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Un generatore di Van der Graaff “casalingo”

Obiettivo, motivazione:

L’idea di sviluppare un generatore di Van der Graaff è nata nel 2006 all’interno di un gruppo di lavoro di fi‐
sica pomeridiano. Il percorso di lavoro si è orientato da subito verso la parte sperimentale giacchè avendo
compiuto ricerche in rete e in biblioteca, non si trovavano dati a sufficienza ma schemi approssimativi con
cenni riguardo la parte teorica e fenomeni fisici implicati.

Schema dell’apparato sperimentale:

1) Pettine metallico collegato a terra


(costruito con filo elettrico )
2) Rullo metallico o ricoperto di carta stagnola
2

carico positivamente. 2

6
5
(rullo già facente parte della struttura di
una vecchia stampante) 2

3
3) Rullo di plexiglas o legno riscoperto di scorch
polietilene (isolante carico negativamente)
(un cilindro di legno fissato a 2 cuscinetti a
sfera)
4) Cinghia di gomma isolante
(nastro di gomma elastico usato per esercizi 2

4
fisici )
5) Punte metalliche all’interno della sfera
(costruito con filo elettrico )
6) Superficie esterna della sfera carica
(la sfera è stata recuperata saldando due
insalatiere di metallo comprate all’IKEA)

l’effetto che si dovrebbe riscontrare è la rottura


1
del dielettrico dell’aria con la conseguente scarica
della carica accumulata sulla superficie esterna della sfera di metallo.
Procedimento:

Il procedimento svolto per sviluppare l’apparato sperimentale e renderlo operativo ha preso spunto da un
approccio empirico all’argomento scelto aiutati dalle conoscenze di fisica apprese nelle ore di scuola (la
parte dell’elettrostatica). Per certi versi quindi si è trattato di applicare il vero e proprio metodo scientifico
con:

‐ ipotesi sul fenomeno, in questo caso sul funzionamento del generatore;

‐ Sviluppo di un primo modello per verificare le proprie ipotesi;

‐ Verifica delle ipotesi;

In caso di non riuscita :

‐ individuazione del problema;

‐ costruzione di un nuovo modello secondo le nuove ipotesi

‐ verifica delle ipotesi

L’inizio: Gennaio 2006

Il progetto è partito dalla curiosità e dalla disponibilità di rovistare tra gli avanzi e i rottami del laboratorio
di fisica del Liceo Scientifico. Stavano per essere buttate nella spazzatura delle parti di una vecchia stam‐
pante, con motore e rullo di gomma, proprio quello che serviva! Usando vari attrezzi come mola a disco,
pinze ecc abbiamo sagomato e ripulito la struttuta da tutte le inutili sporgenze e punte metalliche che po‐
tevano compromettere l’esperimento (ricordiamo che la densità di carica è maggiore nelle punte accumi‐
nate o sporgenze).

La base dell’apparato è di metallo


con un rullo di gomma dura, rico‐
perta successivamente con carta
stagnola.

Dopo questo primo passo, la scelta


si è orientata, anche per la stessa
reperibilità di materiali, verso una
struttura di legno con due mon‐
Figura 1 base stampante e rullo tanti che sorreggono un rullo di
gomma ricoperto poi da scotch.

Da subito si è presentato il problema di come e dove reperire la sfera.

In un primo momento si era scelto un rudimentale secchiello di metallo con dei chiodi fissati grossolana‐
mente con del nastro isolante alla superficie interna. Successivamente la ricerca si è spostata verso una so‐
luzione più consona : una sfera di circa 35 cm di diametro costruita con rete e filo di ferro e successivamen‐
te ricoperta da carta stagnola. Quest’ultima si è rivelata migliore della prima ma con ancora diversi proble‐
mi perché piena di protuberanze, punte
metalliche che avrebbero potuto
disperdere la carica. Abbiamo tuttavia
tentato lo stesso con questa, usando
come nastro isolante una cinghia di
plastica trasparente non elastica.

La struttura si presentava come


l’immagine riportata di sotto.

Questo primo modello molto rudimen‐


tale si è rivelato anche se non piena‐
mente funzionante , di grande aiuto per
capire e osservare dal punto di vista Figura 2 le due "sfere"a confronto
sperimentale i vari passaggi e fenomeni
fisici che teoricamente bisognava riscontrare non appena si avviava il motore connesso al rullo inferiore.

Da questo punto di vista per prima cosa abbiamo notato che la superficie del nastro era carica, senza tut‐
tavia porre un pettine all’estremità inferiore per indurre cariche da terra (che teoricamente si dovrebbero
depositare sulla superficie esterna del nastro e venire poi trasportate sulla sommità dove un altro pettine
le avrebbe raccolte e trasferite sulla superficie esterna della sfera). Ci siamo chiesti allora da dove potesse‐
ro arrivare queste cariche che assumevamo distrubuite all’interno e all’esterno del nastro. Inoltre non di‐
sponevamo di strumenti adeguati ma
eravamo forniti solamente di un
elettroscopio a foglie divergenti( anzichè
un voltmetro elettrostatico per misurare
70 se ci fosse stata differenza di potenziale
tra terra e l’estremità del filo all’interno
della sfera). Si è allora ipotizzato che il
nastro si caricasse col movimento dei rulli
(non avevamo mai osservato nelle
esperienze in laboratorio con i docenti
processi di caricamento per contatto di‐
retto tra due superfici, in questo caso
rullo‐cinghia). Tuttavia la sfera, anche se
erano presenti delle cariche sulla cinghia
di plastica, non si caricava. Il problema
non erano quindi ne i rulli, ne il nastro ma
a questo punto si doveva passare alla
verifica dell’efficacia delle punte
all’interno della sfera.

Figura 3 Pima versione del generatore di Van der Graaff


Abbiamo fatto uso del generatore di Wimshurst in dotazio‐
ne al Liceo Scientifico e ne abbiamo sostituito le punte con
quelle dell’esperimento e successivamente verificato il suo
corretto funzionamento.

Il generatore funzionava. Nemmeno le punte rappresenta‐


vano il problema.

L’unico elemento che rimaneva escluso era quindi la sfera.


Bisognava trovare un’alternativa a essa. Dopo 5 mesi di la‐
voro e ore spese su questo esperimento si era nuovamente
punto a capo. Dove trovare una sfera sufficientemente
grande, con un diametro intorno ai 37 cm, di metallo e con
la superficie liscia???
Figura 4 la nuova sfera by IKEA

Maggio‐Giugno 2006

Un giorno passeggiando tra gli scaffali del cen‐


tro commerciale IKEA lo sguardo casualmente
si è andato a posare su una fila di strani oggetti:
delle insalatiere, semisfere, metalliche, di ac‐
ciaio inossidabile; proprio quello che fa al caso
del generatore di Van der Graaff! Con l’aiuto di
amici che sanno usare il saldatore e lavorare il
metallo abbiamo unito le due semisfere otte‐
nendo un risultato sorprendente.

Ormai bastava montare la nuova sfera


sull’apparato sperimentale e tutto avrebbe do‐
vuto funzionare.

Purtroppo così non è stato. Qualcosa ancora


non andava. Ormai però l’anno scolastico era
alla fine e la forte delusione ci ha suggerito di
rimandare al futuro la questione.

Ottobre 2006 ‐ fine Marzo 2007


Figura 5 la seconda struttura del generatore di Van der Graaff.

Dopo i mesi estivi (anche se si può obiettare


che la fisica non va mai in vacanza), si decise
assieme al docente di fisica di riprendere in mano il progetto. Memori dei deludenti risultati ottenuti, la ri‐
cerca questa volta ha proceduto con più cautela studiando e scoprendo fonti sempre nuove e interessanti
dalle quali trarre informazioni.
In aula di informatica abbiamo ricercato spiegazioni teori‐
che ai vari fenomeni ipotizzati a marzo 2006 dei quali non
eravamo a conoscenza. Così abbiamo appreso:

‐ una maggior conoscenza dell’effetto triboelettrico


( caricamento per contatto a livello microscopico
con cessione di elettroni da una superficie ad
un’altra; esiste una scala per diversi materiali a se‐
conda che essi siano più inclini a cedere elettroni o
a riceverne).
‐ della necessità che i 2 rulli siano di materiali diver‐
si , uno più incline a ricevere elettroni (quello supe‐
riore) l’altro a cederne (quello inferiore).
‐ della necessità di un pettine inferiore collegato a
Figura 6 particolare, rullo con cuscinetto a sfera e
terra che inducesse cariche sulla superficie del na‐ guida regolabile
stro esterno .
‐ della necessità che la cinghia fosse di un materiale isolante (gomma morbida) per intercettare gli
elettroni che “uscivano” dalle punte del pettine metallico inferiore.

L’impresa si dimostrava più ardua del previsto. Prima di tutto, non avendo trovato foto a sufficienza sulle
possibili strutture alternative a quella costruita in precedenza, si è fatto affidamento all’inventiva e alla cre‐
atività per la realizzazzione di una nuova struttura in legno come sostegno del rullo superiore e della sfera.
La particolarità: occorreva che la distanza tra i rulli potesse essere regolata a nostro piacimento, il movi‐
mento fosse abbastanza scorrevole senza attriti per qualunque tipo di fascia di gomma elastica fossimo
riusciti a reperire. Aiutati per le parti più delicate da un genitore (ad esempio taglio con la sega circolare dei
vari pezzi di legno) ma poi totalmente indipendenti dai loro consigli, abbiamo dato vità ad una nuova strut‐
tura riportata in alto a destra.

Come abbiamo realizzato i rulli

I vari materiali si possono classi‐


ficare in base alle loro proprietà
elettrostatiche, ossia alla loro
tendenza a cedere o ad acuista‐
re elettroni per contatto. Una
classificazione del genere è mo‐
strata nella Serie Triboelettrica
(vedi conclusioni), che ci ha aiu‐
tato in questo indirizzando la
scelta sui materiali da usare: il
rullo superiore è stato ricoperto
di scotch (polietilene che se
sfregato accetta carica negati‐
va); il rullo inferiore è stato rico‐
perto di carta stagnola.
La scelta del nastro di gomma.

Arrivati a buon punto per quanto riguarda struttura e parti del progetto ,l’attenzione si è focalizzata sulla
scelta dei materiali più consoni.Il nastro è una parte fondamentale nell’esperimento, esso infatti è il “vetto‐
re della carica”, dal pettine inferiore a quello superiore interno alla sfera. Il nastro inizialmente di plastica
trasparente (che compare nelle foto) è stato reperito da buste di plastica adibite a contenere federe e co‐
pricuscini. Non funzionava più se a contatto con esso giravano i rulli ricoperti dei due differenti materiali di
cui abbiamo parlato prima. Reperire una fascia di materiale elastico o gomma non è stata cosa facile. Come
seconda soluzione al problema si è pensato alle camere d’aria delle ruote delle biciclette, queste però
hanno forma tubolare e non sono adatte a scorrere su rulli. Successivamente con una piccola spesa si sono
potuti ricavare dei nastri di gomma dalle fasce elastiche per esercizi fisici reperibili nei grandi centri che
vendono materiale e attrezzature sportive. Quest’ultimo nastro si è rivelato funzionante. La carica si depo‐
sitava sulla sperficie.

Ed un altro anno scolastico se ne andava.

Ottobre 2007

Dopo circa due anni di lavoro e ricerca il generatore di Van der Graaff si presentava come nella foto.

Più sicuri del possibile funzionamento dell’apparato sperimentale arrivò verso novembre il momento di te‐
stare la sua operatività. Ma anche questa volta il test diede risultati negativi: questa benedetta carica non si
accumulava sulla sfera!

Cosa non funzionava?

Dopo un mese di ricerche in siti univeritari e vari colloqui con amici che frequentano il dipartimento di fisi‐
ca e ingegneria dell’Università di Padova si è arrivari a delle importanti modifiche bisognava:

• Alzare la sfera affinche l’apertuta fosse appena sotto il rullo superiore;

• Alzare il più possibile i 2 sostegni della sfera da terra

• Verniciare la struttura poichè il legno (ancora più se umido) può essere un conduttore in presenza di e‐
levati voltaggi come nel caso del gene‐
ratore di Van der Graaff. In alternativa
modificare i sostegni costruendoli di
materiale isolante.

I pettini metallici

I pettini metallici sono una parte impor‐


tante dell’esperimento poiché possiamo
dire che fungono da collettori e da emetti‐
tori della carica elettrica nel meccanismo
di trasporto.

Bisogna scegliere accuratamente con cosa


sviluppare questa parte del generatore di
Van der Gaaff. Sotto questo aspetto si è
scelto di costruirli con del filo elettrico spellato e aperto a formare un ventaglio con le punte dirette verso il
nastro di gomma isolante.

Marzo 2008, lunedì di pasquetta

Per provare a risolvere i problemi riscontrati ho preso una soluzione


drastica ovvero quella di modificare sostanzialmente alcuni elementi
della struttura:

• sostituire i due montanti di legno con due tubi in pvc (comune‐


mente reperibili nei cantieri edili) in modo da isolare completa‐
mente la sfera da terra. Ho sfruttato lo spazio interno e gli ho sa‐
gomati al punto da far passare il cuscinetto del rullo superiore,
come si vede nella foto.

• Sostituire la sfera con una più piccola (benedetto IKEA!) per vede‐
re se il mancato funzionamento dipendesse dal fatto che la sfera
grande impiega troppo tempo per accumulare la carica necessaria
a generare il “campo elettrico di scarica”.

• Realizzare un più sicuro collegamento a terra tramite presa di corrente (la fase non è collegata e quindi
non c’è il rischio di far circolare la corrente elettrica della rete enel attraverso l’apparato sperimentale).

Alle 13:00 del 24 marzo 2008


finalmente dopo anni di spe‐
ranze e di attesa il generato‐
re di Van der Graaff ha co‐
minciato a funzionare con
scosse di alcuni cm.

3,5 cm

Momento ripreso al buio con fotocamera digitale modalità video


Alla fine il generatore di Van der Graaff appariva così:

Versione definitiva del genreratore di Van der Graaff Particolare del genreratore di Van der Graaff:
parte superiore interna alla sfera
Legenda:
Funzionamento teorico
1) pettine metallico collegato a terra

2) rullo metallico o ricoperto di carta sta‐


gnola carico positivamente

3) rullo di plexiglas o riscoperto di scorch


2

polietilene carico negativamente


6
4) cinghia di gomma isolante

5) punte metalliche all’interno della sfera

6) superficie esterna della sfera carica


2

5
7) sfera più piccola con carica positiva

2
2

3 7

1
Il generatore funziona come una sorta di pompa elettrostatica:

1. Il rullo inferiore si carica per contatto con la cinghia. Infatti il


nastro e il rullo sono fatti di due differenti materiali e quando
il nastro di gomma tocca il rullo di plastica, la diversa intensità
dei legami chimici dei due materiali determinano lo sposta‐
mento di alcuni elettroni da un materiale all’altro. Mentre il
rullo ruota, la superficie del nastro prima in contatto si sposta
verso l’alto separandosi dal quella del rullo, rendendo definiti‐
vo lo spostamento di elettroni. Le superfici della cinghia e del
rullo acquisiscono carica in numero uguale e di segno oppo‐
sto. Nell’esemplificazione del processo schematizzata in figu‐
ra, il rullo riceve una carica positiva, ma non è necessariamen‐
te così. La polarità del rullo dipende dal materiale usato per la
cinghia e per il rullo

2. Il rullo attrae carica opposta sulle punte del pettine perché, essendo di metallo, esso contiene cari‐
che libere di muoversi, gli elettroni di conduzione, che possono spostarsi (nel nostro esempio si ac‐
cumulano sulle punte affacciate al rullo)

3. Per l’ “effetto delle punte” Il campo elettrico sulle


punte diventa così intenso da polarizzare fortemente
le molecole d’aria ed attraendole. Le molecole d’aria
che arrivano sulle punte si ionizzano della stessa cari‐
ca e quindi vengono respinte verso la cinghia.

4. L’aria e così sede di un flusso di carica il cui effetto netto è quello di “spostare” delle cariche dalle
punte al nastro. (Nota: i generatori di VDG hanno bisogno dell’aria per funzionare. Quindi non
funzionerebbero nel vuoto!)

L’altro capo delle punte metalliche è connesso tramite un filo a “terra”. Mentre le cariche negative passano
dal pettine alla cinghia, attratte dal rullo positivo, altre sono attirate attraverso la messa a terra. Il rullo
mantiene sempre la sua carica positiva, che provoca l’uscita della carica negativa dalle punte, perché è “iso‐
lato” dalla cinghia che intercette il flusso di carica. Complessivamente, il sistema agisce come una pompa di
carica in miniatura forzando la carica ad uscire dalla terra e a depositarsi
sulla superficie della cinghia.

5. Il rullo girando fa salire il tratto di nastro caricato, e le cariche


vengono trasportate all’interno della sfera;

6. Quando il nastro passa sopra il rullo superiore, si scarica sulle


punte del pettine metallico superiore, con un processo esatta‐
mente analogo a quello che avviene tra le punte del pettine infe‐
riore ed il nastro, ma con uno spostamento netto di cariche nel
verso opposto. Infatti il secondo rullo per fa avvenire il processo
inverso (cattura di cariche con le punte invece di emissione) do‐
vrà o essere caricato negativamente o tutt’al più essere neutro.
7. Poiché i pettini superiori sono connessi con un filo all’interno della sfera, le cariche depositate su di
essi si disporranno sulla superficie esterna della sfera perché è la disposizione che, rendendo mas‐
sime le distanze reciproche fra le cariche in eccesso, rende minima l’energia potenziale elettrica. In
pratica la sfera agisce come una gab‐
bia di Faraday e le cariche depositate
sul pettine al suo interno, andranno a
distribuirsi sulla superficie esterna
della sfera del generatore.

8. Il nastro scaricato torna verso il rullo


inferiore

Il processo si ripete;

Osservazioni e Test

Molte difficoltà sono sorte nel conciliare la teoria alla pratica, e vari fattori hanno influenzato l’esito delle
varie prove e test fatti.

Sfera grande o piccola?

Si è verificata la diversa efficienza delle due sfere. Se l’umidità dell’aria è ridotta, avvicinando la mano a 10‐
15 cm dalla superficie della sfera più piccola (ø = 30 cm) si avverte la sensazione elettrostatica tipica corri‐
spondente al fatto che “il pelo si alza”. Mentre avvicinando la mano alla sfera più grande (ø = 37 cm di dia‐
metro) la stessa sensazione si avverte in maniera apprezzabile già da 50 cm. Alla fine, pur osservando che la
sfera più grande era più efficiente si è scelto per motivi di sicurezza di utilizzare la sfera più piccola.

In Tensione? Si, grazie!

Di fondamentale importanza per il funzionameno è stato tirare il più possibile il nastro di gomma (quasi il
doppio della sua lunghezza a riposo). Questo infatti, come si è capito studiando la triboelettricità aumenta i
punti di contatto fra nastro e rullo aumentando la carica del rullo.

L’umidità

Un fattore da tenere in considerazione quando si effettuano esperimenti di elettrostatca è l’umidità. Sotto


questo aspetto l’umidità gioca un ruolo importante condizionando radicalmente le varie prove, essa au‐
menta in maniera così drastica (circa 80 volte) il dielettrico dell’aria da compromettere a volte lo stesso
funzionamento della macchina.

¾ Sono state effettuate alcune prove in un ambiente relativamente umido e in uno deumidificato e si è
riscontrao il netto miglioramento delle performance dell’apparato.

¾ L’umidità inoltre ha influito sul comportamento dei materiali usati per la struttura del generatore. In‐
fatti la prima struttura in legno non verniciata è risultata molto meno efficace di quella in PVC, favoren‐
do (ai voltaggi raggiunti dal generatore di Van der Graaff) la scarica a terra della carica accumulata sulla
sfera.
Per questo motivo è consigliabile progettare la struttura in plexiglas (come sostegno si può usare un tubo
abbastanza lungo ad esempio quelli della raccolta pile scariche).

Lo sporco e l’olio

L’olio e la macchina di van der graaff non vanno d’accordo.

¾ Se la più piccola goccia d’olio cade tra i rulli e il nastro, le loro facce non faranno attrito (l’olio non
provocando attrito tra superfci non permette ai materiali di caricarsi per strofinio‐contatto). Se occorre
lubrificare le parti meccaniche del motore, bisogna fare molta attenzione e non usare olio spray. Se si
pensa che l’olio possa aver ricoperto le superfici, bisogna pulirle molto accuratamente. Accaduto,
purtroppo!!

Anche lo sporco il pulviscolo magari prodotto durante la costruzione della struttura e depositatosi sui rulli
non ne permette il migliore contatto tra essi e il nastro di gomma.

Conclusioni
Costruendo questo generatore di Van der Graaff ho imparato molte cose che prima ritenevo marginali per
quanto rigurarda la fisica.

Ho imparato come si elabora un progetto e le diverse alternative che possono esserci per realizzarlo. Sotto
questo punto di vista il percorso seguito è stato prettamente sperimentale ma ha portato ad un apparato
sperimentale totalmente diverso da quelli in commercio, un apparecchio unico nel suo genere dalle carat‐
teristiche vicine a quelle del primo generatore sviluppato dallo stesso Van der Graaff (che sviluppava, per la
cronaca, 80000 volt di differenza di potenziale).

Oltre a ciò ho sperimentato il difficile rapporto tra la parte teorica e le centinaia di variabili tecniche che
abbracciano tantissimi aspetti della vita di tutti giorni: l’umidità, l’attrito, le proprietà dei materiali in certe
condizioni ambientali sono tutte cose di cui non ci si rende conto se non sviluppando modelli sperimentali.

Nulla sarebbe stato possibile però senza la determinazione e la voglia di scoprire nel vero senso della parola
i segreti di questo esperimento in ogni suo minimo dettaglio. Capire che sperimentare è un momento in cui
mettersi alla prova con le proprie conoscenze e con il mondo che ci circonda.

Dal un punto di vista teorico il fenomeno che mi ha più incuriosito è stato la triboelettricità.

Triboelettricità.

L’elettrificazione di un materiale non richiede necessariamente lo strofinio delle due superfici ma il sempli‐
ce contatto; un esempio di questo effetto si può notare quando si srotola un nastro adesivo. Le due super‐
fici del nastro sono strettamente a contatto tra loro prima della loro separazione; con la veloce separazione
delle due superfici (adesiva e liscia) si sviluppa una differenza di potenziale di alcuni kVolt.
Mettere a contatto due superfici determina un fenomeno detto di SERIE TRIBOELETTRICA
adesione: si formano dei legami chimici nei punti di contatto. Per Forte carica positiva
punti di contatto si intendono i punti in cui la distanza tra atomi
+ pelle umana
dei due diversi materiali è dell'ordine di qualche Å. Si tratta, in ge‐
nere, di piccole percentuali delle superfici vicine. In questi punti di Pelliccia
interazione tra i due materiali gli elettroni sono legati ai rispettivi Vetro
atomi con energie diverse e possono passare dagli atomi di un ma‐
Quazo
teriale in cui l'energia del legame è inferiore a quello in cui è mag‐
giore. I materiali che acquistano elettroni (carica elementare nega‐ Mica
tiva) si caricano negativamente, mentre quelli che cedono elettroni Capelli umani
si caricano positivamente. Se i materiali sono conduttori si avrà
Nylon
una redistribuzione uniforme degli elettroni in un tempo caratteri‐
stico (detto tempo di rilassamento); altrimenti la carica elettrica Lana
rimarrà localizzata nei punti in cui è avvenuto lo scambio, con ef‐ Piombo
fetto triboelettrico più accentuato. Lo strofinio non fa altro che Seta
aumentare, nel tempo, i punti di contatto tra le superfici e quindi
Alluminio
moltiplicare il fenomeno. Va notato che nel contatto si può mani‐
festare anche uno scambio di ioni o frammenti di intere molecole e Carta (debole carica positiva)
che a livello microscopico vi sono aspetti del fenomeno simili al‐ Cotone (No carica)
l'attrito. Al momento del distacco, a causa del forte campo elettri‐
Ferro (No carica)
co presente, si manifestano fenomeni di scarica elettrica che por‐
tano a riscaldamento (fenomeni piroelettrici) e ritorno parziale de‐ Legno (debole carica negativa)
gli elettroni scambiati al materiale originario (in inglese: Charge Ambra
backflow). I materiali si possono quindi classificare in base alla loro
Acrilico
tendenza ad “accettare” elettroni, costruendo così un elenco ordi‐
nato di materiali chiamato SERIE TRIBOLELETRICA. In base a questo Polystyrene
elenco è possibile progettare macchine elettrostatiche e su questo Gomma dei palloncini
elenco sono stati scelti i materiali per i rulli.
Nickel, Oro bianco , Platino Acetato,
(In rosso i materiali usati in blu le linee di demarcazione della serie) Gomma sintetica,
Polyestere, Polyurethane ,
Polyethylene (come lo Scotch)
Polypropylene,PVC,
Silicone,Teflon, Gomma al silicone

Ebonite – forte carica negativa


Bibbliografia:
Libro di testo: Fisica, James S. Walker, Zannicheli, volume terzo,

http://amasci.com/emotor/vdg1.html#links

http://en.wikipedia.org/wiki/Van_de_Graaff_generator

http://ireswww.in2p3.fr/ires/recherche/vivitron/uk/page5.htm

Fondamentale per la riuscita dell’esperimento è stato l’aiuto della professoressa Federica Berto e del
professore Roberto Schiavon.

Un ringraziamento speciale inoltre va al professor Massimo Nigro, Giancarlo Bettella, Paolo Parisotto del
dipartimento di fisica Università degli studi di Padova che mi hanno informato sulle problematiche che può
avere un generatore di Van der Graaff.

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