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UNA LINGUA FUORISEDE

CAPITOLO 1

L’apprendimento/insegnamento delle lingue rappresenta una preoccupazione centrale del Consiglio


d’Europa dal 1961; viene così avviato il Progetto Lingue Moderne, che ha lo scopo di favorire la
conoscenza delle lingue straniere attraverso un modello di competenze e abilità linguistiche divise in
unità. È l’antecedente del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue, pubblicato in inglese nel
2001 e poi tradotto in altre lingue (tra cui l’italiano). Il Framework muove dall’intento di:

 Migliorare l’efficacia della cooperazione internazionale


 Aumentare il rispetto per le diverse identità e culture
 Raggiungere una maggiore comprensione reciproca
 Agevolare la mobilità dei cittadini nell’unione europea
 Migliorare l’accesso alle informazioni
 Facilitare i rapporti e le relazioni nel contesto lavorativo

I destinatari del documento non sono unicamente gli studenti e i docenti, ma tutti coloro che operano
nell’ambito dell’educazione linguistica, come ad esempio gli autori e gli editori dei libri di testo. È un
documento politico perché promuove il plurilinguismo per rispondere alla diversità culturale e
linguistica delle comunità. Ha una valenza teorica (esamina criticamente le teorie didattiche e
dell’apprendimento) e operativa (fornisce indicazioni e obiettivi concreti). È uno strumento
indispensabile di consultazione, da adoperare ogni qualvolta occorra progettare un percorso di
apprendimento di una lingua straniera. In Italia, il Quadro comune è il fondamento della formazione dei
docenti.

Per applicare nel modo corretto il documento non basta comprenderne le finalità, ma è necessario
conoscere anche il modo in cui sono articolati i livelli di competenza e i rispettivi descrittori, utili per
programmare percorsi coerenti.

Alcuni elementi fondanti si trovano già nel Libro Bianco, che parte dalla constatazione che i cambiamenti
in corso nella società odierna sono dovuti alla globalizzazione degli scambi e al rapido progresso
scientifico-tecnologico. A fronte di queste tendenza, sottolinea la necessità che l’intero sistema della
formazione rivaluti la cultura generale, intesa come capacità dell’individuo di comprendere il significato
delle cose andando al di là delle informazioni cui è esposto. I punti chiave di questo processo sono
rappresentati dalla lotta contro l’emarginazione e dalla padronanza di tre lingue comunitarie. Il Libro
Bianco presenta 4 punti del Quadro:

 Plurilinguismo, che comporta l’apertura alla cultura altrui;


 Importanza delle competenze generali (sapere, saper fare e saper essere);
 Lifelong learning, imparare ad apprendere;
 Definizione di un prospetto unitario e coerente di livelli di competenza e descrittori.

Il Framework traccia tre livelli per inquadrare le competenze dell’apprendente:

 A (Basic user): A1 = livello di contatto / A2 = livello di sopravvivenza


 B (Independent user): B1 = livello soglia / B2 = livello progredito
 C (Proficient user): C1 = livello di efficacia / C2 = livello di padronanza

Per ogni macro e micro livello sono forniti dei descrittori relativi a ciò che lo studente deve aver
imparato (ad esempio riuscire a comprendere le espressioni familiari). La scansione è utile perché:

 Fornisce parametri di riferimento in termini di livelli di competenza


 Completa i livelli con descrittori di prestazione in attività comunicative
 Le abilità vengono articolate tenendo conto dell’uso nei vari contesti

Inizialmente, il Ministero della Pubblica Istruzione aveva orientativamente attribuito un livello A1 ai


discenti al termine della scuola elementare, il livello A2 al termine della scuola media e un livello tra il B1
e il B2 all’uscita della scuola superiore; ad oggi i livelli sono stati innalzati per il passaggio da un ordine di
scuola all’altro.

Il Quadro propone in chiave istituzionale il problema della valutazione delle competenze, analizzandone
i diversi tipi (quella fondata sulla performance e sul language testing e l’autovalutazione) → si arriva così
all’assunto che un disegno valutativo deve rispondere a criteri oggettivi, per garantire l’univocità del
giudizio espresso e la sua leggibilità da parte di chiunque. Per quanto riguarda il tema della valutazione,
il Framework fa riferimento alla Association of Language Testers in Europe (A.L.T.E.), con lo scopo di
fornire parametri equiparabili nella valutazione.

In Italia, il tema delle certificazioni è da tempo oggetto di attenzione. Infatti, nel 2000 c’è stata una
convenzione tra il MIUR e gli enti certificatori stranieri ufficialmente accreditati, per offrire a tutti gli
studenti la possibilità di partecipare agli esami che si svolgono presso questi enti ed ottenere una
certificazione esterna rispetto al contesto scolastico. Dal 2001 queste certificazioni sono riconosciute
come crediti acquisiti per la carriera universitaria.

Nel 2002 viene elaborato il Language examining and test developement, che delinea le procedure per la
creazione delle prove. È così suddiviso:

1. Obiettivi generali e modello di riferimento della valutazione


2. Fasi di preparazione di un test (la parte più rilevante)
3. Lettura e valutazione del test

Nel 2000 il Consiglio d’Europa elabora il Portfolio Europeo delle Lingue (PEL), uno strumento rivolto a
coloro che imparano un’altra lingua, ma anche agli insegnanti, agli esaminatori, agli autori dei libri di
testo. La conoscenza del PEL è di fondamentale importanza tanto quanto la conoscenza del Framework
per tutti coloro che sono rivolti all’apprendimento/insegnamento delle lingue straniere. Il PEL serve
all’apprendente per riflettere sulla propria esperienza linguistica e sui livelli raggiunti, in modo da poter
prefissarsene altri → aiuta a sviluppare l’autonomia. È costituito da tre sezioni:

1. Passaporto delle lingue: regolarmente aggiornato, fornisce un quadro d’insieme delle


competenze del discente nelle diverse lingue, che sono definite in termini di abilità.
Vengono registrate le certificazioni linguistiche ottenute e vengono descritte le esperienze
di apprendimento linguistico e interculturale. È di fondamentale importanza che le
certificazioni qui elencate siano conformi alle scale di valutazione del Framework;
2. Biografia linguistica: sono inserite le esperienze linguistiche e culturali acquisite nell’ambito
scolastico o extrascolastico. Lo scopo è quello di favorire l’autonomia del discente nella
progettazione, la riflessione e l’autovalutazione del suo apprendimento. Ha una funzione
pedagogica, perché la riflessione sul proprio percorso di apprendimento linguistico motiva il
discente a fare sempre più;
3. Dossier: sono raccolti i testi e i documenti che illustrano le esperienze descritte nella
biografia e le competenze descritte nel passaporto. Può contenere attestazioni di frequenza
di corsi di lingua, certificazioni ottenute e schede di valutazione compilate nel contesto
scolastico.

In Italia, risultano validi i PEL di 4 regioni: Lombardia, Umbria, Piemonte e Puglia. Il PEL Puglia è
destinato ai giovani e agli adulti del biennio e triennio della scuola superiore, testato in 55 istituti
scolastici ed è concepito in funzione di un futuro percorso di studio o lavoro (con descrittori relativi ai
linguaggi settoriali del commercio, turismo e letteratura).

A questa caratteristica, che rende il PEL Puglia unico nel panorama europeo, se ne aggiunte un’altra che
ne consente l’uso anche per le 4 lingue più adoperate e diffuse nel sistema scolastico italiano: inglese,
spagnolo, francese, tedesco.

Il PEL pugliese è articolato regolarmente in 3 sezioni + guida per l’uso e CD. Il “passaporto” è diviso in
due sezioni: autovalutazione e tabella riassuntiva. La “biografia linguistica” è articolata in quattro
sezioni: la mia storia nello studio delle lingue, le esperienze linguistiche e culturali più significative, gli
obiettivi di studio, cosa so fare. La guida fornisce ai docenti un’ampia gamma di suggerimenti e proposte.
Il glossario è, invece, rivolto allo studente perché spiega alcuni termini della biografia linguistica che
potrebbero risultare di difficile comprensione.

La funzione del PEL Puglia non è quella di sostituire le certificazioni formali, quanto piuttosto inglobarle
sistematicamente.

CAPITOLO 2

Prima del Novecento, le aree privilegiate per l’immigrazione dall’Italia sono il Brasile, l’Argentina, gli USA
e la Francia; dal primo quindicennio del XX secolo le mete sono gli USA, la Svizzera e l’Argentina. La
coesistenza di due lingue in uno stesso territorio porta al fenomeno della diglossia, per cui nelle aree di
immigrazione italiana, le forme dell’italiano cominciano a coesistere con la lingua indigena, creando una
sorta di “impasto linguistico”. È necessario, tuttavia, delineare le differenze tra lo spagnolo iberico e lo
spagnolo sudamericano. Innanzitutto, diverso è il contatto che le due aree hanno avuto con l’italiano: lo
spagnolo peninsulare ingloba prestiti dall’italiano sin dal Medioevo, in seguito a scambi commerciali e la
letteratura dei Siglos de Oro; gli italianismi presenti nello spagnolo sudamericano, invece, sono dovuti
all’emigrazione e sono in quantità maggiore.

Nella Spagna centro-settentrionale, ad esempio, i suoni distinti [θ] e [s] compaiono entrambi e il primo
corrisponde alla lettera z o alla c davanti alla e o alla i; in alcune varietà della Spagna meridionale e in
tutta l’America latina, invece, i due suoni si fondono, dando luogo al fenomeno del seseo laddove
diventano [s] e del ceceo dove diventano [θ].

Un altro fenomeno è il yeísmo: in Spagna il suono [ʎ] corrisponde alla dígrafo ll, invece in gran parte
dell’America latina questo suono è rimpiazzato da quello associato alla lettera y.

In Messico, nello stesso toponimo México, la lettera x è velare fricativa sorda [x], mentre in Spagna
questo suono è associato alla lettera j.

Un’ulteriore differenza rispetto allo spagnolo iberico è rappresentata dall’uso del pronome vos al posto
o insieme al tú, diffuso in America latina. Questo fenomeno è noto come voseo o tuteo e comporta, nel
caso del voseo, un paradigma misto: il soggetto vos si concorda con il pronome complemento oggetto
te o con le relative variabili indirette (a ti). Alle origini del fenomeno c’è la confusione creatasi in
Sudamerica a causa dell’ambiguità nell’uso da parte dei colonizzatori spagnoli, del pronome vos con il
verbo plurale sia con gli estranei in situazioni formali e sia in famiglia tra pari. I verbi hacer e haber
vengono utilizzati solo nella forma personale; in Spagna invece i due verbi sono adoperati anche
all’impersonale → hay mucha gente – desde hace mucho tiempo. Per quanto concerne il lessico,
nell’iberoamericano abbondano termini che in Spagna sono scomparsi o permangono solo nel
linguaggio letterario: ‘lindo’ con il significato di ‘bello/buono’ è stato sostituito da ‘bonito/hermoso’.
Nel complesso, la varietà ispano-americana della Colombia è considerata la più pura, perché fedele alla
lingua spagnola e le sono estranei i vocaboli provenienti da altre lingue; viceversa, le varietà parlate a
Cuba, Argentina, Uruguay risentono molto dell’influenza delle lingue immigranti.

L’italiano e lo spagnolo sono lingue affini e quest’analogia influisce sia in modo positivo che in modo
negativo nell’apprendimento dell’italiano come LS. Quando i due sistemi linguistici sono vicini, la lingua
materna esercita un’interferenza vantaggiosa per l’apprendimento perché permette al discente di
applicare strategie di acquisizione basate sulle analogie e differenze tra la LS e la L1. La somiglianza
agevola nelle fasi iniziali, consentendo allo studente di comprendere più facilmente i messaggi e di
appropriarsi delle strutture di base; però, nelle fasi più avanzate la somiglianza può diventare un
ostacolo, perché può indurre lo studente a sottovalutare le diversità e a tentare un continuo e spesso
errato adattamento delle strutture. Rischio di cristallizzazione = fossilizzazione in uno stadio
interlinguistico.

Un’interferenza che non crea problemi è quella lessicale, perché sono abbastanza rari i ‘falsi amici’
(parole identiche o quasi nella pronuncia o nella grafia, ma di significato diverso). Le differenze che
possono creare problemi tra l’ispanoamericano e l’italiano riguardano il sistema fono-sintattico e la
morfosintassi.

A livello fonologico, l’italiano consta di un sistema a sette vocali che però la norma ha ridotto ad un
sistema pentavocalico, facendo venir meno la distinzione tra e ed o aperte e chiuse. Per uno studente
straniero, la distinzione tra la e/o aperta e chiusa non è irrilevante. Secondo le abitudini articolatorie, è
possibile che un ispanofono faccia precedere la stringa s + consonante da una e (estudio). Un’altra
particolarità riguarda l’accento tonico, che in italiano diventa grafico soltanto quando la vocale tonica è
l’ultima, in spagnolo invece viene indicato ogni qualvolta non sarebbe facile prevedere la sillaba tonica.
Infine, per uno studente ispanofono non sarà facile abbandonare l’abitudine di anteporre alle domande
o alle esclamazioni rispettivamente i punti interrogativi o i punti esclamativi capovolti.

Dal punto di vista morfosintattico, ad esempio, lo spagnolo presenta otto articoli invariabili, mentre in
italiano la forma cambia a seconda del suono che segue. Una grave difficoltà è rappresentata dagli
ispanofoni dai pronomi personali e dalle particelle pronominali: la combinazione del pronome atono e
quello tonico è possibile in spagnolo, ma è un grave errore in italiano (a me mi piace → a mi me gusta).
Uno degli errori degli studenti è la sostituzione delle desinenze verbali italiane con forme simili allo
spagnolo (perché in alcuni tempi verbali la prima e la terza persona singolare coincidono → yo
estudiaba, él estudiaba). Un caso di divergenza è l’uso della proposizione a, che in spagnolo introduce il
complemento oggetto quando si riferisce a persone e animali, ma non a cose. Altre differenze
riguardano il complemento di moto a luogo, espresso con a in spagnolo, mentre in italiano si utilizza
‘in’, o ad esempio por e para a cui corrisponde ‘per’.

La soluzione sta nello sfruttare le somiglianze tra le due lingue per facilitare l’apprendimento, ma
sviluppare consapevolezza delle differenze per evitare errori più o meno gravi.

La Scuola della lingua italiana a Barcellona è considerata una delle migliori istituzioni italiane all’estero.
Durante il franchismo la Scuola italiana fu tra le istituzioni tollerate e per questo un numero sempre
maggiore di genitori vi ci iscriveva i propri figli. Questa scuola è composta da spagnoli bilingui, da alunni
italiani i cui genitori si trasferiscono in Spagna per motivi di lavoro. Nel contesto scolastico è
preponderante la lingua italiana, ma si studiano anche lo spagnolo e il catalano.

Nell’Istituto di Cultura italiana di Madrid i docenti sono quasi tutti madrelingua, accedono
all’insegnamento in seguito al superamento di un concorso e hanno una formazione didattica specifica,
per cui adoperano tutti lo stesso approccio. I corsi sono suddividi in moduli, gli studenti alla fine di ogni
modulo sostengono un esame che gli permetterà il passaggio al modulo successivo. Gli studenti sono
tutti giovani o adulti interessati all’apprendimento della lingua italiana per varie ragioni, soprattutto
lavorative. In Spagna, la motivazione allo studio della lingua italiana sarebbe dovuta alla vicinanza
culturale tra i due popoli e proprio per questo viene dedicato ampio spazio ai dibattiti su temi di
attualità.

Per quanto riguarda l’America latina, il bilinguismo/biculturalismo potrebbe rappresentare uno


strumento di conservazione delle identità e perciò sarebbe opportuno che molte delle scuole italiane
andassero trasformate in scuole bilingui e si dovrebbero istituire sezioni bilingui presso le scuole non
italiane, mediante il ricorso ad esperti linguistici e lettori di scambio, che si facciano promotori della
nostra lingua e cultura.

Questo riguarda soprattutto l’Argentina, dove la comunità italiana è presente in grandi quantità ma la
preservazione delle radici originarie dipende soprattutto dal ruolo che la lingua e la cultura italiane
riescono a giocare negli interessi e nelle prospettive lavorative dei giovani. La politica plurilingue messa
in atto dal governo di Buenos Aires ha favorito la nascita del Progetto del Bilinguismo, il quale prevede
un considerevole numero di ore di insegnamento dell’italiano con docenti specializzati.

In Colombia ci si impegna molto per il bilinguismo italo-spagnolo. Tuttavia, l’apprendimento delle lingue
straniere è riservato ai figli delle classi medie e alte e dei lavoratori delle organizzazioni internazionali,
dato che la maggior parte di queste scuole è privata. A queste scuole non mancano i finanziamenti e gli
investimenti, perché le lingue europee sono considerate prestigiose perché permettono l’inserimento
nel mercato globale del lavoro.

CAPITOLO 3

Numerosi studi condotti negli anni 70 del secolo scorso si sono focalizzati non più sul se la L1 influenza
l’apprendimento della L2, ma su come, quanto, quando e perché gli apprendenti fanno uso della L1
durante il processo di acquisizione. Esistono diversi tipi di transfer come strategia di comunicazione,
quello più utilizzato dagli studenti lusofoni di italiano è quello inteso come prestito. La L1 può intervenire
in varie fasi del processo di acquisizione di un’altra lingua, dal momento della percezione dell’ input a
quello dell’attuazione di una produzione nella L2. L’incidenza della L1 sulla L2 sarebbe influenzata da:

 L’età dell’apprendente (gli adulti sono più propensi all’errore);


 Il livello di apprendimento (le interferenze sono maggiori nel livello avanzato);
 L’attenzione rivolta più allo stile che al contenuto;
 Le componenti del sistema linguistico (la fonologia è più permeabile del lessico);
 La lontananza o vicinanza tipologica fra le due lingue.

Le interferenze che richiedono più attenzione sono quelle lessicali, perché il più delle volte determinano
fraintendimenti nella comunicazione. Molti discenti di lingue straniere imparentate commettono errori
di generalizzazione, convinti del fatto che la L2 funzioni come la L1, oppure errori di ipercorrezione,
giudicando le due lingue diverse quando in realtà non lo sono. In questo secondo caso entra in funzione
il monitor (meccanismo individuato da Krashen) che si concentra sull’output, provocando un
rallentamento nello sviluppo della competenza comunicativa.

L’italiano parlato dai discenti lusofoni manifesta, soprattutto nella fase iniziale, un forte grado di
ibridazione linguistica. In seguito agli studi, sempre più approfonditi, sull’apprendimento di una L2
imparentata alla propria L1, si è giunti alla conclusione che l’apprendente debba tener conto di tre
procedure fondamentali:
 Scoprire elementi identici e strutture analoghe ai vari livelli del sistema → strategia basata
sulla congruenza tra items identici delle due lingue, ma spesso questo porta ad introdurre
elementi che non esistono nella L2;
 Scoprire le relazioni di forme e strutture della L2 con forme e strutture della L1, e viceversa →
l’apprendente è indotto a cercare delle corrispondenze con la L1, integrandole nel sistema
interlinguistico;
 Scoprire elementi e strutture che sono estranei alla L1 → l’apprendente percepisce che le
strutture italiane sono differenti da quelle della madrelingua.

Negli stadi iniziali dell’apprendimento della L2, lo studente considera prevalentemente le analogie con la
L1, senza badare alle differenze; nella fase più avanzata, invece, sono più evidenti i tratti dissimili.

Sul punto di vista grafico, il sistema vocalico portoghese è uguale a quello italiano; a cambiare è la
pronuncia. Un discente madrelingua italiano può orientarsi sulla pronuncia portoghese grazie alla
presenza dell’accento, che in italiano viene rappresentato soltanto quando la parola è tronca. Una
caratteristica dell’interlingua degli studenti lusofoni è la chiusura della vocale finale /o/ in /u/, come in
bellu. Come per gli ispanofoni, anche i lusofoni presentano difficoltà nel pronunciare il gruppo s +
consonante, perciò aggiungono la e. Inoltre, il grafema -c- può assumere due suoni diversi a seconda
della vocale che lo segue: diventa [k] quando è seguito da a, o, u, mentre è [s] quando è seguito da i, e.
Un altro aspetto interessante della lingua portoghese è la mancanza di consonante geminate, ad
eccezione del raddoppiamento della consonante /r/ in carro.

La morfosintassi è uno dei punti più contrastanti nei sistemi linguistici italiano e portoghese. Molte
parole cambiano genere nel passaggio da una lingua all’altra; o anche l’articolo può causare diversi
problemi perché nella lingua italiana non solo viene concordato in genere e numero con il sostantivo
che lo segue, ma tiene conto anche se la parola che lo segue inizi per consonante o vocale.

La somiglianza lessicale tra portoghese e italiano induce spesso lo studente in inganno, spingendolo a
cadere nella trappola dei falsi amici. Mettendo a confronto i due lessici, possono essere individuate
quattro categorie di vocaboli che portano il discente lusofono all’errore:

 Parole con la stessa etimologia e lo stesso significato;


 Parole con un corrispondente etimologico nell’altra lingua;
 Parole che nell’altra lingua hanno un omonimo, omofono, omografo, ma che non sono
etimologicamente e semanticamente affini;
 Parole con la stessa etimologia ma significato diverso

L’ultima categoria è quella che crea maggiormente problemi negli studenti lusofoni. Un esempio è il
verbo portoghese subir e del corrispettivo italiano ‘subire’: entrambi derivano dal verbo latino subire ma
non coincidono nel significato.

La storia del Brasile accoglie già dai primi secoli della sua scoperta, avvenuta nel 1500, personaggi
famosi di origine italiana. Fra il XVI e il XVII secolo, mercanti, viaggiatori, studiosi, ingegneri, decisero di
lasciare l’Italia per avventurarsi in un luogo ancora poco conosciuto. La presenza italiana diventa
imminente nel periodo antecedente e poi successivo alla prima guerra mondiale. Con l’abolizione della
schiavitù nel 1888 arrivò un’ondata di europei, fra i quali moltissimi italiani. Principalmente arrivarono
settentrionali, in seguito arrivarono italiani provenienti anche dal meridione. Le aree interessate alla
manodopera furono le attuali regioni del Rio Grande del Sud e di São Paulo. Qui prevalse la
colonizzazione agricola e fino al 1890 si insediarono i contadini dell’Italia settentrionale, che si
trasferivano in massa verso la terra promessa. Dalle fazendas (fattorie) di caffè di São Paulo, molti di loro
si riversarono nei centri urbani, per svolgere attività come camerieri, barbieri, sarti. Un settore che vide
la predominanza italiana fu quello del commercio ambulante. L’assimilazione degli italiani in Brasile fu
favorita dall’identità della religione praticata dalla gran parte dei nativi e dall’affinità della lingua italiana
e portoghese. Con il boom economico degli anni Settanta, con il quale si diffonde in Italia un benessere
comune, cessa l’immigrazione verso il Brasile.

L’influenza italiana sulla vita culturale in Brasile era emersa già prima della fase di immigrazione; già nel
1504 Amerigo Vespucci pubblica la sua relazione che parla del Brasile. Ma sarà dopo l’ondata
immigratoria, che la figura dell’italiano diventerà centrale nella letteratura brasiliana. Ricordiamo a
questo proposito un’opera di Plinio Salgado intitolata O estrangeiro, che illustra due tipi diversi di
immigrato: da un lato Ivan, emigrato dalla Russia, e dall’altro Carmine Mondolfi e la sua famiglia. Il primo
è un intellettuale che si interroga costantemente sugli eventi della vita; l’altro nutre sentimenti
patriottici arrivando a spingere suo figlio a partecipare alla prima guerra mondiale. Alla fine, Ivan andrà
in rovina proprio nel momento in cui ascende socialmente, mentre Mondolfi si costruirà una vita dalle
basi solide, mettendo da parte una piccola ricchezza.

Un importante contributo italiano è evidente nel giornalismo brasiliano. Ma è stato all’interno dei testi
teatrali che ha dominato l’influenza italiana. Nacquero numerosi gruppi teatrali formati da italo-
brasiliani, che svolgevano regolarmente delle riunioni in cui provavano tutti i generi. Il teatro svolgeva
un importante ruolo sociale perché alla fine di ogni rappresentazione c’era un ballo. Inoltre, i guadagni
venivano parzialmente o totalmente donati a gente o enti in difficoltà.

Subito dopo la fase immigratoria, si dimostrò importante la lingua italiana per gli immigrati. Nonostante
gli italiani parlassero dialetti diversi tra loro e non si capissero l’un l’altro, la lingua parlata dagli immigrati
fu identificata nell’italiano. Nelle comunità più numerose si parlava una sorta di koiné, nella quale
confluivano i vari dialetti, la lingua italiana e quella portoghese. Sorsero le prime scuole in cui veniva
insegnata la lingua italiana, anche se i docenti erano maestri improvvisati, quasi sempre autodidatti e
privi di competenze pedagogiche. Ormai le iniziative per la diffusione dell’italiano in Brasile sono
tantissime e comprendono l’organizzazione di corsi di formazione presso il Colégio Dante Alighieri di
São Paulo.

Tra i fattori che hanno portato all’aumento e al miglioramento dell’offerta formativa di lingua italiana,
c’era il bisogno da parte delle famiglie che dovevano risiedere temporaneamente in Brasile, e quindi
chiedevano l’organizzazione di corsi scolastici basati sia sui programmi brasiliani che su quelli italiani, in
modo che i loro bambini potessero proseguire gli studi in entrambi i paesi. Sono numerosissime le
università in Brasile in cui viene insegnato l’italiano, ma persiste la scarsa competenza linguistica dei
docenti. Da un’indagine, infatti, emerge che le conversazioni si concentrano su argomenti che toccano
la sfera emotivo-affettivo del discente e, per aumentare la motivazione, i docenti ricorrono
frequentemente al brain-storming.

Vale la pena ricordare l’esperienza di Conti: emerge che gli studenti possedessero grandi abilità nelle
strutture linguistiche, ma una scarsa capacità di uso autonomo della lingua. Nel corso di un anno, Conti
ha introdotto una serie di nuovi testi, videocassette e una metodologia fondata sulla conversazione; si è
osservato un miglioramento delle capacità comunicative da parte dei discenti ma anche dei docenti. Alla
fine del periodo di sperimentazione, i docenti si mostravano più interessati nella preparazione delle
lezioni.

In seguito a varie ricerche è emerso che:


1. Lo studente lusofono non si accontenta di dialoghi o informazioni proposte dai testi di studio,
ma vuole conoscere ambienti e tradizioni italiani;
2. Il docente non deve semplicemente essere un madrelingua, ma deve avere una specifica
formazione nella didattica dell’italiano a stranieri e si mantenga vivo un rapporto di continuo
aggiornamento e scambio.

CAPITOLO 4

Tra il 1900 e il 1913 ci fu la prima ondata migratoria di italiani in Canada, la maggior parte di questi
proveniente dagli Stati Uniti e attratta dalle possibilità di lavorare nelle miniere di carbone e nella
costruzione della Canadian National Railway. Nel 1910, Toronto visse una fase di boom economico,
richiedendo un impegno massiccio di manodopera: fu così che gli italiani vi si stabilirono, dando origine
alla Little Italy.

Nel secondo dopoguerra la comunità italiana fondò il COSTI (Centro Organizzativo Scuole Tecniche
Italiane), il quale preparava agli esami di licenza in inglese, utili per accedere ai lavori qualificati. Nel 1952
fu fondata la Italian Immigrant Aid Society (IIAS), che assisteva i lavoratori nella ricerca dell’impiego e
della casa. Nel 1981 questi centri si unirono per aiutare e sostenere immigrati di varie nazionalità. Gli
italiani sentivano il bisogno di stabilire dei legami con la madrepatria, e allo stesso tempo i popoli che li
ospitavano erano curiosi di conoscere la loro lingua e la loro cultura. Sorsero delle organizzazioni, di cui
ricordiamo la Società Dante Alighieri (1956), il cui scopo era “tutelare e diffondere la lingua e la cultura
italiane nel mondo”. Il primo decennio fu considerato troppo ‘intellettuale’ dalla comunità italiana,
perché con troppe lezioni in inglese e una scarsa atmosfera italiana. La seconda fase, invece, fu
caratterizzata da un maggior numero di incontri su argomenti di cultura italiana. Nel 1980 questa
organizzazione raggiunse il suo apice, ma fu allora che ebbe inizio il suo declino perché le attività
vennero inglobate dal Centro Canadese Scuole e Cultura Italiana. L’obiettivo del Centro era quello di
diffondere la conoscenza della lingua e della cultura italiane dalla scuola primaria.

Negli anni Ottanta nasce l’Heritage Languages Program, con lo scopo di favorire l’apprendimento delle
lingue d’origine, inserire l’italiano nel curricolo scolastico e formare docenti che, fino a quel momento,
erano sprovvisti di una preparazione pedagogica. L’attenzione del Centro si estese anche
all’insegnamento dell’italiano a livello secondario e universitario. Attualmente, per favorire
l’avvicinamento dei ragazzi al Centro, vengono organizzati scambi culturali e soggiorni di studio, che
permettono di visitare l’Italia e conoscere la vicino la sua cultura.

Nel 1976 nasce l’Istituto Italiano di Cultura di Toronto, necessario per la salvaguardia e la trasmissione
del patrimonio culturale e linguistico italiani alle generazioni future degli immigrati. L’Istituto si
focalizzava sulla diffusione della cultura italiana in Canada e la cultura canadese in Italia.

Dopo la seconda guerra mondiale, il numero di studenti di lingua materna non inglese o francese
aumentò considerevolmente. La Royal Commission on Bilingualism and Multiculturalism avanzò
proposte per l’introduzione di programmi bilingue e multiculturali nel sistema linguistico, redigendo
l’Official Language Act, secondo il quale le due lingue ufficiali del Canada erano l’inglese e il francese e i
genitori potevano scegliere la lingua con cui educare i propri figli. Dal 1976 il Centro Canadese Scuola e
Cultura Italiana richiede l’istituzione di un programma di lingua e cultura italiane nelle scuole che
avessero una percentuale significativa di iscritti di origine italiana. Ai docenti veniva richiesto di svolgere
un tirocinio prima di essere abilitati all’insegnamento e un’adeguata conoscenza della comunità italo-
canadese.
Fu così elaborato l’Heritage Languages Program, che consentiva l’introduzione delle lingue minoritarie
negli istituti scolastici per 2 ore e mezzo complessive alla settimana, a condizione che l’insegnamento
non avvenisse a discapito della seconda lingua ufficiale. Il Canada, infatti, riconosceva l’arricchimento
culturale portato nella società dai gruppi etnici, ma allo stesso tempo temeva che lo studio di altre
lingue potesse infierire sullo studio delle lingue ufficiali. Fu soltanto grazie alle ricerche di quegli anni che
emersero i benefici dello studio di un’altra lingua, il quale conferiva ai bambini una mentalità più
flessibile e più tollerante al confronto. Ciò ha dimostrato che l’Heritage Languages Program ha avuto un
atteggiamento positivo nei confronti delle abilità linguistiche già possedute dagli alunni, stimolandoli a
continuare e migliorare le loro competenze nella lingua italiana. Il Programma per la lingua italiana ha
assunto una dimensione internazionale grazie alla partecipazione di progetti come l’ELLE, il cui obiettivo
era l’elaborazione di un curriculum di educazione linguistica per bambini di età compresa tra i 5 e gli 11
anni.

Il sistema scolastico canadese ha un approccio didattico multiplo, favorisce il processo di maturazione


degli individui e riflette l’importanza dell’educazione che fa da strumento per migliorare la società.
L’amministrazione delle scuole primarie e secondarie è delegata ai provveditorati locali (district school
boards), i quali curano i rapporti con l’insegnante ed elaborano i programmi didattici.

La scuola dell’obbligo dura dai 6 ai 16 anni e la frequenza è gratuita. La maggior parte dei post-
secondary-school richiede, invece, il pagamento delle tasse. In Ontario i bambini di 4 anni possono essere
iscritti al junior kindergarten, dove svolgono attività ricreative; a 5 anni possono frequentare il
kindergarten, dove imparano l’alfabeto, i numeri e i colori. Successivamente vengono iscritti alla scuola
elementare dove studiano la matematica, l’arte, la scienza, l’inglese e una seconda lingua. Nella scuola
secondaria (high school), che dura quattro anni, gli studenti seguono sia insegnamenti obbligatori che
opzionali; questi ultimi permettono agli studenti di orientarsi nella scelta della formazione post-
secondaria. Quest’ultima prevede l’iscrizione al college, che rilascia diplomi e attestati, o all’università, la
quale alla fine dei corsi rilascia il titolo di Bachelor, necessario per accedere ai diversi Master.

Negli anni ’70 ebbe inizio una fase di sperimentazione che prevedeva l’insegnamento della lingua
italiana ai bambini. Alla conclusione del programma emerse che i bambini coinvolti nella
sperimentazione partecipassero attivamente alle discussioni. Inizialmente, i bambini si rifiutavano di
utilizzare la propria madrelingua, ma con il passare del tempo il loro atteggiamento mutò perché
compresero quanto fossero privilegiati nel conoscere due lingue e due culture.

Attualmente sono assai diminuiti gli studenti che aderiscono all’Heritage Languages Program sia perché
sono quasi del tutto cessate le immigrazioni in Canada e sia perché si è ormai giunti alla terza o quarta
generazione di immigrati. Anche se i bambini di origine italiana potrebbero diventare bilingui se i propri
genitori dedicassero pochissimo tempo alla pratica della lingua italiana. A tal proposito, il progetto ELLE
stimola l’interesse verso la lingua italiana attraverso narrazioni orali o scritte di tipo ludico. Per quanto
riguarda gli adolescenti, questi vivono una situazione conflittuale tra la loro origine e quella dei loro
coetanei canadesi. Questo perché se il ragazzo avverte che la propria lingua e la propria cultura non
sono accettate dai loro coetanei, provano imbarazzo e cercano di nasconderle. Viceversa, se avverte
che le sue origini sono pienamente accettate, l’adolescente sarà in grado di valorizzare entrambe le
culture.

Le prime lezioni di italiano presso l’Università di Toronto risalgono alla metà dell’Ottocento. Nel 1940,
con l’entrata in guerra dell’Italia al fianco della Germania, gli italiani vennero visti con diffidenza,
causando una notevole diminuzione degli iscritti ai corsi di lingua italiana. Nel dopoguerra, l’interesse
per la lingua italiana aumentò. Nel 1973 fu istituito il dipartimento di Studi Italiani, la cui creazione fu
fondamentale per la promozione sia della crescita culturale italiana sia dell’interesse dei canadesi verso
la lingua e la cultura italiane. I primi corsi, dato l’elevato livello di conoscenza della lingua italiana, si
tennero in italiano e riguardavano la nostra letteratura. Negli anni 80 del Novecento i programmi
linguistici cambiarono in quanto l’immigrazione degli italiani era diminuita; veniva studiato
maggiormente il francese e le matricole avevano un bagaglio linguistico insufficiente per comprendere i
testi letterari. Gli studenti venivano divisi tra principianti e avanzati in base al loro livello della
conoscenza della lingua. Attualmente, l’Università di Toronto offre una grande varietà di corsi di lingua
italiana con specializzazione in ambito letterario, linguistico e scientifico-professionale.

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