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Del nostro Santo Padre Basilio

arcivescovo di Cesarea di Cappadocia


OMELIA SUL SALMO PRIMO

4. Dunque, avviandoci alla virtù con sapienza e avvedutezza, (lo Spirito) pose
l’allontanamento dal male come inizio dei beni. Se, infatti, ti avesse subito messo
innanzi la perfezione, avresti esitato ad accingerti all’impresa; ora invece ti abitua a
ciò che è più facile, affinché tu sia in grado di tentare ciò che viene dopo. Infatti io
direi che l’esercizio della pietà è simile ad una scala, a quella scala che un giorno vide
il beato Giacobbe: un’estremità era rivolta a terra e in basso, l’altra era tesa oltre il
cielo stesso. Così occorre che coloro che si avviano a una vita virtuosa muovano il
passo dai primi gradini, e di qui procedano sui seguenti, fino a giungere a un’altezza
conseguibile all’umana natura, per graduale avanzamento. Come dunque per la scala
il primo gradino è già allontanamento da terra, così per la vita secondo Dio, principio
di avanzamento è l’allontanamento dal male. Del resto ogni inazione è più facile di
qualsiasi azione, come: Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai.
Ciascuno di questi (comandamenti) richiede astensione dall’azione e dal movimento.
Invece: Amerai il prossimo tuo come te stesso, Vendi quello che hai e dallo ai poveri,
Se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due, sono azioni adatte a
lottatori, bisognose di un animo già irrobustito a buona condotta. Perciò ammira la
sapienza, che ci guida alla perfezione attraverso opere le più facili da conseguire. Tre
cose dunque ci ha posto innanzi, da cui dobbiamo guardarci: non aver seguito il
consiglio degli empi, non fermarsi nella via dei peccatori, non porsi sulla cattedra di
pestilenza. Ha posto quest’ordine alle parole seguendo la natura delle cose. Infatti
prima deliberiamo, poi confermiamo il deliberato, infine vi aderiamo durevolmente.
Dunque per prima è considerata beata la purezza della nostra mente, poiché radice
delle attività del corpo è la deliberazione del cuore. Infatti l’adulterio avvampa
dapprima nell’anima del voluttuoso, quindi produce la corruzione del corpo. Per cui il
Signore dice che è dentro ciò che rende immondo l’uomo. Poiché empietà si dice in
senso proprio il peccato contro Dio, non avvenga che per mancanza di fede noi
accogliamo talora il dubbio su di lui. Aver seguito il consiglio degli empi significa
proprio questo, se tu dici in cuor tuo: È forse Dio che governa l’universo? che dal
cielo dispensa ogni cosa a ciascuno? C’è forse giudizio? e per ciascuno una
ricompensa secondo il suo operato? Perché allora i giusti impoveriscono e i peccatori
arricchiscono? quelli indeboliscono e questi rafforzano? quelli disprezzati, e questi
onorati? Non si muove forse per caso l’universo, non sono forse casi fortuiti,
irrazionali, a determinare capricciosamente le sorti di ciascuno? Se hai pensato ciò,
hai seguito il consiglio degli empi. Beato, dunque, chi non accolse dubbi su Dio, che
non si perse d’animo dinanzi agli eventi, ma attende con fermezza i beni sperati, che
non accolse sospetto alcuno di incredulità sul nostro Creatore. Beato anche colui che
non si fermò nella via dei peccatori. Via è chiamata la vita, poiché quanto esiste si
muove in direzione del proprio fine. Come, infatti, coloro che dormono nelle navi
sono trasportati spontaneamente dal vento fino al porto, anche se non se ne accorgono
— la corrente li spinge alla meta — così anche noi, mentre scorre il tempo della
nostra vita, ci affrettiamo, ciascuno verso il proprio fine, con il corso insensibile della
nostra vita, come un movimento continuo e inesausto. A esempio, dormi e il tempo ti
passa inosservato? vegli e sei mentalmente irrequieto? Tuttavia, la vita si consuma,
anche se sfugge alla nostra percezione. Dunque, tutti noi uomini corriamo una sorta
di corsa, affrettandoci ciascuno verso il proprio fine: perciò tutti siamo sulla via.
Potresti intendere il significato di via anche a questo modo. In questa vita tu sei
costituito viandante: tutto oltrepassi, tutto resta dietro di te. Hai visto sulla strada un
germoglio, o dell’erba, o dell’acqua o qualunque altra cosa degna di ammirazione: ne
hai goduto per un po’, poi passasti oltre. Ancora, ti sei imbattuto in pietre, e valli e
burroni e scogli, e tronchi, o anche fiere, e rettili, e spine e altre molestie: te ne sei
addolorato per un po’, poi li superasti. Questa è la vita: né gioie durevoli, né dolori
persistenti. La via non è tua, e neppure le realtà presenti. Fra i viandanti, non appena
il primo mosse il piede, subito mosse il passo chi stava dietro, e dopo di lui quello che
seguiva.
5. Osserva, dunque, se anche le circostanze della vita non siano simili. Oggi tu
hai lavorato la terra, domani sarà un altro, e dopo di lui un altro ancora. Vedi questi
campi e queste case sontuose? Quanti nomi (di proprietari) ha ormai mutato ciascuno
di essi, da quando esiste! Si diceva del tale; poi fu rinominato per un altro; passò al
tal altro; ora infine si dice di un altro ancora. Non è dunque un cammino la nostra
vita, dal momento che vede succedersi ora l’uno ora l’altro, e tutti quanti tenere dietro
gli uni agli altri? Beato dunque, colui che non si fermò nella via dei peccatori. Cosa
significa non si fermò? Quando noi uomini siamo ancora nella prima età, non siamo
né cattivi, né virtuosi (infatti l’età non è suscettibile dell’una o dell’altra attitudine);
ma quando in noi la ragione è giunta a maturità, allora si avvera ciò che è scritto:
Sopraggiunto il comandamento, il peccato ha preso vita, e io sono morto. Sorgono,
infatti, cattivi pensieri, generati nelle nostre anime dalle passioni della carne. Invero,
una volta giunto il comandamento, cioè il discernimento dei beni, se non ha dominato
il pensiero malvagio, ma ha consentito che la ragione sia resa schiava delle passioni,
allora sì che ha preso vita il peccato, è morto l’intelletto, ucciso dalle iniquità. Beato
dunque chi non si è soffermato nella via dei peccatori, ma con miglior giudizio si è
volto a vita pia. Vi sono, infatti, due vie tra loro contarie: una larga e spaziosa,
l’altra stretta e angusta. E vi sono due guide, ciascuna delle quali cerca di convertire
a sé. Pertanto la via piana e declive ha una guida ingannevole, un cattivo demone, che
attraverso il piacere trascina alla rovina i seguaci; invece quella aspra e ripida ha un
angelo buono, che attraverso le fatiche della virtù conduce i seguaci al fine beato.
Finché ciascuno di noi è fanciullo, inseguendo il piacere presente, non ha alcuna cura
del futuro; ma una volta divenuto uomo, a seguito della pienezza di ragione, gli
sembra quasi di vedere la vita divisa fra virtù e vizio, e volgendo spesso l’occhio
dell’anima all’uno o all’altro, giudica entrambi esattamente contrapposti. La vita dei
peccatori mostra tutte le dolcezze del mondo presente; la vita dei giusti fa vedere
unicamente i beni futuri. La via della salvezza, quanto più promette bello il futuro,
tanto più offre faticoso il presente; la vita dolce e dissoluta propone un godimento che
non attende il domani, ma è già presente. L’anima, dunque, è tutta smarrita e ripiega
sui pensieri: quando considera le realtà eterne, sceglie la virtù; quando, invece,
guarda alle realtà presenti, preferisce il piacere. Qui vede il godimento della carne, là
il suo asservimento; qui l’ubriachezza, là il digiuno; qui risa sfrenate, là lacrima
copiosa; qui danza, là preghiera; qui (suono di) flauti, là gemiti; qui lussuria, là
verginità. Perché il vero bene lo si può apprendere con la ragione attraverso la fede
(infatti è molto lontano, e l’occhio non vide e l’orecchio non udì); invece la
piacevolezza del peccato è a portata di mano e il godimento fluisce attraverso ogni
senso. Beato chi non è stato trascinato alla rovina dalle seduzioni del piacere, ma con
pazienza attende la speranza della salvezza e, nella scelta tra le due vie, non imbocca
quella che conduce al male.

6. E sul seggio di pesti non sedette. Intende, forse, questi seggi su cui facciamo
riposare il nostro corpo? E quale partecipazione al peccato può venire dal legno, al
punto che io fugga come funesto il seggio dianzi occupato dal peccatore? Oppure
bisogna ritenere che seggio sia chiamato lo stabile e durevole tenore di vita nella
scelta del male? Da questo dobbiamo guardarci perché indugiare attivamente nei
peccati produce nelle anime un’attitudine irremovibile. Infatti una inveterata
affezione dell’anima e una pratica del male, consolidata nel tempo, sono difficili da
guarire, o del tutto inguaribili, poiché l’abitudine per lo più si trasforma in natura.
Bisogna dunque volere intensamente di non prendere contatto con il male. C’è una
‘seconda navigazione’ (Plat. Fed. 99): subito dopo l’esperienza (del male), sfuggirlo
come trafittura di animale velenoso, secondo quanto scritto da Salomone sulla donna
disonesta: Non mettere il tuo occhio su di lei, ma corri via, non trattenerti. Ora io so
di alcuni scivolati in gioventù nelle passioni della carne e per abitudine al male
rimasti nei peccati fino ad età senile. Infatti come i maiali che, voltolandosi nel brago,
sempre più s’imbrattano di melma, così costoro ogni giorno di più s’imbrattano di
vergognoso piacere. Beatitudine è, dunque, non pensare neppure malvagità; se,
invece, per insidia del nemico tu accogliessi nell’anima consigli di empietà, non
indugiare nel peccato. Se poi ti è capitato proprio questo, non fermarti nel male.
Pertanto non trattenerti sul seggio delle pesti. Se hai compreso quale seggio intende la
Scrittura, ovvero una permanente assiduità al male, chiediti del resto quali pesti abbia
denominato. Gli esperti di queste cose parlano di peste quando essa si appiglia anche
ad un solo uomo o animale, e poi per contagio si trasmette su tutti coloro che gli si
avvicinano: infatti tale è la natura della malattia che tutti siano l’uno dall’altro
infettati di tale infermità. Tali sono anche gli operatori di inquità. Infatti, trasmettendo
la malattia l’uno all’altro, si ammalano insieme e insieme periscono. Forse che non
vedi i dissoluti seduti in piazza irridere gli onesti, e narrare le proprie turpitudini,
abitudini di tenebra, ed enumerare passioni vergognose come azioni illustri o
qualsiasi altra di valore? Queste sono le pesti che anelano a comunicare a tutti il
proprio male, desiderosi che molti divengano simili a loro, affinché per comunanza
del male sfuggano al biasimo. Infatti il fuoco, appiccandosi a materia infiammabile,
non può non propagarsi a tutta quanta, specialmente se incontra vento che spinga in
alto la fiamma; similmente il peccato, appiccatosi anche ad uno solo, non può non
propagarsi a tutti i vicini, per l’attacco incendiario degli spiriti del male. Infatti lo
spirito di lussuria non tollera che il disonore si stabilisca in uno soltanto, ma subito i
coetanei ne rimangono insieme contagiati: bagordi e ubriachezze e vergognosi
discorsi; una etera che beve insieme, sorride compiacente a questo, eccita quello, e
tutti accende allo stesso peccato. Forse che è piccola cosa questa peste, oppure
modesta la trasmissione del male? E che? Chi invidia l’ambizioso o uno noto per
qualche altra malvagità, (rivestito di qualche potere cittadino, o abbia dominio sui
popoli, o sia a capo di eserciti, e si macchi delle più vergognose passioni), non ha
forse accolto nella sua anima la peste, facendo proprio il male di chi è invidiato?
Infatti gli splendori della vita illuminano se stessi e le vite di uomini illustri; e se i
soldati perlopiù vogliono assomigliare ai comandanti, gli abitanti di città invece
invidiano gli uomini al potere. Insomma, quando il male di uno sia ritenuto da molti
degno di imitazione, propriamente e opportunamente si dirà che una peste delle
anime si diffonde sulla vita. Infatti l’ammirazione del male trascina molti soggetti
instabili alla emulazione. Poiché dunque l’uno è infettato dalla corruzione dell’altro,
si dica che costoro appestino le anime. Ordunque non sederti sul seggio di pesti, non
partecipare al consesso di uomini corrotti e rovinosi, non soffermarti sulle loro
malvage decisioni. Ma il mio discorso è ancora fermo alle prime parole (del salmo), e
vedo una quantità eccedente la giusta proporzione: sicché non è facile per voi
custodire molte cose, né per me il servizio della parola, poiché per congenita
debolezza la voce vien meno. Ma se anche le cose dette restano incompiute, poiché
dopo aver indicato la fuga dal male, non si è potuto aggiungere il compimento delle
buone opere, ugualmente affidiamo queste parole a orecchie benevole, e ci
ripromettiamo, se Dio vorrà, di completare anche quello che resta, se pure non
giungeremo in futuro al completo silenzio. Il Signore renda anche a noi la ricompensa
per le parole dette, e a voi il frutto di quelle ascoltate, in grazia dello stesso Cristo,
poiché a lui si deve gloria e potenza nei secoli dei secoli. Amen.

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