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1
Fabio Zoratti
6 marzo 2020
1 fabio.zoratti96@gmail.com
2
Indice
2 Matematica 19
2.1 Le funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.1.1 La funzione esponenziale . . . . . . . . . . . . . . . . . 19
2.1.2 La funzione logaritmo . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.1.3 I numeri complessi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22
2.1.4 Le funzioni iperboliche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 27
2.2 Analisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.2.1 Cenni di serie numeriche . . . . . . . . . . . . . . . . . 29
2.2.2 Derivate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30
2.2.3 Integrali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37
2.2.4 Equazioni differenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . 54
2.2.5 Espansione in Serie di Taylor (molto importante) . . . 67
2.3 Calcolo vettoriale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
2.3.1 Vettori e versori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 75
2.3.2 Algebra lineare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 80
2.3.3 Cenni di analisi in più variabili . . . . . . . . . . . . . 99
2.3.4 Integrali in più variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . 103
3
4 INDICE
3 Fisica 175
3.1 Meccanica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
3.1.1 Statica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 175
3.1.2 Dinamica del punto materiale . . . . . . . . . . . . . . 179
3.1.3 Oscillazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 191
3.1.4 Sfruttare le conservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 198
3.1.5 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 199
3.1.6 Corpo rigido . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 206
3.1.7 Gravitazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 226
3.1.8 Sistemi a massa variabile . . . . . . . . . . . . . . . . . 254
3.1.9 Sistemi di riferimento non inerziali . . . . . . . . . . . 256
3.1.10 Fluidodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 261
3.2 Termodinamica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 266
3.2.1 Primo principio della termodinamica . . . . . . . . . . 269
3.2.2 Secondo principio della termodinamica . . . . . . . . . 275
3.2.3 Entropia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 278
3.2.4 Potenziali termodinamici . . . . . . . . . . . . . . . . . 283
3.2.5 Cenni di meccanica statistica . . . . . . . . . . . . . . 291
3.2.6 Gas perfetti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 298
3.2.7 Gas reali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 310
3.2.8 Tensione superficiale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 319
3.2.9 Problemi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 320
3.3 Elettromagnetismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 324
3.3.1 Campo elettrostatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 324
3.3.2 Campo magnetostatico . . . . . . . . . . . . . . . . . . 358
3.3.3 Equazioni di Maxwell . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 381
3.3.4 Circuiti elettrici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 416
3.3.5 I campi nella materia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 424
3.4 Ottica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 444
3.4.1 Le scale mesoscopiche . . . . . . . . . . . . . . . . . . 444
3.4.2 Le equazioni di Maxwell nei mezzi continui . . . . . . . 446
3.4.3 La propagazione di onde nei mezzi dielettrici lineari . . 448
3.4.4 La riflessione e la rifrazione . . . . . . . . . . . . . . . 467
INDICE 5
6 Appendice 737
6.1 Derivata delle funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . . . . 738
6.2 Serie di Taylor più comuni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 739
6.3 La funzione gamma di Eulero . . . . . . . . . . . . . . . . . . 740
6.4 Identità vettoriali ed operatoriali . . . . . . . . . . . . . . . . 742
6.5 Lista delle modifiche apportate al file . . . . . . . . . . . . . . 743
Capitolo 1
7
8CAPITOLO 1. INTRODUZIONE - DI ANDREA CALEO (E FABIO ZORATTI)
4. La fisica di Berkeley.
Si tratta di un testo classico, che ha ormai una quarantina d’anni, ma
ne mostra molti di meno. Io consiglio i primi due volumi, da leggere
parallelamente ad (oppure al termine di) un libro più classico. Il primo
12CAPITOLO 1. INTRODUZIONE - DI ANDREA CALEO (E FABIO ZORATTI)
problemi molto lunghi, molto contosi e con poche idee, perciò consiglio
di non cominciare dagli anni più recenti, ma da quelli più vecchi.
Si tratta del testo di Laboratorio di Fisica usato a Pisa per i corsi del
primo anno. La prima parte del testo tratta vari argomenti di statistica:
come propagare l’errore in casi semplici e complessi, come trattare vari
tipi di distribuzione, come stimare l’incertezza su una misura, come
eseguire un fit a partire da un certo numero di dati. La seconda parte è
una introduzione all’uso del computer e spiega i fondamenti del Latex e
di GNUplot (un programma per l’analisi dati, ad esempio per fittare
dei dati con una certa funzione). è un buon testo e spiega le cose in
modo semplice, ove possibile. Per alcune parti è richiesta la conoscenza,
a livello base, di derivate ed integrali. Non è assolutamente necessario
conoscere la parte di statistica di questo testo per affrontare le prove
sperimentali delle Olimpiadi di Fisica.
1.5 Ringraziamenti
Queste dispense sono per la maggior parte mia rielaborazione di argomenti
visti al liceo e in università, ma ci sono diverse persone che mi hanno aiutato
che vale la pena ringraziare.
Primo fra tutti il mio professore di Fisica del liceo, Riccardo Sangoi. Que-
st’uomo mi ha fatto appassionare alla Fisica, mi ha sempre fornito problemi
18CAPITOLO 1. INTRODUZIONE - DI ANDREA CALEO (E FABIO ZORATTI)
• Giogio Busoni per aver scritto diversi capitoli (i trucchi per fare gli
integrali e gran parte delle tecniche di soluzione delle PDE) e avermi
lasciato in eredità un sacco di problemi veramente tosti.
• Stefano Bolzonella per i consigli dati e per avermi sostenuto nei miei
progetti con il Gruppo Olimpiadi.
Matematica
ex+y = ex · ey
y
(ex ) = exy
ex > 0 ∀x ∈ R
Esattamente come quando al posto di e c’è un numero razionale.
1
Ovvero non esiste un polinomio a coefficienti razionali tale che P (e) = 0. In sostanza,
è ancora più che irrazionale
19
20 CAPITOLO 2. MATEMATICA
loga xy = y loga x
Formula del cambio di base 2 :
logb x
loga x =
logb a
2
Di solito la calcolatrice calcola solo i logaritmi in base 10 e base e. Di norma si converte
sempre un logaritmo in base e
22 CAPITOLO 2. MATEMATICA
z1 ·z2 = (a1 +ib1 )·(a2 +ib2 ) = a1 ·a2 +ia1 b2 +ib1 a2 +i·ib1 b2 = (a1 a2 +(−1)b1 b2 )+i(a1 b2 +a2 b1 )
z = a + ib ⇒ z̄ = a − ib
( √
a = |z| cos θ = a2 + b2 cos θ
z = |z|(cos θ + i sin θ) = a + ib ⇒ √
b = |z| sin θ = a2 + b2 sin θ
Di conseguenza l’angolo θ
a
cos θ = √ 2
a + b2
b
sin θ = √
a + b2
2
24 CAPITOLO 2. MATEMATICA
cos x + i sin x
Dimostrazione: Consideriamo la funzione f : R → C = .
eix
Consideriamo la derivata di f (x), f 0 (x) = (− sin x+i cos x)e−ix +(−i cos x+
sin x)e−ix = 0.
Di conseguenza, f è costante. Calcoliamo f (0) = 1.
Di conseguenza, è intelligente scrivere un numero complesso in questo
modo:
1 1 −iθ
= e
z |z|
z n = |z|n einθ
= (cos α+i sin α)(cos β+i sin β) = (cos α cos β−sin α sin β)+i(sin α cos β+cos α sin β)
(
cos(α + β) = cos α cos β − sin α sin β
sin(α + β) = sin α cos β + cos α sin β
2.1. LE FUNZIONI ELEMENTARI 25
Il logaritmo complesso
Normalmente il logaritmo si definisce per la prima volta su R+ , ma ha una
naturale estensione anche su R\{0} e su C\{0}, con qualche piccolo problema.
Abbiamo appena visto che un generico numero complesso è esprimibile come
z = ρeiθ
Con ρ e θ numeri reali. Possiamo quindi definire la funzione C\{0} → C
ln z = ln ρeiθ = ln ρ + iθ
ew = z
Questa definizione ha un problema intriseco, ovvero se io considero v =
w + i2π, si ha ev = ew ei2π = ew = z, ovvero il logaritmo di un numero
complesso non è unico. Per motivi matematici che non sono interessanti
26 CAPITOLO 2. MATEMATICA
ln z = ln ρeiθ = ln ρ + iθ + i2kπ, k ∈ Z
2.1. LE FUNZIONI ELEMENTARI 27
ex + e−x
cosh(x) := coseno iperbolico
2 −x
x
e −e
sinh(x) := seno iperbolico
2
sinh(x)
tanh(x) := tangente iperbolica
cosh(x)
La prima cosa che si domanda una persona quando vede queste funzioni è:
perché accidenti le hai chiamate seno e coseno iperbolico se non ci assomigliano
per niente?
La domanda è legittima, ma ora vedremo che in verità ci assomigliano
davvero tanto.
Proposizione 2.1.5.
cosh(−x) = cosh(x)
sinh(−x) = − sinh(x)
tanh(−x) = − tanh(x)
Sono banali verifiche. Notare che il coseno iperbolico è pari esattamente come
il coseno, mentre il seno iperbolico è dispari come il seno.
0
e − e−x
x
0
sinh (x) = = cosh(x)
2
0
e + e−x
x
0
cosh (x) = = sinh(x)
2
1
tanh0 x =
cosh2 x
Se parliamo di seno e coseno, invece, otteniamo le stesse identità ma con
un segno meno per il coseno.
Proposizione 2.1.7.
eix + e−ix
cosh(ix) = = cos x
ix
2 −ix
e −e
sinh(ix) = = i sin x
2
tanh(ix) = i tan x
2.2 Analisi
2.2.1 Cenni di serie numeriche
Questo è un argomento che non dovrebbe capitare mai, ma voglio comun-
que insegnarvi un paio di trucchetti che possono essere utili per fare alcuni
problemi. Nella maggior parte dei casi, è impossibile trovare la forma esplicita
del limite di una serie, spesso ci si limita a dire se converge o meno. Io vi
mostrerò i pochi casi in cui si riesce a fare esplicitamente, perché sono gli
unici che vi possono capitare in gara. Approfondire l’argomento è, a mio
parere, una perdita di tempo per la preparazione alle gare. In ogni caso, ci
passerete almeno 6 mesi al corso di Analisi 1 all’università.
1
sn → A 1 − k se k ∈ (−1, 1)
sn → ∞ se k ≥ 1
sn non ha limite se k ≤ −1
30 CAPITOLO 2. MATEMATICA
1
Esempio 2.2.3 (Serie armonica). Consideriamo la successione xn = α α ∈
∞
n
X
R. Si può dimostrare 3 che la serie xn converge se e solo se α > 1. Si
n=1
possono dire un paio di cose in più. Per gli α ∈ N, con α pari, la somma
2 4
si calcola esplicitamente. Per α = 2, per esempio, fa π6 , per α = 4 fa π90 .
Ovviamente non dovete nè ricordare questi risultati, nè saperli calcolare. Lo
dico solo per vostra conoscenza personale.
Un caso notevole è il caso α = 1, in quanto si ha
n
X 1
k=1
k
→1
ln n
Ovvero,
n
X 1
≈ ln n
k=1
k
P∞ 1
Per n abbastanza grande. Notare che quindi n=1 n →∞
2.2.2 Derivate
In tutta la fisica è fondamentale utilizzare strumenti del calcolo differenziale.
Il più importante è sicuramente la derivata.
Per i prossimi capitoli, ogni volta che indicherò una funzione f (x), intendo
una funzione f : R → R, ovvero una funzione che ha come argomento
un numero reale e restituisce un numero reale. Dal capitolo sul calcolo
differenziale in più variabili comincerò a specificare volta per volta che funzione
intendo.
Definizione 2.2.3. Sia f (x) una funzione di una variabile reale. Si definisce
derivata di f (x) la funzione
f (x + h) − f (x)
f 0 (x) = lim
h→0 h
3
Usando il criterio di condensazione di Cauchy
2.2. ANALISI 31
ex+h − ex
Esempio 2.2.4. Se f (x) = ex allora f 0 (x) = limh→0 = ex ·
h
eh − 1
lim = ex
h→0 h
In effetti non sono stato onesto nel calcolare questa derivata, in quanto
mi sono ricondotto a calcolare un limite e non vi ho spiegato come calcolarlo.
Nei prossimi paragrafi vi mostrerò come evitare il problema.
Nota. Per indicare la derivata di una funzione ci sono molti modi. Elenco ora
i più comuni:
• Df
df
•
dx
• f0
Inoltre, l’operazione di derivazione si può fare più volte, ovvero dopo aver
fatto la derivata di f (x) ottenendo f 0 (x), si può fare la derivata di f 0 (x)
ottenendo f 00 (x). La notazione per le derivate successive è questa:
• Dn f
dn f
•
dxn
• f (n)
In fisica, se f (t) è funzione del tempo, la derivata temporale si indica
di solito con un puntino sopra la f , ovvero f˙. La derivata successiva con 2
puntini (f¨) eccetera
dimostrarle per poi mostrare come da queste poche regole si può ottenere la
derivata di una funzione qualsiasi.
Funzione Derivata
Costante 0
xα αx α−1
con α ∈ R
ex ex
sin(x) cos(x)
cos(x) − sin(x)
1
log(x)
x
1
arcsin(x) √
1 − x2
1
arccos(x) −√
1 − x2
1
arctan(x)
1 + x2
sinh(x) cosh(x)
cosh(x) sinh(x)
1
sinh−1 (x) √
x2 − 1
1
cosh−1 (x) √
1 + x2
1
tanh−1 (x)
1 − x2
Tabella 2.1: Derivata delle funzioni elementari
funzione del tipo ef (x) , la cui derivata è, secondo le regole mostrate sopra,
2 5x · 6x
ef (x) f 0 (x) = e5x ln(3x +2) 5 ln(3x2 + 2) + 2
3x + 2
Esempio 2.2.13. Vogliamo calcolare la derivata della tangente di x.
sin(x)
f (x) = tan(x) = = sin(x)(cos(x))−1
cos(x)
2
0 −1 −2 sin(x)
f (x) = cos(x)(cos(x)) −sin(x)(cos(x)) ·(− sin(x)) = 1+ =
cos(x)
1
1 + tan2 (x) =
cos2 (x)
Esercizi
Calcolare la derivata delle seguenti funzioni. Le soluzioni sono in fondo al
libro.
2.2.3 Integrali
Supponiamo di avere una funzione f (x) e di voler calcolare l’area 4 che
sta fra la funzione e l’asse x in un dato intervallo [a, b]. Fare questa cosa
si chiama calcolare l’integrale della funzione f (x) fra a e b. Il simbolo per
Z b
indicare L’operazione è: Area = f (x)dx. Il simbolo ha una forma che
a
permette di dare un significato intuitivo a questa operazione. Con dx si indica
un piccolissimo ∆x (in generale in fisica le variazioni piccole si indicano con
una d). Il prodotto f (x)dx è l’area di un rettangolino di altezza f (x) e base
dx. La S grande di integrale indica che quella quantità va sommata ovunque
da a a b, ovvero fare la somma delle aree dei rettangolini compresi fra a e b.
(a) (b)
Come calcolare gli integrali Ciò che ci interessa è trovare un modo per
calcolare facilmente l’integrale conoscendo la funzione f (x). Un modo quasi
semplice di fare questa cosa è il seguente. Purtroppo non esiste nessun metodo
diretto e infallibile per calcolare l’integrale di una funzione. Tuttavia, ci si
può quasi sempre ricondurre a dei casi in cui si è in grado di farlo. Vediamo
ora come riuscirci.
Definizione 2.2.4 (Funzione integrale). Sia fZ(x) una funzione. Si definisce
x
funzione integrale di f (x) la funzione F (x) = f (x)dx
a
Teorema 2.2.5 (Teorema fondamentale del calcolo integrale). Sia f (x) una
funzione (per la precisione, continua, ma per quello che dovete fare alle
olimpiadi di fisica, una funzione qualsiasi). Consideriamo F (x) la funzione
integrale di f (x), definita come sopra. Vale F 0 (x) = f (x)
Ovvero, la derivata della funzione F (x) è f (x). Questo ci permette di dire
che in un certo senso fare la derivata e fare un integrale sono due operazioni
inverse, come moltiplicare e dividere per due uno stesso numero.
Questo teorema ci permette di calcolare quindi la funzione integrale di
una funzione data, potendo quindi anche calcolare l’area sotto ad un grafico.
Facciamo ora degli esempi per chiarificare il tutto.
Z a
Esempio 2.2.16. Vogliamo calcolare xdx, ovvero la funzione integrale
0
di f (x). Abbiamo detto che il significato fisico dell’integrale è l’area con
segno sottesa dal grafico della funzione. In questo caso, la funzione f (x) = x
disegna un triangolo isoscele rettangolo. I lati congruenti del triangolo valgono
entrambe a.L’area è dunque a2 /2. Ci aspettiamo quindi che anche l’integrale
valga la stessa cosa.
Calcoliamo l’integrale utilizzando il teorema appena enunciato. Per trovare
la funzione integrale, dobbiamo trovare una primitiva di f (x) = x. È facile
x2
vedere che g(x) = è una primitiva (è sufficiente derivare e controllare
2
l’uguaglianza). Con l’altro teorema enunciato sopra, possiamo dire che tutte
x2
le primitive sono della forma h(x) = g(x) + c = + c.
Z a 2
Ora siamo pronti a calcolare xdx.
0
Z a Usando il teorema fondamentale del calcolo integrale, possiamo scrivere
a2 a2
xdx = h(a) − h(0) = +c+0−c=
0 2 2
Notare che se avessimo utilizzato un’altra primitiva di f (x) al posto di
h(x) (per esempio g(x)), il risultato non sarebbe cambiato, in quanto tutte le
primitive differisconoZ per una costante, che si semplificaZ nella differenza.
b b
b2
Calcoliamo ora xdx con lo stesso metodo. xdx = +c−
2 a a 2
b 2 − a2
a (b − a)(b + a)
+c = = . Facendo il disegno, si capisce su-
2 2 2
bito che l’area in questione è l’area di un trapezio di basi a e b e di altezza
b − a, che corrisponde all’area trovata.
40 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Esempio 2.2.17. Calcoliamo ora l’area sotto una parabola: f (x) = x2 . Una
x3
primitiva di f (x) è . Ometterò ora il +c in quanto abbiamo visto che per
3
il calcolo delle aree siZ semplifica.
a
a3
Di conseguenza, x2 dx = −0
0 3
Come ricondursi a cose che si sanno fare I pochi esempi che ho fatto
fin’ora sono elementari e quindi si riesce a trovare una primitiva ad occhio.
Purtroppo non è sempre cosı́. Se vi chiedessi adesso di trovare la primitiva di
(x2 − 2x)ex dx vi trovereste sicuramente più in difficoltà. Esistono però dei
metodi standard per cercare di ricondursi a cose che si sanno fare.
Ora ne elencherò alcuni. Alle olimpiadi non dovrebbe capitarvi di fare
troppi integrali e di solito vi viene detto come farli. Tuttavia è comunque
buona norma saperli maneggiare perché vi permette di essere molto più sicuri
di quello che state facendo e, credetemi, in gara conta parecchio.
Vediamo alcuni esempi.
L’integrale per sostituzione La cosa più utile per cercare di fare cambi
negli integrali è la sostituzione. Vediamo un esempio per capire cosa intendo.
state più evidenti. Cerchiamo quindi di capire come fare. Chiamiamo t = 3x2 .
Z r
t
Il nostro integrale diventa 5 sin(t)dx. Tuttavia, noi stiamo facendo
3
l’area di un rettangolo con l’altezza che dipende da t mentre la base dipende
da x . Potete ben capire che in questo c’è qualcosa di sbagliato. Bisogna
quindi trovare un modo di esprimere dx in funzione di t e dt in modo da avere
qualcosa di sensato.
È il momento di utilizzare una delle altre notazioni per la derivata, ovvero
df
, in quanto le cose diventeranno più intuitive. Ricordiamo che il significato
dx
fisico di questa notazione è che la derivata è il rapporto fra l’incremento
infinitesimo della funzione e la variazione infinitesima della variabile.
Noi conosciamo la definizione di t come funzione
r di x, ovvero t = g(x).
t
Possiamo quindi ricavare x = g −1 (t) := h(t) = . Calcoliamo quindi h0 (t) =
3
dh dx 1
= = √ . Possiamo quindi scrivere, maneggiando i differenziali come
dt dt 2 3t
se fossero numeri (cosa che piace molto ai fisici ma odiata dai matematici),
1
dx = √ dt. Ora possiamo finalmente sostituire nell’integrale di partenza,
2 3tZ r Z
t 1 5 5 5
ottenendo 5 sin(t) √ dt = sin tdt = − cos(t) = − cos(3x2 )
3 2 3t 6 6 6
Ci siamo sforzati abbastanza per riuscire a cambiare variabile, ma alla
fine siamo riusciti ad ottenere un integrale molto più facile da calcolare.
2
Esempio 2.2.20. Calcoliamo una primitiva di f (x) = 2xex . Proviamo a
sostituire t = x2 e vediamo se la situazione migliora. Nessuno ci assicura che
l’integrale che ne salterà fuori sarà più facile o semplicemente risolvibile, ma
un buon occhio può vedere che quantomeno renderà più semplice il tutto.
Nell’esempio precedente abbiamo prima esplicitato x in funzione di t e poi
fatto la derivata. Vediamo ora che non èZl’unico metodo. Z Z
dt x2
= 2x. Quindi dt = 2xdx. Quindi f (x)dx = 2xe dx = et dt =
dx
2
et = ex
sin 2x
Z Z
cos 2x + 1 +x cos x sin x + x
cos2 xdx = dx = 2 =
2 2 2
Z
x
Z
sin t
Z √
√ dx = cos tdt = sin tdt = − cos t = − 1 − x2
1 − x2 cos t
Z Z Z Z
1
ln xdx = 1 · ln xdx = x ln x − x dx = x ln x − dx = (x − 1) ln x
x
Z Z Z Z
2
cos xdx = cos x·cos xdx = sin x cos x− sin x·(− sin x)dx = sin x cos x+ (1−cos2 x)dx =
Z
= sin x cos x + x + cos2 xdx
I = sin x cos x + x − I
• Caso f (x) = R(xm (axp + b)q ) dove almeno una di queste quantità è
1/p−1
intera: q, m+1
p
, q + m+1
p
: sostituire t = xp , x = t1/p , dx = t p dt
• Caso f (x) = R(cos x, sin x): ci sono diverse possibilità, bisogna vedere
quale torna meglio, a volte basta t = sin x o t = cos x o t = tan x. Se
queste non funzionano, potete sempre usare le formule parametriche:
1 − t2
cos x =
1 + t2
2t
sin x =
1 + t2
2t
tan x =
1 − t2
2dt
dx =
1 + t2
che da il periodo delle oscillazioni radiali nel problema dei due corpi, come
vedrete nel capitolo di meccanica. I due estremi sono definiti come i punti
di inversione del moto, ovvero dove l’oggetto sotto radice si annulla, quindi
possiamo riscriverlo come6
m r2
r Z
rdr
2 − p
2E r1 (r2 − r)(r − r1 )
è quindi uno dei casi riportati sopra. Usiamo la sostituzione suggerita
r
m r2 2m ∞ r1 + r2 t2 2(r2 − r1 )tdt 1 + t2
r Z Z
rdr
2 − p = −
2E r1 (r2 − r)(r − r1 ) E 0 1 + t2 (1 + t2 )2 (r2 − r1 )t
r
2m ∞ r1 + r2 t2
Z
= 2 − dt
E 0 (1 + t2 )2
che è un integrale razionale che impareremo a fare fra poco.
5
Nell’altro caso potrebbero potenzialmente comparire radici quadrate, anche se vedremo
che questo non era il caso nel nostro esempio.
6
Nota: E < 0.
2.2. ANALISI 47
ora impongo che questa sia una identità, ovvero che moltiplicando tutto per
(x − x1 )(x − x2 ) i polinomi che ottengo a destra e sinistra siano identici.
Questo mi darà un sistema lineare di equazioni per i coefficienti ignoti A, B
ottengo
A+B = 1
x1 A + x2 B = a
d 1 1
=−
dx (x − x0 ) (x − x0 )2
Per calcolare il mio integrale vorrò quindi scomporlo7 come nel caso di prima,
ma stavolta le funzioni in cui sceglierò di scomporlo saranno 1/Q(x) ed
1/(x − x0 ):
R(x) x+a x+a 1 1
= 2 = =A +B −
Q(x) x + bx + c (x − x0 )2 x − x0 (x − x0 )2
otterrò
(x + a) = A(x − x0 ) − B
7
Nota che durante tutta questa sezione, utilizzerò l’espressione “scomporlo” per indicare
“scriverlo come somma di più termini”, e non intederò fattorizzarlo.
2.2. ANALISI 49
A = 1
−x0 A − B = a
d 2(x − α)
log (x − α)2 + β 2 =
dx (x − α)2 + β 2
Quindi come avrete intuito ora cerchero di riscrivere la funzione da integrare
come combinazione lineare di queste due funzioni
R(x) x+a x+a β2 2(x − α)
= 2 = 2 2
= A 2 2
+B
Q(x) x + bx + c (x − α) + β (x − α) + β (x − α)2 + β 2
x + a = Aβ 2 + 2B(x − α)
β2 2(x − α)
Z Z Z
R(x)
= A 2 2
dx + B dx
Q(x) (x − α) + β (x − α)2 + β 2
x−α
Z Z
d d
+ B dx log (x − α)2 + β 2
= A dx arctan
dx β dx
A x−α
+ B log (x − α)2 + β 2
= arctan
β β
dato che la mia funzione era reale otterrò banalmente che deve valere anche
B = Ā. Quindi il risultato sarà
Z
R(x)
= A log(x − x1 ) + B log(x − x2 ) = A log(x − x1 ) + Ā log(x − x̄1 )
Q(x)
Sorge spontaneo chiedersi: ma adesso come faccio a vedere che tale soluzione
è equivalente a quella precedente, o, in altre parole, come riscrivo questa
schifezza usando solo numeri reali? Riscriviamo la cosa in modo furbo,
utilizzando il fatto che anche x è reale:
A = Ar + iAi
z = x − x1 = ρeiφ
z̄ = x − x̄1 = ρe−iφ
ottengo
= (Ar + iAi ) (log ρ + iφ) + (Ar − iAi ) (log ρ − iφ) = 2Ar log ρ − 2Ai φ
2.2. ANALISI 51
C’e qualcosa che non torna! Il primo pezzo col logaritmo è uguale a prima9 ,
mentre il secondo pezzo con la arcotangente no! In effetti, nel passare ai
complessi sarei dovuto stare attento a quale delle due radici prendevo come
x1 e quale come x̄1 , e assicurarmi di non cambiare foglio di Rienmann nel
fare i vari passaggi. Se cambio foglio di riemann, aggiungereò termini del tipo
log ei2πn con n intero. Se questo ragionamento è giusto, allora la soluzione che
ho appena trovato differisce solo per un termine costante da quella trovata
precedentemente. Questo può essere verificato usando la relazione
1 π
arctan x + arctan =
x 2
Da cui trovo
β π x−α
arctan = − arctan
x−α 2 β
Trovando il risultato
2 2
β
Ar log (x − α) + β − 2Ai arctan + πAi
x−α
1
x − xi
βi2
(x − αi )2 + βi2
2(x − αi )
(x − αi )2 + βi2
per ogni polinomio di grado 2. Se alcune radici reali compaiono più volte
(ovevro con molteplicità m), dovro considerare anche termini
d 1 j−1
j−1
=− , 2≤j≤m
dx (x − x0 ) (x − xi )j
1 2t d 1 2t d t 1 − t2
, , =− , =
1 + t2 1 + t2 dt 1 + t2 (1 + t2 )2 dt 1 + t2 (1 + t2 )2
2.2. ANALISI 53
Imponiamo l’identità
r1 + r2 t2 1 − t2
1 2t 2t
= A + B + C − + D
(1 + t2 )2 1 + t2 1 + t2 (1 + t2 )2 (1 + t2 )2
r1 + r2 t2 = A(1 + t2 ) + 2Bt(1 + t2 ) − 2Ct + D(1 − t2 )
A + D = r1
A − D = r2
Da cui
r1 + r2 r1 − r2
A= , B=
2 2
Otteniamo
r r
2m ∞ r1 + r2 t2 2m ∞
r1 − r2 d t
Z Z
r1 + r2 1
2 − dt = 2 − dt +
E 0 (1 + t2 )2 E 0 2 1 + t2 2 dt 1 + t2
r
2m r1 + r2 ∞ r1 − r2 t ∞
= 2 − [arctan x]0 + [ ]
E 2 2 1 + t2 0
r
r1 + r2 2m
= π −
2 E
Esempio 2.2.32. Vogliamo trovare una funzione f (x) tale che f (x) = f 0 (x).
Questa è un’equazione differenziale del primo ordine (lineare a coefficienti
costanti) 12 .
y 0 = f (y)g(x)
Ovvero se si riesce a isolare una funzione solo di y e una solo di x. È molto
utile separare le variabili, se possibile, in quanto l’equazione si può integrare
in questo modo:
dy Z y(x) Z x
0 dx dy dy
y = f (y)g(x) ⇒ = g(x) ⇒ = g(x)dx ⇒ = g(x)dx
f (y) f (y) y(x0 ) f (y) x0
Z q(t) Z t
V q dq dq
q̇ = − ⇒ = dt ⇒ = dt
R RC V q q(0)=0 V q 0
− −
R RC R RC
Q
V − − V − RQ̇ = 0
C
Ci siamo ricondotti al caso precendente, l’equazione adesso è la stessa
t
−
della scarica. La soluzione che avevamo trovato era q(t) = q0 e RC . In questo
caso sarà quindi
t t t
Q(t) = Q(0)e− RC ⇒ q(t) − CV = (q(0) − CV )e− RC ⇒ q(t) = CV (1 − e− RC )
È molto importante notare che se y1 (t) e y2 (t) sono soluzioni della stessa
equazione differenziale lineare, allora anche una qualsiasi combinazione lineare
delle due αy1 (t) + βy2 (t), α, β ∈ R è ancora una soluzione dell’equazione di
partenza.
mẍ = −kx
r
k
Possiamo per comodità scriverla come ẍ = −ω 2 x ,con ω =
m
Questa equazione è lineare 14 . Cerchiamo delle soluzioni. La tecnica
standard per trovare la soluzione di una di queste equazioni è cercarne una
della forma x = Aeλt , con λ ∈ C.
Sostituendo nell’equazione,
λ = ±iω
A = x0 + v0
(
x0 = A + B 2 2iω eiωt + e−iωt eiωt − e−iωt
⇒ ⇒ x(t) = x0 +v0 =
v0 = iω(A − B) B = x0 − v0 2 2i
2 2iω
v0
= x0 cos(ωt) + sin(ωt)
ω
E come previsto, spariscono tutti i termini complessi e quindi per for-
tuna x(t) è un numero reale. Per completezza, calcoliamo anche velocità e
accelerazione.
Ora, oltre alla forza elastica, c’è anche la forza peso. Scriviamo l’equazione
del moto. Prendiamo un riferimento con l’asse x b verticale verso il basso,
ovvero diretto come ~g . Prendiamo lo zero delle x nel punto in cui la molla è
imperturbata.
mg − kx = mẍ
L’equazione assomiglia molto a prima, c’è solo un termine costante aggiun-
tivo. Come ho suggerito un paio di esempi fa, può essere molto utile provare
a sommare qualcosa a x(t) cercando di far sparire quel termine. Scriviamo
quindi x(t) = X(t) + X0 . Cerchiamo X0 tale che quel termine fastidioso
sparisca.
mg − kX − KX0 = mẌ
mg
Per X0 = , otteniamo quello che volevamo. Cosa mi significa questo
k
risultato? Vorrei far notare che X0 è esattamente la posizione di equilibrio
stabile tenendo conto anche della forza peso. Fisicamente, vuol dire quindi che
aggiungere una forza costante in questa situazione non cambia assolutamente
niente se non spostare il punto attorno a cui c’è oscillazione.
La presenza di g quindi non altera minimamente il periodo di oscillazione.
Concludiamo per completezza la soluzione dell’equazione, sfruttando il
risultato di prima.
V0 mg mg v0
X(t) = X0 cos(ωt)+ sin(ωt) ⇒ x(t) = +(x0 − ) cos(ωt)+ sin(ωt)
ω k k ω
mg 15
Notare che effettivamente hx(t)i = , ovvero effettivamente la molla
k
oscilla intorno al punto di equilibrio stabile, come previsto.
L’ultima cosa che voglio far notare è che usando un trucco trigonometrico
si può scrivere la soluzione più generale in forma diversa, a volte più comoda
da maneggiare. Consideriamo
√
A B
A cos x + B sin x = A2 + B2 √ cos x + √ sin x
A2 + B 2 A2 + B 2
15
Con la notazione hf (t)i si intende il valor medio della funzione calcolato su un pe-
riodo (oppure su un tempo che viene specificato, in caso di moto non periodico), ovvero
1 T
Z
f (t)dt
T 0
2.2. ANALISI 61
√
A cos x + B sin x = A2 + B 2 (cos α cos x + sin α sin x) = C cos(x − α)
mg − γ ẋ − kx = mẍ
Come prima, vorremo liberarci del termine costante mg per semplificarci
i conti. Vediamo che la sostituzione fatta prima funziona ancora, quindi la
usiamo.
γ
Ẋ + ω 2 X = 0
Ẍ +
m
k
Dove come al solito ho chiamato ω 2 = . Cerchiamo come prima una
m
soluzione della forma X(t) = Aeλt . Otteniamo questa equazione.
62 CAPITOLO 2. MATEMATICA
γ
Aeλt (λ2 +
λ + ω2) = 0
m
Se vogliamo che la nostra soluzione funzioni, deve essere sempre 0 il
termine fra parentesi. Abbiamo quindi una equazione di secondo grado in λ
che risolta ci da r
γ γ 2
λ1,2 = − ± − ω2
2m 2m
Ora ci sono un paio di casi da trattare.
γ 2
1. Se ci aspettiamo che lo smorzamento sia piccolo, sarà − ω 2 < 0,
2m
per cui r
γ 2
γ 2
λ1,2 = − ±i ω −
2m 2m
r γ 2
Chiamiamo ωs = ω 2 − . La soluzione dell’equazione sarà del
2m
tipo
γ γ γ
X(t) = Ae− 2m t+iωs t + Be− 2m t−iωs t = e− 2m t Aeiωs t + Be−iωs t
γ
X(t) = Ce− 2m cos(ωs t + φ)
mg γ
x(t) = + Ce− 2m cos(ωs t + φ)
k
Ovvero ciò che succede è che la massa continua ad oscillare, diminuendo
sempre di più l’ampiezza al passare del tempo per poi stabilizzarsi sulla
posizione di equilibrio stabile, esattamente come prevedeva il buonsenso.
Notare che la frequenza di oscillazione intorno alla posizione di equilibrio
non è esattamente la stessa che ci sarebbe senza l’attrito. Infatti, ωs < ω.
2.2. ANALISI 63
γ γ
X(t) = Ate− 2m t + Be− 2m t
¨ x2 ) + γ (x1 −
(x1 − ˙ x2 ) + ω 2 (x1 − x2 ) = 0
0
m
Ovvero x1 − x2 risolve l’equazione omogenea associata. Tuttavia noi
conosciamo già tutte le soluzioni della omogenea, quindi per ottenere la
soluzione più generale della non omogenea ci basta prendere la soluzione
dell’omogenea e sommarci una soluzione della non omogenea.
Questa affermazione in effetti non ci aiuta a trovare la soluzione, ma ci
dice che se per caso ne troviamo una, anche sparando a caso, allora le abbiamo
trovate tutte e abbiamo finito, il che è un grosso bene.
Ora vediamo di trovare la soluzione dell’equazione che abbiamo, trovando
una soluzione particolare xp (t) dell’equazione.
17 V0
La tensione di 220V , quella che sentite nominare sempre, è √ , ovvero il valore
2
quadratico medio della tensione
66 CAPITOLO 2. MATEMATICA
F0 F0
z0 = m
γ ⇒ z0 = r m
e−iδ = |z0 |e−iδ
2 2
ω02 − ω 2 + iω γ ω
m (ω 2 − ω02 )2 +
m2
γω
Dove tan δ = 2
m
ω0 −ω 2
. La soluzione che cercavamo era del tipo z(t) =
z0 eiωt = |z0 |ei(ωt−δ) , quindi, essendo x = <z, xp (t) = |z0 | cos(ωt − δ).
La soluzione più generale sarà quindi la somma della soluzione dell’omo-
genea più il termine che abbiamo appena trovato.
γ
x(t) = x0 (t) + xp (t) = Ce− 2m cos(ωs t + φ) + |z0 | cos(ωt − δ)
Ovvero la soluzione generale è la somma di un termine che rapidamente
viene smorzato 18 e un termine di ampiezza costante che è quello che conterà
sul lungo periodo.
La funzione |z0 (ω)| ha un grafico molto caratteristico a campana che ha
un massimo molto vicino a ω0 .
AGGIUNGERE GRAFICO E FARE CONSIDERAZIONI
18 2m
Il periodo in cui è significativo si chiama transiente e di solito il periodo è 3τ = 3 .
γ
Si sceglie 3τ in quanto è un numero intero di tempi caratteristici e e−3 ≈ 0, 05, che è molto
poco.
2.2. ANALISI 67
19
sarà diretta lungo la direzione radiale, mentre il peso avrà due componenti
(
Risr = T − mg cos θ = mθ̇2 l
Risθ = −mg sin θ = mlθ̈
f 00 (x0 )
f (x) ≈ g(x) = f (x0 ) + f 0 (x0 )(x − x0 ) + (x − x0 )2
2
Notiamo che è una parabola in quanto la variabile è x e compare al massimo
come termine di secondo grado. Derivate per credere che g(x0 ) = f (x0 ),
g 0 (x0 ) = f 0 (x0 ), g 00 (x0 ) = f 00 (x0 )
In fisica non si userà praticamente mai nessuna espansione oltre il secondo
ordine, ma per completezza enuncio questo
Definizione 2.2.9 (Serie di Taylor). Sia f (x) una funzione (con infinite
derivate in x0 eccetera. . . ). Si definisce Serie di Taylor centrata in x0 di f (x)
la funzione g(x)
∞
X f (n) (x0 )
g(x) = (x − x0 )n (2.4)
n=0
n!
Nota. In fisica tutte le funzioni sono analitiche, ovvero per ogni funzione
∞
X f (n) (x0 )
f (x) = (x − x0 )n
n=0
n!
70 CAPITOLO 2. MATEMATICA
In particolare,
x3
sin(x) = x − + ...
6
Nella maggior parte dei casi, si tiene solo il primo termine, ovvero sin(x) ≈
x. Per vedere le serie di Taylor più comuni potete andare nell’appendice a
vedere 6.2
2.2. ANALISI 71
Figura 2.13: Grafico dello sviluppo di Taylor del seno con sempre più termini
possiamo approssimare
dF (x0 ) dF (x0 )
F (x) = F (x0 ) + ∆x = ∆x
dx dx
Ovvero la forza è una funzione lineare dello spostamento, per spostamenti
abbastanza piccoli, esattamente come una molla, esattamente come un pendolo
(nell’ultima uguaglianza ci siamo ricordati che F (x0 ) = 0). Inoltre, grazie
alle considerazioni che abbiamo fatto sul segno di F , sicuramente avremo
dF (x0 )
< 0.
dx
A questo punto, ricordiamo che F = ma
d2 ∆x dF (x0 )
m 2
=− ∆x = −mω 2 ∆x
dt dx
1 dF (x0 )
Dove ho chiamato ω 2 =
m dx
Questa è una equazione differenziale lineare a coefficienti costanti, la cui
soluzione è una combinazione lineare di seno e coseno di ωt, esattamente
come succede per una molla.
In realtà, è la molla che è una buona molla, ovvero noi definiamo molla
un oggetto risponda ad una deformazione opponendosi con una forza data
dalla formula
F~ = −k ∆x
~
Quello che sto dicendo è che in realtà ogni oggetto, se visto abbastanza
vicino alla sua posizione di equilibrio, si comporta come una molla ideale,
ovvero un oggetto che rispetta quella formula. Le molle vere, cioè il filo di
ferro arrotolato, semplicemente sono degli oggetti che rispettano molto bene
quella legge anche per deformazioni più grandi e quindi vengono prese come
modello campione per fare gli esempi, ma in realtà qualsiasi cosa si comporta
in quel modo intorno ad una posizione di equilibrio stabile.
Ora, una buona domanda è: perché quando abbiamo espanso la forza
abbiamo tenuto solo il primo termine e abbiamo buttato via tutti gli altri?
La risposta è che potevamo anche tenerne un paio di più, ottenendo un’ap-
prosimazione migliore, solo che avremmo ottenuto una equazione differenziale
non lineare, che è molto più difficile da risolvere e per questo non capita alle
olimpiadi.
Soluzione energetica:
2.2. ANALISI 73
1 d2 U (x0 ) 2
U (x) = U (x0 ) + ∆x
2 dx2
Dove ci siamo già ricordati che il primo termine fa zero. Riscriviamo
quindi l’energia totale.
2 2
1 d2 U (x0 ) 2
1 dx 1 dx
E= m + U (x) = m + U (x0 ) + ∆x
2 dt 2 dt 2 dx2
Deriviamo di nuovo l’energia totale rispetto al tempo e ricordiamoci che
dx d(x − x0 ) d∆x
= =
dt dt dt
74 CAPITOLO 2. MATEMATICA
d2 ∆x d2 U (x0 )
m = − ∆x = −mω 2 ∆x
dt2 dx2
che se confrontata con quella ottenuta nel caso della soluzione con le forze
è uguale identica.
dU
Per convincersi che ω 2 è lo stesso, è sufficiente ricordarsi che F = −
dx
Ora, una buona domanda è: come faccio a sapere a che ordine devo
espandere per ottenere il risultato giusto? La risposta è che di solito è il testo
del problema a dirlo.
Una buona norma in ogni caso è:
~a · ~b = |~a||~b| cos θ
√
Dove con |~a| si intende il modulo di ~a, ovvero ~a · ~a (Ovvero la lunghezza
di ~a calcolata con pitagora).
~a · ~b = ~b · ~a
~a · (~b + ~c) = ~a · ~b + ~a · ~c
~a · (k~b) = k~a · ~b
È utile ricordare che la base di R3 formata dai 3 versori x b, yb, zb è ortonormale,
ovvero x b·x b = 1, xb · yb = 0, x
b · zb = 0, yb · yb = 1 etc. Questa condizione si può
riassumere sinteticamente cambiando nome agli assi da x b, yb, zb a x b1 , x
b2 , x
b3 e
scrivendo x bi · x
bj = δij dove l’oggetto a destra si chiama delta di Kronecker e
vale 1 se i = j e 0 se i 6= j.
In questo modo, se scriviamo i vettori ~a e ~b in termini dei versori, otteniamo
2.3. CALCOLO VETTORIALE 77
~a · ~b = (ax x
b + ay yb + az zb) · (bx x
b + by yb + bz zb) = ax bx + ay by + az bz
~a × (~b + ~c) = ~a × ~b + ~a × ~c
~a × (k~b) = k~a × ~b
Con un po’ di fatica si riesce anche a dimostrare alcune identità di calcolo
vettoriale, per esempio
b, ~b = ~c = yb
mo ~a = x
b × (b
x y × yb) 6= (b b × ~0 6= zb × yb ⇒ 0 6= −b
x × yb) × yb ⇒ x x
Prodotto misto Una cosa interessante ma non troppo utile, almeno per
fare questi problemi, è il cosiddetto prodotto misto fra 3 vettori ~a, ~b, ~c, definito
come
~a × ~b · ~c
Ho omesso le parentesi in questa espressione in quanto vi è un solo modo di
fare le cose che abbia senso, ovvero prima il prodotto vettore e poi il prodotto
scalare.
È utile notare che questo numero si può scrivere facilmente utilizzando le
matrici in questo modo:
ax ay az
~a × ~b · ~c = det bx by bz
cx cy cz
È facile vedere che quindi il prodotto misto si può permutare in più forme,
ovvero
~a × ~b · ~c = ~b × ~c · ~a = ~c × ~a · ~b
Infine è utile vedere il significato fisico del prodotto misto. Costruia-
mo un parallelepipedo (non retto) che abbia gli spigoli come i tre vettori
~a, ~b, ~c. Questo parallelepipedo, in figura 2.16, ha tutte le facce a forma di
parallelogramma. Scelta la faccia ab, il volume di questo parallelepipedo è
rappresentato dal volume spazzato dall’area ab, ovvero sarà A ~ · ~c = ~a × ~b · ~c.
Il volume di questo parallelepipedo è quindi rappresentato dal prodotto
misto dei 3 vettori. È quindi un ottimo metodo per controllare in modo
rapido se 3 vettori sono complanari o meno, in quanto se sono complanari, il
volume deve essere 0.
Se al posto di un parallelepipedo ci avessimo messoun tetraedro,
la formula
1 1 1
del volume sarebbe stata molto simile, ovvero V = ~a × ~b ·~c = ~a ×~b ·~c
3 2 6
80 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Esempio 2.3.8. Dati due vettori non paralleli nel piano x, y posso ottenere
qualsiasi altro vettore del piano come una combinazione lineare dei due, ovvero
se v, w sono i due vettori non paralleli, ∀z ∈ (x, y)∃a, b ∈ R|z = a · v + b · w. Se
invece che avere due vettori non paralleli ne avessi 3 o più, sarebbero ancora
dei generatori. Semplicemente sarebbero ridondanti in quanto esiste più di
una combinazione che genera il vettore z.
82 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Esempio 2.3.10. Due vettori non paralleli nel piano x, y sono una base, in
quanto sono un insieme di generatori e se ne tolgo uno non lo sono più. Allo
stesso modo, se ho 3 vettori non complanari nello spazio tridimensionale,
questi sono una base.
Nota. È ovvio che le basi non sono uniche. Basta pensare al solito esempio
dei due vettori nel piano. Se li ruoto di un angolo a caso, sono ancora una
base ma in generale sono una base diversa.
ωy vz − ωz vy 0 −ωz ωy vx
~ × ~v = ωz vx − ωx vz = ωz
fω~ (~v ) = ω 0 −ωx vy
ωx vy − ωy vx −ωy ωx 0 vz
···
1 0 0
..
0 1 . 0
I=
.. .. .. ..
. . . .
0 0 ··· 1
Controllate per esercizio che data una qualsiasi matrice A quadrata dello
stesso lato di I, vale la relazione
AI = IA = A
Iij = δij
Dove
(
1 Se i = j
δij =
0 altrimenti
88 CAPITOLO 2. MATEMATICA
H = GF
Notare che la dimensione delle matrici G ed F è tale da permettere di
essere moltiplicate in questo modo.
cos β − sin β cos α − sin α
R̃ = Rβ Rα = =
sin β cos β sin α cos α
cos α cos β − sin α sin β − sin α cos β − cos α sin β
= =
sin α cos β + cos α sin β cos α cos β − sin α sin β
cos(α + β) − sin(α + β)
=
sin(α + β) cos(α + β)
Inoltre
det(A) = |A| = a
Dove a è ovviamente l’unico numero che compare nella matrice. Questa
notazione è leggermente infelice in quanto si può confondere con il valore
assoluto o modulo. In particolare, niente vieta al determinante di una matrice
di essere minore o uguale a zero, di conseguenza se la matrice è composta solo
dal numero −1, il suo determinante sarà −1, non 1, che sarebbe semplicemente
il valore assoluto dell’unico numero che compare nella matrice.
Se la matrice è 2 × 2,
a b a b
A= ⇒ |A| = = ad − bc
c d c d
Se la matrice è 3 × 3, esiste la regola di Sarrus che permette di calcolare il
determinante. Per applicarla, può essere utile scrivere la matrice e scrivercela
accanto un’altra volta, come in figura 2.17. Chiamo diagonale principale la
direzione che va dall’alto sinistra a basso destra e diagonale secondaria l’altra.
Bisogna sommare il contributo di tutti i termini sulle diagonali principali e
sottrarre tutti i termini sulle diagonali secondarie.
1 0 5 6
Scegliamo di sviluppare secondo la seconda riga, in quanto ci sono due
zeri. Allora vale
1 2 0 5
2 0
5 1 0 5
0 0 3 1
= (−1) · 0 · −2 5
+1·0· 3 5 0
det(A) = 0 +
3 −2 5 0
0 5
6 1 5 6
1 0 5 6
1 2 5 1 2 0
+(−1) · 3 · 3 −2 0 + 1 · 1 ·
3 −2 5
1 0 6 1 0 5
Cerchiamo di capire cosa ho fatto. Innanzitutto ho percorso la riga che ho
scelto, fermandomi su ogni elemento. Per ogni elemento aij ho sommato un
contributo (−1)i+j aij det(Aij ) dove Aij indica la matrice che ottengo togliendo
da A la riga i e la colonna j. Nel nostro caso ho tolto sempre la seconda riga
e la colonna cambiava man mano. Come vedete, è intelligente scegliere una
riga/colonna con tanti zeri.
Finiamo il calcolo per completezza
1 2 5 1 2 0
det(A) = −3 3 −2 0 + 3 −2 5
= −3 (−12 + 0 + 0 − (−10 + 0 + 36)) +
1 0 6 1 0 5
1
a−1
ji = det(Aij )
detA
Ho indicato con a−1 ij l’elemento della matrice inversa nella posizione i, j,
mentre Aij è la matrice che si ottiene togliendo la riga i e la colonna j, come
nel calcolo del determinante. Notare che ho scritto a−1ji . Non è un typo, bensı́,
dopo essersi smazzati di conti per fare tutti i determinanti, bisogna pure
ricordarsi di fare la trasposta22 della matrice.
Esiste un metodo più umano, chiamato algoritmo di Gauss-Jordan, che
permette di calcolare in modo meno orribile l’inversa. Facciamo un esempio
per mostrare il metodo.
3 5 0
A= 6 1 0
0 0 5
Per usare l’algoritmo di Gauss, dobbiamo affiancare alla nostra matrice A
la matrice identità.
3 5 0 || 1 0 0
6 1 0 || 0 1 0
0 0 5 || 0 0 1
22
Ovvero ribaltarla rispetto alla diagonale principale.
92 CAPITOLO 2. MATEMATICA
0 || − 19 95 0
3 0
0 1 0 || 29 − 19 0
0 0 1 || 0 0 51
E infine dividiamo per 3 la prima riga
1 5
1 0 0 || − 27 27
0
0 1 0 || 29 − 19 0
0 0 1 || 0 0 51
Quindi la matrice di destra
1 5
− 27 27
0
2
9
− 19 0
1
0 0 5
2.3. CALCOLO VETTORIALE 93
Derivata di un versore
Il riferimento cartesiano è un riferimento di assi ortogonali fissi. Questo
non è l’unico riferimento possibile. Per esempio, sul piano xy si può scegliere di
utilizzare le coordinate polari, ovvero associare ad ogni punto la sua distanza
dall’origine r ∈ [0, +∞) e l’angolo che forma con l’asse x, θ ∈ [0, 2π).
Il riferimento cartesiano ha una caratteristica molto speciale che lo rende
molto più semplice da trattare: i versori diretti come gli assi sono fissi, ovvero
in ogni punto dello spazio i 3 versori hanno la stessa direzione. Questo non
è vero per le coordinate polari, ad esempio. Infatti, se vogliamo indicare la
posizione di un corpo in coordinate polari o ci riconduciamo ad esprimerla in
coordinate cartesiane scrivendo
~ = r cos θb
R x + r sin θb
y
Tuttavia, spesso è preferibile per motivi di simmetria non ricondursi alle
coordinate cartesiane (per esempio se abbiamo a che fare con una forza
centrale), ma semplicemente indicare un vettore che indichi la congiungente
dal punto considerato all’origine del riferimento, ovvero ci inventiamo rb =
cos θb x + sin θb
y . È chiaro che questo versore semplifica la notazione e il
problema se abbiamo per esempio una forza radiale F~ = F (~r)b r. La posizione
~
indicata prima sarà R = rb r.
Ovviamente nel piano non ci basta un versore solo per indicare un vettore
applicato.23 È quindi utile definire anche il versore θb = − sin θb x + cos θb y.
Viene definito in questo modo in quanto rb · θb = 0, |θ| b = 1, rb × θb = zb, con zb il
versore perpendicolare al piano e uscente.
È importantissimo capire che a differenza del riferimento cartesiano dove
x
b, yb, zb sono gli stessi vettori in tutto lo spazio, nel caso di coordinate polari
(ma in generale anche per altri riferimenti) i vettori rb, θb dipendano dal punto
del piano in cui ci si trova.
F~ = F~ (t)
23
Ovvero un vettore che non può essere spostato nell’origine senza cambiare il significato
fisico di quello che si fa. Per esempio le forze sono vettori applicati. È molto semplice
capire come sia diversa una forza applicata in un punto di un corpo piuttosto che in un
altro.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 95
dF~
Vogliamo calcolare la derivata temporale di F~ , ovvero .
dt
dF~ d
= (Fx (t)b y ) = F˙x x
x + Fy (y)b b˙ + F˙y yb + Fy yb˙ = F˙x x
b + Fx x b + F˙y yb
dt dt
In quanto i versori sono delle costanti, perché non dipendono nè dal tempo,
nè dalla posizione nè da nient’altro.
Esempio 2.3.25. Supponiamo di avere la posizione in coordinate polari di
un oggetto. Vogliamo calcolarne la velocità.
~
Noi abbiamo R(t) = R(t)b r(t)
~
dR(t)
~v (t) = ˙ r + R(t)rb˙
= R(t)b
dt
La cosa più facile che si può fare è ricordare la definzione di rb che abbiamo
dato in coordinate cartesiane, ovvero rb(t) = cos θ(t)b x + sin θ(t)by , farne la
derivata in coordinate cartesiane e poi scrivere il vettore che abbiamo ottenuto
in termini di rb, θ.
b Questa tecnica funziona e per esercizio ora la userò, ma in
seguito vi mostrerò dei metodi più semplici.
db
r d
= (cos θb x + sin θb
y ) = (− sin θb
x + cos θb
y )θ̇ = θ̇θb
dt dt
˙ r + R(t)θ̇θb
Di conseguenza, ~v = R(t)b
˙
La cosa si può ovviamente iterare ottenendo θb = −θ̇br. L’accelerazione di
un corpo in coordinate polari
d~v
~a(t) = = (R̈ − Rθ̇2 )b
r + (2Ṙθ̇ + Rθ̈)θb (2.5)
dt
Come avevo anticipato, c’è un modo alternativo per ottenere la deriva-
ta di un versore. Notiamo innanzitutto che un versore x b è caratterizzato
dall’equazione
x|2 = x
|b b·x
b=1
Questa equazione può essere derivata membro a membro ottenendo una
cosa utile
d|x|2 d
= 1
dt dt
96 CAPITOLO 2. MATEMATICA
d
x·x
(b b) = 1
dt
b˙ · x
x b+x b˙ = 0
b·x
b˙ · x
x b=0
Ovvero un versore è ortogonale alla sua derivata. In particolare, possiamo
sicuramente trovare un vettore ~a per cui si possa scrivere la sua derivata in
questo modo: x b˙ = ~a × x
b.
METTI UN BUON DISEGNO
Si arriva finalmente a concludere x b˙ = ω
~ ×xb
Otteniamo di nuovo per esercizio la velocità e accelerazione in coordinate
polari. In questo caso trovare ω~ è molto semplice in quanto entrambe i versori
rb, θ ruotano solo intorno all’asse zb, quindi avremo che ω
b ~ = θ̇b
z
r + Rrb˙ = Ṙb
~v = Ṙb r + Rω × rb = Ṙb z × rb = Ṙb
r + Rθ̇b r + Rθ̇θb
~a = R̈b z ×b
r+Ṙθ̇b r+Ṙθ̇θ+R b θ̇~ω ×θb = R̈b
b θ̈θ+R b θ̇2 zb×θb = (R̈−Rθ̇2 )b
r+(2Ṙθ̇+Rθ̈)θ+R r+(2Ṙθ̇−Rθ̈)θb
volta scrivere ω ~ non è altrettanto semplice, in quanto non è ovvio in che piano
ruota rb e tantomeno il suo modulo.
In generale, ω
~ sarà un vettore ortogonale al versore x b1 di cui indica la
rotazione. Di conseguenza, scelti due altri vettori a caso ~x1 , ~x2 tali che non
siano entrambe complanari al versore, sarà sempre possibile esprimere ω ~ come
un’opportuna combinazione lineare degli altri due, ovvero ω ~ = a1~x1 + a2~x2 .
Consideriamo quindi rb˙ . Scegliamo quindi due versori x b1 , x
b2 intelligenti da
utilizzare, ovvero due versori intorno a cui sappiamo scrivere in modo facile
la rotazione in termini di θ̇, φ̇. Per esempio, se scegliamo x b1 = φ,b ω~ θ = θ̇φ.
b Se
scegliamo inoltre x b2 = zb, è facile vedere come intorno a z la rotazione sia solo
intorno a φ, ovvero ω ~ φ = φ̇b z . È infine immediato verificare che i tre vettori
rb, x
b1 , x
b2 non sono complanari, quindi possiamo scrivere ω ~ = θ̇φb + φ̇b z.
rb˙ = ω
~ × rb = θ̇φb × rb + φ̇b
z × rb = θ̇θb + φ̇ sin θφb
Di conseguenza otteniamo
~v = Ṙb
r + Rθ̇θb + R sin θφ̇φb (2.6)
Calcoliamo con molta fatica ora l’accelerazione ~a
98 CAPITOLO 2. MATEMATICA
b˙ φb˙
Dobbiamo ora calcolare a parte θ,
˙
z ) × θb = −θ̇b
θb = (θ̇φb + φ̇b r − cos θφ̇φb
˙
z ) × φb = φ̇b
φb = (θ̇φb + φ̇b z × φb = φ̇(cos θb
r − sin θθ)
b × φb = −φ̇ cos θθb − φ̇ sin θb
r
Sostituendo nell’equazione di prima si ottiene infine
2 2 2
ar = R̈ − Rθ̇ − R sin θφ̇
aθ = Rθ̈ + 2Ṙθ̇ − R sin θ cos θφ̇2 (2.7)
aφ = R sin θφ̈ + 2Ṙ sin θθ̇ + 2R cos θθ̇φ̇
È quindi necessario dare delle nuove definizioni per formulare delle leggi
fisiche con senso in questi casi. Cominciamo riprendendo l’esempio 2.3.28
Esempio 2.3.30. Abbiamo un oggetto a temperatura Tc e un oggetto a
temperatura Tf , fissate e costanti. Poniamo in mezzo a questi oggetti una
sbarra metallica dritta di conducibilità termica λ, lunghezza L e sezione S.
Vogliamo conoscere la temperatura in ogni punto della sbarra quando è stato
raggiunto lo stato stazionario.
Scegliamo un sistema di riferimento intelligente: prendiamo l’asse x pa-
rallelo all’asse della sbarra e gli assi y e z a caso, ortogonali a x. Poniamo il
punto di contatto fra la sbarra e il corpo freddo (Tf ) a 0. Il punto di contatto
fra la sbarra e il corpo caldo sarà quindi ad L. Per ovvie considerazioni di
simmetria, la temperatura della sbarra non dipenderà da y o da z.
S
La legge di Fourier sul calore dice che P = λ ∆T , dove P indica la
∆x
potenza trasmessa. Questa formula si trova sui vari libri di testo, tuttavia
nel nostro problema non è chiaro chi sia ∆T e tantomeno ∆x in quanto non
stiamo studiando un fenomeno globale come la trasmissione del calore dal
corpo caldo al corpo freddo ma stiamo studiando la trasmissione del calore
dentro la sbarra.
Ciò che si fa sempre in questi casi è ricondursi a posti molto piccoli dove
si spera che le leggi valgano. Mettiamoci in un punto della sbarra 0 < x < L.
Consideriamo un volumetto di sbarra delimitato da x e x + ∆x. Se prendo
un ∆x abbastanza piccolo, ∆x è definito, la differenza di temperatura pure e
quindi la legge acquisisce senso.
Scriviamo quindi la legge di Fourier per questo volume infinitesimo:
P (x) + P (x + ∆x) T (x, y, z) − T (x + ∆x, y, z)
P (x) ≈ P (x + ∆x) ≈ = λS
2 ∆x
L’ultima frazione che compare nell’espressione sembra molto la derivata
della funzione, fatta con le altre variabili che rimangono costanti. In effetti è
esattamente questa la definizione di derivata parziale
Definizione 2.3.8. (Derivata parziale) Sia f (x1 , x2 , . . . , xn ) una funzione di
n variabili f : Rn → R. Si definisce derivata parziale di f rispetto a xi :
f (x1 , x2 , . . . , xi + h, . . . xn ) − f (x1 , x2 , . . . , xi , . . . xn ) ∂f
lim =
h→0 h ∂xi
Ovvero si fa la derivata rispetto ad una variabile trattando tutte le altre come
costanti.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 101
∂P ∂ 2T
0= = −λS 2
∂x ∂x
∂ 2T
Otteniamo infine quindi =0
∂x2
Ricordiamo inoltre che per ragioni di simmetria abbiamo capito che la
∂T ∂T
temperatura non dipende da y e da z. Di conseguenza si avrà = =0
∂y ∂z
Quindi
∂T
= C1 + f (y, z)
∂x
dove f è una generica funzione di solo y e z. Ovviamente in questo caso la
funzione è costante perché abbiamo mostrato che le derivate parziali rispetto
a y e z valgono 0, ma in generale potrebbe non esserlo.
Possiamo integrare di nuovo e ottenere
T (x, y, z) = C1 x + C2
∂ 2 ∂
• (x yz cos y) = yz cos y x2 = 2xyz cos y dove nel primo passaggio
∂x ∂x
ho portato fuori dalla derivata i termini costanti.
∂ 2
• (x yz cos y) = x2 y cos y
∂z
∂ 2 ∂
• (x yz cos y) = x2 z (y cos y) = x2 z(cos y − y sin y)
∂y ∂y
2.3. CALCOLO VETTORIALE 103
dL = F~ (~x) · d~x
e farne la somma su tutti i possibili valori che può assumere sulla traiettoria.
Per dare un po’ di formalismo alla notazione in modo da scrivere le cose in
modo più compatto opererò nel seguente modo standard. La traiettoria, verrà
chiamata ~γ (t)
x(t)
~γ (t) = y(t)
z(t)
E per brevità, anche se è una cosa che odio, in genere ometterò il segno
di vettore sopra γ. Il parametro t della curva è una parametrizzazione della
curva.
Per esempio, se il nostro oggetto si muove su una parabola descritta da
y = x2 + y0 , una possibile parametrizzazione di questa cosa è
(
x(t) = vt
~γ (t) =
y(t) = at2 + y0
s 2 s 2
p dy dy
dL = (dx)2 + (dy)2 = (dx)2 + dx = 1+ dx
dx dx
d~l = −Ldtx̂
quindi
1 1 1
−L
Z Z Z Z
~ ~l = dt π
B·d Bx (x, y)dx = (−L)dt = = arctan 1−arctan(−1) =
γ1 −1 −1 L + L2 t2
2
−1 1+t 2 2
~ · d~l = 2π
B
γ
Ripetiamo ora lo stesso calcolo con l’altra curva, per convincerci che il risultato
non cambia
Z bZ 2x2 Z b 2x2 b
y2
Z Z
7 5 7
h(x, y)dx dy = xy dy dx = x dx = x dx = (b6 −a6 )
D a x2 a 2 x2 a 2 12
Ovviamente se l’insieme fosse stato normale rispetto a y, ovviamente
avremmo potuto fare la stessa identica cosa.
Se l’insieme non è normale, come nel caso che stavamo trattando prima24 ,
24
In realtà è un insieme normale anche quello, ma non avevo voglia di cercare un
esempio più brutto. Fra poco ci accorgeremo anche dentro il calcolo dell’integrale che è
effettivamente un insieme normale.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 109
Z Z Z
2 2
(1 + x + y)dx dy = (1 + x + y)dx dy + (1 + x2 + y)dx dy =
D D1 D2
√
Z R Z R2 −x2 Z R Z 0
2
(1 + x + y)dy dx + √
(1 + x2 + y)dy dx
−R 0 −R − R2 −x2
√
R2 −x2 √R2 −x2
R R
y2 R √
Z Z Z Z
2
√
(1+x +y)dy dx = y + x2 y + √
dx = 2(1+x2 ) R2 − x2 dx
−R − R2 −x2 −R 2 − R2 −x2 −R
25
√
Hint√per farlo: tirare fuori R dalla radice e sostituire in modo
√ da avere 1 − x2 . Il
termine 1 − x2 si può fare sostituendo x = sin t. Il termine x2 1 − x2 si può fare allo
stesso modo oppure per parti.
110 CAPITOLO 2. MATEMATICA
d 2 = x2 + y 2
dA = dxdy
E il dominio sarà
x2 + y 2 ≤ R 2
−R ≤ x ≤ R
√ √
− R 2 − x2 ≤ y ≤ R 2 − x2
1
I = M R2
2
2.3. CALCOLO VETTORIALE 111
Dove
D = {(x, y, z) ∈ R3 t.c. x2 + y 2 + z 2 ≤ R2 }
Se passiamo dalla terna di coordinate (x, y, z) alla terna (r, θ, φ), è ovvio
che il volume non può essere
Z
dr dθ dφ
r≤R
∂f ∂f ∂f
dx = dr + dθ + dφ
∂r ∂θ ∂φ
26
È volutamente il contrario di quello che stavamo facendo prima.
112 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Z Z 2π Z π Z R Z π Z R
2 2
r sin θdr dθ dφ = r sin θdr dθ dφ = 2π r2 sin θdr dθ =
D 0 0 0 0 0
Z π
2π 3 4π 3
= R sin θdθ = R
3 0 3
2.3. CALCOLO VETTORIALE 113
d2 = ρ 2
dA = ρdρdθ
E il dominio è semplicemente
0≤ ρ ≤R
0 ≤ θ ≤ 2π
Quindi
R 2π 2π R
R4
Z Z Z Z Z
2 2 π 1
I = dm d = ρdρdθσρ = σ dθ dρρ3 = 2πσ = σR4 = M R2
0 0 0 0 4 2 2
Notevolmente più veloce!
114 CAPITOLO 2. MATEMATICA
x2 + y 2 + z 2 = R 2
Un altro modo per rappresentarla è una sua parametrizzazione. Quando
si fa un integrale di linea si dà una velocità all’oggetto che la percorre. Allo
2.3. CALCOLO VETTORIALE 115
∂xi
Jij =
∂pj
Dove ho indicato con xi le coordinate spaziali x, y, z e con p i parametri
θ, φ. Lo Jacobiano sarà in questo caso quindi
R cos θ cos φ R cos θ sin φ −R sin θ
J=
−R sin θ sin φ R sin θ cos φ 0
Trattiamo ora questa matrice come una coppia di vettori orizzontali, il
vettore
∂xi
vi =
∂p1
e il vettore
∂xi
wi =
∂p2
Che sono rispettivamente la prima e la seconda riga della matrice.
Consideriamo ora la quantità G = |~v × w|
~
x
b y
b z
b
~ = | R cos θ cos φ R cos θ sin φ −R sin θ | =
|~v × w|
−R sin θ sin φ R sin θ cos φ 0
q
2
=R sin4 θ cos2 φ + sin4 θ sin2 φ + sin2 θ cos2 θ = R2 sin θ
Questa quantità non è stata calcolata a caso ma sarà proprio l’equivalente
dello Jacobiano quando si usa un cambio di variabili. Il motivo di tutto questo
non è troppo semplice da spiegare. Potete immaginare che i due vettori ~v e
w
~ siano i generatori del piano tangente alla superficie nel punto. Se i due
generatori sono perpendicolari, è intuitivo che ci sia più superficie perché sarà
più piatta. Se invece tendono ad essere paralleli, l’area dA sarà sempre più
piccola. 27
Il nostro integrale diventa quindi
Z Z Z 2π Z π
f (~x(θ, φ))G dθ dφ = R2 sin2 θ cos2 φR sin θ sin φR cos θ R2 sin θdθ dφ =
0 0
2π π 2π π
sin5 θ
Z Z Z
5 4 2 5
=R sin θ cos θ cos φ sin φ dθ dφ = R cos2 φ sin φ dφ = 0
0 0 0 5 0
27
Il fatto che sia proprio il prodotto vettoriale il buon rappresentante che faccia tornare
i conti giusti non è un caso. La teoria che sta dietro questa cosa è lunga e complicata e ha
come prerequisito tutto il primo anno di Università. Vi vieto quindi di provare ad imparare
ora le varie generalizzazioni in quanto sarebbe una completa perdita di tempo. Non
vi capiterà mai di dover fare un integrale cosı́ cattivo in una gara. Potrebbe succedere che
ve ne facciano calcolare uno estremamente semplice solo con argomenti fisici, senza dover
fare i conti. Io vado sul sicuro e ve l’ho spiegato comunque, ma è molto di più di quello che
è richiesto.
Quando avrete finito il primo anno di Università e comincerete ad avere dimestichezza
con lo spazio duale di Rn , lo spazio (Rn )∗ , scoprirete l’esistenza dello spazio Rnr per
rappresentare varietà di dimensione qualsiasi e del suo duale (Rnr )∗ per integrare su
ipersuperfici di dimensione qualsiasi. Con calma vi accorgerete che il prodotto wedge (∧)
coincide con il prodotto vettoriale su (R32 )∗ e con il determinante su (Rnn )∗ . Solo dopo
aver finito il primo anno vi consiglio di leggere le dispense di Paolo Acquistapace che
trovate in bibliografia Ref [Acq18] per approfondire l’argomento. Sono fatte veramente
bene, ma sono estremamente formali. Affrontarle al liceo è una perdita di tempo.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 117
z 2 − x2 − y 2
T (x, y, z) = T0
x2 + y 2 + z 2
Per farlo dobbiamo scegliere una parametrizzazione della superficie della sfera.
Scegliamo
Quindi
q
2
|G| = R (sin2 θ cos φ)2 + (sin2 θ sin φ)2 + (cos θ sin θ cos2 φ + cos θ sin θ sin2 φ)2
p
= R2 sin4 θ + sin2 θ cos2 θ = R2 sin θ
118 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Quindi
Z π Z 2π
z 2 − x2 − y 2
Z
1 1
R2 sin θdθdφT0 cos2 θ − sin2 θ
hT i = 2
dΣT0 2 2 2
= 2
4πR Σ x +y +z 4πR 0 0
Z 2π Z π
T0 1
Z
T0 2 2 T0
dt 2t2 − 1 = −
= dφ sin θdθ cos θ − sin θ =
4π 0 0 2 −1 3
A tal proposito è bene ricordarsi che
2 2 2 R2
hx i = hy i = hz i =
3
sulla sfera, e che quindi
1 1
hcos2 θi = hsin2 θi =
2 3
(sempre sulla sfera).
Quindi
Z Z π Z 2π
ΦE = ~ ~
dΣE · dA = dθ dφR2 sin θ (Ex sin θ cos φ + Ey sin θ sin φ + Ez cos θ)
Σ 0 0
Procediamo
Z π Z 2π
1
dφR2 sin θ 2 sin2 θ cos2 φ + sin2 θ sin2 φ + cos2 θ = 4π
ΦE1 = dθ
R
Z0 π Z0 2π
dφR2 sin θR sin2 θ cos2 φ + sin2 θ sin2 φ + cos2 θ = 4πR3
ΦE2 = dθ
Z0 π Z0 2π
1
dφR2 sin θ 3 3 sin2 θφ cos θ sin2 φ + cos2 φ + cos θ(2 cos2 θ − sin2 θ)
ΦE3 = dθ
0 R
Z π 0
4π
= dθ cos θ = 0
R 0
120 CAPITOLO 2. MATEMATICA
dL = Fx dx + Fy dy + Fz dz
Diciamo che il lavoro infinitesimo è un differenziale esatto se, scelti due
punti dello spazio ~x, ~y il lavoro compiuto dalla forza per andare da ~x a ~y non
dipende dal percorso compiuto ma solo dalla posizione iniziale e finale.
Si capisce molto rapidamente che questa condizione è equivalente a dire
che, dato un qualsiasi percorso chiuso che parte da ~x e torna in ~x, il lavoro
compiuto è 0.
122 CAPITOLO 2. MATEMATICA
∂f ∂f ∂f
dL = dx + dy + dz
∂x ∂y ∂z
Ovviamente noi siamo interessati ad una funzione decente, ovvero una
funzione continua, derivabile con derivate continue, eccetera. Per funzioni per
cui esiste la derivata seconda ed è continua, vale la formula
∂ 2f ∂ 2f
=
∂x∂y ∂y∂x
Ovvero quando si fanno le derivate parziali miste non importa l’ordine in
∂f
cui si deriva28 . Essendo Fx = eccetera, dovrà essere
∂x
∂Fx ∂Fy
=
∂y ∂x
E analoghe per le altre, ovvero
∂Fi ∂Fj
= (2.9)
∂xj ∂xi
28
Questo si chiama Teorema di Schwartz
2.3. CALCOLO VETTORIALE 123
Dove γ è una generica curva qualsiasi che congiunge i punti ~x, ~x0 , in
quanto abbiamo mostrato che il lavoro non dipende dal percorso. È ovvio
da questa definizione che il potenziale dipende dal punto particolare da cui
partiamo. Vediamo cosa succede se definiamo due potenziali rispetto a due
punti diversi.
Z ~
x Z ~
x Z ~
x2
U~x1 (~x) − U~x2 (~x) = − F~ · d~s + F~ · d~s = − F~ · d~s = costante
~
x1 ~
x2 ~
x1
29
Cioè se il dominio è un aperto semplicemente connesso.
30
Di solito si pone ~x0 = ∞
124 CAPITOLO 2. MATEMATICA
F~ = −∇U
~
Dove
~ := ∂ x
∇ b+
∂ ∂
yb + zb
∂x ∂y ∂z
si chiama nabla ed è qualcosa di simile ad un vettore.
Questo oggetto è utile per scrivere in forma compatta equazioni vettoriali.
Bisogna fare molta attenzione quando lo si usa, in quanto la definizione che
ho appena dato vale solo per coordinate cartesiane. Vediamo con un
esempio perché.
~ = −λ ∂T x
J~ · A ~
b·A
∂x
Possiamo liberarci dell’area ottenendo
∂T
J~ = −λ x b
∂x
Come prima, la direzione x b non è privilegiata, quindi per ragioni di
simmetria si avranno equazioni analoghe per le altre direzioni, ottenendo
126 CAPITOLO 2. MATEMATICA
∂T ∂T ∂T
J~ = −λ( x b+ yb + ~
zb) = −λ∇T
∂x ∂y ∂z
J~ = −λ∇T
~ (2.11)
Ora, questa equazione ha senso indipendentemente dal sistema di coordina-
~ il significato di variazione
te di riferimento se noi attribuiamo all’oggetto ∇T
di temperatura nello spazio.
Quello che sto cercando di dire è che se noi vogliamo che la legge J~ =
−λ∇T~ valga in qualsiasi sistema di coordinate perché noi associamo a ∇T ~
il significato di variazione di temperatura nello spazio, la definizione ∇ =~
∂ ∂ ∂
b + yb+ zb non può essere la più generale possibile. Infatti, se passiamo
x
∂x ∂y ∂z
in coordinate sferiche
~ = ∂f rb + ∂f θb + ∂f φb
∇f
∂r ∂θ ∂φ
Questa definizione è palesemente sbagliata, in quanto semplicemente
stiamo sommando delle cose che non hanno la stessa unità di misura.
Si può dimostrare che la definizione corretta in coordinate sferiche è
~ = rb∂f + θb1 ∂f + φb 1 ∂f
∇f
∂r r ∂θ r sin θ ∂φ
Vi sconsiglio caldamente di cercare in giro metodi per ricavarlo in quanto
quelli standard richiedono una quantità infinita di conti che sicuramente
porteranno ad errori catastrofici e vi faranno perdere un sacco di tempo,
mentre i metodi belli richiedono troppa altra roba come prerequisito.
La cosa che va ricordata è il primo termine, in quanto in praticamente
tutti i problemi olimpici f (r, θ, φ) = f (r) e di conseguenza i termini angolari
diventano nulli.
Per completezza, scrivo qui sotto anche la definizione del gradiente in
coordinate cilindriche.
~ = ∂f rb + 1 ∂f θb + ∂f zb
∇f
∂r r ∂θ ∂z
Il gradiente di una funzione ha un’importante significato fisico, ovvero
il gradiente è il vettore che indica la direzione di massima variazione della
funzione.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 127
Infine, riguardo il gradiente è utile sapere questo teorema, uno dei corollari
del teorema di Stokes.
Z I Z Z Z
ρ~g dV − ~ = m~a = 0 ⇒
pdA ρ~g dV − ~
∇pdV =0⇒ ~
(ρ~g −∇p)dV =0
V ∂V V V V
2.3. CALCOLO VETTORIALE 129
Noi abbiamo scelto un volume a caso, quindi questa formula vale per
qualsiasi volume. In particolare, se vale per ogni volume, allora l’argomento
dell’integrale deve essere 0, quindi
~ = ρ~g
∇p
Questa formula vale in generale, molto più in generale della p = p0 + ρgh
che avete sicuramente trovato al liceo che vale se ρ e ~g sono costanti. In
particolare, vale per coordinate curvilinee e vale anche per ~g variabile, per
esempio per trovare la pressione dentro il sole. È interessante ricordare poi
~
che essendo ~g un campo conservativo, si può scrivere ~g = −∇φ
~ + ρφ) = 0 ⇒ p + ρφ = costante
∇(p
divF~ = ∇
~ · F~
∂ 1 ∂ 1 ∂ ∂Fr 1 ∂Fθ 1 ∂Fφ
divF~ = ∇·
~ F~ = rb + θb + φb · F~ = + +
∂r r ∂θ r sin θ ∂φ ∂r r ∂θ r sin θ ∂φ
La vera formula è
2
~ · F~ = 1 ∂r Fr + 1 ∂ sin θFθ + 1 ∂Fφ
∇
r2 ∂r r sin θ ∂θ r sin θ ∂φ
Come prima, questa formula non è assolutamente da sapere e non siete
minimamente tenuti a saperla ricavare. L’unico termine che vale la pena
ricordare è il primo, quello con la derivata in r in quanto permette di fare
alcuni conti rapidi nei problemi olimpici.
Parliamo ora del significato fisico della divergenza.
La vera definizione di ∇~ · F~ è
I
F~ · dA
~
~ · F~ = lim
∇ ∂V
V →0 V
Diamo un significato a questo coso. Il termine a numeratore è il flusso del
campo F~ attraverso la superficie ∂V che delimita il volume V . La divergenza
misura insomma quanto le linee di campo stanno entrando o uscendo da un
punto.
Da questa definizione di ∇~ · F~ segue abbastanza facilmente il seguente
~ · (ρ~v ) + ∂ρ = 0
∇
∂t
Questa equazione viene spesso chiamata equazione di continuità e si può
fare un ragionamento assolutamente identico in elettromagnetismo lasciando
J~ il vettore densità di corrente, ovvero carica per unità di tempo per unità di
superficie. 33
~ · J~ + ∂ρ = 0
∇ (2.12)
∂t
Esempio 2.3.42 (Equazione di continuità per il calore). Si può fare un ragio-
namento assolutamente analogo al precedente considerando l’energia al posto
di massa o carica elettrica. Consideriamo un oggetto con capacità termica
per unità di massa c, indipendente dalla temperatura, con una temperatura
non necessariamente omogenea e tantomeno costante T . Supponiamo per
semplicità che non venga generata energia nel corpo 34 .
Consideriamo una porzione del corpo V delimitata da ∂V . Definendo di
nuovo J~ come il vettore trasporto di energia per unità di tempo per unità di
superficie si avrà
31
Il segno meno è dovuto al fatto che un vettore uscente dalla superficie ha flusso positivo
per convenzione, per cui se il flusso è maggiore di zero la massa diminuisce.
32
Si può fare perché è una derivata parziale rispetto ad una variabile diversa.
33
In effetti non è nemmeno necessario lasciare J~ in quanto di nuovo J~ = ρ~v
34
Per esempio se il corpo è radioattivo viene prodotto calore al suo interno.
132 CAPITOLO 2. MATEMATICA
~ ∂V ) = − ∂Eint
Φ(J,
∂t
Dove abbiamo ~
Z indicato il flusso di J attraverso ∂V . L’energia interna sarà
del tipo Eint = cT dV
V
I Z Z
∂ ∂(cT )
J~ · dA
~=− cT dV ⇒ ∇~ · J~ + dV
∂V ∂t V V ∂t
Al solito, dobbiamo porre uguale a 0 l’argomento dell’integrale. Ricordando
poi l’equazione di Fourier 2.11, otteniamo
−∇ ~ ) + ∂cT = 0
~ · (λ∇T
∂t
Notate che per il momento io non ho nemmeno assunto che la capacità
termica o la conducibilità termica siano delle costanti, ovvero questa equazione
funziona bene anche per materiali disomogenei.
Ora facciamo l’assunzione che c e λ siano uniformi nel corpo e otteniamo
l’equazione
∂T λ~ ~
= ∇ · ∇T
∂t c
L’operatore ∇ ~ ·∇
~ viene utilizzato molto spesso e ne parlerò fra poco.
A causa del suo frequente utilizzo gli viene dato il nome di Laplaciano e si
~ ·∇
utilizza la notazione ∇ ~ =∇~ 2.
Otteniamo infine
∂T λ~2
= ∇ T (2.13)
∂t c
Per la prima volta vediamo la dipendenza dal tempo della temperatura.
Questa è una equazione differenziale alle derivate parziali. Se ritenete difficile
risolvere un’equazione differenziale in una sola variabile35 , questa è un inferno.
Esempio 2.3.43 (Teorema di Gauss per i campi r−2 ). Avrete sentito parlare
del teorema di Gauss per l’elettrostatica. Il teorema asserisce che dato
un volume V , delimitato da ∂V , la somma delle cariche contenute in V è
proporzionale al flusso del campo elettrico attraverso la superficie.
35
Si chiamano equazioni differenziali ordinarie e sono quelle trattate anche da me qualche
capitolo fa.
2.3. CALCOLO VETTORIALE 133
X
q
~ ∂V ) =
Φ(E,
0
Dove 0 è la costante dielettrica del vuoto. Alla luce del teorema 2.3.6,
può essere interessante scrivere in forma locale questa legge.
I Z
~ ~ 1 ~ = ρ
~ ·E
E · dA = ρdV ⇒ ∇
∂V 0 0
Questa si chiama prima equazione di Maxwell scritta in forma differenziale.
È abbastanza evidente che conoscendo E ~ in una determinata regione dello
spazio è immediato riuscire a trovare ρ, facendo un paio di derivate. Consiglio
di fare il problema 3.3.5 per convincersene.
Il bello di questa legge è che in effetti non vale solo per il campo elettrico
ma per qualsiasi campo che gli assomigli abbastanza, ovvero qualsiasi campo
che per cariche puntiformi va come r−2 . Sono sicuro che almeno un esempio
vi viene in mente.
Per esempio, proviamo a scrivere una legge equivalente per il campo
gravitazionale.
Consideriamo il flusso del campo ~g prodotto da una massa puntiforme
attraverso una superficie sferica centrata nella massa.
2 GM
Φ(~g , ∂V ) = 4πr − 2 = −4πGM
r
Esattamente come per il campo elettrico, solo con una costante diversa.
Di conseguenza varrà
~ · ~g = −4πGρ
∇ (2.14)
Teorema 2.3.7 (Teorema del rotore). Sia Σ una superficie regolare (non ne-
cessariamente piatta) e ∂Σ il suo contorno. Sia inoltre F~ un campo vettoriale
regolare. Allora
I Z
~
F · d~s = ~ × F~ · dA
∇ ~
∂Σ Σ
∇2 F~ = ∇
~ ·∇
~ F~
~ · ∇f
∇2 f = ∇ ~
∂2 ∂2 ∂2
2 ∂ ∂ ∂ ∂ ∂ ∂
∇ = x
b+ yb + zb · x
b+ yb + zb = + +
∂x ∂y ∂z ∂x ∂y ∂z ∂x2 ∂y 2 ∂z 2
Di conseguenza, possiamo applicare questo operatore ad un vettore senza
farci troppe domande, ottenendo
∂2 ∂2 ∂2
2
∂2 ∂2
2
∂2 ∂2
2~ ∂ ∂
∇F = + + Fx x
b+ + + Fy yb+ + + Fz zb
∂x2 ∂y 2 ∂z 2 ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 ∂x2 ∂y 2 ∂z 2
Se le domande ce le vogliamo proprio porre, allora vi posso dire che fare
~ F~ ci dà come risultato una cosa che possiamo pensare come una matrice
∇
∂Fj
Mij =
∂xi
Nabla lo possiamo pensare come un vettore orizzontale
∂ ∂ ∂
∂x ∂y ∂z
Quindi quando andiamo a fare la moltiplicazione fra vettore e matrice
otteniamo di nuovo un vettore.
In coordinate sferiche e cilindiche il laplaciano è particolarmente brutto e
come per il rotore non vale la pena nemmeno di scriverlo in quanto non vi
servirà mai alle Olimpiadi.
È tuttavia di notevole significato fisico. Prendiamo per esempio l’equazione
2.14. Possiamo scrivere ~g = −∇V ~ , ottenendo
∇2 V = 4πGρ
E similmente per il potenziale e carica elettrici
ρ
∇2 V = −
0
È di notevole importanza il fatto che queste equazioni siano esattamente
uguali. Inoltre, la soluzione a questa equazione37 è subito riducibile ad un
integrale
37
Si chiama equazione di Poisson
136 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Z
k ρ
V (r) = dV 0
4π |~r − ~r0 |
1
Dove k vale −4πG o
0
k
E in generale vale per qualsiasi campo che vada come F~ = 2 rb
r
Cambiando esempio, prendiamo l’equazione della corda tesa
∂ 2ψ ∂ 2ψ
v2 = (2.15)
∂x2 ∂t2
Che descrive un’onda in moto a velocità v su una corda tesa. (ψ è la
perturbazione dalla posizione di equilibrio). È ovvia una generalizzazione di
questa equazione in 3 dimensioni
∂ 2ψ
v 2 ∇2 ψ =
∂t2
Che descrive quindi una qualsiasi onda in moto in 3 dimensioni a velocità
v. Ovviamente, al posto di ψ possiamo mettere un campo vettoriale.
Prendiamo per esempio le equazioni di Maxwell per l’elettromagnetismo.
I Z
~ ~ 1
E · dA = ρdV
I∂V 0 V
~ · dA ~=0
B
I∂V Z
~ ∂ ~ · dA~
E · d~s = − B
∂Σ ∂t Σ !
~
I Z
∂ E
~ · d~s = µ0
B J~ + 0 ~
· dA
∂Σ Σ ∂t
Usiamo i teoremi della divergenza e del rotore per scrivere in forma
differenziale, semplificando gli integrali.
~ = ρ
~ ·E
∇
0
~
∇ · ~
B = 0
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
~
~ = µ0 J~ + µ0 0 ∂ E
∇
~ ×B
∂t
2.3. CALCOLO VETTORIALE 137
~ × (∇
∇ ~ =−∂∇
~ × E) ~ ×B
~
∂t
Sostituiamo l’ultima equazione
2~
~ × (∇
∇ ~ = −µ0 0 ∂ E
~ × E)
∂t2
Sfruttiamo poi l’identità vettoriale sul doppio prodotto vettoriale per
arrivare a scrivere
2~
~ ∇
∇( ~ · E) ~ = −µ0 0 ∂ E
~ − ∇2 E
∂t2
~ ·E
Ma siamo nel vuoto quindi ∇ ~ = 0.
~
∂ 2E
~ = µ0 0
∇2 E
∂t2
Ovvero il campo elettrico si propaga nel vuoto come un’onda a velocità
1
c= √ .
µ0 0
~ che
Prendendo il rotore della quarta, si ottiene la stessa equazione per B,
38
viene lasciata da ricavare per esercizio .
38
Ovvero non ho voglia di scriverla.
138 CAPITOLO 2. MATEMATICA
g : R → R = f (~x0 + t~h)
È chiaro che se scriviamo g(1) = f (~x0 + ~h) e |~h| |~x0 |, abbiamo
esattamente quello che volevamo.
Scriviamo quindi la serie di Taylor di g, che è una funzione di una sola
variabile, quindi la sappiamo calcolare
∞ ∞
X g (n) (0) n
X g (n) (0)
g(t) = t ⇒ g(1) =
n=0
n! n=0
n!
g(0) = f (~x0 )
n
∂f (~x0 ) f (. . .) − f (. . .) X ∂f ~ (~x0 ) · ~h
h1 + lim = hi = ∇f
∂x1 t→0 t i=1
∂x i
∂ 2 f (~x0 )
Hf (~x0 )ij =
∂xi ∂xj
∂ 2f ∂ 2f ∂ 2f
...
∂x21 ∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂xn
∂ 2f ∂ 2f ... ..
2
.
Hf =
∂x2 ∂x1 ∂x2
.. .. ..
... . . .
∂ 2f 2
∂ f
... ...
∂xn ∂x1 ∂x2n
Hij = Hji
n X
X n
00
g (0) = Hij hi hj
i=1 i=1
∂ 2f ∂ 2f ∂ 2f
...
∂x21 ∂x1 ∂x2 ∂x1 ∂xn
h1
∂ 2f ∂ 2f ... ..
00
2
. h2
g (0) = h1 h2 . . . hn
∂x2 ∂x1 ∂x2
..
... ... .. .
... .
hn
∂ 2f ∂ 2f
... ...
∂xn ∂x1 ∂x2n
Quindi, riassumendo,
n
~ ~ ~ 1 X ∂ 2f
f (~x0 + h) = f (~x0 ) + ∇f · h + hi hj
2 i,j=1 ∂xi ∂xj
Per chiarezza, farò l’esempio con n = 2, ovvero con una funzione f (x, y)
Sarà
~ = ∂f x
∇f b+
∂f
yb
∂x ∂y
∂f ∂f
2
Hf = ∂x ∂x∂y
∂f ∂f
∂y∂x ∂y 2
Se poi chiamo
~h = ∆xb
x + ∆yb
y
∂ 2f ∂ 2f ∂ 2f
∂f ∂f 1
f (~x0 +~h) = f (~x0 )+ ∆x+ ∆y+ ∆x 2
+ ∆y 2
+ 2 ∆x∆y
∂x ∂y 2 ∂x2 ∂y 2 ∂x∂y
∂ 2 ψ(x, t) 2
2 ∂ ψ(x, t)
= c (2.16)
∂t2 ∂x2
Ovviamente, oltre a questa equazione che descrive il moto, dobbiamo
dare delle opportune condizioni iniziali e al contorno. Per una equazione
differenziale ordinaria di ordine n, è necessario dare n dati iniziali. Essendo
questa una PDE del secondo ordine, ci aspettiamo quindi di dover dare
per ogni punto x, la sua posizione ψ(x, 0) = f (x) e la sua velocità iniziale
∂ψ(x,0)
∂t
= g(x). Perdonate se non uso dei nomi con significato fisico rilevante
ma i conti diventano rapidamente corposi.
Per risolvere esplicitamente questa equazione è necessario usare un trucco.
Si passa alle variabili
(
r = x + ct
s = x − ct
Perciò, in modo intuitivo,
∂f ∂f ∂r ∂f ∂s ∂f ∂f
= + = +
∂x ∂r ∂x ∂s ∂x ∂r ∂s
39
Partial derivatives equations
142 CAPITOLO 2. MATEMATICA
∂ 2ψ 2
2∂ ψ
2
2 ∂ ψ
2
2∂ ψ
= c − c 2 + c
∂t2 ∂r2 ∂s∂r ∂s2
Ma dato che
∂ 2 ψ(x, t) 2
2 ∂ ψ(x, t)
= c
∂t2 ∂x2
Otteniamo
∂ 2ψ
=0
∂s∂r
Ora integriamo
∂ ∂ψ ∂ψ
=0⇒ = a(r) ⇒ ψ = A(r) + B(s)
∂s ∂r ∂r
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 143
Ovvero
∂ψ(x, 0)
= g(x) ⇒ c(A0 (x) − B 0 (x)) = g(x)
∂t
Sia ora G(x) una primitiva di g(x). Allora il nostro sistema diventa
1 1
A(x) = f (x) + G(x)
(
A(x) + B(x) = f (x) 2 c
⇒
A(x) − B(x) = 1c G(x) 1 1
B(x) = f (x) − G(x)
2 c
Per cui,
1 1
ψ(x, t) = (f (x + ct) + f (x − ct)) + (G(x + ct) − G(x − ct))
2 2c
Z x+ct
1 1
ψ(x, t) = (f (x + ct) + f (x − ct)) + g(z)dz
2 2c x−ct
Discutiamo ora di una cosa importante, ovvero dei domini di f (x) e g(x).
Non si tratta di un delirio da matematico, ma di una cosa di notevole rilevanza
fisica che va aggiustata per avere la soluzione corretta.
Normalmente ci aspettiamo di non avere f, g su tutto R, ma solo su
un piccolo intervallo. Per esempio, se abbiamo una corda tesa fra [0, L], La
funzione che descrive la forma della corda potrà tranquillamente essere definita
144 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Equazione di Laplace
∇2 V = 0
è una equazione alle derivate parziali lineare ed omogenea. Questo in virtù
del fatto che l’operatore laplaciano è un operatore lineare, infatti se ∆V1 = 0,
∆V2 = 0 e V = V1 + V2 allora
∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2 ∂2
∇2 V = V + V + V = V1 + V1 + V 1 + V 2 + V2 + V2
∂x2 ∂y 2 ∂z 2 ∂x2 ∂y 2 ∂z 2 ∂x2 ∂y 2 ∂z 2
= ∇2 V1 + ∇2 V2 = 0
Allo stesso modo anche V3 = kV1 con k numero reale sarà anche essa solu-
zione. Quindi le soluzioni di tali equazioni formano uno spazio vettoriale,
a dimensione infinita. La risoluzione di equazioni alle derivate parziali può
essere suddivisa in due parti:
1. Trovare tutte le soluzioni dell’omogenea lineamente indipendenti, ovvero
una base dello spazio vettoriale che ci interessa
∂2 ∂2 ∂2
∇2 V = V + V + V = Vxx + Vyy + Vzz = 0
∂x2 ∂y 2 ∂z 2
Come abbiamo detto non siamo interessati ora a trovare la più generale solu-
zione di tale equazione, ma semplicemente una ad una soluzioni linearmente
indipendenti. Per questo posso, senza perdita di generalità41 , ipotizzare che
la mia soluzione sia a variabili separabili
e le altre in modo simile (posso farlo dato che ciascuna funzione ha un solo
argomento)
41
Dimostrare tale affermazione non è banale e richiede di sapere molta matematica del
primo e secondo anno, quindi non dovete provarci!
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 147
Per n = 1 otteniamo
1 ∂2 ∂2
2 1 ∂ ∂
∇ = ρ + 2 2+ 2
ρ ∂ρ ∂ρ ρ ∂θ ∂z
V (ρ, θ, z) = R(ρ)Θ(θ)Z(z)
150 CAPITOLO 2. MATEMATICA
1 d 1 Θ̈(θ) Z̈(z)
ρṘ(ρ) + 2 + =0
ρR(ρ) dρ ρ Θ(θ) Z(z)
d Z̈(z)
=0
dz Z(z)
Z̈(z)
= Cz
Z(z)
ρ d Θ̈(θ)
ρṘ(ρ) + + Cz ρ2 = 0
R(ρ) dρ Θ(θ)
d Θ̈(θ)
=0
dθ Θ(θ)
Θ̈(θ)
= Cθ = −n2
Θ(θ)
L’ultima uguaglianza nasce dal fatto che la funzione Θ deve essere periodica di
2π, e quindi possiamo solo accettare soluzioni sinusoidali. Otteniamo quindi
ρ d
ρṘ(ρ) − n2 + Cz ρ2 = 0 (2.18)
R(ρ) dρ
V (ρ̂) = λ log ρ̂
Scriviamo ora quanto vale ρ̂ in funzione delle coordinate del sistema METTI
DISEGNO. Otteniamo, per il primo filo
r
ρ̂1 = ρ2 + ( )2 − ρ cos θ
2
E per il secondo filo
r r
ρ̂2 = ρ2 + ( )2 − ρ cos(π − θ) = ρ2 + ( )2 + ρ cos θ
2 2
Quindi il potenziale dei due fili sarà
r r
V12 (ρ, θ) = λ log ρ2 + ( )2 − ρ cos θ − log ρ2 + ( )2 + ρ cos θ
2 2
152 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Q
V12 (ρ, θ) = − cos θ
ρ
Il potenziale elettrico risultate sarà dato dalla somma di questo più quello
indotto, che è dato dalla 2.4 con la scelta dei coefficienti Ai , Bi opportuni.
∞
Q X
i Bi
V (ρ, θ) = − cos θ + A0 + B0 log ρ + Ai ρ + i cos (θ + φi )
ρ i=1
ρ
Q B1
V (R, θ) − cos θ + A0 + B0 log R + A1 R + cos (θ + φi ) =
R R
B1 Q B1
= A0 +B0 log R+ A1 R cos φ1 + cos φ1 − cos θ−sin φ1 A1 R + sin θ
R R R
I primi due termini sono costanti sulla superficie del cilindro, perché non
dipendono da θ, mentre il secondo e il terzo sono proporzionali a cos θ e sin θ
43
In particolare, deve essere Bi = 0 da cui segue Ai = −Bi /R2 = 0. La ragione per cui
Bi = 0 verrà spiegata a breve per l = 0, 1.
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 153
Da cui
Φ̈(φ)
= Cφ = −m2 , m ∈ Z
Φ(φ)
L’ultima uguaglianza nasce dal fatto che la funzione Φ deve essere periodica
di 2π, e quindi possiamo solo accettare soluzioni sinusoidali. Sostituiamo e
dividiamo tutto per sin2 θ
2 R̈(r) 1 ∂ m2
r + sin θΘ̇(θ) − =0
R(r) sin θΘ(θ) ∂θ sin2 θ
R̈(r)
r2 = l(l + 1)
R(r)
1 ∂ m2
sin θΘ̇(θ) − = −l(l + 1)
sin θΘ(θ) ∂θ sin2 θ
Bl
R(r) = Al rl+1 +
rl
L’altra equazione è meno facile da risolvere, e le sue soluzioni sono chiamati
polinomi associati di Legendre Plm (cos θ), mentre i prodotti Plm (cos θ)eimφ =
Ylm (θ, φ) sono chiamate armoniche sferiche e sono funzioni tabulate. Noi
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 155
|~p| cos θ
Vp (r, θ) = k
r2
Tuttavia questo termine da solo non basta, perché la sfera essendo conduttrice
dovrà avere un valore costante del potenziale sulla sua superficie, mentre in
questo caso abbiamo
|~p| cos θ
Vp (R, θ) = k
R2
che dipende dall’angolo θ. Per ovviare a questo problema, dobbiamo aggiun-
gere un potenziale indotto V , dato dalla soluzione 2.19 scegliendo opportuna-
mente gli Al e i Bl . Ragionando un poco vediamo che gli unici termini che
possono cancellare questa dipendenza angolare del potenziale sono quelli con
l = 1, quindi il potenziale totale sarà pari a:
|~p| cos θ B1 B1 k|~p|
V (r, θ) = k + A1 r + 2 cos θ = A1 r + 2 + 2 cos θ
r2 r r r
L’unico modo per ottenere un potenziale costante è imporre che la roba fra
parentesi faccia zero. Si, è vero, in questo modo il potenziale sulla sfera farà
per forza 0, ma dovete ricordare che siamo ancora liberi di aggiungere altri
termini della soluzione, in particolare per porre la sfera a un potenziale V0
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 157
k|~p|
A1 = − =0
R3
E quindi il potenziale all’interno della sfera sarà
k|~p| cos θ R2
r
V (r, θ) = − + V0
R2 r2 R
∂ 3k|~p| cos θ
σ = Er (R, θ) = − V (r, θ)r=R =
∂r R3
Esempio 2.4.3. Facciamo ora l’esercizio inverso: prendiamo una sfera con-
duttrice e poniamola in una campo elettrico esterno costante, che per comodità
orienteremo lungo l’asse z. Trovare il potenziale in tutto lo spazio.
Il potenziale elettrico dato dal campo esterno è
Quindi avremo
R2
Q R r
V (r, θ) = V0 + − 1 + ER − 2 cos θ
R r R r
R2
r
V (r, θ) = V0 + ER − 2 cos θ
R r
Quindi un dipolo elettrico posto dentro una sfera conduttrice genera un campo
indotto costante all’interno della sfera, mentre un campo elettrico costante
all’esterno della sfera genera un campo indotto uguale a quello di un dipolo
elettrico all’esterno della sfera.
Corollario interessante: Nella sezione di algebra abbiamo visto che per x, x0 ∈
R:
∞
1 1 X x0 n
= , x0 < x
|x − x0 | x n=0 x
∞ n
1 1 X x
= , x0 > x
|x − x0 | x0 n=0 x0
Dato che spesso nel calcolo dei campi elettrici ci ritroviamo a calcolare spesso
1
|~r − ~r0 |
sarebbe utile avere tale espressione generalizzata al caso del vettore. Un modo
per trovare i primi termini è usare il teorema di Carnot, come abbiamo fatto
in alcuni esercizi, e fare le espansioni in serie. Tuttavia c’e un metodo più
veloce, basta ricordarsi che
∞
1 1 X r0 l
= Pl (cos θ), r0 < r
|~r − ~r0 | r l=0 r
∞ l
1 1 X r
= Pl (cos θ), r0 > r
|~r − ~r0 | r0 l=0 r0
160 CAPITOLO 2. MATEMATICA
Equazione di Poisson
Ne avevate avuto abbastanza con l’equazione di Laplace, che era gia
abbastanza complicata? Ecco, l’equazione di Poisson è ovviamente peggio,
perché si tratta di risolvere l’equazione non omogenea associata
∇2 V = f (x, y, z)
Non andremo molto nei dettagli riguardo a questa equazione. La prima cosa
da notare è che è anche questa una equazione lineare, quindi, per trovare tutte
le sue soluzioni, basterà trovare una soluzione particolare dell’equazione di
Poisson, a cui aggiungere tutte le soluzioni dell’equazione di Laplace. Quindi,
al solito, il problema più grande sarà trovare la giusta combinazione lineare di
soluzioni dell’equazione omogenea (Laplace) da aggiungerci per fare tornare
bene le condizioni al contorno, ma noi non ci occuperemo di questo ora. Per
trovare la soluzione particolare che funzioni, si può procedere al solito con la
separazione della variabili45 . Scrivendo
f (r, θ, φ) = f r (r)f θ (θ)f φ (φ)
nel caso di coordinate sferiche, o in modo anologo per gli altri sistemi, la risolu-
zione dell’equazione può poi essere fatta proiettando la funzione su opportuni
stati. Farò ora un esempio per spiegare cosa significa “proiettare”. Nel caso di
coordinate sferiche per esempio, assumento che f φ (φ) = 1, possiamo riscrivere
una funzione periodica f θ (θ) come combinazione lineare di Pl (cos θ), e poi
risolvere termine per termine. Ad esempio
∇2 V = f r (r) cos2 θ
dove f r (r) è una generica funzione di r. Possiamo scomporre
2 1
cos2 θ = P2 (cos θ) + P0 (cos θ)
3 3
e poi cercare due soluzioni del tipo
P0 (cos θ)
∇2 V0 (r, θ) = f r (r) , V0 (r, θ) = R(r)P0 (cos θ)
3
2P2 (cos θ)
∇2 V2 (r, θ) = f r (r) , V2 (r, θ) = R(r)P2 (cos θ)
3
45
Se la funzione f non è a variabili separabili, potete sempre scriverla come somma di
cosa a variabili separabili. Non spiegherò qui come fare questo in generale, perché sarebbe
troppo lungo.
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 161
ρ
∇2 V = −
0
Bensı̀
∇2 V = −k4πρ
1
Chiaramente ponendo k = 4π 0
tutto torna identico a prima. Tuttavia,
dato che sono pigro non metterò nemmeno k, per cui ricordatevi che manca
quel termine quando trovate le formule per il potenziale.
Se la densità di carica è uniforme, la nostra funzione f sarà una costante.
Quindi nel “proiettare” avremo solo l = 0:
V (r, θ, φ) = V (r)
2 1 ∂2
∇V = (rV (r)) = −4πρE
r ∂r2
Integrando due volte l’equazione troviamo
∂2
(rV (r)) = −4πρE r
∂r2
∂ r2
(rV (r)) = −4πρE + C1
∂r 2
r3
rV (r) = −4πρE + C1 r + C0
6
2π C0
V (r) = − ρE r2 + C1 +
3 r
Al solito dobbiamo scegliere le giuste costanti e per farlo dobbiamo sempre
chiederci il loro significato fisico. Calcoliamo la carica contenuta all’interno
162 CAPITOLO 2. MATEMATICA
di una distanza r:
r2 2π π r2 π
Z Z Z Z
1 ~ ~ ∂
Q(r) = dA · E = dθ sin θEr = − dθ sin θ V
4π Σ 4π 0 0 2 0 ∂r
2 Z π
r 4π C0 4π
= dθ sin θ ρE r + 2 = ρE r3 + C0
2 0 3 r 3
Dato che ρE 4π
3
r3 è la carica che mi sarei aspetatto dalla nostra distribuzione
omogenea, significa che C0 sarebbe una carica aggiuntiva posta nell’origine.
Non la vogliamo, quindi C0 = 0:
2π
V (r) = − ρE r2 + C1
3
A questo punto è logico che il significato di C1 è il potenziale che vogliamo
scegliere nel punto r = 0.
2.4. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ALLE DERIVATE PARZIALI 163
Equazione di Fourier
In questa sezione, vogliamo studiare le soluzioni dell’equazione di Fourier
∂
T = k∇2 T
∂t
Questa equazione sembra ancora più complicata di quella di Laplace, dato
che ora abbiamo una quarta coordinata, il tempo. Ed in effetti lo è. Però
abbiamo già fatto molta strada! Innanzitutto le soluzioni stazionarie, ovvero
dove la temperatura non varia con il tempo sono quelle di
∇2 T = 0
Ovvero sono sempre soluzioni delle equazioni di Laplace, che abbiamo già
studiato in buon dettaglio. Passiamo ora alle soluzioni variabili nel tempo.
Discutere il caso più generale è alquanto complicato, quindi considereremo
alcuni casi con particolari simmetrie: in particolare invarianza per traslazione
lungo due dei 3 assi (sistema cartesiano), invarianza per rotazioni attorno ad
un asse e traslazioni lungo lo stesso (cilindriche) o invarianza per rotazioni
attorno a qualsiasi asse (sferiche).
Coordinate Cartesiane
L’equazione si riduce ad avere solo due coordinate: (x, t):
∂ ∂2
V = k 2V
∂t ∂x
L’equazione può essere al solito risolta per separazione delle variabili:
V (t, x) = T (t)X(x)
Ẍ(x) = −n2 X(x)
Ṫ (t) = −kn2 T (t)
da cui
∞
2 π 2 kt
X
V[0,1] (t, x) = Cn sin(nπx)e−n
n=1
dove
1 x2
V[0,∞] (t, x) = √ e− 4kt
4πkt
Esempio 2.4.5. Vogliamo calcolare l’evoluzione temporale di un sistema
fatto di due piastre infinite in posizione x = 0 ed x = 1 tenute a temperature
fisse T1 , T2 < T1 che contengono al loro interno un materiale con diffusività k
a temperatura iniziale T0 (x) = T2 .
Soluzione
Cominciamo col calcolare lo stato di equilibrio finale: sarà
∂2
∇2 T = T =0
∂x2
La cui soluzione è
T (x) = T1 + (T2 − T1 )x
La soluzione completa sarà data dalla somma di questa soluzione con una
dipendente dal tempo
T (t, 0) = T1 + T̂ (t, 0) = T1
T (t, 1) = T2 + T̂ (t, 1) = T2
ovvero
T̂ (t, 0) = T̂ (t, 1) = 0
che è proprio il caso che abbiamo considerato per il nostro sviluppo in serie.
La condizione al bordo per t = 0 è invece47
ovvero
T̂ (0, x) = (T2 − T1 ) (1 − x)
Per utilizzare la soluzione con lo sviluppo in serie, bisogna trovare i Cn tali
che ∞
X
Cn sin(nπx) = (T2 − T1 ) (1 − x)
n=1
Da cui trovo
2
Cn = (T2 − T1 )
nπ
E la soluzione completa è
∞
X 2 2 2
T (t, x) = T1 + (T2 − T1 )x + (T2 − T1 ) sin(nπx)e−n π kt
n=1
nπ
T (t, r) = T2 + T̂ (t, r)
La condizione a t = 0 è
T (0, r) = T2 + T̂ (0, r) = T1
ovvero
T̂ (0, r) = T1 − T2
mentre le condizioni sul guscio esterno dell’uovo è
T (t, 1) = T2 + T̂ (t, 1) = T2
ovvero
T̂ (t, 1) = 0
Imponiamo queste condizioni sulla soluzione
∞
X sin nπr cos nπr −n2 π2 kt
T̂ (t, r) = An + Bn e
n=1
r r
Per trovare i coefficienti An moltiplico da ambo i lati per r sin mπx ed integro
Z 1 ∞
X Z 1
dr An sin nπr sin mπr = (T1 − T2 ) drr sin mπr
0 n=1 0
Il flusso di calore è
∞
∂
~ r) = k̂∇T = k T (t, r)r̂ = 2k(T1 −T2 )r̂
X sin nπr 2 2
J(t, n
(−1) cos nπr − e−n π kt
∂r n=1
nπr
1 π2k
= 2
τ x
Dove x deve essere preso pari alla lunghezza caratteristica, ovvero il raggio
dell’uovo.
170 CAPITOLO 2. MATEMATICA
C1 = {3, 6, 9} C2 = {6, 6, 6}
Abbiamo che ovviamente µ1 = µ2 = 6, tuttavia σ22 = 0, semplicemente
applicando la definizione, perché ogni xi è uguale a µ. σ1 invece vale
1
σ12 = (3 − 6)2 + (6 − 6)2 + (9 − 6)2 = 6
3
Nota. Non abbiamo scelto la quantità
N
1 X
q= (xi − µ)
N i=1
come rappresentante della dispersione perché
N N
1 X 1 X N
q= xi − µ=µ− µ=0
N i=1 N i=1 N
Potevamo scegliere la quantità
N
1 X
q= |xi − µ|
N i=1
2.5. CENNI DI STATISTICA 171
Definizione 2.5.4 (Media e varianza per una variabile discreta). Data una
variabile discreta di cui si conosce la distribuzione di probabilità P , si definisce
la media attesa µ
n
X
µ= P (Xi )Xi
i=1
Dove ovviamente una definizione è per il caso discreto e una per il caso
continuo. Vorrei far notare che il termine valore di aspettazione non è scelto
a caso, in quanto moltiplicando la funzione per la densità di probabilità,
otteniamo esattamente la media dei valori che può assumere f (x).
Infatti, se f (x) = x
Z ∞
E[x] = xp(x)dx = µ
−∞
Z ∞ Z ∞
2 2 2
σ = (x − µ) p(x)dx = E[(x − µ) ] = (x2 − 2µx + µ2 )p(x)dx =
−∞ −∞
Z ∞ Z ∞ Z ∞
2 2
= x p(x)dx−2µ xp(x)dx+µ p(x)dx = E[x2 ]−2µ2 +µ2 = E[x2 ]−(E[x])2
−∞ −∞ −∞
2
Notare che essendo σ ≥ 0, abbiamo ottenuto che
174 CAPITOLO 2. MATEMATICA
(E[x])2 ≤ E[x2 ]
Risultato non scontato ed interessante, ovvero se faccio la media dei
quadrati di qualcosa, sarà sempre maggiore o uguale del quadrato della
media.48
Funzione di ripartizione
La funzione Gaussiana
48
Alle olimpiadi di matematica è una disuguaglianza nota chiamata AM-QM
Capitolo 3
Fisica
3.1 Meccanica
Tutta la meccanica si riconduce a saper scrivere bene F~ = m~a e poi
integrare. Io mostrerò le tecniche standard che permettono di risolvere i
problemi.
3.1.1 Statica
Se un corpo Xè in equilibrio, si avrà che ~a = 0 e ~v = 0. Di conseguenza,
Dovrà essere F~ = 0
Forza di gravità Una forza che c’è praticamente sempre nei problemi
di meccanica è la forza peso. Vicino alla superficie terrestre, con ottima
approssimazione il vettore ~g è costante e la forza peso vale sempre F~ = m~g .
Nel capitolo sulla gravitazione tratterò nel dettaglio il caso in cui questa
approssimazione non è applicabile e bisogna ricorrere alla formula di Newton
F~ = − GM
r2
m
rb
175
176 CAPITOLO 3. FISICA
Attrito Attrito è un modo vago per dire spreco di energia. In ogni situazione
ci sono tipi di attrito diversi e quindi anche molti modelli diversi di descriverli.
In particolare, per problemi di meccanica potrete avere a che fare con questi
tipi di attrito.
F~ ∝ −v α vb
Nel primo caso vale quindi la formula di Stokes per il moto laminare
1
F~a = − cr ρAv 2 vb (3.2)
2
Dove ρ è la densità del fluido, v la velocità relativa, A la sezione d’urto
e cr una costante adimensionale che indica approssimativamente se la
forma dell’oggetto facilita il moto o aumenta la resistenza.
Purtroppo in una gran parte dei casi si ha una situazione intermedia fra
le due che viene difficilmente descritta da delle equazioni elementari.1
Bilanciare le forze
Consiglio molto vivamente di fare sempre un disegno grande e che permetta
anche alla gente ignorante come me in geometria di disegnare gli angoli senza
sbagliarli. Ricordate di disegnare innanzitutto sull’oggetto tutte le forze
agenti su di lui e, se è opportuno farlo, anche la forza uguale e contraria che
esercita sull’altro. Per esempio se ho un blocchetto appoggiato su un cuneo
che può scivolare sul piano, è molto utile disegnare entrambe le forze.
Non dimenticate che se una forza vi risulta scomoda da trattare in quanto
non ha la stessa direzione delle altre, potete sempre scomporla nelle sue
componenti lungo altre direzioni. È sufficiente moltiplicare per un seno o un
coseno.
Bilanciare i momenti
determinare ogni punto dello spazio in modo univoco. Il sistema più classico
è il riferimento cartesiano, costituito da 3 assi ortogonali fissi.
Oltre a queste due caratteristiche, un sistema di riferimento deve anche
associare ad ogni punto dello spazio una terna di versori (preferibilmente
ortogonali), che non devono essere in generali uniformi nello spazio. Nel caso
delle coordinate sferiche, per esempio, variano da punto a punto.
Per riuscire a fare della Fisica, è necessario in un certo senso dire quando
valgono le leggi della fisica e cercare di correggere i casi in cui non valgono.
Per farlo, è necessario definire un sistema di riferimento inerziale
In molti casi si ha a che fare con oggetti che si muovono con φ̇ = costante =
ω, θ̇ = 0 e ṙ = 0. Fisicamente, ci indicano per esempio un pendolo che non si
muove su un piano ma su una circonferenza, di moto circolare uniforme. In
questo caso le equazioni si riducono a
2 2
ar = −r sin θω
aθ = −r sin θ cos θω 2
aφ = 0
184 CAPITOLO 3. FISICA
d
0= sin θφ̇ + cos θθ̇φ̇
dt
Che non è ancora quello che vogliamo. Se moltiplichiamo l’equazione
originale per sin θ, tuttavia, otteniamo
d 2
0 = sin2 θφ̈ + 2 cos θ sin θθ̇φ̇ = sin θφ̇
dt
Ovvero che
sin2 θφ̇ = cost
Ci si poteva arrivare in un altro modo? Beh, il significato fisico dell’ultima
equazione diventa chiaro se la moltiplichiamo per ml2 . Infatti
L2z
− ω02 sin θ = − cos θ (3.5)
m2 l4 sin3 θ
Prima di procedere, tuttavia, facciamo un piccolo inciso per mostrare
la conservazione dell’energia semplicemente partendo dalle equazioni che
abbiamo già. L’energia totale del nostro punto sarà
1
E = mv 2 − mgl cos θ
2
In generale, in coordinate sferiche il modulo della velocità è
Ė = ml2 θ̇θ̈ + ml2 sin θ cos θθ̇φ̇2 + ml2 sin2 θφ̇φ̈ + mgl sin θθ̇ =
2 2 2 2
= ml θ̇ θ̈ + sin θ cos θφ̇ + ω0 sin θ + sin θφ̇φ̈
Ricordiamo che abbiamo a disposizione le equazioni 3.3 e 3.4 per fare
sostituzioni, oltre alla formula per φ̇ in termini di Lz . Usando la prima delle
3.3 otteniamo già
Ė = ml2 θ̇ 2 sin θ cos θφ̇2 + sin2 θφ̇φ̈ = φ̇ml2 2 sin θ cos θθ̇φ̈ + sin2 θφ̇ =
d 2
2 dLz
= φ̇ml sin θφ̇ = φ̇ =0
dt dt
Vorrei far notare che i due modi in realtà sono completamente equivalenti
in quanto essendo la forza (o il momento, in realtà non è davvero importante)
∂U
F̃ = −
∂θ
Nel punto di equilibrio si avrà F = 0. Al primo ordine
∂ F̃ (θ0 ) ∂ 2 U (θ0 )
F̃ (θ0 + α) = F̃ (θ0 ) + α=0− α
∂θ ∂θ2
∂ 2 U (θ0 )
E se U ha un massimo relativo, allora < 0, se è un minimo,
∂θ2
2
∂ U (θ0 )
>0
∂θ2
Espandiamo quindi in serie l’equazione del moto. Notare che θ = θ0 + α ⇒
θ̈ = α̈
Lz
−ω02 sin(θ0 + α) = α̈ − cos(θ0 + α)
m2 l4 sin3 (θ0 + α)
Espandendo in serie, usando sin(θ0 + α) = sin θ0 + cos θ0 α e cos(θ0 + α) =
cos θ0 − sin θ0 α
Avendo scelto di espandere al primo ordine, bisogna fare attenzione a
come espandere il denominatore dell’equazione che è (sin(θ0 + α))−3 . Dato
che siamo interessati al primo ordine, possiamo scrivere
−3
−3 −3 −3 α −3 3α
(sin(θ0 +α)) ≈ (sin θ0 +cos θ0 α) = sin θ0 1 + ≈ sin θ0 1 −
tan θ0 tan θ0
Tutti i termini successivi sono stati completamente ignorati in quanto
abbiamo deciso in partenza di espandere al primo ordine, quindi possiamo
ignorare tutti i termini αk con k ≥ 2
Siamo finalmente pronti a concludere
Lz 3α
−ω02 (sin θ0 + cos θ0 α) = α̈ − (cos θ0 − sin θ0 α) 2 4 3 1−
m l sin θ0 tan θ0
Al momento questa equazione fa abbastanza ribrezzo, ma è facile vedere
che tantissimi termini si semplificano proprio perché θ0 è una posizione di
equilibrio. L’equazione diventa
3.1. MECCANICA 189
sin2 θ0 3 sin θ0
−ω02 cos θα = α̈ + + ω02 α
cos θ0 tan θ0
E infine
sin2 θ0
α̈ = − 4 cos θ0 + ω02 α
cos θ0
Che è in modo molto evidente un’equazione del tipo α̈ = −Ω2 α, ovvero
una posizione di equilibrio stabile con pulsazione
sin2 θ0
2
Ω = 4 cos θ0 + ω02
cos θ0
Infine ci possiamo domandare se esistono delle condizioni iniziali tali per
cui il pendolo oscilla intorno alla posizione di equilibrio e traccia un’orbita
periodica (con periodo non necessariamente di un giro solo), ovvero se esistono
condizioni tali per cui il pendolo disegna sempre la stessa linea chiusa nello
spazio, se necessario facendo molti giri.
Per trovare la soluzione a questa domanda, dobbiamo imporre che, se
ωp è la frequenza di oscillazione intorno alla posizione di equilibrio e ωr è la
frequenza di rivoluzione del pendolo, allora deve essere
ωp
∈ Q possibilmente ∈ N
ωr
Noi conosciamo entrambe le frequenze, infatti
s
sin2 θ0
ωp = 4 cos θ0 + ω0
cos θ0
Lz ω0
ωr = 2 =√
ml2 sin θ cos θ0
190 CAPITOLO 3. FISICA
3.1.3 Oscillazioni
Come abbiamo fatto nell’esempio precedente, il 3.1.1, capita spesso che
venga richiesto di calcolare la frequenza di piccole oscillazioni intorno alla
posizione di equilibrio stabile. Per quanto riguarda le oscillazioni a un grado
di libertà, consiglio di guardare l’esempio 2.2.41 nel capitolo sull’espansione
in serie di Taylor. Questo paragrafo tratterà solo il caso a più gradi di libertà.
(
−mω 2 x1 = −kx1 + k(x2 − x1 )
−mω 2 x2 = −kx2 + k(x1 − x2 )
Per fare un po’ di ordine, diamo un paio di nomi alle cose. Chiamiamo
k
ω02 =
m
La frequenza normale di una sola molla. Chiamiamo inoltre
ω2
λ=
ω02
Ho solo dato dei nomi per semplicità di notazione (serve molto nei casi
più complessi, credetemi). Riscriviamo il sistema
(
−λx1 = −2x1 + x2
−λx2 = x1 − 2x2
Questo è un sistema di due equazioni e due incognite dipendenti da
un parametro. Noi vogliamo che esista una soluzione diversa da (0, 0) in
quanto vogliamo un moto che sappiamo studiare. Affinchè ciò sia possibile, il
parametro λ può assumere solo alcuni valori, altrimenti l’unica soluzione del
sistema sarà (0, 0). Vediamo di trovare questi valori vedendo cosa succede
risolvendo il sistema in modo elementare
(
x2 = (2 − λ)x1
−λ(2 − λ)x1 = x1 − 2(2 − λ)x1
−λ(2 − λ) = 1 − 4 + 2λ
Che è un’equazione di secondo grado in λ
λ2 − 4λ + 3 = 0
Che ha come soluzione λ = 1 e λ = 3. Questo vuol dire che esistono
effettivamente delle frequenze per cui il nostro sistema oscilla completamente
3.1. MECCANICA 193
Nel caso più generale il moto sarà una somma dei due!
( √
x1 = A cos(ω0 t + φ) + B cos( 3ω0 t + φ1 )
√
x2 = A cos(ω0 t + φ) − B cos( 3ω0 t + φ1 )
Con A, B, φ, φ1 le 4 costanti da determinare dalle condizioni iniziali. Perchè
questa cosa funziona? Perchè in questo caso avevamo un’equazione del moto
lineare e di conseguenza la somma di due soluzioni è ancora una soluzione.
Dato che la soluzione per questo sistema di equazioni differenziali è unica,
trovandone una siamo sicuri di averla trovata giusta e di averle trovate tutte!
Facciamo un po’ di ordine e vediamo di generalizzare il metodo.
n
X
ẍi = aij xj
j=1
Per determinati coefficienti fissati aij . Notare che non ci sono termini
noti in questo sistema, ovvero le coordinate xi sono prese rispetto ad
una posizione di equilibrio (stabile).
2. Abbiamo supposto che esistano delle condizioni iniziali per cui l’intero
sistema oscilla di moto armonico di una certa frequenza incognita
dipendente dai parametri aij
La formula
n
X
ẍi = aij xj
j=1
(
mẍ1 = −kx1 + k(x2 − x1 ) ẍ1 −2 1 x1
⇒ = ω02
mẍ2 = −kx2 + k(x1 − x2 ) ẍ2 1 −2 x2
2 x1 −2 1 x1 −2 + λ 1 x1
−ω = ω02 ⇒ =0
x2 1 −2 x2 1 −2 + λ x2
(−2 + λ)2 − 1 = 0
Ovvero per λ = 1 e λ = 3. Buttando questi due valori si ottengono anche
le relazioni fra x1 e x2 .
Il discorso è finito, ora farò una breve digressione solo per chi ha già fatto
il corso di algebra lineare. Questo discorso è completamene inutile per chi fa
le Olimpiadi ma se vi va di leggerlo fate pure.
Qualcuno potrebbe domandarsi: esistono sempre i modi normali di oscilla-
zione? Cosa ci assicura che esista sempre il modo armonico del sistema? Non
esiste un sistema fisico in cui il moto non si può ricondurre a questo sistema
semplice? Per rispondere a questa domanda è conveniente esprimere il tutto
in termini della Lagrangiana del sistema L e delle coordinate generalizzate qi .
Se abbiamo un moto come quello sopra descritto, siamo in un punto vicino
all’equilibrio stabile del sistema, quindi la lagrangiana, almeno vicino a quel
punto, si potrà espandere fino al secondo ordine ottenendo un’espressione
Energia meccanica
3.1. MECCANICA 199
3.1.5 Problemi
Problema 3.1.1 (Filo che si avvolge (Da Ref [Cel18])). Il disco
in figura 3.2 è fissato rigidamente ad un piano orizzontale, e ad esso è fissato
un filo inestensibile di lunghezza l. All’altro estremo è fissata una massa m che
viene lanciata con velocità iniziale di modulo v0 in direzione perpendicolare al filo.
Calcolare la velocità della massa, la sua traiettoria e la tensione del filo in funzione
del tempo.
Soluzione: 4.3.1
Problema 3.1.2 (Punti materiali ai vertici di un poligono). N
punti materiali stanno ai vertici di un poligono regolare di N lati e all’istante
iniziale il poligono ha lato l. Ogni punto, in ogni istante, si muove sempre verso il
punto successivo (in senso antiorario) con velocità di modulo costante v, uguale
per tutti. Trovare la forma delle traiettorie dei vari punti.
Soluzione: 4.3.2
Problema 3.1.3 (Forma della gittata di un cannone).
Supponiamo di avere un cannone che spara proiettili in qualsiasi direzione ad
una velocià fissata v0 . Il cannone può regolare l’angolo θ che forma la velocià
iniziale con l’orizzontale a piacere. Vogliamo trovare la linea che demarca la zona
sicura dalla zona pericolosa, ovvero dove può arrivare un proiettile (nello spazio,
non solo riferito al terreno) e dove no.
Hint: 4.2.1
Soluzione: 4.3.3
Problema 3.1.4 (Palla appoggiata su emisfera con attrito).
Un punto materiale è appoggiato sul punto più alto di una emisfera fissata al
terreno di raggio R. Viene dato un colpetto infinitesimo al punto. Trovare l’angolo
θ rispetto alla verticale in cui il punto si stacca dalla emisfera.
200 CAPITOLO 3. FISICA
Soluzione: 4.3.4
4. Se ne ricavi la velocità di P , ~v
6. Il potenziale gravitazionale U .
9. Calcolare la velocità vH che ha la particella nel punto più alto della traiettoria
quando sta facendo il giro della morte.
Per la prossima parte del problema non si faccia più riferimento alla figura
precedente ma si prenda ora in considerazione la figura 3.4
4. In che modo il tasso di conteggi dipende dall’area della regione sensibile del
rivelatore? Per quale angolo θ il tasso di conteggi ha il valore massimo? In
che modo nr dipende da D?
~
dL X d
= mi (~ri − ~rp ) × (~vi − ~vp ) =
dt i
dt
X X
= mi (~vi − ~vp ) × (~vi − ~vp ) + mi (~ri − ~rp ) × (~ai − ~ap )
i i
X
= mi (~ri − ~rp ) × (~ai − ~ap ) =
i
X X
= (~ri − ~rp ) × mi~ai − mi (~ri − ~rp ) × ~ap
i i
4
Si può comunque risolvere un problema in un riferimento accelerato ma bisogna
considerare tutte le forze apparenti.
3.1. MECCANICA 207
dL~
= ~τext − M (~rcm − ~rp ) × ~ap
dt
Che a volte viene chiamata seconda equazione cardinale della meccanica
5
. Al liceo avrete visto sicuramente la versione debole di questa equazione,
ovvero quella senza il secondo termine. In molti casi, per fortuna il secondo
termine se ne va e possiamo usare l’equazione più facile.
Se almeno una delle seguenti condizioni si verifica, allora il secondo termine
se ne va e l’equazione diventa più semplice:
3. Quando (~rcm − ~rp ) è parallelo a ~ap . (Ci sono davvero pochi casi in cui
si usa)
Ora che abbiamo detto come cambia la legge per descrivere il moto di
un oggetto, cerchiamo di dare una formula più potabile ad L ~ per poterlo
calcolare più agevolmente se abbiamo a che fare con oggetti comuni.
5
La prima è F~ = m~a
208 CAPITOLO 3. FISICA
X
~ =
L mi (~ri − ~rp ) × (~vi − ~vp ) =
i
X X X X
= mi~ri × ~vi − mi~rp × ~vi − mi~ri × ~vp + mi~rp × ~vp =
i i i i
X
= mi~ri × ~vi − M~rcm × ~vp − M~rp × ~vcm + M~rp × ~vp
i
X X X
mi~ri × ~vi = mi (~rcm + r~i0 ) × (~vcm + v~i0 ) = M~rcm × ~vcm + mi r~i0 × v~i0
i i i
X
Dove i termini incrociati sono spariti a causa del fatto che mi r~i0 =
X
mi v~i0 = 0 in quanto sono la posizione degli oggetti rispetto al centro di
massa.
Riscriviamo quindi L ~
X
~ = M~rcm × ~vcm +
L mi r~i0 × v~i0 − M~rcm × ~vp − M~rp × ~vcm + M~rp × ~vp =
i
X
= M (~rcm − ~rp ) × (~vcm − ~vp ) + mi r~i0 × v~i0
i
~ cm
= M (~rcm − ~rp ) × (~vcm − ~vp ) + L
~ rispetto ad un qualsiasi polo è la somma di due termini, uno che
Ovvero L
è il contributo del centro di massa come se fosse un grosso punto materiale e
l’altro termine è il momento angolare rispetto al centro di massa.
3.1. MECCANICA 209
X X X X
~ cm =
L mi~ri × ~vi = mi~ri × (~ω × ~ri ) = mi ri2 ω
~− mi~ri (~ri · ω
~)
i i i i
! !
X X
~ i = Li =
(L) mα rα2 ω
~ − mα~rα (~rα · ω
~) =
α i α i
X X
= mα rα2 ωi − mα rα,i (~rα · ω
~) =
α α
!
X X X X X
= mα rα2 δi,j ωj − mα rαi rα,j ωj = mα rα2 δi,j ωj − mα rαi (rα,j ωj ) =
α,j α j α,j α,j
!
X X X
mα rα2 δi,j ωj − mα rαi (rα,j ωj ) = mα (rα2 δi,j − rαi rα,j ) ωj =
= Ii,j ωj =
α,j α,j j
Dove Ii,j è la cosa fra parentesi. So bene di non essere stato particolarmente
chiaro. Inoltre l’argomento in sè è abbastanza complicato di per sè. Ora
cercherò di spiegarmi meglio.
Il termine che ho rinominato non è altro che una cosa che non include ω ~,
ma solo quantità legate alla forma geometrica dell’oggetto. Di conseguenza,
una volta definita la forma dell’oggetto e calcolato questo misterioso Ii,j ,
calcolare L~ cm diventa molto semplice.
In particolare all’inizio della seconda riga ho sostituito al termine ωi il
termine δi,j ωj in quanto stavo cercando di fattorizzare ωj in modo da ottenere
qualcosa moltiplicato esattamente per lei. Ricordo che δi,j si chiama delta di
Kronecker e vale 1 se i = j, 0 altrimenti. È solo un trucchetto per scrivere le
cose in modo più furbo.
L’oggetto Ii,j si chiama tensore d’inerzia e ne sentirete a lungo parlare
durante il corso di Meccanica Classica al secondo anno di Fisica. Per quello
che vi riguarda ora, è semplicemente una matrice, ovvero una tabella 3x3 di
numeri che si misurano in kg · m2
Di conseguenza, Ii,j , scelto un’orientazione di assi con l’origine nel centro
di massa, avrà questa forma:
Ixx Ixy Ixz
Iyx Iyy Iyz
Izx Izy Izz
È importante capire che il tensore di inerzia è qualcosa che esiste di per
sè, ma per scriverlo come una matrice è necessario scegliere un sistema di assi
ortogonali con centro nel CM.
3.1. MECCANICA 211
Si può capire questa cosa facendo l’analogo con i vettori. Dati due
punti nello spazio, il vettore che li congiunge esiste e basta, ma se io voglio
rappresentarlo come una terna di numeri reali, devo prima scegliere un sistema
di assi su cui proiettarlo. Il tensore di inerzia funziona allo stesso modo.
È facilissimo vedere che Ii,j = Ij,i , semplicemente scambiando gli indici
nella definizione e vedendo che non è cambiato niente.
Quando un tensore rispetta quell’identità, si dice che il tensore è simmetrico.
Durante il corso di Algebra Lineare al primo anno scoprirete che qualsiasi
tensore simmetrico è diagonalizzabile, ovvero esiste un’opportuna scelta degli
assi per cui il tensore è rappresentato da una matrice che ha cose sulla
diagonale principale e 0 altrove. Questa terna di assi si chiama riferimento
degli assi principali.
Fare considerazioni di simmetria sulla forma dell’oggetto permette di tro-
vare questa configurazione di assi in modo semplice. Esiste il modo di trovare
questi assi anche nel caso generale, ma esula completamente dall’obiettivo
di queste dispense, in quanto qui siamo già ben oltre ciò che è richiesto alle
Olimpiadi.
Supponiamo di aver scelto il sistema di assi per cui il tensore è diagonale.
Calcoliamo quindi finalmente L ~ cm con la nuova formula.
Lx Ixx 0 0 ωx Ixx ωx
Ly = 0 Iyy 0 ωy = Iyy ωy
Lz 0 0 Izz ωz Izz ωz
È molto intuitivo vedere che nel caso generale ω ~ non saranno paralleli.
~ ed L
Questo può essere un grosso problema.
Per fortuna, nel caso dei problemi olimpici, accade praticamente sempre
che ω~ sia diretta lungo uno degli assi principali. In questo caso la terna che
rappresenta ω ~ è fatta da due zeri e da un numero. Facendo la moltiplicazione
per il tensore di inerzia si vede subito che in questo caso L ~ eω ~ sono paralleli.
In tal caso si può chiamare I la costante di proporzionalità fra i due, chiamarlo
momento di inerzia rispetto a quell’asse e ritrovare la formula
~ = I~ω
L
Z Z Z
2 2 2 2
(x + y + z ) − x ρdV (−xy) ρdV (−xz) ρdV
V V ZV
Z Z
(x2 + y 2 + z 2 ) − y 2 ρdV
= (−xy) ρdV (−yz) ρdV
ZV V Z Z V
(x2 + y 2 + z 2 ) − z 2 ρd
(−xz) ρdV (−yz) ρdV
V V V
Z Z Z
2 2
y +z ρdxdydz (−xy) ρdxdydz (−xz) ρdxdydz
VZ V ZV
Z
x2 + z 2 ρdxdydz
= (−xy) ρdxdydz (−yz) ρdxdydz
ZV VZ Z V
x2 + y 2 ρdxdydz
(−xz) ρdxdydz (−yz) ρdxdydz
V V V
Z
2 2
y +z ρdxdydz 0 0
V
Z
x2 + z 2
Iij = 0 ρdxdydz 0
V Z
x2 + y 2 ρdxdydz
0 0
V
abbiamo dovuto ruotare il nostro riferimento ed è noto che per una rotazione
in 3D è necessario conoscere esattamente 3 angoli. Dato che 3 + 3 = 6, i gradi
di libertà sono rispettati.
rα2 = x2 + y 2 + z 2
rαx = x
rαy = y
rαz = z
La sfera è un sistema continuo, quindi dobbiamo sostituire alla sommatoria
un integrale.
Z Z
rα2 δij rα2 δij − rαi rαj ρdx dy dz
Iij = − rαi rαj dmα =
α α
Z Z
2 2 2 2
(x2 + y 2 )ρdx dy dz
Izz = (x + y + z ) δzz − z · z ρdx dy dz =
α α
dx dy dz = r2 sin θdr dθ dφ
Z 2π Z π Z R Z π Z R
2 2 2
Izz = ρr sin θr sin θdr dθ dφ = 2πρ r4 sin3 θdr dθ =
0 0
Z π0 Z −1 0 0
2π 5 2π 5
= R ρ sin3 θdθ = R ρ −(1 − cos2 θ)d cos θ =
5 5
Z0 1 1
2π 5 2π 4 2
= R ρ (1 − t2 )dt = R5 ρ = M R2
5 −1 5 3 5
Z Z R Z π Z 2π
Ixy = −xyρdxdydz = −ρ r sin θ cos φr sin θ sin φr2 sin θdθdφ =
V 0 0 0
Z R Z π Z 2π
= −ρ r4 sin3 θ sin φ cos φdrdθdφ =
0 0 0
5 Z 2π Z π
ρR
=− sin3 θ sin(2θ)dθdφ = 0
10 0 0
Concludendo,
1 0 0
2
I = M R2 0 1 0
5
0 0 1
I = I+ + I−
Dove ovviamente I− sarà negativo. Per dare senso al tutto, imponiamo
che la massa totale della sfera cava sia costantemente M .
4π 3 3 M
M= (R − r3 )ρ ⇒ ρ =
3 4π R − r3
3
8π 8π 3 R5 − r 5 2 R5 − r 5
I = I+ + I− = ρ(R5 − r3 ) = M 3 = M
15 15 4π R − r3 5 R3 − r 3
Se ora vogliamo trovare il momento di inerzia di un pallone da basket,
per esempio, che ha tutta la massa concentrata sulla superficie, è sufficiente
calcolare
0 2 R5 − r 5
I = lim M 3
r→R 5 R − r3
Questa cosa si può fare in molti modi, per esempio usando la regola di de
l’Hopital, espandendo in serie di Taylor, oppure con un truccone algebrico.
Farò tutti e 3 per esercizio
R5 − r 5 −5r4 5
lim 3 3
= lim 3
= R2
r→R R − r r→R −3r 3
R5 − r 5 (R − r)(R4 + R3 r + R2 r2 + Rr3 + r4 )
lim = lim =
r→R R3 − r 3 r→R (R − r)(R2 + Rr + r2 )
(R4 + R3 r + R2 r2 + Rr3 + r4 ) 5
= lim 2 2
= R2
r→R (R + Rr + r ) 3
216 CAPITOLO 3. FISICA
Z Z L Z R Z 2π
2 2
Izz = ρ(x + y )dxdydz = ρr2 (cos2 φ + sin2 φ)rdφdrdz =
V −L 0 0
R4 1
= 2Lρ · 2π = M R2
4 2
Calcoliamo ora Ixx = Iyy
Z Z L Z R Z 2π
2 2
Ixx = ρ(y + z )dxdydz = ρ(r2 sin2 φ + z 2 )rdφdrdz =
V −L 0 0
2π
R4 L3 R 2
Z
1 1
= ρ2L sin2 φdφ + ρ2 2π = M R 2 + M L2
4 0 3 2 4 3
Per cui
3R2 + 4L2 0 0
M
I= 0 3R2 + 4L2 0
12
0 0 6R2
Esempio 3.1.5 (Tensore di inerzia di una sbarretta sottile). Consideriamo
una sbarretta sottile di lunghezza l e massa m. Scegliamo un riferimento
centrato nel CM che abbia l’asse x lungo la sbarretta e gli altri due ortogonali
al primo. È evidente che saranno assi principali.
Calcoliamo quindi i 3 momenti di inerzia. La massa per unità di lunghezza
sarà λ = ml e quindi la massa dm sarà dm = λdx
In quanto sia y, z sono sempre 0 nel volume del solido in questo riferimento.
Z Z
2 2
Ixx = (y + z )λdx = 0dx = 0
Quindi ricordiamo la definizione di assi principali, ovvero tre assi x1,2,3 scelti
in modo che
Z
xi xj dx1 dx2 dx3 = 0 ∀i, j ∈ {1, 2, 3}
V
di conseguenza
Z
Iij = ρ xi xj dx1 dx2 dx3 = 0
V
per ogni coppia (i, j), i 6= j. Il tensore di inerzia rispetto agli assi principali
sarà cosı̀ diagonale, e i suoi elementi diagonali saranno dati da
Z
Ikk = ρ (x2i + x2j )dx1 dx2 dx3
D
R
Dove negli ultimi passagia abbiamo riconosciuto la massa dell’oggetto ρ D dV
e la distanza dell’asse traslato dall’asse principale pari a d2 = (x20,i + x20,j ).
Questo teorema, che sicuramente avrete già visto sul vostro libro di testo, si
chiama teorema degli assi paralleli o teorema di Steiner.
Dove abbiamo posto ρdz = σ dato che l’oggetto è sottile. Da queste relazioni
si evince subito che
Z Z tZ Z
2 2 2 2
Izz = (x +y )ρdxdydz = (x +y )ρdxdydz = ρt (x2 +y 2 )dxdy
V 0 x2 +y 2 ≤R2 x2 +y 2 ≤R2
Z 2π Z R Z R
2 1 1 1
Izz = ρt r rdrdφ = 2πρt r3 dr = πR4 tρ = (tπR2 )R2 = M R2
0 0 0 2 2 2
A questo punto dobbiamo calcolare Ixx e Iyy . Dal teorema appena mostrato
noi sappiamo che
Z Z R Z 2π Z R Z 2π
2 2
Ixx = dmd = ρt (r cos θ) rdrdθ = ρt r3 cos2 θdrdθ
V 0 0 0 0
220 CAPITOLO 3. FISICA
Energia cinetica
Di solito i problemi si risolvono con ottime considerazioni di conservazioni
di energia e derivati. Sarebbe quindi bello avere un’espressione per l’energia
cinetica in termini di quantità appena definite come il tensore di inerzia e
il momento angolare. Calcoliamoci quindi l’energia cinetica di un oggetto
esteso sommando i contributi di tutte le massette dm che lo compongono e
cerchiamo di vedere se troviamo un risultato con una forma accettabile.
Z
1
K= |V~ |2 dm
2 V
Ovviamente al solito possiamo scrivere V~ = V~cm + ~v , per ogni particella.
Facendo questa sostituzione,
Z Z Z Z
1 2 ~ 2
1 2 ~ 1
K= Vcm + 2Vcm · ~v + v dm = Vcm dm+Vcm · ~v dm+ v 2 dm
2 V 2 V V 2 V
1 2
K = M Vcm + Krot
2
A questo punto è utile andare a vedere come esprimere Krot in termini di
~ × ~r
cose che sappiamo. Dato che il corpo è rigido, avremo ~v = ω
3.1. MECCANICA 221
Z Z
1 2 1
Krot = (~ω × ~r) dm = ((~ω × ~r) · (~ω × ~r)) dm =
2 V 2 V
Z Z
1 1 ~
1 ~
= (~ω · (~r × (~ω × ~r))) dm = ω~· ~r × (~ω × ~r) dm = ω~ ·L
2 V 2 V 2
Siano x
b1 , x
b2 , x
b3 i 3 versori che indicano la direzione degli assi principali
del corpo. Indichiamo con ωi la componente i esima di ω ~ ·x
~ , ovvero ωi = ω bi .
Se scegliamo gli assi principali, il tensore diventa diagonale per cui
1X 1 1 1
K= Iij ωi ωj = I11 ω12 + I22 ω22 + I33 ω32
2 i=j 2 2 2
Equazioni di Eulero
Noi abbiamo sempre definito il momento angolare in un sistema di rife-
rimento inerziale, in quanto permette di formulare leggi sensate e facili da
scrivere. Purtroppo, quando si tratta il corpo rigido il riferimento degli assi
principali riserva troppi vantaggi per abbandonarlo. Se si dovesse descrivere
il moto di un corpo rigido in un sistema fisso, il tensore di inerzia sarebbe
variabile nel tempo in quanto la matrice che lo rappresenta dipende dalla
direzione degli assi del riferimento rispetto alla direzione del corpo!
Capite bene che già la parola tensore spaventa, un tensore variabile
è raccapricciante. Inoltre il calcolo esplicito del tensore d’inerzia richiede
molti integrali nel caso generale, che sono molto fastidiosi da fare. È quindi
222 CAPITOLO 3. FISICA
~ cm = L1 x
L b1 + L2 x
b2 + L3 x
b3
Per fortuna, nel riferimento degli assi principali si ha Li = Ii ωi
~ cm = I1 ω1 x
L b1 + I2 ω2 x
b2 + I3 ω3 x
b3
Per cui,
~ cm
dL ~
δL
= I1 ω̇1 x
b1 +I2 ω̇2 x
b2 +I3 ω̇3 x ~
b3 +Ω×(I1 ω1 x
b1 +I2 ω2 x
b2 +I3 ω3 x
b3 ) = ~ L
+Ω× ~
dt δt
~
δL
Dove il è una notazione che non ho mai usato prima e che vuol
δt
semplicemente dire quello che c’è scritto prima. Non mi piace molto usarla in
quanto può confondere ma semplifica di molto la notazione.
La seconda equazione cardinale della meccanica ci dice anche che
~ cm
dL
= ~τcm
dt
Se proiettiamo il momento delle forze sugli assi principali, otteniamo le
equazioni di Eulero
τ1 = I1 ω̇1 + Ω2 I3 ω3 − Ω3 I2 ω2
τ2 = I2 ω̇2 + Ω3 I1 ω1 − Ω1 I3 ω3
τ3 = I3 ω̇3 + Ω1 I2 ω2 − Ω2 I1 ω1
τ1 = I1 ω̇1 + ω2 ω3 (I3 − I2 )
τ2 = I2 ω̇2 + ω3 ω1 (I1 − I3 )
τ3 = I3 ω̇3 + ω1 ω2 (I2 − I1 )
224 CAPITOLO 3. FISICA
Problemi
1. Scrivere la forza F~ agente sul dipolo in termini della velocità del centro di
massa ~vcm e della velocità angolare di rotazione intorno al centro di massa ω
~
~
(e di B ovviamente).
3. La forza esterna sul centro di massa non è ovviamente nulla (altrimenti non
te l’avremmo fatta calcolare al punto 1), quindi la quantità di moto del
dipolo non si conserva. Trovare un’altra quantità P~ , simile alla quantità
di moto, che si conservi nel moto in campo magnetico. Scrivere inoltre la
conservazione dell’energia meccanica totale E.
5. All’istante iniziali il dipolo si trova cosı́: il suo centro è al centro del riferimento,
~vcm = 0, ~l punta la direzione x beω ~ = ω0 zb
Se ωc < ωc , il dipolo non riesce a compiere un giro completo intorno al suo
centro di massa. Trovare ωc .
3.1.7 Gravitazione
Il problema dei due corpi Parleremo in questo capitolo del problema dei
due corpi, ovvero un sistema fisico composto da solo due oggetti che interagi-
scono, la cui interazione dipende dalla distanza fra i centri dei due oggetti, per
esempio due stelle che si ruotano intorno per attrazione gravitazionale, ma
anche una stella e un pianeta o semplicemente l’elettrone intorno al nucleo.
Trattare due oggetti invece di uno è decisamente un problema. Solitamente
è molto difficile integrare l’equazione del moto per un corpo solo, figurarsi due.
Vedremo subito che per fortuna il problema dei due corpi si può ricondurre
in modo rapido ad un problema con un corpo solo. Vediamo come:
Supponiamo di avere 2 oggetti di massa ma , mb , posizione in un riferimento
~ra , ~rb e velocità ~va , ~vb . Supponiamo inoltre che l’energia potenziale del sistema
dipenda solo dalla distanza fra le due masse.
Scriviamo energia, quantità di moto e momento angolare (rispetto al
centro del riferimento) del sistema.
P~ = ma~va + mb~vb
~ = ma~ra × ~va + mb~rb × ~vb
L
E = 1 ma v 2 + 1 mb v 2 + U (|~ra − ~rb |)
a b
2 2
Cambiamo variabili per semplificarci le cose:
~r := ma~ra + mb~rb
cm
ma + mb
~r = ~rb − ~ra
1 1 1
= +
µ ma mb
3.1. MECCANICA 227
˙
È ora evidente che questa scelta di coordinate è migliore. Infatti, P~ =
F~ext = 0, quindi troviamo che ~vcm è costante. Niente ci vieta quindi di
metterci nel riferimento (inerziale) del centro di massa, in cui le espressioni si
semplificano di molto.
L ~ = µ~r × ~r˙
1
E = µṙ2 + U (r)
2
Ovvero, possiamo trattare il problema come se avessimo un solo corpo di
massa µ che si muove in un campo centrale. Una volta che avremo trovato ~r
µ
e ~r˙ , potremo tornare indietro invertendo le coordinate e ritrovando ~ra = ~r
ma
µ
e ~rb = − ~r
mb
~
dL
= ~τ = ~r × F~ = ~r × F (r)b
r=0
dt
In quanto F~ e ~r sono paralleli. Il fatto che il momento angolare si conservi
ha una notevole conseguenza fisica che poi semplifica di molto la trattazione
del problema. L ~ è un vettore che si conserva, per cui, oltre a conservarsi
il modulo di L = rv sin θ, la parte davvero interessante è che si conserva la
~ Questo implica immediatamente che la traiettoria sia una
direzione di L.
curva piana.
Vediamo ora di mostrare rapidamente che effettivamente un campo centrale
qualsiasi è conservativo, cosa che ho dato per scontato fin’ora ma non del
tutto ovvia.
Condizione necessaria e sufficiente affinché esista un potenziale 6 è che
6
Se il dominio è un aperto semplicemente connesso. Questa condizione non è patologica
come la maggior parte delle ipotesi in Analisi, purtroppo. Esistono esempi molto concreti
di campi vettoriali a rotore nullo su un dominio non semplicemente connesso che non
ammettono potenziale. L’esempio più semplice è il campo magnetico generato da un filo
~ H
rettilineo infinito percorso da corrente. Su tutto lo spazio tranne il filo vale ∇× ~ = µ0 J~ = 0,
~
ma H non ammette potenziale, in quanto facendo la circuitazione lungo una circonferenza
che contiene il filo non otteniamo zero.
228 CAPITOLO 3. FISICA
y x
∂ F (r) ∂ F (r)
~ × F~ )z = ∂Fy (r) − ∂Fx (r) =
(∇ r − r =
∂x ∂y ∂x ∂y
yF 0 (r) ∂r xF 0 (r) ∂r yF ∂r xF ∂r
= − − 2 + 2
r ∂x r ∂y r ∂x r ∂x
p ∂r x x
Ora ricordiamo che r = x2 + y 2 + z 2 , per cui =p =
∂x x2 + y 2 + z 2 r
e analogamente per y. Per cui
0 0
~ × F~ )z = xy F (r) − xy F (r) − xy F + xy F = 0
(∇
r2 r2 r3 r3
In questo calcolo vi era assoluta simmetria fra le coordinate, quindi il cal-
colo delle altre componenti del rotore darà lo stesso risultato. Di conseguenza,
ogni campo centrale è conservativo. Potremo quindi sempre scrivere l’energia
potenziale.
Una dimostrazione migliore si può fare prendendo un cammino a caso
e vedendo che l’integrale di linea della forza non dipende dal percorso ma
solo da partenza e arrivo, semplicemente scomponendo il cammino in tratti
infinitesimi quasi rettilinei. La dimostrazione la trovate su qualsiasi libro di
testo elementare.
1 L2
E = mṙ2 + + U (r)
2 2mr2
Vorrei far notare che fin’ora non abbiamo ancora utilizzato il fatto che si
tratti della forza gravitazionale, ma abbiamo semplicemente parlato di una
generica forza centrale, di conseguenza questa formula continua a valere per
qualsiasi potenziale centrale.
Facciamo ora alcune considerazioni sulla forza di gravità a partire da
questa formula. Sostituendo U , si ottiene
1 L2 GM m
E = mṙ2 + 2
−
2 2mr r
L2 GM m
2
− , riportato in figura 3.8. È evidente che una volta fissato il
2mr r
potenziale efficace e l’energia, i valori che si possono raggiungere sul grafico
sono quelli che stanno sotto la linea che indica l’energia, in quanto viene
aggiunto il termine 12 mṙ2 che è sempre positivo.
Ora è evidente che se E = E4 , c’è un solo punto del grafico che tocca la
retta orizzontale. Di conseguenza, dovrà essere r = cost. Il punto in questione
si ottiene imponendo
∂Ueff
− =0
∂r
e se fate i conti vi accorgerete che questa equazione è equivalente a imporre
che la forza di gravità sia centripeta. Avete ottenuto l’orbita circolare.
Se invece E = E3 , si vede che c’è solo un intervallo limitato di r raggiun-
gibili. Di conseguenza, sicuramente l’orbita sarà limitata. Per il caso della
gravità avremo che è un’ellisse. Ovviamente i valori limiti raggiungibili sul
grafico per r corrispondono al caso fisico di afelio e perielio.
Se E = E2 = 0, si vede dal grafico che è possibile raggiungere r → ∞,
mentre verso sinistra si può raggiungere solo un certo rmin e non 0, a causa
della conservazione del momento angolare.
Se E = E1 > 0, allora come prima avremo che l’orbita non è limitata.
¨ = ∂F (r0 ) ∂Fc
m∆r − ∆r = ±mω 2 ∆r
∂r ∂r
Il ± è dovuto al fatto che a priori non sappiamo se l’orbita sarà stabile o
instabile. Di conseguenza, il segno di quel termine determinerà se una piccola
variazione del moto causa un danno irreparabile oppure se semplicemente fa
oscillare intorno all’orbita stabile.
Se poi ci accorgiamo che
∂Ueff
F − Fc = −
∂r
Troviamo un’espressione ancora più semplice per quello che volevamo
2
¨ = − ∂ Ueff (r0 ) ∆r
m∆r
∂r2
Di conseguenza,
s
1 ∂ 2 Ueff
ω= −
m ∂r2 r=r0
L2 L2
k k
Ė = 0 = µṙr̈ − 3 ṙ + 2 ṙ = ṙ µr̈ − 3 + 2
µr r µr r
Ovviamente la soluzione ṙ = 0 non è quella più generale, in quanto
rappresenta solo il caso di orbita circolare. Possiamo quindi scartarla per
cercarne una più generica.
L2 k
µr̈ = 3
− 2
µr r
232 CAPITOLO 3. FISICA
Essendo noi interessati ad una dipendenza del tipo r(θ) e non r(t), è utile
pensare di cambiare la variabile di derivazione di r.
dr dr dθ
=
dt dθ dt
Ma noi ricordiamo che
L
L = µr2 θ̇ ⇒ θ̇ =
µr2
Riscriviamo quindi la nostra equazione
L2
d L dr L k
µ = 3− 2
dθ µr2 dθ µr 2 µr r
Per riuscire ad integrare questa cosa, l’esperienza insegna che è utile
cambiare variabile
1
u=
r
Lu2
2
L2 u3
d 1 du Lu
µ − 2 = − ku2
dθ µ u dθ µ µ
L2 d2 u L2
= − u+k
µ dθ2 µ
d2 u kµ
= −u + 2
dθ L
E sono sicuro che questa siete capaci di integrarla.
kµ
u(θ) = A cos(θ + φ) +
L2
Ora ricordiamo come abbiamo definito u e troviamo finalmente
L2
kµ
r(θ) =
1 + B cos θ
3.1. MECCANICA 233
2EL2
= −1
k2µ
Dove il segno meno non vi deve spaventare in quanto l’energia è evi-
dentemente negativa. Se abbiamo un’orbita ellittica, sarà 0 < < 1. Per
l’orbita parabolica, dovremo avere = 1 e di conseguenza E = 0. Questo è
fisicamente sensato in quanto noi vogliamo il caso limite di orbita ellittica,
ovvero un’orbita che arriva a ∞ con velocità nulla, ovvero con energia
k 1
E=− + µ · 02 = 0
∞ 2
Per una generica orbita iperbolica, avremo > 1 e quindi E > 0. Queste
k
cose valgono per qualsiasi campo di forze centrale che sia del tipo F = 2
r
ma non vale in generale per altri andamenti della forza. Vorrei far notare che
non ho mai fatto assunzioni riguardo il segno di k, per cui le orbite saranno
coniche anche in caso di forza repulsiva. Quando andiamo a calcolare l’energia
totale, avremo semplicemente in questo caso la somma di due oggetti positivi,
per cui in caso di forza repulsiva avremo sempre E > 0 e di conseguenza le
orbite saranno sempre delle iperboli.
Concludiamo calcolando il periodo dell’orbita. Ovviamente ha senso
domandarsi questa cosa solo per orbite chiuse, per cui ellissi. Consideriamo
la quantità
8
Vedi l’appendice per più dettagli su questa formula
234 CAPITOLO 3. FISICA
dA 1
= r2 θ̇
dt 2
9
Che rappresenta l’area spazzata nell’unità di tempo Se scriviamo
L = µr2 θ̇
È evidente che
dA L
= = costante
dt 2µ
Per cui, se integriamo su un periodo otterremo l’area dell’ellisse10 . Se
questo ha i due semiassi lunghi a > b, la sua area sarà A = abπ
Z τ
dA
dt = abπ
0 dt
Z τ
L √
dt = a2 π 1 − 2
0 2µ
s
L 2EL2
τ = a2 π − 2
2µ k µ
r
2Eµ
τ = 2πa2 − 2
k
1 L2 k
E = µṙ2 + 2
−
2 2µr r
Se imponiamo ṙ = 0, fisicamente stiamo trovando i punti di massima e
minima distanza dal centro dell’orbita 11 .
9
È l’area dA di un triangolino isoscele di lati r, r, rdθ diviso per dt.
10
Vorrei far notare che la formula precedente è in effetti la seconda legge di Keplero.
Notate che è equivalente alla conservazione del momento angolare.
11
Se ṙ(t̄) = 0, allora abbiamo che ṙ < 0 per t < t̄ e ṙ > 0 se t > t̄, ovvero siamo in un
minimo, oppure il contrario, ovvero siamo in un massimo. Fisicamente non esistono punti
di flesso per il problema di Keplero.
3.1. MECCANICA 235
L2 k
E= 2
−
2µr r
Che è un’equazione di secondo grado in r.
k L2
r2 +r− =0
E 2µE
s s
2 2 2
k k L k 2EL k
r1,2 =− ± 2
+ =− 1 ± 1 + 2 = − (1 ± )
2E 4E 2µE 2E k µ 2E
k k
a=− ⇒E=−
2E 2a
Tornando quindi al calcolo del periodo,
r s r
2 2Eµ 2 2µ k 3 µ
τ = 2πa − 2 = 2πa − 2 − = 2πa 2
k k 2a k
Che prende il nome di terza legge di Keplero. Se trattiamo il caso della
gravità, k = Gm1 m2 , µ = mm11+m
m2
2
3 2π
τ = a2 p
G(m1 + m2 )
Ovvero
τ 2 ∝ a3
~ definito come
Andiamo a considerare il vettore A
~ = p~ × L
A ~ + kmb
r
~
dA
Dove al solito k = −GM m. Andiamo a calcolare
dt
~
dA d~p ~ db
r k k
= z + kmθ̇θb = 2 θb −L + mr2 θ̇ = 0
× L + km = 2 rb × Lb
dt dt dt r r
~ · p~ = p~ × L
A ~ · p~ + kmb
r · p~ = kmb
r · p~
~ p = 0 se e solo se rb·~p = 0, ovvero il vettore di Lenz
Diventa evidente che A·~
punta in un punto dell’orbita molto preciso, ovvero un punto di inversione.
Sarà afelio o perielio?
Andiamo a calcolare il modulo di A. ~ Noi sappiamo già che è costante,
perché abbiamo mostrato che il vettore intero A ~ è costante, cosa molto più
forte. Inoltre ci aspettiamo che sia strettamente legato alle costanti E ed L
che già conosciamo, altrimenti avremmo troppe costanti del moto. Per questo,
anche se all’inizio non sembrano tornare i conti, sforziamoci di far tornare
fuori un oggetto che contenga quei due termini in quanto sappiamo già che
deve uscire una cosa simile.
~ 2 = A·
|A| ~A ~ = (~p×L)
~ 2 +k 2 m2 +2kmb ~ = p2 L2 +k 2 m2 +2kmb
r·~p×L r·(py x
b−px yb)L =
km km 2
= p2 L2 + k 2 m2 + 2 (py x − px y)L = p2 L2 + k 2 m2 − 2 L =
r r
A questo punto possiamo raccogliere L2 ed accadrà la magia
2 2 2mk
=L p + + k 2 m2 = 2mEL2 + m2 k 2
r
Infatti ricordiamo che
p2 k
E= −
2m r
Con molta fatica abbiamo finalmente trovato il modulo
√
A= 2mEL2 + m2 k 2
Vi state chiedendo perché l’ho fatto? Perché se ora consideriamo la
quantità
~ · rb
A
~ è costante,
Dato che A
2
~ r = A cos θ ⇒ L +km = A cos θ ⇒ 1 = A cos θ+ km
~
p~ × L + kmb
r ·b
r = A·b
r r L2 L2
Che assume la forma consueta
L2
km
r= A
1+ km
cos θ
Che ci dà la forma dell’orbita, come avevamo ricavato prima in forma
differenziale. Da quest’ultima possiamo infine dire che il vettore di Lenz
punta al perielio in quanto per θ = 0 si ha che r è più piccolo che in θ = π.
Il vettore di Lenz è una peculiarità dell’orbita 1/r. In tutti gli altri campi
centrali c’è già la conservazione del momento angolare e dell’energia totale,
ma in questo caso vi è appunto una quantità in più, legata strettamente alla
potenza 1/r, che conservandosi permette alle orbite di chiudersi. Il teorema
di Berthrand generalizzerà di parecchio questo risultato concludendo che gli
unici potenziali centrali che portano a orbite chiuse stabili sono i potenziali
−1/r e r2 , corrispondenti per l’appunto al problema di Keplero e al potenziale
generato da una molla.
238 CAPITOLO 3. FISICA
Sotto ipotesi molto blande, per esempio che il sistema si muova di moto
periodico (in tal caso G(τ ) = G(0)) oppure semplicemente limitato (si fa
tendere τ → ∞) allora si ottiene la relazione
* n +
X
~ri · F~i + 2hKi = 0
i=0
αhU i = 2hKi
Nel caso di potenziale coulombiano, hU i = −2hKi. Formula inutile?
Vediamo. . .
monoatomico è K = N 32 kB T , dove N = Ms
mp
dove mp è la massa del protone.
Applichiamo il teorema del viriale.
3GMs2 Ms
=3 kB T ⇒ T ≈ 3 · 106 K
5Rs mp
Z Z Z
~ = GM dm GM dm
Uogg (R) − dm = −GM =−
~ + ~r|
p r
V |R V ~ · ~r
R 2 + r 2 + 2R R V ~r r 2
b·
1 + 2R +
R R
A questo punto è opportuno espandere il termine dentro l’integrale ad un
r
ordine opportuno nella variabile t = 1
R
Ricordiamo che
α(α − 1) 2
(1 + x)α ≈ 1 + αx + x + ...
2
240 CAPITOLO 3. FISICA
Z Z
GM b ~r GM GM b GM
Uogg ≈− 1−R dm = − + 2 R ~rdm = −
R V R R R V R
Z r 2 3 2 !
GM ~
r 1 ~
r
Uogg ≈− 1−Rb − + b·
2R dm =
R V R 2 R 8 R
Z
GM GM
b · ~r)2 − r2 dm
=− +0− 3(R
R 2R3 V
Z
GM
b · ~r)2 − r2 dm
Ũ = − 3 3(R (3.6)
2R V
GM 2 2 2
Udm = − 2x − y − z dm
2R3
e dato che F~ = −∇U
~
GM
F~dm = 3 (2xb
x − yb
y − zb
z ) dm
R
Come potete ben vedere dal disegno 3.9, la piccola differenza di distanza
dalla grande massa M porta a rendere il satellite più schiacciato in un verso
che in un altro, seguendo la forma del disegno.
Vediamo ora rapidamente una cosa interessante ma che potete tranquilla-
mente saltare in quanto non capiterà mai in una gara.
Notiamo innanzitutto che
r2 − (R
b · ~r)2
242 CAPITOLO 3. FISICA
Z Z
GM 2 2 2
GM 2
U =− 3 3(R · ~r) − 3r + 2r dm = − 3 −3IR + 2
b r dm
2R V 2R V
Tidal lock
3.1. MECCANICA 243
P~ = r(cos θ, sin θ)
14
Almeno per ora.
244 CAPITOLO 3. FISICA
(
rA = |P~ A| = |(r cos θ − RA cos Ωt, r sin θ − RA sin Ωt)| = r2 + RA
p
2
− 2rRA cos(θ − Ωt)
~
p
2 2
rB = |P B| = |(r cos θ + RB cos Ωt, r sin θ + RB sin Ωt)| = r + RB + 2rRB cos(θ − Ωt)
∂L
= mṙ
∂ ṙ
∂L GMA m ∂rB GMB m ∂rB
= mrθ̇2 − 2
− 2
∂r rA ∂r rB ∂r
GMA m ∂rA GMB m ∂rB
=−
2 2
rA ∂θ rB ∂θ
GM A m ∂r A GM B m ∂rB
mrΩ2 = +
2 2
rA ∂r rB ∂r
Calcoliamo ora le derivate parziali che avevo lasciato implicite per evitare
di avere conti mostruosi e risolviamo il sistema.
MA RA MB RB
3 = 3
2 2
(r2 + RA − 2rRA cos α) 2 (r2 + RB + 2rRB cos α) 2
Ma dato che abbiamo scelto come centro il centro di massa, MA RA =
MB RB . Quindi devono essere uguali i denominatori
2 2
RA − 2rRA cos α = RB + 2rRB cos α
RA − RB
cos α =
2r
Notare che questo risultato ha la simmetria che deve effettivamente avere.
Se io mando α in α + π, scambio il ruolo delle due masse. Il risultato torna
perché il coseno cambia si segno. È sempre buona norma fare controlli di
simmetria sulle soluzioni per cercare errori.
246 CAPITOLO 3. FISICA
rΩ2 MA (r − RA ) MB (r + RB )
= 3 + 3
G (r2 + RA2
− 2rRA ) 2 (r2 + RB2
+ 2rRB ) 2
rΩ2 MA MB
= +
G |r − RA | |r + RB |
2. α = π
rΩ2 MA (r + RA ) MB (r − RB )
= 3 + 3
G (r2 + RA2
+ 2rRA ) 2 (r2 + RB2
− 2rRB ) 2
rΩ2 MA MB
= +
G |r + RA | |r − RB |
RA −RB
3. cos α = 2r
RA − RB RA − RB
MA r − RA MB r + RB
rΩ2 2r 2r
= 23 + 32
G RA − RB RA − RB
2 2
r2 + RA − 2rRA r2 + RB + 2rRB
2r 2r
3.1. MECCANICA 247
RA − RB RA − RB
rΩ2 MA r − MA RA MB r + MB RB
= 2r + 2r
3 3
G (r2 + RA RB ) 2 (r2 + RA RB ) 2
Ma come prima MA RA = MB RB per definizione di centro di massa.
Quindi,
rΩ2 (MA + MB )r
= 3
G (r2 + RA RB ) 2
G(MA + MB )
3
(r2 + RA RB ) 2 =
Ω2
Ma il membro a destra è esattamente il semiasse maggiore dell’orbita
alla 32 . Dato che le due masse sono distanti R,
R2
r2 + RA RB =
4
r
R2
r= − RA RB
4
Esprimiamo il risultato in termini delle masse MA , MB e della massa
ridotta µ
s s
2 2
R µ 1 µ2
r= − R2 =R −
4 MA MB 4 MA MB
Calcoliamo ora le proiezioni sugli assi x e y per dare una stima del
disegno che potrebbe venir fuori.
MA MB 1 1
−
RA − RB MA + MB MA MB R MB − MA
x = r cos α = =R =
2 2 2 MA + MB
s 2 r
√ R2 R2 + RB
2
RA − RB − 2RA RB
y = r 1 − cos2 α = r 1− = − RA RB − A
2r 4 4
248 CAPITOLO 3. FISICA
Problemi
Problema 3.1.20 (Energia interna di una sfera tenuta insieme per interazione
gravitazionale). Consideriamo una sfera di densità uniforme e massa
totale M . A questo sistema è ovviamente associata un’energia potenziale, definita
come
U =L
Soluzione: 4.3.13
15
Ovviamente è anche uguale a meno il lavoro per scomporre il sistema portando ogni
sua parte all’infinito.
3.1. MECCANICA 249
l
r(θ) =
1 − cos(θ)
Dove l e sono costanti. l è chiamato semilunare, mentre è l’eccentricità
dell’orbita. Ricordiamo, per completezza, che una conica può essere:
• Una circonferenza se = 0
• Una parabola se = 1
• Un’iperbole se > 1
Potenziali modificati
Parte 2
È facile mettere dei dati numerici per accorgersi che si possono rapidamente
raggiungere relativistiche una volta abbandonato il sistema solare. Per questo
motivo non è più possibile che la forza esercitata dalla pressione di radiazione
dipenda solo dalla posizione del satellite e non dalla sua velocità.
Consideriamo quindi una sorgente monocromatica di fotoni che emette fotoni
ad una frequenza fissa ν nel suo riferimento. Consideriamo uno specchio di massa
m, tale che hν mc2 rivolto verso la sorgente che si allontana dalla stessa ad una
velocità v (usate β che è meglio). Lo specchio viene colpito da una quantità di
fotoni n per unità di tempo, con il tempo misurato nel riferimento della sorgente.
• Usare il risultato appena trovato per esprimere la forza agente sul satellite
in funzione della sua distanza dal Sole r e della sua velocità v (e degli altri
parametri rilevanti)
FINIRE
Soluzione: 4.3.20
252 CAPITOLO 3. FISICA
mc2 rs rs L2
U (r) = − + 2 2 3
2 r m c r
1. Trovare la distribuzione di massa che genera questo potenziale
2. Trovare i raggi delle orbite circolari e discuterne la stabilità
Per r rs il potenziale si comporta come quello newtoniano. L’effetto del
termine aggiuntivo si vede su lunghi periodi di tempo in quanto instaura un
moto di precessione dell’orbita.
3. Trovare, con le dovute approssimazioni, il valore ∆φ che rappresenta l’angolo
fra il semiasse maggiore dell’orbita prima e dopo una rivoluzione completa
intorno al Sole in funzione del semiasse maggiore dell’orbita a, della sua
eccentricità 1 (quindi l’orbita è quasi circolare) e di rs
La teoria della RG prevede inoltre che la luce venga deflessa di un certo
angolo dai campi gravitazionali. L’angolo previsto è
2rs
∆φ =
r0
Dove r0 è la distanza minima del fotone dalla stella. Proviamo a mostrare
questa formula usando il potenziale dato.
3.1. MECCANICA 253
r2
r0
U (r) = −U0 − 02
r r
Trovare la forma delle orbite.
Soluzione: 4.3.21
254 CAPITOLO 3. FISICA
rilasciata. Trovare la forza che il supporto esercita sulla corda, in funzione del
tempo.
Soluzione: 4.3.25
Soluzione: 4.3.26
256 CAPITOLO 3. FISICA
~ + ~x(t)
~x1 (t) = R(t)
A questo punto, andiamo a considerare anche l’eventualità che un rife-
rimento ruoti rispetto all’altro. Questo vuol dire che i tre versori x b, yb, zb,
misurati dal sistema S1 non sono fissi ma variano nel tempo. L’espres-
sione che abbiamo scritto subito sopra non cambia ma quando andiamo a
scriverla in termini delle componenti, è opportuno indicare che anche i versori
sono funzioni del tempo, per ricordarsene
~ + x(t)b
~x1 (t) = R(t) x(t) + y(t)b
y (t) + z(t)b
z (t)
Questo è fondamentale quando noi andiamo a calcolare la velocità misurata
nel sistema S1
d ~
dR(t) dx(t) dy(t) dz(t) db
x(t) dby (t) db
z (t)
~v1 (t) = ~x1 (t) = + x
b(t)+ yb(t)+ zb(t)+x(t) +y(t) +z(t)
dt dt dt dt dt dt dt dt
(3.10)
Andiamo a quantificare la rotazione del sistema S per chiarire le idee.
Indichiamo con Ω ~ la velocità angolare di rotazione del sistema S misurata
dal sistema S1 . Ricordiamo che la derivata di un generico versore che ruota è
db
x ~
=Ω×x b
dt
Se non siete convinti di questa formula, è stata spiegata nella parte di
matematica, nella sezione di analisi vettoriale. Andiamo ad analizzare meglio
che cosa cè scritto nella formula 3.10. Innanzitutto, scrivendo la derivata dei
~ il termine
versori in termini di Ω,
db
x(t) db
y (t) db
z (t)
x(t) + y(t) + z(t)
dt dt dt
Diventa
~ × (x(t)b
Ω x(t) + y(t)b
y (t) + z(t)b ~ × ~x(t)
z (t)) = Ω
La quantità
258 CAPITOLO 3. FISICA
δ~x
δt
Che è una notazione ad hoc usata semplicemente per indicare proprio
quello che c’è scritto e niente di più. Vorrei farvi notare che questo termine è
esattamente la velocità misurata nel sistema S, in quanto si fa solo la derivata
delle componenti considerando gli assi fissi. Per questo motivo la chiamerò ~v .
Riassumendo,
~
dR
~v1 = ~ × ~x
+ ~v + Ω
dt
Dove ricordiamo che i vettori ~x e ~v sono misurati nel sistema S mentre ~v1
~
e R nel sistema S1
A questo punto possiamo andare avanti a derivare per riuscire ad ottenere
una relazione fra le accelerazioni nei due sistemi di riferimento. Deriviamo di
nuovo,
d~v1 ~
d2 R d~v dΩ ~
~a1 = = 2 + + ~ × d~x
× ~x + Ω
dt dt dt dt dt
Ma di nuovo ~v e ~x sono misurati nell’altro riferimento quindi la loro
derivata conterrà per lo stesso motivo il termine con il prodotto vettore
~
d2 R δ~v ~ ~
dΩ
δ~
x
~a1 = 2 + + Ω × ~v + ~ ×
× ~x + Ω +Ω~ × ~x
dt δt dt δt
Ma di nuovo
δ~x = ~v
δt
v = ~a
δ~
δt
In quanto sono effettivamente velocità e accelerazioni misurate in quel
riferimento. Andiamo quindi a riscrivere la formula
~
d2 R ~
~ × ~v + dΩ × ~x + Ω
~a1 = ~a + + 2 Ω ~ × Ω~ × ~x (3.11)
dt2 dt
3.1. MECCANICA 259
~
d2 R ~
~ × ~v + m dΩ × ~x + mΩ
F~ = m~a + m 2 + 2mΩ ~ × Ω ~ × ~x
dt dt
Se ora andiamo a ricavare l’accelerazione nel sistema S
F~ ~
d2 R ~
~ × ~v − dΩ × ~x − Ω
~ × Ω~ × ~x
~a = − 2 − 2Ω
m dt dt
Troviamo finalmente quello che ci serviva, ovvero la correzione di F~ = m~a
in un sistema che non è inerziale. Vediamo che ci sono diversi termini correttivi
chiamate forze apparenti, andiamo a vederli uno per uno.
~
d2 R
dt2
Questo termine è dovuto all’accelerazione relativa dei due sistemi di
riferimento. Per esempio, se siete in auto e accelerate in avanti vi sentirete
schiacciati contro il sedile.
dΩ~
× ~x
dt
Questo termine viene chiamato forza azimutale ed è quasi sempre nullo in
~ = cost
quanto di solito si considerano riferimenti con Ω
~ × Ω
Ω ~ × ~x
F~ ~ Ω
~
~ · ~x) + Ω2~x = F + Ω2~x
~a = − Ω(
m m
260 CAPITOLO 3. FISICA
F~ = −mΩ2~x
Che avendo un segno meno va verso il centro della traiettoria e non verso
fuori, quindi è centripeta. L’ultimo termine è
~ × ~v
2Ω
Che viene chiamato forza di Coriolis
FINISCI DI DIRE COSE
3.1. MECCANICA 261
3.1.10 Fluidodinamica
Derivazione del teorema di Bernoulli In fluidodinamica c’è praticamen-
te una sola equazione da utilizzare. Sarebbe bene conoscere le ipotesi in cui è
applicabile, in modo da sapere quando si può usare e quando no. Per questo
motivo farò una breve dimostrazione. Non è assolutamente necessario conosce-
re questa dimostrazione, va benissimo quella riportata sull’Halliday-Resnick
Ref [HRW12].
d~v ∂~v dx ∂~v dy ∂~v dz ∂~v ∂~v ∂~v ∂~v ∂~v ~ v + ∂~v
= + + + = vx + vy + vz + = (~v · ∇)~
dt ∂x dt ∂y dt ∂z dt ∂t ∂x ∂y ∂z ∂t ∂t
Supponiamo che il fluido sia sottoposto solo a forze di pressione e al suo
peso. Di conseguenza,
Z I Z Z Z
F~ = ρ~g dV − ~=
pdA ~
−ρ∇φdV − ~
∇pdV =− ~ + ∇p)dV
(ρ∇φ ~
V ∂V V V V
Z
m~a = ρ~adV
V
Mettendo insieme le due equazioni otteniamo
Z
~ + ρ∇φ)dV
(ρ~a + ∇p ~ =0
V
Per ora l’unica ipotesi che abbiamo fatto è che il volume sia regolare. Ora
possiamo subito togliere questa ipotesi notando che l’equazione che abbiamo
scritto vale per ogni volume regolare. Di conseguenza, ciò che deve essere 0 è
ciò che sta dentro l’integrale. Ovvero
~ + ρ∇φ
ρ~a + ∇p ~ =0
~ v + ρ ∂~v + ∇p
ρ(~v · ∇)~ ~ + ρ∇φ
~ =0 (3.12)
∂t
Dove nell’ultima equazione abbiamo sostituito ~a.
Ora cominciano le ipotesi del teorema: poniamoci nel caso stazionario,
∂~v
ovvero poniamo = 0. Questo fisicamente vuol dire che se guardo il fluido
∂t
ora o fra mezz’ora non sono in grado di notare differenze.
Usiamo inoltre un’identità vettoriale
~ v = 1 ∇(v
~v · ∇~ ~ 2 ) − ~v × (∇
~ × ~v )
2
Ora la seconda ipotesi: ρ è uniforme. Questo vuol dire che posso portarla
dentro e fuori dal gradiente a piacimento.
3.1. MECCANICA 263
~ 1 2
~ × ~v = 0
∇ ρv + p + ρφ − ρ~v × ∇
2
Ora, se il fluido è irrotazionale, il membro di destra è nullo e quindi
1 2
ρv + p + ρφ è costante in tutto il fluido. Altrimenti possiamo moltipicare
2
scalarmente l’equazione per ~v . Questo fisicamente vuol dire muoversi su una
linea di flusso 16 .
Otteniamo quindi che
~ 1 2
~ × ~v
~v · ∇ ρv + p + ρφ − ρ~v × ∇ =0
2
~ = −ρ∇φ
∇p ~ (3.13)
Che si chiama legge di Stevino. Se l’unica forza in gioco è la gravità, si
riconduce banalmente a p = ρgh
Viscosità
Le equazioni di Navier-Stokes
16
Linea di flusso vuol dire il percorso che segue il liquido. Immaginate di colorare una
piccola parte del fluido. Dopo un po’ questo si sarà spostato e avrà tracciato una linea. La
linea disegnata è la linea di flusso.
264 CAPITOLO 3. FISICA
Problemi
F ∆x
µ=
S∆v
dove F è la forza applicata, ∆v la differenza di velocità tra i due strati e S la
porzione considerata di superficie di contatto tra i due strati. Per un’ampia classe
di liquidi, la viscosità è indipendente sia dal rapporto F/S (chiamato sforzo di
∆v
taglio) sia dal rapporto ∆x (gradiente di velocità): questi liquidi vengono chiamati
liquidi newtoniani.
Si vuole studiare la velocità di un liquido newtoniano, di densità ρ, che sotto
l’azione della forza di gravità scorre su una parete verticale, formando un cosiddetto
velo d’acqua di piccolo spessore s. La natura del fluido è irrilevante. A tal fine si
consideri una certa quantità di questo fluido, di altezza h e larghezza l molto minori
dell’altezza e della larghezza della parete. Si supponga che la porzione considerata
sia sufficientemente lontana dai bordi della parete.
In condizioni di regime, il flusso è stazionario e, se lo spessore s è piccolo, anche
laminare. Di conseguenza, il vettore velocità è in ogni punto del velo d’acqua
sempre parallelo all’asse y.
Essendo la porzione di liquido considerata lontana dal bordo superiore della
parete, la velocità risulta indipendente anche da y. Ovviamente, però, la velocità
dipende dalla distanza dalla parete: v = v(x). A causa delle forze di adesione tra
3.1. MECCANICA 265
liquido e parete, si può assumere che la velocità dell’acqua a contatto con la parete
sia nulla: v(0) = 0. Si consideri un piano σ parallelo alla parete, a distanza x da
essa, con 0 < x < s.
1. Si ricavi la forza peso agente sulla porzione del velo d’acqua compresa tra x
e s.
2. Si ricavi la forza d’attrito viscoso agente lungo il piano σ sulla porzione del
velo d’acqua compresa tra x e s.
3. Dalla considerazione che ci si trova in condizione di regime, si determini la
dipendenza del modulo della velocità v dalla distanza x dalla parete.
4. Si ricavi la portata volumetrica del velo d’acqua, relativamente alla porzione
considerata.
Soluzione: 4.3.28
Problema 3.1.41 (Secchio che ruota). Un secchio cilindrico di
raggio R e altezza 2H è riempito di acqua (densità ρ) fino all’altezza H. Con un
momento esterno viene messo in rotazione a velocità costante Ω. ~ Dopo un breve
periodo di transizione, si raggiunge lo stato stazionario. L’acqua ovviamente si
spalmerà sulle pareti.
• Trovare un espressione analitica per la forma della superficie descritta dal
pelo dell’acqua.
• Dire per quale valore di Ω l’acqua tocca il bordo dell’acqua tocca il fondo
oppure l’acqua traborda dal secchio.
• Trovare la pressione sul fondo del secchio.
Soluzione: 4.3.29
Problema 3.1.42 (Forma del contenitore). Un recipiente a sim-
metria cilindrica contiene acqua. Un piccolo buco praticato sul fondo causa la lenta
fuoriuscita del liquido. Si nota che la velocità a cui si abbassa il pelo dell’acqua è
dh
dt = costante. Determinare la forma del recipiente.
Soluzione: 4.3.30
Problema 3.1.43 (Effetto Magnus). Una palla da baseball viene
lanciata con un forte effetto. In particolare, la palla viene lanciata con una velocità
~v parallela al terreno e con una ω~ perpendicolare al terreno. La pallina ha raggio r,
massa m. La densità dell’aria è ρ e la distanza percorsa dalla pallina è L (trascurare
~g ). Stimare la deviazione orizzontale della pallina ∆x assumendo subito ∆x L.
Siete autorizzati ad approssimare in modo brutale.
Soluzione: 4.3.31
266 CAPITOLO 3. FISICA
3.2 Termodinamica
Purtroppo la termodinamica viene fatta in terza superiore solitamente,
quando non si ha nessuno strumento matematico per affrontarla. Vorrei
affrontarla in modo più dettagliato, dando delle basi teoriche e strumenti di
analisi che permettono di fare le cose per bene in modo da capire davvero
cosa si sta facendo e non fare le cose a caso come a scuola. Vi consiglio di
dimenticare quello che sapete in quanto facendo termodinamica a scuola, in
cui si parla solo di gas perfetti, si acquisiscono alcuni automatismi, come per
esempio che in un’adiabatica pV γ = cost che sono troppo specifici e possono
portarvi ad errori quando si fanno i problemi se non usati con accortezza.
Per esempio, un pistone con una parete mobile che contiene un gas di
qualsiasi tipo è un sistema termodinamico. Un solido con una certa capacità
termica è un sistema termodinamico. Un elastico è un sistema termodinamico.
Quando si parla di sistemi termodinamici, è molto importante definire che
cos’è lo stato di un sistema. Per esempio, se abbiamo N particelle massive,
per descrivere completamente il sistema in un certo istante dobbiamo dare la
posizione e la velocità di ogni particella, ovvero 6N parametri, uno per ogni
componente della velocità.
Ovviamente pensare di fare una cosa del genere per un gas, che ha ≈ 1023
particelle è impensabile e bisogna trovare un modo alternativo di dare una
descrizione del sistema.
Per continuare l’esempio del gas, è ragionevole pensare che dei parametri
adeguati possano essere la pressione p, il volume V e la temperatura T . Ora ho
fatto questo esempio in quanto dovrebbe essere noto a tutti, ma i 3 parametri
non sono per niente scelti a caso. Infatti, pressione e volume sono i due
parametri che possono variare per permettere al gas di scambiare energia
sotto forma di lavoro, mentre la temperatura vedremo è ciò che permette lo
scambio di energia sotto forma di calore.
17
Per ambiente si intende “Tutto il resto”, ovvero il resto dell’universo, oppure
semplicemente gli oggetti che gli stanno intorno.
3.2. TERMODINAMICA 267
Calore Spesso molta gente si domanda che cosa sia il calore. La risposta è
che è semplicemente una forma di scambiare energia fra due corpi che non è
il lavoro. Se andiamo a guardare a livello molecolare che cosa accade quando
avviciniamo due corpi a temperatura diversa vedremo che le molecole del corpo
a temperatura maggiore avranno una velocità quadratica media maggiore
e metterli in contatto farà urtare le molecole dei due corpi, trasmettendo
energia cinetica dal corpo caldo al corpo freddo. La termodinamica non si
occupa principalmente di questo ma semplicemente di descrivere il processo
dal punto di vista macroscopico. Di conseguenza, tutto ciò che c’è da sapere
sul calore è che è un modo per scambiare energia.
268 CAPITOLO 3. FISICA
Cq
cq =
m
Se si tratta di capacità per unità di massa, fratto n se è molare.
U = U (p, V, T )
3.2. TERMODINAMICA 269
∂U ∂U
dU (p, T ) = dT + dp
∂T ∂p
∂U ∂U
dU (V, T ) = dT + dV
∂T ∂V
∂U ∂U
dU (p, V ) = dV + dp
∂V ∂p
Sfruttando l’equazione di stato e le prossime equazioni che incontreremo,
vi mostrerò un modo per trovare U in funzione delle variabili opportune.
∆U = Q − L (3.14)
È importante definire bene le convenzioni sui segni. Per esempio i chimici
di solito usano ∆U = Q + L in quanto non considerano il lavoro fatto dal gas
ma il lavoro fatto sul gas, che è esattamente −L. Io userò sempre la formula
3.14, come qualsiasi altro libro di fisica.
È molto utile scrivere il primo principio in forma differenziale, ovvero
scrivere la stessa equazione per un processo di scambio infinitesimo.
dU = đQ − đL (3.15)
270 CAPITOLO 3. FISICA
ovvero che in ogni istante siano ben definiti i parametri del sistema. Una
trasformazione siffatta si dice quasistatica. Un’esplosione per esempio non è
una quasistatica.
Uno dei 3 piani in particolare è preferibile nella maggior parte dei casi
(ma non è di certo obbligatorio usare solo quello), ed è il piano p − V . Viene
scelto questo piano in quanto se Z mettiamo sull’asse x il volume e sull’asse y
la pressione abbiamo che L = pdV , dove γ è la curva che rappresenta la
γ
trasformazione, ovvero esattamente l’area sottesa dal grafico di γ.
Osservazione. Questo è esattamente il motivo per cui ho utilizzato đL invece
di dL. Quando uso il đ intendo che in realtà non ho un differenziale esatto.
Se đL fosse un differenziale esatto, vorrebbe dire che il lavoro compiuto
dal gas per andare da un certo stato ad un altro stato non dipende da come
ci vado, cosa Zassolutamente falsa se uno guarda il significato geometrico
dell’integrale pdV . Basta prendere una curva chiusa nel piano p − V per
capire che il lavoro dipende strettamente dalla trasformazione.
Il volume, invece, è eccome un differenziale esatto, in quanto la variazione
di volume di un sistema dipende solo dal volume iniziale e dal volume finale
(capitan ovvio?). Il fatto che sia đL = pdV , ovvero un differenziale non
esatto uguale al prodotto di un differenziale esatto per un’altra funzione ci fa
capire che in questo caso è possibile trovare una funzione che renda esatto un
differenziale.
È possibile dimostrare che questa cosa si può fare sempre, ovvero dato un
differenziale non esatto đf (x, y) esiste sempre una funzione g(x, y) tale che
dh = g(x, y)đf sia un differenziale esatto.
Essendo đQ = dU + đL, è ovvio che anche đQ non è un differenziale
esatto, in quanto somma di uno esatto e uno no. Possiamo quindi sperare di
trovare una funzione decente f tale che f đQ sia un differenziale esatto, molto
più facile da trattare. Scopriremo nel prossimo capitolo che la funzione esiste
ed è anche molto bella.
dU = đQ ⇒ ∆U = Q
dU = đQ − p0 dV ⇒ ∆U = Q − p0 ∆V
Vorrei far notare di nuovo che non ho mai supposto che il mio sistema
termodinamico fosse un gas, tantomeno un gas perfetto.
Altre due trasformazioni estremamente importanti sono le isoterme (tem-
peratura costante) e le adiabatiche (đQ = 0), ma hanno un’importanza tale
che ne parlerò più a fondo nel prossimo paragrafo.
Qciclo = Lciclo
Lciclo
η=
Qassorbito
|Qceduto |
η =1−
Qassorbito
Evidentemente una quantità minore di 1.
Ciò che intendo è che per esempio per eseguire una isobara c’è bisogno che
il sistema abbia come parametro la pressione e il volume, cosa comune ai gas
ma non cosı́ banale per esempio per un fluido, in cui controllare la pressione è
più complicato e tantomeno per un elastico, per esempio, che non è nemmeno
descritto dal parametro pressione.
Un ciclo di Carnot invece utilizza solo delle isoterme e delle adiabatiche.
Queste nei vari piani p − V, τ − l possono essere rappresentate dalle curve
più bizzarre ma qualsiasi oggetto le può fare, in quanto un sistema per essere
termodinamico deve essere in grado di poter scambiare energia sotto forma
di calore.
Le cose più interessanti su questo particolare ciclo verranno a galla nel
prossimo capitolo. Per ora diciamo solo che il rendimento di un ciclo di Carnot
è
Qf
η =1−
Qc
In quanto la macchina termica scambia calore solo con due sorgenti, in un
caso assorbendolo e nell’altro cedendolo. (Ovviamente abbiamo preso Qf > 0)
Qf 2 Qf 1
η2 ≤ η1 ⇒ 1 − ≤1−
Qc2 Qc1
Scegliendo N, N 0 abbastanza grandi, si può avere
N0 Qc2
=
N Qc1
Ora consideriamo quindi un ciclo termodinamico ottenuto combinando
0
N cicli del primo motore fatto funzionare a rovescio (possiamo perché è
reversibile) e N del del secondo.
Il lavoro totale compiuto sarà
Ltot = N L2 − N 0 L1
Il calore ceduto alla sorgente fredda sarà
Qf = N Qf 2 − N 0 Qf 1
Mentre il calore preso dalla sorgente calda
Qc = N Qc2 − N 0 Qc1 = 0
Essendo
Ltot = Qc − Qf = −Qf
Otteniamo subito che non può essere Ltot > 0 in quanto se cosı́ fosse
avremmo trovato un motore che non fa altro che prendere calore dalla sorgente
termica fredda e trasformarlo in lavoro.
Di conseguenza
Ltot ≤ 0 ⇒ Qf ≥ 0 ⇒ N Qf 2 − N 0 Qf 1 ≥ 0
Qf 2 N0 Qc2 Qf 2 Qf 1 Qf 2 Qf 1
≥ = ⇒ ≥ ⇒1− ≤1−
Qf 1 N Qc1 Qc2 Qc1 Qc2 Qc1
3.2. TERMODINAMICA 277
η2 ≤ η1
η1 ≤ η2 ⇒ η1 = η2
η = f (Tf , Tc )
Tf
η =1−
Tc
Valida per qualsiasi motore reversibile che scambi calore solo
con due sorgenti, a temperatura Tf , Tc .
Sarà utile per il prossimo paragrafo scrivere la stessa formula in funzione
dei calori scambiati con le due sorgenti
Qf Tf
=
Qc Tc
278 CAPITOLO 3. FISICA
3.2.3 Entropia
Consideriamo un motore termodinamico M che operi con un numero
qualsiasi di sorgenti, ognuna a temperatura Ti . Con ciascuna scambia un
calore con segnoX Qi . Durante un ciclo, il calore totale scambiato dalla
macchina sarà Qi .
i
Consideriamo ora n motori di Carnot19 , ciascuno che operi fra la tempera-
tura Ti e un’altra temperatura T0 uguale per tutti. Prendiamo i motori di
Carnot in modo che scambino con ciascuna delle sorgenti tranne T0 , esatta-
mente una quantità di calore −Qi , in modo da controbilanciare quello che fa il
motore M . In pratica stiamo aggiungendo motori in modo che ogni sorgente
abbia come risultato complessivo il non scambiare calore con nessuno.
La sorgente a temperatura
X T0 , quella diversa, scambierà quindi una
quantità di calore Q0 = − Qi,0 , dove
i
T0
Qi,0 = Qi
Ti
Dove ho usato la formula del rendimento, che vale per ogni motore
reversibile che operi fra solo due temperature.
X Qi
Q0 = −T0
i
Ti
đQ dU p dT nRT dT dV
dS = = + dV = ncv + dV = ncv + nR
T T T T VT T V
Questo normalmente sarebbe un integrale di linea, ma noi abbiamo già
mostrato con argomenti fisici che dS è un differenziale esatto, per cui l’integrale
lo possiamo fare direttamente fra stato iniziale e finale, senza preoccuparci
del percorso, esattamente come quando si calcola il lavoro per un campo
conservativo, facendo la differenza di potenziale.
Z b Z b Z b
dT dV Tb Vb
∆S = dS = ncv + nR = ncv ln + nR ln
a a T a V Ta Va
Cp Cv + R
Ricordiamo che γ = = è una costante adimensionale che viene
Cv Cv
utilizzata per caratterizzare il gas. L’espressione di γ è cosı́ semplice solo per
gas perfetti, non usatela a sproposito.
pb Vbγ
∆S = ncv ln
pa Vaγ
Valida per qualsiasi trasformazione reversibile ma solo per un
gas perfetto.
La cosa interessante da notare è che esiste una particolare trasformazione
reversibile in cui ∆S = 0, ovvero quella in cui pV γ = costante 20 . Del resto,
đQ
dS = ⇒ đQ = T dS. Se dS = 0, anche đQ = 0. Abbiamo appena
T
ricavato l’equazione che lega pressione e volume in una adiabatica.
20
In questo caso l’argomento del logaritmo è costantemente 1
3.2. TERMODINAMICA 281
pV = nRT
Questa legge verrà derivata più avanti per via cinetica, prendiamola ora
per buona e cerchiamo di sfruttarla per ottenere cose.
Quello che vogliamo ottenere adesso è una espressione per l’energia interna
del gas, per esempio in termini del volume e della temperatura, ovvero
cerchiamo
∂U ∂U
U = U (V, T ) ⇒ dU = dT + dV
∂T ∂V
Sostituiamo nel primo principio della termodinamica.
1 ∂U ∂U p 1 ∂U 1 ∂U
dS = dT + dV + dV = dT + + p dV
T ∂T ∂V T T ∂T T ∂V
Ma dS è un differenziale esatto quindi deve valere la condizione 2.9.21
Quindi
1 ∂ 2U
2
∂ 1 ∂U ∂ 1 ∂U 1 ∂U 1 ∂ U ∂p
= +p ⇒ =− 2 +p + +
∂V T ∂T ∂T T ∂V T ∂V ∂T T ∂V T ∂T ∂V ∂T
I due termini con la derivata seconda si elidono in quanto quando si fa
una derivata parziale non conta l’ordine di derivazione22 , quindi quello che
rimane è
21
Quando un differenziale è esatto le sue derivate miste devono essere uguali. Questo
deriva dal fatto che quando si fa una derivata seconda non conta l’ordine di quale derivata
fare per prima.
22
Per il teorema di Schwartz
282 CAPITOLO 3. FISICA
∂U ∂p
= −p + T
∂V ∂T
Questa equazione vale in generale. Per un gas perfetto, si ha p = nRT /V ,
∂p
quindi = nR/V e quindi troviamo che
∂T
∂U
=0
∂V
Per un gas perfetto. Quello che ci dice questa equazione è che
U (T, V ) = U (T )
Ovvero per un gas perfetto l’energia interna dipende solo ed esclusivamente
dalla temperatura! Vuol dire che se voi avete un gas perfetto e lo fate
espandere senza fargli compiere lavoro (per esempio liberandolo in una stanza
inizialmente vuota), la sua energia interna non cambia e quindi nemmeno la
sua temperatura.
Ovviamente questo risultato vale solo per i gas perfetti. Esistono altre
sostanze per cui è vero, ma in generale non è cosı́.
Per via puramente termodinamica non è possibile dire altro su questa
correlazione fra energia e gli altri parametri. Per via cinetica invece si può
arrivare a mostrare che questa relazione è lineare, ovvero
U ∝T
In particolare, la costante di proporzionalità vale
U = ncV T
Dove n è il numero di moli e cV dipende dal gas. Ne parlerò in dettaglio
nel capitolo dedicato ai gas perfetti.
una curva chiusa che non si intrecci. L’area che sta sotto la curva e sopra
l’asse S, inclusa quella dentro la curva, rappresenta ovviamente il Qass , ovvero
tutto il calore assorbito dal sistema in un ciclo, in quanto noi andiamo a
considerare solo l’area quando la curva va verso destra.
L’area sotto il grafico e non dentro la curva sarà quindi il calore ceduto
all’universo, per lo stesso motivo. Risulta evidente ora, dato che
L = Qass − Qced
che l’area dentro la curva è il lavoro effettuato nella trasformazione.
Fissiamo ora due temperature a caso Tf , Tc . Siamo interessati a capire
qual’è la curva che rappresenta un ciclo di rendimento massimo che sia sempre
compresa fra le temperature Tc , Tf . Dobbiamo quindi massimizzare l’area
dentro cercando di tenere piccola l’area sotto, in quanto
L
η=
Qass
Si può dimostrare ma è molto sensato pensare che la figura ottimale sia
un rettangolo che ha i lati paralleli agli assi, uno a Tf e l’altro a Tc .
Questo ciclo termodinamico è quindi fatto da due trasformazioni a tempe-
ratura costante e da due a entropia costante, ovvero adiabatiche. Abbiamo
appena scoperto che il ciclo di Carnot è il più efficiente fra i motori che
operano con varie sorgenti ma tutte a temperatura compresa fra Tf e Tc .
Calcoliamo ηcarnot in questo piano23 .
Qf ∆S · Tf Tf
η =1− =1− =1−
Qc ∆S · Tc Tc
Effettivamente non dipende da nient’altro se non dalle temperature e la
formula è sempre quella.
dU = T dS − pdV
Per cui abbiamo per forza
∂U = T
∂S
∂U
= −p
∂V
Dal primo principio sembra che le variabili naturali per esprimere l’energia
interna siano U (S, V ). Non sempre può essere pratico lavorare con queste
due variabili, spesso potremmo trovarci meglio ad utilizzare altre funzioni di
stato che non sono l’energia ma ci assomigliano, che si riescono ad esprimere
meglio con variabili diverse.
Per esempio, se inventiamo la funzione H = U + pV , possiamo calcolare
dH
dH = dU + pdV + V dp = T dS + V dp
Di conseguenza, le variabili naturali di H sono H(S, p). La funzione H,
essendo somma di due funzioni di stato, è a sua volta una funzione di stato e
quindi il suo differenziale è esatto. Questa funzione viene chiamata entalpia.
Se consideriamo ora G = H − T S, possiamo calcolare dG
dG = dH − T dS − SdT = V dp − SdT
Ovvero le variabili naturali di G sono G(p, T ). Come l’entalpia, la funzione
G è di stato e viene chiamata energia libera di Gibbs.
Infine, se definiamo F = U − T S, calcoliamo dF
Z Z
dU = T dS − đL ⇒ (dU − T dS) = − đL ⇒ ∆F = −L
γ γ
∆F ≤ −L ⇒ L ≤ −∆F
Se sul sistema non viene compiuto lavoro alcuno, si ha semplicemente
∆F ≤ 0
Per cui il punto a minima energia libera di Helmoltz è il punto di equilibrio
stabile in caso di trasformazione forzatamente isoterma.
Ora facciamo la stessa cosa per l’energia libera di Gibbs. Supponiamo
stavolta che sia la pressione esterna sia la temperatura siano mantenuti
costanti.
Z
dU = T dS − pdV ⇒ (dU − T dS + pdV ) = 0 ⇒ ∆G = 0
γ
∆G ≤ 0
E quindi come prima si ha che il punto a minima energia libera di Gibbs
è di equilibrio stabile se sia pressione sia temperatura vengono mantenuti
costanti.
Gl = ml gl
Gg = mg gg
Per cui
G = ml gl (T, p) + mg gg (T, p)
Se siamo in un punto di minimo, ovvero nell’equilibrio, avremo dG = 0.
Inoltre, se varia la massa di una delle due sostanze, si avrà, dalla conservazione
della massa
ml + mg = m ⇒ dml = −dmg
G+dG = (ml +dml )gl +(mg −dml )gg = ml gl +mg gg +dml (gl −gg ) = G+dml (gl (T )−gg (T ))
dp λ λ λ dp pλ
= = V = RT ⇒ =
dT Tv Tn T p dT RT 2
λ 1 1
Z p
dp
Z T
λ − −
= dT ⇒ p = p0 e R T T0 (3.17)
p0 p T0 RT 2
Che, definito uno stato di riferimento p0 , T0 , ci dice come varia la pressione
a cui un fluido è in equilibrio con la sua fase gassosa.
∆F = −L
L’espressione per l’energia libera di Helmoltz è
F = U − TS
Che per un gas perfetto vale
F = ncV T − T (ncV ln T + nR ln V )
∆F = Fp − Fr
X X
npi cVpi T −T (npi cVpi ln T +npi R ln Vpi )− nrj cVrj T −T (nrj cVrj ln T +nrj R ln Vrj ) =
i j
!
X X
= −RT nri − npj
i j
n n n
Vp1p1 Vp2p2 . . . Vpnpn
= −RT ln n n n
Vr1r1 Vr2r2 . . . Vrnrn
3.2. TERMODINAMICA 291
Entropia Per diversi motivi è più utile passare dalla molteplicità Ω di una
configurazione ad una quantità diversa, il suo logaritmo. Definiamo quindi
l’entropia S di un sistema come
S = kB ln Ω (3.18)
Dove ovviamente kB è la costante di Boltzmann. Notare che dato che la
molteplicità è moltiplicativa il suo logaritmo diventa additivo, di conseguenza
se ho due sistemi di molteplicità Ω1 e Ω2 , la molteplicità complessiva sarà
Ω1 · Ω2 , mentre l’entropia sarà S1 + S2 .
Inoltre, dato che lo stato più probabile di un sistema corrisponde al
massimo della molteplicità, dato che il logaritmo è monotono, corrisponderà
anche al massimo dell’entropia.25
25
La definizione di entropia fornita è decisamente malposta in un contesto classico in
quanto a rigor di logica per un sistema continuo la molteplicità è sempre infinita. Basti
pensare che la velocità di ogni particella può assumere un continuo di valori. Un approccio
semiclassico impone, un po’ forzando la mano, che lo spazio delle fasi sia quantizzato in
celle grandi 2π~, ma ovviamente se compare la costante di Planck vuol dire che il motivo
sotto è quantistico. Il come questo approccio abbia retto anche prima che la quantistica
si conoscesse è che il valore della costante è effettivamente irrilevante. Se decidiamo di
quantizzare lo spazio delle fasi usando C2π~ invece che 2π~, il cambio in entropia è la
292 CAPITOLO 3. FISICA
E = E1 + E2 = cost
Ovvero l’energia totale è una costante del sistema. Le energie non sono
quindi indipendenti ma legate da quell’equazione. Vogliamo sapere come si
distribuiranno le energie quando si sarà raggiunto l’equilibrio. Per fare una
cosa sensata esprimiamo quindi una delle due in funzione dell’altra in modo
da avere un solo grado di libertà. Sarà quindi
E2 = E − E1
Noi sappiamo che lo stato di equilibrio corrisponde al massimo di entropia
del sistema. Di conseguenza, dato che il nostro parametro libero è E1 , dovrà
essere
T1 = T2
Come ci aspettavamo dalla termodinamica classica.
∂Ω(E)
ln Ωtot = ln Ω(E − E1 ) + ln Ω(E1 ) = ln Ω(E) − E1 + ln Ω(E1 ) =
∂E1
1 ∂Ω(E)
= ln Ω(E) 1 − E1 + ln Ω(E1 )
Ω(E) ∂E1
Ricordiamo ora che
1 df (x) d
= (ln f (x))
f (x) dx dx
Usate ora la regola di derivazione della funzione composta per controllare
che è vero. Scriviamo quindi
∂ ln Ω(E)
ln Ω(E) 1 − E1 + ln Ω(E1 )
∂E1
Ma ln Ω = S/kB quindi
E1 E1
ln Ω(E) 1 − + ln Ω(E1 ) = ln Ω(E) − + ln Ω(E1 )
kB T kB T
294 CAPITOLO 3. FISICA
Chiamiamo ora
1
β=
kB T
Notare che ha le dimensioni di 1/energia
P (E1 ) ∝ e−βE1
E
Troverete più o meno ovunque espressioni in cui c’è un e− RT . Ricordatevi
che è una cosa sensata.
Pi = Ce−βEi
Dove C è la costante di normalizzazione che rende la somma delle proba-
bilità uguali a 1. In particolare,
1
C=X
e−βEi
i
Dove la sommatoria è estesa a tutti gli stati che può assumere il sistema.
L’energia media del sistema sarà ricavabile da una media pesata, ovvero
X
Ei e−βEi
i
hEi = X
e−βEi
i
3.2. TERMODINAMICA 295
" N
#
|~pi |2
Z Z
1 1 X
Z= exp[−βE]dΓ = exp −β dN p~ dN ~x
N !h3N N !h3N i=1
2m
Z1N
Z=
N !h3N
Dove Z1
β|~p|2 β|~p|2
Z Z Z
Z1 = exp − d~p d~x = V exp − d~p =
R3 V 2m R3 2m
β(p2x + p2y + p2z )
Z
=V exp − dpx dpy dpz =
R3 2m
3 Z
2m 2
exp −(x2 + y 2 + z 2 ) dx dy dz
=V
β R3
32
2πm
=V
β
Sono andato un po’ veloce su questi conti perché tanto ho zingarato prima,
quindi non valeva la pena fare le cose troppo per bene. In ogni caso in questo
modo abbiamo un’espressione per Z. A questo punto possiamo finalmente
calcolare l’energia interna del gas U
Z1N
∂ ln Z ∂ ∂ ln Z1
U =− =− ln 3N
= −N =
∂β ∂β N !h ∂β
∂ 3 β 3N 3
= −N ln V − ln = = kB T
∂β 2 2πm 2β 2
3.2. TERMODINAMICA 297
Beh, non male, abbiamo già ritrovato una cosa che avevamo dato come
definizione tempo fa in Termodinamica. Si può fare di più: andiamo a ricavarci
da Z(V, T )26 anche la pressione del gas p. Per farlo, dobbiamo essere un po’
cauti, in quanto sappiamo che le variabili “buone” per U sono S e V . Una
∂U
persona affrettata potrebbe dire ”io so che p = − ∂V . In questo caso U non
dipende dal volume, quindi la pressione è zero.”. Parlando in questo modo
si commetterebbe un errore in quanto la nostra espressione per U non è in
termini delle sue variabili canoniche ma della temperatura, che non è né S né
V . Per fare questo ragionamento dovremmo prima trovare un’espressione di
S, buttarla nell’espressione sopra e poi poter fare la derivata.
Agiamo in modo diverso. Ricordiamo che esiste anche un potenziale
termodinamico che si chiama energia libera di Helmholtz, F , che è definita
come
F = U − TS
È possibile mostrare che in un certo senso questo potenziale è il più legato
alla funzione di partizione Z, infatti si ha
F = −kB T ln Z
La dimostrazione di questa formula non è complicatissima ma non la
farò in questo momento. Per un approfondimento consultate [D’E18c] in
bibliografia. Inoltre è utile notare che F ha come variabili canoniche proprio
∂F
V, T , esattamente come Z. Se ricordiamo che poi vale p = − ∂V , allora si
arriva subito a
∂ ∂ N kB T
p= kB T ln Z = N kB T ln Z1 = ⇒ pV = N kB T
∂V ∂V V
Come ci aspettavamo.27
26
Perché sono queste le variabili indipendenti? È un’altra domanda a cui non
risponderemo qui, al secondo anno di Università avrete le risposte.
27
Perdonatemi tutti i passaggi dove ho barato clamorosamente. La teoria dietro la
Meccanica Statistica è complessa e articolata. Questo voleva essere solo un assaggio.
298 CAPITOLO 3. FISICA
2n̄px
F =
∆t
Dove n è il numero di molecole che urtano la parete in un tempo ∆t. Ora
è necessario dire quanto vale questo n̄.
1 vx ∆t
n̄ sarà n̄ = N , ovvero vedo quanta strada fa una pallina, la divido
2 L
per L e so quante volte ha colpito la faccia giusta. Il fattore 1/2 deriva dal
fatto che la pallina colpisce una volta la faccia di sinistra e una volta la faccia
di destra, per cui la distanza in realtà è 2L.
Quindi
mvx2
F =N
L
Noi siamo più interessati alla pressione più che alla forza, ed essendo
F = pA, otteniamo
3.2. TERMODINAMICA 299
mvx2
p=N
V
In questa stima, tuttavia, abbiamo assunto che tutte le palline avessero la
stessa velocità, cosa che in generale non è assolutamente vero, di conseguenza
a vx2 dobbiamo sostituire un valore medio.
mhvx2 i
p=N
V
Notare che il valore medio non è hvx i2 bensı́ hvx2 i, ovvero l’ordine logico
delle cose da fare è prima fare il quadrato, poi la media, non prima la media e
poi il quadrato. Se non siete convinti che venga una cosa diversa, vi consiglio
di leggere il capitolo di statistica di questo volume, nella parte di matematica.
Ora è arrivato il momento di fare un po’ di considerazioni fisiche su questo
gas. La velocità delle particelle, come vedremo più tardi, è estremamente
alta. Inoltre, abbiamo supposto il gas rarefatto, per cui la gravità conta poco.
Di conseguenza, non esiste una direzione privilegiata e quindi avremo che le
velocità lungo x, y, z saranno distribuite nello stesso modo, ovvero se P (v)dv
è la distribuzione di velocità avremo
1
hvx2 i = hvy2 i = hvz2 i = hv 2 i
3
Dove v 2 = vx2 + vy2 + vz2 è il modulo della velocità.
Di conseguenza,
N mhv 2 i 2 hU i
p= = (3.19)
3 V 3 V
Notare che questa equazione vale solo per gas monoatomici, in quanto
abbiamo supposto che le varie molecole fossero palline. Se fossero stati corpi
estesi più complicati, come per esempio una molecola di O2 che ha una
struttura come un manubrio, non avremmo potuto trattarla come una pallina.
Facciamo ancora delle considerazioni sulle velocità. Abbiamo già detto
che non vi sono direzioni privilegiate e quindi le tre distribuzioni sono uguali.
300 CAPITOLO 3. FISICA
La cosa ancora più potente è che non solo le 3 direzioni sono equivalenti,
ma sono pure indipendenti, in quanto una particella non ha motivo di avere
correlazione fra le 3 velocità.
Di conseguenza, la probabilità di avere una certa velocità ~v = (vx , vy , vz )
sarà
P (vx , vy , vz )dvx dvx dvz = P (vx )dvx P (vy )dvy P (vz )dvz
Se poi ora tiriamo in ballo quello che abbiamo imparato nel capitolo di
meccanica statistica, otteniamo addirittura la distribuzione di probabilità per
le velocità.
mvx2
−
P (vx )dvx = Ae 2kB T dvx
Z
Dove A è la costante di normalizzazione che fa in modo che P (vx )dvx = 1
. Mettendo insieme il tutto,
mv 2
−
P (v, θ, φ) = A3 e 2kB T v 2 sin θdvdθdφ
Visto che non siamo interessati alla dipendenza da θ, φ, possiamo integrare
rispetto a entrambe e calcolare A, in modo da ottenere in tutta la sua
magnificenza la distribuzione di velocità di Maxwell-Boltzmann
23
m mv
− 2k
2
P (v) = 4π v2e B T
dv (3.20)
2πkB T
3.2. TERMODINAMICA 301
Z ∞ Z ∞ 23
2 2 m mv
− 2k
2
hv i = v P (v)dv = 4π v4e B T
dv
0 0 2πkB T
mv 2
Per calcolare questo integrale cambiamo variabile in t = ⇒ dt =
2kB T
mvdv
kB T
32 Z ∞ 23
kB T 4 3 1 √
2 m 2kB T 3
−t kB T 4 kB T 5 3kB T
hv i = 4π t e
2 dt = √ Γ = √ π=
2πkB T 0 m m π m 2 m π22 m
302 CAPITOLO 3. FISICA
1 mhv 2 i N
p= ⇒ pV = N kB T ⇒ pV = NA kB T
3 V NA
pV = nRT (3.21)
N 3 3
U= mhv 2 i = N kB T = nRT
2 2 2
P = nV
dU = đQ − đL
304 CAPITOLO 3. FISICA
dU = đQ ⇒ ∆U = Q
Essendo U = ncv T , in un’adiabatica Q = ncV ∆T . Questo giustifica il
nome di cV calore specifico a volume costante.
Consideriamo ora nel piano p − V un’isobara. Questa è rappresentata da
un segmento orizzontale. Essendo la pressione costante, L = p∆V
Q=L
A questo punto possiamo calcolare il lavoro facendo un integrale.
Z b
nRT dV Vb
dL = pdV = dV ⇒ L = nRT = nRT ln =Q
V a V Va
Infine, consideriamo una trasformazione adiabatica.
cV cV + R cV
(pdV + V dp) = −pdV ⇒ pdV + V dp = 0
R R R
cp
Notiamo che cV + R = cp . Se chiamiamo γ = cv , scopriamo che questo
rapporto per un gas perfetto è costante e γ > 1. Riscriviamo l’equazione
Z b Z b γ
dV dp dV dp Vb pb
γpdV +V dp = 0 ⇒ γ =− ⇒γ =− ⇒ ln = − ln
V p a V a p Va pa
3.2. TERMODINAMICA 305
pb Vbγ
ln = 0 ⇒ pb Vbγ = pa Vaγ
pa Vaγ
3
U = nRT
2
In generale, abbiamo mostrato nel capitolo sul secondo principio della
termodinamica che per un gas perfetto
∂U
=0
∂V
Perciò per qualsiasi gas perfetto
U = U (T )
Se ripetiamo il ragionamento che abbiamo fatto nel caso di gas monoatomi-
co per un gas qualsiasi, otteniamo un risultato molto simile, ovvero otteniamo
che
U = ncV T
Dove cV è una costante che dipende dal gas. In particolare, vale 32 R per un
gas monoatomico, 52 R per uno biatomico e 62 R = 3R per un gas poliatomico.
Vedrete ad un corso di meccanica statistica che il teorema di equipartizione
dell’energia giustifica questi numeri, apparentemente a caso.
Abbiamo ricavato nel capitolo sull’entropia la formula esplicita per la
variazione di entropia in un gas perfetto
p2 V2γ
∆S = ncv ln
p1 V1γ
Ovviamente, essendo definita a meno di una costante additiva, non avrebbe
senso parlare di S, ma solo di ∆S. Tuttavia, spesso per fare i conti è pratico
fare delle cose poco lecite. Vediamo cosa intendo
dT nRT
dS = ncV + dV ⇒ S = ncV ln T + nR ln V
T TV
306 CAPITOLO 3. FISICA
F = U − T S = ncV T − T (ncV ln T + nR ln V )
Dove vale lo stesso discorso fatto per l’entropia sulla bruttezza di questa
formula.
L’energia libera di Gibbs sarà
VC
Qass = LBC = nRTc ln
VB
Calcoliamo ora il lavoro compiuto in tutto il ciclo.
VA
LDA = nRTf ln
VD
VC VA
Ltot = LAB + LBC + LCD + LDA = LBC + LDA = nR Tc ln + Tf ln
VB VD
Calcoliamo quindi η
VC VA VA
nR Tc ln + Tf ln Tf ln
Ltot VB VD VD
η= = =1+
Qass VC VC
nRTc ln Tc ln
VB VB
Ora andiamo a calcolare in che relazione stanno i 4 volumi. Scriviamo in
forma alternativa l’equazione che descrive un’adiabatica.
nRT γ
pV γ = cost ⇒ V = cost ⇒ T V γ−1 = cost
V
Essendo TC = TB = Tc e TA = TD = Tf , otteniamo
1
( −1
TC VCγ−1 = TD VDγ−1
γ−1
VC Tf VB VA VC
⇒ = = ⇒ =
TA VAγ−1 = TB VBγ−1 VD Tc VA VD VD
ρ0 = ρ1 − ρ0
p0 = p1 − p0
Consideriamo il volumetto deformato di prima e scriviamo la seconda
legge della dinamica.
∂ 2ψ
F = ma ⇒ − (p1 (x + dx) − p1 (x)) A = ρ0 Adx 2
∂t
p1 (x + dx) − p0 (x + dx) − (p1 (x) − p0 (x)) ∂ 2ψ
− = ρ0 2
dx ∂t
∂p0 ∂ 2ψ ∂p0 ∂ρ0 ∂ 2ψ
− = ρ0 2 ⇒ − 0 = ρ0 2
∂x ∂t ∂ρ ∂x ∂t
Ma noi sappiamo che
∂ψ ∂ρ0 ∂ 2ψ
ρ0 = ρ1 − ρ0 = −ρ0 ⇒ = −ρ0 2
∂x ∂x ∂x
3.2. TERMODINAMICA 309
Quindi
∂p0 ∂ 2 ψ ∂ 2ψ
=
∂ρ0 ∂x2 ∂t2
Ora bisogna dire qualcosa di termodinamico riguardo il processo. Un’onda
di pressione di solito viaggia molto velocemente e quando ci sono processi
che avvengono a grande velocità è difficile che avvenga uno scambio di calore
considerevole, quindi potremo trattare il processo come adiabatico.
dp p
=γ
dρ ρ
Infine otteniamo quindi
∂ 2ψ p ∂ 2ψ
= γ
∂t2 ρ ∂x2
Che se confrontata con la 2.15 ci dice che l’impulso si propaga con una
velocità
r
γp
v=
ρ
Per concludere, è utile ricordare che abbiamo a che fare con un gas perfetto
e sostituire con l’espressione in termini di p e ρ con qualcosa in termini di T .
nµ RT RT
pV = nRT ⇒ p = ⇒p=ρ
V µ µ
Per cui,
s r
γRT γkB T
v= =
µ m
310 CAPITOLO 3. FISICA
an2
p + 2 (V − nb) = nRT
V
Dove a e b sono opportune costanti che tengono conto dei due fattori. È
importante notare e ricordare nei problemi che quando a, b → 0 l’equazione
si riconduce all’equazione di stato dei gas perfetti. Ricordatevene perché vi
servirà nei problemi.
Spesso questa equazione viene scritta in termini del volume molare Vm =
V
. Dividendo membro a membro entrambe i lati dell’equazione si ottiene
n
quindi
a
p + 2 (Vm − b) = RT
Vm
Spesso quelli che usano questa forma dell’equazione dimenticano28 la m
di molare. Se non c’è, probabilmente dovrebbe esserci. Mettetecela.
L’isoterma di Van der Waals La prima cosa che si nota quando si disegna
un’isoterma di Van del Waals è che la sua forma dipende strettamente dalla
temperatura. Per temperature alte, è una curva che assomiglia molto ad
28
Non hanno voglia di scrivere
3.2. TERMODINAMICA 311
un’iperbole, come per i gas perfetti, mentre per temperature basse la curva
fa una sorta di ansa ripiegandosi su se stessa
RT a
p= − 2
Vm − b Vm
In particolare, sotto una certa temperatura che viene chiamata Tc , la
pressione presenta due punti stazionari, mentre sopra quella temperatura non
ne ha. Per trovare questa temperatura, consideriamo i due punti stazionari.
∂p
Questi due sono le soluzioni dell’equazione = 0. Man mano che si
∂Vm
avvicinano, la curva fra di loro si appiattisce sempre di più, finchè nel punto
critico non diventa un punto di flesso. In particolare, nel momento in cui i
punti diventano lo stesso punto, si annulla la derivata seconda.
Per ottenere quindi le coordinate termodinamiche di questo punto, bisogna
quindi mettere a sistema
a
p + Vm2 (Vm − b) = RT
∂p
∂Vm
=0
∂2p = 0
∂V 2 m
a
pc + Vmc
2 (Vmc − b) = RTc
RTc 2a
− 2
+ 3 =0
(Vmc − b) Vmc
2RTc 6a
− 4 =0
(Vmc − b)3 Vmc
Dividiamo la seconda equazione per la terza ottenendo
Vmc − b Vmc
= ⇒ Vmc = 3b
2 3
Ributtiamo ciò che abbiamo trovato nella prima equazione.
RTc 2a 8a
2
= 3
⇒ Tc =
4b 27b 27Rb
Sostituiamo infine nella prima per trovare la pressione.
a 8a a
pc + 2b = R ⇒ p c =
9b2 27Rb 27b2
312 CAPITOLO 3. FISICA
27(RTc )3
a =
64Pc
b =
RT c
8Pc
Vg − nb an2
nRT ln + = pLG Vg
Vl − nb Vl
Ora dobbiamo fare delle altre approssimazioni per far uscire i parametri
che ci servono. Intanto possiamo trattare inizialmente il gas come perfetto
Vg − nb an2
nRT ln − = nRT (3.22)
Vl − nb Vl
an2
Per stimare il volume del liquido, possiamo notare che pl V
, per cui
an2 2 an abn2
(V − nb) = nRT ⇒ V − V + =0
V2 RT RT
314 CAPITOLO 3. FISICA
r r !
an a2 n2 abn2 an 4bRT
V1,2 = ± − = 1± 1−
2RT 4R2 T 2 RT 2RT a
Espandiamo in serie la radice
r
4bRT 1 4bRT 1 16b2 R2 T 2
1− ≈1− −
a 2 a 4 a2
È chiaro che delle due radici trovate sopra dovremo prendere la più piccola,
in quanto quando T → 0, avremo V → nb
1 16b2 R2 T 2
an 1 4bRT 2bRT
Vl = 1−1+ + = nb 1 +
2RT 2 a 4 a2 a
Riprendiamo l’equazione 3.22 approssimando all’ordine opportuno
Vg − nb an2
nRT ln − = nRT
2nb2 RT nb
a
Se poi infine Vg nb
nRT
pLG an2
nRT ln − = nRT
2nb2 RT nb
a
a a
ln 2 − =1
2b pLG bRT
a 2b2 pLG
− − 1 = ln
bRT a
a a
pLG = − 2 e bRT −1
2b
Che confrontata con l’equazione 3.17, con un rapido confronto ci fa trovare
la relazione
a λ a
= ⇒λ=
bRT RT b
Abbiamo quindi ottenuto il calore latente molare a partire semplicemente
dall’equazione di van der Waals.
3.2. TERMODINAMICA 315
1 p 1 ∂U 1 ∂U p
dU = T dS − pdV ⇒ dS = dU + dV = dT + + dV
T T T ∂T T ∂V T
1 ∂ 2U 1 ∂U 1 ∂ 2U 1 ∂p p
=− 2 + + − 2
T ∂T ∂V T ∂V T ∂T ∂V T ∂T T
∂U ∂p
=T −p
∂V ∂T
Sfruttiamo l’equazione di Van der Waals per ricavare la pressione
nRT an2
p= − 2
V − nb V
∂U an2 an2
= 2 ⇒ U (T, V ) = − + f (T )
∂V V V
Ora dovremmo ricordare che quando a, b = 0 un gas reale si riconduce ad
un gas perfetto. Di conseguenza,
an2
U (T, V ) = − + ncV (T, a, b)T
V
Purtroppo per via puramente termodinamica non si può dire molto altro.
Dobbiamo assumere che il calore specifico a volume costante sia indipendente
dagli altri parametri. Di conseguenza
an2
U (T, V ) = − + ncV T
V
316 CAPITOLO 3. FISICA
an2
đQ = 0 ⇒ dU = −pdV ⇒ ncV dT + dV = −pdV
V2
an2 an2
nRT
ncV dT = − 2 − + 2 dV
V V − nb V
dT R
=−cV dV
T V − nb
Fate molta attenzione a non fare cose tipo scrivere cp = cV + R o cose a
caso simili che avete acquisito come automatismi per i gas perfetti in quanto
non sono vere per i gas reali.
Ora possiamo tranquillamente integrare questa relazione ottenendo
cV
T1 R V1 − nb
ln = − ln
T0 V2 − nb
cV
T R (V − nb) = cost (3.23)
1. A → B espansione isoterma, Tc .
2. B → C espansione adiabatica.
3. C → D compressione isoterma Tf .
4. D → A compressione adiabatica.
B B
an2
VB − nb
Z Z
nRTc 1 1
LAB = pdV = − 2 dV = nRTc ln +an2 −
A A V − nb V VA − nb VB VA
3.2. TERMODINAMICA 317
2 1 1
LBC = −∆UBC = −(UB − UA ) = − ncV (Tf − Tc ) − an −
VC VB
Non dimenticatevi che U 6= ncV T , stolti!
VD − nb 2 1 1
LCD = nRTf ln + an −
VC − nb VD VC
2 1 1
LDA = − ncV (Tc − Tf ) − an −
VA VD
X VD − nb VB − nb
Lciclo = L = nRTf ln + nRTc ln
VC − nb VA − nb
Dove magicamente tutti i termini si sono semplificati tranne questi due.
Calcoliamo ora il calore assorbito, che viene scambiato tutto durante
A → B.
2 1 1 VB − nb 2 1 1
Qass = QAB = ∆UAB +LAB = −an − +nRTc ln +an −
VB VA VA − nb VB VA
VB − nb
Qass = nRTc ln
VA − nb
Calcoliamo quindi η.
VD − nb VB − nb VD − nb
Tf ln + nRTc ln ln
Lciclo VC − nb VA − nb Tf VC − nb
η= = =1+
Qass VB − nb Tc VB − nb
nRTc ln ln
VA − nb VA − nb
Ora possiamo utilizzare l’equazione 3.23 ricavata prima per un’adiabatica
di Van der Waals per usare lo stesso trucco che abbiamo usato per i gas
perfetti e ottenere che la frazione con i logaritmi fa −1.
Di conseguenza, otteniamo finalmente
Tf
η =1−
Tc
Ora cominciate ad avere più fiducia sulla validità di questa formula?
318 CAPITOLO 3. FISICA
an2
1
đQ
dU + pdV ncV dT + dV + pdV
an2 dV
cp = = = V2 = cV + p + 2
n dT p ndT ndT V ndT
an2
R p+ 2
V R R
cp −cV = 2 = 2 2 =
2 2an
an 2an V − nb 2a n
p + 2 − (V − nb) 3 1− 1− (V − nb)2
2 RT V 3
V V an V3
p+ 2
V
Che come potete ben vedere è ben lungi dall’essere una costante. Quindi
attenti a non usare a sproposito le cose imparate per i gas perfetti.
3.2. TERMODINAMICA 319
3.2.9 Problemi
Problema 3.2.1 (Temperatura nella colonna d’aria). Vogliamo
dare un modello della variazione della pressione e della temperatura nell’atmosfera
con l’altezza.
Modello 1: Considerare la temperatura nell’atmosfera costante e uguale a
quella al suolo, T0 noto. Trovare la pressione in funzione dell’altezza, sapendo che
a terra vale patm . Ovviamente trascurate venti, piogge e vari fenomeni atmosferici.
Trattate l’aria come un gas perfetto biatomico di massa molare µN2
Modello 2: Considerare uno strato d’aria che risale l’atmosfera senza scambiare
calore. Stesse domande del caso precendente, solo che stavolta T = 6 cost. Fino a
che altezza ha senso questo modello?
Soluzione: 4.3.32
1. Si trovi la formula per il calore molare del sistema in cui il calore viene fornito
in modo lento tale da mantenere l’equilibrio termodinamico e meccanico.
Soluzione: 4.3.34
3.2. TERMODINAMICA 321
29 8π 5 kB
4
a=
15h3 c3
322 CAPITOLO 3. FISICA
F 1
η=
A dv
dz
∂v(r, z) z ∂P (r, z)
= (3.24)
∂z η ∂r
Assumere che la goccia usi tutto il calore che riceve dal tavolo per evaporare e
non per aumentare la sua temperatura. Di conseguenza il valore della differenza di
temperatura fra la goccia e il tavolo è ∆T , noto e costante. Chiamare la pressione
atmosferica P0 . Assumere che la goccia rimanga sempre emisferica. Indicare con ρ
e ρv le densità della goccia e del vapore, rispettivamente.
∂P
1. Trovare v(r, z) in funzione di z, ∂r , b. Hint: cercate condizioni al contorno
sensate.
Assumere che si sia raggiunto lo stato stazionario e che il vapore prodotto
dall’evaporazione venga riversato tutto sotto la goccia.
2. Trovare P (r).
Soluzione: 4.3.37
3.3 Elettromagnetismo
3.3.1 Campo elettrostatico
Il campo elettrico Le cariche elettriche ferme si comportano in modo
molto simile alle masse. La legge che indica la forza di attrazione/repulsione
fra due cariche q1 , q2 ferme l’una rispetto all’altra è
1 q 1 q2
F = 2
4π0 r12
La forza è radiale come nel caso della gravità.
Supponiamo ora di avere un sistema di cariche tenute ferme in un qualche
modo, rispetto ad un riferimento inerziale S. In tal caso, introducendo una
piccola carica dq nel sistema, a patto di non spostare le altre cariche già
presenti, la forza sarà sempre
Z
1 q0 dq
F~ = 2
rb
V 4π0 r
Si può portare quindi q0 fuori dall’integrale, ottenendo che
F~ = q0 E
~
dove
Z
~ = 1 dq
E rb
V 4π0 r2
non dipende dalla carica q0 e rimane costante (non necessariamente uni-
forme) se le altre cariche rimangono ferme. Scoprirete che in realtà questo
campo vettoriale, chiamato campo elettrico, ha grande significato di per sè
e non è solo un semplice artificio per semplificare i conti. Inoltre, in questo
caso la forza è quella esercitata da una somma di forze centrali, per cui è
sicuramente conservativa se le altre cariche rimangono ferme.
~ = −∇V
E ~
e = 1, 602 · 10−19 C
In particolare, ogni elettrone ha carica −e e ogni protone ha carica +e. Un
neutrone ha carica 0. Esistono anche particelle più piccole, chiamate Quark,
che possono avere carica più piccola di questo valore, ma non possono esistere
come oggetti indipendenti, ma solo in gruppo con altri Quark in modo che
l’insieme abbia carica multipla e.
326 CAPITOLO 3. FISICA
Nella maggior parte dei problemi non è necessario tenere conto di questo
fatto ma a volte possono farvi domande a caso in cui dovete accorgervi che
una particella ha carica 2e e quindi può essere una particella α,30 per esempio.
Esempio 3.3.1. Per fare un esempio facile, prendiamo una carica puntiforme
~ r). Il problema ha evidentissima simmetria sferica, il
q. Vogliamo ricavare E(~
che ci suggerisce di scegliere una superficie sferica centrata nella carica, di
~ = E(r)b
raggio r. Il campo elettrico, a causa della simmetria sarà E r. Usiamo
il teorema di Gauss
~ = q
4πr2 0 E = q ⇒ E rb
4π0 r2
Che è ovviamente la formula del campo elettrico di una carica puntiforme.
~ ∂V ) = Φ(laterale) + Φ(basi)
Φ(E,
Dato che il versore area è ortogonale al campo elettrico nelle basi, il flusso
attraverso quelle due superfici è nullo. Rimane quindi il contributo sulla faccia
laterale
Φ = 2πrE(r)
La carica racchiusa nella superficie sarà q = λh. Quindi, usando Gauss
~ λ
E(r) = rb
2π0 r
Che è una formula che immagino abbiate già visto.
Per esercizio, ricaviamo lo stesso risultato facendo l’integrale, solo per far
vedere quanti conti risparmia il teorema di Gauss.
Z Z ∞
~ ~ 1 λ
E = dE = 2 2
− xdx
r[
−∞ 4π0 r + x
Z ∞ Z +∞
~ = 1 λ λ r
E 2 2
cos θ(x)dxb
r= rb 3 dx
−∞ 4π0 r + x 4π0 −∞ (x2 + r2 ) 2
Sfruttiamo la simmetria per cambiare il dominio dell’integrale portando
fuori un fattore 2. Inoltre, cerchiamo di avere dentro l’integrale delle quantità
adimensionali.
328 CAPITOLO 3. FISICA
Z ∞ Z ∞
~ = λ r x λ 1
E rb 2 3 rd = rb 3 dt
2π0 0 r3 (1 + r ) 2 r
x 2π0 r 0 (1 + t2 ) 2
Ora il problema non ha più niente di fisico e si riconduce a saper fare un
integrale. È una cosa molto importante riuscire a fare questo, in quanto ora
la nostra espressione è
~ = f (r)b
E rK
Ovvero noi conosciamo l’andamento di r in tutto lo spazio, conosciamo
la direzione ovunque, tutto quello che ci manca è un fattore moltiplicativo
K che indica il suo modulo. Questo è sicuramente importante se bisogna
costruire qualcosa, ma in generale, se vogliamo studiare un generico fenomeno
è la cosa che ci importa di meno in quanto sappiamo praticamente tutto sul
campo ovunque. Se poi va male e l’integrale non siamo capaci di farlo, mal
che vada lo si fa fare in modo approssimato ad un computer, ma la fisica del
problema è completamente compresa.
Vediamo ora di calcolare il nostro integrale in modo esplicito
Z
1
3 dt
(1 + t2 ) 2
Data la forma del denominatore
1 + t2
Può essere intelligente usare una sostituzione iperbolica, in quanto
cosh2 x = 1 + sinh2 x
Usiamo quindi
Z Z Z
1 1 1 sinh x t
dt = cosh xdx = 2 dx = tanh x = =√
cosh3 x
3
(1 + t2 ) 2 cosh x cosh x 1 + t2
Z ∞
1 t t
3 dt = lim √ − √ =1−0=1
0 (1 + t2 ) 2 t→∞ 1 + t2 1 + t2 t=0
dq = 2πσrdr
Il modulo del campo elettrico infinitesimo generato dalla corona sarà
quindi
2πσrdr
dE =
4π0 (d2 + r2 )
Come nell’esempio precedente, le componenti trasverse del campo si elidono
e quindi rimane solo una componente del campo che sarà
dE˜ = dE cos θ = dE √ d
d2 + r 2
Quindi in definitiva il campo sarà
R r R
Z R Z Z
σ rd σ d
d r σ d x
E= 3 dr = d =
r 2 23 d 3 dx
0 20 (r2 + d2 ) 2 20 0 (1 + d ) 20 0 (1 + x2 ) 2
Z R Rd
σ d x σ 1 σ 1
E= 3 dx = −√ = 1− q
20 0 (1 + x2 ) 2 20 1 + x2 0 20 R 2
1+(d)
~ = σn
0 EdA = σdA ⇒ E b
0
Dove abbiamo indicato con n b il versore ortogonale alla superficie.
Questa formula correla quindi il campo elettrico sulla superficie di un
conduttore con la densità di carica superficiale e prende in nome di teorema
di Coulomb
Vorrei far notare che questa formula differisce dalla 3.25 per un fattore 2.
Attenti a non confondere l’una con l’altra, il significato fisico è molto diverso.
Il teorema del guscio sferico Una cosa in particolare può risultare par-
ticolarmente controintuitiva da vedere perciò ritengo sia il caso di darci
un’occhiata.
Consideriamo un guscio sferico fatto da conduttore, di raggi r1 < r2 .
Andiamo a posizionare ferma una carica puntiforme q al centro della sfera. A
questo punto le cariche sul conduttore si distribuiranno sulle due superfici in
modo da rendere nullo il campo dentro il conduttore e uniforme il potenziale.
In particolare basta applicare il teorema di Gauss ad una superficie di raggio
r1 < r < r2 per vedere che sulla superficie r1 si accumula in modo uniforme
una carica −q. Dato che il conduttore era globalmente neutro all’inizio, dovrà
esserlo anche alla fine, perciò sulla superficie esterna r2 dovrà esserci una
carica totale q. Data la simmetria del problema, si distribuirà di nuovo in
modo uniforme.
Domandiamoci ora che cosa succede se la carica puntiforme q fosse stata
posizionata non al centro del nostro guscio ma in un punto a caso all’interno.
Applicando di nuovo Gauss ad una superficie sferica di raggio r1 < r < r2
si ottiene di nuovo che sulla superficie interna si accumula −q e poi con lo
stesso ragionamento si arriva a dire che su quella esterna si accumula q. La
3.3. ELETTROMAGNETISMO 333
differenza rispetto a prima è che adesso non abbiamo più la simmetria sferica,
a priori.
Sulla superificie interna, infatti, la carica totale sarà −q, ma in generale
ovviamente non si avrà simmetria, ovvero le cariche saranno più concentrate
più vicino a dove si trova la carica interna q.
A questo punto resta da calcolare che cosa succede sulla superficie esterna.
La cosa sorprendente è che anche in questo caso, la distribuzione di carica è
uniforme sulla superficie esterna. Questo fatto è poco intuitivo, ma si può
spiegare dicendo che all’interno del conduttore, il campo generato dalla carica
libera q è completamente neutralizzato dall’effetto delle cariche sulla superficie
interna. Di conseguenza, se vogliamo che il campo dentro il conduttore
rimanga nullo anche dopo che abbiamo considerato la carica esterna +q, deve
per forza essere a simmetria sferica. Di conseguenza, ovunque ci troviamo
nello spazio fuori dalla sfera, questa si comporta esattamente come se fosse
una carica puntiforme centrata nel centro della sfera!
µ ~ ~ − µ d~ × (−q E)
~ = q d~ × Eµ 1 1
~τ = d × qE ~ + = q d~ × E
~
m+ m− m+ m−
~ otteniamo
E se definiamo il vettore dipolo elettrico p~ = q d,
~
~τ = p~ × E
Come vedete non è una formula complicata, ma vi consiglio di tenerla a
mente comunque
Calcoliamoci ora invece il campo elettrico generato dal nostro dipolo
elettrico. In particolare, siamo interessati a vedere come si comporta il dipolo
a grandi distanze, ovvero per r d. Calcoliamo il campo in modo esatto e
poi faremo le giuste approsimazioni
d~ d~
!
~ =E ~+ + E ~− = q ~
r + 2
~
r − 2
E − =
4π0 |~r + d~ |3 |~r − d~ |3
2 2
! !!
q 1 1 d~ 1 1
= ~r ~
− ~
+ ~
+ ~
4π0 |~r + d2 |3 |~r − d2 |3 2 |~r + d2 |3 |~r − d2 |3
! !! ! !!!
~ = q ~r 3 d~ 3 d~ d~ 3 d~ 3 d~
E 1 − rb · − 1 + rb · + 3 1 − rb · + 1 + rb · =
4π0 r3 2 r 2 r 2r 2 r 2 r
!
q ~r 3d~ d~ r(~p · rb) − p~
3b
= − 3 rb · + 3 =
4π0 r r r 4π0 r3
r(~p · rb) − p~
~ = 3b
E (3.26)
4π0 r3
Calcoliamo ora in modo più semplice il potenziale elettrostatico generato
dal dipolo, svoglendo il calcolo nello stesso modo, solo che ora non abbiamo a
che fare con vettori ma con scalari,
!
q 1 1
V = V+ + V− = −
4π0 |~r + d~ | |~r − d~ |
2 2
d
Come prima, consideriamo l’espansione al primo ordine in
r
! !!
q d~ d~ q d~ · rb p~ · rb
V = 1 − rb · − 1 + rb · = = (3.27)
4π0 r 2 2 4π0 r2 4π0 r2
Notare, che come per il campo elettrico, la potenza dominante del poten-
ziale decresce molto più rapidamente del potenziale generato da una carica
puntiforme.
Vediamo ora rapidamente in che modo avremmo potuto ricavare il campo
elettrico, formula leggermente brutta, a partire dal potenziale che è invece
molto semplice. Scriviamo la definizione di potenziale a partire dal campo
elettrico
~ = −∇V
E ~ p~ · rb
~ = −∇
4π0 r2
A questo punto si può agire in diversi modi. Il più diretto e burino è
scrivere tutto i coordinate cartesiane, fare i conti e poi ricostruire un’equazione
vettoriale. Il modo più intelligente invece può essere di fare manipolazioni
vettoriali furbe. Intanto cerchiamo di capire cosa varia nell’espressione e cosa
336 CAPITOLO 3. FISICA
no, perché sarà quello a decidere cosa ci tocca derivare e cosa no. Sicuramente
r è variabile, ma anche rb varia. L’esperienza ci dice che è furbo scrivere
~ = −∇V
E ~ p~ · ~r
~ = −∇
4π0 r3
In quanto adesso possiamo derivare più agilmente. Vediamo come, sfrut-
tando la regola della derivata del prodotto
~ = −∇V
~ = −~p · ~r∇
~ 1 1 ~
E 3
− ∇(~p · ~r)
4π0 r 4π0 r3
Il primo pezzo è facile in quanto ∇ ~ 13 = − 34 rb, mentre il secondo è
r r
leggermente più ostico da vedere. Per farlo possiamo scriverlo in cartesiane
~ p · ~r) = ∇(p
∇(~ ~ x x + py y + pz z) = px x
b + py yb + pz zb = p~
Mettendo insieme tutto,
~ = 3(~p · ~r)b
E
r
−
p~
=
3(~p · rb)b
r − p~
4π0 r 4 4π0 r 3 4π0 r3
Esattamente come visto prima, con difficoltà.
Inoltre, è anche ovvio che su un dipolo elettrico agiranno delle forze
se immerso in un campo elettrico E ~ esterno non generato da lui stesso.
Consideriamo quindi due cariche q, −q attaccate da una barretta inestensibile
~ Supponiamo che la carica negativa si trovi nel punto ~x. La forza
lunga d.
totale agente sul dipolo sarà
~
1 ∂|E|
~
|d|
~ ∂x
|E|
Dove in realtà x non ha nulla da invidiare alle altre variabili, l’ho scelta
solo perché non mi viene in mente un modo migliore di scriverlo. Andiamo
quindi ad espandere in serie al primo ordine il campo elettrico in modo da
3.3. ELETTROMAGNETISMO 337
capire cosa succede alla forza nel limite di dipolo piccolo. Consideriamo la
componente i-esima del campo
~ − Ei (~x) = ∇E
Ei (~x + d) ~ i · d~
Ovvero
~ i·d
Fi = q ∇E
Notiamo che q d~ = p~, per cui
~ i·p
Fi = ∇E
A questo punto, se il campo è effettivamente elettrostatico, allora si ha
3 3 3
X ∂Ei X ∂Ej X ∂ ∂ ~
Fi = pj = pj = (Ej pj ) = E · p~
j=1
∂xj j=1
∂xi j=1
∂x i ∂x i
Per cui,
F~ = ∇(
~ E~ · p~)
~
U = −~p · E
Quella che abbiamo calcolato adesso è effettivamente la forza agente
sull’intero dipolo. Dato che è a tutti gli effetti un corpo rigido, ci aspettiamo
che su di esso agisca anche un momento ~τ rispetto al suo centro. In questo
caso sarebbe anche opportuno definire il centro. Assumiamo che il centro di
338 CAPITOLO 3. FISICA
massa corrisponda con il baricentro delle cariche, ovvero che il baricentro stia
a metà della sbarretta. Andiamo a calcolare il momento rispetto a quel punto
!
d~ ~ d~ ~dq
~ + E(~
~ x + d) ~ x)
~τcm = × F+ − × F− = × E(~
2 2 2
Questa formula è ancora esatta. Possiamo preliminarmente approssimarla
all’ordine 0 notando che stavolta i due campi elettrici sono concordi e non
discordi, per cui approssimando brutalmente con E(~ ~ = E(~
~ x + d) ~ x) otteniamo
subito un momento non nullo che è
~
~τcm = p~ × E
Dove dobbiamo fare attenzione a non mettere i termini con indice uguale
e dobbiamo anche ricordarci che se mettiamo la coppia i, j non dobbiamo
mettere la coppia j, i, in quanto l’energia potenziale è della coppia e non
della coppia ordinata. Per far assumere un aspetto più simmetrico alla nostra
espressione, possiamo notare che se facciamo
XX
qi q j
i j
Contiamo esattamente due volte ogni coppia (oltre a contare anche i casi
i = j), quindi possiamo scrivere
1 1 X qj q j
U=
2 4π0 i6=j rij
3.3. ELETTROMAGNETISMO 339
ρ(~r)ρ(~r0 ) 0
Z Z
1
U= dV dV
8π0 V V 0 |~r − ~r0 |
Ovvero bisogna integrare su tutto lo spazio in cui c’è carica due volte. Se
poi notiamo che
ρ(~r0 )
Z
1
0
dV 0 = φ(~r)
4π0 V 0 |~r − ~r |
Allora la nostra espressione prende una forma abbastanza semplice e
sensata
Z
1
U= φ(~r)ρ(~r)dV
2 V
Vorrei farvi notare la presenza del fattore 1/2 che può confondere le
idee. L’espressione φρdV è effettivamente l’energia potenziale della singola
carica dq immersa nel potenziale φ, ma noi in questo caso non stiamo
cercando questo. Noi stiamo associando un’energia potenziale all’intero
sistema, ovvero la carica dq e quello che genera il potenziale φ. Di conseguenza
il ragionamento da fare è quello che abbiamo fatto sopra e non uno diverso.
La presenza del fattore 1/2 è dovuta proprio al fatto che bisogna prestare
attenzione al non contare le cose due volte.
Possiamo trovare un’espressione alternativa per quello trovato sopra espri-
mendo tutto in termini del campo elettrico E ~ generato dal potenziale φ.
Ricordiamo quindi che E ~ = −∇φ~ e ricordiamo la prima legge di Maxwell,
ovvero il teorema di Gauss per l’elettrostatica
~ = ρ ⇒ ∇2 φ = − ρ
~ ·E
∇
0 0
L’espressione per l’energia potenziale del sistema può quindi scriversi
Z
0
U =− φ(~r)∇2 φ(~r)dV
2 V
Ora andiamo a fare un po’ di manipolazioni con le formule per far tornare
fuori una formula alternativa che sarà utile in molti casi. Consideriamo
l’identità matematica
340 CAPITOLO 3. FISICA
~ · (ψ ∇φ)
∇ ~ = ∇ψ
~ · ∇φ
~ + ψ∇2 φ
Dove ψ, φ sono generiche funzioni scalari. Questa è un’identità vettoriale,
non ha niente di fisico. Tuttavia, se andiamo a considerare il caso particolare
ψ=φ
~ · (φ∇φ)
φ∇2 φ = ∇ ~ − ∇φ
~ · ∇φ
~
Usiamo questa formula per modificare la nostra espressione
Z
0 ~ ~ ~ ~
U= ∇φ · ∇φ − ∇ · (φ∇φ) dV
2 V
Aggiungiamo ora qualcosa al nostro modello. Separiamo il secondo pezzo
dell’espressione
Z I
~ ~
∇ · (φ∇φ)dV = ~ · dA
(φ∇φ) ~
V ∂V
~ = −E.
Sappiamo che ∇φ ~
I
− ~ · dA
φE ~
∂V
Fin’ora non abbiamo assunto assolutamente niente sulla natura della
nostra distribuzione di cariche. Ora facciamo l’assunzione che la distribuzione
sia localizzata, ovvero che esista un volume finito al di fuori del quale ρ = 0
ovunque. In tal caso è sufficiente prendere un volume V con contorno ∂V
molto più grande di questo volume per accorgersi che la situazione in cui il
campo elettrico e il potenziale sono più intensi a grandi distanze è quando il
nostro ammasso non è globalmente neutro ma ha una carica totale Q. In tal
caso prendendo una superficie gaussiana molto più grande del volume in cui
è compreso il tutto, avremo che
Q Q
E∼ V ∼
r2 r
Per cui il nostro integrale sarà
I
~ ∼ Q Q · R2 ∼ 1 → 0
~ · dA
φE
∂V R R2 R
Per cui in queste ipotesi il termine di bordo si semplifica e rimane
3.3. ELETTROMAGNETISMO 341
Z Z
0 ~ · ∇φdV
~ 0
U= ∇φ = E 2 dV (3.28)
2 V 2 V
Se definiamo
1
u = 0 E 2
2
La densità di energia associata al campo elettrico, allora il nostro integrale
è
Z
U= udV
Dove l’integrale è da fare su tutto lo spazio. Vorrei farvi notare che c’è
una differenza fra le espressioni
1 1 X qj q j
U1 =
2 4π0 i6=j rij
e
ρ(~r)ρ(~r0 ) 0
Z Z
1
U2 = dV dV
8π0 V V0 |~r − ~r0 |
In quanto abbiamo mostrato che sotto alcune ipotesi la seconda si esprime
in termini del quadrato del campo elettrico, ovvero U2 ≥ 0, mentre è facile
prendere configurazioni con un numero finito di cariche puntiformi per cui
U1 < 0. 32 Cosa c’è di diverso in quello che abbiamo fatto?
Andiamo ad usare la formula 3.28 per un sistema di cariche puntiformi
per vedere che cosa abbiamo toppato. Prendiamo quindi due cariche q e −q
poste a distanza d e calcoliamo l’energia della configurazione.
Z Z Z
0 2 0 ~ − )2 dV = 0
~ + +E ~ ~
U= E dV = (E E+2 + E−2 + 2E+ · E− dV
2 2 2
Z
q q
3
(~r − ~r+ ) · (~r − ~r+ )dV
|~r − ~r+ | |~r − ~r− |3
Ora bisogna fare un po’ di conti schifosi per valutare l’integrale. Se non
vi interessano saltate qualche riga.
COPIA I CONTI DAL JACKSON
Per cui il termine dà effettivamente l’energia potenziale dell’interazione
che avevamo scritto all’inizio
q1 q 2
U=
4π0 d12
Cosa rappresentano gli altri due termini dovuti ad E+2 e E−2 ? Intanto
notiamo che sono positivi. In realtà sono molto positivi, ovvero
Z 2 Z ∞
q 1
E+2 dV = 2
4πr dr ∼ dr → ∞
4π0 r2 0 r2
Ovvero questo termine non solo è sempre positivo, ma è pure infinito!
In questo termine, l’unico oggetto fisico che conta è effettivamente la carica
positiva. Se andiamo ad associare al campo elettrico un’energia, ovviamente
qualsiasi cosa dotato di carica porterà con sè dell’energia a causa del campo
che genera. Il problema di considerare la carica puntiforme è proprio il fatto
che questo termine è infinito. In meccanica quantistica verrà risolto questo
problema. Per i problemi che dovete fare voi, semplicemente ricordatevi di
questo fatto e togliete questo contributo infinito per far tornare i conti. Del
resto, se cercate la differenza di energia fra due configurazioni, se le cariche
non annichiliscono l’auto-energia dovuta alla singola particella ci sarà sia
prima che dopo, quindi tanto vale non considerarla, anche se è infinita.
ρ
∇2 V = −
0
Ma dato che stiamo considerando solo il potenziale generato da altre cariche
esterne, sarà ρ = 0 e quindi ∇2 V = 0. Le funzioni che rispettano quest’ultima
equazione si dicono funzioni armoniche. Una proprietà interessante di queste
funzioni è la proprietà del valore intermedio.
FINISCI DI SCRIVERE
Condensatori
Uno dei componenti principali dei circuiti elettrici che avrete sicuramente
già incontrato è il condensatore (anche detto capacitore). Un condensatore è
composto da un insieme di conduttori (in genere due), disposti rigidamente
in un certo modo. Nei condensatori veri, c’è sempre un materiale dielettrico
fra i due, che aiuta a mantenere la geometria dell’oggetto e, come vedremo
più avanti, aiuta anche a rendere più efficace il tutto.
I condensatori vengono costruiti per diversi motivi. Uno di questi è poter
avere campi elettrici abbastanza intensi e controllabili in regioni ristrette. Un
altro è immagazzinare energia accumulando carica per poi rilasciarla molto
velocemente.
Nella situazione più comune, abbiamo condensatori composti da due
oggetti metallici molto vicini e su uno dei due vi è una carica elettrica +q,
mentre sull’altro una −q. I due conduttori, essendo all’equilibrio, avranno
un potenziale elettrostatico uniforme su tutto il volume e quindi avrà senso
parlare di differenza di potenziale fra i due conduttori ∆V . Per motivi storici
spesso non viene chiamata ∆V bensı́ V .
Inoltre, proprio per la condizione di equilibrio dei conduttori si ha che il
rapporto
q
C=
V
è costante e dipende solo dalla geometria del nostro oggetto. Vorrei far
notare che q non è la carica del condensatore, in quanto la carica totale è
nulla, bensı́ è la carica separata, ovvero se su un conduttore cè q e sull’altro
−q, allora la carica separata è q.
La costante geometrica C viene chiamata capacità del condensatore e
dato che dipende solo dalla geometria dell’oggetto è opportuno calcolarla per
alcuni oggetti tipici da incontrare, come sfere, cilindri. . . Vediamo un paio di
esempi su come si calcola la capacità di un oggetto.
Prima di andare a vedere gli esempi, vorrei solo aggiungere che C si misura
ovviamente in VC dove C indica coulomb e V indica i volt. Questa unità
di misura viene chiamata F , farad. Fisicamente, si ha a che fare solo con
oggetti che hanno capacità dell’ordine dei µF o nF . Un condensatore con una
capacità dell’ordine dei mF è estremamente grosso e credo se ne vedano solo
in apparecchi che richiedono molta energia come negli impianti industriali.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 345
C = 4π0 r1
Vorrei far notare a titolo di esempio che se prendiamo come condensatore
la Terra, la sua capacità è di
~ ∂V ) = q ⇒ 0 2πrhE(r) = q ⇒ E(r) = q
0 Φ(E,
2π0 rh
3.3. ELETTROMAGNETISMO 347
Q2
U=
2C
Che può essere espressa anche in termini della ddp V
(CV )2 1
U= = CV 2
2C 2
348 CAPITOLO 3. FISICA
Teorema 3.3.1 (Carica immagine). Sia V una regione dello spazio delimitata
da ∂V . Supponiamo di conoscere il potenziale elettrostatico U (~r) per ogni
punto della superficie.
Allora il campo elettrico all’esterno di V è univocamente determinato.
Problemi
Problema 3.3.1 (Volume infinito di carica). Considerate un
parallelepipedo infinito con densità di carica uniforme ρ. In formule, dato un
riferimento cartesiano xyz, la densità di carica in tutto lo spazio è
(
ρ Se − a < x < a
0 Altrimenti
Dove a è una costante positiva con le dimensioni di una lunghezza.
Soluzione: 4.3.39
1. Da questo guscio viene tolta una zona molto piccola. Trovare il campo
elettrico al centro del buco.
2. Quanto vale la densità media di carica spaziale tra le due superfici sferiche di
raggio R1 ed R2 ? Si può facilmente verifcare ( per esempio considerando due
corone sferiche di uguale volume ) che la densità di carica spaziale non può
essere uniforme; essa sarà quindi funzione della distanza dal centro: ρ = ρ(r).
4. Tracciare i grafici del campo elettrico E(r), della densità di carica (volu-
metrica) ρ(r) e del potenziale elettrostatico V (r), con V∞ = 0, per ogni r
compreso nell’intervallo [0, 5R].
Una particella di massa m e carica q > 0, lanciata radialmente dall’esterno
verso il centro della distribuzione sferica, riesce ad attraversare la sfera se la
sua velocità iniziale ha un valore qualunque maggiore di v0 (e la conservazione
dell’energia mostra che v02 = 2qE0 R/m).
La stessa particella viene lanciata, da fuori, con velocità di modulo v0 in
modo che nel punto di ingresso la direzione sia ruotata di 45◦ rispetto a
quella radiale; la particella raggiunge una distanza minima dal centro delle
distribuzione (rmin ) per poi uscire di nuovo all’esterno.
4. Si calcoli la densità di carica indotta σ(r) nel punto S e si dica quanto vale
nel punto della superficie della lastra dove il suo modulo è massimo.
Soluzione: 4.3.41
3. Trovare la carica indotta sulla superficie interna (il totale, non la distribuzio-
ne).
4. Trovare la carica totale indotta (ovvero presa dalla terra) sul guscio.
5. Rispondere alle due domande precedenti nel caso in cui invece il guscio sia
scarico ed isolato.
1. Mostrare che le superfici equipotenziali sono dei cilindri circolari con asse
parallelo ai fili (dovete capire voi centrati dove)
Soluzione: 4.3.42
dq
I(x, t) =
dt
Ovvero la quantità di carica che attraversa la superficie di interesse
nell’unità di tempo. Dato che in generale i circuiti elettrici e le sorgenti non
saranno monodimensionali, è opportuno dare una generalizzazione di questa
definizione che ci aspettiamo sia di natura vettoriale per dare una direzione e
un verso allo spostamento delle cariche elettriche.
~ x, t), tale che, data una qualsiasi
Possiamo quindi definire il vettore J(~
superficie Σ valga l’uguaglianza
Z
IΣ (t) = ~ x, t) · dA
J(~ ~
Σ
J~ = ρ~vd
Dove ρ è la densità di carica per unità di volume e ~vd non è la velocità
degli elettroni (che trasportano la carica) ma è la velocità di deriva, ovvero
come mediamente si sposta la massa. Gli elettroni infatti si muovono ad
altissima velocità di moto caotico ma in pratica si spostano di poco a causa
del gran numero di urti che fa spesso cambiare direzione. La velocità di deriva
è quindi la misura di quanto si sposta nettamente la carica. Per dare una
3.3. ELETTROMAGNETISMO 359
~ · J~ + ∂ρ = 0
∇
∂t
Che è l’equazione di continuità nel caso locale. Fisicamente questa equa-
zione indica solamente la conservazione della carica elettrica totale. Tuttavia,
in un certo senso ci dice una cosa ovvia ma comunque importante: non è solo
la carica elettrica totale a conservarsi, la conservazione vale punto per punto.
Se in un certo punto dello spazio vi è una diminuzione o un accumulo di
carica, allora per forza deve esserci una divergenza della densità di corrente,
che ci dice in pratica che la carica non può sparire in un punto e ricomparire
in un altro, deve per forza esserci una corrente che la porta da un punto
all’altro.
Per questo capitolo noi esamineremo la magnetostatica, ovvero fenomeni
magnetici in cui le varie quantità fisiche non variano nel tempo. Per questo
motivo in questo capitolo prenderemo sempre
∂ρ
=0
∂t
Che comporta immediatamente
~ · J~ = 0
∇
Che espressa in forma integrale, che forse vi è più familiare
I
J~ · dA
~=0 ∀∂V
∂V
Che ci dice che la carica non si accumula o non sparisce da nessuna parte.
Nei capitoli successivi, generalizzeremo questo a distribuzioni qualsiasi.
Il modello più banale che possiamo fare è il modello che si usa più spesso,
ovvero il modello di Ohm, in cui la relazione fra il campo elettrico e la densità
di corrente è lineare
~ = ρJ~
E
dove ρ è per una quantità chiamata resistività, che caratterizza il materiale
e dipende da alcuni parametri aggiuntivi come la temperatura T . Sfortunata-
mente tutti hanno scelto nel tempo di usare come nome ρ, che si confonde con
la carica libera. In questa formula il vettore E~ rappresenta il campo elettrico
esterno applicato al conduttore e il vettore J~ rappresenta il vettore densità di
corrente generato dal campo elettrico esterno.
Questa legge si può scrivere nella forma equivalente
J~ = σ E
~
Dove la quantità
1
σ=
ρ
Viene chiamata conducibilità elettrica, ed è semplicemente un modo
diverso di chiamare le cose, non ha niente di fisica in più. A volte si preferisce
usare questa formulazione solo perché se vi è appunto una carica libera ρ è
estremamente facile confondere la resistività con la carica.34
In questa legge si suppone che la resistenza sia lineare, ovvero che campo
elettrico e densità di corrente siano sempre parallele. In generale non sarà
sempre vero, ma alle Olimpiadi non credo vi capiterà mai di avere una
situazione diversa. In tal caso la resistività va sostituita con un tensore a due
indici, ovvero una matrice, che permette di legare E ~ e J~ in modo che non
siano necessariamente paralleli.
Per convincersi che non sia necessario il parallelismo fra i due vettori,
consiglio di pensare ad un analogo termodinamico: conduzione di calore
attraverso del legno molto nodoso. Sarà comune a tutti voi vedere che nel
legno nodoso le fiamme non si espandono in modo isotropo ma seguono le
linee del legno. Il paragone non è proprio lo stesso ma per avere un’idea del
perché va più che bene.
34
Ovviamente anche σ si confonde con la densità superficiale di cariche. Sta a voi o a
chi ha scritto il problema la scelta della formulazione che confonde meno.
362 CAPITOLO 3. FISICA
F~ = q E
~
~ = 1 J~
Ma dato che E 35
,
σ
q
F~ = J~
σ
Ma questa non è una relazione che ci aspettavamo, in quanto F~ è collegato
all’accelerazione delle particelle, non alla velocità come è J~ ! Questa formula
sarebbe quindi
q
m~a =
ρ~vd
σ
Evidentemente c’è qualcosa che non va in questa equazione in quanto la
soluzione non ci sembra molto fisica. Per correggere questo modello dobbiamo
aggiungere una forza, che renda sensato quello che abbiamo scritto. In questo
caso infatti sembra che le cariche continuino ad accelerare fino all’infinito. Il
conduttore deve quindi in qualche modo esercitare una forza su queste cariche
35
Ho scelto σ per cercare di fare meno confusione con ρ di carica, non per altri motivi.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 363
F~R = −γ~vd
q
m~a = ρ~vd − γ~vd
σ
Che per un opportuno valore di γ porta alla soluzione stazionaria che
volevamo
~a = 0
In particolare, la relazione è
q nq 2
γ= ρ=
σ σ
Dove ho indicato con n la densità numerica di portatori di carica, ovvero
per definizione il valore n tale che valga
ρ = nq
F~B = q~v × B
~ (3.29)
364 CAPITOLO 3. FISICA
d~v ~
m = q~v × B
dt
Esempio 3.3.7 (Carica in campo magnetico uniforme e costante). Se B ~ è
costante e uniforme, questa è evidentemente l’equazione differenziale che
~ con frequenza
descrive il moto di un vettore ~v che precede rispetto all’asse B
qB
ω=
m
Per vederlo in modo più sensato, scriviamo l’equazione in questo modo
d~v ~
= Ω × ~v
dt
Dove
~
~ = − qB
Ω
m
Dal capitolo sui riferimenti non inerziali dovrebbe risultare facile da vedere
che cambiando il nostro sistema di riferimento S in un altro S 0 tale che S 0
ruoti di −~ω rispetto a S, in quel riferimento si avrà
d~v δ~v
~ × ~v
~ × ~v
~ × ~v
= + (−Ω) = Ω + (−Ω) =0
dt S0 δt S S S S
36
Ma ferme rispetto a cosa? Se io mi metto in un riferimento in moto, vedo la carica in
movimento, quindi se il campo magnetico non cambiasse avrei che sulla carica agisce una
forza, quindi questa accelera, cosa completamente sbagliata perché violerebbe il principio di
relatività secondo cui la fisica vale in ogni riferimento inerziale. Questo è sicuramente uno
dei primi dubbi che hanno portato alla formulazione della teoria della relatività ristretta.
In poche parole, cambiando sistema di riferimento i campi elettrici e magnetici variano.
Andate a vedere il paragrafo di relatività a riguardo per ulteriori informazioni.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 365
Per cui ~vS 0 è costante, da cui si ottiene che ~v in S precede intorno all’asse
Ω con quella frequenza.
Per completezza, vediamo comunque di risolvere in modo esplicito l’equa-
zione differenziale per vedere cosa succede
d~v ~
= Ω × ~v
dt
~ e gli altri due a caso, ortonormali.
Prendiamo 3 assi, z lungo Ω
v̇x = −Ωz vy
v̇y = Ωz vx
v̇z = 0
vy = A cos(Ωt + φ)
E dato che Ωz vx = v̇y , otteniamo
vx = −A sin(Ωt + φ)
Ovvero il vettore ~v si muove su una circonferenza centrata sull’asse Ω, ~
ovvero precede intorno a quell’asse.
Fisicamente abbiamo mostrato quindi che in generale una particella libera
in campo magnetico si muove su una spirale. In particolare, se la compo-
nente parallela al campo della velocità è nulla, allora la traiettoria è una
circonferenza.
Le cariche puntiformi non sono gli unici oggetti su cui un campo magnetico
può esercitare una forza. Evidentemente q~v è la generalizzazione discreta di
~ Non è difficile allora capire che la forza agente su
una densità di corrente J.
una certa densità di corrente sarà
Z
~
F = J~ × BdV
~
V
366 CAPITOLO 3. FISICA
J~ · dA
~
Sarà uguale alla corrente che passa nel filo I. Se vogliamo mantenere il
~
carattere vettoriale di JdV dovremo quindi inventarci qualcosa relativo a dl.
In particolare possiamo tranquillamente per convenzione dargli il carattere di
~ Scriveremo quindi
vettore con la stessa direzione e verso di J.
~
JdV = Id~l
Che ci permette di scrivere la forza agente su un filo percorso da corrente
Z
F = Id~l × B
~ ~
γ
F~L = q(E
~ + ~v × B)
~ (3.30)
Dove il pedice L indica il nome che si dà a questa forza in onore dei fisici
che hanno contribuito alla teoria. In questo caso si chiama forza di Lorentz.
Ovvero data una qualsiasi superficie chiusa, il flusso del campo magnetico
attraverso questa superficie è nullo. In forma locale si può esprimere usando
il teorema della divergenza
I Z
0= ~ ~
B · dA = ∇~ · BdV
~
∂V V
~ ·B
∇ ~ =0
~ ×E
∇ ~ =0
~ ×B
∇ ~ = µ0 J~
Che, badate bene, non vale sempre ma solo quando non c’è campo elettrico
oppure questo non varia nel tempo. Notiamo che in magnetostatica questa
situazione è sempre verificata in quanto prendendo la divergenza di questa
equazione si ottiene
~ ·∇
∇ ~ ×B
~ = µ0 ∇
~ · J~ ⇒ 0 = ∇
~ · J~
37
Si chiama legge di Ampere
368 CAPITOLO 3. FISICA
~ ∂V ) = 0
Φ(B,
Mentre lungo le due basi del cilindro l’unica componente a fare flusso sarà
quella lungo z, ma dato che Bz non cambia, il flusso del campo sulla base
inferiore è esattamente opposto al flusso sulla base superiore, per cui il flusso
attraverso le basi sarà nullo
Φbasi = 0
Da cui
~ =∇
B ~ ×A
~
In particolare, questo potenziale non è uno scalare ma è un vettore.
Notiamo inoltre che
~ ·B
∇ ~ =∇
~ ·∇
~ ×A
~ = 0 ∀A
~
Ovvero passando al potenziale vettore abbiamo gratis la legge di Gauss
per la magnetostatica, dato che la divergenza del rotore è sempre nulla.
Il potenziale vettore è uno strumento molto avanzato e ovviamente non
siete nemmeno tenuti a conoscere la sua esistenza. A livello delle Olimpiadi
38 ~ è uno pseudovettore il risultato è banale, ma non ho mai definito
Usando il fatto che B
cos’è e al momento non ho voglia di farlo.
370 CAPITOLO 3. FISICA
~
∂E
La legge di Biot-Savart Consideriamo il caso elettrostatico, in cui ∂t
= 0.
Allora vale la legge di Ampere
~ ×B
∇ ~ = µ0 J~
~
Esprimiamo questa legge in termini del potenziale vettore A
~ ×∇
∇ ~ ×A
~ = µ0 J~
~ ∇
∇( ~ · A)
~ − ∇2 A
~ = µ0 J~
~ = −µ0 J~
∇2 A
Che è l’equazione di Laplace, confrontabile per esempio con
ρ
∇2 V = −
0
La soluzione sarà ovviamente analoga, per cui troviamo
Z ~ r0 )
~ r ) = µ0
A(~
J(~
dV 0
4π R3 |~r − ~r0 |
Da cui possiamo ricavare B ~ derivando sotto il segno di integrale, in quanto
0
l’integrazione è su ~r e non su ~r
Z ~ 0
~ =∇
B ~ = µ0
~ ×A ~ × J(~r ) dV 0
∇
4π R3 |~r − ~r0 |
Calcoliamo in parte il termine
3.3. ELETTROMAGNETISMO 371
~ 0
~ × J(~r )
F~ = ∇
|~r − ~r0 |
Chiamiamo x, y, z le coordinate di ~r e x0 , y 0 , z 0 le coordinate di ~r0 . Calco-
liamo la componente x del vettore F~
Jz (~r0 ) Jy (~r0 )
∂ ∂ 0 ∂ 1 0 ∂ 1
Fx = − = Jz (~r ) −Jy (~r )
∂y |~r − ~r0 | ∂z |~r − ~r0 | ∂y |~r − ~r0 | ∂z |~r − ~r0 |
1 1
0
=p
|~r − ~r | (x − x0 )2 + (y − y 0 )2 + (z − z 0 )2
Per cui
∂ 1 xi − x0i
= −
∂xi |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |3
Da cui deriva
0 0 0
Jz (~r )(y − y ) − Jy (~r )(z − z ) 0 (~r − ~r0 ) × J~
x
Fx = − =−
|~r − ~r0 |3 |~r − ~r0 |3
Con calcolo analogo si vede che vale lo stesso risultato per le altre
componenti. Ne deriva finalmente
J~ × (~r − ~r0 ) 0
Z
~ r ) = µ0
B(~ dV (3.31)
4π R3 |~r − ~r0 |3
Che prende il nome di legge di Biot-Savart, che finalmente ci permette
di calcolare il campo magnetico data una qualsiasi distribuzione di densità
di corrente. Sicuramente avrete visto la sua forma equivalente che considera
fili di corrente invece che densità. Dato un filo di sezione A e di lunghezza
orientata d~l, infatti il suo volume è dV = Adl, per cui la legge diventa
B = µ0 in
Dove B è il campo magnetico al centro del solenoide, i è ovviamente
la corrente che scorre nel filo e n = N/l è il numero di spire totali, ovvero
il numero di avvolgimenti, diviso per la lunghezza del solenoide. In parole
povere è quanto sono dense le spire.
Esempio 3.3.9 (Campo magnetico sull’asse di una spira percorsa da corrente).
Anche qui senza disegno vale poco quello che scrivo. Intanto faccio i conti,
poi METTI FIGURA
Q2
UE =
2C
Per gli induttori si ha la versione equivalente
1
UB = Li2
2
µ = iA
Dove i è la corrente che passa nella spira e A è la sua area. Ovviamente
questa definizione lascia molto a desiderare se abbiamo oggetti complessi o
che non sono spire metalliche. Per questo è più conveniente dare la definizione
Z
1 ~
µ
~= ~r × JdV
2 V
Ho lasciato molte cose sottointese, vediamo di chiarirle. Innanzitutto il
momento va definito rispetto ad un punto, come al solito, e rispetto a quel
punto si prendono le distanze ~r. Avendo un oggetto nel volume V , l’integrale
va esteso a tutto il volume, considerando per ogni particella il vettore ~r della
posizione rispetto al punto e il vettore J~ della corrente in quel punto.
Prendiamo un oggetto formato da una spira metallica nel piano e vediamo
di calcolare il momento della spira rispetto al suo centro per vedere se la
definizione torna.
Z
1 ~
µ
~= ~r × JdV
2 V
Ovviamente andiamo subito a sostituire JdV ~ = id~l in quanto abbiamo
un filo. Inoltre l’integrale non sarà più su un volume ma si tratterà di un
integrale lungo una curva, dato che fuori dal filo si ha J~ = 0
Z
1
~ = i ~r × d~l
µ
2 γ
Z 2π Z R Z π
1
Ωr2 zb − (cos θb y )Ωr2 cos θ r2 sin θ dθ dr dφ =
µ
~= ρ z + sin θ cos φb
x + sin θ sin φb
2 0 0 0
Z 2π Z R Z π Z π
1 1 2π
= ρ Ω(1 − cos θ) sin θr zbdθ dr dφ = ρ R5 Ωb
2 4
z sin3 θdθ =
2 0 0 0 2 5 0
1 2π 4 1 2 ~ = 1 QR2 Ω~
= ρ R5 Ω zb = · QR2 Ω
2 5 3 2 5 5
Dove come vedete abbiamo fatto gli stessi conti che avevamo fatto per il
momento di inerzia. Questa formula ci dà quindi il momento magnetico per
un oggetto molto diverso da una spira percorsa da corrente, ma vedremo che le
formule per l’energia potenziale e il momento torcente varranno ugualmente.
Una cosa carina da vedere è che se abbiamo un oggetto esteso di densità
di massa e di carica anche variabili, ma tali per cui punto a punto si abbia
ρc q
= cost :=
ρm m
376 CAPITOLO 3. FISICA
Allora si ha
Z Z 3
1
~ 2 ~
q
~ 2 ~
q X
µ
~= ρc Ωr − ~r(Ω · ~r) dV = ρm Ωr − ~r(Ω · ~r) dV = Iij Ωj x
bj
2 V 2m V 2m j=1
Ovvero
3
q X
µi = Iij Ωj
2m j=1
dF~ = J~ × BdV
~
~r × (J~ × B)
~ 6= (~r × J)
~ ×B
~
Per una volta i controesempi non sono patologici, non si tratta di controe-
sempi che non vi capiteranno mai in un problema di Fisica, tipo la funzione
x2 sin x1 40 , basta infatti prendere i vettori di base per accorgersi che la regola
di associatività per il prodotto vettore non funziona quasi mai41 .
Dopo lunghi e noiosi conti piuttosto fastidiosi si giunge ad una espressione
vera per il momento totale, che io non dimostro perché richiederebbe troppi
integrali che in questo momento non sono utili. La formula è l’analoga della
formula per i dipoli elettrici
~
~ ×B
~τ = µ
Oltre a questa c’è anche una formula analoga per la forza risultante agente
su un dipolo, che è uguale a quella presente in elettrostatica
F~ = ∇(~
~ µ · B)
~
Ci tengo a precisare che queste formule non sono esatte ma sono approssi-
mazioni al prim’ordine in cui supponiamo che il campo magnetico non vari
sensibilmente all’interno della zona del dipolo. Non usatele a sproposito.
~ r) = µ0 3(~µ · rb)b
B(~
r−µ~
4π r 3
Problemi
Problema 3.3.13 (Senigallia 2, 2016 (proposto da me e dagli altri IPhOisti
del 2015)). Attenzione, il testo ufficiale contiene spoiler sulle risposte
alla versione qui riportata!
Un elettrone di massa me e carica e viene sparato dall’infinito verso il centro di
un solenoide con velocità v0 c. L’elettrone viene sparato dritto , ovvero se π è il
piano perpendicolare all’asse del solenoide, si ha che ~v0 ∈ π. Il solenoide ha una
densità di spire per unità di lunghezza n. Trovare la corrente minima imin che non
permette all’elettrone di entrare nel solenoide.
Hint 1: 4.2.6 Hint 2: 4.2.7 Soluzione non disponibile.
Problema 3.3.14 (Moto in campo di monopolo magnetico).
Supponiamo che esistano i monopoli magnetici. La seconda legge di Maxwell,
~ ∂V ) = 0. La
ovvero il teorema di Gauss per la magnetostatica ci dice che Φ(B,
presenza dei monopoli magnetici cambia questa legge facendola diventare
~ ∂V ) = 4πgint
Φ(B,
Dove g indica la carica magnetica. Equivalentemente, si può scrivere
~ ·B
∇ ~ = 4πρg
Supponiamo di avere un monopolo magnetico di carica magnetica g fissato al
centro del riferimento. Studiamo il moto di una carica elettrica di carica q nel
campo generato dal monopolo.
• Trovare il campo B(~
~ r).
• Scrivere la forza agente sulla carica elettrica in funzione della sua posizione ~r
e della sua velocità ~v
• In questo moto non si conserva il momento angolare L
~ ma un vettore simile.
Trovarlo e chiamarlo J~
• Calcolare rb · J~ e trarne delle conclusioni sulla forma delle orbite
• INVENTATI QUALCOSA SUL MOTO CONICO
Soluzione non disponibile.
Problema 3.3.15. In una regione circolare di raggio a cè un campo
magnetico perpendicolare al piano del cerchio il cui modulo dipende solo dalla
distanza dal centro ed è noto che il campo ha flusso totale Φ. Se una particella
di carica q e massa m viene lanciata dal centro con velocità v, con quale angolo
rispetto alla direzione radiale esce dalla regione? Soluzione non disponibile.
380 CAPITOLO 3. FISICA
~
~ = − ∂B
~ ×E
∇
∂t
Scritta cosı́ senza essere commentata è di difficile comprensione.
A sinistra dell’uguale c’è la circuitazione del campo E ~ lungo una curva
chiusa. Noi sappiamo che se un campo è conservativo, la circuitazione
deve essere nulla. Evidentemente, il campo elettrico non è quindi sempre
conservativo. Inoltre, sempre il termine a sinistra ha le dimensioni di una
differenza di potenziale. Per questo motivo spesso viene chiamato V , ma ha
un significato molto diverso. Normalmente quando si parla di differenza di
potenziale lo si fa per un campo conservativo, in quanto effettivamente si ha
che per spostare una carica q si compie un lavoro
42
In realtà sono la stessa cosa
43
Per esempio se la superficie è un cerchio, il contorno è la circonferenza, se la superficie
fosse una sfera, il contorno non ci sarebbe.
382 CAPITOLO 3. FISICA
L = q∆V
E quindi scrivere
L = q∆V
Questo vuol dire che il membro di destra è sempre 0? NO. Infatti la legge
di Gauss vale per una superficie chiusa, mentre noi abbiamo scelto per la
legge di Faraday proprio una superficie che non lo sia.
Inoltre, vorrei far notare che al membro di destra c’è una derivata parziale
rispetto al tempo. Questo vuol dire che se il campo magnetico è costante
(non necessariamente uniforme) e la superficie su cui applichiamo la legge
rimane la stessa, allora si ha
I
E~ · d~s = 0
∂Σ
Ovvero otteniamo che il campo elettrico in quel caso è conservativo, come
ci aspettavamo.
Andiamo a fare un esempio concreto per capire meglio questa legge
Esempio 3.3.11. Andiamo a considerare due solenoidi, 1 e 2, messi abba-
stanza vicini affinché il campo magnetico di uno possa essere non trascurabile
dove si trova l’altro. I due solenoidi sono attaccati a due circuiti non collegati.
Il primo circuito è costruito in modo da poter regolare la corrente che passa
attraverso il primo solenoide a piacimento, mentre il secondo ha attaccato un
amperometro per misurare la corrente che lo attraversa.
Per cui non ci sarà alcun motivo per cui dovrebbe scorrere corrente nel
secondo circuito.
Vediamo una cosa diversa. Regoliamo la corrente nel primo circuito in
modo che segua un andamento simile alla carica di un capacitore, ovvero
regoliamo la corrente in modo che sia
t
I(t) = I0 (1 − e τ )
Questa scelta è a caso, mi bastava una funzione con un asintoto orizzontale
per fare questo esempio, ho scelto l’esponenziale perché è bello.
È abbastanza ovvio per analisi dimensionale che il campo magnetico
generato dal primo solenoide dipenderà in modo lineare dalla corrente che
ci passa attraverso. Per la linearità dell’integrale, varrà anche che il flusso
del campo attraverso il secondo solenoide è proporzionale alla sorgente. Di
conseguenza, sarà
ΦB = kI(t)
Dove la costante k dipenderà dalla geometria del sistema e quindi, a meno
di deformazioni, non dal tempo. Nel secondo circuito, ci sarà quindi una
differenza di potenziale indotta del tipo
k t
V = − I0 e− τ
τ
Ovvero in questa situazione all’inizio scorre corrente e poi non più. È
quindi importante ricordare che viene indotta una ddp nel circuito 2 solo in
presenza di variazione di flusso di campo magnetico
forze esterne (per esempio una persona), che permettono alla spira di muoversi
solo lungo l’asse x e non le permettono di ruotare intorno ad alcun asse,
mantenendo quindi fissa la direzione dei due lati della spira, ~a = ab x e ~b = bb
y
Se ora teniamo ferma la spira è ovvio che non ci sarà alcuna fem indotta,
in quanto il flusso del campo magnetico attraverso la spira è costante, indi-
pendentemente da dove ci troviamo nello spazio. Andiamo ora a muovere la
nostra spira lungo l’asse x. Quando ci troviamo ancora nella situazione in cui
la spira è completamente immersa nel campo magnetico, il flusso del campo
sarà sempre ΦB = B0 ab e di conseguenza la sua derivata sarà nulla e quindi
anche la fem.
Ovviamente la stessa cosa vale nella zona in cui il campo è nullo, ma le
cose si fanno interessanti quando la spira è parzialmente immersa, ovvero
quando è a cavallo di x = 0. Finchè la spira è a cavallo delle due zone, infatti,
il flusso del campo sarà sempre Φ = B0 A, ma A = b(a − x), dove ho indicato
con x la posizione dell’estremo destro della spira. Andiamo a calcolare la fem
indotta nella spira usando la legge di Faraday
∂ ∂x
V =− B0 b(a − x) = B0 b = B0 bv
∂t ∂t
Dove ho indicato con v la velocità della spira
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
Basta fare la derivata parziale del campo magnetico per ottenere esatta-
mente il rotore del campo elettrico e quindi sapere in che verso gira. Come
facciamo qui a dare una orientazione corretta alla circuitazione, una volta
scelto il verso del vettore area? La risposta è sempre quella: regola della
mano destra!
Dato che noi abbiamo scritto ΦB = +BA e non −BA, abbiamo implicita-
mente scelto l’orientazione del vettore area in modo che sia concorde il campo
magnetico, ovvero abbiamo preso il vettore area A ~ = Abz . A questo punto
basta mettere il pollice lungo il versore zb e questo indicherà in che verso fare
la circuitazione del campo. Dato che il V che abbiamo calcolato è V > 0,
avremo che effettivamente anche la corrente scorre nel verso indicato dalla
mano destra e non nel verso opposto (cosa che sarebbe accaduta se V < 0)
Per mantenere un corpo in moto rettilineo uniforme è necessario che la
somma delle forze esterne sia nulla. Domandiamoci ora: serve applicare una
forza per tenere in moto rettilineo uniforme la nostra spira oppure una volta
messo in moto fa tutto da solo?
Beh, dato che abbiamo una spira percorsa da corrente in campo magnetico,
ci aspettiamo che il campo eserciti una forza su di essa. Ora bisogna vedere
in che verso va la corrente per capire se il campo aiuta o ferma la spira.
La spira è rettangolare. I quattro lati daranno contributi di forza diversi,
quando la spira è a cavallo del campo. Ovviamente il lato in cui non c’è
campo magnetico non contribuirà alla forza e verrà chiamato lato C. I due
lati ortogonali a C ovviamente risentono della forza del campo magnetico,
ma dato che sono completamente uguali e vi scorre corrente opposta, per
simmetria la forza totale di quei due sarà nulla 45 . L’unico lato interessante
sarà quindi quello rimasto, parallelo a C. Il modulo della forza sarà quindi
V B 2 b2
F = ibB0 = bB0 = 0 v
R R
Ora dobbiamo attribuirgli il verso. Dato che noi abbiamo trovato il verso
della corrente e sappiamo che in quel tratto si ha dlb = −b
y , allora
2 2
~ = B0 b v(−b B 2 b2
F~ = i~l × B y ) × zb = − 0 vb x
R R
45
Ma non il momento rispetto al centro della spira, ma al momento non ci importa
3.3. ELETTROMAGNETISMO 387
B 2 b2
P = F~ · ~v = 0 v 2
R
Dove finisce questa energia? La risposta è semplice: nel circuito c’è una
resistenza e l’energia fornita se la mangia lei. Calcoliamo infatti la potenza
dissipata per effetto Joule:
V2 B02 b2 2
P = −iV = − =− v
R R
Quindi i conti tornano.
Vi sembra fatto un po’ a caso quello che abbiamo visto adesso, vero? Beh,
un pochino lo è. Per fare le cose per bene, il metodo più corretto da seguire è
~ e B,
mettersi nel riferimento in cui il circuito è fermo e calcolare lı́ i campi E ~
~ e poi procedere come sopra. Il metodo che ho usato
fare la circuitazione di E
sopra funziona benissimo e sempre. Imparare a fare le cose formalmente è
una cosa da rimandare al secondo/terzo anno di università e impararlo ora
è una perdita di tempo. Se volete vedere lo stesso esempio rifatto per bene,
guardate la parte di relatività
VAI A SCRIVERLA E LINKA L’ESEMPIO
mettendo vicini dei Geomag molto potenti. Prendiamo il campo in modo che
esista un momento in cui il vettore area della spira sia parallelo al vettore
campo magnetico. A meno di riscalare l’asse del tempo, sarà quindi
~ ·A
ΦB = B ~ = πB0 r2 cos ωt
Le equazioni di Maxwell
Facciamo il punto della situazione. Abbiamo visto i casi statici sia del
campo magnetico sia del campo elettrico. In questo caso le equazioni che
governavano tutto erano
~ = ρ
~ ·E
(
∇ ∇~ ·B
~ =0
0
∇~ ×E =0 ∇~ ×B~ = µ0 J~
∂ρ ~ ~
+∇·J =0
∂t
~ Il sospetto che ci sia qualcosa di più grosso sotto
che in effetti lega ρ e J.
in effetti c’è.
Abbiamo poi visto la legge di Faraday-Neumann-Lenz, che per la prima
volta lega due quantità che prima erano distinte, E ~ e B,
~ semplicemente
accendendo la dipendenza esplicita dal tempo. Le equazioni che abbiamo
scritto vanno quindi corrette, introducendo il termine di Faraday
~ = ρ
~ ·E
∇
0
~ ·B~ =0
∇
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
∇~ ×B ~ = µ0 J~
prima erano distinti e trattati in modo separato, ora sono stati riuniti sotto
le stesse leggi fisiche. Questo è un grande passo avanti.
C’è ancora qualcosa che non va in questo sistema, tuttavia. Mentre la
legge di Faraday è stata direttamente un’evidenza sperimentale e quindi la
correzione si deve in effetti al laboratorio, in questo caso si può già vedere che
in una di queste 4 equazioni c’è qualcosa che non va. Ricordate quando in
magnetostatica noi abbiamo scritto l’equazione di continuità, che ho scritto
poco sopra, e dato che eravamo in statica, abbiamo posto subito ∂ρ ∂t
= 0.
Beh, questo adesso non è più vero in generale.
Tuttavia questo è in contraddizione con l’ultima delle 4 equazioni! Pren-
dendo infatti la divergenza a destra e a sinistra,
~ ·∇
∇ ~ ×B
~ = µ0 ∇
~ · J~
~ ×B
∇ ~ = µ0 J~ + F~
Di nuovo, dato che stiamo cercando di far andare d’accordo questa equa-
zione con l’equazione di continuità, prendiamo la divergenza a sinistra e a
destra
0 = µ0 ∇ ~ · F~ ⇒ −µ0 ∂ρ + ∇
~ · J~ + ∇ ~ · F~ = 0
∂t
Tuttavia noi in effetti conosciamo già un’equazione in cui compare ρ, ed è
la prima del sistema che abbiamo scritto, ovvero ρ = 0 ∇ ~ · E.
~ Quindi,
3.3. ELETTROMAGNETISMO 391
!
~ ~
~ · ∂E + ∇
−µ0 0 ∇ ~ · F~ = 0 ⇒ ∇
~ · F~ − µ0 0
∂E
=0
∂t ∂t
Ora, se la divergenza di un campo è zero, il campo in generale non è
zero! ∇ ~ ·G ~ = 0 non vuol dire G ~ = 0. Per esempio E ~ = q/r2 rb ha divergenza
nulla ovunque tranne che nell’origine ma non è zero. Maxwell quindi non
~
poteva dire a priori che F~ = µ0 0 ∂∂tE . Ma lui lo ha fatto lo stesso.
Non si è trattato di un errore dovuto a poca conoscenza della Matematica,
lui sapeva perfettamente dove voleva arrivare e ha volutamente commesso
questo errore perché aveva visto che se le sue equazioni si fossero rivelate
giuste, sarebbe riuscito a spiegare non solo i fenomeni elettromagnetici, ma
anche altro, come vedremo ora. Diciamo che valeva la pena essere bocciati
all’esame di Analisi per fare un claim simile.
Più di vent’anni dopo il suo claim è stato confermato in laboratorio. Noi
prendiamolo per buono e vediamo a cosa porta. Le equazioni che abbiamo
ora, dopo l’ultima correzione sono
~ = ρ
∇~ ·E
0
~ ~
∇ · B = 0
~ (3.34)
∇~ ×E ~ = − ∂B
∂t
~
~ = µ0 J~ + µ0 0 ∂ E
∇
~ ×B
∂t
Che magari vi farà piacere leggere anche in forma integrale per chi non
ha ancora preso la mano con gli operatori differenziali
I Z
~ ~ ρ
E · d A = dV
V 0
I∂V
~ · dA ~=0
B
I∂V Z (3.35)
~ ∂ ~ ~
E · d~s = − B · dA
∂t
I∂Σ Z Σ Z
∂
B~ · d~s = µ0 J~ · dA ~ + µ0 0 ~ · dA
E ~
∂Σ Σ ∂t Σ
Al primo sguardo queste equazioni non sembrano molto simmetriche, per
diversi motivi. Il più stupido è che il sistema MKS mette le costanti in modo
orribile. Il secondo motivo è la mancanza di cariche magnetiche, che facciano
392 CAPITOLO 3. FISICA
~ ·E
~ =0
∇
~ ·B
~ =0
∇
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
~
~ = µ0 0 ∂ E
∇
~ ×B
∂t
Che assume un aspetto molto più simmetrico, a meno delle costanti che
dipendono dal nostro sistema di unità di misura. C’è un segno meno a rompere
ulteriormente la simmetria, ma nel prossimo paragrafo vedremo che non ci
dispiace davvero la sua presenza.
Vediamo rapidamente una cosa: che dimensioni ha il prodotto µ0 0 ? Beh,
basta fare un conto. Fatelo per prendere confidenza con le unità di misura in
MKS che sono alquanto fastidiose per l’elettromagnetismo. Il risultato è che
questo prodotto ha le dimensioni di un tempo al quadrato fratto una lunghezza
al quadrato, che può essere visto come una velocità alla −2. Potete prendere
la calcolatrice e vedere quanto vale questa velocità, che per convenzione si
chiama c,
1 m
c= √ ≈ 3 · 108
µ0 0 s
Vi ricorda qualcosa?
3.3. ELETTROMAGNETISMO 393
~ ·E
~ =0
∇
~ ~
∇ · B = 0
~
~ = − ∂B
~ ×E
∇
∂t
~
~ = ∂E
1
∇
~ ×B
c2 ∂t
Ora farò un po’ di cose a caso con gli operatori differenziali perché so
dove voglio arrivare. Voi cercate di seguirmi. Prendiamo il rotore dell’ultima
equazione
~ × (∇
∇ ~ = 1 ∂∇
~ × B) ~ ×E
~
c2 ∂t
possiamo usare la solita identità vettoriale per il triplo prodotto vettore
per semplificare l’espressione
~ ∇
∇( ~ · B) ~ = 1 ∂∇
~ − ∇2 B ~ ×E
~
c2 ∂t
Ma ∇~ ·B~ = 0. Inoltre possiamo usare la terza equazione di Maxwell per
~ Dopo le semplificazioni l’equazione
scrivere in altri termini il rotore di E.
diventa
1 ∂ ∂B ~
~ =−
−∇2 B
c2 ∂t ∂t
Che scritta in modo più leggibile diventa
~
1 ∂ 2B
2~
∇ B− 2 2 =0
c ∂t
~
Per esercizio, fate una cosa quasi uguale per ottenere un analogo per E
~
1 ∂ 2E
~−
∇2 E =0
c2 ∂t2
394 CAPITOLO 3. FISICA
~ x, t) = E
E(~ ~ 0 sin(ωt)
Q(t) = Q0 sin(ωt)
Noi sappiamo per ora solo quello che succede quando la carica è immobile
sulle piastre, non quando ci sono variazioni. Tuttavia, ci aspettiamo che se
facciamo le cose abbastanza lentamente l’effetto correttivo sarà piccolo.
L’obiettivo di questo problema sarà appunto stimare quali parametri bisogna
guardare per capire se effettivamente la correzione è piccola e quanto è piccola.
Noi faremo questo conto nelle ipotesi che la perturbazione sia piccola, ovvero
cercheremo un risultato in serie di potenze
∞
X
~ =E
E ~0 an x n
n=0
~ = 0 Q0
|E| sin(ωt) = E0 sin(ωt)
d2
~ = Eb
Prendiamo senza perdita di generalità E z . In prima approssimazione
inoltre il campo magnetico è zero, in quanto in mezzo al condensatore non ci
sono correnti. Andiamo ora a vedere cosa succede se accendiamo le dipendenze
dal tempo. Le due equazioni da usare saranno le ultime due equazioni di
Maxwell. I termini correttivi saranno
~
~ 1 = − ∂ B0 = 0
~ ×E
∇
∂t
1 ∂ ~0
E ωE0 ω
∇
~ ×B
~1 = = 2 cos(ωt)b z = B0 cos ωtb z
2
c ∂t c c
Dove E0 /c ha le dimensioni di un campo magnetico e quindi l’ho chiamato
B0 . A questo punto abbiamo il rotore della correzione di B. ~ Sarà intelligente
fare cose per togliere quel rotore e avere l’espressione corretta. La cosa facile
~ r),
che si può fare è notare che il problema ha simmetria cilindrica, per cui B(~
~ z) e non dipenderà da φ. Per questo motivo possiamo calcolare il
sarà B(r,
flusso dell’espressione trovata sopra attraverso una circonferenza e usare il
teorema del rotore per dire che
I
~ 1 · d~l = ω B0 cos ωtb
B z · πr2 zb
γ c
E per la simmetria cilindrica l’integrale diventa una moltiplicazione
ω ωr
2πrB1 = B0 cos ωtπr2 ⇒ B1 = B0 cos ωt
c 2c
A cui possiamo dare l’ovvio carattere vettoriale
~ 1 = ωr B0 cos ωtφb
B
2c
~ e contiene il fattore
Abbiamo finito? Abbiamo la prima correzione per B
adimensionale ωr/c. Sembra che siamo a posto. E invece no. È vero che
~ ma in prima approssimazione abbiamo
abbiamo la prima correzione per B,
3.3. ELETTROMAGNETISMO 397
detto che B~ era zero. Mi pare che non si possa dire che questa prima correzione
sia piccola rispetto alla precedente.
A questo punto purtroppo dobbiamo trovare la correzione successiva ad
~ in modo da poter effettivamente confrontare due cose in modo sensato.
E,
DI NUOVO BISOGNA METTERE UN MALEDETTO DISEGNO AL-
TRIMENTI NON SI CAPISCE NIENTE
La correzione successiva è quindi
ωr 2
~ ~
E2 = E0
2c
E a questo punto possiamo finalmente dire qualcosa a riguardo di questo
risultato. Guardiamo l’oggetto adimensionale
ωr
2c
Il fattore 2 non è davvero rilevante, possiamo anche dimenticarlo. Cer-
chiamo di immaginarci la situazione ai tempi di maxwell. Prendiamo un
condensatore enorme, uno di 1 m di raggio, assolutamente impensabile. Ve-
diamo ora come stimare ω. Mentre ai giorni nostri possiamo tranquillamente
raggiungere il GHz con un PC, ai suoi tempi la situazione era molto diversa.
Prendiamo per esempio quindi la rete domestica della corrente, che funziona
in Europa a 50 Hz. Il nostro fattore di correzione vale
50 · 1
x= ≈ 10−6
3 · 108
Ed è pure al quadrato. Non c’è quindi molto da stupirsi se ci è voluto un
po’ per misurarlo.
L’onda piana Per ora non abbiamo ancora davvero mostrato che esistono
delle onde elettromagnetiche. Noi siamo partiti dalle equazioni di Maxwell,
che sono queste
~ ·E
~ =0
∇
~ ~
∇ · B = 0
~
~ ×E
∇ ~ = − ∂B
∂t
~
~ = ∂E
1
∇
~ ×B
c2 ∂t
E abbiamo ottenuto come corollario le equazioni
2~
~ − 1 ∂ E =0
∇ 2 E
c2 ∂t2
2~
~ − 1 ∂ B =0
∇ 2 B
c2 ∂t2
Tuttavia per ora non abbiamo ancora mostrato che una generica soluzione
delle seconde equazioni, che, badate bene, sono disaccoppiate, è ancora soluzio-
ne delle equazioni di prima! Infatti in generale non sarà cosı̀, vedremo adesso
un caso particolare che sarà chiarificatore. Consideriamo una particolare
classe di soluzioni dell’equazione d’onda, ovvero le onde piane. Per onda
~ r, t) = E(x,
piana si intende che in sostanza sarà E(~ ~ t), ovvero che i vettori
dipendono in generale da una sola coordinata. Per questo motivo i fronti
d’onda saranno quindi dei piani46 . Vediamo un modo intelligente di scrivere
questo tipo di soluzioni.
~ r, t) = E
E(~ ~ 0 ei(kx−ωt)
~ vero = Re{E
E ~ 0 ei(kx−ωt) }
Se basta prendere la parte reale perché non scrivo il coseno? Beh, il succo
è che avrete notato che non ho messo una generica fase nell’angolo indicato
da kx − ωt. Il motivo è che basta prendere per l’appunto E ~ 0 = Ae
~ iφ con A~
vettore reale. “Non è più comodo riscalare l’asse dei tempi in modo che la
fase sia 0?”. Sı̀, questo sarebbe comodo. Ma in generale io sarò interessato
alla sovrapposizione di più campi e quindi l’operazione di riscalare potrebbe
togliere la fase solo ad uno dei tanti. Di conseguenza tanto vale prendersi per
tempo e considerare il vettore costante E ~ 0 come vettore complesso.
Vediamo allora perché è utile usare la notazione complessa, visto che per
~
ora sembra solo complicarci la vita. Calcoliamo per esempio ∂∂tE
~
∂E i(kx−ωt)
~ 0 ∂e
=E ~ 0 ei(kx−ωt) = −iω E
= −iω E ~
∂t ∂t
Ma quindi in questo caso la derivata, che può stravolgere la funzione,
~
diventa semplicemente una moltiplicazione? Non male. Calcoliamo anche ∂∂xE ,
per scrupolo.
~
∂E ∂ei(kx−ωt)
~
= E0 ~ 0 ei(kx−ωt) = ik E
= ik E ~
∂x ∂x
Beh, forse allora comincia ad avere un senso utilizzare questa notazione,
visto che pare alleggerire i conti di non poco. Questo tuttavia non toglie il
risultato fisico, non fatevi ingannare. Ricordate che dovete prendere la parte
reale di quello che state guardando. Prendiamo un esempio concreto: E ~0
reale, andiamo a calcolare i vettori veri e vediamo che le cose tornano.
Il vettore vero sarà
~ =E
E ~ 0 cos(kx − ωt)
Per cui la sua derivata rispetto al tempo, fatta in modo classico, sarà
~ =E
E ~ 0 ω sin(kx − ωt)
3.3. ELETTROMAGNETISMO 401
~
1 ∂ 2E (−iω)2 ~
ω2 ~
2~ 2~ 2
∇ E − 2 2 = 0 ⇒ (ik) E − E=0⇒ k − 2 E=0
c ∂t c2 c
E quindi tutto funziona a patto che valga la relazione di dispersione
ω
=c
k
Ora che abbiamo visto l’onda piana che si propaga lungo x, cerchiamo di
generalizzare in modo facile alla stessa onda vista da un sistema di riferimento
in quiete rispetto al precedente ma ruotato, in modo che l’onda non si propaghi
lungo la semplice direzione x ma in una generica direzione, che indicheremo
con il versore orientato bk. Non è difficile convincersi che in questo caso allora
l’onda non è molto diversa da prima e si scrive
~ 0 ei(~k·~r−ωt)
~ r, t) = E
E(~
Dove il vettore ~k è ovviamente ~k = |~k|b
k e indica dove sta andando l’onda.
Vediamo come cambiano le derivate parziali. Indichiamo con ovvia notazione
~k = kx x
b + ky yb + kz zb
Di conseguenza, a titolo di esempio
~
∂E i(kx x+ky y+kz z−ωt)
=E ~ 0 ∂e ~
= ikx E
∂x ∂x
Per esercizio, mostrate che semplicemente a questo punto affinché il nostro
vettore rispetti l’equazione d’onda, la relazione di dispersione va modificata
in modo molto leggero diventando
402 CAPITOLO 3. FISICA
ω
=c
|~k|
A questo punto abbiamo trovato una classe di soluzioni particolari per
~ e B.
l’equazione d’onda per i campi E ~ Vogliamo vedere ora in quali casi la
soluzione
(
E~ =E~ 0 ei(~k1 ·~r−ω1 t)
B~ =B~ 0 ei(~k2 ·~r−ω2 t)
La prima cosa da vedere è che sicuramente affinché possano essere soluzioni
delle equazioni di Maxwell deve essere ω1 = ω2 e quindi anche k1 = k2 . Il
motivo è che le equazioni di Maxwell legano le derivate di E ~ con le derivate
~ ma in notazione complessa si vede bene come la derivata sia in sostanza
di B,
solo la moltiplicazione per scalare. Per questo motivo quelle due funzioni non
saranno mai uguali a meno di non porre ω1 = ω2 = ω e anche ~k1 = ~k2 = ~k.
Notare che devono essere uguali i vettori ~ki , non solo il loro modulo, proprio
per il discorso appena fatto. La soluzione possibile diventa
(
~ =E
E ~ 0 ei(~k·~r−ωt)
~ =B
B ~ 0 ei(~k·~r−ωt)
A questo punto l’unica cosa da fare è buttarli dentro le equazioni di
Maxwell e vedere se davvero le soddisfano. Prendiamo le due equazioni
~ ·E
∇ ~ =0e∇ ~ ·B
~ =0
~ E
0 = ∇· ~ = ∂Ex + ∂Ey + ∂Ez = i(kx E0,x +ky E0,y +kz E0,z )ei(~k·r−ωt) = i~k·E
~ 0 ei(~k·~r−ωt)
∂x ∂y ∂z
E questa prima condizione ci dice che deve essere ~k · E
~ 0 = 0, ovvero che E ~ e
~k sono perpendicolari. In particolare questo ci dice che l’onda elettromagnetica
sarà trasversale, ovvero l’oscillazione sarà perpendicolare alla direzione di
propagazione del segnale. Ovviamente data la grossa simmetria del tutto si
avrà un equazione uguale per B, ~ ovvero ~k · B ~ = 0. Non abbiamo finito, ci
sono ancora due equazioni da usare
~
~ ×E ~ = − ∂B
∇
∂t
~
∇
~ ×B ~ = ∂E
1
c2 ∂t
3.3. ELETTROMAGNETISMO 403
~
~ = − ∂B ~ = ω cB
~ ×E i~k × E
~ = iω B
~ ~k × E ~
(
∇
∂t ⇒ ~ ~ ω~ ⇒ c ω
~ ik × B = −i 2 E ~k × cB
~ =− E ~
∇
~ ×B 1
~ = ∂E c c
c2 ∂t
ω
Noi sappiamo già che |~k| = , per cui
c
(
k×E
b ~ = cB~
~ = −E
k × cB
b ~
dU dL ~
=− − Φ(S)
dt dt
Dove Φ(S)~ rappresenta l’energia trasportata fuori dalla superficie. Ovvia-
mente questa cosa avrà il carattere di flusso di un vettore, come è sensato che
~
sia. Troveremo ora, fra le altre cose, l’espressione di S.
Prima di procedere è intelligente andare a fare un calcolo locale piuttosto
che integrale, passando da relazioni su tutto il volume V a relazioni che
valgono punto a punto, che saranno quindi pure più generali. Usando i soliti
trucchetti, il bilancio energetico si scrive
Z Z I
d ~ ⇒ ∂u = −w − ∇
~ A ~ ·S ~
udV = − wdV − Sd
dt V V ∂V ∂t
Se vogliamo fare qualcosa di assolutamente generale, le poche cose che
possiamo usare sono le 4 equazioni di Maxwell e la legge di forza di Lorentz
che ci dice come interagiscono i campi con le sorgenti.
F~ = q(E
~ + ~v × B)
~
dF~ ~ = J~ · E
~
w= · ~v = ρ~v · E
dV
Per cui, inserendola nel bilancio energetico,
∂u
= −J~ · E
~ −∇
~ ·S
~
∂t
3.3. ELETTROMAGNETISMO 405
~
~ ×B
∇ ~ = µ0 J~ + µ0 0 ∂ E
∂t
Il bilancio energetico si scriverà
!
∂u 1 ~ ∂ ~
E
=− ∇×B ~ − 0 ·E~ −∇
~ ·S
~
∂t µ0 ∂t
Questa espressione fa in effetti un po’ schifo. Non sembra aiutare davvero
quello che volevamo fare. Proviamo allora a fare una cosa che in Fisica spesso
paga, ovvero simmetrizzare l’espressione. In questo momento evidentemente E ~
~
e B hanno ruoli molto diversi in questa espressione. Proviamo ad aggiungere
dei termini identicamente nulli in modo da rendere più simmetrico il tutto.
Per esempio possiamo prendere l’equazione
~
~ ×E
∇ ~ + ∂B = 0
∂t
~ in modo
e aggiungiamola alla nostra, ma moltiplicata scalarmente per B,
da simmetrizzare il tutto. Inoltre, dato che non avrebbe senso dimensional-
mente, dobbiamo mettere un fattore 1/µ0 a correggere il tutto. Il bilancio
diventa
! !
∂u 1 ~ ~ ~
=− ~ − 0 ∂ E
∇×B ~+
·E ∇ ~ + ∂B
~ ×E ~
·B
1 ~ ·S
−∇ ~
∂t µ0 ∂t ∂t µ0
∂u ∂ 1 ~ ~ 1 ~ ~ ~ · 1 ~ ~ ~ ·S
~
= 0 E · E + B·B +∇ E×B −∇
∂t ∂t 2 2µ0 µ0
~= 1E
S ~ ×B
~
µ0
Che ci dice quindi che in presenza di campi elettrici e magnetici incrociati
l’energia viene trasportata secondo questa relazione.
Oltre all’energia, una quantità meccanica interessante è la quantità di
moto. Facciamo un ragionamento analogo e vediamo cosa succede.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 407
d~p
F~ =
dt
Possiamo scrivere
Z
~ + J~ × B)dV
~ d~p
(ρE =
V dt
Ora cerchiamo di usare le equazioni di Maxwell per far sparire le sorgenti
e lasciare solo i campi. Scriviamo quindi le equazioni
~ ·E
~
ρ = 0 ∇
~
J~ = 1 ∇~ ×B~ − 0 ∂ E
µ0 ∂t
Per cui
! !
Z
1 ~ ~
~ − 0 ∂ E d~p
~ ·E
0 ∇ ~ E
~+ ∇×B ~
×B dV =
V µ0 ∂t dt
E ora bisogna fare un sacco di manipolazioni furbe per far uscire qualcosa
di sensato. Innanzitutto raccogliamo un 0 in modo da far sparire quasi tutte
le costanti
!
d~p
Z ∂ ~
E
= 0 ~ ·E
∇ ~ E~ +c ∇
2 ~ ×B~ ×B ~− ×B ~ dV
dt V ∂t
E a questo punto cominciano i giochini che non verrebbero mai in mente
se non si sapesse già a cosa si vuole arrivare. Intanto notiamo che
~
∂E ~
~ =−∂ E ~ × ∂B
− ×B ~ ×B~ +E
∂t ∂t ∂t
~ possiamo usare la legge di Faraday-
E ora che abbiamo la derivata di B
Neumann-Lenz
~
∂E ~ =−∂ E
− ×B ~ ×B
~ −E~× ∇~ ×E
~
∂t ∂t
408 CAPITOLO 3. FISICA
Z
d~p ~ ~
~
2 ~ ~
~ ∂ ~ ~
~
~ ~
= 0 ∇·E E+c ∇×B ×B− E×B −E× ∇×E dV
dt V ∂t
~ × B,
A questo punto possiamo portare a sinistra dell’uguale il termine E ~
con i coefficienti davanti in modo da ottenere a LHS
Z
d~p 1 ~
+ SdV
dt c2 V
E a destra
Z
0 ~ ·E
∇ ~ E ~ + c2 ∇~ ×B
~ ×B~ −E
~× ∇~ ×E
~ dV
V
Z
0 ~ ·E
∇ ~ E ~ −E
~× ∇~ ×E
~ − c2 B(
~ ∇~ · B)
~ + c2 ∇~ ×B
~ ×B~ dV
V
E a questo punto partono i conti satanici con gli indici per riuscire a
capirci qualcosa. Prima di lasciare spazio ai conti direi che vi spiegherò le
idee di quello che si vuole fare. Se i conti non volete guardarli, nessuno vi
biasimerà, anche perché non sono semplicissimi.
L’idea è che per l’energia siamo riusciti a scrivere il trasporto di energia
attraverso una superficie come flusso di un campo vettoriale. Questa cosa ha
senso perché l’energia è uno scalare e quindi la divergenza di un vettore ha
senso per essere paragonata ad uno scalare.
Se noi guardiamo il trasporto di quantità di moto, il problema è più grosso,
perché stiamo trasportando un vettore attraverso una superficie, ovvero abbia-
mo due cose con carattere vettoriale. La cosa comincia a puzzare, è probabile
che questa volta non ci basterà un vettore per prenderne la divergenza, avremo
bisogno di qualcosa di più grosso. Cosa c’è di immediatamente più grosso di
un vettore? Un tensore a due indici, ovviamente.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 409
Ora che vi siete spaventati, tensore a due indici = matrice. Niente di cui
preoccuparsi. A questo punto bisogna trovarlo questo fantomatico tensore.
In particolare, cosa vuol dire farne la divergenza?
E 2 − E 2 /2 0 0 2 1 0 0
Tij = 0 0 −E 2 /2 0 = 0 E 0 −1 0
2
0 0 −E 2 /2 0 0 −1
Q
Se ora ricordiamo che in un condensatore vale E = , possiamo calcolare
0 A
la forza agente sull’armatura di sinistra
2
Q2
Z
0 Q
Fx = (Txx dAx + Txy dAy + Txz dAz ) = Txx A = A=
A 2 0 A 20 A
Pressione di radiazione
3.3. ELETTROMAGNETISMO 411
Problemi
Problema 3.3.18 (Ghigliottina magnetica). Soluzione non disponibile.
Problema 3.3.19 (Senigallia 2005, 3). Un prototipo molto elementare di
motore elettrico può essere costituito da una ruota conduttrice posta in un
campo magnetico. La ruota mostrata in figura è formata da un cerchione con
4 raggi uguali di lunghezza l, ciascuno di resistenza R, mentre la resistenza
del resto del circuito è trascurabile. Due contatti striscianti collegano l’asse
e il cerchione ai poli di una batteria di f.e.m. V . Il campo magnetico B ~ è
uniforme e perpendicolare al piano verticale della ruota, uscente in figura
3.26.
1. Trovare la corrente nel circuito nel tempo in termini della corrente iniziale i0
2. Qual è il minimo valore della velocità angolare che permette alla corrente di
crescere?
Soluzione: 4.3.47
Mostra che questo non è vero e che, invece, assumento che la carica positiva
sia distribuita uniformemente nel filo con densità ρ+ la corrente può essere
uniforme su tutta la sezione del filo.
ρ+
Mostrare infine che in tale situazione ρ− = − 2 dove v è la velocità
1 − vc2
“netta” della cariche negative. (Per netta si intende la velocità del flusso
ordinato perché, chiaramente in un filo avvengono molti urti).
Soluzione non disponibile.
3. Considerare ora anche l’effetto della forza di gravità. I piatti hanno l’asse
parallelo a ~g . Per poter sollevare il disco, il potenziale deve superare un
limite minimo Vmin . Trovarlo in funzione di m, g, d, χ
4. Quando V > Vmin il disco comincia a fare su e giù fra i piatti, urtandoli ogni
volta che li colpisce. L’urto non è perfettamente elastico ma ha un coefficiente
vdopo
di restituzione η = vprima , con le velocità prima e dopo l’urto. Assumere che
il disco continui a muoversi su e giù senza fare cose strane come girare su sè
stesso. Dopo un certo tempo, il disco raggiunge uno stato stazionario, ovvero
uno stato in cui il ciclo di 4 tragitti risulta sempre uguale. Chiamiamo vs
la velocità del disco dopo aver urtato il disco inferiore. Trovarla in funzione
degli altri dati.
5. Sempre nello stato stazionario, trovare la corrente media che fluisce fra i
piatti.
∆Q ∆Q
C= ⇒ ∆V =
∆V C
Per un resistore si usa la definizione di resistività
~ = ρJ~ ⇒ ∆V = −ρ l i
E
A
Per le induttanze, ugualmente
ΦB di dΦB
L= ⇒L = = −∆V
i dt dt
La legge dei nodi La seconda legge di Kirchoff, anche detta dei nodi, dice
semplicemente che la corrente non si accumula in nessun punto. È ovviamente
di poca utilità scrivere questa equazione in un punto a caso del filo, in quanto
ci dice semplicemente che la corrente non si blocca in un punto, ma è più utile
scriverla in un nodo, in quanto ci da una relazione fra le correnti entranti nel
nodo e le correnti uscenti.
Circuiti all’equilibrio
Serie e parallelo
3.3. ELETTROMAGNETISMO 417
V = Ri = Rq̇
Le induttanze infine sono la parte massiva del circuito, in quanto imma-
gazzinano un’energia che sembra molto quella cinetica
1 1
U = Li2 = Lq̇ 2
2 2
Vedremo che i vari circuiti
t
q(t) = CV (1 − e− RC )
Circuito RL
Circuito LC
Circuito RLC
Problemi
nei punti del dielettrico e il flusso di questo attraverso una sezione normale
del cavo coassiale.
6. Scrivere un’equazione differenziale alle derivate parziali che leghi I(x, t) alle
sue derivate.
Soluzione: 4.3.50
almeno in una regione finita intorno all’origine delle coordinate, possono essere
approssimate in questo modo
(
Br = βrB0
Bz = (1 − αz)B0
2. Si scriva l’equazione del circuito, in termini della corrente che scorre nell’anello
I(t) e della velocità dell’anello v(t) = dz
dt .
Si consideri, d’ora in poi, che R sia completamente trascurabile e quindi si
ponga direttamente R = 0, come avverrebbe per un anello superconduttore.
L’anello viene tenuto fermo in posizione z = 0 e in esso non scorre corrente;
appena l’anello viene lasciato libero inizia a muoversi e la corrente inizia a
scorrere nell’anello determinando, in presenza del campo B ~ , una forza non
nulla sull’anello.
7. Si trovi il valore massimo del modulo della corrente I(t) che circola nell’anello
e si determini la posizione dell’anello quando si raggiunge tale massimo.
3.3. ELETTROMAGNETISMO 423
Soluzione: 4.3.51
~ ×E
∇ ~ =0
~ = −∇φ
E ~
ρ(~r0 )
Z
1
φ(~r) = dV 0
4π0 V |~r − ~r0 |
Dove V è il volume in cui è inclusa la carica. A questo punto calcoliamo
separatamente il potenziale generato dai dipoli. Ricordiamo che per un dipolo
elettrico singolo il potenziale è
1 p~ · rb p~ · ~r
φ= = 3
4π0 r2 r
Dato che P~ è una densità di dipoli, P~ dV sarà a tutti gli effetti un piccolo
dipolo elettrico, per cui
1 P~ · (~r − ~r0 ) 0
dφ = dV
4π0 |~r − ~r0 |3
Per cui il potenziale totale sarà
426 CAPITOLO 3. FISICA
!
ρ(~r0 ) P~ · (~r − ~r0 )
Z
1
φ(~r) = + dV 0
4π0 V |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |3
A questo punto bisogna fare le magie per far comparire un risultato che
sembri qualcosa che abbiamo già visto. Al solito tireremo fuori identità
vettoriali a caso che non vi verrebbero mai in mente se non sapeste dove si
vuole arrivare. Non dovete ricordarvi i passaggi, io li faccio in modo che voi
possiate capire il senso delle formule finali a cui si arriva che sembrano calate
dal cielo e spesso non se ne capisce il significato.
La prima cosa da notare è che
~r − ~r0
~ 0 1
∇ =
|~r − ~r0 | |~r − ~r0 |3
Vorrei farvi notare che a priori ~r = (x, y, z) e ~r0 = (x0 , y 0 , z 0 ), per cui la
funzione
1
|~r − ~r0 |
~
È funzione di 6 variabili, (x, y, z, x0 , y 0 , z 0 ). Per questo è bene distinguere ∇
~ . Il primo gradiente indica che si fanno le derivate rispetto alle variabili
da ∇ 0
ρ(~r0 )
Z
1 ~ ~ 0 1
φ(~r) = +P ·∇ dV 0
4π0 V |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |
Ora andiamo ad usare una delle identità vettoriali che usiamo di solito
per far uscire una cosa utile
~ · (f G)
∇ ~ = ∇f
~ ·G
~ + f∇
~ ·G
~
~ = P~ e f = 1/R, per cui il potenziale diventa
Ovviamente sceglieremo G
3.3. ELETTROMAGNETISMO 427
! !
ρ(~r0 ) P~ (~r0 ) ~ 0 · P~ (~r0 )
∇
Z
1 ~0·
φ(~r) = +∇ − dV 0
4π0 V |~r − ~r0 | |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |
1
Z
ρ(~r0 ) − ∇ ~ 0 · P~ (~r0 ) 1
I
P~ (~r0 )
φ(~r) = dV 0
+ ~0
· dA (3.36)
4π0 V |~r − ~r0 | 4π0 ∂V |~r − ~r0 |
Ora questo potenziale ha una forma molto più potabile perché sembra
davvero qualcosa che abbiamo già visto un milione di volte. Se definiamo
~ · P~
ρeff = ρ − ∇
Allora il primo pezzo diventa
ρ(~r0 )eff
Z
1
dV 0
4π0 V |~r − ~r0 |
E questa è la formula che abbiamo sempre usato per il potenziale! Il
secondo pezzo diventa molto chiaro se scriviamo
~=n
dA bdA
Ovvero separiamo la parte vettoriale dalla parte scalare nell’area, metten-
doci un opportuno versore. In questo modo il secondo termine è
P~ · n
I
1
dA0
b
4π0 ∂V |~r − ~r0 |
E se diciamo che
σ = P~ · n
b
Allora questa è di nuovo a tutti gli effetti una densità di carica superficiale
e la formula è quella che abbiamo sempre usato!
Cerchiamo di dare una breve interpretazione fisica di queste formule prima
di dare un’equazione che generalizzi il teorema di Gauss quando ci troviamo
in presenza di materiali.
428 CAPITOLO 3. FISICA
Come vedete in figura 3.32 non è necessario che ci sia una carica netta nel
volume affinché vi sia una certa σ superficiale. Infatti i dipoli se si allineano
creano una parte particolarmente negativa sul bordo alto e una positiva sul
bordo basso. Questa è l’interpretazione del termine di integrale superficiale e
P~ · n
b è esattamente la quantificazione di questo termine.
Allo stesso modo, se supponiamo che i dipoli siano tutti rivolti verso un
centro, allora avremo che ∇ ~ · P~ =
6 0 e quindi avremo una sorta di ρdip in
aggiunta alla carica libera già presente.
Riprendiamo adesso la formula 3.36 e cerchiamo di scriverla in modo più
bello. Noi sappiamo che se il potenziale è dato dalla formula
ρ(~r0 )
Z
1
φ(~r) = dV 0
4π0 V |~r − ~r0 |
~ · E,
Allora la quantità ∇ ~ dove E
~ = −∇φ
~ è esattamente
~ = ρ
~ ·E
∇
0
Ora per evitare confusione indichiamo ρ con ρlib , in quanto quello che
abbiamo chiamato ρ fin’ora è esattamente la carica libera e non la carica
fasulla simulata dall’opportuna distribuzione di dipoli. Riprendendo appunto
la formula 3.36 diventa ovvio per analogia che nel modello che abbiamo fatto
la legge si riscrive
3.3. ELETTROMAGNETISMO 429
~ ~
~ = ρlib − ∇ · P
~ ·E
∇
0 0
Che possiamo semplicemente riscrivere come
~ ·E
0 ∇ ~ +∇
~ · P~ = ρlib
~ · (0 E
∇ ~ + P~ ) = ρlib
~
A questo punto spesso viene definito il vettore spostamento dielettrico D
~ = 0 E
D ~ + P~
P~ = 0 χE
~ (3.37)
Dove χ è sperabilmente una costante ed è uniforme, almeno in elettrosta-
~
tica. A questo punto è facile anche scrivere il vettore D
~ = (0 E
D ~ + P~ ) = 0 (1 + χ)E
~ = E
~
3
X
Di = ij Ej
j=1
~ ·D
∇ ~ = ρlib
Avremo che
~ ∂V ) = Qlib (V )
Φ(D,
Ovvero il flusso del vettore spostamento dielettrico sarà uguale alla carica
contenuta nella superficie.
Attenzione: l’equazione 3.37 richiede attenzione. Supponiamo di avere
una sfera di dielettrico e di immergerla in un campo elettrico E ~ ext generico.
Dato il campo esterno, la sfera si polarizzerà. Tuttavia, la polarizzazione
della sfera andrà a modificare il campo elettrico che c’era all’inizio, per cui la
polarizzazione non sarà P~ = χE ~ ext , ma sarà P~ = χE
~ 2 , dove E
~2 = E~ ext + E
~ pol ,
dove E~ pol è il campo generato dalla polarizzazione.
Z
1
U= φ(~r)ρ(~r)dV
2 V
~ ·D
∇ ~ = ρlib
Per cui
Z Z Z
1 ~ · DdV
~ 1 ~ · (φD)dV
~ 1 ~ · DdV
~
U= φ∇ = ∇ − ∇φ
2 V 2 V 2 V
~ ∂V ) = Q ⇒ 0 r Φ1 (E,
~ ∂V ) + 0 Φ2 (E,
~ ∂V ) = Q ⇒ E = Q
Φ(D,
A0 r
432 CAPITOLO 3. FISICA
Q Q Q A
C= ⇒C= = Q = 0 r = r C0
∆V Ed A
d
0 r
Q E0
E= =
A0 r r
3.3. ELETTROMAGNETISMO 433
Q Q
Z ~ ·E
D ~ Z
A0 r Q2 Q2
U= dV = A dV = Ad =
V 2 V 2 2A2 0 r 2C
E anche stavolta vale la formula per l’energia interna del condensatore.
Notiamo che l’energia interna a parità di carica separata è minore di quella
che avrebbe se le armature avessero il vuoto all’interno. Di conseguenza, una
lastra di dielettrico verrebbe risucchiata dalle armature di un condensatore
carico.
A questo punto non ci vuole un genio per capire che se rimpiazziamo quella
versione del teorema di Gauss con la nuova versione applicata ai materiali si
ottiene semplicemente
( (
~ ·D
∇ ~ = ρlib ~ r+ ) − D(~
(D(~ ~ r− )) · n
b = σlib
⇒
~ ~
∇×E =0 ~ ~
(E(~r+ ) − E(~r− )) × ~n = 0
Queste sono le condizioni di raccordo che ci dicono come varia il campo
elettrico subito fuori e subito dentro la superficie di separazione di un materiale
dielettrico. Per vedere come le cose tornino, riprendiamo l’esempio del
condensatore a facce piane e parallele che abbiamo visto poco fa, con una
leggera modifica. Riempiamo il volume con il dielettrico solo per metà, in
modo che una delle due facce sia coperta di dielettrico mentre l’altra non
abbia niente davanti, in modo che lo strato di dielettrico sia spesso d e lo
strato di vuoto altrettanto, per una distanza totale fra le piastre di 2d.
L’obiettivo è, data la carica Q separata sulle piastre, trovare il campo
elettrico in tutto lo spazio compreso fra le due armature. Per farlo possiamo
appunto usare le formule che abbiamo appena ricavato, per provare a vedere
come usarle. Consideriamo la superficie di separazione fra il conduttore e il
dielettrico. Possiamo usare le formule che abbiamo scritto poco sopra per
dire immediatamente49 che
Q
E1 =
A0 r
Ovvero il campo elettrico all’interno del dielettrico è minore di quello
che ci sarebbe senza, come ci aspettavamo. Per calcolare il campo elettrico
davanti all’armatura senza dielettrico si può usare la stessa identica formula
e ottenere subito che
Q
E2 =
A0
Che era il risultato consueto. Ora controlliamo se le cose tornano anche
sulla superficie intermedia, ovvero quella fra il dielettrico e il vuoto. Su quella
superficie non vi è carica elettrica libera, la carica superficiale che si viene a
formare è una carica di polarizzazione indotta, per cui sulla superficie avremo
σ = 0. Di conseguenza, dovrà essere
49
Grazie al fatto che in un conduttore in elettrostatica il campo elettrico sappiamo
sempre quanto fa, ovvero 0
3.3. ELETTROMAGNETISMO 435
~ r+ ) − D(~
(D(~ ~ r− )) · n
b=0
Ovvero, dato che il campo ha sempre la stessa direzione
D(~r+ ) = D(~r− )
Da una parte abbiamo il vuoto, per cui D2 = 0 E2 , mentre dall’altra
abbiamo un dielettrico lineare, per cui effettivamente D1 = 0 r E1 . La
formula che abbiamo appena scritto ci dice che deve valere
0 r E1 = 0 E2
E non è difficile accorgersi che le soluzioni che abbiamo trovato per i due
campi soddisfano effettivamente questa relazione.
Calcoliamo per completezza la ddp ai capi del condensatore, cosa indi-
spensabile per il calcolo della capacità. Il potenziale, come in elettrostatica, è
sempre definito come
Z b
∆Vab = − ~ · d~r
E
a
Nel nostro caso, a meno di un segno che per il calcolo della capacità non è
importante, la ddp sarà
Qd 1
|∆V | = E1 d + E2 d = 1+
A0 r
Per cui
Q A r
C= = 0
|∆V | d 1 + r
Vorrei far notare che torna il caso limite r → 1 in quanto poi la capacità
A
tende a 0 2d .
436 CAPITOLO 3. FISICA
~ = µ0 m~ × rb
A
4π r2
Per cui l’ovvia generalizzazione sarà
Z ~ (~r0 ) × (~r − ~r0 )
~ r ) = µ0
A(~
M
dV
4π V |~r − ~r0 |3
Ora come al solito usiamo una delle identità vettoriali a caso che non
verrebbero mai in mente ma che servono per fare manipolazioni intelligenti
~ × (f F~ ) = ∇f
∇ ~ × F~ + f ∇
~ × F~
E, tanto per cambiare, usiamo la solita identità
~r − ~r0 ~0 1
= ∇
|~r − ~r0 |3 |~r − ~r0 |
Per cui l’identità con il rotore si scrive
3.3. ELETTROMAGNETISMO 437
!
~ (~r0 ) ~0 ~ 0
~0×
∇
M ~0
=∇
1
× ~ (~r0 ) + ∇ × M (~r )
M
|~r − ~r0 | |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |
Per cui, ricordando che il prodotto vettore è anticommutativo, la formula
per il potenziale vettore diventa
! !
µ 0
Z
M ~ (~r0 ) ~0×M
∇ ~ (~r0 )
~ r) =
A(~ −∇~0× + dV
4π V |~r − ~r0 | |~r − ~r0 |
A questa formula dobbiamo aggiungerci il potenziale vettore generato
~
dalle correnti vere, ovvero dobbiamo aggiungere il termine che contiene J,
che sappiamo valere
µ0
Z ~ r0 )
J(~
dV
4π V |~r − ~r0 |
Per cui, riscrivendo la formula del potenziale in modo più sensato,
! !
Z ~ r0 ) + ∇~0×M ~ (~r0 ) Z ~ (~r0 )
~ r ) = µ0
A(~
J(~
dV − ~0×
∇
M
dV
4π V |~r − ~r0 | V |~r − ~r0 |
In pratica ci sta dicendo che sul bordo vi è una corrente superficiale il cui
contributo al potenziale vettore sarà quello. Cerchiamo di usare la formula
precedente per trovare una relazione fra B,~ M~ , J.
~ Buttando via il termine di
50
bordo , possiamo notare che la formula per il potenziale vettore è uguale a
quella classica se non per la presenza di un termine che può essere visto come
una J~eff , ovvero
50
Ci sono motivi per farlo ma la loro discussione non è utile a questo livello. Voi
ricordatevi della presenza del termine di bordo per il calcolo dei campi, ma dimenticatevene
quando fate le dimostrazioni. Avrete tempo all’università per capire perché possiamo
ignorarlo ogni volta.
438 CAPITOLO 3. FISICA
J~eff = J~ + ∇
~ ×M
~
~ e J~eff , per analogia al caso senza i
Ma noi conosciamo una relazione fra B
materiali, ovvero
~ ×B
∇ ~ = µ0 J~eff = µ0 (J~ + ∇
~ ×M
~)
~ ×H
∇ ~ = J~ (3.38)
Per cui,
~ +M
µ0 (H ~)=B
~ (3.39)
Questa relazione è sempre vera perché è in sostanza la definizione di un
~ che permette di scrivere le leggi in forma più compatta
vettore fittizio, H,
e tenere solo conto delle correnti libere in circolazione e non delle correnti
indotte nei materiali. Quello che aggiunge Fisica al modello del materiale è
una relazione aggiuntiva
~ , B,
f (M ~ H)
~ =0
Ovvero qualcosa che ci dica in che modo sono legati i tre vettori. Forse
non sono stato molto chiaro, in quanto mi direte che già l’equazione 3.39 è
una relazione di questo tipo. Io intendo dire una nuova relazione che leghi
per esempio solo M~ eB ~ all’interno del mezzo, un equivalente di quello che si
faceva in elettrostatica dicendo per esempio che la relazione fra D ~ eE ~ era
lineare per una vasta gamma di materiali, chiamati dielettrici lineari. Per
il caso magnetico, le cose sono più difficili. Vedremo in questo capitolo che
esistono principalmente 3 tipi di risposta diversa dei materiali all’applicazione
di campi magnetici esterni, ovvero
~ ·D
~ = ρlib
∇
~ ×E~ =0
∇
~ ·B
∇ ~ =0
~
∇×H ~ = J~lib
~ ·D
~ =0
∇
~ ×E~ =0
∇
~ ·B
∇ ~ =0
~
∇×H ~ =0
Vedete che a sinistra abbiamo D~ che è un vettore finto, che serve solo a
~ che invece è il vettore vero che
scrivere bene le leggi, e abbiamo anche B,
esercita la forza sulle cariche.
~ = µ0 µr H
B ~
Diamagnetismo
Ferromagnetismo forte
Superconduttori
3.3. ELETTROMAGNETISMO 441
Probemi
Problema 3.3.38 (Sfera dielettrica uniformemente polarizzata).
Soluzione non disponibile.
Problema 3.3.39 (Risalita del dielettrico nel condensatore (Ammissione
SNS anno ???)).
Consideriamo un condensatore cilindrico di raggio interno a, raggio esterno b
e lunghezza l fra le cui armature vi è il vuoto. Consideriamo inoltre una vasca
di superficie A b2 e anche di profondità L > l. La vasca è riempita di un
dielettrico fluido di costante dielettrica r ignota e densità ρ nota. Fra le armature
del condensatore viene mantenuta una differenza di potenziale fissa V0 , mantenuta
costante da un generatore ideale. Il condensatore viene immerso nella vasca
mantenendo il suo asse verticale. Si osserva che il dielettrico risale di una quota h
rispetto al fondo delle armature, contro la forza di gravità g.
Esprimere la costante r in funzione di h e delle altre quantità rilevanti.
Soluzione non disponibile.
Problema 3.3.40 (Oscillazioni dielettriche in un condensatore (Senigal-
lia. . . ?)).
Consideriamo un condensatore a facce piane quadrate e parallele di lato a e
con distanza fra le armature d. Fra le armature viene mantenuta una ddp fissa
V0 mantenuta da un generatore ideale. A questo punto consideriamo un mattone
di dielettrico r noto, con le stesse dimensioni del dielettrico, in modo da entrarci
perfettamente.
Consideriamo la situazione ideale in cui il mattone di dielettrico può scorrere
senza attrito sulla superficie interna del condensatore. Ignorate la presenza della
gravità in questo problema e allo stesso modo gli effetti di bordo.
Studiare le oscillazioni51 del dielettrico all’interno delle armature del condensa-
tore, al variare della posizione iniziale dello stesso
Soluzione non disponibile.
3.4 Ottica
Consigli per il lettore L’unificazione di Elettrodinamica e ottica è una
cosa che si fa al secondo anno di Università. Non è necessario che voi sappiate
davvero tutto quello che c’è scritto in questo paragrafo. Le cose importanti
sono nel paragrafo su riflessione e rifrazione, dove trovate le formule di Fresnel
e la loro spiegazione. Tuttavia io non sopporto spiegare le cose saltando pezzi
fondamentali. Al liceo non ci sono i prerequisti per poter fare queste cose.
Leggetevele per vostra curiosità personale e imparate davvero solo la parte
prettamente di ottica. Il resto sono spiegazioni che spero vi aiutino a capire
perché si fanno certe cose e perché non sono a caso.
Nota tecnica: l’elettrodinamica ha molto più senso in CGS che in MKS.
Se perdo 0 e µ0 in giro non odiatemi.
52
Solo in alcuni range di frequenze.
446 CAPITOLO 3. FISICA
~ ·D
~ =ρ
∇
~ ·B
~ =0
∇
∇
~ ×E~ =0
~
∇×H ~ = J~
~ ·D
~ =ρ
∇
~ ~
∇ · B = 0
∂B~ (3.40)
~
∇ × ~
E = −
∂t
~
~ = J~ + 1 ∂ D
∇
~ ×H
c2 ∂t
Queste sono finalmente le equazioni di Maxwell complete, come sono state
scritte più di 100 anni fa, quando sono state pubblicate per la prima volta.
Notate che queste equazioni non sono davvero un sistema completo. Infatti
abbiamo ben 4 campi incogniti da trovare, E, ~ D,
~ B,
~ H.
~ Se il problema era
determinato completamente nel vuoto con 4 equazioni e due campi, non
possiamo davvero sperare che in questo caso si possa risolvere il sistema senza
ulteriori informazioni.
Che cosa ci manca? La risposta è semplice e si può capire anche pensando
alla statica. In quel caso, per risolvere i problemi eravamo riusciti a fare dei
modellini per avere una relazione diretta D[ ~ E,
~ B], ~ E,
~ H[ ~ B],
~ dove con questa
notazione strana intendo solo dire che esiste e conosciamo una dipendenza
funzionale di D ~ da E~ e B ~ contemporaneamente. Nei modelli statici in
particolare era
~ = E
D ~ ~ = µH
B ~
53 ~ dipende solo da E
Intendo dire che D ~ e non da B,
~ cosa che in generale non è vera.
448 CAPITOLO 3. FISICA
~ = µ0 H
B ~
La parte interessante sarà sul campo elettrico e su D. ~ Ovviamente la
prima approssimazione che possiamo fare è che la relazione fra E ~ eD ~ sia
lineare. Voi giustamente potreste farmi notare che io ho appena fatto notare
~ = AE
che una relazione del tipo D ~ è assolutamente poco generale e di scarso
utilizzo e adesso vi vengo a dire che facciamo un modello lineare.
~
Non mi sto contraddicendo, infatti la più generale relazione lineare fra D
~
e E è
3 Z
X ∞ Z
Di (~x, t) = gij (~x, ~x0 , t, t0 )Ej (~x0 , t0 )dV 0 dt0
j=1 −∞ R3
3 Z
X ∞ Z
Di (~x, t) = gij (~x − ~x0 , t − t0 )Ej (~x0 , t0 )dV 0 dt0
j=0 −∞ R3
A questo punto per andare avanti nel modello bisogna avere delle idee di
quello che accade veramente nella vita di laboratorio per capire che cosa è
lecito approssimare e che cosa invece è impossibile da scartare. L’evidenza
mostra che nella maggior parte dei casi per mezzi non troppo densi la risposta
è locale, ovvero si può approssimare
A questo punto, in sostanza quello che diciamo non dipende davvero dal
carattere scalare o tensoriale di gij , per cui smetterò di mettere gli indici. In
tutte le formule potrete semplicemente pensare di avere una matrice al posto
di uno scalare e il discorso varrà uguale quasi ovunque.
56
Discuteremo di questo fra poco. É abbastanza ovvio che il campo elettrico che non si è
ancora visto, ovvero quello per t0 > t non può influire su quello che sta accadendo adesso.
450 CAPITOLO 3. FISICA
Z ∞ ∞
Z ∞
0 ωt
f (t)eiωt −∞ f (t)(iω)eiωt dt = −iω fˆ(ω)
ĝ(ω) = f (t)e dt = −
∞ −∞
ĥ(ω)
(−iω)2 fˆ(ω) − a(−iω)fˆ(ω) = ĥ(ω) ⇒ fˆ(ω) =
iωa − ω 2
Non so se ve ne siete resi conto, ma abbiamo trasformato un’equazione
differenziale in un’equazione lineare di primo grado. Mi pare una bella
semplificazione. Se poi si riuscisse ad invertire la trasformata per ottenere f
da fˆ sarebbe l’ideale.
Ovviamente non avrei detto questa cosa se non esistesse la formula di
inversione
Z ∞
1
f (t) = √ fˆ(ω)e−iωt dω
2π −∞
58
É impreciso. Le due funzioni devono essere L1 (R). Non preoccupatevi di questo
dettaglio.
452 CAPITOLO 3. FISICA
Il modello di Drude-Lorentz
Questo modello semplicistico, per quanto schematico e semplice è la base
per tutti gli altri modelli di risposta dielettrica. Andiamo a considerare un
materiale, che penseremo solido, ma in realtà funziona bene anche per altre
cose, che schematizziamo come una collezione di atomi non interagenti l’uno
con l’altro composti da un nucleo pesante che non interagirà con la radiazione
in arrivo e un elettrone60 legato al nucleo pesante da una forza di richiamo,
che tanto per cambiare prenderemo armonica a frequenza ω0 , di cui non
diamo il valore. Supponiamo che esista una forza di attrito di qualche tipo
sull’elettrone, per semplicità attrito viscoso.
Supponiamo ora di utilizzare un campo elettrico esterno per forzare
questo oscillatore. Ovviamente lavoreremo per componenti monocromatiche
per sfruttare Fourier, e poi alla fine se vorremo potremo ricomporre il tutto.
Ovviamente non possiamo fare altro che cominciare dalle basi, ovvero F~ = m~a
qE~0
−ω 2~x0 = −ω02~x0 + iωγ~x0 +
m
Dove ho già semplificato l’esponenziale, fattore comune a tutti. A questo
punto questa è un’equazione per ~x0
qE~ 0 /m
~x0 =
ω02 − ω 2 − iωγ
Diamo un po’ di Fisica a questi conti. La posizione a riposo, senza la
forzante, del nostro modello sarebbe ~x0 = 0. Questo corrisponderebbe ad
elettrone e nucleo sovrapposti. Per quanto sia poco realistico, per quello
che vogliamo fare noi è abbastanza descrittivo. Il succo è che quando invece
~x0 6= 0, il nucleo e l’elettrone sono separati. Abbiamo due cariche uguali e
opposte separate da un certo ~x0 . Cosa vi viene in mente? Ovviamente un
dipolo elettrico!
60
Il caso a più elettroni, purché non interagenti, non è concettualemente diverso da
questo.
3.4. OTTICA 455
~ 0 /m
q2E
p~ = q~x0 = 2
ω0 − ω 2 − iωγ
Abbiamo un dipolo elettrico proporzionale al campo incidente. Ricordiamo
che l’obiettivo di questo modello è trovare una relazione costitutiva dielettrica,
ovvero una relazione D[~ E].
~ In particolare, se ricordiamo che
~ := 0 E
D ~ + P~
~ 0 /m
nq 2 E
P~ = nq~x0 = 2
ω0 − ω 2 − iωγ
E praticamente ci siamo, in quanto
~ = 0 E
D ~ + P~ = 0 r E
~ 0 = (ω)E
~0
ωp2
r (ω) = 1 +
ω02 − ω 2 − iγω
Dove ho definito
nq 2
ωp2 =
m0
che viene chiamata frequenza di plasma e ha in effetti le dimensioni fisiche
di una frequenza. Questo modello semplicistico racchiude un sacco di Fisica,
anche se all’inizio può non sembrare. Nei successivi paragrafi andremo a
studiare nel dettaglio il grafico di questo modello per capire il comportamento
della risposta del mezzo alle varie frequenze. Vedremo poi che questo modello
è molto più generale di quello che sembra.
456 CAPITOLO 3. FISICA
∂u ~ ·S~ +w
−
=∇
∂t
Dove al solito moralmente noi conosciamo w in termini dei campi e
vorremmo andare a scrivere u ed S ~ solo in termini dei campi stessi. In
questa situazione di mezzo trasparente62 , possiamo dire che la dissipazione
sarà per l’appunto dovuta solo alle correnti libere J~l e non alle correnti di
polarizzazione J~p , praticamente per definizione. Di conseguenza, andremo a
scrivere
61
Ricordiamo che dispersivo vuol dire che r e quindi n variano con la frequenza.
62
Ovvero non dispersivo.
3.4. OTTICA 457
Figura 3.34: Modello di Drude Lorentz. In blu la parte reale della funzione
r , in verde la sua parte immaginaria.
∂u ~ ·S~ + J~l · E
~
− =∇
∂t
E a questo punto possiamo usare ovviamente una delle equazioni di
Maxwell per far sparire i termini di sorgente e cercare di esprimere tutto solo
in termini dei campi.
~ ~
∇ ~ = J~l + 1 ∂ D ⇒ − ∂u = ∇
~ ×H ~ ·S
~ +∇
~ ×H ~ − 1 ∂D · E
~ ·E ~
c2 ∂t ∂t c2 ∂t
E ora, come avevamo fatto per il vuoto andiamo a fare manipolazioni
vettoriali per ottenere un risultato più semplice. Inoltre, dato che le co-
se simmetriche ci piacciono sempre di più, andiamo a sommare una cosa
~ B
identicamente nulla in modo da rendere più simmetrico in E, ~ il risultato
458 CAPITOLO 3. FISICA
!
∂u ~ ~
− ~ ·S
=∇ ~ +∇~ ×H
~ ·E~ − 1 ∂D · E~+ ∇ ~ ×E~ + ∂B ~
·H
∂t 2
c ∂t ∂t
!
~ ~ ~ ~
=∇ ~ − ∂ E·D + H ·B −∇
~ ·S ~ ·E~ ×H
~
∂t 2 2
~
Per cui è naturale fare le nuove scelte per u e S
~ ·D
~ +H ~ ·B~
E
u=
~ 2
S=E ~ ×H ~
Vedremo che la formula per u smetterà di essere valida nel caso dispersivo
(ma alle Olimpiadi non vi capiterà mai di dover usare una formula diversa,
quindi imparate questa che va benissimo), mentre l’espressione per il vettore
di Poynting ha motivi per essere estremamente più generale e non perdere di
validità nemmeno nel caso assorbente.
Per concludere la trattazione del caso non dispersivo possiamo andare a
vedere che cosa succede all’equazione d’onda in questo mezzo. Ricordiamo
per chiarezza che le equazioni di Maxwell macroscopiche
~ ·D~ =ρ
∇
~ ~
∇ · B = 0
∂B~
∇~ × E~ = −
∂t
~
~ = J~ + 1 ∂ D
∇
~ ×H
c2 ∂t
Si possono riscrivere molto meglio in trasformata di Fourier semplicemente
∂
usando la sostituzione formale ∂t → −iω. Questo fatto potete darlo per
buono, ma è formamente e rigorosamente corretto anche in casi patologici.
Le equazioni si riscrivono prendendo la forma molto più semplice
~ ·D~ =ρ
∇
~ ·B~ =0
∇
~ ×E
∇ ~ = iω B~
~ = J~ + − iω E
∇
~ ×H ~
c2
3.4. OTTICA 459
~ = B)
E dato che noi lavoriamo in presenza di mezzi non magnetici (H ~ e
in assenza di sorgenti esterne (ρ = J~ = 0)
~ · E
~ =0
∇
~ ·B~ =0
∇
~ ×E
∇ ~ = iω B~
~ = − iω E
∇
~ ×B ~
c2
Se andiamo a considerare un mezzo isotropo, infinito e con che non
dipende dal punto, allora la costante dielettrica può passare oltre la divergenza
e otteniamo delle equazioni estremamente simili al caso nel vuoto63
~ ·E~ =0
∇
~ ·B~ =0
∇
~ ×E
∇ ~ = iω B~
~ = − iω E
~ ~
∇×B
c2
Al solito, possiamo prendere il rotore di una delle due ultime equazioni e
sostituirvi l’altra per ottenere
~+ω2 ~
∇2 E E=0
c2
Che è un’equazione formalmente identica a quella nel caso del vuoto.
Inoltre, se si ha > 164 , abbiamo le stesse soluzioni che avevamo nel vuoto,
a meno di una costante di cui ora parliamo brevemente. Possiamo infatti
cercare soluzioni come al solito in termini di onde piane
~ 0 ei(~k·~x−ωt)
~ x, t) = E
E(~
Che buttate dentro l’equazione precedente ci danno
2
ω
−~k · ~k + 2 E ~0 = 0
c
63
Nel caso in cui (ω) 6= 0. Vedremo un esempio in cui se è vera quell’uguaglianza
possono accadere delle cose interessanti.
64
Questa cosa non è sempre vera. Nella trattazione della zona II vedremo come agire in
caso non sia verificato.
460 CAPITOLO 3. FISICA
~ = u~v
S
Chiaramente dovete prendere questa formula come qualcosa di intuitivo,
non ho nessuna pretesa di convincervi con cosı̀ poche parole che sia vera e
indubitabile. La scrivo solo perché utilizzeremo questa relazione per trovare
la nuova espressione per u, dopo aver ricavato per altra via l’espressione per
~v e aver giustificato il fatto che l’espressione del vettore di Poynting rimanga
inalterata. Vediamo innanzitutto la nuova propagazione dell’energia.
Vogliamo dare una formula per la velocità di propagazione dell’energia. Per
chiarirci le idee e capire come funziona la propagazione non possiamo davvero
farlo per un’onda piana in quanto essendo infinita può trarre in inganno per
quanto riguarda i trasporti delle cose. Per questo motivo andremo a studiare
un pacchetto localizzato di energia e cercheremo di inseguire il suo centro,
usando le equazioni di Maxwell per descrivere la sua evoluzione temporale.
Fisicamente dovete immaginare una ristretta zona dello spazio in cui
all’istante iniziale è presente un campo elettrico e nessuna sorgente. Usando
le equazioni di Maxwell si può prevedere come evolverà la forma di questo
oggetto.
La trattazione matematica del tutto è leggermente più complicata di tutto
quello che ho fatto finora. Non mi aspetto che la capiate completamente
anche perché sono sicuro di non essermi spiegato in modo limpido. Cercate
solo di capire le poche cose fisiche su cui cercherò di porre l’attenzione.
Immaginate che sia il campo elettrico sia il campo magnetico non siano
più monocromatici ma siano una sovrapposizione continua di più onde mono-
cromatiche. È ragionevole pensare che si possa scrivere l’ampiezza dei campi
in un modo simile a quello che ho scritto.
462 CAPITOLO 3. FISICA
Z k0 +∆k
f (x, t) = A(k)ei(k(ω)x−ωt) dk
k0 −∆k
Z ∆k 2
2
∂ω ∂ω
u ∝ |f (x, t)| = A(k0 + q) exp i x − q dq ∝ I(x − t)
−∆k ∂k ∂k
∂ω
vg = (3.41)
∂k
VALIDITÀ FORMULA PER S ~
1 ∂(ω) 2 ∂(µω) 2
hui = E + H (3.42)
2 ∂ω ∂ω
MOSTRARE CHE ZONA CODA DRUDE LORENTZ È TIPO II E NON
I
3.4. OTTICA 463
~ = µ0 H
B ~
A questo punto per chiarezza diamo due nomi diversi alle parti reali e
immaginarie di ogni oggetto che andremo a trattare. Le quantità con pedice
1 saranno le parti reali, quelle con pedice due saranno le parti immaginarie.
ω2 ~
~+
∇2 E E=0
c2
Come abbiamo sempre fatto, per trovare delle relazioni utili andiamo a
cercare soluzioni in termini di onde piane
~ 0 ei(~k·~r−ωt)
~ =E
E
~k = ~k1 + i~k2
Prima di procedere, diamo un’interpretazione fisica a quello che stia-
mo scrivendo. Riscriviamo l’esponenziale separando i due termini, reale e
immaginario
65
In realtà è esattamente quello che faremo per ricavare le relazioni di Kramers-Kronig,
ma ci sono altri motivi per cui avrà senso farlo.
464 CAPITOLO 3. FISICA
~ ~
ei((k1 +ik2 )·r−ωt) = e−k2 ·~r ei(k1 ·~r−ωt)
~ ~
La differenza sta nel fatto che |~k|2 è un numero reale, mentre ~k · ~k può
comunque essere un numero complesso. Fate molta attenzione quando usate la
notazione complessa perché gli errori stupidi sono dietro la porta ad aspettarvi.
Ora che abbiamo chiarito questo dubbio (si spera), possiamo andare a
scrivere la parte reale e immaginaria dell’equazione
(1 + i2 )ω 2
(k12 − k22 ) + i2~k1 · ~k2 =
c2
Ovvero
2
k12 − k22 = 1 ω
c2 2
2~k1 · ~k2 = 2 ω
c2
Ora che finalmente abbiamo delle equazioni è il caso di commentarle. No-
tiamo innanzitutto che se 2 6= 0, allora deve esserci per forza una componente
immaginaria del vettore ~k! Questa è la prima conferma del fatto che la parte
immaginaria dell’indice di rifrazione sia un indicatore di assorbimento del
mezzo. Fra poco vedremo che è effettivamente cosı̀. Tuttavia, se 2 = 0, non
è detto che sia ~k2 = 0. Infatti semplicemente potrebbe essere ~k1 ⊥ ~k2 . Questa
non è una situazione patologica, è una bestia che dovreste conoscere bene,
3.4. OTTICA 465
si tratta del fenomeno della riflessione totale interna, che vedremo fra pochi
paragrafi.
A questo punto potremmo finalmente parlare del famigerato indice di
rifrazione n, che andiamo a definire in questo modo. Innanzitutto sarà una
quantità complessa, quindi
c
n= (3.43)
vf
~ ×H
∇ ~ = σE~ − iω E~ = − iω ˜E
~
c 2 c2
Per cui a meno di ridefinire possiamo trattare matematicamente allo
stesso modo sia conduttori che materiali dielettrici. L’unica cosa a cui fare
attenzione è la divergenza per ω → 0 della nostra funzione di risposta. Non è
un problema, basta solo ricordarsi che c’è.
c2 σ
˜ = + i
ω
3.4. OTTICA 467
~+ ω2 ~
∇2 E E=0
c2
Che varrà per entrambe i semispazi a patto di mettere gli indici giusti. In
particolare otterremo le relazioni di dispersione
(
~kr · ~kr c2 = ~ki · ~ki c2 = ω 2 i
~kt · ~kt c2 = ω 2 t
|~ki | = |~kr |
Ora bisogna andare a utilizzare un po’ di elettromagnetismo. Non ci sono
sorgenti libere sui nostri mezzi, ma solo sorgenti di polarizzazione. Le due
equazioni
∇~ ×E ~ = iω B
~
∇~ ×H ~ = − iω D~
c2
Dato che non ci sono motivi per dire che B ~ eD ~ divergano all’interfaccia,
si devono avere le condizioni di raccordo dei campi
(
∆H// = 0
∆E// = 0
θi = θr (3.44)
E poi, se andiamo a considerare ~kt , otteniamo delle relazioni
Ei + Er = Et
A questo punto dato che abbiamo due incognite e una equazione non
possiamo fare a meno di un’altra equazione. Questa sarà l’equazione sul
~ ovvero B.
raccordo di H, ~ Il campo B ~ si può calcolare usando la terza
equazione di Maxwell
~ = −i 1 ∇
B ~ ×E~
ω
~ in termini
E a questo punto, esprimendo la condizione di raccordo su B
~ ~
di E e k
ki − kt 1−n
r =
r =
ki + kt ⇒ 1+n
2ki 2
t =
t =
ki + kt 1+n
E da queste possiamo definire il vero coefficiente di riflessione
1 − n 2
2
R = |r| =
1 + n
La presenza del modulo quadro è dovuta al fatto che quello che si fa
normalmente è di misurare la potenza emessa e la potenza riflessa. La
potenza scala come |E|2 , per cui ha senso andare a considerare un modulo
quadro.
A questo punto bisogna rifare lo stesso conto per la polarizzazione TM.
Dato che sono pigro, non faccio il conto ma ve lo lascio come esercizio. Mi
limito a riportare il risultato e a commentarlo.
t kiz − i ktz
Br =
Bi
t kiz + i ktz
2t kiz
Bt =
Bi
t kiz + i ktz
n cos θi − ni cos θt
r = t
nt cos θi + ni cos θt (3.47)
2ni cos θi
t =
nt cos θi + ni cos θt
Vorrei farvi notare delle differenze piuttosto interessanti fra le due equazioni
3.46 e 3.47. Andiamo a caccia di casi particolari, per esempio cerchiamo
quando qualcuno dei coefficienti è 0 o magari anche infinito.
Indichiamo con il pedice s le quantità relative alla polarizzazione TE e
con p quelle relative alla TM67 . Per esempio, esistono valori di θi o di n che
ci dicono che l’onda riflessa o trasmessa sono nulle? Andiamo a cercarli
67
È una convenzione standard difficile da ricordare. In particolare s deriva dal Tedesco
senkrecht, che vuol dire ortogonale. Perché proprio E e non B visto che almeno uno dei
due sarà ortogonale? Mistero della fede.
472 CAPITOLO 3. FISICA
kiz − ktz
rs = 0 ⇒ = 0 ⇒ kiz = ktz
kiz + ktz
Quand’è che accade? Beh, se sono uguali qui due oggetti allora sono
uguali anche le quantità ~ki · ~ki e ~kt · ~kt , per cui si deve avere t = i , che
moralmente ci dice che l’elettromagnetismo non vede l’interfaccia. O c’è lo
stesso materiale da una parte e dall’altra, che ci dice che effettivamente l’onda
va avanti, oppure ci deve essere un materiale elettricamente indistinguibile
dal primo.
Per quanto riguarda l’onda trasmessa, dovrebbe essere kiz = 0, ovvero
incidenza parallela al piano, poco fisica.
Vediamo ora invece il caso p, più interessante.
sin θi nt cos θt
rp = 0 ⇒ nt cos θi = ni cos θt ⇒ = = ⇒ sin θt cos θt = sin θi cos θi
sin θt ni cos θi
uccidere solo la polarizzazione TE, quella che arriva riflessa residua ai nostri
occhi. Combinando i due effetti il risultato dovrebbe essere quello di ridurre
di molto il fastidio visivo dovuto al riflesso della luce sulle superfici.
Ci tengo a precisare che l’angolo di Brewster è una cosa che dipende dalla
polarizzazione. Un’onda polarizzata TE non risente di questo effetto, l’unica
che se ne accorge è quella TM.
Per completezza, calcoliamo l’angolo di Brewster per un’interfaccia fra
due mezzi di indice di rifrazione n1 , n2 . Sappiamo che
π
θi + θt =
2
Facciamo cose a caso finché non ne saltiamo fuori
ni sin θB = nt sin θt
π
ni sin θB = nt sin − θB
2
ni sin θB = nt cos θB
nt
tan θB =
ni
nt
θB = arctan (3.49)
ni
Quasi tutto quello che ho detto nel capitolo precedente risulta sempre
vero, indipendentemente dal fatto che ~k sia reale o complesso. In particolare
le uniche formule che possono avere problemi sono quelle con gli angoli. Le
474 CAPITOLO 3. FISICA
r r
t 2 2 2 t
ktz = ± ki − ki sin θi = ±ki − sin2 θi
i i
E questa relazione ci permette di vedere in modo semplice quando effetti-
vamente ktz rimane un numero reale e quando invece diventa immaginario. k
sarà reale quindi quando
t n2 nt
≥ sin2 θi ⇒ t2 ≥ sin2 θi ⇒ ≥ sin θi
i ni ni
Da questa relazione si vede che se nt < ni , allora esistono degli angoli per
cui il seno a destra è maggiore della quantità a sinistra. Questo significa che
per alcuni valori di θ il ktz diventa immaginario e questo vuol dire che l’onda
nel mezzo diventa smorzata! Il primo angolo a cui succede questo si chiama
angolo limite e vale
nt
θL = arcsin (3.50)
ni
Oltre questo angolo l’onda nel mezzo segue un andamento
~ =E
E ~ 0 e−χz ei(kix x−ωt)
<~kt · =~kt = 0
Esattamente come prevedeva il modello, che poneva quella quantità
proporzionale a =t , che in questo caso abbiamo supposto nulla.
Polaritoni e plasmoni
~ ·E
∇ ~ =0
(ω) = 0
~ ∇
−∇( ~ · E) ~ = 0 ⇒ ~k(~k · E
~ + ∇2 E ~ 0 ) − ~k · ~k E
~0 = 0
3.4. OTTICA 477
3.4.7 Problemi
Problema 3.4.1 (Palla in fondo ad una vasca (Senigallia 2010)).
La profondità di una vasca è uniforme e vale L. L’acqua è calma e limpida.
Dal punto O, posto al pelo dell’acqua, si osserva un punto A del fondo della
vasca che dista x dalla verticale passante per O.
3. Determinare l’area complessiva della vasca che si può osservare dal punto O
Hint: 4.2.8
Soluzione: 4.3.53
3.5 Relatività
3.5.1 Relatività ristretta
Questo argomento è molto complicato e spesso controintuitivo. Per capirlo
davvero, secondo me serve davvero molto tempo e si possono comunque fare
errori stupidi anche dopo averlo studiato a lungo. In realtà non è richiesta
la sua conoscenza alle Olimpiadi, ma alle APhO sono usciti diversi problemi
che la richiedevano e quindi forse fra un po’ capiteranno anche alle IPhO.
Credetemi che non è improvvisabile sul momento facendo cose a caso sperando
siano giuste, cosa che invece a volte si riesce a fare in problemi più semplici
di elettromagnetismo, per esempio.
~ ~
∇ · E = 0
~ ~
∇ · B = 0
~
∇~ ×E ~ = − ∂B
∂t
~
~ = 0 µ0 ∂ E
∇
~ ×B
∂t
Facciamo il rotore della terza equazione
2~
~ × (∇
∇ ~ =−∂∇
~ × E) ~ ×B ~ = −0 µ0 ∂ E
~ ⇒ −∇2 E
∂t ∂t2
Dove abbiamo usato un’identità vettoriale e sfruttato il fatto che ∇ ~ ·E
~ = 0.
Questa è evidentemente l’equazione di un onda in moto con velocità c = √10 µ0
Vorrei far notare ora la cosa fondamentale che le equazioni di Maxwell
valgono in qualsiasi sistema di riferimento inerziale. Di conseguenza,
il risultato che abbiamo trovato è invariante per sistema di riferimento.
Vi sembra banale? In realtà non lo è per niente. Abbiamo mostrato che la
velocità della luce è sempre c = √10 µ0 in ogni riferimento inerziale. Se ci
pensate un secondo, questa cosa è estremamente controintuitiva. Pensate ad
un’automobile con i fari accesi che si muove verso di voi. Se l’auto si muove a
velocità v, vi aspettereste che la luce arrivi verso di voi a velocità v + c, cosa
che questa equazione dice non essere vera.
482 CAPITOLO 3. FISICA
Vediamo quindi di dare uno sguardo alla teoria della relatività ristretta
cercando di capirci qualcosa. Assumiamo quindi come postulati che
68
Ovvero che le leggi della fisica valgono in ogni sistema di riferimento inerziale e che le
velocità relative si compongono a buonsenso e che per passare da un sistema di riferimento
inerziale ad un altro si usano le trasformazioni di coordinate intuitive che immaginate.
69
Certa gente lo cerca tuttora, non in modo scientifico ma gridando al complotto
massonico contro la relatività, di solito citando intepretazioni sbagliate di esperimenti. A
quanto pare informarsi prima di dire scemenze non va di moda.
3.5. RELATIVITÀ 483
Orologio a luce Dato che abbiamo assunto queste due cose, dobbiamo
innanzitutto ripensare a tutte le definizioni che abbiamo dato di lunghezza,
tempo, temperatura, eccetera. Probabilmente non andrà più bene determinare
il metro come 1/40.000 della circonferenza equatoriale e tantomeno il secondo
come una frazione dell’anno. Deciciamo quindi di costruire uno strumento
nuovo per misurare il tempo che utilizzi un oggetto su cui stiamo postulando,
ovvero la luce.
L’orologio a luce è fatto in questo modo: è composto da due specchi piani
e paralleli, da una sorgente di luce 70 e da un ricevitore. Gli specchi sono
posti ad una distanza L fissata, per esempio saldando i due specchi con una
barra metallica.
La sorgente emette un po’ di luce. Questa viaggia verso lo specchio,
rimbalza e torna indietro colpendo il ricevitore, che tiene il conto di quante
volte viene colpito. A questo punto si può equivalentemente scegliere di
avere una seconda emissione, nello stesso momento in cui la luce colpisce il
ricevitore, oppure dire che ce n’è ancora abbastanza da colpire il secondo
specchio e ricominciare il viaggio.
Misurare il tempo significa contare quante volte il ricevitore viene colpito.
In figura 3.36 c’è il disegno di questo oggetto.
4L2
Ma il primo pezzzo, c2
è semplicemente il tempo misurato dall’altro
orologio, ∆t2 ! Quindi,
v 2 02
∆t02 = ∆t2 + ∆t
c2
∆t
∆t0 = q
v2
1− c2
1 1
γ(β) = p ≈ 1 + β2 + . . .
1 − β2 2
Ovvero
β2
∆t0 ≈ ∆t + ∆t
2
Normalmente, anche muovendosi a alla velocità del suono, ≈ 340 ms , dato
che c ≈ 3 · 108 ms , β ≈ 10−6 , per cui il tempo viene aumentato circa di un
millesimo di miliardesimo. Direi che avevamo dei buoni motivi per non
essercene accorti prima.
3.5. RELATIVITÀ 487
• S1 solidale al muone da quando esce dal Sole a quando arriva sulla Terra
72
• S2 solidale alla Terra, che possiamo considerare essere quasi inerziale .
∆t0
∆t =
γ
A questo punto è sufficiente notare che γ → ∞ per v → c, di conseguenza
è sufficiente imporre ∆t ≤ τ per trovare che esiste davvero un range di velocità
che permette al muone di arrivare sulla Terra prima di decadere! In pratica,
viaggiando abbastanza velocemente, il muone può teoricamente percorrere
una distanza infinita prima di decadere, nonostante abbia un tempo di vita
finito e un limite di velocità.
A questo punto sorge spontaneo un altro dubbio che porta ad un ulteriore
risultato sorprendente della teoria della RR. Nel riferimento del muone è
comunque passato un tempo ∆t ≤ τ . In questo tempo, la Terra ha viaggiato
a velocità v verso il muone, di conseguenza quest ultimo ha visto la Terra
percorrere una distanza
∆t0 L0
L = v∆t = v =
γ γ
Vorrei far notare che L non sono i 150 milioni di kilometri che un osser-
vatore sulla Terra misura, sono quella lunghezza diviso per γ! In pratica,
secondo il muone la distanza Terra-Sole non è quella che vede un osservatore
fermo sulla Terra ma è molto di meno.
Come per la formula 3.51, anche qui bisogna stare attenti a non usarla a
sproposito. Vediamo un esempio meno concreto ma più semplice per capire il
punto della situazione.
∆t1 = γ∆t2
Ovvero che secondo l’osservatore sulla pista l’auto ci mette più tempo.
Dato che nel riferimento S2 il palo B viaggia a velocità v verso l’auto, nel
tempo ∆t2 il palo B percorre una distanza L2 = v∆t2 . Usando la relazione
di prima
L1
L2 = (3.52)
γ
Che è la formula di contrazione relativistica delle lunghezze. Come per la
formula 3.51, ha senso utilizzarla da S1 a S2 e non al contrario in quanto la
misurazione di S1 ha qualcosa di più di quello che misura S2 in quanto nel
riferimento S1 l’oggetto misurato è fermo. Questa lunghezza caratteristica
viene chiamata lunghezza a riposo ed è qualcosa di intrinseco nell’oggetto che
non dipende dal riferimento73
Facciamo un ulteriore esempio per chiarificare il tutto. Consideriamo
un’altra auto che si muove a velocità v 0 rispetto al terreno che percorre la
73
In quanto per misurarla si prende un riferimento in cui è fermo. Capitan Ovvio.
490 CAPITOLO 3. FISICA
∆t1
∆t3 = q
v 02
1− c2
∆t2
∆t3 = q
0 )2
1 − (v−v
c2
? NO. Stavolta la formula è stata usata con criterio ma nessuno ci dice che la
velocità relativa fra i due riferimenti sia v − v 0 , infatti scopriremo che non è
cosı́. 74 Era comunque intuibile dal fatto che le leggi della fisica devono valere
in ogni riferimento e con quella formula basta prenderne due che vadano in
direzioni opposte con velocità rispetto al terreno di v = 23 c per ottenere un
tempo immaginario, cosa poco plausibile.
Se vogliamo ottenere la formula corretta, possiamo agire in diversi modi
ma con gli strumenti che abbiamo fin’ora dobbiamo trovare la velocità relativa
u fra i riferimenti S3 ed S2 ed applicare la formula 3.51 mettendo γ(u).
Nel prossimo paragrafo vedremo la formula 3.57 che permette di ottenere
u in termini di v e v 0 che colmerà questa lacuna. Per ora andiamo a calcolare
a che distanza vede i due paletti il sistema S3
Possiamo dire che
r
(v − v 0 )2
L3 = 1 − L2
c2
? NO. Stavolta ci sono entrambe gli errori nella stessa formula. Infatti nel
sistema S2 la pista non è a riposo e abbiamo pure usato la formula sbagliata
di addizione delle velocità.
Possiamo dire che
74
Vedi il paragrafo sulle trasformazioni di Lorentz per trovare la formula di addizione
relativistica delle velocità.
3.5. RELATIVITÀ 491
r
v 02
L3 = 1− L1
c2
? Si. Finalmente abbiamo fatto qualcosa di giusto. Stavolta abbiamo usato
la formula 3.52 con la lunghezza a riposo e con la velocità giusta.
∆tβα βα
1 = γ∆t2
∆tηα βη αβ
i + ∆ti = ∆ti (3.53)
492 CAPITOLO 3. FISICA
Questa affermazione non ha niente di nuovo, ci dice solo che il tempo per
andare da F a G più il tempo per andare da G ad H è il tempo per andare
da F ad H. Nel riferimento S1 , ovviamente si ha
∆tηα βη αβ
1 = 0 ⇒ ∆t1 = ∆t1
∆tβη βη
2 = γ∆t1
t2 = γ t1 − vx
1
c2
x = γ (x − vt )
2 1 1
y2 = y1
z2 = z1
Che vengono chiamate tarsformazioni di Lorentz. Innanzitutto facciamo
il limite per c → ∞ e ci accorgiamo subito che ricadiamo nelle trasformazioni
di Galileo 3.54. Fisicamente ci dice che il modello di Galileo va molto bene
finchè non ci avviciniamo a velocità prossime a c, cosa rassicurante, visto che
è stato utilizzato per secoli.
Per diversi motivi è intelligente cambiare la variabile t con la variabile
ct ed utilizzare β al posto di v. In questo caso le trasformazioni acquistano
grande simmetria
ct2 = γ (ct1 − βx1 )
x = γ (x − βct )
2 1 1
(3.55)
y2 = y1
z2 = z1
E possono essere scritte in forma compatta in forma matriciale
ct2 γ −γβ 0 0 ct1
x2 −γβ γ 0 0 x1
= (3.56)
y2 0 0 1 0 y1
z2 0 0 0 1 z1
Tenete bene a mente la matrice nell’equazione 3.56, in quanto verrà utiliz-
zata spesso. Prima di andare avanti, vediamo un paio di cose. Innanzitutto,
ricordiamo che un evento è determinato in un sistema di riferimento da tutte
le sue coordinate, sia spaziali sia temporali. Di conseguenza, se consideriamo
gli eventi A e B, che in un certo riferimento S sono rappresentabili cosı́
ctA ctB
xA xB
yA yB
zA zB
Questi vettori, in un altro riferimento S 0 diventeranno
3.5. RELATIVITÀ 495
ct0A ct0B
ctA ctB
x0A xA x0B xB
0 = L 0 = L
yA yA yB yB
0 0
zA zA zB zB
Dove L è la matrice di prima. Per cui se consideriamo i vettori delle diffe-
renze spazio-temporali, a causa della linearità della trasformazione, avremo
che
c∆t0AB
c∆tAB
∆x0AB
= L ∆xAB
0
∆yAB ∆yAB
0
∆zAB ∆zAB
Andiamo ora a ritrovare i casi notevoli delle formule 3.51 e 3.52. Consi-
deriamo due eventi che nel sistema S avvengono nello stesso luogo, ovvero
∆xAB = 0. Le coordinate y e z non sono interessanti in quanto non vengono
coinvolte nella trasformazione. Vediamo cosa succede nel sistema S 0
c∆t0AB c∆t0AB
γ −γβ 0 0 c∆tAB γc∆tAB
∆x0AB −γβ γ 0 0 0 0 −γβc∆tAB
⇒ ∆x0AB
0
= =
∆yAB 0 0 1 0 ∆yAB ∆yAB ∆yAB
0 0
∆zAB 0 0 0 1 ∆zAB ∆zAB ∆zAB
c∆t0AB
c∆tAB γ γβ 0 0
∆xAB γβ γ 0 0 ∆x0AB
∆yAB = 0
0
0 1 0 ∆yAB
0
∆zAB 0 0 0 1 ∆zAB
Perché abbiamo fatto questo? Semplicemente perché la definizione sensata
di lunghezza misurata in un sistema di riferimento è la differenza spaziale
fra eventi contemporanei in questo riferimento che rappresentano le
496 CAPITOLO 3. FISICA
∆xAB
∆x0AB =
γ
Come ci aspettavamo.
Ora, la matrice di Lorentz è una trasformazione di coordinate. Ci sono
delle cose che lascia invariate, come per esempio le coordinate su cui non
agisce la trasformazione e delle cose che varia in modo evidente, come x e
t. Tuttavia, in generale non è detto che siano tutte qui le quantità che si
conservano. Per esempio, se torniamo in meccanica, una rotazione del sistema
di riferimento (solo rotazione, non sistema di riferimento rotante), lascia
invariata la norma dei vettori, ovvero se uno spostamento è ∆x,~ nel nuovo
~ e, sicuramente, se è una rotazione, lascia invariata la
riferimento si avrà ∆x 0
norma, ovvero
~ = |∆x
|∆x| ~ 0|
c2 t2 + x2 + y 2 + z 2
Purtroppo vi accorgerete che non funziona. Vediamo invece cosa succede
se cambiamo un po’ di segni. Consideriamo
c2 t 2 − x 2 − y 2 − z 2
Consideriamo la stessa quantità in un riferimento S 0 e usiamo le trasfor-
mazioni di Lorentz
c2 t2 + β 2 x2 − 2βctx − x2 − β 2 c2 t2 + 2βctx 2 2 c2 t2 (1 − β 2 ) + x2 (β 2 − 1) 2 2
= −y −z = −y −z =
1 − β2 1 − β2
= c2 t2 − x2 − y 2 − z 2
Dato quindi un vettore che rappresenta un evento, abbiamo mostrato che
la quantità
c2 t 2 − x 2 − y 2 − z 2
è invariante per sistema di riferimento. Ora dirò una cosa che probabil-
mente vi sarà poco chiara, ma non è importante che la capiate per fare i
problemi. Rileggetela dopo che avrete finito il corso di Algebra Lineare e
riuscirete a mettere a posto ogni tassello.
Se noi prendiamo un prodotto scalare non definito positivo ma con
segnatura (+, −, −, −), ovvero definito dalla matrice
1 0 0 0
0 −1 0 0
φ= 0 0 −1 0
0 0 0 −1
Allora la matrice di Lorentz è ortogonale rispetto a questo prodotto scalare,
ovvero
T T
v LφLw =T vφw
Cioè
γ −γβ 0 0 1 0 0 0 γ −γβ 0 0 1 0 0 0
−γβ γ 0 0 0 −1 0
0 −γβ γ 0 0 0 −1 0
0
=
0 0 1 0 0 0 −1 0 0 0 1 0 0 0 −1 0
0 0 0 1 0 0 0 −1 0 0 0 1 0 0 0 −1
xB − xA ∆xAB
v3 = =
tB − tA ∆tAB
Vediamo che cosa accade nel sistema S2 , trovandoci le differenze corrispo-
denti
3.5. RELATIVITÀ 499
(
∆x0AB = γ(∆xAB − β2 c∆tAB )
c∆t0AB = γ(c∆tAB − β2 ∆xAB )
Ma la quantità
∆x0AB
=u
∆t0AB
rappresenta esattamente la velocità relativa dei due sistemi di riferimento,
in quanto è la velocità del sistema S3 vista nel sistema S2 . Facciamo quindi il
conto
d~v
~a =
dt
Ovviamente una volta non c’era alcuna possibilità di fraintendimento in
quanto il tempo era uno solo. Pare ovvio che ora sia necessario specificare
quantomeno l’accelerazione in quale riferimento in quanto la misurazione del
500 CAPITOLO 3. FISICA
d~v
~a =
dτ
Andiamo a studiare il moto di un oggetto che si muove con accelerazione
propria costante, a titolo di esempio. Facciamolo partire da fermo al centro
di un riferimento S e facciamolo muovere con accelerazione propria costante
lungo l’asse x. Nei prossimi paragrafi vedremo che tipo di forza è necessaria
per creare questo tipo di accelerazione.
Descriviamo quindi quello che succede al nostro punto materiale nel sistema
S. Dato che stiamo descrivendo il tutto nel sistema S, dovremo utilizzare
come coordinate x e t e poi ci preoccuperemo di legare il tempo misurato nel
sistema S, t al tempo che misura l’osservatore accelerato τ
Istantaneamente, sarà
dt = γdτ
Infatti, possiamo considerare il sistema di riferimento inerziale che è
istantaneamente solidale all’oggetto per un tempo dt. Dato che questo
riferimento è inerziale, varrà la formula della dilatazione dei tempi. Dato che
gli eventi considerati avvengono nello stesso luogo nel riferimento solidale al
corpo, il γ va messo come sopra.
A questo punto, dato che abbiamo supposto l’accelerazione propria co-
stante, chiamiamola a e cerchiamo di integrare.
dv dv dβ
a= =γ = cp
dτ dt 1 − β 2 dt
Di conseguenza,
Z t Z β(t)
a 1
dt = p dβ
0 c 0 1 − β2
Ovvero
at at
= tanh−1 (β(t)) ⇒ β(t) = tanh
c c
3.5. RELATIVITÀ 501
at
β(t) = ⇒ v(t) = at
c
Che è quantomeno rassicurante. Inoltre il risultato è sensato perché
| tanh(x)| ≤ 1. Integrando ulteriormente possiamo trovare la posizione
dell’oggetto in funzione del tempo, misurata nel riferimento S.
t t
c2 c2
Z Z
at at at
x(t) = c β(t)dt = tanh d = ln cosh
0 a 0 c c a c
x2
cosh x = 1 + + o(x2 ) ln(1 + x) = x + o(x)
2
E quindi
c 2 a2 t 2
at 1 at
x(t) = +o = at2 + o
a 2c2 c 2 c
Cerchiamo ora di legare in qualche modo t e τ , dato che per ora abbiamo
visto solo cosa succede nel riferimento S, e noi vorremmo vedere cosa accade
secondo l’osservatore in moto.
Abbiamo scoperto da prima che
dt = γdτ
Ma ora abbiamo trovato un’espressione β(t), per cui anche γ(t). Di
conseguenza,
dt
= dτ
γ(t)
È a tutti gli effetti una separazione delle variabili che ora ci permette di
integrare e legare le due quantità. Scegliamo di sincronizzare gli orologi in
modo che entrambe partano da 0 quando il punto materiale parte.
502 CAPITOLO 3. FISICA
Z ts
cosh2 atc − sinh2 at
Z tp
2 c
1 − β (t)dt = τ ⇒ dt = τ
0 0 cosh2 atc
Z t
1
dt = τ
0 cosh atc
Questo integrale vi verrebbe sicuramente dato già fatto in gara perché è
una rogna da calcolare. La prima idea che mi viene in mente è che
Z
1
dx
cos x
Si fa utilizzando le formule parametriche, ovvero esprimendo cos x in
termini di t = tan x2 . Inoltre, possiamo sfruttare il fatto che cosh(ix) = cos x
per riuscire a ricondurci a quel caso. Una volta fatto l’integrale,
2c −1 at
tan tanh =τ
a 2c
Che lega in modo molto carino i due tempi misurati.
at aτ
tanh = tan
2c 2c
Ora possiamo ricavare t(τ ) per riuscire ad ottenere una relazione fra x e τ
2c aτ
t= tanh−1 tan
a 2c
Da cui infine
c2
−1
aτ
x(τ ) = ln cosh 2 tanh tan
a 2c
NO NO NON TORNA UN ACCIDENTI DI NIENTE RIPENSACI
I diagrammi di Minkowski
Energia e impulso Per ora non abbiamo fatto molta fisica, ci siamo limitati
a descrizione di cose, non abbiamo previsto molto. Cerchiamo di capire che
cosa succede alla meccanica quando ci avviciniamo alla velocità della luce.
L’obiettivo principale sarà avere una forma equivalente di F~ = m~a che ci
permetta poi di risolvere i problemi di dinamica. In particolare, vogliamo
trovare una formula che abbia F~ = m~a come caso limite quando β 1,
ovvero se facciamo tendere c → ∞.
Ora vi mostrerò un problema molto carino ma che non è davvero una
dimostrazione. Spero tuttavia che vi convinca abbastanza della validità del
risultato.
A questo punto cerchiamo di fare delle cose furbe per risolvere il problema.
Mettiamoci in un riferimento S 0 solidale alla particella quando esisteva. Anche
in questo riferimento dovranno valere le leggi della fisica in quanto è inerziale
pure questo. Dato che il problema ha si svolge su una retta, si dovrà avere
per forza
hν10 hν 0
0= − 2
c c
E 0 = hν + hν
1 2
504 CAPITOLO 3. FISICA
Ora qui bisogna mettere un pochino di Fisica per saltarne fuori. Noi
sappiamo che nel caso non relativistico la quantità di moto deve venire mv.
Se facciamo il limite per basse velocità, allora γ ≈ 1, per cui
2hν0 2hν0 E0
v = mv ⇒ m = = ⇒ E 0 = mc2
c2 c2 c2
Con questo abbiamo effettivamente mostrato che era la massa a immagaz-
zinare l’energia necessaria per creare i due fotoni. Inoltre abbiamo trovato
l’espressione per quantità di moto e energia
(
p = γmv
E = γmc2
3.5. RELATIVITÀ 505
E = γmc2 ≈ mc2
Pare non torni. . . Sbagliato. Non torna il conto perché abbiamo appros-
simato troppo. Noi vogliamo vedere che cosa succede tenendo termini fino a
v 2 , mentre qui non c’è nemmeno il termine v. Approssimiamo in modo più
umano.
v2
2 2 2 − 21 2 1 2 3 4 1 3
E = γmc = mc (1−β ) = mc 1 + β + β + o(β ) = mc2 + mv 2 + mv 2 2
4
2 8 2 8 c
d~x
~v =
dt
In questa definizione abbiamo una derivata rispetto al tempo e la cosa non
ci dà alcun fastidio in quanto in Meccanica classica siamo sicuri che tutti gli
orologi misurino il tempo allo stesso modo. In relatività ovviamente questo
non è vero, infatti due orologi in due sistemi di riferimento in moto l’uno
rispetto all’altro misurano tempi diversi. Cerchiamo quindi di fare chiarezza.
Possiamo definire principalmente due tipi di velocità e c’è un buon motivo
per entrambe, dipenderà dall’occasione capire cosa usare.
Vediamo la prima definizione: dato un sistema di riferimento S, possiamo
definire al velocità ~v
506 CAPITOLO 3. FISICA
d~x
~v =
dt
Dove ~x sono le 3 componenti spaziali misurate dal riferimento S e il tempo
è misurato sempre nel riferimento S. Questa velocità è sensata da definire in
quanto un osservatore nel riferimento S vede l’oggetto muoversi con quella ~v .
Andiamo ora a definire un altro tipo di velocità. Vi sembrerà inutile ma
vedremo che non lo è. Definiamo il vettore
d~x
~u =
dτ
~x è di nuovo il vettore posizione misurato nel riferimento S mentre τ è
il tempo proprio. Vorrei far notare che il tempo proprio è indipendente dal
sistema di riferimento 76 . In particolare ricordiamo che
dt = γdτ
Per cui le due velocità ~v e ~u sono legate da
~u = γ~v
~u può sembrare una quantità inutile, ma vedremo ora che non lo è. Infatti,
dxi
ui =
dτ
Dove indico con l’apice77 e ovviamente l’indice varia fra 1 e 3. Se decido
di inventarmi un nuovo vettore a 4 componenti, che chiamerò uµ (Quindi µ
varia fra 0 e 3) definito cosı́
γ 2 c2 − |~u|2 = γ 2 c2 − γ 2 |~v |2 = c2 γ 2 (1 − β 2 ) = c2
Come avevo previsto. Per ora vi sembra ancora inutile immagino. Conti-
nuiamo il discorso. Andiamo a definire il vettore
pµ = muµ
Che viene chiamato quadrimpulso. Andiamo a vedere le sue componenti
78
La convenzione vuole che gli indici con lettere latine vadano da 1 a 3 mentre quelle
greche da 0 a 3. Quando indicherò vettori a 3 componenti userò quindi i, j, k . . ., quando
indicherò vettori a 4 componenti userò µ, ν, λ . . .
508 CAPITOLO 3. FISICA
µ E
p = (γmc, γm~v ) = , p~
c
Dove E e p~ sono energia e quantità di moto relativistiche. La cosa bella è
che m non dipende dal sistema di riferimento, di conseguenza se uµ trasforma
secondo le trasformazioni di Lorentz, lo fa anche pµ !
La cosa più stupida che abbiamo guadagnato da questo è che
2
E
µ
pµ p = − |~p|2
c
è invariante per sistema di riferimento. Imparate molto bene questa cosa
perché di solito si usa di continuo nei problemi. In particolare, andiamo a
calcolare
2
E 2 − |~p|2 c2 = γ 2 m2 c4 − γ 2 m2 β 2 c2 c2 = m2 c4 γ 2 (1 − β 2 ) = mc2
E 2 = p2 c2 + m2 c4
Vorrei farvi notare che per un fotone si ha m = 0 e quindi E = pc.
Riprendiamo ora il discorso di prima. Abbiamo mostrato che energia e
quantità di moto relativistiche trasformano da un sistema di riferimento
all’altro come quadrivettori, ovvero
3
X
0µ
p = Lµν pν
ν=0
E 0 /c
γ −γβ 0 0 E/c
p0x −γβ γ 0 0 px
0 = (3.59)
py 0 0 1 0 py
0
pz 0 0 0 1 pz
Questa cosa è molto utile per risolvere i problemi, sia quando si ha a che fare
con particelle sia quando si ha a che fare con fotoni. Con questa trasformazione
infatti si può ricavare la formula dell’effetto doppler relativistico in una
direzione qualsiasi. Essendo E = pc = hν
3.5. RELATIVITÀ 509
1 γ −γβ 0 0 1
0
nx −γβ γ 0 0 nx
ν0
n0y = ν 0 (3.60)
0 1 0 ny
0
nz 0 0 0 1 nz
Dove ~n e ~n0 indicano il versore che dà la direzione di propagazione nei due
riferimenti. Prendiamo a titolo di esempio ~n = x b
1 γ −γβ 0 0 1 γ(1 − β)
0
−γβ
nx γ 0 0 1 γ(1 − β)
ν0
n0y = ν 0
= ν
0 1 0 0 0
n0z 0 0 0 1 0 0
Esempio 3.5.4. Prendiamo un esempio standard su cui forse non avete mai
riflettuto. Consideriamo una carica puntiforme q a riposo in un certo sistema
510 CAPITOLO 3. FISICA
F~ = q~v × B
~
Si avrà che non agiscono forze sulla particella e quindi questa non accelera.
Andiamo ora a studiare lo stesso fenomeno in un sistema di riferimento diverso,
sempre inerziale, S 0 , che si muove a velocità −~v0 rispetto ad S. Nel riferimento
S 0 avremo che la particella si muove con velocità ~v0 . Se supponiamo che il
campo magnetico non sia variato, stavolta avremo che la forza di Lorentz
agente sulla particella è diversa da 0 e quindi questa accelera! Questo
ovviamente viola il principio di relatività secondo cui possiamo scrivere delle
leggi della Fisica coerenti in ogni sistema di riferimento inerziale. Qualcosa
nel nostro ragionamento è andato storto. Ci possono essere più cose dove
abbiamo toppato. Una può essere che la carica elettrica q di una particella
possa dipendere dal sistema di riferimento. L’evidenza sperimentale tuttavia ci
dice che questo non è vero. La carica elettrica è invariante per sistema
di riferimento. L’altra cosa che possiamo aver sbagliato a supporre è che il
campo magnetico B ~ non sia variato. Andiamo a vedere che cosa succede se
non lo supponiamo. Partiamo dall’inizio e vediamo cosa succede.
~ = ρ
~ ·E
∇
0
~ ~
∇ · B = 0
∂B ~
~
∇ × E~ = −
∂t
~
~ = µ0 J~ + µ0 0 ∂ E
∇
~ ×B
∂t
L’unica sorgente del campo è la carica elettrica, sia sotto forma di densità,
sia sotto forma di densità di corrente. Dato che le equazioni di Maxwell
devono valere in ogni sistema di riferimento, ci aspettiamo che se le sorgenti
fossero le stesse, allora avremmo anche la stessa soluzione per E ~ e B,
~ cosa
che abbiamo mostrato non essere vera nell’esempio precedente. Cerchiamo
ora di saltarne fuori inventandoci qualcosa.
3.5. RELATIVITÀ 511
Noi sappiamo che la carica di una particella non dipende dal sistema
di riferimento. Tuttavia, dato che le lunghezze si contraggono, potrebbe
non valere la stessa cosa per la densità volumetrica di carica. Quello che
sicuramente deve valere è che
ρdV = ρ0 dV 0
Dove dV e dV 0 sono volumi corrispettivi misurati da due sistemi di
riferimento in moto relativo, S ed S 0 .
Consideriamo una zona dello spazio in cui vi è carica che si muove. Per ogni
punto sarà possibile definire lo scalare densità di carica ρ e il vettore classico
J~ = ρ~v , dove ~v è la velocità della carica misurata nel sistema di riferimento.
Consideriamo ora la quantità J µ , che viene chiamata quadricorrente
1 dxµ
Jµ = ρ
γ dτ
Dove dentro γ c’è ovviamente ~v . Questo è un vettore a 4 componenti
funzione di 4 variabili, le 3 spaziali e il tempo. È un po’ di più di un classico
campo di velocità in fluidodinamica. Consideriamo per un momento il caso
non relativistico in cui dt = dτ , solo per capire dove sto cercando di andare a
parare. In tal caso J µ è
J µ = (ρc, ρ~v ) = ρc, J~
dV dx1 dx2 dx3 dx1 dx2 dx3 dx00 dx1 dx2 dx3 dx00 dx00 dτ γ0
= = = = · =
dV 0 dx01 dx02 dx03 dx01 dx02 dx03 dx00 |det(L)| dx1 dx2 dx3 dx0 dx0 dτ γ
3 3 3
1 dx0µ 1 X dxν X 1 dxν X
J 0µ = ρ = ρ Lµν = Lµν ρ = Lµν J ν
γ dτ γ ν=0 dτ ν=0
γ dτ ν=0
~ =∇
B ~ ×A ~
~
~ = − ∂B
~ ×E
∇
∂t
79
Teorema di Helmholtz. Consulta Wikipedia oppure [Acq18] per informazioni aggiuntive.
3.5. RELATIVITÀ 513
~ = −∇φ
E ~ +C
~
~ Riscrivendo la legge di Maxwell,
Per un opportuno C.
~ =−∂∇
~ × −∇φ
∇ ~ +C ~ ×A
~
∂t
~ = ~
∂A
Sarà quindi C ∂t
. I campi saranno quindi espressi in termini dei
potenziali da
~
~ ~ − ∂A
E = −∇φ
~ ∂t
B=∇ ~ ×A~
Ovviamente questi potenziali non sono a caso. Ci sono ancora due delle
equazioni di Maxwell che non abbiamo usato
~ = ρ
∇
~ ·E
0
~
∇
~ ×B~ = µ0 J~ + µ0 0 ∂ E
∂t
Che ovviamente andranno meglio scritte in termini dei potenziali
∂ ~ ~ ρ
−∇2 φ − ∇
·A=
∂t 0
2~
∇(
~ ∇
~ · A)
~ − ∇2 A ~ ∂φ − µ0 0 ∂ A
~ = µ0 J~ − µ0 0 ∇
∂t ∂t2
Mi ritenete un idiota ora che ho detto che sono meglio scritte cosı́, vero?
Beh, sfruttiamo ora un truccone. Saprete sicuramente che se mando φ in
φ + C non cambia niente nell’espressione dei campi in quanto il gradiente
uccide quel termine. Di conseguenza il potenziale φ non è univocamente
determinato. È facile vedere che non lo è nemmeno A ~ e che possiamo fare
trasformazioni molto più grosse senza alterare il campo, che è la cosa fisica
che ci interessa.
Mandiamo quindi φ in φ + f e A ~ in A~+D ~ e vediamo di legare D~ e f in
modo da non cambiare i campi. Una trasformazione dei potenziali di questo
tipo si chiama trasformazione di gauge.
514 CAPITOLO 3. FISICA
~ ~
~ ~ + f ) − ∂(A + D)
E = −∇(φ
~ ∂t
B=∇ ~ × (A
~ + D)
~
~ ×D
Se vogliamo che i campi non cambino, si deve avere per forza ∇ ~ = 0,
~ = ∇g
ovvero D ~ per un opportuno g
~
~ = −∇φ
E ~ − ∂A − ∇
~ − ∇f ~ ∂g
∂t ∂t
Quindi se scegliamo f = − ∂g∂t
non cambia nemmeno il campo elet-
trico. Data quindi una qualsiasi funzione scalare g(~x, t), se operiamo la
trasformazione
∂g
φ→φ−
∂t
A ~→A ~ + ∇g
~
∂ 2A~
2 ~ ∂φ + ∇(
∇ A − µ0 0 2 = −µ0 J~ + µ0 0 ∇
~ ~ ∇~ · A)
~
∂t ∂t
Vorrei ora ricordare che l’operatore
1 ∂2
∇2 − =
v 2 ∂t2
è detto d’Alambertiano e rappresenta l’equazione di un’onda in moto. Nel
caso monodimensionale riconoscerete l’equazione della corda tesa
∂ 2ψ 1 ∂ 2ψ
− =0
∂x2 v 2 ∂t2
Per cui l’equazione precedente si può scrivere
~ = −µ0 J~ + ∇
~ ∇ ~ ·A~+ ∂φ
A
∂t
3.5. RELATIVITÀ 515
~ + ∂φ = 0
~ ·A
∇
∂t
~
Questo ci porta all’equazione per il potenziale A
~ = −µ0 J~
A
E all’altra equazione per il potenziale φ
∂ 2φ ρ ρ
−∇2 φ + 2
= ⇒ φ = −
∂ t 0 0
Che, mettendole insieme, costituiscono le equazioni per i potenziali nel
gauge di Lorentz
φ = − ρ
0
A ~ = −µ J~0
φ = − µ0 ρ = c2 µ0 ρ
φ
0 µ0 = −µ0 cρ
⇒ c
~ = −µ0 J~
A A ~ = −µ0 J~
Se andiamo ora a definire il vettore
µ φ ~
A = ,A
c
Che viene chiamato quadripotenziale, allora si può scrivere tutto in modo
compatto
3
X
0µ
A = Lµν Aν
ν=0
Ora siamo molto vicini a quello che volevamo, in quanto abbiamo trovato
una relazione diretta fra i potenziali nei due riferimenti. Tuttavia non siamo
ancora arrivati a quello che volevamo, in quanto spesso risalire al potenziale
dal campo è molto difficile, per cui dobbiamo ancora fare uno sforzo per
arrivare ad una formula esplicita per i campi.
A questo punto la matematica si fa ancora più tosta in quanto è indispen-
sabile introdurre oggetti nuovi.
PENSA AD UNA SPIEGAZIONE SEMPLICE
µ 1∂ ~
∂ = , −∇
c ∂t
1∂ ~
∂µ = ,∇
c ∂t
F µν = ∂ µ Aν − ∂ ν Aµ
F ij = ∂ i Aj − ∂ j Ai = −ijk B k
Ex Ey Ez
0 − − −
c c c
Ex
0 −Bz By
F µν =
c
Ey
Bz 0 −Bx
c
Ez
−By Bx 0
c
∂µ F µν = −µ0 J ν
~0 = E
E ~ //
//
~ 0 = γ(E ~ ⊥ − β~ × B
~ ⊥ c)
E
⊥
(3.62)
~0 = B
B ~ //
//
B~ 0 = γ(B ~ ⊥ + β~ × E
~ ⊥ /c)
⊥
518 CAPITOLO 3. FISICA
0
PCM = γ (PCM − βECM /c)
Dove abbiamo già tolto il segno di vettore supponendo di sapere dove
punta il vettore quantità di moto totale (basta fare una somma vettoriale).
Possiamo quindi in modo naturale definire il riferimento del CM il riferimento
0
in cui PCM = 0, ovvero quello che rispetto a S si muove con βCM
P~CM c
β~CM =
ECM
Non dimenticate che potete ancora usare le regole del calcolo vet-
toriale classico Un quadrivettore è un vettore con un numero in più e una
norma leggermente diversa, ma in fondo la parte vettoriale è sempre la stessa.
I prodotti scalari e tutte le cose che conoscete sui vettori di R3 funzionano
ugualmente, non avete perso niente a lavorare in R4 .
520 CAPITOLO 3. FISICA
3.5.3 Problemi
Problema 3.5.1 (Decadimento). Questo problema non è difficile,
serve solo a mostrarvi che diversi approcci ad un problema di relatività possono
portare o a conti disumani o a soluzioni semplicissime. Provate a fare questo
problema con diversi approcci per vedere cosa succede.
Una particella di massa M = 1 GeV/c2 è in quiete rispetto ad un riferimento
S, il riferimento del laboratorio. Questa particella decade in un fotone e in una
particella di massa m = M/2
1. Mostrare che tutti i prodotti del decadimento si muovono nello stesso piano.
4. Nel caso in cui quest’angolo è π/2 e le due energie dei fotoni sono uguali,
trovare l’energia della particella di massa m.
3.6.7 Problemi
Problema 3.6.1 ([). nterferometro a neutroni (IPhO 2006, 1)]
Soluzione non disponibile.
2. Trova la legge oraria classica per un oscillatore armonico che ha una energia
media pari al valore trovato al punto precedente.
Ricordo al lettore che con la notazione hf i si indica il valor medio della quantità
f , da specificare rispetto a cosa se non è chiaro dal contesto. In questo caso è
ovviamente rispetto al tempo.
Soluzione: 4.3.57
Problema 3.6.3 (Atomo di idrogeno). Volendo studiare un atomo
di idrogeno, le leggi della fisica classiche non son sufficienti, ed è necessario effettuare
una trattazione quantistica. In questo problema cercheremo di semplificare il più
possibile la parte quantistica, effettuando un approccio semiclassico
In meccanica quantistica, lo stato di una particella non è dato da una funzione
che indica la sua posizione in funzione del tempo, ma piuttosto da una densità
di probabilità Ψ(x, t), tale che la probabilità di trovare la particella in un certo
volume V al tempo t è
Z
P (V, t) = |Ψ(~r, t)|2 dV
V
Se uno stato è stabile, ovvero non si tratta di uno stato che decade, tale funzione
d’onda è possibile sceglierla indipendente dal tempo. Nel caso dell’atomo di idrogeno,
3.6. MECCANICA QUANTISTICA 525
~2 1 ∂ 2 e2
− (rΨ(r)) − Ψ(r) = EΨ(r)
2m r ∂r2 r
Dove E è l’energia dello stato fondamentale dell’atomo.
~2 1 ∂ 2 e2
− (rΨ(r)) − Ψ(r) = EΨ(r)
2m r ∂r2 4π0 r
Determinare, da considerazioni dimensionali, E,C ed rB
~2 1 ∂ 2
− (rΨ(r))
2m r ∂r2
Non essendo questa proporzionale a Ψ(r), possiamo considerare come valore
dell’energia cinetica tale termine calcolato per r = rB e diviso per Ψ(rB )
ρ(~r) = −e|Ψ(~r)|2
526 CAPITOLO 3. FISICA
9. Ripetere i due punti precedenti nel caso di atomo idrogenoide, cioè con un
elettrone e Z > 1 protoni.
~
~ ∂A
E=−
~ ∂t
~ ×A
B=∇ ~
~ implica che
La definizione di B
I Z
~
A · d~s = ~ · dA
B ~
∂Σ Σ
Dove Σ è una superficie con bordo dato dalla curva su cui si effettua la
circuitazione. In tal modo le equazioni di Maxwell diventano
∇~ ·A ~=0
2 ~
∂ A − c2 ∇2 A
~=0
∂t 2
2. Calcola il campo magnetico per un solenoide infinito in cui passa una corrente
I e che ha n spire per unità di lunghezza, con l’asse parallelo all’asse z
3.6. MECCANICA QUANTISTICA 527
4. Sapendo ciò, trovare una condizione sulla quantizzazione del flusso del campo
magnetico, del tipo
ΦB = nΦ0
5. A campo magnetico spento, due elettroni, partiti dallo stesso punto ~r, passano
uno a destra e uno a sinistra del solenoide in questione, e vanno a finire
entrambi in un certo punto su uno schermo. Questo crea una figura di
interferenza simile a quelle delle esperienze di Young. Cosa si osserva sullo
schermo se accendiamo il campo magnetico, aumentandolo lentamente? Per
rispondere, schematizza il problema con due funzioni d’onda opportune.
7. Dire che legge rispetterà il flusso del campo magnetico, a meno di una costante
arbitraria. Per i prossimi punti si scelga k = 4π
3.7 Complementi
3.7.1 Lagrangiana
Quando impari ad usare un
martello tutto quanto sembra
essere la testa di un chiodo.
IN STESURA, INCOMPLETO
Non potete usare la lagrangiana in una gara ma mi sembra un crimine non
mostrarvi questo metodo per risolvere i problemi, soprattuto perché quando si
può usare li distrugge senza ritegno. Usare la lagrangiana solo per un sistema
meccanico è riduttivo, si applica praticamente in ogni ambito della Fisica.
Per semplicità vi mostrerò prima il caso semplicemente meccanico.
La dimostrazione che andrò a fare ora richiede molta analisi e probabil-
mente non la capirete, ma non ha importanza. Se non vi interessa la parte
matematica potete leggere le ipotesi man mano e guardare solo il risultato.
In ogni caso cercherò di essere poco formale.
x = r cos θ
y=0
z = r sin θ
0 < x, y, z < L
Dove L è ovviamente il lato della scatola. In questo caso è impossibile
trovare delle coordinate generalizzate indipendenti che possano assumere
qualsiasi valore.
I vincoli non sono l’unico motivo per cui è sensato passare dalle solite
coordinate cartesiane ad altri tipi di coordinate. Si è visto nel capitolo di
Meccanica che le forze centrali sono ricorrenti nei problemi e quindi saper
scrivere delle equazioni in termini di q = r, θ, φ, magari più facili di quelle
brutte con le accelerazioni in sferiche, può essere una buona cosa.
d~pi
F~i =
dt
Dove F~i è la somma delle forze agenti sulla particella i-esima e ovviamente
p~i = mi~vi . L’equazione precedente si può scrivere
d~pi
F~i − =0
dt
METTO LE FORMULE, AGGIUNGI SPIEGAZIONE
X d~pi
~
Fi − · δ~ri = 0
i
dt
TOGLI FORZE VINCOLARI
d~pi d~vi
= ṁi~vi + mi
dt dt
A questo punto è necessario usare un sacco di analisi. È decisamente
opportuno scrivere le cose per bene per capire quello che stiamo facendo e
non fare conti a caso perché qualcuno ci ha detto che cosı́ le cose
tornano.
Vogliamo esprimere una piccola variazione nelle coordinate fisiche δri
in termini delle variazioni delle coordinate δqj Scriviamo per bene ogni
dipendenza funzionale delle variabili in modo da scrivere qualcosa di sensato.
~r1 = ~r1 (q1 , . . . qK , t)
~r2 = ~r2 (q1 , . . . qK , t)
..
.
~r = ~r (q , . . . q , t)
N N 1 K
Vorrei far notare che in questa espressione è chiaro come ~vi sia funzione
∂~ri
diretta dei q̇i , ma anche dei qi , nascosta dentro al fatto che dipende da qk .
∂qj
A questo punto, allo scopo di semplificare l’espressione che abbiamo ottenuto
prima, proviamo a calcolare ∂∂~q̇vji , cercando di sostituire o fare cose intelligenti.
X ∂~ri ∂~ri ∂~vi ∂~ri
~vi = q̇j + ⇒ =
j
∂qj ∂t ∂ q̇j ∂qj
Andiamo ora a definire una cosa che potrebbe sembrarvi inutile, chiamata
forza generalizzata
3.7. COMPLEMENTI 533
∂~ri
Qi,j = F~i ·
∂qj
Dove il doppio indice i, j indica la forza agente sulla particella i esima
e nella sua componente j esima, lungo una delle coordinate generalizzate.
Notare che questo Q non necessariamente è una forza, potrebbe per esempio
avere le dimensioni di un momento, ma questo non è importante.
Se poi definiamo la forza generalizzata totale sul sistema
X
Qj = Qi,j
i
d ∂T ∂T
Qj = − (3.63)
dt ∂ q̇j ∂qj
Cerchiamo ora di considerare solo alcuni casi belli di forze, per esempio le
forze conservative, in modo da avere una forma più semplice delle equazioni.
Andiamo a scrivere la definizione di forza totale generalizzata
∂~r
Qj = F~ ·
∂qj
Nel caso di forza conservativa si ha
F~ = −∇U
~
∂U
Qj = −
∂qj
534 CAPITOLO 3. FISICA
∂U d ∂T ∂T
− = −
∂qj dt ∂ q̇j ∂qj
A questo punto, il potenziale è indipendente dalla velocità, per cui l’ag-
∂U
giunta di termini come non cambierà di una virgola l’equazione. Se
∂ q̇
definiamo ora la funzione Lagrangiana del sistema
L=T −U
Le equazioni prendono finalmente la forma consueta
d ∂L ∂L
= (3.64)
dt ∂ q̇j ∂qj
Ricordatevele, perché queste equazioni distruggono i problemi di meccanica
senza attriti.
∂L ∂L
= (m1 + m2 )ẋ = −(m2 − m1 )g
∂ ẋ ∂x
3.7. COMPLEMENTI 535
Ovvero
m2 − m1
ẍ = − g
m2 + m1
Che è il risultato che ci aspettavamo in quanto ẍ = a
1 12
T = mẋ2 + mR2 θ̇2
2 25
Ma proprio perché rotola senza strisciare abbiamo
ẋ = Rθ̇
Quindi
17
T = mẋ2
25
L’energia potenziale sarà banalmente
U = mgx sin α
La lagrangiana sarà
17
L= mẋ2 − mgx sin α
25
E quindi otteniamo l’equazione
7
mẍ = −mg sin α
5
Dove ho saltato un paio di passaggi ovvi. Come vedete siamo arrivati
con estrema facilità a questo risultato che di solito richiede un sistema di 5
equazioni e 5 incognite, che non è difficile ma è fastidioso da fare
536 CAPITOLO 3. FISICA
r, θ, φ, ṙ, θ̇, φ̇
Ovvero in termini di coordinate sferiche. Tuttavia è intelligente notare
subito che il momento angolare totale è conservato, proprio perché il campo è
centrale, per cui la traiettoria sarà una curva piana. In questo modo possiamo
scrivere la lagrangiana in termini delle coordinate polari
r, θ, ṙ, θ̇
1 1 k
L = mṙ2 + mr2 θ̇2 +
2 2 r
Una delle due equazioni porta immediatamente ad una conservazione.
Infatti, dato che
∂L
=0
∂θ
Avremo subito
d ∂L
=0
dt ∂ θ̇
Ovvero banalmente
∂L
= costante
∂ θ̇
Se andiamo a calcolare esplicitamente
∂L
= mr2 θ̇
∂ θ̇
È banale accorgersi che questo è esattamente il momento angolare, in
particolare la sua componente lungo z, ovvero
mr2 θ̇ = L
Scriviamo ora l’altra equazione di Lagrange
3.7. COMPLEMENTI 537
d ∂L ∂L k
= ⇒ mr̈ = mrθ̇2 −
dt ∂ ṙ ∂r r
Che, sfruttando la prima equazione diventa
L2 k
−
mr̈ =
mr3 r
Che è l’equazione differenziale che abbiamo trovato tempo fa quando
abbiamo studiato il moto in campo centrale.
d ∂T ∂T
Qj = −
dt ∂ q̇j ∂qj
È a questo punto evidente che se scegliamo un potenziale U della forma
∂U d ∂U
Qj = − +
∂qj dt ∂ q̇j
Allora possiamo scrivere le equazioni di Eulero-Lagrange invariate, avendo
sempre L = T − U . Notare inoltre che il potenziale è esattamente quello
di prima più un termine che dipende dalla velocità generalizzata. Andiamo
a studiare ora nel dettaglio il caso elettromagnetico in modo da ricavare la
Lagrangiana di una particella in campo elettromagnetico.
538 CAPITOLO 3. FISICA
F~ = q(E
~ + ~v × B)
~
~
~ ~ − ∂A
E = −∇φ
~ ∂t
B=∇ ~ ×A~
~
U = qφ − q~v · A
È facile83 vedere che sviluppando le equazioni di Eulero-Lagrange si giunge
di nuovo alla stessa formula espressa con i vettori.
Scriviamo quindi la lagrangiana per una particella in campo elettroma-
gnetico in coordinate cartesiane per convincerci
1
L = m(vx2 + vy2 + vz2 ) − qφ + q(vx Ax + vy Ay + vz Az )
2
Le equazioni di Lagrange diventano
d ∂L ∂L
=
dt ∂v ∂x
d ∂Lx ∂L
=
dt ∂vy ∂y
d ∂L ∂L
=
dt ∂vz ∂z
Ora dobbiamo fare una noiosa derivata totale del potenziale vettore
~
A(x, y, z, t). Come abbiamo fatto nella dimostrazione del teorema di Bernoulli,
il risultato è
d ~ ∂A ~
A= ~ A
+ (~v · ∇) ~
dt ∂t
Che se sostituito nelle equazioni di prima, con molta fatica porta a
∂φ ∂Ax ∂Ay ∂Ax ∂Ax ∂Az
mẍ = −q + + q vy − + vz −
∂x ∂t ∂x ∂y ∂z ∂x
~ = − ∂φ − ∂Ax
E
∂x ∂t
E anche
∂Ay ∂Ax
− = Bz
∂x ∂y
Per cui, ricordando anche
~ = (vy Bz − vz By )b
~v × B x + (vz Bx − vx Bz )b
y + (vx By − vy Bx )b
z
d~p ~ + q~v × B
~
= qE
dt
Esistono modi molto migliori di mostrare che le equazioni si equivalgono,
ma richiedono un paio di trucchi che non vale la pena spiegare adesso.
3.7.2 Tensori
Che cos’è un tensore? È una
cosa che ruota come un tensore
542 CAPITOLO 3. FISICA
∂ 2 h(x, t) ∂T (x, t)
µ 2
= µg +
∂t ∂x
6. Mettere insieme le informazioni per trovare un’equazione differenziale alle
derivate parziali di h(x, t)
r04 2r02
U (r) = U0 − 2
r4 r
Con U0 = 5 eV e r0 = 0, 3 nm. Questo potenziale deriva dal fatto di considerare
solo gli atomi più prossimi.
1. Si trovi la distanza all’equilibrio fra gli atomi Applicando al cristallo una
forza di trazione ortogonale al piano del cristallo mentre la faccia opposta
è fissa ad un supporto, il cristallo si deforma, allungandosi nella direzione
della forza. Sia F il modulo della forza,
2. Si calcoli il modulo di Young del materiale (approssimate dove necessario)
3. La deformazione del solido al punto di rottura
4. Lo sforzo necessario per giungere al punto di rottura
Soluzione non disponibile.
Problema 3.8.6 (Scioglimento della Groenlandia (IPhO 3, 2013, Copenha-
gen)).
Questo problema prende in considerazione la fisica dello strato di ghiaccio
della Groenlandia, il secondo più grande ghiacciaio del mondo, in figura 3.40. Per
semplicità, la Groenlandia è schematizzata come un’isola rettangolare di ampiezza
2L e lunghezza 5L con il terreno al livello del mare e completamente ricoperta di
ghiaccio non comprimibile (di densità costante ρice ), vedi figura 3.40(b). Il profilo
dell’altezza H(x) dello strato di ghiaccio non dipende dalla coordinata y e aumenta
da zero sulla costa dove x = ±L fino ad una massima altezza Hm lungo l’asse
centrale nord-sud (l’asse y), noto come il divisore del ghiaccio, vedi figura 3.40(c).
Didascalia dello schema Una mappa della Groenlandia che mostra l’esten-
sione dello strato di ghiaccio (bianco), la zona libera da ghiaccio, cioè la regione
lungo la costa (verde), e l’oceano circostante (blu). (b) Il modello semplificato
dello strato di ghiaccio della Groenlandia che ricopre un’area rettangolare nel piano
xy con lati di lunghezza rispettivamente 2L e 5L. Il divisore di ghiaccio, cioè la
linea di massima altezza dello strato di ghiaccio Hm si sviluppa lungo l’asse y. (c)
Una sezione verticale (nel piano xz) attraverso lo strato di ghiaccio che mostra
il profilo dell’altezza H(x)(linea blu).H(x) è indipendente dalla coordinata y per
0 < y < 5L, mentre scende bruscamente a zero per y = 0 e y = 5L. L’asse segna la
posizione del divisore di ghiaccio. Per chiarezza della figura, le dimensioni verticali
sono aumentate rispetto alle dimensioni orizzontali. La densità del ghiaccio ρice è
costante.
Modello idrostatico Su brevi scale temporali il ghiacciaio è un sistema
idrostatico non comprimibile con uno fissato profilo dell’altezza H(x).
546 CAPITOLO 3. FISICA
1. Scrivi l’espressione della pressione p(x, z) all’interno dello strato del ghiaccio
in funzione dell’altezza verticale z sopra al terreno e a distanza x dal divisore
del ghiaccio. Trascura la pressione atmosferica.
Considera una certa porzione verticale dello strato di ghiaccio in equilibrio,
che ricopre una piccola base orizzontale di area ∆x∆y tra e x e x + ∆x, come
mostrato dalle linee rosse tratteggiate nella Fig. 3.1(c). La dimensione di
∆y non è importante. La componente orizzontale della forza ∆F risultante
sulle due pareti verticali della porzione, generata dalla differenza di altezza al
3.8. PROBLEMI GENERICI 547
centro rispetto alla parti periferiche della porzione, è bilanciata dalla forza di
attrito ∆F = Sb ∆x∆y prodotta dal terreno sulla base di area ∆x∆y, dove
Sb = 100 kPa.
4. Determina l’esponente γ con cui il volume totale Vice dello strato di ghiaccio
dipende dall’area A dell’isola rettangolare, Vice ∝ Aγ .
• La componente orizzontale x di vx = dx
dt della velocità di scorrimento del
ghiaccio è indipendente da z.
• La componente verticale z di vz = dz
dt della velocità di scorrimento del ghiaccio
è indipendente da x.
• Scrivi una espressione per l’età τ (z) del ghiaccio in funzione dell’altezza z
rispetto al terreno, esattamente al divisore del ghiaccio x = 0.
Rice − Rref
δ 18 O = 1000
Rref
MANCA IL SIMBOLO DEL PER MILLE DOPO IL MILLE, METTI A POSTO
dove R = [18 O]/[16 O] indica l’abbondanza relativa dei due isotopi stabili 18 O e
16 O dell’ossigeno. Il riferimento è basato sulla composizione isotopica degli oceani
Figura 3.41: (a) Relazione osservata tra nella neve in funzione della tempera-
tura media annuale alla superficie. (b) Misure di in funzione della profondità
dalla superficie presa da una nucleo di ghiaccio carotato dalla superficie fino
al letto di roccia in un punto specifico lungo il divisore di ghiaccio della
Groenlandia dove m.
9. Calcola l’innalzamento medio globale del livello dei mari che risulterebbe
dalla fusione completa dello strato di ghiaccio della Groenlandia, data la sua
attuale area AG = 1, 71 · 1012 m2 e Sb = 100kPa.
10. Con questo modello, determina la differenza hcph − hopp tra i livelli del mare
a Copenhagen e in un punto diametralmente opposto alla Groenlandia.
Soluzione: 4.3.60
dove n0 e k sono costanti positive. Si osserva che ogni fascio luminoso diretto
tangenzialmente, a qualunque altezza, percorre esattamente una traiettoria circolare
intorno al pianeta. Qual è il raggio del corpo celeste?
Soluzione: 4.3.61
5. Consideriamo ora una modifica del punto 2 studiando gli elettroni nel limite
ultrarelativistico (E = pc). In queste condizioni, otteniamo una nuova energia
associata agli elettroni
5/3 4/3
π2 3 ~cNe
Eerel =
44/3 π R
Ottenere il valore della massa Mc tale che la stella possa rimanere in equilibrio
in funzione delle costanti iniziali. Tale valore è detto massa critica.
3.8. PROBLEMI GENERICI 553
Soluzione: 4.3.62
Soluzione: 4.3.63
Il risultato precedente può far credere che possa esistere una stella di
raggio qualunque, purchè nel giusto rapporto M/R. Ciò non è vero, infatti si
sa che il gas nella stella si comporta approssimativamente come un gas ideale.
Ciò significa che la distanza media de tra gli elettroni è maggiore della loro
lunghezza d’onda di De Broglie λe , altrimenti la stella si comporterebbe in
maniera assai diversa. La densità di una stella diminuisce con il suo raggio.
Nonostante ciò, si assuma ancora che essa sia costante.
8. Esprimere de .
√
9. Usando la condizione de ≥ λe / 2, esprimere il raggio minimo di una
stella. Assumere che la temperatura al centro sia quella tipica, calcolata
precedentemente. Si calcoli il valore numerico del raggio minimo.
Soluzione: 4.3.66
Problema 3.8.17 (Il pianeta senza notte). Si consideri una coppia di stelle
di stessa massa M , a distanza 2R, che orbitano intorno al loro centro di massa
con un periodo orbitale Ts . Un pianeta di massa m M e raggio r R
oscilla perpendicolarmente al piano individuato dalle orbite delle due stelle,
sulla retta passante per il centro di massa. L’elongazione massima è z0 R.
Entrambe le stelle emettono una potenza P uniformemente distribuita nello
spazio.
Soluzione: 4.3.67
Problema 3.8.18 (Bolle (APhO 2010 3)). Nella prima parte del problema
studieremo una bolla elettronica, nella seconda una bolla di gas e il fenomeno
della sonoluminescenza. Entrambe le bolle sono immerse in un liquido.
Quando un elettrone si trova all’interno di elio liquido, può respingere gli
atomi circostanti e formare quella che si chiama bolla elettronica. La bolla non
contiene altro che l’elettrone. Assumiamo che la bolla elettronica sia isotropa
e che la sua interfaccia con l’elio liquido sia una superficie sferica. Il liquido
è mantenuto a una temperatura costante prossima a 0K e la sua tensione
superficiale è σ = 3.75 · 10−4 N m−1 . Trascurare l’interazione elettrostatica.
3.8. PROBLEMI GENERICI 557
1. Trovare una relazione tra PHe , Pe e σ. Trovare poi una relazione tra Ek
e Pe .
5. Esiste una pressione critica Pc tale che l’equilibrio della bolla non è
possibile per PHe < Pc . Trovare Pc .
Studiamo ora una bolla di gas in una bolla di liquido incomprimibile di raggio
r0 . Se la bolla di gas va incontro a compressioni ed espansioni successive
sufficientemente rapide e di ampiezza abbastanza grande, può emettere luce e
dar luogo al fenomeno della sonoluminescenza. Assumiamo che la bolla di
gas rimanga sferica e che il suo centro sia sempre stazionario. La pressione,
la temperatura e la densità sono uniformi in tutta la bolla. Inoltre, tutti
gli effetti dovuti alla gravità e alla tensione superficiale sono trascurabili, in
modo che la pressione sulla superficie interna sia sempre uguale a quella sulla
superficie esterna. Il raggio della bolla varierà con il tempo, quindi R = R(t)
e Ṙ = dR(t)/dt rappresenta la velocità radiale con cui si muove l’interfaccia
tra il liquido e il gas. Come risultato, anche il liquido avrà una velocità radiale
dr/dt quando si trova a distanza r dal centro della bolla. Siano quindi R, P ,
T il raggio, la pressione e la temperatura della bolla e ρ0 e T0 la densità e la
temperatura della bolla di liquido. Sia inoltre P0 la pressione esercitata sul
liquido per r = r0 .
1. Trovare il lavoro dW fatto sul liquido quando il raggio della bolla di gas
passa da R a R + dR in funzione di P0 e P .
558 CAPITOLO 3. FISICA
1. Trovare Ė in funzione di β.
Soluzione: 4.3.68
dF (θ) = Idσ(θ)
Problema 3.8.20 (Particelle instabili). Nella parte alta della nostra atmosfe-
ra arrivano continuamente raggi cosmici dallo spazio che, urtando le particelle
presenti nella parte alta dell’atmosfera vanno a produrre particelle cariche
negativamente chiamate muoni. Non entreremo nei dettagli di come vengono
prodotte, ci basti sapere che tale particella ha la stessa carica dell’elettrone, e
che ha una vita media τ e una massa mµ .
2. Che frazione k dei muoni prodotti vedrà arrivare un osservatore che sta
sulla superficie terrestre? Assumere che i muoni siano prodotti solo in
uno strato sottilissimo nella parte alta dell’atmosfera, e che lo spessore
atmosferico sia l
1. Nel sistema del centro di massa del pione, trovare energie, impulsi e
lunghezze d’onda dei due fotoni
2. Passiamo ora al sistema del laboratorio, ovvero quello dove il pione era
in moto. Trova le energie e le lunghezze d’onda dei fotoni in tale sistema
4. Sia θ l’angolo fra l’asse x (asse lungo cui viaggia il pione) e la direzione
dell’impulso dei fotoni nel sistema del centro di massa, e θ0 l’angolo fra
l’asse x0 (parallelo a x) e la direzione dell’impulso dei fotoni nel sistema
del laboratorio. Trovare la funzione
θ0 = f (θ, β)
dN dΩ = dN d cos θ∂φ = K
dk
5. Approssimando ora ∆k ≈ dω dω, e sostituendo ogni sommatoria con un
integrale su ω, calcolare il numero totale di modi di vibrazioni possibili
nel cristallo. Derivare anche un’espressione per ET (l’espressione corretta
è un integrale che non dovete risolvere).
Soluzione: 4.3.70
• Un’approssimazione ragionevole è
1. Scrivere l’energia potenziale coulombiana VC0 (r)√ per uno ione che intera-
gisce solamente gli ioni posti fino a distanza r = 3r0 (includendo anche
quelli a questa distanza nel calcolo). Trovare la costante di Madelung
α0 associata a questa approssimazione.
2. Usare il primo modello per Vrep per scrivere l’energia potenziale netta
per ione V1 (r) Determinare la condizione di equilibrio per r = r0 e
scrivere V1 (r0 ) in funzione di r0 , ρ e α (usare il valore esatto della
costante di Madelung).
4. Usare il secondo modello per Vrep (r) per scrivere l’energia potenziale
netta per ione V2 (r) Determinare la condizione di equilibrio per r = r0
e scrivere V2 (r0 ) in funzione di r0 , n e α (usare il valore esatto della
costante di Madelung).
568 CAPITOLO 3. FISICA
Soluzione: 4.3.71
Capitolo 4
569
570 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
10. prima o poi finisco di scriverle, se avete bisogno ora usate Wolfram
Alpha
4.2. SUGGERIMENTI 571
4.2 Suggerimenti
Suggerimento 4.2.1. 3.1.3 Parametrizzare con θ tutte le possibili parabole
e guardare l’intersezione di due parabole molto vicine.
dL~ CM
Suggerimento 4.2.2. 3.1.16 Scrivere F~ = m~a e ~τCM = senza scom-
dt
porre in componenti. Fare manipolazioni vettoriali e imporre il vincolo
vettoriale di rotolamento senza strisciamento. Tutto questo senza spostarsi
nel riferimento non inerziale rotante del giradischi.
Suggerimento 4.2.3. 3.1.34 Provare una soluzione polinomiale.
Suggerimento 4.2.4. 3.3.10 È vivamente consigliato fare il problema 3.3.9
prima di affrontare questo. Non a caso li ho messi uno accanto all’altro.
Suggerimento 4.2.5. 3.3.2 È vivamente consigliato fare il problema 3.3.2
prima di affrontare questo.
Suggerimento 4.2.6. 3.3.13 Scrivere il momento angolare L ~ dell’elettrone
~
dL
rispetto al centro del solenoide. Valutare poi = ~τ
dt
Suggerimento 4.2.7. 3.3.13 Leggere hint 1. Cercare di integrare e ricono-
scere belle cose.
Suggerimento 4.2.8. 3.4.1 Si consideri che i raggi luminosi, partendo dal
punto A e arrivando in O, formano uno stretto fascio divergente.
Suggerimento 4.2.9. 3.8.4 Ricordate le condizioni affinché un campo sia
conservativo?
Suggerimento 4.2.10. 3.8.4 Bisognerà in qualche modo bilanciare la massa.
Suggerimento 4.2.11. 3.8.4 Se leggete questo hint dovreste aver capito che
~
è furbo scrivere ~v = ∇φ. Dato che l’ampiezza dell’oscillazione dipende solo
da z, potrebbe essere furbo scrivere
Il segno giusto è il meno (si vede facilmente notando che θ(0) = 0). Da qui si
2
ricavano l’istante in cui la massa sbatte sul disco (t = 2vl0 R ), la tensione
v0 R
mvl 2 mv02
T = q l =√2
R 1 − 2v0 Rt l − 2v0 Rt
l2
θ−θ0
le− tan φ
r= .
2 cos φ
Questo tipo di figura è chiamata spirale logaritmica. Per completezza,
troviamo anche quanto tempo impiegano i punti ad arrivare al centro e quanta
strada percorrono (queste quantità sono finite nonostante i punti girino infinite
volte attorno al centro prima di raggiungerlo). Essendo φ costante, rimane
invariata anche la componente radiale della velocità, cioè v cos φ, dunque il
tempo è
r0 l
t= =
v cos φ 2v cos2 φ
e la distanza percorsa
l
d = vt = .
2 cos2 φ
Soluzione 4.3.3 (Soluzione al problema 3.1.3). Parametrizzo ogni parabola
con l’angolo θ di alzo.
x(t) = v0 cos(θ)t
1
y(t) = v0 sin(θ)t − gt2
2
Scriviamo in forma implicita la funzione, eliminando il parametro t,
ottenendo una F (x, y, θ) = 0
g x2
0 = −y + x tan θ −
2v02 cos2 θ
Considero due parabole estremamente vicine, ovvero F (x, t, θ) e F (x, y, θ +
dθ). Queste due parabole si incontrano in due punti, in (0, 0) e in un altro
punto. Man mano che dθ → 0, il punto di incontro delle due parabole diventa
un punto di tangenza. Con un buon disegno, si riesce a vedere che questo
punto di tangenza è esattamente il punto che al variare di θ descrive la linea
di demarcazione fra le due zone.
In sostanza, dobbiamo trovare per ogni θ il punto (xθ , yθ ) tale che
∂F (x, y, θ)
=0
∂θ
Quindi ora abbiamo due equazioni,
g x2
−y + x tan θ − 2 =0
F (x, y, θ) = 0
⇒ 2v0 cos2 θ
∂F (x, y, θ) = 0 x g x2
+ · (− sin θ) = 0
∂θ
cos2 θ v02 cos3 θ
v02 v2 g v4
tan θ = ⇒ −y + x 0 − 2 x2 (1 + 2 0 2 ) = 0
gx gx 2v0 g x
Mettendo a posto tutto,
v02 gx2
y= − 2
2g 2v0
Ovvero una parabola. Controlliamo i casi limite: per x → 0, la parabola
v2
è alta 0 , che rispecchia ciò che uno si aspetta.
2g
v2
Inoltre, y = 0 ⇒ x = gittata massima = 0 , quindi il nostro risultato è
g
quantomeno sensato.
Soluzione 4.3.4 (Soluzione al problema 3.1.4). Proviamo a risolverlo in due
modi diversi, con F = ma e con la lagrangiana.
Usando le forze, prendiamo come sistema di coordinate quello polare con
centro il centro dell’emisfera. Sia inoltre θ l’angolo dalla normale. Allora
abbiamo, rispettivamente per la componente radiale e tangenziale,
N − mg cos(θ) = −mRθ̇2
mg sin(θ) = −mRθ̈
dove N è la forza normale alla superficie. La condizione affinchè la massetta
rimanga sull’emisfera è logicamente N ≥ 0. Inoltre, dalla conservazione
dell’energia, posto lo zero del potenziale gravitazionale al suolo, si ha
~ = (xs , 0)
S
P~ = (xs + R sin θ, R cos θ)
~vs = (ẋs , 0)
~vp = ẋs + R cos θθ̇, −R sin θθ̇
Scriviamo quindi la conservazione dell’energia totale.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 577
1 1
mgR = (M + m)ẋ2s + mR2 θ̇2 + mẋs R cos θθ̇ + mgR cos θ
2 2
Scriviamo la conservazione della quantità di moto orizzontale.
Per cui, θ̇2 = Rg cos θ. Possiamo usare questa relazione nella conservazione
dell’energia per trovare
m 2 g 2g
1− cos θ cos θ = (1 − cos θ)
M +m R R
Che è un’equazione algebrica di terzo grado nella varaibile x = cos θ.
m
1− x x = 2 − 2x ⇔ x3 − 3tx − 2tx = 0
2
M +m
M +m
Dove t = .
m
Soluzione 4.3.6 (Soluzione al problema 3.1.7). In condizioni di equilibrio
le due masse si trovano chiaramente in posizione simmetrica separate da un
angolo π con il centro. Chiamiamo θ1 e θ2 gli scostamente angolari in senso
antiorario dalle posizioni di equilibrio. È immediato scrivere le equazioni del
moto delle due masse
k
θ¨1 = −2 (θ1 − θ2 )
m
k
θ¨2 = −2 (θ2 − θ1 )
m
Dato che stiamo cercando le condizione per le quali le leggi orarie sono
θ1 (t) = A1 eiωt e θ2 = A2 eiωt possiamo limitarci a cercare le soluzioni in questa
forma sostituendole nelle equazioni del moto. Ottenaimo quindi
2 k 2 k k
−ω A1 = −2 (A1 − A2 ) ⇒ ω − 2 A1 + 2 A2 = 0
m m m
2 k k 2 k
−ω A2 = −2 (A2 − A1 ) ⇒ 2 A1 + ω − 2 A2 = 0
m m m
che è un sistema lineare omogeneo. È noto che esistono soluzioni non banali
(la soluzione banale è A1 = A2 = 0) se e solo se la matrice dei coefficienti ha
determinante nullo. Si deve quindi avere
2 r
k2
2 k k
ω −2 −4 2 =0⇒ω = (2 ± 2)
m m m
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 579
k
θ¨1 = − (2θ1 − θ3 − θ2 )
m
k
θ¨2 = − (2θ2 − θ1 − θ3 )
m
k
θ¨3 = − (2θ3 − θ2 − θ1 )
m
come prima siamo interessati solo alle soluzioni nella forma θj (t) = Aj eiωt ,
j = 1, 2, 3, e sostituendo nel sistema otteniamo un sistema omogeneo analogo
al precedente:
2 k k k
ω −2 A1 + A2 + A3 = 0
m m m
k k k
A1 + ω 2 − 2 A2 + A3 = 0
m m m
k k 2 k
A1 + A2 + ω − 2 A3 = 0
m m m
come prima si deve avere che la matrice dei coefficienti ha determinante
nullo, cioè
2 !
2
k2
2 k 2 k k k k 2 k
ω −2 ω −2 − 2 −2 ω −2 − 2 =0
m m m m m m m
k 4 k2
ω6 − 6 ω + 9 2 ω2 = 0
m m
580 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
k
ω 2 Ai = (2Ai − Ai−1 − Ai+1 ) i = 1, . . . , n
m
e denotando λ = m
k
ω 2 si ottiene
1
E = (MA + MB + m)ẋ2 + (MB − MA )gx + Ufilo
2
Calcoliamoci in parte il contributo all’energia potenziale gravitazionale
del filo, che è l’unica parte insolita del problema. Andremo ovviamente a
considerare solo i due pezzi sospesi, in quanto il pezzo attaccato alla puleggia
rimane sempre alla stessa altezza.
Il pezzetto che si accorcia avrà una massa
l−x
mB (x) = m
2l + 2πR
Ovviamente l’altro pezzo sarà invece
l+x
mA (x) = m
2l + 2πR
Ognuno dei due pezzi contribuirà con un’energia potenziale
Ui = mi (x)Xi,cm (x)g
Dove ho indicato con Xi,cm (x) la posizione del centro di massa del pezzetto
di filo. Andiamo a calcolarla.
l−x
XB,cm (x) = −
2
L’altro invece
584 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
l+x
XA,cm (x) = −
2
Per cui finalmente
(l − x)2 + (l + x)2
Ufilo (x) = −mg
4l + 4πR
Per cui abbiamo finalmente un’espressione per l’energia totale
1 (l − x)2 + (l + x)2
E(x) = (MA + MB + m)ẋ2 + (MB − MA )gx − mg
2 4l + 4πR
A questo punto possiamo porre la derivata rispetto al tempo uguale a zero
per i motivi detti sopra.
−(l − x) + (l + x)
0 = Ė = (MA + MB + m)ẋẍ + (MB − MA )g ẋ − mg ẋ =
4l + 4πR
−(l − x) + (l + x)
= ẋ (MA + MB + m)ẍ + (MB − MA )g − mg
2l + 2πR
La soluzione ẋ = 0 ovviamente non è il caso fisico che stiamo studiando,
per cui possiamo buttarlo via ed ottenere l’equazione del moto
x
(MA + MB + m)ẍ + (MB − MA )g − mg =0
l + πR
Che si può riscrivere in forma più consueta
MA − MB m x
ẍ = g+ g
MA + MB + m MA + MB + m l + πR
Questa equazione non è difficile da risolvere. Vediamo subito infatti
che l’equazione è lineare, quindi possiamo liberarci molto rapidamente del
fastidioso termine costante cambiando variabile in
MA − MB
x=y− (l + πR)
m
L’equazione scritta in termini della variabile y diventa semplicemente
m y
ÿ = g
MA + MB + m l + πR
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 585
ÿ = +ω 2 y
Con ovviamente
r
m g
ω=
MA + MB + m l + πR
Le cui soluzioni si trovano provando una soluzione esponenziale
MA − MB
x(t) = Aeωt + Be−ωt − (l + πR)
m
A questo punto ci rimane solo da imporre le condizioni iniziali. Calcoliamo
v(t)
MA − MB
x(t) = C cosh(ωt) − (l + πR)
m
Ci manca solo da imporre x(0) = 0
MA − MB
x(t) = (l + πR)(cosh ωt − 1)
m
Facciamo ora il solito controllo di sicurezza. Vediamo se nel caso m → 0
effettivamente torniamo alla macchina di Atwood classica. Notiamo che per
m → 0 si ha anche ω → 0, per cui possiamo espandere in serie il coseno
iperbolico
w2 w4
cosh(w) = 1 + + + o(w5 )
2 24
586 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Per cui
2 4
MA − MB 2t 4t 5 5
x(t) = (l + πR) ω +ω + o(ω t )
m 2 24
Ma se ricordiamo il valore di ω
MA − MB t2
x(t) = g + C(m)t4 + o(t5 )
MA + MB + m 2
Che per m → 0 tende esattamente a
MA − MB gt2
x(t) =
MA + MB 2
Che è esattamente il caso senza filo massivo.
Soluzione 4.3.9 (Soluzione al problema 3.1.13). Sia m la massa di un
mattone. Consideriamo N − 1 mattoni in equilibrio. Il centro di massa
di questi deve trovarsi sul bordo del tavolo nel caso di distanza ottimale
raggiunta. Nel caso di N mattoni questa pila sta poggiando su un nuovo
mattone, che ha lo stesso ruolo del tavolo nel caso precedente. Fissando
l’origine sul bordo del tavolo, sia x la posizione del bordo del mattone più in
fondo: per il ragionamento precedente gli altri sono equivalenti ad una massa
(N − 1)m che si trova in x. Il centro di massa del nuovo mattone si trova
invece in −(L − x).
La situazione di equilibrio si ottiene quando il centro di massa del sistema
risultante è in x = 0, ossia:
((N − 1)x − (L − x)) m
= 0.
Nm
Il mattone in fondo sporge quindi di x = NL . Lo stesso ragionamento può
essere applicato ricorsivamente a una pila di N − 1, N − 2, N − 3 . . . mattoni
ottenendo per il blocco più in alto una distanza ottimale di
N
X 1
dN = L ≈ (ln(N ) + γ)L
1
k
dove la serie armonica può essere approssimata dal membro di destra per
N sufficientemente grande. γ ≈ 0, 577 è la costante di Eulero-Mascheroni.
Ovviamente questa ultima approssimazione non era esplicitamente richiesta
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 587
molto utile è che nel riferimento del CM , dato che deve rimanere fermo sia
prima sia dopo l’urto, le velocità delle due masse saranno parallele sia prima
sia dopo l’urto! Se cosı́ non fosse, avremmo che comunque prese le masse ci
sarebbe una componente non nulla della velocità del centro di massa, cosa
assurda proprio perché siamo nel riferimento del centro di massa.
METTI UN DISEGNO CHE ALTRIMENTI È DURA CAPIRCI QUAL-
COSA
Inoltre, dato che si conserva sia l’energia sia la quantità di moto, basta
scrivere le equazioni per accorgersi che in questo riferimento l’unica soluzione
è che le velocità delle due masse vengano semplicemente girate senza cambiare
di modulo! Per spiegarmi meglio, se all’inizio la massa mA si muove di velocità
~v 0 , dopo l’urto si muoverà di una velocità ~v ∗ che avrà lo stesso modulo di
prima ma sarà semplicemente girata di un angolo α rispetto a prima!
Questa è una semplificazione dei conti mostruosa, che ora farò per arrivare
al risultato richiesto.
Nel sistema S abbiamo che prima dell’urto la massa mA si muove di
velocità v verso destra lungo x, mentre mB è ferma. Di conseguenza, il centro
di massa si muove di velocità
mA
~vcm = ~v
mA + mB
Nel riferimento S 0 quindi la massa mA avrà velocità
mA mB
~vA = ~v − ~v = ~v
mA + mB mA + mB
Mentre ovviamente invece
mA
~vB = − ~v
mA + mB
Ed entrambe le velocità sono lungo x. Dopo l’urto, chiamiamo α l’angolo
fra le velocità prima e dopo l’urto, che in generale dipende da parametri fisici
come il parametro di impatto, che quindi non sappiamo a priori. La massa
mA avrà quindi velocità dopo l’urto
mB
vA0 x = v cos α
mA + mB
vA0 mB
y
= v sin α
mA + mB
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 589
mB
⇒ m2B cos2 α + mB mA cos α + m2B sin2 α = 0 ⇒ cos α = −
mA
Per cui
q
m2B
mB 1 −
p
mB sin α mB m2A − m2B
m2A mB
tan θ = = mB = 2 2
=p 2
mB cos α + mA −mB mA + mA mA − mB mA − m2B
mA1 = F1 − F2
Iα1 = a(F1 + F2 )
mentre le condizioni di non strisciamento con le due panche sono
aα1 + A1 = a0
A1 − aα1 = a1
notiamo che abbiamo 5 incognite (F1 ,F2 ,A1 ,α1 e a1 ) ma solo 4 equazioni;
sfruttiamo allora il fatto che il sistema è infinito per ottenere un sistema di
equazioni con un unica soluzione. Immaginiamo di guardare l’n-esima panca e
la vediamo accelerare con un accelerazione an ; an sarà di sicuro proporzionale
alla forza applicatagli. Inoltre possiamo immaginare il sistema al di sopra
dell’ n-esima panca come un unico blocco di massa µn incognita che dipende
solamente dal sistema al di sopra della panca e non dalle forze esterne su di
esso, di conseguenza, detta Rn la risultate orizzontale sull’ n-esima panca si
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 591
2F1 = µa0
2F2 = µa1
infatti dato che le panche sono prive di massa la forza totale sulla panca di
terra (n = 0) deve essere uguale e contraria alla forza che i cilindri applicano
sulla panca, ciascuna uguale a F1 , mentre è chiaro che ciascun cilindro applica
una forza F2 sulla panca con n = 1. Abbiamo ottenuto cosı́ il sistema
mA1 = F1 − F2
βmaα1 = F1 + F2
aα1 + A1 = a0
A1 − aα1 = a1
2F1 = µa0
2F2 = µa1
√
An = an−1 1+√β β
√
an = −an−1 1−√β
1+ β
lim An = 0
n→∞
3. Dato che le panche hanno massa nulla la forza esterna applicata alla
panca di terra deve essere uguale a 2F1 . Dato che questa è l’unica
forza esterna applicata al sistema, deve essere uguale
P alla derivata delle
quantità di moto totale. Ci aspettiamo dunque che ∞ n=1 (2mAn ) = 2F1 .
Facciamo il conto:
∞ √ ∞ √ n
X β X β−1
(2mAn ) = 2m √ √ =
n=1
1 + β n=0 1 + β
√
√
β 1
2m 1+ β
√ √
β−1
= ma0 β = 2F1
1− √
1+ β
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 593
Gravitazione
M r3
ρ= 4π 3 ⇒ m(r) = M
3
R R3
Per cui sarà
3r2
dm = M dr
R3
Da cui
r3 3r2
GM M 2 4
dL = − R3 R3 dr = − 3GM r d r
r R R4 R
2 Z 1
3GM 3GM 2
L=− x4 dx = −
R 0 5R
Da cui infine
594 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
3GM 2
U =−
5R
Soluzione 4.3.13 (Soluzione al problema 3.1.21). 1. La formula 3.26 per
una direzione qualsiasi è riportata in dettaglio nel capitolo di elettro-
statica. Ricaviamola molto velocemente comunque per questo caso
particolare. Consideriamo due cariche puntiformi +q e −q a distanza
2a, rigidamente collegate. Il dipolo avrà momento p~ = q2~a, dove ~a va
dalla carica negativa a quella positiva. Mettiamoci sulla congiungente e
calcoliamo il campo elettrico a grande distanza.
~ =E
~ + +E
~− = q 1 1 q 1 1
E − a= a 2 − a
(r − a)2 (r + a)2 4π0 r2 (1 − r ) (1 + ar )2
b b
4π0
~ = − Q rb
E
4π0
Dove ci va il segno meno in quanto il nostro riferimento è solidale
all’atomo e non allo ione. Il vettore polarizzazione sarà quindi
~ = − αQ rb
p~ = αE
4π0 r2
~ p che lungo la con-
Questa polarizzazione genera un campo elettrico E
giungente le particelle è
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 595
~p = p~ αQ
E = − rb
2π0 r3 8π 2 20 r5
2
~ p = − αQ rb
F~ = QE
8π 2 20 r5
αQ2 αQ2
F~ = − 2 2 5 rb ⇒ U = −
8π 0 r 32π 2 20 r4
Z ∞
U (~r) = F~ · d~s
~
r
b
mv0 b = mvrmin v = v0
rmin
1 1 αQ2 ⇒
b
2
αQ2
mv02 = mv 2 − 2 2
v0 = v0 −
2 2 4
32π 2 20 rmin
rmin 4
16π 2 20 mrmin
4 αQ2
rmin − b2 rmin
2
+ =0
16π 2 20 mv02
s
2 b2 b4 αQ2
rmin = ± −
2 4 16π 2 20 mv02
2
Notiamo che entrambe le soluzioni per rmin sono positive, quindi en-
trambe hanno una radice sensata. Ovviamente il problema ha soluzione
unica perché è un problema di Fisica classica. Per capire qual è la
soluzione giusta, bisogna pensare a cosa succederebbe in un caso più
semplice. Per esempio, se α fosse molto piccolo, tendente a 0, allora
sullo ione non agirebbero forze e quindi andrebbe via dritto. In tal caso
sarebbe rmin = b. Questo ci dice subito che la soluzione da prendere è
quella positiva, ovvero
v s
u
u b2 b4 αQ2
rmin = t + −
2 4 16π 2 20 mv02
Allora non esiste un rmin . Che cosa significa questo? Beh, r come
funzione di θ è una funzione decrescente all’inizio, in quanto la forza è
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 597
s
αQ2
A = πb20 =
420 mv02
1 m2 M G
= (1 + 1 cos θ) (4.1)
r L2
~ resta
dove si è scelto θ = 0 al pericentro. Dato che l’impulso è radiale L
costante, in particolare anche L. Dopo l’urto l’equazione dell’orbita è quindi
1 m2 M G
= (1 + 2 cos(θ − θ0 )) (4.2)
r L2
e dato che in θ = θ0 si ha il pericentro della seconda orbita, l’angolo
tra i due assi maggiori è proprio θ0 L’urto avviene quando r = rmin quindi
quando θ = 0. Uguagliano quindi i raggio, o meglio, i loro inversi, poiché
immediadamente prima e immadiatamente dopo l’urto il corpo è alla stessa
distanza dalla stella si ha per (4.1) e (4.2):
m2 M G m2 M G
1
(1 + 1 ) = (1 + 2 cos(−θ0 )) ⇒ θ0 = arccos
L2 L2 2
~ − m2 M G ~r
A~1 = p~ × L (4.3)
r
~
r ~
r ~
r
A~2 = (~p + ∆p ) × L
~ − m2 M G = A~1 + ∆p × L ~ (4.4)
r r r
e dato che l’urto avviene al paricentro, ~r e A~1 sono allineati, pertanto
~ = 0 quindi
A1 · (~r × L)
a3 d3
= costante ⇒ = costante
T2 8T 2
è una costante indipendente dalle condizioni iniziale sulle due masse;
possiamo quindi trovarla considerano il moto più semplice possibile, ovvero
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 599
m1 m2 2 2 m2 2 4π 2 G(m1 + m2 )
G 2
= m 1 ω r 1 = m 1 ω a ⇒ ω = 02
=
a m1 + m2 T a3
a3 G(m1 + m2 )
02
=
T 4π 2
q
d3 π 2
E quindi il periodo del moto degenere è T = 2G(m1 +m2 )
e quindi
s
d3 π 2
t=
8G(m1 + m2 )
Calcolo brutale
Consideriamo un punto materiale di massa ridotta µ = mm11+m
m2
2
. Su di lui
Gm1 m2 k
agisce una forza F = − r2 = − r2 , dove r è la distanza fra i due oggetti.
Consideriamo F = ma. Dato che questa volta il moto è unidimensionale,
possiamo cercare di integrare in quanto abbiamo una sola variabile.
ṙ2
k k d k d
− 2 = µr̈ ⇒ − 2 ṙ = r̈ṙ ⇒ =
r µr dt µr dt 2
ṙ2 ṙ2
d k k k
− =0⇒− =
dt µr 2 µr 2 µd
2 2k d − r
ṙ =
µ rd
r
Cambiamo variabile in z = d
2k 1 − z
ż 2 =
µd3 z
Separiamo le variabili e integriamo
600 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
s s
r Z 0 r Z τ
z 2k z 2k
ż = ⇒ dz = dt
1−z µd3 1 1−z 0 µd3
L’integrale a destra è banale. Per quello a sinistra basta fare il cambio di
variabili z = sin2 w
Z 0 r 2 s
sin w 2k
2 sin w cos wdw = τ
π/2 cos2 w µd3
Z 0 s s
2k π 2k
2 sin2 wdw = 3
τ⇒ = τ
π/2 µd 2 µd3
r s
2 3
π dµ π 2 d3
τ= =
8k G(m1 + m2 )
~τ = m~r × (N n̂)
e quindi si ha
dLz
= ẑ · (~τ ) = mN ẑ · (~r × n̂) = 0
dt
quindi la componente verticale del momento angolare si conserva, cioè
mv0 sin α = mv sin β
mentre per la conservazione dell’energia si ha
1 2 1 p
mv0 + mgh = mv 2 ⇒ v = v0 + 2gh
2 2
e sostituendo questa espressione nell’equazione della conservazione del mo-
mento angolare verticale, tenendo anche conto che sin α = Rb otteniamo
bv
sin β = p 0
R v02 + 2gh
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 601
3
2 r GMT
Φ(~g , ∂V ) = −4πGMint ⇒ 4πr g(r) = −4πGMT ⇒ g(r) = − r
RT RT3
GMT m
F~ = − rb
r
RT3
Abbiamo mostrato che in un campo centrale si conserva il momento
angolare e che i campi centrali ammettono potenziale. La prima informazione
ci dice che il moto avviene in un piano. Se poi diciamo che
GMT m 2
U (r) = r
2RT3
è facile verificare che F~ = −∇U
~
Tuttavia in questo caso è più pratico usare le forze. Prendiamo gli assi x
e y in modo che il moto stia in questo piano.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 603
GMT m GMT m
F~ = − 3
r=−
rb (xb
x + yb
y ) = m~a = m(ẍb
x + ÿb
y)
RT RT3
Per cui abbiamo un sistema di equazioni indipendenti
GMT
ẍ = − 3 x
RT
GM T
ÿ = − 3 y
RT
GMT
Che sono l’equazione di un pendolo semplice di pulsazione ω 2 = 3
RT
La soluzione di questo moto è
(
x = A cos ωt + B sin ωt
y = C cos ωt + D sin ωt
E già da questo si può capire che la traiettoria è una curva periodica in
quanto mandando t in t + 2π/ω, le coordinate x e y rimangono invariate.
Dato che la traiettoria è una curva chiusa e periodica esisterà un punto
in cui il raggio vettore sia perpendicolare alla tangente alla curva nel punto.
Possiamo ruotare il nostro sistema di riferimento in modo da porlo come
punto (L, 0) per un opportuno L. Le nuove leggi orarie saranno
(
x0 = L cos ωt
y 0 = L0 sin ωt
E questo è evidentemente un ellisse centrato nell’origine in quanto
0 2 0 2
x y
+ =1
L L0
Soluzione 4.3.18 (Soluzione al problema 3.1.26). 1) Calcoliamo e l in
funzione di L ed E.
Definiamo afelio e perielio
l l
r+ = r− =
1− 1+
2l
r+ + r− =
1 − 2
604 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
2l
r+ − r− =
1 − 2
Inoltre, scrivendo il potenziale efficace
1 2 L2 GMT m
E = mṙ + −
2 2mr2 r
Ricordiamo che afelio e perielio sono gli unici due punti in cui ṙ = 0, di
conseguenza, ponendo ṙ = 0 otteniamo un’equazione di secondo grado le cui
radici sono r+ , r− .
s !
L2 GMT m GMT m 2EL2
E= − ⇒ r± = − 1± 1+ 2 2 3
2mr2 r 2E G MT m
s
r+ − r− 2EL2
Notiamo che = = 1 + 2 2 3 , da cui possiamo ricavare
r+ + r− G MT m
2
L
anche l =
GMT m2
2) Troviamo rT imponendo che la forza centripeta sia uguale alla forza
gravitazionale
mvT2 GMT m 4π 2
= = m rT
rT rT2 TT2
r
GMT TT2
3
Da cui rT = , vT =
4π 2
3) Caso radiale. Calcoliamo le nuove costanti del moto L1 ed E1 .
L 1 = L 0
1 GMT m
E1 = mvT2 (1 + β 2 ) − = K0 (1 + β 2 ) + U0 = −E0 (1 + β 2 ) + 2E0 = E0 (1 − β 2 )
2 rT
s s
2E1 L21 2E0 (1 − β 2 )L20 p
Quindi l1 = l0 , 1 = 1 + 2 2 3 = 1 + = 1 − (1 − β 2 ) =
G MT m G2 MT2 m3
β, dove ci siamo ricordati che all’inizio l’orbita era una circonferenza.βlim = 1
evidentemente.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 605
Per trovare l’angolo fra le due orbite si può ragionare in questo modo:
dopo la spinta, l’orbita sarà comunque una conica con centro nell’origine del
riferimento, ma la posizione del raggio minimo sarà cambiata. Sappiamo che
l
r(θ) = . FINIRE
1 + cos(θ − θ0 )
4) Caso tangenziale:
L1 = L0 (1 + β)
s s
2E1 L21 2E0 (1 − 2β − β 2 )L20 (1 + β)2
1 = 1 + 2 2 3 = 1 + =
G MT m G2 MT2 m3
p
= 1 − (1 − 2β − β 2 )(1 + 2β + β 2 )
FINIRE
Indichiamo poi con l~i,j il vettore che va dalla massa i alla massa j, si ha
l~i,j = r~j − r~i Scriviamo allora le condizioni di equilibrio in questo sistema di
riferimento:
Gm1 m2 ~ Gm1 m3 ~
3
l1,2 + 3
l1,3 + m1 ω 2 r~1 = 0 (4.6)
l1,2 l1,3
Gm2 m3 ~ Gm2 m1 ~
3
l2,3 + 3
l2,1 + m2 ω 2 r~2 = 0 (4.7)
l2,3 l2,1
Gm3 m1 ~ Gm3 m2 ~
3
l3,1 + 3
l3,2 + m3 ω 2 r~3 = 0 (4.8)
l3,1 l3,2
606 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
che sostituendo alle l~i,j le espressioni in termini dei vettori posizione diventa
r~3 − r~1 r~3 − r~2
Gm3 m1 3 + m2 3 + ω 2 (m1 r~1 + m2 r~2 ) = 0
l1,3 l2,3
inoltre possiamo eliminare r~2 con (4.5):
m1 r~3 − m1 r~1 m2 r~3 + m1 r~1 + m3 r~3
Gm3 3
+ 3
− m3 ω 2 r~3 = 0
l1,3 l2,3
riordinando i termini si ha
m1 m2 + m3 2 1 1
G 3 + 3
− ω r~3 + Gm1 3 − 3 r~1 = 0
l1,3 l2,3 l2,3 l1,3
Se invece sommiamo la seconda e la terza condizione d’equilibrio, analoga-
mente otteniamo
m2 m3 + m1 2 1 1
G 3 + 3
− ω r~1 + Gm2 3 − 3 r~2 = 0
l2,1 l3,1 l3,1 l2,1
Dato che le massse non sono allineate, i vettori posizione non possono
essere a due a due paralleli, ovvero i coefficienti di r~1 , r~2 , r~3 nelle due equazioni
precedenti devono essere tutti nulli. Per prima cosa se ne deduce che
a −p. Per la terza legge della dinamica, sullo specchio verrà esercitata una
forza F di modulo
∆p
F =
∆t
Dato che per un fotone E = pc, la forza netta sarà
2P
F =
c
Dove P è la potenza netta che colpisce lo specchio. Questa potenza sarà
quindi l’intensità del Sole per l’area, ovvero
2I0 r02 A 1
F~ (r) = rb
c r2
Notare che è una forza repulsiva che va come 1/r2 . Possiamo subito trovare
il potenziale
2I0 r02 A 1
U (r) =
c r
Se vogliamo che abbandoni il sistema solare, il caso limite si ottiene
quando l’oggetto arriva ad infinito con velocità nulla. Di conseguenza, dalla
conservazione dell’energia
1 2 GM m 2I0 r02 A 1
mv − + =0
2 0 r0 c r0
Ma per il teorema del viriale i primi due termini diventano semplicemente
GM m 2I0 r02 A 1 GM mc
− + =0⇒A=
2r0 c r0 4I0 r02
Se invece incliniamo lo specchio, allora non si ha più conservazione del
momento angolare in quanto evidentemente la forza avrà una componente
tangenziale. Andiamo a vedere in dettaglio cosa succede.
608 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
n
b = cos αb
r + sin αθb
Da cui si trova la forma della forza
2hν10
0
2hν1 1 + β2
A = +1 A2 − 1
+1 = ⇒ mc2
r ⇒ A2 (1−β2 ) = 1+β2 ⇒ β2 =
mc2
p
1 − β22 1 + β2 1 + A2
A =
1 − β2
I casi notevoli ν10 → 0 e m → ∞ tornano, in quanto in entrambe i casi
A → 1 e quindi β2 → 0. Se ora vogliamo vedere che cosa è successo nel
riferimento della sorgente, possiamo tornare indietro usando la formula di
addizione relativistica delle velocità. Prima di farlo, però, è intelligente
esprimere ν10 in funzione di ν, la frequenza propria della sorgente.
Per farlo possiamo usare direttamente la formula dell’effetto doppler
relativistico oppure ricordare che energia e impulso trasformano come un
quadrivettore. Esprimendo quindi energia e impulso del fotone nei due sistemi
di riferimento e ricordando che E 2 = p2 c2 + m2 c4 , che per un fotone diventa
E = pc,
(
hν10 = γ (hν − βhν)
hν10
= γ hν − β hν
c c c
1 1 1 L2
E = mṙ2 + mr2 θ̇2 + U (r) = mṙ2 + + U (r)
2 2 2 2mr2
610 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
L2 L2
∂U ∂U
Ė = mṙr̈ − ṙ + ṙ = mr̈ − + ṙ = 0
mr3 ∂r mr3 ∂r
Per cui si deve avere
L2 ∂U
mr̈ − 3
+ =0
mr ∂r
In quanto ṙ = 0 ha significato di orbita circolare, che è una soluzione ma
non quella più generale.
Ora scambiamo la derivata nel tempo con la derivata rispetto all’angolo
per trovare una relazione r(θ) e non r(t)
dr dr dθ L dr
= =
dt dθ dt mr2 dθ
L2
L d L dr ∂U
m 2 − + =0
mr dθ mr2 dθ mr3 ∂r
Ora è il momento giusto per scrivere l’espressione di U (r)
L2 2r02
L d L dr r0
m 2 − − U0 − 2 + 3 = 0
mr dθ mr2 dθ mr3 r r
1
Al solito, cambiamo variabile in u = r
per semplificare i conti
L2 2 d2 u L2 3
− u − u + U0 r0 u2 − 2U0 r02 u3 = 0
m dθ2 m
d2 u 2mU0 r02
U0 r0 m
2
=− 1+ 2
u+
dθ L L2
Notare che questa equazione differenziale è uguale identica a quella del
moto di Keplero se poniamo = 0. Se chiamiamo
2mU0 r02
1
= 1+
θ02 L2
La soluzione è ovviamente
1 θ + φ θ02 U0 r0 m
= A cos +
r(θ) θ0 L2
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 611
dv dm M (t)
= ⇒ ∆v = −u ln
u m M0
Che ovviamente se il razzo parte da fermo diventa
M (t)
v(t) = −u ln
M0
Dato che il razzo espelle massa ad un tasso costante R, avremo che
M (t) = M0 − Rt, per cui
Rt
v(t) = −u ln 1 −
M0
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 613
Che ovviamente ha senso solo finchè rimane massa nel razzo, per cui non
dobbiamo preoccuparci di problemi di dominio nel logaritmo. Se volete questa
equazione si può integrare nel tempo per trovare la legge oraria, ricordando
l’integrale del logaritmo
Z Z Z
x+1
ln(1+x)dx = 1·ln(1+x)dx = (x+1) ln(1+x)− dx = (x+1) ln(x+1)−x
1+x
Soluzione 4.3.23 (Soluzione al problema 3.1.33). Se la corda sporge di una
x
lunghezza x, la parte sospesa avrà una massa m = M . La reazione vincolare
L
del tavolo andrà a controbilanciare solo il peso della parte appoggiata, quindi
la forza totale agente sulla fune sarà uguale al peso della parte sporgente,
ovvero
R~ is = M x ~g
L
Ovviamente verticale verso il basso. Scrivendo F = ma,
x
M g = M ẍ ⇒ ẍ = +ω 2 x
L
Notare l’importante segno + davanti ad ω 2 . Per risolvere questa equazione,
che è lineare a coefficienti costanti si prova una soluzione esponenziale
x(t) = x0 cosh ωt
Equazione che ha senso ovviamente solo finchè la corda sporge dal tavolo.
Quando è completamente fuori dal tavolo il moto sarà di caduta libera.
614 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
1 L
x(τ ) = L ⇒ τ = cosh−1
ω x0
Soluzione 4.3.24 (Soluzione al problema 3.1.34). Le funzioni variabili in
gioco sono il raggio della goccia r(t), la sua velocità di caduta v(t) e la sua
massa m(t). Dovremo trovare un sistema di equazioni differenziali che leghi
queste quantità e cercare di risolverlo. Ovviamente dovremo prima o poi
scrivere F = ma quindi prendiamoci d’anticipo e facciamolo subito per vedere
cosa ci serve
4π 3
m= λr (4.10)
3
Questo è semplicemente dire che la goccia è sferica e di densità uniforme.
Andiamo a fare le sostituzioni nell’equazione del moto
4π 3 4π 3 dv
λr g = vρπr2 v + λr
3 3 dt
Dove ovviamente abbiamo diviso per dt. Ci mancano ancora delle relazioni
fra r e v per ottenere un’equazione differenziale in una variabile sola. Per
farlo, si va a tentativi.
Per esempio, derivando l’equazione 4.10
4λ
ρπr2 v = ṁ = 4πλr2 ṙ ⇒ v = ṙ
ρ
Che in effetti ci aiuta molto. Andiamo a sostituire nell’equazione prece-
dente, dopo aver semplificato un r2
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 615
4π 16λ2 4π 4λ
λgr = ρπ 2 ṙ2 + λr r̈
3 ρ 3 ρ
Che è finalmente un’equazione differenziale in una variabile sola (è brutta
comunque). Scriviamola semplificando i termini inutili
g 12 4
r = ṙ2 + rr̈
λ ρ ρ
E di nuovo si cercano le soluzioni a caso. Proviamo una soluzione
polinomiale del tipo r = Atα . Sostituiamo e vediamo se siamo fortunati.
g α 12 2 2 2α−2 4
At = α A t + α(α − 1)A2 t2α−2
λ ρ ρ
L’unico modo affinché questa equazione possa essere valida per ogni t è
che gli esponenti siano uguali, ovvero
α = 2α − 2 ⇒ α = 2
In tal caso
g 2 48 2 2 8 2 2 g 56
At = A t + A t ⇒ At2 −A =0
λ ρ ρ λ ρ
Da cui ovviamente la soluzione sensata è
ρ
A= g
56λ
Ovvero
ρ 2
r(t) = gt
56λ
Ricordando poi la relazione fra v ed r possiamo trovare la legge oraria
4λ ρ g
v= gt = t
ρ 28λ 7
Notare che questo modello non è molto realistico in quanto facendo il
limite per ρ → 0 bisognerebbe trovare un moto di caduta libera, cosa che non
accade.
Soluzione 4.3.25 (Soluzione al problema 3.1.35). La forza applicata alla
catena dal supporto è responsabile di due cose:
616 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
dp dm σd x 1
F2 = =v = ẋ 2 = σ ẋ2
dt dt dt 2
Abbiamo, inoltre che:
1
x = gt2
2
ẋ = gt
Sommando i due contributi e sostituendo per x e ẋ:
1 x 1 1 1
F = F1 + F2 = σg + σ ẋ2 = σg 2 t2 + σg 2 t2
2 g 2 4 2
3
F = σg 2 t2
4
Soluzione 4.3.26 (Soluzione al problema 3.1.36). Sia p(t) la quantità di
moto del razzo all’istante t, v(t) la velocità, a(x) l’accelerazione, x(t) l’altezza
dal suolo, m(t) la massa e λ(t) la massa per unità di tempo che il razzo perde
(cioè λ(t) = −ṁ(t)). Sul razzo agisce solo la forza di gravità verso il basso,
quindi
uλ(t)
a(t) = v̇(t) = −g
m(t)
m
A questo punto uno dovrebbe lasciare a(t) in funzione di oppure di
m0
λ, ma è meglio sostituire direttamente la relazione m(t) = m0 (1 − αt) cosı̀ si
capisce subito che forma hanno i grafici delle tre funzioni.
Quindi λ(t) = −ṁ(t) = m0 α e
uαm0
a(t) = −g
m0 (1 − αt)
uα
Allora a(t) = − g. Integrando questa, poiché il razzo parte da
1 − αt
fermo e da terra, v(t) = −u ln(1 − αt) − gt
Integrando di nuovo
1 1
x(t) = −u t − ln(a − αt) − t − gt2
α 2
L’ultima integrazione è un po’ più brutta delle altre, ma non c’è nulla
di difficile (si integra per parti e viene subito) Il fatto che il razzo perda
1 1
della sua massa al secondo significa banalmente che α = . Inoltre
250 r 250
3RT
sappiamo che u = con M la massa molare delle molecole di idrogeno
M
e quindi a STP u ≈ 1838 m/s La velocità di fuga si trova ponendo in pratica
l’energia totale del razzo uguale a zero, quindi
1 GMT
v(t)2 =
2 rT + x(t)
con MT , rT massa e raggio terrestre.
618 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Fluidodinamica
Soluzione 4.3.27 (Soluzione al problema 3.1.38). Esistono sicuramente molti
metodi per farlo, ma uno carino ed istruttivo consiste nel misurare il periodo
delle oscillazioni verticali del cilindro intorno alla posizione di equilibrio in
acqua. Vediamo come: consideriamo prima la piscina senza immergere il
cilindro e fissiamo un riferimento con l’asse z rivolto verso il basso e l’origine
al livello della superficie dell’acqua. Ora supponiamo che il cilindro sia dentro
l’acqua con la superficie inferiore a quota z; il livello dell’acqua si sarà alzato
di d. Possiamo esprimere d in funzione di z utilizzando il fatto che il volume
totale dell’acqua deve essere costante. Supponiamo che prima dell’immersione
del cilindro la piscina fosse alta H, allora se A è la superficie della piscina, si
trova che
S
AH = A(H + d) − S(d + z) ⇒ d = z
A−S
Allora la forza di archimede esercitata sul cilindro in queste condizioni vale
F~a = −ρgS(d + z)ẑ = −ρg A−S
AS
z ẑ l’equazione del moto è dunque
AS S ρgS
mz̈ = mg − ρg z = mg − ρg S
z ⇒ z̈ = g − z
A−S 1− A
m(1 − AS )
S
m(1− A )
che è l’equazione di un moto armonico di centro z0 = ρS
e frequenza
s
2π ρgS
ω= =
T m(1 − AS )
da cui si ricava facilmente
S
A= ρgST 2
1− 4π 2 m
4π 2 m
Notiamo che se A → ∞, T 2 → ρgS
= T02 e possiamo riscrivere l’espres-
sione come
A 1
=
S 1 − ( TT0 )2
che ci permette di valutare fino a che ordini di grandezza di superfici
possiamo misurare con un cronometro anche molto preciso, per esempio al
620 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
F (x + dx) − F (x) dF
F (x) − Sdxρg − F (x + dx) = 0 ⇒ −Sρg = =
dx dx
Ora consideriamo la definizione di viscosità per manipolare l’espressione
della forza.
F dx dv dF d2 v
µ= ⇒ F = µS ⇒ = µS 2
Sdv dx dx dx
Se ora usiamo questa espressione nell’equazione precedente,
d2 v
−Sρg = µS
dx2
Che è un’equazione differenziale molto semplice da risolvere.
d2 v ρg dv ρg ρg
2
=− ⇒ = x + C ⇒ v(x) = − x2 + Cx + D
dx µ dx µ 2µ
Ora dobbiamo imporre delle condizioni iniziali sensate. La più ovvia è
che v(0) = 0 (viene suggerita dal testo), da cui D = 0. Per trovare l’altra
dv
condizione possiamo pensare in questo modo: dx assomiglia molto alla forza
viscosa, infatti
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 621
dv F
=
dx Sµ
Ora è abbastanza facile capire come la forza per unità di area in x = 0 sia
uguale a
F (0) mg
= = ρsg
S S
In quanto se siamo nel caso stazionario il muro in effetti deve tenere su
tutto il peso del muro d’acqua. Da questo si ricava
ρg 2 ρg ρgs2
−w2 + 2w
v(x) = x + sx =
2µ µ 2µ
Dove nell’ultima espressione ho introdotto il parametro adimensionale
w = xs .
Per l’ultima domanda, se vogliamo la portata volumetrica è sufficiente
accorgersi che la piccola portata dQ è semplicemente uguale a dQ = ~v · dA.~
Nel nostro caso tutto diventa semplice in quanto c’è una direzione unica e si
può subito passare agli scalari
x
dQ = v(x)ldx = v(x)sld = v(w)lsdw
s
Da cui per integrazione si ottiene
1 1
ρgls3 2 ρgls3 ρgls3
Z Z Z
−w2 + 2w dw = ·
Q= dQ = v(w)lsdw = =
0 2µ 0 3 2µ 3µ
~v = Ωrφb
622 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
F~
= ρrΩ2 rb
V
Dove ho indicato la forza per unità di volume. Dato che la forza centrifuga
è centrale, possiamo associare un potenziale
U r2
= −ρ Ω2
V 2
L’altra forza agente sul sistema è la forza peso. Di conseguenza, l’energia
potenziale totale per unità di volume sarà
U r2
= −ρ Ω2 + ρgh
V 2
La superficie descritta dal pelo dell’acqua sarà una superficie equipotenziale.
Infatti, è l’unico modo per ottenere che la risultante delle forze sulle particelle
sul pelo dell’acqua sia ortogonale alla superficie. Se la risultante non fosse
ortogonale, infatti, il fluido potrebbe spostarsi e quindi non saremmo nel caso
stazionario.
La superficie, descritta dai parametri h, r sarà quindi
r2 2
ρgh − ρ
Ω =C
2
Dove C è una costante da determinare. Per trovare il suo valore, impo-
niamo la conservazione del volume. Una volta messo in rotazione il secchio,
infatti, il volume totale sarà lo stesso di quello iniziale. Esplicitiamo h(r, C) e
calcoliamoci il volume.
r 2 Ω2
h(r) = C 0 +
2g
C
Dove C 0 = . Il volume occupato dal nuovo oggetto sarà quindi
ρg
R R 0 2
r 2 Ω2 Ω2 R4
Z Z
0 CR
V = 2πrh(r)dr = 2π C + rdr = 2π + = πR2 H
0 0 2g 2 8g
Da cui facilmente
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 623
Ω2 R2
C0 = H −
4g
Per cui
Ω2 (2r2 − R2 )
h(r) = H + (4.11)
4g
Che è l’equazione di un paraboloide di rotazione. Vediamo i casi limite per
capire se il risultato è sensato. Per Ω → 0, h(r) = H, che è molto sensato. Se
g → ∞, otteniamo la stessa cosa, mentre se g → 0 vediamo che effettivamente
il fluido scappa dal centro, come ci aspettavamo.
Inoltre, h(0) < H e h(R) > H sempre. Andiamo a calcolare i valori di Ω
per cui si tocca il fondo e si traborda. Rispettivamente,
r
Ω2 R2 4gH
h(0) = 0 ⇔ H − =0⇔Ω=
4g R2
r
Ω2 R2 4gH
h(R) = 2H ⇔ H + = 2H ⇔ Ω =
4g R2
Notare che in questo caso, data la forma del secchio, i due valori coincidono.
Per l’ultima domanda è necessario ritornare in un riferimento inerziale
in quanto vorremmo applicare il teorema di Bernoulli. Torniamo quindi nel
riferimento del laboratorio, dove
OCIO, PENSACI MEGLIO, IL FLUIDO È ROTAZIONALE E LA LINEA
DI FLUSSO NON AIUTA
Φ = ρAv
Dove A è la sezione del buco e ρ è la densità dell’acqua. Ma dato che Φ
rappresenta l’acqua persa per unità di tempo, sarà anche
624 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
dV
Φ = −ρ
dt
Dove V è il volume dell’acqua rimasta, con il segno meno perché sta
diminuendo. Il piccolo dVdt
è il volume di un cilindretto di raggio r(h) e di
altezza dh in quanto stiamo supponendo la discesa lenta. Quindi,
dV dh
= πr2 (h)
dt dt
Mettendo insieme il tutto,
p dh
ρA 2gh = −ρπr2 (h)
dt
dh
Dato che dt
è una costante, possiamo semplicemente ricavare r(h)
s
A p
r(h) = − dh 2gh
π dt
Dove non dovete crucciarvi del segno meno in quanto semplicemente dato
che l’acqua si abbassa avremo dh
dt
< 0.
In pratica, abbiamo
1
r(h) = Ch 4
dato che scelto C determiniamo in modo unico dh dt
(sapendo A). Notiamo
che il recipiente è quindi molto largo vicino al buco, cosa sensata.
Soluzione 4.3.31 (Soluzione al problema 3.1.43). L’idea fondamentale è
che l’aria è un fluido viscoso e di conseguenza l’aria sarà quindi quasi ferma
rispetto alla palla nei pressi della palla. In particolare, dato che la palla sta
ruotando, ci sarà un lato della palla dove l’aria sarà più veloce e uno dove
sarà più lento. Di conseguenza, andando a naso con Bernoulli, ci sarà una
differenza di pressione fra i due lati della palla che causerà una forza laterale
in grado di spostare in orizzontale la palla. Quando ho detto siete autorizzati
ad approssimare in modo brutale dicevo sul serio. In fondo farò il conto meno
approssimato e vedremo che non differiscono di molto. Vediamo come fare il
conto in soldoni.
In prima approssimazione possiamo dire che l’aria è ferma rispetto alla
palla sulla sua superficie. La velocità su un lato della palla sarà quindi v − ωr,
sull’altro v + ωr. Usiamo Bernoulli per calcolare la differenza di pressione
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 625
1 1 ρ
p1 + ρ(v+ωr)2 +ρgz = p2 + ρ(v−ωr)2 +ρgz ⇒ ∆p = (v + ωr)2 − (v − ωr)2 = 2ρωvr
2 2 2
La forza orizzontale sarà quindi
~ × ~r
~vp = ω
Applichiamo ora il teorema di Bernoulli
1
~ × ~r)2
patm = p(~r) + ρ(~v + ω
2
626 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Da cui banalmente
ρ ρ 2
~ × ~r)2 = patm − ~ × ~r + (~ω × ~r)2
p(~r) = patm − (~v + ω v + 2~v · ω
2 2
Per cui avremo che la forza dovuta alla pressione sarà
I
~
F =− pdA~
∂V
∂
~v = ~r
∂θ
∂
~u =
~r
∂φ
Questi vettori sono tangenti la superficie. Il vettore dA ~ sarà dA
~ = ~u × ~v .
Dato che
r cos θ cos φ −r sin θ sin φ
~u = r cos θ sin φ ~v = r sin θ cos φ
−r sin θ 0
Con un facile conto,
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 627
Ora per fare l’integrale dobbiamo passare da p(~r) a p(θ, φ). Usiamo
l’espressione di prima, eliminando subito il termine della pressione atmosferica
in quanto abbiamo già visto che si annulla.
Per fare i conti in modo ordinato,
~ ×~r = ωrb
ω z ×(sin θ cos φb
x+sin θ sin φb
y +cos θb y −sin θ sin φb
z ) = ωr(sin θ cos φb x)
Da cui
~v · ω
~ × ~r = −ωrv sin θ sin φ
Per cui
ρ
−2ωrv sin θ sin φ + ω 2 r2 sin2 θ
p(θ, φ) = −
2
~=− ρ
−2ωrv sin θ sin φ + ω 2 r2 sin2 θ r2 (sin2 θ cos φ)b
x + (sin2 θ sin φ)b
pdA y + (sin θ cos θ)b
z
2
Per ottenere la forza dobbiamo semplicemente integrare
Z π Z 2π
~
F = ~ φ)dφdθ
pdA(θ,
0 0
È ora molto facile vedere come sia Fx sia Fz siano entrambe nulle. Gli
integrali infatti presentano grandi simmetrie che annullano subito queste due
componenti. Calcoliamo invece F~ = Fy yb
π 2π π 2π
ρr2
Z Z Z Z
−2ωrv sin3 θ sin2 φ + ω 2 r2 sin4 θ sin φ dφdθ =
pdAy (θ, φ)dφdθ = −
0 0 2 0 0
π π
ρr2
Z Z
3 3
sin3 θdθ
=− −2πωvr sin θ + 0 dθ = πρωr v
2 0 0
628 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
3
eiθ − e−iθ e3iθ − e−3iθ − 3eiθ + 3e−iθ
3 3 1
sin θ = = = sin θ − sin 3θ
2i −8i 4 4
Da cui
Z π Z π π
3 3 1 3 1 3 1 4
sin θdθ = sin θ − sin 3θ dθ = − cos θ + cos 3θ = − =
0 0 4 4 4 12 0 2 6 3
Infine, finalmente
4π
F~ = ρωr3 vb
y
3
Come vedete, abbiamo fatto una marea di conti per trovare un fattore
numerico che non cambia nemmeno un ordine di grandezza. Prendetelo come
esempio per ricordare che spesso non vale la pena di fare le cose in maniera
esatta.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 629
4.3.2 Termodinamica
Soluzione 4.3.32 (Soluzione al problema 3.2.1). Modello 1: Consideriamo
la temperatura della colonna d’aria costante. L’assunzione che di solito si
fa che ora non possiamo più fare è che la densità dell’aria sia cosı́ bassa da
rendere ininfluente il cambio di pressione dovuto all’altezza, ovvero si assume
ρg∆h p0
Dato che non possiamo più fare questa approssimazione, scriviamo la legge
di Stevino
~ = ∂p zb = dp zb
ρ~g = ∇p
∂z dz
Usando la legge dei gas perfetti cerchiamo una relazione fra p e ρ in quanto
nell’equazione precedente abbiamo troppe variabili.
nµ RT RT
pV = nRT ⇒ p = =ρ
V µ µ
Dove come al solito abbiamo indicato con µ la massa molare.
dp µg
zb = − pb
z
dz RT
Al solito, indichiamo la distanza caratteristica
1 µg
=
h RT
E la nostra equazione diventa semplicemente
dp p
=−
dz h
Che è una equazione differenziale a variabili separabili che si integra con
facilità.
Z p(z) Z z
dp dz
=−
p0 p 0 h
z
−h
p(z) = p0 e
630 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
dρ ρ
=−
dt sτ
1 2RT A
=
τ V0 µ
dU
σ=
dA
Il dU dovuto alla pressione sarà ∆pdV = 4πr2 drp, mentre dA = d(4πr2 ) =
8πrdr, per cui
∆p4πr2 dr 2σ
σ= ⇒ ∆p =
8πrdr r
Questa differenza di pressione è quella fra i due volumi separati da una
superficie affetta da tensione superficiale. Di conseguenza questo termine
di pressione compare fra l’interno della bolla e lo strato di sapone e fra lo
strato di sapone e l’esterno della bolla, per un totale di ∆p = 4σr
, ma dato
4σ
che pext = 0, abbiamo p = . Calcoliamoci quindi la capacità termica del
r
sistema
đQ dU + pdV p dV
c= = = CV + (4.13)
ndT ndT n dT
Ma se si ha sempre equilibrio meccanico, allora
dV
Vediamo ora in due modi come ricavare partendo da T 3 V −2 = k. La
dT
prima cosa che viene in mente è di esplicitare V (T ) e poi farne la derivata
r r
T3 dV 3 TT 3V
V = ⇒ = =
k dT 2 kT 2T
L’altro modo, forse meno immediato, è in realtà molto più semplice.
Sembra fatto a caso ma in realtà ci sono solide ragioni sotto. L’espressione
T 3 V −2 = k
è della forma F (T, V ) = k. Se facciamo il differenziale a destra e a sinistra, a
destra viene 0 perché k è costante. A sinistra viene
∂F
∂F ∂F dV ∂T 3T 2 V −2 3V
dT + dV = 0 ⇒ = − ∂F =− 3 −3
=
∂T ∂V dT ∂V
−2T V 2T
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 633
Al corso di Analisi 2 scoprirete che questa cosa si può fare anche con
molte più variabili ottenendo risultati simili. Per ora siete completamente
legittimati a non saperne niente2
Riprendiamo l’equazione 4.13
p dV 5 3
c = CV + = R + R = 4R
n dT 2 2
FARE SECONDA PARTE
PER ORA LA TROVATE SUL SITO DELLE IPHO
T1
η =1−
T2
Il calore infinitesimo preso dalla macchina sarà đQass . Il calore ceduto al
corpo b sarà đQced . Se condsidero đQced > 0 e đQass > 0, avrò
Per cui
2
Il motivo è il teorema delle funzioni implicite, detto teorema del Dini in onore di Ulisse
Dini, matematico pisano che l’ha dimostrato. Vi sconsiglio di approfondire l’argomento,
non mi è mai servito durante un problema delle Olimpiadi.
634 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
T2
dL = −Ca dT1 1 − = −Ca dT1 − Cb dT2
T1
T2
⇒ Ca dT1 = −Cb dT2
T1
dT1 dT2
Ca = −Cb
T1 T2
Z Tf Z Tf
dT1 dT2
Ca = −Cb
Ta T1 Tb T2
Tf Tf
Ca ln + Cb ln =0
Ta Tb
Ca Cb
Tf Tf
ln =0
Ta Tb
Ca Cb
Ca +Cb Ca +Cb
Tf = Ta Tb
√
Per chiarire le idee, consideriamo il caso Ca = Cb . In tal caso Tf = Ta Tb ,
che è una temperatura minore della media aritmetica delle temperature, il
che ci rassicura, in quanto quello sarebbe il caso fisico in cui non si fa nessun
lavoro e si lascia libero il sistema di andare all’equilibrio da solo.
Il lavoro compiuto in totale sarà
Tf Tf
∆Stot = Ca ln + Cb ln
Ta Tb
C C+C
a C C+C
b
∆Stot Tf a b Tf a b
= ln
Ca + Cb Ta Tb
Ca Cb
∆S
Ca +Cb Ca +Cb
Tf = Ta Tb e Ca +Cb
3dp 4dV
dU = −pdV ⇒ d(3pV ) = −pdV ⇒ 3pdV + 3V dp = −pdV ⇒ =−
p V
3 4
p V0
ln = ln ⇒ p3 V 4 = cost
p0 V
Che diventa quindi simile ad un’iperbole. Calcoliamo ora il rendimento
del ciclo, per vedere se ritroviamo la solita formula.
1. A → B isoterma a temperatura Th
636 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
2. B → C adiabatica
3. C → D isoterma a temperatura Tl
4. D → A adiabatica
B B
aTh4 aT 4
Z Z
LAB = pdV = dV = h (VB − VA )
A A 3 3
D D
aTl4 aT 4
Z Z
LCD = pdV = dV = l (VD − VC )
C C 3 3
4a 4
Lciclo = (T (VB − VA ) − Tl4 (VC − VD ))
3 h
4a 4
Qass = QAB = ∆UAB + LAB = T (VB − VA )
3 h
Tl4 VC − VD
η =1−
Th4 VB − VA
Sfruttiamo adesso l’equazione di un’adiabatica per semplificare l’espressio-
ne
3
aT 4
3 4
p V =c⇒ V 4 = c ⇒ T 3 V = cost
3
(
Th3 VB = Tl3 VC
⇒ Th3 (VB − VA ) = Tl3 (VC − VD )
Th3 VA = Tl3 VD
Da cui segue banalmente
Tl
η =1−
Th
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 637
∂v z ∂P z 2 ∂P
= ⇒ v(z, r) = +C
∂z η ∂r 2η ∂r
Abbiamo potuto integrare anche ∂P ∂r
in quanto non dipende da z. Questo
fatto deriva dall’assunzione che la velocità sia puramente radiale. Infatti, se
ci fosse un ∂P
∂z
allora ci sarebbe anche una componente della velocità lungo z.
Per trovare la condizione al contorno, la cosa più sensata da fare è dire
che l’aria sia ferma a contatto con il piano e a contatto con la goccia. Di
conseguenza v ± 2b = 0
b2 ∂P b2 ∂P
+C =0⇒C =−
8η ∂r 8η ∂r
Da cui otteniamo l’espressione per v
z 2 ∂P b2 ∂P ∂P 4z 2 − b2
v(z, r) = − =
2η ∂r 8η ∂r ∂r 8η
A questo punto bisogna riordinare le idee per capire cosa fare. Il punto
fondamentale è che siamo nel caso stazionario. Di conseguenza, il vapore che
esce da sotto dovrà essere controbilanciato da qualcosa e questo qualcosa
è l’evaporazione della goccia d’acqua a causa del flusso di calore dal piano
rovente attraverso il gas.
Se chiamiamo dV
dt
il volume espulso per unità di tempo, dovrà essere
dV Power
=
dt Lρv
Dove Power è la potenza trasmessa alla goccia, L il calore latente e ρ la
densità del vapore. Noi sappiamo che
kπr2 ∆T
Power =
b
Da cui facilmente
dV kπr2 ∆T
=
dt bLρv
638 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
b b
Z Z 2π Z
dV 2 2
= Φ(~v , ∂V ) = v(r, z)Rdφdz = 2πR v(r, z)dz =
dt − 2b 0 − 2b
b 2b
πrb3 ∂P
Z
πr ∂P 2
2 2 πr ∂P 4 3
= (4z − b )dz = z − b2 z =−
4η ∂r − 2b 2η ∂r 3 0 6η ∂r
b2
3kη∆T 2
P (r) − P0 = − r −
Lρv b4 4
Dove P0 è la pressione atmosferica.
Per trovare b, possiamo per esempio uguagliare la forza di pressione agente
sulla goccia alla forza peso della stessa, in quanto abbiamo detto che rimane
sospesa in aria.
Di conseguenza,
Z R
b2
4π 3 3kη∆T 2
mg = Fp ⇒ R ρg = − r − 2πrdr
3·2 0 Lρv b4 4
2π 3 3πηk∆T R4
R ρg =
3 2ρv Lb4
Da cui si ricava
14
9ηkR∆T
b=
4ρρv Lg
Se vogliamo ricavare il tempo di vita della goccia, dobbiamo intanto
ricavarci il tasso di vaporizzazione. Precedentemente avevamo scritto
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 639
dV kπR2 ∆T
=
dt bLρv
Sostituendo l’espressione per b vediamo che in effetti il tasso dipende da
R.
41 3 ! 14
kπR2 ∆T 4π 4 ρg
dV 4ρρv Lg k∆T 7 7
= = R 4 = βR 4
dt Lρv 9ηkR∆T Lρv 9η
Z 0 Z τ
d 2π 3 7
2 7 1 β 4 5 β
R = −βR ⇒ 2πR Ṙ = −βR ⇒
4 4 R dR = −
4 dt ⇒ − R04 = − τ
dt 3 R0 0 2π 5 2π
41
9ηρ3 L3
8 5
τ= R04
5 4k 3 ρv g∆T 3
Soluzione 4.3.38 (Soluzione al problema 3.2.14). Il nostro sistema è mono-
dimensionale. Abbiamo sopra il ghiaccio la temperatura costante Tf e sotto
lo strato la temperatura Tc . Evidentemente fluirà calore dal ghiaccio verso
l’esterno. Questo fluire causerà due effetti:
dQ = dQ1 + dQ2
640 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
dh Tc − Tf
(c(Tc − T0 ) + L) =
dt h
Che si integra con facilità separando le variabili
h(t) t
Tc − Tf Tc − Tf
Z Z
hdh = dt ⇒ hdh = dt
c(Tc − T0 ) + L h0 0 c(Tc − T0 ) + L
Ovvero
s
Tc − Tf Tc − Tf
h(t)2 − h20 = t ⇒ h(t) = h20 + t
c(Tc − T0 ) + L c(Tc − T0 ) + L
Tf ≤ T0 ≤ Tc
Una volta fissata questa idea, possiamo fare i controlli.
4.3.3 Elettromagnetismo
Campo elettrostatico
Soluzione 4.3.39 (Soluzione al problema 3.3.2). Dovrei aggiungere un dise-
gno in quanto è quasi indispensabile per capire quello che sto facendo. Nel
frattempo spero riusciate a fare un disegno voi per capire il ragionamento.
1. Per il calcolo del campo elettrico si usa un trucchetto molto carino che si
usa spesso. Calcoliamo separatamente i campi creati dalle due sferette.
Per la sfera positiva il campo sarà ovviamente radiale uscente e sarà
quindi, usando il teorema di Gauss, all’interno del volume in cui c’è ρ
4π ρr3 ~ ρ
4πr2 E(r) = ⇒ E(r) = ~r
3 0 30
E all’interno della sfera negativa, invece
~ ρ
E(r) = − ~r
30
Nella regione in cui ci sono entrambe le sfere, ovvero nella zona scarica
c’è un campo elettrico totale
~
~ = ρ (~r+ − ~r− ) = ρδ
E
30 30
Ovvero il campo elettrico è uniforme nella zona in cui ci sono entrambe
le distribuzioni.
Per cui
dQ √
σ= =ρ 2 2
a + δ + 2aδ cos θ − a
dA
Che, nel limite
r !
δ2
2δ δ2 δ δ
σ = ρa 1+ cos θ + 2 − 1 ≈ ρa cos θ + 2 = ρδ(cos θ+ ) = ρδ cos θ
a a a 2a a
4π 3
q = −(−q) = ρa
3
4π ~ 0 0 4π a3 = 4π0 E
p~ = q~δ = ρ~δ a3 = 3E ~ 0 a3
3 3
Per cui il potenziale fuori dal nostro guscio sarà
p~ · rb ~
a 2
V = = E0 ab
r
4π0 r2 r
Mentre il campo elettrico fuori
a 3
~ ~
E = 3(E0 · rb)b ~
r − E0
r
E ~ 0. E
~ dentro è molto semplice, infatti vale sempre E ~ fuori , invece, al limite
della superficie sarà
~ fuori = 3(E
E ~ 0 · rb)b ~0
r−E
Z +∞ Z π Z 2π 2 Z bZ π Z 2π 2
0 1 q 0
2 1 q
Ui = dφ sin θdθr dr− dφ sin θdθr2 dr
2 0 0 0 4π0 r2 2 a 0 0 4π0 r2
Z +∞ Z π Z 2π 2
0 1 q
Uf = dφ sin θdθr2 dr
2 0 0 0 4π0 r2
In entrambi i casi, il primo integrale diverge. Questo poiché questa formula
per l’energia potenziale tiene conto dell’energia che serve per formare la carica
puntiforme a partire da cariche infinitesime all’infinito, che è infinita. Biso-
gnerebbe quindi togliere questo contributo nel calcolare l’energia potenziale
646 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Z bZ π 2π 2 Z bZ π 2π
q2
Z Z
0 1 q 2 1
W = ∆U = dφ sin θdθr dr = dφ sin θdθdr =
2 a 0 0 4π0 r2 32π 2 0 a 0 0 r2
Z bZ π b
q2 q2 q2 1 1
Z
1 1
= 2
sin θdθdr = dr = −
16π0 a 0 r 8π0 a r2 8π0 a b
~ =E
E ~p + E
~g
~ 2 = Ep2 + Eg2 + 2E
Ep2 + Eg2 6= E ~p · E
~g
Si giunge facilmente a scrivere
Z Z Z
0 2 0 2 0 ~g · E
~ p dV
U0 = Ep dV + Eg dV + 2 E
2 2 2
Dato che
Z
0
U1 = Ep2 dV
2
Segue banalmente
Z Z
0 2 0 ~g · E
~ p dV
∆U = Eg dV + 2 E
2 2
E con un paio di conti si vede subito che l’integrale rimane quello che
abbiamo calcolato prima.
~1 + E
0=E ~2
~ 1 = − q ~r
E
4π0 r3
~1 = q (x + a)b x − yb y
E
4π0 ((x + a)2 + y 2 ) 23
~ 1 = − q (x + a)b
E
x + yb y
4π0 ((x + a)2 + y 2 ) 23
~ = q ~r2 q ~r1
E −
4π0 r2 4π0 r13
3
σ = 0 E
q 2a
σ(r) = −
4π (r + a2 ) 23
2
q
σ(0) = −
2πa2
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 649
q2
F =
4π0 (2a)2
Questa forza deve controbilanciare il peso e la tensione del filo. Sarà
F q2
tan α = ⇒ = mg tan α → q 2 = (2a)2 4π0 mg tan α
mg 4π0 (2a)2
Z Z ∞ Z ∞
q 2a
qind = σdA = σ(r)2πrdr = − 2πrdr =
0 0 4π (r2 + a2 ) 23
Z ∞ Z ∞ r Z ∞
a r 3
= −q 3 rdr = −q
a
3 d = −q z(1+z 2 )− 2 dz =
(a2 + r2 ) 2 r2 2 a
0 0 1 + a2 0
h i∞
2 − 12
= −q −(1 + z ) = −q
0
Soluzione alternativa:
La soluzione che ho riportato poco sopra è la soluzione ufficiale proposta
dal gruppo Olimpiadi. Ovviamente questa soluzione è ineccepibile, ma visto
che abbiamo parlato del metodo della carica immagine nella parte di teoria,
ritengo opportuno mostrare anche questa soluzione.
Riepiloghiamo un attimo quello che sappiamo: abbiamo un conduttore
infinito con davanti a lui una carica q. Sappiamo che in un conduttore
all’equilibrio il campo elettrico deve essere nullo e di conseguenza il potenziale
deve essere uniforme. Dato che in questo caso mettere lo 0 all’infinito ha
poco senso in quanto se il conduttore è infinito, allora ci sarà il suo potenziale
650 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
!
q0 q0
1 q 1 q
Vsup =0= + = +p
|~r − ~a| |~r + ~a0 |
p
4π0 4π0 a2 + y 2 + z 2 a02 + y 2 + z 2
fate il prossimo problema, in cui bisogna usare carica immagine su una sfera
conduttrice, le cose saranno meno scontate.
Soluzione 4.3.42 (Soluzione al problema 3.3.9). Considerare il sistema di
riferimento descritto nel testo del problema. In questo riferimento i due fili si
trovano rispettivamente a
(
λ : (R, 0)
−λ : (−R, 0)
Ovviamente la coordinata z è inutile. Diamo innanzitutto una descrizione
qualitativa di come saranno fatte le linee di campo e quindi le superfici equipo-
tenziali. Vicino al filo positivo le linee di campo usciranno e quindi, se siamo
abbastanza vicini da poter trascurare l’altro filo, le superfici equipotenziali
saranno circa delle circonferenze centrate nel filo. Il problema è ovviamente
antisimmetrico rispetto al piano yz, ovvero se la superficie equipotenziale V
è da una parte a destra del piano, quella a −V sarà della stessa forma e sarà
il simmetrico della prima rispetto a quel piano. Andiamo ora a fare dei conti
espliciti per rispondere alle domande.
Il potenziale generato dal primo filo sarà
λ r+
V+ = ln
2π0 R
Se vi chiedete come ho fatto a calcolarlo cosı́ ad occhio, basta applicare
Gauss per vedere che il campo elettrico è
~+ = λ 1
E rb
2π0 r
Una primitiva di 1r è ln rr0 e se voglio che il potenziale sia 0 in mezzo devo
per forza scegliere r0 = R. Analogamente,
λ r−
V− = − ln
2π0 R
Per cui il potenziale totale sarà la somma
λ r+
V = ln
2π0 r−
Notate ora una cosa: nel piano xy i fili sono due punti, (R, 0), (−R, 0).
Il luogo dei punti equidistanti da questi due è l’asse del segmento che li
652 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
• Fare una cosa matematicosa ovvero dire che il luogo dei punti tali che
r+
r−
= k sono circonferenze di Apollonio (cercate su internet per saperne
di più).
2
r+ = (x0 +r cos θ−R)2 +r2 sin2 θ = x20 +R2 +r2 +2rx0 cos θ−2Rx0 −2Rr cos θ
2
r− = (x0 +r cos θ+R)2 +r2 sin2 θ = x20 +R2 +r2 +2rx0 cos θ+2Rx0 +2Rr cos θ
Potremmo anche fare la radice e calcolare il rapporto, ma dato che
λ r+
V = ln
2π0 r−
Tanto vale considerare
4π0 V
C = exp
λ
e dire che
2
r+
2
=C
r−
Quindi dobbiamo imporre
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 653
g(θ) = x20 +R2 +r2 +2rx0 cos θ−2Rx0 −2Rr cos θ−C x20 + R2 + r2 + 2rx0 cos θ + 2Rx0 + 2Rr cos θ
2
1+C 2 1+C 1+C
+ 1 + r + 2r cos θ − 2 − 2r cos θ
1−C 1−C 1−C
2 =C
1+C 1 + C 1 + C
+ 1 + r2 + 2r cos θ + 2 + 2r cos θ
1−C 1−C 1−C
2 2 !
2C 2C 2 2
+r2 +2r cos θ =C + r2 + 2r cos θ
1−C 1−C 1−C 1−C
4 4C(C − 1)
r2 (1 − C) = 2
(C − C 2 ) = −
(1 − C) (C − 1)2
A questo punto abbiamo effettivamente quasi risolto il problema. Abbiamo
infatti mostrato che se prendiamo circonferenze posizionate in x0 e di raggio
r allora le cose funzionano.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 655
1+C
x 0 = R
1−C
4C
r 2 = R 2
(1 − C)2
L’occhio esperto vede subito che queste formule hanno qualcosa di familiare.
In particolare sembrano formule trigonometriche. Ricordandoci che C è un
esponenziale, sarà opportuno cercare di far comparire delle funzioni iperboliche
che renderanno sicuramente più agevole fare il grafico e lo studio di funzione.
x0 è facile
1+C R
x0 = R =−
1−C 2π0 V
tanh
λ
Dove se devo essere sincero non capisco perché ci sia un meno. Qualche
anima buona mi indichi dove ho sbagliato il conto e lo correggerò. r è un po’
più complicato
2π0 V
s exp
4C λ R
r=R = 2R s =
(1 − C)2
4π0 V
2π0 V
1 − exp sinh
λ λ
fili in modo che sulla superficie il potenziale sia quello che volete, allora il
campo elettrico all’esterno è univocamente determinato. Questo sarebbe
estremamente utile, in quanto la seconda idea importante di questo problema
è che in un mezzo resistivo il campo elettrico e la densità di corrente sono
estremamente legati
~ = ρJ~
E
La corrente che fluisce fra i due conduttori dovrò in qualche modo quan-
tificarla. Se considero una supeficie gaussiana che ingloba uno solo dei due
cilindri è facile convincersi che
I
ΦJ = J~ · dA
~
λ
ρ=
0 hi
Per cui a questo punto è sufficiente trovare λ per finire il problema. Ci
aspettiamo che λ dipenda da a, d, V0 . Per trovare davvero quanto vale si può
agire in più modi. Il più semplice è semplicemente fare il Problema 3.3.9, che
non per niente ho messo subito prima di questo. Infatti, da quel problema
seguono immediatamente diverse relazioni utili come
x
d = 2
2π0 V0
tanh
λ
x
a=
2π0 V0
sinh
λ
Da cui
d 2π0 V0 2π0 V0
= 2 cosh ⇒λ=
a λ d
cosh−1
2a
Che finalmente fornisce la soluzione
2πV0
ρ=
i d
cosh−1
h 2a
Notiamo un caso limite particolare che ci rassicura della validità del
risultato. Se avviciniamo di molto i cilindri, ci aspettiamo che ad un certo
punto la corrente diventi molto intensa in quanto c’è meno mezzo da percorrere.
In effetti, l’unico modo per avere un ρ finito nel limite d → 2a è per l’appunto
che i → ∞ in quanto avremmo uno zero al denominatore.
Soluzione 4.3.44 (Soluzione al problema 3.3.12). Vediamo di capire bene la
Fisica del problema prima di metterci a fare pazzi conti senza sapere dove
stiamo andando. Abbiamo un mare di fluido che si muove intorno ad una
carica positiva +Q. Non ci vuole molto a capire che i portatori di carica
negativa cercheranno di accumularsi intorno alla carica positiva e i portatori
di carica negativa invece andranno ad allontanarsi. Il problema vero è riuscire
ad impostare dei conti sensati che facciano uscire un risultato.
Vediamo intanto di capire come modellizzare il sistema: si tratta di cariche
che si muovono, ma tutto fa pensare ad un sistema all’equilibrio e quindi
658 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
ρ
∇2 V (r) = −
0
2 1 d2 (rV (r))
∇V =
r dr2
Dove ho tolto la derivata parziale e messo quella usuale in quanto abbiamo
visto che il potenziale dipende solo da r. Il nostro obiettivo è trovare un’altra
relazione fra ρ e V , in modo da ottenere un’equazione differenziale che poi
(se siamo fortunati) risolveremo ottenendo il risultato.
A questo punto ci domandiamo: che equazione possiamo trovare fra
potenziale e densità di carica? A questo punto, come dico sempre, bisogna
leggere bene il testo. Per l’appunto, nel testo si parla di temperatura e si
dice addirittura di trovare un risultato approssimato al prim’ordine in un
parametro con della temperatura. A questo punto vi deve venire in mente la
distribuzione di probabilità di Boltzmann.
Andiamo a formalizzare questa idea. Consideriamo per esempio i por-
tatori di carica positivi. Questi andranno a disporsi nello spazio secondo
una distribuzione volumetrica n+ (r), diversa dal valore uniforme iniziale, a
simmetria sferica per il solito motivo. In particolare, la cosa da scrivere è
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 659
q+ V (r)
n+ (r) ∝ exp −
kB T
Che è proprio il teorema di Boltzmann. Infatti, la densità numerica di
particelle è una quantità termodinamica e il suo valore nello spazio seguirà
una distribuzione il cui andamento è dato dalla formula che ho appena scritto.
Per brevità di notazione indicherò nei prossimi passaggi β = kB1T , come si fa
di solito.
Sarebbe bello avere però una relazione quantitativa, ovvero una relazione in
cui la costante di proporzionalità sia espressa in termini di cose che sappiamo.
Per farlo, bisogna ricorrere ai dati del testo. Per esempio noi sappiamo la
densità di numerica iniziale n+ . Le cariche, per quanto lontane possano essere
andate, non saranno sparite, per cui potremo imporre una condizione di
normalizzazione in modo da trovare quello che ci serve. Scriviamo
Z ∞
N0 = 4πr2 n+ (r)dr
0
1 d2 (rV )
ρ(r) = −0
r dr2
1 d2 (rV )
−0 = q+ α+ exp [−βq+ V (r)] − q− α− exp [βq− V (r)]
r dr2
5
Che, badate bene, è il nostro ultimo obiettivo.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 661
n± 4π
3
R3
α± ≈ lim Z R
=
R→∞
2
4πr (1 ∓ βq± V )dr
0
1 ≈
= n± lim RR
R→∞ r2 V (r)dr
1 ∓ 3q± β 0
R3
Z R
2
r V (r)dr
0
≈ n±
1 ± lim 3q± β
R→∞ R3
1 d2 (rV )
−0 = q+ n+ (1 − βq+ V (r)) − q− n− (1 + βq− V (r))
r dr2
2 2
= βV (r) n+ q+ + n− q −
f 00 = −λ2 f
Dove il parametro λ, che ha le dimensioni di un inverso di una lunghezza,
è
s
2 2
n+ q+ + n− q −
λ=
0 kB T
La cui soluzione è ovviamente
662 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
e−λr
V (r) = A
r
Con A costante che adesso andiamo prontamente a determinare. Notare
che a questo punto è fatta in quanto possiamo subito calcolare
e−λr
ρ(r) = −0 ∇2 V = −0 Aλ2
r
Per il calcolo di A notiamo che ρ(r) genera un potenziale molto più debole
nell’orifine di quello che genera invece la carica puntiforme, di conseguenza,
per avere il limite corretto deve essere
Q e−λr
V (r) =
4π0 r
2 −λr
ρ(r) = − λ Q e
4π r
Vorrei far notare che questo potenziale è un potenziale di Yukawa e questo
modellino funziona anche per altri oggetti come l’atomo classico, cosa che
rende meno un problema puramente accademico il problema 3.1.29
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 663
Campo magnetostatico
1 dqρc 4π
3
R13 ρc
dF1 = 2
= dqR1
4π0 R1 30
Prendiamo un’altra carica dq che sta nell’altro guscio. Ovviamente
ρc
dF2 = dqR2
30
Dato che F~ = m~a
ρc dq ρc q
a1 = R1 = R1
30 dm 30 m
E ovviamente
ρc q
a2 = R2
30 m
E quindi a1 < a2 ! Questo non è da poco, in quanto vuol dire che i gusci
esterni scappano più velocemente dei gusci interni. Dato che abbiamo scelto
dei raggi generici, questa cosa vale per ogni strato all’istante iniziale e di
664 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
conseguenza anche poi durante gli istanti successivi! Per essere più chiaro,
se prendiamo i due gusci G1 e G2 e li coloriamo diversamente, questi due
colori non andranno mai a mischiarsi durante l’evoluzione di tutto il sistema.
Questa semplificazione enorme ci dice che se una carica q si trova nella melassa
all’istante iniziale in una posizione r̄, allora la forza agente sulla carica sarà
sempre
ρc0 r̄3 q
F =
30 r2
Per cui
ṙ2
ṙ d d A
ṙr̈ = A 2 ⇒ =−
r dt 2 dt r
Da cui segue
ṙ2 A A
+ =
2 r r̄
Se vogliamo trovare esplicitamente r, occorre separare le variabili
√ √
r r
1 1 rr̄
ṙ = 2A − ⇒ dr = 2Adt
r̄ r r − r̄
Che a questo punto possiamo provare ad integrare. Per rendere la cosa
meno dolorosa, è sensato sostituire
r = zr̄
In modo da ridurre il problema a qualcosa di completamente matematico
senza parametri
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 665
r r
z 2A
dz = dt
z−1 r̄3
A questo punto non rimane che integrare. Troviamo prima in parte una
primitiva della funzione di z. È intelligente una sostituzione z = cosh2 w in
quanto il denominatore diventa più bello alla vista.
s
cosh2 w
Z r Z Z
z
dz = 2 cosh w sinh wdw = 2 cosh2 wdw
z−1 sinh2 w
√ √ √
Z r
z
dz = w + sinh w cosh w = cosh−1 z + z z 2 − 1
4
z−1
Equazioni di Maxwell
J~ = σ E
~
~ ∂V ) = σΦ(E,
Φ(J, ~ ∂V )
~ ∂V ) = 1
Φ(E, q(∂V )
0
Dove ho indicato la carica contenuta dentro la superficie ∂V . Inoltre,
sappiamo anche dall’equazione di continuità che
~ ∂V ) + ∂q(∂V )
Φ(J, =0
∂t
Per cui
∂q(∂V ) σ
− = q(∂V )
∂t 0
E notiamo ora che non era per niente necessario scegliere una superficie
sferica, bastava prendere una qualsiasi superficie chiusa. Infatti
Z Z
∂ρ σ
− dV = ρdV
∂V ∂t ∂V 0
∂ρ σ
=− ρ
∂t 0
Che è un’equazione differenziale semplice che si può risolvere separando
le variabili, in quanto c’è una sola variabile di derivazione. Per ogni punto
interno alla sfera varrà quindi
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 667
− σt
ρ = ρ0 e
0
q02 q02
3 1
∆U = − =
5 2 4π0 R 40π0 R
668 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
J~ = σ E
~
Prendiamo la divergenza a destra e sinistra
~ · J~ = σ ∇
∇ ~ ·E
~
Usiamo l’equazione di continuità e l’equazione di Gauss per l’elettrostatica
∂ρ σ
− = ρ
∂t 0
Il resto del problema si svolge allo stesso modo. Notare di nuovo che sono
tutte proprietà locali, ovvero fino a questo punto non abbiamo detto niente
della forma globale dell’oggetto. In ogni punto la carica andrà via in modo
esponenziale.
Soluzione 4.3.47 (Soluzione al problema 3.3.23). Il circuito è composto
da 3 oggetti, un solenoide, una resistenza e il disco metallico che fa da
autoinduttanza. Chiamando V la f.e.m. indotta
di
V − iR − L=0
dt
Andiamo a calcolare V usando la legge di Faraday-Neumann-Lenz
∂ΦB
V =−
∂t
Calcoliamo il campo magnetico B. Essendo generato da un solenoide si
ha B = µ0 Nl i.
∂dΦB dφ 1
d2 ΦB = BdA = Brdrdφ ⇒ = Brdr = Brωdr = −dV ⇒ V = − Bωa2
∂t dt 2
Ricordatevi questo modo di scrivere la fem indotta in un circuito rotante
in quanto è sempre la stessa formula. Riscriviamo la legge della maglia
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 669
di 1 N 1 N 2 di
−iR − L = µ0 iωa2 ⇒ µ0 ωa − R i = L
dt 2 l 2 l dt
Che è un’equazione differenziale a variabile separabile molto semplice che
ha come soluzione
t
i(t) = i0 e− τ
Dove
L
τ=
1 N
R − µ0 ωa2
2 l
Che ovviamente ha senso scritta in questo modo quando
2Rl
ω<
µ0 N a 2
Perchè la corrente diminuisce, altrimenti è più sensato scriverla con il
segno cambiato nell’esponenziale
t
i(t) = i0 e τ
Con il τ cambiato di segno. Di conseguenza, il valore minimo per ω è
quello trovato prima
Per calcolare il momento necessario a tenere in moto il tutto possiamo
ricordare che vale la formula
~ ·ω
P =N ~
Dove N ~ è il momento e P è la potenza erogata. Questa formula è
assolutamente equivalente a P = F~ · ~v , è semplicemente il suo analogo
rotazionale. Se ω non cambia, vuol dire che siamo nello stato stazionario e
quindi la potenza erogata controbilancia esattamente la potenza dissipata per
effetto Joule, che è i2 R, e la variazione di energia magnetica nel solenoide
2 d 1 2 2 2 L 2t
Nω = i R + Li = i R + Lii̇ = i0 R + eτ
dt 2 τ
Notare che questo risultato è sensato: l’unico modo di continuare a far
crescere la corrente in questo sistema è di in qualche modo fornire energia
670 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
~ = dI x̂ = σ~v
K
dy
possiamo allora considerare il sistema come tanti fili infiniti e paralleli
percorsi da corrente, e dato che è noto che il campo magnetico prodotto da
ciascuno di essi in ogni punto giace in un piano perpendicolare al filo, abbiamo
che in ogni punto dello spazio B ~ · x̂ = 0. L’altra osservazione importante è
che dato che il sistema di sorgenti è invariante per traslazioni nel piano x − y,
il campo B ~ può dipendere solo da z. Mostriamo ora che oltre a non avere
componente lungo x non ce l’ha nemmeno lungo z: consideriamo un cubo
con i lati paralleli agli assi ordinati e tagliato a metà dalla lastra, dato che
il campo non ha componente lungo x il flusso attraverso le facce parallele
al piano y − z è nullo, inoltre dal fatto che il campo è inipendente dalla
coordinata y segue che il flusso complessivo sulle due facce parallele al piano
x − z è nullo, infatti il campo sulle due facce è lo stesso, ma uno è entrante
nel cubo, l’altro uscente, quindi i due flussi sono uguali e contrari e si elidono;
ora sia Bz la componente z del campo sulla faccia superiore del cubo, per
simmetria quella sulla faccia inferiore varrà −Bz e quindi il flusso totale sul
cubo è 2Bz S che deve essere zero poiché il campo magnetico è solenoidale,
segue che Bz = 0 e quindi l’unica componente non nulla di B ~ è quella lungo y.
Possiamo calcolarla utilizzando la legge di Ampere; consideriamo un percorso
chiuso costituito da un quadrato di lato l nel piano y − z tagliato a metà
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 671
dalla lastrae percorso in senso orario guardandolo dalla parte positiva verso
la parte negativa delle x. Allora il percorso è attraversato da una corrente
I = σvl entrante nella superficie del percorso. Dato che per simmetria si ha
By (−z) = −By (z) utilizzando la legge di ampere e il fatto che il campo lungo
z è nullo si ha
µo σv
2lBy = −µ0 σvl ⇒ By = −
2
infine tornando al nostro sistema costituito dalle due lastre parallele e con
cariche opposte in moto, dal risultato precedente segue che
B~ = −µ0 σv ŷ se 0 < z < d
0 se z < 0, z > d
Ora nel calcolo della forza c’è una sola cosa a cui stare attenti: una carica
non subisce la forza esercitata dal campo che ha creato essa stessa! Infatti
i campi elettrici e magnetici nei punti appena fuori della lastra sono solo
per metà generati dall’altra lasta, cosı́ che dobbiamo considerare una forza
dimezzata. Calcoliamo la forza sulla lastra superiore (l’altra è chiaramente
uguale e opposta):
~
E Sσ 2 ~
B µ0 Sσ 2 v 2
F~e = (−σS) = − ẑ F~m = (−Sσ~v ) × = ẑ
2 20 2 2
e quindi la forza netta sulla lastra superiore è
µ0 Sσ 2 v 2 Sσ 2
~
F = − ẑ
2 20
µ0 Sσ 2 v 2 Sσ 2 1
− =0⇒v= √ =c
2 20 0 µ0
questo significa che le lastre non possono essere in equilibrio.
Soluzione 2: lo stesso risultato poteva essere trovato in un altro modo,
forse più elegante. Infatti mettiamoci nel riferimento in cui le lastre sono
ferme, cioè un riferimento in moto con velocità ~v rispetto al laboratorio. Qui
le lastra avranno una densità superficiale ±σ 0 ed essedo ferme non c’è campo
magnetico, la forza sulla lastra superiore è quindi semplicemente
672 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
02
Sσ
F~ = − ẑ
20
Ora per calcolare σ 0 consideriamo un quadratino infinitesimo di lato dl0 , questo
conterra una carica dq 0 = σ 0 dl02 ; mettendo in moto le lastre con velocità ~v , cioè
tornando nel riferimento del laboratorio
q osserviamo il lato parallelo all’asse x
2
contratto, cioè si ha dlx = dl0 1 − vc2 , mentre il lato parallelo all’asse y resta
lo stesso essendo perpendicolare al moto, cioè dly = dl0 . Dato che la carica
nel quadratino deve restare la stessa si ha
r r
0 02 02 v2 0 02 0 v2
σdlx dly = σ dl ⇒ σdl 1 − 2 = σ dl ⇒ σ = σ 1 − 2
c c
e sostituendo quest’espressione in quella trovata precedentemente per la forza
otteniamo proprio
µ0 Sσ 2 v 2 Sσ 2
~
F = − ẑ
2 20
ρv = C1
Ovviamente non abbiamo ancora abbastanza equazioni per risolvere,
quindi bisogna cercarne altre. La più ovvia è F = ma
F~ = m~a
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 673
d~v
Ma per l’accelerazione, dobbiamo ricordare che ~a = , e non derivate
dt
parziali, per cui dobbiamo usare l’espressione
~ ~v + ∂~v
~a = ~v · ∇
∂t
Se non siete convinti di quello che ho appena scritto potete andare a
vedere la dimostrazione del teorema di Bernoulli, in cui c’è la spiegazione
dettagliata di come si arriva a questa espressione. Ricordando che abbiamo
solo un asse e siamo nello stato stazionario, l’espressione precedente diventa
dv
a=v
dx
Scrivendo quindi F = ma,
dv
qE = mv
dx
Vorrei far notare che ho scritto un generico q e un generico m senza indicare
su che cosa sto scrivendo F = ma. Il punto è che innanzitutto il rapporto
q/m dipende solo dalla natura del portatore di carica e non dalla densità
locale di carica o di massa, in quanto è per l’appunto uguale anche al rapporto
fra le densità. In secondo luogo non è ancora detto che sia indispensabile per
trovare le quantità richieste e potrebbe elidersi alla fine.
Mettendo a sistema il tutto,
C1
dE ρ C1
=
ρ= v =
dE v C
dx
0
0 dE
1 dx
ρv = C1 ⇒ = ⇒ !
dx 0 v C1 C1 d2 E
qE = mv dv qE = m dE · −
qE = mv dv
dE 2 dx2
0
0 dx
dx dx dx
k d2 E
E=−
dE 3 dx2
dx
674 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
d E2
k d k 2k
ĖE = − Ë ⇒ = ⇒ E2 = + C2
(Ė)2 dx 2 dx Ė Ė
2k 2 E3
Ė = ⇒ (E −C 2 )dE = 2kdx ⇒ −C2 E = 2kx ⇒ E 3 −3C2 E−6kx = 0
E 2 − C2 3
Che è un’equazione di terzo grado in E. Una soluzione è, secondo la
formula di Cardano
r q r q
3 3
E = 3kx + 9k 2 x2 − C23 + 3kx − 9k 2 x2 − C23
Circuiti elettrici
~ A)
0 r Φ(E, ~ = Qint
0 r 2πr̄hE =
Q
E=
2π0 r r̄h
Di conseguenza,
Z r2
Q r2
∆V = − E(r̄)dr̄ = − ln
r1 2π0 r h r1
Q 2π0 r h
C̃ = =
r2
∆V
ln
r1
2π0 r
C = C̃/h = r2
ln
r1
Troviamo ora l’induttanza per unità di lunghezza L.
La prima cosa da fare è trovare il campo magnetico B ~ in funzione del
~
vettore densità di corrente J. Utilizziamo la legge di Ampere. Dovremo
dividere in 3 casi, all’interno del primo conduttore, fra i due conduttori e
all’interno del secondo conduttore.
Caso 1:
µ0 µr J
2πrB = µ0 µr πr2 J ⇒ B = r
2
676 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Caso 2:
µ0 µr Jr12
2πrB = µ0 µr πr12 J ⇒ B =
2r
Caso 3:
µ0 µr Jr12 µ0 µr J r2 − r22
2πrB = µ0 µr πr12 J − µ0 µr π(r − 2
r22 )J ⇒B= −
2r 2 r
r3
r12 r3 r2 − r22
Z
1 lµ0 µr J r2 r3 lµ0 µr J
L̃ = lB(r)dr = + r12 ln + r12 ln + 3 − r22 ln = (r12 +
i 0 2i 2 r1 r2 2 r2 2i
r32
L̃ J r3 r3
L = = µ0 µr r32 ln = µ0 µr ln
l 2Jπr12 r2 2
2πr1 r2
Calcoliamo la resistenza per unità di lunghezza R.
ρ ρ
R= =
A 2πr12
Disegnamo un circuito infinitesimo. Indichiamo con 1 le quantità che
riguardano la parte interna del cavo, con 2 quelle che riguardano la parte
esterna.
V2 (x + dx, t) − V2 (x, t) = −I2 (x, t) R dx − L dx ∂I2 (x, t)
2 2 ∂t
R
V1 (x + dx, t) − V1 (x, t) = I1 (x, t) dx + dx
L ∂I 1 (x, t)
2 2 ∂t
∂V2 (x, t) = −I2 (x, t) R − ∂I2 (x, t) L
∂x 2 ∂t 2
∂V 1 (x, t) R ∂I 1 (x, t) L
= I1 (x, t) +
∂x 2 ∂t 2
Cdx (∆V12 (x, t + dt) − ∆V12 (x, t)) = ± (I1 (x, t) − I1 (x + dx, t)) (± (I2 (x, t) − I2 (x + dx, t))) dt
Derivando di nuovo,
∂I ∂ 2I ∂ 2I
= LC 2 − RC 2
∂t ∂x ∂t
Soluzione 4.3.51 (Soluzione al problema 3.3.36). 1. Ovviamente deve va-
~ ·B
lere ∇ ~ = 0. Dalla formula per la divergenza in coordinate cilindriche,
∂Bz 1 ∂(rBr )
+ = 0 ⇒ 2β = α
∂z r ∂r
di
V − iR − L
=0
dt
Andiamo a calcolare quanto vale V . Dato che
∂ΦB
V =−
∂t
dz
V = αB0 a2 π
dt
Φ = Φ B + ΦL
678 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
dΦ
=0
dt
Segue subito Φ =costante.
dz dI
αB0 a2 π =L
dt dt
Per integrazione
dF~ = id~l × B
~
z − 2πIa2 βB0 zb
m~a = −mgb
αB0 a2 π
mz̈(t) = −mg − 2πa2 βB0 z(t)
L
Che si riscrive meglio come
z̈(t) = −g − Ω2 z(t)
Con
2π 2 a4 αβB02
Ω2 =
mL
Che è evidentemente l’equazione di un oscillatore armonico. Infatti, se
scriviamo
z(t) = w(t) + z0
Per un opportuno z0
ẅ(t) = −g − Ω2 w(t) − Ω2 z0
g
ẅ(t) = −Ω2 w(t) ⇒ w(t) = A cos(Ωt + φ) ⇒ z(t) = A cos(Ωt + φ) −
Ω2
680 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
( ( (
z(0) = 0 A cos φ = Ωg2 φ=0 g
⇒ ⇒ ⇒ z(t) = (cos Ωt−1)
ż(0) = 0 −AΩ sin φ = 0 A = Ωg2 Ω2
αB0 a2 π αB0 a2 π g
I(t) = z(t) = (cos Ωt − 1)
L L Ω2
Dove l’unica parte variabile è l’ultima e ovviamente si avrà il massimo
in modulo quando cos x − 1 = −2. Quello sarà il massimo valore della
corrente.
dz dI
αB0 a2 π − RI − L = 0 (4.14)
dt dt
Inoltre, anche l’espressione della forza magnetica agente sull’anello sarà
invariata. Di conseguenza si avrà sempre
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 681
2
R L ˙ ⇒ R ˙ L ¨ = − 2πa βB0 I(t)−g
ż(t) = I(t)+ I(t) I(t)+ I(t)
αB0 a2 π αB0 a2 π αB0 a2 π αB0 a2 π m
2
R˙ ¨ = −Ω2 I(t) − gαB0 a π
I(t) + I(t) (4.18)
L L
Innanzitutto riconosciamo subito un oscillatore armonico smorzato.
Inoltre abbiamo che la corrente non tenderà a 0 bensı́ al valore limite
determinato dal termine costante, ovvero
gαB0 a2 π
I(t) = D(t) −
LΩ2
682 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
Dove D(t) è una lettera a caso perché sto finendo la fantasia. In ogni
caso si intende che D(t) → 0 per t → ∞. In realtà si ha una cosa ben
più forte, ovvero
Rt
D(t) = A cos(Ω0 t + φ)e− L
E questo è più forte in quanto non solo D(t) tende a 0 ma anche tutte
le sue derivate, in quanto un esponenziale uccide ogni altro termine. Se
poi riprendiamo l’equazione 4.17, otteniamo che
gαB0 a2 π
R L ˙ = R L
ż(t) = I(t)+ I(t) D(t) − + Ḋ(t)
αB0 a2 π αB0 a2 π αB0 a2 π LΩ2 αB0 a2 π
R g
ż(t) → −
L Ω2
Ovvero che effettivamente il moto ha una velocità limite. Vorrei infine
far notare la dipendenza continua dai dati, ovvero che se abbiamo
R molto piccolo rispetto agli altri parametri il moto tende a quello
calcolato nei punti precedenti.
Soluzione 4.3.52 (Soluzione al problema 3.3.37). Dato che le superifici
~ ha direzione radiale
equipotenziali del campo elettrico sono cilindriche, E
(altrimenti non la circuitazione lungo circonferenze centrate nell’asse non
sarebbe nulla). La seconda legge cardinale della meccanica quindi si scrive
~
dL
d~r
d~r
d~r
q dr2 ~
= q~r × ~
×B =q ~ −B
(~r · B) ~ · ~r =− B
dt dt dt dt 2 dt
~ è costante si ha ~
dB ~ dr
dB
ma dato che B dt
= dr dt
= 0 e quindi
~
dL d
qr2 ~
qr2 ~
=− B ⇒ m~r × ~v + B = costante
dt dt 2 2
dato che la velocità iniziale è radiale questa quantità costante all’inizio vale
qa2 ~
2
B. Ora supponiamo la carica raggiunga il cilindro esterno; nel momento in
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 683
q qb2 ~
− mbvtang B̂ + B
|q| 2
|q|B 2
mbvtang = (b − a2 )
2
ora basta notare che la condizione per la quale questo possa avvenire è che
vtang ≤ v e possiamo trovare v dalla conservazione dell’energia
r
1 2 1 2 2qV
mv = mv0 − qV ⇒ v = v02 −
2 2 m
da cui si ottiene che la carica raggiunge il conduttore se vale
r
2mb 2qV
B≤ 2 2
v02 −
|q|(b − a ) m
nel caso particolare in cui la carica sia un elettrone si ha
r
2me b 2eV
B≤ 2 2
v02 +
e(b − a ) me
n sin φ = sin θ
0
AO cos φ = AO cos(φ + dφ) = L
A0 O0 cos(θ + dθ) = A0 O cos θ = l
A0 O0 sin(θ + dθ) = A0 O sin θ + dx
AO0 sin(φ + dφ) = AO sin φ + dx
l l
sin(θ + dθ) = sin θ + dx
cos(θ + dθ) cos θ
Che si scrive in modo più umano come
(
l (tan(θ + dθ) − tan θ) = dx
L (tan(φ + dφ) − tan φ) = dx
Dove abbiamo anche fatto la stessa cosa per φ, θ e messo a sistema.
Siamo vicini all’obiettivo. Abbiamo due cose uguali a dx che è comunque
un’incognita, quindi tanto vale buttarlo via e porre uguali i due LHS.
n sin φ = sin θ
686 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
df (x)
f (x + ∆x) − f (x) ≈
∆x
dx
Dove abbiamo tenuto il primo termine dello sviluppo di Taylor. Vorrei
far notare che questa formula è esatta e non approssimata in questo caso
in quanto stiamo facendo un procedimento di limite e i termini di ordine
superiore spariranno.
1 1
2
Ldφ = l 2 dθ
cos φ cos θ
Questo è il risultato dell’espansione. Ricaviamo l
cos2 θ dφ
l=L
cos2 φ dθ
A questo punto bisogna valutare dφdθ
. Vorrei far notare che se in generale
questi due non fossero legati, il limite sarebbe di difficile trattazione. Per
fortuna noi abbiamo a disposizione la legge di Snell
n sin φ = sin θ
Che ci permette di calcolare il rapporto. Per farlo possiamo agire in due
modi assolutamente equivalenti. Il primo è quello semplice di differenziare
l’equazione precedente.
sin θ dφ 1 cos θ 1 cos θ cos θ
φ = arcsin ⇒ =q = p =
n dθ 2 n 1 − sin2 φ n n cos φ
1 − sinn θ
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 687
L
x 2 23
2
l= 1 − (n − 1)
n L
Chiaramente la radice non può essere negativa e quindi il valore massimo
di x si avrà per
L2
x2max =
n2 − 1
688 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
4.3.5 Relatività
Soluzione 4.3.54 (Soluzione al problema 3.5.4). In un generico sistema di
riferimento sia Etot l’energia prima dell’urto. Allora detta Ki l’energia cinetica
dell’i-esima particella formatasi dopo l’urto, per la conservazione dell’energia
si deve avere, nel caso il processo avvenga:
N
X
Etot = N mc2 + Ki
i=0
e dato che N mc2 è una quantità fissata, la minima energia perché possa
avvenire questo processo senza contraddire nessuna legge di conservazione è
quella per la quale
PN sia rispettata la conservazione del momento relativistico
e la quantità i=0 Ki sia più piccola possibile. Dato che la considerazione
precedente vale in ogni riferimento, mettiamoci nel riferiento in cui questa
quantità è minima se vale zero. È chiaro che l’unico riferimento in cui questo
è vero è quello in cui inizialmente (ma anchePdopo) vale p~tot = 0, infatti
dato che le Ki sono tutte quantità positive, N i=0 Ki implica che tutte le
velocità siano nulle, cioè che la quantità di moto totale sia nulla. A questo
punto cerchiamo a che velocità v0 deve muoversi questo riferimento rispetto
al riferimento del laboratorio. Per la legge di composizione delle velocità le
velocità rispettivamente della massa in moto nel sistema del laboratorio e di
quella a riposo, nel nuovo riferimento sono
v − v0
v1 =
1 − vv
c2
0
v2 = −v0
dove v è la velocità della particella nel riferimento iniziale del laboratorio;
ponendo ptot = rmv1 2 + rmv2 2 = 0 si ottiene v1 + v2 = 0, quindi poniamo
v1 v2
1− 1−
c2 c2
v−v0
vv
1− 20
= v0 che è un equazione di secondo grado e le soluzioni sono v0 =
c q
c2 v2
v
1 ± 1 − c2 scegliamo il segno sapendo che nel limite newtoniano
(v/c 1) si deve avere v0 = v2 , quindi
c2 v2
v
= 1± 1− 2
2 v 2c
690 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
ora per quando abbiamo detto prima l’energia E è la minima possibile per
0
far avvenire il processo se Etot = N mc2 , quindi uguagliando si ha
r 2
2 E + mc2 2 2 N
2mc = N mc ⇒ E = mc −1
2mc2 2
Soluzione 4.3.55 (Soluzione al problema 3.5.6). Dato che le uniche quantità
utili che si conservano sono quantità di moto e energia6 , usiamo queste due
leggi: mettiamoci nel sistema del laboratorio e sia v la velocità del razzo,
M la sua massa, dm quella che emette, e v1 la velocità del carburante nel
sistema del laboratorio.
Per ulteriore semplicità, denotiamo con β = vc , βu = uc e con β1 = vc1
Innanzitutto utilizzeremo la formula di addizione relativistica delle velocità
che ci porta a dire che
β − βu
β1 =
1 − ββu
La conservazione della quantità di moto:
M dβ βdM M β 2 dβ dm β − βu
p +p +p +p =0 (4.19)
1 − β2 1 − β2 (1 − β 2 )3 1 − β1 1 − ββu
2
M M + dM dm
p =p +p
1 − β2 1 − (β + dβ)2 1 − β12
che, di nuovo sviluppando al prim’ordine diventa:
dm dM M βdβ
p
2
= −p −p (4.20)
1 − β1 1 − β2 (1 − β 2 )3
Vorrei far notare che abbiamo avuto bisogno di due equazioni e non di
una sola in quanto classicamente è ovvio che dm = dM , in relatività la massa
è leggermente più ostica da trattare.
Sostituendo quest’ultima nella conservazione della quantità di moto, otte-
niamo, facendo i conti (magicamente scompare il termine γ(β1 ), fastidioso da
calcolare)
dβ dβ dM
M dβ + βu dM 1 − β 2 = 0 ⇔
+ = −2βu
1−β 1+β M
che quindi ci da la soluzione
2uc
M 1−β
=
M0 1+β
Esprimiamo il risulatato in modo più carino prendiamo il logaritmo di
entrambe i membri
12
M 1 1+β
ln = − ln
M0 βu 1−β
Dove ho anche girato la frazione portando un meno fuori dal logaritmo. Ho
fatto questo giochetto in quanto la funzione a destra è esattamente tanh−1 (β),
ovvero
692 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
M 1
ln = − tanh−1 β
M0 βu
v
Osserviamo che per β 1 torna la soluzione classica M = M0 e u , in
quanto tanh−1 (dx) ≈ dx. Inoltre,
M0
β = tanh βu ln (4.21)
M
Un risultato simile è abbastanza rassicurante riguardo la sua validità, in
quanto la tangente iperbolica è sempre compresa fra −1 e 1. Inoltre torna
il caso notevole M → 0 ⇒ β → 1. Non solo, torna anche il caso notevole
βu = 0 ⇒ β = 0.
Purtroppo, come potete ben capire, il fatto che ci sia la tangente iper-
bolica di un logaritmo non è altrettanto rassicurante riguardo la possibilità
ingeneristica di avvicinarsi a c in questo modo.
p⊥ = F vdt − p0,⊥
(compare il segno − perché abbiamo preso i momenti prima e dopo l’urto
in versi opposti). Abbiamo quindi il sistema
hν = hν0 + F v sin θdt
h
ν cos β = hc ν0 cos α + F dt
c
ν0 sin α = ν sin β
ora ricavando F dt dalla seconda e sostituendolo nella prima possiamo usare
quest’ultima per ricavare ν e sostituirlo nella terza ottenendo
sin α v sin α cos β
= 1 + sin θ cos α +
sin β c sin β
che possiamo riscrivere nella forma migliore
v
sin α − sin β = sin θ sin(α + β)
c
infine se si vuole (ma non ce n’è bisogno) si può trovare la forma esplicita
v 2 sin2 θ
1 + c2 cos α + 2 v sin
c
θ
cos β = 2 2θ
1 + 2 v sinc
θ
cos α + v sin
c2
694 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
hp2 i mω 2 2 σp2 mω 2 2
E = hEi = + hx i = + σ
2m 2 2m 2 x
Siamo vicini a quello che ci serve ma per andare avanti è necessario far
comparire in qualche modo il prodotto σp σx per usare l’indeterminazione.
Dato che il principio di Heisenberg è una disuguaglianza, possiamo cercare
delle disuguaglianze utili che correlino la somma al prodotto.
La disuguaglianza fra media aritmetica e media geometrica mostra in
questo caso
σp2
m
+ mω 2 σx2 q 2 2 2 ~
E= ≥ ω σp σx = ωσp σx ≥ ω
2 2
A questo punto il resto del problema è banale. La legge del moto classica,
a meno di riscalare l’asse dei tempi è
x(t) = A cos ωt
Da cui facilmente
1 1 1 ~ω
E = mω 2 A2 cos2 ωt + mω 2 A2 sin2 ωt = mω 2 A2 =
2 2 2 2
Per cui
r
~
A=
mω
Per cui la quantità richiesta è
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 695
r
p ~
Ac = A2 hcos2 ωti =
2mω
Per il caso quantistico i calcoli sono identici per cui si trova il valore
r
~
Aq =
2mω
Per cui il loro rapporto è banalmente 1.
696 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
~
~v = ∇φ
Dove non ho messo il segno meno in quanto in questo caso non ha significato
fisico. Ovviamente il potenziale dipenderà solo dalle coordinate x, z. È
ragionevole pensare che sia inoltre
∂ρ ~
+ ∇ · (ρ~v ) = 0
∂t
∂ρ
Si avrà ovviamente ∂t
= 0 e infine
~ · ~v = 0
∇
Per cui
∇2 φ = 0
Che scritto in termini dell’espressione che abbiamo sopra diventa
d2 f
−k 2 f (z) cos(kx − ωt) + cos(kz − ωt) = 0
dz 2
Che, semplificando il coseno diventa
f 00 = k 2 f
Che è la solita equazione differenziale la cui soluzione è
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 697
ω ω
~v 0 = ~v − xb = −kC cosh(kz) sin(kx − ωt) − x
b+kC sinh(kz) cos(kx−ωt)b
z
k k
Visto che vogliamo usare Bernoulli, andiamo a calcolare v 02
ω2
v 02 =2
+ 2ωC cosh(kz) sin(kx − ωt) + k 2 C 2 (. . .)
k
E visto che siamo in regime di piccole oscillazioni, potremo trascurare
tutti i termini di ordine k 2 C 2
Scriviamo quindi il teorema di Bernoulli
ω2
1 kC
ρ + 2ωC cosh(kz) sin(kx − ωt) +ρg − sinh(kz) sin(kx − ωt) +patm = cost
2 k2 ω
Mettiamo da parte tutti i termini che sappiamo già essere costanti e
vediamo le cose che a priori variano
kg
ρC sin(kx − ωt) ω cosh(kz) − sinh(kz) = cost
ω
E dato che sin(kx−ωt) non è costante, deve esserlo l’altro termine. Inoltre,
l’unico modo che ha per essere costante è essere uguale a 0
kg p
ω cosh(kz) − sinh(kz) = 0 ⇒ ω = kg tanh(kz)
ω
Per cui la velocità di fase ωk
r
g tanh(kz)
v= (4.22)
k
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 699
A questo punto possiamo fare i due limiti per acqua bassa e acqua alta.
In acqua molto alta, ovvero h λ, si ha tanh(kz) ≈ 1, per cui
r r
g gλ
v= =
k 2π
Se invece abbiamo acqua molto bassa, si avrà tanh x ≈ x
p
v= gh
Vorrei far notare che v → 0 quando h → 0. Questo ha come conseguenza
la risposta alla prossima domanda, infatti valendo la legge di Snell sarà
n1 sin θ1 = n2 sin θ2
Scegliamo con cura le quantità fisiche in modo da dare un senso al tutto.
Indichiamo con θ2 l’angolo giusto
FINISCI DI SPIEGARE CHE IN TRENO CON 50 MINUTI DI RITARDO
NON HO VOGLIA
Soluzione 4.3.59 (Soluzione al problema 3.8.8). Calcoliamo l’energia totale
del nostro elettrone in funzione del raggio dell’orbita, che è l’unica variabile
del problema. Per farlo, si può agire in diversi modi.
Andiamo a calcolare l’energia non a caso ma con un motivo, in quanto
conoscendo noi la formula di P , avremo che
d ∂E dr
P (t) = (E(r(t))) =
dt ∂r dt
Innanzitutto, bisogna considerare, come suggerito dal testo, l’orbita
istantaneamente circolare. Di conseguenza varrà
v2 1 e2 v2
Felett = me ⇒ = me
r 4π0 r2 r
2
Da cui si può ricavare v in funzione di r per il calcolo dell’energia cinetica
K. L’energia potenziale sarà ovviamente elettrostatica
1 e2
U =−
4π0 r
Da cui si può ricavare E(r). Per morire meno di conti, consiglio di utilizzare
il teorema del Viriale, spiegato nel capitolo di gravitazione, che senza colpo
ferire, dall’espressione molto banale di U , ci dice subito che E = U2 , da cui
700 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
1 e2 ∂E 1 e2
E(r) = − ⇒ =
8π0 r ∂r 8π0 r2
Calcolate v 2 e sostituite in E = K + U per esercizio e controllate che torni
lo stesso risultato.
Andiamo avanti e calcoliamo la potenza in funzione di r. Essendo
e 2 a2
P =−
6π0 c3
Dove abbiamo messo il segno − in quanto dobbiamo ricordarci che l’energia
viene persa. Possiamo sostituire la formula dell’accelerazione in quanto sarà
sempre istantaneamente centripeta.
1 e2
a=
4π0 me r2
Da cui troviamo
2
e2 e2 1 e2 dr
1
− =
6π0 c3 4π0 me r2 8π0 r2 dt
Che dopo molte semplificazioni diventa un’equazione differenziale del
primo ordine a variabili separabili
dr e4 1
=− 2 2 2 3 2
dt 12π me 0 c r
Che si integra facilmente
Z r1 Z τ
2 e4
r dr = − dt
r0 0 12π 2 m2e 20 c3
4(r03 − r13 )π 2 m2e 20 c3
τ=
e4
−14
Che ha l’ordine di grandezza di 10 s, cosa che ovviamente non è rea-
listica. Se il tempo fosse stato dell’ordine della vita dell’universo, allora il
modello avrebbe avuto un qualche senso e probabilmente avremmo dovuto
iniziare a preoccuparci, ma dato che il risultato è completamente insensato,
semplicemente ci dice che il modello classico ha un grosso buco.
Se avessimo trattato il problema in modo relativistico, avremmo dovuto
correggere la formula di Larmor e in modo qualitativo possiamo dire che si
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 701
1
S = Sn As
2
dove Sn è la superficie di un nucleone e As è il numero di nucleoni in
2
superficie. Da qui si deduce che As = 2A 3 . Ora la supposizione che faccio è
questa: questi nucleoni a differenza degli altri non hanno i “nucleoni sopra”
quindi diciamo che perdono metà dell’energia nucleare forte che avrebbero se
fossero “circondati”. Di conseguenza il termine di correzione è proprio
2
Ef A 3
√3
Si arriva quindi a Uf = Ef (A − A2 )
L’energia totale per un nucleone è quindi la somma delle due energie (con
il segno meno a quella elettrostatica) ed è uno schifo assoluto (una cosa simile
a E(Z) = Ef − Ef 2−1/3 Z −1/3 + kZ 2/3 che barando un po’ e approssimando
molto si potrebbe scrivere come E = Ef (2 − A−1/3 ))
Tutto quello ottenuto fin ora è che l’energia di un atomo è circa (approssi-
mando mp ≈ mn )
√
3 3 e2 1 Z 2
2
EA,Z = Amp c − Ef (A − A2 ) − √
5 4πε0 R0 3 A
L’uranio usato nelle reazioni solitamente ha A = 235.
CORREGGI CON I DATI GIUSTI
Prendo come prodotti (non ho idea di cosa prendere, ma in effetti stiamo
facendo delle approssimazioni enormi, quindi continuo ad approssimare e
prendo il cesio che ricordo come prodotto di fissione, poi uno potrebbe anche
prendere due prodotti quasi uguali e viene sempre un risultato sensato) Cesio
140 (Z=55) e l’altro che non ricordo che sottraendo risulta avere Z=37 e A=93
(edit: wikipedia dice che è il rubidio) Ora, si fa il conto enorme che non sto a
scrivere
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 703
2πR 2π(R + h)
=
c/n0 c/n(h)
3. Basta imporre
4 3 4 3
πrsep Ne ≈ πReq
3 3
Il valore numerico è
h
v= = 1.08 · 108 ms−1
2mrsep
In questo caso abbiamo utilizzato l’espressione classica della quantità di
moto per calcolare v. Se invece avessimo usato l’espressione relativistica
avremmo ottenuto v = 1.06 · 108 ms−1 .
5. In maniera analoga al punto 2, dobbiamo imporre
d(UG + Eerel )
=0
dR
R=Req
D’altro canto, la forza totale agente su tale porzione è, per la seconda
legge della dinamica, pari a
∂ 2 y(x, t)
F = ρdx
∂t2
Uguagliando le due equazioni precedenti otteniamo
∂ 2 y(x, t) 2
2 ∂ y(x, t)
= c
∂t2 ∂x2
dove si è posto c2 = T /ρ.
2. Dato che gli estremi sono fissi si deve avere in ogni istante y(0, t) =
y(L, t) = 0. Ciò equivale alle condizioni:
C=0
706 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
nπ
kn =
L
Con n intero non negativo. Concludiamo che le frequenze ammesse sono
del tipo
ncπ
ωn =
L
3. Supponiamo che la soluzione sia della forma y(x, t) = g(x)f (t), ovvero
che sia scrivibile come prodotto di due funzioni, entrambe dipendenti
da una sola variabile. Sostituendo nell’equazione d’onda otteniamo
c2 d2 g(x) 1 d2 f (t)
= = −ω 2
g(x) dx2 f (t) dt2
dove ω 2 è una costante indipendente da x e t. in tal modo otteniamo il
sistema
d2 g(x) ω 2
+ 2 g(x) = 0
dx2 c
2
d f (t)
2
+ ω 2 f (t) = 0
dt
La cui soluzione è proprio
f (t) = A cos(ωt) + B sin(ωt)
g(x) = C cos(kx) + D sin(kx)
Con k = ω/c.
Soluzione 4.3.64 (Soluzione al problema 3.8.14). Le forze agenti sul sistema
sono F~ e la forza di attrito A.
~ La condizione di puro rotolamento è
F −A AR2 − F R1
= R2
M M R12 /2
Ponendo λ = R2 /R1 , otteniamo
2λ + 1
A= F
2λ2 + 1
Da cui osserviamo che per λ > 1 risulta A < F , ovvero il cilindro accelera
nello stesso verso di F~ . Viceversa, per λ < 1 abbiamo A > F e il cilindro
accelera in verso opposto. Infine per λ = 1 il cilindro il cilindro non trasla.
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 707
F~ = −2k~r − k L
~ − m~g = −2k~r + F~ 0
k k
ẍ = −2 x+ L
m m
k
ÿ = −2 y−g
m
Le costanti nelle due equazioni sono eliminabili con un opportuno cambio di
coordinate e quindi, a meno di fattori costanti, possiamo scrivere
r !
2k
x(t) = x0 sin t
m
r !
2k
y(t) = y0 sin t
m
e4 mp
Tc = = 9.7 · 106 K
24π 2 ε20 kh2
8. In maniera analoga
r
4πR3 mp
ne−1/3
3
de = =
3M
9. Considerato che
h
λe =
me vrms,elettroni
3 1 2
kTc = me vrms,elettroni
2 2
E ricordando l’espressione di Tc , M/R e de , dalla condizione suggerita
nel testo si ottiene
h2 ε0
r
R ≥ Rmin = 4 = 6.9 · 107 m
e 4me m5p G2
3
v2 GM 2
M =
R 4R2
Sostituendo v = (2πR)/(Ts )
r
R3
Ts = 4π
GM
Quando la distanza del pianeta dal piano delle stelle è z, la forza agente
è
2GM m
F ≈− z
R3
ovvero il pianeta si muove di moto armonico di periodo
√
Tp = 2 2Ts
q
2. La legge oraria del pianeta è z(t) = z0 cos (ωt), con ω = 2GM
R3
. All’e-
quilibrio, la potenza assorbita dal pianeta deve essere uguale a quella
emessa, dunque se θ(t) è la temperatura del pianeta deve verificarsi
P
4πr2 σθ4 (t) = 2
4π(R2 + z 2 (t))
Con r
4 P
θ0 =
8π 2 R2 r2 σ
Soluzione 4.3.68 (Soluzione al problema 3.8.18). Vediamo le idee chiave del
problema
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 711
dEk = −Pe dV
Ek
Pe =
2πR3
2. Dal principio di indeterminazione e dall’ipotesi di isotropia possiamo
scrivere
~
∆x∆px ≥
2
~
∆y∆py ≥
2
~
∆z∆pz ≥
2
∆x = ∆y = ∆z
∆px = ∆py = ∆pz
Ponendo quindi (∆s)2 = (∆x)2 + (∆y)2 + (∆z)2 e (∆p)2 = (∆px )2 +
(∆py )2 + (∆pz )2 , otteniamo
3
∆s∆p ≥ ~
2
712 CAPITOLO 4. SOLUZIONE DEI PROBLEMI
P0
U (β) = 2 5
[Q(1 − β 2 ) − β 2 (1 − β 3 )]
3R(0) β
P0
µ=
3R(0)2
Rm = βm R(0) = 2.31µm
T0
Tm = 2
= 6.86 · 104 K
βm
11. Il valore massimo della velocità radiale, che viene raggiunto per β = βu ,
deve corrispondere anche a un massimo di U (β). Ciò implica
dU (β)
=0
dβ β=βu
Da cui si ricava
5 Q
βu2 =
3 1+Q
Numericamente, βu = 0.0852, a cui corrisponde β = (βm + βu )/2 =
0.0757. Di conseguenza
s
2U (β)
u = −β̇(β) = − = 5.52 · 106
ρ0
6. Per prima cosa notiamo che ET cresce con T , dato che 1/[e(~ω)/(kB T ) − 1]
è crescente. Per T piccole, possiamo trascurare il −1 a denominatore e
quindi
Z
2N − ~ω dω
ET ≈ ~ωe kB T p
π ωmax − ω 2
2
2N kB T 2 ∞ xe−x dx
Z
= r 2
~πωmax 0
kB T x
1 − ~ω max
e2
1
V2 (r0 ) = −αk 1−
r0 n
L = T − U = TCM + Trot − U
Scriviamo quindi la velocità del centro di massa.
(
xCM = l/2 cos(θ)
yCM = l/2 sin(θ)
(
vx = −l/2 sin(θ)θ̇
vy = l/2 cos(θ)θ̇
l2 mgl
2
Quindi vCM = θ̇2 . Inoltre, U = Ug = mgyCM = sin(θ)
4 2
Quindi
1 2 1 mgl 1 mgl
L = mvCM + ICM θ̇2 + cos θ = ml2 θ̇2 + sin θ
2 2 2 6 2
Scriviamo quindi le equazioni di Lagrange per il sistema.
d ∂L ∂L
=
dt ∂ θ̇ ∂θ
∂L 1 ∂L mgl 3g
= ml2 θ̇ = cos θ ⇒ θ̈ = cos θ
∂ θ̇ 3 ∂θ 2 2l
Questa è l’equazione del moto, palesemente non integrabile. Per fortuna,
per risolvere questo problema non è necessario integrarla. Ci interessa solo
trovare l’istante in cui la sbarra si stacca dalla parete. Fisicamente vuol
dire che in quel momento la reazione normale N ~ del muro sarà 0, ovvero la
componente orizzontale dell’accelerazione è 0.
Scriviamo in termini di θ e derivate l’accelerazione.
dvx
ax = = −l/2 sin θθ̈ − l/2 cos θθ̇2
dt
Mettiamo a sistema le due equazioni trovate.
−l/2 sin θθ̈ − l/2 cos θθ̇2 = 0
3g
θ̈ = cos θ
2l
4.3. SOLUZIONI COMPLETE 721
Prova sperimentale
Il sapere come fare le misure purtroppo non è una cosa che si può insegnare.
Ci sono migliaia di accortezze che si imparano solo facendo ore e ore di
laboratorio, cosa non disponibile a tutti. Quello che vi spiegherò in questo
capitolo sono le motivazioni teoriche che stanno dietro alle cose che si fanno
in laboratorio, che spesso non vengono trattate in quanto richiedono analisi
non banale, e quello che dovete fare voi nella gara, cosa ben diversa.
723
724 CAPITOLO 5. PROVA SPERIMENTALE
A(b, h) = bh
Se vogliamo conoscere l’errore associato all’area, possiamo stimare l’errore
in questo modo
∂A(b, h) ∂A(b, h)
dA(b, h) = ∆b +
∂h ∆h
∂b
Ovvero abbiamo espanso in serie al primo ordine l’area nell’intorno del
punto e sommato i contributi.
SCRIVI ERRORE STATISTICO
V = Ri
Se avessimo una sola misura di resistenza e di corrente, ovviamente la cosa
da fare è una moltiplicazione con successiva propagazione degli errori, ma
dato che abbiamo una serie di misure e non una sola, esistono dei metodi che
danno dei risultati migliori rispetto a fare n moltiplicazioni e farne la media.
1. Supponiamo che gli errori sulla variabile y siano tutti uguali, ovvero
∆yi = ∆y.
X n
∂S
−2 (yi − mxi − q) = 0
=0
∂q ⇒ i=1
n
∂S = 0
X
−2 xi (yi − mxi − q) = 0
∂m
i=1
n 2
(∆y) 2
· x2i
X ∂q i=1
σq2 = (∆y)2 =
!2
i=1
∂y i Xn X n
x2i −
n xi
i=1 i=1
Metodo del minimo χ2 Questo metodo è molto più sensato del precedente
in quanto toglie molti limiti e molte assunzioni, ma va comunque usato con
cognizione di causa. Questo metodo assume semplicemente che le misure
seguano una distribuzione gaussiana intorno ad una misura vera. Questa
assunzione è sensata nella maggior parte dei casi che vi possono capitare
5.2. METODI DI FIT 727
alle gare, l’importante è essersi liberati di tutti gli errori sistematici. Per
semplicità assumeremo anche che le misure abbiano errore trascurabile sulla
variabile x. Più avanti generalizzeremo a senza.
Consideriamo una relazione fra due quantità misurate x, y determinata da
una funzione f dipendente da n parametri, ovvero f (x, p1 . . . pn ). Per fare un
esempio concreto, f potrebbe essere una retta, di espressione f (x, p1 , p2 ) =
p1 x + p2 . Supponiamo di aver misurato le quantità x, y in modo da avere un
set di n misure (xi , yi ), con il loro errore (σxi , σyi ) e di sapere qualè la funzione
f ma di non conoscere il valore dei parametri (per esempio sapete che è un
logaritmo ma non sapete quanto vale il termine che divide la variabile).
La probabilità che la misura i-esima si trovi fra yi e yi + dyi è
n n
(yi − f (xi , p1 ..pn ))2
Y Y
P (p1 , p2 ..pn ) = Pi = exp − 2
dxi =
i=1 i=1
σy i
" n #
X (yi − f (xi , p1 ..pn ))2
= exp − dx1 . . . dxn
i=1
σy2i
Chiamiamo ora
n 2
2
X yi − f (xi , p1 . . . pn )
χ (p1 , p2 , . . . , pn ) =
i=1
σyi
Con questo cambio di variabili è ovvio che
2
P = e−χ dx1 . . . dxn
E di conseguenza si avrà il massimo di probabilità che le cose funzio-
nino quando χ2 è minimo. Per avere i parametri giusti, bisognerà quindi
minimizzare il χ2 . Facciamo l’esempio concreto per una retta y = mx + q
728 CAPITOLO 5. PROVA SPERIMENTALE
n 2
2
X yi − mxi − q
χ =
i=1
σyi
Per avere i parametri giusti si impone
2
∂χ
=0
∂m2
∂χ
=0
∂q
Che porta ad una soluzione orribile
n n n n
X 1 X xi yi X xi X yi
− ·
i=1
σy2i i=1 σy2i i=1
σy2i i=1 σy2i
m=
n n n
!2
2
X 1 X x i
X x i
−
σ 2 σ 2 σ2
i=1 y i i=1 y i i=1 yi
n n n n (5.1)
X yi X x2i X xi X xi y i
· − ·
σy2i i=1 σy2i σy2i i=1 σy2i
i=1 i=1
q=
n n n
!2
2
1 x x
X X X i
i
−
2 2 σ2
σ
i=1 yi i=1 yi
σ i=1 yi
n 2 2 !
X ỹi − yi x̃ i − x i
χ2 = +
i=1
σyi σxi
molto vivamente di leggere il libretto delle istruzioni per capire come fare
in quanto vi può salvare la vita. Io vi ho insegnato a farlo nel caso di una
retta. Sinceramente non so come le calcolatrici elaborino i dati per fare la
regressione anche nel caso di y = xα , ma vi mostrerò ora un metodo per
trasformare quasi tutto in una retta. È molto probabile che vi venga dato
un esperimento in cui sia richiesto quello che vi mostrerò.
Prendiamo un esempio anche più complicato del previsto, un pezzo del
problema 2 di Senigallia 2013, il problema 3.1.40. Era fornita una tabella che
indicava la viscosità di un materiale a diverse temperature e veniva detto che
la viscosità era legata alla temperatura dalla legge
E0
µ = µ0 e RT
Dove µ0 e E0 sono costanti opportunamente dimensionate. La tabella
(con le temperature già convertite in kelvin perché sı́.) è riportata qui sotto.
Evidentemente questi dati non stanno su una retta, come si vede dal
grafico 5.1
Tuttavia, possiamo agire d’astuzia. Prendiamo la relazione di prima.
E0
µ = µ0 e RT
Dividiamo entrambe i membri per µ̃ = 10 × 10−3 Pa/s, in modo da poter
prendere il logaritmo
µ µ0 E0
ln = ln +
µ̃ µ̃ RT
5.2. METODI DI FIT 731
µ
Se chiamiamo Y = ln , la relazione sopra comincia già di più ad
µ̃
assomigliare ad una retta, infatti
E0
Y (T ) = C +
RT
1
Se poi chiamiamo X = T , allora otteniamo proprio una retta, ovvero
Y (X) = C + DX
Il bello è che a questo punto possiamo fare tutte le cose che siamo in grado
di fare perché le rette si trattano molto bene. Costruiamo quindi la tabella
5.1 degli X e degli Y e facciamo il grafico 5.2. Ovviamente ci aspettiamo che
stavolta i dati stiano su una retta.
Dal grafico si possono desumere il coefficiente angolare e l’intercetta, dai
quali poi risalire ad E0 e µ0 . Per farlo ci sono due modi
732 CAPITOLO 5. PROVA SPERIMENTALE
Credo di aver detto cosa sia meglio fare senza averlo detto esplicitamente.
In ogni caso, quello che io vi consiglio di fare è:
1. Prendere i dati con precisione ma senza usare tutto il tempo solo per
fare quello.
3. Scrivere bene la relazione (se ci sono altri punti da fare, anche usando
il risultato precedente, fatelo)
X [K−1 ] Y
0.00353 0.483
0.00341 0.440
0.00330 0.405
0.00319 0.372
0.00310 0.341
0.00300 0.313
0.00292 0.283
0.00268 0.209
3
Non è sempre vero. In India avevo a disposizione un tablet nella dotazione e dovevo
misurare onde di tensione superficiale mediante diffrazione. Una stima approssimativa
porta ad un prezzo di circa 500 euro per ogni apparato sperimentale.
5.3. I PRINCIPALI STRUMENTI CON CUI AVRETE A CHE FARE 735
Oggetti meccanici
Metro Voglio sperare che questo siate capaci di usarlo.
Calibro ventesimale
Carta millimetrata
Massiera
Elastici
Ottica
RICORDATE DI OSCURARE LA ZONA IN CASO DI SENSORI LU-
MINOSI
Lenti
Polarizzatori
Pezzi di CD/DVD
Multimetro
Appendice
737
738 CAPITOLO 6. APPENDICE
Funzione Derivata
Costante 0
xα αx α−1
con α ∈ R
ex ex
sin(x) cos(x)
cos(x) − sin(x)
1
log(x)
x
1
arcsin(x) √
1 − x2
1
arccos(x) −√
1 − x2
1
arctan(x)
1 + x2
sinh(x) cosh(x)
cosh(x) sinh(x)
1
sinh−1 (x) √
2
x −1
1
cosh−1 (x) √
1 + x2
1
tanh−1 (x)
1 − x2
Tabella 6.1: Derivata delle funzioni elementari
6.2. SERIE DI TAYLOR PIÙ COMUNI 739
Z +∞ Z +∞
z −t
Γ(z + 1) = t e dt = −tz e−t |+∞
0 +z tz−1 e−t dt = zΓ(z)
0 0
Inoltre, con un banale integrale si nota che Γ(1) = 1, per cui Γ(n + 1) =
n! ∀n ∈ N. In particolare, possiamo in un certo senso dire che la funzione
Gamma è una generalizzazione dei fattoriali estesa al piano complesso.
√
Proposizione 6.3.2. Γ 12 = π
Dimostrazione:
Z ∞
1 1
Γ = t− 2 e−t dt
2 0
√
t = x ⇒ dt = 2xdx
Z ∞ Z ∞
1 −x2 2
Γ = 2e dx = e−x dx
2 0 −∞
2
È stato dimostrato che non si può trovare una primitiva di e−x esprimibile
in termini di funzioni elementari. Tuttavia, con un trucco si può calcolare il
particolare integrale definito che abbiamo lı̀ sopra.
Z ∞ Z ∞
−x2 2
I= e dx = e−y dy
−∞ −∞
Z ∞ Z ∞ Z ∞ Z ∞ Z ∞ Z 2π
−x2 −y 2 −(x2 +y 2 ) 2
2
I = e dx e dy = e dxdy = re−r dφdr
−∞ −∞ −∞ −∞ 0 0
Z ∞ h i∞
−r2 −r2
=π 2re dr = π −e =π
0 0
6.3. LA FUNZIONE GAMMA DI EULERO 741
Z ∞ √
2
I= e−x dx = π
−∞
742 CAPITOLO 6. APPENDICE
~ · (ψ ∇φ)
∇ ~ = ∇ψ
~ · ∇φ
~ + ψ∇2 φ (6.4)
(Prima identità di Green)
I Z
~ ~ ~ = ψ∇2 φ−φ∇2 ψ ⇒ ~ ~ ~ ψ∇2 φ − φ∇2 ψ dV
∇·(ψ ∇φ−φ∇ψ) ψ ∇φ − φ∇ψ ·dA =
∂V V
(6.5)
(Seconda identità di Green)
6.5. LISTA DELLE MODIFICHE APPORTATE AL FILE 743
• 24/10/16 Aggiunti pezzi scritti da Giorgio Busoni: trucchi per fare gli
integrali, equazioni differenziali alle derivate parziali, esempi calcolo
integrali di linea, di superficie e momenti di inerzia
745
746 INDICE ANALITICO
gas pendolo
perfetto, 298 sferico, 184
reali, 310 plasmoni, 476
gradiente, 124 polaritoni, 476
teorema del, 127 polaroid, 475
potenziale
indice di rifrazione, 463 efficiace, 228
integrale, 37 elettrico, 324, 338
di flusso, 118 scalare, 120
di linea, 103 termodinamico, 283
di superficie, 114 vettore, 120
multidimensionale, 103, 106 principio
per parti, 43 della Termodinamica
sostituzione, 40 primo, 269
vettoriale, 118 secondo, 275
prodotto
Jacobiano, 111 fra matrici, 84
misto, 79
Lagrange scalare, 76
punti di, 243 vettoriale, 77
legge
di malus, 475 razzo, 254
di Stevino, 128 regola di Sarrus, 89
libero cammino medio, 302 relazione costitutiva, 446
relazioni
matrice Kramers-Kronig, 477
inversa, 91 riflessione
Maxwell totale, 473
identità di, 288 riflettività, 467
media rifrazione, 467
aritmetica, 170
mesoscopico, 444 serie, 29
modi normali, 191 armonica, 30
momento geometrica, 29
angolare, 206 serie di Taylor, 69
INDICE ANALITICO 747
tensione, 178
superficiale, 319
tensore
di inerzia, 209
di maxwell, 407
teorema
degli assi paralleli (Huygens-Steiner),
217
degli assi perpendicolari, 218
del viriale, 238
di Bernoulli, 261
di Coulomb, 331
di Gauss, 326
trasformata di Fourier, 448
trasformazione
adiabatica, 271
isobara, 271
isocora, 271
isoterma, 271, 310
trasformazione termodinamica, 270
749