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Le YPG Come Esperimento Di Gestione Collettiva Dello Strumento Militare
Le YPG Come Esperimento Di Gestione Collettiva Dello Strumento Militare
Corso di Laurea
in
Scienze Politiche e delle Relazioni Internazionali
Tesi di laurea
in
Scienze Politiche
Relatore Candidato
Prof.ssa Andrea Tai Piccoli
Rosalba Belmonte matricola:
1
ABSTRACT
2
Indice
INTRODUZIONE.............................................................................................................4
CAPITOLO 1: IL CONTESTO STORICO/POLITICO......................................................................6
1.1 Fondamenti del nazionalismo curdo..........................................................................................6
1.1.1 Le prime insurrezioni.........................................................................................................6
1.1.2 La presa di coscienza dell’identità nazionale curda...........................................................7
1.2 La situazione dei Curdi in Iraq, Siria e Turchia.........................................................................9
1.2.1 I Curdi in Turchia...............................................................................................................9
1.2.2 La svolta socialista...........................................................................................................10
1.2.3 La condizione dei Curdi in Siria......................................................................................11
1.2.4 I curdi in Iraq....................................................................................................................12
1.3 La minaccia dell’ IS e il mutamento degli equilibri regionali.................................................14
CAPITOLO 2: IL CONTESTO POLITICO.....................................................................................15
2.1 Affiliazione politica delle ypg..................................................................................................15
2.1.1 Il PKK..............................................................................................................................15
2.1.2 Il PYD..............................................................................................................................15
2.2 I pilastri del confederalismo democratico................................................................................16
2.2.1 Parità di genere.................................................................................................................17
2.2.2 Democrazia diretta e pluralismo......................................................................................18
2.2.3 Ecologia...........................................................................................................................20
CAPITOLO 3: ORGANIZZAZIONE INTERNA E RAPPORTI INTERNAZIONALI..................21
3.1 Organizzazione delle Ypg/j......................................................................................................21
3.1.1 Struttura delle Ypg/j.........................................................................................................21
3.1.2 L’ istituzione del takmill e la concezione bottom up del processo decisionale................22
3.1.3 Ypj e uguaglianza di genere.............................................................................................23
3.2 Rapporti locali e internazionali................................................................................................24
3.2.1 Ypg nel contesto locale.....................................................................................................24
3.2.2 Il rapporto con la popolazione araba................................................................................25
3.2.3 Il rapporto con Damasco e capacità di deal-making........................................................26
3.3 Ypg/j nel contesto internazionale.............................................................................................26
3.4 Solidarietà internazionale e volontari......................................................................................27
CONCLUSIONE.............................................................................................................29
BIBLIOGRAFIA.............................................................................................................30
SITOGRAFIA..................................................................................................................31
3
INTRODUZIONE
La rapida e imprevista espansione dell’IS nei territori di Iraq e Siria, i numerosi moti rivoluzionari
diffusi nella comunità araba e la conseguente destabilizzazione dello scenario mediorientale hanno
modificato radicalmente gli equilibri politici nelle zone coinvolte e creato importanti occasioni per
l’affermarsi di nuove realtà sociali capaci di
trascendere le tradizionali forme comunitarie statali o tribali e introdurre concetti rivoluzionari in
una società fortemente ancorata agli schemi del passato.
Il vuoto di potere creato dalla rapida ritirata delle forze armate siriane dai territori a tradizionale
maggioranza curda nella Siria del nord-est sono stati un’ occasione storica per il popolo curdo per
concretizzare per la prima volta nella storia moderna il progetto di uno stato curdo. Ma la
definizione di stato appare limitata per descrivere in modo preciso il sistema politico e sociale
affermatosi nella regione del Rojava. Il progetto confederalista, inizialmente perseguito dalla
sinistra radicale curda ma che integra ora al suo interno le diverse etnie presenti nella regione, è un
tentativo di offrire una direzione politica innovativa per tutto il Medio Oriente, per una società
multietnica basata sulla parità di genere, la democrazia diretta e un’ecologia sostenibile. Pur con
tutti i limiti di un sistema ancora in via di sviluppo, l’ esperimento confederalista in Kurdistan ha già
ottenuto il notevole risultato di rivitalizzare la curiosità internazionale verso una forma di
socialismo oltre lo stato è ha dimostrato come idee rivoluzionarie possano trovare un posto anche
al di fuori della dinamica bipolaristica del secolo scorso.
Nato in un contesto di forte instabilità e continuamente minacciato dagli stati confinanti e dai
gruppi religiosi radicali locali l’ Amministrazione Autonoma della Siria del Nord Est, costruendo
sull’apparato militare del partito democratico curdo siriano, ha sviluppato uno strumento di
autodifesa che alla natura di milizia locale aggiunge i caratteri di un gruppo altamente politicizzato
nella sua struttura, che è espressione del concetto di autodifesa della società, un punto cardine
della dottrina confederalista. Le Ypg/J, e per estensione le SDF, le forze armate della Siria
Democratica, rappresentano la forza militare di un’amministrazione civile piuttosto che l’ autorità
governativa di una regione occupata; sebbene sarebbe superficiale parlare di PYD senza tenere in
considerazione il ruolo fondamentale svolto dalle Ypg/j e, parallelamente, di Amministrazione
Autonoma senza SDF, entrambe le organizzazioni militari adottano una concezione non tradizionale
di forza armata, sotto il diretto controllo della società civile e focalizzate alla gestione del potere
decisionale in modo quanto più possibile decentralizzato. Un approccio cosi radicalmente diverso
dalla tradizionale concezione dell’organizzazione gerarchica mette sicuramente in discussione
quelli che sono generalmente considerati punti fermi della dottrina militare. A favore dell’approccio
non convenzionale delle Ypg/j vanno sicuramente i considerevoli successi militari ottenuti contro l’
IS nella difesa del Rojava e nella riconquista della maggior parte del territorio siriano, cosi come l’
efficacia della resistenza contro le forze armate turche e irachene, superiori per mezzi e
numericamente. Soprattutto la battaglia di Kobane nel 2014 ha portato le Ypg/j all’attenzione
internazionale quando, in estrema inferiorità numerica e con mezzi antiquati, le milizie curde
respinsero per mesi le forze dell’IS, ribaltando di fatto le sorti del conflitto prima di riconquistare in
breve tempo i territori occupati fino a Raqqa. Le Ypg/j sono il gruppo armato più efficace e
affidabile nella zona in cui opera, e la scelta del governo statunitense (e di conseguenza della
coalizione internazionale), non certo affine al PYD per visioni politiche, di offrire supporto logistico
e militare al fine di eliminare la minaccia dell’islamismo radicale dalla regione conferma questo
punto.
4
Lo scopo di questo elaborato è analizzare la struttura organizzativa delle Ypg/j e il contesto sociale
da cui traggono origine i principi a cui esse si rifanno, come possibile spunto di riflessione per un
confronto con le organizzazioni militari e paramilitari tradizionali.
Un’ analisi dell’organizzazione delle Ypg/j non può prescindere dall’analisi dell’evoluzione del
nazionalismo curdo, dai suoi albori come movimento tribale di impronta tradizionalista e religiosa
al suo passaggio nella sfera di influenza del blocco sovietico e l’ adesione alla visione socialista
della maggior parte dei partiti politici curdi, fino allo sviluppo da parte del leader del partito dei
lavoratori curdi della Turchia, Abdullah Ocalan, della dottrina del confederalismo democratico e
della sua diffusione fra i curdi dei quattro stati. Successivamente, si esamineranno i punti principali
del confederalismo democratico e in particolare i principi che vanno a determinare la particolare
struttura organizzativa delle Ypg/j, come la ricerca della parità di genere e il tentativo di superare il
formarsi di monopoli militari tipici delle realtà stataliste. In ultimo, vedremo fino a che punto la
reale struttura delle Ypg/j, anche prendendo in considerazione le criticità del contesto in cui si
trova ad operare, risponda ai principi enunciati dal suo manifesto costitutivo.
5
CAPITOLO 1: IL CONTESTO STORICO/POLITICO
Pur condividendo una cultura comune distinta da quella araba e un territorio chiaramente
identificabile e abbastanza circostanziato, le diverse tribù del Kurdistan erano rimaste, fino agli inizi
del XIX secolo, una società di tipo feudale dove il potere politico era nelle mani di nobili locali che
lo esercitavano sotto l’egida ottomana ma di fatto in quasi totale autonomia. Questo assetto
politico radicato nella tradizione era stato instaurato dal sultano ottomano Selim I nel XVI secolo
con lo scopo di assicurarsi la collaborazione della popolazione curda nel conflitto con la Persia e
aveva garantito la legittimazione politica della classe nobiliare curda, che continuò ad esercitare il
potere incontestata per più di tre secoli.1 Favorito anche dalla morfologia del territorio,
difficilmente accessibile e di interesse economico relativamente scarso, il Kurdistan fu di fatto per
questo lungo periodo uno stato cuscinetto fra le due potenze mediorientali, senza però sviluppare
al suo interno ne un’ autorità centralizzata, ne una coscienza nazionale comune; restando anzi
ancorata ad un sistema economico prevalentemente di agricoltura di sussistenza che non poteva
portare alla nascita di una classe borghese analoga a quella affermatasi in contesti socialmente più
evoluti, come ad esempio la vicina Armenia. Va comunque accennato che in questo lungo periodo
di prosperità relativa si sviluppa presso le corti dei signori locali una vivace scena culturale che
lascia ampio spazio alla letteratura in lingua sia curda che turca e alle arti visive e plastiche e che,
secoli più tardi, sarà il principale punto di riferimento a cui si rifarà l’emergente intellighenzia curda
per definire una comune identità culturale del proprio popolo2.
I primi grandi attriti con l’impero ottomano si verificano nella prima metà del XIX secolo, quando
l’amministrazione di quest’ultimo si fa progressivamente più centralizzata e forte e inizia a
guardare alla quasi totale autonomia delle province curde come ad una fonte di possibile
instabilità. Le altre grandi potenze della regione, Persia e Russia, fanno dal canto loro il possibile
per fomentare il desiderio di indipendenza delle tribù curde; la prima sperando in questo modo di
ampliare il proprio territorio a spese della rivale Turchia, la seconda nel tentativo di destabilizzarla
1Mirella Galletti, Storia dei Curdi, Roma, Jouvence 2004, pp 42-44
2 Stefano M. Torelli, Kurdistan, la nazione invisibile, Cles, 2016, pp 31-32
6
dall’interno e distogliere risorse economiche e militari dal fronte comune. I frequenti conflitti fra
Turchia e Russia lungo tutto il secolo coincideranno infatti con massicce insurrezioni in Kurdistan e,
più in generale, ogni volta che il sultanato si trova ad attraversare un momento di crisi, le tribù
curde ne approfitteranno per tentare di reclamare l’indipendenza dal governo di Ankara.
Questi primi moti insurrezionali hanno prevalentemente carattere tribale e tradizionalista; alla
testa delle rivolte si pongono i signori feudali, a volte alleati fra loro ma più spesso in modo isolato,
con il duplice obbiettivo dell’ottenimento dell’indipendenza e della tutela dei propri privilegi:
l’azione riformatrice dell’amministrazione turca è infatti incompatibile con l’ordine feudale, il solo
ordine sociale in quel dato momento storico concepito come proprio dal popolo curdo.
1.1.2 La presa di coscienza dell’identità nazionale curda
L’ escalation del conflitto si ha intorno al 1830, quando l’impero ottomano inizia una sistematica
occupazione del territorio del Kurdistan, con l’installazione di diverse basi militari permanenti nella
regione. La crescente ostilità dei Curdi all’ingerenza turca si concretizza infine in un conflitto che
assume tutti tratti di una guerra fra realtà statali e para statali. Un signore e leader locale, Miri
Randawuz, riesce infatti a organizzare un esercito di oltre trentamila unità equipaggiato con armi e
artiglieria moderne e contestare la presenza turca fino al 1835, anno del suo probabile assassinio.
La prematura scomparsa della sua figura cardine impedisce a questa prima rivolta di superare i suoi
caratteri pre unitari.3
Un parziale successo in questo senso sarà invece raggiunto dall’insurrezione guidata da
Yazadansher nel 53, in seguito alla crisi che la Turchia attraversa a causa di un nuovo conflitto con
la Russia. Essa è la prima rivolta che riesce a interessare trasversalmente la maggior parte della
popolazione e superare la barriera della religione, coinvolgendo anche parte della comunità
cristiana del Kurdistan. Sebbene con l’ intervento militare della Gran Bretagna la Turchia riesce a
sottomettere nuovamente i Curdi, le conseguenze sociali della rivolta di Yazadansher furono
considerevoli. Per la prima volta infatti il popolo curdo inizia a prendere coscienza della propria
organicità come comunità e vengono poste le premesse affinché la “questione curda” possa essere
affrontata nella sua interezza dai movimenti successivi.4
Nel 1880 infatti, lo sceicco Ubaydullah, alla testa dell’ultima grande rivolta curda guidata dalla
nobiltà feudale, farà dell’unità del popolo curdo e della cooperazione con le altre minoranze
regionali il punto chiave della propria visione politica. La rivolta dell’80 viene sedata grazie alla
collaborazione fra Persia e Turchia che, superando la reciproca ostilità, si accordano per reprimere
l’ insurrezione che minaccia l’ integrità territoriale di entrambi gli stati. Si ha cosi il primo di
numerosi accordi in chiave anti-curda, che saranno un tema ricorrente nel secolo successivo fra gli
stati che si spartiscono il territorio del Kurdistan.
Nel complesso, le continue rivolte curde nel corso del XIX secolo hanno due principali
conseguenze, al netto comunque del fallimento militare: da un lato pongono il fondamento per la
presa di coscienza curda della propria identità nazionale, dall’altro sono la causa principale
dell’estinzione della vecchia classe dirigente di legittimazione religioso-feudale.
Negli ultimi decenni del XIX secolo, sotto il regno Abdulhamid II, ai pochi principati curdi ancora
esistenti viene concesso di mantenere una relativa autonomia, ma la classe dirigente, indebolita e
priva di nuove figure carismatiche in grado opporsi al governo centrale, cade progressivamente
sotto l’ influenza del sultano e, in cambio di di riconoscimento e benefici personali, si presta a
strumento repressivo da usare contro le altre minoranze in lotta per l’ indipendenza, in particolare
3Mirella galletti ,Storia dei Curdi, Roma, Jouvence 2004, pag. 57
4 Mirella galletti ,Storia dei Curdi, Roma, Jouvence 2004, pp 62-65
7
quella armena. La nobiltà curda abdica cosi al ruolo fino ad ora ricoperto di leadership nella
rivendicazione nazionalista e verrà, nel corso del XX secolo progressivamente sostituita da nuove
forze sociali.
Con l’ avvento della rivoluzione dei Giovani Turchi, la situazione culturale in Turchia cambia
radicalmente. La nuova classe dirigente turca, sensibile alle influenze occidentali, si apre infatti in
campo sociale a radicali cambiamenti e introducendo libertà di stampa e di parola favorisce in
modo determinante l’ innovazione culturale anche nelle diverse minoranze del paese. La classe
intellettuale curda è composta per la maggior parte da esuli residenti in Europa o educati nelle
università e accademie delle grandi città a della Turchia; il progresso in questo campo si verifica
quindi quasi completamente al di fuori del Kurdistan, sarà anzi necessario un lungo periodo prima
che la nuova visione del nazionalismo curdo venga interiorizzata dalla popolazione contadina e
nomade che per il momento resta legata alla tradizione. 5 Nonostante la loro caratterizzazione
elitaria e frammentata, tuttavia, questi nuovi movimenti culturali hanno modo di porre importanti
fondamenti ideologici e riportare in voga la lingua curda in forma scritta, utilizzandola in numerose
pubblicazioni e periodici che avranno anche diffusione internazionale.
Non saranno tuttavia gli intellettuali a portare gli stati occidentali ad interessarsi della questione
curda. In seguito alla prima guerra mondiale e alla dissoluzione dell’Impero Ottomano, i curdi, gli
armeni e le altre minoranze poste in precedenza sotto l’ influenza turca si trovano
improvvisamente esposte all’ingerenza politica delle grandi potenze imperialiste desiderose di
espandere la propria influenza in medio oriente.
Nel primo ventennio del XX secolo si collocano infatti le scoperte dei principali giacimenti
petroliferi in medio oriente e l’ individuazione di ingenti riserve proprio in alcune regioni del
Kurdistan ottomano. L’ importanza che questa risorsa cominciava a assumere nell’economia dei
paesi industrializzato e il ruolo fondamentale che ricopriva nel funzionamento dell’apparato
militare fanno si che il destino della regione e della sua popolazione venga seguito con interesse
dai principali attori politici dell’epoca.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, tuttavia, nessun governo straniero è ancora riuscito a
ottenere una rilevante influenza sulle ancora divise tribù curde, che si schierano in parte con l’
Impero Ottomano, in parte con le potenze dell’Intesa, in particolar modo con la Russia che, per
prossimità geografica e interesse politico rappresenta un partner naturale per le aspirazioni
indipendentiste curde. Proprio il rapporto con la Russia si rivelerà uno step fondamentale per lo
sviluppo di un vero e proprio movimento nazionalista curdo. Infatti, mentre la debolezza dell’
Impero spinge i Curdi a continue e diffuse rivolte, agenti russi si preoccupano di mettere le diverse
comunità in contatto e patrocinano l’ organizzazione di assemblee generali curde a cui partecipano
osservatori delle potenze dell’Intesa. La questione curda viene così posta sul piano internazionale,
ma l’ atteggiamento occidentale si rivelerà ancora una volta quantomeno ambivalente.
Un altro fattore divisivo è dato dalla relazione conflittuale con la vicina comunità armena che, per
motivi strategici e culturali, è oggetto del supporto di Russia e Francia. Il nascente nazionalismo
armeno, già più sviluppato di quello curdo, diventa per questi ultimi fonte di insicurezza: alcuni
territori sono infatti contesi fra le due minoranze e in generale i Curdi soffrono la disparità
economica con i loro vicini, che hanno da tempo ultimato la transizione ad una società
capitalistica. Su questa frattura punterà la Turchia, istigando i Curdi a prendere parte al genocidio
armeno, prevenendo cosi la collaborazione fra i due movimenti, che solo nel 1919 riusciranno a
superare lo scontro. Il governo ottomano riesce cosi a rimuovere quasi completamente gli Armeni
5 Marcella Emiliani, Medio Oriente, Roma, Laterza Editori, pp. 14-17
8
dalla regione e prova a fare lo stesso con i Curdi. Durante la guerra, infatti, ha luogo il primo
significativo tentativo di dispersione del popolo curdo, con la deportazione di più di 700000 curdi e
l’ eliminazione indiretta di altri 600000 a causa di fame e stenti.
A guerra finita, la presenza dei principali attori stranieri in territorio curdo appare drasticamente
ridotta: l’ Impero Ottomano, sconfitto, vede la propria estensione drasticamente ridotta e si trova
costretto a concedere l’ autonomia alla maggior parte delle minoranze storicamente sotto il suo
controllo; la Russia in piena guerra civile, si ritira spontaneamente dalla scena mediorientale. Gli
arbitri del futuro del Kurdistan sono quindi le potenze vincitrici e la comunità curda vede, alla luce
della pubblicazione dei 14 punti del presidente americano Wilson, la concreta possibilità di
ottenere un governo autonomo sotto l’egida occidentale. Nel 1916, l’ accordo Sykes-Picot aveva
diviso i resti dell’Impero Ottomano in due zone di influenza fra Francesi e Britannici e il Kurdistan
fra questi ultimi e la Russia zarista, ora scomparsa. Il successivo accordo di Sevres, che per la prima
volta riconosce il diritto dei Curdi a fondare uno stato indipendente, sembra assecondare le
speranze dei nazionalisti che, sotto il governo di Mohamed Sheik, puntano all’autonomia nella
forma di un protettorato autonomo della Gran Bretagna. L’ esito di questo tentativo sarà tuttavia
fallimentare. La liberazione della Turchia dall’occupazione greca costringe l’ Intesa a tornare al
tavolo delle trattative nel 1923 e la questione dell’autonomia curda viene di fatto abbandonata
dall’occidente. La decisione finale viene presa dall’assemblea della società delle nazioni che, sotto
la spinta di differenti interessi, sancisce la divisione del Kurdistan fra quattro stati confinanti:
Turchia, Iraq, Iran e Siria.
9
governo turco esaspera ulteriormente le misure repressive e punitive verso i curdi. Questo
inasprirsi delle deportazioni porta inevitabilmente ad una reazione nelle regioni più colpite. La
sommossa di Tunceli, la più rilevante per dimensioni e organizzazione, sarà la causa principale
dell’accordo concluso fra Iran, Iraq e Turchia in chiave anti-curda nel 1937, detto patto di Sa’ dabad.
Con esso, i tre stati riconoscono di non essere in grado di gestire autonomamente la minaccia
rappresentata dalla minoranza curda e si impegnano a supportarsi vicendevolmente in caso di
rivolta. Per i successivi vent’anni, la cultura curda sarà completamente negata, gli stessi Curdi
vengono definiti Turchi di montagna e trattati alla stregua di una popolazione economicamente
arretrata e politicamente inesistente.
1.2.2 La svolta socialista
Nel nuovo contesto bipolare della guerra fredda, la Turchia si schiera dalla parte del blocco
occidentale e viene considerata dagli americani uno stato baluardo contro la diffusione del
comunismo in medio oriente. Una conseguenza indiretta di questo è l’ identificazione da parte del
governo turco di ogni attività divergente o autonomista come di matrice comunista, identificazione
che ha un duplice fine: di propaganda interna e consentire di usufruire dell’appoggio occidentale
nella repressione delle rivolte.
La repressione anti-curda nella seconda metà del ventesimo secolo dunque si polarizza: se da un
lato l’establishment politico e militare assume posizioni di sempre più radicale ostilità, la sinistra
turca sostiene le rivendicazioni sociali e la necessità di inclusione della popolazione curda nella vita
politica ed economica del paese. Il TIP, partito popolare turco, sarà il principale fautore di quest’
alleanza fino al suo scioglimento nel 1971. 7
Anche la scena politica curda è influenzata dalle idee progressiste del blocco orientale. Numerosi
partiti e organizzazioni nascono e spariscono in pochi anni, ma nel fermento politico i partiti
socialisti si impongono rapidamente come forze di maggioranza. Di questi il PKK e il suo leader
Ocalan saranno estremamente rilevanti per la causa dell’indipendentismo curdo. Il PKK nasce
come partito dichiaratamente comunista, ispirato al pensiero di Ho Chi Min, che ben si può
applicare ad una realtà prevalentemente agricola come quella curda. Esso si impone rapidamente
sulle altre forze politiche, sia guadagnando un ampio sostengo fra la popolazione contadina, sia
grazie alla sua doppia organizzazione come forza politica e militare. Il conflitto con gli altri partiti è
spesso violento e il PKK non esita ad utilizzare metodi radicali, incluse intimidazioni, omicidi e
azioni terroristiche nei confronti dell’opposizione; entro il 1985 diventa il partito egemone nel
Kurdistan turco è la principale forza militare che si oppone all’occupazione 8. Il PKK riesce a
rilanciare in modo drammatico la questione curda, sviluppandone in modo autonomo la dottrina
politica e esasperando il conflitto con lo stato turco secondo il proprio concetto di guerra aperta. A
seguito della cattura dello stesso Ocalan e della sua condanna al carcere a vita, il PKK modifica la
sua politica di lotta sociale, accettando in una certa misura il dialogo con il governo turco e
utilizzando la lotta nelle carceri come strumento di contestazione. In campo internazionale, il PKK
non viene giudicato in modo unanime e, se alcuni paesi occidentali simpatizzano con le sue
rivendicazioni, sicuramente pesa su di esso la definizione di organizzazione terroristica che ne da il
governo statunitense (posizione radicalmente cambiata a seguito degli eventi che hanno
interessato il medio oriente dal 2014 in poi).
Il grande risultato di questa organizzazione resta comunque quello di essere riuscito a portare all’
attenzione dei massimi organi decisionali la questione curda, che diventa sul piano internazionale il
barometro della democratizzazione turca, e di aver creato una piattaforma politica diffusa e
condivisa dalla maggioranza della popolazione curda nei diversi stati.
7 Mirella galletti ,Storia dei Curdi, Roma, Jouvence 2004, pp. 78-81
8 Laura Schrader, I fuochi del Kurdistan, Roma 1998, Datanews, pp.67-68
10
Dopo la fase di feroce repressione sotto il governo della premier Tansu Ciller, nel primo decennio
del 2000, soprattutto in seguito alle pressioni occidentali, la politica turca verso i curdi ha dato
segni di progressiva distensione, nulla di tuttavia paragonabile ai progressi effettuati dalla comunità
curda irachena; anche la proposta avanzata da Ocalan di una soluzione negoziata al problema
dell’autonomia rimane di fatto senza riscontro.9
1.2.3 La condizione dei Curdi in Siria
A seguito della divisione del Grande Kurdistan voluta dal trattato di Sevres, la popolazione curda
siriana si trova indirettamente sotto il governo francese, del quale la Siria è protettorato. Fintanto
che la potenza europea mantiene un diretto controllo sulla regione, la minoranza curda gode di
una relativa autonomia dal governo centrale e ne vengono in una certa misura tutelate la sicurezza
e l’ indipendenza. Fino al ritiro francese dall’area, il Kurdistan siriano diventa un punto di
riferimento per gli esuli soprattutto di Iraq e Turchia per la sua condizione di pace relativa, nonché
un’ importante base logistica per le loro organizzazioni. 10 Tuttavia, tra gli anni quaranta e sessanta
del novecento, ossia con l’ affermarsi dell’indipendenza siriana dall’influenza straniera, si consuma
l’ estromissione politica e sociale della componente curda, principalmente a seguito della salita al
potere del partito Ba'th e l' intensificarsi del processo di arabizzazione della società siriana. La
componente contadina, maggioritaria nella società curda, è quella che subisce le maggiori
conseguenze, soprattutto in forma di deportazioni ed espropri terrieri, a causa dell'interesse
strategico del governo nella produzione del grano.
Negli anni ottanta si ha un relativo progresso nelle condizioni di vita dei curdi, a cui il governo di
Assad si avvicina cercando supporto contro il diffondersi dell'islamismo radicale. Milizie curde di
recente istituzione diventano quindi il braccio armato del regime, impiegati in violente azioni di
repressione nei confronti delle proteste di matrice religiosa, ma questo ruolo non è sufficiente a far
uscire la popolazione curda dalla condizione di arretratezza economica e per altri versi ne accentua
l' isolamento. Anche sul piano culturale, sebbene vengano fatte alcune concessioni riguardo alla
celebrazione di festività e musica non arabe, viene comunque negato il permesso di parlare o
scrivere in curdo.
In questa condizione di forte precarietà, circondati fra forze ostili, molti curdi siriani si avvicinano al
manifesto politico del PKK, a cui offrono supporto logistico e materiale umano 11.
Con l' avvento del ventunesimo secolo, la situazione dei curdi in Siria non vede i radicali
miglioramenti che si possono invece riscontrare in Turchia e Iraq. Parte del problema risiede nella
natura fortemente autoritaria del governo di Damasco, che non ha mai dato segno di condividere
le velleità democratiche (almeno formali) della vicina Ankara, in parte nella concezione ideologica
fortemente radicata in Siria del nazionalismo arabo, che spinge ancora a non riconoscere le reali
dimensioni della comunità curda presente sul suo territorio.
Questo stato di cose si concretizza nel verificarsi di numerose sommosse o rivolte nel primo
decennio del 2000.
La situazione inizierà a cambiare radicalmente solo nel 2011 quando il governo siriano, alle prese
con la rivolta generalizzata della maggioranza araba a seguito della Primavera Araba e minacciato
dall'esterno dall'avanzata dello Stato Islamico, incomincia a mostrare significative aperture verso la
popolazione curda. Il passo forse più significativo fra quelli compiuti dal presidente Assad è la
disponibilità a concedere la cittadinanza siriana a tutti i curdi fino ad allora esclusi dai censimenti
9 Laura Schrader, I fuochi del Kurdistan, Roma 1998, Datanews, pp. 136-140
10 Mirella Galletti, Storia della Siria contemporanea, Roma, Bompiani p.54
11 Mirella Galletti, Storia della Siria contemporanea, Roma, Bompiani pp.134-136
11
statali.
Le organizzazioni curde che di fatto governano la regione sono però divise sull'atteggiamento da
adottare nei confronti del governo, ancora per molti percepito come un nemico secolare. A seguito
del ritiro quasi totale delle truppe governative dalla regione del Rojava, le milizie curde avevano
ottenuto il controllo della quasi totalità del Kurdistan siriano, controllo che il presidente Assad non
aveva, almeno per il momento, intenzione di contestare.
Il PUK propendeva per la collaborazione, sperando di vedere in cambio legittimata l' autonomia di
fatto già raggiunta; il suo leader Jalal Talibani, si dimostrava "scettico nei confronti di grandi
progetti che mirassero a ridefinire la topografia del Medio Oriente". 12
Il KPD siriano, invece, favoriva la collaborazione con l' opposizione siriana e con la Turchia
puntando all'autonomia del Kurdistan dopo un' eventuale transizione ad un governo democratico.
Il PYD propone invece una terza via per il conseguimento degli obbiettivi curdi, basata sui concetti
di autogoverno e autodifesa nella regione occupata, senza prendere necessariamente posizione
nella guerra civile siriana. La terza linea proposta dal PYD viene infatti acettata, non senza attriti,
dalla maggior parte delle forze politiche curde che nel 2012 si uniscono nel DBK (Comitato
Supremo Kurdo), allo scopo di creare un fronte coeso e un' interlocutore credibile sul piano
internazionale. La lungimiranza di questa scelta consentirà successivamente al DBK di mantenere
un canale diplomatico aperto con Damasco negli anni successivi e a raggiungere con questo una
forma di collaborazione nel corso del conflitto con lo stato islamico.
La conseguenza non immediata di questa serie di scelte sarà l' affermarsi dell'egemonia politica del
PYD a discapito delle altre organizzazioni. Il PYD, infatti, è l' organizzazione maggiormente radicata
sul territorio del Rojava, nonché l'unica forza militare in grado di garantire la sicurezza della regione
dagli ormai continui attacchi degli estremisti islamici. La crescente influenza del PYD sulla
popolazione curda porta inevitabilmente alla rottura con gli altri partiti che, dopo aver denunciato
il monopolio decisionale assunto dal PYD, si trovano progressivamente a dover abbandonare la
scena politica, lasciando a quest'ultimo un ruolo di leadership indiscussa nel Rojava nel 2014,
quando l' escalation del conflitto con l'IS rimetterà nuovamente in discussione gli equilibri di potere
in Kurdistan e nel Medio Oriente.
1.2.4 I curdi in Iraq
Il movimento curdo in Iraq è storicamente quello più avanzato e compatto fra le diverse realtà
nazionali, nonché quello che ha ottenuto i risultati più rilevanti nel campo dell'autonomia e
autodeterminazione. Bisogna ricordare che il territorio del Kurdistan iracheno comprende al suo
interno il principale centro urbano di etnia curda (Sulaimaniya) e vastissime riserve di petrolio
(Kirkuk), fattori che influenzeranno i rapporti con lo stato iracheno e con le potenze estere.
Tra le due guerre, i curdi iracheni conoscono una pace relativa sotto l' occupazione inglese della
regione. Tuttavia, quando diventa chiaro che i britannici non hanno intenzione di accettare la
nascita di uno stato curdo indipendente, principalmente per non rinunciare al controllo diretto sui
giacimenti della Mesopotamia, il rapporto con i curdi si deteriora e l' attuale leader Shaik Mahmud
guida una lunga insurrezione che gli inglesi reprimono con estrema durezza. Nel 1925 la società
delle Nazioni stabilisce mantenere il Kurdistan parte dell'Iraq, ma garantendo una relativa
12 Sari, G. “Kurdish Self-governance in Syria: Survival and Ambition“, Chatman House,2016. Letto il 17/2/2022
“was sceptical of grand projects aimed at redrawing the map in the Middle East, at a time when Kurds in different
areas,and sometimes within the same nation, continued to disagree over what forms of governance and shape greater
Kurdistan would take”
12
autonomia (soprattutto, il diritto di mantenere la propria lingua); tuttavia viene rifiutata la
proposta di una nazione curda sotto protettorato britannico. Gli inglesi sono infatti restii a garantire
un' eccessiva autonomia ad un popolo notoriamente difficile da controllare e, soprattutto, su un
territorio caratterizzato da risorse naturali considerate vitali per lo sviluppo economico in
occidente.13
La situazione non migliora quando l' Iraq ottiene l' indipendenza nel 1932: gli interessi divergenti
delle due comunità portano anzi a un conflitto costante che nel 1943 esplode in una nuova rivolta
generale, guidata dal leader tribale Barzani, figura che rivestirà grande importanza nello sviluppo
del nazionalismo curdo in Iraq e nei paesi confinanti.
Nella seconda metà del novecento, in Iraq si susseguono colpi di stato e cambi di governo. Nel
1958, sale al potere il generale Kassem che, per breve periodo, dimostra forti aperture verso la
questione dell'autonomia curda e ne riceve il supporto. Tuttavia, quando nel giro di pochi anni il
governo si attesta su posizioni più radicalmente autoritarie e accentratici, i contrasti con la
popolazione curda riprendono per poi continuare ininterrotti attraverso i successivi eventi politici
che interessano l' Iraq: la breve permanenza al potere dei Baathisti e il successivo golpe militare e,
infine, l' ascesa di Saddam Hussein. 14
Solo nel 1970 le due parti scendono a trattative e il governo di Saddam Hussein, anche a seguito
delle ingenti perdite, accetta di costituire una zona autonoma curda in Iraq. Tuttavia, l' importanza
a livello internazionale del petrolio del Kurdistan fa si che le ingerenze estere compromettano la
possibilità di una risoluzione pacifica del problema. Nel contesto mediorientale, infatti, le ambizioni
egemoniche dell'Iran erano supportate dagli Stati Uniti e, come diretta conseguenza, esisteva una
forma di cooperazione tra Iraq e Unione Sovietica. USA e Israele trovavano nella ribellione curda
uno strumento attraverso il quale esercitare pressioni contro il governo di Baghdad e guardavano
in modo sfavorevole alla risoluzione delle controversie fra i due popoli.
Barzani e i leader curdi vengono quindi spinti ad abbandonare i negoziati e riprendere le ostilità,
ma senza ottenere che un supporto minimo da parte del blocco occidentale. Quando, con l'
accordo di Algeri, l' Iraq rinuncia alla propria politica filosovietica, i peshmerga vengono di fatto
abbandonati dagli Stati Uniti alla dura repressione irachena.
Saddam Hussein sceglie di adottare la linea più dura nella repressione della rivolta, attraverso
deportazioni di massa, espropri terrieri, esecuzioni sommarie e la distruzione dei villaggi sul
confine iraniano. I seguito alla guerra con l' Iran e a nuove insurrezioni curde, comincia l' utilizzo di
gas nervini contro la popolazione civile, portando alla morte di più di 100000 curdi.
La grande svolta per il movimento nazionalista curdo si ha con la guerra del golfo. Fra le diverse
conseguenze del conflitto vi è la creazione, per volontà dell'ONU, di una zona di sicurezza nel
Kurdistan Iracheno, dove nasce la regione autonoma del Kurdistan nel 1992. Questa realtà di
autogoverno riesce a sopravvivere, nonostante la latente ostilità del regime, fino al 2003 quando,
in seguito all'invasione statunitense dell'Iraq e alla rimozione di Saddam Hussein dal potere, la sua
esistenza viene ufficialmente ratificata dal nuovo governo. I curdi iracheni diventano così
interlocutore privilegiato per gli statunitensi e per la coalizione occidentale che occupa il paese.
I territori del Kurdistan iracheno e del Kurdistan siriano saranno, nella seconda decade del
ventunesimo secolo, il teatro degli scontri fra Ypg/j e IS e la loro amministrazione costituirà un
punto di contenzioso con il governo iracheno.
13 Stefano M. Torelli, Kurdistan, la nazione invisibile, Cles, 2016, pp 119-120
14 Mirella galletti ,Storia dei Curdi, Roma, Jouvence 2004, pp. 52-53
13
1.3 La minaccia dell’ IS e il mutamento degli equilibri
regionali
Lo Stato Islamico nasce nel 2006 come movimento separatista dell’organizzazione Al-Quaeda,
percepita da una parte dei suoi affiliati come eccessivamente moderata e incapace di concretizzare
il progetto di una realtà statale sul modello di un califfato amministrato secondo le norme della
sharia. La sua rapida espansione territoriale nei successivi dieci anni porta rapidamente l’
organizzazione da frangia minoritaria a realtà regionale capace di influenzare in modo
determinante lo scenario politico in medio oriente. 15
L’IS ha il suo momento di massima estensione territoriale nel 2014, momento in cui la sua attività
militare minaccia prevalentemente l’ integrità territoriale di Siria e Iraq e, in modo minore, Turchia.
Oltre che con le forze armate dei tre paesi, l’IS si scontra militarmente con le formazioni tribali
attive nella regione, con altre fazioni di impronta religiosa e con i peshmerga e il PKK curdi. Oltre al
fronte prossimale, l’IS è in aperto contrasto con la NATO, in particolare con Francia e USA, che
sostengono militarmente la maggior pare degli attori antagonisti. La necessità di fare fronte alla
minaccia rappresentata dal califfato porta a significativi cambiamenti nei rapporti e alleanze nella
regione.
15 The rise, spread and fall of Islamic State, Wilsoncenter.org, letto il 18/3/2022
16 Massimilano Trentin, L’ ultimo califfato, Bologna, Il Mulino, 2017, pp 155-167
14
CAPITOLO 2:
IL CONTESTO POLITICO
15
si sono assunte la responsabilità della difesa militare del territorio del Rojava, rappresentano la
branca militare del partito e la loro organizzazione ne riflette i principi ideologici.
La dimostrazione di come il partito abbia interiorizzato il concetto di convivenza pacifica fra
diverse etnie si può trovare nella scelta di anteporre, nel proprio manifesto, i concetti di fratellanza
fra diversi popoli e democratizzazione e adesione volontaria anche ai principi teorici del
confederalismo; nel primo punto della dichiarazione di intenti, il PYD si ripropone di “lottare per la
democratizzazione della Siria sulla base del principio della fratellanza fra i popoli … per superare la
mentalità sciovinista e nazionalista che ha portato alla frammentazione della società siriana.”
In linea quantomeno teorica, il PYD ha accettato la ricerca dell'autonomia inserita in un contesto
statale non curdo sulla scia del PKK e fatto aperture diplomatiche nei confronti del governo di
Damasco per una risoluzione pacifica della questione curda. A questa dichiarazione di intenti ha
fatto seguito una forma di collaborazione militare fra le Ypg/j e le forze armate siriane, fortemente
sostenuta dagli Stati Uniti e dalla coalizione internazionale, volta all'espulsione delle forze dell'IS
dal territorio siriano. 18
16
di subalternità o asservimento e sulla ricostruzione del rapporto con l' ecosistema. Concetti
estremamente moderni che, calati in un contesto spesso non all'avanguardia nel pensiero
progressista, hanno contribuito a incrementare esponenzialmente la popolarità del movimento
sociale curdo presso la sinistra occidentale. Successivamente vedremo come questi principi, nel
diverso grado di sviluppo che è stato possibile raggiungere, abbiano influenzato l' organizzazione e
gestione delle milizie curde legate al PKK.
A seguito degli eventi richiamati nella sezione precedente, una parte considerevole dei principi
dottrinali del PKK ha trovato applicazione nell'amministrazione della regione autonoma del Rojava,
sancita in forma testuale dalla Carta del Contratto Sociale del Rojava, di fatto espressione della
volontà politica del PYD.
2.2.1 Parità di genere
Per Ocalan, il raggiungimento di un effettiva parità di genere deve essere uno dei punti cardine
della rivoluzione, poiché l' asservimento della donna non è considerato solo come espressione di
arretratezza culturale, bensì un problema molto più profondamente radicato all'interno della
società umana. Come in tutte le forme di schiavitù, anche la schiavitù della donna viene definita
come condotta su tre livelli: il primo ideologico, che viene imposto attraverso l' uso della forza e poi
supportato dal sistema economico. In questo senso, la sottomissione della donna costituisce la
prima forma di asservimento e la sua condotta serve a legittimare la supremazia del maschio
dominante sugli altri strati della società 20. Per Ocalan, la sottomissione della donna madre si è
consumata con il passaggio dal sistema economico che chiama "socialismo primitivo", basato su
comunità ristrette di raccoglitori e coltivatori, al prototipo del sistema accentratore statalista
basato sulla caccia e sulla militarizzazione della società. La nascita della gerarchia ha cosi il primo
effetto di relegare la donna in posizione di inferiorità rispetto alle due figure maschili del
cacciatore/guerriero (il maschio esperto) e del sacerdote, la cui presenza ne legittima la leadership
creando un riferimento di miti e leggende che forniscono il primo tipo di giustificazione del
sistema, quello ideologico 21.
Nella teoria confederalista, l' avvento della dominazione maschile è contemporaneo alla prime
forme di accumulo di capitale. Una caratteristica della società pre-statalista, infatti, consisteva
proprio nell'assenza di una capacità produttiva tale da creare del surplus, quindi nel non essere
idonea a creare strutture complesse come una rete di commercio o un apparato semi-statale, tutti
elementi prodromici alla divisione della popolazione in sfruttatori e sfruttati. Il miglioramento delle
tecniche di caccia e di coltivazione, che progressivamente ha portato al miglioramento della
posizione sociale dell'uomo rispetto alla donna, ha anche fornito la necessaria produzione di
risorse economiche in eccesso che ha permesso l' instaurazione del sistema statalista. In questo
modo la sottomissione della donna ha potuto compiersi in tutti e tre gli ambiti: prima è venuta
meno la venerazione spontanea verso la figura della donna-madre e amministratrice dell'economia
primitiva, soppiantata dal nuovo pantheon prevalentemente maschile introdotto dalla nuova casta
di figure religiose maschile; poi la sottomissione è stata imposta con la forza dai maschi della
società di recente militarizzata. Infine, con l' estromissione della donna dalle posizioni di
produzione capaci di generare più ricchezza, la subordinazione femminile e stata assicurata dal
sistema economico; avviene cosi il processo di "casalinghizzazione", in cui il lavoro della donna
come educatrice e nel campo dell'economia domestica viene estorto a titolo gratuito dal genere
dominante. Con l' esclusione della donna dalla politica e dalla società attiva, si perde l' utilizzo
20 Ocalan, A. Liberare la vita, International Initiative Edition, Colonia, 2013 pp. 8-12
21 Ocalan, A. Liberare la vita, International Initiative Edition, Colonia, 2013 pp. 22-24
17
dell'intelligenza empatica (identificata come propria e caratteristica della donna) che viene
soppiantata dall'intelligenza analitica, di fatto amorale e foriera di un sistema sociale incentrato
sull'utilizzo utilitaristico della violenza e del dogmatismo religioso al fine di perpetrare se stesso e
generare un' ulteriore accumulo di capitale, che serve a radicare ulteriormente il divario fra
sfruttatori e oppressi.22
Uno dei prodotti più significativi della dominazione maschile in ambito sociale e culturale viene
identificato nella nascita e diffusione delle religioni monoteiste. L' accentramento in un unica entità
astratta di diverse figure di divinità avviene parallelamente all'accentramento del potere all'interno
dello stato. Non a caso, uno dei principi cardine delle religioni monoteiste (per come vengono
storicamente interpretate dagli ordini religiosi di quel particolare momento storico) è la validazione
della supremazia maschile e del sistema patriarcale. In particolare il cristianesimo trasforma la
donna in un'entita di perdizione, pericolosa dunque e da mantenere assoggettata. D' altro canto, l'
Islam rinforza invece l' istituzione della poligamia nelle sue varie forme che non solo è un'
esasperazione della subordinazione della donna e della prioritizzazione della gratificazione
maschile, ma anche della disparità di risorse a disposizione fra una minoranza di privilegiati e il
resto della società. La poligamia, che Ocalan identifica come una delle cause di impoverimento
dello sviluppo della società mediorientale, e funzionale all'organizzazione dinastica della famiglia,
dove un numero maggiore di figli ed eredi è indice di prestigio e sicurezza sociale per il maschio
dominante. La famiglia dinastica è di fatto il mezzo attraverso il quale il maschio dominante
asserisce il proprio controllo sulla prole (e per estensione sui giovani in forze che costituiscono la
base del suo potere). La famiglia è quindi un' istituzione ideologica, il nucleo più primitivo dove
viene esercitata la subordinazione rispetto al patriarca. Per questo motivo, il confederalismo si
ripropone di riconsiderare i rapporti interpersonali sulla base delle idee di volontarietà ed
uguaglianza di fatto, auspicando il superamento dell'istituzione del matrimonio e della famiglia
come prodotto del sistema statalista che legittima e diffonde il concetto di schiavitù nella società
intera23.
Per chiarire il legame fra liberazione della donna dalla condizione di sottomissione e ribaltamento
dei rapporti di forza all'interno della società nel suo intero Ocalan usa l' espressione “uccidere il
maschio dominante”, inteso come simbolo del “dominio unilaterale, l’ineguaglianza e
l’intolleranza”24. Se si assume che l' asservimento della donna sia insieme causa e sintomo
dell'asservimento alla classe sociale dominante, si può quindi concludere che il raggiungimento
dell'uguaglianza fra i generi sia una tappa fondamentale nel percorso verso una società
effettivamente democratica. In quest'ottica, anche l' uomo è schiavo del sistema in cui vive e la
liberazione della donna deve essere contestuale al rovesciamento dell'ordinamento sociale
statalista.
2.2.2 Democrazia diretta e pluralismo
Il concetto di democrazia diretta si realizza sostanzialmente in un insieme di organi di
rappresentanza sviluppati prima orizzontalmente che verticalmente. Il principio cardine implica il
massimo grado di autonomia e potere decisionale per le assemblee locali, in una logica di
sussidiarietà che vede l' amministrazione locale collettiva come principale punto di riferimento
nella quotidianità e nella risoluzione di problematiche circoscritte. 25 L' utilizzo di organi
rappresentativi e amministrativi locali ha anche la funzione di permettere una migliore
18
integrazione delle diverse comunità presenti sul territorio. Modellato su un paese estremamente
multietnico e culturalmente frammentato, il confederalismo si dichiara funzionale alla convivenza
pacifica di comunità diverse e sancisce il diritto a esprimere la propria appartenenza etnica e
culturale ad un gruppo attraverso associazioni di rappresentanza; questo in opposizione alla logica
centralista dell'entità-stato che, nella dottrina di Ocalan, è funzionale al mantenimento dei
monopoli
Sempre in un' ottica di superamento delle logiche del potere statuale, l'amminstrazione
confederalista deve basarsi sulla libera partecipazione dei cittadini al governo, rifiutando quindi in
linea di principio il monopolio legittimo della forza e l' uso del potere coercitivo. In questo senso, il
confederalismo favorisce consapevolmente l' azione orientata ai valori, individuando nel
centralismo dell'amministrazione degli stati nazione la causa dell'alienazione politica.
Un' altro punto fermo e l' utilizzo di elezioni esclusivamente in forma diretta per le cariche
pubbliche, con un sistema a piramide per l' accesso alle cariche apicali amministrative e giuridiche.
Alla base di questa scelta ci sarebbe la volontà di tutelare il pluralismo della società contro la
tendenza omogenizzante dello stato tradizionale. 26 Con questo scopo, la gran parte dell'attività
decisionale viene demandata agli organi amministrativi locali, mentre agli organi centrali compete
la rappresentanza a livello internazionale e la risoluzione delle controversie tra diversi gruppi alla
base.
In ultimo, in opposizione alla spiccata tendenza dello stato tradizionale a creare una società
militarizzata, Ocalan propone il concetto di autodifesa della società, una forma di resistenza che
trascende la dimensione militare e che trova anzi il suo carattere principale nella difesa della
propria identità culturale e della natura democratica attraverso una diffusa consapevolezza politica
nella popolazione e concretizzata in una rete di auto aiuto fra le istituzioni confederali. In
quest'ottica, il controllo delle forze armate verrebbe demandato direttamente alla società civile
allo scopo di scongiurare la creazione di un monopolio militare. Alle forze armate del
confederalismo (che nel Rojava si identificano ormai esclusivamente con le Ypg/j) spetta quindi il
solo compito della difesa militare nei confronti di ingerenze esterne. 27Successivamente vedremo
fino a che punto questo principio ha trovato applicazione nel contesto reale.
19
2.2.3 Ecologia
Il tema del rapporto con l' ambiente è, dei tre punti fondamentali della dottrina del PKK, quello che
maggiormente dimostra l' influenza del pensiero di Murray Bookchin sul suo fondatore Ocalan. È
probabilmente la questione meno sentita come propria dalla realtà mediorientale e dalla base
militante del partito e sicuramente un' aspetto poco sviluppato a livello pratico e concreto dalle
Ypg/J o dall'amministrazione autonoma del Rojava.
Dal punto di vista ideologico, il rapporto positivo con l' ambiente ha due principali significati: di
appartenenza ad un determinato territorio e di cura delle sue risorse da parte dei suoi abitanti in
opposizione allo sfruttamento economico delle potenze occupanti e di rimando al socialismo
primitivo, identificato come sistema economico pre-statale (a cui si è già accennato in precedenza).
Il socialismo primitivo, espressione del concetto di società organica od orizzontale, è caratterizzato
dai valori della solidarietà e cura reciproca e dell'amministrazione matriarcale. Proprio delle tribù
di raccoglitori e cacciatori, dipende direttamente dall'ambiente naturale per la raccolta di risorse e
sopravvivenza. Il recupero di valori ambientalisti viene interpretato più come una diretta
conseguenza dell'autogoverno delle realtà locali che come un imperativo politico. Soprattutto a
causa di uno stato di continua emergenza e precarietà, la transizione verso un' economia
ecologicamente sostenibile non ha visto a livello pratico quasi nessuno sviluppo.
20
CAPITOLO 3: ORGANIZZAZIONE INTERNA E RAPPORTI
INTERNAZIONALI
Le Ypg/j, e di conseguenza le SDF, in linea con i principi generali del confederalismo, hanno seguito
la logica di decentralizzazione del potere anche in ambito militare, nei limiti di quanto possibile
considerato lo stato di emergenza in cui ha versato la regione per diversi anni. Con il progredire
delle conquiste territoriali e l’ allontanarsi della linea del fronte, le Ypg/j hanno delegato la
maggior parte del potere decisionale a consigli militari locali, organi previsti dall’organizzazione
confederalista il cui scopo è la gestione della sicurezza e delle attività militari a livello regionale. Se
nei primi anni della guerra le Ypg/j hanno necessariamente mantenuto un certo livello di
accentramento del potere militare, dal 2018 in avanti è evidentemente stata perseguita almeno
parzialmente una politica di decentramento volta ad evitare la creazione di monopoli militari, in
linea con quanto previsto dai principi del confederalismo. A seguito di questo processo e grazie ad
un maggiore sviluppo del corpo sociale, è stato possibile delegare parte delle funzioni
precedentemente ricoperte dal personale delle Ypg/j a corpi militari legati a una dimensione
locale. Queste organizzazioni, seppure non direttamente collegate alle Ypg/j, rappresentano
un’importante opportunità di reimpiego per il personale militare di ritorno dal fronte. 29
La gestione di questi corpi è demandata direttamente all’amministrazione civile e la loro
costituzione rappresenta la concretizzazione del concetto di autodifesa della società: il corpo di
difesa civile, l’HPC, è organizzato a livello municipale su base completamente volontaria e si occupa
principalmente di sicurezza locale; il principale organo con funzioni di polizia e pubblica sicurezza è
invece l’Asayish, i cui compiti vanno dalla gestione di checkpoint e ordine pubblico al pronto
intervento in caso di atti criminali o terroristici. Entrambi questi enti sono composti
prevalentemente da curdi, ma esistono organizzazioni analoghe su base etnica a maggioranza
araba, yazida e armena, seppure per il momento inferiori come numero e capacità.
Uno dei tratti peculiari delle Ypg/j è l’assenza di una disciplina militare nel senso tradizionale. Oltre
alla partecipazione su base esclusivamente volontaria, i gradi all’interno dell’organizzazione sono
29 Rojava Information Center, Beyond the frontlines: the building of the democratic sistem in Nord and East Syria, 19
December 2019 , https://rojavainformationcenter.com
21
tendenzialmente informali. I comandanti delle unità non hanno quindi la facoltà di sanzionare
comportamenti scorretti o il rifiuto di obbedire agli ordini, che vengono generalmente intesi come
suggerimenti o disposizioni, ne è possibile imporre ad un combattente di permanere contro la sua
volontà in una determinata unità. Resta invece prerogativa dei quadri permanenti la possibilità di
allontanare elementi ritenuti non idonei al servizio o indesiderati; allo stesso modo è possibile, in
determinati contesti, prendere provvedimenti in caso di condotta scorretta o atti criminali. In
questi ultimi casi, generalmente, il caso viene valutato dall’intera unità in assemblea. Va comunque
precisato che l’applicazione di queste direttive sulla gestione del personale, che pure avrebbero
carattere prescrittivo per i quadri delle Ypg/j, è stata spesso subordinata alle necessità delle attività
militari in un contesto non permissivo.
3.1.2 L’ istituzione del takmill e la concezione bottom up del processo
decisionale
In linea di principio, le singole unità dovrebbero confrontarsi e affrontare la maggior parte delle
problematiche inerenti al servizio in appositi momenti di confronto detti takmill. Quest’assemblea
tenuta con cadenza quasi quotidiana rappresenta il principale strumento di democratizzazione
delle Ypg/j e coinvolge la totalità del personale appartenente all’organizzazione, in linea con le
logiche di gestione per quanto possibile bottom up del potere decisionale. Durante il takmill
vengono discusse tematiche di interesse generale e, soprattutto, vengono raccolti i feedback dei
singoli combattenti sull’azione di comando e in generale sulla condizione in cui si trova l’ unità.
Sebbene in linea teorica le riunioni dovrebbero essere improntate al rispetto reciproco e alla
risoluzione pacifica dei problemi, sono anche il naturale luogo di esternazione di eventuali attriti
fra membri dell’unità. 30
Sotto molti aspetti, il takmill è analogo a momenti di confronto interno che ormai sono prassi nella
maggior parte degli eserciti occidentali e riuniscono il concetto di debriefing derivato dalla
formazione esperienziale e l’ aspetto valutativo/consultivo dell’hot washup tradizionalmente
militare (tipicamente una riunione post-attività gestita dal comandante dell’esercitazione/attività a
favore del personale impiegato). La principale differenza risiede tuttavia nella natura non solo
consultiva della riunione: dove negli eserciti tradizionali la gestione del potere su base
strettamente gerarchica e piramidale porta ad un rapporto unidirezionale nel processo decisionale,
il takmill è arche il momento in cui vengono prese le decisioni più importanti per il futuro
dell’unità, come ad esempio l’ allontanamento di un membro o l’elezione di un nuovo comandante.
È anche l’unico mezzo legittimo per sanzionare comportamenti manchevoli o lacune disciplinari. 31
Assemblee analoghe sono istituite ai diversi livelli gerarchici nel tentativo di rendere quanto più
possibile collettiva la gestione dell’organizzazione.
È tuttavia difficile effettuare una valutazione della funzionalità del takmill nella risoluzione delle
problematiche sia quotidiane, legate alla logistica e alla gestione del personale, sia nell’effettiva
democratizzazione del processo decisionale. L’ istituzione di queste assemblee è di per se stessa un
atto politico e in quanto tale difficilmente oggetto di valutazioni imparziali. La partecipazione attiva
al takmill è un passaggio chiave negli istituti di formazione delle Ypg/j, dove la riunione assume
caratteri formali e a tratti ritualistici, mentre viene tendenzialmente gestita in modo più sbrigativo
nei battaglioni attivi. Dalle testimonianze disponibili, appare che il takmill nella sua forma
istituzionale scompaia invece del tutto nelle unità più selezionate delle Ypg/j, come il battaglione
tiratori scelti o alcune squadre d’ assalto selezionate. Alla base di questa scelta potrebbero esservi
sia la ricerca di una maggiore agilità nel processo decisionale, sia l’ assenza della necessità di un
momento di confronto collettivo, considerati i numeri ridotti di questi gruppi e il minore turnover a
30 Locatelli, Claudio, “Nessuna resa” Piemme, Milano, aprile 2018, pp 48-52
31 Franceschi, Karim, “Non morirò stanotte”, Rizzoli, Milano, 2018 pp 28-29
22
cui il personale è sottoposto.
3.1.3 Ypj e uguaglianza di genere
Il raggiungimento di una sostanziale parità di condizioni fra personale di entrambi i generi e
verosimilmente l’ obbiettivo sociale che ha visto il maggiore grado di sviluppo nell’ambito
dell’organizzazione delle Ypg/j. Considerata dallo stesso Ocalan come una delle battaglie politiche
cardine della rivoluzione confederalista, la liberazione della donna ha assunto una forte carica
simbolica anche sul piano mediatico con riscontri positivi nell’ambito della legittimazione
internazionale di cui gode il movimento, oltre a essersi dimostrato funzionale all’alimentazione
organica dei tabur.
Dal punto di vista organizzativo, il principio della parità di genere si è concretizzato nell’ istituzione
delle Ypj, brigate composte esclusivamente da personale femminile del tutto analoghe per funzioni
e organizzazione alle tradizionali Ypg. Nella branca militare del Pkk era già presente un’ istituzione
analoga nella forma delle Yja, che ha di fatto costituito il precursore dell’impiego di volontari donne
nella lotta armata, con ruoli sia di ausiliari (personale sanitario o incarichi logistici) sia come
combattenti di linea32.
Le Ypj sono il caso più rilevante di partecipazione femminile in ambito militare nell’organizzazione
della Siria del Nord-Est, con un numero stimato di combattenti che rappresenta il 35 per cento
delle forze armate della repubblica; bisogna comunque considerare che le donne non sono
soggetti all’obbligo di leva nella regione autonoma, a differenza della popolazione maschile.
Nella maggior parte dei casi documentati, le Ypj gestiscono campi separati dalla loro controparte
maschile, autonomi quantomeno per la logistica ordinaria, mentre sono tendenzialmente comuni
gli addestramenti e la condotta delle operazioni militari. Questa scelta non è dettata da motivazioni
esclusivamente pragmatiche legate alla gestione del personale, ma segue la linea teorica del PKK
sull’argomento. Come ricordato nel precedente capitolo, il concetto di supremazia maschile e
considerato alla base del sistema sociale attuale, statalista e capitalista, radicato in modo cosi
profondo nell’ordinamento sociale da rendere impossibile la concezione della femminilità liberata
all’interno di una realtà creata dal patriarcato; ossia della libertà concessa alla donna dal maschio
dominante (“inserire donne in posizioni o strutture già create da uomini”) 33Dando al personale
femminile la completa libertà di autogestione e la possibilità di creare istituzioni proprie all’interno
delle Ypj, vengono creati i presupposti per un confronto in condizioni di parità con la componente
maschile eliminando per quanto possibile i rapporti di potere fra i sessi. In questo senso, la
sostanziale autogestione delle Ypj rispetta anche il principio di una gestione del potere il più
possibile orizzontale e di adesione volontaria e collaborativa al movimento politico.
Nella maggior parte degli ambiti sia amministrativi che militari, il TEV-DEM e le Ypg/j adottano la
politica del comando condiviso, nominando per ogni incarico dirigenziale una figura maschile e una
femminile. L’ unica eccezione rilevante in questa condotta riguarda proprio la gestione del
personale militare femminile: come forma di tutela da eventuali abusi, ai comandanti di sesso
maschile non è dato di esercitare la propria autorità direttamente sul personale femminile, mentre
non sussistono impedimenti nel senso opposto. Resta comunque salva la possibilità per i
comandanti delle Ypg di gestire ordinariamente unità miste o anche Ypj per quanto riguarda l’
impiego tattico, dal momento che queste disposizioni sono limitate all’ambito della gestione del
personale34. La necessità di adottare questi provvedimenti è comunque indice delle resistenze che
32 Lazarus, S. “Women. Life. Freedom. Female fighters of Kurdistan“, CNN, 27/01/2019, letto il 6/05/2022
33 Cudi, Azad “Nel mirino” Longanesi, Roma, maggio 2019 p60
34 Cudi, Azad “Nel mirino” Longanesi, Roma, maggio 2019 pag. 65
23
incontra il tentativo di reale uguaglianza fra i generi anche in un ambito fortemente politicizzato
come quello delle Ypg/j, ma anche di come queste ultime possano essere funzionali come veicolo
di diffusione delle idee e valori progressisti in altri ambiti della società.
In una realtà come quella mediorientale e curda in particolare, comunque non esente da una
tradizione di subordinazione della figura femminile, le Ypj rivestono anche una funzione educativa
a livello culturale: vedere donne ricoprire ruoli tradizionalmente considerati di esclusivo
appannaggio maschile, in particolare in ambito militare, è funzionale al riconoscimento paritario
della componente femminile e all’acquisizione di prestigio sociale spendibile poi anche in ambiti
non necessariamente militari.
Per le loro caratteristiche di autonomia dell’autorità maschile e inclusività, le Ypj svolgono anche
un’importante ruolo sociale nell’ambito del supporto alle ragazze o donne vittime di violenze o
situazioni familiari difficili. In alcuni casi, l’ arruolamento volontario diventa un modo di sottrarsi ad
un matrimonio imposto o comunque per sottrarsi ad un contesto di sottomissione. Sebbene le Ypj,
come anche le Ypg, non consentano ufficialmente l’ arruolamento di minori (alcune accuse in tal
senso sono state mosse da osservatori internazionali ma, per il momento, sono state giudicate non
veritiere dalle principali organizzazioni umanitarie), sono state riportate testimonianze di ragazze,
generalmente orfane o impossibilitate a restare nel proprio nucleo familiare di appartenenza, a cui
viene permesso di vivere con le combattenti, seppure senza venire impiegate in attività militari. A
causa dell’elevato numero di minorenni che si rivolgono alle Ypj per fuggire da situazioni
domestiche pericolose, l’ organizzazione ha istituito delle accademie analoghe a quelle delle Ypg,
dove le ragazze possono ricevere una formazione politica e militare e vivere in un ambiente
protetto per poi scegliere, raggiunta la maggiore età, se unirsi alla milizia come combattenti. 35
L’ impiego di personale femminile in ambito militare non è comunque limitato alle sole Ypj, ma
anche nelle organizzazioni similari resta su base completamente volontaria. Esiste una branca
femminile della Hpc, la forza di difesa civile che opera nei teatri considerati meno pericolosi,
generalmente lontano dal fronte. Le Hpc-j ricoprono ruoli analoghi alla propria controparte
maschile, generalmente difesa di villaggi e checkpoint, o vengono impiegate come riserve
nell’eventualità di attacchi o attentati in zone interne del paese. Oltre a questi compiti, vengono
utilizzate come forze di sicurezza nelle sedi delle organizzazioni a esclusiva partecipazione
femminile e per intervenire in casi di violenza domestica in cui sia coinvolta almeno una donna.
Anche il principale organo di polizia curda del Rojava, l’Asayisha, ha una branca femminile che,
oltre a condividere i tradizionali compiti di sicurezza interna, si occupa di ricevere eventuali
denunce in casi di violenza di genere che, per motivi legati al contesto culturale ancora radicato
nella società, difficilmente verrebbero riportati a personale maschile della stessa organizzazione.
Sulla falsariga di queste organizzazioni, seppure in termini numericamente meno rilevanti, sono
nate branche femminili di diverse organizzazioni paramilitari non curde attive nella zona. In questo
ambito, le Ypj sono effettivamente diventate un veicolo di diffusione per le idee di parità fra i
generi e superamento del patriarcato che è stato capace di oltrepassare anche i confini della
società curda.
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conflitto. Precedentemente abbiamo evidenziato come la condizione di relativo isolamento del
popolo curdo e l' ostilità delle popolazioni circostanti (sia a maggioranza araba come nei paesi che
geograficamente ospitano il territorio del Kurdistan, sia minoranze come quella armena o yazida)
abbia significativamente frustrato le aspirazioni nazionaliste dei curdi; sotto questo punto di vista l'
azione del PYD rappresenta un notevole passo in avanti: il sistema confederalista si presta per sua
natura ad un approccio multilaterale funzionale all'integrazione di componenti minoritarie, va
tuttavia analizzato fino a che punto questo processo sia stato portato avanti e come le Ypg/j
abbiano scelto di relazionarsi con le diverse realtà locali.
3.2.2 Il rapporto con la popolazione araba
L' espansione del territorio amministrato dal TEV-DEM a seguito delle vittorie militari riportate dai
curdi e dalle SDF nella seconda parte della guerra contro l' IS hanno portato le Ypg/j, in quanto
componente maggioritaria delle forze armate della coalizione, ad operare in territori a
maggioranza araba. Infatti, nonostante le SDF abbiano sulla carta una natura eterogenea, la
componente araba ricopre sia numericamente, sia per quanto riguarda il supporto internazionale,
un ruolo meno rilevante. Lo stesso TEV-DEM viene percepito dalle tribù locali come un progetto
dominato dalla maggioranza curda. Effettivamente, è oggettivo come il sistema confederalista, che
costituisce il modello di governo per il movimento, sia la concretizzazione delle idee politiche della
sinistra radicale curda; ideologicamente molto distante dalla tradizionale gestione tribale del
potere portata avanti dalla componente araba della zona. Nonostante l' azione del TEV-DEM sia
formalmente votata alla massima inclusività e rappresentanza delle varie componenti etniche e al
rispetto dell' autogoverno in forma locale, la distanza culturale e le tensioni causate dallo stato di
emergenza in cui versa la regione portano inevitabilmente ad attriti fra le due parti. Non aiuta il
fatto che la stessa popolazione araba della zona limitrofa a Raqqa, che in questa fase del conflitto
fornisce personale volontario alle SDF abbia fatto lo stesso per l'IS durante l' occupazione. La
condizione di forte depressione economica della regione e la volatilità dei rapporti di potere nella
regione fa si che la lealtà dei clan delle zone rurali sia estremamente precaria e non si può
escludere che l' adesione dei giovani arabi alle forze della coalizione abbia una ragione
prevalentemente economica. Questo tipo di partecipazione, seppure funzionale allo sforzo bellico,
fa relativamente poco per legittimare il governo del TEV-DEM sulla popolazione locale. 36
Testimonianze episodiche sembrano confermare che in diversi casi, a seguito della riconquista di
villaggi a maggioranza araba precedentemente sotto il controllo dell' IS, siano stati eseguiti arresti
di persone accusate di essere miliziani o collaboratori. In altri casi, sono state avanzate accuse di
deportazione o pulizia etnica ai danni della popolazione araba ma, al momento, nessuna di queste
ultime è stata confermata da fonti attendibili.
Nonostante ciò, diversi attori locali sono stati integrati con successo nell' amministrazione e
nonostante questa partecipazione non sia scevra di interesse, dal momento che la componente
curda detiene il monopolio del supporto statunitense e il controllo sui punti strategici della zona,
rappresenta un segnale positivo per la coesistenza pacifica dei due gruppi in un contesto
democratico. Le principali criticità documentate si sono verificate nelle zone più povere,
soprattutto nel distretto di Deir Ezzor, dove la presenza militare delle Ypg/J è meno cospicua e i
frequenti attacchi dell'IS generano uno stato di costante insicurezza. Questo sembrerebbe
avvalorare la tesi per cui l' accettazione dell'autorità del governo del Movimento dipenda
principalmente dalla capacità del SDC di garantire condizioni di vita migliori alla popolazione locale
e delle SDF di controllare efficacemente il territorio.
36 Sary, Ghadi Kurdish Self-governance in Syria: Survival and Ambition, settembre 2016
http://www.chathamhouse.org/mena
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3.2.3 Il rapporto con Damasco e capacità di deal-making
L' amministrazione autonoma del Rojava nasce di fatto con il consenso del regime di Assad.
Ritirando le proprie forze armate dalla regione durante le prime fasi della guerra civile siriana,
Damasco acconsente alla decentralizzazione, permettendo ai curdi di raggiungere l' autogoverno
senza impegnarsi in un conflitto armato con l' esercito lealista. Questa posizione del regime è stata
poi ratificata nel 2011 con il decreto 107, che legifera ad hoc sull'argomento della
decentralizzazione.
Questa apertura verso il movimento curdo, mossa dalla necessità di far fronte a minacce più
pressanti sul fronte interno, apre la strada ad una partnership informale con il PYD, che ha sua
volta reciproca la disponibilità al dialogo nel suo statuto e nella carta del Rojava, dove afferma la
possibilità della coesistenza pacifica all'interno della Siria, fatto salvo il rispetto dell'autonomia
locale.
La collaborazione fra il regime siriano e il PYD si è concretizzata nel supporto militare dell' esercito
siriano, con forniture di armi ed equipaggiamenti, a favore delle Ypg/j e alla condotta in alcuni casi
di operazioni congiunte. A sua volta, il TEV-DEM, che controlla militarmente i maggiori pozzi di
petrolio dello stato, non ha escluso il governo dal processo produttivo garantendo una parte degli
introiti.
Un' altro fattore che influenza il rapporto fra Damasco e la popolazione curda è l' ostilità comune
nei confronti della Turchia, che a sua volta supporta il movimento rivoluzionario siriano. In questo
senso, la presenza di un' enclave curda sul confine garantisce al regime la possibilità di impegnare
diversamente le forze che normalmente sarebbero necessarie a tutelare da ingerenze turche la
propria integrità territoriale.37
La grande incognita che grava sul futuro dell’amministrazione autonoma del Rojava riguarda il suo
riconoscimento da parte del governo siriano una volta superata la crisi politica. Tale
riconoscimento è al momento limitato agli accordi informali stipulati fra le due parti e alla
collaborazione contro i nemici comuni, ma non è stato ancora sancito ufficialmente. La migliore
assicurazione sul futuro politico del repubblica risiede probabilmente nel supporto internazionale,
soprattutto statunitense, e nella risonanza mediatica che la causa curda ha saputo catturare negli
ultimi anni.
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l’alleanza militare creata per contrastare l’attività IS in Siria e composta da curdi, arabi e altre
minoranze. Tuttavia, dal momento che la componente curda detiene in modo significativo
maggiore peso numerico e di capacità e organizzazione all’interno dell’alleanza, le Ypg/j sono di
fatto il destinatario unico degli aiuti della coalizione e questo rapporto privilegiato garantisce al
PYD una posizione di vantaggio nelle relazioni con le tribù arabe delle zone sotto controllo
amministrativo del TEV-DEM.38 Di fatto la coalizione riconosce il PYD come partner più valido in
questo determinato contesto, nonché come quello più proficuo da supportare. Ciò è in parte
dovuto anche al degradarsi delle capacità dei tradizionali alleati USA nella regione di esercitare un’
effettiva azione sugli eventi in corso, principalmente le forze armate irachene e siriane, in grado a
malapena di garantire la sopravvivenza dei propri governi da minacce interne ed esterne.
Il prestigio internazionale delle Ypg/j tocca il suo apice con la difesa di Kobane, che diventa un
fondamentale catalizzatore mediatico per la causa del Kurdistan indipendente e apre la strada al
supporto politico nella maggior parte dei paesi europei.
Dal 2018 in avanti, con l’ insediarsi del presidente Trump alla casa bianca, la presenza statunitense
nella Siria del nord si riduce in modo significativo, e con essa il supporto americano alle Ypg/j. La
prova più evidente di questo cambio di equilibri è l’ offensiva turca lungo il confine nord, di fatto
avallata dalla coalizione. Non si può tuttavia dire che il supporto statunitense ai curdi siriani sia
cessato: personale delle forze armate statunitensi e degli altri paesi occidentali restano presenti
nella Siria del nord con funzioni di mentoring e coordinamento del supporto logistico e militare.
Sebbene abbia dovuto cedere parte dei propri territori all’ avanzata militare irachena e turca, il
PYD ha pragmaticamente sfruttato la propria posizione geografica per ostacolare l’accrescere
dell’influenza iraniana nella zona, dimostrandosi in questo modo ancora importante per gli
interessi americani. La capacità del PYD di interfacciarsi con diversi attori stranieri e locali e
adattare in modo dinamico la propria agenda politica alle necessità del momento ha permesso al
movimento curdo di estendere la propria influenza anche oltre le aree a maggioranza curda e di
capitalizzare praticamente sulla vasta risonanza mediatica ottenuta grazie all’impegno nella lotta
contro l’IS e alla sapiente diffusione delle propria visione politica progressista.
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ranghi dell’IS, dimostra la popolarità raggiunta dalla causa curda a livello globale. Sebbene la
maggior parte dei volontari internazionali sia entrata in contatto con le Ypg/j e l’ amministrazione
autonoma attraverso reti di solidarietà legate all’ambiente della sinistra radicale, anche personale
dichiaratamente apolitico e stato coinvolto nelle attività di queste ultime.
Delle varie forme di sostegno organizzate dai volontari internazionali, quella che ha ottenuto il
maggiore riscontro mediatico è stata la partecipazione alla lotta all’IS nei ranghi delle Ypg/J. Il
numero dei combattenti stranieri attivi in Rojava dal 2014 al 2019 è stimato fra le quattrocento e le
cinquecento unità. Di questi, probabilmente sedici sono i caduti.40
40 Locatelli, Claudio, “Nessuna resa” Piemme, Milano, aprile 2018, pp. 18-20
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CONCLUSIONE
Le Ypg/j rappresentano un fenomeno unico sia nel panorama delle formazioni paramilitari che
rispetto alle forze armate degli stati nazionali. Nonostante la precarietà della situazione in cui si
trovano ad operare abbia spesso reso necessari dei compromessi fra gli obbiettivi ideologici
prefissati e la condotta sul campo, è innegabile come all’interno dell’organizzazione sia stato
compiuto un reale sforzo in ottica di democratizzazione della gestione delle attività militari. Le
Ypg/j sono dichiaratamente un’ organizzazione fortemente politicizzata e le scelte compiute per
conformarsi ai valori del confederalismo non dovrebbero forse essere valutati in un’ottica di
efficienza del processo decisionale ed economia delle risorse impiegate nel raggiungimento di
obiettivi militare ma, anche dal punto di vista dei risultati sul campo, è giusto riconoscerne almeno
l’ efficacia. Per quanto riguarda l’ effettivo livello di sviluppo raggiunto dai temi politici perseguiti
dalle Ypg/j, i risultati variano fortemente nei diversi ambiti. Dal punto di vista della parità di genere
le Ypg/j sono un organizzazione molto avanzata, capace di farsi veicolo di trasmissione di questo
particolare progetto politico anche all’interno della società civile. Per quanto riguarda la
democratizzazione del processo decisionale, è più difficile fare una valutazione accurata, ma le
soluzioni strutturali individuate hanno sicuramente il merito di rendere l’ organizzazione più
inclusiva e meno soggetta a derive autoritarie tipiche di molte formazioni paramilitari. L’ adozione
di un sistema decisionale il più possibile bottom up mantenendo comunque un certo livello di
capacità operativa riesce quantomeno a mettere in discussione il paradigma tradizionale del
rapporto diretto tra gerarchia rigida e funzionalità dell’organizzazione militare. Il nodo da indagare
in questo caso è probabilmente relativo alla capacità del sistema decentralizzato delle Ypg/j di
coinvolgere e motivare il personale volontario in maniera estremamente più forte rispetto ai
tradizionali metodi di arruolamento. In ultimo non dovrebbe essere trascurato come le Ypg/j
nascano per difendere un progetto sociale rivoluzionario, ed è solo inserendole nel contesto
storico e politico a cui appartengono che diventa possibile analizzare efficacemente le
caratteristiche di questa organizzazione.
Gli innegabili risultati ottenuti dalle Ypg/j nella difesa del territorio dell’Amministrazione Autonoma
del Rojava e nella lotta contro l’ IS pongono comunque un quesito rilevante alle moderne forze
armate dei paesi più avanzati: potrebbe essere necessario rimettere in discussione i principi
ritenuti cardine dell’organizzazione militare tradizionale, laddove un nuovo caso di studi sembra
dimostrare la possibilità di condurre con successo attività militari rivoluzionando le canoniche
logiche di comando e gestione del personale?
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BIBLIOGRAFIA
Netjes Renam, Van Veen Erwin, “The YPG/PYD during the Syrian conflict”, Olanda, aprile 2021
Rojava Information Center, Beyond the frontlines: the building of the democratic sistem in Nord and East Syria,
December 2019,
Sary, Ghadi Kurdish Self-governance in Syria: Survival and Ambition, settembre 2016
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SITOGRAFIA
http://pydrojava.org
http://www.chathamhouse.org/mena
https://rojavainformationcenter.com
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