter agire per invertire la rotta nella direzione
voluta.
Mi auguro di cuore di averti dato un riferimento utile per sentire che puoi agire per
portare un cambiamento positivo nella tua vita e in quella delle persone
attorno a te.
Spesso si crede che il proprio potere di azione sia limitato, e che ciò che si può fare non
faccia la differenza nel grande disegno delle cose. Ebbene, non è così.
Ognuno è chiamato a fare la sua parte nell’elevare la propria vita e nel creare un
mondo migliore. Per farlo serve sentire questo bisogno, e prendersi la
responsabilità di agire in questo senso.
Se senti questo impulso ad elevare la tua vita partendo dallo sviluppo delle tue
abilità personali, ti invito di cuore a partecipare al corso Abilità nella vita: un corso di
crescita in cui studiamo i principi che regolano le dinamiche della vita e sviluppiamo
le abilità fondamentali per vivere e realizzare la tua vita.
In presenza e Online
7/7
Il potere del ritardo della gratificazione
essereintegrale.com/ritardo-gratificazione
Scopri come superare l'impulso primordiale che porta ad inseguire il piacere immediato e
la gratificazione istantanea sviluppando l'abilità di ritardare la gratificazione.
Gli esempi potrebbero proseguire ma sono certo che hai compreso il concetto. Sono infatti
polarità che fanno parte della natura dell’essere umano e della vita e puoi riconoscerle
facilmente.
Una delle più grandi possibilità evolutive che come esseri umani ci troviamo ad affrontare
è proprio quella di superare un piacere istantaneo, una gratificazione
immediata, a vantaggio di un risultato futuro. È una vera e propria sfida evolutiva,
sia individuale che collettiva. Cerchiamo di comprendere come funzionano queste
dinamiche interiori e come possiamo superare questo nodo evolutivo in modo armonico.
1/19
Piacere immediato
L’evoluzione della nostra specie è stata portata avanti per migliaia di anni da un
meccanismo preciso e funzionale al suo scopo: la ricerca del piacere. L’esperienza del
piacere è stata evolutivamente associata a quelle esperienze che permettevano
la sopravvivenza, di evolvere la specie tramandando i propri geni.
Questo meccanismo va compreso, sia per riconoscere la sua utilità ma soprattutto per
vederne i suoi limiti per l’evoluzione in atto (che agisce su un altro piano).
L’uomo ha sviluppato funzioni che vanno oltre questo meccanismo animale, ma questo
programmino è ancora operativo in noi, ed è proprio alla base della contrapposizione di
forze che abbiamo visto prima.
Ha svolto la sua funzione per migliaia di anni di evoluzione e l’ha svolta egregiamente per
fare arrivare l’homo sapiens fin dove è arrivato.
La complessità dell’essere umano e del mondo in cui viviamo oggi rende ora questo
programmino “animale” inadatto al suo scopo. Perché oggi non è affatto detto
che ciò che dà piacere sia collegato a qualcosa di evolutivamente vantaggioso.
2/19
Il cibo elaborato
Il cibo può essere elaborato aggiungendo additivi o ingredienti che lo rendono gustoso,
pur essendo povero dal punto di vista nutrizionale. Esistono ingredienti che
vengono intenzionalmente aggiunti in alcuni alimenti allo scopo di creare una vera e
propria dipendenza da quel particolare cibo/gusto.
Questo problema si è reso manifesto solo recentemente nella storia umana e può essere
superato solo andando oltre questo meccanismo, ovvero con il superamento della
gratificazione immediata.
3/19
La pornografia
Pensa ad un altro meccanismo facilmente hackerabile: la sessualità e l’orgasmo. Come
abbiamo visto la forza dell’evoluzione ha associato all’orgasmo un apice di
piacere, per rendere questo evento un’esperienza altamente ricercata. Favorendo la
trasmissione del patrimonio genetico e la continuazione della specie, questo evento è
chiaramente in cima all’elenco delle esperienze piacevoli.
Tanto quanto è stato in passato un punto di forza a livello evolutivo per la nostra specie,
tanto diventa ora un punto debole perché offre una porta altamente vulnerabile, un
punto di accesso hackerabile ad una delle funzioni più importanti dell’essere umano: la
regolazione della sua energia vitale.
E proprio perché associato all’orgasmo c’è un apice di piacere, si innesca facilmente una
dipendenza dalla pornografia come meccanismo di stimolazione e di
“benessere”.
I social media
Un’altra porta di accesso che ha permesso di hackerare l’essere umano è il suo bisogno
basilare di relazione. I social media hanno fatto leva su un bisogno umano
fondamentale, quello di essere in relazione, e stimolando in modo mirato il meccanismo
4/19
del piacere immediato, hanno creato un aggancio che tiene l’attenzione incollata ai
dispositivi.
Se comprendi questo meccanismo e ti guardi intorno puoi vedere che interi settori della
società in cui viviamo sono costruiti facendo leva su questo punto di vulnerabilità.
L’evoluzione si muove ora su un altro piano, sul piano della consapevolezza. Abbiamo
bisogno di introdurre nel sistema un programma più aggiornato, che agisce
con una logica operativa diversa: il ritardo della gratificazione.
Senza il potere del ritardo della gratificazione l’essere umano resta in balia dei suoi
programmi primordiali e istintivi, può essere hackerato, e non esprime il suo potenziale
limitando la sua straordinaria capacità creativa.
Gratificazione futura
5/19
L’essere umano è dotato di un grande potere, il potere creativo. La capacità di vedere
ciò che ancora non esiste, di ideare e concepire ex-novo, nella sua mente,
qualcosa che non esiste concretamente. Questa capacità astratta di generare idee e
di elaborarle gli permette di creare, prima nella mente, poi nella materia.
Per agire questo impulso creativo abbiamo bisogno di introdurre il potere del ritardo della
gratificazione. Inseguendo il piacere della gratificazione immediata si soffoca la parte
creativa dell’essere umano.
Perché dico questo? Prendi come esempio l’articolo che stai leggendo: mi sta richiedendo
ore di impegno nello scriverlo. Mentre scrivo rinuncio a fare altro. Rinuncio ad una
passeggiata, a chattare sui social, a leggere un libro… a tante altre cose che potrebbero
darmi nell’immediato un piccolo frammento di piacere. È una rinuncia consapevole,
intenzionale, ad un piccolo piacere istantaneo, a favore di un piacere più
grande futuro, ovvero quello di dare vita ad una creazione (l’articolo che stai
leggendo) che serve ad uno scopo più grande e che realizza ed esprime una parte profonda
di ciò che sono.
Questo principio opera non solo per i creativi o per gli inventori. È una forza che può
essere attivata per dare una direzione alle tue azioni nella quotidianità, e alla tua vita nel
lungo periodo. Qualcuno sembra spontaneamente incline ad attivare il potere del ritardo
della gratificazione, mentre per altri si innesca una contrapposizione di forze che
crea tensione.
6/19
motivati ad agire ora.
Una credenza molto comune è che per dare avvio ad un’azione sia necessario sentirsi
motivati a fare quella cosa. Si attende il “sentirsi motivati” per agire. Se manca la
motivazione, si resta fermi.
7/19
La disciplina come forzatura
La maggior parte delle persone ha associato all’esperienza della disciplina un’esperienza
negativa. Infatti, per il modo in cui viene trasmessa socialmente e culturalmente la
disciplina, questa diviene per molti una forzatura, una forzatura a fare
qualcosa contro la propria volontà. Invece di apprendere come usare la volontà, si è
imparato a forzare sé stessi. Ma forzatura e volontà non sono la stessa cosa.
8/19
Proprio perché opera “contro qualcosa”, crea una divergenza e una tensione.
Questa tensione consuma energia nello svolgimento dell’azione, che risulta stancante e
poco piacevole.
Reprimere il piacere
La forzatura ad agire contro ciò che si sente spegne l’esperienza del piacere. Non
solo allontana dalla gratificazione immediata, ma spegne il piacere
dell’azione stessa.
9/19
Non solo: più si forza più si crea un’attrazione inconscia verso ciò che apparentemente
risolve la forzatura, ovvero la gratificazione istantanea.
10/19
Si innesca in questo modo una spirale che oscilla sempre di più tra i due estremi.
Esiste un’altra via per superare questo nodo? Sì, ed è lo sviluppo della volontà.
11/19
Padroneggiare l’uso della volontà passa in primis attraverso la capacità di essere
consapevoli delle proprie intenzioni. Non solo esserne consapevoli, ma imparare
ad originarle ex-novo.
L’intenzione, come dice la parola stessa, è una tensione verso qualcosa. In-tensione:
ovvero un’energia diretta ad uno scopo. Quando quest’energia viene messa in
movimento, allora diventa volontà in azione.
12/19
Il circuito della volontà va oltre il meccanismo della motivazione perché origina
direttamente dall’Individuo.
13/19
La consapevolezza del risultato futuro
La difficoltà nel superare un piacere immediato a scapito di un’azione costruttiva nel
lungo periodo sta nel fatto che il risultato ipotetico a cui aspiriamo è posizionato in un
tempo futuro. Se ci fosse un riscontro immediato rispetto a ciò che stiamo facendo, il
problema non esisterebbe. Un elemento che fa la differenza è quindi la consapevolezza
del risultato futuro e del suo valore.
Più sei consapevole di ciò a cui aspiri, più conosci l’importanza e il valore di
avere questo nella tua vita, più sei facilitato ad originare un’intenzione e un atto di volontà
che ti porta in quella direzione superando ogni gratificazione immediata.
Il risultato di un pomeriggio intero passato a studiare per superare un esame che si terrà
dopo mesi non è direttamente tangibile. Per questo motivo portare consapevolmente
l’attenzione ai passi fatti nella direzione voluta permette di collegare l’azione al risultato
accorciando il feedback loop, ovvero il ciclo di verifica, che diventa più
immediato.
Il fatto di superare una gratificazione immediata a scapito di una gratificazione futura non
significa che l’azione debba essere sgradevole, anzi.
Esistono tanti modi per rendere una singola azione piacevole. L’aspetto è molto
soggettivo, quindi non mi dilungo molto su questo punto. L’importante è riconoscere che
l’azione volitiva non è per sua natura spiacevole o sgradevole, ma può essere strutturata
praticamente per viverla con piacere, aggiungendo degli elementi che la
rendono soggettivamente gradevole.
14/19
In questo punto mi sono riferito principalmente al rendere piacevole un’azione in senso
pratico, nel suo aspetto logistico esteriore.
15/19
Le molte forme di piacere
Non esiste uno solo tipo di piacere, ma ne esistono molti.
Esistono forme di piacere sensoriale, legate ai sensi e alla fisicità: il piacere di gustare
un cibo particolarmente buono, il piacere di riposare il corpo, il piacere di muovere il
corpo…
Più forme di piacere riesci a riconoscere e coltivare consapevolmente, più è facile andare
oltre quelle forme di piacere che danno gratificazione immediata.
C’è un piacere intrinseco nel realizzare qualcosa di significativo, che può essere
percepito non solo quando si raggiunge il traguardo, ma anche durante il tragitto.
Più è grande e ambizioso ciò che si intende realizzare, maggiore è l’impegno richiesto nel
tempo. È quindi importante fermarsi e riconoscere il valore di ciò che si sta perseguendo,
anche mentre si procede nella direzione voluta ma ancora non si è giunti al traguardo.
Questa consapevolezza permette di attingere al piacere del realizzare qualcosa di
significativo.
16/19
Se l’azione coinvolge nei suoi esiti anche altre persone, rendere consapevole
l’impatto positivo di ciò che stiamo facendo nei confronti degli altri agisce
come rinforzo ulteriore nel sentire questo piacere.
Come abbiamo visto, il superamento del nodo del forzare sé stessi permette l’emergere
della vera volontà, e una caratteristica intrinseca dell’atto di volontà è che reca
piacere perché permette di esprimere la parte più autentica di sé stessi.
17/19
Vorrei che ti liberassi per un attimo dal bagaglio culturale legato alle immagini del
sacrificio e dei riti sacrificali e portassi l’attenzione al vero significato di questa parola.
Il sacrificio fa parte della meccanica di come funziona la vita, è il prezzo da pagare per
avere qualcosa di valore. Ogni cosa vissuta tramite sacrificio diventa carica di valore e
significato per chi la ottiene.
Per superare questo bivio è implicato come abbiamo visto un atto di volontà, e anche un
sacrificio, ovvero la necessità di lasciare andare qualcosa. Non si può superare
indenni questo bivio senza sacrificare qualcosa nel mentre. In questo “lasciare
andare” si esprime il valore del sacrificio, nel vero senso etimologico del termine:
“rendere sacro”.
Rendi sacro il gesto di imboccare il bivio nella direzione che esprime i tuoi valori
più elevati lasciando andare il piacere immediato.
Vorrei in conclusione lasciarti una scaletta operativa sui punti essenziali da ricordare
per coltivare questo superpotere quando ti trovi in un momento critico, ovvero di
fronte a un bivio.
18/19
Mi auguro di cuore che questo articolo sia fonte di ispirazione e spunto di crescita per te.
Se hai piacere di condividere la tua esperienza, le tue riflessioni sull’argomento o se
hai domande da fare, puoi utilizzare i commenti qui sotto.
Agostino Famlonga
19/19
Elogio all’azione: Sufficiente Costante Strategica
essereintegrale.com/azione
Agostino
Famlonga
In quest’equazione è racchiusa una profonda verità: quello che abbiamo nella vita ha
un’origine in ciò che siamo.
Questo punto di partenza spiana la strada a ciò che viene dopo. Avere chiarezza dei
propri fini e pulire la “meccanica interiore” affinché non ci siano sabotatori è il
prerequisito per manifestare nella vita i propri semi interiori.
L’elemento centrale dell’equazione però non può essere scavalcato, è fondamentale: ciò
che viene fatto. Il coinvolgimento con la vita e con l’azione, il fare.
1/12
Se non conosci te stesso, non troverai mai una reale soddisfazione in quello che fai. Non
ci sarà mai nulla fuori che può darti ciò che si trova dentro, ovvero la completezza
esistenziale.
Molti hanno bisogno di chiarezza, non si conoscono abbastanza e non conoscono i loro
fini esistenziali. In questo caso è fondamentale tenere l’attenzione su di sé per
conoscersi di più.
Ma non è così per tutti. Molti sanno cosa è giusto per loro, conoscono cosa li
realizzerebbe nella vita, ma sono ben lontani dal concretizzarlo.
In questo caso più consapevolezza non risolve la situazione, anzi addirittura potrebbe
essere una via di fuga.
Poniti questo quesito: per realizzare i tuoi fini, ti serve più consapevolezza o più
coinvolgimento con l’azione?
Te lo spiego con un esempio: senti di essere uno scrittore e sai che scrivere un libro è
una meta che ti esprime e realizzerebbe nella vita una tua parte profonda.
2/12
Se scrivi 1 post al mese su facebook seguendo l’ispirazione del momento stai facendo la
cosa giusta ma in modo incostante e non direzionato. Difficilmente questa azione si
tradurrà nella realizzazione della tua meta, ovvero scrivere il tuo bellissimo libro.
C’è bisogno di fare l’azione corretta per il tempo che serve (con costanza) con un
impegno adeguato (sufficiente) e in modo non casuale ( strategico).
Per realizzare la tua meta hai bisogno di un’azione che va nella direzione giusta e
che è sufficiente-costante-strategica.
Hai bisogno di tutte e quattro queste componenti per realizzare le tue mete, qualsiasi
esse siano, dalle più alte e nobili a quelle più terrene.
3/12
Esempio: fitness
Prendo un esempio forse banale ma certamente comprensibile da tutti.
Il tuo fine è quello di mettere in salute il tuo corpo, perdere peso e tonificarlo.
Se resta solo un’intenzione e non fai nulla al riguardo, tutto resta uguale.
Questo certamente non ci sorprende.
Decidi di iscriverti in palestra, ma ti presenti una volta al mese facendo esercizi a caso
seguendo quello che senti al momento.
4/12
Stai facendo un po’ di tutto, ma non abbastanza di qualcosa. La tua azione non
è sufficiente, la tua routine di esercizio non è strategica, e non hai la costanza necessaria
per ottenere un reale progresso nella direzione voluta.
Supponiamo ora che inizi a fare 5 minuti di esercizio al giorno, tutti i giorni. Non segui
una pianificazione, ma semplicemente tutti i giorni ti impegni nel fare 5 minuti di
attività motoria, un giorno fai flessioni, un giorno salti la corda, un giorno vai a
correre…
Hai costanza in quello che fai, ma avrai comunque dei risultati minimi. Certamente
è meglio che non fare nulla, ti fa uscire dalla pura sedentarietà, ma difficilmente
otterrai dei risultati consistenti nella tonificazione del corpo con soli 5 minuti al giorno
di esercizio fisico.
Proseguiamo…
5/12
Esercizio intenso per un’ora al giorno, ma senza una pianificazione dell’allenamento.
6/12
Ecco che abbiamo tutte e tre componenti dell’azione al loro posto e abbiamo la
situazione ottimale per ottenere il risultato voluto. Dai tempo al tempo, e l’azione
sufficiente-strategica-costante ti porterà alla realizzazione della tua meta.
7/12
Impegnarsi a fondo
per scrivere un libro
che non interessa a
nessuno.
Scrivere molto
seguendo una
pianificazione
adeguata, ma
cambiando
continuamente idea
sul soggetto e trama.
8/12
Una routine di
scrittura adeguata e
costante
implementata in
una pianificazione
strategica dei
contenuti.
Usando questo modello, puoi avere una fotografia chiara di dove ti trovi e qual è il
punto su cui fare leva.
Sto facendo un’azione sufficiente? Quanto impegno serve per realizzare la mia
meta?
Sto seguendo una strategia? Sto misurando i miei progressi per poter
correggere il tiro?
Sono costante nelle mie azioni? Quanto tempo serve mediamente agli altri per
raggiungere la meta che mi sono posto?
(La premessa chiaramente è che stai facendo la cosa giusta per te.)
9/12
Trova il tuo auto-inganno
Tutti hanno la tendenza a raccontarsi storie riguardo il perché non ottengono dalla
vita quello che ritengono adeguato. Ricorda che ogni volta che deleghi a
circostanze esterne l’esito di quello che succede, stai delegando parte della
tua responsabilità ad altro, e stai sprecando potere di azione.
Sufficiente
Magari ti stai raccontando che la tua azione è sufficiente basandoti su un tuo punto di
vista soggettivo. Non solo che è sufficiente ma addirittura senti che è eccessiva perché
ti impegni al 110% e magari soffri nel fare quello che fai privandoti di tutto il resto.
Strategica
10/12
Questo è il classico auto inganno del restare fermi ed immobili finché non si ha
la strategia perfetta, finché non si ha pianificato tutto alla perfezione. Chi si
racconta questo passa più tempo a studiare, pianificare e riflettere che a fare
concretamente quello che dovrebbe fare per proseguire verso la realizzazione della sua
meta.
Costante
Per le grandi mete della vita generalmente è necessario un impegno prolungato nel
tempo. Raramente una meta viene raggiunta in un singolo sprint di eccellenza, anzi… il
più delle volte è proprio la costanza e la persistenza che ti portano alla realizzazione
di grandi cose sul lungo periodo.
La tua azione
Passo la parola a te: pensa a una meta importante e significativa per te e valuta le tue
azioni nei suoi confronti attraverso i tre parametri sufficiente-strategica-costante.
Cosa emerge?
11/12
Bibliografia
Sufficient, Strategic, Consistent: is This Why You Aren’t Reaching Your Goals?
21x’21: una serie per la tua crescita personale [CLICCA QUI PER VEDERE TUTTI I VIDEO]
12/12
Affrontare la crisi
essereintegrale.com/crisi
Agostino Famlonga
Voglio condividere con i lettori del sito alcuni spunti di crescita sulla situazione attuale.
Non su quello che sta accadendo, ma su come potere affrontare ciò che sta accadendo
con consapevolezza e nel modo migliore possibile.
Il periodo che collettivamente stiamo attraversando sta avendo un impatto sulla vita di
tutti.
Tutti veniamo coinvolti: qualcuno più direttamente e in modo più duro, altri in modo
indiretto e più blando, ma nessuno è escluso da quello che sta succedendo in Italia o nel
mondo. È sempre così, questa è una verità sempre presente.
Il primo effetto della situazione, immediato, è che c’è una modifica radicale della
quotidianità di tutti e delle nostre relazioni, e questo scuote le fondamenta della
nostra sicurezza di oggi e anche quella del domani. Quando i nostri riferimenti saltano
c’è una risposta di allerta, si accende un allarme.
Ecco allora che il primo punto su cui portare l’attenzione è la consapevolezza. Abbiamo
bisogno di essere maggiormente consapevoli della nostra risposta agli eventi.
1/11
L’ignoto
Quando tutti i riferimenti e le certezze sono messi in discussione la situazione si apre a
un grosso ignoto: non c’è certezza né di quanto durerà questa transizione
importante né di quello che sarà dopo.
L’ignoto tende a creare, per sua natura, una risposta viscerale legata alla conservazione,
alla sopravvivenza.
Se l’istinto di sopravvivenza è l’unico agente delle nostre azioni, ecco che precipitiamo in
una condizione di allarmismo, di panico, come è successo inizialmente: tutti al
supermercato a riempire i carrelli, una cosa inutile perché non c’è un reale pericolo di
mancato rifornimento alimentare.
2/11
Esiste uno strumento che veicola l’apertura e l’accoglienza delle emozioni: il respiro.
Aiutati con una respirazione profonda e connessa nel gestire correttamente ciò che
provi.
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La crisi
Tenere la consapevolezza su ciò che si muove in te e sulla tua risposta istintiva ed
emotiva è dunque la base corretta per affrontare in modo adeguato questa crisi
(perché di questo si tratta, chiamiamola con il suo nome).
Mi sento darti alcuni elementi essenziali riguardo la crisi, a mio avviso utili a tutti in
questa fase.
3/11
2 tipi di crisi
Le crisi non sono tutte uguali. Esistono due tipi di crisi.
Una la possiamo definire “crisi di crescita”, e deriva da azioni e gesti compiuti in una
direzione ben precisa, in cui sei consapevole della direzione in cui stai andando
prima di entrare in crisi.
Esempio: ti metti a dieta e dopo una settimana entri in crisi perché fatichi a sostenere il
processo di restringimento calorico.
Entrambi gli eventi portano a una crisi, cioè a un cambiamento, a una trasformazione.
Apparentemente sembra che solo il primo tipo di crisi sia positivo, perché sappiamo
cosa l’ha innescato, un’intenzione al miglioramento, e sappiamo benissimo che se
superiamo la crisi della dieta ci troviamo con una condizione migliore di quella di
partenza.
Nel secondo caso invece non è così, ovvero non è scontato che di fronte a un evento di
questo tipo si aprano spiragli di crescita. Non essendo voluta, questo secondo tipo di
crisi può aprire a un decadimento della condizione iniziale.
4/11
In questo ci è di aiuto conoscere come funziona la crisi, che cos’è, da quali principi è
regolata.
Sono molte le dinamiche legate alla crisi, ma ci tengo a condividerne in questo articolo
alcune fondamentali e utili nella nostra situazione attuale.
Una crisi è -per definizione- una situazione, un evento, in cui non hai certezza di riuscire.
Ciò che accade quando siamo in crisi è che, proprio perché sentiamo di non
riuscire, perdiamo di vista la nostra meta, quello che volevamo ottenere. Scompare
dalla nostra consapevolezza.
Nell’esempio della dieta… quando sono in crisi mi dimentico del perché inizialmente mi
ero messo a dieta, di cosa volevo ottenere, e apro il frigorifero.
5/11
1. Riconoscere la difficoltà e ammettere di essere in crisi
2. Riconnettersi al fine, alla motivazione iniziale.
3. Questo permette di tenere in mezzo alla difficoltà perseguendo l’azione di
crescita iniziale fino ad ottenere l’esito desiderato.
Non hai voluto quel cambiamento, ti è stato imposto dalla vita. Non volevi essere
licenziato, ma la ditta è fallita.
6/11
1) Accetta ciò che accade
Non l’hai voluto, ma è successo. Qualcosa c’è, esiste, anche se è indesiderato.
Accettare non vuol dire subire, ma vuol dire stare di fronte a quello che c’è, essere
disposti a interagire con questo (per il semplice fatto che esiste).
7/11
2) Trova la meta: cosa vuoi ottenere?
Nella situazione di crisi globale in cui ci troviamo, a tutti è imposto di ripianificare le
proprie intenzioni.
Non subire questo evento: origina altre intenzioni con quello che c’è.
Non puoi andare al lavoro? Prendi il tempo per stare in famiglia e per coltivare le tue
relazioni.
Lavora da casa, se puoi. Trova il tuo modo per rispondere a questa situazione.
Per molti potrebbe voler dire semplicemente fermarsi e prendere finalmente del
tempo per sé.
Non puoi andare alla lezione di yoga? Inizia a praticare a casa, connettiti via web con il
tuo insegnante e pratica a distanza.
Non puoi andare al corso di formazione a cui tenevi tanto? Studia da casa, guarda un
videocorso.
Questa indicazione, di trovare una meta, è valida sia nel riguardo delle piccole azioni, ma
soprattutto a livello più ampio per l’intera fase in cui ci troviamo:
La situazione ci sta mettendo di fronte, a livello collettivo, ad alcuni limiti del modello
sociale e culturale in cui abbiamo vissuto finora.
Ci sta imponendo di fermarci. Ci sta dicendo che dobbiamo stare uniti con un intento
comune. Ci apriamo a una trasformazione importante, ed è una sfida per l’umanità…
l’esito non è per nulla scontato.
Quello che possiamo fare è lasciarci guidare dai nostri valori, ovvero da ciò che
riteniamo importante.
8/11
Quando tutto il superfluo salta, cosa resta? Dove va la tua attenzione? Ecco che le cose
importanti della vita si svelano.
Questa crisi, questo stop forzato, ci permette di riconnetterci con ciò che è veramente
importante per noi.
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Un limite non limita la tua creatività. Un limite è semplicemente una zona di confine che
definisce gli elementi in gioco.
9/11
Cosa puoi fare con quello che hai a disposizione?
Non essere consapevole dei limiti apparentemente sembra un vantaggio… in realtà non
avendo definito quello che c’è, la creatività è depotenziata, perché non ha i “mattoncini”
da combinare.
Davvero, i limiti -imposti o autoimposti- sono una fucina per la creatività (che non
ha limiti, ma usa i limiti per creare).
4) Fiducia
La fiducia non può essere imposta dall’esterno, non si genera continuando a ripetersi
frasi mentali positive.
Accogli quello che sta accadendo, sii consapevole di te e trova il tuo centro, quello
spazio intoccato da tutto, quel contenitore più grande che contiene tutto. Lì origina la
vera fiducia.
Con fiducia possiamo affrontare uniti questa trasformazione e trovare assieme una
strada verso una condizione migliore per tutti.
10/11
Rispondere con responsabilità
Un’ultima cosa, importantissima, riguardo il confronto con la crisi e le trasformazioni:
il recupero del proprio potere di azione.
Ricorda che…
ogni volta che proiettiamo la responsabilità di quello che ci accade a qualcosa di esterno, o
qualcun altro, stiamo perdendo potere di azione, cioè capacità di agire.
Proiettare vuol dire accusare, incolpare, lamentarsi, criticare… tutte queste azioni le
facciamo per scaricare una tensione, ma sono inutili, indeboliscono le tue azioni
nella situazione in cui ti trovi, già difficile di per sé.
Ecco che un punto fondamentale è il recupero della propria responsabilità, cioè della
capacità di agire e di rispondere.
Non hai scelto di trovarti di questa situazione, ma sei chiamato ora a scegliere. Scegliere
che cosa? Scegliere di rispondere in modo responsabile e consapevole.
Bibliografia
Silvano Brunelli – La mia vita
11/11
Life Skills: competenze
per la vita
•
• Agostino Famlonga
• Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 2020
•
1
Life skills, cosa sono?
Le life skills sono competenze e capacità individuali, sociali e relazionali che
permettono agli individui di affrontare efficacemente le esigenze e i
cambiamenti della vita quotidiana.
Le life skills sono abilità personali che veicolano comportamenti positivi e di
adattamento che rendono l’individuo capace di fare fronte efficacemente alle
richieste e alle sfide della vita di tutti i giorni.
Le life skills sono dunque “competenze di vita” o “competenze per la vita”:
ovvero sono capacità di vivere la vita rispondendo in modo adeguato ai vari
eventi che si presentano.
Chiaramente sono tantissime le competenze richieste per vivere, e queste
variano in base al contesto e al periodo storico di riferimento.
Alcune abilità sono più fondamentali di altre, e sono state scelte dall’OMS come
obiettivo di sviluppo individuale.
2
Queste sono le 10 life skills essenziali:
1. Consapevolezza di sé
2. Empatia
3. Gestione delle emozioni
4. Gestione dello stress
5. Comunicazione efficace
6. Abilità di relazioni interpersonali
7. Prendere decisioni (Decision Making)
8. Risolvere problemi (Problem Solving)
9. Creatività
10. Pensiero critico
11.
4
L’utilità delle life skills per i giovani
Apprendere le competenze di vita in giovane età è certamente l’iter formativo
ideale, per più motivi.
I giovani sono alla ricerca del loro posto nel mondo e impostano nelle varie
fasi di sviluppo il loro personale e originale stile di vita.
Apprendere le life skills in questa finestra formativa permette di impostare fin da
subito uno stile di vita adeguato e funzionale.
Le life skills rendono la persona capace di trasformare le conoscenze, gli
atteggiamenti e i propri valori in capacità operative, cioè sapere come cosa fare
e come farlo.
5
L’utilità delle life skills per gli adulti
Quello che è stato detto riguardo i giovani è valido in modo equivalente per gli
adulti.
6
Ecco allora che portare l’attenzione alle abilità personali e concentrare le
energie nel miglioramento personale si rileva essere una strategia
corretta per uscire fuori da situazioni disfunzionali.
Le life skills per gli adulti si rivelano quindi degli ottimi strumenti di risoluzione
dei problemi, sia a livello individuale che collettivo, e permettono di vivere una
vita più piena e realizzata.
In ogni caso, anche laddove non siano presenti condizioni problematiche, in ogni
individuo è presente una naturale spinta al miglioramento personale:
un’ambizione legittima a vivere una condizione di vita migliore, a conoscere
maggiormente sé stesso, ad esprimersi di più e ad avere relazioni migliori.
Le competenze di vita sono strumenti che permettono di tradurre in pratica la
spinta al miglioramento.
7
Consapevoli di questa profonda interconnessione, è comunque utile dividere le
10 life skills in coppie complementari, individuando 5 aree su cui portare
l’attenzione per l’insegnamento delle competenze di vita.
Queste sono le 5 aree che emergono abbinando tra loro le life skills
complementari.
• Consapevolezza di sé
• Empatia
–
• Gestione delle emozioni
• Gestione dello stress
–
• Comunicazione efficace
• Abilità di relazioni interpersonali
–
• Prendere decisioni (Decision Making)
• Risolvere problemi (Problem Solving)
–
• Creatività
• Pensiero critico
8
Le 10 life skills definite dall’OMS divise per aree di sviluppo
Consapevolezza di sé
La prima life skills su cui porre l’attenzione è la consapevolezza di sé stessi.
Tutto parte da qui, anche lo sviluppo delle altre abilità.
10
Si manifesta con il riconoscimento di ciò che è giusto per sé, dei propri valori,
dei propri bisogni, dei propri talenti, di quello che si desidera; così come dei
propri punti di forza e delle proprie debolezze.
Le competenze emotive
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Gestire le emozioni non significa controllarle, ma dopo averle accolte con
consapevolezza essere in grado di veicolarle in modo appropriato al
contesto, esprimendole nel rispetto di sé stessi e degli altri.
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Gestire lo stress significa avere la capacità di monitorare in tempo reale il
proprio stato di attivazione, e di modularlo intervenendo in due direzioni:
modificando ciò che ha generato la risposta di stress (intervenendo quindi
sull’ambiente esterno) oppure trovando strategie per modificare il proprio
stato interiore, modificando il proprio atteggiamento, il proprio vissuto
emotivo o le azioni in quel contesto.
Una corretta gestione dello stress permette di mantenere una risposta adeguata
e di non incorrere nel fenomeno del burnout (esaurimento delle risorse
psicofisiche).
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Le competenze cognitive
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Significa essere consapevoli delle conseguenze della decisione presa, sia per
sé che per gli altri, e anche assumersene la responsabilità.
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la situazione, e la creatività, che permette di espandere le possibilità di
risoluzione.
Creatività
La competenza creativa è la capacità di generare ex novo soluzioni e
creazioni inedite.
La creatività si manifesta come la capacità di introdurre, in un determinato
contesto, qualcosa che prima non c’era.
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Life Skill – Pensiero Critico
Pensiero critico
Il senso critico è la capacità di esaminare una situazione e di assumere una
posizione personale in merito, mantenendo un atteggiamento
responsabile nei confronti delle esperienze e in autonomia rispetto alle
possibili influenze di punti di vista esterni.
La skill di pensare criticamente ha alla base la capacità di analizzare le
informazioni e le esperienze di maniera obiettiva, discriminando ciò che si
riferisce a eventi oggettivi da ciò che è generato dai propri vissuti soggettivi nei
confronti della situazione.
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Le competenze relazionali
Comunicazione efficace
Le abilità di comunicazione sono molte, e si manifestano con la capacità
di creare comprensione reciproca, quindi sia di farsi comprendere dagli
altri che, viceversa, comprendere le comunicazioni degli altri.
Comunicare efficacemente significa farsi capire in ogni contesto e con qualsiasi
interlocutore, e anche saper ascoltare.
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Una comunicazione efficace veicola coerenza tra ciò che viene detto
(comunicazione verbale) e la postura e la voce (comunicazione non verbale e
para-verbale).
L’abilità di comunicare efficacemente permette di manifestare il proprio punto
di vista, le proprie opinioni, i propri bisogni e desideri in modo costruttivo in
base al contesto.
La competenza comunicativa si manifesta inoltre con la capacità di chiedere
esplicitamente un aiuto o un consiglio laddove ne sia richiesta la necessità.
Empatia
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L’empatia è la capacità di mettersi nei panni degli altri, di condividerne e
riconoscerne le emozioni in un “sentire condiviso”.
La capacità empatica permette di comprendere come si sente emotivamente
l’altra persona, non interpretando mentalmente lo stato altrui, ma sentendo in
sé ciò che sente l’altro.
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Le abilità di relazione si manifestano con una componente di assertività, cioè
con l’abilità di affermare sé stessi all’interno della relazione nel pieno rispetto
degli altri, manifestando i propri punti di vista e dichiarando i propri bisogni,
senza prevaricazione o sottomissioni.
Le skill relazionali permettono di creare e mantenere relazioni in cui ogni
componente è riconosciuto e rispettato con le sue peculiarità, e in cui c’è
spazio per l’espressione individuale.
Con queste caratteristiche la relazione ha dei confini che permettono
di mantenere la propria individualità, senza alcun tipo di fusione o distacco, e
al contempo permette ad ognuno di sperimentare l’emergere del senso del
“noi”, fenomeno emergente dall’interazione e dallo scambio reciproco.
Sentire l’appartenenza ad un gruppo significa estendere il senso della propria
individualità ad un qualcosa di più grande.
È un passaggio che a volte emerge spontaneamente, ma anch’esso in realtà è
una abilità personale che può essere appresa
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Life skills training
Studio ed esercitazione
Una competenza viene acquisita tramite dei passaggi di apprendimento.
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Sono elementi derivati dallo studio sul campo del funzionamento dell’essere
umano e delle sue abilità.
La ricerca Scienze delle Abilità Umane, ideata dai ricercatori Silvano Brunelli e
Silvana Tiani Brunelli, è il frutto di più di 35 anni di ricerca in questo campo: lo
sviluppo delle abilità umane.
È un insieme ordinato di conoscenze e di percorsi innovativi che hanno lo
scopo di elevare le abilità umane nelle varie della vita.
Nell’apprendimento delle abilità questa ricerca applicata ha identificato altri due
passaggi fondamentali, oltre allo studio e al training delle skills.
Ecco allora che, consapevoli di questo elemento importante, nel training delle
life skills è utile inserire, tra l’acquisizione di una conoscenza e il passaggio di
esercitazione delle abilità, un ulteriore passaggio: un passaggio che favorisce
la scelta consapevole nel pieno rispetto della libertà individuale.
Scienze delle Abilità Umane ha identificato un metodo operativo per facilitare
questo passaggio: degli esercizi di comunicazione svolti in coppia che
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permettono a chi li esegue di assumere una scelta, nel rispetto della libertà di
scelta individuale.
Negli esercizi di comunicazione due individui in relazione reciprocamente si
comprendono in merito al tema di studio.
Un adeguato grado di comprensione e di consapevolezza permette
di maturare una scelta in autonomia.
La scelta, abbinata alla pratica dell’abilità, è l’elemento che permette di tradurre
la conoscenza teorica in un reale cambiamento visibile nella vita.
Silvano Brunelli
25
Definizione di Abilità – Scienze delle Abilità Umane
La sequenza è questa:
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Il metodo di lavoro del corso ha una base semplice e subito operativa:
comprendere le abilità umane e metterle in pratica.
BIBLIOGRAFIA
OMS – Carta di Ottawa per la promozione della salute
Silvano Brunelli e Silvana Tiani Brunelli – Scienze delle Abilità Umane
Silvano Brunelli – Le abilità personali nell’educazione
Silvana Tiani Brunelli – I fini dell’educazione
Silvana Tiani Brunelli – Lo sviluppo della personalità
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La procrastinazione da perfezionismo
essereintegrale.com/procrastinazione-perfezionismo
Agostino Famlonga
Le cose che vengono rimandate sono spesso quelle che sappiamo ci faranno bene a
lungo termine, ma non ci danno gratificazione istantanea.
Fa parte della natura umana essere attratti da ciò che ci da piacere immediato. E in
questo non c’è nulla di sbagliato, se non quando va a sommarsi con l’incapacità di dire
di no e di connettersi ad un valore più grande, a qualcosa che va oltre la gratificazione
istantanea.
Ciò che a lungo termine veicola una crescita per la qualità di vita della persona, spesso è
scollegato dalla gratificazione immediata. Rappresenta, nell’immediato, un impegno che
richiede spesso di esercitare l’abilità della volontà. Per questo motivo sono le attività
che vengono rimandate per prime.
È facile procrastinare rimandando questa attività che richiede l’uso della volontà a
discapito di un’altra attività che da una gratificazione immediata: stare sul divano e
navigare sui social media, ad esempio.
Barattiamo una grande gratificazione futura con una piccola gratificazione immediata.
Il grande inganno è che pensiamo che tante piccole gratificazioni equivalgano a una
grande.
In realtà non è così.
Per innalzare la qualità della tua vita, o della tua salute, o delle tue relazioni, è necessario
uscire fuori dal loop della gratificazione immediata e direzionare consapevolmente le
tue intenzioni, sapendo che la gratificazione che avrai come ricompensa dell’impegno
sarà molto più grande di quella che puoi trarre nell’immediato in una condizione di
indolenza o nel piccolo piacere di fare qualcosa di poco impegnativo.
2/13
Eppure c’è un altro aspetto, legato in modo indissolubile a questo: quello che siamo
necessita di rendersi manifesto, nella vita e nelle relazioni.
E tra questi due poli c’è spesso un gap, una differenza di potenziale tra quello che
intrinsecamente siamo e quello che manifestiamo di noi stessi nella vita. È una differenza
dovuta alle intrinseche limitazioni umane, o ad abilità inadeguate a manifestare la
propria profonda natura.
In questa differenza, tra ciò che siamo veramente e quello che manifestiamo nella nostra
vita, risiede il processo evolutivo personale. L’evoluzione personale consiste
nell’avvicinare i due poli, fino a farli coincidere.
La differenza permane perché non c’è l’impegno attivo a colmare il gap tramite l’utilizzo
della volontà, stando in una situazione temporanea in cui non c’è gratificazione, ma che
richiede impegno.
La gratificazione immediata deve lasciare il posto ad una gratificazione più grande, quella
di essere sé stessi e di esprimerlo in modo autentico, anche se questo richiede impegno.
3/13
La versione evoluta della procrastinazione: la
procrastinazione da perfezionismo
La procrastinazione da perfezionismo è una versione avanzata della procrastinazione,
subdola e difficile da sradicare.
È ingannevole perché, agli occhi del mondo intero e anche della persona stessa, chi ne è
affetto non appare per nulla un procrastinatore.
4/13
Perché l’azione che migliorerebbe la sua qualità di vita sarebbe dare alla luce la sua
creazione, o compiere la sua azione. E questa sarebbe in grado di migliorare la sua
vita anche se non fosse perfetta, per come intende lui la perfezione.
Nella differenza tra il tempo in cui potrebbe consegnare agli altri la sua creatura e il
tempo che invece impiega a renderla perfetta (ai suoi occhi), la persona entra nel
meccanismo della procrastinazione.
In questo caso la gratificazione immediata che prova sta nel sollievo di sistemare
alla perfezione i dettagli di quello che sta facendo. Questa sistemazione è un sollievo
perché dietro la tendenza a inseguire un ideale di perfezione c’è l’ansia legata al sentire
di non essere adeguati.
Continuando a togliere gli apparenti difetti in quello che sta facendo, il procrastinatore
perfezionista allieva il suo disagio di non andare bene così com’è.
A questo si somma la paura del giudizio degli altri, radicata anch’essa nel timore di non
andare bene così come si è e quindi di essere giudicati per quello che si sta facendo.
Esiste anche un rinforzo sociale legato a questo meccanismo: viene a volte incentivato
dalle persone che gravitano attorno al perfezionista con lodi di stima per l’impegno
profuso nelle sue opere.
Avere cura nel fare le cose è certamente un bene. Chiedere a sé stessi di fare una cosa
al meglio delle proprie possibilità è certamente una cosa positiva.
Il mondo progredisce grazie alle persone che si impegnano e danno il massimo di quello
di cui sono capaci.
Diventa però una trappola se in questo atteggiamento c’è un giudizio severo nei
confronti delle proprie azioni e se c’è una continua rincorsa a voler perseguire
un’immagine idealizzata di sé.
5/13
L’immagine idealizzata di sé è un ideale che la persona ha di sé stessa, spesso molto
distante dalla realtà dei fatti (per questo viene definita idealizzata, perché è un’ideale
irraggiungibile).
L’esperimento mette a confronto due gruppi di allievi di una scuola d’arte , nel dare
loro delle indicazioni diverse riguardo la realizzazione di vasi di argilla.
Al primo gruppo viene data l’indicazione di fare il vaso migliore che sono in grado di
fare. Senza avere limiti di tempo, possono dedicare tutti i loro sforzi nel creare il vaso
perfetto. Il gruppo verrà valutato da una giuria che gli darà un voto in base alla qualità
artistica del vaso realizzato.
Possiamo chiamare i due gruppi dell’esperimento come “gruppo qualità” all’opposto del
“gruppo quantità“.
Nel fare tanti più vasi possibili, in modo implicito il “gruppo quantità” ha acquisito le
abilità necessarie per fare dei vasi esteticamente appaganti, anche se non gli era richiesto
esplicitamente.
Il gruppo che ha cercato di realizzare un singolo vaso perfetto, non ha avuto modo di
acquisire le abilità necessarie per fare un vaso perfetto, semplicemente perché ha
fatto solo un vaso.
Una singola esecuzione non ha dato loro la possibilità di imparare al meglio delle loro
possibilità.
Il messaggio da portare a casa è: concentrati sulla quantità della cosa che fai (o sulle
ripetizioni dell’azione che vuoi imparare) e non sull’avere la qualità perfetta in quello che
stai facendo.
Tante più volte farai quella cosa che vuoi fare perfettamente, tanto meglio ti riuscirà.
7/13
L’eccellenza non si raggiunge con una singola ripetizione perfetta, o con una singola
creazione perfetta, ma è il frutto di un’infinità di ripetizioni apparentemente imperfette.
Più il bambino si esercita, migliore sarà la sua abilità nel disegno, chiaramente con
un limite personale dettato dalla sua predisposizione e talento artistico.
Concentrati sulla quantità, non sul realizzare una singola creazione perfetta.
È un timore che può trattenere una persona dall’esprimere le sue potenzialità anche per
una vita intera. Non c’è scadenza a questo timore, va affrontato e superato.
Come?
Per superare questa paura sono due aspetti su cui fare leva.
Innanzitutto riconoscendola, non serve fare finta che non ci sia. Va riconosciuta come
un qualcosa di naturale, non si tratta di un’anomalia. Fa parte della nostra natura
sociale, così come l’arte della procrastinazione fa parte della nostra natura animale.
In secondo luogo…
9/13
è necessario recuperare la motivazione intrinseca nel fare quello che stai facendo.
Se fai qualcosa per andare bene agli altri, sarai sempre soggetto a questo meccanismo.
Se stai facendo qualcosa perché è unatua espressione, perché esprime una verità
profonda che conosci di te stesso, quello che gli altri pensano di quello che fai passa in
secondo piano.
L’articolo che stai leggendo è una mia espressione, e mentre scrivo penso a darti un
messaggio nel modo migliore che io conosca. Non sono preoccupato del giudizio di chi
legge, sono concentrato unicamente sul cercare di farti arrivare un messaggio.
La vera motivazione
10/13
Il primo e più importante spunto è quello di recuperare la motivazione intrinseca
passando in questo modo attraverso e oltre l’esperienza della paura del giudizio.
In questo modo di agire c’è una connessione costante con lo scopo: l’azione è efficace
se è connessa a un fine e fecondata da un’intenzione consapevole, e quando
nell’esecuzione lo scopo e il fare coincidono .
Quando il fare e l’essere coincidono, non c’è preoccupazione alcuna su quello che sarà
il risultato. Paradossalmente, questo è il modo migliore per ottenere proprio il risultato
ottimale.
Quando rimandi qualcosa, qualcuno resta privo di quella cosa che vorresti fare. Quindi
puoi chiederti: non facendo questa cosa (perché credi che non sia adeguata), chi ne
subisce le conseguenze?
Ti accorgerai che quella cosa che vorresti fare avrebbe un impatto nella vita delle
persone. Un impatto positivo che, proprio perché tu ti stai trattenendo, non c’è.
Un esempio di questo principio applicato è ciò che stai leggendo. A volte impiego anche
una settimana a scrivere un articolo (chiaramente dipende dalla complessità
dell’argomento).
Per questo articolo mi sono dato come limite massimo 3 ore, che ho ormai raggiunto.
So che raggiunte le 3 ore, pubblicherò l’articolo così come sarà, lungi dall’essere
perfetto… ma comunque leggibile, e tu potrai leggerlo senza attendere e portare a casa
un messaggio di valore. Questo per me è più importante dello scrivere l’articolo del
secolo.
Non sarà questo l’articolo migliore che leggerai sul blog, ma comunque lo stai leggendo e
comprendendo, e questo è ciò che importa veramente.
Se ci sono questi due requisiti, l’integrità e l’autenticità, ogni azione manifesta un alto
grado di purezza e di perfezione, anche se oggettivamente resta perfettibile e
migliorabile all’infinito.
Puoi lasciare, se ti va, le tue riflessioni su questi aspetti nei commenti qui sotto.
12/13
Bibliografia
L’esperimento dei vasi
The procrastination equation – Pier Steel
13/13
I 3 livelli di abilità
essereintegrale.com/3-livelli-abilita
Agostino Famlonga
1/7
Il punto di partenza
Il punto di partenza, il livello zero nel grafico, è la condizione iniziale in cui non si
possiede alcuna conoscenza dell’abilità che si vuole apprendere.
Se volessi imparare il cinese, partirei da una tabula rasa, perché non ho la minima idea
né di come si legge, né di come si scrive, né di come si pronuncia. Quindo lo zero
significa proprio una condizione di partenza senza precedenti.
Se volessi imparare l’abilità del salto in lungo, il livello zero non coincide con uno zero
assoluto. Qualche centimetro sono in grado di saltarlo, anche senza avere portato
l’attenzione e l’intenzione a questo aspetto.
Apparentemente la seconda condizione sembra migliore della prima: avere già una
conoscenza intuitiva di un’abilità, appresa in modo autonomo e spontaneo potrebbe
sembrare un vantaggio rispetto alla partenza a livello zero. Questo non è sempre vero.
Chiaramente l’azione sarà lenta e forse maldestra, perché è richiesto un impegno attivo e
consapevole nel modificare e indirizzare quel comportamento verso il risultato
desiderato.
Sembrerebbe che questo sia un punto di arrivo, in realtà esiste un altro step di
apprendimento.
Inseriamo ora i quattro passaggi in una griglia che ci permette di comprenderli meglio.
Nel primo step – quello del principiante – la persona ancora non possiede l’abilità che
desidera, ma è consapevole di questo e consapevolmente inserisce un’intenzione e
una conoscenza mirati all’apprendimento.
Nello livello praticante, la persona possiede l’abilità, è quindi capace e guida le azioni in
modo intenzionale e consapevole.
L’impegno
4/7
L’impegno richiesto per integrare un’abilità non è lineare.
Innanzitutto, a livello di principiante, esiste una inerzia iniziale da vincere per uscire
fuori dalla condizione di partenza.
La resistenza iniziale da vincere è spesso quella più difficile da superare.
5/7
Quando si raggiunge la maestria, l’abilità è integrata, e lo sforzo di apprendimento è
minimo. L’abilità si esprime da sé.
Alcuni ostacoli
Nel percorso dell’apprendimento di un’abilità si incontrano una serie di ostacoli che
possono impedire il raggiungimento della maestria.
Vediamone alcuni.
Per uscire dallo step zero e passare a livello principiante quindi serve una chiara
intenzione, motivata dalla comprensione autentica dell’utilità dell’abilità.
6/7
Questi due passaggi vanno sommati e dovrebbero portare la persona a prendere
posizione, cioè ad originare un’intenzione.
Vuoi apprendere un’abilità ma non sai come fare. La soluzione è lineare: serve acquisire
le conoscenze, studiando o imparando da qualcuno che può darti queste conoscenze.
In questo punto può essere risolutiva l’abilità di superare la crisi e quella di dare e
ricevere aiuto e sostegno.
Per il passaggio dall’eccellenza alla maestria serve superare la prova del tempo.
L’esperienza deve accumularsi e creare una transizione di fase: l’abilità integrata
nell’essere.
Se hai piacere, puoi rispondere a queste domande nei commenti qui sotto.
Bibliografia
7/7
Quanto tempo serve per formare un’abitudine?
essereintegrale.com/abitudine-quanto-tempo
Agostino Famlonga
Cos’è un’abitudine
Le abitudini sono comportamenti automatici, gesti che compi senza nemmeno
rendertene conto.
Ma è davvero così?
È possibile vivere senza abitudini?
È soprattutto, sarebbe utile?
1/15
I vantaggi delle abitudini
La nostra capacità di attenzione, e la nostra capacità di elaborare coscientemente le
azioni che compiamo è limitata. Abbiamo cioè delle risorse mentali circoscritte, che
possiamo impiegare per svolgere il compito che stiamo facendo.
Nella vita ordinaria quasi metà delle azioni che compiamo viene svolta in questo modo.
Uno studio [1] di una decina di anni fa ha stimato che circa il 45% del nostro
comportamento è dettato dalle abitudini, da routine che svolgiamo in modo
automatico.
Se queste azioni fossero compiute consapevolmente, resterebbe ben poco spazio
cognitivo per fare fare altro.
Lavare i denti
2/15
L’abitudine di lavare i denti è un comportamento che, una volta appreso, esegui senza
doverci pensare, senza doverti ricordare di farlo.
Non è un’azione radicata nella natura dell’essere umano. È stata appresa, o ci è stata
insegnata, da piccoli.
Per me lavare i denti è una sana abitudine, ma per mia figlia di 5 anni ancora non lo è. È
ancora in una fase di apprendimento di un’abitudine.
Per mia figlia è diverso, non ha quest’abitudine. Se non glielo ricordo, se lo dimentica. E
mentre lo fa, lo fa pensando a lavare i denti davanti, i denti dietro ecc… Questo le
richiede un certo grado di impegno.
Questo è possibile perché ho appreso l’abitudine di scrivere alla tastiera senza guardare i
tasti. Il processo di traduzione del pensiero in testo digitale accade da sé, a livello
inconsapevole. La mia consapevolezza può così rivolgersi interamente
nell’elaborare il messaggio che voglio comunicarti.
Se dovessi prestare attenzione ad ogni tasto che premo, la mia capacità di elaborare il
pensiero che voglio comunicarti sarebbe notevolmente ridotta. Parte della mia
attenzione sarebbe impegnata nel battere i tasti uno ad uno, nel cercarli sulla tastiera e
nello stare attento a non sbagliare.
Alla guida
Quando guidi l’auto, pur essendo impegnato alla guida, hai la capacità di parlare con
qualcuno.
E in effetti è proprio ciò che accade quando impari a guidare. Non puoi distrarti
minimamente perché stai apprendendo una nuova abitudine, l’impegno è massimo e
tutta la tua consapevolezza è rivolta nell’apprendimento.
E ti sei mai chiesto perché, quando parcheggi, ti viene spontaneo il gesto di abbassare il
volume della radio?
3/15
Perché nella manovra di parcheggio hai bisogno di più concentrazione. Hai bisogno ciò di
recuperare la consapevolezza di un’azione che compi automaticamente, perché sai che è
richiesta più attenzione.
Allora in modo istintivo abbassi – o spegni – la radio. In questo modo recuperi nella tua
consapevolezza lo spazio di lavoro per elaborare i gesti precisi richiesti nel parcheggio.
Riassumendo
Il vantaggio di compiere un’azione sotto forma di abitudine, ciò come gesto automatico,
è che:
Automatismi dannosi
Pensa ad un esempio di questo tipo: l’abitudine che qualcuno ha di mordersi le unghie
quando si sente nervoso.
Nel momento in cui questa persona affronta una situazione stressante, innesca
l’automatismo di mangiarsi le unghie per cercare di placare il senso di disagio. È un
gesto fuori dal controllo consapevole della person a, che porta a delle conseguenze
negative. Non riesce a gestirlo, è un gesto (abitudine) automatico.
4/15
Ho preso un esempio apparentemente banale, come mangiarsi le unghie, ma puoi
trasporre lo stesso principio a tutta una serie di abitudini disfunzionali: mangiare in
modo compulsivo davanti alla televisione, bere alcolici per cercare sollievo, guardare
costantemente il cellulare ad ogni notifica distraendoti costantemente, ecc.
Nel suo libro dedicato a questo argomento, lo psicologo Charles Duhigg chiama questo
processo “dittatura delle abitudini”.
Dittatura perché quel 45% di azioni abitudinarie, fuori dal controllo cosciente
dell’individuo, sembra apparentemente più forte della capacità di direzionare con la
volontà il comportamento.
Errori inconsapevoli
Le azioni automatizzate, proprio perché sono fuori dal controllo cosciente
dell’individuo, possono indurti all’errore.
Questo avviene a causa di due fattori: la troppa sicurezza nel processo automatico
porta facilmente alla distrazione.
Riassumendo
Gli svantaggi del compiere azioni abitudinarie:
sono fuori dal controllo volontario, e quindi non ti possono portare a degli esiti
indesiderati e dannosi.
possono indurti in errore per troppa sicurezza e distrazione.
possono creare schemi di comportamento rigido dai quali non è difficile uscire.
5/15
Scegli consapevolmente le tue abitudini
Abbiamo visto come le abitudini possono essere sia positive che negative.
In sé non hanno nulla di sbagliato, non sono un elemento da bandire dalla nostra vita,
anzi, sono un elemento su cui portare l’attenzione per crescere come persona.
Come?
Scegliendo consapevolmente le tue abitudini.
Quali sono quelle azioni che, ripetute nella tua quotidianità, possono creare a lungo
termine un beneficio?
Queste dovrebbero diventare abitudini da coltivare intenzionalmente.
Quando diventa un’abitudine, non devi motivarti ogni giorno per fare l’attività fisica, la fai
in modo spontaneo, fa parte della tua quotidianità, non ti richiede sforzo o motivazione.
scegli consapevolmente quali comportamenti virtuosi vorresti nella tua vita, e falli
diventare un’abitudine.
6/15
Le cattive abitudini
In quel 45% di azioni che compiamo sotto forma di abitudini ci sono sia dei
comportamenti che ti sono utili, che altri che sono disfunzionali.
Spesso è difficile abbandonare le cattive abitudini perché sono radicate in modo molto
forte in noi. Sono frutto di anni di ripetizioni e quindi hanno lasciato un solco importante
da cui spesso è difficile uscire.
7/15
Il mito dei 21 giorni
Dagli anni 60 ha iniziato a diffondersi l’idea che bastasse ripetere un’azione tutti i
giorni per 21 giorni consecutivi per apprendere in modo definitivo un’abitudine.
L’idea ha avuto origine da quello che scrisse Maxwell Maltz nel suo libro
Psicocibernetica.
Maltz era un chirurgo plastico, e aveva rilevato, osservando i suoi pazienti, che in genere
necessitavano di 3 settimane per adattarsi ad un cambiamento fisico, come ad
esempio l’amputazione di un braccio.
L’idea che a lungo è stata diffusa è che, per esempio, basta andare a correre 21 giorni di
fila per avere poi quest’abitudine a vita senza alcuno sforzo.
Può essere vero per loro, ma la realtà delle cose è più complessa , perché:
Possiamo quindi prendere questo numero magico e inserirlo nella categoria “leggende
metropolitane.”
Proprio per questi motivi il numero magico 21 sopravvive ancora ai giorni nostri.
Per osservare la questione da un punto di vista più concreto, vediamo cosa ci dicono le
ricerche contemporanee in questo campo.
La conclusione è che non esiste un numero magico: c’è una grande variabilità
soggettiva.
Per alcune persone sono stati sufficienti 18 giorni per far passare un’azione a livello
automatico, per altri più di 8 mesi.
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66 non è un nuovo numero magico, è solo la media di questo gruppo di studio.
Per trarre una conclusione pratica da questa ricerca, possiamo dire che per apprendere
un’abitudine sono in genere necessari mesi di impegno.
Dall’abitudine all’abilità
Il processo di apprendimento di un’abitudine scelta consapevolmente è equivalente a
quello dell’apprendimento di un’abilità.
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Si passa da una condizione iniziale in cui è richiesto un grande impegno per svolgere
un’attività (punto A sul grafico). Man mano che le ripetizioni del comportamento corretto
aumentano, cala anche lo sforzo nel compiere il gesto (punto B).
È diventata una tua abilità, un tuo modo di stare nella vita . Questo è equivalente
all’avere appreso in modo intenzionale un’abitudine.
Vediamo un esempio.
Non interrompere
Supponiamo che tu abbia l’abitudine di interrompere l’altro mentre sta parlando, e che
tu voglia cambiarla perché hai capito che questo gesto lede la comprensione. Scegli di
acquisire l’abilità di non interrompere (la nuova buona abitudine che vuoi acquisire).
Il processo non è istantaneo: le prime volte farai molta fatica a non interrompere, perché
l’abitudine radicata si farà sentire a gran voce.
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Più volte ripeti l’azione corretta che vuoi apprendere (non interrompere), più
l’impegno richiesto diminuisce.
Questo va avanti fino al punto in cui acquisisci l’abilità di non interrompere l’altro
mentre parla. Semplicemente lo fai. È il tuo modo di interagire con l’altro, non ci devi
portare attenzione. Non interrompere è diventata una tua abitudine nel dialogo con
l’altro. Essendo un’abitudine, la fai senza nemmeno rendertene conto.
Questo libera la tua attenzione che ora può essere veicolata, ad esempio, nel cercare
di comprendere meglio il significato di quello che l’altro ti sta dicendo.
Fintanto che parte della tua attenzione è impegnata nel cercare di non interrompere,
non hai tutta la tua attenzione a tua disposizione nel comprendere completamente la
comunicazione.
https://youtu.be/-BBIauClMsY
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Quello che fa la differenza è la frequenza e l’intenzione con cui ripeti il tuo
comportamento.
In 21 giorni puoi compiere la stessa azione per 10, 21, 100 volte.
L’abilità non viene interiorizzata con il passare del tempo, ma viene appresa nel momento
dell’esecuzione.
Più esecuzioni fai, più questa abilità si assimila e diventa infine un’abitudine che possiedi
con maestria.
Le prime ripetizioni richiedono impegno, e più questa abilità viene interiorizzata più
lo sforzo nell’esecuzione si abbassa.
Invece di chiederti “quanto tempo ci vuole per formare un’abitudine?” prova a chiederti
“quante ripetizioni mi servono per imparare un’abilità?”
Le tue abitudini correnti, sane o cattive che siano, sono state interiorizzate dopo
centinaia, se non addirittura migliaia, di ripetizioni spesso quotidiane.
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Le nuove abilità che vuoi avere nella tua vita richiedono la stessa frequenza. Devi
mettere in sequenza una serie di comportamenti intenzionali, con costanza e
regolarità, fino a quando l’impegno volontario scende sotto la linea dell’abilità.
Quanto tempo ci vuole? Dipende dalla frequenza e dall’impegno consapevole con cui
ripeti quell’azione.
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Per approfondire » Abilità nella vita
Le tue abitudini
Avremo modo di approfondire in articoli futuri come implementare nuove abitudini e
come sostituire abitudini dannose. Ti invito ad iscriverti alla newsletter per restare
aggiornato su questo argomento.
Nel frattempo ti lascio con alcune domande per riflettere sulle tue abitudini.
Puoi usarle come spunto di riflessione e, se ti va, puoi lasciare un tuo pensiero su questi
argomenti nei commenti qui sotto.
Ritieni che le abitudini siano da bandire dalla vita, o ritieni che possano avere una
valenza positiva?
Senti di vivere sotto la dittatura delle abitudini, oppure hai appreso delle abilità in modo
intenzionale e consapevole che ti hanno liberato dalla dittatura?
Qual è l’ostacolo più grande che incontri quando tenti di apprendere una nuova abilità?
Quali abitudini senti che dovresti cambiare?
Quali abitudini ti piacerebbe avere nella tua vita?
Bibliografia
[1] David T. Neal, Wendy Wood, Jeffrey M. Quinn – Habits—A Repeat Performance
[2] Phillippa Lally Cornelia H. M. van Jaarsveld Henry W. W. Potts Jane Wardle – How are habits
formed: Modelling habit formation in the real world
Silvana e Silvano Brunelli – Scienze delle Abilità Umane
James Clear – Atomic habits
Charles Duhigg – La dittatura delle abitudini
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Le 5 forze della crescita personale
essereintegrale.com/crescita-personale-5-forze
Agostino Famlonga
In questo articolo ti presento un modello della crescita della persona che trovo utile e
immediato per comprendere il suo funzionamento.
L’idea mi è venuta mentre ero con la mia famiglia all’aeroporto, in partenza verso la
nostra vacanza estiva, mentre osservavo gli aerei decollare dalla pista.
Penso che la crescita della persona sia simile. Ci sono delle forze universali che la
regolano, e se le conosci puoi intervenire in modo specifico e fare qualcosa che
apparentemente non è possibile, come fare volare un pezzo di metallo di 400 tonnellate
a 10.000metri di altezza.
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Così come esistono un’infinita variabilità di caratteristiche nell’essere umano, così
esistono un’infinità di approcci alla crescita. Potremmo dire che “ognuno ha il suo
approccio”, o il suo stile se preferisci.
Tutta questa variabilità a mio avviso può essere inserita in 3 grossi insiemi, o 3 categorie:
la crescita orientata al fare – all’essere – o al divenire.
Non mi soffermo più di tanto su questo aspetto perché sono certo che riesci a
ricondurre facilmente questo stile di crescita alla tua esperienza, passata o forse anche
presente.
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Crescita orientata all’essere
Se volessimo definire 2 estremi di un continuum, questo approccio sta sull’estremo
opposto del precedente. Nasce come conseguenza della realizzazione che un approccio
puramente incentrato sul fare, sull’ottenere sempre di più, sempre di più… se non è
connesso alla fonte del tuo essere, porta a lungo termine ad una frustrazione
esistenziale.
Dentro di sé risiede la chiave per la completezza esistenziale , non negli oggetti o nei
desideri.
In questo ultimo principio a mio avviso c’è una grande verità, ma incompleta. Manca
l’elemento del divenire.
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Crescita orientata al divenire
È vero che la completezza deriva dal conoscere sé stessi, ma è altrettanto vero che
questa conoscenza non è statica, è dinamica.
È una conoscenza che porta l’essere che sei (senza forma) a divenire qualcosa, nel
mondo della forma.
Qualcosa che già sei, e che sente il desiderio di manifestarsi nella vita per trovare, nella
vita, un riflesso di sé.
La differenza rispetto alla crescita orientata al fare è che è una crescita che parte a
priori da una condizione di completezza, non di mancanza. Quando attivi questo stile
di crescita personale non fai qualcosa per ottenere la completezza, ma fai qualcosa
perché rappresenta una parte essenziale di te, che è già completa all’origine.
Un modello
Nell’immagine vedi un riassunto schematico dei fattori (o delle forze) coinvolti nella
crescita personale, paragonate ad uno schema di volo di un aereo.
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Vediamo uno per uno gli elementi che agiscono in questo modello.
Aereo
L’aereo è la tua vita. Fare decollare l’aereo rappresenta simbolicamente il momento in
cui la tua vita, rompendo l’inerzia, si muove. Vincendo la forza di gravità va nella
direzione da te voluta, sempre in quel movimento di divenire che abbiamo visto prima.
Pilota
Puoi essere sull’aereo della tua vita come passeggero: uno spettatore passivo. Puoi
osservare il panorama e goderne l’infinita bellezza.
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Oppure puoi pilotare l’aereo e portarlo in una direzione che ti rappresenta. Quindi il
pilota sei tu, consapevole che soprattutto in qualità di pilota puoi godere del viaggio,
ammirando il paesaggio da un punto di vista unico.
Consapevolezza
La consapevolezza è quella forza che dà la direzione all’aereo. Più sei consapevole di
te, dell’altro essere umano e della vita, più hai chiarezza di cosa fare nella vita e di qual è la
direzione dell’aereo.
Puoi avere poca consapevolezza di te, oppure una chiarezza inamovibile di chi sei e di
dove stai andando.
Cioè puoi volare, nel viaggio chiamato vita, su un cessna 172 o su un boeing 747. Nel
primo caso, quando entri in un temporale, verrai sballottato da tutte le parti, con il rischio
di precipitare. Se piloti il boeing, sentirai la turbolenza, ma questa non devierà la tua
rotta.
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Energia vitale
Senza spinta l’aereo non si muove, resta immobile nel suo hangar. Allo stesso modo per
fare decollare l’aereo della vita serve la spinta della tua energia vitale. Puoi avere
l’aereo perfetto, avere chiarezza di dove vuoi andare, ma se non hai energia vitale resti
inesorabilmente fermo. Così come gli aerei sono fatti per volare e non per restare
nell’hangar, così la vita è fatta per essere vissuta a pieno.
Ostacoli
Per decollare l’aereo deve vincere la forza di inerzia e quella di gravità, poi una volta in
volo deve contrastare l’attrito dell’aria e le turbolenze che incontra nel viaggio. È in un
movimento continuo di bilanciamento tra le forze che lo sostengono e quelle che
tendono a frenarlo.
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Lo stesso accade per la vita. C’è un equilibrio dinamico di elementi e di forze che
spingono una verso l’immobilità e una verso il dinamismo.
Nella crescita c’è un confronto continuo tra le abilità personali e gli ostacoli che incontri
procedendo nella direzione che hai scelto.
Abilità
Le abilità rappresentano la portanza dell’aereo, quella forza che lo sostiene nella
direzione verso l’alto.
Vediamoli uno per uno, con dei consigli su come intervenire dettati dalla mia esperienza
personale.
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1. Aereo e pilota
Prima di farlo decollare, serve costruire l’aereo. Più consapevolezza hai di te stesso,
della vita e dell’altro essere umano, più grossa è la stazza dell’aereo.
L’Esperienza Diretta di sé mette il pilota al suo posto, cioè nella cabina di pilotaggio.
Non solo: più Esperienze Dirette la persona ha di sé stessa, più l’aereo acquisisce
tonnellaggio e portanza. Per questo motivo la ricerca dell’Intensivo può essere
mantenuta con continuità, per costruire un aereo sempre più robusto e resistente alle
turbolenze.
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2. Direzione
La direzione in cui far volare l’aereo emerge dal GPS interiore quindi, anche in questo
caso, uno strumento d’eccellenza è l’Intensivo.
Esiste inoltre, all’interno del corso Abilità nella vita del Centro Studi Podresca, un
incontro dedicato al definire la propria direzione.
3. Energia Vitale
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Il grado di energia vitale di una persona è proporzionale alla consapevolezza che
ha di sé stessa. C’è un nesso molto profondo tra questi due aspetti dell’essere umano.
Quindi un modo per agire su questo aspetto è conoscersi di più ed esprimersi di più.
Più ti esprimi in qualcosa in cui ti rappresenta, più energia vitale hai a disposizione.
Un altro modo per agire su questo fattore è quello di togliere gli impedimenti al fluire
dell’energia vitale. Dal punto di vista fisico puoi seguire un programma di
detossificazione e fare attività sportiva.
Spesso però le tossine che ostruiscono il fluire dell’energia vitale non sono solo fisiche.
Serve quindi agire su più livelli. Il Respiro Circolare mette in moto una intensa
detossificazione sul piano fisico, emozionale e mentale aumentando notevolmente
l’energia vitale disponibile.
4. Ostacoli
Affrontare gli ostacoli significa rimuovere gli impedimenti alla crescita. Per questo
motivo nel corso Abilità nella vita ci sono una serie di strumenti che hanno questo scopo.
Gli incontri che affrontano gli ostacoli sono concentrati nella prima parte del corso.
I problemi
La tensione e i conflitti
La stanchezza e la malattia
Sbagliare correttamente
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5. Abilità
Tutto il corso Abilità nella vita ha lo scopo di elevare le abilità personali. Lo dice
chiaramente il nome stesso.
La seconda parte del corso però è incentrata in modo particolare su questo aspetto
specifico. Gli incontri che agiscono direttamente sulle abilità sono:
Gli ostacoli non scompaiono, ma cessano di essere un freno perché le abilità personali
hanno una forza maggiore.
Il modo corretto per affrontare ogni ostacolo è dunque dal punto di vista delle abilità
personali. Partendo da un impedimento, ci si ritrova in questo modo con la sua
controparte operativa: l’abilità corrispondente.
Tutto il corso Abilità nella vita agisce con questo principio operativo.
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La tua crescita
Ti ho presentato nei suoi elementi essenziali un semplice modello della crescita
personale orientata al divenire.
Hai un orientamento alla crescita incentrato sul fare, sull’essere o sul divenire?
Qual è l’area su cui potresti intervenire per dare uno slancio alla tua crescita?
Hai bisogno di un aereo più solido?
Oppure ti serve più energia vitale?
Ti serve rimuovere degli impedimenti, oppure hai bisogno di più abilità?
C’è qualche elemento che aggiungeresti a questo semplice modello?
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Il paradigma della comprensione di Silvano Brunelli
[Recensione libro]
essereintegrale.com/paradigma-comprensione-silvano-brunelli
Agostino Famlonga
Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: sono l’isolamento e l’incomprensione.
Con il suo Paradigma della comprensione Brunelli ci presenta, in una affascinante visione,
una prospettiva inedita: la possibilità di invertire il trend dilagante dell’incomprensione e
dell’isolamento.
Dopo aver letto questo libro, non si può restare indifferenti alla questione. Brunelli ci
porta, con il suo stile, a prendere posizione: ad originare un’intenzione di crescita
verso una maggiore comprensione.
Cos’è un paradigma
Un paradigma è un modello di riferimento. È un modello interpretativo della realtà .
Sono le lenti con cui interpretiamo ed entriamo in contatto con ciò che conosciamo.
Questo agisce ad un livello talmente primordiale che generalmente non ne siamo
consapevoli. Agisce silenzioso nel fornirci i riferimenti interpretativi della realtà.
2/8
Watch Video At: https://youtu.be/tHHut-_h_JY
In ogni capitolo il libro ci spinge a riconoscere gli innumerevoli vantaggi derivanti dal
porre la comprensione al primo posto. Quella che istintivamente sembra una perdita
dal punto di vista delle altre spinte umane, si rivela come un grande vantaggio
evolutivo.
La comprensione e la consapevolezza
L’abilità di comprendere è proporzionale all’abilità di essere consapevole. E viceversa.
3/8
Questo assunto, nella sua semplicità e bellezza, è un principio guida del paradigma della
comprensione.
Dal punto di vista logico è un lineare, suona bene, istintivamente appare corretto. Ma
perché è così?
Brunelli ha studiato questo principio nei suoi seminari di ricerca e nell’arco dei suoi 30
anni di carriera ha potuto testarne la sua veridicità e comprenderne le innumerevoli
implicazioni.
Come una lampadina che emana luce, così l’attenzione, originata dalla consapevolezza,
irradia e conosce i mondo.
Tanto quanto comprendi il tuo corpo, la tua mente, le tue emozioni, l’ambiente che ti
circonda, l’altro essere umano, tanto ne sei consapevole.
4/8
La comprensione dell’individuo consapevole
C’è un tipo di comprensione particolare, inedita per molte persone: la comprensione
dell’individuo consapevole.
Come se i raggi luminosi della lampadina tornassero all’origine: invece di andare verso gli
oggetti per conoscerli, tornano alla fonte per conoscere sé stessa.
Quando l’attenzione viene retroflessa verso la sua fonte, si aprono le porte alla
conoscenza diretta di sé, della fonte dell’attenzione. Ovvero dell’individuo consapevole
di essere.
Non è un processo immediato. Affinché questo avvenga serve che l’attenzione sia tenuta
su di sé per un tempo sufficientemente lungo, con intensità e purezza . Serve un
contesto adeguato, come l’Intensivo sull’essere consapevole, studiato appositamente per
accedere a questa conoscenza diretta di sé.
Questa conoscenza si rivela come un vero e proprio salto evolutivo per colui che la
sperimenta e per le sue relazioni.
Quando l’individuo pone l’attenzione dentro si conosce, cioè diviene consapevole del
suo mondo interiore. Questa è una conoscenza soggettiva, completamente diversa da
quella precedente.
Da leggere » Quadranti
6/8
La conoscenza diretta dell’Individuo consapevole ha un’altra natura rispetto alle
precedenti: è soggettivamente assoluta.
Assoluta perché va oltre ogni dualismo: è la piena unione consapevole con sé stessi.
L’individuo, riacquista la sua integrità, va in unione con tutto ciò che percepisce.
I quozienti di comprensione
Brunelli ci accompagna nel prendere consapevolezza, in ogni dimensione esistenziale, di
quanto abbiamo compreso. Ovvero, di quanto siamo consapevoli in quell’area.
L’autoanalisi che è possibile fare leggendo questa parte del libro è utilissima: definisce
un punto di partenza (dove mi trovo ora) e una direzione evolutiva : cosa ho bisogno di
comprendere di più? Come farlo?
Comprensione ambientale
Comprensione biologica (corporea)
Comprensione mentale
Comprensione emozionale
Comprensione dell’Individuo consapevole
Comprensione relazionale
Pur distinte tra di loro, tutte le aree si compenetrano tra di loro. Sono come dei vasi
comunicanti, e la consapevolezza è la sostanza che si travasa da un vaso all’altro.
Originare l’intenzione
7/8
La conoscenza è utile solo quando chi la acquisisce prende posizione.
Questo libro invece all’opposto è vivo e dinamico: lancia un’intenzione che arriva al
cuore del lettore.
Dopo aver visto quanto sia di valore impegnarsi per portare più comprensione nella
propria vita, il saggio conclude con uno slancio verso il prendere posizione.
Con lo stile tipico di Brunelli, i capitoli conclusivi ti portano a definirti: ora che hai
compreso tutte queste implicazioni, chi vuoi essere? Cosa vuoi fare?
Assumi una posizione chiara, consapevole e intenzionale e comunicala agli altri. Poi
agisci di conseguenza con piena responsabilità delle tue intenzioni.
Il primo passo per portare più comprensione e consapevolezza nella tua vita parte
proprio dalla tua intenzione a comprendere.
La scelta è tua.
Sul sito Podresca Edizioni puoi acquistare il libro di Silvano Brunelli – Il paradigma della
comprensione
8/8
Le 3 spunte blu della comunicazione consapevole
essereintegrale.com/3-spunte-blu-comunicazione-consapevole
Agostino Famlonga
Ti permette non solo di ottenere qualcosa chiedendola a qualcun altro. Questo è solo
uno dei suoi possibili impieghi.
Ma questo non è un risultato automatico. Puoi parlare per ore e non aver fatto un
singolo passo di crescita in consapevolezza.
Per rendere la comunicazione uno strumento evolutivo serve che sia comunicazione
consapevole.
Cos’è la comunicazione
La comunicazione è la trasmissione di un’informazione da un punto ad un altro . Ad
esempio: il mio pc comunica con il tuo pc tramite una rete di trasmissione dati.
1/8
Nella comunicazione umana il punto di origine della comunicazione è l’individualità
consapevole. E così anche il punto di arrivo. Due (o più) individui consapevoli si
scambiano informazioni tramite un canale. Un mezzo di comunicazione.
Il mezzo con cui comunico può essere la voce, tramite le parole che dico. Può essere un
testo come questo che sto scrivendo e che tu stai leggendo. Può essere una mia
espressione facciale, muta, ma che ti informa di qualcosa. Ti trasmette cioè delle
informazioni.
Prerequisito allo scambio di informazioni è che ci sia un codice condiviso che permetta
ad entrambi di comprendere.
Se apro una pagina web scritta in arabo vedo sullo schermo dei segni strani ma non
comprendo quello che stanno cercando di comunicare. La comunicazione è interrotta,
perché non ho il codice per decifrare il messaggio. In questo esempio il codice è la
lingua. Ma non è l’unico codice, ce ne potrebbero essere altri.
Così come con l’arte. Anche tramite l’arte comunichiamo qualcosa. Sarà una
comunicazione sempre meno definita perché apre a una marea di interpretazioni
soggettive da parte di chi guarda.
Paul Watzlawick
2/8
Con-sapevole: quel con sta a significare che lo sappiamo assieme, io con te.
Nell’etimologia della parola consapevolezza è racchiusa questa sfumatura che spesso
resta celata.
Quando sai qualcosa sei “sapevole,” cioè “lo sai”. Per rendere questa cosa consapevole
devo condividerla con qualcuno che la comprenda. Ne diventi in questo modo con-
sapevole. “Sapevole” assieme a qualcun altro.
Quando sai qualcosa hai “sapevolezza” di quello che conosci. Per renderlo con-sapevole
devi condividerlo con qualcuno che lo comprenda.Agostino Famlonga
Agostino Famlonga
Per far sì che questo avvenga serve che ci sia comprensione reciproca rispetto a quello
che è comunicato. E per creare comprensione reciproca serve portare attenzione
consapevole al processo comunicativo, per guidarlo fino all’avvenuta comprensione.
Le spunte blu
Per comprendere come avviene lo scambio di informazioni e la comprensione è utile
scomporre il processo comunicativo nei suoi passaggi fondamentali.
In un weekend di formazione del percorso di crescita Abilità nella vita, che tratta appunto
Il potere della comunicazione , simpaticamente un partecipante ha detto “ci vorrebbe la
terza spunta blu”. E proprio da questa sua idea è nato l’articolo che stai leggendo.
Chiaramente le spunte blu sono le notifiche delle app di messaggistica istantanea che
ci informano a che punto è il processo dello scambio di informazioni. Le usiamo
quotidianamente e sappiamo bene cosa significhino.
Bene, ora prendiamo questo modello comunicativo e usiamolo come modello per
studiare la comunicazione umana.
Quando comunichi porta l’attenzione ai vari passaggi seguendo i principi delle spunte
e rendi in questo modo la comunicazione consapevole.
3/8
Il modello è universale: può essere applicato a qualsiasi forma di comunicazione. Per
semplificare farò riferimento alla comunicazione verbale.
Non necessariamente lo scopo della comunicazione deve essere qualcosa che voglio
ottenere dall’altro. La comunicazione potrebbe semplicemente servire ad esprimermi, a
conoscere l’altro, a fare chiarezza su ciò che è vero per me, o ancora per pulire un
contenuto mentale sospeso. L’importante è definire cosa voglio dire e chiarirmi il
perché voglio dirlo.
Esiste un’intenzione che ingloba al suo interno tutte le altre possibili intenzioni:
l’intenzione di creare comprensione reciproca. Questa è il punto di arrivo della
comunicazione consapevole. Come fine ultimo, questa intenzione deve essere veicolata
in ogni passaggio del processo.
Spesso ho sentito dire: “io gliel’ho detto, se vuol capire… capisce“. In una affermazione di
questo tipo c’è una delega della responsabilità all’altro. È un errore.
Se ti comprendo in qualche modo non sono più quello di prima, e questo spesso viene
visto come un pericolo. Sembra pericoloso quando ci si aggrappa ad un senso di sé
statico, rigido, immutabile. L’altro rimane esterno a me ed è bene che sia così. Lasciarlo
entrare è una minaccia, perché minaccia di cambiare chi sono.
Per questo motivo è giusto riconoscere la libertà di scelta dell’altro, che è libero
di comprenderti o meno.
La comprensione non può essere forzata, è un dono di sé che l’altro ti sta facendo.
6/8
La terza spunta blu: sono stato compreso
Se il messaggio che ho trasmesso è stato compreso dall’altro, ma io non ne sono
consapevole, dentro di me resta un ciclo aperto. (In realtà resta aperto in tutti e due.)
Questo passaggio di chiusura del ciclo della comunicazione può essere facilitato da ambo
le parti.
Se stai ascoltando puoi impegnarti attivamente nel dare un feedback a chi ti comunica.
Un cenno del capo o un semplice “ho compreso.” Questo può essere sufficiente.
Come allo stesso modo senti quando non sei stato compreso.
Quando vieni compreso c’è una transizione dentro di te. L’informazione viene integrata.
C’è un cambiamento interiore, e lo senti.
Ti senti diverso.
E lo sei davvero.
7/8
Come applicare questi principi
Ognuno di noi ha appreso, durante la sua crescita, come comunicare con gli altri.
La conoscenza teorica è certamente utile, ma passare dalla teoria alla pratica è quello
che davvero evolve la persona e si tramuta in benessere, efficacia personale e relazioni
più profonde.
Per questo un intero weekend del corso Abilità nella vita è dedicato al potere
della comunicazione.
Entrambi gli strumenti sono in grado di elevare in modo incredibile l’abilità individuale di
comunicare in modo consapevole.
Bibliografia
8/8
Cambiare è più naturale di quel che credi
essereintegrale.com/cambiare-naturale-studio-70-anni
Agostino Famlonga
Quante volte ho sentito queste due frasi: “gli uomini non cambiano mai” e “sono fatto
così”.
In realtà i risultati della loro ricerca hanno smentito clamorosamente la loro ipotesi. Non
c’è correlazione tra i dati iniziali e quelli verificati dopo 63 anni.
1/6
Come se avessero testato persone diverse. In realtà le persone sono le stesse, ma la loro
personalità è cambiata drasticamente con il corso degli anni.
1. Estroversione
2. Amicalità
3. Coscienziosità
4. Stabilità emotiva
5. Apertura mentale
Questi sono veri e propri tratti della personalità. Una persona può essere più o meno
estroversa. Può avere un’apertura mentale più o meno spiccata, e così via per ogni tratto.
Attraverso il test questo diviene evidente e quantificabile in modo piuttosto preciso. I
risultati statistici di controllo nel corso degli anni hanno evidenziato l’alta affidabilità di
questo test. Esistono moltissimi modelli, diversi tra di loro, con i relativi test di misura.
Ogni modello analizza dei tratti di personalità specifici.
La personalità si struttura in modo unico per ognuno di noi. I test di personalità rendono
evidente e quantificabile questa struttura. Un cambiamento nella personalità si riflette
nel cambiamento dei fattori nei tratti testati. In questo modo è possibile monitorare il
cambiamento nel tempo della personalità della persona.
È proprio quello che hanno fatto i ricercatori della University of Edinburgh nel loro
studio di 63 anni, utilizzando un modello a 6 fattori, testando i seguenti tratti:
1. Sicurezza di sé
2. Perseveranza
3. Stabilità dell’umore
4. Coscienziosità
5. Originalità
6. Desiderio di eccellere
[Per approfondire i tratti della personalità leggi il modulo Tipi del Sistema Operativo non-
duale.]
2/6
La ricerca ha dimostrato che i sei tratti testati non mostrano correlazione tra i valori
rilevati a 14 anni e quelli resi evidenti a 77 anni. L’unico fattore che ha mantenuto
una certa stabilità è la stabilità dell’umore, analizzandolo però con un modello di ricerca
più complesso. Gli altri tratti erano completamente diversi tra di loro.
Le 174 persone che hanno partecipato allo studio erano completamente diverse nei loro
tratti di personalità a 77 anni rispetto a quando ne avevano 14.
[Se sei interessato ad un’analisi più approfondita dello studio clicca sul link all’articolo
originale che trovi in bibliografia.]
Cambiare è naturale
Questo studio dimostra che il cambiamento avviene in modo più naturale di quello
che si pensi.
La frase “sono fatto così” si rivela per quel che è: un pregiudizio su di sé. È un
pregiudizio perché le sue basi sono infondate.
Questo articolo vuole essere uno spunto a lasciare andare le giustificazioni e i guadagni.
A prendere una posizione diversa:
3/6
Il cambiamento intenzionale e consapevole
Vedo subito un’obiezione: “sì, cambiare sarà anche possibile e naturale, ma per cambiare sé
stessi serve una vita intera.” Lo studio che ti ho proposto infatti affronta un lasso di tempo
di ben 63 anni.
È necessario coinvolgersi con le esperienze della vita, lasciarsi toccare da esse mettendo
in discussione le proprie credenze ed acquisendo nuove prospettive. Questo significa
crescere, maturare, diventare più saggi e apprendere dall’esperienza. Questa è la via
spontanea, che ognuno di noi è chiamato a compiere semplicemente vivendo la propria
vita.
Questo processo, fatto con gli strumenti idonei, è un acceleratore del cambiamento. I
cambiamenti che in modo spontaneo avvengono in una vita intera, possono in questo
modo avvenire in un arco temporale molto più breve di quel che si pensi.
L’ordine dei tre fattori non è casuale. Se non so chi sono, dove sono e come sono non
posso originare un’autentica decisione di cambiamento. Posso farlo ma questa scelta
poggerà su basi instabili perché non consapevoli.
Chi sono, cosa sono e perché sono: ecco i tre vettori che determinano la spinta alla
crescita intenzionale e consapevole.
Non cambio per diventare chi vorrei essere, o chi mi piacerebbe essere. Il cambiamento
origina dal sapere chi sono, ora. Il cambiamento è quella transizione che mi permette
di portare chi sono nella vita.
È il movimento spontaneo verso la vita che origina dal sapere chi sono .
Il mezzo che traduce la teoria della crescita in risultati di vita sono le abilità umane.
5/6
Esiste un percorso di crescita dove tutto quello che abbiamo toccato sinteticamente in
questo articolo viene coniugato con maestria per dare alla persona gli strumenti per
elevare la qualità della vita, per mettere in moto il cambiamento intenzionale e
consapevole partendo dalla consapevolezza di sé, rispettando la libertà di scelta
individuale e veicolando il sostegno reciproco. Questo corso innovativo si chiama
ABILITÀ NELLA VITA.
Bibliografia
Mathew A. Harris, Caroline E. Brett, Wendy Johnson and Ian J. Deary – “Personality Stability
From Age 14 to Age 77 Years”
Photo credit
6/6
L’Ipnopompico [Rubrica Stati di Coscienza]
essereintegrale.com/ipnopompico
Agostino Famlonga
Il risveglio
La sveglia suona, e interrompe il tuo dolce stato di sonno. Ti svegli e ti alzi dal letto, con
una mente e una consapevolezza più o meno rallentata, in uno stato di transizione che
può essere a volte impegnativo.
Per qualcuno uscire dal letto e attivarsi è difficile, per altri invece è più semplice, perché
hanno un processo di risveglio più veloce e sentono meno gli effetti di questa
transizione. In entrambi i casi, quello della sveglia “artificiale” è un rituale ormai
comune per l’uomo moderno.
I ricercatori (e anche l’intuito) ci dicono che l’abitudine di usare una sveglia per
interrompere il sonno, è segno che il sonno non è stato sufficiente.
Un tempo residuo di sonno di cui avremmo bisogno, ma che non viene soddisfatto.
Più è alto il debito, più è difficile la transizione da uno stato all’altro. Non è questo
comunque l’unico elemento che incorre nel determinare la pesantezza o la leggerezza
del risveglio.
Se, invece di alzarti immediatamente dal letto e forzarti nel dare un risveglio accelerato al
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tuo corpo e alla tua mente, restassi semplicemente in osservazione del tuo stato
interiore, potresti conoscere le caratteristiche di questo stato di coscienza di
transizione: l’ipnopompico.
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L’origine etimologica del termine sta a significare proprio questo: ipno (sonno) + pompē
(che porta via).
Nel corso della storia dell’uomo questo stato di coscienza è stato associato alla sua
controparte speculare, la transizione verso l’addormentamento (definita stato
ipnagogico). Si è sempre ritenuto che fossero simili quindi sono stati associati.
Qual è la differenza?
Nello stato ipnagogico possiamo assistere in diretta alla formazione delle immagini
oniriche, nelle 4 fasi che abbiamo visto nel precedente articolo.
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Le 4 fasi dello stato di coscienza ipnagogico
Da questo punto di vista lo stato ipnagogico assomiglia di più allo stato della Vigilia più
che allo stato ipnagogico.
Non solo il corpo “si accende”, anche la mente e la consapevolezza hanno i loro tempi di
transizione verso lo stato di veglia. In questo passaggio si verifica una condizione
“ibrida”, tipica dello stato ipnopompico.
una condizione in cui gli elementi della percezione della realtà fisica si sommano a
modelli mentali tipici del sogno.
Anche a livello fisiologico, avendo una condizione di sfasamento tra l’attivazione fisica e
quella mentale, può verificarsi una condizione in cui la consapevolezza si “sveglia”
prima della fisiologia del corpo, manifestando una condizione ibrida che può
caratterizzare l’ipnopompico: può accadere infatti di sperimentare coscientemente la
paralisi del sonno.
Il corpo durante il sonno REM innesca un processo inibitorio che immobilizza i muscoli,
allo scopo di permettere l’elaborazione del sogno senza che questa si traduca in
movimenti fisici reali.
Se il risveglio coincide con questa fase del sonno, può essere facilmente sperimentata la
condizione in cui, pur avendo l’intenzione di muoversi, questa non riceva risposta dal
corpo.
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È una condizione che generalmente passa nell’arco di pochi minuti. Per qualcuno
rappresenta una situazione spiacevole, perché percepire di non avere accesso
volontario al movimento intenzionale del proprio corpo è vissuto come terrifico.
La sovrapposizione tra queste due condizioni, il sogno e la veglia, può inoltre dare luogo
a dei fenomeni allucinatori definiti allucinazioni ipnopompiche.
Proprio perché sperimentate in una condizione ibrida, le percezioni dello stato di sogno,
mescolate alla percezione della condizione di veglia in fase di avviamento, possono
facilmente venire scambiate per veritiere e reali.
Nel corso della storia dell’uomo questi eventi sono stati interpretati in svariati modi.
Hanno dato origine a una variegata serie di miti e di leggende.
Confusione cognitiva
Generalmente al risveglio ci sentiamo rallentati, sia nella funzione del pensare che
nell’articolare i movimenti.
La sua causa fisiologica è che quella parte del cervello necessaria per compiere le azioni
intenzionali e i ragionamenti consapevoli impiega normalmente circa 20′ ad attivarsi
completamente e a connettere il suo funzionamento con quello delle altre aree
cerebrali.
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La corteccia prefrontale
Lo stato che si genera in questa transizione è simile a quello che può svilupparsi da un
eccesso di consumo di alcool. La sua durata può variare da 1 minuto fino anche a 2
ore nei casi estremi.
Perché ci svegliamo?
Un risveglio artificiale è guidato da dei criteri non fisiologici , quindi non rispetta i
bisogni del nostro corpo e alla lunga va a incrementare il debito di sonno, che può
diventare cronico se non si provvede a riportare periodicamente a zero questo debito.
Il risveglio naturale invece è la risultante della somma di due processi opponenti che
interagiscono tra di loro per determinare lo stato di attivazione fisiologica e cognitiva.
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Il primo processo è il debito di sonno, che pesa da un lato della bilancia per determinare
la spinta a dormire.
Due ore prima del risveglio il livello di cortisolo in circolo aumenta e una parte del tronco
encefalico del cervello, chiamata Sistema Attivatore Ascendente inizia a secernere dei
neurotrasmettitori che vanno ad attivare le aree superiori.
Questo processo pesa dall’altro lato della bilancia per spostare la risultante verso il
risveglio.
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È la sommatoria di queste due spinte a determinare se la persona, alla fine di un ciclo di
sonno di 1 ora e mezza, si sveglierà oppure continuerà a dormire.
Se accade in questa fase, la transizione è più veloce e più “morbida”, perché asseconda la
nostra fisiologia.
Se invece ci svegliamo con la sveglia e questa suona quando ci troviamo in uno stato di
sonno profondo, il passaggio allo stato di veglia sarà molto più rallentato e
impegnativo.
Vediamo quindi come poter unire questo bisogno fisiologico con l’esigenza moderna di
svegliarsi ad orari prefissati.
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Svegliarsi meglio
Abbiamo compreso che la condizione di risveglio ottimale sarebbe quella di non
delegare ad una sveglia il momento del risveglio, e lasciare che i processi opponenti
svolgano la loro funzione in modo ottimale così da avere un debito di sonno ridotto al
minimo.
Per molti questa condizione è un lusso che si possono permettere solo in vacanza o nei
weekend.
Abbiamo compreso anche che un risveglio artificiale in uno stadio del sonno profondo è
ancora più innaturale di un risveglio in una fase del sonno leggero.
Il minore dei mali, in caso di un risveglio artificiale, è rappresentato da una sveglia che
suona nel momento giusto, cioè nel momento in cui c’è il sonno più leggero, alla fine di
un ciclo di sonno REM.
Fare coincidere il momento di risveglio con la fine del sonno REM può alleggerire la
sveglia, velocizzare il processo di transizione e permettere di utilizzare al meglio questo
stato di coscienza (come vedremo tra un attimo).
Recentemente sono state create varie applicazioni di sveglia progettate proprio a questo
scopo. Hanno la funzione di rilevare lo stato di sonno in cui ti trovi, e di scegliere
autonomamente di spostare il momento della sveglia più avanti o più indietro,
chiaramente entro un intervallo di tempo limitato da te.
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Paradossalmente per un risveglio più dolce potrebbe essere meglio svegliarsi 20 minuti
prima dell’orario impostato nella sveglia, se quest’ultimo coincide con un periodo di
sonno profondo.
Le applicazioni fanno esattamente questo: rilevano la fase del sonno in cui ti trovi e
scelgono quando svegliarti, per farti dormire il più a lungo possibile e per agevolarti
nella transizione verso la veglia.
Ti segnalo alcune di queste applicazioni, sapendo che ce ne sono molte altre di valide.
Per android: Sleep Cycle alarm clock – Sleep as Android – Ciclo del Sonno Sveglia –
Svegliarsi in questo modo permette di poter interagire con questo stato di coscienza in
modo ottimale.
Lo stato di transizione tra il sonno e la veglia può essere usato, all’interno di un percorso
si consapevolezza, in tre modi.
Se ti svegli e ti alzi immediatamente dal letto, facilmente il ricordo del sogno fatto
svanisce nell’oblio.
Se invece resti immobile e porti l’attenzione al sogno che hai appena fatto, o che si sta
sfaldando in diretta davanti agli occhi della tua mente, puoi ricordarlo di più e integrarne
il suo messaggio in modo più consapevole.
Un altro modo di usare questo stato è quello di utilizzarlo per ritornare nel mondo
onirico, facilitando in questo modo il sogno lucido
Esistono delle tecniche apposite che permettono di scivolare nel sogno lucido da una
condizione di veglia. Nel caso di risveglio dunque è possibile, restando vigili, scivolare da
una condizione ipnopompica direttamente ad una ipnagogica, in transizione verso il
sogno lucido.
Questo passaggio è più facile se avviene nelle ultime fasi del sonno , quando i tempi
che intercorrono tra una fase REM e l’altra sono più ravvicinati.
Per spiegarti questo prendiamo come schema di riferimento la progressione che trovi
nell’e-book “Gli stadi della meditazione” qui sotto.
Come puoi vedere dallo schema lo stato ipnopompico opera nella fase di transizione
tra pensiero e percezione.
Lo stato ipnagogico mette a nudo il processo di costruzione dei modelli mentali del sogno
e della veglia e della loro interazione nella costruzione della realtà percepita
soggettivamente.
Più riesci ad osservare queste transizioni, sia in un verso (ipnagogico) che nell’altro
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(ipnopompico), più inneschi il processo di smantellamento spostando il baricentro della
consapevolezza nello stadio seguente nella progressione tra gli stadi degli stati di
coscienza.
Per un approfondimento di questi passaggi ti rimando all’e-book gratuito Gli stadi della
meditazione (se non l’hai ancora scaricato lo trovi qui LINK)
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I Sogni Lucidi [Rubrica Stati di coscienza]
essereintegrale.com/sogno-lucido
Agostino Famlonga
Questo principio è valido per molte aree, non solo per quando si fa l’amore per la prima
volta.
Nel mio caso, è certamente valido anche per il mio primo sogno lucido.
Sono passati già una dozzina d’anni, eppure il ricordo è indelebile e mi ha ispirato nel
tempo ad esplorare il mondo affascinante dei sogni lucidi.
[ Questo articolo fa parte della rubrica sugli Stati di coscienza. Se non l’hai ancora letta, qui
trovi l’introduzione alla rubrica. ]
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Ma ai tempi ho usato questo dispositivo, per cui te lo descrivo per completezza di
informazione (e non come consiglio). Ce ne sono varie marche, lo cito semplicemente
perché è quello che avevo.
Questo apparecchio è una mascherina da indossare la notte, dotata dei sensori che
rilevano i tuoi movimenti oculari.
Nel sonno REM gli occhi si muovono rapidamente, e un sensore elettronico su questa
mascherina è in grado di rivelare questi movimenti.
Oltre a questo, sul dispositivo ci sono dei led luminosi, in corrispondenza degli occhi.
Il sensore rileva tramite i tuoi movimenti oculari quando stai sognando, e emette tramite
dei led dei segnali luminosi.
Le prime volte è stato davvero complicato: o la luce era troppo intensa e mi svegliavo,
oppure era troppo bassa e non succedeva nulla.
Finché un giorno ho centrato la miscela perfetta degli ingredienti, e ho avuto il mio primo
sogno lucido.
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Il mio primo sogno lucido
Ricordo che nel sogno ero dentro un grattacielo, e stavo visitando i vari piani assieme ad
un mio amico.
Salendo di piano in piano sono giunto in un grosso locale vuoto, con tutte le vetrate che
lasciavano vedere un bellissimo panorama su una città.
Mi sono fermato incantato a osservare questo panorama quando, con mio grande
stupore, ho visto un flash rosso.
Restai allibito e mi girai verso il mio compagno di sogno, che con uno sguardo confermò
la mia intuizione.
Allora, guardandomi in giro, in quel piano immenso e vuoto del grattacielo, vidi tutto con
occhi nuovi.
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Con gioia estrema mi girai verso la vetrata, incantato ad osservare quello che vedevo.
E poi, senza nemmeno pensarci, feci un gesto con la mano sulla vetrata. Come quando
tenti di pulire la condensa su un vetro appannato per vederci attraverso.
Non stavo più vedendo il profilo di una città, ma ora ero davanti al Canal Grande di
Venezia al tramonto, con una sfumatura di evanescenza che rendeva il tutto
meraviglioso.
La cosa incredibile è che l’avevo creato io, intenzionalmente, con quel gesto.
Non avevo pensato razionalmente “ora creo il panorama del Canal Grande”, ma tutto è
accaduto in modo istantaneo, immediato.
L’intenzione è diventata, in tempo reale, qualcosa, cioè proprio quella cosa che volevo.
“È incredibile”, mi dissi.
Anche la vetrata era sparita. Mi sono poi messo a volteggiare sul canale sospeso a
mezz’aria esplorando questo mondo di sogno.
A causa di questa loro condizione effimera il mio rapporto con i sogni lucidi è stato, per
i primi tempi, un approccio di odio-amore.
Da un lato li bramavo, dall’altro mi rovinavano il sonno con dei risvegli continui nei miei
vari esperimenti notturni.
Per imparare ad avere sogni lucidi serve tanta pazienza e tanta tolleranza alla
frustrazione.
Però certo ne vale la pena: il sogno lucido è una porta di accesso a stati di coscienza
molto profondi.
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Dopo vari esperimenti ho abbandonato i dispositivi elettronici e mi sono dedicato alle
classiche tecniche per il sogno lucido (le vedremo più avanti) e il rapporto è decisamente
cambiato.
La cosa che ha permesso di fare amicizia con questo stato di coscienza, sicuramente è
stata l’avere incluso il sogno lucido all’interno di un contesto più ampio.
Ma andiamo per gradi. Cominciamo il ponendoci la domanda: che cos’è un sogno lucido?
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I sogni lucidi
Quando stai sognando e ti rendi conto di stare sognando, stai avendo un sogno lucido.
Non quando ti svegli e ti ricordi il sogno che hai fatto, ma quando sei “sveglio”
all’interno del sogno.
Nel sogno lucido invece l’auto-coscienza è presente in modo simile allo stato di veglia,
solo che il mondo con cui entra in contatto è quello onirico, non quello fisico.
Il mondo dei sogni è fatto della materia dei sogni, e non è limitato dalle leggi della fisica,
ma è aperto alla pura e infinita potenzialità della fantasia.
Questo rende il mondo dei sogni lucidi un territorio di grande fascino per chi decide di
esplorarlo consapevolmente.
La premessa a tutto quello che leggerai in questo articolo è che i sogni lucidi non sono
condizioni alterate di coscienza. Fanno parte del repertorio naturale degli stati di
coscienza dell’uomo.
I sogni lucidi infatti possono accadere naturalmente: dal 20-80% dei sogni lucidi
riportati dalle persone accadono in modo spontaneo, sebbene la loro manifestazione in
modo continuativo spontaneo sia piuttosto rara.
Inoltre la storia dei sogni lucidi è antichissima, segno che questo stato di coscienza
accompagna l’essere umano fin dagli albori del suo sviluppo.
Il primo a parlarne (in occidente) è nientemeno che Aristotele, che cita così:
“Spesso quando si dorme, accade qualcosa alla coscienza e questo manifesta come ciò che si
ha davanti agli occhi altro non è che un sogno.”
[ Aristotele ]
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Così come l’aeronautica è la scienza che studia il volo, l’onironautica è la scienza che
studia il sogno (oniro = sogno) e come svegliarsi all’interno di questo stato di coscienza.
Hai un ricordo chiaro di ciò che hai sognato, ma ti trovi nettamente nello stato di veglia.
Vivido non vuol dire lucido, sebbene la maggior parte dei sogni lucidi sia anche molto
vivida.
Questi due stati si chiamano ipnagogico (tra la veglia e il sonno) e ipnopompico (tra il
sonno e la veglia). Sono condizioni di confine, molto diversi rispetto al sogno lucido, che
accade completamente dentro lo stato di sogno.
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Che cosa sono i sogni lucidi
Un sogno lucido è un sogno in cui tu sei consapevole del fatto che quello che stai
vivendo è un sogno.
A volte c’è un ricordo di quello che è accaduto durante la notte di sonno, a volte il
ricordo svanisce e resta un black-out, un’interruzione nella vita della persona.
Così come al mattino ti svegli e prendi contatto con il tuo corpo, con la tua stanza da letto
e l’ambiente circostante, in un sogno lucido ti “svegli” e prendi contatto con il mondo
onirico, con tutte le sue bizzarrie.
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Sei consapevole di te all’interno del sogno, e sai che quello che stai vivendo è un sogno.
Nel sogno ordinario il sognatore si percepisce contenuto nel sogno. Nel sogno lucido il
sognatore è consapevole di essere un contenitore, e di contenere i contenuti del sogno.
Essendo un’abilità dell’essere umano, mantenersi consapevoli all’interno del sogno non
ha la caratteristica tutto-niente.
Si tratta di un continuum del grado di consapevolezza che si può avere nel sogno lucido.
1- Prelucidità
Sei in una condizione di prelucidità quando, all’interno del sogno, inizi ad accorgerti
delle anomalie del mondo onirico, mettendo in discussione quello che stai vivendo.
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Come vedremo questa abilità indagatrice è un prerequisito per risvegliarsi all’interno del
sogno.
2- Semilucidità
In questo stadio mentre stai sognando hai dei momenti in cui diventi consapevole di te e
del sogno, ma sono intermittenti.
La consapevolezza si risveglia per un po’, ma poi viene nuovamente distratta e rapita dal
sogno.
3- Piena lucidità
È lo stato di piena consapevolezza nel sogno: sei in grado di pensare lucidamente e di
interagire intenzionalmente con lo scenario onirico e con i suoi personaggi.
4- Superlucidità
Il termine è stato coniato da Robert Waggoner ed Ed Kellogg (due ricercatori onironauti) e
descrive la condizione in cui l’individuo interagisce consapevolmente e intenzionalmente
con il sogno, come nello stadio precedente, ma in aggiunta a questo è al contempo
consapevole che la realtà del sogno è una pura costruzione mentale.
Nello stadio di piena lucidità si interagisce con la realtà del sogno come se fosse la realtà
fisica dello stato di veglia.
Nella superlucidità in questa interazione sei anche consapevole che tutto quello che stai
vivendo è un sogno creato dalla mente.
Nel sogno ti trovi davanti a una porta. Nella condizione di superlucidità, sai che sei in un
sogno, che la porta è una rappresentazione mentale, e la apri per vedere cosa c’è
dall’altra parte. La apri come se fosse una vera porta, sebbene tu sei consapevole di
essere all’interno del sogno.
Nella superlucidità di fronte a quella porta sei consapevole di come la mente crea la
porta che stai vedendo. Sei consapevole dei processi che portano la porta ad essere lì
davanti a te, e quindi puoi interagire con questi e cambiare lo scenario.
Puoi, volendo, passare attraverso la porta senza aprirla, ad esempio. Oppure puoi farla
sparire.
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Insomma, puoi interagire con il mondo onirico in modo plastico, modellandolo con
l’intenzione, perché padroneggi i processi che lo sorreggono.
Ciò non toglie che, in modo imprevedibile, una persona possa saltare temporaneamente
dalla condizione di prelucidità a quella di superlucidità, magari per un solo sogno.
Questi “salti” sono occasionali e imprevedibili, come è stato per me nel mio primo
sogno lucido che ho descritto nell’introduzione.
Il primo stadio è quello in cui ti rendi conto che durante il sogno ci sono delle anomalie
rispetto allo stadio di veglia.
La capacità di mettere in discussione ciò che stai vivendo durante il sogno è un’abilità
che sviluppi durante la veglia.
Test di realtà
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Nello stato di veglia sei in contatto con la realtà fisica, che sottostà (perlomeno a livello
macroscopico) alle leggi di causa effetto e ha una continuità temporale .
Nel sogno ci sono delle anomalie rispetto a questi comportamenti lineari e continui.
Essendo una pura costruzione mentale, il mondo onirico non ha leggi fisiche che lo
vincolano, e anche può essere discontinuo.
Ecco allora che abituarsi, da svegli, a portare l’attenzione a certi elementi, “installa”
l’atteggiamento mentale e l’abitudine di fare queste verifiche anche nel sogno,
riconoscendone le anomalie.
Sono dei test per svelare se quello che stai vivendo è all’interno di un sogno o se sei
sveglio e stai interagendo con il mondo fisico.
L’abitudine di fare “test di realtà” va praticata durante il giorno, mentre sei sveglio.
All’inizio sembra una cosa sciocca da fare. La risposta è scontata: “è ovvio che sono
sveglio”… questa è la prima risposta che viene automatica.
Serve però abituarsi a porsi la domanda più volte durante il giorno, per installare
l’abitudine e l’atteggiamento indagatore. Ti troverai durante il sogno ad accorgerti che la
risposta non è più così scontata, innescando la lucidità.
Se prendi l’abitudine di chiederti, ogni volta che passi una porta, “sto forse sognando?”, e
di verificare il risultato, questa abitudine viene facilmente trasferita nel sogno.
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Le anomalie del sogno
Ci sono alcuni elementi in particolare che si dimostrano utili per rilevare le anomalie nei i
test di realtà.
Vediamone alcuni.
Strumenti meccanici
Nel sogno tutto quello che è meccanico non segue i principi lineari della meccanica. A
volte vanno a volte no. A volte hanno comportamenti bizzarri e buffi.
(Per questo motivo i dispositivi per indurre i sogni lucidi come il NovaDreamer o il
REMDreamer hanno un pulsate che emette un segnale, serve proprio a fare un Test di
Realtà).
Lettura
Anche la lettura è inaffidabile. Leggi una frase e tornando indietro a leggerla ti accorgi
che è cambiata.
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Mano ferma
Se nel sogno osservi la tua mano, ti accorgerai che farai fatica a mantenerla ferma.
Inizierà a tremare o ad assumere forme strane (con delle dita in più o in meno, oppure si
ingrandisce…).
Saltare
La gravità nel sogno assume caratteristiche bizzarre. Saltando in un sogno lucido ci si
trova facilmente a fluttuare, invece di ricadere come accadrebbe normalmente.
Ce ne sono molti altri, ma questi sono i più semplici e immediati da praticare per testare
la realtà che stai percependo e per svelare le anomalie.
Più sei consapevole durante la veglia, più probabilità hai di risvegliarti all’interno del
sogno.
Fare i test di realtà vuol dire mantenere l’attenzione vigile e rivolta all’indagine.
Il terzo modo in cui agiscono positivamente i test di realtà è che aumentano la capacità
della memoria prospettica.
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La memoria prospettica è quel processo mentale per il quale ricordiamo l’intenzione di
fare qualcosa in futuro.
Come quando dici a te stesso “quando passo davanti al bancomat devo ricordarmi di
prelevare” e tieni a mente quest’intenzione. Crei un’associazione mentale tra due eventi e
la mantieni in quell’area della memoria che, quando si verifica l’evento specifico, viene
attivata.
Allo stesso modo, se ogni volta che passi una porta ti abitui a fare un test di realtà,
questo verrà fatto anche quando nel sogno passerai attraverso una porta, aumentando
la probabilità di riconoscimento del sogno.
Nel sogno lucido hai modo di indagare i tuoi schemi mentali e sciogliere così le tue
credenze limitanti e invalidanti.
Imparando a dirigere intenzionalmente gli eventi nel sogno hai modo di modificare
questi schemi, e di imparare così a riconoscerli e modificarli anche durate la veglia.
Non è un punto di arrivo, è ancora uno step intermedio nella progressione, e lo vedremo
in seguito.
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Il sogno lucido tira fuori il filosofo che c’è in ognuno di noi.
Diviene evidente che quello di cui è fatto il mondo onirico ha degli elementi in comune
a quello che “costruisce” la tua esperienza del mondo da svegli.
Citando il pioniere negli studi sul sogno lucido, Stephen La Berge, possiamo dire che il
sogno è un tipo di percezione non limitato dai dati sensoriali.
Ovvero, quello che percepisci nel sogno è costituito da formazioni mentali, schemi e
associazioni.
I due stati sono equivalenti: dal punto di vista soggettivo tutto quello che percepisci – da
sveglio o in sogno – è una costruzione del tuo sistema nervoso. Cambiano solo le
modalità e i dati che vengono elaborati.
Durante lo stato di veglia, quello che vivi soggettivamente è una miscela tra
l’elaborazione dei dati sensoriali in ingresso e i tuoi schemi mentali associati agli
stimoli, e delle tue aspettative o ricordi.
Per schemi mentali si intendono assunzioni ben radicate su un evento, un oggetto o una
situazione.
Facciamo un esempio: se da sveglio stai osservando una mela, hai dei dati visivi in
ingresso nel tuo canale visivo, anche olfattivo se la annusi, tattile se la tocchi, e via
dicendo.
Chi studia questi processi chiama le due vie di elaborazione bottom-up (quella dei dati
sensoriali) e top-down (quella degli schemi mentali, delle associazioni e dei ricordi).
Quello che accade è che in questa elaborazione soggettiva il canale delle elaborazioni
mentali di solito non viene riconosciuto, viene scambiato per qualcosa di reale, viene
reificato (termine tecnico che significa “preso per vero”).
Mi spiego con un altro esempio, semplificando al massimo gli elementi in gioco (in realtà
le cose sono più complesse di così, ma mi interessa che tu comprenda il principio alla
base).
Supponiamo che una donna abbia subito una violenza da un uomo con la barba rossa.
Facilmente in lei resterà uno schema mentale che associa i capelli e la barba rossa di un
uomo ad una condizione di pericolo.
Le volte successive che incontrerà un uomo con la barba rossa sarà portata a starsene
alla larga, senza nemmeno sapere il perché. Addirittura potrebbe avere completamente
dimenticato il ricordo della violenza, ma questo schema memorizzato agirà sulla sua
percezione soggettiva sommando la barba rossa che sta vedendo in un uomo alla sua
associazione e allo schema mentale.
L’uomo che ha davanti magari è la persona più mansueta di questo mondo, ma lei lo
percepisce come minaccioso, senza nemmeno sapere perché.
E questa percezione, per lei che la vive, è assolutamente reale, tanto quanto la barba
rossa che sta vedendo.
Penso che sia chiaro come è importante svelare questo meccanismo e divenirne
consapevoli.
E il sogno lucido è una metodo incredibilmente efficace per smascherare questi schemi.
Perché?
Perché nel sogno lucido quello che vivi non è vincolato dai dati sensoriali, e tutto quello
che percepisci è guidato proprio da questi schemi.
Con il sogno lucido metti in atto un vero e proprio lavoro di de-costruzione dei processi
descritti sopra.
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Distinguerle consapevolmente ti consente di essere in contatto con il qui ed ora in
quello che stai vivendo, di rompere i condizionamenti mentali in tempo reale, proprio
mentre agiscono e quindi di essere libero di scegliere in base alla situazione reale.
Tutto questo non è fine a sé stesso. È uno step intermedio. Ha uno scopo ancora più
ampio.
Per questo ho scritto che è una tappa intermedia. Ancora, oltre lo stato di sogno, c’è uno
stadio da attraversare, che è quello del sonno senza sogni.
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Punto di partenza: consapevolezza durante lo stato di veglia
Il passo seguente è quello di essere consapevoli durante anche urante il sonno senza sogni
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Le prove scientifiche sui sogni lucidi
Fino a pochi anni fa la comunità scientifica era molto scettica rispetto ai sogni lucidi.
Sembravano incompatibili rispetto al modello psicologico ordinario degli stati di
coscienza, in cui o sei sveglio o sei addormentato (con le due opzioni
dell’addormentamento: o stai sognando o sei nel sonno senza sogni).
Quello che non rientrava nel modello era visto con scetticismo. Poi un ricercatore è
riuscito in modo brillante e inconfutabile a creare un ponte bidirezionale tra i due
mondi (quello onirico di chi sta sognando lucidamente e quello di un osservatore
esterno) dimostrando in questo modo che i sogni consapevoli sono una realtà, non una
mal-interpretazione di qualche stato particolare.
Come ha fatto? Utilizzando l’organo che nel sogno non è vincolato dalla paralisi del
sonno, ovvero gli occhi.
Il sogno accade prevalentemente durante il sonno REM, che sta proprio ad indicare la
condizione di movimenti oculari rapidi (Rapid Eye Movement)
Durante il sonno REM, gli occhi sono liberi di muoversi, e lo fanno seguendo dei
movimenti rapidi e apparentemente caotici.
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In realtà gli occhi seguono quello che la persona sta vedendo durante il sogno. Se
stai sognando di guardare una partita di tennis, gli occhi si muoveranno da destra a
sinistra e viceversa in modo alternato, seguendo la pallina che stai osservando nella tua
mente.
Appena sono entrati nella condizione di sogno lucido, hanno mandato il segnale: due
movimenti oculari da destra a sinistra. E poi si sono goduti il loro sogno fino al risveglio.
Ecco che il sogno lucido era stato dimostrato, in modo talmente inequivocabile che la
comunità scientifica da allora l’ha accettato come reale e ha promosso una serie di studi
per comprenderlo meglio.
Era l’anno 1981, e da allora tante cose sono state apprese sul questo affascinante stato di
coscienza.
Durante i sogni lucidi le persone tendono ad avere movimenti oculari più intensi
rispetto ai sogni ordinari, e anche la respirazione si fa più profonda. Spesso si verifica
anche un piccolo cambiamento del battito cardiaco.
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La maggior parte dei sogni lucidi si verifica verso le ore mattutine, e questa
informazione ci sarà utile come elemento di studio per comprendere come facilitare
l’apprendimento dell’abilità di sognare lucidamente.
La cosa curiosa, rispetto alla percezione temporale, è che c’è una coincidenza tra la
percezione che la persona ha del tempo all’interno del sogno e l’effettivo trascorrere del
tempo fuori dal sogno.
L’attività cerebrale è un misto di onde tetha, alfa e beta. Anche in alcuni studi è stata
rilevata una componente di onde gamma, generalmente associate ad alti livelli di
meditazione.
C’è anche una forte attivazione dell’amigdala, una ghiandola cerebrale che è implicata
nell’integrazione emozionale e nella memoria emozionale.
La cosa interessante dello studio del sogno lucido dal punto di vista neuroscientifico è
che, essendo la lucidità un’attivazione della funzione dell’autocoscienza, è possibile
studiare quali processi neuronali sono implicati nell’autocoscienza.
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Nel sogno lucido la consapevolezza, la capacità di ragionamento, la memoria sono
equiparabili alla condizione di veglia.
Ecco che studiando e comparando il sogno ordinario rispetto al sogno lucido è stato
dimostrato che in quest’ultimo c’è una attivazione maggiore della corteccia
prefrontale (dorsolaterale destra per essere precisi).
Quest’area anatomica già grazie ad altri studi è stata associata alle funzioni cognitive
superiori, e le ricerche sul sogno lucido hanno convalidato queste scoperte.
Queste sono le caratteristiche fisiologiche del sogno consapevole che possiamo definire
con certezza. Il campo di studio è ancora molto attivo, quindi ci possiamo aspettare altre
integrazioni in futuro.
La cosa che appare chiara, oltre a tutto questo, è che fare un sogno lucido per il cervello
è come agire nella vita ordinaria, nella condizione di veglia. L’unica differenza è che i
segnali elaborati vengono bloccati a livello spinale.
Tutto quello che vivi, lo vivi nella tua mente. Eppure è reale tanto quanto quello che
vivi da sveglio, tranne chiaramente che non sei vincolato dalle leggi fisiche.
Abbiamo visto il sogno lucido dall’esterno. Ora diamo un’occhiata al suo interno, ovvero
a cosa accade quando sei dentro un sogno lucido.
Innanzitutto non esistono vincoli. La fantasia può creare infinite trame e infiniti
scenari.
Se durante il sogno lucido ti fermi, facilmente questo porta al risveglio. Per questo
motivo un modo per stabilizzare la consapevolezza all’interno del sogno lucido, è quello
di continuare a muoversi all’interno del sogno.
Non esistono eventi simultanei nel sogno, semplicemente perché non accadono nel
mondo fisico, ma in una simulazione mentale del mondo fisico.
Da notare che questo ritardo di elaborazione esiste anche durante lo stato di veglia,
ed è stato misurato in 1/5 di secondo, equivalente al tempo che impieghiamo a
elaborare e divenire coscienti di uno stimolo. (E se misuriamo il tempo in cui attribuiamo
il significato allo stimolo, dobbiamo aggiungere un ulteriore mezzo secondo!)
Sono gli schemi mentali che sono liberi di agire senza i vincoli degli stimoli fisici.
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Se hai paura e ci porti l’attenzione, si ingrandisce. Se stai percorrendo una salita e ci porti
l’attenzione, diventa una salita ripidissima.
Quando tieni l’attenzione su qualcosa, questo diviene più attivo. Durante la veglia hai i
vincoli sensoriali che limitano questo aspetto, mentre durante il sogno l’attenzione entra
in una sorta di processo circolare che attiva sempre più associazioni rispetto
all’elemento sotto il focus dell’attenzione, ingrandendolo a dismisura.
A cosa serve sognare lucidamente? Possiamo raggruppare le funzioni del sogno lucido in
4 categorie.
Divertimento
Questa è la prima funzione che viene in mente, e anche la prima attività in cui ti
coinvolgerai quando imparerai a sognare lucidamente.
Non ci sono vincoli, per cui puoi spaziare nella più totale potenzialità e liberare le tue
fantasie di grandiosità infantili. Dopo un po’ questo entusiasmo si placa (dopo un bel
po’, a dire il vero).
Una particolarità curiosa su questo tema: nei sogni erotici delle donne è stata osservata
una percentuale notevole di fantasie associate alle celebrità, mentre per gli uomini pare
che la fantasia più ricorrente sia quella di avere rapporti sessuali con partner multipli.
Ecco che il sogno lucido offre il contesto sicuro in cui poter consumare queste fantasie.
Chiaramente c’è da fare attenzione all’aspetto della dipendenza. È vero che si tratta di
fantasie e di sogni, quindi lo scopo è quello di liberare e integrare queste fantasie, ma
anche è stato visto che questo può, in alcuni casi, creare dipendenza psicologica.
In sostanza qualcuno agisce come se il mondo onirico fosse la realtà della vita,
sovrapponendo le due realtà. Ed essendo privo di limitazioni, anche è facile innamorarsi
di questo mondo virtuale in cui tutto è possibile e tutto è a portata di mano con
estrema facilità.
Esercitazioni
Alcuni studi hanno dimostrato che il sogno lucido può essere impiegato in modo
funzionale come simulatore virtuale in cui apprendere determinate abilità,
soprattutto motorie.
Creatività
Il mondo della fantasia, privo di vincoli, è un serbatoio incredibile di risorse creative e
di risoluzioni di problemi.
La capacità intuitiva, libera dal vincolo della mente razionale, può nel sogno lucido
accedere facilmente a creazioni brillanti.
Sono numerose le storie di artisti famosi che hanno preso spunto da un sogno per le
loro opere principali. Si pensi ad esempio classico dello scrittore Stephenson che ha
avuto l’intuizione della trama del suo libro più famoso, quello del Dr. Jekyll e Mr. Hyde,
durante un sogno.
Integrazione
“I sogni sono la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica” Lo
diceva Freud a ragion veduta.
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Se a questo principio aggiungi la capacità di avere un sogno ed esserne
completamente consapevole, e anche di interagire intenzionalmente con esso in
tempo reale, la via regia diviene un’autostrada regia che ti può portare in contatto con
le tue parti inconsce.
Nel sogno lucido puoi affrontare e incontrare la tua ombra, in modo diretto,
consapevole, e integrarla. Infatti è proprio quello che dicono le ricerche: chi impara a
sognare lucidamente ha una netta diminuzione degli incubi notturni.
Conoscendo questo effetto il sogno lucido è usato come terapia per chi soffre di incubi
ricorrenti.
Integrare l’ombra significa integrare parti di sé, per questo il processo prosegue in una
direzione di individuazione sempre maggiore e di unificazione del proprio sé
dissociato.
Come premessa a questo paragrafo, c’è una notizia molto positiva: è stato visto che
anche il solo venire a conoscenza che è possibile avere un sogno lucido incrementa
notevolmente la possibilità di averne uno in modo completamente spontaneo.
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Oppure, è semplicemente l’effetto di un’intenzione che si attiva portando l’attenzione
su qualcosa. Quale che sia la causa di questo effetto, è possibile che proprio stanotte,
per effetto di aver letto questo lungo articolo, tu riesca ad avere spontaneamente un
sogno lucido senza dovere apprendere alcuna tecnica.
Questa conoscenza ci rivela la prima tecnica in assoluto che devi apprendere: il potere
delle aspettative (o delle convinzioni, o delle intenzioni).
Per avere un sogno lucido devi concepire che sia reale per te svegliarti all’interno del
sogno, e mentre ti addormenti mantenere attiva quest’intenzione consapevole.
Questa è una e vera e propria tecnica di induzione: viene attuata passando in modo
consapevole attraverso lo stato ipnagogico.
Per questo, se ti svegli durante la notte, un buon modo per avere un sogno lucido è
quello di annotare sul tuo diario dei sogni il sogno che hai appena fatto, e rimetterti poi a
dormire restando consapevole e tenendo a mente i particolari del sogno che hai appena
fatto.
Ricordati di attivare l’intenzione di essere lucido all’interno del sogno. In questo modo hai
buone probabilità di scivolare direttamente dentro il sogno lucido.
Altre tecniche hanno lo scopo di farti risvegliare direttamente dentro il sogno lucido.
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Come avere sogni lucidi
Apro questo paragrafo con una citazione:
Il sogno lucido è una manifestazione naturale e spontanea della mente umana, non è una
forzatura eteroindotta.
Non bisogna imparare a fare sogni lucidi: basta ricordare come si fa. [ Charlie Morley ]
Ricordare i sogni
Nell’articolo precedente, quello sul sogno, abbiamo visto sia l’importanza che come
riuscire a ricordare i sogni.
Più hai coscienza dei sogni, più è facile avere coscienza nei sogni.
Quindi, se non l’hai ancora fatto, ti consiglio di tenere un diario dei sogni e soprattutto
di imparare il potere dell’intenzione.
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Per ricordare i sogni devi volerli ricordare.
Per essere lucido dentro un sogno, abbi l’intenzione di essere consapevole all’interno del
sogno.
Riconoscere il territorio
Il mondo onirico ha una forma particolare, che devi allenarti a riconoscere.
Non si tratta solo delle anomalie che abbiamo già visto. Si tratta anche di
ambientazioni, dei temi ricorrenti, degli scenari surreali.
Un esercizio utile è quello di analizzare il tuo diario dei sogni e vedere se ci sono dei temi
ricorrenti. Esserne consapevole ti aiuta a riconoscerli dentro il sogno.
Test di realtà
Abituati a fare durante il giorno numerosi test di realtà. Installerai così l’abitudine, e
soprattutto l’atteggiamento, di indagare. Questo facilita di molto la capacità di avere
sogni lucidi.
La luna piena
Uno studio ha dimostrato che la luna piena modifica il sonno rendendo più difficoltoso
il riposo, ma spostando l’equilibrio verso il sonno con sogni rispetto a quello senza sogni.
Puoi sfruttare questa facilitazione da parte della luna per avere sogni lucidi. L’effetto
dura per 3-4 giorni attorno alla luna piena.
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Lo stato di transizione tra la veglia e il sonno è uno stato che permette di coltivare
l’abilità del mantenere la consapevolezza vigile, quindi di coltivare la lucidità nel
sogno seguente.
Oltre a tutti i consigli dati nell’articolo specifico sull’ipnagogico, ai fini della lucidità puoi
aggiungere delle affermazioni e delle intenzioni.
Non sono le parole esatte ad essere importanti, ma il potere evocativo. Devi sentire che
l’affermazione è vera per te ed evoca l’intenzione corretta. Trova le parole che in te
risuonano meglio per avere questo effetto.
Puoi prendere tutti gli integratori di questo mondo, ma se non ti alleni non metti in moto
la trasformazione fisica.
Consapevoli di questo punto importante, vediamo alcuni integratori utili al nostro scopo.
Vitamina B6
La B6 aiuta a trasformare il triptofano (un aminoacido) in serotonina (un
neurotrasmettitore).
La serotonina è implicata nell’attivazione della corteccia durante la fase REM, per cui,
un’integrazione di vitamina B6 può aiutare ad avere sogni più vividi.
Calcio
Il calcio aiuta a sintetizzare la melatonina, un ormone secreto dalla ghiandola pineale
implicato nella regolazione del sonno.
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Magnesio
Il magnesio aiuta il rilassamento muscolare e quindi facilita l’addormentamento. Anche
lui come la vitamina B6 aiuta a produrre la serotonina.
Inoltre tende ad ridurre l’adrenalina in circolo (ormone dello stress). Tutte queste
caratteristiche lo rendono una valida integrazione al nostro scopo.
Profumo di rosmarino
L’essenza di rosmarino aiuta a potenziare la memoria prospettica, quella facoltà
mentale che ti permette di svegliarti all’interno del sogno.
Mettere l’essenza di rosmarino in un diffusore di aromi nella stanza in cui stai durante il
giorno può facilitare il risveglio all’interno del sogno.
Artemisia
Da secoli l’artemisia è usata come pianta che stimola il sogno. Spandendone il fumo
attorno al corpo e lasciando che un po’ ne venga inalato prima di andare a dormire si
può accrescere la vividezza e la memoria dei sogni.
Salvia
L’aroma di salvia è eccellente per rendere i sogni più vividi. Basta mettere alcune gocce
di essenza di salvia su un fazzoletto e annusarlo prima di addormentarsi.
Galantamina
Questo non è un integratore ma un vero e proprio farmaco.
In uno studio recente è stato dimostrato che un uso mirato di questo farmaco, associato
a tecniche di induzione, ha permesso a quasi il 60% dei partecipanti di avere un sogno
lucido nel giro di due notti di test.
Questo campo di studi è appena stato scoperto, per cui il mio invito è quello di avere
cautela nei confronti di questa sostanza.
È facile cadere in un entusiastico “lo provo e vedo cosa succede”, ma essendo un farmaco
certamente lascia degli strascichi sul sistema nervoso.
La via farmacologica, può essere quella più facile e veloce, ma non è mai gratuita
(un principio che può essere esteso a tante altre cose della vita).
Certamente imparare ad avere sogni lucidi può essere impegnativo e frustrante, ma con
una certa dose di impegno quasi tutti possono riuscire.
Quando si conquista un’abilità in modo naturale, è una tua conquista, è un’abilità che
possiedi.
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Quando conquisti un’esperienza assumendo una sostanza, è la sostanza che gestisce il
tuo stato, quindi tu non lo possiedi completamente.
Se concepisci il sogno lucido come una tappa evolutiva nel tuo percorso di
consapevolezza, appare chiaro che la via chimica è un inganno che fai a te stesso.
Ti può fare esplorare facilmente stati di coscienza, quindi da un certo punto di vista ti
apre a spazi inediti di consapevolezza, e questo è un bene perché allarga la tua
concezione di ciò che è possibile.
Se hai bisogno di una sostanza per accedere ad uno stato di coscienza particolare, vuol
dire che la tua coscienza non è ancora evoluta in quello stadio di coscienza.
Dieta
Per avere sogni lucidi il tuo organismo non deve essere eccessivamente impegnato
nella digestione. Questo principio è valido in generale per una corretta igiene del
sonno.
Quindi, un semplice consiglio utile per avere sogni consapevoli, è quello di evitare di
mangiare prima di coricarsi.
Lascia passare qualche ora tra la cena e il momento in cui ti addormenti, dando il tempo
al tuo processo digestivo di fare il suo lavoro.
Con questa premessa doverosa, va riconosciuto che dormire in una posizione piuttosto
che un’altra cambia la qualità del sonno e le caratteristiche del sogno.
Alcune scuole di pensiero sostengono che alcune posizioni facilitano il sogno lucido: le
indicazioni sono quelle di sdraiarsi sul fianco destro per gli uomini e sul sinistro per
le donne.
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Puoi sperimentare queste varianti e registrare sul tuo diario dei sogni se noti delle
differenze rilevanti.
Essendo il sogno lucido un sogno consapevole, tutto quello che abbassa il tuo grado di
consapevolezza compromette la tua abilità di sognare lucidamente.
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Prova a sommare le ore della tua vita che passi dormendo: sono un’enormità.
Supponendo che tu abbia 40 anni e che tu dorma mediamente 8 ore a notte, si tratta di
un buco di circa 13 anni.
13 anni in cui non ci sei stato, non sei stato presente a te stesso.
Può andarti bene così, ognuno è libero di scegliere come vivere. L’importante è che tu
sappia che non deve essere così per forza.
Per risvegliarsi nel sogno bisogna coltivare proprio quelle abilità che ti rendono
consapevole durante la veglia.
Ecco allora che le tecniche per sognare lucidamente non sono fini a sé stesse.
Sono tecniche per avere una vita desta, consapevole , sempre più piena. Piena di te.
ti invito ad includere la pratica del sogno lucido nella pratica più ampia del vivere
lucidamente la tua vita.
Incluso in questo scopo, il sogno lucido acquisisce una finalità più alta e la profondità che
gli spetta.
Se ti fa piacere, condividi nei commenti qui sotto come procede la tua pratica del sogno
lucido.
Bibliografia
Stephen LaBerge – Sogni coscienti
Stephen LaBerge – Esplorando il mondo dei sogni lucidi
Charlie Morley – Sogni di risveglio
Charlie Morley – L’avventura del sogno lucido
Alan Wallace – Sognarsi svegli
Jeff Warren – Dove hai la testa?
William Dement – Il sonno e i suoi segreti
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Il sogno [Rubrica Stati di Coscienza]
essereintegrale.com/sogno
Agostino Famlonga
Se sommiamo tutto il tempo che un essere umano passa, nell’arco della sua vita, nel
mondo dei sogni, raggiungiamo la strabiliante cifra di 6 anni.
Per questo motivo è difficile concepire un percorso di crescita in consapevolezza che non
prenda in considerazione l’aspetto onirico. Sarebbe incompleto e non porterebbe
lontano.
Il contenuto dei sogni è materiale prezioso per divenire consapevoli di parti non
integrate della nostra psiche. Un’operazione di svelamento e di presa di coscienza di
queste parti permette di recuperare una integrità di sé sempre maggiore.
Da sempre i sogni hanno affascinato l’essere umano: sono stati fonte di ispirazione, di
creatività e per qualcuno sono stati determinanti nei bivi esistenziali. Grazie ad un
sogno dal forte impatto emotivo è possibile a volte prendere decisioni importanti in
grado di determinare una direzione di vita.
Quello che accade in una notte di sonno insomma non è secondario rispetto a quello che
accade di giorno nella condizione di veglia. Questi due mondi si possono incontrare e
possono comunicare tra di loro, se lo spettatore si mette in ascolto con un’attenzione
vigile e consapevole.
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Cominciamo quindi il nostro viaggio alla scoperta del mondo dei sogni ponendoci una
domanda apparentemente semplice: perché dormiamo?
Questo articolo fa parte della rubrica La straordinaria avventura tra gli stati di coscienza. Se
non hai ancora letto l’introduzione, la trovi qui.
Perché dormiamo?
La risposta sembra scontata e banale: dormiamo per riposare.
In parte è un’affermazione vera, ma non dice tutta la verità sullo scopo del sonno.
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Non tutta la notte di sonno ha lo scopo di recuperare energia. Ci sono infatti dei periodi
in cui l’attività, sia del metabolismo che della mente, può essere equiparata a quella
diurna.
Quindi, la risposta “dormiamo per riposare e recuperare energia” può essere presa
valida, ma va estesa: perché durante il sonno sogniamo?
Perché sogniamo?
La risposta a questa domanda è sicuramente più complicata di quella precedente.
Lo stato di sogno è simile a quello della veglia, con la differenza che l’occhio della
consapevolezza è rivolto dentro. Gli stimoli sensoriali sono quasi completamente
esclusi dall’elaborazione mentale, e la mente ha la possibilità di elaborare
plasticamente i suoi contenuti.
Lo scopo di questa elaborazione è stato indagato nel corso della storia del genere
umano, e svariate risposte sono state date al significato – e al perché – dei sogni.
Tutti questi aspetti del sogno sono da prendere in considerazione. Li vedremo uno ad
uno in modo approfondito in questo articolo.
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I cicli e gli stadi del sonno
Nella prima parte della notte c’è una prevalenza del sonno profondo rispetto al sonno
leggero.
I sogni avvengono prevalentemente durante il sonno leggero, nella fase cosiddetta REM,
evidenziata in rosso nel grafico. (REM sta a significare “rapidi movimenti oculari”, lo
vedremo meglio dopo).
Quindi una prima distinzione importante che possiamo fare, nell’esaminare il nostro
vissuto di una notte di sonno, è quello di distinguere il sonno con sogni dal sonno
senza sogni.
Oppure, come preferisce chi studia il sonno: il sonno REM dal sonno non-REM (perché
alcuni tipi di sogni avvengono anche fuori dalla zona REM).
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La successione tra Sonno con sogni e sonno senza sogni nell’arco della notte di sonno
Mediamente un adulto, in una notte di 8 ore, passa da 1 ora e mezza a 2 ore nella
condizione di sogno, concentrando questa attività nella seconda parte della notte.
In una notte di riposo abbiamo quindi soddisfatto entrambi gli scopi del sonno: il riposo
e l’elaborazione-consolidamento dei contenuti mentali.
Le due condizioni sono davvero diverse tra di loro.
Nel sonno senza sogni abbiamo un cervello e una mente inattivi in un corpo mobile.
Nel sonno con sogni abbiamo un cervello e una mente attivi in un corpo paralizzato.
Nella tabella qui sotto ti riassumo le principali caratteristiche e differenze tra i tre
principali stati di coscienza: lo stato di veglia, lo stato di sogno e lo stato di sonno senza
sogni.
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Le caratteristiche dei tre stati di coscienza principali
Prima di addentrarci nella parte che ci interessa di più, quella relativa ai contenuti in
prima persona del sogno, vediamo cosa accade a livello fisiologico durante il sogno.
Le onde cerebrali dello stato di sogno sono molto simili a quelle dello stato di veglia: un
misto di onde alfa e beta e theta. In cervello è nel pieno della sua attività.
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Le frequenze e le onde EEG dei principali stati di
coscienza
I ricordi che vengono consolidati nel corso del sonno ad onde lente vengono riattivati
durante il sonno REM e vengono elaborati assieme ad altri ricordi.
In sostanza durante la notte il cervello mette in atto un funzionamento caotico allo scopo
di mettere assieme i pezzi di quello che ha vissuto con quello che ha vissuto in passato.
La fase REM (il sogno) è una fase di attivazione, e quella di sonno profondo è una fase di
sintesi, che alternandosi tra di loro permettono di attivare e di sintetizzare i contenuti
mentali.
Il respiro si fa irregolare e il battito cardiaco segue l’andamento del sogno che stai
vivendo.
Durante il sogno viene messa in atto una paralisi muscolare, cioè il corpo si immobilizza
(atonia muscolare). Questo permette al cervello di elaborare nel sogno i movimenti fisici
evitando che il corpo si muova seguendo i movimenti.
Solo due parti fisiche vengono escluse dalla paralisi: gli occhi e i genitali.
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Gli occhi durante il sogno seguono il movimento della vista dentro il sogno, quindi si
muovono velocemente inseguendo lo sguardo nella mente. Questo movimento è
chiamato Rapid Eye Movement, cioè movimento oculare rapido, ed è un segnale
esteriore che indica con alta probabilità che la persona sta sognando.
L’altra parte che non viene toccata dalla paralisi del sonno sono gli organi genitali. Non
essendo muscoli, non sono inibiti. Negli uomini durante il sogno il pene facilmente ha
un’erezione. Nelle donne il clitoride viene irrorato da una maggiore quantità di sangue e
aumentano le secrezioni vaginali.
Questo fenomeno accade indipendentemente dal contenuto del sogno. Svegliarsi con
un’erezione quindi non è necessariamente segno di avere fatto un sogno erotico, ma
è semplicemente un effetto della fisiologia del corpo durante lo stato di sogno.
Abbiamo portato l’attenzione a ciò che accade fuori mentre sogniamo. Questo ci è utile
per comprendere meglio ciò che accade in prima persona durante il sogno, quindi ora
spostiamo l’attenzione dentro.
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I sogni sono lettere inviate a sé stessi.
Il significato di questa affermazione è che, all’interno del sogno, l’inconscio mandi dei
messaggi camuffati alla parte cosciente nel tentativo di rendere manifesto un
contenuto non pienamente consapevole. Il movimento apparentemente caotico che
emerge nel sogno dunque non sarebbe altro che una serie di contenuti espressi in
modo simbolico, immaginativo, emotivo, di ciò che durante lo stato di veglia è stato
bandito dalla consapevolezza.
Il significato della “lettera inviata a sé stessi” dunque non andrebbe ricercato nel
messaggio esplicito del sogno, ma nel contenuto latente.
Freud nel suo saggio sui sogni ha cercato di delineare i meccanismi attraverso il quale
l’inconscio, attraverso il lavoro onirico mette in piedi il suo teatrino notturno. Ha
individuato una serie di principi operativi, utili nel risalire al contenuto latente e ad
elaborare il sogno.
Il meccanismo dello spostamento poi, permette che gli elementi rilevanti del contenuto
latente vengano rappresentati da dettagli minimi costituiti da fatti recenti e può così
facilitare la traduzione in immagini dei pensieri del sogno. L’espressione immaginativa
spesso ha, per questo motivo, un contenuto simbolico rilevante.
Infine, l’ultimo dei quattro meccanismi del sogno, è l’elaborazione secondaria, che
opera soprattutto quando ci si trova vicini alla veglia e quando si racconta il sogno.
Tramite questa elaborazione il sogno perde la sua apparenza di assurdità e di
incoerenza.
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All’interno del sogno
Ogni sogno è unico e originale, ma tutti presentano delle caratteristiche comuni.
Vediamone alcune da una prospettiva in prima persona.
Come abbiamo visto l’elaborazione del sogno si presenta principalmente sotto forma di
immagini e di emozioni.
Un primo aspetto che possiamo rilevare è che…
Ovvero l’immagine è elaborata in modo indipendente dal contesto che l’ha generata.
Tutto quello che accade, per quanto sia strambo e surreale, è assolutamente normale o
verosimile.
Nel sogno potresti tranquillamente passare dallo stare seduto sul divano nel salotto di
casa tua alla cabina di pilotaggio di un aereo. Gli eventi e le immagini associate possono
non essere continui. Così come possono non essere continui il tempo e lo spazio.
L’associazione nei sogni del tutto casuale, non è vincolata a continuità temporale o
spaziale. Cioè in un sogno può emergere il vissuto di un evento dell’infanzia e subito
dopo un’immagine della giornata appena trascorsa, o viceversa.
Gli eventi dei sogni, relativamente a questo aspetto, spesso presentano una successione
associativa estrema: se in una scena viene messo in primo piano un particolare, quello
diventa immediatamente il centro di gravità narrativo per la scena che segue.
Tutto quello che emerge viene preso per veritiero, non è messo in discussione.
Nel sogno la mente opera “momento per momento” prendendo per verosimile tutto quello
che incontra , senza pensiero critico, senza vincoli temporali o spaziali o di continuità.
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Nel sogno frammenti di ricordi, di immagini, di materiale più o meno remoto vengono
riattivati e sintetizzati assieme a quello che già è presente nella banca dati della nostra
memoria.
In questa costruzione di associazioni si è potuto vedere che all’inizio della notte, cioè
nei primi sogni, vengono riattivati i ricordi più recenti, mentre nei sogno fatti verso la
fine della notte emerge il materiale più remoto.
In questo passaggio, non solo viene integrato il ricordo, ma viene elaborata anche
l’emozione ad esso associata.
In studi in laboratorio si è visto che gli studenti universitari presentano una quantità di
sonno REM maggiore durante gli esami proprio perché hanno più contenuti da
immagazzinare.
Viceversa, studi sulla deprivazione del sonno REM hanno dimostrato che quando a una
persona viene tolta questa fase del sonno, fa più fatica ad apprendere nuovi compiti.
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Il sogno dei bambini
Possiamo trovare una sintesi delle due funzioni appena viste, apprendimento e
preparazione alla veglia, nel sonno dei bambini.
Un adulto mediamente passa da un’ora e mezza a due ore di sonno sognando, mentre
un neonato, che dorme mediamente 16 ore al giorno, passa nella fase di sogno la metà del
suo sonno.
Ben 8 ore del sonno di un neonato sono nella fase del sonno REM.
I bambini piccoli dormono tanto perché per loro tutto è nuovo e dunque ogni
esperienza ha bisogno di essere integrata ex novo.
Il sogno dei bambini è diverso da quello degli adulti, non solo per la durata temporale.
Innanzitutto è più breve. Dura di più come quantità globale di sogno nell’arco della
giornata, ma dura di meno come durata del singolo sogno.
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Nei primi stadi evolutivi ancora il senso di sé non è ben differenziato nelle sue
componenti somatica ed emozionale, quindi i bambini vivono in una condizione
indifferenziata, sia nello stato di veglia che in quello di sogno.
Per lo stesso motivo spesso le emozioni sentite durante il sogno sono vissute da parte
del bambino in modo intenso e drammatico.
Messaggi dall’inconscio
Che siano esperienze che si stanno registrando nella banca dati della tua memoria, o che
siano prove virtuali in preparazione a qualcosa che compirai nello stato di veglia, i
contenuti del sogno sono elementi inconsci su cui portare consapevolezza.
Sono contenuti inconsci che devono divenire consapevoli per essere integrati.
Mi spiego con un esempio: supponiamo che tu abbia sognato di cavalcare un cavallo. Per
comprendere il messaggio di questo sogno non serve un codice esterno che ti dia il
significato di cavalcare il cavallo. “Ho sognato di cavalcare > allora significa che…”
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I punti essenziali per decodificare il sogno sono due.
I messaggi del sogno arrivano da una coscienza pre-linguistica, cioè che precede
l’emergere del linguaggio verbale.
I messaggi del sogno hanno una forma primitiva, senza alcuna accezione negativa
relativa al termine.
Per comprenderli serve dunque che chi ha fatto il sogno si sintonizzi su queste modalità,
cercando di non razionalizzare il contenuto del sogno.
E qui entra in gioco il secondo elemento essenziale nel decodificare il sogno: colui che
sogna è l’unico che può accedere a questo livello di decodifica.
Solo tu che hai fatto il sogno puoi accedere al tuo livello istintuale e decodificare,
tramite quel linguaggio pre-verbale e immaginativo, il tuo personale significato del sogno.
Ciò non toglie che tu possa chiedere a qualcuno che ti aiuti, semplicemente
comprendendoti e facendoti delle domande, a elaborare il tuo sogno. Ma nessuno può
elaborare un significato al posto tuo, questo passaggio può essere fatto solo in prima
persona.
Le interpretazioni verbali di un sogno sono infinite. Solo colui che ha fatto il sogno può
accedere al messaggio pre-verbale e istintivo che è contenuto nel sogno.
ogni parte rappresentata nel sogno va vista come una parte di sé stessi.
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Se hai sognato di giocare assieme tuo fratello da bambino, dovresti accedere a questo
contenuto dalla posizione: tu che giochi con te stesso. Per cui ogni azione, gesto o
comunicazione non vanno interpretati come se ci fossero due o più individui in
interazione, ma come una sola entità che si manifesta in un gioco di ruolo.
Tenere questo punto di vista è certamente utile per la decodifica del messaggio del
sogno.
È una contrapposizione logica tra l’esperienza in due diversi stati di coscienza: nello stato
di veglia c’è continuità nello spazio e nel tempo, nello stato di sogno non esiste questa
continuità. La conseguenza logica è “il sogno non è reale.”
Ma è davvero così?
Potremmo dire che esiste una realtà fisica ed esiste una realtà non fisica.
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Così come esiste il computer su cui sto scrivendo, così esiste l’immagine mentale che ora
sto pensando: un gatto che gioca con il gomitolo rosso. Esiste nella mia mente mentre lo
penso. Non è tangibile, non è concreta, ma esiste. Esiste nella mia mente.
Il sogno si manifesta, dal punto di vista soggettivo, nella realtà non fisica, cioè nella tua
interiorità.
Eppure, ha un correlato fisico: l’elaborazione cerebrale che compie il tuo sistema nervoso
durante il sogno. Può essere misurata e studiata, esiste oggettivamente. Entrambe
queste dimensioni sono esistenti. Sono qualitativamente diverse tra di loro, ma
entrambe esistono.
Dal punto di vista dell’individualità consapevole (ciò che sei) il sogno è tanto reale
quanto la realtà da svegli. Entrambe queste dimensioni sono, dal punto di vista
soggettivo, costruzioni del tuo Sistema Nervoso. E come tali dovrebbero essere
considerate per evolvere la tua struttura di coscienza.
La veglia e il sogno sono due stati di coscienza diversi, quindi presentano caratteristiche
e modalità di elaborazione diverse, ma entrambe queste realtà sono, per te che le
sperimenti, ugualmente esistenti e reali .
Il passaggio da fare ora è quello di metterli tutti assieme e creare un tuo punto di vista
che sia utile alla tua crescita in consapevolezza, perché questo è lo scopo finale di
acquisire una nuova conoscenza in questo campo.
Se ricordi abbiamo già incontrato questo aspetto quando abbiamo parlato dello stato
ipnagogico. Qui il tragitto prosegue, il baricentro si sposta ancora di più nel mondo
onirico.
Un altro aspetto importante del lavoro con i sogni è che hai bisogno di portare
attenzione ai contenuti dei sogni, per integrarli e divenire sempre più consapevole di
questi messaggi dall’inconscio, ma non è questo lo scopo primario.
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Integrare i contenuti serve a integrare lo stato di coscienza.
Per ora questo è il passaggio da compiere: cerca di ricordare sempre meglio i tuoi sogni.
Nel prossimo appuntamento della rubrica affronteremo il sogno lucido, e quindi avremo
modo di approfondire questo aspetto. Se hai una buona capacità di ricordare i tuoi
sogni, l’accesso al sogno lucido sarà facilitato.
Un altro motivo per cui non si ricordano i sogni è determinato dal momento del
risveglio: se ti svegli in una fase non-REM, è più difficile ricordarti il sogno.
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Questo si verifica di solito in caso di sveglia artificiale. Nel sonno indisturbato
generalmente è il contrario, il risveglio spontaneo avviene naturalmente appena dopo
la fase di sogno, perché è uno stadio del sonno più leggero e quindi più soggetto a
portare al risveglio. Se ti svegli subito dopo un sogno, è più facile ricordartelo , se ci porti
l’attenzione (vedi dopo).
Altro effetto legato al momento di risveglio: i sogni della prima parte del sonno sono più
soggetti ad essere dimenticati, mentre quelli più vicini alla veglia si ricordano più
facilmente.
Il motivo è legato alla durata temporale del sogno, che con il passare delle ore di sonno
sia allunga rispetto al sonno senza sogni.
È stato dimostrato che il ricordo del sogno è associato ad un’onda cerebrale lenta,
chiamata theta.
Quando è presente quest’onda nella corteccia frontale, assieme alle altre onde tipiche
del sogno, la persona è in grado di ricordare il sogno.
Sono gli stessi meccanismi che ti consentono di essere consapevole durante la veglia che
ti consentono di ricordare il sogno.
Il ricordo del sogno è legato alla qualità e alla quantità di attenzione consapevole che tu
sei in grado di sostenere nella veglia e nelle transizioni tra lo stato di veglia e quello di
sogno.
Tanto più sei consapevole durante la veglia, tanto più sei in grado di portare la
testimonianza consapevole nello stato di sogno, e di conseguenza anche di ricordare i
sogni.
Interferenze chimiche
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Proprio perché la capacità di ricordare i sogni è legata alla capacità di essere consapevoli,
tutto ciò che interferisce con il grado di consapevolezza da sveglio interferisce anche con
la capacità di ricordare il sogno. Le sostanze che agiscono sul sistema nervoso
interferiscono con questo processo.
Alcool, droghe, caffè, eccitanti, sonniferi, psicofarmaci… sono tutte sostanze che in
qualche maniera alterano il delicato equilibrio del sistema nervoso e a volte impediscono
completamente l’accesso cosciente al sogno.
È vero anche che ci sono alcune sostanze che facilitano il processo, ma le vedremo nel
prossimo appuntamento, quando studieremo il sogno lucido.
Prepararsi
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La preparazione al ricordo consiste nel creare una corretta impostazione mentale.
Sostanzialmente serve mettere in discussione le tue credenze limitanti riguardo la tua
capacità di ricordare i sogni.
Se ci sono convinzioni del tipo “non sono capace di ricordare i miei sogni”, queste vanno
comprese e lasciate andare, aprendosi con fiducia all’opposto. Serve ciò avere un
atteggiamento positivo sulla possibile riuscita del ricordo dei sogni. Con i dovuti
accorgimenti puoi ricordare i sogni, anche se non l’hai mai fatto.
Comunica a chi ti può comprendere tutte le tue credenze limitanti su questo aspetto e
lasciale andare. (Se vuoi, puoi scriverle anche nei commenti all’articolo qui sotto.)
Durante il giorno
Durante la giornata cerca di coltivare una qualità dell’attenzione sempre maggiore.
Cerca di evitare le attività in multitasking, le continue interruzioni e distrazioni mentre fai
qualcosa.
Cerca se ti è possibile di mantenere una parte di attenzione su di te, mentre fai le tue
faccende quotidiane. Mantieni l’attenzione non solo su quello che stai facendo, ma anche
su chi lo sta facendo.
Cura l’ambiente in cui dormirai con una corretta igiene del sonno e cerca di andare a
dormire quando non sei esausto o esausta.
Il diario dei sogni dovrebbe essere sempre pronto sul comodino, e mentre ti stai
addormentando dovresti sentire che al risveglio avrai qualcosa da scriverci sopra. È
un’intenzione (vedi dopo) che metti in atto associandola alla presenza del diario, che
agisce quindi come rinforzo positivo all’intenzione.
Nel compilare il tuo diario, scrivi sempre in prima persona e utilizza il tempo
presente.
22/24
È utile scrivere anche la data in cui hai fatto il sogno e, come appunto aggiuntivo, se il
sogno è collegato a qualche evento particolare della tua vita.
L’intenzione
Durante l’addormentamento cerca di mantenere alta la vigilanza consapevole.
Tutti gli accorgimenti che abbiamo visto per lo stato ipnagogico valgono anche in questo
caso, per cui ti invito a dare una rilettura a questo stato di coscienza per conoscerlo
meglio nelle sue quattro fasi.
Porta consapevolezza allo scopo del tuo sonno. Non ti stai addormentando solo per
riposare, ma stai andando ad esplorare il mondo del sonno anche per sognare e per
essere consapevole del contenuto del sogno.
Mentre ti addormenti, mantieni un’intenzione positiva sul fatto che ricorderai il sogno.
Se ti è utile potresti anche ripetere delle affermazioni, come ad esempio: “Sono certo/a
che al risveglio mi ricorderò quello che ho sognato”. L’importante, al di là dell’affermazione,
è l’intenzione. Se l’affermazione mentale è ripetuta meccanicamente, non produce alcun
effetto.
Quindi, se ti basta collegarti all’intenzione per attivarla, è sufficiente questa. Se non riesci
a collegarti con l’intenzione, puoi usare un’affermazione con lo scopo di generare
un’intenzione.
Al risveglio
Il risveglio, sia che avvenga durante la notte che al mattino, è un momento delicato. In un
attimo il ricordo del sogno svanisce.
L’invito è quello di non muoversi, fare meno movimenti fisici possibile, mantenendo gli
occhi chiusi. L’attenzione deve essere rivolta tutta al tentativo di ricordare i frammenti
del sogno.
A volte basta ricordare un solo elemento per mettere assieme tutta la catena associativa
del sogno.
Non portare l’attenzione a quello che ti attende nella giornata, tieni l’attenzione dentro
tentando di ricordare il sogno.
Solo quando hai la trama del sogno abbozzata nella mente, apri gli occhi e scrivila nel tuo
diario.
I tuoi sogni
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Spero con questo articolo di averti dato degli spunti utili per comprendere meglio il
mondo onirico, e soprattutto di avere stimolato la tua curiosità ad esplorare in modo
intenzionale e consapevole questo importante aspetto della tua interiorità.
Nel frattempo, cerca di ricordare sempre di più i tuoi sogni con tutti gli accorgimenti
che abbiamo visto in questo lungo articolo. Questa preparazione sarà il terreno di
partenza per fare un buon lavoro con il sogno lucido.
Nel frattempo, se hai piacere, puoi condividere tramite i commenti dell’articolo la tua
esperienza. È un modo utile e costruttivo per mantenere attiva l’intenzione e per lavorare
insieme.
Bibliografia
Jeff Warren – Dove hai la testa
William Dement – Il sonno e suoi segreti
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La vigilia [Rubrica Stati di Coscienza]
essereintegrale.com/vigilia
Agostino Famlonga
Se ti discosti da questo standard, dovresti preoccuparti e porti delle domande. Cosa c’è
che non va? Come posso tornare alla normalità?
In realtà la domanda che dovremmo farci è un’altra. Una domanda che mette in
discussione questo principio assoluto.
È veramente questo il modo naturale di dormire che appartiene alla specie umana?
Una serie di esperimenti sul sonno hanno indagato questo quesito, scoprendo in questa
ricerca altre modalità di riposo notturno che mettono seriamente in dubbio l’assunto
assoluto delle 8 ore di sonno continuativo.
Vediamo cosa hanno scoperto.
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Alla ricerca del sonno naturale
Il primo esperimento che ha indagato la modalità di sonno dell’essere umano è quello di
Thomas Wehr, un cronobiologo americano. In uno dei suoi esperimenti ha voluto
verificare quale fosse l’adattamento dell’uomo alle variazioni di luce stagionale.
È risaputo che le specie animali, quando aumenta il numero di ore di buio nelle stagioni
invernali, si adattano e si armonizzano a questa variazione. L’adattamento dell’essere
umano non era ancora stato studiato in modo adeguato.
Nel suo esperimento il gruppo di studio è stato posto per un mese in una condizione
priva di illuminazione artificiale.
L’inverno del Maryland, dove si è svolta la ricerca, dura circa 14 ore. Le persone alle
cinque di pomeriggio si presentavano al laboratorio ed erano invitate a stare a letto, a
riposare, dormire o riflettere, per tutto il tempo, senza alcuna luce artificiale per le 14 ore
notturne.
Quello che si è visto è che in questa condizione il debito di sonno viene recuperato nel
giro di 3-4 settimane, ed ammonta a circa 17 ore in più rispetto alla media del sonno
individuale. Il recupero non avviene in un’unica giornata, ma viene diluito nei giorni, fino
a portarsi a zero.
Quando si è recuperato il debito di sonno, ecco che la durata media del sonno del
gruppo di studio si è stabilizzata sulle 8 ore.
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Detto così, sembra che questo esperimento validi l’assunto assoluto posto all’inizio
dell’articolo. In realtà no, perché le 8 ore di sonno naturale non sono le 8 ore continue a
cui siamo abituati a pensare, ma hanno una modalità diversa, divisa in due tranche.
Nella sua indagine ha trovato dei riferimenti, in 14 culture diverse, al cosiddetto “primo
sonno“. Si trattava perlopiù di riferimenti casuali, non di approfondimenti specifici. Come
se la condizione di “primo sonno” fosse qualcosa di assodato e che non necessitasse
alcuna spiegazione. Trovò, nella sua ricerca durata quattro anni, più di 300 riferimenti a
questa modalità di sonno.
Brevi citazioni sono state ritrovate anche nell’Eneide e nell’Odissea, lasciando intravedere
che questa modalità di sonno, data per scontata in passato, ha radici antiche nella
storia dell’essere umano.
la modalità di sonno degli esseri umani, prima dell’avvento della luce artificiale, era
composta da due turni.
Un sonno serale, che durava dalle 9 di sera fino alla mezzanotte, e un sonno
mattutino, dalle 2 di notte fino all’alba.
Fra questi due turni, c’era un particolare stato di coscienza, chiamato “la vigilia“, o “la
vigilanza”.
Da questi dati pare che il sonno frazionato in due turni sia qualcosa di naturale, e che
le canoniche 8 ore di sonno continuo sono un adattamento moderno allo stile di vita
costruito dall’uomo.
Ma vediamo meglio cos’è il sonno segmentato e la vigilia che sta nel mezzo dei due turni.
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Sonno segmentato
Il sonno in due turni viene chiamato “sonno bimodale“.
Nel sonno bimodale c’è il primo sonno, che è un turno di sonno della durata di 3-5 ore,
che ha inizio dopo circa 2 ore dal tramonto.
La notte si conclude poi con un secondo sonno, che dura dalla metà della notte fino
all’alba.
Questo modo di dormire è tipico delle scimmie e degli scimpanzé. È un mix tra il
dormiveglia e la vigilanza e parrebbe essere lo schema di sonno fisiologico anche
dell’essere umano.
Adattamento
La specie umana ha avuto la sua nascita e la sua incubazione nella zona equatoriale. In
questa fascia terrestre la durata della notte e del giorno è equivalente: 12 ore di luce e
12 ore di buio.
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Quando l’essere umano è migrato, verso nord e verso sud, ha dovuto adattare il suo
orologio biologico alla variazione della durata di luce e buio dovuta ai cambiamenti
stagionali, spostando la sua preferenza verso la breve durata delle notti estive rispetto
alle lunghe notti d’inverno.
La somma di questi fattori ha fatto sì che il sonno bimodale sia stato compresso in un
unico sonno: le canoniche 8 ore continue che tutti diamo per scontato.
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La vigilia
Cosa accade nel periodo che separa i due turni del sonno bimodale?
Questo stato di coscienza, tra tutti quelli che fanno parte di questa rubrica, è l’unico che
non ho sperimentato personalmente, per cui te lo riporto in terza persona basandomi su
ciò che è stato descritto da chi l’ha vissuto e dai ricercatori che l’hanno studiato.
Quello che emerge, tra il primo e il secondo riposo è una condizione di quiete
tranquilla, di calma meditativa, di pacifica vigilanza.
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Studiando questa condizione in laboratorio, si è scoperto che l’attività cerebrale è
predominata dalla produzione di onde alfa.
A livello ormonale c’è una ricca produzione di prolattina, una sostanza prodotta
dall’ipofisi con noti effetti calmanti. È un ormone che tradizionalmente associamo alle
madri che allattano e ai bambini che dormono pacificamente, ma non è una loro
esclusiva.
Chi ha vissuto questa condizione la descrive come una situazione delicata, che ciò può
essere persa con un minimo disturbo. Questa quiete gentile è descritta come uno stato
meditativo piacevole in cui il tempo passa velocemente, come una sorta di
contemplazione pacifica.
Una sorta di zona di confine tra il sonno e la veglia, simile allo stato ipnagogico, ma più
prolungato e senza la spinta a scivolare nel sonno profondo tipica dell’ipnagogico.
Nella sua analisi storica sul sonno degli antichi, il ricercatore Wher propone questa
visione: per gli antichi il risveglio notturno ha fornito un canale di comunicazione
diretto fra i messaggi dei sogni e la vita da svegli.
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Con la perdita della vigilia nel nostro sonno continuato, questo canale si è chiuso, al
punto che molti, nella nostra epoca, faticano addirittura a ricordare i sogni fatti. Wher
specula che questo sia uno dei motivi per cui l’uomo moderno ha perso il contatto con le
origini profonde dei miti e delle fantasie.
Orologio biologico
Vediamo ora di comprendere meglio come l’uomo regola il suo bisogno di dormire e di
stare sveglio.
Nell’orologio biologico non esiste un tempo universale. Ognuno ha un suo tipico ciclo
circadiano (cioè che si ripete ogni giorno). Questo viene ereditato geneticamente e viene
espresso individualmente in modo unico. Così come tutti ereditiamo 5 dita ma ognuno
ha delle impronte digitali diverse dall’altro.
Chi ha un ritmo circadiano inferiore alle 24 ore tende a svegliarsi presto e ad andare
a letto presto, con un picco di vigilanza attorno a mezzogiorno.
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Chi ha un ciclo più lungo delle 24 ore tende a fare le ore piccole e a stare a letto fino
a tardi la mattina, con un picco di attività attorno alle 6 del pomeriggio.
Nel libro del cronobiologo Michael Smolensky, pioniere di questi studi, queste due
impostazioni dell’orologio biologico sono chiamate Allodole e Civette.
I restanti 7 si trovano un una zona intermedia, definita, per restare in tema con i volatili,
Colibrì.
Quello che si è visto è che in questa libertà totale l’orologio portava la persona a sfasarsi
sempre di più rispetto alla reale durata della giornata solare.
Uscendo dopo un lungo periodo di tempo dal laboratorio in caverna, le civette, convinte
di andare incontro al giorno, si sono trovate nel pieno della notte (e viceversa per le
allodole).
La luce artificiale
La luce artificiale ha la capacità di spostare la sincronizzazione dell’orologio biologico,
interferendo con il processo naturale dell’alternanza sonno veglia.
Alla luce di queste informazioni, per una corretta igiene del sonno, è consigliabile
ridurre al minimo l’esposizione alla luce artificiale in questi orari.
I processi opponenti
Osservando la situazione da un punto di vista globale, quello che appare è l’intersezione
di due processi che sono attivi contemporaneamente la cui sommatoria determina il
grado di attivazione dell’organismo, e di conseguenza la predisposizione alla veglia e al
sonno.
10/18
Il primo processo è quello circadiano che abbiamo visto prima riguardo l’orologio
biologico. Questo processo non è lineare, ma prevede, all’interno della giornata, delle
variazioni significative.
All’interno della giornata ci sono due onde lente di attivazione, che regolano la
vigilanza e l’attivazione biologica. Sono due onde che hanno il loro picco tra le 7 e le 10
di mattina e le 7 e le 10 di sera (con le ovvie variabili individuali).
Semplificando molto le cose, ogni ora in cui sei sveglio corrisponde ad un’ora di
deprivazione di sonno. Questo “debito” si accumula e si somma nell’arco della giornata. Il
debito si estingue con il sonno. Idealmente, dormendo si porta il conto a zero.
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Debito di sonno
L’insieme dei due sistemi di regolazione è chiamato “modello dei processi opponenti”
dal suo ideatore: William Dement.
La risultante dei due processi determina il grado di attivazione e di regolazione del ciclo
sonno-veglia all’interno della giornata.
Il suo andamento è un’onda di questa forma.
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Processi opponenti che regolano il sonno
Questo modello è un derivato dallo studio del sonno dell’uomo moderno, per cui, come
puoi notare, manca la seconda onda di attivazione notturna, perché il sonno è continuo.
Quello che balza subito all’occhio è il calo di attivazione nelle prime ore del
pomeriggio.
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La vigilia come periodo di elaborazione del sogno
Torniamo all’argomento protagonista: la vigilia.
Come abbiamo visto nelle parti precedenti della rubrica sugli stati di coscienza, il sonno
ha una duplice funzione: il recupero e la riparazione fisiologica e il recupero
psicologico. Nel sonno moderno, questa duplice funzione viene alternata all’interno di
cicli di 90 minuti, con una predominanza del recupero e riparazione fisica nella prima
parte della notte. Con il passare della notte questo equilibrio si sposta e predomina il
recupero psicologico tramite un tempo maggiore dedicato all’integrazione del materiale
onirico.
È probabile che l’uomo antico avesse questa duplice funzione separata in modo più
marcato, e che il fatto di averla oggi alternata nei cicli di un’ora e mezza derivi dall’aver
compresso il sonno in un unico periodo di 8 ore continuative.
Probabilmente quello che noi viviamo come sogno nel sonno REM era vissuto un tempo
in modo diverso. L’elaborazione avveniva in questo lungo periodo di vigilanza attiva.
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Se immaginiamo un villaggio di cacciatori-raccoglitori, il fatto di avere delle persone in
una condizione di dormiveglia garantisce al gruppo una protezione maggiore dai pericoli
notturni.
Avere un’alternanza di persone che “fanno la guardia” vigilando sugli altri è un fattore
di sicurezza che evolutivamente ha garantito la trasmissione genetica di questa
caratteristica.
Oltre alla vigilanza quieta e alle fantasticherie del sogno, in questo intermezzo notturno il
villaggio era comunque attivo. Il sonno dei cacciatori-raccoglitori non era continuo e
monolitico (e lo è ancora per chi dorme in questo modo).
Nelle tribù dedite all’allevamento i pastori ad esempio utilizzano questo risveglio per
mungere il bestiame.
Nella sua ricerca storica Ekirch ha inoltre scoperto che il periodo notturno era il
preferito per gli accoppiamenti. Le coppie approfittavano della quiete e della
rilassatezza dello stato di veglia per l’intimità. Dopo il primo sonno, il corpo era più
riposato e l’accoppiamento era più appagante.
Abbiamo visto che la modalità storica di sonno dell’uomo pare sia stata quella
bimodale, caratterizzata da un intermezzo di vigilanza tra una prima e una seconda fase
di sonno.
Esiste poi una terza modalità, il cosiddetto sonno polifasico, in cui la persona dorme 20-
30 minuti ogni 3-4 ore, riducendo in questo modo la necessità di dormire a non più di
tre ore al giorno.
In tempi recenti sta rivivendo una specie di rinascimento, portato alla ribalta dal metodo
Uberman [ Vedi Uberman Sleep Schedule ].
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Nel grafico qui sotto puoi trovare degli esempi di come alcuni personaggi illustri hanno
vissuto il sonno.
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Le abitudini di sonno di alcuni personaggi illustri
Il sonno plastico
Come vedi il sonno è un elemento della nostra umanità che è altamente plastico. Viene
modificato dalla cultura, dalle variazioni stagionali, dal periodo storico in cui vivi, dalle tue
condizioni psicologiche della giornata, dal tuo bioritmo individuale.
Nella cultura e nell’epoca storica in cui ci troviamo, il sonno monofasico, continuo per le
7-8 ore notturne, è predominante.
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È giusto o sbagliato? Dovremmo dormire diversamente?
Certo è che questo modo di dormire si presenta come un adattamento recente alla
nostra vita moderna, e che elimina l’accesso allo stato di coscienza della vigilia.
Nel repertorio degli stati di coscienza dell’uomo moderno manca un tassello: quello della
vigilia.
Quindi, dormendo in questo modo, limitiamo l’accesso all’elaborazione del sogno nella
modalità tipica della vigilia. Esistono però altri modi di esplorare e di integrare i sogni,
che si adattano bene con il nostro modo “moderno” di dormire. Li vedremo nei prossimi
due appuntamenti della rubrica, in cui esploreremo il sogno e il sogno lucido.
Per ricevere un aggiornamento sugli articoli futuri, puoi iscriverti alla newsletter di
essereintegrale.
Bibliografia
Thomas Wehr – In short photoperiods, human sleep is biphasic
Roger Ekirch – Segmented Sleep in Preindustrial Societies
Roger Ekirch – Sleep We Have Lost
Il nobel per gli ingranaggi dell’orologio biologico
Michael Smolensky – The Body Clock Guide to Better Health
Jeff Warren – Dove hai la testa?
William Dement – Il sonno e i suoi segreti
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Il sonno senza sogni [Rubrica Stati di Coscienza]
essereintegrale.com/sonno-senza-sogni
Agostino Famlonga
Questo articolo fa parte della rubrica La straordinaria avventura tra gli stati di
coscienza.
1/9
Sonno profondo
Il processo dell’addormentamento è una fase di transizione: passi dalla condizione in cui
sei sveglio in una in cui sei addormentato. Questa fase è stata trattata in modo
approfondito nell’articolo sullo stato ipnagogico, che è appunto il nome di questo stato di
coscienza intermedio.
Conclusa la fase di transizione ipnagogica, come vedi dal grafico qui sotto, non entri
immediatamente nel mondo onirico, ma incontri invece la fase del sonno profondo,
o del sonno senza sogni.
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I sogni propriamente detti emergono dopo, quando risali progressivamente dal sonno
profondo ed entri nello stadio 1 del sonno dove si verifica la fase REM. Come vedi sono
inizialmente brevi, poi si allungano a discapito del sonno profondo.
Nella notte, nei vari cicli di sonno della durata di circa 1 ora e mezza che incontri, c’è
prima un predominio temporale del sonno senza sogni. Poi pian piano questo lascia
più spazio alla fase REM (e quindi allo stato di sogno).
La transizione dalla fase di veglia alla fase del sonno profondo dura generalmente dai
30 ai 40 minuti. In questa fase il cervello chiude progressivamente le porte agli stimoli
sensoriali, riduce al minimo la sua attività ed emette le cosiddette onde lente, chiamate
delta.
3/9
Cosa accade nel cervello durante il sonno senza sogni
Durante il sonno profondo il cervello “interrompe” l’ingresso
degli stimoli sensoriali. L’elaborazione degli input derivati dai
sensi è ridotta al minimo.
Il motivo è che le onde cerebrali in questa fase del sonno hanno una frequenza molto
bassa, di circa 1 a 4 cicli al secondo (Onda delta). È un’attività elettrica a grande
ampiezza e a bassa frequenza.
4/9
In questa fase le regioni cerebrali specializzate, che normalmente comunicano con le
altre aree per coordinare l’elaborazione cosciente, si isolano le une dalle altre. La
connettività tra le diverse aree del cervello viene limitata.
Non c’è un’interruzione vera e propria come avviene nel talamo verso gli stimoli esteriori.
Potremmo dire che la comunicazione tra le varie aree cerebrali viene inglobata nel
pervasivo pulsare delle onde lente. La comunicazione specializzata viene meno , e i
neuroni che si attivano in questa fase, si attivano in modo isolato dal resto.
Riposo fisiologico
Durante la fase del sonno profondo avviene una profonda rigenerazione fisica. Per
questo motivo è predominante nella prima parte del sonno.
Questo tratto si è affermato evolutivamente nel genere umano perché, dal punto di vista
della sopravvivenza, è più importante la rigenerazione fisica rispetto alla rigenerazione
psicologica. Quest’ultima infatti inizia ad emergere quando la rigenerazione fisica è stata
sufficiente. Allora la bilancia tra il sonno senza sogni e il sonno con sogni si sposta, fino
ad arrivare, prima del risveglio, ad avere un predominio pressoché totale della fase di
sogno rispetto a quella di sonno profondo.
Nelle altre fasi del sonno, il riposo è minimo. Addirittura nel sonno REM l’attività è
equiparabile a quella della veglia dal punto di vista del dispendio energetico.
Nel sonno profondo il sistema immunitario viene rinforzato. Pur funzionando anche
senza dormire, si è riscontrato che una carenza di sonno porta ad un indebolimento
delle funzioni immunitarie.
In questa fase di riposo avviene anche una importante regolazione della temperatura
corporea.
Durante il sonno profondo vengono anche messe in atto delle importanti manutenzioni
del cervello. Vengono riparati i danni neurali causati dai radicali liberi. I radicali liberi
sono sostanze reattive prodotte dal metabolismo durante la veglia che provocano dei
danni alle cellule.
Un’altra manutenzione importante che avviene durante il sonno ad onda lenta è che il
cervello si rifornisce di proteine per potenziare le connessioni sinaptiche importanti,
e rimuove quelle connessioni che non sono più utili. In sostanza mette in atto una
rimozione selettiva dei ricordi e un potenziamento dei ricordi importanti.
L’altra funzione importantissima del sonno profondo è quella del rilascio dell’ormone
della crescita. In questa fase il cortisolo (un ormone collegato allo stress) è ridotto al
minimo. L’ormone della crescita permette al corpo di crescere, innesca la rigenerazione
dei tessuti danneggiati e permette di potenziare il sistema immunitario.
6/9
Uno stato di coscienza senza un io
Questa fase viene generalmente vissuta come un balck-out della consapevolezza ,
un’interruzione, un’assenza. La riconosci quando ne esci fuori, per contrasto rispetto alla
fase di veglia. Ora ci sei, sei consapevole di te e dell’ambiente in cui sei immerso. Nel
sonno senza sogni non c’è alcun contenuto, e nemmeno la consapevolezza di te
stesso.
Il sonno profondo è uno stato di coscienza in cui l’identificazione con ciò che chiami te
stesso viene meno. I confini dell’io vengono dissolti, e ti trovi in una condizione di
incoscienza, o di inconsapevolezza.
Uscendo fuori dalla condizione di sonno profondo, riemerge l’identificazione con il tuo
corpo, con la tua mente, con le tue emozioni.
Questa è la condizione ordinaria dell’essere umano. Ma deve essere così per forza?
La risposta è no. Semplicemente questa interruzione dipende da dove risiede il tuo senso
di identità.
Non sei più identificato con i contenuti della coscienza, ma con la coscienza stessa, il
contenitore.
Ecco allora che quello che chiami “te stesso”, il senso di te, diviene ciò che contiene i
contenuti di coscienza. Non più qualcosa di limitato e definito, come il corpo, la mente e
le emozioni, ma “qualcosa” di illimitato e indefinito. (Qualcosa è messo tra virgolette
perché non è qualcosa di definibile, è semplicemente l’essere che sei, è l’essenza di
tutto ciò che è, che rappresenta la tua natura ultima.)
Quando il centro di gravità della tua identificazione si sposta qui ecco che, anche nel
sonno profondo, non perdi il senso di essere te stesso.
Se hai accesso in modo continuo al dominio causale, ciò che causa gli altri domini (fisico
ed energetico), allora non c’è blackout, non c’è interruzione nella consapevolezza. Tu
sei questo, e quando dormi, non perdi la continuità di ciò che sei.
Il sonno profondo comunque non scompare, resta una fase di rigenerazione fisica
importante, ma viene integrato in una continuità di presenza consapevole.
ciò che non è presente nel sonno senza sogni, non è la tua natura.
Questo stadio nella progressione tra gli stadi degli stati di coscienza è la porta di accesso a
quello non duale, che integra questa identità trascendente in tutti gli altri gli altri stati e
domini in un abbraccio unitario.
Bibliografia
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9/9
Lo stato di coscienza ipnagogico [Rubrica stati di
coscienza]
essereintegrale.com/ipnagogico-stati-coscienza-rubrica
Agostino Famlonga
Lo fai ogni notte, o almeno, dovresti farlo. È talmente naturale che lo dai per scontato.
Accade. Ė naturale e spontaneo.
Il dormire non lo vedi come un’azione. Anzi, generalmente lo vedi proprio come l’assenza
totale di azione. Il riposo per eccellenza, dove non fai nient’altro che abbandonarti alle
braccia di Morfeo.
Accadono in una notte di sonno molte più cose di quel che si crede.
Ogni notte viaggi attraverso una serie di stati di coscienza diversi. La ruota degli stati di
coscienza gira e ti fa esplorare una serie di territori
Questo avviene spontaneamente, che tu ne sia consapevole o meno. Per questo è vero
che non c’è altro da fare che lasciare che accada.
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Quindi, in questo non fare nulla e lasciare che accada, ci sarebbe in realtà un’azione
interiore da compiere: restare consapevoli. O almeno provarci.
Il sonno non è uno solo . Nelle ore in cui dormi accadono una serie di cambiamenti
significativi negli stati di coscienza. Questi cambiamenti si alternano in modo ciclico.
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I cicli e gli stadi del sonno
Innanzitutto come vedi ci sono diversi gradi di profondità del sonno. Dal sonno
leggero, stadio 1, al sonno più profondo, che è chiamato stadio 4. Non ti serve conoscere
i dettagli dei 4 stadi, ti basta sapere che lo stadio 1 è un sonno leggero, e lo stadio 4 è il
sonno profondo.
Come vedi
Trascorso un periodo di tempo in questa fase lentamente risali verso un sonno più
leggero ed entri nel sonno REM, segnato in rosso nel grafico. Certamente hai già sentito
questo acronimo, che sta per Rapid Eye Moviment (significa: rapidi movimenti oculari). È
lo stadio del sonno in cui avvengono i sogni. Generalmente l’attività muscolare del
corpo è inibita, tranne quella degli occhi, che seguono il movimento di ciò che accade nel
sogno.
L’attività cerebrale in questa fase è molto simile alla veglia. La priorità non è riposare, ma
quella di integrare e consolidare le impressioni accumulate durante la veglia.(Lo
vedremo meglio quando tratteremo il sogno in questa rubrica).
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Il primo sogno dura poco, dieci-quindici minuti, poi il sonno ritorna ad una fase più
profonda, ritorna cioè allo stadio 4.
Dopo 15-20 minuti risale nuovamente nel sonno REM. Come vedi questa volta il sogno
dura di più rispetto al primo ciclo.
I cicli si susseguono, ma come puoi vedere dal grafico cambia ogni volta la durata di ogni
fase e la profondità del sonno.
Ogni ciclo di sonno ha una durata ben precisa: dura un’ora e mezza. All’interno di
questa ora e mezza le durate dei singoli stadi sono variabili.
Il primo ciclo ha un sonno profondo importante e un sogno breve. Ogni ciclo che segue
le priorità si invertono, il sonno va sempre meno in profondità e la durata del sogno
aumenta progressivamente.
Ogni notte attraversi una serie di questi cicli. Quanti? Dipende da quanto dormi. Se
dormi 8 ore come nel grafico ne attraversi 5, se dormi di più ne attraversi di più, in
proporzione.
Prova a dividere le tue ore di sonno per un’ora e mezza e vedrai che otterrai numeri
interi – se non ti svegli con la sveglia – che ti dicono quanti cicli di sonno hai passato
durante la notte.
L’addormentamento
La fase di addormentamento è simile a un tramonto: è un processo che ha una durata
temporale, in cui puoi certamente dire “il sole è tramontato quando è sotto l’orizzonte”,
ma la luce continua ad esserci anche dopo, in varie sfumature di intensità. Lo stesso è
per l’addormentamento.
Non esiste un interruttore ON-OFF: ora sono sveglio – ora sto dormendo. Si tratta di un
continuum, in cui si susseguono varie sottofasi. Varie gradazioni di luminosità, come nel
tramonto.
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Il talamo chiude le porte sensoriali e la mente si orienta verso gli stimoli interni. Quando
accade questo, sei ufficialmente addormentato.
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I fusi del sonno e i complessi K sono particolari registrazioni che evidenziano che il
talamo ha chiuso gli ingressi sensoriali verso il mondo esterno.
Stato alfa
Appiattimento delle onde alfa
Onde theta
Questo è ciò che accade dal punto di vista cerebrale. Non ci interessa entrare nel
dettaglio di ogni sottofase, ci interessa di più spostare l’attenzione a quello che accade a
livello interiore.
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Lo stato di coscienza ipnagogico
Quando ti addormenti entri nello stato di coscienza ipnagogico.
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Le ultime ricerche sul sonno associano questi fenomeni al sonno REM, la parte del sonno
in cui si sogna. Sostengono cioè che lo stato ipnagogico non sia uno stato di coscienza a
sé stante, ma che sia semplicemente un sonno REM “sotto copertura” (REM covert). Un
sogno semi-cosciente, o semi-lucido, spontaneo
Lo stato di sogno può incontrare quello di veglia e fecondarlo con idee brillanti, intuizioni
e comprensioni inedite.
Nella storia dell’essere umano molti artisti e inventori hanno usato intenzionalmente
questo stato di transizione per cogliere idee brillanti e creazioni innovative.
Come abbiamo visto prima lo stato ipnagogico è composto da varie sottofasi. Gli studi
sull’EEG ci rivelano cosa accade da una prospettiva oggettiva, in terza persona.
Vediamo ora cosa accade dal punto di vista soggettivo, ovvero cosa ti succede mentre
ti addormenti.
Pur essendo ogni fase ben distinta dalle altre, anche in questo caso non esiste un
interruttore acceso-spento tra una fase e l’altra, esiste una continuità. Uno stadio sfuma
in quello seguente.
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La seconda fase ipnagogica: Attività immaginativa associata a
distorsioni nello schema corporeo
Man mano che il rilassamento aumenta, il modo in cui soggettivamente si percepisce il
proprio corpo inizia ad alterarsi. Lo schema corporeo viene modificato, e a questo si
associa un incremento dell’attività immaginativa.
Tra un’immagine e l’altra potrebbe esserci un qualche tipo di associazione, in una sorta
di catena associativa. Ma non sempre è così, a volte le immagini sono
completamente scollegate tra di loro.
Un vissuto che spesso si verifica in questa fase è la sensazione di cadere nel vuoto. Se
l’esperienza è resistita può divenire un vissuto ansiogeno e portare ad un brusco
risveglio, con un improvviso scatto muscolare. Questa è chiamata contrazione
mioclonica, ed è generata dal tronco encefalico (la parte più primitiva del nostro cervello),
e ha lo scopo di rilasciare la tensione muscolare accumulata. Probabilmente ti è già
capitato di provare questa sensazione.
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La terza fase ipnagogica: Fenomeni autosimbolici
Superata la fase immaginativa lo stato ipnagogico sfocia in una fase in cui il pensiero si
presenta in una forma più “primitiva”. Il rilassamento mentale aumenta, e si allentano
le configurazioni classiche di pensiero, indebolite dal bisogno di dormire.
Inizia la transizione di fase in cui il pensiero logico, razionale e lineare tipico della veglia
tende ad allentarsi, lasciando spazio a forme di pensiero più arcaiche.
Hai intenzione di comunicare qualcosa a una persona perché sei preoccupato per lei,
potrebbe emergere un’immagine in cui ti vedi mentre attraversi un ponte con un pacco
in mano.
Proprio in questa fase di contatto tra il sogno e la veglia, dove si allentano le redini del
pensiero logico razionale, può emergere nella sua piena espressione la creatività non
lineare.
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La quarta fase ipnagogica: I sogni ipnagogici
Come hai visto nel grafico dei cicli del sonno, nella fase di addormentamento si scende
direttamente nello stadio 4, si scivola cioè nel sonno profondo. Non si attraversa cioè
una fase REM vera e propria. Eppure emergono, nella quarta fase dello stadio
ipnagogico, dei fenomeni molto simili al sogno. Sono chiamati appunto sogni
ipnagogici.
Sono una continuazione e un’intensificazione dei fenomeni autosimbolici della terza fase.
Sono caratterizzati da una maggiore staticità.
Il sogno ordinario è dinamico, c’è del movimento, “una storia” che si articola, mentre
in questa fase le impressioni sono tendenzialmente più statiche, anche se questo
non è un principio assoluto.
Qualche ricercatore sostiene i sogni ipnagogici sono del tutto sovrapponibili al sogno
ordinario.
La cosa che certamente li differenzia è che, essendo questo tipo di sogno fatto in una
fase di transizione di stato, è presente in modo del tutto naturale una certa dose di
consapevolezza, che rende facilmente questo sogno “lucido”, o quantomeno “semi-
lucido”.
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Lo stato ipnagogico e la creatività
Molti artisti, scrittori e scienziati hanno fatto uso della condizione “alterata” dello stato
ipnagogico per immettere carburante innovativo alle loro creazioni.
Dickens, Goethe, Brahms, Poe, Twain, Klee, Stevenson, Wagner, Edison, Dalì e molti altri
hanno usato in modo esplicito l’ipnagogico per creare le loro opere.
Lo stato ipnagogico, nella terza e nella quarta fase, favorisce l’ innovazione creativa.
Come direbbe Kuhn, si esce fuori da quello che è il paradigma consolidato entro cui
si elaborano le informazioni. Emergono in modo spontaneo le idee più improbabili,
completamente irrazionali, innovative.
Sono, dal punto di vista della teoria della complessità, novità emergenti. Sono
innovazioni qualitative rispetto allo status convenzionale. Emergono quando una
massa critica di informazioni viene integrata in una sintesi innovativa.
Nella fase autosimbolica dello stato ipnagogico, nelle immagini che emergono c’è una
miscela sinestetica dei vari canali sensoriali e cognitivi. Possono emergere immagini
collegate a idee, formule matematiche associate a suoni, concetti combinati con
emozioni e con esperienze di pura fantasia… questo “mescolamento” è un terreno fertile
per il pensiero creativo.
Un grande inventore è famoso per aver sfruttato questa condizione per creare: Thomas
Edison.
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Si dice che Edison dormisse pochissimo, ma che faceva molti sonnellini durante il giorno.
Quando si trovava di fronte ad un problema che non riusciva a risolvere, si metteva in
poltrona e faceva un sonnellino, tenendo vicino a sé il suo blocco degli appunti e
tenendo nelle mani due palline di acciaio.
Scivolando nel sonno le mani gli si aprivano, facendo cadere le palle di acciaio su due
piatti messi esattamente di fianco alla sua poltrona, sotto la verticale delle mani.
Cadendo sui piatti, le palle di acciaio facevano un rumore tale da svegliare Edison
proprio nella transizione di fase tra la veglia e il sonno.
Destandosi in questa fase, poteva cogliere tutte le idee creative e associative dello
stato ipnagogico. Molte delle sue brillanti idee sono sono state colte proprio in questo
modo.
Puoi usare questo metodo facendo un pisolino pomeridiano oppure nella fase di
addormentamento serale.
Ogni stato di coscienza può ricondurti a te, individuo consapevole dello stato .
Quando, nel mezzo di uno stato di coscienza, divieni consapevole di “chi” lo esperisce,
stai uscendo fuori dal contenuto di quello stato particolare, facendo un passo verso la
transizione di fase successiva.
Per questo motivo ti invito ad impegnarti nel superare questo primo passaggio, cioè ti
invito a provare a restare consapevole mentre ti addormenti invece di scivolare
nell’oblio.
All’inizio può sembrarti uno sforzo innaturale, ma ti garantisco che con il tempo diventa
del tutto naturale e divertente. E soprattutto ne ricaverai moltissimi stimoli
creativi.
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Puoi condividere nei commenti qui sotto la tua esperienza o le intuizioni che hai
ricavato esplorando questo affascinante stato di coscienza.
Bibliografia
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La straordinaria avventura negli stati di coscienza
[Rubrica]
essereintegrale.com/avventura-stati-di-coscienza-rubrica
Agostino Famlonga
Inizia con questo articolo una serie di approfondimenti legati agli stati di coscienza. Una
rubrica periodica in cui avremo modo di conoscere l’enorme varietà di stati di coscienza
che possiamo vivere. Sono molti di più di quel pensiamo. Impareremo a riconoscerli, a
distinguerli e a sfruttarli per la nostra evoluzione.
Lo stato di veglia è quello in cui ti trovi adesso, nel leggere questo articolo sul tuo
computer o smartphone.
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La notte quando ti addormenti vivi alternativamente due grossi stati di coscienza, diversi
tra di loro.
Lo stato di sogno è quella condizione per cui durante il sonno ti trovi a vagare in un
mondo mentale in cui prendono vita le fantasie più disparate.
Questi due grossi stati si alternano tra di loro per tutta la notte, con una ciclicità che
vedremo meglio quando li affronteremo nello specifico.
Questi tre stati di coscienza sono detti stati naturali, o ordinari. Tutti li attraversiamo
quotidianamente, fin da quando siamo nati. Anche un neonato ciclicamente attraversa la
veglia, il sogno e il sonno senza sogni, seppur con ritmi e tempi molto diversi rispetto a
quelle degli adulti.
Uno stato di coscienza è una configurazione temporanea del modo in cui la #coscienza
elabora le informazioni.
Se sono sveglio nella mia coscienza appariranno sedie, tavoli, monitor, automobili. Tutto
quello che è legato all’universo fisico, concreto.
Se sono nel sonno senza sogni la coscienza giace in sé stessa nella vastità spaziosa priva
di contenuti.
Vedremo tutto questo in dettaglio nei vari episodi. Quello che mi interessa farti
comprendere ora sono questi tre punti:
Innanzitutto ci sono le transizioni di fase: il passaggio da uno stato all’altro non è netto e
definito, come se esistesse un interruttore. Ora sono sveglio, adesso dormo. Non accade
così alla coscienza, che si muove su un continuum molto fluido.
Ci sono una serie di stati intermedi che sono anch’essi degli stati di coscienza specifici
e definiti. Sono le transizioni di fase tra i tre stati naturali. E hanno una
configurazione diversa a seconda se il cambiamento di stato va in un verso o nell’altro.
Ovvero se stai passando dalla veglia al sonno avrai uno stato specifico. Se invece stai
emergendo dal sonno nella veglia, lo stato è diverso.
Oltre a questi ci sono gli stati di coscienza non ordinari, che sono ottenuti tramite un
qualche tipo di pratica che agisce sulla coscienza, come ad esempio lo stato di trance
ipnotico, oppure tramite l’uso di sostanze enteogene.
Ci sono poi gli stati di coscienza meditativi, che hanno una progressione ben definita,
si sviluppano cioè in stadi progressivi.
La pratica meditativa permette di rendere stabili gli stati di coscienza. Cioè quello che
è uno stato di coscienza (transitorio) si tramuta in stadio di coscienza (permanente).
Questa progressione è definita stadi degli stati per distinguerla dalla progressione degli
stadi delle strutture di coscienza.
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Partendo da tre semplici condizioni naturali abbiamo ampliato notevolmente lo spettro
degli stati di coscienza a nostra disposizione.
Tutti questi aspetti vengono spiegati nel dettaglio nell’ebook gratuito Sistema
Operativo non-duale.
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L’idea mi è venuta prendendo spunto dal libro di Jeff Warren Dove hai la testa? Ho
adattato la ruota della coscienza da lui proposta al Sistema Operativo non-duale di
Essere Integrale.
Gli altri sei sono legati al giorno, sono varianti dello stato di veglia.
In periferia vedi la circonferenza della ruota con delle increspature, diverse da un settore
all’altro. Queste sono delle rappresentazioni di massima del tracciato di un
elettroencefalogramma nello stato di coscienza corrispondente.
Nella rubrica affronteremo quindi l’analisi degli stati di coscienza sia dal punto di vista
interiore (cosa accade soggettivamente quando ti trovi in quello stato) che dal punto di
vista esteriore (cosa accade al corpo e al cervello mentre ti trovi in quello stato).
L’approccio è integrale, impiega cioè una serie diverse di metodologie e di punti di
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vista.
La consapevolezza
Se in periferia della ruota si trovano gli stati di coscienza, cosa si trova al centro? Al
centro ci sei tu, individuo consapevole dello stato di coscienza in cui ti trovi.
La rappresentazione grafica come ruota degli stati di coscienza è utile anche
simbolicamente perché ti riporta sempre al centro dello stato, all’individualità
consapevole che sei.
Al centro di ogni stato di coscienza ci sei tu, individuo consapevole dello stato.
Usiamo il cambiamento degli stati di coscienza, la periferia, per ricondurci a noi, per
essere consapevoli, al di là dello stato in cui ci troviamo. Esiste un “centro” che non
varia in ogni stato di coscienza. Sei tu.
Il fine dello studio degli stati di coscienza è proprio questo: portare consapevolezza
negli gli stati, anche quelli che apparentemente dovrebbero esserne privi.
Tutta questa avventura interiore per stabilizzare il centro della ruota degli stati di
coscienza, per rendere il fulcro della ruota sempre presente, indipendentemente da
quello che accade in periferia.
La fine del viaggio tra gli stati di coscienza è l’unione consapevole con tutto ciò che
emerge in ogni stato di coscienza.
La fine del viaggio tra gli stati di coscienza è l’unione consapevole con tutto ciò che
emerge in ogni stato.
Il punto di partenza
In questa straordinaria avventura negli stati di coscienza serve un punto di partenza
comune. Sebbene ognuno di noi abbia avuto nella sua vita esperienze di stati di
coscienza più o meno profondi, serve partire dalla condizione ordinaria.
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Partiremo dalla condizione in cui la persona è in grado di divenire consapevole di sé
solo nello stato di veglia, e con una consapevolezza intermittente. È la condizione a
cui giungiamo in modo spontaneo senza fare nulla di mirato nel campo della ricerca
interiore. Un adulto matura interiormente in modo naturale fino a questo punto.
Durante il giorno se vuole può rivolgere l’attenzione a sé, ma questa attenzione non è
sostenuta, dopo un po’ decade. L’attenzione viene carpita rapidamente dagli stimoli
sensoriali.
Se ti riconosci in questa condizione, sappi che è del tutto normale. Normale non significa
che debba essere così per forza. Se decidi di partire per questa avventura negli stati di
coscienza imparerai ad ampliare la gamma di stati di coscienza in cui essere
consapevole. Trasformerai questa condizione normale e ordinaria in qualcosa di
diverso, che diventerà la tua normalità.
Se il tuo punto di partenza è diverso, cioè se hai una condizione interiore che ti permette
di mantenere la consapevolezza in più stati di coscienza, buon per te, è un bagaglio di
esperienza che ti verrà utile nell’integrare gli stati di coscienza che ancora ti mancano
per stabilizzare la consapevolezza.
Per non perdere le prossime puntate di questa rubrica ti consiglio di iscriverti alla
newsletter gratuita di Essere Integrale.
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Stati di coscienza in 4 dimensioni
essereintegrale.com/stati-di-coscienza-in-4-dimensioni
Agostino Famlonga
Gli stati di coscienza sono un campo di studio complesso e affascinante, che suscita
spontaneamente interesse nella maggior parte delle persone. Tutti sperimentiamo nella
quotidianità dei naturali cambi di stato.
La notte dormi e sogni. La mattina ti svegli, ti alzi dal letto e fai quello che vuoi. Queste
due modalità di interagire con la realtà sono diverse. Che cosa cambia da una situazione
all’altra? Il tuo stato di coscienza. Apparentemente questo sembra essere un fatto
privato, appartenere alla sfera individuale, personale. Eppure questo fenomeno
coinvolge tutte le dimensioni. Vediamo come.
Questa loro caratteristica li differenzia dagli stadi di coscienza, che invece perdurano
nel tempo e seguono una progressione di sviluppo.
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Quanti sono gli stati di coscienza?
Tutti conosciamo lo stato di veglia, in cui siamo vigili e svegli.
Tutti abbiamo, in misura diversa, accesso allo stato di sogno. C’è chi li ricorda tutti, chi
ne conserva solo un vago ricordo, e chi sostiene di non sognare affatto. In realtà tutti
sogniamo la notte quando ci addormentiamo, anche se a volte la consapevolezza
del sogno è talmente labile da sfuggire al ricordo cosciente.
Non tutta la notte la passiamo sognando. Lo stato di sogno si alterna a quello di sonno
profondo, in cui l’attività cerebrale si riduce al minimo.
2D: interiore-esteriore
Il cambio di stato è l’aspetto che riguarda la sfera personale, individuale. È la tua
esperienza soggettiva che cambia. Un osservatore esterno vede il tuo corpo che
dorme. Non ha accesso alla tua interiorità. Eppure qualcosa cambia anche a livello
esteriore quando tu cambi il tuo stato di coscienza.
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Quando sogni i tuoi occhi iniziano a muoversi
rapidamente. Se chi ti guarda da fuori vede
questo segnale, sa che tu stai sognando, anche
se non può sapere cosa. Potrebbe con degli
appositi strumenti vedere come la tua attività
cerebrale elabora il sogno.
Da leggere: Quadranti
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Come ogni elemento del modello integrale, anche gli
stati di coscienza accadono in ognuna delle quattro
dimensioni.
Lo stato non-duale
Oltre ai tre stati naturali (veglia, sogno, sonno senza sogni), è possibile descrivere
un ulteriore stato di coscienza, quello non-duale, accessibile sia come peak experience
(un’esperienza diretta transitoria) che come stadio evolutivo dopo aver attraversato la
progressione degli stadi-degli-stati. La consapevolezza testimoniante fa da ponte per il
conseguimento di questo stato.
Come si inquadra questo stato all’interno delle dimensioni esistenziali? In realtà lo stato
non-duale non è uno stato di coscienza vero e proprio, ma è il fondamento di tutto. È la
dimensione dell’essere. L’essere consapevole compenetra tutte le dimensioni con la
sua proprietà fondamentale, la non-dualità.
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Si tratta del terreno comune entro cui gli stati di
coscienza emergono. La non-dualità è una
proprietà fondamentale dell’universo in tutte le sue
dimensioni, ed è accessibile da ognuno dei tre stati
naturali di coscienza.
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Come sciogliere la stanchezza con la respirazione
essereintegrale.com/stanchezza-respirazione
Agostino Famlonga
In questo articolo ti parlo di un segreto che è nascosto in piena vista, qualcosa che è
sotto gli occhi di tutti, ma che solo pochi vedono e colgono a fondo.
Prova a pensare: l’ultima volta che ti sei sentito stanco, cosa hai fatto per affrontare la
stanchezza? Dove hai posto l’attenzione?
Qualcuno prende un caffè, qualcuno prova a riposare, altri non fanno nulla e accumulano
la stanchezza fino a che diventa una stanchezza cronica, creando uno stile di vita
appesantito e rallentato, dove fare ogni cosa risulta uno sfinimento.
Scopriamo dunque il ruolo del respiro nel vivere una vita dove la stanchezza lascia il posto
alla vitalità.
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Il respiro ti carica di energia vitale
Questa è una frase di Lowen che sottolinea un concetto per nulla scontato:
Rileggi per cortesia questa frase, lentamente, e lasciala entrare in profondità dentro di te.
Il livello di vitalità che una persona vive è strettamente legato al suo modo di respirare e
all’intensità e profondità del suo respiro.
Ecco il segreto celato in piena vista. Respirando puoi accedere ad un alto livello di
vitalità, e di conseguenza contrastare la stanchezza.
Respirare di più non è inteso come quantità in senso assoluto, non è riferito alla
capacità polmonare o a una performance atletica. Uno sportivo che pratica una disciplina
aerobica potrebbe manifestare uno stesso livello di stanchezza di un sedentario.
Puoi farti delle semplici domande qualitative per valutare la tua respirazione:
Anche se in senso assoluto respiri la metà della metà di un atleta, con una respirazione
libera, completa e profonda puoi accedere ad una vitalità che questo nemmeno si
immagina.
Questo è il primo principio da fissare, il legame diretto che esiste tra il respiro e
l’energia vitale.
Ma c’è un secondo motivo per cui un respiro liberato contrasta la stanchezza alla radice, e
questo non è in piena vista, perché è subdolamente nascosto nei nostri meccanismi di
difesa psicologici.
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Tenere il respiro bloccato consuma energia
Nel corso della vita la respirazione subisce una serie di condizionamenti, dovuti alla
risposta ad eventi che restano impressi.
Il punto che voglio sottolineare qui parlandoti della stanchezza è questo: i blocchi
emotivi, ovvero le emozioni represse che non ti sei permesso di vivere completamente,
alterano il respiro bloccando il pieno fluire dell’energia vitale nel corpo.
Il blocco del respiro permane, viene cioè tenuto attivo inconsciamente, come
meccanismo di difesa per non sentire appieno le emozioni congelate legate
all’evento scatenante.
Questo blocco del respiro viene vissuto come una tensione costante. Una tensione che
si manifesta su più piani: diventa tensione fisica (irrigidimento muscolare), tensione
emozionale (emozioni conflittuali) e infine anche tensione mentale.
Oltre a non permettere il pieno fluire dell’energia vitale, il blocco del respiro
consuma energia.
Anche se la persona sente di subire il blocco del respiro, ovvero non lo fa coscientemente,
all’atto pratico è la persona stessa che tiene attiva in sé la tensione.
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Siamo noi che facciamo tutto dentro noi stessi. Solo che una parte è consapevole,
l’altra no.
Ecco svelato il secondo meccanismo che lega la qualità del respiro alla stanchezza.
Un blocco del respiro non solo ti impedisce di ricaricarti pienamente di energia vitale, ma
consuma costantemente energia vitale sotto forma di tensioni parassite.
Immagina una persona in auto, con la spia della benzina accesa. Con l’auto in riserva,
viaggia alla ricerca del prossimo distributore di carburante, incerta di riuscire ad
arrivarci.
Ecco che l’auto non solo rallenta, ma consuma di più a parità di chilometri
percorsi.
Ecco innescato un meccanismo perverso che conduce nel tempo verso la stanchezza
cronica e l’esaurimento psicofisico.
Il blocco del respiro è come un freno a mano tirato: oltre a rallentare, consuma una quantità
incredibile di energia vitale sotto forma di tensioni parassite.
Non esiste un’altro passeggero seduto al tuo fianco che ti sabota mentre tu guidi.
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Sei tu che premi sull’acceleratore, e al contempo sei sempre tu che tieni tirato il
freno, solo che non ne sei consapevole (o se ne sei consapevole, non sai come mollarlo).
Vediamo più avanti come farlo, per ora è importante riconoscere che esiste solo un
guidatore, che ha consapevolezza dell’energia che mette nella guida, ma non è
consapevole di tirare il freno a mano (blocco) e seppur vuole mollarlo, non sa come fare.
Magari sono entusiasti e curiosi verso un nuovo gioco, e non vogliono andare a
dormire, negando addirittura di avere sonno.
Per un adulto che li osserva è inequivocabile che siano stanchi morti. Tant’è vero che
superata una certa soglia, crollano addormentandosi magari proprio mentre stanno
giocando.
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Com’è possibile?
È possibile perché loro hanno una cosa che gli adulti tendono a perdere. La loro
apertura alla vita rende evidente una distinzione ben precisa: stanchezza fisica e
energia vitale si muovono in modo indipendente.
Tradotto con l’analogia appena vista dell’auto: i bambini non hanno il freno a mano
tirato, e mentre guidano si caricano.
Per cortesia rileggi questa frase e lasciala entrare, perché è un punto chiave.
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cosa sola, quando in realtà sono e restano due cose ben distinte (anche per noi
adulti).
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Quando il livello delle batterie è basso, sentiamo stanchezza e cerchiamo di contrastarla
riposando o cercando di ricaricarle.
È importante che tu riesca a distinguere dentro di te questi due “circuiti”, ben distinti uno
dall’altro. Quello della prontezza fisica, e quello dell’energia vitale.
La “batteria” del corpo fisico, segue il ciclo dell’attività fisica: quando il corpo
consuma energia per un’attività fisica, necessita di ricaricarsi (generalmente riposando).
Oltre a questo ci sono altri due fattori che tengono legate la prontezza fisica e il livello di
energia vitale: le tossine fisiche, e l’espressione di sé falsata.
Si scopre ben presto che tutti e tre questi elementi sono connessi uno con l’altro: il
blocco del respiro tiene attive una serie di tensioni parassite, innesca a cascata un
movimento interiore di forzatura e resistenza.
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Questa tendenza interiore a forzare e resistere non permette un’espressione autentica di
sé stessi. Le cose si rinforzano reciprocamente, in una spirale negativa.
Per sciogliere questo subdolo legame tra energia vitale e prontezza fisica, abbiamo
bisogno di intervenire su tutti e tre questi elementi: serve liberare il respiro sciogliendo i
suoi blocchi, innescare una purificazione del corpo dalle tossine e iniziare ad esprimersi
autenticamente.
Intervenendo su questi tre punti ecco che le due “batterie” tornano a operare in
modo indipendente, come è naturale che sia.
Questa “batteria” segue un ciclo di carica e scarica, simile a quella ben conosciuta dei
nostri smartphone.
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L’energia vitale liberata invece avrà un ciclo indipendente da questo.
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Per comprendere a fondo questo ciclo di “ricarica continua” serve viverlo in prima
persona.
Al contrario, quando usciva a suonare con la sua band poteva andare avanti a
suonare fino notte fonda sentendo un’energia inesauribile, anche se aveva lavorato
tutto il giorno.
La risposta a questa sua domanda sta nel principio che abbiamo appena visto.
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Anche per comprendere l’altro ingranaggio del ciclo di ricarica, la respirazione libera,
serve sperimentarlo in prima persona.
Se non conosci questa tecnica di consapevolezza, puoi ricordare l’esperienza del fare
l’amore. In una condizione di intimità, durante la sessualità, si sperimenta un
incremento di energia vitale. La batteria si ricarica.
Pur facendo delle azioni che fisicamente impegnano e stancano il corpo, a livello
energetico c’è una ricarica di energia vitale. La batteria si ricarica nel mentre
dell’azione.
(Proprio per questo motivo, allo scopo di preservare un alto livello di energia vitale, in
molte tradizioni spirituali viene data l’indicazione del contenimento dell’orgasmo).
Proprio perché tutto questo è tenuto in piedi da un blocco del respiro, agendo in
senso opposto si può invertire la situazione. Respirando in modo profondo e
completo, e togliendo le micro-apnee del respiro che sono un riflesso del blocco, si
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innesca un rilascio delle tensioni e un ripristino della respirazione naturale, piena
e libera.
Questo processo di liberazione non può accadere in una condizione ordinaria in cui la
mente è attiva e vigile, con i suoi meccanismi di difesa in allerta.
Conosco persone che, dopo una notte di 9 ore di sonno, si alzano al mattino ancora
più stanche di quando sono andate a letto. Immagino che anche tu conosca questa
condizione, o perché ti è già accaduta, o forse l’hai osservata in altri.
Perché accade questo? Come accade che riposando non si recupera completamente?
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Accade a causa di due fattori: da una parte incide sicuramente la qualità del sonno.
Spesso manca una cura degli elementi essenziali di igiene del sonno, e questo rende
difficile il riposo profondo.
L’altro elemento che incide su un riposo incompleto, è che il riposo di per sé non
scioglie i blocchi e non rilascia le tensioni parassite.
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Quando sia la prontezza fisica che l’energia vitale sono a un livello di sfinimento, ecco che
il sonno conduce alla condizione di oblio. Essendo questa la condizione ordinaria per
la maggior parte delle persone, questo è considerato (appunto) normale.
Durante le sedute di Respiro Circolare questo fenomeno viene reso evidente in modo
plateale. Molte volte le persone si stupiscono di quanto si sentano riposate dopo una
seduta. È molto comune sentire delle condivisioni con frasi come “mi sento riposato
come se avessi fatto una bella dormita”. Lo stupore deriva dal fatto che non hanno
dormito, anzi, hanno praticato per tutto il tempo il Respiro Circolare, che richiede
impegno ed energia.
Combinando degli ingredienti semplici e naturali abbiamo una chiave per accedere ad un
alto livello di recupero sia fisico che energetico. La combinazione è quella del
rilassamento fisico profondo, associato alla respirazione circolare e all’alto
grado di vigilanza consapevole.
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Sciogli la stanchezza e accendi la tua energia vitale
Ho voluto darti in questo articolo una serie di spunti per farti comprendere come si possa
vivere una vita in cui la stanchezza lascia lo spazio alla vitalità. Ancora prima
del “come”, la mia cura è nel farti arrivare un messaggio ancora più importante: si può
vivere in questo modo.
Esistono dei meccanismi ben precisi dietro la stanchezza, che possono essere indagati,
affrontati e risolti. Per comprenderli a fondo ti invito ad approfondire il prossimo
modulo “Stanchezza e Malattia” del corso Abilità nella vita, che si terrà nel
weekend del 17-18 settembre (è possibile seguire il corso sia in presenza che online) .
Hai mai partecipato a una seduta di Respiro Circolare? Mi farebbe molto piacere leggere
la tua esperienza nei commenti.
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Traumi, respirazione e stress cronico
essereintegrale.com
Agostino Famlonga
L’essere umano si è evoluto in milioni di anni con un meccanismo molto basilare, che
tutt’ora è attivo in noi e condiviso con gli altri esseri viventi: la risposta allo stress e
alle minacce.
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La risposta segue un ciclo, apparentemente molto semplice, che ha lo scopo di
mantenere un equilibrio interiore, e di tornare sempre a questa condizione di
partenza (il termine omeostasi indica proprio questa caratteristica che contraddistingue
gli esseri viventi).
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Attacco o fuga
La risposta di attacco e fuga è una mobilitazione dell’organismo per rispondere al
pericolo, per spostarsi in una ambiente sicuro o per mettersi in sicurezza,
contrastando direttamente la minaccia oppure ritirandosi da essa (da qui il termine
attacco-fuga)
Questa risposta viene messa in moto attivando quella parte del Sistema Nervoso
Autonomo che rilascia i cosiddetti ormoni dello stress, e in generale provoca un
aumento dell’energia vitale disponibile proprio per dare una risposta che ripristina la
sicurezza e un equilibrio.
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Infatti, raggiunta la zona percepita come sicura (sconfiggendo la minaccia o
allontanandosi dal pericolo) ecco che si ripristina l’equilibrio iniziale.
Ora vediamo una terza risposta che può venire messa in atto nel tentativo di rispondere
ad uno stimolo che provoca un disequilibrio (ovvero una minaccia percepita): la risposta
di congelamento (freezing).
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Congelamento
A volte, di fronte ad una minaccia, il sistema nervoso reagisce immobilizzandosi, con
una paralisi e “congelamento“.
Il termine “congelamento” deriva dal fatto che quando si innesca questa risposta
l’energia vitale viene bloccata nel suo fluire, e questo genera una sensazione di
“freddo”.
Quando l’energia vitale fluisce nel corpo genera calore organico. Quando viene bloccata si
impedisce la produzione di questo calore, di conseguenza si genera la sensazione
interiore di freddo, localizzata nell’area fisica in cui avviene il congelamento, e
pervasiva se si tratta di un blocco generalizzato.
Condividiamo con gli altri animali questo meccanismo di sopravvivenza, questa terza
possibile risposta agli stimoli stressanti, con una differenza sostanziale: noi umani
abbiamo dimenticato la capacità spontanea di ripristinare l’equilibrio iniziale. Tendiamo
a inibire il rilascio dell’energia congelata e degli ormoni dello stress rilasciati nella
fase di congelamento.
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Normalmente, quando la minaccia è passata e si è tornati in una zona sicura, il sistema
nervoso mette in atto dei processi di scarica, in cui scongela l’energia vitale, la
sblocca, e rilascia dal sistema tutti gli ormoni prodotti e trattenuti. In questo
modo si ripristina l’equilibrio iniziale.
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Noi umani tendiamo a inibire questo rilascio. Con lo sviluppo delle funzioni
cognitive superiori infatti abbiamo sviluppato anche la capacità di bloccare questo
processo naturale di ripristino dell’omeostasi.
Un impala mostra il processo naturale del rilascio del trauma dopo uno shock
7/15
Nel video vedi un leopardo che ha catturato un impala e che lo tiene fermo addirittura
mordendogli il collo, pronto a mangiarlo.
Non può attaccare il leopardo, è una partita persa in partenza, così come non può
scappare. La risposta più funzionale è quella di bloccare tutto, in questo caso estremo
“spegnere tutto”, e sperare in un miracolo.
E nel nostro caso l’impala è fortunato, perché arrivano dei babbuini che scacciano il
leopardo, salvando l’impala dalla morte certa. [1:34]
Se osservi l’impala steso a terra dopo che il leopardo se ne è andato, sembra morto. [1:40]
Poi l’impala si mette seduto e rilascia le tensioni e l’energia vitale che aveva
bloccato nel corpo durante lo shock, e lo fa con quelli che sono chiamati tremori
neurogeni. [3:12]
Quando ha rilasciato quello che doveva scaricare ecco che si alza in piedi e prosegue
la sua giornata nella savana. [4:06]
Inibire il rilascio
Noi umani condividiamo gli stessi meccanismi basilari di sopravvivenza, ma tendiamo a
inibire il rilascio delle tensioni che permetterebbe di ripristinare l’equilibrio
iniziale, lo blocchiamo.
8/15
Lo blocchiamo tramite un meccanismo difensivo molto semplice: mettiamo in moto delle
resistenze interiori nei confronti di quel particolare vissuto. Resistendolo creiamo una
barriera psicologica protettiva, che evita di vivere determinati vissuti ritenuti
troppo intensi o spiacevoli, ma all’atto pratico stiamo mantenendo tutto “sospeso” e
congelato.
9/15
Questa è una condizione di stress cronico, che se non viene trattata, nel tempo si
manifesta con somatizzazioni di vario tipo e con un esaurirsi delle risorse
psicofisiche.
Minacce invisibili
Tendiamo a innescare questo ciclo e la risposta di congelamento con una frequenza molto
più alta di ciò che si crede.
10/15
Tutte queste minacce percepite creano un disequilibrio che innesca una risposta, e spesso
questa risposta è proprio quella di congelamento. È difficile dare una risposta concreta a
questi pericoli non concreti, per questo risulta più facile inibire e congelare tutto.
Addirittura, molti nemmeno concepiscono che questo può essere fatto, al punto che la
condizione si cronicizza, diventa la condizione standard.
Stress cronico
La condizione stessa di disequilibrio nel tempo viene percepita come una
minaccia costante che va ad attivare una condizione di ipervigilanza, come se si fosse
costantemente in pericolo.
11/15
Una condizione di stress cronico che genera ancora più stress, fino ad arrivare a un vero e
proprio burnout, ovvero esaurimento delle risorse psicofisiche.
I blocchi
12/15
Portiamo l’attenzione alla condizione di congelamento e di blocco.
Cosa significa il 4° punto? Fintanto che non si scongela il blocco, l’evento che l’ha
generato resta sospeso e non integrato nella coscienza, resta sospeso in quello che viene
definito l’inconscio rimosso.
Sciogliere i blocchi
Come ripristinare l’equilibrio iniziale? Imparando a rilasciare l’energia trattenuta.
13/15
Proprio come ha fatto l’impala nel video visto sopra, con una respirazione circolare
si può sciogliere il blocco e mettere in moto un profondo rilascio delle tensioni
accumulate e rilasciare gli ormoni dello stress, ripristinando una condizione di equilibrio
e uscendo fuori dal circolo vizioso dello stress cronico.
Questo è il modo per ripristinare una condizione di benessere profondo su tutti i piani:
fisico, emotivo e mentale.
14/15
La domanda da porsi è molto semplice: il tuo respiro è libero?
Hai una respirazione libera, piena, completa, connessa… oppure senti che spesso
sospendi il respiro andando in apnea, che non riesci a respirare profondamente
e hai una respirazione contratta e limitata?
Se il respiro non è libero vuol dire che è condizionato e che in qualche modo è stato messo
in moto un blocco e un congelamento dell’energia vitale.
Liberare il respiro
Per liberare il respiro e l’energia vitale ti invito ad apprendere la tecnica del Respiro
Circolare da un professionista che te la può insegnare, partecipando a un corso, o un
workshop o con un percorso individuale.
Sul sito trovi molti approfondimenti sul Respiro Circolare e anche le date dei prossimi
incontri e i miei contatti per un percorso individuale.
15/15
Alcalinizzare il corpo con la respirazione
essereintegrale.com/alcalinizzare-respirazione
Agostino Famlonga
Innanzitutto: perché è così importante questo argomento e cosa c’entra con la salute?
La seconda citazione è del dott. George Washington Crile, un famoso chirurgo e fisiologo.
Negli ultimi anni l’importanza di questo tema è venuta alla ribalta. Sono nate svariate
teorie e sistemi con l’intenzione di contrastare l’acidificazione fisica.
Alcuni di questi sistemi sono delle vere e proprie bufale, altri sono di dubbia efficacia.
1/17
Per contrastare un ambiente acido serve spostare l’equilibrio chimico verso il suo
opposto, la basicità, ovvero verso una condizione di maggiore alcalinità.
Questa è una grave mancanza perché, tra tutti i sistemi proposti per contrastare l’acidità
e alcalinizzare il sangue, la respirazione è il più rapido e ha dimostrato in modo
inequivocabile la sua efficacia.
“Già dopo due minuti di respirazione circolare il pH del sangue si sposta in modo
significativo verso l’alcalinità.”
Seguimi nei passaggi di questo articolo, ti spiegherò come e perché accade questo, e alla
fine vedremo anche i risultati dello studio in laboratorio.
Perché respiriamo?
La respirazione è una funzione fisiologica essenziale per la sopravvivenza: il suo scopo
è quello di garantire alle cellule l’ossigeno necessario per il metabolismo e di espellere
l’anidride carbonica prodotta dal metabolismo cellulare.
2/17
Respirazione esterna
La respirazione esterna è quella visibile, percepibile e regolabile volontariamente. La
respirazione esterna riguarda il passaggio di aria tra l’ambiente e l’apparato respiratorio.
Nella respirazione esterna sono implicati la meccanica e il ritmo del respiro, l’immissione
di aria nei polmoni e lo scambio gassoso che avviene in essi.
Respirazione interna
La respirazione interna invece si riferisce all’aspetto biochimico, cellulare, che in
essenza è il motivo per cui respiriamo.
La respirazione esterna ha due fasi, l’inspirazione e l’espirazione con due scopi differenti
tra loro.
Con l’espirazione espelliamo l’aria dai polmoni e con essa smaltiamo l’anidride carbonica
[CO2] in eccesso.
3/17
La respirazione esterna soggiace generalmente alle richieste della respirazione interna.
Questa si mette in moto per soddisfare i bisogni delle cellule regolando l’equilibrio tra
l’ossigeno immesso e l’anidride carbonica espulsa.
“Agendo tramite la respirazione esterna possiamo agire sulla respirazione interna, cioè
possiamo modificare il metabolismo cellulare e spostare l’equilibrio del sangue verso
l’alcalinità.”
Scambio gassoso
Lo scambio di gas da e verso il sangue avviene nei polmoni, e più precisamente negli
alveoli. Qui le molecole di ossigeno e di anidride carbonica vengono immesse ed
estratte dal sangue, che funge da mezzo di trasporto verso le cellule.
4/17
Negli alveoli polmonari avviene lo scambio gassoso con il sangue
Il trasporto dell’ossigeno alle cellule è a carico dei globuli rossi (principalmente), che
contengono una molecola di trasporto dell’ossigeno, l’emoglobina.
Il trasporto dell’anidride carbonica [CO2] dalle cellule verso i polmoni invece ha tre
vie.
1.
1. Una minima parte della CO2 si diffonde liberamente nel sangue, circa il 7%.
2. Una percentuale maggiore, circa il 23%, si lega alle proteine del sangue, tra le
quali di nuovo l’emoglobina nei globuli rossi è la protagonista (anche se non è
l’unica proteina che interviene nel processo).
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3. Il restante 70% dell’anidride carbonica reagisce chimicamente con l’acqua
contenuta nel sangue, e viene trasportata sotto forma di ione bicarbonato
verso gli alveoli per essere smaltita.
L’anidride carbonica [CO2] espulsa dalle cellule reagisce chimicamente con l’acqua
[H2O], formando acido carbonico [H2CO3].
L’acido carbonico [H2CO3] attraversa un altro passaggio chimico e si divide in uno ione
bicarbonato [HCO3-] e uno ione idrogeno [H+].
La reazione chimica è reversibile, può procedere sia verso destra che verso sinistra. È
quello che accade a livello degli alveoli, dove l’anidride carbonica viene rilasciata per
essere espulsa con la respirazione esterna.
6/17
Gli ioni idrogeno [H+] sono proprio le molecole che determinano l’acidità o l’alcalinità
della sostanza nella quale sono immersi, come vedremo nel prossimo paragrafo.
Il pH del sangue
L’acidità o la basicità del sangue è determinata dalla quantità di ioni idrogeno [H+]
contenuti in esso, e questi a loro volta sono legati alla quantità di anidride carbonica
[CO2] presente nel sangue che ha reagito per creare ioni bicarbonato [HCO3-].
L’equilibrio acido-base
Il pH di una sostanza è una misura del grado di acidità o di alcalinità di una sostanza.
Anche nel sangue, come in tutte le soluzioni, quando aumentano gli ioni idrogeno [H+] il
pH tende a diminuire e a spostarsi verso l’acidità.
Viceversa, quando gli ioni idrogeno [H+] diminuiscono, il pH si alza e il sangue tende a
diventare più alcalino.
i tamponi chimici
il metabolismo dei reni
la respirazione.
1.
Il principale tra i tamponi chimici è rappresentato dal tampone dei bicarbonati, che
abbiamo appena visto.
La reazione chimica tende all’equilibrio, per cui un aumento di uno dei componenti della
reazione, sposta la reazione nel verso opposto.
Supponendo che ci sia un aumento dell’acidità del sangue (cioè che gli ioni idrogeno [H+]
aumentino) la reazione si sposta verso sinistra, si forma più acqua e anidride carbonica
che vengono eliminati dai polmoni e dai reni.
2.
Il secondo meccanismo tampone che interviene nella regolazione del pH sono i reni.
Il rene è in grado di espellere ioni idrogeno [H+] nelle urine. Questo tampone ha
un’azione lenta.
3.
Ad un aumento degli ioni idrogeno corrisponde un aumento della frequenza degli atti
respiratori, allo scopo di espellere più anidride carbonica e ripristinare l’equilibrio del pH.
“La capacità della respirazione nel tamponare le variazioni di pH nel sangue è doppia
rispetto a tutti gli altri sistemi tampone messi assieme.”
William D. Mcardle
8/17
La concentrazione nel sangue di anidride carbonica [CO2] e di conseguenza il pH del
sangue sono legati alla frequenza del respiro.
Possono essere attivati dalla corteccia cerebrale, con influenze dirette discendenti, cioè
con un’intenzionalità consapevole.
Possono essere attivati anche da altre regioni cerebrali: dall’ipotalamo, dal ponte e dal
mesencefalo.
A livello del tronco encefalico esistono dei neuroni che sono sensibili alla quantità di
anidride carbonica [CO2] e di ioni idrogeno [H+].
9/17
La frequenza respiratoria durante l’attività fisica
Durante un’attività fisica interviene un nuovo stimolo chimico: l’aumento del consumo
di ossigeno.
Anche il movimento stesso dei muscoli, agisce a livello periferico e modifica la frequenza
respiratoria.
10/17
La frequenza e l’ampiezza degli atti respiratori però soggiace anche al controllo
volontario, e questo ci permette di agire intenzionalmente per modificare la nostra
biochimica.
11/17
Una respirazione profonda e completa aumenta notevolmente quest’area, estendendola
anche fino a 150 metri quadrati.
L’aumento del ritmo respiratorio non è dovuto a una richiesta del metabolismo cellulare,
è un atto volontario e intenzionale.
Alcalosi respiratoria
Aumentando intenzionalmente la frequenza respiratoria aumentiamo l’espulsione di
anidride carbonica [CO2], creando una condizione fisiologica chiamata ipocapnia.
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La reazione chimica che regola il pH sanguigno si sbilancia verso sinistra, e nel tentativo
di ripristinare l’equilibrio aumenta la quantità di ioni idrogeno [H+] convertiti in
CO2.
Una diminuzione degli ioni idrogeno [H+] nel sangue corrisponde ad un aumento del
suo pH.
Il sangue si alcalinizza.
Ecco che abbiamo individuato il processo che ci permette di spostare il sangue verso
l’alcalinità: aumentando intenzionalmente la frequenza respiratoria aumentiamo la CO2
espulsa e di conseguenza abbassiamo anche gli ioni idrogeno [H+].
Specifico questo particolare perché esiste anche l’alcalosi respiratoria patologica, che
è causata da altri fattori. In questo caso l’effetto è dannoso, perché prolungato nel tempo
e non regolato entro un range di sicurezza.
13/17
Nel caso dell’alcalosi respiratoria indotta intenzionalmente tramite la respirazione
circolare invece il processo è reversibile: l’alcalosi cessa tornando a una respirazione
ordinaria.
Esperimenti in laboratorio
Un recente esperimento medico ha indagato le modifiche biochimiche indotte dalla
respirazione circolare.
(Ti ricordo che il range entro cui il pH viene regolato autonomamente è molto stretto,
varia da 7.35 a 7.45.)
14/17
Questi dati confermano in modo significativo tutti i processi che abbiamo descritto
nell’articolo.
Infine, un altro dato importante rilevato da questo esperimento medico: dopo 45 minuti
di respiro circolare (sebbene non continuo) il consumo di ossigeno cellulare è
raddoppiato.
Effetti dell’alcalinità
La condizione di maggiore alcalinità del sangue indotti dalla respirazione circolare è
temporanea.
Quando questa situazione diventa cronica, nel tempo può generare una decadenza
della condizione di salute e un invecchiamento prematuro.
15/17
“Agendo tramite la respirazione circolare è possibilecompensare lo squilibrio verso
l’alcalinità e avere una condizione di salute migliore.”
I reni si trovano ad avere un carico di lavoro minore nel compensare lo squilibrio del
pH sanguigno, perché il riequilibrio viene fatto tramite la respirazione nella sua
escursione temporanea verso l’alcalinità, che come abbiamo visto è un processo molto
più veloce ed efficace.
Il Respiro Circolare
L’alcalinizzazione del sangue è solo uno degli effetti del Respiro Circolare.
L’effetto è quello di liberare un naturale flusso di energia vitale nel corpo, nei
sentimenti, nella mente e nella consapevolezza.
Se vuoi approfondire l’argomento, puoi scaricare l’ebook gratuito che parla proprio di
questa tecnica.
L’invito più importante comunque resta quello di sperimentare in prima persona gli
effetti del Respiro Circolare.
16/17
Apri la pagina del Respiro Circolare per consultare il calendario
Bibliografia
17/17
Il primo respiro: un imprinting che può durare tutta la vita
essereintegrale.com/primo-respiro
Agostino Famlonga
Siamo venuti al mondo con una prima inspirazione, e con un’ultima espirazione lo
lasceremo.
Dalla nascita in avanti il respiro rappresenta una connessione diretta con la vita.
La connessione tra il respiro e la vita spesso viene messa in secondo piano rispetto ad
altre priorità, non ne siamo completamente consapevoli. Non siamo consapevoli che
respirando meglio possiamo connetterci maggiormente con l’energia vitale, con la vita
stessa, con la vitalità e la salute del corpo.
Così come non siamo completamente consapevoli di come gli eventi della nascita , e in
particolare il primo respiro, possano imprimere una forma a tutti gli altri respiri ,
quelli inclusi tra il primo e l’ultimo.
Il modo in cui viene vissuto soggettivamente l’evento della nascita e il primo respiro
possono segnare il corso di un’intera esistenza.
1/13
L’importanza della nascita
La nascita è un evento universale: tutti siamo passati attraverso questo vissuto. Il modo
in cui viviamo questo importante passaggio di transizione spesso è determinante nel
dare una direzione a ciò che viene dopo, cioè al modo in cui ci relazioniamo con la
vita.
La vita inizia ben prima del parto fisiologico, la nascita è solo un passaggio. Un evento
che, seppur non ricordato in modo esplicito, lascia un segno in tutto ciò che viene dopo.
La nascita rappresenta il primo contatto che hai con il mondo fuori dal ventre materno.
È il primo contatto con il mondo esterno, e viene registrato non come ricordo esplicito,
ma sotto forma di un insieme di schemi pre-verbali, cioè di dinamiche di relazione
che plasmano ogni interazione: dal tuo pensiero al tuo rapporto con l’altro essere
umano, al tuo rapporto con il corpo e con la vita stessa.
La nascita viene vissuta come un vero e proprio evento drammatico. Infatti spesso si
sente parlare del trauma natale. Perché?
Un cambiamento radicale
Tutto lo sviluppo fisiologico prima di questo evento è progressivo, graduale. Il bambino
2/13
ha avuto 9 mesi per dare forma e plasmare il corpo e il suo sentire, in modo continuo.
Dal vissuto soggettivo di questi eventi vengono infatti registrate delle conclusioni
inconsce, ad esempio rispetto alla sicurezza o all’insicurezza dello stare nella vita.
Per comprendere meglio l’evento della nascita e del primo respiro, è utile conoscere la
condizione iniziale in cui si trova il bambino prima di nascere. Diamo quindi uno sguardo
alla vita prenatale.
3/13
Vita prenatale
Così anche il tatto, che si sviluppa fin dalle prime settimane di gravidanza.
Un senso invece poco sviluppato è quello della vista: la scarsa luce presente nell’utero e
l’assenza di oggetti da osservare fa sì che questo senso, rispetto agli altri, sia meno attivo.
Significa che
È, a tutti gli effetti, una entità psicosomatica in simbiosi con tutto ciò che lo circonda.
Non esiste nel bambino in questa fase una facoltà di pensiero comunemente intesa. Non
pensa cioè nella modalità con cui siamo abituati a concepire noi (da adulti) il pensiero.
Da questa condizione psicofisica inizia il viaggio del bambino nel mondo, nell’evento di
transizione della nascita.
La nascita
Le sensazioni fisiche
Dalla condizione di galleggiamento nel liquido amniotico il bambino passa (nel caso di
un parto naturale) attraverso il restringimento progressivo del canale del parto. A livello
tattile, questa è un’esperienza intensa, di forte compressione che è completamente
diversa dalla condizione precedente di sospensione, galleggiamento, di contenimento e
di assenza di gravità.
5/13
Questo è un imprinting fortissimo che può lasciare un condizionamento nelle future
esperienze di ricerca del piacere.
La luce
Prima della nascita il bambino è protetto dall’esposizione alla luce: il corpo materno e il
liquido amniotico fanno da filtro. Al momento del parto, se non c’è una cura adeguata
rispetto a questo aspetto, la vista riceve uno stimolo intenso anche da una minima
quantità di luce.
Per gli occhi del neonato la luce diurna, utile a chi assiste il parto, può risultare uno
stimolo di notevole impatto. Se la luce è esagerata, può addirittura risultare
sopraffacente.
I suoni
Prima del parto i suoni che il bambino sente sono attutiti: sente il battito del cuore
materno e i rumori intestinali. I rumori e le conversazioni del mondo esterno sono
notevolmente schermati, e veicolati attraverso un liquido , non attraverso l’aria.
Nel momento del parto avviene il primo contatto con i suoni veicolati dall’aria e
questo rappresenta un cambiamento radicale nell’intensità del volume percepito. Ogni
rumore risulta per questo amplificato e vissuto in modo intenso dall’udito del neonato.
La temperatura
Nell’utero la temperatura ha un’escursione minima, oscilla tra i 37° e i 39°. La nascita
quindi è per il neonato la prima esperienza di un drastico cambio di temperatura.
Immaginando una temperatura della sala parto di 21°, c’è un’escursione termica
notevole, soprattutto perché è la prima volta che il bambino incontra uno sbalzo di
questo tipo.
Separazione fisica
Nella nascita avviene la prima separazione fisica del bambino dalla madre. Il contatto e il
contenimento che è durato per tutta la gestazione subisce un cambio di stato, dalla
condizione uterina a quella extrauterina.
6/13
È un cambio di stato incredibilmente significativo. Pur essendo inevitabile, può essere
mitigato lasciando al neonato la possibilità di un contatto con la madre, di modo che
percepisca questa transizione come il più possibile graduale.
Se invece viene separato in modo brusco dalla madre, con un taglio prematuro del
cordone ombelicale e non consentendo il contatto fisico, questo cambiamento di stato
resterà registrato come una separazione improvvisa, inaspettata e dolorosa, e
rappresenta una vera e propria esperienza sopraffacente per il neonato.
Il primo respiro
In utero il bambino non ha bisogno di respirare. Riceve tutto l’ossigeno che gli serve
tramite il cordone ombelicale: la madre respira per entrambi.
Quando nasce si apre uno scenario a due vie: o il bambino impara a respirare per una
brusca mancanza di ossigeno, oppure al bambino viene lasciato il tempo per attivare la
respirazione polmonare e imparare gradualmente a respirare.
7/13
In questo caso al primo respiro viene associata la sensazione terrificante di poter
morire. Alla paura viene poi associato anche il dolore che proviene dall’immettere in
modo brusco l’aria nei polmoni. La prima inspirazione infatti genera una sensazione
polmonare di dolore bruciante.
Questo imprinting può indurre uno schema respiratorio limitato nell’ampiezza, cioè
un respiro che rimane superficiale.
La paura del dolore associato alla piena respirazione riduce in questo modo la vitalità
fisica mantenendo il respiro superficiale.
Una pratica che può essere usata per facilitare lo svuotamento dei polmoni dal liquido
amniotico è quella di sospendere il neonato a testa in giù. In questo caso l’impressione
che viene registrata assieme al primo respiro è quella di vertigine. È un’associazione che
può permanere sotto forma di disorientamento, e venire attivata in seguito
ogniqualvolta la respirazione si fa più piena.
Il neonato impara con i suoi tempi a respirare senza sentirsi impaurito. Non avendo
carenza di ossigeno brusca può approcciare la respirazione polmonare in modo
graduale. Inizia con dei primi sussulti respiratori che poi si trasformano nel giro di pochi
minuti in atti completi.
Il respiro diviene in questo modo una sua conquista progressiva, senza imprinting
negativi e condizionanti.
La respirazione del neonato diviene, in modo del tutto spontaneo, circolare, cioè senza
pause tra inspirazione ed espirazione, e tra espirazione e inspirazione.
Quindi i primi 2-3 atti necessitano di più pressione inspiratoria (3 o 4 volte maggiore
dell’ordinario).
I primi respiri sono anche più intensi e profondi perché devono creare lo spazio morto
respiratorio, cioè devono riempire quella parte dei polmoni che nelle normali
inspirazioni-espirazioni non viene svuotata. Essendo il primo respiro, il polmone deve
creare e riempire questo spazio supplementare.
Nell’arco di pochi secondi gli alveoli risultano ventilati e occupati d’aria: ha inizio la
funzione respiratoria polmonare.
9/13
La circolazione sanguigna fetale
10/13
La circolazione sanguigna neonatale
Sono i mattoni che danno forma a tutto ciò che viene costruito nella psiche nelle fasi
seguenti di sviluppo della persona.*
11/13
[ *Per un’analisi della struttura stratificata della coscienza, si veda Sasso a Pag. 92. ]
Pur non essendo un fine esplicito del Respiro Circolare, può accadere durante le sedute
di rivivere in modo consapevole gli eventi della nascita , integrandone in questo
modo le impressioni associate.
Questo evento viene spesso vissuto come uno sblocco energetico significativo, con una
scarica importante della tensione accumulata nel corpo e nello schema respiratorio
impresso dal primo respiro. Si scioglie in questo modo la costrizione nella
respirazione che aveva plasmato per una vita intera il modo di respirare e lo schema di
relazione nei confronti della vita, dell’altro e nei confronti di sé stessi.
La liberazione del respiro può accadere nelle sedute di Respiro Circolare in modo
indipendente rispetto al rivivere gli eventi della nascita. A volte accade come evento a sé
stante.
Viene vissuto con una sensazione interiore di profonda e radicale liberazione.
Le costrizioni della respirazione si sciolgono, e questo lascia spazio alla profondità e alla
pienezza del respiro, ad un sentire pieno dell’energia vitale e ad una sensazione di
libertà nell’interazione con la vita.
La libertà nella respirazione si traduce nel vissuto soggettivo di essere liberi di interagire
con la vita.
Bibliografia
12/13
Gianpaolo Sasso – La nascita della coscienza
Frederick Leboyer – Per una nascita senza violenza
Hayne, Harlene. “Infant Memory Development: Implications for childhood amnesia.” Elsevier.
2003. (April 21, 2008)
Simcock, Gabrielle and Hayne, Harlene. “Breaking the Barrier? Children Fail to Translate Their
Preverbal Memories Into Language.” Psychological Science. 2002. (April 21, 2008)
Can a person remember being born?
Roberta Spandrio, Anita Regalia, Giovanna Bestetti – Fisiologia della nascita
13/13
Lo stress: le sue origini, gli effetti e le sue soluzioni
essereintegrale.com/stress
Agostino Famlonga
Alla radice di molti problemi, sia legati alla salute che non, spesso c’è lo stress.
La condizione di stress cronico è talmente comune che lo stress è stato definito come
“la malattia del secolo”.
Penso che chiunque, osservando la propria vita, abbia incontrato, almeno in modo
temporaneo, una condizione che l’ha portato a dire… “sono stressato”.
Dietro questa frase si celano un insieme di sistemi che interagiscono tra di loro: noi ne
percepiamo solamente l’effetto finale.
Ma cos’è lo stress?
Perché qualcuno regge meglio lo stress di qualcun altro?
Lo stress è sempre negativo?
Tuffiamoci in questo interessante argomento per scoprire come lo stress agisce nella
nostra vita.
1/23
Cos’è lo stress
Lo stress è una risposta dell’organismo ad uno stimolo che ne altera temporaneamente
l’equilibrio.
Con una definizione di questo tipo, puoi riconoscere subito che in una giornata sei
sottoposto a una miriade di stimoli stressanti. Ovvero sei costantemente sollecitato ad
adattarti agli stimoli che incontri nella vita, siano essi interni (psicologici), esterni
(dell’ambiente in cui ti trovi), relazionali ecc.
Ma, per fortuna, a livello soggettivo non percepisci di essere sempre stressato.
Perché?
Percepisci di essere stressato quando la somma degli stimoli supera la tua capacità di
adattamento.
Ovvero quando il tuo organismo non riesce più a rispondere agli stimoli in modo
funzionale.
Ovvero, detto con un termine tecnico, quando hai alterato oltremisura l’equilibrio
omeostatico.
2/23
Omeostasi
L’omeostasi è la tendenza naturale degli organismi viventi al mantenimento della stabilità.
L’omeostasi è una caratteristica intrinseca alla natura degli esseri viventi, che tendono a
ripristinare un equilibrio funzionale laddove stimolati ad un cambiamento.
Esistono cioè dei meccanismi regolatori all’interno dei viventi che al variare delle
condizioni esterne tendono a mantenere un equilibrio fisiologico.
Stress sano
3/23
Spesso pensiamo che lo stress sia intrinsecamente negativo. Che sia qualcosa da
eliminare completamente dalla vita.
Ma non è così.
Hai bisogno di un certo grado di stress per restare in salute e per crescere nelle aree della
vita.
Una completa assenza di stress è nociva, tanto quanto uno stress eccessivo.
Pensa ad esempio all’attività fisica. Hai bisogno di un certo grado di sollecitazione fisica
per mantenere in salute il corpo. Se questa è insufficiente, i muscoli e le ossa si
indeboliscono e compromettono la loro funzione.
Sono due esempi che aiutano ad inquadrare la situazione dello stress da un punto di
vista più globale, riconoscendo che esiste uno stress positivo, e uno stress negativo, che
può dipendere sia dal tipo di stressor, che dalla quantità di stress a cui sei sottoposto.
Nello studio dello stress, questi hanno un nome specifico: eustress e distress.
4/23
Nel grafico vedi una tipica curva a campana, suddivisa in quattro zone colorate che
rappresentano il grado di stress a cui sei sottoposto.
C’è poi una condizione di stimolazione ottimale, in cui la sollecitazione porta ad una
risposta efficiente, sia fisica che mentale.
Eustress e Distress
Nel grafico vedi che sia la zona verde che la zona rossa sono chiamate con il
nome distress.
Questo è valido sia in eccesso, quando gli stimoli esauriscono la capacità di risposta, che
in difetto, quando cioè gli stimoli non sono in grado di stimolare una risposta fisiologica.
Lo stress in questa zona è positivo perché ti porta ad elevare la tua efficienza fisica e
mentale e a crescere in capacità di risposta.
È il sovraccarico giusto che ti permette, una volta recuperato, di avere una capacità di
risposta maggiore la volta seguente che affronti una situazione simile.
Come vedi la zona di eustress è quella centrale, all’apice della curva, in cui affronti una
quantità di stress adeguata alle tue capacità e che ti espone a una crescita, ad un leggero
sovraccarico.
Lo stress è positivo quando ti fa uscire fuori dalla tua zona di comfort e ti porta nella zona
in cui sei stimolato a crescere nelle tue abilità.
È il sovraccarico che ti porta a crescere nella tua capacità di risposta. L’omeostasi che si
5/23
ripristina, durante il recupero, posiziona la tua capacità di risposta ad un livello
maggiore di capacità di adattamento rispetto a quella iniziale.
Ricorda che questi principi sono validi per qualsiasi ambito. L’approccio e gli esempi che
ho fatto finora sono legati all’aspetto fisico, ma puoi estenderli a tutti i contesti della vita.
Nella tua attività mentale, nelle tue relazioni, nell’ambiente in cui sei inserito. E anche a
livello sociale, questi principi agiscono nel medesimo modo.
Non solo, ma gli stimoli di tutte queste aree si sommano tra di loro nel determinare la
quantità di stress generale a cui sei sottoposto.
Gli stressor
Cos’è uno stressor?
Uno stressor è uno stimolo che genera stress, cioè che altera il tuo equilibrio.
Essendo la nostra natura immersa in più dimensioni, possiamo rilevare stressor di varia
natura: fisici, psichici, ambientali ecc.
Vediamo ora categoria per categoria quali sono gli stressor positivi e quelli negativi.
Ricorda che
uno stressor può essere positivo per sua natura, ma diventare negativo se ne rimani
esposto per un tempo maggiore della tua capacità di risposta.
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Un esempio: la luce solare.
L’irradiazione solare è uno stressor sano, ci è indispensabile per la vita, ma se ti esponi
troppo al sole rischi un’ustione o un’insolazione. Uno stressor positivo è diventato
negativo per quantità o intensità.
ci sono stressor che sono intrinsecamente negativi, perché non sono fisiologici.
Non siamo predisposti a metabolizzare ogni tipo di stimolo. Alcuni, semplicemente, non
sono fisiologici, quindi sono e restano negativi, indipendentemente dalla quantità di
stimolo a cui sei esposto.
Stressor fisici
Stressor positivi
Stressor negativi
Una quantità eccessiva di stimolo fisico può essere nociva, tanto quanto la
sedentarietà.
Chiaramente questo si manifesterà in forma diversa.
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Mentre il mancato movimento può portare al sovrappeso e all’abbassamento del tasso
metabolico, un’attività fisica eccessiva può portare a una soppressione del sistema
immunitario.
Questo può portare ad una maggiore predisposizione a contrarre infezioni alle vie
respiratorie, alla sindrome di affaticamento cronico e ad una serie di altri malanni.
Stressor chimici
Stressor positivi
Il nostro corpo è pieno di sostanze chimiche, sostanze naturali che sono essenziali per la
salute. Il compito di produrre questi elementi chimici basilari è uno stress
fondamentale per il corpo. Per esempio, quando i sistemi del corpo lavorano
correttamente, l’esercizio fisico produce un adattamento chimico sotto forma di
cambiamenti ormonali che alterano la tua biochimica, incrementando la sintesi di
proteine, la produzione di energia, e una miriade di altre reazioni chimiche positive.
L’azione del sole sulla pelle innesca la sintesi di vitamina D e la regolazione degli ormoni
melatonina e cortisolo. Sono tutti stressor chimici positivi.
Stressor negativi
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Un altro esempio di stressor chimici negativi sono le sostanze usate nell’agricoltura:
pesticidi, erbicidi e anche alcuni fertilizzanti.
Molti problemi di salute sono legati a questo tipo di stressor chimico negativo.
Stressor elettromagnetici
Stressor positivi
Una forma di stress elettromagnetico positivo è la luce solare. Senza il sole la vita non
esisterebbe nella forma a noi nota. Quindi, questa rientra certamente entro la categoria
degli stressor positivi.
Stressor negativi
Stressor psichici
Stressor positivi
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L’attività di pensare e di usare la mente in modo produttivo e funzionale rappresenta
uno stressor mentale positivo.
Avere dei fini della vita, e impiegare le risorse mentali sia nel pianificare strategie, che
nell’attuare le azioni necessarie per raggiungerli, sono tutti forme positive di stress
psichico.
Anche l’impiego delle risorse mentali per superare le avversità è uno stress psichico
positivo, perché ti permette di crescere come persona, di essere più forte e resiliente.
Stressor negativi
Stressor termici
Stressor positivi
Quando siamo esposti al caldo o al freddo, il corpo reagisce con i sui sistemi di
adattamento per mantenere la temperatura costante. Questo è uno stressor positivo
che permette al corpo di mantenere il suo adattamento dinamico alle variazioni di
temperatura.
Stressor negativi
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Un’ustione è un esempio di stressor negativo termico. Può essere localizzata, o diffusa
su tutto il corpo, ad esempio a causa di una prolungata esposizione alla luce solare.
All’opposto, una condizione che porta all’abbassamento della temperatura corporea
sotto la soglia fisiologica per un periodo prolungato di tempo può essere considerato
uno stressor negativo.
Stressor nutrizionali
Stressor positivi
Esempi di stressor positivi sono: mangiare in accordo con la tua costituzione, mangiare
cibo biologico, evitare l’eccesso di cibo o al contrario la carenza di nutrimenti.
Mangiare cibo ricco di energia vitale è uno stressor positivo, perché fornisce al corpo,
oltre ai nutrimenti chimici, l’altro elemento indispensabile al suo funzionamento.
Stressor negativi
Mangiare troppo, o mangiare troppo poco, o mangiare cibi non in linea con la propria
costituzione sono tutte forme di stress nutrizionale negativo.
Mangiare cibo deprivato della sua energia vitale (processato, conservato), pur
fornendo dal punto di vista nutrizionale i medesimi elementi di un cibo fresco, chiede
all’organismo una quantità di energia vitale, per il suo processamento, superiore a quella
che fornisce una volta assimilato. Dal punto di vista del bilancio dell’energia vitale
dunque, l’esito è negativo, si crea cioè un deficit. Questo è chiaramente uno stressor
nutrizionale negativo.
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La somma di tutti gli stressor in relazione alla capacità di risposta dell’organismo
Nell’immagine vedi che, da ogni fonte di stress, partono due frecce: quella verde
rappresenta uno stressor positivo, quella rossa uno stressor negativo.
Tutti questi stimoli si sommano tra di loro e sollecitano la tua capacità di mantenere
l’omeostasi.
Puoi notare che sulla destra della figura c’è una scala in percentuale: indica la tua
capacità di risposta, ovvero la tua tolleranza allo stress (ne parleremo in conclusione
dell’articolo).
Se hai una piena capacità di tollerare lo stress, e gli stressor a cui sei sottoposto sono
positivi (palline verdi), resti entro la soglia degli stressor fisiologici. Sei in grado cioè di
rispondere in modo adeguato, di ripristinare l’omeostasi inziale e di innescare in questo
processo una crescita della tua capacità di adattamento.
Se però la tua tolleranza allo stress non è al massimo della sua capacità, oppure se gli
stressor a cui sei sottoposto sono negativi (palline rosse), ecco che l’omeostasi viene
compromessa, ed iniziano a manifestarsi vari tipi di sintomi (freccia gialla).
Sistema Nervoso
Il Sistema Nervoso gioca un ruolo importantissimo nel metabolizzare lo stress.
Esso è composto dalla combinazione di due sistemi che lavorano assieme. Il sistema
nervoso periferico, che controlla i movimenti volontari, e quello il sistema nervoso
centrale, che contiene a sua volta il sistema nervoso autonomo, che è quello che ci
interessa per il tema dello stress.
A sua volta il Sistema Nervoso Autonomo è diviso in due branche: il Sistema Nervoso
Simpatico (SNS) e il Sistema Nervoso Parasimpatico (SNP).
Il SNS è un sistema catabolico (che distrugge i tessuti). Quando la risposta attacco o fuga
è attivata, aumentano la quantità di ormoni dello stress messi in circolo, come ad
esempio il cortisolo.
Quando il livello di cortisolo supera una certa soglia, il livello degli ormoni anabolici (di
ripristino e di riparazione) si riduce.
Un’esposizione prolungata agli ormoni dello stress porta al deterioramento dei tessuti e
all’affaticamento delle ghiandole surrenali. Quando queste sono affaticate, il corpo non
riesce a mantenere l’equilibrio tra lo stress e gli ormoni immunitari, il che porta sua volta
a delle disfunzioni del sistema immunitario. In cascata, questo rende la persona più
esposta alle malattie.
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La sovra-stimolazione del SNS è una delle principali cause degli stati di affaticamento
cronico e di varie malattie degenerative.
Fase di allarme
È la fase iniziale in cui l’organismo chiama a raccolta le sue risorse per agire nel
rispondere allo stimolo percepito come stressante.
Viene secreto l’ormone adrenalina e questo permette al battito cardiaco di accelerare.
Si attivano una serie di ormoni prodotti dall’ipotalamo, che tramite l’ipofisi entrano in
circolo e predispongono il corpo alla reazione “attacco o fuga”.
Aumenta la temperatura corporea, la respirazione si fa più intensa, aumenta la
pressione sanguigna ecc.
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Fase di resistenza
La fase di resistenza dura tanto quanto dura lo stimolo stressante. Fintanto che viene
percepito lo stressor, l’organismo resiste nella condizione di “attacco o fuga” per
contrastare lo squilibrio, reale o meno che sia.
Alcune persone restano invischiate in questa fase anche dopo che lo stimolo attivante è
concluso. Si crea una dipendenza dall’eccitazione, con la conseguente incapacità di
rilassarsi.
Nelle condizioni di attacco o fuga il corpo mette in circolo delle sostanze, chiamate
betaendorfine, che servono a far percepire meno la fatica e il dolore. È una droga
naturale che il corpo secerne per contrastare al meglio il pericolo.
Nella nostra società attuale, la fase della resistenza allo stress può diventare facilmente
un’abitudine quotidiana, sfociando quindi in una condizione di stress cronico.
Fase di esaurimento
Quando la situazione da fronteggiare cessa, oppure quando l’energia a disposizione cala,
inizia la fase conclusiva della risposta allo stress: la fase di esaurimento. Lo scopo
naturale di questa fase è quello di consentire all’organismo di riposare e di recuperare.
Se la fase di resistenza si conclude in una condizione in cui c’è ancora una riserva di
energia, la fase di esaurimento è associata a un calo di energia, sollievo e torpore.
L’essere umano
Finora abbiamo affrontato lo stress dal punto di vista prevalentemente fisiologico. Ora
allarghiamo il nostro punto di vista considerando l’essere umano nella sua globalità.
Lo stress non coinvolge solo il nostro aspetto biologico, ma anche le nostre emozioni e
la nostra mente e influenza anche la nostra capacità di essere consapevoli.
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Tutti gli stressor, sommati tra di loro, vanno ad influenzare l’essere umano nel suo
equilibrio globale.
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Come affrontare lo stress
Ora abbiamo le idee più chiare su come agisce lo stress nel minare la qualità di vita.
Vediamo alcuni consigli utili per affrontare meglio questo aspetto importante.
Cura il riposo
Nella mia vita non ho mai incontrato persone con uno squilibrio verso il ramo
parasimpatico del sistema nervoso, quindi un primo consiglio generale che sento di
darti, con effetto sia a breve che a lungo termine, è quello di dare più attenzione al
riposo.
Ciò non significa necessariamente che si debba riposare per più ore. Forse sì, dipende dal
tuo stile di vita. Spesso quello che serve per portare equilibrio è una maggiore cura alla
qualità del riposo: andare a dormire entro le 22.00, dormire in una stanza buia, curare il
materasso entro cui si dorme, non usare dispositivi elettronici prima di dormire ecc. Si
tratta in sostanza di curare di più l’igiene del sonno e del recupero.
Ricordati che uno stressor può essere intrinsecamente negativo, oppure può essere
positivo ma diventare negativo se eccedi nella quantità o intensità.
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Abbiamo ripetuto più volte durante l’articolo che una certa dose di stress è
assolutamente fisiologica e sana.
Quindi ti invito a
non aspirare ad avere una vita priva di stress, ma mira ad incrementare la tua capacità di
gestire più stress.
Perché?
Per 2 motivi:
Se miri a crescere nella vita, hai bisogno di riuscire a gestire squilibri sempre più
significativi.
Che non significa avere una vita sempre più stressata, ma che sei in grado, laddove dovessi
incontrare un grande stress temporaneo, di reggerlo senza cadere nella fase di esaurimento.
Alcuni stressor non possono essere eliminati, puoi solo alzare la tua capacità di
gestirli.
Pensa ad esempio ad una madre che passa una notte insonne nell’accudire un bambino
malato; passare una notte senza dormire è uno stressor non fisiologico, ma la fonte non può
essere eliminata, fa parte della responsabilità dell’essere genitore.
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Il primo passo per estendere la capacità di tollerare lo stress è quello di recuperare una
sana condizione fisiologica di base.
Questo ti permette poi man mano di estendere la tua capacità di tollerare lo stress
utilizzando anche altre metodologie che operano su altri piani, ricavandone un’efficacia
maggiore.
Anche i protocolli mirati alla pulizia degli organi aiutano a creare questa condizione di
reset biologico.
Con una condizione fisica pulita, riportata alla sua condizione fisiologica, tutto quello che
farai con altri strumenti avrà certamente un’efficacia maggiore.
Cioè un’emozione che è stata trattenuta nella sua espressione o che non è stata sentita
appieno quando è emersa.
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Una mente sgombra è in contatto con la realtà nel tempo presente e ti permette di
elaborare significati e strategie funzionali ai tuoi scopi. Una mente pulita è messa a
servizio della consapevolezza ed è un suo strumento funzionale.
Le tossine mentali assumono varie forme: sono pensieri compulsivi e ricorrenti, sono
le credenze invalidanti su di te e sull’altro, sono gli attaccamenti rispetto agli eventi del
passato, sono anticipazioni ansiogene rispetto a quello che può accadere nel futuro…
le tossine mentali sono degli elementi presenti nella mente che impediscono alla mente di
operare in aderenza alla realtà e al servizio della consapevolezza.
Maggiore consapevolezza
Più la consapevolezza che hai di te stesso è chiara e forte, più è ampia la tua capacità di
gestire lo stress.
Respiro
C’è un elemento che accomuna il corpo fisico, le emozioni, la mente e la consapevolezza:
la respirazione.
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Agendo in modo mirato tramite la respirazione puoi innescare tutti e quattro i processi
che abbiamo appena visto: la pulizia dalle tossine fisiche, emozionali e mentali e puoi
aumentare la consapevolezza che hai di te stesso.
Il respiro è la funzione integrativa che unifica tutti questi sistemi in modo funzionale.
Nel frattempo ti lascio con alcune domande per riflettere sulla tua capacità di gestire lo
stress.
Puoi usarle come spunto di riflessione e, se ti va, puoi lasciare un tuo pensiero su questi
argomenti nei commenti qui sotto.
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Dove si manifesta maggiormente lo stress che accumuli? Nel corpo, nelle emozioni o
nella mente?
Qual è la tua fonte di stress principale?
Bibliografia
Paul Chek – How to eat, move and be healthy!
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Respiro Circolare
essereintegrale.com/respiro-circolare
Agostino Famlonga
Il respiro è un elemento del nostro stare nel mondo che spesso viene dato per scontato.
Il modo in cui respiriamo è in genere inconsapevole e spontaneo. La respirazione
naturale è libera, piena e fluente.
La respirazione può però deviare dal suo naturale fluire. Il respiro può
venire alterato: diviene contratto e limitato da blocchi energetici e da meccanismi
psicologici di difesa. Questi impediscono il flusso libero dell’energia all’interno del
corpo, limitando la nostra vitalità e spontaneità.
Il Respiro Circolare è una semplice tecnica che agendo sul respiro agisce in senso
inverso: libera il flusso energetico nel corpo e favorisce i processi integrativi della
coscienza. Vediamo come accade tutto questo.
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Cos’è il Respiro Circolare
Il Respiro Circolare è un potente strumento di purificazione psicofisica. La sua
azione inizia dalla componente fisica dell’essere umano, e coinvolge poi in cascata tutto
lo spettro delle sue dimensioni esistenziali: le emozioni, la mente e la consapevolezza.
Gli elementi caratteristici di questa tecnica sono riassunti nel suo nome:
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La respirazione
Con il termine respirazione si intendono due processi: la respirazione esterna e la
respirazione cellulare. Sono chiaramente collegate tra di loro ma si riferiscono a due
processi distinti.
L’atto respiratorio è meccanico, e si avvale quindi di una serie di muscoli per espletare
la sua funzione. Il principale muscolo implicato nell’inspirazione è il diaframma, ma non
è l’unico. L’inspirazione è supportata anche dai muscoli intercostali e dai muscoli
sternocleidomastoidei.
La respirazione ha dunque una funzione biologica, legata alla sopravvivenza del corpo
fisico, e anche un forte intreccio con la psiche della persona . Proprio in questo
legame risiede il potenziale integrativo del Respiro Circolare.
La mente
La mente e le emozioni influenzano il modo in cui respiriamo. Mettendo in azione i suoi
meccanismi di difesa, la psiche modifica lo spontaneo fluire del respiro. Lo altera o
lo blocca, a seconda della funzione di difesa messa in atto.
Le emozioni
Le emozioni sono impulsi ad agire. La radice latina della parola emozione è il verbo
moveo, cioè muovere, a cui viene aggiunto il prefisso e- (muoversi da), per indicare che in
ogni emozione è implicita una tendenza ad agire. C’è un movimento energetico che
tende ad agire con una finalità precisa.
Queste finalità hanno per l’essere umano tre funzioni, spesso sovrapposte tra di loro.
Sopravvivenza
Questi movimenti energetici servono a guidare il comportamento. Il piacere e il
dolore sono associati ad emozioni corrispondenti.
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L’evoluzione ci ha adattato nel corso dei millenni a direzionare il comportamento
verso il piacere e ad allontanarci dal dolore. Ne andava della nostra sopravvivenza. In
misura minore rispetto al passato, questo principio è valido tutt’ora. Le emozioni ci
muovono verso dei comportamenti di avvicinamento o di allontanamento.
Comunicazione
La comunicazione non implica solamente l’aspetto verbale dello scambio di informazioni.
Tramite le emozioni comunichiamo con gli altri.
Integrazione
L’elemento che più ci interessa dal punto di vista della respirazione è la funzione
integrativa delle emozioni.
L’interiorità dell’essere umano ha tre piani esistenziali interconnessi tra di loro in modo
gerarchico:
Si tratta a tutti gli effetti di un continuum, cioè non sussiste una reale separazione tra
questi aspetti. Gli ultimi studi in questo campo infatti fanno riferimento alla “mente
incorporata”, cioè al fatto che la mente sia fortemente radicata a livello corporeo.
A livello gerarchico le emozioni stanno nel mezzo tra il sentire somatico e il livello
mentale. Questa posizione mediana riflette la loro funzione integrativa.
La persona in questo caso è dissociata dal proprio corpo. Non lo sente più . Non sente
più la propria vitalità, e l’energia vitale viene soffocata sul nascere. La persona si trova in
una prigione mentale, sconnessa dal proprio sentire.
Perché accade questo? I motivi possono essere molti. Può accadere quando l’intensità
del movimento energetico è troppo elevata per essere sostenuta, cioè risulta
sopraffacente. Questo è vero sia per quanto riguarda il piacere che per quanto riguarda
il dolore. Soprattutto quest’ultimo viene generalmente resistito. La resistenza viene
messa in atto smorzando il flusso energetico all’interno del corpo.
Nel nostro processo educativo veniamo “istruiti” su quali impulsi è corretto manifestare e
quali reprimere. Ad esempio un bambino che prova l’impulso rabbioso di spaccare il
giocattolo viene generalmente bloccato. Può diventare una repressione imposta
dall’esterno di un’emozione (non è un processo lineare: dipende chiaramente da come
viene fermato). Il bambino impara poi ad interiorizzare questo meccanismo per
ottenere l’affetto dei genitori. Ben presto questo diventa uno schema emozionale.
Questo è l’aspetto che ci interessa ai fini del Respiro Circolare. Bloccando il respiro si
blocca il flusso energetico all’interno del corpo. L’emozione viene contenuta. O per
meglio dire, viene congelata nel corpo. Con la conseguente mancata integrazione di
quel particolare vissuto.
Apprendimento emozionale
Avviene un vero e proprio apprendimento emozionale. Il Sistema Nervoso cabla i
suoi circuiti in base a degli schemi specifici.
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La gerarchia senso
corporeo → emozioni
→ mente è riflessa
nell’architettura del
sistema nervoso.
Senza entrare nel
dettaglio si può fare
riferimento alla
triplice gerarchia del
cervello:
tronco
encefalico
sistema limbico
neocorteccia
Pur essendo ogni vissuto emotivo altamente soggettivo, gli schemi di respirazione sono
universali. Appartengono all’essere umano.
Sono stati evidenziati tre schemi generali di respirazione che deviano il flusso
respiratorio dal suo schema spontaneo.
Respirazione muscolare
È caratterizzata da rigidità nella parte superiore del dorso e del collo, con una
tendenza ad espandere il torace. Questo modo di respirare è generato da un
atteggiamento mentale di chi trattiene, di chi non lascia uscire, non si permette di
emozionarsi per la paura di perdere il controllo.
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Respirazione intestinale
Normalmente durante l’inspirazione l’addome si rilassa e si espande. In questo schema
di respirazione invece l’addome si contrae. Questo riflette il volere trattenere
sensazioni intestinali dolorose.
Respirazione uterina
Indica una modalità respiratoria minima, impercettibile. È segno di inibizione
generale sia della funzione biologica che di quella psicologica.
La persona che ha questa alterazione del respiro sente di non avere il diritto di
esistere, per questo riduce al minimo la funzione primaria della vita dell’organismo, il
respiro. Viene chiamata respirazione uterina perché esprime il desiderio di voler
tornare nell’utero materno.
Ai fini del nostro studio ci concentreremo sulle emozioni primarie, e del loro legame con
la respirazione.
Rabbia
Quando siamo arrabbiati il sangue affluisce alle mani e questo rende più facile afferrare
sferrare un pugno e difenderci. La frequenza cardiaca aumenta e parte una scarica di
ormoni,tra cui l’adrenalina, per generare una quantità di energia sufficiente a permettere
un’azione di risposta. La rabbia provoca una accelerazione del respiro. Il respiro
diventa più rapido per mobilitare più energia da investire nell’azione.
Paura
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La paura fa confluire il sangue verso i grandi muscoli del corpo, Come quelli delle gambe.
Questo serve a rendere più facile la fuga. Il volto diventa pallido proprio perché non
riceve l’irrorazione sanguigna normale. Contemporaneamente il corpo si immobilizza, si
congela per valutare la situazione. Anche qui vengono rilasciati una quantità di ormoni
allo scopo di generare uno stato di allerta, di preparazione all’azione. L’attenzione si fissa
sulla minaccia per valutare quale sia la risposta migliore. La respirazione quando
abbiamo paura si blocca, proprio per sospendere l’azione e valutare.
Felicità
L’emozione della gioia aumenta la disponibilità di energia. Questa emozione fornisce
all’organismo un senso di riposo generalizzato, e lo rende disponibile ed entusiasta nei
riguardi di qualunque compito esso debba intraprendere. Il respiro è fluido,
spontaneo, pieno.
Sorpresa
L’espressione tipica della sorpresa innalzamento delle sopracciglia. Questo serve avere
una visuale più ampia per fare arrivare più luce negli occhi. Questo permette di fare
arrivare un maggior numero di informazioni all’apparato visivo, per comprendere meglio
l’evento inatteso.
Disgusto
L’espressione facciale del disgusto indica il tentativo primordiale di chiudere le narici
colpite da un odore nocivo o di sputare un cibo velenoso. La respirazione è spinta
verso un gesto deciso di espirazione, proprio per non immettere nei polmoni il gusto
sgradevole che si sta sentendo.
Tristezza
La tristezza ha la funzione di farci adeguare ad una perdita. Implica una caduta di energia
e di entusiasmo verso le attività della vita. Il metabolismo rallenta. La chiusura in sé stessi
che accompagna la tristezza ci dà la possibilità di elaborare e di comprendere le
conseguenze degli eventi che hanno scatenato questo vissuto emotivo. La respirazione
riflette la bassa attivazione energetica. I respiri diventano sospiri. L’inspirazione è
minima: si lascia entrare pochissima aria. È il riflesso dell’atteggiamento verso la vita:
non si lascia entrare la vitalità.
Amore
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Non si tratta di un’emozione primaria, ma merita di essere menzionato qui perché è
caratterizzato da degli schemi di respirazione specifici. I sentimenti di tenerezza e la
soddisfazione sessuale comportano il risveglio del sistema parasimpatico. Si tratta di
una risposta di rilassamento che interessa tutto l’organismo e induce uno stato generale
di calma e di soddisfazione.
Bioenergetica
Lo stretto legame tra l’energia vitale, il respiro e le emozioni è stato ampiamente studiato
dalla bioenergetica, una disciplina che pone come obiettivo quello di ripristinare il
normale flusso energetico all’interno dell’organismo umano.
Gli esercizi bioenergetici hanno proprio il fine di sciogliere questi blocchi e ripristinare il
libero fluire dell’energia vitale. Sbloccando le contratture muscolari cronicizzate si
liberano anche i significati e le memorie originali.
Nel Respiro Cosciente Circolare non si agisce in modo mirato su blocchi specifici. La
tecnica di respirazione scioglie in modo naturale i blocchi e l’intelligenza corporea
guida il processo. Trovo comunque utile citare la bioenergetica in questo articolo perché
permette di comprendere la struttura delle resistenze.
Le resistenze hanno lo scopo di bloccare l’energia vitale. La somma delle resistenze porta
ad una alterazione dell’immagine corporea e della postura.
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Si è visto che l’essere umano ha dei segmenti
specifici in cui si manifestano i blocchi. Questi
sono sette e sono definiti anelli o segmenti.
Agire sulla respirazione si rivela la via più rapida per ripristinare il naturale flusso
dell’energia vitale nel corpo. Respirando in modo circolare e cosciente si riattivano i
vissuti emotivi collegati ai blocchi nei vari segmenti. Generalmente gli sblocchi
avvengono in ordine inverso rispetto alla loro formazione, anche se il processo non è
certamente lineare.
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Come funziona una seduta di Respiro Circolare
Vediamo ora come funziona in pratica una seduta di Respiro Circolare.
La seduta ha una fase preparatoria, la fase del respiro circolare vero e proprio, e una
fase conclusiva. Vediamole una per una.
Preparazione
La fase di preparazione consiste nell’introdurre il praticante alla seduta. Gli viene
spiegata la tecnica di respirazione e quello che potrebbe accadere. Nell’ottica di
intervenire il meno possibile durante la fase attiva, il conduttore cerca di dare tutte le
informazioni che servono per praticare al meglio.
Il Respiro Circolare Cosciente viene praticato generalmente in posizione supina, con gli
occhi chiusi. Su un comodo materassino, in un ambiente sufficientemente caldo e
protetto da possibili interferenze.
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Nel complesso questa fase dura 10-15 minuti
Svolgimento
Dopo il rilassamento inizia la seduta vera e propria. Il partecipante inizia a respirare in
modo circolare e cosciente.
All’inizio viene data l’indicazione di prendere un grosso volume d’aria, proprio per
innescare fin da subito tutti i processi energetici/emotivi del Respiro Circolare. Si da
anche l’indicazione di respirare fino a riempire la parte alta dei polmoni , cioè fino ad
utilizzare la respirazione clavicolare.
Dopo una fase iniziale di questo tipo il respiro entra generalmente in un ritmo circolare
spontaneo. In sostanza si autoregola, sia per quanto riguarda il ritmo e il volume, e
anche la durata della seduta.
Questa può essere determinata in anticipo da chi conduce, oppure può essere
determinata in tempo reale in base all’andamento della seduta.
Il ciclo di una seduta si apre e si chiude in modo spontaneo. Il partecipante sente di aver
concluso. La modalità con tempistica fissa è chiaramente più adatta nel caso la seduta si
svolga in gruppo. La modalità libera invece è più indicata nel caso di seduta singola.
Generalmente la fase attiva di Respiro Circolare Cosciente dura dai 45 minuti all’ora e
mezza. Ci possono essere comunque eccezioni, i tempi non sono vincolanti.
Conclusione
Finita la fase attiva della seduta il partecipante entra generalmente in uno stato di
rilassamento spontaneo. Ritornando respirare in modo “normale” il corpo si acquieta e
si rilassa. C’è una piacevole sensazione di pulizia energetica. Le emozioni e l’energia sono
quiete.
In totale dunque una seduta di Respiro Circolare dura circa un’ora e mezza-due
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La tecnica del Respiro Circolare è semplice. Il fatto che sia semplice la rende accessibile
ad un ampio numero di persone. La sua semplicità non deve però trarre in inganno: è
altamente efficace e potente.
Il primo elemento della tecnica è la circolarità del respiro. Circolare significa senza
pause tra l’inspirazione e l’espirazione, e tra l’espirazione e l’inspirazione seguente.
Si crea uno schema di respirazione connesso, senza alcuna interruzione. Circolare
appunto.
Si respira generalmente dalla bocca, con la bocca socchiusa. Si inspira con la bocca e si
espira sempre con la bocca. Questo permette di immettere nei polmoni un grosso
volume d’aria.
Nella fasi più avanzate può accadere di respirare tramite il naso . Si tratta di un respiro
più sottile, più tenue e apre a stati di profondo raccoglimento in sé. Questo è consentito,
sempre mantenendo la circolarità del respiro e l’utilizzo del naso sia in fase di
inspirazione che di espirazione.
Il principio da seguire è: se si inspira con la bocca si espira con la bocca. Se si inspira con
il naso si espira con il naso. Non si alternano bocca e naso nello stesso ciclo respiratorio.
Il respiro deve essere fluido e spontaneo . Può variare per volume di aria immessa, per
la velocità dell’atto respiratorio, per la zona corporea interessata: polmoni inferiori, medi
o superiori. Non esistono schemi prefissati, il modo di respirare si autoregola in base
all’integrazione e al vissuto emotivo attivo in quel momento nel partecipante.
Come principio generico si può dire che la respirazione veloce aiuta a mantenere il
contatto con il corpo, mentre la respirazione profonda e lenta invece tende a dissolvere
la consapevolezza del corpo e a integrare antichi schemi energetici.
Respiro cosciente
Oltre ad essere circolare, il respiro è cosciente, cioè consapevole. Significa che mentre
si respira l’attenzione viene posta a Chi respira.
Il respiro fa emergere una serie di stimoli, anche piuttosto forti. Di fronte a questi stimoli
l’attenzione viene direzionata solitamente verso quello che si sente: all’oggetto che
appare. Quello che viene richiesto dalla tecnica del respiro circolare cosciente è di porre
l’attenzione al soggetto percepente, all’io che percepisce.
Potrebbe essere una inspirazione molto forzata, segno di una tensione eccessiva che
irrigidisce il corpo. Il respiro perde la sua spontaneità. La persona è impegnata
completamente nell’atto inspiratorio e non riesce ad arrendersi al respiro.
Se il praticante fa delle pause, sia a polmoni pieni che polmoni vuoti, non sta respirando
in modo circolare. Il processo del Respiro Circolare non si innesca. C’è una paura
generale legata al perdere il controllo.
Finito questo ciclo è bene per la persona orientare la sua crescita verso l’applicazione
pratica delle abilità.
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Come scegliere un buon conduttore di Respiro Circolare? Il consiglio che sento di dare è
quello di scegliere in base al proprio sentire iniziale, e poi verificare alla prima e seconda
seduta.
In una sessione di Respiro Circolare bisogna affidarsi. Ci vuole un buon feeling iniziale
con la persona che condurrà il respiro, altrimenti non riuscirai a lasciarti andare fino in
fondo.
Verifica che il conduttore intervenga il meno possibile, cioè solo in caso di reale
bisogno. Il suo ruolo dovrebbe essere non interventista. Esistono una serie di
conduttori che hanno la tendenza a guidare la seduta, a intervenire per portare il
praticante dove ritengono giusto.
La vera guida nel Respiro Circolare è il respiro. È il respiro che guida la seduta, che ti
porta esattamente dove dovresti andare per integrare quello che hai bisogno in quel
momento. Abbiamo un’intelligenza corporea/energetica altamente spiccata, dobbiamo
solamente attenerci alla tecnica e lasciare che il respiro faccia quello che deve.
Purificazione
Più del 70% delle tossine sono espulse dal nostro corpo tramite la respirazione. Il
restante viene espulso tramite il sudore, le feci e le urine. Il respiro si rivela dunque la via
preferenziale per la purificazione fisica.
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In una seduta di Respiro Cosciente Circolare inneschiamo un profondo processo di
purificazione corporea. Ma non solo. La tecnica di respirazione purifica la struttura
psicofisica nella sua globalità. Significa che purificheremo, oltre al corpo, anche le
emozioni e la mente.
Diamo innanzitutto una definizione: che cos’è una tossina? Che cosa vuole dire
purificare?
Una tossina fisica è una sostanza che si è accumulata nel corpo, perché esso non è stato
in grado di smaltirla quando è stata immessa nell’organismo.
Dalla definizione di tossina, si rivela in modo speculare quella di purezza. Una cosa è
pura nel grado in cui il suo funzionamento non riceve interferenze, è libero da ostruzioni.
La rapidità con cui queste tossine vengono espulse è stupefacente. Blocchi energetici
antichissimi si sciolgono nel giro di poche sedute. La persona si riappropria della propria
vitalità: tolte le tossine che impedivano il naturale fluire dell’energia vitale, questa
ricomincia a scorrere. Il corpo ritorna sano e vitale, il sentire emozionale si amplifica e la
mente torna ad essere libera da rigidità antiche aprendosi al nuovo.
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tratta di processi completamente sicuri. Non ci sono conseguenze fisiche negative,
sebbene l’intensità di ciò che accade a livello fisico, soprattutto le prime sedute, a volte
può far pensare il contrario.
Quello che accade in una seduta di Respiro Circolare va ben oltre questa modificazione
fisiologica, ma è utile avere un quadro generale di quello che accade a livello fisico. Una
maggior conoscenza dei processi in atto è utile per essere più sereni nel vivere la seduta.
Questa deve restare entro dei parametri molto stretti, per garantire la sopravvivenza
dell’organismo. Per essere precisi questo valore deve essere di 7,40. Il corpo umano
agisce tramite dei dispositivi tampone per mantenere costante questo valore, che è
leggermente spostato verso l’alcalinità.
A cascata l’alcalosi comporta una riduzione della concentrazione di calcio nel sangue ,
definita in termini tecnici ipocalcemia.
Questo è l’elemento che più ci interessa riguardo l’integrazione delle rigidità muscolari e
dei blocchi emotivi.
Il Sistema Nervoso in poche parole non rileva più che sta tenendo attivo quel
blocco. Lo tieniamo comunque attivo, e questo consuma energia, ma non ce ne
rendiamo conto perché questo è andato “sottosoglia”, ovvero sotto la soglia in cui ci si
può accorgere consapevolmente.
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L’ipereccitabilità del Sistema Nervoso provocata dall’ipocalcemia fa sì che tutti questi
stimoli sottosoglia vengano nuovamente a galla. Ecco spiegato il riaffiorare dei blocchi
fisici ed energetici. Si scioglie l’abituazione del Sistema Nervoso nei confronti dei
blocchi, ed emergono con tutta la resistenza ad essi associati. Emergono e vengono
finalmente integrati tramite il respiro.
La tetania muscolare può essere fastidiosa e a volte anche dolorosa. Si sentono alcuni
muscoli contratti oltremisura e non si riesce ad intervenire per sciogliere questa
contrazione. Se dovesse verificarsi questo fenomeno, è utile ricordarsi che tutto torna
alla normalità nel momento in cui si smette di respirare in modo circolare. Dopo poco la
tetania scompare. Generalmente la tetania si concentra in alcuni specifici gruppi
muscolari: mani, bocca, gambe.
La fisiologia può spiegare come accade che il muscolo si contragga, ma non può spiegare
come, nelle medesime condizioni, non lo faccia più nel momento in cui la persona
integra la resistenza.
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L’ipossia provoca un abbassamento dell’attività elettrica dei neuroni cerebrali. Il
cervello si mette in condizione di “riposo.”
Per cui, se dopo una seduta di Respiro Cosciente Circolare ti trovi in uno stato di “high”,
euforico, particolarmente socievole ed affamato, sappi che è del tutto normale: si tratta
dell’effetto di una maggior quantità di endorfine che hai messo in circolo.
A livello globale l’effetto del Respiro Circolare è paradossale: da una parte rilassa
profondamente, dall’altra energizza l’intera struttura psicofisica.
Il modo in cui si viene al mondo ha delle conseguenze a lungo termine nella formazione
della struttura caratteriale della persona. Non serve in questa sede entrare nello
specifico. Studi durati anni hanno dimostrato una connessione tra quello che la persona
ha vissuto durante il parto e il carattere che poi ha acquisito da adulto.
Rivivere la propri nascita tramite il Respiro Circolare permette di integrare quel vissuto.
Permette di stare di fronte in modo consapevole a tutto quel sentire non
integrato. Questo viene vissuto come una rinascita vera e propria, una liberazione da
un peso portato dentro per tutta la vita.
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La tecnica del Respiro Cosciente Circolare può portare a profondi stati di coscienza.
Provocando una riduzione dell’attività cerebrale porta in modo spontaneo in una
condizione di meditazione profonda.
La sua applicazione clinica ha dimostrato la sua efficacia nel trattamento dell’ansia, della
depressione e degli attacchi di panico. Senza andare a toccare questi estremi, si è
rilevato un trattamento rapido per insegnare alle persone una corretta gestione dello
stress.
Viene utilizzato con risultati eccellenti anche nel trattamento delle tossicodipendenze,
in quanto gli stati di coscienza che possono venire indotti in modo naturale tramite la
respirazione possono ricordare al tossicodipendente l’esperienza che ha avuto in modo
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artificiale tramite le sostanze chimiche. Questa somiglianza permette alla persona una
transizione più rapida verso uno stile di vita libero dalla dipendenza.
Il Respiro Cosciente Circolare viene utilizzato in ambito clinico anche per trattare le
disfunzioni sessuali. Agendo a livello energetico si sciolgono i blocchi che impediscono
alla persona di vivere appieno la propria sessualità. Si apre il sentire verso questa
componente fondamentale dell’essere umano e si ripristina il fluire energetico
dell’energia sessuale all’interno del corpo.
Può essere praticato con degli accorgimenti particolari anche da donne in gravidanza,
dagli anziani e dai bambini.
Alcuni hanno difficoltà nella condivisione finale in gruppo, per cui lavorare in due
permette di non incorrere in questa limitazione. Chiaramente questa non è una
condizione necessaria: è possibile e consigliabile iniziare direttamente con le sedute in
gruppo.
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Respirare assieme ad altri è un’esperienza unica, perché apre il proprio sentire ad un
sentire collettivo, legato all’intero gruppo. Si scopre che, nonostante ognuno viva la
propria esperienza individuale, esiste un’energia del gruppo che segue una dinamica
collettiva.
Negli anni si sono viste un’infinità di varianti della tecnica del Rebirthing. Con la musica,
con le luci psicoattive, con meditazione guidata, con ipnosi regressiva, nelle saune… la
fantasia certo non manca.
Ogni cosa che si aggiunge va a interferire con il decorso naturale della seduta .
La tecnica del Respiro Circolare di per sé, come è stata presentata in questo articolo, è
semplice, essenziale e potentissima. La sua potenza sta proprio nel fatto che va a
sfruttare il meccanismo integrativo spontaneo del respiro.
Il respiro guida tutto ciò che accade. Ogni cosa che interferisce con questa sua
spontaneità è, a mio avviso, un’interferenza.
A mero scopo informativo ritengo giusto completare questo articolo con un breve
excursus rispetto alle varianti del Rebirthing.
Il Rebirthing in acqua calda, cioè a temperatura corporea, può favorire il contatto con il
proprio corpo, e dalle esperienze fatte pare stimoli il rivivere l’esperienza della nascita.
L’acqua fredda invece potrebbe stimolare l’emergere delle paure e le sensazioni legate
al tema della morte. L’emergere di questi contenuti durante la seduta permette di
integrarli e di lasciarli andare.
Un’altra variante rispetto alla tecnica standard del Rebirthing, più avanzata, è quella di
respirare ad occhi aperti. Chiaramente questo è possibile solo se si è già affrontato e
integrato gran parte del materiale interiore. Tenere gli occhi aperti apre l’attenzione
all’ambiente in cui avviene la seduta, e sarebbe una distrazione fortissima per chi ha
appena iniziato a respirare.
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Altra variante è il respirare in coppia, mantenendo il contatto di sguardi con l’altro
praticante. È una variante avanzata della pratica del Rebirthing. Il contatto visivo con
l’altro ha degli effetti notevoli sulla coscienza della persona, vedi l’articolo Eye Contact
Experiment, e questo potrebbe essere, nelle fasi iniziali della pratica, una grossa
distrazione.
Il Respiro Circolare è mantenuto nella sua forma essenziale, ogni possibile forma di
interferenza viene eliminata.
Il fine del Respiro Circolare è di purificare il corpo fisico, l’aspetto emozionale e mentale
della persona che lo pratica per liberare l’energia vitale e accendere la
consapevolezza di sé.
Per chiarezza mi riferisco al grado di vividezza con cui accade l’esperienza. Come nel
caso di un’immagine visualizzata, questa può essere chiara, vivida e brillante oppure
offuscata, ottusa e confusa. Questa qualità non è relegata solamente alla visualizzazione,
ma è una vera e propria caratteristica qualitativa dell’attenzione. La propria esperienza
cosciente diviene più vivida. È un effetto dello smaltimento delle tossine fisiche,
emozionali e mentali.
Un altro effetto legato alla purificazione è l’aumento della vitalità: c’è un forte aumento
dell’energia vitale. Quell’energia che era trattenuta nei blocchi energetici viene liberata e
diviene nuovamente disponibile. Ritorna a fluire nel corpo, che riacquista la sua
condizione naturale di salute e vitalità. C’è un forte aumento del metabolismo e
dell’efficienza della circolazione sanguigna.
Questo apre il canale dell’empatia con l’altro. Più sono in contatto con il mio sentire,
più posso aprire questo sentire verso l’altro essere umano.
Si acquista una maggiore flessibilità, non solo fisica, ma anche mentale. Il corpo è più
sciolto, la mente è più adattabile e malleabile nei confronti delle esperienze e delle
prospettive dell’altro.
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Una maggiore presenza mentale apre il canale alle intuizioni profonde e ad una
creatività inedita. Avviene un cambiamento strutturale nella coscienza della persona.
L’esplorazione degli stati di coscienza apre le porte allo sviluppo verso l’alto, in strutture
sempre più complesse ed evolute.
Quanti effetti positivi derivano da una pratica così semplice! Sento di consigliare a
chiunque di provare un ciclo di Respiro Circolare. Senza la minima esitazione.
La tua esperienza
In questo lungo articolo ho voluto darti una descrizione di che cos’è il Respiro Cosciente
Circolare, basandomi sulla mia esperienza e sulle mie conoscenze in questo campo della
crescita. Sicuramente ci sono altri aspetti riguardo al Respiro Circolare che non sono stati
toccati e che meriterebbero ulteriori approfondimenti.
Ho dimenticato qualcosa che secondo te meritava di essere citato? Scrivilo qui sotto
nei commenti, sarà sicuramente di spunto per una integrazione.
Mi piacerebbe che non resti solo il frutto dell’esperienza di un singolo, ma che diventi un
punto di scambio costruttivo per tutti i lettori.
A te la parola!
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