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FORME DIFFERENZIALI

prof. Antonio Greco


http://people.unica.it/antoniogreco

Dipartimento di Matematica e Informatica


Università di Cagliari

24-12-2019
Indice

Introduzione Elementi di teoria dell’omologia


Richiami sul teorema fondamen- Omologia . . . . . . . . . . . . 26
tale del calcolo integrale . 4 L’omologia del piano bucato . . 27
Motivazioni . . . . . . . . . . . 4 Il piano con n buchi . . . . . . 28
Le origini . . . . . . . . . . . . 5 Cicli . . . . . . . . . . . . . . . 29
Propagazione della teoria . . . . 6 Il ciclo nullo . . . . . . . . . . . 29
Definizioni ed esempi Multipli di un ciclo . . . . . . . 30
Semplici esempi di forme . . . . 9 Somma di cicli . . . . . . . . . 30
Forme multilineari alternanti . . 9 Bordi . . . . . . . . . . . . . . . 31
Forme differenziali . . . . . . . 10 Gruppi di omologia . . . . . . . 32
La definizione originale . . . . . 10 I numeri di Betti . . . . . . . . 32

Le forme di base La coomologia di de Rham


Forme di base e loro utilità . . 12 Coomologia algebrica . . . . . . 34
Espressione delle 1-forme . . . . 12 Relazione tra omologia e coomo-
logia . . . . . . . . . . . . 34
Espressione delle 2-forme . . . . 13
Il teorema di de Rham (1/2) . . 34
Espressione delle 3-forme . . . . 14
Forme chiuse che non sono esatte 35
Il prodotto esterno . . . . . . . 14
La coomologia del piano bucato 36
Integrazione delle forme Cocicli . . . . . . . . . . . . . . 37
Integrazione di una 1-forma lun- Operazioni sui cocicli . . . . . . 37
go una curva . . . . . . . . 16 Cobordi . . . . . . . . . . . . . 37
Integrazione di una 2-forma su Gruppi di coomologia di de Rham 38
di una superficie . . . . . . 17 Il teorema di de Rham (2/2) . . 38
Integrazione di una 3-forma su Controesempi . . . . . . . . . . 39
un dominio tridimensionale 18 Caratterizzaz. delle forme esatte 40
Il differenziale esterno Esattezza di una f. chiusa trami-
Differenziale di una 0-forma . . 20 te l’omologia del dominio . 41
Differenziale di una 1-forma . . 20 Gli errori del principiante . . . 42
Differenziale di una 2-forma . . 21 Un procedimento meccanico . . 43
Differenziale di una 3-forma . . 21 Appendice
Il differenziale secondo . . . . . 21 Il libro di Grassmann . . . . . . 45
Forme chiuse . . . . . . . . . . 22 L’articolo di Cartan . . . . . . . 46
Forme esatte . . . . . . . . . . 22
Bibliografia 47
Condizione necessaria . . . . . . 22
Teorema di Stokes generalizzato
Teorema della divergenza . . . . 24
T. fondamentale del calcolo int. 24
Teorema di Stokes . . . . . . . 24
Formule di Gauss-Green . . . . 24
Introduzione
RICHIAMI SUL TEOREMA FON- MOTIVAZIONI
DAMENTALE DEL CALCOLO IN-
TEGRALE Fra le diverse motivazioni del-
la teoria delle forme differenzia-
Il teorema fondamentale del cal- li citiamo le seguenti tre.
colo integrale,
A. La nozione di forma differen-
Z b
ziale offre uno dei possibili modi
f (x) dx = F (b) − F (a), (1)
a di intendere rigorosamente il sim-
coinvolge, come sappiamo, una fun- bolo dx che si scrive sotto il segno
zione integranda f ed una sua pri- di integrale.
mitiva F . Si rammenti, a questo proposito,
che nell’analisi standard (quel-
Osserviamo che la (1) coinvolge
la normalmente insegnata nelle
anche l’intervallo di integrazione
scuole ed all’università) non esi-
(a, b) ed il suo bordo, che è costi-
stono numeri reali infinitesimi.
tuito dai due estremi a e b che fi-
gurano al secondo membro. B. La teoria delle forme diffe-
renziali consente di scrivere tutti
Il teorema fondamentale del cal-
gli enunciati richiamati a lato co-
colo integrale può essere esteso
me un unico teorema, detto anco-
a funzioni di più variabili in diver-
ra teorema di Stokes ed espresso
si modi.
dalla formula
Discendono dal teorema fon-
Z Z
damentale del calcolo integrale, dω = ω. (2)
Ω ∂Ω
ad esempio, le formule di Gauss-
Questa notevole sintesi avviene
Green nel piano:
tuttavia al prezzo di qualche fa-
∂f
ZZ Z
(x, y) dx dy = f (x, y) dy tica, che questa dispensa descrive
Ω ∂x ∂Ω brevemente.
∂f
ZZ Z
(x, y) dx dy = − f (x, y) dx Per comprendere la (2) cerche-
Ω ∂y ∂Ω
remo di capire:
come pure il teorema della diver-
genza: 1) che cos’è una forma differen-
Z ZZ ziale ω;
div F dx dy dz = F · n̂ dσ
Ω ∂Ω
2) che cos’è il differenziale dω di
una forma.
ed il teorema di Stokes:
ZZ Z C. La simmetria della formula (2)
rot F · n̂ dσ = F · dr. motiva anche la scelta del simbo-
Σ ∂Σ
lo ∂ per denotare il contorno ∂Ω
di una figura Ω.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 4


LE ORIGINI
Le origini dei teoremi di Stokes
e della divergenza sono illustra-
te nell’articolo [13].
L’idea del prodotto esterno si
attribuisce a Hermann Grassman,
un insegnante di un istituto sco-
lastico di Stettino, che ne trattò
nel libro [12], del 1844.
La città di Stettino è sede di
un porto nel nord della odierna
Polonia, in un territorio che era
prussiano ai tempi di Grassmann.
In estrema sintesi, Grassmann
concepı̀ il parallelogramma come
un prodotto di due vettori uscen-
ti da uno stesso punto: vedere
l’appendice (pag. 45).

Élie Cartan

L’ideazione delle forme diffe-


renziali è invece attribuita a Élie
Cartan [6], in relazione allo stu-
dio di certe equazioni differenzia-
li.
Si veda a tal proposito l’arti-
colo [26].

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 5


PROPAGAZIONE DELLA TEO- DIFFERENTIAL AND INTEGRAL
RIA NEI TESTI CALCULUS

Sono diversi gli autori che, da Il trattato [7] di R. Courant


alcuni anni, cercano di dare mag- (1937) non fa riferimento al con-
giore diffusione alle nozioni ac- cetto di forma differenziale, ma
cennate nella presente dispensa. si limita ai campi vettoriali nel
piano e nello spazio.
In particolare mi sono libera-
mente ispirato (stravolgendoli) ai In particolare in [7, pag. 405,
corsi tenuti a Cagliari dal prof. riga 1] si afferma erroneamente
Francesco Mercuri della Univer- che qualunque campo solenoidale
sidade Estadual de Campinas (Bra- in una regione chiusa R ⊂ R3 am-
sile). mette un potenziale vettore.

La tesi equivale ad affermare


che qualunque 2-forma chiusa ω
definita nella regione R è esatta.

L’affermazione è vera se la regio-


ne R è fortemente connessa (priva
di cavità): v. [19, proposizione 3.7,
pag. 507].

Equivalentemente, l’affermazione
è vera se H2 (R) = { 0 }: v. pag. 41.
prof. Francesco Mercuri In effetti la dimostrazione di
[7] è svolta nel caso particolare
Il prof. Mercuri è coautore della
in cui R = parallelepipedo.
dispensa [4] e del testo [5].
IL RUDIN
Il crescente interesse verso la
materia è testimoniato anche dal- Il capitolo 10 di [25] è dedica-
le dispense [20] e [21]. to all’integrazione delle forme.
La presente dispensa dovrebbe Il teorema di Stokes si trova a
aiutare il Lettore a riconoscere pag. 277 (teorema 10.33). Si di-
il disegno complessivo dell’argo- mostra che le forme chiuse sono
mento. esatte negli aperti convessi (teo-
rema 10.39).
Per una trattazione più detta-
gliata si rimanda ai testi citati so-
pra ed in bibliografia. Esaminia-
mone ora qualcuno più da vicino.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 6


L’AMERIO BARUTELLO ET AL.

Il testo [1] di L. Amerio, del Il testo [2] di V. Barutello, M.


1982, tratta l’argomento limita- Conti, D. L. Ferrario, S. Terraci-
tamente alle 1-forme (vol. 1, cap. ni e G. Verzini fa riferimento alle
10, e vol. 2, pag. 599 e segg.). forme differenziali in una nota a
margine a pag. 481.
IL PAGANI-SALSA
FUSCO-MARCELLINI-
Una trattazione delle 1-forme SBORDONE
si trova anche nel testo [19] di C.
D. Pagani e S. Salsa, del 1998 (ca- Un ampio capitolo sulle k-forme,
pitolo 1). comprendente il teorema di Sto-
kes generalizzato (2) si può tro-
La caratterizzazione delle 2-for- vare nel testo [11] di N. Fusco, P.
me esatte è svolta nel capitolo Marcellini e C. Sbordone (1996).
6, paragrafo 3.4 di [19] con il lin-
guaggio dei campi vettoriali (dun- IL SINGER-THORPE
que senza parlare direttamente di
2-forme). Un classico testo che tratta
gli argomenti di questa dispensa è
In particolare in [19, pag. 505] [24], la cui edizione originale, del
si trova un esempio di campo sole- 1967, ha avuto un notevole suc-
noidale privo di potenziale vetto- cesso internazionale.
re (vedere anche [3, pag. 341]).
Le difficoltà di lettura dovute
La nozione di aperto fortemen- allo stile decontestualizzato ed
te connesso si trova in [19, pag. ai frequenti refusi possono forse
507], e interviene nella proposizio- essere attenuate leggendo le spie-
ne 3.7 sull’esistenza del potenzia- gazioni che seguono.
le vettore.

BRAMANTI-PAGANI-SALSA

Il testo [3] di M. Bramanti, C.


D. Pagani e S. Salsa (2009) ripor-
ta a pag. 314 uno specchietto inti-
tolato “Il linguaggio delle forme
differenziali”. Alla stessa pagi-
na si definisce il concetto di forte
connessione, che interviene nell’e-
nunciato del teorema 6.5.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 7


Definizioni ed esempi
SEMPLICI ESEMPI DI FORME FORME MULTILINEARI ALTER-
NANTI
Per comprendere la definizio-
ne di forma differenziale, conside- Il concetto teorico che inqua-
riamo una funzione differenziabi- dra e generalizza gli esempi 1 e 2 è
le f (x, y, z) ed un campo vettoriale quello di “forma multilineare al-
F , costante (nel tempo) ed unifor- ternante”, o “forma esterna”.
me (nello spazio), come ad esempio Una forma multilineare alter-
F = ı̂. nante ω prende come argomento k
vettori r 1 , . . . , r k e dà come risul-
ESEMPIO N. 1. Se interpretiamo
tato un numero reale.
F come una forza, ad ogni vetto-
re spostamento r resta associato “Forma” vuol dire che i valori
il lavoro di tale applicazione sono scalari.

ω(r) = F · r. (3) “Multilineare” vuol dire che,


comunque si fissino k − 1 dei sud-
detti vettori, l’applicazione ω ri-
ESEMPIO N. 2. Per la formula
sulta lineare rispetto al vettore
del gradiente, la derivata direzio-
rimanente, considerato come una
nale di f rispetto al vettore r nel
variabile.
punto (x, y, z) è data da
“Alternante” vuol dire che se
∂f
ω(r) = (x, y, z) si scambiano tra loro due qualun-
∂r
que vettori dell’argomento di ω,
= r · ∇f (x, y, z). (4) il valore numerico della forma
cambia segno. Questo si vede, ad
ESEMPIO N. 3. Ricordiamo che esempio, nella forma (5).
due vettori r 1 , r 2 6= 0, uscenti da Il numero degli argomenti di
uno stesso punto, individuano un una forma viene detto grado. Ad
parallelogramma. esempio, le forme (3) e (4) sono di
Per quanto riguarda la norma- grado 1, cioè, in altri termini, so-
le al parallelogramma, fra le due no delle 1-forme, mentre la (5) è
possibili orientazioni si suole sce- una 2-forma.
gliere quella del vettore r 1 × r 2 . L’insieme di tutte le forme mul-
tilineari alternanti che prendono
Ebbene, il flusso del campo F at-
come argomento k vettori dello
traverso il parallelogramma cosı̀
spazio R3 si denota con Λk (R3 ). Si
orientato è dato da
dimostra che per k > 3 l’unica for-
ω(r 1 , r 2 ) = F · r 1 × r 2 . (5) ma n-lineare alternante definita
su R3 è la forma banale ω(r 1 , . . . ,
r k ) = 0.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 9


FORME DIFFERENZIALI LA DEFINIZIONE ORIGINALE

La forma (4) cambia al variare Nella definizione originale da-


del punto (x, y, z): ciò suggerisce ta da Cartan nel lavoro [6], le
il concetto di campo di forme, o forme differenziali vengono de-
forma differenziale: finite come “espressioni” anziché
come funzioni.
Definizione. Una forma differen-
ziale, o campo di forme, di grado n A questo proposito si veda an-
è un’applicazione avente per domi- che la biografia di Cartan sul sito
nio lo spazio R3 che ad ogni punto [17].
(x, y, z) ∈ R3 associa una n-forma.
La stessa definizione “formale”
Si richiede inoltre che la forma si ritrova nel testo [1, vol. 1, pag.
vari con una certa regolarità ri- 556], ed è quella che il prof. Por-
spetto al punto (x, y, z). Per preci- ru dava a lezione quando ero stu-
sare ciò dovremo esprimere il cam- dente.
po di forme in termini di opportu-
ne forme di base.

Il dominio di una forma non è


necessariamente tutto lo spazio,
ma può essere un aperto tridimen-
sionale, oppure una curva o una
superficie.

L’insieme di tutte le forme di gra-


do n aventi per dominio uno stesso
aperto U si denota con Ωn (U ). Non
si confonda tale simbolo con quel-
lo sovente utilizzato per denota- prof. Giovanni Porru
re i domini di integrazione, come
ad esempio avviene nella (2). La definizione delle forme dif-
ferenziali come opportune appli-
Ad esempio, la (4) definisce una cazioni deve dunque considerarsi
forma differenziale di grado 1 de- frutto di una rielaborazione suc-
finita sul dominio della funzione cessiva.
f.

Le funzioni di classe C ∞ (U ) (C 0 (U )
secondo [25, pag. 258, ultima riga])
si considerano forme di grado 0.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 10


Le forme di base
FORME DI BASE E LORO UTI- ESPRESSIONE DELLE 1-FORME
LITÀ
Per la linearità, qualunque 1-
Qualunque forma multilineare forma ω ∈ Λ1 (R3 ), funzione di un
alternante si può esprimere me- vettore r ∈ R3 , si può scrivere in
diante forme particolari, perciò termini delle tre componenti di r
dette forme di base. come segue:

Le forme di base si denotano ω(r) = a r · ı̂ + b r · ̂ + c r · k̂


con dx1 , . . . , dxn e prendono come
argomento singoli vettori, dun- dove a, b e c sono tre scalari fis-
que sono 1-forme. sati, detti componenti della for-
ma ω.
Limitiamoci, per semplicità, a
rappresentare le forme ω ∈ Λk (R3 ). Dunque, vista la definizione delle
In questo caso le forme di base forme di base, possiamo scrivere
dx1 , dx2 , dx3 si possono anche indi- ω = a dx + b dy + c dz. (6)
care con dx, dy, dz. La forma dx è
definita ponendo Nel caso dell’esempio 1 (pag. 9) gli
scalari a, b, c sono le componenti
dx(r) = r · ı̂ del campo F .
dunque dx(r) è la prima componen- La rappresentazione (6) permette
te del vettore r, e perciò coincide anche di precisare la regolarità
con π1 (r), essendo π1 la prima pro- di un campo di forme: si dice che
iezione di R3 su R. la forma
Analogamente si definiscono le ω = a(x, y, z) dx + b(x, y, z) dy
forme dy e dz:
+ c(x, y, z) dz
dy(r) = r · ̂, dz(r) = r · k̂.
è di classe C k in un aperto U ⊂ R3
Con la stessa notazione dx, dy e se le tre funzioni scalari a(x, y, z),
dz si indicano anche i tre campi di b(x, y, z) e c(x, y, z) sono di classe
forme che, ad ogni punto (x, y, z) ∈ C k (U ).
R3 , associano le forme lineari al-
Nel caso dell’esempio 2 (pag. 9),
ternanti date sopra.
gli scalari a, b, c sono le derivate
parziali fx , fy e fz . Lo stesso esem-
pio permette anche di interpreta-
re il differenziale di f

df = fx dx + fy dy + fz dz

come la forma ω data dalla (4).

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 12


ESPRESSIONE DELLE 2-FORME Ciascuna delle tre forme (7),
(8) e (9) si può scrivere in termini
Le forme bilineari alternanti delle forme dx, dy e dz.
prendono come argomento, per de-
finizione, una coppia di vettori Ad esempio, osservando la (7) si
(r 1 , r 2 ). constata che la 2-forma dx ∧ dy è
data da
Vi sono tre particolari forme
bilineari alternanti alle quali si (dx ∧ dy)(r 1 , r 2 ) = dx(r 1 ) dy(r 2 )
possono ricondurre tutte le al-
− dy(r 1 ) dx(r 2 ).
tre: sono i determinanti appresso
riportati. Analogamente, dalla (8) e dalla
(9) discende che
Per capire come sono fatte tali
forme, indichiamo con (X1 , Y1 , Z1 ) le (dy ∧ dz)(r 1 , r 2 ) = dy(r 1 ) dz(r 2 )
componenti del vettore r 1 , e con
(X2 , Y2 , Z2 ) quelle di r 2 . Si scrive: − dz(r 1 ) dy(r 2 )

e

X 1 Y 1
(dx ∧ dy)(r 1 , r 2 ) = , (7)

X 2 Y 2 (dz ∧ dx)(r 1 , r 2 ) = dz(r 1 ) dx(r 2 )

Y 1 Z1 − dx(r 1 ) dz(r 2 ).
(dy ∧ dz)(r 1 , r 2 ) = , (8)

Y 2 Z2 Il simbolo ∧ denota un’operazione

Z1 X 1
tra forme, detta prodotto ester-
(dz ∧ dx)(r 1 , r 2 ) =

. (9)
no o prodotto wedge, di cui par-
Z2 X 2
leremo a pag. 14. Possiamo subito
In sintesi, la forma dx ∧ dy, la for- constatare che
ma dy ∧ dz e la forma dx ∧ dz sono i dx ∧ dy = −dy ∧ dx,
tre minori 2 × 2 della matrice
! e similmente
X1 Y1 Z1
.
X2 Y2 Z2 dy ∧ dz = −dz ∧ dy,
dz ∧ dx = −dx ∧ dz.
Qualunque forma bilineare alter-
nante ω ∈ Λ2 (R3 ) si può scrivere co- Tuttavia, se ω e ψ sono due forme
me combinazione lineare qualunque, non è detto che ω ∧ψ =
−ψ ∧ ω (v. pag. 14).
ω = a dx ∧ dy + b dy ∧ dz + c dz ∧ dx

con opportuni coefficienti a, b, c.


Se tali coefficienti, a loro volta,
sono funzioni di classe C k , si dirà
che la forma ω è di classe C k .

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 13


ESPRESSIONE DELLE 3-FORME IL PRODOTTO ESTERNO

Le forme trilineari alternan- Per rappresentare le applicazioni


ti prendono come argomento, per multilineari alternanti in termini
definizione, una terna di vettori di dx, dy e dz, come appena visto,
(r 1 , r 2 , r 3 ). si utilizza il cosiddetto prodotto
esterno.
Qualunque applicazione del ge-
nere si ottiene moltiplicando per Il prodotto esterno, detto an-
uno scalare opportuno una sola di che prodotto wedge, si indica con
esse: il determinante. il simbolo ∧ (wedge = cuneo).

Più esattamente, indicate con Non si confonda il prodotto wed-


(Xi , Yi , Zi ) le componenti del vetto- ge di due forme con il prodotto
re r i per i = 1, 2, 3, si pone vettoriale di due vettori, talvol-
ta indicato con lo stesso simbolo.
(dx ∧ dy ∧ dz)(r 1 , r 2 , r 3 ) =
Le principali proprietà del pro-
X Y Z
1 1 1 dotto esterno sono:

= X2 Y2 Z2 . (10) 1) se una forma ω prende n ar-

X 3 Y 3 Z3
gomenti, ed una forma ψ ne
prende m, allora il prodotto
Dunque le 3-forme sono del tipo esterno ω ∧ ψ prende n + m ar-
f (x, y, x) dx ∧ dy ∧ dz, e si dicono di gomenti;
classe C k quando lo è la funzione
2) il prodotto esterno è associa-
f (x, y, z).
tivo. Esso è anche distributivo
Anche la forma dx∧dy ∧dz si può rispetto alla somma di forme;
esprimere in termini delle forme
3) il prodotto esterno di una for-
di base dx, dy, dz.
ma ω, ad n argomenti, con sé
Infatti, sviluppando il deter- stessa è la forma nulla (a 2n
minante nella (10) rispetto alla argomenti).
terza riga, si constata che In generale, date due forme ω e ψ,
per determinare il prodotto ω ∧ ψ
(dx ∧ dy ∧ dz)(r 1 , r 2 , r 3 ) =
basta esprimere ω e ψ in termini
= ((dx ∧ dy)(r 1 , r 2 )) dz(r 3 ) delle forme di base dxi e poi mol-
tiplicare usando le suddette pro-
+ ((dy ∧ dz)(r 1 , r 2 )) dx(r 3 )
prietà ed il fatto che dxi ∧ dxj =
+ ((dz ∧ dx)(r 1 , r 2 )) dy(r 3 ). −dxj ∧ dxi .
A loro volta le 2-forme dx ∧ dy, Si noti che può benissimo risul-
dy ∧ dz e dz ∧ dx si esprimono in ter- tare ω∧ψ = +ψ∧ω, come ad esempio
mini di dx, dy e dz come a pag. 13. accade nel caso ω = dx∧dy e ψ = dz.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 14


Integrazione delle forme
INTEGRAZIONE DI UNA 1-FORMA
LUNGO UNA CURVA
Si tratta di una riformulazio-
ne dell’integrale curvilineo di se-
conda specie.
Data una curva regolare γ, di
equazioni parametriche r = r(t),
t ∈ [a, b], ed una 1-forma
ω = a(x, y, z) dx + b(x, y, z) dy
+ c(x, y, z) dz
si definisce
Z Z b
ω = a(r(t)) r ′ (t) · ı̂ dt
γ a
Z b
+ b(r(t)) r ′ (t) · ̂ dt
a
Z b
+ c(r(t)) r ′ (t) · k̂ dt.
a
ESEMPIO N. 1 BIS. Nel caso del-
la forma (3) le funzioni a, b, c sono
le tre componenti del campo F , e
risulta Z Z
ω= F · dr.
γ γ
ESEMPIO N. 2 BIS. Nel caso del-
la forma (4) le funzioni a, b, c sono
le derivate parziali di f , e risulta
ω = df . Dunque
Z Z
ω = df
γ γ
= f (r(b)) − f (r(a)).
Come caso particolare, anche l’in-
tegrale definito
Z b
f (x) dx
a
si può intendere come l’integrale
della forma f (x) dx lungo il seg-
mento [a, b], orientato da a verso b.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 16


INTEGRAZIONE DI UNA 2-FORMA NOTAZIONE. Applicando le defi-
SU DI UNA SUPERFICIE nizioni (7), (8) e (9) si trova

Si tratta di una riformulazione x u y u
(dx ∧ dy)(r u , r v ) = ,

della nozione di flusso. xv yv
Consideriamo una superficie re-

y u z u
golare Σ, data in forma parame- (dy ∧ dz)(r u , r v ) = ,

yv z v
trica da r = r(u, v), con (u, v) ∈ D ⊂
R2 . Consideriamo, inoltre, una 2-

z u x u
forma (dz ∧ dx)(r u , r v ) = ,

z v xv
ω = a(x, y, z) dy ∧ dz
dove x(u, v), y(u, v) e z(u, v) denota-
+ b(x, y, z) dz ∧ dx no le componenti di r(u, v).
+ c(x, y, z) dx ∧ dy. I determinanti al secondo mem-
bro vengono indicati, rispettiva-
Usando le definizioni (7)–(9), si ap-
mente, con le notazioni
plicano le forme dy ∧ dz, dz ∧ dx e
dx ∧ dy alla coppia (r u , r v ) dei cam-

∂(x, y) ∂(y, z) ∂(z, x)
∂(u, v) , ∂(u, v) , ∂(u, v) ,

pi coordinati, e si definisce
Z
e di conseguenza si scrive
ω= ZZ
Σ
ZZ F · n̂ dσ =
Σ
= a(x, y, z) ((dy ∧ dz)(r u , r v )) du dv
∂(y, z)
ZZ
D
ZZ = a(x, y, z) du dv
D ∂(u, v)
+ b(x, y, z) ((dz ∧ dx)(r u , r v )) du dv
D

∂(z, x)
ZZ
ZZ + b(x, y, z) du dv
+ c(x, y, z) ((dx ∧ dy)(r u , r v )) du dv. D ∂(u, v)
D ZZ
∂(x, y)

ESEMPIO N. 3 BIS. Se le funzio- + c(x, y, z) du dv
D ∂(u, v)
ni a, b, c denotano le componenti di
un campo F , allora, sostituendo come ad esempio in [11, pagina 581,
nella definizione sopra, si consta- formula (99.15)]
ta che
Z ZZ
ω= F · n̂ dσ (11)
Σ Σ
r u ×r v il versore nor-
essendo n̂ = kr u ×r v k
male a Σ.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 17


INTEGRAZIONE DI UNA 3-FORMA
SU DI UN DOMINIO TRIDIMEN-
SIONALE

Si tratta di una riformulazione


dell’integrale triplo.

Si rammenti che le 3-forme pren-


dono come argomento una terna
(r 1 , r 2 , r 3 ) di vettori di R3 .

La più generale 3-forma ω ∈ Ω3 (R3 )


si ottiene moltiplicando un’oppor-
tuna funzione scalare f (x, y, z) per
la forma dx∧dy∧dz data dalla (10).
Si definisce
Z ZZZ
ω= f (x, y, z) dx dy dz,
Ω Ω

dunque il consueto integrale tri-


plo si può intendere come l’inte-
grale della forma f (x, y, z) dx dy dz
esteso al dominio orientato Ω.

Anche il solido Ω ha un’orien-


tazione: infatti, una volta immer-
so nello spazio quadridimensiona-
le R4 , anch’esso ha due normali,
che sono (0, 0, 0, −1) e (0, 0, 0, 1).

Di solito si prende tacitamente


quest’ultimo vettore per orienta-
re qualunque solido.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 18


Il differenziale esterno
DIFFERENZIALE DI UNA Perciò, posto F = (a, b, c), le com-
0-FORMA ponenti della 2-forma dω rispetto
alle forme dy ∧ dz, dz ∧ dx e dx ∧ dy
Abbiamo osservato a pag. 10 che coincidono con le componenti del
le funzioni scalari f (x, y, z) si con- vettore
siderano 0-forme, e a pag. 12 che
il loro differenziale è la 1-forma rot F = (cy − bz ) ı̂ + (az − cx ) ̂
df data da + (bx − ay ) k̂
df = fx dx + fy dy + fz dz. rispetto ai versori degli assi. Os-
serviamo inoltre che, presi presi a
DIFFERENZIALE DI UNA piacere due vettori r i = (Xi , Yi , Zi ),
1-FORMA i = 1, 2, per la (12) e per le (7)–(9)
possiamo scrivere
Il differenziale di una 1-forma
c − b a − c b − a
ω = a dx + b dy + b dz è la 2-forma da- y z z x x y
ta da

dω(r 1 , r 2 ) = X1 Y1 Z1 .

dω = da ∧ dx + db ∧ dy + dc ∧ dz. X2 Y2 Z2

Siccome D’altro canto i vettori r 1 e r 2


individuano un parallelogramma
da = ax dx + ay dy + az dz, Σ che possiamo orientare con il
db = bx dx + by dy + bz dz, r 1 ×r 2 .
versore n̂ = kr 1 ×r 2 k

dc = cx dx + cy dy + cz dz,
Il flusso Φ(r 1 , r 2 ) del vettore rot F
applicando le proprietà indicate a attraverso il parallelogramma Σ
pag. 14 si trova cosı̀ orientato è dato da

dω = (cy − bz )(dy ∧ dz) Φ(r 1 , r 2 ) = rot F · r 1 × r 2 .

+ (az − cx )(dz ∧ dx) Si constata dunque che sussiste


l’uguaglianza
+ (bx − ay )(dx ∧ dy). (12)
dω(r 1 , r 2 ) = Φ(r 1 , r 2 ).

Tale uguaglianza, oltre a fornire


un’interpretazione della 2-forma
dω, motiva la definizione del dif-
ferenziale di una forma mostran-
do che essa consente di esprimere
un flusso.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 20


DIFFERENZIALE DI UNA DIFFERENZIALE DI UNA
2-FORMA 3-FORMA

Il differenziale una 2-forma Il differenziale una 3-forma


ω = f (x, y, x) dx ∧ dy ∧ dz
ω = a(x, y, z) dy ∧ dz
si definisce come la 4-forma
+ b(x, y, z) dz ∧ dx
dω = df ∧ dx ∧ dy ∧ dz.
+ c(x, y, z) dx ∧ dy (13) Procedendo come a pag. 20, e sic-
si definisce come la 3-forma come i prodotti dx ∧ dx, dy ∧ dy e
dz ∧ dz danno la 2-forma nulla, si
dω = da ∧ dy ∧ dz + db ∧ dz ∧ dx deduce che dω è la 4-forma nulla.
+ dc ∧ dx ∧ dy. Peraltro, come già osservato a
pag. 9, l’unica 4-forma nello spazio
Procedendo come a pag. 20, e sic-
tridimensionale è proprio la for-
come dx ∧ dy ∧ dz = dy ∧ dz ∧ dx =
ma nulla.
dz ∧ dx ∧ dy, si deduce che
IL DIFFERENZIALE SECONDO
dω = (ax + by + cz ) dx ∧ dy ∧ dz.
Abbiamo appena visto che, se ω
Perciò, se indichiamo con F è il è una qualunque 3-forma, risulta
vettore di componenti (a, b, c), la dω = 0 e perciò
componente di dω rispetto alla
d2 ω = 0, (14)
forma dx ∧ dy ∧ dz coincide con
div F . dove si è posto d2 ω = d(dω). Appli-
cando le definizioni precedenti, e
Di conseguenza, presi a piacere usando il teorema di Schwarz sul-
tre vettori r 1 , r 2 , r 3 formanti una l’inversione dell’ordine di deriva-
terna destra, e indicato con Ω il zione, di trova che la (14) conti-
parallelepipedo da essi individua- nua a valere qualunque sia il gra-
to, si ha do della forma ω.

dω(r 1 , r 2 , r 3 ) = |Ω| div F , Si intende che, se il grado del-


la forma ω è k, allora lo zero al
dove con |Ω| si indica il volume di secondo membro della (14) denota
Ω. la k + 2-forma banale, cioè la for-
ma identicamente nulla con k + 2
Tale uguaglianza, oltre a forni-
argomenti.
re un’interpretazione della forma
dω, consente di esprimere il teore- Se ω è una 0-forma, cioè una
ma della divergenza in termini di funzione f , il differenziale nel-
forme differenziali. la (14) non va confuso col diffe-
renziale secondo d2 f che compare
nella formula di Taylor.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 21


FORME CHIUSE FORME ESATTE

Si dice che una k-forma diffe- Si dice che una k + 1-forma ω è


renziale ω è chiusa quando il dif- esatta quando esiste una k-forma
ferenziale dω è la k + 1-forma nul- ψ tale che
la, cioè quando
dψ = ω. (17)
dω = 0. (15)
Per quanto visto a pag. 20, la 2-
La scelta del termine “chiusa” è forma ω data dalla (13) è esatta
dovuta all’analogia, detta dua- se e solo se, indicato con F il cam-
lità, tra forme e superfici messa po (16), esiste un opportuno campo
in luce dal teorema di de Rham. vettoriale A(x, y, z) tale che

Nell’ambito di tale analogia, rot A(x, y, z) = F (x, y, z)


le forme dette chiuse corrispon-
dono alle superfici chiuse come per ogni (x, y, z) ∈ R3 .
ad esempio la superficie sferica. Per quanto visto a pag. 20, la
Per quanto visto a pag. 21, dal- 1-forma ω = a dx+b dy +c dz è esatta
la definizione discende che tutte se e solo se, indicato ancora con
le 3 forme ω = f (x, y, z) dx ∧ dy ∧ dz F il campo (16), esiste una fun-
sono chiuse. zione f (x, y, z) tale che ∇f (x, y, z) =
F (x, y, x) per ogni (x, y, z) ∈ R3 .
Per quanto visto a pag. 21, la
2-forma ω data dalla (13) è chiusa Infine, per quanto visto a pagi-
se e solo se il campo vettoriale na 21, la 3-forma ω = f (x, y, z) dx ∧
dy ∧ dz è esatta se e solo se esiste
F (x, y, z) = a(x, y, z) ı̂ un campo F (x, y, z) tale che
+b(x, y, z) ̂ + c(x, y, z) k̂ (16)
div F (x, y, z) = f (x, y, z) (18)
è solenoidale, cioè se risulta div F
per ogni (x, y, z) ∈ R3 .
= 0 in tutto lo spazio.
CONDIZIONE NECESSARIA
Per quanto visto a pag. 20, la
1-forma ω = a dx + b dy + c dz è chiu- Dalla definizione discende che
sa se e solo se il campo vettoriale se ω è una forma esatta di grado
(16) è irrotazionale. k + 1, allora il suo differenziale
si può scrivere come dω = d2 ψ con
Infine, per quanto visto a pag.
un’opportuna k-forma ψ.
20, la 0-forma ω = f (x, y, z) è chiu-
sa se e solo se la funzione f ha le Ricordando la (14), si deduce che
tre derivate parziali identicamen- condizione necessaria affinché ω
te nulle. sia esatta è che sia chiusa.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 22


Teorema di Stokes generalizzato
TEOREMA DI STOKES GENERA- TEOREMA DI STOKES
LIZZATO
Il teorema di Stokes afferma
Il teorema di Stokes generaliz- che sotto convenienti ipotesi si ha
ZZ Z
zato, espresso dalla formula (2), rot F · n̂ dσ = F · dr. (19)
comprende come casi particolari Σ γ
diversi notevoli teoremi. Apportiamo i seguenti cambiamen-
ti di notazione:
TEOREMA DELLA DIVERGENZA
1. Denotiamo la superficie Σ con
Il teorema della divergenza af- la lettera Ω;
ferma che sotto convenienti ipo-
tesi si ha 2. Denotiamo la curva γ col sim-
ZZZ ZZ bolo ∂Ω;
div F dx dy dz = F · n̂ dσ.
Ω ∂Ω 3. Denotiamo con ω la forma dif-
Se denotiamo con ω la forma ferenziale F · dr.
differenziale F · n̂ dσ, allora per Allora, per quanto visto a pag.
quanto visto a pag. 21 si ha dω 20, il differenziale dω è la 2-forma
= div F dx dy dz e perciò il teorema rot F · n̂ dσ. Tenendo conto della
della divergenza si può esprimere (11) possiamo scrivere
con la formula (2). ZZ Z
rot F · n̂ dσ = dω.
TEOREMA FONDAMENTALE Σ Ω
DEL CALCOLO INTEGRALE Poiché il secondo membro della
(19) diventa
Per scrivere il teorema fonda- Z
mentale del calcolo integrale (1) ω,
nella forma (2) si pone Ω = [a, b]. ∂Ω
il teorema di Stokes si può espri-
Il bordo ∂Ω è la coppia ordina- mere mediante la (2).
ta (a, b), i cui elementi sono i due
estremi dell’intervallo [a, b]. FORMULE DI GAUSS-GREEN
La formula di Gauss-Green
Si definisce l’integrale della 0-
∂f
ZZ Z
forma ω = F (x) sull’insieme (a, b), (x, y) dx dy = f (x, y) dy
che ha solo due elementi, ponen- Ω ∂x ∂Ω

do Z assume la forma (2) ponendo ω =


ω = F (b) − F (a). f (x, y) dy. Infatti applicando la de-
∂Ω finizione vista a pag. 20 si trova
Poiché dω = f (x) dx, il teorema ∂f
dω = (x, y) dx dy.
fondamentale del calcolo inte- ∂x
grale (1) assume la forma (2). Similmente si procede per l’altra
formula.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 24


Elementi di teoria dell’omologia
OMOLOGIA

La nozione di omologia è attri-


buita a Poincaré [22, pag. 79]. Se-
condo [16, pag. 928], Poincaré per-
venne a tale concetto nel tenta-
tivo di classificare le varietà (fi-
gure geometriche).

In breve, due curve chiuse e orien-


tate si dicono omologhe se si pos-
sono trasformare l’una nell’altra Henri Poincaré
senza uscire da una data regione
del piano o dello spazio. In sintesi, la teoria dell’omo-
logia studia la forma di una fi-
Ad esempio, tutte le curve chiuse gura U , di dimensione N , trami-
del piano, percorse in verso anti- te le proprietà delle curve chiuse
orario, sono omologhe fra loro. γ ⊂ U , ma anche tramite le super-
fici chiuse Σ ⊂ U ed il loro analo-
Invece, non tutte le curve chiuse go k-dimensionale per ogni k < N .
del piano bucato R20 = R2 \ { (0, 0) }
sono omologhe fra loro. Secondo [14, pag. 1375], l’idea di
esprimere tali proprietà median-
Più precisamente, due curve chiu- te strutture algebriche (gruppi di
se γ1 , γ2 ⊂ R20 sono omologhe fra omologia) fu forse suggerita da
loro se e solo se girano intorno Emmy Noether.
all’origine nello stesso senso lo
stesso numero di volte. Si badi che lo studio dell’omo-
logia di superfici apparentemente
L’impossibilità di trasformare, sen- semplici può rivelarsi estremamen-
za uscire da R20 , una curva γ1 che te difficoltoso.
gira intorno all’origine in un’al-
Un esempio notevole è dato dalla
tra curva γ2 che non gira intorno
sfera k-dimensionale S k intesa co-
all’origine è dovuta al fatto che
me il luogo dei punti (x1 , . . . , xk+1 ) ∈
l’origine non appartiene ad R20 .
Rk+1 soddisfacenti l’equazione
Tale impossibilità dota lo spa- k+1
X
zio delle curve chiuse e orientate x2i = 1.
di una struttura non banale, usa- i=1

ta per rilevare la geometria non La celebre congettura di Poin-


banale del dominio R20 . caré riguardante tale superficie
ha richiesto molti anni ed il con-
tributo di matematici eccellenti
per essere dimostrata.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 26


L’OMOLOGIA DEL PIANO BUCA- Poiché gli elementi di tale gruppo
TO sono tutti multipli di un elemen-
to particolare (il numero 1, ovve-
Consideriamo il piano bucato R20
ro la curva γ1 ), si dice che esso ha
= R2 \ { (0, 0) }. Una curva chiusa
rango 1, o dimensione 1.
γ ⊂ R20 è omologa ad un punto se e
solo se γ non gira intorno all’ori- Per definire H0 (R20 ) si prendono,
gine. invece delle curve chiuse, uno o
Infatti, se γ gira intorno all’o- più punti di R20 .
rigine, non può essere trasforma- Essendo R20 connesso, ciascun pun-
ta in un punto senza uscire da R20 : to di R20 è omologo ad un parti-
si intende che si esce da R20 non ap- colare punto x0 ∈ R20 , fissato a
pena si tocca l’origine (0, 0) 6∈ R20 . piacere, che eventualmente si può
Le curve chiuse γ nel piano bu- prendere z volte, con z ∈ Z.
cato R20 costituiscono dunque due
In definitiva, anche il gruppo
classi: una è la classe banale, o
H0 (R20 ) del piano bucato R20 è iso-
classe nulla, quella delle curve
morfo al gruppo commutativo Z
omologhe ad un punto.
dei numeri interi.
Per descrivere l’altra classe di
curve, indichiamo con γ1 la circon- Invece risulta H2 (R20 ) = { 0 } perché
ferenza di raggio unitario centra- qualunque superficie chiusa Σ ⊂
ta nell’origine e percorsa in senso R20 è omologa ad un punto.
antiorario.
Si noti che un singolo punto di
Le curve chiuse γ nel piano bu- R20 ,se pensato come elemento di
cato R20 , non banali, sono del ti- H1 (R20 ) o di H2 (R20 ) rappresenta una
po z γ1 con z ∈ Z \ { 0 }, cioè girano curva o una superficie degenere, e
una o più volte intorno all’origi- perciò corrisponde allo zero.
ne, nello stesso verso di γ1 o in
verso opposto. Invece, un singolo punto di R20
rappresenta un elemento non de-
Si concepisce quindi il primo grup- genere di H0 (R20 ).
po di omologia H1 (R20 ) del piano bu-
cato R20 , che è isomorfo al gruppo Spesso si parla di “omologia” del
Z dei numeri interi. piano bucato R20 intendendo con
questo termine la successione dei
Nel gruppo H1 (R20 ) ≡ Z lo zero suoi gruppi di omologia:
rappresenta le curve banali, men-
tre l’intero z 6= 0 rappresenta le Z, Z, { 0 }, . . .
curve che girano |z| volte intorno
all’origine, in senso antiorario se
z > 0, in senso orario se z < 0.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 27


L’OMOLOGIA DEL PIANO CON n
BUCHI

Indichiamo ora con R201 il piano


R2 privato di due punti: R201 = R2 \
{ (0, 0), (1, 0) }.

Le curve chiuse γ ⊂ R201 , se non


sono omologhe ad un punto, gira-
no z0 volte intorno al punto (0, 0)
e z1 volte intorno al punto (1, 0).

Dunque il primo gruppo di omo-


logia del piano R201 con due buchi
è H1 (R201 ) ≡ Z2 , i cui elementi sono
coppie di interi (z0 , z1 ).

Ad esempio, la circonferenza
x + y 2 = 1/4, percorsa in senso an-
2

tiorario, corrisponde alla coppia


(1, 0).

Invece la circonferenza x2 + y 2
= 4, percorsa in senso antiora-
rio, corrisponde alla coppia (1, 1)
perché gira una volta intorno ad
entrambi i punti (0, 0) e (1, 0).

La circonferenza x2 + y 2 = 1
non interviene nel gruppo H1 (R201 )
perché passa per il punto (1, 0) e
perciò non è inclusa in R201 .

In generale, l’omologia del pia-


no con n buchi è

Z, Zn , { 0 }, . . .

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 28


CICLI IL CICLO NULLO
Per definire in modo rigoroso Un elemento importante di Zk (U ) è
i gruppi di omologia Hk (U ) di un il ciclo nullo.
aperto U ⊂ RN si usa il concetto
di gruppo quoziente. Se la dimensione k è positiva, si
può concepire il ciclo nullo come
Si comincia con il considerare un punto di U , ma questa interpre-
l’insieme Zk (U ) dei cicli orientati k- tazione può essere fuorviante.
dimensionali inclusi in U .
Infatti un singolo punto P ∈ U
Un ciclo è un dominio k-dimen-
si considera come un elemento non
sionale il cui bordo è vuoto.
nullo di Z0 (U ).
Ad esempio, gli elementi di Z1 (U )
sono le curve chiuse e orientate Più esattamente, dunque, il ci-
γ ⊂ U. clo nullo va concepito sul piano
concettuale, un po’ come l’insie-
È lecito chiamare ciclo un si- me vuoto per la teoria degli in-
stema costituito da un numero fi- siemi, e non va rappresentato co-
nito di curve chiuse e orientate: me un luogo geometrico.
si veda a pag. 30 a proposito del-
la somma di cicli. NOTAZIONE
È lecito anche prendere la stessa Per denotare un generico ciclo
curva più volte: si veda a pag. 30 a c ∈ Zk (U ), senza riguardo per la
proposito dei multipli di un ciclo. sua dimensione k, si usa la lette-
Gli elementi di Z2 (U ) sono, inve- ra c (anziché γ, Σ, Ω, ecc.).
ce, le superfici chiuse e orientate
Σ ⊂ U , o, più in generale, sistemi
costituiti da un numero finito di
tali superfici, prese una o più vol-
te.
Infine, un ciclo 0-dimensionale
è una sequenza di un numero finito
di punti di U , presi una o più volte
(ciascuno di essi ha bordo vuoto).
Si ammette, sul piano puramen-
te concettuale, che, come per le
curve e le superfici, abbia sen-
so l’opposto −P di ciascun punto
P ∈ U : vedere [4], paragrafo 2.1.2
“Omologia simpliciale” (pag. 46).

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 29


MULTIPLI DI UN CICLO SOMMA DI CICLI

Si intende che l’opposto −c di La somma di due cicli c, c′ ∈ Zk (U )


un ciclo k-dimensionale c ∈ Zk (U ) è è il ciclo c + c′ ∈ Zk (U ) ottenuto
lo stesso ciclo orientato al con- considerando congiuntamente c e
trario. c′ con la loro orientazione.

Il multiplo zc di una curva c ∈ Ad esempio, sia c ∈ Z1 (R2 ) il qua-


Z1 (U ), con un coefficiente intero drato di lato unitario e vertici
z ∈ Z, non è altro che la stessa (0, 0), (1, 0), (1, 1), (0, 1), percorso in
curva c percorsa z volte, se z > 0. senso antiorario.

In dimensione k ≥ 2 si intende ✻
y
con zc il ciclo k-dimensionale c ∈
Zk (U ) contato z volte, o preso z ✛ c

volte, se z > 0.

Se, invece, z < 0, allora zc si ot- O x
tiene contando |z| volte il ciclo k-
dimensionale c ∈ Zk (U ) e inverten-
Indichiamo con c′ il quadrato
done l’orientazione.
ottenuto spostando c di una unità
Se k = 1 e z < 0, la curva zc è la nel verso dell’asse x.
curva orientata c percorsa |z| vol- ✻
y
te al contrario.

Se k = 0, e c è un singolo punto ✛ c′

di U , allora zc è lo stesso punto
pensato z volte, se z > 0. Se, in- ❄ ✲
vece, z < 0, allora zc è lo stesso O x
punto pensato |z| volte e con l’o-
rientazione opposta. Allora il ciclo c + c′ è il ret-
tangolo di vertici (0, 0), (2, 0), (2, 1),
Si rammenti che anche un singo- (0, 1), percorso in senso antiora-
lo punto si può orientare: vedere rio.
a pag. 29.

y

✛ c + c′


O x

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 30


BORDI BORDI 0-DIMENSIONALI
Il cuore dell’omologia consi- Consideriamo una curva orien-
ste nel fatto che alcuni cicli, ma tata γ ⊂ U , e indichiamo con P il
in generale non tutti, sono anche suo primo estremo, e con Q il se-
bordi. condo estremo.
Un ciclo k-dimensionale c ∈ Zk (U ) Allora il bordo di γ è costitui-
si dice bordo se esiste un dominio to dai due punti suddetti, o me-
(k + 1)-dimensionale Ω ⊂ U di cui c glio, dal punto Q e dal punto P
è il bordo, cioè tale che orientato al contrario:
∂Ω = c. ∂γ = Q − P.
L’insieme dei bordi k-dimensionali In generale, un elemento di B0 (U )
si denota con Bk (U ) ⊂ Zk (U ). ha la seguente espressione:
n
Ad esempio, indichiamo con c la X
zi (Qi − Pi ),
circonferenza centrata nell’ori-
i=1
gine e di raggio unitario, percor-
dove per ciascun valore di i = 1,
sa nel senso antiorario. Essa è un
. . . , n i due punti Pi e Qi apparten-
ciclo unidimensionale sia nel pia-
gono ad una stessa componente
no R2 che nel piano bucato R20 = R2
connessa di U , e zi è un coefficien-
\ { (0, 0) }.
te intero (o reale).
La circonferenza c è un bordo
Per fare un esempio, si conside-
in R2 perché esiste un dominio bi-
ri l’aperto U = { (x, y) | x2 + y 2 6= 1 }.
dimensionale Ω (il disco centrato
In questo caso risulta
nell’origine e di raggio 1) incluso
in R2 e tale che ∂Ω = c, dunque (1/2, 0) − (0, 0) ∈ B0 (U )
c ∈ B1 (R2 ). come pure
La stessa circonferenza c, invece, (3, 0) − (2, 0) ∈ B0 (U )
non è un bordo in R20 perché il di-
mentre invece il ciclo 0-dimensio-
sco Ω non è incluso in R20 , dunque
nale
c 6∈ B1 (R20 ). (2, 0) − (0, 0)
Poiché il bordo ∂Ω di un dominio non è un bordo di U perché i pun-
qualunque Ω ha a sua volta bordo ti P = (0, 0) e Q = (2, 0) non possono
vuoto, tutti i bordi sono cicli. essere collegati con una curva in-
clusa in U .
L’esempio appena visto mostra
che, in generale, non tutti i cicli Si rammenti che il bordo di una
sono bordi, ed è proprio questa la figura 0-dimensionale (un numero
proprietà che in omologia si usa finito di punti) è sempre l’insieme
per studiare la forma di U . vuoto.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 31


GRUPPI DI OMOLOGIA I NUMERI DI BETTI

Il gruppo di omologia Hk (U ) si Nella definizione dei gruppi di


ottiene estrapolando la struttu- omologia Hn è possibile prendere i
ra del gruppo dei cicli Zk (U ). coefficienti nel campo dei numeri
reali R anziché nel gruppo dei nu-
Più precisamente, tutti i cicli meri interi Z.
di Zk (U ) che sono anche bordi si as-
similano fra loro e si rappresenta- In tal caso, l’omologia del pia-
no con l’elemento nullo di Hk (U ). no con n buchi è

Poi, per ogni eventuale ciclo R, Rn , { 0 }, . . .


c ∈ Zk (U ) che non sia un bordo, si
assimilano ad esso i cicli omologhi. Quello che conta è solo la succes-
sione delle dimensioni di tali spazi,
Due cicli c, c′ ∈ Zk (U ) si dicono che è in ogni caso 1, n, 0, . . .
omologhi se e solo se il ciclo c − c′
(la somma di c con il ciclo c′ orien- Si definisce i-esimo numero di Bet-
tato al contrario) è un bordo. ti bi dell’aperto U la dimensione di
Hi (U ), in onore del matematico En-
Ad esempio, siano c e c′ le cir- rico Betti.
conferenze centrate nell’origine
e di raggi rispettivamente 1 e 1/2, Esempio: se U è il piano con n
percorse nel senso antiorario. buchi, si ha b0 = 1, b1 = n, e tutti
gli altri numeri di Betti sono nul-
La differenza c − c′ è il bordo li.
orientato della corona circolare
Ω ⊂ R20 = R2 \ { (0, 0) }. In particolare, ponendo n = 0
si ottengono i numeri di Betti del
Pertanto c e c′ appartengono al- piano R2 : 1, 0, 0, . . .
la stessa classe di omologia del
piano bucato R20 , e rappresenta- In generale, b0 è il numero del-
no lo stesso elemento del gruppo le componenti connesse di U .
H1 (R20 ). Se poi U è un aperto del piano,
allora b1 è il numero di buchi, e
bi = 0 per ogni i ≥ 2.

Se, invece, U è un aperto tridi-


mensionale, allora si deve distin-
guere tra cavità (contate da b2 )
e tunnel (contati da b1 ). Risulta
bi = 0 per ogni i ≥ 3.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 32


La coomologia di de Rham
COOMOLOGIA ALGEBRICA IL TEOREMA DI DE RHAM (1/2)

Il gruppo di coomologia alge- In questa sede ci concentriamo


brica (Hk (U ))∗ è costituito dalle sulla coomologia di de Rham, cioè
applicazioni lineari L : Hk (U ) → R sull’uso delle forme differenziali
il cui dominio è il gruppo di omo- chiuse, al posto dei cicli, per rile-
logia Hk (U ). vare la forma di un aperto U del-
lo spazio RN .
Si dice che il gruppo di coomo-
logia (Hk (U ))∗ è il duale di Hk (U ). A tale uso delle forme differen-
L’esponente ∗ si usa, in generale, ziali si deve presumibilmente at-
per denotare il duale di uno spa- tribuire la denominazione di for-
zio dato. me “chiuse” per quelle forme ω ta-
li che dω = 0.
RELAZIONE TRA OMOLOGIA E
Secondo [22, pag. 79], la coomolo-
COOMOLOGIA
gia differenziale è stata introdot-
È noto che se il k-esimo numero ta da Cartan (1928-29) e de Rham
di Betti bk è finito, cioè se il grup- (1929-31).
po di omologia Hk (U ) ha rango fi-
nito (dimensione finita), i gruppi
Hk (U ) e (Hk (U ))∗ sono isomorfi.

Inoltre si possono costruire del-


le figure U per le quali un certo
numero di Betti bk è infinito, e i
gruppi Hk (U ) e (Hk (U ))∗ hanno una
diversa struttura.

Uno di questi esempi è dato dal


piano R2 nel quale si pratichino in-
finiti buchi. Georges de Rham
Il teorema di de Rham asserisce
che i gruppi di coomologia di de
Rham, indicati con H k (U ), sono iso-
morfi ai gruppi di coomologia al-
gebrica (Hk (U ))∗ .
Più precisamente, ad ogni for-
ma chiusa ω resta associata l’ap-
plicazione lineare Lω data da
Z
Lω (c) = ω. (20)
c

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 34


FORME CHIUSE CHE NON SONO Si può dimostrare che le 1-forme
ESATTE chiuse, nel piano bucato R20 :

Sappiamo che una qualunque 1- - o sono anche forme esatte,


forma chiusa ω, avente per domi- - o sono multiple di ω1 .
nio un aperto U ⊂ R2 semplicemen-
te connesso, è esatta. Infatti, indicata con ω una qua-
lunque forma chiusa in R20 , basta
Se, invece, l’aperto U non è calcolare l’integrale
semplicemente connesso, esistono Z
1-forme chiuse in U che non sono Lω (γ1 ) = ω,
γ1
esatte.
dove γ1 è la circonferenza unita-
L’esempio più semplice è dato
ria centrata nell’origine, percor-
dal piano bucato R20 = R2 \ { (0, 0) }
sa in senso antiorario. Allora la
con la forma ω1 data da
forma ψ data da
−y dx + x dy
ω1 = . (21) Lω (γ1 )
x2 + y 2 ψ=ω− ω1

Questa forma è chiusa: lo si vede
ha integrale nullo lungo qualun-
applicando la definizione.
que curva chiusa γ ⊂ R20 , dunque è
Inoltre, indicata con γ1 la cir- esatta.
conferenza unitaria centrata nel-
Infatti la forma ψ è il differen-
l’origine, percorsa nel verso anti-
ziale della funzione f (x, y) defini-
orario, si trova
Z ta ponendo
Z  
ω1 = 2π, Lω (γ1 )
γ1 f (x, y) = ω− ω1
γ 2π
dunque la forma ω1 non è esatta:
non esiste, cioè, alcuna funzione dove γ è una qualunque curva in-
regolare f (x, y) tale che df = ω in clusa in R20 ed avente primo estre-
R20 . mo in un punto fissato (x0 , y0 ) ∈ R20
e secondo estremo nel punto va-
Altrimenti l’integrale di linea riabile (x, y).
della forma ω si potrebbe scrive-
re come f (x1 , y1 ) − f (x0 , y0 ), essendo In conclusione qualunque for-
(x0 , y0 ) e (x1 , y1 ) gli estremi della li- ma chiusa ω del piano bucato è una
nea. forma del tipo
Lω (γ1 )
Ma siccome γ1 è una linea chiu- ω= ω1 + ψ,

sa, risulta (x0 , y0 ) = (x1 , y1 ). Quindi
l’integrale di ω, se fosse una for- dove ψ è un’opportuna forma esat-
ma esatta, sarebbe nullo. ta.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 35


LA COOMOLOGIA DEL PIANO
BUCATO

L’esempio precedente suggeri-


sce la struttura dello spazio di
coomologia H 1 (R20 ) del piano bu-
cato R20 .

Il generico elemento di H 1 (R20 ) si


rappresenta con λ ω1 , intendendo
che l’elemento nullo rappresenta
tutte le 1-forme esatte, mentre il
prodotto λ ω1 con λ 6= 0 rappresen-
ta tutte le forme chiuse ω tali che
Z
ω = 2π λ.
γ1

Dunque H 1 (R20 ) ha la stessa strut-


tura dell’insieme R dei numeri rea-
li.

Gli altri spazi di coomologia di


de Rham del piano bucato, che si
indicano con H k (R20 ) per k 6= 1, so-
no tutti banali, cioè isomorfi allo
spazio { 0 }.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 36


COCICLI COBORDI

Le k-forme chiuse aventi per Ancora per analogia con il caso


dominio un dato aperto U ⊂ RN si dei bordi, si chiama cobordo una
dicono cocicli. (k + 1) forma ω ∈ Z k+1 (U ) esatta,
cioè tale che esista una k-forma ψ
Il termine è dovuto all’analo- soddisfacente dψ = ω.
gia con i cicli, ed al fatto che le
forme agiscono sui cicli mediante L’insieme dei cobordi ω ∈ Z k+1 (U )
integrazione, come precisato dal si denota con B k+1 (U ).
teorema di de Rham.
Si conviene che l’unico cobor-
L’insieme delle k-forme chiuse do in Z 0 (U ), cioè fra le funzioni,
aventi per dominio l’aperto U si in- sia la funzione identicamente nul-
dica con Z k (U ). la. Risulta dunque B 0 (U ) = { 0 }.

Una 0-forma, cioè una funzione


f , è un cociclo se e solo se df = 0,
dunque se e solo se f è costante
su ciascuna componente connessa
di U .

OPERAZIONI SUI COCICLI

È facile definire l’opposto −ω


di un cociclo ω: basta cambiare di
segno tutte le componenti di ω.

Similmente, la somma di due coci-


cli ω1 , ω2 ∈ Z k (U ) si ottiene somman-
done termine a termine le compo-
nenti.

Il cociclo nullo in Z k (U ) è la
k-forma le cui componenti sono
identicamente nulle.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 37


GRUPPI DI COOMOLOGIA DI DE IL TEOREMA DI DE RHAM (2/2)
RHAM
Fissata una k-forma differenziale
Il gruppo di coomologia di re ω in un aperto U ⊂ RN , resta indi-
Rham H k (U ) si ottiene estrapolan- viduata la funzione Lω : Hk (U ) → R
do la struttura del gruppo dei co- data da
Z
cicli Z k (U ). Lω (c) = ω.
c
Più precisamente, tutti i coci- In pratica, si vede l’operazione di
cli di Z k (U ) che sono anche cobor- integrazione come una funzione in
di si assimilano fra loro e si rap- cui la variabile indipendente è il
presentano con l’elemento nullo dominio di integrazione
di H k (U ).
c ∈ Hk (U ).
Poi, per ogni eventuale cociclo
La suddetta condizione significa
ω ∈ Z k (U ) che non sia un cobordo,
che in questa teoria si conside-
si assimilano ad esso i cocicli coo-
rano solo domini di integrazione
mologhi.
k-dimensionali col bordo vuoto,
Due cocicli ω, ω ′ ∈ Z k (U ) si dico- cioè soddisfacenti la condizione
no coomologhi se e solo se la dif- ∂c = ∅.
ferenza ω − ω ′ è un cobordo (una Per effetto delle note proprietà
forma esatta). di additività e di linearità dell’in-
Ad esempio, sia ω1 ∈ Z 1 (R20 ) il co- tegrale, la funzione Lω risulta es-
ciclo definito nella (21). sere un’applicazione lineare: eb-
bene, il teorema di de Rham assi-
Sommando ad ω1 una qualunque cura che non ce ne sono altre.
1-forma esatta ψ si ottiene il co-
In altri termini, il teorema di
ciclo ω = ω1 + ψ coomologo ad ω1 .
de Rham asserisce che ogni appli-
Tutti i cocicli ω ottenuti in que- cazione lineare L : Hk (U ) → R si ot-
sto modo costituiscono la classe tiene integrando un’opportuna k-
di coomologia di ω1 , e rappresen- forma ω sul dominio variabile c.
tano lo stesso elemento del grup- Ma c’è di più: l’applicazione Lω
po H 1 (R20 ). è identicamente nulla se e solo se
la forma ω è esatta.
Dunque l’elemento nullo dello
spazio (Hk (U ))∗ di tutte le applica-
zioni lineari L : Hk (U ) → R corri-
sponde all’elemento nullo dello
spazio H k (U ), e cioè alle forme e-
satte.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 38


CONTROESEMPI Un altro esempio si ottiene po-
nendo
Costruiamo un esempio in cui il
+∞
gruppo di omologia H1 (U ) ha rango [
U= R20 \ { (1/i, 0) },
infinito (dimensione infinita) e non i=1
è isomorfo al gruppo di coomolo-
gia di de Rham H 1 (U ). Poniamo dove R20 denota il piano bucato R20
= R2 \ { (0, 0) }.
+∞
[
2
U =R \ { (i, 0) }. In questo caso il gruppo H1 (U ) è
i=1 generato dalla circonferenza γ0
In questo caso il gruppo H1 (U ) è centrata nell’origine e di raggio 2
generato dalle circonferenze γi insieme alle circonferenze γi cen-
centrate nei punti (i, 0) e di raggio trate nei punti (1/i, 0) e di raggio
1/2, percorse nel senso antiora- ri = 1/(3i2 ), percorse nel senso an-
rio. tiorario.

Infatti qualunque curva chiusa Alla circonferenza γi resta as-


γ ⊂ U si avvolge un certo nume- sociata la forma ωi data da
ro di volte (eventualmente zero −y dx + (x − xi ) dy
volte) intorno ad un numero fini- ωi = ,
(x − xi )2 + y 2
to dei suddetti punti, dunque pos-
siamo scrivere dove xi è l’ascissa del centro di γi .
n
X Tali forme non bastano a genera-
γ= zi γ i . re il gruppo di coomologia di de
i=1 Rham H 1 (U ): infatti la forma
Alla circonferenza γi resta asso- +∞
X ωi
ciata la forma ωi data da ω= 2
,
i=1
i
−y dx + (x − i) dy
ωi = . che è chiusa e non è esatta, non è
(x − i)2 + y 2
una combinazione lineare (finita)
Tuttavia le forme ωi non bastano delle forme ωi .
a generare il gruppo di coomolo-
gia di de Rham H 1 (U ): infatti la In parole povere, la forma ω
forma non corrisponde a nessuna cur-
+∞
X ωi va chiusa γ perché non esiste una
ω= ,
i curva che giri intorno a tutti i
i=1
punti (1/i, 0) ma non intorno al-
che è chiusa e non è esatta, non è
l’origine.
una combinazione lineare (finita)
delle forme ωi .

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 39


CARATTERIZZAZIONE DELLE Ma allora, per il teorema di Sto-
FORME ESATTE kes (2) applicato alla forma ψ, ri-
sulta Z Z
Teorema. È sempre nullo l’inte-
ω = ψ.
grale di una k-forma esatta ω su c ∂c
di un dominio k-dimensionale c sen- Ricordando che ∂c = ∅, si conclude
za bordo. che Z
ω = 0,
Infatti l’integrale di una fun- c
zione f sul dominio 0-dimensionale come volevasi dimostrare.
n
X Come caso particolare, l’inte-
c= λi Pi ,
grale di linea di seconda specie
i=1
di un qualunque campo conservati-
con λi ∈ R e Pi ∈ U , è dato da vo, esteso ad una qualunque curva
Z Xn chiusa, è nullo.
f= λi f (Pi ).
c i=1
Vale il viceversa: se l’integra-
le una data k-forma chiusa ω su
Ma siccome l’unica 0-forma esatta ciascun dominio di integrazione k-
è la funzione identicamente nul- dimensionale c, senza bordo, risul-
la, si ha Z ta sempre nullo, allora la forma
f = 0. ω è esatta.
c
Per completare la dimostrazione, Infatti, se risulta
consideriamo ora una (k + 1)-forma Z
esatta ω, che vogliamo integrare ω=0
c
su di un dominio (k + 1)-dimensiona-
le c senza bordo, cioè soddisfacen- per ogni c ∈ Hk (U ), vuol dire che
te la condizione ∂c = ∅. l’applicazione lineare Lω associa-
ta alla forma ω è l’elemento nul-
A titolo di esempio possiamo lo dello spazio (Hk (U ))∗ delle ap-
prendere k = 0 e pensare ad un plicazioni lineari L : Hk (U ) → R.
campo vettoriale conservativo F ,
da integrare su di una curva chiu- Per il teorema di de Rham, lo
sa c. spazio (Hk (U ))∗ è isomorfo a H k (U ),
quindi gli elementi nulli dei due
Siccome la (k+1)-forma ω è esatta, spazi si corrispondono fra loro.
per definizione esiste una k-forma
ψ tale che dψ = ω, perciò possiamo Ne segue che la forma ω deve esse-
scrivere re l’elemento nullo di H k (U ), cioè
Z Z dev’essere una forma esatta.
ω = dψ.
c c

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 40


ESATTEZZA DI UNA FORMA
CHIUSA TRAMITE L’OMOLOGIA
DEL DOMINIO

Un’altra notevole conseguen-


za del teorema di de Rham è la se-
guente.

Consideriamo un aperto U ⊂ RN
il cui k-esimo gruppo di coomolo-
gia sia il gruppo banale { 0 }.

Allora anche il duale (Hk (U ))∗


è il gruppo banale { 0 }.

Per il teorema di de Rham sussiste


un isomorfismo tra il gruppo di
coomologia algebrica (Hk (U ))∗ e il
gruppo di coomologia di de Rham
H k (U ), dunque anche quest’ultimo
è il gruppo banale.

Ciò significa che tutti i cocicli


di Z k (U ) (le k-forme chiuse) sono
cobordi (sono esatte).

Nel caso particolare k = 1 si


ha che ogni 1-forma chiusa in un
aperto U semplicemente connesso
è esatta.

Equivalentemente: ogni campo


vettoriale irrotazionale in un a-
perto U semplicemente connesso è
conservativo.

Nel caso particolare k = 2 si ha


che ogni campo vettoriale sole-
noidale in un aperto U fortemen-
te connesso ammette un potenzia-
le vettore.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 41


GLI ERRORI DEL PRINCIPIAN- Errore n. 3. Presumere che se il
TE dominio di un campo irrotazionale
non è semplicemente connesso, al-
Errore n. 1. L’errore più comu- lora tale campo non possa essere
ne è quello di credere che tutti i conservativo.
campi vettoriali irrotazionali sia-
no conservativi. Per capire che si tratta di un er-
rore basta vedere anche un solo
Per capire che si tratta di un campo (irrotazionale e) conserva-
errore basta vedere anche un so- tivo il cui dominio non sia sempli-
lo campo irrotazionale non con- cemente connesso, come ad esem-
servativo, come ad esempio pio il campo
−y ı̂ + x ̂ x ı̂ + y ̂
F (x, y) = . F (x, y) = .
x2 + y 2 (x2 + y 2 )3/2
Che questo campo non sia conser-
vativo lo si capisce calcolandone
l’integrale di linea di seconda spe-
cie lungo una qualunque circonfe-
renza del piano xy centrata nel-
l’origine: il risultato non è zero.

Errore n. 2. Dello stesso gene-


re è l’errore di credere che tutti
i campi solenoidali ammettano po-
tenziale vettore.

Un esempio di campo vettoriale


solenoidale che non ammette po-
tenziale vettore è
x ı̂ + y ̂ + z k̂
F (x, y, z) = .
(x2 + y 2 + z 2 )3/2
A tale proposito si veda [19, esem-
pio 3.6, pag. 505].

Una volta messi in guardia circa i


due errori suddetti, e resi edot-
ti della condizione sufficiente il-
lustrata a pag. 41, taluni cadono
nell’errore n. 3 descritto qui di
seguito.

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 42


UN PROCEDIMENTO MECCANI-
CO

Per stabilire se un dato campo


vettoriale F è conservativo o no,
si può procedere come segue.

1. Calcolare il rotore del campo


dato e vedere se risulta rot F = 0
in tutto il dominio di F .

Se, in qualche punto, si trova


rot F 6= 0, si può concludere che il
campo dato non è conservativo.

Se, invece, risulta rot F = 0 in


tutto il dominio di F , allora biso-
gna andare avanti.

2. Guardare se il dominio del cam-


po è semplicemente connesso. Se
lo è, allora il campo F soddisfa-
cente rot F = 0 in tutto il dominio
è anche conservativo.

3. Se, infine, il campo dato è ir-


rotazionale, ed il suo dominio non
è semplicemente connesso, questo
procedimento meccanico non può
dare la risposta.

In questo caso si dovrà proce-


dere ad uno studio specifico, il cui
successo non è garantito: Siamo
soli (Vasco Rossi).

Antonio Greco – Forme differenziali – pag. 43


Appendice
La teoria dell’estensione lineare
un
nuovo ramo della matematica
esposto e commentato
tramite applicazioni agli altri rami della matematica
come pure
alla statica, alla meccanica, alla teoria del magnetismo
e alla cristallonomia
da
Hermann Grassmann
insegnante dell’istituto Federico Guglielmo a Stettino
Con 1 figura
Lipsia, 1844
Editore Otto Wigand

Prefazione
[omissis] Il primo impulso me lo diede la considerazione del negativo in geometria; mi
abituai a considerare i segmenti AB e BA come grandezze opposte; da ciò deducendo
che quando A, B, C sono punti di una stessa retta deve aversi AB + BC = AC sia quan-
do AB e BC sono concordemente denotati, sia quando sono denotati discordemente, cioè
quando C sta tra A e B. In quest’ultimo caso AB e BC sono intesi non come semplici
lunghezze, ma vi si abbina la loro direzione, rispetto alla quale essi sono opposti. Cosı̀ si
impose la differenza fra la somma delle lunghezze e la somma di tali segmenti, nei quali
si tiene conto della direzione. Da qui discese la necessità di precisare il concetto di som-
ma non solo nel caso in cui i segmenti hanno orientazione uguale o opposta, ma anche
in ogni altro caso. Ciò si poté realizzare in un modo semplicissimo, ponendo che si ab-
bia AB + BC = AC anche quando A, B, C non giacciono sulla stessa retta. Con ciò era
compiuto il primo passo che avrebbe in seguito condotto al nuovo ramo della matematica
descritto nella presente opera. Ma non immaginavo assolutamente a quale ricco e frut-
tuoso campo fossi arrivato; anzi questi risultati mi sembravano poco interessanti, finché
non li ho combinati con un’altra idea modificata. Più precisamente, mentre studiavo il
concetto di prodotto in geometria, cosı̀ come veniva inteso da mio padre∗ , mi venne in
mente che non solo il rettangolo, ma anche il parallelogramma si doveva intendere co-
me il prodotto di due lati consecutivi, a patto che ancora una volta si tenesse conto non
del prodotto delle lunghezze, ma dei due segmenti tenendo conto delle loro direzioni. Se
ora metto in combinazione questo concetto di prodotto con quello di somma descritto in
precedenza, ne consegue la più evidente armonia [omissis]

Vedasi la Teoria dello spazio, vol. II, pag. 194, di J. G. Grassmann e Trigonometria, pag. 10 del medesimo.
SU
CERTE ESPRESSIONI DIFFERENZIALI
ED IL
PROBLEMA DI PFAFF

Del sig. Élie Cartan

[omissis] Il presente lavoro costituisce un’esposizione del problema di Pfaff fondata sul-
la considerazione di certe espressioni differenziali simboliche, intere ed omogenee rispetto
ai differenziali di n variabili, i coefficienti essendo funzioni qualunque di tali variabili.
Tali espressioni possono essere assoggettate alle consuete regole del calcolo, a condizio-
ne di non cambiare l’ordine dei differenziali in un prodotto. Il calcolo di tali quantità è,
in definitiva, quello delle espressioni differenziali che si mettono sotto il segno di integra-
le multiplo. Tale calcolo presenta inoltre numerose analogie con il calcolo di Grassmann;
esso è peraltro identico al calcolo geometrico di cui si serve il sig. Burali-Forti in un re-
cente Libro.
È chiaro che, se si effettua un cambiamento di variabile, un’espressione differenziale
di grado p si trasforma in un’espressione differenziale di grado p rispetto ai nuovi diffe-
renziali. Nel caso di un’espressione di Pfaff, che è di primo grado∗ , le si può associare
un’altra espressione differenziale di secondo grado, che è un covariante rispetto ai cam-
biamenti di variabile e che non è altro che il covariante bilineare di Frobenius e del sig.
Darboux; io lo chiamo la derivata dell’espressione di Pfaff. Ma, grazie alla nozione delle
espressioni differenziali simboliche, tale covariante è il primo termine di una successio-
ne di covarianti simbolici del terzo, quarto, . . . , grado, che si deducono intuitivamente
dall’espressione di Pfaff e dalla sua derivata tramite moltiplicazioni; esse costituiscono
le derivate terza, quarta, . . . dell’espressione di Pfaff, essendo la derivata p-esima di gra-
do p + 1. [omissis]


È una 1-forma (N.d.T.)
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