Sei sulla pagina 1di 227

ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITA' DI BOLOGNA

SCUOLA DI LETTERE E BENI CULTURALI

Corso di laurea in

Scienze storiche e orientalistiche

TITOLO DELLA TESI

La Calabria nel Mediterraneo islamico (IX-XI secc.)

Tesi di laurea in

Territorio, paesaggio e insediamenti nel Medioevo

Relatore Prof: Paola Galetti

Correlatore Prof: Alessandro Vanoli

Presentata da: Sarah Procopio

Appello

Secondo

Anno accademico
2016-2017

1
Indice

Introduzione p. 6

I Il Bruttium e le prime reti commerciali p. 17


Territori e commerci nel Bruttium tardo antico
I confini della regione
La Calabria nelle aspirazioni di Roma
L’importanza di Cassiodoro
Le produzioni del periodo tardo antico

Il ruolo del primo monachesimo italo-greco in Calabria


La nascita del monachesimo nel Mediterraneo
L’espressione del monachesimo in Calabria

Politica e amministrazione in una Calabria medievale melting pot


La nascita della comunità ebraica in Calabria
La nascita della comunità ebraica in Calabria nel periodo tardo antico
La crescita del ruolo della comunità ebraica in Calabria
Gli ebrei in Calabria tra XI e XII secolo
Gli ebrei e il commercio nel Mediterraneo
Altre minoranze della regione

Economia e scambi nella Calabria bizantina


Le strategie politico-economiche bizantine tra VIII-X sec.
Viabilità e monete nella Calabria bizantina
L'organizzazione del territorio tra IX e X sec.
I monaci italo-greci tra VIII e XI secolo

2
II La nascita dello spazio commerciale islamico nel Mediterraneo p. 77
Da Arabi a Musulmani: il primo confronto con il mondo cristiano
Il primo ğihad
La conquista dell’Asia centrale
Islam e Bisanzio nel VII secolo
Le navi nei primi anni d’espansione islamica
Prima metà del VII secolo.
Il contesto commerciale orientale: la Via della Seta prima dell’Islam.
Sempre più ad ovest.
La Penisola Iberica e il Maghreb
Il califfato abbaside.
Diplomazia tra imperatori e califfi.

Nuovi attori sulla scena mediterranea


Gli Aghlabidi.
L'offensiva contro le coste latine
L’interesse carolingio.
Il ruolo della storiografia sulle vicende islamiche.

La conquista della Sicilia


La zecca: da Siracusa a Reggio
Gli attacchi nell’Italia peninsulare
Campania e Puglia
Roma e basso Lazio

La Calabria durante la conquista dell'Italia meridionale


La ripresa di Bisanzio
Le ultime azioni importanti islamiche

La caduta aghlabide e l’arrivo fatimide


La politica fatimide in Egitto
Il ruolo della politica Kalbite in Sicilia

3
Strategie ed organizzazione tra X e XI secolo
La fine dell’XI secolo

III Mediterraneo commerciale p. 142


I viaggiatori musulmani
Mediterraneo: Un’unità ritrovata?
I problemi della ‘’pirateria’’

La Calabria e il commercio mediterraneo


La ripresa dei mercati: le anfore da trasporto.
Le potenzialità produttive del territorio calabrese tra X e XI secolo
Reggio Calabria: il suo ruolo politico ed economico

Calabria araba? Gli indizi della presenza islamica


Le pietre tombali
La ceramica
La ripresa dei mercati mediterranei
La diffusione degli stili mediterranei nella regione
La comunità musulmana in Calabria

Nei luoghi dell’Islam: i commerci nel Nord Africa


La comunità amalfitana
La concorrenza nella ḍār al Islām: il Califfato di Cordova
La componente berbera
Redifinizione degli spazi e dei protagonisti del mare
I documenti della Genizah del Cairo

4
IV L’arrivo normanno in Italia p. 188
La Calabria normanna
La conquista
L’opera di rilatinizzazione e il rapporto con la Chiesa
Il progetto normanno
L’economia calabrese nel periodo normanno
La conquista della Sicilia
La Calabria normanna dopo il 1072

Conclusioni p. 206

Fonti dirette p. 209

Bibliografia p. 211

5
Introduzione

Il tema dei rapporti tra il mondo occidentale e la dār al-islām1 nell’Alto


Medioevo risulta a tutt’oggi non ancora esaurito. Non lo è sulla base del fatto che vi
sono alcuni luoghi, esempio di un contatto positivo e proficuo tra Occidente e dār al
Islām, che però sono sfuggiti alle considerazioni anche più recenti. Tra questi vi è
senza dubbio la Calabria, la quale, pur avendo avuto un passato medievale
fondamentale per la storia mediterranea, soffre di un mancato approfondimento a
causa della penuria documentaria che la caratterizza per questo periodo. Nonostante
questa considerazione sia senz’altro fondata, ho ritenuto che fosse superficiale
considerare il passato di questa regione impossibile da conoscere, in ragione del fatto
che l’archeologia degli ultimi decenni ha apportato aggiornamenti importanti che
però non hanno ottenuto l’attenzione necessaria da parte della storiografia. Ciò ha
comportato che, seppure vi siano stati degli studi inerenti al tema dei rapporti tra
Mediterraneo occidentale, penisola italiana e Maghreb in particolare, la Calabria sia
stata menzionata raramente o in maniera marginale. Laddove si rintracciano
riferimenti ad essa si tratta di contributi ormai datati. Il fatto che spesso la storiografia
di riferimento si confronti con lavori anche dei primi decenni del XX secolo (come
ad esempio la traduzione italiana di storiografi e geografi arabi compiuta da Michele
Amari) è sintomo della necessità di aggiornare l’informazione concernente questi
temi, sebbene non siano mancati contributi notevoli2. Dunque, il mancato
approfondimento della Calabria si inserisce in un contesto più ampio di mancati studi
che riguardano nello specifico i contatti tra la penisola italiana e il mondo arabo nel
periodo d’espansione in Occidente dell’Islām.
Per questo motivo ho deciso di proporre uno studio dei rapporti tra la
Calabria e la dār al-Islām per riflettere sulle possibilità di ulteriori approfondimenti
e per avere una nuova ed inedita concezione di questo tema. Per far ciò, ho posto
l’accento non sui contrasti militari che portarono spesso i musulmani ad attaccare le
coste calabresi, quanto piuttosto sui rapporti tra la regione e i civili musulmani che

1
L’espressione dār al-Islām indica letteralmente “la casa dell’Islam”, dunque tutti i luoghi in
cui vige la religione e la cultura musulmana, al contrario della dār al-Ḥarb “la casa della
guerra” quindi i luoghi esterni alla al territorio dell’Islam come appunto quelli cristiani. Per
un quadro iniziale sull’Islam: cfr. G. VERCELLIN, Istituzioni nel mondo musulmano, Torino
20022; G. ENDRESS, Introduzione alla storia del mondo musulmano, G. VERCELLIN (a
cura di), Venezia 20012; cfr. L. GARDET, Gli uomini dell’Islam, Milano 1981.
2
Cfr. M. DI BRANCO, G. MATULLO, K. WOLF, Nuove ricerche sull’insediamento
islamico presso il Garigliano (883-915), in «Lazio e Sabina», 10, 2017, pp. 273-280; A.
VANOLI, La Sicilia musulmana, Bologna 20122.
6
determinarono un mantenimento dei commerci e delle interazioni così come era stato
prima della fase di islamizzazione del nord Africa.
Di per sé, lo studio della Calabria medievale comporta non poche difficoltà,
giacché il contesto culturale variegato di allora (che rappresentò anche la sua fortuna
per una crescita economica, politica e sociale) corrisponde oggi ad una difficoltà di
comprendere appieno le dinamiche della regione durante il Medioevo, periodo di cui
effettivamente rimangono poche tracce.
Nel 1997 l’archeologa Cristina Tonghini dell’Università Ca’ Foscari di
Venezia in collaborazione con la Regione Calabria iniziò una prima riflessione più
attenta su Amantea, antico insediamento musulmano. La studiosa poté subito
individuare diverse tracce materiali nel sito, in particolar modo fece riferimento al
ritrovamento di manufatti di fattura islamica e al ritrovamento di monete arabe (i
tarì)3. Questo studio però non portò altro che ad un breve contributo della studiosa e
non diede seguito a ricerche più ampie su questo tema, ovvero, sul rapporto tra la
Calabria e i musulmani nel periodo dell’espansione araba in Occidente, seppure vi
fossero margini per ulteriori approfondimenti.
La difficoltà più grande per chiunque inizi una ricerca concernente la Calabria
medievale è rappresentata dalla mancanza di fonti sufficienti a delineare un quadro
della regione nel periodo preso in considerazione. Purtroppo, questo non deriva da
un’effettiva impossibilità di rintracciare fonti materiali, quanto dalla mancanza di
scavi finanziati per la ricerca medievale, ma anche a causa di molto materiale
(specialmente numismatico) conservato in collezioni private spesso inaccessibili.
Nonostante questa evidente situazione di difficoltà per la ricerca, ho ritenuto che,
prima di assicurare l’assoluta impossibilità di studiare la Calabria medievale, si
dovesse dare rilevanza alle ricerche effettuate negli ultimi decenni, laddove
archeologi, come il professore Francesco Cuteri, hanno portato alla luce elementi
consistenti per riconsiderare la Calabria in rapporto al mondo islamico. Nel condurre
la ricerca in base a questi presupposti è emerso che più un deficit documentario, la
carenza di confronti interdisciplinari e spesso la scarsa attenzione data dalla
storiografia recente ai progressi apportati dagli aggiornamenti archeologici.
Iniziare lo studio della Calabria nel Mediterraneo islamico richiedeva una
ricerca approfondita di queste due realtà: la regione dal periodo tardo antico al
Medioevo e il Mediterraneo. Il Mediterraneo già dal secolo scorso è stato oggetto di

3
C. TONGHINI, Gli Arabi ad Amantea: elementi di documentazione materiale, in ΑΙΩΝ,
57/1-2 (1997), pp. 203-230.
7
studi di storici che hanno segnato la storiografia, primo tra tutti, Fernand Braudel che
marcò le linee di ricerca della scuola francese delle Annales. Da quel momento in
poi, quello spazio che nell’Antichità era stato definito Mare nostrum divenne l’area
marittima attraversata da mercanti, da una sponda all’altra, da est ad ovest.
Per iniziare questo studio è servita una lettura preliminare di studi che hanno
segnato la storiografia inerente alla storia del Mediterraneo, come: Corrupting Sea:
A study of Mediterranean History di Peregrin Horden e Nicholas Purcell4 e The
Great Sea di David Abulafia5. Per un excursus minuzioso dalla caduta dell’Impero
romano all’Anno Mille ho trovato illuminante il lavoro di Chris Wickham,
«L’eredità di Roma»6 all’interno del quale ho trovato anche riferimenti all’economia
della Calabria nel periodo tardo antico. Per il contesto mediterraneo commerciale è
imprescindibile conoscere di Shlomo Dov Goitein The Mediterranean Society7 opera
divisa in due volumi e dedicata interamente al ruolo degli Ebrei nei commerci
mediterranei alla luce della grandiosa scoperta documentaria avvenuta a Fustat verso
la fine dell’Ottocento.
Dopo lo studio del contesto generale, nel cercare riferimenti specifici alla
Calabria ho iniziato dalla lettura di due volumi (sebbene ormai datati e che
necessiterebbero di aggiornamenti): «Gli Arabi in Italia» a cura di Francesco
Gabrieli e Umberto Scerrato uscito nel 1979, e «I Bizantini in Italia» a cura di
Guglielmo Cavallo e Vera Von Falkenhausen uscito tre anni più tardi. All’interno di
questi libri si trovano moltissimi riferimenti alla Calabria, e alla Calabria in relazione
all’arrivo musulmano e l’assimilazione della cultura islamica. Ma appunto i dati di
riferimento risalgono agli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, e da quei decenni
ad oggi l’archeologia ha apportato numerose novità.
Nel 2008 è uscito «La Sicilia musulmana» di Alessandro Vanoli8. All’interno
di questo saggio lo studioso ha considerato molteplici aspetti: la situazione politica,
l’assimilazione culturale, la presenza ebraica nell’isola e il suo rapporto con i
musulmani, le fonti utili ad una nuova ricostruzione degli eventi. Proprio

4
P. HORDEN, N. PURCELL, The Corrupting Sea: A Study of Mediterranean History,
Oxford 2000.
5
D. ABULAFIA, The Great Sea: a human History of the Mediterranean, London 20011.
6
C. WICKHAM, L’eredità di Roma: storia d’Europa dal 400 al 1000 d. C., Roma-Bari
2014.
7
S. D. GOITEIN, A Mediterranean society: the Jewish communities of the Arab World as
portrayed in the documents of the Cairo Geniza, I-II, Berkeley 1967-71.
8
A. VANOLI, La Sicilia musulmana, Bologna 20122; Id., I cammini dell’Occidente. Il
Mediterraneo tra i secoli IX e X. Ibn Khurdadbha, al-Muqaddasī, Ibn Hawqal, in Medioevo
europeo 2, Padova 2001.; Id., Musulmani in un’isola cristiana. Brevi cenni di una lunga
storia, in «Edad Media. Revista de Historia », 17, s.l. 2016.
8
quest’ultimo punto è fondamentale per condurre delle ricerche innovative sul tema
degli Arabi in Italia, in quanto la ricerca più datata si è basata perlopiù sulla lettura
di fonti latine, in maggioranza agiografiche, spesso non confrontate con i resoconti
dei geografi e degli storiografi musulmani. Ciò è dipeso soprattutto dalla mancanza
di traduzioni delle opere dall’arabo all’italiano, infatti, le uniche che possediamo
sono ormai vecchie e a volte errate nell’interpretazione. Tra queste si ricordano
sicuramente le traduzioni di Michele Amari, arabista di fine Ottocento, che dedicò
un lavoro di traduzione ad alcuni passi arabi concernenti la conquista della Sicilia e
altri episodi sull’Italia meridionale9. Si tratta però di passi scelti e non di opere
intere, motivo per cui la Calabria vi emerge raramente. Al contrario, conducendo una
traduzione nuova degli scrittori quali Ibn Ḫaldun, ad esempio, vi sono numerosi
episodi descritti che vanno ad affiancare le altre fonti e sottolineano la necessità di
una riconsiderazione degli eventi.
Per lo studio della Calabria medievale, ho iniziato dai lavori della
professoressa Vera Von Falkenhausen, bizantinista tedesca, sui i cui studi si basano
tutte i contributi successivi10. Per una considerazione generale della presenza
bizantini in Italia ho seguito lo studio del professore Salvatore Cosentino11. In questi
lavori i riferimenti ai contatti con i Musulmani sono marginali, come se la Calabria
avesse avuto contatto con la realtà musulmana solo nelle occasioni degli attacchi
contro le coste. Al fine di conoscere puntualmente le dinamiche dell’arrivo
musulmano nell’Italia peninsulare occorre far riferimento al professore Marco di
Branco che, insieme con la studiosa Kordula Wolf, ha avviato lo studio sulla zona
del Garigliano che fu luogo di insediamento musulmano durante il tentativo di
conquista12. Allo stesso tempo per la storia dell’espansione musulmana in Occidente
attraverso lo studio delle fonti arabe vi è L’Émirat Aghlabide (184-296/800-909)
Histoire politique di Mohamed Talbi uscito a Parigi nel 1966.
Partendo dunque dallo studio di questi saggi ho potuto procedere ad un
approfondimento delle relazioni tra la Calabria e la dār al-Islām per cui non si

8
M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, I-II, Firenze 1854.; Id., Diplomi arabi, Firenze
1872; Id., C. SCHIAPPARELLI, L’Italia descritta nel libro di re Ruggero compilato da
Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei, CCLXXIV, 18876-77, VIII, Roma 1883.
10
V. VON FALKENHAUSEN, La dominazione bizantina in Italia meridionale IX all’XI
secolo, Bari 1978.; Ea, Reggio bizantina e normanna, in Calabria bizantina: Testimonianza
d’arte e strutture di territori, Soveria Mannelli 1991.
11
S. COSENTINO, Storia dell’Italia bizantina (VI-XI secolo): da Giustiniano ai Normanni,
Bologna 2008.
12
Cfr. M. DI BRANCO, G. MATULLO, K. WOLF, Nuove ricerche sull’insediamento
islamico presso il Garigliano (883-915), in «Lazio e Sabina», 10, s.l. 2017, pp. 273-280.
9
potrebbe prescindere dalla conoscenza del contesto politico generale che determinò
lo sviluppo o meno delle interazioni e dei mercati.
La presente ricerca è nata dall’esigenza di chiarire il ruolo effettivo nel commercio
alto medievale della Calabria in rapporto al mondo arabo. Esso effettivamente,
nonostante gli ampi studi sul Mediterraneo, rimaneva relegato a considerazioni
marginali, mentre ritenevo che, data la posizione geografica della regione e data la
sua assimilazione di usi e costumi arabi, ci fossero dei margini di approfondimento
ulteriore sul periodo tra il IX e l’XI secolo.
A rafforzare l’idea di una Calabria partecipativa al contesto mediterraneo vi
era la pluralità culturale del territorio grazie alla presenza di diverse comunità nella
regione che l’arricchivano con i propri usi e costumi che di fatti corrispondevano a
quelli di tutto il Mediterraneo. Per questo motivo, da una prima superficiale
considerazione non si può distinguere ciò che è traccia araba, in quanto i musulmani
stessi avevano fatto tesoro dell’eredità delle culture mediterranee. Per cui per parlare
di eredità araba sul territorio occorreva una considerazione interdisciplinare. Per
questo motivo ho ritenuto necessario prima ancora del rintracciare i contatti diretti
tra la Calabria e la dār al-Islām (in questo caso facendo riferimento alla zona
dell’Ifriqiyya), conoscere più precisamente queste due realtà, considerandone aspetti
geografici, politici, economici, sociali e culturali. Ho poi pensato innanzitutto ai
contatti avvenuti prima dell’islamizzazione del nord Africa, ritenendo che essi non
potessero essere stati troncati dall’arrivo musulmano, in quanto i musulmani per
primi necessitavano del commercio con le regioni occidentali per l’acquisto di beni
di vario genere, primo fra tutti il legname.
La tesi è stata strutturata in quattro capitoli organizzati in paragrafi in cui ho
affrontato tematiche differenti, ma strettamente necessarie alla comprensione del
contesto in toto.
Nel primo capitolo prima di spiegare le relazioni della Calabria e gli altri ho
delineato la storia della Calabria in sé. Era necessario comprendere la geografia, la
politica, la società e la cultura del periodo medievale, ai fini della ricerca spiegare le
condizioni politiche ed economiche della Calabria tardo antica per comprenderne le
modifiche successiva all’inclusione nell’impero bizantino. La regione dopo aver
affrontato la crisi generale che aveva colpito lo spazio Mediterraneo al tempo della
guerra greco-gotica dovette confrontarsi con una realtà politica nuova che allo stesso
tempo seppe riportare in auge quei valori greci già in precedenza appartenuti alla
Calabria. Questo legame, principalmente culturale, fece sì che la Calabria
rappresentasse il vero ed unico baluardo dell’impero bizantino in Occidente ai tempi
10
dell’espansione islamica, motivo per cui i Bizantini, detti Rum nelle fonti arabe,
difesero strenuamente l’avamposto calabrese la cui conquista avrebbe significato un
via libera per i musulmani ad inoltrarsi definitivamente nella penisola.
Oltre alle considerazioni politiche concernenti i secoli dal VI all’VIII ho dato
rilevanza al contesto sociale calabrese che si sviluppò in quel periodo. La Calabria
infatti dopo aver riacquisito la sua “grecità” iniziò ad accogliere e confrontarsi con
popolazione slava, con la popolazione proveniente dal Vicino Oriente (in particolar
modo dalla Siria), con la comunità ebraica e con altre minoranze che
progressivamente portarono alla nascita di una vera e propria koiné mediterranea.
Di questa mescolanza, a tutt’oggi, abbiamo maggiore traccia nel settore artistico,
architettonico, onomastico e toponomastico, e dal IX sec. si aggiunsero a questi
gruppi i civili musulmani.
Parallelamente agli scontri tra l’impero e i califfati, la popolazione civile si
inseriva nelle nuove regioni portando con sé i propri usi e costumi, comuni a tutto il
Mediterraneo, che fecero sì che le espressioni artistiche locali si modificassero in
base a nuovi criteri, più “orientaleggianti”. Se di questo confronto vi è rimasta
ampiamente traccia in Sicilia, ad indagare bene emerge una presenza parallela
sviluppatasi in Calabria nel periodo tra il IX e il X secolo, e poi affermatasi
completamente all’arrivo dei Normanni. Per conoscere questi cambiamenti e
contestualizzarli occorre fare riferimento agli aggiornamenti archeologici degli
ultimi decenni, che stando alle mie considerazioni sulla base dello studio della
bibliografia e della storiografica presente, non erano stati considerati ed inseriti in
un contesto coerente per sviluppare una ricerca sui rapporti tra la Calabria e gli arabi,
così come avvenuto per altri luoghi.
La storia del commercio tra la Calabria e il Maghreb ha effettivamente
origini romane. La regione, che ai tempi era denominata Bruttium, era sfruttata
attraverso un’agricoltura estensiva o silvo-pastorale che permetteva la produzione di
beni primari che raggiungevano non solo l’Urbe, ma anche le province romane del
nord Africa. La merce partiva dai floridi porti quali quello di Copia, di Reghium, di
Vibo, di Locri, di Scolacium, di Kroton, dove gli archeologi hanno trovato
ampliamente traccia di materiali da trasporto per la vendita di olio e vino. Oltre ad
essi, la regione esportava moltissimo legname proveniente dalle foreste della Sila e
dell’Aspromonte. Il legname infatti veniva sia utilizzato per l’edilizia sia per la
costruzione delle navi soprattutto nei periodi di guerra. Sempre dagli alberi delle
foreste calabresi veniva poi estratta la pix bruttia, ovvero una particolare tipologia di

11
pece utilizzata per impermeabilizzare le imbarcazioni, per impeciare i contenitori di
vino ed olio ed era anche impiegata nel settore medico e cosmetico13.
Dell’esportazione di questi beni vi è ampia traccia nelle lettere di papa
Gregorio Magno, il quale più volte richiese legname calabrese per la costruzione di
chiese romane, e dopo di lui anche papa Sergio I e papa Gregorio II. All’arrivo
musulmano nei territori nord Africani, la Calabria ebbe dei nuovi acquirenti, infatti,
proprio i musulmani acquistavano il legname e la pece calabresi per la costruzione
delle loro imbarcazioni. Proprio per questo motivo, nei periodi di scontro più
importanti tra Bisanzio e i califfi, alcuni strateghi bizantini vietarono la vendita del
legname calabrese alle forze nemiche proprio per determinarne l’impossibilità
dell’organizzazione navale. Di questi avvenimenti vi è traccia in particolar modo
nelle fonti storiografiche del periodo, laddove si trova anche riferimento ai numerosi
attacchi islamici contro le coste calabresi per il rapimento di schiavi, ma anche di
animali e di beni d’oro e d’argento (in particolar modo nella zona reggina).
Per tutto il periodo medievale sarà effettivamente la zona reggina e quella
vibonese a rappresentare il cuore dei commerci che attraversando lo Stretto di
Messina si dirigevano verso il nord Africa (senza tralasciare quelli verso la Penisola
Iberica e l’Oriente). Nel territorio di S. Aloe (VV) sono state ritrovate anfore per
contenere olio, vino e garum di manifattura nord africana, ma anche materiale
musivo e ceramiche14; in altre zone tirreniche poi sono stati ritrovati dei contenitori
definiti spatheia di importazione sempre nord africana15.
Gli archeologi nel considerare i ritrovamenti e le loro origini hanno sostenuto
che le comunicazioni tra la Calabria e il Mediterraneo seguissero la rotta che da
Alessandria raggiungeva prima Reggio e poi Roma. Ciò fa sì che la regione possa
essere inserita in un contesto commerciale più ampio che comprenda lo spazio
mediterraneo da Occidente ad Oriente così come avvenne per la Sicilia. Anche nei

13
Cfr. B. SANGINETO, Per la ricostruzione del paesaggio agrario delle Calabrie romane,
in S. SETTIS (a cura di), Storia della Calabria antica. Étà italica e romana, Roma 1994, p.
563.; Cfr. D. Manacorda, Produzione agricola, produzione ceramica e proprietà della terra
nella Calabria romana tra Repubblica e Impero, in AA.VV., Epigrafia della produzione e
della distribuzione. Actes de la VIIe recontre franco-italienne sur l’époghraphie du monde
romaine (Rome, 5-6 juin 1992), 193, 1 (1994), pp. 3-69.
14
Cfr. F. CUTERI, Da Vibo Valentia a Nicotera. La ceramica tardo romana nella Calabria.
tirrenica, in «LRCW 4», I, Oxford 2014, pp. 62-79: p. 63
15
Cfr. D. CASTRIZIO, Circolazione monetaria nella Calabria Tirrenica bizantina, in G. DE
SENSI SESTITO (a cura di), La Calabria tirrenica nell'antichità. Nuovi documenti e
problematiche storiche; atti del convegno Rende 23-25 novembre 2000, Soveria Mannelli
2008.

12
periodi di crisi più aspri (nel passaggio dalla tarda antichità al periodo alto
medievale) la Calabria registrò una predilezione per i commerci rivolti verso
l’Africa, parallelamente ad una diminuzione di quelli rivolti verso Roma ed Ostia. In
questo caso a confermarlo sono state le anfore Kaey LII la cui tipologia ha
confermato un mercato tra la regione e il Maghreb. Questa tipologia di anfora era
utile all’esportazione del vino, apprezzato anche per l’utilizzo medico (ad esempio
le infiammazioni allo stomaco). Allo stesso tempo la Calabria importava vino
africano e della Siria16 che andava ad affiancare il consumo del vino locale, che
stando alle fonti era considerato vinum multum et optimum17.
Queste considerazioni, i cui dettagli sono stati illustrati minuziosamente
all’interno della tesi, mi hanno conferito il quadro di partenza per considerare i
rapporti tra la Calabria e quell’area che successivamente visse l’islamizzazione. Alla
luce degli stretti legami tra le due zone ho ritenuto che essi potessero essere rimasti
vivi anche in seguito all’arrivo dell’Islām e che al contrario di alcune teorie che la
ricerca sta progressivamente superando, prima tra tutte l’idea di Pirenne,
contemporaneamente agli scontri tra l’Impero bizantino e le forze arabe vi fu un
mantenimento dei contatti tra la popolazione civile che portò ad una vera e propria
osmosi culturale.
Il secondo capitolo, che ho denominato “La nascita dello spazio
commerciale islamico nel Mediterraneo” è stata un’analisi del contesto innanzitutto
politico creatosi in seguito all’espansione in Occidente dell’Islām. Questa fase
solitamente è indicata ‫ ﺟﮭﺎد‬ǧihad, termine a tutt’oggi abusato, per spiegare la guerra
intrapresa dalle forze islamiche contro l’Occidente. In realtà però i califfi e gli emiri
non agirono con i loro eserciti diversamente dalle forze occidentali a loro
contemporanee, quali Franchi, Longobardi e ovviamente Bizantini. I musulmani
intrapresero un’espansione territoriale immediatamente seguita dall’islamizzazione
delle regioni del Mediterraneo conquistate, ma non mancarono momenti di

16
Cfr. C. RAIMONDO, Aspetti di economia e società nella Calabria bizantina. Le
produzioni ceramiche del medio Ionio calabrese, in (a cura di) A. JACOB, J.M. MARTIN,
G. NOYÉ, Histoire et culture dans l'Italie byzantine, in Collection de l'Ecole française de
Rome-363, Roma 2006, p. 410.
17
Cfr. T. GRULL, Expositio totius mundi et gentium. A peculiar work on the commerce of
Roman Empire from themid-fourth century- compiled by a Syrian textile dealer?, in (a cura
di) Z. CSABAI, Studies in Economic and Social History of the Ancient Near East in Memory
of Péter Vargyas, Hungary 2014, p. 635.

13
confronto, patteggiamento, compromesso con i leader d’Occidente. Allo stesso
tempo, la disorganizzazione di alcuni territori, quali ad esempio l’Ifriqiyya, che
soffriva delle rivolte intestine, causò la rinuncia delle forze islamiche a condurre
delle campagne serie di conquista verso l’Italia. Per le stesse cause l’impero
bizantino poté riguadagnare alcuni territori conquistati dai musulmani. L’Islām
certamente godeva di uomini entusiasti e assetati di vittorie, ma soprattutto di bottini.
Per questo motivo i loro attacchi erano la maggior parte delle volte finalizzati
solamente all’accaparramento di bestiame, schiavi e beni di lusso, piuttosto che di
conquista territoriale.
La riuscita musulmana fu aiutata dalla cattiva gestione territoriale e politica
degli strateghi bizantini, di cui molti avevano perso la fiducia della popolazione
locale già da anni sfruttata e sottomessa ad ingenti tassazioni. Questa situazione fece
sì che, come nel caso della Sicilia, i musulmani venissero anche accolti e agevolati
alla conquista dalla popolazione stessa stanca del governo di Bisanzio. Dopo la
conquista siciliana, Bisanzio comprese che l’unico modo per impedire la conquista
dell’Italia peninsulare era la difesa della Calabria, regione che a quel punto venne
rafforzata militarmente. L’archeologia però ha pienamente dimostrato il
mantenimento con l’Ifriqiyya degli ampi scambi commerciali che già legavano la
Calabria al nord Africa.
Proprio in difesa degli scambi commerciali spesso imperatori occidentali e
califfi trovarono dei compromessi diplomatici. Nell’806 Hārūn al Rašīd inviò una
delegazione a Costantinopoli per richiedere al basileus una tregua sulla frontiera. Ma
anche Ugo di Provenza trovò un accordo con il califfo Abd al Ramān III impostando
una politica fondata sul dialogo. Questi ed altri episodi permisero fondamentalmente
un mantenimento delle relazioni commerciali tra Occidente e dār al-Islām, che nei
secoli portò ad esempio alla formazione di importanti contatti come quello tra la
comunità di mercanti amalfitana e l’Egitto.
Sempre in questo capitolo ho illustrato l’arrivo musulmano in Sicilia, la
conquista in Sicilia e i paralleli attacchi contro le coste calabresi, servendomi
soprattutto della storiografia araba. Le fonti latine che raccontano questi episodi sono
perlopiù opere agiografiche, le quali per la tipologia stessa che rappresentano
comportano una trasmissione dell’episodio con elementi quasi fantastici e surreali;
al contrario le fonti arabe, per quanto spesso prive di dettagli accessori, delineano gli
avvenimenti in sequenza cronologica spesso ordinata. Il confronto tra le fonti arabe
e le fonti latine, insieme con la lettura attenta delle informazioni archeologiche

14
delinea un quadro più oggettivo delle conseguenze degli attacchi musulmani in
Calabria.
La conquista della Sicilia però significò anche un maggiore interesse da parte
di Bisanzio per la Calabria, avendo perso anche territori in Puglia. Il territorio
calabrese venne rafforzato e ciò determinò una maggiore sicurezza per la
popolazione locale che poté tornare a dedicarsi alle attività produttive anche nelle
zone costiere18.
Nel terzo capitolo, dopo la descrizione della situazione politica in quello
precedente, ho delineato l’immagine del “Mediterraneo commerciale” in quel
periodo. Un’idea più autentica di questo spazio nel periodo medievale è data
senz’altro dalle testimonianze dei geografi arabi, le cui descrizioni fanno emergere
un’unità ritrovata di questo spazio marittimo cui partecipava attraverso i commerci
anche la Calabria.
Dal X sec. si assiste ad un boom produttivo di manufatti di ceramica in linea
con le richieste del mercato. L’economia d’esportazione calabrese in quel periodo si
basava sulla vendita di oggetti di uso quotidiano quali brocche, bacini, scodelle e
molta ceramica da fuoco. Ad avvalorare la posizione di uno scambio continuo tra la
Calabria e il Mediterraneo vi sono i ritrovamenti numismatici che confermano la
produzione e la vendita attiva nel periodo alto medievale nella regione. Alla vigilia
dell’arrivo normanno, essa aveva anche recuperato l’utilizzo dei porti ionici.
Progressivamente, dall’XI sec. la regione registra un aumento di ceramica di
tipologia siculo-magrebina19, ma soprattutto è da questo momento in poi che si sono
trovate tracce del confronto con i musulmani, che conferma il fatto che l’eredità
islamica in Calabria non derivi dal breve periodo di stanziamento dei musulmani ad
Amantea, quanto piuttosto dai commerci con la dār al-Islām.
Nel quarto capitolo, ovvero, quello conclusivo ho parlato della Calabria
normanna in quanto fu proprio il periodo in seguito all’arrivo normanno che la
regione metabolizzò la cultura islamica. I criteri artistici e architettonici dell’arte
islamica vennero assimilati dagli artigiani della regione grazie alla vicinanza con i
civili musulmani che l’abitavano. Il loro arrivo segnò poi una ripresa dell’economica
calabrese le cui produzioni si arricchivano delle capacità manifatturiere di artigiani

18
Cfr. F. CUTERI, L’insediamento tra VIII e XI secolo. Strutture, oggetti, culture, in R.
SPADEA (a cura di), Il castello di Santa Severina. Ricerche archeologiche, Soveria Mannelli
1998, pp. 50-53.
19
Cfr. P. ARTHUR, Islam and the terra d’Otranto: some archaeological evidence, in
European Association of Archeologists. Third annual meeting, Ravenna 1997.
15
provenienti da tutto il Mediterraneo. In questo periodo ripresero totalmente i
commerci con l’Africa testimoniati dal ritrovamento di materiale da trasporto, le cui
forme standardizzate confermano un’organizzazione industriale finalizzata a
soddisfare i gusti di una società più complessa. Il materiale è in maggior parte di
origine maghrebino che dunque dimostra ancora una volta il legame con il nord
Africa, avvalorato dal ritrovamento di monete tarì, ovvero, le monete dei commerci
(al contrario dei follis bizantini utilizzati per il pagamento delle tasse).

16
I Il Bruttium e le prime reti commerciali
Territori e commerci nel Bruttium tardo antico

L’obiettivo di questa ricerca è descrivere il rapporto tra la Calabria e


il mondo islamico tra il IX e l'XI secolo. In questo arco cronologico
considerato la Calabria perseverò negli scambi commerciali avviati nei secoli
precedenti con il territorio del nord Africa ormai islamizzato. Per
comprendere però la rete commerciale attiva nel periodo medievale occorre
necessariamente conoscere lo status dell'economia calabrese prima degli
avvenimenti che cambiarono il Mediterraneo e la nostra penisola.

La storia di una Calabria produttiva e attiva economicamente, infatti,


aveva radici più lontane. Per cogliere il ruolo della regione al centro del Mare
nostrum è sufficiente osservare la sua posizione e le caratteristiche intrinseche
dei suoi luoghi. Ritengo infatti che una prima osservazione del territorio lasci
presupporre le capacità commerciali dello stesso, che lo caratterizzarono a
partire dall'età antica fino ai secoli successivi20.

La Calabria gode a tutt'oggi di una diversità naturale, caratterizzata da


paesaggi, climi e vegetazioni, che nei secoli hanno portato ad un adattamento
della popolazione ed uno sfruttamento del territorio diversificato a seconda
delle aree di concentrazione. Gli autoctoni e le comunità che giunsero
successivamente avevano peculiarità diverse tra loro. Per questa ragione
possiamo considerare la presenza di veri e propri gruppi etnici che
mantennero le loro tradizioni, cristallizzandosi nella regione, e per cui sin
dalle fonti antiche si è considerata la regione definendola «Calabrie»,
piuttosto che Calabria.21

I confini della regione

Il territorio calabrese già dall'epoca romana venne percepito come diviso in


almeno due zone differenti: la « Calabria Citeriore » i cui confini andavano

20
(a cura di) A. GUILLOU, F. BURGARELLA, L'ambiente: geografia e habitat, in
L'Italia bizantina dall'esarcato di Ravenna al tema di Sicilia, Torino, 1988, p. 28.
21
A. PLACANICA, Storia della Calabria dall'antichità ai giorni nostri, Catanzaro, 1993,
p. 3.
17
dalle pendici del Pollino fino all'istmo di Marcellinara (attuale zona
catanzarese, ovvero, il punto più stretto della regione), e la « Calabria
Ulteriore » che comprendeva il territorio dall'istmo fino a Reggio22. Proprio
Reghium visse un rapporto dialettico con la sorella Messina, ed anche in
seguito alla conquista musulmana dell'isola, sarebbe stata considerata come
un suo prolungamento naturale23, separata solamente dalla presenza Stretto24.

In epoca romana l'azione della Res Publica prima, e dell'Impero dopo,


consistette nello sfruttamento del territorio con un'agricoltura estensiva o
silvo-pastorale. L'archeologia ha rivelato il cambiamento che interessò nel II
sec. a. C. alcune aree della regione, con un'immediata costruzione di edifici
rurali. Contemporaneamente però, le mire romane verso il Bruttium
determinarono la necessità di favorire le vie di comunicazione, infatti,
mancavano dei collegamenti terrestri tra i porti bruttii e Roma.

Il rifornimento avveniva infatti presso i porti di Copia (Cosenza),


Reghium, Vibo, Locri, Scolacium (Squillace) e Kroton (Crotone).
Parallelamente ad essi vi erano le vie fluviali e soprattutto la Via Popilia25,
ovvero, la Via Reggio-Capua, che non solo aveva una funzione militare, ma

22
Nel periodo romano la regione non era denominata Calabria, ma Bruttium o meglio Terra
Bruttiorum; il nome Calabria indicava il sud della Puglia secondo la divisione regionale
applicata da Augusto, con la denominazione di Regio II Apulia et Calabria. Nella prima metà
dell'undicesimo secolo i Bizantini diedero vita al Ducato di Calabria che comprendeva il sud
della Puglia e la parte ionica del Bruttium. Tra VIII e IX secolo i Longobardi occuparono
gradualmente la parte del ducato, ma i Bizantini continuarono a chiamare quelle zone con il
termine Calabria, che alla fine venne ad identificare l'odierna regione; cfr. M. SCHIPA, La
migrazione del nome «Calabria», in <<Archivio storico per le provincie napoletane>>, XXI,
1895.
23
B. CARROCCIO, Oltre lo Stretto: presenze monetali reggine in alcuni tesoretti ellenistici
siciliani, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO, La Calabria nel Mediterraneo. Flussi di
persone, idee e risorse, Soveria Mannelli, 2013, p. 111.
24
M. TALBI, L'émirat Aghlabide (184-296/800-909) Histoire politique, Paris, 1966, p. 461.
25
La costruzione della Via Popilia risale al II sec. a.C. e venne costruita lungo la linea che
raggiungeva Spezzano, Tarsia e seguendo la valle del Crati raggiungeva Cosenza. Entrava
poi nel bacino del Savuto passando accanto a Nicastro, Vibona, Nicotera e percorrendo la
costa raggiungeva Reggio, che nel periodo medievale fu capitale del Tema. Esistevano altre
vie secondarie interne che permettevano il collegamento tra i centri della costa orientale e le
zone di montagna. La Terra Bruttiorum era attraversata dalla ''ab Reghio ad Capuam'' che
seguì anche dei tracciati precedenti e divenne un'arteria fondamentale per le comunicazioni
dalla Calabria all'Urbe. Venne chiamata Via Popilia dal nome del magistrato autore
dell'iscrizione Lapis Pollae rinvenuta appunto lungo la stessa via. G. ROMA, Paesaggi della
Calabria tardoantica e medievale: fonti scritte e archeologiche, in ˂˂Insulae Diomedeae>>,
IV (2005), Bari, 2005, p. 587.
18
soprattutto economica26. La necessità di una efficiente rete terrestre derivava
dall’esigenza di uno scambio tra la regione e l’Urbe, in particolar modo, per
l’esportazione del legname, ma anche di ceramiche27.

Il territorio calabrese era compreso nella Regio III insieme alla Lucania.
Plinio nel terzo capitolo della Historia Naturalis, parlando dei confini della
penisola, scrive che l’ager lucanus si estendeva dal Silerus al Laus, mentre
dalla foce di questo fiume iniziava il litorale bruttiorum28. Da Locri, invece,
si estendeva il territorio della magna grecia29. Dal periodo di Diocleziano
troviamo invece l'accezione di Provincia Lucania et Bruttii affidata ad un
corrector30.

La Calabria nelle aspirazioni di Roma

Nel periodo delle guerre puniche i Romani riuscirono ad assoggettare


completamente la regione guadagnando i diritti di disboscamento sulla Sila e
su tutti i boschi calabresi che vennero inclusi nell'ager publicus. Roma poteva
accedervi per i rifornimenti e questo avveniva in particolar modo durante i
periodi di guerra per la costruzione delle navi, ma anche per lavori edili. Già
dal III sec. a.C. dopo la sconfitta dei Campani nel territorio reggino, i Romani
avevano restituito il territorio alla città, ma in cambio avevano stretto un patto
con Reggio vincolandola allo status di civitas foederata di Roma. Con questa

26
B. SANGINETO, Per la ricostruzione del paesaggio agrario delle Calabrie romane, in (a
cura di) S. SETTIS, Storia della Calabria antica. Età italica e romana, Roma, 1994. p. 563.
27
D. MANACORDA, Produzione agricola, produzione ceramica e proprietà della terra
nella Calabrìa romana tra Repubblica e Impero, in Epigrafia della produzione e della
distribuzione. Actes de la VIIe recontre franco-italienne sur l’épighraphie du monde romaine
(Rome, 5-6- juin 1992), 193, 1 (1994), Roma, pp. 3-69, p: 35.
28
F. GRELLE, G. VOLPE, Aspetti della geografia amministrativa ed economica della
Calabria in età tardoantica, in (a cura di) M. PANI, Epigrafia e territorio. Politica e
società. Temi di antichità romane IV, Bari, 1996, p. 113.
29
‘’[…] a Locris Italiae frons incipit, Magna Graecia appellata’’ in: (a cura di) K.
FRIEDRICH, T. MAYHOFF, Naturalis Historia. Pliny the Elder, III (40), Lipsiae, 1906.
30
Sull'introduzione di questa carica il dibattito è acceso, in quanto gli storici dibattono se
essa corrisponda ad una generale revisione del sistema amministrativo romano tardo antico.
Cfr. S. MAZZARINO, L'Impero romano, II, Bari-Roma, 2010; sull'amministrazione tardo-
antica si veda: R. ARCURI, Contributo alla storia amministrativa della Calabria
tardoantica, in (a cura di) G. F. LA TORRE, <<Quaderni di Archeologia>>, I, Pisa-Roma,
2011, pp. 151-171.
19
denominazione venne stabilito che la città ospitasse un presidio romano, in
quanto collocata in una zona costiera, e che partecipasse alla formazione della
flotta romana, divenendo così socia navalis di Roma31.

La Calabria rappresentava un vero e proprio giacimento di risorse, il cui


sfruttamento determinò anche conseguenze a lungo termine, come ad esempio
il dissesto itrogeologico causato da un’importante attività di disboscamento32.
Difatti, le fonti romane confermano la ricchezza della vegetazione silana:

''Abeti la cui altezza toccava il cielo, molti pioppi, ricchi pini marittimi, faggi, grandi
querce, frassini resi fertili dalle acque che scorrono, e ogni altro tipo di albero che
con i rami fitti mantiene in ombra per tutto il giorno il monte.''33

Oltre all’interesse per il legname, vi era quello per la resina ricavata dalla
diversa qualità di vegetazione silana con cui veniva prodotta una particolare
qualità di pece, la pix bruttia, che si differenziava da altre tipologie per la
viscosità ed era utilizzata specialmente per impeciare i contenitori del vino,
per impermeabilizzare gli scafi delle imbarcazioni, per il settore medico e
cosmetico. Era considerata come la migliore conosciuta ed utilizzata nella
costruzione edile e navale34.

La regione calabro-lucana era ricoperta da un denso manto boschivo


che lasciava libere poche zone nei pressi della costa e qualche territorio
interno35. Proprio all'interno di questi infiniti boschi diventavano rifugio per
la popolazione quando fuggiva da incursioni nemiche o doveva evitare la
malaria che affliggeva le zone costiere. Lo sfruttamento del saltus silano
sarebbe continuato per tutto il periodo tardo antico e medievale, ne abbiamo
dei riferimenti anche nell'Epistolarium di Papa Gregorio Magno, il quale nel
599 ordinò ai vescovi del Bruttium di provvedere al legname da spedire a

31
S. CECCHERINI, La monetazione di Reggio magnogreca dal IV sec. a.C. alla chiusura
della zecca, Roma, 2014.
32
Cfr. D. UZONOV, Magna Sila: la tecnologia GIS nello studio e ricostruzione del
paesaggio archeologico, in « Archeologia e Calcolatori », XXIV, Firenze, 2013, pp. 119-
138.
33
Ivi, p. 125.
34
D. UZONOV, ‘’Magna Sila…’’ cit., p. 126.
35
Cfr. A. DI MURO, Silva densissima la percezione del Bosco nel Mezzogiorno medievale
(secc. VI-XIII), in « Nuova Rivista Storica », XCVII, III (2013), pp. 953-991.
20
Roma, per fornire il materiale di costruzione delle travi per le chiese romane
intitolate a S. Pietro e S. Paolo36. Con lo stesso fine vi furono richieste da
parte di papa Sergio I (687-701), che richiese ulteriore legname per il restauro
della basilica di S. Paolo, e Gregorio II (715-731) per la copertura sempre
della stessa chiesa. Anche l'Agrimensore di Cassiodoro include il territorio
della Sila e quello circostante tra le zone proficue, sottolineando però
l'eccessivo sfruttamento subito in piena epoca romana37.

L’importanza di Cassiodoro

Questo breve accenno della regione durante il periodo romano è fondamentale


per rapportarsi al contesto delle fonti successive tardo antiche. Prime tra tutte
le Variae di Cassiodoro38. Le Variae cassiodoree testimoniano l’esperienza
di Cassiodoro come funzionario al servizio dei Goti39. Tra le pagine delle
Variae abbiamo un'attenta descrizione dei luoghi in cui egli ebbe modo di
trascorrere la sua vita politica, ma anche il periodo successivo. Cassiodoro
ritiratosi all'otium dopo la carriera politica, ritornò nella sua terra natia,
appunto, la Calabria, perciò, terminata la guerra greco-gotica, si stabilì presso
Squillace fondando il monastero di Vivarium con biblioteca annessa.

36
(a cura di) L. M. HARTMANN BEROLINI, Gregorii I papae Registrum epistolarum.
VIII-XIV, in Monumenta Germaniae Historica. Epistolae, II, Hannoverae, 1899, p. 127.
37
[...] Agrimensori vero finium lis orta committitur, ut contentionum protervitas abscidatur.
Iudex est utique artis suae, forum ipsius agri deserti sunt: fanaticum eredis, quem tortuosis
semitibus ambulare conspexeris. indicia siquidem rerum inter silvas asperas et dumeta
perquirit, non ambulat iure communi, via illi est lectio sua, ostendit quod dicit probat quod
didicit gressibus suis concertantium iura descernit et more vastissimi fluminis aliis spatia
tollit, aliis rura concedit [...]. in (a cura di) T. MOMMSEN, Cassiodoro, Cassiodoris
senatoris Variae, III, LII, 8, Hannoverae, 1981, p. 108.
38
Le Variae di Cassiodoro vennero redatte dal funzionario per il re Goto Teodato. Nella
prima edizione di Theodore Mommsen, l'immagine di Cassiodoro era stata introdotta e
descritta in maniera puramente negativa. Egli rappresentava quella ricerca costante di
mantenere un profilo degli antichi splendori romani, soprattutto in merito all'ambito politico.
Cassiodoro si poneva come ultimo baluardo della romanitas intesa sia nell'ambito materiale
che in quello politico. Da poco riconsiderato per la sostanziale importanza come fonte
descrittiva dei secoli V e VI in merito ai quali le fonti non sono generose. L'opera cassiodorea
invece fornisce un grande contributo per la ricostruzione del quadro delle città romane di
quei secoli sotto il potere gotico. Il topos di quest'opera è rappresentato dal continuo
confronto con il passato romano e il periodo contemporaneo al suo compilatore.; per un
maggiore approfondimento cfr.: C. LA ROCCA, Cassiodoro, Teodato e il restauro degli
elefanti di bronzo della Via Sacra, in « Reti medievali », XI, 2 (2010), Firenze, 2010, 1-20.
39
Questa opera cassiodorea aveva lo scopo di fornire gli strumenti per la formazione degli
uomini da avviare alla carriera pubblica.
21
Attraverso le sue pagine abbiamo un panorama del contesto sociale
della Calabria del V sec. di cui ci descrive le leggi disposte sul territorio,
l'organizzazione dello stesso ma tratta anche i suoi aspetti naturali: verdi
pascoli, in cui abbondano greggi ed equini, che pascolano senza essere
infastiditi dagli insetti e si nutrono di erba sempre florida40. Anche nella sua
opera riscontriamo l’importanza del legname silano, così come le vene
aurifere e le attività minerarie41. Il fecondo terreno veniva utilizzato per la
coltivazione di specifiche colture, la cui ingente produzione veniva destinata
all'esportazione sia nella penisola sia oltremare. Gli ovini venivano utilizzati
anche per il ricavo della lana impiegata in un'importante produzione tessile42,
così come testimoniato dall'Expositio totius mundi et gentium, un’opera di cui
l’autore ci è ignoto. Nel IV sec. la Calabria era già conosciuta per la
produzione tessile, nello specifico del byrrum, un tessuto di lana, destinato
all'esportazione43.
Nell'economia antica però era la produzione viticola ad avere un ruolo
sostanziale, infatti, il Bruttium era specializzato nella coltura della vite. Il vino
prodotto era soggetto all'esportazione verso Roma. In questo caso è
l'archeologia a darci queste informazioni grazie al ritrovamento a Roma di
anfore per il trasporto del vino di manifattura calabrese (in particolar modo
reggina). I dati archeologici, inoltre, confermano il perdurare di questa attività
per tutto il periodo tardo antico, nonostante il contesto di crisi economica
generale, in cui però la Calabria continuò sostanzialmente a trarre vantaggio

40
T. MOMMSEN, ‘’Cassiodoris...’’ cit., XXXI, 8, p. 260 in riferimento alla terra dei Bruttii
[...] Ceres ibi multa fecunditate luxuriat. Planas etiam non minima largitate congaudet:
plana rident pascuis fecundis, erecta vindemiis: abundat multifariis animalium gregibus, sed
equinis maxime gloriatur armentis: merito, quando ardenti tempore tale est vernum
silvarum, ut nec muscarum aculeis animalia fatigentur et herbarum semper virentium
satietatibus expleantur. Videas per cacumina montium rivos ire purissimos et quasi ex edito
profluant, sic per Alpium summa decurrunt. Additur quod utroque latere copiosa marina
possidet frequentatione commercia, ut et propriis fructibus affluenter exuberet et peregrino
penu vicinitate litorum compleatur.
41
(a cura di) T. Mommsen, ‘’Cassiodoris...’’ cit., VIIII, 3, p. 270; Cassiodoro descrive le
cattive condizioni lavorative degli uomini: [...] Intrant homines caligines profundas, vivunt
sine superis, exulant a sole et, dum sub terris compendia quaerunt, nonnunquam lucis gaudia
derelinquunt.
42
D. UZONOV, ‘’Magna Sila...’’ cit., p. 127.
43
T. GRULL, Expositio totius mundi et gentium. A peculiar work on the commerce of Roman
Empire from the mid-fourth century- compiled by a Syrian textile dealer ?, in (a cura di) Z.
CSABAI, Studies in Economic and Social History of the Ancient Near East in Memory of
Péter Vargyas, Hungary, 2014, p. 635.
22
dalle proprie produzioni. La produzione di anfore e manufatti tipica del
Bruttium fu attiva anche nei secoli V-VI secolo durante il periodo della guerra
greco-gotica.

Le produzioni del periodo tardo antico

Presso Vibo Valentia nell'area del porto di Bivona è stata rinvenuta


un'importante quantità di vasellame da mensa e di anfore di importazione
africana. Nella zona costiera i materiali ritrovati confermano la presenza di
frequenti traffici commerciali, le cui rotte erano l'Africa settentrionale, la
Penisola Iberica e l'Oriente. Dal V sec. in poi emergono gli scambi con
l'Africa del nord, da cui spesso si importava materiale musivo e ceramiche44.
Negli scavi del territorio di S. Aloe (VV) sono state rinvenute anfore
per contenere olio, vino e garum. La manifattura delle anfore è varia: africana,
orientale, siciliana ed ovviamente calabrese. In rappresentanza minore,
abbiamo sul versante ionico manufatti provenienti perlopiù dalla pars
orientalis del VI e del VII secolo45. Presso Bivona e Crotone sono stati
rinvenuti diversi contenitori denominati spatheia dalla forma più allungata e
cilindrica, la cui produzione però non era locale. Essi venivano interamente
importati dal nord Africa. Sul versante tirrenico invece, un altro porto
importante fu quello di Tropea, dove gli scavi hanno rinvenuto manufatti da
cucina appartenenti all'VIII sec. (tipologia riscontrata anche presso Napoli,
Roma, Abruzzo e Sardegna) di derivazione orientale.
Tutta questa circolazione è confermata anche dalle fonti numismatiche:
il territorio del basso Tirreno calabrese rientrava nell'area monetale bizantina,
come si evince dai ritrovamenti di esemplari battuti da officine orientali. Nella
zona del reggino, invece, si nota la presenza di esemplari provenienti da
zecche diverse, ma prevalentemente dell'area romano-orientale. Il
ritrovamento di questi materiali non è ancora ingente, ma in base alle

44
F. CUTERI, Da Vibo Valentia a Nicotera. La ceramica tardo romana nella Calabria
tirrenica, in LRCW 4, I, Oxford, 2014, pp. 62-79: p. 63.
45
Ivi, p. 66.
23
considerazioni degli archeologi46, sufficiente per asserire che le
comunicazioni seguissero la rotta che da Alessandria raggiungeva Reggio e
poi Roma. In merito a questo la Calabria tirrenica così come la Sicilia rimase
estranea all'utilizzo della moneta argentea, in quanto solite all'uso del sistema
bimetallico oro-bronzo tipico orientale47. Grazie al contributo
dell'archeologia, la quale colma in parte il vuoto lasciato dal deficit
documentario, la storiografia ha potuto rivalutare la Calabria, inserendola in
un più ampio contesto mediterraneo, lo stesso in cui si colloca anche la Sicilia.
Allo stesso modo si è potuto porre l'accento sulle attività produttive e
commerciali che avrebbero animato le varie zone del territorio48. La Calabria,
infatti, non rappresentava solamente un teatro variegato geograficamente, ma
anche un luogo di insediamenti plurietnici susseguitisi nei secoli. L’iniziale
binomio greci e romani si arricchì successivamente con l'arrivo di ebrei,
armeni, slavi ed arabi. Così come la popolazione, progressivamente mutarono
anche i confini del territorio, per cui l’identificazione corretta si ha soltanto
attraverso una lettura attenta delle fonti pervenuteci. Il nome Calabria, infatti,
indicava inizialmente il territorio pugliese abitato dai Iapigi, l'odierna zona
del Salento. In epoca romana essa era definita come la terra dei Bruttii,
espressione che ritroviamo sino al periodo delle episole di Gregorio Magno49.
Nel periodo giustinianeo troviamo anche l'accezione di Apulia et
Calabria, mentre nell'VIII secolo « Calabria » indica nelle fonti i confini
dell'attuale regione, come leggiamo nella Vita Caroli di Eginardo:
''Deinde Italiam totam, quae ab Augusta Praetoria usque in Calabria inferiorem, in
qua Graecorum ac Beneventanorum constat esse confinia, decies centum et eo
amplius passuum milibus longitudine porrigitur''50.

46
Cfr. D. CASTRIZIO, Circolazione monetaria nella Calabria Tirrenica bizantina, in (a
cura di) G. DE SENSI SESTITO, La Calabria tirrenica nell'antichità. Nuovi documenti e
problematiche storiche; atti del convegno Rende 23-25 novembre 2000, Soveria Mannelli,
2008.
47
Ivi, p. 577.
48
C. SINOPOLI, S. PAGANO, A. FRANGIPANE, La Calabria: storia, geografia, arte,
Soveria Mannelli, 2004, p. 237.
49
M. SCHIPA, La migrazione del nome ''Calabria'', in « Archivio storico per le province
Napoletane », XX, Società Napoletana di Storia Patria, Napoli, 1895, pp. 23-47.
50
(a cura di) G. WAITZ, Einhardi, Vita Caroli Magni, XV, Hannoverae et Lipsiae, 19055.
24
Nel cuore del Mediterraneo la Calabria aveva avuto un ruolo
fondamentale per l'approvvigionamento delle materie prime. Già dal periodo
greco abbiamo testimonianze di un attivo scambio commerciale con la Sicilia,
rapporto rafforzato dalla vicinanza delle due città sorelle Reghion e Zancle-
Messana51. Il ruolo di Reggio dovette progressivamente divenire fondamental
tanto che nelle Antichità giudaiche di Giuseppe Flavio si parla di un'ulteriore
ingrandimento del porto reggino ordinato da Caligola affinchè potessero
essere accolte quantità maggiori di merci pregiate provenienti dall'Africa
settentrionale, merci che in seguito prendevano la strada per raggiungere
Roma52.

Nel periodo tardo antico la Calabria risentì della crisi del sistema
schiavistico italico. Infatti, la produzione calabrese sin dal II sec. a.C.
(periodo successivo alle guerre puniche) era stata organizzata in base alla
manodopera di schiavi. L'Urbe aveva deciso di organizzare il territorio dei
Bruttii con un sistema fondato sulla forza lavoro degli schiavi vincti, che
aveva determinato la decadenza della proprietà contadina. Specialmente
alcune aree calabresi erano propense a questa tipologia di sfruttamento
territoriale, in quanto le prerogative necessarie erano la presenza di ex aree
urbanizzate, attraversate da fiumi e provviste di porti, ma anche una
produzione locale di contenitori per il materiale di esportazione: olio e vino53.

Plinio scrive anche della produzione del garum di Turi che veniva
esportato in anfore dalla larga imboccatura, tipologia finalizzata al
commercio, che farebbe ipotizzare una vendita della salsa di pesce anche al
di fuori dalla Calabria. C'è da precisare però che la crisi del sistema
schiavistico aveva colpito alcune zone specifiche, sostanzialmente quelle
costiere, mentre fortunatamente nell'entroterra vi erano tipologie di lavoro
organizzate in base alla presenza della piccola proprietà, di pagi e vici, della

51
Cfr. B. CARROCCIO, ‘’Oltre lo Stretto…’’ cit.
52
B. SANGINETO, Trasformazioni o crisi nei Bruttii fra il II a. C. e il VII d. C., (a cura di)
E. LO CASCIO, A. STORCHI MARINO, Modalità insediative e strutture agrarie nell'Italia
meridionale in età romana, Bari, 2001, p. 206.
53
B. SANGINETO, ‘’Trasformazioni o crisi nei Bruttii…’’ cit., p. 204.
25
colonia, che affiancavano la sempre florida attività di sfruttamento del saltus
silano54.

La grande quantità di contenitori calabresi a Roma, in Campania,


nell'ager Pisanus e nell'ager Volaterranus sono riprova del fatto che la
Calabria fosse inserita in un contesto di vendita extraregionale solido. Per
affrontare la crisi economica sul territorio venne mutato il modello di
produzione: le colture specializzate vennero soppiantate da monocolture o
colture estensive. Inoltre, la mancata presenza dei domini in loco determinò
un abbandono delle terre in mano ai coloni stessi. Si assistette dunque al
cambiamento edile e costruttivo del primo periodo medievale che si
protenderà nei secoli successivi con un mutamento nel tempo dell'assetto sia
urbano che rurale.

Per quanto la fase di criticità economica che interessò la Calabria nel


periodo tardo antico non sia paragonabile ad altre regioni che risentirono
maggiormente della situazione generale, occorre dire che una netta ripresa la
coinvolgerà dal VI sec. in seguito all'arrivo bizantino. Da quel momento non
solo i commerci tornarono ad essere fiorenti (per quanto non ebbero mai dei
momenti di collasso) ma venne anche introdotta la coltura specializzata del
gelso per la nutrizione del baco da seta55. Rispetto ad altre regioni meridionali
e a Roma stessa, la Calabria dal IV sec. aveva vissuto dei periodi nettamente
positivi per l'economia, che hanno soppiantato le brevi fasi di crisi.

L'archeologia ha notato che proprio la Calabria di quel periodo risulta


essere la regione con la maggiore quantità di anfore di provenienza africana,
ritrovate specialmente nella zona sud del territorio, momento in cui invece vi
è una netta diminuzione presso Roma ed Ostia. Presso Reggio il ritrovamento
delle anfore Kaey LII conferma la ripresa positiva. Questa tipologia di anfora
infatti fu quella tipica utilizzata per il commercio del vino in tutto il
Mediterraneo, i cui ritrovamenti arrivano fino al VII secolo. Il ritrovamento
delle anfore di questo tipo è l'espressione evidente di una continuità constante
nel tempo della produzione e del commercio vinicolo; allo stesso tempo nel

54
Ivi, p. 218.
55
B. SANGINETO, ‘’Per la ricostruzione…’’ cit., pp. 586-587.
26
VI sec. questo formato sparisce dalla Sicilia, che era più orientata sulla
produzione granaria56. Alcune fonti antiche riferiscono del vino dei Bruttii
indicato anche per curare le infiammazioni allo stomaco, attribuendogli delle
qualità curative. Anche presso Scolacium, come presso Reggio e Crotone vi
erano impianti produttivi per la lavorazione di metalli e ceramiche, oltre che
una vivace economia di importazione di vino dall'Africa e dalla Siria57,
accanto al consumo del vino locale considerato vinum multum e optimum58.

La Calabria nel periodo tardo antico manifesta un'aporia: da una parte


una mancanza di intereresse finanziario e politico per lo sviluppo della
regione da parte del ceto dirigente, dall'altra un notevole incremento
economico dal IV secolo in poi, testimoniato ampliamente dall'archeologia e
dalle fonti nella zona Bruzio-lucana59. Le diverse iniziative per incentivare e
migliorare il lavoro artigianale, lo sfruttamento di giacimenti di calcopirite e
rame presenti nell'Aspromonte e nella Sila, la canalizzazione delle acque
dimostrano che il periodo di crisi politica e sociale, data dalle distruzioni dei
Vandali e dei Goti, ma anche da fenomeni naturali, non determinò un’arresto
della produzione bruzia, come spesso è stato asserito60.

Sulla revisione della realtà calabrese tarda antica concordano oramai


molti studiosi, che hanno riconsiderato le testimonianze latine in cui la terra
dei Bruttii viene descritta sempre feconda in un clima bucolico, alla luce dei
dati aggiornati dai ritrovamenti archeologici e dalle indagini territoriali. Se
già voci romane come quella di Plinio e Varrone avevano descritto una
situazione quasi idilliaca del territorio calabrese, che si distingueva per i
meleti cosentini e come già detto per la vite e gli ulivi, questa percezione la
ritroviamo anche nelle parole molto più tarde di Cassiodoro. Alla luce dei

56
B. SANGINETO, ‘’Trasformazioni o crisi...’’ cit., p. 226.
57
C. RAIMONDO, Aspetti di economia e società nella Calabria bizantina. Le produzioni
ceramiche del medio ionio calabrese, in (a cura di) A. JACOB, J.M. MARTIN, G. NOYé,
Histoire et culture dans l'Italie byzantine, in Collection de l'Ecole française de Rome-363,
Roma, 2006, p. 410.
58
T. GRULL, ‘’Expositio totius mundi et gentium...’’ cit., p. 635.
59
(a cura di) A. AUGENTI, Le città italiane tra la tarda Antichità e l'Alto medioevo. Ravenna
26-28 febbraio 2004, Firenze, 20132, p. 545.
60
G. NOYé, I centri del Bruzio dal IV al VI secolo, in L’Italia meridionale nell’età tardo-
antica (Atti del XXXVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2-4 ottobre 1998),
Taranto, 2000, p. 6.
27
nuovi dibattiti sulla regione è emerso un quadro in maggioranza positivo
rispetto alla situazione generale mediterranea durante il periodo dei Goti e del
successivo conflitto con i greci. Essa visse altrettanto dei periodi di crisi dati
da cause naturali come la grave siccità che colpì il territorio tra il 507 e il
51161, o dalla politica gota che aveva conferito al potere di pochi proprietari
terrieri i latifondi calabresi.

Nonostante ciò, la Calabria tra V e il VI sec. fino alla metà VII sec.
registra il mantenimento delle importazioni di produzioni africane,
incentivate rispetto a quelle orientali, sia per i manufatti in ceramica da mensa
sia per i contenitori da trasporto, e di esportazioni. Presso Vibo Valentia e
presso Tropea, del periodo, sono stati rinvenute solo produzioni africane,
mentre Reggio - il cui ruolo fondamentale perdurerà divenendo in seguito la
capitale del Ducato di Calabria- si distingueva per importazioni di varie
tipologie62. Questa immagine del commercio calabrese durante i secoli V e
VI rientra in quel contesto di revisione del ruolo della guerra greco-gotica. I
nfatti, se il dibattito storiografico per anni ha insistito sull'immagine del
periodo del conflitto come il momento di definitiva cesura con il mondo
romano, le fonti materiali rintracciate negli ultimi anni hanno posto qualche
ripensamento, smentendo il pensiero di un cambiamento negativo
irreversibile della società derivante dal ventennio di guerra. Senz'altro la
guerra comportò una crisi economica che non fu però tale da arrestare
completamente le produzioni e le esportazioni della regione.

Alla luce di ciò, l'immagine di Teodorico come ultimo baluardo romano


e Cassiodoro63 ultima voce narrante del mondo antico appare superata al

61
G. ROMA, Nefandissimi Langobardi: mutamenti politici e frontiera altomedievale tra
Ducato di Benevento e Ducato di Calabria, in (a cura di) G. ROMA, I Longobardi del sud,
Roma, 2010, pp. 405-463.
62
A. SANGINETO, Produzioni e commerci nelle Calabrie tardo romani, in Melanges de
l'Ecole francaise de Rome. Moyen-Age, 103, 2 (1991), pp.749-757.
63
E' stato riconosciuto a Cassiodoro il merito di aver salvato molti codici della cultura greco-
romana con l'instaurazione del Vivarium. La sua figura è stata paragonata a quelle di S.
Gregorio e Boezio per l'apporto dato personalmente alla cultura del VI secolo. Saranno i
bizantini in seguito a proseguire la sua iniziativa creando degli scriptoria, in cui venivano
ricopiati codici greci che determinarono anche una crescita calligrafica della scrittura greca.
F. RUSSO, Tradizione calligrafica calabro-greca, in (a cura di) Deputazione di Storia Patria
per la Calabria Atti del IV congresso calabrese, Napoli, 1969, pp. 39-51.
28
nuovo stato della ricerca64. Nello specifico alcune zone meridionali furono
interessate limitatamente dalla guerra determinando un minore disagio
rispetto ad altre. L'esempio della reazione calabrese alla penuria derivante dal
conflitto avvalora maggiormente gli ultimi studi che hanno l'intento di
ridimensionare il ruolo della guerra greco-gotica come cesura con il fiorente
passato romano. In Calabria essa piuttosto generò un cambiamento politico
con il passaggio dal potere goto a quello proto-bizantino, incentivato da un
territorio non estraneo alla cultura ellenistica-mediterranea, in cui occorreva
riscoprire le antiche tradizioni magno-greche65. Va anche sottolineato che la
Calabria durante il periodo goto aveva già vissuto dei cambiamenti rispetto
all'assetto romano che restarono poi come caratteristici del paesaggio urbano
altomedievale, come le fortificazioni e i siti nelle zone d'altura, mantenendo
un profilo commerciale attivo66.

Le fonti archeologiche e materiali di conseguenza hanno smentito


l'immagine negativa di un forte calo demografico e avvalorato una realtà di
sostanziale benessere sia in epoca gota che bizantina, evidente dalla vita attiva
dei centri portuali calabresi dall'epoca greca fino a tutto il periodo bizantino.

Inoltre, la testimonianza più esaustiva del periodo, ovvero, l'opera di


Procopio di Cesarea descrive spesso lo status delle città antiche che rimase
invariato durante la guerra, mentre in seguito le città si ripresero totalmente
dai postumi del conflitto. Questa ripresa quasi immediata però fu possibile in
quanto i precedenti non furono negativi così come spesso descritto. Dunque,
effettivamente non fu l'azione imperiale bizantina, all'indomani della guerra,
a porre in essere una ripresa immediata, ma più che altro le città non avevano
subito danni tali da definire la situazione come catastrofica. Inoltre, proprio
in quel frangente l'impero bizantino non avrebbe avuto risorse per
assecondare una ricostruzione totale delle zone provinciali. Alla luce di
questo si comprende bene come in realtà la cesura tra il periodo romano e

64
Cfr. E. ZANINI, Le città dell'Italia bizantina: qualche appunto per un'agenda della
ricerca, in « Reti Medievali », XI, 2 (2010), Firenze, pp. 1-22.
65
R. ARCURI, La Calabria nella Guerra gotica di Procopio di Cesarea: evoluzione storica,
funzione strategica e ruolo economico del territorio brettio nel VI secolo, in « Koinωnia »,
XXXII (2008), Napoli, pp. 42-87: pp. 42-43.
66
Ibidem.
29
quello successivo non sia da attribuire alla guerra greco gotica, ma a tanti
cambiamenti perpetuati nella società in momenti diversi fino all'alba del
periodo altomedioevale67.

La rilettura della guerra greco-gotica ha riaperto la riflessione sul


periodo successivo alla caduta di Roma e alle sue reali conseguenze.
Effettivamente i territori mostrarono una continuità dell'organizzazione,
mantenendo la gestione romana, ma affiancando le trasformazioni pertinenti
a tutto il Mediterraneo. Le recenti riflessioni hanno individuato un nuovo
approccio al periodo, senza porre definizioni o giudizi qualificativi in merito
ai cambiamenti del V e VI sec., ma prendendo coscienza del periodo di
transizione che solo per la durata cronologica merita di essere considerato
singolarmente senza essere messo in relazione con il periodo precedente e
successivo. Il quadro della Calabria non può essere letto scisso dal contesto
mediterraneo, in quanto i cambiamenti dell'Italia tra V e VIII sec. dipesero
sostanzialmente dalla complessità di fenomeni che interessarono interamente
le regioni del Mare Nostrum.

Il ruolo del monachesimo italo-greco in Calabria

La nascita del monachesimo nel Mediterraneo


Il primo Cristianesimo subì, come è noto, la persecuzione da parte del
potere romano, di cui abbiamo ampia testimonianza nell’apologetica
cristiana, e che causò la morte di numerosi martiri. Coloro che riuscirono a
sfuggire alla persecuzione, invece, espressero la loro fede non con il
sacrificio, ma attraverso l’ascesi. Per questo motivo il fenomeno del
monachesimo costituirà una peculiarità del Cristianesimo tardo antico,
modificandosi progressivamente sotto la guida di figure carismatiche che
conferiranno al fenomeno caratteristiche diverse. Ad esempio, nel III l’ex
soldato Pacomio affiancò Sant’Antonio abate e diede vita al monachesimo di

67
Ivi, pp. 51-52.
30
tipo « cenobitico », basato sulla vita comune dei monaci. Sulla scia di
Pacomio sorsero molte comunità di questo tipo nella Valle del Nilo, sia di
uomini che di donne, i quali si dedicavano a diverse attivitò manuali ed
obbedivano ai loro superiori68. Crebbe in questo contesto la figura dell’uomo-
santo e in particolar modo acquisì un ruolo di rilievo nella società in Siria,
estendendosi poi in tutto il Mediterraneo orientale. Queste figure avevano
acquisito non solo un valore spirituale per le comunità, ma rispondevano
anche ad esigenze pratiche della popolazione69. La situazione politica del
Vicino Oriente, dal IV sec. in poi, incentivò ulteriormente la migrazione sia
di monaci sia di popolazione civile proveniente da zone come la Siria. Giunti
in nella penisola italiana si stanziarono particolarmente nell’area meridionale.
La provenienza dalla Siria di gran parte della popolazione ci ha indotto ad
un’altra riflessione. In Calabria infatti il periodo delle migrazioni coincise con
lo sviluppo della sericoltura, attività di gran lunga praticata proprio in Siria;
ciò potrebbe giustiificare l’inizio della produzione tessile serica policroma70.

L’espressione del monachesimo in Calabria


L’espansione del monachesimo italo-greco riguardò l’Italia meridionale e
dunque la Calabria in due momenti distinti: il primo tra l'età giustinianea e la
riconquista bizantina del sud, il secondo dal X secolo in poi71; esso fu
contraddistinto da due elementi: la grecofonia e l'esperienza differente da
quella benedettina72. Tra il VII e l’VIII secc. la penisola fu caratterizzata da
un potenziamento del monachesimo tramite l'aumento dell'immigrazione.
Molti monaci fuggivano dall’Oriente, altri invece si recavano in
pellegrinaggio a Roma in visita alla tomba degli Apostoli Pietro e Paolo. In
particolare, in Sicilia e in Calabria questo fenomeno di migrazione fu

68
M. DI BRANCO, Breve storia di Bisanzio, Roma, 2016, p. 55.
69
Ivi, p. 56.
70
Cfr. E. SORIGA, La geografia dei tessuti. Toponomastica e industria tessile antica, in (a
cura di) A. MANCO, Toponomastica e linguistica: nella storia, nella teoria, in « Quaderni
di Aiωn », 1 (2013), Napoli, 2013, pp. 237-277.
71
F. ZAGARI, La cultura materiale del monachesimo italo-greco medievale: lo stato degli
studi, in « Journal of mediaval studies. Spolia », 1 set. (2016), pp. 1-15; p: 3.
72
S. COSENTINO, Storia dell'Italia bizantina (VI-XI secolo). Da Giustiniano ai Normanni,
Bologna, 2008, pp. 330-331.
31
strettamente legato al potenziamento dell'apparato bizantino in Italia
meridionale73.

È dato al IV sec. il primo arrivo dei monaci orientali in Italia, quando


S. Anastasio di Alessandria, per fuggire dalla persecuzione ariana, trovò
rifugio a Roma con altri due monaci: Isodoro e Ammonio. Anastasio favorito
da Papa Giulio I poté introdurre la professione della vita monastica. Nello
stesso periodo il flusso migratorio di monaci orientali raggiunse per la prima
volta anche le regioni meridionali della penisola e la Sicilia. Per quanto
concerne la Calabria le notizie sono meno numerose, ma non la si può
comunque escludere da questo fenomeno che caratterizzò tutto il Meridione
e che riprese attivamente tra VIII e IX secolo. Il monachesimo italo-greco
aveva una vocazione cenobita, fondata su una vita di condivisione, ma non
era raro che alcune personalità particolarmente predisposte all'ascetismo si
allontanavano dalla comunità per vivere come eremiti o anacoreti in zone
difficili da raggiungere sull'esempio dei Padri del deserto.

Dal V sec. in poi gruppi di monaci detti anche basiliani fuggirono dalle
zone orientali, in particolare dalla Siria: fu in questo periodo che la Calabria
visse anche una ellenizzazione del rituale liturgico. Il primo flusso di monaci
di cui si hanno notizie maggiori giunse nel periodo di azione di Belisario e
Narsete occupati contro i Goti ariani durante la guerra greco-gotica74. Vi
furono poi ondate successive: quella del VI sec.75 durante il periodo
dell’azione giustinianea, quella del VII sec. durante la spinta persiana nelle
zone orientali, e infine quella dell'VIII sec. durante la persecuzione
iconoclasta degli imperatori orientali76.

A causa degli scarsi indizi per quanto concerne le prime tracce del
monachesimo in Calabria resta preziosa l’esperienza cassiodorea con la

73
S. COSENTINO, ‘’Storia…’’, cit., p. 325.
74
B. CAPPELLI, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli, 1963, p. 15.
75
A. AGOSTINO, Le grotte- Chiese di Brancaleone superiore: ipotesi di percorso turistico
culturale, in « Heritage and Identity », 11, Reggio Calabria, 2015, pp. 16-21, p: 16.
76
G. PENCO, Storia del monachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del medioevo, Milano,
1985, p. 205.
32
fondazione del Vivarium monasterium, potendolo considerare come la prima
esperienza monastica calabrese di cui abbiamo informazioni certe.

Cassiodoro aveva deciso di ritirarsi a vita presso Squillace alla fine della
guerra greco-gotica. Questa fu un'esperienza singolare ed ibrida: Cassiodoro,
infatti, appoggiava e prevedeva la possibilità per i monaci di vivere da
anacoreti o all'interno del cenobio a seconda delle loro predisposizioni77. Il
monastero cassiodoreo non aveva una regula se non quella data dal suo
fondatore: ''tam patrum regulas quam praeceptoris proprii iussa''. È certo che
Cassiodoro non seguì la regola benedettina dell'ora et labora in quanto
privilegiò il lavoro intellettuale.

Egli stesso riferisce dei libri personali e di quelli appartenenti alla


biblioteca del monastero, accompagnata dallo scriptorium in cui i monaci si
occupavano di ricopiare i testi e di redigerli. L'ex senatore durante la sua vita
nel Viviarium commissionò la preparazione di diversi codici della Bibbia e la
traduzione di molti codici greci78. Con lo stesso intento anche di lavoro
culturale furono i monasteri di fondazione successiva come quello di S.
Nazario, divenuto poi di S. Filareto, presso Seminara dove visse anche S.
Nilo79. Anche qui i monaci erano vocati alle arti intellettuali, trascrizione,
miniatura, arte orafa, oltre che alle attività agricole per le necessità del
cenobio. Nei secoli infatti successivi i monaci risultano ampliamente
impiegati nelle comunità, dove lavoravano alla coltivazione dei campi
aiutando i contadini80.

77
''Nam si vos in monasterio Vivariensi, sicut credere dignum est, divina gratia suffragante
coenobium consuetudo, competenter erudiat, et aliquid sublimius decaftos animos optare
contingat, habetis montis Castelli secreta suavia, ubi velut anachoritate praestante Domino
feliciter esse possitis, sunt enim remota et emitantia heremi loca, quando muris pristinis
ambientibus probantur inclusa. Quapropter aptum vobis erit elegere exercitatis iam atque
probatissimis illud habitaculum, si prius in corde vestro fuerit praeparatus acensus, legendo
enim cogniscitis unum de duobus, quid aut desiderare aut tolerare possitis, tantum est ut
conversationis probitate servata, qui non valet sermonibus alios docere, morum videlicet
instruat sanctitate''; (a cura di) W. BURSGENS, Cassiodoro, Institutiones divinarum et
saecolarium litterarum, I, XXIX, 2003.
78
A. MOMIGLIANO, Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, II,
Roma, 1980, pp. 497-500.
79
(a cura di) Apollinare Agresta, Vita del protopatriarca S. Basilio Magno, Napoli, 1781, p.
365.
80
P. EBNER, Economia e società nel Cilento medievale, I, Roma, 1979.
33
I monaci già nelle zone orientali erano predisposti al lavoro delle colture
nei campi81 con il fine di aiutare anche la comunità laica; per analogia abbiamo
ritenuto che le comunità monastiche sul territorio calabrese, derivanti da zone
orientali come la Siria, possano aver introdotto ed incentivato anche la
gelsicoltura (ampliamente praticata in Oriente). Considerando inoltre la
vocazione tessile della popolazione calabrese, già nota per l'esportazione di capi
di lana, è molto probabile che questa tradizione tessile possa aver attecchito nella
regione, favorita dagli insegnamenti dei monaci, ma anche della popolazione
giunta dal Vicino Oriente nel periodo tardo antico.

La coltura dei gelsi richiedeva una manodopera attenta e una scelta del
territorio da coltivare guidata da determinate condizioni. Il gelso doveva essere
piantato in zone sui limiti dei campi o delle strade, perché durante la crescita la
pianta danneggiava le altre coltivazioni; essa attecchiva particolarmente presso i
letti dei fiumi e cresceva in maniera più idonea per il nutrimento del baco. Questa
coltivazione però richiedeva un'attenzione minuziosa a causa delle molteplici
situazioni che potevano scoraggiarne la crescita o determinarne proprio la morte,
come funghi, vento eccessivo e ruggine (a causa della vicinanza alle zone
umide). L'albero di gelso veniva piantato in primavera, dopo un anno subiva le
prime operazioni di potatura e veniva aiutato nella crescita con sostegni
artificiali82. Non è difficile credere che i monaci si dedicassero a queste attività
così attente e precise, richiedenti anche delle conoscenze naturali in merito alle
vegetazioni. Nello specifico per questa coltura, considerando che il
Mediterraneo orientale aveva sperimentato e conosciuto la gelsicoltura da molti
secoli, i monaci e la popolazione provenienti da quelle zone potrebbero
certamente aver portato con sé le conoscenze in merito ad essa.

Purtroppo, del periodo tardo antico non si hanno testimonianze


documentarie in merito alla produzione serica, tuttavia, il flusso migratorio

81
A. BOTTI, D. L. THURMOND, FERNANDO LA GRECA, Un palmento ben
conservato a Novi Velia ed altri palmenti nel territorio del cilento. Osservazioni ed ipotesi,
in « Annali Storici di Principato Citra », IX, 2 (2011), pp. 5-52, p: 7.
82
(a cura di) A. GUILLOU et alii, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino, 1983,
pp. 59-60.
34
del V sec. ha portato gli studiosi a ritenere che la florida attività dei secoli
successivi, possa aver avuto inizio proprio durante quelle fasi.

Proprio la Siria, uno dei luoghi di origine di molti monaci, possedeva


una tradizione serica affermata che riforniva i mercati mediterranei. Lì già
dall'arrivo dei Parti si era diffusa la lavorazione di tessuti, decorati
preziosamente secondo i motivi dell'estremo oriente (di cui sono stati ritrovati
dei reperti nelle tombe di Palmira risalenti al I-II sec. d.C.). La capacità di
realizzare tessuti impreziositi da fili d'oro e di argento, credo possa essere
connessa anche alla nota abilità dei monaci nell'ambito dell'oreficeria, attività
in cui si distinsero particolarmente nel territorio calabrese. Dal III sec. in poi
il commercio della seta era ormai regolare e le tecniche di produzione erano
diffuse in Asia centrale, Persia, e dal VI sec. d.C. nel bacino mediterraneo83.

L'unica fonte ad avvalorare l'ipotesi di un insediamento di monaci


orientali in Calabria tra V e VI secolo, è stato l’evangeliario denominato
Codex Purpureus Rossanensis. È stato ipotizzato che probabilmente esso
venne condotto in Calabria da alcuni monaci per sottrarlo alla possibile
distruzione a causa della lotta iconoclasta in Oriente. Questo preziosissimo
manufatto è tuttora custodito presso l'Archivio della Diocesi di Rossano, dove
un’equipe di paleografi ha stabilito con certezza una provenienza orientale,
con esattezza dalla Siria, in quanto analogo ad altre opere ivi ritrovate. Il
Codex è redatto in una scrittura onciale greca o biblica comprendente quindici
miniature. Gli studiosi lo hanno localizzato cronologicamente tra il IV e il VI-
VII secolo. Il secolo più accreditato é il VI e probabilmente venne realizzato
presso le officine di Antiochia, data la raffinatezza dell'elaborato, che è stato
ammirato più per i caratteri estrinseci che per il contenuto84. Esso sarebbe
un'altra prova del contatto e del flusso di provenienza siriaca, che avrebbe
potuto introdurre sul territorio la produzione della seta e la gelsicoltura.

83
(a cura di) M. GUIDETTI, Storia del Mediterraneo nell'Antichità IX-XI sec. a.C., Milano,
2014, p. 213.
84
Il Codex purpureus rossanensis è custodito presso l'Archivio diocesano di Rossano (CS).
L'archivio ha riprodotto alcune immagini del codice che possono essere visualizzate online.
La caratteristica di questo Codex è la pagina con sfondo purpureo e le miniature preziose.
Potrebbe anche darsi che esso pervenne presso Rossano tramite un nobile di Bisanzio; si
veda: http://www.artesacrarossano.it/codex.php
35
Oltre a queste considerazioni riteniamo anche importante che già lo
storico Procopio da Cesarea aveva scritto che l’Impero bizantino stanco di
sottostare ai costi di importazione imposti dai Sasanidi sulla seta, che
giungeva dalla Cina attraversando la Persia, inviarono due monaci affinché
portassero a Bisanzio il segreto della produzione serica. I due monaci
tornarono nel 552 dall'estremo Oriente, nascondendo delle uova dei bachi da
seta85. Il segreto aveva oramai raggiunto l'Occidente e il monopolio orientale
rischiava di giungere a termine. Giustiniano, infatti, incentivò l'apertura di
opifici tessili in tutti i territori bizantini e pose attenti controlli sulla
produzione bizantina dei tessuti di porpora realizzati con il chermes. Per la
tutela della produzione serica bizantina vennero stabilite dure norme
commerciali: i tessuti più pregiati, intessuti con inserti d'oro e d'argento
superavano i confini dell'Impero solo come doni ai sovrani e alle Corti86.

Alla luce di queste considerazioni è altamente improbabile che la


Calabria e l'Italia meridionale, durante il periodo di attuazione di questa nuova
politica giustinianea, fossero rimaste escluse dal contesto di produzione. Da
lì a poco sarebbe anche sorta nella regione la comunità ebraica, la quale nei
secoli successivi avrebbe avuto un ruolo di primo piano per l’arte e la
produzione della seta.

Politica e amministrazione

in una Calabria medievale melting pot

L'economia calabrese procedette di pari passo con i cambiamenti


politici dell'età tardo antica per questo motivo è necessario fornire una
panoramica sintetica della regione tra il periodo tardo antico e quello alto
medievale. Dopo la guerra greco gotica (535-554) Bisanzio riuscì a riprendere
i territori dell'ex impero romano d'Occidente mantenendo il potere con le

85
D. JACOBY, Silk economics and cross cultural artistic interaction: Byzantium, the muslim
world and the Christian west, in « Dumbarton Oaks Papers », LVIII (2004), Dumbarton
Oaks, pp. 197-240: p. 3.
86
L. LUZZATO, R. POMPAS, I colori del vestire: variazioni, ritorni, pestilenze, Milano,
1997, pp. 10/ 358.
36
difficoltà date dagli altri protagonisti nella penisola e nel Mediterraneo. Nel
751 i Longobardi prendevano Ravenna infliggendo un duro colpo ai bizantini.
A metà del VII secolo la zona settentrionale calabrese entrava nel territorio di
influenza del Ducato di Benevento, mentre il resto della regione venne di lì a
poco organizzato sotto il Ducato di Calabria. Il confine tra territorio
longobardo e territorio bizantino durò fino al IX secolo; Cosenza e Cassano
allo Ionio erano gastaldati longobardi87. Già da qualche decennio però si
percepiva una forte instabilità politica, parallelamente ad un’acquisizione di
potere sempre più grande da parte delle realtà ecclesiastiche, sebbene anche
queste erano soggette a scontri con la popolazione. Infatti, tra il IV e il VI
secolo fu proprio la Chiesa ad ingrandire e consolidare i propri patrimoni
grazie alle continue donazioni. Le città vescovili venivano ubicate nelle sedi
più importanti, da dove ottenevano un benessere finanziario, ma era la
struttura della diocesi romana ad aver ereditato un'ingente fetta di territorio
Bruttiorum, mentre il sistema produttivo si concentrava intorno alla proprietà
fondiaria che necessitava di una consequenziale sistemazione del latifondo.
La produzione locale, come già affermato, non diminuì, continuava infatti
l'esportazione, forse incentivata dalla diminuzione della produzione spagnola,
in seguito all’arrivo dei Vandali nel 456 nella Penisola Iberica. Tra VI e VII
sec. con alti e bassi l'economia calabrese restò sostanzialmente immutata,
appoggiandosi ai diversi apparati amministrativi che le venivano attribuiti.
Dall'VIII sec. al periodo normanno invece la Calabria si scontrò sotto la guida
degli strateghi bizantini, prima contro i Franchi, poi contro i Longobardi. Gli
scontri perdurarono anche durante l'arrivo musulmano88.

André Guillou nel 1976 scriveva che l'Italia meridionale e la Sicilia del
periodo medievale fossero delle zone privilegiate per lo studio delle civiltà,
data la presenza e la coabitazione di diverse etnie89. Bisanzio aveva ereditato
tutto questo e molto di più, anche se l'elemento greco era prelevante, l'impero

87
G. ROMA, Paesaggi della Calabria tardoantica e medievale: fonti scritte e archeologiche,
in (a cura di) G. VOLPE, M. TURCHIANO, Paesaggi e insediamenti in Italia meridionale.
Atti del primo seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia meridionale (Foggia 12-
14 febbraio 2004), Bari, 2006, p. 586.
88
N. CILENTO, Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli, 1966.
89
A. GUILLOU, Greci d'Italia Meridionale e di Sicilia nel Medioevo: i monaci, in Aspetti
della civiltà bizantina in Italia, Bari, 1976, p. 261.
37
bizantino abbracciava Latini, Longobardi, Slavi, Ebrei sul versante
occidentale, ma anche Siriaci, Copti, Armeni nella parte orientale. La
ricostruzione di un'unità data dalla nuova situazione politica, restituiva al
Mediterraneo quel confronto tra culture, che effettivamente non lo aveva mai
abbandonato del tutto. In questo contesto la Calabria si inserisce in scala con
le stesse caratteristiche di accoglienza e condivisione all'interno del territorio;
purtroppo mancano ingenti testimonianze documentarie che evidenzino quali
fossero e se ci fossero ruoli ben distinti tra i cives latini, greci e le altre
minoranze.

Alla luce però delle testimonianze archeologiche, di quelle


storiografiche, agiografiche, notiamo un clima di convivenza e di tolleranza
reciproca90. Questa commistione culturale, sullo sfondo di una ri-
ellenizzazione del territorio, diede vita ad espressioni artistiche contaminate
da ogni cultura ivi presente. Una testimonianza in merito a queste diverse
etnie è data dal Prochiron Legum codice di leggi noto anche come Prochiron
Calabriae91.

La nascita della comunità ebraica in Calabria nel periodo tardo


antico

In tutto il territorio dell'Italia meridionale e peninsulare le testimonianze della


presenza della comunità ebraica sono consistenti. Gli ebrei abitavano nelle
città più importanti del Mediterraneo e nella penisola italiana vi furono
importanti comunità nella zona del Salento pugliese, a Napoli, a Benevento e
in Calabria. Per quanto riguarda la Calabria le fonti di cui disponiamo per
l’Alto medioevo sono principalmente archeologiche e agiografiche. Per
quanto concerne proprio le fonti agiografiche però gli indizi che esse ci
forniscono sono sempre filtrati dalla tipologia della fonte, laddove

90
A. CILENTO, Presenze etniche nella Calabria medievale: testimonianze di fonti
agiografiche, in « Rivista Storica Calabrese », XVI, 1995, pp. 91-117: p. 91.
91
P. DALENA, La cultura medievale in Calabria, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO,
‘’La Calabria nel Mediterraneo…’’ cit., p. 225.
38
ovviamente si parla di figure di santi cristiani in opposizione alla comunità
ebraica, i cui componenti vengono sempre descritti in situazioni commerciali
o concentrati in attività economiche. Proprio per il loro ruolo fondamentale
nell’economia, non è difficile immaginare che, al di là dei pregiudizi religiosi,
cristiani ed ebrei convivessero pacificamente ed anzi proprio i primi
giovavano dei prestiti di denaro o si servivano degli ebrei come garanti92.

Emerge subito dunque che le zone in cui sono state individuate


comunità ebraiche erano luoghi in cui l’economia era vivace e attiva.
L’emigrazione di molta popolazione di credo ebraico nell’Italia meridionale
era stata sollecitata dalle situazioni politco-religiose nel Vicino Oriente. Sin
dal periodo tardo antico, infatti, la comunità aveva iniziato a subire le
disposizioni discriminanti date dal potere. Teodosio II (408-450) attraverso la
promulgazione all’interno del Codex theodosianus, nella sezione ‘’De
iudaeis, caelicolis et samaritanis’’ aveva privato gli ebrei della loro
autonomia e dei privilegi di cui avevano goduto fino ad allora, seguite poi da
altre norme a loro sfavore promulgate da Giustiniano93.

Progressivamente dunque gli ebrei vennero allontanati dalla vita civile,


non solo fu vietato loro di prendere parte a situazioni comunitarie quali le
celebrazioni di feste cristiane, ma anche l’acquisto di beni ecclesiastici, il
possedimento di schiavi cristiani, l’impossibilità di costruire i loro edifici di
culto, e assecondando le disposizioni imperiali, nei territori bizantini le
diocesi si sentirono in potere di vessare ulteriormente le comunità ebraiche
residenti94. Nel VII secolo con l’espansione sassanide si assistette ad un
ritorno degli ebrei in Palestina, favoriti dalle decisioni politiche, che però

92
Cfr. C. COLAFEMMINA, Insediamenti e condizione degli Ebrei nell'Italia meridionale e
insulare, in Gli ebrei nell’alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi
sull’alto Medioevo, XXVI, 30 marzo- 5 aprile 1978, I, Spoleto, 1980; Cfr. T. LEWICRT, Le
commercants Juifs, in Gli ebrei nell’alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano
di studi sull’alto Medioevo, XXVI, 30 marzo- 5 aprile 1978, I, Spoleto, 1980.
93
G. LACERENZA, I precedenti delle leggi razziali nel mondo antico: analogie, differenze,
in Archivio di studi ebraici. I. Atti delle giornate di studio per i settan’anni delle leggi razziali
in Italia, Napoli, 2009, pp. 37-46: pp. 43-43.
94
Ivi, p. 43.
39
ebbero breve durata affiancata dalle disposizioni bizantine, anche esse rivolte
a sfavorire la comunità95.

Secondo un topos spesso riproposto dalla storiografia, l’arrivo dei primi


ebrei nella penisola è da attribuire al periodo della presa di Tito a
Gerusalemme e della distruzione del tempio di Salomone96. E’ però la
seconda metà del IV sec. che tra Oriente e Occidente, contemporaneamente
al mutamento politico, gli ebrei iniziando ad essere maggiormente visibili
attraverso l’emergere di manufatti e luoghi ebraici97. In Italia dal I sec. d. C.
in poi vi sono importanti attestazioni della loro presenza in particolar modo a
Roma e nell’Italia meridionale, e proprio per la Calabria e la Sicilia vi sono
iscrizioni che confermano nel IV sec. la presenza di Samaritani98.

In Calabria la loro presenza è stata individuata nelle zone del reggino e


presso Roccelletta (antica Scolacium)99; numerosi sono i centri calabresi di
cui non è stata individuata una data precisa d'origine della comunità, anche se
il loro insediamento è stato messo in relazione con l’incremento della
produzione manifatturiera imperiale nelle province. Essi erano raggruppati
nei pressi delle stationes della via ionica e dei centri portuali, quindi luoghi
di produzione e di commercio. In generale erano localizzati sempre presso
centri nevralgici e strategici impegnati per l'esportazione verso Roma. La
traccia più antica e attualmente conosciuta della presenza ebraica in Calabria
è stata rivenuta presso Reggio, città che nei manoscritti giudaici medievali è
definita come Rosh Qalabriah, ovvero la testa, l'inizio della Calabria100. Qui

95
F. BURGARELLA, Shabbatay Donnolo nel bios di San Nilo da Rossano, in (a cura di) G.
DE SENSI SESTITO, Gli Ebrei nella Calabria medievale. Studi in memoria di Cesare
Colafemmina, Rubettino, Soveria Mannelli, 2014, pp. 57-58.
96
(a cura di) G. FILORAMO, Ebraismo, Laterza, Roma-Bari, 2007, pp. 126-154.
97
G. LACERENZA, Il mondo ebraico nella tarda antichità, in (a cura di) G. TRAINA, Storia
d’Europa e del Mediterraneo, VII. Da Diocleziano a Giustiniano, Roma, 2010, pp. 351-385:
p. 351.
98
G. LACERENZA, Le Iscrizioni giudaiche in Italia dal I al VI secolo: tipologie, origine,
distribuzione, in (a cura di) M. PERANI, I beni culturali ebraici in Italia. Situazione attuale,
problemi, prospettive e progetti per il futuro, Ravena, 2003, pp. 71-92: p. 82.
99
V. VON FALKENHAUSEN, Gli ebrei nell'Italia meridionale bizantina (VI-XI secolo),
in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO, Gli Ebrei nella Calabria medievale. Atti della
Giornata di studio in memoria di Cesare Colafemmina (Rende, 21 maggio 2013), Soveria
Mannelli, 2014, p. 22.
100
C. COLAFEMMINA, From Late Antiquity to the Tenth Century, in The Jews in
Calabria, Leiden-Boston, 2012, p.1.
40
infatti è stato ritrovato nel 1908 un frammento di un'epigrafe greca, della
prima metà del IV sec., incisa su una lastra di marmo che apparteneva agli
ebrei locali, nello specifico agli scolari della Sinagoga. Il frammento arreca
la scritta: [Συναγωγή τ] ών Iουδαίων101.

Presso Leucoperta, la prima delle stationes dopo Reggio, lungo la via


costiera ionica che portava a Crotone e a Taranto, è stata ritrovata invece una
lampada con incisa una menorah ebraica102; nella stessa zona, il ritrovamento
di oggetti di culto datati al VI o VII secc. non arrecanti simbologie cristiane
ha fatto ipotizzare la loro appartenenza proprio alla comunità ebraica. Per il
periodo tardo antico in Calabria il ritrovamento più importante che ha
conferito un’importanza diversa al ruolo della comunità ebraica nella regione
è stato rappresentato dal ritrovamento della Sinagoga di Bova Marina (RC)
nel 1985.

Inizialmente gli archeologi avevano ipotizzato si trattasse di un edificio


cristiano, ma emergendo alcune zone dello stesso, progressivamente si resero
evidenti i mosaici presenti con decorazioni e rappresentazioni della tradizione
ebraica. Proprio nel cuore della Sinagoga è stato rinvenuto un pavimento
musivo con rappresentazioni di menorah, cedri, palme, di uno shofar
(strumento musicale della tradizione ebraica) e del tipico nodo di Salomone
della tradizione. Inoltre, queste rappresentazioni ricordano quelle siciliane
rinvenute nella Villa di Piazza Armerina103. Il materiale musivo della
Sinagoga di Bova è risultato essere di provenienza palestinese, che conferisce
ulteriormente un significato importante anche all’importanza dei luoghi scelti
per l’insediamento della comunità, che risulta sempre abitare in zone centrali
per il commercio con il Mediterraneo.

Ad avvalorare il ruolo della comunità nel contesto commerciale è stato anche

101
Ivi, p. 94.
102
Ivi, p. 95.
103
L. COSTAMAGNA, La Sinagoga di Bova marina nel quadro degli insediamenti
tardoantichi della costa ionica meridionale della Calabria, in Melanges de l'Ecole française
de Roma, 103, II (1991), pp. 611-630.

41
il ritrovamento di anfore da trasporto marchiate dalla comunità104.

Questo tipologie di ritrovamenti sono state rinvenute anche presso


Vibo, dove dagli scavi sono emerse delle anse di anfore differenti, alcune di
tipi di produzione locale, altre di importazione africana105; su quelle locali
però vi sono sempre incisioni che le riconducono all’artigianato ebraico.
Anche presso Roma sono emerse anfore di provenienza calabrese utilizzate
per la fornitura del vino106 con l’apposizione del bollo ebraico sui manufatti.
Questo confermerebbe un ruolo importante della comunità nel commercio
delle produzioni locali nei mercati extraregionali. Questi indizi indicano
anche un probabile mercato specializzato per una richiesta privilegiata e
specifica derivante dalle comunità ebraiche romane, le quali richiedevano dei
prodotti confezionati seguendo le norme della Torah. Anche gli ebrei di Bova
marina esigevano il controllo della kasherut per la distribuzione del vino;
infatti, è stato anche ipotizzato che la sinagoga di Bova fosse in realtà una
villa di un dominus ebreo107.

Negli anni Settanta del secolo scorso invece presso S. Aloe (VV) sono state
portate alla luce delle terme del III sec. che nel periodo tardo antiche erano
state adibite a luoghi di culto. Qui sono emerse delle menorah ebraiche che
hanno acceso la riflessione della presenza ebraica in questo luogo. Inoltre,
questo sito ha maggiormente stimolato la riflessione sia archeologica che
storiografica in quanto il toponimo ‘’ S. Aloe’’ è da ricondurre a Sant’Eligio,
patrono degli artigiani dell’arte orafa, il cui culto crebbe esponenzialmente
nel periodo medievale con la nascita delle corporazioni108. Proprio l’area delle
terme corrisponde all’area della sinagoga di Vibo e a quella della successiva
chiesa in onore del patrono degli orafi. Questo luogo dunque sembra essere
riconducibile non solo alla presenza degli Ebrei ma anche al ruolo dell’attività
orafa per cui essi si distinsero per tutto il medioevo. Presso Vibo la comunità

104
C. COLAFEMMINA, ‘’The Jews...’’cit., pp. 1-3.
105
F. CUTERI, Ebrei e Samaritani a Vibo Valentia in età tardoantica: le testimonianze
archeologiche, in « Sefe Yuḥasin », XXIV-XXV, 2008-2009, Napoli, p. 19.
106
F. CUTERI, ‘’Ebrei e Samaritani a Vibo Valentia in età tardoantica…’’cit., p. 22.
107
B. SANGINETO, ‘’Trasformazioni o crisi...’’ cit., p. 224.
108
M. D'ANDREA, Vibo Valenti. Via S. Aloe, Via S. Aloi o Via Sebastiano Aloe? Note di
toponomastica moderna, topografia antica, archeologica, in Rogerius, bollettino dell'Istituto
della biblioteca calabrese: periodico di cultura e bibliografia, VIII, 1 (2005), pp. 87-95.
42
scompare per il periodo altomedievale e riappare nel tardo Medioevo, periodo
in cui si contraddistingueva però per il commercio serico109.

Progressivamente le fonti archeologiche vengono affiancate da quelle


documentarie che trattano la presenza ebraica. Importanti sono le lettere di
Gregorio Magno tra il VI e il VII secolo. Attraverso il suo Registrum
epistularum, ovvero, la raccolta di circa ottocento missive redatte tra il 590 e
il 604, abbiamo preziose informazioni in merito alle comunità ebraiche e
samaritane nella penisola. Il Papa si era speso particolarmente affinchè i
vescovi di Italia non molestassero gli Ebrei esortandoli in maniera ostile alla
conversione, promuovendo un dialogo mosso da un atteggiamento
sinceramente accogliente per la causa di Dio110. Dalle lettere di Gregorio
Magno inoltre si è potuto mappare i luoghi in cui vi erano delle comunità
ebraiche e in Calabria egli cita gli Ebrei di Cosenza, di Tropea, di Gerace111

La crescita del ruolo della comunità ebraica in Calabria

È dunque assodato che gli insediamenti ebraici si concentravano nelle


città portuali della Calabria: Vibo Valentia, Reggio, Bova Marina, Scolacium.
Gli ebrei hanno lasciato traccia lungo le principali vie di comunicazione,
lungo la via Appia, o tra l'incrocio e tra la via Appia e la strada principale
proveniente dalla Calabria, probabilmente occupati del rifornimento
dell’annona romana. Tra il VI e X sec. le fonti che indichino un’esplicita
presenza della comunità in Calabria diminuscono, forse anche a causa delle
posizioni della Chiesa che aveva inibito manifestazioni del loro culto.

Da una cronaca dell’XI sec. redatta da un anonimo di Cassano allo Ionio


sappiamo che Basilio I di Macedonia (867-886), attraverso una dura
campagna di proselitismo, emanando decreti per la conversione forzata delle
comunità, aveva portato alla conversione degli ebrei meridionali al
cristianesimo; essi però, passato il periodo di insicurezza, avevano

109
F. CUTERI,’’Ebrei e Samaritani…’’cit, p. 34.
110
G. LACERENZA, ‘’Il mondo ebraico…’’ cit., p. 358.
111
C. COLAFEMMINA, ‘’The Jews…’’ cit., p. 34.
43
ricomposto la comunità ed erano tornati al loro credo112. Prima ancora di
Basilio I,113 anche Eraclio (610-641), Leone III (717-741) avevano attuato
delle politiche antiebraiche.

Dal X secolo in poi la presenza ebraica è dimostrata non solo


dall'archeologia, ma anche dalla storiografia coeva e dalle opere agiografiche.
Proprio grazie alle narrazioni delle vite dei santi conosciamo alcuni episodi
che lasciano ipotizzare anche un clima generale di condivisione e di
integrazione tra gli ebrei e cristiani della regione.

É emblematico il rapporto di due figure rappresentanti delle rispettive


comunità, da una parte S. Nilo da Rossano (910-1004) fondatore del
Monastero di Grottaferrata, dall’altra Shabbatay Donnolo medico originario
di Oria114. É il Bios niliano a conferire qualche indizio sulla loro amicizia e
anche su episodi di altri ebrei; ad esempio, abbiamo la descrizione di un
episodio: l’uccisione di un ebreo per mano cristiana dopo averlo privato delle
merci che portava con sé ed era probabilmente un commerciante. Questo
accaduto era successo presso Bisignano città cosentina appartenente alla
metropolitana di Reggio e luogo di insediamento di un’importante comunità
ebraica.

La biografia di S. Nilo riferisce dell’amicizia tra il santo e il medico.


Shabbatay Donnolo era nato ad Oria ed era stato rapito dai musulmani nel
925 durante un’incursione. La sua famiglia, che venne deportata a in parte a
Palermo e in parte in nord Africa, con un pagamento in denaro riuscì a
riscattae il figlio115. Shabbatay Donnolo riuscì a rimanere in territorio
bizantino e visse alcuni periodi in Calabria, dedicandosi alla propria
formazione, approfondendo le materie religiose e astronomiche utilizzando
fonti ebraiche, greche, arabe, babilonesi e indiane. In quanto medico nella sua

112
Ivi, p. 26.
113
Basilio I con un editto dell'873 costrinse gli Ebrei al battesimo. L'editto venne applicato
in Sicilia, in Puglia e in Basilicata. L'azione di conversione della comunità ebraica era un
topos della riconquista bizantina nell'Italia meridionale; G. CAVALLO, I bizantini in Italia,
Milano, 19862, p. 54.
114
F. BURGARELLA, ‘’Sahabbatay Donnolo nel bios di San Nilo...’’ cit., p. 53.
115
Su Shabbatay Donnolo si veda: G. LACERENZA, Shabbatay Donnolo. Scienza e cultura
ebraica nell'Italia del secolo X, Napoli, 2004.
44
opera intitolata Sefer ha-Mirkahot, ovvero, il Libro delle misture egli scrisse
delle proprietà curative del miele prodotto presso Mirto (Cosenza), che sin
dall’antichità e per tutto il medioevo fu anche soggetto all’esportazione. La
stima di Donnolo anche da parte dei cristiani si evince da un episodio
particolare in cui egli venne chiamato per curare S. Nilo, anche se il Santo
rifiutò l’aiuto della medicina confidando in quello divino.

Gli ebrei in Calabria tra XI e XII secolo

Dall’XI sec. con l’arrivo normanno in Calabria gli ebrei godettero di


una nuova situazione giuridica e politica che incentivò nuovamente il loro
ruolo di commercianti. All’arrivo dei nuovi conquistatori in Calabria era la
città di Rossano un centro fondamentale per la cultura ebraica, tanto che nel
1124 proprio la comunità ebraica ivi presente aveva compilato il Sefer
Rushianu il più grande commentario del Pentauteuco. Quest’opera
inizialmente si era pensato provenisse dalla Russia e appartenesse al XIII sec.,
in seguito invece si scoprì che essa era stata redatta proprio a Rossano e agli
inizi del XII secolo. All'interno sono state riscontrate parole del linguaggio
greco e latino utilizzate comunemente nella lingua quotidiana dell'Italia
meridionale. Il libro sembra essere stato redatto per i credenti della sinagoga,
con delle parti tratte dal Talmud e dal Midrash116. La realizzazione di una tale
opera ci fa riflettere sul ruolo della comunità rossanese, la quale non era
lontana dalle comunità pugliesi, il cui rapporto sicuramente aveva incentivato
anche le relazioni commerciali tra le due regioni e il Mediterraneo.

Un’altra importante fonte che sottolinea la presenza di numerose


comunità ebraiche in Calabria è la Platea dell’arcivescovo di Cosenza, Luca,
monaco cistercense di origini laziali. Egli era stato eletto nel 1203 e fu una
personalità nota anche per la sua amicizia con Gioacchino da Fiore, ma
soprattutto con le proprie disposizioni aiutò l’attuazione della politica
normanna incentrata su una riorganizzazione dei territori e delle proprietà dell

116
Ivi, pp. 8-9.
45
Chiesa. Già precedentemente, prima dell’incarico dell’arcivescovo Luca, tra
il 1170 e il 1184, l’arcivescovo Rufus di Cosenza si accorto della necessità di
redigere un resoconto dei redditi della mensa, prendendo ad esempio
l’esperienza di gestione amministrativa della curia di Palermo, dove egli
personalmente aveva trascorso dei periodi di permanenza. L’arcivescovo
Rufus, che trovò la morte nel terremoto che colpì Cosenza distruggendone
anche la cattedrale aveva introdotto la redazione della platea, ovvero, un
elenco di tutti i redditi della mensa che provenivano dalle terre demaniali, dai
canoni, dei terreni edificabili e degli orti117. L'arcivescovo Luca, dunque, al
suo arrivo riprese l’uso della platea118, che comprende il primo inventario
risalente al periodo tra il 1177 e il 1184, quando il territorio urbano non
raggiungeva nemmeno i tremila abitanti. Tra essi però emergono gli ebrei,
citati nelle categorie di dipendenti insieme con homines franci, angarari,
recommendati, villani. La prima menzione degli ebrei risale al primo aprile
del 1093, data in cui Ruggero garantì all'Arcivescovo Arnolfo la decima sulla
tintoria della giudecca, diritto confermato anche in seguito nel 1113, nel 1212
e nel 1223 da Federico II119, beni che precedentemente erano stati dati ad
ebrei. Proprio la politica federiciana non si dimostrò magnanima nei confronti
dei Iudei che vennero definiti come i nemici della Croce120. Gli ebrei risultano
allora per i pagamenti dovuti alla chiesa, dovendo versare due tarì pro
cimitero e due denari pro domo ubi est cisterna121.

117
All'interno della Platea troviamo la definizione di Census casalinorum redatta a caratteri
ornati ed incipit della descrizione di questa tipologia specifica di beni. Cfr. E. CUOZZO,
Cosenza medievale. Una città riprogettata negli anni di Federico II di Svevia, in (a cura di)
A. L. TROMBETTI BUDRIESI, Cultura cittadina e documentazione. Formazione e
circolazione di modelli, Bologna, 12-13 ottobre 2006, Bologna, 2009, p. 353.
118
Ivi, p. 352.
119
G. LACERENZA, Ebrei a Cosenza nel XII e XIII secolo, in (a cura di) G. DE SENSI
SESTITO, Gli ebrei nella Calabria medievale, studi in memoria di Cesare Colafemmina,
Soveria Mannelli, 2014, pp. 11-12.
120
Ivi, p. 13.
121
Ivi, p.14.
46
Gli ebrei e il commercio nel Mediterraneo

Dal quadro complessivo degli ebrei dell'Italia meridionale si evince che


questi fossero ampliamente inseriti in un commercio internazionale. A
confermare questa immagine dinamica e positiva della comunità abbiamo
anche la Cronaca dell’ebreo Ahimaaz ben Paltiel (XI sec.). Superato il
periodo tardo antico e altomedievale di cui le fonti oggettivamente
scarseggiano, dal periodo normanno fino all’età moderna moltissime sono le
tracce degli ebrei in Italia, anche documentarie.

La Calabria grazie alla presenza di questa comunità trasse molti


benefici dalla loro capacità di venditori e uomini d'affare ante litteram. Gli
ebrei si distinguevano come abili artigiani e in particolare come tintori, di cui
possedevano quasi l'esclusiva, infatti, erano specializzati nella colorazione
dei tessuti e in Calabria, in particolar modo, nella colorazione dei filamenti in
seta, i quali successivamente venivano lavorati o esportati. La realizzazione
di arazzi e tessuti necessitava di un vero e proprio lavoro di squadra, in quanto
ogni momento della lavorazione veniva affidato a degli specialisti del settore.

Fu proprio questa meticolosità a rendere famose le produzioni seriche


e in generale tessili dell'Italia meridionale; la loro arte potè vantare delle
produzioni preziose arricchite con i nuovi motivi mediterranei introdotti
anche dai mercanti islamici. Si pensava che nel settore tessile avessero
proprio dei segreti di lavorazione, ma si distinguevano anche nella
lavorazione del vetro e del metallo122. Sebbene ci sia ancora poco materiale
per avere un quadro più coerente e definito nel tempo per la storia degli ebrei
nell'Italia meridionale è di fondamentale importanza il complesso
documentario della Genizah del Cairo.

I documenti ritrovati infatti hanno riportato alla luce i rapporti che


intercorrevano tra le comunità ebraiche e il Mediterraneo123. Gli ebrei erano

122
S. D. GOITEIN, A mediterranean society. The jewish communities of the arab world as
portrayed in the documents of the Cairo geniza, I, Berkeley, 1967, pp. 99-100.
123
Cfr. E. ASHTOR, Gli Ebrei nel commercio mediterraneo nell'alto medioevo (secc. X-XI),
in Gli ebrei nell'alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto Medioevo, 26,
30 marzo-5 aprile 1978, Spoleto, 1980, pp. 401-487.
47
riusciti a connettere il mondo latino con quello della ḍār al Islām124,
distinguendosi nel commercio dei beni di lusso (schiavi e pellame) tra Oriente
e Occidente. La peculiarità delle loro competenze ci riporta al microcosmo
calabrese, che ritengo abbia partecipato attivamente in questo contesto,
attraverso le comunità ebraiche presenti sul territorio, così quanto le comunità
siciliane e spagnole. Inoltre, in Calabria gli ebrei si erano distinti per la
lavorazione dei metalli preziosi (di cui la regione disponeva in grandi
quantità) e per la lavorazione tessile, i cui prodotti erano spesso abbelliti da
fili d'oro e pietre preziose. Sappiamo, inoltre, da una fonte del X secolo, il
Libro del Prefetto, che era stata proibita loro la vendita della seta greggia
affinchè non la vendessero all'estero125. Questo particolare divieto non può
non farci riflettere sul fatto che in quei secoli proprio la Calabria era la regione
più nota per l'esportazione di seta greggia, che veniva acquistata da altri
luoghi per essere lavorata. La produzione serica divenne in Calabria nel
medioevo il prodotto principe d'esportazione, aiutata particolarmente dalla
presenza ebraica nella regione. Gli Ebrei d'altronde avevano già da secoli
praticità con le operazioni tessili per cui erano impegnati in tutto il
Mediterraneo. La loro presenza incentivò sicuramente la produzione tessile
ed orafa126, di cui abbiamo ingenti testimonianze per periodi successivi.

Il declino del monopolio ebraico nel commercio mediterraneo è stato


attribuito alla nascita delle Repubbliche marinare127. Tra queste Amalfi ebbe
un ruolo fondamentale, divenendo l'intermediaria tra il sud della penisola e il
nord Africa. Gli Amalfitani infatti erano fondamentali per le corti musulmane,
in quanto, fornivano ad esse materiali quali legname (proveniente dai boschi
di tutto il meridione) e ferro (appartenente alle miniere calabresi)128. Oltre a
questi vi era un'importante esportazione di prodotti quali: grani, vino, frutta,
tessuti di lino, schiavi, ferro, armi e materiali per la costruzione delle navi. A

124
Ivi, p. 59.
125
E. ASHTOR, ‘’Gli ebrei nel commercio...’’ cit., p. 60.
126
Occorre considerare che nel Medioevo i tessuti venivano particolarmente impreziositi
con filamenti d'oro. Dunque, sia la filatura sia la lavorazione dei metalli probabilmente si
affiancavano. Inoltre, entrambe le attività richiedevano un lavoro minuzioso, per il quale
proprio gli Ebrei si sono contraddistinti nel panorama artigianale.
127
E. ASHTOR, ‘’Gli ebrei nel commercio…’’ cit., p. 60.
128
Ivi, pp. 60-61.
48
loro volta essi importavano da queste zone spezie, olio, cera e specialmente
oro (quest'ultimo veniva usato perlopiù per gli abiti cerimoniali, gioielli e
oggetti di culto).

Questi commerci non cessarono nemmeno con la conquista fatimide


dell'Egitto che divenne il cuore del commercio amalfitano129; la corte era
infatti interessata a beni quali legno, pece e ferro130. A proposito Ibn Ḫaldūn
scrisse che i Fatimidi dovettero fare sforzi straordinari per il rifornimento del
legname, servendosi dei territori occidentali occupati come Cipro, Creta e la
Sicilia, mentre le aree forestali sotto il potere bizantino venivano gelosamente
controllate ed era proibito il rifornimento di legname per gli Arabi. Al Idrisī
invece parla proprio dell'estrazione dei pini dalla Sila, che venivano condotti
a Taranto o a sud di Salerno e da lì prendevano la rotta per il Mediterraneo.

É subito evidente che questi tre prodotti erano stati per secoli alla base
dell'esportazione calabrese, come spiegato in precedenza, per questo motivo
credo si avvalori ancora di più la relazione della Calabria con il Mediterraneo,
ebraico ed islamico131. Oltre a beni di genere necessario, anche i beni di lusso
erano molto apprezzati dagli arabi, che importavano tessuti quali il lino e la
seta prodotti nelle regioni meridionali di Italia. Secondo Al Bakrī, storico e
geografo arabo (m. 1095), l'Africa non praticava la bachicoltura, a parte la
città di Gabés che esportava i suoi tessuti in Oriente e in Spagna132. Ibn
Hawqal, ad esempio, ha lasciato commenti molto positivi in merito alla
produzione tessile napoletana della seconda metà del X secolo. In quel
periodo però i grandi centri manifatturieri acquistavano la materia prima
proprio presso i porti calabresi133. Questo perchè la produzione di seta grezza

129
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., pp. 260-263.
130
R. S. LOPEZ, L'importanza del mondo islamico nella vita economica europea, in
L'Occidente e l'Islam nell'alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi
sull'alto Medioevo, 12, 2-8 aprile 1964, Spoleto, 1965, pp. 433-460.
131
R. S. LOPEZ, L'importanza del mondo islamico nella vita economica europea, in
L'Occidente e l'Islam nell'alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi
sull'alto Medioevo, 12, 2-8 aprile 1964, Spoleto, 1965, p. 38.
132
A. GUILLOU, La seta del catepanato di Italia, in (a cura di) G. CAVALLO, ‘’I bizantini
in Italia…’’ cit., p. 680.
133
A. O. CITARELLA, Merchants, markets and merchandise in southern Italy in the high
middle ages, in Mercati e mercanti nell'alto medioevo: l'area euroasiatica e l'area
mediterranea: 22-29 aprile 1992, Spoleto, 1993, p. 270.

49
calabrese era veramente importante e a confermarlo è stato il ritrovamento
del Brebion di Reggio Calabria, ritrovato dal Guillou. Questa fonte è
sostanzialmente un registro dei beni della diocesi, che riporta un grande
numero di gelseti piantati in tutto il territorio reggino e che secondo lo storico
francese fornivano al territorio un grande ritorno economico.

Di altre regioni quali la Lucania e la Langobardia non abbiamo fonti


simili. In particolare, per la Langobardia le poche fonti che ci sono,
dimostrano l'inizio della produzione dal X secolo in poi. Per questo motivo il
brebion ha costituito un punto di partenza fondamentale per comprendere la
capacità produttiva calabrese nel contesto dell'Italia meridionale. Anche la
Sicilia nell'XI sec. produceva ad esempio due tipologie di tessuti di seta: jizi
e lasin però con bozzoli di importazione calabrese134. Il ruolo dell'economia
calabrese è avvalorato particolarmente dalle parole di Al Idrisi che nel suo
Libro di Ruggero parla positivamente delle città calabresi più note quali
Reggio, Gerace, Crotone, Stilo, da cui si diramavano molte rotte
commerciali135.

Nei paesi del Mediterraneo occidentale era la Spagna a distinguersi per


la produzione serica, nota per la produzione di sete, broccati, sete intessute
d'oro, isbahani, giurgiani, sete a strisce e a scacchi, che venivano esportate a
metà del IX sec. in Egitto, India e forse Cina. Nel X sec. sostanzialmente molti
erano i paesi allevatori di baco e tessitori di seta, mentre alcuni si
concentravano nella produzione della seta grezza e nella sua esportazione.

Nell'889 Stefano di Cosenza portò al monastero di S. Benedetto di


Salerno dei doni tra cui anche della seta obbrizzata cioè grezza, da cui
deduciamo che dovesse essere un materiale già molto pregiato e
considerato136. Verso la metà dell'XI sec. il tema di Calabria contava 24.000
gelsi coltivati per le foglie137. Guillou ha inoltre evidenziato che in un

134
A. GUILLOU, ‘’La seta del catepanato...’’ cit., p. 681.
135
(A cura di) M. AMARI, C. SCHIAPPARELLI, L'Italia descritta nel ''Libro di Re
Ruggiero'', Roma, 1883.
136
L. GRIMALDI, Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera nella Calabria
Ultra II, Napoli, 1845, p. 41.
137
(a cura di) A. GUILLOU, ‘’I bizantini...’’, cit., p. 57.
50
inventario di beni di Brescia e di Lucca in cui vi è scritto: ‘’In Chama
manentes XIII qui reddent de serico libras X et de ipsis in Papia ducitur et ibi
venundabitur ad solidos;’’ ma effettivamente nè a Brescia nè in altre città
dell'Italia settentrionale si trova traccia del toponimo Chama che invece è
rintracciato più volte all'interno dell'inventario di Reggio. Probabilmente
dunque è possibile che la seta che riforniva il mercato pavese in quel periodo
fosse proprio prodotta in Calabria.

La sericoltura impegnava soprattutto una grande manodopera per un


mantenimento proficuo delle piante, per cui la grande estensione nel territorio
calabrese alla metà dell'XI sec. indica anche una grande possibilità di
sostentamento dell'attività presente. Ai tempi in cui Ibn Hawqal visitò la
Sicilia, il geografo non segnalò una produzione autoctona della seta, il che
sarebbe un ulteriore indizio sul fatto che fosse la seta calabrese ad alimentare
il mercato siciliano, ma anche arabo.

Quando Ibn Ubaīd nel 925 saccheggiò Oria, situata tra Taranto e
Brindisi, prese anche dei drappi di seta, i quali probabilmente erano stati
importati attraverso le relazioni dell'importante comunità ebraica sita nella
città. É vero anche che in riferimento all'inizio del IX sec. nella Chronicon
Salernitanum troviamo scritto: Coloro che per commercio andavano oltre la
Calabria erano venduti come schiavi pubblicamente agli Agareni. E da quel
tempo i Siciliani furono tributari dei Longobardi nei commerci che facevano
nel territorio di Calabria138. Da questa descrizione dell'Anonimo salernitano
si percepisce la consuetudine dei Siciliani a recarsi in Calabria per questioni
commerciali, dunque il loro incontro non avveniva solamente presso la città
di Reggio, ma questi proseguivano fino al nord della Calabria, nel territorio
cosentino dove appunto i Longobardi avevano diritto.

138
(a cura di) A. CARUCCI, Chronicon Salernitanum, sec: 10, Salerno, 1988, p. 102.
51
Altre minoranze della regione

Oltre alla presenza ebraica, altre comunità determinarono un clima di


condivisione e scambio culturale, influenzando la cultura calabrese di per sé
già diversificata. Dal periodo tardo antico a quello medievale bisogna
ricordare il contributo dato dal ritrovamento di fondi latini e greci dell'IX-XI
secolo riguardanti l'area della Longobardia del Nord, corrispondente
all'attuale Salento, e l'area Calabro-lucana, in cui sono state riscontrate delle
testimonianze in merito non solo alla presenza greca e a una minoranza latina,
ma anche in merito alle comunità degli ebrei, degli armeni, degli arabi e degli
slavi139.

Se la comunità ebraica ha avuto un passato molto remoto in cui mettere


radici nel territorio calabrese, le altre minoranze che vi si insediarono lo
fecero in particolar modo durante le azioni politiche promosse dall'impero
bizantino. Il passato della Magna Grecia aveva segnato la cultura della
Calabria meridionale, cui si innestò in epoca romana la cultura latina. A questi
due forti ceppi si aggiunse poi quello ebraico, di cui sono più evidenti le azioni
e le motivazioni sul territorio, ed in maniera silente vi si affiancò nei secoli
l'arrivo di altre minoranze. Popoli provenienti perlopiù dalla zona orientale,
che erano stati coinvolti nelle conquiste bizantine e spesso erano partiti come
militari tra le fila dell'esercito imperiale verso Occidente. Il contributo di
queste comunità fu specialmente di tipo militare, in quanto aiutarono l'impero
nelle lotte contro gli avversari del Mediterraneo.

Sul territorio troviamo tracce di comunità provenienti dalla zona dei Balcani,
come ad esempio i Bulgari. I Bulgari iniziarono l'esodo dai loro territori in
seguito alla conquista del Regno di Bulgaria da parte di Basilio II, azione che
comportò la fuga di molte famiglie che si diressero verso l'Italia meridionale.
Abbiamo episodi che descrivono una realtà di discriminazione nei confronti
di questa comunità, non tanto per le differenze etniche, quanto per il fatto che

139
A. GUILLOU, Note sur la culture arabe et la culture slave dans le Katepanat d''Italie
(X-XI sec.), in « Melanges de l'Ecole francaise de Rome. Moyen-Age, Temps modernes »,
88, 2 (1976), pp. 677-692.
52
essa appoggiasse delle esperienze ereticali. Un altro gruppo giunto nei secoli
delle migrazioni del periodo bizantino è quello degli Armeni.

Gli Armeni costituivano in realtà un'elites militare nell'apparato di


Bisanzio, rappresentata sia dagli eserciti di provincia che da quelli presenti in
Italia. Provenienti dalla zona delle province orientali dell'Anatolia,
Cappadocia, Armenia Minore e Grande Armenia, si mossero sostanzialmente
durante il VII sec. al seguito di Costante II (663-668), quando l'Imperatore si
trasferì in Occidente, in Sicilia, con un contingente composto da soldati
armeni. La comunità armena in Sicilia crebbe tanto da possedere il Qal'at al
Armanin, ovvero, il Castello degli Armeni, che nell'861 venne preso dagli
Arabi. In Calabria invece era stato Niceforo Foca il Vecchio a condurre gli
Armeni nella regione, i quali tornarono nuovamente ad insediarsi con una
seconda ondata durante il periodo del nipote Niceforo Foca nel IX secolo. La
comunità armena si era distinta per il valore militare e per le loro capacità in
guerra, caratteristiche che li portarono a coprire cariche importanti politiche
e militari. Molti imperatori erano infatti di origine armena, di cui potevano
vantare le doti descritte; tra questi possiamo ricordare Leone V e Basilio I il
Macedone, ma anche Niceforo Foca per parte di madre140.

Per quanto riguarda il gruppo etnico degli Slavi occorre precisare che questa
denominazione non rappresenta un unico popolo, ma raggruppa diverse
provenienze: Croazia, Slovenia, Serbia, Russia, Bulgaria. Nelle fonti si
rintracciano diverse definizioni: slavo, sclavo, sclaveno, schiavo, schiavone,
indicanti sempre lo stesso ceppo etnico. Procopio di Cesarea nel VI sec.
parlandone utilizza il termine Sclaveni. Nel 538 guidati da Giovanni erano
giunti presso Otranto ottocento cavalieri. Tra il 548/549 risultano presenti a
Rossano soldati illirici guidati da Gudilas il Tracio. Durante la guerra greco-
gotica descritta da Procopio, gli Illirici non avevano ancora subito un processo
di assorbimento degli Slavi, per questo motivo egli denominazioni che
distinguano i vari gruppi etnici e non creino ambiguità.

140
G. STRANO, Alcune notazioni sulla presenza armena, in (a cura di) G. DE SENSI
SESTITO, La Calabria nel Mediterraneo. Flussi di persone, idee e risorse, Soveria
Mannelli, 2014, p. 190.
53
Nel 537/538 il contingente bizantino viene aiutato attraverso l'invio di
un contingente di cavaliere formato da Unni, Scaveni e Anti. Durante il
periodo di impero di Maurizio (582-602) gli abitanti di Patrasso si rifugiarono
presso Reggio dove costituirono una comunità differenziandosi dalla
popolazione locale fino al IX sec., quando poterono tornare nella loro città di
origine. Sembrerebbe poi che gli esuli della città di Evria in Epiro abbiano
lasciato presso Umbriatico, tracce del loro passaggio attraverso il culo di san
Donato di Evria141. In un secondo periodo in seguito all'arrivo saraceno e allo
spopolamento di alcune zone, Basilio I decise di inviarvi schiavi affrancati
originari del Peloponneso e forse di etnia slava. Nel 981 invece un numero
ingente di Slavi soccombette nello scontro tra Ottone II e i Saraceni come
riportato da Lupo Protospatario142.

La presenza slava tra famiglie calabresi e pugliesi è stata rintracciata in


espressioni quali servi ex genere Slavorum o sklavopouloi; l'arrivo slavo
infatti al contrario di quello armeno era stato spontaneo e anche precedente al
periodo bizantino e la popolazione ricopriva solitamente umili mansioni. I
loro primi insediamenti risalgono comunque al periodo longobardo, in quanto
Paolo Diacono narra che il duca di Benevento Romualdo I (671-687) aveva
accolto il bulgaro Alzeco e il suo popolo, ma già alla fine dell'VIII sec.
parlavano la lingua dei Longobardi, che dimostra un'azione di inserimento
all'interno della comunità locale. Questi popoli non si distinsero come altre
comunità per le loro capacità di produzione e di commercio, la storiografia
dunque li ha rilegati in un piano di interesse secondario, in quanto il loro ruolo
sul territorio calabrese ha agito in maniera silente, nonostante le ampie
partecipazioni alla difesa del territorio durante le incursioni straniere.

141
C. TORRE, Gli Slavi nella Calabria bizantina, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO,
‘’La Calabria…’’ cit. pp. 203-209.
142
Cronista pugliese dell'XI sec. redasse una Cronaca fino al 1102; U. BALZANI, Le
cronache italiane nel Medioevo, Hildesheim-New York, 1973, p. 179.
54
Economia e scambi nella Calabria bizantina

Le strategie politico-economiche bizantine tra VIII-X sec.

La guerra greco-gotica che coinvolse i re ostrogoti e Bisanzio


comportò una situazione di difficoltà in tutta la penisola. Giustiniano aveva
esteso all'Italia la legislazione imperiale, il Corpus iuris civilis con la
Prammatica Sanzione del 554. La penisola venne divisa in province
presiedute dal un prefetto, praefectus praetorio per Italiam, che
rappresentava il potere centrale nelle zone periferiche. Le azioni bizantine di
ripresa di un potere effettivo vennero stroncate però dall'arrivo longobardo. I
Longobardi guidati da Alboino assediarono e presero Pavia nel 572,
dopodichè si diressero verso i territori dell'Italia meridionale143.

Tra il 610-641 l'Imperatore Eraclio compì la suddivisione del territorio


in themata. Costante II durante il periodo trascorso in Italia, tra il 663 e il 668,
aveva definito con il termine di Calabria tutti i possedimenti bizantini
dell'estrema zona dell'Italia meridionale, che precedentemente erano stati
divisi in Apulia et Calabria e Lucania et Bruttii. Alla morte di Costante il
termine Calabria rimase ad indicare esclusivamente la terra Bruttiorum. Dal
VII sec. il duca di Calabria e di Napoli dipese dal thema di Sicilia. Bisanzio
non solo aveva da affrontare il nemico longobardo, ma anche la Chiesa di
Roma. A metà dell'VIII sec. le diocesi della Calabria, della Sicilia e
dell'Illyricum orientale erano state sottratte alla giurisdizione pontificia,
passando sotto l'ala del patriarca di Costantinopoli. In seguito alla morte di
Costante II, mentre Arabi e Longobardi si contendevano l’Italia meridionale,
il Ducato di Calabria inizialmente era rimasto immune da queste forze, infatti
centri come Locri, Thurii, Taureana, Tropea e Bivona si dichiaravano
esplicitamente appartenenti all’eparchia della Calabria. Ma quando Leone III
colpì la Sicilia e la Calabria con una serie di riforme fiscali, determinò un
inasprimento della politica contro i pontefici e l’espropriazione dei loro
patrimoni.

143
(a cura di) A. CARUCCI, Erchemperto, Storia dei Longobardi (sec. IX), Roma, 1995, pp.
15-24.
55
Dunque, tra VIII e IX sec. i possedimenti dell’Impero si ridussero
esclusivamente alla sola Calabria dalla zona sud della valle del Crati e di
Cosenza e in Puglia, a Gallipoli ed Otranto144.

Nel IX sec. Niceforo Foca fondò la Chiesa metropolitana di Santa


Severina in Calabria proprio per sancire la presa di distanza di Bisanzio dalla
politica vaticana145. Questa azione si inseriva in quel programma di recupero
bizantino dei territori dell'Italia meridionale peninsulare, incidendo
positivamente sulla crescita demografica, il cui calo aveva determinato una
minore manodopera spendibile nel settore agricolo. Basilio I per questo attuò
una strategia di ripopolamento attraverso l'immigrazione, facendo giungere
in Calabria quantità di schiavi importanti146.

Dopo il pericolo longobardo, Bisanzio assistette all'incoronazione di


Carlo Magno come Rex francorum et langobardorum e la sua presa di
posizione in difesa dello Stato della Chiesa. La penisola insomma era divisa
tra poteri diversi che avevano determinato un indebolimento reciproco delle
forze ed anche un clima di insofferenza da parte della popolazione, stremata
dai conflitti. L'impero romano orientale era tenuto in scacco da dinastie
diverse, da ovest ad est. Se infatti in Occidente dovevano affrontare i pericoli
provenienti dai Longobardi prima, dai Franchi poi, sotto la pressione costante
dello Stato della Chiesa, ad Oriente si trovavano di fronte alla potenza
Sasanide, precedente al pericolo islamico. Bisanzio per secoli era stata in
competizione con l'Impero Sasanide, specialmente per il controllo delle vie
commerciali: le rotte del commercio della seta e delle spezie che dall'Asia
giungevano nel bacino del Mediterraneo147. Ed è proprio in questo contesto
prettamente commerciale che venne a collocarsi la nascita dell'Islam148.

144
M. BARRECA, L’interculturalità nell’area del Mediterraneo: fortificazioni e siti
bizantini in Calabria, in <<Porphyra>>, 2, marzo, 2004, pp. 48-55: p. 50.
145
G. CAVALLO, ‘’I bizantini...’’ cit., p.52.
146
G. CAVALLO, ‘’I bizantini...’’ cit. p. 53.
147
F. DONNER, The background to Islam, in (a cura di) M. MAAS, Age of Justinian,
Cambridge, 2005, p. 517.
148
Il Vicino Oriente era diviso in questi due grandi poli, Bisanzio e Impero Sasanide,
contraddistinti dall'impossibilità di una mobilità sociale. I Sasanidi di fede Zoroastriana,
appoggiavano esplicitamente una suddivisione sociale in classi, ma anche Bisanzio seppure
non in base a delle prescrizioni religiose. L'Islam si collocò in questo periodo di malessere
56
La marineria bizantina si trovava a quel punto esposta su più fronti: Mar
Nero, Mar Egeo e Mar Mediterraneo, ma nonostante questo il bilancio
economico bizantino continuò a registrare una produzione vivace che
permise, superati i periodi di guerra, di avviare una ripresa totale. Durante il
periodo longobardo l'Italia meridionale peninsulare e la Sicilia riuscirono a
mantenere i loro legami con l'esterno instaurati nei secoli precedenti
specialmente con l'Africa149. Questo fu possibile grazie al rapporto
diplomatico instauratosi tra i califfi africani e le forze della nostra penisola.
Già durante il periodo abbaside numerose erano le relazioni diplomatiche che
intercorrevano tra gli Stati del Mediterraneo. Anche la stessa Curia romana
fu attivamente partecipe a questo clima, mantenendo le relazioni di
compromesso con la parte musulmana. Allo stesso modo, gli imperatori
bizantini avevano adottato un atteggiamento analogo con i loro diversi
avversari150. Questa politica è confermata poi dalla grande tregua, l'hudna,
stabilita tra nord Africa e Bisanzio nel VIII sec., che aveva permesso dunque
un mantenimento pacifico degli scambi commerciali151.

Non solo la pace garantiva scambi commerciali, ma anche la guerra


incentivava la vendita di determinati beni, come il legname e il ferro per le
costruzioni militari. Come già accennato precedentemente gli arabi spesso si
rifornivano di questi materiali proprio grazie ai commercianti occidentali.
Proprio per questo motivo, Giovanni Tzimisce (X sec.), per contrastare
l'azione araba, reagì proibendo l'esportazione di legno e di ferro152. Non
mancarono dunque le azioni astute da parte di Bisanzio. Nel 940 infatti lo
stratego bizantino di Calabria, Krénites, requisì a basso prezzo le abbondanti
risorse agricole della sua provincia e le rivendette a tariffe proibitive, pagabili

sociale, rispondendo a nuove istanze che vennero ampliamente appoggiate dalla popolazione
e che determinarono in parte il successo della nuova religione; F. DONNER, ‘’The
background...’’ cit., p. 519-520.
149
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., pp. 232-233.
150
C. PICARD, Il mare dei califfi. Storia del Mediterraneo musulmano (secoli VII-XII),
Roma, 2017, p. 216.
151
M. TALBI, ‘’L’émirat aghlabide…’’ cit., p. 396.
152
Ivi, p. 50.
57
in monete d'oro, ai Saraceni di Sicilia ridotti alla carestia per la guerra contro
i loro correligionari della Cirenaica153.

In questa storia mediterranea la Calabria subiva cambiamenti politici ed


amministrativi, prese di posizione e di difesa da parte dell'impero per
fronteggiare i diversi nemici. A metà dell'VIII sec. « Calabria » denominava
ancora la Terra d'Otranto e non aveva definitivamente compiuto il suo
passaggio ad indicazione del Bruttium. Solo a causa della conquista da parte
dei Longobardi della zona settentrionale del territorio calabrese, all'incirca
dalla zona di Cosenza e Cassano allo Ionio (verso sud seguendo il letto del
Crati) fino ad Amatea, il termine venne a denominare il territorio odierno. La
zona a sud dei guastaldati longobardi comprendeva il Ducato di Calabria.

Il capoluogo del Ducato divenne la città di Reggio, corrispondente


anche alla metropoli religiosa e sede del δούξ. Nonostante le difficoltà
bizantine di quei secoli, l'Italia meridionale dell'impero restò fedele al
basileus. Gli abitanti della Calabria d'altra parte avevano riconquistato la
cultura greca delle origini, riprendendone la lingua, il rito e il costume greco,
al contrario della parte napoletana154. Parallelamente a questa nuova
composizione politica, anche gli ecclesiastici davano una conformazione
nuova, dividendosi nei territori tra vescovi dipendenti dal patriarca di
Costantinopoli e vescovi dipendenti dalla Chiesa di Roma155. Durante questo
periodo di promiscuità di potere, i lontani vescovi greci di Calabria e Sicilia
approfittarono della mancanza di un controllo diretto da parte del patriarca di
Costantinopoli, per soddisfare i propri interessi. Fu in questo periodo infatti
che, affidate la Calabria e la Sicilia al patrizio bizantino di Siracusa, egli poté

153
Cfr. G. NOYé, La Calabre entre Byzantins, Sarrasins et Normands, in (a cura di) E.
CUOZZO, J.M. MARTIN, Cavalieri alla conquista del Sud, Roma-Bari, 1998.
154
La Calabria stava vivendo una seconda ondata di ellenizzazione, tanto che l'assunzione
del nome greco καλαβρία, rispetto al latino Bruttium, é stato assimilato proprio al contesto di
questo periodo. Questo contesto culturale portava inoltre il clero delle due regioni ad essere
attratto dalla liturgia e dalla lingua di Bisanzio, pur sottostando alla giurisdizione di Roma.
155
La Chiesa di Roma, inoltre, già dal periodo tardo antico aveva acquisito moltissimi
territori nelle zone meridionali della penisola. Dominii molto estesi con una corrispondente
popolazione di coloni che vi lavorava e manteneva dei rapporti tra le zone di periferia con i
vescovi romani. Sul territorio agivano dei vicari della Santa Sede che sorvegliavano il clero.
Questa situazione era mutata dal periodo della conquista longobarda, che aveva determinato
l'abbandono di diversi terreni.
58
raggiungere un potere e una consapevolezza tale da scendere a patti con il
musulmano Ibrahim nell'805 per la difesa del suo territorio156. Queste
divisioni del territorio in parti contrastanti però comportavano spesso delle
insurrezioni cittadine, causate dalle tasse richieste da più parti. Ma soprattutto
il malcontento sociale derivava dall'azione egoistica di alcuni governatori.
Spesso infatti i rappresentanti imperiali sul territorio riscuotevano
personalmente le tasse, facendo sì che l'Impero ricevesse meno ricavi dalle
zone provinciali e la tassazione aumentasse a discapito dei cittadini.

Nel capitolo successivo approfondirò le dinamiche che portarono gli


arabi, i nuovi protagonisti del Mare Nostrum, a mirare ai territori della nostra
penisola. Intanto occorre accennare a determinati aspetti che precedettero il
loro arrivo. Le poche incursioni saracene sul territorio calabrese e le scarse
riuscite, fecero sì che con gli Arabi la Calabria mantenesse più rapporti
commerciali che rapporti di guerra. Inoltre, a raggiungere la regione erano
gruppi ''diversi'' di arabi che attaccavano le coste calabresi, mentre la regione
con i paesi arabi del nord Africa intratteneva scambi economici e culturali.

Bisanzio intanto aveva in ogni modo cercato di proteggere la Calabria


dalla presa islamica, dal momento che rischiava di perdere l'avamposto più
importante nella penisola e la cui conquista da parte islamica avrebbe
significato probabilmente una risalita veloce fino a Roma. Fu Niceforo Foca
nel X sec. ad attuare un programma di difesa sostanziale della regione,
predisponendo la protezione dei centri nevralgici come Reggio. La
riorganizzazione delle città faceva sì che i cittadini potessero tornare a
dedicarsi alle produzioni piuttosto che alla difesa. Ed è proprio di questo
periodo l'importante repertorio rintracciato dall'archeologia, che dimostra la
politica di incentivazione della produzione di manufatti da esportazione. I
manufatti ritrovati inoltre presentano caratteristiche ''industriali'', ovvero
realizzati secondo regole di standardizzazione dei formati e delle
decorazioni157. Nella zona di Santa Maria del mare, castrum quod Scillacium

156
G.GAY, L'Italia meridionale e l'Impero bizantino. Dall'avvento di Basilio I alla resa di
Bari ai Normanni (867-1071), Bologna, 20012, pp. 5-14.
157
C. RAIMONDO, ‘’Aspetti di economia e società nella Calabria bizantina…’’ cit., p. 431.
59
dicitur, invece, sono state ritrovate cinquanta granate in terracotta, di cui
trentaquattro quasi intere risalenti alla metà dell'XI secolo. Il loro
ritrovamento integra l'idea del programma di difesa bizantino che dovette
perdurare fino al secolo successivo all'azione di Niceforo. L'archeologia ha
rilevato una grandezza della granata dagli 8 ai 10 cm; la loro produzione
potrebbe essere sia locale, sia di provenienza siciliana o dall'area dell'egeo-
anatolica orientale. Le granate bizantine erano anche chiamate fuoco greco di
cui vi esistevano almeno due tipologie: una più violenta che prevedeva il
lancio contro le navi nemiche, l'altra costituita da miscele esplosive utilizzate
prevalentemente sulla terra ferma. Gli arabi probabilmente vennero a
conoscenza della miscela segreta di cui era composto il fuoco greco, infatti
presso il deposito di Fustat sono state ritrovate delle granate della stessa
tipologia di quelle di Scolacium, salvatesi dall'incendio della città158.

Contemporaneamente alle navi dei nemici giungevano nei porti le navi


dei mercanti. Dall'Italia meridionale partivano carichi di legname, vino,
formaggio, frutta fresca, miele e altre merci, nonostante a volte Bisanzio cercò
di impedirlo, l'Africa e l'Egitto venivano rifornite ugualmente di legname e di
schiavi dalla terra dei Rum. Questo induceva gli arabi a garantire una buona
accoglienza perlomeno ai mercanti. Un documento di Qairouan del IX sec.
attesta che, quando le navi cristiane venivano catturate nei porti o in alto mare,
gli arabi dovessero essere informati sul motivo del loro arrivo. Se erano navi
commerciali, avevano il lasciapassare, altrimenti venivano catturate. Tra X e
XI secc. i rappresentanti dei prodotti meridionali erano gli Amalfitani, la cui
presenza è ampliamente attestata presso Cordova, Maghreb, Egitto,
Costantinopoli159. L'importanza delle relazioni con il commercio arabo è stata
evidenziata attraverso gli studi di numismatica. Il ritrovamento di molti
esemplari di tarì ha fatto emergere sicuramente l'influenza culturale araba. Il
tarì infatti tra la metà del IX sec. e la prima metà dell'XI sec. fu la moneta
principe degli scambi tra Reggio e Gaeta, e tra l'Italia meridionale e il mondo

158
C. RAIMONDO, Un deposito di granate dal castrum bizantino di Santa Maria del Mare,
in Melanges de l'Ecole francaise de Rome, CXII, 1, 2000, pp. 305-310.
159
M. TANGHERONI, Commercio e navigazione nel Medioevo, Laterza, Roma-Bari, 1996,
p. 65.
60
musulmano. Dalla fine del X sec. nel tema di Calabria il tarì d'oro con scritte
arabe divenne la moneta favorita. Ciò è risultato dai resoconti dei monasteri
calabresi, all'interno dei quali il valore delle terre veniva espresso attraverso
questa monetazione, mentre le tasse e le sanzioni erano espresse in nomismata
bizantino160.

In questo contesto la città di Reggio godeva di una buona prosperità


grazie alla posizione sullo stretto e all'esportazione di seta grezza prodotta in
Calabria. Nonostante la sua grandezza abbastanza limitata, come testimoniato
da Al Idrisi, Reggio era una città produttiva e solo la punta di una filiera
organizzata delle zone dell'entroterra. La comunità descritta dai documenti
della Genizah testimonia un periodo di viaggi all'ordine del giorno: mercanti,
viaggiatori e lavoratori specializzati che attraversavano il Mediterraneo per
incontrarsi in Africa, abbattendo anche le barriere linguistiche. Oltretutto
economicamente presso i porti africani i commercianti italiani potevano
proporre dei prezzi di lunga maggiorati rispetto al prezzo iniziale del prodotto,
lontani dal contesto di produzione161.

Come evidenziato da Guillou, e come sembra ormai evidente, i


rapporti tra mondo occidentale e mondo islamico furono spesso più di
reciproca utilità piuttosto che di guerra162. Ulteriore dimostrazione è data
dall'onomastica, che ha effettivamente fatto emergere l'influenza araba sulle
popolazioni occidentali. Tra i nomi degli affittuari citati nel brebion reggino
infatti è evidente un'onomastica di origine araba: Chamutos, Nasar,
Maiuaphaso. Vi è poi citato un importante commerciante, tale Mulé, che
possedeva un προάστειον (una grande porzione di terra) della chiesa di
Reggio163. Mentre nelle carte greche dell'archivio della chiesa di Oppido
Mamertina sono stati riscontrati diversi antroponimi che testimoniano
l'origine araba, ad esempio: Selimos, Mamour, Barachalla. Quest'ultimo in

160
L. TRAVAINI, The Normans between Byzantium and the Islamic World, in « Dumbarton
Oaks Papers », LV, Dumbarton Oaks, 2001, pp. 179-196: p. 180.
161
L. FAVALI, Qirad islamico commenda medievale e strategie culturali dell’Occidente,
Torino, 2004, p. 229.
162
Per un approfondimento: (a cura di) F. GABRIELI, U. SCERRATO, Gli arabi in Italia:
cultura, contatti e tradizioni, Milano, 1989.
163
(a cura di) G. CAVALLO, A. GUILLOU, ‘’I bizantini in Italia…’’ cit., p. 95.
61
particolare è il nome medievale di Altomonte nel cosentino, attestato anche
presso Oriolo, e derivante dall’espressione: baraka Allah164. Dagli altri
recenti studi è inoltre stato rilevato che da alcune liste di villani si può notare
l'influenza araba nell'onomastica, non solo in Sicilia, ma anche, ad esempio,
presso Nicotera. Qui nel 1093, molti nomi avevano un'origine greca, ma 5 su
39 villani avevano nomi derivanti dall'arabo, rappresentando una minoranza
del 13% circa. Dato il repertorio di nomi greci di questo periodo si può credere
che questa minoranza fosse costituita da persone che parlavano arabo o da
musulmani. Sono stati riscontrati anche dei nomi composti da una parte greca
e una araba, come nel caso di Iohannis toù Zammari, dove al-zammari è di
origine araba. Anche presso Oppido (40 km a nord di Nicotera) è attestata la
stessa proporzione di nomi arabi-greci165.

I nomi costituiscono il dato più evidente di un processo di assimilazione


culturale, parallelamente al mantenimento delle proprie origini che dimostra
un forte senso identitario. É possibile dunque che una fetta della popolazione
in Calabria mantenesse l'aspetto bilingue. La Calabria, a parte la città di
Reggio, tra VII e VIII sec. era stata caratterizzata da una bassa densità
abitativa, colmata dal IX sec. dall'immigrazione da parte di gruppi provenienti
dalla Sicilia che si stanziarono prima sul versante ionico e nel X sec. sul
versante tirrenico. Probabilmente grazie a questi arrivi vi fu un aumento
rilevante delle persone influenzate dalla cultura araba. É dunque questo il
contesto in cui Reggio ottenne grande prosperità, essendo ormai capitale del
Catepanato di Italia.

Oltre all'importante ruolo politico, come già accennato, Reggio


possedeva il primato dell'industria serica, che portò l'intera Calabria a
divenire uno tra i più grandi centri di produzione di seta grezza tra le città del
Mediterraneo. Il costo della seta grezza calabrese era inferiore a quello della
seta siciliana (due dinar a libbra); nel 1050 la produzione calabrese è stata
valutata di quattro milioni di dinar, stessa cifra circa dell'ammontare della

164
S. COSENTINO, ‘’Storia dell'Italia...’’ cit., p. 39-40.
165
A. METCALFE, Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic speakers and the end
of Islam, Londra, 2003, p. 77.
62
tassa fondiaria, che riempiva le casse del tesoro fatimide all'inizio dell'XI
secolo. Inoltre, alla morte di Basilio II avvenuta nel 1025, i ricavi derivanti
dalla produzione corrispondevano ad un quarto del suo intero tesoro166,
ovvero 4 milioni di dinari d'oro all'anno. Molta della seta veniva inviata in
Sicilia, la riprova del fatto è la circolazione a Reggio della moneta araba il
tarì e le valute erano espresse in taria ed extaria.

Nei documenti della Genizah la seta di Calabria non è mai distinta da


quella della Sicilia, questo potrebbe voler dire che la qualità dovesse essere
la stessa, altrimenti i mercanti avrebbero specificato le qualità di ognuna e
indicato le eventuali differenze. Reggio era un centro di gente benestante, vi
abitavano infatti ricchi esponenti dell'amministrazione bizantina. La loro
presenza aveva incentivato il commercio di beni di lusso provenienti
dall'Oriente. Dalle fonti arabe sappiamo che quando Abu-l-Abbas Abd Allah
catturò la città nel luglio del 901 registrò un’enorme quantità di oro, argento
e tessuti preziosi. Questo potrebbe voler dire che la presenza degli Amalfitani
a Reggio, e il loro arrivo in Egitto con carichi di sete e miele, potrebbe
indicare che questi prodotti fossero entrambi provenienti dalla Calabria167.

Viabilità e monete nella Calabria bizantina

Parlando dei commerci che si diramavano dalla regione occorre


considerare e riflettere sulla sua capacità viaria. Innanzitutto, la Calabria
vedeva l'arrivo e la partenza di mercanti, sia sul versante tirrenico sia su quello
ionico. Il primo interessato ai commerci rivolti al nord Africa e alla Spagna,
il secondo rivolto verso Costantinopoli. Per sapere quali fossero i porti antichi
attivi nella regione sin da epoca romana, vi è una fonte molto importante: la
Tabula Peuntigeriana che ne offre una panoramica168. La conformazione

166
(a cura di) G. CAVALLO, A. GUILLOU, ‘’I bizantini...’’ cit., p. 684.
167
Ivi, pp. 272-273.
168
Carta risalente al XIII sec. riporta itinerari costieri e la situazione geografica degli scali
marittimi allora funzionanti. Attraverso un confronto con le fonti altomedievali possiamo
capire quali eventuali scali siano scomparsi successivamente.
63
territoriale aveva consentito la nascita di porti importanti presso golfi naturali,
quali quello di Sant'Eufemia e Gioia Tauro169.

Già dall'epoca romana la foce del fiume Laos era utilizzata come porto-
canale dalla colonia romana dei Lavinium-Bruttiorum. Nel periodo tardo-
antico presso questo scalo venne costruito il porto di Scalea. Al Idrisi scriveva
che a nord di Punta Cirella170 si apriva la foce del fiume navigabile per
imbarcazioni di piccola grandezza. Superata Punta Cirella vi erano altri due
buoni approdi quello di Clampetia e quello di Tempsa, rispettivamente
Amantea e Nocera Torinese (Sant'Eufemia) città dell'entroterra.

Importante il porto di Vibo Valentia, che in seguito sarebbe stato


dominato dal Castello medievale di Bivona171. Dal porto di Vibo fino a Capo
Vaticano, la costa non permetteva il cabotaggio a causa della natura rocciosa
e l'unico punto dove era possibile fermarsi era il porto Tropea. Presso la
marina di Nicotera forse si può collocare lo scalo di Medma (Rosarno) che
era protetto da un molo artificiale. Lo scalo di Metauros, invece, si
collocherebbe presso la foce del fiume Petrace (Gioia Tauro). Vi erano poi il
porto di Taureana e quello di Bagnara. É stranamente omesso il porto di Scilla
che è rimasto in uso fino alla contemporaneità. Vi era infine l'approdo presso
il porto di Reggio. È certo che il porto venne restaurato quando Reggio
divenne città metropolitana e vi risiedeva lo stratega del thema di Calabria e
la città era divenuta un importante centro culturale bizantino172.

Sulla costa ionica vi erano meno porti. Persistevano i porti di fondazione


greca, Crotone e Taranto, mentre erano inutilizzati quello di Locri, di
Caulonia, di Scillezio (Squillace), di Siris (Sibari), di Heraclea, di Metaponto.
Tra Capo Spartivento e Capo Colonna si ricordano l'insenatura di Stalettì e
quella del Golfo di Squillace. Il porto di Scolacium visse fino all'epoca di

169
Sempre sul versante tirrenico altri porti importanti erano quelli del Golfo di Gaeta, di
Napoli, di Salerno, di Policastro.
170
Oggi corrispondente alla zona di Diamante in provincia di Cosenza sul versante tirrenico.
171
Il castello medievale di Bivona venne costruito per proteggere gli abitanti dalle scorrerie
saracene.
172
Il versante tirrenico aveva coste alte e rocciose che impedivano numerosi approdi; per un
approfondimento sulla viabilità tardo-antica: L. PARETI, Storia della regione lucano-
bruzzia nell'antichità, Roma, 1997.
64
Cassiodoro, ma venne abbandonato successivamente, forse durante le
incursioni saracene173. Sul versante ionico i porti calabresi accoglievano i
carichi provenienti dall'Oriente, da Costantinopoli, in particolar modo presso
Squillace, Crotone, Rossano, Gallipoli e Ugento174.

Per quanto riguarda la viabilità stradale, l'Italia dell'impero bizantino


aveva una situazione disomogenea. Le antiche strade romane si erano trovate
ad attraversare territori di appartenenze politiche diverse, longobardi e
bizantini175. Durante il VI sec. la litoranea tirrenica, che collegava la
Campania alla Sicilia, era stata maggiormente utilizzata rispetto alla linea
interna seguita dalla via Popilia. Sul versante tirrenico si concentravano in
particolar modo le attività militari ed economiche, favorito dalla presenza
delle due città principali: Napoli e Reggio. Nel periodo successivo alla guerra
greco-gotica vi fu una diminuzione dei commerci utilizzando le vie interne,
mentre nel X sec. la strada tirrenica torna al suo antico funzionamento ed è
regolamentata dal Prochiron Legum. Successivamente, con l'arrivo
normanno, la zona tirrenica sarà contraddistinta da un aumento notevole di
centri fortificati da Reggio a Vibo, da Nicastro fino a Scalea176. Durante il
periodo di incursioni saracene si preferivano i percorsi interni lungo
l'Appennino evitando gli itinerari costieri. Generalmente si poteva usufruire
anche delle vie fluviali, ma nella regione il fiume più importante e navigabile
era solo il Crati177.

Il ruolo della viabilità e della circolazione sul versante ovest è stato


studiato anche attraverso il ritrovamento di monete del periodo bizantino. Le
fonti numismatiche allo stato degli studi sembrano più importanti sul versante
tirrenico della regione. Il territorio era diviso tra due sistemi di monetazione.
La zona settentrionale era inclusa nel sistema monetario longobardo (zona
cosentina), quella meridionale (con cui confinava presso l'area di Scolacium,

173
G. SCHMIEDT, I porti italiani nell'Alto Medioevo, in La navigazione mediterranea
nell'alto medioevo, 14-20 aprile 1977, Spoleto, 1978, pp. 181-188.
174
S. COSENTINO, ‘’Storia...’’ cit., p. 65.
175
Le strade bizantine erano sottoposte ad una manutenzione periodica.
176
P. DALENA, Viabilità e porti della Calabria tirrenica tra tardo-antico e medioevo, in
Itineraria. Territorio e insediamenti del Mezziogiorno medievale, XIII, Bari, 2012, pp. 595-
596.
177
S. COSENTINO, ‘’Storia...’’ cit., pp. 62-63.
65
attuale zona catanzarese) apparteneva al sistema monetario della Sicilia
orientale. A partire dalla conquista giustinianea, l'Impero aveva ovviamente
imposto nelle zone di competenza, il sistema monetario orientale, che da
Costantinopoli si rifletteva nelle province. Esso si fondava sull'utilizzo di
monete d'oro e di rame178.

Già del periodo tardo antico abbiamo numerose testimonianze di


monete battute presso le zecche romano-orientali, di cui importanti esemplari
sono stati rinvenuti presso le aree della Bovesia (geograficamente
appartenente alla zona ionica, ma politicamente a quella tirrenica). Durante il
periodo pre-bizantino in Calabria l'ordinamento monetale era basato sul
solidus aureo, divisibile in semissis (corrispondente alla metà) e in tremissis
(letteralmente un terzo di uno). La moneta bronzea invece aveva il follis da
40 nummi, il mezzo follis da 20, il decanummo da 10 e il pentaummo da 5179.
Dal periodo di Costante II alla presa araba del thema siciliano nell'878, la
maggior parte delle monete presenti in Calabria e in Sicilia erano battute
presso la zecca siracusana. A confermarlo i rinvenimenti ad esempio presso
Locri e Gerace di nomisma aureo e 6 folleis, 2 nomisma presso Melicuccà e
Polistena, ed altre presso Reggio180.

Purtroppo, attualmente il numero dei rinvenimenti editi è molto minore


rispetto a quelli rintracciati dall'archeologia (conservati presso collezioni
private) che comunque confermano un'importante presenza numismatica di
nomisma bizantini lungo il Tirreno. Nel IX sec. Reggio divenne la sede dello
stratego di Sicilia, con il praitorion, la base operativa delle truppe e della
marina imperiale. Da Reggio dunque venivano emessi i pagamenti dei soldati
e dell'amministrazione del thema, situazione rimasta tale fino al 901, quando
i musulmani presero la città.

Dall'XI sec. è attestato invece un completo cambiamento delle monete


di utilizzo testimoniato all'interno dei documenti d'archivio di monasteri greci

178
G. GUZZETTO, La circolazione monetaria nella Calabria medievale, in Il sistema
feudale della Calabria medievale. Atti del X congresso storico calabrese. Cosenza 9-11
dicembre 2004, Cosenza, 2009, p. 129.
179
D. CASTRIZIO, ‘’Circolazione…’’ cit., pp. 571-577.
180
Ivi, p. 80.
66
e della chiesa metropolitana di Reggio trascritti ed editi da Guillou. Essi
dimostrano che, parallelamente all'utilizzo (sempre minore) dei solidi
costantinopolitani e alla moneta aurea, era stato introdotto l'utilizzo del tarì o
rubai equivalente ad un quarto del dinar, ovvero la moneta di base del sistema
monetario musulmano181. Anche presso Reggio dal brebion del 1050 si
evidenzia che i canoni degli affittuari dei terreni ecclesiastici erano valutati in
tarion o in ektarion. Il tarì si inserì nel sistema monetario di utilizzo
principalmente attraverso l'esportazione di seta grezza nella Sicilia araba,
approfittando di un minore rifornimento da Costantinopoli.
Contemporaneamente si stava assistendo alla svalutazione della moneta
bizantina histamenon e tetarteron182. É singolare che tutti i documenti
calabresi analizzati negli studi del Guillou, la moneta utilizzata è sempre il
tarì siciliano e soprattutto la contabilità dei beni era tenuta con la moneta araba
e non bizantina183.

L'organizzazione del territorio tra IX e X sec.

Tra l'XI e il X sec. dopo la riconquista delle aree cadute in mano agli
arabi, il territorio calabrese come il resto del meridione venne riorganizzato
attraverso la costituzione di nuovi episcopati ed insediamenti. In Calabria
troviamo inclusi in questa azione: Pentedattilo, Bova, Sant'Agata, San
Martino, Mesiano, Stilo, Nicastro, Amantea, Isola di Capo Rizzuto, Santa
Severina, Acerenza, Umbriatico, Malvito. Mentre per motivazioni
prettamente militari vennero fondati castra e castella tra cui nell'XI sec.
Oppido, Mileto, Catanzaro, Taverna, Martirano, Aiello, Scalea, Castroregio,
Oriolo184. Attraverso una fonte ancora studiata e messa in discussione, la

181
L'utilizzo della moneta araba nei temi bizantini derivava dai continui scambi con la Sicilia.
La Sicilia non conoscendo il gelso lo importava dalla Calabria. Attraverso gli Amalfitani
invece il commercio delle regioni entrava a far parte del commercio internazionale; cfr. A.
GUILLOU, Roberto il Guiscardo sfruttatore del Catepanato bizantino d'Italia, in Roberto il
Guiscardo e il suo tempo, Roma, 19752, p. 163.
182
G. GUZZETTA, La circolazione monetaria nella Calabria medievale, in Sistema feudale
nella Calabria medievale, Cosenza 9-11 dicembre 2004, Castrovillari, 2009.
183
G. CAVALLO, A. GUILLOU, ‘’I bizantini...’’cit., p.89.
184
S. COSENTINO, ‘’Storia...’’ cit., p. 50.
67
Cronaca Tres Tabernae, sappiamo che durante l'XI sec. le autorità bizantine
avviarono un progetto di ripopolamento di aree a scarso insediamento e per
farlo fecero preliminarmente delle valutazioni sul territorio in merito alla
capacità fiscale, l'accesso alle acque e ai boschi. Questi criteri vennero
sottoposti all'imperatore che diede il bene placito per le fondazioni cittadine.
Già in un trattato del VI sec., il De re strategica185, si parlava specificatamente
dell'aspetto in merito alla costruzione delle città e i criteri di valutazione che
dovevano essere rispettati186. Probabilmente in seguito al periodo saraceno
molti territori dovettero essere ripopolati, infatti solo Reggio risulta essere
una città ampiamente popolata, che aveva mantenuto nel tempo una
continuità insediativa. È vero anche che altre città avevano subito dopo il
periodo tardo antico dei sostanziali cambiamenti, come il passaggio dalla villa
a villaggio, ad esempio presso Tropea e Nicotera. Queste modifiche erano
state attuate nel momento in cui la villa romana aveva cessato di ottenere i
profitti auspicati e le autorità autorizzarono interventi sul territorio per
riportare in auge la produzione.

Durante l'XI sec. la distribuzione della proprietà fondiaria aveva un


ruolo consistente, insieme con la piccola e media proprietà. La Calabria
attuava ancora la divisione dei terreni coltivabili e coltivati, incentivata
dall'organizzazione interna alle famiglie stesse che dividevano
autonomamente le proprietà tra i componenti. Questo tipologia di spartizione
del terreno però, causava dopo qualche generazione la possibilità di ereditare
appezzamenti di terreno irrisori. Rispetto alla Puglia, contraddistinta da
piccole proprietà, la Calabria era perlopiù costituita da grandi possedimenti.
La Chiesa di Reggio rimaneva la protagonista anche in questo caso, che in
qualità di chiesa metropolitana, possedeva terreni non solo appartenenti alla
diocesi, ma anche alla zona di Nicastro, Gerace e Squillace. Si distingueva
insieme a quella reggina, la Chiesa vescovile di Oppido fondata come diocesi
suffraganea nel 1051. Sono state ritrovate quarantadue donazioni di beni

185
Il De re strategica è un'antologia di ''discorsi di guerra''. Il suo autore ci è ignoto, ma il
l'opera risale al VI sec. e consiste in un insieme di passi scelti antichi sull'attività militare;
cfr. (a cura di) M. FERRARI, F. LEDDA, Formare alla professione. La cultura militare tra
passato e presente, Milano, 2010, p. 70.
186
Ivi, p. 52.
68
fondiari che i proprietari donavano per la salvezza dell'anima, ma ciò che ci
interessa è la produzione che interessava questi terreni. I beni risultanti
all'interno dei documenti di donazione erano vigneti, mulini, campi, frutteti,
castagneti, querceti, diritti d'acqua e una salina. Risulta invece solo un terreno
coltivato a gelsi. Questa coltura era praticata da un numero minore di
proprietari, in quanto costituiva un investimento pericoloso (le piante
potevano essere facilmente colpite da malattie che le invalidavano
interamente) e la manodopera richiesta per il trattamento del baco era più
specializzata.

La fase di arricchimento di Oppido coincide già con il periodo della


conquista normanna. Nel 1059 infatti Reggio cadde in mano ai nuovi
conquistatori e, come spesso accadeva in questi frangenti, la popolazione
decise di donare i propri beni alla chiesa piuttosto che consegnarla agli
invasori187. Non raramente la Chiesa si ritrovava con ingenti terreni da
amministrare che affidava ai funzionari bizantini, nonostante questi non
potessero avere dei possedimenti appartenenti alla provincia in cui erano in
carica. In merito alle proprietà ecclesiastiche si hanno molte più informazione
grazie alla generosità dei fondi rintracciati. Attraverso però le donazioni
ricevute possiamo avere un quadro della tipologia e dell'estensione dei
possedimenti in quei secoli.

Per tutto l'alto Medioevo la produzione calabrese si fondò


sull'agricoltura che costituiva la prima attività con un riscontro immediato e
sicuro; nonostante ciò negli atti documentari bizantini sono rintracciate anche
altre figure professionali quali calzolai, sarti, fabbri, macellai, fornai. Le
attività connesse a quella tessile dovevano essere ampliamente praticate data
la produzione serica, che almeno nelle prime fasi richiedeva lo scioglimento
del filo con cura ed attenzione dal baco188.

Riteniamo dunque che alla luce di queste considerazioni, l'arrivo di


diverse culture abbia incentivato un lavoro di condivisione e di scambio in
merito alle tecniche di lavorazione. Nei secoli successivi all'XI sec. la

187
(a cura di) A. GUILLOU, ‘’I bizantini...’’ cit., pp. 84-85.
188
Ivi, p. 87.
69
Calabria godrà dei frutti derivanti dalle maestranze siciliane ed arabe
specialmente nell'ambito della lavorazione tessile, insieme a quelle ebraiche
di cui ho già parlato precedentemente. Gli atti ritrovati nei fondi dei
monasteri, considerando che questi godevano ampliamente delle capacità
produttive territoriali, fanno emergere un felice contesto di produzione che
permetteva attraverso le vie del territorio, una vendita regionale,
extraregionale ed anche internazionale attraverso altri intermediari. Tutti
questi fattori portano ad una nuova considerazione della Calabria e
conferiranno un quadro ancora più puntuale in un secondo momento, quando
parlerò in maniera specifica della realtà islamica e dei commerci che
interessavano il nord Africa.

I monaci italo-greci tra VIII e XI secolo

Parallelamente agli stravolgimenti politico-istituzionali, la Calabria


assistette all'arrivo della seconda ondata dei monaci italo-greci tra l'VIII e l'XI
secolo. Dopo il primo arrivo di monaci basiliani dall'Oriente, l'Italia
meridionale conobbe altre ondate migratorie di gruppi religiosi. Le cause
sono state rintracciate inizialmente nella lotta iconoclasta iniziata in Oriente.
Tra i luoghi prediletti per i loro nuovi insediamenti vi erano la legione
romana, quella napoletana e i luoghi vicini. I territori longobardi
specificatamente si erano da tempo convertiti al cattolicesimo, motivo che
favorì l'accoglienza non solo di monaci orientali, ma anche quelli che
vivevano nella terra d'Otranto, in Sicilia e in Calabria meridionale durante il
periodo della lotta iconoclasta. Ritengo sia necessaria una panoramica delle
vicende che riguardarono la vita monastica e la sua organizzazione tra il IX e
l'XI sec., in quanto sono stati proprio i monaci di quel periodo a lasciarci le
fonti più sostanziali per una ricostruzione storica. Per la storia calabrese del
periodo di espansione dell'Islam, infatti, sono fondamentali i resoconti
dell'agiografia, che devono oggi essere riletti alla luce delle opere degli storici
arabi del periodo.

70
Negli anni Novanta del secolo scorso è stata rintracciata una zona
specifica, che dal periodo di Basilio I in poi, fu meta dei monaci italo greci:
la zona del Merkurion189. Altri siti importanti sono stati rintracciati in
Campania attraverso le tracce archeologiche. I centri di ascetismo del
Merkurion e di monte Bulgheria (Cilento) divennero dal IX sec. in poi, la
dimora dei monaci che fuggivano dall'arrivo musulmano. Dalla presenza di
figure particolarmente carismatiche presero vita esperienze differenti
dall'eremitismo dei singoli, a quello di piccoli gruppi, al cenobitismo
basiliano. L'approccio monastico differente ha determinato anche una
differenzazione di tracce sul territorio. Spesso dalla decisione di alcuni
religiosi di vivere all'interno laure distanti dall'ambiente laico, prendevano
vita man mano aggregati di monaci intorno ad una piccola chiesa. Adiacenti
a questa venivano intagliate nella roccia delle celle, o comunque ubicate nelle
zone circostanti, che permettevano di trascorrere una vita eremitica seppur
vicino agli altri monaci. Il cenobitismo però resta l'esperienza più frequente,
molto probabilmente incentivata anche dalle autorità laiche ed ecclesiastiche,
che hanno determinato una diversificazione del territorio dal X sec. in poi190.

All'interno dei Bioi, le biografie dei santi pervenutici, è evidente però


che l'esperienza più stimata fosse quella del monaco che viveva la solitudine
rocciosa affrontando da solo ogni giorno la guerra contro il Male, prendendo
le distanze dalla realtà quotidiana urbana. Le esperienze rupestri hanno
caratterizzato particolarmente la Calabria, la cui conformazione territoriale
permetteva effettivamente la possibilità di vivere in luoghi appartati ed ameni,
sull'esempio delle esperienze monastiche orientali vissute nel deserto. Il
monachesimo ellenofono fu dunque caratterizzato da due tipologie sostanziali
di esperienza: quella esicasta e quella cenobita191. Dalle opere agiografiche
però si percepisce il clima di mancata approvazione da parte dei monaci
eremiti nei confronti dell'organizzazione cenobitica. Le diverse forme di vita

189
Zona alle pendici del Pollino nel territorio calabrese confinante con la Lucania dove per
secoli si sviluppò il monachesimo greco-orientale.
190
F. ZAGARI, ‘’La cultura materiale del monachesimo…’’ cit., p. 2
191
E. MORINI, Il fuoco dell'esichia. Il monachesimo greco in Calabria fra tensione
eremitica e massimalismo cenobitico, in (a cura di) P. DE LEO, San Bruno di Colonia: un
eremita tra Oriente e Occidente, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2002, p. 13.
71
monastica da quella anacoreta, esicastica192, a quella lavriotico193-
cenobitiche194 determinarono un utilizzo degli spazi differenti. Per la vita
eremitica dunque la grotta è la traccia più evidente. In Calabria sono state
localizzate sempre nei pressi di un centro urbano e definite dall'archeologia
χορία. Ad oggi però solo l'area di Rossano ha manifestato le caratteristiche
proprie dell'insediamento rupestre, posto accanto all'area urbana con annessa
necropoli scavata nella roccia con tipici intagli per la copertura195. É da
considerare però che molte tracce di questi insediamenti sono state rimosse
negli anni dalle frane e da altri fenomeni naturali, che hanno compromesso il
ritrovamento di insediamenti di questa tipologia196.

Dai Bioi si sono potute estrapolare delle informazioni in merito ad


alcune zone di insediamento. Sappiamo ad esempio che a causa del grande
seguito di Elia lo Speleota (864-960), il monaco Cosma dovette ingegnarsi
nella costruzione di altre grotte, nonostante la difficoltà del terreno franoso.
Nacque così la Cattolica nei pressi di Reggio intitolata a S. Pietro e S. Paolo.
In seguito con l'aiuto di altri monaci vennero costruite anche un mulino e una
salina197. L'agiografia riferisce di diversi monaci che vissero almeno un
periodo da eremiti: Elia il Giovane visse per dieci anni presso Mesiano (CZ)
sui monti, Vitale di Sicilia (950 circa) visse presso Santa Severina, ma prima
di fondare due monasteri, si ritirò in una grotta presso Armento. San Nilo
anche risiedendo nel cenobio di San Demetrio Corone, si appartava spesso in
una grotta nelle vicinanze, così come aveva vissuto precedentemente in una
spelonca nel Merkurion. Nel bios di San Saba e Macario alla fine del X sec. i
monaci trascorrevano una vita eremitica nelle capanne o nelle caverne nei
luoghi vicino al Monastero. L'arco di tempo tra il IX e l'XI secolo corrisponde
in Calabria alla rinascita della Magna Grecia con un ritorno evidente della

192
Ibidem: dal greco ἡσυχία, pace, tranquillità.
193
I monaci lavrioti obbedivano ad un superiore, l'hegoumenos, che consentiva ai monaci di
vivere da eremiti cinque giorni a settimana per poi ritrovarsi con i compagni del cenobio il
sabato e la domenica per la celebrazione della liturgia.
194
(a cura di) P. DE LEO, San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, Soveria
Mannelli, 2004, p. 19.
195
A. COSCARELLA, Strutture rupestri in Calabria in (a cura di) A. JACOB, J. MARTIN,
G. NOYé. Histoire et culture dans l'Italie byzantine, Roma, 2006, p. 490-497.
196
F. CUTERI, ‘’Insediamenti rupestri...’’ cit., p. 407.
197
Ivi, p. 407.
72
cultura ellenistica. Questo stesso momento fu anche un periodo in cui il
monachesimo ellenofono risulta essere già un'importante componente
riconosciuta dell'Impero bizantino. Nonostante le estensioni dell'impero
infatti sono stati riconosciuti tratti comuni specialmente nell'ambito della
liturgia, che si rispecchia nelle analoghe esperienze di congregazione
dell'organizzazione monacale. Si è dunque parlato di una κοινή monastica che
in alcuni casi si è distinta per particolarismi, ma che si pose sempre in linea
con il carattere monastico in tutto l'Impero dei Rum.

Il monachesimo calabrese nacque sostanzialmente con una vocazione


eremitica, per concludersi poi con le esperienze cenobitiche. Ad esempio, nel
bios di Elia lo Speleota, fondatore del monastero nelle Saline, la sua figura e
quella del discepolo Daniele mettono in ombra l'azione della comunità
monastica. Anche nei bioi di S. Nilo (Nicola da Rossano) fondatore del
monastero di Grottaferrata, e di S. Fantino il nuovo198 troviamo dei riferimenti
a quel periodo di crisi dell'abito monacale, raro ed anche disprezzato. Infatti,
nella « Vita niliana » si evince la critica nei confronti dello stile di vita
monastico praticato nei cenobi del Merkurion. Ed anche nella di Vita di S.
Fantino troviamo espressa la necessità della riforma cenobitica199. Il giusto
compromesso furono le laure200 eremitiche concentrate nei pressi del
cenobio201. Il territorio calabro-lucano accolse, specialmente in seguito
all'arrivo musulmano, molte personalità ascetiche. Ad esempio, Elia il
Giovane ed Elio lo Speleota, i quali si rifugiarono nella zona di Gioia Tauro,
dove fondarono i loro monasteri, il primo nei pressi di Seminara e il secondo
nei pressi di Melicuccà. Mentre nella zona settentrionale della Calabria è

198
Per un approfondimento della figura di S. Fantino il Giovane: E. FOLLIERI, La vita
inedita di S. Fantino il giovane nel codice Mosquensis 478, in Atti del IV congresso storico
calabrese, Napoli, 1969.
199
S. Fantino un giorno entrato all'interno di una comunità di un Elia senza essere
riconosciuto, si accorse che ogni monaco viveva la propria esperienza ascetica
anarchicamente, sviando dal principio di condivisione proprio del cenobio; E. MORINI, ‘’Il
fuoco dell'esichia...’’ cit., p. 16.
200
La laura era sostanzialmente una gola, una grotta in cui i monaci si insediavano. Di questo
termine è rimasta traccia in diverse località del meridione e della Calabria, ad esempio, Lauria
in provincia di Cosenza. In merito al VI e VII sec. sono state ritrovate delle grotte ma è stato
dimostrato che esse fossero di origine laica, risalenti al periodo di spostamento della
popolazione dalla costa verso l'entroterra. Nei secoli successivi invece queste grotte vennero
ingrandite con la creazione anche di una chiesa adiacente.
201
; E. MORINI, ‘’Il fuoco dell'esichia...’’ cit., p. 16.
73
risultata evidente la condizione cenobitica nella zona del Merkurion, tra
Laino, Scalea e Orsomarso. Qui agirono S. Saba il Giovane, padre Cristoforo
e il fratello Macario, su cui la tradizione agiografica non ha lasciato molte
testimonianze. Al contrario abbiamo molte informazioni sull'azione di S. Nilo
presso Rossano e Leone-Luca da Corleone che si stabilì presso Cassano allo
Jonio, dando vita ad un cenobio molto popolato202.

Le comunità monastiche nel tempo ottennero anche un potere


economico importante nei territori in cui erano insediati. Crescendo il numero
dei terreni dal coltivare, i monaci vennero pian piano affiancati dal lavoro dei
laici che abitavano nelle zone circostanti. I monasteri erano economicamente
autosufficienti. Il possesso di terre è ben documentato nel IX sec. con un
incremento della produzione agricola nell'eparchia delle Saline ad esempio,
guidato dai metochia203, ovvero, piccoli monasteri posti a capo della gestione
terriera fondati presso i choria204. I monaci erano inoltre portatori di nuovi
metodi di conduzione agricola, sfruttando il territorio non solo con la
pastorizia. Le agiografie del periodo riferiscono delle azioni di risanamento
dei terreni e di un'ottima produzione di grano, vino, olio, beni primari.
L'attività che maggiormente coinvolgeva i monaci in Calabria, Lucania,
Puglia, Sicilia, verso la metà del X sec. era l'agricoltura. Il loro lavoro diede
inizio ad un cambiamento del territorio affinchè aumentassero le zone
coltivabili. Importante fu l'azione di che S. Saba e Macario che promossero
una grande azione di dissodamento dei terreni della zona del Merkurion, e di
Elia da Enna, che agì nella zona delle Saline, sempre in Calabria. I monaci
giunti nei luoghi prescelti, bruciavano la vegetazione presente per rendere il
terreno coltivabile, di cui usufruivano personalmente, il che ci evidenzia le
loro capacità e conoscenze nel settore agricolo205.

La comunità monastica non era solo avvezza a lavori manuali, ma


anche intellettuali. I monaci si dedicavano anche alla produzione e

202
E. MORINI, Monachesimo greco in Calabria. Aspetti organizzativi e linee di spiritualità,
Bologna, 1999, pp. 8-19.
203
Nella chiesa ortodossa: una chiesa autocefala.
204
F. ZAGARI, La cultura medievale..., op. cit., pp. 2-3.
205
(a cura di) A. GUILLOU, ‘’Il Mezzogiornp…’’ cit., pp. 49-50.
74
trascrizione di codici, alla poesia e in particolare anche all'arte orafa. Si
dedicavano a dare conforto alla popolazione e assistenza spirituale durante le
calamità naturali o derivanti dalla guerra206. Tra il IX e il X sec. la Calabria
visse il momento più importante per l'arrivo di moltissimi monaci di origine
siciliana. All'arrivo dei monaci siciliani quali s. Elia di Enna, s. Vitale di
Castronuovo, s. Saba e s. Macario di Collesano, s. Leone di Corleone, s. Luca
di Demena, s. Giovanni Terista, essi trovarono già delle strutture monastiche
presso Cassano allo Ionio, Reggio e Potenza in Basilicata.

Nonostante le informazioni agiografiche è stato difficile individuare


fisicamente i luoghi degli insediamenti. L'archeologia però ha individuato
delle zone prescelte quali Rossano, Timpa dei Santi (Caccuri), Stalettì,
Zungri, Monte Consolino presso Stilo, Parrere presso Gerace207. Di queste
esperienze abitative sono giunte anche delle testimonianze di pittura rupestre.
Le rappresentazioni raffiguravano delle scene di cui erano protagonisti gli
stessi monaci eremiti. Dalla prima metà dell'XI sec. le notizie sul
monachesimo italo greco non risalgono più soltanto alle opere agiografiche,
ma fanno riferimento anche agli atti di tipo giuridico amministrativi. Nel
brebion reggino sono stati ritrovati quaranta monasteri citati. Nella Calabria
meridionale infatti sono stati rintracciati quello di S. Leonzio presso Stilo,
quello di S. Nicodemo a Grottaria presso Mammola. I monasteri nella regione
furono un'importante realtà anche produttiva quasi esclusivamente agricola;
tra il X e l'XI secolo il territorio di S. Niceto è ricordato nelle fonti per le
rendite agricole provenienti da vigneti e dai gelseti. Per quanto riguarda la
coltura dei gelsi era necessari grandi appezzamenti di terreno e una grande
lavorazione, ma risulta ampliamente dall'XI sec. in poi come la più grande
fonte di rendita per la provincia di Reggio208. Durante il X sec. la zona del
Merkurion intorno al gastaldato di Cassano vi fu un contesto culturale e
religioso tale da garantire la nascita e la formazione di importanti figure, quali

206
Si distinsero per questo alcuni santi come S. Nilo da Rossano o Nicodemo di Cirò, Elia
da Reggio; cfr. B. CAPPELLI, ‘’Il monachesimo...’’ cit., pp. 16-30.
207
Per un approfondimento dei maggiori siti rupestri di origine sia religiosa che laica: A. di
Muro, Il popolamento rupestre in Calabria., in Le aree rupestri dell'Italia centro-
meridionale nell'ambito delle civiltà italiche: conoscenza, salvaguardia, tutela. Atti del IV
Convegno internazionale sulla civiltà rupestre Bari 26-28 novembre 2009, Spoleto, 2011.
208
F. MARTORANO, Santo Niceto nella Calabria medievale, Roma, 2002, p. 20.
75
San Gregorio e San Pacomio di Cerchiara. In seguito, poi la presenza di San
Nilo di Rossano attirerà sulla Calabria l'attenzione di Roma e dell'impero
ottoniano209.

209
G. NOYé, ‘’La Calabre entre Byzantins…’’ cit., p. 94.
76
II La nascita dello spazio commerciale islamico nel
Mediterraneo

Da Arabi a Musulmani: il primo confronto con il mondo cristiano

Coerentemente con la descrizione del periodo tardoantico che ho


redatto in merito alla pars occidentalis, ritengo che lo stesso excursus,
seppure breve, sia necessario per illustrare il contesto di nascita dell’Islām e
della predicazione di Muḥammad.

Agli inizi del VII sec. l'Islām si inserì tra l'impero Bizantino e l'impero
Sasanide, le due potenze che in quei secoli determinavano le dinamiche dello
spazio occidentale e soprattutto si confrontavano in numerose guerre tra Siria
ed Iraq. I Sasanidi erano riusciti a raggiungere città quali Antiochia,
Alessandria, Gerusalemme, e per un periodo si erano spinti fino alla zona sud
ovest dell'Arabia nei pressi dello Yemen210. Bisanzio d'altra parte aveva
ereditato il confronto con queste realtà, precedentemente portato avanti
dall'impero Romano211, il quale aveva ottenuto il monopolio su tutto il
Mediterraneo.

Diodoro Siculo (I sec. a.C.) e Strabone (m. I sec. d.C.) ci hanno lasciato
delle informazioni discordanti a proposito delle genti che abitavano quei
luoghi, ovvero, gli Arabi212. Diodoro basandosi sulla descrizione di
Hieronimus di Cardia li aveva descritti come nomadi intraprendenti, fieri e
soprattutto abili a vivere in situazioni difficili date dalla mancanza d'acqua.
Al contrario Strabone, rifacendosi alle parole di Agatarchide di Cnido, li

210
A. HOURANI, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai giorni nostri, Milano, 1992, p.
13.
211
I Romani, infatti, nel I sec. a. C. avevano raggiunto le zone dell'ex impero seleucide, che,
sorto alla morte di Alessandro Magno, era rimasto fiorente fino al 63 a. C. quando venne
conquistato da Pompeo. Pompeo aveva inviato in Siria dei rappresentanti dell’impero
romano, Quinto Cecilio Metello Nepote e Lollio, i quali presentarono Roma come liberatrice
dell’Oriente dal giogo seleucide. Venne fondata così la provincia romana della Siria. In
seguito con l'impero augusteo gli obiettivi divennero maggiori. L'imperatore voleva
impossessarsi del Regno di Saba, nel sud dell’Arabia, affinchè Roma potesse ottenere il
monopolio delle vie commerciali sul Golfo Persico. Nel 106 d.C. Traiano riuscì ad annettere
il Regno dei Nabatei assicurandosi un collegamento continuo dall’Egitto alle province
asiatiche; G. WARREN BOWERSOCK, Roman Arabia, Londra, 1983, pp. 12-16.
212
Ibidem.
77
aveva descritti come popoli sedentari. La contraddizione delle loro
affermazioni dipenderebbe però dal tenore di vita differente degli arabi a
seconda della zona in cui abitavano. In base alle caratteristiche del territorio
vivevano stabilmente in un luogo, oppure si spostavano cercando di volta in
volta un luogo adatto in cui fermarsi. Altri seguivano le vie principali della
vendita di incenso e mirra provenienti dalla zona più interna, l’Arabia felix
(odierno Yemen)213. Gli Arabi erano già noti a Roma dal III secolo.

Nonostante siano state ritrovate poche fonti, esclusivamente


epigrafiche, si è cercato di ricostruire l'identità di questi popoli nel periodo
preislamico. All'inizio del XX sec. gli archeologi rintracciarono presso
Nemara214, località siriana non molto distante da Damasco, un'epigrafe in cui
vi era scritto: ''Questo è il monumento funebre di Imru’l-Qays, figlio di 'Amr,
re degli arabi''215. Essa ha aperto un'importante riflessione sulla
consapevolezza della popolazione araba pre-islamica, dibattito inseritosi nel
discorso più ampio concernente la vita delle popolazioni della penisola
arabica prima della predicazione di Muḥammad. Questa inscrizione ha fatto
emergere il fatto che questi popoli fossero già uniti da legami politici, sociali,
culturali ancora prima dell’Islam. Inoltre, il riscontro dell'utilizzo della lingua
araba antica in un periodo in cui le lingue utilizzate per le scritture ufficiali
erano il greco e l'aramaico, ha evidenziato che questi popoli volessero
affermare la propria l'identità. Un altro elemento importante è l'aver
rintracciato già da allora l’utilizzo del termine ''arabi'' o ''saraceni'', dove il
primo indicava gli abitanti della provincia d'Arabia ed il secondo la
popolazione nomade216.

213
Ivi, p. 14.
214
L'iscrizione di Nemara è attualmente conservata al museo del Louvre e rappresenta il
monumento più antico della lingua araba, datato al 329 d.C. Rispetto ad altre attestazioni
nabatee e giudaico-nabatee dello Hiğaz essa possiede un ductus conservatore ed alcune
peculiarità non rintracciate in altre iscrizioni; G. LACERENZA, Nabateo e origini della
scrittura araba. A proposito di una recente pubblicazione, in <<SEL>>, 13, 1996, pp. 109-
120: p. 118.
215
M. GUIDETTI, Vivere tra i barbari, vivere con i Romani: Germani e Arabi nella società
tardo-antica. IV-VI secolo, Jaka Book, Milano, 2007, p. 57.
216
R. HOYLAND, Arab kings, Arab tribes, Arabic texts and the beginnings of (Muslim) Arab
Historical Memory in Latte Roman Inscriptions, in (a cura di) H. COTTON, R. HOYLAND,
J. PRICE, D. WASSERSTEIN, From Hellenism to Islam: Cultural and Linguistic change in
the Roman Near East, Cambridge, 2009, pp. 374-400.
78
Ammiano Marcellino scriveva:

''Ma i Saraceni, non desiderabili mai nè amici nè avversi, correndo qua e là in breve
momento di tempo guastavano tutto quello che si poteva trovare; somiglianti a nibbj
rapaci, i quali adocchiata da alto la preda, calano con impeto e la gherniscono, o
se non possono impadronirsene, fuggono immantinente. [...] Nessuno di loro mette
mano all'aratro, o pota alberi, o zappa la terra per vivere, ma vanno sempre
vagabondi per immensi paesi, senza case, nè sedi nè leggi fisse: nè tollerano
lungamente un medesimo ciclo, nè mai si dilettano di un solo spazio di terra. La vita
loro è come una continua fuga. [...] finchè vivono sono sempre in viaggio; di
maniera che la donna si marita in un luogo, partorisce in un altro, e in un altro
nutrisce i figliuoli, senza trovar mai riposo. Il loro vitto è carne di fiere e gran copia
di latte e varie erbe, e uccelli se ne possono pigliare; e noi ne abbiamo veduti assai
che ignoravano affatto l'uso del grano e del vino'217.

La descrizione latina di queste popolazioni tende ad assumere un tono


dispregiativo nei confronti del loro modus vivendi, nonostante questo Roma
dovette obbligatoriamente stringere alleanza con loro per fronteggiare il
pericolo sasanide. Per questo motivo i romani strinsero patti con i capi dei più
importanti gruppi saraceni, che dall'essere una barbara presenza divennero un
gruppo fondamentale per gli interessi dell'impero. Ne sarebbe prova
l'adozione progressivamente del termine philarca, che inizialmente indicava
il capo di una tribù, mentre in seguito, nel periodo bizantino indicherà uno dei
funzionari nei ranghi dell'amministrazione218. L'inserimento dal IV sec. di
rappresentanti delle tribù nel sistema amministrativo romano costituì una
tattica per ottenere maggiore fiducia da parte degli arabi. Questo rapporto tra
l'impero e i regni clientes determinò uno scambio politico, sociale, culturale
ed economico, che distaccò la realtà araba dal suo status di isolamento,
inserendola nel vivace contesto mediterraneo. Nel VI sec. gli arabi vennero
definitivamente coinvolti nello scontro tra i due imperi che puntavano al
monopolio sul Mar Rosso.

217
(a cura di) F. AMBROSOLI, Le storie di Ammiano Marcellino, Milano, 1829, pp. 11-12.
218
R. HOYLAND, ‘’Arab kings, Arab tribes, Arabic texts...’’ cit., p. 380.
79
Nel mondo antico la penisola arabica veniva sì indicata con il termine
di Arabia, ma includeva almeno tre zone differenti: Arabia Petrea, Arabia
Deserta, Arabia Felix. L’Arabia Petrea corrispondeva alle odierne
Giordania, Siria meridionale, penisola del Sinai e Arabia nord-orientale
quindi l’ex Regno Nabateo219. L’Arabia Felix corrispondente alla zona
meridionale della penisola arabica era nota per essere un’area di importante
transizione commerciale. Di questa zona strategica economicamente si erano
serviti i Nabatei, intercettando le vie commerciali che, attraversando il sud
della penisola, proseguivano verso il Mediterraneo occidentale220. Tra la zona
sud e quella nord vi era l'Arabia Deserta. L’Arabia Deserta era una realtà
isolata le cui caratteristiche avevano inibito l’arrivo di popolazioni
dall’esterno. Essa infatti era caratterizzata da ostacoli naturali ed infertilità
del territorio, che l'avevano resa solo una terra di passaggio per le popolazioni
nomadi. La società preislamica era formata da tribù sedentarie e tribù nomadi,
le quali collaboravano vicendevolmente. Le popolazioni stabili acquistavano
dai nomadi prodotti di origine animale o pecore, capre, cavalli, mentre i
nomadi si appoggiavano a loro per le loro produzioni agricole e per l'acquisto
di manufatti utili per la vita nel deserto.

La società preislamica si contraddistingueva per un carattere arcaico, fondato


su principi antichi e credi pagani, dedita alla produzione e al commercio a
seconda delle attività cui si prestavano le differenti zone della penisola221. Il
contesto preislamico è stato definito come l'età della ğāhilīyya, letteralmente
l'età dell'ignoranza, della barbarie. Il messaggio di Muḥammad dunque non
ebbe solo una valenza religiosa, ma soprattutto sociale. Egli infatti unì il
popolo della penisola arabica, costruì una nuova società, basandola su una

219
La storia dei Nabatei è quella più nota per quanto riguarda le popolazioni dell'arabia
preislamica. Nonostante i molteplici studi a riguardo, anche sulla loro storia vi sono diverse
lacune. Spesso si intreccia con le vicende della Giudea e delle popolazioni nomadi e
seminomadi dell'Hiğaz; cfr. G. LACERENZA, L’Arabia preislamica, in (a cura di) A.
BARBERO, Storia d’Europa e del Mediterraneo, 7, 3, L’ecumene romana. L’impero tardo
antico, Roma, 2009.
220
Ivi, p. 387.
221
F. DONNER, The Role of Nomads in Near East in Late Antiquity (400-800 C.E.), in (a
cura di) F. M. CLOVER, R. S. HUMPHREYS, Tradition and Innovation in Late Antiquity,
Londra, 1989, pp. 73-85.
80
morale condivisa222. Gli « arabi » conosciuti dai Romani erano dunque quelli
che vivevano in Siria, Palestina, Giordania, Transgiordania, fino al nord della
Penisola Arabica. Il potere di Roma infatti non si era addentrato nelle regioni
desertiche, nel cuore della penisola, ma aveva stretto rapporti diplomatici con
degli « stati cuscinetto », i foederati nativi arabi, i Ghassanidi, che
occupavano la zona nord ovest. A tutelare invece l'Arabia dalla spinta
sasanide vi erano i Lakhmidi sulla zona est223.

Questi principati mediavano con i due imperi, le cui mire puntavano


alle importanti vie commerciali che attraversavano la penisola, oltre agli
sbocchi sul Mar Rosso e nel Golfo Persico, che intercettavano i commerci
provenienti dall'estremo oriente e creavano vie di collegamento verso il
Mediterraneo. Sull'importanza dei commerci nella zona dello Hiğaz sono stati
svolti diversi studi nei quali si ipotizza che la Mecca venne individuata da
Muḥammad come centro della predicazione proprio per il suo
commerciale224. In realtà, alla luce di studi più recenti la Mecca non pare
costituisse proprio un centro di beni di lusso, ma di produzioni piuttosto umili
e soprattutto non si trovava in una posizione favorevole rispetto alle altre linee
commerciali, come lo era ad esempio la città di Ta'if225.

Il substrato sociale che caratterizzava questi luoghi era dunque vario e


differente. Vi erano popolazioni sedentarie e popolazioni nomadi o
seminomadi a seconda delle zone della penisola. Questo era il contesto in cui
si inserì il messaggio coranico tramite Muḥammad. La popolazione era dedita

222
Cfr. P. WEBB, Al-jahiliyya: uncertain times of uncertain meanings, in « Der Islam », 91
(1), Londra, 2014, pp. 69-94.
223
P. BRANCA, Pagine di letteratura araba, Milano, 2009, p. 13.
224
Per approfondire: W. MONTGOMERY WATT, Muhammad at Mecca, Oxford, 1953;
Watt sosteneva che la Mecca in origine fosse un centro fiorente, grazie alla presenza del
santuario, e luogo di approdo delle carovane. Questo contesto avrebbe stimolato il transito di
idee e la crescita economica, comportando un fiorire della società e di conseguenza terreno
fertile per la nascita dell'Islam. Patricia Crone, al contrario, non è d'accordo con questa
visione della Mecca come cuore pulsante economico. Innanzitutto, la Mecca non
comparerebbe nelle fonti extra islamiche del VI e VII sec.; la rotta Yemen-Mecca era soltanto
una via alternativa a causa del conflitto tra Bisanzio e i Sasanidi. Oltre alla sua peculiare
infertilità del territorio. La Crone inoltre ha risposto alla teoria di Watt dicendo che le fonti
da lui utilizzate si riferiscono alla Mecca tra il I e il III sec., un periodo molto precedente agli
eventi del VII sec.
225
Sostenitori di questa teoria che ha indebolito il valore commerciale della Mecca, sono stati
Patricia Crone e Michael Cook nel loro saggio Hagarism: the making of islamic world
(1977).
81
principalmente all'agricoltura e alla pastorizia, alle quali si affiancavano i
guadagni lungo le reti commerciali del Vicino Oriente. Il commercio
costituiva dunque un’attività molto importante per la regione, per questo
molti studi sono stati avviati sul significato economico della Mecca.
Inizialmente considerando le fonti arabe (molte delle quali risalgono ad un
periodo successivo alla predicazione) propongono una visione della Mecca
come uno dei cuori pulsanti del commercio della Penisola Arabica, insieme
con altre città quali Yatrib (futura Medina) e Ta'if. Le recenti posizioni invece
hanno smentito questa posizione derivante dall’utilizzo di fonti orientate a
conferire l’idea di una città fiorente al luogo di nascita dell’Islam. Al contrario
invece Medina risulta fosse stata una città molto produttiva, motivo che
avrebbe indotto Muḥammad a proseguire lì la sua predicazione226. Le
differenze sociali tra ricchi e poveri favorirono l'appoggio al nuovo credo,
basato su principi di uguaglianza, andando a sostituire le diffuse credenze
pagane, conferendo un nuovo ordine sociale227.

Il primo ğihad

L’Arabia preislamica era dunque luogo di floridi commerci, giustificati dalla


posizione geografica della regione tra Oceano Indiano e Mar Rosso. Per questo
motivo la tradizione ha tramandato anche diversi episodi della vita del Profeta
connessi con il mondo commerciale e dei mercanti, contesto in cui si inserisce
anche il suo matrimonio con Ḫadiğa importante mercantessa appartentente ai
Banū Quraīsh228. Muḥammad apparteneva alla stessa tribù, nota per le relazioni
commerciali con la Siria e con l’Arabia sudoccidentale229. L'islam dunque
come nuovo credo religioso e come rivoluzione sociale ebbe inizio nell'Hiğaz
sul versante ovest della penisola arabica. I popoli di questa zona iniziarono a
muoversi modificando i confini del Vicino Oriente a scapito dei due imperi

226
Cfr. P. CRONE, Meccan trade and the rise of Islam, Oxford, 1987.
227
Per un approfondimento sul Corano: A. DE PRéMARE, Alle origini del Corano, Carocci,
Roma, 2014.
228
G. VERCELLIN, Islam. Fede, legge e società, Firenze, 2003, p. 9.; L. GARDET, Gli
uomini dell’Islam, Milano, 2002, p. 25.
229
A. HOURANI, ‘’Storia dei popoli...’’ cit., p. 18.
82
esistenti. Alla morte del Profeta, i Rašidūn, ovvero coloro che successivamente
saranno definiti dalla tradizione i « Califfi ben guidati », portarono
energicamente avanti l'espansione territoriale enfatizzata dall'importanza della
divulgazione del messaggio di Allah. Nella prima fase i musulmani si
occuparono dei territori dell’Asia centrale e di quelli a ridosso dell’Oceano
Indiano, i quali avrebbero permesso di intercettare anche le rotte commerciali
provenienti dal Levante. L'espansione proseguì lungo le rotte stabilite per i
commerci diretti verso Occidente, iniziando però ad organizzare le prime
spedizioni nel Mediterraneo. Precedentemente Roma aveva sì esteso i limiti dei
suoi commerci, ma non era andata oltre i deserti africani e quelli arabici,
nonostante i contratti commerciali stipulati con le popolazioni a nord del
Danubio e ad est del Reno, rinunciando ad espandersi oltre questi confini.

Nel momento in cui i musulmani conquistano la sponda meridionale dal


VII sec. creano una rete commerciale transahariana senza precedenti, ma oltre
ad estendersi nel continente africano, essi procedettero verso l’Oceano Indiano.
Tra l’VIII e il X sec. in realtà le frontiere mediterranee furono instabili e
soggette a cambiamenti frequenti, mentre le strade dell’Oceano Indiano dal
Mar Rosso e dal Golfo Persico, da Zanzibar fino all’India erano completamente
sotto il controllo musulmano230.

I primi combattenti sotto la guida di capi carismatici riuscirono anche


se con azioni mancanti di un progetto preciso, ad ottenere importanti vittorie.
Così in breve tempo essi vinsero in Mesopotamia e in Iran, per poi sbaragliare
i bizantini in Palestina e sullo Yarmouq. Allora procedettero verso Ctesifonte
in Iraq e verso Damasco capitale bizantina. Le maggiori difficoltà di riuscita
si avevano nelle zone portuali del litorale siriano e palestinese, dove la
popolazione riceveva dal mare l’aiuto bizantino. Per gestire il territorio pian
piano acquisito il califfo era aiutato da governatori che controllavano le zone
periferiche. Nei primi decenni però l’organizzazione califfale non era tale da
poter mantenere il controllo su tutti i territori conquistati, ma le campagne
militari avevano avuto risultati positivi, non solo perché motivate dal ğihad,

230
M. AYMARD, Il Mediterraneo e la Sicilia: un mare dai confini ‘’variabili’’ nel lungo
periodo della storia, in Incontri, 1, ott.-dic., 2012, pp. 4-6.
83
ma anche dalla necessità di ottenere cospicui bottini e grandi numeri di
schiavi231. Sarebbe superficiale ritenere che i musulmani combattessero
esclusivamente in nome del nuovo credo e dell’espansione del messaggio
coranico. Alla base delle loro vittorie vi era anche il desiderio di acquisire
nuovi territori, giustificato da una delle antiche istituzioni tribali, la ġazwa, la
razzia. La società preislamica, infatti, organizzata in tribù aveva un forte
carattere predatore, che aveva anche impedito inizialmente la formazione di
organizzazioni politiche rispetto alle confederazioni tribali. La razzia era
necessaria per procurarsi mezzi di sostentamento e cammelli, ed era talmente
importante da essere regolata da un vero e proprio codice di leggi. Questo
principio venne mantenuto anche successivamente durante l’espansione
islamica, tanto che i combattenti per l’Islām venissero non solo definiti
muğādid, ma anche ġāzī ovvero ‘’predatore, razziatore’’232.

Le iniziative musulmane non erano comunque casuali, ma spesso


riuscirono a sfruttare a proprio vantaggio situazioni fortuite e favorevoli.
Questi gruppi armati seguivano personalità carismatiche ovvero i califfi
prescelti in rappresentanza della Umma233, la comunità dei credenti.
Effettivamente l'espansione islamica procedette celermente: gli arabi si
ritrovarono con un potere che dal cuore del Vicino Oriente giunse fino ad
Occidente nella Penisola Iberica, affacciandosi fino all'Oceano Atlantico234.
Gli interessi islamici inizialmente erano particolarmente orientati verso
l'Oceano Indiano su cui si affacciava la Penisola Arabica.

In seguito, quando divenne prioritario affrontare Bisanzio, il


Mediterraneo rappresentò il cuore dei loro interessi per sbaragliare i poteri
d'Occidente. La marcia dell'Islam, inteso non come credo religioso, ma come
potere politico e militare, percorse alla morte del Profeta gli stessi itinerari
che precedentemente assistevano al via vai dei commerci nel Vicino Oriente.
La penisola dell'Hiğaz infatti era nota agli imperi che gravitavano lungo le

231
S. FREDERICK STARR, L’Illuminismo perduto. L’età dell’oro dell’Asia centrale dalla
conquista araba a Tamerlano, Torino, 2017, p. 129.
232
G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, 2002, p. 83.
233
Per un approfondimento: G. VERCELLIN, ‘’Istituzioni…’’ cit., p. 15.
234
(a cura di) F. GABRIELI, U. SCERRATO, Gli arabi in Italia, Garzanti-Scheiwiller,
Milano, 19852, pp. 26-27.
84
rotte commerciali, tra questi ovviamente Bisanzio235. Subito dopo la morte di
Muḥammad, il quale non aveva designato eredi al suo ruolo, la città di Medina
assistette alla prima crisi a causa delle lotte intestine (le guerre della ridda).
Esse scoppiarono a causa del malcontento dei cittadini che in seguito alla
morte del Profeta, non ritenevano di dover essere vincolati alla causa
islamica. A fermare le ribellioni fu Abū Bāhr (632-634) il quale riuscì a
placare la situazione, sì che i primi gruppi islamici iniziarono a muoversi oltre
i loro confini.

La conquista dell’Asia centrale

Prima ancora di muoversi verso Occidente, i musulmani si diressero


verso la zona dell’Asia centrale. L’Asia centrale costituiva il fulcro dei
collegamenti diretti in ogni direzione, da est a ovest e viceversa. Essa aveva
attirato nel millennio precedente l’interesse dei Persiani, dei Greci, dei Cinesi,
dei Turchi, i quali però una volta sottomessa la popolazione erano costretti ad
affidare agli autoctoni le funzioni governative, lasciando dunque libera ogni
possibilità di ribellione dei locali, senza possedere una forza militare tale da
fermarli. L’arrivo arabo, invece, portò con sé nuove dinamiche di conquista
che determinarono sì numerose guerre, cui seguì però una fase lenta di
islamizzazione che comportò un importante fioritura intellettuale236. La
regione dal III all’VIII sec. era al centro di una grande crescita commerciale
e conseguente espansione urbana. Una di queste città era Merv, antica capitale
dell’Impero achemenide e il più grande nucleo urbano a est della
Mesopotamia, specializzata in produzioni manifatturiere. Qui gli artigiani
lavoravano in particolar modo l’acciaio temprato e il cotone colorato che si
vendeva in Cina e nel Mediterraneo237.

235
C. PICARD, Il mare dei califfi: Storia del Mediterraneo musulmano (secoli VII-XII),
Roma, 2017, p. 191.
236
S. FREDERICK STARR, ‘’L’Illuminismo perduto…’’ cit., p. 127.
237
Ibidem.
85
Islam e Bisanzio nel VII secolo

Alla morte Abū Bāhr nel 634 successe Umār II, il quale riuscì a
conquistare tre luoghi fondamentali: Damasco238, Gerusalemme e l'Egitto. La
presa di Damasco significava la presa della capitale bizantina e il controllo
sui mercati siriani specializzati nella vendita di spezie e profumi239.
Altrettanto anche Gerusalemme e ovviamente l’Egitto godevano di floridi
commerci. Quest’ultima, inoltre, dopo la cacciata persiana non aveva
recuperato interamente i rapporti con Bisanzio, in quanto l’impero aveva
inasprito i rapporti a causa delle dispute religiose e della politica fiscale
oppressiva, favorendo i conquistatori240.

La perdita dell’Egitto voleva dire una diminuzione


dell’approvvigionamento di grano per Bisazio, che già durante gli scontri con
i Persiani aveva dovuto eliminare la distribuzione gratuita del pane. Preso
l’Egitto i musulmani avrebbero potuto raggiungere anche Costantinopoli,
possibilità temuta particolarmente dall’imperatore bizantino Eraclio (610-
41)241, consapevole del fatto che si potesse senza ostacoli raggiungere la
capitale partendo da Cartagine242. Egli fu l’ideatore della « riforma tematica »
che cambiò completamente l’impero bizantino, prevedendo che il territorio
venisse suddiviso in themata. Secondo questa riforma i contadini erano

238
''Anno vero imperii Heraclii 25 Saraceni aciem direxerunt in Arabiam contra partes
Damasci, cum essent multitudinis infinitae, quo Bahanes comperto ad imperialem
sacellarium mittit, ut veniret cum exercitu sue in auxilium sibi cum plurima esset Arabum
copia. Venit ergo sacellarius ad Bahanem; qui profecti ab Hernesa occurrunt Arabibus et
consilio facto prima die, quae tertia feria hehdomadis erat, mensis Loi die vicesima tertia,
superantur hi qui circa sacellarium sunt inventi. simultate autem facta, hi qui eum Bahane
erant Bahanum provehun imperatorem et Heraclium respuunt. Tunc hi qui cum sacellario
fuerant discesserunt, et Saraceni aditu reperto bellum ineunt. Inter haec vente noto contra
Romanos spirante, non valentes inimicis in facie occurrere propter pulverem, separantur et
semet ipsos imminentes in artas vias Hiermuchthi fluminis illic penitus perierunt. Erant
autem utriusque praetoris milia quadraginta. Tunc Saraceni splendide triumphantes contra
Damascum veniunt, et hanc capiunt et regiones Phoenicis et habitant illic, et in Aegyptum
aciem dirigunt.'' (a cura di) JOHANNIS CLASSENI, Theophanis, Chronographia, in
Corpus Scriptorum Historiae Byzantinae, II, Bonnae, 1841, p. 167.
239
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 240.
240
M. DI BRANCO, ‘’Breve storia…’’ cit., p. 87.
241
Cfr. M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, I, Firenze, 1854, p. 108; Su Eraclio: E.
CERULLI, L’Islam nella storia dell’Alto medioevo, in L’Occidente e l’Islam nell’Alto
Medioevo 2-8 aprile 1964, II Settimane di studio del Centro Italano di studi sull’Alto
medioevo XII, Spoleto, 1965, pp. 988- 991.
242
C. PICARD, ’’Il mare dei califfi…’’ cit., p. 191.
86
obbligati a prestare servizio militare e a capo di ogni tema vi era uno stratega
con poteri civili e militari.

Questo nuovo sistema comportò un rafforzamento dell’esercito e un


miglioramento dello sfruttamento terriero243. Successivamente suo nipote
Costante II proseguì questa politica di rafforzamento, potenziando i mezzi
navali bizantini per contrastare l'avanzata islamica244. Contemporaneamente
egli era riuscito a riconquistare Alessandria e minacciava i musulmani in Siria
ed Egitto, ma già nel 645 Amr ibn al-Āṣ era riuscito a riprendere la città
egiziana, anche se con un grande dispendio di forze, evidenziando le
mancanze nella strategia musulmana245. Per questi motivi venne incentivata
la costruzione di un cantiere navale lungo le coste siriane, ma anche presso
Acri in Palestina246. Innanzitutto, vennero ricostruiti i porti precedentemente
danneggiati dagli arabi stessi durante la presa delle città. Venne allora allestita
proprio la flotta che poi avrebbe attaccato Cipro e Arado tra il 644-645. Nella
Valle del Nilo vennero ripristinate le strutture lasciate dai greci e che
permisero di affrontare la spedizione navale contro Amorio, al comando di
Abū l-A'wār al-Sulamī. Nel 648 Wahāb ibn Umār guidò la spedizione contro
Cipro.

Le navi nei primi anni d’espansione islamica

La costruzione e il mantenimento di navi e imbarcazioni, sia civili che


militari, richiedevano un grande investimento di tempo e di materiali. Tra il
periodo tardo antico e quello altomedievale vi fu progressivamente una
modifica sia dell’aspetto esteriore che delle tecnologie delle navi. Più la
società e la cultura progredivano contemporaneamente le costruzioni
venivano modificate ed adattate alle nuove esigenze, motivo per cui ad oggi

243
M. DI BRANCO, ‘’Breve…’’ cit., p. 89.
244
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., p. 193.
245
M. BALARD, C. PICARD, La Mediterranée au Moyen Age. Les hommes et la mer, Parigi,
2014, p. 11.
246
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., p. 195.
87
costituiscono un riferimento importante per comprendere i cambiamenti
sociali.

Il Mediterraneo orientale tra V e VII sec. assistette a delle transizioni


importanti per la storia marittima, contemporaneamente alla conquista araba
delle coste sud orientali. È in questo periodo infatti che si diffuse l’utilizzo
della vela latina, già attestata archeologicamente nel II secolo. La complessità
delle costruzioni derivava perlopiù dalla creazione degli ingranaggi necessari
per lo scafo e la vela. Gli Arabi inizialmente avevano conosciuto una
tipologia di barca a vela utilizzata nell’Oceano Indiano nella zona dell’Oman,
ma non appena i califfi dovettero confrontarsi con la flotta bizantina,
assunsero anch’essi quei modelli di eredità romana. La tradizione costruttiva
navale dell’antichità si era contraddistinta per un sistema a incastro (tenone e
mortasa) utilizzato per unire pezzi di legno che costituivano la base, tipologia
rintracciata nella zona tra il Mar Rosso e l’Oceano Indiano. Progressivamente
questa tecnica venne sostituita da una costruzione dello scafo differente,
rintracciata presso la costa israeliana risalente al VI secolo. Oltre a questa
modifica, anche le vele vennero sostituite: dalla antica vela quadrata si giunse
alla vela triangolare. Quest’ultima infatti permetteva di stringere meglio il
vento conferendo maggiore velocità alla nave, inoltre necessitava di minori
manovre da parte dell’equipaggio rispetto alla vela quadrata. Durante l’Alto
medioevo le diverse tipologie possono essere classificate in base alla forma
geometrica della nave.

Le navi medievali infatti avevano subito delle modifiche rispetto alla


struttura latina; vi erano stati aggiunti dei ganci rivolti in avanti a forma di
teste, ornamenti sia stilistici che utili militarmente, dei supporti alla base
dell’albero, la modifica degli scafi e il superamento della base a conchiglia247.
I primi califfi però non apportarono grandi innovazioni, ma assunsero i
modelli navali bizantini e dei loro predecessori, senza comportare una rottura

247
J. WHITEWRIGHT, Early islamic maritime technology, in (a cura di) R. MATTHEWS,
J. CURTIS, Proceedings of the 7th International Congress on the Archaeology of the Ancient
Near East. Volume 2. Ancient & Modern issues in Cultural Heritage Colour & Light in
Architecture, Art & Material Culture Islamic Archaeology, 12 april-16 april 2010, London,
pp. 585-598.
88
drastica con le strutture precedenti. Per questo motivo per i secoli successivi,
per tutto il periodo bizantino, la nave latina sembra essere quella più diffusa
in tutto il Mediterraneo tanto da essere stata rintracciata anche in
rappresentazioni (graffiti, mosaici) in varie città delle coste latine e
musulmane248.

Prima metà del VII secolo

L'unico modo per contrastare la forza greca era concentrarsi sulla


conquista delle principali isole. Alla morte di Umār la presenza araba sulle
rive del Mediterraneo era ancora fragile, ragione per cui i Greci erano riusciti
a riacquisire la capitale egiziana. Allora Uthmān suo successore e governatore
della Siria attuò una politica per scoraggiare il potere bizantino che veniva dal
mare. Tra il 648 e il 652 sferrò diversi attacchi contro Cipro e nel 655
riuscirono a vincere a Fenice, al largo della Licia, cosicché poterono
avvicinarsi alle coste anatoliche per sostenere gli attacchi dalla Cappadocia e
l'azione diretta a Costantinopoli249. Contemporaneamente Bisanzio era
indebolita da due circostanze: le guerre contro i Sasanidi, e le rivalità intestine
scatenate dai pretendenti al titolo di basileus. Questo compromise la sua
attenzione sulla marina nella zona anatolica, che facilitò gli attacchi islamici
in Armenia ed Asia minore, cui si poté rispondere solo dopo l’incoronazione
di Costantino IV nel 652. Nello stesso periodo l'Africa bizantina si arrendeva
gradualmente ai nuovi conquistatori, mentre ai Greci non restava altro che il
nord della Tunisia e Cartagine, che costituivano i poli di difesa dell’accesso
al Mediterraneo. Nello stesso periodo in Italia i Longobardi rappresentavano
una grande minaccia. Avevano raggiunto il nord della Calabria e solo la
Sicilia al sicuro dalle loro azioni. Bisanzio aveva perso l'importante appoggio
proveniente dalle province africane. Infatti, proprio dall'Africa - ma anche
dall'Italia meridionale - giungevano i rifornimenti con la flotta dell'annona.
Nel momento in cui gli arabi presero lo scalo di Barca (Cirenaica), si

248
J. WHITEWRIGHT, Martitime technological change in the Ancient Mediterranean: the
invention of the lateen sail. Volumen Two, 2008, (diss.), pp. 263-309.
249
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., p. 196
89
ritrovarono di fronte alla Sicilia, il cui accesso era ormai libero250. Siracusa,
capitale dell'isola, venne attaccata per la prima volta tra il 668-669.
L'espansione giustificata e sostenuta da principi coranici, seguiva
fondamentalmente istanze terrene.

Il contesto commerciale orientale:

la Via della Seta prima dell’Islam

Alla fine dell’Ottocento Ferdinand von Richthofen, geografo tedesco,


coniò l’espressione ‘’Seidenstraße’’ per indicare la ‘’Via della Seta’’. La Via
della Seta assunse questa definizione per il prodotto principe dei commerci
che univano il Levane al Mediterraneo, ma oltre ad essa vi erano altre
produzioni che venivano esportate ed importate da un polo all’altro. Profumi,
spezie, pietre preziose, viaggiavano nei carichi dei mercanti accompagnati da
un via vai di idee, costumi, lingue religioni.251Lì dove era nata la civiltà e si
era assistito alla nascita di imperi fiorenti, sorgevano ricchissime città,
attraversate da mercanti, viaggiatori, asceti itineranti e religiosi. Città quali
Merv, Balkh, Bukhara, Samarcanda, a ridosso delle vie carovaniere,
acquistavano e vendevano beni di lusso tanto che l’archoeologia ne ha trovato
traccia anche in cittadine secondarie e distanti dai centri di commercio, perciò
è emerso che le diramazioni delle vie principali raggiungevano anche zone
più remote, portando fin lì le mode in voga nelle realtà urbane252. Quando gli
eserciti musulmani invasero l’Asia centrale erano ben consapevoli del ruolo
commerciale della regione, contraddistinta da floride realtà urbane, note sia
per la loro estensione sia per le infrastrutture e l’organizzazione esistenti per
agevolare i mercanti durante i loro soggiorni. La popolazione aveva fatto sì
che le città progredissero e si sviluppassero finalizzate ai commerci. Esse

250
M. AMARI, ‘’Storia dei Musulmani...’’ cit., p. 109.
251
P. D’AMORE, Zoroastriani, Nestoariani, Manichei e Musulmani. Credi in cammino
lungo le Vie della Seta, in Dall’antica alla nuova Via della Seta. From the Ancient to the
New Silk Road, Museo d’Arte Orientale 31 marzo-2 luglio 2017, Torino, p. 103.
252
Cfr. P. D’AMORE, Zoroastriani, Nestoariani, Manichei e Musulmani. Credi in cammino
lungo le Vie della Seta, in Dall’antica alla nuova Via della Seta. From the Ancient to the
New Silk Road, Museo d’Arte Orientale 31 marzo-2 luglio 2017, Torino.
90
presentavano numerose cinte murarie, utili per scongiurare gli attacchi dei
nomadi provenienti da più direzioni. Tra le città più note vi era Balkh in
Afghanistan, che venne definita dai viaggiatori musulmani come la ‘’madre
delle città’’ pure confrontandola con i bazar e i palazzi damasceni, di
Antiochia o del Cairo253. Poi vi era la città di Merv nell’odierno Turkmenistan
meridionale, che rappresentava un altro grande agglomerato urbano, motivo
per cui sin dall’antichità era stata rivale di Xi’an in Cina.

Le opportunità di queste città derivavano sicuramente dalla posizione


geografica, che aiutava l’accesso ai territori delle grandi cività euroasiatiche,
ma anche dall’iniziativa dei popoli che vi abitavano. Essi seppero sfruttare a
proprio vantaggio anche l’assenza di strade lastricate, utilizzando le vie
carovaniere a dorso dei cammelli, in particolar modo del cammello battriano
per aveva una maggiore resistenza. Il non essere vincolati alle strade, ma poter
cambiare percorso repentinamente, permetteva loro di affrontare anche
situazioni di emergenza, senza rinunciare alla tratta commerciale. La via della
seta aveva dunque creato un sistema di commerci di beni di lusso che
dall’estremo Oriente raggiungeva il Mediterraneo. Già i Romani si erano
confrontati con le città del Levante per l’acquisto dei tessuti di seta, fin
quando Giustiniano non decise che fosse giunto il momento di affrancarsi da
questo acquisto obbligato e di introdurre la gelsicoltura nei territori bizantini.
Oltre alla seta però da secoli le città asiatiche esportavano pietre preziose,
profumi, spezie, oro, rame, complessivamente beni che garantivano un ritorno
economico assicurato254. Dopo aver conquistato l’Asia centrale ed essersi
inseriti nel commercio della Via della Seta, i Musulmani si diressero verso il
Mediterraneo occidentale. Dal VII sec. Bisanzio si ritrovò a fronteggiare
questo nuovo nemico, che oltre a minacciare la perdita delle regioni terrestri,
iniziava ad organizzare l’offensiva marittima. La minaccia sul mare causava
un’incertezza lungo le rotte commerciali maggiormente battute. Sin da epoca
romana, infatti, vi erano tre rotte. La più importante era quella che dall’India
occidentale attraversava il Golfo Persico, le coste arabe meridionali,

253
S. FREDERICK STARR, ‘’L’Illuminismo…’’cit., pp. 35-37.
254
Ivi, p. 38.
91
sfociando nel Mar Rosso e proseguendo lungo il Nilo e raggiungeva
Alessandria Accanto ad essa vi erano due rotte secondarie: una che dall’India
tramite la Mesopotamia raggiungeva Tiro e Sidone ed un’altra che dall’India
nordoccidentale, attraversando la parte interna del Golfo Persico, conduceva
ai porti mediterranei255.

L’Africa e i porti latini della penisola italiana erano ben collegati, si


procedeva spesso lungo il versante tirrenico attraversando lo Stretto di
Messina, seppure questo spesso si rivelasse pericoloso. Si affacciavano sullo
stretto due rispettivi porti importanti: quello di Messina appunto, ma anche
quello di Reggio Calabria, le cui merci partivano per Costantinopoli tramite
una tratta che conduceva direttamente in Grecia256 e poi in Anatolia. La Sicilia
era un passaggio obbligato per le navi che dai porti della penisola partivano
per intercettare le merci provenienti dal Mar Rosso e dal Levante e che a loro
volta erano impegnate nella vendita di vari generi ma in particolar modo di
olio e cereali257. Nel VII sec. però Bisanzio subì le prime sconfitte per mano
musulmana che comportarono delle modifiche alla struttura fiscale e militare
dell’Impero.

La presenza di nuovi avversari nel Mediterraneo poneva i Bizantini di


fronte a grosse difficoltà: la necessità di una difesa maggiore delle regioni
sotto il loro potere e la costituzione di una flotta capace di affrontare il nuovo
nemico. Intanto nelle regioni orientali, in particolar modo nella zona
anatolica, l’Impero era indebolito dalle costanti razzie che avevano
comportato una riduzione della produttività agricola. Nonostante questo
Costantinopoli riuscì a rimanere un centro di domanda commerciale
importante, costantemente alimentata dalle entrate fiscali258. La diminuzione
delle rotte però derivava anche da una crisi generale che aveva colpito le
aristocrazie locali e aveva fatto sì che fossero gli Stati a sopperire la mancanza

255
C. SAVASTA, Sulle rotte del Mediterraneo. Infrastrutture e vie di comunicazione nel
Mare Nostrum dall’antichità ad oggi, in <<Trasporti: Diritto economia politica>>, 110,
2010, pp. 9-15: p. 9.
256
V. VON FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, in Calabria bizantina.
Testimonianze d’arte e strutture di territori, Soveria Mannelli, 1991, pp. 253-254.
257
M. MILELLA, Ceramica e vie di comunicazione nell’Italia bizantina, in Mélanges de
l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, 101, 1989, pp. 533-557: p. 534.
258
C. WHICKHAM, L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C., Bari, p. 386.
92
di domanda dei privati. Ma tra VII e VIII sec. gli stessi Stati dovettero
affrontare parallelamente altre difficoltà. In Siria uno dei luoghi fondamentali
particolarmente per la produzione tessile, l’aristocrazia conobbe periodi di
ricchezza fino alla seconda metà dell’VIII sec. quando venne inglobata dallo
stato omayyade259. Contemporaneamente invece accresceva l’aristocrazia
iraqena che indusse la regione a divenire un centro di commercio e di
artigianato importantissimo. Sempre nell’VIII sec. il commercio nel
mediterraneo subì una battuta di arresto, ma nonostante ciò esisteva una fitta
rete di imbarcazioni che continuava a muoversi di porto in porto. Il Mar Egeo
rimaneva molto frequentato e analogamente anche il Mar Tirreno con il
triangolo commerciale costituito da Roma, Calabria e Sicilia260.

Sempre più ad ovest

I musulmani riusciti a soppiantare l'impero dei Sasanidi, impresa nella


quale avevano fallito sia Roma che Bisanzio, si addentrarono in Asia fino al
Turkestan portando la loro religione in Estremo Oriente e in Indonesia. A
nord ovest presero la Siria, la Mesopotamia, l'Armenia, fino al Mediterraneo.
Bisanzio indebolita dalla perdita delle zone costiere, non poteva reagire
energicamente con il solo aiuto proveniente dall'Anatolia, dai Balcani,
dall'Italia e dal Mar Nero, i cui rifornimenti non compensavano quelli
mancanti dall'Africa e dall'Asia.

L'espansione della Dār al Islām proseguiva mentre la società islamica


iniziava a definire le proprie istituzioni. Il ḫalifa esercitava un potere
sacralizzato, che ebbe l’accezione sia di rappresentante di Dio che di
successore del Profeta a seconda dei periodi e dell’interpretazione del suo
ruolo261. Alla morte di 'Alī ultimo dei califfi ben guidati, la carica divenne
ereditaria e il potere rimase nelle mani del Banū degli Omayyadi. Damasco
divenne la capitale, mentre gli eserciti procedevano verso ovest raggiungendo

259
Ivi, p. 404.
260
C. WHICKHAM, ‘’L’eredità di Roma…’’ cit. p. 405.
261
M. DI BRANCO, ‘’Breve…’’ cit., p. 96.
93
la costa atlantica del Marocco e avendo attraversato lo stretto di Gibilterra, la
Penisola Iberica. Una tale estensione territoriale necessitava a quel punto di
una nuova gestione e gli Omayyadi dovettero affrontare problemi di governo
di un potere così vasto si ritrovarono ad affrontare problemi di governo di un
potere così vasto e l'impossibilità di un controllo diretto nelle zone periferiche
determinò una frantumazione del potere stesso. Nel frattempo, gli eserciti
arabi vennero rafforzati da soldati arruolati, che comportarono la formazione
anche di ceti sociali costituiti da condottieri militari o capi tribù262. Nella
prima metà dell’VIII sec. partirono gli attacchi navali nel Mediterraneo
centrale e occidentale, sino a raggiungere Narbona nel 720263. In quel
frangente Costantino IV prima, Giustiniano II dopo, alla guida di Bisanzio
sottoposero la marina ad un rinnovamento e la flotta venne riorganizzata.
Venne attuato un programma di protezione di Costantinopoli e delle isole
egee, attrezzate per contrastare l’avanzata islamica nel Bosforo.

La Penisola Iberica e il Maghreb

Dalla seconda metà del VII sec. l'espansione della Dār al Islām
procedette verso il versante occidentale: prima il Maghreb e poi la Spagna
visigota si piegarono all'arrivo musulmano. La conquista islamica del
Maghreb ebbe inizio nel 647 quando un esercito musulmano prese il controllo
dell'antica provincia romana d'Africa composta da Marocco, Tunisia ed
Algeria. La regione venne occupata da ‘Uqbāh ibn Nāfi’, il quale secondo Ibn
‘Iḏarī giunse con un esercito imponente264. Nel 670 egli fondò la città di
Qayrāwān nell’odierna Tunisia, destinata a divenire la città più grande del
Nord Africa.

All’incirca dalla seconda metà dell’VIII sec. nell’Africa settentrionale


sorsero molte dinastie indipendenti tra le quali ricordiamo: i Rustamidi del
Maghreb centrale, gli Idrisidi del Marocco, gli Aghlabidi di Ifriqiya, cui si

262
A. HOURANI, ‘’Storia dei popoli arabi...’’ cit., pp. 28-29.
263
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., p. 198.
264
M. TALBI, L'emirat Aghlabide, 1966, p. 21.
94
riconosce il merito di aver saputo gestire il ğund, ovvero le forze armate
provenienti dal sud dell'Arabia, dalla Siria e dalla Persia265. L’islamizzazione
dell’Africa venne contrastata duramente dalle forze locali, perlopiù
berbere266, di cui si ricordano particolarmente le azioni guidate dalla
condottiera Dihya, conosciuta come Kahina267, la quale oppose una forte
resistenza agli arabi incitando cristiani ed ebrei al combattimento. La sua
morte nel 701 pose fine a questa resistenza e gli arabi riuscirono rapidamente
a conquistare il territorio268.

Nel tempo però i Berberi per contrastare la forza sunnita, aderirono


sempre più ai movimenti eretici come quello dei Ḫariğiti, che nel Maghreb
prese la forma di Ibadismo269. Progressivamente molti di essi si convertirono
all'Islam e parteciparono prima alla conquista della Penisola iberica270 e
successivamente della Sicilia271, ma allo stesso tempo non disdegnarono di
voltare le spalle al califfato, aderendo a gruppi dissidenti, quando ritennero
eccessive le richieste fiscali. Le ribellioni berbere furono una costante del
potere musulmano in Africa, motivo per cui quando si distinsero dei

265
M. DI BRANCO, K. WOLF, Berbers and Arabs in the Maghreb and Europe, medieval
era, in The encyclopedia of Global Human Migration, 4 feb. 2013, pp. 1-2.
266
Il termine Berberi venne utilizzato dagli arabi per indicare le popolazioni che vivevano
nel nord Africa. Probabilmente l'origine di questa definizione proveniva dal barbaros greco,
utilizzato per le popolazioni che non parlavano la lingua greca. L'utilizzo di questo termine
per indicare in maniera univoca ed omogenea le popolazioni del Maghreb può far intendere
che questi fossero un gruppo unitario, al contrario molte erano le differenze al loro interno,
ognuna legata alle proprie credenze tribali e culti animisti; A. VANOLI, ‘’La Sicilia
musulmana...’’cit., p. 45.
267
La figura di Khaina, la condottiera berbera, ha rappresentato un simbolo di forza e di
opposizione nei confronti dell'arrivo arabo. Ella infatti nel 690 assunse personalmente il
controllo delle forze berbere per guidarle contro l'ondata di islamizzazione del Maghreb.
Nonostante le differenze religiose tra i Berberi, ella emerse come una guida per tutti,
incitando la popolazione a combattere contro i conquistatori; F. SADIQI, The mith of Berber
female warrior: a source of Symbolic empowerment, in Maroccan feminist discourses, New
York, 2014.
268
Hassan ibn al Nu'uman generale ommayade nel Nord Africa raggiunse Cartagine nel 693-
4 e la saccheggiò. Dopo di che sferrò un attacco contro i Berberi dell'Aurès tra cui emerse
una regina che gli Arabi chiamarono Khaina, il che significava che era una indovina. Ella fu
capace di affrontarli fino a quando morì. A quel punto un patrizio Giovanni giunse con le
forze navali di Costantinopoli e di Sicilia e riprese Cartagine ed Hassan fu costretto a tornare
a Barca; cfr. M. AMARI, ‘’Storia dei Musulmani…’’ cit., p. 119.
269
M. DI BRANCO, K. WOLF, ‘’Berbers and Arabs in the Maghreb and Europe…’’ cit., p.
2.
270
Nel 711 Mūsa al Nusayr spedì i suoi uomini, Arabi e Berberi verso la Spagna.
Successivamente vi giunse personalmente; M. AMARI, ‘’Storia dei Musulmani...’’ cit., p.
125.
271
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 45.
95
condottieri musulmani per essere riusciti a placare le insurrezioni, il califfo
riconobbe loro grandi meriti concedendo cariche importanti. Erano spesso
questi rappresentanti del califfo a fare le sue veci durante le spedizioni
terrestri e marittime, per quest’ultime inoltre l’arsenale rappresentava il
potere califfale sul mare ed era di sua diretta responsabilità.

Il paradigma dell'azione militare come incursioni o razzie si ripeteva


sistematicamente. Le forze musulmane guidate dal califfo, intercettata la zona
di attacco, sapevano muovere guerra solo seguendo questo schema, che d'altra
parte costituiva una dinamica sconosciuta e disorientante agli occhi dei greci.
Le incursioni si fermavano solo nei periodi in cui i musulmani erano deboli a
causa di incursioni nella ḍār al Islām, e ciò provocava una diminuzione dei
bottini prelevati nelle zone nemiche, che secondo le regole impartite da
Muḥammad doveva essere suddiviso tra coloro che avevano partecipato alla
spedizione. All’inizio dell’VIII sec. si verifica una ripresa delle incursioni
per mano di Abd al Azīz ibn Marwān, governatore dell'Egitto ed Abd Allah
ibn Mūsā ibn Nusaīr governatore di Tunisi, che dirigevano le flotte contro
Siracusa, Sardegna e Baleari272. Queste iniziative vennero però fermate dagli
ennesimi problemi interni, infatti Damasco venne sconvolta dalla rivoluzione
abbaside.

Il califfato abbaside

Gli Abbasidi appartenevano ai Banū Quraysh ed erano discendenti dello


zio del Profeta Al-Abbās273. Questo gruppo partì nell'VIII sec. dalla zona del
Khurāsān intercettando il malessere manifestato dalla popolazione contro gli
Omayyadi274. Il califfato abbaside venne fondato nel 750 e le prime azioni

272
C. PICARD, ‘’Il mare dei Califfi...’’ cit., p. 207.
273
Per un approfondimento cfr. : C. CAHEN, Points de vue sur la « Révolution 'abbâside »,
in « Revue Historique », 230, 2, Paris, 1963, pp. 295-338.
274
Il malessere degli ausiliari iranici contro il Califfato Ommayyade si aggiunse
all'opposizione religiosa portata avanti da Sciiti e Kharigiti e al malessere delle tribù escluse
dai vantaggi derivanti dalle province. E fu proprio una tribù del Khorasan ad ostacolare
l'avanzata araba nell'Asia centrale. Questi arabi agli inizi dell'VIII sec. ormai erano più uniti
ai Persiani che non agli Arabi di Damasco. Fu questo il contesto di nascita di una azione
96
evidenziarono subito un cambiamento di rotta rispetto ai predecessori. Il
califfo Al Manṣūr spostò la capitale da Damasco in Iraq, fondando nel 763
Baghdad275.

Gli Abbasidi incentivarono la nascita di una civiltà cosmopolita


fortemente influenzata da una componente persiana. Fu in questo periodo che
ebbe inizio la cristallizzazione delle idee dell'islam, la formazione delle
scuole giuridiche e la nascita della riflessione storiografica. L'identità araba
si fortificava sempre più, parallelamente al declino dell'istituzione califfale.
Dal IX sec. infatti, le rivolte degli schiavi neri e la mancanza di entrate dalle
zone periferiche avevano compromesso il suo ruolo. Pian piano i califfi di
Baghdad persero il potere sui governatori delle province, situazione che
condusse alla formazione di forti realtà indipendenti. D’altra parte, già a
Cordova dal 755 era sorto un califfato omayyade molto potente che aveva
destabilizzato il califfato iraqeno, rappresentando un'importante alternativa
nel contesto Mediterraneo276.

Contemporaneamente nascevano altre realtà come quella aghlabide in


Tunisia, dove questa nuova famiglia emergente prese potere nell'800 d.C. Il
mutamento del potere con l'arrivo degli Abbasidi non modificò la linea della
politica estera fondata sul ğihad e dunque sull'espansione territoriale. Nel
frattempo, Bisanzio si adoperava per rafforzare le proprie difese affinché
fossero pronte ad affrontare i due avversari imminenti: da una parte il potere
carolingio e dall'altra l'affacciarsi del potere turco sui fronti orientali. L'unico
spazio su cui poter ancora primeggiare rimaneva il Mare nostrum, motivo per
cui preparò le flotte in modo tale da partire per la difesa della Sicilia, dalla
Sardegna e dalla Provenza.

Il califfato abbaside, come i suoi predecessori, incentivò l'azione


offensiva contro Costantinopoli, speranzoso ancora di poter conquistare la

rivoluzionaria che portò alla fine del Califfato Omayyade; F. DONVITO, ‘’Filellenismo e
antibizantinismo...’’ cit., p. 28.
275
Essa venne realizzata a forma circolare. Al centro il palazzo e la moschea ricalcando il
modello persiano. Nella zona periferica invece, ma dentro le mura, vennero realizzati i
dipartimenti amministrativi. Al di fuori delle mura vi erano i mercati; P. GALETTI, Uomini
e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, Laterza, 2001, p. 191.
276
DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 57.
97
capitale bizantina. Nel luglio dell'838 veniva sconfitto l'esercito di Teofilo
nella battaglia di Anzen e vi seguì l'importante saccheggio di Amorio (agosto
838), luogo significativo in quanto origine della dinastia imperiale
bizantina277. Questi scontri rappresentarono uno smacco gravissimo nella
storia delle guerre tra Bisanzio e il califfato278. Il saccheggio di Amorio per
mano islamica determinò conseguenze gravissime, tanto che la città, seppur
riconquistata da Bisanzio, non riottenne mai più gli antichi splendori279. Gli
attacchi arabi riuscivano ad indebolire gravemente il potere di riuscita di
Bisanzio. Nel 782 Hārūn al Rašīd era intenzionato a riprendere l'azione del
718 sotto le mura di Costantinopoli, affidando l’assedio a Maslamā b. Abd al
Malik b. Marwān, il quale era stato fermato dalle mura cittadine, dal fuoco
greco e dall'aiuto dei Bulgari280.

Diplomazia tra imperatori e califfi

La storia dei confronti militari tra Bisanzio e Baghdad ha lasciato anche


traccia delle relazioni diplomatiche. Dell'VIII sec. abbiamo diverse le
testimonianze epistolari tra l’Occidente greco e l’Oriente arabo. Ad esempio,
nell'806 Hārūn al Rašīd inviò una delegazione a Costantinopoli,
accompagnata dal tradizionale invito alla conversione, richiedendo al
basileus una tregua sulla frontiera281. Così come l’accordo tra Ugo di
Provenza e i saraceni di Frassineto, che tramite la fonte dello storico arabo
Ibn Hayyaān, è stato contestualizzato all’interno della tregua concessa dal

277
A. PIRAS, Teofilo, Naṣr e i Khurramiyya. Irredentismi politico-messianici nel IX secolo,
tra Iran, Islam e Bisanzio, in « Porphyra », 25, XIII, dicembre 2016, pp. 52-67: p. 56.
278
Ivi, pp. 62-63. Tra l'837 e l'838 vi furono due importanti eventi: il sacco di Zubetra
compiuto dalle armate bizantine e la conquista araba di Amorio. Zubetra era la città di nascita
del califfo al Mu'taṣim ed Amorio la patria dell'imperatore Teofilo. Inoltre, la vittoria
musulmana da Amorio avrebbe potuto aprire la strada per Costantinopoli.
279
Per approfondire: T. KOçAK, The struggle between the Caliphate and Byzantium for the
city of Amorium, in « Porphyra », 25, XIII, dicembre 2016, pp. 68-85: pp. 70-87.
280
Tra il 717 e il 718 durante lo scontro con gli arabi sotto Costantinopoli, i Bulgari giunsero
in aiuto di Bisanzio. Probabilmente questo intervento venne determinato dall'accordo di pace
sottoscritto tra Teodosio III e il principe bulgaro nel 716; E. CHRYSOS, L'impero bizantino
565-1025, Milano, 2002, p. 58.
281
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., pp. 216-217.
98
califfo Abd al Ramān III282. Anche i Carolingi impostarono con i musulmani
una politica di dialogo283, infatti, già nel 756 Pipino il Breve aveva inviato
degli emissari presso Al Manṣūr, i quali ritornarono alla corte franca,
accompagnati dagli ambasciatori musulmani che restarono per tre anni ospiti
in Occidente284. Abbiamo poi anche un episodio del X sec., quando Berta di
Toscana, figlia di Lotario e regina dei Franchi, nel 906 scrisse al califfo di
Baghdad Abū Muḥammad Alī ibn Aḥmad detto Al Muktafī. Tramite un
eunuco, Alī, trattenuto vent’anni prima dalla regina durante una spedizione
aghlabide, fece recapitare una lettera descrivendo i vantaggi di un loro
accordo e i doni offerti285.

Questa offerta da parte della regina esplica ancora una volta le difficoltà
interne al suolo italico, in quanto ella aveva come intento quello di
corrompere l’amicizia tra il califfo Al Muktafī e l'imperatore bizantino, e far
sì che gli arabi prendessero le sue difese286. Sarà la politica diplomatica
attuata tra Oriente e Occidente a permettere anche durante i periodi di guerra,
un mantenimento dei rapporti commerciali a favore della tutela delle
economie dei Paesi coinvolti.

Nuovi attori sulla scena mediterranea

Contemporaneamente ad ovest del bilād al šām i musulmani avevano


dato vita a nuove identità politiche. Nel Nord Africa, in particolare, prima gli
Aghlabidi, poi i Fatimidi hanno lasciato testimonianza non solo di importanti

282
C. RENZI RIZZO, I rapporti diplomatici fra il re Ugo di Provenza e il califfo ‘Abd ar-
Raman III: fonti cristiane e fonti arabe a confronto, in « Reti Medievali Rivista », III, 2002/2,
luglio-dicembre, Firenze, p. 1.
283
G. MUSCA, Carlo Magno e Hārūn al Rashīd, Bari, 1996.
284
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’ cit., pp. 217-218.
285
''[...] Cinquanta spade, cinquanta scudi e cinquanta lance del tipo in uso presso i Franchi,
venti vesti tessute d'oro, venti eunuchi slavi e venti schiave slave belle e graziose, dieci grandi
cani contro i quali non valgono né fiere né bestie, sette falchi e sette sparvieri, un padiglione
di seta con tutto il suo apparato, venti vesti di una lana prodotta da una conchiglia estratta
dal fondo del mare in quelle parti, dai colori cangianti come l'arcobaleno, che cambia colore
a ogni ora del giorno, tre uccelli del paese dei Franchi i quali se vedono cibi e bevande
avvelenati gettano uno strido orrendo e battono le ali, sicché si conosce la cosa; e delle perle
di vetro che estraggono senza dolore frecce e punte di lancia, anche se la carne è cresciuta
intorno.'' cfr. F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli arabi…’’ cit., p. 715.
286
Ibidem.
99
azioni militari, ma anche di una civiltà che, sulle vestigia della provincia
romana, continuava a progredire e a confrontarsi insieme con i protagonisti
del Mare nostrum287. Conquistare il Nord Africa non significava solamente
portare avanti il ğihad, ma soprattutto impossessarsi delle vie commerciali
che si diramavano dalla Tunisia al Marocco. Nel 711 entrarono nella Penisola
iberica dopo aver sconfitto i Visigoti, lì dove in seguito trovò rifugio Abd al
Raḥmān ibn Mu'āwiya e diede vita al califfato andaluso288. Si crearono così
due poli d'opposizione musulmana sul Mediterraneo occidentale: i
musulmani di Spagna, espressione dell'antico califfato omayyade, da una
parte, e i musulmani del Maghreb rappresentanti del califfato abbaside,
dall’altra.

Il declino graduale del califfato iraqeno e la nascita di dinastie


autonome modificò la situazione politica del Mediterraneo. Il Mediterraneo
divenne allora non solo luogo di scontro tra Occidente e Oriente, ma anche
tra i diversi rappresentanti politici dell'Islām. Per assicurarsi dunque il potere
sul mare era necessaria la conquista delle principali isole presenti nel mare
dei Rum. Furono queste le motivazioni che comportarono attacchi rivolti alle
coste dell'Italia insulare e peninsulare, in quanto la conquista di queste regioni
avrebbe garantito il monopolio da est ad ovest del Mediterraneo. I musulmani
di Al Andalus e quelli d'Africa si contesero questo spazio attaccando anche
nei territori bizantini, mentre in alcune occasioni accadde che i musulmani
d'Africa partecipassero come mercenari ai conflitti intestini scoppiati tra
Longobardi e Bizantini. Infatti, Campania, Puglia, Lucania e Calabria erano
obiettivi sensibili per garantirsi un potere incontrastato, approfittando dei
dissidi interni. Senz'altro a partire dal IX sec. in poi la maggior parte degli
attacchi giunse dall'attuale Tunisia.

287
Il Mare Nostrum è indicato nelle fonti arabe con diversa terminologia. Ibn Rustud ed Ibn
al Athir parlano di Bahr al Rum, Al Idrisi lo definiva Bahr al Sham, Ibn Haqwal e Yaqut il
Bahr al Maghrib.; (AA.VV), Atti del Convegno I Fatimidi e il Mediterraneo. Il sistema di
relazioni nel mondo dell'Islam e nell'area del Mediterraneo nel periodo della da'wa fatimide
(sec. X-XI): istituzioni, società, cultura., in « Alifba. Studi arabo-islamici e mediterranei »,
XXII, 2008, Palermo 3-6 dicembre 2008, p. 9.
288
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., pp. 42-43.; Per un approfondimento: D. JAMES, Early
Islamic Spain: The History of Ibn al-Qūtīya, Routledge, 2009.
100
Gli Aghlabidi

Nell'VIII sec. gli Arabi avevano inglobato all'interno del loro sistema
territoriale e amministrativo i Paesi del Nord Africa, sottomettendo la
popolazione, dopo lunghe ed estenuanti lotte contro i Berberi autoctoni. Il
primo provvedimento nei confronti delle popolazioni era costituito dal
pagamento obbligato del ḫarağ289, l’imposta che essi applicavano ai popoli
non musulmani o su coloro che volevano conservare il proprio credo,
probabilmente Romani e Berberi romani. Inizialmente furono restii ad agire
in quei luoghi, a loro totalmente sconosciuti e che avrebbero potuto
significare un grande dispendio di forze, che in quel frangente non avrebbero
potuto sostenere. Emerge questa preoccupazione dalle parole del capo della
segreteria omayyade, che inviò una lettera piena di raccomandazioni e
consigli a Ḫalīd b. Rabi'ā290. Moltissimi uomini giunsero per stabilirsi lì, altri
morirono durante le campagne da Gabés a Tangeri, altri tornarono in Oriente,
altri proseguirono per la Spagna291. L'acquisizione di nuovi luoghi permetteva
la riscossione di maggiori tributi, oltre al ḫarağ, la ğizia, ovvero, l’imposta
individuale e confessionale sulle ‘’genti del Libro’’, di cui però non c'è traccia
nelle fonti riguardanti la regione dell'Ifriqiya292. Inoltre, vi era un grande
commercio di schiavi provenienti da tutta l'Africa settentrionale. In particolar
modo le donne erano molto apprezzate dagli arabi, lo sappiamo dalle parole
del califfo omayyade Hišām ibn Abd al Malīk, il quale scrisse al governatore
di Ifriqiya lodando le doti delle donne berbere293. I califfi non erano solo
sensibili al fascino femminile, ma ttratti anche dai beni di lusso importati
regolarmente dai territori africani.

Progressivamente raggiunsero l'Africa anche gruppi minori quali i


Ḫariğiti Ibaditi. Nel 735 infatti un ramo ḫariğita, i Sufriti, dopo importanti
vittorie come quella della Battaglia dei Nobili al comando di Maīsārā al Sufrī,
raggiunsero l'Africa. In seguito, giunsero anche gli Ibaditi, gruppo presente

289
Su questa imposta abbiamo un'opera dell'VIII sec. di Abū Yusūf, Kitab al Ḫarağ, un
trattato sulla tassazione e sui problemi fiscali dello stato.
290
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., p. 18.
291
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., pp. 21-22.
292
Ivi, p. 26.
293
Ivi, p. 34.
101
tutt'oggi294. La presenza di gruppi variegati comportava una minaccia
costante nei confronti del potere centrale, insicuro rispetto alle possibili prese
di potere da parte di questi gruppi minori, che spesso intercettando il
malcontento della popolazione, riuscivano a costituire un grande pericolo.
Inoltre, tutti questi fattori aggravavano l'indebolimento del califfato abbaside
che per tutto l’VIII sec., dovette combattere incessantemente per mantenere
l’integrità del potere.

La vastità dell’impero islamico, che nell'VIII sec. aveva raggiunto


un'estensione che andava dall’Indo ai Pirenei, non poteva essere gestita senza
l’intercessione di ulteriori figure di potere. Purtroppo, col tempo esse
acquisirono autonomamente un potere maggiore, anche economico,
approfittando della riscossione dei tributi delle zone periferiche ed
ostacolando l'arricchimento delle casse centrali. L’ambizione individuale dei
governatori fu la minaccia al califfato di Baghdad. Questa situazione fu
propedeutica all’ascesa degli Aghlabidi nell’VIII sec., mentre l’Occidente
assisteva all’ascesa carolingia, all’incoronazione dell’imperatrice Irene, alla
lotta iconoclasta inaugurata da Leone III295.

Il nome alla dinastia deriva da Al Aghlab, padre di Ibrahim che ne fu il vero


fondatore, notato dal califfato centrale per la sua fedeltà e il suo essere un
servitore devoto. Egli aveva affiancato Abū Muslim Ḫurāsānī, generale
persiano, durante la propaganda califfale e durante i combattimenti necessari
per prendere il potere. Alla morte di Abū Muslim, Al Aghlab diede ulteriore
prova delle sue qualità ad Al Manṣūr, il quale colse l'occasione per premiarlo
denominandolo wali, governatore. Gli avvenimenti nel Maghreb lo fecero
emergere in particolar modo come dominatore dei disordini, infatti, Al
Aghlab dovette confrontarsi anche con i malesseri generati dall'insofferenza
del ğund. Per queste sue capacità venne inviato in Egitto con Ibn Al Aš'aṯ per
ristabilire l’ordine sunnita, abbaside e arabo, minacciato dai ḫariğiti. Nel 765
Ibn Aš’aṯ fu cacciato dalle sue stesse truppe da Qairāwān e Al Manṣūr investì

294
Ivi, p. 37.
295
Ivi, p. 72.
102
come governatore della provincia proprio Al Aghlab, il quale ristabilì presto
la situazione296. Nel 767 morì però coinvolto nell'ennesima rivolta militare.

Successivamente il califfo Hārūn al Rashīd, che fu artefice di una


riorganizzazione delle province nell’800, nominò Ibrahim ibn al Aghlab amir,
governatore della provincia dell’Ifriqiya, conferendogli un’ampia
indipendenza decisionale per far sì che egli potesse agire prontamente e
autonomamente contro la minaccia ḫariğita. A quel punto pur rimanendo
fedeli al califfato abbaside, riconoscendolo durante la preghiera del venerdì e
versando i tributi annui dovuti, gli Aghlabidi erano divenuti un potere
autonomo a tutti gli effetti nella regione. L’ex provincia romana d’Africa
divenne dunque il territorio di competenza aghlabide. Il territorio era
delimitato dai confini corrispondenti alla precedente Africa proconsolare e
alla Numidia297, mantenuti nel tempo sia dai Vandali, sia dai Bizantini e infine
dagli Arabi. Era la regione più urbanizzata e sedentaria del Maghreb e aveva
mantenuto molti caratteri etnici romani. I confini precedenti bizantini vennero
recuperati e riutilizzati per la difesa del nuovo regno, il cui limes era
costantemente vigilato per la sicurezza della Dār al Islām.

L’ascesa al trono di Ibrahīm ibn al Aghlab (756-812) fu contraddistinta


da un clima di silenzio a causa del quale abbiamo scarse informazioni per
interpretarne le dinamiche298. Egli succedette nel 791 ad Al Faḍl b. Rawh,
chiamato da Naṣr Ibn Habīb, a capo della provincia dello Zab (Algeria). Ibn
Al Nuwayrī lo descrive come un uomo di giudizio e di pugno, predisposto
all'arte della guerra e agli stratagemmi, di grande temperamento, con una
condotta impeccabile299. Incarnava la figura del perfetto musulmano
combattente sulla via di Dio, infatti era conoscitore del Corano e della scienza
giuridica, il fiqh. Proprio grazie alle sue ulteriori qualità seppe mediare tra la
parte del ğund e quella dei fuqah, rispettivamente l'aristocrazia militare e la

296
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., pp. 74-75.
297
Ivi, p. 128.
298
Ivi, p. 131.
299
Ibidem.
103
borghesia intellettuale urbana (quest'ultima proveniente in particolar modo da
Qayrāwān)300.

Le problematiche derivanti dalle insurrezioni del ğund furono un


problema costante nella politica aghlabide, nonostante le ampie concessioni
che venivano fatte loro per scongiurare le ribellioni301. Progressivamente
anche dalla parte dei fuqah giunsero le insoddisfazioni302 e a quel punto
Ibrahim fece l'errore di essere accondiscendente con entrambe le parti,
atteggiamento che indebolì il suo potere in un momento in cui il governatore
era alle prese anche con gravi problemi fiscali della provincia. Le rivolte
iniziarono ad aumentare sempre di più, partendo dalla zona est, proseguendo
nella zona ovest verso Tripoli, situazione che attirò completamente
l'attenzione dell'amir. I cittadini di Tripoli infatti si erano ribellati contro il
loro governatore Sūfyān al Maḍā, il quale dovette nascondersi nella Grande
Moschea per non essere linciato dalla popolazione.

Nell'810 fu la volta della ribellione della parte militare diretta da Imrān


ibn Muǧālid che riuscì a prendere Qayrawān, intercettando il sentimento
comune di disaffezione verso Ibrahim. Questi avvenimenti delineano un
quadro di difficoltà interna, che limitava l'azione la possibilità d'azione nella
politica estera, pertanto seguì un periodo di arresto delle incursioni rivolte
contro l’Italia meridionale. Dunque, sia il califfato iraqeno che l’emirato
aghlabide attraversarono in quel frangente un periodo di instabilità, che non
migliorò nemmeno con l’erede di Ibrahim I, suo fratello Muḥammad Ziyādat
Allāh b. Ibrahīm b. al Aghlāb, il quale dovette cercare di recuperare la
situazione, nonostante le ulteriori ribellioni del ğund. Ristabilita la situazione,
nell’anno 827, i musulmani di Ifriqiya avevano deciso di avviare una
spedizione organizzata alla conquista della Sicilia303.

300
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., p. 132.
301
Nell'802 si scatenò la prima ribellione fomentata da un personaggio non bene identificato
dalle fonti, un certo Ḫuraīš b. 'Abd al-Rahmān b. Ḫuraiš al-Kindī. Egli era uno dei militari
più importanti del ğund di Tunisi, il quale nel 767 sollevò la milizia tunisina contro Ibrahim,
probabilmente però il suo obiettivo era colpire il califfo di Baghdad, piuttosto che l'emiro di
Qairāwan; M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., p. 139.
302
Ivi, p. 135.
303
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 49.; (a cura di) E. FAGNAN, Ibn al Aṯir, ‘’Annales
du Maghreb…’’cit., p. 187.; La fonte principale per la storia della Sicilia musulmana e poi
104
L'offensiva contro le coste latine

La conquista della Sicilia segnò uno dei momenti più importanti per la
politica d'espansione dell'Islām. Gli equilibri mediterranei erano ormai
mutati. La presa delle isole orientali aveva neutralizzato l'azione bizantina e
aveva permesso l'avanzata dall'Egitto fino al Maghreb senza l'intervento delle
flotte avversarie. I musulmani procedettero allora attaccando
contemporaneamente le isole304 e i territori peninsulari, strategia che si
dimostrò vincente tanto da assicurare rapidamente l'espansione islamica305.

Nel 698 Hassān ibn al Nu'mān richiese l'invio in Egitto di mille famiglie
copte specializzate nella costruzione navale, costruendo il primo arsenale
d’Ifriqiya306 e nello stesso anno la flotta musulmana partì da Cartagine per
attaccare la Sicilia. I Bizantini contrattaccarono dirigendosi verso Barca.
L’VIII sec. venne inaugurato da una serie di spedizioni rivolte alle isole, in
particolar modo Sardegna e Sicilia. Nel 703 ‘Abd al Azīz b. Marwān ordinò
una spedizione contro la Sardegna; la flotta egiziana prima di partire fece
rifornimento a Susa e prese il mare307. Nel 704 proprio Mūsā b. Nuṣayr ordinò
la spedizione contro la Sicilia condotta da suo figlio ‘Abd Allāh. Questa
venne definita la ‘’spedizione dei nobili’’ in base al numero elevato di
personalità importanti che vi parteciparono. Sempre per volere di Mūsā b.
Nuṣayr venne condotta la spedizione del 705, dalla quale tornarono dopo aver
attaccato Siracusa e accumulato molto bottino. Stesso risultato portò la
spedizione del 707 rivolta contro la Sardegna, dove i musulmani prelevarono
tremila prigionieri, oro e argento. Nel 710 sempre per il suo ordine vi

normanna è la cronaca universale di Ibn al Athir (XII sec.). Egli si servì di fonti occidentali
senza però citarle. vi sono poi altri due storiografi fondamentali Ibn Idhari (seconda metà
del XIII sec. e primi decenni del XIV), Ibn Khaldun (1332-1406) e un autore egiziano Ibn
Niwayrī (XIII sec.). Per un approfondimento : A. NEF, Les armées arabo-musulmanes en
Sicile et en Italie du Sud (IX-X siécles), in (a cura di) D. BARTHéLEMY, J.C. CHEYNET,
Guerre et société au Moyen Age. Byzance-Occident (VIII-XIII siecle), Paris, 2010.
304
Per un approfondimento : P. FOIS, Peut-on dégager une stratégie militaire islamique
propre aux iles de la Mediterranee aux VII-VIII siécles?, in Le processus d’islamisation en
Sicile et en Méditerranée centrale (Actes du colloque, Palermo 8-10 novembre 2012), pp.
86-100 : pp. 15-24.
305
P. FOIS, Il ruolo della Sardegna nella conquista islamica dell'Occidente (VIII secolo), in
« Rime », 7, 2001, pp. 5-26: p. 7.
306
M. TALBI,’’ L’emirat aghlabide…’’cit., p. 384.
307
Ivi, p. 386.
105
tornarono, ma da questo momento Nuṣayr impegnò le forze per conquistare
la Spagna308. Nel 740 è attestato il pagamento del tributo per la Sicilia e nel
752 per la Sardegna309. Progressivamente l’arrivo in Sicilia comportò anche
un superamento dello Stretto di Messina e il proseguimento delle milizie
verso l’Italia peninsulare e quindi verso la Calabria.

Il 752 fu l’anno dell’apogeo della potenza di ‘Abd al Raḥmān ibn Habīb


al Firī, il quale tornato da Qayrāwān fece irruzione in Sicilia ed inviò
contemporaneamente una flotta ad attaccare la Sardegna, dove gli abitanti
vennero massacrati fin quando non si sottomisero al pagamento dei tributi310.
Poi inviò una flotta nel paese dei Franchi (Ifranğa) da dove tornò con i
prigionieri.

Nello stesso periodo però in Ifriqiya vi furono disagi interni determinati


dai Ḫariğiti, i quali avevano innescato una situazione di incertezza e di
violenza diffusa. Per questi motivi intestini i musulmani dovettero per un
periodo abbandonare la presa sulla Sicilia, permettendo ai Bizantini di
recuperare terreno nell’isola. Essa venne fortificata su ogni lato con la
costruzione di roccaforti (ma’aqīl)311 e cittadelle312. Fu in quel periodo che
l'Ifriqiya cessò di essere la base di partenza degli attacchi musulmani e con
l'uccisione di Abd al Raḥmān ibn Habīb tra il 754 e il 755 cambiarono molte
cose. L'ordine nella regione venne ristabilito dai governatori Muhallabidi
(772-794), vassalli di Ifriqiya, ciò nonostante essi preferirono non muovere
azioni contro la Dār al Ḥarb313. Seguì allora un periodo di tregue dalla metà

308
Ivi, p. 386-387.
309
P. FOIS, ‘’Peut-on dégager une stratégie…’’ cit., p. 19.
310
Nell’anno 753 ‘Abd al Raḥman ibn Ḥabib che dall’Africa fece una scorreria in Sicilia
dove prese prigioni e preda. Egli assalì di nuovo la Sardegna poi si accordò con costoro che
gli pagassero la ğizia; cfr. M. AMARI, ‘’Storia dei Musulmani…’’ cit., p. 4.
311
‘’L’anno centotrentacinque (17 luglio 752 a 5 luglio 753), allestita un’armata e gastigati
i Berberi di Telemsen, andò in persona o com’altri vuole, mandò il proprio fratello Abd Allah
all’impresa di Sicilia e poi di Sardegna; nellae quali fu fatto molo guasto e stragi e preda e
prigioni: durevoli acquisti no; non cencedendolo le deboli fondamenta della dominanzione
d’Abd al Rahman in Affrica. Il governo bizantino potè quindi, avvertito da tal nuova
minaccia, afforzare validamente le due isole e massime la Sicilia che più gli premea; rizzare
un castello, così scrivono i Musulmani, sopra ogni roccia atta a difesa; e ordinare un’armata
che guardava que’mari e quando il potea, corseggiava sopra i mercantanti musulmani.’’ In
M. AMARI, ‘’Storia dei Musulmani…’’ cit., p. 175.
312
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., p. 389.
313
Ibidem.
106
dell’VIII sec. fino agli anni venti del IX sec., momento che coincide con
l’effettiva ripresa delle economie di alcune città italiane, in particolar modo
Napoli, Amalfi, Gaeta, attrezzate di proprie flotte.

L’interesse carolingio

Il mondo islamico non doveva confrontarsi solamente con le forze


bizantine, ma anche con quelle carolinge. I Carolingi infatti avevano a loro
volta esposto l’interesse nei confronti del Mediterraneo, in quanto mare
commerciale, aspirando al raggiungimento delle coste africane. Nonostante
le fonti non ne parlino esplicitamente le città africane vennero modificate per
una maggiore difesa territoriale. Per questo motivo i governatori come Yazīd
ibn Hatīm al Muhallabī incentivarono la costruzione di ribat all'interno delle
quali militari volontari si prestavano per sorvegliare la sicurezza delle
coste314.

Quando nel 798 gli arabi attaccarono le Baleari, le isole chiesero aiuto
ai Franchi e alle forze dell'Italia settentrionale. Carlomagno ordinò al figlio
Ludovico di allestire una flotta per salvaguardare le zone costiere della
Francia meridionale e l'Italia nord occidentale, allo stesso tempo Genova
cercava di conquistare la Corsica, in mano agli arabi, ma invano. Quando
nell’812 i Bizantini riuscirono a fermare l'attacco arabo contro Lampedusa,
gli Idrisidi, governatori del Marocco, inviarono un'ambasceria presso
Gregorio. Gregorio, che era governatore della Sicilia, allarmato dall’arrivo di
sette navi Maurorum315, sollecitò Papa Leone III affinchè convincesse
Carlomagno a sottoscrivere ad un patto tra le parti. A quel punto il Papa
comunicò alla corte carolingia la necessità di una tregua316. La pars

314
Ivi, p. 394.
315
Termine utilizzato già in epoca romana per indicare gli arabi d'Africa; G. PIZZOLI,
Dizionario d'ogni mitologia e antichità incominciato da Giacomo Pizzoli sulle tracce del
dizionario della favola di Fr. Noel, III, Milano, 1822, p. 470.
316
(a cura di) C. CENNI, Monumenta dominationis pontificiae sive Codex Carolinus, II,
Roma, 1760, p. 72-75; Nel regesto di questa edizione, l'autore dice che Papa Leone avendo
ricevuto dal governatore della Sicilia Gregorio, scriveva a Carlomagno per metterlo al
corrente della decisione da parte degli arabi di ottenere una tregua decennale. Era una lettera
107
occidentalis non era estranea ai rapporti diplomatici, tanto che il governatore
abbaside Muhammād b. Muqatīl al Akkī (797-800) proprio per il suo rapporto
pacifico con il governatore di Sicilia, si era guadagnato l'opposizione degli
ambienti religiosi musulmani317. La vicinanza geografica tra l’isola e le
sponde dell’Ifriqiya aveva incentivato la ricerca di punti di incontro tra le parti
per rinvigorire l’economica di entrambe318. Napoli, Amalfi e Gaeta furono le
città a svolgere il ruolo di intermediari tra i mercati siciliani, che a loro volta
coinvolgevano la merce delle regioni meridionale, e i mercati arabi. Come già
sottolineato precedentemente però, ad attaccare le coste latine non erano
soltanto i musulmani di Ifriqiya, motivo per cui, nonostante l'hudna, la tregua
stabilita nell'813, le fonti segnalano altre incursioni ai danni dell'isola di
Ischia, nel golfo di Napoli, dell'isola di Ponza e Lampedusa e contro un
villaggio della città di Reggio, nello stesso periodo. Questi attacchi erano
coordinati dal califfato di Cordova, in quel frangente in conflitto con
Aquisgrana, e che per vendicarsi dei successi franchi aveva avviato delle
offese marittime319. Abbiamo la conferma del fatto che fossero gli omayyadi
spagnoli gli autori di questi attacchi tramite una lettera di Papa Leone III
indirizzata a Carlomagno, in cui il pontefice si riferisce con termini quali
Mauri320 o l'aggettivo mauriscos, entrambi utilizzati per riferirsi ai
musulmani di Cordova321.

Il ruolo della storiografia sulle vicende islamiche

L'analisi dell'azione musulmana nei territori occidentali è stata a lungo


posta in essere sulla base delle informazioni ricavate dalle fonti latine.

molto importante, in quanto il pontefice vi aveva apposto il sigillo che garantiva l’esclusiva
apertura da parte del destinatario, in questo caso Carlomagno.
317
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., pp. 396-397.
318
Ibidem.
319
C. CENNI, ‘’Monumenta dominationis…’’ cit., pp. 72-75.
320
G. MUSCA, L'emirato di Bari, 847-871, Edizioni Dedalo, Bari, 1967, p. 15.
321
Gli abitanti dell'Africa settentrionale erano: Mauri, Berberi e Arabi. I Mauri erano abitanti
dell'Africa settentrionale, inizialmente della parte occidentale, che per molti secoli abitarono
in Spagna; C. E. VAILLANT, Dissertatio historico politica inauguralis de necessitudine
iuris gentium quae Europaeis gentibus intercedit cum septentrionalis Africae orae
civitatibus,1831, p. 7.
108
Leggendo le fonti arabe, perlomeno considerando gli autori più importanti
quali Ibn Ḫaldūn (XIV-V secc.), Ibn al Aṯīr (XII-XIII secc.) per le
informazioni sul periodo il IX e il X secc., e poi Al Idrīsī per il periodo
normanno, abbiamo una percezione differente. All'interno delle descrizioni
arabe infatti, le incursioni musulmane sono prive di dettagli, risultano
piuttosto dei resoconti immediati e laconici dei movimenti militari tra le
sponde africane e quelle italiane322. L’Occidente descritto dagli Arabi sembra
essere più una terra di ricchezze da ottenere, che di fedeli da convertire. La
percezione dell’ovest da parte musulmana riguarda in maggioranza un
interesse geografico. Ibn Ḫaldūn, ad esempio, a proposito dell’Occidente,
scriveva:

''Quarta regione: si collega per un terzo dalla zona settentrionale, e il primo


da esso è in occidente separato dall’Oceano che si prolunga dal suo primo sud verso
la fine a nord e qui nel sud vi è la città di Tangeri e da essa il pezzo al di sotto di
Tangeri dall’Oceano verso il mare dei Rum nel golfo angustiato a un certo punto,
12 miglia tra Tarif e l’isola verde a nord e la strettezza del valico […]poi Maiorca
poi Minorca poi la Sardegna poi la Sicilia323. [...] E ad est, conta un’ampiezza del
territorio di settecento miglia ed essa è attraversata da molte città, dalla famosa
Siracusa, a Palermo, a Trabia, a Mazara e a Messina, e questa isola è di fronte alla
terra di Ifriqiya, tra le due terre vi sono l’isola di Lampedusa e l’isola di Malta. La
terza parte da questa regione anche bagnata in tre parti dal mare sul lato nord
occidentale cui appartiene la terra di Calabria324.

La Sicilia, la Corsica e la Sardegna assumevano un significato di grande


importanza nel panorama delle conquiste musulmane. Assicurarsi la presa
delle isole infatti avrebbe significato la conquista di una posizione di netto
vantaggio rispetto ai Bizantini. Per le vicende dell'Italia peninsulare, la
conquista siciliana fu fondamentale. Le incursioni infatti erano necessarie per
l'approvvigionamento di schiavi e di beni325. L'acquisizione di nuovi territori,

322
É stato notato che opera storiografiche fondamentali per la storia dell’Islam, quali le
cronache di Ya’qubi (m. 897), Baladhuri (m. IX sec.) e Tabari (m. 923) hanno lasciato scarse
informazioni in merito a questi accadimenti e non forniscono nessun dato in merito
all’avanzata musulmana oltre l’Egitto; cfr. P. FOIS, Il ruolo della Sardegna nella conquista
islamica…, op. cit., p. 12.
323
Tareek Ibn Khaldoun, Dar F.l-fikr Beyrouth-Liban, 2010, p. 82.
324
Ivi, p. 84-85.
325
A. METCALFE, The Muslims of Medieval Italy, Edinburgh, 2009, p. 7.
109
però, accresceva sì lo spazio musulmano, ma implicava un dispendio di
maggiori forze per la difesa dei nuovi confini. Il fatto che molti degli attacchi
descritti dalla storiografia latina, sinao invece ignorati da quella araba,
vorrebbe significare che essi non fossero indetti dal califfato centrale, ma che
costituissero piuttosto iniziative singole, perciò la menzione di alcuni
avvenimenti manca nei resoconti musulmani che citavano le iniziative scelte
per il perseguimento del ğihad326.

Nelle fonti latine e greche, in ogni caso, questi agenti seppur spesso
diversi, saranno semplicemente detti ‘’Saraceni’’, termine che sin dal I sec.
indicava i nomadi viventi nelle zone ai confini con la Persia. Un altro termine
utilizzato è Agareni, ovvero, discendenti di Agar, o Ismailiti da Ismaele327.
Le fonti storiografiche che consentono una ricostruzione seppur parziale degli
eventi nella Penisola sono essenzialmente cronache latine e agiografie328. Tra
queste abbiamo la Chronica Santi Benedicti Casinensis redatta proprio
durante gli anni delle incursioni musulmane, poi l'Historia Langobardorum
Beneventanorum compilata alla fine del IX sec. dal monaco cassinese
Erchemperto, il quale narrò le vicende dalla fine del regno longobardo nel
774 fino all'anno 889. Il Chronicon Salernitanum che fornisce una
descrizione degli eventi dalla metà dell'VIII sec. fino al 974, anno della morte
del principe di Capua-Benevento Pandolfo, approfondendo gli avvenimenti
che hanno interessato i principati di Salerno e di Benevento329. Gli Annales
Regni Francorum opera che descrive le gesta dei Franchi dal 741 all'829 ed
include le vicende che interessarono il popolo franco alle prese con i
musulmani330. Proprio quest'ultima fa emergere un aspetto molto importante:
i Saraceni nelle cronache latine spesso non rivestirono il ruolo di nemici, ma
vennero anche chiamati in aiuto delle forze dell'Italia peninsulare. Questa era

326
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’ cit., p. 55; C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’
cit., p. 87.
327
N. CILENTO, ‘’Atti del IV congresso storico...’’ cit., p. 215.
328
L. A. BERTO, I musulmani nelle cronache altomedievali dell'Italia meridionale (secc.
IX-X), in (a cura di) M. MESCHINI, Mediterraneo medievale: cristiani, musulmani ed eretici
tra Europa ed Oltremare (IX-XII secc.), Milano, 2001, pp. 3-5; A. VANOLI, ‘’La Sicilia
musulmana...’’ cit., p. 57.
329
Ibidem.
330
R. MCKITTERICK, Charlemagne: The Formation of European Identity, Cambridge
University Press, 2008, p. 27.
110
una dinamica già nota all’Occidente, infatti, già nel 725 il Eudone, Duca
d'Aquitania, aveva richiesto l'aiuto delle forze islamiche da impiegare contro
Carlo Martello331, sebbene alla fine i Franchi riuscirono a sconfiggerli332, per
poi essere nuovamente affrontati pochi anni dopo A distanza di quattro anni
però le forze musulmane riuscirono a prendere Avignone e devastarono la
regione333. Nonostante i diversi episodi che le fonti occidentali descrivono
come sconfitte per la parte araba, le forze islamiche non si fermarono, tanto
che riuscirono nella conquista della Sicilia.

La conquista della Sicilia

La riuscita di questa spedizione fu aiutata, come spesso accadde per la


storia degli arabi in Italia e nelle isole, da dissidi interni. Infatti, nell'826,
insediatosi in Sicilia il nuovo governatore Costantino, sorsero le prime ostilità
con il turmarca in carica Eufemio334. Eufemio, come già accaduto in
precedenza, aveva deciso di ribellarsi al governatore bizantino appoggiando
l’iniziativa musulmana. Stando alle fonti, la dinamica ricorda quella della
conquista della Penisola Iberica, quando il Conte Giuliano tradì i Visigoti,

331
''DCCXXV. Sarraceni ab Eudone in auxilium suum vocati cum rege suo Abdirama
Garonnam Burdigalem que perveniunt cunctis locis vastatis et aecclesiis igne crematis;
basilicam quoque Sancti Hilarii Pictavi incedunt''; cfr. Eginardo, Annales Regni Francorum
Orientalis, ed. G. H. PERTZII, Hannoverae, 1891, p. 2.; ''[...]E mentre egli preparava
essercito per andare nella Guascogna contra il Duca Eudone da lui non ancora a suo modo
castigato; ecco che Eudone veggendosi a Carlo inferiore di forze e di valore, secondo il
costume de' disperati, chiamò in suo aiuto contra Carlo Martello i Saraceni; li quali prima
dell'Africa, poi della Spagna s'erano felicemente insignoriti e tenevano già per ispatio di
dieci anni l'imperio della Spagna'' G. C. SARACENI, I fatto d'arme famosi, successi tra
tutte le nationi del mondo, da che prima han cominciato a guerreggiare sino ad hora, II,
Venezia, 1571, p.352.
332
''DCCXXVI. Karolus Sarracenis cum manu valida occurrens et auxilio Dei fretus regem
eorum cum infinita multitudine prostravit devictisque hostibus cum triumpho regreditur'' in
Eginardo, ‘’Annales Regni Francorum Orientalis…’’cit., p. 2.
333
Ibidem. ''DCCXXXIIII. Sarraceni a Carlo in bello superati; qui gladium effugere poterant,
ascensis navibus dimersi sunt in mari.''; ''DCCXXXV. Franci Carlo duce Sarracenos
proterunt, praedam magnam decentes et captivorum multitudinem''.
334
Sul turmarca Eufemio: C. FLEURY, Storia ecclesiastica, XXIII, Brescia, 1828, p. 35.; la
versione delle fonti latine però sarebbe nettamente in contrasto con quelle arabe,
maggiormente accreditate dalla storiografia; A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’cit., p.
56.
111
aiutando così l'ingresso degli Arabi in Spagna nel 711, d’altronde non è nuovo
questo topos letterario nella storia militare335.

La spedizione dell'827 non fu semplice come le altre ed ebbe esiti quasi


inaspettati. Essa fu preceduta da un'ampia riflessione da parte dei giuristi di
Qairāwān: il dilemma consisteva nella possibilità o meno di violare il patto di
tregua precedentemente stipulato con Bisanzio. Infine, essi approvarono la
partenza, in quanto già i Bizantini non avevano rispettato l’accordo. Fu una
decisione molto importante per la politica d’Ifriqiya, per cui si espressero i
migliori giurisperiti della regione e tale importanza è confermata in un’opera,
Riyāḍ al Nufūs, una raccolta di vite degli Ulama di Qayrāwān336. L'ultima
parola spettò però all’amir, Ziyadāt Allāh I, che avendo deciso per la partenza,
affidò il comando al qadi Asān ibn al Furāt, uscito vincente dalla disputa con
il temporeggiatore Abū Muḥrīz337.

Al Furāt non era di discendenza araba, proveniva infatti dalla Persia,


ma era stato educato alla dottrina e alla lingua araba, oltre ad aver studiato
con importanti maestri di Medina e Baghdad. Egli dunque aveva introiettato
il principio di affermazione ed estensione della fede musulmana ed era
fortemente convinto della necessità del ğihad nella terra degli infedeli, per cui
avrebbe goduto dell'appoggio divino. Questo senso di responsabilità nei
confronti della sua fede, lo fece emergere anche come uomo d'armi
sull'esempio del primo ğihad guidato dal Profeta338.

Questa spedizione aveva assunto caratteri molto importanti, soprattutto


religiosi, per cui si erano mobilitati non solo uomini di guerra, ma anche di
scienza e di devozione. Cosicchè, Ziyadāt Allāh decise di far precedere alla
partenza una maestosa cerimonia339. Qualcosa rispetto alle azioni offensive
precedenti era cambiato. I musulmani erano tornati a pensare l'espansione

335
Ibidem; A. METCALFE, ‘’The Muslims...’’ cit., p. 10; G. MICHAUD, Storia delle
crociate, III, Milano, 18314, p. 520; (a cura di) F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli
Arabi...’’ cit., p. 45.
336
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana…’’cit., p. 57.; A. METCALFE, ‘’The Muslims...’’
cit., p. 11.
337
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi...’’cit., p. 45.
338
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi...’’cit., p. 45.
339
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’cit., p. 418.
112
come mezzo per portare il messaggio di Allah nella terra dei Rum. Nonostante
questo però i futuh, le conquiste in Occidente dell'Islam, mantennero quel
carattere di disorganizzazione che spesso era emerso dalle operazioni dei
secoli precedenti340.

A metà giugno dell'anno 827 (lo stesso in cui venne condotta la


spedizione contro Creta, guidata da Abū Hafṣ Umār al Ballutī) gli Arabi
partiti da Susa, sbarcarono a Mazara sul lato occidentale dell'isola. Per la
riuscita della spedizione erano state impiegate forze di varia provenienza, le
quali avevano formato una coalizione vincente. Tra le fila vi erano l'elité di
Ifriqiya costituita da uomini arabi, i Saqaliba341, ma anche contingenti non
arabi di Ifriqiya e truppe provenienti dall'Africa subsahariana. A questi si
sarebbero aggiunti in seguito uomini provenienti da Tortosa342, guidati dal
berbero Asbaġ ibn Wakīl, detto Farġālus343, i quali giunsero in aiuto durante
la distruzione di Mineo344. Partirono moltissimi uomini con numerose navi345
e ad attenderli nell’isola vi era l’esercito cristiano di Eufemio. La funzione di
Eufemio era ovviamente quella di guidare i conquistatori sull’isola, mostrare
loro come muoversi sul territorio, affinchè evitassero delle imboscate dai
nemici.

La reazione di Bisanzio in realtà stentò ad arrivare, ma non appena i


Greci si accorsero del pericolo, immediatamente attivarono le loro forze
militari, affidandole alla guida di un certo Balaṭa346. Si è ipotizzato che egli
fosse un curopalates, in ogni caso ebbe il merito di aver affrontato i muslmani
e le forze di Eufemio nella zona del Balice sinistro, tra Mazara e Palermo.

340
Ibidem.
341
Termine derivante da slavi ed utilizzato per indicare schiavi provenienti inizialmente
dall'Europa orientale, poi tra il IX e l'XI sec. provenienti anche da altre regioni, i quali
venivano acquisiti tramite azioni di pirateria o attraverso il commercio di schiavi. Queste
forze furono particolarmente impiegate come soldati negli eserciti del califfato andaluso e
fatimide.
342
Spagnoli probabilmente scappati dalla repressione di Cordova nell'818; cfr. M. TALBI,
‘’L'emirat aghlabide…’’ cit., p. 418.
343
K. MALLETTE, European Modernity and Arab Mediterranean: Toward a new philology
and a counter-orientalism, University of Pennsylvania Press, Pennsylvania, 2010, p. 80.
344
A. METCALFE, ‘’The Muslims…’’ cit., p. 12.
345
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’cit., p. 419.
346
I numeri forniti dalle fonti arabe sembrerebbero corrotti, in quanto, si parlerebbe di più
di 150.000 uomini, numero con cui la storiografia recente non è d'accordo; A. VANOLI,
‘’La Sicilia musulmana...’’ cit., p. 60.
113
Balaṭa però venne duramente sconfitto, perciò dovette prima rifugiarsi in una
roccaforte bizantina, presso Enna347, per poi fuggire in Calabria348.

L'importante vittoria aveva animato gli animi dei musulmani, tanto da


far pervenire la notizia non solo all’amir di Qairāwān, ma anche al califfo al-
Ma'mūn di Baghdad349. La conquista totale dell’isola era molto lontana. Essi
riuscirono ad insinuarsi all’interno grazie alla guida di Asād, il quale li guidò
nell'attraversamento del territorio, probabilmente per la via romana passando
Val di Noto350, con l'intento di assediare Siracusa, sede dello Stratego di
Sicilia351. Lì però i musulmani iniziarono a confrontarsi con le prime
problematiche date anche da una supercifiale organizzazione. Mancanza di
approvvigionamento, ammutinamento di uomini, cui si aggiunse una
pestilenza che portò alla morte persino Asād, indebolirono i contingenti
musulmani. Bisanzio ne approfittò insieme con Venezia per spedire degli
aiuti militari a Siracusa, mentre le coste dell'Ifriqiya, tra Utica e Cartagine,
erano attaccate da una flotta carolingia comandata dal conte Bonifacio di
Lucca352.

Pur avendo perso la propria guida, i musulmani proseguirono l’attacco


nell’isola, perciò si diressero verso Mineo, l’assediarono e presero il
castello353. A quel punto procedettero senza molte difficoltà verso Girgenti e

347
A. VANOLI, La Sicilia musulmana..., op. cit., p. 60.
348
(a cura di) E. FAGNAN,’’ Ibn al Aṯir…’’ cit., p. 188.
349
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi..., op. cit., p. 46.
350
A. METCALFE, The Muslims..., op. cit., p. 12.
351
La narrazione dell'impresa siciliana si è conservata all'interno della cosiddetta Cronaca
Siculo-Saracena ovvero una raccolta di notizie dall'827 al 965. E' interessante oltre in quanto
fonte preziosa, anche per la sua doppia natura, infatti, del testo arabo è stato ritrovato anche
un prototipo greco all'interno di un codice datato all'anno 999. Il Codex presenta un titolo che
indica il contenuto, ovvero una cronaca da Adamo fino al 999 dell'era volgare, ma dall'826
presenta un'altra intitolazione, ''da che i Saraceni entrarono in Sicilia''. Da quel punto in poi
effettivamente la cronaca si concentra moltissimo sulle vicende dell'isola. Appena dopo
l'anno 989 vi è la memoria dell'anno 1031 che però probabilmente venne redatta da un'altra
mano, quella di un tale Giovanni figlio di un arciprete della città di Cassano allo Ionio in
Calabria, il quale parlerà poi esclusivamente delle vicende calabresi; (a cura di) G. COZZA-
LUZI, La Cronaca siculo-saracena di Cambridge,Palermo, 1890, pp. 1-16.; Nel testo greco
troviamo l'espressione ''οι Σαρακεινοι εις Σικιλια'' che ci indica immediatamente il cuore
della tematica affrontata nel testo. Il corrispondente arabo invece dice ''In nome di Dio
misericordioso e degli uomini che si affidano a Lui. Capitolo della storia dell'isola di Sicilia
da quando entrarono i musulmani e le notizie'' Ivi, p. 5.
352
M. TALBI, L'emirat aghlabide..., op. cit., p. 427.
353
(a cura di) G. COZZA-LUZI, La Cronaca siculo-saracena di Cambridge, Palermo, 1890,
p. 53. ''Anno 6339 (830-1) Fu presa Minawh (Mineo) ed ucciso il patrizo Teodoto''.
114
tentarono senza risultato di prendere Castrogiovanni (Enna). Lì, fermi senza
alternative, videro fortunatamente l'arrivo dell'aiuto delle forze provenienti da
Al Andalus guidate da Farġalūs, che li condusse contro altre bande bizantine
che assediavano Mineo. Purtroppo, poco dopo anche egli morì a causa di
un'epidemia e molti dei suoi uomini si imbarcarono per lasciare l'isola354. Nel
frattempo. però l'amir aghlabide aveva mandato in soccorso nuove flotte dalla
Tunisia, le quali si unirono a quelle di Asād e si mossero verso Palermo355.
Presa Palermo, essa divenne la residenza del governo militare e civile arabo
presieduto da uomini nominati da Qairāwān, mentre le nuove iniziative
venivano dirette da due principi aghlabidi, Abū Fihr e Abū al Aghlab Ibrahim.
I musulmani allora riuscirono a conquistare Val di Mazara nella zona
occidentale della Sicilia, dopodiché procedettero in direzione di Messina, che
riuscirono ad espugnare grazie all’aiuto di forze navali provenienti da
Napoli356 .

Dopo la presa di Ragusa, Abū ibn al Faḍl per dieci anni si occupò
dell'espugnazione di Enna, principale caposaldo bizantino che resisteva alle
forze islamiche357. Il grande impegno che era stato necessario per la sua presa,
venne celebrato con la costruzione di una moschea nell'859, in cui dall'alto
del minbar al-Abbās recitò la preghiera del venerdì358. Raggiunto questo
obiettivo i musulmani si impegnarono a fortificare la città e a ripopolarla, ma
allo stesso tempo perdevano terreno in altre zone recuperate dai Bizantini.
Dopo un periodo di tregua, il nuovo governatore Ḫafağa sferrò gli attacchi
contro le città della Val di Noto, nel sud-est, che si arresero nell'864. Nell'870
gli Aghlabidi presero anche Malta359.

Nell'878 dopo tanti anni finalmente le forze islamiche al comando di


Abū Ishāq, luogotenente di Ǧa'fār, conquistarono Siracusa e con la sua caduta

354
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi...’’ cit., p. 46.
355
(a cura di) G. COZZA-LUZI, La Cronaca siculo-saracena di Cambridge, Palermo, 1890,
p. 52.
356
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’ cit., pp. 64-65.
357
''Anno VIM.CCC.LXVII (858-859). Avvenne la resa di Enna. Indizione VII'' in (a cura di)
G. COZZA-LUZI, La Cronaca siculo-saracena di Cambridge, Palermo, 1890, p. 56.
358
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’ cit., p. 72.
359
''Anno VIM.CCC.LXXXIII (869-870) Si arrese Melita il .xxiv. del mese di agosto.
Indizione III'' in (a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca…’’ cit., p. 60.
115
Bisanzio perse il potere effettivo sull'isola360. Siracusa infatti rappresentava
l'ultimo baluardo del potere bizantino sul territorio. L'unica zona
inespugnabile restava quella montuosa di Val Demone, che cadde nelle loro
mani dopo Val di Mazara e Val di Noto. Le forze bizantine cercavano di
tutelare la zona tra Rametta e Taorimina e quella dell'Etna, ma da Palermo
arrivavano continui attacchi musulmani specialmente tra l'885 e l'895. I loro
sforzi però erano resi vani da discordie interne, infatti, il disagio presente in
Africa a causa dei contrasti tra Arabi e Berberi, continuava in Sicilia tra le fila
militari361. La conquista venne completata solo nel X sec. con l'arrivo di aiuti
aghlabidi da Qayrāwān, ma soprattutto con l'arrivo di Ibrahim II362 al potere
dall'875 fino al 902363.

La zecca: da Siracusa a Reggio

A partire dalla seconda metà del VI sec. l’imperatore Maurizio aveva


intrapreso un programma di riorganizzazione dell’amministrazione civile e
militare per affrontare le incursioni, perciò diede vita agli esarcati d’Italia e
d’Africa con una consequenziale crescita delle emissioni locali. La politica
imperiale fece sì che l’isola divenisse il fulcro della difesa sia contro i
Longobardi che contro gli Arabi provenienti dall’Africa. Tra l’VIII e il IX
sec. Siracusa era la prima e unica zecca provinciale dell’Impero che emetteva
grandi quantità di monete, di cui si sono rintracciati degli esemplari nel
Vicino Oriente, nel territorio carolingio, nella zona dei balcani, che danno una
prova ulteriore di una dinamicità economica del periodo.

Al momento della conquista musulmana di Siracusa nell’878, la zecca venne


prontamente trasferita in Calabria presso Reggio, la quale andava ad assumere
un maggior ruolo di rilievo nella politica bizantina. La città era

360
Ivi, pp. 47-48.
361
(a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca…’’ cit., p. 48.
362
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., pp. 271-322.
363
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi…’’ cit., p. 244.
116
strategicamente adatta ad accogliere sia la zecca che il praitorion dello
stratego e destinata a divenire successivamente a divenire capitale thematica.

La riflessione dei numismatici è ancora aperta in merito alla data precisa


di chiusura della zecca siracusana, infatti è stato ipotizzato che già dall’870
la sua officina non fosse più attiva364. Ciò di cui si ha notizia però è che allo
stato degli studi vi fu una diminuzione dell’emissione di semissi o tremissi di
Basilio I ancora prima di cadere in mano araba, con una svalutazione delle
monete dovuta dalla pressione aghlabide. Gli attacchi poi nell’isola avevano
determinato l’aumento delle spese militari parallelamente a una rendita
fiscale peggiore365. I ritrovamenti di monete corrispondenti al periodo del
trasferimento della zecca, in particolare le monete riscontrate presso la
fortezza di Calanna (RC), possiedono caratteristiche che fanno presumere sì
la produzione presso l’officina reggina, ma con personale siracusano, che
probabilmente aveva seguito lo stratego lì trasferitosi366.

Gli attacchi nell’Italia peninsulare

Dagli anni settanta del X sec. i musulmani iniziarono ad attaccare la


penisola. I primi obiettivi sensibili furono Salerno e Taranto, due reatà
economicamente attive e strategicamente funzionali per la conquista del
meridione. Le truppe islamiche erano solite, nel momento in cui non
riuscivano a compiere l’espugnazione di una città, a passare alla razzia nelle
campagne circostanti, tattica attuata nei dintorni di Taormina e Siracusa. Essi
indebolivano il nemico tramite le ġazwa che derivavano direttamente da una
prescrizione di Muḥammad.

364
L. TRAVAINI, La monetazione della Sicilia in epoca islamica, in « Mélanges de l’Ecole
française de Rome. Moyen-Age », 116, 1 (2004), pp. 303-317: p. 309.
365
C. MORRISSON, V. PRIGENT, La monetazione in Sicilia nell’età bizantina, in (a cura
di) L. TRAVAINI, Le zecche italiane fino all’Unità, Roma, 2001, pp. 427-434.
366
D. CASTRIZIO, I ripostigli di Via Giulia (RC) e del Kastron di Calanna e la zecca
bizantina di Reggio sotto Basilio I e Leone VI, in « Revue numismatique>>, 155, 6 (2000),
pp. 209-219: pp. 211.
117
Il Profeta, infatti, stando alla tradizione, avrebbe dichiarato di
distruggere e bruciare le città per il proseguimento del ğihad nelle terre dei
nemici367. Per portare avanti la politica militare le forze islamiche dovevano
approvvigionarsi e ritornare da ogni attacco con un numero di schiavi e
prigionieri368. Fu Ibrahim II l’aghlabide a proseguire la politica d’espansione
nell’ ārḍ al kabīra che aveva avuto inizio con la presa di Taranto nell’840.
Dall'Anonimo Salernitano sappiamo che:

''[...] Tali scontri si ripetevano troppo spesso e gli Agareni, avendolo saputo,
fecero una mobilitazione generale: varcarono i confini della Calabria e invasero le
località circostanti. Giunsero a Taranto, che subito conquistarono e, quindi,
penetrarono in terra di Puglia e ne saccheggiarono quasi tutte le città, uccidendo
gli uomini, come viene mietuto il grano maturo.''369

Mentre le azioni in Sicilia continuavano370, altre flotte aghlabidi


partivano per attaccare la zona peninsulare meridionale. Esse raggiunsero
Ancona nell'840, mentre a Messina colpivano una flotta che assicurava loro
il controllo sullo Stretto. Nonostante la presenza degli eserciti di Ludovico II,
nell'849 si arrese anche Bari. Gli attacchi tra la Sicilia e le regioni dell'Italia
meridionale continuarono senza sosta fino all'875, quando gli aghlabidi
inaugurarono una nuova campagna di conquista371. Seguirono disordini tra la
Puglia e la Calabria, parimenti in Sicilia i musulmani erano in difficoltà,
dovendo affrontare le flotte bizantine. Nell’889 presa Milazzo, la popolazione
si rifugiò presso Reggio Calabria372.

367
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’cit., pp. 71-72.
368
Ibidem.
369
(a cura di) A. CARUCCI, ‘’Il Chronicon salernitanum…’’, p. 128.
370
''[...] Circa haec tempora gens Agarenorum a Babilonia et Africa ad instar examen apum
manu cum valida egrediens, Siciliam properavit, omnia circumquaque devastans; tandem
civitatem insignem Panormum nomine captam, nunc usque commoratur, plurimasque in
eadem insulam urbes et oppida dirruens, iam pene tota illarum gentium ditioni substrata
congemescit. Inter haec moritur Lodoguicus, qui secundus in Gallia augustali preerat
imperio; Lutharius supradictus illius regni heres effectus est, atque ab hoc Francorum
divisum est regnum, quoniamo Lutharius Aquensem et Italicum, Lodoguicus autem
Baioarium, Karlus vero, ex alia ortus genitrice, Aquitaneum regebant imperium.'' In (a cura
di) G. WAITZ, Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in Scriptores rerum
langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae, 1988, p. 239.
371
C. PICARD, ‘’Il mare dei califfi...’’cit., pp. 243-244.
372
''Anno VIM.CCC.LXXXVII (885-889). Fu catturata a Mylas la flotta de' Cristiani e fuggi
a Reggio e avvennero molti mali. Indizione VII'' in (a cura di) G. COZZA-LUZI, La
Cronaca…, op. cit., Palermo, 1890, p. 61.
118
Campania e Puglia

La preoccupazione per le numerose incursioni che rendevano ormai


evidente che l’obiettivo principale riguardava la conquista dell'Italia
meridionale, emerge anche dalle ambasciate di Teofilo presso Ludovico II.
L’imperatore chiedeva di inviare immediatamente un'armata contro gli Arabi
d'Occidente che stavano devastando l'Italia meridionale. L’essersi stabiliti in
Sicilia, permetteva loro di intraprendere sistematicamente le azioni contro la
Calabria, inoltre essi potevano contare sull’alleanza con Napoli. Già nel IX
sec. infatti, il principato di Benevento aveva manifestato l'intento di
espandersi verso il sud, scontrandosi con le repubbliche di Napoli, Amalfi,
Sorrento e Gaeta. Questa situazione di instabilità si protese fino alla
comparsa, dopo i Franchi, di nuovi nemici: i musulmani di Sicilia. Sorta una
guerra tra Napoli e Benevento nell'836, la prima venne aiutata da una flotta
musulmana, mentre Sicardo, principe di Benevento, fu costretto a stabilire
allora un accordo e a liberare i prigionieri. Fu questa la circostanza in cui sorse
l'alleanza tra Napoli e i musulmani, che favorì poi l'azione islamica nelle
regioni meridionali373.

Dalla conquista di Palermo, i musulmani contavano molto nella politica


della penisola e godevano della conoscenza territoriale della Campania, in
quanto sia avevano intrattenuto rapporti commerciali con Napoli già
precedentemente, sia avevano insinuato delle comunità islamiche nella
regione, le quali si erano poste da intermediarie tra locali e musulmani374.
Napoli si era rivolta ai musulmani per sconfiggere Sicardo che minacciava i
territori di Amalfi, Sorrento e Gaeta; da questa amicizia, dopo aver liberato
Napoli dal Principato di Benevento, seguì un accordo commerciale375. Per
queste dinamiche instauratesi tra poteri locali e forze islamiche è stato anche
ipotizzato che il primo attacco rivolto alla Puglia, fosse servito in realtà a
destabilizzare Sicardo, il quale assistete all’assalto di Brindisi nell’838. A
quel punto i musulmani poterono tornare in Calabria e stabilirvisi

373
A. A. VASILIEV, Byzance et les Arabes, I, Bruxelles, 1935, pp. 179-182.
374
G. MUSCA, ‘’L'emirato di Bari...’’ cit., p. 16.
375
Ibidem.
119
permanentemente e l’anno successivo, l’uccisione di Sicardo scatenò una
guerra civile.

Alla morte di Sicardo, suo fratello Sichenolgo affrontà il tesoriere


Radelchi. Entrambi avevano tra le loro fila anche mercenari islamici:
Radelchi combattenti Libici, Sichenolfo forze andaluse. Dalla versione di
Erchemperto in merito all'accaduto, sappiamo che in realtà Libici ed Hispani
evitarono di affrontarsi ed approfittarono del conflitto tra Siconolfo e
Radelchi per approvvigionarsi di schiavi cristiani376. Nell'840 Bisanzio e
Venezia si mossero per affrontare la situazione: nella primavera dell'841 i
Venziani partirono per Taranto con sessanta navi. Bisanzio non aveva in quel
momento forze tali da affrontare il nemico islamico e dovette accettare l’aiuto
veneziano, che non portò però al risultato sperato. Bisanzio dovette attendere
l’871 per vedere cadere l’effimero emirato di Sawdan, che aveva conquistato
Bari377, e il potere della città tornò al re franco Luigi II il Balbo.

Roma e basso Lazio

Nell'846 i musulmani risalendo il Tevere giunsero al cuore: Roma. Essi


saccheggiarono e profanarono la Basilica di San Pietro e San Paolo, simbolo
della cristianità378. Poi si diressero verso la zona al di fuori delle mura aurelian

376
Erchempertro ci fornisce informazioni in merito ad una divisione interna tra i musulmani.
Infatti, i Libici appoggiavano Radelchi e gli Hispani Sicolfo: ''Interea Siconolfus Beneventum
crebris preliis graviter affligebat, atque, ut solet, 'mala arbor, modo malus infigendus est
cuneus' contra Agarenos Radelgisi Libicos Hismaelitas Hispanos accivit, hisque invicem
intestino et extero altereantibus bello, ultramarina loca captivis nostrae gentis diversi sexus
et aetatis fulciebantur. Quadam vero die convenere utraeque acies in Fuculas Caudina,
commissumque est belli certamen, ac primo impetu Radelgisi pars victrix existens, Siconolfi
exerctitum totum in fugam vertit''; cfr. (a cura di) G. WAITZ, ‘’Erchemperti…’’ cit., p. 241.;
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’, cit., p. 78.
377
''[...] Hiis quoque diebus Pando quidem Barim regebat, qui iussis optemperans Radelgisi,
Saracenorum phalangas in adiutorium accitas iuxta murum urbis et ora maris locavit
commorandas. Hii autem, ut sunt natura callidi et prudentiores aliis in malum, subtilius
contemplantes munitionem loci, intempesta noctis, christicolis quiescentibus, per abdita loca
penetrant urbem, populumque insontem partim gladiis trucidarunt, partim captivitati
indiderunt; supradictum vero proditorem gentis et patriae, variis multisuqe suppliciis
dibachantes, postremo, ut vere dignum fuit, marinis sugillarunt gurgitibus.'' In (a cura di)
Societas aperiendis fontibus rerum germanicarum medii aevi, Scriptores rerum
langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae, 1988, p. 240.
378
M. TALBI, ‘’L'emirate aghlabide...’’ cit., p. 453.
120
e la saccheggiarono, massacrarono la popolazione senza distinsioni di sesso
e di età e catturarono monaci e religiosi379. L’aver attaccato Roma fu uno
smacco talmente importante che Lotario convocò un sinodo per discuterne380.
In quell’occasione venne ordinata la costruzione di mura solide che
circondassero la Basilica di San Pietro, progetto che venne completato da
Leone IV che spese tutte le sue energie per attuarlo381. Un anno dopo, alla
notiza della presenza di una flotta musulmana concentrata nella zona della
Sardegna, il Pontefice richiamò le flotte da Napoli, Amalfi e Gaeta per
attaccare le flotte musulmane; i musulmani, sorpresi da una tempesta, si
dispersero in mare e i sopravvissuti vennero catturati ed impiegati nella
costruzione delle mura secondo l'ordine di Lotario382. Le incursioni
continuavano imperterrite: nell’841 i musulmani saccheggiarono Capua e
nell’856 colpirono addirittura Napoli, ex alleata383.

Ai luoghi simbolo tra quelli posseduti, anche se per brevi periodi, dai
musulmani nella penisola, appartiene la zona del Garigliano, al confine tra
Lazio e Campania. Fu importante perché gli ipati di Gaeta seppero instaurare
un rapporto di patti e alleanze con i musulmani, così che essi divenissero loro
alleati, permettendo loro di stabilirsi in quella zona per attaccare le città a sud
del Lazio, e potendo allo stesso tempo rimanere immuni dagli attacchi e
continuare le loro attività commerciali, che permettevano di affrontare gli
attacchi provenienti da Capua o da Napoli384. La stessa Napoli si era affidata
alla capacità dei federati musulmani, provenienti da Agropoli, e che erano
giunti durante gli attacchi alla Calabria e alla Puglia385. Questi episodi
confermano ancora una volta il ruolo mercenari che i musulmani ebbero nella
penisola durante le lotte e i contrasti locali.

379
Ibidem.
380
Ivi, p. 454.
381
(AA.VV), Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico Urbanistico. Cultural
heritage, 35/ 36 (2008), 2009, Roma, p. 200.
382
M. TALBI, ‘’L'emirate aghlabide...’’ cit., pp. 454-455.
383
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’ cit., p. 79.
384
M. DI BRANCO, G. MATULLO, K. WOLF, Nuove ricerche sull'insediameno islamico
presso il Garigliano (883-915), in « Lazio e Sabina », 10, pp. 273-280: pp. 273-274.
385
Ivi, p. 274.
121
La Calabria durante la conquista dell'Italia meridionale

Le cronache coeve ai raids islamici hanno tramandato un’immagine


spietata e crudele dei musulmani. Che le loro azioni fossero tali non si può
negare, ma occorre contestualizzarle nei secoli di appartenenza e riflettere sul
fatto che anche le forze cristiane da parte loro non fossero da meno. Inoltre,
come è emerso da diversi episodi accennati, cristiani e musulmani seppero
essere ottimi alleati quando fu necessario, perciò le flotte islamiche spesso
furono un aiuto per i cristiani in lotta con altri cristiani.

Contestualizzando le cronache latine e confrontandole con le fonti


documentarie del periodo (scambi epistolari tra i pontefici e i re), l’immagine
della guerra nella penisola italiana nell’Alto Medioevo, dunque, conferma
ancora una volta che più che essere guerre di religione, furono guerre per
potere ed egemonia. Probabilmente fu per questo motivo che in realtà le
comunità civili musulmane si inserirono nelle regioni e coabitarono con gli
autoctoni, mettendo in moto quella macchina di scambi linguistici, sociali,
culturali, religiosi, che arricchì reciprocamente le due culture.

La Sicilia fu coinvolta in toto nel mondo musulmano, ma anche la


Calabria, così vicina all’isola, conobbe la convivenza di piccole comunità
musulmane. Mentre gli eserciti e le flotte si affrontavano, lo Stretto di
Messina rimaneva una realtà attiva per il commercio e lo scambio tra i
mercanti. Calabria e Sicilia dialogavano, scambiando prodotti, manufatti,
beni ed influenzando a vicenda le proprie produzioni locali prendendo spunto
dalle mode mediterranee386. Persino Bisanzio, quando occorse, si servì della
pars musulmana contro i Longobardi ed anche per affrontare le comunità
calabresi, le quali spesso si ribellavano contro il potere centrale. La possibilità
di riuscita dei Saraceni in Calabria, come in tutti i territori periferici bizantini,
era favorita dalle difficoltà interne date dalla distanza dal potere centrale.

Parlare di Calabria musulmana non è semplice come per altre regioni


della penisola. La regione infatti attraversò un periodo in cui i musulmani si

386
G. NOYé, La Calabre entre Byzantins, Sarrasins et Normands, in (a cura di) A. JACOB,
J. M. MARTIN, G. NOYé, Histoire et culture dans l’Italie byzantine, Roma, 2006, p. 92.
122
stanziarono nella zona del Tirreno cosentino, ma di cui effettivamente non
sono rimasti molti indizi. Addirittura, nelle fonti non si parla di un emirato,
come fu ad esempio per Bari, sebbene di breve durata, seppure ci fu
effettivamente un insediamento islamico. La Calabria è spesso citata nella
storiografia medievale e nelle fonti come una tappa quasi obbligata,
sicuramente allettante per la pars islamica, che attaccando la Sicilia orientale,
ne approfittava per oltrepassare lo Stretto e cercare bottino particolarmente
nei dintorni reggini.

Il primo attacco avvenne all’inzio del IX sec. ed è menzionato


all’interno di una lettera di Papa Leone III destinata a Carlo Magno dell’813
e dal bios di san Fantino387. Nell’agiografia l’accaduto viene raccontato con
particolari miracolosi: un vescovo di nome Pietro narra che San Fantino
apparve alla città nei primi decenni dell'IX sec. e fece affondare una nave
musulmana giunta presso Seminara388. La Calabria viene spesso citata en
passant, e ciò rende meno evidente il suo ruolo all’interno della strategia
islamica; in realtà però si comprende bene anche dalle azioni successive, che
possedere questa regione, comportava la possibilità di attaccare
frequentamente la Puglia, della Basilicata e della Campania e quindi un
tentativo frequente di conquista del sud della penisola.

La Calabria rappresentava dunque un avamposto importante, così come


lo era stata la Sicilia all’interno della politica mediterranea. Fu per questo che
Bisanzio impiegò tutte le sue forze per scacciare i musulmani dalla regione,
consapevole del fatto che se essa fosse stata occupata interamente, il potere
greco sarebbe stato definitivamente soppiantato. Dunque, inizialmente i
musulmani applicarono la loro strategia solita l’attacco fugace dei territori e
il ritorno in patria con il bottino, progressivamente però consapevoli delle
proprie conquiste, probabilmente puntarono ad obiettivi più duraturi.
Bisanzio poi era già in difficoltà a causa dell’affermazione di poteri autonomi:
il Principato di Benevento, di Salerno, il Ducato di Napoli, di Amalfi e di

387
N. CILENTO, ‘’Atti del IV congresso...’’ cit., p. 217.
388
Ibidem.
123
Calabria, i conti di Capua e lo stesso stratega di Sicilia389. L’opposizione tra
queste fazioni facilitò l’ingresso musulmano, infatti, nell’IX sec. momento in
cui i Longobardi non avrebbero potuto attuare una forte azione difensiva, i
musulmani consapevoli di ciò si diressero alla conquista della Calabria e della
Puglia.

I musulmani vennero definiti già dalle fonti medievali come giunti da


auxiliatores, tra le fila dei signori occidentali, ma rivelatisi postmodum vero
violenti insecutores390. Alla luce delle dinamiche politiche del periodo,
sembra evidenti che essi seppero sfruttare l’iniziale amicizia anche con i
poteri latini, per poi rivelarsi come conquistatori al momento opportuno. I
contatti con il mondo cristiano avevano fatto sì che essi entrassero in
confidenza con i luoghi e con il modo di muovere guerra dei loro avversari.

Nell'839 dopo la presa di numerose fortezze siciliane (Caltabellotta,


Platano, Corleone), la flotta musulmana sbarcò in Calabria dove potè
rimanere dopo aver sconfitto una flotta imperiale, che dovette ritornare a
Costantinopoli391. Il momento saliente della presenza dei musulmani in
Calabria si ebbe tra l'839 e l'840, di cui abbiamo informazione sia nelle fonti
latine sia nelle fonti arabe, ovvero, rispettivamente: Andrea da Bergamo e
l'Anonimo del Cronicon Salernitanum e Ibn al Aṭīr e Ibn Ḫaldūn392. Nell'840
la flotta musulmana sbaragliò quella bizantina al largo delle coste calabresi393.
Nell'853 Al Abbās attraversò il mare per raggiungere il continente, ordinando
un grande massacro di mušrikūn, dopodichè ne inviò le teste a Palermo, come
monito d'obbedienza e proseguì depradando la Calabria394. Nell'861 Al Abbās
si ammalò e morì, ma il suo ruolo politico venne riconosciuto dai bizantini
stessi, i quali dissotterrarono il cadavere e lo diedero alle fiamme in segno di
rispetto come era secondo loro costume. Al Abbās aveva avuto il merito di

389
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., p. 331.
390
''[...] Interea, Beneventanis inter se dissidentibus, Saraceni ab Affrica ab eis invitati,
primo quidem auxiliatores, postmodum vero violenti insecutores, plurimas civitatum vi
obtinent'' in (a cura di) G. WAITZ, Annales Bertiniani, in MGH, Hannover, 1883, p. 28.; G.
MUSCA, ‘’L'emirato di Bari...’’cit., p. 23; A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana...’’, cit., p.
78.
391
(a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Aṯir…’’ cit., p. 210.
392
N. CILENTO, ‘’Atti del IV congresso storico…’’ cit., p. 217.
393
M. TALBI, ‘’L'emirate aghlabide...’’ cit., p. 442.
394
Ivi, p. 461.
124
esser riuscito ad insinuare stabilmente gruppi musulmani sia in Calabria che
in Lombardia395. Dalla metà dell'IX sec. dunque, la Calabria entrò
definitivamente nella sfera di interesse aghlabide. Nelle fonti latine almeno
per il IX sec. segnalano numerosi saccheggi e devastazioni. Scriveva infatti
Erchemperto:

''Per idem tempus Agareni Varim incolentes coeperunt devastantes stirpitus


depredare totam Apuliam Calabriamque''396. Poche pagine dopo: ''Cuius advento
cognito, Saraceni Salernum relinquentes, Calabriam adeunt eamque intra se
divisam repperientes, funditus depopularunt, ita ut deserta sit veluti in diluvio''397.

Si percepisce dunque il clima di forte instabilità a causa delle ripetute


incursioni. Una volta presa la Sicilia, tutto il meridione era a rischio di
conquista ed effettivamente i Musulmani erano riusciti a prendere Bari e
Taranto, per poi procedere verso la Calabria ed installarsi rapidamente398.
Qui, prima presero le città lombarde, dove stabilirono una guarnigione nella
città di Amantea399.

395
(a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Aṯir…’’ cit., p. 229.
396
(a cura di) G. WAITZ, Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in
Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae, 1988, p. 242.
397
(a cura di) G. WAITZ, Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum…, op.
cit., p. 248.
398
‘’[…] Igitur dum domus Ludowicus cus suis Bari custodirent, nuncii venerunt de finibus
Calabriae dicentes: ‘Domine imperator, vestri esse volumus et per vestram defensionem salvi
fore confidimus. Gens Sarracinorum venerunt, terra nostra dissipaverunt, civitates
desolaverunt, aecclesias suffuderunt; tantum ad vos petimus, ut des nos caput confortacionis,
qui nos adiuvent et confortent. Sacramenta vobis damus, tributa solvimus’. Tunc domnus
imperator misericordia motus, non gaudens cupiditatis eorum promissa, sed de illorum
dolens malitia, elegit strenui et nobilissimis viris, Hotone de finibus Bergomensis, Oschis et
Gariardus episcopis, et confortavit eos domnus imperator et dixit: ‘Ite in pace, fideles
Christi, angelus Domini bonus commitetur vobiscum, ut et ego videam vos et labores quam
vobis inpono merear’! Tunc simul cum ipsis missis perrexerunt, et unde egerunt firmitatis
sacramenta receperunt, et adunantes secum magis ac magis fideles popolus. Cumque
venerunt in quedam valle, ubi ipsis Sarracini fidentes absque ullo timore annonam metentes,
simul cum captive quas habebant, tunc christiani inruentes super illos, et Sarracini quanti
ibi invenerunt occiderunt, captii liberaverunt. Ut haec audivit eorum principe Cincimo
nominee, de civitate Amantea obviam eorum exit , preparatus viriliter;’’ in Andrae
Bergomatis Historia, MGH, SSRL, p. 227.; cfr. M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., p.
461.
399
''[...] Cumque venerunt in quedam valle, ubi ipsis Sarracini fidentes absque ullo timore
annonam metentes, simul cum captivi quas habebant, tunc christiani inruentes super illos,
et Sarracini quanti ibi invenerunt occiderunt, captivi liberaverunt. Ut haec audivit eorum
principe Cincimo nomine, de civitate Amantea obviam eorum exiit, preparatus viriliter;'' in
Andrea Bergomatis, Historia, in Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-
IX, MGH, Hannoverae, 1988, p. 227.
125
Amantea, precedentemente un kastron bizantino sulla riva del fiume
Catocastro, aveva subito il primo saccheggio musulmano nell'827, ma venne
espugnata definitivamente nell'846 divenendo una delle principali roccaforti
musulmane400. Giunti nella zona settentrionale della Calabria il territorio
venne affidato al comandante Cincimo401. I musulmani avevano sviluppato
una politica volta al rinforzo delle basi preesistenti con nuove incursioni,
sollecitando la difesa non tanto delle forze bizantine quanto quelle lombarde
e franche402. Avendo assoggettato Salerno, allora recuperarono molte fortezze
nel meridione403. Se lungo la costa tirrenica attorno ad Amantea, Tropea e
Santa Severina (quest'ultima si era arresa ad Al Abbās ibn al Faḍl404)
gravitavano i musulmani, sulla costa ionica si diressero i bizantini, all’altezza
di Capo Colonna. Bisanzio riuscì allora ad ottenere il nord della Calabria e la
zona della Lucania orientale, dove molti dei centri fortificati erano occupati,
compreso Taranto405. Dunque, i musulmani avendo percepito la debolezza del
principato longobardo, ne approfittarono per attaccare i loro insediamenti in
Calabria. Prendere la regione significava per i musulmani poter dare aiuto agli
eserciti impegnati nell’assedio di Messina e di Taranto; quest’ultima
rappresentava un’importante base commerciale e fondamentale per le
comunicazioni marittime seguenti e per l’espansione in tutta la Puglia406.

400
C. TONGHINI, Gli Arabi ad Amantea, in « Annali », 57, Napoli, 1977, pp. 203-204.
401
Non si sa se Cincimo (Simsim?) fosse un luogotenente di Sicilia o un emiro; per questo
motivo, definire Amantea un emirato, sarebbe un'espressione impropria e non avvalorata.
Sicuramente costituì l'enclave più importante musulmana in Calabria.; cfr. F. GABRIELI, U.
SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia...’’ cit., p. 115.
402
F. MARAZZI, Les Arabes et la Campanie au IX siécle: strategie politiques et militaires,
in ( a cura di) C. RICHARTé, R. GAYERAUD, J. POISSON, Héritages arabo-islamiques
dans l'Europe méditerranéenne, Paris, 2015, p. 116.
403
G. NOYé, ‘’La Calabre…’’ cit., p. 91.
404
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’cit., p. 462.
405
G. NOYé, ‘’La Calabre...’’ cit., p. 91.
406
G. MUSCA, ‘’L’emirato di Bari…’’ cit., p. 20.
126
La ripresa di Bisanzio

Nell’867 con l’incoronazione di Basilio il Macedone407, i Bizantini


attuarono una politica di riconquista del Mediterraneo408. Tra l'876 e l'887
ripresero la Calabria e della Puglia, nell'876 Bari e nell'880 Taranto409.
Iniziarono dunque diverse spedizioni da parte dei Rum, sebbene non
godessero dell’appoggio di Ludovico II e dei principi longobardi. La mancata
intesa rese l’impresa più difficile tanto da rendere impossibile una cacciata
totale dei musulmani dalla Penisola410. Nell’870 Luigi II il Balbo ricevette
dalla Calabria una delegazione che offrì un pagamento in denaro e l’appoggio
militare per compiere una spedizione contro i musulmani di Amantea411.
Nonostante queste iniziative, solo Niceforo Foca fu capace di recuperare i
territori calabresi412, dopo l'azione fallimentare di numerosi generali
bizantini, nell'885 riscattò Santa Severina, Tropea413 ed Amantea414,
sbaragliando le guarnigioni aghlabidi, siciliane e africane415 e molti di loro
trovarono rifugio in Sicilia416.

407
M. TALBI, L’emirat aglabide…, op. cit., p. 473.
408
''ANNO VIM.CCC.LXXXVIIII. (879-880) I Cristiani presero le navi dei Saraceni ad
Elladi. Indizione XIII'', in (a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca…’’ cit., p. 82.
409
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 85.
410
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia...’’ cit., p. 115.
411
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit, p. 482.
412
‘’Niceforo, recate nuove forze del tema d’Anatolia e alsì dei valorosi Pauliciani
ch’erano avanzati allo sterminio di lor setta in Oriente, ultimò il conquisto. Rotti in molti
sanguinosi scontri i Musulmani; strette d’assedio successivamente Amantea e Santa
Severina, sforzò quei presidii a dar le castella e andarsene, salva la vita o lo avere, in
Palermo o in altri luoghi di Sicilia. Riebbe anco Tropea e tutte le Calabrie.’’ in M.
AMARI, ‘’Storia dei Musulmani…’’ cit., p. 440.
413
Tropea presenta alcune tracce della presenza araba, in particolar modo della cultura
decorativa islamica come si evince da alcuni resti architettonici e da decorazioni nella
parete nord della cattedrale. Ma anche la tipologia di mulini ad acqua rintracciati a poca
distanza dalla città, sembrano richiamre le tipologie di utilizzo arabo. Tuttavia, nonostante
fu un insediamento musulmano, non sono state rintracciate modifiche alla struttura urbana;
cfr. G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, DI GANGI, Dal tardoantico al Bassomedioevo:
inquadramento storico, dati di scavo e materiali del sito urbano di Tropea, in Atti della
Prima conferenza italiana di Archeologia medievale, Cassino 14-16 dicembre 1995,
Herder-Roma, 1998, p. 100.
414
Ibidem.
415
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., p. 482.
416
Ivi, p. 296.
127
Ma già nell’889 la popolazione calabrese fu nuovamente assalita e presa dal
panico decise di fuggire da molti villaggi e città, Reggio compresa417. I
musulmani però non sfruttarono l’occasione, fecero bottino e tornarono a
Palermo418.

Probabilmente anche gli obiettivi islamici erano mutati, dato un


cambiamento della politica in Ifriqiya. L’ultimo grande comandante
aghlabide era stato Ibrahim II, asceso al potere nell’875, che si era distinto
per le sue gesta e per la determinazione di intraprendere il ğihad nell'Italia
meridionale. Nel 901 suo figlio Abd Allāh aveva occupato Reggio419, ma un
anno dopo Ibrahim decise di intervenire personalmente partendo con la sua
flotta. Nel 902 giunse a Palermo e si diresse immediataente verso Taormina,
solidissima roccaforte bizantina, che i musulmani non erano mai riusciti ad
espugnare420. Ibrahim riuscì nell'impresa, la città venne saccheggiata e i
comandanti bizantini riuscirono a stento a salvarsi421. Assicuratosi che i suoi
uomini continuassero nella sottomissione di Rametta, Demona e Aci, egli si
avviò ad oltrepassare lo Stretto422. Raggiunse Cosenza, la notizia giunse sino
a Napoli, gettando la popolazione nel panico. Fortuitamente il comandante si
ammalò e morì presso le rive del Busento423 e le sue spoglie vennero riportate

417
M. TALBI, ‘’L’emirat aghlabide…’’ cit., p. 296/ p. 497; ''ANNO
VIM.CCC.LXXXXVIIII. (888-889) Fu catturam a Mylas la flotta de' Cristiani e fuggi
Reggio, e avvennero molti mali. Indizione VII.', in (a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La
Cronaca siculo-saracena…’’ cit., p. 64.
418
Ibidem.
419
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia...’’ cit., p. 53.
420
''ANNO VIM.CCC.X (901-902). Il grande emiro venne dall'Africa, e congiunse gli
africani i siciliani in un esercito e movendo sopra Tauromenio lo prese il primo giorno di
agosto. Indizione V'', in (a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca siculo-saracena…’’
cit., p. 68.
421
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia...’’ cit., p. 53.
422
Ibidem.; ''L'anno 6409 (900-901). Abu al Abbas prese Palermo: e seguì grande strage di
otto settembre (900). Allo scorcio di quest'anno fu presa Reggio il 10 giugno 901.'', in (a cura
di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca siculo-saracena…’’ cit., p. 69.
423
''[...]D'autre part, Ibrahim, après avoir conquis Taormine, evoya des colonnes contre les
villes de Sicile encore occupées par les creétiens, entre autres contre Mik'och et contre
Demonech: ces deux localités avaient été abandonnées par leurs habitans, et nos tropes en
rapporèrent le butin qu'elles y troverent. Deux autres colonnes furent lancées l'une contre
Rametta, l'autre contre Aci: en vain la population de ces deux localités offrit de payer le
tribut, Ibrahim exigea et obtint la remise des forts, qui furent démantelés. Il s'avança ensuite
contre Cosenza, qui envoya des messagers pour demander l'aman, mais cela leur fut refusé.
On commença donc le siege, mais le prince venait d'etre attaqué de la diarrhée, et son
absence refroidit l'ardeur guerriere des tropes. Il restait isolé. a cause de la violence de la
maladie et ne povant plus dormir, puis l'agonie survint, et il mourut la nuit du vendredi au
samedi 19 dhou l-k'a'da 289.'' in (a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Aṯir…’’ cit. p. 250.
128
a Qayrāwān424. Da quel momento la speranza di un recupero politico cessò
definitivamente, sebbene le incursioni continuarono anche in seguito425.

Le ultime azioni importanti islamiche

La disfatta saracena nell’Italia peninsulare non fermò la minaccia


musulmana, in quanto questa giungeva ancora dalla Sicilia e dagli
insediamenti del Garigliano, fra il Minturno e le colline di Formia. Tra la fine
del IX sec. e gli inizi del X, un certo Ullaīq guidò numerose incursioni, non
sappiamo se questi attacchi provenissero dall’Africa o dalla Sicilia, di cui
abbiamo molti indizi, in quanto colpirono luoghi anche sacri come avvenne
per il sacco di Montecassino nell’883426. Per questi accaduti Papa Giovanni
X decise di intervenire promuovendo nel 914 una lega anti-araba. Egli ottenne
per la prima volta l’appoggio unanime delle forze di Atenolfo di Capua, del
duca di Spoleto Alberico, dei duchi di Napoli e Gaeta, dei principi longobardi
di Salerno e di alcune flotte bizantine provenienti dal versante orientale427.
Intanto la situazione in Ifriqiya era mutata radicalmente e gli Aghalbidi erano
stati sostituiti da una nuova dinastia nel 909: i Fatimidi428. In Sicilia a fare le
loro veci vi erano invece i Banū Kalb429.

L’ intervento bizantino sul territorio

Niceforo Foca per far fronte al pericolo islamico aveva avviato una
politica difensiva concentrata lungo i litorali che subirono un’opera di
fortificazione durante il IX secolo. Sulla base di questi interventi iniziali,
durante l’XI sec. vi fu un incremento di quest’opera, di cui si hanno evidenti
riscontri archeologici. L’impero cercava di recidere quei legami instauratisi

424
F. GABRIELI, U. SCERRATO, Gli Arabi in Italia..., op. cit., p. 54.
425
Ivi, p. 116.
426
Ivi., p. 128.
427
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia…’’ cit., p. 128.
428
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, L'Islam nel Medioevo, Bologna, 2004, p. 60.
429
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia…’’ cit., p. 126.
129
tra le città e i musulmani. Ad esempio, Amantea, anche dopo la riconquista
bizantina rimase comunque legata al mondo islamico, in quanto si hanno
indizi di rapporti con le dinastie siciliane e nord-africane fino ai primi decenni
dell’XI secolo. La città visse dopo la riconquista dell’886, una seconda ondata
di invasione tra il 976 e il 1031, di cui però si ha notizia solo nella storiografia
latina. Amantea fu senz’altro una delle città calabresi più esposte data la sua
posizione a picco sul mare e nota come scalo marittimo430.

É singolare che nonostante il cinquantennio di insediamento presso


Amantea, Tropea e Santa Severina, le tracce archeologiche sono ancora
esigue. Presso Tropea sono stati riscontrati dei lacerti architettonici e
decorativi islamici, mentre presso Santa Severina sono state ritrovati dei
manufatti in ceramica nella zona di insediamento saraceno. Nelle fonti latine
e nelle fonti arabe non vi sono però riferimenti in merito al carattere degli
insediamenti musulmani in Calabria. Éovvio che i luoghi scelti fossero
strategicamente utili ad un controllo sul territorio, ma altrettanto difficili da
raggiungere. Proprio Santa Severina sul versante ionico431 costituisce un caso
eloquente, trovandosi su un colle inaccesibile, cinto ovunque da ostacoli
naturali: rupi e scarpate432. Sempre in ques’area, dell’VIII-IX sec. sono stat
rintracciati reperti lignei delle abitazioni e case in muratura del X sec. che
indicano una frequentazione nell’area nel periodo dell’occupazione
islamica433. Proprio all’interno del perimetro del castello sono state
rintracciate, seppur in numero ancora poco significativo, dei frammenti di
brocchette di una tipologia tipica della tradizione islamica siciliana434.

430
C. TONGHINI, ‘’Gli arabi ad Amantea…’’ cit., pp. 205-206.
431
F. A. CUTERI, L’insediamento tra VIII e XI secolo. Strutture, oggetti, culture, in (a cura
di) R. SPADEA, Il castello di Santa Severina. Ricerche archeologiche, Soveria Mannelli,
1998, p. 50; M. AMARI, C. SCHIAPPARELLI, L’Italia descritta nel Libro di Re Ruggero
compilato da Edrisi, in Atti della Reale accademia dei Lincei. Anno 1876-77. Serie seconda.
Volume VIII, Roma, 1883, p. 73.
432
F. A. CUTERI, ‘’L’insediamento tra VIII e XI secolo…’’ cit., p. 50.
433
Ivi, p. 53.
434
Ibidem.
130
La caduta aghlabide e l’arrivo fatimide

Dal IX sec. il mondo musulmano aveva manifestato ampliamente le


proprie tendenze separatistiche, sia da un punto di vista politico sia religioso.
Agli inizi del IX sec. l’Africa settentrionale era suddivisa Se intorno all'inizio
del IX sec. nell'Africa settentrionale si assistette alla spartizione del territorio
tra le varie dinastie: i Rustamidi di Tahert, gli Idrisidi di Fez e gli Aghlabidi
di Qayrāwān. Un secolo dopo il panorama del Maghreb era completamente
cambiato. All'inizio del X sec. il mondo islamico fu coinvolto in grandi
mutazioni interne. Quel processo di disintegrazione del califfato iraqeno era
ormai nella sua fase più acuta. In questo contesto emerse una nuova potente
dinastia, quella dei Fatimidi.

I Fatimidi provenivano dal sud-ovest dell'Iran ed erano rappresentanti


del ramo sciita. Essi si erano estesi pian piano per tutto il Maghreb, prima in
Tunisia, poi in Egitto dove mantennero il potere fino al 1171. Cosolidato il
potere in Ifriqiya come successori degli Aghlabidi, nel 920 sconfissero gli
Idrisidi e sottomisero Fez, nel 921 Siğilmasa, confrontandosi intanto con le
rivolte ḫariğite, e nel 948 si insinuarono in Sicilia con i Banū Kalb435.
L'obiettivo più importante per la dinastia era ottenere il potere presso Il Cairo,
cosa in cui riuscirono in un secondo momento436.

Precedentemente la fondazione del califfato aghlabide era stata


sostenuta da una serie di situazioni contingenti: l'incontro tra una personalità
quale quella di Al Aghlab, e la situazione in Ifriqiya che sin dall'inizio si era
dimostrata favorevole alle mire califfali. Così era nato un altro potere
indipendente rispetto al califfo di Baghdad, fondandosi sulla dottrina
dell'Islam e sull'incentivazione dell'espansione territoriale. L'instabilità
precedente sul territorio, determinata dalle lotte tra le fazioni berbere e arabe,
era stata in qualche modo placata. Il nuovo potere infatti aveva unito queste
forze veicolandole verso un unico scopo: il ğihad437. Nonostante questo però

435
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., pp. 99-101.
436
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L'Islam...’’ cit., p. 60.
437
Rappresentante di un potere legittimato dal ğihad fu senz’altro Ibrahim II ibn al Aghlab.
Ibrahim II (875-902) è stata una figura politica molto studiata, così come il suo regno.
L’aspetto magiormente ha incuriosito gli storiografi anche coevi fu la capacità di
131
progressivamente sarà proprio lo scontento tra le fila del ğund a portare alla
fine della dinastia438. Il ruolo della componente militare fu determinante tanto
in Africa quanto in Andalusia, dove l'acquisizione di un potere sempre
maggiore da parte delle forze armate aveva comportato la caduta del Califfato
di Cordoba in Al Andalus nel XI secolo. Capi carismatici avevano ottenuto la
guida di grandi eserciti, sui quali erano riusciti ad infondere un nuovo
entusiasmo, tale da opporsi al potere di palazzo.

Nel 910 venne proclamato il primo rappresentante della dinastia


fatimide, Abd Allāh al Mahdī, il quale, abbandonata Qairāwān, si insediò
presso la nuova capitale marittima, Mahdiyya. Qui, insieme con i Berberi
Kutam, rese da subito evidenti i nuovi obiettivi concernenti la politica estera.
Vi erano difatti due importanti avversari da affrontare: da una parte il califfato
ommayade di Cordova, dall'altra i Bizantini impegnati nella riconquista della
Sicilia. Il Mediterraneo rimaneva al centro di questi scontri, decretando l'uno
o l'altro vincitore della supremazia marittima439. I Fatimidi provvidero
immediatamente a spedire il loro primo governatore in Sicilia, ovvero, Ibn
Abī Ḫinzīr, il quale venne impegnato in una spedizione verso Val Demone440.
Dalle parole di Ibn Ḫaldūn sappiamo che l'isola fosse in quel frangente scossa
da ribellioni intestine, situazione che dovette essere affrontata
immediatamente dopo l'arrivo di Ḫinzīr. Dal capitolo che Ḫaldūn dedica alla

legittimazione politica che si sviluppò alla fine del IX secolo nell’Occidente musulmano.
Ibrahim riuscì a legittimare il proprio ruolo attraverso due strumenti in particolare: l’esercizio
della giustizia e il jihad. Su di lui la storiografia ha lasciato immagini contrastanti. Le
cronache concordano però su una prima fase positiva del suo regno, ovvero i primi sette anni
in cui egli fu un emiro severo e giusto con tutti. In un secondo momento però, stando alle
descrizioni delle cronache medievali, venne colto da un malessere comportamentale che lo
indusse a cambiare completamente atteggiamento divenendo un cattivo sovrano,
comportamento mutato a causa di un sentimento tawba (‫ ) ﺗﻮب‬ovvero pentimento. E’ stato
però notato che le descrizioni dell’emirato di Ibrahim II mutano a secondo del periodo di
riferimento e che egli accrebbe la sua politica assolutistica all’arrivo di Abū Abd Allāh, dā’ī
fatimide, nel Maghreb. A quel punto l’atteggiamento di Ibrahim fu rivolto alla risoluzione
non solo di problematiche politiche e sociali ma anche verso un nuovo messaggio messianico
sciita. Parallelamente cresceva il problema kharijita verso cui Ibrahim reagì attuando un jihad
interiore ed esteriore, ovvero attaccando i Kharijiti e fortificando la regione; A. NEF,
Instruments de la légitimation politique et léreligieuse dans l’Ifriqiya de la fin du IX siécle.
L’exemple d’Ibrahim II (875-902), in A. NEF, E. VOGUET, La légitimation du pouvoir au
Maghreb médiéval. De l’orientalisation à l’émancipation politique, Madrid, 2011, pp. 175-
192.
438
M. TALBI, ‘’L'emirat aghlabide...’’ cit., pp. 701-704.
439
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi in Italia...’’cit., p. 55.
440
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 97.
132
narrazione delle informazioni sui Kalbiti emerge infatti il malcontento della
popolazione di Palermo:

''Notizie rimanenti della Sicilia e la dinastia fondata da Abi Husain dei


Kalbiti, attraverso loro dai tiranni d'Occidente su invito degli Ubeidi e l'inizio del
loro regno e l'inizio delle loro azioni.

Il Mahdi Ubayd'Allah prese l'Africa ed essa lo condannò, e spedì degli inviati nei
suoi dintorni. Inviò verso la Sicilia Usayn bn Abi Ḫinzir uno degli uomini
appartenenti ai Kutamah, ed entrò a Mazara nell'anno 97 e si mise in marcia
nell'esercito, in seguito avvicinò suo fratello a Girgenti, e affidò l'incarico della
magistratura di Sicilia ad Ishaq bn. al Minḥal, poi venne l'anno 98 e partì verso ‫وﻤﺶ‬
(Umsh), devastò i dintorni e tornò indietro. Poi la gente di Sicilia si lamentò del suo
cattivo comportamento e si ribellò contro di lui e lo imprigionarono, e mandarono
una lettera al Mahdi scusandosi ed egli li accolse, li scusò e nominò come loro
governatore Ahmad bn. Qurub. Allora inviò in segreto degli uomini in terra di
Calabria, la sottomisero e tornarono indietro con bottino e prigionieri. Dopo
nell'anno 300 inviò suo figlio Ali al castello di Taormina nuova per renderla una
fortezza per il suo seguito e i suoi beni, guardandosi da una ribellione della
popolazione di Sicilia, allora suo figlio la bloccò per sei mesi dell'anno. Poi
l'esercito prese le distanze da lui e incendiò l'accampamento. E volevano ucciderlo
ma gli Arabi lo proibirono, ed egli richiamò la gente all'ubbidienza di Muqtadir e
acconsentirono. Il Mahdi interruppe il discorso ed inviò la flotta verso l'Africa, la
flotta del Mahdi morì e il capo Ahsan bn. Abi Ḫinzir fu ucciso, la flotta venne
bruciata. La flotta di Ibn Qurub si mosse verso Sfax e la depradò e finì a Tripoli. E
giunse la notizia al capo bn. al Mahdi poi la dislocazione raggiunse e il
generale/brigata da Muhtadir verso Ibn Qurub. Poi inviò l'esercito nella flotta verso
la Calabria e infestò i dintorni e tornarono indietro.''441

Nel 912 allora dall'Ifriqiya inviarono un altro rappresentante, Alī al


Balāwī, ma la Sicilia era ormai in subbuglio. A Girgenti veniva espulso il
governatore, ovvero, il fratello di Ḫinzīr. A quel punto Ibn Qurūb, che
precedentemente aveva servito gli Aghlabidi presso Tripoli, ne approfittò per
farsi spazio tra le fila del potere ed essendosi rivolto direttamente al califfo al

441
Ibn Ḫaldūn, Tarīk Ibn Ḫaldūn, International Ideas Home, pp. 1034-1035.
133
Muqtadir, venne investito di un titolo ufficiale442. Tra il 913 e il 916443 Ibn
Qurūb decise di costituire un governo ordinato ed indipendente, ma poco
dopo Arabi e Berberi lo tradirono. Nel 917 i Fatimidi concessero di nuovo la
pace alla Sicilia, compromettendo però l'autonomia di cui l'isola aveva goduto
fino a quel momento. Nonostante la situazione sempre instabile, determinata
dalle ribellioni tra Palermo e Agrigento444, Salīm Ibn Rašīd riuscì a mantenere
il potere per venti anni445. Nel 918 la marina fatimide si volse alla conquista
di Reggio, ma le navi si persero nel mare446. Nonostante alcune perdite e
sconfitte, i Fatimidi non si arrendevano ed un loro comandante, Mas’ūd al
Fatā, riuscì a conquistare la fortezza di Sant'Agata presso Reggio447. Nel 923
la flotta fatimide sotto il comando di Ǧa’fār ibn Ubaīd, ciambellano del Mahdi
fatimide, organizzò un attacco più vasto contro il sud di Italia e nel 925 passò
dalla Sicilia in Calabria, occupando Bruzzano448. Dopodichè proseguì verso
la Puglia e avendo attaccato Taranto fece bottino di moltissimi prigionieri449.

Il X secolo si contraddistinse per le continue incursioni promosse dai


Fatimidi in tutta l’Italia meridionale peninsulare e la Calabria rimaneva un
obiettivo sensibile e spontaneo data la vicinanza con l’isola. Bisanzio per
porre fine ai continui attacci decise di proporre delle trattative di pace, anche
perché vi si affacciava un nuovo nemico in Occidente: Ottone I. Ottone aveva

442
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 97.
443
''ANNO VIM. CCCC. XXIII (914-915). La flotta di Africa andò in Calabria e prese molti
schiavi e venendo a Palermo anche quegli che si nominava Sachab-belcum dette ai cristiani
quelli che aveva recato seco inabili alle armi. Indizione III'', in (a cura di) G. COZZA-LUZI,
La Cronaca siculo-saracena di Cambridge, Palermo, 1890, p. 70.
444
Ibidem; ( a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Athir...’’ cit., p. 321.
445
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 98.
446
M. HASSEN, L'espace maritime ifriqiyen à l'époque fatimide, in Alifba. Studi e ricerche
sul mondo arabo-islamico e Mediterraneo, Atti del Convegno. I Fatimidi e il Mediterraneo.
Il sistema di relazioni nel mondo dell'Islam e nell'area del Mediterraneo nel periodo della
da'wa fatimide (sec. X-XI): istituzioni, società, cultura, Palermo 3-6 dicembre 2008, XXII,
2008, p. 21.
447
Ibidem.
448
U. RIZZITANO, Gli Arabi in Italia, in L'Occidente e l'Islam nell'alto medioevo. Settimane
di studio del Centro italiano di studi sull'alto medioevo, 12, 1/2, 1965, p. 106. In questo
contributo Rizzitano riferisce che Abu Gia'far ibn 'Ubaid avesse preso in Calabria la città di
Bruzzano e la città di Oria, considerando anche la seconda una città della Calabria e non della
Puglia. Potrebbe darsi che egli si riferisse ad un contesto più ampli quale quello delle
Calabrie. Mentre in F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘Gli Arabi in Italia...’’ cit., p. 128,
troviamo scritto che inizialmente 'Abu Gia'far avesse preso Bruzzano, poi si era diretto verso
Oria, che dopo il precedente tentativo di Sawdan, venne espugnata e subì il sacco delle truppe
del Mahdi.
449
M. HASSEN, ‘’L'espace maritime ifriqiyen à l'époque...’’cit., p. 21.
134
restaurato a Roma l'Impero d'Occidente e si proponeva di scendere nei
territori dell'Italia meridionale450, politica confermata dal suo successore
Ottone II451. Quest'ultimo tentò di affermare la propria autorità in Calabria,
ma invano. Quim infatti, presso Rossano, città inespugnabile, aveva posto i
propri quartieri e lasciato sua moglie la principessa bizantina Teofano, per
affrontare nel 982 la cavalleria dell'emiro Abū al Qasīm452. Ottone venne
sconfitto nella battaglia di Capo Colonna, ma anche l’emiro morì. I
musulmani però procedettero con l’assedio di Cosenza nel 988, Taranto nel
991, Matera nel 994, Benevento nel 1002 e Capua453. Dal X sec. dopo la
sconfitta dei Saraceni del Garigliano per mano della lega organizzata da
Giovanni X con l'aiuto di Bisanzio e degli stati campani, la Calabria non
assistette più a veri e propri propositi di conquista, eccetto nella zona di
Reggio454. La Sicilia rimaneva legata ai Fatimidi per questioni
amministrative, ma gli emiri siciliani si lasciarono coinvolgere più dagli
ambienti di corte che dalle azioni militari. In quel periodo infatti venne
incentivata la costruzione di numerosi castelli, come quello di Maredolce di
Palermo. In linea con questa politica procedette la perdita dei primi territori
come Bari nel 1004, grazie all'intervento bizantino e veneziano (i secondi
spinti dalla tutela dell'area commerciale adriatica), e nel 1005 Reggio per
mano dei Pisani (probabilmente aiutati dalle nuove iniziative difensive
predisposte nella città).

450
Nella zona di Morano Calabro (CS) sono state individuate delle tracce di un insediamento
fortificato dalla strada che da Morano procede verso S. Basile, in località Sassòne. In alcuni
tratti si conserva ancora uno strato evidente di 4 m. circa. Probabilmente essa venne innalzata
durante il periodo delle scorrerie degli Ottoni in Calabria tra il 968 e il 982, ma non per
fortificare la città quanto per dare rifugio agli uomini e al bestiame. Questa zona costituiva
un luogo strategico tra Cosenza e Reggio, ma soprattutto uno degli snodi più importanti della
Calabria settentrionale, costituendo un luogo di passaggio obbligato per chi percorreva la via
Popilia. L'area interna alle mura presenta delle strutture abitative risalenti al periodo
precedente alla riconquista bizantina dell'885; cfr. G. ROMA, Sulle tracce del limes
longobardo in Calabria, in « Mélanges de l'Ecole francaise de Rome. Moyen-Age », 110, 1
(1998), pp. 8-13.
451
U. RIZZITANO, ‘’Gli Arabi...’’ cit., p. 106.
452
N. CILENTO, ‘Atti del IV congresso...’’ cit., p. 211.
453
A. VANOLI, ‘’La Sicilia...’’ cit., p. 100.
454
N. CILENTO, ‘’Atti del IV congresso...’’ cit., p. 220.
135
La politica fatimide in Egitto

La politica marittima fatimide si era inserita in continuità con quella


aghlabide. La vittoria nei territori occidentali comportava una maggiore
riscossione dei tributi e le razzie occasionali sulle coste italiane davano il
supporto necessario alla riconquista della Sicilia. In questo contesto Amalfi
si era posta come un partner commerciale privilegiato dei sovrani sciiti già
prima della conquista dell'Egitto. I Fatimidi, infatti, avevano concentrato le
proprie forze nella conquista della zona orientale455, autorizzando diverse
spedizioni verso la valle del Nilo a partire dal 919. Tutte le forze terrestri e
navali furono impiegate nei confini di Barqa (attuale Libia)456, ricevendo
anche un aiuto da navi italiane per il trasporto delle truppe verso la regione
del Delta del Nilo457.

Una volta conquistato l'Egitto, il califfo fatimide Al Mū'īzz (956-975)


inaugurò un periodo di tregua con i Bizantini e stabilì il centro
dell'ammiragliato nel palazzo. Poi, il califfo Al Azīz (975-996) e il suo
successore Al Hakīm (996-1021) perseguirono la stessa politica, diffidando
dai movimenti autonimisti, attuarono un controllo delle flotte dei porti siriani,
in particolar modo Tripoli e Beiruth, tenendo sotto la propria diretta tutela gli
equipaggi458. Progressivamente il progetto di attaccare le isole bizantine e
portare avanti una guerra marittima scemò. Placate le mire d'espansione, i
Fatimidi proseguirono con una politica economica intenta ad incentivare i
traffici commerciali tra Bisanzio e il mondo islamico. A partire dal regno di

455
Durante il periodo fatimide dalla costa est i porti di Barqa, Syrte e Tripoli conobbero un
grande traffico commerciale con Bisanzio, l'Oriente e il Magherb. Probabilmente Barqa e
Tripoli erano dotate di un arsenale. Da queste zone marittime, i fatimidi partirono alla
conquista dell'Egitto abbasside. Nel 912 con quindici navi militari in direzione Tripoli ed
altre in direzione Egitto. Nel 914 il figlio del Mahdi, Al Qa'im al comando di duecento navi,
sbarcò ad Alessandria. La seconda spedizione avvenne nel 920, secondo quanto descrive Ibn
al Athir, ed avvenne con 80 navi sotto il comand dello schiavo Sulayman. Le flotte fatimidi
si scontrarono allora con l'equipaggio abbasside che era partito da Tarso. L'Egitto venne
interamente conquistato solo nel 972; cfr. M. HASSEN, ‘’L'espace maritime ifriqiyen à
l'époque...’’cit, p. 21.
456
N. CILENTO, ‘’Atti del IV congresso...’’ cit., p. 220.
457
M. BALARD, C. PICARD, ‘’La Méditerranée…’’ cit., p. 44.
458
Ivi, p. 45.
136
Al Mū'īzz (seconda metà del X sec.), venne promossa una politica incentrata
sull’economia, di cui Fustat divenne il cuore pulsante459.

Il ruolo della politica Kalbite in Sicilia

I Kalbiti, referenti fatimidi in Sicilia, installatisi a Palermo, dopo aver


placato delle insurrezioni siciliane nella prima metà del X sec., si
impegnarono per il raggiungimento di una pace nell’isola, da cui conseguì un
trentennio di completa prosperità460. Contemporaneamente però,
continuavano a verificarsi attacchi contro i territori bizantini, per volere di
singole personalità. Tra il 929/30 un condottiero giunto dall'Africa, Sabīr, un
rinnegato di stirpe slava, assalì la Calabria per la terza volta, conquistò una
rocca chiamata Tariwlah e prese moltissimi prigionieri461. Poi tra il 950 e il
952 Al Hasān ibn Alī promosse un'azione decisa contro le coste calabresi, di
cui abbiamo testimonianza nel bios di S. Saba e le milizie dello stratega di
Calabria Pascalio vennero aiutate dal patrizio Malacheno. Nel 951 i
musulmani sbarcarono nuovamente a Reggio, posero d’assedio Gerace462, poi
proseguirono verso Cosenza e assediarono Cassano463. La Calabria ne uscì
sconfitta, perciò dovette cedere al pagamento annuo di un tributo ai
musulmani e alla costruzione di una moschea presso Reggio464, sebbene

459
M. BALARD, C. PICARD, ‘’La Méditerranée au Moyen Age…’’ cit., p. 45.
460
W. GRANARA, Rethinking muslim Sicily's golden age: poetry and patronage at the
Fatimid Kalbid Court, in (AA.VV) Alifba. ‘’Studi e ricerche sul mondo arabo-islamico e
Mediterraneo…’’ cit., p. 95.
461
(a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca…’’ cit., p. 75
462
(a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Aṯir…’’ cit., p. 354.
463
La costruzione di questa moschea è stata paragonata a quella di Costantinopoli del 716
come simbolo della minaccia islamica, cfr. F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli
Arabi...’’cit., p. 128; cfr. A. METCALFE, The muslims of medieval Italy, Edinburgh, 2009,
p. 53.
464
‘’Il fit édifier au centre de cette derniere ville une mosquée de grandes dimensions
sumermontée à l’un des ses angles d’un minaret, et stipula vis-à-vis des chretiens le droit
pour les musulmans d’entretenir ce temple, d’y pratiquer librement la priere et d’y faire
l’appel à cet exercice du culte, la defense aux chrétiens d’y pénétrer; le droit d’asile pour
tout captif musulman, renégat ou non, fut reconnu à cet édifice, qui devait rester intact et
d’ou unev seule pierre enlevée serait le signal de la destruction de toutes les églises de Sicile
et d’Ifriqiya. Les chrétiens, humiliés et confus, durent se soumettre à toutes ces conditions.’’ ;
( a cura di) E. FAGNAN, ‘’Ibn al Aṯir...’’ cit., p. 354.
137
questa venne distrutta già nel 957 dai Bizantini465. Tra il 968-69466 i Franchi
giunti in Langobardia, scesero in Calabria467, mentre nel 987-988 i musulmani
presero Cosenza468. Nel 976 il magistros di Calabria, Niceforo, ordinò di
costruire dei chelandria, ovvero, delle navi da combattimento, per cui fu
necessario introdurre nuove imposte sulla popolazione. I cittadini di Rossano
allora si ammutinarono e bruciarono le navi in allestimento e uccisero i
protocarabi469.

La politica di Bisanzio sul territorio calabrese aveva fatto sì che la


regione costituisse esclusivamente un luogo bisognoso di un controllo
prevalentemente militare, senza un coinvolgimento della popolazione nella
causa di difensiva, motivo per cui essa si poneva con diffidenza nei confronti
bizantini e non partecipava alla salvaguardia del territorio470. A questa
situazione si aggiungevano le difficoltà di comunicazione che mettevano in
difficoltà l'apparato militare nella risposta contro gli attacchi islamici471.

465
G. FIORE, Della Calabria illustrata, III, Soveria Mannelli, Rubettino, 2001, p. 537.; cfr.
N. CILENTO, ‘’Atti del congresso storico...’’ cit., p. 221.
466
C. TONGHINI, ‘’Gli Arabi ad Amantea…’’ cit., p. 203.
467
(a cura di) G. COZZA-LUZI, ‘’La Cronaca…’’ cit., p. 78.
468
Ivi, p. 82.
469
N. CILENTO, ‘’Atti del congresso storico...’’ cit., p. 221.
470
L’insicurezza politica della Calabria aveva contraddistinto la sua storia sin dall’inizio del
periodo tardo antico. Uno degli accadimenti più importanti fu l’uccisione dell’imperatore
Costante II nel 668. Egli aveva attuato in Sicilia, in Sardegna, in Africa ed in Calabria una
politica di ingenti tassazioni. Aveva aumentato le imposte sulla proprietà, sull’industria e
sull’armamento. Inoltre, non era ben visto a causa dello spostamento della capitale da
Costantinopoli a Siracusa. A causa di queste vicende, i popoli d’Africa preferirono chiedere
aiuto ai Musulmani, mentre in Occidente organizzarono una congiura. Il 15 luglio del 668
egli venne trovato morto nel suo bagno e nessuno cercò il colpevole dell’assassinio.; M.
AMARI, ‘’Storia dei Musulmani…’’cit., p. 95; S. TRAMONTANA, I Normanni in Calabria:
la conquista, l’insediamento, gli strappi e le oblique intese, in (a cura di) F. A. CUTERI, I
Normanni in finibus Calabriae, 2003, p. 15.
471
(a cura di) F. A. CUTERI, ‘’I Normanni…’’ cit., p. 15.
138
Strategie ed organizzazione tra X e XI secolo

L'Italia meridionale bizantina, infatti, rappresentava un insieme di


sistemi politici differenti con due centri principali, ma rappresentanti di
impronte culturali diverse. Da una parte Bari, di stampo latino e longobardo,
che venne conquistata dagli arabi, divenendo una fondamentale base
d'appoggio. D’altra parte, vi erano Reggio e la Calabria a sud dell'istmo di
Catanzaro, sostanzialmente greca e di forte influenza siciliana, ortodossa, di
legge bizantina e caratterizzata da estese proprietà fondiarie472. Bisanzio
concentrando tutte le sue forze alla difesa della Calabria, riuscì effettivamente
a soppiantare la presa di potere musulmana lungo il versante tirrenico. Oltre
alle informazioni ricevute dalle fonti storiografiche in merito agli scontri tra
le due partes abbiamo testimonianze archeologiche evidenti, che fanno
emergere quale fosse la strategia araba sul territorio. Una mancata conquista
sicura e duratura della regione fu determinata dalla particolarità territoriale.

I musulmani, infatti, non riuscirono ad addentrarsi nel cuore della


Calabria, ma restarono lungo le zone costiere. Effettivamente però alcune
città calabresi come Amantea e Temesa erano state già in precedenza
fortificate per difenderle dalle mire longobarde473. Quindi, già dall'VIII sec. a
causa della pressione longobarda, l'impianto difensivo nelle zone tra i monti
e il mare venne rafforzato, anche per una ripresa dei rapporti tra Bisanzio e
l'entroterra calabrese. A proposito infatti si hanno delle informazioni in merito
alla mobilità tra funzionari imperiali, monaci, clero per ricostituire i legami

472
A. JACOB, J.M. MARTIN, G. NOYé, ‘’Histoire et culture dans l'Italia byzantine...’’ cit.,
p. 582.
473
(a cura di) R. FRANCOVICH, M. VALENTI, IV Congresso nazionale di Archeologia
medievale, Società degli Archeologi medievisti italiani, Scriptorium dell'Abbazia di San
Galgano (Chiusdino- Siena) 26-30 settembre 2006, s.e., s.l., 2006, p. 283.; La riflessione sul
fenomeno dell'incastellamento in Calabria è ancora totalmente in fieri. Le ricerche
archeologiche svoltesi nella regione, rispetto ad altre zone d'Italia, rappresentano un quadro
più lacunoso. Una delle zone maggiormenti interessate dal fenomeno è quella dell'istmo di
Catanzaro. L'analisi delle fortificazioni è fondamentale per un confronto con le linee
interpretative storiografiche. La zona catanzarese-lametina costituiva uno snodo
fondamentale per le comunicazioni e per l'accesso terrestre alla Calabria centro-meridionale.
Quest'area del golfo sin dai tempi antichi aveva rappresentato una linea di confine e di
frontiera importante fino al periodo basso-medievale. E. DONATO, Il contributo
dell'archeologia degli elevati alla conoscenza dell'incastellamento medievale in Calabria tra
l'età normanna e quella sveva: un caso di studio, in Archeologia Medievale, XXXI, 2004,
pp. 497-498.
139
tra le zone portuali e l'hinterland, affinchè si intensificassero gli scambi
commerciali474. Ma è tra il IX e il X sec. che in tutto il Mezzogiorno si verifica
una trasformazione dello spazio abitativo e si costituiscono nuovi assetti
territoriali. In particolar modo vengono edificate delle cinte di rifiugio per la
popolazione affinchè potesse sfuggire ai raids musulmani. In quei secoli la
Calabria necessitò di un intervento difensivo che comportò la costruzione
sulle coste, sui rilievi, sui monti di castelli e fortezze di piccole dimensioni
per opporsi alle incursioni islamiche. Per questo motivo venne avviata una
totale reisione della zona della Valle del Crati e vennero ristrutturate le
fortezze di Sant’Agata e di San Niceto alle pendici dell’Aspromonte, le quali
controllavano l’area reggina. Vennero edificati anche numerosi monasteri
fortificati con funzionalità difensive come è stato attestato dai riscontri
archeologici presso Presinace di Nocara sul versante ionico cosentino475.
Dall'inizio dell'XI sec. dunque, il paesaggio rurale calabrese presentava torri
di difesa e piccoli e grandi centri fortificati. Nel momento in cui la regione
verrà riorganizzata dai Normanni, le strutture preesistenti verranno
convogliate nel sistema feudale introdotto. Inoltre, i conquistatori provenienti
dal nord Europa si servirono sì delle strutture presenti, ma ne crearono delle
altre in particolar modo in zone strategiche e di comunicazione.

La fine dell’XI secolo

La parentesi kalbita in Sicilia aveva rappresentato un periodo di


autonomia rispetto al califfato d’Ifriqiya fatimide. La crescita di potere della
famiglia dei Banū Kalb procedette di pari passo con la crescita dell’isola. Nel
frattempo, anche in Ifriqiya la situazione politica era mutata. Nel 973 si era
imposta nel Maghreb centrale una tribù berbera gli Ziridi che
immediatamente si interessarò a riconquistare un vero controllo sulla Sicilia.
Alla fine del X sec. gli emiri siciliani non si erano impegnati in grandi imprese
se non negli attacchi rivolti contro la Calabria nel 986 e l’assedio di Cosenza

474
S. TRAMONTANA, ‘’I Normanni in Calabria...’’ cit., p. 15.
475
Ibidem.
140
nel 988. Effettivamente però l’arricchiemento ottenuto nell’isola indusse i
Kalbiti non più ad occuparsi di un’affermazione politica, ma a godere degli
agi presenti.

Questo atteggiamento allo stesso tempo permise alle forze latine di


riprendere i territori dell’Italia peninsulare. Nel 1004 i musulmani perdevano
contro i pisani a Reggio. Un ulteriore sbaglio venne commesso dal ministro
dell’emiro aumentando la tassazione e determinando delle sommosse
cittadine. L’emiro dopo aver fermato le ribellioni intestine si rivolse
nuovamente contro la Calabria e nel 1020 assediò e conquistò Bisignano.
Avuta notizia di una risposta bizantina in Sicilia, l’emiro ziride dall’Ifriqiya
si impegnò per inviare delle truppe ausiliarie476. Nel 1038 le forze bizantine
sbarcarono a Messina e si diressero verso Siracusa, ponendo l’assedio alla
città. I musulmani di Sicilia non riuscirono a rispondere alle forze greche. La
popolazione però ebbe da gioire per poco perché successivamente giunsero le
truppe berbere dall’Ifriqiya che causarono nuovi disordini477. Nonostante ciò
dalla prima metà dell’XI sec. ebbe inizio la fine della storia islamica
dell’isola, che lasciò spazio all’arrivo dei Normanni.

476
U. RIZZITANO, Gli Arabi di Sicilia, in Storia d’Italia, III, p. 414.
477
Ivi, p. 415.
141
III Mediterraneo commerciale

I viaggiatori musulmani

Ho fino ad ora parlato del Mediterraneo politico, quello spazio in cui tra la tard
antichità e l’XI sec., potenze diverse si scontrarono per ottenere l’egemonia su
di esso. Parallelamente però alla storia militare che lo coinvolse, si affiancano
mutamenti culturali, sociali, antropologici, che dipesero dall’incontro delle
culture fiorite in quei secoli. Di questo aspetto, pittosto che di battaglie,
scrissero moltissimo i viaggiatori arabi. Ad un certo punto alcune personalità
musulmane, infatti, decisero che per esprimere un giudizio sui luoghi della ḍār
al Islām, fosse necessario prenderne visione personalmente. La testimonianza
dunque diveniva diretta e non più filtrata dai pensieri di scrittori precedenti; i
viaggiatori lasciavano i loro paesi, incontravano gli ‘’altri’’ e ritornavano
descrivendone differenze e analogie. Per quanto in questa sede interessi in
particolar modo le descrizioni del contesto mediterraneo, occorre sottolieare
che questi viaggiatori svolgevano cammini molto più lunghi, il cui limite ad est
fu la regione indiana del Sind478.

Tra i nomi più noti dei viaggiatori musulmani abbiamo Ibn Hawqal, Ibn
Ḫaldūn, Al Muqaddasî, Al Idrisī, i quali percepirono i loro viaggi come la base
di partenza per redigere delle vere e proprie opere geografiche. Questi uomini
d’altronde superavano i confini di paesi distanti tra loro, ma che condividevano
lingua, religione, cultura, costumi, abbracciati unitariamente dalla figura del
Ḫalifa, ed anche quando essa venne soppiantata dalla presenza di altri sovrani
indipendenti, non venne meno quel senso di unità del mondo musulmano. La
scienza geografica venne assimilata dagli arabi dalle opere greche, dal
momento che nell’IX sec. iniziarono a diffondersi delle traduzioni dal greco
all’arabo479. Nel mondo musulmano questo genere assumerà la definizione di
surāt al arḍ ovvero rappresentazione della terra, mentre le opere verranno
spesso intitolate « kitāb al Masalīk wa-l-mamalīk » cioè « Libro delle strade e

478
A. VANOLI, I cammini dell’Occidente. Il Mediterraneo tra i secoli IX e X. Ibn
Khurdâdhbah, al Muqaddasî, Ibn Hawqal, in (a cura di) G. C. ALESSIO, S. GASPARRI,
Medioevo Europeo, CLEUP, Padova, 2001, p. XIII.
479
Ivi, p. XXI.
142
dei regni ». Ed è dunque da queste opere che possiamo immaginare come fosse
il Mediterraneo medievale, tracciarne i confini e comprenderne le differenze
geografiche, produttive, sociali.

Ibn Hawqal ad esempio scriveva che esso si estendesse dallo Stretto di


Gibilterra fino al mare di Costantinopoli, ed in questo spazio erano compresi la
terra di Francia, il nord Africa, le isole più importanti Sicilia e Cipro, l’Egitto,
l’attuale Andalusia480. Ibn Hawqal fu un viaggiatore e geografo musulmano che
nell’anno 953 decise di intraprendere un viaggio partendo dall’Iraq sino a
raggiungere la Penisola Iberica per poi tornare ad est raggiugendo l’Iran. In
seguito a questa esperienza, compose un’opera per dare testimonianza
personalmente di ciò che aveva visto ed incontrato. I suoi resoconti
costituiscono una fonte importantissima per la conoscenza dei luoghi della ḍār
al Islām, ma anche delle coste latine481. Anche Al Muqaddasî nato a
Gerusalemme nel 945 intraprese un cammino nei luoghi dell’Islam,
confrontandoli con i luoghi d’Occidente, mentre un caso differente è costituito
da Al Idrisī, il quale dopo aver tanto viaggiato venne chiamato alla corte di
Palermo dal re Ruggero e ne divenne segretario. L’opera pervenutaci è infatti
chiamata comunemente il Libro di Ruggero o la Geografia di Idrisī, da cui
abbiamo molte informazioni anche sulle città d’Italia nell’XII secolo482.

Da queste opere abbiamo l’immagine che i musulmani avessero dei


luoghi e della gente d’Occidente, oltre che di loro stessi, fondamentale per
contestualizzare le loro azioni e confrontarli con l’immagine tramandata dalle
fonti latine. La geografia araba getta luce su quello che fu anche un momento
di confronto tra le parti, testimoniando spesso lo stupore positivo da parte dei
musulmani nei confronti delle terre occidentali. Distanze, città, confini,
commerci divennero il loro oggetto dell’indagine e di approfondimento.
Seppure la descrizione del mondo musulmano resti la priorità, molto sappiamo
dei luoghi dei Rum, lì dove l’Islam si era espanso ed aveva creato dei contatti

480
(a cura di) W. OUSELEY, Ibn Hawqal, The oriental geography of Ebn Haukal an
arabian traveler of the tenth century, London, 1800, pp. 51-53.
481
J. GARCIN, Ibn Hawqal, l’Orient et le Maghreb, in « Revue de l’Occident musulman et
de la Mediterranée », 1983, XXXV, 1, 1983, p. 77.
482
( a cura di) M. AMARI, C. SCHIAPPARELLI, ‘’L’Italia descritta…’’ cit., p. V.
143
duraturi, come in Spagna e in Sicilia. Alla luce di queste considerazioni,
effettivamente, osservando l’Islam da un punto di vista sociale e culturale, esso
avviò una rinascita della koinè mediterranea, che aveva caratterizzato il periodo
antico e che era andata persa con la caduta dell’Impero romano. I viaggiatori
che attraversavano i territori della ḍār al Islām si sentivano sempre a casa, si
riconoscevano in quegli spazi e si confrontavano utilizzando la stessa lingua e
sulla base degli stessi criteri giuridici e sociali483. In questo clima si rafforzò
soprattutto il commercio, i cui traffici andavano dall’estremo Oriente fino al
Mediterraneo, di cui l’ultimo confine invalicato in Occidente era l’Oceano,
oltre Al Andalus484.

Mediterraneo: Un’unità ritrovata?

Dall’età tarda antica al pieno medioevo il Mediterraneo assistette a


nuovi cambiamenti. Dal Medioevo in poi il bacino mediterraneo favorì i
contatti e divenne uno spazio che incentivò le relazioni tra le sue due rive485.
Esso fu teatro delle rivalità marittime tra Occidente e Oriente, ma non solo.
La storiografia recente sta cercando di sottolineare che la divisione netta in
due blocchi, differenziati teoricamente dalla diversa religione, debba essere
riconsiderata alla luce dei nuovi studi e soprattutto in base a criteri che non
siano solamente politici486.

La storiografia del secolo scorso, infatti, risulta prevalentemente


influenzata dalla teoria di Pirenne, ovvero, il pensiero che l’economia tardo
romana incentrata sul commercio mediterraneo, che abbracciava persino la
Francia merovingicia, era stata soppiantata dall’arrivo musulmano così da

483
A. VANOLI, ‘’La Sicilia musulmana…’’ cit., pp. 41-42.
484
‘’Descrizione dei Mari. I mari più importanti sono il Persiano e il Mare dei Rum, che
sono quasi opposti: entrambi si incontrano con il grande Oceano.’’ Cfr. (a cura di) W.
OUSELEY, Ibn Hawqal, ‘’The oriental geography of Ebn Haukal…’’ cit., p. 6.
485
D. COULON, D. VALéRIAN, Espaces et Rèseaux en Mediterranée VI-XVI siecle, I,
Paris, 2007, p. 10.
486
Ivi, p. 12; il Mediterraneo si presentava come un mare delimitato da regioni differenti,
spesso accomunate dal punto di vista climatico e ambientale, e differenziate dai sistemi
politici e religiosi, i modelli culturali, le pratiche commerciali, le dinamiche economiche.
All’interno dei confini mediterranei riuscì ad affarmarsi soprattutto uno spazio di relazioni.
144
determinare una frattura nel Mare Nostrum e uno spostamento del cuore
commerciale nei Mari del Nord487.

Negli anni in cui scriveva Pirenne, però, le sue parole erano giustificate
dalla mancanza di fonti archeologiche che smentissero questa visione. Oggi,
aumentando sempre più le fonti materiali fornite dall’archeologia si è potuto
riflettere sul ruolo positivo che ebbero anche quei secoli, confronto tra due
mondi così differenti, ma vicini. Tra il IX e il X sec. Bisanzio grazie alla
dinastia macedone488 riuscì a recuperare in parte la propria talassocrazia,
riappropiandosi pian piano delle isole perse come Creta e Cipro. In quegli
stessi secoli nascevano nell’Occidente latino le repubbliche marinare italiane
e Amalfi, Venezia, Pisa e Genova divennero le protagoniste nel Mediterraneo.
In particolar modo, Amalfitani e Veneziani curarono i commerci con i
Bizantini e gli Egiziani. Per quanto riguardarda la zona dell’Italia meridionale
peninsulare, furono gli Amalfitani a rendere possibile una comunicazione
commerciale assidua tra i porti arabi e quelli italiani del Sud489, per quanto
già i Carolingi, cercando di ottenere il controllo sulle rotte marittime, avevano
sperimentato una politica di dialogo con le dinastie islamiche. Si trovarono
dunque a confrontarsi e a competere: i Bizantini nel Mar Egeo e nella zona
centrale del Mediterraneo, i Carolingi nel bacino occidentale, gli Abbasidi nel
Mar Egeo, gli Aghlabidi nel centro, gli emirati del Maghreb e gli Omayyadi

487
C. WICKHAM, L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C., Roma-Bari,
2016, p. 239.
488
Superato l’apogeo iconoclasta Bisanzio visse una nuova fase contraddistinta da una grande
fioritura culturale, seguita da un progresso politico e militare. L’impero aveva infatti dovuto
affrontare da una parte il califfato musulmano e dall’altra la potenza bulgara, riuscendo a
recuperare molte regioni perse. Fu Basilio I (867-886) a porre una cesura con il periodo
precedente. Egli rafforzò il potere nella penisola balcanica, promuovendo l’evangelizzazione
delle popolazioni slave attraverso l’azione di Cirillo e Metodio; dopo di che proseguì
nell’Italia meridionale stabilendo un’alleanza con l’imperatore franco Ludovico II per
contrastare i musulmani e occupò Bari nell’876. In seguito, si rivolse verso il recupero delle
posizioni ad Oriente, procurando un arretramento degli Abbasidi di Baghdad. Accanto alla
politica estera affiancò una revisione dei libri giustinianei e promosse una raccolta di leggi,
obiettivo perseguito e continuato dal suo successore Leone VI il Saggio (886-912); M. DI
BRANCO, ‘’Breve storia…’’ cit., p. 107.
489
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Mediterranée au Moyen…’’ cit., p. 5.
145
di Cordova ad ovest490. Nonostante le frontiere e le guerre, i popoli, i beni e
le idee riuscirono a circolare attraversando tutto il Mediterraneo491.

Oltre alle opere di viaggiatori e geografi, a far emergere questo aspetto


di dinamicità commerciale è stato il ritrovamento di lettere e resoconti di
mercanti presso la Ghenizah del Cairo. All’interno di essi sono menzionati
sia commercianti Cristiani sia Musulmani, ma soprattutto Ebrei, altra
comunità fondamentale. L’aspetto più importante in questa sede è che a
favorire questo clima di libertà di movimento tra i mercanti fu il confronto
politico instauratosi tra le potenze492.

Per il dominio sul mare i poteri imperiali e regionali alternarono periodi


di attacco e di tregua così da favorire gli scambi economici per il
mantenimento del loro prestigio. Nell’813 Papa Leone III scriveva a Carlo
Magno per ottenere una tregua con gli Idrisidi di Fez e soprattutto con gli
Aghlabidi, tregua che avrebbe permesso una ripresa degli scambi
commerciali con la Sicilia493. Non fu però esclusivamente la pars musulmana
ad incidere sulla diminuzione dei commerci e delle rotte, ma anche i Carolingi
rappresentarono una spina nel fianco, per Bisanzio soprattutto. Inoltre, capi
carolingi e longobardi si erano insinuati progressivamente nel nord della
penisola italiana, modificando anche le economie sui territori attraverso
l’introduzione dell’incastellamento. Carlo Magno si era reso protagonista di
un avvicinamento tra l’Occidente e il mondo islamico, sia per la propria
curiosità nei confronti di questo nuovo mondo, sia ovviamente per interessi
economici. Già dal periodo merovingico, durante la prima espansione
musulmana, il cuore della politica occidentale aveva abbandonato il
Mediterraneo per dislocarsi nell’Europa continentale e settentrionale494 e nel
Mediterraneo fino alla comparsa della dinastia macedone (867-1056) furono
i musulmani ad avere in mano le sorti della politica marittima, mentre le

490
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Mediterranée au Moyen…’’ cit., p. 5.
491
S. D. GOITEIN, The unity of the Mediterranean world in the ‘’Middle’’ Middle Ages, in
Studia Islamica, XII, 1960, p. 30.
492
Ivi, p. 30.
493
Ibidem.
494
G. MUSCA, ‘’Carlo Magno e Hārūn Al Rashīd...’’ cit., p. 149.
146
potenze occidentali erano costrette a concentrarsi sulla difesa delle
popolazioni latine495.

Le incursioni lungo le coste latine e gli attacchi contro le navi


commerciali erano spesso frutto di iniziative di gruppi individuali,
probabilmente pirati che avevano ulteriorimente contribuito a spargere il
terrore nel Mediterraneo, con una consequenziale diminuzione degli scambi
commerciali tra i porti europei, africani e asiatici496. Alla luce dei nuovi
ritrovamenti archeologici, non si può pensare a veri e propri periodi di stallo
del commercio, piuttosto alla predilizione per alcune rotte meno pericolose.
Ad ogni modo, la stessa testimonianza di atti di pirateria497 confermerebbe un
clima dinamicità economica e commerciale, senza il quale non avrebbero
avuto senso le azioni dei pirati498. Più che un calo netto dei mercati, nell’Alto
Medioevo si ebbe uno spazio più circoscritto degli scambi, cambiamento però
già avviato dal periodo in cui erano giunti i Vandali ed avevano reciso quel
collegamento Roma-Cartagine499.

Ovviamente però ciò non vuol dire che le due sponde smisero
completamente di avere relazioni commerciali, tanto che nell’Italia
meridionale, in Calabria particolarmente sono state ritrovate moltissime
ceramiche da trasporto del periodo500, ed anche del periodo successivo
dall’VIII sec. all’XI secolo. Oltre ai materiali d’uso quotidiano, anche i beni
di lusso non smisero di raggiungere l’Occidente, ad esempio le spezie furono

495
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Mediterranèe…’’ cit., p. 30.
496
G. MUSCA, ‘’Carlo Magno e Hārūn Al Rashīd…’’ cit., p. 149.
497
Nelle fonti troviamo appunto l’espressione riconducibile agli atti di pirateria, ma come già
accennato, dal punto di vista musulmano consisteva nella pratica delle ghazwa. Spedizioni
che servivano al rifornimento di schiavi soprattutto. Troviamo qualche riferimento negli
Annales Regni Francorum. ‘’Insulae Baleares, quae nunc ab incolis earum Maiorica e
Minorica vocitantur, a Mauris piraticam exercentibus depraedatae sunt’’. (a cura di) G. H.
PERTZII, ‘’Annales Regni Francorum…’’ cit., p. 105.
498
Ibidem.
499
C. WIKCHAM, ‘’L’eredità di Roma…’’ cit., p. 233.
500
Il primo tipo è un’anfora ad orlo inclinato verso l’esterno con una rientranza che sottolinea
lo stacco dell’orlo dal collo che è svasato. La seconda è con l’orlo obliquo, collo svasato e
anse rialzate e diritte attaccate all’orlo. Vi è anche un terzo gruppo di anfore con collo svasato
ed anse tra collo e corpo dell’anfora con fondo arrotondato o umbonato. I colori utilizzati
vanno dal biancastro al rosato fino al rosso-arancio; G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, Anfore,
ceramica d’uso comune e ceramica rivestita tra VI e XIV secolo in Calabria: prima
classificazione e osservazioni sulla distribuzione e la circolazione dei manufatti, in La
céramique médievale en Méditerranee. Actes du VI congres de l’AIECM2, Aix-en-Provence
13-18 novembre 1995, Aix-en Provence, 1997, p. 154.
147
sempre presenti, piuttosto i cambiamenti produttivi riguardarono i mercati
locali delle regioni501. Proprio considerando questo contesto la Calabria ha
stupito gli archeologi, in quanto da numerosi scavi è merso un mantenimento
delle produzioni locali finalizzate all’esportazione per tutto il periodo alto
medievale.

Dal periodo normanno poi, si ebbe totale ripresa dell’economia e i


manufatti subirono una fase di ampliamento delle tipologie di produzione, le
quali dimostrano una specializzazione della ceramica. I dati desunti dagli
scavi calabresi hanno ricevuto conferma da quelli siciliani, ma è importante
sottolineare che queste testimonianze derivano più dal versante tirrenico che
non ionico della regione. Infatti, il numero di anfore rinvenute presso Gerace
e Bova Superiore costituisce un numero esiguo che indica una situazione di
isolamento commerciale lungo il versante ionico meridionale; al contrario
quello tirrenico dimostra un contatto continuo con la Sicilia e l’Ifriqiya502. Gli
indizi più sostanziali sul commercio delle regioni meridionali della penisola
con la vicina Sicilia e con i porti africani, le abbiamo grazie al ruolo che ebbe
la comunità amalfitana. Il golfo sorrentino era poco distante dalle importanti
zone portuali calabresi, motivo per cui le navi amalfitane che costeggiavano
il versante tirrenico prima di prendere il Mediterraneo, conobbero presto le
merci calabresi, intercettandole e divenendo intermediari per i commerci di
prodotti provenienti da tutta l’Italia meridionale. Queste dinamiche
comportarono numerosi accordi tra le città nella zona salernitana, Napoli e i
Musulmani del Maghreb503.

I problemi della pirateria

A contrastare effettivamente un libero movimento delle navi


commerciali cristiane, era l’azione di attacco improvvisa dei musulmani, i
quali si contraddistinguevano per gli atti che, agli occhi cristiani, erano visti

501
C. WICKHAM, ‘’L’eredità di Roma…’’ cit., p. 240.
502
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, Anfore, ceramica d’uso comune e ceramica rivestita tra
VI e XIV secolo in Calabria…, op. cit., p. 155.
503
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Mediterranèe…’’ cit., p. 32.
148
come atti di ‘’pirateria’’. Nonostante ciò, anche i musulmani erano interessati
ad un mantenimento del commercio con i cristiani, di cui è una conferma la
presa di posizione da parte di Saḥnun (m. 854), ovvero colui che introdusse il
Malikismo in Maghreb, e che emesse una fatwa con cui stabilì che le
imbarcazioni dei cristiani, che fossero state catturate in mare, in prossimità
dei porti musulmani e non, sarebbero state sottoposte ad un’accurata
ispezione per verificarne la tipologia, civile o militare. Seguendo questa
norma se le navi cristiane fossero state commerciali sarebbero state tutelate,
altrimenti le avrebbero attaccate504. Per limitiare i danni arrecati dai
musulmani in mare, le potenze occidentali optarono per l’utilizzo di navi-
convoglio, il che aumentò i costi di trasporto, ma permise di mantenere floride
le attività riguardanti merci di lusso e materiali bellici.

Paradossalmente gli scontri militari e il commercio crebbero


proporzionalmente. Questo, sia perché il mondo islamico necessitava per la
guerra di prodotti occidentali (legname, resina, ferro), sia perché si cercò di
mantenere un equilibrio tale da far sopravvire lo scambio commerciale, pur
tra versanti diversi e in contrapposizione505. Nel X sec. il qādī al-Nu’mān,
giurista della corte fatimide, precisò quali dovessero essere le norme fiscali
da seguire nel commercio tra cristiani e musulmani, considerando anche che
la tassa prelevata ai latini dovesse ritornare direttamente al califfo perché
rappresentava il bottino degli infedeli506. Dunque, le forze navali occidentali
erano impiegate nell’eliminazione della pirateria, mentre la forza navale
islamica si basava su questa tipologia di strategia507. Partecipavano a questo
modo di far guerra anche greci, copti, berberi e ispanici, che costituivano una
parte degli equipaggi islamici. Quindi secondo le norme di cui ho parlato

504
Ibidem; P. FOIS, I Musulmani nel Mediterraneo nel IX secolo: un freno per lo sviluppo
economico?, in Interscambi socioculturali ed economici gra le città marinare d’Italia e
l’Occidente dagli osservatori mediterranei. Atti del convegno, Amalfi 15-16 maggio 2011,
Amalfi, p. 268.
505
G. MUSCA, ‘’Carlo Magno e Hārūn Al Rashīd…’’ cit., p. 149.; Ibidem. E’ stato
evidenziato anche un fattore molto importante ovvero la predisposizione intellettuale di Carlo
Magno nei confronti del mondo musulmano. Egli infatti seppe coniugare interessi politici ed
economici con lail desiderio di conoscere l’Oriente. Preferì prendere le distanze da Bisanzio,
ma fu favorevole ad un dialogo con Baghdad.
506
C. PICARD, ‘’Il mare…’’ cit., p. 287.
507
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 244.
149
precedentemente, ogni nave cristiana diretta verso un porto cristiano poteva
essere legittimamente attaccata dai musulmani, a meno che non avesse
dimostrato attraverso un documento scritto, di essere protetta da un signore
musulmano508.

Spesso erano i Berberi a sferrare gli attacchi di pirateria per recuperare


bottini e schiavi509, sebbene questo fine non dispiacesse nemmeno ai
cristiani510 . Nel IX sec. a produrre sia il dinamismo commerciale nel
Mediterraneo Occidentale e a sferrare gli attacchi contro le coste della
Provenza e dell’Italia, furono principalmente gruppi berberi provenienti dalla
Mauritania, altri gruppi dall’odierna Andalusia511 e in minor numero gruppi
arabi. Questi ultimi però mantennero anche vivi i commerci con i Berberi del
Maghreb512. I rari contratti commerciali ritrovati confermerebbero
l’impressione che i cristiani che giungevano nei porti musulmani avessero
rapporti principalmente con altri cristiani513. Probabilmente però le relazioni
tra cristiani e musulmani erano mediate da figure specilizzate che svolgevano
un ruolo da intermediari e che limitarono i rapporti diretti con la popolazione
locale. Inoltre, molte vendite venivano effettuate senza la necessità di redigere
un contratto e dunque diminuiscono le possibilità di trovare dei contratti

508
Ibidem.
509
C. RENZI RIZZO, ‘’I rapporti diplomatici…’’ cit., pp. 1-2.
510
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 244.
511
Sembrerebbe da attribuire proprio ad un gruppo di Berberi provenienti dalla Spagna
meridionale la fondazione dell’insediamento musulmano di Fraxinetum nel sud della
Francia. Esso durante il X sec. giocò un ruolo molto importante nella politica di attacco da
parte dei musulmani, infatti costituì un centro politico, militare ed economico della frontiera
islamica nella Provenza che era popolata perlopiù da ghazis o mujadin (guerrieri di frontiera)
provenienti dall’Andalusia. La concezione di uno stato di frontiera però richiamerebbe
l’immagine dei già noti ribats presenti in nord Africa, nord della Spagna ed est dell’Anatolia.
Stando alla fonte di Liutprando da Cremona l’insediamento musulmano di Fraxinetum ebbe
inizio nell’887 quando venti pirati andalusi giunsero nell’odierna zona di Saint Tropez. Per
quanto riguarda le fonti latine su questo sito, non sono molte. Si hanno ad esempio la Vita
Sancti Bobonis (m. 896), la Vita di S. Maiolus, Vita Iohannis Gorzienzis. Esse sono state
spesso utilizzate per fornire un’idea dei rapporti diplomatici intercorsi tra il Califfato di
Cordova e il Sacro Romano Impero; M. BALLAN, Fraxinetum: An islamic frontier state in
tenth century provence, in An journal of Medieval and Renaissance Studies 41, 2010, pp.23-
76: pp. 23-29.
512
C. RENZI RIZZO, ‘’I rapporti diplomatici…’’ cit., pp. 1-2.
513
D. VALéRIAN, Le recours à l’écrit dans les pratiques marchandes en context
interculturel: les contrats de commerce entre chrétiens et musulmans en Méditerranée, in
L’autorité de l’ecrit au Moyen Age (Orient-Occident), XXXIX Congres de la SHMESP (Le
Caire, 30 avril-5 mai 2008), s.e., Paris, 2008, p. 59.
150
firmati da una o dall’altra parte514. La compilazione di un contratto, infatti,
non doveva essere semplice, richiedeva il confronto tra realtà diverse, che
avevano criteri giuridici e pratiche differenti e a volte opposti. Innanzitutto,
vi era un problema fondamentale: la legittimità degli scambi tra cristiani e
musulmani.

La Calabria e il commercio mediterraneo

Assodato che il VI e il VII sec. registrano effettivamente un calo delle


esportazioni africane, già dall’VIII sec. abbiamo una ripresa positiva lungo la
rotta che da Roma e dall’Italia meridionale proseguiva per Costantinopoli
attraversando l’Egeo515. La Calabria nel contesto commerciale mediterraneo
dall’VIII sec. all’XII sec. rimane sostanzialmente in linea con il suo ruolo
passato. Fino alla fine del VII sec. infatti, l’archeologia ha dimostrato gli ampi
commerci tra la regione e il nord Africa, rinvenendo moltissimo materiale di
provenienza africana, in particolar modo vasellame da mensa ed utensili. Alla
luce delle nuove osservazioni storiografiche anche durante il periodo
successivo tra l’VIII sec. e l’XII sec. si ebbe ancora nel Mediterraneo un
mantenimento delle rotte commerciali e degli scambi, un contesto in cui deve
essere considerata anche la Calabria. Il ruolo attivo della regione viene
giustificato solitamente dalla vicinanza con la Sicilia, che rappresentò
certamente un collante tra la Calabria e il Mediterraneo, ma non fu l’unico
fattore a rendere possibile queste dinamiche. Occorre dunque riconoscere una
dignità produttiva e commerciale intrinseca alla Calabria, data anche dalla
presenza di un porto come Reggio che aveva permesso di prendere parte ai
mutamenti sociali, economici e culturali di quel periodo. Oltre a ciò per tutto
il Medioevo, sappiamo che, anche il Mar Tirreno fu protagonista delle rotte
commerciali latine e proprio lungo il versante tirrenico calabrese si fermavano
le navi provenienti da Amalfi prima di prendere le rotte per l’Africa e per
l’Oriente e nonostante i minori riscontri archeologici anche le città sullo Ionio

514
D.VALéRIAN, ‘’Le recours…’’ cit. p. 59
515
C. WICKHAM, ‘’L’eredità di Roma…’’ cit., p. 242.
151
mantennero le loro produzioni. Inoltre Calabria e Sicilia si distinguevano per
alcune capacità produttive. L’isola infatti rimaneva ancora uno dei granai
mediterranei come nell’epoca antica e godeva della presenza di importanti
porti finalizzati allo smistamento delle merci provenienti da tutto il bacino del
Mediterraneo516. La Calabria si proponeva in particola modo come
esportatrice di olio, vino, legname e materiale tessile.

La ripresa dei mercati: le anfore da trasporto

L’VIII sec. si è posto come un momento fondamentale per l’economia


mediterranea, uno spartiacque sostanziale tra la politica commerciale romana
e quella medievale. All’inizio del secolo, i Carolingi avevano dato impulso
agli emporia commerciali e il Mare del Nord aveva attratto i mercanti e
prediletto rispetto al Mediterraneo. Nello stesso periodo iniziava ad
affermarsi la città di Venezia che fece del commercio di schiavi il suo punto
di forza. Essa infatti rivendeva gli uomini presso i mercati arabi in cambio di
spezie e beni di lusso. Verso la fine del secolo, ad ogni modo, è nuovamente
il Mediterraneo protagonista dei commerci, questo incentivato anche dal fatto
che a ridosso delle coste di questo mare vi si affacciava una società acquirente
di beni lussuosi e/o prodotti comuni, al contrario le popolazioni del Mare del
Nord non avevano ancora una prosperità tale da impegnarsi in acquisti
importanti517.

Per quanto concerne l’attività economica, per ricostruirne la portata, in


un secolo in cui non abbiamo molti indizi, i materiali anforacei emersi dagli
scavi risultano essere elementi preziosi. Poi i ritrovamenti numismatici negli
stessi strati del terreno hanno contribuito ad esplicitare il periodo di
appartenenza delle anfore stesse. Il riscontro di un particolare tipo di anfora
in varie zone della penisola italiana, nei territori africani e nella Penisola

516
F. ARDIZZONE, Rapporti commerciali tra la Sicilia occidentale ed il Tirreno
centromeridionale nell’VIII secolo alla luce del rinvenimento di alcuni contenitori da
trasporto, in (a cura di) G. P. BROGIOLO, Società degli archeologi medievisti italiani. II
Congresso nazionale di archeologia medievale, Brescia, 28 settembre-1 ottobre 2000, p. 402.
517
C. WHICKHAM, L’eredità di Roma…, op. cit., p. 248.
152
Iberica, traccia il percorso dell’import/export tra i porti latini e quelli della ḍār
al Islām nell’VIII secolo. In alcune zone della penisola già dal VII sec.
abbiamo una presenza importante di anfore utilizzate come contenitori per
trasporto di olio e vino, specificatamente con il corpo ovoidale o globulare, la
cui tipologià è stata riscontrata in Campania, in Puglia e in Calabria518. Gli
scavi hanno portato alla luce in Italia le anfore globulari, che probabilmente
erano state preferite per il loro peso minore rispetto a quelle africane519. Per
quanto riguarda i ritrovamenti in Calabria grazie alle analisi minerali dei
reperti è stata sottolineata una probabile produzione locale.

La carta di distribuzione di questi ritrovamenti evidenzia un movimento


tra l’area tirrenica meridionale e l’area siciliana, cui partecipano attivamente
anche le città calabresi520. Sul versante ionico calabrese, invece, solo nel
periodo successivo abbiamo ritrovamenti archeologici importanti, come
quelli della zona di Santa Maria del Mare (CZ), che tra la metà del X sec. e la
metà dell’XI sec., fu caratterizzata da un boom di produzione di diverse
tipologie di manufatti in linea con la ceramica richiesta dal mercato. Tra il
passaggio tardo antico a quello medievale vi fu effettivamente una
diminuzione dei commerci e soprattutto della domanda da parte dei ceti
sociali più alti. Nei primi secoli della caduta romana infatti l’economia era
relegata alla produzione delle villae presenti nel contesto rurale, ma nel V sec.
si registrò un netto abbandono di questa realtà con un tracollo economico
evidente in alcune regioni meridionali in particolar modo la Puglia521.

La Calabria però, godendo di un territorio favorevole anche alla


diversificazione delle produzioni e di un’efficiente organizzazione in
latifondi per la rotazione delle colture, riuscì a mantenere una produzione
variegata e abbondante tanto da giustificare importanti esportazioni.
L’ingente esportazione vinaria fece sì che la zona dello Stretto Di Messina

518
E. CIRELLI, Anfore globulari a Classe nell’Alto Medioevo. V Congresso di Archeologia
Medievale. Foggia-Manfredonia. Palazzo della Dogana, Salone del Tribunale (Foggia),
Palazzo dei Celestini, Auditorium (Manfredonia), 30 settembre-3 ottobre 2009, I, Firenze, p.
565.
519
Ivi, p. 566.
520
F. ARDIZZONE, ‘’Rapporti commerciali...’’ cit., p. 402.
521
A. B. SANGINETO, ‘’Produzioni e commerci…’’ cit., p. 755.
153
divenisse il polo di produzione delle anfore specifiche per questa attività, le
Keay LII, i cui resti abbondano in tutta la regione e in numerose zone del
Mediterraneo.

L’economia calabrese altomedievale sembra dunque basata in quel


periodo non sulla vendita di beni di lusso, ma di prodotti necessari per i
contesti quotidiani, questo aspetto giustifica gli ampi ritrovamenti di anfore
di ogni grandezza, brocche, brocchette, bacini e scodelle e molta ceramica da
fuoco, che comunque conferiscono un quadro commerciale attivo, ma
specifico per richieste di ceti sociali, in maggioranza, non più aristocratici.
Ad affiancare questi riscontri archeologici vi sono i ritrovamenti numismatici
che confermano ulteriormente la produzione e la vendità attiva calabrese nel
periodo medievale. Alla vigilia dell’arrivo normanno la regione aveva ormai
recuperato anche la sua antica vocazione commerciale sul versante ionico,
presso il quale i ritrovamenti di monete dimostrano un aumento della
domanda proveniente forse dagli stessi mercati reggini522. La Calabria
insieme con la Campania, la Puglia e la Sicilia orientale, si pose in contrasto
con il clima di forte crisi generale, rimanendo sulla scia della radicata
tradizione produttiva523. L’importante fabbricazione delle anfore da trasporto
è indice infatti di un surplus agricolo finalizzato all’esportazione524.

La via percorsa dai mercanti probabilmente era la stessa che già Papa
Costantino (708-7015) aveva percorso da Porto fermandosi presso Gaeta,
Napoli, Sicilia e poi dirigendosi verso la Grecia facendo scalo a Reggio,
Gallipoli ed Otranto525. Per il periodo di passaggio tra l’VIII e il IX sec. vi è
ad oggi un numero minore di riscontri archeologici sia in Calabria che in
Sicilia, che potrebbe derivare, come già accaduto in passato, dalla mancanza
di scavi avviati per lo studio degli strati concernenti l’Alto Medioevo526.

522
C. RAIMONDO, Economia e società nella Calabria bizantina, in (a cura di) A. JACOB,
J. M. MARTIN, G. NOYé ‘’Histoire et culture…’’ cit., pp. 433-434.
523
C. RAIMONDO, Economia e società nella Calabria bizantina, in (a cura di) A. JACOB,
J. M. MARTIN, G. NOYé ‘’Histoire et culture...’’ cit., p. 406.
524
Ibidem.
525
F. ARDIZZONE, ‘’Rapporti commerciali…’’ cit., p. 406.
526
L. ARIFA, Nuove ipotesi a partire dalla rilettura dei dati archeologici: la Sicilia
orientale, in (a cura di) A. NEF, V. PRIGENT, La Sicile de Byzance à l’Islam, Paris, 2010,
p. 15.
154
Infatti, è plausibile che le due realtà bizantine avessero invece goduto della
nuova situazione fiscale, quando, dopo il sequestro dei patrimonia Sancti
Petri dopo il 733, l’amministrazione bizantina si ritrovò ad avere una notevole
base territoriale coinvolgendo questi territori nel commercio imperiale527.
Riflettendo sul ruolo assunto dalle città orientali siciliane, occorre soffermarsi
sul ruolo di Reggio Calabria. Per tutto il periodo bizantino, infatti, la città
ebbe il controllo militare e civile lungo lo Stretto, controllando anche il
passaggio delle navi tra la Sicilia e l’Italia e tra il versante ionico e quello
tirrenico528. Nelle fonti altomedievali lo scalo reggino è sempre menzionato
e costituisce un passaggio obbligato tra l’Italia e l’Oriente529.

Le potenzialità produttive del territorio calabrese tra X e XI


secolo

Ad avvalorare una visione di generale benessere della regione vi è anche un


altro aspetto. Agli inizi del X sec. la Calabria possedeva due sedi
metropolitane Reggio e Santa Severina, le quali abbracciavano le città più
ricche. Reggio comprendeva inoltre dodici sedi suffraganee: Vibo Valentia
poco distante dal golfo di Santa Eufemia, Tauriana vicino l’odierna Palmi,
Locri piccola località marittima soppiantata dal nuovo centro di Gerace che
assunse il titolo vescovile, Rossano a 5 km di distanza dal golfo di Taranto e
nota per l’ingente presenza di olivi, Squillace che sormontava il golfo
omonimo, Tropea importante porto di pescatori tra il golfo di S. Eufemia e il
golfo di Gioia, Amantea allo sbocco del fiume Catocastro con un proprio
porto, Crotone unico porto della costa orientale della regione, Cosenza,
Nicotera sul golfo di Gioia, Bisignano piazzaforte per il controllo della Valle
del Crati, Nicastro a nord della ricca pianura di S. Eufemia530.

527
Ibidem.
528
V. VON FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, in Calabria bizantina.
Testimonianze d’arte e strutture di territori, Soveria Mannelli, 1991, p. 250.
529
Ivi, p. 252.
530
(a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., pp. 12-13.
155
La seconda metropoli era Santa Severina che, al momento della
riconquista bizantina dopo la parentesi islamica, comprendeva quattro sedi
suffraganee: Umbriatico, Cerenzia, Gallipoli piccolo porto della costa
occidentale della Terra d’Otranto, Isola Capo Rizzuto promontorio a sud di
Crotone531. Questo rapporto amministrativo tra la Calabria e la Puglia dovette
favorire gli scambi commerciali e le relazioni tra le due regioni ed in
particolar modo la vicinanza con il porto di Taranto che confluiva l’arrivo di
merci dall’Oriente e dal Mediterraneo. La metropoli di Reggio poi, di cui
disponiamo fonti documentarie dall’XI sec., possedeva in tutto il territorio
della sua giurisdizione numerose terre coltivabili, piante di vite, gelseti,
giuncaie, alberi da frutta, pascoli, saline, orti, mulini ad acqua, vasti boschi,
vivai di pesci, bagni pubblici e abitazioni, per cui percepiva importanti affitti
e canoni proporzionati alle produzioni532. Negli archivi del vescovado di
Hagia Agathe (Oppido Mamertina, RC) sono stati ritrovati dei contratti di
donazioni in cui riscontriamo che la maggior parte delle terre veniva sfruttata
per la coltura di cereali, querce, castagni, alberi da frutta e gelseti533.

Dunque, se nell’XI sec. la regione aveva un importante guadagno dalle


varie colture sul territorio, giustificata solo se queste attività avessero avuto
inizio già dai decenni precedenti. Inoltre, la Calabria era nota per la presenza
di querce, querce da sughero, pini, pioppi, salici, alni, utilizzati come
materiale da costruzione. Gli alberi che si trovavano nelle zone vicino al mare
venivano tagliati e trasportati fino al porto per l’esportazione. Le risorse di
legname erano ingenti e vennero sfruttate per tutto il periodo medievale sia
da Bisanzio che dai musulmani, i quali infatti non solo recuperavano il
legname, ma anche la resina e il catrame utili per la conservazione dei
recipienti da trasporto534. Altri prodotti importanti erano il lino, la canapa, la
seta grezza ed in un secondo momento anche il cotone535. Effettivamente in

531
(a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., p. 13.
532
Ivi, p. 19.
533
Ivi, p. 20.
534
Ivi, p. 30.
535
Ivi, p. 33; Per quanto riguarda la produzione tessile mi sembra importante sottolineare che
la Puglia nello stesso periodo non si contraddistinguesse per la produzione serica. La presenza
dunque della comunità ebraica di Oria, nota per le attività tessili, era probabilmente sorretta
dall’importazione della materia prima dalla regione vicina; per le colture pugliesi nel
Medioevo. (a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., pp. 38-39.
156
nessun’altra regione meridionale è stato rintracciato un inventario come il
Brebion reggino che dimostri la presenza di numerosi gelseti come in
Calabria, neanche in Longobardia, da dove partivano le navi amalfitane
cariche di tessuti. La seta calabrese tra il X e XI sec. probabilmente veniva
affidata per l’esportazione agli Amalfitani, i quali la vendevano in Sicilia e
nel mondo arabo536. Ne dà conferma un episodio in cui verso il 1058 Ruggero,
fratello di Roberto il Guiscardo, trovandosi presso Scalea, ricevette la di
mercanti amalfitani in arrivo con carichi preziosi di cui non conosciamo lo
specifico contenuto. L’episodio visto alla luce di altri indizi conferma
l’attitudine dei mercanti amalfitani a fare scalo presso i porti tirrenici della
regione537.

Due lettere ritrovate all’interno della Genizah del Cairo, fonte


imprescindibile per conoscere i commerci tra l’Egitto e i porti latini, parlano
di una coppia di navi amalfitane cariche di seta. Prima della scoperta del
brebion si riteneva che la seta esportata in Egitto provenisse esclusivamente
dalla Sicilia, ad oggi però gli studiosi ritengono che probabilmente essa
appartenesse agli opifici calabresi538. Questa supposizione è avvalorata dal
fatto che in quello stesso periodo la sericoltura calabrese rispose alla richiesta
delle fabbriche costantinopolitane e forse anche di Tebe539. La seta era infatti
un prodotto molto richiesto in Egitto e considerato un investimento sicuro,
inoltre il suo trasporto richiedeva costi bassi, ma allo stesso tempo il
guadagno presso Alessandria era nettamente superiore, motivo che induce a
ritenere che gli Amalfitani ne ricavassero importanti guadagni.

Oltre che per la produzione serica, la Calabria si distingueva per quella


del lino, altro prodotto d’esportazione che nelle navi amalfitane raggiungeva
i mercati mediterranei. A proposito abbiamo un episodio: nel 1056 un
mercante ebreo presso Alessandria scrive dell’arrivo di una nave amalfitana

536
Ivi, p. 63.
537
(a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., p. 63.
538
Ibidem; D. JACOBY, Amalfi nell’XI secolo: commercio e navigazione nei documenti della
Ghenizà del Cairo, in Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, XVIII, dicembre 2008, p.
86.
539
Ibidem.
157
contenente tessuti di lino e carichi di miele540. Nella lettera non è specificato
il luogo di provenienza dei prodotti, per cui era stata ipotizzata la zona della
Palestina541, ma è anche vero che in quel periodo nell’Italia meridionale, la
Calabria si distingueva proprio per la produzione del miele e dunque gli
Amalfitani avrebbero potuto acquistarlo lì542. Ad ogni modo ciò che è certo
in questo quadro di labili indizi, è che la regione riuscisse ogni anno a
mantenere il pagamento dei tributi sia all’Impero sia agli Arabi, il che
vorrebbe dire che essa avesse innegabilmente delle importanti fonti di
guadagno per sostenere le pressioni fiscali543.

Reggio Calabria: il suo ruolo politico ed economico

La breve distanza tra Reggio e Messina544, tra la Calabria e la Sicilia,


aveva incoraggiato sempre un legame tra le due regioni. Al Idrisī scriveva:

[…] Reggio, questa città appartiene alla regione di Calabria (qalūrīah)


procedendo verso la costa vi è lo Stretto, di fronte alla Sicilia, tra Reggio e la città
di Messina, che appartiene all’isola di Sicilia, ci sono sette miglia, cioè lo spazio tra
la costa delle due città. Reggio è una piccola città e in essa ci sono molti frutti, si
dice che abbia mercati fiorenti, bagni pubblici e mura in pietra. E’ situata sulla
punta del mare sulla riva est della costa […]545.

Reggio oltre a rappresentare una tappa quasi obbligata per i mercanti


del Mediterraneo, nonché snodo fondamentale per il raggiungimento dei porti
orientali. Oltre alla sua fortunata posizione geografica però, la città nell’Alto
Medioevo godette di un ruolo politico altrettanto importante, divenendo sede
dei duchi di Calabria546. Già dall’VIII sec. il legame politico e amministrativo

540
Ibidem.
541
Ibidem.
542
D. S. GOITEIN, ‘’A mediterranean society...’’ cit., p. 46.
543
A. GUILLOU, Calabria bizantina, Aspetti sociali ed economici. Atti del terzo incontro di
Studi bizantini, Parallelo 38, Reggio Calabria, 1978, p. 26.
544
‘’[…] Messina, paesello su la costiera di Sicilia, vicino al paese dei Rum di faccia e
Reggio ch’è paese sul continente di Costantinopoli. Da Messina si vede la gente di Reggio
[…]’’ cfr. M. AMARI, Biblioteca arabo sicula, I, op. cit., p. 225.
545
Ivi, p. 276.
546
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 255.
158
con la Sicilia aveva comportato l’instaurazione di importanti relazioni tra
l’isola e la regione. Quando poi l’isola venne interamente conquistata dai
Musulmani, Reggio prese il testimone come città bizantina sede dello stratego
e capitale del thema547. Quando nel X sec. la carica di stratego di Longobardia
e Calabria venne attribuita ad un’unica persona, i suoi frequenti spostamenti
tra Reggio e Bari misero in moto una macchina economica che coinvolse le
due regioni548. Considerando dunque l’importanza della città sia per il suo
ruolo temporale sia spirituale, questa situazione incentivò nuovamente una
crescita economica. La presenza sul territorio di queste realtà indusse
indubbiamente la città ad una crescita sociale e culturale, da cui derivò una
maggiore predisposizione ad accogliere dal Mediterraneo tutti gli stimoli che
vi provenivano, inducendo una crescita economica, demografica, culturale.

La ricchezza della città è sostenuta da un episodio in particolare: quando


‘Abū ‘al ‘Abbās da Messina giunse a Reggio e sbaragliando le forze cittadine,
la conquistò, tornò in Sicilia con un carico importante d’oro e d’argento, dopo
aver riempito le navi di beni di diverso tipo549. Un carico del genere è
giustificato solo se pensiamo che la città godesse di una situazione economica
prospera e fiorente. Questo accaduto risale agli inizi dell’X sec., mentre ad un
secolo successivo è datato l’inventario dei beni di cui era proprietaria della
diocesi reggina.

Dunque, tenendo presente queste considerazioni, la città e la regione


dimostrano di aver goduto del clima commerciale fiorente anche in seguito
all’arrivo musulmano550. Anzi, dopo la conquista musulmana della Sicilia,
Reggio divenne a maggior ragione la nuova città cardine dell’impero
Bizantino in Occidente, trainando in questo contesto potivo tutta la regione.
La ripresa culturale della città portò alla nascita di studia cittadini, dove si

547
Ivi, p. 258.
548
Ibidem.
549
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 261; M. AMARI,
Biblioteca arabo-sicula, I, op. cit., pp. 402-403.
550
Un esempio di dinamicità e koinè è la Cripta Balbi (RM) in cui sono state ritrovate risalenti
all’VIII sec. anfore provenienti dall’Egitto, dalla Campania, dalla Sicilia e dalla Calabria; P.
REYNOLDS, From Vandal Africa to Arab Ifriqīya: tracing cercamic and economic trends
through the 5th to the 11th centuries’, in S. STEVENS, J. CONANT, North Africa under
Byzantium and Islam, Dumbarton Oaks Byzantine Symposia and Colloquia, Harvard
University Press, Cambridge MA (2016), p. 146.
159
mise in circolo una riflessione che legava la città ai movimenti di pensiero e
al gusto costantinopolitani. In questo contesto vennero redatti due manoscritti
importantissimi: un codice contenente gli scritti di S. Gregorio Nazianeno del
941 (Cod. patmiaco 33)551 e un codice contenente gli Atti degli Apostoli e le
Episole del Nuovo Testamento del 1037 commissionato dall’arcivescovo di
Reggio Nicola, ammirati tutt’oggi per la cura della redazione e lo stile
prettamente orientale.

Calabria araba? Gli indizi della presenza islamica

La Calabria a differenza di altre regioni del sud Italia presenta sul


territorio tracce arabe meno evidenti. Occorre innanzitutto fare un distinguo
tra le tracce islamiche risalenti al periodo dell’insediamento lungo la costa
tirrenica e gli indizi successivi derivanti da un confronto culturale tra i locali
e la comunità musulmana (sul territorio, in Sicilia o in Africa). Infatti, si
hanno maggiori indizi sul periodo successivo alla cacciata musulmana, come
il ritrovamento di ceramiche di tipologia siculo-maghrebina dell’XI-XII
secolo552. Il fatto che l’archeologia non abbia rintracciato elementi risalenti al
periodo di insediamento militare, ma del periodo successivo, è comunque
indice di uno scambio culturale che avvenne in quel frangente tra la
popolazione locale e i musulmani insediatisi.

Le pietre tombali

Il cuore dell’insediamento islamico, come detto in precedenza, fu


Amantea città che costituiva uno degli scali più frequentati lungo la rotta

551
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 264; I. HUTTER, Décoration
et mise en page des manuscrits grecs, in (a cura di) A. JACOB, J.M. MARTIN, G. NOYé,
‘’Histoire et culture…’’ cit., p. 81.
552
Anche per la Puglia la situazione non sembra essere dissimile, infatti, la maggioranza dei
ritrovamenti archeologici islamic i non risalgono al periodo dell’insediamento musulmano,
ma sono riscontri dei rapporti commerciali; P. ARTHUR, Islam and the terra d’Otranto:
some archaelogical evidence, in European Association of Archeologists. Third annual
meeting, Ravenna, settembre, 1997, p. 166.
160
importante che collegava la Spagna islamica a Costantinopoli insieme con
altre rotte nord-sud che collegavano le coste africane con i porti dell’Europa
meridionale (Genova, Pisa, Gaeta, Napoli, Salerno, Amalfi). È dunque
evidente che i Musulmani avessero puntato ad una zona florida oltre che
strategica militarmente per la sua posizione geografica. È l’area del castello
che potrebbe fornire indizi maggiori sul periodo di sedimentazione islamica,
da cui infatti sono emersi degli interessanti elementi materiali553.

Nel 1989 presso il Palazzo delle Clarisse della città (situato nei pressi
del castello) è stata rinvenuta una stele funeraria islamica le cui caratteristiche
porrebbero la datazione al periodo tra X e XI secolo. Una stele simile e
circoscrivibile allo stesso periodo è stata ritrovata anche a Palermo, elemento
che pone luce ancora una volta sul legame culturale che sicuramente interessò
Calabria e Sicilia, forse più di quanto si evinca dalle sporadiche fonti materiali
per ora ritrovate in Calabria. Datare con certezza la stele funeraria non è
possibile, ma alcuni elementi possono aiutare a comprendere il periodo
plausibile della sua realizzazione. È particolare che in essa vi siano però due
inscrizioni di differente fattura. La prima inscrizione incisa in carattari cufici,
infatti, è la Sura 112554 del Corano, la cui scelta può aiutare a ristringere gli
estremi della datazione, in quanto analoga a quelle ampliamente utilizzate nel
periodo tra il IX e l’XI sec. in Nord Africa, particolarmente in Tunisia. Inoltre,
la scomparsa di utilizzo di questa sura per i periodi successivi dall’XI sec. in
poi avvalorerebbe la possibile realizzazione durante i due secoli prima. La
seconda inscrizione invece riporta una data « Muḥarram 471/1078-9 »
realizzata però da uno scultore inesperto e non avvezzo alla scrittura araba.

La tecnica di realizzazione è stata paragonata a quella di alcune pietre


tombali islamiche ritrovate a Malta, scolpite da artigiani probabilmente non
arabi555. Il ritrovamento di pietre tombali però è da contestualizzare, in quanto

553
C. TONGHINI, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 206.
554
La Sura 112 è una delle ultime sure coraniche per questo pittosto breve. Essa è la Sura
della ‘’Purezza’’ e appartiene alla tradizione dei versetti rivelati alla Mecca. Il testo è: ‘’Nel
nome di Dio, Misericordioso, Misericorde. 1 Di’: « Egli, Dio è Uno! 2 Dio, l’Eterno. 3 Non
generante e non generato! 4 Nessuno è simile a Lui! Egli è Uno ». (a cura di) G. MANDEL
KHAN, Il Corano, Torino, 20115.
555
C. TONGHINI, ‘’Gli Arabi…’’ cit., pp. 212-213.
161
spesso esse venivano vendute per un reimpiego del materiale, teoricamente
data la peculiarità della realizzazione della stele di Amantea, sarebbe
plausibile una realizzazione locale, avvalorata anche dall’incertezza del tratto
di scrittura della seconda incisione. È dunque possibile che anche in seguito
alla fine della sede militare islamica, la città abbia conosciuto l’insediamento
di musulmani che richiedevano tali manufatti, oppure, che la stessa
popolazione locale fosse stata influenzata dallo stile islamico richiedesse tali
caratteristiche556.

La ceramica

La ceramica e il materiale anforaceo ritrovati in Calabria hanno


conferito al quadro storico un’ulteriore conferma per quanto concerne
l’appartenenza della regione alla koinè mediterranea. A stimolare
ulteriormente la ricerca archeologica per il periodo alto medievale calabrese
è stato il ritrovamento presso Caccuri (KR)557 di un catino in bruno
manganese, verde ramina e giallo ferraccia558, realizzato con la tecnica

556
C. TONGHINI, ‘’Gli Arabi…’’ cit., pp. 213-217.
557
F. A. CUTERI, ‘’L’insediamento tra VIII e XI secolo. Strutture, oggetti…’’ cit., p. 53.;
Tra il 2006 e il 2008 la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Calabria ha concentrato
delle ricerche nella zona dell’area extra moenia presso Crotone. I ritrovamenti abbracciano
ampi periodi. Sono state riscontrate strutture medievale del XIII e XIV secc. impiantati su
resti di età classica ed ellenistica. Oltre ai materiali da costruzione sono stati ritrovati
frammenti di ceramica d’uso comune e ceramica da mensa e da dispensa di diverso tipo:
maghrebina, invetriata, a bande rosse e brune e invetriata policroma. Dallo stile di questi
manufatti si evince ancora una volta la vivacità economica e commerciale della regione ed in
questo caso anche del porto di Crotone, che in alcuni periodi sembrava non aver retto il
confronto con i porti tirrenici. Sono stati ritrovati inoltre oggetti in metallo, una fibbia in
bronzo e molte monete databili tra l’XI e il XIV secolo; M. G. AISA, F. CRISTIANO, A.
RUGA, F. A. CUTERI, Un’area artigianale extra moenia a Crotone tra XIII e XIV secolo.
Il cantiere del teatro comunale, in Fornaci. Tecnologie e produzione della ceramica in età
medievale e moderna. Atti XLII Convegno Internazionale della Ceramica 2009, Centro ligure
per la storia della ceramica, Savona, 2009, pp. 243-244.
558
I colori utilizzati per le ceramiche venivano ricavati da ossidi metallici, in particolar modo,
l’ossido di rame per il colore verde, l’ossido di manganese per il marrone bruno e l’ossido e
idrossido di ferro per il giallo. Dopo, atteso il tempo di fissatura del colore, il ceramista
procedeva applicando una miscela di piombo che vetrificava durante la cottura; C.
MARCIARACINA, La ceramica invetriata nella Sicilia islamica e normanna (X-XII secolo),
La ceramica invetriata nella Sicilia islamica e normanna (X-XII secolo), in (a cura di) F.
BERTI, M. CAROSCIO, La luce del Mondo. Maioliche mediterranee nelle terre
dell’Imperatore (16 febbraio-5 maggio 2013). Catalogo della mostra organizzata dal Museo
della ceramica di Montelupo (Firenze), p. 92.
162
dell’invetriatura a piombo559. L’utilizzo di questi piccoli recipienti in Calabria
era attestato già dal VI sec., ma realizzati in ceramica depurata560, mentre la
tecnica del manufatto di Caccuri è riconducibile alla tradizione islamica del
periodo fatimide, perciò si potrebbe ipotizzare che il suo ritrovamento nel
crotonese possa essere giustificato dalla ripresa dei mercati lungo versante
ionico. Sul Tirreno, invece, zona dove non mancano riscontri archeologici
eloquenti per quanto concerne il rapporto con il mondo islamico, presso
Tropea è stata rintracciata della ceramica da fuoco analoga a quella ritrovata
presso Bayyana (Andalusia), insediamento arabo dall’IX sec.561. La ceramica
risale al periodo di stanziamento dei musulmani a Tropea562.

Dagli scavi risulta effettivamente essere sempre Tropea il luogo di


ritrovamenti di importanti materiali che, ad oggi, conferiscono un quadro più
delineato della produzione di stile o matrice islamica nella regione. I
manufatti rintracciati a Tropea possono essere confrontati con quelli di
Pantelleria, in entrambi i luoghi infatti prevale una ceramica di uso comune
costituita da brocchette, casseruole ed olle. Questi punti in comune tra la
regione e i territori siciliani confermano ulteriormente l’attività della rotta
tirrenica e i contatti diretti e continui tra la Sicilia e la Calabria563. Dall’XI
sec. con l’arrivo normanno si ebbe anche un cambiamento delle abitudini
alimentari della popolazione ed un consequenziale arricchimento della
ceramica da cucina. I manufatti del IX e X sec. rintracciati trovano riscontro
con esemplari di ambito arabo564, mentre per la fine dell’XI sec. si hanno
grandi quantità anforacee di tradizione islamica prodotte nella zona nord-
ovest della Sicilia ritrovate presso Reggio Calabria565. Gli esigui ritrovamenti
di alcuni esemplari di ceramici invetriata sono riconducibili all’importazione
piuttosto che alla produzione locale, il cui stile è stato individuato in Sicilia,

559
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 256.
560
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, ‘’Anfore, ceramica…’’ cit., p. 155.
561
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, ‘’Anfore, ceramica…’’ cit., p. 156.
562
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, La Calabria bizantina (VI-XIV sec.): un evento di lunga
durata, in (a cura di) J. M. MARTIN, L’Italie byzantine, Paris, 2006, p. 476.
563
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, ‘’Anfore, ceramica…’’ cit., p. 156.
564
Ibidem.
565
P. ARTHUR, ‘’Islam and the Terra d’Otranto...’’ cit., p. 167.
163
dove molte ceramiche presentano colori con influenze dal Levante, di cui è
esempio la base biancastra con decorazioni in blu o verde acqua566.

Il mondo islamico, durante il periodo di crisi bizantina, era divenuto il


tramite di un gusto nuovo e di tecniche di produzione innovative provenienti
dall’Oriente. La ceramica aveva una lunga tradizione nella zona
mesopotamica e all’inzio dell’VIII sec. andò a costituire uno dei beni di lusso
maggiormente richiesti dalla corte abbaside e dalla società raffinata567.
Furono probabilmente i musulmani a reintrodurre l’invetriatura al piombo in
Occidente, di cui abbiamo appunto nuove varietà risalenti al periodo tra il X
e l’XI secolo. Allora la Sicilia568, senza dimenticare l’apporto dato dalle
repubbliche marinare, si pose nuovamente come tramite per la diffusione di
questa ceramica nell’Italia peninsulare, in particolar modo nel periodo
normanno569. Le ceramiche potevano essere decorate con motivi diversi e a
seconda dei periodi sono state rintracciate delle rappresentazioni
maggiormente in voga. Il catino di cui ho parlato sopra, ad esempio,
appartiene alla ceramica decorata con il disegno della ‘’pavoncella’’570. Il
disegno è posto al centro del contenitore ed è un motivo rintracciato per tutto
il periodo tra la fine del X e l’inizio dell’XI. Il soggetto è appunto una
pavoncella, le cui rappresentazioni sono state rintracciate oltre che in
Calabria, in Sicilia, in Liguria e in Libia571.

La maggior parte dei ritrovamenti di ceramiche islamiche comprende


suppellettili da mensa, oggetti domestici e strumenti da lavoro in terracotta

566
Ivi, p. 160.
567
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 400.
568
Tra la seconda metà del X sec. e l’XI sec. l’isola conobbe un’età dell’oro per quanto
riguarda la produzione delle ceramiche. In seguito alla conquista araba vennero introdotte
delle nuove tecniche produttive, come si evince da ceramiche uutilizzate per mansioni
quotidiane ovvero per la preparazione dei cibi, per l’illuminazione o nelle attività agricole.
Proprio per queste ultime sono stati rintracciati i vasi da senia, che prendono il loro nome
dalla macchina idraulica utilizzata nel mondo arabo per l’estrazione dell’acqua dai pozzi; cfr.
C. MARCIARACINA, ‘’La ceramica invetriata nella Sicilia islamica…’’ cit., pp. 90-91.
569
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 256.
570
La pavoncella veniva rappresentata o stante o ad ali spiegate, oppure vi era una coppia di
pavoncelle contrapposte (come quella ritrovata presso la Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti
a Palermo), o più pavoncelle disposte entro i medaglioni della coppetta, spesso in colore
bruno o verde; cfr. C. MARCIARACINA, La ceramica invetriata nella Sicilia islamica…,
op. cit., p. 94.
571
C. MARCIARACINA, ‘’La ceramica invetriata nella Sicilia islamica…’’ cit., p. 94.
164
del periodo tra il X e l’XI secolo, pensati e realizzati dagli arabi per un
contesto sostanzialmente musulmano, cui appartenevano però anche le altre
comunità. Dal periodo normanno, invece, si evince che i manufatti realizzati
da maestranza islamica raggiungevano perlopiù un pubblico di consumatori
cristiani. Dunque, gli indizi di cui oggi la ricerca storica può servirsi per
approfondire il contributo islamico nel Meridione italiano, vanno
contestualizzati e considerati in base ai periodi di appartenenza e alle zone di
produzione e provenienza, perciò occorre distinguere anche la produzione
locale da quella di importazione (Tunisia, Cirenaica, Egitto e Gaza572) che
contribuisce però a chiarire il periodo di ripresa totale dei mercati.

La ripresa dei mercati mediterranei

Dall’analisi della qualità dei materiali di realizzazione dei manufatti, in


particolar modo dell’argilla, è stata dimostrata una vasta importazione da
diverse zone del Mediterraneo, considerazione che affianca il fatto che la
ceramica sia prevalentamente di importazione siculo-maghrebina. Il rapporto
commerciale tra la Calabria e la Sicilia, come detto in precedenza, era
amministrativo ed istituzionale, che aveva favorito insieme con la vicinanza
geografica i rapporti tra i mercanti delle due sponde.

Questo binomio venne maggiormente rafforzato dalla presenza dei


mercanti arabi nell’isola, i quali seppero sfruttare la vicinanza con la regione
sorella per l’esportazione del grano e della seta grezza573. Fu poi proprio
l'importazione della seta grezza da parte della Sicilia a comportare un
reciproco scambio di tecniche stilistiche (disegni e decorazioni), oltre che
l’arrivo di maestranze in Calabria, i cui insegnamenti si affermeranno
particolarmente nel periodo normanno. Il gusto arabeggiante si inserì
significativamente nel contesto artistico locale e regionale, definendo i

572
F. D’ANGELO, La ceramica islamica in Sicilia, in Mélanges de l’Ecole française de
Rome. Moyen-Age, 116, I, 2004, pp. 129-143: pp. 129-130.
573
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE DI GANGI, ‘’La Calabria…’’ cit., p. 477.
165
rapporti tra Occidente e Oriente574. Inizialmente la tendenza artistica era di
ispirazione sasanide, poi si passò a considerare perlopiù gli ambienti di
manifattura nordafricana. Quindi, il passaggio dall’età tardo antica a quella
alto medievale aveva segnato sì un mutamento della produzione, pur
mantenendo le espressioni artistiche del bacino centro-meridionale del
Mediterraneo, incentivato da ulteriori stimoli provenienti dalla zona orientale
di gusto cristiano575.

Il viavai tra i porti Mediterranei comportò evidentemente un


mescolamento tra le culture, di cui abbiamo un’importante sentore anche in
Calabria. Nuovamente sul versante ionico, presso Gerace, gli stili rintracciati
negli stucchi dei monumenti fanno emergere l’appartenenza ad un gusto
prettamente mediterraneo, possibile grazie all’assimilazione di tecniche
orientali da parte degli artigiani locali. È stato ipotizzato che i motivi levantini
o africani, riprodotti nell’architettura della regione, venissero presi come
esempio dai tessuti e della ceramica. Le rotte mediterranee avevano collegato
estremi lontanissimi, creando una sorta di mondo globalizzato ante litteram
in cui si era sviluppato un senso artistico comune, appunto, mediterraneo.
Alcune tipologie di lavorazioni e decorazioni si diffusero a partire dal periodo
normanno, come ad esempio, quelle in stucco.

Lo stucco era utilizzato per decorare nicchie, raccordi, finestre e per


preparare fasce epigrafiche in pseudo-cufico576, ritrovate sia in Calabria che
in Sicilia577. Proprio considerando l’importante contesto sociale
altomedievale nell’Italia meridionale è riduttivo parlare di un’influenza

574
G. DI GANGI, Alcuni frammenti in stucco di età normanna provenienti dagli scavi
medievali di Gerace, in Arte medievale, II, anno IX, 1, 1995, p. 85.
575
G. DI GANGI, ‘’Alcuni frammenti in stucco…’’ cit., p. 86.
576
Le iscrizioni pseudo-cufiche sono state rintracciate in molte cornici di arte islamica
rinvenute in Italia. Ad esempio nella Cappella Palatina dove esse delimitano lo spazio delle
muqarnas della navata centrale. Anche per i frammenti ritrovati in Calabria è stata notata una
disposizione delle lettere a gruppi di quattro, procedimento noto nell’arte islamica. Le parole
non sono state identificate ma solitamente indicano messaggi augurali come ‘’al baraka’’,
‘’al yumn’’ e Allah. Essi sono stati rintracciati anche presso i mosaici di Rossano Calabro e
presso la Basilica di S. Nicola di Bari; cfr. F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’
cit., p. 304.
577
V. CABIALE, Manufatti auto-portanti in gesso: alcuni esempi medievali, in I solai di
gesso. Giochi artistici d'ombre dal Monferrato, Roma-Bagnasco di Montafia (AT), 2011, p.
340.
166
artistica, com’è stato già ampiamente notato, infatti gli artigiani locali
venendo a contatto con nuovi modelli li adottarono e li interiorizzarono578.

La diffusione degli stili mediterranei nella regione

Gli indizi ritrovati in Calabria, pur non essendo ancora numerosi, è


evidente che debbano essere considerati alla luce del contesto del
Mediterraneo. Dagli scavi di Gerace tra il 1990 e il 1991 sono stati recuperati
diversi reperti con motivi arabeggianti, tipologie particolarmente diffuse in
Andalusia. Ognuno di essi presenta motivi tipici dell’ambiente islamico e/o
orientale. Uno dei frammenti architettonici rinvenuti presenta motivi
geometrici che si intrecciano con altri segmenti e semicerchi, il cui disegno
richiama i pannelli marmorei della grande moschea di Cordova, ma anche
quelli della grande moschea di Damasco e quelli di ambiente fatimide
rintracciati nella moschea di Al Hākim579.

Un altro frammento presenta incise le tipiche palmette a forma di cuore


disposte una di fronte all’altre in maniera adiacente, contornate da grappoli
con una scanalatura centrale che si ricollegano alle palmette stesse. Questi
frammenti erano dipinti in quanto ancora oggi si intravede il chiaroscuro. Il
motivo della palmetta richiama quello dei tessuti copti e bizantini, ma anche
delle decorazioni dei piatti in ceramica di provenienza andalusa. La palmetta
dalla forma a cuore, inoltre, è stata rintracciata significativamente anche
nell’arte pre-islamica, mentre del periodo islamico che islamica vi si ritrovano

578
Vi è un interessante riflessione su questi aspetti proposta da importanti studiosi e su cui si
è soffermato particolarmente Richard Ettinghausen nel suo lavoro From Byzantium to
Sassanian Iran and the Islamic World. La riflessione di Ettinghausen è molto importante e
riguarda la distinzione tra le sfere di influenza islamica sulle culture con cui venne in contatto.
Lo studioso infatti parla di diverse tipologie di confronto: il transfer ovvero il trasferimento
delle forme senza modifiche; l’adozione ovvero un rifacimento delle forme ricevute e che
quindi le distingue dalle originali; infine l’integrazione la fusione di forme reciprocamente
dalla cui commistione non si riesca più a distinguerle separatamente. Ettinghausen aggiunge
infine anche il concetto di appropriazione quindi l’assunzione degli oggetti di una cultura da
parte di una seconda cultura in contesto completamente nuovo; G. LOWRY, L’Islam e
l’Occidente medioevale: l’Italia meridionale nell’XI e XII secolo, in Rassegna del centro di
cultura e storia amalfitana, III, 6, 1983, pp. 12-13.
579
G. DI GANGI, ‘’Alcuni frammenti…’’ cit., p. 86.
167
moltissimi esempi in Ifriqiya e nel Maghreb presso Qairāwān e Marrakech580.
Un ulteriore frammento con motivo geometrico con scanalatura, che si
intreccia formando delle losanghe e palmette che si susseguono
nell’incisione, costituisce sì un motivo molto diffuso già nel periodo
tardoantico, ma anche nell’Ifriqiya e in generale nel mondo arabo come in
alcuni panelli del Miḥ’rāb di Qairāwān.

Un altro motivo è quello zoomorfo dei volatili retrospicenti, dove le due


figure si uniscono tramite le code e sembrano somigliare sempre alla figura
dei pavoni. I volatili hanno rappresentato un disegno comune sia nel mondo
bizantino che islamico, ma quelli riscontrati nei frammenti geracesi
appartengono all’arte vicino-orientale e magrebina del periodo tra XI e XII
secolo. Nell’arte fatimide vi erano numerose rappresentazioni simili nei piatti
ceramici in pannelli e in elementi vari, che ritroviamo in Calabria presso
l’abbazia di S. Maria e dei XII apostoli di Bagnara Calabra del periodo tra
l’XI e il XI secolo581. I motivi vegetali dei frammenti si riscontrano nei piatti
ceramici islamici e nei pannelli lignei in particolar modo nella zona ovest del
Maghreb presso Fes. In generale l’elemento vegetale presenta analogie con i
ritrovamenti algerini, egiziani e siciliani582.

Ulteriori frammenti presentano motivi complessivamente riconducibili


alle aree di insediamento musulmane, tra l’Andalusia e il Nord Africa, e
appartenenti all’arte del periodo fatimide. Nell’espressioni artistiche si evince
quel contesto di interculturalità mediterranea che caratterizzò i secoli di
affermazione dell’islam in Occidente. Da altri ritrovamenti di stucchi,
elementi architettonici, si nota una maggiore acquisizione di elementi di arte
islamica (per alcuni particolari fatimide)583, ma in generale vi sono tratti
riconducibili a tutta l’area che abbracciava i territori dall’Asia centrale fino
alla Spagna. Alcuni pezzi presentano delle imprecisioni nei tratti e nella
composizione che lascerebbero presupporre una maestranza differente o
l’utilizzo di stampi diversi, o forse anche una differenza temporale del periodo

580
Ivi, p. 87.
581
G. DI GANGI, ‘’Alcuni frammenti…’’ cit., p. 88.
582
Ibidem.
583
Ivi, p. 92.
168
di produzione, su cui però ancora l’archeologia non ha indagato per dare
maggiori risposte.

Tutti i frammenti geracesi vennero realizzati su degli stampi di legno,


differentemente dalla tecnica romana precedente che si serviva di stampi di
terracotta. Oltre che dagli scavi di Gerace, anche presso la chiesa di S. Maria
di Terreti e presso S. Severina sono stati ritrovati stucchi analoghi con disegni
riconducibili ai caratteri sulle produzioni tessili orientali e nella ceramica
sempre maghrebina, ma anche nei legni incisi fatimidi. Ciò deriverebbe
dall’ambito commerciale dei beni di lusso del periodo normanno. Essi
venivano prodotti certamente da mani di artisti islamici che incentivarono la
diffusione di motivi animali e vegetali che si ritrovano ampliamente attestati
nelle produzioni arabo-sicule e anche nella scultura pugliese584. Presso la
Chiesa di S. Maria dei Terreti585 (Reggio Calabria) vi sono stucchi di
produzione arabo-normanna la cui tecnica è stata confrontata con quella degli
stucchi nel fregio della Zisa presso Palermo. Il fregio è di stile orientale ornato
da animali inscritti in rotae con decorazioni vegetali che riempiono tutti gli
spazi liberi tra un cerchio e l'altro, in linea con lo stile dell'horror vacui
tipicamente arabo586.

Vi sono poi dei motivi floreali che formano una scritta, la cui fascia
delimita tutto il disegno. Da uno studio attento dell'inscrizione sono emersi
dei caratteri cufici non vocalizzati, di cui mancando una parte non si è potuta
ricostruire la frase, ma che probabilmente costituiva un enunciato augurale o
laudativo587. Lo stucco era realizzato con una tipica tecnica di lavorazione
islamica, infatti il gesso veniva colato in matrici di argilla, che nel caso di

584
Ivi, p. 93.
585
La Chiesa si trova a 12 km da Reggio Calabria nel villaggio Terreti, zona nota per la
particola ingluenza dei Basiliani che fondarono moltissimi monasteri e che stimolarono il
mantenimento della parlata greco-bizantina fino al XV secolo. La Chiesa risalirebbe al
periodo tra XII e XIII sec.; P. ORSI, Placche in gesso decorate di arte arabo-normanna da
Santa Maria di Terreti presso Reggio Calabria, in Bollettino d’Arte del Ministero della
Pubblica Istruzione, Casa editrice d'arte Bestetti e Tuminelli, Roma, 1922, p. 546.
586
V. CABIALE, Manufatti auto-portanti in gesso..., op. cit., p. 340.
587
P. ORSI, Placche in gesso decorate di arte arabo-normanna..., op. cit, pp. 552-553; Anche
presso Otranto in degli scavi conclusi nella città sono stati ritrovati su vetro delle incisioni in
cufico però illegibile e probabilmente di provenienza fatimide e databile al X-XI secolo; cfr.
P. ARTHUR, ‘’Islam and the Terra d’Otranto…’’ cit., p. 166.
169
questo specifico reperto sono risultate di ottima qualità per la definizione dei
particolari588. Un’altra chiesa con elementi architettonici islamici è quella di
S. Giovanni Vecchio presso Stilo in cui vi sono degli archi ciechi intrecciati
della stessa tipologia riscontrata in Egitto presso Aswān e presso il Cairo e
appartenenti al XII secolo589.

La comunità musulmana in Calabria

Assodato dunque che la regione godette come altri luoghi dell’influenza


artistica proveniente dal mondo arabo, è importante sapere che in loco vi
erano delle comunità musulmane di civili, le quali si erano stanziate, a quanto
pare, nelle zone strategicamente importanti per l’economica commerciale. A
proposito, infatti, nel 952 quano i musulmani prendono Reggio e costringono
la città a sottostare alla costruzione di una moschea, da quanto accenna Ibn al
Aṭīr, doveva esserci una comunità musulmana nella città, perciò Al Hasan
dichiarò che se i cristiani avessero provato a distruggere la moschea, i
musulmani avrebbero reagito distruggendo tutte le chiese presenti in Sicilia e
in Africa. Ma l’emiro siciliano avverte i cristiani anche di non impedire che i
musulmani lì presenti svolgessero le loro preghiere e che il mū’addīn fosse
impedito di fare la chiamata590. Alla presenza di una comunità musulmana di
civili fa anche riferimento nella sua cronaca l’Amato di Montecassino, il
quale citando episodi della seconda metà dell’XI sec. accenna al fatto che
presso la città di Reggio vi fossero abitanti saraceni e cristiani, i quali avevano
mostrato la propria fedeltà al Duca, Roberto il Guiscardo591.

Purtroppo, il terremoto del secolo scorso che coinvolse Reggio e


Messina ha sicuramente determinato una perdita di indizi importanti per la
ricostruzione delle vicende storiche della città. Tuttavia, attraverso una
considerazione più ampia possono essere supposte delle considerazioni. Ad

588
V. CABIALE, ‘’Manufatti auto-portanti in gesso...’’ cit., p. 340.
589
G. LOWRY, ‘’L’Islam e l’Occidente medioevale…’’ cit., p. 21.
590
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 269.
591
(a cura di) V. DE BARTHOLOMAEIS, Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino
volgarizzata in antico francese, Tipografia del Senato, Roma, 1935, p. 234.
170
esempio, il fatto che progressivamente la regione partecipò al cambio di
monetazione, al passaggio dal nomisma bizantino al tarì islamico, pone una
riflessione sul ruolo della comunità musulmana reggina in relazione con i
territori circostanti592. I ritrovamenti di tarì islamici abbondano per il periodo
normanno, stesso periodo in cui siamo certi che la regione avesse una
produzione ingente di seta grezza e che Reggio stessa detenesse un certo
primato per il numero di gelsi messi a coltura. Nonostante l’arrivo normanno,
inoltre, la comunità musulmana continuava ad abitare nei territori
appartenenti alla città metropolitana e ciò è confermato da una fonte del XII
sec., ovvero, una missiva di Luca, vescovo di Bova, che lamentava la
presenza diffusa di Agareni nella provincia metropolitana reggina e i loro
costumi poco consoni durante banchetti nuziali ed altre cerimonie593.

Se dunque la Sicilia una volta conquistata poté godere dell’importante


contributo della cultura islamica sull’isola, impronta tutt’oggi evidente, la
Calabria poté farlo un po’ dietro le quinte, approfittando della vicinanza con
il versante orientale dell’isola che garantiva un passaggio continuo sia di
cristiani che di musulmani di Sicilia. Proprio per questo è spesso molto
difficile attribuire ai ritrovamenti archeologici una provenienza certa e una
datazione altrettanto precisa, dal momento che i commerci che confluivano
nei porti calabresi provenivano dall’Africa settentrionale, dalla Sicilia, da
Costantinopoli e da tutto il sud Italia. Da queste zone giungevano oggetti
portatili come avorio, tessile, ceramiche e cristalli di rocca594.

Nei luoghi dell’Islam: i commerci nel Nord Africa

La comunità amalfitana

Per garantire tali movimenti commerciali in tutto il Mediterraneo,


musulmani e cristiani alternarono il loro essere avversari all’essere socii

592
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 269.
593
Ibidem.
594
S. ARMANDO, Fatimid Ivories in Ifriqiya: The Madrid and Mantua Caskets between
costruction and decoration, in Journal of Islamic archaeology, 2.2, 2015, pp. 195-228: p.
198.
171
commerciali. Nell’instaurare questi rapporti furono molto abili gli
Amalfitani, da cui dipesero gran parte dei commerci del meridione di Italia
che si rivolgevano alle coste africane595. Per quanto in alcuni recenti
contributi sia stato presunto un’esagerazione dell’importanza del ruolo
amalfitano nella storia commerciale medievale596è alquanto evidente che
questa comunità riuscì partendo da una piccola realtà sul mare a conquistare
le rotte commerciali, superando la stessa Napoli.

La storia di Amalfi tutt’oggi rimane un mistero. È stato ipotizzato che,


essendo Amalfi una piccola realtà, cercò sin da subito di prendere il mare per
cercare guadagni ulteriori oltre a quelli provenienti dalle realtà contadine
dell’hinterland597. Probabilmente dunque la città era organizzata con un
proprio arsenale di navi, considerazione che avrebbe conferma in un episodio
degli inizi del IX secolo. Nell’812, infatti, durante la campagna militare di
Michele I contro gli Aghlabidi di Qairāwān, la città dovette, sotto richiesta
del Duca di Napoli, inviare una propria flotta in soccorso598. Stando alle fonti
che si possiedono, quell’episodio rappresentò uno dei primi contatti tra il
mondo arabo e gli Amalfitani, contatti che si intensificarono dopo la
conquista della Sicilia. A quel punto Amalfi si mosse sui mercati rivolti alla
Spagna musulmana, all’Egitto e poi anche in Siria e Palestina.

D’altronde questi luoghi erano relativamente vicini geograficamente


all’Italia meridionale, permettendo alle navi di percorrere le rotte
costeggiando. Le navi medievali, infatti, non possedevano attrezzature tali da
affrontare l’alto mare e quando gli equipaggi intraprendevano questa impresa,
non potevano presumere rotte e tempi del viaggio. Anche la mancanza di
mezzi di orientamento costringeva le flotte a viaggiare il più possibile vicino
alle coste e soprattutto a farlo durante le ore del giorno, sostando durante la
notte in qualche porto599. Per questi motivi gli Amalfitani raggiungevano per

595
G. LOWRY, ‘’L’Islam e l’Occidente medioevale…’’ cit., p. 7.
596
D. VALéRIAN, Amalfi e il mondo musulmano: un laboratorio per le città marinare
italiane ?, in Rassegna del centro di cultura e storia amalfitana, XX, gennaio-dicembre 2010,
p. 199.
597
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 261.
598
D. VALéRIAN, ‘’Amalfi e il mondo musulmano…’’ cit., p. 200.
599
L. DE MATTEO, Il Mediterraneo da confine a lago. La ‘’percezione’’ del mare e i
pericoli della navigazione dalle carte nautiche medievali al global positioning system, in
172
questi motivi più facilmente l’Ifriqiya che non l’Oriente, così come non
frequentavano di norma i porti del Maghreb che era invece approdo per i
mercanti dell’Andalusia, i principali competitor nell’area ad ovest
dell’Africa. Dai documenti della Genizah notiamo maggiormente che lo
spazio di interesse amalfitano gravitava tra Egitto, Ifriqiya e Sicilia.

I monasteri benedettini e la corte pontificia di Roma acquistavano dagli


Amalfitani oggetti di lusso quali tessuti preziosi, incensi, spezie e papiro
egiziano che utilizzavano come supporto scrittorio. Nell’875 papa Giovanni
VIII minacciò gli Amalfitani di far chiudere tutti i porti se essi non avessero
rinunciato ai rapporti con i musulmani, ma proprio sul papiro su cui venne
esplicitata questo mandato vi era in filigrana la fātiha coranica. Allo stesso
tempo l’élite laica acquistava gli schiavi provenienti dall’Egitto600, ma anche
i signori ecclesiastici non disdegnavano di servirsi dell’arrivo degli schiavi
grazie alla tratta internazionale di cui si occupavano principalmente
Amalfitani e Veneziani601.

Gli Amalfitani giocarono un ruolo fondamentale nell’Italia meridionale


per la tratta degli schiavi. Essi effettivamente già dall’VIII sec. avevano
intrapreso delle relazioni commerciali con il mondo arabo602. Già in una
lettera di papa Adriano I a Carlomagno si parla del commercio di schiavi greci
rivenduti nei paesi musulmani dagli Amalfitani, mentre da altre fonti risulta
che essi vendessero i prigionieri longobardi ai musulmani d’Africa o di
Siria603. All’inizio del X sec. il patriarca bizantino Nicola il Mistico inviò
all’arconte di Amalfi una libbra d’oro pregandolo di riscattare dei cristiani
schiavi nei paesi arabi. Il prezioso ruolo dei commercianti cristiani nelle coste
musulmane si evince anche da una lettera inviata al califfo di Baghdad al-
Mustadī nella seconda metà del XII sec. in cui, in merito all’attacco alla città
di Alessandria sferrato da Guglielmo II, Saladino sottolinea il fatto che tra
coloro che avevano attaccato la città vi erano anche Venezia, Pisa e Genova,

« Newsletter di Archeologia CISA », VI, 2015, Centro Interdipartimentale di Servizi di


Archeologia. Università degli Studi L'Orientale, Napoli, 2015, pp. 8-9.
600
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 110.
601
C. VERLINDEN, L’Esclavage dans l’Europe médiévale, II, Gent, 1977, p. 102.
602
Ivi, p. 114; A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 109.
603
C. VERLINDEN, ‘’L’Esclavage...’’ cit., p. 114.
173
le quali aveva relazioni solide con l’Egitto e che così facendo avevano tradito
il rapporto di fiducia tra le parti. Saladino però non poteva rinunciare ad un
mantenimento della pace con queste città ed è costretto a sottoscrivere degli
accordi604. Questo dimostra la forte dipendenza da parte dei paesi musulmani
nei confronti dei contributi dati dalle repubbliche marinare latine, che
rifornivano costantemente i mercati arabi.

Durante il periodo della presa di potere da parte dei Fatimidi alla fine
del X secolo un gruppo di Amalfitani risiedeva all’interno della Cairo
Vecchia, dove possedeva una dar manak605, ovvero, un gruppo di abitazioni

604
C. PICARD, ‘’Il mare…’’ cit., p. 286.
605
E. SALVATORI, Il corsaro pisano Trapelicino: un’avventura mediterranea del XII
secolo, in <<Bollettino Storico Pisano>>, LXXVI, 2007, p.9.; Dell’avvenimento abbiamo
due resoconti. Il primo è tratto dalla Cronaca di Yahya, un cristiano di Antiochia: ‘’[…] Isa
b.N. procurandosi il legno dappertutto costruì la flotta nell’arsenale del Cairo, vi trasportò
le macchine da guerr, le provvigioni, le armi, e decise di far scendere la flotta a mare dopo
la preghiera di mezzogiorno il venerdì 12 rabi secondo. Ma lo stesso giorno vi scoppiò un
incendio che bruciò sedici vascelli. Il popolo sospettò i mercanti Rum Amalfitani che
venivano a Miçr (il Cairo Vecchio) con delle mercanzie di aver messo fuoco ai navigli. La
popolazione e i Maghrebini si avventarono su di loro e ne massacrarono 160, saccheggiando
la Casa di Manak, situata nel ar-Raffa, in Miçr, e che era ricolma di grandi ricchezze
appartenenti a quei Rum che vi abitano. La Chiesa di S. Michele a Qaçr ash-Shama
appartenente ai Melkiti fu saccheggiata, utensili, mobili e dei sacchi d’oro e d’argento di
considerabile valore furono trafugati, e la chiesa stessa fu messa a soqquadro. La chiesa dei
Nestoriani fu egualmente saccheggiata e un loro vescovo chiamato Yusuf ash-Shirizi, vi fu
ferito mortalmente. Durante il saccheggio Isa b.N. montò a cavallo e scese a Miçr dove
ordinò di por fine al saccheggio e di proteggere i Rum. Nella città si proclamò che ognuno
doveva restituire gli oggetti saccheggiati di cui s’era impadronito: una parte fu restituita. In
seguito si fece portare davanti quei mercanti Rum ch’erano sfuggiti e restituì a ciascuno di
essi ciò che riconoscevano come proprietà. Dopo egli fece arrestare 63 saccheggiatori che
furono incatenati. Al Aziz ordinò di rimetterne in libertà un terzo, di bastonarne un altro
terzo e di mettere a morte il rimanente terzo… Ciò ebbe luogo il giovedì 8 maggio 996.’’. Il
secondo resoconto è di un musulmano al Masabbibi: ‘’[…] Nel 996 il fuoco si sviluppò nella
flotta all’ora della preghiera sei giorni prima della fine del rabi II. Cinque grossi navigli
furono consumati dalle fiamme, così pure tutti gli approvvigionamenti e le armi della glotta,
solo sei vascelli rimasero senza niente dentro. I marinai presero le armi e sospettarono i
Rum cristiani che si trovavano a Dar Manak vicino l’arsenale della dogana; insieme con la
folla si gettarono su di essi e uccisero 107 uomini e ne trascinarono i cadaveri attraverso le
vie; gli altri Rum furono incarcerati alla Dogana. Lassù arrivò Isa b. Nesturos, luogotenente
dell’Egitto, Siria e Hejaz, accompagnato da Yanis lo Slavo, suo luogotenente al Cairo
durante la sua spedizione in Siria e da Mausd lo Slavo, capo della polizia. Essi si fecero
portare davanti i Rum della Dogana, e questi riconobbero la propria colpevolezza. Isa lo
scrisse a al Aziz ch’era sul punto di mettersi in campagna, facendo menzione insieme con gli
uccisi, del saccheggio, di cui egli calcolava il valore a 90000 dinari. I poliziotti percorsero
la città leggendo un ordine ufficiale a tutti, di dove ridare quello ch’era stato saccheggiato
al Dar Manak o altrimenti… Nel frattempo i giovani e il popolo giocavano con le teste delle
vittime e ne passeggiavano i piedi nelle vie; poi li riportarono sul corso del Nilo vicino alla
Dogana e il sabato li bruciarono […]’’. I due resoconti variano sulla questione se i cristiani
avessero o meno confermato di essere colpevoli. E’ molto interessante però il fatto che i
Fatimidi si assicurarono subito che i beni tornassero ai proprietari, probabilmente
174
intorno ad una corte, utilizzate come sede dei mercanti limitativamente ai
periodi di commercio tra loro e la popolazione locale. Questi luoghi
rimanevano sotto la supervisione e gestione delle autorità fatimidi606. Già
nell’871 un mercante amalfitano di nome Florus si trovava presso Mehadia
ed era particolarmente stimato dagli stessi musulmani607. Fu proprio Florus
ad avvisare il principe di Salerno in merito ai preparativi di guerra contro di
lui608. Durante il X sec. poi, un principe musulmano acquista addirittura delle
navi dai Rum, di cui una necessaria per il commercio in Oriente; ciò non
sarebbe stato possibile se non in quel contesto giuridico che aveva facilitato
le realzioni tra musulmani e non musulmani, come previsto dalla disposizione
di Saḥnun609.

La concorrenza nella ḍār al Islām: il Califfato di Cordova

I mercati italiani seguivano dunque le rotte che portavano nel territorio


di Ifriqiya e difficilmente si spingevano oltre verso la Penisola Iberica
islamica. Lì effettivamente il mercato era sorretto dagli scambi tra il Maghreb,
attuale Marocco, e Al Andalus. Il califfato omayyade di Cordova era sin dalla
sua fondazione rivale delle dinastie africane, oltretutto Al Andalus
partecipava al commercio mediterraneo tramite il porto di Almerìa fondato a
metà del X secolo. L’archeologia ha individuato nel territorio andaluso
moltissima ceramica invetriata, vasellame e lavorazioni in vetro, molto simile
nelle caratteristiche a quella ritrovata anche in Calabria. Si è evinto dunque
anche qui il tipico gusto della zona del Mediterraneo orientale. Al Andalus si
era progressivamente arricchita grazie alla crescente domanda della società,

consapevoli delle conseguenze economiche di un tale attacco ai Rum; A. O CITARELLA, Il


commercio di Amalfi nell’Alto Medioevo, Salerno, 1977, p. 69.
606
E. SALVATORI, Il corsaro pisano Trapelicino…, op. cit., p. 9.
607
U. MONNERET DE VILLARD, Le transenne di S. Aspreno e le stoffe alessandrine, in
<<Aegyptus>>, 4, may 1, 1923, p. 60.
608
D. VALéRIAN, ‘’Amalfi e il mondo musulmano…’’ cit., p. 203.
609
Ibidem.
175
ovvero, quell’aristocrazia del IX sec. che era stata assorbita dal califfato,
insieme con l’importante presenza di ulamā locali610.

La solidità dell’economia andalusa permise al califfato di tentare


l’espansione militare in Marocco, già abbandonato dai Fatimidi trasferiti in
Egitto. Questa impresa fu inizialmente guidata dal califfo Al Hakām, alla cui
morte però successe il figlio appena quindicenne, sicchè l’impresa venne
guidata da un capitano militare che trovò anche degli ottimi alleati nelle forze
berbere611. In quel momento il califfato omayyade aveva ragiunto il suo
apogeo, ma presto subì la stessa sorte che era toccata al califfato iraqeno. Le
lotte intestine portarono ad una progressiva disgregazione del califfato e agli
inizi dell’XI sec. vennero fondate le province di Saragozza, Elvira, Jaén,
Sidonia, Moròn, Ceuta e Tangeri. Questa situazione portò alla nascita di
emirati a sé stanti in mano ai reyes de taifas612 fino alla dissoluzione ufficiale
del califfato nel 1031.

La componente berbera

Come accennato, il Califfato spagnolo, così come si era visto in Ifriqiya,


si era servito proprio delle forze berbere e del loro aiuto per scongiurare le
lotte interne e anche per affrontare il pericolo cristiano. La componente
berbera nella zona occidentale era riuscita ad acquisire pian piano una propria
autonomia di potere e fu così che nell’XI sec. nel sud-ovest del Sahara si
formarono gli Almoravidi, confederazioni di tribù berbere, il cui nome arabo
è Al Murābiṭūn ‘’gente del ribāṭ’’ (1056-1147). Gli Almoravidi613 nel 1042
iniziarono ad espandersi sotto la guida di Abū Bakr e poi di Yūsuf ibn Tāšfīn
e nel fondarono 1070 Marrakech. Poco dopo gli eserciti almoravidi vennero
chiamati dal califfato di Al Andalus per affrontare l’esercito cristiano di

610
C. WICKHAM, ‘’L’eredità di Roma…’’ cit., p. 378.
611
Ivi, p. 379.
612
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le méditarrenée…’’ cit., p. 52.
613
R. BENHSAIN, J. DEVISSE, Les Amoravides et l’afrique occidentale XIe-XIIe siècle,
in <<Arabica>>, 47, 1 (2000), pp. 1-36.
176
Alfonso VII. Nel 1086 presso Zallāqa le forze islamiche sconfiggevano quelle
cristiane, ma Ibn Tāšfīn non avviò ugualmente operazioni di riconquista614.

Gli Almoravidi svolsero un ruolo da collante tra il Maghreb e la Spagna


musulmana, incentivando gli scambi tra i porti delle corrispettive coste e
determinando la diffusione dell’arte maghrebina e andalusa, coinvolgendo in
particolar modo la città nota per le sue ceramiche Fez, Marrakech, ma anche
Tlemcen e Algeri615.

La forte impronta malichita degli Almoravidi però causò


un’insofferenza da parte della popolazione, che favorì l’ascesa di un altro
gruppo berbero, quello degli Almohadi (1130-1269). Questi Berberi
provenivano dalla zona della montagna e si erano uniti alle forze berbere di
Marrakech616. Nel 1147 gli Almohadi guidati da ‘Abd al Mu’mīn
soppiantarono gli Almoravidi e partirono alla conquista dell’Africa
occidentale, fino a Tripoli in Libia. Nello stesso anno Siviglia si arrese a loro,
mentre nel 1148 e 1149 si arresero rispettivamente Tangeri e Ceuta. Nel 1151
presso Algeri venne accolta la flotta almohade e nel 1157 essi sottrassero
Almerìa ai cristiani. Successivamente riuscirono anche a prendere Bugia e
Mahdia respingendo le navi cristiane617. Durante la seconda metà del XIII
sec. il potere marittimo almohade si sgretolava a causa dei dissensi interni alla
dinastia.

Il periodo delle dinastie berbere era stato comunque contraddistinto dalla


presenza di fiorenti città, quali Sidğilmasa e Aġmat618, poste sulla via
commerciale per Marrakech, che avevano mantenuto regolarmente le
relazioni anche con la zona meridionale del Maghreb. Inoltre, gli Almoravidi
possedevano le città carovaniere di Fez e Tlemcen, i cui commerci reggevano

614
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’islam…’’ cit., p. 119.
615
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’islam...’’ cit., p. 119.
616
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le méditarrenée…’’ cit., p. 52.
617
C. PICARD, ‘’Il mare…’’ cit., p. 280.
618
(a cura di) R. DOZY, M. J. DE GOEJE, Edrisi. Description de l’Afrique et de l’Espagne,
Leyde, 1866, pp. 77-78.
177
il confronto con le città di Ifriqiya, in quanto la regione in quel frangente
attraversava una crisi economica data dalla pressione dei Banū Hilāl619.

L’archeologia ha dimostrato un’effettiva diminuzione


dell’importazione di ceramiche rispetto all’epoca aghlabide, ma un
mantenimento dell’esportazione tessile il cui centro di produzione era
Qairāwān620. La crisi commerciale di Ifriqiya derivava anche dal fatto che le
attività oramai si riversavano lungo la costa lasciando quasi inattivo
l’entroterra e la sua popolazione. A questa situazione si aggiunse la battuta
d’arresto data dalla pirateria, che aveva causato il declino dei piccoli porti
algerini. Di questa situazione ne beneficiarono Bougie, divenuta la capitale
dello Stato degli Hammanidi, e Tunisi, mentre nel XII sec. la nuova politica
almohade di accesso all’Atlantico provocò un risveglio del litorale
occidentale del Marocco, confermando il boom economico del porto di
Salé621, considerata la città nuova lungo il bordo del mare. Essa conosceva un
commercio d’esportazione e di importazione fiorente, motivo per il quale la
popolazione era ricca e il costo della vita basso. Gli abitanti, infatti, potevano
godere di vigne, frutteti, giardini e campi coltivabili, che sfruttavano per la
produzione da esportare. Il porto era molto frequentato da navi provenienti da
Siviglia e da altri luoghi della Spagna.

I mercanti spagnoli giungevano per vendere l’olio e per acquistare tutto


ciò che serviva alla popolazione del litorale iberico622. Proseguiva dunque
quella politica sperimentata già dal X sec. tra Al Andalus e il Marocco. Nel
931 infatti con la presa di Ceuta il califfato di Cordova si era assicurato un
ponte fondamentale tra le due coste. A quel punto i mercanti spagnoli
approfittarono dei collegamenti esistenti anche con le coste latine e
proseguirono l’espansione commerciale anche verso Oriente, mentre gli
abitanti di Ceuta ne approfittarono per creare dei commerci con i porti
dell’Atlantico e della Penisola Iberica623. Per questi motivi l’Ifriqiya fatimide

619
C. VANACKER, ‘’Géographie économique de l’Afrique du Nord…’’ cit., p. 661.
620
Ibidem.
621
(a cura di) R. DOZY, M. J. DE GOEJE, ‘’Edrisi…’’ cit., p. 83.
622
(a cura di) R. DOZY, M. J. DE GOEJE, ‘’Edrisi…’’ cit., p. 83.
623
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Meditarrénée…’’ cit., p. 54.
178
cercò di assicurarsi la zona dello Stretto di Messina, la cui presa totale avrebbe
costretto i mercanti andalusi a sottostare alle proprie disposizioni624.

Complessivamente è vero che l’Ifriqiya risentì della presenza del


califfato omayyade sul versante occidentale, che aveva determinato una
diminuzione dei porti accessibili nel Nord Africa, ma è altrettanto vero che
all’Ifriqiya apparteneva anche l’Egitto fatimide, che dall’X al XIII sec. poté
vantare un clima di prosperità economica, confermato sia dalle fonti
archeologiche che documentarie. Infatti, con l’avvicinarsi delle forze turche
verso ovest, gli assi commerciali terrestri tra l’Asia centrale e il Mediterraneo
subirono delle modfiche. Baghdad aveva perso il suo ruolo di centro di re-
distribuzione verso Oriente e anche il controllo sul Golfo arabo-persico era
venuto meno.

La mancata difesa abbaside del Golfo incentivò l’azione di pirati che


attaccavano i convogli commerciali, motivo per cui il passaggio dallo stretto
di Hormuz era sempre più difficile e pericoloso. A quel punto l’unico modo
per accedere al Mediterraneo era optare per la via marittima che dalla Cina
giungeva attraverso il Mar Rosso nei paesi islamici. Sul Mar Rosso avevano
il monopolio ovviamente i Fatimidi, che controllavano le piste carovaniere
attraverso cui si giungeva al Cairo e ad Alessandria. Approfittando di queste
dinamiche i Fatimidi indebolirono ulteriormente il califfato iraqeno ed
Alessandria si ritrovò ad essere una seconda Costantinopoli625.

Dunque, i Fatimidi dal momento in cui si erano insediati, spostando la


capitale da Qairāwān a Mahdiyya, avevano intrapreso una politica africana e
mediterranea. Essi vennero appoggiati dal gruppo berbero dei Kutamā e
percepirono come principale avversario il califfato Omayyade di Cordova.
L’Egitto fatimide però riuscì a mantenere un clima commerciale prospero,
tanto che vi erano delle comunità latine che risiedevano nel Paese. Ciò è
confermato da un episodio della fine del X secolo. Infatti, sappiamo che nel
996, dopo la campagna in Siria di Basilio II, la milizia egiziana colpì la folla
coinvolgendo anche mercanti amalfitani che tornavano da Fustat con i loro

624
M. HASSEN, ‘’L’espace maritime…’’ cit., pp. 26-27.
625
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 108.
179
carichi di mercanzie626. La colonia amalfitana era stata accusata di aver
appiccato il fuoco contro i cantieri navali fatimidi, perciò durante i disordini
vennero uccisi più di cento mercanti italiani627. Dello stesso secolo abbiamo
un contratto amalfitano, datato all’anno 973, in è specificato che uno dei due
contraenti si trovasse in quel momento presso Il Cairo e dunque occorreva
attendere il suo rientro628.

Redifinizione degli spazi e dei protagonisti del mare

La fine dell’impero carolongio aveva comportato la nascita di poteri


regionali, perciò una nuova élité si occupava degli investimenti sul mare.
Contemporaneamente l’Italia meridionale organizzava l’apertura di nuovi
mercati mediterranei, da Almería a Tunisi, Mahdiya, Palermo, Messina e
Fustat nello spazio musulmano, mentre ad est nei porti balcani sino a
Costantinopoli nello spazio bizantino629.

A contendersi le nuove rotte erano le nascenti Reubbliche marinare:


Amalfi, Pisa, Genova e Venezia. Per i commerci dell’Italia meridionale
Amalfi possedeva il monopolio, mentre nei territori dell’Ifriqiya si
confrontava particolarmente con le capacità marittime e commerciali
veneziane. Amalfi e Venezia sembra abbiano avuto una storia molto simile,
dove il contatto con il mare esortò subito la popolazione ad affrontarlo e ad
imparare come conviverci. La potenza commerciale e marittima di Amalfi è
stata considerata un po’ singolare630, in quanto sarebbe stato più intuitivo
avesse avuto questo ruolo la città di Napoli631, efficiente e ricca grazie alle

626
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 109.
627
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 263.
628
A. DUCELLIER, F. MICHEAU, ‘’L’Islam…’’ cit., p. 109.
629
M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le Méditerranée…’’ cit., p. 48.
630
‘’[...] Amalfi è città popolata; essa offre ancoraggio ben difeso della parte di terra, ma
facilmente fu presa dalla parte del mare quando venne assalita. E’ antica, primitiva, ha mura
solide e popolazione molta ed agiata […]’’ cfr. (A cura di) AMARI-SCHIAPPARELLI,
‘’L'Italia…’’ cit., p. 96.
631
Nel X sec. Ibn Hawqal scriveva ‘’Poi c’è Amalfi, la città più ricca della Lombardia, la
più nobile e la più illustre per le sue condizioni, la più freqeuntata e la più opulenta. Il
territorio di Amalfi confina con quello di Napoli. Questa è una bella città, ma meno
importante di Amalfi’’ cfr. A. O. CITARELLA, ‘’Il commercio…’’ cit., p. 3; (a cura di) A.
GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., p. 343.
180
produzioni dell’entroterra e con una storia commerciale già avviata dal VI e
VII secolo. Invece fu proprio Amalfi a divenire un centro economico molto
più importante tra il IX sec. e il XII secolo, tanto da divenire l’acerrima rivale
di Venezia632. Amalfi era una città giovane rispetto alle altre città campane
quali Benevento, Salerno, Capua e Napoli, note per i loro ruoli politici. Essa
venne fondata tra il V o il VI secolo e apparteneva al Ducato bizantino di
Napoli.

Nelle fonti del IX sec. è citata come città portuale e come base navale
del ducato napoletano, pur non possedendo una propria militia633. Agli inizi
del IX sec. in città giunse Sicardo che la conquistò e la saccheggiò e una parte
dei cittadini venne trasferita a Salerno; dopo la morte di Sicardo però essi
tornarono nella città d’origine. Fu dunque in seguito, durante il IX sec., che
la città divenne gradualmente più autonoma rispetto a Napoli, avendo delle
autorità cittadine proprie quali comites e praefecturii, sostituiti nel X sec. dal
dux634. Territorialmente Amalfi è possedeva piccole dimensioni, motivo per
cui la popolazione aveva scelto di organizzarsi per ottenere dal commercio
marittimo ciò che non produceva da sé nel territorio. Per questo motivo presto
gli Amalfitani raggiunsero il mare, tanto che il termine amalfitano venne
presto utilizzato come sinonimo dei mercanti e dei marinai provenienti
dall’Italia meridionale e in particolar modo da coloro che provenivano dalla
zona di Sorrento635.

Nel IX sec. sappiamo che la città fosse in grado di armare una flotta per
affrontare i musulmani e venne chiamata in aiuto nell’812 dal governatore
bizantino di Sicilia, per affrontare le flotte islamiche giunte vicino le isole di
Ischia e Ponza636. Anche il Papa, conscio ormai del ruolo amalfitano, aveva
provato a convincere la città, garantendole il libero accesso ai porti romani, a
schierarsi con la cristianità. Ma gli Amalfitani avevano molto più da

632
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 260.
633
(a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., p. 340.
634
Ibidem.
635
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 261.
636
Ibid., p. 262.
181
guadagnare lungo le coste del nord Africa e della Sicilia, pur rischiando la
scomunica.

Nel X sec. essi possedevano anche una base d’appoggio commerciale


presso Costantinopoli, mentre sulle sponde adriatiche si erano insediati
insieme con i Veneziani presso la piazzaforte bizantina di Dyrrachion637,
sfruttandola per la via che proseguiva verso la Capitale attraversando
Tessalonica638. Gli Amalfitani però nella loro storia commerciale predilissero
gli scambi con i musulmani, nel Nord Africa orientale, nella zona fatimide.
Nonostante gli interessi fossero rivolti verso il Nord Africa, essi ricercarono
l’appoggio di Bisanzio, tanto che una famiglia molto importante, i
Pantaleone, che finanziava la città, fece giungere da Costantinopoli dei portali
in bronzo presso l’abbazia di Montecassino, alla cattedrale di Amalfi e a San
Paolo presso le mura, per attirare l’attenzione dell’imperatore639.

La città seppe dunque sfruttare bene i privilegi concessi dall’Impero


bizantino e i rapporti diplomatici con il mondo musulmano. Gli Amalfitani
godettero di libertà commerciale nel Bosforo e nei porti africani e
condividendo la fama di città commerciale con Venezia, anch’essa nota per il
commercio di tessuti, spezie e altri prodotti provenienti dal Levante640. I beni
importati erano diversi, in maggioranza beni di lusso come stoffe, incensi
spezie che affiancavano il commercio di schiavi. Le stoffe, come già detto in
precedenza, influenzarono moltissimo l’arte occidentale, che utilizzava i
motivi decorativi dei tessuti orientali come disegni da rappresentare sulle
ceramiche o come ghirigori da riprodurre nelle opere architettoniche. Molte
però erano anche le stoffe di provenienza africana, rintracciate nei documenti
dell’Italia meridionale, in cui troviamo, ad esempio, l’espressione cercitoria
serica africana indicata tra i doni dell’Abate Teobaldo (1019) al monastero

637
Su Dyrrachion: S. ANTONELLI, Produzioni e commerci di ceramiche fini, comuni e da
cucina tra tardoantico e altomedioevo a Durazzo: lo stato degli studi, in (a cura di) C. S.
FIORIELLO, Puglia adriatica, Seminario i Studio (Fasano, 09 maggio 2012), Modugno,
2012, pp. 313-333.; A. HOTI, Archeological and historical data for Dyrrachionin during the
transition from late antiquity to the middle ages, in Interdisplinary Journal of Researc and
Development, I, 1, 2014, pp. 85-90.
638
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 262.
639
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 262; M. BALARD, C. PICARD, ‘’Le
Méditarrenée...’’ cit., p. 48.
640
A. O. CITARELLA, ‘’Il commercio…’’ cit., p. 7.
182
di S. Liberatore nel comitato Teatino o le cortinas arabicas donate dal duca
Roberto a Montecassino nell’anno 1085 provenienti da opifici nordafricani.
Nella chiesa di S. Lucia de Reginnis Minoris di Amalfi, invece, è stato
ritrovato un inventario in cui sono citati ‘’pallia duo de caleri de
Costantinopoli’’ dove il termine caleri indica appunto la seta641.

I tessuti rappresentavano il prodotto principe nel Mediterraneo da Bisanzio


alla ḍār al Islām. Nel IX sec. Alessandria era uno dei centri più importanti
per il commercio di tessuti e Napoli, Amalfi e le città della penisola sorrentina
sembra fossero i maggiori acquirenti. Ed è da Amalfi che Desiderio, l’abate
di Montecassino, acquistò per l’imperatore Enrico i doni tra cui vi erano
pannos sericos quos triblattos appellant642. Tuttavia, le fonti che
testimoniano il commercio, la navigazione e la presenza amalfitana nel
Mediterraneo orientale tra il X e il XIII sono al momento abbastanza esigue.
È opportuno riflettere sul fatto che episodi di scambi commerciali rintracciati
in qualche fonte, potrebbero rappresentare anche casi di iniziative singole.
Stabilire dunque dove essi avessero instaurato maggiori contatti non è
semplice.

Nel 915 il patriarca di Costantinopoli tenta di riscattare dei prigionieri


amalfitani dai musulmani. Essi si trovavano in Siria, vicino Bisanzio e dunque
distanti dal Maghreb. Quindi nel X sec. gli Amalfitani probabilmente si
muovevano perlopiù nella zona del mar Egeo e l’intervento del patriarca
lascia dedurre che in quel secolo molti navi amalfitane raggiungessero
Costantinopoli. Nel 942 li troviamo mentre portano al Califfo di Cordova
tessuti di seta e altri doni preziosi, mentre una seconda nave giugeva con
un’ambasceria dalla Sardegna. Nel 968 li sono in aiuto di Niceforo Foca II in
Siria, per il trasporto di forze militari, equipaggiamento e forniture con
navi643. Da questi elementi sembra che le navi amalfitane viaggiassero in tutto

641
Il termine caleri viene ricondotto al greco ‘’kareia’’ che corrisponderebbe ad una
trascrizione dal termine arabo seta ‘’‫ﺣﺮﯾﺮ‬, ḥarir’’; cfr. U. MONNERET DE VILLARD, ‘’Le
transenne…’’ cit., p. 66.
642
Ivi, p. 68.
643
D. JACOBY, Commercio e navigazione degli Amalfitani nel Mediterraneo orientale:
sviluppo e declino, in (a cura di) B. FIGLIUOLO, P. F. SIMBULA, Interscambi socio-
culturali ed economici fra le città marinare d’Italia e l’Occidente dagli osservatori
183
il Mediterraneo da est ad ovest. Di questa dinamicità è rimasta traccia anche
nella numismatica. Dall’inizio del X sec. infatti, la valuta corrente amalfitana
non era più come nel secolo precedente quella beneventana, ma venne
sostituita dal tarì arabo644.

Amalfi in qualità di città appartenente all’Impero bizantino era protetta


comunque dai rapporti diplomatici tra Bisanzio e i paesi musulmani. Prima
della conquista della Sicilia nell’827, gli Amalfitani avevano instaurato
ottime relazioni con il califfato e con gli emiri d’Africa. Successivamente
però la città si ritrovò insieme con Gaeta a dover affrontare le minacce
musulmane, determinate da una diminuzione della forza bizantina nell’Italia
meridionale645. Rispetto a Napoli però Amalfi godeva di importanti
fortificazioni e una notevole forza navale che la poneva in una situazione di
vantaggio nell’affrontare le scorrerie islamiche. Grazie a queste sicurezze
essa potè perseguire i suoi obiettivi commerciali, raggiungendo l’Africa
settentrionale, più vicina rispetto ai porti orientali. Partendo dalla
Longobardia le navi amalfitane costeggiavano il versante tirrenico,
stringendo relazioni presso i porti calabresi di Amantea, Tropea e ovviamente
Reggio Calabria, dove a ricordare la loro presenza vi era anche un’inscrizione
su una delle porte cittadine646.

Oltre che nell’esportazione tessile la comunità amalfitana era molto


impegnata nell’esportazione di legname. Difatti l’approvvigionamento del
legno nel Mediterraneo di quei secoli era fondamentale soprattutto per
sostenere la costruzione navale, sia civile che militare. Oltre a questo il legno
era uno dei principali beni di consumo richiesto in particolar modo nei paesi
musulmani per uso domestico, ma anche per la lavorazione delle ceramiche,
del vetro e dei metalli647. Come già visto in precedenza, infatti, l’artigianato
islamico per le realizzazioni di manufatti utilizzava degli stampi lignei e non

mediterranei. Atti del Convegno Internazionale di Studi in memoria di Ezio Falcone (1938-
2011), Amalfi, 14-16 maggio 2011, Amalfi, 2014, pp. 89-91.
644
(a cura di) A. GUILLOU et alii, ‘’Il Mezzogiorno…’’ cit., p. 342.
645
A. O. CITARELLA, ‘’Il commercio…’’ cit., p. 10.
646
Ivi, p. 54; (a cura di) M. CAMERA, Annali delle Due Sicilie. Dall’origine e fondazione
della monarchia fino a tutto il regno dell’Augusto sovrano Carlo III Borbone, Napoli, 1860,
p. 351.
647
A. O. CITARELLA, ‘’Il commercio…’’ cit., p. 58.
184
in terracotta secondo la tradizione romana. A seconda delle funzioni
ovviamente venivano richieste qualità di legname differente, ad esempio, per
l’industria navale occorrevano alberi di alto fusto.

Questa domanda crescente non veniva soddisfatta dalle risorse di paesi


d’Ifriqiya e del Maghreb. Bisanzio d’altra parte approfittava di questa
situazione cercando di preservare i suoi territori, che al contrario possedevano
importanti foreste e tra queste vi erano le risorse Calabro-Lucane. Proprio da
questa zona proveniva anche molta quantità di legno venduto sottoforma di
carbone che facilitava il trasporto. È stata anche ritrovata una lettera della
cancelleria fatimide che conferma la frequenza dei mercanti Rum che
portavano nel paese il legname, ma che soprattutto conferma il fatto che il
califfo venisse personalmente informato dei carichi che trasportavano il
legno. Questa premura ribadisce l’importanza dell’approvvigionamento del
legno648.

Vi sono altre lettere che testimoniano il rapporto positivo tra gli


Amalfitani e i Fatimidi, questi ultimi li favorirono anche nella costituizione
di comunità nel Medio Oriente, a Gerusalemme, e nelle città più importanti649.
D’altronde il califfato egiziano aveva incentivato in tutti i modi i commerci
con i Rum, non solo con la comunità amalfitana ma anche con Pisa650, Genova
e Venezia. La competizione era viva anche con la comunità ebraica che aveva
già dal periodo tardo antico instaurato una rete di scambi e commerci
primeggiando.

I documenti della Genizah del Cairo

Molti degli studi effettuati sul commercio nel Mediterraneo del periodo
fatimide si fondano sulla testimonianza dei documenti della Genizah del
Cairo, ovvero, quelle preziose fonti documentarie rintracciate negli anni
Ottanta presso la sinagoga di Fusṭāṭ, che riportavano alla luce le dinamiche

648
Ivi, p. 71.
649
Ivi, p. 73.
650
Per un approfondimento: M. AMARI, Diplomi arabi, Firenze, 1872.
185
enomiche che circa mille anni prima avevano coinvolto il Mediterraneo651.
Questo grande archivio conteneva documenti di diverso tipo: lettere, registri
di conti, contratti, ma anche poesi e trattati di scienza e filosofia652. La
difficoltà della loro interpretazione sovviene dal fatto che, pur essendo la
maggior parte dei documenti redatti in caratteri ebraci, le lingue utilizzate
sono molteplici e rispecchiano la diversità degli attori presenti in Africa in
quel periodo, interessanti ovviamente alle opportunità commerciali.

Il ritrovamento di questo archivio ha ulteriormente dato prova della


vivacità economica, commerciale, intellettuale che coinvolse il Mediterraneo
tra il 950 e il 1150653. Ma soprattutto avvalorano l’immagine degli ebrei come
commercianti, che Ibn Khordâdbeh aveva definito con il termine di Radaniti
e di cui aveva scritto che essi viaggiassero coprendo spazi molto distanti, non
curanti delle diversità dei Paesi e delle lingue, creando una rete commerciale
che riemerge dalle lettere della Genizah.

Le città citate, infatti, corrispondono alle realtà urbane più importanti


del medioevo mediterraneo, quali Alessandria, Siviglia, Siğilmāsa,
Costantinopoli, Genova, Pisa, Venezia, etc654. Complessivamente questi
documenti informano maggiormente sui legami tra Tunisia e Sicilia, piuttosto
che su Spagna ed Iraq, il che riporta l’attenzione su quella rotta percorsa
particolarmente dai mercanti italiani, in particolar modo dagli Amalfitani655.
Nel IX sec. gli Ebrei godevano di una posizione dominante confermata dalle
fonti documentarie, infatti, essi rivestivano anche cariche importanti, ad
esempio, come diplomatici per le missioni dei sovrani. Gli Ebrei però in
primo luogo erano noti come mercanti656 e per favorire i propri commerci non
disdegnavano la collaborazione di mercanti musulmani, in particolar modo
durante il giorno del sabbath in cui gli ebrei non potevano svolgere lavori,
piuttosto che rinunciare all’occasione657.

651
D. GOITEIN, ‘’A mediterranean…’’ I, cit., pp. 1-28.
652
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 120.
653
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 253.
654
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 121.
655
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 253.
656
R. LOPEZ, ‘’L’importanza del mondo…’’ cit., p. 448.
657
D. ABULAFIA, ‘’Il grande mare…’’ cit., p. 254.
186
Tra il IX e il X sec. però essi iniziarono a risentire del confronto con le
navi amalfitane e anche dei cambiamenti socio-economici della loro
comunità, sebbene sia ancora difficile delineare le dinamiche che
compromisero l’azione degli ebrei della zona mediterranea (Grecia, Spagna,
Italia meridionale)658. Così come gli Amalfitani, gli Ebrei avevano avuto un
ruolo da intermediari tra l’Italia meridionale e l’Africa, che spiegherebbe
l’atteggiamento favorevole di Saudan, l’emiro di Bari, verso l’ebreo Aronne
nel IX sec. e la decisione di affidare una missione diplomatica ad un altro
componente della famiglia che abitava presso la città di Oria. La Puglia
d’altra parrte vedeva tra Bari e Taranto commerci molto attivi e la partenza
delle navi per il Levante e l’Africa settentrionale659.

Il declino commerciale della comunità si verificò in contemporanea con


l’ascesa delle repubbliche marinare, i cui mercanti vendevano ai califfi tutto
ciò di cui necessitavano e gli Amalfitani erano specializzati nella vendita del
legname che si procuravano da tutte le foreste dell’Italia meridionale e
nell’esportazione di ferro prelevato dalle miniere calabresi660. Gli Ebrei nelle
città meridionali erano specializzati nella tintoria e quindi connessi alla
produzione di tessuti lussuosi e vi è traccia di questa attività da loro condotta
nell’altomedioevo presso Gaeta e in Calabria661. Progressivamente però le
repubbliche marinare soppiantarono il loro ruolo di commercianti
internazionali e rimasero sì commercianti ma, sempre più a livello locale,
tanto che il loro ruolo nel XI sec. risulta completamente ridimensionato662.

658
E. ASHTOR, ‘’Gli Ebrei…’’ cit., p. 57.
659
Ivi, p. 59.
660
E. ASHTOR, ‘’Gli Ebrei…’’ cit., pp. 60-61.
661
Ivi., p. 71.
662
Ivi, p. 75.
187
IV L’arrivo normanno in Italia

L’XI secolo costituirà un momento di svolta nella storia del mondo


cristiano e musulmano nel Mediterraneo. Prima di essere il secolo che diede
il via alle crociate, fu il secolo dell’arrivo normanno in Italia. Gli ‘’uomini del
Nord’’ corrispondevano a quelle popolazioni che discendevano dai vichinghi,
danesi, norvegesi e svedesi663, che dall’VIII sec. iniziarono a compiere delle
scorrerie nel Mare del Nord, inoltrandosi progressivamente nei territori dei
Franchi. Guidati da Rollone raggiunsero le rive della Senna, così il loro capo
ricevette il battesimo dimostrando la sottomissione al credo cristiano e
divenne vassallo del re di Francia664, successivamente Duca dell’odierna
Normandia. Ad oggi non si conoscono le cause del movimento di questa
popolazione verso la penisola italiana, probabilmente il sovrappopolamento
e la necessità di nuove risorse.

Certamente queste popolazioni avevano captato i guadagni economici


derivanti dalle rotte commerciali mediterranee, approfittando poi anche della
stanchezza dello stesso Impero bizantino, che nell’Italia meridionale iniziava
ormai a perdere terreno. Strateghi e catepani bizantini non riuscirono a
fermare l’espansione normanna avviata nei primi decenni dell’XI secolo665.
Nel 1027 Rainulfo Drengot, nobile normanno, ricevette la contea di
Aversa666. Successivamente tra il 1043 e il 1053 i fratelli Altavilla, Roberto e
Ruggero, ottenevano il ducato di Melfi. Raggiunta l’Italia meridionale i
Normanni si trovarono di fronte ad una realtà diversa e frammentata, dove il

663
P. GALETTI, ‘’Uomini e case…’’ cit., p. 14; A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 189.
664
[…] Normannia patria quaedam est in partibus Galliae, quae quidem non semper
Normannia dicta fuit; sed regalis quondam regum Francorum fiscus cum toto suo tenimento,
cuius pars erat, generali nomine Francia et sic vocabatur, usque dum Rodlo, dux fortissimus,
parta audacia, ex Norveja, coadunata sibi plurima fortium militum manum navali exercitu
sese pelago credentium, Frisiam et quaeque maritima loca usque occidentem devastans,
tandem in portu, ubi Secana fluvius in mare defluens intrat, appulsus est; cuius per alveum
maxima classe profundiores partes Franciae penetrans, amoenitate locorum inspecta, prae
caeteris quas pertransierat regiones, hanc amore amplecti et sibi adoptare fecit. Est enim
piscosis fluminibus et feralibus silvis abundantissima, accipitrum exercitio aptissima,
frumenti caeteramque segetum fertilis, pascuis uberrima, pecorum nutrix. Quamobrem ex
utraque ripa prosilientes, incolas illius regionis suo imperio subjugare coeperunt. […] G.
MALATERRAE, De rebus gestis Rogerii comitis, in (a cura di) L. A. MURATORI, Raccolta
degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento, V, Zanichelli, Bologna, 1714, p. 7.
665
M. DI BRANCO, ‘’Breve storia…’’ cit., p. 108.
666
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 190.
188
territorio non era stato sfruttato totalmente in base alle potenzialità produttive
e versava in alcuni casi in uno stato di completo abbandono, perciò erano
presenti zone costellate di paludi e campi interamente disabitati ed
inutilizzati667. Questa situazione derivava necessariamente da una cattiva
gestione da parte dell’impero, che al loro arriva manteneva ancora, seppure a
stento, il controllo su una parte della Puglia e del Salento, su alcune aree della
Campania, della Lucania e su tutta la Calabria. Giunti nel meridione i
normanni mantennero le strutture amministrative bizantine e anche il
personale, fattore che rese possibile un mantenimento della cultura e della
lingua greca in Calabria e nel Salento668.

Nel 1053 i Normanni presto affrontarono anche l’esercito papale,


contro cui combatterono nel 1053. Il Papa aveva richiesto inizialmente per il
suo esercito la presenza di signori Germani e Longobardi, scelti tra l’area
tedesca e dell’Italia meridionale, ma in prossimità alla partenza l’imperatore
Enrico III ritirò la disponibilità dei suoi uomini e il papa dovette procedere
con un esercito minore. Sul luogo preciso della battaglia tutt’oggi non si
hanno certezze, ma molti concordano, grazie a degli accenni delle fonti, che
essa sia avvenuta presso l’antica città di Civitate669. Da questo episodio in poi
la figura di Roberto il Guiscardo e la sua politica verranno tramandate dalla
storiografia in maniera trionfante.

Ciò che la storiografia e gli indizi archeologici sembrano confermare è


sicuramente la svolta che gli Roberto e Ruggero seppero dare ai territori
meridionali. I nuovi conquistatori si impegnarono da subito in una ripresa del
territorio, funzionale al mantenimento del potere in delle regioni ricche,
produttive e gestibili, motivo per cui uno dei primi problemi da risolvere fu
quello delle comunicazioni. Per quanto riguarda l’economia, seppur l’arrivo
normanno venga spesso descritto come un momento nettamente differente
rispetto alla situazione precedente, in Calabria, ad esempio, la ripresa dei

667
S. TRAMONTANA, La monarchia normanna e sveva, in (a cura di) A. GUILLOU et alii,
‘’Il mezzogiorno…’’ cit., pp. 437-459.
668
M. DI BRANCO, ‘’Breve storia…’’ cit., p. 109
669
A. VIUOLO, Agiografia d’autore in area beneventana. Le <<vitae>> di Giovanni da
Spoleto, Leone IX e Giovanni Crisostomo (secc. XI-XII), in <<Quaderni di
Hagiographica>>, 8, SISMEL- Edizioni del Galluzzo, Firenze, 2010, pp. 77-78.
189
mercati in maniera particolarmente vivace aveva avuto avvio già dal secolo
precedente. Infatti, la regione aveva già dal X secolo recuperato totalmente i
rapporti commerciali con la Sicilia e con il Nord Africa, come affermato in
precedenza, da quanto è testimoniato dagli indizi archeologici e numismatici.
Così, come nel periodo tardo antico la Calabria risulta essere uno dei luoghi
di importazione e di esportazione da/verso l’Africa, nel X sec. la regione
dimostra di aver recuperato questo rapporto. Il problema piuttosto consisteva
nella situazione interna al territorio, contraddistinto da una malsana
organizzazione e amministrazione, determinata dal fatto che Bisanzio,
durante i secoli di gestione della regione, avesse prediletto la difesa militare,
alla risoluzione dei problemi sia delle realtà urbane che delle campagne.
L’asperità del territorio inibiva le comunicazioni e rendeva completamente
inaccessibili intere zone, aspetto che poneva in difficoltà le stesse truppe
militari che non riuscivano a comunicare. I normanni puntarono sin da subito
a proseguire quell’opera già avviata dall’impero bizantino, ovvero la
fortificazione del territorio, attuandola presso le coste, sui rilievi, sui monti
per fronteggiare il pericolo saraceno non del tutto scomparso670.

Le difficoltà del territorio non avevano fermato l’arrivo di queste


popolazioni, in realtà pronte a vivere in qualsiasi situazione, abituate ad un
clima rigido e alle difficoltà delle foreste. Inoltre, i nuovi conquistatori
approfittarono dell’arrendevolezza della popolazione calabrese, che esausta
da secoli di battaglie, debole a causa di morbi diffusi, non oppose un’effettiva
resistenza al loro arrivo671. Solo le piazzaforti bizantine cercarono di reagire,

670
S. TRAMONTANA, ‘’I Normanni in Calabria…’’ cit., pp. 15-17.
671
[…] Anno MLVIII clades permaxima et flagellum irae Dei, ut credimus, peccatis
exigentibus, divinitus immissum, totam Calabriae provinciam, curriculo trium mensium
martii vidilicet, aprilis et maji, in tantum attrivit, ut, trino morbo mortem sibi imminere
cernentes, cum unum ad vitae periculum sufficere posset, vix aliquid quodvis horum, nedum
tria simul furiosissime detonantia pericula, se evadere posse existimarent. Nam una ex parte
gladius a Normannis, vix alicui parcens, desaeviebat; ex alia vero fames, viribus exhaustis,
perlanguida aestuabat; tertia vero pugna mortalitatis, horribiliter defluens, vix aliquem
intactum permittens evadere, ut in arenti arudineto laxis habenis furens incendium,
percurrebat. Pecunias habentes quid emerent non habentes atque ipsos liberos ex ingeniutate
plorantes, vili pretio in servitium venundantes, dum, ubi illud ad victus utilitatem
expenderetur, non inveniebant ad augmentum doloris sui propter amissionem, incassa
venditione liberorum, quasi quarta calamitate cruciabantur. Recentis carnis absque pane
comestio, dyssenteriam faciens, multos deiciebat, quosdam autem spleniticos faciebat. […];:
G. MALATERRAE, ‘’De rebus…’’ cit., p. 21
190
ma invano. Situazione opposta si verificò invece nell’isola vicina, dove la
popolazione siciliana cercò di impedire in tutti i modi la conquista normanna,
richiedendo degli sforzi maggiori. D’altra parte, la Sicilia aveva goduto dal X
sec. di una situazione di benessere determinata dalla politica musulmana
nell’isola, mentre la Calabria subiva ormai da tempo le ingiustizie bizantine
e soprattutto subiva la sproporzionata tassazione imposta dall’impero. Il
malcontento dunque, nonostante quel legame culturale con il mondo greco,
ebbe la meglio e la popolazione si arrese ai Normanni passivamente672.

Nel 1059 Roberto il Guiscardo stabilì un’alleanza con papa Niccolò II


e venne riconosciuto quale dux Apulie et Calabriae et utroque subveniente
futurus Sicilie chiarendo il suo ruolo ancora prima di conquistarla e
garantendo al papa l’appoggio militare nella difesa. La lungimiranza degli
Altavilla fu di comprendere l’importante ruolo della Chiesa soprattutto a
livello territoriale, infatti, essa, confrontata con l’inefficienza dell’apparato
bizantino, aveva saputo costituire una rete di realtà monastiche, che le
avevano permesso il raggiungimento di un importante potere territoriale. In
questo modo erano sorte delle vere e proprie signorie come quella di San
Benedetto di Montecassino e San Vincenzo al Volturno, Santa Sofia di
Benevento, Santa Maria del Patirio, le quali godevano di privilegi derivanti
sia dal potere laico che religioso.

La Calabria normanna

Conquistare l’Italia meridionale significava aver accesso anche ai suoi


importanti mercati, così come conquistare la Calabria voleva dire avere
accesso ad un territorio strategico e produttivo. La regione nell’XI sec.
apparteneva a quella dinamicità culturale e sociale, che aveva stimolato la
ripresa dei mercati e un progresso in ogni settore. Questo clima aveva
stimolato anche la nascita di luoghi di studio, in cui si rifletteva anche in
merito al confronto con la cultura musulmana, contesto che permise a uomini

672
S. TRAMONTANA, ‘’I Normanni in Calabria…’’ cit., pp. 15-17.
191
come Costantino (XI sec.), πρωτασηκρητις della cancelleria imperiale, di
imparare la lingua araba e tradurre il trattato medico Kitāb zād al-musāfir
(opera nota in Occidente come Viaticum Peregrinorum673) di Al-Ǧazzar674.
E’ però vero che il periodo normanno in Calabria si contraddistinse per la
fioritura di contesti culturali e di studio e la diffusione di opere architettoniche
e artistiche. La politica normanna, dunque, seppe conferire alla regione una
nuova stabilità, da cui conseguì una crescita esponenziale di ogni settore. Ma
all’arrivo di Roberto il Guiscardo, la regione presentava forti dicotomie,
infatti, la difficile situazione politica era in netto contrasto con la capacità
commerciale, che aveva permesso alla popolazione di far fronte alle imposte
imperiali. Ritengo dunque che la ripresa del periodo normanno affondasse le
proprie radici nel secolo precedente, situazione che permise poi a Ruggero II
di assistere ad una ripresa economica veloce675.

La conquista

A metà dell’XI sec. Roberto il Guiscardo676 trovandosi nell’area della


Valle del Crati decise di avviare la campagna di conquista677. Le forze militari
normanne non si contraddistinguevano per la loro forza, né possedevano
grandi risorse per sostenere la conquista, ma soprattutto non avevano
inzialmente un concreto progetto militare678. Solo nel momento in cui il
Guiscardo venne riconosciuto come Conte di Puglia, il suo esercito ebbe i

673
D. ASTORI, The founding myth of the Schola Salerni: the importance of contact among
languages and the activity of translation for interreligious and intercultural dialogue and the
development of knowledge. 1st International Conference on Foreign Language Teaching and
Applied Linguistics. May 5-7 2011, Sarajevo, s.l., s.e., 2011, p. 346.
674
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina...’’ cit., p. 262.
675
E. ZINZI, Dati sull’insediamento in Calabria dalla conquista al regnum. Da fonti
normanne ed arabe, in <<Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age>>, 110, 1
(1998) pp. 279- 298: p. 283.
676
[…] Primus Robertus, dictus a nativitate Guiscardus, postea totius Apuliae princeps et
Calabriae dux, vir magni consiliim ingeniim largitatis et audaciae […]; cfr. G.
MALATERRAE, De rebus gestis Rogerii comitis, op. cit., p. 9.
677
[…] Hic fratrem suum Umfredum Abagelardum comitem apud castrum quod Lavel
dicitur, virum prudentissimum, consilio Apuliensium et Normannorum ordinavit, Robertum
vero Guiscardum in Calabria posuit, firmans ei castrum in valle Cratensi, in loco qui Scribla
dicitur, ad debellandos Cusentinos et eos qui adhuc in Calabria rebelles erant. […]; G.
MALATERRAE, ‘’De rebus…’’ cit., p. 14.
678
S. TRAMONTANA, ‘’I Normanni in Calabria…’’ cit., p. 18.
192
mezzi necessari per avviare una vera campagna militare per la presa della
Calabria. I nuovi conquistatori giunsero con violenza alla conquista delle
città, obbligando spesso la popolazione a contribuire ai saccheggi dei
territori679. Reggio riuscì per un periodo a resistere grazie alle sue note mura,
fin quando i normanni trovarono l’escamotage per sfondarle680. È assodato
che la conquista di Reggio significava possedere la città più importante della
regione e che soprattutto garantiva la partecipazione al traffico commerciale
verso il Levante e verso la Sicilia. Inoltre, nel territorio reggino vi erano già
numerose comunità musulmane, che progressivamente modificarono anche
la toponomastica calabrese, un esempio tra tanti, le città di Bagaladi681,
Careri682, Saracena683.

Tra il 1054 e il 1065 i Normanni conquistavano San Martino, San


Marco, Castrovillari, Bisignano, Montalto, Cosenza, Malvito, Aiello,
Martorano, Nicastro, Maida, Mileto, Oppido, Calanna, Cassano, Rossano,
Cariati, Catanzaro, Squillace, Stilo, Scilla, Tropea, Scalea. Da quel momento
in poi una parte della popolazione partecipò attivamente alle spedizioni per la
conquista della Sicilia del 1072 e della presa di Durazzo nel 1082684.
Conquistata ormai l’Italia meridionale, venne introdotto il sistema feudale,
che attecchì repentinamente su un territorio già organizzato sulla base di
autonomie locali, che avevano sopperito alle mancanze di gestione del potere
centrale.

679
Ibidem.
680
Cfr. E. ZINZI, Le fortificazioni collinari sovrastanti Reggio. Notizie e una proposta di
lavoro, in « Mélanges de l’ecole française de Rome. Moyen-Age », 2, 103 (1991), Roma,
pp. 737-747.
681
Città dell’Aspromonte grecanico il cui nome deriva da ‘’‫’‘ ’’ﺑﮭﺎءﷲ‬Baha’ Allah’’ con il
significato di ‘’ la bellezza (viene) da Dio’’.
682
Città del reggino il cui nome ritengo derivi da ‘’‫’‘ ’’ﺣﺮﯾﺮ‬ḥarir’’ ovvero ‘’seta’’. Si può
confrontare anche con il cognome siciliano Careri cui è stato attribuito il significato di
‘’tessitore’’. F. LOGOZZO, Il trattamento dell’aspirata [X] nei toponimi calabresi di origine
greca, in Linguarum varietas: an international journal, 2, Pisa, 2013, pp. 125-132: p. 132.
683
S. TRAMONTANA, ‘’I Normanni in Calabria…’’, op. cit., p. 18.
684
A. PLACANICA, ‘’La Calabria…’’ cit., p. 122.
193
L’opera di rilatinizzazione e il rapporto con la Chiesa

L’arrivo normanno segnò in Calabria anche il passaggio dalla grecità


alla latinità, sebbene l’elemento ellenofono ancora nel XII sec. era molto
presente. Progressivamente la lingua greca rimase una peculiarità del contesto
contadino e pastorale, mentre la cultura greca passò da cultura dominante a
cultura subalterna. I normanni infatti avevano dato il via ad un processo di
rilatinizzazione delle diocesi greche, ricercando tramite queste azioni il favore
della Chiesa. Infatti, già dal IX sec. l’interesse pontificio verso i territori del
sud si era espresso con un’azione di controllo sempre più tempestiva ed
efficace. I vescovi erano diventati dei veri e propri rappresentanti politici sul
territorio in connivenza con i delegati imperiali.

Dal 1050 Leone IX aveva pensato ad una riforma che coinvolgesse le


regioni del sud e che soprattutto facesse sì che i rappresentanti della chiesa
locale dovessero confrontarsi costantemente con la sede romana685, questo
perché le comunità eremitiche esplicitavano la necessità di un rinnovamento
della Chiesa. Leone IX in realtà riuscì a fare ben poco, emettendo la condanna
di coloro che praticassero la simonia e il nicolaismo, ma il potere dei vescovi
lo metteva in estrema difficoltà.

Ad ogni modo, in Calabria la chiesa per secoli aveva rappresentato


l’unica istituzione di riferimento per la popolazione e i Normanni con
lungimiranza puntavano anche al suo appoggio. Per questo motivo Ruggero
dispose la conferma di proprietà e beni mobili e immobili alle calabresi
(Tropea, Squillace, Nicastro)686. Anche presso Mileto (VV)687, città prescelta
dal Guiscardo come sede del potere, in quanto strategicamente importante per
il controllo economico e politico durante l’opera di rilatinizzazione, egli
fondò due monasteri, S. Maria di S. Eufermia e SS. Trinità di Mileto,

685
S. TRAMONTANA, ‘’La monarchia…’’ cit., p. 481.
686
Ibidem.
687
[…] Quibus expletis, Rogerius, Guillelmo fratri cum gratiarum actione Scaleam rediens,
rogatus a Guiscardo, in Calabriam venit. Castrumque Melitense, a fratre sibi haereditaliter
deliberatum, habens, rebelles Calabros circumquaque impugnare coepit. […]; G.
MALATERRAE, ‘’De rebus…’’ cit., p. 22.
194
dotandoli di numerose proprietà688. Il ruolo che ebbe questa città nel progetto
di rilatinizzazione si evince anche dal fatto che molti dei vescovi in Calabria
e in Sicilia provenissero proprio da Mileto689. La costruzione di centri di culto
e religiosi, dalle chiese ai monasteri, ha lasciato sul territorio un’evidente
traccia dell’architettura normanna, testimonianza tangibile della transazione
di modelli architettonici transalpini nella regione690. Questi nuovi criteri
stilistici confluirono nella tradizione orientale caratterizzata da motivi
mediterranei, mescolanza culturale evidente nell’arte di Mileto dove
rintracciamo elementi sia latini, sia francesi, accompagnati dalle influenze
locali691.

Il progetto normanno

I Normanni avevano attuato una strategia di conquista che puntava al


raggiungimento di Costantinopoli, approfittando della fragilità dell’impero
bizantino. Agli inzi del XII sec. era salito al trono Basilio II, il quale aveva
dovuto affrontare prontamente le ribellioni nella zona dei Balcani, dove poi
intraprenderà una lunga campagna militare contro Slavi e Bulgari. La sua
morte nel 1025 sanciva la fine della gloria di Bisanzio, che aveva avuto inizio
nel VII sec. con Eraclio692. A questo seguì anche il grande scisma, la
separazione tra la Chiesa romana di rito latino e il Patriarcato di
Costantinopoli. Papa Leone IX aveva lanciato la scomunica contro Michele

688
Cfr. G. OCCHIATO, Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e
Francia in età romantica: l’abbazia normanna di Sant’Eufemia, in <<Mélanges de l’Ecole
française de Rome. Moyen-Age, Temps moderne>>s, 93, 2, 1981, pp. 565-603; Ruggero I
decise di collocare la residenza a Mileto, simile al modello di Aversa, primo insediamento
normanno nella penisola. Purtroppo, non è pervenuta molto materiale archivistico
riguardante questo sito, questione che ha posto dei dubbi relativi all’effettivo ruolo della città.
Cfr. G. MUSCA, Terra e uomini nel Mezzogiorno normanno-svevo: Atti delle settime
giornate normanno-sveve, 1985, Bari, p. 67.
689
Cfr. R. FIORILLO, P. PEDUTO, Saggi di scavo nella Mileto vecchia in Calabria (1995
e 1999), Firenze, 2001.
690
G. OCCHIATO, Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e Francia
in età romantica: l’abbazia normanna di Sant’Eufemia, in <<Mélanges de l’Ecole française
de Rome. Moyen-Age, Temps modernes>>, 93, 2 (1981), pp. 565-566.
691
G. OCCHIATO, Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e Francia
in età romantica: l’abbazia normanna di Sant’Eufemia, in <<Mélanges de l’Ecole française
de Rome. Moyen-Age, Temps modernes>>, 93, 2 (1981), pp. 565-566: pp. 569-570.
692
M. DI BRANCO, ‘’Breve storia…’’ cit., p. 113.
195
Cerulario, di per sé non fu un atto tanto grave quanto le conseguenze che ne
derivarono, portando definitivamente alla rottura tra la Chiesa latina e quella
greca693. Oltre a ciò Bisanzio dovette affrontare anche il problema derivante
dai Turchi selgiuchidi, che resero l’impero sempre più fragile e sottoposto ad
attacco su ogni lato. I problemi del versante est probabilmente avevano
impedito a Bisanzio di accoggersi del pericolo derivante dagli uomini del
nord. Sottovalutarli non fece altri che agevolare la loro conquista, infatti, al
loro arrivo non trovarono ad affrontarli grandi eserciti, ma poche milizie694.
Nella penisola italiana invece essi una volta presa la Calabria, raccolsero le
forze per avviare la conquista siciliana e proprio Mileto divenne la base della
missione diretta verso l’isola695. Lo spostamento della sede del potere
sicuramente determinò qualche conseguenza sul ruolo di Reggio, che però
grazie alla sua posizione geografica rimaneva sempre al centro delle questioni
mediterranee696.

La supremazia normanna in Calabria si espresse tramite una serie di


fortificazioni e castelli sottoposti al comando del Duca tramite una rete di
vassalli o membri della famiglia. Queste politiche modificarono il paesaggio,
infatti, si passò da un tipo di incastellamento bizantino, costruito sulla base di
esigenze politico-militari, ad un incastellamento basato su esigenze militari-
feudali. Questo nuovo sistema vedeva l’aggiunta all’interno dei castra
preesistenti di un’ulteriore fortificazione il castellum697. Il castellum
normanno poteva essere di tre tipologie: rurale, costiero e urbano698, dove le
prime due rientravano nel progetto di difesa territoriale e il terzo
nell’organizzazione della città. Oltre all’edificazione di castella anche

693
Ivi, 115.
694
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, Innovazioni progettuali normanne e tradizioni bizantine
nella Calabria medievale: i dati archeologici, in « Medioevo Greco. Rivista di storia e
filologia bizantina », 9, 2009, pp. 85-106: p. 85.
695
R. FIORILLO, P. PEDUTO, ‘’Saggi di scavo…’’ cit., p. 1.
696
V, VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 271.
697
Tra X e XII sec. nell’Italia centro-meridionale i villaggi vennero fortificati divenendo
castra o castella con la dimora del signore all’interno; cfr. C. WICKHAM, ‘’L’eredità di
Roma…’’ cit., p. 268.
698
G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, ‘’Innovazioni normanne e tradizioni bizantine…’’ cit.,
pp. 88-89.
196
l’architettura calabrese tra l’XI e l’XII sec. procedette di pari passo con la
rinascita edilistica europea attraverso l’influenza del ducato normanno.

L’economia calabrese nel periodo normanno

La provenienza d’Oltralpe dei Normanni contribuì certamente


all’arrivo di nuovi costumi, abitudini, modi di vivere nel territorio
meridionale. Certamente dopo la prima fase di conquista le popolazioni locali
vennero influenzate anche nella quotidianità dal confronto con la nuova
realtà. Probabilmente anche in questo clima vivace di interazione è da
ricercare il motivo della ripresa economica e commerciale riscontrata per il
periodo tra XI e XII secolo. Per questo periodo, ancora una volta, è
l’archeologia a fornire informazioni sul mercato699.

Gli indizi maggiori li abbiamo dal materiale da trasporto, che abbonda


negli scavi calabresi e che è indice di quella attività commerciale che
sostanzialmente, pur con alti e bassi, non venne mai stroncata del tutto dalle
vicende politiche. Le anfore rintracciate evidenziano una forte
standardizzazione delle forme che fa emergere l’esistenza di una vera e
propria organizzazione industriale, la cui produzione doveva soddisfare le
esigenze del mercato, considerando soprattutto i gusti di una società sempre
più complessa. Molto del materiale è di origine maghrebina, il che dimostra
la ripresa della rotta commerciale che legava la Calabria al nord Africa,
avvalorata anche da un’importante presenza di follis in bronzo, che
confermano la totale ripresa degli scambi700.

Durante l’XI sec. però in Calabria la moneta utilizzata nei commerci


era il tarì mentre il nomismata bizantino permaneva per il pagamento delle

699
I Normanni furono spesso prosecutori di attività avviate precedentemente nella regione e
non gli ideatori. E’ interessante il caso dell’avviamento dell’attività serica presso Catanzaro.
Una fonte seicentesca di Vincenzo d’Amato riporta la data di introduzione della seta a
Catanzaro nel 1072 da Roberto il Guiscardo. Ad oggi però è lecito ritenere che essi abbiano
portato avanti un’attività già avviata in continuità con le attività economiche già fruttuose
come avvenne nel caso dell’estrazione mineraria; cfr. F. A. CUTERI, ‘’Catanzaro…’’ cit., p.
11.
700
D. CASTRIZIO, ‘’Circolazione monetaria…’’ cit., pp. 583-584.
197
tasse. Gradualmente la moneta bizantina venne soppiantata dalla coniazione
della moneta normanna.

I maggiori ritrovamenti numismatici sono stati rintracciati nella zona di


Reggio e di Catanzaro, mentre una percentuale è conservata all’interno di
collezioni private. Quindi è senz’altro vero che nel periodo normanno diventa
più evidente il ruolo commerciale della regione, ma ciò non vuol dire che essa
precedentemente non godesse dei vantaggi economici derivanti soprattutto
dalla sua posizione geografica. Effettivamente nella zona reggina
(Brancaleone, Calanna, Cittanuova, Locri/Mannella, Melito, Monasterace,
Pellaro, Pentimele, Reggio Calabria) sono state rinvenute più di un centinaio
di monete in rame dell’epoca di Leone VI (IX-X secc.), ma vi sono anche dei
nuclei appartenenti alla zona catanzarese. Sempre del IX sec. è stata ritrovato
a Crotone un dirham aghlabide di Muḥammad ibn Abī Aqāl (841-856)701.
Gradualmente i ritrovamenti aumentano: si hanno delle monete di Costantino
VII, appartenenti al X sec., nel reggino presso Melito, Motta, San Niceto,
Pentimele, Reggio, poi nel crotonese presso Crotone, Santa Severina e nel
cosentino nel Castello di Raione ad Orsomarso.

In altre città si hanno ritrovamenti di monete risalenti al periodo di


Romano I (931-944)702. Ad ogni modo dalla situazione attuale pare che la
Calabria, anche in seguito all’arrivo normanno, ricevesse approvvigionamenti
monetari da Costantinopoli703. Inoltre, sia Roberto il Guiscardo che Ruggero
I mantennero l’utilizzo del quarto di dinar d’oro islamico, modificandolo e
introducendo l’incisione del titolo di duca e conte a caratteri arabi.
Successivamente, nel 1085 venne introdotta una ‘’tau’’ circondata da legende

701
E. ARSLAN, Ancora sulla circolazione della moneta in rame nella Calabria di X-XII
sec., in Società e insediamento in Italia meridionale nell’età dei Normanni. Actes du
séminaire de Roccelletta di Borgia, 12-13, novembre, 1994, in <<MEFRM>>, 110, 1 (1998),
pp. 360-361.
702
E. ARSLAN, Ancora sulla circolazione della moneta…, op. cit., p. 362.
703
L. TRAVAINI, C. WEISS, Legende arabe sulle monete normanne: perché, dove,
quando, in G. COLLUCCI, La monetazione pugliese dall’età classica al medioevo (1): La
monetazione della Daunia. Le monete Normanne dell’Italia Meridionale, Bari, 2009, p.
228.
198
arabe, la quale scomparve fino ad essere sostituita da una scrittura bilingue
arabo-greca704.

Un’altra interessante osservazione riguarda l’ampio riscontro delle


monete in rame. Infatti, esse venivano utilizzate in un contesto di scambi
individuali o quotidiani, mentre per i beni di lusso e le proprietà si
prediligevano le monete d’oro. I folles bronzei sono stati rintracciati
inizialmente nella zona reggina, ma da scavi recenti sono stati rinvenuti anche
nella Calabria centro-settentrionale.

La conquista della Sicilia

L’XI secolo fu il secolo della conquista normanna dei territori


meridionali della penisola e della Sicilia, ed anche il secolo che inaugurò
l’epoca delle crociate. Alla luce degli avvenimenti che coinvolsero il
Mediterraneo dall’XI sec. in poi, le azioni normanne vennero viste come un
assaggio di quell’opera di reconquista già avviata in Spagna ed
un’anticipazione della crociata705. Interpretando le azioni militari normanne
in questo modo, però, sarebbero contraddistinte anche da una motivazione
culturale e religiosa che effettivamente non ebbero. L’intento normanno era
prettamente politico e militare706.

Dopo la conquista della Calabria, quella della Sicilia avrebbe assicurato


loro una potenza politica ed economica, che sarà poi effettivamente ciò che
contraddistinguerà il regno normanno, che dopo secoli di frammentazioni,
riuscì a divenire un collante culturale, politico, militare. Dopo la conquista
meridionale normanna, dove i Normanni avevano riscontrato un
atteggiamento accondiscendente della popolazione, le dinamiche della

704
L. TRAVAINI, C. WEISS, Legende arabe sulle monete normanne: perché, dove,
quando, in G. COLLUCCI, La monetazione pugliese dall’età classica al medioevo (1): La
monetazione della Daunia. Le monete Normanne dell’Italia Meridionale, Bari, 2009.
705
Cfr. G. MANDALà, Figlia d’al-Andalus! Due ğazīra a confronto, Sicilia e al-Andalus,
nelle fonti arabo-islamiche nel Medioevo, in « Le forme e la Storia », 2, Soveria Mannelli,
2012.
706
N. DANIEL, Gli arabi e l’Europa nel Medio Evo, Il Mulino, Bologna, 20072, p. 223.
199
conquista siciliana furono totalmente differenti. Nel 1060 Ibn al Ṯumna,
emiro siciliano, si rivolse agli Altavilla per contrastare il suo rivale Ibn al
Ḥawwās nella zona centro occidentale dell’isola. La risposta normanna non
si fece attendere. Le prime incursioni ebbero inizio già nel 1061 dirette contro
Rometta, Milazzo e Messina707.

L’anno seguente Ibn al Ṯumna venne ucciso, ma le battaglie


continuarono numerose, finchè nel 1072 Palermo si arrese ai conquistatori708.
Per completare la conquista dell’isola furono necessari trent’anni, la politica
era cambiata ma il processo di disarabizzazione del territorio necessitò di
tempi più lunghi709. I normanni, inoltre, non diversamente dai musulmani del
periodo precedente, avevano attuato un programma di conquista basato
sull’indebolimento dei territori tramite razzie e saccheggi, e proprio in questi
raids si facevano aiutare da gruppi di militari islamici.

La Sicilia musulmana era sotto attacco, ma anche l’Africa subiva le


incursioni da parte di Genova e Pisa, le quali riuscirono anche ad ottenere
importanti bottini attaccando il territorio africano. Anche Ruggero II tentò
un’espansione nel territorio di Ifriqiya, che avrebbe assicurato un controllo
delle rotte commerciali, ma soprattutto avrebbe conferito al regno normanno
il dominio nel Mediterraneo. Nella prima metà del XII sec. i normanni
occuparono Gerba e Tripoli, spingendosi fino ai territori bizantini nell’Epiro
e nel Peloponneso. I normanni erano riusciti ad ottenere un potere dunque
anche nelle coste africane, ma questo si sgretolò subito dopo la morte di
Ruggero II, a causa delle ribellioni sorte nelle città di Sfax e Gabes710.

Nel 1130 Ruggero II (1095-1154) aveva annesso la Sicilia alla Calabria


e alla Puglia divenendo Rex Siciliae, Calabriae et Apuliae con l’investitura
dell’antipapa Anacleto II, successivamente confermata da papa Innocenzo II.
La conquista della Sicilia e dell’Italia meridionale fissava precisamente
confini, aree politiche e culturali, sino a quel momento labili e promiscui. La

707
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 191.
708
Ivi, p. 194; F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’ cit., pp. 87-88.
709
F. GABRIELI, U. SCERRATO, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 93.
710
A. VANOLI, ‘’La Sicilia…’’ cit., p. 201.
200
loro azione procedette di pari passo alla Reconquista di Alfonso VI di
Castiglia in Spagna, attuando in particolar modo una restaurazione religiosa,
politica, giuridica, economica.

Ma i tre secoli precedenti di storia musulmana che aveva coinvolto


l’isola e le regioni vicine non vennero dimenticati. Palermo divenne il cuore
pulsante del regno e Palazzo dei Normanni il centro del potere, sede della
cancelleria, dei comandi militari e il ministero dell’ammiragliato, affidato a
Giorgio di Antiochia. L’amministrazione normanna mantenne
sostanzialmente, così come nei primi anni in Calabria, quella precedente
determinando una permanenza di musulmani nel contesto della corte. Questa
politica si espresse anche con il mantenimento di istituzioni islamiche, come
il diwān, ovvero, l’organismo che svolgeva i controlli fiscali, che alla corte
normanna assunse la denominazione di duana o dohana711.

L’isola era dunque tornata alla cristianità, ma l’aspetto religioso


rappresentava solo una minima parte del mondo culturale che la Sicilia aveva
assimilato, appartenendo alla ḍār al Islām per secoli. Il carattere islamico
dell’isola venne progressivamente estirpato tramite politiche ad hoc, non per
il rispetto nei confronti alla cristianità, ma per mere convenienze di potere712.
Ruggero II aveva stabilito che leggi e costumi precedenti potessero essere
mantenuti a patto che non fossero stati in contrasto con le disposizioni regie.
È assodato però che la realtà araba rimase presente almeno fino al XIV sec.,
questo permise a molti musulmani o cristiani arabizzati di assumere anche
incarichi importanti presso la corte normanna o di far parte dell’esercito reale.
All’interno di questo contesto Al Idrisī, segretario scelto dal re, compilò la
sua opera conosciuta come Libro di Ruggero fornendo informazioni preziose
sulle città della penisola del XII secolo.

711
A. VANOLI, Musulmani in un’isola cristiana. Brevi cenni di una lunga storia, in
« Edad Media. Revista de Historia », 17, 2016, pp. 157- 159: p. 159.
712
E. DANIEL, ‘’Gli Arabi…’’ cit., p. 224.
201
La Calabria normanna dopo il 1072

La conquista della Sicilia determinò immediatemente uno spostamento


dell’interesse normanno dall’Italia peninsulare all’isola. La corte palermitana
divenne così il centro politico ed amministrativo del regno normanno,
determinando una perdita di potere da parte di Reggio e Bari, ex capitali
bizantine, le quali pensate in una logica politica constantinopolitana, non
rispondevano alle esigenze del progetto politico di Ruggero713.

La Calabria dell’impero greco aveva potuto godere di una certa


importanza grazie soprattutto alla città di Reggio, per motivi noti e già
esplicitati, per cui il programma normanno andò ad intaccare certamente
l’influenza della città sullo Stretto. Infatti, tra l’XI sec. e il XII, fu Messina ad
accrescere la propria notorietà e il ruolo economico, tanto che i regnanti
decisero di istituire in loco una zecca, forza attrattiva nei confronti delle
repubbliche marinare714. Ovviamente, nonostante questi cambiamenti,
Reggio non potè rimanere esclusa dal viavai commerciale dello Stretto,
rimanendo così una città importante e strategica, motivo per cui nel 1234
Federico II decise di istituzionalizzare una fiera generale che la
coinvolgesse715.

La città attraeva mercanti da tutta la regione, i quali giungevano per la


vendita sia di prodotti agricoli che tessili, infatti proprio dal periodo
normanno, non solo la regione godette della produzione serica reggina, ma vi
si aggiunse quella catanzarese, che da una fonte successiva716, sappiamo
venne avviata all’arte proprio da Roberto il Guiscardo. Successivamente, con
Ruggero II si assistette all’arrivo in città anche di artigiani siciliani, i quali
apportarono una crescita delle tecniche di tessitura, derivanti soprattutto dalla
tradizione araba. La realizzazione di manufatti tessili era da sempre
un’attività molto proficua in tutto il Mediterraneo, motivo per cui da
Giustiniano in poi, tutti i regnanti cercarono di tutelare le proprie produzioni

713
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 271.
714
Ivi, pp. 272-273.
715
Ivi, p. 273.
716
V. D’AMATO, Memorie Historiche dell’illustrissima, famossima e fedelissima città di
Catanzaro, Napoli, 1670.
202
e di accrescerne la qualità. Difatti Ruggero di ritorno da Tebe, Corinto e
Atene, aveva condotto con sé dei tessitori delle città greche, noti conoscitori
dell’arte tessile717. Certamente la regione non era nuova a scambi
commerciali, ma anche culturali con le realtà greche, dunque la sua tradizione
sarà stata già da prima influenzata da questo rapporto privilegiato718.

Dunque, se Messina venne ad assumere un ruolo più importante sul


piano economico e politico, Reggio potè mantere quello ecclesiastico. La città
infatti non fu privata della funzione di arcivescovato calabrese, pur perdendo
pochi territori che vennero acquisiti da Mileto (VV) sede del Granconte, la
quale rispondeva direttamente alla Sede romana719. Il progetto di
rilatinizzazione dei territori, aveva coinvolto le realtà calabresi e i vescovi
greci vennero sostituiti con prelati latini, fu così a Squillace, Tropea, Rossano
e Santa Severina, sedi che si sottomisero all’autorità romana, cambiamento
cui non volle cedere l’ex metropolita Basilio, che cercò invano di rivendicare
i suoi diritti sulla città di Reggio. Ma il papa aveva trovato un giusto sostituto
in Bruno da Colonia720. Egli, futuro San Bruno, aveva il merito di aver
fondato il Calabria la Certosa, che si basava su ideali non molto distanti dal
monachesimo bizantino, per cui egli incarnava il giusto compromesso per un
passaggio dalla grecità alla latinità721.

717
[…] XXXIIII. Circa idem tempus Rogerius Siculus, aptatis in Apulia, Calabria, Sicilia
triremibus et bireminus, quas modo galeas seu sagitteas vulgo dicere solent, aliisque navibus
bellicis onerariis, classem in Greciam destinat, prefectis eis ducibus strennuis et in navali
prelio gnaris. Armatis itaque navibus Greciae fines ingredientur ac Mutino sine inpedimento
gravique negotio capto ad Gurfol usque, fortissimum Greciae castrum, procedunt. Quod dum
nulla capere vi prevalerent ad dolos et ingenia se vertunt. Igitur premissis quibusdam, ut
dicitur, qui se quempiam mortuum humandi gratia deferre simularent – est enim in predicta
aree castri, sicut Grecis mos est, congregatio clericorum seu monachorum – idem castrum
irruunt, arcem occupant, Grecis eiectis presidiisque suis ibidem locatis. Inde ad interiora
Greciae progressi Corinthum, Thebas, Athenas, antiqua nobilitate celebres, expugnant ac
maxima ibidem preda direpta opifices etiam qui sericos pannos texere solent ob ignominiam
imperatoris illius suique principis gloriam captivos deducunti. Quos Rogerius in Palermo
Siciliae metropoli collocans artem illam texendi suos edocere precepit et exhinc predicta ars
illa, prius a Grecis tantum inter Christianos habita, Romanis patere coepit ingeniis; (a cura
di) G. WAITZ, B. DE SIMSON, Ottonis et Rahewini gesta Friderici I. Imperatoris, in
Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum ex Monumentis Germaniae Historicis
recusi, Hannoverae et Lipsiae, Impensis Bibliopolii Hanniani, 19123, pp. 54-54.
718
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit., p. 253.
719
Ivi, p. 274.
720
Cfr. P. DE LEO, San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, Soveria
Mannelli, 2004.
721
V. VON FALKENHAUSEN, ‘’Reggio bizantina…’’ cit. 275.
203
Questa politica fece sì che l’artistocrazia laica ed ecclesiastica
abbandonasse gradualmente la cultura greca per appoggiare quella latina, per
cui la grecità rimase prerogativa delle realtà monastiche. I monaci italo greci
che già dal X sec. avevano popolato la regione rimasero ultimo baluardo di
quella che era stata la cultura bizantina. Moltissimi furono i monaci calabresi
che ebbero un ruolo fondamentale soprattutto per il mantenimento della
cultura greca e per la trasmissione della tradizione precedente, la cui massima
espressione ci è pervenuta grazie all’opera degli scriptoria e alle abbazie
costituitesi in quel periodo722.

Molte sono le opere del XII sec., che vennero successivamente acquisite
dalla Spagna e dove sono tutt’ora conservate, che risultano essere di origine
calabrese o calabro-sicula. Infatti, lo Stretto di Messina anche in questo caso
si proponeva come un ponte ideale che aveva favorito la coesione tra i monaci
delle due regioni. Molti monaci greci calabresi si recarono in Sicilia, come
Bartolomeo da Simeri (m. 1130), già fondatore dell’abbazia di S. Maria
Nuova Odigitria in Rossano, e il suo discepolo Luca, che fondarono il
monastero di S. Salvatore de lingua phari di Messina. Il monastero nel 1131
con un decreto di Ruggero II assunse il ruolo di Archimandriato, ovvero,
ottenne la supervisione di quarantuno monasteri greci, localizzati tra la Sicilia
orientale e la Calabria meridionale723.

722
S. LUCà, Dalle collezioni manoscritte di Spagna: Libri originari o provenienti dall’Italia
greca Medievale, in « Rivista di studi bizantini e neoellenici », 44 (2007), 2008, pp. 38-96:
pp. 39-41.
723
M. RE, Il Typikon del S. Salvatore de lingua phari come fonte per la storia della biblioteca
del monastero, in « Byzantino-Sicula III », 14, Istituto siciliano di Studi bizantini e
neoellenici, Palermo, 2000, pp. 243-250: pp. 249-250.
204
205
Conclusioni

Ho iniziato questa ricerca con l’obiettivo di descrivere e approfondire le


dinamiche economiche, politiche, culturali e sociali proprie della Calabria nel
periodo altomedievale considerate in relazione ad uno spazio più ampio
quello del Mediterraneo islamico. Sin da subito, però, trovandomi di fronte
ad un quadro frammentato e a volte contrastante degli studi precedenti, ho
ritenuto che per fare chiarezza in merito fosse necessario partire un po’ da
lontano, iniziando con una riflessione sul periodo tardoantico, giungendo poi
al periodo dell’espansione normanna, che costituisce un momento a partire
dal quale vi è un crescendo di informazioni sia materiali che documentarie.

Trovandomi a discutere con alcuni studiosi della materia mi era stata


esplicitata la grande difficoltà che si riscontra ancora oggi studiando la
Calabria medievale e che fa sì che se ne parli quasi esclusivamente in contesto
di ‘’addetti ai lavori’’ e nelle giornate di studio organizzate all’interno della
regione. Ciò che ho potuto constatare è una mancanza di comunicazione tra
varie aree di studio, in particolar modo, tra archeologi e storici, laddove i
contributi dei primi, spesso uniche fonti di riferimento nel contesto della
regione, costituiscono gli unici studi aggiornati sul territorio.

Il territorio effettivamente offre rare fonti documentarie, un tempo


probabilmente presenti dato il ruolo della regione sia nel contesto politico che
religoso, ma che gli sconvolgimenti politici susseguitisi nei secoli in aggiunta
a frequenti terremoti hanno fatto sì che molto del materiale che oggi avrebbe
fornito informazioni più puntuali sia andato perso. Per questo motivo coloro
che ritengano che la Calabria di quei secoli abbia avuto un ruolo senz’altro
non di secondo piano, alla luce della parte che svolgeva all’interno della
politica e della strategia bizantina, devono raccogliere e tenere presente
qualsiasi informazione che, pur provenendo da luoghi circostanti, possa
essere connessa con il territorio studiato.

Sommariamente è stato questo il mio modo di procedere all’interno di


questa ricerca, ovvero, osservando la regione da un punto di vista più ampio
e dunque mediterraneo. Procedendo in questa direzione, infatti, ci si accorge

206
dei numerosi aspetti che offrono tutt’oggi la possibilità di ulteriori
approfondimenti. Ad esempio, considerando la regione in quel contesto di
flussi migratori che per motivi disparati caratterizzarono il periodo medievale,
non si può non riflettere sull’importante bagaglio culturale, sociale,
economico che l’arrivo di persone provenienti da ogni dove ha condotto con
sé. Quando questa migrazione interessò i periodi della comparsa sulla scena
dell’Islam, la regione potè assorbire così come altri luoghi l’influenza di
quegli uomini provenienti dalla ḍār al Islām, facendo propri usi, costumi,
modi appartenenti a quello spazio islamico che aveva connesso territori molto
distanti tra loro.

Questa nuova realtà affacciandosi sul Mediterraneo attecchì anche in


quei luoghi come il Nord Africa, con cui la Calabria godeva sin dai secoli
precedenti di numerose relazioni commerciali, di cui l’archeologia ha dato
ampiamente prova. Ho ritenuto dunque che non fosse possibile che con
l’arrivo dell’Islam, che come è noto, incentivò sempre le relazioni
commerciali con il mondo cristiano, la Calabria fosse scomparsa dal
panorama commerciale. Di tutto questo però non si hanno fonti documentarie
quali ad esempio contratti tra acquirenti o altre informazioni che rendano
esplicito questo rapporto tra la regione e gli altri territori, si hanno però ingenti
fonti archeologiche il cui ritrovamento interessa tutto il territorio.
Probabilmente le tracce di queste relazioni sono andate perse in quanto la
Calabria, successivamente, si servì come altre regioni, di intermediari che
mantennero vivi i commerci tra mondo musulmano e mondo cristiano, primi
fra tutti gli Amalfitani. Seguendo dunque le tracce di questi mercanti
privilegiati nel contesto medievale è forse possibile rintracciare nuovamente
il ruolo calabrese ed affermare con certezza che, laddove rintracciassimo
prodotti tipici della tradizione e produzione calabrese, quali ad esempio la
seta grezza, questi possano provenire effettivamente alla regione.

Dunque, inizialmente ho attuato quel principio semplice proprio della


paleografia che suggerisce, allorquando manchi una parola nel testo, di
riflettere su ciò che viene prima e ciò che viene dopo. Per questo motivo per

207
ricostruire la storia dei secoli tra l’VIII e il X, non ho potuto prescindere dal
considerare le vicende della tardo-antichità e del periodo normanno.

Procedendo in questo modo, molti sono gli aspetti che


progressivamente mi hanno suggerito la necessità e la possibilità di ulteriori
approfondimenti. Ho potuto esporre, dunque, delle personali considerazioni
alla luce delle informazioni raccolte e sono giunta alla conclusione che la
Calabria fece parte attivamente della storia che coinvolse il Mediterraneo
islamico e che non rimase rinchiusa in una realtà impermeabile, ma che anzi,
attraverso un rapporto quasi di osmosi con le realtà vicine, potè godere degli
stimoli che portarono ad un arricchimento culturale, sociale, politico ed
economico.

208
Fonti dirette

• M. AMARI, Storia dei Musulmani di Sicilia, I, Firenze, 1854.


• M. AMARI, Diplomi arabi, Firenze, 1872.
• (a cura di) M. AMARI, C. SCHIAPPARELLI, L’Italia descritta nel Libro di Re
Ruggero compilato da Edrisi, in Atti della Reale Accademia dei Lincei, CCLXXIV,
1876-77, VIII, Roma, 1883.
• (a cura di) F. AMBROSOLI, Le storie di Ammiano Marcellino, Milano, 1829.
• (a cura di) Apollinare Agresta, Vita del protopatriarca S. Basilio Magno, Napoli, 1781.
• (a cura di) W. BURSGENS, Cassiodoro, Institutiones divinarum et saecolarium
litterarum, I, XXIX, 2003.
• (a cura di) M. CAMERA, Annali delle Due Sicilie. Dall’origine e fondazione della
monarchia fino a tutto il regno dell’Augusto sovrano Carlo III Borbone, Napoli, 1860.
• (a cura di) A. CARUCCI, Erchemperto, Storia dei Longobardi (sec. IX), Roma, 1995.
• (a cura di) A. CARUCCI, Il Chronicon salernitanum: sec. X, Salerno, 1988.
• C. CENNI, Monumenta dominationis pontificiae sive Codex Carolinus, II, Roma, 1760.
• (a cura di) JOHANNIS CLASSENI, Theophanis, Chronographia, in Corpus
Scriptorum Historiae Byzantinae, II, Weber, Bonnae, 1841.
• (a cura di) G. COZZA-LUZI, La Cronaca siculo-saracena di Cambridge, Palermo,
1890.
• V. D’AMATO, Memorie Historiche dell’illustrissima, famossima e fedelissima città di
Catanzaro, Napoli, 1670.
• (a cura di) V. DE BARTHOLOMAEIS, Storia de’ Normanni di Amato di Montecassino
volgarizzata in antico francese, Tipografia del Senato, Roma, 1935.
• (a cura di) R. DOZY, M. J. DE GOEJE, Edrisi. Description de l’Afrique et de l’Espagne,
Leyde, 1866.
• (a cura di) E. FAGNAN, Ibn al Aṯir, Annales ud Maghreb et de l'Espagne, Alger, 1898.
• C. FLEURY, Storia ecclesiastica, XXIII, Brescia, 1828.
• (a cura di) K. FRIEDRICH, T. MAYHOFF, Naturalis Historia, Pliny the Elder, Lipsiae,
1906, III (40).

209
• (a cura di) G. GIOVANELLI, S. Bartolomeo, Bios kai politeia tou osiou patros emon
Neilou tou neou: codice greco criptense, Grottaferrata, 1972.
• L. GRIMALDI, Studi statistici sull'industria agricola e manifatturiera nella Calabria
Ultra II, Napoli, 1845.
• (a cura di) L. M. HARTMANN BEROLINI, Gregorii I papae Registrum epistolarum,
in Monumenta Germaniae Historica. Epistolae, II, Hannoverae, 1899.
• (a cura di) G. MANDEL KHAN, Il Corano, Torino, 20115.
• G. MALATERRAE, De rebus gestis Rogerii comitis, in (a cura di) L. A. MURATORI,
Raccolta degli storici italiani dal cinquecento al millecinquecento, V, Bologna, 1714.
• (a cura di) T. MOMMSEN, Cassiodoro, Cassiodoris senatoris Variae, III, LII, 8,
Monumenta Germaniae Historica, Hannoverae, 1981
• (a cura di) W. OUSELEY, Ibn Hawqal, The oriental geography of Ebn Haukal an
arabian traveler of the tenth century, London, 1800.
• G. PIZZOLI, Dizionario d'ogni mitologia e antichità incominciato da Giacomo Pizzoli
sulle tracce del dizionario della favola di Fr. Noel, III, Milano, 1822.
• G. C. SARACENI, I fatto d'arme famosi, successi tra tutte le nationi del mondo, da che
prima han cominciato a guerreggiare sino ad hora, II, Venezia, 1571.
• (a cura di) Dar F.l-fikr, Tareek Ibn Khaldoun, Beyrouth-Liban, 2010.
• Ibn Ḫaldūn, Tarīk Ibn Ḫaldūn, International Ideas Home.
• C. E. VAILLANT, Dissertatio historico politica inauguralis de necessitudine iuris
gentium quae Europaeis gentibus intercedit cum septentrionalis Africae orae
civitatibus, Amsterdam,1831.
• (a cura di) G. WAITZ, Einhardi, Vita Caroli Magni, Hannoverae et Lipsiae, 1905.
• (a cura di) G. WAITZ, Erchemperti Historia Langobardorum Beneventanorum, in
Scriptores rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae, 1988.
• (a cura di) G. WAITZ, Annales Bertiniani, in MGH, Hannover, 1883.
• (a cura di) Societas aperiendis fontibus rerum germanicarum medii aevi, in Scriptores
rerum langobardicarum et italicarum saec. VI-IX, Hannoverae, 1988.
• (a cura di) G. WAITZ, B. DE SIMSON, Ottonis et Rahewini gesta Friderici I.
Imperatoris, in Scriptores Rerum Germanicarum in usum scholarum ex Monumentis
Germaniae Historicis recusi, Hannoverae et Lipsiae, 19123.

210
Bibliografia

• (AA.VV), Quaderni del Dipartimento Patrimonio Architettonico Urbanistico. Cultural


heritage, 2008, 35/36, Roma, 2009.
• D. ABULAFIA, Il grande mare. Storia del Mediterraneo, Milano, 20162.
• M. AYMARD, Il Mediterraneo e la Sicilia: un mare dai confini ‘’variabili’’ nel lungo
periodo della storia, in <<Incontri>>, 1, ott.-dic., Paris, 2012.
• A. AGOSTINO, Le grotte-chiese di Brancaleone superiore: ipotesi di percorso
turistico culturale, in <<Heritage and Identity>>, 11, Reggio Calabria, 2015.
• (a cura di) M. G. AISA et alii, Un’area artigianale extra moenia a Crotone tra XIII e
XIV secolo. Il cantiere del teatro comunale, in Fornaci. Tecnologie e produzione della
ceramica in età medievale e moderna. Atti XLII Convegno Internazionale della
Ceramica 2009, Savona, 2009.
• S. ANTONELLI, Produzioni e commerci di ceramiche fini, comuni e da cucina tra
tardoantico e altomedioevo a Durazzo: lo stato degli studi, in (a cura di) C. S.
FIORIELLO, Puglia adriatica, Seminario i Studio (Fasano, 09 maggio 2012),
Modugno, 2012.
• R. ARCURI, Contributo alla storia amministrativa della Calabria tardoantica, in
<<Quaderni di Archeologia>>, I, Pisa-Roma, 2011, pp. 151-171.
• R. ARCURI, La Calabria nella Guerra gotica di Procopio di Cesarea: evoluzione
storica, funzione strategica e ruolo economico del territorio brettio nel VI secolo, in
<<Koinωnia>>, XXXII, 2008, Napoli, 2008, pp. 42-87.
• F. ARDIZZONE, Rapporti commerciali tra la Sicilia occidentale ed il Tirreno
centromeridionale nell’VIII secolo alla luce del rinvenimento di alcuni contenitori da
trasporto, in (a cura di) G. P. BROGIOLO, Società degli archeologi medievisti italiani.
II Congresso nazionale di archeologia medievale, Brescia, 28 settembre-1 ottobre 2000.
• L. ARIFA, Nuove ipotesi a partire dalla rilettura dei dati archeologici: la Sicilia
orientale, in (a cura di) A. NEF, V. PRIGENT, La Sicile de Byzance à l’Islam, Paris,
2010.

211
• S. ARMANDO, Fatimid Ivories in Ifriqiya: The Madrid and Mantua Caskets between
costruction and decoration, in <<Journal of Islamic archaeology>>, 2, 2 (2015), pp.
195-228.
• E. ARSLAN, Ancora sulla circolazione della moneta in rame nella Calabria di X-XII
sec., in Società e insediamento in Italia meridionale nell’età dei Normanni. Actes du
séminaire de Roccelletta di Borgia, 12-13, novembre, 1994, in <<MEFRM>>, 110, 1
(1998), Roma, pp. 359-378.
• P. ARTHUR, Islam and the terra d’Otranto: some archaelogical evidence, in European
Association of Archeologists. Third annual meeting, Ravenna, set. 1997.
• E. ASHTOR, Gli Ebrei nel commercio mediterraneo nell'alto medioevo (secc. X-XI), in
Gli ebrei nell'alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi sull'alto
Medioevo, 26. 30 marzo-5 aprile 1978, Spoleto, 1980.
• D. ASTORI, The founding myth of the Schola Salerni: the importance of contact among
languages and the activity of translation for interreligious and intercultural dialogue
and the development of knowledge. 1st International Conference on Foreign Language
Teaching and Applied Linguistics. May 5-7 2011, Sarajevo, 2011.
• (a cura di) A. AUGENTI, Le città italiane tra la tarda Antichità e l'Alto medioevo.
Ravenna 26-28 febbraio 2004, Firenze, 20132.
• M. BALARD, C. PICARD, La Mediterranée au Moyen Age. Les hommes et la mer,
Parigi, 2014.
• U. BALZANI, Le cronache italiane nel Medioevo, Hildesheim-New York, 1973.
• M. BALLAN, Fraxinetum: An islamic frontier state in tenth century provence, in <<An
journal of Medieval and Renaissance Studies>>, 41, 2010, pp. 23-76.
• M. BARRECA, L’interculturalità nell’area del Mediterraneo: fortificazioni e siti
bizantini in Calabria, in <<Porphyra>>, 2, marzo, 2004, pp. 48-55.
• R. BENHSAIN, J. DEVISSE, Les Amoravides et l’afrique occidentale XIe-XIIe siècle,
in <<Arabica>>, 47, 1 (2000), pp. 1-36.
• L. A. BERTO, I musulmani nelle cronache altomedievali dell'Italia meridionale (secc.
IX-X), in (a cura di) M. MESCHINI, Mediterraneo medievale: cristiani, musulmani ed
eretici tra Europa ed Oltremare (IX-XII secc.), Milano, 2001.
• A. BOTTI, D. L. THURMOND, FERNANDO LA GRECA, Un palmento ben
conservato a Novi Velia ed altri palmenti nel territorio del cilento. Osservazioni ed
ipotesi, in <<Annali Storici di Principato Citra>>, IX, 2, 2011, pp. 5-52.
212
• M. BOTTICINI, Z. ECKSTEIN, I pochi eletti: il ruolo dell'istruzione nella storia degli
ebrei, 70-1492, Milano, 2012.
• P. BRANCA, Pagine di letteratura araba, Milano, 2009.
• G. WARREN BOWERSOCK, Roman Arabia, Londra, 1983.
• F. BURGARELLA, Shabbatay Donnolo nel bios di San Nilo da Rossano, in (a cura di)
G. DE SENSI SESTITO, Gli Ebrei nella Calabria medievale. Studi in memoria di
Cesare Colafemmina, Soveria Mannelli, 2014.
• C. CAHEN, Points de vue sur la «Révolution 'abbâside », in <<Revue Historique>>, t.
230, 2 (1963), pp. 295-338.
• V. CABIALE, Manufatti auto-portanti in gesso: alcuni esempi medievali, in I solai di
gesso. Giochi artistici d'ombre dal Monferrato, Roma-Bagnasco di Montafia (AT),
2011.
• B. CAPPELLI, Il monachesimo basiliano ai confini calabro-lucani, Napoli, 1963.
• B. CARROCCIO, Oltre lo Stretto: presenze monetali reggine in alcuni tesoretti
ellenistici siciliani, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO, La Calabria nel
Mediterraneo. Flussi di persone, idee e risorse, Soveria Mannelli, 2013.
• D. CASTRIZIO, Circolazione monetaria nella Calabria Tirrenica bizantina, in (a cura
di) G. DE SENSI SESTITO, La Calabria tirrenica nell'antichità. Nuovi documenti e
problematiche storiche; atti del convegno Rende 23-25 novembre 2000, Soveria
Mannelli, 2008.
• G. CAVALLO, I bizantini in Italia, Milano, 19862.
• S. CECCHERINI, La monetazione di Reggio magnogreca dal IV sec. a.C. alla chiusura
della zecca, Roma, 2014.
• E. CERULLI, L’Islam nella storia dell’Alto medioevo, in L’Occidente e l’Islam
nell’Alto Medioevo 2-8 aprile 1964, II Settimane di studio del Centro Italano di studi
sull’Alto medioevo XII, Spoleto, 1965.

213
• E. CIRELLI, Anfore globulari a Classe nell’Alto Medioevo. V Congresso di
Archeologia Medievale. Foggia-Manfredonia. Palazzo della Dogana, Salone del
Tribunale (Foggia), Palazzo dei Celestini, Auditorium (Manfredonia), 30 settembre-3
ottobre 2009, I, Firenze.
• E. CHRYSOS, L'impero bizantino 565-1025, Milano, 2002.
• N. CILENTO, Italia meridionale longobarda, Milano-Napoli, 1966.
• A. CILENTO, Presenze etniche nella Calabria medievale: testimonianze di fonti
agiografiche, in <<Rivista Storica Calabrese>>, XVI, 1995, pp. 91-117.
• A. O. CITARELLA, Merchants, markets and merchandise in southern Italy in the high
middle ages, in Mercati e mercanti nell'alto medioevo: l'area euroasiatica e l'area
mediterranea: 22-29 aprile 1992, Spoleto, 1993.
• A. O CITARELLA, Il commercio di Amalfi nell’Alto Medioevo, Salerno, 1977.
• C. COLAFEMMINA, Insediamenti e condizione degli Ebrei nell'Italia meridionale e
insulare, in Gli Ebrei nell'Alto Medioevo, 30 marzo-5 aprile 1978, I, Spoleto, 1980.
• C. COLAFEMMINA, From Late Antiquity to the Tenth Century, in The Jews in
Calabria, Leiden-Boston, 2012.
• A. COSCARELLA, Strutture rupestri in Calabria, in (a cura di) A. JACOB, J.
MARTIN, G. NOYé, Histoire et culture dans l'Italie byzantine, Roma, 2006.
• S. COSENTINO, Storia dell'Italia bizantina (6-11 secolo): da Giustiniano ai
Normanni, Bologna, 2008.
• L. COSTAMAGNA, La Sinagoga di Bova marina nel quadro degli insediamenti
tardoantichi della costa ionica meridionale della Calabria, in <<Melanges de l'Ecole
française de Rome>>, 103, 2 (1991), pp. 611-630.
• D. COULON, D. VALéRIAN, Espaces et Rèseaux en Mediterranée VI-XVI siecle, I,
Paris, 2007.
• P. CRONE, Meccan trade and the rise of Islam, Oxford, 1987.
• E. CUOZZO, Cosenza medievale. Una città riprogettata negli anni di Federico II di
Svevia, in (a cura di) A. L. TROMBETTI BUDRIESI, Cultura cittadina e
documentazione. Formazione e circolazione di modelli, Bologna, 12-13 ottobre 2006,
Bologna, 2009.
• F. CUTERI, Da Vibo Valentia a Nicotera. La ceramica tardo romana nella Calabria
tirrenica, in LRCW 4, I, Oxford, 2014.

214
• F. A. CUTERI, L’insediamento tra VIII e XI secolo. Strutture, oggetti, culture, in (a
cura di) R. SPADEA, Il castello di Santa Severina. Ricerche archeologiche, Soveria
Mannelli, 1998.
• F. CUTERI, Ebrei e Samaritani a Vibo Valentia in età tardoantica: le testimonianze
archeologiche, in <<Sefer Yuḥasin>>, XXIV-XXV, 2008-2009, Napoli.
• M. D'ANDREA, Vibo Valentia. Via S. Aloe, Via S. Aloi o Via Sebastiano Aloe? Note di
toponomastica moderna, topografia antica, archeologica, in <<Rogerius, bollettino
dell'Istituto della biblioteca calabrese: periodico di cultura e bibliografia>>, VIII, 1
(2005).
• P. DALENA, La cultura medievale in Calabria, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO,
La Calabria tirrenica nell'antichità. Nuovi documenti e problematiche storiche; atti del
convegno Rende 23-25 novembre 2000, Soveria Mannelli, 2008.
• P. DALENA, Viabilità e porti della Calabria tirrenica tra tardo-antico e medioevo, in
<<Itineraria. Territorio e insediamenti del Mezziogiorno medievale>>, XIII, Bari,
2012.
• P. D’AMORE, Zoroastriani, Nestoariani, Manichei e Musulmani. Credi in cammino
lungo le Vie della Seta, in Dall’antica alla nuova Via della Seta. From the Ancient to
the New Silk Road, Museo d’Arte Orientale 31 marzo-2 luglio 2017, Torino.
• N. DANIEL, Gli arabi e l’Europa nel Medio Evo, Bologna, 20072.
• P. DE LEO, San Bruno di Colonia: un eremita tra Oriente e Occidente, Soveria
Mannelli, 2004.
• M. DI BRANCO, Breve storia di Bisanzio, Carocci, Roma, 2016.
• M. DI BRANCO, K. WOLF, Berbers and Arabs in the Maghreb and Europe, medieval
era, in The encyclopedia of Global Human Migration, 4 feb. 2013.
• M. DI BRANCO, G. MATULLO, K. WOLF, Nuove ricerche sull'insediameno islamico
presso il Garigliano (883-915), in <<Lazio e Sabina>>, 10, 2017, pp. 273-280.
• G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, Anfore, ceramica d’uso comune e ceramica rivestita
tra VI e XIV secolo in Calabria: prima classificazione e osservazioni sulla distribuzione
e la circolazione dei manufatti, in La céramique médievale en Méditerranee. Actes du
VI congres de l’AIECM2, Aix-en-Provence 13-18 novembre 1995, Aix-en Provence,
1997.

215
• DI GANGI, C. M. LEBOLE, Innovazioni progettuali normanne e tradizioni bizantine
nella Calabria medievale: i dati archeologici, in <<Medioevo Greco. Rivista di storia
e filologia bizantina>>, 9, 2009, pp. 85-106.
• A. DI MURO, Silva densissima la percezione del Bosco nel Mezzogiorno medievale
(secc. VI-XIII), in <<Nuova Rivista Storica>>, I, Roma, 2014, pp. 953-991.
• F. DONNER, The background to Islam, in (a cura di) M. MAAS, Age of Justinian,
Cambridge, 2005.
• F. DONNER, The Role of Nomads in Near East in Late Antiquity (400-800 C.E.), in (a
cura di) F. M. CLOVER, R. S. HUMPHREYS, Tradition and Innovation in Late
Antiquity, Londra, 1989.
• A. DUCELLIER, F. MICHEAU, L'Islam nel Medioevo, Bologna, 2004.
• P. EBNER, Economia e società nel Cilento medievale, I, Roma, 1979.
• F. GABRIELI, L'Islam nella storia, Bari, 1966.
• P. GALETTI, Uomini e case nel Medioevo tra Occidente e Oriente, Laterza, 2001.
• S. D. GOITEIN, A mediterranean society. The jewish communities of the arab world as
portrayed in the documents of the Cairo geniza, I, Berkeley, 1967.
• S. D. GOITEIN, The unity of the Mediterranean world in the ‘’Middle’’ Middle Ages,
in <<Studia Islamica>>, XII, 1960.
• (a cura di) A. GUILLOU, F. BURGARELLA, L'ambiente: geografia e habitat, in
L'Italia bizantina dall'esarcato di Ravenna al tema di Sicilia, Torino, 1988.
• A. GUILLOU, Roberto il Guiscardo sfruttatore del Catepanato bizantino d'Italia, in
Roberto il Guiscardo e il suo tempo, Roma, 19752.
• F. GRELLE, G. VOLPE, Aspetti della geografia amministrativa ed economica della
Calabria in età tardoantica, in (a cura di) M. PANI, Epigrafia e territorio. Politica e
società. Temi di antichità romane IV, Bari, 1996.
• G. GUZZETTA, La circolazione monetaria nella Calabria medievale, in Sistema
feudale nella Calabria medievale, Cosenza 9-11 dicembre 2004, Castrovillari, 2009.
• V. VON FALKENHAUSEN, Gli ebrei nell'Italia meridionale bizantina (VI-XI secolo)
in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO, Gli Ebrei nella Calabria medievale. Atti della
Giornata di studio in memoria di Cesare Colafemmina (Rende, 21 maggio 2013),
Soveria Mannelli, 2014.

216
• L. FAVALI, Qirad islamico commenda medievale e strategie culturali dell’Occidente,
Torino, 2004.
• (a cura di) M. FERRARI, F. LEDDA, Formare alla professione. La cultura militare tra
passato e presente, Milano, 2010.
• (a cura di) G. FILORAMO, Ebraismo, Roma-Bari, 2007.
• G. FIORE, Della Calabria illustrata, III, Soveria Mannelli, 2001.
• P. FOIS, Peut-on dégager une stratégie militaire islamique propre aux iles de la
Mediterranee aux VII-VIII siécles?, in Le processus d’islamisation en Sicile et en
Méditerranée centrale (Actes du colloque, Palermo 8-10 novembre 2012), 2012, pp. 86-
100.
• P. FOIS, Il ruolo della Sardegna nella conquista islamica dell'Occidente (VIII secolo),
in <<Rime>>, 7, 2001, pp. 5-26.
• P. FOIS, I Musulmani nel Mediterraneo nel IX secolo: un freno per lo sviluppo
economico ?, in Interscambi socioculturali ed economici gra le città marinare d’Italia
e l’Occidente dagli osservatori mediterranei. Atti del convegno, Amalfi 15-16 maggio
2011, Amalfi, 2011.
• E. FOLLIERI, La vita inedita di S. Fantino il giovane nel codice Mosquensis 478, in
Atti del IV congresso storico calabrese, Napoli, 1969.
• (a cura di) R. FRANCOVICH, M. VALENTI, IV Congresso nazionale di Archeologia
medievale, Società degli Archeologi medievisti italiani, Scriptorium dell'Abbazia di San
Galgano (Chiusdino- Siena) 26-30 settembre 2006.
• S. FREDERICK STARR, L’Illuminismo perduto. L’età dell’oro dell’Asia centrale
dalla conquista araba a Tamerlano, Torino, 2017.
• D. JAMES, Early Islamic Spain: The History of Ibn al-Qūtīya, Routledge, 2009.
• F. D’ANGELO, La ceramica islamica in Sicilia, in <<Mélanges de l’Ecole française
de Rome. Moyen-Age>>, 116, I (2004), pp. 129-143.
• G. DI GANGI, Alcuni frammenti in stucco di età normanna provenienti dagli scavi
medievali di Gerace, in <<Arte medievale>>, II, anno IX, 1, 1995.
• G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, DI GANGI, Dal tardoantico al Bassomedioevo:
inquadramento storico, dati di scavo e materiali del sito urbano di Tropea, in Atti della
Prima conferenza italiana di Archeologia medievale, Cassino 14-16 dicembre 1995,
Herder-Roma, 1998.

217
• G. DI GANGI, C. M. LEBOLE, La Calabria bizantina (VI-XIV sec.): un evento di lunga
durata, in (a cura di) J. M. MARTIN, L’Italie byzantine, Paris, 2006.
• L. GARDET, Gli uomini dell’Islam, Milano, 2002.
• J. GARCIN, Ibn Hawqal, l’Orient et le Maghreb, in <<Reveu de l’Occident musulman
et de la Mediterranée>>, 1983, XXXV, 1 (1983).
• G.GAY, L'Italia meridionale e l'Impero bizantino. Dall'avvento di Basilio I alla resa di
Bari ai Normanni (867-1071), Bologna, 20012.
• •B. GOTTESMAN, The Radhanite Merchants, in ABC-CLIO Encyclopedia submission,
2011.
• (a cura di) A. GUILLOU et alii, Il Mezzogiorno dai Bizantini a Federico II, Torino,
1983.
• (a cura di) M. GUIDETTI, Storia del Mediterraneo nell'Antichità IX-I sec. a.C., Milano,
2014.
• M. GUIDETTI, Vivere tra i barbari, vivere con i Romani: Germani e Arabi nella società
tardo-antica. IV-VI secolo, Milano, 2007.
• A. GUILLOU, Greci d'Italia Meridionale e di Sicilia nel Medioevo: i monaci, in Aspetti
della civiltà bizantina in Italia, Bari, 1976.
• A. GUILLOU, La seta del catepanato di Italia, in (a cura di) G. CAVALLO, I bizantini
in Italia, Milano, 19862.
• A. GUILLOU, Note sur la culture arabe et la culture slave dans le Katepanat d'Italie
(X-XI sec.), in <<Melanges de l'Ecole francaise de Rome. Moyen-Age, Temps
modernes>>, 88, 2 (1976), pp. 677-692.
• A. GUILLOU, Calabria bizantina, Aspetti sociali ed economici. Atti del terzo incontro
di Studi bizantini, Reggio Calabria, 1978.
• T. GRULL, Expositio totius mundi et gentium. A peculiar work on the commerce of
Roman Empire from the mid-fourth century- compiled by a Syrian textile dealer?, in (a
cura di) Z. CSABAI, Studies in Economic and Social History of the Ancient Near East
in Memory of Péter Vargyas, Hungary, 2014.
• G. GUZZETTO, La circolazione monetaria nella Calabria medievale, in Il sistema
feudale della Calabria medievale. Atti del X congresso storico calabrese. Cosenza 9-11
dicembre 2004, Cosenza, 2009.

218
• M. HASSEN, L'espace maritime ifriqiyen à l'époque fatimide, in Alifba. Studi e ricerche
sul mondo arabo-islamico e Mediterraneo, Atti del Convegno. I Fatimidi e il
Mediterraneo. Il sistema di relazioni nel mondo dell'Islam e nell'area del Mediterraneo
nel periodo della da'wa fatimide (sec. X-XI): istituzioni, società, cultura, Palermo 3-6
dicembre 2008, XXII, 2008.
• A. HOTI, Archeological and historical data for Dyrrachionin during the transition from
late antiquity to the middle ages, in <<Interdisplinary Journal of Researc and
Development>>, I, 1 (2014).
• R. HOYLAND, Arab kings, Arab tribes, Arabic texts and the beginnings of (Muslim)
Arab Historical Memory in Latte Roman Inscriptions, in (a cura di) H. COTTON, R.
HOYLAND, J. PRICE, D. WASSERSTEIN, From Hellenism to Islam: Cultural and
Linguistic change in the Roman Near East, Cambridge, 2009.
• A. HOURANI, Storia dei popoli arabi. Da Maometto ai giorni nostri, Milano, 1992.
• D. JACOBY, Silk economics and cross cultural artistic interaction: Byzantium, the
muslim world and the Christian west, in <<Dumbarton Oaks Papers>>, LVIII, 2004,
Dumbarton Oaks, 2004, pp. 197-240.
• D. JACOBY, Amalfi nell’XI secolo: commercio e navigazione nei documenti della
Ghenizà del Cairo, in Rassegna del Centro di Cultura e Storia Amalfitana, XVIII, dic.
(2008), Amalfi, 2008.
• D. JACOBY, Commercio e navigazione degli Amalfitani nel Mediterraneo orientale:
sviluppo e declino, in (a cura di) B. FIGLIUOLO, P. F. SIMBULA, Interscambi socio-
culturali ed economici fra le città marinare d’Italia e l’Occidente dagli osservatori
mediterranei. Atti del Convegno Internazionale di Studi in memoria di Ezio Falcone
(1938-2011), Amalfi, 14-16 maggio 2011, Amalfi, 2014.
• T. LEWICRT, Le commercants Juifs, in Gli ebrei nell’alto Medioevo: settimane di
studio del Centro italiano di studi sull’alto Medioevo, XXVI, 30 marzo- 5 aprile 1978,
I, Spoleto, 1980.
• G. LACERENZA, Shabbatay Donnolo. Scienza e cultura ebraica nell'Italia del secolo
X, s.e., Napoli, 2004.
• G. LACERENZA, Ebrei a Cosenza nel XII e XIII secolo, in (a cura di) G. de Sensi
Sestito, Gli ebrei nella Calabria medievale, studi in memoria di Cesare Colafemmina,
Soveria Mannelli, 2014.

219
• G. LACERENZA, L’Arabia preislamica, in (a cura di) G. TRAINA, Storia d’Europa e
del Mediterraneo, VII. Da Diocleziano a Giustiniano, Roma.
• G. LACERENZA, Nabateo e origini della scrittura araba. A proposito di una recente
pubblicazione, in <<SEL>>, 13, 1996, pp. 109-120.
• G. LACERENZA, I precedenti delle leggi razziali nel mondo antico: analogie,
differenze, in Archivio di studi ebraici. I. Atti delle giornate di studio per i settan’anni
delle leggi razziali in Italia, Napoli, 2009, pp. 37-46.
• G. LACERENZA, Il mondo ebraico nella tarda antichità, in (a cura di) G. TRAINA,
Storia d’Europa e del Mediterraneo, VII. Da Diocleziano a Giustiniano, Roma, 2010,
pp. 351-385.
• R. S. LOPEZ, L'importanza del mondo islamico nella vita economica europea, in
L'Occidente e l'Islam nell'alto Medioevo: settimane di studio del Centro italiano di studi
sull'alto Medioevo, 12, 2-8 aprile 1964, Spoleto, 1965.
• F. LOGOZZO, Il trattamento dell’aspirata [X] nei toponimi calabresi di origine greca,
in Linguarum varietas: an international journal, 2, Pisa, 2013.
• G. LOWRY, L’Islam e l’Occidente medioevale: l’Italia meridionale nell’XI e XII
secolo, in Rassegna del centro di cultura e storia amalfitana, III, 6, 1983.
• S. LUCà, Dalle collezioni manoscritte di Spagna: Libri originari o provenienti
dall’Italia greca Medievale, in <<Rivista di studi bizantini e neoellenici>>, 44 (2007),
pp. 38-96.
• L. LUZZATO, R. POMPAS, I colori del vestire: variazioni, ritorni, pestilenze, Milano,
1997, pp. 10/ 358.
• K. MALLETTE, European Modernity and Arab Mediterranean: Toward a new
philology and a counter-orientalism, Pennsylvania, 2010.
• D. MANACORDA, Produzione agricola, produzione ceramica e proprietà della terra
nella Calabrìa romana tra Repubblica e Impero, in Epigrafia della produzione e della
distribuzione. Actes de la VIIe recontre franco-italienne sur l’épighraphie du monde
romaine (Rome, 5-6- juin 1992), 193, 1, 1994, Roma.
• G. MANDALà, Figlia d’al-Andalus! Due ğazīra a confronto, Sicilia e al-Andalus, nelle
fonti arabo-islamiche nel Medioevo, in <<Le forme e la Storia>>, 2, Soveria Mannelli,
2012.

220
• F. MARAZZI, Les Arabes et la Campanie au IX siecle: strategie politiques et militaires,
in ( a cura di) C. RICHARTé, R. GAYERAUD, J. POISSON, Héritages arabo-
islamiques dans l'Europe méditerranéenne, Paris, 2015.
• C. MARCIARACINA, La ceramica invetriata nella Sicilia islamica e normanna (X-
XII secolo), La ceramica invetriata nella Sicilia islamica e normanna (X-XII secolo), in
(a cura di) F. BERTI, M. CAROSCIO, La luce del Mondo. Maioliche mediterranee
nelle terre dell’Imperatore (16 febbraio-5 maggio 2013). Catalogo della mostra
organizzata dal Museo della ceramica di Montelupo (Firenze).
• F. MARTORANO, Santo Niceto nella Calabria medievale, Roma, 2002.
• L. DE MATTEO, Il Mediterraneo da confine a lago. La ‘’percezione’’ del mare e i
pericoli della navigazione dalle carte nautiche medievali al global positioning system,
in <<Newsletter di Archeologia CISA>>, VI, 2015, Centro Interdipartimentale di
Servizi di Archeologia. Università degli Studi L'Orientale, Napoli, 2015.
• S. MAZZARINO, L'Impero romano, II, Bari-Roma, 2010.
• R. MCKITTERICK, Charlemagne: The Formation of European Identity, Cambridge,
2008.
• A. METCALFE, Muslims and Christians in Norman Sicily. Arabic speakers and the
end of Islam, Londra, 2003.
• A. METCALFE, The Muslims of Medieval Italy, Edinburgh, 2009.
• M. MILELLA, Ceramica e vie di comunicazione nell’Italia bizantina, in <<Mélanges
de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age>>, 101, 1989, pp. 533-557.
• A. MOMIGLIANO, Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico,
II, Roma, 1980.
• U. MONNERET DE VILLARD, Le transenne di S. Aspreno e le stoffe alessandrine, in
<<Aegyptus>>, 4, may 1, 1923.
• W. MONTGOMERY WATT, Muhammad at Mecca, Oxford, 1953.
• E. MORINI, Il fuoco dell'esichia. Il monachesimo greco in Calabria fra tensione
eremitica e massimalismo cenobitico, in (a cura di) P. DE LEO, San Bruno di Colonia:
un eremita tra Oriente e Occidente, Soveria Mannelli, 2002.
• E. MORINI, Monachesimo greco in Calabria. Aspetti organizzativi e linee di
spiritualità, Bologna, 1999.

221
• C. MORRISSON, V. PRIGENT, La monetazione in Sicilia nell’età bizantina, in (a cura
di) L. TRAVAINI, Le zecche italiane fino all’Unità, Roma, 2001.
• G. MUSCA, Carlo Magno e Hārūn al Rashīd, Bari, 1996.
• G. MUSCA, L'emirato di Bari, 847-871, Bari, 1967.
• A. NEF, Les armées arabo-musulmanes en Sicile et en Italie du Sud (IX-X siécles), in
(a cura di) D. BARTHéLEMY, J.C. CHEYNET, Guerre et société au Moyen Age.
Byzance-Occident (VIII-XIII siecle), Paris, 2010.
• G. NOYé, I centri del Bruzio dal IV al VI secolo, in L’Italia meridionale nell’età tardo-
antica (Atti del XXXVIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Taranto 2-4 ottobre
1998), Taranto, 2000.
• G. NOYé, La Calabre entre Byzantins, Sarrasins et Normands, in (a cura di) E.
CUOZZO, J.M. MARTIN, Cavalieri alla conquista del Sud, Roma-Bari, 1998.
• G. NOYé, La Calabre entre Byzantins, Sarrasins et Normands, in (a cura di) A. JACOB,
J. M. MARTIN, G. NOYé, Histoire et culture dans l’Italie byzantine, Roma, 2006.
• G. OCCHIATO, Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e
Francia in età romantica: l’abbazia normanna di Sant’Eufemia, in <<Mélanges de
l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps moderne>>, 93, 2 (1981), pp. 565-603.
• P. ORSI, Placche in gesso decorate di arte arabo-normanna da Santa Maria di Terreti
presso Reggio Calabria, in <<Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica
Istruzione>>, Roma, 1922.
• L. PARETI, Storia della regione lucano-bruzzia nell'antichità, Roma, 1997.
• G. PENCO, Storia del monachesimo in Italia. Dalle origini alla fine del medioevo,
Milano, 1985.
• C. PICARD, Il mare dei califfi. Storia del Mediterraneo musulmano (secoli VII-XII),
Roma, 2017.
• C. PILOCANE, Frammenti dei più antichi manoscritti biblici italiani (secc. XI-XII),
Firenze, 2005.
• A. PIRAS, Teofilo, Naṣr e i Khurramiyya. Irredentismi politico-messianici nel IX
secolo, tra Iran, Islam e Bisanzio, in <<Porphyra>>, 25, XIII, dicembre 2016, pp. 52-
67.
• A. PLACANICA, Storia della Calabria dall'antichità ai giorni nostri, Catanzaro, 1993.
• A. DE PRéMARE, Alle origini del Corano, Roma, 2014.

222
• C. RAIMONDO, Aspetti di economia e società nella Calabria bizantina. Le produzioni
ceramiche del medio ionio calabrese, in (a cura di) A. JACOB, J.M. MARTIN, G.
NOYé, Histoire et culture dans l'Italie byzantine, Roma, 2006.
• C. RAIMONDO, Un deposito di granate dal castrum bizantino di Santa Maria del
Mare, in <<Melanges de l'Ecole francaise de Rome>>, CXII, 1(2000), pp. 305-310.
• M. RE, Il Typikon del S. Salvatore de lingua phari come fonte per la storia della
biblioteca del monastero, in <<Byzantino-Sicula III>>, 14, Palermo, 2000, pp. 443-450.
• C. RENZI RIZZO, I rapporti diplomatici fra il re Ugo di Provenza e il califfo ‘Abd ar-
Raman III: fonti cristiane e fonti arabe a confronto, in <<Reti Medievali Rivista>>, III,
2002/2, luglio-dicembre, Firenze, 2002.
• P. REYNOLDS, From Vandal Africa to Arab Ifriqīya: tracing cercamic and economic
trends through the 5th to the 11th centuries’, in S. STEVENS, J. CONANT, North
Africa under Byzantium and Islam, Dumbarton Oaks Byzantine Symposia and
Colloquia, Cambridge MA, (2016).
• C. LA ROCCA, Cassiodoro, Teodato e il restauro degli elefanti di bronzo della Via
Sacra, in <<Reti medievali>>, XI, 2 (2010), Firenze, 2010.
• G. ROMA, Paesaggi della Calabria tardoantica e medievale: fonti scritte e
archeologiche, in ˂˂Insulae Diomedeae>>, IV, 2005, Bari, 2005.
• G. ROMA, Sulle tracce del limes longobardo in Calabria, in <<Mélanges de l'Ecole
francaise de Rome. Moyen-Age>>, 1998, pp. 7-27.
• G. ROMA, Nefandissimi Langobardi: mutamenti politici e frontiera altomedievale tra
Ducato di Benevento e Ducato di Calabria, in (a cura di) G. ROMA, I Longobardi del
sud, Roma, 2010.
• G. ROMA, Paesaggi della Calabria tardoantica e medievale: fonti scritte e
archeologiche, in (a cura di) G. VOLPE, M. TURCHIANO, Paesaggi e insediamenti in
Italia meridionale. Atti del primo seminario sul Tardoantico e l’Altomedioevo in Italia
meridionale (Foggia 12-14 febbraio 2004), Bari, 2006.
• F. RUSSO, Tradizione calligrafica calabro-greca, in Deputazione di Storia Patria per
la Calabria. Atti del IV congresso calabrese, Napoli, 1969.
• F. SADIQI, The mith of Berber female warrior: a source of Symbolic empowerment, in
Maroccan feminist discourses, New York, 2014.
• E. SALVATORI, Il corsaro pisano Trapelicino: un’avventura mediterranea del XII
secolo, in <<Bollettino Storico Pisano>>, LXXVI, 2007.
223
• B. SANGINETO, Per la ricostruzione del paesaggio agrario delle Calabrie romane, in
(a cura di) S. SETTIS, Storia della Calabria antica. Età italica e romana, Roma, 1994.
• B. SANGINETO, Trasformazioni o crisi nei Bruttii fra il II a. C. e il VII d. C., (a cura
di) E. LO CASCIO, A. STORCHI MARINO, Modalità insediative e strutture agrarie
nell'Italia meridionale in età romana, Bari, 2001.
• A. SANGINETO, Produzioni e commerci nelle Calabrie tardo romani, in <<Melanges
de l'Ecole francaise de Rome. Moyen-Age>>, 103, 2 (1991), pp. 749-757.
• C. SAVASTA, Sulle rotte del Mediterraneo. Infrastrutture e vie di comunicazione nel
Mare Nostrum dall’antichità ad oggi, in <<Trasporti: Diritto economia politica>>, 110,
2010, pp. 9-15.
• G. SCHMIEDT, I porti italiani nell'Alto Medioevo, in La navigazione mediterranea
nell'alto medioevo, 14-20 aprile 1977, Spoleto, 1978.
• M. SCHIPA, La migrazione del nome ''Calabria'', in <<Archivio storico per le province
Napoletane>>, XX, Napoli, 1895.
• C. SINOPOLI, S. PAGANO, A. FRANGIPANE, La Calabria: storia, geografia, arte,
Soveria Mannelli, 2004.
• E. SORIGA, La geografia dei tessuti. Toponomastica e industria tessile antica, in (a
cura di) A. MANCO, Toponomastica e linguistica: nella storia, nella teoria, in
<<Quaderni di Aiωn>>, 1, 2013, Napoli, 2013.
• G. STRANO, Alcune notazioni sulla presenza armena, in (a cura di) G. DE SENSI
SESTITO, La Calabria nel Mediterraneo. Flussi di persone, idee e risorse, Soveria
Mannelli, 2014.
• M. TALBI, L'émirat Aghlabide (184-296/800-909) Histoire politique, Paris, 1966.
• M. TANGHERONI, Commercio e navigazione nel Medioevo, Roma-Bari, 1996.
• C. TONGHINI, Gli Arabi ad Amantea, in <<Annali>>, 57, Istituto Universitario
Orientale, Napoli, 1977.
• C. TORRE, Gli Slavi nella Calabria bizantina, in (a cura di) G. DE SENSI SESTITO,
La Calabria nel Mediterraneo. Flussi di persone, idee e risorse, Soveria Mannelli,
2014.
• T. KOçAK, The struggle between the Caliphate and Byzantium for the city of Amorium,
in <<Porphyra>>, 25, XIII, dicembre 2016.

224
• S. TRAMONTANA, I Normanni in Calabria: la conquista, l’insediamento, gli strappi
e le oblique intese, in (a cura di) F. A. CUTERI, I Normanni in finibus Calabriae,
Soveria Mannelli, 2003.
• L. TRAVAINI, The Normans between Byzantium and the Islamic World, in
<<Dumbarton Oaks Papers>>, LV, Dumbarton Oaks, 2001.
• L. TRAVAINI, La monetazione della Sicilia in epoca islamica, in <<Mélanges de
l’Ecole française de Rome. Moyen-Age>>, 116, 1 (2004).
• L. TRAVAINI, C. WEISS, Legende arabe sulle monete normanne: perché, dove,
quando, in G. COLLUCCI, La monetazione pugliese dall’età classica al medioevo (1):
La monetazione della Daunia. Le monete Normanne dell’Italia Meridionale, Bari, 2009.
• D. VALéRIAN, Le recours à l’écrit dans les pratiques marchandes en context
interculturel: les contrats de commerce entre chrétiens et musulmans en Méditerranée,
in L’autorité de l’ecrit au Moyen Age (Orient-Occident), XXXIX Congres de la
SHMESP (Le Caire, 30 avril-5 mai 2008), Paris, 2008.
• D. VALéRIAN, Amalfi e il mondo musulmano: un laboratorio per le città marinare
italian?, in <<Rassegna del centro di cultura e storia amalfitana>>, XX, gennaio-
dicembre 2010.
• A. VANOLI, La Sicilia musulmana, Bologna, 20122.
• (a cura di) A. VANOLI, I cammini dell'Occidente. Il Mediterraneo tra i secoli IX e X.
Ibn Khurdâdhbah, al-Muqaddasī, Ibn Hawqal, in Medioevo europeo 2, CLEUP,
Padova, 2001.
• A. VANOLI, Musulmani in un’isola cristiana. Brevi cenni di una lunga storia, in
<<Edad Media. Revista de Historia>>, 17, 2016.
• A. A. VASILIEV, Byzance et les Arabes, I, Bruxelles, 1935.
• G. VERCELLIN, Islam. Fede, legge e società, Firenze, 2003.
• G. VERCELLIN, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, 2002.
• C. VERLINDEN, L’Esclavage dans l’Europe médiévale, II, Gent, 1977.
• A. VIUOLO, Agiografia d’autore in area beneventana. Le <<vitae>> di Giovanni da
Spoleto, Leone IX e Giovanni Crisostomo (secc. XI-XII), in <<Quaderni di
Hagiographica>>, 8, SISMEL, Firenze, 2010.
• V. VON FALKENHAUSEN, Reggio bizantina e normanna, in Calabria bizantina.
Testimonianze d’arte e strutture di territori, Soveria Mannelli, 1991.

225
• D. UZONOV, Magna Sila: la tecnologia GIS nello studio e ricostruzione del paesaggio
archeologico, in <<Archeologia e Calcolatori>>, XXIV, Firenze, 2013, pp. 119-138.
• E. ZANINI, Le città dell'Italia bizantina: qualche appunto per un'agenda della ricerca,
in <<Reti Medievali>>, XI, 2, Firenze, 2010, pp. 1-22.
• F. ZAGARI, La cultura materiale del monachesimo italo-greco medievale: lo stato
degli studi, in <<Journal of medieval studies. Spolia>>, 1 settembre, 2016.
• E. ZINZI, Dati sull’insediamento in Calabria dalla conquista al regnum. Da fonti
normanne ed arabe, in <<Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age>>, 110,
1 (1998) Roma, 1998, pp. 278-298.
• E. ZINZI, Le fortificazioni collinari sovrastanti Reggio. Notizie e una proposta di
lavoro, in <<Mélanges de l’ecole française de Rome. Moyen-Age>>, 103, 2 (1991),
Roma, 1991, pp. 737-747.
• C. WHICKHAM, L’eredità di Roma. Storia d’Europa dal 400 al 1000 d.C., Roma-Bari,
2016.
• J. WHITEWRIGHT, Early islamic maritime technology, in (a cura di) R. MATTHEWS,
J. CURTIS, Proceedings of the 7th International Congress on the Archaeology of the
Ancient Near East. Volume 2. Ancient & Modern issues in Cultural Heritage Colour &
Light in Architecture, Art & Material Culture Islamic Archaeology, 12 april-16 april
2010, London.
• J. WHITEWRIGHT, Martitime technological change in the Ancient Mediterranean: the
invention of the lateen sail. Volumen Two, 2008, (diss.).
• P. WEBB, Al-jahiliyya: uncertain times of uncertain meanings, in <<Der Islam>>, 91
(1), Londra, 2014.

226
‘’ A chi conoscendomi mi ha dato fiducia,
a chi, non conoscendomi, me ne ha data molta di più.’’

Alle ragazze del Ramada.

227

Potrebbero piacerti anche