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Trtolo originale Le dimanche de Bouvines. 2 7 juil!et 1214
© 1973 Éditions Gallimard, Paris;

per l'Introduzione dell'Autore:© 1985 Éditions Gallimard, Paris;

per la Prefazione di Pierre Nora: © 2005 Éditions Gallimard, Paris

© 1977 e 2010 Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino


Traduzione di Giorgina Vivanti

Per la Prefazione di Pierre Nora e l'Introduzione dell'Autore


traduzione di Daniela Cereia

www.einaudi.it

ISBN 978-88-06·18332-5
Georges Duby
La domenica di Bouvines
27 luglio 1214

Prefazione di Pierre Nora

Piccola Biblioteca Einaudi


Storia
Indice

p. XI Prefazione. L 'altra battaglia di Bouvines di Pierre Nora (2005)


xxvn Introduzione dell'Autore all'edizione del r 985

La domenica di Bouvines

3 Il 27 luglio dell'anno r 214...


L'evento
I7 La messa in scena
44 La giornata
Commento
69 La pace
93 La guerra
136 La battaglia
!50 La vittoria
Leggenda
173 Nascita del mito
204 Rinascite

221 Cronologia
229 Bibliografia essenziale
235 Indice dei nomi
Elenco delle illustrazioni

1. Giostra di cavalieri, bassorilievo della cattedrale di Angouleme, IIJO circa.


(Foto Giraudon l The Bridgeman Art Library l Archivi Alinari).

2. Corona detta di san Luigi, 1260 circa.


Parigi, Musée du Louvre. {Foto RMNIMartine Beck-Coppolaldistr.Alinari).

3. Cavalieri che si affrontano, capitello di Brioude, metà XIII secolo, particolare.

4. Sigillo del re Luigi VII.


Parigi, Archives Nationales.

5· Horace Vernet, La battaglia di Bouvines, 1824


Versailles, Musée du Chateau. (Foto White Images l Scala, Firenze).

6. Sigillo di Raimondo di Tolosa, 1156-1222.


Parigi, Archives Nationales.

7. Guerriero che riceve l'orifiamm a dalle mani di san Dionigi, vetrata della catte­
drale di Chartres, particolare.
(Foto Giraudonl The Bridgeman Art Library l Archivi Alinari).

8. Scene di amore e di guerra, cassone per matrimonio, inizio del XIII secolo.
V annes, Tesoro della cattedrale.

9· Mischia tra Crociati e Saraceni a Darnietta, miniatura, tratta dalle Chroniquer di


Mathieu, Parigi, metà del XIII secolo.
Cambridge, Corpus Christi College.
Prefazione
L'altra battaglia di Bouvines
di Pierre Nora

Se si considera l'opera di Georges Duby nel suo insieme, La


domenica di Bouvines può sembrare una cosetta. Una faccen­
duola marginale, occasionale. L'esito di una proposta editoria­
le per una collana rivolta al grande pubblico, come ricorda l' au­
tore nella sua introduzione all'edizione tascabile. Invece, siamo
in molti a considerare questo libretto come il suo capolavoro,
un gioiello. Superiore perfino a Guglielmo il Maresciallo, per­
ché non è un libro ricalcato su un altro- il racconto di un ano­
nimo troviero -, bensi dedicato a un fondamentale evento
della storia nazionale, che Duby rivoluziona dall'interno e ri­
spetto al quale rinnova completamente l'approccio, con un en­
tusiasmo contagioso.
Il mio affetto può forse derivare anche dal fatto che mi sen­
to coinvolto nella nascita di questo libro, che ha molto contato
nel mio lavoro.
Nel 1960 Robert Gallimard aveva ereditato «Trenta gior­
nate che hanno fatto la Francia», dopo che Gérard Walter, l'i­
deatore della collana, era andato in pensione. Si rivolse del tut­
to naturalmente a me, lo storico appena entrato in casa editri­
ce, per trovare, in caso, l'autore adatto per quella giornata. È
cosi che si pose il problema di Bouvines.
Conoscevo Duby per la sua tesi su La Société aux Xi' et xrf
siècles dans la région mticonnaise1, che mi aveva riempito di en­
tusiasmo. Nei suoi confronti avevo anche un debito di ricono­
scenza personale per un capitolo della Civilisation française2 che,

1 Trad. i t. Una società francese nel Medioevo: lo. regione di Mticon nei secoli XI e xu, il Muli­
no, Bologna rg85 [N.d.T.].
2 Trad. it. Storia dello. civiltà francese, Mondadori, Milano I974 [N.d.T.].
xn Pierre Nora

una volta pubblicato, mi aveva permesso di strappare un buon


voto agli scritti dell'esame di agrégation su «Parigi sotto Filippo
Augusto». Di già Filippo Augusto! Duby spiccava su tutti gli
storici importanti per una cura dello stile cui ero sensibile. Era
stato uno dei primissimi ai quali avevo confidato, ad Aix-en-Pro­
vence, il mio progetto per una collana tascabile, «Archives», che
doveva iniziare con una raccolta di documenti commentati. Ave­
vo scoperto allora, accanto a una Andrée Duby vigile e lumino­
sa, un Georges traboccante di competenza che lavorava con en­
tusiasmo ai volumi di Skira sull'arte medievale. Uno di quegli
incontri che non si dimenticano mai pili. Ne era scaturito L'an
miP in attesa del Procès de Jeanne d'Are scritto con Andrée Duby'
e apparso nel 1973, lo stesso anno di Bouvines.
«Archives» fu per Duby un'esperienza importante, come
del resto ricordò molte volte lui stesso4• Fu in quella sede che
affrontò per la prima volta un pubblico piu vasto di quello dei
colleghi e degli allievi. Ma fu soprattutto in quell'occasione che
per Duby si instaurò un nuovo rapporto con il documento. «Fi­
no allora avevo chiesto ai documenti di insegnarmi la verità sui
fatti di cui avevano la missione di conservare il ricordo». Duby
cominciò a prestare una maggiore attenzione ai racconti, ad
ascoltarli per quello che erano. «Questi racc�nti mi insegnano
di piu e in primo luogo sul loro autore [. . . ]. E a lui che mi de­
dico, prendendo in considerazione per prima cosa ciò che le
sue parole rivelano della sua cultura personale, delle sue spe­
ranze, dei suoi timori, della maniera in cui pensa il mondo, in
cui pensa se stesso». Due elementi che sono stati determinan­
ti per Bouvines, se si pensa, da un lato alla tecnica quasi etno­
grafica del racconto della battaglia, l'ascolto di un testimone
oculare, Guglielmo il Bretone cappellano del re, come se fosse
il racconto di un indigeno. Dall'altro, si deve ricordare il pri­
mo dei motivi che Georges Duby aveva addotto per lanciarsi
nell'impresa: l'attrazione per una collana senza vincoli uni-

3 Trad. it. L'arma mille:staria religiosa e psicologia collettiva, Einaudi, Torino 1976 [N.d.T.].
4 In particolare in La storia continua, A. Mondadori, Milano 1992, pp. 97-98.
L'altra battaglia di Bouvines xm

versitari, largamente aperta, dove erano stati pubblicati scrit­


tori come Giano.
Il nerbo della questione, comunque, stava altrove.
In quel 1968 cosi agitato, l'anno in cui Duby annotò «Mi fu
proposto di scrivere... », c'era nell'aria qualcosa che sapeva di
avvenimento; e io stesso, poco dopo, ne avevo annunciato il «ri­
torno» in un articolo uscito lo stesso anno di Bouvines e ripre­
so in Faire de l'histoire5• Non si trattava dell'avvenimento tra­
dizionale della storia critica e positivista, ma di un avvenimen­
to di tipo nuovo, prodotto dai media, rivelatore immediato delle
lente evoluzioni che lo avevano provocato e punto di partenza
del successo che lo faceva durare nel tempo. A prima vista, per
uno storico come Duby, legato alle profondità di una storia len­
ta e di lunga durata, per il quale il problema fondamentale era
il primo grande decollo dell'Occidente prerinascimentale, Bou­
vines era un argomento privo del minimo interesse. Sul quale,
oltretutto, precisava Duby, «tutto è stato detto e ben detto».
Si aggiunga inoltre che si trattava di una collana che incarnava
sfacciatamente un genere di storia affatto estraneo, per non di­
re ostile, a quello di cui Duby, insieme ad altri, era un illustre
rappresentante. In breve, una tappa obbligata, la quinta delle
«Giornate», tra L'incoronazione di Carlomagno e Il rogo di Mont­
ségur, della quale non si potevano modificare né il quadro, né
la formula e neppure il titolo già annunciato. Decisamente ir­
resistibile, non c'è che dire.
Ma non era proprio la sfida a rendere la proposta allettan­
te? Si offriva l'insperata occasione di piantare la bandiera di
una storia che ancora non si chiamava «nuova», ma che già lo
era, sull'Annapurna della storia piu tradizionale. Di rinnovare
da cima a fondo l'approccio agli avvenimenti, e quali avveni­
menti! L'avvenimento tipo della storia avversata dalla scuola
delle Annales: una battaglia, e mica una qualunque, bensi una
delle date chiave della mitologia nazionale, tra Alesia e Valmy.

5 Tre volumi diretti da me e Jac ques Le Goff per fare il punto della disciplina in cambia­
mento.
XIV Pierre Nora

Ecco la posta in gioco. Bouvines, di per sé, non aveva piu la mi­
nima importanza, era un'immaginetta stereotipata e sempre piu
sbiadita nei manuali scolastici. Ma c'era un'altra battaglia da
vincere a Bouvines. Duby ha saputo fare di quel non-avveni­
mento un libro-avvenimento.

Molto probabilmente, oggi La domenica di Bouvines si legge


a livello della superficie, abbandonandosi al suo fascino, la­
sciandosi trasportare dall a seduzione della scrittura, senza va­
lutare né la rottura che provocò la sua pubblicazione, né il suo
colpo di stato metodologico.
Quest'ultimo consisteva nello scartare senza eccezione, co­
me elementi superflui, tutti i documenti, letterari o scientifici,
che si erano accumulati in sette secoli per attribuire la sua con­
sacrazione storica a quella vittoria tornando alla sua traccia ori­
ginale, il racconto che aveva fissato la battaglia, che l'aveva fat­
ta conoscere e quindi esistere. Una cronaca scritta subito dopo
i fatti dallo storiografo di Filippo Augusto, Guglielmo il Bre­
tone, che aveva seguito costantemente il re durante l'azione:
una sorta di versione ufficiale, di cui si può supporre che ogni
parola fosse stata ponderata. E che quindi permette di co­
gliere come si presentasse lo scontro bellico in Francia- alme­
no in quella del Nord - all'inizio del XIII secolo. Duby mette in
extenso sotto gli occhi del lettore questo testo in un adattamento
di Andrée Duby, che si era adoperata, ci ha tenuto a precisare
lo studioso, a conservarne il ritmo, perché, ha ricordato anco­
ra, era destinato a essere letto ad alta voce. Ne emergono tre
peculiarità, che noi cogliamo appena, ma il cui commento co­
stituisce la sostanza del libro.
La prima è che «la domenica di Bouvines» si svolge per l'ap­
punto di domenica. Giorno del Signore, tregua di Dio da un se­
colo, che gli attaccanti, con l'imperatore di Germania Ottone
di Brunswick alla loro testa, decidono di non rispettare. All'o­
rigine della battaglia sta dunque un sacrilegio che va punito. Un
momento solenne in cui il re, già vecchio, che aveva deciso di
L'altra battaglia di Bouvines xv

ritirarsi, comprende di non poter rifiutare lo scontro senza di­


sonore, indossa la sua armatura, entra nella vicina chiesa, da cui
esce in lacrime, e dispone in tre gruppi, in onore della Santa
Trinità, le sue squadre di cavalieri. Bouvines diventa subito un
dramma sacro, la lotta del Bene contro il Male.
Tanto piu che, seconda particolarità, il re e l'imperatore scen­
dono in campo in prima persona. Per lo piu noi immaginiamo
che i sovrani medievali si spendessero sempre personalmente.
Invece, si mettevano a rischio quando avevano deciso di porre
fine in modo definitivo a una guerra che si prolungava all'infi­
nito in operazioni di saccheggio, assedio, movimenti di truppe.
La battaglia era la decisione di mettere un punto fermo alla guer­
ra. Di affidare a Dio il giudizio definitivo, l' ordalia. Ed ecco
Duby usare questa formula d'urto: «La battaglia è la pace».
Il dato che colpisce, per finire, è la messe eccezionalmente
ricca di prigionieri di riguardo: almeno centotrenta cavalieri,
tra i quali undici conti, decine di cavalieri banderesi. In com­
penso, pochissimi morti, o meglio, morti che non contano in
quella società aristocratica, semplici fanti. Un solo cavaliere ca­
duto. Il fatto è che la guerra obbedisce a regole dalle quali la
tecnica, l'interesse, la struttura mentale, escludono la morte,
fatta eccezione per i re quando tentano il giudizio di Dio. Il 27
luglio I 2 I 4 Filippo Augusto e Ottone IV sono stati i soli com­
battenti d'alto rango che abbiano corso il rischio di essere uc­
cisi. Sono stati disarcionati dai loro cavalli, hanno sfiorato la
morte, le sono sfuggiti. Lo debbono alle loro armature piu ro­
buste di quelle di tutti gli altri combattenti.
Per spiegare Bouvines si deve dunque tornare indietro di al­
meno un secolo, al XII, e ripercorrere l'evoluzione della guerra
e della società. Si continua sempre a fare la guerra per il botti­
no, ma il bottino ormai è il ricco avversario. Ciò che fa e disfa
i patrimoni è l'altissimo riscatto che un cavaliere preso prigio­
niero deve pagare per sé e per il suo cavallo. Dunque, ciò che
trascina la nobiltà militare, ormai, è il denaro. E la cattura di
un nobile nemico è il mezzo migliore per procurarselo. Per met­
tere in atto questo sistema economico-militare ci sono due mez-
XVI Pierre Nora

zi: in primo luogo i progressi tecnici, che rafforzano le armatu­


re e rendono poco probabili i colpi mortali, lasciando ai fanti e
ai rustici quelle picche e quei forconi di ferro che «non fanno
onore» e infrangono le «regole del gioco» disarcionando dai lo­
ro cavalli i combattenti d'alto rango in modo da pugnalarli nei
punti privi di corazza; in secondo luogo il torneo che, al di fuo­
ri della guerra propriamente detta e alla quale prepara, ricopre
la stessa funzione di ridistribuzione del patrimonio. La parte­
cipazione di due re alza la posta in gioco e allo stesso tempo con­
ferisce alla battaglia il suo carattere religioso: la vittoria del re
di Francia rappresenta la sanzione temporale della verità spiri­
tuale di cui egli è custode.
Bouvines appare cosi come un microcosmo, una lente di ri­
frazione la cui minuziosa scomposizione permette di cogliere la
verità su un'intera società, un po' come Clifford Geertz, il gran­
de antropologo di Princeton, aveva dissezionato un anno pri­
ma il famoso combattimento dei galli a Bali6• In quell'apogeo
del regime feudale che è l'inizio del XIII secolo, la battaglia di
Bouvines si colloca all'epicentro di due evoluzioni di grande am­
piezza, che le conferiscono tutto il suo significato: da una par­
te lo sviluppo della produzione agricola, che fa dello sfrutta­
mento signorile il polmone economico del sistema; dall'altra, il
frazionamento del potere centrale che tesse tra i signori una re­
te piramidale di legami personali, di cui il re occupa il vertice
e che la vittoria di Bouvines consolida definitivamente. La
Chiesa, a sua volta riccamente dotata di signorie, dona all'in­
sieme coerenza e legittimità. In questo senso La domenica di
Bouvines è comprensibile soltanto in relazione all'altro libro
che Georges Duby Pl!bblicò lo stesso anno nella «Bibliothèque
des histoires», Guerriers et paysans \ col sottotitolo: Essai sur la
première croissance économique de l' Europe, ma anche con un

• C. Geertz, Deep play: notes on the balinese cockfight in The interpretation of eu/tures,
Selected Essays, Basic Books, New York 1973; trad. it Interpretazione di culture, il Mulino,
Bologna 2oo6.
7 Trad. it. Le origini dell'economia europea: guerrieri e contadini nel Medioevo, Laterza,
Bari 1983 [N.d.T.].
L'altra battaglia di Bouvines XVII

suo grande articolo in Faire de thistoire, Histoire sociale et idéo­


logie des sociétés che anticipava quello che, cinque anni dopo,
sarebbe stato Les Trois Ordres ou L' Imaginaire du féodalisme8•
La battaglia cessava quindi di essere l'avvenimento fondatore
per la nascita dello «spirito nazionale» e diventava l'espressio­
ne di una cultura, di una civiltà. E Filippo Augusto smetteva di
essere l'immaginario antenato del vincitore di Verdun per di­
ventare ciò che realmente fu: il nonno di san Luigi.

Se si vuole cogliere con precisione ancora maggiore l'origi­


nalità di Duby nell'affrontare la battaglia di Bouvines, è suffi­
ciente confrontarla con gli altri due modi classici di trattarla:
quello della storia romantica e nazionale sotto la monarchia di
Luglio - l'esempio migliore è la popolare Histoire de France
di Henri Martin, che ha fatto scuola a lungo insieme a quella di
Michelet -;e, nel r9or, quello di Achille Luchaire, il succes­
sore di Fustel de Coulanges alla Sorbona, nella Histoire de
France di Lavisse: «buona sintesi» al quale Duby rinvia una vol­
ta per tutte e che gli permette di dire che «tutto dunque è sta­
to detto e ben detto sullo svolgimento della battaglia e sulla re­
te di intrighi, di cui essa è nel medesimo tempo conclusione e
inizio». Si hanno cosi, in sezione, le tre tappe piu significative
della trattazione storica di Bouvines: narrativa, critica e antro­
pologica. Che cos'è che le distingue?
Georges Duby, battitore libero delle Anna/es, ritrova di fat­
to, oltre alla storia critica e positivista, l'ispirazione della sto­
ria romantica, per la quale la migliore delle storie sarebbe sta­
ta il ritorno agli antichi cronisti, le cui «deposizioni. ingenue»
sarebbero state in qualche modo, secondo Augustin Thierry,
«la rappresentazione immediata di quel passato che ha prodot­
to noi, le nostre abitudini, i nostri costumi e le nostre civiltà»9•

8 Trad. i t. Lo :;pecchi o del /eudnlesimo. Sacerdoti, guerrieri e wvoratori, Laterza, Bari 1998
[N.d.T].
9 Augustin Thierry, abbozzo per un progetto della Histoire de France citato da Louis Hal­
phen, L' Histoire en France depuis cent am, A. Colin, Parigi 1914, p. 52.
xvm Pierre Nora

Henri Martin presenta quindi con onestà le tre cronache prin­


cipali: la cronaca detta di Reims, scritta cinquant'anni dopo
l'avvenimento, e le due versioni di Guglielmo il Bretone, la Phi­
lippide, tardiva e in versi, e la cronaca in prosa che, al pari di
Georges Duby, Martin preferisce. Ma dopo aver fatto la sua
scelta si accontenta in linea di massima di ricopiare, citare o pa­
rafrasare il cappellano del re, «felice- dice- di celebrare la bat­
taglia come un bardo della Francia antica»10• Celebrare: la pa­
rola decisiva gli è sfuggita.
Anche Duby ritorna alla famosa cronaca in uno sforzo di av­
vicinamento e di contatto immediato, ma l'atteggiamento, l'in­
tento e il risultato sono completamente diversi. Il primo entra:
nel testo per estrarne la magia, l'altro l'oggettività per meglio
rivelarne la distanza e l'estraneità. Il primo elimina con un col­
po di bacchetta l'intervallo che ci separa dal XIII secolo. Il se­
condo si adopera al contrario a valorizzare la sua incolmabile
lontananza, come per farci scoprire meglio la nostra identità
contemporanea di fronte allo specchio della differenza.
Ben diversa è la versione di Luchaire. A suo modo e suo mal­
grado celebrativa, perché in quell'apogeo dell'età delle nazioni
e per quella storia essenzialmente politica e militare della Fran­
cia, Bouvines era una data chiave che veicolava un pesante far­
dello di leggendario e di immaginario patriottico. E tuttavia è
insuperabile per densità di informazioni e maestria critica. Lo
storico infatti, sottolinea Duby, non aveva trascurato nessun
documento, alcun confronto e verifica possibile per stabilire a
mo' di «giudice istruttore», secondo la formula di Ranke, «co­
s'era davvero accaduto» in quella piana delle Fiandre tra Lille
e Tournai il 2 7 luglio I 2 I 4 tra le dodici e le cinque del pome­
riggio; e per ricostruire la giornata nel concatenarsi delle sue
«cause» e delle sue «conseguenze». La corrispondenza tra il fat­
to e il significato è di una perfezione impressionante: precisare
l'uno significa rivelare l'altro. A un'impresa del genere non va
aggiunto nulla se non qualche minuta rettifica. Un lavoro defi-

10
Henri Martin, Histoi:n? de France, t. IV, Furne, Parigi r 844, pp. 78-87.
L'altra battaglia di Bouvines XIX

nitivo che però, come ben spiega Duby, porta a un risultato il­
lusorio e praticamente inutile. Illusorio perché neppure la rico­
struzione piu esatta potrà mai far rivivere nel suo insieme quel
«parapiglia», quel «turbinio di mille azioni concatenate». Inu­
tile, o quasi, perché per uno storico inserire dall'esterno l'av­
venimento in una storia continua della formazione nazionale e
in un momento cosi particolare della situazione della nazione,
significa cadere inconsapevolmente vittima del piu grave tra­
bocchetto in cui si possa cadere: l'anacronismo.
Il solo modo per entrare nello sp irito dell'epoca e per far
parlare l'avvenimento stesso dall'interno è quindi, da un lato,
ricostruire l'ambiente culturale in cui sono nate quelle testi­
monianze, «portatrici di parole vere», distillandone al con­
tempo un'etnologia della guerra. Soltanto da questa operazio­
ne può riemergere l'immagine del fatto vissuto. E il successo
dell'operazione poggia per intero su un talento schiettamente
letterario.
Ancora una volta Duby recupera l'istanza artistica, la preci­
sione dell'eloquio, la ricerca stilistica che erano gli obiettivi dei
grandi romantici. Non per eleganza decorativa, ma come con­
dizione primaria e indispensabile di riuscita. Sul piano scienti­
fico Duby non ha piu nulla da dimostrare; da tre anni è al Col­
lège de France, all'apice della sua carriera universitaria. Può
sbocciare, abbandonarsi a un certo lirismo naturale, gutturale
e teso. Per la prima volta gli è stata offerta l'occasione di libe­
rarsi, di emanciparsi. «Mi rivedo a ogni tappa di questo lavoro
in un costante entusiasmo. Mi sembra di avere scritto questo
libro con maggior piacere di qualsiasi altro, e credo che si sen­
ta»11. Si, che si sente.
Scrivendo queste righe mi coglie un dubbio. Ho riletto con
attenzione il capitolo di Achille Luchaire e mi sono accorto che
Duby non ne cita neppure il nome, accontentandosi di rinvia­
re «alle pagine r66-2o2 del tomo III della grande Histoire de
France diretta da Lavisse». Questa quarantina di pagine è sem-

11
G. Duby, La storia continua cit., p. r ro.
xx Pierre Nora

plicemente magistrale. La domenica di Bouvines le rende forse


superate? Il successo del libro, al di là dello scrupoloso rinvio,
non privo di superbia, non rischia forse di farle dimenticare,
trascurare? E invece, se si vuole davvero sapere chi fossero que­
gli strani personaggi- Rinaldo di Dammartin, il conte Ferran­
do - e i loro motivi di contrapposizione; se si vuole sciogliere il
nodo di complicati intrighi, il mobile gioco dei tradimenti e del­
le fedeltà, il rapporto di forze a geometria variabile che alla fi­
ne spinsero il re di Francia ad accettare la battaglia; se si vuole
seguire la tattica dello scontro, piu complessa di quanto non
sembri; se si vuole capire le ragioni dell'espansione del dominio
regio consentito dalla vittoria e la partita su scala europea di cùi
questa giornata ha di botto deciso la sorte; in breve, se si vuo­
le misurare appieno quello che sette secoli dopo ha consentito
a uno studioso di tutto rispetto di concludere che «la battaglia
di Bouvines è il primo avvenimento nazionale della nostra sto­
ria, il preludio di questa unità morale e materiale che i re del
x:rn secolo erano stati chiamati a realizzare», allora si deve con­

cordare che il ricorso a Luchaire resta indispensabile. O meglio:


in realtà non si può apprezzare pienamente la versione di Duby
senza avere una conoscenza preliminare di quella di Luchaire,
per lo meno nella forma ridotta che ci proponevano i manuali
di una volta.
Questo dubbio porta lontano, ne sono consapevole, ed è pro­
prio per questo che lo formulo. Pone, al di là di questo caso pre­
ciso e circoscritto ma esemplare, la questione di sapere, eterno
rompicapo, cosa si guadagna e cosa si perde - specie a livello
dell'insegnamento primario e secondario - a calarsi diretta­
mente nell'approccio della nuova storia senza le informazioni
di base e i riferimenti della storia classica e tradizionale.

Oltre a restituire la battaglia alla sua realtà temporale, Geor­


ges Duby ha aggiunto una storia del ricordo, che, sebbene bre­
ve e rapida, ha non di meno contribuito alla novità del libro.
Anzitutto in quell'antichissimo metodo di circolazione delle no-
L'altra battaglia di Bouvines XXI

tizie ci sono i primi echi della battaglia, la loro area e il loro rit­
mo di diffusione; poi ci sono le deformazioni del ricordo, la co­
struzione del mito e i suoi successivi ritocchi, fino alla fine del
xm secolo, quando l'episodio diventa il tema principale del pa­
negirico di Filippo Augusto. C'è infine e soprattutto, il recu­
pero del ricordo dall'oblio nel corso dei secoli con tre momen­
ti salienti: nel xvn secolo, quando la monarchia, diventata as­
soluta, ha bisogno di una leggenda; sotto la monarchia di Luglio
quando, volendo Luigi XVIII esaltare l'unione della monarchia
e della nazione, Bouvines si trasforma in mito popolare; con la
III Repubblica e nel clima della Revanche, perché Bouvines ap­
pariva, dopo la sconfitta, come una vittoria francese sulla Ger­
marua.
Tutta l'abilità di Duby è stata quella di fondere i due ele­
menti dell'operazione, che sapeva ben distinti, nell'unità di un
modo di procedere unico. Era naturale che alla storia di ciò che
aveva reso la battaglia possibile si sovrapponesse la storia di ciò
che l'aveva resa memorabile. La sutura è perfettamente invisi­
bile. Ma le due fasi della dimostrazione derivano dallo stesso ti­
po di storia? La prima appartiene alla storia antropologica, al­
l' epoca nuova, e serviva a quella storia delle mentalità di cui
Duby è stato uno dei grandi teoriciu. L'altra deriva, aurorale e
timida, da una storia della memoria. Duby vi si avventura con
prudenza- «si tratterebbe da parte mia solo di un abbozzo, an­
zi di una proposta di ricerca>> . Ma il risultato c'è: la combina­
zione spontanea dei due tipi di approccio su un avvenimento
fondamentale della tradizione nazionale ha fatto della Dome­
nica di Bouvines l'anticipo del «luogo della memoria»-. In ogni
caso io l'ho letto cosi ed è cosi che, in parte, mi ha ispirato.
Certo all'epoca non si era ancora a quel punto. Nondimeno
La domenica di Bouvines, con il suo nuovo metodo di scrivere
la storia, rappresenta la piu straordinaria evidenza del nuovo
rapporto con il passato che andava allora formandosi: il pas-

u Histoire des mentalités, in Charles Samaran (a cura di), L 'Histoire et ses méthodes, Gal­
limard, Enciclopedia della Pléiade, Parigi r96r, pp. 937-65.
XXII Pierre Nora

saggio da una coscienza storica nazionale a una consapevolez­


za della memoria. Ed.è proprio quest'ultima parte che mostra
chiaramente lo slittamento. Essa non ha nulla dell'appendice
né di un epilogo; ma è al contrario proprio quel che cambia
completamente la natura della battaglia e ne modifica il ruolo
e lo statuto nel nostro immaginario collettivo. Svelando con
precisione come l'avvenimento si sia progressivamente forma­
to per diventare uno degli apogei della mitologia nazionale,
Duby lo scalza pacificamente da tale immagine per trasformarlo
in tutt'altro: non piu punto di passaggio obbligato del grande
racconto degli eventi che arriva fino a noi, non piu l'anello di
una tradizione della quale noi saremmo ancora i portatori, ben'­
si un episodio tanto piu vicino quanto piu ne siamo lontani,
tanto piu presente quanto piu ne siamo tagliati fuori per sem­
pre. Ecco il segreto che gli restituisce la gioventu, la freschez­
za e l'interesse.
Quest'ultima parte rappresenta infatti un rivolgimento in
profondità della tradizione storica e nazionale cosi com'era sta­
ta trasmessa e insegnata fino agli anni Sessanta e allora in pie­
na trasformazione. Altre opere lo hanno dimostrato e proprio
-guarda caso- i best-sellers della nuova storia: il Louis XN et
vingt millions de Français di Pierre Goubert, il primo ad avere
conosciuto il successo di pubblico nel r966; e, due anni dopo
Bouvines, il Montaillou, village occitan13, di Emmanuel Le Roy
Ladurie. Argomenti diversi, autori diversi, epoche diverse, ta­
lenti diversi. Ma tiro concentrato sul medesimo bersaglio e iden­
tico meccanismo nel successo. In tutti e tre i casi, il décalage ri­
spetto alla storia nazionale tradizionale è il medesimo: il rove­
scio del Gran Secolo, il sovvertimento interno dell'argomento,
l'altrove della corte del re4•
Eppure, rispetto agli altri due libri, secondo me Bouvines ha

1
1 Trad. it. StorùJ di un paese:Montaillou :un villaggio occitano durante l'inquisizione, I 294·

IJ24, Rizzoli, Milano 1991 [N.d.T.].


14 Lo stesso fenomeno si ripeterà venr' anni dopo, con il San Luigi di Jacques Le Goff. "È

esistito san Luigi?», visto che, spiega l'aurore, il personaggio non è altro che il modello stori­
co al quale il re santo avrebbe voluto adeguarsi (Einaudi, Torino 1999).
L'altra battaglia di Bouvines XXIII

un'importanza anticipatrice e un valore di modello, relativi al


riunirsi, in quest'opera di insu perabile eleganza, di tre elemen­
ti, che la collocano immediatamente nell'indimenticabile. Il pri­
mo è lo spostamento dell'asse della vicenda - dai fatti alle pa­
role che li esprimono, dall'avvenimento alle peripezie della sua
costruzione - o in altre parole la sua dimensione storiografica.
Il secondo è la concentrazione di un grande episodio storico in
un'unità temporale limitata, un'unica giornata. Infine e so­
prattutto, il fatto che si tratti del Medioevo, che in quegli an­
ni, fra le mani di una brillante pletora di storici di grande va­
lore, stava subendo una profonda trasformazione d'immagine,
equidistante dalla sua leggenda nera come dalla sua leggenda
aurea: un ritorno alla sua realtà dura, primitiva, selvaggia, piu
favorevole alle proiezioni dell'immaginario che al senso di ap­
partenenza e di filiazione5•
E estremamente significativo che La domenica di Bouvines
sia stata oggetto, qualche anno dopo, di un progetto di traspo­
sizione cinematografica su una sceneggiatura di Serge July. In­
credibile confronto tra il colto professore del Collège de France
e il giornalista, piu sensibile alla piu immediata attualità 16• Per
lo storico, è l'occasione di toccare con mano i tre insormonta­
bili ostacoli sui quali si arena qualunque tentativo di film sto­
rico: l'esattezza dell'ambientazione, dei gesti e del linguaggio.
Di che colore dipingere le statue a colonna del portico delle chie­
se? Come montava a cavallo, come p regava, come si avvicina­
va a una donna Filippo Augusto, che doveva essere interpreta­
to da Gérard Depardieu? Che differenza di tono e di vocabo­
lario c'era tra chierici, cavalieri, villani? Dal canto suo, in
quell'occasione il professionista del racconto giornalistico sco­
pre, «con un fascino abbagliante» quella che per lui è la «sba-

15 Jacques Le Goff aveva presentato un primo quadro generale ne La civiltà dell' Occiden­
te medievale, Einaudi, Torino 1983.
16
Si veda Georges Duby, L' historien devant le cinéma, e Serge July, Le cinéma en quete
d'histoire, le scénario de Bouvines, in «Le Débat», n. 30, maggio 1984. Il progetto era nato nel
1982, per iniziativa dei produttori Evelyne Haas e François Ruggieri. Georges Duby ha col­
laborato a tutte le fasi della progettazione, la realizzazione avrebbe dovuto essere affidata a
Mikl6s Jancs6. Il piano finanziario fu rimesso in discussione nell'autunno del 1983.
XXIV Pierre Nora

lorditiva modernità del Medioevo», cosi. com'è riproposta da


Duby, un'ampia prospettiva. Sfida reciproca, incontro esplosi­
vo e straordinariamente istruttivo per noi: dimostra fino a che
punto con La domenica di Bouvines l'immaginario medievale col­
pisca al cuore gli anni Ottanta.

Con Bouvines compare anche in Duby il famoso «io» che in­


vade la sua prosa al punto da infastidire qualcuno. Una vera ri­
voluzione: lo storico che si celava dietro il suo argomento, si
barricava dietro le sue schede, si nascondeva dietro la sua ope­
ra, torna in prima linea. «La messa in scena»: è il titolo del pri­
mo capitolo di questo libro. Può apparire simbolico e metafo­
rico; un intero programma. Lo storico diventa il centro e il ga­
rante dell'operazione storiografica, il prestigiatore che con la
sua scienza magica fa uscire dal cappello l'uccello di Minerva
dell'intelligenza storica. «Da qualche tempo- ammetterà Duby
-uso sempre piu la parola "io" nei miei libri»17•
Questo «io» ha molti significati. Per Duby era un modo di
avvisare il lettore che non pretendeva di trasmettere la verità,
bensi di suggerire il probabile. Un'assunzione di responsabilità.
In fondo, una dichiarazione di modestia. Ma quell'adottata sog­
gettività è anche un'affermazione di sovranità, un «io» di mae­
stà. Ce ne accorgiamo sempre meglio sulla distanza: è Bouvines
a trasformare di colpo Duby nell'incarnazione dello storico nuo­
va maniera. Un ruolo che gli andava a pennello, l'icona della
.storiografia universitaria nell'era dei media.
Georges Duby attribuiva questa metamorfosi all'improvvi­
so aumento del pubblico della buona storia, all'apertura dell'e­
ditoria alla storia seria e di qualità, al dominio degli storici pro­
fessionali su un mercato occupato fino a quel momento da di­
lettanti. Duby diventa lo storico piu richiesto: dalla televisione,
dalla Repubblica, dagli editori. «Nel 1968 mi fu proposto di
scrivere . » Forse è vero che tutto iniziò da li., con La domeni-
. .

17 G. Duby, La storia continua cit., pp. 99·roo.


L'altra battaglia di Bouvines xxv

ca di Bouvines. Mi piace crederlo, perché mi autorizza, dopo es­


serne stato il committente trentasette anni fa, a diventarne il
prefatore adesso che Georges Duby è scomparso.

PIERRE NORA

dell' Académie française


Introduzione dell'Autore all'edizione del 1985

Nel 1968 mi fu proposto di scrivere per la collana fondata


da Gérard W alter «Trenta giornate che hanno fatto la Francia»
un libro dedicato a una di quelle giornate memorabili: il 2 7 lu­
glio 1214. Quella domenica nella piana di Bouvines il re di Fran­
cia Filippo Augusto, suo malgrado, aveva affrontato la temibi­
le coalizione dell'imperatore Ottone, del conte di Fiandra Fer­
rando e del conte di Borgogna Rinaldo; grazie a Dio, era rimasto
il solo padrone del campo. L'imperatore era fuggito, i due con­
ti ribelli presi prigionieri. Come è stato detto e ripetuto, una
vittoria fondamentale: le basi della monarchia francese ne fu­
rono decisamente rafforzate. Una battaglia. Un avvenimento.
Specifico. Altisonante.
Accettai. I miei amici, storici che come me si dichiaravano
seguaci di Mare Bloch e di Lucien Febvre, si stupirono. La sto­
ria che facevano loro e che avevo fatto anch'io fino ad allora,
quella che piu tardi sarebbe stata detta abusivamente <<nuova»
(dico abusivamente perché la maggior parte delle domande che
eravamo cosi fieri di formulare, i nostri predecessori le aveva­
no già poste nel secondo terzo del XIX secolo, prima che la cap­
pa del positivismo le appesantisse), respingeva infatti a margi­
ne l'evenemenziale, ripudiava il racconto; al contrario si dedi­
cava a porre, a risolvere problemi e, trascurando le agitazioni
di superficie, intendeva osservare nella lunga e media durata
l'evoluzione dell'economia, della società e della cultura. Avevo
dovuto spiegare che cosa mi aveva convinto. Già sei anni pri­
ma un incarico di Albert Skira mi aveva offerto la possibilità di
rivolgermi a persone diverse dai miei colleghi e dai miei allievi,
XXVIII Introduzione dell'Autore all'edizione del 1985

di uscire dalla bottega, di trattare questioni altrettanto diffici­


li e senza nessuna compiacenza, ma su un altro registro, piu li­
bero. Avevo preso gusto a quella libertà. Ecco che di nuovo mi
si permetteva di pubblicare le mie riflessioni, di esporre il ri­
sultato delle mie ricerche senza essere costretto di fare sfoggio
delle mie referenze in erudite note a piè di pagina;ecco che po­
tevo abbandonarmi alla soddisfazione di scrivere a modo mio,
senza impedimenti. Perché la collana dove ero stato accolto era
aperta, e anche molto. Avevo assaporato la Pavia di Giono: do­
po quel libro, che cosa non ci si poteva permettere? Questo fu
il primo motivo della mia scelta: il richiamo del piacere.
Insisterò piu a lungo sul secondo motivo. Sfruttare l'avvè­
nimento cominciava anche a sembrarmi non soltanto possibile,
non solo utile, ma decisamente necessario per arrivare fino a
quei movimenti oscuri che fanno lentamente spostare nel.cor­
so delle epoche il fondamento di una cultura. Di estrarne la par­
te migliore trattandola in un certo modo. Certo, continuo a pen­
sare come Fernand Braudel (intervistato nel numero di «Le
Monde)> del I4 dicembre 1979) che il semplice «fatto di cro­
naca», che non ha niente di straordinario e che si riproduce sen­
za rumore, «può essere l'indicatore di una realtà lunga e tal­
volta, meravigliosamente, di una struttura», e che di conse­
guenza è importante seguirlo. Ma penso anche, e lo pensavo già
prima, che è proprio perché fa scalpore, perché è «ingrandito
dalle impressioni dei testimoni, dalle illusioni degli storici», per­
ché se ne parla a lungo, perché la sua irruzione fa sgorgare fiu­
mi di parole, che l'avvenimento sensazionale acquista il suo ine­
stimabile valore. Perché, di colpo, fa luce. Per i suoi echi di ri­
sonanza, per tutto ciò che la sua esplosione fa risalire dalle
profondità del non detto, perché rivela allo storico delle laten­
ze. Per il fatto stesso che è eccezionale, l'avvenimento porta
con sé e fa emergere, nel mare di parole che sprigiona, tracce
che, senza quella retata, sarebbero rimaste nell'oscurità, im­
percettibili, le tracce dell'assolutamente banale, di ciò di cui si
parla di rado nel vivere quotidiano e di cui non si scrive mai.
Ebbene, di Bouvines si cominciò a parlare abbondantemen-
Introduzione dell'Autore all'edizione del 1985 XXIX

te la sera stessa e non si è mai smesso. Intorno al fatto si sono


accumulate le testimonianze. Ricche, diverse e fino ad allora
soltanto in parte indagate. Vistosamente, sulle cause e le con­
seguenze della battaglia si era detto tutto. Da piu di cin­
quant'anni ricercatori acuti, usi ai piu raffinati metodi di inda­
gine avevano dipanato il nodo di intrighi che si sciolse il 27lu­
glio 1214 e seguito con attenzione, fino ai piu remoti echi, le
ampie ripercussioni politiche della vicenda. Il lavoro preceden­
te mi agevolava comunque: potevo rimandare senza scrupoli il
lettore a quelle eccellenti analisi. Il materiale era tutto là. Io
l'ho ripreso, specie le relazioni sull'avvenimento che furono
scritte a caldo, e poi in seguito, nel corso del tempo, in vista di
una ricerca di orientamento diverso e che si è sviluppata su tre
livelli.
In primo luogo - era il periodo in cui la lettura assidua degli
antropologi mi portava a rivedere il mio modo di porre domande
e ad affrontare con trami ti differenti lo studio della società feu­
dale - ho tentato una sorta di etnografia della pratica militare
all'inizio del xm secolo: mi sono avvicinato ai guerrieri di Bou­
vines come a una popolazione esotica, annotandone l'estraneità
e la singolarità dei gesti, delle grida, delle passioni, delle visio­
ni che li sbalordivano. In parallelo, collocare la battaglia in rap­
porto alla guerra, alla tregua, alla pace, mi è sembrato un mez­
zo per circoscrivere con maggior esattezza il campo di quello
che noi chiamiamo il politico e di vedere meglio come il sacro
a quell'epoca si mescolasse inestricabilmente al profano. Infi­
ne, ho cercato di cogliere la creazione e il disfacimento di un
evento che, in fin dei conti, esiste solo attraverso ciò che di es­
so si dice, in quanto viene letteralmente costruito da coloro che
ne diffondono la fama; ho di conseguenza abbozzato la storia
del ricordo di Bouvines, della sua progressiva formazione at­
traverso il gioco, ben di rado innocente, della memoria e del­
l'oblio.
Le tracce superstiti di quella vecchia storia si sono rivelate
ancora piu ricche di quanto sperassi. L'ho potuto verificare di
recente, quando mi ci sono di nuovo imbattuto. Poiché sem-
xxx Introduzione dell'Autore all'edizione del 1985

brava che intorno alla battaglia si potesse costruire uno splen­


dido film, ho riletto insieme con Serge July - nuovo piacere­
i testi dell'epoca. Stupito dalla loro freschezza, rapito, mentre
scoprivo aspetti che sedici anni prima mi erano sfuggiti. Sotto­
ponendo quei testi a nuove domande, avventurandomi piu lon­
tano, cozzando, ahimè, contro l'inattingibile. Ed è un po' per
questo, nel tentativo di sapere di piu sui metodi usati dai cava­
lieri per disarcionare i loro avversari, per chiedere loro un ri­
scatto e per dissipare durante la festa i profitti del loro corag­
gio, che ho ripreso la storia di un uomo, Guglielmo, marescial­
lo d'Inghilterra, che non era a Bouvines e che non se ne fece
.
mai una ragiOne.
.

GEORGES DUBY
LA DOMENICA DI BOUVINES
n 27luglio dell'anno I2I4 cadeva di domenica. La domenim
è il giorno del Signore e gliela si deve·tutta intera. Ho conosciuto
dei contadini che un poco ancora tremavano quando il cattivo
tempo li obbligava a mietere di domenica: setltivano su di sé la
collera del cielo. I parrocchiani del xnr secolo la sentivano molto
piu minacciosa e il prete della loro chiesa non soltanto proibiva in
quel giorno il lavoro manuale, ma cercava altresi di convincerli a
purifi.carsi integralmente per tutta la durata della domenica, di te­
nerli lontani in tal giorno da tre cose indegne: dal denaro, dal ses­
so e dallo spargimento di sangue. Per questo motivo a quel tempo
di domenica nessuno maneggiava volentieri le monete, e per lo
stesso motivo i mariti evitavano, se erano religiosi, di avvicinarsi
troppo alle mogli, e gli uomini d'arme, di brandir la spada. Orbe­
ne, la domenica 27luglio 1214, migliaia di guerrieri trasgredire�
no il divieto. Si batterono, e furiosamente, presso il ponte di Bou­
vines, in Fiandra. Li guidavano dei re, quello di Germania e quel­
lo di Francia. Incaricati da Dio di mantenere l'ordine del mondo,
consacrati dai vescovi, mezzo sacerdoti essi stessi, piu di chiun­
que altro avrebbero dovuto rispettare le prescrizioni della Chie­
sa. Osarono nondimeno affrontarsi in quel giorno, chiamare alle
armi i loro compagni, ingaggiare un combattimento, e non una
semplice scaramuccia, ma una vera battaglia. Era; inoltre, la pri­
ma battaglia che un re di Francia osava ingaggiare da piu di un se­
colo. Irriine, la vittoria che Dio concesse a coloro che amava fu
strepitosa, piu di ogni altra di cui ci si ricordasse. Un trionfo de­
gno di Cesare o dell'imperatore Carlo delle canzoni. Per tutti que­
sti motivi i campi mietuti a metà di Bouvines furono quel giorno
4 La domenica di Bouvincs

teatro di un fatto memorabile. Gli eventi sono come la schiuma


della storia, bolle grosse o piccole che si spaccano in superficie, e
scoppiando suscitano turbiniche si propagano piu o meno lonta­
no. Questo evento ha lasciato tracce molto durature, che neppure
oggi sono del tutto scomparse. Soltanto queste tracce gli dànno
vita, e senza di esse l'avvenimento non è nulla: di esse quindi
questo libro intende essenzialmente parlare.
Vi sono due specie di tracce. Le une diffuse, mobili, innume­
revoli, risiedono chiare o confuse, stabili o fugaci, nella memoria
degli uomini del nostro tempo. Il ricordo di Bouvines non è anda­
to completamente perduto perché fu tenuto vivo, conservato con
cura. Rivedo una figura del mio primo libro di storia: una speçie
di grosso scarabeo, con fiori di giglio dipinti sulle elitre, che si di­
batteva al suolo, la testa rinchiusa in una scatola di ferro, semim­
prigionato da un cavallo riverso, e da tutti i lati minacciato da
punte e uncini. Mi spiegavano che era il re di Francia e che, nono­
stante tutto, avrebbe vinto. Quest'immagine la poterono vedere
tutti i Francesi della mia età, quando avevano otto o dieci anni, e
anche tutti coloro che furono scolari nei primi quarant'anni del
xx secolo e nell'ultimo quarto del XIX. In precedenza la parola
Bouvines non aveva mai cessato di risuonare nei quartieri dei
cavalleggeri, nei bivacchi della Grande Armata: era emblema
di squadroni, parola d'ordine sussurrata dalle sentinelle, nome di
vittoria che si inseriva, di generazione in generazione, fra Tolbiac
e Marignano, in una lunga litania propiziatoria, esaltante, rassicu­
rante, consolante. L'eco di queste fanfare patriottiche non si è an­
cora spento. Era ritornato piu vivo quando si fissò il piano di una
collana dove, fra le «trenta giornate che hanno fatto la Francia»,
figura, unico avvenimento militare fortunato con Poitiers, la «do­
menica di Bouvines». Delle tracce attuali, estremamente tenui,
ma che si integrano nella rappresentazione di un passato colletti­
vo, sarebbe allettante redigere l'inventario, misurare, ai diversi
livelli di una cultura, il vigore, la precisione e le risonanze affetti­
ve. Una tale indagine servirebbe di preparazione allo studio ap­
passionante di una coscienza della storia, ma richiede metodi e
strumenti che non mi sono familiari. Io, come storico, mi occupo
Il27 luglio dell'anno I2I4··· 5

delle altre tracce, quelle del secondo genere, quelle che noi chia­
miamo documenti.
Anch'esse presenti e attuali, ma di una attualità, di una presen­
za materiale, e per conseguenza tangibili, delimitabili, misurabili.
Tuttavia morte: sono le stratifìcazioni del ricordo. Esse costitui­
scono la base, solida ancora sebbene qua e là assai corrosa, piena
di crepe, di sfaldature, di frane, sulle quali poggiano le altre trac­
ce, quelle che vivono nelle memorie. Un repertorio, una miniera,
un vivaio. Una riserva di materiali il cui numero è definito e non
ha piu ormai alcuna probabilità di aumentare. In realtà il lavoro
degli eruditi è terminato. Pazientemente, essi hanno a poco a po­
co reperito tutte queste vestigia; le hanno raccolte, spolverate,
imbalsamate, catalogate, etichettate, ordinate, affinché, rendendo
imperitura testimonianza, fossero come il cenotafio dell'evento.
Sono tutte consùnte, rinsecchite, sdrucite, logore. Alcune sono
poco leggibili, su altre si vede ancora l'impronta originale, molte
altre non mostrano che i segni di una traccia ormai scomparsa. Per
esempio: nell'anno 1 2 1 4 si costrui, nella cinta della città di Ar­
ras, la porta di San Nicola. Per almeno quattro secoli, la gente che
varcava questa porta poteva decifrarvi due iscrizioni. L'una, volta
verso l'esterno, ricordava semplicemente, in latino, la data della
costruzione e il nome del «maestro d'opera». L'altra era in lingua
francese, destinata quindi alla maggioranza. Essa dava il testo di
un poema: quarantadue versi, rimati nel 1 2 5 0 , evocavano in quel
luogo la memoria di un principe Luigi, il quale, al tempo in cui era
stata costruitaJa porta, era signore di Arras e dell'Artois, e quella
di suo padre, Filippo, il re buono. Quest'ultimo, si precisava, ave­
va avuto contrasti con le genti di fronte, i Fiamminghi, ma Dio lo
aveva onorato ed egli era riuscito in meno di un giorno a cacciare
dal campo Ottone, il falso imperatore, e a catturare cinque conti.
In quel giorno erano stati presi o uccisi piu di trecento cavalieri.
E questo era accaduto trentasei anni prima, tra Bouvines e Tour­
nai, una domenica di luglio, cinque giorni prima dell'inizio di
agosto. Questa pubblica proclamazione aggiungeva inoltre- ma
qui il ricordo si faceva piu vago e la cronologia confusa - che
un altro re di Francia, a poca distanza, aveva già vinto un altro
6 La domenica di Bouvines

imperatore, chiamato lui pure Ottone, molto tempo prima, alla


fine del x secolo . Monumento cotnmemorativo, bollettino di vit­
toria simile a quelli del Carrousel, l'iscrizione di Arras si presen­
tava alla vista di quanti uscivano dalla città per andare verso il
Nord. Ai confini del dominio capetingio, di fronte alla Fiandra, di
fronte all'impero, essa erigeva come un trofeo : intendeva fissare
per la posterità il ricordo ancor fresco in quei paraggi di una im­
presa già vecchia, affinché il sentimento di una comunanza di inte­
ressi e di atti valorosi fosse ravvivato di generazione in generazio­
ne. Ma andava ancora piu in là : inseriva deliberatamente il trion­
fo di Bouvines nel solco di una lunga gloria militare, riunendo in
una medesima celebrazione, dopo oltre duecentocinquant'anpi,
grazie all 'omoniniia dei due capi abbattuti, due vittorie di re che
già, incontestabilmente, ciascuno considerava quelle di una na­
zione. Inciso, come gli epitaffi, in ciò che è piu solido e incorrutti­
bile, il poema pretendeva durare sino alla fine dei tempi : mai l'e­
vento sarebbe caduto nell'oblio. Nondimeno anche l'iscrizione
era peritura: da lungo tempo è perduta. Ma se la pietra è scom­
parsa, il testo almeno dura ancora, perché almeno due uomini si
preoccuparono di conservarlo : all'inizio del XVII secolo, al tempo
di Peiresc e dei primi antiquari, quando una storia seria ed erudi­
ta era agli esordi e veniva ormai concepita come una scienza che
doveva necessariamente poggiare su documenti sicuri. Lo scritto
fu quindi copiato, parzialmente da Ferry de Locre, curato di
Saint-Nicolas di Arras, che raccoglieva il materiale di una cronaca
dei Belgi, e integralmente da un avvocato e scabino di Arras , An­
toine de Mol, curioso del passato della propria città. La testimo­
nianza sfuggiva cosi alla distruzione, e con essa tutta la zona, per­
fettamente circoscritta, della memoria di cui l'iscrizione della
porta era stata depositaria da piu di tre secoli e mezzo. Salvatag­
gio decisivo: le trascrizioni furono infatti pubblicate in due ope­
re, stampate l'una nel r 6 u , l'altra nel r 6 r 6 : due libri a dire il
vero introvabili. Ma l'erudizione moderna è riuscita a rendere
il documento piu accessibile . Nel r 8 5 6 Victor Le Clerc pubblicò
nuovamente il testo in una edizione critica secondo tutte le rego­
le. Chiunque può oggi leggerlo nel volume XXIII della Histoire
l1 2 7 luglio dell'anno I 2 I4··· 7

littéraire de la France, pp . 4 3 3-3 6 . La traccia ormai rimane, in


mezzo ad altre, in numerose biblioteche, sul tale o talaltro scaffa­
le, e a portata di mano per qualsiasi eventuale utilizzazione. È
probabile che duri ancora per molto tempo, e senza dubbio molto
piu a lungo persino dell'interesse che può suscitare .
La sopravvivenza di Bouvines poggia su tracce di questa spe­
cie, molteplici e integrantesi, di diversa origine e di ogni tempo,
che arrivano fino all'obelisco alto sei metri eretto nel 1 8 6 3 nei
pressi del campo di battaglia. L'elenco di tutti questi documenti
è ormai redatto . Già da molto tempo essi vengono interrogati : ne­
gli ultimi due decenni del XIX secolo e nei primi trentacinque anni
del xx, specialmente tra il r 8 8 � e il 1 8 8 8 e nel 1 9 1 3 - 1 4 , furono
soprattutto richiesti dai miglior! medievalisti della Francia, della
Germania e dell'Inghilterra . La veracità di queste testimonianze
fu allora rigorosamente comprovata. Tutto dunque è stato detto,
e ben detto, sullo svolgimento della battaglia e sulla rete di intri­
ghi di cui essa è nel medesimo tempo conclusione e inizio. La qual
cosa ci dispensa di esaminar qui ancora una volta, con lo . stesso
spirito, queste fonti di informazione e di proseguirne l'indagine :
non ne verrebbe fuori niente di nuovo . Il lettore consulti questi
libri, in maggioranza antichi, ma istruttivi e quasi tutti di piace­
vole lettura. Se ha fretta, faccia riferimento alle pp. 1 6 6-202 del
volume III della grande Histoire de France diretta dal Lavisse,
uscita nel 1 9 0 1 . È un'ottima sintesi. I soli ritocchi necessari, tan­
to riguardo ai metodi del combattimento quanto al calcolo degli
effettivi, dovranno essere ricavati dallo studio di J. F. VERBRUG­
GEN, De Krijgskunst in W est Europa in de Middleeuwen ( IX. tot
beguin XIV. euwen), pubblicato nel 1 9 5 4 .
I o , però, vorrei considerare le tracce dell'avvenimento con
uno sguardo diverso . Per la storia positivista - quella cui ho ac­
cennato, e che non è per nulla trascurabile - la battaglia di Bou­
vines si inseriva chiaramente nella dinamica di una storia del po­
tere . La giornata formava una specie di nodo, piu voluminoso di
altri, in una catena ininterrotta di decisioni, esitazioni, successi e
sconfìtte, allineati tutti su di un solo vettore, quello dell'evoluzio­
ne degli Stati europei. Tale visione assegnava allo storico due ob.
8 La domenica di Bouvines

biettivi: stabilire prima di tutto ciò che era veramente accaduto


in quella località il 27 luglio 1 2 1 4, esaminare quindi a tal :fine i
documenti come farebbe un giudice istruttore: scovarvi la men­
zogna, farne scaturire la verità, porre a confronto i testimoni, ri­
durne le contraddizioni e, per ricostituire gli anelli mancanti, va­
gliare tutte le ipotesi, scegliere le piu sicure e in:6ne collocare il
« fatto vero » al suo giusto posto, nella sua posizione di risultato e
di causa, fra tutti gli annessi e connessi. Due obbiettivi, a dir ve­
ro, inaccessibili . Poiché, ben lo sappiamo, tutti quelli che assisto­
no a una battaglia, qpand'anche si trovino in luogo molto eleva­
to, sono come Fabrizio del Dongo a Waterloo : non vedono che
scompiglio e confusione; nessuno ha mai scorto, né mai scorg�rà
nella sua totale realtà, quel turbinio di mille azioni concatenate
che, nella pianura di Bouvines, quel giorno, tra le dodici e le cin­
que del pomeriggio, inestricabilmente si mescolarono ; e poiché
le cause e gli effetti di questa battaglia sono, nel pieno senso del­
la parola, innumerevoli, rimangono per ciò stesso inafferrabili
nella loro rispettiva importanza. Ora lo sforzo per avvicinarsi a
questi due obbiettivi obbligava all'astrazione, vale a dire a trat­
tare l'avvenimento del 1 2 1 4 alla stregua di un avvenimento
odierno. Tesa in una volontà ostinata di puntuale esattezza, que­
sta storia, non voleva essere scientifica, trascurava in effetti di
evitare controsensi e anacronismi. Poiché, attenta unicamente al­
l'azione pOlitica, alle sue motivazioni e alle sue conseguenze, es­
sa inconsciamente era incline a vedere filippo Augusto un po'
come Comeille vedeva Pompeo, cioè come una volontà di fronte
ad altre volontà, un desiderio di fronte ad altri desideri, nella
immutabilità della « natura umana » � Essa non notava tutti i sot­
tili sviluppi che avevano insensibilmente modificato in Europa,
nel corso di venti generazioni, il comportamento delle genti e il
significato dei loro atti : modi:fìcazioni lentissime che, per esem­
pio, impediscono di confondere il cavaliere di Bouvines con un
corazziere di Reichshoffen.
Questo è il motivo che mi induce a considerare tale battaglia e
la memoria da essa lasciata da antropologo, cioè a tentare di ve­
derle entrambe immerse in un complesso culturale diverso da
ll 27 luglio dell'anno !2!{... 9

quello che oggi regola il nostro rapporto con il mondo. Tale pro­
posito obbliga a tre procedimenti concomitanti. Dato che i segni
dell'avvenimento non potrebbero costituire l'oggetto di una giu­
sta interpretazione senza essere innanzitutto ricollocati nel siste­
ma di cultura che a suo tempo ne ricevette l'impronta, occorre in
primo luogo riferirsi a tutto ciò che di tale cultura si sa per altre
vie, al fine di esaminare criticamente le testimonianze da allora in
poi pervenuteci. Ma inoltre, poiché l'avvenimento è in se stesso
straordinario, le tracce eccezionalmente profonde che ne restano
rivelano ciò di cui, nella vita comune, non si parla o si parla trop­
po poco; esse radunano, in un punto preciso del tempo e dello
spazio, un fascio di informazioni sul modo di pensare e di agire, e
piu precisamente, poiché si tratta di un combattimento, sulla fun­
zione dei militari e su coloro che nella società dell'epoca erano in­
caricati di svolgerla. Bouvines è un luogo di osservazione straor­
dinariamente favorevole per chi tenti di abbozzare una sociologia
della guerra alla soglia del XIII secolo nell'Europa nordoccidenta­
le. Infine queste tracce informano anche in altro modo sull'am­
biente culturale in cui l'evento si compi e poi sopravvisse al mo­
mento saliente. Esse mostrano come la percezione del fatto vissu­
to si propaghi in onde successive che, a poco a poco, nello spiegar­
si dello spazio e del tempo, perdono ampiezza e si deformano.
Oserei quindi osservare altresi - ma in tal caso si tratterebbe da
parte mia solo di un abbozzo, anzi di una proposta di ricerca - l'a­
zione che gli elementi immaginari e l'oblio esercitano su una noti­
zia, l'insidiosa penetrazione del meraviglioso, del leggendario e,
in una lunga sequela di commemorazioni, il destino di un ricordo
in seno a un insieme in movimento di rappresentazioni mentali.

Con tale intenzione ritengo che la cosa migliore sia all'inizio


presentare nuda al lettare la traccia dell'avvenimento piu imme­
diata, piu nitida e ampia: ce la offre la cronaca in prosa di Gugliel­
mo il Bretone.
Il testo proviene dalla corte del re di Francia, dà la relazione
u:ffìciale del combattimento e s'inserisce in tal modo in una tradi-
Io La domenica di Bouvines

zione storiogra6ca a quel tempo quasi secolare, che ha le radici


nell'abbazia di Saint-Denis. Nella cripta del monastero, sulle fon­
damenta di un santuario del quale si raccontava che Cristo in per�
sona fosse venuto a edificarlo, presso il sepolcro di un santo pro­
tettore che molti considerano ancora, nonostante le critiche dei
dotti, il discepolo di san Paolo, si allineavano i sarcofagi di Dago­
berto, di Pipino il Breve e dell'imperatore Carlo il Calvo, di Ugo
Capeto, insomma di quasi tutti i re dei Franchi . Questa necropoli
offriva la straordinaria immagine della continuità monarchica,
nella successione delle tre dinastie merovingia, carolingia e cape­
tingia. Piu ancora che a Reims , la città del battesimo e della con­
sacrazione, la potenza regale ha la sua vera base in queste tombe.
Dopo la cerimonia dell'unzione le insegne del potere venivano ri­
poste nell'abbazia, e il re, quando doveva guidare l'esercito per
difendere il regno, veniva a prendervi lo stendardo del santo pa­
trono, l'orifi amm a . Quando Suger, amico d'infanzia del nonno di
Filippo Augusto, il re Luigi VI , fu investito a Saint-Denis, agli
inizi del XII secolo, della dignità abbaziale, sua prima cura fu di
far conoscere solennemente quale funzione egli giudicava essere
la piu importante del suo monastero . Per affermarlo in modo cla­
moroso agli occhi del mondo prese a ricostruire la sua chiesa in
modo sontuoso . I n una sintesi magistrale, donde scaturi l'arte go­
tica, quest'arte regale - « arte di Francia » - come a quel tempo si
diceva, egli volle associare l'estetica imperiale della regione della
Mosa a quella della Neustria e alle innovazioni formali che aveva­
no cominciato a manifestarsi nel Sud della Gallia : la nuova basi­
lica esprimeva cosi la riunione di tutto il reame sotto l'autorità di
un sovrano proclamato diretto erede di Carlomagno. Nel medesi­
mo tempo, allorché i Capetingi sceglievano di stabilirsi a Parigi
piuttosto che a Orléans , loro principale residenza, Suger trasferi
da Saint-Benoit-sur-Loire a Saint-Denis-en-France la missione di
celebrare con la parola scritta la gloria dei monarchi. Egli stesso
redasse la biografia di Luigi VI . Una vita quale allora si compone­
va per commemorare i santi e i re, questi sacri personaggi, questi
eletti da Dio, dotati di virru soprannaturali e del magico potere di
guarire i malati. Dopo di lui i monaci di Saint-Denis si sentirono
Il 27 luglio dell'anno 1 2 !4··· II

obbligati a raccontare, per la posterità e per l'edifìcazione dei suoi


discendenti, come l'uomo del quale conservavano la corona e del
quale avevano ricevuto la spoglia mortale per circondarla di per­
petue e salutari preghiere, avesse al suo tempo assunto il magiste­
ro regale in tutta la sua pienezza.
Agli inizi del regno di Filippo Augusto si assistette alla diffu­
sione dell'attività degli scrittori . E ciò perché l'autorità del re di
Francia non cessava di rafforzarsi, ma anche perché tutti i princi­
pi dell 'Occidente comprendevano allora sempre piu, data la rapi­
da espansione della cultura scritta, che il panegirico assicurava
prestigio e poteva servire come arma efficace nella rivalità sempre
piu aspra che metteva di fronte degli Stati consolidati. Pertanto
la Histoire des rois des Francs fu compilata a Saint-Denis , tra il
I I 8 5 e il I 204. Si può ritenere che vi lavorasse uno scrittore so­
brio, esatto, chiamato Rigord. Prima di entrare nd monastero - e
fu forse la ragione per cui vi entrò - Rigord, che veniva dal Mez­
zogiorno, aveva certamente cominciato a scrivere un racconto del­
le gesta del sovrano regnante, e continuò nell'abbazia, fino al
1 2 0 6 . Delle Gestes de Philippe Auguste Rigord pre�·.entò una pri­
ma stesura nel I I 9 6, e una seconda quattro anni dopo. A tale da­
ta il bretone Guglielmo viveva in stretta intimità con il re, lo ser­
viva fedelmente, si recava a Roma per delicati negoziati a propo­
sito del divorzio di Filippo e del suo secondo matrimonio, si gua­
dagnava la totale fiducia del suo signore che lo incaricava dell 'e­
ducazione del suo bastardo, Pierre Charlot. Saliva rapidamente
di grado .
Guglielmo è uno di q�ei « nuovi ricchi della cultura » come ne
conosciamo molti e a quell'epoca abbondavano. La via migliore
per chi , di bassa estrazione, volesse elevarsi nella scala sociale, era
quella di introdursi in una scuola e imparare a parlare bene e a
scrivere . I principi avevano grande necessità di persone che sa­
pessero queste cose, e le retribuivano bene. In realtà le scuole
preparavano solo al mestiere ecclesiastico. Quelle dei monasteri
erano chiuse. Restavano le scuole delle cattedrali e dei capitoli,
ma non si aprivano se non ai chierici. Si era quindi obbligati a en­
trare nella Chiesa, liberi poi d'allontanarsene un po', quando piu
12 La domenica di Bouvines

tardi si diventava contabile, consigliere, medico o giullare, come


accadeva a quei numerosi disertori degli studi, allettati dai buoni
profitti, che i prelati si sforzavano invano di trattenere al servizio
esclusivo di Dio. A dodici anni , Guglielmo aveva già lasciato la
Bretagna, dove si imparava poco e male, per il paese «francese »,
dove si insegnava di piu. Studiò dapprima a Mantes, poi nelle mi­
gliori scuole, quelle di Parigi . Sembra ritornasse al paese natale in
cerca di fortuna, ma senza successo. Fra i trenta e i quarant'anni
la sorte infìne gli arrise: riusd a introdursi nella cappella reale,
dove prosperavano molti suoi condiscepoli. Questa dimestichez­
za con la preghiera e con tutte le attività che richiedevano un po'
d'istruzione poteva condurre ai posti piu redditizi. Un bell'avve­
nire era assicurato a chi vi si dimostrava docile e intelligente: il
Capetingio dominava l'alto clero e aveva pieno potere di colloca­
re vantaggiosamente chi sapeva compiacerlo. Tutti avevano per­
ciò il diritto di sperare in una gradita prebenda di canonico quan­
do si avvicinavano alla sessantina; se sapevano ben destreggiarsi
potevano persino diventare vescovi. Cosi fece Guglielmo. Dopo
il r 2oo e la sua missione romana egli si rende indispensabile. Il re
lo vuole ovunque al suo fianco. È presente all'assedio di Chàteau­
Gaillard. Come cappellano la sua principale funzione è di cantare
in coro insieme con gli altri quella continua preghiera che deve
accompagnare la persona regale e iscrivere ognuna delle sue gesta
nelle modulazioni di un salmo appropriato. A Bouvines, in piena
mischia, continua a cantare dietro le spalle di Filippo. Ed è qui
che· si rivela. Egli per primo fa del combattimento del giorno un
avvenimento. Nella cerchia del re la vittoria in effetti apparve su­
bito di tale importanza che, per soddisf?.re il suo signore, Gugliel­
mo ne redasse immediatamente un resoconto smisurato. Anzi,
egli volle situare la sua narrazione direttamente nel seguito della
cronaca di Rigord, che un altro monaco aveva per sommi capi
continuato sino a1 r 2 r o . Si procurò il testo a Saint-Denis, l'abbre­
viò e colmò l'intervallo riferendo alcunì fatti rilevanti che ricor­
dava e dei quali il suo signore poteva gloriarsi. Compose cosi
un'intera storia del regno, e si verificò in tal modo un passaggio
meritevole di grande attenzione: l'impresa storiografica passa
l1 27 luglio dell'anno I:H 4 ··· 13

dalle mani dei monaci a quelle di un chierico, e da un'abbazia alla


casa stessa del re. Segno, questo, della stabilità di un potere che in
parte si svincola dalle celebrazioni liturgiche e comincia a secola­
rizzarsi . Di tale spostamento è pure testimonianza la parte asse­
gnata alle armi nel racconto stesso. Il monaco Helgaud, autore di
una vita del re Roberto il Pio, centocinquanta anni prima non si
era interessato che di preghiere, elemosine, pellegrinaggi e mira­
coli, lasciando ad altri la cura di raccontare le guerre. Guglielmo
il Bretone, invece, non parla quasi d'altro, e nel suo libro intende
soprattutto celebrare Buovines . Si diffonde infatti su questa sol�
giornata piu a lungo che non sui cinque anni precedenti. Tutto il
resto non è per lui che premessa a quanto considera la realizza­
zione. Pertanto decide di terminare con l'anno I 2 I 4, cioè con lo
choc dell ; avvenimento, la prima versione della sua opera.
Egli ci lascia cosi un racconto che è sicuramente manipolato e
mette sempre l'accento su ciò che può esaltare la gloria capetin­
gia : onesto, del resto, quanto è possibile esserlo allorché si è ser­
vitore e si pensa alla propria vecchiaia; circostanziato, preciso,
chiaro e non ingombrato oltre misura dalla retorica, dalla preoc­
cupazione di piacere e di ostentare cultura classica. In una parola,
la testimonianza irri.gliore. Lo scritto è in latino, lingua dei dotti,
lingua dei preti .:.... perché la casa del re, dell'unto del Signore, con­
sacrato come un vescovo, è prima di tutto una cappella. In questa
forma ecclesiastica i religiosi di Saint-Denis accolsero lo scritto
per inserirlo nella grande compilazione che di regno in regno con­
tinuavano a elaborare . Ma nel 1 2 74, l'abate del monastero decise
di farlo tradurre in lingua volgare, còn tutto il complesso storia­
grafico entro cui era stato inserito il racconto di Guglielmo . Segno
di un altro càmbiamento culturale, questa nuova preoccupazio­
ne di offrire a un pùbblico piu largo, a tutti i curiosi che non ave­
vano frequentato le scuole, questa storia ufficiale della regalità .
Io ho voluto presentare qui il testo di questa ttaduzione, perché si
tratta di una prosa mirabile, gustosa, e di un'azione piena di vita,
e l'ho leggermente adattata perché sia facilmente comprensibile,
senza peraltro che perda il sapore.
Ma perché ciascuno sia in grado di seguire lo spettacolo è ne-
14 La domenica di Bouvines

cessario presentame prima gli attori, allestire uno scenario, rias­


sumere in un brevissimo prologo l'intreccio, del quale nel rac­
conto non si parla e che nondimeno conduce al mattino di Bou­
vmes .
L) evento
La messa in scena

Come è d'uso nel teatro antico tutte le parti sono affidate a uo­
mini . Ma, essendo lo spettacolo militare, tutti i personaggi sono
realmente maschili. Ci si aspetterebbe forse di scorgere qui, sia
pure nell'atmosfera sfumata dello sfondo, gruppi di quelle donne
di condizioni diverse che, come è noto, seguivano in quel tempo
tutte le armate, quelle dei crociati come le altre. Le donne sono
assenti. Per Guglielmo e per quanti lo ascoltano Bouvines è dav­
vero un fatto serio·, una battaglia, una solennità, una cerimonia in
un certo senso sacra. La sua immagine, come quella delle solenni
liturgie, non potrebbe essere che virile : Guglielmo e tutti gli
scrittori che per primi fissarono il ricordo dell'avvenimento sono
gente di chiesa. Per loro la donna non è altro che un ornamento
futile e mondano, un elemento secondario di un gioco, dei diver­
timenti che piacciono ai giovani; o, meglio, essa è una lusinga pe­
ricolosa, una illsidia tesa dal demonio, stiumento di tentazione,
occasione di peccato. Nessuna figura femminile, di conseguenza,
sta dalla parte del bene, quella della vittoria, quella del re di Fran·

eia. Le rare donne che compaiono si trovano tutte dall'altra parte.


Il Bretone, nella sua cronaca in prosa, presenta una sola donna : la
contessa madre di Fiandra. Essa è come la matrona del campo av­
versario, l'anziana signora della stirpe cattiva, poiché da lei si tra­
smise la dignità di cui si fregia il principale nemico di Filippo, il
re buono. Piu che un po' strega, viene rappresentata come un'in­
dovina che ha commercio con gli spiriti e maneggia sortilegi. È
nata in Spagna e, come tutte le donne che provengono da quelle
contrade che la presenza dei Mori e degli Ebrei ha corrotto, infet­
tato, reso strane e demoniache, alla perversità naturale del pro-
r8 L'evento

prio sesso aggiunge la pratica degli incantesimi. Essa inganna, per


essere, alla fin fine, ingannata lei stessa. Nella Philippide - nien­
t'altro che l'ampliamento in rima della sua cronaca - Guglielmo
parla ancora due volte di donne, ma sempre in maniera nascosta.
Una delle due allusioni è in apparenza cortese, ma che significato
ha ? È forse un elogio ? Un segno di asservimento alle mode ari­
stocratiche che lentamente vanno insinuandosi nell'austero am­
biente della corte capetingia ? Oppure un modo di suggerire, qua­
si di sfuggita, che dal lato del nemico non c'è che leggerezza? Al­
l'inizio del combattimento il cavaliere :fiammingo Giovanni Eu­
ridano va gridando intorno, per accendere i cuori : « Ciascuno
pensi alla sua bella ! » L'altra allusione ha invece chiaro intento
peggiorativo. Se Guglielmo il Bretone dice qualche cosa di quella
dama che il traditore della vicenda, il conte di Boulogne, si porta
dietro, non come sua sposa, ma come concubina, e che inoltre è la
sorella del piu odioso dei capi di bande, l' avventuriero Ugo di
Boves, è proprio per sottolineare la perfidia di quanti combatto­
no il re di Francia . Essi si abbandonano alla dissolutezza : sono
degli scostumati.
Presenti sempre sono invece i cavalli. Nessuno è designato col
proprio nome, ma se ne esaltano le prodezze e sono oggetto di
compassione, e uno di essi, il destriero dell'imperatore Ottone, è
uno dei protagonisti piu importanti . La sua morte risveglia piu
echi , e in apparenza suscita piu dolore, che non la sofferenza sop­
portata dalla maggior parte degli uomini feriti in battaglia. Sono
presenti anche altri personaggi, invisibili, ma si ha la sensazione
che nel mondo dell'al di là costituito dalle percezioni siano tra i
piu attivi . I santi non :figurano nella cronaca, tutti però sanno che
essi sono tra i combattenti, venuti alla riscossa di quanti li onora­
no, san Dionigi per primo, patrono accreditato del regno, e un al­
tro ancora, Lamberto, patrono di Liegi : l'avversario degli avver­
sari del Capeto . Se Guglielmo fa volteggiare Pallade al di sopra
della mischia, è per mostrare che ha letto i classici: la dea è un ac­
cessorio della scena, ma Dio, beninteso, è presente, come pure il
« Nemico », il Diavolo .
Tuttavia sono guerrieri quelli che riempiono l'intera scena:
La messa in scena I9

nel culmine dell'azione, saranno tutti in armi, la folla appare net­


tamente divisa in due parti: gli uni combattono a piedi, gli altri a
cavallo. Due parti ineguali . I primi sono di gran lunga i piu nume­
rosi, ma sono i secondi a venire illuminati in pieno. In realtà, que­
sta distinzione tra soldati a piedi e soldati a cavallo che, nella bat­
taglia, è a un tempo la piu evidente e determinante, non corri­
sponde esattamente alla divisione che, nello spirito dei contempo­
ranei, isola dal volgo, dal popolo , dai « poveri », dai « villani », i
soldati a cavallo, cavalieri per eccellenza; Divisione fondamenta­
le in funzione della quale, in quell'epoca e in Francia, da almeno
due secoli, viene regolata ogni concezione della società. Essa ri­
sponde alla teoria dei tre ordini che fu per la prima volta attuata
subito dopo l'anno mille, nelle cerchie dotte dell'alto clero, e piu
precisamente dai vescovi piu infervorati nel sostenere lo scosso
prestigio della magistratura regll.le. Da allora non v 'è dubbio che
la volontà divina non abbia separato gli uomini in tre categorie ri­
gorosamente chiuse, ognuna delle quali incaricata di una determi­
nata funzione, e la cui pacifica unione, con uno scambio di reci­
proci servizi, fonda la base dell'ordine sociale. Una di tali sezioni,
la piu folta, è chiamata a lavorare, a mantenere con il proprio la­
voro la gente degli altri due « ordini » nell'ozio e in quegli agi che
permettono agli uni e agli altri di adempiere in pieno la propria
specifica missione. A lato dei privilegiati si allineano da una parte
coloro che pregano e la cui funzione è fondamentale, poiché atti­
rano sul popolo nel suo complesso i favori del cielo ; dall'altra
quelli che fanno la guerra : i cavalieri. Predestinati, grazie alla
« virru » particolare che vien loro dal sangue degli antenati, essi
hanno ricevuto verso i vent 'anni delle armi che i preti hanno be­
nedetto e che essi non dovrebbero usare s� · non per delle cause
giuste, la difesa dei chierici, dei monaci e del « popolo privo d'ar­
mi », e la diffusione della fede cristiana. In conformità a tale ideo­
logia dominante, a tale visione sacra dell'armonia del corpo socia­
le, soltanto gli appartenenti all'ordine dei cavalieri avrebbero di­
ritto al completo equipaggiamento del guerriero, il cui emblema
rimane la spada, la lunga spada della tradizione franca, ma il cui
elemento piu importante, quello di cui i progressi dell'arte milita-
20 L'evento

re, nel corso delxn �ecolo, hanno confermato la decisiva efficacia,


è il cavallo da battaglia. Ora, sul campo di Bouvines, se tutti i mi­
liti appiedati sono inveto gente di bassa estrazione, e se tutti i ve­
ri cavalieri combattono sempre a cavallo - a meno che il loro de­
striero, sventrato, sia stato messo fuori uso - si vedono pure ca­
valcare militi che non appartengono all'ordine cavalleresco, e che
nondimeno, quando si trovano nel campo vittorioso, sono detti
valorosi. Sono i cosiddetti « sergenti », cioè ausiliari presi dal po­
polo, ma che i principi, per essere meglio serviti, hanno iniziato
all'equitazione. Nulla può confonderli coi combattenti nobili,
sebbene siano equipaggiati piu o meno come loro. Per affrontare
il nemico, hanno abbandonato «la cotta di tela », che permette
di cavalcare agevolmente e senza fatica - quella che portano gli
esploratori; e hanno modellato il proprio corpo, per proteggerlo
dai colpi violenti, dentro un involucro di metallo.
Sono rarissime le vestigia di equipaggiamenti militari risalenti
tale periodo. Infatti da lunghissimo tempo i morti non si portava­
no piu le armature nella tomba, luogo privilegiato per le scoperte
archeologiche, e neppure si conservavano in un canto delle dimo­
re dei signori le armi invecchiate. Esse servivano a forgiarne subi­
to di nuove, tanto era raro a quell'epoca il ferro . Di conseguenza
tutto quanto si può sapere degli strumenti da combattimento pro­
viene solo da immagini, e questa testimonianza è poco sicura, per­
ché è difficile assegnare una data precisa alla maggior parte delle
opere dipinte e scolpite, e non si può mai dire se l'artista ha tenta­
to di riprodurre fedelmente ciò che vedeva, o se ha copiato mo­
delli antichi. Nondimeno, da quanto appare nei sigilli, nelle mi­
niature, in qualche bassorilievo e l'oreficeria dei reliquiari, si può
tracciare la figura dei combattenti di Bouvines . La prima impres­
sione è quella di un'estrema disparità:: da un uomo all'altro l'ar­
matura varia in tutto e per tutto, e tale diversità dipende in primo
luogo dall'ampissima gamma dei beni posseduti ; ciascuno infatti
si equipaggia a seconda dei propri mezzi e .quanto piu può . Si ag­
giunga che, per tutti gli uomini che vi incontriamo - salvo per al­
cuni, legati alla Chiesa, come Guglielmo il Bretone e il clero che
con lui si trova al fianco del re di Francia - la guerra è la vita me-
La messa in scena 2r

desima : a un tempo una missione fondamentale, il piu ardente fra


tutti i piaceri e la principale occasione di guadagnare denaro . La
difesa iniziale, l'investimento che essi considerano il piu necessa­
rio e redditizio, consiste nell'equipaggiamento militare. Essi non
sanno infatti immaginare un impiego delle proprie risorse pili uti­
le dell'acquisto di strumenti atti a meglio dominare l'avversario e,
piu ancora, a meglio proteggere se stessi dai pericoli . Si dà il caso
che l'alba del XIII secolo sia un momento, in questa parte del mon­
do, in cui la circolazione della moneta si va intensificando e dove,
per l'azione reciproca delle istituzioni signorili e degli scambi, il
denaro arriva sempre piu abbondante nelle mani di quanti sono
dediti alla guerra : nobili e gente dei borghi mercantili dove viene
reclutata la maggior parte dei sergenti. Le spese per la guerra cre­
scono cosi di continuo e , per piu di un secolo , un tale afflusso di
mezzi monetari incrementa l'allevamento dei cavalli di qualità e
stimola il progresso della metallurgia del ferro . La fabbricazione
delle armi è in quel tempo, come in tutto il corso della storia degli
uomini, uno dei settori di punta del progresso tecnico . E in realtà
la relazione della battaglia di Bouvines rievoca alcune recenti in­
novazioni;
Alcune armi favoriscono l'attacco. Al vecchio apparato di offe­
sa del soldato a cavallo, alla lancia e alla spada lunga, create so­
prattutto per disarcionare il nemico e per stordirlo nell'urto" delle
cariche alternantisi, si sono ora aggiunti strumenti uncinati e
aguzzi piu aggressivi, e anche piu perfidi, e per questo ritenuti
ignobili, malefici . Guglielmo il Bretone ne parla un po' come parla
delle donne, li colloca tutti dalla parte del male e del diavolo . Si
vedono nel campo avversario, e quasi sempre tra le mani del com­
battente plebeo, il fante, o del combattente dannato, il mercena­
rio. Le nuove armi sono effettivamente pericolose, ma anche effi­
caci . Troppo, anzi : non fanno onore e scombinano le regole del
gioco. Infatti le armi uncinate distruggono l 'ordine sociale, per­
ché permettono ai guerrieri di classe inferiore di tirar giu di sella
gli uomini di rango piu elevato, di gettarli nella polvere aggan­
ciandoli dalle parti sporgenti della corazza. Sono l'immagine stes­
sa, desolante, di ogni sovversione; tanto piu che tra gli interstizi
22 L'evento

dell'armatura i coltelli bene affilati possono insinuarsi, giungere


sino alla carne viva e trafiggerla; cioè uccidere, cosa che di norma
non si fa tra cavalieri . Nondimeno il perfezionamento degli stru­
menti aggressivi ha dato il via immediatamente all'invenzione di
mosse di parata, ma non è cosi progredito come quello degli acces­
sori per schivare i colpi . I principi, nelle battaglie, sono certo
preoccupati di vincere, però con il minor danno possibile. In pri­
mo luogo hanno, come tutti, paura di morire : loro prima cura è
perciò di proteggersi. Al tempo di Bouvines , i principali migliora­
menti sono quindi stati rivolti a rafforzare l'armatura. Questa, si­
no a poco tempo prima, copriva la testa, il busto e le cosce, ma la­
sciava vulnerabili braccia, gambe, basso ventre, volto e collo. Al­
lo scopo di ridurre tali deficienze della difesa, si sono applicati
nuovi accessori . Al vecchio usbergo, alla lunga cotta aperta di sot­
tili maglie di ferro, si aggiungono ora maniche e gambiere di me­
tallo che avvolgono le braccia fino oltre il polso, e le gambe :ijno al­
le caviglie; estesa fin verso la gola, mediante ciò che viene chiama­
to « ventaglia » , una calotta protettrice ripara la nuca e il mento. A
poco a poco essa tende a scomparire sotto l'elmo che scende verso
la parte inferiore del volto, prende la forma di un cilindro chiuso,
munito soltanto di qualche fenditura per vedere e respirare. Si so­
no in tal modo ridotti tutti gli spiragli attraverso i quali può entra­
re la morte. Chi vuole uccidere deve mirare attentamente alle oc­
chiere, e frugare nell'interno dell'inguine attraverso le aperture
che separano le brache dall'usbergo, sgusciare con cura quei pezzi
strettamente legati, il che diviene veramente un'opera d'artista.
Cosi l'armatura moderna dà sicurezza, permette maggiore auda­
cia, consente di inseguire piu oltre la gloria, senza troppo tremare.
Da questo progresso tecnico ha origine un cambiamento di morale
e insensibili spostamenti nella gerarchia della virtu. Ciò rende
possibile, nella cavalleria, la lenta manifestazione del coraggio :
novità del XII secolo . Ma questo bell'equipaggiamento che dà si­
curezza, queste armi che creano gli eroi, bisogna avere 1 mezzi per
procurarseli.
Infatti, a mano a mano che si perfeziona, l'armatura costa sem­
pre piu cara. Proprio in questo periodo la maggior parte dei cava-
La messa in scena 23

lieri, anche se le loro rendite in denaro si accrescono incessante­


mente, stentano a procurare al proprio :figlio, allorché ha termina­
to il tirocinio, quanto c'è di meglio nell'equipaggiamento del guer­
riero . La riserva monetaria è troppo esigua, le armi conservate in
casa sono superate : si potrebbe, sf, usarle, ma il gioco diventereb­
be pericoloso, e troppo temerario cercare di esser prode . Bisogna
allora rinunciare alla gloria? Se Ci si rivolge al signore del feudo, di
cui uno dei principali doveri e il piu sicuro sostegno del prestigio
è quello di armare, nel tempo prescritto, i :figli dei suoi vassalli,
lo si vede anche lui badare alla spesa: egli deve equipaggiare i pro­
pri :figli e perciò fa a lungo il sordo . Sono quindi già numerosi, nel
regno di Francia, i giovani di buona'famiglia che mordono il freno
e invecchiano aspettando indefinitamente l 'occasione di essere ar­
mati cavalieri: battono impazienti alla porta dell'ordine. La loro
armatura, la loro condizione, il titolo dato loro di « scudieri » o
« paggi » (e che essi ostentano per non venire confusi con la gente
del volgo che, naturalmente, non è armata, per affermare la pro­
pria predisposizione per nascita a diventare un giorno, per buona
sorte, cavalieri) sono quegli stessi - sino ad allora provvisori ­
dati agli adolescenti, che seguivano) combattenti adulti, di cui
portavano le bardature, apprendendone il mestiere, facendo le
prime prove sotto i loro occhi . Ed è veramente soprattutto il caro
prezzo delle nuove armi che, sul campo di Bouvines, rende piu ete­
rogenea la massa degli uomini che fanno la guerra . Non parliamo
dei fanti, classe dei poveri, la maggior parte dei quali è stata pre­
levata dai comuni per ordine del principe, dei disgraziati, dei :figli
di nessuno, degli attaccabrighe, meno svelti di altri a nascondersi
in tempo : i vicip.i li hanno indicati, equipaggiati come capita: per
proteggere il pi'oprio corpo non hanno che uose, una casacca di
cuoio, al massimo un copricapo di ferro. Sono loro, quelli desti­
nati a morire. Quanto ai cavalieri, siano o non siano nobili, molti
portano ancora il vecchio elmo aguzzo raffigurato negli arazzi di
Bayeux, dal largo nasale, e alla meglio si riparano dietro al pro­
prio scudo per proteggere dai colpi bassi membra e ventre. Sol­
tanto i ricchi riescono a essere ben protetti. Piu sono potenti, piu
il loro feudo è redditizio, piu sono massicci e impacciati nei movi-
24 L'evento

menti, e meno si vede il loro volto. Di quei principi che arrivano


al punto di corazzare il proprio cavallo , non si vede neppur piula
pelle ; ciò che li rende realmente irriconoscibili . Donde l 'impor­
tanza dei segnali di adunata, le gridà, la bandiera tenuta alta pres­
so ogni comandante, le figure araldiche cucite sulle sopravvesti
militari, specie di cotte di leggero tessuto svolazzante sulle coraz­
ze, ma che si strappano in fretta, diventano presto stracci e cosi
sbrindellati fanno di chi le indossa degli ignoti . Gli sbagli sono
frequenti. Quando un cavaliere si fa prestare da un altro nel folto
della mischia una dellé sue sopravvesti, cambia ciò che costituisce
la sua identità, lo si può prendere per uno piu o meno temibile di
quanto sia in realtà; e gli avversari quando egli si avvicina scopro­
no stupiti che si tratta di uno piu valoroso o piu codardo o piu
odiato . Ognuno è quindi obbligato a urlare il proprio nome attra­
verso i fori dell'elmo. Qualsiasi mischia è un guazzabuglio di em­
blemi, un frastuono di chiamate e d'invettive e, nella polvere del­
le biade calpestate, un turbinio di segni ingarbugliati.
Imprigionati nelle corazze tintinnanti e coperti di quei colori
sbrindellati, i personaggi, a prima vista, apparivano ammucchiati
in una massa confusa, che a fatica si poteva calcolare. Quanti so­
no ? Il racconto di 1Guglielmo fornisce alcuni dati numerici, ma
sono tutti parziali. Indagando le altre fonti gli eruditi si sono az­
zardati a valutare gli effettivi. Queste stime, molto diverse fra lo­
ro, rimangono tutte incerte. Ecco qui, proposte da J . F. Verbrug­
gen, quelle fissate piu di recente e anche le pili sicure : Filippo Au­
gusto avrebbe richiamato per la battaglia almeno milletrecento
cavalieri, forse altrettanti sergenti a cavallo e da quattro a seimila
fanti. Sull'altro fronte c'era un numero di cavalieri indubbiamen­
te un po' superiore, e di certo molta piu milizia appiedata. In to­
tale, sul terreno dello scontro quattromila cavalieri all'incirca e,
press'a poco, tre volte tanto gli appiedati. In questa folla le testi­
monianze piu precise, e particolarmente i documenti contabili , le
liste dei prigionieri - compilate con molta- cura, perché si trattava
di denaro - e di quanti si fecero garanti dei riscatti , permettono di
distinguere col loro nome un po' meno di trecento persone : tran­
ne quattro eccezioni, sono nomi di cavalieri. Già l'ho detto : la ca-
La messa in scena 25

valleria soltanto si colloca sulla scena in primo piano : tutto il re­


sto sono comparse. Tuttavia il corpo stesso dei cavalieri resta qua­
si interamente nell'ombra. Tanto piu che i trecento patronimici
reperiti autorizzano al massimo a situare i designati in un lignag­
gio, in un feudo, in un territorio, in una provincia. Dell'uomo non
dicono niente. In definitiva, dall'ombra viene fuori appena un pu­
gno di persone. Eccoli, allineati in due campi, come negli scacchi
- il gioco dei principi di quel tempo, gioco permesso perché è d'in­
telligenza e non di azzardo, e non conduce a tentare Dio. I bianchi
e i neri : e con ciò intendiamo i combattenti del bene e del rriale;
cosi ci mettiamo realmente nella giusta luce del racconto, nel sim­
bolismo manicheo che domina in quell'epoca tutte le rappresenta­
zioni mentali .

FILIPPO sta per compiere cinquant'anni, il che vuol dire che,


per quel tempo, egli entra decisamente nella vecchiaia . Trentacin­
que anni prima, i grandi del regno lo hanno acclamato nella catte­
drale di Reims, i prelati gli hanno cosparso il corpo di olio della
santa ampolla, consacrandolo, nel piu vero senso della parola,
e infondendogli, come avviene con i vescovi, la potenza divina e
tutte le virtu ch'essa conferisce. A tale data, il re Luigi VII, suo
padre, non era ancora morto, ma, ormai stremato , non si sentiva
piu in grado di agire. Sopravvisse qualche mese all'elezione e al­
l 'incoronazione del :figlio primogenito , ma questi già da quel gior­
no era diventato a pieno titolo re : a quattordici anni . A questo ra­
gazzo mal pettinato spettava ormai interamente il compito di gui­
dare verso la salvezza il popolo dei Franchi, di mantenerlo con lo
scettro e la spada nella pace e nella: giustizia. Pertanto da trenta­
cinque anni Filippo, ogni primavera, monta a cavallo e conduce i
suoi alla battaglia. Li trascina in un seguito di scafamucce il cui
esito dovrebbe essere, nel periodo della mietitura e della vendem­
mia, un'assemblea di arbitrato, di lunghe discussioni, che plache­
rebbero per un momento le discordie di continuo risorgenti nel
mondo dei principi, a vantaggio del popolo di Dio, cioè della Chie­
sa e dei poveri. Nel I I 9 0 si è avventurato molto piu lontano, fino
26 L'evento

in Terra Santa, come già aveva fatto suo padre, sperando di libe­
rare il Santo Sepolcro, appena ticonquistato dagli infedeli. Non
ha potuto prendere Gerusalemme, ma ha assolto coraggiosamente
il suo voto durante l'assedio di San Giovanni d'Acri, perdendovi
la salute. L'autunno successivo ha lasciato l'esercito crociato, è
tornato in patria attraverso I 'I tali a, passando da Roma, Siena, Mi­
lano, ha valicato le Alpi prima delle grandi nevicate, mezzo cieco,
piu rabbioso, piu ansioso di quando era partito. Aveva allora ven­
ticinque anni . Lentamente ha dominatq la propria nevrosi. Al
tempo di BouVines i suoi ammiratori e adulatori parlano di lui co­
me di un « bell'uomo, dalla figura prestante, dal volto ridente, cal­
vo, rubicondo, cui piace bere e m angiar bene ». Questo buontem­
pone è considerato « previdente, ostinato . . . pronto nei giudizi e
disinvolto » ; i servi di una ideologia della regalità che wol mostra­
re nel sovrano il vero amico del popolo lo presentano come uno
che « si compiace di consultare gli umili », cioè che di:ffìda dei gran­
di e cerca fuori dell'alta aristocrazia appoggi piu saldi. Si è sposato
tre volte. Una morbosa avversione lo ha allontanato, la sera stessa
delle nozze, dalla sua seconda moglie Ingeborg di Danimarca. Si è
presto preso un'altra donna, malgrado la Chiesa. A questa unione
adulterina si prestarono docilmente i vescovi, ma il papa la con­
dannò e colpi con gravi sanzioni il re, che non cedette. Nel r 2 I 4
quella che a Roma era considerata la sua concubina è morta ormai
da tredici anni . Da qualche mese soltanto Ingeborg è uscita dal
monastero in cui sino ad allora l'aveva tenuta il marito e vive a
corte, da regina. Sul salterio che usa per le preghiere ha notato che
il 2 7 luglio 1 2 1 4 «Vinse Filippo, il re di Francia, in battaglia, il re
Ottone, il conte di Fiandra e il conte di Boulogne e molti altri ba­
roni.» . Soltanto altre due date sorio scritte sul margine di quel li­
bra stupendo, in ricordo di speciale suffragio, o di ringraziamento,
ed è questo il segno piu significativo della risonanza che ebbe l' av­
venimento .
Dopo Ugo Capeto tutti i re di Francia hanno potuto, ancora in
vita, associare al potere un figlio che poi raccolse la successione
senza difficoltà. Anche a Filippo, sesto di questa discendenza ma­
schile, la :figliolanza non manca : senza tener conto di un bastardo
La messa in scena 27

datogli da una giovane della nobiltà di Arras e che diventerà ve­


scovo di Noyon, ha due figli e una figlia. I due minori, frutto del
matrimonio adulterino, sono stati legittimati per decisione ponti­
ficia. Luigi, il primogenito, Filippo si è ben guardato di farlo re,
pur cominciando a sentire la fatica delle continue cavalcate. Però
l'utilizza, giacché il principe Luigi , signore dell'Artois, eredità
della madre, ha sempre servito fedelmente e sempre piu spesso
sostituisce il padre alla testa dell'esercito quando si tratta di fare
la guerra lontano da Parigi. L'associazione preliminare del figlio
primogenito alla dignità regia non è infatti piu una necessità. Da
lungo tempo ormai i principi di Francia non si ribellano piu con­
tro il padre. La dinastia capetingia è saldamente unita, piu di ogni
altra, e si è decisamente affermata l'idea che la corona si trasmetta
regolarmente di padre in figlio in ordine di primogenitura. Una
canzone di gesta, Le Couronnement de Louis, composta verso il
I I 3 7, già sos teneva che l'ereditarietà era cosa ovvia, quand'anche
il figlio del re fosse imbecille, e che la consacrazione altro non era
se non una prova supplementare dell'elezione divina. Ora Filippo
ha quest'altra fortuna : gli è appena nato a Poissy un secondo ni­
pote, e sarà san Luigi (l 'altro, Filippo, morrà nel I 2 I 8 ) . L' avve­
nire della dinastia è assicurato .
Il re porta il soprannome di Augusto. Glielo aveva dato Ri­
gord, allo scopo di celebrare in tal modo colui che aveva « accre­
sciuto » il dominio regio, triplicandone di colpo l'estensione. Ma
un senso piu grave pesa su questo epiteto : evoca Cesare, non ci si
può ingannare. Suona come una pretesa all' Impero . « Roma ap­
partiene per diritto al re di Saint-Denis » già diceva Le Couronne­
ment de Louis; non bisogna !asciarla ai Tedeschi . Il Capetingio,
che da poco tempo sa di essere il piu potente sovrano della cristia­
nità, afferma allora persino la propria volontà di iscriversi nella
discendenza di Carlomagno, di non ammettere sopra di sé alcuna
potenza temporale e di pretendere alla guida suprema del popolo
cristiano. Già cento anni prima Suger lavorava a questa presa di
possesso del rètaggio carolingio, quando immaginava di riunire
intorno all'abbazia di Saint-Denis , cioè della monarchia parigina ,
tutti gli emblemi culturali dell'impero franco . Il vivissimo impul-
28 L'evento

so del progresso economico da cui l'Ile-de-France traeva profitto


piu di qualsiasi altra provincia, che incrementava lo sviluppo di
Parigi e innalzava al massimo la rinomanza della città regale, so­
steneva l'edifìcio cosi costruito sul piano dell'ideologia e dei
simboli. La politica matrimoniale dei sovrani valse a puntellarlo
piu saldamente. Queste unioni in tendevano collegare in modo pili
stretto al ceppo carolingio la discendenza di Ugo Capeto : cosa im­
portante in un tempo in cui si pensava che tutti i carismi derivano
dalla razza. Il sangue di Carlomagno scorre in realtà piu puro nel­
le vene di Filippo Augusto, la cui madre proveniva dalla casa di
Champagne. Isabella di Hainaut, la sua prima moglie, era an­
ch'essa una carolingia, e il principe Luigi, suo figlio, è quindi
ancor piu vicino di lui stesso agli antenati che un tempo furono a
capo dell'Impero. Questi matrimoni spiegano indubbiamente che
nel momento in cui ci troviamo il sangue reale viene a un tratto ad
assumere una posizione centrale nel sistema di simboli sul quale
si fonda l'immagine della monarchia. Lo si vede da parecchi indi­
zi : dalla nuova cura che i laboratori di scrittura al servizio del so­
vrano mettono nel redigere precise genealogie ; pure dal fatto che,
dopo Filippo Augusto, i figli secondogeniti del monarca, anche se
privi della sacra unzione, saranno essi pure sepolti nella necro­
poli di Saint-Denis , dove riposavano fino ad allora solo le spo­
glie dei re e delle regine. Discendente, senz'ombra di dubbio, dai
piu lontani avi merovingi, presentati essi stessi, da tutta una rete
di leggende ampiamente diffuse, come i discendenti dei Troiani,
cioè dei fondatori di Roma, il Capetingio è destinato a dominare
il mondo . Alla soglia del XIII secolo si odono i professori delle
scuole parigine, che Filippo protegge e a cui presta ascolto, pro­
clamare ad alta voce che la Provvidenza ha voluto trasferire prima
dalla Grecia a Roma, poi da Roma a Parigi la sede eccelsa del sa­
pere. Il re, ormai vicino alla vecchiaia, che guida a Bouvines l'e­
sercito di Dio, è altrettanto persuaso che il movimento della sto­
ria, con un analogo trasferimento, designa lui piu di chiunque al­
tro a distruggere l'eresia e a mantenere nell'ordine divino tutta la
cristianità cattolica e romana.
La persona di Filippo, luogotenente delle potenze celesti, e l'o-
La messa in scena 29

rifì amma , sacro oggetto tenuto davanti a lui per significare la pre­
senza al suo fianco di san Dionigi, protettore del regno, costitui­
scono sullo scacchiere di Bouvines il centro eccezionale del cam­
po dei bianchi. Questo campo, è riunito saldamente in un sol
corpo da una vasta rete di relazioni ordinate gerarchicamente. Piu
stretti intorno al re di Francia, e come torri della sua difesa, si tro­
vano gli uomini del suo lignaggio. Non certo il figlio primogenito,
che in quel momento conduce in nome suo la guerra nel Sud, né il
cadetto, troppo giovane. Ma i due cugini germani , l'uno poco piu
anziano di lui, l'altro di poco piu giovane : ROBERTO, conte di
Dreux, PIETRO di Courtenay, conte d'Auxerre, che piu tardi cin­
gerà il diadema imperiale di Costantinopoli . Anche un altro cape­
tingio è presente : EUDE S , duca dei Borgognoni, signore di uno
dei cinque grandi principati regionali il cui nome tramanda anco­
ra, in seno al regno, il ricordo delle comunità etniche del lontanis­
simo Medioevo . Anche lui ha la stessa età del re.
Nella gerarchia delle dignità vengono poi i conti : RODOLFO,
conte di Soissons, cognato di Roberto di Dreux; GIOVANN I, conte
di Beaumont; GUALTIERO di Chatillon , conte di Saint-Poi, nipote
del conte di Dreux e cugino di Filippo Augusto; il conte di Gui­
nes, ARNOLFO, dianzi ancora nemico del re di Francia, che l'anno
precedente ne aveva devastato le terre, ma che ora ha cambiato
bandiera e questa volta sono stati i Fiamminghi in quella medesi­
ma stagione a saccheggiargli e bruciargli le proprietà. Possiamo
collocare qui, quantunque non portino titolo comitale, MATTEO
di Montmorency, la cui moglie, :figlia del conte di Soissons, è ni­
pote di Roberto di Dreux; un suo parente, il visconte di MELUN;
GIOVANNI di Nesle, nipote del conte di Soissons, cognato del conte

di Saint-Poi, che è pure castellano di Bruges, quindi a un tempo


feudatario in Piccardia e in Fiandra, ma che sta fedelmente dalla
parte dei Francesi. Tutti questi uomini appartengono alla genera­
zione del sovrano . Uno solo, in questo grado della gerarchia, fa la
:figura di un giovincello, ed è il conte di Bar, ENRI CO, che viene
detto « giovane » perché non è ancora sposato, ma che in realtà è
appena succeduto a suo padre. Questo ragazzo meno maturo com­
batte tra i cavalieri della guardia del corpo del re.
30 L'evento

Il gruppo dei cavalieri riunito intorno allo stendardo con i gi­


gli, e le cui cavalcature si stringonO ai :banChi del cavallo regale,
è formato dai piu vecchi camerati di Filippo, amici di sempre, che
ridono e bevono con lui, gente per la maggior parte della sua età.
Hanno funzioni di caposervizi sia nel palazzo che fuori, e sono
tutti cugini : BARTOLOMEO di 'Roye, GUALTIERI il Giovane, GIO­
VANNI di Rouvray, GUGLIELMO di Garlande, PIETRO Mauvoisin,

GERARDO La Truie sono lorenesi, che agiscono sull'esempio del

conte di Bar. Matrimoni antichi e recenti legano, da vicino e da


lontano, tutti questi uomini al ceppo capetingio e a tutte le fa­
miglie comitali : Garlande, per esempio, è, per via di sua moglie,
nipote di Roberto di Dreux, cognato del conte di Saint7Pol, eçl. è
suocero del conte di Beaumont. GUGLIELMO di Barres, il Barrese,
come pure vien chiamato, appare come l'uomo forte del gruppo,
celebre in tutte le corti dopo che a San Giovanni d'Acri e davanti
all'esercito crociato ha giostrato contro Riccardo Cuor di Leone,
re d'Inghilterra e :bore della cavalleria. A Guglielmo è affidata la
carica di siniscalco. Egli è il braccio destro del re e, da piu di tren­
t'anni, lo accompagna in tutte le cavalcate.
I pochi cavalieri di cui Guglielmo il Bretone cita ancora i no­
mi, e dei quali alcuni, che recano stendardo, guidano la propria
compagnia, hanno quasi tutti il proprio feudo nella regione pie­
carda, come TOMMA S O di Saint-Valery, UGO e GUALTIERO di Fon­
taines, PIETRO Tristan, UGO e GIOVANNI di Mareuil; oppure anche
intorno a Soissons, come i fratelli di Condune. Due soli Norman­
ni, ma da lunga data feudatari del re di Francia, S TEFANO di Long­
champ, lo sfortunato, e GUGLIELMO di Mortemer.
Figurano tra i combattenti due prelati della santa Chiesa, ar­
mati come cavalieri. Il primo, vescovo di Beauvais, FILIPPO, fra­
tello del conte di Dreux, per il quale l'impresa è una irresistibile
tentazione di dar sfogo a vecchi rancori, malgrado la sua condizio­
ne di ecclesiastico se la gode un mondo, non già con la spada, per­
ché rischierebbe di versar sangue, e non ha il diritto di farlo, ma
semplicemente con la mazza. Il secondo, frate GUERRINO, « elet­
to » di Senlis, è designato per occupare questa sede episcopale,
pur non essendo ancora consacrato . Tale dignità ricompensa un
La messa in scena 3I

lungo servizio presso il re. Cavaliere dell'ordine degli Ospitalie­


ri, e quindi tecnico dell'arte militare, egli ha, dopo la nomina, co­
stantemente aiutato Filippo, suo cadetto di otto anni minore, con
i consigli e con le armi. È il Nestore di questa Iliade.
Guglielmo il Bretone nomina un solo· sergente : PIETRO della
Tournelle (un fenomeno : non sembra essere di sangue nobile, e
tuttavia è cosi prode che sarebbe degno di appartenere alla caval­
leria), e un solo fante che, al contrario, ben rappresenta la sua con­
dizione : la naturale bassezza d'animo lo porta a sfregiare vergo­
gnosamente con il coltello il volto del conte di Fiandra. Vediamo
tuttavia gli appiedati ordinarsi in grandi masse, che però in un
certo senso rappresentano delle persone : i COMUNI. Si tratta di
leghe che in qualche borgata e in alcuni gruppi di villaggi riuni­
scono gente del popolo intorno a determinati privilegi, il cui prez­
zo però è costituito da certi doveri; il re Filippo ne ha create alcu­
ne e ne ha confermate altre, attendendo in cambio da esse il ser­
vizio d'armi. Infatti in caso di pericolo, tutti gli uomini validi del
gruppo comunale sono mobilitati. Per operazioni militari piu lon­
tane gli appartenenti ai comuni debbono pagare una quota, forni­
re un numero fisso di guerrieri, o ùna somma di denari, per assol·
dare chi li sostituisca. Alcune liste, compilate nel r 204, in testa al
piu antico registro oggi conservato dell'amministrazione capetin­
gia, enumerano trentanove comuni, disseminati dall'Artois al Poi­
tou, dalla Normandia a Sens. A Bouvines ce ne sono diciassette e
rappresentano città episcopali : Noyon, Soissons ; Amiens e Beau­
vais, insieme a borghi mercantili : Arras, Montdidier, Montreuil,
Hesdin, Corbie, Roye, Compiègne, e infine federazioni di comu­
ilità paesane : Bruyères, Cerny, Crépy-en-Laonnais, Grandelain,
Vailly, e un'altra ancora di cui manca il nome .
Tutti questi attori, grandi e piccoli, famosi o anonimi, sono
coinvolti in un intreccio di molteplici solidarietà concatenate tra
loro in modo da formare le maglie di una coerenza simile a un tes­
suto fittissimo. In primo luogo legami familiari : nonostante le
prescrizioni esogamiche, che la Chiesa, in nome di una concezione
dell'incesto smisuratamente ampia, intendeva allora far rispetta­
re, questi legami fanno dell'intera cavalleria, attraverso la filiazio-
32 L-evento

ne o il matrimonio, come un solo parentado. In secondo luogo : le­


gami complementari dell 'omaggio del vassallo che spingevano a
rispettare la fede giurata, a evitare soprattutto la fellonia e la con­
fisca del feudo, con cui viene punita. Piu determinante ancora, la
lunga amicizia nata sin dall'infanzia e alimentata durante gli anni
di noviziato alla corte di un comune signore, consacrata un giorno
di Pentecoste, nelle feste della vestizione collettiva, e nutrita, per
molti anni , con i piaceri della caccia e della guerra, con la gioia di
partire insieme all'alba, e con quella connivenza che permette
di catturare le belle prede che la sera si spartiscono tutti insieme
trincando . Amicizia interrotta certo da screzi, impazienze e sfide,
ma che costituisce tuttavia la vera coesione dei gruppi intorn!J a
ogni stendardo . Contano pure i rapporti di vicinato, il sentimento
di appartenere allo stesso paese che bisogna difendere insieme e di
cui si deve tener alta la reputazione. Costoro radunano cavalieri e
scudieri intorno all'uomo che, nella regione, porta il titolo corni­
tale o vi comanda la fortezza piu importante e alimentano anche
il cameratismo tra le bande comunali . Un conglomerato di nuclei
duri, che l'amicizia dei capi, degli uomini della stessa età e spesso
dello stesso sangue, salda gli uni agli altri : questo è l'esercito del
re di Francia. I guerrieri che lo formano vèhgono per la maggior
parte dai paesi vicini al luogo della battaglia : dall'Artois, dalla
Piccardia, dai dintorni di Soissons, di Laon, della Thiérache. Dal­
l'Ile-de-France e dal Vexin, invece, nessun comune, poiché non si
doveva lasciare Parigi indifesa, e pochi cavalieri : molti guerreg­
giano in questo momento nel Mezzogiorno, al seguito di Simone
di Montfort in zona albigese, o dietro al principe Luigi ai confini
dell'Angiò. Sono pq.re presenti la cavalleria di Borgogna, al segui­
to del suo duca, e quella della Champagne, che però non è guidata
dal proprio conte, allora un bambino di dodici anni . Quanto ai
Borgognoni e a quelli della Champagne, Guglielmo il Bretone
non nomina nessuno : per lui sono già stranieri. Poco numerosi i
Normarnii poiché il ducato, da poco tempo annesso al dominio
reale, è ancora infido, e i suoi guerrieri potrebbero facilmente fare
dietro. front. Non un cavaliere, non un sergente, non un fante che
venga dal sud della Loira: questo paese è un altro mondo. L'eser-
La messa in scena 33

cito regio, a Bouvines, è per prima cosa quello della vecchia Fran­
cia: in pratica è l' armata &anca.

Di primo acchito, il campo avversario appare molto meno


omogeneo . È travagliato da intrighi, oppresso dalle censure della
Chiesa romana, corrotto, coperto dall'ombra del male . Già, di
fronte al re dei bianchi, il re dei neri ha due volti. Uno dei due ri­
mane mascherato, quello di GIOVANNI S ENZATERRA, re d'Inghil­
terra. Però è quello vero : Giovanni, da lontano, dirige tutto il
gioco. Ultimo figlio di Enrico Plantageneto , e perciò privato del­
l'appannaggio, donde il suo soprannome, è di due anni soltanto
piu giovane del re Filippo. Malvisto, non ha mai smesso di tradi­
re, di complottare, prima contro il padre, poi contro il fratello
RiccardO Cuor di Leone, portando da quel momento il suo omag­
gio al re di Francia che lo provocava ridendo in cuor suo. Nono­
stante tutto Riccardo, sul letto di morte, ingiunse ai baroni d'In­
ghilterra di giurare fedeltà a Giovanni . Questi divenne finalmen­
te re a trentadue anni e, cosa per cui prima moriva d'invidia, pa­
drone degli immensi feudi che il padre e la madre Eleonora pos­
sedevano sul continente : la contea d'Angiò, culla della famiglia,
il ducato di Normandia, una fortuna, un terribile peso che grava­
va su Parigi, e infine il ducato di Aquitania . Instabile, incapace di
perseguire a lungo un disegno militare - e per questo si scherniva
la sua « molle spada » - molto piu crudele e traditore di quanto si
potesse perdonare ai principi del suo rango, di una sessualità ro­
vinosa - è forse ancora la « molle spada » ? - Giovanni Senza terra
ha violato incessantemente tutti i divieti della morale cristiana e
dell'etica cavalleresca. Discendente di Melusina, portatore di un
sangue diabolico, lo si dice marcio di dentro, invasato, reso folle
da sortilegi e malefici. Per l'inglese Fouques Fitz-Warin « il re
Giovanni fu uomo senza coscienza, cattivo , irritante, odiato da
tutta la gente per bene, e servile. Se sentiva parlare di qualche bel­
la dama o damigella, moglie o figlia di un conte, di un barone o di
altri, la voleva far sua, e con promesse o con doni adescarla o pren­
derla con la forza » . Quest'uomo tragico e capriccioso non merita
34 L'evento

la minima indulgenza. Fu scomunicato per quattro anni per aver


trattato le abbazie inglesi come le spose dei suoi vassalli. Fu get­
tato l'interdetto sul regno, vi fu sospesa ogni celebrazione liturgi�
ca, con grande smarrimento di tutto un popolo sbigottito che sol­
lecitava il suo re a emendarsi. Ciò che egli ha fatto l'anno prece­
dente, riconciliandosi a parole con il papa. Nel luglio I 2 I 4 Gio­
vanni Senzaterra è lontano da Bouvines parecchie giornate di
corriere; fa la guerra sulla Loira, nella terra dei suoi avi, nel paese
che è veramente suo. Eppure è proprio la sua volontà, e molla del­
la battaglia sono i quarantar:i:ill.a marchi d'argento distribuiti a
nome suo.
Un altro re, su quello stesso campo, tiene il suo posto. Un r� ci
vuole, ed è quello di Germania, QTTONE di Brunswick. È nipote
del re Giovanni, figlio di sua sorella e del duca di Sassonia, il
Guelfo Enrico il Leone. Un uomo decisamente piu giovane, del
quale non si sa con precisione quando è nato : alcuni dicono nel
I I 82, in Normandia, altri verso il I I 7 5 in Germania. Certo è che
fu allevato nella casa di Riccardo Cuor di Leone. Super bus et stul­
tus, sed fortis, « superbo e stolto, ma coraggioso », dice di lui la
cronaca di Ursperg. Suo fratello si trovava in Terra Santa, cin­
quanta cavalli con centocinquantamila marchi d'argento arrivava­
no con lui dalla Normandia, il re Riccardo aveva amicizie in Rena­
nia e un odio immenso verso l'attuale re di Germania, lo Ho­
henstaufen Filippo di Svevia, per tutti questi motivi l'arcivesco­
vo di Colonia nel I I 9 8 fece eleggere Ottone da alcuni principi te­
deschi, e poi lo fece incoronare ad Aquisgrana. Per dieci anni l'an­
tire del partito guelfo guidò incerte spedizioni a cavallo contro il
rivale. Nel 1 2o8 la sorte gli arrise. Dopo l'assassinio di Filippo di
Svevia egli ne sposò la figlia, prese al proprio servizio i suoi consi­
glieri, li rimpinzò di denaro inglese, si fece eleggere una seconda
volta, e l'anno seguente scese in Italia per rivendicare il diadema
imperiale cui davano diritto il suo titolo di re di Germania, il suo
sangue e il nome stesso che portava, quello di secondo restaurato­
re dell'Impero d'Occidente. Egli circ:ul il papa che, imprudente­
mente, dimenticando che anche lui era della razza di Melusina,
quindi a priori traditore, lo incoronò. E subito tradi . Per essersi
La messa in scena 35

scagliato contro la politica italiana della Santa Sede fu scomunica­


to in due riprese, nel I 2 1 0 e nel 1 2 r r , e il 2 7 luglio 1 2 1 4 lo è an­
cora . Per consiglio di Filippo Augusto, il papa ha fatto eleggere in
Germania un altro re contro di lui : è lo Staufen Federico,-incoro­
nato, a quindici anni, nel r2 1 3 , nella cattedrale di Magonza. Con�
testata nel suo regno, perseguitato dalla vendetta divina invocata
sul suo capo dal vescovo di R.oma, l'imperatore scomunicato e de­
posto si trova a Bouvines perché i denari del re d'Inghilterra an­
cora una volta lo hanno allettato. Ma è venuto anche perché sa di
incontrarvi il proprio nemico, il piu accanito, principale os tacolo
al proprio trionfo, il re Filippo di Francia, i cui intrighi minano
da tutte le parti il suo potere, e del quale non ignora le pretese a
erigersi ad autentico erede di Carlomagno. Ottone si fa circonda­
re da quelli della sua casa, dalla fanteria abbondante e valoròsa
che è riuscito ad assoldare nei paesi del Reno e della Mosa, dove
i soldati di ventura formicolano. Dalle regioni dell 'Impero do­
ve non si ama il Ghibellino, dalla vecchia. Sassonia, dalla Bassa
Lorena lo hanno raggiunto alcuni grandi feudatari : il dtJca di
BRABANTE suo suocero - ma pure il genero di Filippo Augusto, e
pieno di incertezze, pronto a tirarsi indietro, il conte « barbuto »
d'Olanda, quattro altri conti sassoni e renani, i piu fedeli, e ognu­
no si trascina dietro la sua forte schiera di cavalieri.
Accanto ad Ottone di Brunswick stanno altri tre principi, ma
non dell'Impero. Sono alleati del re di Germania per particolari
circostanze, non per parentela, né per amicizia, né per fede di vas­
salii . Li hanno uniti a lui soltanto l'odio per Filippo Augusto e i
sussidi del re d'Inghilterra. Figlio naturale di Enrico II e fratel­
lastro di Giovanni Senzaterra, il conte di Salisbury, GUGLIELMO
detto Lunga Spada, è lo spadaccino della famiglia. Vent'anni pri­
ma, Riccardo Cuor di Leone lo aveva una volta incaricato di orga­
nizzare i tornei nel regno d'Inghilterra, ed egli era riuscito a vin­
cere i campioni . Nel I 2 I 4 questo bravaccio è in declino . Invece il
conte di Fiandra, FERRANDO, è un giovane impetuoso di ventot­
t'anni. Figlio del re del Portogallo, ha ricevuto la contea dal si­
gnore di sua moglie e non si è mai consolato di aver dovuto, due
anni prima, subito dopo il matrimonio, per essere autorizzato a
36 L'evento

rendere omaggio al re di Francia e ricevere l'investitura del suo


feudo, cedere al suo nuovo signore, come tassa di successione, le
castellanie di Aire e di Saint-Omer. Da quel momento ha assolto
male il suo compito di feudatario; il re Filippo ha devastato, l'an­
no precedente, la sua terra, ed egli lo odia. Il terzo conte è quello
di Boulogne, RINALDO di Dammartin . Di una famiglia che detene­
va uno dei forti castelli dell'Ile-de-France, suo nonno aveva co­
perto la carica di camerario nella casa capetingia. Lui stesso era
stato allevato li. Della medesima età di Filippo Augusto, fu suo
compagno d'infanzia e dalle sue mani ricevette le armi della caval­
leria. Nel fervore della giovinezza tradi una prima volta l'amico,
suo padrino e signore, e fu naturalmente accolto a braccia ap�rte
dal re d'Inghilterra. Dove avrebbe potuto andare ? La corte del
Plantageneto era l'asilo di tutti i transfughi, già SlJ.O padre vi si
era ritirato. Ciononostante Filippo gli concesse di nuovo ben pre­
sto la sua amicizia e, per vincolarlo, gli fece sposare la propria cu­
gina, Maria di Chatillon. Ma nel I I 9 0 Rinaldo ripudiò questa
sposa : una preda magnifica si profilava all'orizzonte, una ricchis­
sima ereditiera : la vedova, già matura, del conte di Boulogne;
tutti i « giovani » di alto lignaggio la bramavano e facevano la ruo­
ta davanti a lei; Rinaldo la conquistò, in barba ad Arnolfo di
Guines, e cosi diventò conte. Questa caccia meravigliosa � l'ori­
gine di un cumulo di violenti rancori - di quegli odi che si traman­
dano di famiglia in famiglia, alimentati sovente dagli insuccessi
di una politica matrimoniale e in gran parte responsabili del com­
portamento dei cavalieri - che gli aizzò contro non soltanto il con­
te di Guines ma anche quello di Saint-Poi e tutta la famiglia di
Dreux. Tale animosità spiega in gran parte l'atteggiamento del
conte di Boulogne verso la casa di Francia : d'allora in poi egli vi
si sente circondato da insidie. Questo bel ragazzo, valorosissimo
cavaliere, signore del porto piu comodo per passare in Inghilter­
ra, allevatore dei migliori destrieri, signore dei mari freddi e del­
le grandi pescherie di aringhe, che a Bouvines, in cima all'elmo,
ostenta due fanoni di balena, si è a lungo barcamenato fra i due
reami. Dieci anni prima serviva ancora validamente Filippo Au­
gusto in Normandia, lo aiutava a prendere Chateau-Gaillard; il
La messa in scena 37

re di Francia lo ricopriva di favori, faceva sposare la propria ni­


pote al fratello di Rinaldo, fidanzava con la figlia di quest'ùltimo
il suo secondo figlio appena nato, Filippo Hurepel. Boulogne ne
valeva ben la pena. E tuttavia, da cinque anni , Rinaldo di Dam­
martin, sicuro ormai dell'inimicizia capetingia, si frappone fra il
re Giovanni, Ottone e tutti quelli che Filippo ha danneggiato e
che si stringono in alleanza contro di lui .
Di tutta la cavalleria, raggruppata dietro ogni stendardo tanto
nel campo dei coalizzati come nell'altro, meglio di tutte si vede
quella di Fiandra : essa ha fornito la maggior parte dei prigionie­
ri di Bouvines, e la minuziosa contabilità dei riscatti ne fa cono­
scere i nomi. Ne emergono alcune figure : GUALTIERO di Ghis­
telle, BURIDANO di Furnes , ARNOLFO d'Audenarde, che si è oppo­
sto nel I 2 I 2 al matrimonio di Ferrando con l'ereditiera della con­
tea e lò si vede sovente in Inghilterra. Un posto a sé ha UGO di
Boves . È figlio cadetto di un ramo cadetto di una famiglia piccar­
da, quella dei signori di Maile e di Coucy, i cui capi, a Bouvines,
stanno dalla parte capetingia, ed è in cerca di fortuna. Ha ucciso
uno dei prevosti del re Filippo, e perciò ha dovuto scappare. Ma
dove? Presso Giovanni Senzaterra. È l'economo dei tesori ingle­
si : distribuisce doni e paghe . Agli occhi di tutti è il re dei mer­
cenari .
Questi ultimi appaiono in piena luce nel campo del male, nel­
la parte maledetta, e in quella soltanto. Spalleggiando i fanti del
re di Germania e le forti bande dei comuni fiamminghi, i « BRA­
BANTINI » combattono a piedi, in compagnie compatte, in falangi
fitte quali sanno formare questi professionisti della guerra dove
si uccide. Dio li odia, e se ne vendicherà. Due anni piu tardi finirà
per impadronirsi di colui che li paga, Ugo di Boves, e lo farà anne­
gare in mare. Per il momento, il racconto lo mostra al servizio
partiçolare di Rinaldo di Boulogne, uomo perverso e magnifico
che « apertamente » si trascina alle calcagna delle concubine; dei
briganti si fa baluardo, quasi l'ultimo rifugio della sua malvagità.
Molteplici solidarietà, le stesse, uniscono saldamente, tanto
tra i combattenti del male quanto tra quelli del bene, le cavallerie
regionali, le guardie del corpo dei gentiluomini a cavallo, le com-
38 L'evento

pagnie dei comuni e quelle dei mercenari . Sono blocchi saldi, ma


senza un vero legame reciproco. In quel giorno e in quel luogo li
hanno radunati soltanto l'attrattiva del lucro, il rancore, la brama
di regolare vecchi conti, la preoccupazione di schivare vendette
già predisposte . Cosi appaiono i neri : imperfettamente uniti dal­
le contraddizioni della loro causa. Sono i bianchi che giocano dav­
vero . E vincono.

La scena è a Bouvines, presso il ponte. Ponte di capitale im­


portanza. Solo attraverso questo e la carreggiata che di qui va ver­
so T ornai e lo Hainaut a est, verso Arras e la Piccardia a sud, era
possibile a quell'epoca superare il vallone della Marcq, larga frat­
tura ingombra d'acque stagnanti che si apriva fra gli altopiani; un
passo difficile, soprattutto quando ha molto piovuto nell'inverno
e nella primavera, come nel I 2 I 4 . In questo punto di attraversa­
mento , fissato in quella località fin dalla preistoria, un villaggio
di cui sono signori i monaci di Saint-Amand, un boschetto, una
cappella, e non molto distante, in margine ai poderi, un monaste­
ro, Cysoing, di fondazione carolingia. Passare il ponte, tagliarlo,
significava erigere dietro di sé uno sbarramento sicuro. Si era al
riparo, e da quel momento ci si poteva fermare, accampare, ri­
prender forze, scorgere chi s'avanzava, cosa che due giorni prima
nello stesso luogo già aveva fatto Filippo Augusto . Ma davanti al
ponte si estende a levante un altopiano, largo una lega e lungo
cinque. È delimitato da boschi sulle pendici scoscese. Il centro è
occupato da appezzamenti di terra fertile coltivata a grano che si
è cominciato a mietere il 2 7 luglio, e che si presta ad ampie galop­
pate. Questa località, piccarda per l'aspetto del paesaggio, appar­
teneva allora alla contea di Fiandra . A qualche chilometro, dal la­
to est, passa sull'Escaut la frontiera tra il reame di Francia e l'Im­
pero ; poco oltre, dal lato ovest, si trova l'Artois , dove il re Filip­
po è a casa sua, in quella che fu l'eredità della sua prima moglie, e
ora è il feudo del suo primogenito . A Bouvines, le terre fiammin­
ghe, imperiali e capetinge s'incontrano.
La messa in scena 39

Qui stanno per essere troncati di colpo, fra mezzogiorno e le


cinque del pomeriggio, i nodi più stretti degli intrighi politici che,
da qualche tempo, s'intessono in Europa. Rancori e cupidige di
capi di bande, passioni personali , affari di famiglia, ripudi, adul­
teri, affronti mal digeriti, promesse non mantenute, amicizie tra­
dite, sete di arraffare, di superare gli altri, di mettersi un rivale ai
piedi per la soddisfazione di rialzarlo con aria bonacciona, sono i
veri moventi di questi conflitti. I quali per l'interesse di una stir­
pe, di una casa, di un patrimonio, aizzano gli uni contro gli altri
uomini iracondi e scaltri, avidi e muni:fici, che, fin dall'infanzia,
da quando sono usciti dal mondo delle donne, si affrontano ovun­
que in continua competizione. Bouvines è veramente prima di
tutto un duello fra gelosi, venuti li per il piacere di azzuffarsi. Ma
è lecito tuttavia parlare a tal riguardo anche di politica. Poiché in
Occidente il lento movimento per uscire dallo stato selvaggio e
di miseria ha portato a poco a poco a ra:fforzare determinate po­
tenze feudali . È data loro la possibilità di prelevare denaro in
sempre maggiore abbondanza nelle fiere, nei porti, nelle grandi
città e sulle rotte -commerciali, gli istituti religiosi e i negozianti,
che hanno bisogno di pace, a loro non rifiutano mai prestiti. Ser­
viti da chierici che imparano a fate i conti e a tenere i registri, e
che, per formazione intellettuale, sono in grado di avere idee me­
no logore su quello che è la sovranità, alcuni principi , eredi del­
l'antica facoltà di giudicare e di punire in tutta una regione, sono
giunti a recuperare prerogative che la disgregazione cosiddetta
feudale aveva da lungo tempo rese vane. I tumulti che ad ogni
primavera fanno uscire da ogni castello, con il pretesto dell'ono­
re, piccoli sciami di cavalieri predoni, che vanno alla caccia di
qualsiasi occasione per rapinare, cominciano a essere un po' fre­
nati dalla mano di un conte, di un duca o di un re. Un tal capo ha
ormai la possibilità di far rispettare la morale del vassallaggio e
gli obblighi del feudo, di meglio legare alla propria persona i feu­
datari minori, di riunire per il bene comune tutta la cavalleria di
un paese, di imporre i propri arbitrati, di punire i felloni, di co­
mandare da lontano per mezzo di intermediari stipendiati e di
40 L'evento

farsi obbedire perché offre di piu e può pagare dei soldati . L'oriz­
zonte di quest'uomo è cosi molto meno limitato di un tempo. Il
suo comportamento non differisce da quello dei signorotti della
sua banda. La brama di potenza e l 'invidia ne dettano quasi tutte
le decisioni. Ma i suoi avversari, signori di principati come il suo,
sono dello stesso stampo. Cosi, senza cambiare andamento, la
guerra assume un'altra dimens ione.
Al tempo in cui siamo, al vertice delle preoccupazioni di questi
principi stanno cinque questioni importanti . Tre concernono l'in­
tera cristianità. Di accentuata tinta religiosa, sono volti alla pe­
riferia. Il problema della Terra Santa è da lungo tempo il piu pre­
sente agli spiriti, perché rimane aperto e s'inasprisce. Né la cro­
ciata del 1 1 90 , né la Quarta, quella del 1 2 04, che deviò negli
straordinari saccheggi di Costantinopoli, sono riuscite a sottrarre
Gerusalemme agli infedeli . Il papa intende risolvere prima di tut­
to tale faccenda, non pensa ad altro . Pertanto lo si vede intento
:fino alla spossatezza a placare ogni discordia in seno al popolo di
Dio : è necessario che i cavalieri smettano di lottare tra di loro,
di divertirsi a distruggersi, perché si possa correre tutti insieme
ad attaccare i miscredenti e vincerli. Un altro problema connesso
a questo: contenere in I spagna la pressione dei Mori, è stato ades­
so risolto con una battaglia : Las Navas di Tolosa. E pure con
un'altra battaglia, a Muret , è stata risolta la terza questione della
cristianità, quella dell'eresia, della « maledizione » albigese, infe­
zione interna che minacciava la fede . Rimangono due altri con­
Bitti, in cui la religione interviene solo in superficie, come arma,
come pretesto o come giustificazione. Tali conilitti impegnano le
quattro principali potenze dell'Europa cristiana: il papa, l'impe­
ratore , il re di Francia e il re d'Inghilterra . Sono conflitti molto
antichi. Ingarbugliati l'uno con l 'altro sino a confondersi sono en­
trati, negli anni che precedono Bouvines, e per effetto del progre­
dire di ogni cosa, nella loro fase piu acuta.
La concentrazione dei poteri si è verificata all'unisono nei
principati e nella Chiesa. La Chiesa, alle soglie del XIII secolo , as­
sume definitivamente la :figura di una monarchia, la piu solida di
tutte. Ma di una monarchia il cui capo, successore di san Pietro,
La messa in scena 4I

pretende di dominare il mondo e, in nome del primato spirituale,


di guidare, di rimproverare, di punire, di deporre, se occorre, tut­
ti i principi della terra. Lotario di Segni che nel r r 9 8 , a trentaset­
te anni , divenne papa sotto il nome di Innocenza III è, piu dei
suoi predecessori, convinto della preminenza della sede romana1
ed è piu che mai armato per renderla effettiva. I suoi legati sono
sparsi ovunque e si cacciano negli intrighi dei principi, esaltando
la pace nell'interesse della crociata. Da san Pietro, vale a dire dal
papa, .parecchi sovrani hanno riavuto in feudo il proprio princi­
pato . Ultimo fra tutti, Giovanni Senzaterra. Tuttavia, di fronte
al vescovo di Roma, si erge l'imperatore, il cui magistero è del pa­
ri universale: consigliato da uomini che hanno appreso il diritto
romano alle scuole di Bologna, egli si considera e vuole essere l'e­
rede dei Cesari. Il papa crea l'imperatore. Investito del potere di
legare e di sciogliere, egli può anche deporlo. Ma l'imperatore,
dopo Carlomagno e dopo Ottone il Grande, si considera anch'e­
gli incaricato da Dio di epurare quando è necessario la curia ro­
mana, di scacciare eventualmente un papa indegno, di protegge­
re in ogni caso quel signorotto contestato che è, nella città e intor­
no ad essa, il sovrano pontefice. Tanto l'ascesa delle potenze e il
consolidamento di ideologie che si affrontano, quanto gli interes­
si italiani del papato hanno inasprito da cinquanta anni una riva­
lità secolare. Contro i discendenti di Federico Barbarossa, che ri­
vendicano la corona germanica, il diadema imperiale e il dominio
dell'Italia del Nord, e uno di loro, inoltre, detiene il reame di Si­
cilia avuto in eredità, Innocenza III ha sostenuto in Germania i
Guelfi, loro rivali, puntando su Ottone di Brunswick. È ben noto
il suo smacco e il suo voltafaccia. Le scomuniche da lui scagliate
contro Ottone rivelano il dispetto di un giocatore che riprende le
sue carte. Nel I 2 I 4, contro il nipote di Giovanni Senzaterra, gio­
ca ormai la carta, truccata, di Federico di Hohenstaufen.
A questo punto i suoi intrighi si collegano a quelli di Filippo
Augusto, e questo primo conflitto raggiunge l'altro. Si è aperto da
un secolo e mezzo, e si fa sempre piu aspro. Le relazioni tra il Ca­
petingio e il suo piu ricco vassallo, difficili da quando il duca di
Normandia è diventato re d'Inghiltérra, si sono fatte fortemente
42 L'evento

. tese allorché il Plantageneto, conte d'Angiò, ha esteso il suo pote­


re·prima sul principato anglonormanno, e poi sull'immenso duca­
to di Aquitania. J!a allora il re di Parigi dovette accanirsi a smem­
brare una potenza smisurata, che rischiava di eclissare la sua . Do­
po l'assunzione al trono, Filippo non ha avuto al tro scopo. Per
meglio raggiungerlo si è affrettato a tornare dalla T erra Santa, si
è riaccostato a Staufen, si è affannato ogni estate a condurre la
guerra qua e là contro Riccardo Cuor di Leone, che fìno alla mor­
te fu sempre in vantaggio . Ma poi, di fronte a Giovanni, la «mol­
le spada », il re di Francia si sente in posizione migliore : si vale in
pieno del diritto feudale. Alla prima occasione Giovanni Senza­
terra è condannato per fellonia dalla corte capetingia, che decreta
la confisca dei suoi feudi . Filippo si affretta a eseguire la sentenza,
riesce a impadronirsi della Normandia e dell'Angiò, e per questo
viene detto Augusto . Il re d'Inghilterra, pur diseredato, tiene du­
ro e attira a sé tutti i baroni francesi che si sono allontanati dal lo­
ro signore per paura, per dispetto o nella speranza di farlo canta­
re. Raccoglie anche da tutte le parti il danaro di cui è piena l'In­
ghilterra, grazie al quale si può combattere una guerra piu aspra.
Senza curarsi degli anatemi con cui lo fulmina il papa, egli lo
prende dalla Chiesa inglese. Sa effettivamente attizzare i rancori
di Rinaldo di Boulogne e di Ferrando di Fiandra, conduce Otto­
ne dove vuole, guadagna alla propria causa tutti i cavalieri biso­
gnosi dei Paesi Bassi con la promessa di un lauto compenso e l 'e­
sca del saccheggio. Ecco cosi riunita un'importante forza militare
che dal Nord minaccerà il suo rivale. Quanto a lui, suo padre è
dell'Angiò e la madre è dell'Aquitania, attaccherà dal Sud.
Nell 'anno r 2 r 3 si collocano le pedine. Filippo si accorda con
Innocenza III. Per compiacerlo, richiama Ingeborg presso di sé.
Il papa dichiara decaduto il re Giovanni e consegna l'Inghilterra
al Capetingio, che si prepara a passare il mare . Allora il conte Fer­
rando getta la maschera e diserta. Non piu spedizione oltre Mani­
ca : Giovanni Senzaterra, all'ultimo momento , è venuto a striscia­
re davanti agli inviati del Santo Padre. L'oste del re di Francia de­
vasterà quindi la Fiandra. Scorreria a scopo di rapina, come è co­
stume, ma che fa sentire a Filippo quanto sia coriaceo l'avversa-
La messa in scena 43

rio : egli incendia Lilla, poi Cassei e Douai, perde però la flotta e
la città di Tournai, mentre Ferrando e Rinaldo spingono i loro ca­
valli sin nei dintorni di Arras . Nel febbraio del r 2 I 4 si ha notizia
che Giovanni è sbarcato a La Rochelle, con numerose truppe e
con le mani piene di denari : vuole riprendersi l'Angiò . Ma l'avvi­
cinarsi di Filippo Augusto, che gli si è precipitato contro, basta a
farlo scappare nel Saintonge . Il re di Francia è troppo prudente
per inseguirlo. Alla fine di aprile lascia a Chinon il figlio Luigi con
la giovane cavalleria e parte verso il Nord per affrontare l'altro
pericolo. Chiama a raccolta i suoi in Piccardia, nel Ponthieu, nel­
l'Artois : si andrà ancora una volta, questa estate, a saccheggiare
le campagne :fiamminghe. Ai primi di luglio Ottone lascia Aqui­
sgrana . Il I 2 è a Nivelle. Il z I arriva dall'Inghilterra il denaro per
le paghe. Due giorni dopo Filippo cavalca da Péronne a Douai. La
sua armata si accampa il 2 5 a Bouvines e l'indomani entra a Tour­
nai. Proprio quel mattino Ottone, il conte di Fiandra e il conte di
Boulogne si trovano a Mortagne, alla confluenza della Scarpe e
dell'Escaut, a tre leghe di distanza verso il Mezzogiorno. Il re di
Francia scopre allora dove stanno esattamente i suoi nemici. Riu­
nisce il consiglio : i suoi cugini, il duca, i conti, i cavalieri della sua
guardia del corpo dicono a turno la propria opinione. Prevale
quella di non avventurarsi piu oltre, su un terreno difE.cile, men­
tre si ha dietro di sé una compagnia cosi potente, ma di ritirarsi
all'alba dalla parte della Francia. Prudentemente l'armata passerà
il ponte di Bouvines. Si fermerà· verso Lilla, al riparo delle paludi,
per fiutare il vento.

Questo prologo era necessario . Ascoltiamo adesso il principale


testimonio.
La giornata

Ci conviene ormai descrivere, meglio che potremo, la gloriosa


vittoria del buon re Filippo.
Nell'anno dell'Incarnazione 1 2 1 4 [era il tempo in cui, come
si è detto, il re Giovanni d'Inghilterra guerreggiava nel Poitou,
nella speranza di recuperare la terra che aveva perduto, e poi era
fuggito, lui e tutto il suo oste, all'avvicinarsi di monsignor Luigi],
Ottone l'imperatore, dannato e scomunicato, che il re Giovanni
d'Inghilterra aveva trattenuto al suo soldo contro il re Filippo,
radunò il suo esercito nello Hainaut, al castello di Valenciennes,
nella terra del conte Ferrando, che a lui si era alleato contro il si­
gnore di cui era vassallo. Il re Giovanni gli mandò, a sue spese, e
pagandoli, nobili combattenti e cavalieri di grande prodezza, Ri­
naldo, conte di Boulogne, Guglielmo Lunga Spada, conte di Che­
ster, il conte di Salisbury, il duca di Limburgo, il duca di Braban­
te, che aveva sposato la figlia di Ottone; Bernardo di Ostemale,
Othe di Tecklembourg, il conte Corrado di Dortmund e Gerardo
di Randerode, e molti altri conti e baroni di Germania, del Bra­
bante, dello Hainaut e della Fiandra. A sua volta, il buon re Filip­
po radunò quanti cavalieri poté trovare al castello di Péronne:
suo figlio Luigi in quello stesso momento stava guerreggiando nel
Poitou contro il re Giovanni e aveva con sé gran parte della caval­
leria di Francia.
Il giorno dopo la festa di Santa Maddalena, il re mosse da Pé­
ronne ed entrò a viva forza nella terra di Ferrando; passò attra­
verso le Fiandre bruciando e devastando ogni cosa a destra e a si­
nistra, e giunse in tal modo fino alla città di Tournai , che i Fiam­
minghi avevano preso con l'inganno l'anno prima e gravemente
La giornata 45

danneggiata. Ma il re vi inviò frate Guerrino e il conte di Saint­


Poi che la ripresero abbastanza facilmente. Ottone mosse aa Va­
lenciennes e giunse a un castello chiamato Mortagne. Questo ca­
stello l'aveva preso con la forza e distrutto l'oste del re Filippo,
dopo aver preso Tournai, distante appena sei miglia.
La prima settimana dopo la festa di San Filippo e di San Gia­
como, il re si propose di attaccare i nemici, ma i baroni lo dissua­
sero perché le vie di accesso erano strette e diffìcili da raggiunge­
re. Per questo, su consiglio dei baroni egli mutò proposito e ordi­
nò di tornare indietro e di entrare per altra via piu agevole nella
contea di Hainaut e di distruggerla da cima a fondo. Il giorno do­
po (la sesta calenda di agosto ), il re mosse da Tournai e se ne stet­
te a riposare, lui e il suo oste, in quella notte in un castello di no­
me Lilla . Ma le cose andarono diversamente da quanto si era pro­
posto, perché Ottone parti in quella stessa mattina dal castello di
Mortagne e cavalcò piu che poté dietro il re, con i battaglioni in
assetto di guerra . Il re non sapeva né assolutamente immagiriava
che i suoi nemici lo inseguissero in quel modo. Avvenne per caso,
o come Dio volle, che il visconte di Melun si staccasse dall'oste
del re, e con altri cavalieri armati alla leggera cavalcasse verso la
zona donde veniva Ottone . Lasciò l'oste e cavalcò dietro di lui
anche frate Guerrino, l'eletto di Senlis ( cosi lo chiamiamo perché
era frate professo dell'ordine ospitaliero di San Giovanni e ne
portava sempre l'abito), uomo s aggio, di grande prudenza e di
sorprendente preveggenza per le cose a venire. Questi due si di­
staccarono dall'oste di circa tre miglia e cavalcarono insieme fin­
ché salirono su di un alto poggio, donde poterono chiaramente
distinguere i battaglioni del nemico, che si affrettavano ad avan­
zare ed erano tutti in ordine di combattimento. Quando se ne ac­
corsero, l'eletto Guerrino immediatamente si affrettò a ritornare
dal re; ma il visconte di Melun restò dov'era con i suoi cavalieri
armati assai alla leggera. Appena giunto presso il re e i baroni,
l'eletto Guerrino annunciò loro che i nen:iici stavano rapidamen­
te avanzando con i battaglioni in ordine di combattimento, e che
egli aveva visto i cavalli bardati, gli stendardi spiegati, i sergenti
e gli appiedati in prima linea, certo segno, questo, di battaglia.
L'evento

._ Orchies

o
La giornata 47

Udito ciò, il re comandò che tutto l'esercito si fermasse, poi


mandò a chiamare i baroni e si consigliò con loro sul da farsi, ma
essi non erano troppo d'accordo di accettare la battaglia e pensa­
vano fosse meglio cavalcare oltre. Arrivati a un fiumicello, Otto­
ne e la sua gente lo attraversarono a poco a poco, perché il passo
era difficile; e, varcatolo, finsero di muoversi verso Tournai. Al­
lora i Francesi cominciarono a dire che il nemico se ne andava
verso Tournai. Ma frate Guerrino sentiva che era vero il contra­
rio e gridava e affermava sicuro che bisognava battersi o andar­
sene con danno e disonore. Alla fine l'opinione dei piu prevalse
su quella di uno solo. Si rimisero in cammino e cavalcarono fino
a un ponticello chiamato ponte di Bouvines [tra la località di
Sanghin e il vill aggio di Cysoing]. La maggior parte dell'oste sta­
va già al di là del ponte ; il re si era disarmato, ma il ponte non l'a­
veva ancora oltrepassato, come i nemici credevano. Il loro pro­
posito era questo: se il re avesse traversato il ponte si sarebbero
gettati subito su quelli che vi stavan passando, e li avrebbero uc­
cisi e trattati secondo il proprio arbitrio.
Mentre il re si riposava un poco all'ombra di un frassino, per­
ché era già abbastanza tribolato e dal cavalcare e dal portare armi
(era un luogo, quello, assai vicino a una piccola cappella fondata
in onore di san Pietro) giunsero ali' oste i messaggeri di coloro che
stavano nell'ultimo battaglione. Gridavano con urli orrendi che i
nemici stavano arrivando e si accingevano a- combattere duramen­
te contro quelli dell'ultimo scaglione; che il visconte di Melun e i
suoi, tutti armati alla leggera, e i balestrieri che ne raffrenavano
l'orgoglio e ne sostenevano l'attacco, erano in grande pericolo e
che non avrebbero potuto opporsi a lungo al loro forsennato ardi­
re. Allora l'oste cominciò ad agitarsi e il re entrò nella cappella, di
cui sopra abbiamo parlato, e fece una breve orazione a Nostro Si­
gnore. Quando ne usd si fece armare in fretta e vivacemente mon­
tò sul destriero. Esultava come se andasse a nozze o a una festa
cui fosse invitato. Allora si cominciò a gridare nei campi : « Al­
l'armi, baroni ! all'armi ! » Presero a squillare trombe e buccine,
presero a ritornare i battaglioni che già avevano passato il pon­
te. Allora si richiamò l'orifiamma di Saint-Denis, che veniva por-
48 L'evento

tata in testa al battaglione avanZato, davanti a tutti gli altri. Ma


poiché non ritornava abbastanza in fretta, non si rimase ad at­
tenderla: il re tornò per primo cavalcando a gran corsa e si po­
se in prima linea, di modo che nessuno si frapponeva fra lui e il
nem1co.
Quando Ottone e i suoi videro che il re era ritornato, cosa
che non avrebbero pensato, furono sbalorditi e invasi da im­
provvisa paura . Allora si volsero a destra, dirigendosi verso oc­
cidente, e si sparpagliarono tanto che occuparono la piu gran
parte del campo. Si fermarono verso settentrione avendo in tal
modo direttamente sugli occhi la luce del sole, in quel giorno
piu caldo e ardente di quanto fosse stato prima. Il re ordinò )
suoi battaglioni e li sistemò tra i campi direttamente contro il
nemico verso il mezzogiorno, fronte a fronte, in modo che i
Francesi avevano il sole alle spalle. Cosi furono scaglionati i bat­
taglioni e ripartiti nella stessa misura da una parte e dall'altra.
Nel mezzo di questo ordine stava il re, nella prima linea dello
schieramento : . gli erano accanto Guglielmo di Barres , fiore dei
cavalieri, Bartolomeo di Roye, uomo anziano e saggio, Gualtie­
ri il Giovane, ciambellano, uomo saggio e valoroso cavaliere di
maturo senno, Pietro Mauvoisin, Gerardo La Truie, Stefano
di Longchamp, Guglielmo di Mortemer, Giovanni di Rouvray,
Guglielmo di Garlande, Enrico conte di Bar, uomo giovane
d'anni e vecchio di coraggio, nobile per energie e virtu ( era cu­
gino del re e aveva ricevuto recentemente la contea dopo la
morte del padre), e molti altri valotosi cavalieri qui non nomi­
nati, di straordinario coraggio e provetti nelle armi. Tutti costo­
ro furono messi nel battaglione del re perché particolarmente
atti a proteggèrlo, per la loro grande lealtà e la fama della loro
somma prodezza . Dall'altra parte c'era Ottone in mezzo alla sua
gente; egli aveva fatto innalzare come insegna un'aquila dorata
su di un drago attaccato a un'alta pertica.
Prima che cominciasse la battaglia, il re ammoni i baroni e la
sua gente; e benché essi avessero già coraggio e volontà di far
bene, tenne loro un breve sermone con queste parole : « Signori
baroni e cavalieri, la nostra fiducia e la nostra speranza sono ri-
La giornata 49

poste tutte in Dio. Ottone e i suoi sOno scomunicati dall'Apo­


stolo nostro padre, perché sono nemici e distruttori delle cose
della santa Chiesa. I denari che ricevono e con i quali sono pa­
gati, sono acquistati con le lacrime dei poveri e con le rapine ai
chierici e alle chiese . Ma noi siamo cristiani e seguiamo le rego­
le della santa Chiesa, e benché peccatori come gli altri uomini, ci
sottomettiamo tuttavia a Dio e alla sua santa Chiesa. Noi la cu­
stodiamo e difendiamo secondo il nostro potere, e perciò dob­
biamo a:ffìdarci coraggiosamente alla misericordia di Nostro Si­
gnore, che ci concederà di prevalere sui nostri nemici [e i suoi]
e di vincere» . Quando il re ebbe cosi perorato, i baroni e i ca­
valieri gli chiesero la benedizione [e lui, la mano alzata, pregò
per attirare su di loro la benedizione del Signore] ; fecero squil­
lare trombe e campane: poi assalirono i nemici con meraviglio­
so e straordinario ardimento.
In quest'ora e in questo posto erano dietro il re il suo éappel­
lano, che scrisse questa storia, e un chierico, i quali, non appena
udirono il suono delle trombe, cominciarono a salmodiare e a
cantare ad alta voce il salmo : Benedictus Dominus Deus meus,
qui docet manus meas ad proelium ecc. tutto sino alla :fine; e do­
po : Exurgat Deus, tutto sino alla fine, e Domine, in virtute tua
laetabitur Rex. E càntarono meglio che poterono, pur grave­
mente impediti da lacrime e singhiozzi . Poi, con pura devozio­
ne, richiamarono alla memoria davanti a Dio l'onore e la fran­
chigia di cui la santa Chiesa aveva goduto sotto il potere del re
Filippo, e d'altra parte la vergogna e i rimproveri di cui soffriva
e aveva sofferto a causa di Ottone e del re Giovanni d'Inghilter­
ra. Costui con doni e con promesse aveva messo contro il re, e
nel suo stesso reame, tutti questi nemici, e alcuni di loro si bat­
tevano contro il signore di cui erano vassalli, per la salvezza del
quale avrebbero piuttosto dovuto combattere contro chiunque.
Il primo attacco non avvenne nel posto dove si trovava il re,
perché, prima che quelli del suo scaglioné e quanti gli erano din­
tcrno, cominciassero la pugna, alcuni già si battevano contro
Ferrando e i suoi nella parte destra del campo, all'insaputa del
re. Il primo fronte del battaglione dei Francesi era posto e ordi-
50 L'evento

nato nel modo piu sopra descritto e occupava mille e quaranta


passi del campo. In questo battaglione c'era frate Guerrino, l'e­
letto di Senlis, tutto armato, non certo per combattere, ma per
ammonire e per esortare i baroni e gli altri cavalieri a onorare
Dio, il re e il reame, e a difendere se stessi . C'erano Eudes, duca
di Borgogna, Matteo di Montmorency, il conte di Beaumont, il
visconte di Melun e gli altri nobili combattenti, e anche il conte
di Saint-Poi, che alcuni avevano sospettato si fosse talvolta ac­
cordato con il nemico . E poiché egli i n realtà pensava che taluni
avessero tale sospetto, disse a frate Guerrino che il re avrebbe
trovato in lui in quel giorno un utile traditore. In quello stes­
so battaglione c'erano centottanta combattenti provenienti dalla
Champagne, nell'ordine stabilito dall'eletto Guerrino : ne mise
dietro alcuni che erano davanti, perché li sapeva vili e d'animo
tiepido, e quelli che capiva arditi e animosi, nel valore dei quali
aveva fiducia e certezza, li pose nel primo scaglione, e cosi parlò
loro : « Signori cavalieri, il campo è grande, allargate le file, on­
de il nemico non vi accerchi ; poiché non è giusto che uno si fac­
cia scudo dell 'altro. Ordinatevi in modo che possiate combatte­
re tutti insieme in uno stesso momento e su un unico fronte » .
Detto ciò, mandò avanti centocinquanta sergenti a cavallo per
dare inizio alla battaglia, secondo il consiglio del conte di Saint­
Poi. Ciò fece con l'intenzione che i nobili combattenti di Fran­
cia, piu sopra citaù, trovassero il nemico alquanto scosso e tur­
bato .
Ma i Fiamminghi e i Germanici, che fremevano dalla voglia
di combattere, grandemente si sdegnarono di essere sfidati da
sergenù e non da cavalieri . Perciò non si degnarono di spostarsi,
ma li attesero e accolsero con acredine. Uccisero e ferirono gran
parte dei loro cavalli ma di colpiti a morte ve ne furono soltanto
due. Erano sergenti nativi della vallata di Soissons, assai prodi ,
pieni di ardimento, che si battevano a piedi non meno . valorosa-
mente che a cavallo.
Gualtiero di Ghistelle e Buridano , cavalieri di nobile prodez­
za , esortavano quelli del loro scaglione alla battaglia, rammen­
tando loro la prodezza degli amici e degli avi . Sembrava non
La giornata 5r

avessero paura maggiore di quanta ne avrebbero provata gio­


strando in un torneo . Quando ebbero disarcionato e abbattuto
alcuni dei predetti sergenti, li lasciarono e si rivolsero all'altra
parte nemica per combattere contro i cavalieri. Si diressero con­
tro di loro alcuni appartenenti al battaglione della Champagne,
e li attaccarono con non minor valore che in precedenza. Spez­
zatesi le lance, sguainarono le spade e si scambiarono incredibi­
li colpi. Nella mischia sopraggiunsero Pietro di Remy e quelli
della sua compagnia : s'impossessarono a forza di Gualtiero di
Ghistelle e di Giovanni Buridano e se li portarono via. Ma uno
dei loro cavalieri ( il suo nome era Eustachio di Malenghin) , pie­
no di orgoglio, si mise a gridare forte : « Morte, morte ai France­
si ! » e i Francesi lo accerchiarono. Uno lo ferma e gli stringe la
testa' tra il petto e il gomito, gli strappà l'elmo dal capo ; un al­
tro lo colpisce con un coltello tra il mento e la ventaglia sino al
cuore e gli fa sentire con gran dolore quella morte che con gran­
de orgoglio aveva minacciato ai Francesi . Ucciso cosi Eustachio
di Malenghin, e presi prigionieri Gualtiero di Ghistelle e Buri­
dan, i Francesi raddoppiarono l'ardimento, vinsero ogni paura e
misero in atto tutte le loro forze, sicuri com'erano della vittoria.
Dopo i sergenti a cavallo che l'eletto aveva mandato avanti
per cominciare la battaglia, si mosse il conte Gualtiero di Saint­
Poi, con quelli del suo seguito, tutti cavalieri scelti e di nobile
prodezza. Fieramente si gettò tra i nemici, come un'aquila affa­
mata si getta su uno stormo di colombi. Non appena piombò nel
folto della mischia molti ne colpi e da molti fu colpito. E qui ap­
parvero il coraggio e la forza del suo fisico: abbatteva tutti quel­
li che colpiva, uccideva uomini e cavalli senza distinzione e di
nessuno si impadroniva. Colpi talmente e massacrò , coi suoi, a
destra e a sinistra, che poté inoltrarsi oltre la turba dei nemici,
per ributtarsi poi da un'altra parte e accerchiarli come in mezzo
alla battaglia.
Dopo il conte di Saint-Poi si spinse innanzi il conte di Beau­
mont, con altrettanto straordinario ardime!lto ; Matteo di Mont­
morency e i suoi, il duca Eudes di Borgogna, che aveva molti va­
lorosi cavalieri fra la sua truppa, tutti si gettarono. con ardore
52 L'evento

nella pugna, avidi di combattere e diedero ai nemici una strabi­


liante battaglia. Il duca di Borgogna, che era uomo corpulento e
di temperamento flemmatico, cadde a terra, poiché il suo de­
striero era stato ucciso sotto di lui . Quando la sua gente vide
che era caduto, gli si radunò intorno, e lo "fece montare in fretta
su di un nuovo cavallo. Rimontato, egli molto si dolse per tale
caduta e disse che avrebbe vendicato quella vergogna: brandi la
lancia, diede di sprone e si gettò in preda all'ira nel piu folto dei
nemici. Non si curava di vedere dove colpiva, né chi incontrava,
ma sfogava la sua rabbia egualmente contro tutti, come se cia­
scuno dei nemici gli avesse ucciso il cavallo.
Da un'altra parte si batteva il visconte di Melun, che avev.a
nella sua truppa cavalieri ben noti e provetti nelle armi . Attaccò
i nemici su di un altro fronte, nella stessa maniera del conte di
Saint-Poi ; li trafisse da parte a parte e ritornò p�r altra via in
mezzo alla battaglia. In questa mischia Michele di Harmes fu
colpito da una lancia tra lo scudo e l'usbergo e in mezzo alla co­
scia. Rimase attaccato agli arcioni della sella e fu gettato a terra,
lui e il cavallo. Ugo di Maleveine e molti altri furono scaraven­
tati a terra, poiché i loro cavalli erano stati uccisi ; ma si rialza­
rono con grande energia e, a piedi, si batterono con egual pro­
dezza come a cavallo .
Il conte di Saint-Poi, che con tanta forza e tanto a lungo si
era battuto ed era già prostrato per i molti colpi dati e ricevuti,
si ritirò dalla mischia per rinfrescarsi, riprendere fiato e ritrova­
re un po' del suo equilibrio . Volse la faccia verso i nemici. Men­
tre cosi si riposava, scorse uno dei suoi cavalieri talmente accer­
chiato dai nemici che non si poteva vedere un varco per raggiun­
gerlo . Quantunque non avesse ancora ripreso fiato, il conte si al­
lacciò l'elmo, chinò la testa sul collo del cavallo, l'abbracciò for­
temente con le braccia, poi diede di sprone, e passò attraverso
tutti i nemici fino a che non raggiunse il suo cavaliere. Allora si
drizzò sulle staffe, sguainò la spada e distribw colpi tali da rom­
pere e scompaginare la turba dei nemici con prodigioso corag­
gio. Liberato il cavaliere dalle loro mani, con gran pericolo per­
sonale, fosse ardimento o fosse follia, ritornò al suo battaglione
La giornata 53

e fu di nuovo tra la sua gente. Come successivamente testimo­


niarono coloro che ciò videro, corse allora gravissimo pericolo
di morte : in un medesimo momento fu colpito da dodici lance ,
e nondimeno, per virili del suo supremo eroismo, nessuno poté
far cadere né lui né il cavallo. Come ebbe data . questa meravi­
gliosa prova di coraggio e si fu un po' rinfrancato con i suoi ca­
valieri che nel frattempo si erano riposati, si uni a loro, e, chiu­
sosi nell'armatura, si rilanciò nel folto dei nemici .
In quel punto e in quell'ora, cosi fervido ed aspro era il com­
battimento dall'una e dall'altra parte ( durava già da tre ore),
che Pallade, dea della guerra, volteggiava nell'aria al di sopra
dei combattenti come ancora ignorasse a chi avrebbe concesso
la vittoria. Alla fine scaricò tutto il peso della battaglia su Fer­
rando e sui suoi; Ferrando fu steso a terra, e straziato da enor­
mi ferite, fu preso e legato , insieme con molti dei suoi cavalieri.
Cosi a lungo si era battuto che era mezzo morto e, non potendo
continuare a lottare, si arrese a Ugo di Mareuil e a suo fratello
Giovanni. Non appena Ferrando fu preso, tutti i suoi partigiani ,
che si battevano in quel lato del campo, o fuggirono, o rimasero
uccisi, o furono fatti prigionieri.
Mentre Ferrando veniva cosi ridotto alla sconfitta, ritornò
l'orifìamma di Saint-Denis , seguita dalle legioni dei comuni , spe­
cie da quelle di Corbie, d'Amiens, di Arras, di Beauvais, di
Compiègne, che già erano avanzate quasi sin presso le tende, e
che accorsero al battaglione del re, là dove si scorgeva l'insegna
regia col campo azzurro e i fiori di giglio d'oro. Lo stendardo era
in quel giorno portato da un cavaliere di nome Galon di Monti­
gny, valorosissimo e fortissimo, ma non ricco. Le legioni comu­
nali oltrepassarono tutti i battaglioni dei cavalieri e si misero
davanti al re, proprio di fronte a Ottone e a quelli del suo batta­
glione. Ma costoro, cavalieri di grande ardimento, li fecero tosto
indietreggiare fino alle truppe del re Filippo, li sparpagliarono a
poco a poco e vi passarono in mezzo sinché furono vicini allo
scaglione del re. Quando Guglielmo di Barres, Guido Mauvoi­
sin, Gerardo La Truie, Stefano di Longchamp, Guglielmo di
Garlande, Giovanni di Rouvray, Enrico conte di Bar e gli altri
54 L'evento

nobili combattenti che nel battaglione del re avevano lo specia­


le incarico di proteggerlo, videro che Ottone e i Teutoni del bat­
taglione tendevano ad avanzare in direzione del re e che non
avevano altra mira che la sua persona, si fecero avanti per af­
frontare i Teutoni e frenarne il forsennato impeto . Lasciarono
cosi il re, per il quale temevano, dietro le spalle . Mentre essi
combattevano contro Ottone e i Germani, i fanti, che precede­
vano questi ultimi, raggiunsero all'improvviso il re, e, con lance
ed uncini di ferro, lo sbalzarono da cavallo sbattendolo a terra,
Se il sovrano valore e l'armatura speciale di cui era rivestito non
l'avessero difeso, lo avrebbero ucciso sul posto. Ma alcuni cava­
lieri rimasti con lui, e Galon di Montigny, che spesso girava lo
stendardo per invocare soccorso, e Pietro Tristan che, sponta­
neamente disceso dal suo destriero, si parò davanti al re per di­
fenderlo, sgominarono e uccisero tutti i sergenti appiedati del
nemico. Il re si rialzò e rimontò a cavallo con incredibile agilità.
[Non appena fu rimontato sul suo destriero, e i fanti che lo ave­
vano sbalzato da cavallo furono tutti uccisi, il battaglione del re
si radunò intorno allo scaglione di Ottone]. All ora incominciò
una mirabolante pugna, l'uccisione e l' annientamento di uomini
e di cavalli da una parte e dall'altra, perché combattevano tutti
con prodigioso valore. Qui fu ucciso, proprio davanti al re, Ste­
fano di Longchamp, cavaliere prode e leale e di assoluta fedel­
tà : fu colpito da una coltellata fìno al cervello attraverso la oc­
chiera dell'elmo . I nemici del re usarono in questa battaglia
un'arma ancora non vista in quei tempi : avevano coltelli lunghi
e affilati a tre lame, taglienti dalla punta al manico, e si serviva­
no in combattimento di tali coltelli a guisa di spade e di brandi .
Ma, grazie a Dio, i brandi e le spade dei Francesi, e il loro valo­
re, che non venne mai meno, ebbero il sopravvento sulla crudel­
tà dei nemici e delle loro nuove armi. Si batterono infatti con
tale fermezza e cosi a lungo, che costrinsero a indietreggiare e a
ritirarsi tutto il battaglione di Ottone. Arrivarono fino a lui e
cosi vicino, che Pietro Mauvoisin, piu bravo nelle armi che nel­
la conoscenza del mondo, lo afferrò per il freno e presunse di
poterlo trar fuori dalla mischia. Ma si accorse che non poteva fa-
La giornata 55

re come voleva, a causa dell'incalzare dei suoi, riuniti e intorno


a lui serrati . Gerardo La Truie, che gli era dappresso , gli diede
col coltello [che teneva sguainato in mano] un colpo in mezzo
al petto, e. quando vide che non poteva trafiggerlo [per lo spes­
sore delle impenetrabili armature di cui sono muniti i guerrieri
del nostro tempo], per riparare lo sbaglio del primo gli inferse
un secondo colpo . Credeva di colpire il corpo di Ottone, e in­
contrò invece la testa del cavallo alto levata, gli assestò un colpo
dritto nell'occhio, e il coltello, spinto con grande maestria, gli si
immerse fino alle cervella. Il cavallo, percosso da quel gran col­
po, si spaventò e prese ad agitarsi violentemente, girandosi dal­
la pa.I'te donde era arrivato. Ottone mostrò cosi la schiena ai no­
stri cavalieri e immediatamente si diede alla fuga, lasciando co­
me preda al nemico l'aquila, lo stendardo e quanto si era porta­
to sul campo . Quando il re lo vide scappare, disse alla sua gen­
te : « Ottone fugge, da oggi in poi non lo si vedrà piu in faccia » .
M a non fuggi a lungo, ché il cavallo gli cadde morto. Allora gli
fu portato fresco fresco un secondo cavallo, e quando fu rimon­
tato in sella riprese a fuggire a piu non posso, perché piu non
riusciva a resistere al valore dei cavalieri di Francia: Guglielmo
di Barres l'aveva già ben due volte preso per il collo, ma non po­
té tenerlo bene, perché il cavallo era forte e si agitava, e spessa
era la mischia dei suoi uomini.
A quest'ora e in questo punto, mentre Ottone fuggiva, la
battaglia era estremamente aspra ed accanita, da una parte e dal­
l'altra . I cavalieri di Ottone si battevano strenuamente e aveva­
no gettato a terra Guglielmo di Barres, che era andato piu avan­
ti degli altri, ed avevano ucciso il suo cavallo. Infatti il giovane
Gualtieri, Guglielmo di Garlande [le lance spezzate e i brandi
intrisi di sangue] e Bartolomeo di Roye, valoroso e saggio cava­
liere [e gli altri che erano con lui], giudicarono e dissero cosa pe­
ricolosa lasciare indietro cosi solo il re che se ne veniva dietro di
loro allo scoperto . Per tale motivo non vollero gettarsi nella pu­
gna tanto avanti quanto il Barrese, che era appiedato e, come
suo costume, si difendeva dai nemici con estremo valore, Ma
poiché un uomo solo, a piedi, non può reggere a lungo contro
56 L'evento

siffatta moltitudine, alla fine lo avrebbero certo ucciso o fatto


prigioniero, se Tommaso di Saint-Valery, nobile cavaliere, va­
lentissimo nelle armi, non lo avesse raggiunto con altri cinquan­
ta cavalieri e duemila sergenti appiedati, e non lo avesse libera­
to dalle mani dei nemici.
Qui si ricominciò il combattimento : mentre Ottone fuggiva,
energicamente si battevano i nobili cavalieri del suo battaglione,
il valorosissimo Bernardo di Ostemale, il conte Othe di Tecklem­
bourg, il conte Corrado di Dortmund, Gerardo di Randerode, e
molti altri forti e arditi guerrieri, che Ottone aveva particolar­
mente scelto per il loro grande coraggio, onde gli stessero vicino
per proteggere la sua persona . Tutti costoro si battevano con
meraviglioso eroismo, soverchiavano e uccidevano i nostri. Non­
dimeno i Francesi ebbero il sopravvento, e presero prigionieri i
sopraddetti conti e Bernardo di Ostemale e Gerardo di Rande­
rode. Il carro sul quale stava lo stendardo fu fatto a pezzi, il
drago fu infranto e l'aquila dorata portata innanzi al re : aveva
le ali divelte e lacerate. Cosi il battaglione di Ottone, dopo che
lui era fuggito, fu completamente sconfitto .
Il conte Rinaldo di Boulogne, che aveva sempre sostenuto
l'azione dei suoi uomini, si batteva ancora fieramente e nessuno
riusciva a vincerlo e a sopraffarlo . Usava nella battaglia un'arte
nuova : aveva disposto una doppia fìla di sergenti appiedati e
bene armati, riuniti e stretti in cerchio alla maniera di una ruo­
ta: in tale anello non c'era che un solo varco attraverso cui pote­
va passare, quando voleva riprendere :fiato o quando era troppo
incalzato dai nemici: ciò fece parecchie volte .
Questo conte Rinaldo, il conte Ferrando e l'imperatore Otto­
ne, come si seppe poi dai prigionieri, avevano giurato, prima
dell'inizio della battaglia, che non si sarebbero voltati né a de­
stra né a sinistra, né si sarebbero battuti se non contro lo sca­
glione del re ; e avrebbero ucciso il re non appena lo avessero
preso, con l'idea che, ciò fatto, avrebbero potuto facilmente im­
porre la propria volontà su tutto il reame. Per tale giuramento,
non vollero mai affrontare alcun battaglione all'infuori di quel­
lo del re. Ferrando, che aveva giurato la stessa cosa, si provò ad
La giornata 57

avanzare decisamente verso il re, ma non vi riusd, perché la


compagnia dei militi della Champagne gli si parò davanti , e lo
afuontò con impeto tale da render vano il suo proposito. Anche
il conte Rinaldo schivò gli altri schieramenti e già all'inizio del­
la pugna si diresse verso quello del re avanzando dritto contro
di lui . Ma poi, quando gli fu vicino , fu preso da un senso di or­
rore e da una naturale paura del suo legittimo signore (cosi cre­
dono alcuni) . Si voltò quindi da un altro lato della mischia e si
batté contro il conte Roberto di Dreux, che stava nel medesimo
battaglione accanto al re in una folta turba .
Il conte Perron d'Auxerre, cugino del re, si batteva valorosa­
mente per lui, mentre il figlio Filippo, cugino della moglie di
Ferrando da parte di madre, si batteva dall'altra parte contro il
proprio padre e contro la corona di Francia : il peccato e il Ma­
ligno avevano talmente accecato alcune anime che, quand'anche
avessero avuto padre, fratelli e cugini dalla parte del re, non
avrebbero perciò, per timore di Dio, rinunciato a combattere e,
fosse stato loro possibile, avrebbero cacciato nell'onta e nella
confusione lo stesso loro legittimo signore e i parenti che, per
legge di natura, avrebbero dovuto amare .
Il conte Rinaldo non era dapprima molto d'accordo sulla bat­
taglia, sebbene poi si battesse valorosamente e piu a lungo di
ogni altro, ma energicamente la sconsigliò, come uno che ben
conosceva l'ardimento e la prodezza dei cavalieri di Francia. Per
questo Ottone e i suoi l'avevano sospettato di tradimento, e se
egli non avesse consentito a combattere lo avrebbero preso e
messo in ceppi. Rinaldo fece parola di ciò a Ugo di Boves poco pri­
ma che la battaglia avesse inizio : « Ecco, - disse, - la battaglia
che tu lodi e consigli e che io non lodo né consiglio. Ne risulte­
rà che tu fuggirai da codardo e m alvagio e io mi batterò con peri­
colo della vita, ben sapendo che resterò o morto o prigioniero » .
Detto ciò, andò nel posto stabilito al suo battaglione e s i batté
piu arditamente e piu a lungo di qualunque altro della sua parte.
Nel frattempo i ranghi dei sostenitori di Ottone cominciaro­
no a diradarsi, poiché il duca di Lovanio, il duca di Limburgo e
Ugo di Boves erano già scappati, e cosi gli altri, a gruppi di cin-
58 L'evento

quanta , a gruppi di quaranta, in turbe di vario numero. Ma an­


cora si batteva il conte Rinaldo e con tanta energia che nessuno
poteva strapparlo dalla pugna. Non aveva con sé che sei cavalie­
ri che non lo volevano abbandonare e combattevano con lui con
tutte le loro forze. Ed ecco un sergente prode e ardito, si chia­
mava Pietro della Tournelle, si batteva a piedi perché i nemici
gli avevano ucciso il cavallo, dirigersi verso il conte : gli solle­
va la gualdrappa del destriero e dal di sotto cosi abilmente col­
pisce l'animale che gli riesce di immergere la spada nelle budel­
la fìno al sottocoscia. Accortosi di tale colpo, uno dei cavalieri,
che si batteva accanto a lui, trattenne il conte per il freno e con
gran fatica e contro la sua volontà lo cacciò fuori dalla mischia .
Il conte allora prese a fuggire a piu non posso, e Quenon di
Condurre e il di lui fratello Giovanni lo inseguirono e lo fecero
cadere a terra. Il cavallo stramazzò morto, e il conte fu rovescia­
to in modo che la coscia destra gli rimase sotto al collo dell'ani­
male. Ma ad impossessarsi del conte sopravvennero Ugo e Gual­
tiero di Fontaines e Giovanni di Rouvray. Stavano discutendo
su chi si sarebbe tenuto il prigioniero, quando giunse da un'al­
tra parte Giovanni di Nesle. Costui era un cavaliere bello e
grande e grosso ma il suo coraggio non rispondeva né alla bel­
lezza né alla prestanza fisica : in tutta la giornata non si era bat­
tuto contro alcuno. Sorse una disputa tra lui e i suoi cavalieri e
coloro che tenevano il conte, perché egli, pur senza ragione, vo­
leva acquistarsi qualche merito nella cattura di un cosi gran­
d'uomo. Infine avrebbe loro strappato il conte Rinaldo, se non
fosse sopraggiunto l'eletto Guerrino . Appena il conte lo vide,
gli rese la spada e si consegnò a lui, pregandolo di risparmiargli
almeno la vita. Ma prima che l'eletto intervenisse tra i cavalieri
che disputavano, un giovane di nome Commotus, dotato di gran
forza e d'indomito coraggio, strappò l'elmo dalla testa del conte
e lo ferf gravemente al capo, e infine, sollevatogli un lembo del­
l'usbergo, pensò di cacciargli il coltello nel ventre ; ma il coltello
non penetrò perché le brache di ferro erano strettamente attac­
cate all'usbergo. Mentre, cosi stringendolo, lo sforzavano ad al­
zarsi da terra, il conte si guardò intorno e scorse Arnolfo di Au-
La giornata 59

denarde e alcuni cavalieri che si affrettavano a portargli soccor­


so. Come li vide venire verso di lui si lasciò cadere a terra fin­
gendo di non poter piu restare in piedi, sperando che Arnolfo lo
liberasse. Ma quelli che gli erano intorno gli menavano grandi
colpi, obbligandolo infine a montare su di un ronzino, mentre
Arnolfo e tutti i suoi venivano presi e fatti prigionieri .
Dopo che tutti i cavalieri della parte avversa furono o uccisi,
o fatti prigionieri o scappati, e tutto il seguito di Ottone ebbe
abbandonato il campo, rimasero ancora settecento sergenti ap­
piedati, prodi e arditi, nativi del Brabante, che i cavalieri si era­
no messi davanti come muro e d:ife§a contro la forza del nemico .
Il re che ben li scorse, mandò contro di loro Tommaso di Saint­
Valery, cavaliere nobile e degno di lode [e anche un po ' istrui­
to]. Questo Tommaso aveva fra la sua truppa cinquanta cavalie­
ri valorosi e leali, nativi del suo paese, e duemila sergenti appie­
dati. Non appena lui e la sua gente furono bene organizzati, si
gettarono su di essi come il lupo affamato fra le pecore. Benché
es tremamente affaticati, lui e la sua gente, dal molto combattere
della giornata, li sconfisse e li fece prigionieri con meravigliosa
prodezza. Ed ecco ora un fatto ben degno di stupore : quando ,
dopo tale vittoria, ebbe contato tutti i suoi uomini, Tommaso di
Saint-Valery trovò che ne mancava uno solo : cercato , costui fu
rinvenuto tra i morti ; fu portato allora: negli alloggiamenti e
consegnato ai medici, che lo curarono e lo guarirono in breve
tempo .
Il re non volle che i suoi dessero la caccia ai fuggiaschi, piu
di mille , per il pericolo rappresentato dai passaggi poco noti, e
perché stava calando la notte, e anche perché i principi e i ricchi
catturati non riuscissero per caso a scappare, o fossero strappati
con la forza ai loro custodi . Cosa, questa, che il re temeva assai.
Risuonarono allora trombe e buccine per richiamare quanti an­
cora davan la caccia al nemico . E quando ogni compagnia fu di
ritorno, con grande gioia ed esultanza si avviarono tutti agli al­
loggiamenti.
[0 mirabile clemenza del principe ! O nuova inaudita pietà di
quel secolo ! ] Ritornati, re e baroni alle tende, la sera stessa il re
6o L'evento

fece venire _ al suo cospetto tutti i nobili fatti prigionieri nella


battaglia . Erano in numero di trenta: cinque conti, e gli altri
venticinque di tale nobiltà che ciascuno portava in battaglia il
proprio stendardo; e lasciamo da parte gli altri prigionieri di mi­
nore dignità. Quando furono tutti davanti a lui, per la sua gran­
de generosità e pietà, concesse loro la vita, sebbene quelli del
suo reame e i suoi vassalli , che avevano cospirato contro di lui e
giurato la sua morte, facendo il possibile per ucciderlo, fossero
colpevoli e degni di venire decapitati secondo le leggi e i costu·
mi del paese . [Tanto era in realtà inflessibile il suo rigore contro
i ribelli, quanto e anche piu :fioriva in lui la clemenza per chi si
sottometteva. Era infatti sempre sua massima aspirazione il .ri­
sparmiare i sottomessi e l'abbattere i superbi]. Essi furono mes­
si in catene e in ceppi e caricati su carrette per essere condotti in
prigioni di luoghi diversi . Il giorno dopo il re parti e ritornò a
Parigi.
Quando fu a Bapaume gli fu detto, verità o menzogna che
fosse, che il conte Rinaldo doveva aver mandato un messaggio
ad Ottone, lo avvertiva e consigliava di ritornare a Gand, e là
ricevervi i fuggiaschi e ricostituire le sue forze allo scopo di ri­
prendere la battaglia con l' aiuto di quelli di Gand e degli altri
nemici del re . Sentito questo, il re fu preso da straordinaria ira
contro il conte. Sali nella torre dove erano imprigionati Rinaldo
e il conte Ferrando , i due piu importanti tra i suoi prigionieri e,
mosso com'era dall'ira e dal rancore, prese a rinfacciare a Rinal­
do tutti i benefìci che gli aveva fatto, e gli disse come, essendo
vassallo, lo aveva creato di nuovo cavaliere; come, essendo po­
vero, Io aveva reso ricco. E lui, in cambio di tutti questi benefì­
ci, gli aveva reso male per bene. Lui e suo padre, il conte Aubry
di Dammartin , erano infatti passati al re Enrico d'Inghilterra, e
si erano con lui alleati a danno del re e del reame. Poi, dopo
questo misfatto, quando volle ritornare a lui, il re gli perdonò e
lo reintegrò nella sua grazia e nel suo affetto; gli rese la contea
di Dammar tin, che piu non gli spettava di diritto, per il fatto
che il padre, il suddetto conte Aubry, l'aveva disonorata e per­
duta per condanna, quando si era alleato col nemico ed era mor-
La giornata 6r

to in Normandia al suo servizio . E nonostante tutto ciò il re gli


diede la contea di Boulogne. Dopo tutti questi benefici, Rinaldo
ancora una volta lo abbandonò, si alleò con il re Riccardo d'In­
ghilterra, e gli fu contro finché visse Riccardo. Quando questi
mori, Rinaldo tornò a lui, e lui gli ridiede la sua amicizia, e ol­
tre alle due contee concessegli in precedenza, gliene donò anco­
ra altre tre, quella di Mortain, quella di AumfÙ_e e quella di Va­
rennes. Dimenticando tutti questi benefici, Rinaldo gli sollevò
contro tutta l'Inghilterra, tutta la Germania, tutta la Fiandra, lo
Hainaut e tutto il Brabante, e nell'anno precedente si era impos­
sessato di parte delle sue navi nel porto di Damme, e, per giun­
ta, con gli altri nemici aveva giurato solennemente la sua morte
e si era battuto con lui corpo a corpo sul campo di battaglia. E
piu ancora. Dopo che il re, nella sua misericordia, gli ebbe ri­
sparmiata la vita, dimenticando i suoi misfatti, per colmo di
malvagità, indusse l'imperatore Ottone e gli scampati dallo scon­
tro, a radunare i fuggiaschi e ricominciare a combattere contro
di lui. « l benefici che ti ho fatto, tu me li hai ricambiati con tan­
to male - disse ancora il re -, ma io non ti toglierò la vita per­
ché già te l'ho risparmiata; ti metterò invece in una prigione ta­
le che non riuscirai mai a scappare, prima di avere espiato tutto
il male che mi hai fatto » .
Il re, com'ebbe cosi parlato al conte Rinaldo, lo fece portare
a Péronne e mettere in una prigione fortificata e legare con ro­
buste catene di ferro unite e saldate con meravigliosa abilità . La
catena che univa l'una all'altra era cosi corta che il prigioniero
non poteva fare neanche mezzo passo : nel mezzo di questa ne
era saldata un'altra lunga dieci piedi, la cui estremità era legata
a un grosso tronco che due uomini stentavano a spostare ogni
volta che il prigioniero doveva muoversi per i suoi bisogni cor­
porali . Ferrando fu condotto a Parigi e portato in una nuova
torre alta e fortificata, fuori delle mura della città, detta la torre
del Louvre.
Il giorno stesso della battaglia, Guglielmo Lunga Spada, con­
te di Salisbury, fu consegnato al conte Roberto di Dreux, affin­
ché lo restituisse al re Giovanni d'Inghilterra suo fratello, in
62 L'evento

cambio del proprio figlio che del re era prigioniero, come si è


detto sopra. Ma il re Giovanni, che aveva in odio la propria car­
ne, come aveva dimostrato uccidendo il nipote e tenendo per
venti anni prigioniera la sorella di Arturo, Eleonora, si rifiutò di
far liberare il proprio fratello in cambio di uno straniero. [Que­
sto fa pensare alla lince di Merlino. Merlino, parlando del pa­
dre, da lui paragonato a un leone, diceva : « da lui nascerà una
lince capace di cacciarsi dappertutto, fautrice della rovina della
propria razza. Per causa sua la Neustria perderà le sue due isole
e sarà spogliata della sua dignità esteriore»]. Una parte dei pri­
gionieri fu rinchiusa nei fortini del Corpo di Guardia del grande
ponte e di quello piccolo; e gli altri furono mandati in diverse
prigioni del reame .
[Quanto giusti, o Signore, perfetti, irreprensibili, sono i tuoi
giudizi , tu che sconvolgi i disegni dei principi e rendi vani i pia­
ni dei popoli ! Tu che tolleri i mali per volgerli in bene, che ri­
mandi la vendetta per lasciar tempo ai malvagi di convertirsi,
che permetti siano corretti, con una verga degna e meritata,
quelli che rifiutano le penitenze . Tu, che quando i malvagi mi­
nacciano di sterminare i buoni, sempre volgi al contrario i loro
progetti] .
I nemici del re catturati in battaglia non avevano soltanto co­
spirato contro di lui, ma anche indotto, con doni e promesse, ad
unirsi e ad allearsi con loro uomini che appartenevano al re, co­
me Hervé, conte di Nevers, e tutti i nobili d'Oltre Loira, tutti
quelli del Manceau, dell'Angiò e del Poitou, all 'infuori soltanto
di Guglielmo cles Roches, siniscalco dell'Angiò, e Johel di Ma­
yenne. Il visconte di Sainte-Suzanne e molti altri avevano già
promesso il loro favore al re d'Inghilterra, ma segretamente per
timore di re Filippo, fin quando non fossero certi dell'esito del­
la battaglia. I nemici del re, assolutamente sicuri della vittoria,
si erano già spartito e diviso l'intero rearne di Francia, e l 'impe­
ratore Ottone ne aveva promesso a ciascuno la sua parte: il con­
te Rinaldo di Boulogne doveva avere Péronne e tutto il Ver­
mandois; Ferrando, Parigi; gli altri, altre città e altri paesi.
Quanto al conte Rinaldo e al conte Ferrando, non mancò alla
La giornata 63

promessa, perché Ferrando ebbe Parigi e Rinaldo Péronne, ma


a loro vergogna e confusione, non a loro gloria ed onore . .
Tutto quello che abbiamo . detto e riferito sulla loro presun­
zione e sul loro tradimento fu riportato al re da quegli stessi che
ne erano partigiani e ne avevano trasmesso il consiglio : noi non
vogliamo dire nulla su costoro e su quanto hanno fatto che sia
contro la nostra coscienza, sebbene siano nemici del reame, tran­
ne quanto crediamo sia la pura verità .
Come era noto, la vecchia contessa di Fiandra, zia del conte
Ferrando di Spagna, figlia del re del Portogallo, e pertanto chia­
mata regina e contessa, volle conoscere lo svolgimento e la fine
della battaglia . Interrogò la sorte, secondo il costume degli Spa­
gnoli che volentieri si servono di quest'arte, ed ebbe questa ri­
sposta : « Si combatterà. Il re sarà abbattuto in battaglia e calpe­
stato e schiacciato dai piedi dei cavalli e non avrà sepoltura. E
Ferrando sarà ricevuto a Parigi dopo la vittoria da un grande
corteo » . Tutto ciò può essere una risposta secondo verità a chi
ben intenda ; tutto avvenne proprio come la sorte aveva predet·
to nel suo duplice significato, secondo il costume del diavolo,
che alla fine delude sempre coloro che lo Servono, mascherando
con fallace ambiguità ciò che vale quanto una incerta sentenza .
Chi potrebbe dire o descrivere a voce, o immaginare, o scri­
vere su tavolette o pergamene [gli applausi, i rallegramenti, gli
inni trionfali, le infinite danze di gioia delle popolazioni] l'im­
mensa festa che tutto il popolo faceva al re, al suo ritorno in
Francia dopo la vittoria? I chierici cantavano nelle chiese dolci
e incantevoli canti in lode di Nostro Signore; le campane suona­
vano a festa nelle abbazie e nelle chiese; i monasteri erano den­
tro e fuori solennemente parati di drappi di seta; le strade e le
case delle ricche città erano adorne di cortine e di lussuose guar­
nizioni ; le vie e i sentieri cosparsi di fronde di alburno, di verdi
alberi e di fiorellini novelli; tutto il popolo, di elevata e di bas­
sa condizione, uomini, donne, vecchi e giovani accorrevano in
folla ai passaggi e agli incroci delle strade; si riunivano contadi­
ni · e mieti tori, i rastrelli e le falci sulle spalle ( era il tempo in cui
si tagliava il grano ) per vedere e insultare Ferrando in catene,
64 L'evento

che poco tempo prima quand'era in armi, incuteva loro alquan­


to timore . Contadini, vecchie e bambini non si vergognavano di
schemirlo e di insultarlo. Avevano trovato come pretesto per
prenderlo in giro il signiEcato del suo nome che poteva riferirsi
sia a un uomo che a un cavallo. Volle il caso che due cavalli di
un colore chiamato «ferrand » lo trasportassero su una lettiera
di strame e perciò gridavano per scherno che due « ferrati » por­
tavano un terzo ferrato e che Ferrando era in ferri, quel Ferran­
do che poco prima, infuriato, aveva pestato i piedi per impa­
zienza e orgogliosamente si era ribellato al suo signore. Tanta
festa fecero al re, e di tanta vergogna ricoprirono Ferrando, fin­
ché questi giunse a Parigi . Tutti i borghesi e l'universalità degli
scolari [popolo e clero] andarono incontro al re [con inni e canti­
ci] e mostrarono l'immenso giubilo del loro cuore con manife­
stazioni esteriori; fecero straordinari festeggiamenti e celebraro­
no solenni cerimonie. Non bas tava loro il giorno , magnifiche fe­
ste facevano anche di notte, con grandi luminarie; ci fu ugual
luce di notte come di giorno; e la festa cosi continuò senza in­
terruzione sette giorni e sette notti. [Particolarmente gli scolari
non cessavano, instancabili, di mos trare, con grande dispendio
di denaro, il proprio giubilo con banchetti, cori, danze e canti] .
Pochi giorni passarono e quelli del Poitou, che in segreto
avevano cospirato contro il re, furono enormemente spaventati
dalla fama di una cosi grande vittoria, e si adoperarono in tutti
i modi per riconciliarsi con il re. Ma il re, che tante volte ne ave­
va sperimentato gli imbrogli e la slealtà, e ben sapeva che il lo­
ro amore e il loro favore non davano frutti, e sempre fìnivano in
risentimenti e in danni contro il proprio signore, li respinse e ri­
fiutò di accordarsi con loro, ma radunò l 'esercito ed entrò rapi­
damente nel Poitou, dove si trovava il re Giovanni . Quando le
truppe giunsero a un castello chiamato Loudun, castello ricco ,
fortificato e ben difeso, il visconte di Thouars, uomo saggio e
potente, e gli uomini piu eminenti di tutta l'Aquitania inviaro­
no al re un loro messaggero e lo supplicarono di volerli reinte­
grare nella sua grazia e nel suo affetto, o almeno di conceder lo-
La giornata 65

ro una tregua. E il re che, secondo il suo costume, aveva sempre


piu caro vincere i nemici con la pace che con la guerra, ricevette
il visconte di Thouars con animo benigno, per la preghiera del
conte Perron di Bretagna, cugino del re, che aveva sposato la ni­
pote del visconte.
Giovanni d'Inghilterra, che si trovava allora a quindici mi­
glia dal castello dov'era il re, non sapey_a che fare né che ne sa­
rebbe stato di lui, non avendo luogo o rifugio dove poter ripara­
re al sicuro, e non osava né attenderlo, né uscir contro di lui in
battaglia. Infine inviò messaggeri al re per trattare in qualche
modo la pace, o per lo meno ottenere una tregua. I messaggeri
da lui inviati furono Mastro Roberto, legato della corte di Ro­
ma, e il conte Renoul di Chester, e molti altri uomini . Tanto fe­
cero, il legato e gli altri messaggeri, che il re, nella sua gran bon­
tà, gli accordò una tregua che sarebbe durata cinque anni, nono­
stante avesse nel suo esercito duemila e piu cavalieri, senza con­
tare un gran numero di altri combattenti e "di sergenti appiedati
e a cavallo, per cui avrebbe potuto facilmente e in poco tempo
prendere tutta l'Aquitania e il re d'Inghilterra e tutta la sua
gente.
Fatto tutto ciò, il re tornò in Francia. Qui, nella XVI calenda
di novembre, vennero a parlamentare con lui la moglie di Fer­
rando e i Fiamminghi. Allora il re concesse, contro l'opinione e
il desiderio dei suoi, di restituire Ferrando, alla condizione però
che gli dessero in ostaggio per cinque anni Godefroy, figlio del
duca di Brabante, demolissero a proprie spese tutti i castelli e le
fortezze di Fiandra e del Hainaut, e pagassero un riscatto per
Ferrando e ogni altro prigioniero in proporzione alla quantità
dei loro misfatti. Cosi Ferrando e tutti gli altri furono liberati
dalla prigionia . Quanto al conte Hervé di Nevers e agli altri,
suoi vassalli, che aveva sospettati del crimine di cospirazione e
tradimento, il re non volle in altro modo vendicarsi se non fa­
cendoli giurare sui santi che da allora in poi sarebbero stati pro­
di e leali verso di lui e la corona di Francia.
[Il r 6 delle calende del marzo seguente ci fu un'eclissi totale
66 L'evento

di luna che cominciò al primo canto del gallo e durò fin dopo
l'alba del giorno seguente '].

Nel tempo in cui il re Filippo si batteva in Fiandra contro


Ottone e gli altri nemici, messer Luigi, suo figlio, combatteva,
come abbiam detto , in Angiò contro re Giovanni e gli abitanti
del Poitou. Prima ancora di arrivarvi, costrinse il re Giovanni
ad abbandonare l'assedio del castello della Roche-aux-Moines e
via lo cacciò per sua vergogna con tutto il suo oste. E poiché il
padre e il figlio ottennero in uno stesso momento, grazie all'aiu­
to di Nostro Signore, queste due vittorie, il re fondò presso. la
città di Senlis una abbazia detta la Vittoria, dell'ordine di San
Vittore di Parigi, in memoria e rimembranza di cosf grandi vit­
torie loro concesse da Dio.

1 Qui finisce il testo di Guglielmo il Bretone contenuto nel manoscritto latino 5925
della Bibliothèque Nationale di Parigi. Il seguito degli avvenimenti del regnci di Filip·
po Augusto fu aggiunto da un monaco di Saint-Denis.
Commento
La pace

Il racconto di Guglielmo il Bretone non è l'unica testimo­


nianza . Altre, contemporanee o appena posteriori, ma indipen­
denti, lo completano e invitano a correggerlo in qualche punto.
Sono meno sviluppate e differiscono in quanto non riflettono il
punto di vista della corte di Francia e pongono la battaglia in
un'altra luce. Per interpretare correttamente la traccia ufficiale
dell'avvenimento è utile interrogare queste relazioni, anch'esse
molto dirette. I testi da ricordare sono quattro, di cui tre scritti
in latino. Il piu fedele è la Relatio Marchianensis de Pugna Bo­
vinis, composta, come indica il titolo, nel monastero vicino a
Marchiennes , e senza dubbio mentre era ancora viva l'eco del­
l'avvenimento. Fu pubblicata da Waitz, nei Monumenta Ger­
maniae Historica, secondo un manoscritto della biblioteca di
Douai . Le righe, con cui termina una prima aggiunta apposta,
dal r r 65 al 1 2 1 4, alla cronaca di Fiàndra detta Flandria Gene­
rosa, offrono anch'esse un resoconto quasi immediato dell ' avve­
nimento; difatti apparentemente l'autore di questa continuazio­
ne fu spinto a mettersi all 'opera proprio dalla fama di Bouvines,
avendo la battaglia ravvivato dappertutto il gusto di scrivere la
storia. Era certamente anche lui un monaco , un cistercense del­
l'abbazia di Clairmarais , presso Saint-Omer; in ogni caso egli
propendeva per la parte francese . Si sa da Aubry des Trois Fon­
taines che un arcidiacono di Liegi fu del pari molto scosso dal­
l'eco destata dalla vittoria capetingia, se prese a raccontare quel
che sapeva di curioso sul suo tempo. Questo canonico è forse
l'autore di una vita di sant'Odilia, che mori nel 1 2 1 9 ; l'ultima
parte di questa opera - la sola conservata perché Gilles, dell'ab-
70 Commento

bazia d'Orval nella diocesi di Treviri, l'incorporò verso il 1 2 5 0


nella sua storia dei vescovi di Liegi - celebra il trionfo riportato
a Steppes presso Montenaaken, nel I 2 1 3 , da san Lamberto, il
quale concesse la vittoria ai suoi protetti, gli abitanti di Liegi,
contro il duca di Brabante . Ma riferisce anche, nella scia di que­
sto successo, la battaglia di Bouvines . La quarta testimonianza è
in lingua volgare . È una cronaca degli anni r r 8 5 - 1 2 1 7 , redatta
dopo il 1 2 2 0 per Roberto di Béthune da uno dei suoi fedeli, che
forse non era chierico . Questo scrivano della casa, come se ne
trovavano persino nell 'ambiente di signori assai da poco, aveva
già redatto una Histoire des ducs de Normandie et des rois
d)Angleterre, dove parlava molto di Giovanni Senzaterra, di çui
il suo padrone era stato alle dipendenze. Intraprese poi questa
altra opera, piu aperta ai fatti della Francia e che concede largo
spazio alla giornata di Bouvines .
Il contributo di questi scritti permette di leggere meglio
quello di Guglielmo il Bretone. Perché questa lettura non sia
scorretta occorre però prima di tutto che in precedenza siano
collocate al loro giusto posto le istituzioni, le usanze, un sistema
di immagini mentali e di precetti che, in quella parte del mon­
do, alle soglie del XIII secolo, costituivano il quadro dell' azione
militare. Un quadro le cui fondamenta erano state poste piu di
due secoli prima. Chi voglia ben comprendere ciò che è avvenu­
to sul campo di Bouvines il 2 7 luglio r 2 r 4 deve volgere lo
sguardo verso quel lontano passato.

Da sempre, lungo tutti i millenni che vanno a perdersi nella


notte preistorica , la guerra - gli scritti della gente colta le dànno
al tempo di Bouvines il nome, germanico e latinizzato , di wer­
ra - era stata una buona cosa. Era l'occlipazione normale degli
uomini in condizione di farla . Rinasceva ogni anno con la bella
stagione, e gli dei la benedicevano. Svolgeva una primordiale
funzione economica, importante almeno quanto quella del lavo­
ro produttivo : era necessario combattere per proteggere le ri­
sorse della comunità, grande o piccola che fosse, della tribu, del
La pace 71

clan; del gruppo familiare. Combattere signilicava pure accre­


scere queste risorse; come con la raccolta delle erbe e dei frutti
selvatici o con la caccia, andando a impadronirsi altrove dì tutto
ciò che si poteva portar via : abbigliamento, viveri , bestiame, ra"'
gazzi e ragazze. La pace era quindi solo un'interruzione fortuita,
imposta dalle circos tanze, l'esaurirsi delle forze, la rarefazione
delle prede, il cattivo tempo - una temporanea tregua, un inter­
vallo, durante il quale i trasferimenti di ricchezza a cui la guerra
normalmente dava luogo prendevano un altro corso; la forma
del dare e ricambiare doni, dello scambio matrimoniale, del
commercio.
Ora, all'avvicinarsi dell'anno mille, nell'Occidente cristianiz­
zato la guerra fu di colpo considerata malvagia. Cambiamento
sconvolgente ! Nel pensiero degli alti ecClesiastici prese radice
un'altra concezione della pace, collocandosi al centro di una lln"
magine globale del cosmo, della società umana e della salvezza,
perno dello sforzo dei vescovi e degli abati dei pili grandi mona­
steri per rinnovare il mondo, per riportare le strutture dèll'uni­
verso visibile alla forma esemplare delle intenzioni divine . Si
avvicinava il millennio della passione del Cristo. Bisognava con­
cludere con il cielo una nuova alle anza. Tutti gli uomini, e non
piu soltanto i monaci, questi spregiatori della vita secolare, do­
vevano fare penitenza, puri:ficarsi dai peccati carnali, astenersi
dalla violenza e dallo spargere di sangue umano, rinunciando al
tempo stesso al denaro e alla concupiscenza. Lo spirito d'aggres­
sione e tutte le attività ad esso connesse furono da all ora con­
dannate, annoverate fra i peccati . Buona, giusta, normale era la
pace; la pace era l'ordine delle cose, la pace era Dio stesso. Non
è facile valutare ciò che questo concetto poteva avere di scon­
volgente; tutto un sistema di valori ne veniva radicalmente e de­
finitivamente rovesciato. (E non per caso questo mutamento si
è prodotto nel momento preciso in cui le relazioni mercantili in
Europa cominciavano a svilupparsi in maniera decisiva: alla ra­
pina succede il commercio, fondato sulla pace dei mercati e del­
le fiere, sulla diffusione delle monete d'argento, tutte timbrate
con la croce, quella s�essa croce che segnava ai crocevia l'ingres-
72 Commento

so nelle aree di salvaguardie, che, sui vestiti dei crociati, stava a


significare che la loro persona era particolarmente protetta con- .
tro qualsiasi attacco . Ma in tal modo s'introduceva una contrad­
dizione nella ideologia della Chiesa . Questa infatti veniva a fre­
nare contemporaneamente il gusto del saccheggio e quello del
dono gratuito, il senso della liberalità e del disin teresse: virru
queste strettamente congiunte nella morale dei guerrieri con
l'aggressività. La Chiesa si piegava a poco a poco a tollerare il
lucro, ad assolverlo. Ha inizio a questo punto il lungo movimen­
to che alla :fine avrebbe condotto gli ecclesiastici a patteggiare
con gli uomini d'affari e a santificare il profitto ) .
Bisognava però arrendersi all'evidenza : Dio non regna quag­
giu senza spartizioni. Turbato è sulla terra il suo ordine - come
lo è a volte nel cielo dal passaggio di quelle meteore che vengo­
no a sconvolgere il corso regolare delle stelle. Una visione dua­
listica dell'universo domina in quel tempo ogni pensiero . Nella
creazione, nella costituzione dell'uomo, sono mescolate due na­
ture, quella spirituale e quella materiale. Lo spirito e la carne .
Questa, umidiccia, notturna, serpentiforme, è la nutrice dei vizi
- primo fra tutti l'orgoglio , che è rifiuto della luce. In essa met­
te anche radici il desiderio di arraffare e maltrattare. È questa
la vera opposizione tra pace e guerra : la prima viene dallo spi­
rito, l'altra dalla carne e dal sangue: Coloro che vogliono realiz­
zare il Regno devono quindi adoperarsi a ridurre la parte delle
armi, maledetta quanto quella del denaro e del sesso . Ma per
questo bisogna che essi stessi combattano, e qui vediamo sorge­
re un'altra contraddizione, ancor piu profonda. Poiché Dio non
è soltanto l'Agnello. Dobbiamo anche rappresentarcelo come un
capo d'armata - cosa che ci autorizzano a fare numerosi passi
della Scrittura - come un terribile re che brandisce la spada :
quest' immagine s'impone facilmente in quanto viene ad accor­
darsi con quelle della morale precristiana, di un'etica propria
dello strato sociale allora dominante, da cui provengono tutte le
alte autorità della Chiesa: il gruppo dei condottieri di guerra.
Cosi la mentalità militare in quell'epoca compenetra in profon­
dità tutta l'iconografia del cristianesimo; mostra nell'Eterno il
La pace 73

Signore che scaglia la folgore e pone, sulle pagine delle Apoca­


lissi, la spada fra i denti del Cristo. Contro le forze avverse che
resistono ai suoi decreti Dio impegna un quotidiano combatti­
mento, dirige attacchi, assedia fortezze, calpesta i nemici atter­
rati. Il buon cristiano deve schierarsi nella sua formazione di
battaglia e sotto il suo stendardo; gli si richiede di lottare con
lui e di aiutarlo con le armi a difendere i deboli, a vendicare le
ingiurie, ·a reprimere la miscredenza. Tuitio> ultio> dilatatio, di­
fendere, vendicare, estendere il dominio della vera fede : ecco i
tre aspetti di un'a.zione che è anche quella del buon Dio. Un'a­
zione militare . Siccome il mondo è imperfetto, la pace non può
essere instaurata senza la guerra .
Condotta con questa mira, la guerra ridiventa giusta, e com­
battere non è piu peccato. Ben l'hanno detto i Padri della Chie­
sa. Per esempio Isidoro di Siviglia : « Giusta è la guerra quando
è condotta per ricuperare i propri beni e per respingere gli ag­
gressori in virtu di un editto ». Perché Dio si è scelto i suoi luo­
gotenenti sulla terra : sono i re, che la consacrazione compenetra
della sua potenza. È certo che ogni uomo può legittimamente ­
la chiosa del decreto XXIII l'afferma in modo netto - lottare
per la propria difesa , vendicarsi personalmente, e la provviden­
za allora sosterrà il suo diritto. Nondimeno tocca al re « pacifi­
co » di mantenere nell'ordine l'esercizio di queste vendette pri­
vate, di proporre il suo arbitrato prima che gli avversari venga­
no alle mani, di presiedere assemblee di conciliazione, di ese­
guirne le sentenze, la spada in pugno, e di accorrere, se chiama­
to, alla riscossa delle vittime troppo deboli per vendicarsi da so­
le . Soccorrere tutti coloro che sono oppressi dalle forze mali­
gne è la sua missione principale, quella che le formule di berie�
dizione, nel cerimoniale della consacrazione, assegnano alla sua
spada, al suo stendardo, invocando il Dio degli eserciti. Le spe­
dizioni da lui guidate con questo fine sono santificate, incensate,
benedette . Nel r o 6 6 , quando il duca di Normandia Guglielmo,
portando al collo uno scapolare di reliquie, mosse guerra al re
degli Inglesi, il papa stesso « gli ordinò di prendère arditamente
le armi contro lo spergiuro e gli mandò il vessillo di San Pietro,
74 Co=ento

la cui virru doveva proteggerlo da qualsiasi pericolo » . Presen­


tata come una risposta alla « rottura della pace » , a quella frat­
tura dell'ordine universale che tutti i buoni cristiani debbono
adoperarsi a ridurre, l'azione militare dei capi legittimi dei po­
poli è, per essere esatti, consacrata. Essa è opera di pace, e poi­
ché la pace è il Cristo, opera di fede. « Riforma della pace e del­
l'istituzione della santa fede », lo storico Rodolfo il Glabro a me­
tà del secolo XI, esprime in modo chiarissimo l'indissociabile al­
leanza . La pace è una questione di fede e, di conseguenza, una
questione della Chiesa. Tuttavia, onde sia rispettato l'ordine del
mondo, la funzione della Chiesa si limita a sostenere per mezzo
della preghiera l'istituzione sulla quale, secondo l'intenzione .di­
vina, poggia ogni impresa pacifica, la regalità.
Ma può accadere che i re, e quella specie di re che in Francia,
dopo la fine del x secolo, sono diventati i signori dei grandi prin­
cipati regionali, si dimostrino incapaci di adempiere il loro com­
pito . Si rompono allora le dighe e dilagano i tumulti. Un tale ce­
dimento e il conseguente irrompere del disordine, della cattiva
guerra e di quella inquietudine cui essa si accompagna, l'eresia,
i prelati l'avvertirono, all'appressarsi dell'anno mille, nel sud
della Gallia, nelle province piu lontane dai palazzi dove viveva­
no i sovrani . Essi si sentirono allora in obbligo di assumersi la
responsabilità della pace, di far proprio ciò che avrebbe dovuto
rimanere missione regale . A tal fine organizzarono, con l'appog­
gio dei principi locali, una serie di concili. Prese cosi inizio il
movimento per la «pace di Dio » . Nelle assemblee che lo lancia­
rono si formò a poco a poco quella rappresentazione globale del­
la società umana cui ho accennato, che suddivideva gli uomini
in tre ordini, incaricati ciascuno separatamente delle tre funzio­
ni fino ad allora svolte dalla regalità. Classificare separatamente
religiosi, guerrieri, e lavoratori era rendere manifesta la realtà
dei rapporti sociali . Effettivamente, al termine di una evoluzio­
ne secolare che aveva modificato a un tempo la tecnica del com­
battimento, i rapporti politici e le relazioni tra uomo e uomo, il
popolo dei lavoratori contadini si trovava in quel momento sen­
z'altro sottoposto, nel quadro del feudo, allo sfruttamento dei
La pace 75

padroni, mentre il mestiere del militare era ormai monopolio di


un piccolo numero di cavalieri, i soli muniti di armi efficaci . Nel
momento stesso in cui si veniva precisando il servizio d'armi do­
vuto al principe della regione, in ragione dell'omaggio e del feu­
do, da parte di ·quegli specialisti della guerra che i dialetti vol­
gari chiamavano cavalieri, tale concezione dell'ordine sociale in­
tendeva proteggere con una pace particolare, che non era piu
quella insufficiente del re, ma quella di Dio, tutti i cristiani sen­
z'armi , quindi vulnerabili, vale a dire i monaci, i chierici e la
massa dei poveri . In compenso riservava ad alcuni ricchi la pra­
tica della guerra. In tal modo la nuova ideologia stabiliva un li­
mite fra la competenza delle armi, quindi del male, e il resto.
Essa segnava con precisione i confini sociali, cercando di blocca­
re qui, con una barriera di interdetti, il traboccare delle violen­
ze, chiamando su quanti avessero osato violare questi tabu la
vendetta del Dio onnipotente. In tal modo la cavalleria si trova­
va accantonata, contenuta, ma come isolata, respinta fuori leg­
ge, abbandonata ai fermenti della malvagità.
Presto però la Chiesa vide che era suo dovere non lasciare in
preda alle forze sataniche quegli uomini violenti e saccheggiato­
ri, pericolosi si, ma battezzati. Essa volle aiutarli a salvare l'ani­
ma, e tentò di addomesticarli . Quelle armi, che essi soli avevano
diritto di portare e parevano l'emblema della loro preminenza,
dei preti si misero a benedirle , riprendendo a tale scopo le for­
mule della consacrazione della spada regale . E ciò per convince­
re i membri dell'ordine dei guerrieri a fare la guerra, come un
tempo s 'impegnavano a fare, i re, solamente per difendere i de­
boli, vendicare i crimini impuniti ed espandere il cristianesimo .
Di tutti coloro che la nascita, la virtli del sangue e la ricchezza
collocavano tra i cavalieri, la Chiesa intendeva cosi fare delle
specie di re, in ogni caso gli ausiliari della nuova pace da essa
predicata, la pace di Dio. I combattenti della guerra giusta, del­
la guerra santa. Nel 1 0 9 5 tutti li mobilitava per liberare il se­
polcro del Cristo, togliendo i freni alla loro aggressività, ma a
patto che si riversasse al di fuori della comunità cristiana, nella
lontana e salutare avventura della crociata. Già molto prima, fin
dal secondo decennio dell'XI secolo, si erano instaurate delle
consuetudini che, in un grande slancio di penitenza collettiva,
alla vigilia del millennio della passione, imponevano ai cavalieri
particolari astinenze, analoghe alle restrizioni alimentari e ses­
suali e ad esse legate. Applicando il concetto della guerra giusta
distinguevano, nel comportamento del combattente rispetto agli
altri guerrieri di vocazione, il lecito dall'ill ecito, il puro dall'im­
puro . Il bianco e il nero . In ogni diocesi i cavalieri furono invi­
tati ad assemblee, in cui tutti s' impegnavano con giuramento a
rispettare analoghe regole : per esempio , a non attaccare l 'uomo
d'armi che, durante la Quaresima, per il riscatto dei suoi pec­
cati, avesse deciso di deporre temporaneamente l'armatura, e .di
collocarsi con tal gesto tra i poveri, vale a dire sotto la protezio­
ne della pace di Dio . Nel I 0 2 7 viene per la prima volta formu­
lato il principio che nessuno deve attaccare il nemico tra l'ulti­
ma ora del sabato e la prima del lunedi. Pace della domenica che
fu tosto estesa, per commemorare la passione del Cristo, al gio­
vedi, al venerdi e al sabato di ogni settimana : la cosiddetta « tre­
gua di Dio » . Delle infrazioni a tali patti erano giudici i vescovi :
contro coloro che infrangevano la pace avrebbero lanciato l'ana­
tema e la scomunica, bandendoli dalla comunità cristiana, invo­
cando su di loro la collera del cielo, destinandoli, se non si
emendavano,,a raggiungere nell 'inferno i peggiori demoni. Que­
stione di fede, la nuova morale della guerra rientrava natural­
mente nel campo della giurisdizione episcopale .
Ben presto si vide che dipendeva da quella del Papa, poiché
la Chiesa, riformandosi nel corso dell'XI secolo, si raccolse sem­
pre piu sotto l'autorità del vescovo di Roma. Questi si eresse
quindi a supremo ordinatore della pace. Nel I 0 5 9 un sinodo ro­
mano estendeva a tutt� la cristianità la tregua domini. A Cler­
mont, nel I 0 9 5 , al centro di tutto un sistema di prescrizioni pe­
nitenziali che volevano rinforzare le astinenze, le regole della
tregua furono affermate solennemente dal papa Urbano II, nel
discorso stesso che scatenava la guerra santa, decretando crocia­
ta e pace di Dio complementari tra loro . Al concilio di Reims
Callisto II formula nel I I I 9 una dottrina della pace che deve
La pace 77

reggere l'intera Chiesa, poiché è quella del papa. Ecco la dichia"


razione, quale è stata ricostruita dal cronista Orderico Vitale :
Cristo è venuto per la pace; « impieghiamo di conseguenza tutti
i nostri sforzi per procurare la pace e la salvezza dei suoi mem­
bri ( vale a dire dei popoli cristiani riscattati col suo sangue),
poiché noi siamo i ministri e dispensatori dell'ordine di Dio » ;
« le sedizioni della gente che fa l a guerra provocano turbamenti
e disgregazioni dei popoli . . . impediscono di contemplare le cose
spirituali . . . svuotano le chiese . . . turbano il clero . . . distruggono
la regolare disciplina . . . espongono in maniera deplorevole il pu­
dore e la castità al furore del male » ; la pace è «il bene generale
di ogni creatura dotata di ragione », di ogni creatura in cui la
parte dello spirito ha qualche importanza; essa regna incontesta­
ta nell'universo celeste, nella parte non corrotta della creazione;
<<Uniti indissolubilmente per mezzo suo, gli abitatori del cielo
vivono nella gioia mentre i mortali costantemente trascurano di
unirsi con un simile vincolo » . Perché il mondo visibile non sia
troppo diverso da quello invisibile, il papa prescrive la stretta
osse,rvanza della tregua di Dio . Minaccia l'anatema a tutti colo­
ro che rifiutano l'invito « a mettere un termine, secondo la legge
divina, al tumulto delle guerre, e a rallegrarsi nella sicurezza del
riposo con i popoli loro sottomessi » .
I n nome di una tale morale, ponendosi al di sopra di tutti i
principi della terra, i papi pretenderanno ormai, ratione peccati,
di rettifìcare ogni decisione politica che rischiasse di far deviare
la guerra verso l'ingiustizia. Essi colpiranno , se necessario, i ca­
pi del popolo con sanzioni spirituaE . Per tutto il corso del xn
secolo, nel Concilio laterano del I I 2 3, a Clairmont e a Reims nel
I I 30-3 I , di nuovo nel Concilio laterano del I I 3 9 , a Reims
nel I I 4 8 , a Tours nel I I 6 3 , una terza volta nel laterano del I I 7 9 ,
assemblee riunite sotto l'autorità pontifìcia hanno ripreso, este·
so, precisato le consegne della pace. Ancora nel I 2 I 2 Innocen­
za III organizza, nell'ottava della Pentecoste, processioni per la
pace e per la crociata. Ristabilire la concordia all'interno, proiet­
tare verso l'esterno lo sforzo militare di tutti i cavalieri di Cri­
sto : tale è la missione dei legati della Santa Sede. Dopo l'avven-
78 Commento

to di Filippo Augusto li vediamo, sempre piu insistenti, esegui­


re tra le potenze belligeranti una specie di balletto iniÌiterrotto,
andando e venendo da un campo all'altro, esortando, mercan­
teggiando, minacciando. Al tempo di Bouvines, della questione
della pace e della fede, la Chiesa romana, monarchica, totalita­
ria, la Chiesa d'Innocenza III, intende piu che mai fare cosa
propria .

Nondimeno lo slancio evolutivo che, da piu di due secoli ,


ànima tutto l'Occidente , ha eretto ostacoli concreti all'ideologia
della pace ecclesia.stìca, prima di tutto perché ha determinato il
progre�sivo rinforzarsi delle grandi formazioni politiche. Il mo­
vimento pacifico, di cui i prelati erano stati gli iniziatori, si era
in realtà sviluppato sulle manchevolezze del potere dei principi .
Ma questi non si erano mai lasciati privare delle loro prerogati­
ve. Mai venne meno l'idea che l'ordinamento della pace e della
guerra apparteneva loro per delega divina. E appena ne furono
m ' grado si sforzarono di agire di conseguenza .
Nel 1 2 1 4 non vi erano punto riusciti nel Mezzogiorno del
re:une di Francia. Un Mezzogiorno che comincia assai vicino a
Parigi , poiché vi si penetra al di là di Tours , di Orléans, di Cha­
lon-sur-Saone. Questa immensa regione in cui erano nate le idee
di una pace e di una tregua di Dio, che conobbe i primi sviluppi
della cosiddetta riforma gregoriana, che i papi avevano percorso
di persona e dove la loro influenza era maggiore che in qualun­
que altro luogo, che aveva il suo mod<? particolare di stabilire il
confine e di :fissare i rapporti tra il sacro e il profano - il che spie­
ga come essa sia stata la culla dell'amore cortese e si sia mostra­
ta cosi accogliente verso il catarismo - continuava a essere a me­
tà del secolo XII, secondo Pietro il Venerabile, abate di Cluny,
« senza re, senza duca e senza principe » . Lo è ancora al tempo di
Bouvines. Intendiamo dire che i signori dei principati - qui
troppo vasti e meno ben raggruppati che nel Nord - cozzano
contro la potenza di mille castelli indipendenti e di città irte di
torri e faticano a trovare un appoggio nella rete di vincoli che
La pace 79

collegano omaggi e concessioni di feudi, quei vincoli tra uomo e


uomo che in tali contrade gli storici non hanno ancora ben stu­
diato, ma che vi appaiono molto piu allentati. Queste terre sono
in realtà suddivise tra vaste zone allodiali, feudi senza serviru e
mantenuti indivisi da una moltitudine di co-feudatari, tra i qua­
li gli obblighi di aiuto e di consiglio si disperdono e si dissolvo­
no. In ogni caso agli occhi dei cavalieri dell'Ile-de-France, che
sognano di impadronirsene, queste terre appaiono piene di uo­
mini senza fede, di « banderuole » su cui nessuno può contare ,
perché dimenticano il giuramento e a ogni piè sospinto abban­
donano il loro signore per un altro : Guglielmo, il mares-ciallo
d'Inghilterra, eroe della guerra cavalleresca, celebrato da una
canzone scritta poco dopo Bouvines, domandava un giorno a Fi­
lippo Augusto, a proposito della gente del Poitou, i cui capovol­
gimenti favorivano gli intrighi capetingi contro il Plantageneto,
perché mai i traditori, che in Francia venivano in passato bru­
ciati, fatti a pezzi e trascinati da quattro cavalli, erano ora signori
e padroni ; il re gli rispose : « Si tratta di mercanteggiamenti (cioè
di affari di mercanti, quindi cosa spregevole ) . Fanno la fine della
carta igienica : dopo si gettano via » . In realtà i cavalieri del Mez­
zogiorno hanno un altro senso dell'onore, che i Francesi del
Nord non capiscono, ma proprio questo rende molto piu debole
la struttura dei poteri dei principi, lascia libero corso al disordi­
ne, impedisce ai duchi e ai conti di erigersi, come avrebbero do­
vuto, a conservatori della pace. Non è la loro pace che fiorisce in
queste province : come al principio dell'xi secolo, è quella dei
concili , delle assemblee dove i cavalieri di ciascun paese vanno
periodicamente a giurare insieme. La pace dei vescovi e del
papa.
In ogni diocesi, la « giustizia della cristianità » , il diritto di
punire coloro che, violando il giuramento, si abbandonano a ra­
pine e a brutalità, spetta unicamente ai prelati: per questi, il
principe è ùn semplice adjutor, di cui richiedono l'intervento
quando bisogna eseguire le sentenze o costringere gli accusati a
comparire. Dopo gli anni sessanta del XII secolo, dopo che nei
paesi meridionali è diventato rischioso avventurarsi per le stra-
So Commento

de e il pericolo ha svuotato le aree delle fiere e inaridito i com­


merci, quando le bande armate hanno incominciato a moltipli­
carsi e a prosperare, e i fermenti eretici a schiumeggiare da ogni
parte, i vescovi, e non i principi sospettati giustamente di conni­
venza con i fautori di disordini, furono incaricati dai concili
pontifici di organizzare la guerra santa contro quanti trasgredi­
vano gli interdetti e lottavano contro Dio nel campo del male. I
prelati distribuirono le indulgenze e le stesse protezioni che da­
vano ai pellegrini di Terra Santa a tutti coloro che, « nell'ardore
della fede » , «in un giusto lavoro », partivano per far guerra a
coloro le cui armi erapo insozzare, e colpirono con la scomunica
i giovani validi che esitavano a seguirli . Nella Francia del Sup,
eretica e papale, da allora in poi i vescovi presero a riunire in­
torno a sé come combattenti ( come già dal I 0 3 8 aveva tentato
di fare l'arcivescovo di Bourges) non soltanto i cavalieri, ma tut­
ti quanti. In ciascuna parrocchia ogni uomo di piu di quindici
anni dovette giurare di prestare man forte agli artefici della pa­
ce. Cosi anche la gente del terzo ordine, i lavoratori , che secon­
do le primitive concezioni della pace di Dio venivano considera­
ti disarmati per sempre, ecco che venivano chiamati essi pure a
fare la guerra sotto la bandiera dei santi; e se erano invalidi,
a versare la loro quota alla colletta annuale per la « pace comu­
ne » . Una pace episcopale, diocesana, ma sempre piu popolare .
E i quadri cosi costituiti furono presto visti agitarsi : agitazione
che veniva dal mondo degli artigiani e dei rivenditori .
E l'agitazione scoppiò bruscamente e in modo inquietante
nel Puy l'inverno del I I 8 2 . Un carpentiere, lavoratore manuale,
analfabeta, brutto, imbecille, per di piu ammogliato e padre di
famiglia, ha visto apparire la Vergine : ha ricevuto da lei un se­
gno e l'ordine di predicare la pace. E subito una setta si è forma­
ta intorno a lui ed è cresciuta in pochi mesi . Ebbe presto la sua
cassa - poiché gli aderenti non erano miserabili , ma fabbricanti
e commercianti, ostacolati nei loro affari dai disordini della
guerra cavalleresca, erano però gente risparmiatrice : a casa loro
tenevano in serbo monete, potevano pagarsi il diritto di appar­
tenere alla confraternita, acquistarne le insegne, versare la loro
La pace 8r

quota. Venivano riconosciuti dal modo di vestire, che era sim­


bolo di volontaria puriEcazione : portavano un cappuccio di la­
na bianca: Erano in r�altà penitenti, che si vietavano di giocare
ai dadi , di giurare invano, rinunciavano ad ogni vendetta tra di
loro e si promettevano reciproco aiuto . Adepti della carità e del­
la purezza, ma in armi : si impegnavano ad occorrere tutti insie­
me per rispondere all'appello della Vergine, contro i -fautori del­
la guerra. Al vescovo, a lungo reticente, in primavera forzaro­
no la mano, ed egli dovette benedire il movimento : tentò di asso­
ciarvi i principi e i cavalieri, poi li mandò a lottare contro i bri­
ganti e, trionfanti, gli Incappucciati riportarono una sera al Puy
la testa di un capo banda. Ma presto, per una rapida, inevitabile
deviazione, la setta cominciò a contestare l'ordine sociale. Nel
suo interno, tra gli atteggiamenti di penitenza ch'essa imponeva
ai suoi 'membri, e sotto un abito che era uguale per tutti e na­
scondeva le differenze di condizione, venivano a essere abolite
tutte le distinzioni terrene : non sono forse i :figli di Dio tutti li­
beri e uguali fra loro, come lo erano nei primi giorni del mondo ,
come lo saranno nella gloria della Parusia? Perché pagare le tas­
se ai signori ? Esse sono il prezzo di una protezione che gli uomi­
ni di guerra, ben lo si vede, non sono piu in grado di assicurare .
E poiché il popolo è ormai armato e può di fendersi da sé, per­
ché dovrebbe continuare a mantenere con i benefici feudali l'or­
dine dei cavalieri che non adempie piu la sua funzione ? Ricor­
dando che stava avvicinandosi la :fine dei tempi e che bisognava
prepararvisi, il movimento degli Incappucciati prese l'offensiva
contro i privilegi ingiustiEcati: quelli degli uomini di guerra e
di Chiesa. E presto la setta mostrò a coloro che minàcciava il
suo vero volto : sovversivo e schernitore . Per tutti i canonici,
quei signori, l'associazione per la pace diventò una genia diabo­
lica, le cui bianche cappe mal nascondevano la nera per:fìdia. E
contro di essa i preti chiamarono questa volta in soccorso i cava­
lieri, questi altri signori che tutti, buoni o cattivi, subito li inte­
sero, dimenticando qualsiasi discordia, e piu non pensarono che
a puÌ:itellare l'edificio sociale ora vacillante sulle sue basi . I ve­
scovi iniziarono senza indugio un' azione militare contro i falsi
82 Commento

confratelli della pace, ormai pervertiti. E partirono, la spada in


pugno, per sterminare questa pestilenza putrefatta di eretici
miasmi . Ma nel 1 2 1 4 nessuno è sicuro che non risorga tra po­
co. Nel Mezzogiorno della Francia il reame rimane in tal modo
diviso contro se stesso : la pace non riuscirebbe ad avere una
salda base solo sull'intesa dei prelati e dei poveri: lasciar che
questi si armino senza esser vigorosamente organizzati dagli spe­
cialisti della guerra porterebbe presto a infrangere i trifunziona­
li ordinamenti assegnati dal Creatore alla società umana. All'o­
pera di pace è necessario il concorso dei principi. E questo man­
ca ancora, in queste regioni, mentre il Nord ignora tali contrad­
dizioni. Quando, nelle campagne del 1 2 1 2 , si sono sollevate .e
riunite bande di « fanciulli » - vale a dire gente del popolo che
viveva fuori della famiglia, pastori, famelici cadetti in cerca di
avventure - brandirono anch'esse messaggi venuti dal cielo, an­
darono a mostrarli a Filippo Augusto, che consultò i maestri
delle scuole parigine. Tuttavia queste orde di poveri sognavano
soltanto di liberare il sepolcro di Cristo, certo non di dar la cac­
cia agli spadaccini, né - anche se passando saccheggiavano i gra­
nai soggetti alla decima _:__ di abolire i diritti feudali per instaura­
re la pace interiore. Infatti una specie di ordine regnava in que­
ste province dove, da lunga data, i principi avevano ripreso nel­
le loro mani, conformemente alle intenzioni divine, le istituzio­
ni della pace.

Forgiate nel Sud del reame, queste istituzioni erano penetra­


te nella Francia del Nord non appena - negli anni venti del se­
colo XI - si era visto che in quelle regioni persino il re non aveva
piu il potere di mantenere l'ordine. Ma esse si erano allora in­
corporate nelle strutture dei pochi principati regionali, i cui si­
gnori avevano ancora forza, e in primo luogo quelli dalle strut­
ture piu salde, le Fiandre e la Normandia. Esse furono accolte
nelle Fiandre nel 1 0 4 2-43 , con il concilio di Thérouanne. A dir
vero, parzialmente: nessuna allusione alla pace di Dio, ai tabu
che intendono mettere al riparo dalle violenze i luoghi santi, la
La pace 83

persona dei chierici , dei monaci e dei poveri : solamente si pro­


dama la tregua, e qui spetta al conte, associato al vescovo , di
farla rispettare. Il principe mantiene le sue prerogative : nei
giorni in cui ci si astiene dalla guerra conserva, ma lui solo, il
diritto di organizzare spedizioni per il bene comune, avendo cu­
ra che i guerrieri che lo accompagnano non abusino delle requi­
sizioni . Non è neppure il vescovo che giudica i delitti di fractio
pacis, ma la corte comitale, davanti alla quale gli accusati vengo­
no a giustificarsi sotto giuramento, con dodici . dei loro pari, o
con l'ordalia del ferro rovente. La potenza dei principi si affer­
ma dunque come fonte di ogni pace. Accade la stessa cosa in
Normandia. lvi, sul modello delle prescrizioni di Thérouanne,
furono adottati i regolamenti della pace appena il duca Gugliel­
mo, futuro conquistatore dell'Inghilterra, divenne sicuro del
suo potere e volle consolidarlo appoggiandosi alle piu alte auto­
rità della Chiesa : da lui è partita l'iniziativa. E anche qui fu im­
posta soltanto la tregua, sospensione temporanea delle vendette
private : durante i giorni sacri qualsiasi guerra fu dichiarata ille­
cita, salvo quelle guidate dal duca in persona o dal re di Francia,
e nessun potere repressivo si sostitui a quello del principe. Alla
fine dell'xi secolo, quando l'erede del Conquistatore si lasciò
sfuggire di mano il potere e si scatenarono le violenze nelle cam­
pagne normanne, i vescovi del paese si radunarono a Rouen e
tentarono di instaurare un regime analogo a quello delle provin­
ce meri9]onali : speciale protezione delle chiese e dei poveri,
patto, giuramento prestato da tutti gli uomini dai dodici anni in
su, supplica, milizia arruolata dai prelati. Ma, dice Orderico Vi­
tale, « siccome i vescovi non furono assecondati dalla superiore
giustizia, queste disposizioni servirono a poco . Tutto quello che
avevano stabilito divenne pressoché inutile » . In realtà, sotto il
nuovo duca Enrico Beauclerc, la pace fu di nuovo quella del
principe.
Quanto al re, tardò a lungo prima di affermarsi come supre­
mo custode dell'ordine, perché teneva il suo principato con ma­
no molto meno salda. Nel dominio regio i signori dei castelli, al­
le porte dei palazzi capetingi, si erigevano a potenze autonome.
84 Commento

Il primo compito del sovrano fu quello di tenere a bada i con­


correnti, il che non fu facile. All'inizio del XII secolo Luigi VI ,
nonno di Filippo Augusto sempre a cavallo si esauriva in tale
compito, seguito da una piccola banda di amici fedeli , compagni
d'infanzia, con la torcia in mano contro gli steccati delle irriso­
rie fortezze, in meschini parapiglia che si rinnovavano ogni esta­
te. Mancavano i mezzi . Alla guerriglia da lui condotta, forte so­
lo delle proprie virtU e dell'elezione divina, si opponeva allora
quella dd re d'Inghilterra Guglielmo il Rosso, il quale, grazie
al suo tesoro ( il paese d'oltre Manica rigurgitava già di denaro ),
poteva reclutare mercenari . Presso il Capetingio stava però un
mentore, uomo di vedute molto piu ampie e che aveva, per cosi
dire, una coscienza astratta dei principi : l'abate di Saint-Denis.
Lo assillavano i ricordi carolingi , l'idea della grandezza e dell'u­
nità del reame. Lo guidava soprattutto il pensiero dello pseudo
Dionigi l'Areopagita che egli scambiava per il Dionigi della crip­
ta, una teologia della luce che si diffondeva di grado in grado
dall'unica fonte dell'amore divino, la mistica concezione di una
gerarchia delle potenze. Suger fece sua questa visione del co­
smo, presentò il re consacrato come sola ipostasi di Dio, come
superiore a tutti i principi del regno, e questi al di sopra dei ca­
valieri ; ai piu umili tra questi ultimi il re veniva a essere vinco­
lato dagli anelli di una catena feudale, una serie di mutui servizi
distribuiti con criterio gerarchico. E mentre il re Luigi si affati­
cava in cavalcate apparentemente inutili, Suger proclamava : « È
dovere dei re reprimere con la loro mano possente e mediante
l'originario diritto della loro missione, l'audacia dei tiranni che
dilaniano lo stato con guerre senza fine, si divertono a saccheg­
giare, opprimono i poveri, distruggono le chiese». Quando i ca­
pi delle bande locali, che dovrebbero dimostrarsi fedeli ausiliari
del luogotenente di Dio nella sua azione di pace, si lasciano do­
minare dalla cupidigia e dallo spirito di rapina, spetta al re ap­
poggiarsi direttamente, per riportare i trl!viati nella retta via, al­
la Chiesa e ai poveri dei quali è il protettore accreditato. È que­
sto il pensiero dominante, la molla di tutti gli slanci di fede nel­
la regalità che a Bouvines si diffondono intorno alla persona del
La pace 85

re di Francia. Quando racconta la vita di Luigi VI Suger mette


in piena luce un curato di villaggio che, per sostenere i cavalieri
della casata regale nell'attacco del castello di Puiset, trascinava
seco contro un malvagio signore una truppa di contadini, suoi
parrocchiani. Significava mettere il dito sulla innovazione piu
importante: nel principato retto dal Capetingio si organizzaro­
no in quell'epoca i comuni, che sono in realtà associazioni di pa­
ce . Milizie parrocchiali formate da gente del popolo, tutte si­
mili a quella che aveva costituito l'arcivescovo di Bourges nel
I OJ 8 , e anche a quelle che piu tardi si sarebbero formate nelle
diocesi del Mezzogiorno. Però, con una fondamentale differen­
za : qui gli uomini dei comuni non seguivano il loro vescovo, ma
il sovrano . E la loro mobilitazione non era un elemento di di­
sordine. Il re aveva ricevuto da Dio l'incarico di guidare il suo
popolo e perciò poteva armare i poveri e lanciarli nella guerra
giusta senza turbare l'ordinamento del mondo : il re era sacro .
Orderico Vitale descrive la comparsa di questi comuni e, abitua­
to alle cose della Normandia, ne è stupefatto. Luigi VI , dice,
non aveva forze sufficienti « per reprimere la tirannia dei brigan­
ti e dei faziosi » ; egli si rivolse quindi ai vescovi, e questi «fon·
darono in Francia la comunità popolare, si che i preti avrebbero
accompagnato il re negli assedi e nei combattimenti, con gli
stendardi e i parrocchiani » . Amaury di Montfort avrebbe persi­
no incoraggiato Luigi VI, suo signore : « Che i vescovi, i conti e
gli altri baroni del tuo dominio si riuniscano intorno a te ; che i
preti e i parrocchiani ti seguano dove tu comanderai, perché
un'armata di gente del popolo eserciti una comune vendetta
contro i pubblici nemici » . E i vescovi « obbedirono con solleci­
tudine, colpendo con l'anatema preti e parrocchiani della loro
diocesi, se non si affrettavano nei tempi prescritti a seguire il re
nelle sue spedizioni » . Il re di Francia è il re del Giudizio Uni­
versale, di tutto il genere umano insieme riunito . In comunica­
zione diretta con il cielo, non soltanto può combattere durante
la tregua perché è il braccio di Dio, ma gli è pure permesso di
reclutare per la sua guerra, che è quella del bene, uomini che
non hanno la vocazione di combattere, e di schierarli sotto il sa-
86 Commento

ero stendardo da lui innalzato. Non a caso l 'ori:.fìamma, a. Bou­


vines, è custodita da appartenenti - ai comuni : è la legittirnazione
della loro presenza, la garanzia della loro efficienza.
In ogni caso fu proprio la pace episcopale che il Capetingio,
meno fiacco dei suoi avi, cominciò, appena ne fu in grado, a ri­
stabilire. Tutte le sue campagne furono all 'inizio approvate dai
concili . Un legato del papa presiedeva nel I I I 5 quello di Sois­
sons, che scagliò fulmini contro i violatori della pace divina e in­
vitò solennemente il re ad agire contro uno di essi, Tornrnaso di
Marles, garantendo a tutti i suoi compagni le particolari immu­
nità promesse ai cavalieri del Cristo quando s 'impegnavano in
un combattimento sacro. Al ritorno da questa spedizione ben.e­
detta il conte di Nevers , che aveva aiutato il re, fu catturato da
Tebaldo di Blois. Immediatamente Luigi VI ricorse alla giusti­
zia episcopale e fini col dar querela al concilio di Reims del
I rr 9 , davanti al papa stesso, che gli diede ragione. Tal e fu il
quadro, sacro, in cui si inserirono da quel momento tutte le
azioni militari dei re di Francia. Data da quest'epoca la partico­
lare attenzione prestata allo stendardo di Saint-Denis e senza
dubbio anche l'uso del grido di guerra : Montjoie-Saint-Denis
( evocante a un tempo la speciale protezione del primo martire
parigino e il patrocinio ponti:.fìcio, poiché Montjoie è l 'ultima
tappa del viaggio verso Roma, qu'ella dove il pellegrino scopre
finalmente la Città ) . In nome di Dio il Capetingio ha l 'incarico
della tuitio : fu proprio a Reims che Luigi VI nel I I I 9 prese
l'abbazia di Cluny, cosi strettamente legata a Roma, in « sua di­
fesa, custodia e tutela » . E nel I I 2 4 , aizzando tutti i grandi feu­
datari, egli marciò pro defensione patriae contro l'imperatore
Enrico V che voleva invadere il regno . Anche l'ultio spetta a
lui : nel I I 2 7, sentita l'opinione di un concilio, Luigi VI con­
dusse l'esercito nelle Fiandre per vendicare la morte del conte
Cado il Buono e annientare i suoi assassini, sacrilegi e panici­
di: « la più nobile azione del regno », scrive Suger, che lasciò
i paesi fiamminghi « puri:.fìcati e per cosi dire ribattezzati dai
castighi e dall'abbondante spargimento di sangue » . Lo stori­
co Arieh Grabo"is, che si basa su una lettera del vescovo I vo di
La pace 87

Chartres, suppone che lo stesso re Luigi abbia tentato prima del


III4 - seguendo forse l'esempio del conte Roberto di Fiandra
che nel I I I r confermava la pace di Thétouanne - di fissare un
regolamento di pace per l'intero regno di Francia . Era il tentati­
vo di applicare l'idea che dal re emanava una giustizia superiore
a quella dei principi, in quanto proveniva direttamente da una
delega divina. Fu comunque proprio in questi anni che cominciò
a formarsi il concetto della « corona » , astratta nozione di un fa­
scio di· imprescrittibili diritti derivanti dalla dignità regia, ma
indipendenti dalla persona del sovrano, e connessi a un simboli­
co oggetto : l'emblema che si trasmetteva di padre in figlio e di
cui erano custodi i monaci di Saint-Denis . Tra queste prerogati­
ve c'è quella di esercitare su tutti i castelli, che sono l'immagine
della pubblica pace , un sovrano potere: nel documento in cui
prometteva di proteggere il monastero di Cluny - situato lonta­
no dalle sue proprietà, ma dentro i confini del regno � Luigi VI
si era riservato di tenere « in mano alla corona di Francia fortez­
ze, castelli, bastioni », « al fine di provvedere pubblicamente alle
necessità e alla difesa della corona di Francia » .

Occorre situare verso la metà del XII secolo una svolta decisi­
va nell'assidua azione dei re per riprendere in mano la guida del­
la pace e della guerra, una sessantina d'anni prima di Bouvines ,
un po' prima della nascita di Filippo Augusto, sotto il regno di
Luigi VII. Di tale tendenza non fu responsabile il sovrano - an­
che se l'infelice sposo di Eleonora d'Aquitania non meriti certo
il discredito di cui è tradizionalmente oggetto da parte degli sto­
rici della Francia. Esso avviene in un momento particolarmente
favorevole, in cui si vede la prosperità del paese del re scaturire
da tutte le parti, quando si aprono l'uno dopo l'altro i grandi
cantieri delle cattedrali, quando risplendono le scuole di Parigi,
quando si sviluppano i traffici d'ogni genere e si espandono i vi­
gneti dell'Ile-de-France. Prosperità di cui il Capetingio, padrone
dei pedaggi, beneficiario di cospicui prelevamenti sui raccolti,
approfittò piu di chiunque altro e che gli consenti di andare
88 Co=ento

molto piu avanti. Gli permise, in primo luogo, di punire, fuori


dal spo dominio dove i padroni dei castelli erano stati a poco a
poco assoggettati e servivano ora. il re nelle mansioni del palaz­
zo , la fellonia dei maggiori feudatari, fosse egli un conte della
Champagne o un conte dell'Angiò. E gli consenti anche di svol­
gere interamente la sua funzione liturgica, di impegnarsi in lon­
tanissimi pellegrinaggi, come aveva fatto il suo avo Roberto il
Pio, ma questa volta con tutt'altro spirito. Non già come perso­
nale preparazione alla prossima morte, come ultima penitenza
purificatrice, ma, come dirà Joinville a, proposito di san Luigi,
« gettando il proprio corpo allo sbaraglio » per la salvezza di tut­
to il suo popolo. Come era suo dovere. A tal fine, varcando )e
frontiere del regno in qualità di pellegrino del Cristo, Luigi VII
visitò la Chartreuse, San Giacomo di Compostella, .e si spinse
fino a Gerusalemme. Queste lunghissime marce .avevano il van­
taggio di mostrare la persona del monarca a dei signori i aii pa­
dri, a memoria d'uomo, non avevano mai visto né toccato·.un re
di Francia, non avevano mai s cambiato con lui una parola, né
con lui mangiato o bevuto . E soprattutto davano all a . scorta re­
gia, :finché durava il pellegrinaggio, tutti i privilegi garantiti dal­
la Chiesa romana a coloro che intraprendevano il santo viaggio.
Cosi, nei due anni in cui durò la crociata, l'intero regno venne
posto sotto la protezione della Chiesa, cioè nella pace di Dio. E
fu senza dubbio per tale motivo che Luigi VII , al ritorno , si sen­
ti in grado di riunire a Soissons nel giugno r r 5 5 gli atcivescovi
di Reims e di Sens con i loro sostenitori : il duca di Borgogna, i
conti di Champagne e di Fiandra, vale a dire tutti coloro che
contavano allora in quella . parte del regno di Francia che piu
tardi sarebbe stata presente a Bouvines . Là, « Su richiesta degli
ecclesiastici, per consiglio dei baroni . . . per frenare l'impeto dei
malvagi e contenere la violenza dei saccheggiatori », egli istituf
la pace per tutto il regno . Una pace di dieci anni, che promette­
va piena sicurezza alle chiese, ai contadini e ai mercanti, e an­
che, a qualunque persona; « purché pronta a comparire davanti
a colui che doveva renderie giustizia » . Questa pace si basava su
di un giuramento collettivo. Di tale intesa il sovrano voleva tut-
La pace 89

tavia essere il primo difensore : « In pieno concilio e davanti a


tutti, parola di re, noi abbiamo detto che manterremo inviola­
bilmente questa pace e che faremo giustizia, secondo il nostro
potere, di tutti i violatori di tale ordine » . L'innovazione ha pro­
prio luogo qui . L'aspetto esteriore non è cambiato : è veramente
quello della pace di Dio. Ma il re si assume la responsabilità di
tutto il sistema delle istituzioni di pace per integrarlo con l'orda
del regno.
A partire da quel momento nella Francia del Nord - nella
Francia di Bouvines - l'esercizio delle armi prese un altro anda­
mento . Localmente , l' agitazione era ben lungi dall'essere placa­
ta. In ogni fortezza si trovavano sempre in agguato, pronti a
vendette o a saccheggi, gruppi di cavalieri, non numerosi ma
scalpitanti . Ma il loro capo, al quale sempre piu sfuggivano i
grossi profitti, non poteva ormai fornir loro se non cavalli tu­
bercolotici e armi arrugginite. Compariva il re con un 'armata
tutta lucente delle piu moderne armature ? Subito tutti s 'inchi­
navano davanti alla maestà capetingia, benedetta dai signori del­
la Chiesa . E ciò avvenne nel Sud della Borgogna, allorquando
Luigi VI I , per ben due volte, nel I I 6 6 e nel I I 7 I , e poi Filip­
po nel I I 8 o , l'anno çlel suo avvento - al trono, vi condussero nel
nome di Dio l'esercito regio . Con quale scopo? Lo scopo di di­
fendere e vendicare i poveri. Sono venuti, dice il prearnbolo dei
loro decreti, perché « la terra di Borgogna nell'assenza dei re è
stata a lungo senza la disciplina e il freno di una giusta direzio­
ne : coloro che in questo paese avevano qualche potere potevano
combattersi reciprocamente, opprimere i deboli, devastare i be­
ni della Chiesa. A causa di tanta malvagità, mossi dallo zelo di
Dio, siamo dunque entrati in Borgogna COJ?. l'esercito per com­
piere le vendette, ristabilire la pace e riformare il paese » . Non
un'ombra di resistenza . Parole, si, e molte. Ognuno viene a
esporre le proprie lagnanze davanti al re e ai suoi baroni. Giu­
stizia viene resa, ma non con la spada, bensi col placito . Ed ecco
i chierici glorificare il luogotenente della potenza divina, il cui
solo arrivo torna a vivificare in tutta la ·tonttada i fermenti del­
la fertilità : nella chiesetta di Avenas nel Miìconnais , le scultu-
90 Commento

re dell'altare mostrano Luigi VII dopo la spedizione, che tiene


il santuario nella, sua mano protettrice, santuario di cui è qua­
si il nuovo fondatore, mentre appare, sull'altra faccia, la :figura di
colui del quale il sovrano è il rappresentante visibile, il Cristo
che troneggia in gloria, circondato dagli apostoli, al centro del­
l'ordine cosmico . Ormai la vecchia ideologia della pace, e tutto
il sistema di istituzioni che la sostengono, non sono piu che ar­
mi nelle mani dei re, che se ne valgono in tutta coscienza per i
:fini di quanto si è ora in diritto di definire la loro politica.
Una politica che acquista sempre piu ampiezza : già i torbidi
della Borgogna che i Capetingi andarono a placare appaiono co­
me l'effervescenza, localizzata sulla frontiera del regno, di un
conflitto molto piu vasto, quello che allora opponeva al papa
l'imperatore Federico Barbarossa. Due date congiunte, quella
del Concilio laterano III e quella della consacrazione di Filip­
po Augusto, aprono il periodo in cui l'orizzonte veramente si
schiari, in cui si vide lo svolgimento della grande partita tra i re
di Germania, d'Inghilterra e di Francia: partita serrata, in cui il
papa non era piu che un avversario tra gli altri, e che preparava
Bouvines. Vi rappresentavano la loro parte gli agenti della pace
pontificia, i legati piu presenti che mai. Ma si meritavano fre­
quenti rimbrotti e ritornavano spesso mogi mogi, come accadde
al cardinale Pietro che tentò nell'inverno r r 9 8-99 di combinare
la pace tra Riccardo Cuor di Leone e il re Filippo . La Canzone
di Guglielmo il Maresciallo presenta la vicenda dal punto di vi­
sta inglese:
Della Francia il re con accortezza
la volpe superava in scaltrezza.
Presto chiamò a sé un suo maestro

[Un chierico formato alle scuole]

e a lui diede (e fu come una somma)


la reliquia che occorreva in Roma
per soddisfare tutta la bisogna.
Perché sempre conviene che si ungano
alla corte di Roma le mani.
Le reliquie di san Rufina
La pace 9r

[Classico bisticcio di parole : Rufina è l'oro rosso e Albino l' ar­


gento bianco]
molto vi valgono, e d'Albino,
che sono i buoni martiri· di Roma.
Altrimenti non vale un bel niente
ciò che dicono leggi e legisti ...

Conquistato, il papa invia il suo cardinale ad arringare il re


Riccardo:
È tanto gran peccato e si gran male
che sia tra di voi cosi gran guerra.
Perduta ne sarà la Santa Terra.
Se lunga tregua tra di voi ci fosse
carità d'elemosina sarebbe . . .
E piu non ci sarebbe alcuna perdita .
Tenga ciascuno quel che già possiede.

Riccardo d'Inghilterra vede rosso : il papa non ha fatto alcun


gesto per affrettarne la liberazione allorché, ritornando dalla
crociata e protetto dalle salvaguardie ecclesiastiche, fu catturato
nell'impero, e ora proprio lui, mellifluo, viene a parlargli di pa­
ce perché il re Filippo è in una brutta situazione . Il legato Pie­
tro è cacciato via, ma se la cava a buon mercato : non già perché
è cardinale della Chiesa romana lo si lascia ripartire sano e salvo,
senza tagliargli i genitali, ma perché è « messaggero » , e perché
come tale lo proteggono le regole d'onore di una profana etica
della guerra. Ben lo si vede: Roma è considerata per ciò che è
divenuta : una potenza politica. La si utilizza quando è necessa­
rio, quando costituisce un apprezzabile apporto a qualche intri­
go. Se no, nessuno esita a contrastarla, le vien negato ogni dirit­
to di immischiarsi nelle faccende dei re. Un po' piu tardi, al pa­
pa Innocenza III che gli rimproverava ratione peccati, di dise­
redare Giovanni Senzaterra, Filippo di Francia replicava invo­
cando il diritto feudale, che pienamente giustificava il suo inter­
vento e non riguardava per niente la Chiesa. Non si pensi che
nt:gli anni precedenti Bouvines il consolidarsi della sovranità ab­
bia in qualche modo desacralizzato il negotium pacis, la questio­
ne della pace. La verità è che nell'Europa nordoccidentale, di
92 Commento

fronte alle pretese di quell'altro sovrano che è il vescovo di Ro­


ma, i re, questi personaggi sacri circondati e sostenuti dai loro
compari in fatto di sacralità, cioè dai vescovi, affermano a gran
voce che la pace dipende dalla funzione loro propria : quella lo­
ro aff:ìdata dalla potenza di Dio . Rivendicano l'intera condotta
dell'azione militare, di cui una corona è ormai la posta finale e
l'estrema giustificazione. Tale pretesa, tale comportamento sono
il risultato di una evoluzione che è durata un intero secolo. I
suoi momenti importanti corrispondono a quelli di un'altra sto­
ria che si svolge, questa, quotidianamente, terra a terra, al di
sotto delle teorie e dei principi, a livello della produzione e de­
gli scambi , di cui sono teatro le radure da dissodare e le piazze
dei mercati . Storia profonda, determinante : la storia del denaro.
La guerra

Nel 1 2 1 4 era già molto tempo che il denaro aveva invaso


tutti i meccanismi della guerra . L'anno stesso dell 'assunzione al
trono di Filippo Augusto - l'anno del Concilio la terano III - Ri­
chard Fitzneale, sovrintendente alle finanze del re d' Inghilterra,
lo scriveva chiaramente nel suo Dialogus de Scaccario : « Il de­
naro è necessario, non soltanto in tempo di glierra, ma anche in
tempo di pace » . In pace serve alla carità dei principi (prezioso
indizio sUI ruolo attribuito ih quer tempo al denaro ) ; « in guer­
ra viene speso per fortificare i castelli, per la paga dei soldati e
in varie altre occasioni, a seconda d�lla natura delle persone pa­
gate p er difendere il regno » . Riflessione, questa, di un esperto
di finanza, ma da cui avrebbero potuto trarre validi argomenti
quanti esaltavano la tregua: questa fa tosto aumentare il flusso
delle elemosine, onde la pioggia di grazie che si vedono cadere
dal cielo . Trent 'anni prima Pietro il Venerabile - il primo tra gli
abati di Cluny costretto a dibattersi tra insuperabili preoccupa­
zioni di bilancio - pensava a un dipresso la medesima cosa. Al
proprio predecessore, Pons di Melgueil, che, dimissionario, ave­
va voluto a forza riprendere il proprio posto, rimproverava di
avere dilapidato il tesoro della casa. In che modo ? Assoldando e
pagando mercenari, soldatacci che, per restaurare la sua aUtori­
tà, erano penetrati nel monaStero e, per colmo di malizia, insie­
me con le donne che li seguivano . Parlando di un conflitto per
.

cui era in contrasto con il signore di un castello li accanto « ho


trovato, - dice l'abate Pietro, - tutti i vicini, eavalieri, castellani,
i conti e persino il duca di Borgogna, che mi istigano a prender
le armi, come se fossero tutti attratti dall'odore del denaro ». Era
94 Commento

proprio quell'odore, che si sprigionava dal meraviglioso tesoro


del loro conte, che ancor prima, nel I I 2 7 , avevano fiutato tutti
i cavalieri di Fiandra. Tale attrattiva, piu dell' amicizia o della
fedeltà di vassalli, li faceva accorrere a vendicare il conte Carlo
assassinato .
Che cosa è dunque effettivamente la guerra se non - sem­
pre - un mezzo, il migliore, di guadagnare monete, que-Sti og­
getti ancora cosi rari tra gli ornamenti dei signorotti dei paesi, e
che nondimeno si dimostrano sempre pili necessari ? Nella zona
anglonormanna, dove senza dubbio le monete d'argento circola­
vano allora piu abbondanti che in ogni altra regione della cri­
stianità latina, l'uso del denaro a scopi militari è attestato sin
dagli ultimi decenni dell'XI secolo . Qui, il penitenziale stabilito
in un concilio faceva distinzione, sin dal I 0 70, tra i cavalieri
vassalli, che combattevano gratuitamente per il servizio del loro
feudo, e i cavalieri mercenari . Roberto Courteheuse rifiutava di
rimanere ancora a lungo « mercenario » di Guglielmo il Conqui­
statore, che pure era suo padre : « Vorrei, - gli diceva, - possede­
re qualcosa di mio per pagare quelli che mi seguono » . All'inizio
del XII secolo tale servizio , in quelle regioni, era diventato del
tutto normale . Tanto che Suger , come ho detto, si compiàceva
di contrapporre alla figura del povero e puro Luigi VI di Fran­
cia quella del re d'Inghilterra, Guglielmo il Rosso, « meraviglio­
so mercante e assoldatore di guerrieri » . Mercato, . questo , che
già si approvvigionava nei Paesi Bassi. Dal conte di Fiandra En­
rico I Beauclerc subappaltatore acquistava nel I I o 3 , con una
garanzia annua di centoventimila denari, la fornitura di un mi­
gliaio di cavalieri . Ad abitudini di tal genere si deve in quel tem­
po l'importanza strategica dei tesori dei principi . Importanza
decisiva : appena gli riusd di mettere le mani sul tesoro di Enri­
co I, Stefano di Blois trionfò, grazie alle bande fiamminghe che
aveva potuto subito reclutare; ma al momento in cui tale riser­
va si esauri, eccolo cadere, dopo il I I 3 9 , alla mercè dei suoi
mercenari, che reclamavano invano la paga. Sin da quei tempi il
denaro era il nerbo della guerra e la vittoria andava a quei prin­
cipi che meglio degli altri sapevano prenderlo dove si nasconde-
La guerra 95

va. Cosi, nella prima metà del secolo x n , i n tutte le contrade


che ostentavano il risveglio di una economia di scambi - risve­
glio d'altra parte stimolato vigorosamente dai primi progressi
della :fiscalità dei principi - i grandi signori incominciarono a
porre rimedio, ricorrendo ai prezzolati, all'incerto servizio mili­
tare dei feudatari. Ma alcuni vassalli erano renitenti : furono al­
lora autorizzati a riscattare se stessi mediante una somma di de­
naro ; dal 1 1 2 7 , nella contea di Fiandra, i cavalieri potevano co­
si essere liberi versando annualmente duecentoquaranta denari .
I proventi delle collette venivano suddivisi tra i feudatari che
rispondevano all'appello e che, per tale gratifica supplementare,
dovevano prestare al proprio signore un aiuto meno fugace e
meno :fiacco. La mancanza degli uni permetteva ai principi di
mostrarsi piu generosi verso gli altri, e per conseguenza di esse­
re meglio serviti. Poiché la paga, agli inizi, è considerata una ge·
nerosità del signore, un «beneficio », un dono, analogo a tutti
quelli che in una società del genere, costituivano la piu solida
struttura del potere. La paga è il compenso a un servizio simile
a quello richiesto dalla concessione di un feudo, e garantisce una
lealtà che ha la stessa natura del vassallaggio . Per tale ragione
] 'uso del salario poté facilmente introdursi, e senza deformarla,
nella morale cavalleresca . Era cosa normale che il signore fosse
generoso : piu lo era, e piu lo si amava, nell'onore. Pertanto i ca­
valieri salariati vollero superare gli altri in fedeltà. Furono visti
nell'assedio di Shrewsbury resistere fino all'ultimo e rifiutare a
lungo di accettare le clausole della resa. All a stessa etica dell'o­
pera ben compiuta, della paga ben guadagnata, si riferiva anche
un altro capitano normanno : non dovevano esitare, gli uomini
della sua compagnia, a battersi contro avversari troppo numero­
si; rinunciando ad agire, perdevano giustamente non soltanto il
compenso, ma anche la gloria « e io giudico, - aggiungeva, - che
d'ora innanzi non dovremo piu mangiare il pane del re » . Versa­
to regolarmente, agli inizi del XIII secolo il denaro rende piu
compatte, meno pronte a sbandarsi, tutte le piccole schiere riu­
nite intorno a una bandiera : le « trattiene », come allora si dice­
va. La maggior parte dei cavalieri di Bouvines, che sono tutti
96 Commento

eroi; ha ricevuto denaro per trovarsi li, oppure attende di rice­


veme. Non è scandaloso prendere quel .denaro. Lo scandalo
scoppiò il giorno in cui il denaro preso ai vassalli, cui ripugnava
raggiungere l'esercito , non servi piu a compensare i cavalieri piu
solleciti di loro, ma a reclutare guerrieri che non erano nobili e
provenivano dalla feccia del popolo. Lo scandalo nacque dalla
proliferazione degli avventurieri .

La presenza di costoro si avverte sin dalle soglie del XII seco­


lo, allorché le monete d'argento cominciano a tintinnare nelle
sale dei cas telli e sotto le tende disposte per gli assedi. Orderico
Vitale ha parlato di un « famoso arciere » che, al tempo di Ro­
berto Courteheuse, quando la Normandia era tutta in subbuglio
per i disordini, aveva radunato una banda di briganti e di « ra­
gazzi selvaggi » . Con questa banda egli si metteva al servizio del
signore di un castello : quando fu ucciso, questi, che lo amava
assai, distribuf elemosine per la sua anima ; non meno l'amavano
i contadini del paese da lui protetto e, guidati dal parroco del
villaggio, andarono a combattere per vendicarne la morte. Di un
professionista dello stesso tipo Galberto di Bruges ha racconta­
to le imprese durante i tumulti fiamminghi del I I 2 7 : era lui pu­
re un arciere che terrorizzava gli avversari con la precisione del
tiro. Gente siffatta è temuta , li si ammira tuttavia per il bel la­
voro che sanno fare nel proprio mestiere, si apprezza l'aiuto che
sono in grado di dare. Ma poiché sono mercanti di morte, hanno
trasgredito gli interdetti, rotto le barriere sociali mescolandosi
ai guerrieri senza essere, per la loro condizione, destinati a por­
tare le armi ; poiché questi soldati di ventura sono di bassa estra­
zione e, a differenza degli uomini dei comuni , non combattono
al servizio della pace, vengono già considerati preda dello spiri­
to del male. Appena catturati sono uccisi . Tutti quelli ricordati
dalle cronache finiscono in questo mod() : sono visti come germi
di corruzione che bisogna distruggere al piu presto . A dire il ve­
ro, i malvagi per lungo tempo rimasero dei casi rari : non li si
vedeva comparire se non nel colmo dei torbidi. Tutto cambiò a
La guerra 97

metà del secolo xn, nel preciso momento in cui il re Luigi VII
tentò di instaurare la pace nel regno . La terrificante novità fu
l'improvvisa irruzione di questi mercenari in fitti stormi . Da al­
lora pullularono ovunque questi « vagabondi e indisciplinati
che » secondo Orderico, « accorrevano come nibbi da paesi lon­
tani, pensando solo a saccheggiare » . A tale precisa data, l'abbia­
mo già notato, la guerra diventa diversa.
Il termine che appare per primo - fin dal I I 2 7, in Fiandra,
secondo il racconto di Galberto di Bruges - e che rimane il piu
comunemente usato per designare questi cottimisti delle batta­
glie, è la parola cottereau_ Forse li chiamavano cosi perché li si
assimilava ai cottiers, miseri fittavoli , manodopera marginale
delle grandi proprietà; ma piu sicuramente perché la loro arma
non era la nobile spada, bensi il coltello . Piu tardi si sente pure
parlare di « soldati di ventura » , di « ribaldi » , di « violenti », ma
la caratteristica che il vocabolario cerca di mettere in evidenza
è la loro qualità di stranieri , di gente dall'incomprensibile lin­
guaggio. Questi avventurieri vengono spesso chiamati Brabanti­
ni - cosi nelle relazioni sulla battaglia di Bouvines - ma vengo­
no pure detti Aragonesi, Navarresi, Baschi, Gallesi. In tal mo­
do agli occhi della gente sembra che due parti del mondo vomi ·

tino periodicamente tale genia. In primo luogo, confini selvaggi,


montagne rudi e povere, paesi di pastori, di cacciatori, di taglia­
tori di teste ; arrivano con migrazioni stagionali, analoghe a
quelle dei braccianti a giornata che discendono nelle pianure per
lavorare alle fienagioni, alle mietiture, alle vendemmie . Cosi puc
re si crede provengano dal Brabante, intendendo cioè da tutti i
Paesi Bassi, da quella regione che aveva fornito ai duchi di Nor­
mandia e ai re d'Inghilterra i primi mercenari ; una contrada in
cui i cadetti lasciavano volentieri i loro piccoli feudi per andare
in cerca di fortuna. Ma soprattutto un paese - ed è quel che piu
conta, ritengo - di città popolose, dai vasti sobborghi malfama­
ti, pieni di campagnoli da poco strappati alle loro terre, che cre­
pavano di fame, pronti, per sopravvivere, ad accettare qualun­
que irigaggio , e anche a uccidere; di città violente in cui la gio­
venm dei comuni andava nelle foreste a esercitarsi nel tiro con
98 Commento

l'arco, dove le carovane dei mercanti venivano accompagnate da


scorte che facilmente tiravano fuori il coltello . Non sembra che
i mercenari vengano reclutati tra la nobiltà, per quanto affama­
ta : i figli dei cavalieri poveri fanno la posta agli arruolamenti,
ma ci tengono a combattere nell'onore. Si reclutano i cottereaux,
avventurieri d'ogni genere, tra la plebaglia, tra i pezzenti, gli
scaricatori occasionali, i battellieri che tirano le piroghe, i garzo ­
ni delle macellerie, e persino i chierichetti che hanno abbando ­
nato la tonaca, come quel Guglielmo che vendette a Federico
Barbarossa e successivamente a Riccardo Cuor di Leone i servi­
zi della compagnia da lui comandata.
Sono in realtà attirati dai principi piu grandi, piu ricch\,
quelli che possono attingere a grossi tesori . Allorché questa pia­
ga si diffuse come una nube malefica sulle province di Francia, i
testi indicano che, nel I I 59, fu dapprima impiegata dal re d'In­
ghilterra Enrico II, poi, nel I I 6 2 , dal conte di Champagne .
Contro costui l'arcivescovo di Reims lanciò l'anatema, perché i
venturieri da lui pagati avevano devastato le proprietà ecclesia­
stiche, massacrato, bruciato trentasei villici in una chiesa. Due
anni piu tardi il re di Francia e l 'imperatore, i due pilàstri della
cristianità, si incontrano alla frontiera dei propri stati, in uno di
quegli abboccamenti fraterni la cui tradizione risaliva ai tempi
carolingi. Essi giurano di non ospitare piu nelle proprie terre,
fra il Reno, le Alpi e Parigi, « alcun Brabantino o cottereau, a
piedi o a cavallo . . . se qualcuno utilizza questi briganti il suo ve­
scovo o il suo arcivescovo dovrà scornunicarlo e scagliare l'inter­
detto sulla sua terra, sino a quando egli abbia indennizzato, do­
po una valutazione dei danni, coloro che fossero stati spogliati
per mano di quei venturieri » . Queste belle parole non impedi­
rono tuttavia al conte di Chalon nel r r 65, cioè quasi subito, al­
lorché prese le armi contro Cluny ( evidentemente l'imperatore
era complice e senza dubbio partecipava alle spese ) di riunire,
« seguendo la via del diavolo che osò tentare Nostro Signore )> . . .
«una moltitudine ( erano quattrocento ) di briganti chiamati vol­
garmente Brabantini, uomini che non amano Iddio )> . Queste
bande erano già forti. Dopo dieci, quindici anni , dimostrano
r. Giostra di cavalieri, bassorilievo della cattedrale di Angouleme, r r 3 o circa .
2. Corona detta di san Luigi, r 2 6o circa.
3· Cavalieri che si affrontano, capitello di Brioude, metà XIII secolo, particolare.
4· Sigillo del re Luigi VII.
5 · Horace Vernet, La battaglia di Bouvines, r 8 2 4
6. Sigillo di Raimondo di Tolosa, I I 56- I 2 2 2 .
7 . Guerriero che riceve l'orifiamma dalle mani di san Dionigi, vetrata della cattedrale di Char­
tres, particolare .
8. Scene di amore e di guerra, cassone per matrimonio, inizio del xm secolo.
9· Mischia tra crociati e Saraceni a Darnietta, miniarura, tratta dalle Chroniques eli Mathieu,
Parigi, metà del XIII secolo.
La guerra 99

una molto maggiore consistenza, autonomia, virulenza. Si sono


lentamente spostate verso sud-ovest, verso il paese dei plantage­
neti : Riccardo le retribuisce, quando vuole affermare il proprio
pot_ere in Aquitania. È noto che ormai hanno dei capi, quei
« principi di !adroni » , i cui nomi vengono citati nelle cronache a
cominciare circa dal u 8 o . Capitani di nascita oscura, ma dei
quali si sa che bazzicano i principi, e fanno fortuna: il loro pa­
drone talvolta li fa sposare, assegna loro una dote, li insedia in
un feudo ch'essi hanno aiutato a conquistare. Quando avanzano
negli anni , sono abbastanza ricchi per costruire chiese, fondare
collegiate. Poiché invecchiando diventano pii. Grave problema
per il gran signore che deve trattare con loro è pagare il soldo ; lo
strumento, che si rivela efficace, costa estremamente caro . Tanto
piu che i venturieri sono in posizione favorevole per contrat­
tare : parlano con vari principi antagonisti, che per il fatto di esse­
re in concorrenza sono indotti a rincarare le offerte. Si aggiunga
che questi salariati sono minacciosi : potrebbero benissimo pre­
stare servizio a se stessi . Nel r r 8 3 , per soddisfare gli uomini as­
soldati, Enrico il Giovane, fratello di Riccardo, non sa piu dove
battere il capo; mette a sacco l'abbazia di Grandmont, obbliga i
borghesi di Limoges a prestargli duecentoquarantamila denari,
ma tutto ciò non basta : occorre ancora arraffare altrettanto de­
naro nel tesoro del monastero di Saint-Martial. È evidente la
funzione economica delle compagnie dei cottereaux : servono a
meraviglia quella non-accumulazione che alimenta in tale epoca
la circolazione monetaria, la incrementa e mantiene costante
] 'impulso dei traffici . Per accaparrarsele occorre tanto denaro
che, a campagna :finita, chi se ne è servito si affretta a licenziarle .
Ma esse non si lasciano facilmente sciogliere. In attesa di nuovi
ingaggi vivono a spese del paese, e lautamente. Una di tali com­
pagnie, nel r 2 oo, vendette la pace ai chierici della diocesi di
Bordeaux: ciascuno di essi, il coltello alla gola, doveva versare
un riscatto di centoventi denari; l'arcivescovo era d'accordo e
forse riceveva la sua parte . Flagello « che il Nemico ha gettato
sul mondo per essere strumento della sua illiquità » , queste ban­
de resistono e s 'incrostano in società parassite. Di piccole di-
roo Commento

mensioni, qualche centinaia di individui al massimo, ma parti­


colarmente devastatori.
Vediamo queste bande spostarsi in pesanti carovane, sce�
gliendo le strade migliori, perché le accompagnavano carri con
le donne e i bambini. A Dun-le-Roi, nel Berry, dov'erano ton­
fluiti parecchi di questi « itinerari » , e dove i confratelli della pa­
ce che li accerchiarono massacrarono - secondo le fonti - tra
sette e diecimila cottereaux, si rinvennero sul campo della car­
neficina i cadaveri di « fra cinquecento e novecento prostitute i
cui ornamenti valevano somme folli » . Cosi tutto copre di ob­
brobrio i mercenari : la sfrenatezza sessuale in cui vivono, il de­
naro che guadagnano a piene mani, il modo ignobile con 0Ji
fanno la guerra. Combattendo a piedi, come si conviene a gente
del volgo, essi tirano con l'arco, con. la balestra, raggiungendo
l'avversario da lontano, subdolamente, vergognosamente, senza
mai misurarsi a corpo a corpo . Adoperano il coltello, quel pu­
gnale che gli Incappucciati del Puy rifiutano di portare in quan­
to è arma maledetta, essi uccidono i cavalieri in fretta e di sop­
piatto, con colpi bassi, attraverso gli interstizi delle corazze . E
nondimeno - ecco lo scandalo - « non sono inferiori ai nobili,
dice la Genealogia dei conti di Fiandra, nella scienza e nella vir­
ru ( si, persino nella " virtU. " ) di comh.ntere ». Essi soli, in realtà,
conoscono tutti gli stratagemmi per introdursi nei castelli e nelc
le città fortificate. Strettamente uniti, gomito a gomito ( sono
vulnerabili solo se sbandati o durante la loro lenta: marcia) fan­
no del centro della battaglia una fortezza vivente, un muro in­
crollabile, irto di picche, un rifugio sicuro in cui i signori che li
pagano vanno a riprender :fiato, e dal quale partono i tiri che,
uccidendo i cavalli, scompigliano le cariche avversarie. La pre­
senza di questi agenti di Satana introduce quindi il disordine nel
seno stesso della guerra piu giusta: ne turba il regolare, leale,
andamento ; sono alterate tutte le regole perché non resiste loro
alcun mezzo di difesa, né le armature .né i muri, essi riescono a
vincere la cava:lleria nei suoi rifugi piu sicuri . Essi appestano la
cristianità, la corrompono quanto gli eretici. Cosi contro di lo­
ro, come contro questi ultimi, il terzo Concilio laterano, in uno
La guerra ror

stesso decreto, predica nel I I 7 9 la guerra santa. « Poiché nella


Guascogna, nell'Albigese, nella regione di Tolosa e in altti luo­
ghi la dannata perversità degli eretici, che alcuni chiamano Ca­
tari, altri Patarini, altri Pubblicani, s'intensifica a tal punto che
non soltanto essi commettono i misfatti di nascosto, ma manife­
stano pubblicamente il loro errore e vi attirano i semplici e i de­
boli, noi decidiamo di sottoporre all'anatema loro e chi li difen­
de e chi dà loro asilo . Sotto pena di anatema interdiciamo a
chiunque di ospitarli nella propria casa o nella propria terra, di
sostenerli e di avere rapporti con loro . . . Quanto ai Brabantini,
Aragonesi, Navarrini, Baschi, Cottereaux e Triaverdini . . . che
commettono sui cristiani tali infamie che non risparmiano né
chiese, né monasteri, né vedove, né orfani, né vecchi, né fan­
ciulli, senza riguardo all'età o al sesso, e che, come i pagani , tut­
to guastano e portano alla perdizione . . . noi stabiliamo che an­
che quelli che li proteggono , li ospitano, li sostengono nelle
contrade dove cosi si comportano , siano pubblicamente denun­
ziati nelle chiese durante la dòmenica e i giorni festivi, e subi­
scano condanne e pene simili a quelle che colpiscono gli eretici ;
non siano ammessi nella comunità della Chiesa se non abiurano
tale eretica e pestifera compagnia. Sappiano che saranno priva­
ti di ogni diritto alla fedeltà, all'omaggio e al servizio loro do­
vuti, finché persisteranno in tale stato di impurità. Noi ingiungia­
mo a tutti i fedeli, in remissione dei loro peccati, di opporsi va­
lidamente a tali piaghe, e di difendere da esse con le armi il po­
polo cristiano » .
Tre sono i capi d'accusa nei confronti di queste bande solda­
tesche che a Montpellier vengono chiamate << manades », cioè ar­
menti. Primo : uccidono . Secondo il biografo di Luigi VII, di
quei borghesi di Cluny che nel I I 6 6 tentarono di respingere
una di esse ( costituite in milizia parrocchiale, nel quadro delle
istituzioni di pace al modo della Linguadoca), cinquecento furo­
no uccisi in un colpo solo e quando il re vendicatore fece il suo
ingresso nel paese lo scortarono pietose turbe di vedove e di or­
fani. La guerra, quando la fanno i venturieri, assume quindi un
volto ·atroce, che si dice non sia il suo. Ed ecco un'altra loro
ro2 Commento

malvagità : depredano i poveri . Ne accenna Rigord e dice che


Filippo Augusto non ne prendeva al suo servizio - il che è fal­
so - e racconta - il che è vero - che violentavano le contadine
sotto gli occhi dei mariti incatenati, che s'impadronivano dei
preti - dei « cantatori », come questi soldatacci del Mezzogiorno
chiamavano i curati - e che li bastonavano di santa ragione fin­
ché costoro acconsentivano a cantare per loro la messa; ché tale
gentaglia, definita eretica, e di vita licenziosa, non rinunciava
volentieri ai cantici. Tuttavia l'ultimo capo d'accusa è il piu gra­
ve: questi briganti sono, per di piu, sacrileghi . I monaci di Clu­
ny si erano presentati di fronte ai Brabantini senz'armi, ma con
le croci e i reliquiari, cantando con gran fervore; ma ebbero un
bell'aspergerli di acqua benedetta e mettergli sotto il naso il
crocefisso : quei satanassi non indietreggiarono, al contrario,
li spinsero di qua e di là, li spogliarono dei sacri paramenti e li
mandarono via nudi. Innocenza III li accusa di rubare i piviali
e i libri nelle sacréstie; Rigord, di bruciare le chiese, di gettare a
terra l'eucarestia, di calpestare le ostie - poiché rubano, si, i ca­
lici, ma non osano toccare con le proprie dita le sante specie - di
prendere i corporali e di farne indumenti «per le loro sgualdri­
ne e per le loro serve » . A Dun-le-Roi il loro accampamento era
pieno di cibori e le novecento ragazze che i combattenti della pa­
ce dapprima violentarono, poi sgozzarono, invero se lo merita­
vano, perché si pavoneggiavano nelle pianete . Si tocca qui il
fondo dell'abbominio. Questo canagliume vomitato dalle fran­
ge, dai tenebrosi margini del corpo sociale e dai confini mal noti
del regno , s 'infischia anche dei tabu piu rigorosi : arriva persino
ad adornare corpi di donna con i lini dell'altare . Bisogna far pre­
sto a purgarne il mondo : col ferro e col fuoco .
Infatti tutti i Brabantini che si lasciano catturare vivi sono
immediatamente sterminati. Per vendicare la Chiesa di Dio il
buon re Luigi VII , nel r r 66, li fa impiccare tutti a forche, rifiu­
tando con bel gesto i forti riscatti che alcuni gli promettono.
Nel n 8 2 Riccardo Cuor di Leone si è impadronito di un corpo
di venturieri ; ne massacra una parte, rispar.mla ottanta poveri
diavoli che manda per le strade, a mo' d'esempio, dopo aver lo-
La guerra 103

ro tolti gli occhi . L'anno seguente, la sera della battaglia di Dun­


le-Roi, il mucchio dei cadaveri viene bruciato per purificare la
terra. Nondimeno l'infezione è tenace : la fa durare l'odore del
denaro, come anche la rivalità dei principi che, inferociti gli uni
contro gli altri, ricorrono a ogni mezzo . La vediamo incessante­
mente risorgere, irrompere attraverso tutte le incrinature del
mondo ordinato. A Bouvines i Brabantini sono ancora presenti :
ma dalla parte cattiva, quella dei reprobi e dei traditori . E i tu­
riferari di Filippo, il buon padrone, il re della pace, che nondi­
meno se ne servi per lungo tempo , lo esaltano perché da anni si
rifiuta di usare tale ripugnante strumento . Nel campo dell'ori­
fiamm a non si vedono né donne né cottereaux; nessuno dei mili­
ti appiedati è un salariato del sangue e del vizio : forniti tutti da
comuni bèn pensanti e benedetti dai vescovi, servono l'ordine
prestabilito, lavorano a restaurare la pace, quella di Dio e quella
del re, che si confondono . Il vincitore non ha le mani sporche.

Il XII secolo ha visto manifestarsi in Francia, nel corso dell'a­


zione militare, una seconda innovazione, anch 'essa scandalosa,
anch 'essa offuscata dall'attrattiva del lucro e -condannata dalla
Chiesa. Si tratta di un gioco, il torneo, il cui influsso fu determi­
nante sul comportamento dei cavalieri che si batterono a Bou­
vines. Se ne conosce male la storia. La parola stessa apparve nel­
la cronaca di Saint-Martin di Tours , l'anno r o 6 6 : parecchi ba­
roni furono allora uccisi nei dintorni di Angers, e di uno di essi,
Goffredo di Preuilly, è scritto : «torneamenta invenit » . Non è
da credere che quest'uomo ne sia stato l'inventore ; l'abitudine
dei combattimenti simulati era senza dubbio molto antica in
una società che accordava tanto spazio alla guerra ; d' altra parte
lo storico Nithard descrive una di queste « fantasie » fra i festeg­
giamenti che accompagnarono a Strasburgo, nel IX secolo, i col­
loqui per la pace tra Carlo il Calvo e Luigi il Germanico . L'im­
portante è che l'infatuazione per questa specie di divertimento
sia già vivissima tra la Loira e l'Escaut all'alba del XII secolo.
Colui che fece il panegirico del buon conte Carlo di Fiandra rac-
conta che, verso il r r 2 5 , « per l'onore del paese e per l'esercizio
della sua cavalleria, egli combatté alcuni conti e principi della
Normandia e della Fiandra; alla testa di duecento cavalieri fece
dei tornei grazie ai quali si accrebbero, con la sua fama, la po­
tenza · e la gloria della sua contea » : dunque da quel momento
questi incontri amichevoli in cui si giocava a battersi furono una
consuetudine annuale. Si può tuttavia stabilire una data, punto
fondamentale nella cronologia dei tornei : il I I 3 0 . In tale anno,
nei concili congiunti di Reims e di Clermont, l'autorità pontifi­
cia ritenne necessario vivamente biasimare « queste vergognose
riunioni o fiere, in cui sogliano recarsi i cavalieri . Riprendendo il
testo di questo canone, il Concilio laterano III nel I I 79 aggiun­
gerà la chiosa: « che vengono volgarmente chiamate tornei » . In­
terdizione, sanzioni, meno gravi tuttavia che per le altre infra­
zioni alle norme della pace: « al cavaliere che vi morirà non si ri­
fiuterà la penitenza né il viatico, ma soltanto il funerale della
Chiesa » . Il motivo: i tornei sono « occasione di morte per l'uo­
mo e di pericolo per le anime » . È evidente infatti che importa
soprattutto di non uccidere inutilmente i cavalieri di Cristo ; tali
delitti generano rancori e il desiderio di vendicarsi, tengono vivi
in tal modo i dissensi interni che la pace di Dio intende ridurre
e, cosa essenziale, indeboliscono un esercito il cui obbiettivo ri­
mane Gerusalemme e la protezione del Santo Sepolcro . Inoltre
queste scaramucce di divertimento - Guglielmo di Newburgh le
definisce cosi: « senza odio, ma puro esercizio e ostentazione
delle forze fisiche>> - sono dimostrazioni di vanità, giochi d'az­
zardo, come il gioco dei dadi, in cui senza motivo ci si appella al
giudizio di Dio, e ogni buon cristiano deve ricusarle come le be­
stemmie perché sacrileghe ; l'orgoglio, la preoccupazione di una
gloria mondana trovano infatti alimento in queste parate, consi­
derate quindi dannose .
Per tutto il XII secolo l'interdetto rimase valido . Nel I I 4 9 ,
finita appena la seconda crociata, san Bernardo esortava Suger
« ad armarsi della spada dello spirito per impedire il ripetersi di
un uso diabolico che di nuovo ci minaccia . Appena ritornato dal
viaggio il principe Enrico, figlio del conte di Champagne, e Ro-
La guerra IO 5

berta, fratello del re, accaniti l'uno contro l'altro, convocano


per dopo la Pasqua una di queste fiere esecrande e maledette , in
cui si propongono di venire alle mani e di combattere sino alla
morte » . Salvo nei tempi in cui, data la gravità dell'ora, come
nel I I 9 0 , si preparava un grande pellegrinaggio armato al sepol­
cro del Signore, e allora ovunque si interrompevano per un mo­
mento i giochi , le censure del clero rimasero senza effetto . I
principi tolleravano i tornei ; talvolta li organizzavano, vi com­
parivano personalmente : in ogni caso non ne ostacolavano mai
il proliferare.
Tale voga ebbe ragioni tecniche. Il torneo serviva all'adde­
stramento della cavalleria nella pratica, nuova e difficile, della
scherma con la lancia ( il bassorilievo della facciata della catte­
drale di Angouleme, in cui per la prima volta si trova rappresen­
tata una di queste giostre cavalleresche, è esattamente contem­
poraneo alla prima interdizione dei tornei) . In realtà gli eroi ca­
paci di allegramente disarcionare i propri avversari venivano or­
mai tutti dalle regioni dove fioriscono i tornei ; fu senza dubbio
questo motivo a spingere Riccardo Cuor di Leone a non piu vie­
tarli in Inghilterra . Ma la fortuna di questa moda deve anche
esser messa in relazione con l'evoluzione delle strutture politi­
che, il rafforzamento dei principati e il successo stesso ottenuto
dai grandi signori che si adoperavano per meglio assicurare la
pace. Non è un caso se questo gioco si è sviluppato nelle provin­
ce piu strettamente tenute a freno. Necessario sfogo, valvola di
sicurezza, palestra per disinibirsi, il torneo occupa i cavalieri
che le restrizioni poste alla vera guerra lasciano disoccupati,
mantenendo nel contempo in efficienza la loro bravura . Carlo il
Buono , che viene lodato per avere piu saldamente instaurato la
pace in Fiandra, vi riusd facendo in modo che la sua nobiltà sfo­
gasse ti propria turbolenza all'es terno, in scappate stagionali, ai
margini, in posti di passaggio verso uno Stato meglio ordinato.
Che faranno i cavalieri normanni quando Emico II e Luigi VII
si accordano finalmente per concludere la tregua ? Essi « dispute­
ranno tornei per il mondo » . E se Arnolfo, il :figlio del conte di
Guines, bramoso di vivere gloriosamente, di raggiungere l'ono-
ro6 Commento

re del secolo, si lancia a testa bassa nei tornei, ciò avviene anche
per rompere lo stato di ozio in cui lo tiene l'assenza di « deliri
bellicosi » , in un paese che il padre domina col suo forte pugno.
Senza dubbio avrebbe fatto meglio a partire per la crociata. Ma
quei simulacri di guerra che sono i tornei forse svolgevano an­
cora un 'altra funzione : sunbolica questa volta. Non erano forse
una specie di danze rituali della pace ritrovata e della fine dei
vecchi rancori, alle quali venivano invitati, come a un rito , i gio­
vani guerrieri ? Essi comunque si collocano in modo evidente al
limite dell'ordine stabilito, come uno sfogo gratuito dell'aggres­
sività, come la sua necessaria proiezione Iudica .
Durante gli anni settanta e ottanta del secolo XII - proprio
nel periodo del Concilio laterano III e dell' avvento del re Fi�
lippo di Francia - si può meglio osservare questa forma partico­
lare della sociabilità cavalleresca. Ciò grazie a due scritti, che te­
stimoniano entrambi la rapida volgarizzazione di una letteratu­
ra profana elogiativa, giacché furono allora composti in onore di
due signori di media importanza. Il primo è Arnolfo di Guines ,
signore di Ardres - il futuro combattente di Bouvines - cele­
brato da un ecclesiastico familiare della casa del conte suo pa­
dre; il secondo, Guglielmo il Maresciallo - che non fu a Bou­
vines, e lo rimpianse - il cui panegirico, rimato in lingua volga­
re, si fonda sui ricordi del suo scudiero. Grazie a tali testi ci si
rende conto che la Francia in questo tempo è davvero il paradi­
so dei torneanti. Per i cronisti inglesi, i tornei sono combatti­
menti « alla francese » , « alla gall ica » , e il signore del giovane
Guglielmo gli consigliò di lasciare al piu presto l'Inghilterra:
non era, diceva, un paese adatto per i valvassori e per coloro che
amano errare per il mondo ; i valorosi, cui piace « torneare » , bi­
sogna che passino la Manica. Dove vediamo ormai il futuro Ma­
resciallo? In Normandia, nell 'Angiò, nel Maine, nell'Ile-de­
France, nello Hainaut; e i suoi compagni di gioco vengono tutti
dalla regione parigina e dal Valois, dalla Brie, dalla Champagne,
dalla Fiandra, dal Maine, dall'Angiò, dalla Turenna, dalla Nor­
mandia, dalla Borgogna e dal Poitou, vale a dire da tutti i gran­
di principati della Francia del Nord e soltanto da essi, tranne il
La guerra 1 07

Poitou. Tuttavia gli incontri non hanno luogo nel cuore di que­
sti Stati, ma ai confini, nella Brie, al guado di Luzy, in Borgo­
gna, fra Montbard e Rougemont, in quel di Soissons, nella re­
gione di Chartres, nei dintorni di Dreux, a Gournai; a Lagny, a
Joigny, 'sempre fuori dalle città importanti e dai castelli, sui con­
fini delle grandi potenze feudali, nell'area delle vecchie foreste
galliche, che un tempo segnavano la frontiera tra le tribu e che
formano ancora come delle zone neutre dove, di consueto, si
tengono le assemblee per il ristabilimento della pace, dove i piu
potenti signori accettano di venire a prestare omaggio e dove,
come a Bouvines, hanno luogo di solito le battaglie.
L'impressione che tale marginalità sia deliberata viene con­
fermata quando si consideri la persona stessa dei « torneanti » e
la loro posizione nella società. Si tratta per la maggior parte di
« giovani » . Con ciò vogliamo dire che questo gioco viene nor­
malmente a occupare un periodo dell'esistenza cavalleresca che
si può, esso pure, considerare come un gradino, un intervallo
piu o meno lungo fra gli anni di tirocinio e il periodo in cui, ac­
casato, padre di famiglia, l'uomo di sangue nobile si sistema in­
fine nella piena responsabilità della gestione del suo feudo, den­
tro il quadro ordinato composto dalla casa, dalla famiglia, dal­
l' amm inistrazione del patrimonio e dalla parentela. Cosi il tor­
neo appare ancora meglio come una posizione di rifiuto, di
proiezione fuori dalle strutture d'ordine, atta a irnmobi.liizare le
turbolenze. Poiché riguarda propriamente giovani già adulti, già
cavalieri, ma ai quali gli anziani del lignaggio non vogliono . o
non possono dar moglie, che quindi non sono ancora collocati,
sistemati tra i seniores, che non hanno alcuna indipendenza eco­
nomica, non sanno che cosa fare nella casa paterna, vi si sento­
no d'ingombro e spesso ne sono espulsi. Consideriamo Arnolfo
di Guines : raggiunta l'età di poter partecipare ai giochi, che for­
manò l'educazione del futuro guerriero, se ne andò dalla casa del
padre che lo affidò al proprio signore, il conte di Fiandra. U la
trovarono prode, abile nel maneggio delle armi, pronto a servi­
re, generoso, burlone, bello, dolce, graciosus : il suo signore
avrebbe desiderato esser lui a consacrarlo cavaliere, ma cortese-
108 Co=ento

mente lasciò la « gloria » di questo gesto al padre. Costui, il gior­


no della Pentecoste dell'anno I I 8 I - è l'unica data precisa for­
nita dalla biografìa, il che dice molto sul valore sin d'allora at­
tribuito a tale cerimonia nel mondo dei principi - dà quindi a
Arnolfo, e insieme a quattro altri giovani, lo schiaffo « che non
si rende» , e li innalza cosi, con i « sacramenti cavallereschi », al­
la pedezione virile. Nella gioia: ci sono commedianti e giullari
per cantarne le lodi. Si mangia, si beve. Il giorno seguente, al
suono delle campane, il nuovo cavaliere è ricevuto dai monaci e
dai chierici nella chiesa di Ardres . Ma subito Arnolfo riparte.
La sua casa di nuovo lo respinge, e il padre per due anni gli ac­
corda « aiuto e protezione », in altre parole gli assegna una ren­
dita e lo protegge con la sua potenza, lo lascia « errare per molti
paesi » , gli sceglie un mentore, che lo consiglia « per i tornei e
per l'uso dei denari » e che pone accanto al ragazzo ancora un
po' stordito, in qualità di maestro d'armi, uno dei suoi nipoti,
di provata perizia, poiché era stato compagno del giovane Enri­
co, figlio del re d'Inghilterra. « Omnes Ghisnensis terre tornia­
tores », tutti gli appassionati del paese si stringono allora intor­
no ad Arnolfo, divenuto come un principe della giovenru, inve­
stito per qualche tempo, per la gloria del lignaggio e della con­
tea, di quelle funzioni di prodezza e di munificenza che non sa­
rebbe conveniente per i vecchi signori adempiere con altrettanta
disinvoltura. Trascorsi questi due anni , sembra che Arnolfo an­
cora a lungo si sia dato ai piaceri della vita errante, e questa vol­
ta contro la volontà del padre e senza aiuti pecuniari. Nel I I 90
continuava ancora a « torneare » , ma ora ben provvisto di dena­
ro, perché il conte di Guines avrebbe desiderato che il figlio si
facesse crociato e gliene forniva tutti i mezzi. Arnolfo, tuttavia,
non era tentato dalle ·avventure della Terra Santa, non sapeva
che farsene di tutto quel denaro, lo sperperava in doni e in or­
namenti : la preparazione della crociata aveva allora creato una
specie di intermezzo nei tornei. Frattanto però è diventato fa­
moso e in molte regioni, dice il suo biografo, si esalta in lui l'e­
roe e la gloria di Guines . Egli vorrebbe, in realtà, sistemarsi, di-
La guerra r o9

ventate a sua volta senior, quindi fare un matrimonio con una


donna ricca, perché non è probabile che il padre debba morir
presto e !asciargli l'eredità. Allora fa balenare la propria prodez­
za agli occhi di ogni possibile partito, riesce a scovare l'ereditie­
ra meravigliosa, la contessa di Boulogne, fa mostra di amarla,
sfoggia tutto il rituale della seduzione cortese - e si intuisce che
il padre segue da lontano la manovra - ma a questo punto si la­
scia portar via la preda, lo si è visto, da Rinaldo di Dammartin.
In ogni caso il suo esempio prova che il cavaliere va giostrando
sino al matrimonio : non sa fare nient 'altro. In modo molto si­
mile, qualche tempo prima, il re Enrico II d'I nghilterra aveva
concesso al :figlio primogenito, per il suo ventesimo complean­
no, un anno e mezzo di vita errante, ed egli prolungò per altri
sette anni questa specie di sportiva peregrinazione cui erano te­
nuti tutti i giovani. Durante interminabili scorrerie Guglielmo
il Maresciallo dirigeva Enrico il « Giovane » e tentava, non sen­
za fatica, di insegnargli a battersi bene, diventando cosi « sire e
maestro del suo signore, cosa legittima, perché lo educava a es­
sere prode » . Quanto a Guglielmo, « errÒ » per piu di vent'anni,
sino al r r 84, parti poi per la Terra Santa dove restò tre anni; al
ritorno servi ancora per due anni Enrico II e, nel r r 9o, infine
si sposò . Quando mise la testa a partito aveva oltrepassato la
quarantina. Il torneo è una questione di età - e soprattutto una
questione di minorità economica : i giovani torneanti sono colo­
ro che, numerosissimi, sono tenutì ai margini, in posizione insta­
bile, e spesso a lungo , dalla struttura dei patrimoni e dalle cau­
tele in fatto di matrimonio di una politica dinas tica.
L'esercizio Iudica si trova dunque a essere normalmente tra­
smesso dal signore al :figlio . Capita a volte che il padre debba
praticarlo lui stesso. Cosi avviene quando assume il potere nella
prima giovenru, e sino a quando il primogenito non sia sufficien­
temente abile per addestrare nei tornei al suo posto gli adole­
scenti del paese. Egli non potrebbe sottrarvisi senza il rischio di
essere meno amato, peggio servito e di lasciarsi sfuggire dalle
mani ciò che tiene a freno i tumulti. Si è visto che tutti gli anni
IIo Commento

il conte Carlo di Fiandra portava con sé la propria cayalleria al


torneo. Baldovino, conte di Hainaut, si comporta nello stesso
modo . Cominciò nel I 1 7 1 , anno delsuo avvento, col presiedere
il banchetto di Natale, la baldoria del cuore dell'inverno , le
grandi gozzoviglie degli uomini di alti natali, la cui nobiltà si
nota dal mangiar forte. Ma non appena il tempo comincia a mi­
gliorare, egli se ne va, ottanta cavalieri lo seguono ; vanno e ven­
gono nella Champagne, nella Brie, partecipano a due scontri . Ri­
torna per la Quaresima, fa il suo ritiro spirituale, e come tutti
gli altri morde il freno. Arriva la Pasqua ed egli, fin dal giorno
dopo, e sino a Pentecoste, conduce di nuovo la sua truppa - for­
te ora di cento cavalieri - sui confini della Borgogna, poi a R.e­
thel. Per lui, come per tutti i suoi simili, governare non è all 'i­
nizio che questo . A tutti i tornei descritti nella Chanson di Gu­
glielmo il MaresCiallo sono presenti dei principi, il conte di
Fiandra, il duca di Borgogna, i conti di Clermont, di Boulogne,
di Saint-Poi - tutti futuri capi della battaglia di Bouvines, allo­
ra ancora giovaru, oppure i loro padri . Dei principi della Francia
del Nord nessuno manca . Unica eccezione : i re . Nel I I 9 4 Ric­
cardo Cuor di Leone, il modello dei cavalieri, organizza in In­
ghilterra una rete di tornei, ma lui non se ne occupa. Si fa rap­
presentare dal fratellastro, il conte di Salisbury . Questi profani
divertimenti, invisi ai vescovi, nessuno pensa si addicano alla
dignità regale, legata per tanti vincoli alla sacralità. Il Capetin­
gio permette, si, ai fratelli di dedicarsi a questi giochi, ma non
al :figlio primogenito , che gli succederà, e la cui spada deve ri­
manere pura : a Bouvines Filippo Augusto è il solo che in vita
sua non abbia mai partecipato a un torneo. In compenso, per
tutta la « giovenru » aristocratica della Francia del Nord, si trat­
ta di continue scappate : « all'incirca ogni quindici giorni si tor­
neava qua e là » . Nel :fitto calendario delle competizioni la Qua­
resima apre la sola pausa un po' lunga, e che si cerca di restrin­
gere il piu possibile. Appena finito il tempo dell'astinenza, tutti
si precipitano, in tutti raddoppia lo slancio dell'azione l'avvici­
narsi degli ultimi tre giorni del Carnevale . Guglielmo il Mare­
sciallo, buon amministratore, fa redigere, un anno, la contabili-
La guerra rII

tà dei guadagni realizzati con i tornei : v a dalla Pentecoste a]


Martedi Grasso seguente. La festa sportiva non si arresta nean­
che d'inverno. Sfida le piogge e il freddo . Torneare è una pas­
slOne.
È uno sport di gruppo, come la guerra vera, quella dei ven­
turieri . I giovani che un giorno passarono da Chiaravalle e che
san Bernardo tentò, con i suoi sermoni, di allontanare dal male,
dalla follia di combattere invano, facevano parte di una compa­
gnia, di una « masnada » . Respingiamo di conseguenza l'immagi­
ne di singole tenzoni che, in un angusto spazio, strettamente li­
mitato da steccati, avrebbero messo . di fronte due cavalieri ar­
mati di lance : sin nel cuore del xrv secolo è una immagine falsa.
Il torneo del tempo di cui parlo non è un duello, ma una ba­
raonda, nessuno vi combatte da solo ; si affrontano squadre, cia­
scuna delle quali ha il suo colore e il suo capitano . Per la sua
gloria e per quella degli avi, perché si parli di lui tra le dame, il
capitano vuole guidare la squadra miglior� e piu forte . Baldovi­
no di Hainaut non aveva, da principio , che ottanta compagni ;
due ann1 piu tardi si portava dietro un ben piu lungo corteo :
duecento cavalieri e milleduecento fanti . Quanto a Enrico il
Giovane,
non v'era prode cavaliere
valente e d'armi esperto,
che non volesse a sé attirare ;

al torneo di Lagny, quindici banderesi combattevano per lui,


ciascuno con la propria banda : li aveva reclutati in Inghilterra,
in Normandia e nell'Angiò , ma anche, e per la maggior parte,
nell 'Ile-de-France, quindi in una contrada naturalmente nemica ,
ma era il paese dei campioni. Le bande dei tornei sono gruppi di
fortuna, pertanto eterogenei; la loro unità è svelata da segni
particolari, il grido comune, gli emblemi dipinti sugli scudi : ai
tornei piu che alle guerre san dovuti senza dubbio i rapidi pro­
gressi conseguiti in quel tempo dall'araldica. La loro coesione
deriva soprattutto dalle grosse paghe : qui comincia a interveni­
re il denaro, poiché a dirla schietta tutti i componenti delle
II2 Commento

squadre sono pagati. Quelli che accompagnavano Enrico il Gio-


vane
avevano venticinque soldi al giorno,
fosse lor vita erranza, fosse dimora,
come da lor terra si partivano.

E intorno ai campioni piu famosi aumentano le offerte. La


sera di Gournai gli alti vassalli si disputano il Maresciallo, tutto
a.mri:laccato per i colpi ricevuti, ma sfolgorante di gloria; « cia­
scuno agogna di averlo » ; il conte di Fiandra e il duca di Borgo­
gna arrivano persino a proporgli un compenso an:nuo di duecen­
toquarantamila denari. È la promessa di una fortuna mirabolan­
te e rapida . La permanente rivalità, l'incessante inseguimento
della gloria, qui piu che in altro luogo, fanno scorrere il denaro
dalle mani dei piu ricchi . Piu della vera guerra, il torneo, che
non ha quasi mai interruzione, è il mezzo per ridistribuire tra la
cavalleria modesta il denaro raccolto dai principi, denaro che di
qui a.ffiuisce anche a molta altra gente. Perché, prima di ogni ra­
duno, bisogna naturalmente equipaggiarsi, acquistare quei deli­
cati strumenti che sono i cavalli. Alla :fiera d'inverno di Lagny,
fra due tornei, Guglielmo · il Maresciallo sceglie i migliori de­
strieri, e li paga assai cari ai sensali lui che, giovanissimo, prepa­
randosi per il primo torneo, aveva dovuto dare in cambio di una
buona cavalcatura, il mantello prezioso ricevuto in dono il gior­
no della vestizione . Nel frattempo il campione ha fatto fortuna.
Un traffico immenso si svolge cosi intorno a ogni riunione spor­
tiva, e giustamente gli scrittori della Chiesa, preoccupati di par­
lar bene, prima di creare il neologismo torneamentum, si servi­
vano della parola nundinae, che vuoi· dire :fiere . Della :fiera, il
torneo ha tutte le caratteristiche : la salvaguardia promessa a
quanti vi si recano, la repentina comparsa di tende dove vanno
ad accamparsi per qualche giorno gli allevatori, i mercanti, gli
osti, i maniscalchi, i giocolieri, le prostitute, tutti coloro che
prestano o cambiano denari, quelli che lo guadagnano o lo ru­
bano.
Tanti ne vennero da destra e da sinistra
Che tutto il paese ne formicola . . .
La guEITa 113

Veder potreste cavalli di Spagna


E di terra lombarda e di Sicilia ...

E vi sono enormi movimenti di denaro.


Luogo e data sono stati fìssati molto in anticipo, la notizia si
è propagata da tutte le parti, di corte in corte. Negli alloggiamen­
ti dei capisquadra, nei giorni precedenti le gare
La sala si empie di cavalieri . . .
Tutta l a notte i cavalieri
girano usberghi, lustrano brache,
e adornano le loro armature,
i lor collari e coperture
e selle e freni, e cinghie e pettorali.

Nella città, nel vicino villaggio oppure, piu presso al campo,


nell'ammasso dei padiglioni che san sorti, le bande vanno a or­
ganizzare il loro quartiere. Ci si visita vicendevolmente, si beve
insieme, si gioca ai dadi, si tratta con i ritardatari per gli ultimi
ingaggi, si stringono alleanze, si discute sulla tattica da seguire
durante il gran divertimento. T alvolta la precede una specie di
novillada, un incontro di giovanissimi, che però non è mai altro
che un trastullo. All'alba del giorno previsto i guerrieri vanno
ad armarsi davanti al «riposo », la palizzata dove i codardi po­
tranno trovare rifugio. I gruppi allora si radunano, si uniscono
in forti «battaglioni » che si dispongono essi stessi in due cam­
pi. Né combattimento singolare, né campo chiuso. Quando, al­
l'ora fìssata, è dato il segnale di partenza - qualche imbroglione
si è già messo in movimento per o_ccupare le posizioni miglio­
ri - le truppe si spiegano su di un'area assai vasta, senza limiti,
accidentata da varie asperità, di cui conviene trar partito per
tendere imboscate o per trincerarsi : al torneo di Anet i France­
si si ritirarono cosi per un momento su di un antico monticello,
i resti di un castello ora distrutto, mentre quindici cavalieri
sbandati trovavano riparo in un pagliaio, e anche il tempo per
ricomporre la compagnia. Il combattimento prosegue sin nelle
strade dei villaggi. Simone di Neaufles ne sbarrò una con i suoi
uomini, venne preso; Guglielmo il Maresciallo che lo portava
II4 Commento

via teneva il cavallo per la briglia, si volta : il prigioniero non è


piu in sella, ma sospeso mediante l 'armatura alla grondaia di un
tetto. È una vera guerra, piena di insidie e di sorprese, tanto per
divertirsi . Come in guerra, i capi si servono pure della fanteria,
munita di picche e di archi . Nondimeno, come in guerra, i soli
veri protagonisti sono cavalieri. T alvolta, da· sbadati, si arri­
schiano da soli ma, se nQn perdono la testa, restano gomito a go­
mito, in un gruppo strettamente unito, indissociabile, di dieci,
di venti, al massimo di una trentina di uomini - ciò che viene
chiamato un conroi, ed è una formazione chiusa come un pugno,
autentica unità, cosi compatta, si dice, che un guanto gettato in
aria ricadendo toccherebbe per forza un cavallo o un cavaliere ;
« tra le loro l ance non può correre il vento » : non si potrebbe
dirlo meglio di come è scritto nella Chanson d'Aspremont: Se è
vero che, nel suo errare il giovane cavaliere è solitario solo nel­
la fantasia dei romanzi del cielo di Bretagna e in realtà mai si se­
para da qualche compagno, è altrettanto vero che egli non com­
batte mai troppo lontano dagli amici, se non quando la rabbia,
l'avidità, il fanatismo si impadroniscono di lui e finiscono, la
maggior parte delle volte, con il perderlo. Le associazioni di
guerra sono come degli agglomerati, l'azione bellica consiste
precisamente nel disgregare i corpi avversari, nello smembrarli .
La vittoria sorride ai gruppi che sanno attendere, conservare la
loro coesione, lasciare che gli altri fatichino, si ubriachino, si di­
sperdano, per spingerli nel disordine e costringerli a sbandarsi,
col che si conclude generalmente il torneo . Nel r r 8 2 , a Gour­
nai, ci si stupf che non fosse cosi :

L'avventura fu si bella
che sconfitta non ci fu
né dell'uno né dell'altro.
Ben d'accordo si lasciarono . . .

D i solito, dopo lunghe ore di agguati capita un'improvvisa ro t­


ta: è il momento di utili catture nella fuga disperata dei cortei
disgregati.
Come nella vera guerra, ciò che vogliono i torneanti è « gua-
La guerra II 5

dagnare » . La gloria, si, ma soprattutto il denaro. Arraffare per


rifarsi delle spese e tornarsene via piu ricchi. Son rare le joutes
de plaidisse, cioè giostre convenzionali e senza posta. Non atti­
rano molta gente. I cavalieri vanno al torneo come in una bisca
«per perdere tutto o guadagnare tutto » , per impadronirsi dei
finimenti, dei cavalli che costano cosi cari . Prima di tutto, cattu­
rare gli uomini, e a tal fine mettersi in parecchi per ghermire al­
lettanti prede, costringere l'avversario scelto a confessarsi vinto
e , sulla parola, }asciarlo libero di continuare il gioco - cosi av­
viene spesso che un cavaliere si faccia prendere parecchie volte
nello stesso giorno. Scesa la sera, nell' accampamento ciascuno
s 'informa dei parenti e degli amici : hanno vinto? hanno perdu­
to ? I destrieri vengono condotti ai vincitori che li hanno guada­
gnati. I prigionieri in libertà pensano al riscatto , cercano di rac­
cogliere il mucchio di denari occorrente, cosa non facile . Il gio­
co effettivamente gira su molto piu denaro di quanto ne possie­
dano tutti i combattenti messi insieme. Gran stupore destò un.a
sera vedere Guglielmo il Maresciallo trar di tasca centinaia di
denari, e pagare in contanti il proprio riscatto . Di solito il pri­
gioniero offriva garanzie, trovava tra i parenti dei mallevadori
che davano una cauzione. Tra vincitori e vinti si instaura, come
alla fine delle fiere, tutta una procedura di indennizzi, di con­
tratti, di trasferimenti, di remissione di debiti sino al prossimo
incontro, di promesse la cui salda base è la morale dell 'onore.
Tutto un intreccio di scambi di parole, l'uso di una moneta per
cosi dire orale, :fittizia, cui si è costretti a ricorrere, come nelle
riunioni dei mercanti, dalla scarsità delle monete d'argento. E
poiché quel che rende piu di tutto è la cattura degli uomini , cia­
scuno fa bene attenzione di non rovinare troppo l'avversario. I
concili condannano i tornei perché vi si uccide . Difatti questo
sport violento fa delle vittime come la guerra, anzi , senza dub­
bio di piu : per convincersene basta fare il conto , nelle genealo­
gie che si possono ricostruire, dei juvenes periti in tali prove di
bravura. Ma sono morti accidentali e, li per li tanto piu amara­
mente deplorate, in quanto vengono liquidate con un ingente
mancato profitto per la parte avversa.
II6 Commento

Bisogna dunque vedere nel torneo ( e anche in ciò esso asso­


miglia alle :fiere ) lo spazio di un'attività molto redditizia, il solo
luogo dove i cavalieri possono arricchirsi in fretta come i mer­
canti e forse l'occasione, in quel tempo, dei piu importanti tra­
sferimenti di ricchezza. Nell'economia del XII secolo la funzione
del torneo equivale a quella ancor poco prima svolta dalle dona­
zioni pie, tra gente tenuta strettamente al guinzaglio dai preti.
Ragione di piu perché la Chiesa condannasse quei giochi che
fan:no concorrenza alle elemosine e causano l'unica incrinatura
attraverso cui si può in:filtrare nelle menti aristocratiche l'idea
del profitto . Ci si può certo rovinare per viltà, per incapacità o
per disdetta. Ma in fin dei conti sono i principi che sopportaho
tutte le perdite. Sostengono le spese della festa e il denaro, da
essi facilmente preso a prestito dai borghesi, serve a compensa­
re le squadre sfortunate, a sostituire i cavalli uccisi e gli usber­
ghi rotti, a liquidare i riscatti e anche a distribuire le paghe. In­
vece la maggior parte del profitto va ad alcuni cavalieri, quelli
dei quali Bertrand de Born in certi suoi serventesi loda l'abilità
e giustifica la rapida ascesa. E invero i virtuosi della giostra
equestre in pochi anni salgono tutti i gradini della fortuna . Gu­
glielmo il Maresciallo fu uno di questi magnifici campioni. Al­
lorché :
cominciava a salire l'ondata
del suo valore, della sua prodezza
per le quali saliva in altezza,

si prese un socio, un cavaliere fiammingo, appartenente anch'e­


gli al gruppo dei gentiluomini di Enrico il Giovane : in due gli
affari promettevan9 di andar meglio. «Di compagnia lo pregò »
dunque, e la società durò due anni . Aveva il suo contabile, l'ad­
detto alla cucina del giovane Enrico, la cui funzione nella squa­
dra era appunto quella di fare il conto delle spese. Per i due so­
ci egli addizionò gli incassi : furono cosi abbondanti che trascu­
rò di notare il prezzo dei cavalli e degli equipaggiamenti , redi­
gendo soltanto la lista dei cavalieri riscattati : centotre in dieci
mesi. Un meraviglioso resoconto di caccia, e manciate di denari .
La guerra II7

Denari, però, che la morale cavalleresca impone di disprezza­


re . Tale morale si è formata proprio nei tornei, nel vivo di que­
sto gioco di denaro, e viene rafforzata dall'ascesa della gente
avida, dei commercianti e dei mercenari, sempre piu minacciosi,
e l'aristocrazia sa bene che rischia di vedere da questi messi in
discussione i fondamenti materiali della sua superiorità. Il buon
cavaliere ha il dovere di non essere interessato. La prodezza non
vale niente senza la liberalità. Il mondo dei torneanti ostenta
quindi di anelare non al guadagno, bensi al « premio », cioè alla
gloria. Venuto solo al torneo di Pleurs Guglielmo il Maresciallo,
secondo il suo panegirista,
mai ai guadagni egli intese
ché a ben fare sempre tutto tese,
del guadagnare non gl'importò .
Quel che piu valse egli guadagnò,
ché molto ricco diventa colui
che l'onore conquista e guadagna.

Lo si vide poco tempo dopo, a Joigny, distribuire la sua parte


d'incassi ai crociati
e liberò da lor prigione
dei cavalieri che egli aveva presi
e che a gran prezzo furono resi.

Il valore supremo (fonte d'altra parte anche di profitto per colo­


ro che vi si avvicinano, perché avere un buon posto nell'albo
d'onore permette di ottenere maggior paga dai capitani ) sta nel
premio conferito al migliore alla fine del torneo, secondo le de­
liberazioni dei « grandi » . Una ricompensa simbolica ( a Pleurs è
rappresentata da un luccio ; una dama lo offre al duca di Borgo­
gna, èhe lo rifiuta, come lo rifiutano tutti i capi dopo di lui. In­
fine due cavalieri e uno scudiero lo portano solennemente a Gu­
glielmo il Maresciallo : lo trovano con la testa sopra l'incudine,
mentre il fabbro, a gran fatica, cerca con tenaglie e martello di
liberarlo dall'elmo contorto e con::fìccato fino al collo ) . Bisogna
inoltre rendersi ben conto di quale significato importante all'ap­
prossimarsi del XIII secolo il « premio » viene ad assumere : è
rr8 Commento

questo premio infatti che conferisce decisamente al torneo l'an­


damento di un concorso, di una competizione d'onore, e su di
esso si fondano tutti quegli impercettibili movimenti che, alla
vigilia di Bouvines , fanno si che il comportamento cavalleresco
sia modificato. Due ne sorio le ragioni. Primo : è il momento in
cui proliferano grandemente gli « avventurieri » , in cui per con­
seguenza si vede la necessità di dare piu solida consistenza a una
morale della guerra nobile. Poi, perché la distribuzione degli
onori ha luogo sotto lo sguardo delle donne. Difatti le dame non
mancano a queste feste della violenza . Talvolta, come a Pleurs,
sono loro che, con le proprie mani, consegnano al vincitore gli
emblemi del valore. La mattina del torneo di Joigny, mentr� si
preparavano, i cavalieri videro comparire la contessa e le sue da­
me : abbandonarono gli elmi e accorsero, e si presero per mano
per danzare. Uno domandò :
. . . chi sarà
cosi cortese che canterà ?

Sarà certo Guglielmo il Maresciallo : egli intona un lai che tutti


riprendono. Cosi, in quel tempo, i tornei divennero anche scuo­
le di cortesia: tutti sapevano che avrebbero potuto conquistarvi
l 'amore delle dame, mediante certi atteggiamenti facili da ap­
prendere. E poi intervenivano, proprio in quel momento, altri
professionisti « quegli istrioni da noi chiamati araldi » . Agenti
pubblicitari, impresari, ma anche venditori di gloria: « quando
in una esercitazione d'armi vedono qualcuno agire con virile
energia » essi compongono in suo onore una canzone. Cosi fece,
il mattino di Joigny,
. . . un cantore

che era un araldo nuovo.

Astutamente, nel ritornello diceva :


Maresciallo,
che mi date un bel cavallo .

E Guglielmo non può fare a meno, nel corso del combattimen­


to, di catturare un destriero per offrirglielo .
La guerra I I9

Quel che importa è che, grazie a tali celebrazioni da allora fu


esaltata la prodezza individuale . Cosi il torneo veniva ad esser
l'ambiente di una ancor maggiore trasformazione. Per affronta­
re la schiera avversaria era proprio necessario stringersi � squa­
dre, in gruppi strettamente legati, ma nelle peripezie del gioco
alcune personalità emergevano dalla folla, scalavano i gradi del­
la « altezza », e su questi campioni, divulgata dai racconti e da­
gli elogi, andava a concentrarsi la fama tutta intera, come appa­
re dalle relazioni di Bouvines. Non si vedeva che loro. Indubbia­
mente il movente del loro innalzamento era materiale : questi
uomini erano i vincitori, potevano ben pagarsi quelli che li in­
censavano. Ma il profitto veniva qui sublimato: Come i cavalie­
ri, mostrandosi generosi, intendevano tenere le distanze nei con­
fronti dei borghesi arricchiti, cosi, di fronte ai cottereau e ai Bra­
bantini, che si impegnavano onestamente, seriamente, ma senza
iattanza, si sentivano costretti a essere valorosi, a ostentare co­
raggio, a esibire la temerarietà. Un coraggio di cui erano giudici
le dame, commosse fin nel profondo da un entusiasmo che scal­
zava la loro difesa e le rendeva piu facili da conquistare. Nel ca­
valiere si compendiava la prodezza, principale virtU della nobil­
tà (fu allora che codardia divenne a poco a poco villania) e or·
mai virtli di un uomo, la cui azione certo continuava ad appog­
giarsi interamente sulla solidarietà di una squadra, ma che con­
siderava la sua gloria come un bene proprio, una ricchezza che
lo emancipava dal suo gruppo e che egli intendeva sfruttare da
solo - come era proprietà di un qualsiasi mercante il sacco di
monete che trasportava con sé in mezzo a una carovana. In quel
continuo scambio di gruppi e di denaro che era il torneo, diver­
timento che si svolgeva nell'arbitrario, nel profano e sotto la
minaccia delle punizioni della Chiesa, la prodezza divenne una
base di libertà e di sicurezza. Essa emancipò l'individuo dal gio­
go sentito, necessario, costrittivo e talvolta soffocante, del li­
gnaggio e delle amicizie. Essa dava l'illusione della solitudine,
di quella solitudine gloriosa, esaltante, immaginaria dei Parsifal
e dei Gauvain erranti .
1 20 Commento

L'avvenimento che Bouvines rappresenta s'illumina se lo col­


lochiamo al suo vero posto, nella lunga serie di progressi che nel
corso del XII secolo modificarono le forme dell'azione militare;
nella concatenazione dei perfezionamenti tecnici che portavano
incessantemente a rinforzare le difese e che avevano finito per
fare di una giostra di cavalieri pesanti , invulnerabili, e perciò
meno pavidi, la chiave di qualsiasi combattimento; all'interno di
un lento irrigidimento dei quadri politici, per cui la guerra si
trovava a poco a poco imprigionata negli ordinamenti di pace,
dei quali i grandi principi avevano il predominio , e ciò provoca­
va il fiorire dei tornei ; nella invasione progressiva di una poten­
za, quella del denaro, che rendeva la cavalleria piu ansiosa di' di­
fendere i propri privilegi , preoccupata per la concorrenza dei
mercenari e per la fortur:ia dei mercanti, attenta ai sordi fremiti
di rivolta che chiunque vi prestasse orecchio poteva percepire
nella profondità del popolo sottomesso, ma anche nel progresso
di uno slancio culturale ininterrotto . Nel 1 2 1 4 sono sempre piu
rari i cavalieri che non sappian leggere, o recitare almeno qual­
che poema, e cantare. Il che spiega la nuova consistenza assun­
ta, nell'orda dei guerrieri , da un sistema ideologico, la cui auto­
nomia si è affermata di fronte a quella di un altro sistema ideo­
logico, proprio, questo, degli ecclesiastici. Non senza fatica si rie­
scono a discernere le forme piu antiche e le lunghe germinazioni
che preludettero al fiorire di tale sistema di rappresentazioni ,
concetti, immagini ed emblemi rituali, che giunsero alla maturità
all'epoca di Bouvines. Per lunghissimo tempo , sino agli inizi del
secolo XII , tutte le manifestazioni della cultura abbastanza vali­
de per arrivare sino a noi, tutti i discorsi scritti o tradotti in im­
magini visive, erano rimasti opera di preti o di monaci, e lo sto­
rico deve indovinare attraverso ciò che costoro hanno espresso
quel che avevano allora in mente i guerrieri. Cosa non facile .
Tanto meno facile in quanto, mezzo secolo prima di Bouvines,
l'atteggiamento della Chiesa verso la militia era ancora, in com­
plesso, aggressivo e pieno di biasimo , stando almeno alle testi­
monianze fra cui le piu illuminanti provengono fino a quel mo-
La guerra r2r

mento dal monachesimo, che continuava a dominare le istituzio­


ni ecclesiastiche e, istigatore di penitenza, professava il disprez­
zo del mondo della carne . La sola via di pedezione allora pro­
posta al cavaliere era la « conversione » . Sciolga il budriere, in­
dossi l'abito di san Benedetto ed entri, anche se moribondo, nel
monastero : non potrebbe prepararsi meglio ad affrontare la
morte e il giudizio universale. Orderico Vitale riferisce l'attivi­
tà di uno di questi propagandisti della rinuncia, il chierico di fa­
miglia Gérold d'Avranches, cappellano, all 'inizio del XII secolo,
nella casa di Ugo di Chester : « Egli notava in parecchi cavalieri,
e giustamente la rimproverava loro, l'impetuosità della carne ;
deplorava l'eccessiva negligenza dei piu negli uffici divini . In­
tensificava avvertimenti salutari ai piu importanti baroni, ai
semplici cavalieri e ai " giovani " . Dal Nuovo Testamento e dai
fasti cristiani traeva gli esempi di santi guerrieri degni di ammi­
razione » . Raccontava la vita dei martiri, dei santi cavalieri Gior­
gio, Teodoro, Sebastiano, Demetrio, e anche di sant 'Eustachio e
di san Maurizio. Ma parlava anche « del santo campione · Gu­
glielmo ( d'Orange ) che, dopo lunghi combattimenti, rinunciò al
secolo e, sotto la regola manacale, gloriosamente lottò per il Si­
gnore » . I menestrelli, aggiunge Orderico, cantavano di solito
una << canzone di quel santo » . Meglio vale però fare riferimento
a quel che ne dicono i saggi della Chiesa, ed egli stesso dà una
versione dei fatti, appresa da un monaco di Winchester, e da lui
giudicata piu autentica. L'eroe ha dapprima combattuto la guer­
ra giusta: « Egli ha dovuto sostenere molte lotte contro i Barba­
ri d'oltremare e contro i Saraceni delle vicinanze; grazie al soc­
corso divino con la sua spada salvò il popolo di Dio ed estese il
dominio del cristianesimo » . Ma un giorno, nonostante i pianti e
le suppliche di tutta la nobiltà, decise di lasciare la vita monda­
na e andò ad offrire le proprie armi a san Giuliano di Brioude.
« A Dio donò il suo elmo e poi un bellissimo scudo sulla tomba
del martire » . Nel cuore del santuario, nella cripta, aveva dun­
que deposto le sue armi di difesa. Ma aveva lasciato alla porta
quelle per le aggressioni, le piu allarmanti. A piedi, indossato il
cilicio, prese allora come penitente, come pellegrino del Cristo,
I22 Commento

il cammino verso il monastero da lui stesso fondato a Gellone.


Terminò là i suoi giorni nell'umiliazione di lavori servili. « Cosi
Gérold riferiva frequentemente i titoli di gloria degli invincibi­
li guerrieri del Signore e, ora con la dolcezza, ora con la minac­
cia, incoraggiava quelli che vivevano con lui e gli uomini d'arme
a impegnarsi in un tal genere di vita » . Esortazione efficace: cin­
que cavalieri entrarono nell'abbazia di Sant'Evroul dove scrisse
Orderico.
A quell'epoca, san Bernardo di Chiaravalle mostrava il me­
desimo atteggiamento. Nel preciso momento in cui i concili di
Reims e di Clermont condannavano i tornei, egli redigeva il suo
De laude novae militiae ad milites Templi. Militia) malicia! la
milizia del secolo serve il diavolo e non Dio. «Voi caricate i vo­
stri cavalli di gualdrappe di seta; ricoprite gli usberghi di non so
quanti pezzi di stoffa; decorate con pitture le ascie, gli scudi e le
selle; Sl,li morsi dei cavalli e sugli speroni sprecate argento, oro
e pietre preziose. Sono forse queste le insegne della condizione
militare? Tali ornamenti non sarebbero forse piu adatti alle
donne? Vediamo che, come le donne, vi lasciate crescere una
massa di capelli che vi offuscano la vista, che vi avviluppate in
camicie lunghe fino ai piedi, che nascondete le vostre mani deli­
cate in maniche tanto larghe quanto lunghe . . . » È l'orgoglio che
muove i cavalieri, l'intemperanza, « una crisi di follia che li get­
ta nei combattimenti ». «E dovete pure aver timore di uccidere
la vostra anima con lo stesso colpo con cui uccidete l'avversario,
o di venire per mano sua uccisi contemporaneamente, nel corpo
e nell'anima » . Grazie a Dio « una nuova cavalleria è nata sulla
terra » , quella degli ordini religiosi militari, l'ordine dei Templa­
ri e degli Ospitalieri, di recente fondati in Terra Santa «proprio
nel paese che il sole d'oriente è sceso a visitare dall'alto dei cie­
li . In tal modo, là dove Egli stesso ha vinto con la sua mano
possente il principe delle tenebre, la spada di questa valorosa
cavalleria sterminerà presto i suoi satelliti, voglio dire i fìgli del­
l 'infedeltà. Essa redimerà ancora una volta il popolo di Dio e
farà rinascere davanti ai nostri occhi il raggio del sole, nella ca­
sa di Davide, suo fìglio » . I Templari hanno rifiutato il mondo, il
La guerra I 23

lusso, la vanità - « essi si tagliano i capelli perché considerano,


come l'Apostolo , vergognoso per l'uomo curare la propria capi­
gliatura » , - la leggerezza, la preoccupazione di una gloria profa­
na. In comunità essi combattono - come ha fatto a lungo frate
Guerrino - nella disciplina e nella prudenza, in « battaglioni
ben ordinati » . Conducono un duplice combattimento, a un tem­
po contro la carne e il sangue e contro « gli spiriti del male spar­
si nell'aria » . Bisogna seguirli, se non si ha il coraggio di rinun­
ciare del tutto ai piaceri della guerra . Lo stesso Bernardo di
Chiaravalle si era convertito mentre era un giovane cavaliere.
Dopo la conversione fa appello a tutti gli altri e sogna abbazie
piene di guerrieri penitenti, poveri e puri.
Nel medesimo periodo le strutture monastiche si erano mo­
di:6cate per accogliere gli adulti che abbandonavano le armi
mondane. Le comunità benedettine avevano assai presto am­
messo tra loro i cavalieri che, sul letto di morte, chiedevano di
rivestire saio e cocolla ; si aprirono, nel corso del xn secolo , ai
« conversi barbuti », vecchi combattenti rattrappiti e stanchi di
cavalcare, che cercavano un rifugio quieto e pio, che non aveva­
no imparato a càntare nelle funzioni religiose e che non si sape­
va come occupare nei chiostri di Cluny. Appunto per gli uomini
d'arme si formarono e poi si diffusero largamente le confraterni­
te dei Templari e degli Ospitalieri, dove erano persino accettate
reclute che rimanevano solo intenzionali, come Guglielmo il
Maresciallo che, al termine della sua « giovinezza » , verso i qua­
rant 'anni, aderi all'ordine del Tempio, ma senza entrarvi effetti­
vamente. Un giorno ne indossò il mantello, ma gli servi una so­
la volta : per ricoprire la sua spoglia durante la cerimonia fune­
bre. Ora, la duttilità di tali aperture, questa agevole osmosi tra
la vita monacale e quella secolare, rafforzavano a poco a poco l'i­
dea che, senza lasciare il mondo, nel compimento di una funzio­
ne affidatagli da Dio, il cavaliere poteva raggiungere una specie
di perfezione. Dopo la metà del XII secolo cominciò il declino
del monachesimo. Ormai nella Chiesa la parte piu importante è
rappresentata dai chierici ; e costoro sono sempre rimasti intima­
mente fusi con la società militare. Si vedono canonici combatte-
r 24 Commento

re da prodi per difendere dai soldati di ventura i beni della loro


cattedrale, e anche dei vescovi. Quello di Beauvais, ad esempio,
Filippo di Dreux, che a Bouvines adoperò la mazza e, quiridici
anni prima, un capo di cottereaux aveva catturato, non come
prelato, dice la Chanson di Guglielmo il Maresciallo, « ma come
cavaliere, armato di tutto punto e con l'elmo allacciato » . Nella
Francia del Nord - a differenza del Sud, dove il sacro resta piu
nettamente separato dal profano e la cultura cortese, quella dei
trovatori, dei sirventesi, erotica e politica, sfugge assai piu al­
l'influenza della Chiesa -'-- drappelli di chierici in casa dei princi­
pi, grandi e piccoli, vivono gomito a gomito con i giovani che si
esercitano nelle armi, e si applicano a farli divertire . Forti pel
loro sapere, di un bagaglio spirituale che consente loro di dare
forma poetica ai sogni che si agitano intorno a loro, i chierici
per primi costruiscono, per il piacere e l'educazione dei giovani,
un edificio culturale di' robusta struttura e autonomo, di una au­
tonomia che non è punto il riflesso di prediche e di omelie ascol­
tate distrattamente nelle basiliche e all'entrata dei monasteri,
ma che risponde assolutamente ai gusti della « giovenru », tradu­
ce le speranze e le frustrazioni dei cavalieri scapoli, quelli delle
compagnie erranti e dei tornei, classe varia per età e numerosa
il cui orizzonte culturale differisce sensibilmente da quello dei
seniores, della gente sposata.
La cultura di Baldovino, conte di Guines, sta tutta in certi
scritti, come quella degli antichi re, di cui i principi hanno a po­
co a poco imitato il comportamento . Egli non sa leggere, tutta­
via tiene presso di sé i libri delle scuole e dei sapienti, che tràt­
tano delle cose sacre e trasmettono in parte il pensiero dei Pa­
dri della Chiesa, ma sono stati tradotti dal latino in lingua vol­
gare : per il conte non sono, invero, inutili ornamenti, ma una
riserva di cognizioni a cui può attingere, grazie alla mediazio­
ne di lettori, il senso delle Scritture e della liturgia che si addi­
ce agli uomini del suo rango e della sua età. Invece la cultura
di suo figlio Arnolfo, il « giovane », il torneante, è cultura orale,
del tutto profana, e si manifesta· nel campo dell'immaginazione.
Piove troppo, il gruppo dei compagni è costretto a interrompe-
La guerra I 25

re i vagabondaggi e a stare inoperoso due giorni e una notte nel­


la sala del castello di Guines ; ammazzano il tempo alla meglio,
raccontando avventure, quelle degli eroi che ci si sforzerà di
emulare. Tali eroi sono di tre tipi. Quelli della crociata, « della
terra di Gerusalemme, dell'assedio di Antiochia, degli Arabi , di
Babilorua, dell'oltremare », le cui imprese ben conosce Filippo
di Montgardin, un compagno di Arnolfo. Quelli dei romanzi e
delle canzoni di gesta: « la storia degli imperatori romani, di
Carlomagno, di Orlando e di Oliviero, del re Arru, le gesta e le
favole di Bretagna, di Gormont e Isembart, di Tristano e Isot­
ta, di Merlino, sono raccontate da Roberto di Coutances . Infine i
veri e propri eroi della stirpe ed è, questa volta, a un membro
della famiglia, a Gualtiero di L'Ecluse, consobrino del giovane
Arnolfo, che tocca parlarne. L'epopea di Dio, dei racconti che
fanno vagare tra la leggenda e la favola, la gloria degli antenati:
tutto ciò trasmesso con la parola, di bocca in bocca, per essere
depositato nella memoria dei « giovani ». Costoro tuttavia accol­
gono tra di loro anche degli anziani (Arnolfo di Guines viveva
con ragazzi della sua età, ma « teneva con sé anche dei vecchi e
dei decrepiti perché raccontavano le vecchie avventure », e an­
che uomini di Chiesa: il prete Lamberto d'Ardres in persona,
dal cui racconto abbiamo appreso tutte queste cose). Fu, tra le
altre, funzione di questi chierici, che sin dall'infanzia erano al­
levati in casa e partecipavano volentieri alle scorribande, fissare
con la scrittura la labile materia di questa letteratura orale : le
storie della Terra Santa, dell'imperatore dalla barba fiorita e dei
suoi dodici pari, dei cavalieri erranti tra le magiche foreste e,
forse in primo luogo, le gesta degli avi . Nel corso del XII secolo
si vedono cosi gli scritti genealogici alterarsi, trasformarsi in
una galleria di ritratti eroici che offrono ai rampolli del lignag­
gio il modello di una condotta esemplare. La memoria familiare
diventa cosi una specie di tesoro onorifico, trasmesso di genera­
zione in generazione, che ciascuno si sente in dovere di arricchi­
re, che deve evitare, in ogni caso, di sperperare. L'ambiente in
cui si educa al valore .
Poiché nel Nord del regno di Francia sono i chierici a dargli
rz6 Commento

una forma, esso viene un poco contaminato dalla ideologia della


Chiesa . Per la verità in modo molto discreto, soprattUtto indi­
rettamente attraverso lo spirito della crociata. Difatti, dopo il
I I 5 0 , questa letteratura contJ:"ibuisce a rafforzare una nuova
concezione della cavalleria: cavalleria laica, profana, in contra­
sto con tutti gli altri corpi della società. Ordine supremo - «il
piu alto che Dio abbia creato » proclama Parsifal - e fondato su
di una costellazione di virili. L'antico edificio dell'onore era tut­
to costruito su di un solo pilastro : la lealtà, il rispetto della fe­
de giurata, quella fedeltà ai legami del sangue e ai doveri dell'a­
micizia che riuniscono i conrois, i gruppi della guerra ( ciò che
cento anni prima di Bouvines trattiene il visconte di BeaUIÌlont
dal rompere un'alleanza, dal rimangiarsi la parola data, dall'ab­
bandonare i compagni per fare la pace, è la paura di « coprire di
vergogna e di obbrobrio tutta la sua parentela » ) . Ma altre tre
virru sono venute a poco a poco a fondersi con la prima : la
« cortesia » , una maniera << Onesta » di comportarsi verso le dame,
e soprattutto la prodezza e la grandezza.
Due qualità indissolubili, che il linguaggio esprime con mag­
gior forza giocando sull 'assonanza. L'elogio che la Chanson di
Guglielmo il Maresciallo fa del conte di Salisbury, Guglielmo
detto Lunga Spada « che della prodezza fa sua madre, e della
grandezza fa il suo alfiere » riprende « e di virtU e di grandezza »
del Roman de Brut, messo in rima settantacinque anni prima .
Per « virtu » senza aggettivi intendiamo il coraggio . Alle soglie
del XII secolo questo non figurava fra i valori essenziali dell'eti­
ca cavalleresca. Tutt'altro, come si vede chiaramente nei giudizi
che la Storia anonima della prima crociata dà dei combattenti :
un racconto fondato sulla diretta testimonianza di un cavaliere
che se ne intendeva. Questo testo celebra il coraggio delle unità
militari e dei gruppi - poiché si tratta solo di gruppi, e quando
si accenna a un individuo è sempre un capo, che non viene mai
giudicato come persona ma quanto alla funzione esercitata in se­
no a un gruppo di cui è responsabile. (E d'altronde, attraverso
la connessione delle parole, l'idea di coraggio viene collegata a
quella di forza fisica e di prudenza, qualità statiche) . Ma senza
La guerra r 27

percepirlo come assenza di timore. La temerarietà al contrario


sarebbe da condannare, considerata cecità, equiparata all'orgo­
glio, peccato grave, peccato capitale perché mette contro Dio . Il
coraggio - la forza, la saggezza - appare dunque una virru passi­
va, stato di attesa fiduciosa, ferma, di sottoioissione alla volontà
divina, un aspetto della speranza . Se l'uomo deve aiutare Dio a
realizzare i suoi disegni sarebbe colpevole ardire il voler forzare
il loro corso : il guerriero pio ha il dovere di inchinarsi davanti
a quanto di essi conosce. Il coraggio è pertanto ornamento del­
l'azione, quasi un gioiello : di qui, nel parlarne, l'uso esclusivo
di avverbi e aggettivi. Non è la causa prima dell'azione come,
invece, è la paura, la quale nel discorrere è espressa per mezzo
di sostantivi e di verbi. La paura ossessiva, sempre presente :
presente prima dell'azione, nel momento che precede lo scon­
tro, in cui si misurano le forze avverse contando i cavalieri e i
fanti che si hanno di fronte e si sbaglia nella esagerazione pro­
vocata dall'ansietà, la paura che aumenta quando comincia il
combattimento . La si può ancora reprimere nella foga dei primi
attacchi, ma essa invade tutto appena si intravvede qualche frat­
tura nella compattezza dei gruppi : esplode all'improvviso nella
disfatta. È interessante osservare come questo sentimento sia
piu spesso giustificato che biasimato , quale manifestazione di
vera prudenza, cioè di autentico coraggio, di umiltà necessaria
di fronte agli avvertimenti del cielo e che, quasi sempre, l'auto­
re della Storia si limiti ad avvertirne la presenza, semplicemen­
te, senza commenti, come di una costante della mentalità milita­
re, che in nessun caso potrebbe disonorare. Cento anni piu tar­
di, al tempo di Bouvines, tutto è cambiato. Ormai il coraggio è
ciò che, piu di ogni altra cosa, costituisce il pregio del cavalie­
re, ciò che gli vieta l'impiego di armi indegne, di sotterfugi che
potrebbero farlo credere un codardo . Già nel I I 9 7 Guglielmo il
Maresciallo combatteva Filippo Augusto, in compagnia del con­
te di Fiandra. I baroni proposero di trinceraJ;"si dietro i carri
portati in gran numero dai comuni fiamminghi; di quando in
quando sarebbero sbucati da quel rifugio per cimentarsi contro
i Francesi. Iddio non voglia, risponde Guglielmo : né comuni,
128 Co=ento

né baluardi : si combatterà in campo aperto senza pensare alla


ritirata. Nella assemblea delle virili cavalleresche la Temerità ha
detronizzato la Prudenza e si è collocata nel seggio piu alto. La
Temerità e la sua compagna d'obbligo: la Prodigalità. E nello
stesso momento, per un parallelo slittamento, nella morale pre­
dicata dalla Chiesa l'orgoglio a poco a poco cede all'avarizia il
primo posto tra i peccati. Dal coraggio viene infatti il guadagno.
Ma il guadagno è in se stesso spregevole. Un prode non potreb­
be guadagnare se non per dare di piu. Nulla, tranne la virili del­
lo sperpero, giustifica i profitti ricavabili dalla guerra o dai suoi
simulacri . Torniamo ancora una volta a Guglielmo il Marescial­
lo che
si agitò in molte e varie terre
per valore ed avventure e guerre
e molto spesso ricco ritornava.

Ma né avarizia né tirchieria usava


si da non spender ciò che possedeva . . .
Tanto moltiplicò l a sua prodezza
e sua bontà e tutta sua larghezza
ch'era tenuto in alto alto conto
da re e regine, e molti duchi e conti.

In questa scuola, seguita da tutti i cavalieri bennati di Bou­


vines, nella vita errante, nel torneo, nella guerra tollerata a me­
tà e nella guerra giusta, quella vera, guidata dal re e dal buon
Dio, per meglio instaurare la pace, la cavalleria
cosa si forte, cosa si ardita
e per apprenderla cosi costosa

- e non alludiamo piu con tale parola a un gruppo sociale, ma a


una qualità, un ornamento dell'anima, onore non ugualmente
ripartito, ornamento non piu di gruppi, ma di persone - la ca­
valleria è cosa _che rende. Rende denaro, e molto . Come tutte le
cose di questo mondo essa rientra in parte nel campo del per­
vertimento: se ne conosce un lato d'ombra, dove si nasconde,
come un aculeo segreto e vivo, la lusinga del bottino, l'interes­
se. Ma, simile al mantello di seta che si getta sugli usberghi, c'è
La guerra I2 9

li l'ideologia pronta a dissimulare ciò che disturba, ad abbellire


ogni cosa con piacevoli colori. E pronta a rassicurare. L'avidità
si traveste cosi da coraggio, prende la maschera di quell'impe­
tuoso, impavido,fo interessato ardore che piace alle donne e
che, si dice da qualche tempo, non dispiace piu tanto nemmeno
a Dio.

La sola differenza tra un torneo e un vero combattimento sta


nell 'intenzione : la guerra è animata dall ' « odio », dalla brama
della tuitio e dell'ultio, di difendersi e di vendicarsi. È un'ope­
razione giusta, quando è condotta rispettando i divieti . Per un
momento infrange l'ordine, ma soltanto per ripristinarlo me­
glio, rintuzzando l'ingiuria, rendendo a ciascuno il proprio di­
ritto. O perché non è presente un'autorità giuridica cos trittiva
per colui dal quale ci si deve proteggere o del quale ci si deve
vendicare, oppure perché la vittima sceglie di non farne denun­
cia, · o perché infine il colpevole rifiuta di inchinarsi alle decisio­
ni di un'assemblea di arbitri, la werra è legittima. Piu legittima
del torneo, che è un divertimento collettivo. Non certo « osten­
tazione » e ricerca di vane e meschine glorie, ma necessario uso
della forza contro uno sfuggente nemico del bene. Qui è di rigo­
re l'offensiva che deve obbligare l'avversario a cedere, ad ab­
bandonare la presa, ad arrendersi alle parole di pace, a riparare
ai torti commessi. Per intimidirlo, sottometterlo, per fargli in­
tendere ragione, che cosa di meglio si potrebbe fare che deva­
stargli le terre ?
Con questo pretesto la guerra riprende allora il suo antico
aspetto, quello delle imprese di saccheggio, che sempre, ogni an­
no , avevano lanciato le tribu le une contro le altre. È una raccol­
ta di bottino dove ciascuno se la gode un mondo, con la coscien­
za tranquilla, e dà grandissime prove di valore : nessun miglior
combattente di quello « che ha talento per gran mal fare �> . Il ca­
po vuole risarcirsi delle fatiche, coloro che lo accompagnano so­
no venuti soltanto per arraffare e in loro la sveltezza è propor­
zionata alla cupidigia. Nel r r 2 7 , in Fiandra, Galberto di Bruges
I 30 Commento

descrive centinaia di cavalieri e quanti tra gli uomini dei comu­


ni delle città erano in grado di portare un'arma, mentre muovo­
no solleciti verso un onorevole scopo : vendicare il conte ucciso .
Sono riuscitì finalmente a ricacciare gli assassini nella chiesa del
castello di Bruges ; eccoli li « pieni di audacia e bramosi di com­
battere, vedono davanti a sé gli assediati, richiamano l'antico co­
raggio, pensano come sarebbe bello morire per il padre e per la
patria. Quale gloria ne avrebbero i vincitori ! Scellerati, crimina­
li quei traditori che del tempio di Cristo hanno fatto il proprio
covo ! Bramosi soprattutto del tesoro e del denaro del signor
conte, essi pensavano al bottino che stavano per fare, non appe"
na avessero vinto gli assediati e » , aggiunge quell 'eccellentç os­
servatore che è Galberto, « bastava ciò soltanto a infiammare il
loro zelo » . I guerrieri quindi deprederanno tutto, ciascuno per
sé, o meglio ciascun gruppo per sé. È un groviglio di interessi
disonesti, un accanito arraffare - tranne quando, di tanto m tan­
to, chi dirige la guerra tenta, senza gran successo, di ripartire
in parti eguali le spoglie. Qualunque azione di grande portata
rischia ogni momento di essere interrotta dalle ruberie, dall'ir­
resistibile tentazione di non lasciar prendere dagli altri alcun­
ché. A Bruges gli omicidi poterono rifugiarsi nella chiesa e bar­
ricarvisi perché i loro inseguitori, nel momento decisivo, abba­
gliati dalle prede gfferte ai loro occhi , avevano smesso di rincor­
rerli: « essi erano tutti volti al bottino e al saccheggio, rovista­
vano qua, e là, dalla casa del conte a quella del prevosto, dal dor­
mitorio al chiostro dei canonici . . . sperando di impadronirsi del
tesoro del conte e del mobilio delle case situate entro la cinta
del castello . Portarono via dalla casa del conte parecchi materas­
si, tappezzerie, tele, coppe, paioli, catene, sbarre di ferro, legac­
ci, corde di minugia, gogne, bracciali, tutti gli strumenti di fer­
ro usati nelle prigioni, la porta di ferro del tesoro del conte, le
condutture di piombo nelle quali scorreva l'acqua dei tetti. Essi
rubarono ogni cosa, persuasi di poterlo fare senza commettere
un delitto. Nella casa del prevOsto presero i letti, i cassoni, le
panche, gli abiti, le coppe e tutto l'arredamento . Non dirò del­
l'immensa quantità di carne, di grano, di vino e di birra che sac-
La guerra I3I

cheggiarono nella cantina del conte, del prevosto e dei canonici.


Nel dormitorio dei canonici, pieno di vesti costosissime, fecero
tale bottino che, per portarlo via, non cessarono di andare avan­
ti e indietro da quando entrarono nel castello fino a notte » . Pre­
de meno irrisorie di quanto sembri, poiché si trattava di un
mondo misero, attanagliato dalla fame o dalla paura della fame,
e il metallo e i tessuti erano cose rare, e le monete d'argento ve­
nivano astutamente nascoste. In una penuria universale tutto
serve da preda : la guerra fa il vuoto e caccia i contadini nei bo­
schi e nelle paludi o dietro le mura delle città. Ciò che vi è di
piu sacro pare l'asilo migliore. Ci si precipita nelle chiese. Una
di esse ospitò parecchi giorni gli assassini di Carlo il Buono. Se
ne vedono certune, appena si avvicina il nemico, ingombre di
ceste e di sacchi, di tutti gli arnesi degli sgomenti contadini, tra­
sformate in « magazzini del pop�lo privo di una giusta difesa » .
Nel pieno della caccia accade che grappoli d i miserabili, sfiniti,
si aggrappino alle croci dei crocevia: allora sono praticamente
salvi, se chi li insegue non sono avventurieri, ma guerrieri timo­
rari di Dio. In guerra, però, la miglior preda è, come nel torneo,
il cavaliere del campo avverso.
Bisogna impadronirsene, e perciò disarcionarlo prima che ab­
bia potuto raggiungere uno di quei castelli, grandi o piccoli, che
sono altrettanti rifugi. Si tenta con la lancia, ma questa è presto
spezzata. Piu efficaci i ferri uncinati che sono maneggiati dai
fanti e servono a tirare l'uomo giu dal cavallo. Ma questi posso­
no agire soltanto se l'avversario è accerchiato. Il nemico è inse­
guito come un cervo dalla muta, ma si bada a non ucciderlo per­
ché vale molto solo se vivo. In guerra raramente ci si uccide fra
cavalieri, meno forse che nell'impeto dei tornei, che sono giochi
in cui la passione fa perdere qualsiasi controllo . In guerra la
morte è un funesto incidente. E per piu di un motivo : in primo
luogo perché inasprisce gli odi fra i due partiti e aggrava i moti­
vi delle contese . Un giorno, in Normandia, tredici cavalieri ne
ieseguivano un altro; « facevano il possibile per prenderlo vi­
vo » , ma nella furia il fuggiasco fu disgraziatamente raggiunto
da un colpo di lancia: «con gran rammarico di quelli che l'ave-
r32 Commento

vano ferito, il coraggioso cavaliere peri il giorno stesso » . Il po­


tente signore i n nome del quale s'era fatto l'inseguimento senti
perfettamente che « i suoi uomini avevano commesso un grave
crimine, e che tale uccisione avrebbe attirato gravi calamità sul­
la sua terra » . Egli « soffocò sul nascere i rancori » , concludendo
in gran fretta la pace con i nipoti della vittima « per paura che,
dalle radici di una cattiva azione, nascessero molti disordini
che, risorgendo ininterrottamente da quella specie di pestilenza,
causassero ogni giorno fatti ancora piu riprovevoli » . Tale è la
guerra del XII secolo . Nessuno pensa che uccidere sia qui piu le­
cito che in pace, né che le conseguenze ne siano minori : il che
spiega l'estrema rarità di queste sciagure fortuite. Dopo l'as.sas­
sinio del conte Carlo nel I r 2 7 per pili di un anno la guerra in­
fieri in tutta la contea di Fiandra, e piu di mille cavalieri si af­
frontarono. Galberto di Bruges ne dà una relazione estremamen­
te minuziosa, una serie di appunti presi giorno per giorno ; egli
si trovava al centro dei fatti, era lucidissimo e sapeva contare.
Egli in tutto e per tutto accerta sette morti. Due non erano ca­
valieri, l 'uno fu ucciso da una freccia, l'altro dal coperchio di un
cofano che gli cadde addosso mentre stava saccheggiando . Dei
cinque combattenti nobili uno solo mori colpito da un avversa­
rio, durante un inseguimento . La morte degli altri quattro so­
pravvenne per incidenti vari : una brutta caduta da cavallo, un
passo falso scalando un muro, lo sprofondamento di un soffitto,
un'eccessiva foga soffiando nel corno, per cui si riaperse una vec­
chia ferita. Nel momento cruciale dello scontro, nell 'assalto :fina­
le della collegiata di Bruges, che Galberto vide con i propri oc­
chi « per speciale grazia di Dio, della gran moltitudine che vi en­
trò, nessuno peri » . Allorché l'autore del racconto impiega la pa­
rola « carneficina » aggiunge : « non saprei dire il gran numero di
uomini che furono colpiti e feriti » . Non dice « Uccisi » . Il tiro
degli arcieri mercenari incute timore non perché uccide, ma per­
ché ferisce gravemente i fanti che sono mal equipaggiati : « in
quanto a coloro che portavano un'armatura, immuni da ferite,
ma non da contusioni, fuggivano spaventati » . Anche se difesa
dalle migliori armature la cavalleria si comporta con prudenza,
La guerra I3 3

e al momento buono scappa. Dalla guerra la cavalleria ritorna


coperta di piaghe, e soprattutto di bernoccoli, ma ritorna .
La guerra è una caccia, condotta da uomini esperti, padroni
di sé, validamente protetti, che non sognano di sterminare i pro­
pri nemici, se sono cristiani, ma soltanto di catturarli. Per farne
oggetto di riscatto . Ancora una volta, per guadagnare. La spedi­
zione è ben riuscita? Si è portata via qualche preda ? Talvolta i
prigionieri, perché si affrettino a trovare i denari del riscatto,
vengono rinchiusi in una « mal a prigione » . Guglielmo di Bre­
teuil rimase rinchiuso tre mesi, e d'inverno i suoi guardiani lo
esponevano al vento del nord con indosso solo una camicia umi­
da. Ma è un modo ben vill ano, cotesto, di trattare i cavalieri, è
un modo che disonora. A Chinon Giovanni Senzaterra « teneva
cosi male i suoi prigionieri che quelli che eran con lui ne ebbero
vergogna » . Un buon principe, sull'esempio del re Guglielmo il
Rosso « fa togliere loro le catene, ordina di dar loro abbondante
cibo, fuori della prigione con la sua gente, nel cortile interno : e
dopo il pasto li lascia liberi sulla parola » . Come la sera di un
torneo . E se i suoi gli insinuano il timore che i prigionieri pos­
sono evadere si irrita e li rampogna : « Lungi da me l'idea che un
buon cavaliere violi la parola data, se lo facesse sarebbe degno
di disprezzo, come un uomo senza legge » . La cavalleria è effet­
tivamente una buona brigata, in cui si rispettano le convenien­
ze. Almeno quando la spedizione è finita, quando ognuno è si ­
curo delle sue prede e sono state pagate tutte le cauzioni. Nes­
suno vuoi rinunciare neppure a uno dei benefici .
Una tale preoccupazione abbrevia tutte le cavalcate. In ban­
de, riuniti in compatte formazioni, dietro uno stendardo, e quan­
do il capo dell'impresa detiene un certo potere, in una gran riu­
nione di bandiere e di squadre, i cavalieri penetrano nell'area
della caccia, invadono il territorio di quel signore che bisogna,
Vien loro detto, costringere alla pace. Avanzano risoluti, armati
alla leggera, su cavalli . di truppa, preceduti da esploratori, che
scovano le prede e le incalzano . Tali cacciatori, conoscendo il
terreno meglio di quanto si potrebbe immaginare, perché non
rimangono mai a lungo a casa e sono sempre in cammino in tut-
I 34 Commento

ti i luoghi, sanno orientarsi e serbano l'esatto ricordo dei rami


spezzati dai cacciatori e delle piste. Conoscono i migliori itinera­
ri, scelgono le vie giuste, le vecchie strade romane tenute alla
meno peggio e che al ritorno saranno percorse dai carri carichi
di bottino. Ogni cavaliere in armi è seguito dal destriero che in­
forcherà fresco all'ultimo momento, per attaccare, inseguire, o
per fuggire piu in fretta, e da un ragazzo che lo aiuterà a indos­
sare la parte piu pesante dell'armatura, e da un cavallo da soma
carico di bagagli. I fanti marciano in disparte, nella polvere. L'a­
vanzata è un continuo agguato. Si saccheggiano, si distruggono,
passando, i miseri beni dei contadini. Si cerca il nemico, se ne
seguono le tracce; se non è in forze si nasconde, tende delle. in­
sidie; è necessario sorprenderlo, braccarlo, assalirlo e in un cor­
po a corpo tentare pi� che si può di catturarlo. Avanzata pru­
dente, e piu è fruttuosa piu il bottino diventa prezioso e abbon­
dante. Nessuno rischia con leggerezza ciò che già possiede. La
guerra non è un torneo : è un affare. Nulla viene messo in gioco
per la gloria. Ciascuno sta attento a non eccedere e, quando la
razzia è stata buona, ha soprattutto fretta di tornare a casa.
Quando la selvaggina diventa piu rara, o si fa piu riluttante e
pericolosa per i cacciatori, questi senza vergogna fanno marcia
indietro: ritornano per la via piu breve, evitando ogni ostacolo,
per le strade piu sicure e con i carri pieni zeppi, con le orde dei
cavalli rubati e dei prigionieri. Tale, alla vigilia di Bouvines, la
condotta di Filippo Augusto : simile a quella in ogni estate ---'
-

di tutti i re suoi antenati . Egli è partìto per devastare, ancora


una volta, « regalmente » , la signoria di un vassallo fellone. Sa
che l'avversario è forte, circondato da alleati, pronto all'attacco.
Né lui né i suoi baroni intendono correre troppi rischi. Appena
si sentono in una situazione pericolosa, da uomini prudenti qua­
li sono, decidono la ritirata. Il mattino del 2 7 luglio, prestissi­
mo, in mezzo alla rugiada, svuotata Tournai, l'esercito ripara
dietro alle paludi della Marcq : prima che il sole sorga e riscaldi
le armature. Ma in ordine. L'armata del re di Francia, a lungo
malmenata dagli uomini di Riccardo Cuor di Leone, resa « mol­
to saggia », ormai è abituata a tali ripiegamenti, in ranghi ser-
La guerra 1 35

rati, in « battaglioni » . Sono state messe davanti le cose piu pe­


santi e piu preziose: i carri con l'orifiamma e, attorno, i fanti
dei comuni . Un saldo corpo di guerrieri viene collocato alla re­
troguardia per fronteggiare ogni · sorpresa: da lontano, osserva­
tori armati alla leggera sorvegliano i movimenti della truppa
neffilca.
Quest 'ultima vuoi coglier l'occasione: nella ritirata le bande
armate sono piu vulnerabili . A sua volta comincia la caccia, per
carpire quanto potrà, stringere dappresso l 'avversario, seguirlo,
stargli alle calcagna sin nelle terre capetinge, vendicarsi deva­
standole e contemporaneamente risarcirsi, per tornare indietro
poi nello stesso modo, carica dei frutti della sua rapina . Ma,
chissà ? All'imperatore e ai conti viene detto che i Francesi han­
no paura - ed è vero .:... che si ritirano in disordine - ed è falso.
Non è ancora il momento di farla :finita, di meritare veramente
il denaro che elargi�ce il re Giovanni ? La morale del buon com­
battente assoldato, che ritiene un disonore servir male chi lo pa­
ga bene, a questo punto dice la sua per bocca di Ugo di Boves ,
l'u.ffì ciale pagatore; invece, nel consiglio presieduto da Ottone,
Rinaldo di Dammartin parla di prudenza, da quell'esperto cac­
ciatore che è, consapevole che la gehte dell'Ile-de-France - e ce
n'è !
- non fugge né. si sbanda nella ritirata. E nondimeno la ten­
tazione di ingenti guadagni, la fiamma dei vecchi rancori, l'ag­
gressività di un paese contro l'altro, dei Fiamminghi contro
quelli dell'Artois e della Piccardia, si rivelano gli elementi piu
forti, cedono il passo alla temerarietà. Viene deciso che quella
domenica si rischierà il tutto per tutto. L'imperatore e i suoi al­
leati hanno scelto la battaglia.
La battaglia

La battaglia non è la gu.erra. Oserei persino dire che è il suo


contrario : la battaglia è una procedura di pace. La werra era
un'avventurà stagionale, un'impresa di saccheggi, ttna specif.: di
regolare e ardita razzia; era condotta alla maniera contadinesca;
per prudenza, si trovava un pretesto qualsiasi per provocarla c
si collocava naturalmente in una civiltà di cacciatori, entro a
quel tessuto di sempre risorgenti litigi che mettevano senza :fine
in contrasto potenze rivali e egualmente ingorde. In tali inces­
santi contese la guerra era un argomento come un altro, e veni­
va adoperata come, in altri momenti, ci si serviva dei matrimo­
ni, di scambio di donne tra lignaggi in contrasto : cosi sul :filo
del conflitto che per tanto tempo spinse l'uno contro l'altro Fi­
lippo Augusto e Rinaldo di Dammartin si vedono i litigi alter­
narsi ai banchetti di fidanzamento . Molestie, scoppi di collera
eran motivi bastanti : la guerra era una bravata, un colpo bru­
scamente lanciato nella speranza di indebolire una resistenza e
di ghermire qualche cosa, di procurarsi una garanzia. Appariva
soltanto come preludio a incontri meno violenti in cui gli anta­
gonisti, deposte le armi, circondati da parenti e clienti, sarebbe­
ro andati a parlare, a gridare, a bestemmiare, a mercanteggiare,
a sottoporre la causa all'arbitrato, a permettere a questo o a
quello, di fare qualche piccola concessione, tenersi il meglio,
pretendere di piu, e alla fine abbracciarsi, mangiare e bere insie­
me, assistere a funzioni religiose, e accantonare, per un momen­
to, odi sempre pronti a risorgere. La guerra si espandeva attra­
verso gli interstizi di una rete di continue discussioni di cui
-

era sempre preparazione o conseguenza - il che spiega anche la


La battaglia 137

preoccupazione di non uccidere. Perché la guerra non sistemava


mai niente. Erano le parole quelle che regolavano lo scambio di
giuramenti dopo la sentenza. Le spedizioni a scopo di saccheg­
gio erano soltanto degli spintoni che per qualche tempo inter­
rompevano i « parlamenti » . Invece la battaglia, il proelium, si
instaurava proprio nel mezzo di una pacifica deliberazione . Met­
te improvvisamente tutto in discussione . È una faccenda di vec­
chi, di seniores, di sovrani, un affare serio, che procede con una
certa calma, nel seno di un processo, una ordalia, quali vengono
organizzate davanti ai tribunali di allora, una prova, un ricorso
es tremo al giudizio di Dio. È sua funzione forzare il cielo a di­
chiararsi, a manifestare i suoi disegni, a mostrare, una volta per
tutte e in maniera clamorosa, incontestabile , da che parte sta il
diritto . Come l'oracolo, la battaglia appartiene alla sfera del
sacro.
È un duello . Le assemblee giudiziarie utilizzavano comune­
mente questa procedura quando la causa era oscura e sembrava
che i dibattiti non dovessero approdare a nulla. In un campo
chiuso, delimitato dal cerchio degli astanti, i due avversari arri­
vavano dunque in armi, dapprima a cavallo, in seguito a piedi,
essendo le cavalcature ormai fuori uso, si battevano con la spa­
da, poi in un corpo a corpo, senza scudo, martellandosi di pugni
la faccia, cercando di assestare colpi diretti al basso ventre, sin
quando l'uno dei due si dichiarava vinto. Egli era condannato :
Dio aveva combattuto al fianco del vincitore, aveva emesso il
suo verdetto. Talvolta ciò poteva sorprendere - e a partire dal­
l 'inizio del XII secolo , nel progressivo maturare dello spirito lo­
gico, alc1111i cominciano a porsi dom�nde sul valore di simili pro­
ve. « Non attraverso i risultati, ma attraverso i sentimenti del
cuore » , scrive san Bernardo, stranamente d' accordo con Abelar­
do e con il suo sforzo per dis tinguere l'intenzione dall 'atto, « un
cristiano giudica il pericolo corso in guerra e la vittoria che vi ri­
porta. Poiché se la causa ch'egli difende è buona l'esito della
guerra, qualunque esso sia, non potrebbe essere cattivo. Nello
stesso modo, in fin dei conti, la vittoria non potrebbe essere
buona se la causa della guerra non lo fosse, e l'intenzione di
138 Commento

quelli che la fanno non fosse retta» . Queste riserve non limita­
rono però l'uso delle tenzoni singolari . I piu grandi principi non
esitavano a proporlo a quanti contestavano la loro autorità, co­
me ultimo espediente, per tagliar corto . Cosi fece il conte di
Fiandra, Guglielmo Cliton, rispondendo al messaggero del suo
vero competitore, la cavalleria del paese. Disse : «Voglio, si,
mettermi alla pari con te e senza indugio provare contro di te,
combat tendo, che ho sin qui retto la contea con abilità e giusti­
zia » . E cosi fece Hélie, conte del Maine, allora crociato, propo­
nendo un duello, in nome del Cristo, a Guglielmo il Rosso che
tentava di sottrargli l'eredità. E nel « parlamento » di Gisors,
nel r r � 8 , quando l'orgoglio impediva a Enrico II e a Filippo
Augusto di giungere alla pace, ecco l'idea di un barone : perché
non eleggere quattro cavalieri da entrambe le parti
per difendere e cimentarsi
e chi vincerà, avrà tutto?

Quando la guerra si trascina a lungo e non si intravvede alcu­


na speranza di ottenere un'efficace sentenza è quindi naturale
che si pensi alla prova del duello. Soprattutto quando la que­
stione è importante e l'oggetto del litigio è un complesso di di­
ritti sovrani. Ma se accettano di ricorrere a tale procedura, di so­
lito i principi esitano a misurarsi da solo a solo. Preferiscono
condurre con sé gli amici, tutte le loro forze. Smisuratamente al­
largato, il duello diventa allora battaglia, ma la sua natura non
cambia. I re vi compaiono, affiancati da pedine, cavalieri, torri,
come negli scacchi, e l'esito della partita dipende veramente dal
movimento di tutti questi pezzi . Tuttavia tale movimento ha un
solo scopo : dare scacco matto a uno dei due re. E prosegue fin­
ché tale obbiettivo non sia raggiunto. Ma con quest'ultimo col­
po essa si conclude, irrimediabilrnente. Cosi accade a Bouvines.
Da che parte sta il diritto ? Dalla parte del papa, vale a dire di
Filippo Augusto? Di colui che ha lanciato le scomuniche, che ha
diseredato Giovanni Senzaterra ? Oppure dall'altra parte? Lo
dirà Dio. Allora tutto penderà da un solo lato. Scegliere la bat­
taglia significa correre il rischio di venire completamente spo-
La battaglia 1 39

gliati . Forse uccisi : presente in campo chiuso, nel duello giudi­


ziario, l'intento di morte lo è anche nel campo di battaglia, ma è
diretto solamente contro uno dei combattenti, contro il capo av�
versario ; lo si vede chiaramente negli arazzi di Bayeux : è Aral­
do colui che i compagni del duca Guglielmo si accaniscono a in­
seguire, e che deve soccombere. Perché la collera divina, che in­
tende far esplodere la battaglia, è folgorante, penetra nelle piu
profonde radici del conflitto per svellerle, per sedare la lite arri­
verà, se necessario, al punto di sopprimere uno dei contendenti .
Ciò spiega le voci che l'indomani di Bouvines si propagarono e
ampliarono e furono raccolte dai cronisti. Filippo Augusto fu­ -

rono molte le chiacchiere - avrebbe promesso a Ottone la ricca


città di Orléans; i coalizzati si sarebbero già spartiti il reame
- cosa possibile ; avrebbero giurato di uccidere il re, cosa assai
verosimile. La differenza tra la battaglia e le prudenti scaramuc­
ce della .guerra sta in tale ricerca dell'assoluto, che fa penetrare
in un'altra sfera : quella della gravità e di una sacra funzione del
destino : campo in cui nessuno si avventura senza fremere.
Ecco perché le battaglie sono cosi rare. Folco le Réchin, con­
te d'Angiò, narrò alla :fine dell'xi secolo ciò che sapeva dei suoi
antenati e delle loro prodezze. Nel corso di quattro generazioni
furono combattute da quei grandissimi signori soltanto sei bat­
taglie. Goffredo Grisegonelle, morto nel 9 8 7 , vinse in una di es­
se il conte di Poitiers ; Folco Nerra, morto nel 1 040, uccise nel­
la seconda il conte dei Bretoni, e nella terza sconfisse il conte di
Blois ; l'eroe delle due successive battaglie è Goffredo Martel,
che catturò il conte di Le Mans e poi anche il conte di Poitiers ; lo
stesso Folco le Réchin vinse « in battaglia» e catturò il fratello,
il che gli valse il possesso incontestato dell'onore comitale. Co­
me si vede, tali combattimenti si concludono con la morte del­
l'avversario o con la sua cattura o con la sua disfatta. Mettono
di fronte uomini del medesiÌno rango, dei pari, un conte contro
un altro conte, un re contro un altro re, e la posta della compe­
tizione è sempre il dominio sovrano di un principato. Si parla
delle battaglie come di imprese lodevoli , che accrescono la glo­
ria di una dinastia, e senza le reticenze che si hanno nei confron-
1 40 Commento

ti della guerra. Infatti la guerra può essere dannosa; quella con­


dotta da Goffredo Martel contro il padre generò « molteplici
mali, di cui egli dovette in seguito pentirsi amaramente » ; la
battaglia non è mai dannosa, anzi è come un rimedio offerto al­
la guerra allorché si inasprisce. È un rimedio radicale che imme­
diatamente guarisce il popolo: la guerra dello stesso Goffredo
contro Tebaldo di Blois « si aggravò talmente che essi si diedero
battaglia», dopo di che tutto fu regolato. Sul suolo della Fian­
dra durante un secolo e mezzo vi furono solamente tre batta­
glie : a Cassel nel 1 07 1 , ad Axpoel nel 1 1 2 8 , e da ultimo a Bou­
vines . Sul letto di morte Guglielmo il Conquistatore dà consigli
« sulla osservanza della fede e della giustizia, sul rispetto della
legge di Dio e della pace » . Egli fa il racconto della propria vita.
« Sin dall'infanzia, - dice, - fui allevato nel mestiere delle armi,
e mi sono macchiato eli grandi spargimenti di sangue » . Prima a
Val-des-Dunes, poi a Hastings, diede battaglia e vinse con l 'aiu­
to di Dio. Due battaglie, non di piu. Combatté pure le genti del
re di Francia, ma questi non era presente: nessun duello, dun­
que, e nessun combattimento. Prima di Bouvines, i Capetingi
non diedero mai battaglia, salvo una volta, a Brémule, contro un
altro re, Enrico d'Inghilterra ; Luigi VI vi fu battuto, e dopo di
lui i successori non vollero piu correre quel rischio. Di conse­
guenza solo poche date si hanno sulla fitta trama dell'incessante
guerra feudale. Ma date che contano, date di avvenimenti deci­
sivi, e soprattutto avvolti da un'aura soprannaturale, poiché so­
no la manifestazione della volontà di Dio.
Iniziata nella sacralità, la battaglia si svolge come una litur­
gia. Come l'ordalia, il duello giudiziario, essa richiede il proprio
« campo ». Donde la specifica espressione con cui la si designa:
proelium campestre, «battaglia campale », nella traauzione delle
canzoni di gesta. Su di un campus si affrontano dei « campioni » ,
dei quali l'uno deve perire o fuggire nella vergogna o chiedere
grazia . Qui, né sorprese né imboscate, ma una lunga preparazio­
ne rituale, quale si conviene quando ci si avvicina a un sacra­
mento . I due avversari stanno per presentarsi al tribunale del
Signore. Per prima cosa debbono pregare, proclamare di fronte
La battaglia 141

all'Eterno la loro retta intenzione e promettere di riscattare le


colpe passate. Nel r r o 6 sul campo di Tinchebray Enrico, figlio
del Conquistatore, si prepara; di fronte a lui il &atella Roberto
Courteheuse : il ducato di Normandia, il regno d 'Inghilterra co­
stituiscono la posta. Enrico pronuncia la sua orazione giustifì­
catrice e propiziatoria, è un 'arringa in difesa di se stesso : « Va­
do a combattere solo per soccorrere il mio popolo desolato ; dal
profondo del cuore imploro il creatore di tutte le cose che, nella
battaglia odierna, conceda la vittoria a colui che ha scelto per
procurare al suo popolo protezione e quiete » ; segue l'impegno
di riparare la piu grave colpa commessa contro la pace di Dio, di
riedi:6.care una chiesa bruciata durante la guerra di cui la batta­
glia è la conclusione, e di liberare tutti coloro che furono cattu­
rati in quel santuario . Purificazione, santificazione preliminari,
cui si associano tutti i cavalieri che accompagnano il campione .
Ad Axpoel la mattina del 20 giugno r 1 2 8 , prima di affrontare
Thierry d'Alsazia che gli contende la contea di Fiandra, Guglie!-·
mo Cliton, deciso a « morire piuttosto che subire si grande ob­
brobrim> , si è recato dall'abate di Oudenberg a confessare reli­
giosamente i propri peccati, riceverne l'assoluzione, e a promet­
tere solennemente di essere da quel momento in poi leale pro­
tettore delle chiese e dei poveri ; vale a dire di adempiere nel
modo migliore la sua funzione di principe. Tutta la cavalleria è
quindi invitata ad assumere analoghi impegni, cioè a rinnovare i
giuramenti di pace. Poi tutti i cavalieri indossano l'abito peni­
tenziale, si tagliano i lunghi capelli , che i concili avevano colpi­
to da anatema come evidenti segni di depravazione : « abbando­
nano gli abiti consueti, non tengono altro che la camicia e l 'u­
sbergo » . Avanzano ad bellum come in processione « umilmente
votati a Dio e animati dal piu ardente zelo » . Con lo stesso atteg­
giamento dei pellegrini della pace e con modi e costumi da cro­
ciata : sostenuti da lontano dai vescovi che hanno scomunicato
quelli di fronte. Lo si vede chiaramente : sin nei gesti con cui
viene inaugurata si vuole che la battaglia sia cerimonia di pace.
A questi riti penitenziali si aggiungono dichiarazioni di prin­
cipio, arringhe dei capi alle loro truppe per rialzarne ancora di
142 Commento

piu il morale. Trattano tutte il medesimo tema. A quello del


Conquistatore sul campo di Hastings fa direttamente eco il di­
scorso pronunziato a Lincoln nel I 2 I 7, non dal re Enrico III,
allora bambino, ma dal capo che là ne teneva il posto e parlava
in suo nome, Guglielmo il Maresciallo. Se moriamo, fu detto ai
guerrieri della buona causa ai quali si prometteva la vittoria,
Dio ci accoglierà nel suo Paradiso ; se siamo vincitori , sarà la
gloria per noi e per il nostro lignaggio, i nemici andranno all'in­
ferno, il cielo li ha posti in nostro potere. Noi stiamo per batter­
ci per difenderci, per conquistare il grande onore, per proteg­
gere la santa Chiesa indegnamente attaccata dall'avversario, per
il perdono dei nostri peccati ( difatti la battaglia è come una
crociata per coloro che Dio incorona e acquista indulgenze ) e in­
fine per vendicarci di coloro che sono venuti a spogliarci. Spun­
ta qui un tono piu profano, un appello alla gloria, all'onore, ai
valori essenziali dell'etica cavalleresca, ma in vibrato leggero, su
di un tema che è tutto una proclamazione di giustizia e un rife­
rimento alla tuitio, all'ultio, al combattimento a fin di bene giu­
stificato dalle empie violenze che provengono ttitte dal campo
avverso, quello degli scomunicati, dei violatori della pace di­
vma.
In tal modo purificate, riconfortate, le . truppe vengono schie­
rate in un ordine rituale, che è sempre trinitario . Da una parte e
dall'altra tre corpi, tre « battaglioni », e ciascuno dei duellanti si
colloca in mezzo alla formazione centrale. Segue un lungo silen­
zio, durante il quale la felicità distende lentamente sulle due ar­
mate, assolte, benedette, sicure di se stesse, su tutti i cavalieri
muti, tesi, felici perché diventeranno altrettanti san Giorgio. I
corni dànno il segnale dell'inizio. La competizione comincia e
consiste tutta nel far si che i due campioni riescano ad avvici­
narsi, a raggiungersi. Tutti i movimenti della mischia avvengo­
no intorno al punto centrale, punto che essi circoscrivono, cer­
cano di delimitare, il cuore stesso del campo donde deve scatu­
rire la luce, allorché i due avversari riusciranno a colpirsi a vi�
cenda. A dire il vero, ciascuno di loro rimane invischiato nel
proprio compattissimo gruppo e, per quanto violento sia il suo
La battaglia 143

odio, fa una gran fatica a liberarsi da quel viluppo. Le botte che


riceve non gli vengono dall'altro duellante, ma dai servi che ne
facilitano l'avanzata o ne proteggono i ripiegamenti. Poiché per
colpire o afferrare chi è venuto ad affrontare ciascuno dei due
avversari non si vale delle sue mani, ma di quelle di altri, dei ca­
valieri della sua casa. Ci si domanda se queste mani . ausiliarie
non siano sacrileghe allorché colpiscono il corpo di un re . A
Brémule un accompagnatore di Luigi VI tentò di catturare En­
rico I, « che vivamente odiava » , lo colpi sull'elmo per ammaz­
zarlo : mancò poco non fosse fatto a pezzi, poiché « era impresa
criminale alzare la mano per colpire con la spada una testa che
era stata unta col sacro crisma da un vescovo nell'esercizio del
suo ministero » . Per la verità sono rare le battaglie dove i due
competitori riescono a vedersi da vicino, e piu rare ancora quel­
le in cui riescono a toccarsi. In genere uno dei due fugge prima,
non appena appare chiara la scelta fatta da Dio. La normale con­
clusione - proprio come nel torneo - è una disfatta. Perché la
fuga di uno dei campioni provoca immediatamente lo sbanda­
mento del corpo centrale, chiave di volta di tutto il dispositivo
militare. Cosi si comportò a Brémule Luigi VI. Enrico I non
riusd a riacciuffarlo, e dovette accontentarsi dello stendardo re­
gio, che acquistò per venti marchi d'argento dal fante che se ne
era impadronito, e conservò « come segno della vittoria conces­
sagli da Dio » . Ma il nemico dal momento che se la s-vigna diven­
ta subito selvaggina da catturare viva. In realtà la minaccia di
morte pesa sempre su una persona sola, il capo. In battaglia, co­
me in guerra, non si cerca mai di uccidere. A Brémule si batte­
rono novecento cavalieri ; « ho scoperto, - riporta Orderico Vita­
le, - che gli uccisi sono stati soltanto tre; poiché erano ricoperti
di ferro e si risparmiavano reciprocamente, sia per timor di Dio
sia a causa della fraternità d'armi; essi cercavano di catturare i
fuggiaschi piuttosto che ucciderli . È vero che, pur essendo cri­
stiani, questi cavalieri non erano turbati dal sangue dei fratelli,
e si rallegravano, in un sincero trionfo concesso da Dio medesi­
mo, di combattere per l'utilità della santa Chiesa e per la pace
dei fedeli » . La battaglia, ripeto, è operazione di giustizia. Tra
I44 . Commento

cristiani non prende mai la forma di una lotta di sterminio . Co­


me in un processo, non si cerca di distruggersi : è un dibattito
che una sentenza conclude .
Occorre inoltre che, come al processo, la sentenza sia accetta­
ta dal contendente condannato. Nel suo campo c'è stupore, de­
lusione, perché anche lui è venuto, con tutti i suoi, sicuro del
suo diritto. Precisamente per questo motivo è stata ingaggiata la
battaglia, perché nessuna convinzione riusciva a dominare : ogni
causa pareva giusta quanto l'altra, e illegittimi gli anatemi venu­
ti dall'altra sponda . Da ciascuna parte erano state innalzate al
cielo, e con uguale fiducia, le medesime preghiere : pertanto il
giudizio di Dio getta i vinti nello sgomento . Che cosa hanno f�t­
to per meritarsi il castigo? Non è proprio possibile un nuovo ri­
corso ? Un nuovo tentativo per rientrare in grazia ? « Avendo sa­
puto che, prima della battaglia di Axpoel, il conte Guglielmo si
era umilmente sottomesso a Dio, che era ricorso al rimedio del­
la penitenza, che con tutti i suoi si era tagliato i capelli e si era
spogliato degli abiti superflui », gli avversari da lui sconfitti de­
cisero di fare la stessa cosa, di radersi e di strapparsi i vestiti ; i
loro preti predicarono a loro volta un digiuno generale, portaro­
no qua e là in processione croci e reliquie, giunsero persino a
scomunicare i vincitori . Quegli ostinati avevano torto : la prova
era già stata prodotta. Continuare in altro modo il combatti­
mento, scambiandosi degli anatemi che, secondo le parole di
Galberto di Bruges, « giostravano tra loro », trasferire cosi la
battaglia nel regno dell'invisibile era cosa ridicola, anzi sacrile­
ga, Una tale caparbietà avrebbe irritato il cielo, preparato nuo­
ve sciagure. « Le croci e le processioni guidate dai chierici di
chiesa in chiesa rion potevano che provocare l'ira di Dio, e non
certo conciliarselo . Dimostravano infatti un ostinarsi dell'anima
nel male, e si levavano contro una potenza che Dio stesso aveva
manifestato » . Infatti il buon cristiano deve inchinarsi. Ogni
battaglia è decisiva. È uno sprazzo di luce che disperde le tene­
bre, apre gli occhi, pone termine a qualsiasi esitazione; è una
sentenza che cade dall'alto senza appello . Essa riporta l'ordine,
e per lunghissimo tempo, segna la :fine di un'era, l'alba di un'era
La battaglia 145

nuova. Quando sul campo scende la notte tutti sanno che la


prossima alba sarà quella di una nuova primavera del mondo :
di un universo pacificato . Quello dell'indomani di Tinch�bray :
« l due fratelli combatterono una sola volta l'uno contro l'altro,
affinché cessassero ormai le discordie che tutti i giorni inebria­
vano la terra di sangue. Grazie a un giusto giudizio di Dio stes­
so, la vittoria fu concessa all 'amico della pace e della giustizia, e
i suoi avversari furono spazzati via » .
Bouvines fu una di quelle cerimonie eccezionali i cui riti era­
no da lungo tempo stabiliti . Tutto vi si svolse secondo le regole.
All'inizio della mattina ci si trovava ancora in guerra, tra le pe­
ripezie di una caccia. La guidava l'armata di Ottone. Gli esplo­
ratori, il visconte di Melun, frate Guerrino l'avevano avvistata
da lontano, mentre avanzava · in fo:hnazione di combattimento .
Se si deve credere all'Anonimo di Béthune, il cronista di Mar­
chiennes, l'autore della vita di sant 'Odilia, quelle truppe sem­
bravano tuttavia già trasportate dalla cupidigia: si avventavano
« come una muta di cani arrabbiati dietro a una preda» e nella
fretta, diventate meno compatte, tendevano a sbandarsi. Vole­
vano forse già la battaglia? La prova decisiva che, di colpo,
avrebbe permesso di arrivare alla fine, di « ridurre a nulla la di­
gnità regia » , come si erano ripromessi i coalizzati « nel loro in­
saziabile odio » ? Cosi farebbe pensare la Relatio Marchianensis.
Non dice forse che i nemici di Filippo Augusto si erano già pre­
parati all'ordalia·, si erano già consacrati; che essi avevano già
applicato « sul davanti e sul dorso della cotta d'arme dei piccoli
segni di croce » , allo scopo di apparire come una coorte di pace,
penitente ed esecutrice della vendetta di Dio, allo scopo di atti­
rare su di sé il favore delle potenze sovrannaturali ? Si erano tra­
vestiti da crociati . Ma forse quello non era altro che un segno di
riconoscimento, o una precauzione ; forse non pensavano ad al­
trò (come nelle alterne fasi della guerra) che ad approfittare del­
la ritirata dell 'avversario in un paese impervio per arraffare
quanto piu possibile al seguito della carovana regia. Messo sul­
l'avviso, Filippo si ferma, riunisce il consiglio. Come è dovero­
so: nessun principe, in quell'epoca, prende da solo decisioni di
qualche importanza, da cui dipende la propria potenza, perché
essa è anche quella di tutti i suoi amici. È bene che questi, l'uno
dopo l'altro, esprimano la propria opinione, stabiliscano insie­
me i termini della « decisione» che infine sarà proclamata dal ca­
po, e che vincolerà tutti. Secondo la Flandria generosa Filippo
avrebbe proposto di non impegnarsi, di non correre rischi quel­
la mattina: il nemico pareva superiore di numero e, soprattutto,
era domenica, giorno in cui i cristiani non devono combattere.
Alcurii sarebbero stati di parere contrario. Filippo di Courtenay
che, stretto parente del re, fu uno dei primi a parlare, avrebbe
ammesso che è male �pargere sangue umano in un giorno consa­
crato; non è vero, però, che . colui che non prende l'iniziativa
dell'aggressione, che soltanto si difende contro un attacco, com­
mette un peccato minore: ma, d'altra parte, non resistere al mo­
mento giusto significa accettare la disfatta, ovvero agire sciocca­
mente . Tuttavia il duca di Borgogna avrebbe consigliato di evi­
tare la preparazione solenne della competizione : non c'è batta­
glia se i due competitori non si trovano faccia a faccia ; Filippo
si affidi ai suoi baroni e ai suoi cavalieri per far fronte a un im­
pegno che, non essendo un duello, non varrebbe mai, qualun­
que ne sia l'esito, come una ordalia decisiva. L'incontro non sa­
rebbe, in tal caso, che una fase della guerra . Vi si lascerebbe,
senza dubbio, qualche penna, m a non vi si perderebbe il tutto .
Il re si ritiri quindi al sicuro nel castello di Lens . Un fatto è cere
to : il consiglio del re decise di proseguire la ritirata. Per astuzia,
come afferma la Vita Odiliae, per attirare l'avversario su di un
terreno appositamente scelto ? « Per l'onore del giorno consacra­
to », rimandando la battaglia all'indomani - motivo addotto dal­
l'Anonimo di Béthune? Perché Filippo, « molto saggio » a quan­
to dice la relazione di Marchiennes avrebbe visto il suo esercito
in pericolo e « prudente e discreto », voleva evitare spargimenti
di sangue? Quest'ultimo motivo sembra esser stato veramente il
piu determinante: il ponte di Bouvines era viciriissimo e, al di
là, in una prateria, secondo il piano stabilito alla vigilia, i sac­
cardi avevano cominciato a piantare le tende. L'armata del re si
è dunque rimessa in cammino, al piu presto. La maggior parte
La battaglia 1 47

ha varcato il fiume. Affaticato - non è piu giovane - Filippo fa


una sosta all'ombra, si -libera delle armi, si mette a suo agio : la
tappa è prossima, si ristora inzuppando qualche fetta di pane in
una ciotola di vino .
In quel preciso istante accade che i nemici « non vogliono a
nessun costo rimandare la battaglia fino al giorno dopo » . Que­
sto viene ad annunciare a briglia sciolta frate Guerrino . L'azio­
ne è già cominciata, con un attacco alla retroguardia, che sostie­
ne l'urto, ma con difficoltà : il duca di Borgogna chiede rinforzi.
Tirarsi indietro non è piu possibile : Filippo non potrebbe «sen­
za disonore », continuare a ripiegare. Bisogna che « riponga la
speranza nel Signore » . Eccolo quindi indossare di nuovo l'arma­
tura e, prima di tutto, entrare nella vicina chiesa, provvidenzial­
mente dedicata a san Pietro, patrono di Roma : colui di cui è
successore il papa, e per lui , si afferma, un po' si combatte . Vi
recita una preghiera. Breve, scrive l'Anonimo ; « con contrizione
di cuore » , dice la Relatio Marchianensis ; e Flandria generosa
aggiunge : « tutto in lacrime » . Non si indietreggerà piu. A Otto­
ne, sorpreso di vedere la selvaggina tener testa alla muta che la
insegue, il conte di Boulogne avrebbe replicato che - lo riferisce
un cronista fiammingo - « è costume delle genti di Francia non
fuggire mai, ma morire o vincere in battaglia » . .A dire il vero di
battaglie le genti di Francia non avevano consuetudine di darne.
Passavano però per i migliori giostratori del mondo . In ogni ca­
so, nell'istante in cui il re Filippo fa gridare a tutti di radunarsi,
la guerra è finita: comincia la battaglia.
Non piu fretta, ormai, né agitazione, né disordine . Una tre­
gua si frappone. Un preludio misurato, quale è richiesto dall'or­
ganizzazione della cerimonia. Si definisce il suo « campo » : sarà
nelle vaste terre di Cysoing. A faccia a faccia, a breve distanza,
in modo da scorgersi bene, ma ali>bastanza lontano onde le ga­
loppate possano svolgersi liberamente· e prendere in pieno lo
slancio, le due squadre si dispongono secondo l'ordine stabilito
su di una sola linea lunga tremila passi. Tre « scaglioni », tre
« battaglioni » da una parte e dall'altra « in onore, - precisa la Vi­
ta Odiliae, - della divina Trinità » . Al centro del dispositivo i due
r 48 Co=ento

capitani hmno fissato la loro statio, il loro « ostello » , nel punto


centrale della scacchiera; è ora il momento di innalzare il segno,
l'emblema: l'orifiamma era davanti, lontano, con i bagagli , la si
richiama in fretta. Dall'altra parte, su un carro simile a quello
di cui un tempo si erano impadroniti i Milanesi , s'innalza l'aqui­
la dell'Impero, e quel drago che Guglielmo il Bretone considera
il simbolo evidente della malvagità avversaria. « Si fermaron() a
lungo da una parte e dall'altra, e sistemarono le loro cose ».
Ora Filippo Augusto pronuncia il discorso rituale; I termini
sono riportati dai testimoni in maniera diversa. Guglielmo lo di­
ce breve : il re si consegna semplicemente nelle mani di Dio, ri­
corda che la scomunica pesa sull'altro campo, quello del denam,
dei persecutori della santa Chiesa e degli oppressori dei poveri.
Nessun orgoglio, però : << noi pure siamo peccatori » , ma almeno
siamo in comunione con i prelati e ne proteggiamo le libertà,
quindi vinceremo. Flandria generosa riporta press 'a poco la
stessa cosa: non si può accusare il re di infrangere le regole del­
la pace di Dio: contro la sua volontà si batte di domenica, gior­
nata su cui grava l'interdetto, tutto quanto rimane della tregua
di Dio ; Ottone è scomunicato dal papa ; il conte di Boulogtie,
traditore, scomunicato lui pure ; il conte di Fiandra, fellone e
spergiuro. Nessuna preoccupazione : essi sono già condannati, i
loro crimini li daranno in balia del re di Francia, oppure ne pro­
vocheranno la disfatta. Secondo questo racconto il re avrebbe
inoltre confermato la propria intenzione di rischiare tutto, an­
che la vita, di non fuggire, ma rimanere fino all'ultimo sul cam­
po di battaglia, per vincere o morire . Come Orlando . Nella Vita
Odiliae il discorso rispecchia minor sicurezza: se la ritirata non
prosegue oltre il ruscello vuol dire che è impossibile : si è co­
stretti a battersi « per la corona di Francia » ; ciascuno vinca la
paura, quell'ansia ben naturale con un nemico cosi temibile. Per
quanto si sia deboli, non si può disperare della vittoria che Dio
concede a coloro che ama; invochiamo, per maggior sicurezza,
san Lamberto di Liegi : lo si è visto, l'anno prima, liberare in
modo meraviglioso la sua diocesi dai barbari . Per il cronista di
Marchiennes, Filippo avrebbe « umilmente, modestamente e
La battaglia 149

( di nuovo ) con le lacrime agli occhi » fatto soprattutto appello


allo spirito del lignaggio : gli uomini nobili presenti nell'eserci­
to si ricordino dei loro avi : ma essi hanno indietreggiato : resi­
stano dunque per evitare danni irrimediabili al loro patrimoniò
familiare. Dopo questo proclama, la mano destra alzata, in at­
teggiamento sacerdotale, in quell'atteggiamento che sui timpani
delle cattedrali è appunto quello del Cristo, l'unto del Signore
invoca allora la benedizione del cielo su tutti i suoi, esortandoli
( aggiunge la genealogia fiamminga) a battersi il petto per favo­
rire la vittoria. Tutti questi gesti significano l'entrata nella sfera
del sacro . Ora, nella calura del mezzogiorno, si rompe il grave
silenzio. Dietro al re di Francia, e come in un rito, due chierici
intonano la salmodia. Essa continuerà per tutto il tempo del
combat timento interrotta solamente dai singhiozzi dell'emozio­
ne e dagli scoppi di voce di una preghiera giaculatoria : che Dio
non lo dimentichi,la sua Chiesa ha un solo protettore : Filippo ;
da Ottone è schiacciata, da Giovanni Senzaterra spogliata. La
persona del sovrano, e quella corona che è la posta della parti­
ta, si trovano in quel momento come strette nell'incantesimo che
sale, l'antica invocazione di Israele al Dio degli eserciti : dei sal­
mi, scelti assai bene : «Benedetto Jahvé, mia roccia, che adde­
stra le mie mani alla guerra e le mie dita alla battaglia. O tu che
doni la vittoria ai sovrani, tu che hai strappato Davide, tuo ser­
vo, dalla spada di morte, salvami » ( CXLIV); « Sorga il Signore !
Fuggano i suoi nemici, i suoi avversari si disperdano innanzi al
tuo volto ! Come svanisce il fumo tu li disperderai. Disperdi i
popoli che vogliono le guerre » ( LXVIII ); « 0 Jahvé, nella tua
potenza gioisce il re, e nella tua grande vittoria, come d'immen­
so gaudio esulta ! Tu gli doni l'anelito del suo cuore e non rifiuti
la domanda delle sue labbra . Essi hanno tramato congiure con­
tro te, hanno ordito inganni, ma non prevarranno . . » (xxi ). Fra
.

questi tanti di speranza e il frastuono delle trombe e delle im­


precazioni ha inizio il duello.
La vittoria

Anche quando sono ecclesiastici - e lo sono per la maggior


parte - gli autori di tutti i racconti pongono la battaglia in una
luce particolare, la luce guidata dall'ideologia dei guerrieri . Nqn
soltanto essi gettano tutto il fascio luminoso sui cavalieri, ma si
sforzano pure di velare quanto nel comportamento di questi ul­
timi sembrerebbe trasgredire le regole di un'etica formatasi nei
tornei. Difatti, per l'Anonimo di Béthune, appena la guerra è
terminata, la partita che inizia è nobile e leale, ammirevole, e
tutti gli intenditori ne apprezzano la finezza, il. « nobile scontrm>
meritorio, degno delle piu alte ricompense : « l probiviri che era­
no presenti tes timoniano che non avevano mai veduto un torneo
cosf ben riuscito » . Effettivamente di Bmivines si parlò come di
un torneo. Le relazioni piu circostanziate non descrivono mai al­
tro che scontri notevoli, prove di valore . E ciò perché tutte le
note scritte sull'avvenimento del 27 luglio 1 2 1 4 appartengono
in realtà a una letteratura sportiva destinata a un pubblico ap­
passionato, a degli aficionados; esse celebrano i primati e i cam­
pioni, sforzandosi di liberarli - ed è per l'appunto l'arte della
cronaca - da quella confusione in cui, nel combattimento reale,
li ha sommersi l'intrecciarsi di mille atti secondari e senza ri­
salto.
Le leggi del genere spiegano in quale maniera i testi parlano
della gente di Chiesa che era equipaggiata per lo scontro e non è
rimasta a guardare. Cosf fu dei due vescovi : non avrebbero do­
vuto cedere alla voluttà di combattere, tanto piu che erano nel
campo dei bianchi. Ma entrambi hanno partecipato a una fase
essenziale dello scontro, e hanno segnato ciascuno un punto de-
La vittoria I 51

cisivo . Hanno tutti e due catturato un prigioniero tra i perso­


naggi piu ragguardevoli : Rinaldo di Boulogne si è arreso a
Guerrino di Senlis, Giovanni di Salisbury a Filippo di Beauvais .
Non si possono passare sotto silenzio tali imprese. Tuttavia su
questi campioni dilettanti conviene esprimersi con prudenza,
con pudore, rispettando le convenienze. Quanto a Guerrino· è
ancora soltanto un « el�tto » , e Gugliehno il Bretone insiste: il
non aver ancora ricevuto il sacro crisma lo scusa un po' di tro­
varsi li, come anche il fatto di appartenere all'ordine dei Tem­
plari : i Teniplari sono guerrieri; inoltre è ben precisato « che
egli non si trova li per combattere », che il suo comportamento
è quale si addice all' orator, al pastore incaricato di insegnare al
popolo, al ministro della parola : se frate Guerrino se ne sta in
mezzo alle cavalcate è solo per esortare i cavalieri (come vedia­
mo fare sugli arazzi di Bayeux al vescovo Oddone, fratello del
Conquistatore), per diffondere il contenuto del discorso del re,
per invitare tutti a ben difendersi, a sostenere virilmente Dio, la
Chiesa e il Comune . Quanto al vescovo di Beauvais, Guglielmo
il Bretone, nella sua Philippide, ha cura di dire che si trovava li
per caso, e che per caso aveva in mano una mazza.
Se i cronisti dànno un posto eminente ad alcuni personaggi
che pur non appartengono alla categoria degli sportivi profes­
sionisti , perché possiedono le virru e le capacità sportive della
cavalleria, non dicono però niente della maggior parte dei com­
battenti. Questo silenzio, quando si tratta di tutti gli appiedati,
significa disprezzo. Sono di certo strumenti utili, ma meno pre­
ziosi e meno degni di cure dei buoni cavalli, e possono anche es­
sere ingombranti : allora vengono messi in disparte e calpestati,
come si fa con i tronconi delle lance rotte. Il modo come maneg­
giano le armi non merita in nessun caso attenzione da parte del­
le persone raflinate ; è alquanto ripugnante : fa scorrere il san­
gue. E se talvolta è proiettata qualche luce su una di queste
spregevoli comparse è perché l'immagine può servire di contra­
sto per meglio mettere in valore le prodezze dei nobili . Ne è un
esempio quel ragazzo che, simile a un garzone di macellaio, ten­
tò di massacrare Rinaldo di Dammartin abbattuto, cercando di
r52 Commento

colpirlo col coltello al volto e al basso ventre . Era un lupo intro­


dottosi nell'ovile, nell'interno di quel recinto, di quella « siepe »
che un gruppo di cavalieri aveva eretto intorno all'infelice eroe
- nemico si, ma fratello in valore - per proteggerlo dalla ignobi­
le furia dei vill ani, il proletariato della guerra. Ma i racconti la­
sciano parimenti nell'ombra quasi tutti i cavalieri, perché essi
non sorio altro che comparse e un buon resoconto di una compe­
tizione sportiva deve far soltanto risaltare agli occhi degli inten­
ditori i colpi memorabili, quelli che comportano la decisione,
quelli che classificano i campioni. Eccettuati alcuni outsiders,
semplici gregari di una qualsiasi squadra, che qualche impresa
eccezionale quel giorno ha rivelato al pubblico degli intenditori
e, diventati a un tratto famosi, potranno da quel momento farsi
assumere a maggior prezzo, i soli attori che si vedono veramen­
te, e di cui si potrebbe pensare che da soli hanno fatto tutto, so­
no uomini « altolocati », capitani, i cui punteggi sono noti a tut­
ti, e che hanno reso illustre il proprio stendardo in svariati in­
contri sportivi. Su di loro sono puntati tutti gli sguardi : saran­
no su tale terreno all'altezza della loro fama?
Tra la polvere che si alza con la canicola, che oscura ogni co­
sa e rende diflicile il riconoscersi, con la testa ronzante sotto l'el­
mo surriscaldato, gli occhi accecati dal sudore, questi giocatori
di prima categoria intendono affrontare solamente i loro pari.
Esperto nella guerra effettiva quale viene condotta in Terra San­
ta contro gli infedeli, frate Guerrino ingaggia la battaglia lan­
ciando contro lo scaglione dei Fiamminghi un corpo di duecen­
tocinquanta eccellenti sergenti a cavallo . Li manda per primi nel
pericolo; in realtà la loro importanza è minima: tanto peggio se
se ne sciupa un po' ; la loro carica, urto iniziale, disorganizzerà
i ranghi della cavalleria di fronte. Questa tattica scandalizza i
campioni della Fiandra. Essi s 'infuriano : non ci si batte contro
simile gente. Pertanto non li si vedono muovere : aspettano per
colpire da lontano, per cercare di uccidere i cavalli , di ammazza­
re , di stordire. Questa volta non risparmiano i colpi : le usanze
non vietano di uccidere l'avversario quando non è nobile. Ma
questo qui è ben difeso : durante la carica sono stati uccisi sol-
La vittoria 153

tanto due sergenti . Il senso della dignità, piu forte della mllera
che li fa imbestialire, piu forte del desiderio di impadronirsi di
equipaggìamenti, il Cui valore non è certo trascurabile, ha trat­
tenuto i cavalieri dal farsi vedere disposti a misurarsi con uomi­
ni il cui sangue non vale il loro .
In realtà, come nei veri tornei, questi campioni ci vengono
presentati come se sognassero solo la gloria, solo « di battersi in
tanti duelli si che se ne parli fino in Siria » . Le grida che le rela­
zioni della battaglia mettono loro in bocca non fanrio appello
che a valori profani : a ricordarsi degli avi, a servire come si de­
ve le dame. Ognuno consacra la sua prodezza al lignaggio e alla
sua gloria, alla donna scelta per i piaceri dell'amore. E tutti pon­
gono la piu attenta cura a far si che essa sia bene in evidenza. Il
loro desiderio è di riuscire a combattere «in campo aperto » ,
fuori della moltitudine, in piena luce, e nella competizione piu
difficile, ma anche la piu nobile, la scherma a cavallo. Poiché gli
scontri di cui si parletà sono di quelli che disarcionano l' avver­
sario scelto tra i piu famosi, che lo stendono a terra . E la vergo­
gna ricade su colui che in tal modo si lascia abbattere, fallendo
il colpo. Cadendo in tal modo egli perde il suo valore, a meno
che non faccia subito dimenticare la cosa brillando in altra gio­
stra. Ciò spiega il furore del duca di Borgogna quando, fuori di
sé, urla che gli portino un altro cavallo : egli arde dal desiderio
di vendicare al piu presto il suo disonore. Conviene inoltre che
il gioco sia ben condotto, e la foga sufficientemente contenuta
perché vengano rispettate tutte le regole . In particolare quella
che vieta di uccidere l'avversario nobile, tranne in battaglia, e
per rendere piu sfolgorante il giudizio di Dio, il re del campo
oppos to . Quando, all 'inizio della prova, Eustachio di Malenghin
si mette a gridare : « A morte i Francesi», tutti quelli che l'odo­
no provano disgusto , offesi da tale sconvenienza ; Immediata­
mente i cavalieri della Piccardia agguantano l'impertinente e lo
uccidono . È l'unico cavaliere di cui si dice abbia trovato la mor­
te sul campo di Bouvines . Con Stefano di Longchamp, colpito
accidentalmente da un coltello attraverso la fenditura dell'elmo.
Tutti gli altri cadaveri li forni la bassa plebe.
154 Commento

È un fatto che i personaggi piu importanti non mtmiono mai.


Si battono bene, lealmente. Persino i piu malvagi . Persino il
conte -di Boulogne. Si dice avesse giurato sulle reliquie di avan­
zare fino al re per ucciderlo. E gli è andato vicinissimo. Ma
quando ne ha visto il viso, è stato colto da un senso di rispetto
che lo ha distolto dalla malvagia intenzione. Si è per tempo ri­
cordato degli eroi delle canzoni di gesta, del disonore di cui · si
macchia per sempre chi ha messo le mani sul suo signore, sul­
l'uomo che un giorno prese quelle stesse mani tra le sue, rice­
vendo la promessa solenne di non subirne mai danno nel corpo
e nelle membra. E il personaggio che ha visto ergersi davanti a
sé, a portata delle sue armi, era sacro . Il che gli ha dato maggior
forza per allontanarsi e riversare la sua rabbia su di un altro vec­
chio nemico : Roberto di Dreux . Tali segni di riverenza per la
fede giurata e per la morale del vassallo fanno perdonare tutto .
Lo vediamo perfettamente quando Filippo Augusto fa ad Arnol­
fo di Audenarde l'onore di !asciarlo libero. Il duca di Borgogna
lo rimprovera di lasciat:si sfuggire una cosi bella preda, e il re gli
risponde : « Lo so bene, per la lancia di san Giacomo ! Ma egli
non amò mai la guerra (è un uomo di pace, quindi di Dio ), e al
suo signore l'ha sempre sconsigliata; non ha mai voluto rendere
omaggio al re d'Inghilterra quando lo resero gli altri, lui non è
un voltagabbana, e se mi ha recato offesa per servire lealmente
il suo signore, io per ciò non gli voglio male » .
Agli occhi dell'Anonimo di Béthune la mischia di Bouvines
si riassume in stupendi volteggi senza uccisioni, in un gioco di
passi d 'arme e di stoccate, a cui si dedicano alcuni brillanti eroi
isolati per un momento nell'arena. Una competizione in cui cia­
scuno sogna di ottenere il primato per aver galoppato meglio de­
gli altri, attraversando gli « scaglioni» avversari, rovesciando
nella corsa i loro cavalieri, e tutto ciò stando alle· regole del gio­
co, senza aiuti. Di questa gara l'Anonimo offre una specie di al­
bo d'onore celebrando, tra gli altri, il castellano Arnolfo che si è
lanciato, ha travolto la truppa volgare dei' sergenti, ha raggiunto
i cavalieri e, presone uno come bersaglio, lo ha gettato a terra,
nello slancio della carica lo ha oltrepassato ed è ritornato indie-
La vittoria 1 55

tro « sano e salvo tra i suoi, per la qual cosa fu molto apprezza­
to » . Coloro che fecero J,lll resoconto della battaglia hanno, piu
che i coraggiosi, ammirato i temerari, gli spericolati dei bei tor­
nei. Gualtier:o, conte di Saint-Pol, sapeva che alle sue spalle si
mormorava, accusandolo di fare il doppio gioco . Egli volle di­
fendere il proprio onore, dimostrare la sua lealtà, far risaltare
nel modo piu lampante agli occhi di tutti il suo estremo corag­
gio. L'intera armata lo vide dunque lanciarsi per primo , sprez­
zare apertamente ogni tornaconto� trascurare ogni preda, avven­
turarsi sconsideratamente, agitarsi sino a perdere il fiato e poi
ricominciare tutto ansante e, per salvare un amico, affrontare,
se non la morte, per lo meno la cattura e la rovina. Eppure non
era piu un « giovane » , come non lo era il conte di Bar, che fu an­
che lui trascinato dagli eccessi e rischiò la pelle sin nel mezzo
dei soldati di ventura, gente che uccide. Perché si canti il suo
valore il cavalihe, cui fu abbattuto il cavallo, continua a lottare
a piedi, nonostante il peso della corazza e, quando tutte le armi
gli si sono rotte, ricorre al braccio� come ha fatto il conte di
Ponthieu , e martella con i pugni gli usberghi . Accadeva quel che
accade nei duelli giudiziari, ma qui era per conquistare la gloria.
Per gli appassionati i cronisti di Bouvines non raccontano altro
che di. singolari tenzoni. Schiumante di rabbia, il duca di Borgo­
gna, novello Aiace, strappa la cotta d'arme del giostratore piu
celebre : Guglielmo di Barres; poi si scaglia su un altro campio­
ne dei tornei, il sire di Audenarde. Questi si inorgoglisce : l'eroe
delle grandi competizioni lo ha scelto come avversario! S'ingag­
gia una lotta intorno alla quale, se dobbiamo credere ai resocon­
ti, gli altri combattenti, dimenticando le loro dispute, si sareb­
bero riuniti in cerèhio . Le relazioni della battaglia hanno tutte
un tono da Iliade. Vi scorgiamo i grandi di quel mondo misurar­
si, solitari, per l'onore.
Tuttavia il rutilante mantello che l'ideologia dei tornei getta
sul combattimento non riesce a mascherare del tutto certi aspet·
ti di una realtà meno splendida. In primo luogo il venir meno di
quella fedeltà che avrebbe dovuto armare tutti i cuori . La batta­
glia, quale solennità, quale liturgia, avrebbe dovuto esigere in
r 56 Commento

ogni campo una coerenza, un'adesione unanime e senza incrina­


ture, qui assai piu necessarie che in guerra. Ci si aspettava che
ogni corpo di guerrieri, benedetto, assolto, fosse mondo di qual­
siasi ipocrisia, che vibrasse all'unisono, come nel canto fermo
delle salmodie benedettine. Nulla di tutto ciò. Malgrado nuovi e
piu forti giuramenti che i coalizzati si erano fatti reciprocamen­
te, che cosa vediamo nei due campi, e persino in quello del be­
ne ? Lealtà che vacillano. Ciascun partito si trova in effetti di­
sgregato all'interno a causa dei contrastanti doveri che si impon­
gono ai piu. In realtà quasi tutti i guerrieri riconoscono nel
gruppo che hanno di fronte i colori di un padre, di un suocero,
di un fratello, di un cugino, o anche di un uomo che un giorno
aveva riconosciuto come il signore del suo feudo, tutte persone
che essi dovrebbero servire e, per legge naturale, amare ; per lo
meno astenersi dal colpire. Cosi, ad ogni spostamento . del tu­
mu1to, si scorgono brusche ritirate, braccia che all' improvviso
ricadono, discorsi che s 'intrecciano . E vediamo diffidenza fin nel
mezzo dei gruppi ristretti dei gentiluomini del re. Vediamo il
dubbio che il conte di Saint-Poi intuisce nei suoi e vuole a tut­
ti i costi dissipare, urlando davanti a frate Gt1errino che darà
la prova della sua buona fede : per darla, metterà a repentaglio la
propria persona. Ma non sono tutti come lui . Alcuni cedono .
Per esempio il duca di Lovanio, che se la svigna in piena batta­
glia, con grave danno per la coalizione. E non c'è neppure per­
fetta rettitudine nell'uso delle armi. Piovono colpi proibiti, e
perfino l'ottimo cavaliere Arnolfo di Audenarde si serve del col­
tello, strumento perfido usato dai villani, mirando alle fessure
dell'elmo, quando lo attacca Eudes di Borgogna, che egli ha
scambiato per Guglielmo di Barres . Aggiungiamo che tutti i ca­
valieri sono ben lungi dall'essere cosi coraggiosi come si affer­
ma. La maggior parte di essi, nella battaglia, dimostra prudenza
quanto in guerra, e per prima cosa si preoccupa di tirarsene fuo­
ri nel modo migliore. Si scorgono dei pavidi nascondersi dietro
gli altri. Frate Guerrino ben li conosce e, prudentemente, nella
scelta da lui effettuata prima che s'inizi la partita, dispone i co­
dardi in seconda fila. E qui bisogna stare attenti a non lasciarsi
La vittoria 1 57

ingannare dalle apparenze : Giovanni di Nesle è grande, forte: è


bello come uri san Giorgio, nondimeno ha paura : nello scontro
si è ben guardato dall'affrontare qualcuno, quando tutto è finito
lo vediamo riapparire e farsi avanti per raccogliere briciole di
gloria, per contendere, da furfante, fresco fresco, il conte di Bou­
logne a quelli che lo hanno catturato. Avrà il sopravvento per­
ché è il signore piu altolocato e ben riposato. Dobbiamo inoltre
riconoscere che in quello stesso momento, intorno alla grossa
preda abbattuta ( sono stati d'altronde fanti e sergenti, cani del­
la guerra, a travolgerla e infine a sottometterla), parecchi cava­
lieri stanno azzuffandosi: gareggiano a chi con la forza riuscirà
ad arraffare per sé solo tutto quanto.
Nella conquista della gloria a dire il vero il piacere di vince­
re non si smorza, come vorrebbero darla a intendere i cronisti.
Ogni squadra svolge la propria caccia, segue le tracce della sel­
vaggina che ha scovato e si preoccupa soprattutto di impadro�
nirsene . La cupidigia di cui è animata trova certo un freno nella
disciplina collettiva, molto meno fiacca di quanto gli storici ab­
biano spesso creduto, e nella netta coscienza che quanto sta ac­
cadendo quel giorno è cosa grave. Ma si sente che la rapacità è
pronta a manifestarsi non appena la briglia un po' si allenti. Da
una parte e dall'altra tutti i cavalieri sono venuti, come nel tor­
neo, con l'intenzione di tornarsene via piu ricchi. E di imposses­
sarsi di tutto 'quanto potranno . Nel corso della mischia si allac­
ciano trattative, si mercanteggia tra vincitori e vinti a proposito
di riscatti; e chiunque dia buone garanzie può ottenere dal suo
« padrone » ( come accade in pieno scontro nei tornei) di poter ri­
montare in sella e continuare a battersi liberamente, per aver
dato la sua parola. Per tentare, finché dura la zuffa, di catturare
a sua volta qualcuno, di rimediare cosi a quanto ha perduto o di
ottenere, in cambio di denaro, il soccorso di un amico . Fu cosi
che poté scamparla Roberto di Béthune secondo l'Anonimo, su
questo punto informatissimo: era stato catturato ; « tanto fece
con un cavaliere chiamato Flamand di Crepelaine che questi lo
rilasciò e lo mise in salvo » . Una specie di fiera, un po' vergogno­
sa, dissimulata sotto il cangiànte riflesso delle prodezze. E infat-
158 Commento

ti la battaglia si conclude con una lotta accanita per arraffare il


piu possibile. Volendo frenarla, Filippo Augusto fèce suonate
l'adunata e proibi di inseguire i fuggiaschi oltre un miglio, ma
l'Anonimo di Béthune ha visto la caccia continuare per oltre
due leghe. Il re temeva invero che, calata la notte, i ricchi pri­
gionieri da lui catturati potessero evadere o fossero liberati da
un gruppo di loro compagni . Poiché egli stesso aveva fatto gros­
si guadagni e, essendo ormai manifesto il giudizio di Dio, non
pensava che a mettere le sue prede al sicuro. Infine - bisogna
ammetterlo - il posto occupato dai combattimenti singoli è in
realtà assai minore. ,J. F. Verbruggen, che ha esaminato tutte le
tracce, dimostra che furono soltanto sprazzi accidentali, irruzi0-
ni dovute a imprevidenza e a « giovenru » , tosto soffocate da un
ritorno alla prudenza, virru pneminente. Nel racconto di Gu­
glielmo il Bretone non ne ha trovate che cinque, in rapporto al­
le quindici azioni di rilievo in cui, piu cauti, i banderesi, .i capi­
squadra, avevano avuto gran cura di non avventurarsi fuori del
compatto gruppo che li spalleggiava e li proteggeva dal pericolo
grave. I duelli furono rari a Bouvines . Quel giorno non ve ne fu
che uno veramente tale. Fra i due re.

Ottone, con il conte di Fiandra e il conte di Boulogne, aveva


solennemente giurato di perseguire un unico scopo : avvicinare
Filippo, non !asciarselo sfuggire, raggiungerlo, costringerlo a
lottare a corpo a corpo, e infine ucciderlo. Sulla scacchiera i due
pezzi forti stan dunque faccia a faccia, difesi, l'ùno e l'altro, da
numerose ma spregevoli pedine, i fanti , e, dietro a questa fragi­
le linea avanzata, da una copertura di cavalieri molto piu solida.
Dall'inizio del gioco i due dispositivi, con l'avvicinarsi del cam­
po dei neri, s.i accostarono. Fedele al giuramento, Ottone attac­
cava . Trascinata dal « furore teutonico » , indubbiamente meglio
armata delle bande comunali della Piccardia e di quelle di Sois­
sons che aveva di fronte, la sua fanteria arrivò sino al re di Fran­
cia, lo circondò, lo tirò giu da cavallo. Caduto, Filippo Augusto
rischiò per un momento di essere colpito a sangue dai coltelli,
La vittoria I 59

da quei manovali del combattimento, di perire sotto i colpi di


quella gente non nobile di cui si serviva l'imperatore. Ma lo pro­
teggeva la mano di Dio, come lo proteggeva l'armatura, la mi­
gliore di tutte, perché lui era il piu ricco. Egli si trasse d'impic­
cio, rimontò in sella e l'azione si capovolse. Il Capetingio, lui,
nobilmente non si serviva di appiedati . Lui faceva lavorare i ca­
valieri, i seguaci della sua casa. Il suo gruppo era un'unità, era
come la sua stessa persona. Il duello s'iniziò allora secondo le
regole, non fra due individui, ma fra due « Stendardi » , due grup­
pi, corpi saldamente uniti da un compito collettivo. I collabora­
tori del re di Francia si gettarono su quelli di Ottone. Il piu te­
merario, Pietro Mauvoisin, raggiunse l'imperatore, riusci ad af­
ferrare il suo cavallo per la briglia. Gerardo La Truie che lo se­
guiva vide che non si sarebbe potutd accaparrare viva quella
preda : la piu bella di tutte . Bisognava abbatterla . Con la pro­
pria mano - che era di fatto quella di Filippo Augusto - puntò
il pugnale contro la corazza. Questa resistette, perché era forte
come quella del Capetingio, invece il cavallo fu colpito a morte.
Ottone si svincolò, prese la fuga, tre volte fu gettato a terra, tre
volte si rialzò. I piu vecchi, tra i gentiluomini del seguito del re,
i piu saggi, Guglielmo di Garlande e Bartolomeo di Roye, deci­
sero di non proseguire. Sarebbe stato eccessivo . Dio non aveva
voluto che all'imperatore fosse tolta la vita : si irriterebbe se si
vedesse forzare la mano e potrebbe vendicarsi decidendo un
nuovo capovolgimento della situazione. Si sa come punisca gli
orgogliosi. A briglia sciolta, Ottone ha abbandonato il campo.
Ciò è sufficiente : la sentenza è pronunciata. La battaglia è finita.
La Relatio Marchianensis riferisce che è durata soltanto un'ora.
Guglielmo il Bretone dice, piu esattamente, tre ore.
Ha fatto tutto Iddio: lui che «sconvolge i disegni dei princi­
pi » . Egli ha tollerato per un momento che il male si scatenasse,
che i cattivi minacciassero i buoni . Ha accordato questa dilazio­
ne ai maledetti perché avessero un po' di tempo e si pentissero.
Essi non ne hanno approfittato e, poiché si ostinano, Dio li
schiaccia e li corregge, armando della propria forza il braccio dei
piu deboli. Questi sono scelti - qual meraviglia! - per essere gli
r6o Commento

artefici della sua vendetta. Ma chi si è vendicato ? Lui solo . Di


coloro che lo hanòo sfidato, infrangendo indegnamente la pace.
Degli empi, dei sacrileghi che avevano osato, lupi travestiti da
agnelli, cucire il segno della croce sui propri abiti . Insensati,
avevano violato gli interdetti di cui egli esige il rispetto. Aveva­
no macchiato la loro guerra, manipolando. denaro, pagando mer­
cenari , questa feccia della terra, questo flagello, indemoniati che
la Chiesa ha colpito di anatema. Essi hanno osato violare la tre­
gua domenicale, tenace residuo di tutte quelle oasi di pace che i
concili dell'XI secolo avevano generosamente disseminato, come
altrettante isole sacre·, lungo il corso delle stagioni . Accecati dal­
l'orgoglio. Tutto, in verità, è stato deciso nel consiglio riunito
da Ottone l a vigilia della battaglia . Sui saggi che ricordarono al­
lora quali rischi si corrano quando si comincia a sprezzare i ta­
bu, hanno avuto il sopravvento gli stolti. Sono dei « giovani »,
degli Orlandi che hanno in bocca solo la prodezza e il cui corag­
gio si perverte in eccesso . Hanno gridato che non si doveva at·
tendere sino all'indomani , ma attaccare immediatamente l'arma­
ta dei vecchi. L'Historia regum Francorum, che termina nel
r 2 r 4 e fu redatta a Saint-Germain-des-Prés, precisa quale fu,
nel campo avversario, il primo incitamento a rischiare la batta­
glia: « Il principe Luigi aveva con sé tutta la giovenru della Gal­
lia, e il re Filippo non aveva che cavalieri inerti e d'età avanza­
ta » . Si andrà a scompigliare questi uomini posati, non piu· fre­
schi, questi Gana che, come il conte di Saint-Poi , hanno presto
il fiato corto. Ma non bisogna :fidarsene : la loro anima è difesa
dalla prudenza e dal timor di Dio. Traditori, questa volta, sono
stati gli « Orlandi » . Con i loro eccessi hanno infranto la pace del
Signore, e fu questa la causa prima della loro disfatta . Tutti la
pensano cosi e, soprattutto, quelli che, come l'autore della
Chanson di Guglielmo il Maresciallo, non amano i Francesi e
sono furibondi di.vederli trionfare. La maggior parte dei croni­
sti insiste: il z7 luglio r 2 r 4 cadeva di domenica.
Ma i coalizzati furono vinti lo stesso perché erario eretici, ra­
gion per cui Michelet li ama assai . Contro le sanzioni inflitte dal
papa in gran fretta, contro gli anatemi, le scomuniche, gli inter-
La vittoria 161

detti, Giovanni Senzaterra e Ottone hanno reagito attaccando la


Chiesa romana. L'attaccarono nel suo punto debole - il che val­
se loro di essere immediatamente sostenuti da tutta una corren­
te contestataria, potente e largamente diffu sa in tutta la cristia­
nità latina . I veri catari - ve ne furono davvero molti ? - non
erano dei cristiani : il dogma al quale aderivano rinnegava le po­
sizioni dottrinali che sono la base fondamentale del cristianesi­
mo. Ma se tanti uomini e donne prestaron loro ascolto è perché
a loro piu non piaceva il volto della Chiesa. Era una ripugnanza
suscitata dai prelati troppo bene adagiati nel benessere monda­
no, dai grassi canonici che andavan predicando come bisognasse
esser magri per entrare nel regno dei cieli, che gli sfruttati dal
potere dovevano baciare la mano del loro signore, pagare tutti i
canoni e, lodando Iddio, lavare con il quotidiano sudore il pec­
cato di Adamo. E contribuiva a tale ripugnanza l'impostura di
quelli che pregavano santa Maria Maddalena sognandone le at­
trattive e che, ossessionati da quelle delle vergini folli, pure pro­
clamavano a occhi bassi che la festa cavalleresca è peccaminosa,
il mondo cattivo, che i giovani non debbono fare né l'amore né
la guerra, che i ricchi sono obbligati ad offrire tutto il loro dena­
ro a coloro che pregano , che cantano, che si rimpinzano, bevo­
no, sono dissoluti e non adoperano per nulla le mani. E c'eran
poi le derisioni . verso i Templari, ritenuti sodomiti e dei quali
era nota la grande abilità nel gestire i capitali loro affidati ; e per­
sino l'irritazione contro i piu puri della Chiesa, i monaci cister­
censi, le cui penitenze restavano nascoste in mezzo alle foreste e
che comparivano soltanto nelle :fiere, dove negoziavano con piu
vantaggio di chiunque altro, o nelle vendite all'incanto dove,
pieni di soldi, concludevano gli affari in barba agli altri. Erano
movimenti di rivolta amara o ironica, che sorgevano ovunque, e
non soltanto nella Francia albigese. Trovavano appoggio , biso­
gna ben dirlo , in una migliore lettura del Vangelo, e questa esi­
genza nei confronti degli ecclesiastici testimonia infatti della
maturità del popolo laico : esso emergeva allora dalla barbarie,
si rialzava dopo tante prosternazioni, e cominciava a credere che
la salvezza si acquista col dono del cuore e non già con la sotto-
162 Commento

missione a dei riti. Cosi quanti partivano all'attacco delle strut­


ture ecclesiastiche, ai!ermando che c'erano troppi chierici e che
Gi si poteva salvare l'anima senza dar loro tanti soldi, erano si­
curi di essere intesi. Ora proprio questo andava dicendo Otto­
ne, e aveva detto prima di lUi Giovanni Senzaterra, quando an­
cora non era stata . tolta la scomunica che pesava su di lui. Sia
l'uno che l'altro sollevavano l'opinione pubblica contro Inno­
cenza III, loro comune avversario . Il canonico di Liegi che com­
pose la Vita Odiliae attribuisce all'imperatore, alla vigilia di
Bouvines, questo discorso : « Perché tanta gente che. prega? La
maggior parte non serve Iddio : rimandiamola a lavorare. La­
sciamo solo due persone nelle chiese piccole e quattro ne1Je
grandi . Saranno piu che sufficienti . E, quei pochi che restano,
vivano, come loro si addice, in vera povertà. Cosi potremo spar­
tirei le riccheZ'ze della Chiesa » . ·Guglielmo il Bretone, nella sua
Philippide, riprende l'argomento e lo sviluppa, credendo cosi di
render piu odioso l'imperatore . « Quanto ai chierici e ai monaci ,
che Filippo tanto esalta, predilige, protegge e difende con tutto
l'ardore del suo cuore, bisogna condannarli a morte, oppure de­
portarli, onde rimangano solo in piccolo numero, e ridotte siano
cosi anche le loro risorse, in modo che quel poco che proviene
dalle ablazioni sia sufficiente al loro mantenimento. I cavalieri
invece, che hanno cura della cosa pubblica, e che, sia combat­
tendo sia in pace, procurano la tranquillità al popolo e al clero,
sian loro a possederne le terre e a percepirne le grosse decime
( e questo poteva significare essere d'accordo con l'avanguardia
evoluta del cristianesimo, riprendere l'argomento di tutti coloro
che, come avevano recentemente fatto Domenico e Francesco
d'Assisi, ritenevano che la Chiesa non avrebbe trionfato sulla
contestazione eretica e non avrebbe richiamato a sé le folle ur­
bane se non rinunciando ai beni delle signorie, rifacendosi pura
e mendicante, cioè seguendo veramente il Cristo nell'umiltà; ma
il discorso dell'imperatore intende tuttavia conservare l'ordine
sociale, e le ricchezze della Chiesa egli non le vede distribuite ai
poveri e ai proletari, ma alla nobiltà ) . Il giorno in cui il Padre
dei padri mi insigni del diadema imperiale, io promulgai una
La vittoria r63

legge, la feci redigere per iscritto e volli che venisse rigorosa­


mente applicata nel mondo intero . Essa prescriveva che le chie­
se possedessero soltanto le decime minute e il provento delle of.
ferte, che lasciassero a noi le proprietà rurali perché garantissi­
mo il sos tentamento del popolo e la paga dèi cavalieri . (Rendia­
mo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio ). Vi­
sto che_gli ecclesiastici non vogliono obbedirmi e rispettare que­
sto decreto, non debbo gravare la mano su di loro ? Non ho il di­
ritto di ritirare loro le grosse decime e le signorie ? Non posso
aggiungere un'altra legge a quella di Carlo Martello che non vol­
le privare i chierici delle loro terre ? Se egli tolse loro le decime,
non posso io toglier loro le terre, io che posso fare le leggi, mu­
tare il diritto, io che, da .solo, possiedo l'impero di tutto il mon­
do ? { Smisurato orgoglio' cotesto, agli occhi di Guglielmo il Bre­
tone, orgoglio di colui che contende al Capetingio l 'eredità di
Carlomagno e pretende una sovranità superiore a quella del re
di Francia). Non mi sarà permesso di vincolare il clero con una
legge che lo costringerà ad accontentarsi di quello che gli sarà
dato e delle primizie dei raccolti, insegnandogli a diventare final­
mente piu umile e meno superbo? Come sarà piu utile ed effi­
ciente la Chiesa, quando avrà in tal modo restaurato la giusti­
zia! Sia il cavaliere, che anela a servire, a possedere i campi ben
coltivati, le terre colme di delizie e di ricchezze, e non questa
gente pigra, nata soltanto per consumare i frutti, che si trascina
nell 'ozio, che s'inaridisce nell'ombra ; non questi uomini inutili
la cui unica occupazione è di seguire Bacco e Venere, la cui in­
gordigia e i vizi fanno sempre piu gonfiare le membra e appe­
santiscono il ventre di un enorme adipe » .
S t a di fatto che sul campo di Bouvines .si affrontano due di­
verse concezioni della vita ecclesiastica. È lecito pensare che le
intenzioni di Ottone e dei suoi fossero dettate dalle circostanze,
dall'interesse. E nondimeno l'arringa appariva veramente in­
fiammata dallo spirito riformatore . Era convincente. Dall'altra
parte, era pure l'interesse a indurre Filippo Augusto a opporsi
all'imperatore, a sostenere il papa. Ma il re di Francia, non me­
no sinceramente, si atteggiava a difensore dell'ordine costituito.
1 64 Commento

La sua armata raccoglieva dei vecchi, dei saggi, degli uomini


prudenti ; solo con la perfezione del suo ordinamento recava una
testimonianza di regolarità, di conservatorismo. Voleva essere il
baluardo della tradizione ; intendeva mantenere ad ogni costo
un sistema del mondo, un concatenamento di rapporti sociali di
cui il re, eletto da Dio, e dipendente soltanto da lui, si conside­
rava come l'immutabile perno . Effettivamente, intorno alla sua
persona si trovavano disposti al loro giusto luogo , con reciproco
scambio di servizi, i tre « ordini » gerarchici . Sul campo di batta­
glia, come nella vita : alla base i lavoratori delle milizie comuna­
li, al vertice i cappellani, dispensatori della liturgia, che è giusto
si consacrino interamente al loro mestiere e che, di conseguema ,
per ben cantare i salmi vivano con molta larghezza dei profitti di
una signoria ; e poi i guerrieri che del re sostengono il braccio
vendicatore . L'armonico edificio sembrava cosi levarsi contro
quell'impresa sovversiva, la quale non poteva condurre che al
caos perché andava contro le leggi del creatore . Questi non ama
i contestatori. Si può contare sulla sua volontà per difendere
l'ordine sociale . Grazie a lui, Simone di Montfort ha potuto cal­
pestare gli Albigesi, aprire la strada agli inquisitori , preparare il
rogo di Montségur. Grazie a lui, Filippo avrà il sopravvento su
Ottone, la cui pretesa riforma gett�rebbe i curati sul lastrico . I
sortilegi della Spagnola, la vecchia èontessa di Fiandra, non pre­
varranno contro di lui. Può, si, cadere da cavallo ; ma Dio lo
rialzerà, vittorioso.
Dunque, molto in fretta, nell'afa del pomeriggio, l'intreccio
si è svolto. « A lode e gloria della maestà e in onore della santa
Chiesa » . La maestà del re dei tre ordini . L'onore di una Chiesa
ricca, totalitaria e repressiva. E, cominciato lo scompiglio, Filip­
po porta a termine la vendetta di Dio. Egli purifica. Sul campo
che la disfatta ha lasciato deserto, resta, tenace, un flagello . La
truppa dei settecento Brabantini che proteggevano Rinaldo di
Dammartin quando , fra due cariche , aveva bisogno di riprender
fiato. Il mondo dev'esser liberato al piu presto da tale marciu­
me. Il re di Francia li fà liquidare da Tommaso di Saint-Valery,
con i suoi cinquanta cavalieri e duemila fanti. Senza danno alcu-
La vittoria r6 5

no : solo uno dei giustizieri manca all'appello : lo credono mor­


to, e invece guarisce . È un miracolo . Le falangi compatte dei
soldati di ventura non si 1asciavano davvero domare con tanta
facilità. Dio, ancora una volta, · era presente . È lui, sempre, ad
ispirare clemenza a Filippo, a renderlo generoso verso i prigio­
nieri che ha catturato . Aveva il diritto di farli morire : la conce­
zione monarchica era già allora abbastanza rafforzata perché si
potesse invocare, nel 1 2 1 4 - in verità senza crederci troppo - il
delitto di lesa maestà. Egli lascia loro la vita e persino a Rinaldo
di Dammartin, malvagio traditore. Il Signore è misericordioso.
Il suo luogotenente, a sua imm agine, se deve mostrarsi terribile
con i superbi, tratta con magnanimità coloro che umilmente si
sottomettono .
Da quando parve sterminata la parte satanica dell'armata vin­
ta, da quando i guerrieri traviati dal denaro hanno chinato la te­
sta, vediamo aprirsi un'era di serenità. Cosi come in Fiandra ,
nel 1 1 2 7, dopo l'esecuzione degli assassini, de calamità di quel
tempo sono ormai finite, la grazia divina riporta, con gli incanti
del mese di maggio, i beni della pace e l'antica condizione della
terra » . È possibile scorgere immediatamente l'effetto della bat­
taglia. Il mondo si riassesta nell'armonia . Il re Filippo può in­
vecchiare tranquillamente . « Mai ci fu dopo chi osasse muover­
gli guerra, ma visse da allora in gran pace, e in gran pace fu tut­
ta la terra, per un buon periodo » . L'Anonimo di Béthune dice
giusto . Dopo il racconto di Bouvines, durante gli ultimi otto an­
ni del regno, le Chroniques de Saint-Denis non hanno trovato
nulla da riferire, salvo delle eclissi. L'avvenimento fu come un'e­
splosione per cui d'un tratto il fracasso sordo e indistinto cessò
e si ristabili il silenzio . Ormai felice, il regno non ha piu storia
sino alla morte di Filippo il Conquistatore, sino al corteo fune­
bre che ne condusse la spoglia accanto alle tombe merovinge .
Alla relazione sulla battaglia, quasi senza intervallo, fa seguito
l'apologia del defunto : �< Nell' anno dell'incarnazione 1 2 2 3 , nel
castello di Mantes, mori Filippo, il re buono, il re molto saggio,
nobile per le virtli, grande per le a,zioni, chiaro per fama, glorio­
so nel governo, vittorioso in battaglia: accrebbe il prestigio e in-
166 Commento

grandi il territorio del reame di Francia in modo meraviglioso,


sostenne e difese valorosamente la signoria, e il diritto e la no�
biltà della corona di Francia. Vinse e superò molti principi no­
bili e potenti che erano contrari a lui e al suo regno . Sempre fu
scudo alla santa Chiesa contro ogni avversità; piu di ogni altra
difese e custodi - come fosse la propria camera prediletta per
speciale amore - la chiesa di Saint-Denis in Francia, e molte vol­
te mostrò con le opere la sua grande venerazione per i martiri e
per la loro chiesa . Sin dalla prima giovinezza fu geloso amante
della fede cristiana, prese il segno di quella santa croce a cui fu
appeso il nostro sire e se lo cuci sulle spalle per liberare il sepol­
cro e per sòffrire pene e fatiche per amore di Nostro Signore ;
con grande esercito andò oltremare contro i nemici della croce,
e si adoperò interamente, lealmente, sinché fu presa la città di
Acri . E quando in vecchiaia gli vennero meno le forze, non ri­
sparmiò il proprio figlio, ma per ben due volte lo mandò con
grande oste nell'Albigese per distruggere la follia della gente di
quel paese. Donò in vita e alla sua morte grandi somme per so­
stenere i fedeli figli della santa Chiesa contro le stravaganze del­
l'Albigese. In vari luoghi fu largo dispensatore di elemosine ai
poveri. Giace sepolto in Francia, nella chiesa di Saint-Denis, che
è sepolcro dei re e corona d'imperatori, nobilmente e onorevol­
mente, come si addice a un tal principe » .
Di fatto , nel momento stesso in cui Dio, confermando l a le­
gittimità di Filippo Augusto, aveva ovunque messo in fuga i
suoi nemici, abbandonando Ottone alla vergogna della disfatta,
condannandolo a errare ormai disorientato di rifugio in rifugio,
prima di morire oscuramente, mentre le potenze celesti autoriz­
zavano che « d'ora in poi la parola tedesco fosse oggetto di di­
sprezzo tra i Gallesi » , l'Eterno aveva anche punito Giovanni
Senzaterra, costringendolo a svignarsela davanti all'oste condot­
to dal principe Luigi, a levare l' assedio dalla Roche-aux-Moines,
e a ritirarsi in fretta sino all'Oceano. Avvertiti della vittoria in
Fiandra, i baroni del Poitou fecero recare al Capetingio messag­
gi che lo assicuravano della loro fedeltà. Ma Filippo non si fida­
va dei rinnegati del Mezzogiorno . Egli avanzò contro di loro con
La vittoria r67

la stessa armata di Bouvines, che non sentiva la fatica, mostrò la


sua forza, convinse quelli dell'Aquitania che non si appagava di
sole parole. La cavalcata si svolse senza inCiampi . Come già una
volta in quel di Macon : una passeggiata inframmezzata di chiac­
chiere . Anche in quei paraggi la guerra era finita, e per lungo
tempo. Il seguito del sovrano assomigliava piu a una corte am­
bulante che a un'armata: teneva riunioni a ogni tappa, al suo
passare riparava torti, riceveva omaggi e promesse, prendeva
ostaggi, dava su tutto nuovi Drdinamenti secondo giustizia. Fini
col ricevere emissari di Giovanni Senzaterra, tra i quali l'inevi­
tabile legato del papa . Il re di Francia avrebbe veramente po­
tuto, dice Guglielmo il Bretone, rischiare una seconda volta il tut­
to per tutto, cos tringere al duello quest'altro re che contestava
il suo diritto, dargli ancora battaglia. Aveva seco duemila cava­
lieri . Ma Filippo era pio, non sfidò il Signore, suo Dio : accettò
di dialogare . Fu conclusa per cinque anni una tregua - non la
pace, ma solamente rinuncia alla guerra. Per la durata di cin­
que anni i conti sarebbero regolati in « assise » e i cavalieri si al­
zerebbero dagli scranni della giustizia solo per andarsi un po' a
sgranchire nei tornei.
Per l'innanzi, Filippo Augusto aveva celebrato il suo trionfo.
A Parigi, com'era doveroso poiché Parigi era la sua città, la
gemma della sua corona, ed egli, con grande spesa, l'aveva fatta
recingere da mura protettrici. In tutti i libri di testo pubblicati
dopo la Grande Guerra, è inserito il racconto della gloriosa pro­
cessione che parti da Bouvines trascinando, incatenati, su carret­
te, i conti prigionieri . Guglielmo il Bretone ne fa un idillio fra il
potere e i poveri. La sera, dopo una giornata di mietitura, egli
incorona di fiori i villani sfiniti, anneriti dal sole, rinsecchiti dal
caldo, e li fa ballare felici lungo la strada. Nella Parigi illuminata
si svolge uno spettacolo edificante: l 'unanime giubilo che final­
mente concilia i tre « ordini » ha estinto le lotte di classe per
quella concordia che piace al buon Dio. I cavalieri hanno magni­
ficamente compiuto la loro funzione di giustizieri ; riuniti, il cle­
ro e il popolo, gli intellettuali dell'Università e gli artigiani - va­
le a dire la Chiesa e i « poveri » - accolgono i guerrieri che con la
r68 Co=ento

loro bravura e lealtà li hanno liberati dal male; gli uomini di


chiesa, i canonici, i maestri, gli scolari, elevano -cantici, com'è lo­
ro abitudine ; anche i borghesi cantano, a modo loro. Sette gior­
ni di vacanza. Una liturgia che, dalla domenica, si estende all 'in­
tera settimana. Un iri.cantesimo collettivo, un coro, una danza ri�
tuale della pace ritrovata. Ciascuno ha la sua parte in questa ce�
rimonia, la parte che gli compete. Soprattutto non ne esca: Dio
e il re vegliano attentamente.
Questa festa è quella dell'ordine regale, giustificato dalla vit­
toria. Bouvines ha legittimato ogni cosa: l'opulenza e la pigrizia
di una chiesa grassa, l'oppressione delle signorie per il profit­
to di baldanzosi spadaccini. Ma. soprattutto l'azione «politica )>'di
Filippo, che ne aveva ancor piu bisogno, le sue conquiste, le _sue
furberie, i suoi intrighi contro Riccardo Cuor di Leone, il cro­
ciato prigioniero, la privazione dell'eredità toccata al re Giovan­
ni, l'espulsione degli ebrei. Bouvines è un fascio di segni eviden­
ti. Ottone è scappato, scomparso. Dal carro da cui si levavano al
cielo, gli emblemi di Cesare, sconquassati, sono caduti a terra .
Nulla piu resta del drago, simbolo malefico. L'aquila, Filippo
l'ha fatta portare a colui che il papa considera come il buon im­
peratore: Federico II; e ciò dimostra che il re di Francia dispo­
ne, come arbitro, della dignità imperiale . Chi potrebbe ora con­
traddire le sue pretese alla piena sovranità? L'erede di Carlo­
magno è lui, lui è la guida di tutti oi cristiani . E piu nessuno, nel
reame, oserebbe ribellarglisi . Tutti i felloni sono in gabbia. An­
che il valore del bottino fa di Bouvines un evento quale non si
era mai visto. Mai nessuna guerra aveva in un sol colpo arraffa­
to un cosi gran numero di prigionieri, e di tale qualità. A Cour­
celles, il 2 8 settembre I I 9 8 , Riccardo Cuor di Lemie aveva po­
tuto impadronirsi di novanta cavalieri francesi, di duecento ca­
valli, quaranta dei quali «ferrati )> , cioè muniti di armatura . Lo
si vede inebriato da un cosi grande successo : esultante, fa sape­
re a tutto il mondo la prodigiosa impresa. Quella di Bouvines è
incomparabilmente piu bella. L'iscrizione sulla porta di Arras, e
anche parecchi cronisti, documentano trecento prigionieri nobi-
La vittoria 1 69

li. Il calcolo piu modesto che si possa trovare nelle diverse rela­
zioni della vittoria è di centotrenta. Se ne conservano tracce mol­
to precise, perché Filippo fa minuziosamente inventariare il te­
soro da lui conquistato e che egli ha disseminato in diversi luoghi
sicuri . Ci teneva. Non aveva piu pensato ad altro appena aveva
visto Ottone e i suoi darsi alla fuga . Non smise piu di aver cura
di quelle ricchezze , impacchettandole, per evitare fughe, in una
:fitta rete di scrupolose cautele. Il « catalogo dei prigionieri », re­
datto nei primi giorni di agosto, enumera centodieci cavalieri
che le carrette comunali dei condannati avevano trasportato a
Parigi , altri sedici affidati a baroni di Francia, e infine tre a ufE. .
ciali del re. Ma la lista è molto incompleta. Strada facendo, una
buona parte del carico era stata lasciata ad ogni tappa. Questa
grande massa di prigionieri valeva una enorme quantità di dena­
ro. Non tutto, è vero, era negoziabile, e il re era ben lungi dal­
l'aspettarsene l'intero guadagno. Egli non era che l'impresario
di un'azione collettiva. Doveva per prima cosa retribuire i suoi
collaboratori, pagare quelli che avevano riportato le varie prede
della caccia . Alcune persone furono scambiate con amici che
l 'avversario teneva nelle proprie prigioni . Il re distribui genero­
samente una parte della selvaggina a parenti stretti e lontani .
Ma non vendette tutto il resto. Era suo interesse mettere i ribel­
li piu pericolosi in condizione di non piu nuocere. I traditori in­
veterati, i recidivi furono condannati al carcere a vita. Cosi fu
per Rinaldo di Dammartin del quale, a Bapaume, il re apprese,
o si fece dire, che complottava ancora contro di lui . Comunque
i detenuti erano numerosissimi, e parecchi di gran valore. Undi­
ci conti, decine di banderesi . Dd! piu modesto tra questi si pote­
va sperare di ricavare almeno mille libbre, duecentoquarantami­
la monete d'argento . Dallo spleljldido torneo che era stato anche
Bouvines, il re stesso usciva ricco, piu ricco di qualunque re di
Francia prima di lui. E in grado di discutere, di negoziare, come
fece con la contessa di Fiandra. Di tenere a lungo imbrigliati i
principati piu riottosi . Dio sia benedetto : egli colloca nell'agia­
tezza coloro che lo servono bene. Con la vittoria da lui concessa,
1 70 Commento

la monarchia capetingia viene a essere veramente - attribuiamo


alla parola il suo pieno signi.6cato - consacrata. Al piccolo Lui­.
gi, il nipotino, bimbo di tre mesi, è già promessa la santità.
Leggenda
Nascita del mito

Incontestabilmente il fatto che accadde la domenica 2 7 lu­


glio 1 2 1 4 fu di particolare importanza. Fu la prima « battaglia
campale » che un re di Francia, non senza esitazione e, si può
ben dirlo, suo malgrado, abbia osato impegnare dopo un seco­
lo . La prima vittoria riportata da un re capetingio . A memoria
d'uomo mai una decisione era stata cosi franca, un bottino cosi
magnifico, una cosi splendida affermazione della legittimità di
wi diritto. Dopo Bouvines non si può piu mettere in discussio­
ne la prodigiosa espansione del potere regale. Nulla può impedi­
re ai balivi di sfruttare a fondo le province sottomesse, per
esempio di « asservire tutta la terra di Fiandra rimasta dalla par­
te di Luigi, tanto che coloro che ne sentivano parlare si stupiva­
no che si potesse sopportarlo e tollerarlo » . In tutto il reame
nessun principato era ormai in grado di recalcitrare. Da Bou­
vines derivano direttamente, con la disfatta di Ottone, il trion­
fo di Federico II e i busti cinti di alloro delle porte di Capua,
con lo scacco di Giovanni Senzaterra , le armi brandite dai baro­
ni d'Inghilterra nella prateria di Runnymead. Dopo Las Navas
de Tolosa, dopo Muret, Bouvines ha fissato per secoli il destino
di tutti gli stati d'Europa.
Che l'importanza dell'avvenimento sia stata subito intuita al­
la corte del re di Francia e nelle regioni prossime al campo di
battaglia l'attestano i cinque racconti -da me utilizzati . Lo atte­
sta l'immediato inserimento del rapporto procurato da Gugliel­
mo il Bretone nell'opera storiografìca ufficiale di cui l'abbazia di
Saint-Denis era allora per cosi dire il laboratorio . Lo dimostrano
del pari la nota che lll. regina Ingeborg scrisse sul suo libro di
I 74 Leggenda

preghiere e la chiesa parigina di Sainte-Catherine du V al-des­


Ecoliers, edifìcata da Luigi IX in memoria di suo padre e di suo
nonno « per la gioia e la vittoria da essi avuta sul nemico del re­
gno al ponte di Bouvines » . Infine come, soprattutto, l'abbazia
della congregazione di Saint-Vietar che il re Filippo fondò pres­
so Senlis , offrendo in sacrificio una parte delle spoglie . Egli la
dedicò a Notte-Dame des Victoires e volle che in perpetuo vi si
celebrassero rese di grazia a Dio . Della battaglia fu questo il ve­
ro monumento commemorativo, quello che ne conservò il ricor­
do. Le rovine della chiesa, che Luigi XI fece ricostruire, sono
ancora visibili nel paesaggio del Valois . Nondimeno le ripercus­
sioni dell 'avvenimento si propagarono in ondate successive piu
lontano. Queste risonanze tenteremo di valutarie attraverso le
tracce scritte da loro lasciate .
Le tracce sono numerose, perché grande era l'importanza del­
la storia nella cultura europea del XIII secolo . Certo la maggior
parte del ricordo del passato si conservava solo nella memoria, e
da una generazione all'altra parte di tale riserva andava perdu­
ta. Un'altra parte, sempre piu alterata, veniva trasmessa oral­
mente, con il racconto degli anziani . Ma un frammento ne era
fissato anche per iscritto . Scrivere la storia era in effetti tradi­
zione delle comunità religiose, dei monasteri e dei capitoli delle
cattedrali , e l'attività dello Scriptorium, naturale dipendenza di
tali istituzioni, consisteva in buona parte nel salvare gli avveni­
menti dall 'oblio. Tra la funzione della preghiera, la celebrazione
della gloria di Dio con l'ufficio liturgico, e la composizione di
un'opera storica esistevano strettissime affinità : se è vero che
Dio, attraverso le azioni straordinarie degli uomini , manifesta la
propria volontà, fa risplendere la propria onnipotenza, lancia
avvertimenti, è compito dei suoi servitori raccogliere attenta­
mente tali segni, allinearli lungo il filo del tempo1 ordinarli in
discorso, onde questo discorso frammentario; discontinuo, enig­
matico, alla luce del suo stesso prolungarsi possa essere in av-ve­
nire commentato, chiosato, tolto dalla sua oscurità e offerto alla
meditazione dei saggi. Questi vi troveranno esortazioni, esempi,
utili indicazioni per orientare nella retta via il cammino del po-
Nascita del mito 1 75

polo cristiano e per condurlo alla salvezza. Da Adamo in poi l'u­


manità arranca, incespica, si smarrisce. La storia mostra il trac­
ciato delle sue deviazioni, delle sue esitazioni , dei suoi ravvecli­
menti. Un movimento continuo . La venuta di Gesti in questo
mondo non ne ha deviato il corso, lo ha semplicemente segnato
con una profonda cesura, cambiando il colore del tempo, dando­
gli la tinta della speranza. Da allora il progresso continua attra­
verso le insidie: è come una lunga traversata del mar Rosso sot­
to la minaccia di Satana Faraone. Tende diritto all'eterno, verso
il punto finale : il ritorno trionfale del Cristo, la Parusia, la ri­
surrezione dei morti, il giorno in cui tutti gli attori della storia
umana compariranno, compiutosi il tempo, per il giudizio di ve­
rità. Sin quando i cieli non si saranno aperti, sinché la luce non
creata non irromperà sull'universo visibile ormai perfetto - sin­
ché la storia non sarà terminata - gli uomini non saranno capaci
di giudicare rettamente il passato. Ma il riflettere sulle gesta dei
predecessori è un mezzo dato loro per prepararsi alla fine · del
mondo, per progredire verso la perfezione. E tale è lo scrutare il
meglio possibile la parte della storia già svoltasi, il meditare in
special modo sulle battaglie, in cui Dio parla piu forte e piu
chiaro che altrove. Queste considerazioni spiegano la continuità
degli annali nei quali successivi redattori andavano man mano
registrando gli avvenimenti che parevano loro notevoli, spiega­
no la ripresa di tale materia nelle cronache o, piu ambiziosamen­
te, nelle storie, molte delle quali intendevano partir dal diluvio .
Tra i monaci e i chierici nel XIII secolo era estremamente vivo
l'entusiasmo per tali imprese .
Ma nelle corti, dei grandi signori come dei piccoli, questi fo­
colai dappertutto in aumento, e incessantemente rafforzati, di
una cultura che a poco a poco si andava laicizzando, ci si interes­
sava anche là , e sempre di piu, alla storia. Anche li ci si metteva
a scrivere, con intenti notevolmente diversi : si· trattava. qui di
glorificare un lignaggio , una dinastia, di insegnare ai principi,
di educare i cavalieri, di sostenere un potere, -q.na morale, una
struttura sociale. Si trattava pure di rispondere alla curiosità dei
nobili, tra i quali cresceva il numero di coloro che sapevano leg-
176 Leggenda

gere, che amavano informarsi sugli avvenimenti da loro stessi


vissuti, come anche su quelli di cui si parlava e che li lasciavano
dubbiosi. Innumerevoli storie, cronache e annali furono redatte
in tutte le province della cristianità durante gli anni che segui­
rono Bouvines : la maggior parte in latino, ma alcune anche nel­
la lingua degli svaghi mondani. Quasi tutti quei manoscritti so­
no oggi perduti. Di quelli che ci rimangono molti sono stati
pubblicati dagli eruditi moderni . Di queste fonti stampate ne
sono state qui esaminate duecentosettantacinque, scritte nella
generazione contemporanea alla battaglia e durante le due gene­
razioni successive, fino agli ultimi anni del XIII secolo . Le piu
numerose provengono dai paesi dell'Impero, non soltanto p�r­
ché la letteratura storica vi era a quel tempo piu viva, ma anche
perché gli eruditi tedeschi furono piu diligenti nel pubblicare ta­
li documenti. In tutte queste relazioni di un passato ancora re­
cente quale fu dunque l'eco di Bouvines ?
Prima importante osservazione : la traccia dell 'avventura com­
pare in novantadue di questi racconti storici, non di piu, vale a
dire che in due terzi di essi non si fa alcun cenno di questa
« giornata che fece la Francia » . Si sarebbe subito tentati di indi­
viduare i luoghi in cui i professionisti della cronaca, della storia,
del rapporto annuale furono o non furono attenti alla vittoria di
Filippo Augusto : ma delimitare in tal modo le zone sensibili e
quelle piu o meno indifferenti non è in realtà progredire verso
una geografia profonda, veritiera, e ancora completamente sco­
nosciuta, di ciò che fu allora in Europa la coscienza, per cosi di­
re politica? Non sorprende vedere trentatre (cioè un terzo) de­
gli scritti che celebrano Bouvines avere origine nell'antica Fran­
cia, nella parte del reame situato a est della Bretagna e a nord
della Loira. Evidentemente tutte le fonti che provengono dal
vecchio territorio capetingio mettono in evidenza la battaglia.
Gli echi piu numerosi provengono però dalla contea di Fiandra
e dai suoi dintorni, dalle regioni in cui la produzione storica
era piu abbondante e che, vicine al luogo dove si era svolto il
combattimento, ne avevano subito piu direttamente gli effetti;
ma già qui l' attenzione appare minore: un quarto dei cronisti
Nascita del mito 177

omette di riferire l'avvenimento. La percentuale di coloro che


non ne parlano è ancora piu alta in Normandia: un terzo; rag­
giunge la metà nella Champagne, nella Borgogna, nella Turenna,
regioni che nondimeno avevano fornito contingenti all'armata
vittoriosa. Nel regno d'Inghilterra la risonanza di Bouvines sem­
bra esser stata piu profonda che a Digione o a Troyes (meno pe­
rò di quella di un altro avvenimento, la revoca dell'interdetto
che l'anno prima aveva liberato il paese da un lungo disagio ) : il
sessanta per cento degli annali o delle cronache analizzate par­
lano della battaglia. Matteo di Parigi, verso la metà del secolo,
compilò a Saint-Alban, una storia degli Inglesi; alla line del libro,
riassumendo in un elenco i fatti da lui giudicati piu importanti,
non trascurò di collocare Bouvines tra i pochi prodigi, le rare
« cose mirabili » ch'egli sapeva essere avvenute nei cinquanta an­
ni precedenti. D'altronde Oltre Manica le allusioni alla vittoria
del re di Francia sono, in buona parte, laudative ; cosi pure tutte
le testimonianze offerte, sino ai confini della Scozia·, dai monaci
cistercensi: Giovanni Senzaterra, che pensava non senza ragio­
ne che il traffico delle lane aveva reso le abbazie troppo ricche,
aveva loro sottratto denaro. Infine circa un terzo di tutte le cita­
zioni proviene dai paesi dell'Impero. A dir vero, dato che le nar­
razioni storiche abbondano in tali regioni, il numero dei cronisti
che decisero di inserire l'avvenimento è in proporzione relativa­
mente modesto . Lo ritennero necessario soprattutto scrittori
della Lotaringia, quella regione, fino a Colonia e ai Vosgi, in cui
aveva forti ripercussioni quanto d'importante avveniva in Fian­
dra. Tuttavia molti documenti provenienti da quelle province
restano muti: la cronaca dei duchi di Brabante, che non tace la
disfatta di Steppes, sorvola sullo sbandamento di Bouvines ; in
fin dei conti coloro che mantengono il silenzio non sono qui me­
no che in Normandia : un terzo del numero complessivo. Gli al­
tri echi che su questo versante della cristianità alcuni scritto­
ri raccolsero si ebbero quasi tutti ( a parte una località isolata
in Austria, Klosterneubourg) in Sassonia, il paese di Ottone, in
Svevia e in Alsazia, il paese degli Staufen. L'Italia resta molto
indifferente. Se ne nota tuttavia una traccia immediata a Geno-
r 78 Leggenda

va, un'altra nell'abbazia di Montecassino, dove si era attentiss:.


mi a tutto quanto poteva ledere la potenza del re di Sicilia cioè,
a quell'epoca, di Federico II, e un'ultima traccia in una storia
degli imperatori e dei papi, scritta senza dubbio in Toscana nel
I278.
In ogni altro luogo nessuno di coloro che mettevano per
iscritto le grandi notizie o che compilavano racconti del passato
sembra essersi interessato di Bouvines . Nulla nelle fonti scandi­
nave, tre delle quali tuttavia avevano accennato al matrimonio
di Filippo Augusto con Ingeborg. Nella stessa Francia, appena
varcata la Loira, si instaura il silenzio . Nessun indizio meglio di
questa decisa disattenzione dimostra lo spessore del muro che in
questo momento separa il regno in due parti. Nessuna eco nei
paesi del Giura, nelle Alpi, in Provenza . Una menzione, tardiva,
nella storia albigese di Guglielmo di Puylaurens , un'altra a Poi­
tiers, una terza a Bordeaux, l'ultima nel grande monastero catala­
no di Ripoli : l'Aquitania, in complesso, ne è immune . I suoi oc­
chi sono rivolti verso Muret, verso « la questione di pace e di fe­
de » che Simone di Montfort e i crociati si accaniscono a regola­
re in maniera brutale, in nome del papa, bruciando allegramen­
te i catari. Prendiamo il caso di Bernardo Itier, monaco incari­
cato della biblioteca a Saint-Martial di Limoges , grande luogo
d'incontro di pellegrini, quindi d'informazioni, eccellente osser­
vatorio : Bernardo stesso non era sciocco ; sui margini di un ma­
noscritto notava i fatti che durante l'anno lo avevano colpito .
Molti avvenimenti nel I 2 I 4 gli parvero degni di essere registra­
ti : la morte di un importante benefattore del monastero, la mor­
te del vescovo di Poitiers , l'accettazione di un nuovo confratel­
lo perché aveva offerto dei libri alh comunità, il risultato della
vendemmia, le discordie che allora dilaniavano la congregazione
rivale di Grandmont, la caccia che si fece quell'anno agli eretici
e a coloro che prestavano su pegno, le trattative tra i signori del
Limosino e Giovanni Senzaterra, la predicazione di una crocia­
ta, l'introduzione di una nuova funzione in onore della santa
Vergine, il decesso dell'abate, la costruzione di un pilastro nel
chiostro, infine quel terribile ventaccio che, la vigilia di San-
Nascita del mito 1 79

t'Andrea, fece cadere alcune pietre dal campanile . Ma neanche


una parola su Bouvines. In un'Europa percorsa da mercanti, da
squadre di giostratori, di pellegrini, dove i concili riunivano pre­
lati giunti da ogni parte del mondo, un'Europa che bande di po­
veri percorrevano di continuo cercando la via per Gerusalemme
e dove dai mulini alle taverne le notizie si propagavano verso i
fronti che erano i primi a sgrossarle, il trauma provocato da
quella battaglia in cui si erano affrontate le quattro grandi po­
tenze della cristianità, in cui Dio, quel giorno, aveva deciso del
loro destino, poté facilmente ripercuotersi fino nella Campania,
fino ai confini dell'Ungheria, fino alle rive del mare gallese. Sin
là lo percepirono orecchie rese attente da un certo comporta­
mento politico, mentre alle porte di Orléans, di Chalon-sur­
Saone, fu subito smorzato da muri d'indifferenza verso tutto ciò
che poteva accadere nel campo dei Francesi : gente straniera,
gente da poco . Persino a qualche lega dalle terre coltivate del
Cysoing alcuni rimasero sordi : della guerra di quell'anno la cro­
naca di un monastero vicino a Dunkerque ha ricordato un solo
episodio : la devastazione che Ferrando, conte di Fiandra, recò
alla terra di Arnolfo di Guines .
Delle novantadue testimonianze, settantacinque sono conte-.
nute in poche righe : nove si contentano di situare l'avvenimen­
to nello spazio e nel tempo; una decima aggiunge, senza dir al­
tro, che quel giorno era una domenica. Anche quando il rappor­
to diviene un po' meno laconico è per insistere su quel punto :
la battaglia aveva avuto luogo in una giornata in cui era proibi­
to battersi. L'hanno notato diciannove testimoni . Tuttavia piu
di tre quarti mettono l' accento prima di tutto sulla cattura da
parte del re di Francia di un certo numero di conti. Due hanno
sentito dire che i conti erano cinque, otto che erano quattro .
Sette invece non parlano che di uno solo, il conte di Fiandra, se­
dici aggiungono il conte di Boulogne, ventitre ne citano ancora
un terzo : il conte di Salisbury. Insomma è la cattura del conte
di Fiandra che costituisce il centro dell'avvenimento , il suo pun­
to essenziale, la parte viva della notizia che colpi i contempora­
nei. La fuga di Ottone passò piu inosservata : la riferiscono so-
I8o leggenda

lo metà dei cronisti. Tuttavia otto ( e cinque scrivevano nelle ter­


re dell'Impero ) non parlano d'altro. Sei credono di dover preci�
sare che l'imperatore era scomunicato ; cinque inoltre si azzarda­
no a valutare sommariamente gli effettivi. Otto hanno ricordato
che i prigionieri furono straordinariamente numerosi. Qua e là,
qualche annotazione supplementare : a Liegi si fa allusione a Fe­
derico II, a Digione al duca di Borgogna; altrove ancora all'esi­
guo numero di morti, alla gioia del popolo · dopo la vittoria. Due
di queste brevi relazioni ·commettono l'errore di far comparire
sulla scena il principe Luigi.
Nei diciassette racconti piu sviluppati il punto di vista non è
sensibilmente diverso. Nessuno certo omette il conto dei prigio­
nieri : Bouvines evidentemente fu in primo luogo questo. La
maggior parte non ne indica che tre: Fiandra, Boulogne, Salis­
bury; alcuni, piu prolissi, aggiungono, senza dubbio a causa del
suo bizzarro soprannome, il « conte valoroso » d'Olanda. Per
contro, quando Vincenzo di Beauvais , domenicano, familiare del
re san Luigi, descrive la battaglia nel suo Speculum historiale
basandosi, dice, su quello che gli hanno raccontato i prigionieri,
non nomina che Ferrando del Portogallo e Rinaldo di Dammar­
tin poiché, in realtà, egli riassume onestamente Guglielmo il
Bretone. Nessuno di questi rapporti un po' particolareggiati
passa sotto silenzio la sconfitta dell 'imperatore; questo episodio
appare in verità per importariza al secondo posto tra i fatti di ri­
lievo cui è rimasto legato il ricordo. Per il resto, undici di tali
racconti riassumono il discorso del re di Francia; dieci sottoli­
neano l'infrazione alla pace della domenica, accennano al perfet­
to ordinamento delle truppe, mettono in evidenza la prodigiosa
retata a cui questo diede luogo; nove ricordano anche che Filip­
po Augusto fu disarcionato. Incidentaltnente si parla di tre ca­
valli cosi «prodi » che, sacrificando l'uno dopo l'altro la propria
vita, permisero a Ottone di sfuggire alla cattura .
Quest'analisi dà il profilo dell'avvenimento : il re di Francia
ha cat turato il conte di Fiandra e qualche altro conte, e inoltre
un. gran numero di cavalieri. Caduto a terra, si è rialzato per
mettere in fuga un «falso » imperatore, scomunicato ; questo è
Nascita del mito r8r

accaduto una domenica . Quando la memoria si riduce alla sua


espressione piu semplice ricorda solo un'annata ( r 2 r 4 ) è il no­
me di un ponte su di un :fiumicello :fiammingo .

In qualche punto però l'avvenimento ha lasciato tracce mol­


to meno superficiali; furono scritte relazioni in cui i ricordi si.
ampliarono e anche si deformarono. Gli ampliamenti furono in
primo luogo opera di quanti servivano il re di Francia; le defor­
mazioni, di coloro che non l'amavano . In Germania, dove la
maggior parte degli scrittori non ha detto nulla di una sconfitta
che, secondo la cronaca di Lautersberg nel Meissen, rese deriso­
rio nella Gallia il nome « tedesco », alcuni si ritennero tuttavia
obbligati a riferirla, cercando però di mettere il fatto in una lu­
ce meno umiliante . Nell'abbazia di Ursperg, in Svevia, colui che
a quell'epoca si incaricava di scrivere la storia volle prima di
tutto persuadere i suoi lettori che il re di Francia aveva avuto
paura. E non senza ragione : sapeva, e dfii suoi stessi baroni, che
il nemico era straordinariamente valoroso . Sono messi in bocca
a costoro propositi che di solito vengono attribuiti a Rinaldo di
Damrnartin, ma che il cronista capovolge per salvare l'onore
teutonico : gli eroi, i temibili guerrieri ché non hanno mai pau­
ra di nulla non sono piu i Francesi, ma le genti della Germania ;
« la loro ferocitas è tale che preferiscono morire in combattimento
piuttosto che vergognosamente fuggire » . Spaventato, poco sicu­
ro di sé, il re avrebbe dato ai suoi cavalieri piena facoltà di orga­
nizzare la battaglia. Essi avrebbero risolto la questione guastan­
do dapprima il ponte e tagliando ogni via di scampo a coloro
che si apprestavano a fuggire, per costringerli cosi a combatte­
re. Anzi essi non avrebbero certo vinto , terrorizzati com'erano,
se non ingannando l' avversario, che era invincibile, attirandolo
cioè in una specie di trabocchetto, vilmente servendosi, a tale
scopo, degli « appiedati e della plebaglia». Essi avrebbero dispo­
sto i combattenti del volgo e le loro picche in due schieramenti
obliqui, e teso cosi una specie di nassa poi, simulando la fuga,
avrebbero attirato nell'agguato i valorosi e leali guerrieri germa-
r82 Leggenda

nici . Senza tale stratagemma non ne sarebbero mai venuti a ca­


po, e mai sarebbe fuggito l'imperatore, al quale il racconto dà
per compagno nella disfatta il re d'Inghilterra in person a. Nel
frammento di una cronaca dei principi di Brunswick si può an­
che leggere che Ottone detestava la guerra, che gli incendi, l 'in­
felicità dei poveri gli erano intollerabili, che durante tre anni
egli regnò gloriosamente e in perfetta pace, che era quindi giu­
sto chiamarlo « re pacifico e principe della pace » , poiché fu ve­
ramente suo malgrado che, provocato da malvagi, impegnò bat­
taglia.
Una buona parte dei racconti inglesi si adopera, con lo stesso
spirito, a sminuire la gloria del Capetingio. Guglielmo il Mare­
sciallo a Bouvines non c'era, la canzone rimata in suo onore par­
la però della battaglia affermando anch'essa che i Francesi erano
malsicuri, che non avevano voglia di battersi e attendevano la
notte per scappare ; Rinaldo di Dammartin si dimostrava vera­
mente ben accorto quando consigliava di non attaccare prima
che iniziasse la ritirata di quei codardi : in tal maniera si sarebbe
potuto senza fatica occupare il paese e restituirlo al re d' Inghil­
terra e all'imperatore. Questi non aveva dalla sua neppure la
quarta parte dei suoi uomini. I Francesi hanno avuto il soprav­
vento perché erano quattro volte piu forti. Grande onore avreb­
be riscosso Ottone se soltanto avesse atteso il giorno seguente .
Il vero eroe della giornata fu un inglese, il conte di Salisbury,
che consigliò all'imperatore di ritirarsi e che, lealmente, si lasciò
catturare al posto suo . Ruggero di Wendower che, nel suo Flores
Historiarum, raccontò fra il 1 2 1 9 e il 1 2 2 5 gli avvenimenti piu
notevoli degli anni 1 1 9 3 - 1 2 1 6 , fornisce del combattimento di
Bouvines un resocon�o meno parziale, bene informato e che, nel
XIII secolo, fu parecchie volte utilizzato da altri storici inglesi .
Egli ha capito bene come il re Filippo si appoggiasse sui tre « or­
dini », sui conti, sui baroni, sui cavalieri da cui era circondato,
ma anche sui sergenti a cavallo e a piedi, sulle milizie arruolate
nei villaggi e nelle città che gli recavano il sostegno del popolo,
mentre da tutte le parti vescovi, chierici e monaci stavano in
preghiera cantando incessantemente, aumentando il numero del-
Nascita del mito 1 83

le :fumioni religiose « per la conservazione del regno » . Ma egli


mostra l'avversario di Giovanni Senzaterra, nonostante tutti
quei rinforzi , inquieto, timoroso di non poter provvedere alla
difesa, poiché il principe Luigi si trovava allora nel Poitou con
una grossa armata. Il re, preso dal panico, avrebbe quindi ordi­
nato di rompere il ponte dietro di sé, per togliere a se stesso e ai
suoi ogni speranza di ritirata, e si sarebbe nascosto dietro un ba­
stione di carrette innalzato tutt'intorno al suo posto di combat­
timento. Ruggero ha pure capito molto chiaramente che gli alleati
avevano agito alla leggera decidendo di ingaggiare una battaglia
campale di domenica. Ma secondo lui non fu soltanto Rinaldo
di Dammartin a sconsigliare di « iniziare slealmente un combat­
timento in una tale solennità», di « macchiarla con l'omicidio e
lo spargimento di sangue umano » . Egli ha simpatia per Ottone,
che è un po' Plantageneto; cosi fa dire all'imperatore, in consi­
glio, che se si impegnava una battaglia in quel giorno non c'era
da sperare in un esito felice. Ottone si sarebbe lasciato trascina­
re dal blasfemo Ugo di Boves . E mentre Filippo Augusto - che
un cavaliere salvò da morte certa sacrificandosi per lui e che i
suoi amici faticosamente riuscirono a issare sul cavaUo - rimase
in seguito prudentemente sulle difensive, l'imperatore, secondo
Ruggero di Wendower, avrebbe sopportato solo, gloriosamente,
dopo la vergognosa fuga di Ugo di Boves, tutto il peso del com­
battimento, difendendosi valorosamente con quella spada che
« teneva come una roncola, usandone l 'aguzzo fendente a mani
giunte e menando qua e là colpi senza scampo . Chi veniva rag­
giunto rimaneva sbalordito, e lui stendeva a terra tutti i cavalie­
ri con i loro cavalli » . Tre cavalli gli furono uccisi sotto, ma da
lontano, con la lancia, dai Francesi che non osavano avvicinarsi.
Nondimeno rimontò sempre in sella e molto allegramente, e si
lanciò ogni volta nuovamente contro i nemici con tremendo co­
raggio . Né fuga disperata né emblemi abbandonati . Infine, « in­
vitto », dopo avere fatto sempre indietreggiare l'avversario, Ot­
tone avrebbe lasciato il campo con tutti i suoi, senza danni né
per loro né per sé. Quanto al re Giovanni, avrebbe soprattutto
rimpianto i quarantamila marchi d'argento inutilmente spesi e
I 84 Leggenda

osservato con amarezza che non gli capitava piu niente di buono
da quando si era riconciliato con Dio e aveva sottoposto il suo
regno alla Chiesa romana.

È proprio sicuro che la versione di Ruggero di Wendower sia


stata inventata di sana pianta? In ogni caso essa induce a do­
mandarsi se Guglielmo il Bretone, proprio lui, non si sia per­
messo di abbellire per la gloria del suo signore i particolari del­
l'avvenimento . Forse la leggenda non si sarebbe già infì.ltrata
nella cronaca in prosa, in quel racconto che ho scelto perché dà
la traccia migliore, la piu diretta e meno confusa ? Sta di f3:tto
che, appena scritta questa prima relazione, Guglielmo a giusto
titolo ormai considerato il panegirista ufficiale della vittoria ca­
petingia, si a:ffrettò a riprendere l'argomento perché ansioso di
celebrare in maniera piu solenne il trionfo del re di Francia,
di edificare un monumento letterario piu splendido, di · cantare
Filippo come Virgilio aveva cantato Enea, sullo stesso ritmo. Fin
dal 1 2 1 4 egli comincia dunque a comporre un vasto poema, la
Philipp ide che alla fine risulterà di quasi diecimila versi - e
-

prosegue l'opera lentamente, laboriosamente, con calma. Nello


spazio di tre anni dieci canti son compiuti, nel 1 2 24 ha termine
una seconda versione in dodici canti, che sarà tradotta in prosa
francese prima della fine del secolo . Nel corso di tale panegiri­
co, la cui lettura è per noi fastidiosa, vediamo comparire, come
una sovrimpressione, i primi accenni del mito.
In realtà il vero soggetto della Philippide è Bouvines. La de­
scrizione della battaglia occupa i tre ultimi canti del poema, con
cui termina il racconto . Il termine del regno è per l'appunto
proprio quell'avvenimento, con cui si conclude ogni peripezia
degna di nota; esso pone fine alla storia che è la vita del glorio­
sissimo re Filippo. E si sente chiaramente che i settemila versi
che precedono non hanno altra funzione che di p:c·esentare i pre­
liminari della vittoria, di spiegare i lenti procedimenti che, a
poco a poco, in trentacinque anni, hanno preparato e reso possi­
bile il trionfo. Prima di tutto l'iniziale, necessaria, elezione divi-
Nascita del mito 18 5

na, la giornata della consacrazione, radice di tutto ; poi l 'opera


di preliminare purificazione, che doveva lavare il regno da ogni
macçhia, scacciando gli Ebrei, bruciandoli se non se ne andava­
no abbastanza in fretta, punendo quelli - ed eran numerosi ­
che giuravano invano sul nome del Signore, accendendo ovun­
que roghi, purgando con il fuoco il mondo dell'infezione ereti­
ca; lalotta intrapresa, in seguito , dal luogotenente del buon Dio
contro gli oppressori della Chiesa, il conte di Sancerre, il duca
di Borgogna; la carneficina di settemila cottereaux nel Berry, an­
ch'essa attribuita a torto all'armata regia. Magnifico è l'ingresso
del sovrano nella politica , circondato dal bagliore delle :fiamme,
dagli schizzi di sangue delle vendette dell 'Eterno . In sette canti
è poi descritta la difficile lotta contro i Plantageneti, razza cor­
rotta, demoniaca, che fa capo al re Giovanni . Costui, a comincia­
re dal canto VIII, è condannato : è l'amico degli eretici, di tut­
ti i catari la cui presenza avvelena il Sud del regno ; il re di
Francia aiuta i crociati a dar loro la caccia, mentre lui si afHigge
di non poterli meglio aiutare. Vinto, egli rivolge la sua perfidia
contro la Chiesa, la Chiesa buona, romana, cattolica, e il pio re
Filippo attinge a piene mani dai propri tesori per soccorrere i
pii canonici che, banditi dall'empio sovrano, fuggono dall'In­
ghilterra. Entra allora in scena l'altro malvagio, Ottone di Bruns­
wick, che infìerisce nella stessa Roma, perseguita i pellegrini,
ruba loro il denaro, giunge persino a proibire i santi viaggi alla
tomba degli Apostoli e in Terra Santa . Dolore di Filippo, che
nel canto X piange, vuoi vendicare la santa Chiesa e decide di at­
taccare gli « scismatici » . Un ultimo insulto, che gli viene dal
conte di Boulogne, lo conforta nel suo disegno. A Soissons il
« capo dei :figli di Francia >> informa i prelati e i guerrieri che par­
tirà per punire i due scomunicati, Giovanni Senzaterra e l'impe­
ratore, e che affronterà i pericoli del mare, dimenticando ogni
cosa purché si ripristini in Inghilterra il culto di Dio da sette
anni sospeso. Infine, ecco Bouvines .
Guglielmo il Bretone segue qui molto da vicino il resoconto
del combattimento da lui dato in precedenza. Si vale di infor­
mazioni nel frattempo raccolte per precisare alcune peripezie
r86 Leggenda

della battaglia. Ma soprattutto cambia il tono da lui scelto, tono


che lo trascina. La lotta raggiunge le dimensioni dell'epopea.
Diventa colossale (sono « migliaia le compagnie vomitate dalla
-6ttà di Gand quand'essa apre le porte » ) . Lotta crudele : impe­
gnata su un terreno la cui toponomia testimonia ch'era predesti­
nato ( a occidente, Sanghin vuoi dire « sangue », e Cysoing, a
oriente, « carneficina » ), il combattimento assume aspetti di stra­
ge. È appena cominciato e già dei cavalieri muoiono sotto i col­
pi dei valorosi sergenti di Soissons : « Bellona, le mani, i vestiti;
il petto e le armi intrise di sangue, lancia da ogni parte migliaia
di colpi mortali » . Alla celebrazione poetica si addice l'enfasi, ed
ecco venir smisuratamente esagerata la superiorità del nemi.co :
i soli compagni del conte di Fiandra superano di parecchie mi­
gliaia quèlli del re ; gloria dei Francesi è di aver trionfato com­
battendo uno contro tre. Tuttavia le cose piu importanti sono
gli svolazzi e la fioritura dei motti pungenti : barocco ornamento
sul sobrio verbale dell'inizio . Con le sue ricercatezze, le sue gra­
ziosità, le sue allusioni, leggere ma innumerevoli, l'immagine
originaria già poco fedele alla realtà se ne è maggiormente sco­
stata e si presta ad accogliere il meraviglioso. Prudentemente, in
maniera appena sensibile, poiché troppi testimoni sono ancora
vivi quando Guglielmo compie la sua opera, e non hanno la me­
moria corta, l'angolo visuale è andato spostandosi. E lo slitta­
mento si manifesta insensibilmente, mediante trasposizioni di­
screte, soprattutto su tre piani, sotto la pressione dell'ideologia
allora dominante alla corte di Francia.
All 'inizio per un lieve cambiamento nel lumeggiare la scena
questa diventa un po' piu caravaggesca, allo scopo di accentuare
i contrasti tra il chiaro e lo scuro . La battaglia mantiene la sua
disposizione alla Paolo Uccello ( cimiero di balena del conte di
Boulogne e giravolte di destrieri ), ma assume pure un aspetto
tragico. I malvagi sono piu neri che mai. Se prima erano odiosi,
ora sembrano esserlo ancora di piu. Tra i lussuriosi, gli avidi, gli
stregoni, i piu malvagi sono quelli che non sono nati nel regno e
di cui l'Impero ha lasciato uscire le mute : la crudeltà è scaturi­
ta dal Brabante, la frode dallo Hainaut, la rabbia dalla Sassonia.
Nascita del mito 1 87

Tutti i capi avversari sono gonfi d'orgoglio, persuasi della pro­


pria vittoria. Hanno previsto tUtto. I loro saccomanni hanno
portato rotoli di corda con i quali vedono già legati i loro prigio­
nieri. Ai loro ordini, gli appiedati formicolano : Ottone forma
con essi tre palizzate successive per meglio proteggere la propria
persona. Sono per giunta degli ipocriti: Guglielmo il Bretone
accoglie a sua volta le dicerie a proposito di quelle croci di cui si
sarebbero ornati per camuffarsi da combattenti di Dio. Assetati
di sangue hanno la malignità di voler uccidere il re. Sono predo­
ni, e non pensano che a rubare ; si ritengono già padroni delle
terre capetinge che si sono spartite, di tutte le ricche città dove,
ironicamente e perché si compia la vendetta divina, il vincitore
deciderà di tenerli prigionieri, Chàteau-Landon e Mantes, per
ciascuno dei due conti tedeschi, Dreux per Guglielmo detto Lun­
ga Spada, Péronne per Rinaldo, e addirittura Parigi per Fer­
rando, la preda piu bella. Nel lungo discorso attribuitogli nel
poema, Ottone rivela il suo vero volto : quello di un anticr'i sto.
Non pretende egli forse di capovolgere il mondo di cui si dichia­
ra l'unico dominatore, di infrangere l'ordine degli Stati e delle
potenze, e di fare degli ecclesiastici dei veri poveri ? Con stupe­
facente ingenuità Guglielmo sviluppa per disteso tale progetto
di riforma religiosa: futuro canonico e già ben pasciuto, lo giu­
dica in effetti abominevole. Il problema per lui non esiste : la
Chiesa ha il diritto di essere grassa e vestita di morbidi panni.
Filippo, primogenito della Chiesa, ne difenderà gli agi, i privile­
gi, tutte le estorsioni che essa compie sui lavoratori per vivere
piu comodamente. È questa la prima tra le missioni di cui la
consacrazione lo investe. E poiché la compie perfettamente, Dio
e i suoi preti benedicono Filippo il buono, Filippo il santo, la
cui semplicissima insegna, l'orifìamma, è « simile in tutto e per
tutto alle bandiere di cui ci si serve abitualmente nelle proces­
sioni della Chiesa ».
Questa prima modificazione ne determina un'altra, che por­
ta, questa, a rimaneggiare piu liberamente la messa in scena.
Nella Philippide tutta l'azione viene a concentrarsi in un solo
nodo drammatico : la singolar tenzone alla quale si impegnano i
r88 Leggenda

due campioni, quello di Dio e quello di Satana. Questo duello il


re di Francia non cessava di invocarlo nelle sue preghiere, di
prepararvisi . Filippo è irriconoscibile . Non è piu, come nella sto­
ria vera, il vecchio'capo scaltro, prudente, alquanto arrugginito,
che cercava di non impegnarsi per timore che gli venisse l' affan­
no e per evitare perdite eccessive, il vecchio capo che temeva di
arrischiare tutta la posta in un sol colpo e che il 2 7 luglio desi­
derava soltanto rifugiarsi nelle paludi, per ricominciare la guer­
ra non appena i rischi fossero ragionevolmente diminuiti. L'e­
roe della Philippide è senza macchia e senza paura. Non si è mai
tirato indietro ; se ha finto di farlo, è perché voleva « ingaggiar
battaglia in una pianura aperta » , su di un campo da lui scelto. da
lunga data, come il piu adatto allo svolgimento della grande or­
dalia. Nel consiglio in cui i baroni, meno Baiardi di lui, lo solle­
citavano a continuare la ritirata, che cosa ha detto? « Il Signore
mi concede quello che desidero, ecco che, ben oltre i nostri me­
riti e le nostre speranze, il favore divino ci accorda ciò che supe­
ra tutti i nostri auspici . Coloro che dianzi ci sforzavamo di rag­
giungere attraverso ampi giri e numerosi cambiamenti di strade,
ecco, la misericordia del Signore li conduce verso di noi, affinché
egli stesso, a mezzo nostro, distrugga in una sola volta i suoi ne­
mici . Con le nostre spade egli ne troncherà le membra, egli farà
di noi strumenti affilati, lui colpirà, e noi saremo il martello ;
egli sarà il capo di tutta la battaglia, e noi saremo i suoi mini­
stri » . Il fatto che gli siano attribuite tante forze distruttrici ren­
de esultante il Capetingio . Non attendeva altro. Vuole mostrar­
sene degno . Lo scontro si è appena ingaggiato, e già lo si vede
scagliarsi avanti, agitarsi per giungere fino all'altro duellante e
per misurarsi finalmente con lui. « Poiché Ottone continuava a
tardare e non voleva attaccare per primo il re, questi, impazien­
te, non potendo sopportare indugio, infiammato dal desiderio di
battersi, osa avanzare in mezzo ai fanti teutoni » . Piomba in
mezzo ai barbari tedeschi, sfida i pugnali, sprezza ogni pericolo ;
splendido, cade, atterrato da perfide armi. Si rialza, di nuovo
abbatte gli ostacoli, senza tuttavia riuscire a liberarsi dai grovi­
gli della mischia. « Né l'uno né l'altro poté trovare un passaggio
Nascita del mito 1 89

libero davanti a sé, tanto la calca era fitta, tanto erano mescolati
i combattenti delle due parti » . Crudele disinganno : Dio non ha
voluto esaudire la piu fervida preghiera del monarca : « Poter
incontrare l'imperatore da solo a solo, e combattere come Enea
contro quel novello Turno » .
Ho detto che il passaggio verso il mito risultava da tre modi­
ficazioni combinate insieme. La prinia è tragico-manichea ; con
essa Bouvines si colloca nel more di una crociata permanente,
quella del bene contro il male. La seconda, nello stesso senso,
pone in risalto l'ordalia, e riempie tutta la battaglia con la sola
liturgia di un duello giudiziario . L'ultima, decisiva, fa della vit­
toria del campione di Dio un trionfo nazionale. Se, nella Philip­
pide, il re di Francia è vestito dei panni di Enea, in effetti non è
soltanto perché l' autore del poema è pedante e segue pedisse­
quamente Virgilio . Si crede, da moltissimo tempo - la cronaca
di Fredegario lo diceva sin dal vn secolo - che i Franchi siano
discendenti dei Troiani. Ora, Filippo non combatte per se stes­
so, ma per una causa: che è quella di tutti i « figli di Francia » .
La posta del combattimento singolare non è piu l'eredità di un
sovrano, non è soltanto la punizione dei superbi e degli eretici,
ma è il destino di una nazione, eletta a guidare il mondo .
Nella celebrazione poetica di Bouvines lo spirito di corpo, di
un corpo, osiamo dire, nazionale, fa quindi una irruzione trion­
fale. Gli unici veri eroi, i guerrieri « dall'ardente valore » , che
« non esitano mai a sfidare ogni specie di pericoli » sono i « Egli di
Francia » . Quale Francia? Di certo il vecchio paese franco , quel­
lo di Parigi, di Etampes e di Senlis . La Francia di Saint-Denis . I
migliori artefici della vittoria, quei cavalieri la cui fama colletti­
va risplendeva in tutti i tornei, erano proprio nati nei territori
dei Capetingi, nella provincia che Clodoveo e Dagoberto aveva­
no amato. Nessuno di loro era venuto dalla Bretagna o dall'A­
quitania. Tuttavia la Francia della Philippide è in verità meno an­
gusta, perché Bouvines sopraggiungeva proprio in un momento
di profonda trasformazione. Da dieci anni, nei diplomi rilasciati
dalla sua cancelleria, Filippo Augusto si attribuiva · il titolo non
già di re dei Franchi, ma di re di Francia. L'intero regno tende-
1 90 Leggenda

va a identificarsi con la Douce France , ch'era la culla dei suoi so­


vrani. In un tempo in cui i cavalieri del Parisis co:mirlciavano a
metter le mani sulla Linguadoca , in cui i Plantageneti ripiegava­
no sulla Saintonge , l'insensibile cambiamento nel senso di una
parola traduceva l' ampliarsi di un'immagine dentro una ideolo­
gia che si adattava docilmente, al consolidamento dello Stato
per sostenerlo e giustificarlo . Servitore zelante, Guglielmo il
Bretone intendeva veramente cooperare con le fanfare della sua
epopea a tutti i maneggi che potevano essere utili alla politica
regale . La battaglia sta per cominciare . Frate Guerrino, tra le
file, incoraggia i cavalieri. Di che cosa parla ? Parla della loro
razza : « Vittoriosa in tutti i combattimenti, essa ha sempre · di­
strutto i nemici » . È la rievocazione di una comunità di sangue,
l'affermazione di una superiorità etnica, un ammiccare a latenti
xenofobie: il tutto buttato in faccia alle genti di Fiandra che, di
certo, appartengono al reame, ma il cui conte proviene dal Por­
togallo, paese di streghe, e in cui per la piu gran parte parlano
tedesco , il che è suffìciente a renderli odiosi. Buttalo in faccia a
« quei figli d 'Inghilterra che i piaceri del libertinaggio e i doni di
Bacco avvincono con maggior fascino che non i regali del terri­
bile Marte » e dei quali si sa che ben presto scapperanno a gam­
be levate. Ma soprattutto in faccia ai Teutoni . I due campioni
del duello, i due re della scacchiera erano quelli di Francia e di
Germania. Occorreva dunque che l 'affermazione di una coscien­
za nazionale scaturisse dallo scontro di queste due monarchie.
In guerra i Germanici, questi barbari, hanno per sé « il furore » .
Virili pagana in verità, propria di Wotan e degli antichi dei, vir­
tu selvaggia. I Germanici sono temibili, ma come le fiere delle
foreste; manca loro il coraggio francese, quello vero, che è no­
biltà di cuore. Ben lo si vede : vanno a piedi come dei villani .
« Voi, figli della Gallia, voi combattete sempre a cavallo » . Avan­
ti ! Se la fanteria dei comuni vi infastidisce, travolgetela, nobil­
mente. E se quel falso traditore, quel gaudente conte di Bou­
logne, che si pavoneggia sotto il suo cimiero alto come uno sten­
dardo, combatte con tanto valore, se è cosf avveduto, se si di­
mostra cosi prode, abile e saggio, è perché, pur sviato, attirato
Nascita del mito r9 r

dal maligno nel campo dei cattivi, non è né :fiammingo, né ingle­


se, né teutone : è nato a Dammartin in Francia . « Il valore che
gli era naturale in guerra proclamava apertamente che era dav­
vero :nato da genitori francesi. E sebbene proprio la sua colpa
l'abbia reso ai tuoi occhi, o Francia, degenere, guardati dal ver­
gognartene, e che la tua fronte non arrossisca ! » Buon sangue
non mente. In alto i cU.ori ! Date :6.ato alle trombe, la Philippide
lancia all'assalto gli intrepidi .
Per far che ? Non certo per regolare, in battaglia, vecchie di­
scordie domestiche e feudali . Non certo per decidere chi, tra
l 'imperatore e il re, può pretendere di guidare la cristianità. Si
tratta semplicemente di costringere i Teutoni a riconoscere « che
sono davvero inferiori ai Francesi, e che non è possibile alcun
confronto fra loro nelle fatiche di Marte », « che la violenza tede­
sca è sopraffatta dal valore francese » . Il singolare combattimen­
to non avviene piu fra due monarchi, ma fra due nazioni . Il con­
te di Boulogne, i vassalli ribelli dei Plantageneti -:- che d1 altron­
de sono anch'essi <( Egli della Gallia » - i Fiamminghi , gli stessi
Inglesi, non rappresentano che ruoli secondari. I bianchi e i ne­
ri sono ormai i Francesi e i Germanici. Nuovo Enea, erede di
Carlomagno - di Carlomagno del quale si dice che avesse per
stendardo l'oriliamma e che, nella sua saggezza , aveva già puni­
to la Sassonia e l'aveva fatta « arrossire con la spada dei France­
si » -, il re di Francia, nella Philippide, rivolge le sue arringhe ai
« discendenti dei Troiani », li tratta come l'imperatore delle leg­
gende trattava i suoi pari . A questi cavalieri, il cui orgoglio, e
tutta la coscienza della storia, traggono alimento dalle genealo­
gie, parla anche lui di antenati, di razza, di innata virili . Ma, per
riunirli in un'unica nazione, riprende i temi principali dei rac­
conti e dei poemi che si odono cantare nelle riunioni della <( gio­
venru » , l'antica materia dei romanzi di Enea, l' argomento fran­
cese delle canzoni di gesta . Nell'epopea di Guglielmo il Bretone
l 'iperbole ideologica non tocca propriamente la funzione regale .
Questa viene, si, esaltata, ma in maniera indiretta. Non certo ri­
petendo ciò che tutti sanno : che la persona del re è sacra, che
nessuno gli può metter la mano addosso, che il sovrano , quando
192 Leggenda

si cimenta in battaglia, non espone ai rischi la propria persona,


bensf l'onore del regno e la corona; ma presentando la vittoria
di un sovrano come la vittoria dell'intero popolo .
Nel finale del poema il trionfo di. Filippo Augusto uguaglia
quello di Pompeo, di Cesare, di Vespasiano e di Tito. Egli ha ri­
sollevato l'aquila abbattuta sul campo di battaglia; ha preso
l'impero nelle proprie mani. Naturalmente la sua marcia solen­
ne lo riconduce a Parigi, la nuova Roma dei maestri e degli sco­
lari. Il suo trionfo supera però quello degli imperatori antichi
perché non si limita a una sola città: per un'intima comunione
vi partecipa l 'intero corpo del regno, sin nei territori piu lonta­
ni. È come una profonda, irresistibile infiltrazione di gloria.
« Una· sola vittoria fa nascere mille trionfi . . . in ogni città, in ogni
borgata, in ogni castello » . Con gioia unanime si vedono perfino
confondersi le diverse classi della società. « Tutte le condizioni,
tutte le fortune, tutti i mestieri, i sessi, le età cantano i medesi­
mi omaggi di allegria » . All'unisono. Per un po' di tempo si at­
tenuano persino le diiferenze nel vestire, che in quell'epoca de­
notavano la diversità delle posizioni sociali e che effettivamente
classificavano : « Cavalieri, borghesi, villici, tutti risplendono
sotto lo scarlatto » . Uniformemente coperti con mantelli di por­
pora trionfale, eccoli tutti uguali . Con immenso stupore del vil­
lano, che non sa capacitarsi di essere abbigliato come un impe­
ratore : « Egli pensa che l'uomo stesso è cambiato » . Lo è infatti,
per un momento, grazie alla vittoria, che è venuta a modificare
il senso dei riti, a trasformare la festa delle messi in una festa
della libertà, dell'uguaglianza, della fraternità, la prima festa na­
zionale. Non è certo cosa che turbi l'ordine cosmico, sovversio­
ne, frutto di un'intenzione malvagia come quella di Ottone . È
invece benedizione del cielo. Per un po' di tempo, breve come
la durata di ogni festa, si è realizzata una società perfetta, quella
degli eletti . Il secondo racconto di Bouvines viene cosi a col­
locarsi in vecchie prospettive escatologiche . La vittoria è come
un secondo battesimo : ha purificato dal peccato , dalla macchia
che giustifica le diseguaglianze e lo sfruttamento dei lavoratori .
La benevolenza del Signore, la bravura del sovrano hanno fatto
Nascita del mito I 93

del regno una specie di paradiso ritrovato . Il corteo che parte da


Bouvines celebra si la monarchia capetingia, ma celebra anche la
naziop.e, e piu ancora l'alleanza dell'una con l'altra. Di guisa che
<< nod-si poteva sapere se il re amasse il suo popolo piu di quan­
to il popolo amasse il suo re . Vi era tra i due a questo riguardo
una specie di emula..?ione amorosa, e ci si domandava chi dei due
fosse piu caro all 'altro, in quale dei due l'amore sgorgasse con
maggiore forza, talmente tenero era l'affetto che li univa l'uno
all'altro con vincoli perfettamente puri » .

Dopo la morte d i Filippo Augusto, avvenuta in periodo di


pace intorno alla metà del XIII secolo, per trenta, quaranta, cin­
quant'anni il ricordo dell'avvenimento rimase vivissimo . Fu al­
lora che si decise di mettere sulla porta di Arras l'iscrizione che
collocava Bouvines nella lunga serie delle vittorie riportate dai
re di Francia, veri successori di Carlomagno, sui sovrani germa­
nici. La battaglia continuava a interessare. Ne furono fatti nuo­
vi resoconti, ma l'immagine in essi trasmessa andava sempre piu
deformandosi. Tali racconti esageravano molto pili di quanto
Guglielmo si fosse permesso nella Philippide. Cosi Richer, mona­
co a Sénones nei Vosgi, riferisce nella cronaca da lui redatta fra
il r 2) 5 e il 1 264 che l'imperatore Ottone aveva condotto venti ·
cinquemila cavalieri, ottantamila fanti, una gran quantità di car­
rette piene di armi e di vettovaglie, e che quel giorno perdette
trentamila uomini , morti o prigionieri. Mentre , da parte france­
se, o miracolo! non si contarono che due uomini uccisi, un cava­
liere e un sergente . Per la cronaca di Saint-Martin di Tours, che
giunge sino al I 2 6 5 , per frate Tommaso, francescano , provincia­
le di Toscana, che aveva a lungo viaggiato in Francia in compa­
gnia di san Bonaventura e che scriveva nel I 2 7 8 , le genti del re
di Francia hanno combattuto non piu uno contro tre, ma uno
contro dieci. Di tutte le influenze che contribuirono a rimodella­
re il corpo assai malleabile dei ricordi la p ili incalzante proveni­
va da Saint-Denis. La subi profondamente l'opera di Filippo
Mousket. Nella cronaca da lui rimata in francese verso il I 240
1 94 Leggenda

questo dilettante, nato da una ricca famiglia di scabini di Tour­


nai, tien molto conto dei gridi di guerra. Ciascun capo lancia il
suo. Intorno a Ottone si grida: «Roma! »; intorno a Filippo:
«Montjoie-Saint-Denis ! », e basta proferire queste tre sole paro­
le perché, magicamente, le truppe fiamminghe si scompiglino : i
forti d'un tratto diventano molto deboli, gli arditi codardi ;
« questa parola li ha stesi morti e svergognati » . Ecco eretta l'o­
rifiamma :
sembrò loro che san Dionigi
un drago su di sé ponesse
per divorarli e ucciderli.

La bestia che folgora non si trova ormai piu nel campo del ma­
le, ma in quello del re Filippo, e questa volta è benedetta. ba
Saint-Denis anche Richer di Sénones traeva le sue informazioni,
seppure indirettamente; per il tramite di una filiale: una prioria
vicina al suo monastero. Cosi il ricordo è ancor piu confuso:
troviamo tra i compagni del re di Francia un conte di Norman­
dia, un conte di Bretagna. Con questa origine si spiega almeno il
ruolo dell'orifiamma nel racconto di Richer . Filippo Augusto
cerca intorno a sé qualcuno cui affidare questo stendardo di cui
si dice che, dopo l'imperatore dalla barba fiorita, non era piu
stato tratto fuori dal tesoro regale. «Chi vuole portare l'onore
della Francia? » Il duca di Borgogna propone un cavaliere, pu­
rissimo, perché poverissimo : per comperare un cavallo e rag­
giungere l'esercito ha dovuto dare in pegno tutta la sua terra. È
Galon di Montigny . Da àllora tutta la relazione del combatti­
mento si accentra intorno allo stendardo consacrato e a colui
che lo tiene in mano: ma è piu l'insegna a trascinare il cavalie­
re che non questi a reggerla. Nient'altro merita di essere preso in
considerazione, né i baroni, neppure il re. Non piu duello, ma
un susseguirsi di prodezze compiute dall'orifiamma da sola che
conduce tutta la vicenda, e in modo selvaggio. In effetti le mani
di Galon non stringono piu l'emblema di una lirurgia, di una
processione, ma un'arma vendicativa e crudele. La rossa seta è
assetata di sangue fresco e lo stendardo diventa una picca, pene
tra da parte a parte nel corpo del conte di Fiandra, esce dalla
Nascita del mito 1 95

piaga piu rosso, gocciolante, ancora vi si immerge e vi si ritm­


merge; poi, riprendendo la sua corsa rovinosa, mira ad Ottone,
fende la calca, raggiunge l'imperatore prima di tutti : l'orifiam­
ma disperde ora tutto il campo del male, da essa sola viene infi­
ne la vittoria.
A dire il vero divagazioni di tal fatta sono solo ricami di im­
maginarie avventure. Degno di attenzione è il fatto che il mito
continui ad arricchirsi, ma di elementi che ormai riguardano
esclusivamente il simbolo monarchico. Due innovazioni si inse­
riscono cosi al centro dei racconti di questo periodo . L'una e
l 'altra aggiungono due gesti rituali alle liturgie preliminari della
battaglia, gesti che significano in modo piu chiaro l'alleanza tra
il sovrano e la cavalleria che lo serve. Con il primo viene innal­
zata la funzione sacerdotale del re consacrato : ciò che, nel ceri­
moniale primitivo, non era che puri:fi.caziorie preliminare, appa­
re trasformato in celebrazione eucaristica, e si vede il re Filippo
assumere l'atteggiamento di Melchisedech. Tale sviluppo era in
germe in uno dei piccoli tocchi pittoreschi che abbellivano la re­
lazione iniziale : quando andarono ad avvertirlo dell 'attacco ne­
mico, il re di Francia stava ristorandosi all'ombra di un frassino,
inzuppava fette di pane nel vino. Filippo Mousket per primo
abbellisce un po', solennizza: la ciotola del re diventa una ,« cop­
pa d'oro fino », quindi una specie di calice. Ma è il Menestrello
di Reims che, vent'anni piu tardi, verso il r 2 6o, compie la vera
svolta ; per divertire il suo uditorio di nobili l'anonimo cantore
abbozzò, nella città della consacrazione, un piacevole quadro di
Bouvines . All'inizio un'intera messa cui Filippo assiste nella
cappella, davanti al ponte, poiché è ancora mattina - una messa
pontificale che canta per lui il vescovo di Tournai. - ed egli l'a­
scolta, completamente armato, chiuso nella corazza. Alla fine gli
portano le due specie, il pane e il vino ; egli fa tagliare delle fet­
tine, ne prende una, la inzuppa e la mangia. Poi si rivolge a
quelli che ha intorno con queste parole : « Prego i miei leali ami­
ci qui presenti di mangiare con me in memoria dei dodici apo­
stoli che bevvero e mangiarono con Nostro Signore. E se qual­
cuno medita cattiverie e inganni, non si avvicini» . Prima della
1 96 leggenda

passione che si sta preparando, prima della prova, delle tribola­


zioni, del sacrificio offerto per la salvezza del popolo, il re imita
la Cena; vi occupa il posto di Gesti. Con i gesti della comunione
comincia a sua volta a stringere piti che mai i vincoli del gruppo,
a riunire i pari intorno alla propria persona. Teme i Giuda, vuo­
le smascherarli . Enguerrand de Couci riceve la prima fetta di pa­
ne dalle mani del celebrante . Si presenta poi il presunto tradito­
re, Gualtiero, conte di Saint-Poi, « del quale il re sospettava es­
sere una cattiva lingua » . Anche lui non teme di mangiare, dimo­
strando cosi çhe rinuncia finalmente al male e, gli occhi negli oc­
chi, assicura Filippo che oggi si vedrà chi è il traditore. Poi è la
volta del conte di Sancerre e, dopo di lui, degli altri baroni. <� Ci
fu una tal ressa che non si riusciva ad avvicinarsi al nappo » .
Non altrettanto chiaro è il significato del secondo abbelli­
mento . Certo è molto evidente che la prima intenzione è di esal­
tare la corona e l'infìorettatura potrebbe veramente, come molte
altre, essere originata da Saint-Denis . Già Filippo Mousket in­
troduce l'immagine della corona nella preghiera che il re rivolge
al cielo dopo lo spuntino di mezzogiorno . La pone li proprio al
centro . Invocando dapprima Gesti Cristo, padre, :figlio e spirito
santo, Filippo implora di essere liberato dal male, insieme con
tutti coloro che, a piedi o a cavallo, lo hanno seguito . Ma prima
d 'ogni altra cosa attende dal cielo che protegga la sua corona.
Cosa, questa, che chiede anche a san Dionigi . Non si sono forse,
i re di FranCia, da Carlomagno in poi, dati a lui, non si son po­
sti sotto il suo patrocinio ?
Voi dovete custodir la corona
perché ogni re servim le rende
cosi come divisò Carlomagno.
Io sono il vostro uomo nel dominio.

[Cioè il re è nella signoria del santo, la sua « guardia del cor­


po » , il suo servo] .
Custodite il mio onore e il mio diritto.
Voi lo dovete . . .

[Come il signore l o deve al suo vassallo] .


Nascita del rrii to 1 97

Infine la Vergine Maria è pregata di fare in modo che «la coro­


na quel giorno non sia trafugat a » . In verità tale preoccùpazio­
ne non ha nulla di sorprendente. La novità sta altrove e in un
punto ben preciso: là dove certi racconti, per dare piu forza al­
lo spettacolo, pongono l'insegna della regalità proprio nel cam­
po del combattimento. Come s e Filippo Augusto, prevedendo
da lunga data che il duello si sarebbe ingaggiato nel corso di
quella campagna, avesse deciso, lasciando Parigi, di portare con
sé il simbolo della propria potenza, di trarlo fuori dal tesoro re­
gale insieme con lo stendardo di Carlomagno. Come se avesse
voluto che l'intero cerimoniale della battaglia venisse a disporsi
intorno a tale oggetto . Come se, lasciando alla corona il ruolo
principale, il re avesse scelto di eclissarsi completamente davan­
ti ad essa e di farne la posta, non soltanto della singolar tenzone
il cui luogo sarebbe stato la battaglia, ma anche di una competi­
zione prelim:inare, di una specie di concorso aperto a tutti i ca­
valieri dell'esercito capetingio. Di fronte a questi, effettivamen­
te, prima . del momento della verità, il sovrano riconosce umil­
mente ch'egli forse non è il piu degno di portare quell'emblema
e di difenderne l'onore. Se si presenta un miglior campione, sia
data a lui la corona. Quest'ultima, e cosi notevole, manipolazio­
ne di cui fu oggetto il ricordo di Bouvines s'inquadra nel discor­
so pronunciato da Filippo Augusto all'inizio della battaglia. Va­
le la pena esaminare da vicino come, nel passaggio dall'una al­
l'altra delle varie versioni, si profili e a poco a poco si accentui il
nuovo orientamento.
Nella relazione di Filippo Mousket il movimento è ancora
appena abbozzato . Il re parla, ma solamente per dichiararsi soli­
dale con la sua cavalleria. Un po' come nella Flandria generosa:

Ora, cavalieri, io vi seguirò


e dappertutto con voi andrò.

Egli vuoi dire ai guerrieri che lo accompagnano che essi non


sono per lui sempliCi strumenti della sua azione, ma veri amici;
essi se lo troveranno al fìanco in ogni pericolo . Ma a loro volta
lo proteggano bene, perché è il re di Francia . È un buon sovra-
198 Leggenda

no che non mancherà di farli partecipare a tutti · i profitti della


vicenda, e ha quindi diritto al loro indefettibile servizio. I cava­
lieri, questi ausiliari, san pertanto chiamati a diventare la sua
guardia del corpo. Perché è un corpo regale . Però - ed ecco il
punto decisivo, collocato al posto giusto, all 'inizio dell'omelia :
questo corpo è un corpo come gli altri : non vale di piu. Soltan­
to la dignità di cui è rivestita questa carne caduca impone di vi­
gilare in modo speciale su di lui e di evitare che si avventuri
troppo da solo .
Signori, non sono che un uomo solo.
Chiunque io sia, sono il re di Francia.
Custodir mi dovete . . .

Richer di Sénones s i muove nella medesima direzione, m a va


piu lontano . Ai cavalieri « fiori della Francia, onore della corona
regale » , Filippo comincia col rivolgersi in simili termini : « Voi
mi vedete portar la corona. Tuttavia, essendo io un uomo co­
me voi, non posso portarla se voi non mi sostenete » . Ma ecco
un colpo di scena e il tono cambia completamente. « Io sono il
re », prosegue Filippo. Si toglie la corona - l'aveva dunque sul
capo in quest'ora cosi grave, e i preparativi della battaglia da ta­
le momento assumono tutt'altro aspetto, l'aspetto delle piu ec­
cezionali solennità della liturgia regale, delle piu spettacolari
manifestazioni della regalità - la presenta a quelli che l'attornia­
no. « Voglio , - dice loro, - che voi tutti siate re [è un ricordo ,
nello spirito del monarca-sacerdote, o piuttosto in quello di Ri­
cher di Sénones , della prima epistola di san Pietro che chiama
tutti i fedeli a partecipare alla regalità e al sacerdozio del Cri­
sto ?] Senza di voi, non posso piu governare il reame » . Median­
te questo magistrale o:ffertorio , anch'esso gesto di comunione,
ma questa volta con responsabilità di una carica condivisa, il so­
vrano, nel momento di uno sforzo estremo, chiama l'ordine del­
la cavalleria a concludere con lui una specie di contratto. La pa­
tria è in pericolo, il 'nemico invade le nostre campagne, se noi
siamo tutti insieme possiamo vincerlo, poi ritornare, avendo in
comune e gloria e vittoria, alle nostre case, alle nostre spose, ai
Nascita del mito 199

nostri figli e alle nostre figlie, che gli altri volevano sgozzare.
Scoppiano applausi, e unànime prorompe il voto di obbedienza.
E il re può allora trarre la conclusione e dichiarare : « Signori ,
voi siete futti uomini miei, e io, chiunque io sia, sono il vostro
sire » . Il che è come un « decreto » , come la sentenza pronunciata
in un'assise di corte.
Per il Menestrello di Reims il discorso esordisce diversamen­
te : è un richiamo, non già alla fedeltà un po' fredda che un mo­
narca può attendersi dai suoi sudditi, ma alla devozione del vas­
sallo, e questo imprime alla parola un accento ben diverso. Fi­
lippo è il migliore dei signori, il piu liberale, si fa amare con i
suoi doni. « Vi ho molto amati, vi ho molto onorati, e vi ho dato
generosamente del mio. Non vi feci mai torti né cose irragione­
voli, m a sempre vi ho guidati col diritto . In nome di Dio, prego
voi tutti che custodiate oggi il mio corpo e il mio onore, e anche
il vostro » - rendendo al signore che non è mai venuto meno ai
suoi doveri questo tributo di aiuto militare che tutti hanno pro­
messo con l'omaggio e la fede. Dopo di che il tema, già abbozza­
to nel racconto di Filippo Mousket, viene ripreso, ampliato,
mentre entra in scena la corona. « Se vedete che la corona trovi
miglior uso in uno di voi che non in me, io vi consento con tutto
il cuore e tutta la buona volontà » . A questo punto il passo è fat­
to : quella che era solo confessione di umiltà si prolunga in una
mimica dell'abdicazione. Il rischio del momento esige effettiva­
mente una ridistribuzione di tutti i ruoli. La battaglia sta per
avere inizio, e con le sue incognite mette in pericolo la dignità
regale. Il pericolo è cosf grave, che si deve scegliere il piu valo­
roso per difendere i colori della Francia. Ha inizio quindi una
specie di procedura per l'elezione. Ma quel che segue è ancora
piu straordinario. Nessun fremito nell'uditorio, non la minima
traccia di perplessità vi traspare. Per tutti gli astanti è cosa piu
che evidente : il piu valoroso non può essere che il discendente
di Carlomagno. « Tutti i baroni piansero di compassione e disse­
ro : " Sire, per grazia di Dio, noi non vogliamo altro re che voi.
Cavalcate arditamente contro i vostri nemici : noi siamo pronti
a morire con voi " » . Altra modifica : nelle versioni anteriori era
200 Leggenda

il re stesso che diceva « Noi moriremo insieme » . La promessa,


questa volta, viene dai cavalieri, e con tali parole il patto è vera­
!Ìlente suggellato.
Al dialogo tra il sovrano e l'ardo dei guerrieri, frate Tomma­
SQ aggiunge un ul�imo elemento. Non piu ai grandi vassalli, non
piu ai baroni si- rivolge il re, ma direttamente alla parva militia,
alla massa dei cavalieri poveri, e come a suoi commilitones, a
compagni d'arme. Egli certo li domina tutti, e dall'alto, ma solo
grazie al titolo regale . Molti sono invero fisicamente piu forti e
piu prodi di lui. A questo punto il re prende in mano quella co­
rona che egli porta per l'onore di tutti . Lo vediamo togliersela,
deporla a terra. Rientra nel rango, e irifine domanda : « Vokte
voi difenderla ? Morirò solo, se voi mi abbandonate». La rispo­
sta dei guerrieri riuniti è una soLa: « Riprendi la corona. Noi da­
remo la nostra vita per difendere il regno » .
Tutti questi ritocchi alla messa i n scena intendono dimostra­
re che la persona del re non si confonde con la funzione da lui
assunta, funzione che prende un'apparenza concreta nel diade­
ma di metallo nobile : oggetto che non perisce, che sfugge a ogni
corruzione. L'evoluzione che in Francia, a metà del secolo XIII,
portava alla lenta trasformazione del concetto di regalità, invita­
va naturalmente a sottolineare con maggior vigore, per mezzo di
tali parole e tali gesti (come in molti altri luoghi e particolar­
mente nella decorazione delle cattedrali) il valore eterno ed ec­
celso della dignità monarchica. Ma come giudicare quelle manie­
re umili, una tale finta messa all'incanto di questo nuovo Enea
che simula di rinunciare a tutte le sue prerogative, di volersi
perdere tra la folla dei semplici signorotti di campagna ? Che
senso dare all 'illusorio eclissarsi di un uomo che si sa cosi impe­
gnato dell'onnipotenza grazie all'unzione che lo ha consacrato,
ultima gemma, per di piu , di quell' albero di }esse le cui radici
genealogiche si · perdono nelle ombre della selvatichezza mero­
vingia ? Che cosa pensare di questo rampollo di decine di re, che
finge di chinare il capo di fronte ai cavalieri meno asmatici, piu
agili, piu prodi ? Che dire di un atteggiamento cosi contrario al­
la maestà riaffermata con tanta insistenza, in un periodo in cui
Nascita del mito 201

lo spirito dinastico non cessa di rafforzarsi nella casa di Francia,


dove il solo titolo di figlio di re comincia proprio in quegli anni ,
a rendere intoccabile , basta da solo a ornare tutti quelli che lo
portano con mazzi di virili, con quel valore magico che predesti­
na a regnare ? Gli autori di questi racconti, i responsabili di que­
ste aggiunte avevano forse il riposto pensiero di contestare le
pretese dei nipotini di Filippo Augusto ? Dobbiamo forse vede­
re negli ultimi germogli della leggenda abbellimenti di cortesia,
dei quali si sarebbero serviti gli scrittori professionisti, come era
il Menestrello di Reims , per sedurre un pubblico di aristocratici
frondisti ? Per farsi portavoce, allo scopo di guadagnarsi meglio
la vita, di quella che si potrebbe chiamare un'ideologia feudale ?
Si trattava forse di lusingare ricchi mecenati, i duchi, i conti, i
pari di Francia ? Allora perché far scendere l'offerta all 'incanto,
svilire la competizione fino ai piu bassi strati della cavalleria, si­
no alla parva militia dei giovani in cerca di avventure? E per
qual mecenate scriveva il monaco di Sénones ? Penso si debba
cercare altrove il significato del simbolo . La sua funzione non è
forse quella di ribadire còn maggior vigore che· Bouvines ha sal­
vato la regalità francese ? Che cosa, infatti , mirna Filippo Augu­
sto, se non la propria morte, quando depone la corona a terra ?
Basta un momento, e il trono è vacante . Prima di affrontare la
prova decisiva, il re non deve forse morire ? Per subito rinascere.
Cosi Filippo, subito nuovamente incoronato e designato ora per
la vittoria . La corona ha toccato il suolo, forza fecondatrice,
per attingervi nuova energia . . Si poteva dubitare della sorte del
re, dopo tutto non è che un uomo , e non certo il piu giovane, né
il piu bello, né il piu esperto nelle armi . Bisogna che si tuBi nel­
la sua cavalleria, come in un bagno di giovinezza, che per un at­
timo vi scompaia, vi si anneghi, ma per risuscitare, purificato da
tale abluzione fra i generosi flutti dell'ardente valore e della fo­
ga giovanile. In ogni caso rinn ovato, fortificato, rinvigorito da
quest'altro gesto simbolico : il clamore dei guerrieri, il grido
ch'essi gettano tùtti insieme per rifiutare unanimemente di sot­
trargli il titolo, per affermare che lino solo h a · il diritto di por­
tarlo : lui. Non perché sia piu forte degli altri, ma perché nelle
202 Leggenda

sue vene scorre il sangue degli antichi re. Il racconto del Mene­
strello di Reims, cosi come il Couronnement de Louis, non vuo­
le accarezzare la nostalgia dell'indipendenza baronale : vuoi es­
sere, invece, la proclamazione della legittimità capetingia.
Dio, in quest'ora, pronuncerà la sentenza. Chi può dire se i
poteri che, un tempo, trentacinque anni prima, ha conferito a
Filippo il giorno della consacrazione, sono ancora validi ? Se
considera ancora il re come il suo vero luogotenente ? La batta­
glia in fondo non è che l'attesa di una risposta a questa interro­
gazione fondamentale . Essa mostrerà se Dio fa ancora la stessa
scelta. Ora, la domanda viene rivolta in un momento decisivo
della s toria dinastica : essa concerne il diritto di un sovrano che,
primo della sua razza, ben sicuro della tradiziòne ereditaria, non
ha ritenuto necessario dividere, da vivo, il magistero regale con
il :figlio primogenito . Battaglia campale, ordalia, Bouvines de­
v'esser vista come una consacrazione. Anzi, mia nuova consacra­
zione, non con l'olio della santa ampolla, ma con il sangue, il
sangue purificatore che alcuni vedranno presto scorrere sull'ori­
fiamm a . Ora, com� la prima, questa seconda consacrazione de ­
v'essere preceduta da una consultazione della nobiltà. Un tem­
po, quando tutti i grandi vassalli del regno erano riuniti, in pie­
di nella cattedrale di Reims, la corona era già stata deposta da­
vanti a loro . Colui che stava per cingerla aveva in precedenza
chiesto i loro suffragi. Tutti avevano risposto, come i loro avi
allorché innalzavano sul pavese il re chiomato; poiché egli era
chiomato, cioè di puro lignaggio . L'ordine dei guerrieri aveva
espresso la propria adesione, acclamando colui che i vescovi si
apprestavano a consacrare. Gridando a perdi:fiato che era lui il
vero, il migliore, e che essi lo avrebbero seguito in mezzo ai
combattimenti per proteggerne la persona e che, se necessario,
avrebbero versato per lui il proprio sangue. Che cosa fanno di
diverso i cavalieri, a Bouvines ? Ciò che, alla metà del secolo
XIII, viene �d aggiungersi nei testi alla relazione della battaglia
non è già favore verso amarezze feudali, né gratuito ornamento,
né parodia. È invece espressione serissima, con il ricorso agli ef­
fetti piu drammatici, della fedeltà che nell'ora dell'estremo pe-
Nascita del mito 20 3

ricolo viene giurata al re-sacerdote, pronto a offrirsi in qualità di


vittima, come aveva fatto Gesti Cristo, e come questi ha distri­
buito l'ostia, ma anche al re-cavaliere, da tutta la cavalleria del
regno. La leggenda di Bouvines finisce cosi con l'elevarsi a mito
della nazione e insieme della regalità. Di una regalità sostenuta
dai tre ordini della società riuniti in stretta concordia per il be­
ne della pace e per la gloria di Dio. Da lunga data il Capetingio
poteva contare sull'appoggio degli ecclesiastici e del popolo la­
voratore : egli li proteggeva. Occorreva altresi che i guerrieri ve­
nissero a loro volta ad assicurarlo nel modo piu solenne della
propria cooperazione . Sotto il regno del re santo, che si mostra
mentre rende giustizia sotto le querce e mentre visita i lebbro­
sari, Richer, l'anonimo narratore di Reims, e tosto anche frate
Tommaso, collocano la grande scena dell'unità proprio nel cam­
po di una battaglia.
Conclusione tardiva. Essa precede di poco il momento in cui
il ricordo della vittoria sta mdubbiarnente disperdendosi nelle
immagini dei cantori di storia, prima di essere trasportato, con
la penna di un Giovanni cles Prés d'Outrerneuse, 11el turbinio di
una grande opera folle. Un carosello dei quattro figli Ajmone. Il
cerchio magico del delirio.
Rinascite

All'inizio del XIV secolo il nome di Bouvines andava rapida­


mente cancellandosi dalla memoria. I sommari della storia di
Francia che allora si componevano celebravano sempre il re ,Fi­
lippo, ma lo chiamavano il Conquistatore, non piu Augusto, e lo
chiamavano cosi perché si era impadronito della Normandia e
dell'Angiò, vere ricchezze : ecco quel che contava. Si diceva an­
che che aveva vinto Ottone, ma senza piu citare Buovines, da­
to che non si parlava volentieri di battaglie nella cerchia di Filip­
po VI , di Giovanni il Buono . Le battaglie ora erano altri a vin­
cerle : i re d'Inghilterra, ì veri nemici del regno . L'imperatore
invece era il buon cugino del re di Francia, e i Teutoni non era­
no piu tanto detestati. Tuttavia l'attenuarsi del ricordo dipende
soprattutto dal fatto che la figura di Filippo Augusto si trovava
ormai eclissata da quella di san Luigi, suo nipote, divenuto il
grand'uomo della stirpe. E per sempre. Non già per il successo
delle armi, ma per la santità, pér tutte le cose edificanti che di
lui si raccontavano : amava i poveri come Francesco d'Assisi e
come il Cristo, dava da mangiare con le proprie mani ai lebbra­
si, aiutava a edificare Royaumont, e sotto la camicia portava il
cilicio . Si imponeva per il martirio, per la morte davanti a Turri­
si, per la salvezza di tutto il popolo . Come i re vinti, la nuova
cristianità attendeva segni d'elezione diversi dalle vittorie . Le
tracce di Bouvines si offuscavano e sarebbero ·rimaste a lungo
quasi invisibili .
Le vediamo riapparire nel XVII secolo, quando la storia si
scrive in altro modo, rileggendo attentamente le vecchie crona­
che, quando comincia la lunga ricerca erudita di tutte le tracce
Rinascite 20 5

del passato. Guillaume Marcel, nella sua Histoire des origines


et des progrès de la monarchie françoise suivant l'otdre des
temps, i cui quattro volumi uscirono a Parigi nel r 6 8 6 , della
battaglia dà soltanto un rapido schizzo . Come tante vignette che
nel XIX e nel xx secolo orneranno i manuali degli scolari, egli
mostra solamente un re pieno di coraggio che, gettato a terra, si
rilancia contro l'avversario e lo mette in fuga . Ma Mézeray con­
sacra all'avvenimento nove grandi pagine nei tre tomi della His­
toire de France depuis Faramond jusqu'à maintenant, pubblica­
ta nel r 64 3 . Egli segue molto da vicino le Grandes Chroniques
de France, cioè Guglielmo il Bretone, stranamente aggiunge che
Giovanni Senzaterra propose al miramolino d'Alrica di prestar­
gli omaggio, e porta a centocinquantamila uomini gli effettivi
delle truppe coalizzate. Non fa alcun cenno alla tregua della do­
menica; ai suoi tempi il tabu era caduto nell'oblio, e nessuno
pensava piu di. interrompere , nel giorno "del Signore, il nobile
gioco della guerra. Quella che a lui piace, che pone al centro del
racconto, è la scena della corona, ch'egli abbellisce ancora di
piu. Il re di Francia « fece mettere su di un altare portatile eret­
to dinanzi alla sua armata lo scettro e la corona d'oro e alzando
la voce e la mano destra esclamò : " Signori Francesi, e voi tutti
generosi soldati , che siete pronti a esporre la vostra vita per la
difesa di questa corona, se giudicate che ci sia tra voi qualcuno
piu degno di me, io gliela cedo, gliela trasmetto volentieri, a
condizione che siate disposti a conservarla intera e a non lasciar­
la smembrare da quegli scomunicati " . Tutta l'armata, vivamen­
te commossa da tali generose . parole, acclamando cosi gridò :
" Viva e regni eternamente Filippo, viva il Re Augusto, e sem­
pre la corona rimanga a lui : noi gliela conserveremo contro tut­
ti a costo della vita " » . Allora l'« Augusto » , «il piu valoroso e il
piu ardente cavaliere del mondo », si batte come un leone. I si­
gnori, contro il suo volere, l'avevano chiuso dentro il baluardo
da essi formato, ma lui << non sopportando di essere fermato dai
gentiluomini che avevano cura di lui, si precipita come un tor­
rente dianzi trattenuto e carica e rompe tutto quanto gli si op­
pone » . La cultura della Controriforma ha quindi visto il re Fi-
206 Leggenda

lippo come un Orlando furioso : lo veste alla romana, presta an­


cora attenzione ai gesti inventati di un'alleanza tra il monarca e
i gentiluomini. Secondo questa cultura, i Francesi della casa del
re combattono ora uno contro cento: «il numero dei morti fu
spaventevole », ma non una parola dell'esultanza popolare. Sal­
vate, ritoccate, fissate, le tracce furono riprese tali e quali da
Velly nel 1 7 70, e da Anquetil nel 1 8 3 9 .

La vera reviviscenza del ricordo data dalla monarchia di Lu­


glio; il gusto romantico per tutto ciò che era medievale lo esige­
va. Inoltre i racconti della battaglia offrivano gran messe di ar­
gomenti ai sostenitori dell'ideologia della monarchia borghese.
Primo di tutti a Guizot . Nel suo Cours d)histoire moderne, ri­
stampato nel r 84o, egli mostra in Filippo Augusto il primo re
francese che abbia conferito alla monarchia « il carattere di una
intelligente ed attiva benevolenza rivolta al miglioramento dello
stato sociale » . Ecco perché « la regalità diventava nazionale »,
suscitando « nel pensiero dei popoli l'entusiasmo per i progressi
ch'essa faceva compiere alla società » . Viene citato naturalmente
il corteo trionfale dei vincitori di Bouvines : vedete come un
monarca paterno, che difende gli interessi della borghesia, può
essere popolare fra onesti lavoratori intenti ad arricchirsi. Lo
stesso Guizot narrando, trentacinque anni dopo, la storia di
Francia ai suoi nipotini spiega loro l'importanza delle milizie dei
comuni, che quasi prefìgurano le guardie nazionali; la vittoria è
« opera del re e del popolo », grazie a quella benefica <<Unione
delle classi » che « insieme, quel giorno, al di fuori e al di sopra
dell'oste feudale », fecero innalzare, in un medesimo moto, la
nazione e la monarchia francese.
Non c'è da stupire che Michelet abbia considerat� le stesse
fonti con ben altri occhi . Per lui la relazione di Guglielmo il
Bretone è « alterata dall'adulazione ». A conti fatti « la battaglia
di Bouvines, cosi famosa e cosi nazionale, non sembra esser sta­
ta un'azione molto considerevole » . Non gli piace. Che altro ri­
sultato ebbe, infatti, se non di riaffermare l'odiosa alleanza tra
Rinascite ;! 07

il trono e l'altare ? Filippo non era che un fantoccio manovrato


dai preti, uno s trumento dell 'oscurantismo, troppo sottomesso a
un papa ipocrita dalle mani lorde di sangue, che ordinava di
sterminare un popolo il cui catarismo esprimeva tutte le speran­
ze di libertà. Ottone appariva molto menu fiacco: si faceva bef­
fe delle scomuniche, e il re Giovanni sapeva tenere a freno il
suo clero e impedirgli di nuocere. I veri protagonisti della sto­
ria, quella autentica, profonda, coloro che erano all 'avanguardia
della grande corrente apportatrice di luce, non stavano allora
dalla parte dei cavalieri francesi, considerati dei bruti. Bouvines
fu una vittoria del bigottismo e dell'oppressione dei signori . La
corona degli eroi viene da .Mich�let conferita ai veterani, ai sol­
dati dell'ultimo quadrato della vecchia guardia, ai mercenari, la­
voratori venuti dal popolo e che facevano bene il loro lavoro :
« Ìa gloria del coraggio, ma non la vittoria, restò alle bande bra­
bantine, a quei vecchi soldati che, in numero di cinquecento,
non vollero arrendersi ai Francesi e piuttosto si fecero uccide­
re »; i cavalieri, in quel tempo, si lasciavano prendere. Il raccon­
to del combattimento sta in una pagina.
Cosi quando l'evento risuscita, il piu lucido sembra veramen­
te Augustin Thierry. Indubbiamente anche lui esalta il vincolo
indissolubile che sino alla Rivoluzione unisce la monarchia al
terzo stato. Attendendo dalla storia che essa ricerchi «la radice
degli interessi, delle passioni, delle opinioni che ci agitano »,
ch'essa segua « nel passato la traccia di quelle irresistibili emo­
zioni che trascinano ciascuno di noi nei nostri diversi partiti po­
litici, elevano il nostro spirito o lo sviano », Thierry intende di­
mostrare che «la classe media e le classi popolari non sono nate
ieri » . « Si scelga un'epoca, non già di guerra intestina, ma di in­
vasione straniera, e si vedrà che in fatto di devozione e di entu­
siasmo l'ultimo ceto della nazione non è mai rimasto indietro ».
Cosi Bouvines : « l centocinquanta sergenti a cavallo della valla­
ta di Soissons, tutti plebei, impegnarono battaglia, e i borghesi
dei comuni andarono ad appostarsi in prima fila » . · Pili di ogni
altra cosa Augustin Thierry mette in evidenza, nei ricordi su
Bouvines, quella caratteristica che susciterà l'improvvisa e ulti-
208 Leggenda

ma rinascita di tutta una zona della memoria dimenticata, nella


febbrile agitazione del nazionalismo, nelle fanfare degli arruola­
menti, negli sventolli delle bandiere spiegate, per il conforto di
tutti i poveri diavoli che si vorrebbe veramente fossero un gior­
no degli eroi . Inoltre per primo egli invita a esaminare critica­
mente le testimonianze, a disperdere gli elementi leggendari,
perché non siano menzogneri i ricordi con cui si alimenterà il
patriottismo delle giovani reclute. « Bisogna che la riforma pe­
netri . . . in quella specie di catechismi che servono alia istruzione
primaria . Quanto a opere di questo genere, quelle attualmente
in circolazione di solito uniscono alia massima esattezza cronolo­
gica la massima falsità storica immaginabile. Vi si trovano em�n­
ciati, in maniera breve e perentoria, tutti gli errori contenuti nei
libri grossi e, perché il falso possa, in qualche modo, penetrare
attraverso tutti i sensi, spesso numerose illustrazioni presentano
travisate nel modo piu strano le principali scene della storia » .
Cosi avviene per « Filippo Augusto mentre, nella sua armatura
d'acciaio secondo la moda del XVI secolo, posa la corona su un
altare il giorno della battaglia di Bouvines . Non posso non insi­
stere su quest'ultimo elemento, la cui popolarità tra noi è una
specie di scandalo storico. È senza dubbio molto edificante il ge­
sto di un re che offre pubblicamente la sua corona e il suo scet­
tro al piu degno, ma è ridicolo credere che simili scene siano mai
state recitate se non in teatro . E il momento per tale esibizione
dei paramenti regali, all'aperto, com'è ben scelto ! proprio quan­
do l'esercito francese viene attaccato all'improvviso, e tutto que­
sto come s'accorda col carattere del re Filippo, cosi abile, cosi
pratico e pronto all'azione! È vero che la prima menzione di
questo bizzarro aneddoto si trova in una cronaca contempora­
nea, ma scritta da un monaco che viveva fuori del regno di
Francia, all'estremità dei Vosgi, senza diretta o indiretta comu­
nicazione con i grandi personaggi del suo tempo, da un uòmo di
fantasiosa immaginazione, amante del meraviglioso, che ascolta­
va volentieri i racconti straordinari e li trascriveva senza esami­
narli » . Già nel 1 848 la Petite Histoire de France à l'usage des
écoles primaires, opera di F. Ansart, professore al reale Collegio
Rinascite 209

San Luigi, criticava Mézeray e metteva in dubbio- la storia della


corona esposta sull 'altare. Tuttavia quando Augustin Thierry,
nelle sue Lettres sur fhistoire de France, invitava a combattere
] 'anacronismo e a rettificare le deviazioni dei ricordi, l' �pisodio
già da qualche tempo veniva da ogni parte ravvivato e sfrutta­
to. Si doveva celebrare Bouvines, si doveva trame un insegna­
mento.
Nel I 8 3 3 la Società d'Emulazione di Cambrai aveva assegna­
to al signor Lebon, cavaliere di San Luigi , ufficiale della Legion
d'onore, la medaglia d'oro da duecento franchi per il miglior
fr ammento di storia concernente il Dipartimento del Nord. Le­
bon aveva dapprima cercato di mettere in evidenza nei racconti
della battaglia gli insegnamenti sull'arte di combattere, e nel
contempo rivendicava l'onore degli abitanti di Lilla, che non
avevano tradito i loro compatrioti accogliendo Fiamminghi ; essi
erano sudditi di Ferrando, e Filippo Augusto era accecato dal ri­
sentimento quando aveva saccheggiato la "loro città. Ma il prin­
cipale interesse di questo studio è far vedere quali tracce del­
l'avvenimento sopravvivessero ancora a quell'epoca nella co­
scienza degli abitanti del luogo . Poca cosa, in verità, confusi ri­
cordi di massacri, di eroi uccisi, legati a «zolle di terra parallele
e convesse a guisa di tombe » , qualche rottame, qualche « vec­
chia ferraglia » riportata alla luce dal vomere durante le grandi
arature. Vaghi brandelli di memoria, quali persistono ovunque
sul luogo di tutte le antiche battaglie.
Nel I 8 4 5 , durante la sessione del congresso archeologico
presieduto da Caumont, si ebbe l'ideà di innàlzare in quel luogo
un monumento. Ma sull'obelisco si incise allora solo una data:
I 2 I 4 ; anche se il « cuore delle nostre popolazioni fiamminghe
era diventato francese», bisognava cercare di non offendere l'a­
mor proprio dei Fiamminghi sempre suscettibili . Questi passa­
vano ancora come i principali vinti dell 'azione militare. Dopo il
I 870, tutto cambiò : l'imperatore tedesco tornò ad essere il so­
lo nemico del re di Francia. Soprattutto la disfatta ravvivò di
colpo tutti i ricordi di Bouvines . Nel I 8 79 fu deciso che l'obeli­
sco non bastava : una serie di vetrate avrebbero commemorato,
210 Leggenda

nella chiesa, i difensori della patria. H.-M . -L. Delpech, erudito


noto per le sue opere di storia militare, ebbe l'incarico di dirige­
re i pittori . La singola.�;e avvertenza da lui redatta stigmatizza il
nemico ereditario : il Germanico. « Ottone aveva un carattere
ipocrita, brutale, egoista » ; si dovranno rappresentare, sotto la
fìgura del re di Francia che ha appena deciso l'offensiva, «i cava­
lieri tedeschi che frenano il proprio slancio, serrano i ranghi e
sfilano davanti al re con una marcia di fìanco, in atteggiamento
di odio dominato dalla paura » ; nelle scene centrali si vedrà «la
corona di Francia posta sotto la diretta protezione degli altari » ,
tutta la nazione riunita sotto l a mano benedicente del sovrano ;
se ripugnava ai pittori « raffigurare un vescovo che ammazza un
uomo si poteva evitare la difficoltà fissando il momento in cui
Beauvais, abbattuto Salisbury, lo consegna a Giovanni di Ni­
velle » ; infine « senza danno della verosimiglianza storica » non
si sarebbe dovuto rappresentare, alla fìne del combattimento,
« una specie di rivista d'onore », una sfilata della vittoria ? Nove
anni dopo un comitato presieduto dal generale De Galliffet si
mette a esaltare la battaglia in maniera ancor piu brillante, « in­
vitando gli artisti a farla conoscere nei suoi episodi piu belli e il
pubblico a contribuire alle spese del culto di questo ricordo na­
zionale ». E. Lavisse vi partecipò, se non con denari, almeno con
la penna ; egli si « gloriò di fare la questua per l'opera di comme­
morazione di quella giornata » ; lieto della « occasione offertagli
di mettere tale azione grandiosa nella sua atmosfera incerta, lon­
tano dalla cruda chiarezza dei fatti moderni, nella poesia della
sua luce aurorale » , scrive il suo grande articolo per il « Journal
des Débats » nel dicembre r 8 8 8 . E vi si vede comparire «l'oro
(sic) della perfida Albione » . Nessun dubbio, però : i malvagi so·
no quelli d'oltre Reno . «Ventinove anni fa ho provato, dice La­
visse, una grande gioia nazionale, la gioia di un popolo felice di
essere vincitore e di liberare con la sua vittoria un altro popolo ;
poi, diciotto anni fa, ho provato un grande dolore nazionale ». E
qui c'è qualcosa che lo colpisce, lo obbliga a confessare che c'era
del buono « nella politica dei nostri re che ci ha riuniti nella ob­
bedienza e nel culto della grandezza francese » ; ma frettoloso
Rinascite 2 rr

si corregge, è vero - i suoi lettori stanno su due sponde - con


un omaggio alla « Rivoluzione che ha fatto di ciascuno di noi un
comproprietario della patria».
A tutti questi comproprietari, quand'erano piccoli, da poco
tempo la Repubblica insegnava, obbligatoriamente e gratuita­
mente, la storia della Francia, affinché conoscessero il valore di
questa eredità indivisa e imparassero a essere coraggiosi . « La
nostra patria ha oggi gran bisogno della leale collaborazione di
tutti i suoi :figli . L'insegnamento della storia nazionale contri­
buirà piu di ogni altro a dade una coscienza chiara e precisa dei
suoi passati errori e dei suoi futuri doveri. Possa questo libric­
cino provare ai nostri infelici fratelli dell'Alsazia e della Lorena
che noi non cessiamo di pensare a loro, e nello stesso tempo ri­
cordiamo a tutti che l'ora è solenne, che la rigenerazione di un
popolo deve cominciare con l'educazione dei suoi figli e che la
salvezza della Francia ha questo prezzo » ( P . FONCIN, Textes et
récits d'histoire de France, première année, r 8 8o). In questi
manuali scolastici Bouvines viene insistentemente presentata co­
me una vittoria del popolo sul feudalesimo, su quel regime fu­
nesto che fece perdere la coscienza nazionale: «La moltitudine
delle signorie aveva in certo qual modo distrutto l'idea di Pa­
tria. Ma quest'idea non era del tutto morta, il sangue dei Fran­
cesi si accese quando si seppe dell'approssimarsi di un esercito
in cui dominavano i Tedeschi » (G. DUCOUDRAY, Histoire élé­
mentaire de la France, I 8 84). Chi dunque « Scoraggiò il nemico»,
chi decise della vittoria? Le milizie comunali. Se ne convincano
i contadinelli : anch'essi saranno vittoriosi. Se si dimostreranno
non solo obbedienti, educati, rispettosi, probi verso i loro pa­
droni, ma anche coraggiosi quanto i loro avi : libereranno l'Al­
sazia e la Lorena. I Fratelli delle scuole cristiane seguon tali or­
me, ma precisano che la monarchia aveva fatto i comuni, e che i
comuni l'amavano . In ogni caso Bouvines, dopo Alésia, è la se­
conda manifestazione del patriottismo francese. « Prima vittoria
nazionale », dice il Cours diretto da E. Lavisse ( r 8 94) « tutti i
ceti della nazione, cavalieri, clero, milizie dei comuni, avevano
preso parte al combattimento, e per la prima volta l'intera Fran-
212 Leggenda

eia ebbe la gioia di un trionfo » . E si tratta infatti proprio di uni­


tà nazionale : unità intorno al popolo, divenuto sovrano . « La
vittoria di Bouvines la si deve al coraggio dei bravi borghesi dei
comuni » afferma senza ambagi nel 1 9 0 1 il Cours d'histoire à
l'usage de l'enseignement primaire di D. Blanchet e J. Périard.

Varcata la soglia del secolo xx il tono diventa piu aggressi­


vo : «È la nostra prima vittoria sui Tedeschi » afferma fredda­
mente il Cours di C. Calvet [\e]. 1 9 0 3 , l'anno in cui Leone XIII
autorizza benevolo il trasferimento nella chiesa di Bouvines del­
le reliquie di san Fulgenzio e di santa Saturnina, generoso dono
del vescovo di Anagni . Da quel momento la chiesa può diventa­
re, come quattro anni piu tardi si augura il canonico Salembier,
meta di uno di « quei pellegrinaggi patriottici, che sono nello
stesso tempo luoghi di venerazione, di preghiera, di riconoscen­
za verso il Dio delle battaglie » . Tale pellegrinaggio, in pantalo­
ni militari di pelle, compi nel 1 9 05 il capitano H. de Malleray.
Di ritorno da un giro di piacere e pio tra i luoghi degli antichi
massacri, di cui è andato a fiutare il suolo, passa per Bouvines e
s'infiamma : « Somma delizia per un soldato il veder nascere l'i­
dea nazionale, vederla crescere e ingrandirsi sul campo di batta­
glia . . . già tutto impregnato, saturo, di odio per la dominazione
straniera, di quell'energica volontà di salvare da essa la terra na­
tia: . . Cara Francia, caro paese, tu vivrai senza dubbio ancora ore
gravi. Sei troppo bella per non ispirare desiderio, troppo ricca
per non destare cupidigia » . Ma . anche troppo tirchia perché la
chiesa di Bouvines abbia finalmente tutte le sue vetrate : « Per
mancanza di denaro i lavori sono rimasti fermi da vari anni » .
Bisogna che riprendano . Perché non {:Onsacrare questo monu7
mento nazionale « alla glorificazione degli anonimi e intrepidi
combattenti per i quali Michelet, già da tempo, chiedeva una pa­
rola, una lacrima, un ricordo ? » Questo capitano, che legge Mi­
chelet, ama i suoi uomini : « Non potremmo erigere in Francia
una specie di monumento espiatorio, come un Pantheon milita­
re dedicato agli eroi oscuri e dimenticati ? »
Rinascite 213

A quell'epoca ci si mette di mezzo la poesia � e quale poesia!


Nel I 879 il reverendo padre Longchamp dell� Compagnia di
Gesti aveva composto una trilogia con coro, bonaria e gustosa,
in onore di Bouvines , della Francia, della « Santa Chiesa e della
Santa Patria » ; del campo dell'onore « in cui tutto diviene nobi­
le », in cui « non vi sono plebei » . A. Fraisse che, nel I 9 I I , ri­
prende lo stesso tema, mostra Filippo Augusto che con una stia­
boiata spacca in due il feudalesimo e sparge ai quattro venti le
carte di franchigia. Certo la popolarità di Bouvines è allora ben
lontana dal raggiungere quella di Giovanna d'Arco. Forse ap­
punto perché, nonostante tutto, gli abitanti dei comuni e la na­
zione in armi qui fiancheggiano troppo da vicino la Chiesa, la
Nobiltà, il Re . È cosa ardua glorificare gli uni senza celebrare un
po' anche gli altri . Cori la pulzella tutto è piu semplice. Figlia
del popolo, e per giunta lorenese, ha tutte le doti per infi amma­
re a un tempo i Péguy e i Déroulède. Ma c'è un guaio : quelli
che caccia fuori di Francia sono inglesi. Ed eccoci ora alla Cor­
diale Intesa. Bm.ivines qui è favorita. Nessuna ambiguità: si
tratta proprio dei Teutoni, che sono vinti e fuggono come lepri.
Si avvicina per l' appunto la data del settimo centenario . Nel
I 9 I 3 la Germania ha celebrato il centenario della battaglia di
Lipsia e ha eretto un monumento commemorativo. E l'Inghil­
terra non celebrerà a sua volta W aterloo ? Che cosa aspetta la
Francia ? Ecco formarsi un nuovo comitato che, nel I 9 I 4, ai pri­
mi di giugno, organizza una cerimonia a Saint-Denis: presso le
tombe dei re di Francia ecco comparire un figurante a elevare
l'orifìamma. Si progetta di innalzare sul campo del combatti­
mento un ricordo meno meschino dell'obelisco, che parli piu
chiaro : rappresenterà « una fortezza del Medioevo dominata da
una statua colossale di Filippo Augusto, ritto su di un · cavallo
da battaglia, incarnazione vivente della patria » . La statua di
uno di quei re che fecero la Francia - e immediatamente il co­
mitato chiede una festa, proprio a Bouvines, che non è molto
lontana .da Sedan. Il governo della Repubblica è esitante, ma
finisce per dare il consenso, a una condizione, però : che non vi
si vedano curati; Il 2 7 giugno l' editoriale de « L'Echo de Paris »
214 Leggenda

fa un parallelo tra Bouvines e Lipsia: « Lipsia ha creato tra i Te­


deschi un 'unità fittizia, in cui i paesi del Sud non van d'accordo
con quelli del Nord . Bouvines ha assicurato tra i Francesi un'u­
nità duratura, che continua dal 1 2 1 4 al 1 9 1 4 . In una di queste
lotte di nazioni quella vittoriosa combatteva a tre contro uno,
nell'altra uno contro tre. Qual è la piu gloriosa? . . . Quando in­
nalzeremo un monumento in questa famosa pianura il mondo
intero dovrebbe unirsi a noi, perché li , come a Tolbiac e a Poi­
tiers, trionfò la causa della civiltà » . II giorno seguente, una do­
menica, treni speciali per comitive partono per Bouvines , pres­
so il ponte viene eretta una tribuna, davanti all a quale sfila la
truppa ; sulla tribuna stanno seduti alcuni discendenti dei com­
battenti di Bouvines, tra cui un certo signor di Montigny . Di­
scorsi, canti, banchetto, fiaccolata con in testa lo stendardo con
il giglio e fuochi d'artificio . Per « L'Action f:rancaise » « è eviden­
te: dalla mattina alla sera ha regnato l'idea del re di Francia » .
S i è gridato : « Viva Filippo ! Viva il re ! » Concordia unanime in
questa kermesse della rivincita? No di certo. « C'era anche qual­
che centinaio di socialisti che il venerdl sera a Lilla fischiarono
stupidamente la parata militare organizzata in ricordo di Bou­
vines » . « L 'Echo de Paris » del 2 9 giugno lo deplora, vorrebbe
aprire gli occhi a quei guastafeste : « Ahimè! quei povetetti non
c-apiranno mai che quella battaglia segnò il trionfo dei - comuni
sul feudalesimo » . E per rispondere « agli avversari (ce ne furo­
no) dei festeggiamenti di Bouvines » « Le Journal » del 3 0 tira
fuori il pretesto della cultura : « Dalla liberatrice vittoria nazio­
nale di settecento anni fa ha preso il suo magnifico volo la civil­
tà francese del Medioevo, maestra dell'Europa moderna » .
Era questo il tema del discorso pronunciato a Bouvines, dal­
l'alto della tribuna, dal segretario a vita dell'Accademia di Fran­
cia, E. Lamy. Egli aveva parlato « del diritto dei popoli e del­
l'avvenire della civiltà », di una civiltà « osteggiata dalla società
feudale » . La Francia di allora spalleggiava lo sforzo dei vescovi,
mentre in Germania, « dove poco scandalo destavano i preti che
rinnegavano il celibato » , « tendeva a instàurarsi l'ordine pagano
delle società in cui la religione costituiva per il potere uno stru-
Rinascite 215

mento e non un giudice » . Ma l'armata di Filippo Augusto si ap­


prestava a distruggere tale resistenza feudale e teutonica. Le
stava di fronte, nascosta e muta, la selvatichezza. « Questo si­
lenzio di bestia raggomitolata, pronta a balzare, viene rotto sol­
tanto da un voto feroce, il giuramento fatto da Ottone, Ferran­
do e Rinaldo, di uccidere Filippo Augusto, e dal grido libidino­
so lanciato da un Fiammingo : " Pensiamo alle nostre belle ! " » ( Il
segretario a- vita, in fatto di pudore, gareggia con Guglielmo il
Bretone). Solo i Brabantini « salvano l'onore germanico » . È la
vittoria dell'intelligenza sul numero, dell'agile e focosa cavalle­
ria su quell 'arma pesante che è la fanteria. Ma pare anche un mi­
racolo . Speriamo dunque, fratelli. «Non è questa l'unica volta
in cui la nostra razza abbia ottenuto questo misterioso aiuto :
nelle ore piu decisive essa è stata risollevata e innalzata con
mezzi che di per sé sembravano inefficaci » . « Per la nostra na­
zione, come per ogni creatura, quale miglior gloria che l'essere
temporaneamente al servizio della saggezza immateriale ? » ( La­
my non sa piu quali giri di parole usare per non pronunciare il no­
me di Dio ). Mal sopportarono tali occhiate di connivenza lancia­
te al clericalismo e alla democrazia i camelotti del re ( gli studen­
ti monarchici ) che avevano preparato i festeggiamenti. E. Lamy
« uno di quei trecentosessantatre, la cui vittoria, il giorno dopo il
r 6 maggio, ci aveva, Bismarcko juvente, definitivamente impo­
sto questo felice regime », fu strigliato dal conte di Lur-Saluces,
poi da Charles Maurras nell'« Action française », 1'8 e il 1 2 di
luglio.
Quello stesso giorno, a Bouvines , il clero aveva celebrato la
festa per proprio conto . Aveva preso la parola Monsignor Tou­
chet , vescovo d'Orléans. Prudente e scaltro almeno quanto Fi­
lippo Augusto, avrebbe anche lui, prete, esaltato una battaglia ?
No di certo, ma « l 'austera grandezza dei valori che la guerra im­
pone . . . e pure qualche cosa ch'essa talvolta ottiene . . . l'indipen­
denza del suolo della Patria minacciato o violato dall'insoppor­
tabile occupazione dello straniero . Visto in qEesta luce, si! quel­
lo di Bouvines non è solo uno spettacolo da epopea, è pure lo
spettacolo di una grandiosa festa civica . Enrico IV, Bonaparte, i
2I6 �enda

Montagnardi del ' 9 3 avrebbero applaudito . Anche noi applau­


diamo . Vescovi e cittadini, cittadini come vescovi, non è forse
vero, signori? » «Ottone non era che un misero -soldato di ven­
tura: molto gli andava a genio razziare un paese ricco. I Ger­
manici, dopo Tolbiac, l'hanno nel sangue l'impulso a invader­
ci, allo scopo di rifarsi. È vero che noi abbiamo loro reso la pa­
riglia, restando ora vincitori , ora vinti . Voglia Iddio che l 'era
delle lotte mortali sia chiusa ! Però, se l'arena dovesse riaprirsi,
che il Signore si degni di ricordare che adesso tocca a noi essere
vincitori, e non vinti » . Che la Francia viva «per l'umanità e,
tutto ben considerato, per Dio . Dio è di questo parere: pur di
non !asciarci perire ha compiuto dei miracoli » . Ma Dio deside.ra
prima di tutto l'unione, certo, l'unione dei ceti, realizzata pater­
namente, sollevando un po' quelli che stanno nel fango. « Sape­
te ciò che manca alla scena per essere completa? Manca che Fi­
lippo Augusto chiami uno di quei villani o uno di quei borghesi
che avevano appena dimostrato che il loro sangue era rosso
quanto quello degli altri, e lo avesse armato cavaliere » . Sacra
unione. Unione dei cattolici. E il prelato termina ribadendo la
sua « assoluta speranza in una vittoria definitiva, in qualche
Bouvines della Chiesa » . Di questa maliziosa omelia « L'Action
hançaise » evitò di render conto .

È noto · quel che accadde tre settimane dopo . Le carneficine


della Grande Guerra distrussero ciò che ancora restava di Bou­
vines. Dopo la vittoria, nelle Histoires de France scritte per gli
scolari, regna il silenzio. Non totale, ma quasi : nel Cours di Fau­
bert e Huleux, secondo i programmi del I 92 3 , soltanto tre ri­
ghe. E non si parla del combattimento, ma della festa popolare :
un I I novembre feudale. Cosi pure nella Histoire de France
pour le Certificat d'Etudes di L. Brossolette ( I 9 3 5 ) che, difatti,
porta come motto : « Il Popolo invece dei Principi . La civiltà in­
vece dèlle battaglie » . Tuttavia, a quella stessa data, mentre ol­
tre Reno si accumulavano gli orrori, mentre in Francia gli Ex
Combattenti sognavano un ordine nuovo, A. Hadengue censa-
Rinascite 217

crava alla « vittoria creatrice » un libro onesto, vibrante di quel­


l'entusiasmo che già aveva portato al lirismo il capitano De Mal­
leray. « Il pericolo mortale fa sbocciare nel profondo del nostro
popolo un sentimento nuovo, e per definire tale sentimento esi­
ste una sola parola : patriottismo » . Hadengue si è commosso da­
vanti alla serie, ancora incompleta, delle vetrate della chiesa. Lo
hanno commosso le parole di un vecchio contadino : « Erano già
i Prussiani venuti nelle nostre terre. Allora ci fu la mobilita­
zione, e signori e poveretti furono d' accordo » . Come nelle trin­
cee. La prefazione dell'opera, forte e chiara, è del generale Wey­
gand . Quali insegnamenti trarre da questa storia? Che « le cause
profonde della salvezza della Francia stanno nella risolutezza e
nel carattere del capo » . Si può allora indovinare quale ombra
già si profili. Vecchie di settecento a_rmi queste lezioni di Bou­
vines quale giovinezza riacquistano oggi, dopo la lotta senza pre­
cedenti che la Francia ha or ora sostenuto per la propria esisten­
za, dopo una vittoria pagata a caro prezzo, i cui risultati, incon­
testabili, ma non completamente raggiunti, seminano il dubbio
nello spirito del vincitore ! E nell'ora in cui il Capo attuale della
Germania scrive : « La Francia è la mortale nemica, 1a nemica di
sempre fin dal XIII secolo . Ci vuole una spiegazione con lei, bi­
sogna regolare i conti » . "Difatti, Dio si accingeva, esaudendo il
desiderio di Monsignor Touchet, a rispettare la legge dell'alter­
nanza. Questa volta era il turno dei Teutoni.
Dopo il 1 945 Bouvines è completamente dimenticata . Oggi
gli insegnanti non ne parlano piu. Viene loro raccomandato di
saltare dalle crociate, dalle signorie e dai castelli, dalle cat tedra­
li a san Luigi, il re buono, l'unico personaggio capetingio offerto
al ricordo dei fanciulli . Nel 1 9 6 1 una «Tombola delle Date » ne
riunisce venti. Due battaglie soltanto : Crécy e Marignan. Nien­
te Bouvines . Nei libri scritti ad uso dei licei la vittoria ha tut­
tavia diritto a una pagina. Gliela dedica la collezione Portes­
Reynaud, che segue i programmi del 1 9 70 . Vi si vede una minia­
tura ( del xv secolo ) ; perché il popolo è cosi esultante ? La cita­
zione di Guglielmo il Bretone aiuterà l'allievo a indovinare. Gli
si chiede pure di studiare « la disposizione delle truppe » e gli si
218 Leggenda

mostra un piano di battaglia - in cui il Tedesco non figura piu e


invece è Rinaldo di Boulogne ad affrontare il re di Francia . La
collezione Bordas è piu generosa: due pagine su r 9 2 e con la
stessa descrizione dell'esultanza popolare - che è però attribuita
a Rigord; e il vinto, secondo il riassunto, non è l'imperatore te­
desco, ma l'Inghilterra. Nella Encyclopaedia Universalis Filippo
il Bello ha la sua voce, ma non Filippo Augusto. Allorché infine
Jacques Le Goff presenta la storia del Medioevo tra il r o 6 o e il
r 3 3 o in circa duemila righe non ne dedica piu di tre a Bouvines,
e ricorda soltanto che Ottone IV «vi fu schiacciato dal re di
Francia Filippo Augusto», il quale raccolse in seguito «il tri­
buto d'omaggio delle folle accalcate lungo la sua strada » . T\lt­
to qui .

È facile vedere perché vanno dissipandosi sotto i nostri oc­


chi le ultime tracce dell'avvenimento. A che servirebbe il rac­
conto di Bouvines nell'insegnamento impartito ai fanciulli di
un'Europa riunita, in nome di una storia che si è a lungo e giu­
stamente batttita per sbarazzarsi delle pastoie della cronaca? Il
nostro tempo scaccia le battaglie dalla memoria, con ragione. E
come potrebbe ricordare che ci fu un'ep.oca in �ui i capi di Stato
si misuravano corpo a corpo, affidando la loro potenza alle mani
di Dio ? Ai nostri giorni infatti non si vede piu il potere di affi­
darsi alla sorte delle armi, né cercare la propria legittimità in
una vittoria. Avviene piuttosto il contrario : la fama, vera o fal­
sa, di dubbio successo serve di pretesto a capitani, grandi o pic­
coli, per impossessarsi del potere con la forza. Quando l'hanno
in mano, si prendono ben guardia di esporlo a qualche rischio .
La guerra che essi fanno è tenebrosa, ignora il campo aperto,
usa altri mezzi, piu insidiosi, piu efficaci, che hanno lo scopo di
distruggere. n che però non trattiene i generali e i colonnelli dal
cercare contatti con guanto è sacro. Invincibili tropismi conti·
nuano, al tempo nostro, a far inchinare le sciabole davanti agli
ostensori. Ai capi piace l'odore dell'incenso. Li vediamo soven­
te nelle cattedrali fissare la volta in cerca di un segno di elezio-
Rinascite 219

ne . Non ripugnerebbe loro neppur di guarire gli scrofolosi. A


cose fatte amano evocare le vittorie di un tempo, forse per alleg­
gerire, con le g}ustifìcazioni dell'eterno e del magico, la coscien­
za un po' sporca che comunque talvolta avvertono per la loro ti"
rannia ovattata. «Esiste veramente, il Dio delle battaglie. Alle
intenzioni e alla volontà degli uomini presiede sempre la volon­
tà di Dio, che concede le vittorie e dà il via alle disfatte. Dio
non ha l'abitudine di abbandonare le cause giuste, né coloro che
in buona fede lo servono . Se noi cerchiamo di osservare in que­
sto spirito teologico le vittorie militari che costituiscono i punti
culminanti della storia del mondo, ritroviamo facilmente il se­
gno delle mire della volontà divina . Vi è cosi poco spazio tra la
vittoria e la disfatta, il caso e le sue circostanze sono cosi mute­
voli, la battaglia, anche la meglio ingaggiata, può cosi facilmen­
te essere perduta a causa di irrimediabili azioni : nessuno può es­
ser sicuro che la volontà di Dio stia dalla sua parte » . Lo ha scrit­
to un generale : Francisco Franco, nel 1 9 6 4 . E il 2 5 luglio 1 9 7 1 ,
giorno della festa di san Giacomo di Compostella, patrono del­
la Spagna, circondato dai membri del suo gabinetto e da una ven­
tina di vescovi, inginocchiato davanti alla statua del santo, par­
la di nuovo . Per dir che cosa? « Durante la nostra crociata di
liberazione abbiamo constatato a varie riprese che le vittorie piu
decisive venivano riportate nei giorni corrispondenti alle grandi
feste della Spagna. Cosi fu per la battaglia di Brunete in cui, do­
po parecchi giorni di stasi, la vittoria ci arrise il giorno della fe­
sta del nostro santo patrono. Non può essere altrimenti quando
si combatte per la fede, per la Spagna e per la giustizia. La guer­
ra la si fa piu facilmente quando si ha Dio come alleato » .

Dio : quello degli olocausti e delle parate militari . Il dio del­


l 'ordine ristabilito . Il grande cavallo livido che aleggiava sul
campo dei morti una sera, a Brunete, aveva aleggiato in altri
tempi su Bouvines . Esso aleggia anche su Guernica, su Ausch­
witz, su Hiroshima, su Hanoi e su tutti gli ospedali dopo tutte
le sommosse. Neanche quel dio li è prossimo a morire. Ricono­
sce sempre 1 suo1.
Cronologia
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Fonte:
o 500 km
lll Contemporanea a Filippo Augusto ( 1 223)

() Risalente agli ann i 1 2 2 3 · 7 0 circ.a

O Posteriore sinn all'inizio del XIV secoln

� Senza menzione di Bouvine,;

� Dominio Regio nel uSo

� Annessioni prima di Bouvines

IZZ2J Annessioni prima del I 2 70

Frontiere del Regno

Tracce dell'avvenimento nelle cronache europee del XIII secolo.


n63 Inizio della costruzione di Notte-Dame di Parigi.
n 65 21 agosto. Nascita di Filippo Augusto.
Canonizzazione di Carlomagno.
c. r r 67 Nascita di Giovanni Senzaterra.
II 78 Missione pontificia nell'Albigese.
I I 79 I0 novembre. Consacrazione di Filippo Augusto. Concilio latera­
no III.
n8o 2 8 aprile . Matrimonio di Filippo con Isabella di Hainaut.
14 se ttembre. Morte dTLuigi VII.
Trattato di Gisors. Fondazione a Parigi di un primo collegio per gli
scolari .
r r 8r-9o Chrétien de Troyes compone Perceval.
n 82 Filippo espelle gli Ebrei.
Inverno. Si forma nel Puy la setta degli Incappucciati.
n 85 Filippo ottiene il possesso di Arras e del Vermandois.

n 86 Il padre di Rinaldo di Darnmartin si rifugia presso il re d'Inghil­


terra.

n87 Saladino prende Gerusalemme. Conquista di Tournai .


5 settembre. Nascita di Luigi VII I .
r r 89 6 luglio. Morte di Enrico II Plantageneto.
Morte di Isabella di Hainaut.
r r 9o 4 luglio. Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone lasciano Vb.e­
lay per la Terra Santa.
Morte di Filippo d'Alsazia, conte di Fiandra.

rr9r 1 3 luglio. Presa di San Giovanni d'Acri.


21 luglio. Filippo Augusto decide di ritornare in Francia.
25 dicembre. Filippo Augusto a Fontainebleau.
Filippo Augusto riceve l'omaggio di Rinaldo di Dammartin per la
contea di Boulogne.
224 Cronologia

1 1 93 Febbraio. Giovanni Senzaterra rende omaggio a Filippo Augusto


per i feudi dei Plantageneti.
14 aprile. Filippo Augusto sposa Ingeborg .

I I94 L'assemblea episcopale di Compiègne annulla il matrimonio di Filip­


po ed lngeborg.
20 marzo. Riccardo Cuor di Leone ritorna in Inghilterra.
Maggio. Riccardo si riconcilia con Giovanni Senzaterra.
3 luglio. Filippo Augusto è battuto a Fréteval.
Inizio dei lavori di ricostruzione della cattedrale di Chartres , incen­
diata.
Primo privilegio concesso ai maestri delle scuole di Parigi.

1 19 6 Filippo Augusto sposa Agnese di Merano.


n papa Celestino III annulla la decisione di Compiègne.
Il vescovo di Beauvais viene catturato da Riccardo Cuor di Leone.
Costruzione di Chateau-Gaillard.
Dicembre. EJeziori� di Federico II.

I I98 8 gennaio. Elezione del papa Innocenza III.


20 settembre. Disfatta dell'armata del re di Francia presso Gisors.
Gli Ebrei sono autorizz ati a ritornare nel dominio regio.

I I99 Aprile. Riccardo Cuor di Leone designa Giovanni Senzaterra a suo


successore.
24 giugno. Tregua tra Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone.
27 novembre. Giovanni Senzaterra re d'Inghilterra.
Predicazione della IV crociata.

1200 Gennaio . Accordo tra Filippo e il re Giovanni. Il principe Luigi


sposa la nipote di Giovanni, a,ianca di Castiglia, che riceve in dote
Evreux.
15 gennaio. Innocenza III scaglia l'interdetto sul regno di Francia .
2 2 maggio. Pace del Goulet tr a Filippo e Giovanni Senzaterra, che
rende omaggio. Il papa si pronunzia in favore di Ottone di Bruns­
wick.
7 settembre. Filippo Augusto riconosce Ingeborg come sua sposa.
Privilegio concesso da Filippo agli scolari di Parigi.

1201 Novembre. Innocenza III legittima Filippo Hurepel , nato all'ini2io


dell'anno, che viene fidanzato con la figlia di Rinaldo di Dammartin.

1 202 Aprile. Giovanni Senzaterra è condannato dalla corte di Francia.


n conte Baldovino di Fiandra si fa crociato.

1203 3 aprile. Assassinio di Arturo di Bretagna.


Cronologia 22 5

1204 Morte di Eleonora d'Aquitania.


6 marzo. Presa di Chateau-Gaillard. Conquista della Normandia.
Aprile. Presa di Costantinopoli da parte dei Latini.
li re d'Aragona vassallo della Santa Sede.
1205 Stefano Langton, arcivescovo di Canterbury .
1206 26 ottobre. Tregua tra Filippo Augusto e Giovanni Senzaterra.
Predicazione di Domenico nell'Albigese. Francesco d'Assisi si ritira
dal mondo.
Ha inizio la costruzione dei portali della cattedrale di Chartres.
Fine delle Gesta J>hilippi Augusti di lligord.
120 7 1° ottobre. Scomunica di Raimondo di Tolosa.
Nascita di Enrico III.
Prima menzione dell'associazione dei maestri e degli scolari di Pa-
rigi.
1208 24 marzo. li papa lancia l'interdetto sul regno d'Inghilterra.
Assassinio di Filippo di Svevia. lliele2ione di Ottone di Brunswick.
1209 12 gennaio. Assassinio di Pietro di Castelnau, legato ponùficio nel­
l'Albigese.
Marzo. Ottone presta giuramento a Spira.
r8 giugno. Penitenza di Raimondo di Tolosa.
Luglio. Partenza della crociata contro gli Albigesi.
Scomunica di Giovanni Senzaterra.
27 settembre. Incoronazione imperiale di Ottone.
1210 Novembre. Ottone viene scomunicato e deposto.
Nelle scuole di Parigi viene interdetta la lettura della Metafisica di
Aristotele.
1211 Ferrando di Portogallo sposa Giovanna, figlia maggiore del Conte
Baldovino di Fiandra.
Ottobre. A Norimberga Federico II viene eletto re di Germania.
Rinaldo di Dammartin fortifica Mortain ed entra in rapporto con
Giovanni Senzaterra.
Ha inizio la ricostruzione della cattedrale di Reims.
1212 22 gennaio. Ferrando rende omaggio a Filippo Augusto per la con­
tea di Fiandra.
24 gennaio. Aire e Saint.Omer vengono ceduti da Ferrando.
4 maggio. Rinaldo di Damm artin rende omaggio a Giovanni Senza­
terra e promette di non fare né pace né tregua con Filippo e con il
principe Luigi.
Crociata dei fanciulli.
226 Cronologia

1212 r6 luglio. Las Navas d i Tolosa.


19 novembre. Incontro a Vaucouleurs tra Federico II e il principe
Luigi.
Dicembre. Incoronazione a Magonza di Federico II.
Costiuzione della cinta di Parigi.
1213 Gennaio. I l papa mette Giovanni Senzaterra al bando della cristia­
nità.
Il principe Luigi si fa crociato.
8 aprile. Assemblea di Soissons. Il conte di Fiandra rifiuta di parte­
cipare alla spedizione in Inghilterra. Filippo Augusto riprende con
sé la regina Ingeborg.
19 aprile. Convocazione del Concilio laterano IV.
1 5 maggio. Giovanni Senzaterra si sottomette al papa.
22 maggio. A Gravelines, Filippo Augusto, sul punto di far vela
per l'Inghilterra, apprende che re Giovanni si è sottomesso e decide
di devastare la Fiandra.
3 0 maggio. Filippo Augusto lascia la Fiandra dopo avere incendiato
Damme .
31 maggio. Ferrando giura di aiutare Giovanni Senzaterra e di non
fare piu pace con Filippo senza di lui e senza Rinaldo di Dammartin .
20 luglio. Giovanni Senza terra è liberato .dalla scomunica.
1 3 settembre. Battaglia di Muret.
13 ottobre. Giovanni Senzaterra riprende l'Inghilterra e l'Irlanda
come feudi dal papa.
21 novembre. Accordo tra Filippo Augusto e la contessa di Cham­
pagne.
1 2 14 r6 febbraio. Giovanni Senzaterra sbarca a La Rochelle.
Aprile. Filippo Augusto guida l'esercito nel Poitou.
2 5 aprile. Nascita di san Luigi.
17 giugno. Giovanni Senzaterra entra in Angers .
19 giugno. Giovanni Senzaterra pone l'assedio davanti a La Roche­
aux-Moines.
2 luglio. Giovanni Senzaterra leva l'assedio all'avvicinarsi del prin­
cipe Luigi.
1 5 luglio. Giovanni è a La Rochelle.
2 3 luglio. Filippo Augusto lascia Péronne per Douai.
26 luglio. Filippo Augusto a Tournai.
27 luglio. B O U V I N E S .
r 8 settembre. Tregua, a Chinon, tra Filippo Augusto e Giovanni
Senzaterra.
24 ottobre. Accordo con Giovanna di Fiandra.
Cronologia 227

I2I4 Compimento della facciata della cattedrale di Laon.


Filippo Augusto concede un nuovo porto all'associazione parigina
dei venditori dell'acqua.
I2I5 Il principe Luigi nell'Albigese.
Aprile. Statuto dell'Università di Parigi di Robert de Courçon.
I 5 giugno. A Runnymead Giovanni Senzaterra concede la Magna
Carta.
25 luglio. Federico II viene incoronato ad Aquisgrana.
Settembre-ottobre. Negoziati tra Filippo Augusto e i baroni d'In­
ghilterra.
I I novembre. Riunione del Concilio laterano.
!2I6 2I maggio. Il principe Luigi sbarca in Inghilterra.
17 luglio . Morte d'Innocenza III.
19 ottobre. Morte di Giovanni Senzaterra. Enrico III re d'Inghil­
terra.
Filippo Hurepel sposa la figlia di Rinaldo di Darnmartin.
Costituzione dell'ordine domenicano.
Pietro di Courtenay, imperatore di Costantinopoli.
I217 20 maggio. Disfatta a Lincoln dell'armata capetingia.
I I settembre. Pace di Lambeth.
1218 Morte di Simone di Montfort davanti a Tolosa.
12I9 Seconda spedizione in Linguadoca del principe Luigi.
Arrivo a Parigi della prima missione francescana.
I222 Filippo Hurepel, armato cavaliere, entra in possesso della contea di
Boulogne.
1 223 1 4 luglio. Morte a Mantes di Filippo Augusto.
6 agosto. Consacrazione di Luigi VIII.
1226 Aprile. Trattato di Melun con la contessa di.Fiandra.
8 novembre. Morte di Luigi VIII.
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23 4 Bibliografia essenziale

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TOUCHET, MGR, CEuvres choisies oratoires et pastorales, tomo XII ( 1 9 14-15),
192 ! .
Indice dei nomi
Abelardo, Pietro, I37. Carlo Il, imperatore, detto il Calvo, ro, 103.
Amau.ry, conte di Montfort, 85. Carlomagno, imperatore romano, 3, ro, 27,
Anagni, vescovo di, 2 1 2 . 28, 35, 4I , 163, I68, I 9I, I93 . 196, I97.
Anonimo d i Béthune, I45-48, I50, I J 4 , IJ7, I99·
IJ8, 162, I6J. Carlo Martello, I63.
Anquetil, Louis-Pierre, 206. Caumont, Arcisse de, 209.
Ansart, F., 2o8. Cesare, Gaio Giulio, 3, 27, I92.
Antoine de Mo!, 6. Cbalon, conte di, 98.
Amolfo d'Audenarde, 37, 58, 59, 154, u6. Champagne, conte di, 98, I04.
Amolfo, cOnte di Guines, 29, 36, IOJ·8, 124, Clermont, conte di, no.
125, 179· Clodoveo, re dei Franchi, 189.
Amido II, re d'Inghilterra, I39· Commotur, 58.
Arturo di Bretagna, 62. Cornei ile, Pierre, 8.
Aubry cles Trois Fontaines, 69. Corrado di Dortmund, 44, 56.
Aubry di Dammart in, 6o.
Dagoberto II, re dei Franchi, detto il Giova-
Ba.Idovino, conte di Guines, m8, I24. ne, IO, 189.
Baldovino VIII, conte di Hainaut e di Fian- Delpech, H.-M.-L., 2ro.
dra, IlO, I I I . Demetrio, santo, 121.
Bar, conte d i , vedi Enrico, conte di Bar. Déroulède, Paul, 2 1 3 .
Bartolomeo di Roye, 30, 48, 55, IJ9. Dionigi di Parigi, santo, 1 8 , 2 9 , 84, 196.
Bernardo di Chiaravalle, santo, I04, I I I , 1 2 2 , Domenico di Guzmé.n, santo, 162.
I 2 3 , 137· Dreux, famiglia di, 36.
Bernardo di Ostemale, 44, 56. Ducoudray, G., 2 1 1 .
Bernardo Itier, 178."
Bertiand de Born, n6. Eleonora d'Aquitania, regina d i Francia poi
Blanchet, D., 2I2. d'Inghilterra, n. 62, 87.
Bonaparte, vedi Napoleone I Bonaparte, im­ Engu errand de Couci, 196.
peratore dei Francesi. Enrico, conte di Bar, 29, 30, 48, 53, IJJ.
Bonaventura da Bagnorea, santo, I93· Enrico I, duca del Brabante, detto il Guerrie-
Borgogna, duca di, vedi Eudes, duca di Bor­ ro, 3J, 44, J7, 6J, 70, 156. -
gogna. Enrico I, re d'Inghilterra , detto Beauclerc, 83,
Boulogne, conte di, vedi Rinalj.lo di Dammar­ 94. 141, I43·
tin, conte di Boulogne. Enrico II, re d'Inghilterra, n. 35, 42, 6o, 98,
Bourges, arciv escovo di, 8o. 10J, 108, 109, 138, 140.
Brabante, duca di, vedi Enrico I, duca del Enrico III, re d'Inghilterra, 142.
Brl!bante, detto il Guerriero. Enrico IV, re di Francia, 215.
Brossolette, L., 216. Enrico V, imperatore, 86.
Buridano, Giovanni, 18, JO, J I . Enrico XII, duca di Baviera e di Sassonia,
Buridano d i Fumes, 37. detto il Leone, 34.
Enrico di Champagne, 104.
Callisto II, papa, 76. Enrico Plantageneto, detto il Re Giovane, 99,
Calvet, C., 212. roB, 109, rxr; 112, rx6.
Capetingi, dinastia, Io, 90, I40, I89. Eudes, duca di Borgogna, 29, 32, Jo-J2, 88,
Carlo, conte di Fiandra, detto il Buono, 86, 94, no, 1 12, 117, 146, 147, 153-; 6, r 8o,
94, 103, IOj', I IO, 1 12, 127, I J I , IJ2. 185, 194.
Indice dei nomi
Eustachio, santo, 1 2 1 . Giovanni II, re di Francia, detto il Buono,
Eustachio d i Malenghin, 5 1 , I 53· 204.
Giovanni cles Prés d'Ou tremeùse, 203.
Fabrizio del Dongo, 8. Giovanni di Condune, 58 .
Faubert, 216. Giovanni .di Mareuil, 30, 53.
Federico l, imperatore, detto il Barbarossa, 41 , Giovanni di Nesle, 29, ;)8, 1;)].
90, 98. Giovanni di Nivelle, 210.
Federico II, imperatore, 3;, 41, 168, 173, 178, Giovanni di Rouvray, 30, 48, 53, ;)8.
r8o. Giovanni di Salisbury, 1 ;! I .
Fenando di Portogallo, conte di Fiandra, 26, Giuliano d i Brioude, santo, 1 2 1 .
3 1 , 3;), 37, 42, 43, 44 , 49, ;)3, 56, 57, 61 -6;) , Godefroy, figlio del duca d i Brabante, 6;) .
1 07, 1 4 8 , 1 5 8 , 179, 1 8 o , 1 8 6 , 187, 194, 209, Goffredo di Preuilly, 103.
21 5 . Goffredo Grisegonelle, conte d'Angiò, 139.
Feay de Locre, 6 . Goffredo Martel, conte d'Angiò, 139, 140.
Fiandra, conte di, vedi Ferrando d i .Portogallo, Grabois, Arieb, 86.
conte di Fiandra. Gualtieri, detto il Giovane, 30, 48, 5;).
Fiandra, contessa di, 17, 63, 164. Gualtiero di Chatillon, conte di Saint-Poi,
Filippo, vescovo di Beauvais, 30, 151, 210. 29 , 30 , 3 6 , 45, ;)0-5 2 , no, 155, 1;)6, 16o,
Filippo I I Augusto, re di Francia, 5 , 8, 1o- I2, 196.
1 7 ' I 8, 24·3 1 , 33, 3 5· 38 , 40·43 . 44-;) 0, 53 . Gualtiero di Fontaines, 30, 5 8 .
62, 66 e n , 78, 79, 82-87, 89-91 , 94, 102 , Gualtiero d i Ghistelle, 37, 50, 5 1 .
103, 106, I l O, 127, 134, 1 36 , 138 , 1 39, 145 - Gualtiero di L'Ecluse, 125.
!49, 1 ;) 4, I ;) 8-6o, 162, 163, 16;)· 69, 173, 174, Guerrino di Senlis, 30, 45, 47, ;)O, 5 8, 123,
1 76-99, 201 -3, 204-10, 213, 21 5, 216, 2 1 8 . 145, 147 , 15 1 , 152, 1 56, 190.
Filippo I V , re d i Franàa, detto il Bello, 2 1 8 . Guglielmo, 98.
Filippo VI di Valois, re di Franàa, 204. Guglielmo, detto il Bretone, 9, r r-13, 17, r8,
Filippo d'Auxerre, ;)7. 20, 21, 24, 30·32 , 66 n, 69, 70, 148, r .:n ,
Filippo di Courtenay, 146. 158, 159, r62, 163, 167, 173, 18o, 184 -87,
Filippo di Dreux, 124. 190, 191 , 193, 20;) , 206, 21 5, 2 1 ] .
Filippo di Montgardin, 1 2 5 . Guglielmo, detto il Maresciallo, 79, 106, 109 ,
Filippo di Svevia, imperatore, 34· IIO, I I 2, I I J , IIj-18, l2J1 124, 1 2 6- 28, 142,
Filippo Hurepel, 37. 160, 182.
Filippo Mousket , 193, I9;)-97 , 199. Guglielmo, conte di Salisbury, detJo Lunga
Fitmeale, Richard, 93 · Spada, 3;), 44, 6 1 , no, 126, 179, 180, 182,
Fitz-Warin, Fouques, 33· 187, 210.
Flarnand di Crepelaine, I;)7. Guglielmo I, re d'Inghilterra , detto il Conqui­
Falco III, conte d'Angiò, detto Nerra, 1 3 9 . statore, 73, 83 , 94, 139 -42, 151 .
Falco IV, conte d'Angiò, detto le Réchin ( il Guglielmo II, re d'Inghilterra, detto il Rosso,
Rissoso), 139. 84, 94, 1 3 3 , 138.
Foncin, P., 2 I I . Guglielmo Cliton, conte di Fiandra, 138, 1 4 1 ,
Fraisse, A . , 2 1 3 . 144.
.Francesco d'Assisi, santo, r 6 2 , 204. Guglielmo des Roches, 62 .
Franco Bahamonde, Francisco, detto il Cau­ Guglielmo di Barres, 30, 48, 5 3 , ;)5 , I ;);), 1 5 6 .
dillo, 2 1 9 . Guglielmo di B1eteuil, 1 3 3 ·
Fredegario, 189. Guglielmo di Garlande, 3 0 , 4 8 , 53 , 55, 1;)9.
Fulgenzio, santo, 2 1 2 . Guglielmo di Mortemer , 30, 48.
Guglielmo di Newburgb, detto il Piccolo, 104.
Galberto di Bruges, 9 6 , 9 7 , 1 2 9 , 130, 132;144. Guglielmo di Puylaurens, 178.
Galliffet, Gaston-Alexandre-Auguste, marche- Guglielmo d'Grange, u r .
se di, 2 10 . Guido Mauvoisin, 5 3 ·
Galon di Montigny, ;) 3 , ;) 4 , 194. Guizot, François-Pierre-Guillaume, 206.
Gerardo di Randerode, 44, 56 .
Gerardo La Truie , 30, 48, ;)3, 55 , 1 ;)9 . Hadengue, A., 2 1 6, 217.
Gérold d'Avranches, 1 2 1 , 122. Helgaud de Fleury, 13.
Gilles, dell'abbazia d'Orval, 69. Hélie, conte del Maine, 138.
Giorgio, santo, 121. Hervé, conte di Nevers, 62 , 65, 86.
Giovanna d'Arco, santa, 2 1 3. Huleux, 216.
Giovanni, conte di Beaumont, 29, 30, 5 0, 5 1 .
Giovanni, re d'Inghilterra , detto Senzaterra, lngeborg, regina di Francia, 26, 42, 173, 178.
33-37, 40-43, 44 , 49 . 6 1 , 64-66, 70, 9 1 , 93, Innocenzo III, papa, 40-42, 77, 78, 9 1 , 102 ,
133, 1 3 ;), 138, 149, 154, r61, 162, r66-68, 148, 162, 207.
173. 177, I]8, 1 82, 1 8 3 , 1 85, 205, 20]. Isabella di Hainaut, regina di Francia, 28.
Indice dei nomi 239

Isidoro di Siviglia, santo, 73· Ottone I, imperatore, detto il Grande , 6, 4 1 .


Ivo di Chartres, 86. Ottone I V di Brunswick, imperatore, 5 , 1 8 ,
26, 34. 35 . 37. 4D- 43 . 44-49 . 53-5 7, 59 - 62,
Johel di Mayenne, 62. 66, I35, 139, 145, I47-49, I 5 8- 61, I63, 164,
Joinville, Jean de, 88. r66, r68, 1 69, 173, 177, 179, r8o, 182, 183,
IB5, I87, 188, I9n, I92-95, 204, 207, 210,
Lamberto d'Ardres, 125. 215, 2!6, 2I8.
Lamberto di Liegi, santo, 1 8 , 70, 148. Oudenberg, abate di, I4I.
Lamy, Etienne-Marie-Victor, 214, 215.
Lavisse, Ernest, 7, zro, 2 1 1 . Paolo Apostolo, santo, ro.
Lebon, cavaliere di San Luigi, 209. Paolo Uccello, I86.
Le Oerc, Vietar, 6. Péglly, Charles, 2I3.
Le Goff, Jacques, 2 1 8 . Peiresc, Nicolas.Qaude Fabri de, 6 .
L e Mans, conte d i , 1 3 9 . Périard, J., 2.12.
Leone XIII, papa, 212. Perron di Bretagna, 6;!.
Limburgo, duca di, 44, :J?. Pierre Cbarlot, I I .
Longchamp, 2I3. Pietro Apostolo, santo, I98.
Lotario di Segni, vedi Inn=o III, papa. Pietro, cardinale, 90, 9 1 .
Lovanio, duca di, vedi Enrico I, duca del Bra- Pietro, abate d i Cluny, detto il Venerabile,
bante, detto il Guerriero. 78, 9 3 ·
Ludovico II, re dei Franchi Orientali, detto il Pierre della Tournelle, 3 1 , 58 .
Germanico, IOJ. Pietro di Counenay, conte d'Auxerre, 29, 57·
Luigi VIII, re di Francia, detto il Leone, 5 , Pietro di Remy, 5 1 .
2 7 , 28 , 32, 4 3 , 4 4 , 6 6 , 16o, 166, 173, IBo, Pierre Mauvoisin, 3 0 , 4 8 , :!4. 159.
I83. Pierre Tristan, 3 0, 54.
Luigi, dello il Germanico, vedi Ludovico II, Pipino III, re dei Franèhi, detto il Breve, ro.
re dei Franchi Orientali. Plantageneti, dinastia, I90, 191.
Luigi VI, re di Francia, detto il Grosso, In, Poitiers, conte di, 139.
84-88, 94 . I40, 143 · Pompeo, Gneo, dello Magno, 8, 192.
Luigi VII, re di Francia, detto il Giovane, 25, Pons di Melgueil, 93·
8 7- 90, 97, ICI, I02, IO;!. pseudo Dionigi l'Areopagita, 84.
Luigi IX, re di Francia, santo, 27, 88, I70,
I74 . IBo, 204, 2I7. Quenon di Condune, 58.
Luigi XI, re di Francia, I74-
Lur-Saluces, conte di, 2 15 . Renoul di Chester, 6;!.
Riccardo I, re d'Inghilterra, detto Cuor di
�eray, li. de, 2r2, 2I7. Leone, 30, 33-3.:! , 42, 6 1 , 90, 9 1 , 98, 99,
Marcel, Guillaume, 205. 102, 105, I 10, 134, 168.
Maria di Chatillon, 36. Richer di Sénones, 193, 194, 198, 201 , 203.
Masrre Roberto, 6;!. Rigord, I 1 , I2, 27, I02, 2 1 8 .
Matteo di Parigi , I77- Rinaldo di Boulogne, vedi Rinaldo di Darn­
Matteo di Montmorency, 29, 50, ;!I. martin, conte di Boulogne.
Maurizio. santo, r21. Rinaldo di Darnmartin, conte di Boulogne, 1 8 ,
Maurras, Charles, 2I;!. 2 6 , 3 6 , 37, 42 , 4 3 , 4 4 , ;!6 -58, 6o -63, 109,
Melun, visconte di, 29, 45, 47, 50, 52, I4:!· 1 10, 135, 136, 147, 1 48, 151, 154, 157, 158,
Menestrello di Reims, I9:!. I99, 20I, 203. I64, 165, 169, 179, 1 8o-83, 185-87, 190,
Mézeray, François -Eudes, 205, 209. 191, 215, 2!8.
Michele di !Iarmes, ,:!2. Roberto, conte di Dreox, 29, 30, 57, 61, 1.: ! 4-
Michelet , Jules, I6o, 206, 207, 212. Roberto, fratello di Filippo Il Augusto, I04.
Montigny, signore di, 2I4. Roberto II, conte di Fiandra, 87.
Roberto II, duca di Normandia, detto Cour-
Napoleone I Bonaparte, imperatore dei Fran- teheuse, 94, 96, 141.
cesi, 2 I ;! . Roberto II, re di Francia, detto il Pio, 13 , 88.
Nevers, conte d i , vedi liervé, conte d i Nevers. Roberto di Béthune, 70, 157.
Nithard, I03 . Roberto di Coutances, 125.
Noyon, vescovo di, 27. Rodolfo, conte di Soissons, 29.
Rodolfo, detto il Glabro, 74·
Oddone di Bayeux, I 5 I . Ruggero di Wendover, 1 82-84.
Odilia, santa, 6 9 , I45·
Orderico Vitale, 77, 83, 85, 96, 97, I2I, 122, Sainte-Suzanne, visconte di, 62.
143· Saint-Poi, conte di, vedi Gualtiero di Chatil­
Othe di Tecklembourg, 44, ;!6. lon, conte di Saint-Poi.
Indice dei nomi

Salembier, L., 212.


Salisbury, conte di, vedi Guglielmo, conte di
Salisbury, detto Lunga Spada.
Sancerre, conte di, r85, 196.
Saturn.ina, santa, 2 1 2 .
Sebastiano, santo, r2r.
Simone di Montfon, conte d'Evreux e di Lei-
cester, 32, 164, r78.
Simone di Neaufles, II3-
Stefano di Blois, re d'Inghilterra, 94-
Stefano di Loogchamp, 30, 48, 53, 54, I53-
Suger, abate di Saint-Denis, ro, 27, 84, 86, 94,
104.

Tebaldo di Blois, 86, 140.


Teodoro, santo, u r .
Thierry, Ja.cques-Nicolas-Augustin, 207, 209.
Tbierry d 'Alsazia, I4I.
Tbouars, visconte di, 64, 65.
Tito, imperatore romano, 192.
Tommaso, frate francescano, 193, 2oo, 203.
Tommaso di Macles, 86.
Toiilli!aSo di Saint-Valery, 30, 56, 59, r64.
Touc:het, véscovo d'Ocléans, 2r;, 217.
Tournai, vescovo di, I9J-

Uso Capeto, J:"!! di Francia, ro, 26, 28.


Ugo di Boves, r8, 37, J7, 58, 1 35, r 83.
Uso di Cbester, r2r.
Ugo di.Fontaines, J O .
Ugo di Maleveine, 52.
Ugo di Mareuil, 30, 53 -
Urbano Il, papa, 76.

Velly, Paul-François, 206.


Verbrusgen, ]. F., 7, 24 , 158.
Vespasiano, imperatore romano, 192.
Vincenzo di Beauvais, r8o.
Virgilio Marone, Publio, r84, r89.

Weygand, Maxime, 217.


Stampato per conto del/Jl Casa editrice Einaudi
Presso Mondadori Printing S.p.a., Stabilimento N. S.M., Cles (Trento)
nel mese di marzo 20IO

C.L. I 8)_}2

Ristampa Anno

o 4 5 6 2010 20 1 1 2012 2013

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