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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI BARI ALDO MORO

DIPARTIMENTO DI STUDI UMANISTICI

CORSO DI LAUREA IN FILOLOGIA, LETTERATURE E STORIA


DELL’ANTICHITÁ

TESI DI LAUREA IN

STORIA DEL CRISTIANESIMO ANTICO E DELLE CHIESE

FRA PROFEZIA E VISIONI IN TERRA DI FRIGIA:


LE FONTI SUL MONTANISMO

Relatrice:
Chiar.ma Prof.ssa Laura Carnevale
Correlatrice:
Chiar.ma Prof.ssa Ada Campione

Laureando:

Marialisa Gammarrota

Anno Accademico 2017-2018

1
2
Indice

Introduzione .......................................................................... 2

I Capitolo. Il montanismo: delimitazioni cronologiche..... 3


1. Il montanismo

2. Le fonti antiche ............................................................................. 5

2.1. Eusebio.............................................................................. 6

2.2. Epifanio ............................................................................. 8

2.3. Anonimo Antimontanista............................................... 11

2.4. Apollonio ....................................................................... 15

3. Delimitazioni cronologiche ........................................................ 17

II Capitolo. I luoghi del montanismo ................................ 20


1. La geografia della nuova profezia .............................................. 21

1.1. Pepuza e Timio .............................................................. 25

1.2. Ardaba ............................................................................. 28

2. Il significato dei luoghi

III Capitolo. Tra sonno estatico e visioni: vera e falsa


profezia ................................................................................. 36
1. Vera e falsa profezia

2. La falsa profezia e le sue manifestazioni .................................... 44

2.1. Eusebio .................................................................................................... 44

2.2. Epifanio ................................................................................................... 47


3. La vera tradizione profetica.......................................................................... 58

3
3.2. Anonimo Antimontanista e Milziade ................................ 58

3.3. Epifanio .............................................................................. 62

4. Profetismo e rivelazione “aperta” .............................................................. 66

Conclusioni .......................................................................... 69

Appendice. Gli oracoli montanisti ..................................... 70

Bibliografia .......................................................................... 77
Edizioni e traduzioni ........................................................................ 77

Studi ................................................................................................. 80

4
INTRODUZIONE

5
Il presente lavoro di tesi ha inteso indagare il montanismo

focalizzandosi sul processo di formazione e costituzione del

movimento, oltre che sulla sua natura profetica e carismatica.

Temi e problemi legati alla cronologia e geografia del

montanismo sono stati ripercorsi a partire dalle fonti antiche, di per sé

non esenti da problemi – e di tale complessità risente anche il risultato

della ricerca, che non sempre può approdare a dati certi e definitivi. Le

fonti a nostra disposizione, infatti, presentano due ordini di problemi:

in primo luogo si tratta di testi composti all’esterno del movimento,

dal momento che i montanisti non hanno lasciato traccia della loro

attività in nessuno scritto. Si tratta principalmente di Eusebio di

Cesarea, il quale nella sua Historia Ecclesiastica riporta a sua volta

estratti di opere di autori a noi altrimenti sconosciuti, quali l’Anonimo

Antimontanista, Apollonio e Milziade, e di Epifanio di Salamina, con

il suo Panarion. In secondo luogo, questi scrittori rappresentano la

voce della nascente istituzione “Chiesa”: sono dunque avversari del

montanismo che nelle loro opere hanno coerentemente perseguito lo

scopo di confutare l’esperienza dei seguaci di Montano e delle sue

profetesse Priscilla e Massimilla, giudicandoli eretici e screditando il

movimento.

6
Dunque, quella che si evince dalle fonti di questi storici

ecclesiastici antichi non è una ricostruzione “storica” secondo i criteri

della storiografia moderna – ricostruzione che sarebbe, peraltro,

anacronistica – quanto una precisa azione di decostruzione del

montanismo, in particolare di quelle caratteristiche giudicate difformi

dalla tradizione.

Fondamentale, pertanto, è stato comprendere i meccanismi della

costruzione argomentativa messa in campo dagli eresiologi: essi

inseriscono la presentazione del montanismo in una polemica

interamente costruita attorno al contrasto tra vera e falsa profezia.

Sotto accusa, infatti, non è la teologia di Montano e dei suoi seguaci, i

quali non eccedettero mai i limiti di un’ortodossia dottrinale, ma è

l’accentuazione del ruolo dell’esperienza mistico-estatica, e delle

pratiche carismatiche a essa collegate: tale fattore costituisce, per gli

eresiologi che danno voce alla “Grande Chiesa”, motivo di diffidenza

e di reazione.

Estasi, visioni, frenesia, stati alterati di coscienza, glossolalia:

questi erano i caratteri dell’eresia dei “Frigi” che turbarono e

insospettirono vano la Chiesa. Perciò più che di eresia, nel caso del

montanismo si dovrebbe parlare di un fenomeno scismatico.

7
Facendo tesoro delle testimonianze trasmesse dalle fonti, il

lavoro che segue ha inteso dunque mettere in luce la consistenza del

movimento montanista, la sua genesi e il suo radicamento nello

spazio, nonché e le sue manifestazioni, per comprendere – nei limiti

del possibile – le motivazioni per le quali esso destava tanto sospetto

nella Chiesa e suscitava tale turbamento.

8
I CAPITOLO

Il montanismo: delimitazioni cronologiche

9
1. Il montanismo

Le fonti antiche sono concordi nell’offrire un’immagine del

montanismo cristallizzata in una prospettiva antiereticale, dunque

tutt’altro che positiva. Si tratta di una prospettiva che descrive i

fenomeni non nel loro verificarsi, ma ex post, a partire da un’idea ben

precisa del rapporto eresia/ortodossia: questo nega de facto allo

studioso moderno la possibilità di conoscere e di comprendere in

maniera esaustiva il fenomeno1.

Relativamente alla questione eresia/ortodossia è d’obbligo qui

partire facendo riferimento allo studio di W. Bauer, Rechtgläubigkeit

und Ketzerei im ältesten Christentum, Tübingen 1934, che costituisce

un vero e proprio spartiacque nella comprensione della suddetta

questione. Bauer, opponendosi alle tesi contro le opinioni più

tradizionali2, affermava che era l’eresia a precedere l’ortodossia, nel

senso che l’esperienza comunitaria delle chiese cristiane del I e II

1
Cfr. A. MARJANEN, P. LUOMANEN, A Companion to Second-Century
Christian ‘Heretics’, Leuven 2005, pp. 185-187 e passim.
2
Alla domanda cosa “venga prima”, se l’eresia o l’ortodossia, la
tradizionale risposta era che l’ortodossia era precedente. Essa si basava sull’idea
che Gesù insegnò ai suoi apostoli la vera dottrina che essi preservarono pura, poi
trasmisero ai loro discepoli, i quali a loro volta diffusero il Vangelo ovunque.
Dopo la morte degli apostoli il cristianesimo continuò a diffondersi, ma la vera
dottrina che si affermò come ortodossia cominciò a essere messa in discussione da
falsi insegnamenti, che divennero noti come eresie.

10
secolo sarebbe stata caratterizzata in ambito dottrinale da una grande

varietà e fluidità di opinioni, destinate a rivelarsi erronee a mano a

mano che la Chiesa di Roma, tra la fine del I e la fine del II secolo,

imponeva alle altre Chiese la sua interpretazione del messaggio

primitivo come unica espressione della retta fede. Pur accogliendo la

tesi di Bauer, Manlio Simonetti segnala che essa non può essere

accettata là dove, con eccessiva semplificazione, Bauer identifica

l’ortodossia con la fede della comunità di Roma, da essa imposta alle

altre comunità3.

Le fonti dirette in nostro possesso sono Eusebio di Cesarea (265-

340) e Epifanio di Salamina (315-403).

3
Simonetti (Ortodossia ed eresia tra I e II secolo, Messina 1994, pp. 12-
13))spiega che: «Per definire il concetto di ortodossia lo si deve considerare, nel
suo divenire storico, sotto due aspetti distinti, ancorché strettamente
complementari: da una parte la presa di coscienza che alcune dottrine elaborate in
seno alla chiesa potevano essere accettate mentre altre andavano respinte e
condannate, e dall’altra l’esistenza di un corpo di dottrine non certo completo ma
comunque sufficientemente ampio e articolato, accettato e fruito dalla chiese di
tutta la cristianità. Orbene, sia nella progressiva presa di coscienza del contrasto
tra vera e falsa dottrina sia nell’elaborazione di un corpus dottrinale accolto da
tutte le chiese cattoliche non mi pare che il contributo della chiesa di Roma, che
pure c’è stato, abbia avuto significato e spessore decisivi».

11
Tra le fonti indirette si annovera anche un Anonimo

Antimontanista4, ampiamente citato da Eusebio, e un certo Apollonio5,

oltre che un certo Milziade6.

4
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,16,1-3 (GCS 2/1, pp. 458-459): Πρὸς μὲν
οὖν τὴν λεγομένην κατὰ Φρύγας αἵρεσιν ὅπλον ἰσχυρὸν καὶ ἀκαταγώνιστον ἐπὶ
τῆς Ἱεραπόλεως τὸν Ἀπολινάριον, οὗ καὶ πρόσθεν μνήμην ὁ λόγος πεποίητο,
ἄλλους τε σὺν αὐτῷ πλείους τῶν τηνικάδε λογίων ἀνδρῶν ἡ τῆς ἀληθείας
ὑπέρμαχος ἀνίστη δύναμις, ἐξ ὧν καὶ μῖν ἱστορίας πλείστη τις ὑπόθεσις
καταλέλειπται. Ἀρχόμενος γοῦν τῆς κατ' αὐτῶν γραφῆς, τῶν εἰρημένων δή τις
πρῶτον ἐπισημαίνεται ὡς καὶ ἀγράφοις τοῖς κατ' αὐτῶν ἐπεξέλθοι ἐλέγχοις·
προοιμιάζεται γοῦν τοῦτον τὸν τρόπον. Ἐκ πλείστου ὅσου καὶ ἱκανωτάτου
χρόνου, ἀγαπητὲ Ἀυίρκιε Μάρκελλε, ἐπιταχθεὶς ὑπὸ σοῦ συγγράψαι τινὰ λόγον
εἰς τὴν τῶν κατὰ Μιλτιάδην λεγομένων αἵρεσιν. «Contro la cosiddetta eresia dei
catafrigi, la potenza protettrice della verità suscitò a Hierapolis un’arma potente e
invincibile, Apollinare e insieme con lui altri personaggi colti del tempo, dai quali
ci è trasmesso ampio materiale storico. Uno degli uomini anzidetti, all’inizio del
trattato che egli scrisse contro gli eretici, chiarisce di aver preso parte anche a
dispute contro di loro. Dà inizio al suo discorso in questo modo: “Da lungo tempo
e assai considerevole tempo, o caro Avircio Marcello, mi è stato da te ordinato di
scrivere un’opera contro la setta di coloro che sono chiamati sostenitori di
Milziade»: tr. it. Migliore, cit., p. 281. Per ulteriori indicazioni di veda infra.
5
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,18,1 (GCS 2/1, p. 472): Τῆς δὲ κατὰ
Φρύγας καλουμένης αἱρέσεως καὶ Ἀπολλώνιος, ἐκκλησιαστικὸς συγγραφεύς,
ἀκμαζούσης εἰς ἔτι τότε κατὰ τὴν Φρυγίαν ἔλεγχον ἐνστησάμενος, ἴδιον
κατ'αὐτῶν πεποίηται σύγγραμμα, τὰς μὲν φερομένας αὐτῶν προφητείας ψευδεῖς
οὔσας κατὰ λέξιν εὐθύνων, τὸν δὲ βίον τῶν τῆς αἱρέσεως ἀρχηγῶν ὁποῖός τις
γέγονεν, διελέγχον. «Anche Apollonio, scrittore ecclesiastico, si dedicò a una
confutazione dell’eresia chiamata catafrigia, che era ancora diffusa a quel tempo
in Frigia. Contro i Catafrigi egli scrisse un’opera particolare nella quale rettificò,
una dopo l’altra, le false profezie che essi presentavano e rivelò anche che tipo di
vita conducevano i capi dell’eresia»: tr. it. Migliore, cit., p. 289. Di tale
personaggio se ne discuterà più avanti.
6
Non sappiamo chi sia questo sconosciuto scrittore che polemizza contro il
montanismo. Eusebio lo menziona per la prima volta in Hist. Eccl., 5,17,1 (GCS
2/1, p. 470-472): Ἐν τούτῳ δὲ τῷ συγγράμματι καὶ Μιλτιάδου συγγραφέως
μέμνεται, ὡς λόγον τινὰ καὶ αὐτοῦ κατὰ τῆς προειρημένης αἱρέσεως γεγραφότος·
παραθέμενος γοῦν αὐτῶν λέξεις τινάς, ἐπιφέρει λέγων· "Ταῦτα εὑρὼν ἔν τινι
συγγράμματι αὐτῶν ἐνισταμένων τῷ Μιλτιάδου τοῦ ἀδελφοῦ συγγράμματι, ἐν ᾧ

12
Per Eusebio, due sono le opere di riferimento:

1) l’Historia Ecclesiastica, a cui egli lavorò dal 311 al 324-325:

un’opera preziosa, anche perché restituisce stralci di testi di altri autori

non altrimenti noti.

2) il Chronicon, composto prima del 303 ma perduto; il testo è

pervenuto completo in traduzione armena del VI secolo, mentre la

seconda parte ci è giunta nella traduzione latina di Girolamo composta

nel 380;

Epifanio è per noi una fonte preziosa grazie al suo il Panarion,

composto verso il 378.

Tanto Eusebio quanto l’Anonimo Antimontanista, Apollonio e

Milziade da lui citati, così come Epifanio, sono fonti di parte, non

oggettive nella loro indagine, in quanto rappresentano la voce della

ἀποδείκνυσιν περὶ τοῦ μὴ δεῖν προφήτην ἐν ἐκάστει λαλεῖν, ἐπετεμόμην. «In


quest’opera egli [scil. l’Anonimo Antimontanista] ricorda anche uno scrittore,
Milziade, poiché anch’egli compose un trattato contro l’anzidetta eresia. Dopo
aver riferito alcune affermazioni di questi eretici, prosegue dicendo: “Rinvenni
queste notizie in un loro scritto nel quale essi confutavano l’opera del fratello
Milziade, che in essa dimostra che un profeta non parla quando è in estasi, e ne
feci un estratto”»: tr. it. Migliore, cit., p. 287. Inoltre, più avanti in Hist. Eccl.
5,17,5 Eusebio cita altre opere per noi perdute dello stesso personaggio: le uniche
notizie in nostro possesso sono quelle, appunto, che derivano dallo storico di
Cesarea (in questi passi menzionati e in Hist. Eccl. 5,28,4) e da Tertulliano (Adv.
Valent. 5).

13
cosiddetta “Grande Chiesa”. Pertanto, nessuno di questi autori si

prefigge l’obiettivo, che sarebbe peraltro anacronistico nel III e IV

secolo, di presentare una ricostruzione storica del movimento di

Montano; essi intendono solo combatterlo ed evidenziare gli aspetti

devianti della sua dottrina.

Le stesse denominazioni del movimento, tramandateci dalle fonti,

lasciano scorgere una posizione che riflette la volontà non di

comprendere, ma di prenderne le distanze. L’appellativo

“montanismo”, con il quale oggi si fa riferimento a questo fenomeno

profetico è posteriore alla sua comparsa e non sembra essere quello

con cui gli appartenenti al movimento si autodefinivano: esso ricorre,

infatti, per la prima volta nel IV secolo in Cirillo di Gerusalemme 7 e si

7
W.C. REISCHL, J. RUPP, Cyrilli Hierosolymarum archiepiscopi opera quae
supersunt omnia, Hildesheim 1967, p. 212-214: Μισείσθωσαν οἱ κατὰ Φρύγας,
καὶ Μοντανὸς ὁ τῶν κακῶν ἔξαρχος, καὶ αἱ δύο δῆθεν αὐτοῦ προφήτιδες,
Μαξιμίλλα καὶ Πρισκίλλα. Ὁ γάρ Μοντανὸς οὗτος ὁ παρεξεστηχὼς καὶ μανιώδης
ἀληθῶς (οὐ γὰρ ἂν εἶπε τοιαῦτα, εἰ μὴ ἐμαίνετο) ἐτόλμησεν εἰπεῖν ἑαυτὸν εἶναι τὸ
ἅγιον πνεῦμα, ὁ ἀθλιώτατος καὶ πάσης ἀκαθαρσίας καὶ ἀσελγείας πεπληρωμένος.
Αὔταρκες γὰρ τοῦτο διὰ συσσήμων εἰπεῖν, τῶν παρουσῶν γυναικῶν σεμνότητος
ἕνεκεν. Καὶ Πέπουζαν μικρότατον κωμύδριον ἐν τῇ Φρυγίᾳ καταλαβὼν καὶ
ψευδῶς Ἱερουσαλὴμι ὀνομάσας τοῦτο, καὶ ἀθλιώτατα παιδία γυναικῶν μικρὰ
σφάττων καὶ κατακόπτων εἰς ἀθέμιτον βρῶσιν προφάσει τῶν καλουμένων
παρ'αὐτοῖς μυστηρίων (διὸ μέχρις πρώην ἐν τῷ διωγμῷ τοῦτο ποιεῖν ἡμεῖς
ὑπωπτευόμεθα διὰ τὸ κἀκείνους τοὺς Μοντανούς, ψευδῶς μέν, ὁμωνύμως δέ,
καλεῖσθαι χριστιανούς) ἐτόλμησεν ἑαυτὸν εἰπεῖν ἅγιον πνεῦμα ὁ πάσης ἀσεβείας
καὶ ἀπανθρωπίας πεπληρωμένος, ὁ ἀναπολόγητον ἔχων τὴν καταδίχην.
«Detestabili sono i catafrigi, il loro perverso iniziatore Montano e le sue due
profetesse Massimilla e Priscilla. Questo Montano uscì veramente di senno, fu un

14
collega al nome del suo fondatore, Montano. Invece, la

denominazione originaria attribuita dalle fonti al movimento è una

semplice designazione geografica che tiene conto del suo luogo di

origine e di sviluppo: a Montano e ai suoi Eusebio si riferisce

appellandoli “eresia dei frigi8” e “eresia dei catafrigi9”, dal greco κατά

(presso) e Φρύγας (Frigia). Anche Epifanio in due loci diversi parla di

“un’altra eresia detta dei frigi10” e di “catafrigi11” di cui fornisce la

spiegazione:

pazzo! Se tale non fosse stato non avrebbe delirato a tal punto da proclamarsi
sfrontatamente Spirito di santità: lui, il più sciagurato fra gli uomini, che giunse al
colmo dell’impurità e dell’empietà. Basti averne fatto un cenno, il dovuto
riguardo all’onestà delle donne presenti mi impedisce di specificare. Scelse come
sede Pepuza, minuscola borgata della Frigia di cui falsò il nome chiamandola
Gerusalemme, e lì prese a celebrare i suoi misteri, empi banchetti dove imbandiva
le carni di bambini davvero disgraziati, strappati nella più tenera età alle madri,
sgozzati e fatti a pezzi, di questo crimine fummo accusati anche noi nelle
persecuzioni fino a ieri, perché i montanisti a torto si dicevano cristiani. Ecco chi
ebbe la sfacciataggine di dirsi Spirito di santità, un uomo a tal punto empio e
crudele, per di più colpevole di un peccato per cui non c’è remissione»: tr. it. C.
Riggi, Cirillo di Gerusalemme, Le Catechesi, Roma 1993, pp. 352-353. Si è
preferito riportare interamente il passo per mostrare come, ancora nel IV secolo,
sopravvivevano le stesse accuse rivolte ai montanisti nel corso del II secolo.
8
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 4,27 (GCS 2/1, p. 388): […] τῶν Φρυγῶν
αἱρέσεως: tr. it. Migliore, cit., p. 237.
9
Ivi, 5,16,1 (GCS 2/1, p. 458): […] τὴν λεγουμένην κατά Φρύγας αἵρεσιν: tr.
it. Migliore, cit., p. 281.
10
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,1,1 (GCS 2, p. 219): Ἀπὸ τούτων ἑτέρα
πάλιν αἵρεσις ἀνακύπτει τῶν Φρυγῶν καλουμένη […]: tr. it. Mirto, cit., p. 137.
11
Ivi, 48,1,3 (GCS 2, p. 219): Οὗτοι γὰρ οἱ κατὰ Φρύγας καλούμενοι […]: tr.
it. Mirto, cit., p. 138.

15
Questa gente si trova infatti in Cappadocia, in Galazia e in Frigia, donde il

nome dell’eresia, catafrigi, ma anche in Cilicia e per la maggior parte a

Costantinopoli12.

Inoltre, lo stesso Epifanio presenta anche un terzo nome per

definire il gruppo: “tascodrugiti”.

Ma per non tralasciare nulla di quanto concerne il nome di ciascuna eresia di

cui abbiamo trattato, parleremo a sua volta anche del nome ‘tascodrugiti’.

Esso infatti è usato sia in questa stessa eresia sia in quella, a loro successiva,

dei quintilliani, in quanto anche questo nome ha origine da quegli altri. Si

chiamano tascodrugiti per la ragione che segue: essi chiamano il chiodo

taskos, mentre definiscono la narice o il muso drungos, e poiché quando

pregano si poggiano il dito indice sulla narice, per affettare a loro modo

umiltà e rettitudine, furono chiamati da alcuni tascodrugiti, ossia

‘chiudinarici’13.

12
Ivi, 48,14,2 (GCS 2, p. 239): […] ἔστι γὰρ καὶ τὸ γένος ἐν τῇ Καππαδοκίᾳ
καὶ Γαλατίᾳ καὶ ἐν τῇ προειρημένῃ Φρυγίᾳ, ὅθεν κατὰ Φρύγας ἡ αἵρεσις
καλεῖται· ἀλλὰ καὶ ἐν Κιλικίᾳ καὶ ἐν Κωνσταντινουπόλει τὸ πλεῖστον: tr. it.
Mirto, cit., p. 154.
13
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,14,3-4 (GCS 2, p. 239): Ἵνα δὲ μηδὲν
καταλείψωμεν τῶν πρὸς ὄνομα ἑκάστης αἱρέσεως ὑφ' ἡμῶν προδεδηλωμένης, καὶ
περὶ τοῦ Τασκοδρουγιτῶν ὀνόματος αὖθις ἐροῦμεν· ἔστι γὰρ τὸ ὄνομα τοῦτο ἢ ἐν
αὐτῇ ταύτῃ ἢ ἐν τῇ μετ' αὐτὴν τῶν Κυιντιλλιανῶν καλουμένῃ· ἀπ' αὐτῶν γὰρ
τούτων ὁρμᾶται καὶ τοῦτο τὸ ὄνομα. Καλοῦνται δὲ διὰ τοιαύτην αἰτίαν
Τασκοδρουγῖται· τασκὸς παρ' αὐτοῖς πάσσαλος καλεῖται, δροῦγγος δὲ μυκτὴρ εἴτ'
οὖν ῥύγχος καλεῖται, καὶ ἀπὸ τοῦ τιθέναι ἑαυτῶν τὸν δάκτυλον τὸν λεγόμενον
λιχανὸν ἐπὶ τὸν μυκτῆρα ἐν τῷ εὔχεσθαι, δῆθεν κατηφείας χάριν καὶ
ἐθελοδικαιοσύνης, ἐκλήθησαν ὑπό τινων Τασκοδρουγῖται
τουτέστινπασσαλορυγχῖται: tr. it. Mirto, cit., p. 154. Epifanio spiega la
denominazione “tascodrugiti” usando il termine πασσαλορυνκῖται: “chiudinarici”;

16
Riguardo a questa denominazione non si sa molto: il dito sul/nel

naso potrebbe essere una pratica religiosa consolidata al tempo, che

consisteva, appunto, nel poggiare/infilare un dito nel/sul naso nel

momento della preghiera e nel doverlo mantenere per l’intera durata

del raccoglimento per apparire pii e contriti. Oppure, più

probabilmente, potrebbe spiegarsi con l’abitudine di appellare un

dato movimento prendendo spunto da specifiche loro

caratteristiche14: forse i montanisti erano soliti ripetere tale gesto

il corrispettivo latino passalorinchitae si ritrova in GIROLAMO, Commento alla


Lettera ai Galati 3,9 (PL 26, 382c) e FILASTRIO, Delle varie eresie 76, il quale,
però, considera i passalorinchiti come una setta a sé stante. “Tascodrugiti” è
attestato in altre fonti con grafia diversa: ἀσκοδρουγέται in GIOVANNI
DAMASCENO, Sulle Eresie 48 (PG 94, 708a), ασκοδρουπίται o ἀσκοδροῦται in
TEODORETO DI CIRRO, Compendio delle favole eretiche 1,10; ascodrugitae in
FILASTRIO, Delle varie eresie 75.
14
Epifanio, nel capitolo successivo a quello in cui presenta il montanismo,
parla di una setta sorta al suo interno a cui dà varie definizioni. Cfr. EPIFANIO DI
SALAMINA, Haer. 49,1,1 (GCS 2, p. 241): Κυιντιλλιανοὶ δὲ πάλιν, οἱ καὶ
Πεπουζιανοὶ καλούμενοι, Ἀρτοτυριταί τε καὶ Πρισκιλλιανοὶ λεγόμενοι, οἰ αὐτοὶ
μὲν ὄντες κατὰ Φρύγας καὶ ἐξ αὐτῶν ὁρμώμενοι, διῄρηνται δὲ κατά τινα τρόπον.
«A loro volta i quintilliani, chiamati anche pepuziani, detti artotiriti e priscilliani,
sono essi stessi catafrigi e da essi hanno avuto origine, ma se ne sono distinti sotto
qualche aspetto»: tr. it. Mirto, cit., p. 157: «A loro volta i quintilliani, chiamati
anche pepuziani, detti artotiriti e priscilliani, sono essi stessi catafrigi e da essi
hanno avuto origine, ma se ne sono distinti sotto qualche aspetto»: tr. it. Mirto,
cit., p. 157. Successivamente Epifanio fornisce una spiegazione per ciascuna di
queste denominazioni: sono chiamati “quintilliani” o “pepuziani” perché
sostengono che a Pepuza Quintilla (menzionata solo in Epifanio qui e in Haer.
51,33,8 e 79,1,7) o Priscilla si era addormentata in questa cittadella e che Cristo si
era rivelato a lei (Haer. 49,1,2) e perché devoti ad Eva, dal momento che questa
mangiò per prima dall’albero della conoscenza (Haer. 49,2,2). Tale atteggiamento
di gratitudine a Eva per aver mangiato il frutto dell’albero della conoscenza si
spiega, con molta probabilità, con il fatto che ella fosse il simbolo del ruolo

17
durante le loro celebrazioni, per intimare appunto il silenzio, tanto

da essere identificati da questa caratteristica15.

Peraltro sono le medesime fonti ad informarci anche di come si

autodefinivano Montano e i suoi seguaci: essi solevano chiamare il

proprio movimento “nuova profezia” o “profezia”, stando alle

notizie, trasmesseci da Eusebio, dell’Anonimo Antimontanista 16 e

di Serapione di Antiochia17.

centrale che le donne avevano all’interno della setta. Sono detti anche “artotiriti”
(Haer. 49,2,6) perché nei loro riti si servivano di pane (ἄρτος) e formaggio
(τυρός) nella celebrazione dei misteri, dal momento che bisognava offrire a Dio
non solo i frutti della terra, ma anche le primizie delle loro greggi. Una notizia
sull’utilizzo di pane e formaggio nella consacrazione dell’eucarestia si legge in
FILASTRIO, Delle varie eresie 74 e Atti di Perpetua e Felicita 4.
15
Vale la pena di segnalare che, secondo altre etimologie, il termine
“tascodruguiti” sarebbe ricollegabile alla parola “otre” (taskos): questo
rimanderebbe all’abitudine, propria di questo gruppo, di danzare intorno all’altare
sul quale sarebbe stato posto un otre colmo di vino, simbolo – a loro dire – dello
Spirito Santo di cui essi stessi sarebbero stati ricolmi. Cfr. D. BERNINO, Istoria di
tutte le eresie compendiata ed accresciuta da G. Lancisi, Tomo I, Venezia, 1760,
pp. 40-41; D. BART. AMBROSI, «Tascodrugiti» in Enciclopedia ecclesiastica,
Venezia, 1858, vol. VII, coll. 46-47. Si tratta di una pratica estremamente
interessante, tanto per l’uso del vino quanto per l’elemento coreutico. Ulteriori
indagini su tali aspetti sarebbero auspicabili.
16
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,16,4 (GCS 2/1, p. 460): […] τὴν κατὰ
τόπον ἐκκλεσίαν ὑπὸ τῆς νέας ταύτης, οὐχ, ὡς αὐτοί φασιν, προφετείας. «[…] la
chiesa locale frastornata da questa nuova, non, come essi la chiamano, profezia»:
tr. it. Migliore, cit., p. 282.
17
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,19,2 (GCS 2/1, p.478): τῆς ψευδοῦς
ταύτης τάξεως τῆς ἐπικαλουμένης νέας προφητείας. «L’azione di questa
organizzazione truffatrice, chiamata nuova profezia»: tr. it. Migliore, cit., p. 293.
Nello stesso passo apprendiamo che Serapione che fu vescovo di Antiochia e che
in una lettera indirizzata a Carico e Pontio, due personaggi di cui non sappiamo
nulla, confutava l’eresia montanista.

18
2. Le fonti antiche

La cronologia del movimento è tramandata in modo difforme nelle

fonti antiche: non stupisce, pertanto, che le sue origini e il suo

sviluppo siano ancora oggi oggetto di discussione.

2.1. Eusebio

Nel Chronicon18 la data di inizio della profezia montanista è

identificata con il dodicesimo anno di Marco Aurelio, cioè il 171, e

connessa con la conversione di Taziano all’eresia dell’encratismo.

Nella Historia ecclesiastica19, Eusebio informa che la profezia

montanista cominciava ad affermarsi durante il regno di Marco

Aurelio, più precisamente allo stesso tempo in cui un tale Apollinare

(del quale apprendiamo nel Chronicon che divenne vescovo di

18
R. HELM, Eusebius Werke. Siebenter Band: Die Chronik des Hieronymus.
Hieronymi Chronicon, Berlin 1956, p. 206: Apollinaris Asianus Hieropolitanus
episcopus insignis habetur. […] Pseudoprofetia, quae Cata Frygas nominatur,
accepit exordium auctore Montano et Priscilla Maximillaque insanis vatibus.
Tatianus haereticus agnoscitur, a quo Encratitae.
19
EUSEBIO DI CESAREA, Historia Ecclesiastica, 4,27 (GCS 2/1, p. 388): […]
κατὰ τῆς τῶν Φρυγῶν αἱρέσεως, μετ' οὐ πολὺν καινοτομηθείσης χρόνον, τότε γε
μὴν ὥσπερ ἐκφύειν ἀρχομένης, ἔτι τοῦ Μοντανοῦ ἅμα ταῖς αὐτοῦ
ψευδοπροφήτισιν ἀρχὰς τῆς παρεκτροπῆς ποιουμένου. «[…] per combattere
l’eresia dei Frigi, che poco dopo doveva diffondere le sue innovazioni. Essa
incominciò a far capolino al tempo di Apollinare, quando, cioè, Montano e i suoi
pseudo-profeti erano alle prime armi coi loro errori»: tr. it. F. Migliore, Eusebio di
Cesarea, Storia ecclesiastica/1, Roma 2001, p. 236.

19
Hierapolis nel 171) scrisse i trattati contro i profeti. In un altro luogo

dell’Historia20 viene riportato un passo di Ireneo (Adv. Haer. I, 28,1)

che afferma che Taziano passò all’eresia encratita dopo la morte di

Giustino, dunque nel 165 circa. La cronologia di Taziano sarà ripresa

anche da Epifanio ed è necessaria per la cronologia del montanismo:

egli, infatti collega esplicitamente l’esordio del montanismo a Taziano

e, come vedremo (infra) anche a Marcione.

20
Ivi, 4, 28-29,1-2 (GCS 2/1, pp. 388-389): Καὶ Μουσανοῦ δέ, ὃν ἐν τοῖς
φθάσασιν χατέξαμεν, φέρεται τις ἐπιστρεπτιχώτατος λόγος, πρός τινας αὐτῷ
γραφεὶς ἀδελφοὺς ἀποκλίναντας ἐπὶ τὴν τῶν λεγομένοων Ἐγκρατιτῶν αἵρεσιν,
ἄρτι τότε φύειν ἀρχομένην ξένην τε καὶ φθοριμαίαν ψευδοδοξίαν εἰσάγουσαν τῷ
βίῳ· Ἧς παρεκτροπῆς ἀρχηγὸν καταστῆναι Τατιανὸν λόγος ἔχει, οὗ μικρῷ
πρόσθεν τὰς περὶ τοῦ θαυμασίου Ἰουστίνου παρατεθείμεθα λέξεις, μαθητὴν αὐτον
ἱστοροῦντες τοῦ μάρτυρος. Δηλοῖ δὲ τοῦτο Εἰρηναῖος ἐν τῷ πρώτῳ τῶν πρὸς τὰς
αἱρέσεις, ὁμοῦ τά τε περὶ αὐτοῦ καὶ τῆς κατ'αὐτὸν αἱρέσεως οὕτω γράφων· «Ἀπὸ
Σατορνίνου καὶ Μαρκίωνος οἱ καλούμενοι Ἐγκρατεῖς ἀγαμίαν ἐκήρυξαν,
ἀθετοῦντες τὴν ἀρχαίαν πλάσιν τοῦ θεοῦ καὶ ἠρέμα κατηγοροῦντες τοῦ ἄππεν καὶ
θῆλυ εἰς γένεσιν ἀνθρώπων πεποιηκότος, καὶ τῶν λεγομένων παρ' αὐτοῖς
ἐμψύχων ἀποχὴν εἰσηγήσαντο, ἀχαριστοῦντες τῷ πάντα ποποιηκότι θεῷ,
ἀντιλέγουσί τε τῇ τοῦ πρωτοπλάστου σωτηρίᾳ». «Di Musano, se ne è già parlato,
rimane un libro acerrimo, scritto contro certi fratelli, che avevano piegato verso
l’eresia detta degli Encratiti. Questa setta era sorta proprio allora, e aveva
disseminato nel mondo una dottrina mendace, perniciosa e strana. Si dice che
capo di questa eresia fosse Taziano. Poco fa, citando sue parole sul mirabile
Giustino, rilevammo che Taziano era stato discepolo del martire. Ce lo riconferma
Ireneo nel suo primo libro Contro le eresie dove di Taziano e della sua eresia ci dà
questi particolari: “Da Saturnino e da Marcione provengono i così detti Encratiti.
Costoro insegnano che non bisogna sposarsi, in quanto disapprovano l’ordine
primordiale stabilito da Dio, e tacitamente biasimano Colui che ha creato il
maschio e la femmina per la propagazione del genere umano. Hanno introdotto
l’astinenza degli alimenti, che dicono animati, dimostrando così ingratitudine
verso il Creatore di tutte le cose; e negano la salvezza del primo uomo”»: tr. it.
Migliore, cit., pp. 237-238.

20
Eusebio afferma inoltre che, in occasione della persecuzione di

Lione e Vienne, che nel Chronicon21 data al 167 e nella Historia22 al

177, non per la prima volta i martiri avevano emesso un giudizio sulla

falsa dottrina. La datazione dell’evento però non collima, ancora una

volta, fra Chronicon e Historia. Se nel concetto di “falsa dottrina” si

deve ravvisare un riferimento alla profezia montanista, è chiaro che la

sua diffusione deve essere anteriore agli eventi di Lione e Vienne.

Dunque il quadro che da Eusebio si può delineare è il seguente:

l’inizio della profezia sembra oscillare tra il 165 e il 177, ma egli

mostra di propendere per il 170.

2.2. Epifanio

Nel Panarion (48)23 Epifanio afferma che la crisi montanista

scoppiò intorno al diciannovesimo anno di Antonino Pio: una data

21
HELM, Eusebius Werke. Siebenter Band, p. 205: Persecutione orta in Asia
Polycarpus et Pionius fecere martyrium.
22
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5, praef. 1. e 5,3,4.
23
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,1,1-2 (GCS 2, p. 219): Ἀπὸ τούτων ἑτέρα
πάλιν αἵρεσις ἀνακύπτει τῶν Φρυγῶν καλουμένη, σύγχρονος γενομένη τούτοις
καὶ αὐτοὺς διαδεχομένη. Οὗτοι γὰρ γεγόνασι περὶ τὸ ἐννεακαιδέκατον ἔτος
Ἀντωνίνου τοῦ εὐσεβοῦς τοῦ μετὰ Ἀδριανόν, καὶ ὁ Μαρκίων δὲ καὶ οἱ περὶ
Τατιανὸν καὶ οἱ ἀπ'αὐτοῦ διαδεξάμενοι Ἐγκρατῖται ἐνχρόνοις Ὰδριανοῦ καὶ μετὰ
Ἀδριανόν. «Da questa leva il capo un’altra eresia, detta dei Frigi, ad essa
contemporanea e che le succede. Essi infatti sono apparsi attorno al
diciannovesimo anno di Antonino Pio, che succede ad Adriano; Marcione,
Taziano e gli encratiti suoi discepoli, al tempo di Adriano e dopo di lui»: tr. it. A.
Mirto, Epifanio di Salamina, Panarion, Eresie 42-60, Roma 2017, pp. 137-138.

21
corrispondente al 156. Non è nota la fonte di questa indicazione e

neppure se faccia riferimento alla conversione di Montano o a un

primo manifestarsi dell’attività profetica nella regione. Nel medesimo

locus Epifanio specifica che la profezia sorse contemporaneamente

all’encratismo (di cui ci dà notizie anche Eusebio in Hist. Eccl. 4,28-

29: cfr. supra) e al movimento di Marcione. Riguardo agli encratiti, in

un luogo di poco precedente del Panarion, l’eresiologo di Salamina ci

informa che Taziano «impiantò la sua scuola dapprima in

Mesopotamia, circa il dodicesimo anno del regno di Antonino detto il

Pio. Infatti da Roma dopo la morte di San Giustino passò in Oriente e

lì visse»24. Quindi, anche secondo Epifanio, Taziano operò

concretamente dopo il martirio di Giustino, avvenuto nel dodicesimo

anno di Antonino Pio, cioè nel 149-15025.

24
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 46,1,6-7 (GCS 2, p. 204): Καὶ ἦ μὲν Σύρος τὸ
γένος, ὡς ἡ εἰς ἡμας ἐλθοῦσα γνῶσις περιέχει· τὸ δὲ αὐτοῦ διδασκαλεῖον
προεστήσατο ἀπ' ἀρχῆς μὲν ἐν τῇ Μέσῃ τῶν ποταμῶν, ὡς περὶ τὸ δωδέκατον ἔτος
Ἀντωνίνου τοῦ εὐσεβοῦς Καῖσαρος ἐπικληθέντος. Ἀπὸ Ῥώμης γὰρ μετὰ τὴν τοῦ
ἁγίου Ἰουστίνου τελείωσιν διελθὼν ἐπὶ τὰ τῆς ἀνατολῆς μέρη καὶ ἐκεῖσε
διατρίβων, κακῇ διανοίᾳ περιπεσὼν αἰῶνας τινας κατὰ τοὺς μύθους Οὐαλεντίνου
καὶ ἀρχάς τινας καὶ προβολὰς καὶ αὐτὸς εἰσηγήσατο: tr. it. Mirto, cit., p. 970.
25
Ma per Eusebio, Chronicon, ad annum 173. Cfr. nota 1.

22
Per quanto riguarda i marcioniti26 da Epifanio deduciamo che

Marcione diffuse la sua dottrina intorno al 140 e questa datazione

emerge da Panarion 42.

Marcione, da cui i marcioniti, dopo aver preso le mosse dal Cerdone di cui

si è parlato, si fece avanti anch’egli di fronte al mondo come un gran

serpente […]27.

L’eresia marcionita, dunque, non viene esplicitamente datata, ma

collegata a quella di Cerdone: proprio tale riferimento, tuttavia, ci

consente di circoscrivere la cronologia del marcionismo. Infatti il

vescovo di Salamina specifica:

Ebbene, questo Cerdone è vissuto ai tempi del vescovo Igino, che ricopre il

nono posto della successione a partire dagli apostoli Giacomo, Pietro e

Paolo28.

Sappiamo che Cerdone venne a Roma sotto il papato di Igino, che

fu vescovo di Roma dal 138 al 14229: ecco quindi chiarita la data del

140 per l’eresia di Marcione.

26
Dell’eresia di Marcione parla anche Eusebio. Cfr. Hist. Eccl. 4,11,2; 5,8,9 [=
IRENEO, Adv. Haer. I 27,2-4]; Hist. Eccl. 4,11,9 [= GIUSTINO, I Apol, 1,26,5].
27
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 42,1,1 (GCS 2, p. 93): Μαρκίων, ἀφ' οὗπερ οἱ
Μαρκιωνισταί, ἐκ τούτου τοῦ προειρηοίνου Κίρδωνος τὴν πρόφασιν εἰληφὼς καὶ
αὐτὸς μέγας ὄφις προῆλθεν τῷ βίῳ […]: tr. it. Mirto, cit., pp. 5-6.
28
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 41,1,5 (GCS 2, p. 91): Οὗτος τοίνυν ὁ Κέρδων
ἐν χρόνοις Ὑγίου γέγονεν ἐπισκόπου, τοῦ ἔνατον κλῆρον ἄγοντος ἀπὸ τῆς τῶν
περὶ ἸάχωΒον καὶ Πέτρον καὶ Παῦλον ἀποστόλων διαδοχῆς: tr. it. A. Mirto,
Epifanio di Salamina, Panarion, Eresie 30-41, Roma 2017, p. 248.

23
Epifanio, quindi, collegando all’encratismo e a al marcionismo

l’esordio del montanismo, colloca quest’ultimo al 156: il momento,

appunto, in cui sorsero e si diffusero anche l’encratismo e l’eresia di

Marcione. Questi elementi cronologici, tuttavia, non trovano conferma

in Eusebio.

2.3. Anonimo Antimontanista

L’Anonimo Antimontanista è una fonte indiretta per noi preziosa: è

questo il nome con cui viene definito un anonimo autore della cui

opera Eusebio riporta estratti all’interno dell’Historia Ecclesiastica.

Lo storico di Cesarea ne fa menzione per la prima volta in 5,16,1-230;

dalle informazioni che egli dissemina nel corso del Historia 5 si

possono dedurre, inoltre, alcuni elementi interessanti. L’Anonimo31

scrisse quattordici anni dopo la morte di Massimilla; fu vescovo; la

sua opera era divisa in tre libri ed era dedicata ad Avircio Marcello.

Quest’ultimo personaggio è stato identificato talora con Abercio,

29
Cfr. IRENEO DI LIONE, Contro le eresie 1,27,1 e 3,4,3.
30
Cfr. supra, nota 4.
31
Secondo Girolamo, De viris inlustribus 39, l’Anonimo sarebbe identificabile
con Rodone: «Milziade, che Rodone menziona nella sua opera composta Contro
Montano, Prisca e Massimilla […]»; cfr. De viris inlustribus 40 per
l’identificazione di Apollonio. [

24
vescovo di Hierapolis in Frigia, ricordato nei menologi greci il 22

ottobre, di cui si conserva un’epigrafe sicuramente anteriore al 21632.

L’Anonimo Antimontanista rileva che Montano iniziò la sua

predicazione ad Ardaba, un paese della Misia che confina con la

Frigia, durante il proconsolato di Grato33. Più avanti34 nota che, al

32
P. DE LABRIOLLE (La crise montaniste, pp. 581-584), ha sostenuto l’identità
di questo Abercio con quello dell’iscrizione. Tuttavia occorre ammettere che si
tratta di una ipotesi non verificabile ipotesi: né Abercio, nell’iscrizione, afferma di
chiamarsi anche “Marcello”, né l’Anonimo lascia scrittore fa intendere che
Avircio fosse vescovo. Cfr. A. FERRUA, “Nuove osservazioni sull’epitaffio di
Abercio”, «Rivista di Archeologia cristiana» 20 (1943), pp. 279-305, si veda in
particolare pp. 282-283; e A. FERRUA, «Abercio» in Enciclopedia Cattolica, Città
del Vaticano 1948-1954, vol I, coll. 69-72. Altri hanno ritenuto di identificare
Avircio con Asterio Urbano, considerato uno scrittore montanista raccoglitore
delle pseudo-profezie. Egli è menzionato per la prima volta in Hist. Eccl. 5,17
(anche se la menzione potrebbe essere una glossa marginale incorporata nel testo).
Per la datazione dell’iscrizione di Abercio e le varie questioni ad essa legate cfr:
M.M. MITCHELL, Looking for Abercius: Reimagining Contexts of Interpretation
of the “Earliest Christian Inscription”, in Commemorating the Dead. Texts and
Artifacts in Context. Studies of Roman, Jewish and Christian Burials, Berlin-New
York 2008, pp. 303-335.
33
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,16,7 (GCS 2/1, p. 462): Κώμη τις εἶναι
λέγεται ἐν τῇ κατὰ τὴν Φρυγίαν Μυσίᾳ καλουμένη Ἀρδαβαῦ τοὔνομα· ἔνθα φασί
τινα τῶν νεοπίστων πρώτως, Μοντανὸν τοὔνομα, κατὰ Γράτον Ἀσίας ἀνθύπατον,
ἐν ἐπιθυμίᾳ ψυχῆς ἀμέτρῳ φιλοπρωτείας δόντα πάροδον εἰς ἑαυτὸν τῷ
ἀντικειμένῳ πνευματοφορηθῆναι. «C’è, si dice, in Misia, al confine con la Frigia,
un villaggio chiamato Ardaba: qui, al tempo in cui Grato era proconsole d’Asia,
dicono che per la prima volta uno dei nuovi credenti di nome Montano, a motivo
dello smisurato desiderio della sua anima di primeggiare, fu infiammato dallo
spirito»: tr. it. Migliore, cit., pp. 282-283.
34
Ivi, 5,16,19 (GCS, 2/1, p. 469): Καὶ πῶς οὐ καταφανὲς ἤδη γέγονεν καὶ
τοῦτο τὸ ψεῦδος; πλείω γὰρ ἢ τρισκαίδεκα ἒτη εἰς ταύτην τὴν ἡμέραν ἐξ οὗ
τετελεύτηκεν ἡ γυνή, καὶ οὔτε μερικὸς οὔτε καθολικὸς κόσμῳ γέγονεν πόλεμος,
ἀλλὰ καὶ Χριστιανοῖς μᾶλλον εἰρήνη διάμονος ἐξ ἐλέου θεοῦ. «Non è forse ormai
chiaro che anche questa è una menzogna? Fino ad oggi, infatti, sono trascorsi più
di tredici anni da quando è morta la donna, e nel mondo non c’è stata alcuna

25
momento in cui egli scrive, sono trascorsi tredici anni dalla morte

della profetessa Massimilla senza che si sia verificata alcuna guerra a

differenza di quanto Massimilla stessa aveva predetto. Il periodo di

pace a cui allude l’autore può coincidere solo con il regno di

Commodo (180-192), poiché, dopo la morte di questo imperatore,

ripresero i conflitti: è perciò improbabile che l’Anonimo abbia scritto

dopo il 193. Dunque Massimilla doveva essere morta verso il 179/180

e poteva aver profetizzato spinta dai timori di guerre che si

verificarono sotto Marco Aurelio.

Sconosciuta, invece, resta la data del proconsolato di Grato, di cui

non si hanno altre notizie. Enrico Norelli35 propone di identificarlo

con Lucio Stazio Quadrato, sotto il quale Policarpo di Smirne subì il

martirio nel 155/15636. Questo confermerebbe il quadro cronologico di

guerra né parziale né generale, ma anzi, grazie alla misericordia di Dio, c’è stata
una pace duratura anche per i cristiani»: tr. it. Migliore, cit., p. 286.
35
E. NORELLI, “Presenza e persistenza dei ruoli carismatici: il caso delle
assemblee sul Montanismo nel II secolo”, «Ricerche storico-bibliche» 25 (2013),
pp. 167-169.
36
Martyrium Polycarpi 21,1-5, in A.A.R. BASTIAENSEN (a cura di), Atti e
passioni dei martiri, testo crit. e comm., Milano 1987, p. 28: Μαρτυρεῖ δὲ ὁ
μακάριος Πολύκαρπος μηνὸς Ξαντικοῦ δευτέρᾳ ἱσταμένου, πρὸ ἑπτὰ καλανδῶν
Μαρτὶων, σαββάτω μεγάλῳ, ῴρα ὀγδόῃ. Συνελήφθῃ δὲ ὑπὸ Ἡρώδου ἑπὶ
ἀρχιερέως Φιλίππου Τραλλιανοῦ, ὰνθυπατεύοντος Στατίου Κοδράτου. «Fu
martirizzato nel secondo giorno del mese di Santico, sette giorni prima delle
calende di marzo. Era il grande sabato e l’ora ottava. Era stato arrestato sotto
l’autorità di Erode, mentre era sommo sacerdote Filippo di Tralle e proconsole
Stazio Quadrato»: tr. it. BASTIAENSEN, cit. p. 29.

26
di Epifanio. Vi è inoltre, nel Martirio di Policarpo, un altro aspetto da

considerare: la presenza di un martire frigio. Il testo menziona, infatti,

un tale frigio Quinto che in un primo momento si offrì

spontaneamente al martirio convincendo altri a seguirlo, ma subito

dopo ritrattò terrorizzato dalle bestie37. Se si ammette l’autenticità di

questo passo, se ne dovrebbe desumere che le idee della Nuova

Profezia avessero cominciato emergere, a diffondersi e a fare proseliti

nella Frigia nel II secolo.

2.4. Apollonio

Una seconda fonte indiretta sul montanismo, per noi di notevole

importanza, si identifica con l’opera di una tale Apollonio, di cui

Eusebio riporta stralci, menzionandolo in Hist. Eccl. 5,18,138: anche

per questo scrittore, fiorito probabilmente sotto gli imperatori

37
Martyrium Polycarpi 4,1-5 ivi, p. 10: Εἷς δέ, ὀνόματι Κόιντος, Φρύξ,
προσφάτως ἐζληλυθὼς ἀπὸ τῆς Φρυγίας, ἱδὼν τὰ θηρία ἐδειλίασεν. Οὗτος δὲ ἧν ὁ
παραβιασάμενος ἑαυτόν τε καί τινας προσελθεῖν ἑχόντας. Τοῦτον ὁ ἀνθύπατος
πολλὰ ἐκλιπαρήσας ἔπεισεν ὀμόσαι καὶ ἐπιθῦσαι. «Uno di nome Quinto, frigio e
dalla Frigia venuto di recente, alla vista delle belve si intimorì. Era stato lui stesso
a trascinare sé ed altri all’autodenuncia spontanea. Eppure il proconsole,
incalzandolo molto, lo persuase a giurare e a sacrificare»: tr. it. BASTIAENSEN, cit.
p. 11.
38
Cfr. supra, nota 5.

27
Commodo e Severo, l’unica testimonianza giunge a noi dallo storico

di Cesarea39. Quanto agli aspetti cronologici, Eusebio afferma:

Questo stesso Apollonio nella medesima opera racconta che, al momento in


cui egli scriveva il suo libro, erano trascorsi quarant’anni da quando
Montano aveva dato inizio alla sua falsa profezia40.

Pertanto, se gli inizi della predicazione di Montano, come sembra

potersi dedurre da Hist. Eccl. 4,27 (cfr. supra), dovessero collocarsi

nel 170, il trattato di Apollonio si collocherebbe verso il 210, anche in

base a una datazione congetturale di un’opera per noi perduta, il De

extasi di Tertulliano. Timothy Barnes41 sostiene che Tertulliano,

divenuto montanista, compose il trattato in sei libri nel 213, a cui

aggiunse un settimo e ultimo libro per confutare un tale Apollonio,

avversario del montanismo42. In questo modo, effettuando un calcolo a

ritroso di 40 anni, si arriva alla data del 170, che è appunto quella

proposta da Eusebio. Tuttavia resta il dubbio se Tertulliano abbia

aggiunto il settimo libro una volta letta l’opera di Apollonio, il quale,

ovviamente, potrebbe averla composta prima.


39
Ad Eusebio si rifà anche Girolamo, nella sua menzione di Apollonio: cfr. De
viris inlustribus 40.
40
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,18,12 (GCS 2/1, p. 478): Ὁ δ'αὐτὸς οὗτος
Ἀπολλώνιος κατὰ τὸ αὐτὸ σὺγγραμμα ἱστορεῖ ὠς ἄρα τεσσαρακοστὸν ἐτύγχανεν
ἔτος ἐπὶ τὴν τοῦ συγγράμματος αὐτοῦ γραφὴν ἐξ οὗ τῇ προσποιήτῳ αὐτοῦ
προφητείᾳ ὁ Μοντανὸς ἐπικεχείρηκεν: tr. it. Migliore, cit., p. 292.
41
T.D. BARNES, “The Chronology of Montanism”, «The Journal of Theological
Studies» 21 (1970), pp. 403-408.
42
L’informazione viene da Girolamo, De viris inlustribus 40,4.

28
***

Sulla base degli elementi ricavabili dalle fonti finora analizzate, è

evidente che la cronologia del montanismo appare oscillante, almeno

per quanto attiene al suo inizio: da Eusebio si deduce che il fenomeno

sarebbe iniziato nel 170/171 mentre, tenendo conto dei dati proposti

da Epifanio, dovremmo anticiparne l’esordio al 156.

3. Delimitazioni cronologiche

Benché non pochi studiosi abbiano provato a circoscrivere il

quadro cronologico incerto emergente dalle fonti43, non si ravvisano di

fatto elementi inoppugnabili che inducano a propendere con sicurezza

per l’una o l’altra datazione.

In un lavoro non recente, ma cruciale per gli studi sul montanismo,

Christine Trevett44 ha provato a ricostruire uno sviluppo graduale del

movimento montanista a partire dalle testimonianze delle fonti – le

43
Difende la data del 170, in particolare, T.D. BARNES, “The Chronology” cit.
(cfr. supra). Per la data più alta, il 156, cfr. G.S. FREEMAN FRENVILLE “The date
of the outbreak of the Montanism” «Journal of Ecclesiastical History» 5 (1954),
pp. 7-15. e, più recentemente P. MARAVAL “La diversité de l’Orient chrétien”, in
L. PIETRI (a cura di) Histoire du christianisme. I. Le nouveau peuple (des origines
à 250), Paris 2000, p. 523.
44
C. TREVETT, Montanism: Gender, Authority and the New Prophecy,
Cambridge 1996, pp. 26-45.

29
stesse prese in considerazione qui – dimostrando che la Nuova

Profezia non è stata un fenomeno improvviso, ma è nata in un

contesto di tradizione profetica viva da tempo in Asia Minore. Perciò,

secondo la studiosa, vi sarebbe qualcosa di vero tanto in Eusebio

quanto in Epifanio: gli anni 171/172 potrebbero corrispondere

all’apice del fenomeno, quando immediata fu la reazione contro di

esso, ma il movimento come tale potrebbe essersi sviluppato già negli

anni ’60 del II secolo. Nonostante la sua proposta di cronologia

“fluida”, tuttavia, la studiosa respinge l’idea, avanzata da studiosi

quali Massyngberde Ford45, di un proto-montanismo risalente

addirittura al I secolo, i cui echi si coglierebbero già nelle Lettere

Pastorali.

Ciò che la Trevett propone è che il primo montanismo non debba

essere considerato corrispondente all’effettiva attività di Montano, ma

a un background di idee e valori largamente condivisi, radicati da

tempo in Asia Minore, che solo in un secondo momento sarebbero

confluiti nella proposta di Montano. La Trevett, in particolare, ritiene

che il movimento sia nato come interno alla Chiesa e che

gradualmente si sia evoluto fino al momento in cui divenne “Nuova

45
J. MASSYNGEBERDE FORD, “A note on Proto Montanism in the pastoral
epistles”, «New Testament Studies» 17 (1971), pp. 338-346.

30
Profezia”. La cifra della “pericolosità disciplinare” (piuttosto che

dottrinale) del movimento46 da considerarsi, pertanto, di natura

scismatica e la ragione del suo progressivo distanziamento dalla

“Grande Chiesa” sarebbe da individuare precisamente, secondo la

Trevett, nella emergenza di elementi carismatici e di comportamenti di

natura estatica.

Anche William Tabbernee, allineandosi con la Trevett, in un suo

recente lavoro47 situa gli inizi del montanismo verso il 165, ma senza

discutere questa datazione.

Degna di nota, e in qualche modo “mediana”, è la posizione di

Enrico Norelli che, pur riconoscendo la difficoltà di risalire a

testimonianze certe sul montanismo che siano anteriori al 170, segnala

l’utilità di tenere conto della humus ambientale e culturale nella quale

il movimento potè svilupparsi – che certamente maturò in un periodo

cronologicamente anteriore al momento in cui il montanismo affiorò

come fenomeno storico. Ci sembra interessante, pertanto, concludere

questa riflessioni con le parole dello stesso Norelli:

46
Si dovrebbe parlare, pertanto, più che di eresia, di scisma, secondo appunto
la definizione data da Girolamo in Epist. Ad Titum (PL 26, 598): Inter haeresim et
schisma hoc arbitror interesse, quod haeresis perversum dogma habeat, schisma
autem quod ab Ecclesia separet.
47
W. TABBERNEE, Fake prophecy and polluted sacraments: ecclesiastical and
imperial reactions to Montanism, Leiden 2007.

31
«è importante ricercare il contesto ambientale nel quale la Nuova Profezia

poté svilupparsi, ma, se si vuole individuare l’apparire dei tratti che ne

fanno il fenomeno che fu identificato come una novità problematica e

intorno al quale si accese il conflitto, non sembra che abbiamo

testimonianze sufficienti a farlo risalire a prima del 170, anche se questa è

una conclusione fondata sulle probabilità e non su certezze»48.

48
E. NORELLI, “Presenza e persistenza dei ruoli carismatici: il caso delle
assemblee sul Montanismo nel II secolo”, «Ricerche storico-bibliche» 25 (2013),
p. 173.

32
II CAPITOLO

I luoghi del montanismo

33
Mappa dell’Asia Minore

34
1. La geografia della nuova profezia

Le fonti antiche a nostra disposizione (Eusebio, Epifanio,

l’Anonimo Antimontanista e Apollonio) risultano discordanti non

solo, come abbiamo visto, rispetto alle delimitazioni cronologiche, ma

anche riguardo l’ambiente geografico in cui i nuovi profeti

cominciarono a muovere i primi passi.

Eusebio, citando l’Anonimo Antimontanista, offre alcune

informazioni riguardo ai luoghi in cui ebbe origine questo movimento.

C’è si dice, in Misia, al confine con la Frigia, un villaggio chiamato

Ardabau: qui, al tempo in cui Grato era proconsole d’Asia, dicono che per la

prima volta uno dei nuovi credenti di nome Montano, a motivo dello

smisurato desiderio della sua anima di primeggiare, fu infiammato dallo

spirito del male […]49.

È, questo, l’unico passo in cui ricorre la menzione del villaggio

chiamato Ardaba e se ne ravvisa il collegamento con il momento

generatore della profezia montanista.

49
Hist. Eccl. 5,16,7: cfr. supra 33.

35
In un locus di poco successivo, Eusebio riporta le parole di

Apollonio, il quale informa che Montano ha chiamato “Gerusalemme”

Pepuza e Timio, due piccoli centri della Frigia50.

Un’informazione relativa a Pepuza ricorre ancora più avanti,

allorché lo stesso Apollonio riferisce dell’arrivo a Pepuza di Zotico di

Otris, già menzionato in Hist. Eccl. 5,16,5 come “compagno di

sacerdozio” (τοῦ συμπρεσβυτέπου ἡμῶν) dell’Anonimo

Antimontanista, «giunto a Pepuza allorquando Massimilla si dava

l’aria di fare la profetessa»51.

Alla medesima cittadella di Pepuza – senza citare né Ardaba né

Timio – fa riferimento Epifanio in due passi differenti.

50
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,18,2 (GCS 2/1, p. 472): Ἀλλὰ τίς ἐστιν
οὗτος ὁ πρόσφατος διδάσκαλος, τὰ ἔργα αὐτοῦ καὶ ἡ διδασκαλία δείκνυσιν.
Οὗτός ἐστιν ὁ διδάξας λύσεις γάμων, ὁ νηστείας νομοθετήσας, ὁ Πέπουζαν καὶ
Τύμιον Ἱερουσαλὴμι ὀνομάσας (πόλεις δ' εἰσὶν αὗται μικραὶ τῆς Φρυγίας) τοὺς
πανταχόθεν ἐκεῖ συναγαγεῖν ἐθέλων. «Ma chi sia questo nuovo maestro, lo
mostrano le sue opere e il suo insegnamento. È costui che ha insegnato a
sciogliere i matrimoni, che ha dettato norme sui digiuni, che ha chiamato
Gerusalemme Pepuza e Timio (che sono piccoli centri della Frigia), volendo
riunire lì persone provenienti da ogni parte»: tr. it. Migliore, cit., p. 289. La
notizia di Eusebio concorda con quella di Filastrio di Brescia, che compose, alla
fine del IV secolo, un Diversarum haereseon Liber: FILASTRIO, Delle varie eresie
49,4: Pepuzam villam suam, quae sic dicitur in Frigia, Hierusalem appellant. SAN
FILASTRIO DI BRESCIA, Delle varie eresie, SAN GAUDENZIO DI BRESCIA, Dei
trattati, introd., trad., note e indici di G. Banterle, Milano-Roma 1991.
51
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,18,13 (GCS 2/1, p. 478): Καὶ πάλιν φησὶν
ὡς ἄρα Ζωτικός, οὗ καὶ ὁ πρότερος συγγραφεὺς ἐμνημόνευσεν, ἑν Πεπούζοις
προφητεύειν δὴ προσποιουμένης τῆς Μαξιμίλλης ἐπιστὰς διελέγξαι τὸ ἐνεργοῦν
ἐν αὐτῇ πνεῦμα πεπείραται, ἐκωλύθη γε μὴν πρὸς τῶν τὰ ἐκείνης φρονούντων.

36
Costoro venerano anche un luogo abbandonato in Frigia, una città un tempo

chiamata Pepuza, ma adesso rasa al suolo, e dicono che di lì discenderà la

Gerusalemme celeste. Ragion per cui vanno in quel luogo a celebrarvi certi

misteri e a santificare se stessi, a detta loro. Questa gente si trova infatti in

Cappadocia, in Galazia e in Frigia, come si è detto prima52, donde il nome

dell’eresia, catafrigi, ma anche in Cilicia e per la maggior parte a

Costantinopoli53.

Nel passo seguente Epifanio attribuisce, inoltre, alla profetessa

montanista Priscilla l’affermazione che Gerusalemme “discende” dal

cielo a Pepuza:

Questi quintilliani o priscilliani sostengono infatti che a Pepuza Quintilla o

Priscilla, non so dirlo con precisione, una di loro comunque, si era

addormentata a Pepuza, ripeto, e che Cristo andò da lei e dormì con lei,

come quell’illusa raccontava [...]54.

52
I luoghi sono ricordati nel Sommario del Libro II Tomo I. Ivi, nella notizia
49, si cita «Pepuza, una città abbandonata tra Galazia, Cappadocia e Frigia».
53
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,14,1-2 (GCS 2, pp. 238-239): Τιμῶσι δὲ οἱ
τοιοῦτοι καὶ τόπον τινὰ ἔρεμον ἐν τῇ Φρυγίᾳ, Πέπουζάν ποτε καλουμένην πόλιν,
νῦν δὲ ἡδαφισμένην, καί φασιν ἐκεῖσε κατιέναι τὴν ἄνωθεν Ἱερουσαλήμ. ὅθεν
ἐκεῖ ἀπερχόμενοι μυστήριά τινα ἐπιτελοῦσιν ἐν τῷ τόπῳ καὶ ἁγιάζουσιν, ὡς
ὑπολαμβάνουσιν. Ἔστι γὰρ καὶ τὸ γένος ἐν τῇ Καππαδοκίᾳ καὶ Γαλατίᾳ και ἐν τῇ
προειρημένῃ Φρυγίᾳ, ὅθεν κατὰ Φρύγας ἡ αἵρεσις καλεῖται· ἀλλὰ καὶ ἐν Κιλικίᾳ
καὶ ἐν Κωνσταντινουπόλει τὸ πλειστον: tr. it. Mirto, cit., p. 154.
54
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 49,1,2 (GCS 2, pp. 241-242): φασὶ γὰρ οὗτοι
οἱ Κυιντιλλιανοὶ εἲτ' οὖν Πρισκιλλιανοὶ ἐν τῇ Πεπούζῃ, ἢ Κυίντιλλαν ἢ
Πρὶσκιλλαν (οὐκ ἔχω γὰρ ἀκριβῶς λέγειν), μίαν δὲ ἐξ αὐτῶν ὡς προεῖπον ἐν τῇ
Πεπούζῃ κεκαθευδηκέναι καὶ τὸν Χριστὸν πρὸς αὐτὴν ἐληλυθέναι συνυπνωκέναι
τε αὐτῇ τούτω τῷ τρόπῳ, ὡς ἐκείνη ἀπατωμένη ἔλεγεν: tr. it. Mirto, cit., p. 157.

37
Dunque, attraverso il filtro di Eusebio, evinciamo due dati

importanti:

1. l’Anonimo Antimontanista colloca gli inizi dell’attività di

Montano ad Ardaba, un villaggio in Misia al confine con la

Frigia.

2. Apollonio informa di Pepuza e Timio, luoghi definiti

“Gerusalemme” da Montano, in cui Massimilla avrebbe

profetizzato.

Epifanio arricchisce il quadro riportando la notizia che a Pepuza,

ormai rasa al suolo al tempo in cui scrive, secondo i montanisti

sarebbe discesa la Gerusalemme celeste e che qui una delle profetesse

aveva ricevuto una visione.

Dall’analisi delle fonti, come è chiaro, si desumono semplici indizi

di cui è arduo provare in maniera certa l’autenticità: siamo di fronte a

nomi di paesi e villaggi tutt’ora difficilmente localizzabili, che non

permettono di circoscrivere con precisione il territorio in cui nacque e

si diffuse il montanismo. L’area di riferimento è certamente la regione

della Misia, che confina con la Frigia, in Asia Minore. I centri citati,

come abbiamo visto, sono Ardaba e Timio, di cui non abbiamo

38
nessun’altra notizia se non nei loci di Eusebio ed Epifanio, e Pepuza,

definita dagli stessi montanisti sede della nuova Gerusalemme celeste.

Quest’ultima è menzionata anche in fonti successive, quali Cirillo di

Gerusalemme (Catechesi 16,855); Filastrio di Brescia (Delle varie

eresie 49,4)56; Tertulliano (Adversus Marcionem 3,24)57, sempre in

connessione con l’attività dei nuovi profeti.

1.1. Pepuza e Timio

Secondo quanto emerge dall’analisi fin qui condotta, dunque, non

v’è dubbio che i profeti montanisti nominarono “Gerusalemme”

55
Cfr. W.C. REISCHL, J. RUPP, Cyrilli Hierosolymarum archiepiscopi opera
quae supersunt omnia, Hildesheim 1967, p. 212: […] καὶ Πέπουζαν μικρότατον
κωμύδριον ἐν τῇ Φρυγίᾳ καταλαβὼν καὶ ψευδῶς Ἱερουσαλὴμ ὀ νομάσας τοῦτο.
«[…] scelse come sede Pepuza, minuscola borgata della Frigia di cui falsò il nome
chiamandola Gerusalemme»: tr. it. C. Riggi, Cirillo di Gerusalemme, Le
Catechesi, Roma 1993, pp. 352-353.
56
SAN FILASTRIO DI BRESCIA, Delle varie eresie, SAN GAUDENZIO DI BRESCIA,
Dei trattati, introd., trad., note e indici di G. Banterle, Milano-Roma 1991, pp. 66-
67): Hi mortuos baptizant, publice mysteria celebrant, Pepuzam villam suam,
quae sic dicitur in Frigia, Hierusalem appellant ubi Maximilla et Priscilla et ipse
Montanus vitae tempus vanum et infructuosum habuisse dinoscuntur. «Questi
battezzano i morti, celebrano pubblicamente i misteri, chiamano Gerusalemme la
loro città Pepuza, così chiamata in Frigia, dive si sa che Massimilla e Priscilla e lo
stesso Montano trascorsero l’inutile e infecondo tempo della loro vita».
57
E. EVANS, Tertullian, Adversus Marcionem, Oxford, 1962, pp. 244-246:
Nam et confitemur in terra nobis regnum repromissum, sed ante caelum, sed alio
statu, utpote post resurrectionem, in mille annos in civitate divini operis
Hierusalem caelo delata. «Infatti, noi riconosciamo che ci è stato promesso un
regno anche in terra, ma prima del cielo, ma in un altro stato, e precisamente un
regno fatto discendere dal cielo dopo la risurrezione, per mille anni in una città di
opera divina, Gerusalemme»: tr. it. C. Moreschini, Torino 1974, p. 453.

39
Pepuza e Timio, due località frigie. Qui essi cominciarono a fare

proseliti (Hist. Eccl. 5,18,12: cfr. supra) e ritennero che queste città

sarebbero presto state protagoniste degli eventi legati alla discesa della

Gerusalemme celeste (Pan. 48,14,1-2: cfr. supra).

Così stando le cose, gli studiosi hanno cercato di definire dove

effettivamente si trovassero questi luoghi, considerati così “sacri” e

importanti dai montanisti.

Se, relativamente a Timio, non sussiste alcun elemento per tentare

una possibile collocazione del sito, di Pepuza, invece, sono state

proposte varie identificazioni: in particolare con i moderni centri di

Dumanli, Suretli o Bekilli nella regione Çal Ovasi o con un’altra

località più a sud, nella pianura di Dazkiri58. Nondimeno, si tratta di

ipotesi basate più su congetture che su dati certi.

Nel suo già citato lavoro, Christine Trevett59 raccoglie alcune

informazioni su Pepuza, spiegando che, dopo la riorganizzazione

dell’impero alla fine del III secolo in diocesi e province ad opera di

Diocleziano, la città di Pepuza si trovò con Laodicea, Colosse,

Gerapoli e Ancyra nella provincia della Frigia Pacatiana: tutte queste

località, dunque, dovevano far parte della Frigia occidentale. Ma la

58
Cfr. Dictionary of Greek and Roman Geography 2, London 1872, p. 345.
59
TREVETT, Montanism cit., p. 20.

40
studiosa è ben lontana dal definire con chiarezza e sicurezza

topografica il sito di Pepuza. Piuttosto, ella considera significativo un

elemento di natura simbolica: il fatto, cioè, che l’insegnamento di

Montano sia connesso in qualche modo con i contenuti del libro dell’

Apocalisse60, e specificamente con le promesse della lettera di

Filadelfia contenute in quell’opera. Pertanto, a parere della Trevett,

non è improbabile che Pepuza si trovasse nella sfera di influenza di

Filadelfia; tale area si accorderebbe anche con quanto si sa della

geografia dei viaggi dei primi avversari della profezia. Questi, mossi

dal fermo intento di contestarne il messaggio61, arrivavano da più parti

60
Cfr. Apocalisse, 20,1-5: «E vidi un angelo che scendeva dal cielo, avendo la
chiave dell’abisso e una grande catena nella sua mano. E si impadronì del
dragone, il serpente antico, che è il diavolo, Satana, e lo legò per mille anni, e lo
gettò nell’abisso, che chiuse e suggellò sopra di lui, affinché non inganni più le
genti, finché finiscano i mille anni; dopo questi egli dovrà essere sciolto per poco
tempo. E vidi dei troni, e le anime dei decapitati per la testimonianza di Gesù e
per la parola di Dio, i quali non adorano la fiera né la sua immagine e non
ricevettero il marchio sulla fronte e sulla loro mano; e sedettero sui troni, e il
giudizio fu dato loro; e vissero e regnarono con il Cristo per mille anni. Gli altri
morti non vissero fino alla fine dei mille anni. Questa è la prima resurrezione»;
Apocalisse 21,1-4: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova. Infatti il primo cielo
e la prima terra passarono, e il mare non è più. E vidi la città santa, Gerusalemme
nuova, che scende dal cielo, da presso Dio, preparata come sposa che è stata
ornata per il marito. E udii una voce grande proveniente dal trono che diceva:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini; e dimorerà con essi, ed essi saranno i suoi
popoli, e Dio stesso sarà con essi e tergerà ogni lacrima dai loro occhi, e la morte
non sarà più, né lutto né grido né dolore saranno più; ché le cose di prima
passarono».
61
Eusebio dissemina nella sua opera una serie di informazioni a riguardo.
L’Anonimo Antimontanista racconta in Hist. Eccl. 5 16, 3-4 di essere stato ad
Ancira, l’odierna Ankara, in Galazia, dove la Chiesa locale era turbata a causa

41
a Pepuza, che doveva essere situata, pertanto, in una posizione

facilmente raggiungibile dalle città limitrofe. Ancora, la Trevett

deduce che Pepuza/Timio fossero localizzati in una pianura, dal

momento che Karahalli, Bekilli, Suller, tutte città proposte per una

possibile identificazione, sono, infatti, situate in un territorio

pianeggiante. Questo dettaglio è, secondo la sua analisi, estremamente

significativo se si considera anche l’altro toponimo relativo ai luoghi

del primo profetare di Montano, che le fonti ci restituiscono, cioè

Ardaba. Anche questo centro dovette probabilmente essere situato in

pianura, stando all’interpretazione della Trevett, secondo cui i luoghi

della Nuova Profezia: qui in molti ragionarono e discussero sul da farsi e tra
questi vi era il presbitero Zotico di Otris: cfr. Hist. Eccl. 5,16,5 (GCS 2/1, pp. 460-
462): Παρόντος καὶ τοῦ συμπρεσβυτέπου ἡμῶν Ζωτικοῦ τοῦ Ὀτρηνοῦ. τοῦτο μὲν
οὐκ ἐπράξαμεν, ἐπηγγειλάμεθα δέ ἐνθάδε γράψαντες, τοῦ κυριοῦ διδόντοσ, διὰ
σπουδῆς πέμψειν αυτοῖς. «Allorquando alla presenza del nostro compagno
presbitero Zotico di Otris, i presbiteri del luogo ci chiesero di lasciare un
memoriale di ciò che era stato detto contro coloro che si contrapponevano alla
verità»: tr. it. Migliore, cit., p. 282. Più avanti sono menzionati anche altri
vescovi, Zotico di Comana e Giuliano di Apamea, tutti mossi dal desiderio di
screditare la “falsa profezia”. Cfr. Hist. Eccl. 5,16,17 (GCS 2/1, p. 466): […]
ἄνδρας δοκίσμους καὶ ἐπισκόπους, Ζωτικὸν ἀπὸ Κουμάνης κώμης καὶ Ἰουλιανὸν
ἀπὸ Ἀπαμείας. ὧν οἱ περὶ Θεμίσωνα τὰ στόματα φιμώσαντες οὐκ εἴασν τὸ ψευδὲς
καὶ λαοπλάνον πνεῦμα ὑπ'αὐτῶν ἐλεγχθῆναι. «[…] uomini rispettati e vescovi,
Zotico di Comana e Giuliano di Apamea, ai quali i compagni di Temisone non
permisero, proprio perché tapparono loro la bocca, di confutare lo spirito fallace e
ingannatore»: tr. it. Migliore, cit., p. 285. Città della Frigia erano Otris e Apamea,
quest’ultima sul fiume Meandro, uno dei principali centri commerciali d’Asia;
invece, quanto a Comana, non si sa di che città si tratti: forse è da localizzare in
Panfilia. A questi avversari si aggiunge anche Apollinare di Hierapolis (cfr. supra:
nota 1) e Avircio Marcello, identificato con Abercio, vescovo di Hierapolis di
Frigia (cfr. supra: nota 12).

42
citati dalle fonti dovessero essere facilmente raggiungibili, e, pertanto,

collocabili in pianura (cfr.: supra) e tale scelta come luogo per la

discesa della Gerusalemme celeste da parte dei montanisti non sarà

stata certo casuale. Ma scendiamo nel dettaglio.

1.2. Ardaba

Anche di Ardaba è tuttora complesso individuare, se non la

posizione esatta, l’area in cui dovette essere situata. L’indicazione

“Frigia-Misia” offerta da Eusebio (cfr. supra: Hist. Eccl. 5,16,7) è

talmente generica che non aggiunge alcun elemento alla nostra

indagine; anzi potrebbe fare riferimento a qualsiasi sito nella zona.

Ancora una volta, molteplici sono stati i tentativi di identificazione

del luogo. Ramsay62 ha riconosciuto Ardaba nel moderno villaggio

di Kallataba, un’estesa pianura poco a est di Filadelfia; Calder63,

invece, aveva collocato il sito ancora più a est; Strobel64, dopo aver

condotto un’attenta indagine dell’area, suggerì che Ardaba potesse

essere il sito dell’antica Atyochorion, a nord-ovest della moderna

Akkent, a sua volta identificata con l’antica città di Dionysopolis.

62
W.M. RAMSAY, The Cities and Bishoprisc of Phrigya, Oxford 1987, p. 573.
63
W.M. CALDER, “Philadelphia and Montanism”, «Bullettin of the John
Ryland Library» 7 (1923) pp. 309-353, p. 324.
64
A. STROBEL, Das heilige Land der Montanisten: eine religionsgeographische
Untersuchung, «Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten» 37 (1980), p.
I-34.

43
Atyochorion, inoltre, era non solo il centro di un’intensa attività

religiosa e profetica, ma anche una località situata non molto

distante dai diversi luoghi presumibilmente identificati con Pepuza,

vale a dire Bekilli, Dumanli, Suretli. Pertanto Strobel cominciò a

considerare la possibilità che questi toponimi, Pepuza/Timio e

Ardaba, a prescindere dalla loro esatta collocazione geografica,

individuassero comunque siti non molto distanti l’uno dall’altro.

2. Il significato dei luoghi

Abbiamo osservato che solo l’Anonimo Antimontanista menziona il

villaggio di Ardaba (cfr. supra: Hist. Eccl. 5,16,7) come luogo in cui

Montano si mostra in pubblico per la prima volta, abbandonandosi a

manifestazioni di tipo estatico-profetico. Alla luce di questo, e

tenendo conto delle difficoltà di localizzazione del sito, la Trevett65 si

chiede se Ardaba sia un toponimo o non, piuttosto, una designazione

geografica simbolica. Si tratta di una riflessione che riprende, per

analogia, l’idea che Pepuza e/o Timio siano non toponimi effettivi, ma

nomi che designano, in realtà, la Gerusalemme celeste. (cfr. supra:

Hist. Eccl. 5,18,13; Haer. 48,14,1-2).

65
Ibidem, p. 25.

44
La studiosa sostiene infatti che l’appellativo “Gerusalemme”

doveva essere un’espressione simbolica, carica di significati altri ed

alti che andrebbero compresi e chiariti. L’origine della concezione

della Gerusalemme celeste va ricercata nella letteratura apocalittica

ebraica: rappresenta il sogno di liberazione del popolo ebraico,

percepito quale contrappeso alle sopraffazioni delle quali era fatto

segno nel mondo antico. Nell’immaginario degli Ebrei la

Gerusalemme celeste, che avrebbe sostituito quella terrena, era una

città santa, grandiosa, la manifestazione concreta del compimento di

nuovi tempi. Tale concezione si diffuse anche fra i gruppi ei seguaci

di Gesù, soprattutto quelli a sfondo millenaristico: il termine

“Gerusalemme celeste” ricorre in Paolo (Galati 4,26); nella Epistola

agli Ebrei 12,22 e nell’Apocalisse (3,12; 20-21). I cristiani

assegnavano a se stessi il premio ultraterreno da godere nella

Gerusalemme celeste, luogo in cui si sarebbero riuniti tutti i fedeli con

Cristo e i patriarchi66.

Se accogliessimo dunque l’ipotesi della Trevett, considerando

Ardaba, come Gerusalemme, un’indicazione simbolica, resterebbe da

capire a quale significato alludesse. La studiosa nel suo lavoro prova a

rispondere a questo interrogativo incrociando dati e proponendo

66
Cfr. sul tema E. LUPIERI (a cura di), L’Apocalisse di Giovanni Milano 1999.

45
alcune ipotesi. In particolare, ella suggerisce che il toponimo del

villaggio di Ardaba possa essere associato al nome di un piccolo

campo in pianura, Ardat, con il quale è evidente l’assonanza, citato nel

Quarto Libro di Ezra, dove ricorre la promessa dell’avvento di una

nuova Gerusalemme:

Io partii, come mi aveva detto, per quel campo chiamato Ardat, mi sedetti là

fra i fiori e mangiai le erbe del campo, cibandomene a sazietà67.

Il Quarto Libro di Ezra sottende la fede in una vita ultraterrena e

descrive le vicende dell’anima dopo la morte fino al giorno del

giudizio. Si distingue un periodo di passaggio che va dalla morte di

ciascuno al giudizio finale, quando si avrà una suddivisione tra buoni

e cattivi a cui spetterà una sorte diversa. Se le anime dei malvagi

saranno costrette a vagare fra tormenti, le anime pie avranno il

privilegio di assistere all’avvento della Gerusalemme celeste.

67
P. SACCHI, Apocrifi dell’antico Testamento, Vol. II, Torino 1989, 4 Ezra, IX,
26, p. 348. Il Quarto libro di Ezra, ascrivibile al genere apocalittico, è attribuito
all’omonimo personaggio, scritto da un ebreo verso il 100 d.C. in ebraico o in
aramaico. Da questo originale venne subito tradotta una versione greca; altre
derivarono da essa, e cioè una versione latina, una siriaca, una etiopica, due arabe,
una armena e una georgiana. Essendo perduti sia l’originale semitico che la
versione, o le versioni, greche, la traduzione latina del Quarto Libro di Ezra
rappresenta il testimone più importante di quest’opera. Il libro è stato ripartito in
sette episodi, o visioni.

46
Il testo considerato rientra nella sezione della quarta visione, il cui

contenuto e senso complessivo possono guidarci nella comprensione

del discorso che qui si conduce. Qui Ezra, recatosi appunto nel campo

di Ardat, prega il Signore affermando che, anche se morissero coloro

che non hanno custodito la Legge, tuttavia essa non perirebbe. Questo

concetto è illustrato dalla visione che segue direttamente: Ezra vede

una donna piangente, le chiede il motivo del pianto ed apprende che la

donna è addolorata perché suo figlio è morto il giorno stesso delle

nozze. Egli la rimprovera, perché il vero dolore è quello di Israele che

è stato distrutto assieme al suo Tempio ma, mentre le dice tali cose, il

volto della donna risplende, e lei stessa, dopo aver emesso un grido

altissimo, scompare. Al suo posto compare una «città costruita».

Allora Ezra chiede l’aiuto di un angelo che gli spiega come la donna

fosse Gerusalemme, e la morte del figlio rappresentasse la rovina della

città e dei suoi abitanti; della «città costruita» non è fornita alcuna

spiegazione, ma è chiaro che si tratta della nuova Gerusalemme,

quella celeste. Significativo per il nostro discorso, secondo la

prospettiva assunta dalla Trevett, è il fatto che la promessa di una

nuova Gerusalemme venga ad Ezra proprio in questo campo chiamato

Ardat.

47
Perciò, la scelta del nome Ardaba da parte dei montanisti si

spiegherebbe proprio in virtù di queste reminiscenze di promesse

apocalittiche. A ciò si aggiunge il fatto che Ardat è un territorio

pianeggiante, e tutte le ipotesi di localizzazione di Pepuza/Timio e

Ardaba hanno riguardato sempre territori di tale guisa. La pianura si

presentava evidentemente come un territorio d’elezione per la discesa

della Nuova Gerusalemme.

Al di là di questa ipotesi, va comunque menzionata una seconda

opzione che, però, la Trevett, pur non condividendola, cita: cioè che

Ardaba, Pepuza/Timio fossero in realtà toponimi riferibili ad un

medesimo luogo, ma ciascuno collegabile a momenti diversi di questa

prima efflorescenza profetica montanista. La Trevett, in particolare,

ritiene che non sia impossibile che ciò che è stato chiamato in

un’occasione Ardaba, possa essere stato indicato, in seguito o

precedentemente, Gerusalemme.

Peraltro questa area di Frigia, come si è già anticipato, non era

lontana dalla chiesa profetica di Filadelfia: nell’Apocalisse68 si precisa

che i cristiani di questa città avrebbero portato il nome della città santa

di Dio, la nuova Gerusalemme, appunto. Inoltre Filadelfia era stata la

68
Apocalisse 3,12: «Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio
Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, dal mio Dio, insieme al
mio nome nuovo».

48
dimora della profetessa Ammia (Hist. Eccl. 5,17,3-469), che figurava

nella successione profetica a cui i montanisti si richiamavano per

legittimare la loro attività.

Per sintetizzare, dunque, Ardaba potrebbe essere una designazione

simbolica, il cui significato simbolico era comprensibile a un maggior

numero di fedeli. Questi ultimi che non dovevano essere molto diversi

da quelli che rispondevano un tempo al veggente di Filadelfia e ora

continuavano a mantenere viva la speranza e salda la certezza di un

dialogo con il Signore mediante la profezia.

69
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl. 5,17,3-4 (GCS 2/1, p. 470-472): Τοῦτον δὲ
τὸν τρόπον οὔτε τινὰ τῶν κατὰ τὴν παλαιὰν οὔτε τῶν κατὰ τὴν καινὴν
πνευματοφορηθέντα προφήτην δεῖξαι δυνήσονται, οὔτε Ἄγαβον οὔτε Ἰούδαν οὔτε
Σίλαν οὔτε τὰς Φιλίππου θυγατέρας, οὔτε τὴν ἐν Φιλαδελφίᾳ Ἀμμίαν οὔτε
Κοδρᾶτον, οὔτε εἰ δή τινας ἄλλους μηδὲν αυτοῖς προσήκοντας καυχήσονται. Καὶ
αὖθις δὲ μετὰ βραχέα ταῦτά φησιν. Εἰ γὰρ μετὰ Κοδρᾶτον καὶ τὴν ἐν Φιλαδελφίᾳ
Ἀμμίαν, ὥς φασιν, αἱ περὶ Μοντανὸν διεδέξαντο γυναῖκες τὸ προφητικὸν
χάρισμα, τοὺς ἀπὸ Μοντανοῦ καὶ τῶν γυναιχῶν τίνες παρ'αὐτοῖς διεδέξαντο,
δειξάτωσαν. «Ma essi non saranno in grado di segnalare alcun profeta, né
dell’Antico né del Nuovo Testamento, che sia stato ripieno dello Spirito in questo
modo; non potranno vantare né Agabo, né Giuda, né Sila, né le figlie di Filippo,
né Ammia di Filadelfia, né Quadrato, né altri, perché non hanno assolutamente
alcun rapporto con loro. Dopo un po’ aggiunge di nuovo: “Se, infatti, a quanto
essi sostengono, dopo Quadrato e Ammia di Filadelfia, le seguaci di Montano
hanno ereditato il carisma profetico, mostrino chi tra i discepoli di Montano e
delle sue donne, lo ha ereditato da loro. […]»: tr. it. Migliore, cit., p. 288.

49
III CAPITOLO

Tra sonno estatico e visioni: vera e falsa profezia

50
1. Vera e falsa profezia

Le fonti che abbiamo analizzato tendono a presentare le

caratteristiche del montanismo all’interno di un discorso più ampio

che rivela, una volta di più, la prospettiva delle fonti stesse e il loro

intento: confutare l’esperienza degli eretici, screditare un fenomeno,

come quello montanista, che poneva non pochi problemi ad una

Chiesa che, nel II secolo, stava provando a organizzarsi e a darsi una

forma compiuta, nel quadro del processo di progressiva

istituzionalizzazione a cui andò incontro il nascente cristianesimo.

La presentazione della nuova profezia, inoltre, in tutte le fonti è

inserita in una polemica costruita intorno al contrasto tra vera e falsa

profezia. Era questa, infatti, una distinzione di cui aveva bisogno

l’autorità ecclesiale del II secolo, che in quegli anni andava

definendosi, mentre si rafforzava la necessità di stabilire un sistema

dottrinale basato sul concetto di successione apostolica e di tradizione,

interpretabile come depositum fidei.

51
Eusebio introduce l’argomento bollando il montanismo da subito

come una “non profezia, ma piuttosto pseudoprofezia”70; altrettanto fa

Epifanio, che lo presenta come “l’eresia detta dei Frigi”71.

Una volta chiarito il bersaglio polemico gli eresiologi danno inizio a

un’azione mirata di decostruzione del fenomeno montanista, in cui

possiamo individuare due direttrici:

a) descrivere la falsa profezia in opposizione alla vera,

soffermandosi sulle pratiche carismatiche dei montanisti, che

destavano non pochi sospetti e turbamenti;

b) opporre la falsa profezia alla vera mediante il richiamo alla

tradizione profetica e indicando i veri profeti.

1. La falsa profezia e le sue manifestazioni

1.1. Eusebio

[…] Qui, al tempo in cui Grato era proconsole d’Asia, dicono che per la

prima volta uno dei nuovi credenti di nome Montano, a motivo dello

smisurato desiderio della sua anima di primeggiare, avendo permesso

all’avversario di penetrare in lui, fu infiammato dallo spirito [del male] e,

70
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,16,4 (GCS 2/1, p. 460): οὐχ ὡς αὐτοί
φασιν, προφητείας, πολὺ δὲ μᾶλλον, ψευδοπροφητείας: tr. it. Migliore, cit., p.
282.
71
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,1,1 (GCS 2, p. 219): αἵρεσις τῶν Φρυγῶν
καλουμένη: tr. it. Mirto, cit., p. 137.

52
divenuto all’improvviso un ossesso e preso da una falsa estasi, cominciò a

parlare e a pronunziare parole straniere, facendo profezie del tutto opposte a

quelle solitamente tramandate dalla tradizione e dalla successione della

Chiesa fin dall’inizio72.

Eusebio presenta così le caratteristiche della nuova profezia

attraverso le parole dell’Anonimo Antimontanista, il quale, sin dalla

prima menzione di Montano, prima ancora di accennare alle sue

estasi, precisa che egli ha lasciato penetrare “l’avversario dentro di

lui” ed è infiammato dallo spirito del male. Tale impostazione rivela

una strategia molto efficace, poiché mettere l’attività di Montano e dei

suoi seguaci all’insegna del diavolo ne orienta la comprensione e

l’interpretazione. Si profila così uno dei primi motivi tipici della

contrapposizione tra vera e falsa profezia: cioè l’idea che, l’una e

l’altra, pur essendo fenomeni di natura carismatica, sono caratterizzati

da connotazioni di segno opposto: la “vera profezia” sarebbe infatti

ispirata dallo Spirito Santo, la “falsa profezia” da uno spirito maligno,

talvolta anche da più di uno. Infatti, al manifestarsi delle estasi di

72
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,16,7 (GCS 2/1, p. 462): […] ἔνθα φασί
τινα τῶν νεοπίστων πρώτως, Μοντανὸν τοὔνομα, κατὰ Γρᾶτον Ἀσίας ἀνθύπατον.
Ἐν ἐπιθυμίᾳ ψυχῆς ἀμέτρῳ φιλοπρωτείας δόντα πάροδον εἰς ἑαυτὸν τῷ
ἀντικειμένω πνευματοφορηθῆναι τε καὶ αἰφνιδίως ἐν κατοχῇ τινι καὶ παρεκστάσει
γενόμενον ἐνθουσιᾶν ἄρξασθαί τε λαλεῖν καὶ ξενοφωνεῖν, παρὰ τὸ κατὰ
παράδοσιν καὶ κατὰ διαδοχὴν ἄνοθεν τῆς ἐκκλησίας ἔθος δῆθεν προφητεύοντα:
tr. it. Migliore, cit., pp. 282-283. Cfr. anche supra, cap. I, par. 2.3.

53
Montano alcuni reagivano a lui come a uno che è “in uno spirito di

errore” (ἐν πλάνης πνεύματι), altri invece, coloro cioè che lo

sostenevano, “come esaltati da uno spirito santo e da un carisma

profetico […] invocavano lo spirito insensato, adulatore e seduttore

del popolo”73. Poco oltre, Eusebio riporta l’indicazione esplicita che il

diavolo riempì le due donne “dello spirito corrotto”.

La strategia descrittiva del montanismo dunque, da parte degli

eresiologi, non prevede la negazione che uno spirito agisca nei profeti

montanisti, ma la sua individuazione come spirito maligno.

Una volta stabilita la prospettiva di osservazione, l’Anonimo passa

a descrivere la fenomenologia della falsa ispirazione. Questa

implicava estasi, perdita del controllo di sé, frenesia, visioni,

probabilmente glossolalia – se è a questa che si allude con il concetto

di “parlare in maniera strana” attribuito dall’Anonimo sia a Montano

(Hist. Eccl. 5,16,7: cfr. supra) che alle due donne:

[…] il diavolo stimolò ed infiammò la loro mente, ormai inoperosa nei

confronti della fede, al punto che istigò altre due donne e le riempì dello

spirito corrotto, tanto che esse cominciarono a parlare in maniera

73
EUSEBIO DI CESAREA, 5,16,8 (GCS 2/1, p. 462): […] οἳ δὲ ὡς ἁγίῳ πνεύματι
καὶ προφητικῷ χαρίσματι ἐπαιρόμενοι [...] τὸ βλαψίφρον καὶ ὑποκοριστικὸν καὶ
λαοπλάνον πνεῦμα προυκαλοῦντο: tr. it. Migliore, cit., pp. 282-283.

54
dissennata, sconveniente e strana, come il Montano di cui stiamo

parlando […]74.

Di questa fenomenologia presenta una disamina anche Epifanio.

2.2. Epifanio

La parola chiave attorno alla quale Epifanio costruisce tutta la sua

struttura argomentativa è αἵρεσις, intesa secondo l’accezione di

deviazione dottrinale da un’ortodossia comunemente affermatasi e

riconosciuta come tale. Epifanio introduce il discorso sui montanisti

puntualizzando che essi non eccedettero mai i limiti di una ortodossia

dottrinale, ma fu l’accentuazione del ruolo dell’esperienza mistico-

estatica che costituì il motivo di diffidenza e di reazione. Si dovrebbe

parlare, pertanto, più che di eresia, di scisma, secondo appunto la

definizione data da Girolamo (cfr supra). Il termine eresia, infatti, è

adoperato per indicare gruppi che, a causa della scelta (è questa

l’etimologia del termine αἵρεσις, appunto) di professare dottrine

giudicate false, si separano dalla Chiesa. Quest’ultima a sua volta, ne

prende le debite distanze, mossa dalla ferma volontà di salvaguardare

74
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,16,9 (GCS 2/1, pp. 462-464): […] ὁ
διάβολος [...] ὑπερξήγειρέν τε καὶ προσεξέκαυσεν αὐτῶν τὴν ἀποκεκοιμηνένην
ἀπὸ τῆς κατ' ἀλήθειαν πίστεως διάνοιαν, ὡς καὶ ἑτέρας τινὰς δύο γυναῖκας
ἐπεγεῖραι καὶ τοῦ νόθου πνεύματος πληρῶσι, ὡς καὶ λαλεῖν ἐκφρόνως καὶ
ἀκαίρως καὶ ἀλλοτριοτρόπως, ὁμοίως τῷ προειρημένῳ: tr. it. Migliore, cit., p.
283.

55
la propria struttura e il proprio sistema di credenze. “Scisma” invece,

etimologicamente indica il “distacco” dovuto al rifiuto di ubbidienza

alla gerarchia da parte di un gruppo. Nell’eresia, quindi, prevale un

dissenso dottrinale, nello scisma un dissenso disciplinare. Ed è proprio

questo che nel montanismo si esplica e si concretizza in una pratica

estatica avvertita al tempo e presentata dalle fonti come difforme dalla

tradizione, la cui fenomenologia insospettiva e preoccupava la

nascente Chiesa gerarchica, che si poneva come “ortodossa”, e

metteva in crisi l’autorità episcopale.

Questi cosiddetti catafrigi accettano anch’essi ogni Scrittura dell’Antico e

del Nuovo Testamento, e affermano parimenti la risurrezione dei morti, ma

si vantano di avere un tal Montano come profeta e Priscilla e Massimilla

come profetesse: li hanno ascoltati e ha dato loro di volta il cervello. Invece

su Padre, Figlio e Spirito Santo la pensano allo stesso modo della santa

Chiesa cattolica, ma se ne distaccarono, dando retta a spiriti ingannatori e a

dottrine diaboliche, dicendo: «anche noi dobbiamo ricevere i carismi».

Anche la santa Chiesa di Dio riceve analogamente i carismi, ma quelli reali,

già sanciti nella santa Chiesa di Dio mediante lo Spirito Santo, da profeti,

apostoli e dal Signore stesso. […] Dunque veramente costoro non sono nel

56
novero dei santi. Se ne distaccarono, infatti, per la loro litigiosità,

volgendosi a spiriti di errore e fantasticherie75.

Da questo passo si evince che, secondo Epifanio, a determinare

l’allontanamento dei seguaci di Montano dalla Chiesa sarebbero stati

quegli “spiriti d’errore”76 che li hanno condotti inevitabilmente a una

errata comprensione del dettato paolino relativo ai carismi e a uno

scorretto esercizio degli stessi. Il corpus epistolare paolino, in effetti,

costituisce una testimonianza importante, che attesta che i fenomeni

carismatici e il profetismo, fin dagli albori del cristianesimo, erano

guardati con qualche sospetto ed erano soggetti a un certo controllo da

parte delle comunità77. Sicuramente la Prima Epistola ai Corinzi (12-

75
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,1,3-7 (GCS 2, pp. 219-221): Οὗτοι γὰρ οἱ
κατὰ Φρύγας καλούμενοι δέχονται καὶ αὐτοὶ πᾶσαν γραφὴν παλαιᾶς καὶ νέας
διαθήκης καὶ νεκρῶν ἀνάστασιν ὁμοίως λέγουσι, Μοντανὸν δέ τινα προφήτην
αὐχοῦσιν ἔχειν καὶ Πρίσκιλλαν καὶ Μαξίμιλλαν προφήτιδας· οἷς προσέχοντες τὸν
νοῦν ἐξετράπησαν. Περὶ δὲ πατρὸς καὶ υἱοῦ καὶ ἁγίου πνεύματος ὁμοίως
φρονοῦσι τῇ ἁγίᾳ καθολικῇ ἐκκλησίᾳ, ἀπέσχισαν δὲ ἐαυτούς, προσέχοντες
πνεύμασι πλάνης καὶ διδασκαλίαις δαιμονίων, λέγοντες ὅτι, δεῖ ἡμᾶς, φησί, καὶ τὰ
χαρίσματα δέχεται, ἀλλὰ τὰ ὄντως χαρίσματα καὶ ἤδη ἐν ἁγίᾳ θεοῦ ἐκκλησίᾳ διὰ
πνεύματος ἁγίου δεδοκιμασμένα παρά προφητῶν καὶ ἀποστόλων καὶ αὐτοῦ τοῦ
κυρίου. [...] Ἀληθῶς οὖν οὗτοι οὐχ εἰσὶν ἐξ αὐτῶν τῶν ἁγίων. Ἐξέβησαν γὰρ τῇ
αὐτῶν φιλονεικίᾳ, προσανέχοντες καὶ πνεύμασι πλάνης καὶ μυθολογίαις: tr. it.
Mirto, cit., pp. 138-139.
76
Cfr. anche supra: Hist. Eccl., 5,16,7.
77
Paolo si occupa della profezia cristiana in diversi punti delle sue lettere: 1
Tess 5,19-22: Τὸ πνεῦμα μὴ σβέννυτε, προφητείας μὴ ἐξουθενεῖτε. Πάντα δὲ
δοκιμάζετε, τὸ καλὸν κατέχετε. Ἀπὸ παντὸς εἴδους πονηροῦ ἀπέχεσθε. «Non
spegnete lo Spirito, non disprezzate la profezia. Vagliate ogni cosa e tenete ciò
che è buono. Astenetevi da ogni specie di male»; 1 Cor 12,10: ἄλλῳ δὲ
ἐνεργήματα δυνάμεων, ἄλλῳ δὲ προφητεία, ἄλλῳ δὲ διακρίσεις πνευμάτων, ἑτέρῳ

57
14) è la fonte più importante a nostra disposizione per la conoscenza

della profezia cristiana nel I secolo, e qui ricorrono due importanti

indicazioni rispetto alla valutazione e all’esame della profezia. Paolo

presenta un elenco dei nove doni dello Spirito, di cui gli ultimi quattro

sono: la profezia, la capacità di distinzione degli spiriti, la varietà delle

lingue e l’interpretazione delle stesse. Per capacità di distinzione degli

spiriti (διακρίσις πνευμάτων / discretio spirituum) egli intende il dono

di discernere se una profezia è ispirata dallo spirito di Dio o da uno

spirito maligno (cfr. 1 Cor 12,1-3)78. Pur in assenza di criteri ufficiali

e formali per valutare le profezie, è evidente che il contenuto di una

profezia risulta essere il criterio decisivo per determinare se essa è o

meno autentica e ispirata dallo Spirito di Dio: il messaggio espresso

deve o concordare con quanto Paolo ha insegnato in precedenza (2

Tess 1,1-3; Gal 1,8-9) o con le credenze e le usanze accettate dalla

comunità cristiana (1 Cor 12,1-3).

γένη γλωσσῶν, ἄλλῳ δὲ ἑρμηνεία γλωσσῶν. «A uno il potere dei miracoli; a un


altro il dono della profezia; a un altro il dono di discernere gli spiriti; a un altro la
varietà delle lingue; a un altro l’interpretazione delle lingue»; 1 Cor 14,29:
προφῆται δὲ δύο ἢ τρεῖς λαλείτωσαν, καὶ οἱ ἄλλοι διακρινέτωσαν. «I profeti
parlino in due o tre e gli altri giudichino».
78
D. AUNE (La profezia nel primo cristianesimo e il mondo mediterraneo
antico, Brescia 1996, p. 411) propone che il termine ‘spiriti’ possa essere più
correttamente inteso come ‘profezie’ o ‘rivelazioni dello spirito’.

58
Le indicazioni paoline furono in seguito considerate dirimenti per

distinguere il “vero” dal “falso” profeta, che si appellava

illegittimamente all’autorità divina per le sue proclamazioni79.

Nel caso di Epifanio, è chiaro che egli costruisce la sua

argomentazione basandosi essenzialmente sul dispositivo linguistico-

retorico della contrapposizione binaria fra verità e falsità, che Maria

Dell’Isola ha messo bene in evidenza, quando richiama

«il concetto di ‘verità’ e la sua collocazione naturale all’interno di un

binomio che le contrappone un’idea di ‘falsità’. Tale binomio finisce così

per costituire inevitabilmente il fondamento concettuale da cui parte, si

sviluppa e si afferma definitivamente il contenuto dell’accusa: come in una

naturale equazione fra idee e oggetti, l’argomentare di Epifanio è giocato

tutto attorno alla contrapposizione fra verità (idea) e chiesa (oggetto) da una

parte, e falsità (idea) ed ‘eretico’ (oggetto) dall’altra. Il vero sta al falso

come la chiesa sta all’eresia»80.

L’unica preoccupazione di Epifanio, in effetti, sembra essere quella

di stabilire dei confini fra la Chiesa, depositaria di verità e autentica

79
Dunque, già all’epoca di Paolo, per screditare i profeti ritenuti pericolosi si
usavano due tipi di accuse, spesso combinate: che essi fossero degli impostori o
che fossero posseduti da uno spirito maligno. L’illegittimità di un profeta veniva
dimostrata in base al suo comportamento, insegnamento e alla procedura da lui
seguita per profetizzare.
80
M. DELL’ISOLA, “Il dibattito esegetico su vera e falsa profezia in Epiph. Pan.
48: la costruzione retorica del fenomeno profetico montanista”, «Adamantius» 21
(2015), p. 196.

59
tradizione cristiana, e il gruppo ‘eretico’, la cui identità è connotata

dalla presenza dell’errore e della falsità. «Anche noi dobbiamo

ricevere i carismi», è quanto i profeti dichiarano alle autorità

ecclesiastiche; e tuttavia, secondo l’interpretazione di Epifanio (Haer.

48,2,5), tali carismi non sono “veri”. Il punto nodale, quindi, è questo:

non è che la Chiesa non accetti i carismi stessi; al contrario li ammette

e li accoglie; tuttavia, deve trattarsi di carismi realmente ispirati dallo

Spirito Santo, come quelli posseduti dai profeti veterotestamentari,

dagli apostoli e dallo stesso Signore. E la discretio di tali carismi,

ovviamente, è considerata appannaggio dell’autorità ecclesiastica.

Epifanio, infatti, precisa:

Ma costoro che cosa hanno detto di utile, o in quale proporzione alla fede?

Come non sono piuttosto loro quelli dei quali il Signore disse: “Guardatevi

dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi

rapaci?” Confrontando infatti le loro affermazioni con quelle dell’Antico e

del Nuovo Testamento, che sono nella verità e che nella verità si sono

avverate e sono state profetizzate, possiamo giudicare quale sia profezia e

quale invece falsa profezia. Il profeta parlava sempre in stato di ragione e di

coscienza e si esprimeva per opera dello Spirito Santo […]81.

81
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,3,2-4 (GCS 2, p. 223): Τί οὖν συμφέρον
οὗτοι εἰρήκασιν ἢ ποῖον ἀνάλογον τῆς πίστεως; πῶς δὲ οὐχὶ μᾶλλον οὗτοι εἰσιν
περὶ ὧν εἶπεν ὁ κύριος ὅτι «προσέχετε ἀπὸ τῶν ψευδοπροφητῶν, οἵτινες ἔρχονται

60
E prosegue:

Ma in merito a quanto costoro proclamano di profetizzare, apparirà chiaro

che lo fanno senza sanità mentale né comprensione logica. Le loro parole

infatti sono ambigue, contorte e senza rettitudine alcuna82.

Tutta l’argomentazione, come si vede, è giocata sulla

contrapposizione vero-falso. A governare l’ispirazione dei montanisti

è lo spirito d’errore che li conduce alla perdita delle proprie facoltà

razionali e ad allontanarsi dalla verità: ne deriveranno, dunque, solo

false profezie che non possono che essere espressione di una

ispirazione derivante da uno spirito diabolico e che, perciò, non

avranno mai un compimento. Le vere profezie, invece, si realizzano

perché sono pronunciate nel pieno possesso delle facoltà razionali,

senza perdita di controllo del proprio intelletto, con piena

consapevolezza e comprensione del significato di ciò che viene

profetizzato.

πρὸς ὑμᾶς ἐν ἐνδύμασι προβάτων, ἔσω δέ εἰσι λύχοι ἅρπαγες». Συγκρίνοντες γὰρ
τὰ παρ' αὐτῶν εἰρημένα καὶ κατὰ τὴν παλαιὰν διαθήκην καὶ καινὴν ἐν ἀληθείᾳ
ὄντα καὶ ἐν ἀληθείᾳ γενόμενα καὶ πεπροφητευμένα δοκιμάσωμεν, ποία προφητεία
τυγχάνει, ποία δὲ ψευδοπροφητεία, ὁ προφήτης πάντα μετὰ καταστάσεως
λογισμῶν καὶ παρακολουθήσεως ἐλάλει καὶ ἐφθέγγετο ἐκ πνεύματος ἁγίου: tr. it.
Mirto, cit., pp. 140-141.
82
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,3,11 (GCS 2, p. 224): Ἂ δὲ οὗτοι
ἐπαγγέλλονται προφητεύειν, οὐδὲ εὐσταθοῦντες φανοῦνται οὔτε παρακολουθίαν
λόγου ἔχοντες. Λοξὰ γὰρ τὰ παρ'αὐτῶν ῥήματα καὶ σκαληνὰ καὶ οὐδεμιᾶς
ὀρθότητος ἐχόμενα: tr. it. Mirto, cit., p. 142.

61
La profezia montanista è in definitiva etichettata come una falsa

profezia non conforme alla tradizione della Chiesa, proprio sulla base

di una valutazione che tiene conto della pratica stessa della profezia:

ciò che viene individuato, fra le due, «è una diversità non di parola,

ma di comportamento»83 sintetizza la Dell’Isola. Il vero profeta è

dunque capace di mantenere un equilibrio, di non perdere il proprio

λογισμός; il profeta montanista, al contrario, durante il processo di

ispirazione divina, mostra di non possedere più il controllo delle

proprie facoltà razionali: per spiegarne la condizione , Epifanio lo

paragona allo stato del sonno84 e, per rimarcare questa distinzione, fa

ricorso a Genesi 2,21: Dio fece scendere un torpore sull’uomo e lo

addormentò85. È lecito dunque ipotizzare che i montanisti abbiano

scelto questo versetto come fondamento scritturistico, attorno al quale

costruire la propria personale interpretazione del fenomeno estatico.

Non a caso, Epifanio tiene a spiegare che la tipologia di “torpore

estatico” dei profeti montanisti è, di fatto, completamente diversa

rispetto a quello genesiaco:

83
M. DELL’ISOLA, “Il dibattito esegetico su vera e falsa profezia in Epiph. Pan.
48: la costruzione retorica del fenomeno profetico montanista”, «Adamantius» 21
(2015), p. 200.
84
Se ne discuterà più largamente infra.
85
Cfr. Haer. 48,4,4.

62
[…] ma questo caso non è simile al precedente. […] Tant’è che infuse in

Adamo il torpore del sonno, non un torpore della mente. Un’ekstasis si

manifesta in molte forme differenti. Si parla di ekstasis per una meraviglia

straordinaria, e si chiama ekstasis la pazzia, in quanto si esce fuori dalla

normalità. Ma si parlò di quell’ekstasis del sonno in senso ulteriore, quello

dell’attività naturale, soprattutto in quanto nel santo Adamo, plasmato dalla

mano di Dio, ne fu infusa una profondissima. E in effetti ci si può realmente

rendere conto di quanto giustamente la Sacra Scrittura ha definito questo

stato di ekstasis. Infatti quando l’uomo dorme, tutti i sensi si dileguano,

mettendosi a riposo […]. Invece l’anima di per sé non viene mai meno alle

sue facoltà direttrici e spirituali. Tanto è vero che spesso immagina e vede

se stessa come se fosse sveglia, e va in giro, agisce, viaggia per mare e parla

in pubblico, e in sogno vede anche attività più numerose e maggiori di

queste; certamente non come un uomo che agisce sconsideratamente e nella

sua ekstasis è fuori di sé: egli, pur essendo desto nel corpo e nell’anima,

intraprende atti estremi e spesso agisce pericolosamente verso se stesso e chi

gli sta accanto, in quanto non sa quello che dice e quello che fa, poiché è

caduto nell’ekstasis della follia86.

86
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,4,4-8 (GCS 2, pp. 225-227): [...]ἀλλὰ
οὐκέτι ὅμοιον τοῦτο εἴη ἐκείνω. [...] Τῷ γὰρ Ἀδαμ ἐπήνεγκε τὴν ἔκστασιν τοῦ
ὕπνου, οὐκ ἔκστασιν φρενῶν. Ἔκστασις δὲ κατὰ διαφορὰς πολλὰς ἔχει τὸν
τρόπον. Ἔκστασις δι' ὑπερβολὴν θαύματος λέγεται καὶ ἔκστασις λέγεται ἡ μανία
διὰ τὸ ἐστῆναι τοῦ προκειμένου. Ἐκείνη δὲ ἡ τοῦ ὕπνου ἔκστασις κατ' ἄλλον
τρόπον ἐρρέθη, κατὰ τὴν φυσικὴν ἐνέργειαν, μάλιστα διὰ τὸ βαθυτάτως αὐτὴν
ἐπενηνέχθαι τῷ ἁγίῳ Ὰδὰμ καὶ ἐν χειρὶ θεοῦ πεπλασμένω. Καὶ γὰρ ἀληθῶς ἔστιν
ἰδεῖν ὡς δικαίως ἔκστασιν ταύτην ἡ θεία γραφὴ κέκληκεν. Ἐν τῷ γὰρ ὑπνοῦν τὸν
ἄνθρωπον μεθίστανται πᾶσαι αἱ αἰσθήσεις. [...] Αὐτὴ δὲ ἡ ψυχὴ οὐκ ἐξέστη τοῦ

63
L’estasi del protoplasta non è uguale a quella che Montano

rivendica per se stesso e ciò Epifanio esprime con la precisazione:

«infuse in Adamo il torpore del sonno, non un torpore della mente»

(Haer. 48,4,6: cfr. supra)87. Adamo dorme così come dorme Montano:

è vero. Ma, mentre il primo mantiene un certo grado di coscienza

(infatti siamo davanti a quella che Laura Nasrallah definisce: «a kind

of divine anesthetic administred out of God’s love for Adam 88»), il

secondo perde qualsiasi controllo della propria razionalità.

Si possono dunque individuare, come suggerisce il vescovo di

Salamina, due forme di estasi:

A. Nella prima i sensi corporei sono limitati, sono in uno stato di

ἀνάπαυσις (cessazione, riposo, quiete) e ἠσυχία (tranquillità),

ma la mente è attiva e cosciente e non viene perso mai il

φρόνεμα (senno). Si tratta di una semplice estasi corporea, un

ἡγεμονικοῦ οὐδὲ τοῦ φρονήματος. Πολλάκις γὰρ φαντάζεται καὶ ὁρᾷ ἑαυτὴν ὡς
ἐν ἐγρηγόρσει καὶ περιπατεῖ καὶ ἐργάζεται καὶ ποντοπορεῖ καὶ δημηγορεῖ, καὶ ἐν
πλείοσι καὶ ἐν μείζοσι τούτων δι' ὀνειράτων ἑαυτὴν θεωμένη· οὐ μὴν κατὰ τὸν
ἀφραίνοντα καὶ ἐν ἐκστάσει γινόμενον ἐκστατικὸν ἂνθρωπον, τὸν τῷ σώματι καὶ
τῇ ψυχῇ ἐγρεγορότα τὰ δεινὰ μεταχειριζόμενον καὶ πολλάκις ἑαυτῷ δεινῶς
χρώμενον καὶ τοῖς πέλας· ἀγνοεῖ γὰρ ἅ φθέγγεται καὶ πράττει, ἐπειδήπερ ἐν
ἐκστάσει γέγονεν ἀφροσύνης ὁ τοιοῦτος: tr. it. Mirto, cit., pp. 143-144.
87
Più ricca di sfumature è la traduzione della Dell’Isola: «Dio gettò su Adamo
l’estasi del sonno, non l’estasi della ragione»: cfr. M. DELL’ISOLA, “Il dibattito
esegetico”, cit., p. 204.
88
L.S. NASRALLAH, An Ecstasy of Folly: Prophecy and Authority in Early
Christianity, Cambridge, MA, 2003, p. 48.

64
riposo dei sensi che non comporta l’offuscamento delle capacità

razionali. Adamo, infatti, una volta risvegliatosi dal suo sonno,

si rende subito conto di ciò che è accaduto, comprende la

situazione89.

B. Nella seconda i sensi corporei sono annullati, dominati da uno

stato di ἀφροσύνη (follia), la mente non è in grado di

comprendere né di ricordare nulla, in quanto il soggetto viene a

trovarsi in una condizione di ἄγνοια. Tutto ciò si riflette nel

linguaggio adoperato dall’individuo in preda alla ἀφροσύνη: le

sue parole sono strane e incomprensibili. L’estasi dei montanisti

rientra in questa forma: ciò che la contraddistingue e la oppone

alla vera profezia è proprio lo stato alterato di coscienza in cui

essi si troverebbero.

La Dell’Isola spiega che Epifanio, benché in tutto il suo discorso si

sia preso cura di rimarcare costantemente la differenza tra il vero

89
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,6,5-6 (GCS 2, pp. 227-228): Καὶ ἐπίσταται
γάρ, ὡς ὁρᾷς, καὶ τὰ παρόντα καὶ προφητεύει περὶ τῶν μελλόντων. Ἰδοὺ γὰρ
ἐπέγνω τὰ πρῶτα ὅτε ἦν ἐν ὕπνω, λέγων ὅτι ὀστοῦν ἐκ τῶν ὀστῶν μου· καὶ
ἐπέγνω τὰ παρόντα, μετὰ τὸ πλασθῆναι τὴν γυναῖκα ὲπιγνοὺς αὺτὴν ἀπὸ τοῦ
σώματος ἠρμένην· και ἐπροφήτευσε περὶ τῶν ἐσομένων [...]. Ταῦτα δὲ οὐκ
ἐκστατικοῦ ἀνδρὸς οὐδὲ ἀπαρακολουθήτου, ἀλλὰ ἐρρωμένην ἔχοντος τὴν
διάνοιαν. «E in effetti egli conosce, come vedi, il passato, quando era nel sonno,
dicendo è osso delle mie ossa; riconobbe il presente perché, dopo che la donna fu
plasmata, capì che ella gli era stata tolta dal corpo; e profetizzò sul futuro […].
Sono parole non di una persona fuori di sé o stupida, ma di uno dotato di mente
salda»: tr. it. Mirto, cit., pp. 144-145.

65
profeta e il falso, in questo passo (Haer. 48,4,4-5,8: cfr. supra)

definisce opportunamente le due condizioni, adoperando espressioni

ben precise, in cui osserva che l’estasi del sonno come ben diversa

dall’estasi della ragione. La studiosa precisa:

«è come se fino a questo punto il termine estasi avesse avuto un valore

neutro, con un significato positivo o negativo a seconda delle specificazioni

terminologiche che di volta in volta vi si accompagnavano, mentre ora

comincia a essere usato singolarmente con un’accezione tutta negativa a

indicare la falsa estasi per eccellenza, quella propria dei montanisti»90.

Sia in Eusebio sia in Epifanio, pertanto, la descrizione dell’estasi

profetica montanista si articola in tre argomenti principali: si parte da

una sua analisi che mette in luce una perdita di razionalità e del

dominio di sé. Ne consegue che il discorso profetico riflette

l’irrazionalità dell’estasi profetica, ed infatti le fonti sono concordi

nell’affermare che le parole dei montanisti risultano essere strane ed

incomprensibili. Perciò, essendo questo lo stato delle cose, è naturale

che la profezia montanista si configuri come del tutto opposta alla

tradizionale profezia cristiana.

90
DELL’ISOLA, “Il dibattito esegetico” cit., p. 205.

66
3. La vera tradizione profetica

3.1. Anonimo Antimontanista e Milziade

Eusebio ci informa che nell’opera dell’Anonimo Antimontanista

sono riportati anche alcuni estratti di un altro avversario del

montanismo, un tale Milziade91, il cui intento è dimostrare che «un

profeta non parla quando è in estasi»92. Per fare questo, Milziade

abbozza una lista di profeti della nuova alleanza, per lo più citati negli

Atti degli Apostoli: Agabo93, Giuda94, Sila95, le figlie di Filippo96,

Ammia di Filadelfia97 e Quadrato98; si tratta di personaggi ai quali i

montanisti si richiamavano, considerandosi eredi del loro carisma

profetico99 (Hist. Eccl. 5,17,4).

91
Per l’identità di questo scrittore cfr. supra, nota 6 e passim.
92
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,17,1: cfr. supra, nota 6.
93
Cfr. At 11, 27-30; 21, 10-11.
94
Cfr. At 15, 22,27,32.
95
Cfr. At 15, 22,27,32; 18,5 (cfr. 2 Cor 1,19; 1 Tess 1,1).
96
Cfr. At 8,5;21,8-9.
97
Questo personaggio nativo di Filadelfia, città situata in Lidia, non ci è noto
da altre fonti.
98
Potrebbe essere identificato con l’omonimo apologista menzionato da
Eusebio (Hist. Eccl. 4,3,1-2): se così fosse, deve essere stato attivo negli anni 120,
tutt’al più al 130, e quindi diversi decenni lo separano non solo dall’Anonimo, ma
anche dagli inizi della nuova profezia.
99
L’espressione προφητικὸν χάρισμα compare nell’Anonimo tre volte, una in
rapporto all’esaltazione dei montanisti (5,16,8) e due a proposito della pretesa che
le profetesse abbiano ereditato, appunto, il carisma profetico (5,17,4). Tale nesso
espressivo è assente nel Nuovo Testamento, ma è presente in Giustino (Dial.
82T), Origene (fr. 116) e in Epifanio (Haer. 48,1,2 e 48,3) ed è impiegata per

67
«[…] Ma il falso profeta in una falsa estasi, che è accompagnata da

sfrontatezza e temerarietà, mentre comincia da un’ignoranza volontaria,

termina poi, come si è già detto, in un delirio involontario dell’anima. Ma

essi non saranno in grado di segnalare alcun profeta, né dell’Antico né del

Nuovo Testamento, che sia stato ripieno dello Spirito in questo modo; non

potranno vantare né Agabo, né Giuda, né Sila, né le figlie di Filippo, né

Ammia di Filadelfia, né Quadrato né altri, perché non hanno assolutamente

alcun rapporto con loro». Dopo un po’ aggiunge di nuovo: «Se, infatti, a

quanto essi sostengono, dopo Quadrato e Ammia di Filadelfia, le seguaci di

Montano hanno ereditato il carisma profetico, mostrino chi tra i discepoli di

Montano e delle sue donne, lo ha ereditato da loro. L’Apostolo, infatti,

ritiene che il carisma profetico debba perdurare in tutta la Chiesa fino alla

venuta finale. Tuttavia, pur essendo trascorsi quattordici anni dalla morte di

Massimilla, essi non sono in grado di indicare nessuno»100.

indicare sia la predicazione e l’insegnamento, sia la predizione dell’avvenire. Il


semplice termine χάρισμα ricorre nel Nuovo Testamento, con due dignificati: è il
favore con cui Dio benefica l’umanità, sia il dono dato da Dio a ciascun credente.
Con questa accezione lo si ritrova in Eusebio, Hist. Eccl. 5,17,4 e in Epifanio,
Haer. 48,1,2. Cfr. χάρισμα, s.v. in G.W. LAMPE, A Patristic Greek Lexicon,
Oxford 1961, pp. 1518-1519.
100
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,17,2-4 (GCS 2/1, pp. 470-472): […]
ἀλλ' ὅ γε ψευδοπροφήτης ἐν παρεκστάσει, ᾧ ἕπεται ἄδεια καὶ ἀφοβία, ἀρχομένου
μὲν ἐξ ἑκουσίου ἀμαθίας, καταστρέφοντος δὲ εἰς ἀκούσιον μανίαν ψυχῆς, ὡς
προείρηται. Τοῦτον δὲ τὸν τρόπον οὔτε τινὰ τῶν κατὰ τὴν παλαιὰν οὔτε τῶν κατὰ
τὴν καινὴν πνευματοφορηθέντα προφήτην δεῖξαι δυνήσονται, οὔτε Ἄγαβον οὔτε
Ἰούδαν οὔτε Σίλαν οὔτε τὰς Φιλίππου θυγατέρας, οὔτε τὴν ἐν Φιλαδελφίᾳ Ἀμμίαν
οὔτε Κοδρᾶτον, οὔτε εἰ δή τινας ἄλλους μηδὲν αὐτοῖς προσήκοντας καυχήσονται.
καὶ αὖθις δὲ μετὰ βραχέα ταῦτά φησιν. Εἰ γὰρ μετὰ Κοδρᾶτον καὶ τὴν ἐν
Φιλαδελφίᾳ Ἀμμίαν, ὥς φασιν, αἱ περὶ Μοντανὸν διεδέξαντο γυναῖκες τὸ
προφητικὸν χάρισμα, τοὺς ἀπὸ Μοντανοῦ καὶ τῶν γυναικῶν τίνες παρ' αὐτοῖς

68
Milziade contesta con fermezza la loro pretesa, evidenziando che

quelli del passato sono i veri profeti e, in quanto tali, unici ad aver

posseduto/ricevuto il vero carisma profetico. I montanisti, invece, che

ritengono di essere eredi di questa tradizione, non possono affermare

né dimostrare che vi sia stata una successione profetica regolare che

sia giunta fino a Montano e alle profetesse: ciò appare in pieno

contrasto con quanto afferma Paolo, quando dichiara che il carisma

profetico sussisterà sino alla parousia. A tal proposito, Enrico Norelli

osserva come la riflessione di Milziade richiami, ancora una volta, il

corpus paolino (Ef 4,11-16 e 1Cor 1,7)101 e metta in campo una

specifica strategia argomentativa. Lo studioso afferma che Milziade:

si guarda bene dal contrapporre una successione profetica cattolica a quella

montanista, ma dichiara solo (5,16,7) che Montano profetava in maniera

contraria al costume conforme alla tradizione e conforme alla successione

che la chiesa ha dall’inizio102.

διεδέξαντο, δειξάτωσαν· δεῖν γὰρ εἶναι τὸ προφητικὸν χάρισμα ἐν πάσῃ τῇ


ἐκκλησίᾳ μέχρι τῆς τελείας παρουσίας ὁ ἀπόστολος ἀξιοῖ. Ἀλλ' οὐκ ἂν ἔχοιεν
δεῖξαι τεσσαρεσκαιδέκατον ἤδη που τοῦτο ἔτος ἀπὸ τῆς Μαξιμίλλης τελευτῆς: tr.
it. Migliore, cit., pp. 287-288.
101
E. NORELLI, Parole di profeti, parole sui profeti. La costruzione del
Montanismo nei fr. dell’anonimo antimontanista (Eusebio di Cesarea, Storia
Eccles. V, 16-17), in G. FILORAMO (a cura di), Carisma profetico. Fattore di
innovazione religiosa, Brescia 2003, p. 129.
102
Ibidem.

69
Questo significa che, Milziade, sebbene confuti i montanisti con

strumenti tradizionalmente atti a separare la falsa profezia dalla vera,

non contrappone a loro una nuova profezia, se non per il passato. «Nel

testo dell’Anonimo non vi è alcuno spazio per una profezia autentica

nel presente»103, anzi «l’unico spirito attivo sotto forma di discorso

ispirato è quello falso dei montanisti»104. Norelli chiarisce, di seguito,

il concetto:

lo spirito santo sta dalla parte dell’ordine, ma la sua manifestazione nei

profeti appartiene al passato, mentre nel presente esso si esprime negli

scritti, già intoccabili, della nuova alleanza, e nella parola dei vescovi, cui

spetta ora il compito di ἐλέγχειν μὲν τὸ ψεῦδος, μαρτυρεῖν δὲ τῇ ἀληθείᾳ:

confutare la menzogna, rendere testimonianza alla verità (5,16,3) […]. In

Asia il recupero della riflessione su vera e falsa profezia servì di fatto a

liquidare l’unico fenomeno reale classificabile come profezia senza

rilanciare una profezia in qualche modo ortodossa, ma riservando alle

autorità ecclesiastiche sia le prerogative che erano state in passato attribuite

ai profeti, sia ogni legittimo discorso relativo alla profezia105.

3.2. Epifanio

Anche Epifanio, in Panarion 48, dopo aver asserito che quella dei

montanisti era una falsa profezia, dal momento che «il profeta non
103
Ivi, p. 128.
104
Ivi, p. 130.
105
Ibidem.

70
parlava sempre in stato di ragione e di coscienza e si esprimeva per

opera dello Spirito Santo106», porta prove a sostegno della sua tesi

attingendo a esempi dalla tradizione profetica. Egli prende le mosse da

un lungo elenco di figure bibliche: Mosè (48,3,4), Isaia (48,3,5),

Ezechiele (48,3,7), Daniele (48,3,9), Abramo (48,7,8). Il loro caso

dovrebbe antifrasticamente dimostrare l’errata comprensione, da parte

dei montanisti, del carisma profetico: ciascuno di questi personaggi

della tradizione biblica infatti, considerato exemplum di virtus

profetica, viene preso in esame e ne è puntualmente evidenziata la

diversità rispetto al profeta montanista:

non vedi che sono parole di un uomo assennato e non di uno fuori di senno e

che la voce non è stata emessa come da un’intelligenza dissennata107?

Il confronto è operato solo sul terreno della fenomenologia

dell’estasi, ed è proprio in questo che Epifanio trova la conferma del

fatto che quella dei montanisti deve essere necessariamente una falsa

profezia. Maria Dell’Isola osserva come anche le scelte lessicali hanno

abbiano la funzione di esprimere e definire semanticamente la qualità

106
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,3,3, cfr. supra, nota 74.
107
EPIFANIO DI SALAMINA, Haer. 48,3,6 GCS 2, p. 224): […] Οὐχ ὁρᾷς ὅτι
παρακολουθοῦντος ὁ λόγος καὶ οὐκ ἐξισταμένου, οὔτε ὡς ἐξισταμένης διανοίας ἡ
φθογγὴ ἀπεδίδοτο;: tr. it. Migliore, cit., p. 141.

71
delle condizioni fisiche e mentali utilizzate come parametro di

giudizio, cioè la διάνοια e il λόγος.

Sotto osservazione sono infatti sempre il pensiero e il discorso, inteso

questo più come manifestazione fisica del pensiero stesso che come

contenuto del messaggio rivelato108.

Da segnalare, poi, l’utilizzo del verbo ἐξίστημι, il cui significato

risulta particolarmente importante in questo contesto perché

evidenzia semanticamente l’uscire fuori di sé, lo spostarsi verso

l’esterno, il perdere l’asse dell’equilibrio mentale.

Ancora una volta, dal ragionamento eresiologico consegue un

sillogismo che non lascia scampo ad altre ed eventuali possibilità: a

una falsa estasi, perché ricevuta in condizioni di instabilità mentale,

corrisponde una falsa profezia; di conseguenza i montanisti sono

falsi profeti.

Laura Nasrallah offre un ulteriore spunto di riflessione su Panarion

48. La studiosa sottolinea come le argomentazioni del vescovo di

Salamina abbiano come scopo principale quello della costruzione, con

conseguente e naturale rafforzamento, della categoria dell’identità

cristiana, al fine di ribadirne definitivamente l’autorità. La

108
M. DELL’ISOLA, “Il dibattito esegetico” cit., p. 201.

72
denigrazione dell’altro infatti, tipicamente e topicamente, consente di

procedere alla costruzione dell’io e al rafforzamento della propria

autorità:

«The Anti-Phrygian tries rhetorically to control the therms of debate over

prophecy in order to shore up his or her viewpoint as that of the true, holy

church. The source tries to corner the market on Christian identity. Much of

this battle occurs simply through adjectives: are a community’s charismata

true and real? Are they like the first, or do they claim to be the last?

Similary, the source tries to redefine ecstasy by trotting out a catalog of

great, and by modifying the Phrygians’ claims to ecstasy by insisting that

these are ecstasies of folly, that they are unreal and false. The Anti-Phrygian

is in a struggle over identity with the proximate other. Thus, the debate

consists of modifiers and attempts to control the meaning of key words like

ekstasis and ekklesia and even charismata, which the author implies are no

longer prophetic charismata109».

Epifanio, dunque, riprendendo il dibattito su vera e falsa profezia,

impiega una retorica sofisticata: i suoi discorsi sulla profezia e l’estasi

sono funzionali alla creazione condivisa e tradizionale, a livello

individuale e collettivo, dell’identità di una comunità contro le pretese

dei frigi. Ma non solo. La studiosa suggerisce che lo scopo fosse

anche quello di definire i confini epistemologici, delimitando il campo

109
NASRALLAH, An Ecstasy of Folly cit., pp. 194-195.

73
della conoscenza possibile, e di legittimare alcuni campi di

conoscenza, stabilendo chi detiene la vera, reale conoscenza e chi

no.110

All’intento descrittivo, dunque, si aggiungerebbe un intento

prescrittivo di non poco momento; in entrambi i casi, l’obiettivo degli

eresiologi sarebbe quello di stabilire confini e, da ultimo, manipolare

le identità (rendendole legittime o delegittimandole a seconda dei

gruppi di appartenenza).

110
Cfr. NASRALLAH, An Ecstasy of Folly cit., p. 26: «In our texts, the
terminology of madness and rationality, and the rhetoric of history as well,
function not descriptively but prescriptively to construct an author’s or a
community’s identity over and against others. Arguments over prophecy and
ecstasy are always also arguments over group boundaries. Moreover, debate over
prophecy manufactures boundaries to knowledge. It sets limits – based on such
elements as gender, status, ontology, and their interpretation of history – on what
can be known and what must remain unknown, and by doing so stakes out certain
fields of knowledge as legitimate. In the context of setting limits and constructing
identity, the author asserts his own authority, and the authority of his, or his
community’s viewpoint, in order to manufacture the truth both of his
community’s identity and of the epistemic boundaries that seeks to create».

74
4. Profetismo e rivelazione “aperta”

Costruire l’identità, ribadirne l’autorità e fissare i confini

epistemologici si rivelano operazioni estremamente delicate, eppure

necessarie in un secolo complesso per la storia del cristianesimo come

fu II: è questo un periodo, infatti, in cui si assiste alla progressiva

istituzionalizzazione della Chiesa e alla sua evoluzione in senso

gerarchico, che porta, in tempi e modi diversi a seconda dei luoghi,

all’accentramento dell’autorità ecclesiale nella persona del vescovo,

alla definizione e al consolidamento del canone. Il montanismo, con la

sua fenomenologia e le sue idee, rischiava di mettere in crisi

esattamente questo processo. Montano, infatti, non ha visioni, non si

considera “ispirato” da Dio, ma “posseduto” da Dio, che lo usa come

puro strumento di rivelazione; non parla in nome di Dio ma è Dio che

parla direttamente sfrattandolo dal suo corpo. Egli era considerato, o si

considerava, il Paraclito111, come ci informa Eusebio:

111
Il termine è estremamente interessante, rivelatore del contesto carismatico
in cui viene utilizzato: in Giovanni 14,16-17, è definito “paraclito” lo “Spirito di
verità”, cioè lo “Spirito Santo” (ivi, 26; cfr. XV, 26; XVI, 7-11), terza persona
della Trinità divina. Tuttavia, nella Prima Epistola di Giovanni 2,1, è denominato
“paraclito” Gesù Cristo stesso, nel senso etimologico del vocabolo (“colui che è
chiamato al fianco, avvocato, difensore”).

75
[…] Tra gli eretici, alcuni come serpenti velenosi strisciavano attraverso

l’Asia e la Frigia, esaltando Montano come paracleto e le donne del suo

seguito, Priscilla e Massimilla, come se fossero profetesse di Montano112.

Da ultimo, vale la pena forse di richiamare alcune osservazioni di

Visonà, secondo il quale la questione dell’estasi, la cui fenomenologia

non era in linea con la tradizione profetica ad un’analisi più attenta e

accurata, si rivelerebbe essere un falso problema. La vera questione in

gioco nel conflitto montanista sarebbe, invece, secondo lo studioso,

l’opposizione fra rivelazione aperta-rivelazione chiusa. Il messaggio

montanista, infatti, si presenta in armonia con la rivelazione

neotestamentaria: in discussione, pertanto, sarebbe non la normatività

del canone, ma la sua chiusura.

Visonà spiega che:

«a fronte di una chiesa che si va sviluppando le strutture di magistero

attorno ad un ormai sigillato depositum fidei, munito del canone e della

tradizione apostolica, la profezia montanista considera ancora aperta la

rivelazione, pretendo di scavalcare l’autorità delle strutture di chiesa113».

112
EUSEBIO DI CESAREA, Hist. Eccl., 5,14,1 (GCS 2/1, p. 458): [...] ὧν οἵ μὲν
ἰοβόλων δίκην ἑρπετῶν ἐπὶ τῆς Ἀσίας καὶ Φρυγίας εἷρπον, τὸν μὲν δὴ
παράκλητον Μοντανόν, τὰς δ'ἐξ αὐτοῦ γυναῖκας, Πρίσκιλλαν καὶ Μαξίμιλλαν, ὡς
ἂν τοῦ Μοντανοῦ προφήτιδας γεγονυίας αὐχοῦντες: tr. it. Migliore, cit., p. 280.
113
G. VISONÀ, Il fenomeno profetico del montanismo, in R. PENNA (a cura
di), Il profetismo da Gesù di Nazareth al montanismo. Atti del IV Convegno di

76
E prosegue:

«il montanismo […] è una Nuova Profezia, che tiene aperta la rivelazione e

scavalca ed esautora quel ruolo magisteriale, funzionale appunto ad un

depositum fidei sigillato da un canone chiuso, su cui si sta strutturando la

chiesa dei vescovi114».

Il movimento profetico montanista, dunque, pone la questione di

una rivelazione ancora aperta che non collima affatto con l’urgenza di

definire le prerogative della nascente gerarchia e di chiudere il canone

neotestamentario. E proprio l’irrigidimento della struttura gerarchica

favorì il progressivo riconoscimento ufficiale di una ortodossia

dottrinale da opporre alle deviazioni degli eretici.

Lo studioso chiarisce bene che:

«il suo [scil. del montanismo] tratto peculiare e distintivo è quello di voler

dare uno sbocco ad un solco di tradizione ecclesiologica, eminentemente

carismatica ed escatologica, destinata ormai al tracollo a vantaggio di quei

settori della chiesa che si stanno equipaggiando per l’ineludibile, radicale

svolta in senso istituzionale115».

Il montanismo è, dunque, un movimento che non si rassegna ad

accettare la nuova concezione ecclesiologica che si va profilando.

Studi Neotestamentari (Perugia, 12-14 settembre 1991), «Ricerche storico-


bibliche» 5 (1993), p. 160.
114
VISONÀ, Il fenomeno profetico cit., pp. 163-164.
115
VISONÀ, Il fenomeno profetico cit., p. 157.

77
Tuttavia non nasce ex professo come movimento di resistenza di una

chiesa carismatico-profetica alla chiesa istituzionale dei vescovi, ma

come nuova fase di rivelazione, come annuncio di una nuova e ultima

fase della storia della salvezza. Alister Filippini116, d’altronde,

ricostruisce bene il contesto ambientale in cui sorse la Nuova Profezia,

spiegando che la predicazione montanista presenta una «chiara tinta di

protesta sociale, quasi un pericoloso germe di ribellismo anti-

imperiale117».

116
A. FILIPPINI, “Guerre, tasse, contadini ed eresia. Note preliminari per
un’analisi socio-economica dell’insorgenza del montanismo in Frigia”,
«Mediterraneo antico» 15, 1-2, 2012, p. 437-450. Lo studioso individua una
coloritura sociale in due elementi tipici del montanismo: la chiamata di tutte le
genti a Pepuza, che potrebbe ricordare i fenomeni coevi di abbandono della terra
da parte dei contadini egiziani, oppressi dalle eccessive contribuzioni fiscali
dell’epoca di Marco Aurelio; e, più grave, il rifiuto del servizio militare da parte
degli aderenti al movimento.

78
CONCLUSIONI

79
Sebbene le fonti antiche, in particolare Eusebio ed Epifanio, ma

anche l’Anonimo Antimontanista e Apollonio, risultino discordanti

nell’individuare la data di esordio del montanismo, sembra di poter

affermare che vi sia qualcosa di vero tanto in Eusebio quanto in

Epifanio: gli anni 171/172, indicati da Eusebio, cioè, potrebbero

corrispondere all’apice del fenomeno, quando immediata fu la

reazione contro di esso, ma il movimento come tale potrebbe essersi

sviluppato già negli anni ’60 del II secolo, come suggerisce Epifanio.

Gli autori considerati non sono concordi non solo rispetto alle

delimitazioni cronologiche, ma anche riguardo l’ambiente geografico

in cui i nuovi profeti cominciarono a muovere i primi passi. L’area di

riferimento è certamente la regione della Misia, che confina con la

Frigia, in Asia Minore; dall’analisi delle fontisi desumono purtroppo

semplici indizi di cui è arduo provare l’autenticità: infatti siamo di

fronte a nomi di paesi e villaggi, Pepuza, Timio, Ardaba, tutt’ora

difficilmente localizzabili, di cui non abbiamo nessun’altra notizia se

non nei loci di Eusebio ed Epifanio. Ricorrente in questi testi è anche

la definizione di Pepuza come sede della nuova Gerusalemme celeste.

Alla luce di ciò, e sulla scia delle riflessioni di alcuni studiosi

80
moderni, ci si è chiesti se Ardaba sia un toponimo o non, piuttosto,

una designazione geografica simbolica. Si tratta di una riflessione che

riprende, per analogia, l’idea che Pepuza e/o Timio siano non

toponimi effettivi, ma nomi che designano, in realtà, appunto la

Gerusalemme celeste: un appellativo che doveva essere

un’espressione simbolica, nota ai più, volta ad indicare il luogo in cui

si sarebbe verificata la manifestazione concreta del compimento di

nuovi tempi.

Se sui dati cronologici e geografici le fonti discordano, esse

appaiono invece concordi nell’adoperare, nella presentazione del

montanismo, la medesima costruzione argomentativa, giocata sulla

contrapposizione vero-falso. Secondo gli eresiologi, infatti, a

governare l’ispirazione dei montanisti è lo “spirito d’errore” che li

conduce alla perdita delle proprie facoltà razionali e ad allontanarsi

dalla verità: ne deriveranno, dunque, solo false profezie, espressione

di una ispirazione derivante da uno spirito diabolico, destinata,

pertanto, a non giungere mai a compimento. Le vere profezie, invece,

si realizzano perché sono pronunciate dai veggenti/profeti nel pieno

possesso delle facoltà razionali, senza perdita di controllo del proprio

intelletto, con piena consapevolezza e comprensione del significato di

ciò che viene profetizzato. Da questa riflessione discendeva la

81
distinzione, operata dagli eresiologi, tra l’estasi della tradizione

biblico-cristiana, che sospende i sensi ma lascia vigile la coscienza,

tanto che il soggetto può riferire la sua esperienza, e l’estasi come

trance medianica, pericolosa e menzognera, in cui il soggetto si presta

come strumento passivo all’autoaffermazione del divino.

Ad un’analisi più approfondita, tuttavia, il contrasto tra vera e

falsa profezia si è rivelato essere un aspetto funzionale alla

costruzione, con conseguente e naturale rafforzamento, della categoria

dell’identità cristiana. Tali riflessioni, infatti, servirono agli eresiologi

soprattutto per ribadire l’autorità della “Grande Chiesa” e, di

conseguenza, per definire confini epistemologici, in modo da

delimitare il campo della conoscenza possibile, soprattutto quella

raggiunta attraverso le pratiche di natura estatica, profetica e/o

carismatica. Questo consentiva di stabilire chi deteneva la vera, reale

conoscenza e chi no.

La vera questione in gioco nel conflitto montanista, dunque,

appare essere la contrapposizione fra il concetto di rivelazione

“aperta”, ancora suscettibile di apporti dalla nuova profezia – dunque

potenzialmente minacciosa nei confronti della costituenda autorità del

canone neotestamentario – e il concetto di rivelazione “chiusa” che,

82
come tale, non pone più in discussione la normatività canonica. Alla

rivelazione chiusa, difesa dalla gerarchia, corrisponde evidentemente

la fine della profezia e, dunque, la necessità di bollare nuovi

movimenti profetici come “falsi”.

Emerge con chiarezza come l’opposizione vera/falsa profezia

riveli la crescente preoccupazione della “Grande Chiesa” nei confronti

di un movimento che rischiava, con la sua fenomenologia di metterla

profondamente in crisi. La costruzione/affermazione dell’identità e la

fissazione dei confini epistemologici erano quindi operazioni

necessarie all’autorità ecclesiale del II secolo, che in quegli anni

provava ad organizzarsi e a darsi una forma compiuta, nel quadro del

processo di istituzionalizzazione cui andò incontro il nascente

cristianesimo e in conseguenza della necessità di stabilire un sistema

di dottrine basato sui concetti di successione apostolica e di tradizione

– interpretabile come depositum fidei – garantito sempre più

rigorosamente da un’autorità gerarchica riconosciuta dalle comunità.

83
APPENDICE

Gli oracoli montanisti

84
Per quanto ne sappiamo né Montano né i suoi più fedeli seguaci

scrissero trattati o, se lo fecero, nessuno di essi è giunto fino a noi.

Tuttavia diversi oracoli montanisti sono stati conservati per tradizione

indiretta, sotto forma di citazioni in varie opere. Molti studiosi si sono

occupati nel tempo di individuare, isolare e studiare tali testi118.

Qui di seguito, per completezza d’informazione, saranno

riportati i più significativi fra tali oracoli: il loro carattere

frammentario lascia intravedere solo un’immagine assai ipotetica

dell’attività dei montanisti, la cui vera natura forse non si potrà mai

comprendere. Si tratta infatti – come ben sappiamo – di porzioni di

testo inserite in contesti volti per lo più a screditare il fenomeno

montanista ed è con questo filtro che vanno letti.

Stando alla sistemazione degli oracoli operata da Aland, si è soliti

distinguerli in tre categorie: autentici, di dubbia autenticità e resti del

contenuto di oracoli.

118
Cfr. P. DE LABRIOLLE, La Crise Montaniste, Paris, 1913, pp. 34-105; K.
ALAND, “Bemerkungen zum Montanismus und zur frühchristlichen Eschatologie”
in Kirchengeschichtliche Entwürfe. Alte Kirche, Reformation und Luthertum,
Pietismus und Erweckungbewegung, 105-148, Berlin 1960; R.E HEINE, The
Montanist Oracles and Testimonia, Macon, GA 1989.

85
Qui saranno presentati in un elenco solo i sedici oracoli ritenuti

autentici, la cui numerazione e suddivisione riprende quella proposta

da Aland.

1. Oracoli attribuiti a Montano

ORACOLO 1

Dialogo di un montanista e un ortodosso

Λέγει [Μοντανός]· “Ἐγώ εἰμι ὁ πατὴρ καὶ ὁ υἱὸς καὶ ἐγὼ ὁ

παράκλητος”: «Io sono il Padre, io sono il Figlio e io sono il

Paraclito»;

oppure, ibidem:

“Ἐγώ εἰμι καὶ ὁ πατὴρ καὶ ὁ υἱὸς καὶ τὸ πνεῦμα”: «Io sono il

Padre, il Figlio e lo Spirito»;

oppure, ibidem:

Μοντανός δὲ λέγει· “Ἐγώ εἰμι ὁ πατὴρ καὶ ὁ υἱὸς καὶ τὸ ἅγιον

πνεῦμα”: «Io sono il Padre, il Figlio e lo Spirito santo».

ORACOLO 2

Didymus, De trinitate 3,41,1 (PG 39,984)

86
Μοντανός γάρ, φησίν, εἶπεν· “Ἐγώ εἰμι ὁ πατὴρ καὶ ὁ υἱὸς καὶ

ὁ παράκλητος”: «Io sono il Padre, il figlio, il Paraclito»119.

ORACOLO 3

Epiphanius, Haer. 48,11,1 (GCS 2, p. 233)

Ἔτι δὲ προστίθησιν ὁ αὐτὸς Μοντανὸς οὕτως λέγων “ἐγὼ

κύριος ὁ θεὸς ὁ παντοκράτωρ καταγινόμενος ἐν ἀνθρώπῳ”:

«Ma lo stesso Montano aggiunge ancora: “Io sono il Signore

Dio, l’Onnipotente, che dimora in un uomo”»120.

ORACOLO 4

Epiphanius, Haer. 48,11,9 (GCS 2, p. 235)

Εἶτα πάλιν φησὶ τὸ ἐλεεινὸν ἀνθρωπάριον Μοντανὸς ὅτι “οὔτε

ἄγγελος οὔτε πρέσβυς, ἀλλ'ἐγὼ κύριος ὁ θεὸς πατὴρ ἧλθον”:

«Poi Montano, questo omiciattolo miserabile, dice ancora: “Io

non giunsi né come angelo né come messaggero, ma come

Signore dio Padre”»121.

ORACOLO 5

119
Tr. it. Aune, cit., p. 575.
120
Tr. it. Mirto, cit., p. 149.
121
Tr. it. Mirto, cit., p. 150.

87
Epiphanius, Haer. 48,4,1 (GCS 2, pp. 224-225)

Εὐθὺς γὰρ ὁ Μοντανός φησιν· “ἰδού, ὁ ἄνθρωπος ὡσεὶ λύρα

κἀγὼ ἐφίπταμαι ὡσεὶ πλῆκτρον· ὁ ἄνθρωπος κοιμᾶται κἀγὼ

γρηγορῶ. ἰδού, κύριος ἐστιν ὁ ἐξιστάνων καρδίας ἀνθρώπων

καὶ διδοὺς καρδίαν ἀνθρώποις”: «Tanto è vero che Montano

dice: “Ecco, l’uomo è come una lira e io mi libro su di essa

come un plettro; l’uomo dorme e io veglio. Ecco, è il Signore

che confonde i cuori degli uomini e dà un cuore agli

uomini”»122.

ORACOLO 6

Epiphanius, Haer. 48,10,3 (GCS 2, p. 232)

Λέγει γὰρ [Μοντανός] ἐν τῇ ἑαυτοῦ λεγομένῃ προφητείᾳ “τί

λέγεις τὸν ὑπὲρ ἂνθρωπον σῳζόμενον; λάμψει γὰρ ὁ δίκαιος

ὑπὲρ τὸν ἥλιον ἑκατονταπλασίονα, οἱ δὲ μικροὶ ἐν ὑμῖν

σῳζόμενοι λάμψουσιν ἑκατονταπλασίονα ὑπὲρ τὴν σελήνην”:

«Dice infatti [Montano] nella suddetta profezia: “Dici che si

salva chi è al di sopra dell’uomo? Il giusto infatti splenderà

122
Tr. it. Mirto, cit., p. 142.

88
cento volte più del sole, mentre i piccoli tra voi che si

salveranno cento volte più della luna”»123.

2. Oracoli di profeti o profetesse non identificati

ORACOLO 7

Tertulliano, De pudicitia 21,7 (CSEL 20, p. 269)

Potest ecclesia donare delictum, sed non faciam, ne et alia

delinquant: «La chiesa può perdonare i peccati, ma io non lo

farò, perché essi non continuino a peccare»124.

ORACOLO 8

Tertulliano, De fuga in persecutione 9,4 (CSEL 76, p. 32):

Publicaris bonum tibi est; qui enim non publicatur in

hominibus, publicatur in Domino. Ne confundaris, iustitia te

producit in medium. Quid confunderis laudem ferens? Potestas

fit, cum conspiceris ab hominibus: «Tu sarai messo in pubblico:

è buona cosa per te. Chi non è messo in pubblico tra gli uomini

lo sarà davanti a Dio. Non titubare. La giustizia ti pone nel

123
Tr. it. Mirto, cit., p. 149
124
Tr. it. Aune, cit., p. 575

89
mezzo. Perché sei incerto nel meritarti la lode? La possibilità è

data, mentre tu sei sotto gli occhi degli uomini»125.

ORACOLO 9

Tertulliano, De fuga in persecutione 9,4 (CSEL 76, p. 32):

Nolite in lectulis nec in aborsibus et febribus mollibus optare

exire, sed in martyriis, uti glorificetur qui est passus pro vobis:

«Non desiderate di morire nel letto nel dare alla luce bambini o

a causa di febbri, ma tra i tormenti del martirio, perché sia

glorificato quegli che ha sofferto per voi»126.

3. Oracoli attribuiti a Priscilla/Prisca

ORACOLO 10

Tertulliano, De Resurrectio carnis 11,2 (CSEL 47, p. 39)

Carnes sunt, et carnem oderunt: «Sono carne e tuttavia odiano

la carne»127.

ORACOLO 11
125
Tr. it. Aune, cit., p. 575.
126
Tr. it. Aune, cit., p. 575.
127
Tr. it. Aune, cit., p. 575.

90
Tertulliano, De exhortatione castitatis 10,5 (CSEL 70, pp. 145-

146)

Purificantia enim concordat et visiones vident et ponentes

faciem deorsum etiam voces audiunt salutares, tam manifestas

quam et occultas: «Un santo ministro deve sapere come

amministrare la santità. Se il cuore offre motivi purificatori,

allora possono pure vedere visioni, e, piegando il loro volto,

odono anche voci salutari, sia manifeste sia velate»128.

4. Oracoli attribuiti a Quintilla (o Priscilla)

ORACOLO 12

Epiphanius, Haer. 49,1,3 (GCS 2 pp. 241-242)

Ἒν ἰδέᾳ γυναικός ἐσχηματισμένος ἐν στολῇ λαμπρᾷ ἦλθε πρός

με Χριστὸς καὶ ἐνέβαλεν ἐν ἐμοὶ τὴν σοφὶαν καὶ ἀπεκάλυψέ μοι

τουτονὶ τὸν τόπον εἶναι ἅγιον καὶ ὧδε τὴν Ἱερουσαλὴμ ἐκ τοῦ

οὐρανοῦ κατιέναι: «Cristo è venuto a me e m’infuse la

sapienza, coperto di splendida veste sotto forma di donna, e mi

128
Tr. it. Aune, cit., p. 576.

91
rivelò che questo luogo è santo e qui deve scendere la

Gerusalemme celeste»129.

5. Oracoli attribuiti a Massimilla

ORACOLO 13

Epiphanius, Haer. 48,2,4 (GCS 2 pp. 221-222)

μετ' ἐμὲ προφήτης οὐκέτι ἔσται, ἀλλὰ συντέλεια: «Dopo di me

non ci sarà più un profeta, ma solo la fine»130.

ORACOLO 14

Epiphanius, Haer. 48,12,4 (GCS 2 p. 235)

ἐμοῦ μὴ ἀκούσητε, ἀλλὰ Χριστοῦ ἀκούσατε: «Non ascoltate

me, ma ascoltate Cristo»131.

ORACOLO 15

Epiphanius, Haer. 48,13,1 (GCS 2 p. 237)


129
Tr. it. Mirto, cit., p. 157.
130
Tr. it. Mirto, cit., p. 140.
131
Tr. it. Mirto, cit., p. 151.

92
ἀπέστειλέ με κύριοσ τούτου τοῦ πόνου καὶ τῆς συνθήκης καὶ

τῆς ἐπαγγελίας αἱρεστιστὴν μηνυτςν ἑρμηνεύτην,

ἠναγκασμένον, θέλοντα, γνωθεῖν γνῶσιν θεοῦ: «Il Signore mi

ha inviato come promotore, rivelatore e interprete di questo

travaglio, del patto e della promessa, costretto, volente o

nolente, ad apprendere la conoscenza di Dio»132.

ORACOLO 16

Eusebius, Hist. Eccl. 5,16,17 (GCS 2/1, p. 406)

Διώκομαι ὡς λύκος ἐκ προβάτων· οὐκ εἰμὶ λυκὸς, ῥῆμά εἰμι καὶ

πνεῦμα καὶ δύναμις: «Come un lupo sono tenuto lontano dalle

pecore, ma io non sono un lupo: sono parola, spirito,

potenza»133.

132
Tr. it. Mirto, cit., pp. 152-153.
133
Tr. it. Migliore, cit., p. 285.

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