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Yoga Korunta, la leggenda

rivelata
Da alcuni giorni su facebook gira un articolo che dipinge
l’Ashtanga Yoga come una semplice forma di “ginnastica”.
Per mettere le cose nella giusta prospettiva, traduco qui
di seguito un post molto interessante, scritto da James
Russel nel 2015, che potete trovare nella sua versione
originale cliccando qui.

Nel mondo dell’Ashtanga Yoga gira una leggenda. Forse


molti di voi l’hanno sentita:

“A metà degli anni


’20, il grande
maestro Sri T.
Krishnamacharya,
accompagnato dal
suo giovane studente Sri K. Pattabhi Jois, si recò alla
biblioteca di Calcutta. Erano in cerca di un oscuro testo
yogico perduto, il “Korunta”. Trovarono questo testo,
autografato da un saggio di nome Vamana Rishi, inciso su
foglie di banano e di palma (cosa abbastanza comune
negli antichi testi yogici). I segni sulle foglie descrivevano
in dettaglio un metodo di Hatha Yoga vigoroso e
dinamico.

Il metodo era caratterizzato da diverse sequenze (krama)


di asana (posture), collegate tra loro da movimenti,
respirazione, bandha e drishti. Questo modo di collegare
il movimento al respiro è noto come vinyasa. Vinyasa
significa “posizionare in modo speciale” ed è un termine
che viene utilizzato anche nelle arti indiane classiche
come la musica e la danza.

Si dice che le foglie del Korunta fossero rilegate insieme


ad una antica edizione degli Yoga Sutra di Patanjali (un
trattato sulla tecnica psicologica dello yoga, antico di ben
2000 anni). Questo sistema è noto come Ashtanga Yoga
(lo Yoga degli otto rami). Secondo Gregor Maehle i due
metodi andavano quindi appresi e studiati insieme. Da
questo nacque il nome di “Ashtanga Vinyasa”.

Krishanamacharya decifrò il testo e insegnò il metodo a


Pattabhi Jois. La parte finale della storia narra che il
manoscritto del Korunta si disintegrò o fu mangiato dagli
insetti (cosa abbastanza plausibile dato il clima indiano),
e non fu mai più visto da nessuno se non da
Krishnamacharya e Pattabhi Jois. Si dice che fosse in
copia unica.”

Pattabhi Jois dedicò la sua vita alla diffusione


dell’Ashtanga Vinyasa e nel 1970 trasmise questo metodo
ai primi studenti occidentali: David Williams, Nancy
Gilgoff e David Swenson. La pratica prese piede in
occidente, dove divenne popolare anche tra le celebrità,
come Madonna, Gwyneth Paltrow e Sting. Oggi
l’Ashtanga Vinyasa è uno dei metodi di yoga più famosi al
mondo.
E’ sulla base del Korunta che l’Ashtanga Vinyasa viene
tramandato come una pratica antica, che trova le sue
origini millenni fa. Molti praticanti citano anche l’antico
sistema di Patanjali – Ashtanga, appunto – come fonte
che legittima e aggiunge credibilità all’autorevolezza di
questa pratica: “Al cuore dell’Ashtanga si trova il Vinyasa.
L’essenza del Vinyasa è il sincronismo tra respiro e
movimento “. (John Scott, DVD, 2002)

Tuttavia, nel testo di Patanjali non troviamo menzione di


Vinyasa, ed un solo verso è dedicato agli asana: “sthirra,
sukhasanam – una postura comoda e salda” (PYS, 1:2).
L’Ashtanga Yoga di Patanjali è essenzialmente meditativo,
è un metodo che ci consente progressivamente di
controllare la mente, ed è chiaramente molto diverso da
moderno metodo dell’Ashtanga Vinyasa Yoga.
James Russell, autore dell’articolo

Alla ricerca del Korunta

Fin dall’inizio, la leggenda del Korunta mi ha affascinato.


Rendeva le serie dell’Ashtanga misteriose, e impregnate
di un’autorevolezza antica. Avevo letto molto sulla storia
del Korunta, e mi chiedevo se vi fosse prova della sua
autenticità. Molti studenti di Krishnamacharya lo
nominavano, ma era impossibile trovarne una
pubblicazione, né riuscivo a trovare nulla su Vamana
Rishi. Secondo la mitologia Induista, Vamana è il nome del
quinto avatar di Vishnu ed è un nome indiano piuttosto
comuno. Il titolo di Rishi viene solitamente dato ai saggi, e
deriva dalla radice “Drsh”, che significa “vedere” (proprio
come in Drishti).

La metodologia Vinyasa e gli asana descritti da


Krishnamacharya nel libro “Yoga Makaranda” (1934)
assomigliano moltissimo alla prima serie dell’Ashtanga
VInyasa e sembrano formare un sistema più vasto, che
alcuni dei suoi studenti chiamarono “Vinyasa Krama”.
Tuttavia, l’estesa bibliografia del Makaranda non include il
Korunta.

Nel libro di Pattabhi Jois “Yoga Mala” (1962), primo libro


dedicato all’Ashtanga Vinyasa, non si parla di Korunta.
Tuttavia, Jois ci offre una citazione forse tratta proprio da
questo antico testo e autografata Vamana Rishi: “Vina
vinyasa yogena asanadin na karayet – Oh Yogi, non
praticare asana senza vinyasa”.

A parte questa citazione, non trovavo altri testi tratti dal


Korunta. Né riuscivo a trovare nulla di precedente al 1934
simile allo stile praticato e insegnato da Krishnamacharya
e da Pattabhi Jois. Infatti, molti degli asana delle serie di
Ashtanga VInyasa non sono reperibili nei testi tradizionali
dell’Hatha Yoga. Il Korunta e le origini dell’Ashtanga
Vinyasa sembravano restare avvolte nel mistero.

La svolta

Poi, nel 2011, studiando gli Hatha Yoga Pradipika (testo


del 14esimo secolo sull’Hatha Yoga), un nome balzò alla
mia attenzione. Nel primo capitolo dei Pradipika, l’autore,
Svatmarama, elenca la tradizione degli yogi (HYP 1:5.9). Il
13esimo nome della lista è:

“Kuarantaka: conosciuto anche come Karandaka,


purantaka e Kurantaka”

Kurantaka – Kuranta – Kurunta

Un nome vagamente simile a Korunta. Interessante,


certo, ma non molto significativo. Tuttavia, poche
settimane dopo, ricevetti dall’India una traduzione di una
versione più lunga dei Pradipika, fino ad allora non
disponibile (Hathapradipika 10 Chapters, del 2006). Il
testo si dilungava maggiormente sulla tradizione
dell’Hatha Yoga e di nuovo menzionava Kurantaka.
Appresi con stupore che uno yogi di nome Kuarantaka
aveva scritto un testo dal nome: “Kapala Kuarantaka
Yogabhyasasa Paddathi”, che può essere tradotto più o
meno come “Il metodo Yoga di Kurantaka Kapala”
(Kapala significa teschio o coppa a forma di teschio, e
immagino fosse un titolo dato allo Yogi Kuruntaka per
indicare la sua affiliazione ai Kapilika, una setta dello
Shivaismo che indossa i teschi).

Si diceva che il testo contenesse 112 posture: questo


catturò il mio interesse, poiché il numero era molto vicino
agli asana della prima e della seconda serie (in totale 106,
come nel libro di David Swenson del 1999). E’
significativo che i testi più antichi relativi allo yoga
descrivano solo una manciata di asana. Che un
manoscritto precedente al 18esimo secolo ne riportasse
così tante era davvero senza precedenti.

Il titolo completo del testo era difficile: soprattutto per gli


occidentali. Questo rendeva logica l’abbreviazione di
Krishnamacharya e Jois: Kuaranta o Korunta.

In seguito a ulteriori ricerche, la mia teoria trovò conferma


nella biografia di Krishnamacharaya realizzata da A.G.
Mohan, che cita: “Krishnamacharya nominò lo Yoga
Kuranta in diverse occasioni durante i miei studi. Tale
Yoga Kuranta era stato scritto da uno yogi di nome
Korantaka, nominato negli Hatha Yoga Pradipika (1.6)”
(A.G. Mohan, 2010).
Contattai il Lonavla Institute in India, che si era occupato
della traduzione e della pubblicazione della versione più
lunga degli Hatha Yoga Pradipika, e chiesi informazioni
sul testo realizzato da Kurantaka. La risposta degli esperti
mi affascinò: “Abbiamo copiato il manoscritto Kapala
Kurantaka dalla biblioteca Bharat Itihas Samshodhan
Mandal di Pune. E’ un testo di Hatha Yoga molto diverso
dagli altri, perché descrive pratiche vigorose e rigorose.
E’ possibile che questa tradizione provenga dall’India
meridionale”.

Quindi, un testo firmato da Yogi Kurantaka esisteva, ed


era noto a studiosi di sanscrito indiani. Appresi in seguito
che veniva chiamato solitamente Kapala Kurantaka.

“Pratiche vigorose e rigorose” ben si addice alla natura


dell’Ashtanga Vinyasa. Krishnamacharya era nato proprio
nell’India meridionale. Si trattava forse dello stesso testo
descritto nella leggenda del Korunta?

Spiegai la mia teoria al Dr. Gharote, presidente del


Lonavla Institute, ed egli rispose: “E’ possibile dire che il
testo noto come “Korunta” sia in realtà il “Kapala
Kuaranta Hathabhyasa Paddhati”, perché fino ad ora non
abbiamo trovato altri testi che riportano il termine
“Kurantaka”. Quindi fino a prova contraria, dobbiamo
accettare che il “Korunta” sia di fatto il “Kapala Kuaranta
Hathabhyasa Paddhati”.

Sebbene queste affermazioni non fossero conclusive,


erano certamente incoraggianti e aperte all’esistenza del
Korunta, sebbene con un titolo diverso e composto da un
altro autore.

Riuscii ad ottenere una lista dei nomi in sanscrito di tutti


gli asana contenuti nel Kapala Kuarantaka, e utilizzando
l'”Enciclopedia degli Asana Tradizionali” del Lonavla
Institute (2006) insieme al manuale di David Swenson,
individuai oltre 51 asana molto simili se non identiche alle
posture della prima e della seconda serie dell’Ashtanga
Vinyasa. Forse ne esistono molte altre ma non sono in
grado di identificarle, perché la nomenclatura dell’India
meridionale di oggi è molto diversa. In più, ho trovato
almeno due asana che appartengono alla 3a e alla 4a
serie dell’Ashtanga Vinyasa. Molto significativa è anche
l’identificazione dell’86esimo asana della lista:

Dehallyunllaghen – “Mantenere le mani sul pavimento


e saltare avanti e indietro attraverso le braccia” (KKH
– 86)

La pratica di far passare le gambe attraverso le braccia è


una componente importante dell’Ashtanga Vinyasa, è la
tecnica che collega gli asana tra loro. E’ simile alla pratica
di Tolasana, in cui si sollevano le gambe, nota anche
come Pluthi. La pratica di far passare le gambe attraverso
le braccia con un salto è praticamente una caratteristica
unica dell’Ashtanga Vinyasa, ed è raramente presente in
altre tradizioni.

Il Dr Gharote ritiene che il Kapala Koruntaka sia quanto


meno precedente al 14esimo secolo. E’ un aspetto molto
significativo, perché sono pochissimi i testi così antichi
che enumerano così tanti asana. Il Lonavla Institute
intende pubblicare in futuro questo testo: tuttavia le
limitazioni sono molte, poiché al momento esiste una sola
copia del manoscritto: per pubblicare un’edizione critica
avrebbero bisogno di almeno 3 manoscritti per
paragonarli tra loro. Inoltre, il manoscritto di cui sono in
possesso non è completo. Alcuni asana sono descritti
nell’esecuzione, ma privi di nome.

Il Dr Gharote, tuttavia, è ottimista sulla possibilità di


recuperare altre copie di questo manoscritto, per poterlo
pubblicare in futuro. Speriamo che questo testo a lungo
cercato venga tradotto e pubblicato in inglese, per
consentire a tutti noi di studiarlo.

Conclusione

E’ ben più che probabile che l’Ashtanga Vinyasa derivi in


qualche modo dagli insegnamenti riportati nel testo
universalmente noto come Korunta. Sono convinto che
questo testo esista, e che sia conosciuto a studiosi
indiani sotto il nome di “Kapala Kurantaka”. Il testo è
firmato da Yogi Kuruntaka, ed è stato composto in era
antecedente al 14esimo secolo. Il suo nome completo è
“Kapala Kurantaka Yogabhyasasa Paddathi”.

Krishnamacharya era un forbito studioso di sanscrito, e


K.V. Iyer, nell’introduzione al suo Yoga Makaranda del
1934, cita la visita che Krishnamacharya e i suoi allievi
fecero al Lonavla Institute. E’ quindi altamente probabile
che egli conoscesse il Kapala Kurantaka.

Detto questo, penso che vi siano delle differenze di


esecuzione tra il Kapala Kurantaka e l’Ashtanga Vinyasa
conosciuto oggi, e completo di Vinyasa, Bandha, Drishti
etc. Le posizioni nell’antico testo non sembrano elencate
in un ordine particolare. Alcuni asana sono simili o
identici, ma sono presenti anche pratiche che hanno
poco in comune con quelle odierne. Ad esempio, nel
testo si parla di posizione eseguite appesi ad una corda
(ed è curioso notare che la parola Korunta può essere
tradotta in “marionetta”, quindi “appeso ad un filo”). Può
essere che in questo testo si trovi anche l’origine del
metodo di B.K.S. Iyengar, che si sviluppò con l’uso di
corde e altri attrezzi.

L’approccio agli asana attraverso il vinyasa di cui


Krishnamacharya scrisse nel 1934, e che insegnò ai suoi
studenti, fu sicuramente influenzato dal Kapala Kurantaka
e da altre tradizioni, pratiche e testi dei maestri di
Krishnamacharya, come Ramamohana. Non sappiamo se
Pattabhi Jois abbia visitato la biblioteca di Calcutta
insieme a Krishnamacharya, ed abbia letto il testo in
prima persona, ma è evidente che il metodo dei vinyasa
fu una parte integrante dei suoi insegnamenti, che in
seguito presero il nome di Ashtanga Vinyasa.

Devo ammettere che le mie conclusioni mi sorprendono.


Ero scettico sull’esistenza del Korunta, e pensavo fosse
una leggenda della comunità Ashtangi: devo ricredermi,
anche se non è davvero fondamentale che questo testo
esista, per dare ancora maggiore credibilità ad una
tradizione che si è dimostrata efficace sotto mille aspetti.
Tuttavia, spero che gli studi condotti finora possano
servire come spunto per l’approfondimento di una ricerca
che può portare benefici a tutta la comunità yogica.”

© James Russell 2015Per maggiori informazioni sul


Lonlava Institute:
www.lonavalayoga.org

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