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ECONOMIA DELLO SVILUPPO

TOPIC 1 – DEVELOPMENT FACTS


Cercheremo di andare oltre l’aspetto economico dello sviluppo, ma comunque è quello
tradizionale da cui si parte.
L’unica variabile misurabile in tanti paesi è il PIL (GDP), non ci sono altri indicatori internazionali
definiti. Quindi si parte da questo riferimento.

C’è un dibattito sull’economia dello sviluppo, che non è stato ancora risolto:

Robert Lucas (economista che ha vinto il Nobel)  lo sviluppo economico si misura con il GDP che
misura il tasso di crescita, ovviamente è una misurazione ridotta e restrittiva, ma in realtà quello
che vedremo è che il GDP è una proxy per tanti altri aspetti. Misura molto di più di quello che
sembra misurare.
C’è una relazione molto stretta tra livello di reddito e tanti altri aspetti non puramente economici e
quindi non è detto che non li rappresenti (es. livello di istruzione o di salute). Il reddito ci porta a
pensare anche a molti aspetti della società stessa.

Paul Streeten (economista)  dice l’opposto di Lucas: per definire il concetto di sviluppo
economico non dobbiamo dimenticare l’obiettivo ultimo di questa analisi che è quello di trattare
uomini e donne come il fine, di migliorare la condizione umana e aumentare le scelte delle
persone.
Gli indicatori di produzione economica (GDP per capita) e gli indicatori di sviluppo umano
(alfabetizzazione, aspettativa di vita) non sono strettamente correlati. C’è una differenza cruciale
fra questi due indicatori, non sono strettamente correlati.

Gli indicatori economici

I dati più recenti sono del 2020, vediamo che c’è una differenza enorme tra i paesi a basso reddito
e gli altri.
I paesi a basso reddito hanno un reddito medio di $827 (paesi africani, Afghanistan, Myanmar,
Nepal).
I paesi a reddito medio basso hanno un reddito medio di $2.200 (India, Nicaragua, Nigeria,
Thailandia).
I paesi a reddito medio alto hanno un reddito medio di $9.200 (Cina, America Latina, Argentina,
Brasile, Sud Africa, Turchia).
I paesi a reddito alto hanno un reddito medio di $ 44.020 (USA, ovest e nord Europa, Giappone,
Singapore, alcuni Paesi del Medio Oriente).

La disparità è enorme, più del 50 % della popolazione mondiale ha il 9,3 % del reddito mondiale. La
maggior parte del reddito è posseduto da pochi, dalla minoranza.
Es. la Svizzera è 150 volte più ricca della Repubblica democratica del Congo e 44 volte più ricca del
Bangladesh.

La disuguaglianza si è aggravata nell’epoca moderna, prima non era così.


La disuguaglianza è molto superiore rispetto a quella che abbiamo visto fino ad ora, perché i ricchi
per la maggior parte nascondono il loro vero guadagno (evasione fiscale), in più non si tiene conto
delle esternalità che la disuguaglianza crea (problema ambientale, inquinamento e abuso delle
risorse) e che sono pagate dalla comunità.
Il 10% dei paesi più ricchi guadagnava circa 4 volte rispetto alla media mondiale, sia negli anni ‘90
che nel 2020, la disuguaglianza non è mai diminuita ma in certi casi aumentata. C’è stabilità e lo
scarto è molto alto tra le due categorie di paesi; lo stesso vale per il 10 % dei paesi più poveri, che
sono di molto sotto la media, con una certa stabilità dagli anni ‘90 al 2020.

GNI = Prodotto naturale lordo, la ricchezza di un paese è solo quella che rimane nel paese, elimina
la ricchezza determinata dagli export.

Cos’è successo nel tempo al GDP all’interno di un paese stesso e non nel confronto tra i paesi?

Nel mondo il GDP è aumentato dal 1970 al 2010 del 1.5% per anno, dal 2010 al 2015 del 2%.
L’aumento nel secondo periodo rispetto al primo è notevole.
La media maschera delle differenze enormi tra i paesi. Bisogna andare a fondo dei singoli paesi per
avere un’idea precisa dell’andamento generale. In East Asia c’è stato un aumento esponenziale
rispetto alla media mondiale, la Cina del 6.9%, anche l’India è cresciuta esponenzialmente del 5.4%
dal 2011 al 2015. Tutte queste hanno una crescita maggiore rispetto ad altri paesi.
In America latina invece in alcuni casi siamo in crescita negativa. Dagli anni ’80/‘90 si può parlare di
“lost decade” per i tassi di crescita negativi, ma anche di recente le cose non vanno bene, gli unici
che crescono sono il Brasile, il Cile e l’Uruguay. Anche l’Africa ha molti paesi che riscontrano una
crescita sotto la media o negativa. C’è stagnazione, solo dagli anni 2000 si registra una lieve
crescita del 2.2%, che diminuirà al 1.4% nel 2011. Ad esempio, la Repubblica democratica del
Congo registra il – 8.5 %, un tasso di decrescita negativo da record. A penalizzare la situazione
africana sono l’instabilità dei governi, la fragilità delle istituzioni e l’aumento della popolazione.

I paesi ricchi (OECD countries) trainano la media, questi paesi crescono con regolarità tra l’1 e il 2
%. Non vediamo tassi di crescita molto alti perché questi denotano una instabilità economica,
mentre questi paesi dimostrano in questo modo la lora stabilità.

Quanti anni ci vogliono per raddoppiare il reddito medio?

Se i paesi poveri volessero diventare come i paesi ricchi, quanto tempo ci impiegherebbero?
Se io conosco il tasso di crescita percentuale di un paese, lo divido per settanta e il risultato sono
gli anni che servono per passare dal tasso di crescita di oggi ad un tasso di crescita doppio.
Questa formula ci aiuta a renderci conto di quanto è facile per i paesi ricchi arricchirsi e quanto è
difficile arricchirsi per i paesi poveri. Questa divergenza sembra molto difficile da risolvere.
Es. il Brasile impiegherebbe 18 anni per raddoppiare il proprio reddito medio (dal 1961), mentre la
Cina ogni 7-9 anni (dal 1980).

La Mobility Matrix è un altro modo per calcolare questa divergenza. Dividiamo i paesi del mondo
in cinque categorie rispetto al loro GDP, in relazione alla media mondiale. Se i valori sulla
diagonale sono alti non c’è molta speranza di convergenza, molti paesi sono intrappolati nella
stessa categoria di reddito durante lo scorrere degli anni e non sono riusciti ad aumentare il
reddito pro capite (22 anni secondo il nostro esempio, dal 1982 al 2009). Più numeri ci sono sulla
diagonale e meno ho mobilità.
Nell’esempio c’è stata sia una mobilità positiva che una mobilità negativa. La tabella dal 1982 al
2009 è peggiorata rispetto a quella precedente.
Comunque, il fatto che alcuni paesi siano migliorati economicamente è segno che non ci sono
particolari trappole allo sviluppo.
Solitamente i paesi con reddito medio hanno più mobilità rispetto a quelli con reddito basso o alto.

La disuguaglianza tra i paesi

Guardando all’interno dei vari paesi, c’è una differenza significativa nel loro reddito. La
disuguaglianza tra paesi è uno dei temi più discussi dall’ONU, ma si deve tenere conto anche delle
disuguaglianze all’interno di un paese. C’è una relazione tra livello di reddito e disuguaglianza.
Il grafico cerca di mettere alla luce questa relazione, tramite una Cross Section (fisso la dimensione
temporale e misuro qualcosa di interesse, nel nostro caso il reddito, per diverse unità, nel nostro
caso paesi).
In questo caso si nota che all’aumentare del reddito per capita la percentuale del reddito del 20 %
della popolazione più ricca tende a diminuire e quello del 40 % della popolazione più povera tende
ad aumentare.
Se lo stesso grafico lo costruisco escludendo i paesi più ricchi (con GDP fino a 8.000), il 20 % più
ricco prima cresce e poi diminuisce con l’aumentare del reddito, c’è un andamento di curva
rovesciata tra GDP e disuguaglianza. Considerando diversi paesi e confrontando l’andamento di
fattori di disuguaglianza e reddito si vede una relazione a curva inversa.

Questa “U rovesciata” sembra emergere in modo consistente dai dataset che presentano questa
strategia di Cross Section (se guardo un paese singolo e non i paesi in relazione, non vedo questa
relazione, ma la vedo solo se confronto diversi paesi in un dato momento temporale).
Con certezza possiamo dire che non c’è sempre una relazione ad “U rovesciata” tra disuguaglianza
e reddito, quindi la disuguaglianza ad un certo punto tende a diminuire. Ma quando vediamo la
situazione in un paese singolo, la disuguaglianza tende ad aumentare, indipendentemente dal
livello di reddito.

Piketty 2014  per avere una visione dettagliata del mondo dobbiamo analizzare l’evasione
fiscale, perché la maggior parte delle persone tende a nascondere i loro veri guadagni. La
disuguaglianza è dovuta specialmente ai più ricchi, i quali i redditi sono aumentati
esponenzialmente negli ultimi anni. Alla luce di questi dati, Piketty dice che la disuguaglianza è
fuori controllo e superiore alle aspettative. Ad esempio, negli Stati Untiti è in aumento vertiginoso
dagli anni ’70.

Il reddito è distribuito in modo più diseguale nei paesi poveri che in quelli ricchi.

Possiamo avere informazioni se ci spostiamo da un indicatore economico ad uno non


strettamente economico?

Ad esempio, analizziamo l’alfabetizzazione, la possibilità di accesso all’acqua potabile, la mortalità


infantile e l’aspettativa di vita. L’aumento del reddito non diminuisce la disuguaglianza e non ci
dice nemmeno molto su questi indicatori, che possono essere bassi anche con un reddito
relativamente alto.
Se prendiamo come esempio il caso Guatemala e Sri Lanka, il primo ha un reddito pro capite più
alto del secondo, ma in Sri Lanka l’alfabetizzazione della popolazione è maggiore, così come
l’aspettativa di vita e la percentuale di mortalità infantile è minore rispetto al Guatemala.
Human development report, 1990  Ogni anno l’UNDP pubblica i dati sull’indice di sviluppo
umano (HDI), che include 3 componenti:
 Il GDP per capita
 Le aspettative di vita alla nascita
 Le misure di istruzione (calcola il numero di anni di scolarizzazione).
È costruito in modo tale da andare oltre al GDP e confrontare il peso che questo ha sullo sviluppo
umano rispetto agli altri due.
C’è una discussione su come è costruito l’indice, ogni valore in considerazione è 1/3 dell’indice;
quindi, si presume che ognuno valga allo stesso modo e che la “torta” dello sviluppo umano sia
composta da tre spicchi eguali.

Come cambia il ranking di paesi se invece di basarlo sul GDP lo baso sullo sviluppo umano?

Lo Sri Lanka, ad esempio, guadagna dieci posizioni se costruiamo la classifica sullo sviluppo umano.
Invece il Guatemala ne perde 13.
Se guardiamo i paesi nel loro complesso, fissando un anno di riferimento (2009), vediamo che c’è
una relazione positiva, all’aumentare della ricchezza pro-capite c’è un effetto positivo della
crescita economica sullo sviluppo umano. Con l’andare del tempo non è più così, per redditi alti
non c’è un tale miglioramento nello sviluppo umano. Quindi il miglioramento è marcato per paesi
a reddito più basso ma poi scema.

Su cosa impatta il GDP per capita?

Metto in relazione il GDP con l’aspettativa di vita. C’è una relazione positiva, aumentando il GDP
aumenta l’aspettativa di vita, ma non in maniera lineare, nei paesi con reddito più alto non cambia
molto di anno in anno.

Metto in relazione il GDP pro capite con l’indice della mortalità infantile. C’è una relazione più
forte, il tasso di mortalità infantile si riduce all’aumentare del reddito sia nei paesi poveri che
ricchi.

Metto in relazione GDP e tasso di alfabetizzazione. C’è una relazione simile all’aspettativa di vita,
all’inizio l’aumento del GDP aumenta l’alfabetizzazione, poi non tanto.

Il confronto fra lo sviluppo umano e la dimensione economica ci fa capire che entrambe le visioni
dello sviluppo citate inizialmente sono corrette. Il GDP è correlato ad altri indicatori e da
informazioni oltre all’aspetto prettamente economico, ma dall’altro lato ci sono situazioni che
hanno poco a che fare con il GDP.
Un aspetto che non si riesce a catturare è ciò che ha a che fare con le aspirations. Il benessere
delle persone dipende molto dalle loro aspirazioni, è sempre più evidente negli ultimi decenni che
le nostre aspirazioni sono molto influenzate da quello che vediamo fare agli altri. Le aspirazioni
non sono prevedibili perché sono in continua evoluzione.
Hirschman’s Tunnel Effect  Hirschman and Rothschild (1973) cercano di spiegare la tolleranza
per la disuguaglianza lungo il percorso dello sviluppo economico. Le aspirazioni hanno molto a che
fare su quanto tollero la disuguaglianza. Vedere gli altri ricchi, all’inizio quando un paese è povero,
è tollerato e visto come un’opportunità o uno stimolo a fare meglio. Dopo un po’, se i ricchi
continuano a diventare ricchi, senza che i poveri migliorino, questo è visto come negativo e la
tolleranza per la disuguaglianza peggiora e si trasforma in frustrazione. Inizialmente la
disuguaglianza è vista come un incentivo e poi come un problema.

In generale quello che non riusciamo a catturare è l’aspetto delle aspirazioni, che hanno a che fare
col livello di benessere e guidano le scelte degli individui. In più, hanno a che vedere con quanto le
persone tollerano la disuguaglianza. Nessuno vede la disuguaglianza positiva, se non chi ha redditi
particolarmente bassi.
Più un paese è diviso dal punto di vista razziale e religioso, meno è tollerante. Ci sono dei valori
identitari che favoriscono un gruppo o una categoria. Al contrario, più un paese è omogeneo e più
è tollerante.

TOPIC 2 – GROWTH, CONVERGENCE AND DIVERGENCE

Convergenza  ci si sta avvicinando alla media mondiale.


Divergenza  ci si allontana dalla media mondiale.
Ci sono teorie per cui lo sviluppo dovrebbe promuovere una decrescita o una crescita zero.

La convergenza e la divergenza si studiano attraverso la crescita economica, le teorie e testando la


convergenza della crescita.
Le teorie ci consentono di organizzare le idee, di ridurre il livello di astrazione e creare delle ipotesi
che posso testare. La teoria permette di chiarire il meccanismo di transizione del fenomeno che ho
in mente.
Ad esempio, la matrice di mobilità non ci dice nulla sul meccanismo, mentre la teoria spiega
proprio questo e chiarisce quali sono i fattori che trainano la crescita. Nel meccanismo ci possono
essere fattori economici, politici e sociali, rispetto alla complessità della teoria.
Nel processo della crescita come dobbiamo fare per promuoverla? Cosa traina le economie
emergenti? Queste sono le domande a cui cerchiamo di rispondere. Possiamo spiegare sia come
un paese cresce nel tempo e quali fattori influenzano la crescita, sia come un paese cresce rispetto
agli altri.

La crescita economica è un fenomeno recente, se prendiamo i dati storici esistenti tra gli stati, la
crescita nel GDP per capita era l’eccezione e non la regola, a maggior parte dei paesi non è
cresciuta molto nel tempo, non è un fenomeno storico. I paesi hanno cominciato a crescere con la
rivoluzione industriale nel regno unito. Il boom della crescita dei paesi OECD è negli anni ’70,
quindi abbastanza recente. Questa crescita economica è anche limitata ai paesi ricchi, la
maggioranza dei paesi poveri ha cominciato a crescere solo dopo la 2 guerra mondiale, in seguito
al de-colonialismo. Questa crescita veloce per i paesi a basso medio reddito non è andata in
parallelo con le aspirazioni di uguaglianza di opportunità che questi paesi hanno iniziato a
sviluppare. Non si è arrivati velocemente ai livelli di crescita delle economie occidentali, ancora
oggi c’è molta divergenza.

Teorie della crescita

Ci sono vari tipi di teorie, quelle di tipo qualitativo (visioni quasi filosofiche) e di tipo quantitativo
(si usano equazioni per quantificare i fattori che trainano lo sviluppo).

Prima teoria della crescita – Modello Harrod-Domar


Il reddito è uguale al consumo più il risparmio: Y (t) = C(t) + S(t)
Le risorse che una famiglia guadagna possono essere utilizzate per consumo e risparmio.

Il risparmio è uguale all’investimento: Y (t) = C(t) + I(t)


In una situazione di equilibrio, quando la famiglia vive in un contesto di mercato. Un’economia è
sostenibile solo se può investire quanto risparmia.

Gli investimenti (t = tempo, anno) sono uguali al capitale dell’anno successivo t+1 – il capitale che
si deprezza: I(t) = K(t + 1) (1 δ)K(t)
L’investimento dipende dal capitale investito. Il mio investimento oggi sarà uguale al capitale
dell’anno dopo (quello che l’investimento frutta) meno la percentuale del capitale che si deprezza
(svalutazione del capitale, può succedere cha l’investimento in banca frutta X ma poi si deprezza
ed esempio per inflazione e perde valore)  non è detto che ci sia deprezzamento.

Queste tre equazioni sono standard, e posso definire:


 “s” il tasso di risparmio, il rapporto fra risparmio e reddito: s = S(t)/Y (t)
La proporzione di quanto risparmio rispetto a quanto ho.
 “teta” il tasso di capitale: θ = K(t)/Y (t)
La proporzione di capitale rispetto al reddito.

Equazione di Harrod-Domar: s / θ = g + δ
Il rapporto tra risparmio e teta è uguale al tasso di crescita economica più il deprezzamento.
Secondo Harrod e Domar la crescita economica dipende da “s” e “θ”. La crescita aumenta quando
cresce “s” e diminuisce “θ”.
Questo modello è stato molto influente per pianificare la crescita economica in India e Unione
Sovietica. Se aumento “s” e quindi il risparmio delle famiglie, promuovo la crescita economica.
Un policy maker deve fare in modo che le famiglie risparmino di più e deve aumentare il taso al
quale il capitale viene introdotto, quindi abbassare “θ”.

Problemi:
 Il primo problema di questo modello è il tasso di risparmio, “s” e “θ” sono dati per scontati.
Questi parametri possono a loro volta dipendere dal tasso di crescita, in questo caso ci
sarebbe un andamento circolare e il modello teorizzato non funzionerebbe più. Il tasso di
risparmio aumenta la crescita, ma la crescita può aumentare il tasso di risparmio.
 Il tasso di risparmio è basso o negativo per redditi molto bassi. Il tasso di risparmio tende
ad aumentare col reddito; ma quando il livello di reddito cresce molto, il tasso di risparmio
può sia aumentare che diminuire (magari qualcuno risparmia meno e vuole consumare di
più)  relazione circolare.
Più risparmio c’è e meglio è per la crescita, ma all’aumentare del livello di reddito cambia
l’incentivo al risparmio. “s” diventa endogeno, si muove insieme a “g”. Se aumento il
risparmio, la crescita avviene fino ad un certo livello di reddito, poi non so più che succede.
 “n” tasso di crescita della popolazione, emerge quando l’equazione è trasformata in per-
capita. “n” influenza il tasso di crescita ma non impatta la crescita e basta, si muove
insieme alla crescita. Il numero di figli che le persone fanno dipende dal reddito. Il modello
dice che più aumenta il tasso di fertilità e più diminuisce la crescita. (i paesi ricchi tendono
ad avere tassi di fertilità più bassi)
 Il modello ci dice cosa traina la crescita economica ma non ci dà modelli di intervento
efficaci. La teoria è debole.

Seconda teoria della crescita – Modello di Solow

Assunto di base: “θ” può essere endogeno, può cambiare insieme al tasso di crescita economica.
In questo modo supera il limite del modello precedente.
“θ” dipende dalle relative quantità di capitale e lavoro.

Il tasso di risparmio è: S(t) = sY (t)


La proporzione della ricchezza che risparmia un paese: risparmio totale / reddito totale.

Equazione fondamentale di accumulazione: K (t + 1) = (1 – δ) K (t) + sY (t)

Assunzione fondamentale: che il sistema economico produca Y tramite una funzione di produzione
che utilizza capitale fisico (K) e lavoro (L), F = funzione di produzione. Y (t) = F (K(t), L(t)
L’impatto del capitale sull’output è decrescente, comunque positivo, ma si riduce nel tempo (ad
esempio per la tecnologia che utilizzo, perché non c’è progresso tecnologico…). Più amento il
capitale nel tempo e meno aumenta Y.
Data questa assunzione, se convertiamo i valori assoluti in valori per capita: k = K/L y = Y /L
Otteniamo questa equazione: (1 + n) k (t + 1) = (1 - δ) k (t) + sy (t)

Quello che Solow fa è arrivare ad una soluzione matematica dell’equilibrio. Per il tasso di crescita
ottimale ho un tasso di capitale ottimale. Il modello trova il punto ottimo di crescita del paese. y* è
il tasso di crescita ottimale che posso produrre con k*, il tasso di capitale ottimale.
Solow dimostra che tutti i paesi convergono al tasso di crescita y*. Qualunque sia il capitale di
partenza, i paesi convergono a k*, sia che abbiano un capitale più alto che più basso. I paesi
convergeranno e non ci sono dubbi su questa affermazione. Posso direttamente derivare un test di
convergenza, ho una teoria che mi spiega perché c’è convergenza.
Ipotesi della convergenza internazionale  Indipendentemente dal livello iniziale di k, due paesi
che hanno tasso di risparmio, tasso di crescita della popolazione e tassi di ammortamento (δ)
simili, convergeranno nel lungo periodo, prima o poi la convergenza arriva. I paesi convergeranno
nel tempo, se non sono già allineati.
Il motivo per cui da k arrivo a k* è perché c’è un rendimento decrescente dei fattori di produzione.
In assenza di progresso tecnologico due paesi smettono in crescere, non è possibile crescere in
maniera indefinita.
Nel modello di Solow non c’è processo tecnologico e questo fa rimanere perplessi, è sicuramente
un limite. I paesi crescono grazie al tasso di risparmio, delta e la crescita della popolazione.

Immaginiamo che il progresso tecnologico sposti la funzione di produzione in alto, succede


qualcosa per cui l’economia ha un modo migliore e più avanzato per produrre l’output. Quindi
introduciamo un elemento esterno che rende possibile la crescita, il progresso tecnologico.
Come si introduce in modo formale e coma cambia il modello? Assumiamo che il progresso
tecnologico influisca sull’efficienza o la produttività del lavoro, rende più produttivo il lavoratore.
Le persone producono in modo migliore. Il progresso tecnologico impatta tutta l’economia.
Sostituiamo L con e(t) L(t) effective labour = pesiamo il lavoro con l’efficienza, l’aumento della
produttività (lavorare di più o con meno sforzo).
Riscrivo il modello di Solow sostituendo L con e(t) L(t).
Nel modello di Solow abbiamo una concezione temporale, il progresso tecnologico ha un livello di
efficienza che cresce a π. π: e (t + 1) = e(t) (1 + π).
Π è il tasso di crescita del progresso tecnologico.

Solow arriva a dimostrare che in questa versione col progresso tecnologico c’è crescita infinita. È
sempre possibile crescere col progresso tecnologico, e il tasso di crescita è π.
Anche in questo modello c’è convergenza, ciò che è diverso è che nel lungo periodo non c’è
crescita 0, ma c’è crescita π. Nel modello precedente di Solow non c’era crescita, una volta che si
raggiungeva l’equilibrio, mentre in questo caso la crescita è infinita.
Nel caso del modello col progresso tecnologico c’è come prima la convergenza,
indipendentemente dal punto di partenza, ma c’è anche crescita al tasso π.

Posto che entrambi i modelli di Solow implicano la convergenza incondizionata, possiamo testare
questa implicazione?
Si, con vari problemi e aggiustamenti.
Possiamo fare in due modi: considerare pochi paesi in un ampio lasso temprale o molti paesi in un
piccolo lasso temporale.
1) Numero piccolo di paesi osservato per un lungo periodo: lo studia Baumol.
Considera 16 paesi tra i più ricchi tra il 1870-1979. Questi paesi sono nel 1979 tra i più
ricchi al mondo, prendendo in analisi il reddito pro capite.
L’idea è di fare una regressione del tasso di crescita fra il 1870 e il 1978 del reddito per-
capita, usando i logaritmi.
Se c’è convergenza, il coefficiente b è uguale a - 1  b = - 1
I dati in questo caso confermano la convergenza, perché b = - 0.995
Ciò significa che basta aspettare un lungo periodo per ottenere la convergenza. Però
questo risultato è ingannevole, è strano che un test empirico dia un risultato così netto. Il
risultato è fittizio perché Baumol ha selezionato paesi molto ricchi. Ha selezionato solo il
campione di chi converge, se aggiungessimo più paesi la “nuvola” di paesi che sono situati
su una linea che tende a - 1, esplode. (grafico)

2) Numero grande di paesi osservati per un piccolo periodo.


Considera 60 paesi (dataset 2013). Si vede bene dal grafico che non c’è speranza di
convergenza.
Se proviamo ad analizzare oltre a 100 paesi ancora peggio, totale assenza di correlazione.

Abbandoniamo quindi l’idea della convergenza incondizionata = la convergenza è incondizionata


rispetto al capitale iniziale o al reddito iniziale. Assume che il livello di reddito e il tasso di crescita
sono uguali per tutti i paesi (k*, y*, π). Se i paesi nel lungo periodo non hanno differenza nel tasso
del progresso tecnologico, nella crescita della popolazione e nel deprezzamento del capitale, tutti i
paesi convergeranno a k*(posizione di equilibrio).
La convergenza condizionata = arriviamo ad un punto di equilibrio specifico per ogni paese, che
dipende dal punto di partenza. Ipotizzo che la convergenza non sia di tutti i paesi a k*, ma a
secondo del punto di partenza ogni paese ha il suo punto di equilibrio. Ipotizza che i livelli di
reddito rimangono diversi tra i vari paesi perché dipendono dal reddito di partenza, ma il tasso di
crescita del lungo periodo rimane comunque uguale per tutti; quindi, tutti i paesi crescono allo
stesso tasso π.
Come si testa questa ipotesi della conditional convergence?
La convergenza nei tassi di crescita vuol dire che se un paese è sotto il suo livello di equilibrio
dovrà crescere più velocemente.
Come faccio a sapere quando sono nel livello di equilibrio?
Il problema è che quasi mai riesco a capirlo. Quindi l’unico modo in cui si testa la conditional
convergence è capire i fattori che spiegano e determinano il livello di equilibrio, per capire quando
ci sono dentro. Una volta che sappiamo dove si trovano gli stati stazionari, possiamo verificare se il
tasso di crescita è coerente con la previsione dei tassi di crescita.
Parametri che determinano il livello di equilibrio:
 Abbiamo un’equazione che trova una relazione tra y e s, n, pi greco e delta
Con queste analisi e con i dati si verifica che non c’è neanche la conditional convergence.
Anche se la variazione dei tassi di risparmio e di crescita della popolazione produce la direzione
prevista per la variazione del reddito pro capite, le differenze tra i redditi pro capite dei vari Paesi
sono molto più grandi di quelle previste dalla teoria.
Quindi, anche se tasso di crescita e tasso di risparmio trainano la crescita, rimane inspiegata una
grande parte di queste differenze.

Per riassumere
I modelli di crescita che abbiamo discusso possono catturare alcune importanti variazioni nei dati,
ma lasciano molte domande in sospeso:
 La teoria dice che ci sono differenze nel reddito pro capite del paese che sono più piccole di
quelle che in realtà sono osservate nei dati.
 Come si giustifica il fatto che s e n differiscono tra i paesi? Se gli esseri umani sono mossi da
motivazioni economiche comuni e non ci sono differenza fondamentali nel loro desiderio di
risparmiare o procreare, le differenze in s e n possono essere condizionate dalla loro
esperienza economica, che in questi parametri potrebbe essere endogena.
 È ragionevole assumere che il progresso tecnologico è esogeno? Nel modello di Solow la
crescita nel lungo periodo proviene dal progresso tecnologico. È fondamentale indagare
quali forze trainano il progresso tecnologico.

TOPIC 3 – INEQUALITY OF WHAT AMONG WHOM

Il topic della settimana è la disuguaglianza.


Dobbiamo porci delle domande, dobbiamo documentare le disuguaglianze meglio rispetto a come
abbiamo fatto ora. Bisognerà poi decidere su quale disuguaglianza ci soffermiamo e
approfondiamo. In ultimo, dopo aver stabilito la disuguaglianza di interesse, dobbiamo capire
come misurarle.

Il livello di disuguaglianza è importante per la crescita. Se un paese cresce più di un altro, la


disuguaglianza è causata dalla crescita. Dall’altra parte, il livello di reddito ha un impatto sulla
crescita (lo abbiamo visto nel topic 2). Perciò nel rapporto fra crescita e disuguaglianza ci sono
entrambe queste dimensioni.
 Sia la crescita crea disuguaglianza che la disuguaglianza crea crescita. Il concetto di
disuguaglianza è intrinsecamente legato alla crescita.
Le variabili su cui i paesi differiscono e che determinano la disuguaglianza sono il reddito, il
capitale e il lavoro.

La disuguaglianza può essere studiata in modo oggettivo?


C’è un problema iniziale di quale dimensione considerare per calcolare la disuguaglianza
(economica, culturale…) e di quali indici utilizzare. Ma nonostante questo è molto difficile
considerare la disuguaglianza in modo oggettivo, molto dipende dalle scelte del ricercatore.

Vogliamo misurare la disuguaglianza e caprie quali paesi sono caratterizzati da disuguaglianza


bassa e come agire su questi per ridurla.

La disuguaglianza può essere:


 Intrinseca: la disuguaglianza si misura per valutare e confrontare le distribuzioni. Piketty
prova a riassumere la disuguaglianza economica usando dati fiscali dettagliati. Vuole
studiare la disuguaglianza per dimostrare che è trainata da redditi molto alti.
 Strumentale: la disuguaglianza ha un impatto con diversi output che influenzano il
processo di sviluppo. La disuguaglianza ha un impatto su quasi tutti gli outcome che
influenzano il processo di sviluppo (crescita, nutrizione, impiego) nel tempo. Spesso
emerge il fenomeno della history dependence  il reddito di partenza ha un’influenza sugli
sviluppi futuri, e può portare alle cosiddette trappole di povertà.
Spesso si crea un circolo vizioso fra disuguaglianza alta e crescita bassa, l’una scatena
l’altra.

Le crisi finanziarie hanno riportato l’interesse sulla disuguaglianza soprattutto quella economica.
La disuguaglianza economica è stata particolarmente alta e con una crescita constante per tutto il
XX secolo.
La disuguaglianza di reddito è molto significativa, c’è molto divario economico tra i vari paesi.
Anche lo HDI è molto diverso tra i vari paesi, ci sono divari molto grandi a livello di sviluppo
umano.

Disuguaglianza nella ricchezza


I benefici dello sviluppo economico sono distribuiti in maniera non uniforme: 1.210 miliardari
possiedono una ricchezza complessiva pari a oltre la metà della ricchezza totale dei 3,01 miliardi di
adulti nel mondo (Forbes magazine, marzo 2011). Il più ricco 0.5% della popolazione detiene più di
1/3 della ricchezza mondiale, il più ricco 8% detiene più del 79% della ricchezza globale (Global
Wealth Report 2010).
La popolazione globale è caratterizzata da una distribuzione di ricchezza molto diseguale.
La cosa esplode anche dalla disuguaglianza di reddito. La crescita della disuguaglianza di reddito è
dovuta all’aumento del reddito al 10% più ricco.

Disuguaglianza nel reddito


Come la ricchezza, anche il reddito ha una distribuzione ineguale.
La differenza tra il più ricco e il più povero 10% è cambiata molto dagli anni ’80 al 2008. Nel 2007
negli Stati Uniti l'1% più ricco deteneva un quarto della ricchezza totale, il 10% più ricco quasi la
metà della ricchezza totale (Bartels 2008). La crescita della disuguaglianza di reddito è guidata da
un forte aumento del reddito del 10% più ricco. Tornando ai dati fiscali, scopriamo che la
disuguaglianza aumentata è trainata dal 10% più ricco e il reddito di questo 10% non è mai
cambiato. Prima del 2008 il 90% si è impoverito e il 10% è continuato a salire.
Tra i più ricchi, il trend è trainato dal 0,01%, quelli che hanno guadagnato davvero sono questa
piccolissima percentuale.
Queste informazioni le abbiamo da poco tempo, perché prima i dati non c’erano. La
disuguaglianza di reddito non solo è aumentata, ma c’è stato anche impoverimento della classe
media. Una cosa mai successa prima, solitamente erano i poveri a impoverirsi ancora di più, in
questo caso aumenta proprio il numero di poveri, tramite impoverimento del ceto medio. Questo
anche perché il salario medio dei laureati è sempre più diminuito, anche chi non ha la laurea
continua a guadagnare sempre meno.

Qual è il problema della disuguaglianza alta? Perché non è mai stata contenuta?
Ci sono molte teorie che dicono che la disuguaglianza è positiva e stimola la crescita.
Da un punto di vista teorico c’è lo scontro tra capitalismo e comunismo, l’idea che la disparità
incentivi lo sforzo produttivo. La disuguaglianza è un motore per la crescita dell’individuo, lo sforzo
viene ripagato con qualcosa di più grande.
Spillover effect  se ho agenti economici molto ricchi si creano benefici a catena per l’economia.
Ci sono paesi che attraggono capitali alti, per attirare altri capitali che poi vengono investiti. Se ho
capitali alti nel sistema economico questo attira degli incentivi a catena. Perciò non si fa quasi nulla
per contenere tale disuguaglianza. A livello economico gli incentivi vanno bene (es. USA sono
molto avanti perché offrono salari molto più alti e attraggono persone), ma quando si accosta
l’uguaglianza alta all’uguaglianza di opportunità, il modello scricchiola.
 Nei paesi ad alta disuguaglianza di reddito si hanno anche disuguaglianze molto forti di
opportunità e accesso ai beni, dovuto soprattutto alla razza, il sesso e al luogo di nascita, e non
dall’impegno e dal merito. A quel punto l’incentivo non c’è più, perché non si può fare nulla. Si
ha un forte impatto anche sul benessere della popolazione, anche le persone stesse chiedono
una più alta distribuzione della ricchezza.
 La disuguaglianza ha un forte impatto negativo sullo sviluppo umano.

Nel 2010 è creato l’Inequality-Adjusted Human Development Index (IHDI), un indice di sviluppo
umano che misura il livello di sviluppo umano tenendo conto della disuguaglianza.
Rappresenta il livello effettivo dello sviluppo umano, sottraendo le disuguaglianze. L’HDI
rappresenta invece un indice di sviluppo umano potenziale che potrebbe essere raggiunto se non
ci fossero disuguaglianze.
Ad esempio: l’HDI di Namibia e Moldavia è molto simile, ma al netto delle disuguaglianze, la
Namibia ha un indice di sviluppo umano (IHDI) molto più basso; perde il 44% a causa delle alte
disuguaglianze, mentre la Moldavia solo il 14%.

In generale i paesi con meno sviluppo umano tendono ad avere una maggiore disuguaglianza in
più dimensioni (reddito, capitale, lavoro) e quindi soffrono di perdite più alte nello sviluppo
umano. L’africa Sub-Sahariana ha subito le maggiori perdite di HDI a causa della sostanziale
disuguaglianza in tutte e tre le dimensioni dell’HDI.

Riassumendo  la disuguaglianza ha effetti negativi sullo sviluppo. Tuttavia, nel lungo periodo
l'equità e l'efficienza sono complementari.
C’è un minimo di speranza nel lungo periodo, se ci si focalizza in un paese nel tempo, è possibile
una riduzione della disuguaglianza senza avere effetti sulla crescita. Qual è il livello di
disuguaglianza di reddito ottimale? Quale disuguaglianza ridurre e quanto?
Probabilmente quella da ridurre è la disuguaglianza di reddito, ma non si sa di quanto e come fare.

Misurare la disuguaglianza
Non c’è modo oggettivo di misurarla precisamente. Ci sono molti indicatori, ma questi incorporano
delle prese di posizione normative riguardo alla disuguaglianza. Ovvero, qualsiasi sia la misura di
disuguaglianza che voglio utilizzare, devo fare delle assunzioni su ciò che ritengo siano i margini e
gli aspetti della distribuzione che mi dimostrano che la disuguaglianza aumenta. Solitamente i
politici scelgono il grafico che più si avvicina alla loro visione, non un grafico falso, ma costruito
tramite parametri calibrati con i loro interessi.  Le assunzioni rendono non oggettiva la
misurazione.

Cosa si può fare?


Si possono stabilire criteri oggettivi che descrivono una misura di disuguaglianza come una buona
misura. Una serie di criteri che descrivono un indicatore di disuguaglianza come accettabile. Ci
sono sei proprietà che devono essere soddisfatte per rendere un indicatore affidabile.

Sei assiomi, caratteristiche teoriche per stabilire un criterio di disuguaglianza accettabile:

1) Anonymity: non importa chi ha quale reddito. Peso in modo uguale tutte le persone nella
mia distribuzione e non do maggiore importanza ad un individuo rispetto all’altro in base al
suo reddito.
2) Pigou-Dalton principle of transfers: un trasferimento di ricchezza dal povero al ricco
aumenta la disuguaglianza. Un trasferimento di ricchezza dal ricco al povero la diminuisce.
3) Scale invariance: moltiplicare tutti i redditi per una costante non cambia la misura della
disuguaglianza.
4) Dalton population principle: se ho una distribuzione di reddito, questa deve essere
equivalente a una distribuzione formata da repliche di questa distribuzione stessa.
5) Decomposability: la disuguaglianza totale deve essere uguale alla somma della
disuguaglianza tra gruppi e della disuguaglianza all’interno dei gruppi. L’indice deve capire
quanto la disuguaglianza totale dipende dalla disuguaglianza dei gruppi all’interno dei
gruppi.
6) Monotonicity: aumentando il reddito di qualcuno e lasciando invariato il reddito degli altri,
il benessere collettivo aumenta.

Gli assiomi non sono universalmente accettati. C’è ancora dibattito in corso e molti ritengono che i
primi tre siano discutibili.

Assioma 1: Anonimyty  è il principio di giustizia, ma è criticato perché implica che i trasferimenti


siano irrilevanti e che misuriamo la disuguaglianza in modo per cui l’identità di chi possiede
ricchezza non ha rilevanza. In verità ce l’ha ed è per questo che non si fa nulla per ridurla.

Assioma 2: Pigou-Dalton principle of transfers  il principio di trasferimento non è


universalmente accettato, la disuguaglianza è vista come qualcosa di positivo. Mi aspetto che chi
ha molti soldi dia un ritorno alla società, ma spesso non è vero. Se il ricco ritorna ricco la
disuguaglianza ritorna alta.

Assioma 3: Scale invariance  moltiplicando tutti i redditi per una costante la disuguaglianza non
cambia. Però questo principio di scale variance implica che non conta più il livello assoluto del
reddito, ma solo le differenze relative; invece, la critica è rivolta al fatto che anche le differenze
assolute sono importanti.
Assioma 4: Dalton population principle  se ho due persone, con una ha cha tutto il reddito e uno
zero, questa distribuzione è uguale ad una distribuzione in cui due persone hanno tutto il reddito e
due ne hanno zero. Però ovviamente questa disuguaglianza non è eguale.

Assioma 5: Decomposability  non è ovvio, non è sempre assoldata perché nel caso del gender
(diseguaglianza tra maschi e femmine) non è così evidente. L’uguaglianza in alcuni gruppi può non
avere molto senso. L’identità dei gruppi può importare di più di ciò che la decomposability
ammette.

Perciò che si fa? Si tengono presente questi assiomi, perché comunque si deve misurare la
disuguaglianza in modo oggettivo, perché a seconda di come presento i grafici cambia il messaggio
che trasmetto. L’idea però è quella di “rilassare” qualche assioma, ovvero rendere meno
stringente. Il primo assioma che si “rilassa” è la Scale invariance, rispettare questo criterio fa si
che funzioni bene una misura di disuguaglianza relativa, ma maschera le differenze di reddito
assoluto e rende difficili i confronti tra questi.
Esempio:
 Nello stato A: ci sono due redditi, uno che detiene 1.000 $ e uno 10.000 $.
 Nello stato B: uno detiene 2.000 $ e uno 20.000 $, la misura di disuguaglianza non
dovrebbe cambiare se moltiplico per una stessa variabile.
 A livello relativo non cambia nulla, a livello assoluto sì, perché la disuguaglianza è doppia nello
stato B. La differenza assoluta tra il ricco e il povero nello stato A è inferiore rispetto alla differenza
assoluta tra ricco e povero nello stato B.
La scale invariance è un problema, quindi, bisogna scegliere se ci interessa calcolare la
disuguaglianza in termini relativi o assoluti, in base a questo decidere se usare o no questo
principio.

Due indici di Gini per la disuguaglianza (approccio statistico)


Indice di Gini  dalla formula si vede che l’indice di Gini dipende dalle differenze di reddito, dove
N è il numero di persone della popolazione, Y- è il reddito medio e Yi è il reddito individuale di una
persona del campione. Ho quindi indicazioni sul reddito di ogni persona del campione.
Gini può essere espresso in termini assoluti o relativi.

1) In termini assoluti: differenze assolute di reddito tra le persone, si calcola la differenza di


reddito tra le persone. È una sorta di misurazione statistica delle differenze di reddito,
calcolo le differenze interpersonali, le sommo e divido per il reddito medio.
2) In termini relativi: invece di considerare le differenze assolute, si calcolano in modo
relativo. Facendo la differenza tra i redditi delle persone, facendo prima un rapporto tra il
reddito di ciascuno e il reddito medio.

La cosa interessante è che posso produrre entrambi i risultati e vedere poi le differenze che ci
sono.

Un altro assioma che si può “Rilassare” è l’Anonymity.


Esempio:
 Nello stato A: ci sono due redditi, uno che detiene 1.000 $ e uno 10.000 $.
 Nello stato B: i redditi sono invertiti a 10.000$ e 1.000$.
 La disuguaglianza relativa e assoluta è la stessa nei due casi, ma la persona che ha perso sta
molto peggio di quello che ha guadagnato  la persona povera in A ha guadagnato moltissimo in
B, ma la persona ricca in B ha perso moltissimo in B.
Non si riesce a produrre un indicatore che risolva questo problema, il benessere delle due persone
è molto diverso.

L’indice di Atkinson (approccio social welfare function-based), nel 1970 Atkinson definisce
l’Equally distributed equivalent (yEDE). yEDE indica il livello di reddito per capita che, se distribuito
in maniera uguale a tutti, genererebbe lo stesso livello di benessere sociale della distribuzione
osservata.
Posso immaginare di dire alla popolazione di tenere costante il benessere collettivo, ma distribuire
il reddito in modo che tutti abbiano lo stesso livello di questo.
Qual è il livello per capita uguale per tutti che genera lo stesso livello di benessere? Ha formulato
una misura di disuguaglianza, un indice che rappresenta una classe nuova degli indici di
disuguaglianza, introduce un nuovo approccio  che si basa sul social welfare collettivo.
Con Gini la disuguaglianza si vede in modo statistico, come una differenza. Atkinson dice che non
c’è una misurazione statistica della disuguaglianza che ha senso; perciò, cambia approccio e parla
di misurazione di benessere sociale. Si deve prendere posizione su ciò che si ritiene essere
benessere sociale collettivo; quindi, bisogna fare delle assunzioni specifiche per calcolare questo
indice.

IA = 1 – (yEDE / y)

Un basso valore di yEDE rispetto al reddito medio, implica che se il reddito fosse ugualmente
distribuito, lo stesso livello di benessere sociale potrebbe essere raggiunto con un reddito molto
più basso. Quindi l’indice (IA) sarebbe alto.
 yEDE e la disuguaglianza misurata dall’indice dipendono dal grado di avversione alla
disuguaglianza nella funzione di benessere sociale.
Se non ci fosse avversione alla disuguaglianza allora non ci sarebbe interesse nella ridistribuzione
del reddito. In questo caso yEDE sarebbe uguale al reddito medio e l’indice uguale a zero. Il
benessere sociale collettivo non dipende dalla disuguaglianza quindi per Atkinson la disuguaglianza
è zero.

Livello di avversione alla disuguaglianza  ε


Se ε = 0 non c’è interesse sociale per la disuguaglianza, che quindi è uguale a zero (IA = 0, anche se
la distribuzione è oggettivamente diseguale).
Se ε = ∞ c’è un peso infinito per i membri più poveri della popolazione.

Indice di Theil (approccio information theoretic)


L’indice di Atkinson ha molti problemi e tutto parte dalla difficoltà di misurare la disuguaglianza.
Theil nel 1967 propone di utilizzare un concetto di fisica, il concetto di entropia. L’entropia è il
grado di disordine di un sistema, è possibile caratterizzarlo come la media ponderata di un evento
per la sua probabilità di realizzazione.
Si cerca di vedere se si può percorrere l’idea di una misura oggettiva. La disuguaglianza è vista
come disordine.
Viene reinterpretata la formula dell’entropia: gli N possibili eventi dell’entropia sono invece le
persone e la probabilità di realizzazione è il reddito della persona “i” nel reddito totale e eventi
con livello di reddito “i”. Si fa il prodotto della porzione di reddito che la persona ha del reddito
totale e del reddito stesso. Il risultato è la differenza tra l’entropia della distribuzione del reddito,
rispetto alla massima entropia possibile. In sostanza, è la distanza tra la massima disuguaglianza
possibile e la disuguaglianza effettiva.
La visione è opposta rispetto a quella di Atkinson.

 Non c’è accordo su quale dei tre approcci sia il migliore. Sicuramente Gini è il più usato, gli altri
due sono agli antipodi.
Anche Gini ha dei problemi:
 Non rispetta l’assioma della decomposability.
 Attribuisce un peso maggiore ai trasferimenti che riguardano i redditi medi: il trasferimento
di reddito da un ricco ad un meno ricco ha un effetto maggiore in Gini se due persone sono
vicine al centro piuttosto che agli estremi della distribuzione.
Atkinson e Theil invece rispettano tutti gli assiomi. In base ai criteri di misurazione che ho decido
se usare l’uno o l’altro indice.
Ci sono anche altri indicatori della disuguaglianza, come il coefficiente di variazione, la varianza
logaritmica; ma anche questi hanno i loro limiti.
In conclusione: Nessuna misura di disuguaglianza è puramente "statistica", ogni misura incorpora
giudizi sociali sulla disuguaglianza in diversi punti della distribuzione.

Quale disuguaglianza si analizza?


Ad oggi si cerca di andare oltre alla misurazione della disuguaglianza del reddito. Si cerca di
misurare una disuguaglianza multidimensionale  cerca di individuare le correlazioni tra le
disparità.
Un esempio è la disuguaglianza sociale, che mette in relazione le disparità tra reddito, salute,
educazione e l’accesso futuro a queste risorse. La disuguaglianza che importa non è tanto la
disuguaglianza di oggi ma quella attesa, quella che ci aspetta nel futuro. Quasi sempre le scelte
dipendono dalle aspettative sul futuro.
Il passaggio da unidimensionale a multidimensionale è basato sull’approccio di Amartya Sen, che
ha proposto la teoria delle “capabilities/functionings”: il benessere dipende dall’effettiva libertà
dell’individuo di raggiungerlo. Non è povero chi non ha reddito ma è povero chi non ha scelta,
scelta di raggiungere il proprio capitale individuale.
Differenze in età, sesso, disabilità… possono fornire alle persone diverse opportunità, anche se
hanno lo stesso reddito.

Dirk van de Gaer (1993) e John Roemer (1993, 1998) hanno suggerito una definizione basata sulla
distinzione tra circostanze e sforzi.
 Circostanze: moralmente irrilevanti, fattori predeterminanti sui quali la maggior parte degli
individui non ha controllo (nazionalità, sesso, luogo di nascita).
 Sforzi: ciò che ognuno si guadagna da sé, come il livello di istruzione.
L'uguaglianza di opportunità si ottiene quando i vantaggi sono distribuiti indipendentemente dalle
circostanze.

Nell’approccio standard alla misurazione dell’ineguaglianza non c’è distinzione tra disuguaglianza
giusta e ingiusta. Tutte le disuguaglianze sono considerate implicitamente ingiuste e ogni
movimento per raggiungere una distribuzione più egualitaria è considerato un miglioramento.
Tuttavia, bisogna fare una differenza tra la disuguaglianza accettabile (è giusto che chi lavora di più
guadagni di più) e non accettabile (non è giusto che ci siano differenza in base a sesso, nazionalità,
razza).
Almas et al. (2011) utilizzano un principio di equità sensibile alla responsabilità, che prende
posizione tra ciò per cui le persone sono ritenute responsabili e ciò per cui non lo sono. Ipotizzano
che le persone siano responsabili delle ore lavorate, degli anni di istruzione, del settore di impiego
privato o pubblico e del Paese di residenza; mentre non sono responsabili delle capacità innate e
del background familiare.
https://www.filosofico.net/amartyasen.htm

What Is Social Inequality and Why Does it Matter? – Chiara Binelli, Matthew Loveless, Stephen Whitefield

La disuguaglianza sociale è un concetto multidimensionale, che riguarda le disuguaglianze in diversi


contesti. Un prerequisito per il raggiungimento del benessere individuale è raggiungere risultati in più
dimensioni  il benessere dipende dalla possibilità di ogni individuo di raggiungere i propri obiettivi e il
proprio pieno potenziale (Amartya Sen).
Il benessere individuale e la libertà di raggiungere dipendono non solo da ciò che una persona ha già
raggiunto, ma anche da ciò che si aspetta di raggiungere in futuro.
Definiamo la disuguaglianza sociale come un indice basato sulle capacità che misurano le disparità
sia nei risultati effettivi che in quelli potenziali futuri. Non ci sono dei data set che contengono i
livelli individuali di aspettativa futura di reddito.
La disuguaglianza sociale è un indice che cattura le disparità odierne e future lungo tre dimensioni:
istruzione, sanità e reddito.
L’accesso alla sanità e all’istruzione riduce l’incertezza sul futuro.
MDII – Multi Dimensional social Inequality Index. È costruito per catturare di più la diseguaglianza
non legata al reddito, calcolando anche l’accesso percepito alla sanità e all’educazione. L’indice di
Gini non è correlato con l’HDI, mentre MDII lo è in maniera forte.
La disuguaglianza calcolata dal MDII e dall’indice di Gini riportano risultati doversi per i vari paesi.
Ad esempio, Russia e Lituania sono due paesi con il livello più alto di disuguaglianza nel reddito,
mentre hanno un livello medio di disuguaglianza sociale. Il risultato è contrario per Moldavia e
Romania.
Essere poveri economicamente o avere un reddito basso non è necessariamente un buon
indicatore della disuguaglianza. Solitamente più sviluppo umano è legato a minore disuguaglianza.

I paesi più ricchi con minore disoccupazione, migliori istituzioni politiche e più alto sviluppo
umano, tendono ad essere anche paesi con un basso livello di disuguaglianza multidimensionali.
L’analisi dimostra che i paesi dell’Europa centrale e dell’est che hanno una migliore educazione e
accesso alla salute, hanno un livello maggiore di sviluppo umano, migliori performances
economiche e istituzioni politiche più forti.
il benessere individuale non dipende solo da cosa una persona ha raggiunto attualmente, ma
anche da cosa una persona si aspetta di raggiungere in futuro.

Amartya Sen – Inequality Reexamined


Gli individui sono del tutto diversi gli uni dagli altri e il pur ambizioso progetto egualitario deve
muoversi “in presenza di una robusta dose di preesistente disuguaglianza da contrastare”. Sen è
convinto che la misurazione della disuguaglianza dipenda dalla variabile focale (felicità, reddito,
ricchezza, ecc) attraverso cui si fanno i confronti: la misurazione della disuguaglianza dipende cioè
dai parametri assunti per definirla. Poiché le persone non sono affatto identiche, ma anzi vige
un’assoluta “diversità umana”, l’eguaglianza in una sfera tende a coesistere con disuguaglianze in
altre sfere: così, ad esempio, redditi uguali possono coesistere con una forte disuguaglianza
nell’abilità di fare ciò che si ritiene importante (un sano e un malato, pur avendo lo stesso reddito,
non possono fare le stesse cose), ecc.
Per poter parlare di eguaglianza occorre preventivamente porsi il duplice quesito: why equality?
equality of what? Bisogna interrogarsi su quali siano gli aspetti della vita umana che debbono
essere resi eguali. La storia della filosofia ci offre una molteplicità di esempi diversi di soluzioni:
Rawls descrive l’eguaglianza come un paniere di beni primari di cui tutti gli individui dovrebbero
disporre; Dworkin come eguaglianza di risorse; gli utilitaristi come eguale considerazione delle
preferenze o delle utilità di tutti gli individui. Quale, tra queste, è la soluzione migliore? Sen collega
il valore eguaglianza al valore libertà: quest’ultima è da lui connessa ai concetti di “funzionamenti”
e “capacità”. Con l’espressione funzionamenti (functioning) Sen intende “stati di essere e di fare”
dotati di buone ragioni per essere scelti e tali da qualificare lo star bene. Esempi di funzionamenti
sono ad esempio l’essere adeguatamente nutriti, l’essere in buona salute, lo sfuggire alla morte
prematura, l’essere felici, l’avere rispetto di sé, ecc. Con l’espressione capacità (capabilities) Sen
intende invece la possibilità di acquisire funzionamenti di rilievo, ossia la libertà di scegliere fra una
serie di vite possibili: “nella misura in cui i funzionamenti costituiscono lo star bene, le capacità
rappresentano la libertà individuale di acquisire lo star bene”. Il reddito è un indicatore vado ed
impreciso, poiché una persona malata e bisognosa di cure è sicuramente in una condizione
peggiore di una persona sana avente il suo stesso reddito. La conclusione a cui Sen perviene
passando dalla critica delle altrui posizioni è che il grado di eguaglianza di una determinata società
storica dipende dal suo grado di idoneità a garantire a tutte le persone una serie di capabilities di
acquisire fondamentali funzionamenti, ossia un’adeguata qualità della vita o well-being generale.
Fedele a questa impostazione, Sen è giunto, nei suoi scritti successivi, a tratteggiare una teoria
dello sviluppo umano in termini di libertà  development as freedom.

TOPIC 4 – INEQUALITY AND DEVELOPMENT

Sia la disuguaglianza ha un impatto sullo sviluppo che lo sviluppo ha impatto sulla disuguaglianza.
La disuguaglianza è un aspetto dello sviluppo, ora stabiliamo il rapporto tra questi due elementi.

Il primo studio che ha cercato di mettere in relazione il livello di disuguaglianza economica e il


livello di sviluppo misurato come reddito per capita è Kuznets, 1955  mette in relazione un
piccolo numero di paesi, e formula l’ipotesi della “U rovesciata”. Kuznets misura la disuguaglianza
di reddito usando il rapporto tra il 20% più ricco e il 60% più povero della popolazione,
considerando un piccolo numero di paesi: India, Sri Lanka, Porto Rico, Stati Uniti e Regno Unito.
Nel 1963 estende il campione a 18 paesi. Il risultato principale è che il reddito per capita
inizialmente è associato alla disuguaglianza di reddito, poi questa disuguaglianza diminuisce
quando si diffondono i benefici dello sviluppo economico.
Per paesi che hanno livello di GDP per capita basso all’aumentare del reddito aumenta la
disuguaglianza, ma ad un certo punto la relazione fra i due diventa negativa, all’aumento del GDP
per capita diminuisce la disuguaglianza.
Kuznets utilizza un dataset Cross-Section, tutti i paesi sono considerati nello stesso periodo di
tempo, ma questi sono a diversi stadi dello sviluppo. La scelta del dataset Cross-Section è dovuta
al fatto che non è facile trovare dataset che seguono i paesi nel tempo e che registrano il GDP per
capita e la disuguaglianza economica.
Paukert, 1973  prende in analisi 56 paesi classificati in base al reddito pro capite nel 1965 e alla
disuguaglianza economica calcolata usando il coefficiente di Gini. Trova anche lui la stessa cosa,
supportando la teoria della “U rovesciata”.
Anche altri studiosi trovano la stessa cosa: Deininger e Squire, 1996 e Ahluwalia, 1976  usano
sempre un dataset Cross-Section che supporta la teoria di Kuznets.
Questa relazione però dovrebbe essere testata direttamente, paese per paese, non in forma Cross-
Section. Nello studio Cross-Section si assume che tutti i paesi abbaino la stessa relazione reddito-
disuguaglianza; Deininger e Squire dicono che se studiassimo le differenze di ogni paese l’ipotesi
della curva rovesciata non sarebbe supportata. La disuguaglianza ha un valore diverso in uno
stesso paese col tempo, non è detto che rimanga costante nel tempo.
Ci sono stati studi che hanno cercato di migliorare la situazione, spostandosi dai dati Cross-Section
ai dati Time Series, dati che seguono la situazione di uno stesso paese nel tempo (in questo caso
quella della disuguaglianza e del GDP pro capita). Se tengo conto del fatto che USA e Sri Lanka
sono paesi diversi strutturalmente, non solo a livello di GDP, a quel punto non c’è più relazione tra
disuguaglianza e sviluppo economico. Deininger e Squire guardando ad un paese solo nel tempo
hanno trovato che la relazione di Kuznets non c’è più, non c’è più relazione significativa tra questi
due elementi. La mancanza di relazione statisticamente significativa vuole dire che i dati non ci
aiutano ad individuare una relazione, perché non c’è relazione.

Perciò a livello teorico si deve cercare di stabilire un rapporto che spieghi come la disuguaglianza
di reddito impatta la crescita economica.
Ci sono due classi di teorie:
 Relazione positiva tra la disuguaglianza e la crescita attraverso il risparmio e gli incentivi ad
investire. Si basa sulla teoria di base che la disuguaglianza crea incentivi.
I. Il primo canale è quello del risparmio, l’idea è che ci sia una propensione al risparmio più
grande dei più ricchi rispetto ai più poveri. Se assumiamo che il tasso di crescita del GDP è
positivamente legato al tasso di risparmio, allora una società più diseguale crescerà di più.
Ci sono vari problemi in questa argomentazione: la prima assunzione che devo fare è che ci
sia una monotonicità nella relazione tra la propensione degli individui a risparmiare e il
livello di reddito. L’argomentazione per cui la disuguaglianza è positiva assume che ci sia un
aumento al risparmio con l’aumento del reddito; invece, sappiamo che non è così e che
non è vero che chi è molto ricco risparmia di più, ma chi ha molta disponibilità economica
vuole spendere. Quando abbiamo una disuguaglianza alta, la classe media potrebbe essere
l’unico segmento della società che risparmia. Questo perché i poveri hanno troppo poco e
non possono risparmiare e i ricchi hanno troppo e quindi spendono. La realtà è che più
disuguale è un pese e meno le persone risparmiano, perché a risparmiare è solo la classe
media.
II. L’altra idea è quella dell’investment indivisibilities. Se si vuole avviare un’impresa o
un’attività imprenditoriale ci sono costi iniziali fissi molto alti. L’idea si basa sul fatto che è
necessario avere una società con disuguaglianza di risorse per fare in modo che ci sia un
gruppo di persone che abbia le risorse necessarie per avviare un’attività. Galor e Tsiddon,
1997  dimostrano che la disuguaglianza nella ricchezza è necessaria per promuovere
innovazione tecnologica e avviare nuove attività industriali, permettendo quindi lo
sviluppo. Galor e Moav, 2000  dicono che nelle economie moderne che sono
contraddistinte dalla domanda di prodotti diversificati, abbiamo bisogno di occupazioni
diverse e skills specifiche. La disuguaglianza di reddito è fondamentale per evitare che
l’esperienza delle persone si incanali in un settore solo o in una occupazione sola.
III. L’ultimo concetto riguarda la meritocrazia e gli incentivi. Mirrlees, 1971  È necessaria la
disuguaglianza per incanalare le persone nel profilo personale e negli investimenti che più
preferiscono. È tutto basato sul fatto che ci sia un’economia in cui l’output prodotto
dipende dallo sforzo inosservabile di chi lavora. Se il salario offerto è costante, l’incentivo a
lavorare bene diminuisce; mentre dimensionale il salario in base all’output finale
aumenterà l’incentivo del lavoratore a massimizzare la produzione. Aghion, 1999 
L’incentivo economico funziona ma poi ci sono altre variabili, come il livello di incertezza e
di esposizione al rischio. Al lavoratore non interessa solo guadagnare di più ma anche avere
garanzie come maternità, malattia e questo ha effetti sulla produttività.

Questi teorici mettono in luce un trade off tra redistribuzione e crescita economica. Questo primo
gruppo di teorie è caratterizzato dalla trickle down economics: la crescita è comandata ed
influenzata da chi è più ricco. Nel 2023 questa trickle down eocnomics non esite, non c’è nessuna
evidenza empirica che questa cosa funzioni.
Idea alla base della trickle down economics  La disuguaglianza è un fattore trainante della
crescita, produce degli incentivi che poi produrranno ricchezza che sarà divisa tra tutti. Tuttavia,
non c’è mai stata evidenza della sua effettiva realizzazione, è solo stato un tramite per proporre
un’agenda liberista, ma non ci sono prove che funzioni veramente.

 Relazione negativa tra disuguaglianza e crescita tramite tre canali principali:


I. Instabilità politica e sociale. La polarizzazione del reddito aumenta la violenza e il
malcontento sociale, generando l’aumento di attività illegali e tensioni sociali che sfociano
in rivolte e colpi di stato. Diventa difficile anche incentivare riforme e programmi di
stabilizzazione economica che possano portare benefici ai vari gruppi di reddito e
aumentare la crescita. L’instabilità sociale disincentiva gli investimenti nel settore privato,
poiché è rischioso aprire una attività in certe circostanze e in questo modo si penalizza la
crescita economica. Di conseguenza, la situazione diventa quella di una diseguaglianza
persistente, i ricchi tendono a vivere in isole felici lontane dal resto della popolazione che
non ha voce e influenza nel processo di sviluppo  si cade nelle trappole della povertà.
Le disuguaglianze persistenti e l’esclusione sociale portano a un impatto negativo nel lungo
periodo della performance economica: sia il tasso di crescita che quello di capitale umano
cominceranno a risentirne e ad abbassarsi, rispetto alle economie più integrate ed
omogenee. Enfatizzando le differenze tra classi di poveri e scarsamente istruiti e ricchi e
molto istruiti.
II. Politica fiscale e tassazione. Quando c’è disuguaglianza alta si alza la domanda di
redistribuzione del reddito e la popolazione chiede una tassazione progressiva. Le alte
tasse imposte ai più ricchi però disincentivano gli investimenti e l’accumulo di capitale,
riducendo il tasso di crescita economica. La tassazione per i redditi alti è talmente alta che
chi ha redditi alti se ne va, chi ha incentivo ad investire cambia paese e quindi si riduce la
crescita economica. Quando la disuguaglianza è molto alta il sistema di ridistribuzione può
avere impatto negativo.
Benabou, 1996  sviluppa un modello teorico. In una società oligarchica dove solo i ricchi
possono votare non ci sarebbe richiesta di ridistribuzione, ma le disuguaglianze portano il
popolo a richiedere una tassazione progressiva. Assumendo che il diritto politico sia legato
all’istruzione, il teorico dice che le élite possono decidere di non finanziare l’educazione di
massa per prevenire il rischio di perdere potere attraverso la domanda di ridistribuzione
del reddito. Perciò le società ineguali tendono a mostrare minori tassi di capitale umano e
transizioni più lente dall’oligarchia alla democrazia rispetto alle economie più eguali.
III. Accumulazione di capitale in presenza di imperfezioni nel mercato del credito e mercati
finanziari inefficienti. In assenza di imperfezioni nel mercato dei capitali, tutti gli individui
investirebbero la stessa quantità di risorse, senza preoccuparsi dell’iniziale distribuzione di
capitale umano. Tuttavia, quando ci sono imperfezioni nel mercato del credito la capacità
di indebitarsi degli individui è condizionata sulla presenza di un reddito alto e la
disponibilità di collaterali. Quando una società è molto disuguale, la gran parte della
popolazione non ha accesso al credito perché non ha collaterali  Le banche negano i
prestiti quando mancano i “collaterals”, che sono garanzie tangibili a cui la banca attinge se
il progetto personale fallisce (ad esempio beni immobili che il richiedente decide di
ipotecare). Nei paesi a basso reddito le banche quasi mai concedono i prestiti, di
conseguenza si crea una situazione di blocco degli investimenti, mancano le risorse alla
popolazione per investire e finanziare le proprie idee. Solo pochi diventano imprenditori, la
maggior parte della popolazione non ha le possibilità di investire in attività produttive. C’è
una disparità nell’accesso alle risorse, rispetto alla quantità di risorse di partenza. La
disuguaglianza genera inefficienza, sono una minoranza può avere accesso al mercato
finanziario e a mutui o prestiti.
Perciò, molte persone non progrediscono e rimangono dei semplici lavoratori, quindi
l’offerta di lavoro è maggiore della domanda e quindi i lavoratori guadagnano sempre
meno perché i lavoratori sono tantissimi rispetto agli imprenditori, che invece si
arricchiscono sempre di più. La disuguaglianza si accentua sempre di più.
La disuguaglianza produce un equilibrio di mercato inefficiente, cioè diverso da quello
ottimo per l’economia e per le persone. Per arrivare all’efficienza economica la
distribuzione è necessaria, altrimenti si sviluppa l’inefficienza. Perché il mercato e
l’economia funzionino bene ho bisogno che ci sia una diversificazione di skills. Si deve fare
in modo di spostare la ricchezza dal ricco al povero, il sistema redistributivo deve essere
calcolato in base all’economia. Per aumentare l’efficienza del sistema devo fare in modo
che le persone investano sulle skills di cui il sistema ha bisogno e che lo rendono più
produttivo.
Se ho un paese a livelli preindustriali e c’è una concentrazione di land in mano a poche
persone è più semplice capire come intervenire, perché ci sono dei limiti nel sistema
stesso. In questo caso si deve procedere inizialmente con una riforma dei land.
Misurare l’impatto della disuguaglianza sulla crescita

A livello empirico la situazione è complicata. È difficile misurare empiricamente la relazione tra


disuguaglianza e crescita, principalmente per tre ragioni:

1) Problema di identificazione, difficoltà di isolare il problema. Molti dei fattori da cui


dipende la performance di crescita di un paese non sono necessariamente osservabili o
misurabili. Quindi, le misurazioni della disuguaglianza possono riflettere le differenze di
fattori non osservabili e non la connessione causale prevista dai modelli teorici.
La disuguaglianza di reddito è misurabile e cattura l’impatto di tanti fattori non osservabili
legati alla disuguaglianza.
2) Statisticamente è difficile isolare la disuguaglianza da altri fattori correlati, come ad
esempio la povertà. Indici come Gini misurano la distribuzione di reddito su tutta la
distribuzione; invece, la povertà è stabilita tramite l’imposizione di un valore soglia sotto il
quale si è considerati poveri, ma questa si verifica solo in una fetta della popolazione.
Dipende anche da come la povertà cambia tra i paesi.
3) Problema di dati, la maggior parte dei modelli teorici prende come riferimento la
distribuzione della ricchezza, identificando la disuguaglianza della ricchezza come la
determinante del tasso di crescita di lungo periodo, in quanto è la distribuzione dei beni
produttivi che determina gli investimenti nel capitale fisico e umano che influenza la
crescita. I modelli teorici, quindi, dicono che la crescita del lungo periodo dipende dalla
disuguaglianza nei capitali accumulati (banca, proprietà fisiche), questo perché quando mi
chiedono la garanzia per un mutuo è più una richiesta di “collaterals”, di cui la banca si può
appropriare fisicamente. La crescita di lungo periodo non dipende tanto dalla
disuguaglianza di reddito, ma dalla disuguaglianza di assets (beni, risorse), perché da ciò
dipende quanto gli individui possono investire.
Tuttavia, i dati sulla distribuzione della ricchezza non sono disponibili per un numero
rappresentativo di paesi e le ricerche hanno utilizzato le disparità di reddito come proxy
della disuguaglianza di ricchezza. Gli unici casi in cui ci si è avvicinati a studi che
considerano la disuguaglianza di assets sono quelli sui land.

Gli studi empirici:

Approccio Cross-Country Regressions


Si considera un periodo temporale in cui raccogliere i dati per un numero di paesi rappresentativi.
Viene calcolato il tasso medio del GDP per capita di tali paesi, poi si fa una regressione. Per un dato
insieme di paesi il tasso medio di crescita del GDP pro-capite viene regredito su una misura di
disuguaglianza all’inizio dell’intervallo temporale e su una serie di variabili esplicative.
 I primi studi trovano 99 volte su 100 una relazione negativa forte tra disuguaglianza e crescita.
Quanto negativa e grande è la relazione tra disuguaglianza e crescita dipende dalle variabili
aggiuntive che aggiungo oltre la disuguaglianza. Il risultato della regressione dipende da come la
scrivo. I risultati cambiano a seconda di quello che è incluso.
 Nel 1998 Deininger e Squire, tramite un dataset migliorato e che contiene informazioni più
precise sulla misurazione della disuguaglianza, trovano l’assenza di relazione significativa tra
disuguaglianza di reddito e crescita.

Approccio Panel-Data Regressions


Dato che il modello precedente non dimostra una relazione significativa, si passa quindi ad un
cambio di strategia. Panel-Data sono dati che seguono un gruppo di paesi nel tempo. Questi dati
sono molto rari, ma sono utili perché consentono di stimare la relazione in modo più preciso. Se
ho dati panel posso vedere che succede all’interno di un paese, posso vedere ad esempio il
rapporto fra Italia e disuguaglianza nel tempo. Si può misurare per esempio se un cambiamento
nella distribuzione delle risorse in un paese ha un impatto sulle sue prospettive di crescita di lungo
periodo. Se mi focalizzo su un paese solo capirò meglio per quali variabili raccogliere i dati e di
quali variabili tenere conto.
 In questo caso si trova o una non relazione o una relazione positiva tra disuguaglianza e
crescita.
 Dal 2000 si apre un dibattito e si cerca di fare il punto della situazione, dicendo che tutto
dipende dal modello statistico che utilizzo. In questo articolo di Banerjee e Duào si dimostra che
tutto dipende da come scelgo di inserire le variabili, dalla loro functional form. Inoltre, mostrano
che l'unica regolarità statisticamente robusta è la diminuzione dei tassi di crescita in risposta alle
variazioni della disuguaglianza di reddito, indipendentemente dalla direzione di tali variazioni.
La crescita diminuisce quando cambia la disuguaglianza.

I risultati contraddittori riguardo l’impatto della disuguaglianza sulla crescita non sono totalmente
inaspettati. Ci sono tre problemi metodologici principali che riguardano questi studi empirici.

1. Il problema principale è che riduciamo la complessità del modello teorico ad un modello molto
semplice. Se si pesa ad esempio al modello teorico di Solow, lui non dice solo che il tasso di
risparmio impatta la crescita, ma parla anche di come lo fa. Quando uso una strategia semplice
riduco l’impatto teorico e non riesco a parlare del meccanismo di transizione.
Abbiamo bisogno di dati sul livello iniziale di disuguaglianza di ricchezza o negli asset all’inizio
dei tempi. Non viene presentata alcuna prova a sostegno dell'ipotesi che la correlazione tra
reddito e disuguaglianza patrimoniale sia forte.
L'analisi dei dati panel considera i cambiamenti nella distribuzione su brevi intervalli di tempo,
che più probabilmente riflettono una redistribuzione del reddito piuttosto che dei beni.
Alcuni studi empirici testano il canale di trasmissione implicito nella teoria. Easterly (2002)
verifica la rilevanza di diversi meccanismi che giustificano una relazione positiva tra
l'uguaglianza nella distribuzione del reddito e la crescita. Rileva che la disuguaglianza ha un
impatto negativo significativo su tre importanti determinanti della performance economica di
successo: qualità delle istituzioni, investimenti nell'istruzione e il grado di apertura.

2. Il secondo problema che indebolisce i risultati empirici sulla relazione tra distribuzione del
reddito e crescita è la scarsa qualità dei dati sulla disuguaglianza.
Deininger e Squire (1996-1998) hanno sollevato per la prima volta questo problema,
sottolineando l'incoerenza delle prove esistenti e costruendo un nuovo set di dati sulla
disuguaglianza del reddito. Tuttavia, i dati di Deininger e Squire sono stati criticati a causa
dell'eterogeneità delle metodologie con le quali sono stati costruiti; inoltre, il set di dati è
molto sbilanciato e alcune delle regioni e dei paesi sembrano poco plausibili. Gli inconvenienti
hanno motivato J. K. Galbraith a costruire un nuovo set di dati che misura la disuguaglianza
con le differenze nei livelli di retribuzione nel settore manifatturiero. I dati sulle retribuzioni del
settore manifatturiero sono stati raccolti come routine ufficiale nella maggior parte dei paesi
del mondo fin dall'inizio degli anni Sessanta.
Sebbene la copertura e l'accuratezza siano notevolmente migliorate, il set di dati di Galbraith
ha i suoi limiti; il più grave riguarda i dati scelti per misurare la disuguaglianza. Le variazioni
delle buste paga del settore manifatturiero non possono essere utilizzate per misurare
l'impatto della distribuzione delle risorse sulla crescita, dal momento che non sono una proxy
affidabile della disuguaglianza di reddito o di benessere; al contrario, sono utili per valutare
l'impatto della distribuzione delle risorse sulla crescita.

3. La terza critica metodologica alla letteratura empirica cross-country si riferisce all'endogeneità


della disuguaglianza che è determinata congiuntamente alla crescita economica, in tal modo
non è possibile stabilire una relazione stabile tra le due.
La disuguaglianza di reddito è determinata congiuntamente alla crescita economica, non è
possibile stabilire una relazione stabile tra le due, ma c’è una relazione circolare. La
disuguaglianza è la variabile indipendente ed esplicativa e la crescita è l’effetto. È vero però
che anche la crescita ha un impatto sulla disuguaglianza. C’è relazione circolare e quindi c’è
endogeneità. La distribuzione del reddito si evolve in maniera endogena con il processo di
sviluppo e sembra essere difficile o quasi impossibile distinguere l’impatto dell’uno sull’altro.

 Perciò si devono sviluppare modelli strutturali per studiare la disuguaglianza e la crescita. È il


tentativo di costruire dei modelli che siano teorici ed empirici. Per testare la struttura del livello
teorico. Inoltre, si dovrebbero esaminare le tendenze di lungo periodo invece di quelle di breve
periodo.

Se pensiamo alla situazione degli ultimi anni siamo in una situazione di disuguaglianza persistente.
La disuguaglianza è constante o continua a crescere, non diminuisce mai. È innegabile come la
disuguaglianza sia freno alla crescita. Ciò che emerge è che le redistribuzioni sono fondamentali
per lo sviluppo, alcuni paesi sono in un blocco per cui la disuguaglianza è troppo alta e non
riescono a crescere.
Fattori che portano la disuguaglianza ad essere persistente: Le élite scrivono leggi per impedire la
redistribuzione, i ricchi godono di un rendimento più alto sulla ricchezza finanziaria perché hanno
informazioni migliori sui tassi di rendimento o hanno accesso fisico a tassi di rendimento migliori.
Mercati dei capitali imperfetti che impediscono le opportunità di investimento.

Canali di trasmissione = Meccanismi di transizione tra disuguaglianza e crescita.

TOPIC 5 – EDUCATION AND EARNINGS

Il capitale umano è cruciale e traina sia lo sviluppo che la crescita. Il capitale umano si riferisce sia
all’investimento nell’istruzione che nell’investimento in salute. HDI aggrega un valore economico e
uno legato al capitale umano.
Ci focalizzeremo sul livello di scolarizzazione, per capire anche come impatta indirettamente la
crescita. Partiremo da un modello teorico per capire i meccanismi per cui l’istruzione impatta sullo
sviluppo, passeremo poi all’analisi dei dati.
La relazione tra educazione e crescita ci fa capire come i fattori che influenzano la crescita non
sono solo economici. Un paese con un livello di educazione più alto è un paese che produce di più.

In generale il problema del ruolo dell’istruzione sulla produttività è un classico problema degli
economisti, riguarda come ottenere il più alto rendimento con un numero di risorse limitato. Il
problema si riduce a come utilizzare al meglio le risorse per incentivare gli investimenti produttivi,
aumentare cioè la produttività di chi investe.
Noi faremo questa analisi da un punto di vista microeconomico, analizzando l’impatto
dell’istruzione sul guadagno individuale. Ci concentreremo prevalentemente sul rendimento
privato dell’istruzione, cioè sul payoff individuale di avere un anno di scuola in più, piuttosto che
sul ritorno sociale. A questo proposito, il guadagno va ben oltre al beneficio individuale, ma si
verificano una serie di effetti a cascata (spillover effect) che migliorano anche la società e le
persone che ci stanno intorno. Inoltre, ignoreremo gli effetti dell’istruzione su risultati non
pecuniari (salute, soddisfazione di vita, tassi di gravidanza adolescenziale…).

Approccio teorico

È l’approccio migliore nelle scienze sociali, per analizzare i dati è necessario partire da un modello
teorico.
Ci sono due teorie principali economiche che individuano fattori per spiegare da cosa deriva il
guadagno individuale:
1. Human Capital model (Mincer 1957, 1958, 1962; Schultz 1960, 1961; Becker 1962, 1964)
Vede l’istruzione come un investimento che aumenta la produttività, si acquistano
particolari skills che danno accesso a lavori più retribuiti. Maggiore produttività, maggiore
guadagno.
2. Signalling model (Arrow 1973; Spencer 1973, 1974) livello di istruzione elevato è un
segnale di produttività, ma non necessariamente di migliore abilità. Non è detto che
un’elevata educazione porti veramente nuove abilità, ma può essere anche solo un titolo.

Questi due modelli sono difficili da distinguere a livello empirico. Bisogna capire come misurare
l’abilità conseguita negli studi. Comunque, il modello dominante rimane il primo.
Qual è il collegamento tra livello teorico ed empirico? Il punto è che da un modello teorico si
giunge ad un’equazione che poi posso testare empiricamente nei dati.

Human capital model è un modello teorico che ha due versioni.


 Compensting difference model, Mincer 1958  Teorizza che tutti gli individui siano a priori
identici, che i mercati dei crediti siano perfetti (solitamente non lo è mai), che non ci sia
incertezza. Ciò che cambia è che nel mercato del lavoro ci sono delle professioni che
differiscono per il livello di scolarizzazione richiesto. Si parte dall’ulteriore presupposto che non
ci sia un costo diretto della scolarizzazione e nessun costo o beneficio non monetario nella
scolarizzazione.
Visto che gli individui sono identici nelle loro aspirazioni, disponibilità economiche e obiettivi di
vita e visto che l’unica cosa che cambia è il livello di occupazione, che dipende dal livello di
istruzione assunta, la differenza è che c’è un guadagno più alto per un livello di istruzione più
alto. Il differenziale di compensazione è determinato equiparando il PDV netto dei flussi di
guadagno associato ai diversi livelli di scolarizzazione.
In equilibrio, il rendimento della scolarizzazione (aumento percentuale dei guadagni nell'arco
della vita per un anno in più di scolarizzazione) è uguale al tasso di interesse di mercato. Se è
maggiore di r (tasso di interesse), c'è un sotto investimento nell’istruzione.
PDV = il valore del flusso di rendimenti o redditi netti futuri.

 Accounting-identity model, Mincer 1974  L’ipotesi di partenza è che gli individui sono
eterogenei in partenza e che l’investimento formativo e post-scolastico implica dei costi
elevati. Non è solo il salario atteso il motivo per cui decido di accedere all’educazione. L’ipotesi
precedente che le persone siano identiche non è molto forte, ora si parte dall’assunto che le
persone siano diverse. In questo caso ci sono mille fattori in aggiunta alle differenze di
guadagno, il guadagno che mi da un anno in più di istruzione riflette il fatto che ho studiato di
più e che ho delle skills innate a priori, oltre a quelle che ho assunto all’università. I rendimenti
dell'istruzione rispecchiano l'eterogeneità delle capacità individuali e delle competenze innate
che determinano i guadagni potenziali.
Questo modello verte sul concetto dei potential learnings, dipende anche dalle skills individuali
e alla fine i guadagni riflettono la scolarizzazione e l’esperienza lavorativa post-scolastica.

I guadagni osservati sono pari ai guadagni potenziali meno i costi di investimento post-
scolastici. Mincer ipotizza un tasso di investimento post-scolastico linearmente decrescente.
Il logaritmo del guadagno osservato y, associato ad un livello di istruzione s e il livello di
esperienza lavorativa x dipende dall’istruzione, un coefficiente, il livello di esperienza
lavorativa al quadrato.
L’esperienza lavorativa x ha un impatto lineare positivo e poi negativo. L’esperienza lavorativa
ha un impatto sul guadagno molto più alto all’inizio, e poi piano piano cala e si stabilizza.
L’equazione di Mincer dimostra che: I guadagni logici sono lineari per gli anni di scolarizzazione
e quadratici per gli anni di esperienza lavorativa.
δ1 è il principale parametro di interesse. È il "tasso di rendimento della scolarizzazione" medio
ex-post: quanto aumentano i guadagni medi con la scolarizzazione.

Dall’equazione di Mincer ai dati: Le varabili osservate

Tre implicazioni principali dell'equazione di Mincer falliscono sul piano empirico:


1. I guadagni logici non sono lineari in base agli anni di scolarizzazione.
2. La crescita media dei guadagni con un anno di scolarizzazione in più non è la stessa per
tutti i livelli di istruzione. I rendimenti dell'istruzione primaria, secondaria e universitaria
sono diversi. Per il livello di istruzione c’è un rapporto lineare all’inizio, poi invece il
guadagno aggiuntivo associato a livelli di istruzione più alti è sempre minore. Il guadagno
fra chi ha una laurea e chi no è molo diverso, ma la differenza tra chi ha una triennale e una
magistrale il guadagno non cambia così tanto.
3. Molte altre variabili, oltre all'istruzione e all'esperienza nel mercato del lavoro, influenzano
i guadagni (tipo di titolo di studio conseguito, tipo di occupazione, età, genere...).
Chiamiamo tutti questi altri fattori osservabili G.

Risultati empirici

 Psacharopoulos (1994)  riassume i dati relativi ai tassi medi di rendimento dell'istruzione


nel mondo e rileva una relazione negativa tra i tassi di rendimento dell'istruzione e gli anni
medi di scolarizzazione. Il tasso di rendimento dell'istruzione istruzione è molto elevato
nell'Africa subsahariana, mentre è più basso nei paesi a più alto reddito dell'OCSE.

 Psacharopoulos e Patrinos (2004)  aggiornano i risultati e indicano un tasso di


rendimento medio per un anno di scuola in più del 10% e confermano la relazione inversa
tra gli anni di istruzione completati e il tasso di rendimento (anche se nel tempo i
rendimenti medi sono diminuiti con l'aumento dei livelli di scolarizzazione). Inoltre, le
donne hanno rendimenti più elevati dell'istruzione rispetto agli uomini (9,8% contro 8,7%),
in particolare per quanto riguarda l'istruzione secondaria (18% contro 14%), mentre i
rendimenti dell'istruzione primaria sono molto più alti per gli uomini (20%) che per le
donne (13%).

 Hanushek et Al. (2017)  propone di misurare gli anni di istruzione con un indicatore che
cattura quanto le persone hanno imparato a scuola. Trova che in questo caso i rendimenti
dell’istruzione sono più grandi nelle economie che crescono di più, queste skills sono
importanti per la crescita economica. Gli anni di scuola completata sono poco confrontabili
tra paesi, ad esempio Uganda e stati uniti. In paesi diversi un anno di scuola non produce
necessariamente le stesse competenze individuali.

Se il tasso di rendimento della scolarizzazione è così alto, perché le persone non acquisiscono
maggiore istruzione?
 Vincoli di liquidità: i bambini poveri non possono chiedere un prestito per ottenere una
maggiore scolarizzazione, perché il capitale umano non può essere utilizzato come collaterale.
Alcune famiglie vorrebbero investire nell’istituzione ma non hanno la possibilità economica e
non ci sono prestiti bancari per studiare o non hanno collaterals.
 Asimmetrie informative: è possibile che e persone non sappiano quanto sia grande il
rendimento dell’istruzione. Le persone non sanno quanto è vantaggioso studiare. L’approccio è
molto empirico, si è chiesto alle persone tramite dei questionari quanto sono per loro i ritorni
della scolarizzazione e si è vesto che in vari paesi non è chiaro quale sia in ritorno
dell’educazione sotto l’aspetto economico.
 Premio per il rischio: si può non essere sicuri di ottenere effettivamente un alto rendimento
dall’iscrizione all’istruzione. Le persone associano molta incertezza al beneficio monetario
associato ad un certo modello educativo. Non so quanto guadagnerò, quindi non so quanto
impiegherò a finire l’università e come sarà il mondo del lavoro in quel momento.
 Eterogeneità nel tasso di rendimento : i valori medi calcolati dagli studiosi sono valori medi che
danno un’informazione di andamento ma non sono così rilevanti per una singola persona.
Quello che uno farà effettivamente dipenderà da molte variabili individuali che difficilmente
possono essere calcolate. La media non ha importanza per l’individuo singolo e quindi degli
studi hanno iniziato a calcolare l’eterogeneità.
 Le stime OLS sono distorte : comunque rimangono non osservabili e rilevanti i fattori che
trainano i guadagni. Non possiamo misurare le variabili individuali in modo accurato e non
abbiamo un metodo per misurarli. Ad esempio, non si può calcolare la motivazione, anche il
voto di maturità del singolo è cruciale (è misurabile ma non è oggettivo, dipende dalla zona
geografica, dalla difficoltà di ogni singolo liceo…).
Si avvalora l’ipotesi che le persone non sappiano qual è il vantaggio di chi studia, non lo sanno
nemmeno bene gli studiosi stessi a causa di queste variabili non misurabili.

Dall’equazione di Mincer ai dati, ci sono molte caratteristiche non osservabili:


Ci sono molte caratteristiche individuali che determinano il guadagno che sono intrinsecamente
inosservabili perché sono difficili da misurare. Queste sono ad esempio la motivazione personale,
come il singolo interagisce con i colleghi e l’abilità con la quale uno svolge il proprio lavoro.
Diversi tipi di caratteristiche individuali non osservabili:
 Abilità nascoste: le persone istruite guadagnano di più non solo perché sono andati a
scuola, ma perché sono in primo luogo più intelligenti.
 La qualità della scuola frequentata : le persone che sono andate in scuole migliori
guadagnano di più perché sono andate nel giusto tipo di scuola e non in una scuola
qualsiasi.
 Costi-opportunità della scolarizzazione : alti e non visibili costi risultano in bassi livelli di
istruzione e ciò abbassa il guadagno.
 Prendere decisioni in modo incerto o sequenziale : le scelte di scolarizzazione sono prese in
condizioni incerte e in modo sequenziale; quindi, l’arrivo di nuove informazioni inaspettate
e il cambiamento nelle variabili può influenzare il processo decisionale.

Modello Human Capital


L’istruzione è un segno di produttività, si ritorna all’idea che una forza lavoro istruita produce di
più e quindi guadagna anche di più. L’idea è l’incentivo all’istruzione perché questa aumenta la
crescita economica e lo sviluppo: teoria di Mincer. C’è una relazione diretta tra scolarizzazione,
produttività e guadagno.
Scolarizzazione  Produttività  Guadagno

Modello Signalling o modello segnale


Un approccio completamente diverso dell’impatto dell’istruzione sulla crescita è il modello
Signalling. L’assunzione è che il livello di istruzione di per sé non aumenti la produttività, ma si può
notare una relazione positiva tra scolarizzazione e guadagno se il datore di lavoro vede l’istruzione
come un segnale di produttività. L’istruzione lancia un segnale al datore di lavoro di produttività.
Noi potremmo anche non imparare nulla a SLEG, ma le proposte di lavoro potrebbero essere più
allettanti. Si osserva relazione tra produttività e guadagno, ma non c’è necessariamente un
impatto diretto della scolarità.
(Scolarizzazione ) Produttività  Guadagno

Come in tutti i modelli teorici, anche nel modello segnale ci sono degli aspetti cruciali. I datori di
lavoro e chi cerca lavoro sono in equilibrio.

Assunzioni chiave:
 I datori di lavoro non osservano la produttività dei lavoratori ma usano il livello di
istruzione come segnale di produttività. Ad esempio, durante il colloquio di lavoro non si
capisce la produttività, ma i requisiti che ognuno ha.
 Coloro che cercano lavoro conoscono la loro vera produttività.
 L’equilibrio del modello dipende da quanto costa l’accesso all’istruzione. I costi di
istruzione non sono uguali per tutti (costo tasse, casa e costo-opportunità di ciò che ho
perso studiando). Il costo di istruzione è più basso per gli individui più produttivi, più bravi.
Questo perché sono più portati per lo studio e impiegano meno tempo e meno fatica per
portarlo a termine.

Ci sono due diversi punti di equilibrio del modello:


1. Equilibrio condiviso: ogni lavoratore ha lo stesso livello di istruzione e guadagna allo stesso
modo.
2. Equilibrio separato: i lavoratori più produttivi hanno un livello più alto di istruzione e
guadagnano stipendi più alti rispetto ai lavoratori meno abili.

Il lavoratore nel modello Signalling: L’utilità dei lavoratori dipende da quello che guadagnano,
dall’educazione e dalle abilità personali.
Il livello di benessere dipende da quanto guadagnerò meno i costi sostenuti, che corrispondono
all’istruzione e alla mia abilità.
La produttività di una persona dipende per la maggior parte da variabili non osservabili e in
minima parte da ciò che ha imparato all’università, ma il datore di lavoro valuta quest’ultima.
Il costo di studiare aumenta in maniera proporzionale rispetto al grado di educazione ricevuta, ma
aumenta meno per chi è più abile, chi è più intelligente e motivato è meno costoso studiare.

Il datore di lavoro nel modello Signalling: Il potenziale datore di lavoro decide chi assume
massimizzando la produttività dell’impresa. Assumo i lavoratori che mi fanno produrre di più. La
produttività dell’impresa dipende da chi assumo, cosa caratterizza chi assumo? Il livello di
istruzione che osservo e la loro abilità vera che non osservo. L’equilibrio del modello è il salario,
che è il momento in cui domanda e offerta si incontrano, è il momento in cui il lavoratore è
assunto.
In questo modello economico all’aumentare dell’abilità aumenta l’output prodotto, allo stesso
modo l’impatto marginale dell’istruzione è positiva sulla produttività. Dal punto di vista
dell’impresa fino ad un certo punto all’aumento dell’istruzione si ha un impatto diretto sulla
produttività, ma poi questo diminuisce. Nella realtà c’è un investimento molto produttivo
nell’istruzione fino ad un certo punto, ma poi non è così vero e la relazione diventa più piatta.

L’equilibrio nel modello Signalling: ipotizziamo che il profilo di guadagni dipenda solo
dall’istruzione, perché è l’unica cosa che l’impresa può osservare; quindi, il livello educativo
ottimale si sceglie massimizzando i guadagni attesi meno i costi dello studio, che dipendono
dall’istruzione e dall’abilità. Ogni lavoratore sceglie quanto studiare data la sua abilità.
Le imprese, quindi, decidono il salario offerto considerando il livello educativo scelto, perché
l’abilità non è osservabile.
Il modello signalling dimostra che i lavoratori investono in istruzione più del livello ottimale. In
equilibrio c’è un overinvestment in education. “Visto che non sapranno mai quali abilità ho, devo
investire molto in istruzione per dare il segnale della mia bravura. Questo è l’unico modo per
ottenere guadagni alti”.

Predizioni empiriche dei due modelli Human Capital e Signalling e differenze tra i due modelli:
1. Le persone più istruite sono più produttive  È un’implicazione di entrambi i modelli di
Human Capital e Signalling, ma non mi aiuta a distinguere i due modelli.
2. Le persone con più istruzione hanno guadagni più alti  È un’implicazione di entrambi i
modelli.
3. Le persone hanno più tendenza ad andare a scuola quando sono giovani e prima di entrare
nel mondo del lavoro, idea sequenziale  In media è vero, però non ci aiuta a distinguere i
due modelli, è un’implicazione di entrambi i modelli.
4. Il tasso di ritorno della scolarizzazione dovrebbe essere uguale circa al tasso di interesse del
mercato  È l’unica implicazione che distingue i due modelli. In equilibrio nel modello di
Mincer si può dimostrare che il tasso di ritorno dell’istruzione dovrebbe circa essere uguale
al tasso di interesse del mercato. È un’implicazione testabile.

I due modelli a priori non sono contrapposti l’uno all’altro ma sono due teorie che cercano di
capire il collegamento tra istruzione e guadagno. Nel primo modello il guadagno è un effetto
diretto dell’istruzione, nel secondo è un effetto segnale. È evidente che i due meccanismi sono
concomitanti, entrambi i fattori sono rilevanti nella realtà. Però è importante cercare di testare
una teoria vs l’altra per capire come posso promuovere al meglio l’investimento nell’istruzione per
renderlo efficacie.
Due tentativi empirici per testare il signalling model, che hanno cercato di individuare delle
implicazioni dirette:
1. Quanto un segnale che non impatta sul livello di istruzione aumenta i salari. L’istruzione di
per sé aumenta l’effetto segnale, l’idea è quella di testare il contrario. Si può trovare
evidenza di altre cose che il lavoratore può fare per dimostrare la sua abilità oltre al livello
di istruzione? Se sì allora il modello di signalling non ha un grande riscontro empirico.

Alla fine, prevale lo Human Capital, quindi quello che ho appreso, rispetto al modello segnale.

Returns to investment in education: a further update - George Psacharopoulos & Harry Anthony
Patrinos
I ritorni private della scolarizzazione sono maggiori dei ritorni sociali. Complessivamente il tasso
medio di rendimento di un altro anno di scuola è del 10%. I rendimenti medi della scolarizzazione
sono più alti nell’America Latina, nei Caraibi e nell’Africa Sub-Sahariana; mentre i rendimenti sono
più bassi nei paesi ad alto reddito dell’OSCE.
Complessivamente le donne ricevono rendimenti più elvati dai loro investimenti scolatici, ma i
redìndimenti dell’istruzione primaria sono molto più alti per gli uomini (20%) che per le donne
(13%); tuttavia, le donne ottengono rendimenti più elevati per l’istruzione secondaria (18% vs
14%).

Mentre nel caso micro, come ampiamente dimostrato in precedenza, è stato stabilito al di là di
ogni ragionevole dubbio che esistono rendimenti tangibili e misurabili per l'investimento
nell'istruzione, tale evidenza non è altrettanto coerente e disponibile nella letteratura macro. Sono
necessarie ulteriori ricerche sui benefici sociali della scolarizzazione. Per i Paesi in via di sviluppo,
sono necessarie maggiori evidenze sull'impatto dell'istruzione sui guadagni, utilizzando un disegno
quasi sperimentale. Oggi ci sono più opportunità per questo tipo di ricerca. Inoltre, questa ricerca
deve essere utilizzata per promuovere maggiori investimenti e riformare i meccanismi di
finanziamento.

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