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Appunti di morfogenesi

Editore della serie: Alessandro Sarti

Roberto Ciccarelli

Potere del
lavoro
Virtuale e reale nella produzione
digitale
Tradotto da Emma Catherine Gainsforth
Appunti di morfogenesi

Editore della serie


Alessandro Sarti, CAMS Centro di Matematica, CNRS-EHESS, Parigi, Francia
Maggiori informazioni su questa serie su http://www.springer.com/series/11247
Roberto Ciccarelli

Potere del lavoro


Virtuale e reale nella produzione digitale

Tradotto da Emma Catherine Gainsforth


Roberto Ciccarelli
Dipartimento di
Educazione Università
Roma Tre Roma, Italia
Il Manifesto
Roma, Italia

ISSN 2195-1934ISSN2195-1942 (elettronico)


Appunti di morfogenesi
ISBN 978-3-030-70861-0ISBN978-3-030-70862-7 (eBook)
https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7

© Springer Nature Switzerland AG 2021


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Il lavoro non è la fonte di tutta la
ricchezza. (Karl Marx, Critica del
Gotha
Programma)
Fin du travail, vie magique
Rennes, graffito, 28 aprile
2016
Non ha casa, non ha scarpe Non ha
soldi, non ha classe Non ha gonne,
non ha maglioni Nonha profumi, non ha
birra Non ha uomini
Non ha madre, non ha cultura Non ha amici,
non ha istruzione Non ha amore, non ha
nome
Non ho un biglietto, non ho un gettone,
non ho un Dio
Beh, cosa ho? Ho la
mia vita
E nessuno me la porterà via, ho la
mia vita.
(Nina Simone)
Contenuto

1 A proposito di Lavoro-Potere. Un approccio filosofico ............................... 1


1.1 Il problema del "potere" ......................................................................... 1
1.2 Spinoza e Marx e la teoria del potere-lavoro .......................................... 3
Riferimenti ........................................................................................................ 6
2 La teoria del potere-lavoro ............................................................................. 9
2.1 Il lato oscuro della rivoluzione digitale .................................................. 9
2.2 Futuro nuovo di zecca o età dell'oro ..................................................... 10
2.3 Umano, troppo umano: Capital ............................................................ 12
2.4 Genealogia............................................................................................ 14
2.5 Il Quinto Stato ...................................................................................... 16
2.6 Intersezione e multiposizione ............................................................... 19
2.7 La Facoltà delle Facoltà ....................................................................... 21
2.8 Reale e virtuale ..................................................................................... 24
Riferimenti ...................................................................................................... 28
3 Cos'è il potere del lavoro .............................................................................. 31
3.1 Il potere del lavoro non cresce sugli alberi ........................................... 31
3.2 Arbeitskraft/Potere del lavoro .............................................................. 33
3.3 Arbeitsvermögen/Capacità di lavoro .................................................... 37
3.4 Personalità vivente ............................................................................... 39
3.5 Usa ....................................................................................................... 43
3.6 Cooperazione........................................................................................ 47
3.7 Riproduzione ........................................................................................ 50
3.8 Contro il lavoro .................................................................................... 53
3.9 Lavoro astratto...................................................................................... 57
3.10 Lavoro vivo .......................................................................................... 61
3.11 L'ipotesi del comunismo ....................................................................... 63
Riferimenti ...................................................................................................... 66

vii
viiiConten
uti

4 (Dis)obbediente .............................................................................................. 69
4.1 Indomabile............................................................................................ 69
4.2 Gladiatori.............................................................................................. 74
4.3 Il lavoro autonomo non ha amici .......................................................... 78
4.4 Lavoratori freelance ............................................................................. 83
4.5 Flâneur.................................................................................................. 87
Riferimenti ...................................................................................................... 89
5 Il nano della storia......................................................................................... 93
5.1 Amazon Mechanical Turk .................................................................... 93
5.2 Ideologia californiana ........................................................................... 96
5.3 Il mito dell'automazione ....................................................................... 98
5.4 Auto senza pilota e altre storie ........................................................... 101
5.5 Servizi umani nella Gig Economy ...................................................... 106
5.6 Lavoro digitale ................................................................................... 109
5.7 Il ruolo delle piattaforme .................................................................... 113
5.8 Totale Mobilitazione .......................................................................... 116
5.9 Il lavoro non è finito, è aumentato...................................................... 121
5.10 Oltre il capitalismo della sorveglianza ............................................... 124
5.11 Le lotte per i diritti ............................................................................. 127
5.12 Diritto all'esistenza ............................................................................. 129
Riferimenti .................................................................................................... 135
6 Il sé imprenditoriale .................................................................................... 143
6.1 Diventare una startup ......................................................................... 143
6.2 Manager per tutta la vita ..................................................................... 145
6.3 Valuto Ergo Sum ................................................................................ 148
6.4 Come vuoi tu, maestro ....................................................................... 150
6.5 Contratto psicologico ......................................................................... 152
6.6 Capitale umano ................................................................................... 156
6.7 Liberazione ......................................................................................... 159
Riferimenti .................................................................................................... 164

Conclusioni: Cosa può fare il potere del lavoro? ........................................... 167


Riferimenti ......................................................................................................... 171
Indice .................................................................................................................. 173
Capitolo 1
A proposito di Lavoro-Potere. Un
approccio filosofico

La teoria del potere-lavoro intreccia due concetti diversi: potenza e potere. Nella
tradizione politica e metafisica occidentale la potenza, rispetto all'atto, è stata
considerata come il luogo della possibilità, della facoltà e della capacità, così
come ciò che precede la realizzazione compiuta. Il potere è stato considerato come
la realizzazione della potenza e consiste nel ridurlo alla catena meccanica di
relazioni causa-effetto stabilite da coloro che esercitano il potere nel mondo.
Questo libro esporrà la rivoluzionaria intuizione marxiana sul potere-lavoro che
considera la relazione contraddittoria tra potenza e potere sullo stesso piano di
immanenza. La potenza del potere-lavoro è immanente al corpo e alla mente di
chiunque viva e lavori in una società capitalista. Il potere è la realizzazione
effettiva di una facoltà virtuale, collettiva e cooperativa che non può essere ridotta
solo alla sua trasformazione in un oggetto, un bene o una merce. Il potere-lavoro è
la potenza comune che supera la sua riduzione alla capacità di fare o creare
qualcosa, la volontà di imporre o incoraggiare l'azione e l'autorità che richiede
obbedienza. Il potere-lavoro come potenza individuale e collettiva è il potere di
coloro che vendono la loro capacità di lavorare per sopravvivere in una società
capitalista e la facoltà di governarsi in una società liberata.

1.1Ilproblema del "potere"

Il modo in cui userò il concetto di potere-lavoro in questo libro dovrebbe essere


chiarito immediatamente. Labour-power è la traduzione inglese di Arbeitskraft, il
concetto usato da Karl Marx per riferirsi alle donne e agli uomini che lavorano.
Tuttavia, questa traduzione è troppo riduttiva. Kraft può essere tradotto con potere,
ma significa almeno altre sei cose: forza, in senso fisico; sforzo, in senso
biologico; potenza, in senso meta-fisico; energia, sia in senso fisico che come
viene usata nella metafisica aristotelica; potere, nel senso politico del termine;
facoltà, in senso kantiano. L'inglese power non trasmette la ricca polisemia
tedesca di Kraft. Tuttavia,

© The Author(s), sotto licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 20211


R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_1
21Sul potere-lavoro. Un approccio filosofico

è anche polisemica. È forza in senso fisico e politico: è la forza e lo sforzo


necessari per fare qualcosa (lavoro) o la forza politica necessaria per imporre o
legittimare il potere. Inoltre, il potere contiene il concetto invisibile di potenza.
La differenza tra potere e potenza può essere apprezzata nell'originale latino
che distingue potestas (potenza) da potentia (potenza). In francese questi termini
sono tradotti con pouvoir e puissance. In italiano, potere e potenza. La differenza
è: la potestas ha bisogno di un soggetto da dominare o da dominare per esprimersi;
la potentia è la forza di creare tutti gli usi del mondo e la capacità di lottare ed
esistere nella vita. Per potere-lavoro (Arbeitskraft) intendo la relazione multipla
tra il potere di comportarsi in modo autonomo e collettivo dentro e contro la
società capitalista e la potenza (potentia, puissance, potenza) di creare valori,
relazioni, pratiche e idee che alimentano l'energia del potere-lavoro e superano
anche il potere capitalista di alienare il potere-lavoro. Potentia e potestas sono
radicate nello stesso concetto di potere-lavoro all'interno del quale differenzierò il
potere-lavoro come facoltà o potenza e il potere-lavoro come capacità di lavorare.
Come vedremo nel secondo capitolo, questi concetti corrispondono alla
distinzione marxiana tra labour-power come Arbeitskraft e labour-power come
Arbeitsvermögen, "capacità di lavorare", "capacità di lavoro" o "labour-capacity"
in inglese.
La stessa polisemia di Kraft/Power caratterizza il concetto di Arbeit/Labour che
può essere tradotto, a seconda dell'uso e dei contesti, con work, job o gig. In
questo caso il tedesco e l'inglese permettono di distinguere il movimento
all'interno dell'attività svolta dal potere-lavoro, mentre l'italiano non distingue ciò
che è attivo e ciò che è passivo nel concetto di lavoro. In tedesco e in inglese
werk/work - il risultato del lavoro - e arbeit/labour - l'operazione o il processo che
produce, la capacità di compiere il lavoro - sono concetti distinti. In italiano si
riducono a una sola parola: lavoro. La differenza tra forza-lavoro e capacità di
lavorare non può essere colta in forza lavoro. Né questa espressione italiana ha la
complessità del concetto marxiano tedesco che distingue Arbeitskraft da
Arbeitsvermöngen. Come in inglese, il risultato è la perdita della differenza tra la
facoltà o la potenza di creare valori d'uso e la capacità di lavoro. Ciò significa che
la forza-lavoro è concepita solo come capacità alienata di lavoro, cioè come lavoro
mercificato. Questo problema si presenta in realtà in tutti i linguaggi ed è creato
dall'operazione capitalistica originaria, che definisce la merce come soggetto e
contemporaneamente riduce il soggetto a merce. Se consideriamo questo processo
a partire dal lavoro in sé possiamo dire che il lavoro viene considerato solo come
risultato e non anche come il processo che produce una merce. È così che il lavoro
perde le caratteristiche di un oggetto costruito e non viene mai considerato come
una manifestazione contingente di un potere-lavoro molto più grande e sempre in
corso. Il suo valore è attribuito dall'utilità che i destinatari del lavoro riconoscono in
una merce, non dal lavoratore che lo ha materialmente concepito e realizzato. Il
valore della forza-lavoro è incorporato nella merce e viene utilizzato per fini che
non sono quelli determinati dal lavoratore. In questa prospettiva, conta il
proprietario che compra il lavoro, non colui che lo ha creato.
La grande mutevolezza di tutti questi concetti dipende dal rapporto sociale e
produttivo tra capitale e forza-lavoro. Questo è il cuore di ciò che Marx chiamava
1.1 Il problema del "potere "3

alienazione capitalista del lavoro. Questi sono i principi fondamentali che mi


hanno portato a sviluppare la teoria del potere-lavoro esposta in questo libro, il
primo di una trilogia.1 D'ora in poi userò il concetto di potere-lavoro e indicherò,
caso per caso, il suo significato specifico.

1.2 Spinoza e Marx e la teoria del potere-lavoro

Estenderò il concetto di potenza (potency) usato da Marx in senso aristotelico alla


concezione di Spinoza. La chiave di questa lettura sta in una riconsiderazione del
materialismo, che vede Spinoza come precursore e Marx come successore.2 Va
anche detto che la relazione tra il filosofo tedesco e il filosofo olandese non è
forte, a parte alcune importanti note iniziali di Marx sul Trattato teologico-politico
di Spinoza.3 Più che cercare una continuità, o tentare un confronto accademico tra
diverse linee di pensiero, si tratta di sviluppare una critica spinoziana del concetto
marxiano di potere-lavoro e una critica marxiana della teoria spinoziana del potere
in una prospettiva materialista dell'immanenza in cui entrambi i pensatori
occupano una posizione di rilievo.4 Secondo questa definizione è possibile andare
oltre la definizione aristotelica di moto inteso come attualità di un essere in
potenza verso l'articolazione del divenire come essere animato da forze vive. Già
Leibniz passava da un modello in cui la forma disciplina la materia in potenza a
una concezione secondo la quale le forme emergono dalla materia e si modellano
in modi sempre diversi (modi).5 Se il capitalismo incassa la potenza,
costringendola ad essere l'attualità delle merci, una teoria del lavoro-potenza vede
questo modello come invaso dal vivente e dai modi in cui esso può esprimersi
nell'atto singolo.
La potenza del potere-lavoro non è solo possibile, è individuale, collettiva e
cooperativa, esprime la sua essenza in ogni momento. In altre parole, è storica. La
sua potenza non è né l'azione di una coscienza morale individuale né l'effetto di
una volontà astratta separata dai rapporti sociali e produttivi. Si incarna nel
conatus che è la tendenza "a sforzarsi di persistere nel proprio essere".6 Il conatus è
la forza attiva e viva di ogni cosa, non la manifestazione della volontà, l'espressione
della coscienza o una potenza produttiva estranea alla vita del soggetto. La forza-
lavoro non è un essere potenziale, ma una potenza eternamente attuale dove il
principio non è separato dai suoi effetti e la sostanza dai suoi modi. In questo
processo non c'è Soggetto o Essere, mentre gli individui contribuiscono alla
creazione del capitale (Dio o sostanza), di cui sono anche il prodotto (creatura o
modo), con

1 Vedi Ciccarelli [1, 2].


2 Vedi Matheron [3, 353-382].
3 Vedi Marx [4]. Su Spinoza nella storia del movimento operaio si veda Tosel [5, 515-525].
4 Vedi Ciccarelli

[6]. 5 Vedi
Deleuze [7].
6Spinoza [8, 283].
41Sul potere-lavoro. Un approccio filosofico

la loro attività. Questa tesi è incomprensibile per la razionalità filosofica cartesiana-


kantiana, anche se può essere rintracciata in Aristotele, che pensava la natura in
termini di immanenza.7 Tuttavia, la potenza dell'essere al suo massimo grado,
l'attualità della potenza, non si trova nel movimento della natura ma in Dio.
Rispetto a questa versione dell'immanenza, si tratta di invertire le altezze della
trascendenza e di riunire le virtualità di una potenza ontologica con la potenzialità
della potenza-lavoro: il suo diritto all'esistenza. Il potere è attuale quando si
esprime sia nell'ontico che nell'ontologico. Questo è possibile a partire dal
concetto di causa immanente. La sostanza è autogenerante, così come i suoi modi.
La potenza si esprime sia nelle cose singolari, attraverso gli attributi che
costituiscono l'essenza della sostanza, sia nella sostanza che si autoproduce in
modo aperto e illimitato.8
Sostenere però che la sostanza, come il capitale, è causa di se stessa significa che
ogni affermazione di potenza riproduce la struttura del capitale, l'Individuo Totale
di cui parla Spinoza. È la stessa difficoltà che Marx affronta altrove, quando
dimostra che la forza-lavoro non è capitale, ma che la forza-lavoro non può che
generare capitale in quanto è destinata a diventare merce. È possibile reagire a
questa difficoltà suggerendo che la struttura di questo ordine totale, sia della
sostanza che del capitale, è data da connessioni che cambiano secondo le relazioni
che determinano. Ogni connessione è una modalità della stessa potenza ed è
composta da infinite molteplicità che si assemblano nel divenire. Al centro del quale
non c'è la sostanza, ma una forza anonima in cui ciò che conta non è solo la forma,
o le sue funzioni, ma la capacità di essere influenzata o di influenzare un'altra
forza. Il sistema è definito dai modi che acquisisce, e questi modi sono
l'espressione del conatus. Il capitale cerca costantemente questo potere, che cerca
di reindirizzare verso il sistema, ma ciò non significa che sia sempre stato in
possesso di tutte le sue manifestazioni. Per la stessa ragione i lavoratori rimangono
in possesso della facoltà di potere lavorativo, indipendentemente dalla sua
oggettivazione in una merce. Questo aspetto emerge quando si considera il
significato del potere come conatus. Il principio di autoconservazione (conatus) è
´
un principio fondamentale della legge di natura generalmente attribuito all'idea
stoica di horme¯ (oρμº), inclinazione primaria, impulso o appetito. Presente
nell'antropologia filosofica romana e cristiana, conatus e appetito sono considerati
sinonimi a partire da Cicerone.9 Spinoza usa il conatus come sinonimo di forza
(vis)10 e stabilisce l'immanenza tra l'espressione fisica e ontologica della potentia:
quando si esprime la potenza di agire, si esprime la potenza di una vita. La sua tesi
è: la vita è il potere di esistere.11 Questa potenza va intesa in termini di forza fisica
e di energia, è la potenza che fa persistere le cose nel proprio essere12 e la potenza
attraverso la quale Dio persevera nel suo essere. Quando è riferito alla mente, il
conatus è chiamato volontà (voluntas); quando è riferito sia al corpo che alla mente

7 Vedi Chatelet [9, 45 e seguenti].


8 Vedi Bove [10], Del Lucchese [11], Negri [12].
9 Vedere Wolfson [13].
10B. Spinoza, L'Etica, II, 45, scholium, 270-271.
11B. Spinoza, L'etica, I, 11, dem., 222.
12B. Spinoza, L'Etica, III, 6, 462.
1.2 Spinoza e Marx e la teoria del potere-lavoro5

è chiamato appetito (appetitus). Conatus è chiamato desiderio (cupiditas) quando


gli individui sono coscienti dei loro appetiti e li esercitano consapevolmente.13
Esistono tre modalità distinte di potere collegate a una diversa capacità d'azione
e legate alla consapevolezza dell'uso del potere di agire. L'uso del potere è comune
a tutti gli individui, che hanno la scelta di quale mezzo utilizzare per favorire
l'autoconservazione e la creazione di una capacità d'azione maggiore di quella
iniziale. Il conatus non è un atto di libero arbitrio, la volontà di un individuo o di
Dio, di una necessità fisica o naturale. La potenza divina è identica all'esistenza di
tutte le cose, e viceversa. Entrambi affermano l'essenza effettiva (essentia
actualis)14 o l'essenza data di qualcosa che si oppone all'essenza ideale.15 Tutte le
affezioni del corpo e della mente, così come le loro attività, sono considerate sullo
stesso piano immanente delle altre forme viventi, dal mondo vegetale a quello
animale. Così la separazione tra l'umano e l'animale, così come la separazione tra
le virtù dianoetiche (discorsive o attinenti alla conoscenza) ed etiche (pratiche),
sono comprese in una nuova dottrina del parallelismo basata sulla potenza
dell'azione in cui si esprime la perseveranza dell'autoconservazione della vita.
L'intersezione tra la definizione marxiana di potere-lavoro e la definizione
spinoziana di conatus ci permette di spiegare la compenetrazione del principio fisico
di energeia, del principio metafisico di dynamis e del principio antropologico di
conatus nella definizione di potere-lavoro. Conatus è l'affermazione della potenza
nella vita finita, mentre potentia è l'affermazione del conatus nelle sue modalità di
individuazione storica, tecnica ed etica. A differenza del capitale, dove il processo è
senza soggetto perché è un'astrazione realmente esistente, la forza-lavoro è una
potentia realmente esistente che afferma un diritto di ogni modo del suo essere:
"(ogni uomo) si sforza sempre, per quanto sta in lui, di conservare il proprio essere
(...) poiché ogni uomo ha diritto nella misura in cui ha potenza".16 L'astrazione
effettivamente esistente e il potere effettivamente esistente non devono essere
intesi in modo distinto, ma sulla base dell'immanenza del lavoro-potere, dove la
soggettività e la sua posizione storica, produttiva o politica si modellano. La
duplicità costitutiva del potere-lavoro deve essere compresa in questa dialettica tra
principi diversi e contrastanti. Ciò è tanto più vero nel caso del potere-lavoro che
non ha altra proprietà che quella di vendere la sua capacità di lavoro. Essere senza
proprietà non significa essere senza qualità o potenza.
Nel capitalismo avviene un singolare rovesciamento perché ciò che non è
ancora è più importante di ciò che è già, e le possibilità agiscono sia nelle azioni che
in un imminente essere-altrimenti. Stabilire un diritto su questo potere in modo
conforme alla concezione di Spinoza significa identificare la priorità della
"corporeità" -della "personalità vivente" del lavoro-potere- in un processo che
aliena queste qualità dal soggetto che le possiede. Nel movimento che inizia
sempre con l'atto di

13B. Spinoza, L'Etica, III, 48, dem., 302.


14B. Spinoza, L'etica. I, 8, 219.
15Spinoza [14].
16B. Spinoza, Trattato politico, II, par. 8.
61Sul potere-lavoro. Un approccio filosofico

vendendo il potere-lavoro, ciò che ha la priorità è un potere-lavoro impregnato di


virtualità che muovono il lavoro e il capitale.
La maggior parte dei modi in cui si identifica la forza-lavoro sono assorbiti
dall'astrazione del capitale. In questo caso - è la norma della vita contemporanea - la
definizione spinozista di forza-lavoro permette di distinguere l'astrazione priva della
singolarità della forza-lavoro dalla sua differenziazione rispetto alla totalità
mercificata dell'esistenza. L'astrazione esiste a causa della differenziazione, non il
contrario. Entrambi sono il risultato di una causa immanente dove la sussunzione
del potere-lavoro corrisponde all'affermazione di un potere individuato in modo
diverso. Il potere-lavoro, come facoltà di una personalità vivente, è uno dei modi
di tale potere. Il capitale tende a nasconderlo e a sostituirlo con un'astrazione, in
modo da rendere impossibile l'identificazione tra potere-lavoro e potere. Tale
astrazione non può esistere senza il potere realmente esistente che genera il
sistema e i suoi modi.
Lo spinozismo permette a una teoria del potere-lavoro di recuperare la
ricchezza di una forma di vita autonoma e intelligente in un'esperienza segnata
dall'alienazione, dalla violenza e dall'espropriazione. La continua ricerca
dell'espressione del potere di agire in queste condizioni permette di chiarire un
aspetto decisivo del discorso marxiano: il potere-lavoro non persegue solo la
riproduzione della vita -la sua autoconservazione- che coincide con il suo essere
mercificato. È l'espressione di una potenza che dipende dall'esercizio di un certo
uso del potere-lavoro come facoltà delle facoltà disponibili alla vita,
indipendentemente dalla morale idealista della trascendenza, dalla riproduzione
delle gerarchie e dalla glorificazione della morale sacrificale del lavoro.

Riferimenti

1. Ciccarelli, R.: Capitale disumano. La vita in alternanza scuola-lavoro. Manifestolibri, Roma


(2018)
2. Ciccarelli, R.: La vita liberata. Inchiesta sulla catastrofe e la liberazione, di prossima
pubblicazione
3. Matheron, A.: Appendice 1: intervista con Laurent Bove e Pierre-François Moreau. In:
Lucchese, F., Maruzzella, D., Morejón, G. (eds.) Politics, Ontology and Knowledge in Spinoza.
Edinburgh University Press, Edimburgo (2020)
4. Marx, K.: Marx/Engels Gesamtausgabe (MEGA), IV Vierte Abteilung: Exzerpte Notizen
Marginalien Band 1. Dietz Verlag, Berlin (1976)
5. Tosel, A.: Des usages "marxistes" de Spinoza. Leçons de méthode. In: Bloch, O. (ed.)
Spinoza au XXe siècle. Puf, Parigi (1993)
6. Ciccarelli, R.: Immanenza. Filosofia, diritto e politica della vita dal XIX al XX secolo. Il
Mulino, Bologna (2009)
7. Deleuze, G.: La piega. Leibniz e il barocco. University of Minnesota Press, Minneapolis
(1993)
8. Spinoza, B.: Etica, III, 7. In: Opere complete. Hackett Publishing Company (2002)
9. Chatelet, G.: Les Enjeux du mobile. Matematica, fisica, filosofia. Seuil, Parigi (1993)
10. Bove, L.: La stratégie du conatus: affirmation et résistance chez Spinoza. Vrin, Parigi (1996)
11. Del Lucchese, F.: Conflitto, potere e moltitudine in Machiavelli e Spinoza: Tumulto e
indignazione. Continuum, Londra e New York (2009)
Riferimenti7

12. Negri, A.: Spinoza et nous. Galilée, Parigi (2012)


13. Wolfson, H.A.: The Philosophy of Spinoza: Unfolding the Latent Processes of His
Reasoning. Harvard University Press, Cambridge, MA (1934)
14. Spinoza, B.: Trattato politico, II, par. 2. In: Opere complete. Hackett Publishing Company
(2002)
Capitolo 2
La teoria del potere-lavoro

Il potere-lavoro è la facoltà che si in-futura a partire dal qui e ora in ogni atto
materiale e intellettuale, nella produzione e riproduzione di beni, relazioni e usi. Il
rapporto tra l'essere così (alienato) e diversamente (liberato) del potere-lavoro va
inteso nei termini di una dialettica tra reale e virtuale.

2.1 Il lato oscuro della rivoluzione digitale

I redattori di programmi televisivi a volte mi chiedono di fornire loro un caso


umano. Qualche autore ha letto sul giornale degli "schiavi" di oggi. La parola è
un'espressione idiomatica usata come sinonimo di estrema povertà, mancanza di
diritti, lavoro povero. E così un giornalista parte alla ricerca di una "storia". In alcuni
casi viene da me, perché, come giornalista, mi occupo di questioni relative al
lavoro. Mi rifiuto di fare nomi, dico che non conosco nessuno schiavo, non ho
nessun "caso umano". Che è anche il modo in cui rispondono le persone in
questione. Essere definiti schiavi, soggetti senza libertà, cose senza volontà, è
un'offesa. Soprattutto quando la schiavitù è usata come metafora che trasforma la
vulnerabilità personale in stigma sociale. Gli antichi concepivano gli schiavi come
animali parlanti. I contemporanei come casi umani personali da interrogare.
Questa rappresentazione del potere-lavoro si trova nei talk show, nei giornali e
nell'industria editoriale. Una ricerca sui titoli dei libri usciti negli ultimi anni mostra
quanto sia ricorrente il termine "schiavi". Al secondo posto troviamo il termine
"temporaneo", o "precario", sempre usato con una connotazione vittimistica.
Evitare questo è salutare. Una volta una giornalista preoccupata per il crescente
numero di lavoratori autonomi e freelance che si vedono rifiutare il lavoro ha
spiegato il suo modo di ragionare: bisogna colpire sotto la cintura e scioccare gli
spettatori. È meglio se il caso umano assomiglia a un figlio, un padre o una madre
disoccupati. Il problema suonerà familiare al pubblico televisivo. Questo approccio,
tuttavia, è discutibile. Avrebbe potuto scioccare il pubblico anni fa. Oggi abbiamo
una comprensione della situazione,

© The Author(s), sotto licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 20219


R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_2
102La teoria del potere-lavoro

sappiamo chi sono i responsabili. Ripetere lo stesso schema significa separare la


sofferenza causata dal lavoro alienato e ridurla a un fatto biografico o
generazionale. La vittimizzazione rafforza la percezione di una subalternità
diffusa, non aumenta la conoscenza delle cause che la producono, né rovescia la
prospettiva.
Il discorso diffuso sulla rivoluzione digitale che causa un declino del lavoro
umano contribuisce a questo risultato. Questa rivoluzione avrebbe dovuto garantire
una maggiore autonomia, ma ha finito per estendere il dominio già esistente sui
corpi al cervello, alla psiche e agli affetti. Nonostante ciò, non c'è una fine del
lavoro in vista, e la sostituzione degli umani con le macchine sarà una prospettiva
lontana anche nel 2025 o 2050, quando questa transizione dovrebbe avvenire. Già
oggi l'automazione costringe la forza-lavoro a lavorare di più con salari sempre
più bassi. La scarsità di posti di lavoro e l'incessante trasformazione delle
professioni non sono però causate dai robot, ma da una serie di fattori sociali,
economici e produttivi che portano a una profonda trasformazione della forza-
lavoro e della sua produttività, cosa che viene ancora molto trascurata. I lavoratori
sono doppiamente impotenti: non solo i "vecchi" lavori li hanno lasciati
disoccupati in una terra dove l'alba di un nuovo inizio non si verifica mai, ma non
saranno nemmeno in grado di determinare il lavoro del futuro, quando si realizzerà
la profezia degli auguri della tecno-apocalisse. Il racconto della rivoluzione
digitale in corso ha un'origine antica: è l'illusione del lavoro non presidiato,
emanazione diretta del Capitale. Come l'ideologia tedesca, di cui Marx ed Engels
scrissero nel 1846, anche l'ideologia californiana della Silicon Valley del XXI
secolo rimuove le condizioni materiali della vita e le facoltà degli individui viventi
a contatto con le macchine e la digitalizzazione del mondo. Oggi la forza lavoro è
il lato oscuro della rivoluzione digitale.
Questo libro propone un'alternativa alla futurologia e alla narrazione
compassionevole del lavoro. Elabora una filosofia che riconosce una centralità
senza nome - quella del potere-lavoro - e ristabilisce le condizioni per una critica
fondata sulla storia degli individui in carne ed ossa impegnati in un'attività produttiva
che comporta veglia e sonno. Questa filosofia non è né apocalittica né luddista,
afferma un materialismo filosofico e indaga la possibilità di un'etica spinozista. La
domanda che pone non è: cos'è il lavoro? Piuttosto, pone la domanda più concreta e
potente: cosa può fare oggi la forza-lavoro?

2.2 Futuro nuovo di zecca o età dell'oro

Mai prima d'ora il concetto di lavoro è stato usato in modo così totalizzante. Mai il
valore della forza-lavoro è stato così trascurabile. Si è perso un significato
condiviso del lavoro, il nome di ciò che siamo è diventato oscuro: forza-lavoro.
Questa situazione ricorda il barone di Münchhausen che riesce a tirarsi fuori da
una palude con i suoi stessi capelli. Allo stesso modo in cui sembra che il lavoro si
produca da solo, le merci appaiono misteriosamente nelle nostre case, il denaro è
l'incarnazione della volontà matematica di un algoritmo. I lavoratori, che
nonostante questo continuano a lavorare, sono
2.2 Futuro nuovo di zecca o età dell'oro11

Gli viene detto che la loro attività non ha alcun significato al di là della semplice
esecuzione. Spetta ai padroni trovare il senso, ai servi viene negato il senso stesso del
lavoro che deriva dal lavorare. Sono i datori di lavoro che decidono cos'è e cosa non
è la loro forza-lavoro. I datori di lavoro esercitano il potere di dare o negare un nome,
oltre a stabilire compiti e salario. Questo è lo spartito che si gioca ovunque: il lavoro
è privato della sua forza, non ha soggetti in carne ed ossa. L'unico soggetto è
l'astrazione del lavoro. Questo rovesciamento è sottile, come tutte le metafisiche, e
ha imposto un ordine specifico del discorso: oggi si parla di lavoro senza parlare
delle condizioni che lo rendono possibile, cioè la forza-lavoro.
Il potere-lavoro è inteso come un fantasma materialmente operativo.1 È stato
suggerito di usare l'immagine della "scatola nera del lavoro" per descrivere questa
condizione.2 L'associazione è suggestiva, ma è solo una metafora. Una scatola nera
registra dati o conversazioni tra piloti, resiste agli urti, al fuoco e all'alta pressione. Il
suo "lavoro" permette di ricostruire le cause di una catastrofe e grazie alla sua
memoria oggettiva di ristabilire retrospettivamente le responsabilità. Questo è ciò
che farà il lavoro una volta scomparso: conserverà la memoria di ciò che è stato. Il
potere-lavoro, invece, è la facoltà che alimenta circuiti e automatismi in tempo reale,
è la capacità che permette di produrre una merce e il suo valore. L'associazione tra
scatola nera e forza-lavoro, tuttavia, rimane valida in un momento in cui le
condizioni materiali di produzione e riproduzione di questa forza-lavoro vengono
rimosse, quando è confortante immaginare che le automobili un giorno, forse, si
guideranno da sole senza il contributo decisivo di un essere umano. Sembra che si
debba inevitabilmente ammettere che la forza-lavoro è il risultato dell'interazione
tra le macchine, mentre al contrario è la condizione che permette che tale
interazione abbia luogo.
Il potere del lavoro non è evidentemente scomparso nei flussi automatizzati e
silenziosi governati dagli algoritmi. Donne e uomini continuano a lavorare, le ore
sono sempre più lunghe e le condizioni sempre peggiori. Anche di fronte a un
eccesso strutturale della domanda di lavoro, il potere-lavoro non è mai inattivo.
Che sia incluso o scartato, bandito, sottovalutato o perseguitato, è una facoltà
sempre attiva. Questo costringe le moltitudini che vivono nella zona grigia tra
lavoro e non lavoro a spostarsi, a varcare le frontiere e a diventare ostaggio di una
trappola cognitiva: nonostante l'aspirazione a un'occupazione retribuita e sicura,
questa forza-lavoro viene percepita come massa lavorativa, come mera forza
lavoro da impiegare, non come individuo sociale e collettivo. Il riemergere di
condizioni impensabili, almeno nei paesi capitalisti, di deprivazione materiale e
marginalità, rafforza questa percezione e, inoltre, sottopone la riproduzione del
potere-lavoro a traiettorie vincolanti che incidono pesantemente sulla sua esistenza
materiale ed etica.
La disciplina, la trasfigurazione e la rimozione del potere-lavoro - la sua
invisibilità - sono il risultato di un'egemonia culturale così potente che i lavoratori
stessi credono di essere invisibili. Pur essendo potere-lavoro, questi lavoratori
agiscono come se non fossero visti. Il rovesciamento della percezione e l'incapacità
di dare un nome e un volto

1 Vedere Marvit [1].


2Vedi Irani[2], Scholz [3].
122La teoria del potere-lavoro

a questa condizione fantasma, è l'effetto di un violento contraccolpo causato dalla


trasformazione, dal ridimensionamento, delle due principali culture del lavoro del
XX secolo. La cultura marxista, che considerava il potere-lavoro come il terreno
primordiale sia dell'antagonismo che della cooperazione tra individui, del conflitto
e della solidarietà. E la cultura liberale basata sul contratto di lavoro, che è stata
sostituita da una continua riformulazione del lavoro salariato sulla base delle
esigenze commerciali delle imprese.
Ciò che rimane è, da un lato, una serie di profeti che annunciano un futuro
nuovo di zecca, dall'altro i nostalgici dell'età dell'oro del lavoro, la cui funzione era
presumibilmente quella di permettere ai lavoratori di soddisfare i loro bisogni e
assicurarsi una vita dignitosa. Si tratta di due idealismi opposti: il primo predica la
scorciatoia che trasformerà tutti in imprenditori, nella speranza che il capitale si
incarni nuovamente negli individui; il secondo delimita le lotte dei lavoratori di
massa che hanno avuto luogo in un momento specifico del ventesimo secolo
(1945-1973) considerandole come il momento della verità nella Storia. Su questa
base si predica il ritorno al lavoro angelico, grazie al quale le persone ritroveranno
la loro dignità, uno stato ideale lontano dallo sfruttamento, come se il lavoro stesso
non fosse sfruttamento. Da un lato, la soggettività è legata all'Impresa, l'idea
regolatrice della nostra esistenza; dall'altro, il Lavoro astratto è fatto precedere
dalle donne e dagli uomini che lavorano concretamente. In nessun caso la forza-
lavoro è considerata come una facoltà, parte di una vita libera di esprimersi al di là
della razionalità capitalista.
Il potere-lavoro è imprigionato da un paradosso. C'è chi vuole liberarlo
evocando un rapporto soggettivo con il lavoro "creativo", o considerando l'attività
professionale come qualcosa di sacro, un'opera d'arte. Eppure il lavoro del potere-
lavoro è visto come un residuo archeologico, qualcosa con cui è impossibile
identificarsi. La condizione dei lavoratori contemporanei oscilla tra un'ingiunzione
morale alla soggettività e la gestione strumentale del loro potere-lavoro. La loro
vita è scandita da due polarità simmetriche: superlavoro e sottoccupazione. Oltre
alla disoccupazione e alla povertà assoluta, queste sono le forze centripete e
centrifughe di un unico processo di subordinazione.

2.3 Umano, troppo umano: Capital

L'educazione, il lavoro e il mercato dell'arte, i diritti e la politica sono immersi nel


capitale umano, la pietra angolare di una società iper-mercato. La forza-lavoro non
è riconosciuta come una facoltà che produce ricchezza per coloro che la
possiedono, la vendono o la affittano, cioè i lavoratori. Questa facoltà viene
identificata con il capitale, al quale viene attribuita un'istanza superiore dell'essere:
l'umanità. L'umanizzazione del capitale è la premessa per amare il mondo.
Aspirare al profitto significa agire in nome del Bene. Questo discorso implica la
naturalizzazione dell'idea di impresa e la sua trasformazione in un racconto a sfondo
filosofico. L'impresa è sia un'organizzazione gerarchica che un imperativo morale
che guida le attività sociali e produttive dell'individuo borghese e capitalista. La
morale performativa e lo spirito del capitalismo neoliberale hanno combinato la
prima
2.3 Umano, troppo umano: Capital13

Il secondo per indurre la forza-lavoro a incarnare l'impresa intesa come imperativo


morale, e gestire tutte le sue attività come un'impresa intesa in termini gerarchici.
Questa operazione si basa su un'impossibile identificazione psicologica, sociale ed
economica. Le imprese composte da più individui, proprietà e settori commerciali
non possono essere identificate con un solo individuo. Possedere capitale significa
gestire fondi, organizzazioni, infrastrutture e coordinare persone, non incorporare
l'astrazione di un capitale umanizzato impersonandone le caratteristiche ideali. I
lavoratori non sono uomini d'affari, né proprietari di imprese. Sono obbligati a
vendere la loro forza-lavoro per sopravvivere. Al contrario, nella finzione neoliberale
del "capitale umano" sono costretti a desiderare di possedere ciò che non avranno
mai. Non possiedono ciò che hanno - il potere-lavoro - ma si identificano con la
proprietà di altri - il capitale - credendo che sia ciò che più gli appartiene e che sia
umano. Diventare soggetto-impresa è oggi l'ingiunzione paradossale che ha
bloccato ogni possibile identificazione, fissando il soggetto in un processo di lutto
per cui può realizzarsi pienamente (forza-lavoro) solo per mezzo di ciò che lo nega
(capitale).
Pochissime persone al mondo possono godere dell'identificazione con le loro
imprese. Sono proprietari e possono dire di essere il proprio capitale umano. Un
po' più persone credono che un giorno diventeranno imprenditori, ma oggi gestiscono
il proprio auto-sfruttamento. Tutti, però, devono fare i conti con un fatto: è solo
grazie al potere-lavoro delle donne e degli uomini che esistono le imprese, non il
contrario. La forza-lavoro è l'unica facoltà che le imprese non possono possedere.
Gli imprenditori possono comprarlo, licenziarlo, disciplinarlo, ma non possiedono
mai la facoltà dei lavoratori, nemmeno con le teorie sul capitalismo umano.
Lo spirito neoliberale del capitalismo è l'effetto di un'inversione per cui le
caratteristiche del potere-lavoro contemporaneo vengono trasformate nel loro
opposto. La libertà è affermata formalmente, insieme all'autonomia, alla
cooperazione, all'autodeterminazione, al desiderio. Questi elementi coincidono
materialmente con l'autosfruttamento e l'autosottomissione. Il desiderio di essere
liberi e autonomi nel condurre la propria vita si traduce in una sottomissione
volontaria a un imperativo che nega il suo potere. L'ottimizzazione del capitale
umano dovrebbe produrre la felicità del soggetto e la liberazione dal lavoro nell'era
dell'automazione. Invece, porta alla miseria politica, economica e affettiva.
Per tentare di uscire dal circolo vizioso che alimenta questa rivoluzione passiva,
è necessario riaffermare una doppia distinzione. La forza-lavoro e il lavoro non
sono la stessa cosa, e nemmeno la forza-lavoro e il capitale umano. Oggi queste
parole sono usate in modo intercambiabile. La forza-lavoro (potenza) è la facoltà
che appartiene all'individuo indipendentemente dal lavoro effettivamente svolto.
Conserva, crea, aumenta il valore ed è prodotta da donne e uomini in carne ed
ossa. La forza-lavoro, come "capacità di lavorare", rende questa facoltà estrinseca
alla forza-lavoro stessa in una merce che appartiene a chi la acquista. In una
società capitalista, l'attività della "capacità di lavoro" è finalizzata alla produzione di
lavoro mercificato. Tuttavia, questo non è l'unico modo possibile di impiegare la
forza-lavoro come una facoltà che può essere utilizzata per affermare la vita come
mezzo per se stessa e non solo come oggetto di un contratto, come strumento di
lavoro e capitale umano.
142La teoria del potere-lavoro

La forza-lavoro è come un forziere che contiene il potere, è la facoltà più


importante della vita attiva. Per il capitalismo è la "merce" più preziosa. La sua
origine non è la mercificazione del potere-lavoro come capacità di lavorare, ma
l'essere potenziale di una vita che è inclusa nel potere-lavoro. Il potere-lavoro come
espressione del corpo-mente individuale e collettivo è l'assunto che fornisce il
punto di partenza per tornare a mettere in discussione la rivoluzionaria intuizione
di Karl Marx.

2.4 Genealogia

Il potere-lavoro vive tra e dentro i bastioni del lavoro subordinato, del lavoro
autonomo e delle imprese. A lungo identificato con il lavoro salariato, ha acquisito
modalità plurali e persino opposte che coesistono asincronicamente nel corso della
vita. I tratti dell'individualismo borghese si alternano a quelli emersi nella storia
della classe operaia, mentre si assiste alla rinascita di forme inquietanti di servitù, il
"vagabondaggio" dei lavoratori autonomi, poveri e migranti. Questo libro svolge
un'analisi approfondita della storia del lavoro autonomo e subordinato e cerca di
tracciare una genealogia capace di gettare una luce sulla condizione attuale. Individua
personaggi concettuali come i freelance, che sono mercenari, imprenditori di se
stessi, da un lato; gladiatori, appaltatori, dipendenti, dall'altro. Queste figure
appartengono a storie diverse: i primi al lavoro autonomo, i secondi al lavoro
subordinato. I loro percorsi dimostrano che la tradizionale distinzione tra lavoro
subordinato e lavoro autonomo non è originale; è piuttosto il risultato di un
processo storico in cui il significato del lavoro, e il giudizio sulle attività individuali,
sono cambiati in base alla produzione, alla morale dominante, alle culture materiali.
Questo è tanto più vero oggi, in un momento in cui le trasformazioni in corso
rendono incerti i confini tra le macrocategorie del lavoro, registrati dalla
giurisprudenza occidentale. Nel contesto del quinto potere, un lavoratore può svolgere
ruoli opposti e sviluppare atteggiamenti che si sovrappongono in modo
contraddittorio nel corso di una vita. L'autosfruttamento coesiste con il desiderio
di libertà, i contratti si alternano al codice IVA dei lavoratori freelance, il lavoro
con il non lavoro. Nel continuo tres-passaggio di identità, attività e temporalità
diverse, il denominatore comune rimane quello del potere-lavoro.
La genealogia permette di comprendere la contemporaneità di condizioni non
contemporanee in un nuovo sistema di relazioni. Il suo obiettivo non è quello di
ricostruire la storia globale del lavoro, o l'origine da cui tutto discende, ma di
identificare la premessa per l'azione storica e politica nel presente.3 La genealogia
è un metodo filosofico che interseca le tracce di diverse temporalità in un'unica
esperienza: l'anacronia.4 Permette ai freelance e agli impiegati con contratto di oggi
di vedersi in una storia, di liberarsi dalla passività del risentito o del reazionario

3Vedi Foucault [4].


4Si veda Loraux [5], Esposito [6, 13-24].
2.4 Genealogia15

identità plasmate dalla rappresentazione dominante, costruire alleanze in un


mondo che li vede come esuli o orfani. Sperimentare l'anacronia significa anche
rompere l'ordine temporale di produzione e riproduzione, aprendo così la storia a
salti e connessioni da una temporalità all'altra, in direzioni passate o future.
Tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, l'esercizio di questo
prospettivismo storico è stato materialmente realizzato da operai che hanno
interrotto il ritmo del ciclo di produzione industriale e hanno individuato un
percorso di soggettivazione storica aperto a nuove possibilità, non confinate in
identità corporative o statali.5 Oggi si dovrebbe tentare la stessa esperienza rispetto
alla tendenza ad estrarre plusvalore assoluto dalla forza-lavoro impiegata 24 ore su
24 dal lavoro gratuito, che si svolge in luoghi diversi da quelli in cui avviene la
produzione fisica. Chi vive questa anacronia, come l'attuale forza-lavoro, vive il suo
tempo non in modo retrospettivo, ma come futur antérieur: la vita si proietta verso
ciò che è altro da sé in un orizzonte comune. Cogliere questa possibilità, mettendo
da parte la pesante armatura del neoliberalismo, è l'esercizio etico che ho fatto
scrivendo questo libro.
L'anacronia è la temporalità che caratterizza la vita di coloro che costituiscono
il potere-lavoro: la coesistenza dell'attualità e della non-attualità del potere
(potenza) è il suo meccanismo generativo. Il concetto di Karl Marx si riferisce ad
una duplicità immanente: da un lato, significa forza e facoltà (Arbeitskraft);
dall'altro, significa capacità di lavoro che attualizza la potenza (potency)
(Arbeitsvermögen). L'atto di produzione (lavoro-merce) non assomiglia mai alla
potenza che attualizza. La sua attualizzazione in una merce non esaurisce la
potenza, ma produce una differenza rispetto alla temporalità della produzione. La
potenza non attualizzata della forza-lavoro è una nebulosa che circonda la capacità
di lavoro, pronta ad attualizzarsi in un modo che non può essere determinato in
anticipo.6
I freelance, gli impiegati con contratto e gli altri personaggi del potere-lavoro
contemporaneo sono l'espressione di un modello che si sposta continuamente.
Vengono presi in considerazione solo quando oppongono resistenza a ciò che
impedisce al potere di affermarsi. L'utilità della resistenza oggi è messa in
discussione dai suoi stessi attori. Tuttavia, la genealogia mostra la sua efficacia e
getta una nuova luce sul potere-lavoro, in un sistema che pretende di poterne fare a
meno. La scelta di questo metodo scarta i dibattiti che lo interpretano solo come
un problema contrattuale, economico o di gestione del capitale umano. La
genealogia ristabilisce la priorità del potere-lavoro sul lavoro alienato e afferma la
possibilità di un nuovo inizio, che altrimenti rimarrebbe sconosciuto in un presente
dove non sembra esistere alcuna alternativa.

5 Vedere Rancière [7].


6Vedi ilterzo capitolo di questo libro.
162La teoria del potere-lavoro

2.5 Il Quinto Stato

Questo libro esplora la nuova condizione del potere-lavoro: il quinto potere.7 Una
riflessione sul potere-lavoro permette di capire il suo legame con le trasformazioni
che hanno profondamente cambiato la composizione sociale nell'ultimo quarto di
secolo. Per esempio, la crisi ha colpito molto le classi dei lavoratori e della
borghesia. La zona grigia in cui si intersecano la precarizzazione dei primi e la
proletarizzazione dei secondi ha coinvolto in egual misura il lavoro autonomo,
freelance e ordinario. Oggi non basta essere operai per appartenere alla classe
operaia, così come non basta essere impiegati, o essere impiegati nel settore dei
servizi o nello Stato, per essere "borghesi". Essere disoccupati non permette di
affermare di essere senza lavoro, così come l'occupazione non basta a dimostrare
che non si è in una condizione di precarietà. Questa asimmetria permanente tra
un'appartenenza di classe e una condizione lavorativa fa parte di un'esperienza che
non può essere descritta costruendo una tassonomia di classi sociali, di status
professionali, una lista di vecchie e nuove professioni.
Solo recentemente le statistiche ufficiali hanno cominciato a sostenere che la
relazione tra reddito, appartenenza sociale e status professionale è diventata
scollegata. C'è stato uno sforzo, che sotto molti aspetti ha senso, di comprendere
una condizione generale in relazione alla rappresentazione dell'ordine sociale. Una
filosofia del potere del lavoro non è interessata a ristabilire questo ordine. Piuttosto,
il suo obiettivo è comprendere il potenziale di questa nuova condizione. Tale
potenzialità è radicata nel potere-lavoro, inteso come una facoltà singolare e
comune a tutti, visto non solo come la capacità di eseguire compiti in
un'organizzazione produttiva. Tra il XIX e il XX secolo, la scoperta della
centralità della forza-lavoro ha permesso di individuare un vettore di
soggettivazione che interseca la produzione capitalista e l'organizzazione socio-
politica, in grado anche di modificare le sue strutture e portare ad una soggettività
potenzialmente autonoma. Per le caratteristiche del modo di produzione post-
fordista e dell'organizzazione neoliberale della società, il potere-lavoro occupa
oggi una posizione ancora più centrale che nella fase precedente.
Le rappresentazioni culturali più attuali difficilmente colgono la particolarità di
questa condizione e tendono a separarla dalla soggettività in un processo che
assimila la vita al capitale umano. Così facendo, la principale scoperta della teoria
del potere-lavoro è legata a uno scenario di alienazione irreversibile, spesso articolato
in termini di vittimismo e inteso in termini generazionali, e a una rinnovata concezione
proprietaria del mondo. La rimozione della specificità inalienabile del potere-lavoro
genera identificazioni fantasmatiche con residui arcaici, astrazioni filosofiche o
statistiche come le categorie di "persone" o "neet", "inattivi". Si tratta di fantasiose
formule socio-logiche utilizzate per l'anomia generalizzata ("generazione X" o
"Y", per esempio) che mirano a ipostatizzare la scomparsa dell'ordine precedente
per mezzo di categorie trascendentali elusive, che non tentano di trasmettere il
punto di vista di coloro che vivono questa nuova condizione.
La quinta proprietà non si riferisce a un soggetto predeterminato, ma a una
condizione determinata dai cambiamenti nel potere-lavoro che seguono un modello
di inclusione ed esclusione.

7 Vedi Allegri e Ciccarelli [8].


2.5 Il Quinto Stato17

Questo schema era già presente nella definizione di Marx: la classe è una non
classe. Non è composta da proprietari, ma da una forza-lavoro che deve vendersi
per vivere. Il non esprime un'affermazione durevole: la classe è questo, ma è anche
quello, sia questo che quello, questo contro quello. L'identificazione della (non)
classe è un processo che chiama in causa ciò che si può fare, non ciò che si possiede
o ciò che manca. L'affermazione è il risultato della combinazione e disgiunzione di
elementi eterogenei (sociali, professionali, economici, culturali, razziali, di genere)
che si manifestano a partire dal potere-lavoro, che si connettono o si scontrano con
le norme e le istituzioni, il mercato e la società. "La classe è una formazione sociale
e culturale che non può essere definita astrattamente, ma solo in relazione ad altre
classi (...) La classe stessa non è una cosa, è un avvenimento". 8 La classe non è un
soggetto sociologico, né è determinata sulla base del reddito.
È una formazione politico-sociale del potere-lavoro ed è creata da una sintesi
disgiuntiva modellata da elementi storici, economici, morali e politici. Il processo
ricomincia continuamente. Include la negazione quando si oppone a un fine
imposto dall'esterno (classe per sé); esprime un'affermazione quando stabilisce ciò
che l'eterogeneo ha in comune (classe in sé). La definizione di queste categorie è
influenzata anche dalla cultura patriarcale che ha influenzato il movimento
operaio. Questo è visibile quando Marx fa rientrare il proletariato industriale nella
categoria del lavoro salariato escludendo le donne, così come il lavoro non
subordinato. Oggi l'inclusione e l'esclusione sono cambiate, a partire dal ruolo
delle donne: il lavoro si è "femminilizzato", nel senso che ora produce relazioni e
non solo merci, cosa che però non impedisce l'esclusione e la violenza. La frontiera si
muove tra due poli: tra chi fa circolare il capitale e chi è mobilitato dal capitale: i
migranti. In mezzo c'è una zona intermedia inclassificabile soggetta all'inclusione
differenziale.9
La classe non subisce un'individuazione, non è costituita da singolarità fisse e
organizzate in serie convergenti, non è composta da individui determinati una volta
per tutte. Piuttosto, è un "punto aleatorio" dove convergono possibili processi di
composizione, modellati da diverse pratiche.10 In questo "punto aleatorio" si
rovescia il potere, si dislocano le appartenenze, si inventano norme alternative, ma
è anche il luogo in cui le sintesi vengono sconvolte e dove avviene la loro
reazionaria reterritorializzazione. La determinazione del divenire con cui si forma
la classe, e della sintesi che plasma le condizioni del quinto stato, è politica.
Il quinto stato è stato definito come equivalente al lavoro temporaneo, quello
dei giovani senza garanzie, dei freelance e degli immigrati. Insieme formano uno
"strato sociale" accanto al clero, alla borghesia, ai lavoratori e alla rendita
economica.11 Tuttavia, il lavoro temporaneo non costituisce una classe separata,
perché i lavoratori temporanei sono presenti sia nella borghesia che tra i lavoratori
e gli immigrati. Inoltre, il quinto potere non è un gruppo eterogeneo

8 Thompson [9]. Per una riflessione aggiornata su classe e lavoro "precario" si rimanda a Standing
[10], Foti [11].
9 Vedi Balibar [12, 371-381].
10Vedi Deleuze [13].
11Vedi Ferrera [14].
182La teoria del potere-lavoro

composto dagli esclusi che entrano nella piramide sociale. È una condizione
socio-politica, quella del potere-lavoro, che non può essere ridotta al possesso o
meno di un contratto di lavoro, o alla nazionalità. Il quinto stato è
multidimensionale: è trasversale a tutte le categorie e gruppi, ma non può essere
identificato con uno dei loro strati. Non può essere collocato in una gerarchia,
anche se si può trovare tra le parti che lo compongono. Riunisce i cittadini apolidi
nella loro patria, che sono privati dei diritti sociali, e gli stranieri extraterritoriali
residenti in uno Stato ai quali non è concessa la cittadinanza. Insieme questi
soggetti formano la comunità di coloro che sono senza comunità, una comunità
che possiede solo la forza-lavoro. Affinché questa comunità diventi una classe è
necessario che questi soggetti riconoscano e condividano questa facoltà collettiva
che può, se organizzata in modo cosciente, intorno alla solidarietà, porsi l'obiettivo
di produrre socialmente la propria esistenza cooperando con tutti gli esseri viventi
del pianeta.
Per comprendere le condizioni del potere-lavoro contemporaneo nei termini di
un quinto potere, non è più possibile far prevalere la critica dello sfruttamento del
lavoro sulla critica del genere, del sesso o della natura. Definire il lavoro alla luce
delle relazioni di genere e razziali, interpretare il sessismo e il razzismo come
espressioni della violenza sociale perpetrata dallo stesso potere significa rompere
le gerarchie esistenti e combinare i conflitti in una "classe" sottoposta a molteplici
forme di oppressione e capace di molte forme di resistenza possibili. Considerare
queste dimensioni in un orizzonte politico comune significa prevedere un divenire
co-rivoluzionario tra soggetti diversi. Il modo in cui si intersecano e condividono
le stesse condizioni che caratterizzano questa classe dimostra che la politica può
estendersi e andare dalla contestazione della proprietà privata dei mezzi di produzione
alla contestazione dei rapporti di potere biopolitici, alla lotta contro lo sfruttamento
dei viventi. Queste idee hanno orientato a lungo le traiettorie del femminismo,12
dell'ecologia politica13 e del marxismo.14 Un approccio simile si ritrova anche nella
storia più che secolare del concetto di quinto potere. Dal XIX secolo indica il
movimento di emancipazione femminile,15 la ricerca di libertà e uguaglianza dei
lavoratori temporanei, salariati e autonomi, l'instaurazione del mutualismo e della
cooperazione che non dipendono dallo Stato o dal mercato, alternativa alla cultura
produttivista, patriarcale e antropocentrica.

12Crenshaw [15], Davis [16].


13Audier [17].
14Harvey [18], Hardt e Negri [19].
15Alesso [20].
2.6 Intersezione e multiposizione19

2.6 Intersezione e multiposizione

Il potere-lavoro è la facoltà che si in-futura dal qui e ora di ogni atto materiale e
intellettuale, nella produzione e riproduzione di merci e relazioni, dei loro usi e
contraddizioni. Nasce dalla resistenza a un processo di sfruttamento ed è
l'espressione di una modalità politica nel contesto dell'economia e della società
capitalista. La tesi principale della teoria del potere-lavoro è: ciò che viene prima è
la facoltà che guida una soggettività e le permette di utilizzare il mondo. Segue
l'organizzazione che la mette al lavoro, la sfrutta e la viola. Facoltà e
organizzazione, potere-lavoro e rapporti di produzione si implicano
necessariamente a vicenda. Tra loro non è possibile alcun accordo. Il conflitto è
permanente in una società capitalista. La scelta di privilegiare la forza-lavoro
rispetto al capitale dipende dal punto di vista politico che guida la propria vita,
attraverso il quale si interpreta il processo di produzione del valore e il suo
sfruttamento. Questa scelta deriva da un'inversione e riflette una priorità politica,
etica ed economica. Senza considerare questa priorità del potere-lavoro, si rischia
di rappresentare lo sfruttamento come una dimensione totalizzante e insuperabile e
il soggetto come un individuo completamente identificato con gli oppressi, gli
sfruttati, i repressi e gli alienati.
Il potere-lavoro è la manifestazione della possibilità di essere diversi da ciò che
è. Questa possibilità non è un'opzione teorica, non è una volontà o una norma. È
una differenza che si manifesta in un multiverso di rapporti di potere, classe, razza
e genere. Come facoltà politica della soggettività, il potere-lavoro deve essere
compreso guardando l'intersezione di norme giuridiche, economiche e sociali che
fanno sì che la soggettività si sviluppi in una forma subordinata che si esprime
nella multiposizionalità dei soggetti rispetto a se stessi e al mondo.16
La differenza tra intersezione e multiposizione consiste nel fatto che la prima
considera le relazioni sociali come isolate e fisse, mentre la seconda considera le
posizioni in termini storici e dinamici, in perpetua evoluzione, come oggetti di
continua rinegoziazione. La soggettività è il risultato della relazione tra
l'intersezione del dominio e la multiposizione della liberazione all'interno dei
conflitti in cui è inserita, e di cui è il prodotto. Il contributo della teoria del potere-
lavoro in questo dibattito politico femminista è potenzialmente decisivo: non c'è
contraddizione principale, né secondaria, tra classe, razza e genere. Tra le singole
situazioni in cui si trova il potere-lavoro c'è una sintesi disgiuntiva in cui una
contraddizione è sempre la contraddizione principale quando si manifesta in una
specifica situazione di sfruttamento, violenza o discriminazione razziale e di
genere. Tuttavia, lo sfruttamento e la violenza sono i risultati di una molteplicità di
posizioni occupate dai soggetti nelle relazioni in cui si trovano, in cui non
subiscono, ma in cui agiscono.
Interpretare il genere e la razza in termini di classe, e definire la classe alla luce
delle relazioni di genere e razziali, permette di eludere la logica del puro dominio
e di affrontare la questione della resistenza e della rivolta. Il potere-lavoro, inteso
come facoltà, è

16 Sul dibattito
sull'intersezionalità e la sua relazione con la teoria della multiposizione nella teoria
femminista si veda Dorlin [21].
202La teoria del potere-lavoro

posto all'intersezione delle posizioni che compongono i soggetti ed esprime la


possibilità della sua trasformazione in molteplici direzioni che non sono state
(ancora) anticipate dal sistema di sfruttamento.
Il potere del lavoro, come Arbeitskraft, può essere definito nei seguenti termini:
- è una facoltà che è rimossa e tuttavia è presente;
- è una facoltà invisibilizzata, eppure ha
- un'agenzia;
è una facoltà espropriata, eppure genera altri usi potenziali del sé insieme ad altri.
La sintesi tra queste contraddizioni - ognuna vale in sé, ma prende vita nella
disgiunzione e ricomposizione con le altre - caratterizza la soggettività
multipositiva del potere-lavoro. Da un lato, ciò significa che i dominati possono
essere i dominatori degli altri - la donna sfruttata sul lavoro può essere lo
sfruttatore di una donna immigrata che lavora per la sua famiglia; dall'altro, i
dominati sono tali rispetto a una condizione specifica - la donna immigrata può
essere sfruttata sia come donna che come migrante. La multiposizione indica la
possibilità di rovesciare queste relazioni di dominio, liberando il soggetto dall'una
o dall'altra. Il potere lavorativo è un campo di lotta aperto. È sempre possibile
rovesciare una posizione, superare la contraddizione e arrivare alla definizione di
una nuova contraddizione. Questo è indicativo del fatto che la vita si trasforma e si
complica nel processo di costituirsi diversamente da quello che è in un dato
momento.
La differenza è ciò che fa rinascere il potere-lavoro; è ciò che si afferma nella
vita di coloro che sono sottoposti a un potere estraneo e vincolante. Quando il
dominato, il subalterno e lo sfruttato comprendono la loro differenza,
- si liberano dall'identità che li domina e iniziano un processo di individuazione
attraverso il quale diventano altro da sé;
- capiscono di non essere solo ciò che sono ora, ma possono essere altro;
- capiscono se stessi come altro da ciò che sono ora, e possono già essere altro.
Questa rinascita - sono sfruttato e sono così, ma sono contemporaneamente altro -
può essere spiegata sulla base del doppio carattere del potere-lavoro:
• I soggetti attivi comprendono una forza produttiva a disposizione del capitale;
• costituiscono anche ciò che può contrastare lo sfruttamento.
Questa duplicità emerge quando il potere-lavoro usa tutte le sue facoltà ed entra
in contatto con la potente agenzia che incarna, sia fisicamente che mentalmente. È
un processo aperto che libera il suo potenziale e diventa così ciò che non si può
prevedere all'inizio. Questo processo non è solo individuale, è anche collettivo.
Infatti, la forza-lavoro, intesa non solo come capacità di lavoro ma anche come
facoltà, è sociale e cooperativa. Ciò significa che quando comincia ad agire
politicamente, entra in risonanza, e questo si manifesta quando le azioni sono
realizzate in concerto, indipendentemente dal fatto che queste azioni siano consonanti
o dissonanti. Il concerto è un'azione collettiva e organizzata. Proprio come un
concerto, può esprimersi in forme organizzate o imprevedibili. Così "politico"
significa eseguire musicalmente il potere di essere al tempo stesso questo e altro.
2.7 La Facoltà delle Facoltà21

2.7LaFacoltà delle Facoltà

L'assenza di un'indagine sul potere-lavoro continua a pesare sul dibattito filofisico.


Il problema è sempre stato compreso in modo parziale e mai specifico. La critica
del lavoro è stata rimossa da un'indagine filosofica basata su norme trascendentali
secondo le quali la giustizia sociale deriva da un'equa distribuzione dei beni
primari.17 Ciò che questo approccio ignora è il problema della produzione di questi
beni e la sua relazione contraddittoria con la soggettività che si afferma in una
produzione che aliena la sua principale facoltà: la forza-lavoro. Poco o niente è stato
detto sul rapporto tra la forza-lavoro e le teorie del contratto e dell'obbligo che
hanno regolato fin dall'antichità i contratti di lavoro subordinato o autonomo e
che, attraverso il diritto romano, si sono incorporate nel dispositivo che ci permette
ancora di parlare di lavoro. Il campo di analisi è stato largamente ignorato anche dalla
teoria della democrazia, che intende la divisione del lavoro, e i rapporti di potere
che la sottendono, esclusivamente in termini di distribuzione ineguale delle
risorse, escludendo così queste ultime dalle discussioni sulla polis.
Il fatto che il potere-lavoro sia invisibile agli occhi di un influente dibattito
filosofico è il risultato della mancanza di domande sulle condizioni di
emancipazione del lavoro e di liberazione dei soggetti.18 La problematizzazione di
concetti come "socialismo" e "comunismo" si è trasformata in un progetto di
amministrazione (governance, gestione) delle garanzie sociali residue, per cui il
conflitto e la giustizia sociale sono intesi solo come un problema di distribuzione
di sempre meno risorse sempre meno disponibili.19 Questa filosofia non ha
analizzato la creazione di nuove forme di dominio sulle vite che vengono
spietatamente messe al lavoro, né spiega come la soggettività possa evitare di
essere catturata sfruttando una facoltà che non può essere ridotta al suo uso
capitalista.
Nell'opera che ha ispirato l'analisi della biopolitica, Michel Foucault non ha
guardato al potere-lavoro attraverso il suo concetto di vita (bios).20 Con alcune
eccezioni degne di nota,21 l'elaborazione che ne è seguita non ha colto la relazione
tra il governo del potere-lavoro e il dispositivo neoliberale. Questo ha portato a
considerare la politica come un dispositivo che distrugge la vita (tanatopolitica),
mentre la specificità del potere-lavoro identificata da Marx - una merce "speciale",
in quanto è una facoltà che sviluppa la potenzialità di una vita - è scomparsa
poiché questa interpretazione ha ridotto il concetto di vita a un fatto biologico. Le
diverse articolazioni dell'opera di Foucault, tuttavia, includono una teoria della
soggettività che riconosce le caratteristiche presenti nella teoria del potere-lavoro.
La relazione non lineare tra Foucault e Marx, che

17Vedi Rawls [22].


18 Vedi le osservazioni di Stiegler sull'assenza dei filosofi nel dibattito sul lavoro, in Stiegler [23,
31].
19Vedi Trentin [24], Honneth [25].
20Vedi Foucault [26].
21Per una diversa filosofia del lavoro si veda: Tronti et al. [22], Finelli [23], Macherey [24], Berardi
(Bifo) [27], Bologna [25, 26], Virno [10], Hardt e Negri [28, 29], Marazzi [12], Fumagalli [13],
Monnier e Vercellone [30, 117-120].
222La teoria del potere-lavoro

fonda una critica della soggettività contemporanea, permette di salvare il potere-


lavoro dalla "governance neoliberale", che viene trattato come espressione del
capitale umano. Questo obiettivo è condiviso da un'ampia gamma di filosofie
contemporanee, dalla teoria critica alla critica spinozista degli affetti, alle varie
articolazioni del post operaismo o del marxismo astratto, dalla psicoanalisi alla
psicodinamica del lavoro.22
L'assenza di una teoria del potere-lavoro nel dibattito teorico e critico è ancora
maggiore, se possibile, nel dibattito politico. Oggi siamo tornati a parlare
ripetutamente di "lavoro". Questa riscoperta coincide con un allarmante
peggioramento delle disuguaglianze e con l'impoverimento causato dal vivere una
vita precaria, indebitata e senza protezione. Il "lavoro" è pensato come la leva per
incrementare la produttività, la domanda e il consumo in un ciclo capitalista che lo
ha reso prima temporaneo, poi invisibile. Ammesso che sia possibile ristabilire la
centralità che il lavoro salariato ha acquisito nel ciclo fordista, che non può essere
data per scontata, questa narrazione del lavoro perde di vista la libertà dei soggetti.
Il diritto al lavoro, qualunque sia l'impiego, conta più del diritto di scegliere un
impiego. Agli antipodi, le prospettive neo-socialista e neo-liberale convergono
almeno su un punto: gli esseri umani devono essere messi al lavoro perché è grazie
all'attività produttiva che le persone riescono a dare un senso alla loro vita e si
sentono economicamente utili. Per poi scoprire che questa stessa occupazione,
vista come mezzo di riscatto da uno stato di bisogno, è un'attività che determina la
proliferazione di occupazioni occasionali e sempre meno pagate. Scavare buche e
ricoprirle di nuovo, o costringere una persona a iscriversi a programmi messi in
atto dalle politiche attive del lavoro in cambio di un reddito, sono politiche di
dominio, non di liberazione. Questo tipo di lavoro non porta alla redenzione ma
alla povertà, alla servitù volontaria e alla frustrazione.
L'idea stessa che il potere del lavoro sia un esercizio di libertà e
autodeterminazione continua a prosperare. Questa narrazione deriva da un'antica
credenza: il lavoro, non la produzione capitalistica di plusvalore, è una "forza creativa
soprannaturale" capace di generare ogni tipo di ricchezza. Oggi più che mai il
lavoro è un'attività che nega la fonte del potere-lavoro. Non tenere conto della
differenza politica e concettuale tra il potere-lavoro come facoltà o potenza di
creare l'uso del mondo e la forza-lavoro come capacità alienata di lavorare
significa identificare gli individui con il lavoro che li aliena.
Il punto di partenza di una teoria del potere-lavoro è, al contrario, la
"personalità vivente" delle donne e degli uomini che lavorano o che non lavorano,
non la concezione del lavoro, sia esso "merce", "popolo" o "capitale umano".
Questa filosofia affronta la duplicità costitutiva del potere-lavoro - potenza
incarnata da soggetti in carne ed ossa e astrazione delle merci prodotte - e formula
la tesi di un diritto all'esistenza basato sul fatto che il potere-lavoro è inseparabile
dal potenziale degli esseri umani, che la libertà e i diritti sono inseparabili dal
potere

22Per unapanoramica del dibattito contemporaneo si veda: Cukier [14]. Tra gli altri si veda anche:
Dejours [15], Berardi e Smith [16], Lordon [17], Vincent [18], Clot [31, 32], Renault [33], Deranty
e
Smith [34], Henry [35, 36].
2.7 La Facoltà delle Facoltà23

dei molti. Il diritto all'esistenza è la lotta per affermare una vita sulla base delle
facoltà che la rendono viva -intellettuale, pratica, linguistica, corporale, psichica e
cooperativa- che non può essere ridotta a identità biologiche o politiche caritatevoli. Il
diritto all'esistenza "supera la nuda vita",23 non si riferisce ad una sfera di mera
sopravvivenza e non deve essere limitato ad una dimensione economica puramente
redistributiva. La ricerca di dignità e autonomia si afferma a partire dal potere-lavoro,
considerato come la facoltà delle facoltà che esprime sia la "personalità vivente" di
un individuo sia una possibilità universale e comune.
Il potere-lavoro come facoltà delle facoltà mette in moto tutte le altre facoltà a
disposizione del soggetto. Non deve essere inteso come se occupasse il primo posto in
una gerarchia di facoltà appartenenti all'essere umano, ma come l'attivazione di
tutte loro allo stesso tempo. Le facoltà non formano una gerarchia, ma un
parallelismo che esprime quello che Baruch Spinoza chiamava conatus, cioè il
potere (potency, potentia) della vita di produrre tutti i valori d'uso. La simultaneità
è reale da quando esiste il capitalismo. Per la prima volta nella storia, tutte le
facoltà degli esseri umani sono mobilitate verso un fine che è l'opposto della
felicità o beatitudine che deriva dalla conoscenza di Dio, come la intendeva
Spinoza. Le facoltà vengono espropriate, oggettivate in capacità alienate, messe in
conflitto e spesso annientate. Questo accade nelle teorie del capitale umano e,
all'opposto, nelle teorie operaiste del lavoro, che sono modalità diverse di
alienazione della forza-lavoro. Nel primo caso l'espropriazione di queste facoltà
avviene attraverso l'antropomorfosi del capitale, cioè l'umanizzazione del capitale
e la capitalizzazione di ciò che è umano. Nel secondo caso si manifesta nella
contraddizione del contratto (di lavoro) che protegge gli individui e, allo stesso
tempo, stabilisce la loro subordinazione in un rapporto di potere.24
La teoria del potere-lavoro sovverte queste forme di (auto)sfruttamento. Libera il
potere-lavoro dalla teleologia del lavoro e dagli effetti totalizzanti del capitale.
Afferma la possibilità di un divenire non contenuto nel lavoro che si fa o nel
capitale che si è costretti ad essere. Questa possibilità è il risultato di un esercizio,
di una pratica e di una disposizione etica, della sperimentazione della capacità
politica che ha gli attributi dell'azione imprevedibile, irreversibile e
incommensurabile, nelle relazioni tra esseri umani, esseri non umani ed eventi in
un mondo che è allo stesso tempo finito e illimitato.25 La filosofia dell'azione di
Hannah Arendt considera l'azione politica come la capacità di dare inizio a
qualcosa di imprevisto, che supera l'organizzazione guidata e pilotata dagli
individui. Questo inizio non può essere rappresentato come origine, né come
principio o fondamento. È ciò che fa la differenza, è anche ciò che differisce dalla
differenza stessa. L'azione della differenza rispetto a se stessa è la differenziazione,
un movimento che implica ed è implicato in un'azione. L'inizio non avviene mai
una volta per tutte, ma implica l'assemblaggio di altri inizi in tutte le dimensioni
che costituiscono la nostra esistenza. Questo movimento non indica una
dimensione trascendentale dell'azione, ma l'immanenza in cui essa si svolge e si
realizza,

23Vedi Rodotà [37, 233].


24Vedi il
sesto capitolo di questo libro.
25Vedi Arendt [23].
242La teoria del potere-lavoro

come una piega che si ripiega su se stessa o un telaio che tesse il filo legando
insieme il tessuto di eventi, azioni e discorsi. La politica non è solo un'azione
generativa, ma risponde anche a un ordine rigoroso di cause che sono aperte a
nuove differenziazioni.
In questa prospettiva il lavoro non deve essere inteso solo come la capacità di
fabbricare oggetti o produrre merci (praxis), né la politica può essere solo la
capacità virtuosa di creare nuovi inizi (poiesis).26 Questa distinzione è stata
riformulata dal potere lavorativo, perché la facoltà di creare valore mantiene un
rapporto conflittuale con la capacità di produrre beni. L'attività produttiva non
deve essere ridotta alla capacità di lavoro alienato, così come l'attività creativa non
deve essere separata dall'economia in cui diventa un procedimento tecnico o una
singolare prestazione estetica. Il potere-lavoro, inteso come facoltà delle facoltà, è
l'ibridazione di prassi e creazione che permette al potere-lavoro di usare la vita nel
modo in cui lo fa, distanziandolo dai ruoli imposti da sé e dagli altri. Da questa
differenza emerge la possibilità di trasformare il potere-lavoro e il suo impiego
attraverso un'azione politica non solo individuale, ma esercitata collettivamente di
concerto con altri esseri umani. La cooperazione nella sfera politica è la base
dell'attività lavorativa stessa. L'una non si riduce all'altra, entrambe interagiscono
con il potere (potenza) del potere-lavoro.

2.8 Reale e virtuale

Quando si pensa alla forza-lavoro, si tende a cogliere solo i suoi aspetti reali, una
capacità di lavoro che si oggettiva in un prezzo e si scambia con un salario. Tale
capacità coesiste con la facoltà della forza-lavoro di produrre un plusvalore che
persiste in forma virtuale e non cessa di attualizzarsi in un rapporto di produzione.
Il plusvalore è il lavoro non pagato svolto dalla forza-lavoro ed espropriato dai
capitalisti. La sua virtualità è tanto reale quanto quella che appare nella forma
immediata della produzione di una merce. Per comprenderlo, non bisogna partire
da ciò che è reale, ma dalla sua implicazione con ciò che è virtuale e si esprime in
un modo tanto nascosto quanto determinato.
La dialettica tra reale e virtuale nel potere-lavoro rovescia sia lo schema
ilomorfico che distingue tra materia e forma, sia quello trascendentale che
distingue il possibile dall'effettivo. L'ilomorfismo si basa su una relazione tra un
soggetto sovrastante e un oggetto inerte legati da un'operazione che crea una
forma dall'esterno, mentre la materia è modellata da un'operazione tecnica o
creativa estranea. In questo caso si trascura il fatto che la materia è sempre il
risultato di processi che l'hanno formata, così come il soggetto è il risultato di
un'identificazione modellata in un modello predeterminato o secondo un'idea
preformata.27 Il trascendentale, invece, occupa una posizione paradossale: è fuori
dall'esperienza e, allo stesso tempo, dentro di essa; è empirico, ma anche teorico; si
affaccia sul mondo, ma non fa parte di questo mondo. "Ogni volta che poniamo la
questione in termini di

26Vedi il terzo capitolo di questo libro, il paragrafo intitolato "Uso".


27Vedi Simondon [38, 141 e seguenti].
2.8 Reale e virtuale25

possibile e reale, siamo costretti a concepire l'esistenza come un'eruzione bruta, un


puro atto o salto che avviene sempre alle nostre spalle ed è soggetto a una legge
del tutto o niente".28
La dialettica tra reale e virtuale supera entrambi i modelli in direzione di un piano
di immanenza che "contiene sia l'attualizzazione come relazione tra la virtualità e
altri termini, sia l'attualità come termine con cui la virtualità viene scambiata".29 Il
potere-lavoro si muove in una nuvola di virtualità attualizzanti, che però non si
esauriscono in questo processo di attualizzazione. Si è immerso in un serbatoio di
poteri (potenze) e in una nebulosa di differenziazioni che circondano il presente
senza arrivare all'attualizzazione e che permettono al presente di determinarsi
continuamente. Il virtuale si differenzia in se stesso e raggiunge così
l'attualizzazione, non è l'attuale che attualizza il potenziale di una virtualità
ideale.30 Infatti il virtuale non si realizza, si attualizza. Il suo divenire non
assomiglia a nulla, anche se è limitato dalle condizioni in cui si afferma e in cui,
mentre si attualizza, continua a differenziarsi. "L'attualizzazione del virtuale, al
contrario, avviene sempre per differenza, divergenza o differenziazione.
L'attualizzazione rompe con la somiglianza come processo non meno che con
l'identità come principio. (...) In questo senso, l'attualizzazione o differenziazione
è sempre una creazione autentica. Non risulta da alcuna limitazione di una
possibilità preesistente".31
In questa prospettiva l'alienazione e lo sfruttamento della forza-lavoro - cioè il
suo essere attuale - è un modo di essere altrimenti - una delle espressioni di una
molteplicità. Non è dunque l'attuale che plasma il virtuale, come pretende il
capitale, che lega tutte le espressioni della forza-lavoro al raggiungimento del suo
principio guida, il profitto. Piuttosto, è il contrario: il modo attuale della forza-
lavoro non esaurisce le virtualità che possono essere attualizzate dalla sua facoltà.
Anche quando è ridotto a merce, il potere-lavoro non esaurisce la potenza
(potenza) del suo essere altrimenti. Se così non fosse, non sarebbe possibile
nemmeno la sua mercificazione. Non esiste una forza-lavoro destinata ad essere
alienata per sempre. L'alienazione è un processo che riduce la virtualità della forza-
lavoro a merce. Lo sfruttamento non è irreversibile, anche se i suoi effetti possono
essere così drastici da renderlo inattaccabile.
Una vita danneggiata è ancora in grado di affermare una sproporzione, che non può
essere completamente quantificata, o ridotta ad un unico valore valido per sempre,
attraverso il quale può differenziarsi in altro modo. Questa sproporzione è differenza
in sé (dispars),32 non è l'essenza dell'essere umano, né di nessun altro ideale che
precede questo divenire. Questa differenza si afferma nel lavoro-potenza,
attraverso la sua relazione con il capitale, è il rovescio dei rapporti di potere,
dominio e sfruttamento in cui è implicato, e a partire dal quale si può sperimentare
un altro modo di vivere, cooperare o produrre. La simultaneità, contemporaneità e
compresenza di questa differenza

28Deleuze [39,
211].
29Vedi Deleuze e Parnet [24].
30Vedi Massumi [40, 97 e seguenti].
31G. Deleuze, Differenza e ripetizione, 212.
32G. Deleuze, Differenza e ripetizione, 57.
262La teoria del potere-lavoro

da ciò che esiste e può essere, tra reale e virtuale, è ciò che caratterizza la
condizione del potere-lavoro.
Storicamente il capitalismo ha saputo comprendere questa condizione meglio di
altri e l'ha ridotta a una fase del suo processo di accumulazione. Così facendo, ha
identificato il virtuale con la sua attualità, il potere di essere altrimenti con ciò che non
può essere modificato. Chi ha cercato di liberare la forza-lavoro dalla morsa del
capitale ha capito come questo tipo di tentativo sia sempre legato alle forze che si
organizzano per rovesciarlo o almeno moderarlo. Nemmeno questa operazione
esaurisce la molteplicità delle virtualità che si possono esprimere in una relazione
attuale. Una tale dialettica può essere vista nella lotta di classe, che è il rovescio
della dialettica del capitale. Se il capitale è il motore della ricchezza, la sua causa è
la forza-lavoro. Quando la causa viene negata, la lotta di classe la riafferma. Il suo
scopo è rompere il cerchio e inaugurare nuovi inizi. La lotta di classe mostra che
l'ordine capitalista non è basato su leggi naturali, ma sullo sfruttamento economico
e sul potere politico di pochi su molti. La classe diventa un'entità politica quando
il potere-lavoro supera la divisione tra le parti che costringe i molti, quando accede
a una libertà che non può essere ridotta alla meritocrazia e alla proprietà, e afferma
l'uguaglianza di tutti con gli altri. Tale libertà permette di trovare il coraggio di
sfidare l'ingiustizia fondamentale causata dall'allocazione diseguale di profitti,
ruoli, status e conoscenze, e che può portare alla creazione di connessioni
impreviste che chiudono il divario tra governanti e governati, proprietari e non
proprietari. Una possibilità che non è né data, né acquisita una volta per tutte,
perché anche questa è una delle forme acquisite dai rapporti di potere.
La dialettica tra reale e virtuale rende anche impossibile isolare il potere-lavoro
dalla natura. Questo, infatti, non è possibile sia perché il capitale è un rapporto a
cui anche la natura è sottoposta, sia perché la dialettica tra virtuale e reale si intreccia
con l'evoluzione e la storia di tutti gli esseri viventi. Nella molteplicità delle
relazioni tra specie umane, animali, vegetali o minerali, si intrecciano linee
successive, simulta- te e divergenti che creano assemblaggi tra il reale e il virtuale
in un'infinità di modi. Questa condizione supera il dualismo che oppone la natura a
ciò che è umano e si apre a ciò che Marx ha descritto come relazione metabolica.33 Il
potere-lavoro è il centro di questo rapporto, infatti: "Il lavoro è, prima di tutto, un
processo tra l'uomo e la natura, un processo attraverso il quale l'uomo, attraverso
le proprie azioni, media, regola e controlla il metabolismo tra sé e la natura. Egli si
confronta con i materiali della natura come forza della natura. Mette in moto le
forze naturali che appartengono al suo corpo, le sue braccia, le sue gambe, la sua
testa e le sue mani, per appropriarsi dei materiali della natura in una forma adatta
alle sue necessità. Attraverso questo movimento agisce sulla natura esterna e la
cambia, e in questo modo cambia contemporaneamente la propria natura. (...) Noi
presupponiamo il lavoro in una forma in cui è una caratteristica esclusivamente
umana".34 L'eternità naturale di cui parla Marx non si riferisce ad una concezione
panteistica, ma alla relazione sociale tra gli esseri umani e la natura, che è
mutevole secondo le circostanze

33Vedi Bellamy Foster [41, 11].


34Marx [42, 284].
2.8 Reale e virtuale27

e permanente nella storia di entrambi. Insieme, lavoro, capitale e natura coesistono


su un piano di immanenza segnato da una successione di "fratture metaboliche",
dove si riafferma il diritto inalienabile all'esistenza di tutti gli esseri viventi. La
condizione metabolica è mutevole. Metabolica´ deriva da μεταβoλη (metabolé), che
indica ciò che è soggetto e oggetto di cambiamento.
Ciò che cambia è il rapporto tra forza-lavoro e capitale, tra capitale e natura,
così come i termini individuali di ogni rapporto. La sproporzione e il contrasto tra
questi elementi disparati non devono essere intesi in modo opposto, ma in termini
di co-implicazione in una determinata congiuntura storica. L'essere sociale e
naturale possono essere descritti in uno stesso senso, quello di una metamorfosi in
cui tutto ciò che è diventa in ciò che è diverso. Questo aspetto è stato colto dal
dibattito ecosofico quando si dice che una zona metamorfica è quella in cui la
natura non è l'espressione di una legge naturale e il soggetto non è il grande
ingegnere che ha progettato l'universo. Nella metamorfosi avviene l'unità del
diverso, la connessione dell'eterogeneo, il divenire di serie separate. Questa idea è
il contrario dell'antropocentrismo. È il fisismorfismo: movimento-μoρϕη, morphé- ´
di forza-<luσις, physis-che´ significa sia "natura" che "forza".35 In questo dibattito
non c'è alcun riferimento alla forza-lavoro, che è considerata solo come sinonimo
di "lavoro" mercificato. Tuttavia, la forza del lavoro e la forza della "natura"
condividono lo stesso movimento. Quando si parla di relazione metabolica si
intende un movimento differenziato tra termini distinti che condividono lo stesso
conatus, cioè la tendenza a sforzarsi di persistere nel proprio essere (conatus sese
conservandi).36 Se, dunque, esiste una metamorfosi tra la forza-lavoro, il capitale e
la natura, ciò significa che questi ultimi sono coinvolti in una relazione tra forze
proiettate all'esterno di se stessi che non sono imprigionati in una gabbia d'acciaio.
Questo aspetto generativo del materialismo marxiano non è stato pienamente
colto dall'ecofilia, che parla della forza della "Terra" o "Gaia". Quando si tratta di
identificare una forza politica capace di opporsi alla distruzione del pianeta e al
capitalismo ecocida, questa prospettiva non va oltre l'evocazione di un popolo di
"terrestri" che si oppone a una minaccia comune.37 La teoria del potere-lavoro va
oltre questi riferimenti generici e permette di riunificare le questioni senza
annullare le loro differenze, in un rapporto conflittuale con il capitale e offrendo
una prospettiva di azione politica realizzata di concerto da soggetti storici
individuati. A differenza del capitale, che appartiene a pochi, la forza-lavoro è una
facoltà dei molti, propria di ogni essere umano e del suo rapporto con la natura. Per
queste ragioni il potere-lavoro è di tutti, di ogni individuo e di tutti i popoli, deve
essere protetto e liberato, reinventato, curato e incluso. Il suo diritto all'esistenza
deve essere reso effettivo attraverso il reddito di base universale, la libertà di parola
e di espressione, la libertà dal bisogno e dalla paura, l'amore per se stessi, per gli
altri, per la terra e per l'umanità del futuro.

35Vedi Latour [43, 165 e seguenti], Stengers [25].


36Spinoza [44, 283].
37Vedi l'analisi di Danowski et al. [26].
282La teoria del potere-lavoro

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Capitolo 3
Cos'è il potere del lavoro

La forza-lavoro è duplice: da un lato, è la forza-lavoro produttiva (la forza-lavoro);


dall'altro, è la forza generatrice di plusvalore, una facoltà singolare e universale
che crea l'uso di tutti i valori, non solo di quelli economici. La forza-lavoro è la
merce più preziosa per il capitalismo, per i lavoratori non è solo una merce da
vendere, è anche la forza che crea il valore del capitale.

3.1Il potere lavorativonon cresce sugli alberi

Il potere-lavoro è il prodotto storico di un'attività che può essere descritta in termini


di relazione sociale. Questa relazione include quella tra un datore di lavoro e un
lavoratore; tra lo Stato e una persona con un contratto temporaneo o disoccupata;
tra il mercato e le forme legali di lavoro subordinato o autonomo; tra piattaforme
digitali, fornitori, clienti e lavoratori.
La relazione sociale esprime una relazione di potere. C'è una relazione di conflitto
con i soggetti che assumono e governano il potere-lavoro: nel caso di un contatto di
lavoro abbiamo potere e, dall'altra parte, subordinazione; nel caso del lavoro
autonomo, abbiamo un soggetto che ha l'obbligo di svolgere un lavoro o un
servizio per un cliente che ha il potere di pagare questo lavoro. L'automazione
digitale non è estranea a questa relazione: nel caso del lavoro digitale, il potere-
lavoro è soggetto all'immenso potere delle piattaforme che possono disconnetterlo
con un click. Una simile asimmetria di potere caratterizza anche i meccanismi con
cui gli imprenditori sono incaricati di valutare, controllare e certificare le proprie
prestazioni. Tutte queste aree che abbiamo citato sono caratterizzate da un comune
potere-lavoro condiviso da tipi eterogenei di attività, lavori e soggettività, in tutti i
campi produttivi e non. Questa comunanza è il risultato dell'esercizio quotidiano
della facoltà delle facoltà, comune a tutti gli esseri umani, indipendentemente dalle
nazionalità, presenti nel rapporto sociale di produzione capitalista, che chiamiamo
potere-lavoro.

© The Author(s), sotto licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 202131


R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_3
323Cos'è il potere del lavoro

Il potere-lavoro è un prisma che riflette le relazioni tra Stato e mercato, governi


e soggetti, datori di lavoro e impiegati, acquirenti e clienti, soggetti e lo spazio
urbano in cui vivono. Le connessioni possono essere infinite e si applicano a tutti i
tipi di lavoro, autonomo o subordinato. Per queste ragioni il potere-lavoro non
deve essere inteso solo in termini di lavoro, ma come un'attività il cui significato,
nome e valore cambiano a seconda delle relazioni sociali implicate nella sua
concezione ed esecuzione. Il potere-lavoro non deve essere considerato in termini
di posti di lavoro perché si esprime anche in forme diverse dal lavoro stabile
regolato da contratti con datori di lavoro pubblici o privati: nel lavoro autonomo,
per esempio, dove il lavoro è slegato dal luogo di lavoro e non è regolato da un
contratto subordinato, o nelle imprese in cui il potere-lavoro si esprime
ugualmente, anche se in modo opposto a quello dei rapporti di lavoro subordinato
o freelance.
Né la forza-lavoro deve essere intesa solo come una merce. Piuttosto, è da
intendersi in termini di produzione che mobilita elementi e soggetti eterogenei in
una rete di relazioni tra esseri umani, macchine, infrastrutture, codici e simboli. In
quanto prodotto storico, la forza-lavoro non è un fatto irreversibile. Ciò che
costituiva il lavoro in passato potrebbe non esserlo più oggi. Ciò che non costituiva
lavoro in passato, oggi è diventato lavoro. Ciò che aveva un valore morale in passato,
oggi potrebbe non averlo, e viceversa. E, infine, ciò che oggi è considerato "lavoro
produttivo", domani potrebbe essere "lavoro improduttivo".1 La storicizzazione
integrale del concetto di potere-lavoro fa emergere una relazione politica: i
lavoratori - siano essi schiavi, servi, contrattisti o liberi professionisti - sono
costretti a farsi carico della propria sussistenza e di quella del proprietario dei mezzi
di produzione: sia esso un "teocrate etrusco, un civis romanus, un barone normanno,
un proprietario di schiavi americano, un boiardo valacco, un moderno possidente o
un capitalista".2
La situazione è inserita in un rapporto giuridico che regola lo scambio tra
lavoro e compenso. Sembra che il tempo e il lavoro siano interamente pagati dal
proprietario dei mezzi di produzione, ma non è così. Il lavoro è pagato sempre
meno, mentre le ore di lavoro sono sempre più lunghe. Questa inversione costituisce
la natura sociale del lavoro come merce, l'espressione della relazione politica tra
capitalista e lavoratore. Marx lo identificò per la prima volta come la "duplice natura"
(zwieschlächtig) della forza-lavoro: da un lato, il lavoro nel senso di Arbeitskraft
produce valore d'uso, lavoro utile; dall'altro, c'è il lavoro nel senso di
Arbeitsvermögen che produce valore di scambio. Una simile duplice natura è presente
nella potenza-lavoro in senso fisiologico - come investimento e spesa di energia - e
in senso astratto perché costituisce il valore delle merci. La specificità di questo
rapporto è all'origine della soggettività contemporanea e mostra che il plusvalore
non deriva dalle intenzioni dei capitalisti, dalla circolazione delle merci, dalla
compravendita del lavoro o dall'automazione, ma dal potere-lavoro di coloro che
non hanno nome e non hanno parte.3

1Sul lavoro come storia o "invenzione moderna" si veda Gorz [1].


2Vedi K. Marx, Capitale, 344.
3Vedi Rubel [2].
3.1 Il potere del lavoro non cresce sugli alberi33

Sono gli uomini e le donne che lavorano in un contesto politico ed economico,


non il lavoro in sé, a definire cosa sia il potere-lavoro. È l'attività che stabilisce il
significato del lavoro, non la sovrapposizione di una nozione astratta di lavoro
all'azione e ai rapporti di potere che produce. Questa attività non è un esercizio
unilaterale e volontario da parte del soggetto, ma fa parte di una relazione politica
tra soggetti subordinati e dominanti e di una procedura che regola uno scambio tra
chi lavora e chiede un salario e, dall'altra parte, chi acquista una merce e stabilisce
un prezzo.

3.2 Arbeitskraft/Potere del lavoro

Intendiamo per forza-lavoro, o capacità-lavoro, l'aggregato di quelle capacità mentali e


fisiche esistenti nella forma fisica, la personalità vivente, di un essere umano, capacità che egli
mette in moto ogni volta che produce un valore d'uso di qualsiasi tipo.4

Con il concetto di Arbeitskraft Karl Marx considera la forza-lavoro come una


facoltà del lavoro e come la capacità di lavorare (Arbeitsvermögen) sullo stesso
piano. La o indica una sintesi disgiuntiva inclusiva.5 Facoltà e capacità sono
elementi diversi della stessa proprietà. Marx usa Kraft in termini di forza, facoltà e
capacità. La loro compresenza indica l'esistenza di una facoltà che rende possibile
l'esercizio delle diverse funzioni del corpo, della ragione, dell'immaginazione; la forza
o la disposizione ad agire o pensare rispetto ad uno scopo e alla luce di una
motivazione; la capacità di fare liberamente una scelta o applicare una regola o un
comando. Questa concezione del potere-lavoro permette di indicare sia una condizione
di possibilità che una capacità specifica "per il lavoro". Il potere-lavoro comprende le
facoltà implicate dalla pratica produttiva e dalla vita: sensibilità, intelletto,
ragione, giudizio. È la facoltà delle facoltà che mette in azione tutte le altre
rispetto a uno scopo - la produzione - e rispetto alla costituzione di una
soggettività più ampia di quella del singolo lavoratore. Questa facoltà è
l'espressione della nozione di "personalità vivente di un essere umano" che produce
"valore d'uso di qualsiasi tipo" ed è capace di attivare tutte le facoltà di cui dispone
un soggetto. Questa produzione nasce dalla relazione tra l'intelligenza dei corpi e
la corporeità della conoscenza. Il contenuto di ciò che Marx definisce "valore
d'uso" è dato dall'intelligenza corporea e dalla corporeità intelligente della forza-
lavoro. Il suo valore non dipende dall'esercizio della conoscenza in sé, ma
dall'esercizio della
forza-lavoro che produce nuove conoscenze e capacità d'azione.
La duplice natura del potere-lavoro, come facoltà o capacità-lavoro, deve essere
compresa nel senso di un nuovo tipo di materialismo, quello dell'immanenza. La
forza-lavoro è, allo stesso tempo, come facoltà la possibilità di agire liberamente, e
una capacità di

4 K. Marx, Capitale, 270.


5Si veda G.Deleuze, La logica del senso.
343Cos'è il potere del lavoro

lavoro, che è il contenuto di questo atto. Questa possibilità non si incarna in un


principio transcendentale e soggettivo indipendente dall'esperienza, ma in un
corpo, nella sua forza e capacità. La forza-lavoro non è un principio, è "forma
fisica". Con questa espressione Marx intende l'insieme dell'esperienza umana,
fisica e intellettuale. La corporeità è una relazione materialistica tra intelletto,
conoscenza, bisogni e azioni che i soggetti sviluppano nel corso della loro vita. La
produzione di valore - di tutti i valori - non parte dall'applicazione di un principio,
ma dall'esercizio di "capacità mentali e fisiche" esistenti in una "forma fisica". Il
corpo non è il supporto, ma l'agente della produzione di valore.
Il potere-lavoro (Arbeitskraft), inteso come facoltà di generare tutti i valori d'uso
e la capacità di lavoro (Arbeitsvermögen), intesa come capacità di portare uno
sforzo al suo scopo, appartengono al corpo e alla mente. Prendono forma in uno
scambio commerciale e si trasformano in una relazione con le merci che
producono. Si modificano costantemente perché rispondono alla condizione
materiale dei soggetti e sono inseparabili dalla loro individuazione storica. La
mercificazione è una delle conseguenze dell'uso della forza-lavoro che modifica la
relazione tra gli individui, le loro facoltà e il valore. Questo uso è parte di un
processo che Marx pone al centro dell'economia capitalista che, per la prima volta
nella storia, impiega consapevolmente le facoltà degli esseri umani e la loro capacità
di lavoro. Aspetti della vita intellettuale e pratica sono mobilitati dagli usi della forza-
lavoro. Il capitalismo cattura i risultati di questa produzione perché si appropria
della facoltà che attiva tutte le facoltà e crea valori d'uso a partire dai corpi
individuali.
La forza-lavoro esiste solo come capacità dell'individuo vivente. La sua produzione
presuppone quindi la sua esistenza.6

La forza-lavoro non è un principio del capitale, è l'espressione di una facoltà


degli individui viventi che trasferiscono temporaneamente una certa capacità
lavorativa. Il cuore del sistema non è il lavoro mercificato, ma una facoltà
potenziale non ancora oggettivata. La forza-lavoro diventa una merce solo dopo che
si è venduta, non è una merce in origine. È per definizione una facoltà che deve
essere utilizzata dal suo proprietario. La qualità politica del processo di
accumulazione si fonda su questa differenza.
Il proprietario della forza-lavoro deve sempre venderla solo per un periodo limitato, perché
se la vendesse in blocco, una volta per tutte, venderebbe se stesso, trasformandosi da uomo
libero in schiavo, da proprietario di una merce in una merce. Egli deve costantemente
trattare la sua forza-lavoro come una sua proprietà, una sua merce, e può farlo solo
mettendola a disposizione del compratore, cioè consegnandola al compratore perché la
consumi, per un determinato periodo di tempo, temporaneamente. In questo modo egli riesce
sia ad alienare la sua forza-lavoro sia a non rinunciare ai suoi diritti di proprietà su di essa.7

Se fosse permanente, la vendita della forza-lavoro sarebbe schiavitù e non


avrebbe le caratteristiche di ciò che viene trasferito volontariamente. Tale cessione
non è libera, ma subordinata al bisogno e agli obblighi imposti dai rapporti di
potere esercitati da chi ha il denaro. Ciò che viene venduto è la capacità astratta di
svolgere un lavoro,

6 G. Deleuze, La logica del senso, 274.


7G. Deleuze, La logica del senso, 271.
3.2 Arbeitskraft/potere del lavoro35

che è inseparabile dalla personalità vivente dell'esecutore, non la vita di questo


esecutore. Il potere-lavoro, come Arbeitskraft, esiste nell'esercizio della vita - nel
corpo vivente o nella personalità di chi lo usa - non solo nella sua vendita e
trasformazione in merce. Il potere-lavoro è tale a condizione che:
Il possessore di forza-lavoro, invece di poter vendere merci in cui il suo lavoro è stato
oggettivato, deve piuttosto essere costretto a offrire in vendita come merce quella stessa
forza-lavoro che esiste solo nel suo corpo vivo.8

Questo processo opera simultaneamente su due livelli. Da un lato, abbiamo la


forza-lavoro (Arbeitskraft), la facoltà concessa temporaneamente da un lavoratore
in cambio di un salario; dall'altro, abbiamo la capacità di lavorare
(Arbeitsvermögen), che pone un potenziale di lavoro in un'attività produttiva che
sfugge al controllo del lavoratore. La distinzione tra forza effettiva e forza
potenziale è soggetta a progressive congiunzioni e disgiunzioni che avvicinano e
allontanano i singoli termini. Un'analisi chiara ci permette di comprendere la
gamma polisemica di queste espressioni alla luce dell'unicità di un processo
incarnato fisicamente e mentalmente dalla forza-lavoro.
Nel passaggio da un livello all'altro, l'Arbeitskraft come facoltà del potere-lavoro
diventa una capacità produttiva, privata delle caratteristiche specifiche della
"personalità vivente", soggetta alle regole che permettono di valutare, misurare e
modellare il suo uso. La forza-lavoro è sfruttata due volte: come Arbeitskraft -
perché il valore è misurato come la quantità di lavoro necessaria per produrre
forza-lavoro - e come Arbeitsvermögen - perché il valore è misurato dalla quantità
di lavoro che può produrre.9 Come Arbeitsvermögen, tuttavia, la forza-lavoro non
perde il suo potenziale di esprimersi altrimenti nell'attività produttiva effettiva.
Questa virtualità diventa intelligibile quando si ricorre a una sintesi disgiuntiva
inclusiva, la forma logica della duplice relazione tra facoltà e capacità di lavoro. Il
potere-lavoro produttivo non è la stessa cosa del potere-lavoro potenziale, la loro
relazione persiste in ogni singola azione del soggetto come nel rapporto di lavoro.
Il potere-lavoro si forma nella dialettica di una disgiunzione che include o di una
inclusione che separa. Il potere-lavoro è tanto un potere attuale che esclude le
potenzialità disponibili quanto un potere potenziale che include atti esistenti.
Questa differenza è anche visibile nella separazione della forza-lavoro dalla sua
persona. La mercificazione separa il portatore naturale della forza-lavoro dal suo
utilizzatore che realizza un profitto sotto forma di plusvalore (Mehrwert). Questo
profitto non è incluso nel salario, ma è presente nella giornata lavorativa e, in
generale, nelle attività libere svolte dal lavoratore in cerca di lavoro. Il plusvalore è
nascosto ai lavoratori che sono costretti a cedere una parte della loro giornata
lavorativa, insieme a tutte le attività che non fanno parte del rapporto di lavoro, ma
che sono ugualmente produttive, a chi paga solo una parte del surplus della forza-
lavoro. La frontiera tra lavoro e plusvalore, tra forza effettiva e potenziale, non
può essere identificata in nessuno dei rapporti di lavoro capitalistici e pesa sulla
quantificazione del compenso del pluslavoro.

8 G. Deleuze, La logica del senso, 272.


9Vedi Macherey [3, 145-212].
363Cos'è il potere del lavoro

I capitalisti disconnettono il lavoro-potere dalla sua azione e non includono


l'esercizio della facoltà con quello del potere. Separando i soggetti dalla loro
personalità vivente, la vita dal suo potenziale, il regime del lavoro salariato riduce
la forza-lavoro a ciò che è già, mentre l'uso della potenza - ciò che non è ancora -
non è riservato al proprietario della forza-lavoro, ma a coloro che l'hanno affittata
e che la usano per il proprio profitto. Se la forza-lavoro fosse un appartamento,
questa operazione porterebbe allo sfratto dell'inquilino. In questo caso, invece,
legittima un sistema in cui i padroni di casa non solo dispongono di ciò che non
possiedono, ma hanno anche il potere di un'altra persona.
La duplice natura della forza-lavoro, il suo essere sia Arbeitskraft che
Arbeitsver- mögen, esprime un'attività. Nella misura in cui la forza-lavoro è una
potenza produttiva conserva il valore dei mezzi di produzione, mentre come
potenza potenziale crea nuovo valore aggiunto. Il fatto che il plusvalore non sia
più posseduto dalla forza-lavoro è la condizione perché il valore esista. L'ordine
logico è invertito: il plusvalore precede il valore, una facoltà è intesa come ciò che
è per il suo potenziale, non per ciò che fa in un dato momento. La riproduzione del
valore dei mezzi di produzione non è possibile senza una "personalità vivente" che
produce nuovo plusvalore. Ma questa personalità è alienata dalla produzione di
plusvalore, mentre il suo pluslavoro non viene pagato.
Questa continua inversione traduce il conflitto intrinseco del lavoro-potere. La sua
espressione logica è la categoria della sintesi disgiuntiva inclusiva. Il lavoratore,
espropriato del valore prodotto dalla forza-lavoro, può compiere un'operazione che
è l'opposto della sintesi capitalista: staccare la sua forza-lavoro dalla forza
produttiva e includere la sua forza potenziale nella capacità lavorativa. La forza-
lavoro è prima di tutto una forza generativa - non produttiva - e lo diventa quando
si afferma come potenza potenziale in azione. I capitalisti intensificano la loro
presa sul potere e sul controllo delle azioni, mentre i lavoratori affermano il loro
potere e cercano di liberarlo dal loro controllo.
Per i capitalisti, il potere-lavoro è un potere produttivo, mentre per i lavoratori
è un potere generativo. Nel mezzo del conflitto, queste definizioni sfumano e si
intrecciano, mentre la definizione del potere-lavoro si arricchisce di nuove
contraddizioni. Questa dialettica permette di spiegare l'atto di vendita del potere-
lavoro come una relazione politica e non solo come uno scambio commerciale o un
accordo contrattuale. Questa vendita non aliena la "personalità vivente" del soggetto,
ma la sua identità mercificata e astratta in cui si esprime anche questa personalità.
Come facoltà, la forza-lavoro afferma la sua forza di esistere anche quando viene
venduta. La forza (potenza) del potere-lavoro può essere alienata, ma non persa, se
non con la morte. È un uso della vita e può essere inteso come resistenza. I venditori di
lavoro non rinunciano alla proprietà di ciò che li rende umani, responsabili e
capaci di azione: la capacità di creare, governare o cambiare la propria vita. Anche nel
caso della schiavitù, o delle forme più brutali di sfruttamento, questa facoltà rimane
una memoria viva e un agente potenziale in una vita che è stata privata di tutto il
resto.
La forza-lavoro è l'espressione del conflitto tra chi è separato dalla proprietà dei
mezzi di produzione, ma possiede la forza-lavoro come facoltà, cioè i lavoratori, e
chi possiede tali mezzi, ma manca della forza-lavoro, cioè
3.2 Arbeitskraft/Potere del lavoro37

i capitalisti. Questo è il motore politico del capitalismo. Si trova nella definizione


di forza-lavoro, non solo in quella di capitale. Coloro che sono senza proprietà - il
proletariato - producono un valore incalcolabile per la proprietà stessa - il potere-
lavoro. L'idea di Marx sovverte le gerarchie di potere in un mondo alienato: la
facoltà, o potenza, della forza-lavoro vale più di un bene oggettivato. Il valore del
primo è la base dell'accumulazione del secondo, non il contrario. Questa
inversione avviene quando la vita viene messa al lavoro e privata di ogni
proprietà. La ricchezza è prodotta dalla "personalità vivente" della forza-lavoro,
quella che crea il plusvalore.

3.3 Arbeitsvermögen/Capacità di lavoro

Anche nell'Arbeitsvermögen - la "capacità di lavorare", il potere di fare qualcosa - ciò


che si può identificare è un potenziale, o dynamis, il principio del movimento o di
qualsiasi trasformazione in qualsiasi altra cosa che abbiamo visto
nell'Arbeitskraft.10 La capacità di lavorare esprime ciò che è "potenzialmente"
presente nella facoltà del lavoro (Arbeitskraft) ed è destinato ad essere "attuale" nel
lavoro (Arbeit). I capitalisti sono interessati a questa potenzialità, ciò che non è
ancora ma può essere determinato come merce. La trasformazione di questa
potenzialità in attualità avviene attraverso l'esercizio di una capacità di lavoro nella
materia, nel corpo, nel pensiero. In questo modo la forza-lavoro attualizza una delle
potenzialità presenti nelle attività umane che diventano reali quando questo
cambiamento è effettivo.
Nell'Arbeitsvermögen c'è un potenziale che si attualizza, anche se nel modo
modellato dal capitalista. Questo potenziale è l'Arbeitskraft che non ha un
contenuto predeterminato, lo acquisisce secondo la disposizione storica, politica o
produttiva del suo soggetto. È il risultato della trasformazione di questo potenziale
in attualità, un processo che può essere definito solo quando le forze virtuali
diventano agenti nella merce. Tuttavia, lo statuto di questo potenziale continua ad
essere quello di qualcosa che "quasi esiste", sospeso tra essere e non essere, ed è
caratterizzato da una profonda ambiguità. Il potere-lavoro, infatti, è il punto in cui
sorge la differenza tra ciò che è l'attualità e ciò che non lo è. Marx sostiene che la
potenza esiste, ma non è attuale: è ciò che non è presente, ed è fondamentale per la
produzione capitalistica come produzione di valori d'uso.11 L'esperienza della
forza-lavoro può quindi essere descritta come il valore d'uso che i lavoratori
devono offrire ai capitalisti, che essi devono offrire agli altri in generale, che non
si materializza in un prodotto, e che non esiste affatto a parte loro, e che quindi
non esiste realmente, ma solo potenzialmente, come capacità.
I capitalisti attualizzano la forza-lavoro (Arbeitskraft) in una "capacità di
lavoro" alienata e nel suo valore di scambio, mentre l'attualità coincide con la
produzione di una merce. La forza-lavoro (Arbeitskraft) è ridotta a lavoro
mercificato da cui viene estratto un valore predeterminato. Il lavoro è separato dal
suo potere e la vita dei lavoratori partecipa a un processo che li trasforma
radicalmente in

10Vedi Aristotele [4].


11Vedi Virno [5].
383Cos'è il potere del lavoro

soggetti che non hanno né forza né potere. In questo modo il potere-lavoro


(Arbeitskraft) non si incarna in nessuna "personalità vivente" se non quando
trasforma il suo potere-lavoro in merce. Il potere-lavoro è ridotto a un'individualità
già formata che si attualizza in una merce e non è considerato dal punto di vista
della singolarità della sua attualizzazione.
Al contrario, la forza-lavoro è il risultato di un processo produttivo che ha
luogo prima della produzione della forza-lavoro come forza produttiva. Il suo
status di potenza (potency) a metà strada tra l'attualità e la potenzialità, rende i
capitalisti liberi di acquistarla o rifiutarla, trasformandola secondo i loro obiettivi.
La condizione del potere-lavoro è instabile, e la ragione di questa instabilità si
trova nell'assenza di un fondamento definito. Il potere-lavoro può essere descritto
come uno stato di permanenza in perpetua trasformazione, è flessibile in modo
indefinito, pronto a diventare una cosa o un'altra, una cosa e un'altra. Questa
trasformazione avviene dentro e fuori il rapporto di lavoro ed è all'origine della
produzione di ciò che è nuovo. La sua plasticità non permette di definire una volta
per tutte un'essenza predeterminata dell'essere umano, né un uso esclusivo. Tende
verso qualcosa che non è mai determinato una volta per tutte.
Il capitale, invece, costringe la forza-lavoro ad essere virtualmente produttiva in
vista della mercificazione. Lo riduce ad un unico modello, ad un valore illusorio
che coincide con il valore muto delle merci. Al contrario, il potere-lavoro è dotato
di una potenza virtualmente infinita incarnata fisicamente e mentalmente da lavoratori
capaci di affermarsi seguendo una traiettoria diversa: quella di una modulazione
varia e continua di una potenza che è mossa da differenze intensive e differenze
potenziali.
Il potere-lavoro non è né un supporto né una forma pura. L'attualizzazione del
suo potere avviene in un dispositivo che è più ampio della sua mercificazione. Il
potere si cristallizza nell'attualità in modi diversi a seconda delle relazioni sociali
che cambiano a seconda del divenire in cui sono inserite. Invece di trattare un
termine come un assoluto rispetto ad un altro, è possibile trasmettere questo
movimento nella sua durata senza vincolarlo ad una norma o ad un modello già
esistente. Lo stesso dispositif per l'estrazione del plusvalore non è l'espressione di
un potere assoluto, ma di un potere strumentale e relativo il cui rapporto si basa su
una serie di pratiche mutevoli. Così come il potere-lavoro non si trova in natura,
anche il potere si consolida nel processo della sua realizzazione, mentre i rapporti
tra dominante e dominato cambiano in base alla trasformazione in cui sono
coinvolti.
La forza-lavoro è la connessione tra il principio materiale (forza fisica, potenza
quantitativa), il principio immateriale (potenza qualitativa, principio metafisico-
ontologico: potenza) e il principio tecnologico (macchina, produzione). La
capacità di lavorare (Arbeitsvermögen) è uno dei modi in cui si esprime la forza
lavoro (Arbeitskraft). In secondo luogo, è il risultato di una produzione che avviene
prima della produzione, cioè è la generazione della forza-lavoro, incarnata in una
vita intrisa di potere, non un tabernacolo in cui soffia il respiro del capitale. Su
questa base Marx parla della possibilità della soggettivazione della forza-lavoro,
che è diversa e opposta al processo della sua espropriazione.
3.3 Arbeitsvermögen/Capacità di lavoro39

Questa possibilità diventa reale a condizione che il potere non sia compreso
sulla base di una metafisica che lo riduce all'attualizzazione del mercato del
lavoro. L'indi- vidualizzazione è un divenire, non è un processo subito da qualcosa
che è già formato. Determina il potere-lavoro come una potenzialità per cui la capacità
di lavorare (Arbeitsvermögen) è una delle sue determinazioni, non l'unica, insieme alla
riproduzione, alla creazione, alla cooperazione, al linguaggio o ad altre attività
umane che si esprimono nel lavoro. Una soggettivazione alternativa, opposta alla
mercificazione della forza-lavoro, è reale se ha origine nell'inversione di
un'identificazione orientata al suo consumo come mera forza produttiva. Questa
possibilità è presente nella potenza-lavoro stessa ed è immanente al meccanismo
di sintesi disgiuntiva inclusiva di Arbeitskraft/capacità di lavorare e
Arbeitsvermögen/ facoltà di utilizzare la potenza.

3.4 Personalità vivente

Il proprietario della forza-lavoro si percepisce come "libero proprietario della


propria capacità-lavoro".12 Il lavoratore non rinuncia alla sua persona, ma alle sue
capacità, limitatamente al compito richiesto: "In questo modo egli riesce sia ad
alienare la sua forza-lavoro sia a non rinunciare ai suoi diritti di proprietà su di
essa".13 La cessione è volontaria, ma non libera, perché i mezzi di produzione del
proprietario della forza-lavoro sono stati espropriati, sempre che ne sia mai stato in
possesso. La sua condizione è quella di chi "deve piuttosto essere costretto ad
offrire in vendita come merce quella stessa forza-lavoro che esiste solo nel suo
corpo vivo. (...) egli è privo di tutti gli oggetti necessari alla realizzazione della sua
forza-lavoro".14 Privato di tutto, il lavoratore rimane in possesso di una sola, e
anomala, proprietà: non una cosa, né un bene misurabile in termini di valore, o di
prezzo, ma una facoltà, una capacità, un potere. Lo statuto di questa "proprietà"
coincide con la vita in quanto tale: la "personalità" o "individualità" vivente è la
qualità più intima e quella più ricercata da chi ha il denaro per acquistarla.
Marx identifica "persona" e "vita". La "proprietà" che gli individui possiedono
è la capacità di vivere, di agire e di produrre, vendendo la parte più attiva di se
stessi. La proprietà della forza-lavoro non può essere fatta risalire al diritto romano,
in cui persona designa uno status giuridico distinto dalla vita. In questo caso la
persona è di proprietà del soggetto, non è il soggetto. La persona è una proprietà
che può essere comprata e persa.15 Anche la forza-lavoro è una "proprietà", ma non è
una "persona" in senso astratto e giuridico. È una "personalità vivente", non una cosa,
né un soggetto, ma un divenire. Il divenire appartiene a se stesso e non obbedisce a
un'intenzione, non è a disposizione di nessuna proprietà, nemmeno di quella
dell'umanità.

12Marx, Il capitale, 271.


13Marx, Il capitale, 271.
14Marx, Il capitale, 273.
15Vedi Esposito [6].
403Cos'è il potere del lavoro

Il riferimento alla "corporeità" è decisivo: il corpo è l'elemento di disturbo nel


rapporto tra persona e cosa. Il potere-lavoro appartiene alla "corporeità" ed è
tutt'altro che un corpo biologico individuale. Indica la materialità di un divenire
che di solito si nasconde nella contraddizione tra cosa e persona. La "personalità
vivente" emerge in una condizione in cui la persona è trasformata in una cosa - una
merce - mentre la cosa è personificata nel denaro. Invece di limitarsi a prendere
atto di questa antinomia, Marx identifica questo concetto - sintesi di due opposti,
del naturalismo e del personalismo filosofico - come divenire, che si afferma in
ciò che è vivo - "vivente" - sia nella persona che nella cosa. La "personalità
vivente" indica una potenza effettiva che va oltre il soggetto e occupa una
posizione in un processo economico attraverso il quale le cose e le persone si
trasformano in valore di scambio. La "proprietà" della personalità vivente è
peculiare: si riproduce anche nella perdita, non nella proprietà legittimata dal
diritto. La cessione di questa parte non è identica all'alienazione definitiva della
personalità vivente da parte del proprietario della forza-lavoro. Il suo valore
economico è contingente perché è determinato dai "mezzi di sussistenza necessari
al mantenimento del suo proprietario".16 Il valore non esaurisce il valore della
forza-lavoro perché in quest'ultima persiste un elemento incalcolabile: le "esigenze
necessarie, e di conseguenza le abitudini e le aspettative con cui si è formata la
classe dei lavoratori liberi". Contrariamente, dunque, al caso delle altre merci, la
determinazione del valore della forza-lavoro contiene un elemento storico e
morale".17 Questo elemento caratterizza la "personalità vivente" e dipende dalla
storia politica in cui i bisogni, e lo stesso scambio tra lavoro, merci e denaro,
hanno valori diversi che non possono essere misurati allo stesso modo. Non c'è
modo di determinare oggettivamente il valore della forza-lavoro. Non consiste in
uno scambio tra equivalenti, da cui il capitalista estrae un valore superiore a quello
investito che gli permette di realizzare un profitto, né nella definizione di un
prezzo o di una tariffa, nemmeno flessibile, per mezzo di un contratto o di una
legge. Il valore cambia a seconda di ciò che viene valorizzato e ha un effetto sia
sul plusvalore ottenuto dal capitalista che ha acquisito la forza-lavoro, sia su
la forza-lavoro e sull'impiego delle capacità che la producono.
Nella dialettica del capitale il valore del lavoro e quello della forza-lavoro come
merce sono indiscernibili nello scambio con il denaro. Il fatto che il valore sia
determinato da una serie di circostanze storiche, culturali e sociali, così come dalla
creazione individuale e dalla cooperazione nel lavoro e nella società, è irrilevante.
La "personalità vivente" si riduce ad essere identificata con le merci di cui i
lavoratori hanno bisogno, o con quelle prodotte dal loro lavoro.
Il valore della forza-lavoro può essere risolto nel valore di una quantità definita di mezzi
di sussistenza. Esso varia dunque con il valore dei mezzi di sussistenza, cioè con la
quantità di tempo-lavoro richiesto per produrli.18
Il valore della forza-lavoro si riduce con l'aumento della sua produttività. Il
lavoro viene pagato sempre meno e sempre più tardi, mentre il plusvalore viene
estorto dai proprietari di

16K. Marx, Il capitale, 275.


17K. Marx, Il capitale, 275.
18K. Marx, Il capitale, 276.
3.4 Personalità vivente41

i mezzi di produzione. Questa esperienza è ciò che guida la concorrenza


capitalista, la sua principale illusione: il movimento del capitale sembra fondare
l'esistenza, mentre in realtà è la "conseguenza-forma dell'apparenza" in cui la
necessità delle leggi economiche "si realizza". "La concorrenza non spiega dunque
queste leggi; piuttosto, le lascia vedere, ma non le produce".19
La causa immanente di questo movimento è il tempo socialmente necessario
alla produzione. La "personalità vivente" si esprime in questo tempo: tempo
materialmente vissuto e tempo di lavoro necessario alla produzione e alla
riproduzione. Tempo di vita e tempo di produzione sono strettamente connessi,
sono distinti nella stessa unità di movimento. Ciò non impedisce di stabilire una
priorità, che però non deve essere intesa in termini cronologici, ma in termini
ontologici e, in ultima analisi, politici: ciò che viene prima è il tempo necessario,
in cui la "personalità vivente" emerge e mette in atto consapevolmente le capacità
e le facoltà disponibili. Il tempo è impersonale, aperto, imprevedibile, ma può
essere misurato sulla base delle relazioni sociali che lo oggettivano, in cui si
formano le soggettività. Senza l'impiego e il consumo di questo tempo sociale il
capitale non può essere messo in moto e non c'è produzione di lavoro "che non
rappresenti altro che una quantità definita del lavoro sociale medio in esso
oggettivato".20
Il conflitto è tra la durata della vita della forza-lavoro e il tempo astratto del
capitale. La "personalità vivente" vive queste temporalità in modo diverso: nella
prima si afferma, nella seconda si nega. Il lavoro-potenza è dunque questa
contraddizione continua che deriva dalla materialità della durata e dall'astrazione
del tempo:
Il capitale non si pone domande sulla durata della vita della forza-lavoro. Ciò che gli
interessa è puramente e semplicemente il massimo di forza-lavoro che può essere messa in
moto in una giornata lavorativa. Raggiunge questo obiettivo accorciando la vita della
forza-lavoro, nello stesso modo in cui un avido agricoltore strappa più prodotti dalla terra
derubandola della sua fertilità.21

Il potere-lavoro non è l'unione tra individuo e personalità giuridica. La sua


"personalità vivente" non tende all'unità della persona, né al rispetto dei
comandamenti della ragione. Si dà nella durata di un processo vivente. Di questo
modo di rappresentare il pensiero in Marx non rimane praticamente nulla.
Affermare che una facoltà può essere venduta e comprata è indice di una rottura
con la filosofia trascendentale, la parodia di ogni filosofia possibile. Il pensiero di
Marx non è solo un atto di dissacrazione: è una critica immanente ai limiti imposti
dalla Ragione, un conflitto permanente contro il tribunale che legittima l'esercizio
della violenza su soggetti costretti a vendere la loro forza-lavoro in nome di una
razionalità di parte, non della ragione universale. L'obbligo di obbedire a questa
ragione non è né naturale né razionale: è un atto di subordinazione.
La "personalità vivente" si trova dove i soggetti e la loro identità oggettiva in
una persona o in una merce non coincidono. L'alienazione spinge i soggetti
all'autocritica perché non possono riconoscersi in ciò che non appartiene

19Marx [7,
552].
20K. Marx, Il capitale, 274.
21K. Marx, Il capitale, 376.
423Cos'è il potere del lavoro

loro, né possono formarsi un'idea di se stessi sulla base di un oggetto che è


totalmente estraneo alla loro proprietà. In questo contesto matura la facoltà di
critica. I proprietari della forza-lavoro criticano la propria condizione mercificata,
le condizioni e i presupposti di un'esistenza alienata. Questa attività è immanente
alla durata della vita ed è la fonte dell'autonomia individuale. Questa critica
introduce l'inquietudine dell'estraneità, in quella che è l'apparente normalità di un
fatto dato. Sulla base della propria esperienza dimostra la violenza della
subordinazione al comando e rafforza il rifiuto di obbedire a chi diminuisce la
libertà della sua "personalità vivente".
Il potere-lavoro è una facoltà critica che mira all'autodeterminazione della vita.
Questo si ottiene pensando contro la ragione, intesa come unità teologica tra
legislatore e soggetto trascendentale, unità che, secondo Marx, sta nell'astrazione
del capitale e nella sua razionalizzazione. Questa critica è una rivolta contro
l'accusa di obbedire alla ragione, un modo per allontanare l'identità stabilita dalla
legge. Nel potere-lavoro, l'obbedienza si basa sull'autonomia.22 Il potere-lavoro è
potenzialmente libero dai rapporti di dominio, anche quando li accetta per
sopravvivere.
Grazie a questa capacità di critica, il potere-lavoro entra in contatto con un
elemento che attualizza le sue potenzialità. L'esercizio della critica permette ai
soggetti di distanziarsi dall'alienazione determinata dallo scambio tra forza-lavoro
e salario. La distanza si crea nel rapporto sociale tra capitale e lavoro ed è il
risultato di una critica che ha imposto l'alienazione a questo stesso rapporto.
Questo esercizio si basa sull'autonomia individuale e collettiva e sviluppa una
facoltà posseduta dal potere-lavoro. Questa critica sarà tanto più efficace quanto
più forte sarà l'autonomia sociale, intellettuale, economica e politica di coloro che
la esercitano. Lo sviluppo della forza-lavoro come facoltà e capacità produttiva è
inizialmente imposto dall'esterno, dal capitale. Marx parla di un momento
irreversibile che caratterizza il comunismo - che è fondamentalmente politico, non
può essere identificato in relazione ad una specifica congiuntura economica - in
cui le "forze produttive" non avranno bisogno di un impulso "esterno" e vedranno il
capitale come una "barriera" al libero sviluppo.23
(...) anche il lavoro appare dunque non più come lavoro, ma come il pieno sviluppo
dell'attività stessa, in cui la necessità naturale nella sua forma diretta è scomparsa; perché
una necessità storicamente creata ha preso il posto di quella naturale. Per questo il capitale
è produttivo, cioè un rapporto essenziale per lo sviluppo delle forze produttive sociali.
Esso cessa di esistere come tale solo dove lo sviluppo di queste forze produttive stesse
incontra la sua barriera nel capitale stesso. 24

Questo sviluppo è quello che la "personalità vivente" della forza-lavoro può


realizzare. Si è detto che questo punto rappresenta l'aspetto utopico della dottrina
dell'homo faber. Piuttosto, è corretto dire che Marx ha formulato una teoria che
porta la potenzialità alle sue estreme conseguenze. In una teoria della forza-lavoro, il
lavoro non è più

22Vedi Foucault
[8, 32-50].
23K. Marx, Grundrisse: Fondamenti della critica dell'economia politica, 325.
24K. Marx, Grundrisse: Fondamenti della critica dell'economia politica, 325.
3.4 Personalità vivente43

si presenta come lavoro: il comunismo è la liberazione della forza-lavoro in


quanto è la liberazione dal lavoro.25

3.5 Usa

Le facoltà del potere-lavoro si esprimono in un'etica che trasforma la vita messa al


lavoro: esse generano l'infinito delle sue potenzialità nel cuore del finito. A
differenza della morale, che fa dipendere i soggetti da un obbligo stabilito da una
legge della loro coscienza, dall'imperativo morale o religioso "non uccidere", "non
danneggiare la vita degli altri", dal potere su ciò che la vita deve essere, l'etica vede la
vita come dipendente dall'uso singolare della vita e dalla capacità di autoaffermarsi
come mezzo per sé. L'uso è una categoria centrale nella teoria del potere-lavoro. In
Marx l'uso genera valori, compreso il valore di scambio di una merce. È l'attività
viva che permette di definire la produzione (poiesis) e l'azione politica (praxis).26 La
vita è disponibile per ogni uso possibile ed è qui che emerge la "personalità vivente"
della forza-lavoro. È la condizione di tutti gli altri usi possibili, non solo della vita
di un soggetto, ma anche
di oggetti, macchine, algoritmi, decisioni o procedure politiche e legali.27
Come attività, l'uso combina le categorie della prassi e della poiesis, permette
di aderire alla vita ed esprime una capacità originale. L'aderenza è indicativa di un
uso efficace, che permette di condurre la propria vita seguendo le regole di un
singolare tipo di controllo. L'uso è inefficace quando si abusa di questo controllo,
quando si obbedisce alle prescrizioni di altri indipendentemente dalla conoscenza che
si ha di se stessi e degli altri. L'elenco di queste forme di abuso comprende
l'espropriazione del valore prodotto dalla forza-lavoro ottenuta imponendo una
condotta o una forma di dominio. Anche in questi casi persiste la possibilità di un
uso diverso, basato sull'esercizio delle facoltà e delle abilità disponibili:
produzione (poiesis), azione politica (praxis) e azione tecnica (techne); le facoltà
di intelletto, giudizio, pratica. Tutte le facoltà a disposizione del soggetto fanno
parte di una sola vita. Nel capitalismo questa vita si presenta come forza-lavoro, la
facoltà in cui tutte le facoltà agiscono di concerto.
La combinazione delle facoltà dipende dalle condizioni in cui la vita viene
utilizzata. Non è sempre possibile utilizzare tutte le capacità disponibili, e quasi
mai l'autonomia viene raggiunta utilizzando le facoltà disponibili. Questo, però, non
impedisce che esse vengano riattivate nel corso di una lotta contro l'abuso inflitto a
una determinata facoltà, che rende il soggetto vittima, ma anche protagonista per
necessità o per scelta. Il conflitto si verifica quando una facoltà viene espropriata,
nasce nella relazione tra una vita subordinata e una vita che aspira ad essere
potenzialmente libera. I soggetti di questo uso si costituiscono in questo conflitto e
maturano la consapevolezza di un uso diverso di questa vita. Anche quando la vita
è impiegata meccanicamente per eseguire dei compiti, quando è vista come un
servizio umano agli ordini di un algoritmo, la vita conserva il suo

25Vedi Negri [9].


26Vedi Virno [10].
27Virno [10].
443Cos'è il potere del lavoro

potere (potenza). L'esercizio di questo potere (potenza) permette di accedere ad


una sfera di indeterminazione tra legge e comando, tra valore d'uso e valore di
scambio, tra forza-lavoro e lavoro. Questa è la condizione dell'azione in cui si realizza
un potenziale presente in tutte le attività che compongono una vita, non solo il
lavoro.
Secondo Aristotele, la poiesis è l'azione che persegue uno scopo oltre se stessa;
la praxis è l'azione il cui scopo è se stessa. Nella teoria dell'uso questa differenza
non esiste più. Il potere-lavoro è sia produzione (di una merce, per esempio) che
azione (basata su una o più facoltà). Insieme, produzione e azione, poiesis e
praxis, creano le condizioni per l'autoproduzione del loro soggetto. La tecnica
(techne) non è estranea all'azione, è immanente al rapporto tra poiesis e praxis.
Questo non significa considerare tutta la produzione come pratica. La teoria della
forza-lavoro non è un idealismo assoluto, non crede che i soggetti decidano le
modalità della vita. Il terreno materiale di questa dialettica non è un elemento
speculativo (la coscienza), o teologico o morale (Dio), trascendentale (il popolo) o
politico (lo Stato), ma la natura materiale, storico-tecnica ed etica del potere-lavoro. Il
potere-lavoro è una facoltà comune, quindi appartiene anche ai lavoratori che non
agiscono originariamente come classe. Gli operai diventano classe in determinate
circostanze politiche che non possono essere date per scontate. Il potere-lavoro
viene prima delle classi lavoratrici, che sono sempre plurali. Così come le classi
vengono prima del capitale.28
La costituzione politica del potere-lavoro visto non come merce, ma come uso
cosciente della potenza (potenza), dipende dall'uso di una vita, non solo dal modo
di produzione in cui questa vita è formata ed espropriata. Il modo in cui il potere
(potenza) di agire si attualizza è politico. La mercificazione della forza-lavoro e
l'uso del sé sono modi distinti e intrecciati del potere (potenza) di agire: da un lato
abbiamo l'autocostituzione della forza-lavoro; dall'altro, l'autovalorizzazione del
capitale. La prima si basa sull'azione concertata di facoltà e capacità e genera valori
d'uso; la seconda sull'espropriazione attraverso l'imposizione del pluslavoro e
l'estrazione del plusvalore. Ciò che viene prima è la forza-lavoro. Tutte le forme di
produzione, pratica e tecnica dipendono dalla sua autocostituzione.
Secondo Hannah Arendt, Marx ha teorizzato l'homo faber, colui che trasforma
la materia in merce.29 Questa interpretazione vede la produzione come il risultato
di un'azione che è quella di un artigiano, di un lavoratore-demiurgo (cioè la
poiesis), che applica alla materia uno schema preordinato per ottenere una forma.
Nel fare si manifesta una volontà estranea alle cose, capace di trasformarle,
padroneggiando la tecnica e la storia. Tuttavia, il concetto marxiano di produzione non
può essere ridotto al semplice "fare", né può essere considerato nella prospettiva di
una metafisica della volontà. L'idea che gli uomini "fanno la loro storia", come
scrive Marx in un famoso passo de Il diciottesimo brumaio di Luigi Bonaparte,
non significa che

28 Vedi M. Tronti, Operai e capitale, dove parla di "classe operaia" riferendosi ai lavoratori salariati
di massa.
29Vedi Arendt [11].
3.5 Uso45

la storia è il prodotto del "libero arbitrio", ma che dipende dall'uso delle


circostanze che sono "già esistenti, date e trasmesse dal passato", che gli uomini
"trovano immediatamente davanti a loro, determinate da fatti e tradizioni".30
Il "fare" non è l'atto di un solo autore. Ci sono molti fattori che cooperano alla
sua realizzazione. "Fare" è l'espressione di un movimento storico che implica la
trasformazione degli attori che trasformano le circostanze in cui si trovano.
Chiaramente lo scopo di questa attività non può essere ridotto alla produzione di
una merce o all'affermazione di un modo di produzione capitalista. Questi ultimi
fanno parte di un movimento che non segue una volontà preordinata né risponde a
un comando che determina il suo scopo. Il senso e il valore dei concetti stessi di
produzione, azione o tecnica si costituiscono in questo movimento. Questo agire di
concerto non è guidato da un supporto tecnologico, da una struttura economica o
dal libero arbitrio, ma da un movimento che non può essere sovrapposto ai suoi
risultati.
Agendo in concerto di praxis-poiesis-techne, la forza-lavoro agisce nelle
condizioni date e, allo stesso tempo, sulle condizioni stesse, trasformandole
attraverso l'azione. Si nutre degli assemblaggi dei singoli elementi, ma rimane
autonomo come facoltà: è allo stesso tempo ciò che sta fuori di essi e il legame più
intimo che li unisce, nella distanza che li separa. Il lavoro-potere è il legame vivo
che precede i termini in cui si esprime la produzione, ed è anche il risultato della
loro interazione, che trasforma le circostanze in cui questa interazione ha luogo.
Può essere compreso solo nel movimento che si sviluppa tra un'azione che lo
abbraccia e un'altra in cui è abbracciato. Il suo movimento è il risultato di un
conflitto tra le condizioni di riproduzione del potere-lavoro e la sua alienazione. Il
conflitto è il sintomo di un nuovo uso della vita, attraverso il quale il potere-lavoro
comincia a fare la propria storia.
Il potere-lavoro aliena la vita come mezzo della propria vita. Qui alienazione
non significa solo mercificazione della vita e spossessamento della proprietà del
potere-lavoro, ma trasformazione della vita e affermazione del suo potere
(potenza). Il modo in cui questo concetto cambia può essere osservato nel Capitale
e nei Grundrisse di Marx. L'alienazione non indica più soltanto il processo
ontologico di oggettivazione: significa anche l'uso della forza-lavoro attraverso cui
la vita si costituisce nella sua relazione con il capitale. L'alienazione è la
trasformazione di un modo di vivere in un altro: è il divenire. Il divenire non è
determinabile a priori o a posteriori, ma a praesenti, cioè nel momento in cui c'è il
movimento. Il potere-lavoro risponde al divenire e dipende dalla costituzione morale,
sociale e politica sviluppata in determinate circostanze. Non obbedisce solo alla
teleologia di un'azione che ha uno scopo (la vendita di una merce, la produzione di
un oggetto, lo scambio di denaro) perché è il mezzo utilizzato dal suo proprietario
per realizzare il divenire, che non obbedisce a uno scopo esterno, ma alla vita nel
processo di realizzazione di se stesso. Uno dei modi possibili in cui la forza-lavoro
può usare (o abusare) di se stessa è quello di trattarsi come una merce, ma ci sono
molti altri usi che compongono un'attività senza fine che si esprime prima, durante
e dopo la vendita o il consumo del lavoro.

30K. Marx, Il diciottesimo brumaio di Luigi Bonaparte.


463Cos'è il potere del lavoro

Marx ha descritto questo uso della vita nei termini di una negatività
autoreferenziale, una potenza indeter- minata (potency) capace di tutte le
determinazioni. Il potere-lavoro è questo potere (potenza) - la "fonte vivente" del
valore31-che nega se stessa per affermarsi: nega ciò che è - la proprietà di altri - e
afferma ciò che diventa - un uso diverso della propria esistenza. La vita d'uso si
intreccia con la vita potenziale in un rapporto inestricabile che prende forma
nell'esercizio individuale e collettivo del potere-lavoro. In questo contesto,
alienazione significa "diventare altro": "L'alienazione reale riguarda la realtà, cioè
la prassi in sé, la soggettività, la vita".32 Questa idea di alienazione si dà nel
processo, o divenire, in cui la produzione, la pratica e l'ontologia della potenza,
sebbene distinte da un punto di vista teorico, fanno parte di un processo dialettico
che costituisce la vita nel suo farsi. La potenza-lavoro come facoltà del soggetto
lavoratore è una delle espressioni di questo processo che costituisce la vita, al
punto che essa acquisisce la sua caratteristica principale: quella di aprirsi verso
l'esterno, negando ciò che la aliena, in contatto con il divenire che la trasforma.33
Questa dialettica ha un'implicazione etica e politica. Il lavoro-potenza agisce come
se si trovasse in un territorio estraneo all'ordine proprietario fondato sulla
divisione del mondo in padroni e schiavi; come se la sua vita potesse sperimentare
la possibilità di rovesciare il rapporto sociale tra subordinazione a una legge e
autonomia di un diritto all'esistenza. Il come se è la modalità temporale ed
esistenziale di un'etica politica che rende possibile a chi è subordinato di affermare la
propria vulnerabilità agendo in un modo che ha un effetto reale sui rapporti di
potere. L'uso della vita favorisce una possibilità, sempre a portata di mano,
nonostante sia lontana perché impotente (adynamia, senza potenza), di superare i
limiti e rovesciare il dominio che usa gli uomini e le donne come mezzi e non
come fini. Questa possibilità appartiene a tutti gli esseri viventi che, a causa di
questo essere, sono dotati di potere. Un operaio, un pianista o un attore possono non
usare questo potere, ma potranno sempre esercitare il loro potere-lavoro. Lo stesso
abuso di potere, sotto forma di alienazione e mercificazione, non elimina il potere
(potenza) di non fare del potere-lavoro.34 Questa consapevolezza alimenta la lotta
sui modi in cui il potere viene esercitato - quello che Marx chiamava "la lotta (...)
(in cui) la massa si costituisce come classe per se stessa"35-in cui il potere-lavoro
diventa soggettività e si afferma sia nel lavoro che al di là del lavoro, che
è, nella vita di una personalità vivente.
La lotta è l'espressione dell'autoattivazione (Selbstbetätigung).36 L'auto-
attivazione è il modo in cui il potere-lavoro esprime il suo potere di agire e utilizza
le sue condizioni storiche, produttive e morali in determinati rapporti di potere. Si
attiva in quelle

31Vedi. K. Marx, Grundrisse: Fondamenti della critica dell'economia politica, 296.


32Vedi. M. Henry, Marx, 603, 801.
33 Sull'idea di "alienazione" come appropriazione di sé e del mondo si veda Jaeggi [12].
Sull'alienazione come blocco e connessione al mondo si veda Rosa e Trejo-Mathys [13]. In
questo caso, il contrario dell'alienazione è la "risonanza", vedi Rosa e Trejo-Mathys [14].
34Sulla possibilità di definire il potere non esercitandolo si veda Agamben [15].
35Marx [16].
36Vedi Rubel [17, 773-812].
3.5 Uso47

che imparano a padroneggiare il movimento e a realizzare coscientemente una


continua differenziazione dalla soggettività costituita. I portatori di questo uso non
si identificano solo con ciò che sono stati o con ciò che erano, usano queste
circostanze per diventare, in una serie multipla di identificazioni che hanno luogo
nel corso della vita.37 L'autoattivazione è un processo che attiva una lotta. Secondo
Marx si tratta di una "lotta di classe" generata dall'autoattivazione storica del
proletariato, dall'esperienza di lavoratori impegnati in un processo di soggettivazione
che hanno sviluppato un progetto di emancipazione: "L'emancipazione delle classi
lavoratrici deve essere conquistata dalle classi lavoratrici stesse". Questa è
l'esperienza di coloro che subiscono un processo di individuazione a partire dalle
condizioni del potere-lavoro e auto-attivano la propria vita. Il risultato, tuttavia,
non può mai essere dato per scontato. L'uso del potere-lavoro è soggetto a
iniziative sporadiche che hanno un esito mutevole, acquisisce chiarezza e
razionalità nel processo, il successo non è mai garantito. Questa lotta non dà alcun
risultato quando è uno sforzo individuale. L'emancipazione è collettiva, è il
risultato di un uso politico della cooperazione.

3.6 Cooperazione

La forza-lavoro è una facoltà cooperativa. Non è rinchiuso in un forziere, è


l'atteggiamento comune prodotto dalla cooperazione con il capitale, la natura e le
macchine. La cooperazione, l'impiego coordinato della forza-lavoro nelle
fabbriche e nella società, è "la forma fondamentale del modo di produzione
capitalista",38 è una "forma specifica del processo di produzione capitalista"39 e ha
origine dall'"impiego simultaneo di un gran numero di lavoratori salariati in uno
stesso processo di lavoro, che costituisce anche il punto di partenza della
produzione capitalista". Questo punto di partenza coincide con la nascita del
capitale stesso".40
La cooperazione non è solo una collaborazione tra lavoratori o la condivisione di
compiti produttivi. È una relazione sociale con la natura, tra lavoratori e macchine,
tra macchine e macchine. È il prodotto di un'espansione del potere-lavoro con le
macchine e la natura basata sulla co-evoluzione, non solo sulla causalità. Il suo
opposto è la divisione del lavoro basata sulla meccanizzazione, la
compartimentazione dei compiti e la gerarchia dei poteri. La divisione del lavoro
si appropria della cooperazione e la sussume nella sua organizzazione. Si distingue
tra la cooperazione nella divisione del lavoro e una divisione della cooperazione
sociale. Il primo caso è quello di una divisione tecnica del lavoro mediata
dall'organizzazione capitalista del processo produttivo; il secondo caso è quello di
una divisione sociale del lavoro mediata dal denaro.

37Vedi Dardot e Laval [18, 202-215].


38K. Marx, Il capitale, 454.
39K. Marx, Il capitale, 454.
40K. Marx, Il capitale, 453.
483Cos'è il potere del lavoro

Questi due modelli non possono essere sovrapposti, come nella teoria economica di
Adam Smith e talvolta anche in Marx.41 La divisione tecnica del lavoro si riferisce
ad un potere-lavoro subordinato e dipendente identificato da Marx con gli operai;
la divisione sociale si riferisce ad un potere-lavoro libero e indipendente, cioè gli
artigiani o i lavoratori liberi. In Marx quest'ultimo può essere trovato in un'epoca
pre-industriale; il primo in epoca industriale. La distinzione è in qualche modo
arbitraria. Nella storia del lavoro autonomo è possibile rintracciare una distinzione
tecnica tanto significativa quanto quella del lavoro subordinato, così come esiste
una divisione sociale del lavoro subordinato. Lo schema è valido se serve a
dimostrare che diversi modi di produzione sono contemporaneamente impiegati in
uno stesso sistema, in cui è possibile identificare sia rapporti "mercantili" che
industriali, autonomi e subordinati, "feudali" e postmoderni, in una dialettica tra
libertà e dominio che cambia a seconda delle necessità della produzione, della
distribuzione del potere e della circolazione del capitale. Prima Smith, poi Hegel,
hanno sovrapposto le due forme di divisione del lavoro. Secondo Marx è
necessario dividerle in due sfere sociali diverse e interpretarle dialetticamente:
"Così l'autorità nell'officina e l'autorità nella società, in relazione alla divisione del
lavoro, sono in rapporto inverso tra loro".42
La divisione tecnica del lavoro è l'organizzazione del lavoro produttivo nella
fabbrica; la divisione sociale del lavoro è l'organizzazione della concorrenza nella
società. Nell'officina la divisione del lavoro è a priori e i singoli lavoratori devono
rispettarla; nella società è a posteriori perché segue i prezzi di mercato e gli
interessi liberamente stabiliti dalla volontà dei produttori. Il capitalismo industriale
prospera nella contraddizione tra l'anarchia della concorrenza e il potere assoluto
della fabbrica.43 Da qui nasce l'illusione che sia possibile organizzare la società
come una fabbrica, allo scopo di assorbire l'anarchia della concorrenza nel
monopolio capitalista del comando. Questa illusione sembra ricorrere negli scritti di
Marx quando analizza la divisione del lavoro nella manifattura e parla della grande
massa dei lavoratori. Le relazioni industriali e sociali sembrano essere soggette ad
un'unica ratio economica, una struttura uniforme che governa la vita in tutte le sue
manifestazioni e determina la sovrastruttura politica e giuridica. Anche una nota
definizione di Marx può essere interpretata in questa chiave:
La mia opinione è che ogni particolare modo di produzione, e i rapporti di produzione che
gli corrispondono in ogni dato momento, in breve "la struttura economica della società", è
"il fondamento reale, sul quale sorge una sovrastruttura giuridica e politica e al quale
corrispondono forme definite di coscienza sociale", e che "il modo di produzione della
vita materiale condiziona il processo generale della vita sociale, politica e intellettuale".44
Il dispotismo di fabbrica e il potere sociale hanno origini diverse, anche se la
loro relazione dipende da un dispositivo di potere che intreccia sfere separate in
una gerarchia e determina la trasformazione del potere-lavoro (da artigiano a
operaio, per esempio) attraverso l'uso di macchine specializzate nella fabbrica,
mentre la vita di questo potere-lavoro è governata per mezzo di istituzioni
disciplinari come la scuola o l'esercito.

41Vedi R.
Finelli, Un parricidio fallito, 163-211.
42K. Marx, Il capitale, 477.
43K. Marx, Il capitale, 485-486.
44K. Marx, Il capitale, 175.
3.6 Cooperazione49

È vero anche il ragionamento inverso. Il fatto che una massa enorme di individui
sia stata messa al lavoro non è stato qualcosa di determinato dall'alto, da un potere
statale che ha utilizzato l'industria per produrre plusvalore per pochi. Il processo è
avvenuto attraverso una progressiva contaminazione di processi basati su storie e
rapporti diversi, economici, politici e giuridici, che si sono evoluti nella direzione di
un'integrazione sociale differenziata e di una normalizzazione generale della forza-
lavoro. Ognuno ha riconosciuto nell'altro il proprio presupposto e ha utilizzato la
divisione tecnica e sociale del lavoro, così come la divisione di genere e razziale,
come strumento per sottomettere gli individui a un potere che prende la forma
dell'obbedienza e della disciplina e controlla le potenzialità degli individui nello
sviluppo della loro esistenza.45
Nel passaggio dalla manifattura all'industria, l'analisi marxiana del rapporto tra
forza-lavoro e macchine e del rapporto tra potere di comando e autonomia della
forza-lavoro cambia. Nella produzione industriale, il valore del lavoro non inizia
con le macchine, ma con "i mezzi di lavoro",
cioè la connessione tra la forza-lavoro e le macchine, con la specializzazione e
l'aumento della produttività. Ciò che viene messo al lavoro è il potenziale della
forza-lavoro, non solo la capacità soggettiva degli individui di produrre un oggetto.
Il lavoratore aziona una macchina che esegue il lavoro sull'oggetto. "L'abilità
speciale di ogni singolo operatore di macchine, ormai privato di ogni significato,
svanisce come una quantità infinitesimale di fronte alla scienza, alle gigantesche
forze naturali e alla massa del lavoro sociale incarnato nel sistema delle macchine,
che, insieme a queste tre forze, costituisce il potere del 'padrone'."46 La
trasformazione del lavoro in macchina divide il potere-lavoro in facoltà opposte,
quella intellettuale contro quella materiale, trasformandole nel "dominio" del
capitale sul lavoro. Il lavoro vivo diventa lavoro morto: la "personalità viva" è
cristallizzata in energia meccanica, la cooperazione in gerarchia, la conoscenza è un
elemento dell'automa centrale: la forma più evoluta di fabbrica meccanizzata.
La conoscenza prodotta dalla cooperazione è separata dal potere-lavoro e viene
usata contro i lavoratori stessi: "È l'arma più potente per sopprimere gli scioperi,
quelle rivolte periodiche della classe operaia contro l'autocrazia del capitale. (...)
la macchina a vapore è stata fin dall'inizio un antagonista del 'potere umano', un
antagonista che ha permesso ai capitalisti di calpestare le crescenti richieste dei
lavoratori, che minacciavano di mettere in crisi il neonato sistema della
fabbrica".47 Questa è la disoccupazione tecnologica: da un lato, la produzione e la
circolazione aumentano la produttività; dall'altro, i prezzi delle merci si abbassano e
la competitività di un'impresa sul mercato migliora. Le macchine rendono inattiva
la forza-lavoro e la distruggono. "Ogni progresso nell'aumentare la fertilità del
suolo per un dato tempo è un progresso verso la rovina delle fonti più durature di
quella fertilità. (...) La produzione capitalistica, quindi, sviluppa solo le tecniche e
il grado di combinazione delle

45Vedi Foucault [19]. Su Marx e Foucault, vedi E. Balibar, Foucault et Marx. L'enjeu du nomi-
nalisme in La Crainte des masses, 281-304; Legrand [20], Nigro [21, 647-662], Bidet [22], Negri
[23].
46K. Marx, Il capitale, 549.
47K. Marx, Il capitale, 562-563.
503Cos'è il potere del lavoro

processo sociale di produzione minando contemporaneamente le fonti originarie di


ogni ricchezza: la terra e il lavoratore".48 Nasce così l'illusione di un dinamismo
tecno-logico creato dal "talento degli imprenditori" o da una "naturale" attitudine
umana all'innovazione che permette alle macchine di vivere di vita propria e
sostituire il necessario rapporto tra forza-lavoro e cooperazione.
Le macchine, tuttavia, hanno sempre lavorato, trasformando gli uomini in
estensioni del loro processo, sollevandoli dal loro sforzo e aumentando la
produttività. La loro intelligenza è oggettivata in un'astrazione che sembra
acquisire una vita propria: il General Intellect, la forza produttiva generale del
cervello sociale.49 La creazione di questa forza oggettiva la conoscenza, le facoltà
e la scienza in un dispositivo che governa le macchine e l'organizzazione del
lavoro, riduce la domanda di lavoro nella produzione e il numero di persone che
vendono la loro forza-lavoro. Crea una "mostruosa sproporzione" tra il tempo di
lavoro che si riduce e la forza-lavoro che aumenta in numero e potenza.
L'automazione e la socializzazione delle forze produttive permettono di
risparmiare sul lavoro salariato, permettendo alle persone di astenersi dal vendere
la loro forza-lavoro.
Secondo Marx l'Intelletto Generale avrebbe potuto portare al superamento del
capitalismo con i propri mezzi, rendendo relativo il ruolo della proprietà privata
poiché il capitale lavora per la sua "dissoluzione come forma dominante di
produzione". Oggi sappiamo che il processo da lui descritto non seguì esattamente
questo schema, tuttavia è corretto dire che ciò che Marx identificò fu
probabilmente una tendenza del processo, non il suo scopo programmatico. Questa
tendenza consiste nella sussunzione "reale" della cooperazione e dello sviluppo
tecnico-scientifico nella produzione capitalista.

3.7 Riproduzione

Nella teoria marxiana il potere-lavoro è incarnato dalle attitudini fisiche e intellettuali


di ogni persona, ma non da quelle delle donne. 50 Sebbene Marx abbia stabilito il
materialismo del corpo, ha limitato il lavoro riproduttivo del potere-lavoro alla sua
riproduzione come merce. Così facendo, ha trascurato l'affettività, la sessualità, i
compiti svolti dalle donne nella casa e nella società, seguendo la divisione
patriarcale e autoritaria del lavoro. Il potere-lavoro riproduce il lavoro astratto e la
divisione del lavoro basata su un contratto che costringe le donne alla riproduzione
sessuale. I lavoratori sono in grado di soddisfare le richieste dei datori di lavoro
perché le donne provvedono ai loro bisogni, ai compiti di cura e riproduttivi,
offrendo sesso in cambio di protezione economica.51

48K.Marx, Il capitale, 638.


49K.Marx, Grundrisse: Fondamenti della critica dell'economia politica, 706.
50Vedi Federici [24]; vedi anche Dalla Costa e James [25], Fortunati [1].
51Vedi Pateman [2], Morini [3]. Sul lavoro "invisibile" delle donne, tra gli altri, vedi Burchi [26],
Toffanin [5]. Sulle lotte delle donne si veda Imbergamo [6].
3.7 Riproduzione51

Qui Marx ha difficoltà a immaginare altre forme di lavoro che producono


valore, accanto alla produzione di merci. Non crede che il lavoro riproduttivo non
pagato delle donne abbia un ruolo decisivo nel processo di accumulazione capitalista.
Considera il lavoro riproduttivo come il consumo di beni che i lavoratori possono
comprare con un salario ottenuto producendo merci. Egli convalida così la
narrazione fittizia centrata sul mercato secondo la quale la vendita della forza-
lavoro è sufficiente a produrre ciò che è necessario per la sua riproduzione. Nel caso
del proletariato, tuttavia, il reddito da lavoro è insufficiente a soddisfare i suoi
bisogni primari (vestiti, cibo, affitto).
Nello scambio tra merci e denaro, il valore del lavoro addizionale di forza-lavoro
viene sottratto, mentre le ore lavorate aumentano e i salari diminuiscono. La
tendenza del capitale ad espropriare il pluslavoro assoluto, a far lavorare più ore
libere che pagate e a ridurre il costo della forza-lavoro, è stata contenuta. In alcune
occasioni in cui il conflitto sociale e lavorativo è forte, si è ridotta al pluslavoro
relativo. In un capitalismo altamente finanziarizzato, la traiettoria si è invertita di
nuovo e dal pluslavoro relativo si è tornati al pluslavoro assoluto. Il capitalismo
post-fordista mette la vita stessa al lavoro, supera la divisione tra lavoro produttivo
e riproduttivo nella nuova forma di bio-lavoro. Non è più solo il lavoro, ma la vita
in quanto tale, che produce i valori economici, sociali e cognitivi che possono
essere identificati nel potere-lavoro.52
Nel capitalismo fordista il proletario era pura corporeità messa al lavoro; un
corpo disumanizzato privato dei suoi attributi sensibili e intellettuali, identificato
con il puro strumentalismo. Nell'era industriale ciò che contava era la vita
biologica, la prole, i proli, messi a lavorare nelle fabbriche o usati come carne da
cannone per gli eserciti. La base del capitale è la biologia riproduttiva del corpo.
Nell'era biotecnologica la "personalità vivente", il suo stesso divenire
(individuazione, vita e morte), si riduce a organismi, tessuti, ovociti e cellule
intercambiabili, che possono essere riprodotti in laboratorio, trasferiti firmando
contratti individuali, con operazioni commerciali e finanziarie. Oggi la vendita di
forza-lavoro comporta il trasferimento di una capacità, di una facoltà e della
plasticità della biologia individuale. Il valore è prodotto sia dalle azioni della
forza-lavoro che dal suo genere. La singolarità specifica e generale di una persona
è messa al lavoro e ridotta al suo essere biologico. Originariamente il concetto di
"proletario" indicava qualcuno che non aveva la capacità di riprodursi. Nel lavoro
riproduttivo lo stesso termine può essere applicato a coloro che utilizzano la loro
capacità di gestazione o il loro patrimonio genetico. Il "proletario" possiede i
mezzi per riprodursi e lo fa vendendo i mezzi di riproduzione organica.53
Nell'epoca fordista, il valore della forza-lavoro sembrava dipendere
esclusivamente dal lavoro produttivo, in particolare dal lavoro salariato maschile
svolto nelle fabbriche. Gli uomini svolgevano compiti alla catena di montaggio; le
donne erano assegnate alla riproduzione dei legami familiari, alla maternità e alle
cure domestiche, attività che non erano riconosciute come lavoro perché si
riteneva che si svolgessero in un ambito al di fuori dello scambio economico non
regolato da contratti di lavoro. Nell'era post-fordista, la riproduzione è diventata
una forma di lavoro, anche se quasi mai adeguatamente riconosciuta e pagata

52Vedi Fumagalli [27, 12].


53Vedi Berlinguer [7].
523Cos'è il potere del lavoro

per. Il lavoro riproduttivo non può più essere considerato come il regno delle
attività femminili "naturali" e "volontarie", segregate nello spazio domestico
dell'oikos dove si esercita l'autorità maschile del marito. Il lavoro riproduttivo è un
lavoro produttivo: la società è inondata da una molteplicità di attività di cura
pagate, mal pagate, precarie, volontarie, svolte da donne e uomini. Questa
trasformazione non ha cambiato il fatto che il potere delle donne è nascosto: prima
era tenuto all'interno dello spazio domestico, ora è esibito pubblicamente e
coinvolge tutti i soggetti, senza distinzione di genere, nazionalità ed etnia, fuori e
dentro il contratto sociale e sessuale.
La "femminilizzazione" del lavoro produttivo indica un'altra caratteristica del
lavoro riproduttivo: non è trattato come uno scambio degno di un salario, le sue
attività sono sottopagate e considerate azioni gratuite, confuse con rapporti di
volontariato e altruismo. Il lavoro assomiglia ad azioni gratuite in un rapporto
contraddittorio tra libertà e subordinazione in cui persistono rapporti di classe
basati sulla divisione del lavoro per genere e razza. Ne sono un esempio le donne
che assumono altre donne per svolgere compiti riproduttivi e di cura, o la
confusione sistematica tra lavoro pagato e lavoro volontario sottopagato o non
pagato.
La nuova posizione che il lavoro riproduttivo occupa nella sfera della
produzione ha trasformato il genere, la natura, gli affetti, la biologia umana in
oggetti per l'estrazione del plusvalore. Il lavoro riproduttivo mette al lavoro la
riproduzione del corpo femminile. È il caso della medicina riproduttiva che esalta
la capacità di autorigenerazione del corpo e la ridefinisce all'intersezione tra nuove
relazioni di lavoro e scienze biologiche.54 Il lavoro rigenerativo non sostituisce il
lavoro riproduttivo o produttivo. Questa sequenza deve essere intesa come una
nuova sintesi del potere-lavoro e della sua capacità di generare valore.
L'estensione del suo potenziale corrisponde a una nuova mercificazione della
"personalità vivente".
Il lavoro rigenerativo è l'espressione di un "bisogno", lo stesso bisogno che
costringe i lavoratori a vendere volontariamente (ma non liberamente) la loro
forza-lavoro per sopravvivere. Esprime anche un potenziale della personalità
vivente incarnata fisicamente. Non tenere conto di questa duplicità significa
condannare la forza-lavoro a un'invariante che interviene in un rapporto di dominio.
Con le pratiche della medicina rigenerativa il potere-lavoro riconosce un
potenziale: i processi viventi che lo costituiscono da un punto di vista biologico. I
proprietari del potere-lavoro maturano una diversa concezione della temporalità
della vita in cui si svolge l'esercizio delle facoltà del potere-lavoro. Questa
temporalità si incarna nel metabolismo, nei cicli endocrini, nelle secrezioni e nella
gravidanza. Il risultato è una percezione più ampia della "corporeità" da parte dei
soggetti la cui vita materiale si trasforma in un oggetto di scambio e costituisce,
nei casi delle donne povere, migranti, proletarizzate (ma non solo), una forma di
ricatto degradante e una violazione della loro dignità. La corporeità può essere
alienata in una componente organica, tecnologicamente riproducibile e sulla quale
le donne non hanno alcun controllo. La facoltà riproduttiva è misurabile e
negoziabile sul mercato, così come quella produttiva. Al rapporto marxiano tra forza-
lavoro e lavoratori si aggiunge il contrasto tra la libertà economica e la dignità della
donna che decide di affittare non solo la sua forza-lavoro, ma anche il suo utero.
Anche in questo
54Vedi Cooper e Waldby [28, 29], Cooper [9].
3.7 Riproduzione53

caso è un lavoratore "libero" che affitta la forza-lavoro e viene sussunto in un


processo di estrazione del plusvalore. Nel lavoro rigenerativo affittiamo il potere
dei processi viventi che ci mantengono in vita come se stessimo svolgendo un
lavoro individuale occasionale. Questa scelta forzata mette a rischio la vita e la
dignità delle donne. La loro liberazione dipende dalle condizioni sociali necessarie
per affermare la libertà riproduttiva, oltre l'imposizione della fertilità compulsiva e la
mercificazione della maternità.

3.8 Contro il lavoro

Marx si muove tra l'antropologia della scarsità dell'economia neoclassica e l'ipotesi del
comunismo che lo porta a sviluppare una teoria del potere-lavoro. Il suo approccio si
fonda sulla convinzione che l'impoverimento assoluto della classe operaia sia
l'elemento trainante della costruzione di una soggettività totalmente diversa. La
leva fondamentale che permette di sfruttare questa condizione da parte della
soggettività politica degli sfruttati è il lavoro, la stessa attività mercificata
utilizzata per impoverire il potere-lavoro, che nega la sua riproduzione.
Nei primi scritti di Marx, il lavoro è una "relazione attiva" con la natura e la
capacità di produrre i propri mezzi di sussistenza. Questa capacità è ciò che
distingue l'uomo dalle altre specie animali ed è elevata al rango di "attività
suprema" perché permette ai lavoratori di conquistare il "regno della libertà". Non
solo il lavoro è la fonte di ogni ricchezza, ma è anche una capacità oggettivata
attraverso la quale gli uomini ottengono - o riconquistano - la proprietà dello stesso
corpo espropriato da chi possiede i mezzi di produzione. Quello stesso lavoro, che
permette di raggiungere la libertà, è lo strumento dell'alienazione sociale e politica
dei lavoratori. L'attività che dovrebbe garantire l'emancipazione della classe
operaia è anche la causa del suo sfruttamento.55
Marx ha inizialmente attribuito al lavoro lo stesso valore trascendentale di John
Locke, David Ricardo e Adam Smith, secondo i quali il valore del lavoro è
l'equivalente generale della produzione.56 In questo caso il lavoro è il valore dei
valori che rende possibile la produzione e la circolazione. Tuttavia, un lavoro
specifico non può determinare il valore di tutto il lavoro. Il fondamento del valore
non può risiedere in una merce specifica. Un oggetto non è mai uguale al suo valore,
perché il valore è determinato sulla base di un prezzo che cambia nel tempo. La
difficoltà di tradurre il valore in prezzo è ben nota a Marx e potrebbe essere risolta
identificando il lavoro con il capitale.57 È il capitale che ha il potere di stabilire il
valore di una pratica, di controllare i mezzi di produzione, di regolare la gerarchia
sociale che esprime. Il problema è che il capitale non è in grado di

55La contraddizione è commentata da Hannah Arendt in The Human Condition, e nelle


conferenze raccolte in Thinking Without a Banister: Essays in Understanding, 1953-1975, J. K
ohn ed. (New York: Schocken, 2018), dove però l'autore limita il significato della filosofia
marxiana a questa lettura riduttiva, ignorandone gli ulteriori sviluppi.
56Smith [30].
57Vedi Bellofiore [31, 63-117].
543Cos'è il potere del lavoro

produrre l'unica cosa che non possiede, che occupava la posizione centrale nella
produzione: la forza-lavoro.
Marx riconosce che nel XVIII secolo Adam Smith fu il primo a identificare una
soggettività che esprime "la vera origine del plusvalore".58 Il plusvalore è la forza-
lavoro individuale e organizzata e la forza motrice della produzione del plusvalore
che istituisce una differenza tra ciò che esiste e ciò che è prodotto, tra le cose e le
merci create dal lavoro e vendute sul mercato; tra il valore generale del lavoro e il
salario ricevuto; tra il prezzo reale e quello nominale di una merce. Queste
differenze non si trovano nell'economia in quanto tale, sono il risultato di una
facoltà che non può essere fatta coincidere con lo scambio e la proprietà del
lavoro: il potere-lavoro. Il potere-lavoro si afferma in uno spazio storico e
antropologico che interseca soggettività, economia, diritto ed è generato da una
facoltà che viene assorbita dalle merci e che persiste nella vita di tutti.
La consapevolezza della duplicità della forza-lavoro e della sua non
coincidenza con il valore di scambio è espressa nell'Introduzione a Un contributo
alla critica dell'economia politica del 1857, nei Grundrisse. Fondamenti della
critica dell'economia politca, e nel Capitale, dove Marx ripensa radicalmente la sua
prima filosofia esposta nei Manoscritti economici e filosofici del 1844, le Tesi su
Feuer-Bach e l'Ideologia tedesca. La sua non è una teoria del lavoro ma della
forza-lavoro.59 L'antagonista del capitale non è il lavoro, ma la forza-lavoro. La
differenza può essere spiegata se guardiamo la controversia del 1875 con il partito
socialdemocratico tedesco. Nella prima riga del suo programma Marx sostiene che
"il lavoro è la fonte di ogni ricchezza e di ogni cultura":
Il lavoro non è la fonte di tutta la ricchezza. La natura è tanto la fonte dei valori d'uso (ed è
sicuramente in questo che consiste la ricchezza materiale!) quanto il lavoro, che è solo la
manifestazione di una forza della natura, la forza lavoro umana. La frase di cui sopra si
trova in tutti gli abbecedari per bambini ed è corretta nella misura in cui è implicito che il
lavoro viene eseguito con i soggetti e gli strumenti annessi. Ma un programma socialista
non può permettere che tali frasi borghesi passino sotto silenzio le condizioni che da sole
danno loro significato. (...) I borghesi hanno ottime ragioni per attribuire falsamente al
lavoro un potere creativo soprannaturale".60
Marx decostruisce l'idealismo del lavoro condiviso dai liberali e dalle sinistre, la
scuola economica neoclassica, la stessa che oggi è stata riportata in auge da un
certo modo di intendere il neoliberismo: tutti credono che il lavoro sia un'attività
creativa il cui scopo è realizzare l'essenza dell'uomo o il valore di tutta la
produzione al cui servizio esistono l'economia e la cultura. La metafisica del
lavoro elimina la riproduzione delle condizioni materiali della forza-lavoro, le
condizioni che permettono l'esistenza di qualsiasi processo attinente al lavoro.
Questo approccio ribalta la struttura di potere ereditata dall'ideologia
patrimonialista e identifica il potere-lavoro come un potere (potenza) capace di
diventare un

58Marx [32, p. 142].


59Vedi M. Tronti, Lavoratori e capitale; R. Finelli, Un parricidio fallito. 180 ss.; P. Macherey, Le
sujet productif. De Foucault à Marx, in Le sujet des normes, 149 ss; P. Virno, Una grammatica
della moltitudine.
60Marx [11].
3.8 Contro il lavoro55

oggetto e trasformando le cose in cui è immerso e di cui è esso stesso una


manifestazione. Il potere-lavoro è passato dall'essere inteso come una condizione
giuridica e astratta a una condizione universale incarnata in corpi poveri che hanno
un'agenzia: il potere-lavoro ha trovato uno spazio, un luogo, una soggettività, è
l'espressione della personalità viva di coloro che sono attivi. Questa soggettività
non esisteva prima del capitalismo, che ha permesso di comprendere il potere-
lavoro in relazione a uno "spazio antropologico" e in relazione a un concetto che
permette di cogliere come il trascendentale funzioni nella finitezza dell'esistenza
umana.61 Una filosofia del lavoro deve essere vista in questo contesto e affrontare
la stessa contraddizione che emerge nelle prime opere di Marx, dove la
riproduzione della forza-lavoro è legata alla produzione di merci, beni e cose.
Il passaggio paradigmatico dal lavoro alla forza-lavoro ha permesso in seguito
a Marx di eliminare questa simmetria. La riproduzione della forza-lavoro
determina sia la vita che la produzione di merci. La tesi complica la ricerca
umanistica di autenticità visibile nei primi scritti di Marx. Le sue opere successive
indagano l'uso di una vita nella relazione sociale con il capitale, non l'espressione
di un'essenza "umana" presumibilmente connessa al lavoro alienato dalla
produzione di capitale. Una filosofia del lavoro ritiene che questa essenza sia
precedente alla produzione, alla quale è legato il lavoro alienato dalla produzione
del capitale. Essa sostiene che questa essenza precede la produzione e dovrebbe
essere orientata verso una realizzazione storica capace di liberare dall'alienazione
il rapporto tra produzione e riproduzione, modi di produzione e forze produttive.
Il problema di Marx è Ludwig Feuerbach e la sua filosofia della specie umana
(Menschliche Gattung).62 Per tutta la sua vita Marx ha combattuto contro la morsa
del mito feuerbachiano di un'umanità fortemente fusionale e simbiotica trasparente
a se stessa. Nella fase iniziale della sua filosofia della forza-lavoro, per esempio
nei Manoscritti economici e filosofici del 1844, il lavoro come attività pratica di
trasformazione del mondo esterno è considerato come l'attività della progressiva
autoilluminazione e autopossesso della specie umana nella storia. Nel lavoro
l'uomo raggiunge la consapevolezza di sé e applica una realtà che è già idealmente
presente. Così, la lotta contro lo sfruttamento porta il lavoro a raggiungere
un'essenza superiore alla mera mercificazione. Anche se non lo sanno, il popolo
lavoratore (proletariato) è il veicolo di un'essenza che si realizza in un soggetto
fusionale e indifferenziato.
Nel giovane Marx il lavoro diventa sia la causa che il fine dell'azione umana. È
causa perché attualizza l'essenza umana; è scopo perché la sua teleologia,
finalizzata al raggiungimento di un prodotto, esprime in realtà il fine dell'essere.
La sovrapposizione dell'ontico e dell'ontologico porta ad un risultato paradossale:
la realizzazione del comunismo - la riappropriazione dei mezzi di produzione e
l'espressione della cooperazione sociale e tecnologica alimentata dalla
redistribuzione dei profitti - dipende dallo strumento dell'alienazione della forza-
lavoro, cioè il lavoro. La stessa attività alienata che esprime un certo modo di
essere nel capitalismo

61Vedi Foucault [12].


62Vedi R. Finelli, Un parricidio fallito.
563Cos'è il potere del lavoro

presumibilmente ha il potere di permettere all'essenza umana di raggiungere la sua


massima realizzazione. Così, ciò che si realizza è la dialettica del capitale, non
quella del comunismo. Il rovesciamento dei rapporti di produzione capitalistici che
modellano i rapporti sociali sulla base della divisione del lavoro e della proprietà -
e quindi il raggiungimento del comunismo - è l'ultima e fatale manovra del
dispositivo in cui la filosofia del lavoro è completamente immersa e da cui tuttavia
intende liberarsi. L'Essere sociale presenta una contraddizione insuperabile: da un
lato è inteso come un principio incondizionato e intangibile, dall'altro è il prodotto
storico e sociale di un modo di produzione. È l'espressione di un movimento del
capitale che si presenta nella sua forma rovesciata, che è totalità estranea al mondo
fattuale che ingloba tutto, anche quello che lo nega.
Marx alla fine si liberò da questa metafisica. Tuttavia, una solida e persistente
interpretazione umanistica del marxismo ha seriamente sottovalutato la sua
battaglia. Questo problema è presente nella filosofia del lavoro tramandata da questo
misconoscimento.63 La "svolta" di Marx - il passaggio da un primo periodo operaio
alla fase comunista incentrata sulla forza-lavoro - ha portato a questo
fraintendimento. Questo, tuttavia, non cambia il fatto che il suo Capitale, e gli scritti
preparatori, presentano un'alternativa:
(...) lo sviluppo della reale sussunzione del lavoro sotto il capitale o il modo di
produzione specificamente capitalista non è il singolo lavoratore ma piuttosto una
capacità lavorativa socialmente combinata che è sempre più il reale esecutore del processo
lavorativo nel suo insieme, e (...) le diverse capacità lavorative che cooperano insieme per
formare la macchina produttiva nel suo insieme.64
Il potere-lavoro è ancora inteso come "operaio collettivo" della fabbrica, ma c'è
un chiaro riferimento a concrete soggettività storiche, politiche e produttive, non a
essenze che incarnano il fondamento degli esseri umani. Anche nel Capitale pesa il
determinismo e il positivismo economico marxiano che lega la teoria della forza-
lavoro alla teoria delle "forze produttive" o della produttività del lavoro. La relazione
tra questi fattori è contraddittoria ed è alla base sia dello sviluppo del capitalismo che
della lotta di classe. Questo sviluppo è legato al rafforzamento del lavoro oggettivato,
non alla liberazione della forza-lavoro e, coerentemente con i presupposti di una
filosofia del lavoro, confonde la produttività aumentata dalla tecnologia e dallo
sfruttamento della forza-lavoro con una tappa dell'evoluzione naturale di una
presunta essenza umana, rappresentata dall'"uomo totale". Questo scenario
contrasta con l'idea della creazione di un potere-lavoro "combinato" con le
macchine e la cooperazione, base del capitalismo e della possibilità di rovesciarlo.
Vincolare esclusivamente il potere-lavoro allo sviluppo delle forze produttive
significa, invece, eliminare il suo surplus nella costruzione di una totalità sistemica
dove il potere (la potenza) coincide con l'attualità e dove la vita esegue il piano
preordinato del sistema economico e politico. Questa contraddizione si riflette
laddove Marx è tentato di spiegare il capitalismo con una filosofia della storia: il
che significa collegare la vita individuale e collettiva a

63Vedi Marcuse [13], Kosík [33], Lukács [34].


64K.Marx, Il processo di produzione del capitale, bozza del capitolo 6 del Capitale Risultati del
processo di produzione diretta, recuperato su marxists.org.
3.8 Contro il lavoro57

uno scopo razionale, mentre questa vita si afferma di fatto nella pratica e rifiuta
qualsiasi significato prestabilito, in quanto si misura con le condizioni reali in cui la
realizzazione di un progetto non può essere né esclusa né garantita.
Nella sua undicesima tesi su Feuerbach, Marx aspira a trasformare il mondo,
non solo a interpretarlo, permettendo così all'animale umano di camminare sulle
proprie gambe. Questa svolta rivoluzionaria che supera l'idealismo della filosofia
del lavoro non solo esige di rimettere la dialettica sulle sue gambe, ma anche di
tagliarle la testa per evitare di attribuire uno scopo a ciò che non può avere uno
scopo.65

3.9 Lavoro astratto

La confusione tra forza-lavoro come facoltà e forza-lavoro come merce ritorna nel
Capitale dove Marx definisce la forza-lavoro come la vendita di un bene, o di una
merce, in cambio di un salario: "il suo valore d'uso consiste solo nell'espressione
successiva di quel potere" 66 in una merce. Il fatto che la forza-lavoro sia un bene o
una merce sembra essere la causa della sua esistenza e non la conseguenza del
riconoscimento della forza-lavoro come facoltà. Marx è interessato all'analisi del
capitalismo come "immensa collezione di merci". La forza-lavoro si presenta come una
singola e identica merce, non come una facoltà generale coinvolta nella costituzione
della soggettività e della sua politica. Il concetto che esemplifica questa riduzione è
il lavoro astratto.
Con questa espressione Marx intende il lavoro in generale, il lavoro senza
frase, il punto di partenza dell'economia moderna. Il secondo significato di questa
espressione sono i rapporti di lavoro. Il capitalismo ha trasformato questi rapporti
in lavoro salariato. Il terzo significato indica le capacità dei lavoratori, distinte da
quelle degli individui, in senso omogeneo e astratto. In quarto luogo, indica la
relazione sociale tra il potere-lavoro considerato come merce e il denaro che
compra una certa quantità di lavoro astratto, indipendentemente da chi lo fornisce
e da chi lo scambia con un salario.
Nel Capitale, il lavoro astratto è inteso come sinonimo di forza-lavoro, il lavoro
delle macchine o della tecnologia. Questo fa scomparire la forza-lavoro come
facoltà. Invece, l'esistenza del lavoro astratto è determinata come se fosse un
elemento naturale a disposizione del capitalista, o materiale per le macchine. Il
lavoro astratto è "il dispendio di forza-lavoro umana, del lavoro umano in astratto
(...) della forza-lavoro posseduta nel suo organismo corporeo da ogni uomo
comune, in media".67 L'Arbeitskraft, come facoltà, è ridotto a una nozione molto più
povera dell'energia fisica. La forza-lavoro è sinonimo del latino labor, il sacrificio
fisico e materiale. Ciò che è avvenuto è la naturalizzazione di una categoria teorica - il
lavoro astratto - e l'ontologia di una condizione naturale - la forza fisica. Questa è la
base di una filosofia del lavoro che è diversa da una teoria del lavoro-potenza. Marx
ripropone

65Vedi Castoriadis [35, 80].


66K. Marx, Il capitale, 277.
67K. Marx, Il capitale, 135.
583Cos'è il potere del lavoro

la trappola naturalistica dell'economia neoclassica -che considerava il lavoro come


la misura oggettiva della ricchezza prodotta dal capitale68-e la trappola
produttivista di Saint-Simon, che credeva di aver identificato i fattori fondamentali
dei rapporti economici e sociali di produzione nelle condizioni tecnologiche.69
Se il "valore originario", o principio, determina il valore d'uso di tutto il lavoro,
anche quello alienato, allora il potere-lavoro non dovrebbe essere confuso con
nessun tipo di merce. Questo, tuttavia, è esattamente ciò che accade quando i
lavoratori lo vendono in cambio di un salario. Il principio che dovrebbe servire come
fondamento del valore è identico a quello che riduce il lavoro a una cosa. In queste
condizioni non è possibile distinguere il valore soggettivo dal valore astratto. Una
merce non può determinare il valore di tutte le altre merci solo perché è
l'espressione dell'"attività creativa" della forza-lavoro. Per usare una metafora di
Adam Smith, un ago non può determinare il valore di un aereo. E viceversa.
Questo circolo vizioso provocato dalla duplice natura della forza-lavoro si ripete nel
capitale. Il capitale è "lavoro oggettivato": è la "collezione di merci" prodotte dalla
forza-lavoro che sono state scambiate con denaro. Il capitale, tuttavia, è anche una
"forma universale astratta": è il principio trascendentale che determina il valore di
tutte le merci. Il capitale è considerato il presupposto e il prodotto del suo stesso
processo. Per funzionare ha bisogno di aggiungere al lavoro oggettivo un'altra
forza-lavoro, che non è oggettivata, che deve ancora essere oggettivata. Una volta
che il capitale se ne è appropriato, lo "consuma" e avvia la propria trasformazione.
Diventa profitto e stabilisce questo plusvalore come principio senza il quale il
lavoro non ha valore. Il profitto è separato dall'attività che ha prodotto plusvalore,
è un valore addizionale allo stato primitivo del capitale. Ciò non impedisce che
diventi il principio del lavoro che lo ha creato. Il capitale si basa sul consumo dei
suoi produttori e sui prodotti che sono il risultato della sua azione. In questo caso
il presupposto di un'azione è il risultato della stessa azione. Il circolo vizioso è
passato da logico a storico, creando nel processo una realtà illogica perfettamente
reale dove la verità è un momento di ciò che è falso.
Marx ha esposto il significato di questa inversione nella dialettica di "luogo e
posizione".70 Nell'introduzione del 1857 al Contributo alla critica dell'economia
politica il capitale è presentato come "naturale", il presupposto della realtà
sperimentata soggettivamente da tutti. Questo è in realtà l'aspetto reale di una
dialettica che trasforma la realtà in un rapporto fantasmagorico in cui la funzione
della forza-lavoro è negata e le merci sembrano produrre se stesse,
automaticamente. Marx dimostra che le merci sono il "luogo" di un'attività pratica
determinata, cioè sono il prodotto di un lavoro subordinato e la manifestazione di
una forza-lavoro la cui facoltà non può essere ridotta al lavoro astratto.
L'inversione della dialettica tra luogo e presupposto espone quindi il fatto che
l'elemento centrale non è il capitale ma la forza-lavoro. Il lavoro astratto è anche
realtà, è un'astrazione reale dotata di una materialità nel suo farsi astratto. La
forza-lavoro trasformata in merce

68Vedi Lippi [16], Skillman [36].


69Vedi Meldolesi [18].
70Vedi R. Finelli, Un parricidio compiuto, 113-166. Finelli [19].
3.9 Lavoro astratto59

non smette di vivere: la sua vita si riflette in questa dialettica. Marx descrive
questo fatto nel modo seguente: ciò che prima era potenziale "diventa attuale".71
La sua astrazione in un prodotto separato, privato della proprietà, è il prodotto di
un potere che si cristallizza nel valore di una merce.
Marx non intende questa produzione come l'espressione della forza-lavoro
come facoltà, ma solo come "spesa della forza-lavoro umana", come spesa della
"forza-lavoro posseduta nel suo organismo corporeo da ogni uomo comune, in
media".72 Nel descrivere la materialità della produzione del lavoro astratto -
perché anche l'astrazione è produzione - egli ricorre all'idea che il lavoro
necessario è solo uno sforzo fisico consumato come l'energia. Una volta svanita,
l'astrazione prende magicamente forma e vale in sé, mentre il lavoro diventa
astratto e si dissolve. Una volta avvenuta questa trasformazione, il lavoro non ha
più niente a che vedere con i lavoratori in carne ed ossa e le loro facoltà. Il salario
pagato in cambio della vendita della forza-lavoro non dipende dalla produttività
del lavoro. Il lavoro non appartiene più alla forza-lavoro, né risponde a chi lo
possiede. Produce valore, ma non è esso stesso valore. Sembra essere generato da
un'astrazione. Come questo sia possibile non è chiaro, ma questo è esattamente ciò
che fa il capitalismo: l'astrazione, non la forza-lavoro, genera lavoro, reddito e
ricchezza. Questa è la finzione che rende possibile l'idea del capitale senza
soggetto: la forza-lavoro è la soggettività del capitale. Questo ribaltamento della
realtà caratterizza la nostra vita quotidiana. Marx non è sempre riuscito a
districarsi in questo problema e ha dato una definizione materialista e naturalista
della forza-lavoro. Questo problema non è dovuto al fraintendimento di un
concetto che il filosofo stesso ha reinventato. Su questa base egli replica la miseria
dalla quale intende liberarsi. Se il lavoro non oggettivato è destinato a diventare una
merce, la storia replica una vita segnata dalla scarsità e dal bisogno. Questa
contraddizione non dipende dal concetto di forza-lavoro, ma dal tentativo di una
linea di pensiero trascendentale di superare le sconnessioni del razionalismo
moderno (corpo/anima, soggetto/oggetto) verso un nuovo ordine di conoscenza
basato sul concetto di natura umana. Questo tentativo implicava fondare la finitezza
umana su una riflessione che non può essere un'ontologia della soggettività o una
filosofia dell'assoluto. Il potere-lavoro è concepito con categorie che affrontano un
horror vacui: la loro intenzione è quella di rappresentare un'origine fantomatica,
perché ciò che è trascendentale è evasivo per definizione, e lascia dietro di sé la
negatività della sua stessa evasività. Nello sforzo di raggiungere la propria natura,
l'umano è il marchio di questa negatività.73
In questo contesto la forza-lavoro è intesa come energia soggettiva che applica
la sua potenza a cose già individuate. Il suo movimento sincronico e conflittuale
rispetto al capitale è descritto con elementi presi dall'individuo già costituito e confusi
con altri che derivano da un'individuazione in via di attualizzazione. La forza-
lavoro diventa così la manifestazione degli oggetti che produce con il suo lavoro,
non il contrario: il lavoro esiste nella misura in cui la forza-lavoro esercita una
delle sue facoltà, non perché è l'oggetto incarnato del lavoro.

71K.Marx, Il capitale, 283.


72K.Marx, Il capitale, 135.
73Vedi M. Foucault, L'ordine delle cose.
603Cos'è il potere del lavoro

manifestazione di un principio astratto e impersonale come il capitale, che agisce


come uno spirito che dà nuova vita alla materia immobile. Marx critica le pretese
filosofiche secondo le quali le categorie hanno una consistenza ontologica ed
etico-politica. L'umanità diventa più importante della vita storica e materiale degli
uomini, e il lavoro diventa più importante di coloro che lavorano. Questa inversione
diventa reale sotto il capitalismo, un sistema in cui l'astrazione logica sembra
essere più concreta delle determinazioni concrete e sensibili, la manifestazione di
un principio astratto e impersonale più reale delle sue forme empiriche.
Il materialismo marxiano sostiene che tutte le categorie - come il lavoro -
hanno anche un'esistenza storica, così come le entità che intendono rappresentare -
il lavoro-potere in carne ed ossa. Categorie ed entità sono correlative e, insieme,
costituiscono l'essere, che non è l'esplicitazione di ciò che è Uno. Ciò che risulta
nell'"essere" è la composizione di una molteplicità, non il riferimento a un principio
superiore. Sia la forma che la materia, i principi e le regole, l'essere e l'essenza,
sono il prodotto di un'interazione tra elementi contraddittori in cui non è possibile
stabilire una volta per tutte - così in termini storici - la priorità dell'uno sull'altro.
Le relazioni cambiano e sono determinate da specifiche condizioni storiche e
sociali.
Nei Grundrisse di Marx e nell'inedito capitolo VI del Capitale, il lavoro astratto
e i suoi molteplici significati sono intesi come un rapporto sociale di produzione.
Il lavoro astratto non deve essere confuso con la forza-lavoro - ciò che genera
valore d'uso - perché è una combinazione di elementi eterogenei e coordinati
necessari alla produzione capitalista e al sistema giuridico che assicura il suo dominio
politico legale:
(...) la combinazione sociale delle capacità lavorative individuali, in cui queste ultime
funzionano solo come organi particolari della capacità lavorativa totale che costituisce
l'officina nel suo insieme, non appartiene ai lavoratori, ma li affronta piuttosto come una
disposizione capitalistica; è loro inflitta. 74
Se questa è la prospettiva del pensiero marxiano, possiamo supporre che il
potere-lavoro sia una filosofia dell'individuazione, non una teoria economica o una
sociologia del lavoro. L'opera di Marx offre molte indicazioni utili per definire un
nuovo tipo di materialismo, sotto le spoglie di una dialettica ancora ispirata
all'hylomorphism di Aristotele. Marx utilizza le categorie di Aristotele quando
confonde la forza-lavoro con il lavoro e definisce quest'ultimo come la "sostanza
del valore", mentre il valore è considerato come "forma". In Marx il concetto di
sostanza è sinonimo di materia, usato indistintamente per descrivere il valore e
l'origine della produzione del valore. In Aristotele, invece, la sostanza non è mai
"materia", così come non può essere forma. Forma e materia sono modi della sostanza.
Inoltre, Marx non considera il fatto che in Aristotele la sostanza è triplice, non
univoca: c'è la sostanza divina, e la sostanza celeste e terrestre gerarchicamente
ordinate e dipendenti dalla sostanza divina.75 La molteplicità dei modi, e il loro
movimento, si riducono a una sola sostanza, quella divina. Questa sostanza non è
soggetta al movimento. Sono le altre sostanze, con i loro modi, che dipendono dal
principio unico che governa il movimento.

74K. Marx, Il processo di produzione del capitale.


75Vedi Aristotele, Metafisica, IV, 2, 1005.
3.9 Lavoro astratto61

La metafisica di Aristotele pone un altro problema a Marx: come può il lavoro


essere la sostanza di tutti i valori se è anche il prodotto della potenza (potency) che
crea il valore di tutto il lavoro? Lo stesso problema riemerge nel rapporto tra
materia e forma: la forza-lavoro è intesa come una forza materiale che colpisce
dall'esterno la materia passiva per trasformarla in forma. La forza è un'energia
applicata dall'esterno alla materia passiva per elevarla allo stato superiore della
forma preesistente.76 Le categorie e gli enti sono, invece, modalità interamente
storiche che si affermano mentre avvengono, senza ricorrere a nessun presupposto
ontologico o forma preesistente. Questi principi rappresentano le gradazioni della
potenza (potency) che si esprime nell'uso e nello scambio di valore, nell'intensità di
una potenza non soggettivata o nell'espressione della soggettivazione in movimento.
In questo contesto bisogna ripensare anche le categorie di soggetto e oggetto.
Oggetto non è la quantità immutabile di cose o merci esistenti nel mondo che i
soggetti affrontano, è il risultato di un movimento che costituisce le cose come sono
in un dato momento. Soggetto non è un individuo o i suoi bisogni riproduttivi, né
il primato della volontà, ma una continua attività di individuazione che coinvolge
sia il capitale che il lavoro.
Il lavoro-potenza va compreso secondo una linea di pensiero immanente, una
prospettiva che Marx ha inaugurato e sviluppato, una prospettiva che ha anche
frainteso, che ha navigato in una traiettoria singolare ed erratica confondendola
con la storia della filosofia. Il potere-lavoro non è solo "lavoro non oggettivato" in
attesa di diventare merce, è anche un potere (potenza) che si identifica
continuamente nell'attività stessa. Se non fosse così, la vita degli uomini e delle
donne avrebbe un solo obiettivo: essere alienati e messi al lavoro, subordinati al
comando, in una vita capitalista. Come unità di prassi e poiesis il lavoro-potere
non può essere ridotto al rapporto mezzi/fini, o descritto come mera attività
tecnica, calcolo o lavoro astratto. Nel lavoro-potenza la vita sperimenta un inizio
che non giunge mai a compimento e non può essere definito da uno stato, né da
un'attività conclusa.

3.10 Lavoro vivo

Il lavoro-potenza deve essere visto in relazione alla "fonte vivente" del valore.
Questa "fonte" è il "lavoro vivente". L'associazione tra lavoro e "vivente" potrebbe
sembrare equivoca, così come l'associazione tra persona e "vivente". Seguendo il
ragionamento di Marx, il lavoro non dovrebbe mai essere "vivente". Il lavoro è
una merce. Tuttavia, se dietro ogni lavoro c'è la forza-lavoro, allora l'attività della
forza-lavoro è vivente. Questa attività si estrinseca nella sua trasformazione in
merce, ma non può essere ridotta a merce. Il contenuto di questa attività è la
produzione di valori d'uso di ogni tipo. Questi "tipi" possono essere più ampi del loro
uso mercificato. La tendenza del capitale a ridurre ciò che è vivo a merce esiste
perché la forza-lavoro continua a generare usi che non possono essere ricondotti a
una merce. In questo senso è

76Sul rapporto
tra Aristotele e Marx, si veda. DeGolyer [37, 107-53], e J. W. Booth, "Households,
Markets and Firms", in "The Greek Accent of the Marxian Matrix", 243-271.
623Cos'è il potere del lavoro

è possibile comprendere che il principio del lavoro vivo non è ontologicamente diverso
da ciò che crea il capitale, di cui il capitale si appropria dall'esterno, anzi, è
l'attività che permette al capitale stesso di esistere.
Marx ha definito il lavoro vivo come "il lievito gettato nel (capitale), che lo fa
fermentare". Il processo di "fermentazione" è avviato da una "attività reale che
crea valore, un'attività che è produttiva in relazione al capitale".77 Questa "attività
creativa" è all'origine del passaggio dalla potenzialità - cioè il movimento delle
cose come delle persone - esprime la "personalità vivente" dei lavoratori e
rappresenta il fattore soggettivo del processo lavorativo, la capacità di produrre
plusvalore. Inizialmente la forma "non ha oggetto", poi diventa l'oggetto del
processo del capitale, e il lavoro viene oggettivato in una merce. Marx scrive che
l'oggettività in cui esiste il capitale e la mera soggettività del lavoro come pura
forma devono essere elaborate, cioè consumate dal lavoro. Ciò che guida questo
processo è il lavoro vivo, l'espressione di un'attività che non è ancora stata ridotta a
merce, cioè il lavoro.
Mentre il lavoro, in quanto diretto ad uno scopo specifico, conserva e trasferisce al
prodotto il valore dei mezzi di produzione, allo stesso tempo, in ogni istante in cui è in
movimento, crea un valore supplementare, un nuovo valore. (...) Questo valore è
l'eccedenza del valore totale del prodotto rispetto alla parte del suo valore apportata dai
mezzi di produzione. È l'unico valore originale che si forma durante questo processo,
l'unica parte del valore del prodotto creata dal processo stesso.78
Il capitale incorpora la "forza-lavoro vivente". Come un vampiro succhia le
energie del lavoro vivo e si appropria del suo valore. Diventa infine un automa che
comincia a lavorare "come se fosse consumato dall'amore".79 Una volta reso
esangue il lavoro vivo, l'automa è ormai autonomo: il valore è prodotto per
partenogenesi, il denaro produce denaro, i rapporti sociali diventano rapporti tra
oggetti e i loro elementi reali sono annientati. È il denaro che produce cose, senza
passare dall'invenzione al lavoro materiale. Ciò che era vivo è ridotto a lavoro
meccanico, indifferente al contenuto e separato dalla sua potenza che è stata
trasferita nelle cose. La potenza-lavoro coincide con la materialità della carne, dei
nervi, delle pulsioni o degli istinti di un corpo. Tuttavia, si riduce al "valore d'uso
del capitale, cioè all'attività mediatrice per mezzo della quale esso si realizza".80 I
lavoratori sono salari incarnati.
Il lavoro vivo non si esaurisce come l'energia ma, come facoltà, è implicato negli
usi del lavoro-potenza e delle merci nella forma dell'uso dei valori di scambio
prodotti dalle merci. La forza-lavoro deve essere intesa come potenza (potenza)
nel suo farsi cosa, l'attività necessaria per produrre un oggetto, che non può essere
ridotta all'astrazione del capitale in quanto è ciò che ha portato all'esistenza e si
sviluppa insieme al capitale. C'è una connessione tra il valore del lavoro

77K. Marx, Il capitale, I, 282.


78K. Marx, Il capitale, 316.
79K. Marx, 1007.
80K. Marx, Grundrisse, 305.
3.10 Lavoro vivente63

che non può essere misurato, cioè il plusvalore, e la perdita di proprietà da parte
dei lavoratori; è la riappropriazione del valore in lavoro morto del capitale fisso. Il
lavoro vivo è un'attività che crea forma legata al funzionamento del lavoro e al suo
prodotto, ma anche alla facoltà che non si consuma nella sua produzione. Non è
possibile annullare l'immanenza di questi aspetti, dando la precedenza all'uno
rispetto all'altro, come avviene nella definizione economica del lavoro-potenza,
che ribalta il rapporto tra oggetto e soggetto, attribuisce valore al capitale e identifica
il lavoro vivo con il lavoro-merce. Il lavoro vivo deve essere definito sia come
l'elemento soggettivo che crea valore - la facoltà di produrre, di "fermentare" - sia
come astrazione del lavoro - lavoro astratto, sans phrase, lavoro puro o "in sé" - al
di là delle determinazioni particolari, indipendente dagli oggetti prodotti a partire
dalla quantità di lavoro richiesta.
Il potere-lavoro non è un principio sovraordinato nel processo, non è
l'attualizzazione di un'essenza, ma l'espressione di una facoltà in un processo
conflittuale articolato in diverse fasi. Il risultato non è mai dato in anticipo, si
plasma in un divenire al quale non si può imporre un'unica direzione. L'economia,
come il diritto, impone un valore oggettivo in nome di una legge naturale che regola la
produzione. Questa legge è una quantità ideale fissa che non ha alcun rapporto con
la realtà materiale che pretende di misurare. Non c'è niente di naturale in tutto ciò,
tutto è il risultato di una finzione politica e giuridica che nasconde il lavoro vivo
sotto l'apparenza oggettiva di un processo che il lavoro stesso ha creato ma dal
quale viene cancellato. Marx ha denunciato la sostituzione della natura naturans -
la forza-lavoro che produce valore in una giornata di lavoro - con la natura
naturata - l'oggetto della sua produzione. Il valore è creato dall'elemento storico
della forza-lavoro ed è l'espressione delle complesse relazioni tra i termini antago-
nistici e il loro divenire: lavoro vivo/lavoro morto; lavoro/capitale; capitale
variabile/capitale fisso. Questo movimento non è prodotto dal "soggetto" della
tradizione filosofica e teologica moderna, né dal "soggetto giuridico" di quella
giuridica. Il lavoro vivo non recupera nessuna essenza precedente, è la creazione
di un altro divenire. La soggettività non ha sovranità sul processo, può usarlo per
rafforzare il suo potere-lavoro, in attesa che altri usi si diano, in discontinuità con
quelli che la oggettivano. La vita è immanente e il suo potenziale non si esaurisce
nelle condizioni date in cui si manifesta. Queste ultime sono l'espressione
dell'ordine oggettivo delle cause e delle potenzialità nei diversi rapporti di forza.
Nell'immanenza non c'è unità da ristabilire, ma infinite modulazioni di una
potenza (potency)
che deve essere affermato.

3.11 L'ipotesi del comunismo

"Noi chiamiamo comunismo il movimento reale (effettivo) che abolisce lo stato attuale
delle cose (die wirliche Bewegung welche den jetzingen Zustand aufhebt). Le
condizioni di questo movimento risultano dalle premesse ora esistenti".81 Il
movimento

81K. Marx, L'ideologia tedesca, 18.


643Cos'è il potere del lavoro

diventa reale quando si organizza una pratica collettiva, cosciente e volontaria che
dà forma concreta al significato e al contenuto dell'abolizione dello stato di cose
presente. Senza l'organizzazione di questa pratica il movimento non può agire da
solo, né è possibile stabilire cosa significhi politicamente questa abolizione prima
che essa avvenga effettivamente. La definizione marxiana di comunismo contiene
anche un altro significato: questo movimento non è di proprietà di un soggetto
particolare, ma di ciò che prende forma nel corso di questo movimento e si afferma
nel suo divenire. Le "premesse ora esistenti" sono il prodotto di un'attività dei
soggetti coinvolti che, a loro volta, si estraniano ed entrano in conflitto con le
circostanze esistenti che impediscono o neutralizzano la loro pratica. La difficoltà
di governare un tale movimento è duplice: è necessario orientarlo verso un
obiettivo e riprodurlo efficacemente per garantire la continuità di questo processo a
tutti coloro che vi partecipano.
Il movimento reale che abolisce lo stato delle cose non può essere ridotto a
un'ontologia, che indica l'esistenza di un essere uguale a se stesso, né al problema
di come trasformare le istituzioni dello Stato o del mercato, che regolano il
commercio o il patto sociale. L'ipotesi comunista rompe con la concezione
proprietaria dell'essere e modifica radicalmente la relazione tra la finitezza della
vita e la negazione attraverso cui si esprime la potenza. Il suo movimento si
realizza in una congiuntura politica piuttosto che nel contesto di un'ontologia.
Anche per questo Marx definì il comunismo come un "programma d'azione" da
costruire e modellare in un modo sempre da definire. Il programma nasce
mettendo continuamente in discussione le premesse e gli esiti dell'azione e del
pensiero. È l'applicazione del metodo dell'empirismo sperimentale alle relazioni
socio-politiche, ai conflitti e alla storia. La presunta scientificità del socialismo,
ammesso che sia mai esistito, si fonda su questa intuizione, non sull'intenzione di
vincolare la realtà al rispetto dell'economia o al comando di uno Stato totalitario.
Questo movimento reale non può essere ridotto alla sfera del comando. L'azione
da programmare è ipotetica perché soggetta alla molteplicità dei modi in cui si
afferma.
L'ipotesi del comunismo emerge dalla negazione di tutti i fini imposti dall'esterno,
sia quelli del capitale che quelli dell'ontologia o della proprietà. Secondo Marx
questa negazione non può affermare un'essenza, cioè il fine di tutti i fini. La negazione
di una negazione è un'affermazione che prende forma nella vita immanente di
coloro che non intendono cedere il loro valore a un'entità sovraordinata.
L'immanenza non è il prodotto della negatività ("nulla"), è il risultato di un
processo attraverso il quale il potere-lavoro rompe con ogni forma di proprietà
(Eigentumslosigkeit), con le illusioni ideologiche sulla natura delle comunità e dei
legami nazionali (Illusionslosigkeit). La rottura non può essere definitiva, le illusioni
riaffiorano continuamente, mentre la proprietà è sempre la stessa, e sempre diversa. Il
potere-lavoro non ha nazione, né religione, né proprietà, mentre sperimenta
l'ipotesi di una critica della sua costituzione storica, morale, politica e
tecnologica.82
Come espressione di un "movimento che abolisce lo stato attuale delle cose", la
teoria della forza-lavoro si sviluppa sul lato opposto di una linea di pensiero
proprietaria, cioè il diritto romano, il diritto che regola i contratti e le obbligazioni,
il diritto politico, il diritto di famiglia, il diritto di famiglia, il diritto di lavoro e il
diritto di famiglia.
82Vedi Balibar [38, 39].
3.11 L'ipotesi del comunismo65

economia, ontologia. Marx parla di un movimento che costituisce e mette in


discussione lo stato attuale delle cose basato sulla proprietà, sul legame tra essere
e proprietà, tra obbedienza e comando. La sua realtà si afferma nelle cose e tra gli
uomini, è sempre operativa, manifesta una potenzialità che proietta la vita oltre i
limiti della proprietà, dello stato attuale delle cose, o di ciò che manca. In questo
senso il movimento abolisce lo stato presente delle cose: abolisce la sovranità delle
cose e dell'essere in un dato momento, permette alla vita di aprirsi alla
sperimentazione. Il movimento comunista è un'ipotesi in cui la politica non ha fini, in
cui la vita può essere sperimentata come mezzo di se stessa. È un'etica del potere
(potenza) che non si astiene dal ragionare su governo e democrazia, legando
entrambi a un modo di sperimentare l'uso di un potere (potenza) comune che non
può essere ridotto alla politica del "dover essere". Senza questa posizione etica
tutti i regimi, come quelli che si sono chiamati comunisti, si trasformano in
tirannie.
Da questa sospensione Marx sviluppa anche una teoria della decisione politica
che definisce come dittatura del proletariato. Un'espressione controversa che può
essere spiegata come l'istituzionalizzazione del conflitto.
È la dittatura di una classe (il proletariato) che rifiuta di essere classificata
come la classe del "lavoro" composta da persone che vivono per vendere la loro
forza-lavoro. Questo comporta il rifiuto della classe costituita da coloro che hanno
le risorse necessarie per comprare questa forza-lavoro. La classe dei non proprietari
abolisce la proprietà, quindi la divisione tra classi sociali e la nozione stessa di
"classe". È paradossale che il potere di una tale rivoluzione sia attribuito a coloro che
non possiedono nulla.83 Ciò significa che il potere è accessibile a chi non ha potere e
che il potere non è proprietà esclusiva di un soggetto preesistente: il Popolo, il
Sovrano, il Lavoro, la Classe, il Politico, la Nazione, il Teologico, il Mercato. Il
movimento reale tende ad eliminare la partizione singolare e totalitaria che divide
il dominio del possibile e ad affermare il potere di chi non ha nulla: una parte, un
ruolo, una rendita. È il potere (potenza) di chi non ha una parte e ha il potere di
abolire la divisione tra le parti. La soggettività prende forma in questo movimento,
che può iniziare in qualsiasi momento, sempre nel mezzo di qualcosa.
La questione è allo stesso tempo utopica e concreta: solo nel presente è possibile
abolire la divisione del lavoro, la proprietà privata e il potere che porta alla
dittatura. Il movimento è immanente a questo ordine, è una delle potenzialità che
costituiscono il dispositif che lo governa. L'ipotesi comunista nasce dalla
conoscenza, e dalla pratica, di tale potenzialità. È l'esito di una politica capace di
riconoscere ciò che costituisce la realtà, che la utilizza per potenziare la vita
nell'unico modo possibile per gli uomini e le donne: attraverso l'associazione, la
cooperazione, il potere dei molti.
Il movimento che abolisce il criterio della partizione dello stato attuale delle
cose entra in conflitto con i suoi stessi principi, cioè con l'idea che l'essere consista
nella proprietà, che la vita sia di proprietà di qualcuno o che la sua origine sia
diversa da quella che emerge dalle relazioni che la costituiscono. Un simile
conflitto è senza fine, è soggetto sia al fallimento che al successo. La proprietà può
anche essere abolita per decreto, ma è difficile cambiare il modo in cui la gente
concepisce la proprietà di

83Vedi Rancière [40].


663Cos'è il potere del lavoro

beni, cose, valori e azioni. La proprietà abolita tornerà solo in una forma diversa,
negando ciò che la costituisce: la forza-lavoro. Così il conflitto non è solo contro i
nemici politici, è anche contro le istituzioni che definiscono il movimento stesso
che abolisce la proprietà. L'ipotesi comunista consiste nell'abolire l'eterno ritorno
con un'organizzazione che modifica l'uso e il valore delle azioni e delle cose nel
loro stato attuale. In questo senso si può parlare di istituzionalizzazione di un
conflitto permanente, distinguendolo da una guerra civile tra fazioni antagoniste
(la "rivoluzione borghese" contro una "insurrezione operaia") o dalla lotta bellica
che distrugge la politica e con essa il potere-lavoro.
L'ipotesi comunista è una teoria dello stato di eccezione e considera entrambe
le ipotesi. Questa analisi si sviluppa in seguito e si complica: nell'antagonismo tra
forze opposte si riconosce il ruolo della politica e della legislazione del lavoro, in
particolare la lotta per la riduzione dell'orario di lavoro e il controllo sociale sulla
violenza inflitta agli individui nelle fabbriche. Si cerca così di controllare la
violenza, che però non esclude il suo uso, di costruire un'istituzione democratica.
Questa costruzione non avviene sulla base della legge dello Stato, ma sulla base
del movimento reale che porta alla sospensione - o all'abolizione - della proprietà.
Il conflitto è anche su chi possiede la legge, sulle ragioni che la sostengono, su chi
la stabilisce e sui suoi scopi. Il risultato di questo movimento è un'istituzione che
non assomiglia allo Stato, in quanto si fonda sull'autodeterminazione. Questo
risultato, tuttavia, non è definitivo: ci saranno nuove forme di proprietà da
superare, altri conflitti nello stato attuale delle cose da creare, rovesciando le
"parti" per costruire un'altra istituzione. Il frammento di Eraclito deve essere preso
alla lettera: "La guerra (polemos) è insieme padre di tutto e re della vita". Se è
l'origine di tutte le cose, è anche la loro fine. Ciò significa che la lotta di classe è
precedente alle classi, sopravvive alla loro abolizione. Il conflitto, tuttavia, non
limita la politica e le sue forme a uno scontro tra puri rapporti di forza dagli esiti
incerti. Al contrario, indica uno stato di cose che cristallizza i rapporti di potere dando
loro una forma istituzionale e, allo stesso tempo, supera la gerarchia dei poteri che
tale istituzione inevitabilmente crea.
La teoria del "movimento reale" si ispira alla tradizione della democrazia
conflittuale in cui il paradossale "tribuno della plebe" descritto da Machiavelli nei
Discorsi su Livio diventa il riferimento politico di un dicta-torio democratico che
abolisce tutte le dittature. Questa ipotesi è aperta, dipende da un movimento che
può prendere molte direzioni possibili, autodistruzione o potere comune. Poiché
non ha teleologia, e avendo abolito tutti i soggetti che pretendono di appropriarsi
del "movimento reale", ciò che governa il potere-lavoro è la tendenza a rovesciare
il potere che stabilisce ciò che è proprio e ciò che è improprio.

Riferimenti

1. Fortunati, L.: L'arcano della riproduzione: Lavoro domestico, prostituzione, lavoro e


capitale. Autonomedia, New York (1996)
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683Cos'è il potere del lavoro

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40. Rancière, J.: Il malinteso. Filosofia e politica. Meltemi, Roma (2007)
Capitolo 4
(Dis)obbediente

La possibilità di disobbedire al comando è precedente alla subordinazione che


stabilisce un contratto. Prima viene la resistenza, poi l'obbedienza. Questa tensione
verso la resistenza e la ricerca di autonomia personale o collettiva caratterizza la storia
del contrattualismo, così come quella del lavoro subordinato e del lavoro
autonomo. Ciò significa che il soggetto subordinato in una relazione di potere non
può essere domato, non che sia un soggetto passivo. Se la storia del lavoro
subordinato si riferisce al conflitto tra servi e padroni, la storia del lavoro autonomo
è forgiata nella guerra. "Quando il ricco depreda il povero dei suoi diritti, diventa
un esempio per il povero di depredare il ricco dei suoi beni".

4.1Indomabile

Il pensiero politico, storico e filosofico ha ignorato il ruolo del contratto di lavoro


e la sua relazione con il potere-lavoro. Né ha colto il modo in cui la libertà nasce
dal vincolo di subordinazione e coincide con l'esercizio della facoltà generale del
potere-lavoro. La riflessione si è limitata alla partecipazione dei cittadini ai
processi decisionali della polis, mentre ha teso a non mettere in discussione il
conflitto con il potere nel rapporto di lavoro. Ignorare l'esistenza del potere-lavoro
significa separare la libertà politica dal problema dell'obbedienza e dalla necessità
dell'autogoverno degli individui, problemi che sono anche centrali per una teoria
della democrazia.1

1Vedi Y. Thomas, L'"usage" et les "fruits" de l'esclave, dove l'autore mette in relazione le analisi
economiche, storiche e filosofiche dell'antichità greca e romana di M. Finley (The Ancient
Economy), di H. Arendt (The Human Condition) e J. P. Vernant (Mythe et pensée chez les
Grecs).
© The Author(s), sotto licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 202169
R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_4
704Dis)obbediente

Una riflessione così limitata è il risultato di un approccio liberale che ha


separato la libertà politica dalla libertà economica, scindendo il soggetto in una
componente pubblica - quella politica e universale - e una componente privata -
quella economica di proprietà del dominus a cui è dato il potere di decidere sulla
vita dei lavoratori. Questo approccio legittima l'idea che la politica sia solo
rappresentanza e che i diritti non si acquisiscano in un rapporto di lavoro, ma in
discussioni tra soggetti astratti che hanno luogo nella polis.
A causa di questo, il dilemma al cuore del potere-lavoro può passare inosservato.
Cioè, come fanno le persone a scegliere liberamente di essere al servizio di altri?
Assumere forza-lavoro non è una decisione naturale o automatica, è una decisione
violenta che avviene a causa di certe condizioni politiche, economiche e individuali
e deve quindi essere compresa sia in termini di abuso che di libera scelta. Questa
scelta significa che un soggetto accetta volontariamente l'ambivalenza che nega la
sua libertà. Il dilemma si complica nell'automazione digitale perché i soggetti
accettano ora di scomparire completamente all'interno dell'algoritmo, passano
dall'essere uno strumento all'essere un servizio umano. In entrambi i casi, il
potere-lavoro viene privato della sua dimensione pubblica e politica. Il risultato di
questo processo è una riflessione orientata a comprendere la condizione personale
dei lavoratori sfruttati, non la vita collettiva trasformata in astrazione capitalista. Il
potere-lavoro è inteso come vittima della sua stessa alienazione, o come
incarnazione di un'entità astratta, cioè il lavoro, non come soggetto di una
relazione di potere che è il perno del processo di valorizzazione. Questa
rappresentazione è funzionale a linee di ragionamento autoritarie perché relega la
possibilità di emancipazione in un ambito trascen- dente dove gli individui si
vedono come parte di una comunità organica o territoriale, un "popolo", uno "Stato",
un "capitale umano". Nello scenario più progressista, il destino del potere-lavoro è
affidato a processi di democrazia deliberativa attraverso i quali i soggetti stringono
un patto con i loro avversari dopo aver stabilito una serie di regole comuni. Il
carattere irreale di questa ipotesi è evidente: per i lavoratori subordinati non è più
possibile raggiungere un accordo su un piano di parità, una parte deve accettare il
patto e le condizioni imposte dal dominus.
Un contratto di lavoro non è né una concessione né il risultato di una relazione
consensuale. È l'espressione di una relazione di potere basata sulla volontà della
parte subordinata - considerata come un soggetto formalmente libero - di rinunciare a
parte della sua libertà e di obbedire ai comandi di un altro. Facendo questo il
soggetto in questione spera di ottenere un beneficio: uno stipendio, dei diritti, una
sicurezza personale. Molto spesso il prezzo pagato non compensa il sacrificio. Un
contratto mira a proteggere questa vulnerabilità e offre una compensazione in
termini economici e sociali, ma rimane fermo nel suo presupposto: la protezione è
concessa solo a chi rispetta i termini del patto che ha stabilito il contratto in primo
luogo. Quindi i diritti sono concessi a chi mantiene la promessa e adempie agli
obblighi che ha volontariamente accettato. La disobbedienza deve essere
sanzionata perché significa che un soggetto non ha mantenuto la parola data, e ha
in questo senso violato la legge.
Se guardiamo questo meccanismo dal punto di vista del potere-lavoro, la
situazione si inverte. La norma non è stabilita dal rispetto delle regole di
obbedienza, ma dalla possibilità di rispettarle quando la norma rafforza l'autonomia
dei soggetti vulnerabili, e di sottrarvisi quando la negano. La legittimità di una
4.1 Indomabile71

Il contratto deve essere misurato in base ai benefici che garantisce alla parte
subordinata, non ai doveri che questa deve rispettare per garantire il suo buon
funzionamento, a costo di mettere a rischio la propria incolumità fisica e psicologica. La
possibilità di disobbedire al comando precede la subordinazione stabilita dal
contratto. La resistenza viene prima, l'obbedienza segue.2
Questa tensione verso la resistenza e la ricerca di autonomia personale o collettiva
caratterizza tutta la storia del contrattualismo, così come quella del lavoro
subordinato e autonomo. Mostra che i soggetti subordinati in un rapporto di potere
non sono passivi ma indomabili. Un contratto di lavoro subordinato regola questa
indocilità per raggiungere un obiettivo estraneo all'intenzione del lavoratore. Al
contrario, un lavoratore autonomo regola la propria indocilità rispetto agli obiettivi
che si è impegnato a raggiungere stipulando un accordo con un cliente. In
entrambi i casi, il conflitto riguarda l'autonomia che i soggetti perseguono: essa è
limitata nel caso di un rapporto di lavoro subordinato; condizionata nel caso del
lavoratore autonomo che svolge una prestazione per conto terzi. L'autonomia,
intesa come ciò che i soggetti mirano a raggiungere, è l'esito di un conflitto - che non
può mai essere dato per scontato - che ha luogo in un rapporto di potere costituito
da una parte che vende potere-lavoro e un'altra che lo compra.
Questo conflitto emerge nel diritto moderno in cui si concede al subordinato la
possibilità di scegliere secondo il proprio diritto, cioè di scegliere volontariamente
di obbedire ai comandi del dominus in cambio di sicurezza.3 Senza l'esercizio di
questo diritto, non c'è contratto. Si può quindi sostenere che i soggetti sono costretti
a cedere questo diritto per sopravvivere, che rispondono al ricatto o alla violenza, e
che i diritti sono solo condizioni formali di quella che è in realtà una forma di
assoggettamento. Tuttavia, non si può trascurare il fatto che un contratto mira a
neutralizzare la violenza e valorizza la libertà di condurre la propria vita secondo
le sue potenzialità.4 In questo senso un contratto riflette il desiderio di "respingere
ogni forza, prendersi la vendetta che si vuole per le ferite subite e, in generale,
vivere come si sceglie di vivere".5
I soggetti subordinati non crederanno mai che l'obbligo che hanno scelto di
compiere sia un obbligo naturale. Lo sopporteranno e, a certe condizioni,
cercheranno di migliorare la loro condizione in un rapporto di dominio che è
irreversibile perché sancito dalla legge. Per questo motivo, il desiderio di condurre
una vita autonoma ("come sceglie di vivere") non può derivare dall'obbedienza al
dominus, e certamente non dal contratto. L'obbedienza non è la risposta meccanica
a un comando, ma l'espressione di una strategia attraverso la quale i soggetti
maturano un modo di vivere in subordinazione e allo stesso tempo rivendicano il
loro diritto a esistere.
In questo quadro è comprensibile la scelta volontaria, che però non è libera, di
vendere la propria forza-lavoro, che determina la posizione subordinata di chi
decide di obbedire a un comando in cambio di un salario. L'unica alternativa

2 Vedi Gros [1]. Vedi anche Laudani [2].


3 Vedere Supiot [3].
4 Vedi Romagnoli [4, 477 ss]; Vedi B. Spinoza, Trattato politico. La storia del diritto del lavoro

e la storia dell'obbedienza devono essere lette nel contesto dell'individualismo proprietario, vedi
Macpherson [5]. 5Vedi B. Spinoza, Trattato politico, II, 9.
724Dis)obbediente

I proprietari della forza-lavoro hanno la possibilità, come scriveva Marx, di


"scegliere se lavorare o morire di fame".6 I contratti di lavoro sono un modo per
forzare la scelta tra la vita e la morte e sono al centro delle battaglie politiche e
sindacali per ridurre le ore di lavoro, combattere il furto di salario e introdurre
diritti che possano proteggere dallo sfruttamento di uomini, donne e bambini.
Marx ha sottolineato che il contratto di lavoro gioca un ruolo decisivo
nell'assoggettamento del potere-lavoro in un rapporto coercitivo,7 ma non ha
ignorato il fatto che i contratti sono strumentali al miglioramento della vita dei
lavoratori. È meglio essere un salariato che uno schiavo.
Il contratto di lavoro è uno strumento di controllo. Crea le condizioni giuridiche
per lo sfruttamento del potere-lavoro costringendolo in un rapporto economico di
supremazia e subordinazione - scriveva anche Marx.8 Il suo scopo è quello di
realizzare un rapporto di uguaglianza tra la parte dominante e quella subordinata,
uno scopo che però è destinato a fallire. Un contratto, infatti, non è uno strumento
neutrale. È il prodotto di un rapporto di potere contingente, e può trasformarsi in
uno strumento di oppressione. Questo porta alla situazione paradossale in cui uno
strumento basato sulla relazione diseguale tra le parti contraenti viene utilizzato per
combattere la diseguaglianza nel rapporto di lavoro. Da un lato, protegge la
soggettività dei lavoratori; dall'altro, li spinge a diventare soldati al servizio del
dominus, fingendo che sia ciò che hanno scelto liberamente. Alla fine, i soggetti
liberi di questo contratto si trasformano in salari impersonati.
Far dipendere la ricerca dell'autonomia da questi paradossi significa
trasformare il problema politico del potere-lavoro nel problema di come governare
il lavoro alienato. Questo equivoco è oggi più forte che mai perché il contratto di
lavoro è considerato un baluardo contro lo sfruttamento selvaggio. Pensare che la
subordinazione contrattuale sia un'alternativa alla riduzione in schiavitù delle
persone è, tuttavia, una prospettiva errata. Avere un contratto a breve o brevissimo
termine - il contratto più comune sul mercato del lavoro oggi - non può essere
inteso come un'alternativa alla miserabile precarietà del lavoro contemporaneo. I
contratti di lavoro potranno anche tornare al loro presunto splendore originario -
quello del lavoro salariato garantito a tempo indeterminato - ma per la loro stessa
natura continueranno ad attuare le condizioni stabilite dal dominus. Nella gerarchia
formale tra pari, i datori di lavoro eserciteranno ancora un potere disciplinare a cui
i dipendenti dovranno obbedire.
Un'altra idea altrettanto diffusa è che i contratti di lavoro garantiscano la libertà dei
lavoratori. Questo è vero nella misura in cui i contratti confermano la
subordinazione. Il paradosso può essere descritto nei seguenti termini: "Il risultato
della libertà contrattuale, quindi, è in primo luogo l'apertura della possibilità di
utilizzare, attraverso l'uso intelligente della proprietà nel mercato, queste risorse
senza vincoli legali come un mezzo per il raggiungimento del potere sugli altri. Le
parti interessate al potere in

6 Vedi K. Marx, Il processo di produzione del capitale, bozza del capitolo 6 del Capitale
Risultati del processo di produzione diretta, recuperato su marxists.org.
7 K. Marx, Il processo di produzione del capitale.
8K. Marx, Il processo di produzione del capitale. Cfr. E. Screpanti, "Marx e il contratto di lavoro:
dall'astrazione naturale alla sussunzione formale", Quaderni del dipartimento di economia politica,
Università degli studi di Siena, no. 546, ottobre 2008.
4.1 Indomabile73

il mercato sono quindi anche interessati a tale ordine giuridico".9 Ciò che resta
della libertà contrattuale in una situazione in cui vige il potere dell'imprenditore e
una diffusa subordinazione sociale, è solo il suo nome.
L'alternativa al paradosso della subordinazione si trova sia dentro che fuori il
contratto di lavoro, seguendo la ricerca dell'autonomia del potere-lavoro che
alimenta il conflitto con il potere sociale che ha creato, tra le altre cose, questo
stesso contratto. Il conflitto riguarda le condizioni del potere-lavoro, non solo il
tipo di contratto e le sue regole. Oggi più che mai è necessario tenere presente
questa distinzione perché il potere-lavoro produce ben oltre il perimetro stabilito da
un accordo tra un datore di lavoro e un lavoratore. L'estrazione del plusvalore
avviene, come sappiamo, nel dominio della vita dei soggetti e nell'esercizio delle
loro facoltà, trasformando la ricerca di autonomia in auto-subordinazione. Questa
estensione della subalternità del potere-lavoro potrebbe corrispondere a
un'intensificazione del processo critico che riattiva la resistenza dei soggetti e
trasforma l'equilibrio dei rapporti di potere in cui essa è attiva. Questa possibilità può
essere compresa a partire da una critica della subordinazione nella vita, che precede la
subordinazione in un rapporto di lavoro.
Ciò che avvia un processo di soggettivazione non è il potere del dominus, ma
l'esistenza del potere-lavoro. La sua alienazione non elimina il fatto che il potere-
lavoro abbia una precedenza logica sul lavoro mercificato. Non ci può essere
alienazione senza l'affermazione delle sue facoltà. Questa anacronia si ripete in
tutti i rapporti di lavoro e permette di stabilire una verità politica fondamentale:
non è il potere di chi domina che crea libertà e sicurezza per la parte subordinata, è
il modo in cui il potere-lavoro negozia le sue richieste che rende possibili
entrambe. Il patto non è decisivo di per sé, ciò che è decisivo è il processo che
permette di raggiungere un accordo che può evolvere - o essere smantellato - in una
forma diversa. Questo processo esprime i mutevoli rapporti di forza e le possibili
attualizzazioni del potere rispetto alle infinite virtualità che sono a disposizione del
potere-lavoro. Anche quando diventa obbediente, il lavoro-potere continua a
plasmare la vita nel suo divenire, andando oltre le singole categorie del lavoro e
superando la totalità dell'esistente. L'obbedienza è solo un singolo momento di
questo movimento, uno degli strumenti utilizzati dai subordinati in una strategia
per affermare il loro diritto all'esistenza.
Questa strategia si basa sulla capacità di persistere nel proprio diritto - l'esse sui
juris - in contrapposizione all'esse alteri juris - disponibile al diritto degli altri. Se
l'autonomia non deve essere ridotta a una ricompensa per l'obbedienza, allora
l'esse alteri iuris deve essere definito come una condizione specifica dell'esse sui
juris.10 In un rapporto di lavoro, la subordinazione non è una schiavitù, ma un
modo di esercitare l'autonomia nei limiti di una situazione che impedisce ai
soggetti di decidere liberamente della propria vita. La dipendenza dai diritti degli
altri è una delle possibilità a disposizione dei soggetti che cercano di affermare il
loro potere (conatus).11 In questo quadro, il diritto si afferma nell'efficacia della
pratica, nel conflitto sui ruoli e sui compiti di un lavoro subordinato o autonomo, non
con riferimento

9 Weber [6, 730].


10Vedi Ciccarelli
[7].
11Vedi Macherey [8, 237-320].
744Dis)obbediente

ad una norma trascendentale. Non esiste una sfera naturale, morale o istituzionale
che imponga un ordine insuperabile al soggetto. Il consenso a un ordine specifico
non esclude la possibilità che il proprio diritto (sui juris) si esprima diversamente
in un altro rapporto di potere.

4.2 Gladiatori

Da un punto di vista genealogico, il conflitto sull'autonomia dei subordinati nel


rapporto di lavoro è emerso in un istituto del diritto romano: l'auctoramentum,
ovvero l'esercizio del diritto all'esistenza nelle condizioni più estreme che un
essere umano possa concepire: la promessa di sacrificare la propria vita per
portare a termine un compito assegnato o imposto da un'altra persona. Consisteva
nel giuramento di arruolarsi nell'esercito (auctoramentum militae) o di essere reclutato
per un lavoro specializzato come la raccolta dell'uva.12 La formula del giuramento
divenne famosa quando fu adattata all'atto dell'affitto dei gladiatori
dall'impresario, o lanista, che li addestrava: "Sopporterò di essere bruciato, legato,
picchiato e ucciso con la spada, e di sopportare qualsiasi altra cosa tu ordini contro
la mia volontà", si legge nel testo del giuramento.13
La genealogia dell'auctoramentum mostra che la moderna separazione tra
lavoro autonomo e lavoro subordinato, sancita dal codice napoleonico e oggi
trasposta nel diritto civile, non è originale, ma condizionata da fattori storici e
soggettivi. La distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato dipende da un
atto di auctoramentum attraverso il quale i soggetti incarnano la loro subalternità e
la superano a costo di perdere la vita. La decisione del potere-lavoro su come
impiegare questa vita può essere così radicale che alcuni interpreti del diritto
romano hanno parlato di derivazione dei contratti di lavoro (subordinato) dalla
libertà del soggetto, che solo con grande difficoltà ha potuto ricevere una forma
giuridica, morale e religiosa.14
Questa tesi può essere applicata anche al lavoro autonomo: i gladiatori erano
liberi professionisti del combattimento che decidevano di sopportare la disciplina
del lavoro subor- dinato. Auctoratus era sinonimo di "gladiatore",15 e il commercio
portava i gladiatori ad accettare una condizione servile e la disciplina imposta agli
schiavi, quando, in realtà, la maggior parte di questi dipendenti dell'industria romana
dello spettacolo non erano schiavi - ufficialmente erano "uomini liberi".
L'auctoramentum in realtà coinvolgeva una vasta gamma di lavoratori. In
Cicerone la nozione di auctoramentum servitutis indica la sottomissione dei
mercennarii a un terzo previsto dalla locatio sui- da cui

12Vedi Plinio[9].
13Tabula Heracleensis, vulgo lex iulia municipalis, I Ira I n. 13, Lin. 112; coll. 9, 2, 2, in M. H.
Crawford et al., Roman Statutes, I, London (1996), 355-391.
14Vedi Diliberto [10].
15Vedi Biscardi [11, 109-129].
4.2 Gladiatori75

Gli individui potevano affittare se stessi in cambio di un salario.16 Da quando è


stato possibile definire il lavoro in termini generali - lavoro tout court, "lavoro
astratto" - ci sono stati soggetti indomabili che non volevano sottomettersi al
rapporto di lavoro e alle sue tipologie e che lo hanno espresso in decisioni - prese
dal potere-lavoro - volte ad affermare la vita come mezzo a se stessa e non come
fine al servizio delle intenzioni di un dominus.
Auctorare se, auctorari significa entrare al servizio di qualcuno, sottomettersi
ad altri. Questo termine è stato usato in un senso più ampio quando è stato
applicato alla prostituzione, alle donne che lavorano come attrici nei teatri, alle
attività di architetti, artisti e, in generale, a qualsiasi forma di lavoro autonomo o
subordinato. L'espressione è ampiamente utilizzata sia in ambito giuridico che in
letteratura e filosofia e indica l'attività servile di coloro che responsabilmente
hanno deciso di onorare un obbligo di eseguire o fornire qualcosa in cambio di un
compenso. In cambio di un compenso, chi vende la propria forza-lavoro accetta un
lavoro rischioso, umiliante, terribile. La cessione della sovranità su se stessi era
scandalosa nella misura in cui veniva fatta risalire a un'epoca precedente
all'istituzione del diritto e, per molto tempo, era associata al culto religioso. L'unica
ragione che poteva giustificare un rischio mortale era la devozione a un dio, la
credenza in una vita ultraterrena. L'auctoramentum, tuttavia, non poteva essere
considerato un atto di fede perché non comportava alcun sacrificio religioso. Era
governato da regole che attribuivano significato e scopo a un'azione
potenzialmente mortale.
Tracce di questa concezione sono state trovate nelle Dodici Tavole, un insieme
di leggi create nell'antica Roma nel 451 e 450 a.C., e nella Tabula Heracleensi,
che secondo Savigny conteneva frammenti della lex Julia Municipalis di Cesare, il
fondamento giuridico della costituzione comunale del periodo.17 L'auctoratus era il
prodotto di una serie di situazioni di auctoramentum che si riferivano a forme di
locazione del lavoro (locationes operarum) ed estendevano i poteri coercitivi dei
datori di lavoro. L'espressione usata da Cicerone per descrivere il contenuto di
questi poteri è significativa: subicere se imperio atque potestatis alterius,
sottomettersi al dominio e al potere di un altro. Una formula che dimostra
l'esistenza di un legame politico che modellava i rapporti di lavoro di tutti gli
uomini. Locare se, la formula specifica per vendere e affittare il lavoro degli
uomini liberi, faceva parte della relazione più generale plasmata dalla nozione di
auctoramentum condivisa da tutti gli esseri umani, uomini liberi e schiavi,
nell'accettazione dell'atto sociale ed extralegale della subordinazione volontaria.
Da un lato, lo ius imperandi era il diritto di chi comandava i mercenarii (datori di
lavoro, pater familias, aristocratici o imperatori), un potere che si estendeva oltre
la sfera del lavoro e regolava il comportamento dei cittadini. Dall'altra parte c'era
un ampio tipo di subordinazione definita auctoramentum, il cui contrario era
exauctorare, il licenziamento di un mercenario, di un soldato o di un gladiatore, di
lavoratori specializzati o di chiunque non avesse adempiuto ai doveri previsti dal
vincolo dell'auctoramentum.18

16Cicero [12, I, 42].


17Tabula Heracleensis C.I.L. I 119, lin. 112/113: "Depugnandi causa auctoratus erit".
18Vedi De Robertis, Lavoro e lavoratori nel mondo romano, 155 ss.
764Dis)obbediente

Con il giuramento all'impresario/datore di lavoro, l'auctoratus si identificava


con lo scopo del lavoro, diventando sia il mezzo con cui il padrone raggiungeva il
successo sia il mezzo con cui come lavoratore raggiungeva la propria emancipazione.
Questa narrazione era necessaria per evitare che l'auctoratus cambiasse idea di
fronte al pericolo e alla paura delle sfide che aveva accettato di affrontare facendo
questo giuramento. Il datore di lavoro era usato come un'estensione, come una
proiezione necessaria per costringersi a rispettare fino alla fine, per spingersi dove
nessun essere umano sarebbe andato volontariamente per paura di essere ferito,
dell'avversario, della morte o, più semplicemente, del disprezzo che gli auctorati
ispiravano.
La struttura potestativa del contratto di lavoro era usata strategicamente:
obbedendo al comando di altri, i lavoratori sostenevano la loro decisione. Il datore
di lavoro era utilizzato per onorare un impegno - un obbligo verso se stessi -
necessario per guadagnare un salario, pagare un debito, guadagnare la libertà o
perseguire un'ambizione. Il patto verbale era basato sulla fiducia unilaterale e
incondizionata. In cambio, alla parte subordinata veniva promesso che avrebbe
riacquistato la sua libertà, così come ricchezza e onori. Con l'auctoramentum il
gladiatore giurava - davanti all'altare di un dio personale o nella propria coscienza -
di andare oltre se stesso. Questo giuramento può essere visto come l'estremo,
inconcepibile, esercizio di autodisciplina della libertà personale finalizzato al
raggiungimento della libertà.
L'auctoramentum non può essere descritto come un tipo di lavoro: non è una
forma di impiego o di lavoro autonomo, né è un lavoro da schiavi. È difficile
definire l'auctoratus come un uomo libero (liber in mancipio)19 o come un servus.
L'atto non è paragonabile a quello della subordinazione personale prevista dagli
antichi romani, così come è inconcepibile per qualsiasi soggetto di diritto
moderno. La teoria dell'obbligo non può essere fondata sul paradosso per cui un
uomo libero si vende e rinuncia al bene più prezioso che possiede: la sua volontà o
sovranità su se stesso. Un diritto non può essere fondato sulla negazione del suo
principio. L'auctoramentum è infatti una negazione che afferma un diritto
all'esistenza. È un atto eminentemente sociale che non può essere identificato con
la locatio oper- arum - la locazione di schiavi - o con la locatio operis, la locazione
della forza-lavoro degli uomini liberi. Gladiatori, vignaioli e contadini, operai,
prostitute e artisti, saltimbanchi, tutti svolgevano un servizio che non può essere
ridotto al salario guadagnato (merces), a un contratto (locatio), o alla schiavitù.
Incarnavano qualcosa che superava lo status sociale, la deontologia o l'etica
professionale. La loro condotta era comprensibile come un atto di trasgressione
rispetto ai loro ruoli, come una rottura con l'ordine sociale presente. Gli auctorati
rompevano i legami familiari, quelli che permettevano al pater familias di
sacrificare i figli sull'altare del suo dio, come fece Abramo con Isacco o Metabo
con Camilla nell'Eneide. La loro disponibilità a sacrificarsi, necessaria per
sovvertire il rapporto di dipendenza dal padrone o dai creditori, rompeva i vincoli
con cui si affittava il lavoro e anche quelli creati dalla schiavitù per debiti. La
decisione di lavorare come gladiatore era una forma autonoma di addictio sui
basata sulla libertà dell'attore subordinato, sul suo essere "disponibile a se stesso",
che aveva

19Vedi W. Kunkel, Auctoratus in Symb. TaubesHag, III, (1957), 207 ss. e la critica di O. Diliberto,
"Ricerche sull'auctoramentum", 71 ss.
4.2 Gladiatori77

nulla a che vedere con la relazione di obbligo (obligatio)20 prevista dal diritto
civile, nonostante le sue caratteristiche fossero simili: se l'auctoratus non
rispettava i termini del contratto, il suo datore di lavoro poteva chiedere il
risarcimento dei danni invocando l'ergastula.
Si ritiene che l'origine di auctorare sia il verbo augere.21Augere esprime una
qualità di potere: approvare, autorizzare, aumentare il valore di un atto con
autorità. L'espressione auctoritas principis senates significa accettare una
responsabilità o un rischio. Il verbo auctorare è in realtà semanticamente più
ricco, deriva da un altro verbo, il transitivo aucto¯ror, che significa vendersi o
vendere; autorizzare e impegnare, dare e affittare. Aucto¯ror deriva da aucto¯ro che,
nella forma riflessiva, significa impegnarsi, impegnarsi, obbligarsi, offrirsi. Usato
attivamente significa impegnare, legare, procurare o assumere in cambio di un
pagamento.
L'auctoramentum è una forma di vita riflessiva, prodotta dall'attività di
conoscenza di se stessi e dal conseguente uso della vita. La riflessività è, a sua volta,
una forma di attività. Non è solo l'espressione della vita della mente, è un'azione nel
mondo. Riflessività e attività sono presenti nel verbo applicato sia al rapporto di
lavoro che al rapporto di potere. Un individuo nel ruolo di auctoratus autorizza
un'azione e, allo stesso tempo, accetta di essere comandato, quindi si obbliga a
rispettare questa decisione. Così facendo, decide liberamente di sottomettersi per
entrare in una relazione di potere asimmetrica con gli altri.
Auctoramentum deriva dalla consapevolezza di essere auctor, che indica colui
che prende un'iniziativa e produce qualcosa di nuovo, fonda qualcosa, garantisce e
promuove la propria auctoritas o quella di altri. È un atto creativo indipendente
dalla gerarchia sociale: l'auctoritas può essere quella di un alto magistrato, di un
aristocratico, di un gladiatore o di uno schiavo, senza distinzione. Tutte queste
figure creano valore: il successo dei giochi beneficiava il lanista e il suo patrono,
per esempio. Questo trasformava l'auctoratus, una persona odiosa, in una divinità.
L'ascesa e la caduta potevano essere improvvise, nell'arena come nella società.
Inoltre, il rischio non impediva all'auctoratus di esercitare il fascino esercitato da
coloro che vivono al di fuori della legge, dove tutto sembra possibile, purché sia in
gioco la loro vita. Vendere se stessi, sottomettersi, vincere una battaglia, realizzare un
lavoro rischioso, costituiscono un modello diverso da quello del saggio esposto
dalla filosofia stoica di Cicerone o Seneca. Nel caso dell'actoratus abbiamo il
contrario: una parodia che costituiva un ideale-tipo che attingeva alle virtù dei
combattenti, all'esemplarità degli attori, alla sessualità delle prostitute, alla capacità
di occupare diversi status nel corso della vita. L'auctoratus perseguiva un modello
di vita singolare grazie a una strategia giuridica e a un tipo di allenamento morale,
fisico e mentale, l'ascesi filosofica predicata dalle filosofie incentrate sulla
saggezza e la cura di sé. Questo comportamento diede origine a una tecnica di vita
(tekhne¯ tou biou) che metteva in discussione il sé come soggetto etico di verità e
come oggetto di conoscenza. Lo scopo era quello di "costituire il soggetto della
vera conoscenza come soggetto della giusta azione".22

20Vedi A.Biscardi, "Nozione classica ed origini dell'auctoramentum", 117.


21Vedi Albanese [13, 406].
22Vedi Foucault [14].
784Dis)obbediente

L'auctoratus praticava un'arte acquisita attraverso esercizi spirituali, atletici e


bellici. Con lui il mondo cessava di essere solo oggetto di pensiero e veniva anche
agito. Questo tipo di esistenza era inconcepibile per i soggetti filosofici, così come
è inconcepibile per la razionalità moderna che si basa sull'idea che la vita sia una
proprietà di se stessa. La condotta del gladiatore permetteva a un soggetto di
costituirsi spendendo la propria proprietà, non appropriandosi della ricchezza
altrui. Questa condotta gli permetteva di sperimentare una gamma di possibilità
sconosciute al soggetto tradizionale della vita filosofica o produttiva. La sua
disposizione era utile per resistere al bando di una comunità. Secondo la filosofia
stoica romana, infatti, il lavoro era un'attività servile, incapace di accedere alla vera
conoscenza e quindi esclusa dalla gamma di tecniche di conoscenza di sé e di
formazione spirituale. L'Auctoramentum dimostrava il contrario: la vita era una
prova, una dimostrazione di coraggio e un modo di sperimentare varie possibilità -
come nel caso degli uomini liberi descritti da Seneca, Cicerone o Epitteto - che
però non seguiva un modello provvidenziale in grado di stabilire il valore e lo
scopo di questa formazione. Questo modello si applicava a tutti: schiavi, liberi,
lavoratori e gladiatori.
La motivazione nell'accettare sfide impensabili era la promessa di liberazione.
Dall'uso virtuoso delle virtù nel combattimento - dalla capacità di raggiungere la
perfezione, anche se questo poteva significare uccidere qualcuno in un'arena -
questi individui ottenevano rispetto, onore, gloria, in altre parole, riconoscimento
sociale. In questo senso possiamo dire che i lavoratori acquisirono la
consapevolezza di poter trasformare la loro esistenza mettendosi alla prova, con la
disciplina, una pratica regolata attraverso il combattimento. Nella cultura classica
greca e romana, questa tecnica estrema offriva una possibilità: anche gli esuli, i
banditi, gli emarginati, gli schiavi, i mercenari potevano sperimentare la
liberazione. L'Auctoramentum creava una sfera extragiuridica molto ampia
all'interno del sistema giuridico in cui i soggetti marginali riacquistavano il loro
potere usando pericolosamente la loro vita. Questa tecnica era un'applicazione
stupefacente dell'antico motto socratico "conosci te stesso": per conoscere le
potenzialità di una vita bisogna raggiungere una sfera dove nessuna teleologia,
sistema morale o legge può giustificare l'uso più estremo della subordinazione,
dove il soggetto si priva della giustificazione ultima per spiegare il desiderio di
affermare il proprio potere.

4.3 Il lavoro autonomo non ha amici

A differenza del lavoro subordinato, che si basa sulle regole dell'obbedienza, il


lavoro autonomo comporta l'autodeterminazione. Il potere-lavoro agisce sulla base
di un contratto di servizio e si impegna a svolgere un lavoro, completare un compito o
fornire un servizio a un cliente nei tempi e nei modi stabiliti. I lavoratori devono
adempiere a un obbligo per raggiungere un risultato. Per raggiungere questo
risultato, si dotano di una regola di condotta autonoma che permette loro di
produrre un bene o un servizio con i propri mezzi e non con quelli del loro cliente.
A differenza dei salariati, i lavoratori autonomi non sono alle dipendenze di un
solo acquirente. Piuttosto, lavorano per diversi datori di lavoro, continuamente o
per un periodo limitato di tempo.
4.3 Il lavoro autonomo non ha amici79

Il lavoro autonomo è stato collegato alla locatio conductio operis, una forma di
contratto consensuale con cui un lavoratore (artifex) trasforma un materiale di
proprietà di un locatore in un bene in cambio di un compenso (merces). Ciò che
veniva ricompensato era la vendita dell'opera. Nel caso della locatio conductio
operarum, invece, il lavoratore affittava la capacità lavorativa che poi doveva
rispondere alle sue direttive. In una cultura come quella romana dove i contratti di
lavoro nascevano dall'affitto di cose (locatio rei) si pensava che l'oggetto affittato
(locare) fosse la cosa (res). Più tardi si è capito che l'elemento centrale era la
"persona".23 Questa persona era formalmente libera. La precedenza della persona
sulla cosa era considerata logicamente necessaria per giustificare la decisione di
lavorare per, o essere subordinati a, qualcuno. Questo elemento fondamentale era
necessario per concepire i contratti tra persone, non tra una cosa (uno schiavo) e
una persona (il padrone). Per definizione, una cosa non può volere nulla, e
certamente non può firmare un contratto.
La distinzione tra cosa e persona è fondamentale per riconoscere l'autonomia
nell'organizzazione del proprio lavoro e di quello degli altri. Far derivare l'esistenza
di tale facoltà dal diritto contrattuale, fortemente orientato al patrimonialismo, è
un'operazione destinata a fallire. Qualcosa che si è trasmesso dal diritto romano alla
visione capitalista del lavoro è la potente tendenza ad oggettivare il potere
lavorativo. Il processo che porta alla produzione di una merce scompare dietro il
lavoro e l'uso che il suo proprietario intende fare di questa merce. Il valore del
lavoro è concepito esclusivamente in funzione del suo risultato, e non delle facoltà
necessarie per produrlo. La forza-lavoro rimane prigioniera dell'aporia tra cosa e
persona e viene considerata solo strumentalmente.
I lavoratori autonomi cercano di liberarsi da questa contraddizione, infatti
traggono il loro valore non solo dal lavoro consegnato ad un cliente, ma dalle
facoltà necessarie per produrlo. Questo è possibile perché il rapporto con i clienti
non può essere ridotto ad un contratto di locazione, è previsto anche in altre forme
di diritto contrattuale. Nel caso del mandatum, per esempio, un contratto
consensuale imperfetto, un soggetto (il mandatario, mandatàrius) si obbligava a
svolgere un compito per conto di un terzo (il cliente, mandàtor).24 La portata del
mandato era più ampia di quella della locatio conductio: oltre a lavori manuali
come fare la spesa, pulire o rammendare, comprendeva compiti politici, legali e
commerciali. Le attività del mandatario comprendevano i doveri (officia) dei
cittadini maschi che ricoprono cariche pubbliche. Il pagamento, sotto forma di
remunerazione, era escluso. Queste attività rimasero libere per molto tempo.
Con l'espansione della Repubblica prima e dell'Impero poi, il mandatum stabilì una
forma di remunerazione, l'onorario (honorarium). Questo termine derivava dal
diritto pretorio (ius praetorium), e indicava una forma di gratitudine del cliente,
non l'obbligo del titolare di un contratto di ripagare il lavoratore per i suoi servizi.
Questo onorario non era un salario (merces), il prezzo di un servizio mercificato
stabilito da un contratto di locazione del lavoro (locatio operis). Era un contributo
volontario

23 Vedi Arangio Ruiz [15, 235-237]; F. De Robertis, I rapporti di lavoro nel diritto romano;
Almirante [16, 9].
24 Sul mandatum nel diritto romano, si veda Marrone [17, 499 ss].
804Dis)obbediente

legato alla generosità di chi riconosceva il valore di un'attività disinteressata e si


basava sulla logica del dono, dell'amicizia e del gratuitum. Terminava con la fine
dell'incarico, quando cessava l'accordo tra le parti o con la morte dei contraenti.
L'onorario è al centro del conflitto in tutta la storia del lavoro autonomo. Non è
mai chiaro se l'azione mandataria sia un'azione al servizio di una comunità o
un'azione interessata finalizzata alla remunerazione. L'amicizia può essere usata da
un cliente per evitare di pagare il lavoro di un presunto amico. A sua volta, il
mandatario rischia di confondere l'obbligo con l'amicizia che lo lega al suo cliente
e può ricevere un compenso simbolico per il suo lavoro, non un salario. La
confusione tra lavoro retribuito e lavoro gratuito, tra prestazione subordinata e
prestazione liberale e, infine, tra l'obbligo di eseguire un compito e la scelta
derivante da un legame che non rientra in un contratto di subordinazione si basa
sulla capacità del soggetto di identificarsi con il proprio lavoro, nella convinzione
che esso abbia un'utilità generale per la collettività.
Il conflitto tra reputazione (onore) e dignità delle figure professionali è emerso
per esempio nel 1602 in Francia quando fu stabilita la regola della gratuità
assoluta nell'esercizio della professione liberale di avvocato.25 Questa regola
derivava dal mandatum del diritto romano, che proibiva la remunerazione delle
cariche politiche o pubbliche. Nel tribunale di Parigi, gli avvocati erano tenuti a
includere il loro onorario negli atti e quindi a pagare le tasse. L'avvocato ammetteva
di svolgere un'attività commerciale e questo, all'epoca, era considerato degradante.
Il compenso era un dono che non poteva essere preteso, poteva solo essere dato.
Non era nemmeno permesso di andare in tribunale per una controversia sul
pagamento degli uffici resi. La morale professionale rifiutava tutte le relazioni
basate sul salario, poiché erano considerate mercenarie, indicative di un'attività
servile. I doni garantivano azioni disinteressate svolte per il bene comune ed erano
il presupposto per l'ottenimento di benefici. Questa mentalità è ancora comune tra
studenti universitari, avvocati, medici, ingegneri e giornalisti. È vista come
necessaria per mantenere l'autonomia di giudizio rispetto allo Stato o ai clienti, e
per rivendicare l'appartenenza a una classe che negozia con il potere da posizioni
indipendenti e disinteressate. È così che il lavoro autonomo professionale ha
acquisito un ruolo nella classe dirigente come intermediario nel mercato, come
mediatore sociale. Le figure professionali divennero legate alla sfera del governo,
non a quella dell'obbedienza. Il loro posto era accanto al principe, non al povero.
L'indipendenza, che era possibile solo sulla base dello status di proprietario
aristocratico o borghese, divenne il criterio per la separazione dei liberi
professionisti dai lavoratori.
L'onorario è una formula usata nel lavoro autonomo professionale e artistico e
indica l'esistenza di un patto tra pari -o signori, gentiluomini- basato sull'esercizio di
una virtù intellettuale, politica o umana, non sul denaro. È una relazione basata sulla
fiducia, non sull'obbligo; sul prestigio, la conoscenza e l'autorità, non su un
contratto che regola ogni singolo aspetto di un rapporto di lavoro. Tuttavia,
ognuna di queste qualità ha il suo equivalente in denaro. Il calcolo del compenso
rimane un'operazione arbitraria. Non esiste un criterio oggettivo in grado di
definirlo. Il valore di un servizio è determinato dal potere sociale di una classe,
non da

25Vedi I. Botteri, Tra "onore" e "utile": il galateo del professionista.


4.3 Il lavoro autonomo non ha amici81

tariffe o regole di condotta. A causa di questa incertezza è il carisma degli individui


che finisce per essere valorizzato, la loro capacità di imporsi sul mercato, non il
potere del gruppo sociale o professionale che permette a questi individui di
imporre condizioni a un cliente. Il carisma è diventato una qualità mistica,
acquisita per magia o per elezione, non per selezione sociale, e si oppone ai
lavoratori salariati, a quelli con contratto, ai lavoratori meccanici o dirigenti.
La separazione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato è il motivo per cui
Cicerone poteva considerare deplorevole la richiesta di un salario nel campo
dell'insegnamento - che è l'esercizio della conoscenza, non uno scambio di beni.
Questo pregiudizio aristocratico che ha origine nel diritto romano è un elemento
fondante dell'ideologia professionale dei lavoratori autonomi borghesi.26 Questa
ideologia è penetrata anche nel lavoro salariato, plasmando l'identità specifica dei
lavoratori professionali, che vengono infatti definiti "aristocrazia operaia" per
distinguerli dai semplici manovali, impiegati in mansioni esecutive o come
apprendisti: queste figure costituivano un sottoproletariato nel mondo
manifatturiero industriale, che riproduceva questa distinzione fatta originariamente
in ambito cortese, poi esportata in ambito borghese, nella classe operaia.27
Il lavoro autonomo non può essere ridotto a una relazione con un cliente. Ha
una lunga tradizione umanistica e sociale che considera l'esercizio di una
professione come un servizio intellettuale, sociale e politico per il progresso di una
comunità, il benessere dei cittadini e il progresso economico e tecnologico della
società. Queste attività non possono essere ridotte all'attuazione di un accordo
contrattuale per l'affitto e la vendita di lavoro, ma comportano altri modelli
organizzativi, come la societas, per esempio. Nel diritto romano la societas
denotava sia un tipo di impresa che un corpo sociale, capace di organizzare gruppi
secondo la solidarietà e l'interesse comune. La societas era strutturata intorno a un
fondo comune e i beni erano di proprietà dei suoi membri. L'accordo tra i suoi
membri, che erano uomini liberi, permetteva a diversi soggetti di coesistere su un
piano di parità. Era un modello di associazione mutua o cooperativa, più ampio di
quello stabilito dagli azionisti di una società per azioni.28 L'intersezione tra diritto
civile, diritto commerciale e sfera politica estende il dominio del lavoro a tutte le
azioni umane. L'esercizio delle facoltà del potere-lavoro è l'espressione di un
atletismo generalizzato che attraversa tutte le relazioni sociali dove è l'accordo tra i
soggetti -non il comando di uno sull'altro- a regolare la rivalità tra i pretendenti.
Un'altra differenza diventa così evidente rispetto al contratto di lavoro: in questo
caso, i rapporti di potere cercano di neutralizzare e rimuovere il conflitto tra il
datore di lavoro e il dipendente; nel caso del lavoro autonomo, il conflitto è inteso
come una delle forme di una rivalità generalizzata che si riflette nella
competizione tra soggetti economici formalmente uguali ma materialmente
diversi. Questa è la probabile origine del concetto greco e romano di amicizia
(philia) e del detto attribuito da Aristotele a Diogene Laërtius:

26Vedi D. Banfi, S. Bologna, Vita da freelance, secondo capitolo.


27Vedi Roth [18].
28 Sulla storia dei tipi di lavoro e di impresa nel diritto romano si veda M. Bretone, Storia del diritto
romano.
824Dis)obbediente

"O amici miei, non c'è nessun amico".29 In questo quadro, il lavoro autonomo non
ha una collocazione specifica, implica forme contrattuali e vincoli morali diversi,
acquisisce alcune caratteristiche ma non altre, a partire dalla sua capacità di
svolgere un compito in un tempo e in un modo stabiliti. Il criterio per identificarlo
rimane l'affermazione del diritto ad esistere al di là di un contratto di lavoro e la
sua capacità di conservare la propria autonomia nei limiti imposti da molteplici
relazioni di potere di cui è parte attiva e non passiva.
Senza dubbio questa è la storia del lavoro e non dell'impresa; coinvolge classi
sociali diverse dall'aristocrazia e dalla borghesia, dove è possibile riconoscere
processi di emancipazione. Il lavoro autonomo permette di estendere la
tradizionale nozione monista marxista di lavoro salariato alla nozione pluralista di
classi lavoratrici che includono sia lavoratori salariati che forme di lavoro
autonomo. Coltellinai, sarti, artigiani, capimastri e tipografi abbandonarono il
corporativismo e divennero i protagonisti della prima ondata rivoluzionaria che
attraversò l'Europa all'indomani della Rivoluzione francese, delle rivolte e delle
insurrezioni che ebbero luogo in Inghilterra e in Francia tra il 1792 e il 1831.
Questi eventi furono resi possibili da associazioni che andavano contro la logica
che regolava il diritto contrattuale e l'abitudine a considerare la soggettività sulla
base della propria identità professionale. Il lavoro oggettivato non è sempre alla
base delle rivendicazioni del potere-lavoro.30 Il punto di partenza di questa
genealogia è altrove: la soggettività si manifesta nel potere-lavoro attraverso
l'affermazione dell'autonomia.31
Su questa base è possibile individuare un terreno comune al lavoro subordinato.
L'insubordinazione dei lavoratori autonomi caratterizza la storia delle lotte dei
lavoratori che rifiutano di identificarsi con il lavoro meccanico e rivendicano il
diritto di scegliere come lavorare. In entrambi i casi si può parlare di materialismo:
i lavoratori chiedono che il salario e il pagamento siano puntuali, che ci sia un
aumento del salario e che si negozi un risarcimento.32 Queste richieste servono a
rafforzare la rivendicazione di autonomia contro la subordinazione di coloro che
sono costretti a lavorare per i proprietari o in condizioni servili. Ciò che queste
tipologie di lavoro hanno in comune è l'occultamento a favore di una divisione
astratta del lavoro basata su tipi di contratto da cui dipende la libertà dei lavoratori.
La distinzione tra tipi di contratto - e la distinzione tra lavoro autonomo e
subordinato - non è originale, ma riflette la volontà di non essere dominati. Questa
volontà va al di là dello statuto contrattuale dei lavoratori e si esercita in
condizioni diverse, spesso opposte, che spesso sono vissute dalla stessa persona in
momenti diversi della sua vita, in tempi di intermittenza del lavoro e del reddito.

29Vedi Derrida [19].


30Vedi E.P. Thompson, The Making of the English Working Class; Rancière [20].
31 Sulla tendenza contemporanea del lavoro autonomo, si veda Fumagalli e Bologna [21]. Sulla
trasformazione del lavoro autonomo durante la crisi, si veda Bonomi [22].
32Vedi S. Bologna, Knowledge Workers, p. 25.
4.4 Lavoratori freelance83

4. 4Lavoratori freelance

Se la storia del lavoro subordinato si riferisce al conflitto tra padroni e servi, la


storia del lavoro autonomo è forgiata nella guerra. Questo aspetto emerge
chiaramente nel caso dei freelance: soldati di ventura, mercenari del lavoro.33 Il
freelance è uno degli archetipi del lavoro autonomo e oggi esprime due posizioni
contrattuali e professionali: quella dell'appaltatore o contraente indipendente, che
svolge un compito per conto di terzi, e quella del lavoratore autonomo.34 Oggi libero
professionista è una figura concettuale che indica professioni intellettuali, artistiche
o cognitive ed è spesso usato per indicare i lavoratori autonomi. Può anche
indicare una condizione più generale: uno stile di vita che deriva da una molteplicità
di ruoli lavorativi che si alternano nel corso della carriera professionale. Il rapporto
tra la singolarità dei ruoli contrattuali e la molteplicità delle opportunità è indice
del fatto che il potere-lavoro non può mai essere identificato con nessuna delle
identità contrattuali esistenti, con qualsiasi forma di vita che non coincida con i
ruoli produttivi.
"Freelance" significa "lancia libera", in origine un soldato che tiene una lancia
in testa alla fanteria; un freelance è un cavaliere ma anche un'impresa collettiva
pagata da un capitano di ventura. L'espressione "lancia libera" è sintomatica: i
liberi professionisti costituivano una formazione guidata da un capitano, o "caporale",
assoldato come un cavaliere, seguito da servi o attendenti. Il contratto con cui i liberi
professionisti venivano assunti regolava anche i loro servizi: i liberi professionisti
erano guerrieri professionisti con due o più servitori. Con il tempo, questa
formazione di base si espanse: una lancia libera poteva significare diversi cavalieri
e un certo numero di attendenti reclutati da loro. "Lancia libera" è l'unità di misura
di un esercito composto da mercenari.
La storia di questa formazione militare è raccontata in Ivanhoe di Walter Scott,
pubblicato nel 1819. Qui, freelancer è sinonimo di mercenario, il tipo di soldato
che lavorava per un generale o un monarca. Nello scontro tra Riccardo I e Giovanni
d'Inghilterra, gli eserciti erano in gran parte composti da tali freelance. La guerra tra
le due fazioni fu alimentata da coloro che usavano i mercenari in una guerra
civile.35 Le truppe di uno dei due eserciti non erano considerate mercenarie,
mentre quelle del secondo lo erano. Giovanni attirava furfanti senza legge che erano
tornati dalle Crociate, "corrotti dai vizi dell'Oriente", che erano diventati impoveriti e
violenti. La definizione di freelance come un soldato che combatte in un esercito
legittimo ha origine da una decisione politica. Questi soldati, infatti, erano banditi,
ma la loro vita cambiò quando si unirono ad un esercito vittorioso. Una vittoria
militare e la fondazione di una nazione - l'epopea narrata da Ivanhoe -
trasformarono "uomini d'azione" in cerca di "lavoro" in lavoratori regolari e
cittadini laboriosi dello Stato nascente. La definizione di lavoro onorevole,
produttivo e legale non deriva da un contratto, né dal

33Per una storia dei lavoratori freelance si veda Bologna [23]; S. Bologna, Knowledge workers; S.
Bologna,
La nuova forza lavoro; D. Banfi, S. Bologna, Vita da freelance; Gandini [24].
34Vedi Reich [25].
35Scott [26].
844Dis)obbediente

semplice scambio tra un servizio e un salario, ma da una decisione che cambiava


sia i soggetti del lavoro che il principio secondo il quale gli uomini erano
riconosciuti come titolari di diritti.
I generali stessi erano mercenari che accettavano di stipulare un contratto con
una città o un sovrano. La loro obbedienza era condizionata da un contratto. I servizi di
questi liberi professionisti erano liberi ma non gratuiti: è così che va interpretata la
parola inglese "free". In sostanza, un generale-freelance era libero dai vincoli di
comando, gerarchia o appartenenza, tranne quelli relativi all'esecuzione del
compito stabilito dal reclutatore. Quest'ultimo poteva essere un signore della
nobiltà terriera o della nobiltà - un "franklin", un proprietario terriero che nella
tradizione inglese era garantito dall'indipendenza dalla tirannia feudale -36 o un
intermediario del lavoro armato come il lanista nel caso dei gladiatori. Nella storia
degli eserciti mercenari, questi intermediari non erano impresari-imprenditori ma
erano tra i protagonisti del conflitto e si alternavano tra guerra e politica. Il loro
compito era quello di mettere le truppe a disposizione del miglior offerente.
In Ivanhoe, il ruolo dell'intermediario-recruiter non è più solo quello di un
imprenditore interessato a organizzare il lavoro per fare carriera. Queste figure
erano generali, chiamati condottieri, capaci di fondare uno Stato pirata o uno Stato
sovrano. L'espressione è usata nel romanzo quando, durante un torneo, Giovanni
d'Inghilterra parla con un suo cavaliere, "il capo di una banda di Compagni Liberi, o
Condottieri; cioè di mercenari non appartenenti a nessuna nazione particolare, ma
legati per il momento a qualsiasi principe da cui erano pagati."37 Questi "liberi
compagni" erano truppe mercenarie assoldate da Luigi XI durante la guerra dei
Cent'anni, "compagnie franches" reclutate tra la nobiltà minore indebitata e i figli
reietti dell'alta nobiltà, condizioni che attestano la marginalità e lo status
socialmente irregolare di questi intermediari del mercato del lavoro.
La condotta era un contratto di lavoro che affidava a un condottiero (il capitano
merceologico) il compito di reclutare personale in subappalto. Le truppe
mercenarie erano composte da lavoratori parasubordinati,38 a tempo determinato il
cui ingaggio era simile all'odierno job on call o staff leasing, in quanto venivano
assunti da un intermediario che lavorava come subappaltatore per un altro cliente.
Questo modello non ha impedito la creazione di altri eserciti o eserciti mercenari
composti da soldati free-lance. Nel caso dei Lanzichenecchi, un altro esercito
mercenario formato da membri reclutati tra la nobiltà e i contadini, il rapporto tra
l'Oberst (il colonnello incaricato del reclutamento) e il soldato reclutato era
regolato da una lettera di impegno che stabiliva la paga, i compiti e la durata del
servizio. Originariamente questa lettera era il risultato di una negoziazione
personale. Quando gli eserciti divennero più grandi e si dovettero creare più
eserciti, la lettera divenne una pratica standard. Tuttavia non impedì conflitti e
ribellioni, specialmente tra i fanti. Anche la paga era commisurata ai rischi che si
correvano e ai combattenti

36W. Scott, Ivanhoe.


37W. Scott, Ivanhoe.
38I lavoratori parasubordinati in Italia sono individui che sono legalmente lavoratori autonomi ma che
spesso sono "economicamente dipendenti" da un singolo datore di lavoro.
4.4 Lavoratori freelance85

abilità. I fanti che dovevano combattere in prima linea o su campi di battaglia


particolarmente pericolosi, ricevevano una paga doppia (Doppelsöldner). Lo
stesso valeva per i musicisti che accompagnavano le truppe con tamburi e trombe.
Il modello è lo stesso dell'auctoramentum romano: i lavoratori autonomi
specializzati come i fanti avevano diritto a salari più alti per svolgere compiti
difficili e pericolosi. In cambio, il loro datore di lavoro esigeva fedeltà assoluta,
anche se questo significava mettere a rischio la propria vita. La stessa legge si
applicava alla relazione tra i soldati mercenari e il loro capitano.
Niccolò Machiavelli racconta la storia di Castruccio Castracani, un soldato
libero professionista che divenne prima leader della fazione ghibellina, poi duca e
capitano di città come Lucca e Pisa. La sua carriera di libero professionista fu
quella di un politico che usò le armi, l'astuzia e la sua indipendenza per affermare
un nuovo potere. Nato da una potente famiglia nobile lucchese, gli Antelminelli,
Castruccio perse la sua prerogativa aristocratica quando, nel 1300, fu costretto a
fuggire dalla fazione guelfa avversaria, guidata da Bonturo Dati. Iniziò così la sua
carriera di free lance da vendere sul mercato dei tornei e delle guerre dei sovrani
europei. Castruccio conquistò il favore del re Edoardo I d'Inghilterra. Durante la
sua vita avventurosa commise un omicidio per difendere il suo onore. Fu costretto
a fuggire di nuovo e si rifugiò in Francia, dove tornò a combattere come lancia
libera per Filippo il Bello, che aveva bisogno di truppe mercenarie. Divenne
comandante di cavalleria e si affermò sul campo di battaglia di Arras e nella
guerra delle Fiandre. Tornò in Italia dopo quindici anni e prese parte alle guerre tra
guelfi e ghibellini nelle città toscane.
Dopo aver conquistato Lucca ed essere diventato signore della sua città,
Castruccio condusse attacchi contro Firenze senza però dichiarare guerra. Gli
onori militari e il potere guadagnato con le sue azioni spregiudicate gli valsero la
nomina di "Gran Legato in Italia" e altri riconoscimenti da parte dei duchi di Baviera.
Papa Giovanni XXII lo scomunicò perché, come ghibellino, non riconosceva
l'autorità temporale della Chiesa. Quella di Castruccio è una delle vite esemplari di
condottieri scelte da Machiavelli per illustrare la sua teoria politica: "fu
sorprendente scoprire che in pochissimo tempo manifestò tutta quella virtù e quel
portamento che siamo abituati ad associare a un vero gentiluomo. In primo luogo
divenne un abile cavallerizzo, (...) Ma ciò che accresceva tanto il fascino di queste
capacità, era la deliziosa modestia (...). Queste doti lo resero amato (...) da tutta
Lucca".39 Nel ritratto di Machiavelli ciò che emerge è il desiderio del condottiero di
trasformarsi e diventare un gentiluomo, capace di usare le armi, comandare un
esercito e conquistare l'approvazione del popolo. Qui emerge un altro aspetto
dell'individualismo moderno: lo sviluppo di una regola di condotta, con cui sfidare
le relazioni di potere esistenti, stabilendo un sistema di valori indipendenti, basati
sul carisma, l'unicità e il prestigio. Sono valori che appartengono al dominio del
lavoro indipendente - quello che oggi si chiama lavoro autonomo - che rendono il
signore-freelance capace di fondare uno Stato e di essere indipendente dai "potenti",
dai signori e dagli altri Stati che possono avere interesse a conquistare il suo
territorio. La ricerca di autonomia non si riferisce solo a una condizione
professionale, ma anche a una sfera politica in cui

39Machiavelli [27, p. 280].


864Dis)obbediente

la gente "è desiderosa di non essere comandata e oppressa dalle famiglie nobili, e
(...) i nobili sono desiderosi di opprimere la gente comune e di ordinarla".40
L'autonomia degli individui si riflette nel desiderio di governare se stessi e di non
essere comandati dai molti.
Machiavelli distingueva i mercenari dai cittadini-soldati, cioè quelli fedeli a
un'idea, una comunità o uno Stato. Questo era, dopo tutto, il progetto del Principe
per un "principato civile", per una "repubblica" da realizzare con la creazione di
un esercito regolare attraverso la coscrizione obbligatoria. Machiavelli individuava
un principio di lealtà e una visione politica nella pratica dei soldati mercenari.
Questo è un elemento importante che permette di fare una distinzione
fondamentale: tra i liberi professionisti ci sono quelli che sanno governare la loro
fortuna, esprimono virtù e passano dall'essere soldati di ventura a Principi che
"sono popolari presso il popolo". Il loro impegno consiste nell'ottenere credito-
autorità al di là delle semplici relazioni commerciali. Dall'altra parte, i liberi
professionisti che rimangono mercenari:
(...) sono inutili e pericolosi. Se contate sui mercenari per difendere il vostro stato non
sarete mai stabili e sicuri, perché i mercenari sono ambiziosi, indisciplinati, sleali e
litigano tra di loro. Coraggiosi con gli amici e codardi con i nemici, non hanno timore di
Dio e non mantengono le promesse. (...) Perché l'unico interesse che hanno per te e l'unica
ragione per combattere è il magro salario che gli paghi, e questo non è un motivo
sufficiente per farli morire per te. Certo, sono felici di essere i tuoi soldati quando non sei
in guerra, ma quando arriva la guerra, scappano o spariscono.41

Un libero professionista diventa un principe quando scopre le virtù politiche a


partire dal suo lavoro: la frugalità, per esempio. Un libero professionista deve
amministrare le sue risorse senza dare l'impressione di essere "miserabile". Questa
è una regola importante da seguire quando si governa uno Stato: la liberalità è
pagata dal popolo, che può vendicarsi quando il lusso del principe contrasta con la
sua miseria. La regola dovrebbe essere seguita anche dagli individui: l'ostentazione
della ricchezza, o il vantarsi di ciò che si è raggiunto, può rovinare i rapporti con i
pari o gli inferiori necessari nelle imprese future. Machiavelli analizza l'uso della
crudeltà e della pietà. Nel caso di un condottiero, la prima è necessaria per
governare una "moltitudine di soldati": uno "non deve avere remore a farsi una
reputazione di crudeltà; altrimenti sarà del tutto impossibile mantenere l'esercito
unito e adatto al combattimento."42
Il conflitto tra gentiluomo e mercenario continuò su un palcoscenico diverso:
non più il campo di battaglia, ma la corte. Le guerre furono sostituite dalle trame
dei cortigiani. La lotta non era più armata, ma simbolica, basata sulla classe e
sull'economia. Il gentiluomo divenne un cortigiano che agiva secondo le regole di un
comportamento corretto e dignitoso: il galateo. Nel suo Galateo, overo de' costumi
(1558) Giovanni della Casa stabilisce una regula universalissima volta a sopprimere le
irregolarità e le discontinuità della vita, soggetta a passioni e conflitti, e descrive un
modo di vivere indipendente dalla propria appartenenza religiosa, politica, nazionale

40Machiavelli [28,
38].
41N. Machiavelli, Il Principe, 65-66.
42N. Machiavelli, Il Principe, 67.
4.4 Lavoratori freelance87

e l'identità sociale.43 Il cortigiano di Baldassar Castiglione doveva incarnare la


sprezzatura, cioè "una certa disinvoltura", fingere la grazia e interpretare la vita
secondo la convenienza.44 Un cortigiano articolava l'aggressività secondo un
codice di comportamento in equilibrio tra la ricerca dell'utile e il proprio onore,
ispirato alla "moderazione", alla "prudenza" e all'autocontrollo. Questa mentalità
prevalse nell'epoca dello Stato borghese e costituì la mentalità della burocrazia
statale e dell'etica borghese del lavoro. Il lavoro autonomo aveva fatto molta
strada dalle sue antiche origini guerriere.
Questa mentalità, però, si scontrava con dei limiti materiali: prima di tutto il
reddito. Come i salariati, queste nuove figure professionali non erano pagate. Nel
corso della storia contemporanea, queste figure sono state costrette ad affrontare le
conseguenze dell'impoverimento. Nel 1901 il medico Stefano Noce scriveva che
"la nostra professione ha un nobile scopo umanitario, e se necessario sacrifichiamo
volentieri la nostra vita per la salute del prossimo, ma accanto ai nostri doveri,
abbiamo anche dei diritti, e il sacrosanto diritto di farli rispettare". In che modo?
Imponendoci collettivamente contro la grettezza delle amministrazioni che ci
sfruttano, contro tutti coloro che, approfittando della nostra acquiescenza e dei
nostri bisogni, considerano il nostro lavoro uguale o inferiore a quello di un
lavoratore analfabeta".45
Già all'inizio del XX secolo, le professioni intellettuali avevano un problema di
reddito e di insufficiente protezione professionale. L'etica deontologica, insieme
all'istituzione degli ordini professionali, ha introdotto la protezione dalla società,
non solo l'autonomia dallo Stato. Dietro il decoro di queste professioni ci sono
lavoratori poveri e ingloriosi.

4.5 Flâneur

La figura più recente che appare è quella del flâneur, il vagabondo metropolitano che,
intorno al 1840, portava al guinzaglio delle tartarughe per le strade di Parigi. La
flâneurie è un'altra versione dell'auctoramentum romano: quando tutti i domini
della vita sono stati mercificati, i soggetti scelgono di condurre la loro esistenza come
una merce, abbandonandosi a ciò che Walter Benjamin ha descritto come "l'ebbrezza
della merce immersa in un flusso in espansione di clienti".46 Il flâneur sperimenta
questa estasi e matura il desiderio di non essere dominato da se stesso sotto forma
di merce.
Il protagonista di questa trasformazione è il poeta: da esteta che rifiuta il
mercato, diventa "il proprio impresario"47 che si realizza con il mercato. Se il
mercato è il "cosmo" che riunisce tutti i destini individuali, il flâneur è una
pubblicità vivente e se ne fa una ragione di vita. All'Expo di Parigi del 1867, il
poeta

43della Casa [29].


44Castiglione [30,
59-60].
45Noce [31, 723-762].
46Benjamin [32, 31].
47Benjamin [33, 169].
884Dis)obbediente

che cercava di essere unico come lavoratore "creativo" viene assunto come uomo
sandwich.48 Era pagato per camminare per le strade, alle fiere o davanti alle vetrine
dei negozi: Benjamin scrive che è pagato per camminare, da un giorno all'altro la
sua ispezione del mercato è diventata un lavoro. Il trauma prodotto da una tale
occupazione in chi credeva che lo spirito del mondo avesse il ritmo di un
endecasillabo ha determinato il carattere anarchico, mistico e ipersnobistico della
cultura letteraria e intellettuale tra Ottocento e Novecento.49 Il mondo è diventato un
luogo brutale: scrivere poesia è ormai un lavoro come vendere panini in un
negozio o in un passaggio. Entrambe le possibilità sono a disposizione della forza
lavoro: si presume che la prima non sia un'attività alienata, mentre non si può
escludere l'alienazione nel caso della seconda.50
L'incarnazione in una merce fa parte dello spettacolo di cui il flâneur è un
attore. Entra in un teatro - la città, il mercato - e recita un ruolo. Lo cambia come
un vestito. È tutto e niente: è una personalità vivente che non può essere ridotta
alla merce che ha scelto di incarnare e alla pubblicità vivente che la merce lo
costringe ad essere. La maschera che indossa non elimina la differenza
fondamentale tra il potere (potenza) della forza-lavoro e l'identità della merce-
lavoro. L'attore concepisce qui una critica di se stesso come merce, diventa
consapevole di se stesso come oggetto di scambio e come valore d'uso. In questo
senso anche un libero professionista è in grado di concepire se stesso come forza-
lavoro.
La flâneurie è una forma di resistenza. Baudelaire formula una teologia
dell'ozio, una poetica dello spleen, vende il "satanismo" sul mercato culturale.
L'ozio non è l'assenza di azione. È un'attività operosa, un modo di lavorare su se
stessi, la costruzione di un atteggiamento, la definizione di una condotta. Il poeta,
lo studente che non smette mai di studiare, il collezionista, l'ozioso che non si
stanca mai di vedere cose nuove e il grand seigneur votato all'ozio, il giocatore e
lo schermidore: sono tutti personaggi che negano l'utilità economica e religiosa del
lavoro. In questa prospettiva, la flâneurie è una sfida alle regole che governano la vita
sotto il capitalismo e alla divisione tra azione e contemplazione, autonomia e
subordinazione, governanti e governati. C'è un potere (potenza) che non ha niente a
che vedere con l'offerta del mercato, con la forza esercitata dallo Stato, a cui gli
uomini non possono rinunciare. L'obiettivo del flâneur è quello di "trasformare
Parigi in un grande interno, una casa le cui stanze sono i quartieri, non meno
chiaramente delimitati da soglie di quanto lo siano le stanze reali", in modo che la
città "possa apparire a chi la attraversa senza soglie: un paesaggio a tutto tondo".51
Il flâneur esprime il desiderio di costruire un altro mondo dentro questo
mondo. La città è l'interno della vita, il telaio o il computer sono i cervelli con cui
lavoriamo. "Dietro le maschere di cui si serve al massimo, il poeta in Baudelaire
conserva il suo incognito. (...) La sua prosodia è come la mappa di una grande città
in cui ci si può muovere senza dare nell'occhio, protetti da blocchi di case, portoni,
cortili".52

48Vedi Gentili[34, 21-36].


49Vedi Fortini[35, 90].
50Vedi Ciccarelli [36, 143-160].
51Vedi Benjamin [37, 422].
52W. Benjamin, "La Parigi del Secondo Impero in Baudelaire" 61.
4.5 Flaneur89

L'anonimato è la premessa per costruire l'identità di un soggetto calcolatore. A


differenza dell'imprenditore, per il quale il calcolo è la capacità di accumulare
risorse e valori monetari, questo soggetto perfeziona una competenza strategica
basata sulla produzione di un effetto, una sorpresa calcolata. Come poeta, la
conoscenza che alimenta la competenza è una lotta con il lettore o il cliente -
l'editore, il direttore di un giornale. Benjamin scrive che calcola i suoi effetti passo
dopo passo. E guadagna un vantaggio su quelli che lo aspettano, presumibilmente
alla luce, a teatro o in un caffè. Lui, invece, si muove nell'ombra e aguzza l'ingegno
per stupire il suo pubblico. Nel suo girovagare, il flâneur incontra un altro
protagonista della vita metropolitana: il cospiratore. "Baudelaire cospira con il
linguaggio stesso", scrive Benjamin, perché tutti i poeti lavorano con il linguaggio.
Se consideriamo questa citazione in relazione ai freelance, l'idea del lavoro come
cospirazione, come azione protetta dall'anonimato, è di interesse extra-ordinario. Il
cospiratore-poeta e il cospiratore-rivoluzionario vivono la bohéme. Marx ha scritto
che "sono gli alchimisti della rivoluzione e sono caratterizzati esattamente dallo
stesso pensiero caotico e dalle stesse ossessioni ottuse degli alchimisti di un
tempo".53 Così era Blanqui, il leader politico della rivoluzione prima di Lenin.
Secondo Marx Blanqui era "il vero leader del partito proletario"54 e rappresentava
il tipo di politico che anticipava "il processo di sviluppo rivoluzionario, per
portarlo artificialmente al punto di crisi, per lanciare una rivoluzione sullo slancio
del momento, senza le condizioni per una rivoluzione".
Possiamo così immaginare l'incontro di Blanqui e Baudelaire: il leader politico
incontra il poeta in una taverna, insieme formano un'alleanza, quella tra il
proletariato parigino, i suoi artisti, e i contadini che protestano contro una tassa sul
vino. Blanqui è il risultato di questa protesta mentre Baudelaire scrive la poesia Le
vin des chiffoniers, pubblicata in Les fleurs du mal. Davanti a un bicchiere di vino
non tassato era possibile reclutare lavoratori a giornata, per costruire un'impresa
comune. Il divertimento diventava l'occasione per organizzare la forza lavoro.
L'eternità della taverna nelle rivoluzioni. Fu nell'osteria The Bell che i giacobini
inglesi iniziarono a citare i Diritti dell'Uomo di Thomas Paine. Citazioni che erano
bestemmie contro Dio: "quando il ricco depreda il povero dei suoi diritti, diventa
un esempio per il povero di depredare il ricco dei suoi beni". 55

Riferimenti

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sezione commerciale, vol. IV. Utet, Milano (1989)

53Karl Marx [38].


54K. Marx, Il diciottesimo brumaio di Luigi Bonaparte.
55E. P. Thompson, The Making of the English Working Class, 92 ff.
904(Dis)obbediente

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38. Marx, K.: recensione, Les Conspirateurs. In: Neue Rheinische Zeitung Politisch-
Ökonomische Revue, no 4, aprile 1850. Progress Publishers (2007)
Capitolo 5
Il nano della storia

Il lavoro non è scomparso, è cambiato. Il futuro non è guidato da macchine digitali, ma


da donne e uomini che lavorano e senza i quali il capitale digitale non potrebbe
esistere. Partendo da questo presupposto procediamo a decostruire il mito
dell'automazione digitale. La tecnologia oggi è vista come qualcosa di magico reso
possibile da algoritmi la cui vita è indipendente dagli esseri umani. Questo non è
vero: ciò che rende gli algoritmi intelligenti è la cooperazione con la forza lavoro.
Il valore di tale cooperazione, tuttavia, viene rimosso e alienato a vantaggio dei
proprietari delle piattaforme. Infatti, la forza-lavoro non è un'estensione di un
algoritmo, ma una facoltà attiva che esprime una soggettività viva in
un'organizzazione sociale e produttiva. Il potere-lavoro è il nano nascosto dentro il
burattino della tecnologia che permette al capitalismo di fare i più grandi profitti
della storia.

5.1Amazon Mechanical Turk

Nel novembre 2005, il CEO di Amazon Jeff Bezos ha annunciato la creazione del
servizio chiamato Amazon Mechanical Turk (AMT).1 Gli Amazon Mechanical Turk
sono persone reali che lavorano con algoritmi. Ce ne sono mezzo milione e
formano una delle più grandi piattaforme di crowd-worker del mondo. Si
riuniscono su una nuvola online per eseguire una serie di compiti. Una volta
completato il compito, la folla di lavoratori digitali si scioglie. Queste folle si
riuniscono di nuovo quando c'è una nuova richiesta di memorizzazione centralizzata
di servizi di elaborazione dati.

1 Vedi Silberman e Irani [1]; Orain [2]. Sulle condizioni di lavoro nei magazzini di Amazon: Malet
[3].
© The Author(s), sotto licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 202193
R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_5
945Il nano della storia

L'esecuzione di un compito vale pochi centesimi. I lavoratori possono scegliere


il compito che vogliono eseguire, mentre i loro clienti, noti come "richiedenti",
possono approvare o rifiutare il lavoro. Solo il lavoro approvato viene pagato. La
minoranza di lavoratori a cui viene negato il compenso è definita "dissenziente"
perché il compito è stato completato male. I Mechanical Turks permettono agli
sviluppatori di tecnologia di elaborare enormi quantità di dati estratti da micro-
attività come le trascrizioni, la classificazione delle immagini, la creazione di
categorie pornografiche e le attività di supporto alla ricerca. Il nucleo dell'attività
che oggi alimenta il lavoro digitale è svolto non solo dall'intelligenza artificiale,
ma anche da legioni di uomini e donne seduti davanti ai personal computer di tutto
il mondo.2 La loro dedizione alimenta un'immensa potenza di calcolo. Questa
potenza non è guidata da un algoritmo: infatti gli algoritmi prosperano sul valore
prodotto dalla forza-lavoro.3
I turchi meccanici non sanno nulla del gioco più grande giocato dagli algoritmi
che combinano i loro micro-compiti in un progetto. Clickwork è la
rappresentazione del potere-lavoro contemporaneo: una folla di lavoratori-compiti,
privati dei corpi umani e dell'intelligenza, è disponibile per ogni tipo di attività, al
servizio del comando diretto e non mediato dell'infrastruttura digitale. I lavoratori
sono trattati come primati che creano codici su una tastiera senza comprenderli.
Questa situazione è il risultato di un nuovo tipo di evoluzionismo, in cui il
passaggio da una forza-lavoro che usa il personal computer a persone che sono
diventate computer è lo stadio finale dell'autorealizzazione umana.4
Questa moltitudine di Turchi meccanici che lavorano per Amazon deve il suo
nome a un automa inventato da Wolfgang von Kempelen nel 1769 per Maria
Teresa d'Austria. Il suo Turco era una macchina capace di giocare a scacchi. Girò
in Europa e nel mondo per cinquant'anni come attrazione nelle corti e nelle fiere e
divenne popolare negli Stati Uniti tra il 1820 e il 1830. Finì la sua vita come
burattino e attrazione da fiera nel Peale Museum di Filadelfia, dove alla fine bruciò in
un incendio. Edgar Allan Poe ebbe l'opportunità di vederlo all'opera nel 1836.5 Il
turco aveva caratteristiche orientali, era vestito con un turbante ed era collegato ad
una cassa dentro la quale c'era un piccolo maestro di scacchi. Quello che il
pubblico non vide mai durante le esibizioni dell'automa fu un maestro di scacchi
che poteva osservare le mosse dell'avversario del Turco guardando in una serie di
specchi illuminati da candele. Il fumo che producevano usciva da una pipa inserita
nella bocca dell'automa. La funzione di questa marionetta era quella di creare
intrattenimento per il "mercato" delle meraviglie e delle curiosità: una macchina
inanimata ma intelligente poteva battere un umano giocando a scacchi. La sua
presenza, insieme ad altri fenomeni umani esposti per il piacere o l'orrore
derivante dall'insolito, parlava del sogno della modernità: una macchina che
poteva sostituire il lavoro, rivelando l'esistenza di forme di vita artificiale superiori
alla vita mortale degli umani.

2 Vedi Scholz [4]; Fuchs [5]; Cardon e Casilli [6].


3 Vedere Irani [7].
4 Vedi Howe [8]; Id. [9].
5Vedi Poe [10, 336-57].
5.1 Amazon Mechanical Turk95

L'illusione teatrale messa in scena dal Mechanical Turk di Kempelen è la stessa


che alimenta la frontiera dell'economia dei servizi su richiesta. I Turchi di Bezos,
metà algoritmo e metà umano, sono la reincarnazione mitologica del burattino di
Kempelen nell'era del silicio. Il loro ruolo non è più quello di fare la parte del
maestro di scacchi, capace di manovrare un automa e vincere una partita grazie
alla sua abilità. Il rapporto è ora invertito: la forza-lavoro è il burattino, mentre
l'intelligenza del maestro, una persona in carne ed ossa, è stata trasferita agli
algoritmi. Gli esseri umani sono cose, mentre le macchine di nuova generazione
sono corpi.
Poe prevedeva una mente artificiale capace di sostituire l'intelligenza umana e
di imitarla perfettamente. Questa visione sembrò realizzarsi quando, alla fine degli
anni ottanta, il computer Deep Blue batté il russo Kasparov a scacchi. Il computer
ebbe successo non perché conosceva il gioco, ma perché combinava un numero
infinito di variabili senza comprenderle. La macchina imitava ciò che fanno gli
umani. Oggi gli umani sono trasformati in codici e sono costretti a imitare le
macchine. Il "turker" di Amazon, contrazione tra "worker" e "turk", è un automa
umano il cui valore dipende dalla sua reputazione online, dalla sua capacità psico-
fisica di alimentare l'algoritmo senza capirlo, e dalla sua capacità di gestire i debiti
accumulati per finanziare con le proprie risorse l'attività richiesta da un cliente.
Essere un "turker" significa essere pagato solo dopo aver raggiunto un obiettivo
stabilito da un sistema automatico di valutazione e certificazione.
Sia nel Turco meccanico di Amazon che in quello di Kempelen c'è un maestro
di scacchi, per la semplice ragione che "dentro" ogni lavoro c'è forza-lavoro. Questo
fatto è evidente a tutti, si incarna nei corpi che muoviamo, nel linguaggio che
parliamo, nel modo di pensare. Il suo occultamento non è un mistero di fede, ma il
dispositivo politico del lavoro alienato. Chi è stato più vicino a rivelare la finzione
del Turco Meccanico è stato Walter Benjamin che, nella sua prima tesi sul
concetto di storia, ha interpretato la duplicità del lavoro-potere in termini
teologici:
È noto che una volta esisteva un automa costruito in modo da poter contrastare qualsiasi
mossa di un giocatore di scacchi con una contromossa, assicurandosi così la vittoria nella
partita. Una marionetta in abiti turchi, con un tubo d'acqua in bocca, sedeva davanti alla
scacchiera, che poggiava su un ampio tavolo. Attraverso un sistema di specchi, si creava
l'illusione che questo tavolo fosse trasparente da tutti i lati. In realtà, un nano gobbo che era
un maestro giocatore di scacchi sedeva all'interno, controllando le mani del burattino con dei
fili. Si può immaginare un oggetto corrispondente a questo apparato in filosofia. Si suppone
che il burattino chiamato 'materialismo storico' vinca sempre. Può farlo senza ulteriori
indugi contro qualsiasi avversario, purché si avvalga dei servizi della teologia, che come tutti
sanno è piccola e brutta e deve essere tenuta nascosta.6
Il potere del lavoro non è una teologia. Il nano è vivo, è un essere umano in
carne ed ossa, guida il Turco Meccanico con mosse intelligenti e la sua
conoscenza degli scacchi. Il nano è deriso e nascosto, il suo lavoro non è
riconosciuto, anche se ci costringe a riconoscere la sua presenza. La sua è una
presenza incombente e demoniaca quando manovra il burattino della macchina
capitalista. La posizione del nano è occupata da donne e uomini che lavorano.
Siamo noi che alimentiamo il Turco Meccanico globale e lo facciamo vivere in ciò
che abbiamo in comune: la nostra forza-lavoro.

6 Vedi Benjamin [11, 253].


965Il nano della storia

5.2 Ideologia californiana

L'ideologia californiana è un mix di spirito hippie libero e zelo imprenditoriale


yuppie che alimenta l'immaginazione della Silicon Valley.7 La miscela di
cibernetica, economia liberale e controcultura libertaria è il risultato della fusione
tra la cultura bohemienne di San Francisco e la nuova industria hi-tech. Questo
amalgama riflette la credenza nel potenziale emancipatorio delle nuove tecnologie
digitali, la convinzione che la robotica e l'automazione digitale renderanno il lavoro
inutile. Oggi esprime la frontiera cognitiva dove si trova la maggior parte della
narrativa sulla "fine" o sul "futuro" del lavoro. Infine, l'ideologia californiana
afferma un paradigma di automazione che elimina l'esistenza del potere-lavoro e lo
sostituisce con l'intelligenza automatica delle piattaforme digitali.
Questa narrazione indica un futuro distopico, mentre nel presente lega il lavoro vivo
- l'esperienza produttiva del vivere, pensare e fare - alla volontà dell'azienda che
ha progettato e commercializzato un'innovazione tecnologica. Le macchine
funzionano per i soggetti a cui sono destinate, ma non sono i soggetti che incorporano
le macchine in base a come vogliono usarle, lo scopo per cui sono state progettate.
Ora la forza-lavoro ha un nuovo compito: addestrare algoritmi. Più gli algoritmi
diventano artificialmente intelligenti, più la forza-lavoro viene negata all'intelligenza
umana. L'intelligenza è finalizzata allo sviluppo delle infrastrutture, non al
potenziamento di coloro che le possiedono, cioè le donne e gli uomini che vivono
e lavorano. La sua facoltà è a disposizione di chi la compra, non di chi la vende
per un salario.
È emersa una cultura misantropica in cui le macchine sono umanizzate perché
assumono il ruolo della forza-lavoro, mentre gli uomini sono ridotti a strumenti di
servizio. La soggettività della forza-lavoro è stata trasformata in un supporto
automatizzato, privo di desiderio, investimenti senza oggetto ed esperienza.8 Il
lavoro è un'unità automatizzata intrecciata con algoritmi il cui effetto è quello di
controllare la sua attività, non il suo sviluppo.9 Alla fine di un processo
fantasmagorico, gli algoritmi acquisiscono un'intelligenza superiore a quella
umana. Questa intelligenza è attribuita a una macchina che acquisisce una vita
propria, mentre i lavoratori sono ridotti a essere automi.
L'ideologia californiana è ispirata da un tipo di imitazione che ha trasformato il
mito moderno di Prometeo nel suo opposto. Se ciò di cui parla questo mito è una
creatura artificiale che acquisisce la vita umana, degli umani che usano il potere
della tecnologia per moltiplicare il potere umano sulla natura, oggi gli umani sono
pensati come androidi e robot.10 Vivono in un mondo claustrofobico, liberati da
tutte le limitazioni politiche, fisiologiche e sociali. È una liberazione paradossale
che li porta ad astenersi dall'esercitare il loro potenziale, a rimanere ostaggio dei
padroni dell'innovazione tecnologica. Ciò che ci si aspetta dagli uomini e dalle
donne di oggi è l'obbedienza, la prevedibilità e la conformità alla psicometria
sviluppata dai sistemi di valutazione e dagli algoritmi.

7 Vedi Barbrook e Cameron [12]; Fumagalli [13].


8 Vedere Stiegler [14].
9 Vedere Crary [15].
10Vedi Mazza Galanti [16].
5.2 Ideologia californiana97

Le macchine sono incaricate di stabilire verità incontrovertibili, mentre gli umani


sono responsabili dei loro fallimenti. L'automazione avrebbe dovuto redimerli.
Tuttavia, li rende solo passivi, eliminando tutte le ambiguità, i paradossi e le
situazioni indecidibili che sono presenti nella vita quotidiana.
L'automazione è incaricata di giudicare il destino di una democrazia che non
perde tempo a definire cosa sia la democrazia. Ci aspettiamo che l'automazione
stabilisca il valore del lavoro umano, dal momento che gli umani presumibilmente
non hanno la capacità di stabilire le priorità nella selezione delle competenze, la
loro vita è viziata dall'inautenticità, dall'errore e dalla corruzione. Gli algoritmi
permettono di stabilire un ordine sociale "oggettivo" che le relazioni sociali
impediscono. L'automazione è vista come un mediatore universale delle relazioni
sociali e produttive, mentre in realtà permette di delegare le decisioni su ciò che è
vero e giusto alla classe dei proprietari della tecnologia, "esperti" e "tecnici" che
governano le macchine e stabiliscono il corso del progresso.
Dietro le quinte di questo determinismo tecnologico la paura dell'automazione
è la stessa testimoniata negli anni '50 e nei film di fantascienza dove questa paura
era anche collegata alla minaccia di un'invasione sovietica. Tra gli studiosi di
tecnologia e gli scrittori di fantascienza dell'epoca, si diffuse rapidamente la
convinzione che le fabbriche non avrebbero più avuto bisogno di lavoratori. Gli
operai rappresentavano un "pericolo" comunista: chiedevano salari, organizzavano
sindacati, cambiavano la destinazione delle macchine e il ritmo imposto dalla
catena di montaggio. La paura del nemico sovietico si rifletteva nella paura di un
"nemico interno". L'automazione li avrebbe battuti entrambi, rafforzando la
concorrenza nucleare, permettendo di vincere la corsa alla luna, eliminando ogni
conflitto nelle fabbriche. Oggi la prima linea della nuova guerra è la reinvenzione
del lavoro vivo come una funzione del business e un accessorio degli algoritmi.
Ciò che questo approccio valorizza maggiormente è la corsa all'innovazione del
prodotto, non la cooperazione sociale necessaria per creare tale prodotto. Ciò che è
vivo oggi sono le merci tecnologiche, non i soggetti che le producono. L'ideologia
californiana è la più recente narrazione sviluppata al momento della fine delle
"grandi narrazioni", necessaria per reagire alla stag- nazione produttiva e
occupazionale, alla depressione indotta dalla mancanza di alternative politiche,
che a sua volta riflette l'idea che la storia sia finita con la caduta del muro di
Berlino nel 1989.11 Mentre le utopie sociali si rifugiano nella negatività delle
distopie o in profezie apocalittiche, le utopie conservatrici invocano una comunità
omogenea, il "popolo", e le utopie reazionarie un paradiso religioso da raggiungere
con la morte e il massacro degli innocenti in una Jihad.12 L'automazione è
presentata come la rappresentazione apollinea di una rivoluzione fondata
sull'industria tecnologica, capace di scatenare la potenza "disruptiva" di ciò che è
"nuovo" rispetto al "vecchio".13 L'imprevedibilità viene riportata nel dominio della
realtà e l'alterità del futuro viene neutralizzata nella forma di un prodotto digitale
in grado di plasmare la vita attraverso una costante connessione e competizione
sul mercato, senza incorrere nel rischio di conflitti sociali. La cosiddetta "quarta
rivoluzione industriale" colonizza la vita, ne sterilizza il potenziale

11Vedi De Michelis [17].


12Vedi Roy [18].
13Si veda l'analisi della "perturbazione" come manifestazione del "libertarismo", la variante anarco-
capitalista americana del "neoliberalismo" in Disruption/Disruzione in Ippolita [19, 91-95].
985Il nano della storia

ricodificandolo in un dispositivo elettronico, riducendo il mondo a una polizza di


assicurazione contro il pericolo mortale.14
Il potere-lavoro è stato ridotto a un "intelletto sintetico":
Ma quello che [Marx] non poteva prevedere è che gli intelletti sintetici possono anche
sostituire il capitale alla mente. Così il conflitto che egli caratterizza tra lavoratori mal pagati e
manager altamente compensati - persone contro persone - taglia la strada sbagliata. Il vero
problema è che i ricchi avranno bisogno di poche persone, se non nessuna, che lavori per
loro. Per quanto bizzarro possa sembrare, il futuro sarà una lotta di beni contro persone,
dato che le risorse accumulate dalle nostre creazioni non servono a nessuno scopo
costruttivo o non sono messe a uso produttivo. [...] Non abbiamo bisogno di prendere ai
ricchi e dare ai meno fortunati perché la nostra economia non è ferma; è in continua
espansione, e questa crescita è destinata ad accelerare. Quindi tutto quello che dobbiamo
fare è distribuire più ampiamente i benefici della crescita futura, e il problema si scioglierà
lentamente.15

È una ricostruzione immaginifica del pensiero di Marx. Lo cito solo perché


chiarisce l'orientamento ideologico della letteratura prodotta nella Silicon Valley,
che alimenta la visione decontestualizzata dell'automazione e del suo rapporto con il
lavoro. Un'analisi elementare delle condizioni materiali dell'economia della crisi
mostra che chi è "benestante" avrà bisogno di molta gente che lavori, a condizione
di non nominare mai questo lavoro, cioè a condizione di non pagarlo, il che
comporterebbe dover garantire forme di elementare sicurezza sociale. È altrettanto
vero che le attività a cui viene negato il nome di "lavoro" continueranno ad essere
produttive, nel senso che continueranno a produrre merci e beni di ogni tipo, ma
non saranno riconosciute come l'oggettivazione della facoltà della forza-lavoro.
Il risultato di questo ragionamento è paradossale: quando le persone non sono
necessarie, la produzione si produce da sola. Il valore di tale produzione sembra
essere l'origine della proprietà, la ricchezza è trattata come lo spirito santo ed è
separata dalla sua fonte: la forza-lavoro che produce tale valore. Se le merci si
producono da sole, e la ricchezza viene moltiplicata da macchine che non hanno
bisogno di esseri umani, allora non c'è motivo di distribuire questa ricchezza al
resto della società, né di garantire i diritti di nessuno. L'unico argomento che
giustifica questa visione dell'automazione - uno dei miti fondanti del capitalismo -
è la capacità del libero mercato di autogovernarsi.

5.3 Il mito dell'automazione

La stabilità economica e la conservazione dell'ordine del mercato è


presumibilmente garantita dalla "mano invisibile" di Dio. Secondo Adam Smith
l'intervento di questa mano introduce un controllo provvidenziale sugli eventi, in
quanto guida le azioni di uomini e donne e le traiettorie dei pianeti, rispettando il
piano divino dell'universo.16 Questa cosmoteologia gioca un ruolo fondamentale
nel mito dell'automazione digitale. Niente può rallentare la corsa della Storia
proiettata verso un orizzonte

14Vedi Jameson [20].


15Vedi Kaplan [21, 11].
16Bonar [22]. Harrison [23].
5.3 Il mito dell' automazione99

dove l'anelito religioso alla redenzione si fonde con una tecno-utopia capitalista.
La quarta rivoluzione industriale, un nuovo stadio di progresso che evidentemente
si crede infinito, stabilisce una direzione certa in un presente che non ha
prospettiva. Come Mosè, anche l'automazione indica la meta da raggiungere per un
popolo disperso, anche se in possesso di una carta di credito e in grado di
acquistare prodotti su Amazon con un iPhone. Il mito dell'automazione è alimentato
da potenti operazioni di marketing editoriale e politico, ideali per un'opinione
pubblica inebriata da un senso di catastrofe imminente. Si chiama effetto hype:
"rumore", "propaganda", "pubblicità", "moda". È un fattore della politica
contemporanea, tanto che si può parlare di una hype economy, necessaria per
attirare investimenti milionari nel mercato del capitale di rischio. La società di
consulenza Gartner ha creato un diagramma del "ciclo dell'hype" che mostra le dieci
tendenze dell'anno. Nel 2017 i tag più popolari sono stati case connesse, assistente
virtuale, auto senza pilota, deep learning e machine learning, internet delle cose e
blockchain. Miliardi di dollari saranno investiti in queste tecnologie nei prossimi
dieci anni, prima che vengano immesse sul mercato dove alla fine dimostreranno la
loro produttività. L'oggetto dell'investimento è il potenziale, implementato
dall'hype, nella convinzione che le innovazioni si ripercuoteranno dalla nuvola
delle aspettative a
beni e servizi esistenti.17
Questa teoria dell'innovazione tecnologica si basa su un'economia della
promessa: la promessa di un futuro guidato dalla "mano invisibile" delle
macchine, la mano dei loro proprietari. È la promessa di benessere individuale, di
prosperità garantita dal valore individuale, di "eccellenza" individuale in un
contesto di competizione globale. La tecnologia dovrebbe sconfiggere la paura che
la gente ha di diventare povera, isolata e abbandonata. Ciò che la tecnologia fa in
realtà è delegare l'amministrazione di questo futuro promesso a "esperti", politici e
proprietari di piattaforme, che lo governano per conto di coloro che vivranno questo
futuro. Questo presunto carattere oggettivo delle tecnologie digitali solleva i cittadini
dalle responsabilità e dalle contraddizioni in attesa che le soluzioni vengano
sviluppate dagli algoritmi. Questo "soluzionismo tecnologico"18 dà agli innovatori
tecnologici l'esclusiva sul futuro, e l'autorità di stabilire premi e punizioni
simboliche, desideri e castrazioni, meriti e colpe sulla base del modello bipolare che
alterna depressione ed entusiasmo. Chiunque voglia mettere in discussione le
prospettive di questa rivoluzione, o anche solo evidenziarne i rischi oltre che le
possibilità, è visto come anacronistico rispetto al raggiungimento della Meta
Ultima.
Nel mondo della razionalità ispirata dal pensiero teologico, ogni tecnologia
sufficientemente avanzata è in grado di generare una rappresentazione del futuro
simile alla magia. Ogni "mi piace" su Facebook e ogni ricerca su Google vende un
sogno in cui droni, servizi online e automi soddisferanno i desideri dei
consumatori e aiuteranno le persone a sentirsi perfette come il loro Dio. Questa
fantasia è completata da macchine che garantiscono l'immortalità e la resurrezione,
il teletrasporto e la creazione di esseri umani, i viaggi nel tempo e la telepatia.

17Vedi Panetta [24].


18Morozov [25].
1005Il nano della storia

Il successo di questo mito si basa sul fascino delle meraviglie e delle curiosità
in un mondo in cui la magia naturale, la fantascienza e la brama di potere sono
state trasformate in spettacolo. Nonostante la distanza tra l'immaginario e la realtà,
oggi anche la scienza e la tecnologia sono viste attraverso una lente mitica, nel
tentativo di incarnare ciò che gli uomini credono essere invisibile in una data
epoca.19 Oggi queste idee sono rappresentate dalla rivoluzione digitale che ha
ingegnosamente trasformato la narrazione da "music-hall" della Donna che
scompare, dell'Uomo senza testa e dell'Automata e maestro di scacchi in un sistema
industriale che governa le passioni e guida le borse.
Questo mito dell'automazione allontana la forza-lavoro dalla macchina operativa
combinata digitale basata sulla cooperazione tra forza-lavoro e algoritmi. Questo è
ciò che oggi si chiama "machine learning", il ramo più redditizio della produzione di
intelligenza artificiale.20 C'è un'accusa che contribuisce all'occultamento della
forza-lavoro: ciò che avviene non può essere spiegato con la dialettica del capitale,
ma con la nozione di destino. La rivoluzione digitale accetta la distopia, un
racconto che ammette l'esistenza di questa dialettica non nel presente, ma in un
futuro devastato da una catastrofe, dall'invasione di alieni o dalla rivolta di
vampiri, robot e replicanti. La dialettica del capitale è intrigante perché permette
di spiegare questo immaginario come effetto del modo di produzione.21 Il mito
non è "ideologia" - falsa coscienza - né è solo fittizio. È una realtà discorsiva che
influenza la vita delle persone e la performance in borsa delle aziende che
producono automi. Questa realtà è creata dal potere-lavoro nascosto e dalle sue
relazioni metamorfiche con le macchine.22
Rispetto al passato, questa interazione avviene in un contesto diverso. Nell'era
fordista la forza-lavoro tendeva ad essere intesa come "capitale variabile", mentre
le macchine costituivano il "capitale fisso". Il valore del "lavoro vivo" era
assorbito dal "capitale fisso". Oggi la forza-lavoro può essere intesa come capitale
fisso perché le macchine si adattano in modo variabile alla forza-lavoro.23 Il lavoro
che prima si svolgeva in una catena di montaggio, o in un ufficio, viene ora svolto 24
ore su 24. La forza-lavoro non è solo venduta per un certo numero di ore
determinato da un contratto, ma è fornita in ogni momento. La forza-lavoro in
passato doveva diventare una merce, oggi questo non è sempre vero, infatti può
continuare a produrre plusvalore attraverso le piattaforme digitali. L'attività
produttiva non si limita al lavoro, perché produce un plusvalore di cui i produttori
non sono nemmeno consapevoli e non possono godere.24
Queste macchine di nuova generazione sono diverse da quello che Marx
chiamava "machinismo".25 Sono l'interfaccia della vita attiva e dell'intelligenza
sociale dentro e fuori il posto di lavoro. A differenza delle macchine, l'automazione
digitale non separa le macchine da

19Vedi Ball[26].
20K. Marx, Il capitale, cit., p. 512. Sul rapporto immanente tra esseri umani, tecnologia e
macchine si veda Simondon [27, 12 ss.]; Stiegler [28].
21Vedi Dyer-Witheford [29].
22Vedi Fadini [30, 48].
23Vedi Marazzi [31]; Id. [32].
24Vedi Pasquinelli [33].
25Vedi Ekbia e Nardi [34].
5.3 Il mito di Automation101

potere-lavoro, cooperazione dalla divisione del lavoro. Li integra


progressivamente potenziando l'intenzionalità dei soggetti umani al punto che
diventa possibile immaginare un divenire-macchina del potere-lavoro e un
divenire-lavoro delle macchine. La rivoluzione digitale tratta questo rapporto
come un miracolo: poiché la forza-lavoro è "superata", ciò che rimane sono le
macchine. La "macchina combinata" formata da forza-lavoro e algoritmi esiste
perché qualcuno continua a vendere forza-lavoro e qualcun altro la comanda. Non
sono le macchine a produrre forza-lavoro, è la forza-lavoro che permette alle
macchine di operare in un nuovo rapporto tra capitale fisso e variabile. Tutto
dipende dagli scopi per cui queste macchine sono state costruite e dall'uso politico
dell'automazione. Se si volesse valorizzare il potere-lavoro come facoltà
cooperativa, rovesciando il mito di un soggetto automatizzato, anche il modo di
concepire la tecnologia potrebbe essere diverso. Le macchine non sarebbero più
funzionali alla creazione di merci, servizi e beni, ma al rafforzamento della
cooperazione da cui tutto ha origine.

5.4 Auto senza pilota e altre storie

La nuova terra promessa sarà raggiunta a bordo di un'auto senza pilota.26 I suoi
sforzi vengono periodicamente celebrati insieme alla capacità dei droni di
consegnare pizze. Il successo mediatico di cui gode questa invenzione - stiamo
parlando di un prototipo, non ancora di un prodotto da vendere sul mercato - è
dovuto a ciò che promette agli automobilisti della classe media: essere sollevati
dalla fatica di andare e tornare dall'ufficio situato all'altro capo della città. Gli
autisti della classe media potranno anche godere dello stile di vita dei ricchi e
famosi che possono contare su un autista personale che, naturalmente, è un robot,
non un autista umano. La pubblicità universalistica dell'ideologia californiana - la
promessa dell'automazione à la carte - si ferma dove iniziano le disuguaglianze:
l'importante è non viaggiare con i poveri.27
A San Francisco c'era una navetta che faceva concorrenza al trasporto pubblico.
In cambio di un biglietto che costava 40 centesimi in più, prometteva che non ci
sarebbero state fermate a sorpresa. La navetta era progettata per la mobilità delle
persone dei quartieri gentili della città come Marina, Alamo Square, Pacific
Heights e SoMa e il distretto finanziario della città. Non c'erano percorsi da
quartieri popolari come Richmond, Bayview e Outer Sunset. L'accesso alla
tecnologia non è distribuito uniformemente, esclude i poveri, i non bianchi e le
donne, la maggior parte della popolazione che non può permettersi la tecnologia,
una carta di credito e l'assicurazione sanitaria.28 L'automazione contribuisce alla
creazione delle disuguaglianze, non alla loro prevenzione. Queste considerazionisi basano
su qualcosa che è stato rimosso: la vita su una piattaforma digitale è riservata a
coloro che hanno già una carta di credito, un appartamento e un'auto.

26Vedi McAfee e Brynjolfsson [35].


27Vedi Spencer [36].
28Vedi Kaiser Family Foundation [37]; Ayanian [38].
1025Il nano della storia

Le auto senza pilota hanno fatto luce su un aspetto decisivo della rivoluzione
digitale. "La ragione per cui Uber potrebbe essere costoso è che non stai pagando
solo per la macchina, ma anche per l'altro tizio nella macchina" è la spiegazione
del perché i prezzi di Uber sono alti. Il "tizio" è l'autista, quello che Uber finge di
non assumere perché è un "imprenditore" che fornisce la macchina e la benzina e che
quindi paga Uber per lavorare. L'ex CEO e fondatore di Uber Kalanick ha
proseguito spiegando che: "Quando non c'è un altro tizio in macchina, il costo di
prendere un Uber ovunque diventa più economico che possedere un veicolo.
Quindi la magia è che fondamentalmente si porta il costo al di sotto del costo di
proprietà per tutti, e poi la proprietà dell'auto sparisce".29 L'obiettivo di un'auto
senza conducente è perseguito anche da Lyft, il concorrente di Uber negli Stati
Uniti, che ha accordi con Ford, Google, Jaguar Land Rover, ed è controllato da
Tata Motors e dalle startup Drive.ai e NuTonomy. L'azienda ha anche una
partnership con General Motors, che ha investito circa cinquecento milioni di
dollari in auto senza conducente. Ford prevede di investire un miliardo di dollari
in cinque anni in Argo Ai, una società che lavora sull'intelligenza artificiale.30
Le auto senza pilota renderanno superflua la forza lavoro permettendo alle
aziende e ai clienti di mettersi "magicamente" in contatto tra loro. Lo stesso
potrebbe accadere con gli autisti dei trasporti pubblici, dei taxi, dei treni e, perché
no, degli aerei e dei sottomarini. Dal momento che la forza-lavoro dei molti
produce la ricchezza dei pochi, è necessario rimuovere l'esistenza dei pochi e
fingere che siano macchine senza equipaggio a produrre per i pochi. Questa
finzione è l'elemento costitutivo dell'abbagliante marketing della Silicon Valley.
Le ultime previsioni suggeriscono che la guida autonoma sarà reale tra il 2025 e il
2030. Rispetto alla profezia iniziale di Sergei Brin, cofondatore di Google,
l'automazione è in ritardo di almeno dodici anni. Nel 2012 doveva essere il 2017.31
Nel campo dell'innovazione è normale fare previsioni sbagliate e annunci
irrealistici, che servono ad aumentare l'effetto hype sul mercato azionario. La storia
della fiction-tecnologia è piena di esempi: nel 1968 Marvin Minsky del MIT annunciò
lo sviluppo di macchine simili ad Hal di 2001: Odissea nello spazio. La profezia
non si è avverata. Sono passati duemila anni da quando fu promessa la
resurrezione, non possiamo aspettare altrettanti anni perché i robot prendano vita e
si riproducano grazie a una "miracolosa" immacolata concezione come quella
mostrata in Blade Runner 2049, dove un androide dà alla luce un umano dopo un
incontro tecno-corporeo con il suo cacciatore.
Le case automobilistiche - Fca, Bmw, Volvo o General Motors - sfruttano il
fascino di questa fantasia tecnologica, ma si limitano a livelli di autonomia più
modesti. La Society of automotive engineers (Sae) ha stilato una scala da uno a
cinque: la maggior parte dei sistemi di automazione si limita a fornire assistenza in
caso di sorpasso o parcheggio (livello due). Tesla sostiene di voler raggiungere il
livello cinque, l'automazione totale. In molti altri casi, miliardi di dollari vengono
spesi in test per aumentare i marchi

29Vedi Newton [39].


30Vedi "Ford Motor: si allea con l'anti-Uber Lyft per sviluppo veicoli autonomi", Radiocor-Il
Sole 24 ore, (27 settembre 2017).
31Vedi Niccolai [40].
5.4 Auto senza pilota e altre storie103

nel mercato azionario prima della metà di agosto o dopo Natale. L'approccio hype
all'automazione non fornisce alcuna certezza sulla capacità dei sistemi
"intelligenti" di commettere meno errori dei sistemi "umani" che intendono
sostituire.32 Le Google Car hanno causato quattordici incidenti in sei anni di
esperimenti e i primi feriti con interferenze causate da un'altra auto guidata da un
umano. Affinché l'automazione produca i benefici promessi, non ci devono più
essere auto pilotate da umani. Il programma è ambizioso, come si dice in questi
casi.
Anche gli incubi cinematografici contribuiscono a rendere affascinante questa
profezia: in un futuro lontano Google Cars potrebbe essere violato e fatto
comportare come il camion pazzo del film Duel di Steven Spielberg. Anche un
pilota automatico potrebbe far schiantare un aereo contro una montagna. Lo stesso
potrebbe accadere all'auto robotica a quattro ruote usata per lo shopping. In mezzo
a questa confusione tra immaginazione e realtà si può dire qualcosa di concreto.
Come tutta la tecnologia, anche le macchine automatiche saranno soggette
all'obsolescenza programmata: smetteranno di funzionare quando i produttori
decideranno di mettere sul mercato un nuovo prodotto.
Quando si annuncia l'automazione totale di alcuni beni di consumo per la classe
media globale, si tralascia sempre un altro paradosso: gli stessi robot che
dovrebbero rendere inutile il lavoro degli operai dell'industria automobilistica
richiedono il lavoro di migliaia di altri lavoratori per svolgere il loro compito. Le
aziende che operano in questo settore impiegano migliaia di lavoratori in paesi di
offshoring e outsourcing come India e Cina. Le app che usiamo sul divano
funzionano perché ci sono migliaia di ciclisti o autisti che aspettano una chiamata.
Le auto senza pilota funzioneranno grazie al lavoro digitale di coloro che
dovranno insegnare ai robot a riconoscere pedoni e ciclisti. Ammesso che un
automa sia in grado di svolgere un lavoro umano, l'incombente possibilità di
errore produrrà nuovi posti di lavoro nelle aree di controllo, servizi,
programmazione e assicurazione per prevenire o rimediare ai danni prodotti dalle
Google Car.
Ci sono legioni di etichettatori incaricati di etichettare e classificare migliaia di
ore di filmati, fotogramma per fotogramma, registrati da prototipi di macchine
automatiche che vagano per Pittsburgh o Phoenix. Le macchine potrebbero anche
essere in grado di fornire superpoteri, ma i data worker avranno ancora il compito
di aiutare gli algoritmi a diventare intelligenti e di inviare i dati a centri di
elaborazione dove saranno riprodotti e immagazzinati da altri data worker. I data
worker a loro volta rielaboreranno i dati, trascriveranno piccoli clip audio,
etichetteranno le foto, inseriranno testi non strutturati nei database, modereranno i
commenti, selezioneranno gli annunci per i profili degli utenti,33 e guideranno gli
algoritmi sulla base di una certa cultura. Questo lavoro ha permesso un notevole
progresso nella potenza di calcolo e aiuterà i robot a distinguere un cespuglio da un
cane sull'autostrada.
Gli esseri umani continueranno a perfezionare la ricerca degli algoritmi nelle guerre
di ranking: gli ingegneri si affideranno a lavoratori chiamati "raters", che spesso
lavorano su personal computer nelle loro case, per valutare la ricerca delle pagine
e classificarle. I "classificatori" etichetteranno le pagine come "vitali", "utili",
"abbastanza rilevanti" o "spam". Gli ingegneri di Google importeranno le
valutazioni in Hummingbird, un algoritmo composto da
32Vedi Bainbridge [41]; Parasuraman e Riley [42]; Caio [43].
33Vedi Chen [44].
1045Il nano della storia

estensioni specializzate: PageRank valuterà le pagine web in base ai link; Panda


migliorerà i risultati di ricerca; Penguin e PayDay limiteranno lo spam; Pigeon
migliorerà i risultati di ricerca; Top Heavy abbasserà il ranking dei siti che sono
pieni di pubblicità; Mobile Friendly premierà le pagine web che possono essere viste
sugli smartphone; Pirate combatterà la violazione del copyright. RankBrain, un
algoritmo di autoapprendimento basato sull'intelligenza artificiale, identificherà
nuove e più avanzate versioni. Dietro questo dispositivo ci saranno ancora i suoi
utenti, quelli che con la loro forza-lavoro producono miliardi di ricerche poi
rielaborate dagli algoritmi e monetizzate grazie agli annunci su GoogleAds.34
L'occultamento di tutto questo lavoro risponde a una regola generale imposta dal
mercato finanziario alle imprese tecnologiche: devono attirare investimenti e
dimostrare che non impiegano manodopera.35 È una legge del mercato del venture
capital che riflette una credenza diffusa nell'economia contemporanea: "il lavoro è
finito" perché ora il Capitale lo produce. Per dimostrare questa tesi metafisica, i
dati sull'occupazione vengono manipolati: quando si parla di "unicorni" che
valgono più di un miliardo di dollari, impropriamente definiti startup,36 si contano
solo i dipendenti diretti, non il personale impiegato ad intermittenza da
piattaforme e spin-off. Le piattaforme digitali non hanno bisogno di impiegare
migliaia di persone perché milioni di utenti lavorano per loro gratuitamente
fornendo i loro profili alle offerte commerciali. Uber e le società di consegna a
domicilio impiegano centinaia di migliaia di persone che lavorano in modo non
subordinato, mentre in realtà sono lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Il fatto è
che sono invisibili. In attesa del giorno in cui auto e biciclette si muoveranno da
sole, gli umani continueranno a guidare perché le macchine intelligenti non sono
in grado di migliorare. L'automa non è in grado di utilizzare la conoscenza tacita
per incrementare lo sviluppo non pianificato della conoscenza operativa e non può
incorporare la cultura materiale o la memoria corporea in un processo che non può
essere definito in anticipo.37 I suoi algoritmi dipendono da come vengono usati dai
loro proprietari e utenti. Da soli sono inutilizzabili. Vivono nell'interazione tra
uomo e macchina e nella loro reciproca incorporazione e individuazione. La
relazione tra forza lavoro e automazione è immanente. Le variabili sono
qualcos'altro: il costo industriale dell'apprendimento automatico, per esempio. Nel
caso della guida automatizzata, creare e aggiornare le mappe di tutte le città degli
Stati Uniti costerà miliardi di dollari ogni anno. Per non parlare degli
aggiornamenti delle mappe 3D necessari per riconoscere oggetti e comportamenti
inaspettati. Questo richiederà una raccolta di dati significativamente maggiore di
quella che ha portato alla creazione di Google Maps. Anche quando i quattro
milioni di miglia di strade pubbliche statunitensi saranno stati digitalizzati, gli eventi
imprevisti a cui è soggetto un percorso dovranno ancora essere aggiornati
continuamente - un nuovo

34Vedi Pasquinelli [45].


35Vedi Bradshaw [46].
36Vedi Lee [47]. Sull'ascesa degli "unicorni" digitali in Cina si veda Leplâtre [48].
37Vedi Leroi-Gourhan [49]. Sulla conoscenza tacita o implicita contro la conoscenza esplicita o
operativa, vedi Polanyi [50]. Sull'uso di questi concetti nella gestione delle risorse umane, in una
prospettiva imprenditoriale, vedi Nonaka e Takeuchi [51].
5.4 Auto senza pilota e altre storie105

semaforo, neve, pioggia o una strada a senso unico che esce dal nulla.38 O canguri:
questo è il problema dell'auto automatica di Volvo che ha però fatto progressi con
cervi, alci e caribù.39
L'automazione non è semplicemente una questione di macchine che svolgono il
lavoro degli uomini, si tratta di un'organizzazione computerizzata che ha bisogno
di lavoro vivo in ogni punto della sua rete. Questa tendenza si può osservare nella
logistica dove l'economia automatizzata governa aggregazioni gigantesche. Lo si
vede nei poli logistici delle regioni italiane dell'Emilia Romagna, del Veneto e
della Lombardia, per esempio, dove le imprese continuano a concentrare masse di
lavoratori in un luogo e a gestirli con reti flessibili di contratti e subappalti. Negli
Stati Uniti ci sono almeno sessanta cluster, tre dei quali occupano almeno
centomila persone ciascuno: il porto di New York e New Jersey, Los Angeles,
Long Beach e Chicago.40 Ferrovie, camion, trasporti, magazzini e infrastrutture
costituiscono la catena di approvvigionamento.41 Le aziende fanno un uso intensivo
dell'informatica e dei modelli matematici di software specializzati. Migliaia di
esseri umani sorvegliano le macchine, spostano le merci, coordinano le attività
computerizzate delle gru, assegnano un algoritmo alle traiettorie di una nave da
carico nelle piattaforme logistiche. Sono incorporati in un'infrastruttura gestita da
programmatori che progettano algoritmi, la loro forza lavoro si riduce a un feed-
back cibernetico di dati da cui gli algoritmi estraggono valore, ottimizzando la
produttività. L'automazione influisce sul trasporto e la distribuzione dei prodotti e
ha portato alla trasformazione per cui uno dei più grandi centri di produzione, gli
Stati Uniti, è passato da produttore di merci a sviluppatore di logistica e
movimentazione delle merci.42
Un altro campo in cui si tende a nascondere la forza-lavoro e a promuovere la
fantasia di macchine che scrivono e traducono da sole è il giornalismo. C'è una
convinzione diffusa che ciò che produce le fake news condivise sul web sia una
serie di programmi che rispondono automaticamente ai messaggi (bot) o sono
usati per creare malware (botnet). Questo non è vero. In realtà, sono i freelance e i
lavoratori di click facto- ries di tutto il mondo che, per guadagnare uno stipendio
che non può essere guadagnato in altro modo, inventano bufale che generano
pubblicità e introiti per le aziende online. I pirati del web sono diventati strumenti
e attori consapevoli delle campagne elettorali. Offrono al mercato i loro servizi. Il
caso più clamoroso è stato quello dei siti mazziniani, georgiani, statunitensi e
canadesi che hanno sostenuto la campagna elettorale vinta da Donald Trump nel
2016.43 Tacere sull'esistenza di queste persone, ignorando l'opportunismo digitale
e attribuendo la loro produzione alle macchine, non significa solo confermare
l'alienazione algoritmica, ma trascurare la realtà materiale del capitalismo delle
piattaforme: l'automazione avviene insieme alla disintegrazione dei salari, mentre
la ricerca del reddito prende strade impensabili.

38Vedi Gomes [52]; Vedi Id. [53].


39Vedi Zhou [54].
40Vedi Brooks e Moody [55].
41Vedi Grappi [56].
42Vedi Slaughter [57].
43Vedi Ciccarelli [58].
1065Il nano della storia

5.5 Servizi umani nella Gig Economy

Nel capitalismo delle piattaforme digitali la forza-lavoro è intesa come una


condizione passiva, un incidente naturale, un ostacolo o un dono. Nei casi migliori
è considerato come un frutto trovato sugli alberi in attesa di essere raccolto, o
regalato, da un braccio meccanico che sostituirà i raccoglitori stagionali. La sua
naturalizzazione serve a domare corpi docili e a trasformarli in aiutanti
dell'automazione. Prendiamo la gig economy. Questa espressione è usata per
descrivere i lavori di rider e autisti che consegnano cibo per Foodora o Deliveroo,
autisti di Uber o lavoratori che assumono micro-lavori elettronici per Amazon. Ciò
che è stato eliminato dall'espressione "gig economy" è la radice "work" che
collega l'attività di chi si presta alla figura del lavoratore. Non c'è alcuna relazione
tra la parola inglese "gig" e la parola "work", arbeit, trabajo, travail. Né la parola
contiene un riferimento al sacrificio o allo sforzo espresso dal latino labor o dal
greco ponos.44 È stata eliminata anche la radice greca di ergon, cioè lavoro inteso
come energia, opera o azione che non può essere presa separatamente dalle
competenze o dalle capacità di chi le possiede. "Gig" in inglese significa "lavoro
senza prospettive", "performance" e "spettacolo". Ciò che questi soggetti fanno è
prestare se stessi, non il loro lavoro: eseguono un compito che è controllato da un
algoritmo. Questa performance è vista come uno spettacolo, un gioco, perché non
comporta alcuno sforzo. Il "Gig-work" non è legato al "lavoro" come "prestazione
retribuita".
La connessione semantica recisa tra "gig" e "lavoro" fa sì che i lavoratori
vengano descritti con metafore animali e riferimenti fantastici. TaskRabbit, una
piattaforma digitale nel settore del lavoro domestico acquisita da Ikea, definisce i
lavoratori come "conigli". Sono incaricati di pulire e devono sparire come conigli
prima che i proprietari tornino a casa. Ciò che conta è l'esecuzione del compito
deciso dall'algoritmo e la richiesta del datore di lavoro o della piattaforma che
media la richiesta e "attiva" il soggetto. I lavoratori sono identificati con la merce che
producono: il calzolaio è la scarpa, il vasaio è la pentola, il Mechanical Turk è un
compito iper-semplificato per primati intelligenti. Il loro lavoro è pura esecuzione
ed è indistinguibile dagli oggetti prodotti, che sono segni creati da uno scambio ad
alta frequenza senza soggetti.45 Come nel mondo greco antico,46 anche nel caso
della rivoluzione digitale non si può parlare di un'unica funzione astratta chiamata
lavoro che comprende tutti i mestieri, ma di una pluralità di mestieri diversi, ognuno
dei quali definisce un particolare tipo di attività che produce uno specifico tipo di
lavoro. La forza-lavoro non è ciò che permette agli algoritmi di diventare "più
intelligenti", è l'applicazione di un'intelligenza algoritmica che si sviluppa senza
l'aiuto degli umani.47
Nel gergo di Amazon Mechanical Turk questo lavoro si chiama "Human Intel-
ligence Task" (HITs). Consiste nel fornire servizi che le macchine non possono
fare: riconoscere immagini, trascrivere codici o testi, assegnare algoritmi al profilo
di un cliente per produrre offerte pubblicitarie personalizzate su una piattaforma.
L'umano al servizio del

44Vedi Jaccard [59].


45Vedi Zehle e Rossiter [60].
46Vedi Vernant e Vidal-Naquet [61, 24].
47Irani [62].
5.5 Servizi umani nella Gig Economy107

La macchina esegue compiti molto elementari un po' simili alle attività svolte fino
a poco tempo fa da chi si collegava a un blog per compilare codici Captcha
(Completely Automated Public Turing test to Tell Computers and Humans Apart).
Si tratta di immagini utilizzate dagli sviluppatori per distinguere le persone dagli
algoritmi che tentano di paragonare un sistema operativo. Il lavoro umano
aumenta la potenza degli algoritmi, ma non viene riconosciuto. La sua priorità
sulle macchine è negata perché è visto come un input o un supporto al servizio di
potenti algoritmi (algocrazia).
Amazon definisce i suoi micro-lavoratori digitali come human-as-a-service,
non come lavoratori.48 La scelta di questa categoria invalida il diritto del lavoro
moderno e ricorda il diritto romano che faceva una distinzione tra lavoro per
servizio e lavoro per profitto. Il servizio era fornito dagli schiavi, mentre il
profitto49 era generato dagli uomini liberi. A quel tempo, però, la distinzione non
era così rigida perché era possibile, per esempio, che uno schiavo raggiungesse
una posizione di manager di un'impresa agricola. E viceversa: gli uomini liberi
potevano essere sfruttati come gli schiavi.50
Il riferimento al diritto romano è utile per spiegare come il potere-lavoro
contemporaneo sia stato ridotto a capitale, cioè alla proprietà di chi governa le
piattaforme, non di chi fornisce un servizio. L'idea del lavoro come servizio
umano deriva dalla totale subordinazione dei lavoratori ai loro datori di lavoro e
dalla rimozione del significato stesso dell'attività produttiva agli occhi dei
lavoratori. L'identità dei lavoratori, intesa nel senso moderno di venditori di forza-
lavoro, è sostituita da quella di "cose" di proprietà dei proprietari. Il lavoro non è
più l'azione che mette al lavoro la forza-lavoro, il cui unico proprietario è il
lavoratore che la trasferisce al lavoro in cambio di un salario, ma è l'espressione
della proprietà di chi ottiene un profitto dal lavoro che gli appartiene. Questa
espropriazione del valore prodotto dal lavoro si accompagna alla rimozione del
lavoro come categoria moderna. Identificarlo con un servizio, infatti, significa
negare l'esistenza di un rapporto di lavoro legato alla produzione di una merce. Ciò
non inficia in alcun modo il fatto che il lavoro come servizio produca ancora
profitto. Quando gli schiavi romani lavoravano al di fuori dell'ambiente
domestico, continuavano ad essere considerati come proprietà del loro padrone:
non producevano valore perché facevano parte di una rendita che si moltiplicava
spontaneamente, senza alcun bisogno di riconoscere l'esistenza del loro lavoro.
Non avevano diritto a questa rendita, che era come un frutto raccolto dall'albero
del padrone - in altre parole la rendita non era la produzione materiale delle loro
azioni. I padroni erano proprietari degli schiavi che usavano e rimanevano
proprietari del frutto prodotto dalla loro attività.
Molti lavoratori si trovano oggi nella stessa situazione. La maggior parte di loro
non sono schiavi, anche se si trovano in una posizione servile. Non sono titolari di un
contratto di lavoro perché non sono soggetti di diritto. Se un contratto esiste, i suoi
firmatari sono il proprietario di una piattaforma digitale e il cliente, non il
lavoratore. Il rapporto di lavoro è negato a priori: l'immagine è quella di un
proprietario che si fa carico

48Irani e
Silberman [63].
49Sulla crisi e le risorse del diritto del lavoro nella rivoluzione digitale, si veda Del Punta [64,
330]; Allegri e Bronzini [65]; Tullini [66]; Perulli [67].
50Thomas [68].
1085Il nano della storia

dei compiti svolti dai lavoratori, mentre ciò che i lavoratori fanno non è fornire il
loro tempo e le loro attività, ma donarli come se stessero perseguendo un hobby.
L'impiego di uomini e donne e il loro lavoro sono la stessa cosa, mentre il profitto
del proprietario viene confuso con il servizio personale fornito dai lavoratori. Nel
caso dei micro-job digitali, la forza-lavoro è l'estensione organica della
piattaforma, proprio come gli schiavi a Roma erano estensioni del loro padrone.
Uomini e donne sono cose tra le cose, una cosa "feconda" senza soggettività. Il
loro lavoro è una forma di servizio naturale, non sono soggetti di un processo
produttivo.51 Nulla è loro dovuto, certamente non i diritti e il riconoscimento dello
status giuridico di "lavoratori".
La nuova rappresentazione del lavoro ha anche cambiato il significato della
categoria di "umano". Nel capitalismo delle piattaforme si parla di human-as-
computation: l'essere computazionale attualizza l'analisi di Martin Heidegger sulla
tecnologia. L'umanità è ridotta alla macchinazione [Machenschaft] ed è
l'espressione di una volontà di potenza, una manifestazione dell'"oblio
dell'essere".52 Da questa riduzione della vita al digitale emerge la stessa sensazione
di un destino irreversibile, di un'impronta ontologica lasciata dalla tecnologia
sull'essere umano. Questa situazione viene considerata solo come l'espressione di
un potere che viene esercitato da una macchina impersonale e onnipotente. Come nella
visione ontologica della tecnologia, il potere è naturalizzato ed è visto come
oggettivo e irreversibile. L'informatica automatica si appropria di alcune funzioni
dell'intelligenza umana e sostituisce il comportamento degli esseri viventi, svolgendo
una funzione non solo passiva ma anche proattiva. "Stiamo andando verso una
separazione sempre più marcata tra il mondo delle persone e il mondo delle
macchine, a causa della crescente autonomia di queste ultime. Si sta accentuando
il trasferimento del potere di definizione delle persone e della loro identità dalla
sfera della valutazione umana a quella della decisione automatica."53
La visione proprietaria del lavoro e la sua ontologia tecnica riducono il potere
del lavoro a un'applicazione informatica.54 Un lavoratore viene attivato con un click
e può essere "spento" con un pulsante. La vita si trasforma in un codice binario-1-
0-0-1 e segue i criteri della governance algocratica. L'algocrazia interviene sulla
differenza tra ciò che è determinato e ciò che è determinabile nella vita, sul desiderio
di qualcosa e l'affermazione di un desiderio che va oltre il rapporto di un acquisto,
un oggetto, una merce. Essa struttura il campo d'azione possibile degli individui in
modo preconscio e determina il modo in cui essi concepiscono la facoltà di usare
la vita.55 L'algocrazia non cancella la realtà, ma aspira a determinarla in anticipo
attraverso un governo trasparente che coinvolge gli stessi individui. Gli individui
non aspirano più a criticare la loro condizione subordinata alla volontà altrui, ma
ad un governo non di uomini ma di macchine che possa prevenire l'imprevedibilità
delle scelte umane e garantire l'apparente neutralità della gestione dei servizi
umani. Ha preso forma una narrazione che contamina i fondamenti
dell'emancipazione e fa piazza pulita della

51De Robertis [69, 22].


52Heidegger [70].Vedi Id. [71].
53Rodotà [72, 328].
54De Stefano [73].
55Vedi Foucault [74, 635-657].
5.5 Servizi umani nella Gig Economy109

nozioni di critica ed etica, i principali strumenti per creare una diversa soggettività
in un rapporto di potere.56 L'idea di lavoro astratto, tuttavia, non è completamente
scomparsa. Oggi costituisce la memoria remota della discontinuità rispetto a un
dispositivo tecnologico, giuridico ed economico che nega l'esistenza del lavoro in
generale - quello che Marx chiamava lavoro tout court, o lavoro astratto - e la
possibilità di restituire la dignità degli esseri umani attraverso il lavoro. Già il
diritto romano riconosceva l'astrazione del lavoro, ma non del capitale.57 Oggi la si
può riconoscere meglio grazie ad una consapevolezza diffusa, e grazie alle regole
del lavoro e del diritto costituzionale ancora in vigore. Tuttavia, è fondamentale
sottolineare che la possibilità di soggettivazione al di là del lavoro inteso come
"servizio umano" del capitale digitale non deriva da un principio metafisico, ma da
un potere che è disponibile a diventare lavoro: il potere-lavoro. L'esistenza del
lavoro in generale può essere invocata solo quando c'è un processo che porta alla
produzione e all'estrazione di valore. Di per sé, considerato come un'astrazione, il
lavoro è alienazione.

5.6 Lavoro digitale

L'attività produttiva svolta sulle piattaforme è stata definita come lavoro digitale.
La parola inglese "digital" deriva dal latino digitus. Il lavoro digitale è,
letteralmente, il lavoro eseguito con un clic del dito. L'azione di un dito su un
mouse, su un pulsante o su uno schermo è l'attività materiale che collega il
soggetto a uno schermo, è ciò che accomuna una serie di esperienze, da un "like" su
un social network all'ordinamento di video, di tweet, alla trascrizione di documenti
digitalizzati, alla moderazione di commenti, alla scrittura di blog.58 In modo più
completo, il lavoro digitale è l'addestramento che permette agli algoritmi di
diventare intelligenti. Questa attività è il prodotto della cooperazione tra macchine,
lavoratori e consumatori ed è influenzata da culture, esperienze, conoscenze,
consumo e opinione pubblica. La loro interazione è la base di una nuova economia
che estrae la ricchezza prodotta dalla forza-lavoro umana, ma che non la
restituisce a coloro che l'hanno resa redditizia. La distribuisce ai proprietari delle
piattaforme digitali sotto forma di profitto.
Il lavoro digitale è l'attività produttiva svolta per il profitto dei proprietari di
piattaforme digitali. Su queste e-infrastrutture la forza-lavoro dei consumatori e
degli utenti è impiegata ventiquattro ore al giorno, sette giorni alla settimana nella
creazione di relazioni e contenuti gratuiti o a pagamento; nella connessione dei
clienti con i fornitori indipendenti di beni o servizi; nel trasferimento di beni e
informazioni in tempo reale su Internet e nell'industria, nei servizi, nella
comunicazione o nella logistica. Le piattaforme fungono da intermediari tra gli
individui e il mercato; reclutano forza-lavoro attraverso applicazioni mobili e
portali; permettono di far incontrare automaticamente la domanda e l'offerta di
lavoro digitale in un mercato online; uniscono due o più persone online

56Vedi Rouvroy e Berns [75].


57Vedi Y. Thomas, L'"usage" et les "fruits" de l'esclave, cit.
58Casilli [76, 17].
1105Il nano della storia

e governare a distanza le loro interazioni. Il conflitto tra il potere-lavoro e i


proprietari delle applicazioni che lo organizzano e lo sfruttano caratterizza il
"capitalismo delle piattaforme digitali".59
Il lavoro digitale è un rapporto sociale di produzione la cui natura stessa è
contraddittoria. Da un lato, favorisce l'attivazione di individui "creativi",
responsabili e innovativi; dall'altro, pone questi stessi individui in uno stato di
subordinazione lavorativa, economica e psicologica. Questa condizione colpisce un
numero crescente di persone che svolgono attività più o meno specializzate in
modo continuativo e costituiscono una sottoclasse di fantasmi sociali al servizio
degli algoritmi.60 Il loro numero è considerevole, anche se da solo questo numero non
è in grado di rendere conto del fenomeno. È la vita, così come il lavoro, che è stata
sussunta dal capitalismo digitale: chiunque può creare profitto per le piattaforme
utilizzandole quotidianamente.
Il lavoro digitale coinvolge le facoltà intellettuali, manuali, biologiche,
relazionali e sessuali della forza-lavoro disponibile. Sono le stesse facoltà
impiegate dalle donne nel lavoro di cura o domestico, anch'esse nascoste in una
società capitalista e patriarcale.61 Oggi queste capacità sono richieste a tutti, anche
attraverso piattaforme, e sono soggette alle stesse condizioni di precarietà,
flessibilità e gratuità.62 Si tratta di un'esperienza condivisa, caratterizzata dalla
frammentazione dei servizi e da una pluralità di forme di subordinazione.63 In
questo contesto il lavoro digitale nascosto che permette alle piattaforme di
sviluppare l'intelligenza artificiale, l'apprendimento automatico degli algoritmi e i
Big Data è stato spesso paragonato al lavoro di cura che si svolge nelle case
private, alle pulizie negli uffici svolte principalmente da donne e immigrati all'alba
o al tramonto, quando sono invisibili agli altri. I lavoratori digitali rendono possibile
l'economia delle piattaforme nello stesso modo in cui il lavoro di cura rende
possibile il lavoro domestico.64
I tipi di lavoro digitale possono essere classificati come segue:
- Il prosumerismo è l'attività generale di forza-lavoro permanentemente
impegnata in un'infrastruttura digitale globale di produzione e consumo.65
Deriva dalla parola "prosumer", in cui il produttore e il consumatore non
possono essere distinti - "prosumer" è formato da queste due parole.66 Gli studi
di economia digitale usano la parola "prosumption", che significa la creazione
autonoma di valore per le imprese senza compenso. Da questa attività, i
prosumer ottengono in cambio un altro tipo di pagamento: la visibilità
personale attraverso la quale credono di accrescere il loro "capitale umano",
mentre questa visibilità è in realtà lo strumento ideato da un sistema il cui
scopo è sconosciuto. I prosumer sono una vita

59 Abdelnour e Méda [77]; Vercellone et al. [78]. Prassl [79]; Srnicek [80]; Vecchi [81]; Huws
[82]; Fuchs [83]; Scholz [4].
60Grary e Suri [84].
61Federici [85].
62Armano e Murgia [86].
63 Il processo è stato definito come "femminilizzazione del lavoro", vedi Dini e Tarantino [87];
Morini [88]; Power [89].
64Irani [90]; Lohr [91]; Irani [7].
65Stiegler [92]; Crary [93]. Sul concetto di mobilitazione totale della forza-lavoro si veda Supiot [94].
66Toeffler [95]; Tapscott e Williams [96]; Dujarier [97]; Ritzer e Jurgenson [98].
5.6 Lavoro digitale111

contraddizione: da un lato, credono che il loro non sia un lavoro, ma un modo


di passare il tempo libero; dall'altro, si comportano come "Ego imprenditori", come
"persone-imprese"67 che lavorano per se stessi, ma che in realtà perseguono gli
interessi di piattaforme, aziende o demagoghi digitali che usano la rete per
creare consenso politico68;
- Microlavoro: consiste in micro-lavori elettronici, lavoro su richiesta, cottimo e
subappalto, venduti da una forza lavoro diffusa e globale che addestra sistemi
auto- matici basati su algoritmi. Può svolgersi in una click farm, nelle case o
sugli smartphone. Questi lavoratori sono disumanizzati e definiti come
Humans-as-a- service. Il loro lavoro digitale è chiamato "Human intelligence
task" perché addestra gli algoritmi ad eseguire azioni in modo più efficiente;
- Il freelance online, viene svolto da una forza lavoro specializzata e flessibile
con competenze tecniche e professionali, in grado di aggiornarsi e sviluppare
competenze relazionali. Il mercato dei freelance online comprende micro-lavori
la cui esecuzione risponde alla logica di un annuncio di opportunità di lavoro su
una piattaforma. Queste attività richiedono più tempo dell'esecuzione di
compiti meccanici perché fanno parte di progetti più complessi.
In questo quadro sono state identificate le seguenti forme di reclutamento di forza-
lavoro:
- Lavoro di folla, dove il compito non è assegnato a un individuo specifico ma a
un gruppo di persone o piccole unità che cooperano e viene assegnato da
aziende che usano il crowd-sourcing per reclutare lavoratori di folla;
- Lavoro gig: il compito viene eseguito da una persona, diretta da un algoritmo,
in un dato spazio-tempo;
- Lavoro in cloud: è svolto da freelance e lavoratori a cottimo e viene
pubblicizzato sui mercati online.69
Il lavoro digitale si svolge in una zona grigia tra lavoro subordinato, lavoro
autonomo e impresa. Lungo questa frontiera sono emerse figure ibride dove il
soggetto può essere sia lavoratore autonomo che contraente indipendente; sia
lavoratore che contraente dipendente; freelance o prosumer. Nel corso della vita lo
stesso individuo può essere assunto come micro-lavoratore nel campo del crowd
work o gig work e come freelance online sul mercato del cloud work, o viceversa.
Ogni giorno lavora come prosumer per i proprietari delle piattaforme.
Questa zona grigia è il prodotto della "casualizzazione" del lavoro subordinato e
autonomo.70 La sua specificità è quella di impedire che il lavoro digitale sia
adeguatamente riconosciuto. Questo accade in particolare sulle piattaforme on-
demand dove un lavoratore subordinato coordinato da algoritmi tende ad essere
trattato come un lavoratore autonomo. Si tratta di tecniche frequenti che si
ritrovano nel mercato del lavoro, non

67Vedi Nicoli e Paltrinieri [99]; Abdelnour [100]; Dardot e Laval [101]; Gorz [102].
68Fuchs [103].
69Schmidt [104].
70De Stefano [105]; Id. [106]. Aolisi e De Stefano [107].
1125Il nano della storia

solo in quello digitale. Sono utilizzati per scaricare i costi aziendali sulle spalle dei
lavoratori; evitare i contratti di lavoro; maternità, ferie pagate, assicurazione contro
gli infortuni, previdenza sociale, assenze per malattia. In questi casi il contratto di
lavoro è sostituito da un contratto di servizio. In altri casi c'è un sistema di aste: un
lavoro viene venduto su una piattaforma per pochi centesimi, i candidati
rispondono a una chiamata e partecipano a una gara. Chi vince fa il lavoro per
pochi centesimi.
Questo sistema non è regolato da un rapporto di lavoro salariato, ma da un
rapporto di lavoro digitale basato sulla "taskificazione" del lavoro, che traduce
tutto il lavoro in cottimo. Le piattaforme trattano questo lavoro come una
prestazione limitata, valutata in tempo reale sulla base di rigidi indicatori di
performance ed esternalizzata rispetto all'azienda che tratta i suoi lavoratori non
come lavoratori, ma come operatori di una funzione, fornitori, "collaboratori" ai
quali non viene riconosciuto alcun diritto. Il potere-lavoro non è l'espressione di
una facoltà posseduta da persone reali, ma un servizio da cui dipende il grado di
soddisfazione del cliente.71
Il lavoro digitale conserva alcune caratteristiche dell'organizzazione del lavoro
nell'industria manifatturiera a partire dagli anni ottanta. Per questo motivo è stato
anche definito "Taylorismo 2.0" ed è considerato un elemento importante della
"uberizzazione" del lavoro.72 Rispetto alla prima generazione del taylorismo,
creata tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo e basata sull'adattamento del
lavoratore alle necessità della macchina, la seconda generazione, chiamata
"toyotismo", ha adottato il criterio dell'interazione reciproca. Il lavoratore è sia
l'oggetto che il soggetto di un controllo ergonomico della prestazione. Questo
sistema è concepito per prevenire i rischi legati allo stress, regolare i tempi di
produzione e aumentare la produttività. Il "taylorismo 2.0" delle piattaforme di
lavoro on-demand ha applicato la stessa logica alle prestazioni occasionali di gig
worker, fornitori e clienti. Anche se occupano posizioni diverse, tutte queste figure
possono essere valutate, anche se l'ultima parola spetta alla piattaforma che coordina
gli scambi e realizza il maggior profitto. I compiti dei lavoratori digitali non sono
compiti meccanici. I lavoratori partecipano attivamente al sistema di valutazione.
Sperimentano la condizione paradossale dell'autonomia eterodiretta: sono liberi di
lavorare in qualsiasi momento, ma sono obbligati a svolgere determinati compiti
quando lavorano. Va considerata anche l'introduzione del lavoro digitale nelle
fabbriche e il suo impatto sul lavoro. In Italia si è parlato molto di quanto sia
innovativa la piattaforma chiamata "Industria 4.0", rispetto all'informatica e ai
protocolli di produzione just-in-time introdotti nelle fabbriche a partire dagli anni
Ottanta. Ci sono molti elementi condivisi con il sistema di produzione integrata dal
computer - "Computer Integrated Manufactoring" (Cim). La cosiddetta "quarta
rivoluzione industriale" è un miglioramento del controllo del lavoro che si è
sviluppato negli ultimi decenni: il metodo "World Class Manufacturing" (Wcm),
applicato nelle fabbriche Fiat-Fca in Italia con il nome "Ergo Uas", ne è un
esempio.73 Le nuove applicazioni migliorano l'integrazione delle informazioni
lungo la catena del valore da

71Rossiter [108].
72Scholz [109].
73Tuccino [110].
5.6 Lavoro digitale113

dal fornitore al consumatore, comunicazione multidirezionale tra processi di


produzione e prodotti, cyber-sicurezza delle operazioni in rete e dei sistemi
aperti.74

5.7 Il ruolo delle piattaforme

Il lavoro digitale si svolge su piattaforme. La seguente lista, data a titolo di esempio,


classifica i modelli esistenti che organizzano la produzione:
- Piattaforme di lavoro su richiesta: per esempio il cottimo digitale su Amazon
Mechanical Turk che combina reclutatori e lavoratori per eseguire piccoli
compiti ripetitivi e non qualificati per addestrare sistemi di intelligenza
artificiale; Crowdflower/FigureEight recluta lavoratori per aiutare i clienti a
sviluppare tecnologie di apprendimento di algoritmi; piattaforme che
subappaltano micro-lavori da grandi ordini (ClickWorker); piattaforme che
collegano il lavoro autonomo alla domanda nel campo dei lavori domestici,
traslochi, consegne e lavori manuali (TaskRabbit); piattaforme che vendono
servizi freelance alle imprese e collaborano a distanza con i lavoratori autonomi
(Upwork); piattaforme che mettono in contatto passeggeri e autisti (Uber e Lyft);
Deliveroo o Foodora società di food tech che organizzano il lavoro di rider e
autisti attraverso un algoritmo e mettono in contatto clienti e imprese traendo
- profitto dai costi ridotti del lavoro. Queste sono le piattaforme che producono la
gig economy;
Piattaforme pubblicitarie come Google, YouTube, Twitter o Facebook che
estraggono informazioni dai loro utenti per rivendere i loro profili sotto forma di
- slot pubblicitari; piattaforme cloud come Amazon Web Services che creano
hardware e software per i mercati dipendenti dal digitale, li vendono a imprese
di ogni tipo e creano un monopolio basato sulla conoscenza;
- Piattaforme di capitale finalizzate alla raccolta di fondi e al crowdfunding:
Kickstarter e Indiegogo, per esempio;
- Piattaforme immobiliari che fanno incontrare domanda e offerta di micro-affitti
nel campo del turismo: Airbnb75;
- Piattaforme logistiche che controllano il movimento delle merci che viaggiano
per terra, aria e mare e coordinano il lavoro materiale realizzato in magazzini,
supermercati, porti, hub: questo è il core business dell'e-commerce di
- Amazon76;
Piattaforme industriali come General Electric o Siemens che costruiscono
hardware e software, abbassano i costi della produzione manifatturiera,
trasformano i beni in servizi (la cosiddetta "Industria 4.0");
- Piattaforme di prodotti come Spotify o Netflix che generano profitti da
abbonamenti a musica, film o altri prodotti di intrattenimento;
• Piattaforme di incontri come Tinder che permettono alle persone di incontrarsi
per scopi sessuali.

74Garibaldo [111]; Menez et al. [112]; Maier e Student [113].


75Gainsforth [114].
76Malet [115].
1145Il nano della storia

Le piattaforme possono anche acquisire funzioni da altre piattaforme o creare nuove


attività. Per esempio Facebook, Google e Apple mirano ad aprirsi al settore
bancario. Google è interessata ai dati relativi alla salute della popolazione per
sviluppare software di diagnostica preventiva da vendere alle assicurazioni e agli
ospedali. Anche Uber è una piattaforma per il lavoro su richiesta, il cottimo
digitale e la logistica urbana leggera a noleggio. Facebook e Google sono anche
editori e hanno il potere di decidere il destino dei giornali. La tendenza a creare
conglomerati è stata registrata nell'area asiatica: in Cina, per esempio, con Badu o
Tencent; in Corea del Sud con Kakao, una galassia di servizi che vanno dal
pagamento online ai taxi tipo Uber ai videogiochi.
L'integrazione tra diversi sistemi di organizzazione del lavoro e la crescente
specializzazione della produzione è stata realizzata in modo duraturo, ad esempio,
da un'azienda come Amazon la cui attività principale è la consegna di merci
ordinate sulla sua piattaforma di e-commerce. Il lavoro all'interno dell'azienda è
diviso in varie aree: lavoro flessibile; lavoro autonomo di autisti che consegnano
merci per i principali fornitori e subfornitori dell'azienda; micro lavoro online
svolto dai "Mechanical Turks" sulla piattaforma Amazon Mechanical Turk; lavoro
informatico per produrre software per le tecnologie cloud e garantire il monopolio
nell'economia digitale; lavoro dipendente nei supermercati e controllo delle casse
automatizzate; lavoro culturale necessario per la produzione di contenuti o
intrattenimento, cioè serie TV. Queste attività sono digitalizzate per aumentare la
produttività e il turn-over in un processo produttivo che richiede un gran numero
di persone per funzionare. Amazon è la dimostrazione che il lavoro digitale si
intreccia con la materialità della produzione e fa parte di una rivoluzione della
logistica che coinvolge infrastrutture materiali (strade, porti, aerei), infrastrutture
immateriali (piattaforme) e servizi.77
Tutte le piattaforme fanno parte di un'economia digitale on-demand rilevata in più
di cento paesi. Nel 2016, si stima che 131,5 milioni di cittadini adulti negli Stati
Uniti avessero già fornito lavoro digitale offrendo servizi su piattaforme. 12
milioni di utenti offrivano i loro servizi su piattaforme come Upwork, mentre
concorrenti come freelancer.com avevano più di 24 milioni di utenti,78
CrowdFlower ne aveva 5 milioni. Uber aveva 160.000 autisti nel 2015 solo negli
Stati Uniti, il suo concorrente Lyft ne aveva 50.000. Nel 2016 più di un quarto dei
5 milioni di lavoratori digitali intervistati nel Regno Unito ha dichiarato di
guadagnare una parte del proprio reddito annuale dalle piattaforme. Lo stesso anno
in Austria solo il 2,4 per cento dei lavoratori ha dichiarato di fare tutto il proprio
reddito sulle piattaforme, l'1,7 per cento nei Paesi Bassi e il 2,6 per cento in
Germania.79 Nel settore delle piattaforme di condivisione di servizi, note come
witkey, in Cina sono stati registrati più di 7 milioni di utenti per Witmart, 3,2
milioni per Taskcn, e più di 3 milioni per Epweike. Queste cifre non indicano posti
di lavoro, ma singoli servizi forniti almeno una volta su una di queste
piattaforme.80

77 Si veda il rapporto investigativo sul lavoro in Amazon, LaVecchia e Mitchell [116]. Sulla
rivoluzione in atto nel settore della logistica si veda Grappi [56]. Bologna [117]; Id. [118].
78Steinmetz [119].
79Feps Studies [120]; Huws Ursula e Joyce [121].
80Casilli [122].
5.7 Il ruolo delle piattaforme115

L'economia on-demand è parte di una divisione digitale internazionale del lavoro.


Questa economia si basa sulla fornitura di prodotti e servizi esternalizzati online. È
un sistema globale multiscala che include l'industria estrattiva dei materiali
necessari per produrre smartphone o personal computer: Coltan in Congo, per
esempio; fabbriche di assemblaggio come Foxconn in Cina81micro-fabbriche
digitali, dette click farms, collegate con i clienti in un sistema di outsourcing e
offshoring; personal computer e smartphone sui quali gli utenti svolgono attività di
filtraggio e moderazione dei commenti sui social network. Queste attività
forniscono il materiale e il lavoro per la produzione del capitalismo digitale.
Nell'economia on-demand è stato ideato un sistema di micro-lavoro digitale che
collega le ex colonie con gli ex paesi colonizzatori attraverso reti di
approvvigionamento e subappalto. Si è calcolato che i paesi dove si svolge questo
lavoro sono le Filippine e l'India; i paesi che lo comprano sono gli Stati Uniti,
l'Australia, il Canada e il Regno Unito.82 La divisione del lavoro risponde a una
geografia economica mobile dove lo scambio avviene tra le nuove potenze
economiche e i loro fornitori: per esempio la Cina e i paesi vicini. Ha luogo anche tra
i paesi fornitori e altri subappaltatori. Il Sud non è l'unico luogo dove si realizzano
i micro-lavori digitali, né il Nord è l'unica area privilegiata che compra questo
lavoro grazie al suo potere economico. Infatti, la produzione e l'acquisto di lavoro
digitale avviene sia al Nord che al Sud, e a tutte le altre latitudini. Le
specializzazioni cambiano da paese a paese, ma l'elemento comune è lo
sfruttamento di soggetti marginali sul mercato del lavoro che si trovano in una
condizione di subordinazione sociale, razziale o sessuale e sono disposti a
svolgere mansioni su una o più di queste piattaforme.83 Cambiando il continente,
cambia il potere d'acquisto. In alcuni paesi un'attività modestamente remunerata
permette di sopravvivere. In altri queste attività integrano un reddito precario.
Infatti anche nei paesi capitalisti occidentali, dove stiamo assistendo a un ritorno
aggressivo della povertà assoluta, il lavoro digitale è spesso necessario per
sopravvivere.
Nel mercato globale del lavoro digitale a cottimo, la connettività di massa ha
portato a un eccesso di offerta di lavoro, specialmente tra i segmenti a basso
reddito della popolazione mondiale. Ci sono meno lavori che persone disposte a
farli. La logica della delocalizzazione è sempre stata quella di tagliare e sopprimere i
costi. Non deve quindi sorprendere che l'outsourcing online abbia accelerato questa
tendenza. Inoltre, il turn-over impedisce la creazione di rapporti di lavoro stabili. La
mancanza di luoghi di incontro fisici impedisce la solidarietà e aumenta la
concorrenza. Le piattaforme limitano le informazioni che i lavoratori possono
raccogliere, mentre il fatto che la produzione sia divisa e realizzata in luoghi
diversi rende impossibile organizzare azioni collettive. Anche se è possibile usare
strumenti digitali per trovare lavoro dall'altra parte del mondo, i lavoratori sanno
poco o niente del sistema di cui fanno parte nel loro paese. Non possono
migliorare la loro posizione economica, né hanno il controllo dei mezzi di
produzione. Le piattaforme non sono spazi pubblici, ma mercati privati. Tendono
ad evitare le tasse

81Ngai et al. [123].


82Wood et al. [124]; Graham et al. [125].
83Fuchs [126].
1165Il nano della storia

perché operano al di fuori delle giurisdizioni nazionali e pretendono


l'autoregolamentazione. Le leggi che proteggono i lavoratori sono ignorate in
alcuni casi, a volte intenzionalmente.84

5.8 Mobilitazione totale

Le piattaforme digitali governano il potere-lavoro in tempo reale nelle modalità che


caratterizzano il taylorismo 2.0, noto anche come "uberizzazione" del lavoro.85 Il
taylorismo di prima generazione organizzava la forza-lavoro e misurava il "merito"
dei lavoratori-macchine e la qualità del loro lavoro. Con la nuova generazione del
taylorismo, gli algoritmi raccolgono dati sulle prestazioni umane e li inseriscono in
un sistema di organizzazione industriale dei compiti. Con questo modo di
produzione, una forza-lavoro indipendente viene assunta e sottoposta a un meccanismo
di prestazioni ripetitive. Il suo scopo è simile a quello di una catena di montaggio:
"sviluppare nell'operaio al massimo grado atteggiamenti automatici e meccanici,
rompendo il vecchio nesso psico-fisico del lavoro professionale qualificato, che
richiede una certa partecipazione attiva di intelligenza, fantasia e iniziativa da parte
dell'operaio, e riducendo le operazioni produttive esclusivamente all'aspetto
meccanico, fisico."86 Le piattaforme governano il potere-lavoro attraverso una
continua competizione, performance, valutazione; esaltano una diffusa
subordinazione sociale e nascondono quanto la cooperazione sia necessaria al
funzionamento degli algoritmi. I soggetti catturati da questi dispositivi non hanno
alternative: devono essere impiegabili - cioè disponibili a svolgere qualsiasi tipo di
lavoro - e pronti a svolgere un compito nella speranza di guadagnare un reddito in
cambio. L'ozio è visto come una colpa degli individui, la condizione morale di una
forza lavoro "sprecata".87 Le nuove tecnologie del lavoro funzionano come una
sorta di ricatto morale e costringono gli individui ad essere attivi, a consumare
un'enorme quantità di energia psico-fisica, in quella che è la mobilitazione totale della
forza-lavoro:
[Il concetto di mobilitazione totale di Ernst Junger ha influenzato il concetto di Stato
Totale di Carl Schmitt e quello di totalitarismo di Hannah Arendt. Il suo valore euristico
rimane potente, perché esiste oggi nella nuova forma del Mercato Totale, in cui ogni
esistenza è convertita in una risorsa quantificabile e gli abitanti di ogni nazione del mondo
sono precipitati in una guerra economica incessante e spietata.88
La trasformazione dei concetti tradizionali di occupazione e disoccupazione è
completa89:
La politica neoliberale riguardo alla disoccupazione in particolare è perfettamente chiara.
Qualunque sia il tasso di disoccupazione, in una situazione di disoccupazione non si deve
assolutamente intervenire

84Graham e Amir Anwar [127].


85Scholz [109].
86Gramsci [128, 290].
87Bauman [129].
88Supiota [130, p. 228].
89Zoberman [131].
5,8 Mobilitazione totale117

direttamente o in primo luogo sulla disoccupazione, come se la piena occupazione dovesse


essere un'idea politica e un principio economico da salvare ad ogni costo. Ciò che va
salvato, prima di tutto e soprattutto, è la stabilità dei prezzi. La stabilità dei prezzi
permetterà infatti, in seguito, senza dubbio, sia il mantenimento del potere d'acquisto che
l'esistenza di un livello di occupazione più alto che in una crisi di disoccupazione, ma la
piena occupazione non è un obiettivo e può essere che una riserva di disoccupazione sia
assolutamente necessaria per l'economia. Come disse, credo, Röpke, cos'è un
disoccupato? Non è qualcuno che soffre di un handicap economico, non è una vittima
sociale. È un lavoratore in transito. È un lavoratore in transito tra un'attività non redditizia
e un'attività più redditizia.90
L'occupazione è una porta girevole: è la transizione permanente tra diversi
contratti, da un'attività mal pagata a un'attività libera, e viceversa. Di conseguenza,
la disoccupazione non deve essere considerata solo come la mancanza di lavoro
retribuito, ma anche come l'attivazione permanente di soggetti alla ricerca di
un'occupazione più formalmente definita all'interno di una condizione
strutturalmente precaria. Questa ricerca è, infatti, essa stessa lavoro, che non
coincide però con un lavoro, o con un contratto di lavoro. Essa corrisponde sempre più
agli obiettivi, al sistema di premi e punizioni imposti dalle cosiddette "politiche
attive del lavoro" volte ad attivare, o riattivare, i precari e i disoccupati.
La mobilitazione totale permette di spiegare la rivoluzione digitale come una
rivoluzione nella logistica del governo in tempo reale del flusso di beni, servizi e
informazioni. Questo governo ha bisogno di forza-lavoro da impiegare in modo
intermittente in servizi tradizionali, innovativi e poveri. La rivoluzione digitale
consiste nella trasformazione dei compiti in dati (datafication), compiti
(taskification) e cottimi. La digitalizzazione del lavoro rende possibile la
mobilitazione permanente della forza-lavoro digitalizzata, che in altre parole si
riduce ad essere un segno, un codice, un impulso elettronico. Il labour-power
viene definito "folla",91 non è l'esercito di riserva del lavoro, un concetto coniato
da Marx per capire come i disoccupati vengono utilizzati per frenare l'aumento dei
salari e per sostituire i lavoratori che scioperano con manodopera a basso costo. La
mobilitazione costringe la forza-lavoro ad essere sempre in movimento,
indipendentemente dai lavori effettivi che i lavoratori possono avere e dal loro
posto di lavoro: è un modo di produzione che richiede attenzione 24 ore su 24.92
Ciò che è in movimento è una "folla" anonima di lavoratori generici, che possono
essere attivati o sono già al lavoro. Nessun lavoro modificherà la condizione di
marginalità in cui si trovano i crowd-workers, né li incoraggerà a sviluppare un
"esprit de corps" - i crowd-workers costituiscono l'esercito degli esclusi o dei
poveri, sono una sorta di "lumpen-proletariat" come suggerisce l'espressione
originale marxiana. I lavoratori della folla fanno una guerra individuale in uno
"sciame digitale".93 Nello sciame, i lavoratori sono isolati, non comunicano con i
loro pari se non in occasione di incontri casuali per svolgere un compito. Il potere
del lavoro è attivato e disattivato da un dispositivo digitale. Tuttavia, questa idea di
"folla" - o "sciame" - priva di intelligenza, composta solo da individui separati e
incapaci di creare solidarietà, non corrisponde a

90Foucault [132, 139].


91Standing [133].
92Citton [134].
93Han [135].
1185Il nano della storia

l'esperienza dei crowd-workers di Amazon Mechanical Turk, per esempio. Una


folla, infatti, è intelligente ed è in grado di fare rete e cooperare.94 I lavoratori
costruiscono solidarietà in modo formale e informale, creando relazioni al
telefono, creando forum e chat su Facebook, organizzando gruppi e sindacati,
condividendo informazioni sui compiti più redditizi.95 I tratti umani, produttivi e
politici della cooperazione non sono andati persi. La folla si riproduce ideando
nuove forme di solidarietà ed è il motore della mobilitazione totale. Dove i
lavoratori non aderiscono, il motore si ferma. E quando funziona, li trasforma in
una folla digitale.
Le piattaforme digitali hanno creato un rapporto di lavoro originale. Rispetto ai
contratti di lavoro subordinato, firmati da un lavoratore e un datore di lavoro, qui è
entrato in scena un terzo soggetto: il fornitore di un contratto, la piattaforma che
fornisce servizi e compiti in rete. La piattaforma svolge un ruolo di intermediario,
organizza la forza-lavoro in modo da poter soddisfare le esigenze dei clienti. A
loro volta, i lavoratori hanno diversi potenziali clienti e possono lavorare su diverse
piattaforme. Inoltre, i lavoratori possono anche lavorare come dipendenti o con una
partita IVA al di fuori delle piattaforme. Senza contare che possono anche
diventare clienti delle aziende da cui dipendono per guadagnarsi da vivere.
Il rapporto di lavoro digitale è presentato come uno scambio commerciale tra
un appaltatore, un fornitore e un prestatore. La commercializzazione del contratto di
lavoro elimina il contratto, per cui il datore di lavoro mantiene il potere, ma cede
una parte della libertà economica, mentre i lavoratori rinunciano alla loro
indipendenza e accedono alla sicurezza sociale e personale.96 Questo scambio non
è contemplato nel capitalismo digitale. Il ruolo del lavoratore è nascosto. Rimangono
solo le altre due parti: il datore di lavoro (la piattaforma) e l'appaltatore (il cliente) che
decidono se, quando e come attivare i lavoratori.97 Un lavoratore viene preso in
considerazione quando fa domanda per un'offerta di lavoro. Se non lo fa, il lavoro
viene dato a qualcun altro.
Nella gig economy, i fornitori si considerano esenti dall'assumersi la
responsabilità di un incidente; dal dover gestire i conflitti causati da disaccordi
sulla valutazione di un servizio fornito da un lavoratore da parte di un intermediario;
dal rapporto di lavoro che lega il lavoratore a un'azienda che utilizza i servizi. Se
c'è un errore, o un danno, la responsabilità è del lavoratore o dell'intermediario. Le
piattaforme si proteggono così da eventuali conseguenze legali derivanti da
un'applicazione scorretta delle leggi sul lavoro o sulla sicurezza. Questo perché
non sono formalmente vincolate da alcun obbligo reciproco nei confronti dei
lavoratori.98 È anche per questa ragione che le piattaforme si chiamano aziende
tecnologiche e non aziende di produzione. A differenza di un'azienda tradizionale,
un'azienda tecnologica non firma contratti di lavoro.

94Rheingold [136].
95Gray et al. [137].
96 Sulla storiadei rapporti di lavoro subordinato si veda Supiot [138].
97Rogers [139].
98Id. [140].
5,8 Mobilitazione totale119

Pretende di essere un'interfaccia che facilita le relazioni tra appaltatori e


subappaltatori con l'outsourcing online e pretende di eliminare il potere che i
datori di lavoro avevano una volta, semplicemente applicando un programma
software, mentre in realtà lo esercita unilateralmente.
Gli obblighi si applicano solo ai dipendenti il cui obiettivo è quello di
guadagnare capitale reputazionale. Questo capitale è creato da una valutazione
arbitraria del loro comportamento, dei loro meriti e della loro biografia (cioè il
rating). L'obiettivo è quello di implementare il ranking per costringere i lavoratori
a competere per ottenere prezzi più bassi, una posizione migliore e più visibilità
agli occhi dell'azienda e dei clienti. Avere una "cattiva" reputazione significa
perdere il lavoro.99 Lo strumento per valutare la legittimità di questo sistema di
ranking è l'audit: il controllo amministrativo, il monitoraggio dell'azienda, il
confronto delle cifre tramite un algoritmo. L'audit dà un'aura di obiettività alla
reputazione e permette di stabilire il valore di un posto di lavoro in relazione ai
criteri scelti dall'azienda. Questo confronto non è pubblico, ma discrezionale.
Rimane prerogativa delle piattaforme che hanno il monopolio dei dati.
L'asimmetria dell'informazione permette ai suoi proprietari di mantenere il potere
che deriva da questa valutazione.
Il lavoro reputazionale è progettato per soddisfare ogni capriccio del cliente e
garantire il successo dell'azienda.100 Gli autisti di Uber vengono pagati in base a
come viene valutata la loro reputazione dai clienti della piattaforma; una libreria
vende di più quando ha un buon posizionamento su Amazon, dove viene valutata
dai clienti che hanno acquistato un libro; un ristorante aumenta il suo fatturato se
riceve valutazioni positive su TripAdvisor; un rider viene classificato in base a
come viene valutata la velocità delle consegne. Queste pratiche creano un rapporto
di dipendenza, anche psicologica, tra gli individui e una piattaforma. Queste
procedure vengono presentate come automatiche, volte a migliorare la qualità di
un servizio, mentre in realtà sono tecniche di controllo del mercato e di gestione
della forza lavoro, ambiti in cui le aziende non accettano alcuna interferenza da parte
di istituzioni e sindacati.
Questo meccanismo porta un lavoratore a competere per una ricompensa o ad
essere punito quando non raggiunge gli obiettivi. Il punteggio può variare, ma la
gara è truccata dall'inizio. Con le piattaforme di lavoro su richiesta, le regole
possono essere cambiate da un giorno all'altro per evitare la contrattazione. Se i
lavoratori non accettano, vengono "disconnessi", vengono licenziati con un
click.101 Lo stesso potere è esercitato da Facebook nella corsa alla visibilità tra i
suoi utenti. La piattaforma cambia i criteri degli algoritmi e rende alcuni contenuti
più visibili di altri, al punto da far fallire gli editori. Può cancellare contenuti e
post di attori politici che non soddisfano i criteri approvati dai suoi proprietari in
qualsiasi momento.
Nell'economia della piattaforma, i consumatori che credono di essere impegnati in
un passatempo o in un gioco sono anche messi al lavoro. La loro attività è stata definita
come lavoro gratuito: lavoro gratuito, non retribuito o volontario in attività di
beneficenza, stage, intrattenimento nei videogiochi.102

99 Arvidsson e Peitersen [141].


100Rosenblat eStark [142]; Van Doorn [143].
101Aloisi [144].
102Terranova [145].
1205Il nano della storia

A questo proposito si parla di "playbour", "gamebour" o "weisure" (tempo + libero da


lavoro).103 Queste espressioni indicano il modo in cui il gioco ha invaso il dominio
del lavoro e la gamificazione della vita.104 Questi processi colpiscono chi sta
seduto alla scrivania davanti a un computer e la vita professionale di una persona,
che si riduce a essere un'attività volontaria - la gente deve pagare per lavorare
perché il lavoro non paga. I soggetti di queste attività sono "prosumer", un ibrido
tra produttori e consumatori che rifiuta sia l'immagine liberale del lavoratore come
passivo esecutore di compiti e salariato, sia l'immagine marxista di un salariato
conflittuale. I prosumer sono visti come imprenditori del tempo libero che sembrano
aver risolto il problema di come sopravvivere e sono soddisfatti della propria
"egolatria". Questa narrazione fittizia è sostenuta anche dalle aziende che si
rifiutano di riconoscere la subordinazione dei rider e degli autisti di Uber - persone
che scelgono liberamente di consegnare merci o offrire un passaggio nella loro
auto. Che in altre parole non lo fanno per lavoro, ma per divertimento. Quello che
fanno in realtà è svolgere un'attività in cambio di un reddito: per consumare devono
guadagnare, per guadagnare devono lavorare, e per lavorare devono obbedire alla
disciplina imposta dall'algoritmo. Di fronte a queste richieste pressanti, i prosumer
scoprono cosa sono veramente: lavoratori digitali.
Le attività di un prosumer si svolgono nell'economia della promessa,
caratterizzata dall'idea che il lavoro non pagato e precario sia un modo per ottenere
uno status, una ricompensa, un reddito.105 In questa situazione parossistica avviene
un rovesciamento particolare: il lavoro non è più un'attività subordinata ma un
dono del proprio tempo da parte di persone che credono nella condivisione,
nell'altruismo generalizzato e nella generosità. La loro attività non è più finalizzata
a uno stipendio, ma a creare ricchezza per le aziende. Le piattaforme digitali
promuovono anche il lavoro aspirazionale106un lavoro volontario che sponsorizza
le marche e, allo stesso tempo, produce l'auto-sfruttamento di coloro che le creano.
È un'attività basata sul lavoro morale attraverso la quale gli individui si
convincono che il proprio benessere coincide con quello degli imprenditori.
L'equivoco del lavoro oblativo, un servizio affettivo offerto senza chiedere nulla
in cambio, ha generato un tipo di soggetto che soffre di un tragico rovesciamento:
la confusione tra la propria libertà e quella dello Stato o del mercato. Tale lavoro
porta a un desiderio di subordinazione in un sistema di controllo che promette il
riconoscimento sociale e lo rimanda all'infinito.107
Queste caratteristiche sono presenti anche nel lavoro digitale affettivo
realizzato dai prosumer sulle piattaforme.108 Frutto di un doppio processo di
datarizzazione degli affetti e di trasformazione emozionale dei dati, questo lavoro
produce beni digitali emozionali (e-modities).109 Si tratta di un'evoluzione della
produzione di emozioni apparsa nel XIX secolo, quando l'industria della moda, del
consumo, della letteratura o dell'arte ha iniziato a sfruttare le idee di autenticità,
sincerità e intimità. Da quando

103Kücklich [146]; Lund [147, 63-79]; Fuchs [148, 26-41].


104Ippolita [149,107 ss].
105Bascetta [150]; Id. [151]; Id. [152]; Moneta [153]; Ciccarelli [154].
106Duffy [155].
107Deleuze [156, 177-182].
108Alloing e Pierre [157].
109Illouz [158].
5.8 Mobilitazione totale121

allora, la vita emozionale è stata incorporata nella sfera della produzione, così
come nelle discipline della psicologia, della medicina e del controllo sociale. Il
capitalismo digitale ha messo al lavoro questo aspetto decisivo della soggettività,
chiedendole di svolgere un lavoro affettivo, relazionale e comunicativo.110 Nella
nuova economia politica degli affetti, i prosumer cercano di catturare l'attenzione
degli altri e rispondono all'imperativo di identificare le strategie necessarie per
rendere autentica e originale la vita intima. Il loro lavoro si basa sui tre modelli
culturali dell'identità: l'autenticità emotiva e l'espressione degli affetti;
l'autocontrollo a fini professionali; la conoscenza di sé per il benessere psicofisico
ispirato alla produttività, alle "best practices" e alla "resilienza" alle richieste del
mercato.111

5.9 Il lavoro non è finito, è aumentato

Il lavoro digitale dimostra che il lavoro non è finito e che, al contrario, è


aumentato. La rivoluzione digitale ha cambiato il significato del concetto di lavoro
e la posizione della forza-lavoro in un processo che ha reso produttivo ogni aspetto
della nostra esistenza. Quello che è finito è solo un modello di lavoro retribuito,
mentre il lavoro precario aumenta con l'automazione, insieme al lavoro
temporaneo, al lavoro autonomo, alle app, in modo molto diverso dal modello di
lavoro predeterminato del passato.112 Cottimo tecnologico, compiti divisi e isolati,
prestazioni psicofisiche computerizzate è il modo in cui il potere-lavoro sarà
descritto nella prossima generazione. La "quarta rivoluzione industriale" serve a
intensificare lo sfruttamento del lavoro digitalmente povero e a concentrarlo nei flussi
produttivi. La prospettiva è che il lavoro digitale crescerà nel contesto di un nuovo
standard di lavoro temporaneo generalizzato che sostituirà il lavoro permanente. La
via da seguire è stata decisa: viviamo già in una società non più caratterizzata dal
lavoro fisso113 dove i lavoratori poveri - che guadagnano un salario ma non hanno
un contratto di lavoro - sono pagati meno dei due terzi di quelli che sono impiegati
a tempo pieno.

110Vedi Lordon [159]; Marazzi [160]; Arvidsson [161, pp. 39-59]; Citton [162, 45-123]. Le definizioni
di "lavoro digitale" e di economia politica degli affetti sono simili a quelle di lavoro
"immateriale", "cognitivo" o "virtuale": vedi Gorz [163]; Lazzarato [164]. Fumagalli [165]; Bifo
Berardi [166]; Wilkie [167]; Gill e Pratt [168, pp. 1-30]; Vercellone [169]; Hardt e Negri [170].
111Citton [171].
112Questa tendenza è stata registrata dall'ILO in continenti in cui il lavoro fisso non è mai stato il
principale tipo di occupazione, come il Sud-Est asiatico, l'Asia meridionale e l'Africa sub-
sahariana, e dove il numero medio di dipendenti sul totale dell'occupazione è più basso che nel resto
del mondo. In Europa e nei paesi dell'OCSE, c'è una forte tendenza alla trasformazione del lavoro
subordinato in lavoro temporaneo e precario. Nel 2015 meno del 40% dei dipendenti aveva un
contratto a tempo pieno e permanente; il 60% aveva contratti temporanei a tempo determinato o
part-time, la maggior parte di loro erano donne. Senza contare che più di un quarto del lavoro a
tempo parziale è di natura involontaria ed è il risultato di una carenza di opportunità di lavoro a
tempo pieno. Vedi Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) [172].
113Aronowitz e Di Fazio [173].
1225Il nano della storia

Questo fatto contraddice la tesi dogmatica secondo la quale l'automazione


renderà superfluo il concetto stesso di lavoro.114 Sono i lavori ripetitivi e mal
pagati che dovrebbero scomparire, mentre quelli che richiedono un livello
superiore di competenze saranno sempre meno e più richiesti. Questo processo
accentuerà le differenze macroscopiche tra i redditi. Rispetto ad altre ondate di
automazione, l'onda digitale è presumibilmente caratterizzata da un basso tasso di
sostituzione tra vecchi e nuovi lavori. Si ritiene che la tecnologia richiederà meno
lavoro umano e che la diffusione dei personal computer iniziata negli anni ottanta
ha esacerbato il rischio di potenziali perdite di posti di lavoro. L'idea della
polarizzazione del lavoro è controversa.115 Infatti, alcuni ricercatori credono che sia
vero il contrario. Non tutti i lavoratori a basso salario possono essere sostituiti dalle
macchine, mentre anche i lavori ad alto salario sono suscettibili di un certo grado
di automazione. Solo il 5% di tutte le occupazioni sarà sostituito interamente dalle
macchine.116 Altre ricerche hanno confermato il modesto impatto dell'automazione
in Europa: qui in media poco meno del 10% di tutti i lavori sono a rischio di
automazione totale o parziale, in Italia è il 9%, in Finlandia il 6%, solo in
Germania è il 12%.117
Il dibattito tende ad essere dominato da argomenti che alimentano lo scontro tra
coloro che sostengono che c'è un legame diretto tra automazione e disoccupazione
e coloro che danno la colpa dei tagli salariali all'automazione digitale ma
sostengono che non c'è un legame diretto con la disoccupazione.118 Questa
confusione è causata dalla mancanza di dati che dimostrano la correlazione tra
automazione e perdita di posti di lavoro.119 Nel 2014 più di 800 economisti su 1900
sostenevano che le applicazioni interconnesse ai mezzi robotici avrebbero portato
alla perdita di più posti di lavoro di quelli che avrebbero creato entro il 2025.120
Nello stesso anno altri economisti hanno dato un parere opposto: l'automazione è
una delle cause della stagnazione media dei salari, nonostante la crescita della
produttività del lavoro, e storicamente non ha ridotto l'occupazione.121 L'esempio
del settore agricolo, che all'inizio del ventesimo secolo impiegava il 41% della
forza lavoro negli Stati Uniti, è stato citato per dimostrarlo. Oggi impiega solo il
2%. Nonostante questa trasformazione epocale, la disoccupazione non è aumentata
nel lungo periodo, mentre il rapporto tra occupazione e popolazione è aumentato. Si
può supporre che l'automazione replicherà la stessa dinamica, anche se bisogna
tenere presente che gli alti tassi di crescita registrati in parte del XX secolo
potrebbero non ripetersi nella "stagnazione secolare".122

114Vedi Frey e Osborne [174]. Per un'analisi più problematica e meno allarmista si veda Mit Work
of the Future, "The Work of the Future, Building Better Jobs in an Age of Inteligence Machines",
Mit (novembre 2020); World Economic Forum, "The Future of Jobs Employment, Skills and
Workforce Strategy for the Fourth Industrial Revolution", (gennaio 2016).
115Katz e Kearney [175].
116 "Harnessing automation for a future that works", McKinsey Global Institute (gennaio 2017).
117Arntz et al. [176]; OCSE [177].
118Freeman [178].
119 Mishel e Bivens [179]. Un tentativo di dimostrare empiricamente la tesi dalla prospettiva
della teoria economica e del mercato del lavoro si trova in Acemoglu e Restrepo [180].
120Smith e Anderson [181].
121Vedi IGM Forum [182].
122Summers [183]. Id. [184].
5.9 Il lavoro non è finito, è aumentato123

Non è nemmeno certo che l'automazione porti alla perdita di posti di lavoro
poco qualificati; al contrario, provoca l'aumento di posti di lavoro nei settori della
vendita al dettaglio, dell'imballaggio e delle attività di magazzino, richiedendo
personale non qualificato nei servizi alimentari, come cuochi, baristi, segretarie,
camionisti e autisti di camion, tassisti e furgoni. Le professioni che probabilmente
incarnano la "quarta rivoluzione industriale", come gli analisti e i progettisti di
software, non sono molto diverse dalle receptionist nei settori del turismo. Più che
di una forma di sostituzione tra manodopera e robot, dobbiamo parlare della
creazione di catene occupazionali ampie e dinamiche che aumentano in base alle
necessità della produzione e che combinano il lavoro digitale con attività di
logistica e magazzino. Questo è indicativo di una profonda trasformazione in atto
nel mercato del lavoro, dove i lavori di back office aumentano e quelli di front
office diminuiscono. Più persone sono impiegate nella movimentazione delle
merci che nella vendita diretta, che comporta il contatto con i consumatori. Il fatto
che questi lavoratori siano invisibili perché lavorano all'alba, nei magazzini di
periferia, o dopo i turni d'ufficio e le lezioni universitarie, non significa che non
esistano. Il dibattito sulla cosiddetta "disoccupazione tecnologica" è stato troppo
occupato a prevedere la fine del lavoro e ha perso di vista uno degli elementi
strutturali di questa rivoluzione digitale. Il feticismo dell'automazione ha ispirato
l'idea che il lavoro umano sarà sostituito dai robot.123 Questo ha portato a credere
che l'innovazione tecnologica sia il fattore principale dietro la perdita di posti di
lavoro e l'aumento della disuguaglianza salariale. La computerizzazione della
produzione è vista come la causa dell'aumento dell'occupazione nelle aree in cui i
lavori pagano bene, e della disoccupazione nelle aree in cui la paga è cattiva,
portando alla polarizzazione tra questi tipi di lavoro.124
La teoria del potere-lavoro si ispira a un altro modello interpretativo secondo il
quale le disuguaglianze salariali sono il risultato di un processo di sostituzione del
lavoro subordinato con il lavoro precario portato dall'uso politico della
tecnologia.125 In questo contesto, l'automazione digitale gioca un ruolo
completamente diverso:126
- non elimina i lavoratori fisici, ma rende la forza-lavoro invisibile nel processo
di produzione;
- distribuisce il lavoro necessario su tutto il pianeta, soprattutto dove non può
essere visto;
- nasconde il rapporto di subordinazione a un capitalista che possiede i mezzi di
produzione - una piattaforma digitale può, per esempio, essere scaricata dagli
- smartphone; moltiplica sempre più le opportunità di lavoro temporaneo al
servizio delle piattaforme, peggiorando le condizioni di lavoro;
- non aumenta né diminuisce la disoccupazione, ma gestisce la disoccupazione
esistente mettendo i precari e i disoccupati a lavorare in forme diverse dal
rapporto di lavoro retribuito;

123Vedi Cohen [185]; Finn [186]; Morozov [187].


124 Frey e Osborne [188]; Brynjolfsson e McAfee [189]; Katz e Kearney [175]; World Economic
Forum [190]; McKynsey [191]; Arntz et al.
125Mishel et al. [193].
126Ekbia e Nardi [194]; Zuboff [195].
1245Il nano della storia

- aumenta la produttività della forza lavoro, attraverso l'attivazione continua di


individui che svolgono un lavoro online non riconoscibile dalle statistiche
ufficiali sull'occupazione.
Il lavoro digitale, in particolare quello che rientra nell'ambito del prosumerismo,
permette di evidenziare le caratteristiche strutturali delle nuove forme di impiego
della forza-lavoro: la continua connessione a una piattaforma permette di
valorizzare il lavoro vivo, cioè tutti gli aspetti produttivi del comportamento, dello
stile di vita e delle relazioni delle persone. Questo processo può essere osservato
anche nella cosiddetta sharing economy. Originariamente, questa economia era
basata su relazioni orizzontali tra pari ("peer to peer"). Più tardi è diventato chiaro
che il capitalismo delle piattaforme usa la cooperazione sociale per il proprio
profitto, e per questo il tipo di linguaggio che usa è ambiguo e opportunistico, gli
permette di presentare le transazioni finanziarie come azioni altruistiche che sono
nell'interesse di una comunità.
Oggi, la condivisione peer-to-peer non promuove l'uguaglianza sociale, è uno
strumento utilizzato da alcune aziende per prendere il controllo della vita dei loro
clienti e trasformarli in sostenitori dei loro marchi. La sharing economy è stata
assorbita dall'economia digitale on-demand basata sulla vendita di lavoro e l'uso di
beni e servizi in cambio di un salario occasionale o simbolico. Un'auto, un
appartamento, una bicicletta possono essere usati o ceduti volontariamente in
cambio di una percentuale sulle transazioni tra un fornitore di servizi online e un
cliente. Ciò che guida questa economia è la speranza che la perdita di reddito e
l'impoverimento della classe media si fermino. Questo avviene episodicamente a
costo di finanziare aziende che speculano su una condizione di disagio in cambio
di una frazione del profitto realizzato.
In una società in cui i bassi salari, la precarietà e le crescenti disuguaglianze
sono strutturali, sconvolta da crisi economiche sempre più violente e ricorrenti, il
lavoro occasionale su piattaforme e l'affitto temporaneo di immobili sono visti
come un'alter- nativa. Questi mezzi sono un'ultima possibilità di sfuggire
occasionalmente alla povertà. Tuttavia, le classi lavoratrici e medie, pesantemente
colpite dalla crisi finanziaria del 2008 e da quella del 2020, non saranno sollevate
dalla povertà e la loro condizione non potrà che peggiorare. La nuova legge è: ciò
che è tuo (del cliente, lavoratore o proprietario) è mio (della piattaforma). L'esatto
contrario dell'uguaglianza e dell'orizzontalità della condivisione che prevaleva agli
albori di internet: ciò che è mio è anche tuo.127

5.10 Oltre il capitalismo della sorveglianza

Il capitalismo digitale interviene costantemente nella vita del potere-lavoro. Il suo


obiettivo non è quello di liberarlo e permettergli di realizzare il suo potenziale in
un dato momento storico, ma di sradicare tutte le forme di divenire diverse da
quelle che sono state programmate. Questo è l'obiettivo della "governabilità
algoritmica": il governo della vita attraverso l'applicazione di algoritmi di
profilazione a enormi quantità di dati prodotti dalla

127Slee [196];
Sundararajan [197]. Frenken e Schor [198]; O'Connor [199]; Singer [200]; Pasquale e
Vaidhyanathan [201].
5.10 Oltre il capitalismo
sorveglianza125

forza-lavoro combinata con i dati ottenuti dalle sue interazioni con lo spazio fisico
e informativo. Il suo scopo è quello di modellare la mentalità degli individui
spingendoli ad agire in modo prevedibile.128
La forza-lavoro è considerata materia prima gratuita e la sua esperienza viene
trasformata in un "surplus comportamentale proprietario" ottenuto per mezzo di
processi avanzati di fabbricazione chiamati "intelligenza algoritmica", potenziati
dallo sviluppo di prodotti predittivi che cercano di anticipare ciò che vogliamo o
desideriamo. Il valore di questi prodotti è determinato dal mercato dei "futuri
comportamentali" dove le piattaforme digitali vendono dati all'industria
assicurativa, alla biomedicina, alla pubblicità, alla telefonia e al marketing, alla
sorveglianza dello stato di diritto e a tutte le forme di produzione. I profitti del
capitalismo digitale sono il prodotto di una delle economie più redditizie del
mondo che scommette sui comportamenti futuri e investe in dati per aumentare i
profitti. Il fatto che non ci sia contrattazione tra i produttori diretti di comportamenti e
le aziende che estraggono i dati rende questa operazione arbitraria e speculativa.
L'"economia del surplus comportamentale" basata sul lavoro non riguarda solo la
soddisfazione della domanda esistente, ma la creazione di nuova domanda.129
Oggi il ruolo del potere-lavoro nella creazione e legittimazione del "capitalismo
di sorveglianza" è molto spesso sottovalutato. Chi usa una piattaforma digitale, e
ne viene usato, non è un automa manipolato da una macchina onnipotente, né è
una vittima, ma è parte attiva del processo di alienazione e sfruttamento del lavoro
digitale. La sua partecipazione può essere il prodotto di uno stato di necessità, ma
spesso è una libera scelta. Questa situazione non è senza precedenti.
L'ambivalenza tra libertà e bisogno esiste dall'inizio del capitalismo ed è vissuta
sia dalla forza lavoro che dai disoccupati.
Si dovrebbe anche considerare che il lavoro digitale è una relazione sociale con
il capitale, non solo una relazione individuale con gli algoritmi. Questa è una
distinzione teorica importante sia rispetto alla tesi che sostiene che il soggetto del
lavoro digitale è semplicemente un individuo-consumatore, sia rispetto alla tesi
che sostiene l'esistenza di una "natura umana" costretta dal capitalismo a
comportamenti contrari alla sua "autentica" natura. Secondo questa idea se il
capitalismo scomparisse, o cambiasse, la "natura umana" potrebbe essere riportata
a un ordine più rispettoso degli esseri umani. Questo non è possibile perché tutti i
tipi di capitalismo, quindi non solo il capitalismo digitale, hanno dato alla "natura
umana" una propria forma ideale negando l'idea di un'essenza presupposta dalle
sue manifestazioni storiche. Dietro la natura alienata del lavoro non c'è un'essenza
umana originaria, ma i rapporti sociali e produttivi che organizzano gli esseri
umani in un regime strumentale di vita e produzione.
C'è un'altra tesi legata alla teoria dell'autenticità, secondo la quale la vita, anche
sulle piattaforme digitali, è senza eccezioni vita capitalista. Questa visione nichilista
postula un sistema di dominio insormontabile. È quindi necessario capire cosa il
capitalismo digitale sfrutta realmente e cosa permette di sfidare questo
sfruttamento, contestualizzando le varie interpretazioni esistenti. Da questa
questione dipende una rivoluzione culturale nella nostra mentalità, che potrebbe
portare a un'alternativa al digitale

128Rouvroy e Stiegler [202]; Rouvroy e Berns [203]; Id. [204].


129Zuboff [205].
1265Il nano della storia

il capitalismo, a partire dalla comprensione di come funziona nel presente. Il


capitalismo digitale non si fonda su soggetti psicologici, persone ridotte a "merce"
da algoritmi che programmano il comportamento automatizzato degli individui. Si
basa piuttosto sul potere-lavoro: la facoltà unica e insostituibile dell'essere umano
posseduta fisicamente e mentalmente da ogni persona che esprime una "personalità
vivente" al di là della nazionalità, del ruolo sociale, dello status professionale e della
condizione lavorativa.130 Il capitalismo ha capito come sfruttare il suo potere e lo ha
utilizzato secondo le sue caratteristiche storiche, morali e culturali. Oggi le
piattaforme digitali possono fare enormi profitti grazie all'aumento esponenziale
della sua produttività. Quello che dobbiamo chiederci, però, è se la subalternità
forzata del potere-lavoro sia la prova di un dominio assoluto e ineluttabile. La risposta
a questa domanda è no, perché ciò che fonda questo sistema è un potere che il
capitalismo può dirigere ma non possedere. I capitalisti digitali ne sono
consapevoli, sono interessati a trarre profitto dalla forza-lavoro del futuro. Al
progetto manca sempre qualcosa. Ed è per questo che viene costantemente
reinventato e adattato all'agenzia del potere-lavoro.
Storditi da innovazioni miracolose, immersi nella costante propaganda che
promuove l'ultima invenzione tecnologica, trascuriamo ciò che realmente permette
al capitalismo digitale di trarre profitto: il nostro potenziale di essere altro da ciò
che siamo al momento.
Questo potenziale è una caratteristica insostituibile del potere-lavoro e si
manifesta in tutte le sue azioni materiali e intellettuali. Il potere-lavoro non è solo
capacità di lavoro programmata secondo le necessità della produzione, è un potenziale
che non coincide con la sua attuale mercificazione. Può essere abusato, alienato,
violato o orientato nel suo comportamento come capacità lavorativa. Eppure ancora,
come potere di essere altrimenti, il potere-lavoro genera il valore che manca al
capitale e di cui ha bisogno. La forza-lavoro deve quindi essere intesa come
conflittuale e duplice: da un lato, è l'uomo-potenza oggetto del capitale; dall'altro,
è il soggetto senza il quale non c'è capitale. È dal conflitto tra ciò che il lavoro-
potenza è per il capitale e ciò che può essere per se stesso che sorgono
continuamente la produzione, la resistenza e le alternative possibili.
Alcuni possono sostenere che senza capitale, la forza-lavoro non può
sopravvivere. Questo è un argomento discutibile, anche nel caso delle piattaforme
digitali, che pagano salari che non servono a questo scopo. Quello che è certo,
invece, è che senza forza-lavoro non c'è capitalismo digitale. Senza autisti, Uber non
può connettere i clienti sulla sua piattaforma; senza ricerche sul suo browser
Google si blocca; senza gli affetti e le relazioni tra utenti, Facebook è un deserto.
L'osservazione empirica dimostra che le piattaforme funzionano così. Eppure
ancora non lo vediamo. Il nostro sguardo è oscurato da un trionfante determinismo
tecnologico che attribuisce il potenziale del potere-lavoro alle macchine,
trascurando la relazione fondamentale tra le macchine e gli esseri umani e il loro
potere-lavoro. Attribuiamo alle interazioni automatizzate il potere di decidere
come sarà il nostro mondo condiviso. Deleghiamo le questioni sociali e cognitive ai
proprietari delle piattaforme: dato che non dobbiamo più scegliere a che gioco
stiamo giocando, noi

130Vedi K, Marx, Il capitale, cit.


5.10 Oltre il capitalismo
sorveglianza127

si limitano ad accettare o rifiutare le ricompense date a coloro che sono addestrati


da rituali digitali prestabiliti.131
È necessario ripensare queste relazioni. E per farlo, è necessario a sua volta
sviluppare una teoria del potere-lavoro che ci permetta di riappropriarci di ciò che
produciamo, impedire che venga continuamente espropriato, e immaginare un
modo diverso di impiegare una facoltà a disposizione di tutti gli esseri umani, che
però nessuno possiede.
Possiamo partire da queste premesse:
- La rivoluzione digitale non è solo un progetto di alienazione del potenziale
della forza-lavoro, è anche la forma più avanzata di produzione e riproduzione
della facoltà e capacità degli esseri umani di diventare altro da quello che sono
utilizzando tutti i valori, compresi quelli economici;
- Il potere del lavoro è una facoltà indocile che rende la vita mutevole al di là del
potere predittivo del capitalismo digitale;
- Dove la vita sembra essere guidata da automatismi tecnologici, c'è un rapporto
di potere tra chi governa e chi è governato dagli algoritmi; finché esisterà il
- capitalismo, il problema di come determinare liberamente la propria esistenza
continuerà ad essere posto.

5.11 Le lotte per i diritti

Organizzazione collettiva, riconoscimento del lavoro digitale, diritti e tutele,


piattaforme digitali cooperative132Queste sono le principali questioni emerse dalle
lotte per i diritti nell'economia digitale. Il conflitto nasce da una constatazione: il
potere-lavoro è centrale, non invisibile, nel capitalismo digitale. Si tratta quindi di
renderlo visibile, trasformando i rapporti di potere esistenti in modo che chi lo
possiede sia governato il meno possibile. Questa è l'idea alla base delle richieste di
assicurazione, sicurezza sociale e protezione salariale per il lavoro digitale; di
trasparenza rispetto al funzionamento delle piattaforme, alle condizioni dei servizi
forniti e ai costi della loro sostenibilità ambientale e sociale. Questi temi sono stati
proposti dai lavoratori, accettati dai sindacati, e vengono espressi nelle grandi
aziende tecnologiche così come nelle grandi città.133 La consapevolezza della
giustizia sociale nel lavoro digitale sta crescendo anche tra le istituzioni di
protezione dei dati, l'Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) e la
Commissione Europea.
Le richieste di controllare e valutare le condizioni di lavoro sulle piattaforme
sono aumentate. Un esempio è il sito FairCrowdWork.org, creato dal sindacato
tedesco IG Metall. Lo stesso lavoro può essere fatto da piattaforme indipendenti
ispirate da

131Ippolita,Tecnologie del dominio, cit.


132Armano et al. [206].
133Vedi l'indagine sulle lotte nelle grandi corporazioni americane: Ciccarelli [207]. Sulle lotte
contro la nuova sede di Amazon nel Queens, New York, tra il 2018 e il 2019, vedi Ciccarelli
[208].
1285Il nano della storia

Turkopticon. Creato dai ricercatori Lilly Irani e Six Silberman, questa piattaforma
è uno strumento che cerca di invertire l'asimmetria informativa di Amazon
Mechanical Turk.134 Turkopticon ha permesso ai crowdworkers di valutare i loro
clienti, quindi non solo di essere valutati. Su piattaforme come TurkerNation,
MTurkGrind, HITsWorthTurkingFor i lavoratori sono stati in grado di condividere
i compiti meglio pagati; analizzare l'organizzazione del lavoro; giudicare la
correttezza dei loro clienti; formare i nuovi arrivati; e creare una linea di
comunicazione con i subappaltatori dei compiti aperti allo scambio.
Tra il 2014 e il 2021 una serie di lotte ha chiesto il riconoscimento dei diritti dei
lavoratori impiegati dalle piattaforme digitali negli Stati Uniti - ad esempio Uber -
e nel settore delle consegne di cibo in Inghilterra, Belgio, Francia, Germania,
Spagna e Italia. L'8 ottobre 2016 nella città italiana di Torino, un collettivo
composto da rider di Foodora ha organizzato la prima manifestazione dei
lavoratori della gig economy. Tentativi simili di auto-organizzazione hanno avuto
luogo a Milano, Bologna e Roma negli anni successivi. Le richieste che vengono
espresse sono simili, principalmente che il lavoro gig dei rider deve essere trattato
come lavoro subordinato. Questo non significa assumere tutti i lavoratori come
dipendenti permanenti di una piattaforma. Le richieste di un pagamento equo per
ora e per consegna, la protezione contro gli infortuni e le malattie, il pagamento
dei costi di riparazione dei veicoli, tutto punta a un contratto di lavoro subordinato,
ma questo non significa che i lavoratori devono essere assunti come dipendenti.
Durante i primi cinque anni di queste lotte in molti paesi europei e negli Stati
Uniti, i tribunali hanno emesso sentenze che non hanno però risolto i problemi
posti da questo tipo di lavoro digitale. Una nuova giurisprudenza si è sviluppata in
assenza di regole nazionali e sovranazionali. Ad esempio, in Italia nel 2019 è stata
introdotta una legislazione per i rider, che però si è rivelata inefficace. Questo grado di
incertezza è dovuto allo status dei gig workers, che possono essere paragonati ai
tradizionali "dipendenti a contratto" o "dipendenti autonomi" che in Italia non sono
dipendenti ma lavoratori vulnerabili. I gig workers non sono lavoratori autonomi.
Né sono veri e propri dipendenti. È sbagliato pensarli come salariati, così come è
sbagliato pensarli come collaboratori. Assumerli come dipendenti a tempo pieno
potrebbe costringerli a lavorare in aziende che strutturalmente pagano poco il
lavoro. Regolamentare questo rapporto rischia di istituzionalizzare la trappola della
precarietà, creando una categoria di lavoratori a basso salario costretti a rispettare le
condizioni imposte da aziende che continuano a esercitare un enorme potere
asimmetrico. Inoltre, non si può escludere che la maggioranza dei gig worker
rifiuterebbe una tale classificazione, sentendo la loro condizione più simile a quella
dei lavoratori "autonomi". Il limbo in cui vivono verrebbe quindi rafforzato,
aumentando la mercificazione del lavoro. Bisogna anche considerare l'ipotesi che
tale indeterminatezza sia anche un'opportunità per i lavoratori che passano da un
lavoro temporaneo all'altro per sfuggire allo sfruttamento.
D'altra parte, il riconoscimento del lavoro subordinato nel caso del gig work non
dovrebbe essere completamente escluso perché darebbe ai lavoratori almeno uno
strumento per far valere i diritti sociali fondamentali. Un tale vincolo giuridico
serve a proteggere i lavoratori dagli abusi ed è necessario per evitare che le
aziende licenzino illegalmente i lavoratori negando loro l'accesso alla piattaforma.
La cessazione di un rapporto di lavoro

134Silberman e Irani [209].


5.11 Le lotte per i diritti129

Anche il contratto deve essere negoziato, rispettando la libertà dei lavoratori, che
devono essere considerati come tali. Questa non è l'unica soluzione ai problemi
posti dal lavoro occasionale, ma aiuterebbe ad affrontare le questioni
fondamentali. Per questo, in paesi come l'Italia, il lavoro dei riders dovrebbe
essere regolato con un contratto nazionale di lavoro, che comporterebbe la
definizione degli strumenti necessari per una gestione negoziata dell'algoritmo,
che potrebbe anche essere di tipo cooperativo, ad esempio istituendo una banca del
tempo o ridistribuendo i carichi di lavoro in azienda. L'istituzionalizzazione di un
contratto di lavoro garantirebbe il potere contrattuale dei lavoratori temporanei e
impedirebbe alle piattaforme di separarli durante il periodo in cui sono impegnati
in forme di lavoro subordinato.
Questi strumenti giuridici dovrebbero essere adottati alla luce di una
prospettiva più ampia che riguarda tutti i lavoratori, non solo i lavoratori digitali.
La protezione degli individui richiede il rispetto sia dei diritti fondamentali al di là
del rapporto di lavoro sia dei diritti dei lavoratori nel contesto di un rapporto di
lavoro. Ne consegue che la protezione dei lavoratori nel contesto di un rapporto di
lavoro è inseparabile dalla protezione sociale, civile e personale delle persone
nella società e online. Per questo motivo, un reddito di base e incondizionato
dovrebbe essere previsto per coloro che non lavorano o che lavorano a
intermittenza, in modo da proteggerli dal ricatto del lavoro precario. Nell'attuale
contesto capitalistico, diverso da quello del secondo dopoguerra, il lavoro
retribuito (non il lavoro in generale) potrebbe anche diminuire con l'automazione
tecnologica, soprattutto nel settore dei servizi. In questo scenario, il lavoro
dovrebbe essere considerato come l'esercizio della libertà e
dell'autodeterminazione, non come lo svolgimento di lavori poveri da avere a tutti
i costi. Per questo motivo, il diritto di scegliere un lavoro dovrebbe contare più del
diritto di lavorare. Il reddito di base è la premessa di questa libertà.
Il dibattito sulla gig economy è ancora limitato al riconoscimento di contratti di
lavoro per alcune categorie di lavoro digitale. Invece, la rivendicazione di un
reddito di base potrebbe essere un obiettivo universale per i lavoratori delle
piattaforme digitali, per il lavoro subordinato, il lavoro autonomo e nelle situazioni
in cui il lavoro è assente. Questa prospettiva non elimina la rivendicazione di
condizioni di lavoro decenti, al contrario la rafforza con la rivendicazione del
diritto ad esistere al di là dei ruoli legati alla produzione e alla nazione. La
definizione di un rapporto di lavoro è la conseguenza, non il fine,
dell'affermazione del diritto all'esistenza di chi, per necessità o per scelta, lavora.

5.12 Diritto all'esistenza

Un processo di soggettivazione alternativo a quello che riduce il potere-lavoro a


servizio umano è stato individuato nel movimento di emancipazione che mira a
trasformare una condizione di invisibilità in una condizione visibile. La necessità
di uscire dall'ombra è stata più volte sottolineata da movimenti, associazioni e
sindacati di freelance, lavoratori digitali e lavoratori domestici. Questi lavoratori
chiedono di essere visibili come "lavoratori", come soggetti titolari di diritti. La
loro intenzione è quella di "uscire dall'ombra" e diventare visibili come
"lavoratori". Queste espressioni
1305Il nano della storia

sottolineano che il potere-lavoro non è un'estensione di un algoritmo, ma una facoltà


attiva, l'espressione di una soggettività viva. Ai Jen Poo, portavoce della National
Domestic Workers Alliance, ha espresso una delle posizioni più avanzate rispetto
alla nuova condizione dei lavoratori:
Mentre il nostro decennio di lavoro si è concentrato sul miglioramento delle condizioni
dei lavoratori domestici, il suo significato per il resto della forza lavoro non può essere
sopravvalutato. Nei primi anni di organizzazione, le condizioni e la vulnerabilità dei
lavoratori domestici erano marginali rispetto al resto della forza lavoro. Oggi, questi
problemi riguardano un segmento molto più ampio di persone - la mancanza di sicurezza
del lavoro, la mancanza di percorsi di avanzamento di carriera, e la mancanza di accesso
alle reti di sicurezza sociale sono problemi che i lavoratori devono affrontare in molti
settori. Infatti, poiché sempre più forza lavoro diventa temporanea, part-time o
"autonoma", la dinamica del "lavoro non tradizionale" è diventata sempre più la norma. (...)
Essendo una forza lavoro composta per lo più da donne, il modo in cui sviluppiamo soluzioni è
fondamentale. Dobbiamo assicurarci che i lavoratori senza documenti e i lavoratori migranti
siano pienamente inclusi nelle nostre soluzioni e strategie. Dobbiamo tenere conto delle
eredità della schiavitù e del colonialismo che modellano la forza lavoro di oggi, mentre
investiamo nell'organizzazione della forza lavoro. Fortunatamente, è proprio così che il
nostro movimento si è evoluto. All'intersezione di molte identità ed esperienze, sfidiamo
noi stessi a creare modelli di organizzazione in cui tutti hanno voce e dignità, dove tutti
appartengono. 135

La maggioranza dei lavoratori precari sono migranti, soprattutto nelle grandi


città.136 Il riferimento all'elaborazione critica degli effetti del "colonialismo" e
della "schiavitù" è un contributo decisivo alla riflessione sulla composizione
sociale di questo potere lavorativo che include identità multiple. Nel caso delle
lavoratrici domestiche, per esempio, troviamo donne migranti, donne etnicizzate,
donne di classi sociali inferiori. Lo stesso vale per il lavoro digitale e il settore dei
servizi, dove sono impiegate molte immi- gini, nate o cresciute nei paesi
occidentali da genitori stranieri.137 Per comprendere il potere-lavoro
contemporaneo si deve avere una comprensione della condizione dei migranti così
come della condizione delle donne. In questo contesto, molti sono stati i
riferimenti alle lotte per il "salario domestico" promosse negli anni Settanta in
Italia dal movimento femminista, un riferimento ideale anche per chi chiede un
reddito di base a Facebook. Questa richiesta, basata sul riconoscimento del lavoro
riproduttivo delle donne, è stata estesa a tutti i lavoratori che pretendono che il loro
status sia riconosciuto dalle piattaforme. Ancora oggi le persone chiedono un
compenso per il lavoro di cura e affettivo nella vita reale e in quella digitale. Nel
gioco delle prospettive storiche, una condizione come quella dei lavoratori
domestici, ritenuta "marginale" rispetto al lavoro industriale, è diventata centrale,
oggi lo è anche per soggetti che svolgono compiti molto diversi.
Ai Jen Poo scrive anche che: "I lavoratori domestici sono i lavoratori originali
della gig economy: abbiamo vissuto le sue dinamiche, lottato con le sue sfide, e
soprattutto abbiamo trovato alcune soluzioni per sopravvivere come forza lavoro
vulnerabile".
La relazione tra gig-work e lavoro domestico è strutturale. Questa antica
professione viene progressivamente digitalizzata nella gig economy - pensiamo ai
dog-sitter, alle babysitter, alla condivisione di vestiti usati e al relativo mercato.
Studi

135Vedi Poo [210].


136Vedi Harvey [211].
137Vedi Van Doorm [212].
5.12 Diritto all' esistenza131

sul lavoro digitale descrivono i lavoratori on-demand come "pulitori di dati", una
metafora chiaramente ispirata al lavoro domestico.138 I lavoratori dei dati
permettono agli algoritmi, su cui si basa la produzione digitale, di diventare più
intelligenti; i lavoratori domestici, invece, sono i lavoratori che rendono possibili
altri lavori.
Questa analisi è un contributo rilevante alla rappresentazione della nuova
condizione del potere-lavoro: il quinto potere.139 L'invisibilità che i lavoratori
contestano è uno degli effetti di una condizione di apolidia generalizzata per cui i
cittadini di uno Stato diventano apolidi, mentre i migranti mantengono il loro
status extra-territoriale anche all'interno dei confini nazionali di uno Stato. Queste
condizioni tendono a sovrapporsi nella precarizzazione di tutti i rapporti di lavoro.
Applicata al lavoro, la categoria di apolidia permette di definire lo status di chi
produce ed è confinato nella zona grigia tra lavoro e non lavoro. Ai migranti è negata
la cittadinanza e certamente hanno meno opportunità dei cittadini lavoratori, che
rimangono il modello di riferimento delle democrazie occidentali in crisi. I migranti
sono visti come "quelli che non hanno parte", che chiedono di avere una parte in un
sistema che li esclude, mentre i cittadini lavoratori non hanno parte in quanto
esclusi da un sistema che non intende includerli. La proprietà che può unire queste
diverse esperienze, sempre più contrapposte nel discorso razzista e populista, è
quella del potere-lavoro, una proprietà singolare e comune che appartiene a tutti
anche se propriamente non appartiene a nessuno e che esprime il potenziale di un
essere umano.
Questa comunanza permette agli esclusi, agli emarginati e ai poveri di
riconoscersi e di formulare un programma per un "nuovo statuto dei diritti per il
potere-lavoro del XXI secolo:" Questa richiesta nasce dal riconoscimento dei
diritti in tutti i possibili rapporti di lavoro che una persona può intraprendere nel
corso della sua esistenza. La lotta per la contrattualizzazione del lavoro nell'ambito del
diritto del lavoro (come rapporto di lavoro), non del diritto civile (come contratto di
servizio), garantisce la libertà degli individui in un rapporto di lavoro
intermittente, non l'idea che la libertà possa essere trovata esclusivamente in un
rapporto di lavoro subordinato. Ciò significa che lo status di "lavoratore" rivendicato
dai movimenti che lottano per i diritti dei lavoratori digitali non identifica le
persone con il loro lavoro, o con la mansione che svolgono in un dato momento,
ma come soggetti di diritto dove la libertà e l'autonomia dei lavoratori sono
considerati diritti fondamentali che devono essere riconosciuti di per sé. Questo
permette di riconoscere il potere-lavoro come facoltà di vita intelligente e come
capacità autonoma di creare diritti.
L'equivalenza tra lavoratori e soggetti di diritto risale all'elaborazione delle
costituzioni del secondo dopoguerra, quando l'idea di "persona" è stata
"costituzionalizzata" e il lavoro ha cominciato ad essere considerato come lo
strumento, e non il fine, che serve a garantire la dignità delle donne e degli
uomini.140 Il significato di "soggetto di diritto" da allora ha subito una
trasformazione: definisce lo status del cittadino borghese sulla base della proprietà,
della produttività capitalista e del potere patriarcale. Oggi il concetto di "cittadino"
è applicato a persone che sono molto diverse, per non dire il contrario di,

138Lohr [213].
139Vedi G. Allegri-R. Ciccarelli, Il quinto stato, cit.
140S. Rodotà, Il diritto ad avere diritti, cit., p. 153.
1325Il nano della storia

questo tipo di individui: donne, migranti, soggetti considerati diversi dal punto di
vista sessuale o di genere, nuove tipologie di lavoratori. E ancora: bambini,
handicappati e anziani. La loro rivendicazione - o meglio, le convenzioni che
permettono di affermare giuridicamente tale rivendicazione - di essere riconosciuti
come soggetti genera una serie di contraddizioni rispetto alla categoria di soggetto
di diritto e chiama in causa la violenza coloniale, razzista e sessista, la
mercificazione della vita di cui la maggior parte di questi soggetti è vittima.
Rivendicare la capacità di generare il proprio diritto e la giurisprudenza necessaria
significa essere soggetti di diritto, attori di questa creazione, non oggetti di una
transazione economica, della gerarchia delle norme e dei rapporti di potere.
Questo tipo di agency va contro l'idea di un soggetto di diritto la cui libertà deriva
dalla proprietà, e promuove un'idea di soggetto di diritto che è indipendente
dall'ordine economico della
mercato, di cui il diritto contemporaneo è diventato uno strumento.
La creazione del diritto da parte di soggetti che non sono rappresentati dal diritto
proprietario è l'espressione del conflitto sulla legittimità del diritto stesso: quid
iuris? Chi decide sui diritti e chi decide sui soggetti titolari dei diritti? L'appello ai
diritti lavorativi e sociali indica il desiderio di diventare visibili agli occhi del
diritto e non solo agli occhi delle piattaforme e dei loro proprietari. L'appello al
carattere universale del diritto, capace di proteggere tutti i soggetti e la loro
dignità, può sembrare ingenuo. Le leggi contro l'invisibilizzazione forzata possono
diventare strumenti per un altro tipo di alienazione del potere-lavoro. Lo sguardo
dei legislatori non è mai neutrale, è giusto solo se l'equilibrio dei poteri permette a
un giudice di pronunciarsi a favore di un lavoratore. Questa ambivalenza, tuttavia,
non è una sorpresa, soprattutto per coloro che avanzano queste rivendicazioni. Ci
si appella alla legge perché è anche in questo campo che si definisce la legittimità
di una lotta su cosa sia il lavoro e chi siano i lavoratori.
In questo conflitto c'è spazio per il riconoscimento della necessità di stabilire
misure di protezione del rapporto di lavoro anche nel caso del lavoro intermittente:
ciò che deve essere protetto è l'operosità delle persone in tutte le attività, anche
quelle svolte al di fuori del rapporto di lavoro, quindi sia che la persona sia
occupata o disoccupata. Dato che oggi le persone sono attive ventiquattro ore al
giorno, e il valore prodotto non può essere sempre misurato in termini di valore di
scambio capitalistico, la protezione di questa operosità deve essere estesa al
dominio della vita. Il che non diminuisce affatto la necessità di riconoscere il
rapporto di lavoro laddove si tende a nasconderlo, come nel caso delle piattaforme
digitali. Questo, però, non è sufficiente, perché il riconoscimento dell'operosità di una
persona in un'economia post-fordista deve avvenire indipendentemente dal tipo di
impiego, di contratto o di partita IVA che un lavoratore ha. La protezione dei
lavoratori all'interno del rapporto di lavoro è inseparabile dalla protezione sociale,
civile e personale di cui le persone dovrebbero godere al di là del lavoro, nella
società e online, il che chiama in causa una dimensione politica che non coincide
con le nozioni esistenti di cittadinanza e nazionalità. Per questo motivo, l'istituzione di
un reddito di base permetterebbe di iniziare a proteggere l'autonomia del potere-
lavoro.
Il movimento dall'invisibilità alla visibilità crea nuovi diritti quando i soggetti
emergono dall'oscurità e si rendono visibili come tali. Questo passaggio va
compreso alla luce dell'ambivalenza del concetto di "visibilità". Garantire la visibilità
dovrebbe essere anche l'obiettivo di un governo che protegge la trasparenza di
5.12 Diritto all' esistenza133

democrazia, o delle piattaforme digitali che gestiscono sistemi di profilazione e


controllo dei dati estratti dagli utenti. Non essere più invisibili potrebbe significare
essere visibili agli occhi della governance algoritmica che già controlla la vita
delle persone. Oppure, come nel caso dei lavoratori digitali, potrebbe significare
poter evitare lo sguardo del potere che rende invisibile la materialità dell'esistenza
del potere-lavoro riducendolo a un impulso ottico su uno schermo o a un numero
in una categoria statistica errata.
Come nel caso del diritto, anche il dominio di ciò che è visibile è al centro di
una lotta politica che determina il contenuto della visibilità e le leggi che portano
alla condizione di invisibilità. Nel 1968, gli atti di parola degli esclusi e degli
apolidi hanno avuto luogo nel dominio dell'enunciabile: la parola orale e scritta ha
acquisito un potere simile alla "presa della Bastiglia".141 Anche grazie a questo
potere, oggi il flusso continuo di parole e immagini ha saturato il campo
dell'enunciabile, mentre le tecnologie digitali hanno strutturato il primato della
visione sull'enunciazione. Gli atti di parola avvengono principalmente nel dominio
della visibilità. Secondo coloro che denunciano una condizione di invisibilità gli
schermi dei personal computer e dei televisori non hanno reso tutto visibile, al
contrario, ciò che è essenziale rimane ancora nascosto. Affermare che siamo
invisibili significa andare contro il regime di visibilità che riduce la forza-lavoro a
un servizio umano. Dietro una realtà automatizzata e predeterminata c'è una vita
che è stata rimossa, che però è una vita comune.
Da un lato, visibilità significa mettere in mostra le proprie capacità auto-
imprenditoriali; dall'altro, visibilità significa la verità sulle condizioni del potere-
lavoro, imprigionato in una finzione che rende l'esistenza intollerabile. Costringere
l'invisibilità a diventare visibile significa rendere visibile la condizione di
subordinazione, la condizione da cui i soggetti intendono liberarsi anche se sono
costretti a sottostare a una finzione che rende intollerabile l'esistenza. È da questa
contraddizione che nasce il desiderio di passare dall'invisibilità alla visibilità, per
sfuggire alla rappresentazione del potere algoritmico e affermare la verità su
questa condizione. Questo desiderio è l'espressione del coraggio della verità, a
partire dalla verità su se stessi e sul potere che ci governa.142 La verità in questione
non è quella della rappresentazione di soggetti ridotti a servizi umani o a imprese,
ma quella che afferma una condizione materiale priva di protezione, la necessità di
un risarcimento, la protezione contro un incidente, il diritto alla maternità.
La spinta a rendere visibile questa invisibilità è l'espressione di un diritto
all'esistenza143 attraverso il quale il potere-lavoro manifesta la volontà di trasformare
la propria condizione e di condurre una vita autonoma. Il diritto all'esistenza [ius
existentiae] richiede il superamento del "grado zero" dell'esistenza dove le forme
più elementari di sussistenza sono assicurate dal lavoro povero o dalla mera
sopravvivenza. Al riduzionismo biopolitico di questa prospettiva si aggiunge il
riduzionismo tecnologico che lega l'esistenza ad un algoritmo, cioè al lavoro

141Vedi DeCerteau [214, 27].


142Vedi Foucault [215].
143S. Rodotà, Il diritto ad avere diritti, 232-249.
1345Il nano della storia

senza forza-lavoro e ad una vita priva di forza-lavoro. L'unico modo per


riappropriarsi del diritto all'esistenza è quello di tornare alle richieste materiali
come quelle di un salario o di una rendita, riunendo la vita alla sua esistenza
materiale e quest'ultima alla sua dimensione virtuale.
Il virtuale è un'espressione del divenire che supera i limiti imposti da una
nozione di normalità costruita in modo apparentemente naturale, mentre in realtà è
artificiale. Ogni forma di vita, anche la più povera, è politicamente determinata
dall'accesso e dall'esercizio di un potere (potestas) che non deve essere
considerato come una qualità metafisica dell'essere, ma come una facoltà a
disposizione di una vita storica e individuata in continua trasformazione.
Oggi si ritiene che un'esistenza libera e di valore sia quella che si oppone a tutto
ciò che è altro e diverso, mentre l'alterità e la differenza costituiscono la
condizione di base per assicurare alle persone il minimo indispensabile per
sopravvivere in un mondo che è stato svuotato di tutte le ricchezze che
provengono dalla nozione di divenire. Questa situazione è determinata anche da
una certa idea di automazione digitale che attribuisce la sempre maggiore
molteplicità di possibilità create dalle nanotecnologie o dalle interfacce digitali
bioniche e neurali allo spirito che miracolosamente alimenta le macchine, non alla
cooperazione con il lavoro e tra gli umani. La soggettività è separata da questi
processi intrecciati e la sua esistenza è alienata dai diritti che esprimono la sua
forza e la sua intelligenza: diritti sociali, politici e civili, libertà di parola e di
espressione, libertà di religione, dal bisogno e dalla paura, associati a una
responsabilità verso se stessi e gli altri.
Il diritto all'esistenza libera il rapporto tra forza-lavoro e macchine da questo
determinismo perché afferma l'autodeterminazione dei soggetti al di là del rapporto
giuridico patrimoniale e algoritmico. I soggetti non sono solo agenti economici, i
soggetti si individuano nel più vasto e mutevole divenire di una vita. Anche
quando è negato o ridotto ad essere un animale o una metafora digitale, privato della
soggettività e ridotto a pura visibilità, il potere-lavoro continua ad imporre la sua
presenza in forme imprevedibili, così come nella sua irriducibile concretezza e
nella libertà di scelta e intelligenza richieste per portare a termine un compito,
anche il più modesto. In questa permanenza inafferrabile, il potere-lavoro è un
potere che, da un lato, si identifica con un referente giuridico o addirittura con
qualcosa di incompatibile con ciò che è; dall'altro, è in contatto con un divenire
che non può essere esaurito.
Una facoltà come il potere-lavoro troverà completa realizzazione nell'atto di
lavoro che lo realizza, o nel dispositivo tecnologico che ne simula l'esistenza. Il suo
potere non può essere confinato in un contratto o in un software che preclude il suo
divenire. Il potere del lavoro supera i limiti di uno statuto giuridico e non può
essere ridotto a un compito o a una professione. Questo è il suo limite, ma anche il
suo potenziale. La scelta tra l'uno e l'altro dipende dal momento storico e dalla
soggettività messa al lavoro. È una condizione che riguarda tutta l'esperienza
umana e produttiva e caratterizza anche l'essere-nel-mondo di coloro che oggi si
riducono ad essere "servizio umano". Lo Ius existentiae afferma un diritto d'uso,
non una caratteristica del contratto sociale o del lavoro e dell'imprenditoria
privata.
5.12 Diritto all' esistenza135

Lo Ius existentiae è un "diritto fondamentale autonomo"144 basato sulla capacità


di una vita che si sforza di perseverare nel suo essere, che è il conatus.145 Questo
diritto deve essere considerato al di là del referente abituale del lavoro subordinato
e della sua relazione con il lavoro autonomo, all'interno di un multiverso costituito
da attività informali e non, sia professionali che non qualificate, meccaniche e
intellettuali, che vanno dal lavoro digitale a quello agricolo.146 Il diritto del lavoro
cerca di regolare questo diritto proteggendo la persona in un luogo di lavoro. Ma
quando il luogo di lavoro è diffuso nel tempo, nello spazio e nella virtualità, la
protezione del diritto del lavoro si rivela insufficiente. Essa vincola il potere-
lavoro al trasferimento con il quale si rinuncia alla libertà in cambio della
sicurezza sociale ottenuta dai datori di lavoro - questa sicurezza oggi difficilmente
può essere definita tale. La teoria del potere-lavoro, invece, si basa su una realtà
materiale: che sia servizio o profitto, il lavoro è l'impiego della vita, del suo tempo,
l'atto di mettere al lavoro un'esistenza comune. Questo tempo vivo è l'espressione
di una personalità viva, una caratteristica della forza-lavoro che deve essere
liberata dalla misura falsamente oggettiva imposta dal lavoro e intesa come un
elemento importante, anche se non esclusivo, di una vita attiva (vita activa).
Lo Ius existentiae è il diritto di chi coglie questo conatus, ne attualizza il
potenziale, avvia il conflitto che porta all'espropriazione del suo valore che si
risignifica in qualcosa di opposto. Inoltre, la potenza-lavoro non è mai uguale a se
stessa. Non prende forma prima o dopo il trasferimento del potere-lavoro, ma
insieme e contemporaneamente. Non è possibile ridurlo ad una sostanza. È la
prassi attraverso la quale si esprime la soggettività ed è la totalità delle operazioni
che trasformano il lavoro e producono valore. Il potere-lavoro è ciò che è più
intimo ma non appartiene a nessuno. È ciò che è comune e di proprietà di
qualcuno. È il nano della storia - uomini e donne che lavorano - senza il quale non
c'è capitale, né lavoro, né automazione.

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144Ibidem,p. 265.
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Capitolo 6
Il sé imprenditoriale

Nelle società neoliberali il potere-lavoro persegue la carriera dell'io


imprenditoriale che è psicologico, più che professionale. I soggetti che hanno
interiorizzato la regola del proprio sfruttamento, cioè il capitale, e l'hanno
sostituita con il principio della propria liberazione, cioè il potere-lavoro, sono
l'espressione di una condizione che si divide tra il desiderio di essere integrati e la
subordinazione al comando. In questo processo emerge uno spazio del divenire.
Esso è storicamente determinato anche se non può essere ancora determinato dal
potere che precede e regola la rappresentazione del capitale umano. Il processo di
liberazione, infatti, non ha mai fine.

6.1BecomingStartup

Nel primo decennio successivo alla crisi del 2008 e prima della pandemia di Sars
Cov 2, il "sé imprenditoriale" è diventato la narrazione dominante. La propaganda
affermava che, poiché il lavoro stava per finire e prima o poi sarebbe scomparso
del tutto, gli individui potevano ricreare il lavoro a loro immagine reincarnandosi in
un'azienda. Questa convinzione ha portato alla creazione di un'entità mitologica, metà
uomo e metà azienda, composta da due elementi distinti: un individuo, cioè un
corpo e una mente che possiede potere lavorativo, e un'azienda, cioè
un'organizzazione composta da infrastrutture e tecnologia, relazioni e accordi
commerciali e legali, che risulta dalla cooptazione di più persone con ruoli diversi che
creano profitto in cambio di salario.
Secondo questa ideologia moderna il lavoro non è più un'attività umana svolta per conto
terzi in cambio di mezzi di sussistenza, ma un'attività in cui l'individuo esprime la propria
personalità, conosce se stesso - è quasi un incontro mistico (...). Da questa ideologia nasce
l'idea del lavoro come "dono" degli individui alla comunità, la giustificazione del lavoro
gratuito e mal pagato. Il principio marxista che vede il lavoro come il terreno primordiale
sia dell'antagonismo sociale che della cooperazione tra individui, il terreno sia del
conflitto che della solidarietà, viene eliminato.1

1 M
S. Bologna, Lavoratori della conoscenza. Dall'operaio massa al freelance.
o
© The Author(s), su licenza esclusiva di Springer Nature Switzerland AG 2021 r
R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in p
hogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7_6

143
1446Il sé imprenditoriale

Questo animale mitologico ultramoderno assume tutti i ruoli di un'impresa: la


direzione di uomini e donne, l'esecuzione di un ordine, la distribuzione dei
prodotti, le relazioni che generano nuovi ordini. I soggetti diventano i loro stessi
agenti. È una formula paradossale che trasforma la struttura del lavoro autonomo e
quella del lavoro salariato in un nuovo tipo di soggetto, che si riflette nelle
seguenti espressioni: inventare se stessi,2 allenarsi alla performance,3 diventare
"un sé imprenditoriale4 o "un'impresa individuale",5 "egopreneur",6 o
"ultrapreneurs"7 nell'era della "egocrazia".8 Oggi si parla di "startup esistenziali".9
Queste espressioni sono il risultato di cortocircuiti logici e filosofici e la
conseguenza di una crisi delle imprese. Troppo occupati ad annunciare la crisi del
lavoro, si è prestata poca attenzione alle trasformazioni indotte dai cambiamenti
dell'organizzazione centralizzata delle fabbriche, ovvero la creazione di un modello
di fabbrica diffusa, esternalizzata e online. Il business è diventato un'idea morale
che ispira la vita quotidiana e la mentalità di coloro che non hanno mai lavorato
come operai, e che non saranno mai nemmeno amministratori delegati. Modellato
dalla figura eroica dell'imprenditore - il protagonista romantico del progresso del
capitale -10 questa idea è stata fatta per adattarsi a tutta la popolazione.
L'insistenza sul vuoto significante "startup" da parte delle principali figure
politiche del nostro tempo è indicativo della fase in cui ci troviamo. "Startup" non
deve essere inteso solo come riferito a politiche mirate alla creazione di piccole
imprese nel campo della tecnologia - questo modello ha dimostrato di funzionare
solo nella Silicon Valley o nel caso delle imprese programmate dallo Stato in
Cina.11 L'idea di "diventare una startup" - sia di soggetti che di Stati - allude alla
mobilitazione di tutti i soggetti e di tutte le persone.12 allude alla mobilitazione di
tutte le risorse immaginarie e antropologiche della soggettività. La possibilità di
diventare la propria startup è di particolare interesse per coloro che sono stati
persuasi a percepire il loro potere-lavoro come un problema finanziario e
tecnologico. Questo concetto, derivato dal capitalismo digitale, è infatti una
metafora utile solo a catturare l'attenzione degli emarginati che non hanno altri
mezzi per emanciparsi dalla condizione di servizio umano e per percepirsi come
diversi da un gorilla addestrato che lavora su piattaforme digitali. Più che riferirsi
a un tipo di business - che richiede conoscenze, relazioni e capitali, inaccessibili ai
più - "mettere in moto", "avviare", "attivare" la vita sono regole morali necessarie
per formare cittadini-lavoratori ed eliminare coloro che si sono dimostrati incapaci
di incarnare il tipo di soggetto di cui il potere ha bisogno per validare la sua
concezione del mondo.

2 Vedi Rose [1]; Sloterdijk [2].


3 Vedi Simone [3].
4 Vedi M. Foucault, La nascita della biopolitica; Brökling [4].
5 Vedere Gorz [5].
6 Magakian [6].
7 Clayton [7].
8 Vedi Lacan [8].
9 Vedi Nicoli e Paltrinieri [9].
10Vedi Drucker [10]; Schumpeter [11].
11Per una panoramica delle startup in Italia si veda Gerosa e Arvidsson [12].
12Vedi Mundubeltz-Gendron [13].
6.1 Diventare Startup145

Questo discorso neo-imprenditoriale comporta un'idea umanistica del lavoro. Il


soggetto imprenditoriale trae piacere personale dalla performance, sperimenta la
dimensione artigianale dei "lavoratori liberi" che non lavorano più nell'industria,
una condizione che viene elogiata dall'economia dell'arricchimento,13 che
comprende l'industria alimentare di lusso, l'idea che la cultura generi la ricchezza
di un paese, l'artigianato, l'agricoltura biologica e le fiere d'arte, il turismo
enogastronomico come strumento di sviluppo territoriale e di marketing. In questa
economia, il lavoro degli startupper esistenziali rappresenta un valore positivo:
rivela un tipo di personalità che "investe" le proprie capacità "creative", "talenti" e
"competenze". Il lavoro è associato all'idea di creazione, unicità e abilità, che è
anche estetica, per distinguerlo dal lavoro subordinato, precario, ripetitivo e quindi
"conservatore". È parte di un'economia di mercato simbolica in cui l'identità
nazionale di un paese diventa visibile: "made in Italy" o "made in France". Questa
concezione del lavoro ha un'utilità economica strategica, poiché le classifiche
internazionali dei marchi pubblici o privati riflettono la concorrenza globale nel
commercio.14
Tutti i riferimenti alle contraddizioni dell'attività produttiva sono stati eliminati
da questo discorso su come raggiungere l'emancipazione attraverso il lavoro: la
subordinazione a un cliente o a un datore di lavoro; le difficoltà che si incontrano
quando si cerca di esigere il rispetto dei diritti sociali; il lavoro subappaltato; la
ricerca di un finanziatore o di un capitale di rischio. Questi aspetti continuano ad
esistere, ma non vengono mai menzionati. Gli startupper sono proiettati in un
mondo in cui il potere-lavoro perde la sua doppia natura di merce e potere
(potenza) e viene concepito come un individuo, un'attività non sociale, che
persegue obiettivi che non riflettono più i bisogni ma solo la libertà. L'io
imprenditoriale vede la capacità di gestire se stesso come un'azienda come
indicativa di autonomia e autenticità - questi valori non sono più identificati con la
solidarietà o l'uguaglianza politica con i concorrenti.
La percezione di se stessi come qualcosa di unico, capace di individuarsi
attraverso il proprio lavoro - dove questa individuazione non è il risultato di
relazioni di potere che governano anche il lavoro - segna la fine di un'idea di
individuo sociale, di un individuo contrattuale. Il nuovo soggetto si concepisce
come "capitale" e adatta alla sua esistenza le tecniche di gestione dei fondi:
contabilità, bilancio, investimento, credito e debito, analisi costi/benefici.15 Questo
nuovo soggetto impara queste nozioni a scuola, le studia all'università, le usa nel
mondo, cercando - spesso invano - i fondi che possono aiutare la sua startup ad
acquisire lo status di società.

6.2 Manager per tutta la vita

L'io imprenditoriale pensa alla vita come farebbe un manager. I manager


tradizionali sono tecnici neutrali che si concentrano sul risultato del lavoro degli altri,
misurando

13Vedi Boltanski e Esquerre [14, 21-106].


14Vedi Bruno e Didier [15].
15Vedi Laval [16, 321-346]; per un'analisi più approfondita vedi Dardot e Laval [17].
1466Il sé imprenditoriale

rispetto agli obiettivi di un'azienda che sono stati fissati in anticipo. Per un
potenziale startupper il business non è una questione professionale, ma una
condizione che dura dalla nascita alla morte. Questa trasformazione è presente
nella teoria del management, che ha superato la fase pre-critica del fordismo e del
taylorismo e oggi si presenta come una filosofia, piuttosto che una "scienza".16
Una volta supervisori della produttività dei lavoratori, oggi i manager sono visti
come guide spirituali. È qui che il management fordista e quello neo-liberale
differiscono. Il primo studiava come comandare. Il secondo vede gli individui, e se
stesso, come autonomo. Questo progetto fa parte di un'idea di società basata sulla
cittadinanza manageriale. Il suo modello coesiste con l'idea operaista di
cittadinanza sviluppata tra il XIX e il XX secolo, secondo la quale il lavoro era una
condizione per l'esercizio dei diritti del cittadino. Oggi si consiglia ai cittadini di
gestire il loro lavoro e non lavoro come un manager a cui viene promesso l'accesso
alla cittadinanza dove ciò che conta è la ricchezza, non i diritti universali. Il
profilo del manager di oggi può anche non piacere. Prima di giudicare questa
figura, però, è necessario capire l'origine di questo concetto, per chiarire cosa rende
questa figura positiva nella politica istituzionale, i suoi legami, in altre parole, con
l'idea di governamentalità.
Governare uno Stato come farebbe un manager non è solo il capriccio di un
magnate che ha fatto una fortuna ed è diventato il capo di un governo. L'idea nasce
da una precisa concezione della politica, della religione e della morale. Il verbo
"dirigere" -dirigere, amministrare o condurre- contiene la storia del concetto di
governamentalità, che è diverso da quello di Stato, in quanto distingue tra
"direzione" e "dominio" nel governo della casa, dell'anima e dell'universo
(oikonomia).17 Oikonomia, la sfera originaria in cui si applica il governo delle
persone e delle cose, è un concetto polisemico. Ha significato di incarnazione,
piano, disegno, amministrazione, provvidenza, servizio, commissione, menzogna e
astuzia.18 Dirigere è prerogativa di chi dirige (regere), amministra e governa
secondo l'ideale della "vita buona", non di chi impone, con lo stesso fine, il
comando di un tiranno (imperium).19 Un amministratore governa esercitando due
virtù: la phronesis, la saggezza capace di riferire il sapere teorico alla vita pratica -
la capacità di chi può deliberare sui beni che l'uomo crea20e la metis, la saggezza
che permette ai navigatori di farsi un'idea della realtà vivendola dall'interno,
aderendo al suo corso in modo duttile, camaleontico e ambiguo.21 Virtù pratiche,
teoretiche e carismatiche si fondono nella formazione della capacità di governare,
che consiste nel dirigere, non dominare, amministrare, non solo comandare,
guidare il comportamento di un gregge disperso di anime o di una moltitudine
sparsa su un territorio.

16 Vedi Deslandes [18]. Sul ruolo del management come "configurazione ideologica" si veda
Boltanski e Chiapello [19].
17Vedi Foucault [20, 169].
18Vedi Mondzain [21, 27].
19 Sulla differenza tra regere e imperium si veda Senellart [22, 20 ss].
20 Platone, Simposio, 209 a; La Repubblica, 518 c e seguenti; Aristotele, Etica Nicomachea, VI,
5; VI,8 e VI, 9.
21Vernant e Detienne [23].
6.2 Managertutta la vita147

La funzione di guida delle anime, di governo delle cose e degli uomini fa parte
di una "struttura pas- sionale" che caratterizza il rapporto tra gli uomini e il loro
sovrano, tra Dio - o gli dei - e gli uomini (Dio, insieme ai suoi inviati, è un
"pastore di uomini"); tra Dio e il sovrano degli uomini, (che è il "pastore
subalterno degli uomini").22 Queste funzioni rappresentano la "matrice" delle
procedure del governo degli uomini, l'embrione delle politiche in atto prima del
sorgere degli Stati moderni: oggi sono tornate di moda tra i politici intenti a
scoprire la figura del manager come punto di riferimento, per il suo carisma e
valore pedagogico che può essere applicato alla cura individuale e alla salvezza
religiosa.
Nella pastorale cristiana, il legame tra il capo spirituale e il gregge degli uomini
è evidente. In Paolo indica il piano di Dio per la salvezza dell'umanità, per cui il
pastore ha l'oneroso compito di realizzarlo sulla terra. Il suo potere non è
repressivo, ma benevolo, egli veglia sul suo gregge, non minaccia né uccide i suoi
membri perché si attiene alla massima del Vangelo: "Io sono il buon pastore. Io
conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e
io conosco il Padre. E io do la mia vita per le pecore".23 Nella pastorale neo-
liberale il tratto carismatico del potere è più evidente, ed è questo aspetto che
interessa maggiormente la teoria del management e della politica. Il carisma si
incarna nella figura del leader. Non ci può essere leadership senza la capacità di
governare (management), altrimenti il soggetto sovrano cederebbe alla volontà di
potenza. Inoltre, un manager deve avere la capacità di guidare o comandare.24 Un
manager è "forza", "spinta", "slancio vitale", incarna la volontà di raggiungere il
successo e diventare un leader. Gli affari e la politica cercano la "gloria".25 C'è
anche un riferimento alla teologia della "mano invisibile" del mercato. Il manager
è il suo angelo custode, amministra l'armonia del mondo per conto di Dio, è un
individuo eccezionale pronto ad assumere questo compito gravoso e a guidare le
persone al raggiungimento del Bene per mezzo del lavoro. Tutti gli imprenditori
aspirano a incarnare il suo esempio di virtù.
Prima ancora della capacità di accumulare beni, profitti e ricchezza, ciò che viene
valutato è la volontà del soggetto di imitare la postura carismatica del manager, a
prescindere dalla propria occupazione o impiego. L'obiettivo del lifelong learning -
l'apprendimento che dura per tutta la vita di un lavoratore - è quello di sviluppare la
capacità di diventare un leader di se stessi e degli altri, dimostrando la capacità
generale di gestire le proprie competenze come il portafoglio di investimenti in un
fondo finanziario. Oggi agli studenti, già al liceo, viene insegnato a gestire un
"portafoglio di competenze" insieme al curriculum. La ricompensa per la formazione
permanente non è uno stipendio o un onorario, ma il riconoscimento del merito.
Per uno stagista, un volontario, un apprendista, ma anche per i lavoratori che
intendono formarsi per un nuovo lavoro, la moneta di pagamento non è il denaro,
ma il fatto di avere un prezzo sul mercato (merito

22M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione, 169.


23Giovanni,10, 14-15.
24 Vedi J. Gosling, H. Mintzberg, "The Five Minds of a Manager", Harvard Businss Review, vol.
81, no. 11.
25Vedi Agamben [24].
1486Il sé imprenditoriale

deriva dal latino mereor); ricevere una parte del proprio destino come se fosse un
dono (in greco la parola per merito è meiromai)26il riconoscimento morale della
capacità di gestire un bilancio esistenziale.
Ovviamente, non tutti possono diventare "manager di se stessi" a causa della
discriminazione per motivi di nazionalità, ricchezza o classe sociale. E anche la
massa di individui a cui si rivolge questo discorso - le classi medie e lavoratrici -
difficilmente riesce ad armonizzare la costante minaccia della precarietà con un
senso generalizzato di fallimento sperimentato da coloro che credevano di
incarnare l'ideale del manager ma sono stati respinti da una società che non
intende effettivamente realizzare la disintermediazione e l'automazione efficiente. Il
sogno di essere il capo di se stessi coesiste con il suo opposto: la dipendenza da chi
continua a predicare l'atletismo imprenditoriale e il senso di colpa dovuto alla
consapevolezza di non essere all'altezza di questo modello agile e performativo.

6.3 Valuto Ergo Sum

Questo volontarismo tragico, insieme alla sconcertante vulnerabilità dell'eroe del


nostro tempo, mostra alcuni tratti in comune con la dottrina della predestinazione
che ha giocato un ruolo importante nella costruzione della figura mitologica del
borghese.27 La borghesia giudicava il proprio destino in base ai meriti accumulati
con il lavoro: Dio dà la grazia a coloro che si sentono destinati alla salvezza. Il
tribunale davanti al quale i borghesi presentavano il loro curriculum di meriti era
costituito dalla coscienza individuale, sollecitata da un confessore. Non è il caso
dei manager-lavoratori. Nel loro caso, la coscienza personale ha lasciato il posto a
organismi non rappresentativi, a metà strada tra lo Stato e il mercato: sono le
agenzie di valutazione e certificazione a stabilire il valore della loro condotta.
In quella che è stata chiamata la Società dell'Audit, una società basata sulla
consulenza permanente,28 le agenzie di valutazione hanno acquisito un'aura
religiosa di obiettività: il destino - merito degli esseri umani dipende dal giudizio
che danno. Questo aspetto è omesso nel racconto delle avventure di questi
soggetti-aziende. Gli individui liberi di decidere - se lo desiderano - della propria
vita dipendono dai risultati della valutazione condotta da terzi percepiti come
neutrali quanto invisibili. Il "libero arbitrio" dei manager è determinato dal
controllo iperburocratico delle amministrazioni - non controllate a loro volta da
nessuno - che guidano l'impresa esistenziale - senza tuttavia dominarla - in un
rapporto di subordinazione alla "calculocrazia", il potere di calcolo di cui il
manager dovrebbe essere il guardiano, mentre in realtà è solo un subordinato. La
libertà del lavoro "creativo" - e la libertà di chi crea un'impresa - deve rispondere a
criteri stabiliti da un sistema di valutazione che, a sua volta, ha il compito di
misurarlo e legittimarlo. Questa situazione non è

26Vedi Michaud [25].


27Vedi Weber [26]; Tawney [27].
28Vedi Power [28].
6.3 Valuto Ergo Sum149

nuovo: dalla rivoluzione del toyotismo, che ha cambiato radicalmente


l'organizzazione del settore industriale, alla gestione delle risorse umane, la libertà dei
soggetti è sempre stata concepita come una forma di delega rispetto ai sistemi di
valutazione della forza-lavoro.29
Il paradosso della valutazione è un aspetto fondamentale della vita
contemporanea. Si può osservare nelle piattaforme digitali. Le piattaforme da sole
sono mediatori evanescenti: la loro funzione, che è quella di connettere e
indirizzare, sembra essere svolta in modo impersonale nell'interesse dei
consumatori che comprano pasti (Deliveroo, Foodora), guidano in città (Uber,
Lyft), o affittano un appartamento (Airbnb). Ai consumatori viene data la libertà
di valutare il servizio che ricevono, e così facendo sono in grado di dimostrare un
certo stile di vita che si basa sul prodotto che scelgono. L'accessibilità universale
garantita dalle piattaforme è diventata una metafora di efficienza perché elimina il
ruolo degli intermediari (agenzie, distributori o rivenditori) nella compravendita di
beni e servizi (in questo senso le piattaforme dis-intermediano). In fondo, questo è
anche l'obiettivo della cittadinanza manageriale: fare a meno delle imprese e degli
Stati, in altre parole, "fare da soli", diventando il proprio capo.
Nonostante questa narrazione, tuttavia, la verità è che le piattaforme producono
un nuovo livello di intermediazione perché impongono una forma e uno scopo
predeterminati al potere del lavoro. Questo è evidente nel caso delle piattaforme di
lavoro, ma anche nella sfera politica dominata dal populismo. L'eliminazione dello
Stato, dei tradizionali intermediari burocratici e sociali, coincide con la creazione
di nuovi intermediari: manager, ingegneri, valutatori e certificatori professionali,
pubblicitari, influencer, giornalisti guru, esperti di innovazione, imprenditori e
indovini politici. Il tipo di disintermediazione che avrebbe dovuto garantire la fine
del conflitto tra capitale e lavoro incanala capacità e facoltà lavorative nella logica
commerciale dell'intermediazione.
L'io imprenditoriale che credeva di essere stato liberato dai rapporti di lavoro -
perché ora gli individui creano il proprio lavoro - è in realtà al centro di un sistema
ancora più perverso. Oggi questi individui devono costruirsi una reputazione per
essere pagati. La reputazione è stabilita dalle valutazioni dei clienti sulle
piattaforme. Sulla base delle valutazioni dei ristoranti su TripAdvisor o delle stelle
su Facebook, si creano delle classifiche, si valutano i punti forti e quelli deboli, e
sulla base di questo compenso si accede a finanziamenti e "visibilità". Lo
strumento per stabilire la legittimità di queste classifiche è il sistema di audit, che
motiva tutti gli attori coinvolti a migliorare le loro "perfor- mance", a misurare il
potenziale del "capitale umano" e a soddisfare ogni capriccio dei loro clienti.30
Un processo di audit consiste nell'analizzare i dati per stabilire il valore di una
prestazione sulla base di un confronto. Questo confronto dovrebbe essere
pubblico, ma non lo è mai. Rimane una prerogativa dei proprietari delle
piattaforme che mantengono il monopolio dei dati prodotti dalle attività coordinate
dai loro algoritmi. Nonostante sia evidente l'arbitrarietà di queste operazioni, i
giudizi continuano ad essere presentati come inappellabili e gli individui devono
adeguarsi. In Italia, dove questo sistema è stato applicato

29Vedi Nicoli [29].


30Rosenblat e Stark [30]; Van Doorn [31].
1506Il sé imprenditoriale

nelle università in modo massimalista dall'Agenzia Nazionale per la Valutazione


della Ricerca Universitaria (Anvur),31 le valutazioni basate su algoritmi sono
inapplicabili. Sono "scientifiche", non sono giudizi personali. La valutazione
ispirata da questo determinismo tecnologico ha minato la possibilità di articolare
una critica all'autorità che ha stabilito questi criteri e che definisce cosa è
valutabile e cosa no. Le uniche decisioni che contano sono quelle prese in nome
della cosiddetta efficienza del sistema. Il neo-managerialismo che ispira la
narrazione dell'io imprenditoriale e della rivoluzione digitale è autoritario.
Il rating crea anche un rapporto di dipendenza tra individui e piattaforme. La
possibilità di avviare un'impresa individuale o una start-up nel campo della tecnologia;
il desiderio di aumentare la mobilità sociale attraverso il successo personale; la
competizione per vincere un premio e fare un salto di qualità; la possibilità di
essere riconosciuti da un'azienda come creatori di una "best practice" non sono
cose che un individuo può ottenere, sono concessioni di proprietari di piattaforme
private e di "esperti" che gestiscono piattaforme pubbliche per conto dello Stato.

6.4 Come vuoi tu, maestro

Il desiderio di diventare un "maestro" deriva dall'idea che l'essenza della


soggettività risiede nella coscienza degli individui. Il possesso della coscienza
rende questo individuo "uguale solo a se stesso"; avendo una "volontà indipendente
e duratura", e lo "straordinario privilegio della responsabilità". "(...) la coscienza di
questa rara libertà e potere su se stesso e sul suo destino, lo ha penetrato fino alle
sue più basse profondità ed è diventato un istinto, il suo istinto dominante: come
chiamerà il suo istinto dominante, ammesso che abbia bisogno di una parola per
esso? Senza dubbio la risposta è: questo essere umano sovrano lo chiama la sua
coscienza..."32
La rivoluzione digitale rafforza ulteriormente questa sensazione di "sovranità". Il
compiacimento con cui le opinioni vengono espresse in "hate speech" su Facebook è
indicativo, è per molti versi simile alla sicurezza di sé dei consumatori che
ordinano un pasto giapponese usando l'app Deliveroo in una sera di pioggia.
Questi acquisti online, le interazioni e le dichiarazioni apodittiche sono espressioni
di "libertà sovrana" e confermano l'impressione che il mondo giri intorno alle
scelte dei singoli. È anche il risultato di una tendenza generale ad essere in
contatto permanente con un mezzo che non permette di vedere effettivamente il
lavoro degli altri e quindi lo trasforma in un servizio personalizzato. Di fatto,
l'unico posto al mondo in cui è possibile sperimentare una tale libertà è una
piattaforma. Fuori dalla bolla digitale non c'è questa libertà.
Questa illusione creata dalla possibilità di riflettere il proprio ego in una piattaforma
non deve essere intesa solo come egolatria o narcisismo. È il prodotto del lavoro che i
soggetti fanno su se stessi, che produce effetti nel mondo reale. Non è il tipo di

31Vedi Pinto [32]; Dal Lago [33]; Del Rey [34].


32Nietzsche [35, 37].
6.4 Come desideri, Maestro151

lavoro che produce un oggetto o che è regolato da un contratto. Piuttosto, è


un'attività che mira a costruire un ego basato su nozioni come la responsabilità
individuale e l'autodisciplina. Questa attività può essere descritta con
un'espressione: essere il proprio datore di lavoro. L'espressione è usata come
sinonimo di "lavoratore autonomo". Che però non corrisponde alla realtà, perché i
lavoratori continuano a lavorare per qualcun altro e sono quindi dipendenti da
qualcuno, anche quando non sono in un rapporto di subordinazione. Infatti, essere
datore di lavoro di se stessi presuppone un soggetto diviso: una parte del soggetto
agisce come datore di lavoro, l'altra come lavoratore. Il soggetto si adatta a recitare
parti diverse e vive all'interno di un teatro dove le identità si scambiano
freneticamente. Questo dà l'impressione che i lavoratori siano attori capaci di
recitare tutte le parti di una commedia. Da qui il senso di onnipotenza che le
piattaforme digitali ispirano e di cui approfittano. E il senso di esaurimento dei
soggetti che sono chiamati a svolgere questo doppio lavoro, a recitare la parte del
lavoratore subordinato e quella del decisore. Gli individui devono
contemporaneamente obbedire e comandare. Se questa non fosse
un'interpretazione di ciò che accade realmente, potrebbe essere la descrizione di
uno stato di follia. Il confine tra normalità e anormalità è sottile - si può pensare
alla commedia di Pirandello Come tu mi vuoi. Il soggetto è sempre una
rappresentazione così come la messa in scena dell'io. La sua ostentata
affermazione avviene sempre di fronte a un pubblico - utenti di Facebook,
reclutatori di risorse umane, elettori, la propria coscienza - e cambia a seconda dei
gusti e degli umori degli attori. L'importante è che l'ego di questo soggetto appaia
sempre come padrone, come un attore padroneggia il suo personaggio. L'ego deve
essere inteso come una delle parti in gioco nel teatro della soggettivazione,33 non
come una monade che non ha relazione con il mondo esterno in cui si esibisce. Il
desiderio di essere padrone ha un significato più ampio dell'istinto proprietario che
influenza l'io imprenditoriale. Indica la necessità di padroneggiare un ruolo. Se si
tratta di un lavoro, allora deve essere inteso anche come un modo per guadagnare e
riprodursi, non solo come un modo per compiacere un datore di lavoro.
I lavoratori contemporanei non si attengono al ruolo che è stato loro assegnato,
nemmeno a quello che simula l'esistenza di un io che si suppone rappresenti la
loro originalità. È da questa impossibilità di coincidere con il lavoro che si sta
svolgendo che riemerge la facoltà del potere-lavoro, la cui peculiarità consiste nel
non appartenere a nessuno, nemmeno a coloro che lo possiedono e che quindi
sono riconosciuti come lavoratori. Questa capacità della forza lavoro di non
coincidere con il ruolo e il lavoro assegnato è una pratica diffusa ed è influenzata da
un certo modo cinico di sentire che caratterizza l'io imprenditoriale.34
Come tu mi vuoi, padrone è il trucco di chi non ha altro mezzo per resistere che
identificarsi con questo modello di ipersoggettivazione. Mostrare quanto si è
virtuosi come attori è l'ultima risorsa a disposizione di chi vuole proteggere la
propria autonomia. Mettersi in posa sul palcoscenico della rivoluzione digitale o
scrivere astutamente un curriculum che possa corrispondere a quello di un'azienda

33Vedi Legendre [36].


34Per una teoria degli affetti e delle passioni dei lavoratori post-fordisti si veda Virno [37, 13-36].
1526Il sé imprenditoriale

I profili sono esempi di risposte individuali. Essi attestano il fatto che la


soggettività non è (solo) una vittima dello sfruttamento, ma un attore principale.
Questo chiaramente non è sufficiente per ribaltare il dispositivo che tenta di
addomesticare i soggetti, costringendo la loro espressione ad essere in linea con i
criteri che regolano i processi di valutazione.
Un attore sul palco è tutt'altro che libero. La narrazione incentrata sulla fine del
lavoro e le aspettative legate all'automazione hanno portato la gente a credere che i
padroni abbiano lasciato il teatro e che ora ognuno sia padrone di se stesso. È vero
il contrario: oggi le persone lavorano più di prima, perché svolgono almeno tre
ruoli: obbediscono a se stessi, dirigono gli altri, gestiscono i fornitori. Le persone
sono infatti dipendenti dal mercato, che è il vero padrone fantasma, assente sulla
scena ma tanto più presente fuori scena. Il desiderio di diventare padrone è destinato
a fallire: infatti, il fantasma non assumerà mai le sembianze di chi cerca di
diventare padrone di se stesso.
Attori e imprenditori rivelano l'antinomia che vivono i lavoratori
contemporanei: il lavoro dovrebbe essere il mezzo di autoaffermazione di una
soggettività sempre attiva e ascendente, sintomo della "pura autocoscienza" del
padrone, e allo stesso tempo la ripetizione della dipendenza dello schiavo -
autocoscienza "impura" -35 da un padrone che non ha più bisogno di mostrarsi ma
continua a comandare. Il divario tra l'ideale e la propria volontà, l'impulso creativo
del manager e l'angoscia causata dal debito con i fornitori e i produttori, rendono
la sua coscienza infelice.

6.5 Contratto psicologico

Un "contratto psicologico" permette ai soggetti di vivere e affrontare il fallimento


esistenziale.36 Nella teoria del management, questo contratto vincola il contraente
alle implicazioni emotive dell'organizzazione e degli obiettivi di un'azienda. I
soggetti si identificano con questo modo di interagire, considerato necessario e
naturale, e lo considerano come proprio. Così facendo, accettano di essere oggetto
di sorveglianza, controllo e gestione. In cambio, hanno la sensazione di essere
parte di una comunità responsabile.
Il concetto è utile per descrivere la mentalità di coloro che passano la loro vita
in lavori senza prospettive, alternando l'occupazione intermittente alla
disoccupazione e al lavoro nero. Il "contratto psicologico" è un accordo che un
soggetto stipula con se stesso, che comporta la convinzione che il sé
imprenditoriale ha valore e avrà successo. Questa convinzione riflette una
posizione morale basata su un principio assoluto. Meno sono i contratti
permanenti, più forte è la tentazione di adattare i contratti a propria immagine e
somiglianza, fino a incorporare lo strumento che garantisce la subordinazione. Il
contenuto di un contratto - stipendio, compiti - si confonde con il suo beneficiario, per
cui forma e contenuto si fondono per creare un'astrazione incarnata. I soggetti
stessi diventano contratti personificati, mentre i contratti diventano persone.

35Hegel [38].
36Vedi Nicoli e Paltrinieri [39, 49-74]; Ciccarelli [40, 25-40]; Ciccarelli [41].
6.5 Contratto psicologico153

La struttura del contratto psicologico spiega la mentalità dell'io imprenditoriale:


il contratto è strutturato intorno all'auto-obbligo, che concede la massima libertà di
scelta e il potere di sanzionare le azioni compiute. Nelle società disciplinari dove i
contratti di lavoro sono la norma, il potere di sanzione è esterno agli individui e
viene applicato quando un patto non viene rispettato. Nelle società di controllo,
come quelle neoliberali, la sanzione è fatta dai soggetti stessi sulla base di una
consapevole attività di autosorveglianza e autodisciplina.37 Il contratto psicologico
spiega questa torsione autoafflittiva sulla base di una concezione contraffattoria
della libertà: la libertà si sovrappone all'esecuzione del comando, la libera scelta è
la manifestazione della subordinazione. Quando i soggetti accettano questo, si
illudono di affermare la propria identità, cioè la proprietà di se stessi, il
fondamento inalienabile della loro coscienza creato dalla coincidenza di essere e
sovranità. Chiaramente non è così, perché questa proprietà è una storia fittizia a
cui i soggetti devono credere per continuare a giocare nel teatro della rivoluzione
digitale. Il patto che i soggetti si obbligano ad accettare è la manifestazione
dell'alienazione in assenza di lavoro salariato, che a sua volta è la manifestazione
dell'alienazione in una società capitalista. Nei casi in cui i soggetti sono impegnati
nel lavoro salariato, l'alienazione è duplice.
In questa interpretazione singolare, un obbligo è riconosciuto come avente
validità universale, come applicabile in modo neutro, indipendentemente dalla
negoziazione dei limiti di questo obbligo che permette ai soggetti di ricevere in
cambio benefici materiali e immateriali. Di fatto, uno scambio ha luogo, ma non può
essere inteso come il risultato di una relazione bipolare formata da una parte dominata
e una dominante, da un polo passivo e uno attivo. I soggetti sono sempre attivi e,
quando non lo sono, sono costretti ad esserlo perché sono gli attori principali
dell'ordine sociale, i guardiani della legge, i controllori delle loro relazioni, i
custodi di se stessi. Il protagonista della "società della sorveglianza" è il soggetto
sorvegliato. Questo è evidente se guardiamo Facebook: ogni utente ha un "amico"
da controllare e gli utenti controllano se stessi. Così facendo, giocano una parte nel
sistema di norme stabilite dal codice di condotta della piattaforma e dallo stile
scelto per comunicare i contenuti individuali nel quadro cognitivo di riferimento.
Il modo in cui il soggetto sceglie di essere visibile risponde a una più ampia
regolamentazione morale che le piattaforme digitali hanno importato e non certo
inventato. Essa si ritrova in tutte le dimensioni della vita messa al lavoro. La
regolazione risponde a una mentalità e a un comportamento plasmati e profilati
dalle disposizioni sociali, così come dai soggetti stessi, che se ne appropriano e li
sviluppano in modo originale. Il contratto psicologico è il risultato di questo
intenso lavoro. Non va inteso come un atto giuridico, ma piuttosto come un atto
morale, sociale e razionale con il quale i soggetti evitano di sperimentare eventi
che potrebbero turbarli, e si fanno scudo di qualsiasi apertura che potrebbe portare
a nuove possibilità. Tale atteggiamento è tipico di coloro che non si fidano degli
altri, né di se stessi, e si appellano a un fantomatico Super-Io che li aiuti a
distinguere il Bene dal Male, e, in assenza di un maestro, sognano di creare un
potere proprio a loro immagine e somiglianza, mentre in realtà è il potere stesso ad
agire attraverso di loro.

37Deleuze [42]; Deleuze [43].


1546Il sé imprenditoriale

I soggetti possono percepire l'anomalia in questa situazione perché sono ancora


capaci di prendere le distanze da ciò che sono. La loro capacità critica ritorna una
volta che hanno sperimentato i limiti cognitivi, fisiologici e morali di una
situazione insostenibile in cui la libertà non può essere l'equivalente della servitù, e
viceversa. Molto spesso la realizzazione del paradosso non è seguita da una
reazione. L'angoscia dei soggetti contemporanei è causata dal dover continuamente
verificare che non esiste un'alternativa possibile - un'alternativa politica ma soprattutto
etica - alla loro condizione materiale e psichica. Questa vulnerabilità porta
all'autosabotaggio e alla depressione.38 Le conseguenze causate dal disagio
psicologico e fisico non si limitano alla sfera privata. Qui entra in gioco la
medicalizzazione della mente e del corpo, sia sul posto di lavoro che nella società.
Molto spesso sono i soggetti stessi che si rivolgono volontariamente ai servizi
sociali perché ammettono di non essere all'altezza degli obblighi che si sono
imposti firmando il contratto psicologico. Questa decisione deve essere considerata
come un fatto vitale perché esprime una verità che appartiene al corpo: è il sintomo
di una resistenza al contratto psicologico e una protesta contro il modello fallito
dell'io imprenditoriale; la percezione di una norma sbagliata; l'ammissione
dolorosa che questo sistema non può essere superato al momento. Può anche
indicare il rifiuto, da parte dei lavoratori psicosomatici, di rispettare l'obbligo
performativo di felicità, benessere e produttività.39 E tuttavia può tradursi nella
paralisi del corpo e della mente.
La soggettività morale contemporanea è l'espressione labirintica di queste oscilazioni
tra depressione ed entusiasmo. Questo comportamento è il contrario di ciò che
viene professato dall'io imprenditoriale. Eppure, sono i soggetti stessi che,
melanconicamente, accettano di diventare gli attori di una sorveglianza clinica e
farmacologica che lega la vita al senso di colpa originario, che deriva dall'assenza di
un'identità capace di onorare l'obbligo di essere libera e produttiva. L'implosione
psichica è la reazione di chi non sa come rispondere alle ingiunzioni paradossali
della libertà neoliberale e non ha ancora trovato una via d'uscita. Il contratto
psicologico va quindi spiegato come un tentativo di mettere tra sé e la macchina che
genera la psicopatologia di massa - il microfascismo quotidiano delle relazioni -
una barriera per puntellare un soggetto scisso e sanarne le ferite. Tutto questo,
però, si rivela inutile: gli appelli alla coscienza, a un immaginifico dover-essere, al
conflitto e alla rivoluzione - che possono rendere il mondo migliore - non sono
sufficienti. Il soggetto era e rimane in un deserto emotivo, ostaggio del carattere
"liberogenico" dell'io imprenditoriale: nato per affermare la libertà dell'impresa,
questo soggetto finisce per articolarla sotto forma di autofagia. Così facendo, la
libertà viene al tempo stesso potenziata e distrutta.40
Questa condizione non è il risultato di una psicopatologia, ma di un
orientamento politico basato sulla logica del rovesciamento nell'opposto, la ragione
stessa dell'etopolitica contemporanea41il desiderio di essere liberi di godere e
praticare i diritti fondamentali riconosciuti dalle costituzioni si traduce in una
subordinazione volontaria a un imperativo

38Vedi Fisher[44]; Fisher [45].


39Vedi Davies [46].
40Vedi M. Foucault, La nascita della biopolitica.
41Vedi Rose [47]; Honneth [48]; De Carolis [49].
6.5 Contratto psicologico155

che nega il suo principio. L'auto-ottimizzazione di una soggettività automatica


avrebbe dovuto produrre gioia, ma riproduce l'impotenza. Questa non è l'eccezione,
ma la regola. Gli individui sono incoraggiati a credere che il fallimento, la povertà
e la disoccupazione siano la conseguenza della loro incapacità di rispondere al
comando della propria volontà. Questo senso di fallimento deriva dall'incapacità
di diventare ciò che si vuole essere. Le sue cause non sono considerate parte della
catena di causa ed effetto che determina e sovradetermina la vita, ma una colpa
personale.
I soggetti prigionieri del "volontarismo magico"42 sono portati a credere di
essere l'incarnazione di una volontà astratta che non ha bisogno del corpo e della
sua connessione con la forza-lavoro. L'incapacità di vivere all'altezza di questa
intenzione viene interpretata come un'anomalia psichica, una colpa morale, e non
come la contraddizione di una struttura politica. Gli indiani finiscono per affidarsi
a una classe di specialisti - medici, manager, politici - ai quali delegano il loro
potere di autodeterminazione nella speranza che queste figure facilitino il loro
sviluppo con tecniche come la psichiatria e la farmacologia, la gestione delle
risorse umane e le politiche del mercato del lavoro. La domanda sociale più
diffusa è quella di essere rieducati alla gestione delle "risorse" e delle
"competenze" del "capitale umano".
Questa ortopedia clinica riduce la dialettica sociale a un fatto psicologico, la
psicologia a una fisiologia e biologia individuale. In questo quadro, l'essenza umana
è situata nel cervello. Il contenuto di questa "essenza" sarebbe costituito da
un'identità somatica, il "sé neurochimico".43 Questo riduzionismo estremo spoglia
la forza-lavoro della sua facoltà e la associa ad una metafora meccanica o
computazionale. Il mondo che i soggetti abitano è la mente, che funziona grazie a
dispositivi meccanici di bilanciamento. L'io imprenditoriale è il cittadino del
proprio mondo, del mondo. Questi soggetti agiscono come un proprio parlamento,
non come persone che rivendicano diritti fondamentali. Infatti, non hanno bisogno
di questi diritti perché credono di possederli già. Tutto quello che devono fare è
mettere all'opera le loro risorse "neuro-etiche" e investirle nel teatro dove avviene
la rappresentazione dell'Io.
La salute fisica e mentale sono al centro di massicci investimenti da parte del
lavoro e delle politiche sociali. L'imperativo di massimizzare i beni del capitale
personale - il "patrimonio" del soggetto - si rovescia nella valorizzazione
patologica dei subordi- nazione psichici. I lavoratori devono proteggere la loro
"normalità" psichica come il bene più prezioso della loro "competitività", che è
esposta alle minacce mortali del consumo, dello spreco ("inefficienza"), degli
imprevisti o delle debolezze giudicate catastrofiche. La disoccupazione, l'inattività o
la precarietà sono viste come sintomi di un malessere personale. Si è precari o
disoccupati non per mancanza di domanda di lavoro, per una crisi degli investimenti
produttivi o per una crisi delle imprese, ma per l'incapacità di attivare le
competenze personali e di adattarle alle esigenze della mobilitazione totale. Le
politiche del lavoro mirano all'attivazione comportamentale dei soggetti,
costringendoli a sottoporsi a una serie di tecnologie premianti e punitive per
acquisire competenze standardizzate che rispondono a una segmentazione del
mercato del lavoro prestabilita. Il "bene" più importante

42Vedi Smail [50].


43Vedi Pacioni [51].
1566Il sé imprenditoriale

da "attivare" è quella dell'autostima e dell'efficienza dei lavoratori disoccupati o


precari: è necessario ripristinare la loro capacità di lavorare sul proprio io per
essere attivi nella vita. Si presume che i disoccupati garantiscano una maggiore
partecipazione al mercato del lavoro, mentre gli inattivi si ritirano dal mercato.
Non c'è scampo da questo schema: il tempo passa tra disoccupazione e inattività,
mentre l'autostima si trasforma in autocensura.
Più che soffermarsi sui rituali della crisi del soggetto, e sulla melanconia per
l'autenticità perduta, è necessario comprendere la trasformazione della soggettività. La
depressione costitutiva del soggetto performativo ed egoico indica due cose: da un
lato è il limite degli individui proprietari che perdono il regime simbolico dei padri e
gli antichi sistemi di obbedienza legati al lavoro salariato e subordinato, dall'altro è la
percezione di un potere (potenza) del lavoro-potere - la più intima e comune
facoltà di agire, produrre e pensare di uomini e donne - di soggetti che sono al
tempo stesso oggetto e attore della propria alienazione. In entrambi i casi, questo
limite segna il perimetro degli esseri sovrani in cui la liberazione psichica e
l'iniziativa individuale, l'insicurezza della propria identità e l'incapacità di agire
tendono a coincidere, mentre alle implosioni depressive seguono le esplosioni
della dipendenza dalla droga o dalle relazioni che confermano la subalternità.
Questa condizione è l'esatto contrario dell'ideale rappresentato dall'io
imprenditoriale, ma istituisce anche un nuovo tipo di unità: il soggetto carente e
quello compulsivo sono le due facce di Giano.44

6.6 Capitale umano

La teoria del capitale umano è il fondamento del sistema descritto finora. Se la


filosofia del potere-lavoro di Marx è un rovesciamento della filosofia del lavoro di
Hegel, la teoria del capitale umano è un rovesciamento hegeliano del concetto
marxiano. La Fenomenologia dello Spirito è una fonte di ispirazione per la
filosofia del lavoro nell'era neo-liberale. A differenza del Sistema di Vita Etica
hegeliano e della Prima Filosofia dello Spirito, nella Fenomenologia dello Spirito
Hegel abbandona la realtà materiale della società a favore di una filosofia della
coscienza. Il "capitale umano" è una continuazione di questa operazione che
elimina i tratti umani, politici e giuridici del potere-lavoro nella costruzione di una
traiettoria in cui la coscienza diventa un'unità immediata di singolarità e
universalità.
I teorici del capitale umano hanno sviluppato la definizione marxiana di forza-
lavoro come lavoro vivo solo in quanto purificata da tratti qualitativi e variabili,
non riconoscendo la forza reale del sinolo di valore d'uso e valore di scambio,
materialità e storicità, potenzialità e attualità. Il potere-lavoro viene trasfigurato in
un singolare tipo di spiritualismo: la sua facoltà viene trasformata dal culto del
"talento" e del "carisma" e in un credo comportamentale dove le responsabilità
legate all'azione vengono fatte dipendere da regole di condotta individuali, dalla
morale,

44Vedi Ehrenberg [52]; Godani [53].


6.6 Capitale umano157

e sul valore dei beni individuali. Così facendo, questi teorici credono di aver
stabilito la priorità della "personalità vivente" sul lavoro, mentre in realtà non
fanno altro che ridurre questa personalità a una psicopatologia, trasformandola in
una marionetta che vive l'impossibile identificazione con il capitale.45 La forza-
lavoro viene smaterializzata, privata della sua natura "viva", ridotta ad essere un
automa, una "macchina". Ciò che è vivo è il capitale, non la "personalità vivente"
del lavoro-potenza.
Il capitale umano aspira a recuperare la "concretezza" del potere-lavoro e, allo
stesso tempo, ad affermare il suo valore unico come se fosse il risultato di un dono
divino. La concretezza che dovrebbe contrastare l'approccio "astratto" del
marxismo è attribuita a una razionalità "interna" e individuale, che caratterizza gli
interessi individuali e la tendenza a quantificare e monetizzare le qualità personali
espresse da un prezzo. Questa razionalità è separata dal suo contesto sociale ed è
funzionale all'organizzazione dell'impresa e della produzione. Lo spiritualismo
comportamentista della teoria del capitale umano è una contraddizione in termini: da
un lato, afferma l'esclusività e la singolarità di un potenziale a disposizione
dell'umanità; dall'altro, riduce questo potenziale a un capitale oggettivabile, pronto
per essere trasformato in una merce o in un servizio che risponde alle descrizioni
del lavoro elaborate dai responsabili del processo di valutazione.
Le tesi neoliberali sul capitale umano costituiscono una rottura con la
tradizione liberale di Adam Smith: quest'ultimo ha esposto una teoria della
divisione del lavoro in cui la considerazione della soggettività del lavoro non ha
posto. Il capitale umano, invece, sottolinea questa soggettività e rovescia
l'immagine dei lavoratori come oggetti della domanda e dell'offerta di forza-
lavoro.46 Il trasferimento della forza-lavoro nel capitale è decisivo per neutralizzare
l'idea marxiana del lavoro alienato inteso come separazione tra i lavoratori e la
proprietà dei mezzi di produzione. Altrettanto decisivo è l'impoverimento dell'idea
di salario - ora trattato come "rendita del capitale"47 e inteso come rendimento del
capitale composto da competenze, conoscenze, linguaggio e relazioni.48
Mentre Marx ha cercato di sottrarre la forza-lavoro al diritto privato e
commerciale, sottolineando che il lavoro vivo non è destinato ad essere
mercificato, o cristallizzato in un contratto, perché è l'espressione di un potere
(potenza) che non può essere approvato, il neoliberismo naturalizza il capitale
come qualcosa di umano e prevede un uso libero e commerciale della forza-
lavoro. La libertà è vista come la conseguenza del possesso di beni, non come
l'affermazione della vita come mezzo di per sé. È la cosa che afferma ciò che
supera il soggetto, non il soggetto che stabilisce una differenza con l'uso degli
strumenti che aumentano la sua autonomia. Il cuore del capitale umano segue il
ritmo dell'ideologia patrimonialista, che considera le persone come cose e le cose
come persone. Per questo tutti vivono in una condizione di minorità e povertà.

45Vedi Becker [54].


46Vedi Becker e Murphy [55].
47Vedi M. Foucault, La nascita della biopolitica.
48Vedi Fisher [56].
1586Il sé imprenditoriale

Il capitale umano è diverso dal diritto romano, che regola la subordinazione del
lavoro, solo apparentemente. L'io imprenditoriale, protagonista di questa
emancipazione fittizia, ha solo rafforzato questi legami. L'autodeterminazione è
stata ridotta alla capacità di appropriarsi delle cose. La capacità di realizzare tale
appropriazione è l'elemento centrale che pone fine all'unità del genere umano nel
capitalismo. I lavoratori, come gli imprenditori, possiedono il capitale umano in
quanto esseri umani. La capacità di un imprenditore, tuttavia, è maggiore di quella
di individui che non possono definirsi imprenditori, anche se potrebbero percepirsi
come uguali. Non tutti gli esseri umani si appropriano della stessa porzione di
umanità, non tutti sono padroni di se stessi nel momento in cui sono costretti a
vendersi per sopravvivere. Non tutti hanno il capitale per avviare un'impresa.
Questa situazione materiale è nascosta perché, come il lavoro, il capitale umano è
una teoria basata sulla metafisica dell'umanità (Gattungswesen). La parte umana di
questo capitale allude all'autenticità generica del valore delle persone, ma questo
valore non può in alcun modo essere distinto dalla sua mercificazione. Secondo
questa teoria una merce non è più solo un oggetto, ma esprime la personalità viva
del soggetto che è coinvolto nell'autovalorizzazione delle capacità necessarie per
produrla. Non basta nascondere il riferimento al concetto di forza-lavoro per
rimuovere il conflitto che lo caratterizza: quello tra la personificazione della cosa e
la cosificazione della persona. Il capitale umano porta questo alle sue estreme
conseguenze: naturalizza la merce e umanizza il suo valore. La merce-persona è
così il prodotto dell'identificazione della forza-lavoro con il suo lavoro e del
lavoro con l'essenza umana contenuta nell'oggetto prodotto. Ed essendo stata
trasformata in merce, tale persona non può esprimere alcun valore originario. La
"personalità vivente" che pretende di possedere come proprio capitale è un insieme
di prestazioni omogenee e standardizzate valutate sulla base del raggiungimento di
obiettivi predeterminati. Il rozzo determinismo di questa teoria riduce la forza-
lavoro alle proprietà psicosomatiche di un corpo (tessuti, organi, utero) e al valore
commerciale dell'identità personale, di genere o sociale. Questo valore deve essere
fatto fruttare come un'obbligazione finanziaria o trattato come uno dei fattori della
crescita economica e del benessere generale.
Il capitale umano è il numero delle competenze possedute da un individuo. La
qualità essenziale che definisce l'umanità di un capitalista è definita dalla quantità
di cose possedute. È il patrimonio privato di competenze che determina il valore di
un'azione, non il movimento generale della forza-lavoro che non appartiene a
nessuno. "To skill" è un verbo inglese che indica il possesso di una conoscenza
personale, una capacità pratica acquisita attraverso l'esperienza, una conoscenza
esperta sviluppata gestendo azioni codificate, un atteggiamento versatile di un
soggetto che è in grado di discernere il proprio interesse in situazioni conflittuali.
"Competere" significa anche separare e creare una differenza. I soggetti
"competenti" dimostrano di essere diversi dai loro pari e quindi si distinguono
come individui. Sono capaci di rendere produttivo il loro capitale e di esprimere la
qualità della loro personalità sulla base dei meriti acquisiti. Le competenze
possono essere utilizzate sia nel lavoro che nella vita sociale e si riferiscono ad
una capacità morale dell'individuo di condurre la vita in termini strategici. Questa
è la nuova visione alla base dell'idea di potere-lavoro: una "personalità vivente"
mira all'accumulo del suo capitale umano, alla creazione di un certo numero di
competenze che insieme costituiscono la sua identità.
6.6 Capitale umano159

Nella teoria marxiana, il potere-lavoro non è solo lavoro potenziale, è anche


capitale potenziale. Secondo la teoria del capitale umano, il capitale potenziale
assorbe il lavoro potenziale. La forza-lavoro è inghiottita dal capitale e separata
dalla vita. I lavoratori non si percepiscono come venditori di una merce, titolari di
un contratto di lavoro o fornitori di lavoro, ma come gestori dell'unica proprietà
che hanno: loro stessi. Il capitale umano naturalizza la proprietà e costringe i
soggetti a interiorizzarla firmando un contratto psicologico. L'adesione a questo
sistema mira a perfezionare una natura umana idealizzata che non può essere
conciliata con le sue condizioni materiali. In cambio, i soggetti sono dotati di
un'umanità che si traduce in mera libertà economica.
Non c'è nulla di oggettivo nella forza-lavoro, nessuna parte di essa può essere
thingificata nel capitale, né può essere ridotta all'immagine del "sé quantificato"
prodotto dalla conoscenza dei numeri fornita dalle statistiche, dall'indicizzazione
dei motori di ricerca e dagli algoritmi.49 La "personalità vivente" della forza-lavoro
non è una sostanza, uno strumento per raggiungere un'essenza umana, né è una
soggettività patetica originaria che appare al momento della nascita di una persona
e persiste immutata fino alla morte. Il "vivente" è tale quando la vita è concepita
come il mezzo che si esprime, il fine in sé del divenire, che non è mai oggettivo, il
tiro di dadi che non abolisce mai il caso.50

6.7 Liberazione

Qualcuno potrebbe obiettare: ci risiamo, è la solita incapacità di attraversare il


confine, di passare dall'altra parte, di ascoltare e capire quello che si dice altrove o
in basso; è la stessa decisione di schierarsi con il potere, con quello che dice o
costringe a fare. Tuttavia, abbiamo fatto un passo avanti. Attraversare la linea del
potere significa raggiungere un terreno dove l'esistenza è data, ma non le sue
modalità. Queste non possono essere determinate dal potere, che non è in grado di
catturare tutto, né dai viventi. È solo a partire da un terreno che non appartiene a
nessuno e contemporaneamente a tutti che si possono definire le modalità
dell'esistenza: questo è il terreno dove si stabilisce il potere-lavoro. Ciò che il
potere fa è tendere ad appropriarsi della proprietà inappropriabile del potere-
lavoro. Lo plasma, lo sedimenta, lo valorizza e lo scambia come merce. Questa
azione è ispirata da una concezione patrimoniale della vita: il divenire è un bene
personale che viene scambiato, venduto, accumulato sotto forma di capitale umano.
Eppure la forza-lavoro, che è una duplice facoltà, si riattiva sempre in modo
diverso, è disponibile a diventare proprietà di qualcun altro. E nel momento in cui
diventa proprietà di qualcun altro, rimane comunque una facoltà di tutti. Questo
movimento da e verso il regime di proprietà rivela l'inappropriabilità di ogni
proprietà, a cominciare da quella del potere-lavoro.

49Vedi Ippolita, Quantified self, in Ippolita, Tecnologie del dominio, 223-226.


50Vedi Mallarmé [57]; Bussoni e Martino [58].
1606Il sé imprenditoriale

Per questo motivo, diventare capitale umano non è irreversibile, è una delle forme
possibili che regolano il potere-lavoro e il suo movimento. L'io imprenditoriale è
un tipo di soggettività contemporanea, non l'unico, e come tale può essere
combattuto. Questa liberazione è un problema politico fondamentale, insieme alla
lotta contro la disuguaglianza e le politiche che la causano. Altre possibilità
emergono dal conflitto che coinvolge tutte le dimensioni della "personalità
vivente" del potere-lavoro: vita sessuale, vita intellettuale, relazioni sociali,
lavorative o politiche. Nessuna dimensione della soggettività è esclusa, tanto meno
quella del lavoro.
Il terreno di conflitto è quello della libertà, di cui si dà sempre una versione
proprietaria: la libertà è ciò che permette di accumulare beni personali che
vengono scambiati o venduti come capitale umano. La ratio neoliberale impone
all'io imprenditoriale di essere libero e, con un comando uguale e contrario, lo
spinge a desiderare la propria servitù in cambio della sicurezza. In questo circolo
vizioso la libertà viene consumata ma non esercitata, mentre la soggettività crolla.
La libertà è in realtà la condizione di entrare in contatto con i modi imprevedibili in
cui la vita si determina e il suo potenziale si esprime. La libertà è un esercizio,
significa lavorare "su se stessi come un essere libero".51 Questo lavoro è la pratica
della critica dei propri limiti, non l'attività di vendersi sul mercato. "Essere liberi"
non è la dimostrazione di un esecutore nello showroom della vita, ma la pratica di
un atteggiamento critico verso se stessi e gli altri. È l'essere aperti al potenziale del
potere-lavoro, che non può essere determinato a priori, il motore del "lavoro su se
stessi", da cui nasce anche l'io imprenditoriale. La critica non è una pratica diffusa
nelle nostre società neoliberiste: è accettata solo quando si riferisce alla
dimensione parossistica, o patologica, in cui i soggetti riconoscono i propri errori
su una piattaforma digitale. Non è mai intesa come un modo di mettere alla prova i
propri limiti attraverso un lavoro su se stessi come esseri liberi. La critica è un
atteggiamento che si manifesta nella relazione con l'altro - il governo, il sesso, il
lavoro, la tecnologia - ed è un'espressione di resistenza, della capacità di staccare la
vita dal capitale umano per affermare il desiderio di essere governati il meno
possibile.52
Questa resistenza fa emergere l'elemento eccedente di una forza che appartiene
alle facoltà di cui dispone un soggetto, quindi anche al potere-lavoro. L'ethos, cioè
la capacità di utilizzare queste facoltà, permette di rimanere in contatto con ciò che
destabilizza il soggetto: l'ignoto, l'eccesso, ciò che non ha fondamento. L'impatto
con una forza che non ha bisogno di duplicati, né di riferimenti trascendentali, è
tremendo. Ecco perché la tentazione di cercare rifugio nella casa del padrone è
sempre presente. Si preferisce abbracciare volontariamente la servitù, travestita da
libertà neoliberale, per non entrare in contatto con una forza che, secondo
Nietzsche, è al di là della conciliazione, della rassicurazione e della vendetta, del
risentimento e del vittimismo: la forza di una vita autosufficiente.53

51Foucault [59,
1393 ss].
52Vedi Foucault [60, 23-82].
53Vedi Nietzsche [61].
6.7 Liberazione161

La pratica della critica fa parte del lavoro con cui i soggetti affrontano il
perturbante. Questo lavoro serve a strutturare un modo di vivere e ad evitare di
essere sopraffatti dalla forza delle cose esterne o dalle cose a cui non si può dare
una forma.54 Lavorando, anche l'io imprenditoriale entra in contatto con i propri
limiti, e questo testimonia l'impossibilità di esprimere la forza-lavoro. L'uso
spregiudicato dell'ethos significa che non dobbiamo condannare questa forma di vita.
Fa parte del presente, è il prodotto del lavoro di molti. Solo la pratica della critica
permette di superarla e di costringere il sistema a svilupparsi diversamente.
Parlare di ethos permette di comprendere il lavoro dell'Io sotto una luce
diversa, come una relazione con qualcosa che fa perdere il controllo su se stessi,
come ciò che può essere misurato solo con il massimo grado di indeterminazione.
Questo lavoro, che caratterizza la storia della soggettività moderna, permette di
mettere in crisi il soggetto auto-performante. La capacità di prendere le distanze da
ciò che si è ora è il risultato di un uso strategico e controfattuale delle tecniche,
delle regole e delle istituzioni disponibili al momento. Partiamo da ciò che è
disponibile. Poiché la soggettività attuale è un'elaborazione degli elementi che
compongono la metapsicologia di Freud -sogno, lutto, repressione, cultura,
sessualità-55 che applica al lavoro dell'Io, è necessario considerare questi elementi
come mezzi di produzione e utilizzarli in modo diverso. L'io imprenditoriale
separa questi mezzi dalla costruzione della "personalità vivente" e li installa in una
macchina pulsionale al servizio della produttività e come fine a se stessa. Invece,
questi mezzi devono essere considerati come una modulazione della potenza
(potency) del potere-lavoro, in modo da ristabilire la percezione dell'immanenza
della vita nella "personalità vivente".
Il lavoro dell'Io può essere inteso come generazione di potenza e, di
conseguenza, di lavoro vivo. La concezione generativa della potenza-lavoro
permette di liberarla dal vincolo della produttività che risponde a norme
falsamente oggettive e del tutto arbitrarie che regolano la potenza-lavoro. Ciò che
pesa sull'io imprenditoriale è il lavoro morto della subordinazione al capitale
umano. Ricollegare la sua "personalità vivente" alla forza-lavoro, e al movimento
che rende non appropriabili le proprietà che possiede, libera il vivente dalla morsa
della morte. Questo può essere fatto sottolineando gli elementi metapsicologici,
corporei e sociali che costituiscono la sua soggettività. L'obiettivo di una filosofia
del potere-lavoro è quello di individuare una soggettivazione operativa in grado di
far luce sul lavoro svolto da un surplus narcisistico e luttuoso in cui sono
intrappolati i soggetti neoliberali.
L'operazione è efficace quando la critica è diretta contro lo schema dualistico
che costituisce il fondamento degli individui totali e atomizzati. Che oppongono
l'egoismo all'altruismo, l'individuale al collettivo, in nome di una concezione
proprietaria del mondo. Il loro principio guida è il profitto, identificato come ciò
che permette il godimento illimitato del capitale umano, visto come totalità
inesauribile.56 Questo modello deve essere

54Vedi G. Deleuze, Foucault.


55Vedi Dejours [62, 186].
56Vedi P. Dardot, C. Laval, La nouvelle raison du monde.
1626Il sé imprenditoriale

sostituito da uno di modulazione e differenza. L'individualità è l'espressione


attuale della modificazione di una potenza (potency) che costituisce i propri
soggetti: non li trascende né li sottende, ma si esprime attraverso di loro e tra di
loro in un'operazione di differenziazione continua.
Il concetto di utilità può quindi essere impiegato in un modo diverso.57 Questo
modo di usare il concetto appare quando gli uomini e le donne riconoscono l'utilità
e il valore dell'impiego reciproco di ciò che supera la forza a loro disposizione.
Riconoscere questo potenziale non è né automatico né pacifico. La realizzazione
scatta quando si entra in contatto con ciò che è intollerabile: la struttura che
plasma la sua individuazione nega anche la sua libera esistenza. Rovesciare l'io
imprenditoriale è però difficile: questo io genera abitudini e un certo fascino e,
quando le sue promesse si rivelano illusorie, si rimane molto spesso storditi, senza
alcun senso di iniziativa se non il desiderio di cercare una nuova forma di
subordinazione. Il disgusto e l'indignazione non sono sufficienti. Occorre un passo
ulteriore, che deve nascere da una constatazione: quando si è privati dei mezzi,
della proprietà o della libertà reale, non c'è niente di più utile per un uomo e una
donna che un altro uomo e un'altra donna. La conoscenza dell'utilità reciproca è la
premessa dell'uso comune di un tipo di libertà concepita come pratica.58
La liberazione politica parte dalle condizioni materiali: la mancanza di salario
o di reddito, una relazione da cambiare, un progetto da realizzare. La vergogna
provata da chi non ha parte può diventare lo strumento per aprire una breccia
nell'ordine attuale delle cose. Questa apertura è il prodotto di un'esperienza etica e
politica che non può essere determinata a priori ma solo nella contingenza del suo
divenire possibile. L'effetto di questa esperienza può essere paragonato a quello
della conversione o della rivelazione: quando gli uomini entrano in contatto con il
conatus, con il desiderio di perseverare nel proprio essere, e affermare la vita
nell'immanenza del loro essere potenziale, è come dare un colpo, uno shock, alla
vita danneggiata. La vita danneggiata può sentire che la vera vita non corrisponde ad
una soggettività già formata, ma al distacco dalla sua identità che apre a ciò che è al
di là.59 Riconnettersi al divenire provoca un'apertura attraverso la quale l'esistenza
può svilupparsi fuori di sé e in modo imprevedibile. Questa esperienza è
impensabile nel nostro mondo dove sembra non esserci alternativa. E dove esiste, è
inevitabilmente legata al divenire delle startup. Nella prospettiva della liberazione
politica, però, prendere le distanze da

57Vedi Balibar [63].


58 La politica contemporanea dei lavoratori è basata sul beneficio reciproco. Un esempio è il
movimento dei lavoratori del settore dello spettacolo in Francia. Si veda la discussione di
Maurizio Lazzarato con Luc Boltanski e Ève Chiapello, che in Le nouvel esprit du capitalisme
articolano un'interpretazione secondo la quale le rivendicazioni dei lavoratori precari si sviluppano
sul terreno della rappresentazione politica del sé, non su quello economico, una tendenza che ha
origine nel maggio 1968, visto come incubatore del "neoliberismo". Il libro è rilevante perché
rappresenta una critica al rovesciamento neoliberista e conservatore delle rivendicazioni di
liberazione e rivoluzione che hanno caratterizzato i movimenti sociali negli ultimi cinquant'anni:
cfr. M. Lazzarato, "Mai 68, la "critique artiste" et la révolution néolibérale", Revue des Livres et
des idées, n. 7, settembre-ottobre 2008. Sullo stesso argomento s ee P. Dardot, C. Laval, La
nouvelle raison du monde, che è una risposta al lavoro di Boltanski e Chiapello.
59Vedi Jullien [64, 113 e seguenti].
6.7 Liberazione163

quello che si è diventati è accompagnato dalla scoperta che non si è soli al mondo.
Oggi ci si può liberare da questo schema per co-produrre norme raggiunte con
l'attivazione delle facoltà disponibili alla vita.60 Gli uomini e le donne possono
cominciare ad usare se stessi come mezzi per gli altri e a creare un'istituzione
comune in nome dell'utilità reciproca. La libertà non dipende dal capitale umano
che si possiede, ma da ciò che si può fare e concepire insieme, prima che la
possibilità sia definita come "capitale umano".
La liberazione politica non significa evocare una natura primordiale, o la
promessa differita di un regno ancora da venire. È il prodotto di una riflessione
critica sul nostro modo di vivere, la premessa per comprendere la vita in modo
diverso. Questa condotta, a sua volta, può essere invertita. La liberazione è sempre
contingente, è esposta a relazioni di potere mutevoli. Il soggetto imprenditoriale
può riemergere con il narcisismo dell'autopromozione e il suo sistema morale
basato sul risentimento generalizzato. Tuttavia, il tentativo di ripristinare questa
situazione dipende dalla resistenza del soggetto. Se la liberazione è effettiva, l'io
imprenditoriale sarà confrontato con un tipo di soggettività che non è disposto a
rinunciare a questa nuova condotta, a questo nuovo modo di vivere regolato da
nuovi limiti. La capacità etica e politica raggiunta permette di reagire a ciò che
siamo oggi.
Questa liberazione non avviene in una sfera intima. È il prodotto di una pratica
che coinvolge le dimensioni più ampie dell'economia e delle istituzioni, può essere
identificata con lo scontro tra due concezioni della libertà. La libertà neoliberale
promuove l'emancipazione a partire da un lavoro specifico dell'io e confina la forza-
lavoro alla dimensione della proprietà, legata alla capacità di acquisto, non alla
persona che la possiede; la libertà politica si oppone a questa concezione della
proprietà, poiché abbraccia ciò che è "improprio" nella vita e si affida all'unica
facoltà che permette al soggetto di attualizzare il suo potenziale: la forza-lavoro.
Nella vita non c'è una proprietà a cui tornare, ma un movimento attraverso il quale i
soggetti raggiungono la liberazione, un movimento che è giustificato dalla
consapevolezza di quanto sia necessaria e utile questa conquista. Nasce una forza
con la capacità di costruire una soggettività basata sull'intelligenza corporea e
sull'intelligenza materiale.61
L'esperienza etica e politica della liberazione si basa sulla sperimentazione.
Segna l'inizio di un processo di soggettivazione che sospende le norme prevalenti per
praticarne di nuove. Questo processo è il risultato di un assemblaggio di condotte
alternative che derivano da una pratica del sé opposta al processo di
soggettivazione dominante. Questa pratica risponde a un'etica e trasforma le forme
di vita utilizzando la vita in modo diverso. Non è facile raggiungere questo
obiettivo perché i soggetti imprenditoriali hanno incorporato e trasformato le
identità personali, comunitarie e di classe. Tuttavia, in nessun periodo storico si è
affermata una nuova soggettività lavorando semplicemente su schemi precedenti, né
si è costruita a partire dalla riproduzione della struttura che la rende possibile. Ciò che
è nuovo si afferma

60Vedi P. Dardot, C. Laval, Marx, prénom: Karl, 691-2.


61Vedi Dejours [65, 23 e seguenti].
1646Il sé imprenditoriale

contro il presente e in nome di ciò che si può realizzare ora. Sarà sempre possibile
attraversare la frontiera e continuare il lavoro del processo di liberazione già
iniziato.

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56. Fisher, I.: The Nature of Capital and Income. The Macmillan Company, New York (1906)
57. Mallarmé, S.: Un Coup de dés jamais n'abolira le hasard. Gallimard, Parigi (1914)
58. Bussoni, I., Martino, N.: Ostinatamente dadi. OperaViva: un'arte del possibile. Opera Viva,
9 maggio 2016
59. Foucault, M.: Qu'est-ce que les Lumières? In: Foucault, Dits et Ecrits, II. Gallimard, Parigi
(1994)
60. Foucault, M.: Cos'è la critica? In: Lotringer, S., Hochroch, L. (eds.) The Politics of Truth:
Michel Foucault. Semiotext(e), New York (1997)
61. Nietzsche, F.: Così parlò Zarathustra: Un libro per tutti e per nessuno. Penguin Classics,
Londra (1978)
1666Il sé imprenditoriale

62. Dejours, C.: Travail vivant. 1: Sexualité et travail. Payot, Parigi (2009)
63. Balibar, E.: Dall'individualità alla transindividualità. In: Balibar, E. (ed.) Spinoza, Il
Transindividuale. Edinburgh University Press, Edimburgo (2020)
64. Jullien, F.: Vivre en existant. Une nouvelle éthique. Gallimard, Parigi (2016)
65. Dejours, C.: Travail vivant. 2: Travail et émancipation. Payot, Parigi (2009)
Conclusioni: Cosa può fare il potere del lavoro?

Non sappiamo mai cos'è la potenza, come si acquisisce, dove cercarla. Eppure è
costantemente all'opera nella nostra forza-lavoro, altrimenti non saremmo
nemmeno vivi. E se non ci sforziamo di diventare attivi, non lo sapremo mai.
Il potere-lavoro si afferma nella disputa tra cose e persone, tra valore d'uso e
valore di scambio, tra lavoro vivo e lavoro astratto. Librato dalla sua definizione
come merce, dalla natura performativa dei compiti stabiliti dai contratti, dalla
spinta compulsiva ad ottenere visibilità personale, il potere-lavoro interrompe la
transizione senza attrito tra la personalizzazione delle cose e la cosaificazione
delle persone, dimostra che il diritto non è l'applicazione unilaterale di una norma e
che il potere non è l'imposizione unilaterale del comando su una persona. Il
potere-lavoro mette in discussione la distribuzione dei rapporti di forza e afferma
sia la disponibilità del potere (potenza) ad essere appropriato da qualcuno, sia il
suo essere una facoltà a disposizione di tutti che però non appartiene a nessuno.
Il conflitto sul potere-lavoro evidenzia un conflitto tra grandezze eterogenee e
singolarità nell'ordine economico, giuridico e politico. Il nuovo non va cercato al
di fuori delle disposizioni che regolano la vita in comunità immaginate o
primordiali, in nozioni trascendentali come popolo, sovranità, nazione, classe, o
nell'automazione, che considera il potere-lavoro come un'estensione organica degli
algoritmi. Il nuovo va ricercato nella tensione tra l'interno e l'esterno
dell'assemblaggio dei dispositivi, sulla soglia in cui si producono rotture e
differenze. Questo conflitto riguarda gli aspetti più importanti del potere-lavoro:
produzione, contratti, subordinazione e libertà. Coinvolge e sconvolge l'etica, dove
si afferma la soggettività e dove emergono le definizioni di ciò che è bene o male
per la vita attiva.1
La vita buona, forte, libera, è la vita che usa la forza-lavoro, nella misura in cui
le sue capacità lo permettono, per stabilire una regola di condotta, per emanciparsi
e autodeterminarsi rispetto a un desiderio autocosciente che tende ad appropriarsi
di qualcosa. La vita cattiva, subordinata, asservita, è la vita ridotta a incontri
casuali, che subisce le conseguenze della passività e gli effetti della propria
impotenza e cerca quindi la liberazione nel desiderio

1 Vedi Deleuze [1].


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R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7
168Conclusioni:Cosa può fare il potere del
lavoro?

essere padrone. La composizione di rapporti di potere negativi aumenta la


consapevolezza di questa subordinazione, ma distrugge la vita con il risentimento,
contro se stessi e gli altri, identificando la libertà come un altro modo di essere
schiavi. Una composizione positiva di queste relazioni di potere, invece, permette di
rafforzare questo potere (potenza) insieme a quello degli altri. Entrambi diventano
un tutt'uno con l'oggetto desiderato.
La distinzione tra la filosofia del potere-lavoro, la filosofia del lavoro e la teoria del
capitale umano ha a che fare con la differenza tra etica e morale. La prima
riguarda l'uso di un potere (potenza) che un individuo possiede e può usare
insieme ad altri; la seconda stabilisce l'obbedienza ad una legge istituita il cui
scopo è l'obbedienza. Si tratta di obbedire a un imperativo, un compito, un dovere,
a volte giustificato e indispensabile, altre volte espressione di dominio.
L'obbedienza a una legge morale, sociale o produttiva non produce conoscenza,
libertà o potere per coloro che usano il lavoro-potenza per vivere. Una filosofia del
lavoro-potenza, invece, registra una differenza che emerge continuamente tra il
comando che impone l'obbedienza e la conoscenza e la pratica di un potere
(potenza) disponibile alla vita. Non c'è altro che conflitto con il lavoro e con il
comando che si esprime attraverso di esso.2
Il conflitto sul potere-lavoro mostra che il diritto non è l'applicazione
unilaterale di una norma e il lavoro non è l'imposizione del potere su una persona.
Come espressione del potere-lavoro, il conflitto altera l'equilibrio formale tra il
lavoro visto come merce e il lavoratore come funzione della produzione. Il lavoro
non è un universo separato dalla vita e dalle sue forme, regolato solo dal diritto
privato o commerciale. Infatti, un equo scambio giuridico e commerciale non
risolve il problema fondamentale della giustizia: chi decide dei diritti? E chi
decide sul valore?
Il conflitto emerge con le figure dello schiavo, dell'operaio, del proletario, del libero
professionista, del precario, del disoccupato, dell'io imprenditore, e con tutte le
figure del lavoro contemporaneo. Si insinua negli strati più profondi della soggettività,
li interseca quando il potere-lavoro si trasforma in merce, si riverbera nella
relazione sociale che è il fondamento del contratto, si materializza nel conflitto tra
l'etica, che denuncia ciò che ci separa dalla potenza (potenza) del potere-lavoro, e
la legge, che contrappone il Bene e il Male come valori, concependo i soggetti
come risultato dell'obbedienza ai criteri inalterabili di una società.
La trasformazione della vita in un simulacro automatizzato non cancella il suo
modo di esistere e di esercitare il potere-lavoro, secondo la potenza (potency) che le
appartiene in un dato momento. Da qui l'importanza della questione etica, che riguarda
l'individuazione di questa potenza e il modo in cui si libera da una specifica
individuazione. Viviamo in uno stato di non conoscenza: non sappiamo di cosa sia
capace il potere-lavoro, non conosciamo tutta la portata del suo potere (potenza).3
Dall'inizio alla fine, la nostra esistenza è determinata dagli affetti passivi, è separata
dalla sua potenza, da ciò che può fare. Eppure, attraverso la conoscenza, la pratica
e la sperimentazione, c'è un modo per mettere alla prova il nostro non sapere. La
vita rimane aperta a tutte le determinazioni, anche

2 Spinoza, Etica IV, 18.


3Vedi Deleuze [2].
Conclusioni: Cosa può fareil potere del lavoro
?169

quando sembra non averne affatto, nel contesto di una rivoluzione digitale che
mira a ridurre ciò che è inatteso all'automazione.
Non sappiamo mai cos'è la potenza, come si acquisisce, dove cercarla. Eppure è
costantemente all'opera nella nostra forza-lavoro, altrimenti non saremmo
nemmeno vivi. E se non ci sforziamo di diventare attivi, non lo sapremo mai.
Riferimenti

1. Deleuze, G.: Spinoza. Filosofia pratica. City Lights Books, San Francisco (1988)
2. Deleuze, G.: L'espressionismo in filosofia: Spinoza. Zone Books, New York (1992)

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R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7
Indice

A Auctoritas principis senati, 77


Abolisce lo stato attuale delle cose, 65 Aucto¯ro, 77
Lavoro in eccesso assoluto, 51 Aucto¯ror,
Lavoro astratto, 57, 109 77 Augere,
Abuso, 43 77
Un contributo alla critica dell'economia Autocrazia del capitale, 49
politica, 54
Actoratus, 77
Attori di questa creazione, 132 B
Addictio sui, 76 Bio-lavoro, 51
Adynamia, 46 Bios, 21
Un parricidio fallito, 48, 54, 55 La nascita della biopolitica, 144, 154, 157
Una grammatica della Blade Runner 2049, 102
moltitudine, 54Àla carte, 101 Bohéme, 89
Algocrazia, 107
Capacità alienata di lavorare, 22
Un'astrazione effettivamente C
esistente, 5 Una potenza Ideologia californiana, 10
effettivamente esistente, 5 Capacità, 33
Economia antica, La, 69 Capacità di lavoro, 2
A posteriori, 45, 48 Capitale, 45, 54, 56, 57, 60
Appetito (appetitus), 5 Accordo capitalista, 60 Modo di
A praesenti, 45 produzione capitalista, 56
A priori, 45, 48 Risultati del capitale del processo di
Arbeit, 37, 106 produzione diretta, 56, 72
Arbeit/lavoro, 2 Mutevole, 27
Arbeitskraft, 1, 2, 15, 20, 32-39, 57 Autista, 101
Arbeitsvermögen, 2, 15, 32-39 Civis romanus, 32
Artifex, 79 Come tu mi vuoi, 151
2001: Odissea nello spazio, 102 Come tu mi vuoi, padrone, 151
Lavoro di aspirazione, 120 Merce, 57
Auctor, 77 Persona-merce, 158
Auctoramentum, 74-78, 85, 87 Comunanza, 31
Auctoramentum militae, 74 Compagnie franches, 84
Auctoramentum servitutis, 74 Test di Turing pubblico completamente
Auctorare, 77 automatizzato per distinguere
Auctorare se, auctorari, computer e umani, 107
75 Auctoratus, 74-78 Conato, 3-5, 23, 27, 73, 135, 162
© Springer Nature Switzerland AG 2021 173
R. Ciccarelli, Il potere del lavoro, Lecture Notes in
Morphogenesis, https://doi.org/10.1007/978-3-030-70862-7
174Inde
x

Conatus sese conservandi, 27 F


Condotta, 84 Facoltà, 1, 2, 33, 59
Condottieri, 84 Facoltà di facoltà, 23, 24, 33
Condottiero, 84-86 Facoltà o potenza, 2, 22
Coscienza, 150 Sentire, 162
Contributo alla critica dell'economia Prima filosofia dello spirito,
politica, 58 156 Flâneur, 87-89
Coraggio della Flâneurie, 88
verità, 133 Cupiditas, Forza, 2, 4, 27, 33
5 Forzare l'invisibilità a diventare visibile,
133 Formalmente, 13
Fortuna, 86
D Forza lavoro, 2
Desiderio, 5 Foucault, 161
Die wirliche Bewegung welche den Fondamenti della critica dell'economia
jetzingen Zustand aufhebt, 63 politica, 54
Differenza e ripetizione, 25 Forma fondamentale, 47
Differenziazione, 23 Futur antérieur, 15
Lavoro digitale, 109
Digitus, 109
Scollegare, 36 G
Discorsi su Livio, Il, 66 Galateo, overo de' costumi, 86
Gattungswesen, 158
Dispars, 25
Intelletto generale, 50
Dispositif, 21, 38, 48, 50, 56, 65, 95, 109,
Generazione, 38, 161
116, 134, 152, 153, 167
Generativo, 161
Dominus, 70-73, 75
Potenza generativa, 36
Doppelsöldner, 85
Gentiluomo, 85
Duello, 103
ideologia tedesca, 10, 54
Dynamis, 5, 37
Giga, 2
Buono, 57
Governabilità, 146
E Gran signore, 88
Manoscritti economici e filosofici del 1844, Gratuitum, 80
Il, 54, 55 Grundrisse, 45, 60
Economia dell'arricchimento,
145 Economia della
promessa, 120 Sforzo, 1, 2 H
Eigentumslosigkeit, 64 Homo faber, 42, 44
Diciottesimo Brumaio di Luigi Bonaparte, Onorario, 79, 147
Il, 44, 45, 89 Horme¯, 4
Emergere dalle ombre, 129 Orrore vacui, 59
Energeia, 5 Esseri umani, 158
Energia, 1, 2, 106 La condizione umana, 53, 69
Impresa, 82 Umanità, 12, 158, 159
Ergastula, 77
Ergon, 106
Esse alteri iuris, I
73 Esse alteri Il diritto ad avere diritti, 131,
juris, 73 Essentia 133 Illusionslosigkeit, 64
actualis, 5 Esse sui Il quinto stato, 131
juris, 73 causa immanente,
Potenza eternamente 4
attuale, 3 Ethos, 160, 161 Imperium, 146
Exauctorare, 75 Salario impersonato, 72
Espropriazione, 38
Indicex175

Impresari-imprenditori, 84 Locatio conductio operarum, 79


Impresario, 74, 76 Locatio conductio operis, 79
Inappropriabilità di tutti i beni, 159 Locationes operarum, 75
Proprietà inappropriabili, 159 Locatio operarum, 76
In concerto, 20 Locatio operis, 76, 79
Inflitto, 60 Locatio rei, 79
Intersezione, 19, 20 Locatio sui, 74
In queste condizioni, Logica del senso, il, 33
6 Invisibilizzazione,
11
Invisibile, 104 M
Ius existentiae, 133-135 Machenschaft, 108
Ius imperandi, 75 Lavorazione, 108
Ius praetorium, 79 Principale contraddizione, 19
Ivanhoe, 83, 84 La formazione della classe operaia inglese,
82
Cittadinanza manageriale, 146
J Mandatàrius, 79
Jihad, 97 Mandàtor, 79
Lavoro, 2 Mandatum, 79, 80
Maestro, 151
Padroneggiare un
K ruolo, 151
Lavoratori della conoscenza, 82, 83 Materialmente, 13
Kraft, 1, 33 McKinsey Global Institute,
Kraft/Power, 2 122 Mezzi di produzione, 161
Mehrwert, 35
Meiromai, 148
L Menschliche Gattung, 55
Lavoro, 10, 57, 82, 106 Mercennarii, 75
Lavoro in generale, Merces, 76, 79
57 Lavoro-potere, 2, Mereor, 148
31 Metabolé, 27
Relazioni di lavoro, 57 Metabolica, 27
La Crainte des masses, Relazione metabolica, 26
49 La nuova forza lavoro, Metafisica, 60
83 Metis, 146
Lanista, 74, 77, 84 Microlavoro, 111
La nouvelle raison du monde, 161, 162 Mobilitare, 117
Lavoro e lavoratori nel mondo romano, 75 Morphé, 27
Lavoro, 2 Multiposizionalità, 19
Durata della vita, 41 Utilità reciproca, 162
Le nouvel esprit du capitalisme, Mito e pensiero dei Greci, 69
162 Les fleurs du mal, 89
Le sujet des normes, 54
Le vin des chiffoniers, 89 N
Lex Julia Municipalis, 75 Alleanza nazionale dei lavoratori
Liber in mancipio, 76 domestici, 130 Natura naturans, 63
Vita in uso, Natura naturata, 63
46 Limite, Neo-liberale, 157
156 Libertà neo-liberale, 163
Periodo limitato, 34 Etica nicomachea, 146
Vivere, 35 Non classe, 17
Lavoro vivo, 124, 161 Non una teoria del lavoro ma del potere-
Locare, 79 lavoro, 54
Locare se, 75
Locatio, 76
Locatio conductio, 79
176Inde
x

O Produttivo, 35, 51
Oberst, 84 Forza produttiva, 38
Oggettivato, 41 Potenza produttiva, 36
Capacità oggettivata, 53 Prole, 51
Lavoro oblativo, 120 Prosumerismo, 110
Obligatio, 77 Puissance, 2
Officia, 79, 80
Oikonomia, 146
Oikos, 52 Q
Ordine delle cose, il, 59 Quaderni del dipartimento di economia
proprietà, 34 politica, 72
Sé quantificato, 159
Quartieri, 88
P Quid iuris, 132
Passaggio, 87, 88
Pater familias, 75, 76
R
Percezione, 156
Reale, 46, 58
Persona, 39
Esecutore reale, 56
Contratti personificati, 152
Realtà, 65
Fenomenologia dello spirito, 156 Philia,
Sussunzione reale del lavoro, 56
81
Regere, 146
Phronesis, 146 Regula universalissima, 86
Physis, 27 Relazione di potere, 31
Fisismorfismo, 27 Eccedenza di lavoro
Poiesis, 24, 43, 44, 61 relativa, 51 Riproduttiva,
Polemos, 66 52
Polis, 21, 69, 70 Lavoro reputazionale, 119
Forza politica, 2 Rivoluzione nella logistica, 117
Libertà politica, 163 Revue des Livres et des idées,
Liberazione politica, 162 162 Diritti dell'uomo, 89
Relazione politica, 32 Diritti di proprietà, 39
Trattato politico, 5, 71 Diritto di esistere, 129
Ponos, 106 Diritto all'esistenza,
Positivo, 146 133 Rapina, 41
Potenza, 1, 2, 22 Statuti romani, 74
Potentia, 2, 4, 5, 23
Potenziale, 35
Essere potenziale, 3 S
Capitale potenziale, 159 Sans phrase, 57, 63
Lavoro potenziale, 159 Scientifico, 64
Vita potenziale, 46 Selbstbetätigung, 46
Potenza potenziale, 36 Accorciamento della vita della forza-
Potenza, 2 lavoro, 41 sociale, 47
Potere e potenza, 2 Combinazione sociale, 60
Potestas, 2, 134 Capacità di lavoro socialmente
Pouvoir, 2 combinata, 56 Tempo socialmente
Potenza, 1, 2, 23, 46 necessario per la produzione, 41
Prassi, 24, 43, 44, 46, 61 Relazione sociale, 31, 57
Praxis-poiesis-techne, 45 Rapporto sociale di produzione, 60
Stato attuale, 66 Societas, 81
Processo di produzione del capitale, Il, 56, Il suolo e il lavoratore, il, 50
60, 72 Milza, 88
Produzione, 44 Sprezzatura, 87
Storia del diritto romano, 81
Forza, 1, 2
Indicex177

Subicere se imperio atque potestatis alterius, U


75 Un parricidio compiuto, 58
Soggettivazione, Capitolo VI inedito, 60
38 Oggetto del
diritto, 132 Sui
juris, 74 V
Plusvalore, 63 Valore della forza-lavoro,
40 Valore dei valori, 53
Synolon, 156
Valuto Ergo Sum, 148
Sistema di vita etica, 156 Virtuoso, 151
Vita activa, 135
Vita da freelance, 81, 83

T
Tabula Heracleensi, 75 W
Techne, 43, 44 Werk/work, 2
Tecnico, 47 Volontà (voluntas), 5
Tecnologie del dominio, 127, Witkey, 114
Lavoro, 2, 161
159 Tekhne¯ tou biou, 77
Idea operaia della cittadinanza,
Thanatopolitica, 21 146 Lavoratori e capitale, 44, 54
Trattato teologico-politico, 3 Classi lavoratrici, 82
tesi su Feuerbach, 54
Tout court, 75, 109
Trabajo, 106 Z
Transfert, 157 Zwieschlächtig, 32
Travail, 106

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