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I tozzi nani e gli aerei elfi tolkienani dalle saettanti frecce, recentemente riportati
alla ribalta dal cinema, sono parenti stretti di diverse entità elementali - ovvero
variamente legate ai quattro elementi - che, partendo da quell'immenso
serbatoio di simboli ed archetipi che è il patrimonio folklorico, hanno
variamente percorso la letteratura occidentale. Tra queste creature, in una
dimensione immateriale ed invisibile, vi sono gli gnomi, le salamandre, gli
ondini ed i silfidi. Nel corso dell'era moderna, a più riprese, diversi autori hanno
trattato di queste presenze invisibili. Proviamo a ripercorrere le tappe principali
della storia e della fortuna letteraria di gnomi, ondini, silfidi e salamandri,
percorrendo le pagine e le vicende di autori noti e meno noti.
Paracelso.
Il piccolo popolo degli elementi, il mondo dei salamandri, degli gnomi, degli
ondini e dei silfidi, proveniente, in varie forme e coloriture, dalla cultura e dal
folklore dei popoli centroeuropei, fa il suo primo ingresso nella letteratura
magica proprio nell'opera di Paracelso.
Nella visione paracelsiana vi sono due nature: una è quella umana, spessa,
palpabile e sensibile, mortale, l'altra quella spirituale, impercettibile, eterna. Tra
queste due vi è la natura intermedia, partecipe delle altre due, che, in un
assottiglimento progressivo fino all'invisibile, sembra collegare i diversi piani
della creazione divina.
Si può anche dire che sono superiori agli uomini, perché sono inafferrabili come
gli spiriti; però bisogna aggiungere che il Cristo, nato e morto per riscattare gli
esseri dotati di anima e discendenti da Adamo, non ha riscattato queste creature
che non hanno un'anima e non discendono da lui.
Nessuno deve stupirsi o dubitare della loro esistenza. Si deve solo ammirare la
varietà che Dio mette nelle sue opere. Per la verità di questi esseri non se ne
vedono ogni giorno, ed, anzi, non se ne vedono che raramente. Io stesso non li
ho visti che in una specie di sogno...
Esse sono prudenti, ricche, sagge, povere, folli come siamo noi. Sono l'immagine
rozza dell'uomo come l'uomo è l'immagine rozza di Dio...
Questi esseri non temono né il fuoco né l'acqua. Sono soggetti alle malattie ed
alle indisposizioni umane. Muoiono da bestie e la loro carne va in putrefazione
come quella animale.
Virtuosi o viziosi, puri o impuri, migliori o peggiori, come gli uomini, essi ne
hanno le abitudini, i gesti, il linguaggio; come loro differiscono per la taglia e
l'aspetto, vivono sotto una legge comune, lavorano con le loro mani, tessono i
loro abiti[3], si governano con saggezza e giustizia, danno prova di raziocinio in
tutto ... E poiché sono privi di anima non pensano a servire Dio né a seguire i
suoi comandamenti; soltanto l'istinto li spinge a comportarsi onestamente.
Le specie elementali possono vivere senza difficoltà nel caos dell'uomo, poiché
esse sono di natura sottile. L'uomo, di natura troppo spessa, non potrebbe
sopravvivere in elementi anch'essi spessi come l'acqua e la terra.
I silfidi, che non conoscono il nostro linguaggio, sono il popolo più timido. I
Salamandri parlano poco, frequentano poco l'uomo e preferiscono le vecchie e le
fattucchiere. Chi salisse sul monte Etna, potrebbe facilmente sentire le grida ed i
rumori delle loro attività, l'inquieta operosità che agita il loro elemento. Possono
essere infidi, e, talvolta, ricettacoli del Maligno. Questi, infatti, alle volte penetra
nel corpo di gnomi e silfidi, specie delle femmine, inducendo parti abortivi e
provocando nascite di bimbi malati.
Gnomi e ondine servono bene l'uomo, e volentieri entrano in contatto con lui,
ma se maltrattati in vicinanza del loro elemento, spariscono prontamente.
Lontano dal loro elemento, invece, subiscono anche i maltrattamenti che l'uomo
può voler infliggere loro.
Ma per quale ragione, talvolta, questi esseri nascosti si palesano all'uomo, cosa li
spinge ad entrare in relazione con i figli di Adamo? Per qual ragione, soprattutto,
essi ricercano l'amore dell'uomo? Paracelso continua:
Abbiamo detto che questi esseri potrebbero avere rapporti carnali con gli uomini
ed averne dei figli. Questi figli sono di razza umana, perché il padre, essendo
uomo e discendente di Adamo, dà loro un'anima che li rende somiglianti a lui, e
sono eterni. Io credo che la femmina che riceve quest'anima con il seme sia,
come la donna, riscattata dal Cristo. Noi non perveniamo al regno divino se non
quando comunichiamo con Dio. Similmente, questa donna non acquista
un'anima fino a quando non conosce un uomo. Infatti, chi è superiore comunica
la sua virtù a chi è inferiore. Ecco, quindi, un'altra ragione dell'apparizione di
questi esseri; essi chiedono il nostro amore per elevarsi, come i pagani chiedono
il battesimo per acquisire un'anima e rinascere con il Cristo.
Nicholas sembra, anzi, far di tutto perché ogni previsione sul suo conto
naufraghi miseramente.
Così nel 1670 egli debutta col suo primo e più fortunato romanzo, Le Comte de
Gabalis, ou entretiens sur les sciences secrètes[4]. Il testo, piacevole ed arguto,
non manca di assicurare pronta ed ulteriore fama all'autore. Per dirla con il
compilatore della voce dedicata al nostro Villars nella Biographie Universelle di
Michaud,
...nulla di più amabile che il carattere dato dall'abate de Villars a questo naïf ma
sapiente e spirituale apostolo della magia. La parte che lo stesso autore sostiene
nella conversazione è sul tono di un'ironia talmente fine che dopo avere letto il
libro molta gente non sa se egli abbia voluto celiare o se abbia invece parlato
seriamente...[5]
...I credenti zelanti gli erano avversi poiché si era burlato di loro ed aveva parlato
con irriverenza del terribile impero degli gnomi, dei silfidi e dei salamandri. Gli
spiriti gravi pensavano che egli avrebbe dovuto refutare seriamente la cabala, i
cui errori attaccavano le basi stesse della fede. Essi non perdonavano ad un
ecclesiastico qualche gaiezza un po' vivace sugli amori di silfidi e di demoni
incubi con i saggi e con i santi: sulle disavventure di Noè reso eunuco da suo
figlio Cham "...mentre che il buon vegliardo era preso dal vino...". Infine i devoti
scusavano ancor di meno qualche tratto assai piccante contro i monaci e i dottori
togati, senza parlare di due o tre passaggi che suonavano molto male, in odor di
deismo, come le parole a proposito del giansenismo: " noi non sappiamo cos'è, e
disdegniamo di informarci in cosa consistano le sette differenti e le diverse
religioni di cui si infatuano gli ignoranti: noi ci atteniamo all'antica religione dei
nostri padri filosofi...".
Come si vede il Villars fu assai abile nel confezionare un prodotto che dispiacesse
ad una quantità di categoria diverse e potenti, tutte in grado di screditarlo presso
l'attenta autorità religiosa. Così, non ci si stupirà nel sapere che di lì a breve, il
libro venne messo all'indice, ed il Villars stesso fu interdetto dalla predicazione.
Questo, tuttavia, non sembra minimamente frenare l'attività letteraria del
giovane scrittore.[7]
Nel suo soggiorno Parigino Nicholas, infatti, si era già distinto agli occhi della
polizia per la sua vicinanza ad ambienti di giovani irrequieti, dediti allo
sbeffeggio del potere regale attraverso la composizione e distribuzione di libelli
contro il re e lo stato. Il giovane ha già subito un arresto ed ha già scontato
qualche mese alla Bastiglia nel 1661, ma tutto ciò appare davvero poca cosa se si
tiene conto che, a pochi mesi di distanza, i magistrati di Tolosa emettono un
mandato di cattura per il brillante abate delle serate parigine, con un'infamante
accusa di omicidio.[8]
Nel 1673, lungo la strada per Lione, ad appena 38 anni, Montafaucon de Villars
viene assassinato da ignoti. Forse briganti, forse conseguenze nefaste e vendette
dell'affaire de Ferroul, forse altre inimicizie procurate nei movimentati anni di
soggiorno parigino. Il delitto rimarrà impunito, e qualcuno, inevitabilmente, non
mancherà di ipotizzare, tra il serio ed il faceto, che forse il buon de Villars aveva
incontrato lungo quella solitaria strada, quei popoli elementari in collera per il
suo scritto, o i misteriosi adepti della Rosa-Croce decisi a punirlo per aver
divulgato i loro segreti...
Ma la fortuna del Conte di Gabalì e dei popoli elementari descritti nei suoi
dialoghi, sopravvivrà alla morte dell'autore.
Per avvicinarci alla struttura ed alla trama del libro, leggiamo cosa ne dice il
prefattore dell'edizione del 1788[9], l'editore Charles-Georges-Thomas Garnier:
...La favola del romanzo del Conte di Gabalì è semplice: si suppone che un
famoso adepto che si chiama Conte di Gabalì, venga a trovare l'autore
dall'interno della Germania, dove era abitualmente residente; egli crede di aver
scoperto nell'autore delle disposizioni naturali ai grandi misteri della cabala, e
questa scoperta determina il nostro cabalista, non solo a fare un lungo viaggio
per venire a trovare questo nuovo saggio, ma a sviluppare nel neofita le
conoscenze di questa scienza sublime e segreta fin nei suoi più intimi dettagli.
Con questo presupposti, il conte di Gabalì ha cinque conversazioni con l'autore,
in cui spaccia al suo interlocutore, con un tono dogmatico e sentenzioso, delle
vere e proprie stravaganze. Talvolta la testa del cabalista si scalda, e delle vivide
apostrofe alla divinità ed agli spiriti elementari provano un'immaginazione
esaltata con barlumi di ragione e di fondata filosofia che appaiono di tanto in
tanto, provano che il visionario aveva originariamente un buono spirito, che si è
lasciato sedurre e guastare dall'amore disordinato per il meraviglioso...
...È a Rueil, nel labirinto che Villars apprende da Gabalì i segreti dei geni
cabalistici; fino ad allora egli aveva ignorato che l'aria "ha degli abitanti ben più
nobili degli uccelli e dei moscerini", e che i mari "ben altri ospiti che i delfini e le
balene"; che "le profondità della terra non sono solo per le talpe" e che il fuoco, il
più nobile degli elementi, non è fatto "per restare inutile e vuoto". Gli spiriti
dell'aria, o Silfidi, sono "di figura umana", "assai amanti delle scienze", "nemici
degli sciocchi e degli ignoranti". Le Silfidi, loro donne e figlie, hanno la "bellezza
mascolina" delle amazzoni. Nei mari e nei fiumi abitano gli Ondini, di molto
inferiori per numero e grazia alle loro compagne, le Ondine. Nelle viscere della
terra "verso il centro", vivono gli "Gnomi, gente di piccola statura, guardiani di
tesori, miniere e pietre preziose "; essi hanno per spose le Gnome, il cui
"abbigliamento è assai curioso". Gli "abitanti infiammati della regione del fuoco"
sono i Salamandri; li si vede raramente, e le loro mogli e figlie più raramente
ancora; ma i pittori e gli scultori che rappresentano le salamandre come "laide
bestie" sono degli "ignoranti".
Tutti questi popoli elementari possono morire, come "le parti più pure
dell'elemento che abitano" può dissolversi; ma frequentando la razza umana,
essi possono acquisire l'immortalità. Essi sono, dice Gabalì, nemici dei diavoli e
dei folletti, ed adoratori dell'"Essere Supremo". Erano loro, secondo lo stesso
interprete dei "Saggi", "i Silfidi, i Salamandri, gli Gnomi o gli Ondini", che
rendevano gli oracoli a Delfi ed a Dodona.[10]
L'incontro tra Gabalì ed il misterioso interlocutore in un'incisione tratta
dall'edizione del 1788 del Comte de Gabalis curata dall'editore Charles-Georges-
Thomas Garnier nell'ambito della raccolta Voyages imaginaires, songes, visions
et romans cabalistiques, Amsterdam 1888.
Attraverso il commercio carnale con uomini e donne, nella più pura tradizione
paracelsana, le entità elementari, acquistano l'immortalità, e per questo fine ben
volentieri si sottomettono al volere dei sapienti e li aiutano nel loro fine. La
costruzione immaginifica del Villars, coglie un'atmosfera propizia. La Francia di
Luigi XIV parla dei misteriosi fratelli della Rosa-Croce, dei loro misteri e delle
loro dottrine segrete. Sulle queste, in particolare, si favoleggiano le cose più
diverse. L'alchimia e l'astrologia sono al centro degli interessi delle accademie
culturali, ed anche dei più frivoli salotti di corte[11].
Tuttavia, qualunque sia il più intimo pensiero dell'autore in merito, fatto sta che
gli elementali di Montfaucon danno luogo ad imitazioni ed ispirazioni letterarie
molteplici. Ce ne parla il Delaporte[13], con una rapida elencazione che forse,
per render conto delle dimensioni dell'impatto del Conte nell'ambito letterario
francese del XVII e XVIII secolo, conviene riportare nei suoi passi salienti:
...Le Génies assistans, imitazione miserevole del Gabalì[14]. Questi geni sono
"degli angeli, ed angeli potenti" che "si pongono a nostri assidui direttori e
vigilanti nell'ordine naturale e nella Politica", grazie ai quali si riesce "nella
guerra, nei negozi e nelle arti". L'autore cita una moltitudine di fatti bizzarri,
attribuiti da lui a questi geni che rassomigliano abbastanza al demone di Socrate
ed ai folletti del Mogol...
...Nel 1681, Thomas Corneille e de Visé provarono ad introdurre questi geni degli
elementi sulla scena comica. L'argomento impresso alla loro commedia, in
prosa, la Pierre Philosophale, riporta infatti tra i personaggi i popoli dei quattro
elementi ... anche il conte di Gabalì vi giocava il suo ruolo...
Alle soglie del XVIII secolo, grazie probabilmente ad un generale ritorno alle
fiabe, i geni dell'aria, dell'acqua, della terra e del fuoco riappaiono nelle pagine
letterarie. Uno dei racconti più curiosi che conosciamo è del certosino che si
firma Vigneul de Marville. È il racconto di una serata presso il cartesiano
Rohault. Lì, di fronte a Rohault, di Clerselier, suo padrino, e di Pecquet, altro
amico di Descartes, un personaggio che Vigneul de Marville non nomina,
"rallegra la compagnia" spiegando come, attraverso i meravigliosi elementali, le
bestie sono mosse come automi. Vi sono, dice, i piccoli popoli degli elementi che
"fanno funzionare tutte queste macchine ... secondo le regole della meccanica".
Perché le volgari salamandre non si bruciano nel bel mezzo del fuoco di un
braciere? È perché lo spirito del fuoco "fa funzionare" molto delicatamente "la
macchina della salamandra". I Silfidi, allo stesso modo, animano e muovono gli
uccelli, ma ciascuno secondo il suo carattere e seguendo la disposizione degli
organi, la diversa configurazione delle specie volatili: "Un silfide meditabondo si
alloggerà nella macchina di un gufo, di un barbagianni o d'una civetta: al
contrario un silfide di umore gaio e che ami cantare canzoncine, si insinua in un
usignolo, in una capinera o in un canarino".
Lo stesso per gli spiriti acquatici: "Un ondino che si compiace di nuotare nelle
grandi acque, non manca di alloggiarsi in una balena e di condurla per tutto
l'oceano. Un altro che ami fare prodigi e conseguire grandi risultati attraverso
piccoli mezzi, si piazzerà in una remora, il più piccolo di tutti i pesci, che è però
in grado di fermare un Galeone, che è il più grande di tutti i vascelli". Gli ondini
di umor dolce abitano nei laghi e nei fiumi...
Confessiamo, nel leggere il commento riassuntivo del Delaporte per lo scritto del
Vigneul de Marville, uno sbarazzino desiderio di leggere uno scherzo letterario
tanto gustoso, che ripropone provocatoriamente al meccanicismo cartesiano
l'armamentario mitico e folklorico degli spiritelli elementari. Purtroppo non
siamo riusciti a reperirlo. Comunque la rassegna del Delaporte non si ferma
certo qui. Gli spiritelli elementali fanno capolino ne Les blue devils di Alfred de
Vigny, nei Contes de Fées e nei Noveaux contes de Fées di Madame de Murat.
Ed ancora:
L'acqua piovana, soprattutto quella del mese di Marzo, reclama qui il suo giusto
posto. Essa è pregna di virtù femminili, tanto delle piante che degli altri corpi
terrestri: è fortificata dal sale volatile che esala dai corpi terrestri ... Qualcuno ha
anche preteso che fosse un mestruo universale, ed il famoso cavaliere Borri si è
spinto tanto lontano che ne ha voluto fare ingrediente della Pietra Filosofale,
sostenendo che essa contiene in sé tutta la sostanza degli astri, e che è carica
dello spirito universale del mondo, o mercurio dei Filosofi. Ma quest'artista non
è riuscito, poiché i più abili filosofi convengono sul fatto che non occorre un
mestruo universale, ma piuttosto un mestruo salino per risolvere l'oro e trarne il
germe o semenza...
Giuseppe Francesco Borri nasce a Milano nel 1630, figlio di una Savinia
Morosini, che muore di parto dandolo alla luce, e di Branda Borri, noto e valente
medico milanese.
Costretto a fuggire inizia una peregrinazione che lo porterà nelle principali corti
d'Europa, dove tra un continuo alternarsi di fortune e improvvisi rivolgimenti, di
potenti amicizie ed altrettanto subdole inimicizie, consoliderà una solida fama
europea di medico ed alchimista. Conobbe e frequentò a lungo, ed in diverse
occasioni, il milieu di intellettuali raccolto intorno alla corte romana di Cristina
di Svezia, fu stimato amico di scienziati di grande fama, come il danese
Borrichius.
Nel 1670, egli viene arrestato in Moldavia, diretto verso la Turchia, e viene
consegnato nelle mani dell'inquisizione romana, che già nel 1661 lo aveva
condannato in contumacia ed aveva pubblicamente appiccato e bruciato la sua
effige ed i suoi scritti in Campo de' Fiori a Roma.
Incarcerato a Castel S. Angelo, grazie alle sue abilità di medico ed alle sue potenti
amicizie, riesce per alcuni anni ad ottenere una sorta di regime di semilibertà
che gli consente di esercitare la sua professione, studiare e frequentare i salotti
romani, in cui, a dispetto della ignominiosa condizione di condannato, la sua
stella continua a risplendere, ma con l'elevazione al trono di Innocenzo XII nel
1691, ogni privilegio viene annullato, ed il Borri si ritrova nuovamente in regime
di carcere duro. Morirà pochi anni dopo, consumato dalle febbri, il 16 agosto
1695 nella sua cella a Castel S. Angelo.
Frontespizio dell'edizione originale del La Chiave del Gabinetto del Borri.
...una traduzione fedele di De l'âme des Betes di A. Dilly, uscita a Lione nel 1676
(Dizionario Biografico degli Italiani cit., ed. Treccani, voce Borri).
...che adorano e servono l'unico Dio, come loro fermissima e stabilissima unità o
centro
...ma sono assegnati alle sfere del mondo, presiedono a ciascun cielo e a ciascuna
stella... governano i segni, le triplicità, i decani, i quinari, i gradi e le stelle fisse...
...a ciascuna è stato conferito un nome e sono stati attribuiti segni chiamati
caratteri, che gli antichi adoperavano nelle invocazioni e negli incantesimi e che
incidevano sugli strumenti magici, sulle immagini, sulle lamine, sugli specchi,
sugli anelli ... dimodochè quando operavano al sole facevano le loro invocazioni
coi nomi del Sole e coi nomi dei demoni solari e così per le altre.
La terza schiera, è appunto quella dei demoni propriamente detti,
Per ottenere ciò, l'eroe dovrà faticare assai più che non utilizzando la magia
diabolica e falsa, che si serve però di demoni fraudolenti.
Dopo aver descritto le metamorfosi magiche che la materia subisce sotto gli
occhi dell'eroe ermetico, Della Riviera continua :
E di recente, ancora, era una Ninfa sapiente che guidava con dolcezza i lavori
dell'ignoto alchimista che sul finire del XIX secolo si nascondeva sotto lo
pseudonimo di Cyliani, così come ci racconta l'Hermes Devoilé. Di questa Ninfa
alchemica, nella traduzione di Stefano Andreani riportiamo infine, per
accomiatarci a nostra volta dal grazioso popolo elementale, il saluto con cui si
diparte dall'affranto Cyliani:
Note
[1] La traduzione del trattato è compresa in Paracelso, Scritti alchemici e magici,
Genova 1991, ed. Phoenix, pgg. 17-32.
[2] Più oltre Paracelso specifica, tuttavia: "Io non credo che questi siano
veramente quelli di cui esse si servono tra loro, ma penso che ad esse li abbiano
dati persone che non hanno conversato con loro, tuttavia, dato che sono in uso
tra noi, li conserverò, benché si possano anche chiamare Ondine le creature
dell'acqua, Silvestri quelle dell'aria, Gnomi quelle della terra e Vulcani quelle del
fuoco...". In verità, Paracelso parla, ad un certo punto del suo trattato, anche di
altri esseri, che egli definisce di natura essenzialmente mostruosa, teratogena ed
eccezionale: Sono le Sirene, i Giganti e i Nani. Le sirene, generate dagli Ondini,
nuotano preferibilmente sulla superficie dell'acqua, sanno cantare e suonare il
flauto. I giganti sono invece generati dai silfidi, ed i nani dagli gnomi. Tutte
queste creature non hanno un'anima, e non possono riprodursi. Alla medesima
categoria, con un umorismo provocatorio notevole, Paracelso fa risalire anche
una diversa categoria, generazione mostruosa degli gnomi e delle ondine: "...I
Monaci, che sono simili agli uomini e vivono nel loro ambiente...".
[3] Più avanti, Paracelso chiarisce la materia prima della tessitura: "Come a noi,
Dio ha dato loro la lana di montone; Dio, infatti, può creare dei montoni diversi
da quelli che vediamo noi, che pascolano nel fuoco, nell'acqua o nella terra."
[5] L'articolo della Biographie universelle, di Michaud, (Parigi, 1843) è nel tomo
43, da pag. 434 a pag. 436.
[6] In realtà la Cabala del Montfaucon e del Borri è cosa ben distante dalla
originaria tradizione ebraica da cui mutua il nome, ed è forse molto più vicina a
sopravvivenze pagane di culti che nel XVII secolo dovevano forse essere ancora
ben vivi nelle tradizioni folkoriche e della religiosità popolare di gran parte
d'Europa.
Gershom Scholem, in un saggio dedicato ai rapporti tra alchimia e Kabbalah
(Alchimia e Kabbalah, trad. di Marina Sartorio 1995, Einaudi) ben descrive il
carattere della presunta cabala che emergeva dal complesso panorama degli
scritti ermetici tra XVI e XVII secolo : "Il nome della misteriosa disciplina ...
divenne parola d'ordine di tutti i circoli interessati alla teosofia e all'occultismo
nell'epoca del Rinascimento ed in quella successiva del Barocco. Divenne una
specie di bandiera, dietro la quale - poiché non v'era da temere alcun controllo
da parte dei pochi veri cultori della kabbalah - praticamente tutto poteva offrirsi
al pubblico: da contenuti autenticamente ebraici a meditazioni solo vagamente
ebraizzanti di profondi mistici cristiani fino agli ultimi prodotti da fiera della
geomanzia e della cartomanzia. Il nome Kabbalah, con il brivido reverenziale che
incuteva, comprendeva tutto. Anche i più estranei elementi di folklore
occidentale, anche le scienze del tempo in qualche modo orientate verso
l'occultismo, come l'astrologia, l'alchimia, la magia naturale,
diventavano kabbalah...".
Tale considerazione è vera ancor oggi, se pensiamo al nome di cabala
fonetica con cui alcuni alchimisti moderni (ad es. Fulcanelli ed allievi) designano
il bellissimo gioco simbolico di etimi assonanti che utilizzano con tanta
frequenza. In effetti, la gabala del Villars ha poco o niente a che fare con la
kabbalah ebraica. Non che questa fosse del tutto ignota nella seconda metà del
'600. Tuttavia, se si eccettua la credenza di fondo nella possibilità di accoppiarsi
e procreare con entità incorporee (si pensi, nella tradizione ebraica, ai Lillim, i
figli demoni che Lilith partorisce rubando il seme disperso dell'uomo) del resto
comune a diverse tradizioni, il fondo che si scorge tra gli elementari del Villars e
degli epigoni che vedremo tra poco, è invece eminentemente magico.
[7] Al conte segue infatti, a distanza di un anno, L'amour sans faiblesse, ou Anne
de Bretagne et Almanzaris (Paris, 1671, Barbin, in tre tomi), un voluminoso
romanzo ristampato in volume unico nel 1729 col titolo di Géomyler et
Almanzaris, che narra la storia di un géomyler, appunto, una sorta di non meglio
identificato religioso turco che, sfruttando la sua carica si introduce alla corte (e
nel serraglio) di diversi principi carpendo l'amore di svariate principesse. Il
romanzo viene presentato, con una classica finzione letteraria, come la
traduzione della versione castigliana di un antico romanzo arabo, eseguita da
una signora che aveva trovato, nello scritto, "meno difetti che nella maggior
parte dei romanzi moderni". Da un punto di vista letterario la prova appare
inferiore alle aspettative, e riscuote critiche negative. Ma il Villars prosegue
imperterrito la sua carriera letteraria con una serie di libelli polemici che
abbracciano vari argomenti letterari e filosofici. Abbiamo così la Critique de la
Berenice de M. Racine et de M. Corneille, libello che, pur ottenendo qualche
apprezzamento, non suscita alcuna risposta da parte di Corneille, ed un solo
accenno da parte di Racine nella prefazione ad un'edizione della Berenice. Dopo
qualche altro libello di polemica - ad esempio i cinque dialoghi De la delicatesse,
del 1671, dedicati a Les entretiens d'Ariste et d'Eugène di Barbier d'Aucour, che
provocano, peraltro, una vibrante risposta dell'autore - il Villars pubblica, più o
meno nello stesso periodo le Reflexions sur la vie de la Trappe, la Lettre contre
M. Arnauld e la Critique des Pensées de M. Pascal, che contengono, come si può
arguire dagli stessi titoli, forti spunti polemici di taglio filosofico contro la scuola
di Port-Royal. Infine, a quarantadue anni dalla morte dell'autore, nel 1715,
verranno pubblicati i sette nuovi Entretien sur les sciences secrètes, che fanno da
seguito al Conte di Gabalì, e che sono incentrati su di una feroce satira della
filosofia Cartesiana e dei suoi sostenitori.
[8] Il Villars avrebbe, in combutta con sua sorella ed un servo fedele, ucciso
nientemeno che suo zio materno, Pierre de Ferroul, signore di Montgaillard.
Malgrado il mandato di cattura, il Villars però si sottrae all'arresto, e, cosa
inspiegabile, continua a Parigi la sua vita pubblica. Vicenda poco chiara, come
poco chiare dovettero essere le amicizie e le aderenze del rampollo de Villars, che
gli consentirono tuttavia di beffarsi del mandato di arresto per omicidio emesso
a suo nome. Tanto più che, il mandato di arresto per l'omicidio del signore di
Montgaillarde verrà ripetuto dai magistrati qualche anno dopo, nel 1668.
[10] Abbiamo preso in prestito questa efficace sintesi del tema principale del
romanzo di Villars da Du merveilleux dans la littérature Françoise sous le règne
de Louis XIV, del dotto padre gesuita Delaporte (Parigi 1891).
[17] Jean Baptiste de Boyer, marchese D'Argens (1704 - 1771), indirizzato dalla
tradizione familiare alla magistratura, preferì tuttavia la carriera militare.
Giovanissimo fugge in Spagna con una attrice di cui è perdutamente innamorato,
ma viene arrestato per iniziativa della famiglia prima di aver potuto sposare la
donna. Viene inviato a Costantinopoli, al servizio dell'ambasciatore di Francia.
Anche qui, pare, ebbe vita avventurosa. Ritornato in Francia, con l'intento di
seguire la carriera della magistratura, ancora una volta preferisce la vita
avventurosa e gli amori delle attrici, e così egli finisce per riprendere la carriera
militare. Nel 1734 un incidente di servizio - una caduta da cavallo - lo costringe
ad abbandonare il servizio. Essendo stato diseredato da suo padre, trasferitosi in
Olanda, è costretto ad intraprendere la carriera di scrittore per vivere. Il successo
gli arride e ben presto entra nelle grazie di Federico II di Prussia, sotto la cui
protezione rimane a lungo, non mancando, comunque, di continuare a suscitare
scalpore per polemiche argute e per condotte morali poco consone al suo ruolo
ed alla sua fama. Nella sua copiosa produzione letteraria spiccano le Lettres
Juives (1754), le Lettres Chinoises (1755) e le Lettres Cabalistiques (1769).
[25] Agrippa non manca di specificare : "...intendendosi qui per demoni non
quelli che noi chiamiamo diavoli, ma esseri spirituali, così chiamati per la
proprietà del vocabolo, quasi scienti, intelligenti e saggi.". (Agrippa, La Filosofia
occulta o la Magia, trad. di A. Fidi, ed. Mediterranee, pag. 205). Agrippa tratta i
demoni malvagi più oltre, nello stesso libro. Curiosamente, è proprio Agrippa ad
offrirci una utile traccia per definire il carattere folklorico dei popoli elementali
paracelsani: "... Le leggende della Danimarca e della Norvegia riferiscono che in
quelle contrade v'hanno varie specie di demoni ai servigi degli uomini. Alcuni dei
demoni sono corporei e mortali e nascono e muoiono, quantunque vivano a
lungo...". (Agrippa, Op. Cit. pag 208). Paul Lacroix, citando A. Maury, annota:
"...In tutte le regioni settentrionali, le credenze relative agli elfi sono associate ad
altre relative ai nani, dice A. Maury. Le leggende su questi esseri singolari sono
assai numerose in Germania; esse ce li rappresentano come i geni della terra e
del sole...". (Paul Lacroix, Curiosités Infernales, Paris 1886, pgg. 249-250.
le Curiositées, senza trascurare le fate, dedicano un intero capitolo ai nani ed uno
agli elfi).
Bibliografia essenziale
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Cesare Della Riviera, Il Mondo magico de gli Heroi, a cura di J. Evola, s.l.
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Ferdinand Hoefer, Histoire de la chimie depuis les temps les plus reculés
jusqu'à notre époque, Paris, 1843.
Madame Robert, Les voyages de Milord Ceton dans les sept planettes, vol
XVII e XVIII dei Voyages imaginaires, songes, visions et romans
cabalistiques, Amsterdam 1888.