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Quello di Gianfranco Fini, presidente di An e ora anche ministro degli Esteri, è un mistero. Doloroso.

Soprattutto per la Destra. Per quanto ci si sforzi e si aguzzi l’ingegno non si riescono a trovare le ragioni
della sua fortuna politica. Ha l’appeal di un pesce lesso o di una lucertola, animale a sangue freddo. Non
ha la rude affettività di Bossi, ma neanche l’aria da simpatica canaglia di Berlusconi, al massimo sta al livello
di Follini. Forse l’unico dei “big” cui potrebbe essere apparigliato, per l’atteggiamento scostante e superbioso,
è Massimo D’Alema. Ma il presidente dei Ds, che esce dalla Normale di Pisa, è un uomo di cultura, Fini, che,
come Pera, viene dagli studi di ragioneria, no. “Anzi, la cultura la disprezza” mi ha detto una volta Gennaro
Malgieri, direttore del Secolo d’Italia poi, di fatto, costretto alle dimissioni, uno dei pochi uomini di spessore di
An, intellettuali che Fini ha diligentemente e sistematicamente eliminato o emarginato, dallo stesso Malgieri a
Fisichella e Menniti. Non ha nemmeno capito che dagli avversari bisogna prendere, per poi trasformare a
modo proprio, quello che hanno di positivo, e che se la cultura comunista ha dominato per mezzo secolo in
Italia (con conseguenti e succose ricadute politiche) è perché il Pci nella cultura aveva investito.
Per sapere che gode di pochissima considerazione anche fra i suoi “colonnelli“ non era necessario aspettare
le “quattro chiacchiere al bar” carpite dallo stagista del Tempo. Essendo l’unico intellettuale italiano, insieme
a Giampiero Mughini, che negli anni ’80 frequentava le convention del Msi (non perché condividessi,
naturalmente, ma per testimoniare il diritto all’esistenza politica di tre o quattro milioni di elettori, esclusi dalla
truffa dell’“arco costituzionale”) ho conosciuto abbastanza bene quasi tutti coloro che oggi sono ai vertici di
An e che allora erano dei ragazzi (Gasparri, Alemanno, Malgieri e molti altri) e dalle loro bocche non ho
mai sentito uscire una sola parola di apprezzamento per Gianfranco Fini. I giovani di An poi, che ogni tanto
mi invitano nei loro circoli perché consonano con alcune delle mie idee, lo detestano. Perché, pur di rifarsi
una verginità, ha buttato a mare l’intero patrimonio ideale del fascismo (anche, per fare un esempio,
alcuni concetti, come quello di autarchia, che oggi, in tempi di globalizzazione selvaggia, potrebbero
tornare buoni, sia pur non più a livello nazionale ma europeo) e, scimmiottando lessicamente Bush, ha
definito il regime mussoliniano “il Male Assoluto”, azzardo cui non erano arrivati nemmeno i comunisti.
Pur di rimanere nel salotto buono della politica è disposto a vendere la madre oltre che il padre putativo,
Almirante. E infatti in questi anni non ha fatto politica, si è limitato ad appecoronarsi a Berlusconi, in un modo
così servile e sciocco che come cognome più del suo gli si adatterebbe meglio quello della moglie, che fa Di
Sotto. Da Berlusconi ha mutato l’americanismo “senza se e senza ma”. Ora, quando nel 1985 partecipai a
Taormina a una convention dell’Msi cui erano presenti migliaia di giovani di quel partito, fra cui i “colonnelli”
di oggi, e dissi “Non ho mai capito perché voi missini siete atlantisti” ricevetti la più lunga “standing ovation”
della mia carriera. Ma, soprattutto, Fini ha appoggiato senza riserve la devastante campagna di Berlusconi
contro la magistratura italiana (e tutte le infami leggi “ad personam”), dimenticando che è stato proprio
grazie alle inchieste di Mani Pulite se l’Msi, poi An, e lui stesso, sono potuti tornare all’onor nel mondo
politico dopo quarant’anni di emarginazione. Ma non è un problema di riconoscenza. Il fatto è che il concetto
di Destra può essere declinato in mille modi, ma su una cosa le Destre di tutto il mondo sono concordi: nella
difesa di “law and order”. Solo in Italia abbiamo una Destra indecente che spara a zero sulla magistratura, e
soprattutto su quella più efficiente, per cui oggi non c’è islamico integralista che, preso con le mani nel
sacco, non gridi al “complotto” e all“accanimento giudiziario”. Questi sono i risultati. Anche Umberto Bossi ha
appoggiato Berlusconi, non in tutto peraltro, ma perlomeno si è fatto dare una contropartita: la devolution. Il
leader di An lo ha fatto invece “a gratis”. Forse Gianfranco Fini è stato indotto a questo atteggiamento
così poco autonomo e sottomesso, che ha privato il suo partito di ogni identità, perché è consapevole – e
questo sarebbe già un segno di intelligenza – della propria mediocrità, che però è all’origine della sua
straordinaria suscettibilità e del suo dispotismo. Ha azzerato i vertici del partito, lo ha commissariato e quasi
distrutto per “quattro chiacchiere al bar” che ledevano la sua personcina (se gli uomini di An non sono liberi
di dire le proprie fregnacce almeno al bar dove lo saranno mai?). Gianni Alemanno ha commentato:
“Basta con l’idea di un capo che pensa per tutti”. Il problema è che Fini non pensa per tutti, pensa, da
sempre, solo a se stesso. Io lo chiamo “il Fini sbagliato”.
> Data di nascita: 3 gennaio 1952
> Padre biologico: Argenio Fini
> Padre putativo: Giorgio Almirante
> Madre biologica: Erminia Daniela Marani
> Madre putativa: Assunta Almirante
> Padre sostitutivo: Teodoro Buontempo, detto “er pecora”
> Età parlamentare: vetusta, è deputato dal 1983
> Segni particolari: nessuno
GIANFRANCO FINI
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diMassimoFini
Il servo padrone
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