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INTRODUZIONE ................................................................................................................................................ 4

Gesù nel Corano ............................................................................................................................................... 6

I. Etimologia e appellativi ........................................................................................................................ 6

II. Maria nel Corano .................................................................................................................................. 8

III. La nascita di Gesù ........................................................................................................................... 10

IV. Opere di Gesù ................................................................................................................................. 11

V. Morte di Gesù ..................................................................................................................................... 12

VI. Gesù e il futuro ............................................................................................................................... 18

Gesù negli ḥadīth............................................................................................................................................ 20

VII. Definizione di ḥadīth....................................................................................................................... 20

VIII. Gesù e Muḥammad ........................................................................................................................ 22

IX. Gesù nell’escatologia musulmana .................................................................................................. 23

X. Gli altri racconti di Gesù ..................................................................................................................... 28

i. Il vangelo musulmano..................................................................................................................... 28

ii. Gesù e l’Ora .................................................................................................................................... 30

iii. Insegnamenti di Gesù ..................................................................................................................... 32

XI. Ascesi di Gesù ................................................................................................................................. 36

Gesù nel Sufismo di al-Ġazālī.......................................................................................................................... 39

XII. Definizione di Sufismo .................................................................................................................... 39

XIII. Vita di Al-Ġazālī............................................................................................................................... 41

XIV. L’Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn (Il ravvivamento delle scienze religiose) .......................................................... 44

XV. Gli epiteti di Gesù ........................................................................................................................... 45

XVI. Gesù profeta della purezza ............................................................................................................. 46

XVII. I miracoli di Gesù ............................................................................................................................ 47

XVIII. Gesù: il perfetto sufi ................................................................................................................... 50

iv. Condanna dell’ipocrisia .................................................................................................................. 50

v. Rinuncia al mondo .......................................................................................................................... 52

2
vi. Condanna della ricchezza ............................................................................................................... 57

vii. Elogio della pazienza................................................................................................................... 59

XIX. Il ricordo della morte ...................................................................................................................... 59

CONCLUSIONE ................................................................................................................................................ 62

BIBLIOGRAFIA ................................................................................................................................................. 64

SITOGRAFIA .................................................................................................................................................... 65

3
INTRODUZIONE

La figura di Gesù, inviato e profeta di Dio per i musulmani, figlio di Dio e Salvatore per i cristiani,
costituisce il punto di incontro e scontro nel dialogo islamo-cristiano. Pur rifiutando la divinità di
Gesù, l’Islām nutre per la sua figura e per quella di sua madre Maria un grande rispetto; nel Corano,
infatti, entrambi occupano un posto di rilievo. Le caratteristiche del Gesù coranico sono riprese e
ampliate dalla successiva tradizione islamica, che lo considera un esempio di forza morale. La sua
figura assume un ruolo fondamentale soprattutto nel sufismo, in particolar modo nelle opere di Abū
Ḥāmid Muḥammad al-Ġazālī, in cui ricopre il ruolo di profeta del cuore per eccellenza.
Il mio lavoro, partendo dall'analisi della figura di Cristo all’interno del Corano e degli hadīth, si
concentra sulla descrizione di Gesù all’interno dell’Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn (Il ravvivamento delle
scienze religiose), l’opera maggiore di al-Ġazālī.
Nel primo capitolo ho cercato di fornire un quadro minuzioso di Gesù nel Corano, attraverso
l’analisi e lo studio dei versetti che fanno riferimento al Cristo. Ho spiegato l'origine e il significato
degli appellativi e degli epiteti a lui assegnati (profeta, messaggero, servo di Dio), ho sottolineato
l’importanza di Maria nel Corano e descritto le tappe fondamentali della vita di Gesù, quali la
nascita, le opere, il futuro ritorno sulla terra. Per quel che riguarda la “non crocifissione” di Gesù
nel Corano, ho analizzato i versetti che narrano di una possibile sostituzione di Gesù sulla croce,
fornendo ipotesi sulle potenziali fonti apocrife e gnostiche che hanno potuto influenzare tale idea.
La prima parte del secondo capitolo ha invece come fulcro ḥadīth considerati ṣaḥiḥ, ossia “sicuri”;
di questi ho tradotto e analizzato in particolare i escatologici che trattano approfonditamente della
futura venuta di Cristo sulla terra, quelli concernenti i segni che si manifesteranno il Giorno del
Giudizio (Yaum al-Qiyama), la lotta del Mahdī con il Dağğāl, l’apparizione dei popoli di Gog e
Magog e la loro successiva sconfitta da parte di Gesù.
Nella seconda parte del secondo capitolo ho analizzato gli altri detti di Gesù, testi cioè che non
appartengono né al Corano né alla Sunna (intesa come insieme di hadīth che godono di riconosciuta
autorevolezza) ma che sono comunque diffusi ed utilizzati nella letteratura religiosa per
l'edificazione morale dei credenti. Ho cercato quindi di delineare un altro volto di Gesù: quello che
lo presenta come forza morale viva, dispensatore di insegnamenti ed asceta. Attraverso l’analisi di
questi detti e storie a lui attribuite, basandomi sui testi a cura di Sabino Chialà, “I detti islamici di
Gesù”, e di Tarif Khalidi, “Un musulmano di nome Gesù”, è stato possibile effettuare un
confronto, quando possibile, con i testi evangelici da cui potrebbero essere stati influenzati.

4
Nel terzo capitolo ho cercato di tracciare le caratteristiche di Gesù all’interno della più grande opera
del grande maestro sufi al-Ġazālī, autorità indiscussa dell’ortodossia teologica e della mistica
islamica: l'Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn (Il ravvivamento delle scienze religiose). Dopo aver definito il
sufismo ed aver analizzato la biografia e il pensiero di al-Ġazālī, ho rintracciato quindi all'interno
della sua opera i diversi detti attribuiti a Gesù, traducendoli e delucidando il contesto nel quale
erano inseriti, al fine di comprendere il ruolo che questi riveste all'interno del percorso spirituale
delineato da al-Ġazālī.

5
CAPITOLO I

Gesù nel Corano

I. Etimologia e appellativi

Secondo il Corano, l’ autentico nome di Gesù è ‘Īsā; essendo un nome proprio senza significato o
valenza particolare, viene utilizzato per identificare Gesù come essere umano, messaggero e
profeta, non come figlio di Dio.
Molti studiosi occidentali pensano che il nome Gesù derivi da Yasūʿ, cambiamento fonetico del
siriaco Yeshūʿ; Marie-Thérèse Urvoy, nel dizionario del Corano, asserisce tuttavia che “in nessun
caso sono stabilite l’ origine di ‘Īsā e la sua trasmissione, è verosimile che si sia passati da Yasū‘ a
‘Īsā per il mimetismo con il modo sonoro rappresentato dalla fonetica di Mūsā (Mosè). I
commentatori precisano ancora che la radice «‘ys» significa “essere fulvo, dai capelli rossi”, così
nella Tradizione Gesù è presentato come rosso di capelli” 1. Infine, alcuni contemporanei, hanno
voluto vedere nel termine riferimenti a iscrizione sabee preislamiche 2.
La forma cristianizzata del nome Gesù deriva dal greco Ιησοΰς (Iesous ), di derivazione evangelica
e traduzione dell’ebraico Yeshūa’; termine che significa “la cui salvezza è Dio”.
Gli arabi musulmani si riferiscono a Gesù con il nome ‘Īsā, mentre i cristiani arabi utilizzano il
termine Yasūʿ, impiegato nelle traduzioni arabe del Vangelo.
Nonostante le diverse ipotesi etimologiche, la derivazione del termine ‘Īsā pone molte difficoltà
nell’identificarne l’origine.
Leggendo il Corano si comprende quanto la figura di Gesù sia eminente, infatti il suo nome ricorre
in quindici sure e in almeno novantatré versi 3. All’interno del Corano, la figura di Gesù è
accompagnata da molteplici epiteti, che ne mettono in luce differenti aspetti.
Il Corano assegna a Gesù, più che ad ogni altra figura del passato, un grande numero di titoli
onorifici. Egli è “Segno”, “Misericordioso”, “Testimone” ed “Esempio”. Viene chiamato con il suo

1
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Gesù, in Dizionario del Corano, Mondadori, Milano 2007, pp. 340-341.
2
Georges-C. Anawati, EI2, s.v. ‘Isā.
L’abbreviazione EI2 indica la Encycloepedia of Islām, nuova edizione, a cura di H.A.R. Gibb et al., Brill, versione
online:http://referenceworks.brillonline.com/search?s.q=&s.f.s2_parent=s.f.book.encyclopaedia-of-islam-2&search-
go=Search
3
Ibid.
6
nome proprio, Gesù, attraverso il titolo di Messia (Cristo) e Figlio di Maria, e con il nome di
Messaggero, Profeta, Servo, Parola e Spirito di Dio. 4
Nel Corano Gesù è chiamato an-Nabī, profeta, poiché ha ricevuto il Libro da Dio:
Io sono il servo di Dio che mi ha dato il Libro e mi ha reso profeta 5.
Il richiamo a Gesù come an-Nabī, lo rende alla stregua di qualunque profeta, com’è evidenziato in
Corano 2:28: «L’inviato di Dio crede in ciò che gli è stato rivelato dal suo Signore e così tutti i
credenti, ognuno crede in Dio, nei Suoi angeli, nei Suoi libri e nei Suoi inviati, “tra i Suoi
messaggeri non facciamo alcuna differenza, abbiamo udito e ubbidito, perdonaci, Signore nostro,
tutti faremo ritorno a Te”, così essi dicono»; i musulmani, infatti, stimano tutti i profeti in egual
misura.
Gesù è detto dieci volte Rasūl, Messaggero, inviato da Dio ai figli di Israele per confermare la
Torah: «Sono venuto a confermare quella Torah che venne rivelata prima di me, e per dichiararvi
lecite alcune cose che vi erano state proibite, e vi ho portato un segno da parte di Dio, dunque
temete Dio e ubbiditemi6».
Il Gesù del Corano è quattro volte servo di Dio, ‘Abd Allāh: «Il Cristo non ha disprezzato di essere
un servo di Dio, e neppure gli angeli cherubini, quelli che disprezzano di essere suoi servi, pieni di
superbia, Egli li radunerà a Sé, tutti insieme» 7; il significato teologico di ‘Abd Allāh rimanda al
concetto di creatura poiché l’uomo non è un semplice servo di Dio, bensì un suo possesso, in quanto
creatura prescelta.
Parola di verità, Qawl al-ḥaqq, è un altro appellativo di Gesù presente una sola volta in Corano
19:32: «Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità di cui essi dubitano»; l’espressione Qawl
al-ḥaqq, è fondamentale per comprendere la natura di Gesù nella visione islamica poiché riprende
l’immagine presente nel racconto del suo concepimento, dato che Gesù fu generato da Maria come
una parola (kalima) depositata in lei da Dio: «Gente del libro, non esagerate nella vostra religione,
non dite di Dio altro che verità, il Cristo Gesù figlio di Maria è un inviato di Dio, la Sua parola
Che Egli gettò in Maria, uno Spirito che viene da lui» 8
Undici volte nel Corano 9 Gesù è chiamato al–Masīḥ, Messia; la connotazione del termine non
corrisponde alla concezione cristiana del Messia che lo identifica come rivelazione e salvezza finale
poiché nell’Islam l’unica rivelazione è il Corano e la salvezza finale è ottenibile soltanto obbedendo

4
Cfr. Geoffrey Parrinder , Jesus in the Qur’ān, One World Publications, Oxford 1996, p.16.
5
Corano 19:30. Questa e le successive citazioni coraniche sono tratte dalla traduzione del Corano di Ida Zilio-Grandi, Il
Corano, Mondadori, Milano 2010.
6
Corano 3:50.
7
Corano 4:172.
8
Corano 19:47.
9
Corano 3: 40-45; 4: 156-157; 4: 169-171; 4: 170-172; 5: 17-19 due volte; 5: 75- 79; 19: 30; 9: 3.
7
alla Parola divina. Nel dizionario del Corano è presente l’idea che il termine Masīḥ, dalla radice del
verbo masaḥa 10 (ungere, toccare con mano), sia riferito allo status di Gesù come unto per mezzo di
benedizioni ed onori, colui che ha contribuito a curare i malati toccandoli con mano 11.
Il riferimento più comune, ventitré volte nel Corano, con il quale il Libro Sacro dell’Islam si
riferisce a Gesù, è Ibn Maryam (figlio di Maria), epiteto che, da un lato, mostra il ruolo privilegiato
che assume la Vergine nel libro sacro dell'Islam e, dall'altro, sancisce una spaccatura con il pensiero
Cristiano; infatti Gesù risulta essere il figlio di Maria e non di Dio.

II. Maria nel Corano

Maria compare nel Corano innanzitutto come madre di Gesù, così come Gesù è menzionato con il
ricorso a Ibn Maryam. Essendo la madre ed il figlio intrinsecamente legati, è necessario, prima di
analizzare la figura del Gesù musulmano, effettuare delle osservazioni sulla figura della Vergine,
cruciale nell’Islam 12.
Maria è l’unica donna menzionata per nome nel Corano, le altre sono citate senza nome. La sua
vicenda viene narrata costantemente, dai primi capitoli, rivelati alla Mecca, fino agli ultimi, rivelati
a Medina. I principali versetti coranici relativi a Maria e Gesù si trovano nella terza sura, “La
famiglia di ‘Imrān 13” ma, su un bilancio totale di centoquarantaquattro sure, quelle a lei dedicate in
maniera più o meno diretta sono tredici; risulta quindi evidente che nessun’altra donna condivide
una posizione così straordinaria nel libro sacro dell’Islam. Nel Corano Maria viene chiamata
Sayyidah, nome che significa “Signora, Padrona”; per due volte nel Corano viene utilizzato l’epiteto
di Siddiqah, tradotto “colei che ha fede” o “colei che crede completamente, sinceramente”.

10
Il termine è un prestito linguistico dall’aramaico, C.E. Bosworth e A.J. Wensink, EI2, s.v. al-Masīḥ.
11
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Gesù, in Dizionario del Corano, p. 340.
12
Al tempo di Muhammad, il culto di Maria era presente ed è possibile che egli, nel corso delle sue peregrinazioni,
avesse visto statue o dipinti raffiguranti la Vergine con il bambino. Nel 630, quando il profeta entrò alla Mecca
conquistandola, impose la religione monoteista e consacrò la Mecca come città sacra dell’ Islam, espiò la Ka‘ba dalle
influenze delle tribù meccane distruggendo più di 300 idoli ma, secondo alcune tradizioni, salvò soltanto un’icona di
Maria.
13
Il nome ‘Imrān, in qualche modo eponimo delle figure di Maria (Maryam), Gesu` (‘Īsā), Zaccaria (Zakariyya) e
Giovanni Battista (Yaḥyā) ispirate ai Vangeli, compare nel Corano solo indirettamente. La madre di Maria vi e`
indicata come ‘‘moglie di ‘Imrān’’; quest’ultimo corrisponde dunque al padre di Maria, il Gioacchino della tradizione
cristiana (3,35; 46,12). Per questo la terza sura del Corano, che tratta delle storie di Maria, Zaccaria e Gesu` (3,35-59),
ha per titolo ‘‘La famiglia di ‘Imrān’’ (Āl-‘Imrān), sebbene i legami familiari non siano esplicitati. Cfr. Pierre Lory, s.v.
‘Imrān e la sua famiglia, in Dizionario del Corano, p.398.
8
Le fonti su Maria e sul Cristianesimo in generale, racchiuse nel Corano, sono quelle dei quattro
vangeli canonici e quelle dei vangeli apocrifi; tra questi, lo Pseudo-Matteo, il Protovangelo di
Giacomo ed il Vangelo di Tommaso.
Quando la madre di Maria, Anna (Ḥannah) figlia di ‘Imran, era incinta di lei, fece voto che avrebbe
dedicato al Tempio il frutto del suo ventre: «Ricorda quando la moglie di ‘Imran disse: “Signore
mio, io voto a Te il frutto del mio ventre, senza vincolo, accetta da me questo dono, Tu sei Colui che
ascolta e conosce”. Quando partorì disse: “Signore mio, ecco, ho partorito una femmina”. Dio
sapeva meglio di chiunque chi aveva partorito. “Il maschio non è come una femmina, l’ho
chiamata Maria e la metto sotto la Tua protezione, e anche la sua discendenza, contro Satana
lapidato 14» la madre di Maria credeva di essere incinta di un maschio, ma quando ella partorì si
rese conto di aver partorito una femmina, decise di portarla al Tempio affidandola ai sacerdoti, tra i
quali c’era Zaccaria che diventò il suo tutore : «E Zaccaria la prese sotto la sua tutela, e ogni volta
che Zaccaria entrava da lei nel santuario vi trovava del cibo e le diceva: “O Maria, dove ti viene
questo? Ed essa rispondeva: ‘‘Mi viene da Dio, perché Dio dà la Sua provvidenza a chi vuole,
senza conto 15». Nei versetti coranici 16-17 della diciannovesima Sura vi è inoltre la narrazione del
ritiro al Tempio di Maria: «E nel Libro ricorda Maria, quando s’appartò dalla sua gente lungi in
un luogo d’Oriente - ed essa prese, a proteggersi da loro, un velo. E Noi le inviammo il Nostro
Spirito che apparve a lei sotto forma d’uomo perfetto»; il ritiro nel Tempio di Maria, indicato come
“Luogo d’oriente”, durerà fino al momento dell’Annunciazione, il momento in cui lo Spirito le
disse di essere il messaggero del Signore, incaricato di concederle progenie senza l’intervento di un
uomo: «E quando gli angeli dissero a Maria: “O Maria, Iddio t’annunzia la buona novella d’una
Parola che viene da Lui, e il cui nome sarà Cristo, Gesù figlio di Maria, eminente in questo mondo
e nell’altro e uno dei più vicini a Dio. - Ed egli parlerà agli uomini dalla culla come un adulto, e
sarà dei Buoni” 16»; in questi versetti risulta evidente che il messaggero le annunciò i miracoli che il
figlio Gesù avrebbe compiuto sin dalla nascita.
Maria nel Corano dibatte con l’angelo sull’impossibilità di avere una gravidanza a causa della sua
purezza: «“O mio Signore!, rispose Maria, come avrò mai un figlio se non m’ha toccata alcun
uomo?” 17» e in Corano 19:20: «“Come potrò avere un figlio, rispose Maria, se nessun uomo m’ha
toccata mai, e non sono una donna cattiva?”». La risposta di Gabriele a queste domande è in
Corano 3:47 e 48: «Rispose l’angelo: “Eppure Dio crea ciò ch’Ei vuole: allorché ha deciso una
cosa non ha che da dire: “Sii!’ ed essa è”» e «Ed Egli gl’insegnerà il Libro e la Saggezza e la
14
Corano 3: 35-36.
15
Corano 3:37.
16
Corano 3:45-46.
17
Corano 3:47.
9
Torah e il Vangelo»; inoltre in Corano 19:21 il messaggero dice: «“Così sarà. Perché il tuo
Signore ha detto: ‘Cosa facile è questa per Me’, e Noi, per certo faremo di Lui un Segno per gli
uomini un atto di clemenza Nostra: questa è cosa decretata”»; nei versi coranici citati, l’angelo
informò Maria che Dio avrebbe fortificato suo figlio con lo Spirito Santo e che gli avrebbe
insegnato il Libro e la Sapienza, la Torah e il Vangelo.

III. La nascita di Gesù

Dopo l’Annunciazione vi è il ritiro di Maria in una contrada remota, fino a quando le doglie del
parto non la costrinsero a ritirarsi sotto il tronco di una palma: «Ed essa lo concepì e s’appartò col
frutto del suo seno in luogo lontano. - Ora le doglie del parto la spinsero presso il tronco d’una
palma e disse: “Oh fossi morta prima, oh fossi ora una cosa dimenticata e obliata!” 18»; nella
sofferenza delle doglie, il figlio le parlò dal basso ventre: «E la chiamò una Voce di sotto la palma:
“Non rattristarti, ché il Signore ha fatto sgorgare un ruscello ai tuoi piedi: - scuoti verso di te il
tronco della palma e questa farà cadere su te, datteri freschi e maturi. - Mangiane dunque e bevi e
asciuga gli occhi tuoi! E se tu vedessi qualcuno digli: ‘Ho fatto voto al Misericordioso di digiunare
e non parlerò oggi a alcun uomo”19». Dopo il parto Maria tornò dalla sua gente portando con sé il
neonato. Quando Maria ritornò a casa con il bambino gli abitanti della città le dissero: «“O Maria,
le dissero, tu hai fatto cosa mostruosa. - O sorella d’Aronne! Non era tuo padre un uomo malvagio
né fu peccatrice tua madre!” - Ed essa indicò loro il neonato, e dissero: “Come parleremo noi a
chi è ancora nella culla bambino? - Egli disse: “In verità io sono il Servo di Dio, il quale mi ha
dato il Libro e mi ha fatto Profeta, - e m’ha benedetto dovunque io sia e m’ha prescritto la
Preghiera e l’Elemosina finché sarò in vita - e m’ha fatto dolce con mia madre, non mi ha fatto
violento e scellerato. - Sia pace su di me, il dì che nacqui il dì che muoio e il dì quando sarò
suscitato a Vita!” 20»; gli ebrei la accusarono e la insultarono, come sempre avveniva nei casi in cui
una donna non sposata avesse partorito un figlio. Come si evince dai questi versetti, Cristo,
attraverso la dichiarazione di verità, difende la madre dall’atroce calunnia; questo è il primo

18
Corano 19:22-23.
19
Corano 19:24-26.
20
Corano 19:27-33.
10
miracolo attribuito a Gesù, proprio come Dio aveva promesso a Maria al momento
dell’Annunciazione 21(Corano 3:46).

IV. Opere di Gesù

I miracoli sono un tratto fondamentale della figura del Gesù coranico, poiché egli è l’unico dei
venticinque profeti menzionati nel Corano che compie miracoli; questi non sono tanto narrati
quanto elencati. Isḥāq Ḥusaini dice a questo proposito: “Il Corano elenca i miracoli di Cristo quali
segni della sua profezia [...] È degno di menzione che a Muḥammad non vengano attribuiti miracoli:
il Corano è il suo unico miracolo [...] Tutti questi miracoli Cristo li ha potuti compiere grazie alla
volontà di Dio per convincere coloro che dubitavano della sua missione22”.
I versetti coranici 109-110 della quinta sura affermano: «Ricorda quando Dio disse: “Gesù figlio di
Maria, rammenta il Mio favore su di te e su tua madre quando ti ho confermato con lo spirito di
santità, e tu parlavi alla gente dalla culla come un adulto, e quando ti ho insegnato il Libro e la
sapienza e la Torah e il Vangelo, e quando plasmavi dal fango come una figura d’uccello, con il
Mio permesso, e poi vi soffiavi sopra e diveniva un uccello vivente , con il Mio permesso, e quando
risuscitavi i morti, con il Mio permesso, ho allontanato da te i figli di Israele quando tu sei giunto
da loro con le prove chiare e quelli di loro che erano miscredenti hanno detto: Questa non è che
magia evidente”»; nel passo coranico appena citato, Dio afferma di essere la fonte ispiratrice dei
molteplici miracoli di Gesù che compie sin dalla culla , e ciò è sottolineato dell’ espressione “con il
Mio permesso” all’inizio di ogni frase. I miracoli di Gesù sono anche elencati in Corano 3:43-49: :
“[...] Io vi porto un Segno del vostro Signore. Ecco che io vi creerò con dell’argilla una figura
d’uccello e poi vi soffierò sopra e diventerà un uccello vivo col permesso di Dio; e guarito anche,
col permesso di Dio, il cieco nato e il lebbroso e risusciterò i morti e vi dirò anche quel che
mangiate e quel che conservate nelle vostre case. In tutto questo vi sarà un Segno per voi, se siete
credenti”; Gesù, nella dottrina musulmana, compie i miracoli con il solo “permesso” di Dio, il suo
agire è strettamente dipendente dal permesso divino, nel senso che egli non fa arbitrariamente
miracoli, ma solo quelli che Dio gli concede.

21
Il parlare nella culla si ritrova negli apocrifi, per esempio nel Vangelo Arabo sull’infanzia del Salvatore, cap. I, I:
«Quanto segue l’abbiamo trovato nel libro del pontefice Giuseppe vissuto al tempo di Cristo; alcuni dicono che egli sia
Caifa. Egli disse che Gesù parlò quando era ancora nella culla, e disse a sua madre Maria: Io sono Gesù figlio di
Dio..». Cfr L. Moraldi, Atti Apocrifi nel Nuovo Testamento, UTET, Torino 1971, vol. I, 285; nota 10 a p. 455 in Samir
Khalil Samir, Cristo nel Corano, in: La Civiltà Cattolica 134, II, n˚ 3191 (1983).
22
Isḥāq Ḥusaini, Christ in the Qu’rān and in Modern Arabic Literature, The Otani University, Tokyo 1960, p. 3.
11
Un miracolo notevole è quello della tavola discesa dal cielo in seguito alla richiesta degli apostoli:
«Quando gli apostoli dissero: “Gesù figlio di Maria, può il tuo Signore far discendere su di noi una
mensa dal cielo?” , egli rispose: “Temete Dio, se siete credenti” , e gli apostoli dissero: “ Noi
vogliamo mangiarne affinché i nostri cuori si rassicurino, affinché sappiamo che tu sei stato
sincero con noi e ne portiamo testimonianza”. Gesù figlio di Maria implorò: “Dio mio, Signore
nostro, fa’ discendere su di noi una mensa che sia una festa per noi, il primo di noi e l’ultimo di
noi, fa’ che sia un segno che ci viene da Te 23, donaci dei Tuoi beni, Tu che sei l’ ottimo
dispensatore dei beni”. Dio rispose: “Io la farò discendere su di voi, ma se qualcuno di voi, dopo
questo non crederà, ebbene, Io lo castigherò di un castigo tale che mai ne infliggerò di simile a
nessuno nei mondi”24»; i commentatori musulmani non sanno come spiegare questa mensa
imbandita. Alcuni pensano che si alluda alla moltiplicazione dei pani. Nessuno pensa che sia un
accenno all’Eucaristia. Invece i cristiani arabi interpreteranno sempre questi versetti come
un’allusione all’Eucaristia 25. Dal canto loro, i commentatori dichiarano di non sapere se la richiesta
di Gesù sia stata esaudita e se la tavola sia effettivamente discesa. Tanto più che Dio minaccia di
tormento «chi di voi, dopo questa grazia, rifiuterà fede». Alcuni esegeti preferiscono credere che
Gesù scelse di soprassedere alla propria domanda a Dio, perché, dal versetto successivo, si affretta
ad affermare che lui stesso e sua madre sono semplici mortali26.
La vera missione di Gesù, annunciata nel Corano, e è quella di portare il Vangelo (Inḡīl), come
conferma della Tôrâh: «Figli di Israele, io sono il messaggero di Dio inviato a voi per confermare
quella Torah che vi è stata rivelata prima di me […] 27» oppure come si evince in Corano 3:48: «Ed
egli gl’insegnerà il Libro e la Saggezza e la Tôrâh e il Vangelo».

V. Morte di Gesù

Il Corano non si dilunga sull’infanzia, adolescenza e gioventù di Gesù, infatti le informazioni


deducibili dal testo sacro dell’Islam sono alquanto ridotte. La morte di Gesù, o meglio la sua fine
terrena, viene esplicitata nel Corano, in cinque brani rivelati a Muhammad durante il periodo alla

23
Le caratteristiche coraniche di questa mensa sono: festa e segno. Il parallelo con l’Eucaristia (festa e segno
sacramentale) viene spontaneamente in mente al cristiano; nota 36 in Samir khalil Samir, Cristo nel Corano, p. 459.
24
Corano 5:112.
25
Samir Khalil Samir, Cristo nel Corano, p. 459.
26
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Gesù, in Dizionario del Corano, Mondadori, Milano 2007, pp. 341-342.
27
Corano 6:61.
12
Mecca (615-619) e a Medina (anni 622-632), ma il significato delle parole in merito alla vicenda
sono criptiche28. Il primo versetto che preannuncia la morte di Cristo è in Corano 19:33-44: «Pace
su di me il giorno in cui sono nato, il giorno in cui morirò e il giorno in cui sarò resuscitato a vita.
Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità della quale essi dubitano»; questo versetto
coranico, risalente al periodo Meccano, preannuncia la fine di Gesù che invoca la pace su se stesso
lungo un continuum temporale, dalla sua nascita fino al momento della sua resurrezione; il verbo
utilizzato qui (amûtu, da mawt = morte) non permette la minima contestazione o il minimo dubbio
sul significato: si tratta della morte.29
Il secondo brano che preannuncia la fine di Cristo è in Corano 43:57-61: «Quando viene proposto l’
esempio del figlio di Maria, il tuo popolo lo rifiuta dicendo: “ I nostri dèi non sono forse migliori di
lui?” Ti fanno questo esempio solo per amor di polemica, che sono un popolo litigioso. Egli non
era altro che un Servo, che Noi abbiamo colmato di favore e di cui abbiamo fatto un esempio per i
figli di Israele. Se volessimo, trarremmo angeli da voi ed essi si sostituirebbero sulla terra. Egli è
l’annuncio dell’Ora. Non dubitate che essa venga e seguitemi, questa è la retta via»; il terzo
invece, Corano 3:52-55, dice: «Quando poi Gesù avvertì la miscredenza in loro, disse: “Chi sono i
miei ausiliari sulla via di Dio?” Noi, dissero gli apostoli, siamo gli ausiliari di Dio. Noi crediamo
in Dio, sii testimone della nostra sottomissione. Signore! Abbiamo creduto in quello che hai fatto
scendere e abbiamo seguito il messaggero, annoveraci tra coloro che testimoniano. Hanno teso
inganni (contro Gesù) e anche Dio ha teso inganni (contro di loro) e Dio è il migliore degli
ingannatori! E quando Dio disse: «O Gesù, ti farò tornare a me e ti innalzerò a me ti proclamerò
puro (dalle accuse) di quelli che non hanno creduto (in te). Porrò quelli che ti seguono al di sopra
degli infedeli, fino al giorno della Resurrezione. Ritornerete tutti verso di Me e io giudicherò le
vostre discordie”»; questi brani sono fortemente polemici e costituiscono un’invettiva nei confronti
degli ebrei che durante la vita di Gesù non fecero altro che essere agnostici nei suoi confronti.
I versi 52-55 della terza sura, la famiglia di ‘Imrān, sviluppano il rapporto che intercorre tra Gesù e
gli ebrei, Gesù si accorge che gli ebrei non credono in lui e così cerca appoggio negli apostoli che
rispondono al suo appello. Gli ebrei, reputandosi furbi e tentando di ergersi superiori a Dio, cercano
di uccidere Gesù ma vengono sconfitti poiché è impossibile sostituirsi alla volontà di Dio. Dio
inganna gli ebrei innalzando Gesù presso di Lui, sostituendolo con un suo sosia. La vittoria di Gesù
è evidente poiché Dio porrà i veri credenti al di sopra degli ebrei fino alla fine dei tempi. La prima
parte del versetto 55 della III sura, la famiglia di ‘Imrān, è fonte di divergenza per l’esegesi

28
Samir Khalil Samir, La crocifissione di Cristo nel Corano, in Piero Coda e Mariano Crociata (a cura di), Il Crocifisso
e le religioni, 2002 Città Nuova, Roma 2002, p. 49.
29
Ibid., p. 53.
13
musulmana. Muhammad ‘Abduh, il fondatore del Riformismo islamico, nel commento coranico del
Manȃr fornisce delle interpretazioni inerenti alla disputata espressione “richiamare a sé”; dopo aver
esplicitato il classico significato che corrisponde a quello di “far morire”, asserisce: “Alcuni
commentatori dicono che “io sto per richiamarti a Me” significa “ti farò dormire”; altri, “ti
strapperò dalla terra, con il tuo spirito (rūḥ) e il tuo corpo”, “ti innalzerò verso di Me” sarebbe una
esplicitazione di questo sradicamento; altri ancora, “ti libererò da questi aggressori ed essi non
potranno più ucciderti, poi ti farò morire di una morte naturale e ti innalzerò fino a Me”, è questa
un’interpretazione attribuita a molti”. Secondo ‘Abduh l’“ascensione” di Gesù sarebbe anteriore per
la maggior parte dei commentatori, invece il “richiamo a Dio” sarebbe successivo. Una variante
dell’interpretazione, sempre secondo Muhammad ‘Abduh, sarebbe quella di interpretare
letteralmente il versetto. “ La parola tawaffâ (richiamare) nel suo significato primo e ovvio, cioè
l’azione abituale di far morire e l’innalzamento come intervento successivo che si realizza mediante
l’ innalzamento dello spirito (ruh) 30”.
Samir Khalil Samir, invece, afferma che nell’espressione «io ti farò tornare a me», oppure «io ti
richiamerò a me», la traduzione è molto controversa, perché la parola usata mutawaffȋka (che viene
dal verbo waffȃ) è l’espressione usata nel Corano per dire «ti farò morire», oppure «ti farò tornare a
me»; tutte le altre traduzioni non corrispondo al significato abituale del Corano e sono dunque
erronee. Ma l’affermazione «io ti farò morire» è in contrasto con ciò che troviamo altrove nel
Corano: «non è morto», oppure «non è stato crocefisso» (Corano 4,147). Perciò molti traduttori
hanno cercato di trovare una soluzione onorevole a questo testo traducendo mutawaffȋka come se
fosse «ti farò tornare a me», appoggiandosi al significato della radice ma non all’uso di questa
forma verbale nel Corano, che invece ha un significato chiaro e non ambiguo, sempre legato alla
morte 31.
Il quarto brano, Corano 4:156-159, afferma: «(Abbiamo castigato la gente del Libro), per la loro
incredulità e per aver detto contro Maria calunnia orrenda e per aver detto: “Abbiamo ucciso il
Cristo, Gesù figlio di Maria, messaggero di Dio” ; mentre né lo uccisero né lo crocifissero, bensì
qualcuno fu reso simile a lui. In verità, costoro la cui opinione è divergente a questo proposito, non
hanno di scienza alcuna, bensì seguono una congettura (zann). Per certo, essi non lo uccisero.
Invece Diolo innalzò a sé, e Dio è potente e saggio. Non vi è alcuno della Gente della Scrittura che
non crederà in lui prima di morire. Nel Giorno della Resurrezione testimonierà contro di loro»;
Samir Khalil Samir, nel suo commento a questi versetti, scrive che il termine “Gente del Libro” si
riferisce esclusivamente agli ebrei e non ai cristiani. In questi versi, in base al suo commento, è

30
Muḥammad ‘Abduh, in Tafsîr al-Manâr, ed. 1367, hég., III, p. 316.
31
Samir Khalil Samir, La crocifissione di Cristo nel Corano, p. 58.
14
possibile scorgere i tre motivi di castigo degli ebrei: l’accusa di incredulità, la colpa di aver
accusato Maria di adulterio e l’aver detto di aver ucciso Cristo. Gli ebrei sono increduli poiché non
credono che Cristo sia profeta di Dio. Alcuni figli di Israele accusano Maria di adulterio, questa
accusa era già stata mossa in alcuni versetti antecedenti del Corano (Corano 19:27-28); ma l’ultima
accusa, la più empia di tutte, è quella di aver mentito dicendo di aver ucciso Gesù. Il Corano,
invece, nega chiaramente la crocifissione e la morte di Cristo, e ne dà una spiegazione: «mentre né
lo uccisero ne lo crocifissero, bensì qualcuno fu reso simile a lui»; la famosa frase “shubbiha
lahum” è resa da Bausani: «qualcuno fu reso ai loro occhi simile a lui». L’espressione solleciterà
gli studiosi fino alla fine dei tempi, perché risulta non solo poco chiara, ma anche misteriosa 32.
Ognuno traduce come può: «perché è sembrato a loro», oppure «ma così parve loro», (Hamza
Piccardo) o ancora «un sosia (shabȋb) ha preso il suo posto» 33.
L’interpretazione più plausibile, in accordo con Hayek è «è sembrato così a loro» 34,
La teoria della sostituzione di Gesù non appare per la prima volta nel Corano ma è di fonte cristiana
e può aver subito l’ influenza del Docetismo e dello Gnosticismo. Gli orientalisti e i commentatori
occidentali affermano che la teoria della sostituzione derivi dalla corrente cristologica gnostica di
tipo “docetista”, una corrente cristiana eretica sviluppatasi nei primi secoli dell’era cristiana.
“La maggior parte dei movimenti gnostici dei primi secoli della nostra era distinguono il Gesù
“pleromatico” o “pneumatico” dalla sua manifestazione terrena, corporea: solo quest’ultima,
semplice involucro carnale, poté soffrire sulla croce, mentre il Gesù “pneumatico” aveva
abbandonato il corpo prima della crocifissione per raggiungere la sua origine celeste. Alcuni
docetisti sostennero che il corpo che soffrì e morì sulla croce non era quello di Gesù ma quello di un
“sostituto” che aveva assunto le sue sembianze. Nella letteratura gnostica sono quindi stati rilevati
numerosi passi che ricordano da vicino le espressioni shubbiha la-hum e il rafa‘a-hu Allāh ilay-hi
del Corano. Per esempio, gli Atti apocrifi di Giovanni fanno dire a Gesù: «Non sono colui che è
appeso alla Croce»; secondo Basilide (uno gnostico del II secolo dell’era cristiana), al posto di Gesù
sarebbe stato crocifisso Simone di Cirene; Tolomeo, un contemporaneo di Basilide, pretendeva
invece che Gesù fosse stato elevato al cielo ben prima della crocifissione; infine, il Vangelo di
Filippo racconta di Gesù che consola le donne in lacrime accanto al suo corpo senza vita: «Dio mi
ha innalzato a lui – disse – e non mi è accaduto nulla di male». Se questi paralleli sono evidenti,
resta da comprendere in che modo la cristologia gnostica sia giunta sino al Corano. Gli esegeti
musulmani, di fronte alla medesima preoccupazione di interpretare la frase enigmatica wa-lākin

32
Ibid. p.60.
33
Ibid.
34
Georges-C. Anawati, EI2, s.v. ‘Isā.
15
shubbiha lahum, attinsero abbondantemente a fonti gnostiche, che essi conobbero grazie a canali
che in buona parte rimangono ancora oscuri. Tutti sembrano d’accordo nell’interpretare la frase nel
senso che un’altra persona, somigliante a Gesù, fu crocifissa al suo posto. Poichè il verbo shubbiha
è un passivo di seconda forma, se ne deduce che il suo soggetto è Dio (secondo la grammatica
araba, l’azione divina può esprimersi con un verbo passivo): «Dio ha fatto prendere l’apparenza di
Gesù a qualcun altro»; sottinteso: in modo miracoloso. Le opinioni divergono sull’identità del
“sosia”, ma si è spesso pensato a Giuda: la sua trasformazione in una forma corporea identica a
quella di Gesù, affinché egli subisse la passione e la morte in sua vece, è considerata un castigo per
il suo tradimento. Tuttavia, alcuni esegeti più razionalisti, influenzati dal mu‘tazilismo 35, negarono
la possibilità di una tale “trasformazione” prossima alla “metamorfosi” (maskh). Per costoro, la
sostituzione si spiega con un semplice errore di persona: gli ebrei, ignorando chi fosse Gesù,
arrestarono e uccisero un altro al suo posto, eventualmente Giuda” 36.
Kamel Hussein, nel suo libro City of Wrong, rifiuta l’insegnamento convenzionale musulmano che
afferma la sostituzione di Gesù con un suo sosia, scrivendo in proposito:
“L’idea della sostituzione di Gesù è un modo rozzo di spiegare il testo coranico. Loro hanno da
spiegare molto alle masse. Oggigiorno nessun musulmano acculturato crede a questo. Il testo
significa che gli Ebrei credettero di aver ucciso Cristo ma Dio lo innalzò a lui in un modo che
rimane inspiegato tra i molti misteri che noi diamo per scontati 37”. Infine alcuni musulmani
contemporanei credono che il corpo di Gesù morì sulla croce, ma la sua anima vive, questa idea è
legata a ciò che Cristo dice in Matteo 10:28: “E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo,
ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far
perire nella Geenna e l’anima e il corpo.”
L’ultimo dei cinque testi coranici riguardanti la fine di Cristo è tratto dalla V sura: «Ho detto loro
solo quello che Tu mi avevi ordinato di dire: “Adorate Dio, mio Signore e vostro Signore.” Fui
testimone contro di loro finchè fui tra di loro. Da quando mi hai fatto morire (tawaffaytanȋ) tu sei
rimasto a sorvegliarli. Tu sei testimone di tutte le cose38»;i musulmani interpretano il versetto

35
La mu‘tazila è considerata come la prima vera scuola teologica dell’Islām, fondata nel VII secolo da Wāṣil ibn ‘Aṭā’
(m. 748 o 749), dunque a cavallo tra l’epoca ‘omayyade e quella ‘abbaside. Il nome «mu‘tazila» è di incerta etimologia:
quella più ricorrente negli antichi testi arabi fa derivare il nome della scuola dal verbo i’tazala «separarsi», e lo
attribuisce al fatto che al suo fondatore, Wāṣil ibn ‘Aṭā’, avrebbe assunto una posizione diversa da quella del suo
maestro, al-Ḥasan al-Baṣrī. La mu’tazila raggiunse l’apice della sua affermazione e diffusione sotto il califfato
‘abbaside a Baghdad, in particolare nel periodo in cui regnò al-Ma’mūn (813-833), il quale ne fece la dottrina ufficiale
dello stato. Cfr. Ines Peta, Lingua, Morfosintassi e Lessico, Dispensa per il corso di Lingua araba II, Università
Cattolica del Sacro Cuore, Facoltà di Scienze Linguistiche, a.a. 2013-2014.
36
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Crocifissione, in Dizionario del Corano, pp. 189-190.
37
M. Kāmil Ḥusayn, City of Wrong, E.T., Amsterdam 1960, p. 222.
38
Corano 5:117.
16
dicendo che prima della salita presso Dio, Gesù era testimone contro i cristiani che volevano
identificarlo con Dio, dopo la sua fine Dio diventa testimone contro di loro.
I testi citati che raccontano della fine di Gesù sono poco coerenti tra loro, dice Bennelli a proposito
di Corano 4,157: “Ciò si riferisce alla morte di Gesù, riguardo alla quale però i termini del Corano
sembra si contraddicano: Maometto rigetta la crocifissione e ammette l’ascensione, però in questo
passo e nella Surah XI, 15 e 34 (che forse è una ripetizione erronea del precedente) si ha
un’allusione alla sua morte Pur non essendoci un’armonia tra tutti i versetti riguardarti la fine di
Gesù, la tradizione musulmana si basa sul versetto 4:157 per asserire che Gesù non è stato
crocifisso 39”.
Samir Khalil Samir esprime chiaramente quali sono le ragioni teologiche del rifiuto islamico
dell’evento della croce; il primo motivo è che, nella visione musulmana, la croce indica una
sconfitta; questo è impensabile poiché l’Islam si erge come religione della vittoria e del potere. Nel
Corano è presente uno schema ricorrente della storia dei profeti, Dio ha mandato a tutti i popoli dei
profeti, 27 sono quelli citati nel Corano, che sono stati respinti ma alla fine vi è il trionfo di Dio e
del messaggero. Nella visione islamica la figura evangelica di Gesù, ucciso dai capi del suo popolo,
è inaccettabile, poiché smentirebbe lo schema del profeta coranico. L’autore musulmano Ali Merad,
riferendosi alle storie dei profeti, afferma: “ Tendono tutte a mettere in luce una sorta di
atteggiamento di Dio (sunnat Allȃh), un piano divino ordinato al trionfo finale della fede sulle forze
del male e delle avversità, poiché le une e le altre rappresentano delle autentiche prove (fitna) per i
credenti. In realtà, tutto nel Corano sembra posto in opera per persuadere i credenti che essi
conoscevano la vittoria finale sulle forze del male che li assaltano, li tormentano, e possono
momentaneamente avere la meglio sulla forza d’animo e sulla loro speranza [..] In quest’ottica, la
morte di Cristo sarebbe stata una smentita della dottrina costante del Corano. Inoltre, siffatta ipotesi
avrebbe contraddetto tutto l’insieme dei detti coranici che, direttamente o indirettamente, si
rapportano alla storia di Cristo. Infatti Gesù, morto sulla croce, avrebbe significato il trionfo dei
suoi carnefici. Il Corano, invece, afferma categoricamente la loro sconfitta40”.
Un ulteriore motivo è che Dio non si lascia manipolare, sarebbe impossibile pensare che gli ebrei
attraverso i loro complotti possano aver oltraggiato l’onnipotenza e l’unità divina. Samir Khalil
Samir dice: “ È dunque per difendere Dio contro le insidie degli ebrei, e per difendere Cristo contro

39
L. Bennelli, Il Corano, nuova versione letterale italiana, Hoepli, Milano 1987, p.83 nota 3 in Samir khalil Samir, La
crocifissione di Cristo nel Corano p. 65.
40
A. Merad, Le visage du Christ, un regard coranique, articolo in «Revue de l’Occident musulman et de la
Mèditerranèe», 5 (1968), p. 69 cit. in Samir khalil Samir, La crocifissione di Cristo nel Corano p. 73.
17
il rifiuto della sua messianicità, che il Corano rifiuta la morte e la crocifissione di Cristo e
suggerisce una soluzione nell’innalzamento di lui presso Dio 41”.
Inoltre, nell’Islam, a dispetto del Cristianesimo, che ha come fondamento del suo credo la morte di
Cristo indicante la salvezza per l’ uomo, non c’è redenzione poiché: «Nessuno porterà il fardello
altrui». 42
L’ultimo motivo teologico al rifiuto della crocifissione del Cristo è che la salvezza umana non
risiede nella croce, bensì nella corretta applicazione della legge (shari’ah) attraverso la totale
obbedienza a Dio. L’accettazione della crocifissione di Gesù da parte dei musulmani, risulta
impossibile poiché è impossibile immaginare un Dio incapace di fermare la morte del suo profeta;
se il profeta perde, non rispettando lo schema coranico dei profeti, anche Dio viene sconfitto e per
una religione che si basa sulla vittoria questo è impensabile.
“ L’ immagine della passione, nel Corano, è di fatto insostenibile. L’ Islam la rifiuta. Non solo
perché non conosce il dogma della redenzione, ma perché la passione significherebbe per esso, in
qualche modo, la sconfitta stessa di Dio. L’Islam respinge l’idea della morte di Cristo. Questo
atteggiamento salvaguardia insieme l’idea che il Corano offre della gloria di Dio e della dignità
degli uomini. In Gesù, infatti, l’umanità ha raggiunto un grado supremo della sua dignità! La
sconfitta del Cristo al momento della sua morte sulla croce e la negazione della sua elevazione a
Dio avrebbero il significato di una terribile caduta e sarebbero la fine della speranza 43”.

VI. Gesù e il futuro

La copiosa tradizione di ḥadīth permette di ricostruire il ruolo fondamentale che Gesù avrà prima
del giorno del Giudizio. Il prossimo capitolo si concentrerà proprio sull’analisi della figura di Gesù
negli ḥadīth. Il Corano, invece, parla dell’ ascensione di Gesù e afferma il suo ritorno sulla terra.
Gesù non ha ancora portato a termine la sua missione, anzi, nell’escatologia musulmana avrà un
ruolo fondamentale, principalmente nell’uccisione dell’Anticristo. I passi del Corano che
menzionano l’ evento futuro sono quattro. «Ricorda quando Dio disse:“ Gesù ti farò morire e poi ti
innalzerò a Me, e ti purificherò dai miscredenti e innalzerò chi ti segue al di sopra degli infedeli,
fino al giorno della resurrezione, poi ritornerete a Me e Io giudicherò tra voi delle vostre

41
Ibid., p. 75.
42
Corano 53: 38.
43
A. Merad, Le visage du Christ, un regard coranique p.71 cit. in Samir khalil Samir, La crocifissione di Cristo nel
Corano p. 77.
18
discordie 44» oppure: «Tra la gente del libro non c’è chi crederà in lui prima della propria morte,
egli testimonierà contro di loro nel giorno della resurrezione 45». Il terzo passo che presagisce il
ritorno futuro di Gesù è in Corano 19:33-34: «Sia pace su di me il giorno in cui nacqui, il giorno
in cui morirò e il giorno in cui sarò resuscitato. Questo è Gesù, figlio di Maria, parola di verità di
cui essi dubitano»; invece in Corano 43:61, si legge: «Egli un’ annuncio dell’ Ora, dunque non
dubitate che accada e seguitemi, questa è via dritta»; il riferimento sembra diretto ad una Seconda
Venuta di Cristo, come “Segno ed Annuncio dell’Ora”. L’ultimo passaggio contiene diverse letture,
la prima lettura della Vulgata wainnahu la-‘ilm «Egli è veramente la scienza dell’Ora», vale a dire,
la sua discesa al momento dell’Ora è nota; la seconda lettura della variante canonica wa-la-‘alam
Innahu «Ed egli è veramente un segno per L’Ora»; la terza lettura presente nella recensione di
Ubayy: wa-Innahu la-dhikr «Ed egli è veramente un avvertimento del momento46».

44
Corano 3:55.
45
Corano 4:159.
46
Georges-C. Anawati, EI2, s.v. ‘Isā.
19
CAPITOLO II

Gesù negli ḥadīth

VII. Definizione di ḥadīth

“Il termine comune “racconto” o “detto” designa, quando è impiegato con il solo articolo, senza
complemento di specificazione, “il detto” per eccellenza, ciò che rimanda all’esempio del Profeta.
Si distingue bene ciò che costituisce il corpus del Corano, cioè la parola di Dio, trasmessa tale e
quale dal Profeta, il quale interviene solo come “portavoce”, dallo ḥadīth, che è sì parola esemplare,
ma originante dal Profeta stesso. Come per il Corano, anche per lo ḥadīth non ci troviamo dunque
in un mondo di pura oralità, come si è sempre creduto. Gli scribi hanno svolto un ruolo capitale
perché conoscevano la cultura religiosa circostante, di ascendenza biblica, e l’adattavano in lingua
araba. Furono loro a operare la selezione tra ciò che sarebbe stato riconosciuto come ḥadīth e ciò
che veniva invece integrato nel Corano. La frontiera tra i due ambiti resta però fluida, come
testimoniano da un lato gli aḥādīth che formano le diverse versioni del “discorso d’addio” del
Profeta, andando dalla semplice ripetizione di frammenti del testo coranico a composizioni più o
meno elaborate e, d’altra parte, lo statuto particolare dei detti di tipo qudsī (tradizioni sacre), cioè
detti che possono essere ritenuti “parola di Dio”, anche se non integrati nel Corano e quindi non
considerati alla stregua di questo, dei privilegi del quale non godono (possono essere rifiutati e non
si citano secondo lo stesso rituale). D’altronde, pur presentandosi sempre come il risultato di una
trasmissione orale, il termine ḥadīth ingloba non soltanto “parole” di Muhammad riferite da un
ascoltatore, ma anche “atti” e persino “approvazioni silenziose”, ovvero parole o azioni altrui che
abbiano avuto luogo alla presenza del Profeta senza che egli vi si opponesse, il che conferisce loro
un valore positivo. Nella misura in cui questi racconti hanno un carattere normativo, essi
costituiscono nel loro insieme la Sunna. Per John Burton occorre distinguere due tipi di ḥadīth:
quello di “esegesi pura”, che mira a una comprensione disinteressata di passi difficili del Libro, e
quello che rappresenta una “esegesi applicata”, cioè interpreta il Corano in funzione dei bisogni del
momento (lotte tra fazioni, dispute teologiche ecc.). La volontà di trovare a ogni costo un
riferimento esemplare, ha condotto ad una proliferazione considerevole di aḥādīth, talora
imputabile, come è denunciato nei testi antichi, ad uno spirito interessato, ma il più delle volte
20
probabilmente anche al riflesso pietista (che si trova già all’opera nel Talmud), riscontrabile nelle
seguenti parole: «siccome io penso che è così che avrebbe dovuto parlare o agire il Profeta, è così
che egli ha effettivamente parlato o agito». In tal modo si spiega la formazione, a partire dal III/IX
secolo, di raccolte che si vogliono critiche. Bukhārī (m. 256/869) sarebbe così passato da quasi
duecentomila tradizioni raccolte a “sole” 2762 (di cui molte ripetute nei diversi capitoli). Sei di
queste raccolte, chiamate le “Autentiche”, sono state progressivamente considerate come canoniche,
ma altre, in alcuni casi molto più ampie, sono ugualmente apprezzate. Poiché era necessario
completare le prescrizioni del Corano e poiché si poteva disporre di un corpus “sano", lo ḥadīth è
stato elevato al rango di seconda “fonte” del diritto, ovvero seconda fonte scritturale dell’Islām. La
raccolta più celebre, quella di Bukhārī , è costruita per la gran parte sulle articolazioni dei trattati di
diritto canonico; e certi paragrafi si limitano al titolo, dal momento che il compilatore non trovò
alcun testo sicuro da inserirvi. L’inserimento, infatti, presupponeva alcune esigenze: da un lato, lo
ḥadīth doveva essere autenticato da trasmettitori degni di fede, dall’altro doveva essere esso stesso
attendibile, cioè non avrebbe dovuto contraddire un testo coranico o un altro ḥadīth accettato
altrove. Nei primi tempi non ci si curò molto della catena dei trasmettitori: essa era talora assente,
talaltra frammentaria. Fu Shāfi‘ī (m. 204/820) a esigere una catena (isnād) completa: in definitiva,
una tradizione è composta da una catena di trasmettitori (isnād) e da un testo (matn)” 47.
Le trasmissioni sono state divise in ṣaḥīḥ (sano), ḥasan (buono), ḍa’īf (debole), saḳīm (malato).
Quelle ṣaḥīḥ hanno sette gradi: quelle fornite da al-Bukhārī (m. 870) e Muslim (m. 875), quelle date
solamente da al-Bukhārī, quelle fornite solo da Muslim, quelle non fornite da entrambi che
soddisfano le loro requisiti (shurūt), quelle che soddisfano i requisiti di al-Bukhārī, quelle che
soddisfano i requisiti musulmani, quelle considerate sane da altre autorità. Le trasmissioni ḥasan,
non sono considerate così forti, ma sono necessari per stabire punti di diritto. Ci sono diverse
varietà di ḥasan ma non tutti sono d’accordo su questo argomento 48.
La quantità degli aḥādīth è enorme, e per questo vengono raggruppate in sei diverse compilazioni,
tutte tra il VII e il IX secolo. Le diverse raccolte prendono il nome dai loro compilatori, quali al-
Bukhārī (m. 870), Muslim b. Ḥağğāğ (m. 875), Abū Da‘ūd (m. 889), Ibn Māğa (m. 887), at-
Tirmidhī (m. 892) e an-Nisā’ī (m. 915).
Tra i numerosi ḥadīth o detti di Muḥammad ci sono quelli inerenti ai profeti biblici. Il nome di Gesù
all’interno di questa ricca raccolta è il più citato dopo quello di sua madre Maria (Maryam) e Mosè.
Come già esplicitato nel capitolo precedente, il Corano racconta parzialmente la vita di Gesù senza

47
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Ḥadīth in Dizionario del Corano, pp. 377-380.
48
J. Robson, EI2, s.v. Ḥadīth.
21
dilungarsi nei dettagli; il ruolo degli ḥadīth, dunque, è estremamente chiarificatore poiché mostra
gli aspetti considerevoli della concezione islamica di Gesù.

VIII. Gesù e Muḥammad

I primi detti che ritraggono Gesù sono quelli che lo raffigurano in stretta relazione a Muḥammad;
nella Sura XVII o del Viaggio Notturno 49, il Profeta vide Gesù nel secondo cielo. Durante
l’ascensione, Muḥammad dà una descrizione dettagliata di Gesù; lo ḥadīth narrato da ‘Abd Allāh
bin ‘Umar afferma che il Messaggero di Dio ha detto: «Mentre dormivo, ho visto me stesso effettuare il
tawaf (circumambulazione) attorno alla Ka‘ba. Ho visto un uomo rossiccio chiaro, con i capelli lisci con l’acqua che gli
scendeva dalla testa. Ho chiesto chi fosse e risposero che si trattava del figlio di Maria […] 50».

49
Secondo le fonti islamiche nella notte del 27 Rajab il profeta Maometto venne svegliato dall’arcangelo Gabriele il
quale, arrivato alla Mecca, gli annunziò che era giunto per lui il momento di intraprendere un viaggio notturno (isrā’)
verso Gerusalemme e quindi di ascendere (mi’rāj) al cielo per incontrare i profeti e gli angeli, conversare con Dio e
visitare Inferno e Paradiso. Dai primi secoli dell’Islam sino ai giorni nostri, la storia di questa leggendaria ascesa ha
spinto generazioni di scrittori e di artisti a esplorarne e rappresentarne i dettagli. Il più importante tentativo di
rappresentare artisticamente l’intera storia dell’ascensione si ebbe intorno al 1436-1437, quando il sovrano timuride
Shahrukh (regnante dal 1401 al 1447) commissionò un “Libro dell’Ascensione”. La storia isrā’-mi’rāj è un racconto
che celebra il ruolo eminente di Maometto rispetto agli altri profeti della fede di Abramo, il suo privilegio di ricevere
rivelazioni da parte di Dio e di poter essere testimone di eventi dell’aldilà. Per queste ragioni, il libro ha finito per
occupare una posizione chiave nella letteratura islamica di carattere religioso e biografico. [..] Alla radice della storia
dell’ascensione stanno i versetti coranici 17:1 e 53:6-18. Il primo, nel diciassettesimo capitolo del Corano (sura),
intitolato “Il viaggio notturno” (al-Isrā’) o “Gli israeliti” (Banū Isrā’īl), recita: “Gloria a Colui che fece volare di notte
il suo servo dal Tempio Sacro (al-masjid al-hāram) al Tempio Ultimo (al-majid al-aqṣā), i cui precinti abbiamo
benedetto per mostrargli alcuni dei Nostri Segni”. La maggior parte degli scrittori ha interpretato questo verso (āya)
come un’indicazione del viaggio di Maometto (cioè, “il Suo [di Dio] servo) dalla Mecca fino a un luogo molto lontano,
che dovrebbe rappresentare Gerusalemme). Di conseguenza, il Corano 17:1 è spesso interpretato come concernente la
parte terrena del viaggio notturno di Maometto (isrā’) che lo portò dalla Mecca a Gerusalemme prima della sua
ascensione al Cielo. Un’altra serie di versetti del Corano, 6-18 della sura 53, intitolata “Sura della Stella” (al-Najm),
completa il racconto dell’ascensione descrivendo l’arrivo del profeta sopra un altissimo orizzonte segnato da un albero
di loto chiamato Albero del Limite (sidrat al-Muntahā) che divide la realtà contingente dal regno eterno. Quando
Maometto arrivò vicino a Dio – così vicino, infatti, che a dividerli c’era solo lo spazio di due archi (qāb qawsayn) – Dio
concesse delle rivelazioni al Profeta il quale da parte sua contemplò i grandi segni di Dio. Il carattere piuttosto ambiguo
di questi versi provocò accese dispute sulla natura della visione di Dio da parte di Maometto senza che tuttavia venisse
impedita una certa libertà di interpretazione. Tuttavia gli scrittori sono propensi a concordare che la visione (rū’yā) di
Dio da parte del Profeta debba intendersi come quella che egli maturava nel cuore piuttosto che costituire una
percezione reale. La combinazione dei versi del Corano 17:1 e 53:6-18 e l’incorporazione di un certo numero di brevi
versi coranici e di dettagli biografici attinti da fonti non coraniche, come biografie, storie, opere esegetiche ecc., si
contaminarono con gli elementi originari della storia del mi’rāj del Profeta. Probabilmente indotti dai narratori e dalla
tradizione orale, gli scrittori cercarono di elaborare versioni più “definitive” dell’ascensione del Profeta corredando di
un buon numero di dettagli questi versi altrimenti frammentari. Cfr. Christiane J. Gruber, The Timurid Book of
Ascension (Mi’rajnama): A Study of Text and Image in a Pan-Asian Context, Patrimonio Ediciones. Valencia 2008, pp.
259-256; traduzione di Lucia Mariani (file:///C:/Downloads/Il_Viaggio_del_Profeta%20(1).pdf)
50
Sahih al-Bukhārī 7128, Libro 92, Kitāb al-Fitan, (Libro del giudizio).
22
La descrizione di Gesù varia di poco in Bukhārī e Muslim, e ciò che è riportato dai diversi
Compagni 51 del Profeta. Se si volessero armonizzare i diversi detti, le peculiarità di Gesù
seguirebbero le seguenti caratteristiche: era un uomo dalla carnagione chiara e con la pelle rossiccia
“come se fosse appena uscito da una vasca da bagno” , di statura moderata e con dei bellissimi
capelli lunghi “né troppo ricci né troppo lisci” con l’acqua che scendeva da questi. L’enfasi viene
posta sul suo aspetto fisico, ricostruito in termini positivi e sulla sua purezza, contrariamente alle
orripilanti caratteristiche del Dağğal52, presentato con un solo occhio 53.
Inoltre, nella loro raccolta, Muslim e Bukhārī riportano dei detti del Profeta che evidenziano la
relazione tra Gesù e Muḥammad; il Profeta, infatti, risulterebbe molto legato al figlio di Maria. Lo
ḥadīth riportato da Abu Hurayra riporta le parole del Profeta: «Tra tutti gli uomini sono il più vicino a Gesù
Cristo, tutti i Profeti hanno madri diverse ma seguono una sola religione e non ci sono inviati tra Me e Gesù 54».

IX. Gesù nell’escatologia musulmana

Negli ḥadīth il riferimento è a ‘Isā (Gesù), non al-Masīḥ (Cristo). Le categorie di ḥadīth in cui la
presenza di Gesù è rilevante sono quelle definibili come apocalittica e «biblica». Per quel che
riguarda la prima categoria, Gesù divenne presto una figura centrale nell’immaginario musulmano
in relazione alla fine del mondo. Il ruolo escatologico di Gesù, la sua seconda venuta, anche se non
trattata in dettaglio nei Vangeli, sembra aver catturato l’attenzione delle Chiese orientali. Occorre
però rilevare che il Gesù coranico (43:61) costituì una delle fonti primarie dell’escatologia
musulmana55.
Risulta evidente, quindi, che la tematica escatologia è ampiamente trattata negli ḥadīth, cosa che,
invece, risulta poco chiara nel Corano; il Libro sacro dell’Islam necessita degli ḥadīth per una
comprensione più profonda.

51
Secondo la tradizione islamica, tali ḥadīth sono stati tramandati oralmente o per iscritto attraverso isnād (catene) di
garanti, che sanciscono l’attendibilità delle notizie, in grado crescente al rapporto di fiducia instaurato col Profeta.
Questi “rapporti di fiducia” sono costituiti dai cosiddetti Compagni del Profeta.
52
Conosciuto come “l’ingannatore”. Dalla radice dağala, che significa mentire, deriva dall’aggettivo di origine siriana
daggālā. Questa bestia conosciuta come Anticristo uscirà dalla terra e trufferà coprendo il bene con il male. Le
tradizioni relative alla venuta del Dağğāl provengono da Efrem il Siro (m. 373), un famoso teologo e scrittore.
L’Anticristo si chiamerà Dağğāl al-Masih, dalla radice masaha (il Messia), poiché il suo viso è pulito (mamsuh), senza
un occhio e senza copertura. Gesù, invece, è chiamato al-Masih, poiché cancella i peccati e le malattie; Cfr. A. Abel,
EI2, s.v. Dağğāl.
53
Oddbjørn Leirvik, Images of Jesus Christ in Islam 2nd Edition, Bloomsbury Academic, London 2010, p. 39.
54
Sahih Muslim 5835, Libro 30, Kitāb al- faḍā’il (Libro delle virtù).
55
Cfr. Tarif Khalidi, Un musulmano di nome Gesù, Lantana editore, Parigi 2010, p.33.
23
Come già accennato, il Gesù dell’eschaton avrà un ruolo fondamentale, come Segno dell’Ultima
Ora e come combattente nel Giorno del Giudizio. L’Ora, Sā‘a, significa “momento”, ed è
menzionata quarantotto volte nel Corano in riferimento al Giorno del Giudizio, Yaum al-Qiyāma.
Nel Corano, il “Giorno del Giudizio” viene annunciato come un evento imminente (Corano 16:77)
ed è descritto come appuntamento con i peccatori; il giorno in cui verranno esaminate le loro azioni
e il giorno in cui verranno condotti a vita eterna. Questo giorno, essendo imminente, obbliga gli
uomini sulla terra ad obbedire a Dio, per evitare le terribili pene dell’inferno (Corano 6:15-16). La
tradizione musulmana e il Corano citano un certo numero di segni che annunciano l’approssimarsi
dell’Ora, la cui venuta è conosciuta solo da Dio (41,47-50): “un fumo (dukhān) ben visibile
avvolgerà gli uomini” (44,10); “la terra sarà scossa da un terremoto” (99,1-2), “il sole sarà strappato
via, le stelle si oscureranno e le montagne cammineranno’’ (81,1-3); “una Bestia uscirà dalla terra.”
Anche il “ritorno di Gesù” è uno dei segni precursori dell’Ora (43,61). La tradizione identifica la
bestia con il Dağğāl, l’Anticristo dotato di poteri miracolosi il cui nome non è menzionato nel
Corano. Costui verrà alla fine dei tempi su un asino bianco e diffonderà l’ingiustizia e la tirannia nel
mondo intero per quaranta giorni o quarant’anni; ma – stando alle tradizioni sunnite – sarà
combattuto da Gesù. Secondo le tradizioni attribuite al profeta Muḥammad, fra i segni precursori
dell’Ora c’è la diminuzione della scienza, la diffusione dell’ignoranza e la scomparsa totale di
sicurezza. Per concludere, ricordiamo un segno descritto dalle tradizioni escatologiche: è la venuta
di due popoli, Yā’jūj e Mā’jūj (Gog e Magog 56) che, secondo alcune tradizioni, hanno un aspetto a
metà tra l’uomo e l’animale, e alla fine saranno annientati da Dio; nelle Sure 18 (94-98) e 21 (96-
97), il Corano riporta la storia del loro imprigionamento da parte di Dhū al-Qarnayn (“L’uomo dalle
due Corna”) in cui la tradizione vede Alessandro Magno. Questi popoli, noti all’escatologia ebraica
e cristiana (Ez 38,2 e Ap 20,7), sono considerati da alcuni autori musulmani come i discendenti

56
Questi due popoli sono noti alla tradizione ebraica e all’escatologia cristiana e sono allo stesso modo associati al
Corano e alla tradizione musulmana. Come già esplicitato, i due popoli di Gog e Magog appaiono due volte nel Corano
in un contesto escatologico. Ulteriori dettagli su Gog e Magog si trovano nella tradizione musulmana, i due popoli sono
umani o semi-umani (secondo una narrazione sono il prodotto dello sperma di Adamo mescolato con il terreno, e quindi
non discendente da Eva) e possiedono certe qualità fisiche mostruose o animalesche. Pascolano come belve selvagge e
cacciano le loro prede come animali predatori, mangiano animali come serpenti e scorpioni, carne umana e le placente
delle loro mogli. Secondo alcune narrazioni, Gog e Magog sono nani con artigli e zanne; secondo altri possiedono tre
nature fisiche: alti come cedri, alti quanto la loro ampiezza, abili nell’usare le loro giganti orecchie come rivestimento
per i loro corpi. Si dice che urlino come cani e copulino come animali. Se gli fosse dato il libero sfogo, la loro
filiazione potrebbe coprire l’intero mondo, non uno di loro muore prima di lasciare un migliaio al suo posto. Nessuno
dei dettagli riguardo la loro descrizione fisica, il loro comportamento o ruolo preciso sono presenti nel Corano. Ciò che
si racconta di loro è probabilmente il prodotto di una riflessione musulmana sulla base di vecchie leggende, alcune delle
quali si ritrovano nella siro-apocalisse dello pseudo-Matteo della metà del VII secolo. Cfr. E. Van Donzel e Claudia Ott,
EI2, s.v. Gog e Magog.
24
dello Iafet biblico, certamente riferendosi alla Genesi (Gn 10,2), che menziona il nome di Magog tra
i figli di Iafet 57.
La tradizione degli ḥadīth permette di ricostruire il ruolo fondamentale che Gesù avrà prima del
giorno del Giudizio. Pur non conoscendo l’Ora, Gesù, secondo la tradizione sunnita, tornerà sulla
terra e combatterà l’Anticristo conosciuto come Dağğāl che uscirà dalla terra e trufferà coprendo il
bene con il male. In un famoso ḥadīth, Hudhaifa ibn Asid al-Gifari riporta il detto del Profeta che
menziona gli ultimi dieci grandi segni che precederanno la distruzione dell’universo e l’assemblea
per il Giudizio universale:

«Salì da noi il Profeta e stavamo discutendo, e chiese: “Di cosa state discutendo?” Risposero: “Discutiamo sull’Ora”, e
disse: “Non verrà finché non vedrete prima dieci segni” e menzionò il fumo, il Dağğāl, gli animali, il sorgere del sole
ad occidente, la discesa di Gesù figlio di Maria, Gog e Magog e tre smottamenti, uno ad oriente, uno smottamento ad
occidente e uno smottamento nella Penisola araba e l’ultimo è il fuoco che uscirà dallo Yemen, e la gente sarà portata
al loro luogo di assemblea 58».

Sono molti gli ḥadīth che parlano delle caratteristiche del Dağğāl , della sua permanenza sulla terra
e della lotta che verrà intrapresa alla fine dei tempi. Nell’ḥadīth già citato vi è, oltre alla descrizione
di Gesù, la descrizione del Dağğāl:

«[…] Mi girai ed andai verso un altro uomo con un corpo rosso con la testa riccia e senza un occhio. Il suo occhio
destro era come un chicco d’uva sporgente. Mi dissero: “Questo è il Dağğāl “. L’uomo che gli assomigliava di più era
Ibn Qatan, uno uomo dei Khuza’a 59».

Un ulteriore ḥadīth riporta le seguenti informazioni:

«Non è stato dato profeta che non abbia avvisato il suo popolo del guercio bugiardo. Attenzione lui è guercio e il vostro
Signore non è guercio, ed ha tra gli occhi scritto: kāfir 60».

Stando alle parole del profeta, il Dağğāl avrà dunque scritto tra gli occhi kāfir, miscredente.
Negli ḥadīth viene anche menzionata la possibile durata della permanenza del Dağğāl sulla terra, il
detto riportato da ‘Abd Allāh bin ‘Amr bin Al-‘As afferma:

57
Cfr. Marie-Thérèse Urvoy, s.v. Ora, in Dizionario del Corano, pp. 597-598.
58
Sahih Muslim 7285, Libro 52, Kitāb al-Fitan w ashrāṭ al-sā’,(Libro del Giudizio e dei segni dell’Ora).
59
Sahih al-Bukhārī 7128, Libro 92, Kitāb al-Fitan, (Libro del Giudizio).
60
Sahih al-Bukārī 7131, Libro 92, Kitāb al-Fitan, (Libro del Giudizio).
25
«Noi chiedemmo, O Messaggero di Dio: “Quanto tempo resterà sulla terra?”. Rispose: “Quaranta giorni, un giorno sarà
come un anno, un giorno come un mese, un giorno come una settimana e il resto dei giorni come vostri giorni”.
Chiedemmo: “E in quel giorno che è come un anno saranno sufficienti le preghiere di un giorno?”. Rispose: “No,
calcolatelo per la sua durata” 61».

Stando alla tradizione musulmana e a quanto rivelato dal Profeta, sarà il Mahdī 62 a tornare sulla
terra e a lottare contro il Dağğāl, dalla Siria fino a Gerusalemme, distruggendolo completamente; i
sunniti identificano il Madhī con la figura di Gesù, poiché, come già esplicitato nel primo capitolo,
il figlio di Maria nel credo islamico non è morto sulla croce bensì è asceso al cielo; gli sciiti
duodecimani credono invece che il Mahdī sia Muḥammad ibn al-Ḥasan al-‘Askarī discendente di
al-Husayn figlio di ‘Ali, “occultatosi” nell’874 all’età di cinque anni, che ricomparirà,
secondo lo sciismo, alla fine del mondo per guidare i musulmani. La duplice
interpretazione del Mahdī è riallacciabile ad alcuni hadīth. Lo hadīth narrato da Umm
Salama, Umm al-Mu’minīn narra che il Profeta di Dio ha detto: «Il Mahdī sarà della mia
famiglia, dalla discendenza di Fatima […] 63»; un altro hadīth della collezione di Abū Da’ūd, narrato da
Abu Sa’īd al-Khudri riporta le parole del Profeta: «Il Mahdī discenderà da Me, avrà la fronte larga ed un naso
prominente. Riempirà la terra di equità e giustizia, così come sarà riempita di tirannia e oppressione, governerà per sette
anni 64»; si evince dunque chiaramente che nel credo degli sciiti il Mahdī non è ‘Īsā.
Nello scenario escatologico sunnita, Cristo scenderà dal cielo con due angeli ed arriverà a Damasco,
dove ucciderà il Dağğāl davanti alla porta di Ludd e sconfiggerà le forze di Gog e Magog:

«[…] Dio invierà il Masīh, figlio di Maria, scenderà dal minareto bianco ad Est di Damasco, con mahrudh (abiti
colorati con cùrcuma e poi con zafferano), poggiando le mani sulle ali di due angeli. Se abbassa la testa, gocciola, se la
alza, scendono gocce come perle. Ogni miscredente non potrà sentire il suo alito senza morire, e il suo respiro arriva
dove arriva la sua vista. Lo cerca (il Dağğāl) fino ad arrivare alla porta di Ludd, e lo ucciderà. Poi verranno a Gesù
figlio di Maria popoli che Dio aveva protetto, pulirà i loro volti e li informerà del loro livello in Paradiso 65».

I popoli di Gog e Magog arriveranno sulla terra diffondendo terrore e devastazione tanto da
costringere Gesù e i suoi compagni a nascondersi sul Sinai, fino a quando Dio non interverrà per
distruggere i due popoli nemici; nel già citato ḥadīth, è presente la narrazione di questo evento:

61
Sahih Muslim 7373, , Libro 52, Kitāb al-Fitan w ashrāṭ al-sā’ (Libro del Giudizio e dei segni dell’Ora)
62
“Il ben guidato” è il nome di colui che ripristinerà la religione e la giustizia, secondo una credenza musulmana
ampiamente attesa egli governerà prima della fine del mondo, Cfr. Madelung, s.v. al-Mahdī, EI2.
63
Sunan Abu Da’ūd 4282, Libro 38, Kitāb al-Mahdī, (Libro del Mahdī).
64
Sunan Abū Da’ūd 4285, Libro 38, Kitāb al-Mahdī, (Libro del Mahdī).
65
Sahih Muslim 7373, , Libro 52, Kitāb al-Fitan w ashrāṭ al-sā’, (Libro del Giudizio e dei segni dell’Ora).
26
«Poi verranno a Gesù figlio di Maria, popoli che Dio aveva protetto da lui, pulirà i loro volti e li informerà del loro
livello in Paradiso. In questo momento Dio rivelerà a Gesù: “Io ho fatto uscire dei miei servi che nessuno può
combattere; metti al sicuro i miei fedeli su Aṭ-Ṭûr (Sinai)”, poi Allah invierà Gog e Magog e loro scenderanno da ogni
altura. I primi di loro passeranno per il Lago di Tiberiade e berranno ciò che vi è dentro, e gli ultimi di loro passeranno e
diranno: “Qui c’era dell’acqua una volta”. Gesù, il Profeta di Dio, e i suoi compagni saranno circondati tanto che la
testa di un toro di uno di loro sarà meglio di cento vostri dinari, e Gesù e i suoi compagni pregheranno finché Dio
invierà su di loro degli insetti sui loro colli e si sveglieranno morti come un unico. Poi scenderanno sulla terra, il Profeta
di Dio e i suoi compagni, e non troveranno sulla terra un palmo se non coperto dalla loro puzza e dalla loro
putrefazione. Il Profeta di Dio e i suoi compagni pregheranno Dio ed Egli invierà uccelli con colli lunghi come
cammelli che porteranno via tutto e getteranno tutto dove Dio vuole, poi Dio invierà la pioggia, e non ci sarà casa di
argilla o tende che la manterranno, e pulirà la terra fino a lasciarla come uno specchio 66».

Nella raccolta di Bukhārī e di Muslim, il figlio di Maria discenderà tra gli uomini e regnerà
giustamente sulla terra attraverso la Sunna del Profeta, metterà fine alle erronee dottrine del
cristianesimo distruggendo la croce e uccidendo il maiale, il periodo sarà florido poiché ci sarà
prosperità e unità religiosa; il detto riportato da Abū Hurayra afferma che il Messaggero di Dio ha
detto: « Per colui che ha l’anima nelle sue mani, sicuramente scenderà tra voi il figlio di Maria
governando giustamente, romperà la croce, ucciderà il maiale, abolirà la ğyzia (tassa per i non
musulmani), il denaro sarà in abbondanza tanto che nessuno lo accetterà, tanto che una
prosternazione sarà meglio di tutto il mondo e di quello che vi è dentro”. Poi ha aggiunto Abū
Hurayra: “Se volete potete recitare: «Non vi è alcuno della Gente del Libro che non crederà in lui
prima di morire. Nel Giorno del Giudizio testimonierà contro di loro» (Corano 4:159)” 67»; inoltre
Gesù farà il pellegrinaggio (Hajj) alla Mecca, come raccontato nella raccolta di hadīth di Muslim,
riportato da Hanzala al-Aslamī, in cui l’apostolo di Dio ha detto: «[..] Il figlio di Maria farà la
Talbiya 68 per compiere il Hajj (Pellegrinaggio) o per l’Umra o per entrambi nella valle di
Rawda 69»; alcune narrazioni parlano del giusto regno di Gesù lungo sette anni, altre narrazioni
affermano che il figlio di Maria vivrà quaranta anni. Abu Hurayra ha raccontato che il Profeta
Muhammad ha detto: «Egli (Gesù) ucciderà l’Anticristo (Dağğal) e resterà sulla terra per quaranta
anni. Poi, morirà e i musulmani pregheranno per lui e lo seppelliranno 70»; secondo la leggenda
musulmana, il Profeta istruì i suoi compagni, dicendo loro di lasciare una tomba per Gesù affianco a

66
Ibid.
67
Sahih Bukharī 657, Libro 55, Kitāb aḥādīth al-Anbīyā’, (Libro dei racconti dei profeti).
68
La Talbiya è la preghiera invocata quando si intende compiere il pellegrinaggio.
69
Sahih Muslim 1252, Libro 15, Kitāb al-Hajj, (Libro del pellegrinaggio).
70
Sunan Abū Da’ūd 4310, Libro 37, Kitāb al-Malahim, (Libro delle battaglie).
27
quella di Muḥammad, vicino Abū Bakr e ‘Umar, dove sarà seppellito con Muḥammad dopo il suo
ritorno sulla terra e nel momento della Resurrezione vi sarà l’ascensione della loro tomba. 71
Come è possibile notare dai numerosi ḥadīth, il ritorno di Gesù sulla terra per la tradizione sunnita
sarà un evento grandioso e arriverà nel momento in cui il mondo avrà bisogno di un aiuto divino;
questo arriverà con Gesù, ma le prove saranno così ardue che solo Dio sarà capace di salvare
l’umanità in quel momento. L’intervento di Dio porrà fine alle difficoltà fronteggiate dall’umanità,
Dağğāl Gog e Magog, e per mostrare la verità su Dio mettendo fine alla falsità.
Dopo la sepoltura di Gesù, da parte dei musulmani, il quadro escatologico musulmano si conclude
con un forte vento che porterà ad Dio tutte le anime dei credenti; dopo questo vento, tutti i non
credenti rimarranno sulla terra per un indeterminato lasso di tempo fino al momento della
Resurrezione.

X. Gli altri racconti di Gesù

i. Il vangelo musulmano

Il Gesù dell’eschaton, di cui si è parlato nella sezione precedente, fu custodito in autorevoli raccolte
di ḥadīth, furono queste a portare alla cristallizzazione della sua figura nel pensiero islamico; il
Gesù che invece troviamo nelle opere devozionali e di ascetismo e in un genere di letteratura
religiosa chiamata «storie di profeti» (quisas al-anbiya’) continuò a prosperare nell’immaginario
musulmano. Il Gesù della religiosità e della devozione popolare i cui detti e le storie, definite come
vangelo musulmano 72, continuarono a riaffiorare nella letteratura arabo-islamica lungo tutto il
periodo premoderno e fino al XVIII secolo. Nella lettura ascetico-devozionale non compare solo
Gesù, egli è in compagnia di altri profeti coranici cui vengono attribuiti detti e storie. Per quanto
riguarda Gesù rispetto agli altri profeti, si può affermare che, così come nel Corano egli assume uno
status e una rappresentazione di rilievo, ciò è altrettanto vero nelle storie e nei detti che troviamo
nel vangelo musulmano. All’interno di questa letteratura, Gesù emerge per la quantità e soprattutto
per la qualità dei detti e delle storie a lui riferite. Mentre i detti e i racconti di altri profeti tendono a

71
Oddbjørn Leirvik, Images of Jesus Christ in Islam 2nd Edition, p.46.
72
La tradizione letteraria arabo-islamica di epoca premoderna contiene centinaia di detti e storie riferite a Gesù che, nel
loro insieme, rappresentano la più ampia raccolta di brani relativi al Messia presenti in letterature non cristiane. Tarif
Khalidi, esperto di studi islamici nato a Gerusalemme nel 1938, ha riunito la maggior parte di questi detti e storie in una
collezione intitolata il “vangelo musulmano”.
28
conformarsi a specifici modelli morali, la portata e la continua crescita dei riferimenti riguardanti
Gesù non ha paragoni tra gli altri profeti presenti nella tradizione musulmana. Per spiegare tale
circostanza bisogna considerare due fattori storici. Il Corano era in primo luogo interessato a
correggere una certa immagine dottrinale di Gesù, ma aveva poco da dire circa il suo ministero, i
suoi insegnamenti e la sua Passione. Il vangelo musulmano probabilmente sorse dalla necessità
avvertita di completare ed espandere il resoconto coranico della sua vita 73.
L’analisi del testo a cura di Sabino Chialà “I detti islamici di Gesù”74 e dell’opera di Tarif Khalidi
“Un musulmano di nome Gesù” ha portato alla riproposizione di alcuni detti che permettono di
delineare una serie di volti che assume Gesù nelle pagine della letteratura araba durante l’arco di
dieci secoli.
I detti raccolti nei rispettivi libri provengono da testi diversi sia per autorità sia per epoca e godono
di un’autorevolezza varia. I testi del Corano sono considerati dall’Islām parola di Dio, e dunque si
fregiano dell’autorità massima. Diverso è invece il caso degli altri detti, tra i quali pure vi è una
gerarchia che distingue tra scritti appartenenti alla Sunna, che è una delle fonti del diritto islamico;
altri come i testi tratti dalle Vite dei profeti, che godono di un’autorità relativa; e infine i testi dei
mistici, che non hanno alcun valore normativo, ma che sono tenuti in grande stima nei circoli sufi.
La cronologia varia dal VII al XIX secolo e provengono da diversi centri quali Kufa, Bassora,
Damasco e la Penisola araba. Dal punto di vista letterario si presentano come testi di notevole
pregio, riguardo alla forma, invece, si presentano per lo più come detti di sapienza, isolati o inseriti
in storie normalmente brevi, come è possibile trovare in tutte le tradizioni religiose; si sa
pochissimo della loro trasmissione. È probabile che all’origine si trattò di detti sparsi, secondo il
genere degli ḥadīth, che in seguito potrebbero essere stati inseriti sotto forma di blocchi all’interno
delle varie «storie di profeti», come ad esempio quella di Al-Tha’labī (m. 427). La loro presenza
massiccia all’interno di alcuni autori come ad esempio al-Ġazālī (m. 111) 75 fa infatti pensare
all’esistenza, almeno a partire da una certa epoca, di raccolte più o meno ampie. Quanto alle opere
nelle quali sono giunti sino a noi, si tratta il più delle volte di raccolte di insegnamenti attribuiti a
vari maestri o asceti musulmani, oppure di trattati sulla vita spirituale che attingono a più autori”,
uno dei quali è appunto Gesù. La loro presentazione sotto forma di un unico corpus è di stampo
moderno ed occidentale. Le prime raccolte risalgono alla fine del XIX secolo e ai primi decenni del
XX. È solo con il noto arabista spagnolo Asin y Palacios che si può parlare di una raccolta quasi

73
Tarif Khalidi, Un musulmano di nome Gesù, in Introduzione, pp. 33-34.
74
Traduzione di Ignazio De Francesco, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2009.
75
Considerato il più grande genio della mistica islamica e un’autorità indiscussa dell’ortodossia teologica (cfr. Sabino
Chialà (a cura di), I detti islamici di Gesù, Mondadori, Milano 2009, p. 306). La sua opera “Iḥyā’ ‘Ulūm al-Dīn”, Il
Ravvivamento delle scienze religiose, verrà trattata approfonditamente nel terzo capitolo.
29
completa di detti arabi di Gesù; la sua silloge venne divisa in due fascicoli della Patrologia
Orientalis, pubblicati nel 1919 e 1926 76. Ogni detto edito nell’originale arabo, è seguito da una
versione latina e corredato di un commento che mira ad individuare collegamenti con la traduzione
evangelica; l’orientamento dell’editore è chiaro: ritrovare in questi testi tracce cristiane e
neotestamentarie in particolare. Con Asin y Palacios siamo infatti in un ambito di studi che mirava,
da una parte, a riscoprire ed evidenziare le «radici» cristiane dell'Islām, e dall'altra, a rilevare gli
influssi islamici sul mondo cristiano soprattutto europeo.
Un’ulteriore tappa di questa tradizione di studi è costituita dall’opera del maronita libanese M.
Hayek, che nel 1995 pubblicò a Parigi l’edizione francese del suo Le Christ de l’Islam, seguito nel
1961 dall’edizione araba, pubblicata a Beirut. Nella sua opera, Hayek si distanzia da Palacios
poiché segue la cronologia degli eventi relativi alla vita di Gesù con il fine di presentare una sorta di
“visione islamica di Gesù”.
Una successiva collezione di detti, mutati per lo più dall’edizione di Palacios, è stata pubblicata in
arabo in vari numeri della rivista libanese cristiana “Al-Masarra”, negli anni 1976-78, a cura di Ḥ.
Mansūr. Completamente nuova è l’opera di T. Khalidi, pubblicata nel 2001 nella versione inglese.
The Muslim Jesus, Un musulman nommè Jesus mira a far emergere in tutta la sua peculiarità il volto
del Gesù dell’Islām, di un Gesù che, pur affondando le sue radici nelle tradizioni cristiane ha
ricevuto dalla meditazione islamica una colorazione particolare. La raccolta di Sabino Chialà è la
prima collezione completamente tradotta in italiano, conta 383 detti, comprende tutte le parole edite
nelle
precedenti edizioni, senza rinunciare al confronto con le possibili fonti ispiratrici cristiane, anche
remote. Il punto di partenza del Gesù cristiano e di quello islamico è una medesima figura storica 77.

ii. Gesù e l’Ora

Come già esplicato nella prima parte del secondo capitolo, il ruolo che il Gesù musulmano avrà
nell’escatologia posteriore è ben delineato all’interno della raccolta degli ḥadīth ma, nonostante il
ritorno della figura di Gesù il Giorno del Giudizio (Yaum al-Qiyāma), la fonte coranica e le
successive trattazioni di impronta islamica riconosco a Gesù l’ignoranza riguardo l’Ora; questa
inconsapevolezza in ambito islamico è impregnata di un giudizio direttamente negativo poiché

76
M. Asin Palacios, Logia et agrapha Domini Jesu apud moslemicos scriptores, asceticos praesertim, in Patrologia
Orientalis XIII 1919, pp. 335-431; XIX 1926, pp. 531-624.
77
Cfr. Sabino Chialà (a cura di), I detti islamici di Gesù, pp. XXIX-XXXVII.
30
assume un carattere importante nella polemica islamo-cristiana, teso a sottolineare la “non divinità
di Gesù”.
Prendiamo ora in esame dei testi che riportano il contenuto dell’Ora tratti dalle già citate collezioni
di Chiarà e di Khalidi78.

12- Hammam ibn Munabbih 79 (m. 749), Kitāb al-Zuhd p. 77, n.228 80
Gabriele incontrò Gesù figlio di Maria e disse: «Pace a te, Spirito di Dio!». Rispose: «A te la pace, Spirito di Dio!».
Aggiunse: «Gabriele, quando sarà l'Ora?». Gabriele fremette nelle ali, poi disse: «Chi è interrogato non ne sa più di chi
interroga: essa grava sui cieli e sulla terra, e non vi raggiungerà se non all'improvviso». Oppure disse: «Dio solo, a suo
tempo, la manifesterà».

13- Kitāb al-Zuhd 77-8, n.229 81


Se si faceva menzione dell'Ora, Gesù figlio di Maria gridava dicendo: «Non è bene che il figlio di Maria taccia, quando
davanti a lui si menziona l'Ora.»

43- Ibn Hanbal (m. 855) Kitāb al-Zuhd, p. 97, n.321 82


Se si faceva menzione dell’Ora Gesù gridava come una donna.

I detti summenzionati ricordano il versetto coranico «Ti interrogheranno sull'Ora: “Quando


giungerà? Di': “Solo il Signore lo sa. Egli solo la manifesterà a tempo debito. Sarà pesante nei
cieli e sulla terra e vi coglierà all'improvviso”. Ti interrogheranno come se tu ne fossi a
conoscenza. Di': “Solo Dio ne è a conoscenza” 83», nel primo detto Gesù non conoscendo l’ora del
Giorno del Giudizio chiede delucidazioni a Gabriele, che tuttavia non sa rispondere. L’ignoranza di
Gesù espressa qui potrebbe essere interpretata come un tratto, tipicamente islamico, che ribadisce la
sua “non-divinità”: egli non sa poiché è solo un uomo. Si deve tuttavia notare che lo stesso tema si
trova anche nel Nuovo Testamento, nel Vangelo di Matteo 24,36 84: «Quanto a quel giorno e a
quell’ora, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» Come
evidenzia Chiarà nel commento a questo detto la somiglianza con il contenuto e con alcuni elementi

78
Ogni detto menzionato in questa sezione sarà tratto dalla raccolta di Chialà. In questa trattazione la numerazione
attribuita ai detti citati corrisponde all’originale dell’editore. Nelle note a piè di pagina, invece, è possibile trovare il
riferimento numerico dello stesso detto della raccolta alla Khalidi, inoltre il riferimento all’opera di entrambi gli autori
sarà espressa attraverso la metonimia: Chialà e Khalidi.
79
Hammam ibn Munabbih è il fratello di Wahb, rinomata e semi-leggendaria autorità in materia di autorità preislamica.
80
5 in Khalidi.
81
6 in Khalidi.
82
48 in Khalidi.
83
Corano 7:187.
84
Tutti i riferimenti evangelici sono tratti da: “Vangelo e atti degli apostoli”, Versione ufficiale della Conferenza
Episcopale Italiana, Trapani 2014.
31
formali del passo di Matteo è sorprendente, la differenza con il passo evangelico è l’assenza di un
giudizio negativo all’interno di esso 85.
Gli altri due detti rafforzano la morale contenuta nel testo precedente, enfatizzano l’impotenza di
Gesù per quel che riguarda l’Ora: egli non solo sa quando giungerà ma è in preda al terrore che essa
inspira 86.
I testi qui proposti posso essere considerati come un crescendo o climax, nel primo testo Gesù non
conosce il contenuto dell’Ora, nel secondo è spaventato ed infine, nell’ultimo citato grida come una
donna, “questo sottolinea la sua vulnerabilità in quanto essere umano allontanandolo ancor di più
dalla divinità”87.

iii. Insegnamenti di Gesù

Gli insegnamenti di Gesù, presenti nelle raccolte di Chialà e Khalidi, sono svariati e mettono in luce
diverse sfumature del Cristo. In particolare, si desume la figura di un maestro che enfatizza
l’importanza delle opere buone, poiché considerate essenziali per il perdono e la salvezza; è anche
un maestro di saggezza, la quale emerge dai suoi detti. Talvolta la saggezza si assimila alla
conoscenza, a volte, invece, viene identificata con la semplicità e l’integrità in contrasto con la
contezza dei sapienti ipocriti. Lo scopo didattico che emerge è quello di trasmettere messaggi circa
la morale, la pietà, la saggezza e il cuore.
In questa sezione sono riportati i detti che permettono di delineare la figura del Gesù musulmano
come dispensatore di insegnamenti e presentano dei temi che ricorrono spesso all’interno della
raccolta; i confronti evangelici sono inseriti quando il raffronto è possibile.

61- Ahmad ibn Hanbal 88 (m. 855), Kitāb al-Zuhud, p.141, n.466 89
Gesù figlio di Maria ha detto: « Voi altri schiavi di questo mondo: al posto di ciò che date in elemosina siate
misericordiosi con coloro ai quali fare ingiustizia».

Come evidenziato i rispettivi commenti di Chialà e Khalidi a questo detto, nessuno dei passaggi
evangelici che trattano dell’elemosina sembra potersi accostare completamente al detto menzionato;
85
Cfr. Sabino Chialà, p. 158.
86
Khalidi, p.60.
87
Khalidi, p. 76.
88
Ibn Hanbal è un personaggio imponente degli inizi della storia islamica: studioso di ḥadīth, giurista e prominente
figura politica della sua epoca, oltre che fondatore dell’eponima dottrina giuridica hanbalita, una delle quattro scuole
principali dell’Ilām sunnita; Khalidi p. 71.
89
56 in Khalidi.
32
secondo Chialà l’unico associabile agli aspetti di elemosina e giustizia è di Luca 11,41-42: «Date
piuttosto in elemosina quel che c’è dentro, ed ecco, per voi tutto sarà puro. Ma, guai a voi farisei,
che pagate la decima della menta, della ruta e su tutte le erbe, e poi lasciate da parte la giustizia e
l’amore di Dio90»; invece, Khalidi riporta nel suo commento l’asserzione di un possibile richiamo
alla predizione di Gesù sull’elemosina in Matteo 6:1: «State attenti a non praticare la vostra
giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi
presso il Padre vostro che è nei cieli». L’insegnamento di Gesù è quello di praticare la misericordia
nei confronti di coloro cui si fa ingiustizia poiché l’elemosina non può annullare il dovere della
giustizia 91.

167- Abu al-Hasan al-‘Āmirī 92 (m. 992), al-A-Sa’āda wa al-Is’ad, p.311 93.
Gesù disse: « Il misericordioso in questo mondo sarà oggetto di misericordia nell’altro».

158- Abu al-Layth al-Samarquandī 94 (m. 983), Tanbīh al-Ghafin, p.139 95


Nel Vangelo si trova scritto: «Figlio di Adamo, come tu sei misericordioso così sarai oggetto di misericordia: come puoi
sperare che Dio abbia misericordia di te mentre tu non l’hai dei tuoi servi?».

Entrambi i detti ricordano la beatitudine di Matteo 5,7: «Beati i misericordiosi perché troveranno
misericordia». Il secondo, come evidenziato nei commenti di Chialà e Khalidi, ricorda la parte
finale del “Padre nostro” con l’invito ad intercedere per i peccati altrui: «E rimetti a noi i nostri
debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» 96.
Come è possibile evincere dal parallelismo con i detti islamici di Gesù ed il Vangelo, il tema della
misericordia è tipicamente evangelico, ma anche coranico. La misericordia, infatti, è anche per il
Corano il primo attributo di Dio, come rivela l’apertura del Libro sacro dell’Islām: «Nel nome di
Dio, misericordioso, misericorde97». Anche Gesù è presentato in Corano 19:21 innanzitutto come
un segno della misericordia di Dio: «Faremo di lui un segno per le genti, e una misericordia da
parte nostra» 98.

90
Chialà nel commento al testo, a pagina 193, afferma che se il testo ispiratore del detto fosse il passo di Luca 11: 41-42
questo sarebbe un indizio che Ibn Ḥanbal era a conoscenza del Vangelo di Luca.
91
Chialà, p, 193.
92
Al-‘Amiri fu un filosofo interessato in particolare dell’etica; Khalidi p. 127.
93
155 in Khalidi.
94
Al-Samarquandī fu un illustre giurista; Khalidi p. 120.
95
148 in Khalidi.
96
Cfr. Chialà p.253.
97
Corano 1:1.
98
Chialà, p. 153 e 253.
33
41- Ahmad ibn Hanbal (m. 855), Kitāb al-Zuhd, p.96, n. 317 99
Gesù diceva: «Fare il bene non è farlo a chi te l’ha fatto, poiché quello non è altro che contraccambio con una buona
azione. Fare il bene è che tu lo faccia a chi ti ha fatto del male».

Secondo l’analisi dei diversi commentatori il detto è una riformulazione di Matteo 5:46:
«Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i
pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno
così anche i pagani? Voi dunque siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste».
In questo detto l’insegnamento di Gesù è quello secondo il quale comportarsi correttamente
praticando la carità equivale ad amare anche i nemici.
Un ulteriore insegnamento di Gesù, questa volta inerente all’umiltà, è il seguente:

73- Ahmad ibn Hanbal (m. 855), Kitāb al-Zuhud, p.145, n. 483100
Gesù era solito dire: «Io predico a voi affinché possiate imparare. Non predico a voi perché diventiate vanitosi».

In questo detto Gesù parla per trasmettere una sapienza per la vita, non lo fa per stupire e suscitare
meraviglia con la sua dialettica, Khalidi nel suo commento scrive che la vanità dei sapienti è spesso
bersaglio del vangelo musulmano.

38- Ahmad ibn Ḥanbal (m.855), Kitāb al-Zuhd p. 95, n.314 101
Gesù figlio di Maria ha detto: «Mettete in cielo i vostri tesori, poiché davvero il cuore dell'uomo è dov'è il suo tesoro».

Il detto, sembra riprodurre, in forma abbreviata, il passo di Matteo 6:20 : «Accumulate invece per
voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove i ladri non scassinano e rubano.
Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore»102. Le parole di Gesù contengono un
insegnamento molto profondo trasmesso sotto forma di metafora, l’invito a riporre completamente
il proprio amore per Dio.

99
36 in Khalidi.
100
68 in Khalidi.
101
33 in Khalidi.
102
Chialà, p. 179.
34
83-Abu ‘Uthman al-Jāḥiẓ 103 (m.868), al-Bayān, 2: 177 104
Cristo passò davanti a un gruppo di israeliti ed essi lo insultarono. Quanto più gli dicevano empietà, tanto più Cristo
rispondeva con il bene. Allora Simone il puro gli chiese: «Possibile che rispondi con il bene quanto più quelli dicono
empietà?». Cristo rispose: «Ogni uomo dà ciò che possiede».

L’ultima sentenza sembra riecheggiare il passo evangelico di Matteo 12:34-35 in cui Gesù dice:
«La bocca infatti esprime ciò che dal cuore soprabbonda. L’uomo buono dal suo buon tesoro trae
cose buone, mentre l’uomo cattivo dal suo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive». Nel suo
insieme il detto potrebbe essere considerato come un invito a perdonare colui che fa del male, in
linea con il passo presente in Matteo 5:44 in cui Gesù dice: «Amate i vostri nemici e pregate per
quelli che vi perseguitano» 105.

194-Abu ‘Ali Miskawayh 106 (m. 1030) al-Ḥikma p.132 107

Si riferisce che Gesù abbia detto a un tale che non lo meritava: «Dio ti protegga». Gli fu chiesto: «A uno simile dici
cosi?». Gli fu chiesto: «È una lingua abituata al bene; è essa che parla così con tutti».

Il tema trattato, quello di ripudio della maldicenza e di espressione di un giudizio di condanna anche
in caso di colpa da parte dell’altro è molto ricorrente nella letteratura ascetica, dove giudicare l’altro
è tra i peccati più frequentemente condannati. Maldicenza e giudizio sono molto spesso riprovati
anche nel Corano (cfr. 4:148; 24:4-26; 33:57-58; 49: 11-12) 108.
I due detti mettono in evidenza la mansuetudine di Gesù; nel primo testo, come suggerisce l’analisi
di Chialà, Gesù non reagisce agli insulti degli israeliti anzi risponde con la pacatezza che lo
caratterizza sia nel Cristianesimo che nel vangelo musulmano dicendo che ognuno dà quello che ha
dentro 109; il secondo detto molto simile al primo aggiunge ad esso la formula rivolta al maldicente
«Dio ti protegga».

103
Al-Jāḥiẓ è un’imponente figura letteraria della cultura arabo-islamica classica, i cui interessi spaziavano in quasi
tutte le arti e le scienze della sua epoca.
104
80 in Khalidi.
105
Chialà, p. 206.
106
Miskawayh fu un rinomato filosofo, storico e alto funzionario governatico; Khalidi p.36.
107
178 in Khalidi.
108
Chialà, p.234.
109
Cfr. Chialà p. 206.
35
XI. Ascesi di Gesù

I detti riferiti in questa sezione fanno parte di un gruppo di detti e racconti che delinea la figura di
Gesù come patrono dell’ascetismo islamico. Qui, la rinuncia al mondo è completa e intransigente.
L’identificazione con il povero è cruciale nella sua missione. Da un punto di vista stilistico,
mancano le parabole, uno dei modi più caratteristici dei discorsi del Gesù dei Vangeli. Ci sono
invece dei racconti in cui Gesù incontra persone e affronta situazioni specifiche, la cui morale viene
mostrata in azione110.

183- Abū Ḥayyān al-Tawḥīdī 111 (m. dopo il 400/110), al-Baṣā’ir wa al Dhakha’ir, 3/2,440 112
Gesù disse: «Sta nel mondo come ospite e prenditi come casa il luogo di culto 113».

18- Ahmad ibn Hanbal (m. 855), Kitāb al-Zuhud p. 198, n. 563
114

Gesù figlio si Maria soleva dire ai suoi compagni: «Prendete per abitazioni i luoghi di culto 115 e le (vostre) case per
luoghi di sosta; mangiate legumi selvatici e mettetevi in salvo illesi dal mondo». Riferisce Sharik 116: «Ne feci menzione
a Sulaymān 117 ed egli mi aggiunse: “E bevete acqua pura” ».

Chialà evidenzia nel suo commento che l’immagine derivante da questo testo, Gesù come asceta
itinerante, trova un fondamento in alcune espressioni evangeliche come quella di Matteo 6,25-34 in
cui è presente l’invito di Gesù a non preoccuparsi per il necessario quale cibo, bevande, corpo o
vestiti, che nelle parole di Gesù è priorità per i pagani ma, ad affidarsi alla provvidenza di Dio. Nei
detti arabi questo però assume una centralità che non ha nei Vangeli, costituendo dunque uno dei
tratti più peculiari del “Gesù islamico” 118.

110
Khalidi, p.41.
111
Abū Ḥayyān al-Tawḥīdī fu uno studioso con ampio interesse nei campi dell’adab, della filosofia e del sufismo;
Khalidi 132.
112
167 in Khalidi.
113
Il termine arabo impiegato è masājid, traducibile con moschee; Chialà p. 271.
114
11 in Khalidi.
115
Ved. nota 60.
116
Sharīk era un noto giudice, morto nel 794 della nostra era (cfr. Khalidi, p.74).
117
Sulaymān b. Mughīra, di Bassora, morto nel 781(cfr. Khalidi, p.74).
118
Chialà a p.164.
36
342- Abū al-Faraj ibn-Ḥanbalī 119 (m. 634/1236), al-Istis’ad bi-man Laqayttuhu, minaal-‘Ibad, p.180 120
Alcune persone erano ospiti presso Gesù figlio di Maria ed egli offrì loro pane e aceto, dicendo: «Se mai simulassi
qualcosa con qualcuno, simulerei anche con voi».

Nel commento di Chialà vi è esplicitata l’idea che il detto di Gesù sia una allusione all’ultima cena
di Gesù, radicalmente trasformata negli elementi e nel significato. È interessante notare che l’aceto
sia posto al posto del vino, poiché proibito dal Corano (2:219; 4:43; 50:90-91) 121. Il significato del
detto sembra evidenziare la semplicità ascetica dello stile di vita di Gesù 122.
I testi presi in esame fanno emergere il volto di Gesù come asceta viandante, una sfumatura che
seppur fonda le radici nei testi evangelici, si carica attraverso la tradizione, di una peculiarità
prettamente islamica.
Nel primo brano Gesù, con le sue parole esprime l’invito a mantenere un rapporto distaccato con il
mondo attraverso l’esempio dell’ospite, l’asceta infatti abita la terra senza avere una dimora fissa. Il
secondo brano, tematicamente simile al primo, presenta Gesù come un asceta itinerante che fa della
provvisorietà e della frugalità dei cibi uno dei segni distintivi della sua missione 123. Nel secondo e
nel terzo vi è il riferimento alla moschea (masājid), indica che esse sono il principale luogo di
adorazione. Il terzo testo preso in esame sembra sottolineare la semplicità ascetica dello stile di vita
di Gesù 124.
Prima di analizzare il volto di Gesù nel pensiero del grande autore al-Ġazālī, cito un detto in cui è
possibile scorgere l’idea della lotta ascetica fondamentale nella mistica islamica.

173- Abū Ṭalib al-Makkī 125 (m.998) Qūt al-Qulub 2:56


Si riferisce che Gesù abbia detto: «Chi ama Dio, ama il travaglio». E si riporta che egli sia passato da una comunità di
oranti consumati dal culto, come se fossero otri consunti. Chiese: «Chi siete?». Risposero: «Oranti». Chiese: «Per quale
motivo vi dedicate al culto?». Risposero: «Dio ci ha fatto temere il fuoco e noi lo temiamo». Replicò : «Spetta a Dio
mettervi al sicuro da ciò che temete». Poi procedette oltre, passando presso altri, ancora più ferventi di loro e chiese:
«Per quale motivo vi dedicate al culto?». Risposero: «Dio ci ha fatto desiderare il paradiso e ciò che ha preparato in
esso per i suoi amici: questo noi desideriamo». Replicò: «Spetta a Dio darvi ciò in cui sperate». Poi procedette oltre e
passò presso altri dediti al culto e chiese: «Chi siete?». «Noi siamo quelli che amano Dio», risposero. «Non è per paura
del fuoco o per desiderio del paradiso che lo adoriamo, ma per amore di lui e per magnificare la sua gloria.» Replicò:
«Voi davvero siete gli amici di Dio, mi è stato ordinato di stare con voi». E risiedette in mezzo a loro. In un altro

119
Ibn al-Ḥanbalī fu studioso di legge damasceno, un esperto di ḥadīth, predicatore e membro di un’illustre famiglia di
studiosi; Khalidi p. 176.
120
274 in Khalidi.
121
Chialà a p.353.
122
Khalidi, p.176.
123
Chialà p. 271 e 163.
124
Khalidi p. 176.
125
Abū Ṭalib al-Makkī fu una figura influente nello sviluppo e nella dottrina e nella pratiche sufi; Khalidi p. 127.
37
racconto [si riferisce] che abbia detto ai primi due: «Avete temuto una realtà creata e avete amato una realtà creata».
Agli ultimi invece disse: «Voi siete i ravvicinati».

Per quanto riguarda questo detto sono attestate leggere varianti, secondo questa versione Gesù passa
presso tre gruppi di uomini, consumati dall’ascesi, ma gli ultimi che incontra, coloro che sono
“innamorati di Dio” hanno volti splendenti. Gesù loda quest’ultimo gruppo perché rappresenta il più
alto stato di religiosità. In questo detto compare un pensiero tipico della mistica – non solo islamica
– che auspica il superamento di una logica di sforzo in vista di una ricompensa o tesa a evitare una
punizione. Gesù dichiara di voler dimorare presso “quelli che amano Dio” ed impiega
un’espressione che potrebbe ricordare il linguaggio di Giovanni 14: 23 in cui le parole di Gesù
sono: « Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui». L’espressione “amici di Dio”, utilizzata nel testo si contrappone
a “servi” e potrebbe rimandare al testo di Giovanni 15,15 quando Gesù dice: «Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone, ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò
che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» 126. Amare Dio in maniera disinteressata, né
per timore dell’inferno, né per brama del paradiso, era un sentimento ascritto nei primi sufi 127.
I testi riguardanti l’ascesi di Gesù presentano in nuce le caratteristiche del “Gesù inquadrato nella
sensibilità sufi come il profeta del cuore per eccellenza 128”, figura che, sotto questa luce, spicca
all’interno dell’opera di Al-Ġazālī.
L’ultimo detto summenzionato è presente nella raccolta di Al-Ġazālī, Iḥyā’ ‘Ulūm al-Dī
n 4: 210 ed è il punto di partenza per l’analisi effettuata nel successivo capitolo.
Il detto ha come intento primario quello di fornire delle informazioni dettagliate per poter praticare
correttamente la contemplazione di Dio129.
In seguito, verranno analizzati alcuni dei detti e storie inerenti a Gesù presenti nell’opera.

126
Cfr. Chialà, pp. 262-263.
127
Khalidi, p. 129.
128
Khalidi p. 48.
129
Chialà, p. 263.
38
CAPITOLO III

Gesù nel Sufismo di al-Ġazālī

XII. Definizione di Sufismo

“Il sufismo, in arabo taṣawwuf 130, è spesso definito “la mistica dell’Islam”, nonostante questo
termine non sia propriamente corretto, perché il sufismo presenta le sue peculiari caratteristiche che
lo differenziano notevolmente dalla mistica nel senso occidentale del termine; si tratta di una
corrente nata in senso all’Islām e volta a metterne in luce gli aspetti più squisitamente spirituali. I
sufi sono infatti convinti che si possa incontrare Dio anche in questo mondo, che l’uomo possa
sentire la Presenza divina, persino unirsi ad Essa, sperimentando così il tawḥīd nel senso più
profondo del termine. Il termine ṣūfī viene utilizzato alla fine del VII secolo per indicare un devoto
di Kufa, mentre verso la metà del IX secolo esso è ormai correntemente impegnato per designare
chi si dedica con particolare fervore agli esercizi spirituali; di poco successiva è la diffusione del
termine tasawwuf ad indicare la tendenza nel suo complesso. Nonostante molti studiosi gli abbiano
attribuito un’origine “straniera”, sottolineandone gli influssi iraniani, le fonti indiane o plotiniane, o
ancora l’influenza del monachesimo cristiano, il sufismo resta un fenomeno eminentemente
islamico che trova il suo principale alimento nella meditazione del Corano e della Sunna del
Profeta, che sono appunto le due fonti principali dei sufi.
Il sufismo vede nella generazione del Profeta il punto di partenza della propria storia: Muḥammad
cioè, come molti ḥadīth tramandano, non solo insisteva su un approccio alla fede che non si
esaurisse nella pratica puramente esteriore del culto ma alludeva spesso anche ad una dimensione
interiore della fede, tuttavia non comunicabile a tutti, bensì solo a quelli in grado di comprenderla.
Questa dimensione interiore sarebbe stata trasmessa dal Profeta ad alcuni eletti e si sarebbe
tramandata così di generazione in generazione.

130
Parola che viene generalmente fatta risalire alla parola ṣūf (lana), con riferimento a al materiale di cui era fatto il saio
indossato dai primi asceti; ṣuffa (portico), riferentesi all’ahl al-ṣuffa (le genti del portico) , ovvero a quel gruppo di
uomini poveri e pii che il Profeta ospitò sotto il portico della sua casa di Medina; altri ancora lo ricollegano alla parola
ṣafā’ (purezza); Cfr. Ines Peta, Dispensa di Lingua araba 2 (Lingua Morfosintassi e Lessico), anno accademico
2013/14, p. 32.
39
Il sufismo è un movimento in cui teoria e pratica sono inscindibilmente legati. Questo perché lo
scopo dei sufi è la progressione spirituale, per cui la descrizione delle diverse tappe spirituali 131 da
percorrere va per forza di cose a pari passo con la loro realizzazione.
Rituale centrale del sufismo è il ḏikr, termine che deriva da una radice frequentissima nel Corano e
che vuol dire nello stesso tempo «menzionare» e «ricordare». Il ḏikr è dunque ricordo di Dio e
menzione del Suo nome.
Il ḏikr consiste nella ripetizione incessante del nome di Dio, Allāh, e della prima parte della
professione di fede, lā ilāha illa Allāh; lo scopo del ḏikr è quello di riattivare la memoria, facendo
prendere consapevolezza all’uomo della presenza di Dio all’interno di sé e riportandolo nello stato
che ha preceduto la sua esistenza temporale, quello stato in cui tutti gli uomini stipularono un patto
con Dio, come afferma il versetto coranico 7, 112: «Ricorda quando il tuo Signore prese dai lombi
dei figli di Adamo i loro discendenti e li fece testimoniare contro se stessi: “Non sono Io (A lastu)”
chiese “il vostro Signore?”. Risposero: “Si, lo attestiamo?”. Facemmo questo perché nel giorno
della resurrezione non possiate dire: “Noi questo non lo sapevamo 132!».
Il ḏikr va compiuto sotto la guida del maestro, come tutti i rituali sufi. Infatti elemento
assolutamente imprescindibile del sufismo è che deve compiersi sotto la guida di un direttore
spirituale, il cosiddetto šayḫ, il quale guida il discepolo nella sua elevazione. Egli può compiere il
ḏikr individualmente o in gruppo: le sedute collettive sono infatti molto diffuse nel sufismo, e
consistono in vere e proprie sessioni di invocazione collettiva. Spesso sono accompagnate
dall’ascolto di poesie ed inni devozionali e a volte anche dall’esecuzione di musica e danze. Queste
riunioni collettive hanno mantenuto nei secoli e fino ad oggi la loro diffusione e vengono praticate
nelle diverse confraternite nelle diverse confraternite o turuq (plurale di tarīqa). Il termine tarīqa
sta ad indicare propriamente la «Via» mistica, che si configurò in una scuola organizzata
gradualmente: l’aspetto associativo del sufismo fece infatti sì che più o meno a partire dal XII
secolo prendessero forma le diverse vie o tarìche – come diciamo italianizzando il termine arabo –
ovvero associazioni di sufi che pian piano si trasformeranno da libere e spontanee in veri e propri
ordini strutturali, con il loro statuto e le loro regole in cui lo šayḫ è l’ultimo anello di una catena che

131
Per percepire la realtà divina, si deve seguire un itinerario spirituale: comune a tutto il sufismo è la cosiddetta teoria
degli «stati» (aḥwāl, pl. di ḥāl) e delle «stazioni» (maqāmāt, pl. di maqām). Le stazioni, luoghi di tappa lungo la Via,
propedeutici l’uno all’altro, rappresentano per così dire gli atteggiamenti che il sufi deve adottare man mano che
procede nella sua elevazione spirituale (ad esempio il pentimento, la pazienza, la sopportazione delle avversità , la
fiducia in Dio e così via), mentre gli stati sono i risultati di quegli atteggiamenti e quelli sforzi, ma non in quanto
conseguenze automaticamente prodotti da quelli, bensì in quanto doni divini, gratuite concessioni di Sé da parte della
Realtà divina come tali veri e propri stati di grazia; Ibid. p. 35.
132
L’idea espressa in questo versetto è quella di un patto primordiale nel quale tutti gli esseri, prima ancora di pervenire
alla concreta esistenza, si sono impegnati a riconoscere la Signoria divina; gli uomini però, una volta venuti al mondo,
si sono scordati di questo patto e hanno trasgredito i comandi divini; Ibid.
40
risale fino al Profeta, il cui insegnamento spirituale è stato trasmesso, come si accennava di
generazione in generazione attraverso una serie ininterrotta di maestri”133.
L’importanza della catena dei maestri è pari, nel diverso dominio a quella catena di trasmettitori
della tradizione profetica, la Sunna: in ambo i casi, ha funzione di garantire che si tratta di una
trasmissione regolare, continua e non mai interrotta, dal Profeta Muḥammad fino all’ultimo anello
di cui si sta parlando134.

XIII. Vita di Al-Ġazālī

Al-Ġazālī fu una di quelle personalità che imprimono nuovi orientamenti ai processi spirituali,
quindi lasciano nella storia del pensiero e, di conseguenza, anche negli eventi umani, un'impronta
duratura. Il periodo storico in cui vive Al-Ġazālī è cruciale per la formazione del suo pensiero.
L'Islam col passare del tempo si era quasi cristallizzato, irrigidito in un freddo legalismo. I dotti
additavano ai fedeli come doveri essenziali l'adesione piena ai loro insegnamenti proclamati
infallibili e l'osservanza minuziosa dei precetti cultuali come mezzo di salvezza. Certo nella massa
dei credenti ve ne erano alcuni che conservavano il fervore religioso delle prime generazioni di
Musulmani, contenti della loro semplice fede di tipo tradizionale, ma ve ne erano anche altri che
cercavano per vie nuove di soddisfare il loro anelito a Dio. Sospinti dalla insofferenza per le sottili
disquisizioni e il formalismo dei dotti e dalla brama d'una religiosità profonda e sentita, questi
ultimi finivano non di rado con l'abbracciare credenze che rispondevano, o sembravano rispondere,
alle loro aspirazioni, ma erano in realtà deviazioni dall'Islam inteso in senso "ortodosso". Fra gli
intellettuali poi vi erano quelli che, ribelli alla imposizione delle convinzioni altrui e adusi a
ragionare col proprio cervello, sottoponevano a esame le nozioni fondamentali dell'Islam, le
criticavano, le giudicavano assurde o confacenti solo al volgo ignorante e divenivano perciò o del
tutto infedeli o miscredenti stabilendo essi stessi in base alle proprie convinzioni ciò che si doveva
credere 135. In questo quadro storico, Abū Ḥāmid Muḥammad al-Ġazālī 136 nasce a Ṭūs, nel
Ḫurāsān 137, nel 1058. Il padre, semplice artigiano, teneva a che i due figlioli, Muḥammad e Ahmad,

133
Ibid., pp. 32-36.
134
A. Scarabel, Il Sufismo, Carocci editore, Roma 2007, p.55.
135
Laura Veccia Vaglieri e Roberto Rubinacci, La nicchia delle luci, Tea Editori, Milano 1989, p.2.
136
Definito ḥuğğat al-Islām, «prova dell’Islām», muğaddid, «rinnovatore», e zaydn al-dīn, «ornamento della religione»,
al-Ġazālī è forse l’ultimo dei grandi riformatori sunniti dell’epoca ‘abbaside (epoca che va dal 750 al 1258 d.C.) prima
della decadenza; Ines Peta, Lingua araba 2 (Lingua Morfosintassi e Lessico), p. 43.
137
Regione della Persia.
41
studiassero e da adulti esercitassero una professione; quando venne a morte, lasciò tutto il danaro
che possedeva ad un sufi suo amico perché provvedesse alla loro istruzione. Senonché il danaro era
scarso e, quando finì, il sufi consigliò ai due giovanetti di entrare in una madrasa, ove potevano
ricevere, con l'istruzione, vitto ed alloggio 138.
Studiò nella sua città natale ed inseguito si spostò a Baghdad poiché chiamato a insegnare da uno
dei massimi giureconsulti dell’epoca. A Baghdad si dedicò a un’intensa attività letteraria, trattando
di diritto, di logica, di teologia, di logica, di morale e di filosofia. Nel 1095, nel mezzo di una
prestigiosa carriera didattica, quando era considerato ormai uno dei più autorevoli maestri della
capitale, abbandonò tutto per ritirarsi in Siria 139. I motivi che lo spinsero a questa scelta furono
tuttavia d’ordine principalmente spirituale, nella sua biografia l’al-Munqiḏ min al-ḍalāl (“La
salvezza della perdizione”) egli dice di essere passato attraverso due crisi: una di tipo conoscitivo,
giacché passò attraverso la fase di un cupo scetticismo, dal quale uscì soltanto grazie ad una luce
che egli gli proiettò nel petto; l’altra di tipo morale, giacché Al-Ġazālī, rendendosi conto che ciò che
lo spingeva ad insegnare non era tanto il desiderio di servire Dio quanto quello di ottenere onore,
ricchezza e fama, decise di abbandonare la comoda vita di Baghdad e vivere per anni in ritiro quasi
eremitico, dedicandosi alla pratica del sufismo. Dopo due anni trascorsi a Damasco, si recò in
pellegrinaggio alla Mecca, dove restò in ritiro per altri due anni. Nel 1099 egli rientrò a Tūs, dove
tenne alcune lezioni di diritto, ma a titolo privato, e si dedicò al sufismo nella misura in cui glielo
permettevano gli eventi politici, le cure domestiche e le necessità materiali della vita. Nel 1106 pose
del tutto fine al decennale ritiro, infatti, decise di riprendere l’insegnamento. Già da tempo pensava
ad uscire dal ritiro per rinvigorire la religione e combattere la corruzione e il lassismo morale dei
suoi contemporanei, ma per farlo aveva bisogno dell’appoggio di un’autorità religiosa che ottenne
poco dopo. Il periodo di insegnamento terminò poco dopo, e nel 1110, forse per motivi di salute,
egli tornò nella sua città natale, dove riprese a praticare il sufismo. Nel dicembre 1111 morì a
Tūs 140.
“Ad Al-Ġazālī sono attribuite almeno quattrocento opere 141. Durante il suo insegnamento a
Baghdad, parallelamente a studi di diritto, Al-Ġhzālī, iniziò ad interessarsi di filosofia. Il triennio di
studio profondo dell’argomento portò alla redazione di due libri: Maqāṣid al-falāsifa (Gli scopi dei
filosofi”), e il Tahāfut al-falāsifa (“L’incoerenza dei filosofi”). Il Maqāṣid è una metodica

138
Laura Veccia Vaglieri e Roberto Rubinacci, La nicchia delle luci, p. 18.
139
Chialà, pp. 306-307.
140
Ines Peta, Lingua araba 2 (Lingua Morfosintassi e Lessico), pp. 44-46.
141
Molte delle opere attribuite ad al-Ġazālī non sono state scritte da lui. I lavori la cui autenticità è stata messa in
dubbio sono quelli in cui sono espresse visioni sufi e filosofiche eccessivamente esoteriche, in contrasto con il suo
insegnamento contenuto nelle opere considerate come autentiche; W. Montgomery, s.v. al-Ġazālī, EI2.
42
esposizione dei filosofi musulmani, in particolare di al-Fārābī (m. 950) 142 e di Ibn Sīna (1037) 143,
venne scritto come premessa al polemico Tahāfut, in cui quelle idee vengono confutate; quest’opera
fu conosciuta dai latini senza la parte introduttiva in cui l’autore spiegava l’intento del suo lavoro,
ossia esporre le teorie da criticare successivamente. L’opera senza prefazione portò a credere che le
idee riportare rispecchiassero il pensiero dell’autore; quando le pagine introduttive furono ritrovate
si comprese l’intenzione dell’autore nel redigerlo: in esse Al-Ġazālī afferma che non si possono
refutare opinioni altrui senza averle prima studiate approfonditamente ed esposte con chiarezza.
Dopo uno studio attento della filosofia, Al-Ġazālī non la rifiuta totalmente, ma respinge i punti
speculativi ritenuti in contrasto con l’ortodossia. Il punto fondamentale della critica di Al-Ġazālī
riguarda la concezione di Dio propria dei filosofi, in particolare al-Fārābī e Ibn Sīna, poiché per loro
Dio è all’origine di un processo di emanazione eterna che ha carattere di necessità e non di libertà;
crea direttamente un solo effetto, il primo intelletto, mentre il realtà è generato tramite gli intelletti
intermediari; Egli crea direttamente gli individui e tanto meno è a conoscenza delle loro azioni, Dio
è infatti in un’altra dimensione rispetto alla realtà che si genera a partire da Lui. Al-Ġazālī reputa
questa concezione inaccettabile e contro il Corano poiché Dio è libera volontà onnipotente,
presenza attiva nel mondo e come tale agisce su ogni cosa e comprende ogni cosa secondo un
imperscrutabile disegno che l’uomo non può conoscere nella cause ma può solo contemplare nei
suoi effetti. Lo studio della filosofia, marcherà profondamente tutta la sua produzione successiva,
non solo perché egli utilizzerà il metodo appreso dai filosofi al fine di confutare le idee dei suoi
oppositori, ma anche perché finirà per elaborare, con quello stesso metodo, una propria filosofia
religiosa, per dimostrare che l’Islām ortodosso poteva accordarsi completamente alla speculazione,
se questa veniva usata correttamente144. Tra le sue opere, una posizione di grande rilievo è occupata
da l’ Iḥyā ‘ulūm al-din, considerata “il tentativo più maturo e riuscito di una conciliazione tra
mistica e ortodossia145”.

142
Secondo al-Fārābī, il Primo Principio è nella propria sostanza un Intelletto in atto, la cui attività consiste nella
contemplazione della propria essenza. Dalla sua attività di auto-contemplazione prende avvio, per sovrabbondanza di
essere e di perfezione, un processo di emanazione (fayd) grazie a cui viene posto in essere tutto ciò che esiste; Cfr. Ines
Peta, Lingua araba 2 (Lingua Morfosintassi e Lessico), pp. p. 30.
143
Ibn Sīna, noto in Occidente come Avicenna, riprende la teoria emanatistica fārābiana, sostenendo che Dio emana
l’intera creazione, senza che alcun volere o intenzione sia implicato in questo processo; in Ibid.
144
Ibid. pp. 46-48.
145
Chialà, p. 306.
43
XIV. L’Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn (Il ravvivamento delle scienze religiose)

L’opera è composta da quattro tomi, ciascuno diviso in dieci libri: «Gli atti del culto» (al-‘adāt) «I
costumi» (al-‘ibādāt); «Le cause della perdizione» (al-muhlikāt); «I mezzi di salvezza» (al-
munğitāt). Nel primo Al-Ġazālī illustra il comportamento che l’uomo deve avere nella sua
devozione a Dio, nel secondo quello che deve adottare nella società, nel terzo presenta i vizi umani
ed i modi per combatterli, nel quarto espone le qualità umane che possono invece condurlo alla
salvezza attraverso la Via dei sufi. “L’opera è una guida completa per il musulmano devoto ad ogni
aspetto della vita religiosa, culto e pratiche devozionali, condotta nella vita quotidiana,
purificazione del cuore e l’avanzamento lungo il cammino mistico 146”. Il titolo dell’opera L’Iḥyā’
‘ulūm al-dīn costituisce il corpus delle sue delle sue dottrine, il titolo che abbraccia tutti i tomi
rivela l’intento dell’autore ovvero rivivificare l’Islām, infondergli una nuova linfa vitale, combattere
il freddo legalismo in cui si era irrigidito per restituirgli il fervore religioso che aveva
contraddistinto le prime generazioni di musulmani. L’impulso al rinnovamento religioso gli fu dato
dal sufismo, considerato da Al-Ġazālī l’unica Via tesa a cogliere la Verità; il suo sufismo si incentra
attorno al cuore (qalb), inteso come culla delle tendenze morali dell’individuo dove risiede la
conoscenza e il luogo della contemplazione divina; come tale, esso compone l’essenza dell’uomo,
centro del suo essere. Secondo Al-Ġazālī la conoscenza può essere raggiunta in diversi modi 147,
l’uomo può arrivare a Dio sia seguendo una strada che ha origine nei sensi e arriva attraverso un
sapere che parte dai sensi ed arriva dal creato al Creatore attraverso la porta del cuore che si affaccia
sul mulk 148, che mediante un sapere che nasce dall’intimo, dal profondo del cuore, attraverso la
porta che si affaccia sulla malakūt149. In entrambi i casi arrivare a Dio è possibile, solo dopo essere
giunti alla rimozione del velo, intesa come eliminazione degli ostacoli che impediscono al cuore
una visione chiara e diretta della Verità. La rimozione del velo non avviene per semplice volontà
dell’uomo, ma è un dono divino. L’uomo può prepararsi a riceverla, dedicandosi alla purificazione
del cuore (tazkiyyat al-qalb) e consacrandosi al pensiero di Dio (ḏikr Allāh); questo è l’unico modo
perché si possano manifestare le meraviglie del mondo invisibile”150.

146
W. Montgomery, s.v. al-Ġazālī, EI2.
147
Al-Ġazālī afferma che la conoscenza può conseguirsi attraverso il taqlīd, dunque attraverso la passiva “accettazione”
delle nozioni religiose trasmesse dai genitori o dalle autorità, questo è il modo proprio delle messe; con l’iktisāb, ossia
“l’acquisizione” e “l’apprendimento”, questo è il modo di conoscenza degli studioso e dei sapienti (‘ulamā’); infine per
conoscenza diretta o ‘ilm ladunī, per waḥy (“rivelazione”) o ilhām (“ispirazione”) che sono i due modi di conoscenza
degli anbiyā’ (“profeti”) egli awliyā’ (“santi”); Ines Peta, Lingua araba 2 (Lingua Morfosintassi e Lessico), p. 49.
148
“Mondo materiale” o terreno.
149
“Mondo celeste” o divino.
150
Ibid., pp. 48-50.
44
XV. Gli epiteti di Gesù

Al-Ġazālī ritiene che Gesù sia una delle figure chiave della spiritualità sufi; lo dimostra
l’abbondante raccolta di detti a lui attribuiti che egli trasmette nelle sue opere, in particolare
nell’Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn 151; essa infatti contiene il più alto numero di detti riferiti a Gesù, presentato
come il profeta del cuore per eccellenza, rispetto a qualsiasi altro testo islamico 152. In molte
circostanze, Al-Ġazālī non si limita a citare i detti di Gesù, ma li fa seguire dai suoi commenti
Nell'opera Gesù è chiamato più volte «Spirito di Dio», in conformità con l’epiteto coranico che lo
qualifica propriamente come «uno Spirito che viene da Dio 153» (rūḥ minho); l’espressione ricorda il
soffio che l’arcangelo Gabriele ha posto in Maria, ossia la causa del suo concepimento verginale.
Nell’Iḥyā’, Gesù viene chiamato «Spirito di Dio» da diverse categorie di persone quali gli apostoli,
la folla e persino da un teschio di un uomo che fu re. Il suo titolo di profeta marca invece la
posizione di Gesù come profeta alla stregua degli altri, identica a quella del profeta dell’Islām. Gesù
quindi si afferma profeta, conformemente alla dottrina coranica: «O Apostoli! Voi avete paura dei
peccati, ma noi profeti abbiamo paura della miscredenza 154». Il suo status di profeta emerge dal
detto successivo: «Chiesero a Gesù figlio di Maria: “Chi ti ha istruito?”. Rispose: “Nessuno mi ha
mai istruito. Ho considerato l’ignoranza ripugnante e l’ho evitata 155”»; come si evince da questo
detto, la sua educazione è un dono, quello che Dio concede ai profeti 156. Nell’Iḥyā’ sono presenti
molti detti relativi sia a Gesù che a Muḥammad, spesso ai due insieme, come il testo seguente: «Si
narra che il nostro profeta e il Messia -sia su di loro la pace- abbiano detto: “Quattro qualità non si
ottengono se non con la fatica: il silenzio che è il primo degli atti di culto, l’umiltà, il ricordo
frequente di Dio e il possesso di poche cose 157». Questo dimostra che le perfezioni riconosciute ad
uno dei profeti possono essere attribuite anche agli altri, specialmente a Muḥammad. La
commutabilità dei detti invita a non porre troppo l’accento sulle opposizioni e i contrasti. Al-Ġazālī
attribuisce a Gesù i soliti epiteti coranici, accanto a Spirito di Dio e Profeta compare quello di figlio
di Maria, parola di Dio e apostolo 158.

151
Chialà, p. 307.
152
Khalidi, p.48.
153
Corano 4: 171.
154
Nelle note a piè di pagina, il riferimento all’ Iḥyā’ ‘ulūm al-dīn, versione online in arabo, sarà indicato con la sigla
“IH”. http://www.ghazali.org/ihya/ihya.htm
IH 4: 169
155
IH 3: 48.
156
J. Jomier, Jèsus tel que le prèsente Ġazālī,in MIDEO XVII (1988), pp. 47-49.
157
IH 4: 219.
158
S.M. Zmwer, Jesus Christ in the Iyhā’ of al-Ġazālī, in The Muslim World VII (2007), p. 145.
45
XVI. Gesù profeta della purezza

Nell’Iḥya’ troviamo molti eventi della vita di Gesù come profeta e “santo”. La prima menzione di
Gesù all’interno libro Kitāb šarḥ ‘aǧā’ib al-qalb (Libro delle meraviglie del cuore) del terzo
tomo 159, Al-muhlikāt (Le cause della perdizione), è quella che lo descrive come il profeta della
purezza: «Si dice che il diavolo apparve a Gesù e disse: “C’è solo Dio e unicamente Dio 160”. Gesù
rispose: “Parole giuste che non voglio ripetere dopo di te” 161»; in questo detto Gesù riesce ad
opporsi al male e, pur affermando la veridicità delle parole del diavolo, rifiuta di ripeterle. Al-
Ġazālī commenta il testo dicendo che l’uomo dovrebbe conoscere la fonte del suo pensiero, capire
se questa provenga dagli angeli o dal diavolo, esaminarla profondamente e non farsi soggiogare
dalle passioni e dai bassi desideri; è possibile evitare di dar ascolto alle macchinazioni del diavolo
solo se le porte dei pensieri connesse ai cinque sensi sono chiuse e se ci si allontana completamente
dalle connessioni materiali con il mondo, in questo modo la porta delle idee rimane aperta all’anima
(al-nafs) 162. La chiusura delle porte dei cinque sensi è possibile soltanto se l’anima viene riservata
al ricordo di Dio. Il diavolo prova a far dimenticare questo ricordo all’uomo, angustiandolo fino alla
morte.
Nelle pagine successive, Al-Ġazālī elenca le diverse porte del diavolo; tra queste vi è l’avventatezza
(‘aǧila). A questo proposito, dopo un ḥadīth del profeta Muḥammad, vi si trova una storia legata a
Gesù: «Quando nacque Gesù, i diavoli andarono da Satana e dissero: “Gli idoli hanno oggi chinato
tutti la testa”. Satana disse: “È successo qualcosa nel vostro mondo”. Satana volò tutto attorno al
mondo ma non trovò nulla. Infine, trovò il bambino Gesù circondato dagli angeli. Ritornò dai
diavoli e disse: “Ieri è nato un profeta. Nessuna donna ha mai concepito o partorito senza che io
fossi presente, tranne questa163. Quindi, dopo questa notte, abbandonate ogni speranza che gli
uomini adorino gli idoli. D’ora in poi, seduceteli sfruttando la loro avventatezza e
superficialità 164”».
Il consecutivo riferimento alla storia di Gesù riporta: «Il diavolo passò presso Gesù figlio di Maria,
che aveva reclinato la testa su un sasso, e gli disse: “O Gesù, dunque del mondo ti va bene questa
159
I riferimenti tratti dal terzo tomo saranno in seguito citati con il solo titolo del libro.
160
lā ʾilāha ʾillā-llāh, professione di fede musulmana.
161
IH 3: 29.
162
L’anima è definita da al-Ġazālī come l’essenza umana, essa ha due porte, la prima si affaccia sul mondo spirituale;
la seconda, invece, si affaccia ai cinque sensi ed è connessa al mondo materiale. La prima porta, come si vedrà più
avanti nel capitolo, rimane aperta sul mondo spirituale solo se si si rimane legati in solitudine al ricordo di Dio.
163
Lo ḥadith 657, riportato da Bukharī nel Libro 55, Kitāb aḥādīth al-Anbīyā’, (Libro dei racconti dei profeti) narrato
da Abū Hurayra narra: Ho sentito il profeta di Dio dire: « “Nessun figlio di Adamo nascerà a meno che egli non venga
toccato da Satana all’ora della nascita, quando inizia la sua vita grida del tocco di Satana, ad eccezione di Maria e suo
figlio».
164
IH 3: 32.
46
pietra?”. Allora se la tolse da sotto la testa e gliela lanciò dietro dicendo: “Prenditi questa insieme al
mondo! Non ne ho alcun bisogno” 165». Un ulteriore passo, similmente a quello summenzionato, in
cui Gesù riesce a vincere “la lotta con Satana 166” è il seguente: «Si racconta che un giorno Gesù- su
di lui la pace- usò una pietra come guanciale, e Satana passò accanto a lui dicendo: “O Gesù, hai
desiderato una cosa del mondo terreno”. Allora Gesù –su di lui la pace- la prese e la gettò via da
sotto la sua testa, dicendo. “Questa è tua insieme al mondo terreno!”. Al-Ġazālī continua il detto
con un suo commento sottolineando che: “Difatti è vero che chi possiede una pietra come guanciale
durante il sonno possiede una cosa del mondo terreno che può essere strumento di Satana contro di
lui. L’uomo che si alza di notte per pregare, ad esempio, quando ha accanto a sé una pietra da poter
usare come guanciale, si sente continuamente istigato a dormire e ad usarla come guanciale. Se non
fosse così, egli non penserebbe una cosa simile né si metterebbe in moto il suo desiderio di dormire.
Se questo è vero per una pietra, com’è per chi possiede soffici guanciali, un letto morbido e
deliziosi luoghi di svago? Quando costui si dedicherà al culto di Dio altissimo?167”». La lotta di
Gesù con Satana è diffusamente descritta nei Vangeli 168 e svolge un ruolo decisivo anche negli
scritti islamici di sapore mistico. L’anima umana, per quanto monda possa essere, è per al-Ġazālī
sempre alla mercé delle tentazioni di Satana, l’unico modo per resistere ad esse è quello di avere il
cuore perpetuamente rivolto verso Dio. Da questo punto di vista, Gesù si presenta, tra tutti i profeti,
come quello più adatto a svolgere il ruolo di modello morale169.

XVII. I miracoli di Gesù

All’interno del libro Kitāb ḏamm al-buḫl wa ḏamm ḥubb al-māl (Condanna dell’avarizia e
dell’amore per le ricchezze materiali) dell’Iḥya’, al-Ghazālī riporta un racconto in cui si narra di

165
IH 4: 11
166
Ines Peta, Il Radd pseudo-ġazaliano: paternità, contenuti, traduzione, p.60.
167
Al-Ġazālī, Le meraviglie del cuore, a cura di I. Peta, Torino 2006, p. 129.
168
Matteo 2,1-11: «Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. Dopo aver
digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei Figlio di
Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: Non solo di pane vivrà l’uomo, ma di ogni
parola che esce dalla bocca di Dio. Allora il diavolo lo portò nella città santa. Lo portò nella citta santa, lo pose sul
punto più alto del tempio e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordini a
tuo riguardo ed essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”. Gesù gli rispose: “Sta
scritto anche: Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”. Di nuovo il diavolo lo portò sopra un monte altissimo e gli
mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria e gli disse: “Tutte queste cose io ti dirò se, gettandoti ai miei piedi, mi
adorerai”. Allora Gesù gli rispose: “Vattene Satana! Sta scritto infatti: Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai
culto”: Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco, degli angeli gli si avvicinarono e lo servivano».
169
Ines Peta, Il Radd pseudo-ġazaliano: paternità, contenuti, traduzione, p.60.
47
alcuni miracoli di Gesù,: «Un uomo voleva accompagnare Gesù Cristo nel suo viaggio. Entrambi
arrivarono sulla riva di un fiume e si sedettero a mangiare. Avevano con sé tre pezzi di pane, ne
mangiarono due e rimase il terzo. Gesù si alzò per bere l’acqua dal fiume, al ritorno non trovò il
pezzo di pane e chiese al suo compagno: “Chi ha mangiato il pane?”. Egli rispose: “Non lo so”. Poi
entrambi proseguirono il loro viaggio fino a quando non trovarono una cerva 170 con i suoi due
piccoli. Gesù chiamò uno dei due e questo venne da lui, lo macellò, ne arrostì una parte e mangiò
con il compagno. Poi disse al giovane cervo: “Alzati con il permesso di Dio. E questo si alzò e se ne
andò. Poi chiese all’uomo: “Per lui che ti ha mostrato questo miracolo, dimmi chi ha preso il pane
rimasto? Egli rispose: “Non lo so”. Entrambi andarono sulla riva del fiume e Gesù prese la mano
dell’uomo e oltrepassarono il fiume camminando sulle acque e una volta attraversata Gesù gli
chiese: “Per lui che ti ha mostrato questo miracolo, dimmi chi ha preso il pane rimasto? Egli
rispose: “Non lo so”. Giunsero in un deserto e si sedettero, Gesù prese un mucchio di terra o sabbia
e disse: “Diventa oro con il permesso di Dio. Poi Gesù divise la porzione in tre pezzi e disse: “Una
porzione è per me, un’altra per te e l’altra per l’uomo che ha preso il pezzo di pane. L’uomo
rispose: “Io ho preso il pane rimasto”. Gesù Cristo disse: “L’oro è tutto tuo”. Gesù si allontanò e poi
andò via. Due uomini si imbatterono in lui nel deserto con il suo oro e volevano derubarlo e
ucciderlo. Disse loro: “Dividiamolo in tre porzioni tra noi, e mandiamo uno di voi due al villaggio
per acquistare cibo”. Uno dei due fu mandato a cercare cibo, e si disse: “Perché dovrei dividere
l’oro con quegli altri due? Piuttosto avvelenerò il cibo e terrò l’oro per me”. Partì e così fece. I due
uomini rimasti si dissero: “Perché dovremmo dare un terzo di questa fortuna? Quando il terzo tornò,
lo uccisero, mangiarono il cibo e morirono. L’oro rimase nel deserto di fianco ai tre uomini morti.
Gesù passò da lì e disse ai suoi compagni: “Questo è il mondo. Guardatevene” 171»; questa storia è
citata da Al-Ġazālī nel suo capitolo sulla condanna dell’avidità, nel detto l’azione iniziale di Gesù è
tesa ad indurre alla conversione il suo discepolo preso dalla concupiscenza. Mediante tre
miracoli172, Gesù cerca di indurre alla conversione il suo discepolo, senza alcun risultato. Il breve
insegnamento è sviluppato in un racconto che si conclude con un invito a guardarsi dal mondo. La
conclusione indirizza l’interpretazione dell’intero brano: l’effetto del “mondo” non è altro che

170
Ẓabya, cerva o gazzella.
171
IH 3: 267.
172
Uno dei miracoli può essere collegato ad un testo evangelico, Matteo 14: 24-31: «La barca intanto distava già molte
miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento era infatti contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro
camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: “È un fantasma!” e
gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Pietro allora gli
rispose: “Signore sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro scese dalla barca,
si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad
affondare, gridò: “Signore, salvami! E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede perché hai
dubitato?”»; Chialà, p. 224. Il miracolo di Gesù che cammina sull’acqua è menzionato anche nell’ Iḥya’ 4: 171.
48
l’attaccamento ai beni, o concupiscenza, che – secondo quanto mostra la storia - porta alla
menzogna, all’omicidio e, infine, alla morte 173.
Un ulteriore miracolo presente nel sesto libro del quarto tomo dell’Iḥyā’ narra la storia dell’incontro
di Gesù con un uomo affetto da lebbra con la carne consumata dalla sua malattia: «Si riferisce che
Gesù sia passato presso un uomo cieco, lebbroso, invalido, colpito da una paralisi bilaterale, con la
carne a brandelli per la lebbra, che diceva: “Lode a Dio che mi ha guarito da ciò con cui mette alla
prova molte delle sue creature”. Gesù gli chiese: “Tu, quale piaga non ti ha fatto visita?”. L’uomo
rispose: “Spirito di Dio, io sono migliore di colui nel cui cuore Dio non ha posto la sua conoscenza
come l’ha posta nel mio. Allora Gesù replicò: “Hai detto bene, dammi la tua mano”. Gliela diede ed
ecco, era l’uomo dal viso più bello e dall’aspetto migliore: Dio aveva eliminato ciò che l’aveva
colpito. Divenne così compagno di Gesù ed esercitò la pietà insieme a lui 174»; il brano, inserito
all’interno della sezione riguardo l’appagamento che deriva dall’amore di Dio, si pone come
exemplum poiché, come Al-Ġazālī afferma all’inizio della sezione, coloro che si immergono
nell’amore per Dio traggono soddisfazione da questa condizione. I motivi esplicitati dall’autore
sono due, il primo è che essendo immersi in Dio, in una totale devozione mentale, il dolore fisico
sparisce poiché si è completamente dediti ad esso. Il secondo motivo è che nessuna privazione è
stimata più dolorosa della sua mancanza, per questo il vero credente rimane soddisfatto della sua
condizione nonostante il dolore ed esprime la sua gratitudine verso Dio. Il detto mira ad esaltare la
conoscenza, per cui il protagonista sente di lodare Dio nonostante la situazione di infermità in cui si
trova. Tale conoscenza sarà quella che poi gli renderà la salute. Gesù infatti, prima che Dio lo
guarisca, asserisce la veridicità delle sue parole, sottolineando che la guarigione viene in qualche
modo da ciò che era già in lui. La conoscenza presentata come dono di Dio, posto nel cuore
dell’uomo, è il dono per eccellenza. Questo è uno dei temi più importanti della tradizione sufi, dove
essa appunto è la luce interiore 175.

173
Chialà p. 224.
174
IH 4:339; La vicenda evangelica del lebbroso riportata da Matteo 8,1-3: «Scese dal monte molta folla lo seguì. Ed
ecco, si avvicinò un lebbroso, si prostrò davanti a lui e disse: “Signore, se vuoi, puoi purificarmi”. Tese la mano e lo
toccò dicendo: “Lo voglio: sii purificato!” e subito la sua lebbra fu guarita»; potrebbe essere lo sfondo di questo detto.
175
Cfr. Chialà, p. 329.
49
XVIII. Gesù: il perfetto sufi

iv. Condanna dell’ipocrisia

Le azioni, le parabole e gli insegnamenti di Gesù figlio di Maria, nella prospettiva sufi, si
inseriscono in una pedagogia iniziatica che ricorda i metodi utilizzati nel loro cammino spirituale.
In particolare, il rapporto tra Gesù e gli apostoli, così come quello tra il profeta Muḥammad e i suoi
compagni, sono simili a quelli che legano i discepoli e un maestro sufi. Dal punto di vista della
tradizione sufi si tratta della stessa esperienza: ritrovare la dimensione interiore propria di ogni
donna e di ogni uomo. Il maestro deve mettere in atto tutti i mezzi per risvegliare il discepolo e
suscitare in lui una dimensione d’amore che inglobi tutto il creato176.
«Gesù disse: “Quando per uno di voi è giorno di digiuno, che si unga il capo e la barba e si strofini
la bocca, così che la gente non sappia che sta digiunando. E se dà la carità con la destra, che lo
nasconda dalla sua sinistra. E quando prega, faccia scorrere la cortina della propria porta, poiché
Dio dispensa elogi così come dispensa mezzi di sostentamento” 177»; l’insegnamento morale di Gesù
è inserito all’interno del discorso in cui al-Ġazālī condanna l’ipocrisia di coloro che pregano
negligentemente, solo per apparire. Il successivo detto di Gesù contiene un insegnamento sotto
forma di critica rivolta ai sapienti: «Ci è stato riferito che Gesù figlio di Maria ha detto: “Sapienti
malvagi, voi digiunate, pregate, fate l’elemosina, ma non fate ciò che ordinate e insegnate ciò che
non conoscete. Quanto cattivo è il vostro giudizio! Vi pentite a parole e nelle aspirazioni ma agite a
vostro capriccio. Che vantaggio avete a pulirvi la pelle mentre i vostri cuori sono sudici? In verità vi
dico: non siate come il setaccio, dal quale esce buona farina mentre vi rimane dentro lo scarto; così
voi fate uscire il giudizio dalla bocca ma nei vostri cuori rimane la malizia. Schiavi del mondo,
come può uno giungere all’aldilà se la sua passione per il mondo non cessa e non se ne arresta il
desiderio? In verità vi dico: i vostri cuori gemono per le vostre opere! Voi avete messo il mondo
sotto la vostra lingua e le buone opere sotto i vostri piedi. In verità vi dico: avete corrotto il vostro
aldilà, l’integrità del mondo vi è più cara dell’integrità della vita eterna. Chi più abbietto di voi, se
lo sapete? Guai a voi, cosa serve a una casa buia che si metta la lanterna sul tetto mentre il suo
interno è buio e desolato? Similmente non vi serve essere, con le vostre bocche, luce della scienza
mentre il vostro interno rimane, rispetto ad essa, desolato e in disarmo. Voi schiavi del mondo non

176
Faouzi Skali, Gesù nella tradizione sufi, Paoline editore, Milano 2007, p. 13.
177
IH 3: 287; l’insegnamento ricorda Matteo 6: 16-18 «E quando digiunate, non diventate malinconici come ipocriti,
che assumono un’aria disfatta per far vedere agli altri che digiunano. In verità io vi dico: hanno ricevuto la loro
ricompensa. Invece, quando tu digiuni, profumati la testa e lavati il volto, perché la gente non veda che tu digiuni, ma
solo il Padre tuo, che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà».
50
siete né servi pii, né liberi onorati. Il mondo sta per strapparvi dalla radice, farvi cadere di faccia,
gettarvi bocconi sul naso, poi prendere i vostri peccati per i capelli della fronte e spingervi da dietro
sino a consegnarvi nudi e soli al Re giudice che vi renderà note le vostre scelleratezze e poi vi
ripagherà delle vostre cattive azioni178»; l’incoerenza e l’ipocrisia dei sapienti, che dicono e non
fanno, è individuata nel loro eccessivo legame con il mondo, poiché la mondanità impedisce loro di
osservare quanto prescrivono agli altri179.
Entrambi i detti sono tratti dal libro Kitāb damm al-ğāh wa al-riyā’ (Condanna del prestigio e
dell’ipocrisia). Come indica il titolo, è diviso in due parti: nella prima vi è la condanna dell’amore
per il potere e per la notorietà; nella seconda, invece, la condanna dell’esibizionismo e dell’ipocrisia
e in entrambe le sezioni ci sono i rispettivi rimedi per debellare questi vizi.
I detti che seguono sono narrati nel libro Kitāb āfāt al-lisān (I pericoli della lingua): «Chiesero a
Gesù: “Mostraci un’azione grazie alla quale possiamo entrare in paradiso”. Gesù disse: “Non
parlate affatto”. Gli risposero: “Questo non possiamo farlo”. Gesù allora disse: “Allora non parlate
se non per dire il bene 180”» ed anche: «Gesù e i suoi discepoli passarono di fianco alla carcassa di
un cane. I discepoli dissero: “Che fetore ripugnante.” Gesù disse: “Come sono bianchi i suoi
denti 181”». Il primo di questi è inserito nella sezione dedicata all’elogio del silenzio, dove Al-Ġazālī
afferma che non ci si può sottrarre ai pericoli e ai danni della lingua, a meno che non si pratichi il
silenzio 182. Il secondo detto si colloca nel discorso sulla condanna della calunnia, in cui l’autore
asserisce che nella šarī‘a 183
ci sono numerosi ammonimenti riguardo ad essa e che poche persone
sono escluse da questa pratica; “il messaggio del detto è chiaro: nessuna situazione autorizza alla
maldicenza, a esprimere quindi un giudizio di condanna184”. Un altro detto contenutisticamente
simile al precedente narra: «Un maiale passò di fianco a Gesù. Gesù disse: “Passa in pace”. Gli fu
chiesto: “Spirito di Dio, come puoi dire ciò ad un maiale?” Gesù rispose: “Odio che la mia lingua si
abitui a dire il male” »; il detto presenta Gesù come un maestro che sa vedere il buono che
permane; e, per contro, afferma che nessuna situazione oggettivamente riprovevole, giustifica il
giudizio 185. Entrambi i detti, pur non costituendo violazione della legge islamica, in un certo senso

178
IH 3: 258-259; il detto rimanda a Matteo 23.
179
Chialà, p. 318.
180
IH 3: 107.
181
IH 3: 140.
182
L’esortazione a dominare la propria lingua, e dunque l’invito al silenzio, è già presente con un’immagine simile nei
Salmi (cfr. Ps. 39,2; 141,3); diventerà poi un tema tradizionale nella letteratura monastica; cfr. Chialà p.155.
183
Il versetto coranico 49:12 è quello citato dal al-Ġazālī : «Voi che credete, evitate le troppe congetture perché alcune
sono peccato; e non spiate, e non mormorate degli altri quando non sono presenti: a qualcuno di voi piacerebbe
mangiare la carne del vostro fratello morto? No di certo, vi disgusterebbe. Dunque temete Dio, Dio è pieno di perdono,
è il compassionevole».
184
Chialà, p. 234.
185
Chialà, p. 234
51
offendono il gusto musulmano; riguardano, infatti, animali considerati sgradevoli dalla sensibilità
musulmana classica 186.

v. Rinuncia al mondo

Nel libro Kitāb ḏamm al-dunyā (Il disprezzo del mondo), al-Ġazālī esordisce con una metafora in
cui paragona il mondo ad una bella donna impudica che attrae gli uomini verso di lei, ma nasconde
della malattie che distruggono coloro che le si avvicinano. L’autore afferma che i pericoli derivanti
dal mondo sono molti e impervi, ma l’uomo può decidere se fuggire da esso o andargli incontro; il
mondo, di conseguenza, viene definito un nemico di Dio poiché allontana gli uomini da esso, e un
nemico dei suoi credenti perché essi sono ingannati dal suo amore effimero e vengono intrappolati.
Tuttavia l’uomo, essendo a conoscenza delle molteplici insidie e del fascino che il mondo può
esercitare su di esso, dovrebbe salvarsi cercando di evitare tutto questo. I detti di Gesù inseriti
all’interno di questo ammonimento, sono molteplici, e lo vedono come insegnante che consiglia agli
uomini di ravvedersi dal mondo. La fuga mundi di Gesù viene esplicitata con diverse immagini e
costituisce l’invito a guardarsi dal mondo per poter rimanere fedeli a Dio 187: «Gesù disse: “Non
prendetevi come Signore il mondo, perché allora esso vi prenderà come servi. Guadagnate il vostro
tesoro da colui che non ne causerà la perdita. Chi possiede il tesoro di questo mondo teme per esso,
ma chi possiede il tesoro di Dio non teme per esso alcun danno. O miei discepoli, io ho gettato per
voi il mondo a faccia in giù; non rianimatelo dopo di me 188»; al-Ġazālī scrive in proposito che tra i
mali del mondo vi è la disobbedienza a Dio e che solo lasciando questo mondo si potrà raggiungere
l’“altro” (l’aldilà); inoltre afferma che la radice di ogni peccato è l’amore per il mondo. Un altro
detto di Gesù, a conferma dell’inconciliabilità dell’aldilà e del mondo terreno, è il seguente: «Gesù
Cristo disse: “Il cuore di un credente non può in realtà sostenere l’amore sia di questo mondo che
dell'altro, così come un solo recipiente non può contenere sia acqua che fuoco189”»; anche il detto di
Gesù presente nel già citato ottavo libro presenta un chiaro insegnamento riguardo la rinuncia al
mondo terreno: «Cristo ha detto: “Tu che cerchi il mondo per vivere virtuosamente mediante esso:
lasciarlo è cosa più virtuosa”. E ha detto: “Il minimo che se ne ha è che l’adoperarsi per il mondo lo

186
Khalidi p. 114.
187
Chialà, p.314.
188
IH 3: 129; il detto ricorda Matteo 6: 19-21: «Non accumunate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine
consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumunate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine
consumano e dove e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore».
189
IH 3: 200.
52
distragga dal ricordo di Dio, e il ricordo di Dio è la cosa maggiore e migliore 190”»; nella seconda
parte del detto si spiega che il mondo, anche se lo si desidera per potervi coltivare la virtù, ha il
potere di distrarre dal ricordo di Dio, che è quanto di più grande vi possa essere nella vita di un
credente 191.
Uno dei detti più emblematici di Gesù, citato due volte da al-Ġazālī all’interno dell’Iḥyā’ 192,
paragona il mondo ad un ponte: «Gesù disse: “Il mondo è come un ponte. Attraversalo ma non
costruirci nulla sopra” 193»; l’autore con questo detto dimostra la caducità del mondo. Il successivo
commento dell’autore esplica la similitudine utilizzata da Gesù: “il ponte” rappresenta il mondo, il
suo inizio rappresenta la nascita e la sua fine la tomba, costruire case e adornarlo è cosa da sciocchi
poiché questo deve essere solo attraversato. Similmente al detto appena citato: «Gli dissero:
“Profeta di Dio, se ci ordinassi di costruire un edificio dove rendere culto a Dio?”. Rispose: “Andate
a costruire un edificio sull’acqua”. Replicarono: “Come può reggersi una costruzione sull’acqua?”
Rispose: “Come può reggersi il culto in presenza dell’amore per il mondo 194?”»; le parole di Gesù
difendono un’itineranza assoluta e come nel detto precedente vi è ancora un invito a non fissare la
propria dimora nel mondo 195.
Al-Ġazālī riporta un altro detto di Gesù in cui la critica al mondo è espressa sotto forma di
paragone: «La ricerca del mondo è come bere acqua del mare, più si beve più aumenta la sete fino a
che se ne muore 196». Al-Ġazālī cita, molti detti e storie di Gesù che lo inquadrano come perfetto
sufi amante della povertà, disdegnoso della ricchezza, occupato nel solo ricordo di Dio. Nel già
citato sesto capito del sesto tomo vi è la descrizione dettagliata dello stile di vita sufi di Gesù: «La
fame è il mio nutrimento, la paura (di Dio) è il mio segno, il mio vestito è la lana, i raggi del sole in
inverno sono la mia scorta, la luna è la mia lampada, i miei piedi sono il mio trasporto, ciò che la
terra produce è il mio nutrimento. Passo le mie notti e i miei giorni senza cose materiali. E non c’è
sulla terra nessun uomo più ricco di me»; la rappresentazione di Gesù, scevro da ogni influenza
terrena, è il segno rappresentativo e il modello da imitare della rinuncia al mondo, in funzione di
una vita vissuta nel totale abbandono a Dio. Un detto simile è riportato da ‘Abīd bin ‘Amīr : «Gesù
usava vestire con vestiti di feltro 197 e mangiare fogliame e non aveva nessun figlio che potesse
morire e nessuna casa che potesse essere distrutta e non accumulava per il domani e dormiva

190
IH 3: 228.
191
Il ricordo di Dio come esplicitato nella sezione inerente il sufismo, conosce all’interno del mondo sufi una
particolare interpretazione e costituisce una precisa pratica ascetica, il ḏikr, professione di fede.
192
Nel sesto libro del terzo tomo e nel quarto libro del quarto tomo, il detto citato è quello presente nel terzo tomo.
193
IH 4: 218.
194
Ibid.
195
Chialà, p.325.
196
IH 3: 212.
197
Sha’ra, vestito intrecciato composto di cotone e lana; tipico degli asceti sufi.
53
all’arrivo ovunque all’arrivo della notte198». Accanto alla povertà vi è la rinuncia al mondo; questa
tappa, spiega al-Ġazālī, rientra in quelle presenti lungo la strada della religione, ed è regolamentata,
come le altre, nel rispetto della conoscenza, della condizione e dell’azione. La condizione è la
rinuncia al mondo, dal quale bisogna allontanarsi per poter raggiungere l'aldilà, la conoscenza è il
frutto della condizione stessa, ossia essere consapevoli che l’aldilà è superiore al mondo terreno e a
differenza di esso è eterno; invece, l’azione nasce dalla rinuncia dei piaceri terreni, poiché la vera
rinuncia è quella che si attua nell’accettazione di Dio attraverso l’abbandono delle cose terrene.
Gesù è spesso presentato nei dei detti arabi come un asceta itinerante che fa della provvisorietà e
della frugalità dei cibi uno dei segni distintivi della sua missione, il successivo detto dimostra
questa immagine: «In verità vi dico 199 chi chiede di entrare nel paradiso dovrebbe mangiare orzo e
dormire sul letame con tanti cani 200»; le parole di Gesù esortano alla vita ascetica necessaria per
ereditare il paradiso 201 e costituisce l’ideale ascetico nella sua forma più austera202. L’autore parla di
Gesù come il più alto esempio di condotta morale concernente la rinuncia alla materialità; la storia
citata da al-Ġazālī narra: «Gesù non possedeva nulla tranne un pettine e una tazza. Una volta vide
un uomo pettinarsi la barba con le dita e così buttò via anche il pettine. Vide un altro uomo bere dal
fiume con le mani a coppa, quindi gettò anche la tazza 203»; la necessita della rinuncia è qui portata
alle estreme conseguenze. Qui si menzionano gli oggetti di uso quotidiano che Gesù portava con sé,
ai quali decide di rinunciare. Oltre a ribadire la necessità della spoliazione, il testo mostra il
processo mediante il quale si giunge ad essa: Gesù è descritto mentre, vedendo chi si pettina con le
dita e chi si pettina con la mano, comprende che anche lui può privarsi del pettine e del boccale. La
rinuncia viene presentata come un itinerario mai finito che accompagna l’intera vita dell’asceta,
poiché vi è sempre qualcosa da lasciare 204.
La descrizione di Gesù e del suo modo di vivere viene fatta seguire da un commento di al-Ġazālī in
cui afferma che lo stadio onorevole della rinuncia è quello di conservare il minimo indispensabile in
accordo con i propri bisogni; utilizzare, come nell’esempio di Gesù, meno oggetti possibili facendo
affidamento su ciò che si possiede per i propri scopi e cioè rinunciare alle necessità materiali.
Inoltre, l’autore parla dei diversi saggi che si servono di uno stesso strumento che assolve a diversi
usi e conclude dicendo che se l’uomo varca la soglia dell’accumulo eccessivo di beni, oltrepassa il
limite della rinuncia. Altri detti che riaffermano l’assoluta spoliazione di Gesù sono i seguenti:

198
IH 4: 220.
199
L’espressione evangelica bi-ḥaqq aqūl lakum, ricorre spesso nei detti islamici di Gesù
200
IH 4: 132.
201
Chialà, p. 185.
202
Khalidi, p.77.
203
IH 4: 231.
204
Chialà, p. 326.
54
«Mentre Gesù sedeva all’ombra di un muro che era di proprietà di un uomo, arrivò il proprietario e
lo fece spostare. Gesù disse: “Non fosti tu a farmi andare via, ma piuttosto Colui che non voleva che
io godessi dell’ombra 205»; ed anche: «Fu chiesto a Gesù: “Profeta di Dio perché non ti procuri un
asino da cavalcare quando ne hai bisogno? Gesù rispose: “Sono troppo caro a Dio perché Egli mi
procuri un bene che potrebbe distrarmi da Lui 206»; il detto sottolinea la precarietà della vita di Gesù.
Come si è più volte evinto, Gesù viene descritto come un asceta viandante; in questo detto vi è la
rinuncia di Gesù all’offerta di una cavalcatura che avrebbe potuto facilitare i suoi spostamenti. La
spiegazione di tale rifiuto e della povertà e sobrietà in cui egli vive è quella di evitare ogni tipo di
distrazione. Ogni possedimento, anche quello che potrebbe facilitare la missione, può indurre alla
distrazione e di attentare all’unicità di Dio207.
Nell’ultima sezione, Bayān ‘alāmāt al-zahad (Enunciazione degli stadi della rinuncia) del quarto
libro, al-Ġazālī scrive dei diversi stadi interni della rinuncia: il primo è quello di non essere lieti dei
propri possessi e non essere dispiaciuti per ciò che non si possiede, il secondo è quello in cui
l’uomo non ricerca la ricchezza materiale ma crede, ha fede, e rispetta l’altro, il terzo ed ultimo si
configura nell’amore totale a Dio, quando la sua totale adorazione diventa predominante nella
mente; all’interno di questa dichiarazione l’exemplum di Gesù si configura come il massimo
modello morale poiché ha rinunciato a tutto tranne che a Dio privandosi perfino della pietra che
usava come cuscino208.
Successivo al tema della rinuncia delle cose materiali vi è un esempio di Gesù che dimostra, nella
visione dell’autore, un ulteriore invito alla spoliazione 209: «Gesù ha detto: “Non è sapiente chi non
gioisce quando sventure e malattie si impadroniscono del suo corpo e dei suoi beni, nella speranza
di espiare i suoi peccati 210»; dopo gli oggetti, viene l’integrità fisica dell’uomo stesso 211.
Al-Ġazālī, dopo aver insistito sull’importanza della pazienza e della rinuncia, definiti come stadi
primari per il raggiungimento dell’amore totale nei confronti di Dio, scrive che per l’uomo è
possibile riempiere la propria mente dell’amore per Dio come risultato della fede; niente può essere
l’oggetto dell’amore tranne che l’amore per Dio e il piacere e l’appagamento derivante dalla
conoscenza spirituale (conoscenza di Dio, del regno degli angeli, del paradiso e della terra) non può
essere raggiunto attraverso altri tipi di conoscenza. All’interno di questa riflessione l’autore cita un
detto di Gesù che afferma: «Quando vedi un ragazzo cercare appassionatamente il Signore Dio, è

205
IH 4: 224.
206
IH 4: 320.
207
Chialà, p. 177.
208
La rinuncia alla materialità del mondo identificata nell’immagine del cuscino viene narrata nella sezione 3.4.
209
Chialà, p. 327.
210
IH 4: 281.
211
Chialà, p. 327.
55
perché ciò lo delizia più di ogni altra cosa 212»; le parole di Gesù ricordano che l’anima di ogni
ricerca ascetica resta la gioia che se ne trae, e la consapevolezza che in essa, più che in tutto ciò cui
si è rinunciato, vi è la pienezza della gioia213.
Nella sezione dedicata all’amore e all’attaccamento vi è un ḥadīth qudsī214: «Dio ha rivelato a
Gesù: “Quando prendo in esame l’intimo di un servo e non vi trovo amore per il mondo né per
l’aldilà, lo riempio del mio amore e me ne assumo la custodia»; il contenuto dello ḥadīth che Dio
rivolge a Gesù è tipico della spiritualità sufi. L’intimo o il cuore, la dimensione più profonda
dell’essere umano, non deve essere purificata solo dall’amore del mondo poiché questo rappresenta
il più basso stadio dell’avvicinamento a Dio, infatti Al-Ġazālī scrive che la rimozione dei piccoli
desideri rappresenta la tappa preliminare per il raggiungimento della via di Dio. Dio può riempire
con il suo amore coloro che riescono a purificare il loro intimo anche dell’amore dell’aldilà
affidandosi completamente a Dio; l’idea presente nel detto è che il credente maturo è colui che non
desidera neppure il paradiso, ma fa di tutto per Dio solo 215.
Nel libro Kitāb Tufakkir (Contemplazione di Dio), il nono del quarto tomo, l’autore esordisce
scrivendo che molti uomini hanno colto l’importanza della contemplazione di Dio ma non sanno
come praticarla, per questo nel corso di questa sezione, attraverso exempla e informazioni, al-Ġazālī
cerca di fornire al lettore i dettagli di come praticare il ricordo di Dio, cosa pensare e perché farlo. Il
detto di Gesù che l’autore menziona funge da definizione del perfetto sufi attraverso la
rappresentazione che il figlio di Maria da di sé: «I discepoli chiesero a Gesù figlio di Maria:
“Spirito di Dio, sulla terra esiste oggi qualcuno come te?” Rispose: “Colui il cui parlare è fare
memoria di Dio, il cui tacere è riflessione, il cui sguardo è ammonimento, questi è come me216»;
alla base di tutto vi sono le azioni più comuni che l’essere umano compie: parlare, guardare e
tacere. Il detto invita a parlare solo per rendere memoria a Dio, a guardare solo per trarre
ammonimento da ciò che si vede, e a tacere solo per darsi alla meditazione217.

212
IH 4: 302.
213
Chialà, p. 328.
214
Parola di Dio che non rientra nella rivelazione coranica.
215
Chialà, p. 330.
216
IH 4: 411.
217
Chialà, p. 215.
56
vi. Condanna della ricchezza

Le seguenti parole di Gesù evidenziano quanto deplorevole sia la ricchezza: «Gesù ha detto: “Nella
ricchezza vi è un triplice danno: che essa venga presa in modo illecito”. Gli chiesero: “E se la si
prende in modo lecito?”. Rispose: “Che la si usi in modo non giusto”. Chiesero: “E se la si usa in
modo giusto’”. Rispose: “Che l’adoperarsi per essa distragga da Dio 218”»; qui l’attenzione è posta
sulla ricchezza, presentata nei suoi tre rischi o effetti negativi: l’illiceità con cui può essere
acquistata, l’ingiustizia con cui può essere impiegata, e infine, anche qualora non fosse illecita né
utilizzata ingiustamente, la sua capacita di distrarre da Dio 219. Accanto alla condanna della
ricchezza vi è l’encomio della povertà, nel quale al-Ġazālī vuole dimostrare, attraverso delle storie e
dei detti, che la povertà è meglio della ricchezza e che i vantaggi della generosità sono molteplici;
questa infatti, è la condotta dei profeti e la radice della salvezza. Esplicativo in merito è anche:
«Gesù disse: “Prendete tra le cose quelle che non possono essere distrutte dal fuoco (dell’inferno)”.
Gli fu chiesto: “Cosa?”. Egli rispose: “Fare del bene 220”».
«Il nome con cui Gesù preferiva essere chiamato era “Poveretto!”, e soleva dire: “Fa parte della
perfidia della ricchezza il fatto che uno agisca da ribelle per diventare ricco, mentre non agisce da
ribelle per diventare povero 221”», il detto dimostra uno dei tratti tipici del Gesù islamico: la sua
povertà scelta. Gesù è qui presentato come il povero per eccellenza, dunque come modello ascetico
particolarmente rappresentativo 222.
Un altro detto di Gesù in cui è evidente l’elogio della povertà e il biasimo della ricchezza citato nel
capitolo quarto, Bayān al-faqr wa al-zuhd (La povertà e la rinuncia), del quarto tomo, è il seguente:
«È difficile che un uomo ricco entrerà in paradiso»; l’autore afferma che nella maggior parte dei
casi la povertà è superiore alla ricchezza; tuttavia, si presentano dei casi in cui questa affermazione
è indubbia, ad esempio un uomo che spende le sue ricchezze per delle opere buone. Al-Ġazālī
identifica il fine ultimo di questo mondo nel conseguire l’amore di Dio, ma il conseguimento di
questo amore è impossibile se si è attaccati al mondo ed impegnati in esso. A questo proposito
l’autore attesta che l’uomo avido cammina nel sentiero verso la distruzione, non in quello di Dio; la
ricchezza porta alla felicità effimera che è più acuta e deleteria delle altre avversità. In questo
contesto si colloca il detto di Gesù: «Non guardate alle ricchezze della gente di mondo, poiché il

218
IH 3: 167.
219
Chialà, p. 315.
220
IH 3: 240.
221
IH 4: 159.
222
Chialà, p. 372.
57
luccichio delle loro ricchezze fa svanire la luce della vostra fede 223»; il detto mette in guardia
dall’inganno della ricchezza, particolarmente efficace è l’immagine del luccichio – che rimanda
all’oro e dunque alle ricchezze – capace di spegnere la luce della fede 224.
Nel libro Kitāb al-kubr wa al-‘ağab (Condanna della superbia e della presunzione), i detti di Gesù
sono posti all’interno della critica di al-Ġazālī nei confronti di coloro che sono superbi, sia in
maniera manifesta che segretamente. L’autore dà una definizione di superbia manifesta dicendo che
essa si concretizza con le azioni, quella segreta viene invece presentata come “senso di superiorità”;
al-Ġazālī afferma che esistono tre tipi di oggetti sui quali la superbia si riversa: quella nei confronti
del Creatore, qualificata come la peggiore, superbia nei confronti dei propri compagni ed infine
quella nei confronti delle persone 225. I soggetti in cui la superbia si manifesta sono la religione
(educazione, servizio di Dio e onestà) e le cose terrene (bellezza, potere, ricchezza, autorità);
inoltre, l’autore descrive le diverse sfaccettature della superbia, tra queste il fatto che l’uomo
superbo non cammina da solo poiché ama che gli altri lo seguano, oppure non dà mai la carità con
le proprie mani. Un’ulteriore manifestazione della superbia si esterna nei vestiti e negli
adornamenti, a questo proposito al-Ġazālī riporta un detto di Gesù: «“L’eccellenza degli abiti è la
superbia del cuore226”»; anche in Corano 71: 7 trapela una certa condanna degli abiti lussuosi: «E
ogni volta che ho parlato loro e li ho chiamati perché Tu li perdonassi, si sono messi le dita nelle
orecchie, si sono avvolti nelle vesti, si sono ostinati e riempiti di superbia» 227. Nel successivo detto
di Gesù si ritrovano queste parole: «Gesù ha detto: “Perché venite a me in abiti di monaci, mentre i
vostri cuori sono cuori di lupi rapaci? Indossate pure abiti da re, ma mettete a morte i vostri cuori
con il timor di Dio228”»; il senso generale del detto è dunque un invito a coltivare il proprio cuore e
a evitare l’ipocrisia legata alla superficialità espresso attraverso la condanna dei monaci, che si
preoccupano dell’apparenza senza badare al cuore229.

223
IH 4: 144.
224
Chialà, p. 322.
225
In questa sezione al-Ġazālī dice che l’uomo è stato creato oppressore ed ignorante, per questa ragione, diventa
superbo nei confronti delle altre creature e spesso, anche nei confronti del Signore.
226
IH 3: 345
227
Chialà, p. 319; l’editore evidenza due riferimenti biblici che potrebbero al testo, Matteo 11: 8: «Allora, che cosa
siete andati a vedere? Un uomo vestito con abito di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei
re»; o anche Matteo 23: 5, dove vi è una critica di Gesù verso i farisei per l’attenzione che essi riservano ai loro abiti:
«Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargando i loro filatteri e allungando le frange».
228
IH 3: 346; il detto ricorda Matteo 7: 15: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma
dentro sono lupi rapaci».
229
Cfr. Chialà, p. 320.
58
vii. Elogio della pazienza

Il quarto volume dell’opera, Al-munğiāt (I mezzi di salvezza), come già accennato nella sezione che
tratta dei contenuti dell’Iḥyā’, enumera i mezzi di salvezza identificati con le qualità morali;
all’interno di questo volume, nel secondo libro, Kitāb al-ṣabr wa al-šukr (La pazienza e il
ringraziamento) al-Ġazālī dichiara che non c’è possibilità di avvicinarsi a Dio se non attraverso la
conoscenza della propria fede composta da due metà, quella della pazienza e quella della
gratitudine; l’asserzione viene avallata dai diversi passi coranici che nella prima sezione riguardano
l’eulogia della sapienza 230, poiché Dio loda coloro che sono pazienti, e nella seconda i meriti della
gratitudine231, poiché Dio grazia coloro che gli sono grati e punisce chi lo respinge.
Il detto di Gesù proposto da al-Ġazālī, «Non raggiungerete ciò che amate se non sopportando ciò
che odiate232», si presenta in un’interpretazione incisiva: quando si sopporta ciò che non si ama
essendo pazienti, si ottiene una ricompensa maggiore, in quanto lo sforzo compiuto è maggiore. Il
detto di Gesù è preceduto da un ḥadīth del Profeta: «Vi è un bene maggiore nel sopportare con
pazienza ciò che aborrisce»; la prossimità dei due testi potrebbe suggerire l’idea che, almeno in
questo contesto, anche il detto di Gesù veniva inteso in tal senso 233.

XIX. Il ricordo della morte

Nell’ultimo libro del quarto tomo Kitāb ḏikr al-mawt wa b’adahu (Il ricordo della morte e la vita
dell’aldilà) le parole di Gesù sono inserite dall’autore all’interno di una riflessione in cui si trova
l’elogio del ricordo della morte, dovuto al fatto che la rievocazione di essa conduce l’uomo ad
allontanarsi dal mondo delle insidie e lo costringe a prepararsi per l’aldilà. Vi è inoltre,
l’affermazione che la morte è terribile e gli uomini sono immemori nei confronti di essa poiché non
la ricordano con tutto il loro cuore; il modo per poterlo fare correttamente, spiega l’autore, è quello
di liberare completamente la mente da tutti i pensieri e porre la morte come unico pensiero.
L’autore riporta le parole di Gesù in cui egli dice: «Gruppo degli apostoli pregate affinché Dio mi
renda facile questa ebrezza, intendeva la morte, poiché ho paura della morte; la paura della morte

230
Corano 32: 24; 2: 249; 2:58
231
Corano 3: 144; 7: 17; 34: 14; 14: 7
232
IH 4: 61.
233
Chialà, p. 321.
59
mi ha fatto conoscere la morte234»; il detto è una rielaborazione della preghiera al Getsemani che si
ritrova in Matteo 26: 37-39 235 ma, la fragilità umana di Gesù appare molto più marcata del brano
evangelico poiché essa emerge come paura della morte. Un ulteriore detto relativo a Gesù in cui
tutta la sua fragilità umana è svelata, narra che quando si menzionava la morte davanti a Gesù, la
sua pelle stillava sangue 236.
All’interno di questo libro al-Ġazālī scrive a proposito dei tre elementi relativi al terrore della
morte: il primo è il terribile dolore al momento della morte, il secondo è il terrore che scaturisce
dalla visione degli angeli della morte, il terzo è il terrore dei peccatori nel vedere l’inferno, il posto
che li accoglierà nell’aldilà. Il detto di Gesù segue ciò che al-Ġazālī dice a proposito del secondo
terrore relativo alla morte e narra di un miracolo compiuto dal Cristo: «Si riferisce che Gesù,
passando davanti a un teschio disse: “Parla, con il permesso di Dio!”. Quello disse: “Spirito di Dio,
sono stato re di quel tempo; mentre stavo seduto nel mio regno, coronato, circondato dai miei
soldati, mentre il mio seguito stava presso il trono del mio regno, apparve l’angelo della morte. Di
fronte a lui ogni mio membro venne meno, poi la mia anima uscì verso di lui. Avesse voluto il cielo
che ci fosse stata solitudine invece di quella folla, desolazione invece di quella gente!” 237»;
l’espediente della resurrezione di un morto al fine di poterlo interrogare è comune a molti detti238. Il
teschio appartiene ad un re, un tempo vissuto circondato dal fasto della sua corte, che bruscamente
vede davanti a sé gli angeli della morte; in quel momento egli comprende che è troppo tardi, poiché
essi lo aspettano. La lezione che si trae da questa storia è che la vanità del mondo si impone ma, il
mondo non ha consistenza e coloro che decidono di appoggiarsi ad esso un giorno vedono i loro
errori.
Il libro conclusivo dell’Ihyā’ contiene la filosofia sufi della morte e mostra l’importanza della
contemplazione della mortalità umana verso la via mistica dell’auto purificazione, successivamente
l’autore conduce i suoi lettori attraverso gli stadi della vita futura: la visione degli angeli della
morte, la resurrezione, l’intercessione dei profeti, e infine, i tormenti dell’inferno, i piaceri del
paradiso e per gli eletti la beatifica visione di Dio 239.

234
IH 4: 448.
235
Dopo aver terminato la cena con gli apostoli Gesù si reca con loro nel podere chiamato “Getsemani”, disse ai suoi
discepoli di aspettarlo mentre pregava ma prese con sé Pietro e i due figli di Zebedeo. In quel momento cominciò a
provare tristezza e angoscia e disse loro: “La mia anima è triste alla morte; restate qui e vegliate con me”. Poi Gesù
proseguì e cadde faccia atterra pregando: “Padre mio, se è possibile, passa via da me questo calice! Però non come
voglio, ma come vuoi tu”.
236
IH 4: 325.
237
IH 4: 448.
238
Chialà, 227.
239
http://www.its.org.uk/catalogue/al-ghazali-on-the-remembrance-of-death-the-afterlife-paperback/
60
Tra tutti i musulmani, i sufi sono quelli che si concentrano maggiormente sulla questione della
morte. Al-Ġazālī ha fornito un grande contributo poiché ha sviluppato dei modi di meditazione
della morte, utili per porla come routine nella vita quotidiana. La riflessione sulla morte non è un
semplice esercizio spirituale, ma cerca di favorire l’azione verso la perfezione nella prospettiva che
quel giorno potrebbe essere l’ultimo240.
Per il Gesù dell’ Iḥyā’, il mondo impedisce il servizio di Dio, la sua adorazione. Come un malato
che non prova alcun gusto nel mangiare, chi ama il mondo non coglie più il piacere al servizio di
Dio, il cuore ha bisogno di essere preparato al pensiero della morte; dominare le passioni, non farsi
lasciar soggiogare dalle agevolazioni della vita, per il cuore è indispensabile ricevere la saggezza 241.

240
Abdulgafar O. Fahm, A brief analysis of the meditation of death in Sufism: with reference to al-Ġazālī and Rūmī, in
The international journal of religion and spirituality in society, Common Ground Publishing, Champaign, Illinois,
USA, 2014, p. 9.
241
J. Jomier, Jèsus tel que le prèsente Ġazālī, p. 59.
61
CONCLUSIONE

Gesù occupa un posto di rilievo nella tradizione islamica, come dimostrano i molteplici riferimenti
a lui nel Corano, ḥadīth, nella letteratura religiosa in generale e nel sufismo. Naturalmente la sua
figura è profondamente islamizzata, come dimostrano diversi fattori: la ricorrenza dell’epiteto an-
Nabī, profeta, nell’accezione coranica del termine; i suoi miracoli che, pur affondando le radici nei
racconti evangelici, sono compiuti mediante il permesso di Dio; la negazione della sua
crocifissione. Nonostante emerga, infatti, un’incongruenza tra i diversi versetti coranici che narrano
della sua “fine”, a causa della necessità coranica di armonizzazione, il tutto è ricondotto alla sua
ascensione al cielo al momento della crocifissione. La missione di Gesù è quella di portare il
Vangelo (Inḡīl), ed è la medesima degli altri due privilegiati di Dio, Mosè e Muḥammad. Certo, tra
tutti i profeti è l’unico ad essere nato senza concorso d’uomo dalla Vergine Maria ed è il solo ad
avere capacità taumaturgiche, ma essendo per il Corano tutti i profeti sostanzialmente uguali tra
loro, Gesù non è un’eccezione e resta, come tale, un semplice uomo. Così, nonostante rivesta un
ruolo cruciale nel Giorno del Giudizio, la sua funzione ha dei limiti, poiché sarà Dio ad intervenire
come deus ex machina per distruggere i popoli di Gog e Magog.
Gesù, nell’opera di al-Ġazālī, rappresenta un modello morale che funge da guida per il lettore per il
conseguimento della salvezza attraverso il cammino mistico, irto di ostacoli. Gesù è riuscito a
cogliere la Verità, purificando il suo cuore e consacrando il suo pensiero a Dio.
Le caratteristiche di Gesù che si evincono dai molteplici detti riportati dall’autore sono diverse: egli
è un profeta puro che è riuscito a non soccombere alle tentazioni di Satana; un maestro che
attraverso le sue parole e il suo modus operandi riesce ad elargire lezioni a coloro che incontra nel
suo cammino. L’insegnamento che ricorre maggiormente all’interno dell’opera è quello di
un’assoluta rinuncia a tutto sia interiormente che esteriormente.
Gesù rappresenta il modello perfetto della povertà scelta, colui che è riuscito a rinunciare al mondo,
rifiutando offerte di ogni tipo, mantenendo lungo tutto il corso dell’opera lo status di un asceta che
conduce una vita precaria e che abbandona ogni tipo di cosa materiale. Talvolta, infatti, l’ascesi di
Gesù risulta abbastanza drastica.
Gesù spesso nell’opera dà una definizione di sé, che non è altro che l’immagine del perfetto sufi,
che si dedica alla meditazione e al silenzio.
Il fulcro del concetto di ascetismo espresso da al-Ġazālī può essere delineato attraverso l’abbandono
del desiderio per questo mondo e per il prossimo, consacrandosi completamente all’amore per Dio.

62
Gesù si confà a questa totale dedizione. Infatti, la maggior parte dei riferimenti a Gesù lo
inquadrano unicamente preoccupato di Dio e ad Egli dedito.
L’ultimo tomo dell’Iḥya’ racchiude tutta l’essenza dell’opera poiché la contemplazione della morte
permette di comprendere la fugacità del mondo. Il Gesù dell’Iḥya’ ricorda la morte e ne è
spaventato. In questo caso, ed in altri nel corso dell’opera, l’umanità di Gesù viene sottolineata
attraverso la rappresentazione di una conoscenza sempre perfettibile.
Concludendo, Gesù nell’Ihyā’ si erge come la più completa rappresentazione degli insegnamenti
sufi dopo Muḥammad.

63
BIBLIOGRAFIA

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Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2007
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and Rūmī, The international journal of religion and spirituality in society, Common Ground
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di Giacobbe

SITOGRAFIA

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paperback/
• http://www.ghazali.org/ihya/ihya.htm

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RINGRAZIAMENTI

Desidero ringraziare tutti coloro che mi hanno aiutato nello svolgimento di questa tesi.
Un sentito ringraziamento va alla Professoressa Ines Peta, relatrice di questo elaborato, per i suoi
preziosi consigli e per l’attenzione dedicata al mio lavoro.
Ringrazio mia madre, mio padre e mia sorella che, mi hanno supportata e incoraggiata in ogni
momento. Ho l’incrollabile certezza che, in qualsiasi momento della vita potrò sempre contare sul
loro assoluto e incondizionato appoggio.
Infine ringrazio i miei amici che mi hanno permesso di giungere fin qui, senza di loro questo
traguardo sarebbe stato impossibile.

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