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Capitolo 3 – Forme e modelli dell’innovazione 1

Casi aziendali
Il caso Tesla Motors
Nel 2015, Tesla Motors era già diventata un’impresa da 3,2 miliardi di dollari in piena
corsa per cambiare la storia. Aveva realizzato due automobili che la maggior parte
degli osservatori e dei consumatori era concorde nel ritenere “eccezionali”. I report di
settore e le riviste specializzate avevano giudicato il Model S di Tesla come la migliore
auto che avessero mai valutato. Benché non avesse ancora conseguito utili, le ven-
dite stavano crescendo rapidamente e gli analisti erano fiduciosi che presto avrebbe
potuto registrare i primi profitti. Tesla aveva rimborsato i prestiti governativi prima
ancora delle principali case automobilistiche statunitensi. E soprattutto, a dispetto
delle previsioni di molti concorrenti, sembrava poter sopravvivere. Forse perfino pro-
sperare. Un evento sorprendente, poiché non c’era stato fino ad allora alcun caso di
start-up di successo nell’industria automobilistica negli Stati Uniti dagli anni Venti del
Novecento.
La strada che aveva condotto Tesla alla posizione occupata nel 2015 non sem-
pre era stata agevole da percorrere e c’erano ancora molti dubbi da dissipare. Tesla
aveva beneficiato dell’entusiasmo degli “eco-wealthy”, consumatori ad alto reddito
ma con una spiccata sensibilità ambientale: un segmento però piuttosto ristretto del
mercato. Come avrebbe potuto proseguire lungo il cammino della crescita quando
sarebbe stata chiamata ad affrontare la competizione diretta di concorrenti quali
General Motors, Ford, Toyota nel mercato di massa? Sarebbe stata in grado di realiz-
zare profitti tali da sostenere le sue attività di produzione? Inoltre, alcuni osservatori
dubitavano che avesse senso la strategia di Tesla di rivolgersi al mercato di massa.
In un mercato di nicchia, l’azienda godeva di una posizione privilegiata nei confronti
di clienti relativamente insensibili al prezzo e alla ricerca di un’autovettura stylish, alla
moda, ad alte performance, il cui acquisto potesse significare una “dichiarazione” di
coscienza ambientale. Ma per competere nel mercato di massa l’auto avrebbe dovuto
esibire un buon rapporto prezzo-qualità (costringendo a scelte e a compromessi che
potevano confliggere con gli ideali del suo presidente, Elon Musk), così come dove-
vano superarsi le difficoltà di ricarica delle batterie elettriche.

La storia di Tesla
Nel 2003, un ingegnere di nome Martin Eberhard era alla ricerca di un nuovo pro-
getto ambizioso. Eberhard era un imprenditore seriale che aveva già lanciato un buon
numero di start-up, fra cui NuvoMedia, una delle prime aziende a emergere con il suo
lettore Rocket eBook nel mercato degli e-reader, venduta nel 2000 a Gemstar per 187
milioni di dollari. Eberhard era alla ricerca di un’autovettura sportiva che però fosse
anche environmentally friendly, poiché avvertiva con molta preoccupazione i pericoli
del riscaldamento globale, nonché i rischi di dipendenza degli Stati Uniti dal Medio
Oriente per il petrolio. Quando non riuscì a trovare nel mercato un’auto che potesse
soddisfare i suoi desideri, cominciò a contemplare l’ipotesi di costruirla lui stesso, seb-
bene non avesse alcuna esperienza nel settore. Eberhard notò che in molti dei vialetti
dei suoi vicini di casa auto ibride elettriche come le Toyota Prius erano parcheggiate

M .A. Schilling, F. Izzo – Gestione dell’innovazione 5e – © 2022, McGraw-Hill Education


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accanto ad auto sportive molto costose. Eberhard cominciò così a riflettere se poteva
esistere un mercato per autovetture ad alta performance e, però, rispettose dell’am-
biente. Come ebbe modo di spiegare Eberhard in un’intervista a Fortune nel 2008, “era
chiaro che le persone non stavano acquistando una Prius per risparmiare denaro sul
carburante (la benzina a quei tempi era al suo minimo storico); le compravano per fare
una dichiarazione in difesa dell’ambiente”.
Eberhard cominciò a considerare differenti opzioni alternative per l’alimenta-
zione della sua auto: celle a combustile (fuel cell a idrogeno), gas naturale, diesel.
Ma presto concluse che le performance superiori e la maggiore efficienza sareb-
bero state garantite solo da un veicolo elettrico puro. Fortunatamente per Eberhard,
Al Cocconi (fondatore di AC Propulsion e uno degli storici ingegneri impegnati nel
progetto fallito di auto elettrica di General Motors, l’EV), era giunto alle medesime
conclusioni e aveva realizzato un’auto chiamata tzero. La tzero era in grado di acce-
lerare da zero a 60 miglia all’ora in 4,1 secondi; tuttavia, era alimentata da una batte-
ria piombo-acido estremamente pesante, che limitava la sua autonomia a circa 60
miglia per ricarica. Eberhard avvicinò Cocconi con l’idea di proporgli di usare bat-
terie a ioni di litio, ben più leggere, che offrivano un’energia sei volte superiore a
parità di peso. Cocconi accettò con entusiasmo di provare la nuova soluzione
(in realtà, egli stesso da qualche tempo stava sperimentando le batterie al litio).
Il nuovo prototipo di tzero a batterie al litio raggiungeva le 60 miglia orarie in soli
3,6 secondi e garantiva un’autonomia superiore alle 300 miglia. Eberhard acquisì la
licenza per la tecnologia di propulsione elettrica da AC Propulsion e fondò la sua
impresa, chiamata Tesla Motors in onore di Nikola Tesla, un inventore e fisico di ori-
gine croata, vissuto fra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, che
aveva sviluppato fra i suoi tanti progetti anche il sistema elettrico a corrente alternata
adottato tuttora negli Stati Uniti.
In quegli stessi anni, c’era anche un altro imprenditore – con molto più denaro
nelle tasche – interessato allo sviluppo di auto elettriche basate sul modello tzero:
Elon Musk. Nel 2002, Elon Musk era un trentaduenne sudafricano che viveva in Cali-
fornia; nel 1999 aveva co-fondato un’azienda (X.com) che sarebbe in breve diventata
PayPal. Dopo aver venduto PayPal a eBay nel 2002 per 1,5 miliardi di dollari, Musk
aveva dato vita a un’impresa chiamata SpaceX, con l’obiettivo ambizioso di sviluppare
il mercato del turismo spaziale. La capsula Dragon realizzata da SpaceX nel maggio
2012 aveva segnato una data importante nella storia dello spazio, diventando il primo
veicolo commerciale a essere lanciato in orbita e ad attraccare alla Stazione Spaziale
Internazionale. Musk era anche il presidente di Solar City, una società di punta nel
settore clean tech, con sede a San Mateo, nel nord della California. Lo stile assertivo
di Musk e la sua formidabile storia d’imprenditore di successo nel mondo dell’high
tech avrebbero ispirato il regista Jon Favreau per il personaggio di Tony Stark nei film
dedicati ad Iron Man: entrambi multimiliardari, geniali e con il pallino delle tecnologie
più sofisticate.
Come Eberhard, Musk riteneva che le auto elettriche fossero la chiave per con-
sentire agli Stati Uniti di raggiungere una condizione di indipendenza energetica, e
così contattò Cocconi per trattare l’acquisto di tzero. Tom Gage, allora amministratore
delegato di AC Propulsion, suggerì a Musk di collaborare con Eberhard. Dopo un
incontro di due ore, nel febbraio del 2004, Musk si accordò per finanziare il piano di

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sviluppo di Eberhard con un investimento di 6,3 milioni di dollari. In base agli accordi,
avrebbe assunto la presidenza della società, mentre Eberhard ne sarebbe diventato
l’amministratore delegato.

Roadster
Il primo prototipo Tesla, denominato Roadster, si basò sul modello Elise di Lotus,
un’auto veloce e leggera, all’epoca in vendita a 45 mila dollari, che sembrava per-
fetta per dar vita alla grande idea di Eberhard e Musk. L’auto avrebbe avuto una
potenza elettrica superiore ai 200 kWh, una batteria a ioni di litio con raffreddamento
a liquido, una serie di transistor di silicone, un’accelerazione così potente da schiac-
ciare il guidatore all’indietro contro il sedile. Sarebbe stata veloce come una Porsche
911 turbo, senza emissioni, con un’autonomia di 220 miglia per ricarica e una spina
elettrica come quelle in uso per alimentare una lavatrice. Dopo una serie di scontri
fra Eberhard e Musk che provocarono un ritardo nel lancio del Roadster, Eberhard fu
costretto a dimettersi. Tesla, non rispettando la scadenza prevista per l’avvio della pro-
duzione del modello Roadster nell’impianto di Lotus, aveva dovuto pagare una penale
di 4 milioni di dollari, come stabilito nel contratto di produzione che Musk aveva siglato
con Lotus. Comunque, quando l’auto finalmente fu lanciata nel 2008, venne accolta
da un’entusiastica risposta da parte del mercato. In breve tempo, la lista di prenota-
zioni per poterla acquistare, in larghissima misura alimentata da star del cinema e altre
celebrità, diventò lunghissima e, quando cominciò a circolare per le strade, la Road-
ster diventò presto l’attrazione dei passanti.

Il modello S
Le ambizioni di Musk non potevano fermarsi, però, a un’auto destinata a un segmento
di nicchia. La sua intenzione era di creare una major, una grande azienda automobili-
stica statunitense, un’impresa non riuscita ad alcuno dagli anni Venti del secolo scorso.
Per raggiungere tale obiettivo, Musk era consapevole di dover progettare e lanciare
un’auto meno costosa così da attrarre un volume superiore di potenziali clienti, se non
proprio il mercato di massa. Nel giugno del 2008, Tesla annunciò così il progetto del
Model S, una berlina elettrica ad alte prestazioni che avrebbe messo in vendita a un
prezzo compreso fra i 57 400 e i 77 400 dollari per competere con modelli concor-
renti del calibro della serie 5 della BMW. L’auto avrebbe avuto una struttura tutta in
alluminio e un’autonomia fino a 300 miglia per ricarica. I costi di sviluppo per il Model
S erano stimati in 500 milioni di dollari, in larga misura finanziati da un prestito di 465
milioni che Tesla aveva ricevuto dal governo statunitense nell’ambito delle iniziative
intraprese sotto la presidenza Obama per promuovere lo sviluppo di tecnologie in
grado di consentire al Paese di raggiungere l’indipendenza energetica.
Nel mese di maggio del 2012, Tesla annunciò che aveva già registrato ben
10 mila prenotazioni da parte di clienti desiderosi di acquistare il Model S, e Musk
affermò di essere fiducioso che l’impresa sarebbe stata presto in grado di produrre
(e vendere) 20 000 auto all’anno. In un’intervista al Wall Street Journal, osservò
che, dopo l’incremento della capacità produttiva, si aspettava di vedere “almeno
10 000 auto all’anno acquistate in Europa e almeno 5000 in Asia”. La produzione

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del Model S incontrò una strada senza dubbio meno tortuosa di quella affrontata dal
Roadster e a giugno del 2012 i primi esemplari del Model S uscirono dallo stabili-
mento. La prima vettura in assoluto andò a Jeff Skoll, primo presidente di eBay e uno
dei principali investitori in Tesla. Il giorno del lancio, Skoll parlando con Musk gli chiese
se fosse stato più difficile costruire un razzo (riferendosi all’altra impresa di Musk, la
SpaceX) oppure un’automobile. “Abbiamo deciso che sia l’auto. Nello spazio non c’è
molta competizione”.
Per avviare la produzione del Model S, Tesla aveva acquistato uno stabilimento
automobilistico chiuso da poco a Fremont, in California, in passato utilizzato dalla
New United Motor Manufacturing Inc. (NUMMI), la joint-venture fra Toyota e Gene-
ral Motors che aveva introdotto il metodo del lean manufacturing negli Stati Uniti.
L’impianto, in grado di produrre 1000 vetture alla settimana, aveva una capacità di
gran lunga superiore alle esigenze immediate di Tesla e avrebbe consentito all’­
azienda di avere spazio per la crescita futura. Inoltre, sebbene l’impianto e il ter-
reno attorno allo stabilimento fossero stati valutati circa 1 miliardo di dollari prima
della chiusura di NUMMI, Tesla era stata abile ad aggiudicarsi la fabbrica dismessa a
42 milioni di dollari. E non solo. Tesla aveva deciso di adoperare l’impianto anche per
la produzione dei pacchi di batterie per il RAV4 di Toyota, oltre a un caricabatterie per
un subcompact elettrico di Daimler. Tali progetti avrebbero consentito a Tesla non solo
di ottenere ricavi aggiuntivi, ma anche di beneficiare di economie di scala e di appren-
dimento per le sue tecnologie.
Nel primo trimestre del 2013, Tesla poteva annunciare al mercato i suoi primi pro-
fitti, dichiarando 562 milioni di dollari di ricavi e un utile di 11,2 milioni. Presto, sareb-
bero giunte altre buone notizie: il Model S aveva conseguito il punteggio più alto
nel Consumer Report, oltre a superare, per numero di auto vendute, i modelli BMW
e Mercedes posizionati nella stessa fascia di prezzo. Nel mese di maggio del 2013,
la società aveva raccolto un miliardo di dollari attraverso un aumento di capitale, per
poi sorprendere gli investitori e gli analisti con l’annuncio di aver rimborsato il prestito
ricevuto dal governo. Dopo aver restituito il debito, Tesla aveva ancora in cassa una
liquidità di 679 milioni di dollari. Musk aveva dichiarato che si sentiva in dovere di
restituire nel più breve tempo possibile il denaro ricevuto dai contribuenti americani: la
società aveva ormai fondi a sufficienza per proseguire nel processo di sviluppo della
nuova generazione di automobili senza il prestito e senza ulteriori ricapitalizzazioni.

Il futuro di Tesla
Nel 2015, Tesla Motors aveva intrapreso il processo di sviluppo di un sport utility vehi-
cle (suv) a sette posti, il Model X, con un costo del progetto stimato in 250 milioni
di dollari, disponibile dal 2016. Il nuovo modello era parte essenziale dell’ambiziosa
strategia di lungo termine di Musk, tesa a intercettare un mercato più ampio per le sue
automobili.
Sebbene le mosse strategiche di Tesla fossero state audaci e rischiose, il suc-
cesso raggiunto era illuminante. L’impresa era sopravvissuta alla sua “infanzia”, si
era mostrata finanziariamente solida e stava raggiungendo i suoi obiettivi di ven-
dita, anche se rimanevano ancora seri ostacoli a rallentare un’ampia diffusione dei
veicoli elettrici. Inoltre, non era da dimenticare che Tesla stava competendo con-

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tro concorrenti di dimensioni ben maggiori. Come aveva osservato uno dei com-
mentatori di Edmunds.com, l’autorevole sito di informazioni sul mercato delle auto,
a proposito del successo di Tesla, “molte persone sono state molto, molto scetti-
che. Quando vuoi diventare un produttore di auto, devi competere con colossi da
miliardi di dollari. Ma la mentalità di Musk è quella tipica di Silicon Valley: una forma di
imprenditorialità basata sugli steroidi. Tesla aveva un’incredibile curva di esperienza
da scalare, ma è da quell’approccio che sono stati trascinati”. E un analista di mercato,
Theo O’Neill, ha aggiunto: “Musk sta dimostrando che a Detroit (la sede storica delle
principali case automobilistiche statunitensi, ndc) sono in errore, perché tutti dicono
che quello che Tesla sta facendo non è possibile”.

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