Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
MECCANICA RAZIONALE
Dipartimento di Ingegneria
via della vasca navale 79, 00146 Roma
e-mail umberto.iemma@uniroma3.it
LICENZA D’USO
I Unità didattica I
Strumenti e metodi di base per l’analisi di problemi di meccanica
classica 5
II Unità didattica II
Meccanica del punto materiale 31
2
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 0
6 Lavoro ed energia 53
6.1 Lavoro, potenza ed energia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 53
7 Equilibrio e stabilità 57
7.1 Definizioni fondamentali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57
7.1.1 Elemento materiale con 1 grado di libertà . . . . . . . . . . . . . . 58
7.1.2 Elemento materiale con più gradi di libertà . . . . . . . . . . . . . 60
7.1.3 Esempio applicativo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 62
7.2 Metodi energetici per lo studio della stabilità dell’equilibrio . . . . . . . . 63
IV Unità didattica IV
Atto di moto rigido e sistemi di riferimento in moto 75
V Unità didattica V
Dinamica e statica del corpo rigido 96
VI Unità didatica VI
Meccanica Lagrangiana 116
13.1 Dimostrazione delle 13.46 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
13.1.1 Punto materiale isolato◦ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118
13.1.2 Sistema di M punti materiali∗ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 120
Unità didattica I
Strumenti e metodi di base per
l’analisi di problemi di meccanica
classica
5
Capitolo 1
Nello studiare il moto dei corpi incontreremo grandezze fisiche che possono essere quan-
tificate mediante un semplice valore numerico. Tali grandezze sono dette scalari. Ad
esempio, sono grandezze scalari la massa, l’energia o il tempo. I valori numerici asso-
ciati ad una grandezza scalare hanno dimensioni fisiche specifiche che dipendono dal
significato intrinseco della grandezza misurata.
Si faccia bene attenzione alla differenza tra il concetto di dimensione fisica ed untià di
misura. Le dimensioni fisiche sono concetti fondamentali invarianti, introdotti, secon-
do alcuni autori, da Sir Isaac Newton (Great Principle of Similitude) e formalizzati nei
lavori di J. Fourier e J.C. Maxwell sulla base del concetto che le equazioni fondamen-
tali della fisica devono necessariamente essere indipendenti dalle untià di misura scelte.
Le dimensioni di qualsiasi grandezza fisica possono essere ottenute come combinazione
delle grandezze fondamentali massa, [M ], lunghezza, [L], tempo, [T ], carica elet-
trica, [Q] e temperatura assoluta, [Θ]. Nel corso di meccanica razionale studieremo
esclusivamente fenomeni legati al moto dei corpi e quindi utilizzeremo solo TEMPO [T ],
LUNGHEZZA [L] e MASSA [M ]. La velocità di un punto materiale, ad esempio, rap-
presenta l’entità dello spostamento per unità di tempo. Essa ha, quindi, le dimensioni
fisiche di una lunghezza diviso un tempo, [V ] = [L]/[T ]. L’unità di misura rappresenta
invece il riferimento scelto per misurare una grandezza fisica ed è un concetto che dipen-
de dal sistema metrico utilizzato. La velocità può essere misurata in metri per secondo,
m/s, chilometri per ora, km/h, nodi, kn, etc. . . .
Altre grandezze, invece, si riferiscono a concetti ai quali è associata una direzione, quali
spostamenti, velocità o forze. Tali grandezze sono chiamate vettoriali e vengono rappre-
sentate per mezzo di vettori fisici. Un vettore fisico è un ente geometrico costituito da
un segmento orientato. La lunghezza del segmento rappresenta l’intensità o modulo
del vettore, la giacitura ne è la direzione e l’orientamento lungo la giacitura ne rappresen-
ta il verso. L’intensità di una grandezza vettoriale è uno scalare associato ad opportune
dimensioni fisiche. In queste dispense, i vettori fisici verranno rappresentati mediante
lettere minuscole sovrastate da una freccia, ~v . Un’altra possibile rappresentazione molto
utilizzata in letteratura prevede l’uso di lettere minuscole in grassetto. Si preferisce la
prima, per facilità di rappresentazione alla lavagna durante le lezioni. In questa sezione,
riportiamo le regole fondamentali di algebra dei vettori che ci permetteranno di manipo-
lare tali grandezze e formalizzare le leggi del moto. Il simbolo del vettore privato della
freccia starà ad indicare l’intensità del vettore stesso v = |~v |.
6
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 1
Αb
b
vettori opposti ~a e ~b hanno stessa direzione, stessa intensità e verso contrario, in-
dipendentemente dal loro punto di applicazione. È importante notare che in
• ~a + ~b = ~b + ~a
• ~a + (~b + ~c) = (~a + ~b) + ~c
• (α + β)~a = α~a + β~a
• α(~b + ~c) = α~b + α~c
con α e β scalari.
Figura 1.4: d~ = ~a + ~b + ~c
prodotto scalare
~a · ~b = a b cosγ
dove γ è l’angolo ≤ π formato dai due vettori.
prodotto vettore
~ = ~a × ~b = a b sinγ ŵ
w
dove ŵ è il versore della direzione ortogonale al piano formato dai due fattori,
orientato nel verso che vede ~a ruotare su ~b in senso antiorario, ovvero tale che
â, b̂, ŵ costituiscano una terna destra.
Introdotto un sistema di assi cartesiani individuati dai versori î1 , î2 , î3 , è possibile
rappresentare un vettore come somma dei suoi vettori componenti ~vk = (~v · îk )îk
rispetto ai tre assi
~v = v1 î1 + v2 î2 + v3 î3 = (~v · î1 ) î1 + (~v · î2 ) î2 + (~v · î3 ) î3 (1.2)
Figura 1.6: Vettori componenti di ~v = ~v1 + ~v2 + ~v3 , con ~vk = (~v · îk )îk , k = 1, 2, 3.
con
v1 v10
v= v2 6 = v0 = v0 (1.5)
20
v3 v3
proprietà
• ~a · ~b = ~b · ~a
• ~a · (~b + ~c) = ~a · ~b + ~a · ~c
• ~a × ~b = −~b × ~a
• ~a × (~b + ~c) = ~a × ~b + ~a × ~c
prodotti tripli
• il prodotto triplo
a1 a2 a3
~a · (~b × ~c) = b1 b2 b3 (1.8)
c1 c2 c3
Rappresenta il volume del parallelepipedo avente come spigoli ~a, ~b, ~c, a patto
che formino una terna destra. In caso contrario, il valore rappresenta il volume
cambiato di segno.
• ~a × (~b × ~c) = ~b(~a · ~c) − ~c(~a · ~b)
• (~a × ~b) × ~c = ~b(~a · ~c) − ~a(~b · ~c)
derivata di vettori
Se
3
X
~a(u) = ai (u) îi
i=1
allora
3
d~a X dai
= îi
du du
i=1
Se invece
3
X
~a(u) = ai (u) îi (u)
i=1
ossia se anche i versori della base dipendono da una variabile indipendente u (se
u = t è questo il caso dei versori d una terna mobile), allora
3 3
d~a X dai X dîi
= îi + ai
du du du
i=1 i=1
integrali di vettori
Z 3
Z X 3
X Z
~a(u) du = ai (u)îi du = îi ai (u) du (1.9)
i=1 i=1
dipende dal loro punto di applicazione e, come vedremo in dettaglio più avanti, non si
può prescindere dalla sua conoscenza. Al contrario, un esempio di grandezza vettoriale
il cui effetto prescinde dal suo punto di applicazione è rappresentato dal momento delle
forze agenti rispetto ad un generico polo.
Definiamo momento del vettore applicato (P, ~v ) rispetto al polo O, il vettore
m ~ × ~v = (~xP − ~xO ) × ~v
~ O = OP (1.10)
Come già detto, m~ O è un vettore libero (non applicato). Noto il momento rispetto al
polo O, è possibile calcolare il momento dello stesso vettore applicato rispetto ad un
altro polo O0 mediante la formula
m ~ O + O~0 O × ~v = m
~ O0 = m ~ O + (~xO − ~xO0 ) × ~v (1.11)
~ O · ξˆ
mξ = m (1.12)
Entrambi sono vettori liberi. La formula di trasporto 1.11 può essere utilizzata per
dimostrare che
M ~ O + O~0 O × R
~ O0 = M ~ (1.15)
ossia che il momento risultante un sistema V che abbia risultante nullo non dipende dal
polo.
Teorema di Varignon: Se i vettori di V := {(Pj , ~vj ), 1 ≤ i ≤ N } agiscono lungo rette
concorrenti nel punto Ω, allora il momento risultante rispetto ad un generico polo O
~ rispetto allo stesso polo.
è pari a al momento del vettore applicato (Ω, R)
ossia che la componente del momento risultante lungo la direzione del vettore risultante
non dipende dal polo scelto. Tale grandezza viene chiamata trinomio invariante di V e
verrà utilizzato nel seguito per la definizione dei sistemi equivalenti di forze.
M ~p +M
~O = M ~ On (1.17)
O
~p eM
Lungo la retta q, ortogonale al piano di M ~ n e passante per il polo O, scegliamo il
O O
punto Q tale che il momento di (Q, Rr̂) rispetto ad O sia proprio M ~ n , ossia
O
~ n = OQ
M ~ ×R
~ (1.18)
O
~ e OQ
L’ortogonalità tra R ~ implica semplicemente che OQ = M n /R. Ripetiamo la
O
costruzione per un altro polo O0 . Tenendo conto della 1.15 è immediato verificare che
~ O0 = O~0 Q0 × R
M ~ p0 = M
~ +M ~ O + O~0 O × R
~ = OQ
~ ×R ~ p + O~0 O × R
~ +M ~ (1.19)
O O
quindi l’asse centrale è il luogo dei punti che, scelti come polo, forniscono il
momento risultante di minore intensitá e parallelo al risultante R. ~
~v = v1 î1 + v2 î2 + v3 î3 = v10 ê1 + v20 ê2 + v30 ê3 (1.22)
v = R v0 (1.26)
v0 = R0 v (1.27)
Rw=w ⇒ (R − I) w = 0 (1.34)
Delle ∞n funzioni 2.4 possiamo ottenere una soluzione unica per il nostro problema
associando alla 2.1 n condizioni iniziali su x e le sue derivate fino all’ordine n − 1, in
modo da poter individuare il valore delle costanti n ck
Se esiste una radice γ̂ di molteplicità ν, la parte di soluzione x̂ relativa a γ̂ ha la forma
16
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 2
α2 ẍ + α0 x = 0 (2.7)
completato dalle condizioni iniziali
α0 /α2 = ω 2 > 0
Le sue radici sono immaginarie coniugate, γ1,2 = ±jω e la soluzione è
α0 /α2 = −σ 2 < 0
Le sue radici sono reali e distinte, γ1,2 = ±σ e la soluzione è
che fornisce
1 ẋ0 σt ẋ0 −σ t
x(t) = x0 + e + x0 − e (2.13)
2 σ σ
L’evoluzione della soluzione è descritta nella figura 2.2.
α0 /α2 = 0
Nel caso in cui α0 = 0 ci si trova di fronte ad un’equazione del tipo ẍ = 0. L’equazione
caratteristica ha la radice γ̂ = 0 con molteplicità 2. La soluzione generale ha la forma
x(t) = c1 t + c2 (2.14)
che in virtù delle condizioni iniziali diventa
x(t) = ẋ0 t + x0 (2.15)
Questo è il caso che si verifica per i corpi sui quali non agisce alcuna forza e che quin-
di permangono indefinitamente in quiete (se inizialmente fermi) o in moto rettilineo
uniforme.
∆>0
In questo caso le radici saranno reali e distinte. La soluzione generale ha la forma
Figura 2.4: Andamento del tempo di x(t) per due set di condizioni iniziali.
Figura 2.5: Andamento del tempo di x(t) per due set di condizioni iniziali.
∆=0
In questo caso abbiamo una radice con molteplicità 2. La soluzione generale ha la forma
Figura 2.6: Andamento del tempo di x(t) per due set di condizioni iniziali.
Figura 2.7: Andamento del tempo di x(t) per due set di condizioni iniziali.
∆<0
Figura 2.8: Andamento del tempo di x(t) e ẋ(t) per ∆ < 0 e µ > 0.
dove pn (t) e qm (t) sono polinomi in t di grado n ed m. In tal caso è possibile scrivere la
soluzione nella forma
F/α2
xP N (t) = cos(Ωt) (2.30)
ω 2 − Ω2
La soluzione generale dell’equazione forzata sarà quindi ottenuta combinando la 2.30 con
ls 2.9
F/α2
xGN (t) = a cos(ωt) + b sin(ωt) + 2 cos(Ωt) (2.31)
ω − Ω2
Figura 2.10: Andamento nel tempo delle componenti di xGN (t) (sinistra) e della
soluzione completa (destra).
Applicando le condizioni iniziali alla xGN (t) otteniamo il valore delle costanti
F/α2
a = x0 − (2.32)
ω 2 − Ω2
ẋ0
b = (2.33)
ω
ottenendo quindi
F/α2 ẋ0
xGN (t) = 2 2
[cos(Ωt) − cos(ωt)] + x0 cos(ωt) + sin(ωt)
ω −Ω ω
La figure 2.10 mostra a sinistra l’andamento dei tre componenti di xGN e a destra
la soluzione complessiva. Appare evidente l’effetto del termine a frequenza Ω nella
componente verde che si riperquote anche nell’andamento globale della soluzione. In
questo caso la soluzione complessiva x(t) non si può considerare un’oscillazione pura
a frequenza f = ω/2π sfasata di una quantità dipendente dalle condizioni iniziali. Il
termine dipendente dalla frequenza della forzante, combinato con quelli oscillanti alla
fequenza propria, induce una soluzione contenente due armoniche, la cui “forma” dipende
dall’affetto congiunto di condizioni iniziali e rapporto tra Ω e ω.
Sostituendo 2.34 e 2.35 nella 2.28 possiamo ottenere i valori delle costanti A e B. Suc-
cessivamente, possiamo imporre il soddisfacimento delle condizioni iniziali all’intera so-
luzione xGN (t) = xGO (t) + xP N (t) per determinare a e b. Si suggerisce di svolgere il
procedimento completo per esercizio. Si vuole qui pervenire allo stesso risultato osser-
vando che il limte per Ω → ω della 2.31 fornisce una forma indeterminata e deve quindi
essere calcolato utilizzando il teorema di de l0 H ôspital
Figura 2.11: Andamento nel tempo delle componenti di xGN (t) (sinistra) e della
soluzione completa (destra) in condizioni di risonanza.
za della forzante armonica con frequenza pari alla frequenza propria ω. Questo fenomeno
viene chiamato risonanza e rappresenta un aspetto critico della progettazione si sistemi
dinamici non solo in campo meccanico. La risposta di un sistema meccanico in condizioni
di risonanza verrà analizzata in dettaglio nel paragrafo 5.3.
La 3.1 afferma, in sostanza, che l’azione della matrice A sul vettore z produce un vettore
parallelo a z stesso, scalato del valore di λ. La 3.1 può essere riscritta come
(A − λI)z = 0 (3.3)
che rappresenta un sistema di n equazioni nelle n incognite zk (k = 1, 2, . . . ). Perchè il
sistema abbia una soluzione z diversa dalla soluzione banale zk = 0 (k = 1, 2, . . . ) deve
essere verificata la condizione
det(A − λI) = 0 (3.4)
che corrisponde ad un’equazione algebrica di grado n in λ
(−1)n λn + cn−1 λn−1 + · · · + c1 λ + c0 = 0 (3.5)
Tale equazione (equazione caratteristica del sistema) ha, in generale, n radici complesse
λk che sostituite nella 3.3 permettono di determinare l’autovettore z(k) tale che
(A − λk I)z(k) = 0 (3.6)
1
In questo capitolo (e nei seguenti) indicheremo le matrici con lettere maiuscole in grassetto. I vettori
(matrici colonna), saranno indicati con lettere minuscole in grassetto.
24
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 3
o, equivalentemente,
n
X
(ajp − λk δjp ) zp(k) = 0 (3.7)
p=1
ossia l’autovettore relativo all’autovalore λk . Notare che, essendo λk soluzione della 3.5,
il rango della matrice (A − λk I) è sicuramente minore di n. Assumiamo che il rango sia
n − 1 (ossia, che l’autovalore sia radice dell’equazione caratteristica con molteplicità 1).
Con opportuni scambi di righe e colonne (sempre possibili) possiamo fare in modo che
il determinante formato dalle prime n − 1 righe e dalle prime n − 1 colonne sia diverso
(k)
da zero. A questo punto, fissando ad arbitrio l’ultima incognita (per esempio zn = 1)
possiamo risolvere il sistema in n − 1 incognite che assume la forma
n−1
X
(ajp − λk δjp ) z (k) p + ajn = 0 (3.8)
p=1
ossia
z (k) 1
a1 1 − λ k
... a1 n−1 a1 n
(k)
a2 1 a22 − λk . . . a2 n−1
z 2
a2 n
. ... . . .
=− (3.9)
. ... .
.
.
. ... . . .
(k)
an−1 1 ... an−1 n−1 − λk
an−1 n
z n−1
Tale sistema ha soluzione unica. Ne segue che l’autovettore z(k) relativo all’autovettore
λk è
z (k) 1
z (k) 2
.
z(k) =c . (3.10)
.
(k)
z n−1
1
Si noti che l’autovettore è definito a meno di una costante moltiplicativa c (se z(k)
è autovettore di A, lo è anche qualunque vettore ad esso parallelo), ma rappresenta
una sola soluzione della 3.9. La determinazione di c può essere utilizzata per normalizzare
l’autovettore, imponendo ||z(k) || = 1.
Esempio applicativo
Consideriamo la matrice
2 −1 0
A = −1 2 −1 (3.11)
0 −1 2
√
ha gli autovalori λ1 = 2, λ2,3 = 2 ± 2. Posso determinare l’autovettore z(1) risolvendo
il sistema
(1)
0 −1 0 z1
(1) (1)
(A − λ1 I)z = −1 0 −1
z2 =0 (3.13)
0 −1 0 (1)
z3
Il determinante formato dalle prime 2 righe e 2 colonne è diverso da zero. Ne segue che
(1)
l’ultima equazione deve essere linearmente dipendente dalle altre 2. Ponendo z3 = 1,
(1) (1)
ottengo il sistema di n − 1 = 2 equazioni nelle due incognite z1 e z2
( (1) )
0 −1 z1 0
(1) = (3.14)
−1 0 z2 1
2
N.B.: rappresentati i vettori ~a e ~b in un arbitrario sistema di riferimento mediante i vettori colonna
a e b contenenti le loro componenti, è facile verificare che
3
X
~a · ~b = aT b = ai bi
k=1
T
0 = (λ1 − λ2 )z(2) z(1) (3.19)
T
Essendo, per ipotesi, λ1 6= λ2 dalla 3.19 segue, necessariamente, la tesi z(1) z(2) = 0
q.e.d.
Corollario: se A è una matrice simmetrica con N autovalori distinti ha necessariamente
N autovettori mutuamente ortogonali.
Teorema: se A è una matrice simmetrica con N autovalori distinti, i corrispondenti
autovettori sono linermente indipendenti.
B = T−1 AT
Se T rappresenta una trasformazione tra due sistemi di riferimento cartesiani, allora
TT T = I, ossia è ortogonale.
Esiste una trasformazione rappresentata da T tale che
λ1 ... 0
TT AT = Λ = ... (3.20)
0 ... λN
ossia, tale da fornire una matrice diagonale simile ad A ? Premoltiplicando la 3.20 per
T e tenendo conto del fatto che TT = T−1 , otteniamo
N
X N
X
AT = TΛ o, per componenti, aik tkj = tik (λk δkj ) = λj tij (3.21)
k=1 k=1
Definiamo la matrice Z in modo che le sue colonne siano costituite dagli autovettori di
A, ossia
(j)
Zkj = zk
Ricordando che (definizione di autovettori di A)
N
(j) (j)
X
aik zk = λj zi
k=1
è immediato verificare che Z è la matrice che soddisfa la 3.20. Si noti che è necessario
che Z sia invertibile, ossia che le sue colonne siano linearmente indipendenti.
Teorema: A è diagonalizzabile sse ha N autovettori linearmente indipendenti.
Teorema: se A è simmetrica è sempre diagonalizzabile.
Infatti, dati due percorsi arbitrari C1 (~x) ⊂ D e C2 (~x) ⊂ D aventi per estremi i
punti ~x0 e ~x1 , allora C1 ∪ C2 ≡ C (chiuso) e pertanto per la condizione (4.1) si ha
I Z Z
~v · d~x = ~v · d~x + ~v · d~x = 0, (4.3)
C C1 (~
x0 →~
x1 ) C2 (~
x1 →~
x0 )
che implica
Z Z Z ~
x1
~v · d~x = ~v · d~x = ~v · d~x, (4.4)
C1 (~
x0 →~
x1 ) C2 (~
x0 →~
x1 ) ~
x0
1
Definiamo spazio vettoriale V l’insieme di vettori che soddisfa la condizione ~c = α~a + β~b ∈ V,
per ogni coppia ~a, ~b ∈ V e α, β ∈ IR. Gli elementi di V devono soddisfare le seguente proprietà:
~a + ~b = ~b + ~a, (~a + ~b) + ~c = ~a + (~b + ~c)
~a + ~0 = ~a, ~a + (−~a) = ~0
c(~a + ~b) = c~a + c~b, (c + k)~a = c~a + k~a
c(k~a) = (ck)~a, 1~a = ~a
Il numero massimo di elementi di V linearmente indipendenti rappresenta la dimensione dello spazio.
28
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 4
∇ × ~v = ~0, ∀ ~x ∈ D. (4.6)
• Dimostrazione che B → C.
La dimostrazione che la condizione B implica la C si ottiene immediatamente
utilizzando la seguente identità vettoriale:
• Dimostrazione che C → A.
Data una superficie arbitraria S(~x) ⊂ D il cui contorno sia ∂S ⊂ D, è possibile di-
mostrare che per un campo vettoriale differenziabile ~v (~x) vale la seguente relazione
(teorema di Stokes):
Z Z
n̂ · (∇ × ~v ) dS(~x) = ~v · d~x, (4.8)
S ∂S
• Dimostrazione che A → B.
Z ~
x1
Come visto nel punto A, se ~v (~x) è un campo conservativo, allora ~v · d~x
~
x0
è indipendente dal percorso. Pertanto, se ~x0 è un punto arbitrariamente fissato,
tale integrale definisce una funzione scalare di punto
Z ~
x
ϕ(~x) = ~v (~x0 ) · d~x0 . (4.9)
~
x0
Per dimostare che A → B, si deve quindi dimostrare che ϕ è tale che ~v = ∇ϕ.
A questo scopo si consideri la variazione della funzione ϕ tra due punti ~x e ~x + ∆~x:
Z ~
x+∆~
x Z ~
x
∆ϕ = ϕ(~x + ∆~x) − ϕ(~x) = ~v · d~x0 − ~v · d~x0 (4.10)
~
x0 ~
x0
Z ~x+∆~x
= ~v · d~x0 . (4.11)
~
x
Al limite, facendo tendere la distanza finita ∆x tra i due punti ad una distanza
infinitesimale d~x, per il teorema della media si ottiene:
Unità didattica II
Meccanica del punto materiale
31
Capitolo 5
da dove si evince che il moto di E può essere descritto completamente dalla conoscenza
di s(t). Definiamo vettore spostamento il vettore differenza P~P 0 = OP ~ 0 − OP~ tra
0
le posizioni occupate da E in due istanti successivi t e t . La velocità globale di E
nell’intervallo di tempo (t, t0 ) è data da P~P 0 /(t0 − t). La velocità di E all’istante t
è definita come
P~P 0 ∆OP~ ~
dOP
~v (t) = lim = lim = (5.2)
∆t→0 ∆t ∆t→0 ∆t dt
Analogamente, l’accelerazione istantanea di E viene definita come
~v (t0 ) − ~v (t) d~v
~a(t) = lim = (5.3)
∆t→0 ∆t dt
32
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 5
x(s)
y
∆x
x(s+∆s)
O x
Figura 5.1:
Essendo s la lunghezza d’arco lungo la curva che descrive la traiettoria, per definizione
si ha ds = ||d~x|| e quindi il modulo di t̂ è dato da
||∆~x||
||t̂|| = lim =1 (5.5)
∆s→0 |∆s|
t(s)
y θ
∆t
t(s+∆s)
O x
Figura 5.2:
Dalla figura si nota che, al limite, ∆t̂ è parallelo alla normale alla curva giacente nel
piano osculatore, diretto verso C. Inoltre, sempre al limite, ||dt̂|| = dθ = ds/R, essendo
R il raggio di curvatura alla traiettoria. Si ottiene quindi
dt̂ 1
= n̂ (5.7)
ds R
che definisce il versore normale.
p 1
dx
dx
1 + f 02
ds ds
t̂ = = = (5.10)
dy dy dx 0
p f
ds dx ds 1 + f 02
|f 00 |
|~n| = 3/2 (5.12)
1 + f 02
b̂ = t̂ × n̂ (5.13)
t̂, n̂, b̂ è definita terna intrinseca della traiettoria.
5.1.5 Velocità
Utilizzando le regole di derivazione di funzioni composte otteniamo
d~x d d~x ds
~v = = ~x(s(t)) = = ṡt̂ (5.14)
dt dt ds dt
da cui si evince che ~v è sempre tangente alla traiettoria e che v = ṡ. ṡ viene chiamata
velocità scalare del punto.
5.1.6 Accelerazione
Dall’equazione 5.14 otteniamo facilmente
d~v dt̂ ds
~a = = s̈t̂ + ṡ (5.15)
dt ds dt
Quindi, per la 5.7,
ṡ2
n̂
~a = s̈t̂ + (5.16)
R
Se ne deduce che l’accelerazione è composta da due componenti: s̈ è la componente
ṡ2
tangenziale dell’accelerazione, mentre la è la componente normale alla traiettoria
R
(centripeta).
~a × ~v = 0 (5.17)
in ogni istante;
~a × ~v (5.18)
ha direzione costante;
• Moto centrale. un moto viene definito centrale con centro nel punto C se, in
ogni istante,
~ =0
~a × CP (5.19)
~ ;
ossia se l’accelerazione risulta sempre parallela a CP
• Moto circolare. il moto lungo una traiettoria circolare di centro O (vedi figura)
può essere in generale descritto in funzione del parametro θ come
y
P
θ(t)
0 x
Figura 5.3:
• Moto armonico. La posizione delle proiezioni del punto P del caso precedente
lungo gli assi x ed y varia con legge, rispettivamente, cosinusoidale e sinusoidale.
Tale tipo di moto si definisce armonico. La forma generale di tali moti è del tipo
ẍ = −ω 2 x (5.25)
Si tratta di un’equazione vettoriale che, nel caso sia nota la f~, assume la forma di equa-
zione differenziale del secondo ordine per la funzione ~x(t). Quest’ultima, detta legge del
moto, rappresenta la posizione del punto nel sistema di riferimento adottato in funzione
del tempo. Nel caso che sia nota la legge del moto del punto ~x(t), e sia richiesta la
determinazione di f si parla di problema dinamico inverso. Viceversa, la determinazione
di ~x(t) dalla 5.26 a partire dalla conoscenza di f~ si definisce problema dinamico diretto.
Tale classe di problemi richiede la soluzione di un’equazione differenziale del secondo
ordine. In generale, la dipendenza da ~x delle forze agenti sul punto può avere una forma
tale (presenza di termini non lineari, coefficienti non costanti, ecc. . . ) da rendere estre-
mamaente complessa (talvolta addirittura impossibile) la soluzione analitica della 5.26.
Tuttavia, per una larga classe di problemi della meccanica (che sono proprio quelli dei
quali ci occuperemo in questo corso) le equazioni differenziali con le quali si ha a che fare
sono lineari ed a coefficienti costanti e possono quindi essere risolte utilizzando i metodi
visti nel Cap. I. In aggiunta a ciò, è importante ricordare che anche per quei problemi
governati da equazioni non lineari è spesso utile ricorrere alla loro linearizzazione, ossia
l’approssimazione in serie di Taylor troncata al primo ordine delle nonlinearità, impo-
nendo piccoli spostamenti rispetto a particolari condizioni di riferimento (vedi Cap. 7).
Per tali problemi differenziali abbiamo visto nel Cap. I come determinare la soluzione
in forma analitica.
I problemi differenziali che si ottengono possono essere risolti con le metodologie esposte
nel capitolo 2 ove appplicabili, ossia sse è possibile ridurli ad equazioni differenziali
ordinarie lineari a coeffcienti costanti. Tuttavia, è possibile individuare per tali classi
di problemi alcune metodologie alternative di soluzione.
CASO 1 In questo caso le equazioni sono disaccoppiate e possono essere risolte in-
dipendentemente le une dalle altre. In generale possiamo integrare rispetto al
tempo Z Zt t
m ¨(t0 )dt0 =
~x f~x (t0 )dt0 (5.30)
t0 t0
che, una volta scelto un sistema di riferimento, si traduce in tre equazioni scalari
Z t Z t
0 0
m ẍ(t )dt = fx (t0 )dt0
t0 t0
Z t Z t
m ÿ(t0 )dt0 = fy (t0 )dt0
t0 t0
Z t Z t
m z̈(t0 )dt0 = fz (t0 )dt0
t0 t0
dove ẋ0 è noto dalle condizioni iniziali del problema per la velocità. Il primo
termine della 5.31 rappresenta il salto di quantità di moto che l’elemento subisce
tra gli istanti t0 e t. Possiamo ottenere direttamente l’evoluzione temporale della
velocità
1 t
Z
vx (t) = vx (t0 ) + fx (t0 )dt0 (5.32)
m t0
Integrando ancora otteniamo la legge del moto
Z t
x(t) = x(t0 ) + vx (t0 )dt0 (5.33)
t0
la cui soluzione è
x(t) = u0 t; (5.38)
y(t) = v0 t; (5.39)
t2
z(t) = w0 t − g (5.40)
2
1
ossia, definendo l’energia cinetica T = mv 2 ,
2
dT d~x
= f~ · (5.42)
dt dt
da cui, integrando, otteniamo
Z t2
d~x
T2 − T1 = f~ · dt = L12 (5.43)
t1 dt
essendo Z
L12 = f~ · d~x (5.44)
C(~
x1 ,~
x2 )
il lavoro compiuto dalla forza f~ quando il punto si muove lungo il percorso C(~x1 , ~x2 ).
Quando L12 non dipende da C ma solo dai punti iniziale e finale ~x1 , ~x2 , si dice che
la f~ è una forza conservativa, ed è possibile introdurre l’energia potenziale,
definita come Z ~x
U (~x) = − f~ · d~x (5.45)
~
x0
per la quale vale quindi la relazione
L12 = U (~x1 ) − U (~x2 ) (5.46)
Dalle eqq. 5.43 e 5.46 segue che
T2 + U2 = T1 + U1 ⇒ T + U = costante (5.47)
ossia che per un punto materiale soggetto all’azione di sole forze conservative la
somma dell’energia cinetica e dell’energia potenziale rimane costante. I prin-
cipi fondamentali di conservazione energetica verranno ampiamente discussi nel
capitolo 6.
CASO 3 In questo caso abbiamo, in generale,
3 3
d2 xk X dxn X
m 2 + Gkn + Kkn xn = gk (t) (k = 1, 2, 3) (5.48)
dt dt
n=1 n=1
che rappresenta un sistema di equazioni differenziali lineari del secondo ordine
della cui soluzione ci occuperemo in una sezione a parte del corso. Nel caso in
cui le equazioni siano disaccoppiate, ossia se Gkn = δkn Ĝk e Kkn = δkn K̂k con
δkn =funzione di Kronecker, allora il sistema si riduce a 3 equazioni differenziali
indipendenti (vedi capitolo 2).
CASO 4 Nel caso più generale di dipendenza di f~ da ~x e dalle sue derivate, non
è possibile ottenere una soluzione analitica del problema differenziale. È possibile,
tuttavia, risolvere numericamente il sistema di equazioni utilizzando schemi di
integrazione al passo, sfruttando il fatto che una qualsiasi equazione differenziale
di ordine n può essere riscritta in forma di sistema di n equazioni differenziali del
primo ordine.
CASO 5 La presenza di vincoli può imporre all’elemento materiale di appartenere ad
una particolare traiettoria o superficie delle quali si conoscono le caratteristiche
geometriche. In questo caso, risulta vantaggioso riformulare il problema in modo
da ottenere come incognite i gradi di libertà dell’elemento (ridotti dalla presenza del
vincolo) e le reazioni vincolari. Dedicheremo a tale classe di problemi il paragrafo
5.2.2.
Vincoli lisci
Un vincolo liscio, ossia privo di attrito, esercita reazioni che sono punto per punto
ortogonali alla geometria del vincolo stesso.
Le incognite del sistema precedente sono la s(t) e le due componenti della reazione
vincolare rn ed rb . L’equazione 5.50 è un’equazione differenziale in s che può essere
risolta a partire dalla conoscenza della f~a . la conoscenza di s(t) ci permette di
ricavare il valore delle reazioni vincolari dalle 5.51 ed 5.52.
Vincoli scabri
Se il vincolo che agisce sull’elemento è scabro, la reazione vincolare non è più diretta
solo in direzione normale alla geometria del vincolo stesso, ma ha anche una componente
tangenziale. L’intensità di tale componente tangenziale è comunque legata a quella
normale al vincolo rN attraverso un coefficiente di attrito, per il quale è necessario
distinguere i casi in cui il punto materiale sia in moto o fermo.
• Attrito statico. Nel caso in cui il punto sia fermo rispetto al vincolo, la com-
ponente tangenziale della reazione vincolare ~ras = ras t̂ bilancia la componente
tangenziale della risultante delle forze esterne f~a · t̂ fino a che
ras ≤ Φs rN (5.53)
La ~ras può essere concorde o discorde con t̂, in dipendenza del verso della com-
ponente tangenziale delle forze esterne. La componente tangente al vincolo della
reazione vincolare ha quindi valore ras = −f~a · t̂, fino a che |f~a · t̂| ≤ Φs rN , condizio-
ne nella quale il punto comincia a muoversi lungo una traiettoria compatibile con
il vincolo. Si noti che se il punto materiale è vincolato a muoversi lungo q una guida
curvilinea, per la componente di reazione normale al vincolo si ha rN = rn2 + rb2 .
• Attrito dinamico. Nel caso in cui il punto sia in moto rispetto al vincolo, la com-
ponente tangenziale della reazione vincolare ha un’intensità proporzionale al modu-
lo della reazione ortogonale al vincolo attraverso il coefficiente di attrito dinamico
Φd , ed è diretta come la velocità del punto, con verso contrario
~v
~rad = −Φd rN = −Φd rN v̂ (5.54)
v
Si noti che la reazione esercitata dal vincolo scabro dipende in entrambi i casi da rN , e
quindi la presenza di una reazione tangenziale diversa da zero non introduce in realtà
incognite ausiliarie aggiuntive.
• Una molla lineare capace di esercitare una forza f~el proporzionale al suo allun-
gamento, allineata lungo la propria giacitura e diretta in maniera tale opporsi
all’allungamento stesso
f~el = − k ∆l ı̂ = − k (l − l0 ) ı̂ (5.55)
k
g m
0 x
Figura 5.4:
Riferendoci alla configurazione in Fig. 5.4, identificando con ı̂,̂ i versori allinati ri-
spettivamente al telaio orizzontale e al vincolo verticale, e disponendo l’origine in
corrispondenza alla lunghezza a riposo della molla, l’Eq. 5.58 diventa
m ẍ ı̂ = − k x ı̂ − g ẋı̂ + r̂ (5.59)
Si noti che avremmo potuto ottenere un risultato formalmente analogo disponendo l’ori-
gine del sistema di riferimento in un punto arbitrario e scrivendo l’equazione in termini
di spostamento rispetto alla posizione di riposo della molla. Definendo, infatti, lo spo-
stamento come u(t) = x(t) − x0 ed osservando che u̇ = ẋ, ü = ẍ, l’equazione avrebbe la
forma müı̂ = −kuı̂ − g u̇ı̂ + r̂. Proiettando lungo i due assi otteniamo
m ẍ = − k x − g ẋ (5.60)
0=r (5.61)
(5.62)
che sono due equazioni indipendenti nelle incognite x(t) e r. La seconda equazione
fornisce immediatamente, per via algebrica, il valore della reazione vincolare che, in
assenza di forze attive dirette lungo ̂, è nulla. La prima equazione sarà analizzata nei
paragrafi seguenti.
mẍ + g ẋ + kx = 0 (5.63)
L’equazione caratteristica è
mγ 2 + gγ + k = 0 (5.64)
le cui radici sono
p
g 2 − 4mk
−g ±
γ1,2 = (5.65)
2m
Dall’esame delle radici dell’equazione caratteristica possiamo studiare la dinamica li-
bera del sistema. In particolare, possiamo capire se il sistema, lasciato libero di evolversi
a partire da condizioni iniziali generiche, manifesti una risposta che rimane limitata in
ampiezza o indefinitamente crescente. Ovviamente, Il sistema meccanico avrà una ri-
sposta limitata in ampiezza, essendo k e g due scalari per definizione positivi. Tuttavia
esistono sistemi governati da equazioni formalmente identiche alla 5.63, nei quali il si-
gnificato fisico dei coefficienti è sostanzialmente diverso. In alcuni casi, tali coefficienti
possono assumere valori negativi, dando luogo a dinamiche divergenti (si consideri, ad
esempio, l’equazione che governa la dinamica di un pendolo semplice linearizzata attorno
alla posizione di equilibrio θ0 = π, Cap. 7).1
√
1. |g| > 4mk ⇒ due radici reali distinte
√
2. |g| = 4mk ⇒ due radici reali coincidenti
√
3. |g| < 4mk ⇒ due radici complesse coniugate
2. x(t) = (J + Y t)eγt
dove K, H, J, Y sono costanti che si ottengono dalle condizioni iniziali. Ne segue che
la massa m, soggetta a condizioni iniziali non nulle si muoverà di moto aperiodico con
ampiezza crescente o decrescente, in dipendenza del segno di g. Se g > 0 abbiamo due
radici negative e l’andamento è quello mostrato in figura 5.5.
Nel caso 3 avremo, in generale,
g2
−g 2 k
γ1,2 = β ± j ω̃, con β = , ω̃ = 1−
2m m 4km
e quindi la soluzione dell’omogenea avrà la forma
1
La derivazione della soluzione corrispondente al caso di due radici reali coincidenti non è immediata
e richiede alcuni passaggi. Ci limitiamo in questa sede a descrivere brevemente il procedimento logico,
lasciando i passaggi per esercizio. Nel caso di una sola radice γ1 con molteplicità due è possibile definire
solo una soluzione appartenente alla classe in esame, x1 (t) = c1 eγ t . Per poter ottenere una seconda
soluzione indipendente dalla prima si può usare il metodo di variazione della costante arbitraria. Si cerca
la funzione del tempo C(t) tale che x̂(t) = C(t)eγt sia soluzione. Si procede come fatto in precedenza,
sostituendo la x̂(t) nell’equazione differenziale e determinando la C(t) che la soddisfa. Effettuando i
calcoli si ottiene C(t) = t e quindi la soluzione generale è del tipo x(t) = c1 eγt + c2 t eγt .
x(t)
1.5
g>0
caso 2
0.5
caso 1
0
0 2 4 6 8 t 10
L’evouzione dell’ampiezza della risposta del sistema dipende dal segno della parte reale
β. Avendo noi assunto in questo caso g ≥ 0, avremo i seguenti casi:
x(t)
5
−5
−10
0 5 10 15 20 t 25
x(t)
0.5
−0.5
−1
0 5 10 15 20 t 25
F
ẍ + 2ζω ẋ + ω 2 x = cos(Ωt) (5.68)
m
p
dove abbiamo posto 2ζω = g/m e ω = k/m. La soluzione generale della 5.67 è data
dalla somma della xG0 , vista nel paragrafo precedente, e della soluzione particolare della
5.67, che ha la forma xP N (t) = C cos(Ωt) + D sin(Ωt). Sostituendo otteniamo
F ω 2 − Ω2
2F ζωΩ
C= h i D= h i (5.69)
2
2 2
m (ω − Ω ) + 4ζ ω Ω 2 2 2 m (ω − Ω2 )2 + 4ζ 2 ω 2 Ω2
2
Quindi, il regime di oscillazione della massa, dopo un transitorio dipendente anche dalle
condizioni (tramite la xG0 ), ha frequenza pari a quella della forzante, ed ampiezza e fase
che dipendono dal valore di σ = Ω/ω e da g attraverso ζ. In figura 8 è riportato, in
funzione di σ l’andamento di
ampiezza 1
A(σ, ζ) = =q (5.73)
F/k
(1 − σ 2 )2 + 4ζ 2 σ 2
con ζ a parametro. Si noti che A(0, ζ) = 1, ossia che a frequenza nulla (soluzione
statica) l’ampiezza è pari a F/k per qualsiasi valore dello smorzamento g, e che per
σ → ∞ ⇒ A → 0. Inoltre, A ha un massimo la cui posizione dipende da ζ. La curva dei
massimi può essere ottenuta annullando la derivata di A
∂A ∂ h 2 i
=0 ⇒ 1 − σ 2 + 4ζ 2 σ 2 = 0 (5.74)
∂σ ∂σ
ossia
2σ −2 1 − σ 2 + 4ζ 2 = 0
(5.75)
le cui soluzioni sono: p
σ = 0, σ= 1 − 2ζ 2 (5.76)
Notare che:
√
• in corrispondenza allo smorzamento ζ0 = 1/ 2 il massimo valore dell’ampiezza si
ha in corrispondenza alla frequenza di forzante nulla (σmax = 0);
• inoltre, σmax = 0 ∀ ζ ≥ ζ0 ;
• riscrivendo l’omogenea associata nella forma 5.68 si osserva che le radici del-
l’equazione caratteristica diventano immaginarie se ζ < 1. Ne segue che per
ζ > ζcritico = 1, la soluzione dell’omogenea non oscilla.
Α ζ=0
ζ=0.707
1
ζ crescente
ζ=1
0
0 1 2 3
σ
Per quanto riguarda la fase (figura 5.7), dalle 5.70 segue immediatamente he
φ
ζ=0
ζ=0.707
−π/2
ζ crescente
−π
0 1 2 3
σ
−D 2ζ σ
φ(σ, ζ) = arctan = arctan (5.77)
C 1 − σ2
Notiamo che per ζ = 0 la risposta del sistema è in fase con la forzante per σ < 1, ed in
opposizione di fase per σ > 1. Se σ = 1 (condizioni di risonanza) la x(t) è in quadratura
in ritardo rispetto f (t) (ossia, φ = −π/2). Per valori di ζ crescenti, notiamo che per
σ = 1 si ha sempre φ = −π/2. Inoltre, per ogni altro valore di σ, si ha sempre phi < 0,
ossia, la x(t) è sempre in ritardo rispetto alla forzante f (t).
5.3.3 Risonanza
Nel caso in cui g = 0, la soluzione del sistema si riduce alla 2.32
v0 F/m
x(t) = x0 cos(ωt) + sin(ωt) + 2 [cos(Ωt) − cos(ωt)] (5.78)
ω ω − Ω2
Per σ = 1 (ossia, se la frequenza di eccitazione Ω eguaglia la frequenza propria del
sistema ω) avviene il fenomeno della risonanza. Il terzo termine della 5.78 per σ = 1 è
una forma indeterminata. L’applicazione della regola di de l’Hospital fornisce
cos(Ωt) − cos(ωt) t
lim 2 2
= sin(ωt) (5.79)
Ω→ω ω −Ω 2ω
Quindi, se g = 0 e Ω = ω, la massa m oscilla con un’ampiezza crescente linearmente con
t.
10
x(t)
5
−5
−10
0 5 10 15 20 t 25
Figura 5.9:
5.2. Introducendo l’ipotesi di piccole oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio infe-
riore, possiamo risolvere il problema a partire dalla conoscenza delle condizioni iniziali.
La seconda equazione ci permette di ricavare il valore della forza esercitata dall’asta per
mantenere la massa sulla traiettoria circolare. Una volta risolta la prima equazione, e
quindi una volta nota la velocità, possiamo ricavare il valore di r in ogni istante.
Il generico punto materiale è sottoposto all’azione di due molle il cui allungamento dipen-
de anche dalla posizione dei punti materiali che precedono e seguono il punto considerato.
Assumiamo che le masse siano inizialmente in condizioni di equilibrio, equispaziate lun-
go la guida nelle posizioni x0i , con molle tutte a riposo. Di conseguenza, la lunghezza
a riposo del’i-esima molla è l0i = x0i+1 − x0i , avendo posto l’origine dell’ascissa x nel-
l’estremo sinistro della guida (v. figura). La componente lungo x della forza elastica
esercitata dalla molla i-esima sull’i-esima massa può essere scritta come segue
avendo definito lo spostamento ui (t) = xi (t) − x0i . Osservando che u̇ = ẋ, ü = ẍ,
possiamo scrivere l’equazione che governa la dinamica lungo la direzione x della generica
massa come
ü + K u = 0 (5.87)
dove
2 −1 0 . . .
u1
−1 2 −1 . . . u2
k
K= , u = (5.88)
.. ..
m
.
.
. . . 0 −1 2 uN
Consideriamo ora il sistema in figura nel quale le masse sono vincolate a muoversi lungo
la verticale. Chiamiamo wi lo spostamento verticale (> 0 verso l’alto) della massa mi .
Notare che le molle sono inizialmente in tensione a causa di una forza di trazione T0
applicata agli estremi del treno di masse e molle. Scriviamo il bilancio dinamico per la
massa mi
ma
wi+1 − wi
tan(θi,i+1 ) = (5.100)
ξi+1 − ξi
La 5.97 diventa quindi
wi − wi−1 wi+1 − wi
mi ẅi = −Ti,i+1 + Ti+1,i + fi (5.101)
ξi − ξi−1 ξi+1 − ξi
Consideriamo ora i termini Ti,i+1 . Se T0 è il valore della forza di trazione in configurazione
di equilibrio, Ti,i+1 sarà dato da
p
Ti,i+1 − T0 = ∆T = k∆l = k(l − l0 ) = k( h2 + ∆w2 − h) = (5.103)
r !
∆w2 1 ∆w2
= kh 1 − 2 − 1 = kh 1 + + ... − 1 = (5.104)
h 2 h2
1 ∆w2
= kh + ... (5.105)
2 h2
1 ∆w2
Ti,i+1 = T0 + kh + ... ∼
= T0 ∀i (5.106)
2 h2
Sostituendo l’ultimo risultato nella 5.101 otteniamo
T0 T0
mi ẅi = (wi − wi−1 ) − (wi+1 − wi ) + fi (5.107)
h h
da cui otteniamo
T0
mi ẅ + (−wi−1 + 2wi − wi+1 ) = fi (5.108)
h
Quindi il sistema di equazioni differenziali che governa la dinamica del sistema meccanico
è:
Mẅ + Kw = f (5.109)
dove
2 −1 0 ... 0
−1 2 −1 ... 0
T0
K= (5.110)
h ... ... ... ... ...
0 ... ... −1 2
N.B.: la matrice K non dipende dalla rigidezza k solo nel caso linearizzato.
Ossia per piccole oscillazioni la dinamica è governata dalla forza di trazione
T0 . Questo è il motivo per cui uno strumento musicale a corda (chitarra,
basso, violino,...) può essere accordato cambiando la tensione delle corde.
Lavoro ed energia
d~v
= f~
m (6.1)
dt
Moltiplicando scalarmente per ~v l’equazione precedente otteniamo
d~v d v2
m · ~v = m = f~ · ~v (6.2)
dt dt 2
Introducendo l’energia cinetica T
1
T = mv 2 (6.3)
2
da 5.41 e 5.42 si ottiene
dT
= f~ · ~v = P(t) (6.4)
dt
Teorema 3: – La derivata temporale dell’energia cinetica T del punto materiale eguaglia
la potenza P sviluppata istante per istante dalla sollecitazione totale agente su di esso.
dT = f~ · ~v dt = f~ · d~x (6.5)
dove d~x rappresenta lo spostamento infinitesimo del punto materiale (deve essere, ovvia-
mente, compatibile con i vincoli). Il termine f~ · d~x rappresenta il lavoro elementare dL
compiuto dalla sollecitazione agente su P durante lo spostamento d~x. Il lavoro compiuto
dalla sollecitazione quando il punto materiale si sposta lungo la curva C è
Z
LC = f~ · d~x (6.6)
C
Quindi, se il punto materiale si sposta dal punto ~x1 al punto ~x2 seguendo la curva C1,2 ,
integrando la 6.5 tra i due stati assunti dal punto materiale nelle due posizioni successive,
otteniamo
Z T2 Z
dT = f~ · d~x ⇒ T2 − T1 = LC1,2 (6.7)
T1 C1,2
53
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 6
Consideriamo ora il caso in cui tra le forze agenti sul punto materiale siano presenti
forze conservative (ossia forze descritte da un campo vettoriale conservativo, vedi 4).
In tal caso si ha
f~(~x, ~x˙ , t) = f~c (~x) + f~nc (~x, ~x˙ , t) = ∇φ(~x) + f~nc (~x, ~x˙ , t) (6.8)
essendo φ(~x) la funzione scalare potenziale di f~c . Sotto tali ipotesi, il lavoro compiuto
dalla forza agente su P può essere decomposto nella somma dei contributi conservativo
e non conservativo
Z Z Z ~x2 Z
LC1,2 = ∇φ(~x) · d~x + ~
fnc · d~x = dφ + f~nc · d~x (6.9)
C1,2 C1,2 ~
x1 C1,2
Il primo integrale al secondo membro, che rappresenta il lavoro delle forze conservative
agenti sul punto materiale, non dipende dal percorso C1,2 (sotto l’ipotesi che il dominio
D sia semplicemente connesso), e quindi si ottiene
con Lnc
C1,2 =lavoro delle forze non conservative. Definiamo ora la funzione energia
potenziale U(~x) come
U(~x) = −φ(~x) (6.11)
Per definizione del lavoro delle forze conservative otteniamo
E =T +U (6.14)
E2 − E1 = Lnc
C1,2 (6.15)
Condidizione necessaria (ma non sufficiente) affinchè una forza sia conservativa è che
sia posizionale, ossia dipendente solo da ~x (vedi paragrafo 4). Vediamo qualche esempio
di forza di tipo conservativo ricorrente in problemi di meccanica.
1. Forza peso
Se scegliamo un sistema di riferimento con asse z verticale positivo verso il basso,
l’energia potenziale legata alla forza peso m~g ha la forma
Up (z) = −mgz + c
UF (ζ) = −α ζ + c
~r
F~ = ψ(r) r̂ = ψ(r) (6.16)
|~r|
^
θ
y
^r
m
r = r ^r
θ
C x
Questa è la forza che viene esercitata da una molla con estremi vincolati nei
punti P e C caratterizzata da una lunghezza a riposo r0 e da una costante
elastica Ke .
Equilibrio e stabilità
f~(~xe , 0, t) = 0, ∀t (7.1)
ci permette di concludere che, qualora il punto materiale occupi la posizione ~xe con
velocità nulla, vi rimane indefinitamente, essendo ivi nulla la risultante delle forze agenti
su di esso.
La posizione di equilibrio ~xe è definita stabile se, in seguito ad una perturbazione in
posizione o velocità, il punto materiale si muove rimanendo in un intorno di ~xe . Al
contrario, ~xe viene definita posizione di equilibrio instabile se, una volta perturbato, il
punto materiale si allontana indefinitamente da essa. Tra le posizioni di equilibrio stabili
è necessario distinguere due tipologie principali:
57
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 7
ed espandiamo in serie di Taylor la f~(~x, ~x˙ , t) attorno allo stato corrispondente a ~x = ~xe
e ~x˙ = 0 (indicato, per semplicità, con il pedice EQ )
∂ f~ ∂ f~ ∂ f~
f~(~x, ~x˙ , t) = f~(~xe , 0, t) + x0 + y0 + z0
∂x ∂y ∂z
EQ EQ EQ
∂ f~ ∂ f~ ∂ f~
+ ẋ0 + ẏ 0 + ż 0 (7.4)
∂ ẋ ∂ ẏ ∂ ż
EQ EQ EQ
02 2 2 2
+ O(x , ẋ0 , y 02 , ẏ 0 , z 02 , z˙0 )
3 3
¨(t) =
X ∂ f~ X ∂ f~
m~x x0 k + ẋ0k (7.5)
∂xk ∂ ẋk
k=1 EQ k=1 EQ
ove si è posto, per brevità di notazione, ~x = x1 î1 + x2 î2 + x3 î3 . La precedente equa-
zione differenziale vettoriale rappresenta un sistema di tre equazioni differenziali scalari,
ottenute proiettando la 7.5 sulla terna di riferimento, nelle tre incognite x0 1 (t) = x0 (t),
x0 2 (t) = y 0 (t), x0 3 (t) = z 0 (t). Si tratta di equazioni differenziali lineari, omogenee ed a
coefficienti costanti che governano la dinamica delle piccole perturbazioni attorno alla
posizione di equilibrio ~xe . L’andamento temporale delle loro soluzioni ci permette di
determinare se la posizione di equilibrio è stabile oppure no.
Trascurando termini superiori al primo, ricordando che f (se , 0, t) = 0, s̈ = s̈0 , ṡ = ṡ0 , e so-
stituendo nell’equazione differenziale della dinamica dell’elemento, otteniamo l’eqazione
che governa la dinamica delle piccole perturbazioni attorno a se
∂f ∂f
ms̈0 − ṡ0 − s0 = 0 (7.8)
∂ ṡ EQ ∂s EQ
∂f
− = G (7.9)
∂ ṡ EQ
∂f
− = K (7.10)
∂s EQ
G=0
G>0
G<0
• K=0, G=0
In tal caso l’equazione differenziale linearizzata assume la forma
ms̈ = 0
s(t) = c1 + c2 t = s0 + ṡ0 t
• K=0, G > 0
L’equazione differenziale è
ms̈ + Gṡ = 0
con soluzione
s0 α + ṡ0 ṡ0 −αt
s(t) = − e
α α
essendo α = G/m > 0. In questo caso la massa rimane in quiete se perturbata in
posizione, mentre assume un moto esponenzialmente decelerato se perturbato in
velocità, tendendo, per t → ∞, al valor limite
s0 α + ṡ0
s∞ = .
α
∂f
= 0,
∂s e
ossia variazione nulla della risultante delle forze in seguito a variazioni di posizione del
punto. È possibile perciò affermare che esiste un intorno I della posizione se tale da
soddisfare la condizione
f (š, 0, t) = 0, ∀š ∈ I.
∂fi ∂fi
mij = m δij , kij = − , gij = − . (7.17)
∂xj e ∂ ẋj e
Aẇ = Cw (7.19)
dove le matrici A e C sono ottenute assemblando le matrici del sistema nel modo seguente
I 0 0 I
A= C= (7.20)
G M K 0
Sotto opportune ipotesi per la matrice S è possibile determinare tutti gli autovettori
z(k) ed i corrispondenti autovalori λk che soddisfano tale equazione (vedi richiami di
algebra lineare per dettagli). Gli autovalori sono le radici dell’equazione caratteristica
del sistema
det(λI − S) = 0 (7.22)
La soluzione può essere scritta nella forma
X
w(t) = z(k) eλk t (7.23)
k
Appare evidente come la dinamica del punto, rappresentata dalle prime tre componenti
del vettore colonna w, sarà di tipo instabile se almeno uno degli autovalori di S avrà
parte reale positiva.
• l’equazione 7.5 (cosı̀ come la 7.11, suo corrispettivo per problemi ad un grado
di libertà ), rappresentano le equazioni della dinamica linearizzata attorno alla
posizione di equilibrio, che fornisce tutte le informazioni necessarie allo studio della
stabilità del sistema in esame, quale che sia la dipendenza dalle variabili spaziali
della risultante delle forze agenti sul sistema;
Applichiamo i concetti appena introdotti al semplice caso del pendolo ideale. La di-
namica della massa m può essere descritta dall’unico grado di libertà θ, che individua
univocamente la configurazione del pendolo ad ogni istante. L’equazione differenziale
che governa il moto è
g
θ̈ + sin θ = 0 (7.24)
l
Qualora l’unica forza agente sia la forza peso, possiamo individuare due posizioni di
equilibrio, corrispondenti a θ = 0 e θ = π (posizioni A e B in figura). Procediamo,
quindi, alla valutazione delle caratteristiche di stabilità delle due posizioni.
θ
m
A
Figura 7.1:
Posizione A
Esprimiamo il moto della massa m intorno alla posizione A come la sovrapposizione
della perturbazione θ0 a θA = 0
Posizione B
In questo caso
∂U
f = f (s) = f~ · t̂ = −∇U(~x) · t̂ = − (7.33)
∂s
66
Capitolo 8
Equazioni di conservazione di
quantità di moto e momento della
quantità di moto
dove f~k j rappresenta la forza interna agente sull’elemento k-esimo del sistema dovuta alla
presenza del j-esimo elemento, e si assume f~kI k = ~0 (in realtà f~kI k è privo di significato).
Per caratterizzare le mutue forze interne tra le particelle, si ricorre alla terza legge di
Newton per la quale le forze di azione e reazione tra corpi (particelle) in contatto hanno
la stessa intensità, la stessa linea di azione e verso opposto, e alla sua estensione a corpi
(particelle) agenti a distanza (legge di gravitazione universale di Newton) che, tra le altre
cose, stabilisce che la linea di azione delle forze coincide con la linea congiungente i punti.
Pertanto, considerando le forze interne scambiate tra il k-esimo e il j-esimo elemento di
S, f~kI j e f~jIk , queste sono (i) uguali ed opposte, ovvero
67
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 8
dove ~x k e ~x j sono i vettori posizione che individuano i due elementi in esame, mentre ~x 0
è un arbitrario polo nello spazio R3 rispetto a cui valutare i momenti delle forze interne
relative (si osservi che la (8.4) si ricava riscrivendo il membro a sinistra nel seguente
modo
(~x k − ~x 0 ) × f~kI j + (~x j − ~x 0 ) × f~jIk = (~x k − ~x 0 ) × (f~kI j + f~jIk ) + (~x j − ~x k ) × f~jIk , (8.5)
applicando la (8.3), ed osservando che l’ultimo termine è nullo essendo f~jIk parallelo al
vettore (~x j − ~x k )).
Infine, per la risultante, f~ I , delle forze interne e per il momento, m
~ I0 , delle stesse rispetto
ad un arbitrario polo ~x 0 , applicando le equazioni (8.3) e (8.4), si ottiene:
N
X N X
X N
f~ I = f~kI = f~kI j = ~0 (8.6)
k=1 k=1 j=1
N
X N X
X N
m
~ I0 = (~x k − ~x 0 ) × f~kI = (~x k − ~x 0 ) × f~kI j = ~0, (8.7)
k=1 k=1 j=1
da cui si evince che l’insieme delle forze interne agenti in un sistema particellare
costituisce una sollecitazione a risultante e momento totale nulli.
d~q
= f~ E , (8.10)
dt
secondo cui la derivata temporale della quantità di moto di S è pari alla risultante delle
forze esterne agenti su S stesso. Se la risultante delle forze esterne è nulla, la quantità
di moto di S si mantiene costante nel tempo.
con
N
X
m= mk (8.12)
k=1
combinando la (8.13) con la (8.11) si ricava che la quantità di moto di S è anche data
da
~q = m ~v G . (8.14)
d~v G
m = f~ E . (8.15)
dt
Quindi: (i) la quantità di moto di un sistema particellare è la stessa che si avrebbe
concentrando tutta la sua massa nel suo centro di massa; (ii) il centro di massa di un
sistema particellare si muove come se l’intera massa del sistema e tutte le forze esterne
fossero concentrate in quel punto.
Osservazioni. Si noti che dalla definizione di centro di massa segue che
N
X
m k (~x k − ~x G ) = ~0. (8.16)
k=1
Inoltre, se su S agisce un sistema di forze esterne di massa, ovvero tali che la forza
agente sul k-esimo elemento è pari a f~kE = m k ~a, con ~a costante, allora, per la (8.16), il
momento totale rispetto al centro di massa di un tale sistema di forze è nullo; infatti:
N
"N #
X X
m
~ EG = (~x k − ~x G ) × m k ~a = m k (~x k − ~x G ) × ~a = ~0. (8.17)
k=1 k=1
Come vedremo in dettaglio nel capitolo dedicato allo studio della dinamica osservata in
un sistema non inerziale, l’accelerazione di gravità, ~g , non è uniforme sulla superficie
terrestre. Tuttavia, la sua variazione è piccola (9.789 ≤ g ≤ 9.823) e nella maggioranza
delle applicazioni viene considerata costante. Pertanto, sotto questa ipotesi, il momento
della forza peso agente su ogni particela, m k ~g , rispetto a ~xG è nullo, e quindi il centro
di massa di S coincide con il suo baricentro (punto di applicazione della risultante della
forza peso).
il momento della quantità di moto del sistema particellare rispetto al polo ~x 0 , dalla (8.19)
si ha
N
X d~v k d~h 0
(~x k − ~x 0 ) × m k = + m~v 0 × ~v G , (8.21)
dt dt
k=1
che combinata con l’equazione (8.18) fornisce la seguente equazione di conservazione del
momento della quantità di moto per sistemi particellari
d~h 0
~ E0 − m~v 0 × ~v G .
=m (8.22)
dt
Si osservi che:
d~h 0
=m
~ E0 . (8.23)
dt
dove, per l’equazione (8.16) e la sua derivata rispetto al tempo, il secondo e terzo termine
dell’espressione finale sono identicamente nulli. Quindi, osservando che ~q = m ~v G e che,
sempre per la (8.16),
N
X N
X
~h = m k (~x k − ~x G ) × ~v k = m k (~x k − ~x G ) × (~v k − ~v G ), (8.25)
G
k=1 k=1
dalla (8.24) si ricava che, per il momento della quantità di moto rispetto ad un polo
generico, ~x 0 , vale la relazione
~h = ~h + (~x − ~x ) × ~q. (8.26)
0 G G 0
Moltiplicando scalarmente l’equazione (8.1) che governa il moto del k-esimo elemento di
S per la sua velocità, ~v k , e sommando si ottiene
N N N
X d~v k X X
mk · ~v k = f~kE · ~v k + f~kI · ~v k , (9.1)
dt
k=1 k=1 k=1
si ha
N
X d~v k dT
mk · ~v k = , (9.3)
dt dt
k=1
Combinando la (9.1) con la (9.3) e la (9.4) si ottiene, analogamente a quanto visto per
il punto materiale, la seguente relazione
dT
= PE + PI, (9.5)
dt
che può essere enunciata nel seguente
Sempre in analogia con quanto fatto per i teoremi energetici relativi al punto materiale,
consideriamo gli spostamenti infinitesimi degli elementi del sistema particellare, d~x k =
72
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 9
dT = dL E + dL I , (9.6)
dove
N
X N
X
dL E = f~kE · d~x k e dL I = f~kI · d~x k (9.7)
k=1 k=1
sono il lavoro compiuto, rispettivamente dalle forze esterne e da quelle interne, associato
all’insieme (d~x k , k = 1, .., N ) degli spostamenti infinitesimali ammissibili per gli elementi
di S. Considerando, quindi, un intervallo di tempo finito (t2 − t1 ) durante il quale il
k-esimo elemento di S segue un percorso C k tra la posizione ~x1k = ~x k (t1 ) e la posizione
~x2k = ~x k (t2 ), integrando la (9.6) si ottiene
Z T2 N Z
X N Z
X
dT = f~kE · d~x + f~kI · d~x (9.8)
T1 k=1 C x →~
(~ x2 ) k=1 C x →~
(~ x2 )
k 1k k k 1k k
T2 − T1 = LC(1→2)
E
+ LC(1→2)
I
, (9.9)
dove C(1 → 2) rappresenta l’insieme dei percorsi C k seguiti dalle particelle durante
l’evoluzione di S dalla configurazione all’istante t1 a quella all’istante t2 . La relazione
(9.9) può essere enunciata nel seguente
N N
X 1 X 1
T = m k v 2k = m k ~v k · ~v k
2 2
k=1 k=1
N N N
X 1 1 X X1 2
= m k (~v 0k + ~v G ) · (~v 0k + ~v G ) = mv 2G + m k ~v 0k · ~v G + m k v 0k ,(9.10)
2 2 2
k=1 k=1 k=1
ma essendo
N
X
mk (~v k − ~v G ) = ~0, (9.11)
k=1
ovvero il seguente
Unità didattica IV
Atto di moto rigido e sistemi di
riferimento in moto
75
Capitolo 10
76
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 10
A
^i XA
2
B A
O ^i
1
XB Posizione all’istante t
B
^i
3
Posizione all’istante t+T
che affermano l’uguaglianza di velocità ed accelerazione per tutti i punti del corpo.
e^2 ^i
2
e^1
θ
^i
O= Ω 1
Inoltre, il sistema di riferimento mobile Rm (Ω, ê1 , ê2 , ê3 ) solidale con C venga scelto in
maniera che Ω ≡ O. Sotto queste ipotesi, la posizione del sistema mobile Rm rispetto
a quello fisso è determinata univocamente dall’angolo θ, funzione del tempo attraverso
il moto di C. Indichiamo con ~xP il vettore posizione del generico punto P appartenente
al corpo rispetto al sistema di riferimento fisso. Tale vettore può essere rappresentato,
dove
L’equazione precedente implica che la velocità del punto P si possa rappresentare, nei
due sistemi di riferimento scelti, come
d~xP dx1 dx2 dê1 dê2
~vP (t) = = î1 + î2 = y1 + y2 (10.7)
dt dt dt dt dt
Nel seguito, l’espressione della velocità per un atto di moto piano rotatorio viene derivata
sia a partire dalle derivate delle componenti di ~xP nel sistema di riferimento fisso R, che
in termini di derivate dei versori êk di Rm , viste nel riferimento fisso R. Come vedremo,
tali rappresentazioni portano a risultati del tutto equivalenti.
Cominciamo col moltiplicare scalarmente la 10.5 per i versori di R, î1 ed î2 , ricordando
che
Otteniamo
ω
~ := θ̇ î3 = θ̇ ê3 (10.11)
~ × ~xP
~vP = ω (10.12)
e è l’espressione della velocità per un atto di moto rigido piano rotatorio. Tale espressione
vale solo se l’origine del sistema fisso R coincide con il punto attorno al quale ruota C.
La relazione 10.12 è stata ottenuta dalle derivate delle componenti di ~xP rispetto al riferi-
mento fisso R. Possiamo però ottenere la stessa relazione a partire dall’espressione della
velocità in termini di derivate dei versori di base (vedi eq. 10.7). La rappresentazione
dei versori di base attraverso le loro componenti nella base fissa R è
ê1 = (ê1 · î1 ) î1 + (ê1 · î2 ) î2 = cos θî1 + sin θî2 (10.13)
ê2 = (ê2 · î1 ) î1 + (ê2 · î2 ) î2 = − sin θî1 + cos θî2
~ × ~xP
~vP = ω (10.16)
Si noti che l’espressione precedente è stata ottenuta per un punto del corpo rigido ap-
partenente al piano X1 X2 del sistema di riferimento fisso, scelto, quest’ultimo, parallelo
al piano del moto. In generale è possibile derivare la 10.16 anche per i punti del corpo
rigido che non appartengono al piano X1 X2 . Si lascia al lettore la dimostrazione di tale
relazione, suggerendo per la scelta dell’origine del riferimento fisso R un punto appar-
tenente all’asse di rotazione (retta alla quale appartiene il vettore ω~ ), e ricordando che
un qualsiasi punto del corpo rigido si muoverà lungo una traiettoria circolare con una
velocità ~vP = ṡt̂.
La determinazione dell’accelerazione del punto P del corpo rigido animato da moto
rotatorio, si ottiene derivando l’espressione ottenuta per la velocità
d~vP d~
ω d~xP d~
ω
~aP = = × ~xP + ω
~× = × ~xP + ω
~ × ~vP . (10.17)
dt dt dt dt
Ricordando l’espressione ottenuta in precedenza per la velocità del punto P , e sostituendo
nell’equazione precedente, otteniamo
d~
ω
~aP = × ~xP + ω
~ × (~
ω × ~xP ) (10.18)
dt
Tale relazione può essere ulteriormente modificata tenendo conto della regola di calcolo
vettoriale
d~
ω (N )
~aP = × ~xP − ω 2 ~xP (10.20)
dt
(N )
dove ~xP è la componente del vettore ~xP normale al vettore ω ~ . Si noti che con la scelta
(N )
fatta per il sistema di riferimento R, nel nostro caso si ha ~xP ≡ ~xP . Le due componenti
dell’accelerazione del punto P , date dalla 10.18 rappresentano, rispettivamente, l’acce-
lerazione tangenziale e centripeta (ricordate che il punto si uove lungo una traiettoria
circolare di centro O).
In definitiva, l’atto di moto di un corpo rigido che ruoti attorno ad un asse fisso, è
rappresentato, rispetto ad un sistema di riferimento fisso R(O, î1 , î2 , î3 ) (con O ∈ all’asse
di rotazione), dai seguenti campi di velocità ed accelerazione
~vP ~ × ~xP
= ω
∀ ~x ∈ C, ∀ t (10.21)
d~
ω (N )
~aP = × ~xP − ω 2 ~xP
dt
con velocità angolare definita dalla
ω
~ = θ̇ î3 . (10.22)
^e2
^e1
e^2
P
^e
^i XA e^1 3
2
e^3 P
Posizione all’istante t+T
O ^i
1
XP Posizione all’istante t
^i
3
Da queste premesse, possiamo dedurre che i risultati ottenuti nei precedenti paragrafi
ci permettono di esprimere la velocità di un generico punto P del corpo, a partire dalla
~ × (~xP − ~xΩ )
~vP = ~vΩ + ω (10.23)
Per derivare analiticamente tale risultato possiamo esprimere il vettore posizione del
punto P nel sistema fisso, ~xP , in funzione del vettore posizione dell’origine del sistema
mobile, ~xΩ e del vettore posizione del punto P rispetto al sistema mobile, ~yP , ossia
dove il vettore ~yP può essere espresso in termini delle sue componenti nel sistema mobile
Si noti che le componenti di ~yP rispetto alla terna mobile sono indipendenti dal tempo,
mentre i versori êk variano a cause del moto del corpo a cui sono legati. Derivando la
10.24 ottengo
d~xP (t) d~yP (t) dê1 (t) dê2 (t)
~vP = = ~vΩ (t) + = ~vΩ (t) + y1 + y2 (10.26)
dt dt dt dt
Ricordando le formule di Poisson per i problemi bidimensionali (eq. 10.15), otteniamo
3
X
~vP = ~vΩ (t) + ω × êk ) = ~vΩ (t) + ω
yk (~ ~ × ~yP (10.27)
k=1
che, in virtù della 10.24, è equivalente alla 10.23 per Q ≡ Ω. L’accelerazione si ottiene,
naturalmente, derivando l’equazione precedente
d~vP d d~yP
~aP = = ~aΩ + (~ ~˙ × ~yP + ω
ω × ~yP ) = ~aΩ + ω ~× . (10.28)
dt dt dt
Utilizzando le eqq. 10.24 e 10.27, ottengo
Eulero ci assicura che un generico atto di moto attorno ad un punto fisso equivale ad
una rotazione attorno ad un asse passante per quel punto, l’asse istantaneo di rotazione.
Ciò significa che qualsiasi moto sferico può essere considerato una sequenza di rotazioni
attorno ad un asse passante per il centro istantaneo del moto, con direzione variabile
nel tempo. Da queste considerazioni possiamo evincere che la velocità di un punto
P , in un generico atto di moto rigido tridimensionale, può essere considerato come la
sovrapposizione di una traslazione con velocità pari a quella di un secondo punto Q,
più una rotazione attorno ad un asse passante per Q con velocità angolare ω ~ diretta
lungo tale asse. Estendendo quanto visto nel caso bidimensionale, otteniamo
~ × (~xP − ~xQ )
~vP = ~vQ + ω (10.31)
dove il vettore ω
~ ha, in generale, direzione variabile istante per istante, a differenza di
quanto avviene nel caso di moto piano. La relazione precedente può essere derivata
analiticamente, una volta ottenute le formule di Poisson per moti tridimensionali.
con
dê2 dê3
ω1 := · ê3 = − · ê2 (10.38)
dt dt
dê3 dê1
ω2 := · ê1 = − · ê3 (10.39)
dt dt
dê1 dê2
ω3 := · ê2 = − · ê1 (10.40)
dt dt
Sostituendo le 10.40 nelle 10.33, tenendo conto delle 10.36, otteniamo
dê1
= ω3 ê2 − ω2 ê3 (10.41)
dt
dê2
= ω1 ê3 − ω3 ê1 (10.42)
dt
dê3
= ω2 ê1 − ω1 ê2 (10.43)
dt
che equivale a scrivere, per la definizione di ω
~,
dêk
~ × êk ,
=ω per k = 1, 2, 3 (10.44)
dt
Le 10.44 rappresentano le formula di Poisson per un generico atto di moto tridimen-
sionale con velocità angolare definita dalla 10.37. Si noti che, in generale, ora il vettore ω
~
èfunzione del tempo non solo attraverso la variazione della sua intensità e del suo verso
(come nel caso bidimensionale), ma anche attraverso la variazione della sua direzione.
Possiamo esprimere il vettore velocità angolare ω ~ in funzione delle derivate dei versori
di base mobile, premoltiplicando vettorialmente per êk le formule 10.44 e sommando per
k = 1, 2, 3
3 3
X dêk X
êk × = êk × (~
ω × êk ) (10.45)
dt
k=1 k=1
Considerando che
êk × (~
ω × êk ) = ω
~ êk · êk − êk ω
~ · êk = ω
~ − ωk êk
otteniamo immediatamente
3
1X dêk
ω
~ = êk × (10.46)
2 dt
k=1
derivando rispetto al tempo, e tenendo conto dei risultati ottenuti nei paragrafi prec-
denti, otteniamo, per la velocità e l’accelerazione di un generico atto di moto rigido
tridimensionale,
~ × (~xC − ~xΩ ) = 0
~vC = ~vΩ + ω (10.50)
~ × ~vC = ω
ω ~ × ~vΩ + ω
~ × [~
ω × (~xC − ~xΩ )] = 0 (10.51)
~ × ~vΩ
ω
~xC = + ~xΩ (10.53)
ω2
Se ora scegliamo il punto C come polo rispetto al quale esprimere l’atto di moto del
corpo rigido C, essendo, per definizione, ~vC = 0, otteniamo
~vP = ω ~
~ × CP (10.54)
dove CP~ è il vettore che porta dal centro di istantanea rotazione al punto in esame.
Da tale relazione si evince che la velocità di un qualsiasi punto del corpo è, istante
per istante, ortogonale alla retta che unisce il punto stesso al c.i.r. Da tale proprietà
possiamo derivare un metodo per la determinazione della posizione del c.i.r. a partire
dalla conoscenza della velocità di almeno due punti del corpo. Infatti, dalla 10.54 segue
che il c.i.r. deve necessariamente corrispondere all’intersezione delle rette ortogonali al
vettore velocità in due (o più ) punti di C (è il caso dei punti F e G in figura 10.4).
Inoltre, se due punti hanno vettori velocità paralleli e sono situati lungo la retta orto-
gonale a tali vettori (vedi punti F e E in figura 10.4) è possibile dimostrare, partendo
G
F
Figura 10.4: Determinazione per via grafica del centro istantaneo di rotazione.
dalla 10.54, che il c.i.r. si trova nell’intersezione tra la retta pasante per gli estremi liberi
dei vettori velocità e la retta passante per i due punti. 1
Abbiamo visto che il centro istantaneo di rotazione varia durante il moto del corpo. È
possibile individuare due curve dello spazio definite come il luogo dei punti occupati dal
c.i.r. durante il moto, nel riferimento fisso R ed in quello mobile Rm . Tali curve vengono
chiamate base e rulletta. Il moto del corpo può essere descritto come puro rotolamento
della rulletta sulla base.
1
dimostrare per esercizio, con riferimento a quanto detto a lezione, partendo dalle relazioni
~vE = ω ~ = vE î
~ × CE (10.55)
~vF = ω ~ = vF î
~ × CF
η
Z Ω
XΩ
ξ yP
O
Y
XP
P
X
86
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 11
L’equazione precedente rappresenta il legame che intercorre tra velocità assoluta e rela-
tiva di P . I primi due termini della 11.4 sono le velocità del punto dello spazio connesso
a Rr occupato da P , dovute, rispettivamente alla traslazione ed alla rotazione di Rr
rispetto a Ra . La loro somma rappresenta la velocità di trascinamento di P . L’ultimo
termine è proprio la velocità di P osservata da un osservatore solidale con il riferimento
relativo e rappresenta quindi la velocità relativa del punto. Definiamo quindi
3
X
~vPr = ẏk êk , ~ × ~yP .
~vPtr = ~vΩ + ω (11.5)
k=1
~vPa = ~vQa + ω ~
~ a × QP atto di moto rigido di C in Ra
~vPr = ~vQr + ω ~
~ r × QP atto di moto rigido di C in Rr
~vPtr = ~vQtr + ω ~
~ tr × QP atto di moto rigido di Rr in Ra
Si noti che le ~vPtr e ~vQtr rappresentano le velocità rispetto a Ra dei punti dello spazio
connesso con Rr nei quali transitano P e Q. Applicando la 11.6 ad entrambi i punti,
otteniamo
ω ~ =ω
~ a × QP ~ +ω
~ r × QP ~
~ tr × QP (11.11)
Data l’arbitrarietà della scelta di P e Q, segue necessariamente che
ω
~a = ω
~r + ω
~ tr (11.12)
che stabilisce la relazione (formalmente identica alla 11.6) che lega le velocità angolari
osservate nei due sistemi di riferimento.
m ~aP = f~ + ~r (11.13)
dove sono state introdotte le forze apparenti, f~app , costituite da forze apparenti di tra-
scinamento −m ~aPtr , e forza di Coriolis −m ~aPc . Tali forze vengono chiamate apparenti
perchè rappresentano le sollecitazioni alle quali sembra essere sottoposto il corpo quando
osservato dal sistema di riferimento relativo. Supponiamo, ad esempio, di trovarci all’in-
terno di un automobile in accelerazioni lungo un rettilineo. Tutti sappiamo bene che ,
in tali condizioni, avvertiamo una forza che ci schiaccia contro il sedile, tanto più forte
quanto più è elevata l’accelerazione. In realtà non esiste alcun corpo che esercità su
di noi questa forza, ma è semplicemente il risultato della nostra inerzia a subire una
modifica del nostro stato di quiete o moto rettilineo uniforme.
(N )
Si noti che tra le forze apparenti di trascinamento compare un termine pari a m ω ~ 2 ~yP ,
(N )
essendo ~yP la componente del vettore posizione nel sistema di riferimento relativo
ortogonale alla direzione di ω~ . Tale forza è del tipo
(N )
f~cent = ψ(r) r̂, con ~r = ~yP ,
dipende solo dalla posizione del punto P ed è , quindi, conservativa. Essa è diretta
ortogonalmente all’asse di rotazione lungo la congiungente tale asse con P , nel verso
che si allontana dall’asse stesso e per questo viene chiamata centrifuga. Definendo come
verso positivo in direzione radiale quello concorde con la forza, l’energia potenziale ad
essa associata è Ucent = −1/2 m ω ~ 2 r2 , essendo r la distanza di P dall’asse.
La forza apparente di Coriolis è per definizione ortogonale alla velocità relativa del punto
P . Di conseguenza, nel moto rispetto al sistema di riferimento relativo essa non compie
lavoro (è sempre ortogonale allo spostamento di P ), e l’energia meccanica si conserva
anche se la forza non è conservativa.
che equivale a
3
d~v (t) X
= v̇k0 êk + ω
~ × ~v (11.18)
dt Ra k=1
G P
2a
Figura 11.2:
^j P ^e
G 1
^e
2
O=Ω ^
i
Figura 11.3:
^
e
^j 2
P ^
e
1
G=Ω
XΩ
O ^
i
Figura 11.4:
Osservando il fenomeno in ognuno dei tre riferimenti relativi descritti, otterremo differen-
ti rappresentazioni per l’accelarazione assoluta del punto P . Tuttavia, ognuna di queste
rappresentazioni (nonchè tutte quelle ottenute utilizzando altri possibili riferimenti rela-
tivi) deve fornire lo stesso risultato finale, in quanto la scelta del riferimento relativo non
influenza il valore dell’accelerazione assoluta di P . Per le componenti dell’accelerazione
nei vari casi si ha:
^
e
2
^j P
G=Ω
^
e1
XΩ
O ^
i
Figura 11.5:
~aΩ ~˙ × ~yP
ω ~ × (~
ω ω × ~yP ) 2~ω × ~vr ~ar
caso 1 0 ω̇(R + a)ê2 2
−ω (R + a)ê1 0 0
caso 2 ω̇Rê2 −ω 2 Rê1 ω̇aê2 −ω 2 aê1 0 0
caso 3 ω̇Rt̂ − ω 2 Rn̂ 0 0 0 ω̇at̂ + ω 2 an̂
dove con t̂ e n̂ indichiamo i versori tangente e normale alla traiettoria del centro geome-
trico G. Considerando che, per le scelte fatte, il versore t̂ corrisponde al versore ê2 dei
primi due sistemi di riferimento, e che n̂ corrisponde a −ê1 , è immediato verificare che
le tre diverse rappresentazioni sono del tutto equivalenti.
~v = v1 î1 + v2 î2 + v3 î3 = v10 ê1 + v20 ê2 + v30 ê3 (11.21)
v = R v0 (11.25)
Ωkq = îk · ω
~ × îq = −~
ω · îk × îq (11.36)
otteniamo
d X dR
Rkj = Ωkq Rqj ⇒ =ΩR (11.37)
dt q
dt
−ω30 ω20
0
Ω0 = ω30 0 −ω10 (11.40)
−ω20 ω10 0
Si noti che
Ω R = R Ω0 ⇒ Ω0 = R−1 Ω R (11.41)
e quindi Ω ed Ω0 sono matrici simili. Cio’ significa che rappresentano lo stesso operatore
in due sistemi di riferimento diversi (rispettivamente, R1 e R2 ).
Cerchiamo di comprendere il significato delle matrici Ω e Ω0 . Sia ~a generico vettore,
la cui rappresentazione nel sistema R1 sia a. Se applichiamo l’operatore rappresentato
dalla matrice Ω al vettore ~a, otteniamo, in R1
ω2 a3 − ω3 a2
Ωa= ω3 a1 − ω1 a3 (11.42)
ω1 a2 − ω2 a1
che corrisponde alla rappresentazione nel sistema di riferimento R1 del prodotto ω~ × ~a.
0 0
Analogamente, Ω a fornisce la rappresentazione di ω ~ × ~a nel sistema R2 .
È possibile dimostrare che esiste sempre un vettore w
~ dello spazio, rappresentatto dalle
componenti w in R1 , tale da non essere modificato dall’applicazione della matrice R,
Rw=w ⇒ (R − I) w = 0 (11.43)
(con le notazioni introdotte nel Cap. 11). Vogliamo ora riscrivere tale equazione in
termini di componenti del vettore ~v nei sistemi R1 e R2 . La derivata temporale di ~v in
R1 può essere scritta, in base alla 1.26, come
dv d dR 0 dv0
= R v0 = v +R (11.45)
dt dt dt dt
In virtù della 11.37 l’equazione precedente diventa
dv dv0 dv0
=R + Ω R v0 = R + Ωv (11.46)
dt dt dt
dove
dv0 δ~v
R =⇒ matrice colonna delle componenti di in R1
dt δt
~ × ~v in R1
Ω v =⇒ matrice colonna delle componenti di ω
dv0
0
dv 0 0 dv 0 0
=R + RΩ v = R +Ω v (11.47)
dt dt dt
in cui il secondo membro rappresenta ancora le componenti del secondo membro della
11.44, essendo
Unità didattica V
Dinamica e statica del corpo
rigido
96
Capitolo 12
d~q
= f~ E , (12.1)
dt
d~hO
= m ~ oE − m ~vO × ~vG . (12.2)
dt
dove ~vO e ~vG sono le velocità del polo dei momenti e del centro di massa. Per poter
utilizzare le equazioni 12.1 e 12.2 nell’analisi dinamica di corpi rigidi è necessario esten-
dere le definizioni viste nel Cap. III a distribuzioni continue di massa ed imporre che il
moto dei punti materiali sia compatibile con l’atto di moto descritto nel Cap. 10. Per
Figura 12.1:
quanto riguarda il primo punto possiamo considerare un solido continuo come un sistema
97
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 12
essendo fk il valore medio della funzione sul volume dVk . Applicando l’operazione di
limite alle grandezze introdotte nel Cap. III, otteniamo l’estensione alle distribuzioni
continue di massa delle definizione viste durante lo studio dei sistemi particellari:
massa
N
" # ZZZ
X
m = lim ρ∆Vk = ρ dV
N →∞ V
k=1
quantità di mo-
N
" # ZZZ
to X
~q = lim ~vk ρ∆Vk = ρ ~v dV
N →∞ V
k=1
momento della
quantità di mo- "N # ZZZ
to ~hO = lim
X
(~xk − ~xO ) × ~vk ρ∆Vk = ρ (~x − ~xO ) ×~v dV
N →∞ V
k=1
energia cinetica
N
" # ZZZ
X 1 1 2
T = lim (~vk · ~vk )ρ∆Vk = ρv dV
N →∞ 2 V 2
k=1
~ × ~r
~vP = ~v O + ω (12.5)
con ~r = ~x −~xO . Sostituendo nell’espressione del momento della quantità di moto rispetto
al polo O, ottengo
ZZZ ZZZ
~hO = ρ ~r × ~v dV = ρ ~r × (~v O + ω~ × ~r) dV
ZZZV ZZZV
= ρ ~r × ~v O dV + ρ ~r × (~ ω × ~r) dV (12.6)
V V
| {z } | {z }
~g O ~hO0
La precedente equazione fornisce il legame tra il vettore velocità angolare del corpo
e il momento della quantità di moto che verrà ampiamente discusso ed utilizzato
nel seguito.
Scegliamo ora un sistema di riferimento R(O,ı̂,̂, k̂) avente origine nel polo scelto per il
calcolo dei momenti e scriviamo la rappresentazione del vettore precedente in R
~hO = hO0 î1 + hO0 î2 + hO0 î3
1 2 3
+ g O 1 î1 + g O 2 î2 + g O 3 î3 . (12.10)
È possibile dimostrare (vedi Appendice 15) che esiste una matrice JO tale che
h0O = JO ω (12.12)
La precedente è la relazione che lega velocità angolare e momento della quantità di moto.
La matrice JO è la matrice di inerzia del corpo, dipende dalla scelta del polo e del
sistema di riferimento, e le sue componenti sono i momenti ed i prodotti di inerzia
del corpo rigido rispetto agli assi coordinati del sistema di riferimento scelto.
Definiamo momento di inerzia di un corpo rigido rispetto ad un asse a, la cui direzione
è individuata dal versore ν̂a , lo scalare
ZZZ ZZZ
Ja = ρ |ν̂a × ~x|2 dV = ρD2 dV (12.13)
V V
dove D2 è la distanza tra il generico punto del corpo e l’asse. Esprimendo per componenti
il vettore ~r = ~x − ~xO = ∆x î1 + ∆y î2 + ∆z î3 e sostituendo nelle 12.8, osserviamo che gli
elementi sulla diagonale della matrice di inerzia sono i momenti di inerzia rispetto ai tre
assi coordinati, mentre fuori diagonale compaiono i prodotti di inerzia. La loro forma è
ZZZ
J O 11 = ρ(∆y 2 + ∆z 2 )dV = J x momento di inerzia attorno all’asse x
ZZZ V
È importante notare che gli elementi della matrice di inerzia dipendono (oltre che dalla
scelta del polo) dal sistema di riferimento scelto e, a causa del moto del corpo, dal tempo.
In definitiva, l’equazione 12.9 in termini di componenti sulla terna R si scrive:
hO = J O ω + g O (12.14)
hG = J G ω (12.15)
dove ∆2 = |ν̂a × ~rOG |2 è la distanza tra i due assi. Sostituendo nella 12.17, tenendo
conto del fatto che
ZZZ ZZZ
ρ(ν̂a × ~rOG ) · (ν̂a × ~rG ) dV = (ν̂a × ~rOG ) · ρ(ν̂a × ~rG ) dV = 0 (12.19)
V V
Ja = J G a + m∆2 (12.20)
Come già sottolineato, tale relazione rappresenta una generalizzazione del teorema di
Huygens e rende possibile la determinazione delle componenti della matrice di inerzia
rispetto R(O,ı̂,̂, k̂) a partire dalla conoscenza di quella relativa a RG (G,ı̂,̂, k̂).
in gioco sotto l’ipotesi di rigidità del corpo. Nell’equazione 9.5 compare la potenza P I
sviluppata dalle forze interne durante il moto del corpo. La sua espressione è
N
X N X
X N N X
X N
PI = f~kI · ~v k = f~kI j · ~v k = f~kI j · (~v k − ~v j ) (12.24)
k=1 k=1 j=1 k=1 j=k+1
Nel caso in cui venga introdotto il vincolo di rigidità del corpo, la distribuzione di velocità
dei punti del sistema deve soddisfare le relazioni viste nel capitolo 10, che implica
~v k − ~v j = ω
~ × ~rkj (12.25)
Ma, essendo f~kj parallela a ~rkj , la 12.25 afferma che la differenza di velocità tra due
punti del sistema con vincolo di rigità è sempre ortogonale alle forze interne scambiate
dai punti stessi. Portando al limite per N → ∞ la 12.24 concludiamo che la potenza
sviluppata dalle forze interne in un corpo rigido è sempre nulla.
Per il contributo alla potenza sviluppato dalle forze esterne otteniamo, scegliendo il
centro di massa come polo dell’atto di moto,
"N # "N #
X X
P E
= lim f~ · ~v = lim
E
k k
f~ · (~v + ω
E
~ × ~r ) k G kG
N →∞ N →∞
k=1 k=1
ZZZ
= F~ E · ~v G + f~(~x) · [~
ω × ~r G (~x)] dV (12.26)
V
ZZZ
= F~ E · ~v G + ω
~· ~r G (~x) × f~(~x) dV = F~ E · ~v G + m
~ EG · ω
~
V
ove è stata usata la relazione ~a · (~b × ~c) = ~b · (~c × ~a) = ~c · (~a × ~b) e F~ E è la risultante
delle forze esterne. Di conseguenza, il lavoro elementare compiuto dalle forze esterne in
un intervallo dt è
dL E = F~ E · ~v G dt + m
~ EG · ω
~ dt (12.27)
nel quale compaiono ora esplicitamente i contributi dovuti al moto del baricentro e
del moto attorno ad esso. Sotto queste ipotesi, è possibile estendere tutte le relazioni
energetiche viste nel capitolo III. In particolare
T2 − T1 = LC(1→2)
E
(12.28)
dE
= P E ,nc (12.29)
dt
E ,nc
E2 − E1 = LC(1→2) (12.30)
1 1
T = mv G 2 + ω T JG ω. (12.31)
2 2
dove l’apice T indica l’operazione di trasposizione della matrice (scambio di righe e
colonne). Ricordando che hG = JG ω possiamo scrivere
ω T JG ω = ω T hG (12.32)
JO zk = λk zk , k = 1, 2, 3.
Sia Rc (G, x, y, z) la terna centrale (con versori ê1 , ê2 , ê3 ) e Ra (O, X, Y, Z) una terna
inerziale generica. Sappiamo che
d~hG ~
= δh G + ω~ × ~hG (12.34)
dt a δt
inoltre
hG = JG ω (12.35)
con
ωx
ω= ωy (~
ω = ωx ê1 + ωy ê2 + ωz ê3 ) (12.36)
ωz
e
J Gx 0 0
JG = 0 J G y 0 (12.37)
0 0 J Gz
Quindi
δ~hG
= J G x ω̇x ê1 + J G y ω̇y ê2 + J G y ω̇y ê3 (12.38)
δt
ed inoltre
~ × ~hG = (J G z − J G y ) ωy ωz ê1 + (J G x − J G z ) ωx ωz ê2 + (J G y − J G x ) ωx ωy ê3 (12.39)
ω
Sostituendo nella
d~hG
~ GE
= m (12.40)
dt
otteniamo
J G x ω̇x + (J G z − J G y ) ωy ωz = mx G (12.41)
J G y ω̇y + (J G x − J G z ) ωx ωz = my G (12.42)
J G z ω̇z + (J G y − J G x ) ωy ωx = mz G (12.43)
h0
O
y
x ω
x
Figura 12.3:
~ = ~0, otteniamo
Ricordando che in 2D ~r · ω
ZZZ ZZZ
~h0 = ρω 2
~ r dV = ρ r2 dV ω
~ = Jo ω
~ (12.48)
o
V V
ove è stata definito il momento di inerzia Jo del corpo attorno ad un asse ortogonale
al piano della lamina passante per O. Nel caso di corpi omogenei (ρ costante in V) posso
scrivere
ZZZ
Jo = ρ r2 dV = ρ Io (12.49)
V
in cui viene introdotto il momento di figura Io , dipendente solo dalla geometria del
corpo. Definiamo, inoltre, il raggio giratore R2 = Jo /m. Si noti che in problemi di
meccanica bidimensionale verrà utilizzata la denominazione momento d’inerzia rispetto
al polo O, intendendo momento d’inerzia rispetto ad un asse ortogonale al piano della
lamina, passante per O.
In definitiva, la 12.6 diventa
~ho = ~h0 + ~go = Jo ω
~ + m ~rOG × ~vo (12.50)
o
Dim: ricordando che ~r = ~rOG + ~rG e la definizione di centro di massa, dalla definizione
di momento d’inerzia Jo otteniamo (tenendo conto della definizione di baricentro)
ZZZ ZZZ ZZZ
Jo = ρ r2 dV = 2
ρ rOG dV + 2
ρ rG dV. (12.53)
V V V
• segmento di lunghezza l
G
s
−l/2 l/2
l/2
l3
Z
IG = s2 ds =
−l/2 12
R
θ0
O G
• rettangolo di lati a, b
b/2
a/2 b/2
a2 + b2
Z Z
IG = (x2 +y 2 ) dy dx = ab
−a/2 G a/2
−a/2 −b/2 12
−b/2
• cerchio di raggio R
ρ
R
R2
Z
O IG = 2 π %3 d% = π R2
0 2
Si noti che nel caso in cui il corpo presenti delle lacune è possibile calcolare il momento
rispetto ad un qualsiasi polo O come la differenza tra il momento di inerzia del corpo
privo di lacune ed il momento di inerzia di ogni lacuna calcolato come se ivi fosse presente
una distribuzione di massa di densità pari a quella del corpo, ossia
Z Z
2
S Jo = ρ d dS − ρ d2 dS (12.54)
S’ S∪S 0 S0
1 1
T = M v G + J G ω2 (12.56)
2 2
L’espressione precedente rappresenta la forma che il teorema di Koenig assume nel caso
di corpi rigidi bidimensionali.
Indichiamo ora con con X ~ e la configurazione spaziale assunta da un corpo rigido. Se,
~e del corpo è nullo, definiamo la posizione X
all’istante t0 , l’atto di moto V ~ e di equilibrio
statico per il corpo se il corpo rimane in quiete per ogni t > t0 . Condizione necessaria
e sufficiente affinche ciò avvenga è che forza e momento risultante della sollecitazione
siano identicamente nulli in corrispondenza alla configurazione considerata per il corpo
(posizione X ~ e ed atto di moto nullo), per ogni scelta del polo 0 dei momenti, ossia
Le equazioni precedenti rappresentano le equazioni cardinali della statica del corpo ri-
gido. Lo stato di sollecitazione agente sul corpo comprende l’insieme di tutte le forze
attive e vincolari. Le forze attive a loro volta comprendono forze effettive ed apparenti.
Le risultanti F~ e M~ 0 nelle 13.1 possono essere sostituite con una qualsiasi sollecitazione
equivalente a quella effettivamente agente sul corpo.
F~ (~x, ~v , t) = F~ 0 (~x, ~v , t)
(13.2)
M ~ 00 (~x, ~v , t)
~ 0 (~x, ~v , t) = M ∀~x0
ossia se possiedono le stesse risultanti per ogni possibile scelta del polo dei momenti. È
possibile trasformare uno stato di sollecitazione in uno equivalente a se stesso mediante
le operazioni
• spostamento del punto di applicazione di una o più forze lungo la loro retta
d’azione.
110
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 13
• sollecitazioni costituite da 1 sola forza poichè per tutti i poli scelti lungo la retta
d’azione il momento risultante è nullo;
f r
r
1
M/f
Figura 13.1:
• cerniera - sottrae 2 g.d.l. al corpo che rimane libero di ruotare attorno al punto
geometrico intersezione dell’asse di cerniera con il piano del moto. Tale vincolo è
capace di esercitare una forza di reazione comunque diretta nel piano (2 componenti
⇒ 2 inc. ausiliarie) ma non può esercitare momenti di reazione.
• appoggio - esiste una retta nel piano che impedisce ai punti del corpo di occupare
uno dei due semipiani nei quali divide lo spazio 2D. Si tratta di un vincolo unila-
terale capace di esercitare, nei punti di contatto, una forza diretta ortogonalmente
ad esso esclusivamente nel verso che và dal vincolo verso il corpo.
• guida cilindrica - permette la traslazione del corpo lungo la direzione del suo
asse, inibendo qualsiasi altro moto. Esercita una forza di reazione ortogonale al
suo asse ed un momento di reazione diretto ortogonalmente al piano del moto.
Nel caso in cui il vincolo sia scabro esistono componenti della reazione vincolare tan-
genti alla geometria del vincolo. Tali componenti non rappresentano ulteriori incognite
ausiliarie del problema, in quanto componenti normale e tangenziale delle forze di reazio-
ne sono legate dai coefficienti di attrito statico e dinamico, come descritto nel paragrafo
5.2.2.
1. affinchè una sollecitazione costituita da due forze sia equivalente a zero è necessario
e sufficiente che essa costituisca una coppia di braccio nullo;
2. affinchè una sollecitazione costituita da tre forze non parallele sia equivalente a
zero è necessario e sufficiente che le forze siano parallele ad un medesimo piano, le
loro rette d’azione abbiano un punto in comune e che sia possibile formare, con i
vettori rappresentanti delle forze un triangolo chiuso.
Esempi applicativi
1. Vincoli senza attrito
Si consideri il sistema vincolato in figura 13.2, costituito da una lamina rettangolare
vincolata per mezzo di un’asta ideale priva di massa ad una cerniera nel punto O ed
un collare sottile nel punto K. L’asta sia allineata lungo la verticale. La cerniera
inibisce ogni traslazione del corpo. Il grado di libertà residuo, corrispondente alla
rotazione attorno a O, viene impedito dalla presenza del collare sottile in K. Di
conseguenza il corpo non ha gradi di libertà residui. Ne segue che che le reazioni
vincolari ~rO e ~rK dovranno essere tali da bilanciare la sollecitazione complessiva
(costituita solo dalla forza peso). Si noti che la sollecitazione dovuta al peso può
essere considerata equivalente ad una forza pari a M ~g , applicata nel centro di
massa.1 Sotto queste ipotesi, ci si chiede quali siano le reazioni vincolari esercitate
rO
G
Mg
risultante forza peso
rK
J
11111
00000
000001111
111110000
0000
1111
K
Figura 13.2:
2. Vincoli scabri
Consideriamo una sbarra omogenea pesante appoggiata in A e B rispettivamente
ad una parete verticale ed ad un piano orizzontale. Come al solito la forza peso si
considera applicata in G, situato sulla mezzeria del segmento pesante. In assenza
di attrito le reazioni vincolari saranno dirette orizzontalmente in A e verticalmente
in B. Appare chiaro che la condizione di esistenza di un punto di intersezione per
le tre rette d’azione delle forze è verificata solo nel caso in cui il baricentro giaccia
1
In generale, ogni forza di massa del tipo f~ = M ~q , con ~
q uniforme nel dominio occupato dal corpo,
si può considerare applicata nel centro di massa. Ciò avviene, per esempio, alla forza apparente di
trascinamento nel caso in cui si studi il fenomeno in un sistema di riferimento non inerziale animato da
moto traslatorio.
atan (φS)
A J
Mg B
Figura 13.3:
sulla verticale passante per B (verificare tale condizione a partire dalle equazioni
della statica, usando B come polo dei momenti).
Nel caso in cui solo la parete verticale sia liscia, nasce una componente orizzontale
della reazione ~rB . In condizioni statiche vale la 13.4 e quindi la reazione vincolare in
B sarà inclinata rispetto alla verticale di un angolo α ≤ tan−1 (ΦS ). Ne segue che il
vincolo di appoggio in B sarà capace di impedire il moto, bilanciando il resto della
sollecitazione, esclusivamente nel caso in cui il punto di intersezione J tra le rette
d’azione di M ~g e ~rA cada all’interno dell’angolo acuto di ampiezza 2 tan−1 (ΦS ) con
vertice in B. Ne segue che esisteranno, oltre alla configurazione a sbarra verticale,
infinite posizioni di equilibrio corrispondenti alle infinite inclinazioni della sbarra
che verificano la condizione suddetta.
È facile verificare, con ragionamento analogo, che l’esistenza di attrito solo nel
punto A è incompatibile con posizioni di equilibrio diverse dalla verticale in quanto
peso e ~rB rimangono parallele indipendentemente dalla posizione della sbarra.
W W
M
K K
A A
H H N
J J
G G
Mg Mg
B B
Figura 13.4:
Diverso è il caso in cui esista attrito in entrambi i punti di appoggio. In tal caso,
esiste un quadrilatero costituito dall’intersezione dei due coni di attrito che rappre-
senta la zona dello spazio nella quale deve cadere l’intersezione delle rette d’azione
per avere equilibrio. Se la verticale per G passa per uno dei vertici K, H, J, W
è possibile tracciare il triangolo delle forze a partire dalle direzioni trovate per le
reazioni vincolari (corrispondenti in tal caso alle rette limite dei coni di attrito)
e individuare cosı̀ le reazioni vincolari. Tuttavia, se la retta d’azione del peso
passa all’interno del poligono KHJW , allora è possibile tracciare un triangolo del-
le forze compatibile con l’equilibrio per ogni punto P appartenente al segmento
M N . L’arbitrarietà della scelta di P implica che in tal caso le reazioni risultano
indeterminate.
Unità didatica VI
Meccanica Lagrangiana
116
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 13
Questo ultimo capitolo presenta una breve introduzione alla meccanica Lagrangiana Si
tratta di uno degli strumenti matamatici più potenti a disposizione dell’analista di pro-
blemi meccanici, sopratutto nello studio di sistemi complessi. L’approccio Lagrangiano
semplifica enormemente il lavoro di derivazione delle equazioni che governano il feno-
meno, al costo della perdita di informazioni sul comportamento istantaneo dei vincoli
ed il valore delle reazioni vincolari. Mediante tale approccio si concentra l’attenzione
sui gradi di libertà del sistema per ottenere in maniera semplice un numero di equa-
zioni differenziali pari al loro numero. In questa trattazione elementare, deriveremo le
equazioni di Eulero–Lagrange per un punto materiale isolato, per poter evidenziare le
differenze concettuali insite nell’approccio su un problema semplice, per poi estenderle
la derivazione a sistemi di punti materiali. La dimostrazione per sistemi di corpi rigidi
non viene qui trattata esplicitamente, ma può essere facilmente ottenuta modificando
opportunamente la definizione di energia cinetica e tenendo conto della conservazione
del momento della quantità di moto.
Assumiamo che il sistema possieda NL gradi di libertà se libero di muoversi e che venga
sottoposto a vicoli che ne sottraggano complessivamente P . Il numero di gradi di libertá
del sistema vincolato è quindi N = NL − P .
È possibile identificare N parametri indipendenti qk (t), k = 1, . . . , N che permettano di
individuare univocamente la posizione di un generico punto materiale, sia esso isolato o
appartnenete ad un sistema di particelle o una distribuzione continua di materia
SISTEMI ANOLONOMI sono tutti quelli nei quali i vincoli non possono essere mes-
si nella forma13.7. Il vincolo di appoggio, ad esempio, è un vincolo unilaterale che
inibisce l’occupazione di una zona dello spazio mediante una frontiera. Se l’equazio-
ne della frontiera è f (x, y, z) = 0, il vincolo può essere definito come f (x, y, z) ≤ 0
(o f (x, y, z) ≥ 0), ed è quindi anolonomo.
In base al tipo di dipendenza dal tempo possiamo invece classificare i sistemi come
Per le 13.6 si ha
N
X ∂~x ∂~v ∂~x
~v = q̇k ⇒ = (13.18)
∂qk ∂ q̇k ∂qk
k=1
da cui segue per le derivate dell’energia cinetica rispetto alle qk e q̇k
∂T ∂~v
= m ~v · (13.19)
∂qk ∂qk
∂T ∂~v ∂~x
= m ~v · = m ~v · (13.20)
∂ q̇k ∂ q̇k ∂qk
Per poter scrivere la 13.16 in termini di T , operiamo come segue. Sommo e sottraggo
dal contributo inerziale la ∂T /∂qk
∂~x ∂~x ∂~v ∂~v
m~a · = m~a · + m~v · − m~v · (13.21)
∂qk ∂qk ∂qk ∂qk
∂~x d ∂~x ∂~v
= m~a · + m~v · − m~v · (13.22)
∂q dt ∂qk ∂qk
k
d ∂~x ∂~v
= m~v · − m~v · (13.23)
dt ∂qk ∂qk
dove abbiamo sfruttato il fatto che
X ∂ 2 ~x N
d ∂~x ∂ d~x ∂~v
= q̇j = = (13.24)
dt ∂qk ∂qk ∂qj ∂qk dt ∂qk
j=1
L=T −U (13.29)
otteniamo
d ∂L ∂L
− = Qnc
k , k = 1, . . . , N (13.30)
dt ∂ q̇k ∂qk
Per M particelle NL = 3M . Il lavoro virtuale compiuto dalle forze risultanti agenti sul
sistema è
M N X M N
X
~
X
~ ∂~xi X
δL = fi · δ~xi = fi · δqk = Qk δqk (13.32)
∂qk
i=1 k=1 i=1 k=1
dove le forze generalizzate Qk contengono ora la proiezione dello stato di sollecitazione
fisico agente sull’intero sistema lungo le coordinate generalizzate qk .
Moltiplicando scalarmente per δ~xi l’equazione di conservazione della q.d.m. di ogni
singola particella, sommando gli M contributi, e tenendo conto dell’espressione di δL,
otteniamo
N
"M #
X ∂~x
i
X
mi~ai − f~i · δqk = 0 (13.33)
∂qk
k=1 i=1
Per l’arbitrarietá delle δqk , posso considerare N equazioni distinte equivalenti
M ∂~x
i
X
mi~ai − f~i · = 0, k = 1, . . . , N (13.34)
∂qk
i=1
Per le 13.6 si ha
N
X ∂~xi ∂~vi ∂~xi
~vi = q̇k ⇒ = (13.36)
∂qk ∂ q̇k ∂qk
k=1
da cui segue per le derivate dell’energia cinetica rispetto alle qk e q̇k
M
∂T X ∂~vi
= mi ~vi · (13.37)
∂qk ∂qk
i=1
M M
∂T X ∂~vi X ∂~xi
= mi ~vi · = mi ~vi · (13.38)
∂ q̇k ∂ q̇k ∂qk
i=1 i=1
Per poter scrivere la 13.34 in termini di T , operiamo come segue. Sommo e sottraggo
dal contributo inerziale la 13.37
M M M M
X ∂~xi X ∂~xi X ∂~vi X ∂~vi
mi~ai · = mi~ai · + mi~vi · − mi~vi · (13.39)
∂qk ∂qk ∂qk ∂qk
i=1 i=1 i=1 i=1
M M
!
d X ∂~xi X ∂~vi
= mi~vi · − mi~vi · (13.40)
dt ∂qk ∂qk
i=1 i=1
Appendici
122
Capitolo 14
ed includiamo nella nostra analisi le funzioni di energia potenziale associate alle forze
conservative.
Per quanto riguarda le forze esterne conservative agenti sugli elementi di S, assunto che
esse siano funzioni solamente delle posizioni occupate dagli elementi stessi, si ha
dove Û kE (~x) è la funzione energia potenziale associata alle forze esterne conservative che
agiscono sul k-esimo elemento di S (si osservi che le Û kE (~x) possono essere le stesse per
diversi k: ad esempio, se l’unica forza esterna cui S è soggetto è il campo gravitazionale
terrestre, allora le Û kE (~x) sono tutte uguali tra loro e pari al campo di energia potenziale
gravitazionale terrestre).
Invece, riguardo all’energia potenziale associata alle forze conservative interne, si osservi
che questa è necessariamente funzione di due variabili spaziali. Infatti, data una f~kI j,c ,
questa dipende, istante per istante, sia dalla posizione, ~x k , occupata dal k-esimo elemento
su cui essa agisce, che dalla posizione, ~x j , occupata dal j-esimo elemento. Per essa si
può scrivere
ˆ
f~kI j,c (t) = f~kI j,c (~x, ~y ) ~
x=~x k (t) (14.4)
~
y =~
x j (t)
ˆ
dove f~kI j,c rappresenta il campo vettoriale conservativo relativo alla forza interna conserva-
tiva agente sull’elemento k-esimo, dovuta alla presenza dell’elemento j-esimo. Pertanto,
123
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 14
con l’operatore differenziale gradiente eseguito rispetto alla variabile spaziale ~x (poichè
si tratta della forza agente sul k-esimo elemento). Si noti che, se nelle espressioni del
campo vettoriale di forza e dell’energia potenziale, relativi alla forza interna conservativa
agente sul k-esimo elemento per via della presenza del j-esimo elemento, sostituiamo la
variabile spaziale ~y con le posizioni occupate nel tempo dal j-esimo elemento, cioè con
~x j = ~x j (t), allora si ottengono le nuove (equivalenti) espressioni per il campo di forza e
¯
di energia potenziale, rispettivamente f~kI j,c (~x, t) e Ū kI j (~x, t), tali che:
¯
f~kI j,c (t) = f~kI j,c (~x, t) = −∇Ū kI j (~x, t) (14.6)
~
x=~
x k (t) ~
x=~
x k (t)
¯ ˆ
dove f~kI j,c (~x, t) = f~kI j,c (~x, ~x j (t)), mentre Ū kI j (~x, t) = Û kI j (~x, ~x j (t)). In definitiva, è come
se il k-esimo elemento si trovasse all’interno di un campo di energia potenziale, Ū kI j ,
variabile nel tempo a causa del moto del generatore di tale campo (il j-esimo elemento).
A questo punto, determiniamo l’espressione del lavoro eseguito dalle forze esterne ed
interne sul sistema particellare in termini delle energie potenziali introdotte. Per il lavoro
delle forze esterne, combinando la prima delle (9.7), la (14.1) e la (14.3), si ottiene
E ,c E ,nc E ,nc
L E = LC(1→2) + LC(1→2) = U1E − U2E + LC(1→2) (14.7)
l’energia potenziale dell’intero sistema particellare relativa alle forze esterne conservative,
le U1E e U2E indicano il valore di tale energia potenziale, rispettivamente all’istante iniziale
t1 e finale t2 , dell’intervallo di tempo in esame.
Per il lavoro eseguito dalle forze interne, si osservi ora che l’operatore gradiente applicato
ad una funzione scalare definita in R3 produce un vettore perpendicolare alle superfici di
isofunzione. Pertanto, affinchè sia rispettata la terza legge di Newton, la funzione energia
potenziale Û kI j deve dipendere da ~x e ~y necessariamente attraverso la loro distanza
r = r̂(~x, ~y ) = k~x − ~y k. Infatti, in tal caso, osservando che ∇x Û kI j = −∇y Û kI j (se con
∇x (·) si intende l’operatore differenziale rispetto a ~x e con ∇y (·) si intende l’operatore
differenziale rispetto a ~y ), e che Û kI j (~x, ~y ) e Û jI k (~x, ~y ) sono la stessa funzione con ~x e ~y
aventi significato scambiato, è assicurato che
ˆ ˆ
(a) f~kI j,c = −∇x Û kI j = ∇y Û kI j = ∇x Û jI k = −f~jIk,c
Definiamo, ora, con U kI j (t) l’andamento nel tempo della energia potenziale del k-esimo
elemento, associata alla forza interna f~ I ,c , cioè sia kj
dU kI j d~x k d~x j
= ∇x Û kI j ~
x=~xk · + ∇y Û kI j ~
x=~xk · = f~kI j,c · (~v j − ~v k ), (14.10)
dt ~
y =~
xj
dt ~
y =~
xj
dt
e di conseguenza, anche
dU kI j = f~kI j,c · (d~x j − d~x k ) = −(f~kI j,c · d~x k + f~jIk,c · d~x j ). (14.11)
Finalmente, per quanto riguarda il lavoro eseguito dalle forze interne, combinando
l’espressione data in (9.8) con la (14.2), si ha la seguente relazione
N X
X N Z
L =L
I I ,c
C(1→2)
+L I ,nc
C(1→2)
= f~kI j,c · d~x I ,nc
+ LC(1→2) , (14.12)
k=1 j=1 C x →~
(~ x2 )
k 1k k
l’energia potenziale dell’intero sistema particellare relativa alle forze interne conservative,
e con U1I e U2I , rispettivamente il suo valore all’istante iniziale t1 e finale t2 , dell’inter-
vallo di tempo in esame (gli estremi delle sommatorie indicano che l’energia potenziale
associata alle forze interne tra ad ogni coppia di elementi, viene contata una sola volta).
Quindi, combinando la (9.6) con la (14.7), la (14.12) e la (14.13), e definendo con
In conclusione, ricordando che anche per l’energia potenziale delle forze esterne associata
al k-esimo elemento vale la relazione
dU kE d~x k
= ∇ Û kE · = −f~kE ,c · ~v k , (14.17)
dt ~
x=~
xk dt
dE
= P E ,nc + P I ,nc , (14.18)
dt
ovvero il
N N N X
N
!
d 1X 2
X X
m k v 0k = f~kE · ~v 0k + f~kI j · (~v 0k − ~v 0j ) (14.21)
dt 2
k=1 k=1 k=1 j=k+1
N
X N X
X N
= f~kE · ~v 0k + f~kI j · ~v 0k , (14.22)
k=1 k=1 j=1
che definendo T 0 l’energia cinetica del moto attorno al centro di massa può essere riscritta
come
dT 0 0 0
= PE + PI , (14.23)
dt
0 0
dove P E e P I rappresentano, rispettivamente, la potenza relativa (al moto attorno al
centro di massa) sviluppata dalle forze esterne e la potenza relativa (al moto attorno al
centro di massa) sviluppata dalle forze interne. Tale risultato è enunciato nel seguente
Teorema # 1bis: la derivata temporale in un certo istante, dell’energia cinetica del moto
attorno al centro di massa di un sistema particellare S, è pari alla potenza relativa (al
moto attorno al centro di massa) sviluppata in quell’istante da tutte le forze (esterne ed
interne) agenti sugli elementi di S.
Infine, consideriamo gli spostamenti infinitesimi degli elementi del sistema particellare,
d~x0k = ~v 0k dt, relativi al moto attorno al centro di massa e compatibili con i vincoli
eventualmente presenti. Combinando la (14.23) con le espressioni delle potenze relative
che appaiono nella (14.21), si ottiene
0 0
dT 0 = dL E + dL I , (14.24)
dove
N N
0 0
X X
dL E = f~kE · d~x0k e dL I = f~kI · d~x0k (14.25)
k=1 k=1
sono il lavoro compiuto, rispettivamente dalle forze esterne e da quelle interne, associato
all’insieme (d~x0k , k = 1, .., N ) degli spostamenti infinitesimali relativi (al moto attorno al
centro di massa) ammissibili per gli elementi di S. Di nuovo, considerando un intervallo
di tempo finito (t2 − t1 ) durante il quale ogni k-esimo elemento di S segue un percorso
C 0k tra la posizione ~x01k = ~x0k (t1 ) e la posizione ~x02k = ~x0k (t2 ) nel moto attorno al centro
di massa (~x0k = ~x k − ~x G ), integrando la (14.24) si ottiene
Z T20 N Z
X N Z
X
dT 0 = f~kE · d~x0 + f~kI · d~x0 (14.26)
T10 k=1 C 0 (~ x02 )
x0 →~ k=1 x0 →~
C 0 (~ x02 )
k 1k k k 1k k
cioè la seguente relazione di bilancio tra variazione di energia cinetica del moto attorno
al centro di massa e il lavoro compiuto durante gli spostamenti nel moto attorno allo
stesso:
0 0
T20 − T10 = LCE0 (1→2) + LCI0 (1→2) , (14.27)
• Il termine ~g O si ottiene ponendo ~r = ~x − ~xO = ~x − ~xO + ~xG − ~xG = ~rG + ~rOG con
~rG = ~x − ~xG , ~rOG = ~xG − ~xO , otteniamo
ZZZ ZZZ
~g O = ρ ~rG × ~v O dV + ρ ~rOG × ~v O dV (15.2)
V V
| {z } | {z }
~
C ~
D
Quindi
~g O = m ~rOG × ~v O (15.4)
0
• Il termine ~hO della 12.9 diventa
ZZZ
~hO 0 = ω (~r · ~r) − ~r (~r · ω
ρ [~ ~ )] dV (15.5)
V
~r × (~
ω × ~r) = ω
~ (~r · ~r) − ~r (~r · ω
~) (15.6)
Da cui
ZZZ
~hO 0 = ω r2 − ~r (~r · ω
ρ[~ ~ )]dV (15.7)
V
128
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 15
Il vettore precedente può essere espresso, nel sistema di riferimento scelto R(Ω, î1 , î2 , î3 )
per mezzo delle sue componenti
~hO 0 = h0 î1 + h0 î2 + h0 î3 (15.8)
O1 O2 O3
0
per la 15.7, la generica componente hOk è
ZZZ ZZZ 3
0
X
2 2
h Ok = (ωk r − rk ~r · ω
~ ) dV = (ωk r − rk rj ωj ) dV
V V j=1
3 ZZZ
X
= ρ(ωj r2 δkj − rk rj ωj ) dV (15.9)
j=1 V
per poter portar fuori dal segno di integrale la somma su j. Ma ωj non dipende dalla
variabile di integrazione, quindi
3 ZZZ
0
X
h Ok = ρ(r2 δkj − rk rj )dV ωj (15.11)
j=1 V
dove
0
hO1 ω1
0
h0 O = h 2 , ω = ω2 (15.14)
O0
ω3
hO2
Ellissoide d’inerzia◦
130
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 16
Tale relazione definisce un ellissoide di centro Ω. I suoi assi sono gli assi principali
di C rispetto a Ω. Una terna costituita da questi assi è detta terna principale
d’inerzia. Se Ω ≡ G allora la terna principale di inerzia viene chiamata centrale. La
rappresentazione dell’ellissoide nella terna principale assume la forma canonica. Indicati
con ξ, η, ζ gli assi principali, la forma canonica è
Jξ ξ 2 + Jη η 2 + Jζ ζ 2 = 1 (16.9)
Per determinare la direzione degli assi principali di inerzia possiamo partire dalla con-
siderazione che 2 di tali assi corrispondano alle direzioni di massimo e minimo momento
d’inerzia. Quindi il problema di individuare tali assi si riduce al problema di trovare i
valori di α, β, γ tali che
α2 + β 2 + γ 2 = 1 (16.11)
∂F
= Jx α − Jxy β − Jxz γ − λα = 0
∂α
∂F
= Jy β − Jxy α − Jyz γ − λβ = 0
∂β
∂F
= Jx γ − Jyz β − Jxz α − λγ = 0 (16.14)
∂γ
∂F
= α2 + β 2 + γ 2 − 1 = 0
∂λ
Posto wT = {α, β, γ}, le prime tre equazioni si riscrivono
JΩ w = λ w (16.15)
Teorema di Koenig◦
= ω·ω
ρ[~ ~ ~rG · ~rG − (~ω · ~rG )2 ] dV =
V
ZZZ " 3 3
! 3 !#
X X X
= ρ ωi ωi r G 2 − ωi rG i ωk r G k dV =
V
i=1 i=1 k=1
3 3
X X ZZZ
= ρ(δik rG 2 − rG i rG k ) dV ωi ωk
i=1 k=1 V
ove si è fatto uso della funzione δ di Kronecher per portar fuori dall’integrale la doppia
sommatoria. Il termine in parentesi quadra rappresenta la componente ik della matrice
d’inerzia, rispetto a G. Possiamo quindi scrivere
ZZZ XX
ω × ~rG |2 dV =
ρ|~ ωi J G ik ωk = ω T JG ω (17.3)
V i k
1
usando l’identità vettoriale (~a × ~b) · (~c × d)
~ = (~a · ~c)(~b · d)
~ − (~a · d)(
~ ~b · ~c)]
133
Capitolo 18
Consideriamo un corpo rigido C e la terna centrale d’inerzia R(G, î1 , î2 , î3 ) formata da
i suoi assi centrali. Il corpo sia in rotazione a velocità angolare costante attorno ad uno
degli assi centrali (~ωN P = Ωî1 ), dove con il pedice N P si intende indicare la velocità
angolare in condizioni non perturbate. Quindi, in R,
Ω
ω NP = 0 (18.1)
0
Assumiamo ora di perturbare il corpo. La sua velocità angolare sarà quindi data dalla
~ 0 piccola rispetto ad Ω (ω << Ω)
sovrapposizione di una componente di perturbazione ω
Ω + ωx0
~P = ω
ω ~ 0 ⇒ ωP =
~ NP + ω ωy0 (18.2)
ωz0
Sostituendo le 18.2 nelle equazioni precedenti e trascurando i termini non lineari in ωk0
(ω 0 /Ω 1), otteniamo
0 0 0
Jx ω̇x = (Jy − Jz )ωy ωz
≈ 0
Jy ω̇y0 = (Jz − Jx )(Ω + ωx0 )ωz0 ≈ (Jz − Jx )Ωωz0 (18.4)
Jz ω̇z0 = (Jx − Jy )(Ω + ωx0 )ωy0 ≈ (Jx − Jy )Ωωy0
da cui ottengo
ω̇ 0 = 0
x0
ω̇y = Jz J− Jx Ωωz0
y (18.5)
Jx − Jy
0
0
ω̇z = Jz Ωωy
134
Last update - 22 marzo 2020 Cap. 18
Definendo la matrice
0 0 0
0 0 Jz − Jx Ω
A = Jy (18.6)
Jx − Jy
0 Jz Ω 0
ω̇ 0 = A ω 0 (18.7)
ω 0 = z eλt . (18.8)
Infatti, il sistema 18.7 altro non dice se non che le funzioni incognite (ossia le componenti
della velocità angolare di perturbazione) sono tali da avere derivate rispetto al tempo
dipendenti da una loro combinazione lineare, avente come coefficienti gli elementi della
matrice A. Se la soluzione è del tipo 18.8, segue che
λz = Az ⇒ (A − λI)z = 0 (18.9)
Si tratta di un problema di autovalori. Quindi la soluzione generale della 18.5 sarà del
tipo
X
ω0 = zk eλk t (18.10)
k
rotazione, ossia che esibisca simmetria assiale attorno all’asse di rotazione. Un corpo di
questo tipo può essere definito giroscopio, e rappresenta un elemento fondamentale di
moltissimi dispositivi di uso comune.
Sotto questa ipotesi, e riferendoci al caso del paragrafo precedente, segue necessariamente
che Jy = Jz = Ja . Le equazioni 18.5 diventano
ω̇ 0 = 0
x
ω̇y0 = Ja J− Jx Ωωz0 (18.13)
a
ω̇ 0 = Jx − Ja Ωω 0
z J y
a
dove
Ja − Jx
κ= Ω (18.17)
Ja
La determinazione delle costanti si può effettuare scegliendo arbitrariamente (ma
legittimamente) t = 0 quando ωz0 = 0, da cui segue A = 0.
Ne segue che il vettore velocità angolare del moto conseguente alla perturbazione è
ω
~ (t) = Ω ~ 0 (t) = Ω ê1 + B (cos κt ê2 + sin κt ê3 )
~ +ω (18.20)
√
Di conseguenza il vettore velocità angolare ha modulo constante, pari a ω = Ω2 + B 2
~ 0 ruota
e ruota descrivendo un cono che ha ê1 come asse (v. Fig 18.1). La componente ω
con un periodo
2π Ja
T = (18.21)
Ω |Ja − Jx |