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Per effettuare quelle che sono delle competenze nell’ambito delle metodologie didattiche e tutoriali è
necessario che vi sia il compendio di tre elementi fondamentali:
1. Conoscenza
2. Esperienza
3. Abilità pratiche
Un infermiere/infermiere pediatrico/ostetrica sa chi è, cosa, come, dove e perché fare, dire, agire,
spendere e impiegare le proprie competenze grazie a quelli che sono i profili professionali di queste tre
professioni; dunque partiamo proprio dall’evoluzione di queste figure e dalla necessità di formare dei
professionisti che possano rispondere a quella che è la necessità di avere delle risorse umane nella Sanità
del Terzo Millennio, intese come risorsa chiave per l’erogazione dei servizi agli utenti. Infatti in
un’organizzazione sanitaria la risorsa principale è costituita sicuramente dal personale sanitario in quanto, a
prescindere dalle risorse logistiche e strutturali (ad esempio per l’assistenza è senza dubbio necessaria la
presenza di spazi, attrezzature, servizi, personale amministrativo, etc), il personale sanitario va a
concretizzare quello che è lo scopo fondamentale e la mission dell'azienda, dunque dell'organizzazione
sanitaria e generale.
Da dove proviene il personale sanitario che arriva in una organizzazione sanitaria?
Sicuramente viene arruolato attraverso una serie di modalità che vengono attuate con il bandire
determinati concorsi, annunci e quant'altro; però alla fine questo personale che giunge all'interno
dell'organizzazione ha la necessità di essere formato e di essere preparato per svolgere al meglio quello che
è il proprio ruolo all'interno dell'organizzazione stessa. Oggi più che mai si parla di formazione continua del
personale infatti viene prestata particolare attenzione alla crescita professionale degli operatori sanitari per
evitare quelli che sono i principali problemi legati proprio alla ridotta formazione e alla carenza di
conoscenze in sanità. Questi problemi sono 8, e riguardano:
Gli errori;
La scarsa qualità dell'assistenza;
Le esperienze negative dei pazienti e quindi un calo di quella che è la qualità percepita da parte
dell'utenza;
Gli sprechi;
La variabilità nella pratica clinica che deriva sicuramente dalla mancata applicazione di quelle che
sono le migliori prove di efficacia, raccomandazioni e linee guida.
Che cos'è la variabilità? La variabilità è la modalità di esecuzione di attività in maniera diversa dai
diversi professionisti secondo quanto magari loro stessi sono abituati a fare, secondo quanto
conoscono, che portano dunque ad un’incertezza di quello che sarà il risultato;
L’incapacità di introdurre gli interventi di elevato valore, in quanto se mancano conoscenza e
competenze ovviamente si rimane ad un livello più basso;
Adozione acritica di interventi di scarso valore, quindi si ritorna al discorso delle prove di efficacia;
Incapacità di riconoscere incertezza ed ignoranza.
Questo è un punto cruciale in quanto, se non siamo autocritici con noi stessi, sicuramente la
presunzione non porta da nessuna parte; il non sapere, l’essere ignorante, il non conoscere non è
un aspetto negativo se è affiancato dalla volontà di andare avanti e di andare ad acquisire tutte
quelle informazioni di cui si è carenti.
Oggi siamo in un contesto dove la sanità non è più dominata dai medici e dai concetti di efficacia ed
efficienza, ma è dominata dai pazienti e dal concetto di valore che viene dato a qualsiasi prestazione.
Infatti è vero che l'aziendalizzazione ha introdotto numerose innovazioni a partire dall’accreditamento delle
strutture sanitarie ma anche dell'accreditamento dei professionisti sanitari (502) o ancora l'introduzione del
professionista all'interno dell'università; ma l’aziendalizzazione ha anche introdotto dei principi
fondamentali quali quello dell’empowerment del paziente, quindi sarà il paziente a decidere il posto dove
curarsi, a scegliere le modalità, ma soprattutto a giudicare quella che è la prestazione eseguita sulla base
della qualità percepita. Pertanto risulta fondamentale l'applicazione delle competenze vere, certe,
convalidate e dimostrate dalla ricerca.
In questo senso si sono mosse anche le università già dalla fine degli anni ‘90 poichè per quanto riguarda la
programmazione, le metodologie didattiche e i sistemi di valutazione sono stati prospettati e introdotti
numerosi cambiamenti già dalla conferenza di Bologna avvenuta nel 1999 con la successiva introduzione
dei Descrittori di Dublino come metodi di orientamento alla costruzione dei curriculum delle diverse
università. Ovviamente tutto questo è stato un percorso lento e travagliato ma che ci ha portato ad oggi a
raccogliere diciamo i frutti di queste condizioni che ci stava nell'università.
Processo di Bologna
Il processo di Bologna nasce nel 1999 come accordo intergovernativo di collaborazione nel settore
dell’istruzione superiore. L’iniziativa era stata lanciata con la Conferenza di Bologna alla conferenza dei
Ministri dell’istruzione superiore europei, sottoscritta a bologna nel giugno 1999 ed ispirata
dall’antecedente incontro dei Ministri di Francia, Germania, Italia e Regno Unito del 1998 (Dichiarazione
della Sorbona 1998).
L’obiettivo era appunto costruire uno Spazio Europeo dell’istruzione Superiore che si basasse su principi e
criteri condivisi tra i Paesi firmatari, ovvero:
Libertà accademica, autonomia istituzionale e partecipazione di docenti e studenti al governo
dell’Istruzione superiore;
Qualità accademica, sviluppo economico e coesione sociale;
Incoraggiamento alla libera circolazione di studenti e docenti;
Sviluppo della dimensione sociale dell’istruzione superiore,
Massima occupabilità e apprendimento permanente dei laureati;
Considerazione di studenti e docenti quali membri della medesima comunità accademica
Apertura all’esterno e collaborazione con sistemi di istruzione superiore di altre parti del mondo.
Tramite successive riunioni dei Ministri degli stati Membri il processo di Bologna è stato aggiornato
approfondito successivamente con ulteriori riunioni ministeriali. Nell’ambito dello Spazio Europeo
dell’istruzione superiore i Governi hanno impostato alcune riforme strutturali di rilievo, quali:
L’introduzione di un sistema di titoli comprensibili e comparabili, basato in maniera il più uniforme
possibili su di un sistema a tre cicli di primo, secondo e terzo livello;
La trasparenza dei corsi di studio attraverso un comune sistema di crediti, basato non solo sulla
durata ma anche sul carico di lavoro del singolo corso e sui relativi risultati di apprendimento,
certificato tramite il Diploma Supplement
Il riconoscimento dei titoli e dei periodi di studio;
Un approccio condiviso all’assicurazione della qualità;
L’attuazione di un quadro dei titoli condiviso e finalizzato allo spazio europeo dell’istruzione
superiore.
A cosa serve?
Rende il sistema italiano più trasparente e comprensibile
E’ uno strumento di promozione del sistema italiano d’istruzione superiore
Favorisce la mobilità internazionale degli studenti e dei laureati italiani e il loro accesso a studi più
avanzati
Favorisce la conoscenza e la valutazione da parte dei datori di lavoro dei titoli rilasciati dalle
istituzioni italiane d’istruzione superiore
Agevola la comparazione dei titoli italiani con quelli rilasciati dai Paesi esteri
Facilita il riconoscimento accademico e professionale dei titoli italiani all’estero e la libera
circolazione di studenti e professionisti.
I descrittori di Dublino
I descrittori di Dublino definiscono i risultati dell’apprendimento, comuni a tutti i laureati di un corso di
studio, non solo in termini di conoscenze attese, ma anche in termini di competenze, di abilità/capacità (di
soluzione di problemi; di apprendere).
Sulla base di tutto questo, le università italiane si sono adattate apportando delle modifiche: introduzione
del 3+2, del sistema di qualità e accreditamento, trasparenza dell’offerta formativa e i risultati di
apprendimento attesi.
Lo strumento utilizzato è stata la scheda la scheda SUA, Scheda Unica Annuale, uno strumento gestionale
funzionale alla progettazione, alla realizzazione, all'autovalutazione e alla ri-progettazione del Corso di
Studi, che deve essere completata entro il 30 maggio di ogni anno. All’interno di questa scheda vi sono due
sezioni (ai fini anche dell’accreditamento universitario):
Qualità, lo strumento principale del sistema di autovalutazione. Infatti nella sezione qualità viene
definita la domanda di formazione, viene esplicitata l'offerta formativa, viene vengono certificati i
risultati di apprendimento e vengono chiariti i ruoli e le responsabilità che attengono alla gestione
del sistema di assicurazione della qualità di ateneo. Questa sezione della qualità riesamina
periodicamente l'impianto del corso di studio e i suoi effetti per apportare le necessarie modifiche.
A questa sezione per esempio conferiscono anche tutti quelli che sono i giudizi e le valutazioni
espresse dagli studenti, gli andamenti della curva degli abbandoni, dei promossi, dei respinti, etc.
Amministrazione, contiene tutti i dati del corso e quindi grazie ad essa è consentita una migrazione
verso una piattaforma unica di comunicazione, una piattaforma integrata all'interno dell’ateneo
stesso.
Scheda unica annuale del corso di laurea magistrale in scienze infermieristiche e ostetriche.
E’ una scheda che riporta il profilo professionale e gli sbocchi occupazionali previsti per i laureati e quelli che sono i
risultati attesi dal corso di studio.
Questa scheda è stata costruita sulla base di quelli che sono gli obiettivi formativi, i descrittori di Dublino, etc., ma
soprattutto sulla base di quelle che erano le indicazioni del Miur derivanti dalla conferenza di Bologna in primis e dai
descrittori di Dublino; tutte cose che poi furono esplicitate con la legge Gelmini (legge che andò a trasformare tutte le
università italiane e introdusse diversi sistemi).
La scheda sua riporta quindi il profilo professionale e gli sbocchi occupazionali e professionali previsti per i laureati,
quale dirigente ed equiparati nella sanità delle professioni sanitarie infermieristiche e professioni sanitarie ostetriche.
Viene descritta anche quella che è la funzione specifica di questo profilo sanitario quindi nella spendibilità della
funzione in un contesto di lavoro.
Pertanto sono state identificate le competenze che il laureato magistrale al termine del percorso biennale sarà in
grado di applicare che saranno:
Rilevare e valutare criticamente l'evoluzione dei bisogni dell'assistenza pertinenti alla specifica figura
professionale, anche nelle connotazioni legate al genere, ove richiesto;
Promuovere processi decisionali centrati sull’utente e sulla famiglia;
Progettare e intervenire operativamente in ordine a problemi assistenziali e organizzativi complessi;
Costruire, sulla base dell’analisi dei problemi di salute e dell’offerta dei servizi, modelli assistenziali e ostetrici
innovativi e un sistema di standard assistenziali e di competenza professionale;
Programmare, gestire e valutare i servizi assistenziali nell’ottica del miglioramento della qualità;
Collaborare alla pianificazione e gestione dei costi e del budget in relazione agli obiettivi ed alle politiche
assistenziali/sanitarie;
Partecipare alla pianificazione del fabbisogno personale di assistenza e attribuirlo alle unità operative sulla
base della valutazione della complessità e necessità dei pazienti;
Pianificare e coordinare il reclutamento, l’assunzione, l’orientamento, la supervisione e la valutazione delle
competenze del personale sanitario che afferisce al Servizio;
Identificare future abilità/competenze necessarie per garantire l’eccellenza, nuove riorganizzazioni o
nuovi servizi;
Valutare la soddisfazione lavorativa e la qualità del lavoro, sviluppare strategie per motivare e trattenere i
professionisti;
Assicurare il coinvolgimento degli operatori dell’assistenza e i loro coordinatori nei processi decisionali che
influenzano la loro pratica;
Contribuire alla definizione di un piano sistematico di miglioramento continuo della qualità e definire
standard e indicatori condivisi per la valutazione dell'assistenza erogata;
Supervisionare l'assistenza pertinente alla specifica figura professionale e svolgere azioni di consulenza
professionale;
Applicare e valutare l'impatto di differenti modelli assistenziali e organizzativi
Analizzare criticamente gli aspetti etici correlati all'assistenza e a problemi multiprofessionali e multiculturali;
Contribuire allo sviluppo delle scienze infermieristiche e ostetriche;
Progettare, realizzare e valutare gli esiti di interventi formativi;
Progettare percorsi formativi di base, avanzati e di formazione continua pertinenti ai bisogni dei destinatari e
correlati ai problemi di salute e dei servizi;
Sviluppare l'insegnamento disciplinare infermieristico, infermieristico pediatrico e ostetrico;
Gestire processi tutoriali per facilitare l’apprendimento sul campo e per garantire tirocini di qualità per
studenti impegnati nei diversi livelli formativi di base, avanzata e permanente;
Progettare e realizzare, in collaborazione con altri professionisti, interventi educativi e di sostegno del singolo
e della comunità per l'autogestione e il controllo dei fattori di rischio e dei problemi di salute;
Utilizzare metodi e strumenti della ricerca, pertinenti alla figura professionale, nelle aree clinico-
assistenziali.
Tutto questo per quanto riguarda le competenze e le funzioni in un contesto di lavoro del laureato magistrale.
Mentre per quanto riguarda l’organizzazione e la formazione, le competenze del laureato dovranno essere quelle di:
Identificare specifici problemi e aree di ricerca in ambito clinico, organizzativo e formativo e collaborare con
progetti multidisciplinari;
Applicare i risultati di ricerca adattandola ai contesti specifici per un continuo miglioramento della qualità
dell'assistenza;
Utilizzare sistemi informatici avanzati per documentare e monitorare le competenze cliniche e le
performance del personale, per definire carichi di lavoro delle unità operative/dipartimenti, gli standard
assistenziali erogati.
Per quanto riguarda le competenze associate alla funzione, vanno sviluppate quelle dell’area:
Della ricerca
Disciplinare
Del Management
Dell'apprendimento
Per quanto riguarda gli sbocchi occupazionali, i laureati magistrali in scienze infermieristiche e ostetriche possono
trovare occupazione nei seguenti settori:
In tutte le strutture sanitarie e socio assistenziali con funzioni di direzione o coordinamento dei Servizi in cui
operano infermieri e ostetriche; con funzioni di gestione di progetti innovativi e di riorganizzazione dei
processi assistenziali;
In centri di formazione aziendali o accademici con funzioni di docenza, di tutorato, di progettazione
formativa, di direzione;
In centri di ricerca per progetti relativi agli ambiti ostetrici infermieristici o in progetti multicentrici e
multidisciplinari.
Per quanto riguarda gli obiettivi specifici del corso e descrizione del percorso formativo, la laurea magistrale in
scienze infermieristiche e ostetriche mira alla formazione di una figura professionale dotata di competenze avanzate e
approfondite per lo svolgimento di interventi di carattere assistenziale infermieristico e ostetrico, nell'ambito di
quattro macro-aree:
1. Coordinamento e assistenza avanzata, quindi organizzazione e management
2. Ricerca e innovazione
3. Formazione
4. Educazione
A proposito di Didattica, un breve accenno a quella che è stata l'evoluzione del processo nell'ambito delle
università italiane ed europee:
Si è partiti negli anni ‘20 con il vecchio decreto del 1925 con l’istituzione delle case convitto per la scuola
delle infermiere professionali; man mano ci siamo evoluti dalla 833 alla 502, quindi dal diploma regionale a
diploma universitario, a corso di laurea triennale. Siamo passati dal tre più due, abbiamo costruito questi
due più il dottorato di ricerca sulla base di quanto dettato dalla comunità europea poiché l’Italia, paese
membro di questa comunità economica europea, se vuole che il i titoli conferiti in Italia vengano equiparati
a quelli conseguiti in Europa, ha dovuto necessariamente modificare l’assetto delle università, quindi le
trasformazioni e gli sbocchi occupazionali delle lauree dei diversi cicli che abbiamo visto nel quadro dei
titoli italiani e che abbiamo visto nell’esplicitazioni delle competenze nella scheda sua del nostro corso di
laurea.
Tra i risultati a cui mira il cdLM, troviamo quelli che sono i descrittori di Dublino, tra cui abbiamo:
Conoscenza e capacità di comprensione (knowledge and understanding):
- Possedere conoscenze e capacità che estendono e rafforzano i contenuti, i modelli teorici interpretativi, i
metodi operativi e di ricerca propri delle scienze infermieristiche e ostetriche acquisiti nel primo ciclo;
- Comprendere fenomeni e problemi complessi in campo sanitario, di interesse della professione
infermieristica e ostetrica, collocandoli nel più ampio scenario demografico - epidemiologico, socio-culturale
e politico-istituzionale;
- Comprendere i processi assistenziali infermieristici e ostetrici, organizzativi, educativi, connessi
all’evoluzione dei problemi di salute della popolazione, al funzionamento dei sistemi sanitari e sociali e dei
percorsi di professionalizzazione specifici;
- Comprendere l’evoluzione storico-filosofica dei rispettivi ambiti disciplinari al fine di analizzarli criticamente;
- Possedere le conoscenze e le abilità per comprendere i processi lavorativi delle organizzazioni sanitarie, le
strategie di gestione del personale, i sistemi di valutazione e di accreditamento professionale al fine di
promuovere nei servizi l’integrazione dei team infermieristici e ostetrici con gli altri professionisti per il
raggiungimento di prestazioni sicure, efficaci, efficienti, rilevanti, sensibili alla cultura, documentati in modo
appropriato e forniti da personale competente;
- Possedere conoscenze e abilità per creare un ambiente professionale che promuova l’eccellenza della
pratica infermieristica e ostetrica, che crei un clima di comunicazione efficace, che promuova la presa di
decisioni, la responsabilità e l’autonomia dei professionisti;
- Possedere le conoscenze e le abilità per creare un ambiente di apprendimento efficace sia formale che nei
laboratori e nel contesto clinico; implementare diverse strategie di insegnamento motivate da teorie
educative e pratiche basate sulle evidenze;
- Possedere le conoscenze per sviluppare profili di competenze, formulare obiettivi di apprendimento,
selezionare attività di apprendimento appropriate, progettare curriculum di base, e implementarli sulla base
dei principi e delle teorie educative, revisionare i curricula sulla base delle tendenze attuali della società e
dell’assistenza.
Le conoscenze e capacità di comprensione sopraelencate verranno apprese tramite la frequenza alle lezioni
frontali, esercitazioni, seminari, studio personale guidato e autonomo. La verifica del raggiungimento dei
risultati di apprendimento avviene principalmente attraverso prove orali e/o scritte, stesura di elaborati e
project work.
Capacità di applicare conoscenza e comprensione (applying knowledge and understanding)
I laureati nella Laurea Magistrale devono dimostrare conoscenze e capacità di comprensione dei seguenti
processi:
- Analizzare politiche rilevanti per fornire assistenza sanitaria, comprendere e utilizzare leggi e regolamenti
per assicurare la qualità dell’assistenza ai pazienti, valutare le tendenze e le questioni socioeconomiche e di
politica sanitaria sia a livello locale, statale che internazionale; prendere decisioni di alta qualità e costo
efficaci nell’uso delle risorse per l’assistenza e la formazione.
- Analizzare le principali questioni etiche e le modalità con cui queste possono influenzare l’assistenza,
valutare eticamente la presa di decisione sia da un punto di vista personale che dell’organizzazione e
comprendere come queste due dimensioni possono creare conflitto di interessi; assumersi la responsabilità
della qualità della propria pratica professionale.
- Utilizzare in modo appropriato le teorie infermieristiche e ostetriche e quelle provenienti da campi affini per
fornire una leadership e/o una formazione efficace e innovativa.
- Creare ambienti clinici e formativi centrati sulla persona la sua famiglia nel rispetto delle diversità culturali e
dei diversi stili relazionali e di apprendimento.
- Agire come modello professionale fornendo consulenza a studenti, colleghi e utenti.
- Applicare le teorie sulla leadership e sul management per sviluppare alleanze collaborative tra le diverse
professioni sanitarie nel proprio contesto lavorativo.
- Sviluppare una pratica basata sulle evidenze utilizzando la ricerca per introdurre cambiamenti e migliorare
la pratica.
Le conoscenze e capacità di comprensione sopraelencate verranno apprese tramite la frequenza alle lezioni
frontali, esercitazioni, seminari, costruzione di mappe cognitive; discussione di casi in sottogruppi con
presentazioni in sessioni plenarie, studio personale guidato e autonomo. La verifica del raggiungimento dei
risultati di apprendimento avviene principalmente attraverso prove orali e/o scritte, in itinere o finali, prove
di casi a tappe, project - work, report.
Autonomia di giudizio (making judgements):
Dimostrare autonomia di giudizio attraverso le seguenti abilità:
- Elaborare analisi complesse e sviluppare, anche attraverso il confronto multidisciplinare, autonome
riflessioni e valutazioni di carattere scientifico, giuridico, etico e deontologico a sostegno delle decisioni
necessarie per affrontare problemi complessi nel governo dei processi assistenziali, organizzativi, formativi e
di ricerca connessi all’esercizio della funzione infermieristica e ostetrica;
- Prevedere e valutare gli effetti derivanti dalle proprie decisioni e attività, assumendone la conseguente
responsabilità sociale;
- Integrare elevati standard etici e valori nelle attività di lavoro quotidiane e nei progetti.
Gli strumenti didattici finalizzati al raggiungimento delle seguenti capacità includono la dissertazione di
elaborati presentati dagli studenti che contengono le fasi della costruzione di un progetto di intervento in
ambito assistenziale e che dimostrino la capacità di analizzare, gestire e interpretare i dati con autonomia di
giudizio utilizzando il materiale già disponibile in letteratura e producendo dati originali e innovativi in una
prospettiva pluridisciplinare e multidimensionale (anche in preparazione della prova finale).
Abilità comunicative (communication skills):
Sviluppare le seguenti abilità comunicative:
- Condurre colloqui interpersonali con utenti e con operatori, esercitando adeguata capacità di ascolto,
adattandoli ai contesti, alla natura dei problemi affrontati e agli obiettivi da raggiungere;
- Esporre il proprio pensiero, in forma scritta e orale, in modo argomentato e con un linguaggio adeguato a
diversi interlocutori e contesti;
- Condurre relazioni negoziali con efficacia comunicativa, rigore metodologico e argomentazioni
convincenti;
- Condurre gruppi di lavoro e riunioni esercitando una leadership adeguata;
- Interagire in modo appropriato con altri professionisti nella progettazione e realizzazione di interventi
multiprofessionali;
- Gestire e risolvere conflitti;
- Gestire relazioni educative rivolte alla popolazione assistita, al personale e a studenti ai vari livelli;
- Rielaborare i principi e le tecniche della relazione di aiuto ad un livello più avanzato per essere in grado di
fornire ai colleghi consulenza per situazioni relazionali complesse;
- Agire da mentore per formare e sviluppare competenze negli aspiranti leader in ambito clinico
organizzativo;
- Adottare stili manageriali supportivi per sostenere i collaboratori nella conduzione di progetti,
nell’insegnamento e nella supervisione, nella negoziazione, nella risoluzione di conflitti e nel counselling.
L’apprendimento delle abilità comunicative scritte e orali, anche in lingua inglese, sarà sviluppato attraverso
attività di laboratorio, discussione di casi e di situazioni relazionali esemplari in sottogruppi e con
presentazioni in sessioni plenarie. Tirocinio con esperienze supervisionate da tutor esperti in diversi contesti
con sessioni di debriefing per riflettere e rielaborare esperienze relazionali con l’utenza e con l’equipe in
strutture sanitarie semplici e complesse. La verifica di tali abilità avviene nella forma di seminari alla fine di un
periodo di tirocinio professionalizzante durante i quali i laureati magistrali devono elaborare una
dissertazione scritta, successivamente presentata in forma orale.
Capacità di apprendimento (learning skills):
Sviluppare le seguenti capacità di autoapprendimento:
- Valutare la propria performance sulla base degli standard di pratica professionale e di criteri organizzativi
identificando con continuità i propri bisogni educativi in rapporto alla natura e alla complessità dei problemi
da affrontare e delle strategie progettuali e operative da gestire, al fine di realizzare il proprio piano di
miglioramento professionale. In questo è importante la capacità di autocritica e riflessività;
- Adottare autonomamente efficaci strategie per continuare ad apprendere, in modo formale e informale,
lungo tutto l’arco della vita professionale anche attraverso ulteriori percorsi di formazione;
- Utilizzare sistemi informatici, software e database completi per raccogliere, organizzare e catalogare le
informazioni; identificare un problema, effettuare una revisione della letteratura sull’argomento, analizzare
criticamente il problema e la conoscenze attuali, sviluppare una strategia per applicare la ricerca nella
pratica, facilitare la disseminazione dei risultati della ricerca.
Le capacità di apprendimento sono conseguite nel percorso di studio nel suo complesso con riguardo in
particolare allo studio individuale previsto, alla preparazione individuale di progetti, all'attività svolta in
preparazione della tesi. La verifica di queste capacità avviene, nell'ambito di laboratori specifici, attraverso la
valutazione della capacità di interrogare banche dati, di accedere ad una bibliografia internazionale sui temi
proposti nell'ambito della didattica e di illustrare gli aspetti di novità introdotti dalla ricerca scientifica; di
individuare quali problematiche, nei diversi settori di competenza, pongano ulteriori interrogativi allo
sviluppo della ricerca e in quali direzioni.
Al fine dell’accreditamento e della trasparenza, in ogni corso di laurea ma anche a livello centrale, esiste un gruppo
per la qualità per il miglioramento continuo appunto della qualità del corso di laurea, e ne fanno parte sia un gruppo
docenti ma anche le rappresentanze degli studenti. I rappresentanti portano alle varie riunioni le problematiche nate
e le insoddisfazioni degli studenti relativamente a determinati programmi o le richieste di approfondimento di
determinate tematiche. Tutto questo viene preso in considerazione e viene esaminato perché poi il gruppo della
qualità periodicamente è tenuto a relazionare al consiglio di corso di laurea, che a sua volta deve andare a trasmettere
al dipartimento e poi alla sede centrale di ateneo che si occupa della qualità dell'accreditamento.
All'interno sempre della scheda S.U.A ci sono delle sezioni dove ognuno dei docenti deve andare a pubblicare i
programmi e gli obiettivi di apprendimento sia generale che poi per materia, descritti sia in italiano che in inglese
proprio perché è stata la lingua più comunemente utilizzata e riconosciuta a livello internazionale.
Per quanto riguarda il rapporto dello studente all'interno delle università sicuramente è cambiato e la
conferenza di Bologna ha fatto sì che nascesse una nuova metodologia di approccio e una nuova
metodologia comunicativa. Infatti viene a cadere quello che prima era il rapporto di asimmetria che c'era
tra lo studente e il docente: la lezione universitaria era una lezione prettamente cattedratica e lo studente
aveva anche paura ad alzare la mano per intervenire perché il docente arrivava in aula, faceva la sua
lezione, si alzava e se ne andava. Invece mettere sullo stesso piano docenti e discenti, nel rispetto dei ruoli,
significa essere parte attiva e integrante di un sistema che si evolve. Soltanto quando tutte le parti
viaggiano con ruoli diversi verso l'obiettivo comune (il conseguimento del titolo) si può costruire un
percorso che sia quanto più snello possibile quanto più lineare possibile affinché venga facilitato il lavoro
dell'uno e dell'altro in una sorta di sinergia e di crescita questo, andando sempre nell'ottica
dell'accreditamento e della qualità intesa anche come partecipazione e percezione dello studente.
Per quanto riguarda il discorso della autonomia universitaria, in ogni corso di laurea ci sono delle materie
che sono considerate caratterizzanti e che sono specifiche di quella professionalità che si andrà ad acquisire
(ad esempio le scienze infermieristiche), poi ci sono delle materie complementari o affini che servono a
raggiungere delle conoscenze trasversali e complementari alle precedenti, ma poi ci sono anche delle
materie che vengono inserite da ogni università, che sono quelle “fuori pacchetto”, che illustrano quella
fetta di autonomia che l’università si è presa, e sono quelle materie legate soprattutto al contesto (ogni
università specialmente in ambito sanitario è legata ad un territorio ed è legata ad un ospedale che offre
determinate professionalità. Pertanto se in quel territorio è più sviluppata la professionalità della
dermatologia piuttosto che dell'oculistica, allora vengono messe delle materie complementari e aggiunte in
base alle specifiche professionalità ed eccellenze presenti all'interno dell'università.)
Tutta questa sorta di rinnovamento della formazione e degli orientamenti ha fatto sì che venisse rafforzata
la necessità di introdurre il tutor in ogni contesto formativo e nella formazione di tutti i livelli (dalla
formazione della scuola primaria, alla scuola superiore, all'università ma anche nei contesti fuori l'università
come nei contesti lavorativi).
Partendo dalle definizioni di metodologia didattica e tutoriale, andiamo a descrivere con delle definizioni il
significato di questa materia utilizzando diversi vocabolari di maggiore rilevanza quali:
Il Sabatini Coletti afferma che la metodologia è la scienza del metodo in filosofia e nelle discipline
scientifiche; una dottrina che studia le tecniche della sistemazione e dello sviluppo delle
conoscenze nell'ambito di una certa materia; sinonimo di metodica.
L'infermieristica e le Scienze ostetriche sono discipline scientifiche? Sì, perché derivano da teorie,
formulate con il metodo scientifico, derivanti a loro volta dalle osservazioni, dalle ricerche e dagli
studi di nostri colleghi; ma sono discipline che, basandosi sui vari metaparadigmi e sulla visione
olistica delle persona, attingono anche da altri saperi, quali: discipline biomediche (per la
conoscenza del come è fatto e del come funziona), la pedagogia (per sviluppare tutte quelle attività
educative), la psicologia (per comprendere il pensiero e la persona in sé al fine di approcciarsi nella
giusta modalità comunicativa e riconoscere i suoi bisogni a 360°), le discipline
demoetnoantropologiche (negli ultimi anni ormai siamo di fronte ad una multiculturalità per cui
considerando ogni persona unica e irripetibile non possiamo generalizzare l'assistenza ma è
fondamentale personalizzare le cure), etc.
Sempre il Sabatini Coletti ci dà una definizione di metodo che equivale ad una operazione svolta
sulla base di certi principi informativi;
La Treccani con metodologia indica lo studio del metodo su cui deve essere fondata una
determinata scienza o disciplina; con senso più concreto, il complesso dei fondamenti teorici sui
quali un metodo è costruito. Il termine stesso indirizza verso un qualcosa di organizzato che debba
avere un certo criterio;
L’Enciclopedia Garzanti invece definisce la metodologia come dottrina del metodo; quindi studio
dei principi e delle regole che permettono il conseguimento e lo sviluppo delle conoscenze di una
disciplina. Quindi l’individuo prima di sviluppare la disciplina deve conoscere il metodo perché ciò
possa essere fatta.
Il concetto di metodo è molto importante perché per sviluppare una linea guida si parte prima dal corretto
metodo quindi se questo non è corretto non possiamo sviluppare conoscenze e quindi non può essere fatta
una procedura.
Andando invece al termine didattica:
Secondo quanto affermato dalla “Didattica e Didattica come teoria della cultura, per una valenza
educativa” di Maria Gioia Pierotti, la radice del termine didattica è indoeuropea (dak) e significa
“mostrare”; da essa derivano anche termini latini doceo (“insegno”) e disco (“imparo”). Quindi
stando all'etimologia del termine, la parola didattica fa riferimento sia all’atto dell’insegnare da
parte del docente sia all'atto dell'apprendere da parte dell'allievo. La didattica quindi ha per
oggetto di studio e di interesse l’insegnare e l’apprendere in contesti formativi, ha dunque una
duplice valenza. Pertanto è da intendere che la didattica non è la sola e semplice azione di
insegnare, ma è un sapere che riguarda l'intero processo di insegnamento-apprendimento; è una
scienza intesa come fenomeno e teoria.
Dal Glossario “Hermes”, la didattica è vista come insegnamento nelle sue diverse sedi ed
espressioni e problemi connessi. Quindi comprende l'organizzazione, la programmazione, la
progettazione, la valutazione, la tecnologia utilizzata, gli strumenti, etc. ed è intesa come teoria
dell'insegnamento.
Questa definizione si discosta da quanto estrapolato dal documento precedente che descrive come
la didattica viene vista in maniera duale (da un lato l'insegnare e dall'altro l’apprendere).
Frabboni nel ‘97 scrive che la didattica oggi studia le situazioni che possono rendere governabili o
influenzabili le condizioni dell'apprendimento. Attraverso la didattica, si agisce su ciò che
costituisce lo “spazio pedagogico”, all'interno del quale il docente e il discente interagiscono in vista
del conseguimento di competenze. Quindi è evidente che anche qui la didattica comprende da un
lato il dare dall'altro il ricevere in maniera interattiva, finalizzata al conseguimento della
competenza intesa non solo da saperi ma anche da abilità tecniche ed esperienza. Pertanto la
didattica è concretamente una scienza autonoma che già esiste per assolvere il compito di far
interagire il soggetto che apprende (secondo le diverse dimensioni dello sviluppo) con gli oggetti
dell'apprendimento (i sistemi simbolico-culturali), realizzandosi in un primo tempo come
osservazione, analisi e preparazione dei dati di fatto riguardanti prassi educative e didattiche
generalizzabili e categorizzabili.
Quindi questa definizione sposa le due precedenti e le completa.
In ambito di metodologia didattica e tutoriale, andiamo a definire dunque anche il termine di tutor. Questo
termine, derivante dal latino tutor-oris che significa “difendere”/”proteggere”, è un latinismo rientrato
nella lingua italiana nel ventesimo secolo attraverso inglese, dove viene utilizzato con il significato specifico
di “insegnante che, negli studi universitari, segue e guida uno o più studenti in seminari, dottorati o altre
attività di ricerca” o inteso come “persona di riferimento per chi all'inizio della carriera in determinati
ambiti professionali”
Questo concetto è abbastanza applicato anche nei nostri contesti in quanto lo vediamo come “tutor
consigliere”, “tutor clinico”, “tutor docente” in ambito universitario; ma anche sotto forma di tutor che
affianca il neoassunto all'inizio della carriera professionale anche in ambito infermieristico. Ad esempio, al
momento dell'assunzione, l’infermiere viene affidato ad un tutor che gli trasmetterà sicuramente le
procedure dell'Unità operativa e gli andrà a fare una mappatura di quelle che sono le competenze già in
possesso del neoassunto, al fine di andare a colmare quelle lacune che possono essere presenti nel
neoassunto, in termini di mancanza di esperienza o in termini di mancanza di conoscenza di determinare
aspetti magari maggiormente specialistici nella U.O. dove si è andati a lavorare, al fine di andare a colmare
appunto queste lacune verso lo sviluppo di nuove competenze.
Quindi il tutor è colui che dà sicurezza (da cui istruttore); si è soliti utilizzare il termine tutor nell'ambito di
vari contesti formativi come scuole medie, centri di formazione professionale, scuole secondarie superiori,
università, collegi, formazione a distanza, oppure di contesti aziendali e relative sedi di formazione, con
particolare riferimento a periodi di stage, apprendistato e praticantato, ambito in cui la figura di tutor è
generalmente rivestita da un dipendente incaricato di istruire il nuovo assunto, assisterlo e condurlo
durante il periodo iniziale. Per quanto riguarda invece l'università, il tutor è solitamente un laureato o un
docente che segue direttamente fin dall'inizio il lavoro di uno studente, guidandolo nel suo curriculum di
studi. Per esempio nella nostra Università ogni anno ogni corso di studi stila un elenco di tutor e ad ogni
tutor assegna un certo numero di studenti, solitamente dal primo anno di studi, in maniera tale che lo
studente possa essere seguito in caso di necessità, di problematiche insorte, di incertezza durante il corso
dello studio. Infatti il sistema dell’accreditamento non è stato applicato soltanto nelle organizzazioni
sanitarie, ma ormai anche nelle organizzazioni universitaria e tra i criteri per ottenere l'accreditamento
della dell'università c'è anche questa tipologia di organizzazione che facilita allo studente la possibilità di
acquisire il titolo, riducendo quella che è una possibilità dell'abbandono dello studio.
Sinonimi di tutor possono essere considerati i termini quali coach, educator, guida, guru, instructor,
master, mentor, preceptor, schoolmaster e teacher. In italiano può essere utilizzata la voce “tutore”, che
tuttavia assume un significato più ampio e meno specifico (può essere inteso dal punto di vista
amministrativo, legale, dal punto di vista del sostegno della persona).
Secondo quanto afferma il Dizionario Garzanti: nelle università il tutor è un docente che assiste
uno studente nel corso dei suoi studi; in una scuola un insegnante coordinatore, responsabile dei
piani di studio; o anche chi segue uno studente durante il tirocinio. Nell'organizzazione aziendale è
un dipendente che istruisce un lavoratore all'inizio dell'attività o uno stagista.
Il tutor dunque è:
Un facilitatore dell'apprendimento
Una guida
Un affiancatore di situazioni da vivere, comprendere e assimilare
Un accompagnatore nell'ambiente di apprendimento
Un garante dello svolgimento del programma di formazione concordato.
Quali sono i contesti in ambito sanitario nei quali possiamo trovare il tutor?
Al letto del paziente, in ospedale o sul territorio
Negli ambulatori
Nei corsi di laurea professionalizzanti
Nelle aule per le esercitazioni
Nelle aule dei corsi di formazione permanente
Nella didattica a distanza
In un U.O. il tutor dovrebbe essere individuato dal coordinatore tra gli infermieri più esperti che possono
avere acquisito o meno dei master; noi però abbiamo un ordinamento giuridico che non prevede ad oggi la
stratificazione del ruolo degli infermieri. Noi siamo o tutti infermieri, al massimo coordinatori o dirigenti. Le
specializzazioni infermieristiche, così come quelle ostetriche, non vengono riconosciute come ruolo
giuridico per cui a livello di impiego non ha molta rilevanza. E’ ovvio poi che il coordinatore conosce il
personale e le loro competenze, capacità, disponibilità e quindi affida ad esempio il neoassunto
all'operatore che io ritengo più adatto al ruolo. E’ anche vero che bisogna stimolare la crescita del proprio
personale per cui questo ruolo potrebbe essere dato a rotazione a tutti al fine di poter consentire una
crescita comune. Oggi magari la motivazione manca per più per una questione economica.
Quindi le ragioni dell'introduzione della figura del tutor è avvenuta per delle motivazioni diverse, tra cui:
Queste diverse ragioni giustificano ovviamente l’ampia gamma di tutor che via via è comparsa nello
scenario nazionale e internazionale. Infatti oggi vi sono tutor on-line (es. corsi di formazione ECM on-line
dove è presente la figura del tutor che facilita l'apprendimento, i contatti e gli scambi di opinione tra gli
iscritti e che fornisce anche indicazioni), tutor per l’alternanza scuola lavoro, tutor pe le transizioni, tutor
d'aula e tutor di classe (introdotto negli ultimi anni anche nei corsi post base ad esempio nei Master in cui è
prevista la figura del tutor d'aula che è il facilitatore degli studenti sia per l’aspetto prettamente
burocratico-amministrativo del corso come l'organizzazione dei calendari e la comunicazione con gli
studenti, ma anche nel fornire il materiale didattico relativo alle lezioni del corso), tutor individuale (il tutor
affiancato allo studente magari in particolari situazioni di disagio o disabilità che hanno la necessità di un
supporto personale es. lo studente dislessico), tutor per i formatori, tutor per gli studenti.
E’ molto probabile, anzi certo, che un tutor nell'esercizio dei suoi compiti si trovi a scegliere anche una
funzione di contenimento; così come accade solitamente in una relazione educativa asimmetrica ma questo
praticamente non è lo scopo primario dell'attività di tutor.
Tutto il sistema tutoriale ha subito delle evoluzioni, come già detto è un termine che poi si è esteso anche
in contesti di formazione. Ad esempio in Inghilterra questo termine veniva utilizzato negli anni 80 anche per
l'identificazione del tutore per lo studente quindi era colui che facilitava l'apprendimento dello studente.
Pertanto il termine tutorato e il sistema tutoriale, rispetto l'etimologia della parola originale che stava a
proteggere difendere custodire, si è allargato in quello di facilitazione dell'apprendimento. Infatti l'obiettivo
di facilitare l'apprendimento deve essere comune a tutti i ruoli, i nodi strategici, di un contesto formativo.
Infatti per sistema tutoriale si intende un contesto organizzativo strutturato in modo da garantire che
ciascun ruolo, secondo la peculiarità delle proprie funzioni e compiti, operi nell’ambito di un disegno
unitario, condiviso, qualificandosi come una vera e propria comunità di apprendimento.
Dall'analisi della letteratura disponibile, per quanto riguarda la funzione tutoriale, sono state identificate
diverse aree e definizioni che ne evidenziano una diversità nella funzione. Ognuna di queste definizioni è
distinta dall'altra per gli scopi e oggetti specifici dell'intervento tutoriale. Dunque le diverse funzioni della
tutorship sono:
Creare l'area potenziale della formazione, ossia lo spazio fisico e mentale che consente a un
formatore e a un formando di incontrarsi perché si produca un episodio di insegnamento-
apprendimento; una visione questa che, lo stesso ideatore della teoria (Mottana, 1993), definisce
funzione di confine o quadro.
Assicurare continuità ed unità al processo formativo, che possono essere garantite solo nei casi di
uno staff molto integrato e collaudato. Questa è una visione che considera la funzione costitutiva
del processo di insegnamento-apprendimento e per questo presente per tutta la sua durata;
dunque una funzione di processo (il processo è quell'elemento che caratterizza
un'azione/attività/procedura).
Affiancare e presidiare il processo di apprendimento dell'individuo a garanzia del raggiungimento di
obiettivi formativi, quindi una visione della funzione come intervento aggiuntivo differito rispetto al
processo di insegnamento-apprendimento. Quindi un momento di integrazione e supporto alla
didattica stessa.
Offrire al processo di apprendimento uno specifico sostegno organizzativo, aiutando ad usare in
maniera ottimale attività, persone, obiettivi, processi. Quindi una visione che vede la funzione
all'opera prima, durante e dopo il processo di insegnamento-apprendimento. Una funzione
strumentale.
L’approccio psicodinamico, secondo il quale per facilitare l'apprendimento occorre creare l'area
potenziale della formazione; quindi l'attenzione e la cura tutoriale vengono poste sulla dimensione
affettiva implicata nel processo di insegnamento-apprendimento. E’ una dimensione nella quale
vengono visti i vincoli e i condizionamenti della disponibilità ad apprendere, quindi abbiamo da un
lato un tutor che cerca di creare l'ambiente e facilita la disponibilità all’apprendimento da parte del
discente ma che allo stesso tempo è in grado di instaurare quella che è la relazione di fiducia.
Questa visione è un po' come quando ci si approccia ad un paziente e si deve cercare di instaurare
quella sorta di rapporto empatico che consente di avere la fiducia e instaurare la relazione
terapeutica che si traduce in una relazione d'aiuto. Questo dunque è un approccio in evoluzione
che coinvolge i timori e le ansie del momento particolare che sta vivendo il soggetto, all'inizio di
una nuova attività, con la conoscenza e l'esperienza del tutor, che è in grado di sedare le sue ansie
e quindi trasformare questo momento di confusione e di paura del nuovo in un momento di
crescita.
Questa visione è molto simile alla fase dell’orientamento della teoria del nursing psicodinamico
della Peplau, ovvero quella fase nella quale i due individui si incontrano, una che chiede un servizio
e una che lo eroga; in questa fase però le due persone sono due estranei. Infatti in questa teoria,
rispetto ad altre teorie della dell'assistenza infermieristica, i paradigmi considerati sono soltanto il
nursing e la persona, i protagonisti veri di questa relazione esclusiva. Nel momento in cui
“l’infermiere” si viene a ritrovare con questa persona, per risolvere i suoi problemi, deve creare un
setting adeguato fatto di spazio, tempo, disponibilità, etc.
Allo stesso modo, il setting che il tutor deve utilizzare, secondo l'approccio psicodinamico, prevede
da entrambe le parti la disponibilità andare da un lato e la disponibilità a ricevere dall’altro.
Quindi l’intervento tutoriale nell’approccio psicodinamico si colloca nella fase introduttiva di ogni
percorso formativo.
L'approccio connessionista, secondo il quale per facilitare l’apprendimento occorre assicurare
continuità e unità al processo formativo, al fine di favorire la costruzione di senso e la
ricomposizione dell’unità del sapere. Dunque l’intervento tutoriale si colloca nelle fasi successive
quando l'attenzione viene posta sulla dimensione cognitiva e quindi sulla dimensione del sapere e
su quelli che sono i contenuti dell'apprendimento. Pertanto, sul piano metodologico, questo
approccio non fa altro che far esprimere al tutor la sua capacità di aiuto e guida per individuare e
fare le giuste connessioni tra le diverse discipline, tra i diversi campi del sapere, e quindi si tiene
conto di quelle che sono le aspettative del soggetto, del contesto e gli obiettivi finali. Quindi in
questo caso la leadership tutorial consente di mettere in relazione tutti i vari elementi dell'attività
formativa, ma anche tutti i vari attori dell’attività formativa.
L'approccio educativo relazionale, secondo il quale per facilitare l'apprendimento occorre
affiancare e presidiare il processo di apprendimento dell'individuo. Infatti l'attenzione e la cura
tutoriale sono dedicate a fornire supporto al soggetto per favorire il buon esito del suo processo
formativo. Si tratta di una visione che fa agire la funzione in aggiunta e in tempi differiti rispetto alla
docenza, come supporto individualizzato, in una relazione duale. Gli oggetti della cura tutorial sono
le risorse e le potenzialità personali (sia dello studente che del tutor), che vanno individuate,
riconosciute e valorizzate. Questo approccio viene ispirato dall'idea che esistano in ogni soggetto
potenzialità e intenzionalità di sviluppo, come scelta dell'individuo di vivere allo scopo di
conoscersi, comprendere, realizzare aspirazioni e desideri al fine di esprimere la propria identità e
dare senso alla vita.
Questa è una teoria ispirata dalla teoria dello sviluppo vocazionale, la quale affermava che lo
sviluppo personale rappresenta un percorso evolutivo continuo che viene contrassegnato da tutte
le esperienze significative di cambiamento della persona, che mettono in discussione le scelte fatte.
Anche a questo proposito ci si può agganciare ad un’altra teorica del nursing, ovvero la Orem, in
riferimento alle tre tipologie di abilità per lo sviluppo, ovvero i requisiti universali (comuni a tutti gli
esseri umani e conformi all’età, allo stadio di sviluppo, fattori ambientali, etc), requisiti di sviluppo
(associati ai processi di sviluppo umano ed alle condizioni/eventi che si verificano durante i vari
stadi del ciclo vitale, ad esempio la condizione di prematuro, un lutto, una gravidanza, etc) e i
requisiti di self-care. Un altro collegamento può essere fatto anche con la teoria dell’adattamento
della Roy.
L’approccio strumentale, secondo il quale per facilitare l’apprendimento occorre presidiare la
dimensione organizzativa. Questo approccio è stato a lungo presente in molte esperienze tutoriali,
ad esempio nella formazione aziendale, allorché al tutor veniva affidato un mandato
esclusivamente, o prevalentemente, di cura degli aspetti logistici (spazi fisici, strumenti tecnologici,
etc.). Sul piano metodologico questo è un approccio che fa agire il tutor in attività di affiancamento
del soggetto nell'espletamento dei suoi compiti di sviluppo, quindi un approccio legato
all'apprendimento sul campo e durante il quale il tutor svolge per lo più attività di monitoraggio e
di messa in atto di quella che è la relazione d'aiuto nei confronti di tutte quelle situazioni e difficoltà
che lo studente può incontrare e non dovesse riuscire a superare in maniera autonoma.
Oggi questo approccio non viene più inteso in questo modo, ma si integra con altri approcci e
diviene appunto funzionale ad ogni momento del processo di insegnamento-apprendimento.
Gli approcci integrati. Nelle attuali prassi formative sono riscontrabili dei comportamenti tutoriali
ispirati ad un singolo approccio, ma è realistico pensare che ci sono degli stili tutoriali che si rifanno
e abbracciano diversi approcci, integrando le diverse metodologie. Infatti, nella formazione attuale
il tutor che noi andiamo riscontrando in maniera più frequente è il tutor che esegue compiti
afferenti ad approcci diversi. Quindi è molto probabile trovare ad esempio un tutor che: cura la
presa in carico degli aspetti affettivi della persona (quindi ci rifacciamo all’approccio
psicodinamico), stipula un contratto formativo, facilita l'attività di individuazione ed elaborazione
delle connessioni tra gli apprendimenti teorici e gli apprendimenti esperienziali, affianca il soggetto
nel superamento di eventuali ostacoli o problemi sorti, etc.
Facilitare l'apprendimento è la finalità precipua di ogni insegnante. Pertanto si può dire che la tutorship è,
nella sua accezione più lata, una componente propria dell'attività del ruolo del docente.
In relazione ai significati e alle prerogative attribuite alla tutorship, si può intendere come tutoriale una
didattica che:
Si prenda in carico nel corso del processo di insegnamento-apprendimento anche gli aspetti emotivi
affettivi connessi alle esperienze di apprendimento, contenendo resistenze, paure, ansie tramite la
cura del setting formativo (fisico e simbolico) e l'esplicitazione degli scopi dei traguardi attesi e
delle metodologie.
Favorisce l'attività riflessiva avendo cura di organizzare opportunità per individuare e interpretare
le connessioni tra tutte le possibili variabili in gioco. Facilità l’apprendimento, fornendo opportunità
per individuare analogie, differenze, implicazioni, interdipendenza e complementarietà tra:
argomenti diversi del medesimo ambito disciplinare, ma anche ambiti e saperi diversi (quindi
facilita l’integrazione); attività diverse, quali la didattica in aula e l’esperienza sul campo; fasi
diverse del processo (agisce all’interno di fasi di unità temporali delimitate, nell’arco della vita)
anche per comprendere come e perché le nuove conoscenze si connettono a quelle pregresse;
saperi teorici e loro applicazioni nella pratica; stili di insegnamento e stili di apprendimento;
emozioni, affetti e aspetti cognitivi; desideri, aspirazioni e opportunità, risorse disponibili per
realizzarli; autovalutazione ed eterovalutazione.
Dedica espressamente momenti alla metacognizione per aiutare a riconoscere e comprendere i
processi cognitivi attivati dalla propria mente per risolvere un problema, per cercare informazioni,
etc;
Aiuta a riconoscere la trasferibilità dei processi cognitivi attivati ad altri campi del sapere e
dell’esperienza.
Presidia in ogni momento la componente valutativa (intesa come valutazione formativa), avendo
cura di fornire ricorrenti e corretti feedback, di aiutare a comprendere i punti di forza, i vincoli
personali e gli errori, le ragioni stesse degli errori commessi. Da queste osservazioni risulta evidente
come la didattica tutoriale attinga ispirazione da diversi approcci.
Si tratta dunque di essere in grado di guidare lo studente verso quel collegamento tra tutti quei moduli,
previsti da un ordinamento, che sembrano essere scollegati l'uno dall'altro, ma poi ogni sapere e ogni
azione ne implica la conoscenza specifica.
L'intervento del tutor si esplica sempre andando a predisporre, per il soggetto “tutorato”, opportunità per:
In tutti i casi, questo è un percorso metodologico che, anche se con diverse peculiarità, supporta comunque
l'acquisizione della consapevolezza dello studente circa:
Il tutto viene fatto con una sorta di consapevolezza del proprio stile di approccio alla conoscenza e
all'apprendimento e di tutti i cambiamenti che si sono verificati nel processo di apprendimento, sia nel
nell'immediato che nell'esperienza che è stata fatta nel continuum dell'esperienza formativa.
Pertanto si può definire che il traguardo delle attività riflessiva e metacognitiva è soprattutto quello di
favorire il pensiero critico e lo sviluppo della capacità di imparare ad imparare, che è il significato profondo
con il quale si contraddistingue la funzione tutoriale rispetto alle altre funzioni.
Nel sistema tutoriale, già qualificato come comunità di apprendimento, la tutorship tende ad essere
funzione “distribuita”, diffusa tra i diversi ruoli attivi nel sistema stesso. Tuttavia, proprio in ragione delle
responsabilità professionali disomogenee presenti e funzionali al sistema (se prendiamo l'esempio
dell'università ci sono tutta una serie di argomentazioni che lo studente tratta attraverso l'intervento di
svariati docenti ognuno di loro portatore di conoscenze diverse), la funzione tutoriale risulta come
integratore di tutti gli scopi peculiari che i diversi ruoli sono chiamati ad agire. Infatti, a questo proposito, si
può dire che il sistema tutoriale poggia su due figure cardine, che operano più a diretto contatto con allievi
e allieve, che gestiscono la relazione educativa nella quotidianità: il docente e il tutor. Docente inteso come
quella responsabilità professionale, presente in modalità variabile nel sistema (a seconda della tipologia di
ordine e grado della scuola abbiamo una diversità di quelle che sono le figure dei docenti).
Quali tra gli approcci tutoriali sono più pertinenti ad ogni contesto? Per questo quesito, bisogna andare a
riflettere sulle esperienze tutoriali passate e su alcune delle modalità applicative in riferimento agli approcci
teorici e metodologici.
Date le peculiarità organizzative e la mission della scuola, intesa come scuola a 360° dalla primaria
all'università, è possibile affidare espressamente la tutorship a un operatore distinto dal docente, come
ipotizza l’approccio psicodinamico o come accade secondo l’approccio connessionista, qualora, ad
esempio, nei percorsi della formazione aziendale per facilitare l’apprendimento in aula si affianca al
docente un tutor? Allora bisogna andare a verificare come, nel contesto formativo, il presidio della
“dimensione affettiva” e della “dimensione cognitiva”, con tutte le loro possibili interconnessioni, è affidato
al ruolo del docente. Il docente dovrebbe essere sempre, oltre che esperto di contenuti disciplinari, esperto
in metodologie didattiche, di psicopedagogia: quindi dovrebbe essere un facilitatore di apprendimento.
Ma quando e perché entra in scena nella formazione questa figura espressamente dedicata alla
tutorship?
Sia nel nostro paese, che in altri paesi, ha preso piede man mano nel tempo sempre di più allo scopo di:
Prevenire i fenomeni connessi alla dispersione o per porvi rimedio, ossia per fronteggiare, come già
si è visto, problemi indotti della nuova domanda di istruzione e formazione. Quindi per prevenire il
dropout.
Introdurre innovazione, in maniera tale che il processo di apprendimento risulti derivante da un
qualcosa di dinamico e non di statico che si evolve con l'evolversi del tempo. Da qui l’esempio del
tutor nel sistema della formazione a distanza o il tutor on-line.
Migliorare la qualità dei risultati finali.
Infatti negli ultimi 30 anni hanno fatto comparsa, a partire dalle scuole primarie fino ad arrivare
all'università, in diverse parti d’Europa, diverse figure tutoriali come il tutor di classe, il tutor individuale, il
tutor per lo stage, il tutor per la didattica e per i progetti.
Ma l'introduzione del tutor nei vari contesti è differente da un paese all'altro: per esempio in Spagna
l'introduzione del tutor è stata prevista da una riforma del sistema educativo degli anni 90 che ha riservato
alle scuole la scelta del modello da sperimentare che era o una tutorship diffusa (cioè assunta da tutti o
dalla maggior parte dei docenti della classe) o una tutorship circoscritta ad un unico docente della classe; in
Inghilterra questa pratica è stata introdotta a beneficio delle scuole primarie e secondarie più per
traduzione culturale, perché essa si ispirava ad un modello pedagogico inteso come funzione di supporto
dello sviluppo dell'identità personale e del processo di socializzazione. Pertanto questa figura del tutor è
vista come un supporto allo sviluppo del benessere dello studente, del suo sviluppo personale, sociale, dei
valori, soprattutto quello dell'autostima, autonomia, tolleranza e responsabilità; in Francia invece la
sperimentazione della figura tutoriale nasce direttamente con la nascita di un contratto educativo fra tutor
e studente, a seguito di una rivolta che ci fu in una scuola dell'obbligo. In Italia sono state le singole scuole,
medie ma per lo più secondarie superiori, a ravvisarne l’esigenza. Sul versante organizzativo, in ogni
esperienza si è sempre trattato di una funzione aggiuntiva a quella docente, ossia assunta da un docente, o
da più docenti, della classe e in aggiunta all’attività didattica; mai di una figura professionale estranea e
indipendente dalla docenza.
Per monitoraggio si intende l'osservazione costante e la documentazione del processo in atto di ogni
singolo allievo (quello che noi oggi chiameremmo portfolio). Perché il tutor deve monitorare il processo
svolto da ogni singolo allievo, visto che è in una istituzione scolastica (primaria, secondaria, superiore,
dell'università) il monitoraggio dovrebbe essere fatto dal docente? Alla domanda si può rispondere che
peculiarità del monitoraggio svolto dal tutor è l’assunzione di un punto di vista globale, si potrebbe dire
sistemico, rispetto ai singoli processi disciplinari. Infatti il tutor guarda il ragazzo con deficit dal punto di
vista cognitivo, psicosociale, dei rapporti con i compagni e con i colleghi, guarda anche il ragazzo come
capacità possedute rispetto alle capacità utilizzate (monitoraggio olistico).
Le esperienze sensoriali che sono state realizzate prevedono anche degli spazi riservati con un lavoro
collegiale fatto con il consiglio dei docenti ad esempio, perché il tutor si va ad interfacciare col singolo
docente, con il consiglio, con la commissione didattica del corso di laurea, col consiglio di classe, etc. Per
relazione di aiuto si intende dunque un’attività di cura prestata individualmente dal tutor allo studente
tramite la gestione di colloqui individuali, in cui la comunicazione delle informazioni è funzione
conseguente al monitoraggio e alla relazione di aiuto stessa.
Il tutor deve essere in grado, non solo di trasmettere le informazioni alla classe, al consiglio di classe, al
direttore del corso di studi, etc., ma anche allo studente (soggetto in apprendimento) e alla famiglia.
L’intervento del tutor di classe si focalizza sull’attività di monitoraggio a beneficio di tutto il contesto della
classe. La relazione di aiuto, nel suo caso, è indirizzata a coloro che manifestano problematicità, in
situazione di disagio scolastico.
Opportunità per raccogliere informazioni sono gli spazi dei colloqui individuali e dei colloqui con i genitori,
la gestione/partecipazione alle assemblee di classe degli studenti e studentesse, l’attività collegiale del
team di classe. Ci si può avvalere anche di griglie, schede, dossier, di portfolio, etc., molti dei quali sono
riservati all’uso dei docenti, a supporto del lavoro del tutor e dello scambio informativo tra tutor e
docente/i.
Un altro strumento per la funzione tutoriale è il counseling che si esplica nella conduzione di colloqui
individuali. Tali colloqui non sono intesi a scopo terapeutico (dunque come counselling psicologico), ma si
qualificano comunque come relazione di aiuto. L’aiuto consiste proprio nel rendere possibile una
riattivazione o rioganizzazione delle sue energie (cognitive, emotive, strategiche), partendo dal
presupposto che in ogni persona ci sono delle potenzialità che le permettono di sfruttare l’aiuto ricevuto e
farlo diventare una propria risorsa. La relazione di aiuto che si attiva nel corso del colloquio è un processo
interattivo tra due protagonisti (studente-tutor), influenzato dagli scopi del colloquio stesso, dal contesto e
dalle aspettative, dai ruoli e dalle motivazioni degli attori coinvolti.
La finalità del colloquio dovrebbe essere quella di supportare il soggetto:
Nell’esplorazione e comprensione del processo complessivo in atto che non gli consente di
adeguarsi alla metodologia didattica, alle modalità formative, alle richieste dei docenti sulle
modalità interpretative, etc.
Nell’individuazione delle cause che bloccano o compromettono il buon esito del processo,
nell’esplorazione cioè della natura di un eventuale problema, in maniera tale che questa
problematica venga ad essere compresa anche dallo studente.
Conseguentemente, nell’attivarlo nella ricerca di una via risolutiva qualora essa sia possibile; in
alternativa, demandando il problema e la ricerca di una soluzione ad un altro membro dell’équipe
Non è mai dato al tutor il mandato di agire in proprio e autonomamente, soprattutto nei confronti di
problemi connessi all’apprendimento di una disciplina, o di problemi che per essere risolti implicano
l’intervento di specialisti, ad esempio, psicologici. Il colloquio individuale può essere lo spazio nel quale
confrontarsi con aspetti o problemi di orientamento.
Durante la gestione del colloquio inoltre è necessario che si vada a definire bene le modalità del colloquio
(come dove quando), avendo cura soprattutto di andare a predisporre un setting appropriato (tempi e
spazi dedicati, chiarezza degli scopi e dei ruoli dei protagonisti, eccetera) e di assumere uno stile e modalità
di conduzione.
Tutte queste funzioni del tutor sicuramente richiedono una formazione specifica.
L’approccio comportamentista
La nascita del comportamentismo viene fatta risalire al 1913, anno in cui comparve negli Usa un articolo di
John Watson che prendeva le distanze dagli approcci filosofici fino ad allora utilizzati per piegare le
modalità con cui le persone apprendono, approcci che usavano i termini mente e coscienza come entità
non direttamente osservabili. Secondo l'autore solo i comportamenti, in quanto atti direttamente
osservabili, definibili in termini di risposte di un organismo agli stimoli ambientali, devono costituire
l'oggetto degli studi sull'apprendimento. Il movimento di pensiero prende il nome di comportamentismo
proprio per la scelta del contenuto di studio, cioè il comportamento manifesto, e del metodo di ricerca che
utilizza, dichiaratamente oggettivo.
Il comportamentismo enfatizza il contributo dell'ambiente in quanto, predisponendo un ambiente
adeguato, si possono far apprendere agli studenti tutti i comportamenti desiderati. L'apprendimento altro
non è che la continua creazione di nuove associazioni tra stimoli ambientali e risposte della persona.
L'associazione tra ambiente e risposta si mantiene attraverso il concetto di rinforzo che diventa un
fondamento di questo approccio.
Distinguiamo:
Il condizionamento classico, che spiega solo comportamenti abbastanza semplici e non quelli
complessi, dunque l’emissione di una risposta naturale ad uno stimolo naturale;
Il condizionamento operante, studiato da Skinner, che sembra essere di più ampia portata; esso si
riferisce alla modificazione del comportamento che un organismo produce spontaneamente prima
che venga rafforzato da un condizionamento e non come risposta a uno stimolo. Se un
comportamento (inteso come risposta di un organismo in assenza di stimolo) viene rinforzato, se
ne aumenta la frequenza.
Ecco il concetto di rinforzo: un rinforzo è positivo quando si verifica una situazione piacevole; è
negativo quando produce sensazione spiacevole, ad esempio una punizione.
Questi concetti hanno avuto e hanno ancora un posto nell'educazione scolastica e nella ricerca sull'
istruzione programmata o sull'addestramento di tipo militare.
Nel campo dell'Istruzione programmata Skinner applicava il suo modello di condizionamento operante a un
metodo di programmazione di corsi o unità didattiche di autoistruzione che gli studenti potevano svolgere
individualmente mediante l'utilizzo di macchine per insegnare; si partiva da una rigorosa definizione degli
obiettivi da raggiungere e dall'accertamento dei pre-requisiti posseduti dallo studente. La programmazione
era lineare e unisequenziale, dal semplice al complesso, dal facile al difficile, con unità di verifica specifiche
per ciascuna unità didattica. Questa tecnica è ancora utilizzata ad esempio nell'ambito della riabilitazione
psichiatrica dove, al fine del recupero dell'apprendimento di nuove abilità, viene fatta una sorta di step by
step in cui si comincia con l'attività più elementare e, dopo che l’attività più elementare viene acquisita e
fatta propria dal paziente, si può passare all'attività successiva: tipico di questa modalità è l’esempio del
lavarsi i denti che comporta avere acquisito in sequenza una serie di comportamenti (aprire il rubinetto,
prendere il tubetto, prendere il dentifricio, svitare il tappo, etc.) step by step, in quanto se così non fosse
magari si va a utilizzare il tubetto come dentifricio o viceversa.
Alla programmazione lineare ha fatto poi seguito quella ramificata o plurisequenziale, proposta da
Crowder, che dà enfasi alla flessibilità del programma più che al rinforzo. Essa è basata sull'assunto che gli
studenti apprendono in modi diversi in relazione alle conoscenze e alle abilità già in loro possesso e che
l'apprendimento dipende anche dalla natura degli argomenti da imparare e da altre variabili, quali quelle
socio-culturali e di personalità.
Si pone l'enfasi sul tempo di apprendimento ritenuto una variabile fondamentale nei processi di istruzione,
infatti è possibile porre tutti gli studenti (o quasi) nelle condizioni di raggiungere gli obiettivi posti,
consentendo loro di avanzare sulla base di apposite valutazioni formative poste lungo il percorso.
I comportamentisti hanno studiato l'istruzione militare (addestramento) analizzando le prestazioni richieste
a una persona quando deve controllare sistemi uomo-macchina piuttosto complessi, ossia quando avviene
l'apprendimento di un abilità percettivo-motoria complessa che non può essere spiegata con la semplice
associazione stimolo-risposta, ma che richiede l'utilizzo dei concetti di relazione e interrelazione. Il concetto
di Task Analysis (analisi del compito), cioè l'individuazione dei requisiti comportamentali per effettuare un
compito, derivante proprio dalla ricerca sull'addestramento militare, è diventata molto importante per lo
studio delle abilità cognitive complesse, della prestazione esperta e della progettazione dell'istruzione che,
iniziata a partire dagli anni sessanta, si può dire sia ancora attuale.
La task Analysis o analisi del compito si rivolge all'obiettivo prefissato, sia nelle diverse fasi che lo
compongono in sequenza sia nei prerequisiti necessari a evidenziare le diverse abilità basilari per eseguire
un compito. Pertanto la task analysis permette di scomporre un obiettivo sia in senso sequenziale-
descrittivo (elencando le serie di risposte singole che compongono quel compito) che in senso strutturale-
gerarchico (individuando le abilità più semplici e i prerequisiti che costituiscono la struttura di base di
quell'obiettivo e che vanno a costruire un ordine gerarchico). Entrambi questi elementi consentono di
individuare le componenti e le sotto-componenti dell'obiettivo stesso, rendendolo più graduale in termini
di difficoltà e perciò più facilitante. Sul piano operativo-didattico, l'analisi del compito può fornire spunti e
indicazioni sia per la progettazione curriculare (formulazione degli obiettivi), sia per la realizzazione dei
momenti di insegnamento (unità didattiche, unità formative, etc).
Quindi questo metodo potrebbe essere paragonato un po’ a quello del libretto di tirocinio di ogni studente
che contiene degli obiettivi da raggiungere; questi obiettivi vengono cadenzati dal più piccolo al più grande
fino al momento in cui l'obiettivo non viene raggiunto.
La metodologia della Task analysis prevede due momenti distinti:
La prima fase è di descrizione del compito, che consiste nella rappresentazione sistematica delle
singole azioni e dei comportamenti necessari per eseguire correttamente e adeguatamente un
compito. Essa si distingue a sua volta in: descrizione razionale, in cui l'insegnante osserva e
trascrive dettagliatamente l'ordine di esecuzione dei singoli comportamenti e risposte che
provvedono all'esecuzione del compito, e descrizione empirica, in cui il compito stesso viene
eseguito allo scopo di verificare l'adeguatezza della sequenza dei comportamenti annotati nella
fase precedente.
La seconda fase è quella dell'analisi delle abilità componenti, che consiste nell'individuazione delle
abilità necessarie e imprescindibili da un determinato compito. Dopo aver suddiviso in sequenze gli
obiettivi di insegnamento, si procede con l'identificazione e descrizione delle diverse abilità, il cui
possesso è requisito indispensabile per l'apprendimento di altre abilità più complesse che
riguardano, appunto, gli obiettivi specifici.
Questo tipo di approccio (comportamentista) ha dominato, fino alla seconda guerra mondiale, il campo
degli studi sull’apprendimento, sull’educazione e sui metodi; poi si è evoluto con l'interesse di diversi
studiosi sulle relazioni interpersonali e sugli aspetti sociali delle situazioni di apprendimento, ad esempio
studi sulla relazione tra frustrazione e aggressività sul campo delle ricerche sull'apprendimento sociali, dalle
quali è emersa una rivalutazione sul ruolo dell’imitazione come meccanismo autonomo di apprendimento,
quindi non soltanto frutto di quello che era il principio del condizionamento operante.
Dunque la portata dell’approccio teorico comportamentista è stata ampliata dagli studi sull’apprendimento
sociale, che hanno cercato di spiegare i comportamenti sociali complessi. Bandura (uno dei massimi
esponenti di questo approccio) sosteneva che le persone, nel quotidiano, regolano i propri comportamenti
in base alle osservazioni delle conseguenze delle proprie azioni, constatando quali hanno successo e quali
falliscono; le persone diventano, quindi, in grado di comprendere che cosa è adatto in una determinata
circostanza e di anticipare il risultato di un comportamento. Questo approccio dunque dà molta importanza
al pensiero cosciente (cognizioni, aspettative e credenze) nella guida del comportamento. Lo stesso
Bandura definisce l'apprendimento come l'acquisizione di conoscenza attraverso l'elaborazione cognitiva
delle osservazioni.
In sintesi, l'approccio comportamentista ha sempre attribuito un'importanza fondamentale all'ambiente
che determina l'apprendimento a vari livelli di complessità; il suo limite è dovuto al fatto che non chiama
mai in causa aspetti non osservabili, come ad esempio le strutture mentali e cognitive, che comunque
rappresentano degli elementi importanti nell'ambito dell'apprendimento. Dal punto di vista della ricerca
educativa, questo approccio ha avuto il merito di sostenere lo studio rigoroso di come l'apprendimento si
manifesta in base agli stimoli ambientali. Alcuni studi hanno documentato alcune relazioni significative,
positive o negative tra variabili, come la correlazione positiva tra l'abilità nella comprensione del testo e il
rendimento scolastico, senza mai sostenere l'esistenza di rapporti causali tra i due fatti.
L’approccio cognitivista
Questo approccio ha acquisito, a partire dagli anni 50 del secolo scorso, un ampio consenso nella comunità
scientifica di matrice sia psicologica sia pedagogica, tanto da diventare il principale riferimento per gli studi
in merito cognizione, allo sviluppo e all'apprendimento, e anche nei giorni nostri gode di un ampio
consenso, pur con alcuni correttivi resi necessari.
I cognitivisti, a partire da Neisser, ripresero a studiare la mente umana attraverso le inferenze tratte dai
comportamenti osservabili; pertanto questo approccio, più moderno, intravede molte assonanze tra la
comprensione dei processi cognitivi dell'uomo da parte di uno psicologo e la comprensione della
programmazione fatta al computer da un tecnico informatico che vuole scoprire le procedure per fare una
determinata funzione a quell’apparecchio. L’attuale ricerca sull'intelligenza artificiale ha portato allo
sviluppo di programmi per simulare comportamenti cognitivi complessi nell’uomo come la risoluzione dei
problemi; questi studi costituiscono quelle che verranno denominate scienze cognitive (Cognitive Science),
un'area interdisciplinare di ricerca che vede la presenza della psicologia cognitiva e anche delle
neuroscienze.
Questo approccio è importante per gli studi sulla memoria e per l'elaborazione delle informazioni. Infatti
uno degli studi più noti a tal proposito è quello di Atkinson e Shiffrin, che prevede “tre magazzini”
attraverso cui transitano gli stimoli sensoriali:
Il registro sensoriale che è collegato con l'organo di senso corrispondete (occhio, orecchie, etc) e
consente di conservare l'informazione per frazioni di secondo, allo scopo di attivare delle
operazioni importanti quali il confronto tra le caratteristiche dello stimolo e le informazioni
contenute nella memoria a lungo termine, per poter riconoscere lo stimolo (ad esempio: lo stimolo
che ha colpito il registro sensoriale viene riconosciuto come gelato; il risultato di questo
riconoscimento passa nel magazzino della memoria a breve termine; se, in seguito alla stimolazione
visiva, è stato percepito un gelato, verrà trasferita in questo magazzino la parola “gelato” o una sua
immagine visiva).
La memoria a breve termine (come la memoria volatile del computer) che ha una capienza limitata
e svolge la funzione di servire da transito alle informazioni provenienti dall'ambiente, che vi
sostano per un certo periodo di tempo prima di fermarsi e fissarsi nella memoria a lungo termine;
serve anche da memoria di servizio in quanto contiene tutte le informazioni che vengono dalla
memoria a lungo termine che devono interagire con quelle provenienti dall'ambiente. Man mano
che nuove informazioni entrano nella memoria a breve termine, quelle acquisite precedentemente
e che eccedono le sette unità (come dicono alcuni studi, ma di cui non si è certi), escono, vengono
dimenticate, a meno che il tempo in cui sono rimaste non abbia consentito il formarsi di una loro
copia che rimane nella memoria a lungo termine, anche senza un grosso impegno, anche
automaticamente. La capacità limitata della memoria a breve termine ci porta anche a considerare,
quale esperienza consapevole, la capacità limitata della nostra attenzione, che è appunto di un
numero limitato di concetti, idee, etc.
La memoria a lungo termine è come se fosse un archivio con delle potenzialità grandissime, dove
vengono depositate, anche per tutta la vita, le conoscenze che acquisiamo, così come le esperienze
e i fatti personali, da recuperare all’occorrenza. Nella memoria a lungo termine hanno importanza
le relazioni tra codifica, immagazzinamento e recupero delle informazioni.
L’approccio cognitivista applicato allo studio dell'apprendimento ha esaminato anche il ruolo di
strutture, meccanismi e strategie finalizzate all'acquisizione di conoscenze; quelle contenute nella
memoria a lungo termine sono state classificate in conoscenze dichiarative e procedurali.
La conoscenza dichiarativa riguarda il “sapere cosa”: quindi il ricordarsi nomi, fatti, regole etc.
Questa tipologia di conoscenza viene rappresentata come una rete formata da nodi e da relazioni
tra nodi in cui i nodi sono le proposizioni, cioè gli elementi conoscitivi quali concetti che sono
collegati tra di loro da una serie di relazioni; cioè la conoscenza di un argomento è in relazione con
altri. Se chiediamo ad esempio a uno studente di medicina o di infermieristica “Che cos'è un
fonendoscopio”, otterremo risposte in relazione ad altri concetti quali strumento per ascoltare il
battito cardiaco. La conoscenza dichiarativa è stata anche suddivisa in memoria episodica e
memoria semantica. La memoria episodica immagazzina informazioni su episodi o eventi che
hanno collocazione temporale e permette di ricordare, ad esempio, che tra un'ora abbiamo un
impegno; quando l'evento entra nella memoria episodica, assieme a esso vengono archiviate
informazioni su ciò che si è verificato subito prima o subito dopo l'evento; si parla così di traccia
episodica, riferendosi a casi collegati all'evento. La memoria semantica è necessaria all'uso del
linguaggio in quanto comprende le conoscenze che la persona ha sulle parole e sugli altri simboli
verbali, sui significati e sulle relazioni. Tutto quello che viene archiviato nella memoria semantica è
accompagnato da una referenza cognitiva; ossia, una grande quantità di informazioni, anche
dettagliate, viene immagazzinata in un'unica informazione riferita ad una classe precisa. Le
informazioni contenute nella memoria semantica sono difficili da dimenticare in quanto inserite in
una struttura complessa di concetti e di relazioni che la proteggono da interferenze con altri
stimoli.
La conoscenza procedurale, invece, riguarda il “sapere come”, ossia i modi e le procedure da
utilizzare per eseguire i compiti; le procedure sono state paragonate a programmi che indicano in
maniera specifica come svolgere determinate attività, siano esse semplici o complesse o di natura
intellettuale. Non tutte le conoscenze procedurali immagazzinate nella memoria sono accessibili;
ossia non sempre si è in grado di spiegare il procedimento seguito per svolgere un'operazione. In
altri termini, ci si rende conto che del risultato senza saper spiegare il modo in cui si è giunti ad
esso. Quando queste conoscenze sono accessibili si parla di memoria esplicita, quando non lo sono
di memoria implicita.
L’approccio costruttivista
L'idea di fondo di questo approccio è che la nostra mente è un sistema complesso di elaborazione delle
informazioni, guidato dalle strutture di rappresentazione della conoscenza già disponibili, in quanto
presenti nella memoria a lungo termine con informazioni sia di tipo dichiarativo (concetti) sia di tipo
procedurale (procedure di applicazione). Ogni nuovo dato viene integrato nelle strutture preesistenti che
sono arricchite, ristrutturate anche in modo radicale dalle nuove informazioni.
La conoscenza quindi è un processo dinamico che avviene non solo per acquisizione dell'informazione, ma
anche in seguito a revisione dell'informazione. Molti studiosi infatti parlano di costruzione della conoscenza
piuttosto che di costruzione dell'apprendimento, per differenziarsi dalla teoria comportamentista,
sottolineando quindi il ruolo attivo della persona che non registra passivamente ciò che proviene
dall’ambiente, ma come elemento attivo che elabora le informazioni che riceve trasformandole.
E’ per questo che si parla di costruttivismo, che percepisce la realtà come è una costruzione mentale e
questo ha portato gli studiosi ad interessarsi anche delle dimensioni motivazionali, culturali e sociali
dell’apprendimento, da cui deriva poi il socio-costruttivismo.
Per i costruttivisti si impara a partire da ciò che si conosce (pre-conoscenza), anche se queste
preconoscenze a volte vengono modificate, se non addirittura stravolte, da nuove conoscenze o
dall'evidenza scientifica.
L’apprendimento dunque è un processo dinamico, basato sull'utilizzo di tante strategie attraverso le quali
l'individuo affronta un compito, lo esegue e raggiunge un obiettivo. Si può parlare anche di strategie di
memoria rifacendosi ai metodi impiegati per studiare e conservare le informazioni, come l'uso di parole
chiave, un acronimo che ti porta e ti indirizza direttamente verso quella sezione della conoscenza, un
elenco, per imprimerlo nella memoria. Alcuni studiosi della memoria hanno precisato che il deficit d’uso di
queste strategie può essere di due tipi: di produzione e di mediazione. Il primo si manifesta quando lo
studente, o una persona in generale, non riesce ad applicare in maniera spontanea una strategia anche
semplice, come la ripetizione di una serie di nomi per non dimenticarli subito: deve essere addestrato a
farlo; mentre il deficit di mediazione è un deficit che si manifesta quando una persona utilizza una strategia
sia spontaneamente che dopo addestramento, senza che la prestazione però venga migliorata dall'utilizzo
della strategia stessa. Connotare strategicamente l’apprendimento vuol sottolineare che attraverso l’uso
delle strategie lo studente può regolare, e in un qualche modo gestire, il proprio apprendimento, le proprie
attività cognitive e anche le proprie emozioni.
L’approccio socio-culturale e quello costruttivista si riflettono dunque in termini di sviluppo culturale della
persona perché va ad incrociare quelli che sono i modelli dello sviluppo, della socializzazione e
dell'istruzione e quindi porta al miglioramento di aree particolari dello sviluppo, quali quelle del linguaggio
e del discorso.
L'apprendimento è un processo interattivo perché vede la presenza di quattro variabili fondamentali:
Le caratteristiche personali, in termini di conoscenze, emozioni, motivazioni;
Le caratteristiche cognitive, ossia i processi cognitivi che vengono attivati dalla persona
(attenzione, memoria, comprensione, etc) e tutte le strategie che vengono messe in atto per
svolgere determinate attività;
La natura e la presentazione dei contenuti, cioè le scelte metodologiche dell'insegnante/tutor, il
modo di presentare il materiale di apprendimento, il clima che si crea in aula;
La verifica dell'apprendimento, quindi l'utilizzo di test ad esempio nei quali vengono richieste
abilità di ricordo e quindi andiamo ad utilizzare la memoria a lungo termine; mentre in un test a
saggio breve viene richiesta un'abilità di argomentazione o la risoluzione di un caso clinico
assistenziale dove vengono richieste le abilità di ragionamento e di problem solving.
Da qui la concordanza che l'insegnante deve avere chiaro la tipologia di apprendimento da sviluppare e la
modalità di verifica da utilizzare al fine di poter verificare se è quella l'abilità che lo studente ha sviluppato,
se è quello l'obiettivo che ha raggiunto.
Sulla base di questi assunti (mente come sistema complesso di elaborazione delle informazioni e
conoscenza come processo dinamico), vengono costruiti dei disegni di approccio verso l’apprendimento,
attraverso l’apprendistato cognitivo. Esso è un tipo di apprendimento in cui il tutor guida l’esperienza al
fine di insegnare quei processi necessari per poter portare al termine dei compiti complessi. Questo
approccio prevede l'applicazione e la presenza di alcune fasi che sono:
La fase di modellamento (modelling), dove l'esperto esegue il compito in maniera tale che gli
studenti, seguendo le modalità di esecuzione del compito da parte del tutor, vengono ad essere
coinvolti nello svolgimento del compito stesso e possono costruirsi una rappresentazione (modello)
dei processi, quindi viene non solo illustrato il compito ma anche descritto nelle sue parti e nelle
sue peculiarità. In questa fase il tutor può anche andare a ipotizzare la presenza di un problema in
maniera tale che lo studente impari l'utilizzo di strategie e di conoscenze applicate.
La fase di allenamento (conseguenziale al modellamento), nella quale lo studente ripete il compito.
In questo caso dunque vi è un doppio feedback: da un lato abbiamo lo studente che esegue il
compito e questo rappresenta un feedback per il tutor, mentre dall’altro lato abbiamo il tutor che
comprende che lo studente ha appena appreso e comprende quanto sia stata efficace o meno la
sua modalità di illustrare la prestazione alla studente, e questo rappresenta un feedback per lo
studente. Nella pratica ad esempio, si potrebbe pensare alla rilevazione dei parametri vitali: nella
fase di modellamento il tutor esegue il compito, dunque accompagna lo studente nell’applicazione
di questa modalità associando il processo cognitivo al processo del fare, illustrando e descrivendo
la procedura che sta utilizzando. Nella fase di allenamento poi lo studente svolge direttamente la
rilevazione dei parametri vitali dunque avviene il feedback dello studente che cerca di migliorare la
propria prestazione affinché si avvicini il più possibile a quella dell'esperto che gliel’ha illustrata.
L'esperto in questo caso è il tutor che fornisce suggerimenti, sostegno e feedback agevolando il
lavoro.
La fase del supporto (scaffolding), ossia l’impalcatura di sostegno da fornire sia con suggerimenti o
aiuti sia con supporti materiali. Questa fase è un aspetto particolare della metodologia del
coaching: il tutor diventa appunto un supporto verso lo studente, pre-imposta il lavoro e gli
fornisce direttamente le indicazioni per lo svolgimento del compito stesso qualora lo studente non
fosse ancora in grado di andare a svolgere autonomamente il compito. Quindi è una sorta di
problem solving della fase di apprendistato cognitivo, in quanto il tutor facilitando e fornendo
supporto allo studente lo aiuta alla risoluzione del problema che si è verificato e che è stato
identificato. Tornando dunque all’esempio di prima, se lo studente, che va a rilevare i parametri
vitali, non riesce a trovare la strategia adatta relativamente alla rilevazione di un parametro mentre
gli altri riesce a rilevarli tutti, allora il tutor ripete il compito in maniera tale da rafforzare nello
studente la percezione dell'attività. Questa attività contribuisce a migliorare anche quello che è il
senso di responsabilità che lo studente acquisisce nell'esecuzione del lavoro in autonomia del
compito stesso e quindi ovviamente anche dal punto di vista dell'incoraggiamento dello studente
che si sente in grado di aver effettuato appunto la registrazione.
La fase dell’articolazione, che prevede l’adozione di ogni metodo che aiuti lo studente ad articolare
conoscenze, ragionamenti, processi di problem solving in un dominio (di incoraggiano gli studenti a
verbalizzare la loro esperienza).
La fase della riflessione, che consente di portare a termine dei compiti complessi. Lo studente
viene stimolato a riflettere su quanto da lui è stato prodotto al fine soprattutto di andare a
risolvere eventuali problemi che lo svolgimento della prestazione ha praticamente portato. Esso
viene stimolato anche al confronto tra la sua prestazione e quella dei colleghi o del tutor, dunque
confrontarsi con un modello cognitivo interno di competenza. In questo approccio si possono
utilizzare anche degli strumenti quali diari di bordo, quaderni di tirocinio, riflessioni, narrazioni vere
e proprie dello studente, etc. nei quali vengono riportati tutti i progressi e tutte le riflessioni
relative ai compiti e ai problemi riscontrati in maniera dettagliata, al fine poi di potersi anche auto-
valutare. Quindi lo studente utilizzando questo strumento di riflessione va step by step ad
analizzare la progressione delle proprie competenze.
Un esempio può essere il diario della glicemia che viene consigliato ai pazienti con diabete: il
paziente affetto da diabete quando utilizza un diario per la glicemia non fa altro che riportare sul
diario giornalmente quelli che sono i risultati di un’azione che esegue in virtù del monitoraggio
della glicemia, che per lui rappresenta il compito da fare, ma anche per aspettarsi che il valore della
glicemia sia quanto più possibile vicino a quelli dei valori normali.
La fase dell'esplorazione, che rappresenta il momento in cui lo studente non ha più bisogno del
supporto del tutor in quanto ha acquisito quella conoscenza, quella sorta di apprendistato
cognitivo, che gli fa riconoscere il come, il perché, il quando e il se fare. Quindi lo studente è ormai
autonomo e si sgancia dal tutor, diventando responsabile del proprio apprendimento. Ovviamente
il tutor deve necessariamente andare ad effettuare delle attività che portino lo studente proprio
alla riflessione, che non fa altro che valutare quello che è stato il proprio operato relativamente alla
risoluzione di un problema, l'esecuzione di un compito, la comprensione di una prestazione, etc.
In questo contesto assume un ruolo fondamentale l'ambiente di apprendimento, che viene considerato
come un sistema complesso all'interno del quale si imparano dei processi di alto livello, che lo studente
metabolizza acquisisce e fa propri, quali la ricerca e la risoluzione del problema (problem finding e problem
solving), può creare un'analisi del problema stesso, dà spazio alla creatività dello studente, ad una
elaborazione globale, all'utilizzo di quelle che sono le capacità dello studente relativamente al compito che
deve svolgere. L'ambiente di apprendimento pertanto, oltre ad essere fatto di persone che fungono
ovviamente da supporto, da modello e che riescono ad articolare le diverse fasi dell’acquisizione e della
competenza, che spingono lo studente a riflettere ed esplorare sulle competenze acquisite, è fatto anche
da un setting adeguato, dalla disponibilità dei docenti, dalla progettazione didattica, dalle scelte, dai vincoli
e dagli strumenti.
Il costruttivismo, in generale, assume la realtà come processo in cui l’individuo acquisisce nuove competene
non solo grazie ai propri schemi cognitivi, ma anche tramite l’interazione con gli altri. Esso si basa sul
paradigma learner centered, in quanto assume che il sapere è una strategia complessa che rispetta le
esigenze della persona in apprendimento, coinvolgendolo e motivandolo. Questo anche perché, alla base di
quello che il tutor vuole insegnare allo studente, è necessario che ci sia una conoscenza pregressa riguardo
a ciò che viene prima: per cui se il tutor ad esempio vuole insegnare allo studente l'esecuzione della
somministrazione della terapia endovenosa, deve inserirla in un setting nel quale lo studente abbia già
appreso quello che è l’incannulamento di una vena periferica. Quindi il setting e la programmazione
didattica vanno di pari passo con tutte le attività esperienziali che poi vengono svolte in laboratorio.
Dunque l’apprendimento di tipo cooperativo-collaborativo (cooperative learning) in gruppo e il tutorato
tra pari (ad esempio nel caso di un neoassunto che solitamente viene affiancato da un infermiere esperto) è
un metodo usato dal modello costruttivista, la cui efficacia è stata documentata sul piano cognitivo e
sociale. Questo tipo di apprendimento utilizza sia la cooperazione relazione sia quella strumentale, in
quanto privilegia la dimensione interpersonale ai fini dell’apprendimento, consentendo di raggiungere
obiettivi sia si istruzione che di educazione.
La cooperazione relazionale rafforza e mantiene quella che è l'interazione con gli altri nella costruzione
delle strategie per la risoluzione del problema, quindi fa accrescere quelle che sono le attività del gruppo.
Essa si caratterizza con la presenza di alcuni pattern comportamentali quali: il contatto corporeo, il
conforto, l’incoraggiamento.
Invece la cooperazione strumentale è una particolare strategia che viene messa in atto quando il
comportamento è finalizzato a un obiettivo centrato sul compito; in questo tipo di cooperazione bisogna
essere costanti nel raggiungimento e nel completamento del compito assegnato con determinati
comportamenti quali: la sollecitudine, la ricerca di informazioni, la disponibilità.
Dunque questo tipo di apprendimento cooperativo-collaborativo è un tipo di apprendimento nel quale
vengono stimolate, fatte emergere ed esercitate quelle competenze di natura cognitiva che diventano
fondamentali specialmente per l'espletamento di una professione intellettuale, in quanto possono andare a
far risolvere i problemi di apprendimento legato sia all'aspetto del cosa ma anche all’aspetto del come.
E’ nell’ambito dell’apprendimento cooperativo che si situa anche l’e-learning, un nuovo modo di studiare
reso possibile dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione con le quali si progetta, si
distribuisce, si amministra, si diffonde la formazione realizzando percorsi personalizzati. Questo è un
modello ormai utilizzato e conosciuto dalla maggior parte di chi si occupa di formazione o comunque da chi
si forma: infatti nell'ambito dell'elearning lo studio viene favorito non solo dall'utilizzo della tecnologia, ma
prevede anche la presenza di un tutor che sia facilitatore in questa nuova modalità di didattica
collaborativa, all'interno della quale interagisce un gruppo guidato da un tutor.
E’ privilegiata oggi la visione integrata tra fattori interni, rappresentazioni, processi mentali coinvolti
nell’attività cognitiva e i fattori esterni, in cui vi sono diverse variabili (di tipo sociale e culturale) che
vengono ad influire sul processo del pensiero.
I metodi riflessivi
La riflessione è un qualcosa di cognitivo, un processo mentale, che permette di meditare profondamente su
quello che si sta facendo (sia prima di agire che mentre si agisce), affinando anche la tecnica di
apprendimento. Difatti applicando la riflessione nello studio, si possono far propri i concetti letti e
l’apprendimento viene migliorato, a discapito dello studio a memoria.
Dewey fu uno dei primi che studiò e analizzò il termine di riflessione, osservando che la riflessione
scaturisce da una difficoltà o da un conflitto che incontra la persona che sta apprendendo. Anche se Dewey
aveva già riconosciuto il fatto che la riflessione nasce da dubbi, difficoltà e sorprese, tutti concetti collegati
nella sua teoria alle emozioni, la riflessione continuava ad essere un atto per lo più cognitivo. Quindi se una
persona non riesce a giustificare ciò che pensa, deve necessariamente procedere ad un'analisi del motivo e
del significato di quello che sta pensando. Quindi sulla base di questo, secondo Dewey, la riflessione si
riferisce alla valutazione delle giustificazioni a supporto dei propri sistemi di credenze e quindi al processo
di analisi razionale degli assunti che giustificano le proprie convinzioni. Questa definizione mette in luce che
la maggior parte degli apprendimenti rappresentano il risultato degli sforzi compiuti, nel tentativo di
risolvere i problemi che si è tenuti ad affrontare (sia che si tratti ad esempio di un neonato che ha le
esigenze di soddisfare il bisogno di essere nutrito, sia di un adulto impegnato a capire il significato della
vita).
Questo perché l'apprendimento è una un'attività che è un continuum, che fa parte della vita: ad esempio in
riferimento al neonato, questo nell’immediato apprende che se si attacca al seno della madre e utilizza il
meccanismo della suzione, soddisfa il bisogno dell’alimentazione; se piange qualcuno arriva a confortarlo;
impara ad utilizzare il pianto anche nei momenti in cui ha delle particolari esigenze, anche di tipo
fisiologico, in presenza di dolore eccetera.
Questa sorta di apprendimento naturale è un continuo che impegna l’individuo per tutta l’esistenza; però
se andiamo a dover risolvere le situazioni che si vengono a creare, e che vengono percepite come dei
problemi, sicuramente l'utilizzo della riflessione contribuisce alla loro risoluzione. Per cui, andando a
riflettere sul problema, noi non facciamo altro che apprendere.
Anche altri autori hanno diciamo sviluppato e approfondito quello che è il concetto di riflessione, come ad
esempio Merzirow che introduce una prima differenza tra la riflessione sui contenuti e sui processi, e
fornisce le premesse del processo di problem solving. Egli infatti sviluppa il concetto di pratica riflessiva e
considera la riflessione critica come una forma profonda di pratica riflessiva, in quanto mette in discussione
ciò che noi pensiamo con ciò che invece è il risultato di quanto noi, aprendo gli occhi, vediamo nel
concreto; quindi riusciamo a questo punto anche a fare una trasformazione che ci porta a vedere secondo
un'altra prospettiva.
Una persona che cerca di capire più in profondità le conoscenze che utilizza, significa che si
interroga sempre se quello che sta facendo sia corretto. Quello che sta facendo deriva dalle
conoscenze; pertanto il processo che oggi l'infermiere utilizza per comprendere se le conoscenze
che utilizza sono valide è l’EBN/EBP, ovvero le migliori prove di efficacia.
Guarda e risponde alle pratiche di tutti i giorni con le lenti riflessive, significa essere sempre critici
su quello che si fa e dunque bisogna porsi delle domande, quali: se sto facendo bene; c'è un altro
modo migliore per eseguire questa prestazione.
E’ consapevole della peculiarità degli incontri interpersonali, significa che la relazione
interpersonale migliora e porta ad una crescita perché ti permette di vedere anche come l'altro
vede quella determinata prospettiva che invece tu vedi in un determinato modo
E’ capace di sfruttare la propria esperienza in quello che fa, significa che sulla base dell’esperienza
riesce ad adattare il suo intervento a quelle che sono le circostanze nuove prendendo spunto
sempre la le migliori prove di efficacia.
E’ capace di analizzare criticamente la pratica, significa che cerca di capire se ci sono delle nuove
linee guida che si possono adattare a quella determinata situazione
Incoraggia la discussione e le decisioni di gruppo, significa che interagisce con l’equipe dunque
parliamo di apprendistato tra pari.
Non ha paura di dire “non lo so”, talvolta si ha paura di dire non so perché si ha paura del giudizio
degli altri e questo un infermiere non se lo può permettere.
E’ consapevole dei propri valori e ha bisogno di tenerli ben presenti, in quanto i vari professionisti a
livello professionale devono rispondere a quelli che sono i cardini dell'etica e della deontologia
professionale, rispettandone valori e anche i vincoli.
E’ favorevole alla discussione delle esperienze e valorizza la possibilità di agire, significa che dà
l'opportunità a tutti di fornire il proprio contributo, senza primeggiare nonostante l'esperienza.
La riflessione dunque porta il tutor/facilitatore e la persona che apprende fin dentro al mondo delle
emozioni, nel quale hanno la stessa importanza l’empatia, il rispetto delle altre persone e delle idee altrui,
la fiducia nelle proprie abilità, il riconoscimento dei propri difetti e la voglia di affrontarli. La riflessione
incoraggia ad esporre i propri valori, li rende trasparenti ridefinendoli, ristrutturandoli e agendoli, aiuta a
proporre nuova conoscenza, fa progredire l’apprendimento.
Utilizzando l'apprendimento riflessivo come strategia di didattica tutoriale, il tutor, cercando di proporre la
nuova conoscenza allo studente che possa essere spesa nell'attività quotidiana, affronta tre aree principali:
L’esperienza
L’importanza della persona
La gestione dell’inatteso
Queste sono delle aree importanti da analizzare, per ottenere praticamente il risultato che il tutor spesso si
prefigge, come quello di portare lo studente a riflettere sulla propria attività, a ricercare conoscenza e
insegnargli quella curiosità che è fondamentale a livello professionale perché nel mondo del lavoro in un
contesto professionale andare a fossilizzarsi secondo delle conoscenze pregresse e statiche, sicuramente
non consente l'apertura mentale alla risoluzione di problemi nuovi, ma neanche l'apertura all'altro.
Esempio L’RCA (root cause analysis) è l’analisi delle cause profonde, in cui a seguito di un particolare
evento (es. un evento sentinella in ospedale) l’equipe si riunisce, si inizia a descrivere l’evento e poi si va a
ritroso verso un’analisi retrospettiva degli eventi per cercare di trovare poi delle soluzioni e interventi
migliori.
Questo per dire che l'apprendimento riflessivo non è qualcosa di astratto, ma è qualcosa che ognuno di noi
a livello professionale va ad applicare quotidianamente anche utilizzando le aree che il tutor deve
sviluppare nella formazione del professionista.
Nella pratica riflessiva, il ciclo di Kolb è uno dei modelli di analisi dell’esperienza. E’ un modello processuale,
ciclico, che si evolve secondo quattro fasi:
L’esperienza concreta, ovvero la sensazione (feeling)
L'osservazione riflessiva (watching)
La formazione di concetti astratti e generalizzazione, ovvero il pensiero (thinking)
La sperimentazione attiva, ovvero l'azione (doing).
Questo modello insegna al tutor/facilitatore alcuni altri principi basilari che servono all'utilizzo di una
metodica riflessiva per lo studente, tra cui quindi:
L'apprendimento è una pratica sia attiva che interattiva perché prevede sia il coinvolgimento della
persona che apprende, e quindi la responsabilità dello studente è volta all'acquisizione degli
elementi necessari al proprio sviluppo, ma anche alle interazioni con chi gli fornisce supporto e
guida all'apprendimento.
La persona che apprende, dunque lo studente, mette in atto una propria personale base di
esperienza (bagaglio personale) fatta di tanti elementi che possono comportare sia un vissuto di
successi che un vissuto di insuccessi però comunque ogni esperienza viene utilizzata e tirata fuori al
momento giusto. L'esperienza dell'insuccesso può aiutare a mettere in atto tutti quei
comportamenti per andare ad approfondire quel determinato aspetto che non ha fatto sì che
l'esperienza si trasformasse in sapere.
Ogni persona è unica e proprio per questo apprende secondo stili diversi: alcuni apprendono
attraverso la sensazione, altri attraverso l'azione, altri apprendono attraverso il pensiero o agendo.
Quindi quando si utilizza la pratica riflessiva, questa aiuta sia lo studente che il tutor a:
- comprendere meglio quelle che sono le nostre conoscenze (perché andiamo ad analizzare quanto noi
conosciamo),
- identificare ciò che si deve ancora acquisire per migliorare la propria performance,
- riuscire a tradurre in un significato la nuova informazione acquisita e quindi la nascita di un feedback, cioè
la risposta che lo studente dà alla nuova informazione che acquisisce in termini di comprensione e per il
tutor che riesce ad assumere degli ulteriori comportamenti per la guida verso obiettivi sempre maggiori.
Chi è il tutor pedagogico e che differenza c'è tra il tutor clinico e il tutor pedagogico?
Se andiamo indietro, su quella che è stata l'evoluzione delle professioni sanitarie, si è visto che ognuna di
queste professioni necessitava anche una forte azione tutoriale che, ispirandosi ai princìpi
dell'apprendimento dell'adulto, potesse sostenere tutti gli studenti nel loro percorso di apprendimento, al
fine che lo studente potesse superare eventuali difficoltà, responsabilizzarsi sulle azioni da intraprendere,
rendersi consapevole di tutte le competenze che via via andava acquisendo, ma anche sulle competenze
che possono essere acquisite. Quindi la funzione di tutor nell'ambito dei corsi di Laurea delle professioni
sanitarie può essere svolta da molteplici figure, le quali costituiscono appunto il sistema tutoriale proprio di
ogni corso di studio.
Oggi, ad esempio, nell'organizzazione del corso di laurea in infermieristica, il sistema tutoriale è composto
da tre figure:
Infermiere guida di tirocinio, che sarebbe il tutor clinico. Svolge un ruolo importante per
l’apprendimento delle pratiche cliniche, a partire dalla conoscenza verso poi l'applicazione della
conoscenza stessa;
Tutor dedicato alla didattica professionale, che sarebbe il tutor pedagogico (o direttore delle
attività didattiche o tutor di sede, etc). E’ la persona maggiormente abilitata e impegnata ad andare
ad interfacciarsi con i suoi interlocutori (studenti; tutor clinici ai fini di incontri organizzativi,
pianificazione delle attività, dei portfolio, degli obiettivi eccetera, o ai fini valutativi degli studenti e
al momento dell'esame; altre persone-informazione come ad esempio con gli studenti
dell’alternanza scuola-lavoro che vanno a provare sul campo un nuovo sistema di apprendimento;
oppure si può anche interfacciare con l'infermiere guida di tirocinio);
Tutor dedicati alla guida di tirocinio, ossia infermieri che affiancano lo studente durante il tirocinio.
Pertanto, mentre il tutor clinico e quelli dedicati alla guida del tirocinio, che solitamente sono figure
incardinate negli organici del personale delle sedi di tirocinio, svolgono una funzione “standard” per le
attività; il tutor pedagogico svolge diverse attività che abbracciano una serie di criticità, dovute proprio
all’interazione con diverse figure.
Per cui diviene fondamentale che, attribuendo una particolare valenza a quella che è la didattica riflessiva,
il tutor pedagogico possa esprimersi attraverso la conoscenza e la prerogativa di saper stabilire relazioni
interpersonali positive (fatte di rispetto, ascolto, etc) e di saper rispettare le voci della persona (la voce del
tutor clinico o dello studente o dell'infermiere o da altra persona-informazione).
Cosa significa rispettare le voci della persona?
Rispettare le voci della persona significa non prevaricare, non sottovalutare, accettare e saper analizzare
anche ciò che l’altro dice, quindi chiedersi “perché” durante la propria attività. Questi “perché” servono
anche a crescere sia da solo che assieme al gruppo. Esso inoltre deve andare a mediare, a rispondere, a
gestire tutte quelle che possono essere le dinamiche di gruppo fatte fra persone, in quanto sicuramente
ogni persona è unica e irripetibile per cui ha una mente, una cultura, una propria tradizione, propri valori
che a volte magari possono cozzare con quelli di un'altra persona, ma che nell'ambito del gruppo vanno
armonizzati in maniera tale da non perdere di vista l'obiettivo che il gruppo stesso si prefigge.
Quindi diciamo che la responsabilità del tutor pedagogico sta nel condurre diverse attività che possono
essere:
Attività didattica, in qualità di formatore sia nei confronti di studenti che di infermieri guida che di
tutor clinici;
Conduttore di laboratorio;
Conduttore delle attività di tipo proprio educativo-metodologico.
In quanto supervisore di tutti i processi di apprendimento degli studenti e dei processi di insegnamento
clinico dei tutor clinici diventa un analizzatore dei casi, un promotore delle discussioni di attività di studio
guidato, un promotore di questi di ricerca, e utilizza delle strategie particolari quali il briefing e il
debriefing, al fine di gestire situazioni che possono essere problematiche per studenti. Esso dovrebbe
anche andare a supervisionare tutte le attività legate al senso vero e proprio dell'azione educativa che
viene svolta (quando non sembrano collegate le attività scritte con ciò che viene fatto o ciò che viene fatto
con ciò che viene detto). Va inoltre ad interagire con altre figure professionali, quali tutor clinici, tutor guida
o del tirocinio, al fine di favorire non solo accrescimento e la formazione dello studente ma anche le attività
di riflessione, migliorando anche la pratica professionale del fare.
Inoltre altra attività, non meno importante della precedente, è quella di tipo organizzativo nella
programmazione e nel coordinamento di tutte le attività didattiche dei corsi di laurea e delle attività di
tirocinio.
Pertanto il tutor pedagogico (o tutor didattico o tutor DAD - Direttore delle attività didattiche) di tirocinio
riveste un ruolo di cerniera tra tutte le attività didattiche e di tirocinio dei diversi corsi di laurea.
Questa figura è prevista nei protocolli d'Intesa, prevista dal legislatore, e ad oggi è stata un po’ sottostimata
in alcune università; infatti il direttore delle attività didattiche dovrebbe, secondo gli ordinamenti e la
legislazione prevista, espletare soltanto questo tipo di attività, mentre nella maggior parte dei casi ci si
trova a svolgere questa attività al di fuori dell'orario di servizio con tutte le varie problematiche che poi
vanno a nascere. Anche dal punto di vista formativo, la formazione continua di questa figura non è normata
quindi tutto quello che è il tutor pedagogico/didattico è frutto di un autoapprendimento.
Oggi, ad eccezione della Consensus Conference1 dei coordinatori dei corsi di Laurea delle professioni
sanitarie, non vi è nessun altro appiglio, non sono previsti dei corsi di aggiornamento e non vi è neanche
l'obbligatorietà di possedere determinati titoli, tranne che la laurea di secondo livello magistrale; mentre in
realtà un tutor, a qualsiasi livello, dovrebbe avere la necessità di una formazione specifica che gli conferisca
a 360° delle competenze di base, affinate poi con l'esperienza, con la formazione continua, etc.
Senza una base solida, l'esercizio di questa funzione tutoriale può anche essere bloccata e si può anche
andare a non avere una uniformità di quello che è il percorso formativo degli studenti, rispetto a quella del
territorio nazionale. Esempio: quando si costruiscono i percorsi per il laureato triennale o magistrale è opportuno
svolgere delle ricerche su tutto il territorio nazionale, ma non esiste una base formativa che indirizzi verso quelli che
sono gli elementi cardine da inserire; da sé i tutor hanno cercato di rispondere a quelli che sono gli obiettivi formativi
andando ad inserire man mano i contesti e i programmi.
L'importanza della persona richiama alcuni principi di etica situazionale da applicare al ciclo della
riflessione, infatti i partecipanti alla pratica riflessiva devono dare il consenso a tale attività e conoscerne gli
obiettivi. Le informazioni devono essere trattate in modo confidenziale e nel rispetto della riservatezza, in
quanto la pratica riflessiva, a seconda della modalità con cui viene espletata (la narrativa, le storie, il
briefing, il debriefing), può portare il soggetto ad ipotizzare una storia ma può portare anche a parlare della
propria storia personale.
1
Con Consensus Conference (Conferenza del consenso) si intendono generalmente una serie di riunioni, promosse al
fine di raccogliere opinioni e deliberazioni su argomenti nuovi o controversi in ambito scientifico, tecnologico ed etico.
Questo tipo di apprendimento è importante in quanto favorisce lo sviluppo di conoscenze e competenze
quando si ha in mente un obiettivo e si incontrano delle difficoltà a raggiungerlo. Infatti l'apprendimento a
ciclo singolo può aiutarci a capire in che modo agire per superare gli ostacoli.
Questo tipo di apprendimento consente di andare a modificare l'azione, dopo un’analisi critica, per
correggere quello che è il risultato atteso, che non corrisponde con quello desiderato.
Rispetto al ciclo singolo, nel ciclo singolo il tutor si chiede soltanto “posso agire in modo diverso”, in questo
caso invece anche “posso pensare in modo diverso?”, quindi si torna indietro e si va a rimettere in
discussione tutto quello che si pensava fosse giusto andando ad analizzare non soltanto le azioni ma anche
il pensiero.
Breve POST sull’Ospedale Magnete che faremo al 2 anno. Molti ospedali del Canada e di altri Stati sono accreditati
solo se hanno i requisiti dell’Ospedale Magnete. L’ospedale Magnete è un modello organizzativo che prevede una
partecipazione del personale delle professioni sanitarie alle decisioni strategiche e che prevede una valorizzazione del
ruolo professionale al fine di creare un’attrattività e ridurre gli abbandoni. Alla fine noi tanti abbandoni non li abbiamo
perché c’è poco lavoro in Italia per cui chi ha il posto di lavoro se lo tiene, però l’abbandono lo viviamo dentro
l’ospedale perché ci sono molte domande di trasferimento da una determinata unità operativa verso quella dove
magari il Direttori e i Coordinatori sono un po' più flessibili oppure si tenta di andare in un altro ospedale. La necessità
degli Ospedali Magnete prima o poi la capiranno anche qua perché si tratta di attrarre personale e di valorizzarlo: il
personale che si sente valorizzato e che si sente parte integrante dell’organizzazione, aumenta anche il livello
qualitativo delle prestazioni. Nel momento in cui si va al lavoro e c’è un clima organizzativo ostile, dove c’è un regime
quasi dittatoriale, gerarchicamente forte e mai la possibilità di esprimersi, sicuramente incide in maniera negativa non
soltanto nella globalità di persona ma anche a livello di rendimento, perché piuttosto che fare la prestazione eccellente
si faranno le prestazioni sufficienti per cui non c’è possibilità di crescita.
La gestione dell'inatteso/dell’imprevisto
Essere preparati all’imprevisto e saperlo affrontare al meglio è un apprendimento essenziale nella pratica
sanitaria dove la situazione di emergenza può capitare in qualunque momento della giornata, fino a
modificarne completamente la pianificazione. Nella pratica riflessiva l’imprevisto ha un ruolo essenziale:
porta ad essere attenti, cambia la pianificazione effettuata, il percorso scelto modifica i propri pensieri,
costringe a (ri)considerare le azioni previste e aiuta a (re)indirizzare i passi da compiere, le azioni da
intraprendere.
Molto spesso infatti, specialmente in ambito sanitario, ci si trova a dover gestire un evento imprevisto, non
atteso, un'emergenza, che cambia e stravolge completamente la normale pianificazione che era stata fatta.
Torbert ha osservato che “il risultato principale della nostra azione potrebbe non essere quello immaginato
esplicitamente nella nostra strategia iniziale, ma piuttosto la correzione che dovremmo fare delle nostre
tattiche”.
Il contesto relazionale
Ci si riferisce al contesto di apprendimento. Ogni azione è contemporaneamente un intreccio tra persone,
approcci e paradigmi in un ambiente culturale e sociale. “Un sistema di attività è sempre eterogeneo e
multifocale. Soggetti differenti, in seguito alle loro differenti storie e posizioni nella divisione del lavoro,
costruiscono l’oggetto e le altre componenti dell’attività in modi diversi, in parziale sovrapposizione, ma
anche in modo parzialmente conflittuale. All’interno di un sistema di attività vi è una costruzione e una
negoziazione continua”.
L’aspetto più rilevante dell’elemento relazionale per quanto riguarda l’insegnamento è che in questo
sistema di attività, lo studente è anche l’oggetto dell’attività degli insegnanti. Pertanto solo un complesso
processo di riflessione permette di vedere l’interazione tra i soggetti all’interno della pratica formativa e
professionale.
Dunque le azioni sono inserite in un contesto relazionale, ma sono anche il risultato di strategie multiple di
persone diverse che, da una parte, cooperano e, dall’altra, confliggono le une con le altre. Non solo la
nostra pratica è negoziata con altri, ma è anche co-configurata da un molteplice sforzo in cui sono
impegnate molte persone. Riflettere quindi significa vedere quanto anche la più semplice cooperazione sia
il risultato di una complessa co-configurazione, cioè di una messa in forma di azioni significative e
operazioni multiple.
La narrativa
Nelle attività di riflessione di gruppo finalizzate all'apprendimento o alla valutazione dell'apprendimento fra
docenti, si possono utilizzare dunque diversi strumenti, fra i quali anche la narrativa.
La narrativa non è altro che la rappresentazione di un evento, il quale può essere un evento personale (nel
caso in cui parliamo di narrativa del paziente che potrebbe essere l’anamnesi infermieristica/ostetrica/
medica), degli studenti, dei tutor, etc. Essa si riferisce alla descrizione e interpretazione di ciò che avviene in
un’attività. Ogni intervento riflessivo implica una rappresentazione di un evento, di un’azione mediante una
qualche forma narrativa.
La pratica professionale, sia essa di tirocinio sia di lavoro professionale, è piena di narrative istituzionali
quali le cartelle cliniche, i report di visite, gli audit clinici e organizzativi, i verbali riunioni, etc.; ma ciò che si
intende per narrative nelle pratiche riflessive è rappresentato da forme più soggettive quali i diari, le
autobiografie, i blog, le storie, le interviste e le storie dei pazienti.
Riflettere significa sia porsi interrogativi su una situazione e i motivi che l’hanno determinata, ma anche
determinare la messa in discussione dei nostri modi di pensare.
L’analisi critica
L'analisi critica è il momento in cui viene stabilito il vero significato di ciò che si sta andando a fare. Da
un'analisi critica di un problema nascono una serie di domande che altro non so che un’analisi critica su
quanto si poteva fare, su quanto è stato fatto, su come è stato fatto, etc. Questo è uno strumento che
consente di riflettere sull'esperienza, ma anche su se stessi, per andare a sospendere quella funzione di
giudice che ci viene più facile da attuare.
Tra le sue caratteristiche c’è quella di mettere a fuoco la ricerca sui valori educativi, di spostare l’attenzione
dalla sfera privata a quella pubblica e di contribuire al chiarimento intellettuale e anche di responsabilizzare
le persone. Essa prende la forma anche di una domanda, di un guardare all’indietro e in avanti, per dare un
senso alle esperienze interrogandole; ma è anche un processo capace di arrivare a produrre decisioni e
risultati, impiegando abilità cognitive come la capacità di comprendere, analizzare e valutare.
L’analisi critica dunque è un esercizio di ragionamento razionale integrato con una forte componente
emozionale ed intuitiva.
Un tutor (pedagogico, clinico e didattico) deve avere, nella relazione con se stesso e nella relazione con il
team, questa capacità.
Le narrazioni
Come detto in precedenza, le narrazioni rappresentano una parte importante della pratica riflessiva; il
valore di un’esperienza viene espresso sotto forma di narrazione e attraverso tale espressione colui che
narra attribuisce già un primo significato all’esperienza stessa. E’ possibile distinguere tra:
Le narrazioni che pur avendo una natura autobiografica non necessariamente lo sono, come le
storie, aneddoti e metafore;
Le narrazioni autobiografiche diari, incidenti critici, autobiografie;
Le narrazioni pre-strutturate diari di bordo o di tirocinio o di apprendimento, i portfoli.
La narrazione, rappresenta una nuova modalità di acquisire consapevolezza dell'altro e del suo pensiero ed
è interessante applicarla in ambito clinico, attuando ad esempio l'intervista libera anche ai pazienti che lo
consentono, magari registrandoli, in quanto con la sbobina puoi carpire il significato vero del trascorso del
paziente, le pause, la voce che trema... Sono tutti dettagli che dicono tanto.
Le storie
Ognuno di noi è un narratore di storie e passa parte della propria vita a raccontare storie. Le storie
rappresentano il contesto nel quale la conoscenza si manifesta e si realizza. Esse permettono alle persone
di convertire la conoscenza tacita, altrimenti difficile da esplicitare; inoltre questa può condurre le persone
a dire più di quello che pensano di sapere. Le storie, sono completamente diverse dalla narrazione dei
pazienti, in quanto possono essere storie di vita personale ma anche storie che vengono inventate durante
una seduta di gruppo per andare a cercare un problema ed andare poi a risolverlo.
Gli aneddoti
La differenza con le storie non è chiara. La parola aneddoto ha un connotato non molto positivo,
presupponendo l’assenza di basi concrete o verità scientifiche. Essi però possono essere considerati come
delle storie brevi, rispetto a eventi, in quanto ci dicono il “quando, dove, chi e come”, non dicendo però
nulla rispetto al “perché” di una situazione. Il valore della narrazione aneddotica sta nella capacità di
costringere l’attenzione dello studente e portarlo a chiedersi e ricerca un significato. A volte gli aneddoti
possono essere utilizzati come incidenti critici.
Le metafore
Le metafore possono essere viste come degli organi di percezione che aiutano a vedere in un cero modo
l’ambiente, ma anche se stessi. Esse possono creare delle realtà e possono essere una guida per le nostre
azioni future.
Alcune metafore, meglio di altre, sono dotate di alto grado di generatività per far comprendere qualcosa
attraverso i termini di qualcos’altro. Difatti si può affermare che una larga parte del pensiero e del
linguaggio procede per analogie e metafore, organizzando somiglianze e scarti dei simboli usati.
Scegliere una metafora con la quale lo studente ha una certa familiarità permette di elaborarla in modo più
approfondito e permette di capire meglio il modo in cui egli percepisce il proprio compito e ruolo. Al pari
delle storie, le metafore dicono molte della cultura alla quale lo studente appartiene.
Non sempre però il concetto di metafora risulta essere familiare e, molto spesso, le persone non sono
abituate a pensare attraverso le immagini; per coloro che sono abituati a pensare in forma verbale sarà
difficile trovare un’immagine che sia in grado di rappresentare la loro pratica. Il tutor riflessivo/facilitatore
può ovviare a ciò fornendo loro diverse immagini tra cui poter scegliere.
Le autobiografie
Scrivere o raccontare una storia di vita ha in sé enormi potenzialità riflessive. Le storie di vita sono fonti di
informazioni importanti che possono portare gli studenti a una miglior comprensione dei propri punti di
vista e di quelli degli altri, a partire dal modo in cui questi si sono sviluppati nel tempo.
Un modo per ottenere storie autobiografiche è quello di far raccontare ai partecipanti le proprie esperienze
passate o farle raccontare ai professionisti senior. Nel fare questo le persone si soffermano sugli incidenti
critici che possono riguardare eventi, persone che hanno influenzato il loro modo di essere e di pensare.
L’uso delle autobiografie dunque serve a comprendere i propri valori e quelli degli altri.
I diari
Il diario è uno strumento che si basa su fatti e avvenimenti accaduti nel gruppo o sul lavoro. Esso non è
altro che un racconto personale su un argomento di interesse che si articola secondo alcune regole di
redazione. All’interno possono essere scritte diverse cose, anche diverse tra loro, come osservazioni, idee,
reazioni, sensazioni, riflessioni, spiegazioni, etc. In generale, è uno strumento vantaggioso per ricostruire
quanto è accaduto in tempo reale e in una data situazione.
Il diario può avere una struttura dialogica, quindi destinata all'utilizzo della tutor e dello studente; oppure
essere strettamente individuale, soltanto dello studente. A differenza dei diari di bordo o di tirocinio, questi
non sono pre-strutturati e non ci sono domande guida. Lo studente ha maggiore libertà e per questo
risultano molto personali. Questo però solleva la questione della privatezza delle informazioni e quindi
della necessità che gli studenti siano disponibili a metterli a disposizione nella condivisione della pratica
riflessiva.
I portfoli
I portfoli non sono altro che dei contenitori di tutta quella che è la storia, il percorso formativo dello
studente, del docente, del tutor. Il termine portfolio deriva da portafoglio, ovvero porta documenti, che
non esprime il curriculum di una persona dal punto di vista professionale, ma esprime tutto ciò che la
persona ha prodotto in termini di attività, obiettivi raggiunti. E’ un insieme di documenti che attesta il
lavoro svolto da uno studente, il feedback ricevuto, le valutazioni (formative e/o certificative), le proprie
riflessioni, i progressi compiuti e i piani di sviluppo. Pertanto, nella sua costruzione, richiede una riflessione
continua. Esso è dunque uno strumento sia di formazione che di valutazione.
Ad esempio per uno studente di laurea magistrale SIO, si può stilare un portfolio di tirocinio, il quale
conterrà tutte le attività svolte dal punto di vista della didattica, del tutorato, manageriale, della ricerca,
non soltanto sotto forma di elenco ma anche in senso concreto, con le copie e tutto il resto, i giudizi di
tirocinio ed i contratti di tirocinio con i tutor ai quali verremo assegnati etc.
Supervisione e intervisione
Nei gruppi di supervisione e di intervisione, la funzione dell’amico critico è svolta dal gruppo e non da una
sola persona. Nelle sessioni di supervisione il facilitatore è una persona che possiede maggiori esperienze
nel campo specifico oggetto della riflessione (tutor esperto). Ciò gli permette di guidare i componenti del
gruppo nell’uso di modelli necessari per l’interpretazione della loro esperienza.
Nelle intervisioni i partecipanti si aiutano l’uno l’altro come pari, ognuno ricopre il ruolo di facilitatore, una
volta che ha fatto esperienza nell’ambito specifico e può scegliere i modelli interpretativi necessari da
condividere all’interno del gruppo.
I video e le audioregistrazioni
Questi come strumenti di osservazione sono molto versatili perché registrano tutto quello che intercettano.
In più permettono di disaggregare tutti quegli elementi che a posteriori si desidera mettere in evidenza.
Permettono non solo di indagare su elementi verbali, ma anche non verbali.
Feedback
Con feedback si intende il processo tramite il quale si rimandano a uno studente/persona in formazione
delle osservazioni, impressioni, sensazioni o altre informazioni valutative sul suo comportamento. Per
questi studenti/persone in formazione è essenziale ricevere un feedback del proprio percorso al fine di
favorirne la progressione e la consapevolezza; se manca, non hanno modo di valutare appieno il loro
lavoro. Il tutor/docente corregge la prestazione dello studente in ambito clinico e stimola il suo
cambiamento. La riflessione viene effettuata in gruppo e si valuta il raggiungimento degli obiettivi.
Il feedback può essere fatto in maniera strutturata, ovvero un intervento di natura esterna, basato su fatti
(risultati di una performance, svolgimento di uno specifico compito, comportamenti in reparto, etc.) e che
va a dare una risposta a quello che è stato il risultato dello specifico compito, in maniera interattiva, al fine
di andare a fornire informazioni e incrementare la motivazione.
Non è una valutazione, ma può essere inteso come un assessment, ossia un momento di raccolta dati, per
l'apprendimento.
Al fine di strutturare un feedback si potrebbero utilizzare delle checklist relative alle abilità tecniche, o
anche delle checklist strutturate relative alle implicazioni emotive e mentali del compito stesso.
Pertanto, il feedback dovrebbe:
Intendere il tutor e lo studente come due alleati che lavorano per un obiettivo comune;
Essere pianificato, al fine di essere un qualcosa che stimoli lo studente a fare meglio
Essere comunicato con un linguaggio descrittivo e non valutativo
Riferirsi a specifiche performance e non deve essere generalizzato
Così come il debriefing, anche questo potrebbe essere il momento finale per andare a verificare la risposta
di uno studente ad una determinata attività, andando a concretizzare il risultato ottenuto in termini di
obiettivi.
Debriefing
Il debriefing, preceduto dal briefing, è un momento di riflessione. Il brifieng ad esempio prepara gli studenti
alla pratica clinica attraverso indicazioni che precedono esercitazioni, attraverso un pre colloquio che
precede la pratica clinica, attraverso la focalizzazione su un determinato paziente che sarà il caso clinico
assegnato per esercitarsi nel piano di assistenza.
Debrifieng è quello che viene dopo, ovvero la riflessione sulla pratica, consiste dunque nel riportare tutti gli
eventi che sono avvenuti durante un'esercitazione pratica, durante l'espletamento di un compito clinico, e
riflettere su quanto accaduto. La buona riuscita di un debrifieng dopo una nuova esercitazione nella pratica
clinica porta il tutor ad assegnare allo studente un’ulteriore attività clinica più impegnativa o di livello
superiore poiché lo studente è stato in grado di affrontare la situazione mettendo in primo piano idee,
sentimenti, esperienze passate e ragionamento logico.
La fase di reazione
Il conduttore del debriefing invita i partecipanti, mantenendo un atteggiamento positivo, ad esprimere
quelle che sono le loro emozioni iniziali.
Esempio: l'obiettivo dello studente era la gestione della raccolta dell'anamnesi infermieristica su un certo paziente che
gli viene affidato al fine di andare poi a identificare la diagnosi infermieristica ed andare a redigere un piano di
esistenza.
Nell'immediato si va ad invitare lo studente ad esprimere il suo pensiero iniziale e quanto è accaduto, al
fine di fargli esprimere le emozioni e fare una riflessione su quello che è stato fatto.
Questa fase, per chi conduce il debriefing (quindi per il tutor clinico o il tutor pedagogico o didattico), serve
ad acquisire informazioni e facilitare la discussione di tutti i partecipanti in maniera tale che abbiano una
sorta di liberazione di quelle che sono le emozioni iniziali, cioè il l'impatto con il paziente e l'impatto con
quanto emerso a livello emozionale. Il tutto viene fatto cercando di stimolare gli studenti a parlare,
sentendosi in un ambiente positivo, in maniera tale da poter facilitare anche le successive fasi del
debriefing.
Tutti i commenti degli studenti, fatti in questa fase, aiutano a comprendere quelli che sono gli argomenti
che per loro sono risultati essere più importanti e quindi sono tutti gli argomenti che poi il facilitatore
dell'incontro deve andare ad approfondire. Il tutor deve dunque porsi in una posizione favorevole al fine di
incoraggiare tutte le reazioni, e praticare quello che è un ascolto attivo. A volte magari si può notare che da
parte dei partecipanti c'è un po' di confusione e magari si avrà accavallamento di 2 persone che esprimono
contemporaneamente la loro emozione; quindi in questo caso bisogna dare spazio a brevi discussioni dei
fatti, al fine di avere la possibilità dopo di approfondire. Non bisogna mai andare, in questa fase, a fare il
sorrisetto che magari può far pensare al partecipante che la sua risposta sia stata ridicola, e nello stesso
tempo non andare mai a dimostrare un'emozione negativa, quindi stare sulla difensiva, nel momento in cui
magari i partecipanti esprimono delle sensazioni che sono anche negative.
La fase di analisi
Nella fase dell'analisi vengono ad essere analizzate tutte le varie emozioni e le varie storie esposte dagli
studenti, al fine di dare un significato a tutti gli eventi che sono accaduti e che riesce a far raggiungere
l'obiettivo allo studente. Bisogna in un certo senso andare a rilevare, con il metodo riflessivo, quelli che
sono i pensieri e le azioni che hanno guidato i partecipanti alla raccolta; quindi andare a stimolare tutti i
partecipanti a ripensare o a rafforzare quelli che sono i processi mentali che loro hanno vissuto durante
l'esperienza. Tutto questo al fine di poter assicurare poi, in una situazione analoga nel futuro, una
performance migliore della precedente.
Affinché tutto ciò possa avere luogo, bisogna porre delle domande agli studenti, al fine da portarli a
discutere e riflettere su quanto è accaduto durante la simulazione e su quelli che erano i loro pensieri di
quei momenti. Quindi andare ad ascoltare i partecipanti, andare a dare dei contributi anche in termini di
esperienza, ma anche di approfondimento. Un’azione che il facilitatore non deve fare, o meglio non deve
fare subito, è quella di dare delle soluzioni a dei problemi riscontrati dagli studenti, in quanto questo può
bloccare, da parte del gruppo, la ricerca e l'analisi della situazione. Quindi il tutor non dà spazio e non fa
analizzare il loro modus operandi, facendogli un elenco delle cose che hanno sbagliato e delle cose che
dovrebbero fare meglio la prossima volta, sicuramente va a sminuire tutto quello che è il ruolo del
partecipante all'interno del debriefing e andiamo a sminuire anche l'essenza e l'obiettivo del debriefing
stesso. E’ importante dunque la discussione e la riflessione su quanto espletato, in maniera tale che sia lo
studente stesso ad arrivare alla conclusione magari indirizzato dal facilitatore nell’identificare quelli che
possono essere stati i comportamenti sbagliati e quelli attesi per una volta successiva.
La fase di sintesi
La fase di sintesi è una fase dove si dichiara che il debriefing si sta concludendo e in cui si riassumono tutti i
punti salienti di quanto c'è ancora da lavorare o di quanto si è fatto, in maniera tale che gli studenti
possano immagazzinare questi nuovi principi per le esperienze successive.
Ad esempio in questa analisi si potrebbero porre delle domande ai partecipanti del tipo “Secondo te cosa è
andato bene? Come poteva andare meglio? Alla luce di quanto abbiamo detto, cosa faresti per migliorare la
tua performance la prossima volta? Cosa faresti la prossima volta? Qual è il bagaglio che, oltre l'esperienza
pratica, oggi porterai a casa dopo questo percorso?”. Bisogna sempre andare a stimolare lo studente
affinché possa riassumere tutti i punti principali dell'esperienza, aiutandoli se il caso ad aggiungerne altri
che magari loro non hanno colto, al fine di completare tutto il quadro.
E’ bene ricordare che il momento del debriefing non è una lezione, per cui il tutor deve essere soltanto un
facilitatore per la lettura in maniera chiara e analitica dell'esperienza che è stata vissuta dallo studente e
della valenza che ha questa esperienza, dal punto di vista formativo e dell'apprendimento.
Il debriefing è un'esperienza quindi che fa parte del ciclo di apprendimento, per cui dovrebbe essere
ripetuta e non dovrebbe essere svolto in maniera casuale e saltuaria. Esso dovrebbe essere utilizzato
soprattutto in quei percorsi che prevedono un alto impatto emotivo associato alla complessità di interventi
da dover eseguire.
In sintesi:
Prima dell'esperienza Briefing Riflessione prima dell’esperienza (finalizzata all'azione), individua le
conoscenze/skills per affrontare l’esperienza e fornisce informazioni, regole, obiettivi e risorse.
Dopo l'esperienza Debriefing Riflessione dopo l’esperienza, finalizzata ad analizzare fatti, pensieri,
emozioni e significati emersi, anche a partire dagli obiettivi che ci si era preposti.
Laboratorio riflessivo
Il laboratorio riflessivo è una sorta di “pensatoio socratico” dove in gruppo si pensa l’esperienza e si
pensano i pensieri su di essa. Il pensiero è impegnato ad esaminare dunque non solo l’esperienza, ma
anche le assunzioni tacite che condizionano i processi cognitivi e le pratiche professionali. Pertanto,
all’interno di questi laboratori, gli incontri possono essere strutturati in maniera diversa al fine di andare ad
apprendere con l'esperienza. Quindi l'abilità del tutor è quella di andare a curare l'ambiente, in modo da
non ostacolare il momento della riflessione.
I laboratori riflessivi servono proprio ad andare a riesaminare tutte le esperienze finalizzate appunto
all'apprendimento, in quanto si va a riflettere su quanto agito ma anche sulle motivazioni e su come agire
per il futuro, in maniera più strutturata e in maniera più concreta.
(Il documento completo ve lo allego poi con le sbobbine se volete leggerlo, ma qui ho riportato in corsivo le
parti lette e di seguito il commento della prof)
Introduzione
Dal 2009 si è costituito nella Conferenza permanente un gruppo di lavoro formato da Coordinatori di tutti i
Corsi di Laurea e provenienti da 25 Università che ha elaborato un Documento con indirizzi per la
progettazione e il coordinamento del tirocinio professionale nei Corsi di Laurea delle Professioni Sanitarie ,
già pubblicato sulla Rivista di Medicina e Chirurgia ed ha proseguito con un approfondimento delle
tematiche sulla valutazione delle competenze acquisite dagli studenti attraverso il tirocinio che sono
descritte in questo documento.
Il metodo di lavoro utilizzato è stato quello della Consensus Conference che nelle varie fasi di elaborazione
non solo ha coinvolto i partecipanti al gruppo di lavoro presenti nelle giornate di incontro dedicate, ma si è
anche avvalsa della consultazione di molte altri Corsi di Laurea attraverso l’invio del documento con la
richiesta di esprimere per ogni punto il grado di accordo/disaccordo.
Infatti ad ogni fase dell'elaborazione dei documenti esitati dal Consiglio permanente dei corsi di Laurea
delle professioni sanitarie, tutta la documentazione che viene redatta viene condivisa anche a livello
periferico: tutta questa documentazione arriva ad ogni singolo corso di laurea, sia al coordinatore del corso
che al direttore didattico delle attività professionali
Abbiamo sottolineato quanto sia importante la valutazione, non solo delle performance pratiche ma anche
teoriche dello studente, al fine proprio della loro adesione ai descrittori di Dublino.
Attraverso il processo di valutazione si conferma che sono state sviluppate le competenze definite dal Corso
di laurea secondo i descrittori di Dublino e il profilo professionale, e che lo studente può progredire verso
altri risultati di apprendimento. Esso identifica inoltre ulteriori bisogni di apprendimento che richiedono
supporto formativo da parte dei tutor, oppure più tirocinio da parte dello studente.
La valutazione è, quindi, un processo attraverso il quale viene elaborato un giudizio sulla performance degli
studenti che apprendono nei contesti di pratica professionale performance relative a specifiche
competenze che il neolaureato deve raggiungere. Tale valutazione deve privilegiare l’osservazione degli
studenti nei contesti reali; invece viene fatta in laboratorio ha soprattutto un valore di accertamento
propedeutico alla frequenza nelle sedi di tirocinio. Inoltre l’osservazione di specifiche performance simulate
può essere utile come parte dell’esame annuale di tirocinio, che va ad integrare le valutazioni dei tirocini
effettuati dallo studente sul campo.
Questo significa valutazione globale: una valutazione parziale che è quella attribuita allo studente da parte
del tutor clinico e del tutor guida di tirocinio; e una valutazione finale che va ad integrare queste valutazioni
precedenti.
Attraverso la valutazione e in particolare attraverso “il che cosa è accertato” e “il come l’accertamento è
condotto” si esprimono i valori e la filosofia formativa del Corso di laurea; nello stesso tempo la valutazione
concorre a sviluppare una condivisione dei valori educativi all’interno della comunità di formatori.
C'è dunque un'applicazione di riflessività anche su questo aspetto della valutazione.
Per i formatori:
- Certificare il raggiungimento degli obiettivi secondo gli standard di competenze attese ai diversi livelli
Andiamo ad oggettivare quelli che sono gli obiettivi da raggiungere, descrivendone e identificandone gli
standard.
- Classificare i livelli di preparazione dei singoli studenti per decidere la promozione o per riprogettare un
ulteriore percorso formativo
- Revisionare gli standard di competenze per gli studenti ai diversi livelli di formazione
Il momento della valutazione è un momento strategico, in quanto consente anche al docente di andare a
modulare le competenze attese e non attese dello studente. Ci si può anche rendere conto di aver omesso
nel piano della formazione dei passaggi fondamentali, la cui mancanza potrebbe determinare un Gap tra un
livello e l'altro di formazione
- Fornire dati sull’insegnamento clinico e teorico per promuovere cambiamenti e coerenza all’interno dei
curriculum tra le diverse attività formative
- Fornire dati per rivedere il sistema di valutazione
- Fornire dati per la ricerca formativa
La valutazione è importante anche per chi poi alla fine usufruisce del prodotto finale, in quanto l'azienda
ospedaliera ha come prodotto finale la salute, dunque un corso di laurea sanitarie fornisce una qualifica che
viene spesa per il cittadino e con il cittadino. Pertanto, la valutazione consente al cittadino di avere un
professionista laureato con competenze professionali certificate.
Il processo di valutazione si realizza durante il percorso di apprendimento in tirocinio dello studente con
modalità tipiche della valutazione “formativa” alla fine di ciascun anno di corso, e del triennio con modalità
invece più a carattere continuativo o sommativo.
Di seguito sono analizzate due diverse modalità valutative:
La valutazione formativa durante l’esperienza di tirocinio
Quando si attua La valutazione formativa deve essere garantita dal sistema tutoriale Garantita dai
durante le esperienze di tirocinio; in particolare dal Tutor/guida che tutor durante il
affianca lo studente e ne osserva le performance dello studente. tirocinio
Relazioni tra Per proteggere la finalità formativa è opportuno richiedere ai Tutor/guida Le valutazioni
valutazione di documentare per le competenze più importanti il livello raggiunto dallo formative
formativa e studente, evitando di misurarlo con un voto. Questa fase di sintesi viene contribuiscono
sommativa arricchita se gestita in collaborazione tra il Tutor/guida della sede di alla
tirocinio e il Tutor Professionale del corso di laurea e condivisa allo valutazione
studente in un colloquio. La valutazione formativa assieme ad altri sommativa
elementi contribuisce alla valutazione sommativa.
Quando viene effettuata La valutazione sommativa del tirocinio viene effettuata alla fine Annuale
di ogni anno di corso per decidere se lo studente può accedere
all’anno successivo o ai tirocini dell’anno successivo a seconda di
quanto prevede il Regolamento didattico.
Il livello raggiunto nelle singole competenze attese dallo studente permette di prendere
decisioni pedagogiche sulla sua progressione all’anno successivo di corso. Questo richiede di
Decisione
definire la qualità e quantità delle performance necessarie per considerare ciascuna
“passaggio/n
competenza raggiunta, ma anche di definire il peso complessivo delle competenze per decidere
on
se lo studente può passare all’anno successivo o ad obiettivi più avanzati solo quando ha
passaggio”
raggiunto un livello soddisfacente in tutte le competenze o in quelle ritenute core
anno
(caratterizzanti e importanti per il curriculum del professionista).
successivo
Questa scelta può essere guidata da 2 diversi approcci che sono di seguito descritti.
Approccio
L’approccio definito compensatorio prevede una valutazione globale delle competenze compensatori
raggiunte dallo studente anche se raggiunte con livelli diversi. o
Solitamente gli elementi considerati in questo approccio sono:
- la costante evoluzione dello studente e il suo impegno
-il grado di complessità della competenza;
- il grado di “prerequisito” per il raggiungimento delle competenze previste per l‘anno
successivo.
Il sistema compensatorio media gli aspetti di perfomance di uno studente usando i vari
parametri per formulare un giudizio finale, ad esempio buone perfomance di una competenza
compensano basse perfomance di un’altra competenza.
Approccio
L’approccio non compensatorio ritiene che lo studente per progredire verso livelli successivi non
debba raggiungere un livello soddisfacente in tutte le competenze previste. compensatori
o
Dopo ampia discussione emerge la proposta di considerare durante il triennio un approccio Posizione di
parzialmente compensatorio, che consideri alcune competenze core da raggiungere nell’anno consenso: una
di corso, soprattutto quelle che sono prerequisito per le successive o che rischiano di terza via le
compromettere aspetti di sicurezza, per utenti e i servizi e per lo studente; mentre per altre competenze
competenze si può dare tempo allo studente di progredire per raggiungerle nel triennio. core
Si concorda inoltre di focalizzare l’esame annuale di tirocinio soprattutto sulle competenze irrinunciabili
ritenute irrinunciabili per il passaggio all’anno successivo.
Il documento definisce anche le responsabilità di cui sono incaricati e ricoperti i tutor guida e i tutor
professionali definendo:
La principale responsabilità dei Tutor/guida è quella di effettuare la valutazione formativa durante le
esperienze di tirocinio oltre che quella di creare un ambiente di apprendimento facilitante lo sviluppo di
competenze professionali.
La funzione principale del tutor è quella di creare un setting adatto per lo sviluppo delle competenze e deve
prendere in considerazione quelli che sono i prerequisiti, prima di sviluppare poi quelle che sono le
competenze. Richiamo all’approccio costruttivista. Quindi effettuare anche la valutazione formativa diviene
importante perché la valutazione in itinere contribuisce a quella che poi sarà la valutazione sommatoria che
consentirà allo studente di andare a superare l'esame finale del tirocinio.
La relazione tutoriale con lo studente contempla anche la dimensione valutativa che favorisce la selezione di
opportunità formative attraverso cui lo studente può imparare senza sentire una eccessiva pressione
valutativa. I Tutor/guida compilano le schede da soli o in collaborazione con il Tutor professionale a seconda
del modello di tutorato attivato nel Corso di laurea. Le valutazioni, condivise con lo studente, e riportate
sulle apposite schede contribuiscono anche alla valutazione sommativa annuale.
Quindi questa è una valutazione partecipata, in quanto da un lato abbiamo il tutor guida che valuta la
competenza dello studente e dall'altro lato abbiamo lo studente, che viene stimolato ad
autoapprendimento che comporta una riflessione importante sulle proprie competenze e conoscenze e
quindi lo sviluppo del pensiero critico.
Il non chiedere al Tutor/Guida di trasformare la valutazione in voto deriva dal fatto che l’uso di un
punteggio sintetico dovrebbe essere collegiale e condiviso per favorire una maggior equità nei confronti
degli studenti.
Nell'ambito del corsi di laurea solitamente il giudizio espresso dal tutor guida, oltre a dover contemplare
una descrizione degli obiettivi raggiunti da parte dello studente con la sua collaborazione, dovrebbe
comprendere anche un giudizio da parte del tutor in termini di valutazione in quanto dare un giudizio
“buono” piuttosto che “sufficiente” o piuttosto che “ottimo” indirizza in maniera diversa la valutazione
finale da parte della commissione di tirocinio.
I Tutor professionali sulla base della valutazione di ciascun tirocinio prendono decisioni sul percorso
successivo dello studente, identificano opportunità adatte a far evolvere il suo apprendimento, organizzano
piani personalizzati in caso di difficoltà o di insuccesso.
Il direttore della didattica professionale è responsabile di:
- dichiarare in un documento formale gli obiettivi di competenza da raggiungere attraverso le attività di
tirocinio e formalizzare le modalità di valutazione sia formative sia sommative;
- verificare che i tutor effettuino e documentino colloqui di valutazione formativa con gli studenti durante le
esperienze tirocinio (minimo 1 colloquio a metà e alla fine della singola esperienza di tirocinio);
I punti critici di questo punto sono che prima che uno studente arrivi all'interno del team assistenziale è
necessario che siano ben chiare e condivise tutte le procedure e tutte le informazioni. Se c'è da utilizzare
una prova di efficacia o evidenza proveniente dalla letteratura, trasformata in raccomandazione e poi in
procedura, è fondamentale che tutti la conoscano perché altrimenti il processo di apprendimento dello
studente avviene in un clima di confusione. Se affidiamo lo studente al coordinatore dell'Unità operativa, lo
studente che magari effettua una turnazione in tirocinio h12 non avrà sempre a fianco il coordinatore del
tirocinio, il quale comunque non può staccarsi completamente dall’attività di coordinamento e dedicarsi
alla supervisione dello studente. Di contro, se noi affidiamo lo studente ad un infermiere di reparto, se lo
studente fa mattina e pomeriggio con questo infermiere si incontrerà molto poco e quindi la supervisione e
la guida diretta vengono a mancare. Se gli studenti sono in numerosità troppo elevata rispetto ai ritmi, al
contesto assistenziale, quindi alla complessità assistenziale dell'Unità operativa, sicuramente ci sarà meno
spazio da dedicare ai momenti di formazione e di condivisione con gli studenti.
Un'altra criticità sta nel fatto che il colloquio non può essere fatto a metà e alla fine della singola esperienza
di tirocinio; un colloquio va fatto in preliminare: lo studente che arriva nell'unità operativa, o nel contesto
assistenziale di riferimento, è un po’ come il neoassunto, ha bisogno di essere accolto, informato e
indirizzato; dopodiché a metà del percorso ci sta un incontro per valutare se si sta procedendo verso il
raggiungimento dell'obiettivo e poi alla fine una valutazione globale dell'esperienza di tirocinio.
- identificare precocemente, con la collaborazione dei Tutor, gli studenti con difficoltà di apprendimento in
tirocinio ed essere garante dei successivi colloqui di supporto;
- garantire che la valutazione formativa e sommativa abbiano le caratteristiche di obiettività e trasparenza;
Per fare una valutazione formativa, sulla base degli obiettivi stabiliti, si vanno a decidere dei criteri di
valutazione, tenendo conto non solo dell'atto finale ma anche del progresso, facendo un’analisi
dell’obiettivo, ovvero la Task Analysis. Per poter esprimere un giudizio il più obiettivo possibile bisogna
avere degli indicatori, i quali dovrebbero essere il tempo del raggiungimento dell'obiettivo, gli errori che ha
fatto prima del raggiungimento, per quanto riguarda proprio una performance manuale, sul
comportamento, la partecipazione alle attività di gruppo, i ritardi, i cambi turno, gli allontanamenti dai
reparti, etc. Bisogna poi trasformare questi indicatori in un punteggio da attribuire al fine di arrivare poi a
quel “sufficiente” “buono” “ottimo” “eccellente”, etc.
- supervisionare e collaborare con i Tutor Professionali per sintetizzare in un profilo il percorso annuale di
tirocinio dello studente, per condividerlo con lui in un colloquio tutoriale e per comunicargli le decisioni
conseguenti
- garantire formazione, supervisione e orientamento ai tutor/guide sulla valutazione dell’apprendimento in
tirocinio.
Questi sono quegli strumenti atti a migliorare la valutazione obiettiva dello studente senza andarla ad
influenzare con il proprio pensiero personale e con la propria percezione sullo studente.
Se noi non rendiamo oggettivabile la nostra valutazione, non riusciamo ad evidenziare le reali differenze tra
gli studenti.
Coerenza con le strategie di insegnamento utilizzate dal CDL sia di tirocinio sia di laboratorio significa in
parole povere che noi lo studente non lo dobbiamo confondere. Pertanto, è importante utilizzare delle
strategie comuni. Affinché siano comuni, uniformi e coerenti, all'interno di una CDL, sarebbe bene che il
corpo dei tutor si programmasse e interfacciasse, al fine di andare a dare la stessa informazione con
modalità simili proprio per evitare confondimento degli studenti stessi.
I metodi di valutazione clinica si possono differenziare dentro e fuori tirocinio e in metodi di valutazione
globale.
Metodi di valutazione adatti per il contesto di tirocinio
- osservazione diretta più o meno strutturata delle performance dello studente
- domande, quesiti o protocolli verbali (pensare ad alta voce)
- discussione dicasi, situazioni professionali
- compiti scritti: report, progetti
Metodi di valutazione fuori della sede di tirocinio
- le simulazioni di competenze/abilità specifiche del profilo professionale. Una modalità organizzativa di
valutazione simulata molto utilizzata in ambito sanitario per la valutazione di competenze cliniche è l’esame
clinico strutturato e obiettivo (Objective Structured Clinical Examination –OSCE);
Metodi di valutazione globale o trasversali sono:
- portfolio
- auto-valutazione
- valutazione tra pari
Strumenti di valutazione
La scelta degli strumenti dovrebbe essere guidata dall’intento di utilizzare strumenti di valutazione per
l’apprendimento e non solo per esprimere valutazione dell’apprendimento professionale. Al termine di una
esperienza di tirocinio si sintetizza un giudizio sulle performance professionali dello studente derivanti dalle
osservazioni più o meno strutturate sulle schede di valutazione.
La scheda di valutazione è di norma costituita da 2 parti:
- la prima contiene la lista di competenze, comportamenti, risultati attesi
- la seconda documenta il livello raggiunto per ogni competenza attraverso una scala di misurazione
quantitativa (numerica, in lettere A,B,C,D,E, o descrittori verbali) o una descrizione qualitativa con parole o
entrambe.
Le schede di valutazione sono basate sugli obiettivi educativi stabiliti a priori. Le schede possono essere
molto dettagliate e strutturate oppure semi strutturate se prevedono oltre alle scale di misurazione anche
dati di tipo qualitativo, queste ultime hanno il vantaggio di descrivere l’evoluzione dello studente nella sua
globalità e di fornire un quadro ricco e completo dell’apprendimento raggiunto.
Esempi di indicatori e grading da utilizzare nelle schede di valutazione del tirocinio professionale
Per parlare di % dobbiamo avere un rendiconto di tutto da parte dello studente, in modo che possiamo
sapere il totale.
Le linee di indirizzo vanno redatte ed emanate per tutte le professioni sanitarie; poi ogni professione
sanitaria sulla base degli obiettivi specifici delle competenze del singolo professionista sviluppa gli aspetti
più o meno comuni, ma anche quelli specifici di ogni singola professione.
L’applicazione della legge di Riforma Universitaria 270/2004 (la legge Gelmini) ai Corsi di Laurea delle
Professioni Sanitarie rappresenta l’occasione per riprogettare e consolidare le esperienze maturate nella
formazione universitaria (pacchetto 3+2). Nei Corsi di Laurea in questi anni sono state sperimentate molte
strategie formative nella formazione pratica degli studenti e Coordinatori e Tutor hanno investito notevole
sforzi per migliorare la loro preparazione pedagogica e per diffondere nei servizi-sedi di tirocinio
competenze tutoriali.
Tuttavia sono ancora poche le pubblicazioni e le ricerche sulla qualità e l’efficacia dei diversi modelli di
tirocinio, pur in presenza di un ricco sapere tacito, non scritto o raccolto in documenti, di norma patrimonio
interno dei singoli corsi di laurea.
Ad esempio all'interno del nostro corso di laurea, sia magistrale che triennale, sono stati fatti dei tentativi
per andare a misurare la qualità o ricercare dei modelli più innovativi di tirocinio, attraverso delle ricerche
fatte da studenti.
Sulla base di queste premesse si è iniziato, nell’ambito della Conferenza Permanente, un lavoro di rete con
Coordinatori e Tutor di molti Corsi di Laurea: fisioterapisti, terapisti della neuro psicomotricità dell’età
evolutiva, logopedisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica, infermieri, ostetriche, infermieri pediatrici,
educatori professionali, tecnici sanitari di laboratorio biomedico, tecnici sanitari di radiologia medica, tecnici
di neurofisiopatologia.
Si è costituito un gruppo di lavoro per confrontare e condividere scelte e modelli di tirocinio al fine di
elaborare orientamenti comuni da utilizzare anche in occasione della definizione dei nuovi regolamenti
didattici.
Il metodo di lavoro si è sviluppato con le seguenti tappe:
1. analisi di documenti sul tirocinio pubblicati o messi a disposizione dalle sedi universitarie
2. seminari allargati a tutti i componenti del gruppo di lavoro per costruire un documento-base
3. diffusione di tale documento per ottenere un parere di consenso
4. seminari con il gruppo di lavoro per analizzare i pareri emersi dall’indagine di consenso e stendere il
documento finale.
Hanno partecipato all’indagine di consenso 198 studenti, 139 Tutor, 133 Coordinatori, 83 referenti delle sedi
di tirocinio, 68 Docenti, 32 rappresentanti delle Direzioni dei Servizi Sanitari.
I Corsi di Laurea che hanno partecipato all’indagine hanno fornito un numero di questionari/ pareri come
riportato nella tabella che segue:
Il tirocinio dunque non è la parte pratica in quanto è una strategia formativa dove il tirocinante apprende le
competenze previste (conoscenza, abilità pratica ed esperienza). Esso non è il momento del fare, ma il
momento dell’apprendere facendo; difatti se non si ha la preparazione di base, non si può comprendere il
significato delle cose.
La finalità del tirocinio professionale è quella di:
- Sviluppare competenze professionali – il tirocinio facilita processi di elaborazione e integrazione delle
informazioni e la loro trasformazione in competenze
- Sviluppare identità e appartenenza professionale – il tirocinio all’inizio offre l’opportunità allo studente il
progressivo superamento di immagini idealizzate della professione e successivamente lo aiuta a confermare
la scelta.
Quando lo studente si approccia ad una nuova professione, nel suo immaginario c’è soltanto l'aspetto che
lui si è teorizzato di quella stessa professione (il disegno del l'infermiere o dell'ostetrica che deriva da
quanto sentito, visto, letto) e che però non sempre corrisponde a quanto nella realtà. Quindi man mano
deve andare a costruire quella che è l'immagine e deve acquisire quella sorta di identità professionale e di
conoscenza vera del ruolo e della funzione dell'infermiere o dell'ostetrica.
- Attraverso il tirocinio lo studente viene a contatto con contesti organizzativi e inizia ad apprezzare relazioni
lavorative, rapporti interprofessionali, valori, abilità, comportamenti lavorativi, quindi rappresenta anche
una presocializzazione al mondo del lavoro. Tuttavia il tirocinio è soprattutto una strategia formativa e non
sostituisce la necessità di un piano di inserimento lavorativo del neolaureato al momento dell’assunzione
per sviluppare le competenze specifiche di quel contesto.
L’ attività principale degli studenti durante il tirocinio è apprendere, pertanto deve poter fare e provare
attività selezionate in base al loro valore educativo.
L’esperienza nei servizi permette allo studente di affrontare situazioni uniche e complesse che sono insolubili
attraverso i soli approcci teorici; mediante la riflessione lo studente può fare emergere tacite comprensioni
sorte attorno alle esperienze e può trovare un senso nelle situazioni caratterizzate da incertezza o unicità
che può sperimentare. Il tirocinio offre pertanto non solo la possibilità di imparare a fare ma la possibilità di
pensare sul fare, di approssimarsi ai problemi, di interrogarsi sui significati possibili di ciò che incontra
nell’esperienza.
L’apprendimento per esperienza che ci si attende dal tirocinio presuppone le seguenti condizioni:
- immersione in un contesto lavorativo di “apprendimento” contraddistinto da unicità di situazioni,
variabilità, incertezza in modo da sviluppare la capacità di affrontare le reali problematiche professionali
Se la supervisione tutoriale non è forte e adeguata, e se non ci sono i feedback durante il processo di
apprendimento, sicuramente ci sarà qualche falla nel sistema.
Il tirocinio è inserito nell’iter formativo in modo integrato e su un piano dialettico tra teoria e pratica. Si
ritiene superato un modello di tirocinio subalterno alla teoria (prima la teoria e poi la pratica) perché i
saperi formali teorici integrandosi con i saperi pratici degli esperti si trasformano in competenza.
Quindi iniziare il tirocinio dopo aver finito tutto l'aspetto teorico non va bene; bisogna eseguire un tirocinio
integrato che va di pari passo con quello che viene trattato nella teoria man mano è la maniera migliore per
andare a vivere sul campo gli argomenti trattati. E’ importante che l'esperienza e gli obiettivi di tirocinio
vengono adattati al piano delle attività teoriche.
Sicuramente le linee di indirizzo vengono dettate un po' come nella sperimentazione in laboratorio; quando
viene fatta una sperimentazione in laboratorio in condizioni ottimali, la risposta che viene ottenuta è
riferita a quel contesto e a quelle situazioni. Quindi questo è l'optimum. Poi ovviamente ogni realtà è
influenzata, non solo dal contesto, ma anche dall'organizzazione, dalle persone che la compongono, dal
livello di preparazione ma anche dall'orientamento generale. Pertanto ogni istituzione adatta e fa proprio il
principio e poi però lo traduce per quello che può fare.
Il progetto formativo previsto per il tirocinio del corso di laurea deve essere documentato e presentato
all’inizio di ogni anno accademico ai soggetti coinvolti. Deve contenere informazioni riguardo all’alternanza
della teoria con il tirocinio, gli obiettivi educativi, standard attesi, modalità di valutazione, principi- modello
pedagogico e di tutorato cui si ispira il progetto di tirocinio.
L’impegno che lo studente deve dedicare al tirocinio è di minimo 60 CFU di cui non meno di 1200 ore (1400
ore per la prima classe) di esperienza sul campo a contatto con i professionisti presso servizi, strutture,
aziende, comunità. La frequenza è obbligatoria per tutto il monte ore minimo e le eventuali assenze devono
essere recuperate. 1 CFU di tirocinio corrisponde a 25 ore impegno studente (30 ore per la prima Classe).
I crediti riservati al tirocinio sono da intendersi come impegno complessivo necessario allo studente per
raggiungere le competenze professionali core previste dal rispettivo profilo professionale.
Quindi questi cfu di tirocinio, oltre che essere acquisiti in attività espletate sul campo, possono essere
acquisite in attività di laboratorio, attività extracurriculari che possono essere formative e utili allo studente
per il tirocinio stesso.
Nella programmazione triennale le esperienze di tirocinio sono inserite con gradualità, per durata e
complessità crescente dal 1° al 3° anno. Premesso che è necessario garantire i prerequisiti teorici
indispensabili ad affrontare sul campo la sperimentazione di abilità specifiche, nel corso del triennio le
singole esperienze di tirocinio non devono necessariamente essere inserite in ciascun semestre e nemmeno
sempre alla fine delle attività teoriche; nella distribuzione nel triennio possono essere successive alla teoria
(per esempio al 1° anno), altre volte precederla (per esempio al 2° e 3° anno) o ancora integrarla (per
esempio tirocinio al mattino e attività teorica al pomeriggio o due giorni alla settimana dedicati al tirocinio
e tre alla teoria).Tali scelte devono essere motivate dagli obiettivi formativi, dalle opportunità formative e
dalla disponibilità di sedi e risorse. Le ultime esperienze di tirocinio collocate al 3° anno offrono allo studente
l’opportunità di provarsi in un’assunzione progressiva di autonomia professionale e operativa.
Per garantire un utilizzo ottimale delle opportunità formative offerte dalle sedi di tirocinio e del tutorato,
qualora necessario e possibile, si propone di non fare sempre coincidere i tirocini degli studenti dei 3 anni di
corso, bensì alternare in contemporanea 1 e 3° anno o 1° e 2° anno; nel corso del triennio può essere utile
per gli studenti provarsi in una esperienza di affiancamento a studenti più giovani per apprendere e
sviluppare competenze di guida e responsabilità di supervisione.
La qualità dell’esperienza degli studenti dà significato alla quantità del tempo trascorso in tirocinio come
fissato dalla normativa e che deve essere rigorosamente rispettato come tempo minimo. Tuttavia la
ricchezza di opportunità formative offerte e una rigorosa progettazione e conduzione dei tirocini sono
determinanti per un apprendimento di qualità dello studente. È necessario trovare un giusto equilibrio tra
quantità e qualità del tirocinio, considerando anche che non è sufficiente che lo studente abbia assolto il
monte ore previsto ma è il raggiungimento degli obiettivi formativi a sancire la conclusione del tirocinio.
Tuttavia non è da sottovalutare che l’apprendimento di abilità tecnico operative necessita di molto
esercizio. Nell’ottica della qualità sono raccomandati percorsi di tirocinio personalizzati che tengano conto
per alcuni studenti della necessità di aumentare il numero di esperienze per completare la loro formazione
professionale.
E’ necessario dare tempo allo studente per apprendere, garantire frequenti feedback formativi prima di
procedere ad una valutazione certificativa della performance. I sistemi di valutazione delle competenze
attese devono essere espliciti e condivisi tra referenti del Corso e quelli dei servizi. I metodi di valutazione
devono essere sottoposti a costante verifica per affidabilità e validità.
Criteri di scelta delle sedi di tirocinio
Con sede di tirocinio si intende il Servizio che accoglie lo studente per un periodo di tempo definito. Le sedi di
tirocinio devono essere selezionate accuratamente per la qualità dell’ambiente di apprendimento e delle
prestazioni e cure erogate.
I criteri prioritari con cui selezionare le sedi sono:
1. offerta di opportunità di apprendimento rilevanti e coerenti con le esigenze dello studente e con gli
obiettivi o standard formativi (esempio numero e tipologia di utenti, varietà e complessità delle situazioni
cliniche e organizzative e delle procedure assistenziali, diagnostiche e terapeutiche, preventive e
riabilitative);
2. presenza di professionisti motivati all’insegnamento e alla supervisione dei tirocinanti, disponibili ad
aderire a progetti di formazione al tutorato sul campo
3. rapporti intra-equipe ed equipe-studenti basati sul confronto e collaborazione
4. garanzia delle condizioni di sicurezza dello studente.
Altri aspetti da considerare per la scelta delle sedi sono:
- presenza di modelli professionali e/o organizzativi innovativi
- orientamento ad adottare pratiche basate sulle evidenze scientifiche
- presenza di spazi per incontri con gli studenti riservati all’elaborazione, alla discussione di casi, alla
consultazione di testi e/o materiale scientifico
- possibilità di partecipare a progetti di ricerca.
E’ necessario garantire un monitoraggio continuativo della qualità delle sedi di tirocinio anche raccogliendo
feedback dagli studenti.
L’individuazione e selezione delle sedi di tirocinio è responsabilità del Direttore della Didattica Professionale,
in collaborazione con i Tutor, dopo un confronto con i Responsabili dei Servizi, propone al Consiglio di Corso
l’accreditamento formale e l’avvio dell’iter di convenzione per la sede individuata.
L’assegnazione allo studente della sede di tirocinio è responsabilità del Direttore della Didattica
Professionale, in collaborazione con i Tutor, e deve essere progettata e personalizzata. È guidata dai
seguenti criteri:
1. i bisogni e necessità di apprendimento dello studente in relazione agli obiettivi di anno di corso e al livello
raggiunto (criterio principale)
2. coerenza tra le opportunità offerte dalla sede e gli obiettivi
3. clima organizzativo e stili di leadership della sede
4. presenza funzioni tutoriali più o meno intensive a seconda dei bisogni dello studente
5. necessità personali dello studente (es. percorsi, distanza sede, ..) nei limiti del possibile.
Per quanto riguarda l'assegnazione delle sedi del tirocinio anche all'interno dell'azienda solitamente questo
aspetto viene fatto in sinergia con la direzione del servizio infermieristico. Le scelte sono mirate, non
soltanto ad assegnare le sedi in funzione del numero di studenti, ma anche in funzione delle competenze
che gli studenti possono acquisire in determinate strutture, in funzione delle professionalità presenti e della
disponibilità dimostrata dalle professionalità nei confronti degli studenti.
Le sedi per il tirocinio professionale possono essere individuate nell’ambito delle strutture sanitarie e sociali
delle Aziende convenzionate con l’Università attraverso i protocolli di intesa regionali o locali oppure
strutture esterne nazionali o estere per le quali si deve procedere all’accreditamento e a specifiche
convenzioni. E’ necessario garantire l’applicazione delle norme che citano o disciplinano aspetti relativi al
tirocinio. Infatti ci sono alcuni riferimenti normativi dove è stabilito che il tirocinio può essere fatto anche in
convenzione su altre sedi purché le sedi stesse abbiano i requisiti di idoneità per l'accoglimento e la
gestione di questi studenti. Non viene però specificato il numero di tutor previsti.
Abbiamo poi anche i tirocini compensativi per operatori sanitari che hanno conseguito il titolo in un Paese
comunitario e non, ovvero quei tirocini che tendono a far acquisire allo studente la compensazione, quindi
l'equipollenza, del titolo pregresso con il riconoscimento del titolo nell'altro paese.
Rapporti con le sedi di Tirocinio e i Servizi di Direzione delle professioni sanitarie o di altre strutture
Le sedi di tirocinio vanno di comune accordo con il servizio delle direzioni sanitarie, proprio per
l'individuazione dei tutor e l'assegnazione
Requisito indispensabile per l’attivazione del Corso di Laurea è quindi l’individuazione di un “Direttore della
Didattica Professionale" (ex Coordinatore delle attività pratiche di tirocinio) individuato secondo la
normativa sopra riportata per assicurare l’integrazione tra gli insegnamenti teorici e il tirocinio, favorire la
conformità degli insegnamenti professionali agli standard di competenza definiti e dirigere i tutor
professionali. E’ nominato dal Consiglio di Corso e dedicato alla funzione a tempo pieno
Praticamente l'attività fatta al di fuori dell'orario di servizio non può essere equivalente, in termini di
risultato, ad una attività svolta all'interno dell'orario di servizio e a tempo pieno, in quanto la qualità sarà
ridotta. Questo è uno dei punti deboli del sistema.
Dalle esperienze di tutorato dei tirocini attivate nei Corsi di Laurea delle professioni sanitarie emerge una
gran varietà di modelli, nei quali si rintracciano mediamente 2 o 3 livelli di tutorato assunti da professionisti
dello stesso profilo degli studenti. La denominazione dei diversi livelli di tutorato, la loro organizzazione, la
presenza più o meno intensiva nella sede formativa o nella sede di tirocinio risentono di condizioni
organizzative e risorse locali.
Si è trovato un consenso sui seguenti orientamenti.
Ogni Corso di Laurea attiva un sistema di tutori professionali (dizione che deriva dal Decreto).
1. Tale sistema si declina con funzioni assunte da professionisti assegnati alla sede formativa con
competenze avanzate sia in ambito pedagogico che nello specifico ambito professionale. Collaborano con il
Direttore della Didattica Professionale all’organizzazione e gestione dei tirocini, nella progettazione e
conduzione di laboratori di formazione professionale e creano le condizioni per la realizzazione di tirocini di
qualità. Sono responsabile dell’apprendimento dall’esperienza e facilitano i processi di apprendimento
attraverso sessioni tutoriali. Selezionano le opportunità formative, integrano l’esperienza pratica con la
teoria appresa, presidiano in particolare le prime fasi di apprendimento di un intervento o di una
competenza. Si occupano dell’apprendimento degli studenti in difficoltà, facilitano i processi di valutazione
in tirocinio e tengono i rapporti con i tutori dei servizi. Si concorda sulla seguente denominazione: tutor della
didattica professionale.
2. A livello del servizio sede di tirocinio lo studente è affiancato ad un professionista, di norma dello stesso
profilo professionale, mentre svolge le sue normali attività lavorative. Rappresenta per lo studente un
“modello di ruolo”, facilita l’apprendimento delle competenze professionali, è garante della sicurezza dello
studente. Vigila affinché gli utenti ricevano una prestazione di qualità anche quando delegata con
supervisione agli studenti, si assicura che siano informati e diano il loro consenso ad essere assistiti da uno
studente. Si concorda sulla seguente denominazione: guida di tirocinio o supervisore clinico.
3. In alcuni Corsi di Laurea, all’interno del servizio sede di tirocinio, è individuato, tra le guide, un collega che
assume un ruolo di maggior coordinamento dei tirocinanti in quel servizio, si interfaccia con la sede
formativa, cura gli accordi, aiuta i colleghi a selezionare le opportunità di apprendimento in coerenza con gli
obiettivi e il piano di tirocinio condiviso con lo studente. Offre supporto ai Colleghi che affiancano gli
studenti sia durante il percorso che nella fase della valutazione. Si concorda sulla seguente denominazione:
tutor clinico.
Emerge una preoccupazione diffusa di non allontanare dalla pratica completamente il tutor della didattica
professionale con il rischio di far perdere competenze e di spostare il tutorato prevalentemente su aspetti
metodologici con il rischio di impoverire l’insegnamento di contenuti professionali specifici.
Il Tutorato di tirocinio è praticato con forme organizzative diverse dalle Università, frequentemente sono
assegnati al Corso di Laurea a tempo pieno o parziale alcuni professionisti con la funzione di tutor, con un
rapporto tutor/studente molto variabile. Tutti i Corsi di Laurea coinvolgono professionisti dei servizi che
svolgono il tutorato durante le normali attività di servizio e talvolta con un pool di ore dedicate. Il requisito
minimo di ogni Corso di Laurea prevede un Tutor dedicato a tempo pieno; tale dotazione dovrà essere
aumentata in rapporto al numero di studenti e al modello di tutorato necessario.
Su tutto il territorio nazionale è variabile l’assegnazione però ci sono alcuni corsi di laurea dove il tutor
viene identificato anche a livello aziendale.
Si ritiene prioritario formalizzare le modalità di accesso e selezione alle funzioni tutoriali per dare stabilità al
sistema e permetterne il riconoscimento ai fini dello sviluppo professionale e di carriera.
A questo proposito, ci sono alcuni corsi di laurea che hanno fatto dei concorsi e hanno istituito un ruolo di
dirigenza legato al direttore della didattica professionale.
Per quanto riguarda la documentazione del percorso di tirocinio, ogni Corso di Laurea adotta propri
strumenti di documentazione del percorso di tirocinio. Si ritengono tuttavia fondamentali i seguenti:
- Documento contenente il progetto di tirocinio, modello pedagogico proposto, obiettivi formativi, indicatori
e strumenti di valutazione delle performance, funzioni dei Tutor
- Contratti formativi, dossier, portfolio
- Indirizzi per l’attività di laboratorio professionale e report scritti
- Libretto triennale dove lo studente documenta la frequenza e le sedi di tirocinio
Per quanto riguarda il monitoraggio della qualità del tirocinio, deve essere garantita una valutazione
continua della qualità dell’offerta formativa professionalizzante.
Per quanto riguarda i prerequisiti di accesso al tirocinio, il Direttore della didattica professionale ammette
alla frequenza dell’esperienza di tirocinio previsto per l’anno di corso gli studenti che:
- hanno ottenuto la frequenza regolare alle attività formative teoriche
- la frequenza regolare dei laboratori propedeutici al tirocinio.
Al primo anno, prima di iniziare le esperienze di tirocinio, lo studente è reso consapevole con interventi
formativi e di laboratorio specifici della prevenzione dei rischi e sicurezza nei luoghi di tirocinio (rischio
biologico, chimico, radiologico...). Viene fornito di Dispositivi di protezione individuale e dichiara per iscritto
di avere ricevuto precise informazioni sulla sua sicurezza (decreto 81) e sulla privacy ( dl.gvo 196/03)
I modelli concettuali utilizzati si stanno trasferendo anche nei contesti universitari nonostante, in ambito
universitario, non esista una normativa italiana che regolamenti le metodologie didattiche che un
docente deve adottare, né tantomeno è prevista alcuna abilitazione particolare o percorso di tirocinio per
la docenza universitaria. La riforma del Miur si ferma infatti alla scuola dell'obbligo, anche per quanto
riguarda l'introduzione di strumenti di valutazione, quadri, il portfolio ecc. Per le scuole primarie e
secondarie infatti esistono dei corsi che vengono svolti dai futuri docenti, al fine di essere abilitati
all'insegnamento; in ambito universitario invece il tutto viene lasciato all’autoapprendimento di ognuno e
all'esperienza.
Quindi la lezione universitaria, in Italia, non ha una struttura concreta dal punto di vista teorico, data
l’assenza di una formazione specifica per l’insegnamento universitario. In altri paesi del mondo (Francia,
Germania, America, Paesi Anglosassoni, Svezia, Finlandia) invece esiste una formazione specifica: sono
infatti previsti dei percorsi, ognuno secondo il proprio contesto socio-culturale, che indirizzano il futuro
docente circa il percorso da intraprendere al fine di avere la caratteristica di docente ed essere accreditato
come tale. Ad esempio ci sono università in Canada dove c'è un programma volto specificatamente ad
aiutare i laureati e dottori di ricerca su aspetti relativi all'insegnamento in ambito universitario, con delle
sessioni durante le quali i partecipanti sperimentano diverse metodologie didattiche e valutative al fine
proprio di apprendere:
Le metodologie didattiche,
La valutazione dell'apprendimento,
L’integrazione delle tecnologie nel processo di insegnamento,
La creazione del setting,
La valutazione della qualità del proprio insegnamento.
In Italia si è passati da una tradizione che vedeva il docente in versione cattedratica, ovvero soltanto il
docente da un lato e lo studente dall'altro, alla docenza di tipo interattiva. Il tutto però non ha avuto
nessun input, è accaduto con l'evoluzione del pensiero ma non è stato formalizzato su alcun documento.
Le prime lezioni universitarie fatte nel Medioevo a volte venivano fatte solo per uno studente che pagava la
sua formazione, c'era un maestro che con degli assistenti teneva la lezione. La lezione era una sorta di
confronto su dei problemi e quindi il dibattito e l'interazione erano proprio il momento centrale
dell’apprendimento. Questo stile di docenza sicuramente si avvicina molto di più allo stile che poi per tanti
anni è stato utilizzato e quello molto formale di docenti che praticamente sono passati dalla lectio
interattiva, aperta al didattico, al monologo espositivo di oggi.
Quindi, affinché l'atto formativo stesso sia efficace, si cerca di andare ad identificare quelli che sono i
modelli di insegnamento e quelli che sono legati anche alle esigenze ed al contesto dell'aula.
Molti ricercatori hanno indagato relativamente alle aspettative del docente, alle aspettative del discente,
sulla valutazione e l'autovalutazione, sia in termini di aspettative che di riscontri a fine lezione,
relativamente a:
Le informazioni che vengono date,
La sintesi o meno a fine lezione da parte del docente,
La specifica di temi principali o temi e argomenti secondari relativamente al tempo e quindi
pensieri sull'apprezzamento della lezione quali la chiarezza espositiva del docente, giudizi sulla
stimolazione e sul suscitare o meno interesse nei discenti, la percezione da parte degli studenti che
il docente ami la materia che sta insegnando.
Anche da parte dei docenti a fine lezione nascono delle perplessità, dei dubbi relativi alla posizione che lo
studente adottata durante la lezione, alla loro attività o passività, alla loro interazione o meno anche alla
soddisfazione personale che il docente stesso ha dopo la lezione. Tutti questi fattori, insieme a tanti studi i
cui risultati non sono stati emanati dal Miur.
Presentazione orale: è quel docente che spiega esclusivamente attraverso un discorso orale
evitando di utilizzare dei supporti tecnologici, niente diagrammi, niente lavagne tradizionali. Si
avvale solitamente di più testi per la preparazione di quanto espone e di norma non trascrive la
lezione che deve tenere, facendosi solo una scaletta di alcuni punti.
L'informatore visivo: è un docente che si avvale di un grande numero di supporti tecnologici al fine
di fornire, dopo la lezione, il materiale che ha utilizzato per la preparazione della lezione stessa. In
questo modo viene facilitata la comprensione degli studenti sui concetti trattati e la comprensione
di legami tra un concetto e l'altro. Questo docente solitamente trascrive l'intero contenuto della
propria lezione.
Il docente esemplare: è il docente che appare sicuro di se, è molto abile nel presentare gli
argomenti, si destreggia in una serie di tecniche di presentazioni sia verbali che visive nel corso
della preparazione della lezione e la prepara andando ad annotare soltanto qualche frase piuttosto
che un discorso completo. Egli comunica ai discenti gli obiettivi che si prefigge la lezione, li avvisa in
anticipo sul tema che sarà trattato e imposta la lezione in maniera interattiva, ponendo prima di
tutto il principio che la lezione è fatta da risposte a domande, per cui c'è una massima apertura nei
confronti degli studenti. Vengono utilizzati raramente supporti e non vengono forniti i testi integrali
della lezione ma si avvalgono di strumenti, anche tecnologici, per enfatizzare e focalizzare i punti
chiave della propria lezione.
Il docente eclettico: è un docente che utilizza delle tecniche diversificate, che possono anche
comprendere l'umorismo. Questa tipologia di docente tende ad essere disorganizzato in quanto,
nella fase di preparazione, non riuscendo a strutturare ed a preparare il materiale a disposizione, si
basa su diversi testi per tracciare i punti principali della lezione ma non trascrive per intero, per cui
alla fine è colui che tende più degli altri a divagare dal contenuto della propria scaletta.
Il docente sicuro di sé: solitamente, secondo i risultati delle ricerche, sono troppo sicuri di sé ma
poco preparati e piuttosto vaghi. Tralasciano di specificare gli obiettivi delle proprie lezioni, di
comunicare con gli studenti, danno poche informazioni sugli argomenti e sui programmi da
preparare per l'esame e quindi trascurano quelle che sono le strategie fondamentali per
l’insegnamento.
Non è stato stabilito come un docente debba approcciarsi alla lezione universitaria però è certo che una
lezione universitaria oggi prevede un approccio con degli studenti in età post adolescenziale. Lo studente di
oggi, rispetto lo studente di ieri, è molto più preparato dal punto di vista dell'utilizzo delle tecnologie però
emerge spesso che, rispetto allo studente di ieri, ha approfondito molto e sviluppato la parte tecnologica
ma non ha approfondito e sviluppato la parte dell'esposizione orale o della esposizione scritta, per cui in
questo contesto diviene anche fondamentale il livello culturale. Ci può infatti essere una diversificazione
dell’utenza di un corso universitario dettata proprio dal contesto sociale e culturale di riferimento.
In questa ampia e vasta diversificazione, si rende pertanto necessario il coinvolgimento alle attività
didattiche e alle attività tutoriali, ai fini di avvicinare lo studente all'università ed evitarne quanto più
possibile l'abbandono, fenomeno causato dalla scarsa attrattiva del singolo corso di studio o della singola
università.
Una disciplina, che sia essa scientifica, professionale o umanistica, ha infatti bisogno di essere posta in
termini di attrazione perché se non si riesce a coinvolgere lo studente e farlo interagire durante la lezione
non si ha il giusto feedback. La lezione deve essere stimolante su entrambi i fronti, deve esserci la presenza
del binomio insegno-apprendo. Il docente alla fine della lezione deve porsi queste domanda:
Il contratto di apprendimento/tirocinio
Il contratto di tirocinio, quindi il patto formativo o contratto di apprendimento, è un documento, uno
strumento, progettato al fine di stilare un percorso formativo dello studente in un contesto di formazione
teorica e/o pratica. Esso riporta:
Pertanto, è un momento di negoziazione in cui avviene uno scambio di informazioni tra il tutor, il docente e
lo studente sugli obiettivi che devono essere appresi, basato sulla collaborazione e condivisione del
programma.
Tale metodologia educativa nasce in Francia nel 1960 dalla pedagogia per obiettivi, con la quale i docenti e
gli studenti definivano insieme gli obiettivi di apprendimento da raggiungere in termini di livello
tassonomico atteso e di relative attività da realizzare, secondo un programma che si snodava per tappe
progressive scandire dalla valutazione formativa. Questa metodologia è stata poi sperimentata anche nella
formazione professionale, in cui gli studenti hanno imparato a collocarsi nel processo educativo, a
controllare i progressi fatti e, soprattutto, a diventare consapevoli delle modalità del proprio apprendere e
ad essere responsabili dell’acquisizione delle competenze attese.
Costruire un percorso curriculare basato sui presupposti contrattuali porta a spostare completamente il
focus formativo sugli studenti, sulle loro modalità di apprendimento e sul raggiungimento delle
competenze attese per dei futuri professionisti.
Ad esempio: il momento di negoziazione avviene anche nel momento in cui viene scelto l’argomento per un
Project, in quanto lo studente esprime o propone al tutor la volontà ed il desiderio di approfondire il proprio
lavoro di tirocinio su un determinato aspetto, di cui ne considera la rilevanza, e il tutor accetta suggerendo
ulteriori approcci. Quindi alla fine si concorda insieme e si raggiunge un'intesa.
Stabilito il project, poi si delinea anche:
Un percorso di competenze cognitive da raggiungere per poter espletare quel percorso,
Un arco temporale entro il quale il Project deve essere, non soltanto redatto, ma anche poi portato
a termine
Le risorse e strategie da usare
Quindi vengono messe in campo le possibilità di scelta dello studente e la disponibilità del docente ad
accogliere la richiesta dello studente mettendosi in gioco. In tal modo, oltre ad una crescita da parte dello
studente, c'è un ampliamento ed un affinamento delle competenze da parte del tutor, che magari conosce
alla perfezione la metodologia del Project, ma che non ha mai approfondito alcuni aspetti relativi ad un
argomento scelto.
Quindi relativamente alla sede di tirocinio il tutor assegnato è l'interfaccia, la cerniera tra lo studente e il
tutor pedagogico, ma anche la cerniera tra lo studente ed il resto dell'equipe. Funge da specchio su quelli
che sono i progressi, le attività, i risultati dello studente durante il suo percorso, ma anche le problematiche
riscontrate in itinere da specchio verso il tutor didattico-pedagogico al fine di andare ad applicare delle
strategie che possono comportare dei rinforzi nei confronti dello studente, degli approfondimenti o delle
ulteriori verifiche o addirittura il dover ripetere il percorso.
Quindi ad esempio se parliamo di tirocinio di laurea triennale, lo studente nel contratto di apprendimento
si impegna ad essere puntuale, ad aver cura della divisa, a presentarsi, a relazionarsi con gli utenti e con
l'equipe, etc.
Esiste difatti un documento della Consensus Conference, che riporta in calce quello che è il codice etico
di comportamento dello studente:
Gli studenti dei corsi di laurea delle professioni sanitarie quando effettuano tirocini nei servizi assumono
responsabilità verso i cittadini-utenti perché per apprendere hanno bisogno di inserirsi attivamente nei piani
di cura e nelle prestazioni erogate. Pertanto è necessario formare gli studenti ad assumere
consapevolmente un comportamento conforme con valori di rispetto ed eticità nell’ambiente clinico o
accademico, ma anche per uno sviluppo completo della sua persona.
Durante il tirocinio come studente, coinvolto attivamente nell’ambiente clinico, mi impegno a:
Rispettare i diritti di tutti gli utenti, le diverse etnie, i valori e le scelte relative ai credi culturali e
spirituali e lo status sociale
Mantenere la riservatezza e la confidenzialità delle informazioni degli utenti - Informare gli utenti
e/o famigliari che sono studente e i limiti dei compiti che posso assumere e rendere visibile il
cartellino di riconoscimento
Prepararmi per il tirocinio considerati gli obiettivi e le specificità della sede di tirocinio
Agire entro i limiti del ruolo di studente e della progressiva autonomia operativa appresa
Accettare le responsabilità delle mie azioni
Intraprendere azioni appropriate per garantire la mia sicurezza, quella degli utenti e dei colleghi
Astenermi dal mettere in pratica qualsiasi tecnica o metodica per la quale non ho ricevuto una
adeguata preparazione o ottenuto la certificazione
Riferire le attività effettuate in modo sincero, puntuale e preciso
Collaborare in modo attivo e propositivo per migliorare il mio percorso formativo
Riconoscere che il mio apprendimento deve essere supervisionato
Riferire puntualmente condizioni di non sicurezza ed errori e farne occasione di riflessione formativa
Astenermi dall’uso di qualsiasi sostanza che possa compromettere la capacità di giudizio
Promuovere l’immagine della professione ed essere modello di “promozione della salute” attraverso
il comportamento, le azioni, l’uso della divisa, le espressioni e le modalità di comunicazione verbale
e non verbale.
Per quanto riguarda invece l’aspetto in relazione al progetto di tirocinio che viene stabilito, l’impegno che
poi lo studente assume con il tutor è quello del rispetto delle regole generali, etiche, morali ma anche
organizzative della struttura che lo accoglie ed anche il rispetto verso il raggiungimento dell’obiettivo che è
stato concordato insieme al tutor.
Il portfolio
Tra gli strumenti di valutazione dell’apprendimento è suggerito, anche dalla Consensus Conference,
l'utilizzo del portfolio. Esso diviene uno strumento di valutazione del lavoro in quanto rappresenta una
raccolta strutturata di lavori eseguiti dal soggetto per documentare un percorso formativo di lavoro e
può essere accompagnato anche da riflessioni da parte dell'autore che descrive appunto il percorso che
ha svolto al fine di effettuarne la raccolta.
Il termine portfolio deriva dall’italiano “portafogli” e può difatti riferirsi sia ad un contenitore per
raccogliere fogli di carta, disegni, biglietti di banca, sia alla lista degli investimenti finanziari di una persona
o di una ditta, sia ad un ufficio ministeriale.
Nell'ambito della scuola e in generale nel campo educativo anche dell’adulto, però, sono diverse le
definizioni di portfolio:
Può essere definito come una raccolta del lavoro dello studente che racconta la storia del suo
impegno, del suo progresso, del suo rendimento; ed è uno strumento che, nella raccolta del suo
contenuto, include anche la partecipazione dello studente, volta anche ai criteri per la selezione
stessa e i criteri per giudicare il valore dei contenuti e la prova dell'auto riflessione dello studente.
Altre definizioni sostengono che il portfolio è qualcosa di più di un contenitore pieno di cose, in
quanto è una raccolta organizzata e sistematica di prove usate dal docente e dallo studente per
andare a valutare in progressione lo sviluppo delle conoscenze e delle abilità dello studente in una
specifica disciplina, quindi il portfolio è una raccolta sistematica ad opera di studenti e docenti che
serve come base al fine di andare a valutare l'impegno, il miglioramento, i precetti e il rendimento,
al fine di far fronte a richieste di responsabilità realizzate dalle procedure di verifica più formali.
Quindi è una registrazione dell'apprendimento che si concentra sulla relazione tra lo studente e il
docente, tra lo studente e il tutor… nella quale vengono contenute tutte le sue riflessioni sul lavoro
stesso quindi il materiale e viene raccolto attraverso una lavoro di collaborazione tra lo studente e i
componenti del team di docenza o il singolo docente ed è indicativo del progresso verso gli obiettivi
essenziali.
Sono tante le definizioni di portfolio però alla fine si potrebbe anche fare un paragone tra il
portfolio ed un album di fotografie, dove ogni foto scattata alla stessa persona ma in tempi diversi
e in occasioni e luoghi diversi da la possibilità di ricostruire l'esperienza e i momenti significativi
vissuti dal protagonista quindi il portfolio va a capire, va a contenere la storia della crescita e dello
sviluppo di una persona documentandola con materiali che permettono di comprendere ciò che è
stato aggiunto.
Quindi nel caso dello studente il portfolio raccoglie e documenta una sequenza di esperienze nel campo
dell'apprendimento ma anche nel campo dello sviluppo di particolari abilità e competenze, quindi può
essere utilizzato come strumento di valutazione oggettiva del lavoro che lo studente ha svolto e nello
stesso tempo può essere anche utilizzato come spunto di dialogo tra lo studente e il docente che gli può
fornire ulteriori approfondimenti al fine di promuovere e motivare ulteriore apprendimento.
Infatti, rispetto alla valutazione con le solite domande orali o con i test la valutazione, attraverso il portfolio
avviene una valutazione molto più fluida, trasparente, tracciabile e oggettivabile. Il portfolio è
continuamente rinegoziabile perché nel momento in cui taluni obiettivi non vengono raggiunti e si decide di
modificare il percorso, tutor e studente possono progettare un percorso diverso e quindi andare ad inserire
nuovi progetti, nuovi obiettivi all'interno del percorso di formazione previsto. Definisce quindi le strategie e
le risorse che lo studente, ma anche il docente utilizzerà per coadiuvare lo studente, al fine del
raggiungimento dell'obiettivo, i tempi nei quali il portfolio viene ad essere redatto quindi andrà a cadenzare
anche il continuum del percorso dello studente stesso e dovrà contenere, alla lettura da parte del docente,
quegli elementi oggettivi che dimostreranno che gli obiettivi sono stati sono stati raggiunti.
Quindi rispetto all'utilizzo del test tradizionale, il portfolio, fa riferimento all'importanza della conoscenza
precedente dello studente come elemento determinante dell'apprendimento utilizzando tutte le attività
di valutazione. Invece se viene proposto un test allo studente si approfondisce e comprende soltanto la
conoscenza attuale che lo studente ha di quella determinata domanda ma non si sa se in realtà lo studente
ha la base necessaria per andare a svolgere tutta l'attività.
Quindi se, ad esempio, si visualizza nel portfolio il percorso che lo studente ha effettuato per lo sviluppo di
una pianificazione dell'assistenza si andrà a ripercorrere tutto il percorso che lo studente ha fatto: dal
momento della anamnesi al momento della valutazione degli esiti; se invece si elabora un test per la
valutazione in cui viene chiesto “cos'è il piano di assistenza?” vengono date possibili risposte multiple e si
viene a conoscenza soltanto dell'informazione ristretta, non avendo chiaro se lo studente ha
effettivamente compreso quello che è necessario per passare alla formulazione della redazione di un piano
di assistenza. Quindi con un test a risposta multipla da parte del docente non c’è un'informazione
completa. È molto importante anche il versante dell'apprendimento e dell’autoapprendimento: infatti uno
studente, in seguito all’esito del test, saprà se lo ha superato o meno ma non avrà contezza delle sue lacune
in quanto, non avendo tracciato tutto il suo percorso, non riesce ad effettuare una autovalutazione. La
correzione del test da parte del docente sarà molto semplice e veloce, quindi l'interesse per la valutazione,
da parte del docente, non è ben esplicitato. Inoltre un test tradizionale non dà contezza relativamente ai
temi di riflessione emotiva, di comunicazione, di aspetto emozionale avvenuti nello studente durante le
diverse fasi dell'esperienza di apprendimento. Invece il portfolio, essendo un documento work-in-progress
dello studente, segue tutte le tappe del miglioramento e quindi dello sforzo che lo studente ha dovuto
spendere al fine di arrivare all'obiettivo.
Le tipologie di portfolio
Gli scopi a cui risponde, i destinatari a cui si rivolge, i tipi di materiali che sono raccolti, l’area curricolare alla
quale si riferisce, determinano differenti tipologie di portfolio. Si possono innanzitutto distinguere due
macro-tipologie di portfolio:
I portfoli certificativi, che hanno come finalità l’attestazione documentale delle competenze
acquisite dagli studenti secondo modalità e forme di certificazione analitiche o sintetiche collegate
alle unità formative svolte. In tale caratterizzazione il portfolio sembra perdere la fondamentale
qualità specifica di strumento che responsabilizza lo studente. Permane la registrazione dei risultati
raggiunti.
I portfoli formativi, invece, sono caratterizzati da una finalità di riflessione e sviluppo del processo
formativo e dei suoi risultati. Anche in questo caso le modalità operative sono differenti, ma rimane
come dato la rielaborazione dell’esperienza formativa da parte dello studente in un’ottica di
accrescimento della consapevolezza sul proprio apprendimento.
Il portfolio progressivo-formativo, un dispositivo valutativo che si avvale di una raccolta
sistematica dei lavori realizzati da un soggetto in formazione nel corso di un determinato
programma o percorso formativo. Questo tipo di portfolio può essere utilizzato in una molteplicità
di contesti, sia scolastici che di formazione professionale iniziale.
Tra questi abbiamo, ad esempio, il portfolio di lavoro, che potrebbe essere utilizzato come metodo
di apprendimento e che ha lo scopo di:
- apprendere delle strategie di apprendimento cognitive e di ricodifica delle esperienze ma anche
dei materiali di apprendimento,
- implementare e potenziare delle strategie di apprendimento e connettere i contenuti dello studio
con le esperienze e le situazioni reali.
Quindi il contenuto del portfolio di lavoro è rappresentato dai lavori che provano l'impegno dello
studente nello studio e nell'apprendimento.
I destinatari del portfolio di lavoro sono:
- gli studenti stessi che sviluppano strategie di apprendimento e autovalutazione delle proprie
capacità di rielaborazione delle esperienze.
- l'insegnante, il quale rileva lo sviluppo e il perfezionamento delle strategie cognitive da parte dello
studente, acquisisce informazioni sulle capacità di comprensione dello studente e vede le risposte
dello studente col tirocinio o con le esperienze vissute in laboratorio.
Nel portfolio applichiamo il metodo della riflessiva: lo studente, da un lato, riflette sulle proprie
esperienze, dall’altro va ad eseguire un’autovalutazione di quanto svolto in precedenza; per il
docente è un modo per valutare sia una riflessione sul lavoro dello studente ma su quello che è
stato il suo lavoro, quindi eventualmente interrogarsi se ha fatto bene, cosa poteva migliorare, etc.
Lo studente grazie a questo strumento elabora, rielabora e utilizza i contenuti appresi dalle
esperienze precedenti avendo un percorso tracciato. Quindi agisce sulla risoluzione e
rielaborazione di tutti i problemi che riscontra durante la pratica di tirocinio.
Un portfolio di lavoro potrebbe contenere anche il curriculum professionale della persona, insieme
al quale vengono illustrate le esperienze di lavoro precedente, i lavori presentati, etc. Difatti,
portfolio e curriculum non sono la stessa cosa: il curriculum è una presentazione della carriera nella
quale non c'è scritto il percorso fatto, mentre il portfolio dice non solo chi sei ma anche come sei
arrivato ad essere.
Perché il portfolio non viene applicato anche al momento dell’assunzione nelle professioni sanitarie? Ogni
azienda ospedaliera ha una Unità Operativa per la gestione delle risorse umane che deve contenere le
carpette personali di ogni dipendente, questo è un requisito previsto dall’ accreditamento e ulteriormente
richiesto dall’accreditamento professionale e dall’accreditamento joint Commission. Quindi ogni carpetta
personale del dipendente dovrebbe contenere sia la carriera che il dipendente ha svolto all'interno
dell'azienda dal punto di vista della attività professionali, ma anche la carriera formativa, e quindi dovrebbe
contenere gli ECM conseguiti, eventuali titoli acquisiti dopo la presa di servizio. Di fatti oggi si parla di
privileges, ovvero tutte quelle competenze che devono essere possedute, ma che ovviamente devono dare
conto ad una dimostrazione di percorso fatto per arrivare al raggiungimento delle stesse.
Per quanto riguarda l'autovalutazione, nel momento in cui uno studente decide di scegliere il nuovo lavoro
piuttosto che quello vecchio che magari è stato revisionato, al momento dell'esame dovrà andare a
motivare questa scelta (o la scelta può essere stata motivata anche nella scheda riflessione).
Esempio di portfolio
In questo caso però mancano: Presentazione, scopo e motivazione; I contenuti nella presentazione in
abstract; Scheda di riflessione; Lavori corredati dalle singole valutazioni.
Tabella delle attività svolte