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Sophie Nezri-Dufour
A cura di
Maria Pia De Paulis, Viviana Agostini-Ouafi,
Sarah Amrani, Brigitte Le Gouez
ISBN 978-88-7667-822-6
7
François Rastier, Testimoniare contro il trauma. Primo Levi e lo stile sobrio
come impegno etico e politico » 131
8
Spunti per una conclusione e un’apertura » 335
Brigitte Le Gouez, L’ombra lunga del secolo breve. Dalle macerie dei traumi
alla costruzione di una memoria condivisa » 337
9
Sophie Nezri-Dufour
Nella sua presentazione del 1965 de La tregua, Primo Levi non esitava a evo-
care la soddisfazione e il piacere provati nel rielaborare letterariamente le sue
esperienze, anche difficili. La scrittura era diventata un’esperienza che desiderava
ormai ripetere. Apparente fonte di liberazione e di ottimismo, strumento di so-
pravvivenza e di ricreazione, essa sembrava recargli, almeno nei primi tempi, una
reale sensazione di libertà e di felicità:
L’esperienza dello scrivere, del creare dal nulla, del cercare e trovare la pa-
rola giusta, del fabbricare un periodo equilibrato ed espressivo era stata per
me troppo intensa e felice perché non desiderassi ritentare la prova. Avevo
ancora molte cose da narrare; non più cose tremende, fatali e necessarie, ma
avventure allegre e tristi, paesi sterminati e strani, imprese furfantesche dei
miei innumerevoli compagni di viaggio, il vortice multicolore e affascinante
dell’Europa del dopoguerra, ubriaca di libertà e insieme inquieta1.
1
Primo Levi, Presentazione, in Id., La tregua, Torino, Einaudi, 1965, pp. 9-10.
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2
Intervista realizzata da Pier Mario Paoletti, Sono un chimico, scrittore per caso, in Il Giorno,
7 agosto 1963.
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serie di situazioni dipendenti unicamente dalla sua fantasia e dai suoi fantasmi.
Dichiarava a questo proposito:
Scrivere di cose viste è più facile che inventare, e meno felice. È uno scrivere-
descrivere: hai una traccia, scavi nella memoria […], riordini i reperti […],
poi prendi una sorta di macchina fotografica mentale e scatti. […] Scrivere
un romanzo è diverso, è un superscrivere: non tocchi più terra, voli, con tutte
le emozioni, le paure e gli entusiasmi del pioniere in un biplano di tela […].
La prima sensazione, destinata a ridimensionarsi in seguito, è quella di una
libertà sconfinata, quasi licenziosa. […] Tutta la terra è tua, anzi, il cosmo; e
se il cosmo ti è stretto, te ne inventi un altro che faccia al caso tuo3.
Scrivendo Se non ora, quando?, Primo Levi aveva anche il desiderio di propor-
re personaggi ebrei all’opposto di quelli di Se questo è un uomo: partigiani ebrei in
lotta eroica contro il nemico tedesco, apparivano prima di tutto come personaggi
di epopea e non come le vittime di una realtà infernale e assurda, tremendamente
tragica.
In questo romanzo, l’immaginario presenta così un ideale di vita e un modello
di esistenza ebraica che l’autore avrebbe naturalmente preferito vivere: i suoi eroi
sono veri e propri “picaros” che, a differenza di lui, hanno potuto uscire da una
logica di morte e di esclusione legata alla loro identità, affrontando liberamente
il tempo e la Storia, resistendo al nemico nazista. Tramite la partenza e il viag-
gio, hanno simbolicamente vissuto un’esperienza difficile ma liberatrice: quella del
combattimento, della dignità e della libertà individuale.
Se non ora, quando? è dunque un romanzo che non permette, se non solo in
apparenza, a Primo Levi di riscattarsi da una realtà umana e personale troppo pe-
sante: quella dell’esclusione e della persecuzione; ma rinvia, contemporaneamente,
a un’esperienza che l’autore rimpiange implicitamente di non aver potuto vivere.
Primo Levi stesso aveva sentito in modo più o meno confuso di aver realizzato
un transfert psicologico e letterario sui suoi personaggi; evocando la figura centrale
del suo romanzo, Mendel, che appare sotto molti aspetti come un suo alter ego
romanzesco, aveva dichiarato: «Mendel è un sintomo di quello che si doveva fare
e che io stesso avrei fatto, ad averne avuto la capacità»4.
Così, come notato da Ettore Singer, l’immaginario in Primo Levi sembra sem-
pre legato a una realtà profondamente tragica. Giorgio Mario Bergamo pensava
da parte sua, basandosi appunto sul romanzo Se non ora, quando?, che l’opera di
Primo Levi, se sembra progredire verso un immaginario liberatorio, è in realtà la
3
Primo Levi, Scrivere un romanzo, in L’altrui mestiere, in Id., Opere, Torino, Einaudi, 1990,
III, pp. 741-742.
4
Intervista realizzata da Walter Mauro, Quel volto eroico dell’ebraismo, in Il Messaggero
Veneto, 12 settembre 1982.
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È ancora lui – l’alter ego romanzesco di Primo Levi – che ritroviamo in una
situazione insieme assurda e tragica che, simbolicamente, chiude il romanzo:
Mendel […] riuscì a vedere che il giornale, costituito da un solo foglio, porta-
va un titolo in corpo molto grande, di cui non capì il significato. Quel giornale
era del martedì 7 agosto 1945, e recava la notizia della prima bomba atomica
lanciata su Hiroshima9.
5
Ettore Singer, Parigi onora Primo Levi, in La Stampa, 17 gennaio 1988; Giorgio Mario
Bergamo, Se non ora, quando?, in Il Gazzettino, 11 maggio 1982.
6
Primo Levi, La tregua, in Id., Opere, Torino, Einaudi, 1987, I, pp. 226-230, pp. 422-423.
7
Id., Se non ora, quando?, in Id., Opere, Torino, Einaudi, 1988, II, pp. 189 e 484.
8
Ivi, p. 509.
9
Ivi, p. 514.
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10
Alberto Cavaglion, Primo Levi e Se questo è un uomo, Torino, Loescher, 1993, p. 8.
11
Jane Nystedt, Le opere di Primo Levi viste al computer. Osservazioni stilolinguistiche,
Stockholm, Almiqist & Wiksell International, 1993, p. 33.
12
Si citerà come esempio la parola «tedesco» che ricorre nell’opera in prosa dell’autore sette-
centosei volte; «ebreo» quattrocentoottantatré volte; «Lager» quattrocentocinquanta volte; «prigio-
niero» duecentocinquantanove volte; «morte» trecentosette volte; «Auschwitz» duecentodiciotto
volte; «strage» cinquantuno volte; «suicida/suicidio» ventitré volte. Ivi, pp. 39 e 70.
13
Ivi, p. 71.
14
Primo Levi, La chiave a stella, in Id., Opere, cit., II, p. 62.
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Se gli avessero chiesto quanti anni aveva, e se avesse voluto rispondere in pie-
na sincerità, come avrebbe dovuto rispondere? Ventotto anni sui documenti
[…], ma sulla schiena una montagna, più di Noè e di Matusalemme19.
Certe idee assillanti di Levi, nate senza alcun dubbio dalla sua esperienza della
deportazione, invadono così la sua opera. Si citerà come esempio una frase em-
blematica e ricorrente, che rispecchia l’inconscio tormentato dell’autore: «guerra
è sempre». Ne La tregua, è il personaggio del greco Mordo Nahum, la cui filosofia
pessimista segnò profondamente Levi, che non smette di ripetere che «guerra è
sempre», mentre la speranza nell’avvenire sembra rinascere presso gli altri super-
stiti. Egli non sembra credere in un avvenire migliore, ma piuttosto nella costanza
del male e della sofferenza:
15
Jane Nystedt, Le opere di Primo Levi viste al computer, cit., pp. 53, 66, 68.
16
Primo Levi, La tregua, cit., p. 421.
17
Id., Se non ora, quando?, cit., p. 205.
18
Ivi, p. 389.
19
Ivi, p. 212.
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La sua vita era stata di guerra, e considerava vile e cieco chi rifiutasse il suo
universo di ferro. Era venuto il Lager per entrambi: io lo avevo percepito
come un mostruoso stravolgimento, una anomalia laida della mia storia e del-
la storia del mondo; lui, come una triste conferma di cose notorie. «Guerra è
sempre», l’uomo è lupo all’uomo: vecchia storia20.
Questo universo di guerra e «di ferro», che ritroviamo anche ne Il sistema pe-
riodico («[Sandro], oscuramente, sentiva il bisogno di prepararsi (e di prepararmi)
a un avvenire di ferro»21), caratterizza ugualmente la visione che Levi ha dell’esi-
stenza. E in Se non ora, quando? Mendel ha lo stesso stato d’animo particolarmente
cupo, sorprendentemente di Mordo Nahum: «La guerra sarebbe durata sempre;
la morte, la caccia, la fuga non sarebbero finite mai; mai la neve avrebbe cessato di
cadere, mai sarebbe venuto giorno»22.
Anche il giovane partigiano polacco Edek, amaro e fortemente segnato dalla
guerra, fa lo stesso discorso in Se non ora, quando?, un discorso che riprende paro-
la per parola quello del Greco de La tregua: «La guerra non finirà mai. Da questa
guerra nascerà un’altra guerra, e sarà guerra sempre»23.
20
Primo Levi, La tregua, cit., p. 256.
21
Id., Il sistema periodico, in Id., Opere, cit., I, p. 469.
22
Id., Se non ora, quando?, cit., p. 277.
23
Ivi, p. 410.
24
Irving Howe, How to write about the Holocaust, in «The New York Review of Book», 28
marzo 1985, p. 9.
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Da anni Levi preparava quello studio storico (I sommersi e i salvati) che dove-
va proseguire il discorso interrotto quarant’anni prima. Già nel 1982, confidava a
Oreste del Buono:
[Scrivendo Se non ora, quando?] non era proprio una vacanza forzata, non
era un vuoto assoluto; in realtà avevo cominciato una serie di saggi sul Lager.
Un’analisi della mia esperienza dal punto di vista di quarant’anni dopo. Un
modo di riconsiderare la mia vita27.
25
Intervista realizzata da Luciano Genta, Così ho rivissuto “il processo” di Kafka, in Tuttolibri,
9 aprile 1983.
26
Primo Levi, I sommersi e i salvati, in Id., Opere, cit., I, pp. 663-664.
27
Intervista realizzata da Oreste del Buono, Questo ebreo me lo sono inventato io, in
«L’Europeo», 5 luglio 1982, p. 83.
28
Gabriella Poli-Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta. Incontri, interviste e con-
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[Ne I sommersi e i salvati] osservo con una grossa rete d’ingrandimento, per
così dire, alcuni temi già accennati in Se questo è un uomo. […] Sono passati
molti anni, non invano, e ho molto pensato su questo argomento: fa parte di
un certo mio modo di vivere riferirmi per tutte le mie esperienze posteriori a
quella mia esperienza fondamentale29.
Lo stesso anno, ispirandosi ai versi tratti da The Rime of the Ancient Mariner di
Coleridge che simbolicamente appaiono in epigrafe de I sommersi e i salvati30, Levi
evocava il persistere della sua angoscia nata dalla persecuzione:
«A un’ora incerta quell’agonia ritorna». Ogni tanto. Non è che io ci viva, den-
tro questo mondo. Altrimenti non avrei scritto La chiave a stella, non avrei
messo su famiglia, non farei tante cose che mi piacciono. Ma è vero che, ad
un’ora incerta, queste memorie ritornano. Sono un recidivo31.
Primo Levi sembrava non aver smesso di cercare una risposta e un placarsi alla sua
angoscia di individuo escluso e oppresso: «Se questo è un uomo è un libro di dimensio-
ni modeste», egli spiegava. «Ma come animale nomade, ormai da quarant’anni si lascia
dietro una traccia lunga e intricata»32. Il suo viaggio letterario non doveva dunque fini-
re con un nòstos liberatore e redentore, ma con un ritorno definitivo verso l’universo
concentrazionario. Il trauma di Auschwitz doveva così perdurare inesorabilmente:
versazioni con Primo Levi, Milano, Mursia, 1992. Nel progetto dell’autore, I sommersi e i salvati
doveva essere il titolo del suo primo libro. Ma Franco Antonicelli, suo primo editore, era stato
colpito dalla forza dell’espressione «se questo è un uomo» inserita nella poesia in epigrafe. Suggerì
così a Levi di modificare il titolo.
29
Intervista realizzata da Gianni Milani, Al chimico va stretta la memoria del Lager, in «Piemonte
Vip», marzo 1986, p. 19.
30
Primo Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 651: «Since then, at an uncertain hour,/ That
agony returns:/ And till my ghastly tale is told/ This heart within me burns», S.T. Coleridge, The
Rime of Ancient Mariner, vv. 582-585. Nel 1984, Primo Levi si era già ispirato a Coleridge intito-
lando la sua raccolta di poesie: Ad ora incerta («at an uncertain hour», in Id., Opere II, cit.). Questa
raccolta annunciava I sommersi e i salvati.
31
Giorgio Calcagno, Echi di una voce perduta, cit.
32
Primo Levi, I sommersi e i salvati, cit., p. 790.
33
Ivi, p. 444.
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