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Il Corso di Studi magistrale in Scienze Infermieristiche e Ostetriche è finalizzato all’acquisizione di Competenze

relative non solo all’aspetto manageriale, ma anche alla didattica, al tutorato e all’approfondimento clinico. Queste
competenze sono il risultato di 3 elementi fondamentali:
- Conoscenza
- Esperienza
- Abilità pratiche

Le risorse umane costituiscono la risorsa chiave per l’erogazione dei servizi agli utenti. Quindi a prescindere dalle
risorse logistiche e strutturali, la risorsa principale è costituita dal personale sanitario in quanto va a concretizzare la
Mission dell’azienda e dell’organizzazione sanitaria in generale.
Il personale sanitario però, deve essere adeguatamente formato e preparato affinché possa svolgere al meglio il
proprio ruolo all’interno dell’organizzazione stessa. Oggi più che mai si parla di formazione continua del personale,
infatti proprio attraverso la formazione e la conoscenza degli operatori sanitari, possono essere minimizzati gli 8
principali problemi in Sanità correlati appunto alla ridotta formazione e alla scarsa conoscenza. Questi problemi
sono:
1. Gli errori;
2. La scarsa qualità dell’assistenza;
3. Le esperienze negative dei pazienti e quindi un calo della soddisfazione da parte dell’utenza;
4. Gli sprechi;
5. La variabilità nella pratica clinica, ovvero la modalità di esecuzione di attività in maniera diversa dai vari
professionisti che sicuramente deriva dalla mancata applicazione delle migliori prove di efficacia,
raccomandazioni e linee guida e che porta chiaramente ad incertezze nei risultati;
6. L’incapacità di introdurre interventi di elevato valore: è chiaro che se manca la conoscenza e la formazione non
si è in grado di introdurre interventi di valore nell’assistenza;
7. L’adozione acritica di interventi di scarso valore;
8. L’incapacità di riconoscere incertezza e ignoranza: sicuramente la presunzione non porta da nessuna parte; al
contrario, il non sapere, l’essere ignorante, il non conoscere non è un aspetto negativo se è affiancato dalla
volontà di andare avanti e di acquisire tutte le informazioni di cui si è carenti.
A tal proposito, la Sanità sta investendo in risorse e sta cercando di migliorare la formazione del proprio personale.

Oggi viviamo in un contesto dove la sanità non è più dominata da medici e infermieri e dai concetti di efficacia ed
efficienza, ma è dominata dai pazienti e dal concetto di valore che viene dato a qualsiasi prestazione.
Infatti se da una parte la legge 502/92 tramite l’introduzione del concetto di aziendalizzazione ha apportato
numerose innovazioni quali l’accreditamento delle strutture e dei professionisti sanitari, l'introduzione del
professionista all’interno dell’università, dall’altra ha anche introdotto dei principi fondamentali quali
l’empowerment del paziente: sarà il paziente a decidere dove curarsi, a scegliere le modalità, ma soprattutto a
giudicare quella che è la prestazione eseguita sulla base della qualità percepita.

Con la Conferenza di Bologna e la successiva introduzione dei Descrittori di Dublino, le Università hanno subito
cambiamenti strutturali inerenti alla programmazione, alle metodologie didattiche e ai sistemi di valutazione.
PROCESSO DI BOLOGNA - 1999

Il Processo di Bologna nasce nel 1999 come accordo intergovernativo di collaborazione nel settore dell’istruzione
superiore. L’iniziativa era già stata lanciata con la Conferenza di Bologna alla conferenza dei Ministri dell’istruzione
superiore europei nel giugno del ’99.
L’obiettivo era quello di costruire uno Spazio Europeo dell’istruzione Superiore che si basasse su principi e criteri
condivisi tra i Paesi firmatari, ovvero:
- Libertà accademica, autonomia istituzionale e partecipazione di docenti e studenti al governo dell’Istruzione
superiore;
- Qualità accademica, sviluppo economico e coesione sociale;
- Incoraggiamento alla libera circolazione di studenti e docenti;
- Sviluppo della dimensione sociale dell’Istruzione superiore;
- Massima occupabilità e apprendimento permanente dei laureati;
- Considerazione di studenti e docenti quali membri della medesima comunità accademica;
- Apertura all’esterno e collaborazione con sistemi di istruzione superiore di altre parti del mondo.

Tramite il Processo di Bologna, i Governi hanno formulate alcune riforme molto importanti, ad esempio:
- L’introduzione di un sistema di titoli comparabili, basato su 3 cicli, di 1°, 2° e 3° livello;
- Un comune sistema di crediti, basato non solo sulla durata ma anche sul carico di lavoro del singolo corso e sui
relativi risultati di apprendimento, certificato tramite il Diploma Supplement;
- Il riconoscimento dei titoli e dei periodi di studio;
- Un approccio condiviso all’assicurazione della qualità;
- L’attuazione di un Quadro dei Titoli per lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore. L’obiettivo principale è
quello di favorire una più corretta comprensione e comparabilità dei titoli dei differenti sistemi Nazionali
d’Istruzione superiore e vuole presentare l’intera offerta formativa europea agli studenti di tutto il mondo.

Il Quadro dei Titoli Italiani - 2010

Come sappiamo, il Processo di Bologna, tra le numerose riforme, nel 2005 ha previsto anche l’attuazione di un
Quadro dei Titoli per lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (QF – for the EHEA).
Sulla scia di questo, nel 2010 viene presentato il Quadro dei Titoli Italiani dell’Istruzione Superiore come uno
strumento che descrive in termini di conoscenze e competenze attese i titoli rilasciati dalle Istituzioni Italiane
dell’Istruzione Superiore.
Il QTI si articola nei 3 cicli previsti dal Processo di Bologna, fornisce una scheda descrittiva di tutti i titoli italiani ed è
chiaramente compatibile con il Quadro dei Titoli per lo Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore.

Il QTI altro non è che uno strumento di promozione del sistema italiano d’istruzione superiore e serve a:
- Rendere il sistema italiano più trasparente e comprensibile.
- Favorire la mobilità internazionale degli studenti e dei laureati italiani e il loro accesso a studi più avanzati.
- Favorire la conoscenza e la valutazione da parte dei datori di lavoro dei titoli rilasciati.
- Agevolare la comparazione dei titoli italiani con quelli rilasciati dai Paesi esteri.
- Facilitare il riconoscimento accademico e professionale dei titoli italiani all’estero e la libera circolazione di
studenti e professionisti.

Quali informazioni contiene?


- I tre cicli definiti dal Processo di Bologna e i rispettivi Descrittori
- L’elenco di tutti i titoli rilasciati dalle istituzioni d’istruzione superiore afferenti al Ministero dell’istruzione,
dell’università e della ricerca (MIUR), articolato nei tre cicli
- Le schede descrittive di ciascun titolo
- L’elenco delle professioni regolate in Italia, corredato da schede descrittive
- La normativa di riferimento per l’istruzione superiore
- La descrizione degli obiettivi formativi delle classi delle lauree universitarie e dei diplomi accademici Afam.
- I collegamenti alle banche dati delle istituzioni universitarie e delle istituzioni Afam riconosciute nel nostro
sistema e alle banche dati dell’offerta formativa.
Per quanto riguarda i QTI:
- A livello universitario avremo: Laurea (1° ciclo), Laurea Magistrale o Specialistica (2° ciclo) e Dottorato di ricerca
(3° ciclo). Altri titoli riconosciuti dai QTI sono i diplomi di specializzazione, i master universitari di I e II livello e i
diplomi di perfezionamento.
- A livello dell’AFAM (Alta formazione artistica e musicale) avremo: diploma accademico di 1° livello (1° ciclo),
diploma accademico di 2° livello (2° ciclo), diploma accademico di formazione alla ricerca (3° ciclo). Altri titoli
riconosciuti dai QTI sono i diplomi accademici di specializzazione di I e II livello e i diplomi di perfezionamento o
master di I e II livello.

Gli Istituti abilitati a rilasciare titoli equipollenti sono:


- Scuole superiori per mediatori linguistici: Diploma di mediatore linguistico.
- Istituti di specializzazione in psicoterapia: Diploma di specializzazione in psicoterapia.

DESCRITTORI DI DUBLINO - 2004

I Descrittori di Dublino definiscono i risultati dell’apprendimento, comuni a tutti i laureati di un corso di studio, non
solo in termini di conoscenze attese, ma anche in termini di competenze, abilità e capacità (di risoluzione problemi,
di apprendere, etc). I descrittori di Dublino vennero introdotti al fine di uniformare l’Istruzione superiore a livello
europeo. Essi si basano su 3 cicli di 1°, 2° e 3° livello dove il 1° livello corrisponde alla laurea triennale, il 2° livello a
quella Magistrale e il 3° livello al Dottorato di Ricerca. Per ogni ciclo sono stati individuati degli indicatori che
definiscono le competenze e le abilità che lo studente deve possedere al fine di ottenere il titolo in questione.

I “Descrittori di Dublino” I descrittori dei livelli 6-8


Corrispondono ai 3 cicli della EHEA.

Relativi alla EHEA (European Higher Education Area) Relativi al EQF (European Qualification
Framework)

I titoli finali di 1° ciclo (laurea) possono essere conferiti a studenti che: I risultati dell’apprendimento relativi al
livello 6 sono:
- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione (knowledge
and understanding) abbiano dimostrato conoscenze e capacità di - Conoscenze: conoscenze avanzate in un
comprensione in un campo di studi di livello post secondario e siano ad un ambito di lavoro o di studio che
livello che, caratterizzato dall’uso di libri di testo avanzati, include anche la presuppongono una comprensione
conoscenza di alcuni temi d’avanguardia nel proprio campo di studi. critica di teorie e principi.

- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione applicate - Abilità: abilità avanzate che dimostrino
(applying knowledge and understanding) siano capaci di applicare le loro padronanza e innovazioni necessarie a
conoscenze e capacità di comprensione in maniera da dimostrare un risolvere problemi complessi ed
approccio professionale al loro lavoro e possiedono competenze adeguate imprevedibili in un ambito specializzato
sia per ideare e sostenere argomentazioni che per risolvere problemi nel di lavoro o di studio.
proprio campo di studi;
- Competenze:
- Relativamente alla Autonomia di giudizio (making judgements) abbiano la  Gestire attività o progetti tecnico-
capacità di raccogliere e interpretare i dati (normalmente nel proprio professionali complessi assumendo
campo di studio) ritenuti utili a determinare giudizi autonomi, inclusa la la responsabilità di decisioni in
riflessione su temi sociali, scientifici o etici ad essi connessi; contesti di lavoro o di studio
imprevedibili.
- Relativamente alle Abilità comunicative (communication skills) sappiano  Assumere la responsabilità di
comunicare informazioni idee, problemi e soluzioni a interlocutori gestire lo sviluppo professionale di
specialisti e non specialisti; persone o gruppi.

- Relativamente alla Capacità di apprendere (learning skills) abbiano


sviluppato quelle capacità di apprendimento che sono loro necessarie per
intraprendere studi successivi con un alto grado di autonomia.
I titoli finali di 2° ciclo (laurea magistrale) possono essere conferiti a studenti I risultati dell’apprendimento relativi al
che: livello 7 sono:

- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione abbiano - Conoscenze:


dimostrato conoscenze e capacità di comprensione che estendono e/o  Conoscenze specializzate, parte
rafforzano quelle tipicamente associate al primo ciclo e consentono di delle quali all’avanguardia in un
elaborare e/o applicare idee originali, spesso in un contesto di ricerca; ambito di lavoro o di studio, come
base del pensiero originario e/o
- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione applicate siano della ricerca.
capaci di applicare le loro conoscenze, capacità di comprensione e abilità  Consapevolezza critica di questioni
nel risolvere problemi o tematiche nuove o non familiari, inserite in contesti legate alla conoscenza
più ampi (o interdisciplinari) connessi al proprio settore di studio; all’interfaccia tra diversi ambiti.

- Relativamente alla Autonomia di giudizio abbiano la capacità di integrare - Abilità: abilità specializzate, orientate
le conoscenze e gestire la complessità, nonché di formulare giudizi sulla alla soluzione di problemi, necessarie
base di informazioni limitate o incomplete, includendo la riflessione sulle nella ricerca e/o nell’innovazione al fine
responsabilità sociali ed etiche collegate all’applicazione delle loro di sviluppare conoscenze e procedure
conoscenze e giudizi; nuove e integrare la conoscenza
ottenuta in ambiti diversi.
- Relativamente alle Abilità comunicative sappiano comunicare in modo
chiaro e privo di ambiguità le loro conclusioni, nonché le conoscenze e la - Competenze:
ratio ad esse sottese, a interlocutori specialisti e non specialisti;  Gestire e trasformare contesti di
lavoro o di studio complessi,
- Relativamente alla Capacità di apprendere abbiano sviluppato quelle imprevedibili che richiedono nuovi
capacità di apprendimento che consentano loro di continuare a studiare approcci strategici.
per lo più in modo auto-diretto o autonomo.  Assumere la responsabilità di
contribuire alla conoscenza e alla
prassi professionale e verificare le
prestazioni strategiche dei gruppi.

I titoli finali di 3° ciclo (Dottorato di Ricerca) possono essere conferiti a studenti I risultati dell’apprendimento relativi al
che: livello 8 sono:

- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione abbiano - Conoscenze: le conoscenze più


dimostrato sistematica comprensione di un settore di studio e padronanza all’avanguardia in un ambito di lavoro o
del metodo di ricerca ad esso associati; di studio e all’interfaccia tra settori
diversi.
- Relativamente alla Conoscenza e capacità di comprensione applicate
abbiano dimostrato capacità di concepire, progettare, realizzare e adattare - Abilità: le abilità e le tecniche più
un processo di ricerca; avanzate e specializzate, comprese le
capacità di sintesi e di valutazione,
- Relativamente alla Autonomia di giudizio abbiano svolto una ricerca necessarie a risolvere problemi
originale che amplia la frontiera della conoscenza, fornendo un contributo complessi della ricerca e/o
che, almeno in parte, merita la pubblicazione a livello nazionale o dell’innovazione e ad estendere o
internazionale; siano capaci di analisi critica, valutazione e sintesi di idee ridefinire le conoscenze o le pratiche
nuove e complesse; professionali esistenti.

- Relativamente alle Abilità comunicative sappiano comunicare con i loro - Competenze: dimostrare effettiva
pari, con la più ampia comunità degli studiosi e con la società in generale autorità, capacità di innovazione,
nelle materie di loro competenza; autonomia, integrità tipica dello
studioso e del professionista e impegno
- Relativamente alla Capacità di apprendere siano capaci di promuovere, in continuo nello sviluppo di nuove idee o
contesti accademici e professionali, un avanzamento tecnologico, sociale o processi all’avanguardia in contesti di
culturale nella società. lavoro, studio e ricerca.
SCHEDA UNICA ANNUALE – SUA

Sulla base del Processo di Bologna e dei Descrittori di Dublino, le Università italiane si sono adattate apportando
delle modifiche: introduzione del 3+2, del sistema di qualità e accreditamento, trasparenza dell’offerta formativa e
i risultati di apprendimento attesi.
Lo strumento utilizzato è stata la Scheda Unica Annuale – SUA, ovvero uno strumento gestionale utile alla
progettazione, alla realizzazione, all'autovalutazione e alla ri-progettazione del Corso di Studi, che deve essere
completata entro il 30 maggio di ogni anno.
La scheda è costituita da due sezioni (ai fini anche dell’accreditamento universitario):
- Qualità: lo strumento principale del sistema di autovalutazione. Nella sezione qualità viene definita la domanda
di formazione, viene esplicitata l'offerta formativa, vengono certificati i risultati di apprendimento e
vengono chiariti i ruoli e le responsabilità che attengono alla gestione del sistema di assicurazione della qualità
di ateneo. A questa sezione per esempio conferiscono anche tutti quelli che sono i giudizi e le valutazioni espresse
dagli studenti, gli andamenti della curva degli abbandoni, dei promossi, dei respinti, etc.
- Amministrazione: contiene tutti i dati del corso e quindi grazie ad essa è consentita una migrazione verso una
piattaforma unica di comunicazione, una piattaforma integrata all'interno dell’ateneo stesso.

SUA DEL CDLM IN SCIENZE INFERMIERISTICHE E OSTETRICHE

È una scheda che riporta il profilo professionale e gli sbocchi occupazionali e professionali previsti per i laureati, e i
risultati attesi dal corso di studio. È stata costruita sulla base delle indicazioni del Miur derivanti dalla Conferenza di
Bologna e dai descrittore di Dublino. Nella scheda sono state identificate le competenze che il laureato magistrale
alla fine del percorso biennale dovrà possedere.
Relativamente al contesto di lavoro, il laureato magistrale dovrà possedere diverse competenze e funzioni tra cui:
- Rilevare e valutare criticamente l’evoluzione dei bisogni dell’assistenza;
- Costruire modelli assistenziali e ostetrici innovativi, applicarli e valutare il loro impatto nella pratica clinica;
- Collaborare alla pianificazione e gestione del budget in relazione agli obiettivi e alle politiche sanitarie;
- Partecipare alla pianificazione del personale e attribuirlo alle UO sulla base della complessità dei pazienti;
- Pianificare e coordinare il reclutamento, l’assunzione, l’orientamento, la supervisione e la valutazione delle
competenze del personale sanitario che afferisce al Servizio;
- Valutare la soddisfazione lavorativa e sviluppare strategie per motivare e trattenere i professionisti;
- Contribuire al miglioramento continuo della qualità e definire standard e indicatori per valutare la stessa;
- Sviluppare l’insegnamento disciplinare infermieristico, infermieristico pediatrico e ostetrico;
- Gestire processi tutoriali per garantire tirocini di qualità per studenti impegnati nei diversi livelli formativi;

Relativamente all’organizzazione e alla formazione, il laureato magistrale dovrà possedere diverse competenze e
funzioni tra cui:
- Identificare specifici problemi e aree di ricerca in ambito clinico, organizzativo e formativo;
- Applicare i risultati della ricerca adattandoli ai contesti per un continuo miglioramento della qualità;
- Utilizzare sistemi informatici avanzati per monitorare le competenze cliniche e le performance del personale, per
definire carichi di lavoro delle UO/Dipartimenti e gli standard assistenziali erogati.

Relativamente alle competenze associate alla funzione, il laureato magistrale dovrà sviluppare quelle relative
all’area della ricerca, disciplinare, del management e dell’apprendimento.

Relativamente agli sbocchi occupazionali, i laureati magistrali possono trovare diverse occupazioni ad esempio:
- Nelle strutture sanitarie e socio-assistenziali con funzioni di direzione o coordinamento dei Servizi, con funzioni
di gestione di progetti innovativi e di riorganizzazione dei processi assistenziali;
- In centri di formazione con funzioni di docenza, tutorato, progettazione formativa, direzione;
- In centri di ricerca per progetti relativi agli ambiti ostetrici infermieristici o in progetti multidisciplinari.
Relativamente agli obiettivi specifici del corso e alla descrizione del percorso formativo, la laurea magistrale mira
alla formazione di una figura professionale dotata di competenze avanzate per lo svolgimento di interventi
assistenziali nell’ambito di 4 macro-aree:
1. Organizzazione e management: gli obiettivi di questa macro-area riguardano ad esempio la progettazione di
nuovi modelli assistenziali e organizzativi nell’ottica del miglioramento continuo della qualità, il coordinamento
dei servizi di assistenza infermieristica e ostetrica in organizzazioni sanitarie e socio-assistenziali, la progettazione
di interventi sanitari complessi in aree ad elevata valenza epidemiologica o di grande impatto sulle popolazioni,
etc.
2. Ricerca e innovazione: gli obiettivi di questa macro area riguardano ad esempio l’utilizzo della ricerca come
strumento dell’assistenza infermieristica, l’utilizzo di evidenze scientifiche nel processo decisionale,
l’integrazione di conoscenze scientifiche e metodologie infermieristiche avanzate per rispondere ai bisogni di
salute della popolazione, etc.
3. Formazione
4. Educazione: gli obiettivi di queste macro-aree riguardano ad esempio progettare e realizzare attività didattiche
disciplinari nei vari livelli formativi del personale infermieristico e ostetrico, o ancora promuovere lo sviluppo
della professione attraverso modelli assistenziali e organizzativi innovativi, o ancora, valutare le conoscenze del
personale per accrescerne le potenzialità utilizzando strategie di integrazione multiprofessionale e
multidisciplinare.

I risultati a cui mira il CdLM SIO relativamente ai Descrittori di Dublino sono:


1. Conoscenza e capacità di comprensione (knowledge and understanding): queste conoscenze verranno apprese
tramite lezioni frontali, esercitazioni, seminari, studio personale guidato e autonomo. I risultati verranno valutati
attraverso prove orali/scritte, stesura di elaborati e project work.
 Comprendere fenomeni e problemi complessi in campo sanitario;
 Comprendere i processi assistenziali infermieristici e ostetrici, organizzativi ed educativi connessi
all’evoluzione dei problemi di salute della popolazione;
 Possedere le conoscenze per comprendere i processi lavorativi delle organizzazioni sanitarie, le strategie di
gestione del personale, i sistemi di valutazione e accreditamento professionale;
 Possedere conoscenze e abilità pre creare un ambiente che favorisca l’eccellenza professionale e
l’apprendimento efficace.
2. Capacità di applicare conoscenza e comprensione (applying knowledge and understanding): queste
conoscenze verranno apprese tramite lezioni frontali, esercitazioni, seminari, costruzione di mappe cognitive,
discussione di casi in sottogruppi con presentazioni in sessioni plenarie, studio personale guidato e autonomo. I
risultati verranno valutati attraverso prove orali/scritte, in itinere o finali, prove di casi a tappe, project work e
report.
 Comprendere e utilizzare leggi e regolamenti per assicurare la qualità dell’assistenza, prendere decisioni di
alta qualità e costo-efficaci nell’uso delle risorse;
 Analizzare le principali questioni etiche e le modalità con cui possono influenzare l’assistenza, valutare
eticamente la presa di decisioni sia dal punto di vista personale che dell’organizzazione;
 Utilizzare le teorie infermieristiche e ostetriche per fornire una leadership/formazione efficace;
 Agire come modello professionale fornendo consulenza a studenti, colleghi e utenti.
 Applicare le teorie sulla leadership e sul management per sviluppare alleanze collaborative tra le diverse
professioni;
 Sviluppare una pratica basata sulle evidenze utilizzando la ricerca per introdurre cambiamenti e migliorare
la pratica.
3. Autonomia di giudizio (making judgements): queste competenze vengono apprese tramite dissertazione di
elaborati presentati dagli studenti che contengono le fasi della costruzione di un progetto di intervento in ambito
assistenziale, e che dimostrino la capacità degli studenti di analizzare, gestire e interpretare i dati con autonomia
di giudizio utilizzando i dati presenti in letteratura e producendo dati innovativi.
 Elaborare analisi complesse e sviluppare autonome riflessioni di carattere scientifico, giuridico, etico e
deontologico a sostegno delle decisioni necessarie per affrontare problemi complessi;
 Prevedere e valutare gli effetti delle proprie decisioni, assumendone la responsabilità.
4. Abilità comunicative (communication skills): queste conoscenze verranno apprese tramite laboratori,
discussione di casi in sottogruppi con presentazioni in sessioni plenarie, tirocinio supervisionato da tutor esperti
con sessioni di briefing e debrifieng. I risultati verranno valutati attraverso seminari alla fine dei quali gli studenti
dovranno elaborare una dissertazione scritta, successivamente presentata in forma orale.
 Condurre colloqui interpersonali con utenti e operatori, esercitando capacità di ascolto;
 Esporre il proprio pensiero in modo argomentato e con linguaggio adeguato a diversi interlocutori e contesti;
 Interagire in modo appropriato con altri professionisti nella progettazione e realizzazione di interventi;
 Gestire e risolvere conflitti;
 Agire da mentore per formare e sviluppare competenze negli aspiranti leader in ambito clino/organizzativo;
 Adottare stili manageriali supportivi per sostenere i collaboratori nella conduzione di progetti, nella
risoluzione di conflitti e counselling.
5. Capacità di apprendimento (learning skills): queste conoscenze verranno apprese tramite studio individuale,
progetti, attività svolta in preparazione della tesi. I risultati verranno valutati attraverso la valutazione della
capacità di interrogare banche dati, di individuare problematiche nei diversi settori di competenza, etc.
 Valutare la propria performance sulla base di standard professionali e criteri organizzativi. In questo è
importante capacità di autocritica e riflessività;
 Adottare strategie efficaci per continuare ad apprendere lungo tutto l’arco della vita professionale;
 Utilizzare sistemi informativi e database completi per raccogliere, organizzare e catalogare le info,
identificare un problema ed effettuare una revisione della letteratura sull’argomento, etc.

Ai fini dell’accreditamento e della trasparenza, in ogni corso di laurea, esiste un gruppo per il miglioramento
continuo della qualità del corso di laurea. Di questo gruppo fanno parti sia docenti che rappresentanze di studenti.
I rappresentanti portano alle riunioni i vari problemi e le insoddisfazioni degli studenti. Tutto ciò viene valutato,
esaminato e trasmesso al Consiglio del corso di Laurea, che a sua volta lo trasmette al Dipartimento e alla Sede
Centrale di Ateneo che si occupa della qualità dell’accreditamento.
All’interno della SUA inoltre, vi sono delle sezioni in cui i docenti inseriscono i programmi e gli obiettivi di
apprendimento sia generale che per materia (in italiano e inglese).

Il rapporto dello studente all’interno delle Università è cambiato e la Conferenza di Bologna ha fatto sì che nascesse
una nuova metodologia di approccio e di comunicazione. Viene a cadere il rapporto di asimmetria che c’era tra lo
studente e il docente: in passato la lezione era prettamente cattedratica e lo studente aveva anche paura ad alzare
la mano per intervenire; adesso, invece, studente e docente sono sullo stesso piano, sempre nel rispetto dei ruoli
ovviamente, e lo studente è parte attiva e integrante della lezione.

Relativamente all’autonomia universitaria, in ogni corso di Laurea ci sono materie che sono caratterizzanti e che
sono specifiche di quella professionalità che si andrà ad acquisire (scienze infermieristiche ad es.) e ci sono materie
che sono complementari o affini che servono per raggiungere delle conoscenze trasversali e complementari alle
precedenti. Poi ci sono delle materie “fuori pacchetto” che vengono inserite da ogni università e sono quelle materie
legate al contesto (ogni università specialmente in ambito sanitario è legata al territorio: ad es. se in un determinato
territorio è più sviluppata la professionalità della dermatologia piuttosto che dell’oculistica, allora vengono messe
delle materie inerenti questa professionalità).
Tutte queste innovazioni hanno fatto sì che venisse introdotta la figura del tutor in ogni contesto formativo.
METODOLOGIE DIDATTICHE E TUTORIALI

In riferimento alla parola METODOLOGIA

- Il Sabatini Coletti afferma che la metodologia è la scienza del metodo. Quindi è una dottrina che studia le
tecniche dello sviluppo delle conoscenze di una certa materia.
- La Treccani afferma che la metodologia è lo studio del metodo su cui deve essere fondata una determinata
scienze o disciplina.
- L’Enciclopedia Garzanti invece afferma che la metodologia è la dottrina del metodo, quindi studio dei principi e
delle regole che permettono il conseguimento e lo sviluppo delle conoscenze di una disciplina.
Le scienze infermieristiche e ostetriche sono discipline scientifiche, perché si basano su teorie formulate con metodo
scientifico, derivanti da osservazioni, ricerche e studi precedenti. Inoltre, sono discipline che, basandosi sui vari
paradigmi e sulla visione olistica della persona, attingono anche da altri saperi quali: discipline biomediche,
pedagogia, psicologia, discipline demo-etnoantropologiche, etc.

In riferimento alla parola DIDATTICA

- Maria Gioia Pierotti afferma che la parola didattica fa riferimento sia all’atto dell’insegnare da parte del docente,
sia all’atto dell’apprendere da parte dello studente.
- Il glossario Hermes invece afferma che la didattica è la “teoria dell’insegnamento” quindi viene vista solo dal
lato dell’insegnare e non dell’apprendere come abbiamo visto precedentemente.
- Frabboni infine, con il termine didattica fa riferimento sia all’atto dell’insegnare da parte del docente, sia all’atto
dell’apprendere da parte dello studente in “maniera interattiva”, finalizzata non solo al conseguimento di
competenze intese come saperi, ma anche di abilità tecniche ed esperienza.

Sistema Tutoriale

Per sistema tutoriale si intende un contesto organizzativo strutturato dove ognuno con il proprio ruolo contribuisce
all’apprendimento dello studente. Il sistema tutoriale poggia su due figure cardine: il docente e il tutor. Vediamo
bene che queste figure risultano essere differenti ma allo stesso tempo interconnesse.

Il Docente

Come dicevamo prima, il sistema tutoriale oltre che dal tutor, è rappresentato anche dal docente; infatti ogni
docente/insegnante dovrebbe facilitare l’apprendimento del discente attraverso la tutorship. Il docente:
- Prende in carico gli aspetti emotivi e affettivi connessi all’apprendimento, andando a contenere le resistenze, le
paure e le ansie tramite la cura del setting formativo e l'esplicitazione dei traguardi attesi e delle metodologie.
- Favorisce l'attività riflessiva e facilita l’apprendimento;
- Aiuta lo studente a creare collegamenti tra le diverse discipline, tra la teoria e la pratica, tra saperi diversi;
- Aiuta lo studente a individuare le differenze tra i diversi stili di insegnamento e di apprendimento;
- Aiuta lo studente ad autovalutarsi e a valutare gli altri;
- Aiuta lo studente a individuare e risolvere problemi;
- Aiuta lo studente a comprendere i propri punti di forza, i propri vincoli e gli errori ma anche le ragioni degli errori.

In riferimento alla parola TUTOR

Questo termine deriva dal latino tutor-oris che significa “difendere/proteggere” ed è un latinismo rientrato nella
lingua italiana nel XX sec. attraverso l’inglese. Sinonimi di tutor possono essere: coach, guru, instructor, master,
mentor, schoolmaster e teacher.
- Il Dizionario Garzanti afferma che, nelle università, il tutor è un docente che assiste uno studente nel corso dei
suoi studi; mentre in una scuola, il tutor può essere un insegnante coordinatore o responsabile del piano di studi;
nell’organizzazione aziendale, invece il tutor è un dipendente che istruisce un lavoratore all’inizio dell’attività o
uno stagista.
Inizialmente, il tutor aveva il significato preciso di proteggere, difendere e custodire, successivamente si è allargato
alla funzione di facilitare l’apprendimento.
Il tutor è dunque:
- Un facilitatore dell’apprendimento e una guida;
- Un affiancatore di situazioni da vivere, comprendere e assimilare;
- Un accompagnatore nell’ambiente di apprendimento;
- Un garante dello svolgimento del programma di formazione concordato.

Il suo ruolo è quello di:


- Accogliere gli studenti e facilitare l’integrazione degli stessi;
- Individuare potenzialità e limiti degli studenti, puntando sui primi e rafforzando i secondi;
- Orientare (mostra come si fa) gli studenti su attività da svolgere e monitorare i progressi individuali;
- Costruire uno scaffolding affettivo e motivazionale: scaffolding (o ponteggio) si riferisce ad un processo in cui gli
insegnanti offrono il loro supporto agli studenti nel processo di problem solving;
- Offrire attenzione, ascolto, guida, orientamento e raccogliere le loro richieste di aiuto;
- Sostenere lo studente e supportarlo, facendo crescere nello stesso la motivazione.

Vista l’importanza di questo ruolo, il tutor deve possedere competenze specifiche:


- Competenze metodologico-didattiche nella conduzione di gruppi di apprendimento.
- Competenze che gli consentano di facilitare l’apprendimento.
- Competenze che gli consentano di gestire la collaborazione tra studenti.
- Competenze che gli consentano di moderare i flussi comunicativi degli altri e i propri.
- Competenze che gli consentano di assicurare coerenza ai vari elementi del percorso di apprendimento.

I contesti in ambito sanitario in cui possiamo trovare questa figura sono diversi: al letto del paziente, in ospedale o
sul territorio, negli ambulatori, nei corsi di Laurea professionalizzanti, nelle aule dei Corsi di Formazione permanente
e nella didattica a distanza.

L’introduzione della figura del tutor interamente dedicata alla tutorship è avvenuta per diverse ragioni:
- Innanzitutto per fronteggiare fenomeni connessi ad una nuova domanda individuale e sociale di formazione. Ad
esempio per prevenire il dropout (abbandono dal corso di studi da parte degli studenti);
- In secondo luogo per introdurre innovazione pedagogica e didattica, in maniera tale che il processo di
apprendimento risulti derivante da un qualcosa di dinamico e non di statico. Da qui l’esempio del tutor nel
sistema della formazione a distanza o il tutor on-line.
- In terzo luogo per modificare gli schemi relativi alla metodologia dell’insegnamento al fine di conseguire risultati
qualitativamente migliori.
Queste diverse ragioni giustificano la vasta gamma di tutor che esistono: tutor online (corsi di formazione ECM),
tutor per l’alternanza scuola-lavoro, tutor per le transizioni, tutor d’aula (presente nei master) e tutor di classe, tutor
individuale (affiancato in particolari situazioni di disagio o disabilità), tutor per formatori, tutor per studenti.
L'introduzione del tutor nei vari contesti è differente da un paese all'altro. Per esempio in Spagna l'introduzione del
tutor è stata prevista da una riforma del sistema educativo degli anni 90 che ha riservato alle scuole la scelta del
modello da sperimentare: potevano scegliere o una tutorship diffusa (cioè assunta da tutti o dalla maggior parte dei
docenti della classe) o una tutorship circoscritta ad un unico docente della classe. In Inghilterra la figura del tutor è
vista come un supporto allo sviluppo del benessere dello studente, del suo sviluppo personale, sociale, dei valori,
soprattutto quello dell'autostima, autonomia, tolleranza e responsabilità. In Italia sono state le singole scuole,
perlopiù secondarie di 2° grado, a ravvisarne l’esigenza. Si è sempre trattato di una funzione aggiuntiva a quella
docente, ossia assunta dal docente stesso, o da più docenti della classe e in aggiunta all’attività didattica.

Funzione tutoriale – funzione della tutorship (tutorato)

Il tutor chiaramente si dedica alla tutorship (dall’inglese tutorato). Le funzioni della tutorship sono diverse e si
distinguono l’una dall’altra per gli scopi e oggetti specifici dell’intervento tutoriale:
- Mottana afferma che la funzione della tutorship è quella di creare l’area potenziale della formazione, ossia lo
spazio fisico e mentale che consente a un formatore e a un formando di incontrarsi affinché si produca un
episodio di insegnamento-apprendimento.
- Un’altra funzione della tutorship è quella di assicurare continuità e unità al processo formativo. Quindi mentre
la definizione precedente riguardava episodi di insegnamento-apprendimento a sé stanti, questa definizione
considera la continuità del processo di insegnamento-apprendimento.
- Un’altra funzione della tutorship è quella di affiancare e presidiare il processo di apprendimento dell’individuo a
garanzia del raggiungimento degli obiettivi formativi, quindi la funzione tutoriale prevede interventi aggiuntivi
rispetto al processo di insegnamento-apprendimento, quindi una funzione di supporto.
Il fine della funzione tutoriale (tutorship) è quello di favorire il pensiero critico del discente e lo sviluppo della capacità
di imparare ad imparare.

La relazione d’aiuto tutoriale: tutor di classe e individuale

Il tutor instaura con lo studente una relazione di aiuto. In particolare, la relazione d'aiuto tutoriale si riferisce
all’intervento educativo-relazionale attuato dal tutor nei confronti dello studente. Secondo questo approccio, il tutor
accompagna il soggetto nel suo percorso di apprendimento, supportandolo nella riflessione e nell'individuazione
dell'eventuale problema che rende difficoltoso l'apprendimento, nella ricerca delle cause che lo originano e delle
possibili soluzioni. Nelle scuole, questa forma di tutorship si esplicita con il tutor di classe e il tutor individuale.
I due tipi di tutor dal punto di vista funzionale svolgono le medesime funzioni e in entrambi i casi la tutorship è
assunta da un docente della classe.
Sul piano organizzativo invece, il tutor di classe è un docente che opera a beneficio di tutta la classe, di tutte le sue
componenti (studenti, docenti, genitori), e in particolare degli studenti a rischio di dispersione scolastica. Mentre,
nel caso del tutor individuale, si tratta di più docenti della classe: in questo caso la classe viene suddivisa in piccoli
gruppi e ad ogni tutor individuale vengono assegnati singoli soggetti del gruppo. Chiaramente questo tipo di tutorato
permette di instaurare una relazione tutoriale di maggiore intensità rispetto a quanto non possa fare il tutor di classe.

Il profilo funzionale del tutor: interventi tutoriali

Tra gli interventi tutoriali, sia che si tratta di tutor di classe o di tutor individuale, è possibile intravedere alcune
costanti. Le funzioni sono affini se non addirittura identiche, anche se con focalizzazioni delle attività, orientamenti
e tecniche diverse. In entrambi i casi, il tutor provvederà:
- Al monitoraggio del processo di apprendimento e alla sua documentazione;
- A instaurare una relazione di aiuto per favorire l'apprendimento: dove per relazione di aiuto si intende un’attività
di cura prestata individualmente dal tutor allo studente tramite colloqui individuali;
- Alla comunicazione delle informazioni, svolgendo un ruolo di interfaccia tra studenti, docenti e famiglie.

Metodi e strumenti utilizzati per la funzione tutoriale

- Il monitoraggio: implica l'osservazione costante delle attività e del processo dello studente e la loro
documentazione (portfolio). Come sappiamo in una istituzione scolastica è il docente che effettua il monitoraggio
ma, mentre il docente ha una visione specifica per materia, il tutor ha una visione globale dello studente, sia dal
punto di vista cognitivo, psicologico, educativo-relazionale, etc. Del monitoraggio fanno parte:
 La raccolta di informazioni iniziali e in itinere: che può avvenire tramite colloqui individuali o con i genitori,
partecipazione ad assemblee, griglie, schede, dossier e portfolio.
 La sistematizzazione periodica delle valutazioni disciplinari.

- Il counselling: si espleta attraverso la conduzione di colloqui individuali tra il tutor e lo studente. Questi colloqui
devono essere ben definiti, soprattutto per quel che riguarda le modalità (dove, come e quando) ed è necessario
predisporre un setting appropriato. Inoltre i colloqui non sono intesi a scopo terapeutico (dunque come
counselling psicologico) ma si qualificano comunque come relazione di aiuto. L’aiuto consiste proprio nel rendere
possibile una riattivazione o riorganizzazione delle energie dello studente, partendo dal presupposto che in ogni
persona ci sono delle potenzialità che possono essere sviluppate e far sì che queste diventino una risorsa. La
finalità del colloquio dovrebbe essere quella di supportare il soggetto ad:
 Comprendere i fattori che non gli consentono di adeguarsi alla metodologia didattica, formativa, etc.
 Individuare le cause che compromettono il buon esito del processo e cercare di trovare una soluzione.
Il tutor non deve agire in proprio, soprattutto quando è di fronte a problemi connessi all’apprendimento di una
disciplina o problemi che per essere risolti implicano l’intervento di specialisti, ad es. psicologici.
I diversi tutor nelle professioni sanitarie: tutor clinico, pedagogico e infermiere guida di tirocinio

Come abbiamo avuto modo di vedere la figura del tutor è una figura di notevole importanza soprattutto nelle
professioni sanitarie. Infatti il tutor sostiene gli studenti nel loro percorso di apprendimento, gli permette di superare
eventuali difficoltà, li rende più responsabili e consapevoli di tutte le competenze che si acquisiscono e di tutte quelle
che possono essere acquisite. La funzione di tutor nell'ambito dei corsi di Laurea delle professioni sanitarie può
essere svolta da molteplici figure, le quali costituiscono appunto il sistema tutoriale proprio di ogni corso di studi.
Oggi, ad esempio, il sistema tutoriale del CdL in Infermieristica è composto da tre figure:

1. Tutor clinico: è un professionista sanitario che affianca, coinvolge, sostiene e forma lo studente durante il
tirocinio e ne promuove l’apprendimento esperienziale. Il tutor clinico si interessa dello studente nella sua
totalità: nel senso che facilita l’apprendimento delle competenze teoriche, pratiche, affettive e relazionali dello
studente ed inoltre garantisce sulla sua sicurezza. Dal punto di vista pratico, il tutor clinico descrive l’azione dal
in maniera scientifica e la esegue, ed infine lo studente riesegue l’azione. Il feedback si ha nel momento in cui lo
studente ripete l’azione del tutor con gli stessi risultati, oppure in alcuni casi può necessitare di ulteriore
approfondimento. Inoltre, il tutor clinico si interfaccia con la sede formativa, cura gli accordi e offre supporto ai
colleghi che affiancano gli studenti nel tirocinio.

2. Tutor didattico o pedagogico: (o Direttore delle attività didattiche) è il tutor dedicato alla didattica professionale
ed è la persona maggiormente abilitata ad interfacciarsi con studenti, tutor clinici e infermieri guida di tirocinio,
quindi funge da cerniera tra le diverse figure. Il tutor pedagogico svolge una serie di attività con annesse criticità:
 Pianifica incontri organizzativi, pianifica le attività, i portfoli e i fini valutativi degli studenti.
 Forma studenti, infermieri guida di tirocinio e tutor clinici;
 Conduce laboratori e svolge attività di tipo educativo metodologico;
 Stabilisce relazioni interpersonali positive (fatte di rispetto, ascolto, etc) e rispetta le voci della persona (la
voce del tutor clinico o dello studente o dell'infermiere o da altra persona-informazione).
 Supervisiona tutti i processi di apprendimento degli studenti e i processi di insegnamento dei tutor clinici;
 Supervisiona tutte le attività per andare ad individuare e dirimere alcune problematiche che possono
rappresentare un ostacolo per lo studente;
 Promuove attività di studio guidato e quesiti di ricerca;
 Utilizza strategie particolari quali il briefing e il de-briefing per gestire situazioni che possono essere
problematiche per studenti, tutor clinici o infermieri guida di tirocinio.
 Programma e coordina tutte le attività didattiche dei corsi di laurea e delle attività di tirocinio.
Come abbiamo già visto il tutor didattico si serve della pratica riflessiva per fare apprendere lo studente, ma la
pratica riflessiva non è solo una tecnica di apprendimento: è un’attitudine/un processo mentale che consente di
meditare profondamente su quello che si fa (prima, durante e dopo l’azione). La nostra professione in
particolare, richiede che ci si interroghi sempre se quello che stiamo facendo è corretto o se le conoscenze che
stiamo utilizzando sono valide.
Se lo vediamo dal punto di vista della riflessione, il supervisore deve:
 Avere una posizione di ascolto empatico;
 Riuscire a focalizzare la sua attenzione su quelli che sono i contenuti della conversazione. Ad esempio,
quando ci poniamo in comunicazione col paziente diamo molta importanza a tutti i contenuti, anche quelli
che non vengono detti, e diamo importanza alle dinamiche relazionali.
 NON deve avere un atteggiamento direttivo e autoritario, bensì deve dare voce a tutti i collaboratori e a tutti
gli studenti;
 Nelle conduzioni di gruppo, deve riuscire a far emergere tutte quelle che sono le priorità formative; ma anche
deve essere in grado di gestire il silenzio del gruppo stesso, in quanto nel momento del silenzio si forma la
riflessione stessa.
 Riuscire ad offrire degli spunti di riflessione sia agli studenti che ai tutor clinici, al fine di andare a sviluppare
e a creare degli interventi con differenti stili di conduzione a seconda del gruppo e della situazione. Questi
interventi possono avere un carattere di supporto, possono essere interventi didattici, educativi, prescrittivi,
informativi.
 Può andare ad impostare un gruppo basato sulla narrazione, sul debriefing, ma può anche andare a far
utilizzare metodi e strumenti particolari nell'ambito del gruppo di lavoro;
 Essere un abile utilizzatore dei feedback chiari e non ambigui.
Per quanto riguarda la relazione con lo studente, il tutor didattico:
 Supporta lo studente a scegliere un metodo utile per analizzare le proprie risorse personali (identificare i
punti di forza e punti di debolezza), per autovalutarsi e per esplicitare i propri bisogni formativi o le proprie
aspettative cognitive, emotivo-affettive e metodologiche.
 Pone domande e fornisce allo studente informazioni di ritorno utile a stimolare la sua curiosità, a porsi dubbi,
ad alimentare una visione critica della realtà personale e situazionale.
 Allena lo studente a decidere la soluzione più vantaggiosa, a fronte di un problema e di alternative possibili.
 Guida lo studente ad adottare un metodo di lettura della realtà che gli consenta di gestire le situazioni
emotive e di comprendere con più accuratezza le situazioni, anche turbolente.
 Si confronta con lo studente in merito ai suoi comportamenti e ai suoi pensieri per aiutarlo ad accettare e ad
affrontare l'incertezza come condizione evolutiva della pratica professionale.
 Conduce riflessioni con lo studente orientate a sviluppare la sua capacità di sentirsi parte attiva in un sistema
formativo e assistenziale, in quanto se si sente un intruso all’interno del contesto lo studente non riesce ad
esprimere neanche il meglio di sé.
 Sostiene e guida gli studenti nelle dinamiche relazionali di gruppo.
 Stimola il gruppo di studenti alla riflessione sull'esperienza, alla ricerca di un confronto continuo tra pari.
 Analizza con lo studente le situazioni da lui vissute per renderlo più consapevole sia di ciò che gli ha
consentito di ottenere risultati conseguiti sia di come tali risultati siano forieri di ulteriori passaggi evolutivi.
 Sostiene lo studente nell'adottare un metodo efficace per analizzare gli errori o i quasi errori e analizza con
lui le modalità per conoscere le situazioni o per riconoscersi nelle situazioni.
 Concorda con lo studente strategie utili per aiutarlo, in sicurezza, ad essere intraprendente nello scoprire il
suo personale percorso di apprendimento.
Per quanto riguarda invece l’interazione del tutor didattico pedagogico con il tutor clinico e con l'infermiere
guida di tirocinio, egli:
 Contribuisce a progettare costantemente l'offerta formativa di area o di azienda.
 Sostiene il gruppo di tutor clinici nell’elaborazione del progetto pedagogico, nel suo monitoraggio e nella
verifica applicativa. In particolare: condivide con il tutor clinico gli obiettivi formativi istituzionali del corso di
laurea, concorda gli obiettivi formativi dello studente raggiungibili all'interno della sede di tirocinio,
predispone e conduce eventi formativi indirizzati ai tutor clinici.
 Supporta il gruppo di tutor clinici nell'analisi, elaborazione, comprensione e ricerca di strategie di soluzione
di “situazioni problematiche”. In particolare: fornisce consulenza pedagogica e didattica per prevenire e
affrontare le problematiche che possono emergere nel percorso di apprendimento clinico dello studente e
verifica la qualità e la persistenza dei risultati delle soluzioni adottate.
 Attiva processi di riflessione condivisa con i tutor clinici.
 Sostiene il gruppo di tutor clinici nel migliorare le capacità di leggere e analizzare la propria pratica educativa,
individuandone gli elementi di criticità.
 Sostiene il gruppo di tutor clinici nella possibilità di introdurre cambiamenti migliorativi in relazione all'analisi
dell'esistente e alle criticità rilevate.
Sicuramente la figura del Direttore della Didattica professionale prevista nella legislazione, ad oggi è un po'
sottostimata in alcune università. Infatti, il tutor didattico dovrebbe espletare solo questo tipo di attività, e non
al di fuori dell’orario di servizio. Inoltre, la formazione continua di questa figura non è prevista, non è normata,
ed è solo frutto di autoapprendimento.

3. Infermieri guida di tirocinio: sono gli infermieri che affiancano lo studente durante il tirocinio. L’infermiere guida
di tirocinio:
 Favorisce l’inserimento dello studente all’interno delle U.O.;
 Facilita l’apprendimento dello studente in clinica;
 Seleziona le attività più significative e le fa sperimentare allo studente gradualmente (prima le dimostra, poi
lo studente riesegue con collaborazione/supervisione, poi lo studente le riesegue in autonomia);
 Stimola lo studente a mettere in pratica i principi teorici appresi;
 Stimola lo studente ad analizzare eventuali problemi riscontrati durante le varie prestazioni assistenziali;
 Stimola lo studente all’autovalutazione e all’autoapprendimento;
 Si confronta con il tutor clinico in merito alla progressione dello studente verso gli obiettivi identificati;
 Collabora con il tutor clinico nella valutazione dello studente.
GLI APPROCCI TEORICI E METODOLOGICI ALLA TUTORSHIP (tutorato)

Queste definizioni risaltano sia l'aspetto pedagogico dell'insegnamento sia l'aspetto metodologico della funzione del
tutor.
- Secondo l’APPROCCIO PSICODINAMICO: per facilitare l'apprendimento occorre creare l'area potenziale della
formazione. In questo caso, l'attenzione e la cura tutoriale vengono poste sulla dimensione affettiva insita nel
processo di insegnamento-apprendimento. Questo approccio però chiaramente presenta i vincoli dettati dalla
disponibilità all’apprendimento da parte del discente, quindi il tutor da un lato deve cercare di creare un
ambiente che faciliti la disponibilità all’apprendimento e dall’altro deve instaurare una relazione di fiducia. Per
poter apprendere il soggetto deve confrontarsi con confusione, timori e paure che si manifestano all’esordio di
un processo di apprendimento. Si tratta di paure generate ad esempio, da un senso di inadeguatezza, dal bisogno
di vedere riconosciuta la propria identità, in particolare le proprie risorse. Il tutor, grazie alla propria esperienza
e conoscenza, deve sedare queste ansie e trasformare questo momento di paura e confusione in un momento
di crescita. Secondo questo approccio, l’intervento tutoriale si colloca nella fase introduttiva di ogni percorso
formativo. Tuttavia, come sappiamo, anche la fase conclusiva necessita di cura tutoriale.
Questa visione è molto simile alla fase dell’orientamento della teoria del nursing psicodinamico della Peplau, ovvero quella fase nella quale i
due individui si incontrano, una che chiede un servizio e una che lo eroga; in questa fase però le due persone sono due estranei.

- Secondo l’APPROCCIO CONNESSIONISTA: per facilitare l’apprendimento occorre assicurare continuità e unità
al processo formativo. In questo caso, l’attenzione e la cura tutoriale vengono poste sulla dimensione cognitiva:
quindi sui contenuti di apprendimento in primo luogo, ma anche su aspetti psicosociali e in particolare sul
rapporto del soggetto con il contesto in cui apprende.
Il tutor deve esprimere la propria capacità di aiuto e guida per individuare e fare le giuste connessioni tra le
diverse discipline, tenendo conto delle aspettative del soggetto, del contesto e degli obiettivi finali.
Quindi secondo l’approccio connessionista, l’intervento tutoriale permette di mettere in relazione tutti i vari
elementi e attori dell’attività formativa.

- Secondo l’APPROCCIO EDUCATIVO-RELAZIONALE: per facilitare l’apprendimento occorre affiancare il processo


di apprendimento dell’individuo. In questo caso, l’attenzione e la cura tutoriale sono dedicate a fornire
supporto al soggetto per favorire il buon esito del suo processo formativo. Il tutor quindi supporta
individualmente il discente ed esplica la sua funzione in aggiunta e in tempi differenti rispetto alla docenza.
Questo approccio si basa sul fatto che ogni soggetto ha potenzialità e intenzionalità che devono essere
riconosciute, sviluppate e valorizzate e il soggetto vuole svilupparle per conoscersi meglio, realizzarsi ma
soprattutto per esprimere la propria identità. Inoltre, questa è una teoria ispirata alla teoria dello sviluppo
vocazionale, la quale affermava che lo sviluppo personale è un percorso evolutivo continuo contrassegnato da
tante esperienze significative di cambiamento della persona.
Questo approccio si aggancia alla teoria dell’adattamento della Roy e alla Orem, in riferimento alle tre tipologie di abilità per lo sviluppo:
 I requisiti universali (comuni a tutti gli esseri umani e conformi all’età, allo stadio di sviluppo, fattori ambientali, etc);
 I requisiti di sviluppo (comuni ai processi di sviluppo umano e agli eventi che si verificano durante questo processo: gravidanza);
 I requisiti di self-care.

- Secondo l’APPROCCIO STRUMENTALE: per facilitare l’apprendimento occorre salvaguardare la dimensione


organizzativa. Questo approccio è stato per molto tempo presente ad es. nella formazione aziendale relativa alla
logistica. Sul piano metodologico, il tutor affianca il soggetto nell’espletamento dei propri compiti, quindi è un
approccio legato all’apprendimento sul campo. Oggi questo approccio non si utilizza più in maniera autonoma
ma si integra e diviene funzionale con altri approcci.

- Secondo l’APPROCCIO INTEGRATO: i tutor si rifanno a diversi approcci, integrandone le metodologie. È molto
probabile che questo tutor esegua compiti afferenti ad approcci diversi, quali:
 Curare la presa in carico degli aspetti affettivi (ci rifacciamo all’approccio psico-dinamico);
 Stipulare un contratto formativo;
 Individuare e fare le giuste connessioni tra apprendimenti teorici e apprendimenti esperienziali;
 Affiancare il soggetto nel superamento di eventuali blocchi o problemi e contemporaneamente, assicurare
le condizioni organizzative quali ad es. abbinamento tra soggetto e contesto lavorativo, etc.
CAP. 1 – LA DIDATTICA TUTORIALE E LE TEORIE DELL’APPRENDIMENTO

La didattica tutoriale si rifà a diverse teorie dell’apprendimento e parlare di queste in ordine cronologico, ci permette
di comprendere l’influenza dell’una sull’altra e i cambiamenti che ne sono scaturiti. Le principali teorie
dell’apprendimento sono 3:
Mentre prima abbiamo visto i vari approcci utilizzati dal tutor dal punto di vista della facilitazione, della presa in carico e della motivazione dello
studente, adesso vediamo quali sono le teorie proprie dell'apprendimento su cui si basa la didattica.

1.1. L’approccio comportamentista e cognitivista

La nascita del comportamentismo è avvenuta negli USA nel 1913 ad opera di John Watson, il quale riteneva che solo
i comportamenti devono costituire l'oggetto degli studi sull'apprendimento, poiché a differenza di mente e
coscienza, sono direttamente osservabili. Il comportamentismo inoltre, enfatizza il ruolo dell'ambiente in quanto,
predisponendo un ambiente adeguato, si possono far apprendere agli studenti tutti i comportamenti desiderati.
Secondo questo approccio, l’apprendimento altro non è che la creazione di nuove associazioni tra stimoli ambientali
e risposte della persona. I concetti fondamentali del comportamentismo sono due:
- Il condizionamento classico/rispondente: studiato da Pavlov, consiste nell’emissione di una risposta naturale
(riflesso) a seguito di uno stimolo naturale. Secondo questo approccio, i comportamenti generati sono mantenuti
quindi dagli stimoli ricevuti, in assenza dei quali non si avrà la risposta.
Ad es. l’esperimento classico di Pavlov fu effettuato su dei cani: Pavlov associò la presentazione di carne al suono
di un campanello. Alla fine, il solo suono del campanello ha determinato la salivazione dei cani anche in assenza
di carne.
Quindi come possiamo notare il condizionamento classico si basa solo sui riflessi ed è perciò in grado di spiegare
solo comportamenti semplici e non complessi.
- Il condizionamento operante: studiato da Skinner, si contrappone al condizionamento classico in quanto
determina comportamenti volontari e controllabili e non risposte fisiologiche automatiche. In questo caso i
comportamenti appresi non sono mantenuti dai riflessi ma dalle conseguenze delle azioni.
Famoso è l’es. della gabbia di Skinner. Nella gabbia, il topo può interagire con due leve: una rossa trasmette una
scossa elettrica, mentre l’altra blu dà una piccola quantità di cibo. Inizialmente il topo esplora la gabbia e per
caso preme la leva che dà la scossa e successivamente quella che gli dà il cibo. Dopo vari tentativi, il topo capisce
che deve premere la leva che gli dà il cibo e non quella che gli dà la scossa. In questo modo, la conseguenza
positiva dell’azione, fa aumentare la probabilità di compimento di quell’azione.
Il concetto fondamentale di questa teoria è il rinforzo. Quest’ultimo è definito come qualsiasi azione che rafforza
o aumenta l’intensità del comportamento a cui è seguita. Rinforzi positivi sono gli esiti favorevoli che seguono
un determinato comportamento e quindi sono spesso accompagnati da lodi, premi o ricompense; rinforzi
negativi sono invece gli eventi sfavorevoli che seguono un determinato comportamento e sono spesso
accompagnate da privazioni o punizioni.
Questi concetti hanno avuto e hanno ancora un posto nell'educazione scolastica e nella ricerca sull'istruzione
programmata o sull'addestramento di tipo militare. Ad es. Skinner applicò il suo modello di condizionamento
operante nel campo dell’istruzione. La teoria dell’istruzione programmata infatti è una teoria secondo cui, per
migliorare l’apprendimento è utile programmare i contenuti da apprendere in maniera lineare e unisequenziale,
dal semplice al complesso, con unità di verifica specifiche per ciascuna unità didattica. Questa teoria si basa sulla
concezione che le conoscenze progrediscono se il soggetto produce comportamenti favorevoli che vengono
rafforzati dall’esito positivo del comportamento stesso. Questa tecnica è ancora utilizzata ad esempio
nell'ambito della riabilitazione psichiatrica.
Alla programmazione lineare ha fatto seguito quella ramificata o plurisequenziale, proposta da Crowder, che dà
enfasi alla flessibilità del programma più che al rinforzo. Questa teoria si basa sul fatto che gli studenti
apprendono in relazione alle conoscenze e alle abilità già in loro possesso e che l'apprendimento dipende anche
dalla natura degli argomenti da imparare e da altre variabili socio-culturali e di personalità.
Inoltre, questo approccio pone l'enfasi sul tempo di apprendimento, secondo cui è possibile porre tutti gli
studenti (o quasi) nelle condizioni di raggiungere gli obiettivi posti, consentendo loro di avanzare secondo i propri
ritmi, sulla base di apposite valutazioni formative poste lungo il percorso.

Secondo i comportamentisti, per studiare l'apprendimento di un’abilità cognitiva complessa è necessario utilizzare
concetti quali la Task Analysis. Task Analysis letteralmente “analisi del compito” e consiste nello scomporre un
obiettivo in componenti e sotto-componenti, rendendolo più graduale in termini di difficoltà e perciò più facilitante.
La scomposizione dell’obiettivo può avvenire sia in senso sequenziale- descrittivo (elencando le serie di risposte
singole che compongono quel compito) che in senso strutturale- gerarchico (individuando le abilità più semplici e i
prerequisiti che costituiscono la struttura di base di quell'obiettivo e che vanno a costruire un ordine gerarchico).
In campo didattico, la Task Analysis può fornire spunti e indicazioni sia per la progettazione curriculare, sia per la
realizzazione dei momenti di insegnamento (unità didattiche, unità formative, etc).
La metodologia della Task analysis prevede due momenti distinti:
- La prima fase è di descrizione del compito, che consiste nella rappresentazione sistematica delle singole azioni e
dei comportamenti necessari per eseguire correttamente e adeguatamente un compito. Essa si distingue a sua
volta in:
 Descrizione razionale: in cui l'insegnante osserva e trascrive dettagliatamente l'ordine di esecuzione dei
singoli comportamenti e le risposte che provvedono all'esecuzione del compito;
 Descrizione empirica: in cui il compito stesso viene eseguito allo scopo di verificare l'adeguatezza della
sequenza dei comportamenti annotati nella fase precedente.
- La seconda fase è quella dell'analisi delle abilità componenti, che consiste nell'individuazione delle abilità
necessarie per un determinato compito. Dopo aver suddiviso in sequenze gli obiettivi di insegnamento, si
procede con l'identificazione e descrizione delle diverse abilità, il cui possesso è requisito indispensabile per
l'apprendimento di altre abilità più complesse che riguardano, appunto, gli obiettivi specifici.

Anche il concetto di Feedback ha contribuito a far considerare in modo nuovo l'apprendimento. Per feedback si
intende l'informazione di ritorno, ossia ciò che accade nelle situazioni e negli altri nel momento in cui la persona
compie una determinata azione (fare, dire, non fare, non dire). Le persone forniscono continuamente dei feedback
ma è altrettanto vero che non tutti i feedback sono utili. È facile comprendere quanto sia importante, per chi svolge
un'azione tutoriale, acquisire la capacità di dare e ricevere feedback, perché questo permette di raggiungere due
obiettivi molto importanti:
- Il ri-orientamento: che consiste nell’identificare i comportamenti, gli atteggiamenti e le performance che NON
contribuiscono agli obiettivi individuali e di gruppo, e quindi indurre lo studente a sviluppare strategie
alternative;
- Il rinforzo: che consiste nell’identificare tutti i comportamenti, gli atteggiamenti e le performance che
contribuiscono agli obiettivi individuali e di gruppo, in maniera tale da poter stimolare lo studente a ripeterli e a
migliorarli.

L’approccio comportamentista ha dominato fino alla 2° guerra mondiale, poi si è evoluto. In particolare, è stato
ampliato dagli studi sull’apprendimento sociale, che hanno cercato di spiegare i comportamenti sociali complessi.
Bandura sosteneva che le persone regolano i propri comportamenti in base alle conseguenze delle proprie azioni; le
persone infatti, sono in grado di comprendere che cosa è adatto in una determinata circostanza e di anticipare il
risultato di un comportamento. Questo approccio dunque dà molta importanza al pensiero cosciente (cognizioni,
aspettative e credenze) nella guida del comportamento.

Il contributo di Bandura riguarda anche il concetto di apprendimento osservativo, inteso come quell’apprendimento
derivante dall’osservazione. Esso riguarda la messa a fuoco del comportamento osservato, la sua interpretazione e
memorizzazione e la sua riproduzione, ma anche processi motivazionali legati al vantaggio che la persona si aspetta
dall’imitazione del modello.
Se uno studente non riesce a comprendere una tecnica complessa attraverso l’osservazione dell’esperto, ciò può
essere dovuto al fatto che non ha prestato attenzione ad alcuni aspetti della dimostrazione che gli è stata proposta
o all’incapacità di analizzare le strategie utilizzate dall’esperto o alla difficoltà a convertire la conoscenza appresa in
tecnica pratica.

In sintesi, l'approccio comportamentista attribuisce un'importanza fondamentale all'ambiente che determina


l'apprendimento; mentre il suo limite è dovuto al fatto che non chiama in causa aspetti non osservabili, ad es. le
strutture mentali e cognitive, che comunque rappresentano elementi importanti dell'apprendimento.
1.2. L’approccio cognitivista

Questo approccio ha acquisito, a partire dagli anni 50 un ampio consenso nella comunità, tanto da diventare il
principale riferimento per gli studi in merito alla cognizione, allo sviluppo e all'apprendimento, e anche nei giorni
nostri gode di un ampio consenso, pur con alcune correzioni rese necessarie.
I cognitivisti, a partire da Neisser, studiarono la mente umana attraverso le inferenze tratte dai comportamenti
osservabili.
L’approccio cognitivista è importante per gli studi sulla memoria e per l'elaborazione delle informazioni. Infatti uno
degli studi più noti a tal proposito è quello di Atkinson e Shiffrin, che prevede “tre magazzini” attraverso cui
transitano gli stimoli sensoriali:
- Il registro sensoriale: è collegato con l'organo di senso corrispondente (occhio, orecchie, etc) e consente di
conservare l'informazione per frazioni di secondo, allo scopo di riconoscere lo stimolo, confrontare il nuovo
stimolo con le informazioni contenute nella memoria a lungo termine.
- La memoria a breve termine: ha una capienza limitata e funge da transito tra le informazioni provenienti
dall'ambiente e la memoria a lungo termine o viceversa. Man mano che nuove informazioni entrano nella
memoria a breve termine, quelle acquisite precedentemente vengono dimenticate, a meno che il tempo in cui
sono rimaste non abbia consentito il formarsi di una loro copia che rimane nella memoria a lungo termine.
- La memoria a lungo termine: può essere paragonata ad un hardisk dove vengono depositate, anche per tutta la
vita, le conoscenze che acquisiamo, le esperienze e i fatti personali. Nella memoria a lungo termine hanno
importanza le relazioni tra codifica, immagazzinamento e recupero delle informazioni. Le conoscenze contenute
nella memoria a lungo termine sono state classificate in conoscenze dichiarative e procedurali.
 La conoscenza dichiarativa riguarda il “sapere cosa”: quindi il ricordarsi nomi, fatti, regole etc. Questa
tipologia di conoscenza può essere intesa come una rete formata da nodi (ovvero gli elementi conoscitivi) e
da relazioni tra nodi. Ad es. se chiediamo ad uno studente di infermieristica “Che cos'è un fonendoscopio”,
otterremo risposte in relazione ad altri concetti quali strumento per ascoltare il battito cardiaco. La
conoscenza dichiarativa è stata anche suddivisa in memoria episodica e memoria semantica.
 La memoria episodica immagazzina informazioni su episodi o eventi che hanno un riferimento temporale
e permette di ricordare, ad es. che tra un'ora abbiamo un impegno; quando l'evento entra nella memoria
episodica, assieme ad esso vengono archiviate informazioni su ciò che si è verificato subito prima o subito
dopo l'evento; si parla così di traccia episodica.
 La memoria semantica invece è necessaria all'uso del linguaggio in quanto comprende le conoscenze che
la persona ha sulle parole e sugli altri simboli verbali. In questo caso, una grande quantità di informazioni,
anche dettagliate, viene immagazzinata in un'unica informazione riferita ad una classe precisa. Le
informazioni contenute nella memoria semantica sono difficili da dimenticare.
 La conoscenza procedurale, invece, riguarda il “sapere come”, ossia i modi e le procedure da utilizzare per
eseguire i compiti; le procedure altro non sono che programmi che indicano in maniera specifica come
svolgere determinate attività. Non tutte le conoscenze procedurali immagazzinate nella memoria sono
accessibili; infatti, molto spesso ci si rende conto del risultato senza saper spiegare il modo in cui si è giunti
ad esso. Quando queste conoscenze sono accessibili si parla di memoria esplicita, quando non lo sono di
memoria implicita.

Dal cognitivismo derivano anche gli studi sulla metacognizione, intesa come capacità di imparare ampliando la
propria consapevolezza e l’autoregolazione rispetto al come si impara.
1.3. L’approccio costruttivista e socio-costruttivista

L’approccio costruttivista si basa sul fatto che la conoscenza è un processo dinamico caratterizzato non solo dalla
semplice acquisizione dell'informazione, ma anche dall’elaborazione e della revisione della stessa. Infatti,
le conoscenze già esistenti (pre-conoscenze) vengono modificate nel momento in cui si acquisiscono nuove
conoscenze.
A differenza dell’approccio comportamentista che vedeva l’acquisizione delle informazioni da parte del soggetto in
maniera passiva (costruzione dell’apprendimento), l’approccio costruttivista pone l’enfasi sulla costruzione della
conoscenza, sottolineando il ruolo attivo della persona che non registra passivamente ciò che proviene
dall’ambiente, ma elabora le informazioni che riceve e le trasforma.
Secondo questo approccio, il soggetto utilizza diverse strategie per affrontare un compito, eseguirlo e raggiungere
un obiettivo: strategie di memoria quali ad es. l’uso di parole chiave, acronimi, elenchi, etc. Il mancato utilizzo di
queste strategie può determinare un deficit che può essere di Produzione e di Mediazione:
- Il deficit di Produzione: si manifesta quando lo studente non riesce ad applicare in maniera spontanea una
strategia, anche semplice, come la ripetizione di una serie di nomi per non dimenticarli subito.
- Il deficit di Mediazione: si manifesta quando una persona utilizza una strategia senza che la prestazione venga
migliorata dal ripetersi della strategia stessa.

Sulla scia dell’approccio costruttivista, gli studiosi hanno posto il loro interesse anche sulle dimensioni motivazionali,
culturali e sociali dell’apprendimento, da cui deriva poi il socio-costruttivismo. Secondo i socio-costruttivisti
l'apprendimento è un processo interattivo poiché vede la presenza di 4 variabili fondamentali:
- Caratteristiche personali: in termini di conoscenze, emozioni, motivazioni;
- Caratteristiche cognitive: ossia i processi cognitivi che vengono attivati dalla persona (attenzione, memoria,
comprensione) e tutte le strategie che vengono messe in atto per svolgere determinate attività;
- Natura e presentazione dei contenuti: cioè le scelte metodologiche dell'insegnante/tutor, il modo di presentare
il materiale di apprendimento, il clima che si crea in aula;
- Verifica dell'apprendimento: ad es. utilizzando test nei quali vengono richieste abilità di ricordo, di
argomentazione, di ragionamento e di problem solving.
Uno dei massimi esponenti del socio-costruttivismo è sicuramente Vygotski. Quest’ultimo enfatizza il ruolo del
contesto sociale nel quale il soggetto apprende (che può essere la scuola, l’università o i media). L’apprendimento
quindi è sempre centrato sul soggetto, ma il processo di costruzione della conoscenza avviene attraverso
l’interazione continua con l’ambiente culturale/sociale/fisico in cui l’individuo vive e opera.

L’apprendimento socio-culturale si realizza attraverso la procedura dell’apprendistato cognitivo. Quest’ultimo è un


metodo che si basa sull’esperienza guidata ed è finalizzato all’insegnamento di compiti complessi. L’apprendistato
cognitivo si articola in diverse fasi che sono:
1. Modellamento: cioè l’esecuzione di un compito da parte di un esperto affinché gli studenti, osservando, possano
costruirsi un modello di riferimento. Il compito, quindi non solo viene illustrato ma anche descritto nelle sue parti
e nelle sue peculiarità.
2. Allenamento: in questa fase lo studente ripete il compito (feedback dello studente); mentre il tutor offre
suggerimenti, sostegno e feedback, per portare la prestazione dello studente ad essere più vicina a quella degli
esperti, magari andando ad orientare l’attenzione su aspetti trascurati o non conosciuti.
3. Supporto (scaffolding): in questa fase il tutor offre suggerimenti, supporti materiali, sostegno e feedback, per
portare la prestazione dello studente ad essere più vicina a quella degli esperti. È necessario che il tutor identifichi
in maniera chiara le abilità/difficoltà dello studente e predisponga passaggi intermedi in vista del compito finale.
Il tutor dovrà gradualmente ritirare il suo supporto (fading), in modo da responsabilizzare sempre più lo studente
e renderlo autonomo.
4. Articolazione: prevede l’adozione di ogni metodo che aiuti lo studente ad articolare conoscenze, ragionamenti,
processi di problem solving (si incoraggiano gli studenti a verbalizzare la loro esperienza).
5. Riflessione: il tutor stimola lo studente a riflettere su quanto da lui è stato prodotto e a risolvere eventuali
problemi che sono scaturiti dallo svolgimento della prestazione. Esso viene stimolato anche al confronto tra la
sua prestazione e quella dei colleghi o del tutor. In questo approccio si possono utilizzare anche degli strumenti
quali diari di bordo, quaderni di tirocinio, narrazioni, etc. nei quali vengono riportati i progressi e le riflessioni sui
problemi riscontrati in maniera dettagliata, al fine di potersi auto-valutare.
6. Esplorazione: rappresenta il momento in cui lo studente non ha più bisogno del supporto del tutor poiché ha
acquisito quella conoscenza, quella sorta di apprendistato cognitivo, che gli fa riconoscere il come, il perché, il
quando e il se fare. Quindi lo studente è ormai autonomo e si sgancia dal tutor, diventando responsabile del
proprio apprendimento.

Il costruttivismo in generale si basa sul paradigma Learner centered (ovvero centrato sullo studente) quindi rispetta
le esigenze della persona in apprendimento e tiene conto delle sue conoscenze pregresse. Ad esempio se il tutor
vuole insegnare allo studente l'esecuzione della somministrazione della terapia endovenosa, deve prima accertarsi
che lo studente abbia già appreso l’incannulamento di una vena periferica.

Inoltre, il costruttivismo socio-culturale si basa sul paradigma Cooperative learning (apprendimento collaborativo).
Che significa? Significa che lo studente apprende collaborando o interfacciandosi con i suoi pari. La collaborazione
che si instaura è sia di tipo relazionale che strumentale, in quanto consente di raggiungere obiettivi di educazione e
di istruzione. La cooperazione relazionale permette al soggetto di interagire con gli altri e di costruire insieme delle
strategie per risolvere i problemi e si realizza mediante il contatto corporeo, il conforto, l’incoraggiamento. Invece,
la cooperazione strumentale è finalizzata a un obiettivo centrato sul compito e si realizza mediante la sollecitudine,
la ricerca di informazioni e la disponibilità.

Nell’ambito dell’apprendimento cooperativo si situa anche l’E-learning, un nuovo modo di studiare reso possibile
dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione con le quali si progetta, si distribuisce, si amministra, si
diffonde la formazione realizzando percorsi personalizzati.
CAP. 2 – I METODI RIFLESSIVI

La riflessione non è solo una tecnica di apprendimento ma è un’attitudine/un processo mentale che ci permette di
meditare profondamente su quello che stiamo facendo (sia prima di agire che mentre agiamo). Ne è l’esempio lo
studio: leggiamo, facciamo nostri i concetti e apprendiamo.
Dewey fu uno dei primi che studiò e analizzò il termine “riflessione", osservando che la riflessione scaturisce da una
difficoltà, da un dubbio o da un conflitto che incontra la persona che sta apprendendo. Quindi secondo Dewey la
riflessione è qualcosa di prettamente cognitivo. Schon sviluppò questo concetto e fece una distinzione tra
“riflessione sull’azione” (vista essenzialmente come passiva) e “riflessione nel corso dell’azione” (vista come
processo interattivo e intuitivo che guida una attività). Merzirow riprese il concetto di pratica riflessiva sviluppato
da Schon e sviluppò il concetto di riflessione critica. Quest’ultima è una forma più profonda di pratica riflessiva che
mette in discussione le nostre convinzioni più importanti e ci permette di confrontarci con noi stessi.

La nostra professione in particolare, richiede che ci si interroghi sempre se quello che stiamo facendo è corretto o
se le conoscenze che stiamo utilizzando sono valide. Infatti, l’infermiere per comprendere ciò si deve affidare alle
migliori prove di efficacia – EBN/EBP. Il professionista riflessivo è:
- La persona che cerca di capire più in profondità le conoscenze che utilizza;
- Guarda e risponde alle pratiche di tutti i giorni con “lenti riflessive” (si interroga se quello che fa è giusto o se c’è
un modo migliore per farlo);
- È consapevole dell’importanza degli incontri interpersonali per portare ad una crescita collettiva;
- È capace di sfruttare la propria esperienza in quello che fa;
- È capace di analizzare criticamente la pratica e si aggiorna sulle nuove linee guida;
- Incoraggia la discussione e le decisioni di gruppo;
- Non ha paura di dire “non lo so”;
- È consapevole dei propri valori e ha bisogno di tenerli ben presenti (etica e deontologia professionale);
- Da l'opportunità a tutti di fornire il proprio contributo, senza primeggiare nonostante l'esperienza.

2.1. L’apprendimento riflessivo

La riflessione porta il tutor e la persona che apprende ad un livello superiore. Gli permette di confrontarsi come pari,
di essere empatici, di esprimere i propri valori. Inoltre, permette al soggetto che apprende di avere fiducia nelle
proprie abilità, di riconoscere i propri difetti e correggerli. Utilizzando l'apprendimento riflessivo come strategia di
didattica tutoriale, il tutor affronta 3 aree: l’esperienza, l’importanza della persona e la gestione dell’inatteso.

1. Lavorare con l’esperienza


La riflessione è un’importante attività con cui le persone recuperano le proprie esperienze, ci pensano e infine le
svolgono. Quindi possiamo in qualche modo pensare che l’esperienza è collegata all’apprendimento stesso.
Per lavorare con l'esperienza però, bisogna adottare una corretta pratica riflessiva, in maniera tale da poter andare
ad analizzare l'esperienza stessa. La corretta pratica riflessiva:
- Presuppone una grande libertà di pensiero e capacità di autocritica;
- Presuppone una grande capacità adattativa e di modifica del proprio pensiero, nel momento in cui ci si rende
conto che gli altri ci stanno dando una chiave di lettura più corretta della nostra.
- Presuppone un tempo idoneo da dedicare alla riflessione: se non si lascia il tempo necessario alla riflessione
perché presi dalla fretta di agire, la riflessione viene ostacolata se non addirittura frenata.
- Richiede un approccio sistematico: è vero che la riflessione si basa sull’intuizione e sul pensiero analitico, ma
questo non preclude al tutor di utilizzare un approccio sistematico ovvero regolarità, frequenza, momenti idonei.

Il Ciclo di Kolb e la pratica riflessiva


Nella pratica riflessiva, il Ciclo di Kolb è un modello ciclico di analisi dell’esperienza che si evolve in 4 fasi:
- L’esperienza concreta, ovvero la sensazione (feeling);
- L'osservazione riflessiva (watching);
- La formazione di concetti astratti e generalizzazione, ovvero il pensiero (thinking);
- La sperimentazione attiva, ovvero l'azione (doing).
Le persone che apprendono possono iniziare da qualsiasi fase del ciclo in relazione al proprio stile di apprendimento,
ma affinché l’apprendimento sia completo è necessario che utilizzino ciascuna delle 4 fasi.
Questo modello permette ai tutor di comprendere alcuni principi basilari:
- L'apprendimento è sia attivo sia interattivo: perché richiede sia il coinvolgimento della persona che apprende,
sia le sue interazioni con chi gli fornisce supporto e guida all'apprendimento.
- La persona che apprende (studente) mette in atto una propria personale base di esperienza: intesa come
bagaglio personale fatto di successi e insuccessi.
- Ogni persona è unica e proprio per questo apprende secondo stili diversi: alcuni apprendono attraverso la
sensazione, altri attraverso l'azione, altri apprendono attraverso il pensiero o agendo.

2. L’importanza della persona: apprendimento a ciclo unico, doppio e triplo.

L’unicità della persona e il senso di sé sono degli elementi vitali della pratica riflessiva poiché influenzano le
prospettive, le strategie e le azioni degli individui. Il tutor quindi deve cercare di individuare le caratteristiche uniche
dei soggetti in apprendimento e individualizzare la pratica riflessiva in relazione al soggetto che ha di fronte.
In letteratura, per capire se la pratica riflessiva viene realizzata efficacemente, sono indicati 4 descrittori che hanno
a che fare con la percezione che ha lo studente sulle capacità del tutor di:
- Stabilire relazioni interpersonali positive: empatia, rispetto e ascolto attivo;
- Rispettare le voci della persona: non prevaricare, non sottovalutare l’altro, saper accettare ciò che l’altro dice e
analizzarlo. Porsi sempre dei perché durante la propria attività.
- Stimolare pensieri di ordine superiore: vanno a intendere la crescita personale e professionale.
- Corrispondere alle differenze tra persone: ogni persona è unica con pensieri, cultura, valori differenti tra loro
che a volte possono essere in contrasto con quelli di un’altra persona. Il tutor deve mediare e gestire tali
dinamiche di gruppo.
I partecipanti alla pratica riflessiva devono dare il consenso a tale attività e conoscerne gli obiettivi. Le informazioni
devono essere trattate in modo confidenziale e nel rispetto della riservatezza, in quanto la pratica riflessiva, a
seconda della modalità con cui viene espletata (la narrativa, le storie, il briefing, il debriefing), può portare il soggetto
ad ipotizzare una storia ma può portare anche a parlare della propria storia personale.

1. Apprendimento a ciclo singolo – Posso AGIRE in modo diverso?


L’apprendimento a ciclo singolo si può utilizzare quando si incontrano delle difficoltà per raggiungere un determinato
obiettivo, in quanto nel momento in cui ci si rende conto che l’esito delle azioni non dà il risultato atteso, ci consente
di modificare l’azione stessa per ottenere un nuovo risultato. Quindi come abbiamo visto, il soggetto è disposto a
modificare la propria azione senza interrogarsi se il proprio modo di pensare e le proprie idee siano giuste.

2. Apprendimento a doppio ciclo – Posso AGIRE e PENSARE in modo diverso?


Nell’apprendimento a ciclo doppio, la persona non solo si chiede se può agire in modo diverso, ma si chiede anche
se può pensare in modo diverso. La persona si confronta dunque con i suoi pari, interrogandosi se le sue idee e le
sue motivazioni siano giuste o se effettivamente devono essere modificate per raggiungere l’obiettivo atteso. Il fatto
di rivedere il proprio modo di pensare rappresenta un passo avanti sia nella crescita professionale che personale.

3. Apprendimento a triplo ciclo – Posso AGIRE, PENSARE ed ESSERE diverso?


Nell’apprendimento a triplo ciclo, la persona non solo si chiede se può agire e pensare in modo diverso, ma si chiede
anche se può essere diverso. Quindi si scontra con i propri valori, la propria personalità e con le convinzioni più
profonde: proprio per questo rappresenta l’apprendimento più difficile. L’apprendimento a triplo ciclo non dovrebbe
essere sempre utilizzato, in quanto le persone che cambiano costantemente le loro idee, le loro credenze e i loro
valori non vivono psicologicamente in modo sano. Spesso, basta fare nuove considerazioni ed inquadrare di nuovo
la situazione per giungere a nuove conclusioni.

3. La gestione dell’inatteso/imprevisto

Essere preparati all’imprevisto e saperlo affrontare al meglio è un apprendimento essenziale nella pratica sanitaria.
Come abbiamo avuto modo di constatare, la situazione di emergenza può capitare in qualunque momento della
giornata e modifica completamente la pianificazione effettuata. Nella pratica riflessiva l’imprevisto ha un ruolo
essenziale: porta ad essere attenti, cambia la pianificazione effettuata, il percorso scelto modifica i propri pensieri,
costringe a (ri)considerare le azioni previste e aiuta a (re)indirizzare i passi da compiere, le azioni da intraprendere.
2.2 Lo scenario della pratica riflessiva

Numerose ricerche hanno confermato che il nucleo centrale della pratica riflessiva è formato da uno scenario
composto da 5 elementi. È fondamentale interconnette tutti e 5 gli elementi mediante un processo di riflessione
critica. Ad es. quando si analizza un incidente critico ci si può focalizzare maggiormente sulla crisi della routine, ma
per portarla in superficie è necessario si realizzi una narrativa. I 5 elementi sono:

1. La messa in crisi della routine


Mettere in crisi la routine implica la rottura di modelli consolidati che bloccano la riflessione; anche il tutor può
deliberatamente provocare una messa in crisi della routine per aiutare lo studente nella pratica riflessiva.
Argyris diceva: “Inciampa, così rifletti”. Con ciò voleva dire che ogni riflessione richiede una crisi, una rottura tra le
azioni routinarie e ciò che ci si aspetta dalle loro esecuzioni.

2. Il contesto relazionale
Il contesto relazionale si riferisce al contesto di apprendimento culturale e sociale formato da persone, approcci e
paradigmi. Le persone che compongono il contesto relazionale hanno storie e posizioni di lavoro differenti. Le azioni
che ne scaturiscono sono frutto di strategie di persone diverse che da una parte cooperano e dall’altra confliggono
le une con le altre. Riflettere significa vedere quanto, anche la più semplice cooperazione, sia il risultato di una
complessa co-configurazione, cioè di azioni significative e operazioni multiple.

3. La narrativa
La narrativa altro non è che la descrizione o interpretazione di un evento o di una attività. La pratica professionale è
piena di narrative istituzionali (ad es. le cartelle cliniche, i report di visite, gli audit, i verbali di riunioni, etc.), ma ciò
che si intende per narrativa nelle pratiche riflessive è la narrativa di eventi più soggettivi che possiamo trovare nei
diari, nelle autobiografie, nei blog o nei forum, nelle interviste e nelle storie dei pazienti.
Riflettere non significa solo porsi interrogativi su una situazione e sui motivi che l’hanno determinata, ma anche
determinare la messa in discussione dei nostri modi di pensare. Il reale oggetto della riflessione non è l’azione in sé,
ma la narrazione e le sue interpretazioni.

4. L’analisi critica
L'analisi critica è l’elemento centrale della riflessione, quello che influisce su tutti gli altri. Grazie all’analisi critica ci
si pone delle domande, degli interrogativi e viene stabilito il vero significato di ciò che si sta andando a fare (quindi
abbiamo la messa a fuoco dei significati); è anche un processo che consente di risolvere problemi e prendere
decisioni. Questo strumento ci permette di riflettere sull'esperienza, ma anche su sé stessi, per andare a sospendere
quella funzione di giudice che ci viene più facile da attuare.
L’analisi critica dunque è un esercizio di ragionamento razionale integrato con una forte componente emozionale ed
intuitiva. Un tutor (pedagogico, clinico e didattico) deve avere, nella relazione con sé stesso e nella relazione con il
team, questa capacità.
Per condurre l’analisi critica esistono diversi modelli ma quello più utilizzato è il Ciclo riflessivo di Gibbs. Questo ciclo
consta di 6 momenti:
- Descrizione: cosa è successo?
- Sensazione: cosa pensavi e sentivi?
- Valutazione: cosa è stato brutto o cosa è stato bello nella tua esperienza?
- Analisi: che senso attribuisci alla situazione?
- Conclusione: cos’altro avresti potuto fare?
- Piano di azione: se succedesse di nuovo, cosa faresti?

5. Le implicazioni del processo riflessivo sull’apprendimento e sull’azione (la scoperta e l’applicazione di


nuove idee e conoscenze)
Le diverse decisioni, problemi e cambiamenti che vengono presi ed apportati non sono solo il risultato di una
discussione fatta in gruppo; essi avvengono per interazione di diverse componenti. L’implicazione più importante è
porsi la domanda “e allora che ne facciamo di questo?” ad ogni passaggio del processo di riflessione e ciò implica la
volontà di agire e di introdurre il cambiamento. Questa domanda apre la porta alla meta-riflessione e ci consente di
fare un’analisi approfondita dell’incidente critico in questione.
2.3. Gli strumenti per la pratica riflessiva

In riferimento al contesto in cui avviene l’azione è possibile utilizzare diversi strumenti:


- Strumenti e fonti di informazione che pongono una maggiore enfasi sugli aspetti mediativi della riflessione
(diario di tirocinio o di apprendimento o portfolio riflessivo, autobiografia professionale);
- Strumenti e fonti che mirano ad un cambiamento del contesto attraverso l’azione (metodi di ricerca-azione).

1. Le narrazioni
Come detto in precedenza, le narrazioni rappresentano una parte importante della pratica riflessiva. La riflessione
può avere inizio solo nel momento in cui l’esperienza osservata o realmente vissuta viene ricreata sottoforma di
narrazione. La narrazione può essere realizzata attraverso l'intervista libera dei pazienti, in quanto con la sbobina si
può carpire il vero significato del trascorso del paziente: ad es. le pause o la voce che trema sono tutti dettagli che
dicono tanto. È possibile distinguere tra:
 Narrazioni che pur avendo una natura autobiografica non necessariamente lo sono: come le storie,
aneddoti e metafore;
 Narrazioni autobiografiche: diari, incidenti critici, autobiografie;
 Narrazioni pre-strutturate: diari di bordo o di tirocinio o di apprendimento, i portfoli.

2. Le storie
Ognuno di noi è un narratore di storie e passa parte della propria vita a raccontare storie. Le storie rappresentano il
contesto nel quale la conoscenza si manifesta e si realizza. Esse permettono alle persone di esplicitare la conoscenza
tacita; inoltre, dato che vengono raccontate con un coinvolgimento emotivo, questo può condurre le persone a dire
più di quello che pensano di sapere. Le storie, sono completamente diverse dalla narrazione dei pazienti, in quanto
possono essere storie vere di vita personale ma anche storie che vengono inventate durante una seduta di gruppo
per fare emergere un problema ed andare poi a risolverlo.

3. Le narrazioni dei pazienti: l’anamnesi


C’è una narrazione di cui medico e professionisti sanitari non possono fare a meno: l’anamnesi. Tuttavia, affinché
l’anamnesi possa divenire narrazione è necessario che medico o infermiere, la ascoltino con interesse e
partecipazione e gli dedichino del tempo. La narrazione dunque è un bel modo di conoscere l'altro e capire certi
punti di vista, di forza e di debolezza.
A questo proposito, è stata condotta un'intervista ad una coppia di anziani ai quali è stato chiesto cosa ne pensassero della loro vita. La moglie ha
descritto la sua giornata, che viveva in funzione di figli, nipoti etc.; mentre il marito, ha parlato per quasi tutta l'intervista molto più della moglie,
focalizzando le sue narrazioni sulla malattia, sulla vita che prima conduceva normalmente e che adesso a causa della malattia è costretto a limitare.
Da qui riusciamo a comprendere che la moglie che aveva metabolizzato la malattia (coping adeguato), mentre il marito aveva bisogno di un rinforzo
da quel punto di vista, perché viveva male quel momento particolare della sua vita.

4. Gli aneddoti
La differenza con le storie non è chiara, anche perché la parola aneddoto ha un connotato non molto positivo
considerata l’assenza di basi concrete o verità scientifiche. Essi però possono essere considerati come delle storie
brevi in quanto ci dicono il “quando, dove, chi e come”, non dicendo però nulla rispetto al “perché” di una situazione.
Gli aneddoti e le storie possono essere o no autobiografici: non è questo che fa stimolare la riflessione; anzi, il fatto
di riguardare la vita dei pazienti o situazioni lavorative osservate e non vissute, toglie alcune ansie e paure agli
studenti e rende meno ansiosa la pratica riflessiva.
Il valore dell’aneddoto sta nel portare lo studente a porsi delle domande e ricercare un significato. Si raccontano
aneddoti quando ci si meraviglia di qualcosa e quindi possono essere usati come introduzione a incidenti critici per
favorire la comprensione dell’analisi di essi.

5. Le metafore
Le metafore possono essere viste come degli organi di percezione che aiutano a vedere in un certo modo l’ambiente,
ma anche sé stessi. Le metafore sono in grado di far comprendere qualcosa attraverso i termini di qualcos’altro.
Molte persone spesso condividono le stesse metafore ma attribuendo significati differenti in base alla propria
cultura, credenze, etc. Le metafore dicono molto sulla cultura alla quale lo studente appartiene. Non sempre però le
persone sono abituate a pensare per metafore, infatti per coloro che sono abituati a pensare in forma verbale sarà
difficile trovare un’immagine che sia in grado di rappresentare la loro pratica. Il tutor può ovviare a ciò fornendo loro
diverse immagini tra cui poter scegliere.
6. Le autobiografie
Scrivere o raccontare una storia di vita ha in sé enormi potenzialità riflessive in quanto servono a comprendere i
propri valori e quelli degli altri. Un modo per ottenere storie autobiografiche è quello di far raccontare ai partecipanti
le proprie esperienze passate o farle raccontare ai professionisti senior. Nel fare questo le persone si soffermano
sugli incidenti critici che possono riguardare eventi, persone che hanno influenzato il loro modo di essere e di
pensare.

7. I diari
Il diario è uno strumento che si basa su fatti e avvenimenti accaduti nel gruppo o sul lavoro. Esso non è altro che un
racconto personale su un argomento di interesse che si articola secondo alcune regole di redazione. All’interno
possono essere scritte diverse cose, anche diverse tra loro, come osservazioni, idee, reazioni, sensazioni, riflessioni,
spiegazioni, etc. In generale, è uno strumento vantaggioso per ricostruire quanto è accaduto in tempo reale e in una
data situazione.
Il diario può avere una struttura dialogica, quindi destinata all'utilizzo del tutor e dello studente; oppure essere
strettamente individuale, soltanto dello studente. A differenza dei diari di bordo o di tirocinio, questi non sono pre-
strutturati e non ci sono domande guida. Lo studente ha maggiore libertà e per questo risultano molto personali.
Questo però solleva la questione della privatezza delle informazioni e quindi della necessità che gli studenti siano
disponibili a metterli a disposizione nella condivisione della pratica riflessiva.

8. Il diario strutturato o diario di bordo


Il diario strutturato o diario di bordo è una modalità di documentare un’esperienza in chiave riflessiva. Consiste
nell’annotare, a caldo, i dati osservati. Nel diario vengono descritte in maniera sequenziale le situazioni osservate o
gli avvenimenti, focalizzando l’attenzione su aspetti rilevanti. I diari possono essere strutturati:
 In modo sequenziale e narrativo seguendo l’ordine spazio-temporale;
 Secondo uno schema di appunti in blocchi, utilizzando una modalità espositiva con:
 Ricostruzione oggetto per oggetto di quanto preso in esame e delle modalità con cui è stato esplorato;
 Individuazione dell’incidente critico;
 Spiegazione delle ragioni della criticità con ipotesi interpretative.

9. Gli incidenti critici


Col termine incidente critico s’intende una situazione o un evento dissonante; esso rappresenta un episodio
significativo accaduto, che ha avuto un risvolto negativo. Il suo scopo è quello di fornire l’analisi critica del perché di
un’azione. Essi sono dunque strumenti utilizzati per analizzare la pratica di un gruppo operativo o professionale che
opera in situazioni critiche per scoprire la debolezza del sistema e prevenire disastri organizzativi. In sanità si può
considerare analisi dell’incidente critico anche la RCA o l’audit. Bisogna sempre porsi le domande “chi, dove, quando,
cosa è successo”.

10. I portfoli
I portfoli altro non sono che contenitori di tutta la storia, il percorso formativo dello studente, del docente e del
tutor. Il termine portfolio deriva da portafoglio, ovvero porta documenti, che non esprime il curriculum di una
persona dal punto di vista professionale, ma esprime tutto ciò che la persona ha prodotto in termini di attività ed
obiettivi raggiunti. È un insieme di documenti che attesta il lavoro svolto da uno studente, il feedback ricevuto, le
valutazioni, le proprie riflessioni, i progressi compiuti e i piani di sviluppo. Pertanto, nella sua costruzione, richiede
una riflessione continua. Esso è dunque uno strumento sia di formazione che di valutazione.
Ad es. uno studente magistrale SIO, può stilare un portfolio di tirocinio, il quale conterrà tutte le attività svolte dal
punto di vista della didattica, del tutorato, manageriale, della ricerca, con le certificazioni e i giudizi di tirocinio.

11. La ricerca azione


La ricerca azione rappresenta la forma più strutturata e avanzata della ricerca partecipante. È caratterizzata da
alcuni aspetti rilevanti: il problema sorge all’interno della comunità, lo scopo è la trasformazione radicale della
realtà sociale, la ricerca esige la partecipazione di tutta la comunità, interessa in genere i gruppi più deboli, il
ricercatore partecipa alla ricerca a fianco agli altri. La ricerca azione inizia quando un tutor inizia a indagare sul
modo in cui può migliorare il suo lavoro pratico. Dopo questo step iniziale, inizia un processo di ricerca sistematico.
Nella ricerca azione occorre ricercare l’interazione che c’è tra la teoria e la pratica, per cui l’una influenza e interroga
l’altra. Questo confronto tra teoria e azione stimola l’apprendimento dello studente che utilizza il metodo riflessivo.
2.4. Le strategie per la pratica riflessiva

1. Riflessione tra pari (critical friendship)


La pratica riflessiva, come abbiamo già detto, necessita di un ambiente fidato e sicuro: se lo studente o il gruppo di
studenti non sentono questo clima è difficile fare riflessione, soprattutto quella di tipo emozionale. Una delle
strategie per creare questo clima è la riflessione tra pari che, così come il termine stesso suggerisce, avviene tra
persone dello stesso livello, che possono essere studenti, tutor clinici o infermieri guida di tirocinio. Un metodo che
può utilizzare il tutor per promuovere la riflessione tra pari è quello di sottoporre la riflessione alla critica di un
collega o di un amico (critical friendship) in quanto questo genera dei feedback reciproci.

2. Debriefing
Il debriefing, preceduto dal briefing, è un momento di riflessione. Per comprendere cosa è effettivamente il
debriefing è necessario spiegare cosa è il briefing. Quest’ultimo prepara gli studenti alla pratica clinica attraverso
indicazioni, esercitazioni, pre colloqui o attraverso la focalizzazione su un determinato paziente che sarà il caso
clinico assegnato per esercitarsi nel piano di assistenza.
Debriefing è quello che viene dopo, ovvero la riflessione sulla pratica, consiste dunque nel riportare tutti gli eventi
che sono avvenuti durante un'esercitazione pratica, durante l'espletamento di un compito clinico, e riflettere su
quanto accaduto. La buona riuscita di un debriefing porta il tutor ad assegnare allo studente un’ulteriore attività
clinica più impegnativa o di livello superiore in quanto lo studente è stato in grado di affrontare la situazione
mettendo in primo piano idee, sentimenti, esperienze e ragionamento logico. Quando si conduce un debriefing,
bisogna avere un modello di conduzione strutturato e organizzato. Possiamo distinguere classicamente 3 fasi:

- La fase della reazione dello studente dopo l'esperienza: il conduttore del debriefing invita i partecipanti ad
esprimere quelle che sono le loro emozioni iniziali. Ad es. nel caso di uno studente a cui viene chiesto di gestire
l’anamnesi infermieristica di un paziente e di identificare la relativa diagnosi per poi redigere un piano di
assistenza, nell’immediato, ovvero nella fase della reazione dopo l’esperienza, si invita lo studente ad esprimere
le sue emozioni in merito a quella che ha fatto, al fine di produrre una riflessione. Questa fase, per chi conduce
il debriefing (tutor clinico o pedagogico), serve ad acquisire informazioni, facilitare la discussione di tutti i
partecipanti e liberare le emozioni iniziali. Tutti i commenti fatti dagli studenti servono al tutor per capire quali
sono gli aspetti importanti per gli studenti e quindi quali aspetti deve approfondire. Il tutor quindi deve praticare
l’ascolto attivo e creare un ambiente positivo per favorire l’esternalizzazione delle emozioni.

- La fase dell'analisi di quanto vissuto: in questa fase vengono analizzate le varie emozioni e le storie esposte dagli
studenti al fine di dare un significato all’evento (analisi critica). Il tutor deve quindi stimolare i partecipanti ad
esternare le emozioni che hanno provato durante l’evento e li invita così a riflettere su quanto accaduto per
individuare criticità e migliorarle nelle performance future. Un’azione che il facilitatore non deve fare, o meglio
non deve fare subito, è quella di dare delle soluzioni a dei problemi riscontrati dagli studenti, in quanto questo
può bloccare, da parte del gruppo, la ricerca e l'analisi della situazione. Inoltre, il tutor non deve giudicare gli
errori degli studenti ma deve farli riflettere sugli stessi senza farglieli pesare.

- La fase di sintesi relativa agli obiettivi di apprendimento: questa fase altro non è che la conclusione del
debriefing stesso in cui si riassumono tutti i punti salienti di quanto c'è ancora da lavorare o di quanto si è fatto,
in maniera tale che gli studenti possano immagazzinare questi nuovi principi per le esperienze successive.
Ad es. in questa fase si potrebbero porre delle domande ai partecipanti del tipo “Secondo te cosa è andato bene?
Come poteva andare meglio? Alla luce di quanto abbiamo detto, cosa faresti per migliorare la tua performance
la prossima volta? Qual è il bagaglio che, oltre l'esperienza pratica, oggi porterai a casa dopo questo percorso?”.
Bisogna sempre andare a stimolare lo studente a riassumere tutti i punti principali dell'esperienza, aiutandolo
ad aggiungerne altri che magari non ha colto, al fine di completare tutto il quadro. È bene ricordare che il
momento del debriefing non è una lezione, per cui il tutor deve essere soltanto un facilitatore e aiutare lo
studente ad analizzare in maniera chiara l’esperienza vissuta.

Prima dell'esperienzaBriefing: Riflessione prima dell’esperienza (finalizzata all'azione), individua le conoscenze


per affrontare l’esperienza e fornisce informazioni, regole, obiettivi e risorse.
Dopo l'esperienzaDebriefing: Riflessione dopo l’esperienza, finalizzata ad analizzare fatti, pensieri, emozioni e
significati emersi, anche a partire dagli obiettivi che ci si era preposti.
3. Supervisione e intervisione
Nei gruppi di supervisione e di intervisione, la funzione dell’amico critico è svolta dal gruppo stesso e non da una sola
persona. Nelle sessioni di supervisione il facilitatore è una persona che possiede maggiori esperienze nel campo
specifico oggetto della riflessione (tutor esperto). Ciò gli permette di guidare i componenti del gruppo nell’uso di
modelli necessari per l’interpretazione della loro esperienza.
Nelle intervisioni i partecipanti si aiutano l’uno l’altro come pari, ognuno ricopre il ruolo di facilitatore. Una volta che
lo studente ha fatto esperienza in un ambito specifico, può scegliere i modelli interpretativi da condividere all’interno
del gruppo. In relazione agli argomenti presi in esame, i gruppi di supervisione o di intervisione possono essere più
orientati all’azione o alla riflessione.

4. I video e le audio-registrazioni
Questi come strumenti di osservazione sono molto versatili perché registrano tutto quello che intercettano. In più
permettono di disaggregare tutti quegli elementi che a posteriori si desidera mettere in evidenza. Permettono non
solo di indagare su elementi verbali, ma anche non verbali.

5. Feedback
Con feedback si intende il processo tramite il quale si rimandano a uno studente in formazione delle osservazioni,
impressioni, sensazioni o altre informazioni valutative sul suo comportamento. Per gli studenti in formazione è
essenziale ricevere un feedback del proprio percorso al fine di correggere eventuali comportamenti inadeguati e
rafforzare quelli adeguati, ed inoltre rende lo studente più consapevole del proprio percorso. Il tutor corregge la
prestazione dello studente in ambito clinico e stimola il suo cambiamento. La riflessione viene effettuata in gruppo
e si valuta il raggiungimento degli obiettivi.
Il feedback è importante per raggiungere due obiettivi:
- Il ri-orientamento: che consiste nell’identificare i comportamenti, gli atteggiamenti e le performance che NON
contribuiscono agli obiettivi individuali e di gruppo, e quindi indurre lo studente a sviluppare strategie
alternative;
- Il rinforzo: che consiste nell’identificare tutti i comportamenti, gli atteggiamenti e le performance che
contribuiscono agli obiettivi individuali e di gruppo, in maniera tale da poter stimolare lo studente a ripeterli e a
migliorarli.
I feedback possono essere positivi o negativi, possono essere rivolti alla persona (es. sei un valido collaboratore) o
al comportamento (es. la tua relazione presenta delle lacune).
Il feedback non è una valutazione, ma può essere inteso come un assessment, ossia un momento di raccolta dati,
per l'apprendimento. Al fine di strutturare un feedback si potrebbero utilizzare delle checklist relative alle abilità
tecniche, o anche delle checklist strutturate relative alle implicazioni emotive e mentali del compito stesso.
Pertanto, il feedback dovrebbe:
 Intendere il tutor e lo studente come due alleati che lavorano per un obiettivo comune;
 Essere pianificato, al fine di essere un qualcosa che stimoli lo studente a fare meglio
 Essere comunicato con un linguaggio descrittivo e non valutativo
 Riferirsi a specifiche performance e non deve essere generalizzato

6. Laboratorio riflessivo
Il laboratorio riflessivo è una sorta di “pensatoio socratico” dove in gruppo si pensa l’esperienza e si pensano i
pensieri su di essa. Il pensiero è impegnato ad esaminare dunque non solo l’esperienza, ma anche le assunzioni tacite
che condizionano i processi cognitivi e le pratiche professionali. Pertanto, all’interno di questi laboratori, gli incontri
possono essere strutturati in maniera diversa al fine di andare ad apprendere con l'esperienza. Quindi l'abilità del
tutor è quella di andare a curare l'ambiente, in modo da non ostacolare il momento della riflessione.
I laboratori riflessivi servono proprio ad andare a riesaminare tutte le esperienze finalizzate appunto
all'apprendimento, in quanto si va a riflettere su quanto agito ma anche sulle motivazioni e su come agire per il
futuro, in maniera più strutturata e in maniera più concreta.
VALUTAZIONE DEL TIROCINIO PROFESSIONALE

Nel 2009 si è costituito nella Conferenza permanente, un gruppo di lavoro formato dai Coordinatori di tutti i CdL,
che ha elaborato un Documento di indirizzo per la progettazione e il coordinamento del tirocinio nei CdL delle
Professioni Sanitarie, e per la valutazione delle competenze acquisite dagli studenti durante il tirocinio.
Il metodo di lavoro utilizzato è stato quello della Consensus Conference, ovvero riunioni condotte da un gruppo di
esperti che discutono di questioni assistenziali controverse e complesse, il cui fine è quello di produrre
raccomandazioni evidence based da utilizzare nella pratica clinica per uniformare l’assistenza.
La Consensus Conference sul tirocinio chiaramente si rifà alla Conferenza di Bologna e ai Descrittori di Dublino
relativamente alle competenze che lo studente dovrà acquisire.

Perché è importante valutare il tirocinio professionale?

Innanzitutto la valutazione è una componente essenziale dell’insegnamento clinico/professionale: valutazione non


solo delle performance pratiche ma anche e soprattutto di quelle teoriche.
La valutazione è un processo attraverso il quale viene prodotto un giudizio sulla performance degli studenti
relativamente a specifiche competenze che il neolaureato deve raggiungere.
Attraverso la valutazione si va a confermare se lo studente ha raggiunto o meno determinate competenze per poi
andare a progredire verso altri risultati di apprendimento.
Abbiamo parlato tanto di pratica riflessiva, abbiamo detto che è un elemento portante dell’attività del tutor e dello
studente, e anche su questo aspetto della valutazione è possibile applicare questo concetto.
La valutazione è importante non solo per lo studente ma anche per i formatori/tutor.
- Per lo studente è importante per:
 Acquisire con gradualità le competenze professionali con il conseguente passaggio all'anno successivo;
 Comprendere le proprie potenzialità o debolezze o aree di miglioramento e per orientare l'apprendimento
successivo;
 Incoraggiare le abitudini di autoriflessione e autovalutazione;
 Rinforzare i valori professionali (identità e appartenenza dello studente).
- Per i formatori è importante per:
 Certificare il raggiungimento degli obiettivi secondo gli standard di competenze attese ai diversi livelli;
 Descrivere gli obiettivi da raggiungere, descrivendone e identificandone gli standard;
 Classificare i livelli di preparazione dei singoli studenti per decidere la promozione o per riprogettare un
ulteriore percorso formativo;
 Revisionare gli standard di competenze per gli studenti ai diversi livelli di formazione;
 Fornire dati sull’insegnamento clinico e teorico per promuovere cambiamenti e coerenza all’interno dei
curriculum tra le diverse attività formative;
 Fornire dati per la ricerca formativa.
La valutazione è importante anche per chi poi alla fine usufruisce del prodotto finale, ovvero il cittadino/paziente.

Modalità di valutazione

Esistono due diverse modalità valutative: formativa durante l’esperienza di tirocinio e sommativa di fine anno.

- La valutazione formativa: serve per seguire lo studente in tutte le fasi dell’apprendimento e per predisporre
interventi di rinforzo in caso di mancato conseguimento dell’obiettivo. Inoltre, questo tipo di valutazione fornisce
il feedback di volta in volta e quindi incoraggia gli studenti a progredire nello sviluppo delle competenze. La
valutazione formativa deve essere quindi garantita dai tutor durante tutto il tirocinio, che si occuperanno di
documentare il livello di competenze raggiunto dagli studenti, evitando di misurarlo con un voto.
Per fare una valutazione formativa, si decidono a priori gli obiettivi da raggiungere e i criteri di valutazione,
tenendo conto non solo dell'atto finale ma anche dei progressi e dell’impegno dello studente. Questi criteri fanno
riferimento al tempo impiegato per raggiungere l’obiettivo, agli errori commessi e alle strategie adottate per
risolverli, alle performance manuali, al comportamento, alla partecipazione alle attività di gruppo, ritardi,
allontanamenti dai reparti, etc.
La valutazione formativa, insieme ad altri elementi, compone la valutazione sommativa.
- La valutazione sommativa (o certificativa): documenta il livello di competenze raggiunto dagli studenti. In caso
di successo, lo studente andrà avanti, mentre in caso di insuccesso ricomincia tutto il progetto. Il voto che viene
dato allo studente è in 30esimi. La valutazione sommativa viene effettuata alla fine di ogni anno di corso per
decidere se lo studente può accedere all’anno successivo. Questo tipo di valutazione richiede la maggiore
obiettività possibile che è garantita dalla collegialità di una Commissione e da criteri chiari e trasparenti ai quali
corrispondono voti graduati e condivisi. Ai fini valutativi vengono presi in considerazione: report, progetti o
laboratori individuali, prove scritte, schede di tirocinio, etc.
Per decidere se lo studente passa o meno all’anno successivo la Commissione considera il peso complessivo delle
competenze e il livello di preparazione in ciascuna competenza. Questa scelta può essere guidata da 3 approcci:
 L’approccio compensatorio: prevede una valutazione globale delle competenze raggiunte dallo studente,
nel senso che se uno studente ha un livello basso in una competenza o uno alto in un’altra competenza,
questo compensa e permette allo studente di passare l’anno, purché il livello minimo raggiunga sempre la
sufficienza. Gli elementi considerati in questo approccio sono: la costanza dello studente il suo impegno, la
complessità delle competenze, etc.
 L’approccio non compensatorio: ritiene che lo studente per progredire verso livelli successivi debba
raggiungere un livello soddisfacente in tutte le competenze previste.
 L’approccio parzialmente compensatorio: ritiene che lo studente per progredire verso successivi livelli
debba raggiungere le core competenze, ovvero quelle competenze che sono pre-requisito per le successive
competenze o che rischiano di compromettere aspetti di sicurezza. Sulla base di questo assunto, l’esame di
tirocinio verterà su queste competenze irrinunciabili, mentre si darà tempo nel triennio allo studente di
raggiungere le altre competenze.

Il documento definisce anche le responsabilità di cui sono incaricati i tutor ad es:


- Effettuare la valutazione formativa durante le esperienze di tirocinio (valutazione in itinere);
- Creare un setting adatto per lo sviluppo delle competenze;
- Prendere in considerazione i prerequisiti dello studente prima di sviluppare le competenze.

Il direttore della didattica professionale è responsabile di:


- Dichiarare in un documento formale gli obiettivi di competenza da raggiungere attraverso le attività di tirocinio
e formalizzare le modalità di valutazione sia formative sia sommative;
- Verificare che i tutor effettuino e documentino colloqui di valutazione formativa con gli studenti durante le
esperienze tirocinio (minimo 1 colloquio a metà e alla fine della singola esperienza di tirocinio): in realtà dovrebbe
essere fatto un colloquio preliminare per accogliere lo studente nell’U.O., informarlo e indirizzarlo.
- Identificare precocemente, con la collaborazione dei Tutor, gli studenti con difficoltà di apprendimento in
tirocinio ed essere garante dei successivi colloqui di supporto;
- Garantire l’imparzialità nella valutazione degli studenti tramite l’utilizzo di apposite scale di valutazione;
- Garantire formazione, supervisione e orientamento ai tutor sulla valutazione dell’apprendimento in tirocinio.

Criteri utilizzati nella scelta dei Metodi di valutazione delle competenze

- Coerenza con le strategie di insegnamento utilizzate dal CdL sia in tirocinio sia nei laboratori: significa utilizzare
strategie comuni e non confondere lo studente. Affinché le strategie siano comuni e uniformi è necessario che
l’intero gruppo di tutor le programmi al fine di dare agli studenti le stesse informazioni.
- Realismo con le risorse disponibili: bisogno tenere in considerazione il numero di studenti, la disponibilità dei
tutor e il loro grado di esperienza, ma anche la disponibilità di spazi e di attrezzature idonee.

Metodi di valutazione

È possibile valutare lo studente nelle sedi di tirocinio, al di fuori delle sedi di tirocinio e globalmente.
- Metodi di valutazione adatti per il contesto di tirocinio: è possibile utilizzare metodi quali, l’osservazione diretta
delle performance dello studente, domande, quesiti, discussioni di casi, report e progetti.
- Metodi di valutazione fuori della sede di tirocinio: è possibile utilizzare metodi quali simulazioni di
competenze/abilità specifiche o anche l’esame clinico strutturato e obiettivo (Objective Structured Clinical
Examination –OSCE);
- Metodi di valutazione globale o trasversali: sono portfolio, auto-valutazione, valutazione tra pari.
Strumenti di valutazione

1. La scheda di valutazione del tirocinio è di norma costituita da 2 parti:


- La 1° parte: contiene la lista di competenze, comportamenti e risultati attesi;
- La 2° parte: documenta il livello raggiunto per ogni competenza attraverso una scala di misurazione quantitativa
(numerica, in lettere A,B,C,D,E) o qualitativa (con parole) o entrambe.
Le schede di valutazione sono basate sugli obiettivi educativi stabiliti a priori. Possono essere molto dettagliate e
strutturate oppure semi-strutturate se prevedono oltre alle scale di misurazione anche dati di tipo qualitativo (queste
ultime hanno il vantaggio di descrivere l’evoluzione dello studente nella sua globalità e di fornire un quadro ricco e
completo dell’apprendimento raggiunto).

2. Scale di misurazione (grading)


Come abbiamo già specificato, la 2° parte della scheda di valutazione contiene una scala di misurazione che può
essere quantitativa, qualitativa o entrambe. Quindi ogni competenza può essere misurata attraverso numeri,
aggettivi o definizioni. Inoltre, queste scale possono essere espresse da variabili dicotomiche (e quindi parliamo di
sistema bidimensionale) ad es. adeguato/non adeguato, soddisfacente/non soddisfacente, raggiunto/non raggiunto,
etc., oppure possono essere multidimensionali, cioè avere più opzioni di risposta.
Ai vari indicatori di valutazione sono affiancati delle brevi descrizioni per esplicitare meglio l’indicatore.
Gli indicatori che caratterizzano la performance sono:
- Il grado di precisione e accuratezza;
- Il desiderio di apprendimento (curiosità, iniziativa, mettersi alla prova);
- Non attenzione all’utente;
- Utilizza conoscenze e principi.
Le valutazioni che possono scaturite sono:
- Non raggiunto;
- Parzialmente raggiunto;
- Raggiunto;
- Eccellente;
- Non sperimentato;
- Non valutabile.
CONFERENZA PERMANENTE
PRINCIPI E STANDARD DEL TIROCINIO PROFESSIONALE NEI CDL DELLE PROFESSIONI SANITARIE.

Nel 2009 si è costituito nella Conferenza permanente, un gruppo di lavoro formato dai Coordinatori di tutti i CdL,
che ha elaborato un Documento di indirizzo comune per la progettazione e il coordinamento del tirocinio nei CdL
delle Professioni Sanitarie, e per la valutazione delle competenze acquisite dagli studenti durante il tirocinio.
Il metodo di lavoro utilizzato è stato quello della Consensus Conference, ovvero riunioni condotte da un gruppo di
esperti che discutono di questioni assistenziali controverse e complesse, il cui fine è quello di produrre
raccomandazioni evidence based da utilizzare nella pratica clinica per uniformare l’assistenza.
La Consensus Conference sul tirocinio chiaramente si rifà alla Conferenza di Bologna e ai Descrittori di Dublino
relativamente alle competenze che lo studente dovrà acquisire.
Hanno partecipato all’indagine di consenso studenti, Tutor, Coordinatori, referenti delle sedi di tirocinio, Docenti,
rappresentanti delle Direzioni dei Servizi Sanitari.

Definizione, finalità e principi pedagogici

Il tirocinio professionale è una strategia formativa che prevede l’affiancamento dello studente ad un professionista
esperto in contesti sanitari specifici al fine di apprendere le competenze previste dal ruolo professionale.
L’apprendimento in tirocinio avviene attraverso la sperimentazione pratica, l’integrazione dei saperi teorico-
disciplinari con la prassi operativa e il contatto con membri di uno specifico gruppo professionale. Tuttavia, come già
detto nella definizione, il tirocinio è soprattutto una strategia formativa, quindi non sostituisce la necessità di un
piano di inserimento del neolaureato al momento dell’assunzione per sviluppare le competenze specifiche di quel
contesto.

La finalità del tirocinio professionale è quella di:


- Sviluppare competenze professionali;
- Sviluppare identità e appartenenza professionale;

I principi pedagogici che stanno alla base delle strategie di insegnamento e apprendimento sono diversi:
- Utilizzare un modello di apprendimento basato sull’esperienza anziché sull’addestramento;
- Responsabilizzare lo studente utilizzando metodi di apprendimento autodiretto;
- Garantire supervisione e facilitazione dei processi di apprendimento grazie ai tutor;
- Trasparenza del processo di valutazione;
- Personalizzazione delle esperienze di tirocinio e flessibilità del percorso;
- Rispetto del diritto di privacy dello studente;

L’apprendimento per esperienza

L’esperienza del tirocinio permette allo studente di affrontare situazioni uniche e complesse che solo con la teoria
non riuscirebbe a comprendere; gli permette di osservare e riflettere sulle attività svolte dai vari professionisti e di
cimentarsi gradualmente a realizzarle; inoltre, lo studente impara a riflettere mentre svolge l’azione, interrogandosi
sui significati possibili di ciò che incontra nell’esperienza. Il tutto viene fatto sotto la supervisione di un tutor esperto
che si assume la responsabilità di facilitare, attraverso i feedback, il processo di apprendimento.
È opportuno che il tirocinio preveda un modello integrato tra teoria e pratica (non prima la teoria e poi la pratica)
così da poter trasformare i saperi teorico-pratici in competenze.

Fasi del processo di apprendimento nel tirocinio

1. Prerequisiti teorici;
2. Sessioni tutoriali che preparano lo studente all’esperienza: esercitazioni, simulazioni in cui si sviluppano le abilità
tecniche, relazionali e metodologiche;
3. Esperienza diretta sul campo con supervisione e accompagnata con sessioni di riflessione e rielaborazione
dell’esperienza e feedback costanti.
Queste fasi appartengono ad un processo a spirale che può tornare indietro continuamente e integrare via via le
strategie utilizzate anche con successioni diverse, adattandosi alle esigenze dello studente e del contesto di tirocinio.
Il progetto formativo del tirocinio

Il progetto formativo previsto per il tirocinio del CdL deve essere documentato e presentato all’inizio di ogni anno
accademico ai soggetti coinvolti. Deve contenere informazioni riguardo all’alternanza delle lezioni teoriche con il
tirocinio, gli obiettivi educativi, standard attesi, modalità di valutazione, principi pedagogici e di tutorato cui si ispira.

L’impegno che lo studente deve dedicare al tirocinio è di minimo 60 CFU (nei 3 anni) presso servizi, strutture, aziende,
comunità. La frequenza è obbligatoria per tutto il monte ore minimo e le eventuali assenze devono essere
recuperate. 1 CFU di tirocinio corrisponde a 25 ore impegno studente (30 ore per la prima Classe).
I CFU di tirocinio, oltre che essere acquisiti in attività espletate sul campo, possono essere acquisite in attività di
laboratorio, attività extracurriculari che possono essere formative e utili allo studente per il tirocinio stesso.

Le esperienze di tirocinio dovrebbero durare di norma dalle 4 alle 6 settimane per dare il tempo allo studente di
ambientarsi e partecipare a tutte le attività. Di contro, tirocini di breve durata e discontinui con numerose rotazioni
in vari contesti non permettono l’apprendimento di abilità professionali. Si concorda sulla necessità di prevedere
almeno 5/6 esperienze di tirocinio in contesti diversi nel triennio.

Le esperienze di tirocinio sono inserite con gradualità, per durata e complessità crescente dal 1° al 3° anno. Possono
essere successive alla teoria (per esempio al 1° anno), altre volte precederla (per esempio al 2° e 3° anno) o ancora
integrarla (per esempio tirocinio al mattino e attività teorica al pomeriggio o due giorni alla settimana dedicati al
tirocinio e tre alla teoria). Tali scelte devono essere motivate dagli obiettivi formativi, e dalla disponibilità di sedi e
risorse.

Nel corso del triennio può essere utile per gli studenti provarsi in una esperienza di affiancamento a studenti più
giovani per apprendere e sviluppare competenze di guida e responsabilità di supervisione.

Il fatto che lo studente abbia concluso le sue ore di tirocinio non significa che abbia finito il tirocinio, in quanto la
fine del tirocinio viene sancita dal raggiungimento degli obiettivi formativi. Inoltre, sono raccomandati percorsi di
tirocinio personalizzati che tengano conto della necessità di alcuni studenti di aumentare il numero di esperienze
per completare la loro formazione professionale. Quindi eventualmente dare la possibilità a questi studenti di
ulteriore attività di tirocinio.

I sistemi di valutazione delle competenze attese devono essere espliciti e condivisi tra referenti del Corso e quelli dei
servizi. I metodi di valutazione devono essere sottoposti a costante verifica per affidabilità e validità.

Per quanto riguarda la documentazione del percorso di tirocinio, ogni Corso di Laurea adotta propri strumenti. Si
ritengono tuttavia fondamentali i seguenti:
- Documento contenente il progetto di tirocinio, modello pedagogico proposto, obiettivi formativi, indicatori e
strumenti di valutazione delle performance, funzioni dei Tutor;
- Contratti formativi, dossier, portfolio;
- Indirizzi per l’attività di laboratorio professionale e report scritti;
- Libretto triennale dove lo studente documenta la frequenza e le sedi di tirocinio.

Per quanto riguarda i prerequisiti di accesso al tirocinio, il Direttore della didattica professionale ammette al
tirocinio gli studenti che:
- Hanno ottenuto la frequenza regolare alle lezioni teoriche;
- Hanno ottenuto la frequenza regolare ai laboratori propedeutici al tirocinio.

Criteri di scelta delle sedi di tirocinio

Le sedi di tirocinio devono essere selezionate accuratamente per la qualità dell’ambiente di apprendimento e delle
prestazioni e cure erogate. Le sedi del tirocinio vengono scelte in relazione:
- Alla coerenza tra opportunità di apprendimento e obiettivi formativi;
- Alla presenza di professionisti motivati in grado di assumere il ruolo di tutor guida di tirocinio;
- Alla presenza di rapporti tra l’equipe basati sul confronto e sulla collaborazione;
- Alla garanzia di sicurezza per lo studente;
- All’utilizzo delle evidenze e del non “si è sempre fatto così”.
- Alla possibilità di partecipare a progetti di ricerca.
L’individuazione e selezione delle sedi di tirocinio è responsabilità del Direttore della Didattica Professionale, in
collaborazione con i Tutor e in sinergia con la Direzione Infermieristica. Le sedi del Tirocinio possono essere interne
alla struttura sanitaria o esterne in Aziende convenzionate con l’Università.

Il coordinamento delle attività di tirocinio

Il Decreto Ministeriale 19 febbraio 2009 sancisce che “L’attività formativa e di tirocinio clinico deve essere svolta
sotto la supervisione e la guida di tutori professionali appositamente formati e assegnati ed è coordinata, con
incarico triennale, da un docente appartenente allo specifico profilo professionale, in possesso della Laurea
Specialistica o Magistrale della rispettiva classe.
Requisito indispensabile per l’attivazione del Corso di Laurea è l’individuazione di un “Direttore della Didattica
Professionale" per assicurare l’integrazione tra gli insegnamenti teorici e il tirocinio, favorire la conformità degli
insegnamenti professionali agli standard di competenza definiti e dirigere i tutor professionali. È nominato dal
Consiglio di Corso e si dovrebbe dedicare alla funzione a tempo pieno (dico dovrebbe perché in realtà questo non
avviene).
Al Direttore della Didattica Professionale si affiancano i vari tutor che seguono e supportano lo studente durante il
percorso del tirocinio (tutor clinico e l’infermiere guida di tirocinio).
Queste figure, anche se previste dalla Legislazione, sono molto sottostimate ed inoltre, la loro formazione continua
non è prevista, non è normata, ma è solo frutto di autoapprendimento.
Quindi la lezione universitaria, in Italia, non ha una struttura concreta dal punto di vista teorico, data l’assenza di
una formazione specifica per l’insegnamento universitario. In altri paesi del mondo (Francia, Germania, America,
Paesi Anglosassoni, Svezia, Finlandia) invece esiste una formazione specifica: sono infatti previsti dei percorsi,
ognuno secondo il proprio contesto socio-culturale, che indirizzano il futuro docente circa il percorso da
intraprendere al fine di avere il ruolo formale di docente ed essere accreditato come tale.

Stili di conduzione delle lezioni

- Presentazione orale: è quel docente che spiega esclusivamente attraverso un discorso orale evitando di
utilizzare dei supporti tecnologici, niente diagrammi, niente lavagne tradizionali. Si avvale solitamente di più testi
per la preparazione di quanto espone e di norma non trascrive la sua lezione ma si fa una scaletta.
- L'informatore visivo: è un docente che si avvale di un grande numero di supporti tecnologici al fine di fornire,
dopo la lezione, il materiale che ha utilizzato per la preparazione della lezione stessa. In questo modo viene
facilitata la comprensione degli studenti sui concetti trattati e la comprensione di legami tra un concetto e l'altro.
Di norma questo tipo di docente trascrive l’intera lezione.
- Il docente esemplare: è il docente che appare sicuro di sé, è molto abile nel presentare gli argomenti, si
destreggia in una serie di tecniche di presentazioni sia verbali che visive nel corso della lezione e la prepara
andando ad annotare soltanto qualche frase piuttosto che un discorso completo. Egli comunica ai discenti gli
obiettivi che si prefigge la lezione, li avvisa in anticipo sul tema che sarà trattato e imposta la lezione in maniera
interattiva. Vengono utilizzati raramente supporti e non vengono forniti i testi integrali della lezione ma si
avvalgono di strumenti, anche tecnologici, per enfatizzare e focalizzare i punti chiave della propria lezione.
- Il docente eclettico: è un docente che utilizza delle tecniche diversificate, che possono anche comprendere
l'umorismo. Questa tipologia di docente tende ad essere disorganizzato in quanto, non riuscendo a strutturare
e a preparare il materiale a disposizione, si basa su diversi testi per tracciare i punti principali della lezione ma
non trascrive per intero, per cui alla fine è colui che tende più degli altri a divagare dal contenuto della scaletta.
- Il docente sicuro di sé: solitamente, sono troppo sicuri di sé ma poco preparati e piuttosto vaghi. Tralasciano di
specificare gli obiettivi delle proprie lezioni, di comunicare con gli studenti, danno poche informazioni sugli
argomenti e sui programmi da preparare per l'esame e quindi trascurano quelle che sono le strategie
fondamentali per l’insegnamento.

Una disciplina, che sia essa scientifica, professionale o umanistica, ha bisogno di essere posta in termini di attrazione
perché se non si riesce a coinvolgere lo studente e farlo interagire durante la lezione non si ha il giusto feedback. La
lezione deve essere stimolante su entrambi i fronti, deve esserci la presenza del binomio insegno-apprendo.
CAP. 3 – IL CONTRATTO DI APPRENDIMENTO/TIROCINIO

Il contratto di apprendimento è un accordo negoziato tra due o più partner, che possono essere il docente/tutor e
lo studente, ed è finalizzato all’acquisizione di competenze teorico-pratiche. Un tempo, la formazione dello studente
avveniva in maniera differente da oggi; il docente “esperto” riversava tutto il proprio sapere sui discenti che
dovevano riprodurre fedelmente i contenuti espressi dal docente in aula.
Adesso, invece, la metodologia contrattuale è basata sulla scelta condivisa delle competenze che si vogliono
acquisire e con quali modalità di apprendimento. Il fine di questa metodologia è quello di rendere lo studente libero
di esprimere le proprie idee e i propri valori: si instaura così un progetto educativo che crea le condizioni necessarie
per crescere e responsabilizzarsi.
Il contratto di apprendimento riporta:
- Gli obiettivi di apprendimento;
- I tempi necessari e destinati al raggiungimento degli obiettivi;
- Le risorse da utilizzare o le risorse necessarie;
- Le strategie di realizzazione;
- La valutazione dei risultati.

Esempio: un accordo di negoziazione può essere la scelta condivisa tra tutor e studente di un Project, in quanto lo studente esprime al tutor il
desiderio di trattare un determinato argomento, e il tutor accetta suggerendo alcuni approcci. Stabilito il project, poi si delinea anche:
- Un percorso di competenze cognitive da raggiungere per poter espletare quel percorso;
- Un arco temporale entro il quale il Project deve essere poi portato a termine;
- Le risorse e strategie da usare.

L’applicazione di tale metodo in ambito formativo prevede le seguenti fasi progressive:


1. La definizione delle condizioni necessarie per attuare il contratto di apprendimento: ossia il formatore deve
chiarire le motivazioni che lo hanno condotto all’utilizzo del contratto e qual è lo scopo che vuole perseguire.
Questa fase deve includere: la tipologia di contratto che si intende proporre, a chi si intende offrirla, la forma
scritta del contratto (che sottolinea l’impegno reciproco delle parti), l’arco temporale entro il quale il contratto
deve essere portato a termine, i casi di interruzione del contratto, il mutuo consenso, etc.
2. L’analisi esplorativa della situazione: in cui si esplicita e si chiarisce meglio la situazione al fine di definire gli
obiettivi da raggiungere. In questa fase lo studente viene chiamato a realizzare un bilancio delle competenze in
suo possesso per preparare la progressione del suo apprendimento. Lo studente può anche decidere di
rafforzare alcuni suoi punti di forza: si è visto infatti che questa modalità rinforza la fiducia in sé stesso e favorisce
nello studente la motivazione a mettersi in gioco. Scopo di questa fase è portare lo studente ad essere
consapevole e, conseguentemente, responsabile degli obiettivi che intende raggiungere.
3. La chiara formulazione degli obiettivi del contratto, dei metodi di apprendimento e di valutazione: in questa
fase avviene la formulazione vera e propria degli obiettivi, i quali devono essere comprensibili a tutti, realistici e
verificabili nella pratica concreta. Occorre formulare i criteri e gli indicatori di risultato, i vari step necessari per
raggiungere tali obiettivi e le modalità alle quali si potrà fare ricorso in caso di parziale o mancato raggiungimento
degli stessi. A questi vanno aggiunti gli elaborati, i progetti e le schede di valutazione che lo studente dovrà
realizzare.
4. La negoziazione di ogni elemento dell’apprendimento previsto: consiste nello scambio di informazioni circa gli
obiettivi di apprendimento e nel concordare i tempi e le modalità di realizzazione. Gli studenti possono anche
suggerire soluzioni alternative, difatti il contratto è uno strumento flessibile e modificabile.
5. L’esplicitazione dell’impegno reciproco: studente e docente/tutor si impegnano a lavorare per un obiettivo
comune. La firma del contratto da parte di tutte le parti sottolinea il patto di apprendimento e porta lo studente
a riflettere sulle proprie scelte, su sé stesso e sulle esperienze.

Una volta stipulato il contratto di apprendimento, il tutor clinico accoglierà e orienterà lo studente nelle esperienze
di tirocinio presso la struttura, favorirà l’interazione dello stesso con i professionisti della struttura e con i colleghi,
definirà le figure che lo affiancano (ad es. gli infermieri guida di tirocinio), creerà momenti di riflessione, discussione
e confronto utili alla crescita personale e collettiva, supervisionerà lo svolgimento delle attività di tirocinio e
assicurerà allo studente le informazioni necessarie, lo supporterà nei vari momenti operativi e/o educativi e
formativi, lo valuterà senza giudicarlo, si interfaccerà con il tutor didattico.
Mentre l’impegno che lo studente assume è quello del rispetto delle regole generali, etiche, morali, organizzative
della struttura che lo accoglie ed anche il rispetto verso il raggiungimento dell’obiettivo che è stato concordato.
EVIDENCE BASED JOURNAL CLUB – EBJC

Il termine EBJC è strettamente legato al concetto di EBP poiché chiaramente su questo si basa. La pratica basata sulle
prove di efficacia – EBP è intesa come l’utilizzo coscienzioso delle migliori prove di efficacia disponibili, associate a
valori e preferenze del paziente, unite all’esperienza e al giudizio clinico del professionista.
L’EBP necessita quindi di conoscenze, abilità e atteggiamenti specifici, che possono essere acquisiti in vario modo ad
es. mediante corsi di formazione o e-learning. Questi metodi però, nonostante facciano acquisire conoscenze e
abilità al professionista, non sono sufficienti affinché quest’ultimo li adotti nella pratica quotidiana.

L’Evidence Based Journal Club è un buon metodo per apprendere l’EBP e allo stesso tempo colmare questo divario
tra teoria e pratica. Ma cos’è effettivamente l’EBJC? È una strategia multifattoriale e interattiva che utilizza piccoli
gruppi di individui che si riuniscono regolarmente e valutano criticamente la letteratura e ne discutono
l’applicabilità nella pratica clinica.
In altre parole, è un metodo efficace per formare lo staff sanitario a leggere, criticare e analizzare la ricerca corrente,
oltre che un’opportunità chiaramente per tenersi aggiornati. Possiamo definire L’EBJC come un ponte tra la ricerca
e la pratica clinica.

Nell’ambito dei Journal Club distinguiamo i Journal Club tradizionali dall’Evidence Based Journal Club. Sicuramente
il secondo è più efficace rispetto al primo, per vari motivi.
- Mentre l’EBJC utilizza un atteggiamento reattivo, quindi parte da un problema reale del paziente o del
professionista, il JC tradizionale utilizza un atteggiamento proattivo, cioè la semplice necessità di aggiornarsi.
- Gli incontri dell’EBJC hanno una struttura ben precisa e la ricerca viene effettuata su banche dati online, mentre
gli incontri del JC tradizionale non hanno una struttura precisa e non si sa dove vanno a ricercare la letteratura.
- Negli incontri di EBJC è sempre previsto un processo di valutazione critica dei lavori esaminati che termina con
la stesura di un documento, cosa che non avviene in quelli tradizionali.
- L’EBJC prevede la valutazione degli apprendimenti dei partecipanti e sembra avere maggiore probabilità di
modificare la pratica, proprio perché rappresenta la soluzione ad un problema di un paziente.

L’EBJC può essere strutturato in modo differenti, a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere. A tal proposito è
possibile raggiungere diversi obiettivi:
- Migliorare le abilità dell’EBP: utilizzando il modello skills-driven, orientato alle abilità.
- Reperire e valutare criticamente la letteratura: utilizzando il modello evidence-driven, orientato alle prove di
efficacia.
- Trovare una soluzione Evidence-Based per uno specifico problema: utilizzando il modello needs-driven,
orientato ai bisogni.

Come è possibile utilizzare l’EBJC nei nostri contesti?

Se facciamo riferimento al corso di laurea triennale in infermieristica, l’EBJC può essere utilizzato con lo scopo di
migliorare le abilità necessarie per l’EBP.
Se invece, facciamo riferimento al nostro corso di laurea in scienze infermieristiche e ostetriche, l’EBJC può essere
utilizzato per formare un individuo sia alla ricerca che alla didattica. Inoltre, con riferimento alla formazione
permanente, può essere utilizzato come formazione sul campo.

Come realizzare un EBJC?

Occorre innanzitutto definire i partecipanti dell’EBJC. Questi, possono essere omogenei (ad es. solo studenti
infermieri o fisioterapisti) ma, se la compatibilità culturale è accettabile e le relazioni interprofessionali sono buone,
è meglio se si crea un gruppo multi-professionale, in maniera tale da tenere un’ottica centrata sul paziente.
Non è consigliabile superare i 10-12 partecipanti, poiché sarebbe problematico poi gestire il gruppo. È opportuno
inoltre, che all’interno del gruppo, vi sia almeno qualche partecipante che abbia ricevuto una formazione in ambito
di EBP.
Una volta definiti i partecipanti, andiamo a definire la struttura dell’EBJC. Un EBJC può avere la durata di circa 4
incontri con frequenza settimanale. Ogni incontro prevede specifiche e diverse attività.
- Nel 1° incontro (2 ore):
 Si inizierà con una breve introduzione del lavoro che si andrà a svolgere: quindi si introdurranno gli obiettivi
e le modalità di svolgimento e si distribuirà il materiale ai partecipanti;
 Si compileranno le schede di valutazione riguardanti le aspettative, le valutazioni e l’autovalutazione delle
abilità in EBP dei partecipanti;
 Si farà una lezione introduttiva riguardante i concetti base dell’EBP, ricerca online, formulazione del PICO e
si consegnerà il materiale occorrente.
 Si farà il learning portfolio: in esso ogni partecipante raccoglie i propri elaborati e le proprie valutazioni per
avere traccia del suo percorso e le sue tappe di apprendimento.
 Si sceglierà il quesito e si formulerà il PICO.
 Si divideranno i 2 gruppi.

- Nel 2° incontro (1 ora e mezza):


 Si preparerà la ricerca e si farà una breve introduzione sullo svolgimento della ricerca;
 Ricerca online;
 Lettura degli abstract e selezione dell’articolo più adatto;
 Incontro dei 2 gruppi e confronto delle stringhe di ricerca e abstract scelti;

Dopo il 2° incontro vi sarà un momento in cui i partecipanti leggeranno l’articolo completo in maniera autonoma

- Nel 3° incontro (1 ora e mezza):


 Si leggerà l’articolo e si farà la sua valutazione critica (validità interna): il tutto facilitato dal tutor e
dall’esperto. Per valutare la validità interna occorrono strumenti quali griglie o check list.
 Si compileranno le presentazioni anticipatamente progettate.

- Nel 4° incontro (1 ora e mezza):


 Si presenteranno i risultati in Power Point dell’incontro precedente;
 Si discuteranno i risultati in gruppo e si discuterà anche sulla possibile applicazione nella pratica clinica;
 Si valuteranno le abilità dei partecipanti e si compileranno le schede di gradimento.

La didattica tutoriale nell’EBJC

Tra le figure fondamentali per la buona riuscita dell’EBJC sicuramente rientrano il tutor facilitatore e l’esperto EBP.
Il tutor deve essere abile nel creare un clima di fiducia e collaborazione, in maniera tale da permettere ai partecipanti
di esporsi nella discussione e anche di mostrare eventuali debolezze nella metodologia. È importante che il tutor
abbia formazione ed esperienza nella gestione dei gruppi, in modo tale da rilevare e possibilmente modificare
comportamenti che portino lontano dal risultato. In particolare, il tutor dovrà motivare i partecipanti e supportarli
laddove abbiano bisogno, moderare le discussioni lasciando spazio a tutti di esprimere il proprio punto di vista, dovrà
organizzare nel dettaglio spazi, computer, strumenti, materiali, etc… Il tutor dovrà anche gratificare i partecipanti e
mettere in risalto i risultati ottenuti.
All’interno del gruppo, non può mancare l’esperto EBP, il quale può anche coincidere con la figura del tutor.
L’esperto EBP offre supporto metodologico al gruppo, valuta criticamente le varie tipologie di studi e deve essere in
grado di fornire spiegazioni e approfondimenti al gruppo qualora richiesti.
IL PORTFOLIO

Tra gli strumenti di valutazione dell’apprendimento troviamo il portfolio, come suggerito anche dalla Consensus
Conference.
Esistono diverse tipologie di portfolio (certificativi e formativi) e sono state diverse definizioni al riguardo ma, nella
pratica formativa, il portfolio utile all’acquisizione delle competenze è sicuramente il Portfolio progressivo
formativo.
Quest’ultimo è una raccolta strutturata di lavori eseguiti e selezionati dallo studente per documentare le proprie
competenze, il proprio percorso formativo e i propri progressi. Riguarda fondamentalmente la raccolta di
documentazione attestante ciò che lo studente sa, sa fare (anzi più che sapere fare dobbiamo dire sapere agire
perché il sapere agire implica dare un senso alle azioni che si fanno), sa essere, etc.

Può includere sia una riflessione dello studente sulle sue prestazioni, sia commenti da parte dell’insegnante sul
lavoro dello studente. Questa raccolta, una volta ultimata è soggetta ad esame, interpretazione e valutazione.

A differenza dei test tradizionali che permettono di comprendere la conoscenza in atto dello studente senza sapere
se lo studente possedeva o meno le conoscenze necessarie per affrontare tale test, il portfolio progressivo-formativo
consente di valutare l’evoluzione e i progressi dello studente, tenendo conto in particolare delle pre-conoscenze
dello stesso e su queste andare a fissare gli obiettivi da raggiungere.
Inoltre, con il test tradizionale, lo studente saprà se lo ha superato o meno ma non avrà contezza delle sue lacune in
quanto non riesce ad effettuare una autovalutazione.
Quindi, con i test tradizionali e le interrogazioni orali, sfuggono elementi importanti quali, il processo di
apprendimento, le strategie adottate, le competenze raggiunte e l’autoconsapevolezza dello studente relativamente
ai suoi punti di forza e di debolezza.
Ad esempio vediamo che lo studente, nel suo portfolio, ha sviluppato un piano di assistenza: in tal senso, verrà ripercorso tutto il percorso che lo
studente ha fatto, dal momento della anamnesi al momento della valutazione degli esiti; se invece si elabora un test per la valutazione in cui viene
chiesto “cos'è il piano di assistenza?” vengono date possibili risposte multiple e si viene a conoscenza soltanto dell'informazione ristretta, non avendo
chiaro se lo studente ha effettivamente compreso quali sono gli step per formulare un piano di assistenza.

Quindi attraverso il portfolio avviene una valutazione molto più fluida, trasparente, tracciabile e oggettivabile.
Inoltre, il portfolio è continuamente rinegoziabile: infatti nel momento in cui alcuni obiettivi non vengono raggiunti,
tutor e studente possono progettare un percorso diverso e andare ad inserire nuovi progetti e obiettivi all'interno
del percorso di formazione previsto.

Il portfolio dunque ha diverse finalità:


- Offre allo studente la possibilità di imparare ad imparare, perché impara a progettare, a dimostrare, a produrre
riflettere su quanto prodotto.
- Consente sia allo studente che al docente di andare ad individuare eventuali punti di forza, punti di debolezza,
eventuali preferenze o attitudini particolari;
- Documenta le esperienze dello studente, in particolare le volte in cui lo stesso si confronta con delle situazioni
di rischio, situazioni complesse, situazioni problematiche;
- Aumenta la possibilità da parte dello studente di accrescere la propria autostima, infatti la constatazione dei
progressi ottenuti è la maggiore motivazione all’apprendimento.

Tipologie di portafogli formativi progressivi

Le 3 tipologie più importanti di portafogli formativi progressivi sono: i portafogli di lavoro, i portafogli di
presentazione e i portafogli di valutazione.
- Il portfolio di lavoro: così chiamato perché include progetti in corso d’opera, ovvero progetti nelle loro diverse
fasi di realizzazione. Quindi serve come contenitore per tutti i lavori fatti dallo studente, che in seguito saranno
selezionati e raggruppati in un portafoglio definitivo di valutazione o di presentazione. In altre parole è un
portafoglio provvisorio. Questo tipo di portfolio ha lo scopo di fare riflettere lo studente sulle proprie esperienze
e ha lo scopo di farlo auto-valutare, quindi applica quella che è la pratica riflessiva. I destinatari del portfolio di
lavoro sono sia gli studenti stessi che sviluppano strategie di apprendimento e autovalutazione delle proprie
capacità, sia l'insegnante, il quale rileva lo sviluppo delle strategie cognitive dello studente, delle sue capacità e
competenze. Un portfolio di lavoro potrebbe contenere anche il curriculum professionale della persona, insieme
al quale vengono illustrate le esperienze di lavoro precedente, i lavori presentati, etc.

- Il portfolio di presentazione o dei migliori lavori: lo scopo di questo tipo di portfolio è quello di mostrare i
risultati migliori raggiunti dallo studente. Può essere conservato di anno in anno, aggiungendo nuovi materiali
che documentano la crescita nel tempo. I destinatari di questo portfolio sono le persone importanti per lo
studente a cui vuole mostrare le proprie capacità, i docenti, non solo quelli attuali ma soprattutto quelli futuri
che possono conoscere molto di uno studente grazie allo studio del suo portfolio e anche i datori di lavoro futuri.

- Il portfolio di valutazione: la sua funzione più importante è quella di documentare ciò che lo studente ha
appreso. I lavori che lo compongono devono essere pertanto scelti in modo da fare risaltare le competenze
raggiunte. I destinatari di questo portfolio possono essere gli studenti stessi, il formatore, il centro di formazione
o una agenzia Valutativa esterna che in questo modo raccoglie documentazione dell’apprendimento degli
studenti.

Parlando di tirocinio professionalizzante, si potrebbe anche parlare di:


- Portfolio di tipo cumulativo: documenta non solo i contenuti appresi ma anche le esperienze relative alla
formazione, quindi riesce a certificare in toto le competenze dello studente e identifica quali sono le sue
preferenze e particolari attitudini. Il suo contenuto sarà sicuramente costituito da: materiale di gruppo, progetti
fatti in un gruppo, progetti personali, in riferimento anche a diverse discipline. I destinatari di questo portfolio
sono gli studenti stessi, al fine di sviluppare strategie di apprendimento e autovalutarsi (pratica riflessiva),

- Portfolio di dimostrazione: può essere anche esterno al contesto della classe stessa. Ad esempio, posso essere
utilizzati per dimostrare alla fine dell'anno o alla fine del semestre come è stata sviluppata una determinata
attività svolta, nel contesto della classe. I destinatari di questa tipologia di portfolio è sempre lo studente, da un
lato, per dimostrare il proprio apprendimento e quindi anche per valorizzare e incentivare l'aspetto
motivazionale; per quanto riguarda invece il docente, o il corso di laurea, serve a coinvolgere esperti o
professionisti esterni all'istituzione sulle attività svolte per favorire uno sviluppo professionale e una maggiore
conoscenza dell'istituzione agli esterni. Ad esempio si potrebbe ipotizzare una tipologia di portfolio di questo
genere nel momento in cui si vanno a sviluppare attività di orientamento universitario: quindi in un portfolio di
questo tipo si vanno a presentare (anche con immagini, foto, poster, oltre che con relazioni di quanto è stato
fatto) tutte quelle che sono le attività svolte dal gruppo in uno specifico contesto e quindi in uno specifico corso
di laurea.

- Portfolio per il passaggio da un ciclo ad un ciclo successivo: è una descrizione di quanto lo studente ha
dimostrato in termini di impegno nel precedente ciclo. Una tipologia simile di portfolio potrebbe anche essere
considerata come il libretto del tirocinio annuale, nel quale ogni anno viene valutato il raggiungimento di
determinati obiettivi propedeutici a quelli dell'anno successivo, al fine di avere la contezza di aver maturato
quelle determinate competenze.

Costruzione del portfolio

1. Finalità e destinatari del portfolio: in primis occorre andare a definire la finalità del portfolio ad es. Da che cosa
è motivata questa scelta? Quali conoscenze e abilità si vogliono promuovere negli studenti? Come coordinare le
attività scelte dallo studente con il piano formativo previsto? Poi andiamo a definire i destinatari dello stesso.
Bisogna anche stabilire se lo studente può utilizzare uno stile personalizzato o se si deve attenere ad uno stile
comune.
2. Strumenti di valutazione: in secondo luogo andiamo a definire gli strumenti di valutazione dello stesso,
indicatori, criteri e una scheda di valutazione. Ovviamente il materiale viene stabilito sulla base degli obiettivi
precedentemente fissati. Questa scelta dovrà essere concordata con il docente/tutor.
Qual è la domanda che ci si pone in questo contesto? Quale materiale rispondente agli obiettivi posso inserire
all'interno del portfolio? Fatta questa scelta bisogna andare a comprendere se il materiale da produrre è
abbastanza vario da permettere una completezza del portfolio. All’interno dello stesso vi saranno diverse sezioni:
una sezione per la didattica, una per il management, una per la formazione, una per la ricerca, etc.
3. Presentazione dei singoli lavori. Quindi, stabiliti i lavori, si deve anche decidere come verranno presentati, e
quando (una data). Bisogna presentare i lavori in ordine cronologico al fine di andare a valutare step by step.
Questo ci permette di identificare l'arco temporale nel quale è stata sviluppata la competenza. È anche
importante l'etichettatura del portfolio, una sorta di indice che contiene tutti gli elementi salienti del contenuto
stesso.
4. Abstract: è importante anche costruire un piccolo abstract che dà un’introduzione e una presentazione dello
studente, in cui spiega: il suo percorso accademico, presso quali strutture si è svolto, le Unità Operative in cui ha
prestato servizio/tirocinio, il percorso fatto, le maggiori aree di interesse, gli obiettivi, etc. L'obiettivo principale
di una introduzione è quella di sollecitare lo studente in un’autoriflessione sul prodotto finale. Quindi un auto-
analisi del proprio lavoro che lo aiuta ad essere consapevole di quanto ha svolto e di quanto ha prodotto. In
questa fase il docente potrebbe contribuire aiutando lo studente nel processo di riflessione, “cosa ho imparato
facendo questo lavoro? Che cosa ho appreso? Che cosa potrebbe migliorare la mia pratica professionale dopo
aver fatto questo lavoro?”. Possiamo anche andare ad inserire alcune parti del curriculum vitae tradizionale, con
una breve descrizione di sé stesso, ovvero quella che in alcuni portfoli viene definita filosofia professionale (cosa
pensa, cosa poter dare ai pazienti, cosa si aspetta da loro, che tipo di stile interattivo lo caratterizza), più il link
del CDL e il profilo. Ci potrebbe anche essere una sezione dedicata ai commenti sul rapporto docente-studente,
quindi parlare del come si è discusso di questo progetto con il docente.
5. Come già detto, una scheda di valutazione per ogni lavoro svolto.

Valutazione del portfolio

La valutazione del portfolio non consiste nella valutazione del singolo lavoro dello studente, in quanto altrimenti non
avrebbe senso andare a costruire questo strumento che va a segnare quello che è il percorso verso dello studente;
esso va a valutare globalmente tutto il percorso, con l’obiettivo dunque di valutare il progressivo miglioramento e
verifica del raggiungimento dell'obiettivo da parte dello studente.
Si prendono in considerazione diverse dimensioni quali:
- La chiarezza su quello che lo studente vuole dimostrare;
- La definizione degli obiettivi e dello scopo;
- Il cambiamento nel tempo (quindi lo sviluppo delle capacità) e il miglioramento del risultato;
- Capacità di autovalutazione dello studente (fondamentale la presenza della scheda di riflessione);
- La struttura del portfolio stesso, se dal punto di vista della reportistica prodotta risulta essere anche un prodotto,
non solo gradevole e ben corredato, anche ben articolato ed omogeneo.
- La presentazione dello studente stesso, che accompagna il portfolio, e quindi oltre alla presentazione proprio
dello strumento cartaceo anche la verbalizzazione dello strumento e la chiarezza anche espositiva.
- Si potrebbero andare a definire delle scale di valutazione delle competenze contenute in un portfolio, e quindi
redigere proprio una vera e propria rubrica delle competenze. In questa rubrica si vanno a identificare dei livelli,
sia numerici che verbali (con dei descrittori numerici ma anche su scala verbale).
- Progetti di ricerca, esperienze di volontariato, attestati di corsi di formazione, altre esperienze di crescita
professionale, referenze, etc.

Per quanto riguarda l'autovalutazione, nel momento in cui uno studente decide di scegliere il nuovo lavoro piuttosto
che quello vecchio che magari è stato revisionato, al momento dell'esame dovrà andare a motivare questa scelta (o
la scelta può essere stata motivata anche nella scheda riflessione).
I LABORATORI

Il laboratorio è un metodo didattico che consente di coinvolgere e di attivare lo studente e si colloca come palese
interfaccia tra la teoria e la pratica. Il termine laboratorio, dal latino “laborare”, è un locale fornito di attrezzature
per ricerche ed esperienze scientifiche. Ci si riferisce quindi ad uno spazio ma anche al tipo di attività riservato a
quello spazio: ricercare, fare esperienze scientifiche, etc.
In ambito pedagogico, il laboratorio permette al soggetto che apprende di avere un coinvolgimento attivo all’interno
dello stesso.
La formazione attraverso i laboratori pone particolare attenzione a:
- La dimensione esperienziale;
- La dimensione processuale;
- La “problematizzazione”;
- La connessione tra teoria e prassi;
- La riflessione sull’esperienza e gli apprendimenti a partire dall’esperienza;
- La riflessione su sé stessi;
- La comunicazione interpersonale;
- La capacità di auto-osservazione e auto-valutazione;
- La dimensione non verbale;
- Gli aspetti emotivi, relazionali e affettivi.

La scelta e la progettazione di laboratori all’interno del Corso di Laurea si basa sul Core curriculum che, a sua volta
si fonda sulle Core competence. Cosa sono le core competence? Sono competenze che sono pre-requisito per le
successive competenze, quindi sono delle competenze irrinunciabili/essenziali che lo studente deve possedere per
acquisire competenze professionali. Ad es. un obiettivo del Core curriculum potrebbe essere quello di pianificare e
applicare il processo di assistenza secondo un modello prestabilito ad es. quello della Gordon.
Chiarito che i laboratori vengono utilizzati all’interno del Core curriculum dei CdL, possiamo descrivere brevemente
le caratteristiche dei due laboratori principali, ovvero il laboratorio relazionale e il laboratorio dei gesti.

Il laboratorio relazionale

Il possesso di alcune competenze relazionali definite come “core” della nostra professione, sono alla base del
laboratorio relazionale. Basti pensare che qualsiasi azione, prestazione, attività compiuta dal professionista, è
sempre veicolata dal rapporto umano con il paziente. Quindi avere delle competenze relazionali è indispensabile per
svolgere al meglio la professione.
Il role-playing è un metodo specifico molto utilizzato all’interno dei laboratori in quanto permette di simulare
situazioni analoghe a quelle che lo studente incontrerà nel quotidiano, permettendogli di allenarsi a gestire tali
situazioni. Viene chiesto ad alcuni componenti del gruppo di svolgere per un tempo limitato il ruolo di attori, mentre
gli altri partecipanti fungono da osservatori. Questo metodo fornisce molteplici stimoli all’apprendimento perché
coinvolge emotivamente gli studenti. Al termine dell’esercizio, un tutor fornirà la spiegazione di tutti i
comportamenti e del perché di questi comportamenti, cosa è andato bene e cosa potrebbe andare meglio.

Il laboratorio dei gesti

Anche il laboratorio dei gesti si inserisce come laboratorio relazionale all’interno del Core curriculum del CdL ed è
finalizzato a fare acquisire allo studente competenze gestuali attese per l’esercizio della Professione. È richiesto allo
studente di padroneggiare livelli crescenti di difficoltà dell’apprendimento gestuale. Lo studente deve avere la
possibilità di osservare, riflettere, imitare, sperimentare alcune manovre tecniche professionali arrivando
progressivamente alla loro applicazione in contesto reale, in tirocinio e sulla persona.
Il laboratorio presenta appunto:
- La dimostrazione di manovre tecniche professionale;
- La visione di materiale audiovisivo inerente pratiche proprie del personale sanitario;
- La pratica sui manichini;
- L’esercitazione tra studenti o tra colleghi.

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