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CORSO HATHA YOGA 1° SEMINARIO

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RICONOSCIMENTO DIPLOMA
RICONOSCIMENTO NAZIONALE
ACCADEMIA ITALIANA FITNESS è la scuola nazionale dell’ MSP ITALIA (Movimento Sportivo Popolare) e
dell’ASI (Associazioni Sportive Italiane ), enti nazionale di promozione sportiva riconosciute dal CONI e dal
Ministero dell’Interno e dalla Scuola dello Sport del CONI (SNAQ), che rilasciano il Diploma e il Tesserino
Tecnico Nazionale validi su tutto il Territorio Nazionale.

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PROTOCOLLO FORMATIVO – SNaQ /CONI
Secondo l’articolo 8 della Legge Tutela della salute dei praticanti:

Sono considerati istruttori specifici di disciplina quelli in possesso di apposita corrispondente abilitazione,
rilasciata dagli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI (nel nostro caso l’MSP ITALIA E ASI). Gli
insegnanti tecnici delle associazioni tecniche sportive specifiche, riconosciuti dalla Regione ai sensi
dell’articolo 9, comma 2, sono equiparati agli istruttori specifici. L’istruttore specifico di disciplina è
responsabile della corretta applicazione dei programmi e delle attività svolte nella struttura sportiva.

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RICONOSCIMENTO DIPLOMA
SNaQ
Lo SNaQ ha una stretta connessione con il Quadro di Riferimento Europeo più accreditato in tema di
qualifiche degli operatori sportivi, noto come “Struttura europea a livelli per la formazione degli
allenatori”. La qualità di questa progettualità è confermata dal fatto che non solo molti paesi europei,
ma anche numerose Federazioni Sportive Internazionali lo stanno utilizzando in toto o come modello
per i propri allenatori (es. Tennis, Rugby, Sport Equestri, Atletica Leggera, Pallamano, Golf). Il Sistema
Nazionale delle Qualifiche dei Tecnici Sportivi intende rappresentare il modello generale di riferimento
per il conseguimento delle qualifiche degli operatori sportivi.

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RICONOSCIMENTO DIPLOMA
SNaQ
Le migliori formazioni di per sé non sono necessariamente quelle più lunghe, ma piuttosto quelle che
forniscono competenze effettivamente corrispondenti ai bisogni delle attività svolte dai soggetti titolari di
qualifica. Ci possono essere formazioni con un monte ore molto elevato, ma prive di adeguata pertinenza
professionale. Lo SNaQ, invece, attribuisce importanza fondamentale soprattutto alla coerenza tra profili
professionali e di attività e il possesso di competenze certificate. Naturalmente si riconosce che, per
acquisire la competenza richiesta, il processo di formazione e/o l’esperienza sul campo debbano avere un
sufficiente spessore e volume (anche in termini di carico di studio), ma questo deve essere sempre
subordinato alla precisa definizione delle competenze richieste. Seguendone il glossario si intende quindi
per competenza: “la capacità dimostrata di utilizzare le conoscenze, le abilità e le attitudini personali,
sociali e/o metodologiche, in situazioni reali di lavoro e nello sviluppo professionale e/o personale”. 6
IMPORTANZA DI DIPLOMI VALIDI SUL TERRITORIO NAZIONALE ED EUROPEO

Completare il percorso formativo, e acquisire un diploma valido sul territorio


nazionale, ancora meglio europeo, è importante anche perché i controlli da parte
delle istituzioni sono sempre più ampi e mirati.

Le multe sono salate e le strutture non vogliono incorrere in sanzioni come da


esempio

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Ecco un esempio delle penali attuate agli istruttori e le palestre che non seguono la nuova normativa CONI

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PARTNERSHIP CON FITNESSWORK
Accademia italiana fitness, scuola leader nel settore istruzione, ha
avviato una collaborazione con FitnessWork, società che si occupa di
inserire lavorativamente tutti gli istruttori di Accademia italiana fitness
nelle palestre, stabilimenti balneari, centri estetici, aziende e
collaborare con i clienti privati di tutta Italia di FitnessWork. La
collaborazione nasce per inserire il nuovo istruttore nelle società più
vicine alla residenza dello stesso, in modo di facilitare una
collaborazione duratura nel tempo.

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I diplomati dell’AIF accedono a

FW ricerca la posizione lavorativa più vicina

Inserimento nel mondo lavorativo Fitness 10


PARTNERSHIP CON YOGA ALLIANCE
Il Percorso Hatha Yoga Internazionale comprende il Corso di Hatha Yoga 1° Livello, Corso
di Hatha Yoga 2° Livello, il 1° Seminario di Hatha Yoga ed il 2° Seminario di Hatha Yoga.
Completando il percorso l’allievo vedrà riconosciuta la sua formazione come YOGA
ALLIANCE 200 ORE (livello 1).

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RICONOSCIMENTO RYT 200 ORE
Le credenziali Yoga Alliance sono riconosciute il tutto il mondo
Le organizzazioni Yoga Alliance sono considerate i maggiori organismi internazionali raggruppanti i
professionisti yoga in tutto il mondo. La forza delle Yoga Alliance (Australia, Canada’, UK, U.S, Italia e associate)
è rappresentata da oltre 90.000 soci.
In Nord America, Sud America, Australia, Asia, e la maggior parte d' Europa, anche se gli insegnanti sono in
possesso di qualifica yoga, devono registrarsi con un' Organizzazione di Yoga riconosciuta per aumentare le
possibilità di trovare un impiego.

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BENEFICI ISCRIZIONE INSEGNANTI YOGA ALLIANCE
- Standard più elevati al mondo
- Certificazione riconosciuta in tutto il mondo incluso negli USA
- Rafforza la visibilità e l’integrità della professione di insegnante yoga a livello nazionale e internazionale
- Pagina Pubblica sul sito Nazionale e Internazionale Su richiesta e a pagamento si puo’ richiedere conversione
titolo RYT/ERYT/MASTER C.S.E.N
- Dimostra che aderisci ad un rigoroso Codice Etico
- Pubblicare eventi sui Social Media Yoga Alliance
- Il titolo RYS (Registered Yoga School) garantisce che il programma di formazione soddisfa gli Standard
Professionali Yoga Alliance®. Al termine del corso i partecipanti ricevono il certificato Yoga Alliance®
International Italia di partecipazione riconosciuto in tutto il mondo.
- Il permesso di utilizzare il famoso acronimo: RYT (Registered Yoga Teacher) o RYS (Registered School) 1 su carta
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intestata, biglietti da visita, brochure, volantini, sito web etc. Yoga 13
PERCORSO HATHA YOGA INTERNAZIONALE

YOGA ALLIANCE RYT 200 ORE

Riconoscimento INTERNAZIONALE 14
CORSO di HATHA YOGA 1° SEMINARIO
INCONTRO 1 e 2
PROTOCOLLO FORMATIVO

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CIVILTA’ DELL’INDO
Noi oggi chiamiamo India uno stato di costituzione democratica, federale, una federazione di 25 stati
governata da un governo centrale, che prende il nome di Bharat o Bharat Yuktarastra (Stati Uniti del Bharat),
stato che è nato dalla dissoluzione dell’impero britannico delle Indie, quando gli europei si sono ritirati da
queste aree a seguito della seconda guerra mondiale. Nel subcontinente indiano si sono venuti a creare così
vari stati (Pakistan, Nepal, Bangladesh, …).
Tutti questi stati, un tempo, facevano parte di una grande area che veniva chiamata generalmente India.
Il termine India deriva da uno dei sui fiumi principali: in sanscrito «fiume» viene detto sindhu, da cui è derivato
il termine indos. Da questo nome la terra bagnata da questo fiume venne chiamata indiké Khora, e da qui si è
arrivati al termine India.
Quella che noi chiamiamo come India è la regione quindi che gli Indiani chiamano come Bharat dal nome di un
capostipite della loro razza.
Le origini della civiltà dell’India risalgono al terzo millennio avanti cristo. Sono stati trovato strati archeologici
risalenti al settimo millennio a.C. ma qui non possiamo ancora parlare di una vera e propria civiltà. 16
CIVILTA’ DELLA VALLE DELL’INDO - DRAVIDI

Le origini dello yoga si trovano nella civiltà della Valle


dell’Indo, una civiltà del bronzo fiorita nella valle del fiume
Indo, in due centri importanti: uno in Panjab e l’altro nel
Sindh, che si chiamavano rispettivamente Harappa e
Mohenjo-daro, l’uno a 600 chilometri di distanza dall’altro.
Molto probabilmente gli abitanti di queste città dell’Indo
(città paragonabili come dimensioni alle città della
Mesopotamia del terzo millennio e a quelle della civiltà
egizia) erano popolazioni di pelle scura, di razza
mediterranea (dravidi).
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CIVILTA’ DELLA VALLE DELL’INDO

Questa civiltà era una era una civiltà pacifica, che amava
le comodità della vita urbana.
Questa civiltà viveva, così, lungo il fiume e traeva la sua
vita dal commercio, dall’agricoltura e da un artigianato
molto fiorente. Era quindi una comunità ricca e pacifica
che aveva dato il via ad un’avanzatissima civiltà urbana,
di grande pregio che però non ha lasciato nulla di scritto.
Le uniche tracce di scrittura sono dei segni, pittogrammi,
simili a geroglifici egiziani, o agli ideogrammi cinesi, che
sono stati tracciati su alcune tavolette che sono state
rinvenute e chiamate sigilli.
Statua raffigurante la Grande Dea 18
CIVILTA’ DELLA VALLE DELL’INDO
Tra questi sigilli ce n’è uno con i segni indecifrati di
questa scrittura e la raffigurazione di una persona
o essere ibrido seduta: ibrido perché non si
comprende se le corna con il volto ferino siano una
maschera o il volto proprio. Questo è stato
identificato dapprima con Shiva, e
successivamente con un demone ucciso da una
dea. E‘ una posizione di tipo meditativo, ed è
rappresentata in posizione yoga.
Questo sigillo della civiltà dell’Indo è
testimonianza, come già in epoca così antica
esistessero e fossero in uso pratiche di yoga.
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Sigillo raffigurante Shiva Pashupati
GLI INDO-ARI
Abbiamo visto come le origine di discipline e
pratiche di yoga siano rintracciabili quindi nella
prima fase della civiltà dell’Indo che precede nel
tempo l’arrivo delle popolazioni indoarie, di razza
nordica, che parlavano lingue indo-europee, le
quali giunsero in India dai passi di nord-ovest e
cominciarono gradualmente ad occupare i territori
del subcontinente (1500 a.C.)
Gli indoari venivano probabilmente da una regione
collocata nel Nord Europa oppure nel Caucaso.

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GLI INDO-ARI
La cultura portata dagli indoari è ancorata soprattutto
all’organizzazione della società. Di qui, con i secoli, è derivato
il sistema castale che ancora oggi caratterizza la società
tradizionale dell’India.
- Brahmano: funzione sacerdotale
- Ksatriya: funzione del governo della società e della giustizia
- Vaisya: funzione produttiva
Questa triplice suddivisione è diventata ben presto
quadruplice: molte persone non rientravano nelle precedenti
tre nobili categorie e fu così introdotto la quarta suddivisione
che comprendeva gli
- Arya che significa nobile
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GLI INDO-ARI
Le popolazioni arrivate in india conoscevano il ferro, avevano i cavalli da guerra: fu una rivoluzione epocale
per l’epoca.
A quel tempo in India, vi era la civiltà del bronzo, era una civiltà pacifica, stanziale, mentre gli Arya erano
nomadi, e la loro maggiore ricchezza derivava dal bestiame, più che dall’agricoltura.
Vi erano quindi già delle popolazioni che già erano nel territorio e che non rientravano nelle categorie citate:
vennero così chiamati sudra. Fu designata così un’altra categoria di persone la cui funzione era quella di
servire la categorie sociali più alte. Questi sudra venivano chiamati anarya (non nobili).
Al di sotto di questi vi erano gli avarna: i non classificabili, quelli che ad oggi sono considerati i reietti, i senza
casta (harijan).

Le caste venivano chiamate Jati che significa nascita: si appartiene ad una casta solo per ereditarietà, non si
può cambiare.
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I VEDA
Gli indoari hanno portato così anche la loro lingua, che si è evoluta attorno al terzo millennio a.C. e si è
chiamata sanscrito.
In questa lingua (in forma arcaica chiamata vedico) venivano redatti i testi sacri, che sono l’insieme dei Veda.
Veda significa scienza, sapienza, sapere, cioè la scienza sacra.
Il Veda è organizzato in raccolte chiamate samhita (mettere insieme). I Veda originali erano tre, a cui si
aggiunse un ultimo, che probabilmente risente del contesto che gli indoari hanno trovato nel subcontinente
indiano.
1) Rig-veda, il Veda delle strofe laudative; comprende 1028 libri divisi in 10 libri.
2) Sama-veda, il Veda dei canti rituali, musicati
3) Yajur-veda, il Veda delle formule sacrificali, dei testi liturgici
4) Atharva-veda, il Veda degli Atharvan, i sacerdoti del fuoco, con funzioni di ‘interpreti di magia’.
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I VEDA
Ciascuna di queste raccolte non contiene solo la parte innologica (mantra), ma anche una parte Brahmana
(manuale per bhahmani, o testi che parlano del Brahman) e una parte chiamata Aranyaka (che erano gli
studi che servivano alle persone che nella loro vita avevano deciso di ritirarsi).

Le Upanishad, invece, sono l’ultimo libro di ciascuna raccolta vedica.


Quindi ogni raccolta era strutturata in tre parti: parte Brahmana, parte Aranyaka e le sue Upanishad.

Il Veda comprende così testi antichissimi, che partono dal 1200 a.C. e arrivano alle Upanishad che vennero
composte probabilmente tra il VII e il VI sec a.C..

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LE DIVINITA’ VEDICHE
Le divinità vediche sono, nella quasi totalità, rappresentazioni di fenomeni naturali che avevano
profondamente impressionato lo spirito del popolo.
Indra
Nel Veda primitivo, Indra è il Dio invocato più frequentemente (250 inni sono dedicati a lui) e che ispira il
maggior numero di leggende; per questo inizieremo da lui, benché sia un dio guerriero (Kshatryas), cioè di
una casta inferiore alle divinità sovrane, Varuna e Mitra, che assumeranno importanza soltanto in epoca
posteriore (dopo che la classe dei brahmani avrà avuto il sopravvento sulla classe dei guerrieri nella società
indiana).
É il dio indiano che assomiglia di più ad un uomo. É l'unico ad avere una nascita (egli esce dal fianco di sua
madre); si ritiene abbia ucciso suo padre al quale ha derubato il soma, la bevanda sacra degli dei. La sua
arma è il vajra (il fulmine) con il quale egli compie le imprese più grandi. Coraggioso, potente, Indra è il dio
dei guerrieri, ma ha i difetti degli uomini: si inebria di soma, è geloso della potenza degli altri e molte sono le
sue scappatelle amorose. 25
LE DIVINITA’ VEDICHE
La sua dimora - quando non parte per qualche spedizione - è situata sul monte Meru, nell'Himalaya (il centro
della Terra, dicono i testi).
Egli ha numerosi soprannomi: Indra il fulminante (Vajri), il Grande Indra (Mahendra), il potente (Sakra),
l'uccisore di Vritra (Vritrahan). Egli è lo sposo di Indrani e il padre di Citragupta; la sua cavalcatura è l'elefante
Airavata.
Indra uccide il drago Vritra, che bloccava le acque della montagna; questa impresa ha reso feconda la terra e,
se si considera l'importanza dei monsoni per la vita agricola indiana, si può capire quanto sia stata esaltata
questa prodezza. In seguito, questa liberazione delle acque adombrerà il nome di Indra, poiché il drago è
presentato come l'incarnazione di un bramino: il dio guerriero porterà dunque il peso del peccato di aver
ucciso un sacerdote.
Indra è anche il liberatore delle vacche prigioniere del demone Vala, il conquistatore dell'Aurora e del Sole;
egli trionfa sui demoni Arbuda, Visvarupa, Namuci, ecc., ed aiuterà più tardi Visnu al momento della
burrificazione del mare di latte. 26
LE DIVINITA’ VEDICHE
Varuna
Varuna è meno onorato di Indra negli inni vedici; eppure questo dio, che non è più un uomo, è il dio sovrano
del pantheon indiano primitivo; le leggende ne fanno, con Mitra, al quale è quasi sempre associato, uno dei
figli della dea Aditi, il cui nome significa «esempio di legami» e che si interpreta spesso come una
rappresentazione concreta dell'infinito (o più esattamente dell'indefinito). Viene spesso raffigurato come un
uomo bianco che cavalca un mostro marino, il makara, e che tiene in mano una corda a nodo scorsoio
(Varuna il Giustiziere); ma i caratteri antropomorfici sono rari e il culto di Varuna è stato considerato da
numerosi storici delle religioni, come un segno precorritore del monoteismo. Varuna è il creatore e il sovrano
(rajià) dell'Universo; egli possiede la maya, cioè la potenza magica di agire su ogni cosa, è Padrone del
Mondo, un asura; è lui che mantiene l'ordine generale delle cose, il rita, è lui che castiga i colpevoli e
ricompensa i buoni, che regola sia il movimento degli astri, sia quello delle acque; i venti sono prodotti dal
suo soffio ed egli spia tutta la creazione con i suoi occhi: le stelle. É infine Varuna, che collegato alla Luna,
serbatoio della soma, controlla questa bevanda divina e regna, con Yama, sull'impero dei morti posto proprio
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sulla Luna.
LE DIVINITA’ VEDICHE
Si è tentato di ravvicinare questo dio creatore, conservatore e giustiziere, al dio supremo delle religioni a
tendenza monoteista; sembra però che non possa essere assimilato al dio dell'antica Persia predicato da
Zoroastro: Ahura-Mazda. Si è voluto anche accostare Varuna ad Urano, il dio greco.

Mitra
Sempre accostato a Varuna, è il dio del Giorno (Varuna con i suoi occhi-stelle regna sul cielo notturno). Nel
Veda è dedicato a lui un solo inno, ma egli non deve essere considerato un dio secondario, anzi, Mitra è
l'ordinatore delle regole fissate da Varuna: egli vigila sul rispetto della parola data. É associato al Sole e
corrisponde, senza possibile ambiguità, al Mitra iraniano; ma il suo ruolo è meno importante in India che in
Persia.

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LE DIVINITA’ VEDICHE
Agni
Il più importante degli dei terrestri è Agni; bello d'aspetto, risplendente come il sole, è dotato di una grande
forza e di un veemente coraggio, severo nel giudicare.
Agni è un dio molto amato dai mortali, dei quali è il generoso protettore, colui che guida e intercede presso
gli altri dei in nome del popolo. Per la sua triplice natura celeste, acquatica e terrestre, Agni è considerato un
essere onnipresente. Nei testi vedici, Agni è il Fuoco (vedi il latino ignis), considerato sia come il figlio delle
Acque celesti, sia come il loro amante. Egli è pure chiamato il Figlio-di-Due-Madri, i due pezzi di legno che
servono ad ottenere il fuoco per sfregamento uno contro l'altro (gli arani). Appena nato egli li divora. Agni è
rappresentato generalmente mentre cavalca un montone, provvisto di 4 braccia e di 2 teste; tiene il
ventaglio che serve a soffiare sul fuoco, la fiaccola e il cucchiaio del sacrificato (è il fuoco sacrificale e, con
questo, il simbolo della classe sacerdotale).

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LE DIVINITA’ VEDICHE
Dei cosmici
Aditi, lo spazio-celeste, la «Madre-senza-padre», è una specie di dea madre abbastanza vaga; viene
identificata a volte con la Vacca sacra. I suoi figli sono gli Aditia.
Il binomio Cielo-Terra è rappresentato da Dyaush Pita (il «Luminoso») e Prithivi (la «Vasta»); questo binomio
è spesso invocato dal Rig-Veda, ma rimane di secondaria importanza nel pantheon.
Gli Aditia sono 7 di numero (ve ne saranno 12 in un'epoca più tardiva). I primi due sono Varuna e Mitra; gli
altri espletano un ruolo secondario. L'ottavo figlio di Aditi è Surya (altro nome: Savitar, «Il Promotore»), cioè
il sole; egli percorre il cielo con il suo carro.
Ushas è l'amante, la fidanzata o la figlia del Surya di cui essa prepara la via. É anche fidanzata a Kandra (la
Luna, che è di sesso maschile nella religione vedica).

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LE DIVINITA’ VEDICHE
Divinità secondarie
Gli Asvin sono gli dei gemelli della Luce che viaggiano in un carro dorato, tirato da cavalli e uccelli. Sono i
messaggeri di Ushas, la dea dell'Aurora, ed operano nel cielo di Indra, delle guarigioni meravigliose. Gli Asvin
sono i più giovani tra gli dei e pure i più antichi. Il loro carro percorre in un solo giorno tutto l'universo;
compassionevoli verso i deboli e gli oppressi, agli Asvin vengono attribuite eccezionali imprese miracolose:
ciechi ritornati a vedere, paralitici risanati, mogli sterili allietate da figli ecc. ecc. Ben cinquanta inni sono a
loro dedicati e, insieme a Indra, sono gli dei più cantati dalla letteratura vedica.
I Gandharva : musicanti dissoluti, attirati soprattutto dai piaceri sessuali che ricercano perfino con le mortali.
Le loro corrispondenti femminili sono delle ninfe: le Aspara, cortigiane divine.
Kama è il Cupido vedico; egli è armato di un arco e di frecce che sono fiori di loto, di giglio, di gelsomino, ecc.
Cavalca un pappagallo. La sua sposa è Rati, dea della voluttà.
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LE DIVINITA’ VEDICHE
Semidei
Secondo i Veda, il primo uomo si chiama Manu; dall'offerta di latte e di burro che egli fece a Visnu, nacque
una donna, Ida, che si tasformò successivamente in giovenca, in capra, ecc. Manu, trasformandosi di volta in
volta in toro, in capro, ecc., fece nascere, dai suoi vari rapporti, le bestie della creazione. Il primo uomo che
morì fu Yama, che diventò il re e il giudice dell'Inferno; a seconda delle sue azioni sulla terra, l'anima è
autorizzata a salire verso il soggiorno dei Pitri («Padri»), o al contrario è invitata agli Inferi ove essa si purifica
prima della sua reincarnazione.

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LE UPANISHAD
Il termine Upanishad è composto da: Sad significa stare seduto, upa significa vicino, mentre ni significa in
basso. Questo era quello che accadeva nelle foreste: il Maestro stava in piedi, parlava di verità e gli allievi
stavano in basso, seduti attorno a lui.
Nelle Upanishad si faceva un passo avanti rispetto alla tradizione vedica, c’era finalmente la prima
costruzione di un pensiero strutturato, che aveva come oggetto e come scopo principale la ricerca della
verità assoluta, del Brahman (che divinizzato è Brahman); costruiscono così un sistema di pensiero che
prenderà poi il nome di Vedanta.

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I VEDA E LE UPANISHAD
Le Upanishad danno vita ad un pensiero chiamato Vedanta, e sono i primi testi in cui si parla di yoga, con
una visione non duale.
Il Vedanta crede in un’unica realtà, la realtà spirituale, il Brahman, e tutto il resto è solo apparenza, soltanto
un inganno dei sensi, il frutto di un’illusione cosmica: Maya.
C’è quindi una sola realtà e tutto quello che non è questa realtà non esiste.

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LE UPANISHAD E LE DIVINITA’
Si conoscono oggi 108 Upanishad, oggetto di commenti famosi, essi stessi diventati classici, fra queste, 14
sono considerate come le Upanishad principali :

1. Br̥hadāran̥yaaka, 2. Chāndogya, 3. Aitareya, 4. Taittirīya, 5. Kauṣītaki, 6. Kena, 7. Kaṭha, 8. Īśā,


9. Śvetāśvatara, 10. Mahānārāyan̥a, 11. Mun̥ḍaka, 12. Maitrāyan̥īya, 13. Praśna, 14. Mān̥ḍūkya.
Carattere particolarmente religioso anziché filosofico hanno le Upaniṣhad più moderne, alcune delle quali
vengono attribuite a un'età di gran lunga posteriore alle prime. Sono esse, difatti, dedicate o ad esaltazione
delle pratiche dello Yoga o delle due divinità Viṣṇu o Śiva, indice questo certamente di reazione brahmanica
allo spirito extrasacerdotale, che aveva originato e ispirato le precedenti.

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LE UPANISHAD
‘’Le questioni essenziali indagate dalle Upanishad sono sostanzialmente tre: la definizione del karma,
l’indagine sull’essenza del soggetto agente, la questione della relazione fra lo Spirito Assoluto e il mondo
oggettivo.
- Nei Veda il karman è il sacrificio che unisce l’uomo a Prajāpati ( prajā = Creature; pati = Signore), archetipo
del potere germinale del reale, creatore degli uomini, degli dei, degli animali, delle piante, delle cose.
Prajāpati è creato a sua volta da Brahmā, personificazione di Brahman, lo Spirito Universale. Nelle Upanishad
il karma non è più soltanto l’atto sacrificale, ma è l’invisibile tramite che vincola alle conseguenze dell’azione,
e chiama l’uomo ad essere responsabile del proprio fato, in quanto quest’ultimo è la risultante degli atti
stessi dell’uomo che pensa, agisce, desidera.

- L’essenza del soggetto agente è il riconoscimento dell’identità perfetta tra il polo oggettivo assoluto e
quello - altrettanto assoluto - soggettivo: una volta dissolta l’illusione di Maya che rende le cose molteplici,
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quindi apparenti, si riafferma l’equazione pura Brahman – Ătman’’
BRAHMAN E ATMAN
"Brahman è parola della speculazione sacerdotale, che proprio nella fortuna della parola rivela la sua
importanza 7. Abbiamo visto come il sacrificio fosse considerato l'immagine e il centro dell'universo; ma la
parte essenziale del sacrificio è la parola sacro-magica"e la "" formulazione "" di essa è il Brahman. Quindi il
Brahman è la forza sovrannaturale e misteriosa della parola magica: per esso il sacrificio è efficace, il
brahmano ha il suo potere, i Veda hanno la loro onnipotenza; esso è la forza che è il fondamento di tutto
l'esistente, che dà il potere agli stessi dei, che è difesa contro i mali, che è la fonte immortale di tutto ciò che
è mortale: ""Ciò da cui tutti gli esseri son nati, ciò che li mantiene in vita, ciò in cui morendo vanno a finire""
(Taittiriya Up., 3, 1)."

"Atman è invece parola che originariamente indica il respiro, fu l'oggetto di osservazioni e di esperimenti
diretti ad accertarne le caratteristiche e l'eventuale indispensabilità, e presto venne a indicare la parte
essenziale della personalità umana, che è vista nel pensiero e nella conoscenza.
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BRAHMAN E ATMAN
Ora, poiché esiste un'analogia fra la costituzione del microcosmo e la costituzione del macrocosmo (ed essa,
d'origine probabilmente indoeuropea 8, era un dato di fatto accettato dalla speculazione, incline ad attribuire
ai fatti cosmici gli stessi connotati dell'esperienza terrena, tanto più che era assente ogni distinzione di
principio tra spirito e materia), il principio vitale dell'uomo sarà eguale al principio vitale dell'universo ed
eguali saranno pure le caratteristiche: l'Atman è dunque il Brahman e la conoscenza è l'essenza di entrambi.
Ciò viene espresso nelle due ""grandi parole"" che compendiano l'insegnamento delle Upanisad: Tat tvam
asi, ""Tu [, anima individuale,] sei il Tat, il principio supremo"" (Ch. Up., 6, 8 sgg.) e Aham Brahmasmi: ""Io
sono il Brahman"" (B. Up., 1, 4, 10).’’
"Ma come si giunge all'Atman-Brahman? Questo è al di là d'ogni conoscenza distintiva, al di là d'ogni
concepimento e d'ogni immaginazione umani; lo si può definire soltanto negativamente o come la
coincidentia oppositorum, il che significa soltanto che esso è al di là delle umane distinzioni. La rivelazione di
esso non s'ottiene con l'istruzione, ma avviene per un lampo improvviso, per un'estasi o per la grazia
dell'Assoluto, che sceglie colui al quale palesarsi. 38
BRAHMAN, ATMAN E KARMAN
In altre parole è una cosa straordinaria da raggiungersi per mezzo d'una norma straordinaria, soltanto
staccandosi da tutto ciò che è umano è possibile raggiungerlo.
"Che cosa tiene l'individuo lontano dall'Atman-Brahman e lo lascia perciò preda della molteplicità, del
dolore, ossia di tutto ciò che dall'Atman-Brahman è diverso? È (come abbiamo già visto inizialmente) il
karman, ossia l'azione e la forza immanente in essa, che agisce automaticamente, per il fatto stesso
d'esistere e che si pensa determini la pluralità fenomenica, costringendo l'Assoluto, essenza costituita di
puro spirito, in forme individuali che obliterano la coscienza dell'unità universale e originaria. L'azione è la
caratteristica più propria dell'individuo, e sembra quindi abbastanza logico che in essa sia vista la causa
dell'individuazione, mentre il mutamento del significato attribuito al vocabolo karman (che prima delle
Upanisad designa l'atto rituale) è indicativo del sopraggiunto cambiamento degli interessi e dell'attenzione
sempre più viva rivolta all'uomo.

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MAYA
In alcuni punti si ritrovano ancora tracce dell'antica concezione per cui i pensieri nell'ora della morte
determinano la condizione della futura esistenza 12; poi, con un evidente approfondimento del senso etico, la
dottrina del karman come determinante della futura condizione d'esistenza s'afferma, dapprima come
dottrina segreta (B. Up., 3, 2, 13), poi come postulato indiscusso.
- La terza questione è cruciale per approfondire la comprensione delle differenze tra la concezione della
Creazione, così come ci viene tramandata dalla narrazione antico-testamentaria e la concezione indù della
Manifestazione. A differenza del Giudaismo e del Cristianesimo che affermano la presenza di un Dio che crea
il mondo, nei libri indù non si parla di Creazione - perché questo vorrebbe dire riconoscere la trascendenza di
un Creatore - ma di manifestazione, perché l’Uno non può essere superiore alle sue parti, né le parti possono
essere separate dall’Uno, così vuole il monismo indiano, per il quale la realtà è essenzialmente psichica.
Tutto deriva da Brahman-Ătman, manifestandosi in una serie graduale di ipostasi, attraverso le quali lo
Spirito Assoluto si estranea da sé, producendo, in conseguenza di questo processo, la molteplicità delle
apparenze, ovvero l’illusione di Maya. 40
KARMA – SAMSARA – MOKSA
Karma: significa "azione". L'atto che può essere fisico, pensato, positivo o negativo, determina non soltanto il
futuro in questa vita, ma anche le future incarnazioni dell’individuo, il corpo non si aggrega per caso ma è
determinato dalle forze del Karma. Il rapporto con il mondo crea Karma e le forze che vengono a
determinarsi si ripresenteranno di vita in vita.

Samsara: S’intende il “ciclo delle esistenze”, “ciò che circola; è la ruota delle morti e delle nascite, che è
impressionata di sofferenza. La reincarnazione è condizionata dal Karma, che lega l’individuo, o Jivatman, al
mondo. L'esistenza è allora impressionata della sofferenza, legata alla impermanenza di questo mondo, ed
all'ignoranza sulla vera natura dell’Atman. L'individuo ha dimenticato la sua vera natura, che è divina. Per gli
indù, Jivatman trasmigra e passa da corpo in corpo, fino alla sua liberazione.

Moksa: significa "liberazione finale" dell’individuo (Jivatman), dal ciclo delle morti e rinascite (samsara). Ogni
reincarnazione, secondo il proprio Karma, può avvicinare o allontanare l’uomo da Moksha,. 41
KOSHA
Kosha: Nelle Upanishad e nel Vedanta si distinguono cinque involucri chiamati Kosha in cui è avvolto
l’Atman. L’identificazione del proprio IO con uno di questi involucri, non permette di percepire Atman, la
vera natura dell’universo, praticando la meditazione si possono eliminare le identificazioni come, per
esempio: “io sono il mio corpo, i miei pensieri ecc…”.
Kosha è una parola sanscrita che significa: avvolgere, rivestimento, involucro, strato, guaina.
L’ordine dei cinque Kosha è il seguente:
1. Annamaya Kosha è il più denso dei cinque Kosha, è lo strato del cibo: il corpo fisico;
2. Pranamaya Kosha il secondo Kosha, l’involucro delle forze vitali, di ciò che ci muove, nel quale circola
l'energia, Prana che ci vive, che ci modella costantamente indispensabile alla vita;
3. Manomaya Kosha il terzo riguarda il mentale, nei rapporti viviamo le emozioni, simpatie, le antipatie e
questo è l’involucro della mente;
4. Vijnanamaya Kosha abbiamo un livello intellettivo che domanda e capisce, questo è lo strato del capire è
quella d'intelligenza, della facoltà di discriminazione 42
KOSHA
1. Anandamaya Kosha è “ciò” su cui si basa
tutto, il quinto involucro è il più sottile.
Si tratta dello strato più vicino al “divino

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MONOSILLABO OM
Quattro sono i molteplici stati dell’essere, che lo yogi può conoscere attraverso un’azione di progressiva
introspezione, con cui ripercorre - inversamente - il processo di estraniamento dello Spirito da sé stesso.
È essenziale sapere che il primo stadio dell’essere, lo stato di veglia (vaiśvānara) , è quello in cui lo Spirito è
paradossalmente più incosciente, mentre nei successivi stadi di sonno con sogni (taijasa), sonno
profondo (sushupta) , lo Spirito progressivamente diviene sempre più cosciente di sé, fino al culmine dello
stato supremo di trance (turīya, il «Quarto»), dove si realizza la perfetta reintegrazione con Brahman.
L’intero processo è esotericamente racchiuso nel monosillabo sacro OM, sintesi della conoscenza, dove le tre
sillabe A, U, M, ( la cui contrazione fonetica è OM) simboleggiano rispettivamente la conoscenza sensibile (A),
l’elevazione in seguito all’abbandono del corpo (U), la penetrazione nella conoscenza intuitiva (M).’
(Introduzione alla lettura delle Upanishad (A. D'Alonzo), Introduzione alle Upanishad (C. della Casa))

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Katha upanisad

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48
YOGA
Come abbiamo quindi visto lo yoga non consiste soltanto in determinati esercizi fisici ma ha una sua visione di
vedere la realtà e per rapportarsi ad essa, un modo per leggere i fenomeni. Possiamo considerarla una cultura,
‘’cultura dello Yoga’’.
Yoga deriva dalla radice Yuj. Questa ci richiama il latino iugum, iungere (o congiungere). Nella parola vengono
così sintetizzate sia lo strumento che il fine. Infatti yoga significa da una parte unione, unificazione di tutto
l’essere. E’ dunque una visione olistica, globale dell’essere umano. Ma nella sua definizione di unione significa
anche unione con colui che viene visualizzato idealmente, presentato come il signore supremo del mondo.
Quindi unificazione del nostro essere per unirlo a ciò che lo trascende.
Yoga ci indica però anche il mezzo, in quanto iugum, soggiogamento, inteso come un soggiogamento dei sensi e
delle passioni, di quelle pulsioni a volte difficili da controllare. L’uomo deve imparare a soggiogare se stesso per
ricostruire la propria unità e rapportarla al trascendente, a quella realtà che trascende l’uomo e con la quale
finisce per fondersi, per identificarsi in qualche maniera.
49
LA RESPIRAZIONE
La respirazione è il processo di immettere aria nei
polmoni per poi espellerla, in modo più specifico, la
respirazione è il movimento all’interno di due cavità.

Il tronco si compone di due cavità: quella toracica e


quella addominale. Entrambe contengono organi vitali:
nella cavità toracica troviamo cuore e polmoni, in quella
addominale stomaco, fegato, cistifellea, milza, pancreas,
intestino, reni, surreni, vescica,…
Entrambe le cavità si uniscono posteriormente alla
colonna vertebrale.
50
LA RESPIRAZIONE
Hanno in comune una struttura importante come il diaframma, che
rappresenta il tetto per la cavità addominale e il fondo per quella
toracica.
Altra proprietà condivisa è la flessibilità: le due cavità sono in grado
di cambiare forma: questa capacità permette il processo della
respirazione.
La cavità addominale modifica la sua forma come qualsiasi corpo
flessibile, la cavità toracica invece durante la respirazione cambia sia
di forma che di volume.

51
LA RESPIRAZIONE
In un corpo che respira non può esservi cambiamento nella cavità toracica che non implichi cambiamento in
quella addominale. E’ questa la ragione per cui la condizione della regione addominale risulta di fondamentale
importanza per la qualità della respirazione, così come la qualità della respirazione può influenzare fortemente
la salute degli organi addominali.

Possiamo quindi definire la respirazione come: il processo di immettere aria ed espellerla dai polmoni, prodotta
dal cambiamento tridimensionale di forma della capacità toracica e della capacità addominale.

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53
IL DIAFRAMMA
Il diaframma viene universalmente descritto come il muscolo fondamentale per la respirazione e per iniziare ad
esplorarlo.
Il diaframma divide il busto in cavità toracica e cavità addominale rappresentandone il fondo e il tetto
rispettivamente: la parte superiore del diaframma raggiunge lo spazio tra la terza e la quarta costola, e le fibre
inferiori sono attaccate alla terza vertebra lombare.
La forma del diaframma (a ‘’cupola’’) è data dagli organi che il muscolo racchiude e sostiene.
La parte inferiore dello sterno, la base della gabbia toracica e la parte anteriore della colonna che formano un
bordo continuo. L’unica sezione ossea di questo foro è rappresentata dalla parte posteriore del processo
xifoideo e dalla superficie anteriore delle prime tre vertebre lombari.

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IL DIAFRAMMA
Il diaframma è strettamente ancorato alla colonna, e ogni piccolo
movimento respiratorio, se noi andiamo a lavorare sulla diaframma, la
colonna lo sente. Il diaframma è aggrappato alla colonna e quindi tutta
quella muscolatura che si muove del respiro, si riflette immediatamente
sulla colonna.

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IL DIAFRAMMA
Circa il 90% del diaframma è costituito da tessuto molle. Tutte le
fibre muscolari del diaframma si irradiano dalla loro origine verso
l’alto per arrivare ad inserirsi nella parte superiore piatta del
muscolo centrale, il tendine centrale che è un punto di ancoraggio
per il tessuto connettivo che circonda gli organi del torace e
dell’addome:
Pleura (che circonda i polmoni), Pericardio (che circonda il cuore)
e Peritoneo (che circonda gli organi addominali). Pertanto, il
cambiamento di forma delle due cavità influenza notevolmente il
movimento degli organi ivi contenuti.
Le fibre muscolari del diaframma sono orientate principalmente
lungo l’asse verticale del corpo, e questa è la direzione della sua
56
azione.
I MUSCOLI ACCESSORI
Il diaframma è così un secondo cuore che con i suoi movimenti simili a quelli del pistone, riempie la base dei
polmoni nei quali affluisce in grande quantità il sangue venoso. La circolazione venosa in particolare viene
accelerata, quella arteriosa notevolmente migliorata. I movimenti ritmici del diaframma massaggiano gli organi
addominali in modo efficace. Il fegato si decongestiona, e la cistifellea versa la bile al momento opportuno
nell’intestino per concorrere alla digestione enterica. La milza, lo stomaco, il pancreas, e tutto il tubo digerente
sono massaggiati e tonificati.

Il diaframma rappresenta quindi il motore della cavità toracica e addominale. Durante la respirazione entrano in
gioco altri muscoli accessori.

Accessorio è: qualsiasi muscolo (che non sia il diaframma) che determina il cambiamento della forma toracico
addominale nella respirazione.
57
I MUSCOLI ACCESSORI
I muscoli addominali che influenzano
direttamente la respirazione sono quelli che
hanno origine dal diaframma:
Il trasverso dell’addome, gli obliqui esterni, gli
obliqui interni.

Nella parte toracica invece i muscoli accessori


alla respirazione sono:
I muscoli intercostali esterni, i muscoli
intercostali interni, traverso del torace

58
I MUSCOLI ACCESSORI

59
RESPIRAZIONE E YOGA
Abbiamo visto come la respirazione sia strettamente correlata sia agli organi interni collocati nel tronco che alla
colonna vertebrale e alla sua funzionalità.
Nello yoga, il Pranayama (che comprende tutte le tecniche respiratorie) rappresenta un cammino, una via
soprattutto spirituale, non solamente una tecnica respiratoria fine a se stessa o al semplice beneficio corporeo.
Anche nel Pranayama c’è la coscienza. Pranayama non è una tecnica, ma sono delle modalità di respiro, ai vari
livelli del corpo, che aiutano a purificare la coscienza in quello specifico livello.
Il Pranayama può risultare faticoso perché impegna la coscienza perché è più che stare in un asana.
Il Pranayama chiede un’attenzione della coscienza molto più profonda: è in grado di lavorare sugli aspetti più
profondi, sui 5 kosha. Il 1° corpo (Annamaya kosha) è composto dai muscoli che si nutrono del cibo; il 2° corpo
(Pranamaya kosha) è il corpo respiratorio, il 3° corpo è il un corpo mentale (Manomaya kosha), il 4° corpo è il
corpo coscienziale (Vijanamaya kosha) e ad ultimo il corpo-non corpo (Anandamayakosha) che è la spiritualità
pura. 60
RESPIRAZIONE YOGICA
Il respiro quindi è il ponte tra il corpo e la mente.

Nella respirazione yogica o completa quindi oltre all’aspetto tecnico dell’esecuzione vi è soprattutto l’entrare
all’interno della coscienza attraverso solamente l’esperienza.

La respirazione yogica abbiamo visto utilizza tre tipi di respirazione parziale (Addominale, toracica e clavicolare):
nell’inspirazione lenta e profonda si spinge l’addome in fuori e si dilata la cassa toracica, quindi si sollevano le
clavicole per permettere l’afflusso di altra aria per riempire interamente i polmoni. I tre movimenti vanno
eseguiti in un’unica armonica progressione pur rimanendo nettamente distinti e discernibili.

61
RESPIRAZIONE YOGICA
Il ciclo della respirazione yogica è composta da:
Rechaka (espirazione),
Bahya Kumbhaka (ritenzione a vuoto), → rappresenta la morte simbolica dell’organismo, il vuoto, il nulla.
Puraka (inspirazione),
Antara Kumbhaka (ritenzione a polmoni pieni) → rappresenta l’espansione della vita nell’organismo,
Kumbhaka significa vaso, calice,

Secondo Patanjali il significato del pranayama è effettivamente solo la ritenzione del respiro: “Pranayama
consiste nell’interruzione del movimento dell’inspirazione e dell’espirazione” (Yoga Sutra, II, 49). Le fasi di
ritenzione sono perciò le più importanti sia fisiologicamente che psicologicamente, in quanto stimolano la
respirazione cellulare, intensificano la produzione di bioenergia e gli scambi pranici in tutto il corpo, agendo
potentemente sul sistema neurovegetativo.
62
RESPIRAZIONE YOGICA
Sama Vritti Pranayama – respirazione quadrata
Sama significa “uguale”, “uniforme” o “perfetto"; vritti significa “movimento”, fluttuazioni mentali ed è quindi il
respiro che stabilizza le fluttuazioni della mente.
In samavritti pranayama le diverse fasi della respirazione completa sono compiute in tempi identici, secondo il
rapporto 1:1:1:1.

Benefici: Rinfresca e bilancia le energie del corpo, calma la mente e rilassa il sistema nervoso, ossigena il cervello,
aiuta a regolare i valori pressori e la frequenza cardiaca, migliora la capacità polmonare e l’ossigenazione del
sangue.

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RESPIRAZIONE YOGICA
Visama Vritti Pranayama
Visama significa “irregolare”, ed è così chiamato perché non viene mantenuta la stessa durata per l’inalazione, la
ritenzione e l’esalazione dell'aria.
Ogni inspirazione, ritenzione interna, espirazione e ritenzione esterna è di durata diversa, ad esempio secondo in
rapporto 1:4:2:1.

Benefici: Rinfresca e bilancia le energie del corpo, calma la mente e rilassa il sistema nervoso, ossigena il cervello,
aiuta a regolare i valori pressori e la frequenza cardiaca, migliora la capacità polmonare e l’ossigenazione del
sangue.

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ASANA – ETIMOLOGIA e BENEFICI
Negli Yoga Sutra di Patanjali, gli asana sono così definiti: “Gli asana devono essere stabili e comodi. Si ha
padronanza sugli asana rilassandosi dallo sforzo e meditando su ciò che è illimitato. Allorché si ha
padronanza sugli asana, si ha un arresto dei disturbi prodotti dalle dualità”.
La stabilità di cui parla Patanjali va intesa in senso fisico e mentale: solo in questo caso si ingenera un
piacevole stato di benessere; tale equilibrata stabilità va raggiunta attraverso l’abbandono di ogni sforzo e il
raggiungimento di uno stato di osservazione “passiva”, di ascolto.
Ogni asana, come abbiamo già visto, ha un proprio nome, in sanscrito, il cui significato è già la natura stessa
di quella posizione.
La pratica fisica dello yoga, e quindi degli asana, si inserisce, come abbiamo già visto, in un contesto più
ampio (gli otto anga di Patanjali), e non può essere praticata al di fuori di questo. Le posizioni che oggi
troviamo trovano le loro radici nel tantrismo e nell’occidentalizzazione dello yoga avvenuta a metà del 1900.
65
I LIMITI NELL’ASANA
Quando pratichiamo la parte fisica e ci approcciamo ad insegnarla dobbiamo considerare inizialmente a come e
dove questi asana agiscono nel corpo fisico. La pratica dell’hatha yoga, nella pratica fisica, inizia quando
riusciamo a rimanere nella posizione in modo confortevole senza sforzo.
Sappiamo che oltre alla sua possibilità di contrarsi il muscolo è elastico, ma ha un suo limite di elasticità, e come
si avvicina a questo limite si manifesta una resistenza crescente.

Il muscolo può accettare di oltrepassare questo limite, a certe condizioni:


1. Che lo si ‘’persuada’’ a distendersi. Quando si avverte la resistenza allo stiramento, è permesso arrivare fino
al dolore sopportabile . Nell’espirazione aiuto il muscolo a distendersi
2. Che si conceda il tempo necessario
3. Che lo si protegga da ogni movimento brusco durante questo allungarsi
66
I LIMITI NELL’ASANA
Ogni contrazione, ogni sussulto nel muscolo indica che non è rilassato. Bisogna essere tanto più concentrati nel
fascio muscolare che subisce lo stiramento quando si avvicina al massimo d’intensità dell’asana.
Una posizione diventa asana nell’istante in cui supera il limite di elasticità normale del muscolo e lo si allunga con
lentezza. Per questo motivo è necessaria l’immobilità nella posizione: il minimo movimento porta i muscoli al loro
limite di elasticità normale.

Perché l’allungamento?
Lo stiramento muscolare agisce intensamente sui terminali nervosi dei tendini sensibili alla variazioni di tensione.
Per via riflessa tutta una serie di reazioni è provocata nell’organismo attraverso quegli organi nervosi.
Inoltre un muscolo allungato è un muscolo svuotato di sangue. Appena ritorna allo stato normale
immediatamente si ricarica di sangue arterioso.
67
ASANA - GUIDA
Ci sono diversi modi per insegnare una pratica:
- si può guidare senza mostrare la pratica oppure
- mostrare le posizioni.

Indipendentemente dalla modalità l’insegnante ha come scopo quello di rendere le persone indipendenti. Per
renderli tali sarà quindi necessario insegnargli ad ascoltarsi dentro. L’insegnante diviene tale quando può
mettersi da parte, perché l’allievo attraverso l’ascolto interno del corpo e del respiro potrà riconoscere le sue
criticità e modulare in autonomia la propria pratica.
Quando questo non è ancora avvenuto la guida dovrà riuscire a intervenire laddove vi sono posture dannose, e
dare degli input (sia verbali che non verbali) affinché gli allievi possano semplicemente stare (in una classe di
vinyasa yoga significherà stare nel ritmo, in una classe di hatha yoga invece stare nell’asana).
68
ASANA - GUIDA
Nelle tipologie di classi di hatha yoga possiamo inizialmente fare una prima suddivisione:
- classe livello base (per principianti),
- classe multilivello (ovvero una classe eterogenea per livello ed età),
- una classe livello intermedio e
- una livello avanzato.

Come si può strutturare una classe?


In una classe base/livello 1 tradurrò la posizione in modo che sia facile e confortevole da «prendere» e da starci,
in una classe multilivello darò più opzioni rimanendo comunque sulla visione globale del corpo. In classi invece di
persone con già una buona pratica e consapevolezza del corpo potrò portare il focus, per esempio, su un gruppo
muscolare specifico, oppure aumentare la consapevolezza della posizione aumentando di difficoltà l’asana.
Di seguito alcuni esempi.
69
ASANA - GUIDA
Supta padangusthasana 1
Classe livello base
Ci sdraiamo supini, piedi a parete. Portiamo le braccia lungo i fianchi apriamo il torace. Percepiamo la spinta delle
gambe a terra.
Poi portiamo il ginocchio destro al petto, mettiamo la cinghia sopra il ginocchio destro, rimaniamo qualche
respiro, poi al centro della tibia e dopo qualche respiro alla caviglia.
Poi prendo la cinghia e la metto al centro dell’arcata plantare, inspirando distendo la gamba. I gomiti sono flessi
(distanti da terra circa 30 cm) in modo da sentire le spalle aprire, il palmo delle mani si guardano.
Inspirando distendo la gamba ed espirando provo ad avvicinarla al petto.
Poi porto il ginocchio destro al petto, porto anche il ginocchio sinistro al petto, distendo la gamba destra a terra e
ripeto l’esecuzione con la gamba sinistra sollevata.
70
ASANA - GUIDA

a b

71
ASANA - GUIDA
Classe livello intermedio
La stessa sequenza può essere modificata togliendo l’ausilio della parete. Inoltre le braccia possono essere tese
per dare più enfasi all’apertura toracica, e nel caso sia possibile, invece che utilizzare la cinghia si può prendersi il
piede che è sollevato (come da posizione finale). Durante la posizione verrà scandito di meno il tempo del
respiro, lasciando che l’allievo faccia esperienza diretta della posizione.

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ASANA - GUIDA
Classe livello avanzato
In una classe di praticanti esperti è possibile aumentare le criticità per portare il focus su una parte muscolare
specifica ad esempio. Nel caso di s.p. 1, se voglio portare il focus sulla tenuta addominale, si può partire sdraiati
come per un livello intermedio, poi porto il ginocchio destro al petto e sollevo il piede sinistro di 20 cm con il
collo del piede allungato.

In questo modo comincerò a sentire già maggiormente la tenuta del centro. Quindi espirando sollevo il viso e le
scapole ed intreccio le mani oltre il tallone destro.
73
ASANA - GUIDA
Mantenendo ancora viso e scapole sollevate inspirando distendo la gamba destra e con controllo dopo qualche
respiro scendo con il busto e la nuca al pavimento.
Per uscire dalla posizione porto le braccia lungo i fianchi, appoggio prima il piede sinistro e con controllo
mantenendo la gamba destra tesa, con il piede destro a martello, la faccio scendere a terra per ritornare nella
posizione iniziale.

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ASANA - GUIDA
Paschimottanasana
Classe livello base
Seduti gambe distese in dandasana, eventualmente supporto sotto i glutei. Portiamo la cinghia oltre i piedi,
inspirando allunghiamo la colonna ed espirando scendiamo cercando di mantenere la colonna diritta (l’idea è di
incurvare la schiena).
Inizialmente non andrò mai in posizione completa fino a che non avrò percepito la meccanica della posizione.
per rientrare dalla posizione espirando cammino con le mani indietro e arrotondo la schiena.

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ASANA - GUIDA
Classe livello intermedio
Seduti gambe distese in dandasana, eventualmente supporto sotto i glutei. Portiamo la cinghia oltre i piedi, poi ci
riportiamo in dandasana. Inspirando portiamo le braccia a lato delle orecchie ed espirando scendiamo (con la
schiena allungata) e prendiamo la cinghia o l’esterno dei piedi. Rimaniamo qualche minuto in questa posizione e
per ultimo espirando scendiamo in posizione finale. Anche qui, per rientrare dalla posizione espirando cammino
con le mani indietro e arrotondo la schiena.

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ASANA - GUIDA
Classe livello avanzato
Seduti gambe distese in dandasana, eventualmente supporto sotto i glutei. Inspirando portiamo le braccia a lato
delle orecchie ed espirando scendiamo (con la schiena allungata) e l’esterno dei piedi. Rimaniamo qualche
minuto in questa posizione e per ultimo espirando scendiamo in posizione finale. Per rientrare dalla posizione
per sentire il centro, espirando stacco le mani dai piedi e allungo in avanti. Rimango qualche respiro ed in
inspirazione sollevo il busto portando le braccia a lato delle orecchie e poi ritorno in dandasana.

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ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO
Se l’allineamento quindi è necessario per rendere la posizione stabile, è anche vero che tutti i nostri corpi sono
differenti.
Ancora più importante del considerare il corpo è considerare la caratterizzazione degli allievi: ovvero quel
sistema articolato costituito della parte emotiva e dal corpo fisico.
Sarà quindi necessaria l’osservazione per poter già comprendere sia come rapportarci che come correggere le
persone.
Quando entriamo in aula possiamo osservare di ogni singolo allievo:
- Sul piano fisico: se è una persona ipotonica, ipertonica, tonica, con disarmonie muscolari tra il lato destro e
sinistro (più o meno sviluppato il lato destro o sinistro), oppure disarmonie muscolari tra la parte alta e la
parte basse (più o meno sviluppata la parte alta o la parte bassa), l’età, se ci sono traumatologie.
- Sul piano emotivo: dove si colloca con il tappetino (avanti, dietro), il tono della voce, il suo modo di usare il
corpo con gli altri e nello spazio.
78
ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO
Essendo quindi le persone dei contenitori più ampi della sola parte muscolare, per approcciarci ad una o più
persone, è necessario l’osservazione per comprendere sia come guidare la pratica che come gestire gli aiuti.

Ad esempio, possiamo fare una prima suddivisione (la parte muscolare e la parte scheletrica verrà trattata più
avanti) considerando le tipologie di persone che praticano hatha yoga:
- Persone di età uguale o superiore a 65 anni
- Persone di età uguale od inferiore ai 30 anni, solitamente di sesso femminile
- Persone con traumatolgie in atto
Lo scopo della pratica dell’hatha yoga, dovrà essere efficace per tutte le persone. Cosa significa questo? Significa
adattare la posizione alla persona che ho davanti, affinché tutti possano ottenere un beneficio corporeo, che sarà
diverso da genere a genere, da età ad età.
79
ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO
Vedremo ora nello specifico due classi di hatha yoga strutturate in base a due tipologie (la parte traumatologica
la vedremo quando approfondiremo la parte anatomica).

1) Ipotizziamo quindi una classe per la terza età, assimilabile ad una classe principiante.

80
ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO

81
ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO
2) Ora vedremo la stessa classe per persone di fascia di età uguale od inferiore a 30 anni, assimilabile ad una
classe intermedia o per persone che hanno una certa mobilità (sempre parlando in termini generici):

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ASANA – L’INDIVIDUALITA’ DEL FISICO

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CORSO di HATHA YOGA 1° SEMINARIO
INCONTRO 3 e 4
PROTOCOLLO FORMATIVO

84
MEDITAZIONE
Meditare significa rimanere al centro.
Ancora di più possiamo dire che meditare ha la stessa radice di medicina.
Meditare v. tr. e intr. = dal lat. meditari, frequent. di mederi «curare», raccostato nel sign. al gr. μελετάω «curarsi
di qualche cosa; riflettere, meditare».
La parola pali per meditazione è bhavana, Causativo del verbo essere, dunque portare ad essere, ossia coltivare.
Meditare è quindi prendere consapevolezza della nostra parte interna intesa come la nostra parte emotiva.
Ovviamente l’ascolto della parte emotiva avviene attraverso l’ascolto del corpo e l’ascolto del respiro.
Quello che accade solitamente invece è che la meditazione sia sospensione di qualsiasi impatto sensoriale
psichico emersione e non dolce nulla.

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COSA SIGNIFICA MEDITARE
Nella meditazione c’è la presa di consapevolezza di tutto quello che accade all’interno di noi. Inizialmente
l’osservazione dello stato interno porterà difficoltà perché una parte di noi non vorrà vedere e soprattutto
sentire quel dolore che è pronto per essere trasformato.
Durante la meditazione osserviamo così i pensieri, il corpo nelle sue contratture, osserviamo se il respiro si agita
o se è lento. Il passaggio successivo sarà quello di cominciare ad entrare in quella sensazione più o meno
spiacevole e osservare quello che quella sensazione ci vuole dire. Significa divenire degli osservatori esterni senza
giudizio, senza quindi che la nostra parte mentale cominci a creare attaccamento e identificazione rispetto a
quello che osserviamo. Inizialmente cominceremo ad osservare se è una sensazione fisica, ad accoglierla e ad
assaporarla senza giudicare se è bene o male. Successivamente osserveremo i pensieri, li percepiremo
assaporando la scia che lasciano, e faremo la stessa cosa con la parte emotiva.

86
COSA SIGNIFICA MEDITARE
Le domande che posso farmi sono dove sei?, dove ti sento? e come sei? quale tonalità porti con te?.
Quando ho portato consapevolezza allo spazio interno, solo allora sarò in grado di accettarlo, per perdonare
quella situazione e/o quella parte di me e creare così una nuova azione da portare nella vita quotidiana. Questo è
il passaggio trasformativo della meditazione. Che è azione. E può essere fatta ovunque, non per forza in posizione
seduta.
La visualizzazione diventa il passaggio successivo, che aiuta a trasformare anche a livello più sottile ciò che ho
osservato all’interno di me. Ma tutto passa necessariamente dall’ascolto della parte emotiva.

87
COSA SIGNIFICA MEDITARE
«Di fatto, un ricordo può essere molto più di un ricordo, al punto di
sembrare più reale della persona con cui stiamo conversando. La
meditazione di consapevolezza si ripropone di farci superare questa
distorsione (che ha tantissime forme) e di radicarci in ciò che è, qui e
ora, così com’è. Quando si insiste sulla necessità di ‘stare col respiro
com’è’, questo non è soltanto un fatto tecnico. È di più. Infatti se
impariamo a prestare un’attenzione accettante al respiro così com’è
noi costruiamo una base per poter ‘stare con le cose così come sono’.
Dalla piccola accettazione alla grande accettazione: col respiro così
com’è, con noi stessi così come siamo, con gli altri così come sono, con
le situazioni e gli eventi così come sono.» Corrado Pensa
88
DHYANA – Meditazione e Yoga
Meditazione è indurre la coscienza complessa a semplicità ed innocenza senza orgoglio ed arroganza. Nessuna
esperienza spirituale è possibile senza disciplina etica.
Abbiamo visto che la pratica dello yoga si divide in tre parti:
Yama e Nyama costituiscono una parte. Asana, Pranayama e Pratyahara la seconda, e dharana, dhyana e
samadhi costituiscono la terza parte.

Yama e Nyama rappresentano la disciplina degli organi di azione e degli organi di percezione: sono comuni a
tutto il mondo. Non sono specificamente indiani ne sono unicamente legati allo yoga: sono qualcosa di basilare
che va preservato.
Inoltre da quel punto di partenza fondamentale, si deve giungere all’evoluzione. Per far sì che l’individuo si
evolva, la scienza dello yoga predispone i tre metodi di asana, pranayama e pratyahara. Queste tre tecniche
rappresentano il secondo stadio dello yoga e richiedono sforzo.
89
DHYANA – Meditazione e Yoga
Il terzo stadio comprende dharana, dhyana e samadhi, che si possono facilmente tradurre come concentrazione,
meditazione e unione con il se universale: sono i tre effetti della pratica di asana, prana e pratyahara, ma in se
non comprendono la pratica.
Che dice Patanjali dell’effetto dell’Asana? Le dualità tra corpo e mente scompaiono.
Che dice dell’effetto del Pranayama? Il velo che copre la luce della conoscenza è rimosso e la mente viene fatta
divenire uno strumento atto alla concentrazione.
E dell’effetto di Pratyahara? Attraverso pratyahara i sensi smettono di molestare la mente nella sua ricerca
interiore.
In questo modo queste tre partiche conducono l’allievo a Dharana, Dhyana e Samadhi. Patanjali ha inventato una
parola apposita per Dharana, Dhyana e Samadhi: è samyama, o integrazione totale.
Dharana significa attenzione o concentrazione: è un modo di concentrare il pensiero su un particolare prescelto
sentiero.
90
DHYANA – Meditazione e Yoga
Nella Dharana si impara lentamente ad attenuare le fluttuazioni della mente in modo da eliminare alla fine tutte
le onde o le maree di coscienza allo scopo di concentrarle verso un unico punto.
Quando la coscienza conserva questa attenzione senza alterazioni o esitazioni nella profondità della
consapevolezza, Dharana diviene Dhyana o meditazione.
Dhyana è la consapevolezza costante: è la strada della scoperta del Sé più elevato; è l’arte dell’autoricerca;
dell’osservazione, della riflessione, e della scoperta dell’infinito celato in noi.
Inizia con l’osservazione del processo fisico, comprende poi l’attenzione nei confronti dello stato mentale, e
infine unisce la comprensione della mente a quella del cuore per penetrare nella contemplazione profonda. Con
questa profonda contemplazione, la coscienza si fonde con l’oggetto di meditazione.
Quest’unione del soggetto con l’oggetto rende la coscienza complessa semplice e spiritualmente illuminata.
L’effetto dello yoga è di essere illuminati dalla luce della conoscenza e di mantenersi completamente puri, con
una mente candida, non arrogante. (L’albero dello yoga – B.K.S. Iyengar)
91
SILENZIO E PIENEZZA
La natura del nostro vero sé è silenzio, onnipervadente. La natura del silenzio è dispiegamento.
Se le nostre menti fermano il loro continuo chiacchiericcio, possiamo ascoltarlo. Il rumore delle nostre menti
proviene da fonti diverse. Esso può arrivare dai desideri che nascono dalla nostra ignoranza e dal nostro senso di
incompletezza. Può derivare dai nostri desideri frustrati e da ferite emozionali.
Fondamentalmente, il rumore della mente nasce dalla spinta dell'ignoranza e del desiderio. Una spinta che crea
oggetti del desiderio e la loro conoscenza. Questa conoscenza, a sua volta, dà origini a modi per ottenere gli
oggetti dei nostri desideri; modi che creano sforzi; sforzi che creano il tempo psicologico; e questo tempo, infine,
crea sofferenza. Quando questa spinta dell'ignoranza e del desiderio cessano, allora apriamo la porta al silenzio.
In questo silenzio noi diamo vita alla saggezza, alla pienezza, alla libertà e all'Amore. La nostra vita diviene una
vita di dispiegamento.
Il silenzio è il linguaggio dei saggi. Tutti i loro insegnamenti sono solo un invito al silenzio.
92
SILENZIO E PIENEZZA
Tutte le tradizioni spirituali insegnano che la via attraverso la quale entrare nel silenzio ed incontrare la Verità o il
Divino o la Fonte della nostra vita è quella di far tacere i nostri desideri. Dobbiamo distinguere due tipi di
desiderio: i desideri che nascono dalla nostra pienezza e quelli che sorgono dalla nostra incompletezza. Quando
parliamo di mettere a tacere i nostri desideri, vogliamo dire i desideri che derivano dall'incompletezza.

Del silenzio possiamo solo dire che cosa non è. Il silenzio è assenza del movimento del desiderio, dell'ego, dello
sforzo, della conoscenza e del tempo psicologico. In questo silenzio nasce la saggezza, la pienezza, la libertà,
l'unità, la pace e l'amore. Questo silenzio manifesta l'eternità.
Lo scopo della nostra umana esistenza è vivere nell'eternità, manifestarla nel tempo e nello spazio. Vivere
nell'eterno presente. Questa è una vita di dispiegamento, diversa dalla vita del divenire, che implica il tempo
psicologico.
93
La Chandogya Upanishad dà una descrizione di questo silenzio interiore in cui nasce Dio. Dice:
‘’Nel centro del castello del Brahman, il nostro corpo,
c'è un piccolo santuario della forma del fiore di loto,
e al suo interno si può trovare un piccolo spazio.
Dovremmo scoprire chi abita lì e desiderare di conoscerlo.
E se qualcuno chiede, “Chi abita in un piccolo santuario
dalla forma di un fiore di loto
nel centro del castello del Brahman?
Chi dovrebbe desiderare di scoprirlo e conoscerlo?”, possiamo rispondere:
Il piccolo spazio all'interno del cuore è grande come il vasto universo.
I cieli e la terra vi sono contenuti, e il sole e la luna
E le stelle: il fuoco e il lampo e i venti vi sono contenuti;
E tutto ciò che ora è e tutto ciò che non è:
94
poiché l'intero universo è in Lui e Lui abita all'interno del nostro cuore’’
SILENZIO E PIENEZZA
Lo scopo di tutte le nostre pratiche spirituali è quello di aiutarci
a esaurire il movimento dell'ignoranza e del desiderio.
Questo ci aiuta ad entrare nel nostro santuario interiore, la
caverna dei nostri cuori.
Al suo interno scopriamo un piccolo spazio, il silenzio interiore.
In quel silenzio scopriamo il completamento (compimento) delle
nostre vite. In quel silenzio noi partoriamo libertà e amore.
Quel silenzio dispiega la vita. La vita del “fruttificate e
moltiplicatevi”.
Questo significa manifestare gli attributi divini di amore e
compassione nelle nostre umane relazioni.
95
ALLA SCOPERTA DEI TIPI DI MEDITAZIONE
Tra gli altri tipi di meditazione che possiamo
trovare ci sono tra i tanti:

• Meditazione Vipassana
• Meditazione Zen
• Meditazione Tibetana
• Tai Chi e Chi Kung
• Meditazione Cristiana
• Dhikr Islamico
• Ki Aikido

96
Meditazione Vipassana
• Meditazione Vipassana
Vipassana significa "vedere le cose in profondità, come realmente sono". È una delle più antiche tecniche di
meditazione dell'India. Fu riscoperta ed insegnata più di 2500 anni fa come metodo universale per uscire da ogni
tipo di sofferenza, un'arte di vivere.
Vipassana è un metodo pratico di conoscenza e consapevolezza di sé, universale e non collegato a nessuna
organizzazione religiosa.
«Buddha disse che i nostri corpi sono composti di trilioni e trilioni di minuscole particelle, più piccole degli atomi,
che si rinnovano continuamente. Queste particelle sorgono e svaniscono milioni di volte ad ogni istante; nello
stesso modo anche i nostri pensieri sorgono e svaniscono trilioni di volte a ogni secondo. Anche gli scienziati
concordano sul fatto che il corpo umano, in condizioni normali, si rinnova continuamente. Quando queste
particelle (o kalâpa, come le chiamò il Buddha) entrano in collisione fra loro, nasce la sensazione. Noi la
chiamiamo sensazione reale o sottile.»
97
Meditazione Vipassana
Durante la pratica della meditazione vipâssanâ, se la concentrazione è abbastanza buona, siamo in grado di
osservare queste minuscole particelle nascere e svanire, e così possiamo controllare la mente prima
dell'effettuarsi d'ogni azione.

Per questo motivo la prontezza dell'attenzione è il più importante oggetto di meditazione nel buddismo
theravâda.

La meditazione buddista theravâda si divide in due branche principali: samâtha, o concentrazione, e vipâssanâ, o
purificazione. Lo scopo del samâtha (o samâdhi) è quello di farci assorbire completamente nella meditazione. Lo
scopo della vipâssanâ è di farci capire la vera natura della mente e della materia.

98
Meditazione Vipassana
Il Buddha insegnò a comprendere la vera natura delle
cose tramite l'osservazione dei cinque componenti che
formano la mente e il corpo.

I cinque componenti sono: forma o materia, sensazione


o emozione, percezione, formazioni mentali e coscienza.
Questi cinque componenti tutti insieme costituiscono
ciò che noi chiamiamo un essere vivente, la cui qualità è
l'impermanenza e che, a causa di quest'impermanenza,
sperimenta sofferenza.

99
Meditazione Vipassana
Non c'è alcun'altra essenza, o qualità, che sperimenti questa sofferenza oltre questi cinque componenti che
chiamiamo «io».
Secondo la filosofia buddista, perciò, c'è la sofferenza, ma non c'è nessun sofferente, così come ci sono gli atti,
ma non l'autore.
In breve, possiamo dire che i cinque componenti sono la mente e la materia (nâma e rûpa), e che lo scopo della
meditazione vipâssanâ è di capire la vera natura di questa mente-e-materia: per questa ragione i quattro oggetti
della pratica sono rispettivamente: corpo, sensazioni, coscienza e pensieri.
Quando s'incomincia a praticare la meditazione per la prima volta non è necessario osservare subito questi
quattro oggetti contemporaneamente. Ma praticando con regolarità l'osservazione d'uno degli oggetti, si arriva
presto a comprendere anche gli altri tre.

100
Meditazione Vipassana
Dal momento che il corpo e le sue sensazioni sono più facili da osservare, la maggior parte dei maestri preferisce
partire da questi.
Solitamente s'incomincia contemporaneamente con la concentrazione sul respiro e sulle sensazioni del corpo,
anche se, tradizionalmente, la concentrazione sul respiro è considerata il primo oggetto della meditazione
samâtha.
Per la pratica della meditazione vipâssanâ non è necessario raggiungere gli stadi più profondi di concentrazione,
ma per capire la vera natura del pensiero e della materia bisogna, per prima cosa, conseguire uno stadio che
chiameremo concentrazione d'accesso (upacâra samâdhi), perché solo una mente concentrata può osservare la
realtà e sperimentarla.

101
Meditazione Zen
• Meditazione Zen (Zazen)
Il termine Zen, che sta a indicare una delle forme che il buddhismo ha preso in Giappone, vuol dire meditazione.
Esso deriva dal termine cinese chan, che a sua volta deriva dalla parola sanscrita dhyana, usata, come abbiamo
già visto, in India per indicare appunto la pratica della meditazione.
La tradizione Zen pone un forte accento sulla posizione seduta.
Per praticarla occorre scegliere un posto dove sedersi che sia tranquillo, non troppo caldo nè troppo freddo, e poi
indossare un abito ampio, comodo e possibilmente scuro. Scelto un cuscino consistente, occorre sedersi su di
esso a gambe incrociate, per quaranta minuti circa, anche se all'inizio è possibile sedersi per un periodo minore.
La posizione da assumere è quella del loto completo: il piede destro che poggia sulla coscia sinistra e il piede
sinistro che poggia sulla coscia destra. Tale posizione ha una valenza sia simbolica che pratica. Da un lato infatti
simbolizza il loto, il fiore che, pur affondando le sue radici nella melma, si leva alto verso il cielo con i suoi petali
arancioni, colore del sole nascente e della rinascita spirituale. 102
Meditazione Zen
Dall'altro invece la posizione del loto è estremamente pratica perché salda, stabile.
Bisogna aver cura di sedersi in pizzo al cuscino e di far toccare bene a terra le ginocchia.
In tal modo si viene a formare un tripode che dona stabilità e vigore a tutta la postura e permette alla schiena di
stare naturalmente dritta, senza grossi sforzi.
E' possibile sedersi anche nella posizione del mezzo loto, con il piede destro sulla coscia sinistra o viceversa,
cercando comunque di ricreare la stabilita di detto tripode.
La schiena deve essere mantenuta bene dritta, le mani toccano con il taglio interno l'addome e la sinistra poggia
sulla destra. La misura della corretta sovrapposizione delle mani viene data dal dito medio sinistro, la cui falange
centrale deve coincidere con la falange centrale del medio della mano destra.
La punta dei pollici si sfiora a formare un perfetto ovale, che va mantenuto per tutta la durata della seduta.

103
Meditazione Zen
Questa posizione delle mani viene chiamata in giapponese
hokkaijoin, o sigillo dell'Oceano del Dharma, ed è simbolo e
indice della concentrazione:
infatti se ci si assopisce i pollici si allentano e formano la
cosiddetta "valle", se invece ci si accanisce in un turbinio di
pensieri i pollici premono forte l'uno contro l'altro andando a
formare un "monte".
Inoltre è anche molto importante il movimento che si
compie per assumere tale posizione.

104
Meditazione Zen
Le due mani partono da lati opposti e convergono verso il centro. Allo stesso modo la mente che di solito è
dissipata, distratta in pensieri che la trascinano avanti e indietro, dovrebbe, all'inizio della seduta, ricentrarsi,
focalizzarsi.
Le spalle devono essere rilassate e i gomiti distanziati dal corpo. Gli occhi, a differenza di altre scuole meditative,
vengono tenuti aperti, e questo per il semplice motivo che il mantenere gli occhi chiusi, anche se all'inizio della
seduta può risultare molto calmante, di fatto poi induce sonnolenza. Di solito si chiudono gli occhi quando si
vuole dormire, mentre quando si è svegli gli occhi sono aperti. Ora, se questa deve esser la pratica del Risveglio, è
bene che il corpo assuma l'atteggiamento di una persona sveglia.
Il mento deve essere rientrato e la nuca tesa: l'immagine che la tradizione Zen offre per aiutare il praticante ad
assumere una corretta postura è quella di una colonna che a un'estremità spinge la terra in basso, e all'altra
spinge in alto il cielo. In tal modo chi pratica diventa una sorta di asse cosmico che unisce le sfere celesti alla
terra: il palo attraverso il quale è possibile raggiungere il cielo, o meglio l'Assoluto.
105
Meditazione Zen
Ma cosa fare durante zazen? Si tratta fondamentalmente di focalizzare la propria consapevolezza su due cose: la
postura e il respiro, le due ali su cui vola la meditazione.
Innanzitutto bisogna tornare costantemente alla posizione. Occorre sentire il proprio corpo mentre mantiene
una corretta postura: non bisogna quindi piegare la schiena, afflosciarsi, allentare la posizione delle mani,
perdere il contatto delle ginocchia, reclinare il capo o chiudere gli occhi.
Una corretta postura deve poi essere vivificata da una corretta attenzione al respiro.
Si tratta in altre parole di osservare il proprio respiro senza per questo controllarlo o modificarlo in alcun modo.
Se è superficiale lo si registra come tale, e quando è o affannoso, o calmo o profondo si fa lo stesso.
Con il tempo e la pratica, il respiro diventerà quieto e impercettibile: l'espirazione si farà sottile e prolungata e
l'inspirazione breve e decisa.

106
Meditazione Tibetana
La tradizione del Buddhismo Tibetano propone due gruppi di meditazioni che vengono chiamate “ Meditazione
Analitica”( Lak-Tong ) e “ Meditazione Concentrativa” (Shinè).
La prima è un tipo di meditazione nella quale viene usata la sfera concettuale ed il pensiero, per riflettere
profondamente su alcuni argomenti di studio, quale ad esempio la “reale natura di tutte le cose”, che è appunto
la base intellettuale sulla quale poi realizzare quel tipo di Visione spontanea e non concettuale accennata
poc’anzi. Solo questo tipo di Visione è, secondo il Buddismo Tibetano, l’unico vero e definitivo rimedio a tutte le
nostre afflizioni mentali, primo fra tutti l’egoismo.
La Meditazione Concentrativa è invece, contrariamente alla pratica precedente, un tipo di meditazione nella
quale non viene usata la mente concettuale, ma tutta l’attenzione viene indirizzata fermamente su un oggetto
univoco, che a seconda dei casi, può essere il proprio respiro, la propria mente, un oggetto visualizzato di fronte a
sé, oppure una formula vocale (Mantra). Sull’oggetto prescelto non deve quindi essere fatta nessuna
speculazione intellettuale, ma esso deve semplicemente apparire così com’è di fronte alla mente osservante.
107
Meditazione Tibetana
Per ottenere una meditazione soddisfacente, la corretta Postura del
corpo è molto importante, poiché permette una regolare circolazione
delle energie sottili in tutto il nostro aggregato psicofisico, facilitando
in tal modo il rilassamento e la concentrazione.

In particolare nel Buddhismo, ma anche in altre discipline quali lo


Yoga, viene utilizzata la posizione del “Loto Completo” o del
“Semiloto. In alternativa, per coloro che hanno problemi alle gambe,
anche la posizione seduta su una sedia può andare bene. In ogni caso
è veramente sconsigliato sdraiarsi per terra, poiché il rilassamento
conseguito può facilmente indurre il sonno.
108
Tai Chi
La tradizione riconosce in Chang San Feng il
fondatore, egli fu un monaco taoista vissuto
all’epoca della dinastia Sung.
Per molti secoli è stato praticato come un
rivoluzionario sistema per mantenere la salute e
come un efficace metodo di difesa personale.
Il Tai Chi Chuan va inteso come creazione a livello
collettivo della civiltà cinese piuttosto che la
produzione di un singolo individuo.

109
Tai Chi
I Dieci principi del Tai Chi di Yang Chen-Fu
Uno: Essere vuoti ed agili e mantenere l’energia nella sommità del capo
Due: Tenere dentro il petto e tendere la schiena
Tre: Rilassare la vita
Quattro: Distinguere il vuoto dal pieno
Cinque: Abbassare le spalle e far cadere i gomiti
Sei: Usare il pensiero (yi) e non la forza muscolare
Sette: Collegare l’alto e il basso
Otto: Unire l’esterno con l’interno
Nove: Legare i movimenti con continuità e senza interruzione
Dieci: Cercare la calma nel movimento
110
Chi Kung/Qi-Gong
Il termine Qi-Gong può essere tradotto come "maestria del Qi". 'Gong' è infatti un carattere che specifica
un'abilità acquisita con un lavoro costante nel tempo, un talento coltivato.
Qi è uno dei concetti più complessi ed onnipresenti nella cultura tradizionale cinese, secondo la quale l'ambiente
esterno e l'ambiente interno (corpo) sono concepibili in termini di flussi, variamente sostanziati. Questi flussi
riguardano tanto lo scambio fra l'individuo e l'ambiente (dinamica cielo/terra/persona) sia i flussi materiali,
energetici e informativi all'interno del nostro stesso corpo.
Qi è un termine collettivo per tutti questi flussi nelle loro varie forme.

Nella medicina tradizionale esiste il concetto di EQUILIBRIO DINAMICO: maggiore la fluidità, rapidità, sincronia e
cooperazione nel movimento del Qi, maggiori l'equilibrio, la forza, la resistenza, la capacità di adattamento
all'ambiente.
111
Chi Kung/Qi-Gong
Il Qigong è una tecnica che permette di incrementare questo equilibrio dinamico partendo da un potenziamento
ed armonizzazione dei "tre tesori":
Jing "essenza" - termine generale per tutti i fluidi vitali-;
Qi - in senso più specifico espressione del movimento e di tutte le trasformazioni psico-fisiologiche
Shen - "Spirito" - termine generale per tutte le attività psico-cognitive, consce o inconsce, molari o molecolari.

I tre tesori rappresentano il triplice aspetto della nostra vita.


La tecnica è di conseguenza fondata su una triplice armonizzazione di 'corpo' (sfera Jing), 'respiro' (sfera Qi),
'mente' (sfera Shen). Questo aspetto generale è comune ad altra discipline tradizionali (Taiji, Wushu ecc.) ma nel
Qigong esso ha raggiunto la massima specializzazione terapeutica, consentendo di lavorare con esercizi specifici
su problemi particolari (es. oftalmici), affrontandoli comunque in un'ottica olistica.
112
Meditazione Cristiana
• Preghiera vocale/mentale semplice: senza sincronizzazione col respiro. Consiste nella continua ripetizione
dell'invocazione "Signore Gesù Cristo Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore" fatta, all'inizio, per un certo
periodo di tempo. Nel primo periodo di pratica si può stabilire un programma graduale e progressivo di
ripetizioni secondo il metodo indicato nei Racconti del Pellegrino, ma tenendo presente che la nostra attuale
condizione di vita non ci permette, perlomeno agli inizi, di andare oltre un certo numero.
• Preghiera vocale/mentale semplice: sincronizzata col ritmo respiratorio: Di questo secondo metodo esistono
diverse varianti: la variante più semplice, senza trattenuto respiratorio, è:
I fase - abbinamento dell'inspirazione con la prima parte dell'invocazione di Gesù: "Signore Gesù Cristo Figlio di
Dio’’; II fase - abbinamento dell'espirazione con la seconda parte dell'invocazione di Gesù: "Abbi pietà di me
peccatore".
113
Meditazione Cristiana
• Tecnica diretta/Fondamentale
Consiste nella sequenza:
INTELLIGENZA > DISCESA NEL CUORE > TRATTENIMENTO DEL RESPIRO > PREGHIERA DI GESU'
«Siedi su di un seggio basso, fa discendere la intelligenza dalla testa nel cuore e mantienila in questo luogo; poi,
penosamente inclinato fino a risentire un vivo dolore nel petto, nelle spalle e nel collo per la tensione dei muscoli,
grida di cuore e di spirito : Signor Gesù Cristo, abbi pietà di me ! Ciò facendo, trattieni il respiro, non respirare
con troppo ardire, in quanto ciò può dissipare il pensiero. Se pensieri sopravvengono , non prestarvi attenzione
quand'anche fossero semplici e buoni, e non solo vani ed impuri. Trattenendo la respirazione per quanto puoi,
imprigionando la tua intelligenza nel cuore e moltiplicando pazientemente i tuoi appelli al Signore Gesù, tu
spezzerai e annienterai rapidamente questi pensieri con i colpi invisibili che infligge loro il Nome Divino. San
Giovanni Climaco dice : " Colpisci i tuoi avversari col Nome di Gesù ; non esiste arma più; potente sulla terra o nei
cieli.»
114
Meditazione Cristiana
«Quando il tuo pensiero verrà meno, quando il tuo corpo e il tuo cuore saranno divenuti doloranti a forza di
piantare in essi con frequenza il nome di Gesù, sicchè ogni occupazione avrà cessato di apportar loro il calore e la
gioia necessari per sostenere lo zelo e la pazienza di colui che vi si dedica, allora (soltanto) alzati e solo o col tuo
discepolo, salmodia o esercita il pensiero su tale passaggio delle Scritture o rifletti alla morte oppure leggi o
dedicati al lavoro manuale o a qualche altra occupazione che faccia penare il tuo corpo.»
• Preghiera del cuore mediata
Sequenza: RACCOLTA DELLO SPIRITO/MENTE NELLE NARICI > DISCESA-INALAZIONE NEL CUORE >
TRATTENIMENTO-RIPOSO-GIOIA > PREGHIERA DI GESU'
In questo caso la discesa della mente nel cuore non è diretta, ma mediata, appunto, dall'inalazione. L'aiuto nel
nostro caso è solo psicologico-immaginativo, quindi strumentale. Esiste d'altra parte un ricco parallelismo
simbolico-spirituale di biblica matrice che rimanda al "soffio-spirito" e che andrebbe maggiormente sviluppato a
livello pratico oltre che teologico. 115
Meditazione Cristiana
• Preghiera del cuore mista
E' questa una tecnica più avanzata e difficile.
Consiste nella sincronizzazione di un certo numero di battiti del cuore con ognuna delle fasi della respirazione, e
nell'adattamento, ad ogni battito del cuore, di uno dei termini della Preghiera di Gesù: "Signore Gesù Cristo
Figlio di Dio, abbi pietà di me, peccatore ".

Anche su questa tecnica si trovano indicazione nei Racconti del Pellegrino:


"Bene. Allora immagina nella stessa maniera il tuo cuore e rivolgi ad esso i tuoi occhi, come se lo guardassi.
Ascolta attentamente con la mente i suoi battiti, l'uno dopo l'altro. I santi Padri chiamano quest'operazione '
portare la mente dalla testa al cuore '. Quando ti sarai abituato a questo, comincia allora, sempre guardando
interiormente il cuore, a far coincidere a ogni suo battito una parola della preghiera:
116
Meditazione Cristiana
- Al primo battito dirai o penserai: "Signore;
- al secondo: Gesù;
- al terzo: Cristo;
- al quarto: abbi pietà
- al quinto: di me peccatore".
Dopo aver dato questo insegnamento, il Pellegrino dice ancora al cieco che lo ascoltava:
"Ripeti molte volte questo esercizio; per te sarà facile, perché conosci già la preghiera del cuore e sei preparato ad
essa. Poi, quando ti sarai abituato anche a questo, comincia ad inspirare ed inspirare dal cuore tutta la preghiera
di Gesù insieme con il respiro, così come insegnano i Padri.
- Inspirando devi dire o pensare: Signore Gesù Cristo;
- espirando: abbi pietà di me.
Ripetendo sempre più spesso questo esercizio, presto sentirai nel cuore un piacevole dolore, poi una specie di
117
sensazione di sensazione di tepore.
Dhikr Allah
La parola dhikr (dal verbo dhakara) letteralmente significa 'ricordare', 'richiamo' e 'menzionare', pronunciare',
che significa sia una attività mentale, sia una comunicazione vocale.
Non bisogna stupirsi che nel Corano queste azioni compiute dall'uomo sono associate a Dio, il Creatore.
Dhikr come comunicazione vocale è spesso menzionata in connessione con l'adorazione di Dio nel senso di
menzionare il suo nome, di pregarlo e di glorificarlo invocandolo con i Suoi nomi.
Esso tende ad essere associato con particolari posti o occasioni come in moschea e nelle preghiere rituali, ma il
suo aspetto più importante riguarda l'atto devozionale supererogatorio, "extra-canonico" come visto nel Corano
il quale esorta il costante ricordo di Dio.

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Ki Aikido
Mente e corpo in origine erano uniti. La mente ed il corpo sono nati dal Ki dell'Universo.
Non esiste una frontiera fra la mente ed il corpo, nessun punto dove inizia la mente e termina il corpo o
viceversa.
In origine mente e corpo erano tutt'uno.
Però noi persistiamo nell'errore di considerare la mente ed il corpo due entità ben distinte e separate, e
cerchiamo futilmente di unire e riconciliare le caratteristiche opposte di ambedue. Ma ciò è contro la natura.
È impossibile unire mente e corpo finché continuiamo a considerarli due cose diverse tra loro. In verità però non
è difficile unire la mente ed il corpo se ci rendiamo conto che in origine essi erano un'unità e, se agiamo secondo
questo principio, otterremo facilmente la coordinazione mente-corpo in ogni momento della nostra vita
quotidiana.

119
Ki Aikido
Per chiarire le leggi del corpo e della mente, ed
il modo per unirle, qui i quattro principi del Ki
Aikido:

MANTENERE IL PUNTO;
RILASSARSI COMPLETAMENTE;
MANTENERE IL PESO SOTTO;
INVIARE IL KI.

120
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Abbiamo già visto che il Pranayama è controllo
ritmico del respiro che si attua durante le classiche
quattro fasi:

- inspiazione (puraka),
- pausa respiratoria dopo l'inspirazione (antara
kumbhaka),
- espirazione (rechaka),
- pausa respiratoria dopo l'espirazione (bahya
kumbhaka).

Di seguito alcune tecniche di Pranayama.


121
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
• Bhastrika Pranayama:
si chiama così un mantice usato in una fornace. Durante l’esecuzione di tale tecnica l’aria viene spinta
forzatamente dentro e fuori come un mantice di un fabbro ferraio.

Stadio 1:
Compiere una veloce e vigorosa inspirazione ed espirare poi velocemente con forza . Un’inspirazione ed
un’espirazione completano un ciclo di Bhastrika. Eseguire da 10 a 12 cicli di seguito. Quindi compiere un respiro
lento come in Ujjayi. Trattenere il respiro come Mula Bandha per 2 o 3 secondi, quindi espirare lentamente e
profondamente come in Ujjayi.
Questo tipo di respirazione Ujjayi riposa i polmoni ed il diaframma e li prepara a nuovi cicli di Bastrika.
Ripetere i cicli per tre quattro volte alternate con la respirazione Ujjayi.
122
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Stadio 2:
A narici alternate

Benefici:
Il sangue si riempie di ossigeno e vengono espulse grandi quantità di CO2. Il pH nel sangue si modifica
temporaneamente. Questa forte perdita di anidride carbonica permette alle cellule di liberarsi a loro volta del
CO2 in eccesso. Per riequilibrare il CO2 che viene espulso, si deve eseguire la ritenzione dell’aria a polmoni pieni.
Le cellule si caricano di ossigeno e questo “perdere e acquisire” velocemente accresce l’attività cellulare.
L’accelerazione dell’attività degli alveoli polmonari, l’accelerazione dello scambio tra ossigeno e CO2 stimolati dal
Bhastrika, producono una rivitalizzazione di tutto l’organismo. Bhastrika (ha un effetto molto profondo sul
sistema neurovegetativo: l’iperossigenazione del sangue combinata all’abbassamento del CO2 calma il centro
della respirazione e questo fatto si ripercuote su tutto il sistema neurovegetativo. L’accelerazione di scambio tra
123
ossigeno e CO2 fa aumentare il calore corporeo
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
• Sitali Pranayama:
«Sitali» significa «fresco». Questo pranayama rinfresca l’organismo e da questo suo effetto deriva il nome.
Tecnica
Posizionarsi in Padmasana, Siddhasana o Virasana, portare la mani in Jnana mudra. Aprire le labbra e formare
una O con le labbra
I lati e la punta della lingua che toccano i denti, vanno tenuti sollevati ed arricciati. La forma della lingua
somiglierà a quella di una foglia fresca arrotolata che sta per aprirsi.
Spingere in fuori dalle labbra la lingua arrotolata. Inspirare l’aria attraverso al lingua arrotolata con un suono
sibilante. Dopo l’inspirazione completa ritirare la lingua e chiudere la bocca.
Abbassare la testa piegando il collo (in Jalandhara Bandha).
Trattenere il respiro per circa 5 secondi eseguendo Mula Bandha. Espirare lentamente, con un suono aspirato
attraverso il naso. Sollevare il viso e ripetere il ciclo per 5-10 minuti.
124
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Benefici:
Rinfresca l’organismo, e calma gli occhi e le orecchie.
Giova nei casi di febbre leggera e d’attacco di bile; attiva il
fegato e la milza, migliora la digestione e toglie la sete.

Cautele:
Il trattenimento del respiro è da evitare in caso di persone che
soffrono di ipertensione.
Coloro che soffrono di disturbi al cuore non devono eseguire
l’intero pranayama.

125
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
• Viloma Pranayama:
«Loma» significa «cappello». La particella «vi» è usata per indicare «negazione». Viloma significa quindi
«contropelo, contro l’ordine naturale delle cose».
In V.P. inspirazione ed espirazione non sono processi continui o ininterrotti ma sono intercalati da molte pause.

Tecnica – stadio 1:
Posizionarsi in posizione seduta o distesa.
Inspirare per 2 secondi, trattenere il respiro per 2 secondi, inspirare di nuovo per 2 secondi, fermarsi ancora
per 2 secondi; continuare così fino a riempire completamente i polmoni. Trattenere il respiro per 5-10 secondi
seguendo Mula Bandha.

126
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Espirare lentamente come in Ujjayi. Durante l’espirazione si ridurrà l’intensità di Mula Bandha. Si completa così
un ciclo di V.P. Ripetere 10 o 15 volte il ciclo di questo primo stadio.
Stadio 2
Compiere una profonda inspirazione senza alcuna pausa come in Ujjayi e riempire completamente i polmoni.
Trattenere il respiro da 5 a 10 secondi mantenendo Mula Bandha. Espirare per 2 secondi, fare una pausa per 2
secondi, espirare di nuovo per 2 secondi, fermarsi ancora per 2 secondi; continuare così fino a svuotare
completamente i polmoni. Durante le pause continuare con Mula Bandha.
Si completa così un ciclo del secondo stadio di V.P. Ripetere 10 o 15 volte.
Così si è concluso Viloma Pranyama.
Benefici: Il primo stadio giova alle persone ipotese, mentre il secondo stadio alle persone ipertese.
127
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
• Anuloma Pranayama:
«Anu» significa «con, insieme, unito», significa anche «in ordine successivo». «Anuloma» significa «nell’ordine
naturale». In Anuloma Pranayama l’inspirazione viene eseguita attraverso entrambe ambedue le narici e invece
l’espirazione alternativamente attraverso una delle due narici.

Tecnica:
Sedersi in posizione comoda. Tenere la schiena eretta e stabile, abbassare la testa sul tronco e poggiare il
mento nell’incavo esistente tra clavicole e sterno. (Jalandhara Bandha).
Inspirare profondamente attraverso ambedue le narici come in Ujjayi fino a riempire completamente i polmoni.
Trattenere il respiro dopo l’inspirazione dai 5 ai 10 secondi secondo le proprie capacità; eseguire il Mula
Bandha. Portare la mano destra al naso, diminuire di intensità il Mula Bandha ed espirare lentamente dalla
narice destra, parzialmente aperta, tenendo quella sinistra completamente chiusa. Svuotare del tutto i polmoni
128
e quindi abbassare la mano.
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Inspirare attraverso ambedue le narici, fino a riempire i polmoni.
Trattenere il respiro dopo l’inspirazione dai 5 a 10 secondi eseguendo anche Mula Bandha.
Portare di nuovo la mano destra la naso. Diminuire l’intensità di Mula Bandha e chiudere completamente la
narice destra. Tenere la narice sinistra parzialmente aperta ed espirare lentamente e profondamente per
vuotare completamente i polmoni.
Si completa così il ciclo di Anuloma Pranayama.
Eseguire per 5-8 cicli respiratori

Pratiloma Pranayama: «Parti» significa «opposto». Questo tipo di Pranayama è l’opposto di Anuloma. In esso
l’inspirazione avviene alternativamente attraverso una delle due narici mentre l’espirazione avviene attraverso
ambedue le narici come in Ujjayi.
129
I DIVERSI TIPI DI PRANAYAMA
Benefici di Anuloma Pranayama e Pratiloma Pranayama:

• Equilibra i due emisferi del cervello lavorando


separatamente nelle due narici
• Pulisce i canali respiratori ed energetici
• Migliora la capacità polmonare
• Riduce l’emicrania
• Calma la mente aiutando a ridurre depressione ed ansia
• Rilassa il corpo
• Rilassa il sistema nervoso

130
LE ARTICOLAZIONI
In anatomia, con il termine “articolazione” si fa riferimento ad un complesso di strutture che mantiene in
contiguità due o più superfici ossee. L’articolazione è dunque un insieme di elementi (tessuto fibroso e/o
cartilagineo, legamenti, capsule, membrane) che regolano la connessione tra due segmenti scheletrici.
I capi ossei che vanno a costituire le articolazioni possono essere, tra di loro:
- Mobili (come quelle di anca, ginocchio, caviglia, polso, spalla e gomito)
- Semimobili (come l’articolazione della colonna vertebrale)
- Fissi (come nel caso delle articolazioni delle ossa del cranio o del bacino)
Ciò a seconda che servano ad originare dei movimenti più o meno ampi o a meccanismi di ancoraggio stabile:
impiegando la terminologia scientifica si parla – rispettivamente – di diartrosi, anfiartrosi e sinartrosi.
Le articolazioni fisse sono definite anche “sinartrosi”, sono quelle che conferiscono stabilità: sono tali, ad
esempio, le articolazioni delle ossa del cranio e del bacino.
131
LE ARTICOLAZIONI
Si caratterizzano per la continuità dei segmenti ossei che le compongono, tra i quali si interpongono porzioni di
tessuto fibroso, osseo o cartilagineo; non permettono l’esecuzione di movimenti.
Le articolazioni mobili sono chiamate anche “diartrosi” e sono quelle deputate al movimento. Sono costituite da
un complesso meccanismo che ne permette, appunto, la mobilità: sono considerate tali, ad esempio, quelle del
ginocchio e del gomito.
Le articolazioni semimobili sono invece definite anche “anfiartrosi”, sono caratterizzate da limitati movimenti: è
considerata semimobile, ad esempio, l’articolazione della colonna vertebrale.

La funzione precipua delle articolazioni è quella di conferire stabilità ad alcune parti del corpo (come accade, ad
esempio, nel caso del cranio e del bacino). Quelle semimobili, oltre a consentire la realizzazione di determinati
movimenti, fungono altresì da strutture di sostegno.
132
LE ARTICOLAZIONI
La principale funzione di quelle mobili è quella di permettere
l’esecuzione di ampi movimenti, come nel caso
dell’articolazione del ginocchio o del gomito: le superfici
articolari che le formano possono avere varie forme

• piatte
• Sferiche
• ellissoidali

e sono solitamente “concordanti”, ovvero una abbraccia


l’altra, proprio per consentire un’ampia gamma di movimenti.
133
STABILIZZAZIONE ARTICOLARE
Quando parliamo di movimenti funzionali proviamo ad immaginare il nostro corpo come una serie di muscoli
(che muovono) e di articolazioni (che consentono il movimento o che lo stabilizzano).
Ora proviamo a tracciare una mappa “funzionale” delle nostre articolazioni:
Partiamo da terra (che è il nostro principale piano di movimento) e vediamo cosa fanno le articolazioni:
– la caviglia MOBILITA
– il ginocchio STABILIZZA
– le anche MOBILITANO
– la sezione lombare della spina dorsale STABILIZZA
– la sezione toracica della spina dorsale MOBILITA
– le scapole STABILIZZANO
– la spalla MOBILITA
134
STABILIZZAZIONE ARTICOLARE
L’alternanza tra mobilità e stabilizzazione ci fa capire che il nostro corpo, nell’eseguire dei movimenti, alterna
due sistemi che assolvono a funzioni specifiche ben diverse.

Quindi, se un movimento deve essere eseguito al massimo della performance, MOBILITA’ e STABILIZZAZIONE
devono andare di pari passo. Un qualsiasi deficit o problema articolare si ripercuote immediatamente su tutto il
resto.
Ad esempio, un problema di mobilità dell’anca porta senza dubbio a dolori della fascia lombare.
Quindi, meno siamo stabili e meno siamo performanti, meno ci alleniamo ad essere stabili e più ne risentiamo a
livello motorio.

135
I MUSCOLI
I muscoli sono dei tessuti composti da fibre specifiche, noti come fibre muscolari, dotate di capacità contrattile.
Le fibre muscolari sono formate da cellule particolari, dette miociti, che al loro interno contengono due tipi di
filamenti: l’actina, una categoria di filamenti sottili, è un primo tipo di filamento. La miosina è un secondo tipo di
filamento che appare frequentemente. La contrazione muscolare caratteristica dell’attività dei muscoli è
causata dall’interazione di questi due tipi di filamenti.
All’interno del corpo umano esistono due ampie categorie di muscoli: la muscolatura volontaria e la
muscolatura involontaria.
La muscolatura volontaria, detta anche “rossa” o striata, è controllata dalla volontà umana. La muscolatura
involontaria, nota anche come muscolatura “bianca” o liscia si contrae in modo autonomo e non dipendente
dalla volontà umana. Una terza categoria è data dal muscolo miocardico. Si tratta del muscolo cardiaco,
contraddistinto da caratteristiche del tutto uniche.
136
I MUSCOLI
Anche se possiede tratti strutturali simili a quelli dei muscoli volontari funziona infatti come un muscolo
involontario, quindi autonomamente e indipendentemente dalla volontà dell’uomo.
Da un punto di vista istologico i muscoli involontari si differenziano dai muscoli volontari perché le loro fibre non
mostrano le tipiche striature e risultano, quindi, contraddistinti da una struttura quasi completamente uniforme
– da cui la definizione di muscolatura “liscia”. Tutti i muscoli che formano l’interno delle pareti dell’apparato
digerente, dei vasi sanguigni, dell’utero e della vescica sono muscoli involontari. A differenza dei muscoli striati,
questi muscoli si contraggono e si rilassano più lentamente.
I muscoli volontari sono i muscoli mimici, compresi in corrispondenza del collo e della testa, e inoltre i muscoli
scheletrici, che sono inseriti sulle ossa e sono responsabili del movimento, oltre che i muscoli degli organi di
senso, quali l’occhio, l’orecchio, la lingua, la faringe ecc. I muscoli mimici sono muscoli superficiali. I muscoli
scheletrici sono muscoli profondi.
137
I MUSCOLI
I muscoli involontari hanno la funzione di indurre,
attraverso la contrazione, mutamenti nella forma o nel
diametro interno degli organi nei quali sono racchiusi.
Questa funzione è necessaria per consentire il passaggio o
l’estromissione di eventuale contenuto.

Sia che si tratti di mimica facciale, del movimento di un


piede, della lingua o di un braccio, il compito dei muscoli
volontari è sempre lo stesso: permettere all’uomo di
compiere movimenti muscolari controllati dalla volontà.

138
COMPRESSIONE E TENSIONE
Le ossa vengono mosse a livello scheletrico dalle articolazioni mediante contrazione e rilasciamento dei
muscoli ad esse associate.

I muscoli facciali partecipano alla mimica del volto; al linguaggio parlato; alla masticazione.
I muscoli del torace, che collegano tra loro le costole, si contraggono e si rilasciano per la respirazione.
I muscoli dell’addome sono disposti a strati e proteggono i delicati organi addominali. Inoltre si contraggono a
comprimere il contenuto addominale, coadiuvando la minzione, la defecazione, il vomito (e nella donna il
processo del parto).
Negli arti inferiori si trovano tra i più potenti muscoli del corpo, specie quelli che agiscono sull’articolazione
dell’anca.

139
COMPRESSIONE E TENSIONE
Nello studio della meccanica di contrazione muscolare si definisce:

Carico: la forza esercitata dal peso di un oggetto;


Tensione muscolare: la forza esercitata sull'oggetto in questione dal muscolo che si contrae.

Tensione muscolare e carico sono quindi forze opposte che, come tali, si contrappongono l'un l'altra.
Per vincere un carico, la tensione muscolare dev'essere superiore alla forza (peso) che esso esercita.
La contrazione muscolare è quel processo attivo mediante cui si genera una forza in seno al muscolo.

140
I LEGAMENTI E I TENDINI
Con “legamento” (o ligamento, in inglese “ligament”) si identifica in campo medico una robusta formazione di
tessuto connettivo denso di tipo fibroso che ha principalmente queste funzioni:
• tenere unite fra loro due o più strutture anatomiche, come ad esempio due segmenti di osso;
• mantenere nella posizione che gli è propria un organo;
• concorrere a delimitare aperture o cavità nelle quali si trovano altre formazioni anatomiche (come nervi,
vasi sanguigni o linfatici).
Esempi classici di legamenti sono:
• Il legamento ileofemorale: ha forma di ventaglio; origina al di sotto della spina iliaca anteriore inferiore, con
due fasci che divergono a ventaglio, il fascio obliquo, diretto al margine anteriore del grande trocantere e il
fascio verticale, verso la parte più bassa della linea intertrocanterica.
141
I LEGAMENTI E I TENDINI
• Il legamento pubofemorale: nasce dal tratto pubico del ciglio dell’acetabolo, dall’eminenza ileo-pettinea e
dalla parte laterale del ramo superiore del pube per perdersi nella capsula davanti al piccolo trocantere.
• Il legamento collaterale ulnare: è conformato a ventaglio e s’irradia dall’epitroclea al margine mediale
dell’incisura semilunare.
• Il legamento largo dell’utero: è la porzione di peritoneo che portandosi lateralmente all’utero va a rivestire le
tube uterine di falloppio.

Con “tendine” (in inglese “tendon”) si intende invece tutti quegli insiemi di fibre che permettono ai muscoli di
fissare le proprie estremità ad un osso o alla pelle consentendo all’apparato contrattile di svolgere le sue
funzioni.

142
I LEGAMENTI E I TENDINI
Legamenti e tendini sono spesso confusi tra loro,
tuttavia sono strutture anatomiche diverse; pur
essendo entrambi formati da fibre di collagene di
tipo I (che possiedono una elevata resistenza alle
forze applicate in trazione), dal punto di vista
ortopedico hanno una grande differenza: mentre i
legamenti collegano tra loro ossa diverse o parti
dello stesso osso, invece i tendini collegano i
muscoli alle ossa o ad altre strutture di inserzione.

Legamenti e tendini nel ginocchio


143
L’IMPORTANZA DEL CORE
Nel linguaggio comune, per core si intende il "nucleo
del corpo", ovvero una zona compresa tra la porzione
inferiore del busto e il margine inferiore del bacino.

I muscoli principali del core sono:


• tutti del pavimento pelvico
• traverso dell’addome
• multifido
• obliqui interni ed esterni
• retto dell’addome
• erettori spinali (sacrospinale
• diaframma
144
L’IMPORTANZA DEL CORE
Anche se esercitanti un ruolo meno centrale, possono anche essere
considerati del core:

• lombari – porzione profonda del quadrato dei lombi


• rotatori profondi
• Muscoli cervicali retto anteriore e laterale della testa
• lungo del collo.

I muscoli minori invece, includono:


• Gran dorsale
• Grande glutei
• Trapezio 145
L’IMPORTANZA DEL CORE
Il core è principalmente il responsabile della stabilizzazione di torace e bacino nel movimento, e favorisce
anche l'espulsione di varie sostanze – vomito, feci, espirato polmonare,…– considerate scorie o di rifiuto,
attraverso l’aumento della pressione interna.
Il core è indispensabile nella funzione di continenza, ovvero la capacità di gestire l’intestino crasso e la vescica.
Per questo, l’incontinenza da stress urinario, cioè la mancanza di controllo della vescica dovuta a disfunzione
del pavimento pelvico, può derivare da una debolezza della muscolatura del core.
Il core influisce enormemente sulla postura; inoltre, si presume che dal esso origini la maggior parte dei
movimenti funzionali di tutto il corpo, inclusi i gesti atletici e sportivi.
La base logica dell’apparato locomotore umano è quella di convogliare la forza dai segmenti ossei, attraverso
varie articolazioni, in una specifica direzione. I muscoli del core allineano la colonna vertebrale, le costole e il
bacino con l'obbiettivo di resistere all'espressione di forza specifica, sia statica che dinamica.
Per fare alcuni esempi, sarebbe impossibile deambulare o correre senza avvalersi della piena efficienza del
146
core
L’IMPORTANZA DEL CORE
La funzione statica del core è la capacità del proprio nucleo di allineare e stabilizzare lo scheletro per resistere
ad una specifica forza.
E’ possibile affermare che i muscoli del core forniscano un supporto alla porzione assiale dello scheletro
(cranio, colonna vertebrale e coccige) stabilizzando la parte superiore.

Funzione dinamica: La natura del dinamismo tiene conto sia della struttura scheletrica che della resistenza
esterna, di conseguenza interessa diversamente sia i muscoli che le articolazioni rispetto alla posizione statica.
Per questo, durante il movimento dinamico la componente di contrazione muscolare centrale è superiore
rispetto a quella di "rigidità" scheletrica, invece più importante nella staticità. Questo perché lo scopo della
contrazione non è quello di opporsi a una resistenza statica, immutabile, ma di resistere a una forza che
cambia sul piano del movimento. Durante il movimento, i segmenti corporei devono assorbire la resistenza in
modo fluido, e quindi i tendini, i legamenti, i muscoli e le innervazioni assolvono ruoli diversi e mutevoli.
147
L’IMPORTANZA DEL CORE
Questi includono reazioni posturali ai cambiamenti:
• di velocità (rapidità di una contrazione)
• di movimento (tempo di reazione)
• di potenza (quantità di resistenza vinta in un periodo di tempo).

Un esempio semplice di funzione dinamica del core è di camminare su un sentiero di montagna. In tal caso, il
corpo dovrebbe resistere alla gravità durante il movimento verso una specifica direzione, equilibrandosi
nonostante le irregolarità del suolo. Questo obbliga un allineamento bilanciato dell'asse centrale e delle
estremità, e allo stesso tempo asseconda lo slancio spingendo dal suolo alla direzione opposta. Si è
generalmente portati a credere che gli arti inferiori siano i primi responsabili della deambulazione e della
corsa, ma non è così. Il "motore principale" è il core, sul quale cosce e gambe possono sviluppare la
propulsione.
148
I MUSCOLI PRINCIPALI
Addominali:
Origine: dalla cresta del pube e dalla sinfisi
Azione: alza le pelvi anteriormente e sostiene gli organi della cavità addominale.
Adduttori della coscia:
Origine: dal ramo del pube e dal ramo ascendente l’ischio.
E’ composto dai muscoli pettineo e adduttore beve, medio e lungo.
Bicipite del braccio:
Origine: punta del processo coracoide. Tubercolo sopraglenoideo della scapola.
Azione: flette l’avambraccio; supina l’avambraccio quando fa resistenza.
Deltoide:
Origine: deltoide medio: acromion; deltoide anteriore: 1/3 clavicola; deltoide posteriore: bordo inferiore della
spina della scapola
Azione: abduzione del braccio 149
I MUSCOLI PRINCIPALI
Gluteo massimo:
Origine: linea glutea dell’iliosacro e coccige dorsale
Azione: estende l’anca e aiuta ad extraruotare la coscia. In posizione eretta estende la pelvi in sinergia con gli
addominali.
Gluteo medio:
Origine: Superficie esterna dell’ala iliaca su una vasta area tra le due linee glutee
Azione: abduce la coscia e la ruota medialmente. Con il gluteo minimo è il principale stabilizzatore delle pelvi
Gluteo minimo:
Origine: Linea glutea inferiore e margine forame ischiatico
Gracile:
Origine: ramo inferiore del ramo pubico, sinfisi pubica, metà inferiore
Azione: adduce la coscia, flette il ginocchio e pelvi. Quando la gamba è ferma flette la pelvi come il sartorio
150
I MUSCOLI PRINCIPALI
Infraspinato:
Origine: fossa dell’infraspinato della scapola, 2/3 mediali.
Azione: ruota lateralmente l’omero
Gran dorsale:
Origine: larga aponeurosi dai processi spinosi delle vertebre toraciche dalla sesta alla dodicesima, processi
spinosi vertebre lombari, cresta posteriore dell’ileo.
Azione: estende, adduce e ruota l’omero medialmente
Pettorale clavicolare:
Origine: superficie anteriore terzo mediale della clavicola
Azione: flette la spalla e adduce l’omero orizzontalmente
Pettorale sternale:
Origine: sterno fino alla settima costa e cartilagini costali
Azione: adduce l’omero verso la cresta iliaca controlaterale 151
I MUSCOLI PRINCIPALI
Piriforme:
Origine: Faccia anteriore del scaro
Azione: extraruota la coscia
Popliteo:
Origine: condilo laterale femore, menisco laterale parte posteriore.
Azione (vista anteriore): ruota la tibia medialmente sul femore
Psoas:
Origine: dalle cinque vertebre lombari, faccia anteriore dei processi trasversi
Azione: flette la coscia e ruota leggermente la coscia lateralmente
Quadricipite:
Origine: SIA inferiore, acetabolo, bordo superiore
Azione: estende la gamba e flette la coscia
152
I MUSCOLI PRINCIPALI
Sacrospinale:
E’ composto da: Longissimus thoracis, Ileocostalis dei lombi, Ileocostali del torace, Ileocostali cervicali.
Azione: Flessione e rotazione della colonna
Sartorio:
Origine: spina iliaca anteriore superiore
Azione: flette ginocchio e anca. Ruota la coscia lateralmente. Supporta la tibia medialmente, impedendone il
valgismo e stabilizza anteriormente le pelvi.
Flessori del collo:
Origine: vari livelli delle cervicali ai processi trasversi
Sottoscapolare:
Origine: fossa subscapolaris
Azione: ruota l’omero medialmente
153
I MUSCOLI PRINCIPALI
Sopraspinato:
Origine: fossa sopraspinata della scapola
Azione: Abduce il braccio. Tiene l’omero nella cavità glenoidea
Tensore della fascia alata:
Origine: bordo esterno della cresta iliaca, parte anteriore
Azione: flette, abduce, intraruota la coscia. Stabilizza il ginocchio lateralmente
Grande rotondo:
Origine: angolo inferiore della scapola, superficie dorsale
Azione: adduce e ruota medialmente l’omero
Piccolo rotondo:
Origine: due terzi superiori del bordo laterale della scapola
Azione: ruota e adduce lateralmente l’omero, lo stabilizza nella glenoide e con il deltoide lo abduce.
154
I MUSCOLI PRINCIPALI
Tibiale anteriore:
Origine: condilo laterale della tibia, superficie laterale della tibia e membrana interossea
Azione: inverte e dorsiflette il piede. Stabilizzatore del piede mediale.

Tibiale posteriore:
Origine: parte laterale posteriore della tibia, mediale del perone e membrana interossea
Azione: inverte e flette il piede plantarmente. Stabilizza il piede medialmente

155
I MUSCOLI PRINCIPALI
Trapezio medio:
Origine: processi spinosi dalla 1 vertebra toracica alla 5.
Azione: adduce la scapola e tira posteriormente l’acromion.

Trapezio superiore:
Origine: protuberanza occipitale esterna, terzo medio linea nucale superiore
Azione: adduce la scapola con altri trapezi, porta verso l’alto la cavità glenoidea

Tricipite della gamba:


Origine: tuberosità ischiatica

156
I MUSCOLI PRINCIPALI

157
CORSO di HATHA YOGA 1° SEMINARIO
INCONTRO 5 e 6
PROTOCOLLO FORMATIVO

158
PRANA: ASSORBIMENTO E FONTI
La parola Prana, è di origine sanscrita, e significa «soffio vitale, soffio di energia e di forza».
Il Prana si trova in tutte le forme viventi, nell’acqua, nella terra, nel cibo. La natura è colma di Prana e non è
difficile immaginare come mai esso penetri in noi attraverso il respiro.
Il corpo è stato oggetto di un’analisi attenta e sistematica in molte tradizioni sapienziali indiane e tra le sue
differenti funzioni, il respiro ha costituito sempre un campo privilegiato di studio.
Già nei testi vedici il termine prāṇa si riferisce al respiro inteso come principale indicatore di vita e viene
concepito come quel “vento” che si diffonde nel corpo e ne sostiene le funzioni sotto forma di cinque soffi
vitali (pañca-vāyu).
Nelle tradizioni yogiche “classiche” – testimoniate, ad esempio, dal celebre Yoga Sutra di Patanjali – il
controllo del respiro (prāṇāyāma) assume un’importanza fondamentale, da essere incluso tra le otto membra
(aṣṭāṅga) dello yoga.
Nelle successive tradizioni yogiche tantriche (elaborate a partire all’incirca dal VI-VII sec. d. C.) la dottrina dei
159
soffi vitali assume nuove e più complesse sfumature, legandosi strettamente a una elaborata fisiologia sottile.
PRANA: ASSORBIMENTO E FONTI
l corpo yogico viene qui concepito come una struttura composta da una fitta rete di canali (nāḍī) in cui si
muovono i soffi vitali e a cui si aggiungono una serie di plessi detti “ruote” (chakra), dislocati lungo il canale
mediano (suṣumnā).
In molte opere accademiche e in un gran numero di testi divulgativi questo sistema di canali e ruote è
comunemente definito “corpo sottile”, sebbene si tratti di una definizione impropria: nei testi indiani il corpo
sottile (sūkṣmaśarīra) si riferisce più precisamente all’elemento trasmigrante dell’individuo e non all’insieme
dei canali e delle ruote.
Come nota giustamente André Padoux, per indicare questo modello corporeo tipicamente tantrico sarebbe
preferibile utilizzare il termine “corpo yogico” o “corpo immaginale” (Padoux2011: 96-100).
La struttura fondamentale del corpo yogico è stata adottata anche dalle tradizioni successive, in modo
particolare dalla quella dell’Haṭha yoga classico, le cui origini risalgono già all’XI secolo, ma che conobbe una
straordinaria fioritura tra il XIII e il XVIII secolo.
160
PRANA: ASSORBIMENTO E FONTI
«L’Haṭha yoga – inteso come lo yoga che si avvale di metodi
basati sulla forza (haṭha) – privilegia l’impiego di posture
(āsana), di tecniche respiratorie (kumbhaka) e di elaborate
manovre corporee dette ‘sigilli’ (mudrā).»

Queste tecniche hanno lo scopo di convogliare, o forzare, il


prāṇa nel canale mediano e di risvegliare la forza serpentina
(kuṇḍalinī) assopita alla base della colonna vertebrale,
sospingendola in alto attraverso i vari chakra, fino a
raggiungere la volta cranica.

161
NADI
«Si è detto in precedenza che l’energia sottile vitale entra ed
esce dal corpo grossolano con la respirazione pranica, mediante
i relativi chakra e lungo le nadi. Il termine nadi proviene dal
sanscrito e significa recipiente, tubo, canale, vena. Sono i canali
astrali nel corpo astrale, le vie attraverso le quali passa il soffio
vitale, il prana, per alimentare tutte le parti del corpo.

Le tre nadi principali sono:


- sushumna,
- ida e
- pingala.
162
NADI
La prima, sushumna, è forse il più importante dei canali di energia. Nel Merudanda (danda= bastone; Meru=la
mitica montagna asse del Mondo), ovvero nell'asse cerebrospinale (partendo dall'estremità inferiore del
tronco fino ad arrivare all'estremità della testa, la cosiddetta corona), c’è Sushumna che viene descritta rosso
fuoco (Agni).
Le altre due nadi, ida e pingala, si avvolgono intorno a sushumna trasportando le due polarità dell'energia
positiva e negativa. Quella positiva/maschile, rivolta verso l'alto, ascendente; l'altra negativa/femminile,
rivolta verso il basso, discendente. Entrambe terminano alle narici. Pingala termina nella narice destra (parte
del corpo a polarità positivo-maschile) ovvero dell'energia solare". Ida termina nella narice sinistra (parte del
corpo a polarità negativo-femminile) ovvero "dell'energia lunare". All’interno di sushumna scorre dunque
Vajra, luminosa come Surya (il Sole) mentre ancora più internamente splende Citrini pallida come Chandra (la
Luna). Al centro il sottilissimo Brahmanadi: di qui Kundalini risvegliata passa dal Muladha-ra al Sahasrara.
Questi ultimi individuano due dei molteplici “loti” o chakra da cui è ulteriormente strutturata Sushumna.»
163
CHAKRA
“Chakra è una parola sanscrita che ha diverse traduzioni anche se tutte rimandano al significato di una
forma circolare: ruota, centro, vortice, movimento energetico che si allarga a spirale, bindhu, ossia punto
da cui tutto parte e a cui tutto ritorna. Sono chiamati anche padma, che significa loto perché sono
rappresentati come dei fior di loto chiusi, semichiusi o aperti con differenti numeri di petali rivolti verso la
terra o il cielo, metaforicamente rappresentativi del grado di maturità spirituale raggiunto dall’individuo”
(Cella Al-Chamali, 2010 pag. 33).

I chakra sono pertanto dei punti di raccolta e di trasformazione dell’energia vitale; fungono da porte di accesso
per la corrente energetica, che si propaga all’interno dei canali energetici, le “nadi”, affini ai meridiani della
medicina tradizionale cinese.

164
CHAKRA
La scelta del loto come rappresentazione dei chakra è molto
significativa; infatti alla stregua del loto che germoglia nel
fango, cresce attraverso l’acqua nello sforzo di
raggiungere la superficie e infine raggiunge l’aria e la
luce diretta del sole, così l’uomo si eleva nel suo
itinerario spirituale dall’ignoranza (fango), all’aspirazione
(acqua), e infine all’illuminazione.

I Chakra, come abbiamo già visto precedentemente, hanno


precise localizzazioni e vengono associati ad un bija mantra
ovvero un suono che secondo la filosofia yogica simboleggia il
potere subconscio dell’elemento di cui è simbolo.
165
KUNDALINI
«Nel primo chakra risiede l'energia denominata kundalini. Essa è tradizionalmente rappresentata da un
serpente addormentato, avvolto intorno al prima chakra (muladhara), alla base della spina dorsale. Il suo
nome deriva dalla parola kundala, che significa avvolto, arrotolato, spiraliforme.
Fin dall'antichità, il serpente è considerato simbolo di trasformazione, grazie alla sua capacità di mutare la
pelle ed è associato al benessere fisico e spirituale e all'illuminazione. Anche il caduceo, simbolo della
moderna medicina, ci presenta una coppia di serpenti che si avvolgono attorno al bastone.
Tale energia va risvegliata e dinamizzata attraverso la sadhana (disciplina spirituale) e spinta dentro Sushumna
a risalire di chakra in chakra fino al loto dai mille petali (il Sahasrara). Lungo il suo percorso, kundalini
attraversa tutti i chakra, risvegliandoli e purificandoli. Giunta al settimo chakra (Sahasrara), essa completa il
suo risveglio, portando l'individuo in quello stato che viene comunemente definito realizzazione.»

166
MUDRA
Mudrā (मुद्रा) è un termine sanscrito che significa letteralmente “sigillo”, “gesto” o “segno”.
Anche se esistono Mudra effettuati con differenti parti del corpo, quelle delle mani sono i più usati e
conosciuti.
Le mudra sono strettamente connessi con l’energia dell’universo e il loro scopo è esattamente quello di
incanalarla nel nostro corpo per ottenere determinati benefici.
Quasi ogni mudra è collegata con una divinità della tradizione vedica, la quale a sua volta incarna un aspetto
dell’energia legato ad una qualità che vogliamo risvegliare in noi. Le mudra (e le divinità a loro associate) sono
in relazione con i cinque elementi naturali, energie che nel corpo si riflettono sul piano psicofisico e spirituale
scorrendo attraverso le nadi, canali energetici che terminano proprio nelle dita delle nostre mani.
Rimanendo nello specifico nelle mudra delle mani (più avanti vedremo invece le mudra in senso più ampio)
possiamo dire che ogni dito della mano rappresenta un punto di connessione con un elemento e l’energia ad
esso collegata.
167
MUDRA
Posizionando le dita in un certo modo siamo in
grado di controllare la quantità di energia
elementale che scorre dentro di noi, e di
conseguenza attingiamo alle qualità associate
all’elemento che stiamo invocando.
Ecco di seguito l’elenco delle energie associate ad
ogni sito della mano:
Pollice: sole, energia, fuoco.
Indice: aria, energia in movimento.
Medio: spazio, espansione, apertura.
Anulare: terra, solidità, radicamento.
Mignolo: acqua, liquidi, mobilità.
168
BANDHA
Bandha (बन्ध in sanscrito) è un termine specifico dello Yoga che significa "chiudere", od anche "afferrare",
"prendere". Esprime l'azione del fissaggio posturale eseguito contemporaneamente sia a livello fisiologico sia a
livello delle energie interiori localizzate nei chakra, i centri vitali secondo lo Yoga.
Esistono tre diversi livelli corporei in corrispondenza dei quali viene eseguito il cosiddetto fissaggio posturale
(bandha) durante la pratica del prāṇāyāma (esercizio fondamentale dello Yoga e prerequisito per ogni altro
tipo di esercizio yogico), 1º, 3º e 5º chakra. Uno degli scopi di questi fissaggi, sempre compiuti sia a livello
fisiologico sia a livello energetico, è quello di favorire il flusso dell'energia vitale detta Kundalini dai chakra più
bassi verso quelli superiori.
I Bandha sono:
• Mulabandha
• Uddhyanabandha
• Jalandharabandha
• Mahabandha 169
COS’E’ SWARA YOGA
Swara etimologicamente significa ‘il suono del proprio respiro’. Yoga significa ‘unione’. Pertanto, Swara yoga è
ciò che promuove lo stato di unione mistica raggiungibile mediante il proprio.
La tradizione è stata conservata segretamente dagli yogi esperti che l’hanno tramandata in stretta conformità
con le norme della pratica.
In precedenza, infatti, lo Swara yoga era ancora più gelosamente custodito della maggior parte delle altre
tradizioni tantriche.
L’iniziazione veniva data solo per trasmissione orale diretta da guru a discepolo.
Di conseguenza, poco è stato mai scritto sugli aspetti più sottili della teoria e della pratica.
Per questo motivo troviamo scarsi riferimenti al tema nei testi yogici e tantrici della letteratura sanskrita, e
ancora meno materiale è disponibile nelle lingue occidentali.

170
SWARA YOGA
Lo Swara Yoga si basa sul testo tantrico Shiva Swarodaya, definito "astrologia fonetica", il "suono del respiro".
Il testo è scritto in forma di conversazione tra Shiva e Parvati. Parvati pone domande sulla natura dell'universo,
sulla vita, sulla natura della sofferenza, la morte, la guerra, le influenze positive e negative dei pianeti, come
realizzare la Coscienza Suprema. Shiva risponde che osservando e manipolando il respiro, tutti gli aspetti
dell'universo, dal manifesto al non manifesto, così come le nostre vite possono essere compresi e valorizzati
attraverso il respiro. L'opera ci permette di comprendere la natura del respiro e la sua influenza sul corpo, su
come diverse modalità di respirazione, portano a diversi tipi di azioni. Shiva è la coscienza suprema, Swara il
flusso del respiro attraverso le narici e udaya significa sorgere o risultato o sviluppo, per cui il titolo del testo
può essere reso come “Il risultato della conoscenza del passaggio dell’aria attraverso le narici secondo Shiva”.
Questo testo esalta il significato dei diversi tipi di respiro o dei diversi ritmi pranici così come raccontato dal
Signore Shiva.

171
SWARA YOGA
Le Upanishad si riferiscono allo swara come atmaswarupa o brahmaswarupa, deducendo che l’uomo è una
parte di Brahman o coscienza universale. Se si riesce a capire la vera realtà del respiro, si può realizzare
l’Atma o Sé.
La respirazione è quindi più che una semplice azione fisica.
Ogni respiro ha un significato implicito ed un particolare messaggio codificato. Per l’aspirante spirituale il
respiro fornisce un veicolo attraverso il quale si può raggiungere l’obiettivo finale.
La respirazione ordinaria è una funzione meccanica eseguita dal corpo fisico, ma nello Swara yoga è un
processo che può essere manipolato e controllato.

172
SWARA YOGA
I tre swara
Tutte le nostre azioni possono essere classificate in tre categorie principali: fisiche, mentali e spirituali, e sono
presiedute da tre modi di respirazione. Lo Swara Yoga ci fa notare che il nostro respiro non è quasi mai uguale
in entrambe le narici, ma c'è sempre una narice dominante. Questo accade con un regolare ciclo alternato tra
le due narici, collegato con i cicli dell'universo, che a loro volta condizionano anche il nostro comportamento.
Ad esempio quando prevale la respirazione con la narice destra, è il momento propizio per le attività fisiche;
quando prevale la narice sinistra, per quelle mentali che richiedono calma e tranquillità; quando entrambe le
narici sono attive, per la meditazione.
Il respiro fluisce prevalentemente attraverso una narice per un periodo che può variare da 30 minuti a qualche
ora, poi la narice attiva si congestiona ed entra in attività la narice opposta. Durante la transizione da una
narice all’altra vi è un breve periodo di pochi minuti in cui il respiro fluisce attraverso entrambe le narici
contemporaneamente.
173
SWARA YOGA
Tale alternanza è determinata dal rigonfiamento e restringimento dei turbinati, formazioni ossee rivestite da
mucosa presenti in entrambe le cavità nasali, che svolgono funzioni di riscaldamento, depurazione,
umidificazione e regolazione del flusso di aria inspirata. In particolare il turbinato inferiore offre un’ampia
superficie mucosa densamente vascolarizzata, giocando un ruolo importante in questo processo.
Esiste un rapporto diretto tra l’attività degli emisferi cerebrali ed il ritmo ultradiano del ciclo nasale. All’aumento
di attivazione cerebrale in un emisfero è associata la dominanza della narice controlaterale. Il ciclo ultradiano di
dominanza emisferica gioca un ruolo fondamentale nelle prestazioni cognitive, nei processi di memoria, nella
percezione visiva, nell’umore e nel comportamento individuale e sociale.

174
SWARA YOGA
In realtà, non è un caso che lo swara scorre a volte attraverso la narice destra e in altri momenti
attraverso la sinistra: nel corpo umano i tre swara corrispondono a tre modalità di funzionamento della
totalità dell’essere – intesa come unità di forza vitale, mente e spirito.
Mente, forza vitale e spirito combinati costituiscono l’essere umano. In Swara yoga, la mente è conosciuta
come chitta, la forza vitale come prana e lo spirito come atma.
Chitta controlla i nervi sensoriali: gli occhi, il naso, la lingua, le orecchie e la pelle.
Prana controlla i cinque organi di azione: organi della fonazione, mani, piedi, organi riproduttivi e organi
escretori.
Atma è il testimone interno.

175
METODI PER CAMBIARE SWARA
La respirazione dalla narice sinistra favorisce la modalità chitta, ovvero un modello di azione di tipo mentale,
quindi azioni come pensare, memorizzare, progettare.
La respirazione dalla narice destra favorisce la modalità prana, ovvero un modello di azione di tipo fisico, quindi
azioni come camminare, parlare, urinare, mangiare, digerire.
La respirazione da entrambe le narici favorisce la modalità atma, ovvero un modello di azione di tipo spirituale,
quindi azioni come pregare e contemplare.

Le nostre azioni possono essere classificate in queste tre principali categorie, ed ogni tipo di azione è
presieduto da uno specifico flusso dello swara.

176
METODI PER CAMBIARE SWARA
Lo Swara sinistro presiede azioni mentali, lo swara destro su azioni fisiche, entrambi gli swara insieme
presiedono azioni spirituali. Quando entrambe le narici sono aperte, la mente diventa unintenzionale – ci si
può facilmente lasciare assorbire nel processo di meditazione. Pertanto, in Swara yoga la prima regola è
azione corretta per lo swara appropriato. A questo scopo ci si dovrà allenare a mantenere il controllo sul
proprio swara in accordo con l’azione che si sta eseguendo, o, al contrario, a regolare l’azione in armonia con
lo swara. Così, lo Swara yoga mira ad armonizzare mente e corpo con lo spirito.

177
METODI PER CAMBIARE SWARA YOGA
La tecnica di Swara Yoga ha lo scopo quindi di verificare se il
dominio della narice è in accordo con i cicli planetari, ed
eventualmente correggere di conseguenza. Ciò eviterebbe
problemi psicologici e fisici. Se si desidera modificare uno stato
emotivo indesiderato, bisogna riattivare la narice congestionata,
per cambiare flusso e stato d'animo. Swara Yoga prevede lo studio
sistematico del flusso respiratorio attraverso le narici, in relazione
alle fasi o posizioni del sole, luna, pianeti, le stagioni, ora del
giorno, con le condizioni fisiche e mentali del singolo individuo.
Il ciclo swara è sostanzialmente caratterizzato da un ciclo del
respiro alternato, ogni 60 minuti, tra narice destra (pingala nadi),
narice sinistra (ida nadi), espresso nelle 24 ore, condizionato dal
ciclo alba, tramonto e dalle fasi lunari. 178
METODI PER CAMBIARE SWARA YOGA
All'interno di questo ciclo c'è un altro ciclo, molto più sottile, che è il ciclo dei 5 elementi (tattva).
La percezione dei 5 elementi nel respiro
Il Samkhya dice che la creazione avviene quale prodotto degli elementi essenziali (tattva). Secondo la Shiva
Svarodaya, oltre ai cicli alternati tra le due nadi tra ida e pingala, all'interno di questi cicli, si possono percepire
anche i cinque elementi fondamentali, terra (prtvi), acqua (ap), fuoco (tejas), aria (vayu) ed etere (akasa). Nella
respirazione si entra in contatto con questi elementi, che a seconda di quello dominante, influenzano il nostro
comportamento. Questi elementi si alternano a seconda della narice dominante, con il seguente schema:

179
METODI PER CAMBIARE SWARA YOGA
L'elemento terra (prtvi), sfiora il lato interno della narice ed è portatore di
radicamento e stabilità.
L'elemento acqua (ap), sfiora i lati delle narici verso le guance ed è portatore di
compassione.
L'elemento fuoco (tejas), scorre verso la punta del naso ed è portatore di ardore,
ambizione, competizione.
L'elemento aria (vayu) scorre lateralmente sui lati esterni delle narici ed è
portatore di attività mentale.
L'elemento etere (akasa) è un respiro sottile, scorre centralmente nelle narici ed
è portatore di tranquillità e pace.
Se durante l'alternanza del respiro tra le narici e l'alternanza degli elementi,
riusciamo a percepire il momento in cui le due narici si eguagliano e abbiamo la
presenza dell'elemento etere, la meditazione, sarà straordinariamente efficace. 180
RIEQUILIBRIO NADI
Nello Yoga la parola flusso può essere resa con Nadi. Le due narici permettono tre differenti flussi di energia.
Questi sono conosciuti come Ida, Pingala e Sushumna. La narice sinistra è collegato alla rete di Ida nadi, la narice
destra a Pingala, l’attività contemporanea di entrambe le narici è connessa col canale centrale della colonna
vertebrale, Sushumna.
Le correnti energetiche create dai respiri destro e sinistro agiscono come le correnti positive e negative in un
circuito elettrico. Lo swara sinistro è il polo negativo, mentre il destro è il polo positivo. Quando la narice destra
è in azione, si si dice che Pingala stimola l’organismo, la forza vitale, il prana. Quando la narice sinistra scorre, Ida
stimola le facoltà mentali, il chitta. Nel periodo di transizione tra una narice e l’altra, che generalmente si protrae
per pochi minuti, entrambe le narici diventano attive contemporaneamente, e si dice che Sushumna nadi stimola
il potenziale spirituale o atma. Sushumna nadi è la causa di azioni di natura spirituale.
L’obiettivo di ogni sistema yogico e tantrico è di attivare Sushumna nadi.

181
RIEQUILIBRIO NADI
Sushumna si trova al centro della colonna vertebrale e si fonde con ida e pingala sopra la radice del naso in Agya
chakra, il punto dietro il centro tra le sopracciglia. E’ attraverso Sushumna che la Shakti Kundalini, la forza
spirituale, deve essere incanalata. Quando entrambe le narici sono attive ed equilibrate, il passaggio di
Sushumna si apre.
Quando Sushumna scorre, chitta e prana diventano equilibrati, i pensieri sono placati e la mente è calma. Per
questo, lo swara associato a Sushumna e al funzionamento di entrambe le narici insieme è noto anche come
Shunya Swara. Shunya significa vuoto. Per lo yogi questo è il tipo più significativo di swara perché è proficuo
nella pratica di dhyana o meditazione.
Sviluppare Shunya Swara è l’obiettivo dello Swara yoga.

182
SWARA YOGA E PRANAYAMA
Lo Swara yoga, tuttavia, non deve essere confuso con il Pranayama, che implica un diverso aspetto del respiro.
Sebbene entrambi abbiano a che fare con il prana, Swara yoga sottolinea l’autoanalisi del respiro e la rilevanza
dei differenti ritmi pranici, mentre il Pranayama è più propriamente una tecnica per riorientare, accumulare e
controllare il prana nel corpo.
Molti dei testi yoga come Shiva Samhita, Goraksha Samhita e varie Upanishad trattano le funzioni del prana.
La Mukanda Upanishad paragona lo swara alla corda di un arco mediante il quale la coscienza, come una
freccia, può essere scoccata per perforare l’Atman o spirito universale. La respirazione non solo mantiene il
corpo fisico, è un mezzo diretto per l’evoluzione della coscienza. Per quanto riguarda la scienza medica, è
collegata con la funzione puramente biologica del sistema respiratorio. Questo è corretto, ma Swara yoga
offre una visione più profonda, perché l’esistenza dell’uomo non è limitata al corpo fisico. Oltre al corpo fisico
esiste l’energia; oltre l’energia, la mente; oltre mente, la coscienza; al di là della coscienza, la supercoscienza.

183
ANULOMA VILOMA PRANAYAMA
Ci si siede nella posizione di padmasana o in un’altra postura meditativa che risulti agevole.
La spina dorsale viene tenuta diritta e l’addome viene tenuto sotto controllo (cioè lievemente contratto) per
tutta la durata dell’esercizio.
A questo punto si deve formare una speciale mudra con la mano destra, ripiegando contro il palmo l’indice e il
medio uniti. L’anulare e il mignolo restano distesi per chiudere la narice sinistra, mentre la narice destra viene
chiusa con il pollice. Lo schema della respirazione è il seguente.

184
ANULOMA VILOMA PRANAYAMA
Si inizia inspirando lentamente e profondamente attraverso la narice sinistra.
Il flusso del respiro è mantenuto uniforme finché l’inspirazione è completa: questa è la fase del puraka.
Si chiude quindi immediatamente la narice sinistra con l’anulare e il mignolo: ora entrambe le narici sono
chiuse. Durante la ritenzione si esegue jalandhara-bandha in modo da trattenere il respiro secondo le
possibilità individuali (yathashakti): viene così eseguita la fase del kumbhaka. Quando sopravviene il pressante
bisogno di espirare, si libera la narice destra sollevando il pollice e si dà corso all’espirazione, lenta e profonda,
attraverso questa narice. É consentita anche la contrazione dei muscoli addominali, senza sforzo, in modo che
l’espirazione sia completa: questa è la fase del rechaka. Il puraka successivo si effettua attraverso la
medesima narice (destra), poi, dopo il kumbhaka eseguito come descritto in precedenza, si esegue il rechaka
attraverso la narice sinistra. Questa sequenza costituisce un ciclo di nadi-shuddi-pranayama, nel quale la fase
del puraka è lunga e lenta (dirgha e manda) e la fase del rechaka è ancora più lunga (pradirgha). Bisogna
effettuare tre, sette, dieci o più cicli di seguito: il rapporto tra puraka, kumbhaka e rechaka può essere 1 :2 :2
oppure 1 :4 :2. 185
CHANDRA BEDHANA PRANAYAMA
Seduti in posizione confortevole a gambe incrociate, se sei un praticante avanzato puoi prendere la posizione
del mezzo loto o del loto, portando i piedi sopra le cosce all'altezza delle anche.
Inspirando, solleva le spalle e ruotale indietro. Espirando, fai scivolare le scapole verso il basso in modo da
tenere la colonna vertebrale dritta. Le braccia distese lungo il corpo, le mani appoggiate sulle ginocchia con i
palmi rivolti verso l'alto, il pollice e indice sono chiusi in un delicato contatto, chiamato Chin Mudra. Solleva la
mano destra e porta il dito indice e il medio tra le sopracciglia, nel punto in cui è situato il terz'occhio,
Bhrumadya Drishti. Chiudi gli occhi e dirigi il tuo sguardo interiore verso quel punto. Fai un profondo inspiro e
poi espira svuotando completamente i polmoni.
Chiudi delicatamente con il pollice la narice destra ed inspira lentamente con la narice sinistra, contando fino a
quattro. Ora chiudi la narice sinistra con anulare e mignolo ed espira dalla narice destra, contando anche qui
fino a quattro e cercando di svuotare i polmoni
Inspira sempre da sinistra ed espira da destra.
186
CHANDRA BEDHANA PRANAYAMA
Questo tipo di respirazione si esegue a narici alternate, quindi dopo l'espirazione, chiudi nuovamente la narice
destra con il pollice e inspira con la narice sinistra sempre contando fino a quattro e poi espira dalla narice
destra. Tieni la eretta, gli occhi chiusi e lo sguardo fisso al terz'occhio. Continua ad inspirare da sinistra e ad
espirare da destra, chiudendo le narici in maniera alternata. Se puoi cerca di aumentare la lunghezza del tuo
respiro, portandolo a sei conti, sia nell'inspiro che nell'espiro.
Benefici: riequilibra il sistema nervoso

187
YOGA: I quattro rami
Quattro sono le vie principali che conducono all’unione spirituale del sé con la realtà/verità assoluta:

• Bhakti yoga - la via devozionale e della generosità,


• Karma yoga - la via dell’azione disinteressata,
• Jnana yoga - la via della conoscenza e della saggezza,
• Raja yoga - la via della meditazione.

188
BHAKTI
«Bhakti -Yoga è la via mistica per eccellenza, la via del cuore infatti Bhakti significa devozione. Chi segue
questa filosofia abbandona le speculazioni filosofiche per lasciare posto nel proprio cuore ad un grande
sentimento d’amore per il Creatore. Nel Bhakti c’è una fede profonda che non ha bisogno di dimostrazioni.
Infatti il bhakti trova Dio ovunque, in ogni essere vivente, cose e persone, e sovente il suo grande amore
trabocca per dare origine a laudi e poesie. Seguaci di questa disciplina furono anche San Francesco, Santa
Chiara e Jacopone da Todi. Differentemente a chi pratica karma - yoga, chi segue questo sentiero, rinuncia
totalmente al mondo, e ha sovente una vocazione religiosa.»

189
BHAKTI
Sia per il credente che per il non, la meditazione può diventare uno strumento per aprire il proprio cuore
all’amore ed alla comprensione. Meditando e facendo gli esercizi aiuta a formare una personalità più;
completa equilibrata e serena, facendo così in modo che accanto alla ragione prenda il posto anche il
sentimento.

190
KARMA YOGA
«Questa è la via di realizzazione per mezzo delle opere, senza attaccamento e senza il desiderio di un possibile
successo. I concetti fondamentali di questa via sono stati portati alla luce dalla Bhagavadgita o Canto del
beato. La Bhagavadgita è un poemetto di 700 versi, scritti intorno agli inizi dell’era cristiana. E’ un’opera di
altissimo valore spirituale, lo stesso Gandhi ne ha tratto l’ispirazione per la propria vita. L’inizio è un dramma.
Sul campo di Kuruksetra, ci sono le opposte schiere dei Pandava e dei Kaurava che stanno per affrontarsi in
battaglia. L’eroe Arjuna che ha a fianco in veste di auriga il Dio Krsna, viene preso dallo sconforto. Arjuna è un
prode guerriero, ma nonostante tutto si rifiuta di impugnare le armi. Al solo pensiero di ammazzare i suoi
parenti(i Kurava) , viene colto da un brivido di orrore, ed è pronto a venir meno al proprio dovere che è quello
di ristabilire l’ordine e di far regnare la pace. I suoi avversari sono sostenitori dell’usurpatore Duryodhana, e
quindi Arjuna combattendo , compirebbe un’azione meritoria, guadagnando fama e gloria. L’onore militare,
non permette però ad Arjuna , la giustificazione di versare sangue fraterno. Allora Krsna gli insegna una
profonda verità. Soltanto i corpi sono mortali, mentre l ’atman, il Sé è imperituro.
191
KARMA YOGA
Insegna ad Arjuna ad agire con distacco, deve compiere il proprio dovere ed allo stesso tempo rimanere
distaccato dall’azione, e senza attaccamento al successo o all’insuccesso dell’azione. Essere liberi, non significa
rinunciare all’azione :come sarebbe possibile rinunciarvi ? Il segreto della libertà, e della superiore
realizzazione dell’uomo, consiste nel corretto atteggiamento dell’animo, nei confronti dell’azione (karman). E’
necessario abbandonare ogni atteggiamento egoistico, ogni ansiosa attesa del risultato ; così facendo l’azione
senza attaccamento e desiderio, diventa pura. Chi pratica questo tipo di disciplina, dovrà mantenere fede a
questo ideale il più possibile.»
Il karma-yoga, ci insegna che ognuno di noi deve portare nel mondo un contributo della propria opera, ma
nello stesso tempo dobbiamo separarci dall’idea del risultato e del successo. Lo yogin, non rifugge alle proprie
responsabilità ; egli se le assume fino in fondo e con piena consapevolezza, ma senza farsi coinvolgere
emotivamente.

192
JNANA YOGA
«Jnana yoga è la strade filosofica per eccellenza, (jnana significa conoscenza).
Si tratta quindi, di una particolare visione del mondo , dove vengono trovate le risposte alle domande che
l’uomo si pone sullo scopo della sua esistenza. Ognuno di noi tende ad identificarsi con il proprio corpo ;
secondo questa via questo è un errore grossolano. Al di là del corpo fisico c’è il corpo "sottile" o "pranico" Ma
anche questo corrisponde alla natura reale dell’uomo che è invece data dal vero Sé, atman, principio
immortale e divino che va al di là dell’apparenza e della caducità del mondo divino. Poiché è l’uomo nella sua
esistenza è soggetto all’inganno della maya, (illusione cosmica, apparenza fenomenica che lo disorienta con il
suo continuo mutare), non riesce ad apprendere questa consapevolezza che è già presente dentro di se. Il
seguace dello jnana, rinunciando agli oggetti terreni, meditando a fondo sulla dottrina che gli è stata rivelata,
affinando la sua capacità di discriminazione (viveka) mettendo in pratica i consigli del proprio maestro, diventa
capace, mediante l’intelletto superiore (buddhi), di superare il fenomenico e di conseguire il sommo bene.»

193
RAJA YOGA
«Il Raja-yoga è il coronamento dello hatha-yoga nel quale vengono approfonditi gli stadi superiori.
Vivekananda dice che nella natura esistono manifestazioni più dense e materiali, ed altre che sono più sottili.
Queste ultime sono le cause, mentre le prime sono gli effetti. I sensi di solito sono più facilitati nel sentire i
fenomeni più grossolani, che non quelli sottili. La pratica di questa disciplina ci rende più sensibili a scorgere i
fenomeni sottili. Il raja-yoga, è quella disciplina che si può collegare più facilmente allo yoga; il suo scopo è
sopprimere l’attività mentale ordinaria, con il conseguente raggiungimento del samandhi, cioè lo stato di
enstasi per cui la dualità del soggetto e dell’oggetto cessa di esistere. Nel raja-yoga, alle asana, non viene data
la stessa importanza che hanno sullo yoga ; il raja-yoga, prende in considerazione soltanto le posizioni che si
adattano bene con gli esercizi del respiro, usando solo le tecniche meditative che consentono l’apertura ad
una stato di coscienza superiore.»

194
KUNDALINI YOGA
All’interno del Raja yoga sono comprese ulteriori forme yogiche tra le quali il kundalini che sviluppa tecniche
specifiche per purificare i canali (nadi) e i centri (chakra) energetici al fine di risvegliare e valorizzare l’energia
universale presente in ogni individuo, il mantra e il nada che utilizzano rispettivamente il suono e le note
musicali propedeutici ad un controllo mentale più consapevole, e infine lo yantra che si esprime attraverso la
composizione creativa di svariate forme geometriche finalizzate a promuovere lo stato meditativo.

195
COME SI CREA UNA SEQUENZA
Per strutturare un sequenza di yoga è necessario in primis focalizzare quale sia lo scopo della pratica. Può
essere simbolico (ad esempio proponendo asana che lavorano a livello simbolico sui Chakra), può essere la
costruzione di una posizione complessa oppure essere quello di creare una sequenza armoniosa ed
equilibrata.
In secondo luogo bisogna avere chiaro chi sono i fruitori della classe: per età, per esperienza di pratica,
considerando anche le più comuni patologie che possono esserci (che saranno diverse da età ed età).

Quindi considerare il tempo a disposizione per creare una sequenza che abbia un ritmo che sia agevole per
tutti, dove la parte di riscaldamento e la parte di compensazione abbiano la stessa rilevanza del nucleo della
lezione proposta.

196
COSA SI VUOLE OTTENERE
Nel focus è quindi necessario anche comprendere cosa ottenere:

• Se la pratica proposta è più simbolica sarà il percepire fisicamente e/o emotivamente le parole chiavi ad
esempio connesse a quel chakra

• Se ho incentrato la classe su una specifica posizione sarà il rendere possibile l’entrata in una posizione
complessa per tutti, anche grazie agli aiuti dei supporti,

• Se ho portato l’attenzione al gesto fisico l’obiettivo può essere quello di fare sentire nella pratica uno
specifico movimento o ancora nello specifico cosa fa quel gruppo muscolare,

• In una sequenza dinamica l’obiettivo sarà di percepire l’integrazione del movimento fisico con respiro.
197
DOVE PORRE L’ATTENZIONE
Quando si decide il focus della lezione e l’obiettivo quindi che ci siamo preposti sarà necessario, durante la
stesura della lezione stessa, osservare, per ogni posizione, su dove portare l’attenzione, e di conseguenza
scegliere già le parole adatte per guidare l’attenzione su quella determinata parte.

Ad esempio in Adho Mukha Svanasana:


- Se incentro la pratica sul respiro porterò l’attenzione sul respiro Ujjayi
- Se il focus è una parte muscolare farò portare l’attenzione su quella parte (arti inferiori, superiori, Mula
Bandha,..)
- Se l’obiettivo è comprendere e sentire l’allineamento e allungamento della colonna cercherò attraverso la
percezione muscolare e respiratoria di fare sentire questo.

198
INTENZIONE ED IDEAZIONE
Importante, quindi, avere chiari:
• Obiettivo;
• Focus;
• Tipo di pratica;
• Fruitore tipo;
• Ritmo.

Da qui, scrivere la lezione per osservare se effettivamente la pratica risulta essere fluida, equilibrata e
soprattutto comprensibile in tutte le sue parti.
Quindi dopo averla stesa chiedersi se effettivamente la pratica è chiara nel suo obiettivo, se è alla
portata dei fruitori che ho ipotizzato e se il messaggio che viene portato è comprensibile con i sensi
(non solo nella parte di comprensione logica).
199
DISPOSIZONE ASANA
Possiamo vedere il ritmo di una classe come una gaussiana.
L’apice dello sforzo fisico sarà previsto più o meno nella parte
centrale della lezione. Si arriverà gradualmente (sia che sia una
classe dinamica che una classe più statica) alla parte più fisica
con posizioni di riscaldamento di quella determinata area e/o
con posizioni può semplici di allineamento.
Conclusa la parte più impegnativa a livello fisico è necessario
che gradualmente si arrivi all’immobilità di savasana.
Quindi concludere con contro posizioni (diverse a seconda della
pratica proposta) a terra, che permettano un graduale
abbandono.

200
DISPOSIZONE ASANA
In generale possiamo avere una sequenza più o meno simile:

1. Riscaldamento
2. Posizioni in piedi/Equilibri in piedi
3. Piegamenti in avanti in piedi
4. Estensioni all’indietro
5. Capovolti
6. Aperture a terra
7. Chiusure in avanti a terra
8. Torsioni sedute, o sdraiate
9. Rilassamento finale

201
LE TRE FASI
“Le asana rendono forti e leggeri e ci liberano dalle malattie” Hatha Yoga Pradipika
«Per comprendere la natura delle asana bisogna sperimentarne gli effetti. Non si tratta di semplici esercizi, ma
di posture che vanno mantenute e che devono essere eseguite lentamente, associandole alla respirazione
profonda. Sono delicati movimenti che non solo aiutano a prendere coscienza del proprio corpo, ma
influenzano lo spirito liberando dalle paure ed infondendo serenità e fiducia. Al termine di una sequenza di
esercizi yoga ci si sente rilassati e pieni di energia.
Un asana si compone di tre fasi:
• Il raggiungimento della corretta postura. In questa prima fase, inspirando o espirando, si raggiunge la
corretta postura;
• Il mantenimento della postura. In questa seconda fase si rimane nella postura, sempre inspirando o
espirando lentamente, ritmicamente, profondamente e coscientemente;
• L’uscita dalla postura. In questa terza fase si scioglie lentamente la postura, sempre inspirando o espirando
lentamente. 202
LE TRE FASI
Nella prima fase, quando si assume la postura, determinati muscoli o gruppi muscolari si distendono ed
altri si contraggono.
Nella seconda fase, quando si mantiene più o meno a lungo la postura, i muscoli rimangono stirati ma
rilassati, mentre la respirazione fluida favorisce lo scorrere dell’energia vitale, il prana. Le condizioni
combinate di stiramento e rilassamento provocano un profondo ricambio di sangue nel muscolo.
Nella terza fase, in cui si esce dalla postura, i muscoli ritornano alla loro condizione ordinaria, ma vengono
irrorati abbondantemente dal sangue arricchito di ossigeno grazie alla respirazione profonda nella seconda
fase. E’ importante, salvo indicazioni contrarie, non fermarsi nelle posizioni intermedie. Un asana si
intende compiuta quando la posizione viene mantenuta, senza perdere la concentrazione; si tratta di uno
stato di concentrazione senza tensione e svincolato da obiettivi particolari.»

203
CORSO di HATHA YOGA 1° SEMINARIO
INCONTRO 7 e 8
PROTOCOLLO FORMATIVO

204
MUDRA
"...si devono praticare i Mudrâ con ogni sforzo per risvegliare la regina addormentata all'ingresso del Brahman.
Mâhamudrâ, Mahâbandha, Mahâvedha, Khecharî, Uddiyâna, Mûlabhandha, Jâlandhara-bandha, Viparîta-
karanî, Vajrolî e Shakticâlana sono i dieci Mudrâ, distruttori di vecchiaia e morte. Questi Mudrâ sono stati
rivelati da Âdinâtha, sono divini, conferiscono gli otto poteri sovrannaturali, sono cari al cuore di tutti i Siddha,
e sono difficili da ottenere perfino per i Marut (Dei vedici). Questi Mudrâ devono essere accuratamente tenuti
segreti, come si nasconderebbe uno scrigno di pietre preziose. Non se ne deve parlare con nessuno, come di
rapporti amorosi con una donna di nobile famiglia...". (Hatha Yoga Pradipika III, 5)

Il termine Mudra, che letteralmente significa sigillo, indica usualmente particolari posizioni della mani e delle
dita, che possiedono significati simbolici e mistici.
Nello Hatha yoga esse sono complesse situazioni corporali, in cui si combinano assieme posizioni, contrazioni,
concentrazione e che «sigillano» cioè bloccano, arrestano il prana all’interno del corpo stesso modificandone il
205
flusso naturale allo scopo di conseguire il distacco dal piano ordinario di esistenza.
MUDRA
Gli otto poteri soprannaturali sono i seguenti:

Animan: capacità di ridurre il proprio corpo a dimensioni microscopiche;


Machiman. Il potere di acquisire dimensioni estremamente grandi
Langhiam: il diventare leggerissimi
Prapti: il potere di raggiungere fisicamente qualsiasi oggetto
Prakamya: il veder esaudito ogni proprio desiderio grazie alla forza mentale
Vasitva: il dominio su tutte le cose
Isitrtva: il potere divino di creare, di riassorbire l’universo, di ordinarlo secondo il proprio volere
Yatrakamavasayitva: la capacità di determinare le cose secondo il proprio volere

206
MUDRA
Le Mudra sono comuni alle tradizioni induiste e
buddiste, sono usate nei rituali tantrici e nel taoismo,
nelle danze classiche indiane e nel buddismo tibetano.
La gestualità rituale delle mani è comune a tutte le
religioni: anche nella religione cristiana, ad esempio, i
fedeli si raccolgono in preghiera con le mani giunte
(Atmanjali mudra).

l’Hatha Yoga Pradipika descrivono i Bandha insieme ai


Mudra perché sono anche essi dei sigilli o chiusure che
conferiscono potenza ai nostri Vayu, altrimenti
definibili come “soffi” o “venti”.
207
MUDRA
Nell'antico testo Hatha Yoga Pradipika, sono elencate
10 mudra fondamentali:
• La Mahamudra (la grande mudra)
• Mahabandhamudra (la grande legatura)
• Mahavedhamudra (la grande perforazione)
• Kecharimudra
• Uddiyanabandhamudra
• Mulabandha
• Jalandharabandha
• Viparitakaranimudra
• Vajrolimudra
• Shaktichalanamudra (l’attivazione della potenza)
208
MANTRA
«Il tantrismo è caratterizzato da partiche associate all’uso di formule sacre e rituali, mantra e bīja («semi»
fonici). Questi elementi linguistici o fonetici (frasi, parole, lettere e suoni) simboleggiano entità
spirituali e si crede che incarnino il potere stesso della divinità principale. Tali formule sono usate in ogni
circostanza e in ogni genere di pratica tantrica, riti iniziatici e religiosi come pure nel corso di attività e compiti
quotidiani. Per un adepto tantrico (come pure per un hindū, ma questa è una caratteristica tantrica)
non si può vivere senza mantra.
Di fatto il mantraśāstra, l’insegnamento dei mantra, è spesso interpretato come tantraśāstra,
l’insegnamento dei Tantra.
I mantra sono frequentemente accompagnati da diagrammi (mamaala, yantra o chakra), simboli
cosmici geometrici usati per il rituale e la meditazione. Nella maggior parte delle pratiche rituali sono anche
usate, come abbiamo appena visto, le mudra.»

209
MANTRA
Tra i mantra possiamo ricordare:

Rudra mantra

ॐ त्र्यम्बकम् यजामहे सुगन्धन्धम् पुष्टिवर्धनम् ।उवाध रुकष्टमव बन्धनान् मृत्योमुधक्षीय मामृााा्


Oṃ tryambakaṃ yajāmahe sugandhiṃ puṣṭivardhanam urvārukam iva bandhanān mṛtyor mukṣīya māmṛtāt
"Veneriamo il Signore dai tre occhi, profumato, che dà la forza e la libera dalla morte. Possa liberarci dai
legami della morte."

Il mantra è rivolto a Śhiva nel suo aspetto distruttivo, Rudra, ed è un'esortazione il cui scopo è di allontanare la
morte, nel senso di prevenire l'invecchiamento. Si ritrova per esempio nei testi: Mahānirvāna Tantra (5, 211);
Uddīsha Tantra (94).
210
MANTRA
Gayatri mantra

ॐ भूभुधवस्व: | ाा् सष्टवाूवधरेण्यम् | भगो दे वस्य र्ीमष्टह | ष्टर्यो यो न: प्रचोदयाा्


Oṃ bhūr buvaḥ svaḥ | tat savitur vareṇyaṃ | bhargo devasya dhīmahi | dhiyo yo naḥ pracodayāt
"Sfera terrestre, sfera dello spazio, sfera celeste! Contempliamo lo splendore dello spirito solare, il creatore
divino. Possa egli guidare i nostri spiriti [verso la realizzazione dei quattro scopi della vita]."

Composto di dodici più dodici sillabe, è ripetuto dodici volte il mattino, il mezzogiorno e la sera. Il suo uso è
vietato alle donne e agli uomini di casta bassa.

211
MANTRA
Om Mani Padme Hum

ॐ मष्टि पद्मे हूँ


Om Mani Peme Hung o Om Mani Beh Meh Hung in tibetano
"Salve o Gioiello nel fiore di Loto»

È il mantra di Cenrseig, il Buddha della Compassione e protettore di chi è in imminente pericolo. Questo
mantra viene raccomandato in tutte le situazioni di pericolo o di sofferenza, o per aiutare gli altri esseri
senzienti in condizioni di dolore. Uno dei suoi significati più tenuti in considerazione è la collocazione del
Gioiello, simbolo della bodhicitta, nel Loto, simbolo della coscienza umana. Ha altresì il potere di sviluppare la
compassione, grande virtù contemplata dal Buddhismo.

212
MANTRA
Mantra rāja

Śrīṃ Hrīṃ Klīṃ Kṛṣṇāya Svāhā


"Fortuna, Illusione, Desiderio, Offerta al dio oscuro."
Il dio oscuro è Krsna, con riferimento al colore della sua pelle. Il mantra invoca tre aspetti del dio, e ha come
scopo di ispirare l'amore divino.

Mantra rivolto alla Dea suprema (Parā Śakti)

Auṃ Krīṃ Krīṃ Hūṃ Hūṃ Hrīṃ Hrīṃ Svāhā


Lo scopo di questo mantra è generico, viene recitato per ottenere qualsiasi realizzazione. Presente, ad
esempio nei: Karpūradi Stotra (5); Karpura-stava (5).
213
MANTRA
Śiva panchākśara mantra

ॐ नम: ष्टिवाय
Oṃ namaḥ Śivāya
"Io mi inchino davanti a Śiva."
È il mantra principale nelle correnti devozionali saiva. Composto di cinque sillabe (panchākśara vuol dire
appunto "cinque sillabe", e cinque è il numero sacro di Śiva), viene ripetuto in genere 108 volte, o anche 5
volte tre volte al giorno. È contenuto in molti testi, fra i quali, ad esempio, lo Śiva Āgama, lo Siva Purana.

Netra mantra

Oṃ Juṃ Saḥ
214
È detto anche "il mantra dell'occhio di Śiva", ed è citato nel Netra Tantra, cap. VII.
MANTRA
Viṣṇu astākśara mantra
Auṃ namo Nārāyaṇaya
"Io mi inchino davanti a colui che dispensa sapere e liberazione."
Il mantra è rivolto a Visnu, essendo Nārāyaṇa appellativo del dio.
Hare Krsna mantra
Hare Kṛṣṇa Hare Kṛṣṇa | Kṛṣṇa Kṛṣṇa Hare Hare | Hare Rāma Hare Rāma | Rāma Rāma Hare Hare
Noto anche come Mahā mantra ("grande mantra"), è il mantra più noto delle correnti devozionali krishnaite,
molto conosciuto anche in Occidente a partire dagli anni sessanta per opera della Internationale Society for
Ktishna Consciousness (ISKCON) (nota più familiarmente come "gli Hare Krishna"), associazione religiosa
statunitense di devoti a Kṛṣṇa fondata nel 1966 in New York. Hare è uno degli appellativi di Viṣṇu, Rama è il
settimo avatara di Viṣṇu; l'intonazione del mantra è considerata dai fedeli come il metodo più semplice per
esprimere l'amore di Dio, Kṛṣṇa medesimo, completa manifestazione di Īśvara. 215
DRISHTI
Drishti significa vista o vista, sguardo o sguardo, mira o attenzione.
In astrologia, drishti si riferisce a un aspetto planetario. Quelli più diretti sono considerati più forti.

Nelle pratiche ayurvediche, dristhi è il nome del centro della retina e, nello yoga, è lo sguardo stesso o il punto
di focalizzazione. Drishti è sia con che senza forma, e può essere fisico e visivo, o può riferirsi al focus o al
punto di vista della mente.
La relazione di Drishti i con l'occhio della mente è correlata alla sua definizione di conoscenza o
saggezza. Dristhi è un mezzo per sviluppare l'intenzione concentrata, la capacità di tagliare l'illusione e vedere
il mondo così com'è, e la qualità del risultato di questo tipo di visione. Nel buddismo Mahayana, dristhi è la
propria visione del mondo

216
DRISHTI
Con gli occhi rilassati, lo sguardo è fisso e l’attenzione è rivolta verso l’interno, verso uno degli otto
oggetti principali per indirizzare DRISHTI:

• Nāsāgre नासाग्रे – Nasagra Drishti: la punta del naso. Si usa in Sūrya Namaskāra, Tadasana, Uttānāsana and
Caturāṅga Daṇḍāsana,e anche durante il transito dalla Vīrabhadrāsana A alla Ūrdhva Mukha Śvānāsana.
• Bhrūmadhye भ्रूमध्ये – Bhrumadhya o Naitrayohmadya Drishti: il punto tra le sopracciglia (terzo occhio). Si
usa in Sūrya Namaskāra durante l’inspirazione seguendo Uttānāsana, durante Ūrdhva Mukha Śvānāsana, e
di nuovo durante inspiro dopo Adho Mukha Svānāsana.
• Pādayoragre पाडयोरग्रे – Padayoragray Drishti: le dita dei piedi. Si usa in Paścimottānāsana (anche nella
sequenza intera) ed Jānu Śīrṣāsana.
• Aṅguṣṭhamadhye अङ् गूष्ठमध्ये – Angushta Ma Dyai Drishti: i pollici. Si usa in Sūrya Namaskāra vinyasas;
Ūrdhva Vṛkṣāsana, Utkaṭāsana, Vīrabhadrāsana I.
• Nābhicakre नाष्टभचक्रे – Nabhi Chakra Drishti: l’ombelico. Si usa in Adho Mukha Śvānāsana. 217
DRISHTI
• Hastagrahe हसाग्रहे – Hastagrai Drishti: le punte delle dita
della mano o il palmo della mano. Si usa in Utthita
Trikonasana, Parivritta Trikonasana.
• Pārśva पार्श्ध – Parshva 1,2 : lato destro / lato sinistro. Si usa in
Utthita Pārśvasahita, Marīcyāsana C e Marīcyāsana D.
• Urdhva Antara: verso l’alto.

Drishti ha molti benefici: primo fra tutti è l’imparare a mantenere


la nostra consapevolezza fissa su un punto. Dove sarà la nostra
attenzione, sarà la nostra energia. Inoltre, prepara alla
meditazione: l’attenzione viene spostata dall’esterno all’interno,
ci si concentra sul respiro e sul silenzio della mente.
218
LE OSSA PRINCIPALI: IMPLICAZIONI FISICHE DELLE POSTURE
Le ossa assieme al tessuto cartilagineo, ai muscoli, alle articolazioni, ai tendini e ai legamenti costituiscono
l'apparato locomotore che è il risultato dell'unione tra l'apparato scheletrico e l'apparato muscolare.

• Le ossa formano lo scheletro e servono a dare stabilità e sostegno al corpo umano, e a proteggere alcuni
organi interni;
• il tessuto cartilagineo supporta l'azione delle ossa;
• i muscoli scheletrici servono al movimento;
• i muscoli del cuore servono alla contrazione di quest'ultimo;
• i muscoli lisci rivestono gli organi cavi presenti nel corpo;
• articolazioni, tendini e legamenti permettono a ossa e muscoli di funzionare al meglio e consentono i
movimenti corretti dello scheletro

219
LE OSSA PRINCIPALI: IMPLICAZIONI FISICHE DELLE POSTURE
L'apparato locomotore, o apparato muscolo-scheletrico, è
il complesso di ossa, muscoli e strutture annesse che
garantisce all'essere umano stabilità, sostegno e capacità
di movimento.
L'apparato locomotore è, quindi, il risultato dell'unione tra
l'apparato scheletrico (o sistema scheletrico) e l'apparato
muscolare (o sistema muscolare).

Le funzioni primarie dell'apparato locomotore sono tre:


• Offrire supporto e sostegno al corpo umano
• Permettere la locomozione e tutti i vari tipi di
movimenti del corpo
• Proteggere gli organi vitali interni 220
LE OSSA PRINCIPALI
Le ossa di distinguono in ossa lunghe, piatte, brevi e irregolari, in base alla forma che assumono.
Le ossa lunghe si sviluppano soprattutto in lunghezza; quelle piatte sono più lunghe e larghe che spesse,
mentre le ossa corte (o brevi) hanno un rapporto simile tra lunghezza, larghezza e spessore; quelle irregolari
sono contraddistinte dalla mancanza di elementi morfologici dominanti.
Le ossa hanno varie funzioni:
• Costituiscono la riserva e il deposito di minerali come calcio, fosforo, sodio e magnesio, indispensabili per la
regolazione di molti meccanismi fisiologici;
• Il midollo osseo in loro contenuto ha la facoltà di produrre le cellule del sangue (globuli bianchi, globuli
rossi, piastrine);
• Danno forma e sostegno alle parti del corpo da cui sono formate;
• Grazie all’interazione con i muscoli e i tendini consentono il movimento degli arti;
• Hanno fondamentali funzioni protettive (si pensi all’importanza del cranio nella protezione del cervello);
• Danno supporto e stabilità anche in mancanza di movimento. 221
HATHA YOGA PRADIPIKA
La Haṭhayoga Pradīpikā è un testo dello Haṭha
Yoga ad opera di Svātmārāma, discepolo di
Gorakhnāth (XV sec.). È uno dei principali testi
dello Haṭha Yoga, insieme alla Gheraṇḍa Saṃhitā
e alla Śiva Saṃhitā, ed è considerato il più antico
testo di questa branca dello Yoga.
Il testo è organizzato in 4 capitoli:
• āsana
• prāṇāyāma
• mudrā,
• samādhi.
222
HATHA YOGA PRADIPIKA
Capitolo primo. Asana.
1.11 L'Hatha Yoga è il più grande segreto degli yogi che desiderano raggiungere la perfezione (siddhi). In effetti,
per essere fruttuoso, lo yoga deve essere tenuto segreto; rivelato diventa inefficace.
1.14 Lo yoga dovrebbe essere praticato secondo le istruzioni del guru.
Questo sutra sottolinea l'importanza del guru. Devi dedicare trenta minuti alla sadhana ogni giorno. Gu significa
"oscurità" e "ru" significa luce. Guru è colui che rimuove l'oscurità e l'ignoranza.
1.15 L'eccesso di cibo, lo sforzo fisico e mentale, la loquacità, l'aderenza alle regole, l'essere in compagnia della
gente comune e l'instabilità sono le sei cause che distruggono lo yoga.
Lo stomaco deve essere riempito per metà di cibo. Troppe parole dissipano l’energia vitale e sprecano tempo.
Cerca di sviluppare l'abitudine di evitare tutte le attività inutili, dispendiose in termini di tempo e di esaurimento
delle risorse energetiche. I sei ostacoli allo yoga, sono kama (lussuria, desiderio), krodha (rabbia), lobha (avidità,
avidità), moha (infatuazione), abhimana (orgoglio), mada (arroganza).
223
HATHA YOGA PRADIPIKA
1.16 Illustra le dieci regole di condotta (yama): Non violenza, verità, non rubare, continenza, perdono, resistenza,
compassione, umiltà, dieta moderata e pulizia e le dieci osservanze (niyama): austerità, contentezza, fede in Dio
, adorazione di Dio, ascolto delle recitazioni delle sacre scritture, modestia, intelligenza perspicace, praticare i
japa (ripezione di un mantra) e il sacrificio. L'Hatha Yoga non pone molta enfasi su questo aspetto.
Il mantra universale che può essere usato da tutti è il mantra A U M. È la vibrazione cosmica delle realtà
manifesta e non manifesta. A rappresenta il mondo cosciente e la creazione, U rappresenta i regni intermedi e il
subconscio, M rappresenta il non-manifesto e l'inconscio.
1.17 Prima di tutto si parla della prima parte dell'hatha yoga. Avendo fatto asana si ottiene la fermezza
(fermezza) del corpo e della mente; non malatia e leggerezza (flessibilità) degli arti.
Quando il prana inizia a scorrere, le tossine vengono rimosse e il corpo diventa elastico. Nei testi yogici il
numero di asana è Trentatre.

224
HATHA YOGA PRADIPIKA
1.20 Gomukhasana (la cifra otto rappresenta l'infinito) 1.25
dhanurasana 1.26 matsyendrasana 1.28 pashimottanasana 1.32
shavasana, 1.44- 47 padmasana. 1.50-52 shimasana (posizione del
leone). Posa i palmi delle mani sulle ginocchia, le dita aperte, tieni la
bocca aperta, la lingua fuori e fissa la punta del naso con mente
concentrata.
1.55-56 Quindi gli yogi, essendo liberi dalla fatica nella pratica degli
asana e dei bandha, dovrebbero praticare la purificazione delle nadi,
mudra e pranayama. Le asana, le varietà di kumbhaka, le pratiche
chiamate mudra e la concentrazione sul suono interiore (nada) sono
comprese in una pratica di hatha yoga. 1.20 Gomukhasana
1.57-62 I cibi che creano tossine e putrefazioni nell'intestino, come
225
la carne, dovrebbero essere assolutamente evitati.
HATHA YOGA PRADIPIKA
Capitolo due. Shatkarma e Pranayama.
2.1. Così essendo stabilito in asana e avendo il controllo (del corpo), prendendo una dieta equilibrata; il
pranayama dovrebbe essere praticato secondo le istruzioni del guru.
Nel pranayama è la durata della ritenzione del respiro che deve essere aumentata per l'assimilazione del prana.
Il processo di respirazione è direttamente collegato al cervello. Se hai il controllo della mente, puoi immergerti
più profondamente in te stesso e controllare le emozioni.
Vayu è il prana e l'aria necessaria per la vita.
Le cinque principali funzioni del vayu sono: apana, prana, samana, udana, vyana.
L'assorbimento dell’energia è alimentato dal prana, l'eliminazione è alimentata dall'apana, il samana è incaricato
dell’assimilazione dello stomaco, il movimento della gola e l'espressione facciale sono dovuti all'adana, la
circolazione è alimentata dal vyana che pervade tutto il corpo.

226
HATHA YOGA PRADIPIKA
2.4 L'aria vitale non passa nel canale centrale perché le nadi sono piene di impurità.
2.5 Quando tutte le nadi e i chakra che sono pieni di impurità sono purificati, allora lo yogi è in grado di
trattenere il prana.
C’è una relazione tra i chakra, centri energetici e i sensi. Muladhara chakra corrisponde al naso, swadisthana alla
lingua, manipura agli occhi e vista, anahata alle mani, vishuddhi alle orecchie e gola, nell’ajna dualità ed ego
cessano di esistere, sahasrara, bindu. (Nei testi tantrici sono rappresentati altri tre chakra: lalana, manas, soma).
2.9 Nadi shodana pranayama. Sedendosi in padmasana, lo yogi deve inalare attraverso la narice sinistra e
cercare di trattenere il respiro a seconda delle proprie possibilità, quindi espirare lentamente attraverso la
narice destra. Dopo che hai prolungato la durata di inspirazione / espirazione sei pronto per aggiungere
kumbhaka. Puoi aggiungere la ripetizione di bijia mantra yam e ram.
Il periodo migliore per praticare il pranayama è un'ora e mezza prima dell'alba, la sera intorno al tramonto
(l'incontro del giorno e della notte).
227
HATHA YOGA PRADIPIKA
2.16 Con la pratica corretta del pranayama ecc., Tutte le malattie vengono sradicate. Attraverso la pratica
scorretta possono insorgere tutte le malattie. Se la pratica è irregolare o scorretta, potrebbe essere molto
dannosa ed è meglio non praticare affatto. Devi sempre praticare con uno stomaco vuoto.
2.19 Quando le nadi sono purificate ci sono sintomi esterni, il successo è definito quando il corpo diventa magro
e luminoso e brillante.
Shatkarma (le sei tecniche di pulizia) sono per quelle persone che hanno disturbi o squilibri nei dosha.
2.24 Dhauti (pulizia dei tessuti). Il panno deve essere lasciato nello stomaco per cinque minuti.
2.26 Basti. Inserire un tubo nell'ano e contrarre l'ano. Effettuare la pulizia con acqua.
2.29 Neti (pulizia nasale). Inserire un filo morbido attraverso il naso fino alla lunghezza di un palmo in modo che
esca dalla bocca. Jala neti è la pulizia nasale con acqua e la lota. È importante rimuovere tutta l'acqua dopo la
pratica. Si consiglia di praticare il bhastrika o kapalbhati pranayama dopo jala neti. Questo asciugherà il naso e
genererà calore nelle narici. Neti promuove un equilibrio tra emisfero destro e sinistro del cervello e procura uno
228
stato di armonia ed equilibrio.
HATHA YOGA PRADIPIKA
2.31 Trataka. Guardare intensamente con uno sguardo fisso e determinato un piccolo punto fino a quando le
lacrime non saranno versate. L'oggetto più utilizzato per fare trataka è una fiamma di una candela, perché dopo
aver chiuso gli occhi, l'impressione della fiamma rimane per qualche tempo. Metti una candela a due o tre piedi
di fronte a te con la fiamma all'altezza degli occhi. È vitale che la fiamma sia ferma e non lampeggi con la
corrente. Cerca di mantenere gli occhi perfettamente fermi, fissa per cinque, dieci minuti la fiamma senza
chiudere gli occhi.
2.33 Nauli. Piegarsi in avanti, protendere l'addome e ruotarne i muscoli da destra a sinistra con velocità. Prima di
tentare il nauli devi essere in grado di eseguire correttamente uddiyana bandha. Porta dentro l'addome e lo
stomaco eseguendo uddyana bandha. 2.34 Il Nauli è importante nelle pratiche di hatha yoga. Attiva il fuoco
digestivo, rimuovendo l’indigestione, la digestione lenta e tutti i disordini del dosha.
2.35 Kapalbhati (pulizia del lobo frontale). Eseguire l’espirazione e l’inalazione rapidamente come un mantice di
un fabbro. Distrugge tutti i disordini dovuti al muco. Il pranayama è utile se praticato senza sforzo.
229
HATHA YOGA PRADIPIKA
2.51 Ujjayi. Chiudendo la bocca, inspira con controllo e concentrazione attraverso ida e pingala, in modo che il
respiro venga sentito dalla gola al cuore e produca un suono soave. Fai kumbhaka, la ritenzione ed espira
attraverso ida. Questo esercizio rimuove il muco dalla gola e stimola il fuoco gastrico. Può essere fatto in piedi,
seduto o camminando.
2.54 Seetkari pranayama (respiro sibilante). Attingendo l’aria attraverso la bocca, fai un sibilo, senza aprire la
bocca e espira attraverso il naso.
2.57 Sheetali (respiro di raffreddamento). Il saggio inspira l'aria attraverso la lingua e pratica il kumbhaka, quindi
espira l'aria attraverso le narici.
2,59 Bhastrika (respiro a soffietto, a mantice). Sedersi con prudenza in padmasana, mantenendo il collo e
l'addome in allineamento, espirare attraverso il naso. E di nuovo l'aria di nuovo l’aria deve essere rapidamente
inalata fino all’anata chakra. Il suono risuona dal cuore fino al cranio. In questo modo il si inspira ed espira
ripetutamente e rapidamente. Bhastrika è simile al kapalbhati, ma in bastrika l'inalazione e l'espirazione sono
230
uguali e sono il risultato di movimenti polmonari sistematici e uguali.
HATHA YOGA PRADIPIKA
Capitolo tre. Mudra e Bandha.
3.1 Come il serpente sostiene la terra e le montagne e i boschi, così la kundalini è il supporto di tutte le pratiche
yoga.
3.5 Perciò la dea che dorme all'ingresso della porta di Brahma dovrebbe essere costantemente sollecitata con
ogni sforzo, compiendo le mudra a fondo. Il Mudra è una specifica posizione del corpo che canalizza l'energia
prodotta da asana e pranayama nei vari centri, e suscita particolari stati d'animo.
Come kundalini shakthi sale attraverso i chakra la sua forma cambia finché non si unisce con il suo signore Shiva
in sahasrara chakra. Quindi non c'è più individualità, energia e coscienza sono una sola cosa e si manifestano
sotto forma di pura luce.
3.6 Maha mudra, maha bandha, maha vedha, khechari, uddiyana, moola banda e jalandhara banda, vipareta
karani mudra, vajroli e shakthi chalana, questi sono i dieci mudra che distruggono la vecchiaia e la morte. Nei
testi yoga c'è confusione quando si parla di mudra e bandha.
231
HATHA YOGA PRADIPIKA
Capitolo quattro. Samadhi.
Secondo il tantra, Shiva è cosciente e non può esistere da solo. Accanto a Shiva c'è l'aspetto di Shakti. Shiva o
coscienza è inattiva e inerte. Shakti è l'aspetto attivo e mutevole e in realtà non è altro che il riflesso o l'energia
di Shiva. Nello schema della creazione, manifesta o potenziale, Shakti è la polarità opposta a Shiva. Il punto
centrale di queste due "tensioni polari" è il bindu. La parola samadhi è composta da due parti, sam che significa
uguale e dhi che significa riflessione o percepire.
4.5 Come il sale si fonde nel mare, allo stesso modo la mente e l'atman sono considerati uniti nel samadhi.
Quando la duplice natura dell'anima individuale e dell'anima cosmica diventa una, tutti i desideri / identificazioni
vengono distrutti e questo è considerato samadhi.
Non importa quanto tu pratichi lo yoga, se non c'è un guru, non ci può essere illuminazione.
4.16 Rimanendo nel luogo più adatto, avendo scoperto come penetrare il sushumna e far scorrere il prana
attraverso il passaggio centrale, esso dovrebbe essere bloccato nel thhrahmarandhra, il centro della coscienza
232
superiore.
HATHA YOGA PRADIPIKA
4.18 Ci sono 72.000 nadi in tutto il corpo. L'unico importante è sushumna.
4.31 Quando l'inalazione e l'espirazione vengono interrotte, il godimento dei sensi viene annientato, quando non
c'è sforzo e si verifica uno stato immutabile (della mente), lo yogi raggiunge laya o assorbimento.
4.36 Con la consapevolezza interiorizzata e lo sguardo esterno senza battere ciglio, questo in verità è shambhavi
mudra, conservato nei Veda. Quando il samadhi viene raggiunto attraverso la pratica, è chiamato unmani.
4.41 La mente ferma, gli occhi semiaperti, lo sguardo fisso sulla punta del naso, la luna (ida) e il sole (pingala)
sospesi, senza alcun movimento (fisico o mentale), che raggiunge la forma di luce (jyoti) che non è altro che
l’infinito, completo, radioso, Supremo. Che altro si può dire?
4.48 In mezzo alle sopracciglia c'è il posto di Shiva, lì la mente è tranquilla. Quello stato è noto come turiya o la
quarta dimensione. Lì, il tempo è sconosciuto.
Il respiro esterno è sospeso, la prana e la mente rimangono immobili al loro posto (Brahamarandhra).
4.60 Tutto ciò che può essere conosciuto, tutto ciò che è conosciuto e la conoscenza, è chiamato mente. Quando
233
il conoscitore e ciò che è noto sono persi insieme, non esiste una doppia o seconda via.
HATHA YOGA PRADIPIKA
4.60 Tutto ciò che può essere conosciuto, tutto ciò che è conosciuto e la conoscenza, è chiamato mente. Quando
il conoscitore e ciò che è noto sono persi insieme, non esiste una doppia o seconda via.
Tutto ciò che è nel mondo, animato ed inanimato, è l'apparenza della mente. Quando la mente raggiunge la
dualità unmana, è perduta. (La parola "unmani" significa letteralmente "no mind", "no thinking").
4.67 Lo yogi, seduto in muktasana, concentrato nello shambhavi (su ajana chakra), dovrebbe ascoltare
attentamente la nada udita nell'orecchio destro. Chiudendo le orecchie, il naso e la bocca, si sente un suono
chiaro e distinto nella sushumna purificata. Sedendosi e tappando le orecchie, premendo il perineo, con la
pratica si può iniziare a sentire varie gamme, qualità e forme del suono.
Forse non si sentirà inizialmente alcun suono, quindi il bhramari pranayama deve essere praticato per qualche
tempo. Quando un suono è udito, tienilo il più lontano possibile. Dopo un po’ di tempo verrà rilevato un altro
suono che emergerà dallo sfondo.
4.69 In tutte le pratiche yoga ci sono quattro fasi; arambha: inizio, ghata: intermedio, parichaya: aumento,
234
nishpatti: consumazione.
HATHA YOGA PRADIPIKA
4.71 Quando lo yogi sperimenta l'arambha nel vuoto del cuore, il suo corpo diventa brillante e con un odore
divino e senza malattie.
4,72 Nella seconda fase Shakti entra nella nadi centrale.
4.74 Nella terza fase c'è l'esperienza del suono del tamburo. Poi c'è il grande vuoto e si entra nel luogo della
perfezione totale o siddhi. Lo squilibrio dei tre dosha, il dolore, la vecchiaia, la malattia, la fame, il sonno sono
superati.
4.76 Nella quarta fase il fuoco del prana si sposta sul luogo di Ishwara.
Questo è chiamato raja yoga quando c'è un elemento nella mente o chitta.
4.79 Ci sono praticanti di hatha yoga che non hanno la conoscenza del raja yoga. Li considero dei semplici
praticanti perché non traggono alcun frutto per i loro sforzi.
4.80 Secondo me, la contemplazione sul centro tra le sopracciglia porta immediatamente allo stato senza mente.
È un metodo adatto, anche per quelli meno intelligenti, per raggiungere lo stato di raja yoga. Il laya raggiunto
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attraverso nada dà un’esperienza immediata.
HATHA YOGA PRADIPIKA
4.83 Attraverso l'ascolto prolungato della nada, la consapevolezza del suono esterno diminuisce. Quindi, lo yogi
supera la turbolenza mentale entro quindici giorni e prova piacere.
4.103 Tutti i processi di hatha yoga e laya yoga sono solo i mezzi per raggiungere il raja yoga (samadhi).
4.109 Nel samadhi uno yogi non conosce né odore, gusto, forma, tatto o suono, non riconosce il proprio sé (ego)
né quello degli altri. Solo quando la dualità del tempo e dello spazio non esiste, puoi avere il darshan del vero sé.
Darshan significa vedere, ma non con gli occhi. Quando gli occhi sono chiusi e i sensi sono chiusi, la mente si è
ritirata e l'ego è stato permanentemente bloccato, in quel momento sei faccia a faccia con quello che chiami
'Dio'.
Il mantra è la base stessa dello yoga, del tantra e della vita spirituale. Il mantra può dare contentezza e
influenzare il tuo carattere e la tua personalità. Il mantra può influenzare il cervello, il corpo, i livelli inconsci e
inconsci. Lo Yantra è la forma del mantra. È una figura geometrica precisamente formulata.

236
HATHA YOGA PRADIPIKA
4.14 Mentre il prana non scorre nel passaggio centrale (sushunna)
mentre il bindu non è stabilizzato dal contenimento del prana, mentre
la mente non riflette la meditazione spontanea, allora coloro che
parlano di conoscenza spirituale parlano solo di storie vanagloriose e
false.

237
IL RILASSAMENTO: YOGA NIDRA
«Lo Yoga Nidra è una pratica di derivazione tantrica (Tantrismo del V sec. D.C., Mahanirvana Tantra, lo Yoga
tantrico della Grande Liberazione) . Il termine viene generalmente tradotto con yoga del sonno, ma non di
sonno nel senso tradizionale si tratta (dato che una delle regole fondamentali di questa pratica consiste nel
mantenere lo stato di veglia), semmai di uno stato di sonno dinamico, conscio, psichico, definito talvolta
stato ipnagogico o ipnayogico.
E’ una pratica estremamente efficace ai fini del rilassamento profondo, tuttavia spesso poco utilizzata nel
corso di una classica lezione di yoga.
E’ un metodo per condurre ad un completo rilassamento fisico, mentale ed emozionale, dato che favorisce
lo scioglimento delle tensioni muscolari, frutto di squilibri dei sistemi nervoso ed endocrino, quelle a carico
del mentale, causate da un’eccessiva tendenza al turbinio dei pensieri e alla cattiva qualità degli stessi, e
quelle a livello della struttura emozionale, che nascono dalla comune tendenza ad interpretare il reale
attraverso concetti che esprimono dualismo e contrapposizione (amore/odio, felicità/infelicità, ecc.).
238
IL RILASSAMENTO: YOGA NIDRA
Durante lo Yoga Nidra si perde il contatto con il proprio corpo fisico (nessun messaggio passa attraverso gli
organi motori), la mente rimane cosciente, ma diviene gradualmente unidirezionale e opera solo attraverso
un canale sensoriale (quello auditivo). Con lo Yoga Nidra non entriamo in uno stato profondo di Pratyahara,
ma rimaniamo in una linea di confine tra il piano psichico e quello cosciente, andando a coinvolgere la
mente subconscia, deposito dell’ego, delle esperienze karmiche e dei relativi archetipi : “Yoga Nidra è una
pratica che porta allo stato di esperienza cosciente gli strati profondi della psiche” .
L’eccezionalità di ciò che si verifica durante la pratica è la possibilità di sfruttare la ricettività e la creatività
della nostra mente: in questo stato l’evoluzione avviene da sé, spontaneamente, senza l’intervento (o
l’ingombro, se si preferisce) dell’intelletto, evitando in tal modo la creazione di conflitti, mettendoci in
contatto con la nostra personalità psichica, responsabile delle nostre azioni e dei nostri pensieri. La mente
durante lo Yoga Nidra è assolutamente obbediente.

239
IL RILASSAMENTO: YOGA NIDRA
Bisogna solo ascoltare le indicazioni di chi guida la pratica, affidandosi, abbandonandosi. In questo modo la
mente raggiunge la quarta modalità, quella della mente totale o super-conscia. Il vero significato dei termini
liberazione e autorealizzazione risiede proprio in questo processo di illuminazione della mente totale.

Abbiamo già visto che lo Yoga Nidra è stato definito un metodo sistematico perché per determinare questo
stato di rilassamento è necessario seguire alcune regole: la pratica si deve basare su una sequenza stabilita, che,
in una pratica di tipo avanzato, preveda queste fasi:
- Preparare la pratica,
- Rilassamento, Risoluzione (Sankalpa),
- Rotazione della coscienza,
- Consapevolezza del respiro, Risveglio di sensazioni, Visualizzazioni, Risoluzione (Sankalpa), Conclusione.»
240
CORSO di HATHA YOGA 1° SEMINARIO
INCONTRO 9
PROTOCOLLO FORMATIVO

241
BANDHA
Come abbiamo visto precedentemente la parola sanscrita Bandha significa “fissare”, “tenere”, “stringere”,
“chiudere” e descrive esattamente l’azione fisica richiesta nella pratica, nonché l’effetto sul corpo pranico:
una contrazione muscolare sui tre diaframmi e gli organi ed apparati ad essi collegati, in fasi respiratorie di
apnea, che serve a convogliare l’energia in punti precisi del corpo, evitando dispersioni.
Dal punto di vista della fisiologia yogica, il bandha consente di bloccare i prana in particolari aree e
possibilmente, dirigerne il flusso in Sushumna nadi, per favorire il risveglio spirituale della Kundalini, che è
l’energia sottile che ognuno possiede ma addormentata nel Muladhara chakra.
La tradizione classica ci tramanda l’esistenza di quattro bandha principali, di cui tre collegati ai tre diaframmi
del corpo fisico, ed uno che è la combinazione dei precedenti tre.

242
BANDHA
«Mûlabhandha è la contrazione di alcuni muscoli del pavimento pelvico.

Nel corpo maschile l’area di contrazione è tra l’ano e i testicoli, mentre nel corpo femminile è dietro la cervice,
dove l’utero si proietta nella vagina.
Mula significa “radice”, “fissato saldamente”, “fonte” o “causa” e qui si riferisce alla radice della colonna, dove
è il perineo, in muladhara chakra, la sede della Kundalini.
Mula bandha, nelle varie posizioni in cui può essere eseguito, ha sempre l’effetto di aumentare la
consapevolezza su muladhara chakra, apportando benefici fisici, mentali e spirituali: stimola i nervi pelvici,
tonifica il sistema uro-genitale ed escretorio, facilita e l’espulsione di gas prodotti dal cibo nello stomaco e di
muco causato dai prodotti caseari, nonché la bile in eccesso, allevia la depressione e le malattie
psicosomatiche e degenerative. Tutto ciò preserva la salute generale.

243
BANDHA
Mula bandha aiuta il riallineamento dei tre corpi in cui si esprime il corpo etereo, cioè fisico, emozionale ed
intellettivo, al fine di consentire il risveglio spirituale, infatti in muladhara chakra risiede l’unica energia viva ed
attiva, quella sessuale -la Brahmacharia – l’energia vitale che è l’unica forza da usare per fare un percorso
spirituale con lo yoga, quindi il pavimento pelvico è l’unico diaframma davvero attivo e gestibile da subito,
sebbene i tre diaframmi debbano lavorare all’unisono ed il loro buon funzionamento dipende dalla qualità
della respirazione.
L’effetto sui prana è descritto così: l’azione di contrazione dell’ano spinge apana verso l’alto, laddove il suo
corso invece è discendente e quindi fonte di dispersione di energia dal perineo. Quando apana raggiunge il
plesso solare, si unisce a prana, ed entrambi penetrano nella sushumna riscaldandola tanto da svegliare
Kundalini, che finalmente risale. Nel contempo, si manifesta il nada, cioè il suono interiore increato e,
risalendo oltre la regione del cuore, esso si unisce a bindu, ossia la risonanza della sillaba sacra Om.
Infine, quando prana, apana, nada e bindu sono unificati e raggiungono la testa, si ottiene la perfezione nello
244
Yoga – il Samadhi.
BANDHA
Questo bandha si può praticare sia in apnea a
polmoni vuoti sia trattenendo il respiro a polmoni
pieni: l’apnea a polmoni pieni potenzia gli stimoli e
consente di aumentare l’assimilazione dell’ossigeno e
la quantità di anidride carbonica da espellere, poiché
l’aria inalata ha più tempo per espandersi e
raggiungere anche gli alveoli polmonari più distanti,
al fine di riattivarli, eliminando ristagni ed
aumentando la capacità polmonare.

245
BANDHA
Uddyana-bandha: è la contrazione addominale.
Consiste nel “ritrarre l’addome che sta sopra l’ombelico verso l’interno, contro la colonna vertebrale”;
“grazie ad esso, il prana, dopo essere stato trattenuto, s’innalza lungo la sushumna.” La Gheranda Samhita,
capitolo 2, verso 10, precisa che bisogna “trattenere il respiro e rimanere in questa posa”.
Uddiyana significa “elevare” o “volare in alto”, infatti in questa pratica il diaframma sale verso il torace,
sollevando lo stomaco, perciò è molto benefico per l’addome: stimola il pancreas e il fegato, massaggia e
tonifica tutti gli organi addominali, riequilibra le ghiandole surrenali, allenta ansia e tensioni e soprattutto
stimola il fuoco digestivo, perché il diaframma toracico è collegato ad intestino crasso e tenue, oltre che a
stomaco, fegato, milza, cuore e polmoni: tutti organi molto influenzati dalle emozioni, anche se queste in
realtà condizionano tutti e tre i diaframmi.
Essi sono connessi ai sistemi neurovegetativi, simpatico e parasimpatico, e sono organi volontari, cioè gestibili
nel movimento e non deteriorabili nella struttura, come invece accade agli altri organi, a causa degli impulsi
246
emozionali.
BANDHA
Uddiyana conferisce un grande stimolo al plesso solare, la sede delle emozioni, ed ha il potere di distruggere
tutte le malattie causate da dieta irregolare e cattiva digestione, poiché il fuoco gastrico è notevolmente
potenziato.
A livello dei vayu, crea una pressione aspirante che inverte il flusso di apana, che è discendente e lo unisce a
quello di prana, fondendoli con samana e stimolando manipura chakra.
Un altro significato della parola uddiyana è che la chiusura fisica aiuta a dirigere il prana verso sushumna, così
che possa fluire verso l’alto in sahasrara chakra.
Questo bandha si esegue sempre solo in apnea a polmoni vuoti – bahia kumbhaka- che è la fase più delicata e
potente delle quattro fasi respiratorie.
Le altre tre sono: inspirazione – puraka; apnea a polmoni pieni – antara kumbhaka; espirazione – rechaka.

247
BANDHA
L’apnea a polmoni vuoti ha l’effetto di rendere sottile il respiro,
cioè di farlo arrivare nelle aree periferiche, dove ci sono blocchi
e ristagni, nonché di fissare lo stimolo e cambiare il tipo di
energia di assimilazione, perché agisce sulla qualità della
percezione sensoriale nel corpo emozionale.

Questa fase respiratoria può essere complicata per praticanti


non esperti o persone molto stressate, perché si può avere
difficoltà nel riprendere ad inspirare ed in quel caso particolare,
si può dare un colpetto sul plesso solare, per aiutare la persona
a riprendere una normale respirazione.
In generale, comunque, dopo apnee a polmoni vuoti fino a
248
cinque secondi, non ci sono pericoli.
BANDHA
Jâlandhara-bandha, Jalan significa rete e dhara significa “corrente” o “flusso”, quindi un’interpretazione
sarebbe chiusura della rete di nadi nel collo, compresi vasi sanguigni e nervi; un’altra interpretazione riguarda
la parola jal che significa acqua, per cui la chiusura della gola servirebbe a bloccare lo scorrere del nettare o
fluido da bindu a vishudda, impedendogli di finire nel fuoco digestivo, al fine di conservare il prana, inteso
come energia vitale.
Questo fluido, l’amrta o soma, sarebbe responsabile del progressivo invecchiamento del corpo: esso è
prodotto nella testa, la quale è associata alla Luna, e scende dal palato verso il ventre, dove è consumato dal
fuoco gastrico, il Sole. Tale processo, che induce il degenerarsi del fisico fino alla morte, può essere interrotto
con la contrazione della gola che blocca il percorso del soma e il fluire delle due nadi in vishudda, il chakra che
controlla i sedici adhara, cioè i supporti principali del corpo umano: le dita dei piedi, le caviglie, le ginocchia, le
cosce, il perineo, il membro virile, l’ombelico, il cuore, il collo, la gola, la lingua, il naso, lo spazio tra le
sopracciglia, la fronte, la testa e l’apertura di Brahma (Brahmarandhra).
249
BANDHA
La Gheranda Samhita, cap. 3, verso 13, aggiunge che questo bandha “…dona le otto Siddhi o poteri spirituali
allo Yogi”, essi sono: Anima / Mahima – capacità di diventare estremamente piccoli / grandi; Garima /
Laghima – capacità di aumentare tanto il proprio peso / diventare leggeri (levitazione); Ishitwa / Washitwa –
capacità di controllare la materia /attrarre persone, cose situazioni; Prakamya – capacità di realizzare qualsiasi
desiderio; Prapti – capacità di ottenere qualsiasi cosa.
Al di là di questo, fisiologicamente la chiusura dell’esofago e la compressione delle giugulari, che forniscono
sangue al cervello, stimola dei recettori sensibili alla pressione sanguigna, capaci di rallentare o accelerare il
battito cardiaco per regolarizzare la pressione ed induce calma mentale. Certamente si stimolano tiroide e
paratiroidi, con enormi benefici generali, non è adatto in caso di ipertiroidismo proprio perché la tiroide non
va ulteriormente stimolata.
Un’eccessiva ritenzione del respiro può affaticare il cuore di chi soffre di ipertensione, disturbi cardiaci o
eccessiva pressione intracranica.
250
BANDHA
Questo bandha si pratica in apnea a polmoni pieni, chiudendo la
glottide, in maniera statica o effettuando il movimento di deglutizione:
questo sposta l’osso ioide e può indurre anche un benefico
riposizionamento della lingua, laddove c’è un’asimmetria, con relativi
disturbi.

251
BANDHA
Maha Bandha è la triplice chiusura.
Consiste nel contrarre quasi simultaneamente i tre diaframmi, sempre in apnea a polmoni vuoti, partendo dal
perineo, poi diaframma toracico, poi gola. Maha significa “grande” ed è per questo che è anche chiamato “la
grande chiusura”:
possiede i benefici dei tre bandha di cui si compone ed è particolarmente utile per stimolare il silenzio della
mente, preparatorio alla meditazione, perché al termine del lavoro il corpo è stabile e fermo e la mente
centrata, cioè in fase di stasi di pensieri e parole.
Ha la capacità di far ascendere il prana lungo la sushumna, rendendolo stabile ed impedendo il sopraggiungere
di malattie e può risvegliare completamente l’energia nei chakra principali, inoltre unisce prana, apana e
samana in manipura chakra, che è il culmine di ogni pranayama.

252
BANDHA
Maha bandha favorisce l’espansione della coscienza,
facendo risalire la kundalini, finalmente libera dai tre
nodi che ne ostacolavano il passaggio.»

253
I CANALI DELLA COMUNICAZIONE: VERBALE, PARAVERBALE E NON VERBALE
In qualsiasi tipo di comunicazione ci sono tre componenti che si relazionano l’un l’altra:
la componente verbale, paraverbale e non verbale.

La componente verbale della comunicazione, è il vocabolario linguistico: la scelta delle parole, la costruzione
logica delle frasi e l'uso di alcuni termini piuttosto che di altri individua questo livello.
Il secondo aspetto sul quale poniamo la nostra attenzione è quello paraverbale, cioè il modo in cui qualcosa
viene detto. Ci si riferisce al tono, alla velocità, al timbro, al volume, ecc. della voce. A seconda di come si usa
la voce, si generano stati d’animo diversi nell’interlocutore. La voce viene registrata dal nostro cervello come
un’informazione che prescinde dal contenuto dei messaggi che essa porta con sè, la voce dovrebbe essere
curata quanto il contenuto stesso. Una bella impostazione vocale, ben modulata, calda, avvolgente
sicuramente può ammaliare e conquistare, cosi’ come ci allontana una voce stridente e priva di calore
254
VERBALE, PARAVERBALE E NON VERBALE
Il terzo aspetto riguarda il non verbale: tutto quello che si trasmette attraverso la propria postura, i propri
movimenti, ma anche attraverso la posizione occupata nello spazio (quale zona di un ambiente si occupa, quale
distanza dall'interlocutore, ecc.) e gli aspetti estetici (il modo di vestire o di prendersi cura della propria
persona).
Nella comunicazione scritta ovviamente questo fattore viene meno, in quanto non viene trasmessa la "fisicità",
in senso ampio, dello scrittore. Potremmo però ricondurre altri fattori alla componente non verbale della
scrittura: il supporto che ospita il brano scritto, se il brano è scritto a mano o al computer, la calligrafia o il font
utilizzati, ecc.

255
VERBALE, PARAVERBALE E NON VERBALE
Secondo uno studio dell’americano A. Mehrabian, nella fase iniziale di conoscenza
con una persona, il linguaggio del corpo (non verbale) gioca un ruolo di
fondamentale importanza; tramite gesti, posture e contatto visivo, esso incide sul
processo comunicativo con una percentuale del 55%.
Per il 38% incidono invece il tono della voce e tutte le componenti paraverbali,
mentre il significato letterale delle parole espresse influisce solo per il 7%.
Da questo punto di vista, sembrerebbe che ciò che diciamo non ha praticamente
importanza rispetto a come lo diciamo; solo un misero 7% del peso della
comunicazione si ascrive al contenuto, contro ben il 93% che dipende da elementi
non strettamente verbali. Questo risultato porta a riflettere sul fatto che ciò che
veramente conta nella comunicazione, e quindi nella capacità di influenzare, è
soprattutto il “come” viene detto, piuttosto che il “che cosa ”. 256
LO SPAZIO PERSONALE
Uno altro aspetto da considerare nella relazione con gli altri e quindi nel guidare una classe è lo spazio
personale.
La Prossemica indica lo spazio che viene adottato dalle persone quando si relazionano e può dare importanti
informazioni sul tipo di rapporto che esiste fra i due interlocutore.
«L’antropologo Edward T. Hall elaborò il modello delle distanze interpersonali, che racchiudono le 4 tipologie
di distanze che le persone assumono nei rapporti sociali:
• Distanza intima (0 – 45 cm) Questo spazio può essere violato solo da persone con cui si ha un rapporto
molto intimo e affettivo, come ad esempio un familiare o il partner.
Prova a pensare ad una persona che si avvicina con la faccia al viso di un’altra persona con tono aggressivo.
Implicitamente lo fa proprio per farlo sentire minacciato, senza farsi scrupoli di violare il suo spazio.

257
LO SPAZIO PERSONALE
• Distanza personale (45 – 120 cm)Nel mondo occidentale rappresenta la distanza ideale per buona parte
delle interazioni, e coincide con la distanza necessaria per una stretta di mano.
Solitamente indica che tra i due interlocutori esiste un rapporto di amicizia e confidenza.
Se il tuo interlocutore non lo conosci possono esserci diverse reazioni violando questo spazio: da una parte
potrebbe apprezzare per il fatto che tu voglia avvicinarti a lui, dall’altra potrebbe non apprezzare per il
fatto che sei stato troppo invadente nei suoi confronti.
• Distanza sociale (120 – 300 cm)Sono le distanze da adottare quando discuti con una persona con cui hai un
rapporto formale e permette di trovare una situazione di comfort quando ti ritrovi a dover parlare a
colloqui di lavoro o a trattative importanti
• Distanza pubblica (oltre 3 m)E’ la distanza che viene adottata nelle conversazioni in pubblico in cui è
praticamente impossibile interagire con il singolo.
Esempi di conversazioni che usano questa distanza sono i comizi, oppure gli spettacoli.»
258
CONGRUENZA
«Uno dei fattori che però incidono maggiormente nella
comunicazione è il livello di "congruenza" che riusciamo ad
infondere al messaggio che vogliamo trasmettere.
Per comunicazione congruente si intende una comunicazione
che vede allineati fra loro il livello verbale, quello paraverbale
ed il non verbale».

Cosa accade quando la comunicazione non risulta congruente?


«Quando vi è un disallineamento tra quello che si dice ed il
modo in cui lo si dice, l'efficacia della comunicazione si riduce
drasticamente, e comincia ad essere necessaria la ripetizione
estenuante degli stessi concetti ed il nostro livello di frustrazione
cresce.» 259
IL RICALCO
“Il ricalco è l’essenza di ciò di cui si ha bisogno per stabilire un rapporto. Significa entrare in relazione con il
cliente basandosi sul suo modello del mondo e stabilire con lui delle affinità sia a livello cosciente sia, cosa
ancor più importante, inconsciamente. Ci sono tanti modi per farlo, quanti ne permette la vostra esperienza
sensoriale; nella misura in cui voi potete adeguarvi al comportamento verbale e non verbale di un’altra
persona, ricalcherete la sua esperienza. In sostanza ciò significa che un terapeuta si inserisce in un meccanismo
di bio-feedback, divenendo per il cliente uno specchio. Si tratta di un’altra delle tecniche più importanti e più
efficaci per influenzare il comportamento” (Lankton, Magia pratica).

«In generale possiamo distinguere tre tipi di ricalco:


Ricalco non verbale: significa rispecchiare i gesti e i movimenti dell’altra persona
Ricalco paraverbale: rispecchia il tono di voce, le pause, il volume e tutto ciò che riguarda l’utilizzo della voce
Ricalco verbale: ricalca gli stessi termini dell’interlocutore
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IL RICALCO
Più in specifico possiamo distinguere:
Ricalco dell’accordo: Se diciamo ad una persona una serie di elementi ( 6 o 7) rilevanti, ritenuti validi e veritieri
per questa persona, l’ottavo verrà accettato senza resistenza.
Ricalco emotivo: Alla base del ricalco voi dite : riconosco il tuo stato, ti comprendo, ti accetto, io sono come te,
siamo simili. Contraddire in modo diretto la persona otterrebbe come risultato una difesa da parte dell’altro.
Ricalco della postura:Ad esempio se vi trovate con una persona che ha l’abitudine di grattarsi la testa quando
pensa, anziché grattarsi la testa per imitarla, potrete grattarvi leggermente un ginocchio senza apparire ovvii
nel vostro ricalco. Per es. non guardare mai la persona in faccia ma attraverso la comunicazione non verbale (
seguire lo stesso ritmo), si ottiene un ricalco inconsapevole.

261
IL RICALCO
Ricalco del tono e del ritmo: Fattori quali la velocità con cui parlate, l’inflessione, la tonalità ed il ritmo che
usate costituiscono un’impronta auditiva di chi siete e di come vi state esprimendo in quel momento.
Ricalco linguistico: La forma del linguaggio include parole specifiche e codici che spesso indicano
l’orientamento culturale della persona. Si ha la capacità di adattare le vostre parole allo schema di pensiero e
di espressione dell’altro.
Ricalco del respiro: Ascoltare il respiro dell’altro, osservare l’altro e iniziare a imitare il ritmo del respiro
dell’altra persona quando parla»

262
GUIDARE
Per sapere guidare una classe sarà così essenziale:

• Fare in modo che ogni persona si senta alla pari degli altri, senza diversità;
• Capacità di enfatizzare il lavoro di squadra, piuttosto che l’individualità;
• Capacità di creare una cultura in cui tutti si sentano parti importanti dell’organizzazione;
• Chiarezza e trasparenza delle proprie idee;
• Competenza nella materia;
• Essere in grado di separare l’errore dalla persona che sbaglia;
• Mostrare le proprie debolezze e i propri errori;
• Non creare competizione con se stessi e/o con gli altri;
• Riuscire ad accettare le critiche come spunti costruttivi per migliorarsi;
• Essere in grado di costruire un ambiente coeso, cioè un gruppo di persone che crea relazioni l’un l’altro;
263
ILEO-PSOAS
«E’ lo stabilizzatore del corpo, ma anche della mente.
Viene definito il muscolo dell’anima, forse anche per il suo
contatto diretto con il muscolo diaframma che interviene
nel meccanismo della respirazione e della diffusione
dell’energia vitale, del prana.
Mantenerlo in forma è fondamentale per il benessere
fisico. Se è contratto provoca seri problemi come dolori
alla schiena, degenerazione dell’anca, problemi digestivi,
disfunzioni respiratorie, alterazioni dell’umore, fino alla
depressione. Mantenerlo libero da tensioni vuol dire
migliorare notevolmente la propria condizione fisica e
mentale.
264
ILEO-PSOAS
Nella pratica yoga il muscolo viene sollecitato ampiamente sia attraverso gli asana che attraverso gli esercizi
di respirazione. Essendo determinante per correggere le asimmetrie del bacino per il corretto utilizzo del
diaframma, per l’inserzione della testa del femore nell’articolazione dell’anca, si può affermare che l’ileo -
psoas sia il muscolo più importante per determinare la posizione del bacino e quindi per l’allineamento
posturale
E’ un muscolo forte e potente composto da due ventri muscolari le cui fibre passano sotto il legamento
inguinale e si uniscono inserendosi nel piccolo trocantere femorale.
Ha origine dalla faccia interna del muscolo iliaco, dai processi trasversi, dai corpi vertebrali, dall’ultima
vertebra toracica e dalle vertebre lombari.
In condizioni normali questo muscolo consente al tronco di stare eretto, perfettamente allineato.

265
ILEO-PSOAS
Per capire come possa essere responsabile dell’allineamento posturale, bisogna sapere che come tutti i
muscoli striati, anche l’ileo-psoas cambia la propria azione secondo il punto che diviene fisso per consentire
di mantenere stabili i segmenti ossei in cui si inserisce (compensazione)
Il punto fisso dell’ileo-psoas sono i piccoli trocanteri e determina l’equilibrio ottimale tra fibre centrali,
laterali e psoas e tra i due psoas.
Il bacino assume quindi la sua posizione fisiologica, armonizzando le curve della colonna vertebrale e tutta la
muscolatura. Questo determinerà la postura corretta.»

266
QUADRICIPITI
«Il quadricipite femorale è il più famoso muscolo della parte anteriore della coscia e, come suggerisce il
nome stesso, è composto da quattro diversi ventri muscolari: il retto del femore e i vasti intermedio, mediale
e laterale. Il retto del femore origina dalla spina iliaca antero-inferiore mentre i tre vasti originano dalla
faccia anteriore del femore.
I quattro capi si inseriscono con un tendine comune a livello della rotula e tramite il tendine rotuleo alla
tuberosità tibiale. Il quadricipite, tra i muscoli della coscia, è fondamentale per il movimento, influenza
direttamente l’estetica della gamba e talvolta può essere protagonista di una contrattura o di uno
stiramento.
In virtù della sua localizzazione anteriore sulla coscia, il quadricipite è il principale muscolo estensore del
ginocchio con tutti e quattro i ventri muscolari. È inoltre un flessore dell’anca con il retto femorale, unico
capo che è in grado di muovere due articolazioni distinte.
267
QUADRICIPITI
Il quadricipite, tra i muscoli della gamba, è
determinante durante attività come la corsa e il
cammino. È altresì fondamentale in gesti motori
come salire le scale, saltare e alzarsi dalla
posizione seduta o accovacciata. Tramite la sua
contrazione veicolata dalla rotula è in grado di
muovere la tibia raddrizzando la gamba, sia
quando è staccata da terra, sia quando il piede è
ancorato al suolo, come nell’atto di salire un
gradino.»

268
I MUSCOLI ADDOMINALI
La muscolatura addominale ha funzione di:
• Stabilizzatore
• Motore gestionale su vari piani
• Contenitiva
• Protettiva
• Facilitatore della respirazione
In relazione alla gravità, le funzioni specifiche sopra elencate, giocano un ruolo determinante nei confronti
dell’adeguato assetto e della relativa stabilità della colonna vertebrale; ad esempio, pensiamo
semplicemente al carico che ogni giorno il nostro corpo e la sua colonna vertebrale debbono supportare.

269
I MUSCOLI ADDOMINALI
La stabilità vertebrale nel nostro corpo è assicurata da 3 sistemi di controllo:
• Passivo, rappresentato da strutture osteo-legamentose
• Dinamico, dato dai muscoli
• Neurologico, mediato dal sistema nervoso

In particolare, per quanto riguarda il sistema di controllo dinamico, studi approfonditi hanno
dimostrato che questi piani muscolari abbiano diversi compiti:
• Quelli più profondi, agiscono sul senso di posizione
• Quelli intermedi, agiscono come stabilizzatori
• Quelli più superficiali, generano i movimenti più ampi

270
I MUSCOLI ADDOMINALI
Inoltre possiamo dividere la muscolatura
addominale in 3 piani:

• Superficiale, retti addominali;


• Intermedi, obliquo esterno e interno;
• Profondi, traverso dell’addome nella
parete anteriore, psoas nella parete
interna, quadrato dei lombi nella parete
posteriore

271
I TRE DIAFRAMMI
Lungo l’asse verticale centrale del nostro corpo esistono, oltre quello respiratorio, altri due principali
diaframmi a forma di cupola: il pavimento pelvico nel bacino e, in alto, il diaframma cranico.

«Il diaframma pelvico è una struttura composta da muscoli, tendini e connettivo, che possiamo
immaginare come un’amaca sospesa all’interno dello stretto inferiore del bacino, con bordi che toccano
sinfisi pubica, coccige e tuberosità ischiatiche, e tessuti che si intrecciano per sostenere le viscere e gli
organi, dal momento che dal punto di vista osseo, il bacino ha la forma di un catino senza fondo.
All’interno di questa struttura sono accolti anche gli orifizi escretori, l’apertura vaginale, l’uretra, ed è
proprio attraverso la gestione di questa muscolatura che possiamo controllare quando rilasciare e quando
trattenere feci e urine.

272
I TRE DIAFRAMMI
Il pavimento pelvico, inoltre, può essere considerato a tutti gli effetti la base della nostra colonna vertebrale,
quindi sostenere un tono adeguato di questa struttura è indispensabile sia per il mantenimento di una buona
qualità delle funzioni viscerali quali peristalsi intestinale o per il funzionamento degli organi della
riproduzione, che per il benessere dell’apparato muscolo scheletrico.
Qualcuno sostiene che un buon allenamento di questa parte del corpo sia il segreto dell’eterna giovinezza.
Il diaframma pelvico ha la forma di una cupola rovesciata, ossia con la parte concava rivolta verso l’alto, proprio
come uno specchio del più imponente diaframma respiratorio posto proprio sopra, sebbene quest’ultimo in
realtà abbia una forma di doppia cupola, con un avvallamento nella regione del centro frenico.

273
I TRE DIAFRAMMI
l diaframma respiratorio invece divide geograficamente la regione toracica da quella viscerale,
esattamente come Anahata si trova al centro del sistema dei chakra, tra i tre inferiori, legati a Madre Terra,
e i tre superiori connessi con il Padre Celeste: luoghi di passaggio e di trasmutazione tra materia e spirito.
I tessuti tendinei del diaframma sono in continuità connettiva con il pericardio, il sacchetto membranoso
che avvolge il muscolo cardiaco, ed è anche così che i due grandi organi legati al nutrimento pranico
dell’organismo sono così intimamente connessi, fin nei tessuti.
La forma del diaframma, a doppia cupola, crea nella sua parte superiore un perfetto giaciglio per il cuore,
che viene costantemente cullato e massaggiato dai movimenti provenienti dalla funzione respiratoria.
Qui ci troviamo in una delle regioni più complesse del nostro corpo, considerando la presenza di questi due
grandi sistemi di pompaggio del sangue, a cui si aggiunge il passaggio dell’esofago e di tutto il sistema
arterioso e venoso che si apre spazi attraverso il diaframma, per non parlare del nervo vago, che dal cranio
scende per innervare le viscere, formando il 75% del sistema nervoso autonomo parasimpatico.
274
I TRE DIAFRAMMI
In ambito osteopatico viene considerato diaframma anche il tentorio del cervelletto, una membrana
meningea che separa i due emisferi cerebrali dal cervelletto. Non possiamo certo considerare questo
diaframma proprio come una cupola, sebbene abbia comunque una sua convessità rivolta verso il basso.
Somiglia più ad una sorta di tenda (da qui appunto il nome tentorio) posta orizzontalmente, sospesa
all’interno del cranio, che viene mantenuta ben tesa pur muovendosi in sinergia con tutti i tessuti da cui è
circondata.
In questa zona cranica si trovano l’epifisi e l’ ipofisi. L’epifisi, in particolare, viene chiama anche ghiandola
pineale in virtù della sua forma che ricorda quella di un cono di pigna, e la sua qualità esoterica è
conosciuta fin dall’antichità, anche in civiltà che apparentemente non hanno nulla in comune.»

275
CONTRAZIONI MUSCOLARI
I tipi di contrazione che si possono avere sono due:
Contrazioni Dinamiche e Contrazioni statiche

Le contrazioni dinamiche possono essere:


ISOTONICHE, ISOCINETICHE, AUXOTONICHE e PLIOMETRICHE.
• Contrazione isotonica: La contrazione comunemente chiamata ISOTONICA (a tensione costante) si ha
quando un muscolo si accorcia spostando un carico che rimane costante per l'intera durata del periodo
di accorciamento; essa si può dividere in due fasi:
Fase CONCENTRICA o POSITIVA quando il muscolo si accorcia sviluppando tensione (ad es. sollevando un
peso).
Fase ECCENTRICA o NEGATIVA quando il muscolo si allunga sviluppando tensione (ad esempio
riabbassando lentamente lo stesso peso). 276
CONTRAZIONI MUSCOLARI
• Contrazione isocinetica: La contrazione ISOCINETICA si ha quando il muscolo sviluppa il massimo sforzo
per tutta l'ampiezza del movimento, accorciandosi a velocità costante (tensione variabile); si ottiene
solo con particolari macchine, definite isocinetiche.
• Contrazione auxotonica: La contrazione AUXOTONICA aumenta progressivamente con l'accorciamento
muscolare (es. elastici).
• Contrazione pliometrica: La contrazione PLIOMETRICA è una contrazione concentrica esplosiva,
immediatamente preceduta da contrazione eccentrica; in tal modo si sfrutta l’energia accumulatasi
nelle strutture elastiche del muscolo nella precedente fase eccentrica.

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CONTRAZIONI MUSCOLARI
Contrazioni Muscolari Statiche: Le contrazioni statiche sono quelle isometriche (che avvengono a
lunghezza muscolare costante) e si ottengono quando l'accorciamento del muscolo è impedito da un carico
uguale alla tensione muscolare, oppure quando un carico viene sostenuto in una posizione fissa dalla
tensione del muscolo.
La contrazione isometrica si ha quando il muscolo si contrae senza modificare la sua lunghezza (senza
quindi spostare il carico).

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