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AGING PSYCHOLOGY

Psicologo dell’invecchiamento:
- segue gli anziani nei diversi stati di demenza
- segue gli studenti di ogni fascia d’età per informare i bambini, gli adolescenti e gli
adulti sull’importanza di questo processo.
- informa sulla prevenzione e sulle attività che ognuno di noi può fare fin da giovane.

INVECCHIAMENTO
→ è un processo che riguarda corpo e cervello.
E’ quindi fondamentale allenare sia il corpo che la mente per rallentare il processo di
invecchiamento.
Es: l’intelligenza fluida raggiunge il suo apice a 15 anni, poi man mano peggiora
Es: la memoria di lavoro ha il suo apice a 25 anni.

Premessa: concetto di FRAGILITA’


(Video: arte di essere fragili → la fragilità permette di scoprire meraviglia, percepire l’infinito,
stato che permette di sperimentare cosa c’è al di la)

La vulnerabilità è l'arma più potente.


La fragilità:
1) non può essere spiegata, perché non è una materia ma deve essere raccontato
come un lavoro
2) è la vera forza perché è una lente che ci fa vedere al di la. L’incontro con la fragilità ci
permette l'incontro tra noi stessi e gli altri.
3) non riguarda solo alcuni ma è un concetto collettivo, riguarda tutti e tutto (persone,
carattere, personalità ma anche la società stessa)

E’ necessario sapere queste caratteristiche per essere "preparati"



UN BUON PROFESSIONISTA DELLA CURA DEVE ESSERE FRAGILE → fa i conti con la
propria fragilità per capire la fragilità dell’altro.

FRAGILITA’ → DEBOLEZZA O FORZA?

FRAGILITA’: descritta come delicatezza + sensibilità + vulnerabilità = in questo modo si


supera il pensiero dicotomico del bene o male e si va a definire la fragilità come somma di
aspetti “positivi” e “negativi”.
IMP: la società ci dice di ESSERE FELICI (di ricercare la felicità), e ciò diventa un obiettivo
irrealizzabile e dunque l’uomo non si sente tale e diventa depresso.
La felicità la scoprì attraverso il dolore.

Qual è il senso di un discorso sulla fragilità?


La semplice e disarmante risposta è che la fragilità fa parte della vita, ne è una delle
strutture portanti, ne è una condizione normale.
Il lavoro con e per l'anziano ci porta ad affrontare il tema della fragilità, la loro e la nostra.

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Si perchè siamo tutti fragili.
→ Io sono fragile e paradossalmente sono chiamata a parlare della forza della fragilità.
La condizione degli anziani (soprattutto con forme di demenza) è una situazione di grande
fragilità interiore che la distrazione e la leggerezza altrui accrescono e aggravano.

La fragilità è un CONCETTO COMPLESSO e AMPIO:


Sono tante le fragilità che ci accompagnano, infatti ogni giorno noi affrontiamo piccole grandi
fragilità.
Dunque è un concetto presente e manifesto al di là dell'invecchiamento.
E dobbiamo essere coscienti che le nostre fragilità si manifestano, si palesano, ci
condizionano e si intersecano, soprattutto in contesti dove ci si prende cura della fragilità.

“Fragile” nel dizionario:


è descritto in vari modi, tutti negativi. Che si rompe facilmente. Poco robusto, poco
resistente; debole (un fragile riparo; una persona fragile; salute fragile). Passeggero,
inconsistente (una fragile speranza, Effimero).
Riferito a un ragionamento, a un pensiero, che ha scarso fondamento, che può essere
facilmente confutato. Bisogna rivolgersi a un Dizionario Analogico – come ci suggerisce
Borgna – per avere un’estensione del significato. E lì si apre un mondo di parole flessibili: i
significati sembrano meno rigidi, meno inchiodati a un destino.

Man mano la parola fragile si svincola dalla gabbia della negatività per diventare anche
qualcos’altro: delicato, vulnerabile, sensibile.
Siamo nella logica dell’apertura di significato: non una cosa o l’altra (il mono pensiero) ma,
invece, una cosa e l’altra (i pensieri diversi che abitano nella stessa persona).
Occuparsi di fragilità vuol dire anche questo, ovvero guardare il paziente non in senso
trasversale (quel paziente con quel problema in quel dato momento), bensì in senso
longitudinale (quel paziente con la propria storia di vita e di salute e malattia).

Come dice Andreoli, il materiale che meglio rappresenta la fragilità della condizione umana è
il vetro. Il rischio del vetro non è di rovinarsi o ammaccarsi, ma di frantumarsi, andare in
pezzi, schegge tanto minuscole quanto taglienti, in ogni caso, impossibili da riassemblare. In
fisica dei materiali, è fragile ciò che tende a rompersi bruscamente e senza preavviso: molto
spesso è l’effetto collaterale di un indurimento, di una diminuzione di plasticità.
Tanto più un materiale è capace di essere duttile, plastico, tanto meno è fragile.
Nei materiali è una caratteristica quella che per gli umani è una virtù: la resilienza.

Dal curare al prendersi cura… Cosa vuol dire prendersi cura?


PRIMO PASSO: prendersi cura delle proprie fragilità.

CURA: deriva dal latino coera (= presenza / attenzione / delicatezza), quindi la cura coincide
con la presenza

MITO DI CURA
“Mentre Cura stava attraversando un certo fiume, vide del fango argilloso.
Lo raccolse pensosa e cominciò a dargli forma.
Ora, mentre stava riflettendo su ciò che aveva fatto, si avvicinò Giove.

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Cura gli chiese di dare lo spirito di vita a ciò che aveva fatto e Giove acconsentì volentieri.
Ma quando Cura pretese di imporre il suo nome a ciò che aveva fatto, Giove glielo proibì e volle che
fosse imposto il proprio nome.
Mentre Cura e Giove disputavano sul nome, intervenne anche Terra, reclamando che a ciò che era
stato fatto fosse imposto il proprio nome, perché essa, la Terra, gli aveva dato il proprio corpo.
I disputanti elessero Saturno, il Tempo, a giudice, il quale comunicò ai contendenti la seguente
decisione: “Tu, Giove, che hai dato lo spirito, al momento della morte riceverai lo spirito; tu, Terra, che
hai dato il corpo, riceverai il corpo.
Ma poiché fu Cura che per prima diede forma a questo essere, finché esso vive, lo custodisca la cura.
Per quanto concerne la controversia sul nome, si chiami homo poiché è stato tratto da humus.
La Cura dunque precede sia lo spirito (Zeus), sia il corpo (Terra).
Ciò vuol dire che la Cura si trova all’origine di ogni esistenza umana.
Heidegger, all’interno del paragrafo di “Essere e Tempo”, offre una chiave di lettura filosofica del mito.
L’uomo, avverte il filosofo, non è uno che “ha” cura, ma “è” Cura.
L’essenza più autentica delle relazioni umane risiede “nell’aver cura” degli altri e nell’attenzione
amorevole da parte degli altri.
Nella Cura (e nella fragilità) ci riscopriamo Uomini, riscopriamo la civiltà e la solidarietà.”

SPIEGAZIONE: cura e uomo sono legati, i genitori si prendono cura dei figli e i figli si
prendono cura dei genitori.
Compito del mondo e dell’uomo: prendersi CURA

“Una delle qualità essenziali che deve avere un operatore è l'interesse per l’umanità, PER
L'UOMO, E NON PER LA SUA MALATTIA”

Dietro all’anziano c’è un uomo che vuole ancora ESSERCI

Quindi capendo che l'obiettivo del mondo è la cura è necessario parlare di civiltà

Prendersi cura dell'Altro, nel senso pieno della parola, vuol dire impegnarsi, interessarsi,
rivolgergli attenzioni e considerazioni e non solo impostare una strategia terapeutica.

Luigina Mortari (nel suo libro “Filosofia della cura”) afferma che si tratta di un concetto che
è alla base della stessa condizione umana.
Gli esseri umani sono incompleti, vulnerabili: per questo tutti noi abbiamo bisogno di
qualcuno che si prenda cura di noi.

CIVILTA’ → perchè la cura riguarda la civiltà?


Anni fa uno studente chiese all’antropologa Margaret Mead quale riteneva fosse il primo
segno di civiltà in una cultura.
Lo studente si aspettava che Mead parlasse di ami, pentole di terracotta o macine di pietra.
Ma non fu così.
Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore o costola
rotto/a e poi guarito.
Spiegò quindi questo: nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori.
Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne
per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale, in poche parole,
sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l’osso guarisca.

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Un femore rotto che è guarito è invece la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con
colui che è caduto.
Ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi.
Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia.
Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo!

Ben-essere coincide con ben-agire quindi è necessario che il professionista debba


ESSERCI, perché la cura è presenza.

L’invecchiamento è soggettivo, l’età di invecchiamento varia.


A livello biologico esistono delle età: ad esempio la memoria di lavoro a 25 anni.
La società dice che l’invecchiamento inizia verso i 65 anni (es. entrata gratis ai musei, ecc).

DEF. INVECCHIAMENTO
➔ “Processo biologico progressivo caratterizzato da cambiamenti che comportano per
l’organismo una diminuzione progressiva e continua della capacità di adattamento
all’ambiente e una riduzione delle riserve funzionali”.

➔ “Indica il complesso delle modificazioni cui l’individuo va incontro, nelle sue strutture
e nelle sue funzioni, in relazione al progredire dell’età” (Cesa Bianchi, 1987).

Ma esiste una vera definizione?


Nell’uomo definire l’invecchiamento è reso complicato da importanti differenze individuali
sulle modalità di invecchiare che rendono l’età anagrafica soltanto grossolanamente
indicativa.

Si devono chiamare in causa le altre “età”:

● ETA’ PSICOLOGICA
Si riferisce alle capacità di adattamento di una persona e dal comportamento che mette in
atto. E' collegata sia all’età cronologica che a quella biologica, ma non è pienamente
desumibile dalla loro combinazione.

● ETA’ SOCIALE
Si riferisce alle abitudini, ai ruoli sociali, alle aspettative del gruppo di appartenenza e della
società. E' collegata, ma non completamente definita, all’età cronologica, biologica e
psicologica.

● ETA’ BIOLOGICA
Secondo Cesa-Bianchi (1987), è strettamente collegata al concetto di “durata di vita”. Si
avvicina notevolmente all’età cronologica, ma non si identifica con essa.

Invecchiamento = malattia?
Esiste una relazione tra patologia ed età, nel senso che molte malattie prediligono
determinate fasce di età.

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Per quanto riguarda l’età senile è possibile riconoscere che alcune patologie si riscontrano
più frequentemente rispetto ad altre.
Gli antichi dicevano “senectus ipsa morbus”.
L’affermazione sosteneva che la vecchiaia comportasse di per sé la patologia; che questa
fosse un evento ineliminabile e irreversibile.
Le concezioni e i dati più recenti respingono questo modo di intendere il rapporto tra
patologia ed età.

FALSE CREDENZE:
1) Tutti gli esseri viventi in ogni tempo e in ogni luogo sono soggetti ad invecchiamento.
2) Il deteriorarsi progressivo col tempo è intrinseco alla natura di qualsiasi cosa o entità,
compresi gli esseri viventi

● “Il cervello perde moltissimi neuroni tutti i giorni” → è per questo che devo tenermi
allenato.

● “Il cervello non produce nuove cellule cerebrali” → esistono invece alcune zone che
si rigenerano (es. ippocampo)

● “Solo un giovane cervello è plastico” → non è così, anche in età anziana è plastico,
si riorganizza in base alle perdite fisiologiche.
La plasticità permane, solo è più lenta rispetto al cervello giovane e meno efficiente.

IL CONCETTO DI RISERVA
- riserva cerebrale
- riserva cognitiva: bagaglio che ci permette di attutire le perdite naturali e fisiologiche,
più è stata accumulata nel tempo e più il cervello è resiliente.

Molta di questa riserva cognitiva è influenzata da fattori che possono essere sviluppati nel
corso della vita.

Gli aspetti che influenzano la nostra riserva cognitiva sono:

➔ LIVELLO DI SCOLARITA’ (anni di scuola, studio, lettura di libri, cultura personale)

➔ LA SOCIALITA’ (le relazioni sociali sono piene di comunicazioni e presentano aspetti


emozionali, di relazione e interazione), (la solitudine e le “brutte relazioni" portano a
sintomi depressivi che influenzano negativamente il soggetto)

➔ STILE DI VITA (sano anche dal punto di vista dell’alimentazione)

➔ ATTIVITA’ FISICA

➔ LA MANCANZA DI ORGANIZZAZIONE: è importante organizzare il materiale da


ricordare

● “Il declino della memoria è inevitabile”


→ non sempre il problema è della memoria, ma dell’attenzione

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Demenza o attenzione?
Può succedere che alle volte la memoria faccia “brutti scherzi”, ma la problematica non va
solo ricondotta a problemi di demenza o di memoria nell’invecchiamento fisiologico
La memoria raggiunge il suo picco a 20 anni circa e ha una durata media di 20 minuti.
Se sono facilmente distraibile non apprendo.
Non c'è APPRENDIMENTO senza ATTENZIONE.

Cosa influenza il nostro apprendimento?


L’attività fisica, mentale, la dieta, le relazioni sociali, il modo in cui gestiamo lo stress e il
modo in cui vediamo noi stessi e il mondo che ci circonda, sono tutti fattori importanti.
Inoltre, ci sono molti fattori che influiscono negativamente sulle nostre prestazioni e su cui
possiamo agire, tra cui:
★ LO STRESS
★ LA DISTRAZIONE se non si presta attenzione non si memorizza
★ L’ANSIA in uno stato di ansia o emotività, si possono avere vuoti di memoria
★ LA MOTIVAZIONE: se non si è interessati si fatica a ricordare

● Invecchiamento = solo perdita


→ NO, non è così. E’ una fase della vita in cui si va incontro a delle perdite ma anche a delle
acquisizioni. Ad esempio acquisiamo l’intelligenza cristallizzata.

INTELLIGENZA FLUIDA:
- capacità di risolvere problemi, decresce in maniera graduale, diminuisce.
- la capacità di pensare logicamente e risolvere i problemi in situazioni nuove,
indipendentemente dalle conoscenze acquisite.
- raggiunge il suo massimo potenziale durante l’adolescenza.

INTELLIGENZA CRISTALLIZZATA:
capacità di sapere usare le conoscenze e le esperienze, cresce con l’età (Cattel)

Quando quella fluida diminuisce la cristallizzata aumenta.

TEORIE
● TEORIA DEL DISIMPEGNO

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- DISIMPEGNO FISICO → causato da una riduzione e da un rallentamento delle varie
attività fisiche allo scopo di mantenere intatte le ultime energie;
- DISIMPEGNO PSICOLOGICO → caratterizzato da chiusura e una concentrazione su se
stessi
- DISIMPEGNO SOCIALE → caratterizzato dall’allontanamento dalle attività e dagli impegni
sociali.
Tuttavia, tale teoria non può essere ricondotta all’epoca attuale, in quanto l’anziano ora può
riconoscere ruoli sociali

● TEORIA DELL’ATTIVITA’ (Havighurst)


- trova delle attività da fare
ES: università per la terza età hanno lo scopo di far invecchiare in maniera attiva il soggetto.
- si parla di invecchiamento attivo.
- attività: corsi che stimolano il cervello negli over 50, insegnano degli esercizi, delle
strategie di memorizzazione adeguate all’età (che permettono all’anziano di non essere
spaventato da questo periodo della sua vita).

● TEORIA DEL SUCCESSFUL AGING (Baltes e Baltes, 1991)


si realizza con le indicazioni strategiche di:
- selettività
- ottimizzazione → MODELLO S O C
- compensazione

STEP:
1. Seleziono le attività che mi vengono meglio, quello che preferisco e che mi fa sentire
efficiente.
2. Dopo averli selezionati, li ottimizzo.
3. Ricreo un’armonia tra le cose che mi escono meglio e quelle peggio, per riuscire a
compensare le mie difficoltà.

120 ANNI: è la massima durata della vita di cui si abbia una conoscenza certa

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INVECCHIAMENTO ATTIVO
DEF DELL’OMS DEL 2002: “processo di ottimizzazione delle opportunità di salute,
partecipazione e sicurezza per migliorare la qualità della vita delle persone che
invecchiano".

Le politiche per l’invecchiamento attivo in Italia sono essenzialmente:


- la transizione graduale al pensionamento. Tuttavia solo il 3.5% dei lavoratori tra i
55 anni e i 69 anni ha utilizzato tale opzione.
- il prolungamento dell’attività lavorativa

ASPETTATIVA DI VITA Popolazione anziana in Popolazione anziana in


Italia (ultra65enni) Italia (ultra 80enni)

- Impero Romano → 28 anni - 1960 → 4.828.000 - 1960 → 724.000

- 1900 → 49 anni - 2000 → 10.646.000 - 2000 → 2.476.000

- 2000 → 78 anni - 2030 → 15.979.000 - 2030 → 2.890.000

- 2020 → 83 anni - 2050 → 17.973.000 - 2050 → 4.180.000

3 TIPI DI INVECCHIAMENTO
Birren e Schoorts distinguono l’invecchiamento in invecchiamento:
1. primario: fisiologico, senza malattie che ti portano alla morte (es: no tumore)
2. secondario: subentra una malattia che ti può portare alla morte, è un invecchiamento
patologico
3. terziario: ultime fasi della vita, prima della morte a causa di una malattia. Questo
stadio può durare mesi o anni. I mesi finali vengono chiamati terminal drop.

ESISTE UNA VERA DEFINIZIONE?


Nell’uomo definire l'invecchiamento è reso complicato da importanti differenze individuali
sulle modalità di invecchiare che rendono l’età anagrafica grossolanamente indicativa.

Dal punto di vista soggettivo la vecchiaia può anche essere negata.


Tuttavia non si tratta di una negazione in senso assoluto, tant’è vero che le persone che non
si sentono vecchie non hanno difficoltà a riconoscere vecchie altre persone della loro stessa
età o addirittura più giovani.

La vecchiaia può essere negata:


- dal giovane
- dall’anziano stesso che dice “ io non sono vecchio”. L’anziano riconosce l’altro come
vecchio e non lui stesso.
- Anziano che dice “chi è quel vecchio che mi guarda allo specchio", il cambiamento è
avvenuto in maniera troppo rapida e il soggetto non essendo consapevole rimane
spiazzato dalla sua immagine (es: crisi di mezza età)

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È attorno ai primi anni ’70 che, in Italia, gli anziani e la loro condizione cominciano ad essere
oggetto di attenzione e di riflessione.
I “vecchi” diventano visibili e la loro dimensione quantitativa pone il problema in tutta la sua
“ampiezza”.
Questo porta alcuni studiosi a riflettere sugli anziani e la loro condizione, avviando ricerche
attente e mirate.
In Italia grazie al contributo di Agostino Gemelli e Martello Cesa-Bianchi (1952-1987).

COSA INFLUENZA L’INVECCHIAMENTO


Esistono numerosi elementi in grado di condizionare l’invecchiamento “fisiologico”:
- non uso o cattivo uso di una funzione durante la crescita o durante l’età adulta (es. scarsa
o eccessiva attività fisica)
- fattori di rischio (dieta ipercalorica, fumo, alcool, stress)
- malattie fisiche o psichiche intercorrenti (fattori che accelerano l’invecchiamento).

➢ Fattore genetico
Definisce il ritmo, le fasi, la durata del processo di invecchiamento;

➢ Fattore educativo-culturale
influenza significativamente il processo di senescenza.
Un buon livello educativo e un’adeguata situazione culturale sembrano agire positivamente
sull’invecchiamento, mentre una situazione opposta è, spesso, chiamata in causa quale
condizione favorente un rapido decadimento delle funzioni della persona.

➢ Fattore economico
Molte ricerche, fra le quali quelle di J. Birren, documentano una vera e propria dicotomia nel
modo di svolgersi dell’invecchiamento fra gli appartenenti alle classi socio-economiche più
fortunate e quelli appartenenti alle classi più svantaggiate, per questi ultimi la senescenza si
attua molto più frequentemente con modalità esclusivamente negative.

➢ Fattore sanitario
Opera in stretta interdipendenza con il fattore economico.
L’insorgenza di patologie, specie se di carattere cronico e progressivo, influenzano
negativamente il processo di invecchiamento fino a farlo precipitare.
Tale influenza negativa diventa più incisiva se si realizza in un quadro di inadeguate risorse
economiche.

➢ Fattore personalità
Bisogna prendere atto della diversità che la senescenza assume negli individui chiusi e in
quelli aperti, negli attivi e nei disimpegnati, nei tenaci e nei labili e così via.
A differenti tipologie caratteriologiche corrispondono diverse modalità di invecchiare.
In ogni caso la personalità è in stretta connessione con l’ambiente, e le modalità adattative
della persona dipendono da questa interdipendenza.

➢ Fattore famiglia
L’invecchiamento varia notevolmente se un individuo vive solo, in coppia, o in un gruppo più
numeroso.

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➢ Fattore ambiente
Ormai è un dato di fatto che l’invecchiamento è espressione di un’interazione fra l’individuo e
il suo ambiente, interazione nella quale l’individuo modifica continuamente l’ambiente e
l’ambiente modifica continuamente l’individuo.

IL VISSUTO DELL'AVANZARE DELL’ETA’


L’anziano si sente più esposto alla malattia e quindi è meno sicuro di sé e delle proprie
capacità di assolvere ai ruoli sociali e familiari.
Gli anziani temono meno la morte rispetto alla malattia, perché la prima porrebbe fine alle
sofferenze, mentre la seconda le aumenterebbe.
Essere malato significa per l’anziano essere di peso alla propria famiglia.
Con l’invecchiamento l’uomo si trova ad affrontare una serie di “PERDITE”, che incidono
notevolmente sul benessere psicologico:

1. A livello biologico vi è un invecchiamento esteriore, una diminuzione della forza


fisica e della funzione degli organi di senso con ripercussioni anche sul vissuto della
sessualità.

2. A livello mentale subiscono importanti modificazioni alcuni aspetti rilevanti


dell’intelligenza e della memoria.

3. A livello sociale l’invecchiamento spesso coincide con la perdita di un ruolo sociale,


l’anziano affronta i primi lutti dei suoi coetanei e questo lo fa riflettere.

4. A livello familiare si verifica la perdita del ruolo di capofamiglia, del ruolo di coniuge
in caso di vedovanza, del ruolo genitoriale in quanto i figli sono ormai usciti di casa
ed hanno una loro vita autonoma.

LA RELAZIONE CON I NIPOTI


I legami diventano ancora più importanti e per questo si fanno essenziali, veri, senza finzioni
e senza maschere.
La vecchiaia è l’età dei legami puri. L’anziano, oltre ai figli, ha anche i nipoti. E’ questo, uno
strano rapporto, poiché i piccoli rappresentano l’unica realtà sulla quale si crede ancora di
poter incidere. Di fatto, quello di nonno è il titolo a cui l’anziano tiene di più. Sente che il
ruolo di nonno è l’ultimo dovere che ha, l’ultimo ruolo.

“Non occorre alcuna abilità per invecchiare, ma occorre abilità per saperla affrontare”
Johann Wolfgang Goethe

COSA SUCCEDE NEL CERVELLO A LIVELLO ANATOMICO?


- riduzione dei dendriti e delle sinapsi (neuroni)

- riduzione della plasticità neuronale (la plasticità continua ad esserci solo che è
ridotta, quindi vi è ancora l’efficienza)

- riduzione del numero e della funzionalità dei recettori

- ridotta sintesi neurotrasmettitori

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- aumento sclerosi cerebrale (nel cervello vi è accumulo di sostanze come grassi o
proteine, più se ne accumulano più il cervello ne risente)

- ridotto flusso sanguigno

MANIFESTAZIONI
- Riduzione delle abilità visuo-prassiche con conseguente difficoltà di coordinamento
tra la visione e l'esecuzione dei movimenti.
Dal punto di vista pratico, queste variazioni, associate ad una riduzione dei tempi di
reazione, compromettono alcune attività motorie tra cui la guida dell’automobile;

- Invece le memorie episodica e semantica non presentano riduzioni significative.

- Non vi sono evidenti alterazioni del linguaggio.

L’IMMAGINAZIONE
La creatività è la capacità di inventare.
E’ il vedere ciò che non c'è.
L’anziano ha una grande potenzialità creativa, perché, distaccandosi progressivamente dal
mondo del concreto, si trova a poter creare ciò che non c’è.

I DESIDERI
Se il cuore è il motore del nostro corpo, i desideri lo sono per la nostra mente.
Si è soliti pensare che i desideri appartengono ai giovani, agli uomini impegnati, alle fasi
dell’esistenza per le quali il futuro è la grande risorsa, il tempo che verrà.
In realtà gli anziani hanno altrettanto bisogno di desiderare di quanto ne avevano in passato,
perché i desideri danno uno scopo alla vita.
E’ certo che il loro contenuto cambia con l’età; i desideri dei vecchi sono piccoli, e non
necessariamente si legano al fare, ma al sogno che venga qualcuno a trovarti e che ti
abbracci.
Che un lontano amico di passaggio si fermi e ti porti con la memoria di un tempo passato e
amato.

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LE FUNZIONI COGNITIVE
(parte dell’invecchiamento fisiologico)

1. MEMORIA
DEF: capacità degli esseri viventi di ricordare ciò che si è appreso
Se si guarda oltre l'aspetto teorico, si scopre che la memoria è molto più che un magazzino
e quindi può essere anche paragonata, in maniera metaforica, ad una CASA.
Quando la memoria si perde l’anziano ha una sola certezza, la casa; è il luogo dove la storia dell’anziano si è
strutturata

Il MODELLO di Atkinson e Shiffrin nel 1968


★ SENSORIALE, legata ai sensi (uditiva, visiva, olfattiva, tattile…)
★ A BREVE TERMINE, nella quale si fissano le cose, ma per breve tempo, se queste
poi non vanno nella memoria a lungo termine, le perdiamo
★ A LUNGO TERMINE, lo studio, la memoria autobiografica…

PROCESSO DI MEMORIZZAZIONE
1. Da uno stimolo esterno parte la PERCEZIONE → una cosa prima di memorizzarla
dobbiamo coglierla dal punto di vista percettivo
2. I dati vengono registrati dai SENSI
3. Avviene la CODIFICAZIONE dei dati → le info vengono immagazzinate
4. C’è l’APPRENDIMENTO → capire cosa si sta elaborando
5. I dati vengono riposti nella MEMORIA A BREVE TERMINE
6. Ma per durare nel tempo devono poi essere messi nella MEMORIA A LUNGO
TERMINE.

Nell’invecchiamento fisiologico → questo processo funziona ma il problema è nel recupero


delle info → si manifesta dopo i 50 anni. E’ un processo normale perchè il cervello si rallenta
(Es: sai di avere accanto i tuoi nipoti ma non riesci a recuperare subito il nome singolo degli stessi)

Nell’invecchiamento patologico → il problema è nella codifica dei dati → di conseguenza


mancano tutti gli step successivi (si assiste ad un deterioramento del pensiero, del
linguaggio, ecc…). Non viene immagazzinata nessuna informazione.
(Es: il nome del nipote non viene recuperato perché si è completamente perso)

COSA SI RICORDA PIU’ FACILMENTE COSA SI DIMENTICA PIU’ FACILMENTE

Ciò che è piacevole → se un’esperienza è bella Ciò che non ci interessa


viene depositata più facilmente nel cervello

Ciò che è spiacevole → se un'esperienza è Quello a cui non poniamo “attenzione” →


brutta viene depositata nel cervello in maniera più non c’è memoria senza attenzione.
facile perchè ha un impatto emotivo su di noi.

Quello che facciamo più spesso → se Con l’avanzare dell’età c’è una difficoltà
un'esperienza avviene fatta tante volte il processo attentiva (20 minuti → che si riduce verso i
diventa automatico, viene utilizzata la memoria
50 anni)
procedurale (es. andare in bicicletta)

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SUDDIVISIONE DELLA MEMORIA

1. MEMORIA SENSORIALE
Durante questa prima fase di memorizzazione le informazioni sensoriali provenienti
dall’ambiente esterno vengono trattenute per pochissimi istanti:
- poco più di mezzo secondo per quanto riguarda le informazioni visive,
- 3 o 4 secondi per quelle sonore.
La creazione di un ricordo inizia quindi sempre con la sua percezione: può trattarsi di un’info
visiva, di un suono o di una sensazione tattile.
Il ricordo dell'olfatto e del gusto sono i due più evidenti ignorati dalla memoria sensoriale.

2. MEMORIA A BREVE TERMINE


può contenere solo poche informazioni alla volta.
Presenta alcune caratteristiche:
- BREVE DURATA (max 30 secondi),
- CAPACITA’ LIMITATA (George Miller parlò di capacità come “memory span”, da 5 a
9).

In base al tipo di materiale immagazzinato si distinguono:


● MBT verbale
● MBT visuo spaziale: mantiene e manipola immagini visive
● MEMORIA DI LAVORO: (vi è un elaborazione)
Indica un sistema cognitivo che permette il mantenimento temporaneo e la
successiva elaborazione di informazioni nel cervello, una sorta di coscienza
momentanea (le informazioni che una persona sta elaborando in quel momento).
Raggiunge il suo apice a 25 anni.

→ La memoria a breve termine mantiene poche informazioni, verbali o spaziali per un tempo
breve
→ La memoria di lavoro mantiene le informazioni verbali o spaziali, al fine di poterle
utilizzare per l’esecuzione di compiti (quando per esempio si ascolta una lezione).
Tale concetto, connesso alla memoria a breve termine, è stato introdotto da Baddeley e
Hitch.
La memoria a breve termine subisce lievi cambiamenti, al contrario, processi di elaborazione
più complessi riscontrano significative differenze dovute all’età.

3. MEMORIA A LUNGO TERMINE


Una volta che abbiamo deciso cosa ricordare, si manda nella memoria a lungo
termine, composta da più tipologie di memoria:

➔ PROCEDURALE O IMPLICITA
Si manifesta in modo automatico, senza necessità di un laborioso richiamo (camminare,
ballare, andare in bici, sciare..)

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➔ DICHIARATIVA O ESPLICITA
Necessita di uno sforzo attentivo per essere evocata → perchè devi andare a ricordare
quella determinata informazione che ti è stata chiesta. E’ una memoria che decade
avanzando con l’età.

● SEMANTICA
Conoscenza delle parole, dei concetti e dei significati, delle informazioni sul mondo e
delle nostre conoscenze. La memoria del sapere.
Sede della nostra cultura e rimane stabile nell’invecchiamento fisiologico.

● EPISODICA
Conoscenza di fatti o eventi specifici cui si è partecipato (consente di rispondere a
domande del tipo: "qual è l'ultimo film che hai visto al cinema?” “Cosa hai fatto ieri
sera”?).
Ci vuole del tempo per recuperare l’informazione in quanto sono ricordi
immagazzinati che non sono così importanti. Contiene semplici episodi.

MEMORIA AUTOBIOGRAFICA
(fa sempre parte della m. a lungo termine)
Magazzino dove abbiamo raccolto tutte le informazioni che riguardano la STORIA, VITA
PERSONALE, è collegata alla tua IDENTITA’.
Non contiene dei semplici episodi ma contiene chi sei tu come persona.
La memoria autobiografica non e’ concettualizzabile come un sistema di memoria isolato,
bensì come un’integrazione tra la memoria episodica e la memoria semantica.
I ricordi della memoria autobiografica si riferiscono non ad eventi comuni (ES: “ieri sono
andato al cinema”) ma esperienze di vita specifiche, rilevanti e fondamentali nella
costruzione della rappresentazione di se’ stessi, degli altri e del mondo.

Sembra che i problemi di oblio siano dovuti principalmente non tanto ad un decadimento o
ad una cancellazione della traccia mnestica, quanto al mancato accesso delle informazioni,
quindi a difficoltà di recupero.
Infatti: i test mnemonici di riconoscimento sono più facili dei test mnemonici di richiamo.

- Nell’invecchiamento fisiologico → è molto stabile e ricca di emozioni belle che il


soggetto racconta e rivive (es: il nonno che racconta gli anni in cui era giovane, il suo
lavoro, la guerra ecc..).

- Nell’invecchiamento patologico → c’è ma inizia a perdere dei pezzi. La storia della


tua vita non è più coerente e lineare, ma qualcosa rimane stabile. Alcuni ricordi stabili
(es: l’infanzia del soggetto) sono fondamentali per riuscire ad entrare in relazione con
il paziente.

IL RECUPERO O RICORDO
Può avvenire in modo VOLONTARIO o INVOLONTARIO.
- VOLONTARIO, come nelle interrogazioni cerco di recuperare ciò che so.
- INVOLONTARIO, quando i ricordi riaffiorano per associazione di idee.

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Perché si ricordano meglio i ricordi del passato?
Si è riscontrato che gli anziani ricordano con maggior vigore episodi del passato, soprattutto
in età adolescenziale, piuttosto che episodi recenti.
- reminiscence bamp
- leopardismo

1. Il ricordare con più facilità episodi accaduti quando avevano tra i 10 e i 30 anni, viene
definito reminiscence bump → reminiscenza
Tale aspetto è condizionato dalla buona capacità di memorizzazione che si aveva quando
era avvenuto l’evento, in un momento, quindi, in cui il sistema cognitivo era al massimo della
sua efficienza.

La variabile significativa che stimola i ricordi è il fatto che fino all’età adulta la vita è
caratterizzata da eventi importanti e positivi in termini di sviluppo sociale, relazionale e
lavorativo, stimolando la memorizzazione di determinati ricordi.

2. Inoltre la propensione a tenere vivi i propri ricordi è influenzata da una particolare


caratteristica dell’individuo, chiamata leopardismo (per ricordare l’amore che il poeta
Leopardi aveva per il ritorno al passato) o sensibilità alla memoria.

Negli anziani la memoria autobiografica non viene intaccata


- perché i ricordi principali vanno dall’infanzia ai circa 30 anni, la memoria è unita alle
emozioni
- perchè dopo i 30 anni inizia l'invecchiamento fisiologico

MEMORIA PROCEDURALE
La memoria procedurale non è solo andare in bicicletta, camminare ecc ma è qualcosa di
più.
Per iniziare una relazione di aiuto si può parlare con l’anziano del suo lavoro → visto come
processo automatico che gli fa ricordare esperienze passate che possono riattivare delle
emozioni in lui.
(ES: signora che faceva maglie, gli dai un gomitolo di lana, le dai la possibilità di ricordare, di
provare delle SENSAZIONI / EMOZIONI fino ad arrivare alla MEMORIA).
→ non richiede un accesso consapevole da parte dell’individuo alle informazioni;
→ rimane indenne con l’avanzare dell’età, anche se in presenza di patologie cognitive
degenerative.

MEMORIA PROSPETTICA
“Il ricordare di ricordarsi:” quindi è necessario uno sforzo lungo
(Es: devo ricordarmi che devo andare dal dottore)
Decade nell’invecchiamento fisiologico.
La memoria prospettica permette di “programmare le azioni future e di rievocarle nel
momento in cui devono essere compiute.”

Essa si divide in:


➢ memoria prospettica basata sul tempo ("devo prendere una medicina alle ore
20.00");
➢ memoria basata sugli eventi ("quando suona la sveglia devo prendere la medicina").

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Il ricordarsi di compiere un’azione comporta un piano complesso che Brandimonte (1991) ha
distinto in FASI:
- formazione delle intenzioni → progettare (Es: decido che devo prendere appuntamento dal
dottore)
- ricordare che cosa fare → ricordare chi chiamare e dove andare (Es. dottore)
- ricordare quando farlo → ricordare quando andare
- ricordarsi di compiere l’azione nel modo stabilito → ricordarmi di andare dal dottore
- ricordarsi di avere compiuto l’azione per non ripeterla → devo ricordarmi di essere già
andata dal dottore.

E' un tipo di memoria che risente dell'avanzare dell'età.


Con l’avanzare dell’età diminuiscono anche risorse importanti come la velocità di
elaborazione e la capacità di inibizione:

❖ Velocità di elaborazione: è generalmente testata con prove in cui viene chiesto di


dare una risposta il più velocemente possibile o di dare il maggior numero di risposte
entro un determinato limite di tempo.
L’allungamento dei tempi di reazione è dovuto alla difficoltà di decisione rapida.

❖ Inibizione: la prestazione cognitiva degli anziani sarebbe influenzata da una


maggiore difficoltà a selezionare le rappresentazioni appropriate per i fini dell’attività
da svolgere e a inibire le rappresentazioni percettive, mnestiche e le risposte non
pertinenti all’attività.
Birren sostiene che con l’aumentare dell’età si sviluppa e cresce sempre di più un
deficit inibitorio, tale per cui risulta maggiormente difficile ignorare le informazioni non
pertinenti.

2. ATTENZIONE
DEF: funzione che permette di indirizzare la maggior parte dell'energia che ci permette di
elaborare l'informazione verso un solo stimolo.
In questo modo si evita di disperdere energia per analizzare materiale non rilevante, e si
migliora l'elaborazione del materiale di interesse.
Sappiamo bene tutti, per esperienza personale, che non è sempre facile mantenere a lungo
l’attenzione su qualcosa; che ciò diventa tanto più difficile quanto più numerosi sono gli
stimoli, ma anche quando gli stimoli sono poco attraenti e interessanti.

L’attenzione su uno stimolo ha comunque sempre una durata limitata (circa 20 minuti) e,
man mano che si invecchia, questo tempo di concentrazione si abbrevia fisiologicamente e
diventa sempre più difficile filtrare gli stimoli quindi si diventa più “distraibili”

L'attenzione può essere:


● selettiva: sapersi concentrare su caratteristiche che catturano la nostra attenzione,
non badando a stimoli che ci distrarrebbero fortemente ("distrattori forti"); capacità di
ignorare informazioni non rilevanti.
● divisa: prestare attenzione a più compiti contemporaneamente;
● sostenuta: attenzione protratta nel tempo;
● spaziale: capacità di orientare la nostra attenzione nello spazio

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Con l’invecchiamento sorgono problemi nell’attenzione, in particolare:
• L’attenzione divisa è meno efficiente (Craik, 1977)
• Nell’attenzione sostenuta è presente una maggiore distraibilità (Parasuraman, 1998)
• Gli anziani hanno difficoltà maggiori rispetto ai giovani, tanto più il compito richiede loro
controllo e/o velocità.

3. LINGUAGGIO
DEF: sistema di comunicazione che permette di trasmettere informazioni da una persona
all’altra ed è una delle funzioni cognitive più complesse in cui l’attenzione, la memoria e
l’integrità dei recettori uditivi giocano un ruolo importante al punto che le abilità linguistiche
possono essere considerate dei buoni indicatori dello stato generale dell’invecchiamento
cognitivo dell’anziano.

- comprensione del linguaggio:


Il processo dell’invecchiamento comporta un declino lento rispetto alla comprensione del
linguaggio parlato (anche a causa delle ridotte capacità attentive).
Tuttavia è emerso che sia le persone anziane che hanno problemi di udito, sia gli anziani
senza tale deficit, utilizzano le informazioni di contesto al fine di comprendere al meglio il
discorso.
La ricerca di Wingfield ha dimostrato infatti l'importanza del contesto nella comprensione.
Ovvero presentando una lista di parole casuali e quindi senza un supporto del contesto, si
ha un effetto negativo sulla performance degli anziani, dovuta alla lentezza dell’elaborazione
delle parole e, pertanto, della comprensione di esse.
Il contesto aiuta ad elaborare più velocemente e in modo automatico.

- produzione del linguaggio:


Con l’avanzare dell’età si possono riscontrare difficoltà a recuperare i nomi (anomia),
parafrasie, fenomeni sulla punta della lingua;
Rimangono invece preservate le competenze narrative (il narrare un evento passato).

4. EMOZIONI
Paradosso dell’invecchiamento.
Nonostante all’aumentare dell’età ci siano dei cambiamenti a livello fisico e cognitivo,
l’elaborazione degli aspetti emotivi rimane efficiente o può addirittura migliorare.
All’aumentare dell’età, infatti, le emozioni vengono regolate in maniera più efficiente.
La maggior consapevolezza che il tempo che resta è limitato, motiverebbe l’anziano a dare
priorità alla ricerca di significati emotivi positivi agli avvenimenti, a rielaborare vicende
negative del passato in chiave positiva rispetto ai giovani, a prediligere ricordi positivi ai fini
del loro benessere. Evitano così inutili conflitti.
Nell’invecchiamento patologico → le emozioni esplodono (sta allo psicologo far esplodere
quelle buone).

“Diventando più emotivi e meno cognitivi, noi ricorderemo il modo in cui ci parlate, non quello che ci
dite. Conosciamo i sentimenti ma non la trama. Il vostro sorriso, la vostra risata, il vostro tocco sono le
cose con cui noi possiamo entrare in relazione. L’empatia è la cura. Amateci per come siamo. Siamo
ancora qui, con le nostre emozioni e con il nostro spirito, se solo riuscirete a trovarci.”

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INVECCHIAMENTO PATOLOGICO
Si attraversano le stesse fasi del lutto.
La prima fase che riguarda i familiari del malato è la NEGAZIONE.
E’ possibile accettare la malattia di chi amiamo? → nel primo momento no, poi grazie a delle
fasi di accompagnamento si inizia ad accettarlo.
La malattia è fragilità per chi la vive e per chi ama.
La STIMOLAZIONE rallenta la demenza.

QUANDO UN FAMILIARE INCONTRA LA DEMENZA


Il percorso e i meccanismi difensivi che vengono messi in atto sono molto simili a quelli
attuati dopo un lutto.
Una diagnosi di demenza scatena le stesse dinamiche e fasi (durata di circa 10 anni con
continuo peggioramento della malattia)

FASI
1° fase: NEGAZIONE (i familiari non vogliono credere che sia malato)

2° fase: ANSIA E IPER-COINVOLGIMENTO (sono talmente coinvolti che vanno in


burn-out)

3° fase: RABBIA (ci si arrabbia del fatto che, pur limitando ai soggetti con demenza
le attività da fare, la malattia non regredisce → è fondamentale fare corsi di
informazione per i familiari affinchè essi siano preparati al decorso della patologia)

4° fase: SENSO DI COLPA (non si sentono abbastanza utili o bravi nei confronti del
malato)

5° fase: ACCETTAZIONE (è molto difficile arrivare a questa fase)

Una scelta difficile per i familiari è l’ISTITUZIONALIZZAZIONE, che genera sensi di colpa.
L’incontro con la demenza crea un lutto FAMILIARE e per L’ANZIANO
La malattia cancella ricordi, ma non la relazione.

LA DEMENZA E LA CURA
La demenza è una malattia che coinvolge e sconvolge tutta la famiglia.
Il caregiving è un'attività difficile e destabilizzante.
I familiari sono le “vittime nascoste” della demenza.
Assistere una persona affetta da demenza significa affrontare i suoi cambiamenti.

IL LUTTO
Frase detta dai familiari: “Non è più lui/lei”
Questo lutto di tutti i caregiver si chiama → LUTTO PARADOSSALE perché l’anziano è
fisicamente presente ma cognitivamente assente.

La demenza causa una serie di perdite → in questo senso si parla di lutto.


E’ come se l’anziano dovesse fare i conti con un lento lutto di sè.
“si deve cominciare a perdere la memoria, anche solo brandelli di ricorsi, per capire che in
essa consiste la nostra vita”
(Oliver Sacks)

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Un lutto reciproco che interessa l’anziano e la sua famiglia. Vivere con la demenza
significa affrontare un cammino fatto di perdite.

ETIMOLOGIA LUTTO → dal latino lugere → cioè PIANGERE

William Utermohlen
(1967-2007), pittore, prese la decisione di documentare l'evoluzione della sua malattia con degli
autoritratti. Un’azione che lo stesso pittore ha voluto intraprendere per capire meglio la sua malattia.
Man mano che il Morbo di Alzheimer progrediva, William perdeva qualcosa e lo documentava, forse
inconsapevolmente, attraversi i suoi autoritratti.
Osservandoli è facile intuire una sorta di disgregazione mentale ed emotiva, una progressiva perdita
della cognizione di sé. Ed è proprio questo che William ha voluto documentare, la perdita di se
stesso. Gli autoritratti coprono cinque anni, fino al 2000.
Da quel momento in poi, la sua malattia ha preso il controllo e dipingere è diventato impossibile.
William è deceduto pochi anni dopo, nel 2007, lasciando in eredità i suoi autoritratti, definiti come la
riproduzione artistica della malattia di Alzheimer.

Eugenio Borgna
Dice sull’Alzheimer…
“Ci sono alcune cose che dovremmo ricordarci di fare quando la vita ci porta anche solo per un attimo
dinanzi ad una persona con demenza: guardarla negli occhi con tenerezza, tenerla vicina, darle la
mano, sorriderle, sondare...ma non la memoria cronologica, la memoria dei fatti, dei nomi e dei
numeri, che angoscia e lacera il cuore, ma la memoria vissuta, la memoria involontaria, la memoria
emozionale, dalla quale rinascono i ricordi, le schegge dei ricordi, che hanno dato un senso alla vita,
alla propria vita e a quella degli altri...”

Maurice Ravel
Pianista e compositore francese, autore del famosissimo "Boléro", sviluppò una forma di demenza
precoce. I primi sintomi comparvero a 52 anni e colpirono principalmente il linguaggio ma Maurice
continuò ancora per anni a comporre e suonare. Le ultime opere risalgono al 1933, 6 anni dopo
l'esordio dell'afasia. Di lui scrisse l'amico Igor Stravinsky "I suoi ultimi anni furono crudeli, perché
stava gradualmente perdendo la memoria e alcune delle sue capacità di coordinamento e ne era del
tutto consapevole."

IL PAZIENTE HM (asportazione lobo temporale)


Grazie a lui è cambiata la storia della neuropsicologia moderna. Ma non ha mai potuto
ricordarlo.

Henry Molaison è stato uno dei più famosi pazienti amnesici nella storia delle neuroscienze. Nato nel
1926 a Brooklyn e morto nel 2008. Il signor Molaison era affetto da una grave forma di epilessia, forse
a causa di una caduta da bicicletta risalente alla sua infanzia. Nel 1953 fu preso in cura dal dottor
William Scoville, il quale riuscì a localizzare l’origine dei suoi attacchi epilettici nel lobo temporale
mediale. Il dottore decise di operare Molaison, asportando 8 centimetri di entrambi i lobi temporali
mediali, compresi i due terzi anteriori dell’ippocampo, le cortecce entorinale e peririnale e l’amigdala.

L’intervento ebbe un esito positivo, per quanto concerne l’epilessia. Gli attacchi epilettici si ridussero
notevolmente. Purtroppo, fu subito chiaro che H.M. non sarebbe stato più lo stesso. H. M. risultò
affetto da una grave forma di amnesia. Non riusciva a riconoscere i dottori e gli infermieri che aveva
conosciuto pochi minuti prima, non riusciva a ricordare ciò che aveva mangiato nel momento stesso
in cui aveva finito di mangiare. Qualsiasi cosa facesse veniva cancellata dalla sua memoria nel
momento esatto in cui era stata compiuta. La memoria dichiarativa riferita al passato era tuttavia
intatta. Ricordava la sua infanzia, la sua adolescenza.

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Molaison era quindi affetto da una grave amnesia anterograda: era capace di ricordare tutto il suo
passato, ma non riusciva a ricordare ciò che era successo dopo l’intervento. H.M. era incapace di
ricordare le vicende della vita di ogni giorno, i gesti appena compiuti, le parole appena pronunciate, i
discorsi appena ascoltati.

Sembrava che i medici, insieme al tessuto cerebrale, avessero rimosso la sua capacità di formare
nuovi ricordi (memoria anterograda, relativa alle informazioni acquisite dopo l’insorgenza del
disturbo). Il deficit di memoria ha naturalmente inciso moltissimo sulla vita di H.M., condizionandola in
molti aspetti. Ad esempio, poco tempo dopo l’intervento, la sua famiglia traslocò, ma egli non fu mai in
grado di trovare da solo la strada di casa, né ricordava il nuovo indirizzo, continuando a fornire quello
precedente. Non riusciva ad imparare dove fossero riposti gli oggetti che usava quotidianamente.

Ad esempio sua madre doveva ricordargli ogni volta dove fosse il tosaerba, anche se lo aveva usato il
giorno precedente.

Quando, nell’aprile del 1955, all’età di 29 anni, nel corso di una valutazione psicologica gli fu chiesto
che giorno fosse egli rispose che era un giorno di marzo del 1953 e che aveva 27 anni. Era come se il
tempo si fosse fermato per H.M. ed egli era a malapena consapevole di aver subito un intervento
chirurgico.

Brenda Milner
(Pioniera nel campo delle neuroscienze cognitive, considerata da molti la fondatrice
della neuropsicologia, Brenda Milner ha dato un contributo fondamentale alla comprensione delle basi
cerebrali che sottendono al funzionamento della memoria umana)

Nel 1953 entra nella sua vita la dottoressa Brenda Milner. È lei che seguirà H.M. fino alla morte di
quest’ultimo. Purtroppo, come ha raccontato in seguito la dottoressa, Henry non riuscì mai a
riconoscerla davvero. Continuò a presentarsi a lei come se fosse il primo giorno in cui l’avesse vista.
Tuttavia, nonostante la sua sfortunata condizione, Henry fu di grandissimo aiuto per la ricerca
scientifica. Brenda Milner, studiando il caso di H.M. capì che la capacità di immagazzinare ricordi è
legata a una funzione cerebrale specifica, situata nella parte mediale dei lobi temporali.

CONCLUSIONI:
In passato, infatti, si credeva che aree come l’ippocampo e il lobo temporale mediale non
fossero la fase finale del processo di immagazzinamento dei ricordi.
Grazie agli studi su H.M, sono state fatte 2 scoperte:
1. Si è capito che la perdita di strutture come il LOBO TEMPORALE MEDIALE, ma
soprattutto l’ippocampo, distruggono la possibilità di rendere la nuova memoria a
breve termine nuova memoria a lungo termine.

2. Scoperta fondamentale anche per quanto concerne la MEMORIA PROCEDURALE


→ H.M. era in grado di diventare sempre più abile nei compiti di memoria
procedurale, pur svolgendosi come se fosse la prima volta ad ogni esercizio.

Il PAZIENTE PHINEAS GAGE


Il 13 settembre 1848, una sbarra di ferro trafisse il volto e il cranio di Phineas Gage, operaio
del Vermont. Gage era addetto alla costruzione di una ferrovia: era un uomo gentile e
affidabile. Un giorno, mentre era impegnato a intasare una carica di esplosivo con una barra
di ferro, fece inavvertitamente scoccare una scintilla: l’esplosione spinse indietro la barra,
che gli trapassò il cranio.

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L’infortunio aveva lesionato il suo lobo frontale sinistro, mostrando come i danni a specifiche
parti del cervello possano influenzare personalità e comportamento. Quello di Gage fu il
primo caso di sindrome frontale riportato in letteratura. L’uomo incredibilmente sopravvisse,
ma da amabile e cordiale che era divenne blasfemo, iroso, privo di freni inibitori.
Le lesioni ai lobi frontali provocano:
- disturbi di personalità,
- mancanza di autocontrollo,
- incapacità di giudizio,
- disinteresse per le opinioni altrui,
- indolenza.
Il danno può derivare da lesioni (traumi, ictus), tumori, infezioni o demenza.

IMP: Da questo celebre caso si è dedotto che il lobo frontale (la zona danneggiata
dall’incidente di Gage) è la sede di:
- capacità esecutive,
- capacità organizzative,
- adattamento sociale.

Da questi due pazienti si possono introdurre le demenze, col primo (HM) si parla di danni
alla memoria e col secondo danni alla memoria fronto temporale (Gage)

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LA DEMENZA
→ viene anche chiamata: DISTURBO NEUROCOGNITIVO

DEF: si può parlare di demenza quando la perdita delle funzioni cognitive coinvolge la
memoria e le altre funzioni (parlare, muoversi, pensare e ragionare, riconoscere ed
orientarsi) ed è così severa da interferire in modo significativo con le attività lavorative,
sociali, relazionali e con la qualità della vita.
Processo neurodegenerativo con alterazioni delle funzioni del soggetto.

A questi sintomi possono associarsi anche modificazioni:


- del carattere,
- dell'affettività,
- della personalità,
- della relazioni con gli altri.

GRAVITA’ → lieve
→ moderata
→ grave
Il cervello si riduce e si atrofizza.

CLASSIFICAZIONE DELLE DEMENZE


Esistono varie classificazioni delle demenze: in base alla sede della lesione
➔ Corticali/Sottocorticali
➔ Demenze primarie/secondarie

NB: Per demenza derivante da causa accertata (tumore, infezione, trauma, ecc...).

Altra classificazione:
➔ Demenze primarie
➔ Demenze secondarie

DEMENZE PRIMARIE O DEGENERATIVE

DEMENZE CORTICALI DEMENZE SOTTOCORTICALI

1. demenza di alzheimer (AD) 1. parkinson-demenza

2. demenze fronto-temporali 2. demenza con corpi di Lewy

3. paralisi sopranucleare progressiva

4. degenerazione cortico-basale

5. malattia di Huntington

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DEMENZE SECONDARIE

1. demenza vascolare
ischemica

2. disturbi endocrini e ipo e iper-tiroidismo, ipo e iperparatiroidismo,


metabolici malattie dell’asse ipofisi-surrene -s. di Cushing, m. di
Addison, encefalopatia porto sistemica in corso di
epatopatia, insufficienza renale cronica,
ipoglicemia, disidratazione

3. malattie metaboliche
ereditarie

4. malattie infettive ed meningiti ed encefaliti – batteriche, neuro sifilitica, micotica,


infiammatorie del SNC virale, sclerosi multipla e m. demielinizzanti,
connettiviti, m. di Creutzfeld-Jakob, AIDS dementia
complex

5. stati carenziali

6. sostanze tossiche alcol, metalli pesanti, farmaci

7. processi espansivi
intracranici

8. miscellanea traumi cranici, sindromi paraneoplastiche

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ALZHEIMER

DEF: rappresenta la metà circa di tutti i casi di demenza ed è seguita, come frequenza, dalla
demenza vascolare (è la demenza più frequente).

LA SCOPERTA DELLA MALATTIA DI ALZHEIMER:


risale all’inizio del 1900 quando il dr. Alois Alzheimer e il dr. Gaetano Perusini descrissero
per la prima volta il caso di una donna, Auguste D., ricoverata a Francoforte presso un
ospedale psichiatrico per una sindrome in cui a disturbi di tipo psichiatrico si associava un
quadro di demenza.
Alla morte della signora l’autopsia evidenziò delle particolari alterazioni nel cervello, mai
osservate in precedenza (i medici le definiscono “placche amiloidi” e “grovigli neurofibrillari”
→ queste formazioni fanno morire i neuroni)

Perusini morì durante la Prima Guerra Mondiale dopo aver descritto, insieme ad Alzheimer,
altri casi simili a quelli di Auguste D; da allora una malattia senza nome, ovvero inserita
nell’ambito delle demenze, cominciò ad essere chiamata dapprima malattia di
Alzheimer-Perusini, in seguito più semplicemente malattia di Alzheimer.

Nella prima diagnosi di Alzheimer, il dottore scrisse:


”Alla fine non fu più possibile alcuna forma di comunicazione con la malata.”
(Aloise Alzheimer)
→ ad oggi non è vera questa frase, in quanto è possibile fare qualcosa per comunicare con
il paziente (primo errore medico)

Due strutture anomale chiamate placche e grovigli sono le principali sospettate del
danneggiamento e dell’uccisione delle cellule nervose.
Le placche sono depositi di un frammento di proteina chiamata BETA-AMILOIDE → che si
accumula negli spazi tra le cellule nervose.
I grovigli sono fibre contorte di un’altra proteina chiamata TAU, che si accumula all’interno
delle cellule.

ESORDIO: si può manifestare intorno i 65 anni anche se in diversi casi può manifestarsi un
esordio precoce intorno ai 50 anni di vita.

ANATOMIA PATOLOGICA
1. L’encefalo si presenta atrofico e il peso è ridotto,
2. le circonvoluzioni sono assottigliate,
3. le scissure ed i solchi allargati con ampliamento dei ventricoli laterali,
5. diffusa rarefazione neuronale (soprattutto nel sistema dei grandi nuclei colinergici del
nucleo basale di Meynert),
6. dendriti più corti e meno ramificati,
7. presenza di placche senili o amiloidi,
8. degenerazione neurofibrillare.

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QUADRO CLINICO
• La malattia ha un inizio insidioso con decorso cronico progressivo.
(piccoli problemi di memoria e distrazione - esordio subdolo)

• All’inizio la sintomatologia è sfumata tanto da non poter stabilire con certezza il momento di
inizio (la diagnosi avviene dopo la presentazione dei primi sintomi a causa della negazione
o della poca attenzione dei familiari o del soggetto stesso)

Pazienti affetti dalla malattia vivono in media 8 anni, anche se alcuni sopravvivono anche 20
anni dalla diagnosi (varia dal soggetto ovviamente tenendo conto della comorbilità).

Quindi…
quando si ha di fronte una lieve perdita della capacità di ricordare avvenimenti o fatti recenti,
che progredisce gradualmente e alla quale si associano alterazioni della personalità e deficit
delle altre funzioni cognitive. In alcuni casi la malattia si manifesta con una difficoltà nella
denominazione degli oggetti oppure con un impoverimento del linguaggio e il ricorso a frasi
stereotipate (utilizzo di brevi frasi fatte e tendenza a ripetere, senza consapevolezza, le
ultime parole o i suoni uditi).

FASI DELL’ALZHEIMER

❖ LIEVE (prima fase, in cui i sintomi sono sporadici)


Sintomi cognitivi
• difficoltà ad imparare cose nuove
• difficoltà di memoria, soprattutto per episodi recenti
• disorientamento temporale (confondere i giorni della settimana)
• disorientamento spaziale (perdersi fuori casa)
• ANOMIA (difficoltà nel reperimento delle parole)
• difficoltà nell’eseguire compiti complessi

Sintomi non cognitivi (il soggetto si spaventa, ha paura di questi nuovi sintomi)
• ansia e depressione
• negazione di malattia
• apatia, abulia (mancanza di volontà)
• irritabilità
• deliri (generalmente di tipo persecutorio)

Deficit funzionali (nella quotidianità)


• necessità di supervisione o minimo aiuto nel vestirsi e nell’igiene personale
• difficoltà nello svolgimento delle attività lavorative e nella vita sociale
• difficoltà nelle attività domestiche (es. far funzionare gli elettrodomestici - fare la pasta,
perdita delle sequenze).

NELLA FASE LIEVE → aiuto e supporto nelle attività quotidiane (es: qualcuno che cucina
con l’anziano). Non è corretto sostituirsi a lui perché perde tutta la sua autonomia.
Lo psicologo dell’invecchiamento guida i familiari nella presa in carico.

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❖ MODERATO (aumentano i sintomi sia di intensità che di frequenza)
Sintomi cognitivi
• si accentuano i disturbi di memoria recente e remota
• difficoltà ad orientarsi anche in luoghi conosciuti
• afasia: difficoltà sia nel produrre discorsi articolati sia nel comprendere
• agnosia: difficoltà nel riconoscere gli oggetti, amici e parenti o avere falsi riconoscimenti
→ prosopagnosia: difficoltà a riconoscere i volti dei familiari/amici;
• aprassia: difficoltà ad eseguire azioni complesse o che richiedono una programmazione
delle sequenze motorie

Sintomi non cognitivi


• peggiorano i disturbi comportamentali
• “vagabondaggio” (la persona vaga senza una meta)
• “affaccendamento” (la persona non riesce a stare ferma - es: signora fa shopping nelle
stanze delle altre pazienti)
• compaiono disturbi dell’appetito (inappetenza) e del sonno (insonnia)

Deficit funzionali
• incapacità a svolgere alcune attività indipendenti fuori casa (acquisti, uso mezzi di
trasporto)
• incapacità a cucinare o a svolgere altre faccende domestiche
• necessità di molta assistenza o supervisione per l’igiene personale e la cura della persona

❖ GRAVE
Sintomi cognitivi
• gravissima perdita di memoria (restano solo frammenti di ricordi)
• completo disorientamento spaziale, anche all’interno della propria abitazione
• incapacità a riconoscere i volti dei familiari più stretti (prosopagnosia)
• si può ancora conservare l’orientamento personale
• linguaggio incomprensibile, limitato ad una decina di parole, fino al mutacismo (assenza
completa di linguaggio verbale), difficoltà a capire o interpretare gli eventi

Sintomi non cognitivi


• comportamenti stereotipati (affaccendamento, vocalizzazioni → ripetono sempre la stessa
frase o urlano)
• agitazione, irritabilità
• inappetenza, alterazioni del ritmo sonno-veglia

Deficit funzionali
• incapacità a uscire fuori casa se non accompagnato
• difficoltà a camminare autonomamente; frequenti cadute, rigidità diffusa
• necessità di molta assistenza nelle attività di base della vita quotidiana
• difficoltà ad alimentarsi da solo

Quando la malattia raggiunge uno stadio avanzato, la maggior parte della corteccia è
compromessa.

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Non esiste una cura per l’alzheimer!!

TERAPIE FARMACOLOGICHE → hanno lo scopo di attutire e diminuire i sintomi, bloccano


il processo che è già iniziato e ne rallentano lo sviluppo.

- Anticolinesterasici: agiscono aumentando la concentrazione cerebrale


dell'acetilcolina (una delle sostanze implicate nei meccanismi di memorizzazione) e
sono utili in fase iniziale

- Memantina (su proteine NMDA del glutammato, quindi sulle TAU): riduce la
stimolazione dei recettori NMDA del glutammato (un altro neurotrasmettitore
cerebrale) ed è indicata nelle forme intermedie e avanzate della malattia.

- Farmaci ad azione antipsicotica e sedativa: necessari in associazione agli


anticolinesterasici per attenuare i disturbi comportamentali, in particolare, l'agitazione
e l'aggressività o l'apatia, che in alcune fasi della malattia possono creare notevoli
problemi di gestione a familiari e caregiver, oltre che ai pazienti

DIAGNOSI PRECOCE
Un nuovo test per la diagnosi precoce dell’Alzheimer (novità) → è un elettroencefalogramma
in cui si analizzano le onde cerebrali.
Test passivo in cui vengono mostrate una serie di immagini e poi riproposte.
Di fronte ad immagini già viste si formano onde cerebrali.

L’analisi dell’occhio
Nasce dai ricercatori del Duke Eye Center di Durham.
A riconoscere l’Alzheimer sarebbe un sistema diagnostico per immagini, in grado di
individuare in pochi secondi i cambiamenti a livello cerebrale.

EREDITARIETA’
Nel 5% dei casi di Alzheimer è causato dalla presenza di un gene alterato che ne determina
la trasmissione da una generazione all’altra di una stessa famiglia.
Le forme familiari della malattia hanno insorgenza più veloce, anche prima dei 40 anni.

27
DEMENZA VASCOLARE

La seconda forma più comune tra le tipologie di demenza è quella vascolare.

Causa: diminuzione del flusso sanguigno destinato al cervello, piccoli o grandi infarti
localizzati in differenti zone del cervello.

Dati: costituisce circa il 10-15% di tutte le demenze ed è causata da uno o più piccoli infarti o
da infarti di grandi dimensioni nel nostro cervello che causano la morte di alcune cellule.

Esordio: brusco in quanto vieni meno di alcune funzionalità in maniera improvvisa (si parla
di piccoli ictus)
Ogni persona con demenza vascolare può manifestare sintomi e decorso della malattia
molto diversi a seconda del danno vascolare alla base della demenza e delle aree colpite.

Sintomi: a scacchiera → rispetto a dove avvengono queste morti il soggetto presenterà


sintomi diversi. Due soggetti con demenza vascolare non avranno gli stessi sintomi.

Decorso: a scalini → arrivano questi micro infarti, causano una serie di sintomi, il soggetto
peggiora ma è stabile fino all’arrivo di nuovi infarti, per poi ricadere ancora (si aggrava
sempre di più).

Caratteristiche:
- consapevolezza della malattia (insight) da parte del soggetto e quindi ansia e
depressione (diff. con l'alzheimer in cui il soggetto è consapevole solo nella prima
fase)
- conservazione relativa della personalità
- disturbi della deambulazione

SINTOMI:
- confusione
- perdita del senso dell’orientamento
- difficoltà di comunicazione (a parlare e/o a comprendere)
- perdita della vista

In altri casi i sintomi possono comparire più lentamente con l’accumulo di danni a livello
cerebrale.
Questi possono includere:
- deficit di memoria
- capacità alterate di ragionare, prendere decisioni, programmare, concentrarsi,
prestare attenzione
- difficoltà ad iniziare azioni o mansioni
- pensiero rallentato
- cambiamenti di umore e di personalità
- afasia

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DIAGNOSI
- evidenza clinica di demenza (quadro tipico: fluttuazioni e deterioramento "a scalini").
- evidenze cliniche e di neuroimaging (TAC, RMN) di malattia Cerebrovascolare

Fattori di rischio: Diabete, ipertensione, APOe4


Quadro patologico: Microangiopatia vascolare con atrofia cortico sottocorticale

PREVENZIONE: sembra per questa patologia particolarmente importante, poiché il ruolo dei
fattori di rischio nell’infarto cerebrale coinvolti nell’insorgenza della demenza vascolare è
abbastanza chiaro.
A riguardo è molto importante tenere presente: storia di pregressi TIA, anomalie del ritmo
cardiaco, ipertensione, diabete mellito, alti livelli di colesterolo, fumo di sigaretta, esagerato
utilizzo di alcool.

DIFFERENZE TRA DEMENZA VASCOLARE E ALZHEIMER

Tipo di MALATTIA DI ALZHEIMER DEMENZA VASCOLARE


demenza ISCHEMICA

Caratteri Esordio insidioso con deficit Esordio acuto (subdolo nella forma
clinici salienti mnesico e precoce coinvolgimento sottocorticale) spesso con sintomi
globale delle funzioni cognitive. “focali”.
Possibile coesistenza di alterazioni Progressione a “gradini”.
comportamentali all'esordio; più Compromissione irregolare delle
frequenti nelle fasi intermedie e varie funzioni cognitive.
avanzate.
Progressione graduale.

Atrofia temporo-parietale, talora Infarti singoli in aree strategiche (ad


Neuroimaging asimmetrica, alla TC e RM. esempio infarti talamici, lobo
Ipoperfusione nelle stesse aree temporale infero-mediale), multipli in
alla PET. aree di confine, lacune dei gangli
della base, lesioni estese della
sostanza bianca periventricolare alla
TC o RM.
Alla PET ipoperfusione irregolare.

Frequenza 50-60% 15-20%

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DEMENZA FRONTO-TEMPORALE

(vedi caso di Phineas Gage)


DEF: è caratterizzata da un precoce disturbo delle funzioni esecutive, definite come
capacità di pianificare, organizzare e regolare un comportamento mirato a raggiungere un
obiettivo, disturbi del ragionamento e del linguaggio in assenza di gravi disturbi di memoria.

La persona diventa disinibita nel linguaggio e nei comportamenti manifestando:


- condotte socialmente inappropriate,
- iperoralità,
- comportamenti ossessivo compulsivi,
- apatia,
- irritabilità,
- depressione,
- giocosità,
- euforia,
- deliri,
- difficoltà di critica e giudizio.

Si presenta con cambiamenti di personalità che possono precedere l’insorgenza della


sintomatologia neuropsicologica: il comportamento diventa anomalo nelle situazioni
sociali, nella condotta e nelle scelte personali.

Sintomi:
- la personalità cambia e le funzioni esecutive sono compromesse
- il soggetto agisce con STIMOLO - RISPOSTA

Caratteristiche: non vi è consapevolezza (IMP)

E’ causata da un accumulo di proteine difettose (tra cui quelle TAU) all’interno delle cellule
del nostro cervello che le danneggia e ne impedisce il corretto funzionamento.
Non si conoscono le cause dell’accumulo di proteine.

Circa metà delle demenze frontotemporali è ereditaria;


- mutazioni del cromosoma 17 (maggior parte delle mutazioni)
- proteina tau alterata o mutata che è in grado di trasmettersi facilmente
- cromosoma 3

Trattamento: a livello psicologico è fondamentale un supporto al paziente e al familiare.

IL DEFICIT DI MEMORIA APPARE SUCCESSIVAMENTE AI DEFICIT DI


COMPORTAMENTO (quindi non è alzheimer, ma demenza frontotemporale)

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TIPOLOGIE DI DEMENZA FRONTO-TEMPORALE:
- Variante comportamentale
- Variante linguistica

1° TIPOLOGIA: DEMENZE FRONTOTEMPORALI CON VARIABILI COMPORTAMENTALI


La variabile comportamentale è una delle caratteristiche più diffuse della demenza
frontotemporale.
I sintomi si manifestano con
★ cambiamenti nel comportamento
★ cambiamenti nella personalità
★ uniti a possibili cambiamenti emotivi e difficoltà di giudizio.
Es: possono emergere difficoltà nel mantenere l’autocontrollo o nel gestire la propria
aggressività, con tendenze all’irritabilità.
Spesso le persone che ne sono colpite non sono consapevoli di questi cambiamenti o
dimostrano poca considerazione rispetto all’impatto che il loro comportamento provoca sugli
altri.

MALATTIA DI PICK
(si trova all’interno della prima tipologia-demenza fronto temporale comportamentale)
Può comparire tra i 40 e gli 80 anni, ma più frequentemente l’esordio è presenile, e con una
frequenza leggermente maggiore nel sesso femminile.
Da un punto di vista anatomopatologico è presente atrofia dei lobi frontali e temporali,
associata alla presenza, visibile a livello microscopico, di ammassi intracellulare della
proteina Tau, noti anche come corpi di Pick.
In base alla localizzazione della degenerazione neuronale corticale, si possono osservare
quadri clinici diversi.

SINTOMI:
1. una sindrome apatica: depressione, apatia, abulia, mutismo
2. una sindrome disinibitoria: agitazione psicomotoria, ipersessualità
3. una sindrome ossessivo-compulsiva: ripetizione di parole e gesti (rituali mentali e
motori), ansia generalizzata e angoscia panica
4. una sindrome di Kluver Bucy

SINDROME DI KLUVER BUCY caratterizzata da:


- tendenza ad esplorare per via orale oggetti, anche non edibili;
- irresistibile impulso a prestare attenzione e a reagire ad ogni stimolo visivo;
- ipersessualità.

I deficit cognitivi, che solitamente compaiono dopo le manifestazioni comportamentali,


riguardano soprattutto il dominio della memoria e del linguaggio.
Le abilità visuospaziali, invece, contrariamente a ciò che accade nella malattia di Alzheimer,
possono essere a lungo risparmiate.
Ovviamente con il progredire della demenza, il deterioramento cognitivo diventa diffuso.

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2° TIPOLOGIA: DEMENZE FRONTOTEMPORALI CON DECLINO DELLE CAPACITA’ DI
COMUNICAZIONE
A differenza della 1° tipologia, qui I SOGGETTI SONO CONSAPEVOLI DELLA MALATTIA
(in quanto è intaccato il linguaggio e non tanto il pensiero)

A) Afasia primaria progressiva (PPA): si manifesta con cambiamenti nella capacità di


- parlare
- leggere
- scrivere

Le persone che ne sono affette comprendono ciò che sentono o leggono, ma il loro
vocabolario e le risorse per esprimersi sono sempre più limitati, costringendoli a parlare in
modo stentato e sgrammaticato, aumentando le pause tra una parola e l’altra, usando parole
sbagliate, magari in assonanza con quelle che vorrebbero pronunciare.
Possono comparire balbuzie e afasia non fluente, ma sembrano conservare il significato
delle parole.
- capiscono ciò che gli viene detto
- non sanno trovare le parole per rispondere

I primi sei casi sono stati descritti nel 1982 dal neurologo e neuropsicologo Mesulam, che
ha individuato i caratteri necessari per effettuare la diagnosi di PPA:
- i sintomi sono stabili per almeno due anni dall’inizio della malattia
- per i primi due anni la sintomatologia comportamentale è assente
- non ci sono segni di demenza generalizzata

La PPA è caratterizzata da un disturbo isolato del linguaggio, con progressiva difficoltà a


trovare le parole, aumento della pausa tra una parola e l’altra, balbuzie e infine afasia non
fluente.
Può esserci aprassia ideomotoria e bucco-facciale (difficoltà nel fare o copiare gesti di
mimica visuo-facciale).
È conservata la capacità di svolgere le attività quotidiane e la consapevolezza della malattia.

vedi APRASSIA: difficoltà nel fare


→ costruttiva: difetto dell'abilità di combinare ed organizzare, in cui i dettagli devono essere
chiaramente percepiti ed in cui le relazioni tra le parti componenti devono essere comprese
per ottenere la loro sintesi.
→ ideomotoria: incapacità di processare la giusta sequenza delle attività quotidiane.
→ bucco-facciale: incapacità a compiere dei movimenti volontari a livello del sistema
faringo-bucco-facciale con conseguente difficoltà a realizzare, sia su richiesta verbale che su
imitazione, gesti quali: fischiare, mandare un bacio, …

B) Demenza semantica: anche in questo caso le aree cerebrali colpite sono quelle
deputate al linguaggio.

DIFF. con afasia progressiva primaria → le persone con demenza semantica parlano,
leggono e scrivono fluentemente e correttamente da un punto di vista grammaticale ma non
sanno più chiamare le cose con il loro nome, non afferrano il significato delle parole e non
riconoscono più rumori e oggetti.

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I soggetti hanno perso i significati (delle parole o degli oggetti)
Sono fluenti → parlano molto ma senza significato.

DIFFERENZE
DEMENZA PROGRESSIVA PRIMARIA DEMENZA SEMANTICA

Soggetti consapevoli Soggetti consapevoli


Hanno problemi nel parlare, leggere e Hanno un linguaggio fluente, parlano molto
scrivere (insalata di parole).
Le frasi sono senza significato, non
riconoscono il nome di oggetti ecc…

3° TIPOLOGIA: DEMENZE FRONTOTEMPORALI CON DISTURBI MOTORI PROGRESSIVI

● Degenerazione corticobasale (INSTABILITA’ DI UNA PARTE DEL CORPO)


Caratterizzata da:
- perdita delle cellule nervose e dalla riduzione di più aree del cervello tra cui la
corteccia cerebrale e i gangli della base
- perdita progressiva dei movimenti

Età: insorge tipicamente intorno ai 60 anni (poco prima della malattia di Alzheimer)

Il sintomo principale:
- l’inabilità di utilizzare mani o braccia per svolgere movimenti.
- possono insorgere dapprima solo in una parte del corpo, per poi estendersi nel
tempo anche all’altra parte.

Cause: sono ancora sconosciute;


La degenerazione colpisce anche gli stadi più profondi del nostro cervello.

● Paralisi sopranucleare progressiva (SGUARDO)


Detta anche Sindrome di Steele Richardson-Olszewski.
Caratterizzata da una perdita progressiva e selettiva di neuroni responsabili
- del controllo
- dei movimenti oculari (difficoltà nell’abbassare lo sguardo)
- dell’equilibrio
- della parola
- della deglutizione

Sintomi: le persone con questa malattia solitamente


1. si muovono lentamente
2. cadono spesso
3. perdono la capacità di espressione facciale,
4. hanno rigidità nel corpo, soprattutto nel collo e nella parte superiore del corpo.
→ Tali sintomi sono simili a quelli della malattia di Parkinson.
Caratteristica fondamentale di questo tipo di demenza → difficoltà a muovere gli occhi,
soprattutto nel guardare verso il basso, e costringono la persona a uno sguardo fisso.
Possono anche emergere alterazioni di comportamento.

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● Demenza frontotemporale con parkinsonismo:
Sintomi di demenza fronto-temporale + comportamenti del parkinson
Possono includere:
- problemi di equilibrio
- problemi di movimento
- rigidità del corpo simile a quelli della malattia di Parkinson
Possono anche emergere alterazioni di comportamento o deficit di linguaggio.

● Demenza frontotemporale con sclerosi amiotrofica laterale (SLA):


I sintomi includono:
- alterazioni di comportamento
- alterazioni del linguaggio
- un progressivo indebolimento muscolare tipico della sclerosi amiotrofica laterale.

Viene anche chiamata → malattia del motoneurone;


All’inizio possono emergere solo i sintomi di una o dell’altra malattia; successivamente i
sintomi di entrambe le malattie emergono con progressiva gravità.

Recenti scoperte
Le più recenti scoperte scientifiche in ambito genetico riguardano l’isolamento di alcuni geni
associati alla demenza fronto-temporale, che possono influenzare la suscettibilità alla
malattia.
La più recente scoperta vede protagonisti i ricercatori Rosa Rademakers, della Mayo Clinic
degli Stati Uniti e Bryan Traynor, del National Institutes of Health, i quali, in maniera
indipendente, hanno entrambi individuato una mutazione in un gene nel cromosoma 9, il
gene C9ORF72.
Questa mutazione è la più comune causa familiare identificata non solo per la DFT, ma
anche per la sclerosi laterale amiotrofica (la stessa mutazione porta a due malattie diverse)

La scoperta è risultata particolarmente significativa perché ha individuato un collegamento


genetico fra due malattie che clinicamente appaiono molto differenti tra loro e può quindi
fornire informazioni chiave per nuove strategie terapeutiche;
→ nella sclerosi laterale amiotrofica il deterioramento è prevalentemente a carico dei
muscoli
→ nella demenza fronto-temporale sono il comportamento e la personalità a cambiare
drasticamente

DIFFERENZE AD E DFT
ALZHEIMER DEMENZE FRONTO-TEMPORALI

Esordio lento, subdolo I campanelli di allarme sono diversi

Diagnosi arriva dopo che si sono presentati i sintomi. I sintomi si presentano a livello motorio, del
I familiari negano il problema in quanto all'inizio il linguaggio ecc…
soggetto ha delle piccole dimenticanze I sintomi a livello della memoria emergono più tardi

Perdita della consapevolezza Non sempre c’è la perdita di consapevolezza (alcuni


casi si altri no)

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DEMENZA DEI CORPI DI LEWY
Storia: per molti anni questo particolare tipo di demenza è stato considerato una forma di
malattia di Alzheimer con associati disturbi del comportamento e sindrome parkinsoniana.
Successivamente studi anatomo patologici hanno dimostrato la presenza di lesioni corticali, i
cosiddetti corpi di Lewy.

DEF. Si tratta di corpuscoli che si trovano all’interno della cellula nervosa, descritti per la
prima volta nel 1912 da F.H.Lewy, medico anatomopatologo.

Anche se è possibile trovare queste lesioni nella malattia di Alzheimer, tuttavia in assenza di
placche senili e di aggregati neurofibrillari, la sola presenza dei corpi di Lewy identifica una
sindrome clinica autonoma rispetto alle altre forme di demenza degenerativa primaria.

Quadro clinico:
Caratteristica principale → DISTURBI ATTENZIONE
- insorgenza di un deterioramento cognitivo progressivo fluttuante
- prevalente deficit dell’attenzione
- allucinazioni visive
- deficit visuo-spaziale
- sindrome extrapiramidale (problematiche motorie tipo parkinson)
- disordini del sonno REM

Inizialmente il deficit di memoria può essere lieve, ma nel tempo peggiora rapidamente.
Gli stadi di grave compromissione funzionale vengono raggiunti in un periodo variabile da
uno a cinque anni.
(la memoria non è il primo sintomo)

35
PARKINSON
(Morbo di Parkinson)

NON E’ UNA DEMENZA MA E’ UNA MALATTIA!


Le strutture coinvolte nella malattia di Parkinson si trovano in aree profonde del cervello,
note come gangli della base (nuclei caudato, putamen e pallido), che partecipano alla
corretta esecuzione dei movimenti.
La malattia di Parkinson si manifesta quando la produzione di dopamina nel cervello cala
consistentemente (DEFICIT DI DOPAMINA).

→ differenza con Alzheimer in cui interviene l’acetilcolina;

I livelli ridotti di dopamina sono dovuti alla degenerazione di neuroni, in un'area chiamata
Sostanza Nera.

Sintomi:
Caratteristica principale: MOVIMENTI
Il quadro sintomatico del Parkinson varia molto da persona a persona, con manifestazioni
che possono variare sensibilmente per tipo e frequenza:

● Impaccio nei movimenti (bradicinesia, acinesia): man mano che il tempo avanza
risulta sempre meno facile compiere movimenti fluidi. I malati hanno l’impressione
che i loro arti siano «come paralizzati» e soffrono spesso di crampi dolorosi

● Rigidità

● Tremore a riposo: all’inizio il tremore a riposo (che compare nel 75% dei malati) è
unilaterale

● Sintomi cognitivi lievi (non sono la caratteristica principale)

● Instabilità posturale: una conseguenza pericolosa di questo danno è rappresentata


dalle cadute

● Altri sintomi frequenti del Parkinson sono:


○ alterazioni psichiche (ad es. depressioni)
○ anomalie del ciclo sonno/veglia
○ turbe del sistema nervoso vegetativo (regolazione della pressione sanguigna,
digestione e regolazione della temperatura)

!!!!! Solo nel 10-40% dei casi → un soggetto con Parkinson sviluppa Demenza
Solitamente demenza dei corpi di Lewy!!!

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TIPO DI DEMENZA CARATTERI CLINICI SALIENTI NEUROIMAGING FREQUENZA

Demenza - Precoci disturbi - Atrofia frontale o 2-9%


frontotemporale comportamentali (disinibizione, frontotemporale alla TC o
perdita del controllo sociale, RM.
iperoralità, stereotipia)
- Ipoperfusione frontale alla
- Alterazioni dell’affettività (apatia, PET.
disinteresse, ipocondria,
somatizzazioni)

- Precoci disturbi del linguaggio

Demenza a corpi di - Fluttuazione dei disturbi (sia - Atrofia corticale aspecifica 7-25%
Lewy cognitivi sia dello stato di veglia) alla TC o RM.

- Presenza di allucinazioni visive - Ipoperfusione occipitale alla


ben strutturate PET.

- Segni extrapiramidali

- Frequenti cadute

Degenerazione - Aprassia ideomotoria - Atrofia corticale Rara


cortico-basale asimmetrica frontotemporale e
sottocorticale striatale alla
- Afasia precoce RM
- Disinibizione e segni frontali

- Distonia di un arto

- Parkinsonismo

Paralisi - Paralisi sopranucleare dello - Atrofia della porzione Rara


sopranucleare sguardo anteriore del corpo calloso
progressiva alla RM
- Instabilità posturale con cadute
- Ipoperfusione corteccia
- Disartria frontale alla PET
- Deficit di attenzione

- Deficit cognitivo di tipo


sottocorticale

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DEMENZE RARE

● ATROFIA CORTICALE POSTERIORE (PCA):


conosciuta anche come Sindrome di Benson, è considerata una variante atipica
dell’Alzheimer (AD).

Età: rispetto ad altre forme di demenza, spesso colpisce in età precoce (a partire da 40 anni)

Area del cervello colpita: atrofia della parte posteriore della corteccia cerebrale, con
conseguente progressiva interruzione dell’elaborazione visiva complessa.

In alcuni casi, la PCA può manifestarsi insieme ad altre forme di demenza, come la
demenza a Corpi di Lewy e la malattia di Creutzfeldt-Jakob.

Sintomi:
Esordio con deficit a livello VISIVO!
- disturbi visuo-spaziali
- allucinazioni
- difficoltà di coordinamento a causa dei disturbi visuo-spaziali

Allucinazioni come sintomo non vanno confuse con quelle nell'Alzheimer.


Nell’Alzheimer non è detto che ci siano o se si manifestano avvengono col tempo e in
maniera lieve.

● COREA DI HUNTINGTON
(corea = ballo)
MALATTIA EREDITARIA (è possibile scoprirla tramite un esame genetico);

DEF: è un’affezione ereditaria degenerativa del sistema nervoso centrale che determina una
distruzione dei neuroni in particolare a livello dei gangli della base e della corteccia
cerebrale.

Sintomi:
- declino intellettivo,
- movimenti irregolari ed involontari degli arti e dei muscoli facciali,
- Il soggetto attua dei movimenti involontari come degli “scatti” (simile ai tic)

E’ molto invalidante, perché il soggetto è scattoso, può colpire chi gli sta intorno, non riesce
a camminare. Colpisce anche i muscoli facciali, impedisce al soggetto di riuscire a mangiare
in autonomia.

DECORSO:
- Fase lieve
Lieve e progressiva riduzione della performance intellettiva (ad esempio difficoltà ad
affrontare compiti nuovi o anche usuali mansioni in ambito lavorativo, o lievi difficoltà di
memoria) e alterazioni comportamentali.
Queste ultime possono includere momenti di depressione, irritabilità, ansia ed apatia.

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- Fase intermedia
Nello stadio intermedio, il quadro clinico è caratterizzato dalla corea ossia da movimenti
involontari veloci, aritmici e afinalistici.
I movimenti possono essere appena percettibili oppure molto violenti che interessano tutti i
segmenti corporei e risultano particolarmente disabilitanti.
(per dialogare si utilizzano frasi con possibilità di risposta chiusa, sì-no)

- Fase avanzata
Nelle fasi avanzate, il quadro neurologico è caratterizzato da una marcato rallentamento,
dalla rigidità e dalla presenza di posture distoniche (rimangono bloccati in qualche
posizione).
I pazienti necessitano di aiuto nelle attività della vita quotidiana, come la deambulazione, la
capacità di vestirsi o di alimentarsi.
Anche il linguaggio diventa molto problematico.
I pazienti possono mantenere un grado significativo di lucidità e quindi comprendere la loro
condizione percependo lo stato di realtà.

● SINDROME DI GERSTMANN-STRAUSSLER-SCHEINKER
Di natura ereditaria, è una malattia neurodegenerativa i cui sintomi includono perdita
dell’equilibrio e scarsa coordinazione muscolare.
I sintomi della demenza si presentano negli ultimi stadi della malattia.

● CADASIL
E’ un acronimo che sta per “Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with Subcortical
Infarcts and Leukoencephalopathy”,
→ è molto recente, quindi poco conosciuta
→ cerebropatia autosomica dominante a infarti lacunari sottocorticali e leucoencefalopatia.

Il termine fu coniato nel 1993 quando se ne scoprì la causa genetica.


Prima di allora la malattia era conosciuta sotto il nome di “demenza ereditaria
multi-infartuale”.
→ Rientra ancora nelle demenze rare, ma è sempre più diffusa
→ presenta continui ictus (simile alla demenza vascolare)

CADASIL è, infatti, una malattia con un elevato fattore di ereditarietà associata alla
mutazione genetica che colpisce il gene NOTCH3.

Esordio precoce
È caratterizzata da una progressiva occlusione delle arteriole cerebrali che causano ictus
ischemici e lesioni cerebrali che compromettono il funzionamento del SNC.
Si tratta di una malattia così rara che risulta sconosciuta anche a molti medici

Sintomi:

Ha circa 6 sintomi principali - attacchi ischemici transitori


- ictus ischemici ricorrenti
- declino cognitivo

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- emicrania con aura
- disturbi dell’umore
- apatia

L’età media di inizio degli eventi ischemici è di 47 anni, con un esordio variabile dai 20 ai 70
anni (Opherk et al 2004).
Al momento non esiste una terapia risolutiva o un trattamento specifico che consente di
guarire dalla CADASIL; esistono invece trattamenti che permettono di gestirne i sintomi.
Nonostante la bassa casistica, recentemente la malattia ha attirato l’interesse sia in ambito
clinico che di ricerca in quanto può nascondersi dietro patologie molto più frequenti, come gli
attacchi ischemici.
Infatti, come scrive la Dott.ssa Anna Bersano, che lavora presso l’Unità Operativa di Malattie
Cerebrovascolari della Fondazione I.R.C.C.S. Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano, si
ritiene che circa l’1-5% degli ictus possa essere associato a CADASIL.

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DISTURBI COMPORTAMENTALI
(Di seguito vengono elencati i sintomi non cognitivi di demenza)

“Quando il cervello subisce dei cambiamenti che impattano la memoria, il


ragionamento, il linguaggio e le altre forme di comunicazione, il comportamento
diventa il metodo primario di espressione non verbale”

I disturbi comportamentali sono una grande causa di “stress” per chi assiste, in particolare
aggressività e vocalizzazioni.
Sono delle forme di comunicazione e non degli elementi disturbanti.

ES. se il bambino ci fa molte domande, non ci dà fastidio in quanto sappiamo che è in una
fase di acquisizione di nuove informazioni.
Se l’anziano ci fa molte domande, il caregiver si stressa, si arrabbia perchè:
- non accetta il declino dell’anziano
- non conosce la malattia
- non si aspetta che l’anziano non abbia alcune informazioni

BPSD
Le persone con BPSD (in istituzione) sono a rischio di: ricevere contenzione fisica ed essere
sottoposti a trattamenti antipsicotici.

I sintomi non cognitivi, BPSD, sono espressione del tentativo di adattamento ai


sintomi cognitivi ed al deficit di funzionamento che ne consegue.

1. Modificazioni della personalità


2. Alterazione dell’umore
3. Aggressività
4. Affaccendamento
5. Vocalizzazione persistente
6. Allucinazioni
Caratteristiche dei bpsd:
7. Deliri
Sono presenti in tutti i tipi di demenza
8. Vagabondaggio
(con tempistiche differenti) e sono deleteri per i
9. Disturbi sonno
caregiver
10. Disturbi appetito
11. Disturbi sessualità
12. Disinibizione
13. Reazioni catastrofiche
14. Collezionismo
15. Confabulazione

1. Modificazioni della personalità


è frequente che la demenza si manifesti precocemente con alterazioni del carattere,
generalmente nel senso di un’accentuazione dei tratti caratteristici della personalità, talvolta
con la comparsa di caratteristiche opposte.
Dal punto di vista psicopatologico, si può interpretare:

41
- l’accentuazione di caratteristiche preesistenti come tentativo del soggetto di
riconfermare la propria identità (es: è sempre stata una persona molto energica,
nervosa ecc lo è ancora di più).

- la comparsa di tratti opposti come tentativo di adattamento ad una situazione mutata,


con la ricostruzione di una nuova identità.

INTERPRETAZIONI (significato sottostante che aiuta nella presa in carico dell’utente):


a. In questo caso è come se l’anziano volesse rimanere attaccato alla sua
persona, alla sua identità
b. Mentre se l’anziano cambia la sua identità è perchè sta perdendo pezzi di sé
stesso, sta ricostruendo sé stesso e cerca di adattarsi.

2. Alterazione dell’umore
la depressione è il sintomo più frequente; si possono osservare anche:
- disforia
- euforia
- ansia spesso associata a fobie
- irritabilità

3. Aggressività
può essere:
- verbale
- fisica
- diretta contro cose o contro persone

SIGNIFICATO aggressività: in genere è espressione di rabbia, paura, frustrazione, talvolta


non immediatamente comprensibili, dovuti ad:
1. erronea interpretazione delle situazioni (es: un modo di curare la persona che non
piace all’anziano, il fraintendimento porta a sentirsi derisi e quindi aggressivi)
2. erronea interpretazione dei comportamenti altrui
3. mancanza dell'aspetto emotivo

Raramente il paziente rivolge verso se stesso l'aggressività (autoaggressività).


Il fatto di non comprendere la propria situazione attuale disorienta il paziente, è questo
determina ovviamente ansia e spavento.

AGGRESSIVITA’: COSA FARE?


Riuscire ad individuare la causa scatenante esatta aiuterà a trovare la soluzione ottimale per
il comportamento aggressivo → il malato generalmente reagisce generalmente ad una
situazione che gli incute:
- paura
- senso di pericolo
- frustrazione
- in caso di allucinazioni, rumori forti, …
- una posizione sbagliata di chi lo assiste

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- dolore → l’anziano ha una percezione alterata del dolore, non sa dirlo, probabilmente
l’aggressività potrebbe essere scatenata da un dolore non comunicato agli operatori
o ai familiari.
- un atteggiamento che vive come troppo dominante, autoritario.
- insuccesso nelle attività di vita quotidiana (es: allacciare i bottoni di un vestito, aprire i
cassetti di un armadio → l’incapacità gli genera un’insopportabile frustrazione)

È fondamentale ascoltare attentamente il paziente, mostrare di volere innanzitutto sentire


quale sia il suo problema, e solo successivamente rispondere.
Un tentativo di calmarlo a tutti i costi viene immediatamente respinto dal paziente
aggressivo, che reagisce a tali tentativi come oppositivi e a lui ostili.

Frequentemente i comportamenti aggressivi del malato compaiono in concomitanza con la


richiesta di compiere alcune manovre assistenziali:
a. l’igiene della persona
b. il bagno
c. il vestirsi e lo svestirsi
Queste operazioni implicano un contatto con il corpo della persona con demenza che può
essere vissuto come un’invadenza e una violazione: se infatti nel malato è andato smarrito il
concetto di lavarsi e se l’acqua non è più riconosciuta, ma viene avvertita come qualcosa di
estraneo e incomprensibile, e così si può capire quanto difficile sia per il malato lasciarsi fare
una serie di cose, prive di senso per lui, sul proprio corpo.

4. Affaccendamento
è l’aumento dell’attività motoria afinalistica, fino alla manipolazione inconcludente di tutti gli
oggetti che capitano sottomano.
L’irrequietezza motoria può sfociare in un incremento deambulatorio continuo, senza scopo,
con impossibilità di stare fermo.
Tipica è la “spinta verso casa” che si osserva quando il soggetto si trova in ambienti non
familiari e che lo induce a raccogliere tutto ciò che trova e a farne fagotto per “andare a
casa”.
→ La spinta verso casa è una reazione comprensibile tenendo conto del disorientamento
spazio-temporale e dei deficit mnesici.
(ES: signora benestante abituata nella sua vita a fare shopping → le preparo una stanza
adeguata affinché essa possa svolgere la sua attività preferita in sicurezza)

5. Vocalizzazione persistente
il soggetto dice o domanda le stesse cose più volte o si lamenta in maniera continua.
È conseguenza del deficit di memoria e di capacità critica.

6. Allucinazioni
Le allucinazioni sono percezioni sensoriali non corrispondenti alla reale presenza di un
oggetto esterno.
Non rare le allucinazioni ipnagogiche, soprattutto quando il ritmo sonno-veglia è alterato.
Le allucinazioni sono più frequenti nella demenza con corpi di Lewy e rare nell'AD.
Può essere utile: togliere lo specchio, mettere una luce bianca accesa così da non creare
luci soffuse che creano ombre.
Significato sottostante delle allucinazioni → dovute principalmente a ricordi precedenti.

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7. Deliri
DEF: idee non corrispondenti al reale, ma fermamente ritenute vere dal paziente.
Non è possibile convincere il paziente della loro falsità.
→ Il carattere di immodificabilità è ciò che caratterizza il delirio.
Quando un paziente mostra un comportamento delirante è inutile cercare di modificarlo.
Esprimono spesso delle preoccupazioni comprensibili.

● DELIRIO DI LATROCINIO:
Es. “mi hanno rubato la borsa”
si collega al tema della perdita, spostato su oggetti materiali e vissuto in chiave paranoica,
anziché depressiva.
Il malato non ritrova gli oggetti di uso quotidiano a causa dei suoi disturbi di memoria.
Ma non ricordando di soffrire di questo problema, non imputa il mancato ritrovamento alla
sua malattia ma al fatto che qualcuno possa aver rubato le sue cose.
Quindi va a nascondere le cose a cui tiene di più e di conseguenza gli oggetti saranno
sempre più introvabili.
Spesso questo delirio emerge per proteggere la persona che non accetta di aver dimenticato
determinate informazioni.

● DELIRIO DI GELOSIA:
esprime il timore di perdere le persone care;
(Es.“ho paura di non ricordarmi più di te”, quindi divento gelosa per possederti in ogni modo
e per non perderti)

● DELIRIO DI NOCUMENTO/VENEFICIO:
paura che qualcuno ti possa avvelenare o uccidere. E’ frequente.
Non vogliono mangiare o prendere farmaci per paura che siano contaminati.
Timore della morte.
Non accettano la malattia e pensano che ci sia qualcuno che gli sta facendo del male.

● DELIRIO IPOCONDRIACO:
si collegano al timore della perdita della salute ed al timore della morte (significato simile a
quello sopra)

● SINDROME DI CAPGRAS:
all’interno dei deliri, è la convinzione che una persona familiare sia stata rimpiazzata da una
copia esatta, da un sosia.
Avviene un riconoscimento visivo della persona ma non un riconoscimento emotivo.

● SINDROME DI FREGOLI:
(agnosia visiva): convinzione di riconoscere una persona familiare in soggetti che, invece,
sono estranei.

● DELIRIO D’INTERMETAMORFOSI:
convinzione che persone note si tramutano fisicamente e psicologicamente in altri soggetti;

● DELIRIO DI “SOSIA SOGGETTIVO”:


idea che un proprio sosia agisca in modo indipendente da sé;

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● IL DELIRIO DI COTARD:
esprime la negazione del timore della morte.
E' caratterizzata dalla convinzione di essere morti o di avere perso tutti gli organi vitali.
Chi soffre di questa patologia arriva a negare totalmente di esistere.

● MISIDENTIFICAZIONI:
DEF: è un tipo particolare di delirio che viene spesso confuso con un comportamento
allucinatorio.
Il paziente tratta stimoli non viventi (figure, fotografie, immagini televisive, immagini riflesse
allo specchio, bambole, ecc.) come se fossero reali.
- Si tratta di false convinzioni basate su stimoli reali, ma che vengono interpretate in
maniera scorretta.
- Oppure non si riconoscono nello specchio e pensano che ci sia qualcun altro nella
stanza (per questo è importante prestare attenzione all’arredamento).

- “phantom boarder”: presenza di estranei (fantasmi) che vivono nella propria casa
- “picture sign”: la televisione come “vissuto concreto” con cui il paziente si misura ed
interagisce

● FENOMENO DEL SUNDOWNING:


caratterizzato dal peggioramento della sintomatologia al tramontare del sole e comunque in
tutte le situazioni di passaggio da una buona illuminazione ambientale ad una illuminazione
scarsa.
E’ legato ad alterata percezione ambientale che provoca aumento della confusione fino a
generare illusioni e allucinazioni.

DELIRI: COSA FARE?


È possibile intervenire sui deliri, ma per ottenere risultati discreti bisogna innanzitutto cercare
di capire quale sia la loro origine e di accogliere l’anziano (capendo i suoi bisogni si può
agire)

Significati di delirio:

1) Delirio come tentativo di ricostruzione di una realtà solo parzialmente percepita,


ricordata e rappresentata, a causa dei disturbi cognitivi:
talvolta il delirio può nascere da un’errata interpretazione della realtà, situazione che spesso
si verifica nei malati di AD, che sono cognitivamente compromessi su almeno 3 LIVELLI di
elaborazione cognitiva necessari per la comprensione della realtà:
→ la percezione
→ il ricordo
→ la rappresentazione
La costruzione della realtà è l'unico modo che l'uomo ha per relazionarsi con essa.

2) Delirio come metafora del paziente per rappresentare se stesso e la sua situazione a
se stesso, e per comunicarla agli altri:
Con il delirio la persona rappresenta i propri disagi.

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Bisogna adeguarsi al paziente piuttosto che attendersi che sia il paziente ad adeguarsi alla
realtà.
Il caregiver dovrà ascoltare il paziente per capire i significati del paziente, veicolati col
linguaggio del suo delirio, e rispondergli utilizzando il suo stesso linguaggio, esattamente
come ad uno straniero bisogna parlare nella sua lingua.

3) Delirio come meccanismo di difesa:


Il delirio può infine avere anche un ruolo diverso da quello dell’autorappresentazione e della
comunicazione.
Esso permette di approfittare dei problemi di memoria per coprire realtà angoscianti a cui
il paziente non saprebbe come far fronte perché non ha più sufficienti risorse mentali per far
fronte a realtà particolarmente dolorose.
Per questo insieme di ragioni il comportamento delirante non va ulteriormente contrastato,
ma piuttosto deve essere rispettato.
(Es: per la moglie che ha perso il marito, inconsciamente, per non stare male mi invento una
strategia per non stare male. In questo caso la donna utilizza un meccanismo di difesa per
non soffrire)

Ruolo operatore: gli elementi del delirio costituiscono il linguaggio che l'operatore stesso
dovrà usare rispondendo al paziente.
Obb:
→ risolvere i suoi timori
→ volgere in positivo un vissuto sgradevole
→ condividere le sue gioie e mantenere integre le sue difese

8. Vagabondaggio (Wandering)
E’ il continuo girovagare senza meta tipico dei malati di AD.
Non ci sono farmaci per questo disturbo.

Caratteristiche: questi pazienti camminano per moltissime ore, anche per l’intera giornata,
incredibilmente senza mostrare mai segni di stanchezza.

In istituto: se vi sono reparti appositamente allestiti per ospitare pazienti con demenza, sono
predisposti ampi spazi privi di ostacoli e pericoli che permettano al paziente di girovagare
agevolmente (sia all’interno, sia all’esterno, giardini per il vagabondaggio).
Se permesso in spazi protetti, non è pericoloso né nocivo.
Questi comportamenti possono anche essere interpretati come una modalità di
auto-stimolazione fisiologica.
Potrebbero, inoltre, avere la valenza di occupazione o di scarica dell’ansia.
Questo comportamento non va bloccato, altrimenti l’anziano diventa aggressivo.

Cause: non si conoscono le cause del wandering.

Significato:
- si attivano per uno stimolo fisiologico (devono andare in bagno o hanno sete)
- cercano le risorse che soddisfino il bisogno, ma poi non ricordano più il perché del
loro vagabondaggio

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- scaricare ansia e agitazione (si sente agitato, ansioso senza sapere perchè → si
mette in movimento)
- persona che nella sua vita è sempre stata molto attiva, deve scaricare l’energia come
un tempo.

MISURE, LIMITI E CONDIZIONI PER RICORRERE ALLA CONTENZIONE FISICA


Il vagabondaggio e l’affaccendamento non devono costituire motivi per l’uso della
contenzione fisica se non in casi estremamente limitati quando queste attività risultano
essere oggettivamente pericolose per il soggetto.
Va considerato che l’applicazione del mezzo di contenzione aumenta i rischi di cadute, il
livello di ansia, agitazione, aggressività del malato.

9. Disturbi del sonno


- difficoltà nell’addormentamento
- risvegli precoci o frequenti durante la notte
- inversione del ritmo sonno-veglia
L’insonnia iniziale può rientrare in un quadro ansioso, l’insonnia terminale può essere
manifestazione di una sindrome depressiva.

10. Disturbi dell’appetito


riduzione dell’appetito, meno frequentemente iperfagia ed iperoralità.

11. Disturbi della sessualità


ipersessualità, anche con comportamenti socialmente inopportuni, nei quadri di euforia e
disinibizione.

12. Disinibizione
La disinibizione è un disturbo comportamentale tipico dei pazienti frontotemporali, ma
presente anche nei malati di AD.
Il paziente con disinibizione si spoglia in pubblico e si esibisce in modo inappropriato nelle
situazioni più varie.
La consapevolezza dell’inadeguatezza di questi comportamenti è generalmente molto
bassa.

DISINIBIZIONE: COSA FARE?


Cercare di capire se il paziente abbia bisogno del bagno, ed eventualmente accompagnarlo;
Invitare il paziente ad interrompere il comportamento distogliendone la sua attenzione;
Evitare di rimproverarlo: in genere la disinibizione si accompagna a basso livello di
autoconsapevolezza.

13. Reazioni catastrofiche


sono improvvise esplosioni emotive verbali e fisiche in risposta ad eventi stressanti e non
comprensibili al soggetto di qualsivoglia origine (ambientale, somatica, etc).
Sono spesso innescate da deliri, allucinazioni, dispercezioni, ansia.
Si manifestano come crisi di pianto, urla e bestemmie, minacce aggressive, dare morsi e
calci, picchiare.

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14. Collezionismo
è la continua ed incessante raccolta ed accumulo di oggetti, generalmente irrilevanti e di
nessuna necessità.
Rappresenta il tentativo di reazione al timore della perdita, alimentato dalle perdite reali e dai
deficit mnesici.
Legato al tema della perdita, ha l’obiettivo di colmare le perdite dovute ad una malattia.

15. Confabulazione
è la produzione di falsi ricordi a riempimento delle lacune mnesiche del passato recente.
Questa neoproduzione, accurata e fantasiosa, attinge a diversi frammenti mnemonici
dell’esperienza passata ed agli stimoli dell’ambiente; è tipicamente influenzabile per via
suggestiva.
Rappresenta un tentativo di mantenere la continuità nel tempo (rimanere a contatto con sé
stesso, con gli altri e con la sua storia), e quindi il senso di sé, nonostante i deficit mnesici.

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APPROCCI E INTERVENTI

Le cure per i disturbi del comportamento dell’anziano demente oggi utilizzate sono
prevalentemente di tipo farmacologico.
Ma l’approccio piu’ corretto ed efficace deve essere prevalentemente di tipo:
- comportamentale
- ambientale

Fondamentale è anche la psicoeducazione del caregiver intesa come modificazione del suo
comportamento è efficace e il risultato dura nel tempo.
Agire quindi anche sul:
- Relazione
- Comportamento
- Ambiente
- Caregiver

● L'APPROCCIO AMBIENTALE (soggetto influenza l’ambiente e viceversa)


In ogni “fase” della malattia l’ambiente può compensare o, al contrario, accentuare le
conseguenze del deficit cognitivo e pertanto condizionare sia lo stato funzionale sia il
comportamento del paziente.
Lo spazio e l’ambiente vitale possono rappresentare perciò, per la persona affetta da
demenza, da un lato una risorsa terapeutica, purtroppo spesso sotto utilizzata, dall’altra il
motivo scatenante di alterazioni comportamentali apparentemente ingiustificate.
Le scelte degli interventi ambientali sono condizionate dalle caratteristiche del paziente e,
principalmente, dalla gravità della compromissione cognitiva e dalla natura dei disturbi
comportamentali.

L’ambiente ideale
- Ambienti ben illuminati, colori tenui alle pareti, mobili e oggetti di colore contrastante,
spazi organizzati in modo semplice; cartelli ed effetti personali che facilitino
l’orientamento, luci notturne, togliere gli specchi, evitare televisore e radio.
- Evitare luoghi o stanze disordinate affollate e rumorose;
- Eliminare le fonti di pericolo;
- Semplificare al massimo l’ambiente e la disposizione degli oggetti (inclusa la tavola
in cui si mangia)
- Svitare o ridurre al minimo i cambiamenti (cambiare disposizione ai mobili oppure ai
quadri può comportare problemi; es → lo spostamento del letto può favorire la
comparsa di incontinenza poiché il paziente non riesce a trovare la via per il bagno)
- Eliminare le chiavi delle porte, utilizzare fornelli a gas con sistemi automatici di
controllo.

● L'APPROCCIO COMPORTAMENTALE
L’approccio comportamentale prevede l’identificazione degli antecedenti di un
comportamento o di un disturbo comportamentale e cerca di modificarli, al fine di prevenire
ed ottenere una reazione positiva o un comportamento corretto.

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Modello ABC
RICERCA DELLE CAUSE E ANALISI DELLE MANIFESTAZIONI

➔ Antecedenti: ciò che può aver scatenato il comportamento disturbante, anche i


dettagli apparentemente secondari (fattori scatenanti)

➔ Comportamento manifestato: dove, come e quando è iniziato? Che tipo di


comportamento?

➔ Conseguenze: il risultato del comportamento sia sul malato sia sull’ambiente e le


persone che lo circondano

ESEMPIO DI COMPILAZIONE DELLA SCHEDA


Sicuramente la fretta della figlia, indaffarata nelle tante attività quotidiane, si è espressa in
atteggiamenti non verbali involontariamente coercitivi: immaginiamo degli atti rapidi e
contratti, un eloquio veloce e incalzante che culmina nel tentativo di farlo entrare in
macchina spingendolo per forzare le sue resiste.
Gino con molta probabilità non sa dove sta andando e non capisce il senso delle richieste
che gli vengono fatte.
Qualcuno lo forza a fare qualcosa che non vuole, si sente costretto e violato nel suo spazio
fisico, probabilmente ha paura quando viene avvicinato all’automobile (non dimentichiamo
che potrebbe non riconoscerla), e si arrabbia.
Non essendo in grado di elaborare le sue emozioni e trattenere gli impulsi Gino agisce la
rabbia attraverso comportamenti aggressivi.
Il comportamento di Gino si ripercuote sulla figlia che si sente scoraggiata, incapace e
impotente.
Decide di desistere dal tentativo di recarsi alla visita medica.
Nell’insieme questo episodio rinforza soprattutto il senso di inadeguatezza della figlia che va
invece supportata e indirizzata nell’utilizzare al meglio le sue capacità di accudimento e di
cura nei confronti del padre.
Il comportamento aggressivo di Gino, d’altro canto, viene involontariamente rinforzato
poiché l’esito del suo gesto ottiene l’interruzione dell’attività temuta.

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METODI e APPROCCI:

1. METODO MONTESSORI
Sviluppato originariamente per i bambini nei primi anni del 1900 dalla psichiatra italiana
Maria Montessori, è stato adattato ai malati di Alzheimer dal neuropsicologo americano
Cameron Camp.
Negli ultimi anni viene utilizzato anche per gli anziani, stessi concetti di quello del bambino,
cambiano le attività.
Obb:
- favorire autonomia
- costituire un ambiente adeguato

Ha un approccio positivo e valorizza le capacità residue della persona, soprattutto quelle che
permangono anche nelle fasi avanzate della malattia e mette in secondo piano le carenze
associate alla perdita di memoria.
Si tratta di un approccio comunicativo non verbale, sensoriale e motorio che mira a ridurre i
problemi comportamentali delle persone disorientate.

2. APPROCCIO CAPACITANTE
L’Approccio Capacitante è stato ideato da Pietro Vigorelli nel 2000.
Vanta una larga diffusione in Svizzera, Cile e Argentina.
DEF: approccio alle persone con demenza che si basa sull’ascolto e sulla scelta delle parole
con l’obiettivo finale di una convivenza serena tra persone con demenza, operatori e
familiari.
È un modo di rapportarsi che cerca di creare le condizioni per cui la persona anziana possa
svolgere le attività di cui è ancora capace, così come è capace, senza sentirsi in errore.
L’Approccio valorizza la dignità della persona.

La formazione è basata sull’analisi delle conversazioni professionali tra operatori e utenti


così come effettivamente avvengono.
Nel lavoro di gruppo si cerca di capire:
→ se la conversazione riportata è stata felice o meno
→ se ha potuto proseguire o si è interrotta
→ se ha creato irritazione o benessere
→ se ha permesso l’emergere delle Competenze elementari dell’ospite
→ se l’ospite ha potuto scegliere ciò che voleva dire
→ se il colloquio è stato “guidato” dall’operatore, come avviene invece nei colloqui
anamnestici o valutativi

FOCUS SU CUI SI BASA QUESTO APPROCCIO:

a. La scelta delle parole


L’operatore capacitante impara a scegliere le parole che sono seguite da risultati favorevoli
(l’interlocutore parla e lo fa volentieri) e ad evitare le parole che sono seguite da risultati
sfavorevoli (la conversazione s’interrompe, l’interlocutore reagisce con rabbia, aggressività,
chiusura).

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L’Approccio capacitante aiuta l’operatore a diventare consapevole degli effetti prodotti dalle
proprie parole.
In base alla consapevolezza dei risultati ottenuti impara a scegliere le parole da dire.
L’operatore capacitante, quando si trova in situazioni di disagio, di difficoltà, non reagisce in
modo spontaneo (automatico), ma si ferma a riflettere qualche secondo per poi scegliere di
dire le parole che più probabilmente saranno seguite da risultati favorevoli (in base
all’esperienza precedente) utilizzando le tecniche capacitanti.

ES: - non fare domande,


- non correggere,
- non interrompere,
- fare eco,
- accompagnare nel suo mondo possibile.

b. Le identità multiple
Quando viene formulata la diagnosi di malattia di Alzheimer il mondo interno del malato e
quello intorno a lui tendono a cambiare in modo rapido e radicale.
Ciascuno di noi ha tante identità: psicologo, appassionata del mio lavoro, madre, figlia a mia
volta, compagna, amica, amante della natura, sorella....ecc.
Anche i malati hanno ancora tante identità, di madre, di figlia, di sorella, di giovane sposa, di
vedova, di amante della cucina, di amante del ricamo, di pescatore, di giardiniere, di
prigioniero di guerra, di grande lavoratore...
La storia di ciascuno è sempre ricca di esperienze e di identità.

Il problema del malato Alzheimer è che non padroneggia più queste sue identità multiple.
In un certo momento è padre, in un altro momento è figlio e chi gli sta accanto resta
disorientato e contrariato perché vorrebbe vederlo sempre con un'identità unica e
immutabile.
La terapia conversazionale invece riconosce cioè e accoglie le identità multiple del
paziente così come si manifestano e quando si manifestano.

c. I mondi possibili
Il concetto di identità multiple rimanda facilmente a quello di mondi possibili.
ES: quando un vecchio sente sbattere la porta e ha una crisi di agitazione psicomotoria, è
davvero terrorizzato perché rivive l'arrivo delle SS che lo strappano alla famiglia e lo portano
in campo di concentramento.

L’approccio conversazionale si basa sull'accogliere questi mondi possibili in cui vive il


paziente, sul riconoscerli e legittimarli.
Il curante accompagna il paziente nei suoi mondi possibili, senza giudicare, senza
correggere, curioso di esplorarli con il paziente e contento di questa avventura.

d. Competenze elementari
L’Approccio Capacitante è una modalità di intervento che vuole creare nei luoghi di vita degli
anziani fragili un ambiente in cui essi possano esercitare le Competenze elementari così
come effettivamente fanno, senza sentirsi in errore.
Si invita a focalizzare l’attenzione sulla sua capacità di parlare, sull’ascoltare senza
interrompere e senza correggere la persona, perché quelle parole hanno un senso dal suo

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punto di vista della persona, anche se non sono comprensibili nell’immediato da chi ascolta.
In questo modo l’anziano non si scoraggia e mantiene più a lungo la sua vivacità, autonomia
e relazionalità.

Le competenze elementari:

❖ la competenza EMOTIVA→ provare emozioni, riconoscere quelle dell’interlocutore e


a condividerle (reagire alle parole e fatti con emozioni, es. vedere l’anziano felice
quando gli si parla)

❖ la competenza a COMUNICARE→ si esprime con il paraverbale e non verbale

❖ la competenza a PARLARE → produrre e scambiare parole, indipendentemente dal


loro significato

❖ la competenza a CONTRATTARE → contrattare e a decidere sulle attività della vita


quotidiana. Si pensi ai comportamenti ‘oppositivi’, cioè la persona che non vuole
mangiare, non vuole alzarsi dal letto, non vuole lavarsi, ecc (l’anziano non sa più
farlo razionalmente ed emerge il disturbo comportamentale → sono comportamenti
disturbanti ma sono l’estrema manifestazione della competenza a contrattare di una
persona che purtroppo non può decidere più nulla. L’operatore non deve in questo
caso diventare accondiscendente, ma dove possibile dargli la possibilità di decidere.
Es: abbigliamento, scegliere cosa bere, ecc.)

❖ la competenza a DECIDERE → anche in presenza di deficit cognitivi. I


comportamenti oppositivi, di chiusura relazionale e di isolamento possono essere letti
come espressioni estreme di questa ridotta competenza di libertà decisionale”.

Mediante l’Approccio capacitante si impara ad accompagnare gli ospiti nel loro mondo, a
riconoscere le loro competenze, a ascoltare la loro voce interiore (voice).
Questa consuetudine all’ascolto della voice, ha trasformato lentamente ma radicalmente il
nostro approccio: prima era prevalentemente tecnico – sanitario, poi si è progressivamente
indirizzato verso l’ascolto della parola e l'osservazione dei messaggi corporei degli
ospiti.

3. APPROCCIO CENTRATO SULLA PERSONA (PCC) → Tom Kitwood


Il modello medico tradizionale considera la malattia e non la persona; nella PCC la persona
è l’elemento centrale: i sintomi legati alla malattia sono solo una parte di un insieme che è la
persona ma non la parte principale.

PCC = V + I + P + S
V = valorizzazione della persona con demenza
I = tenere conto della sua “individualità”
P = “prospettiva” della persona con demenza
S = ambiente sociale “supportivo” ed inclusivo

OBB: riconoscere le persone affette da demenza nella loro umanità e globalità, dove
l’assistenza riguardi la PERSONA e non la sua malattia.

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Se enfatizziamo meno la funzione cognitiva e ci concentriamo sulla persona intera,
riusciremo a vedere la possibilità di una gamma di relativi stati di benessere anche in una
persona con demenza.
La cura si basa sulla relazione (colleg. cura).
Attraverso la relazione viene supportata la personhood (cioè la persona nella sua
completezza → conoscere la sua storia).

Tom Kitwood nel suo libro Dementia Reconsidered (1997) descrive 5 BISOGNI
PSICOLOGICI FONDAMENTALI di ogni essere umano, che confluiscono nel bisogno
centrale di Amore:
- comfort
- identità
- attaccamento
- occupazione
- inclusione

Kitwood propone la sua concezione di demenza come risultato dell’interazione di 5


ELEMENTI:
Demenza = NI+H+B+P+SP (T. Kitwood, 1997; D. Brooker, 2007).

• Danno neurologico (Neurological Impairment) → NI


che può essere dato da alterazione della struttura cerebrale o della funzione cerebrale. Sono
presenti problemi di memoria, di linguaggio e di comprensione, di eseguire le attività di vita
quotidiana…

• Salute fisica (Health and physical fitness) → H


è importante prestare attenzione al benessere fisico di una persona con demenza.

• Biografia (Biography or life history) → B


la storia di vita di ciascun individuo è la struttura iniziale della personalità.

• Personalità (Personhood) → P
definita come “una posizione o grado che è conferita ad un essere umano, da altri, nel
contesto delle relazioni sociali e come essere sociale.
Implica riconoscimento, rispetto e verità”.

• Psicologia sociale (Social Psychology) → SP


come abbreviazione di ambiente socio - psicologico ovvero tutte quelle relazioni
interpersonali che per Kitwood può supportare o danneggiare le persone con demenza.

4. LA PSICOLOGIA SOCIALE MALIGNA (PSM)


È costituita da tutte quelle interazioni svalutanti da parte degli operatori, che possono minare
uno o più dei bisogni psicologici, e quindi la Personhood di chi è affetto da Demenza.
La PSM non implica una malevolenza consapevole da parte degli operatori, ma spesso
l'agire in modo inconsapevole e superficiale, senza rendersi conto del danno provocato e
seguendo schemi già collaudati ed accettati.

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MOYRA JONES
Moyra Jones, terapista occupazionale canadese, alla fine degli anni Novanta partendo dalla
propria esperienza personale e professionale ha creato e promosso il Metodo Gentlecare
per la cura delle persone con demenza.
La metodologia “Gentlecare” ha lo scopo di promuovere il benessere del malato,
ottimizzando il suo stato funzionale e consentendo una buona qualità di vita rispetto al
declino causato dalla demenza. Questo modello aiuta i caregivers a sviluppare strategie che
migliorano i disturbi comportamentali ed eliminano lo stress, offrendo sostegno ai malati e a
chi si prende cura di loro.

….."mio padre era un meraviglioso giardiniere, sicché sono rimasta atterrita il giorno in cui
ha iniziato a scavare buche nel suo bel prato. Inizialmente ho provato ad attirarlo verso
casa, verso la macchina, in qualsiasi posto pur di impedirgli di rovinare il prato. Poi ad un
tratto mi sono accorta di cosa stava succedendo: stava lavorando! Quell'uomo era
impegnato in un lavoro e non intendeva esserne distratto, nonostante le mie proteste.
Laddove un tempo aveva creato meravigliose aiuole, ora scavava buche.
Scavare buche equivaleva a fare giardinaggio. Questa comprensione era infinitamente
liberatoria per me. Mi permetteva di capire la sua concentrazione e persistenza. Mi
consentiva di vedere la vita attraverso i suoi occhi. Mi conduceva attraverso la malattia e mi
restituiva mio padre. Così lo incoraggiai a scavare buche."
Da "Gentlecare. Un modello positivo di assistenza per l'Alzheimer" di Moyra Jones.

→ APPROCCIO PROTESICO
Termine coniato dalla stessa Jones, riguarda qualsiasi intervento che tenta di compensare il
deterioramento cognitivo del malato di demenza attraverso l’adattamento dell’ambiente non
solo fisico, ma anche interpersonale, per ridurre le conseguenze della sua inabilità e per
dare il massimo supporto alle capacità ancora presenti.

Il personale e i familiari devono:


• identificare gli elementi di stress nell’ambiente del malato (e della famiglia) e
sviluppare metodi e programmi efficaci e creativi per rendere la vita più confortevole
• capire chiaramente i processi e le implicazioni cliniche delle demenze
• Integrare attività quotidiane con programmi utili e stimolanti che sfruttano le residue
capacità del malato per sviluppare schemi assistenziali efficaci.
• Suggerire tecniche di comunicazione.

La formula Gentlecare
1) conosci la persona, la sua patologia, in che stadio di malattia si trova
2) comprendi il deficit e il suo comportamento
3) sviluppa l’intervento protesico (sia esso sulla persona o sull’ambiente)

E’ un APPROCCIO PROTESICO (supportivo sull’ambiente, sul familiare, sull’anziano; è


centrato sulla persona e sulla sua individualità)

Si sviluppa su tre elementi in continua relazione dinamica fra loro:


- spazio fisico
- persone → BENESSERE DEL SOGGETTO
- programmi

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INTERVENTI NON FARMACOLOGICI
L'efficacia dell’intervento non farmacologico dipende da come è stato strutturato: è
fondamentale che venga individualizzato e scelto in base alle caratteristiche del paziente
(funzionamento sociale, storia, preferenze), sulla patologia e sul livello di compromissione o
disturbo comportamentale.

TIPOLOGIE DI INTERVENTI SULL'ANZIANO


1. Centrati sulla cognitività
2. Centrati sulle emozioni
3. Centrati sul comportamento
4. Centrati sulla sensorialità
5. Interventi orientati all’ambiente
6. Interventi psicosociali sulla famiglia

1. INTERVENTI CENTRATI SULLA COGNITIVITÀ


- Stimolazione cognitiva
- Training cognitivi
- ROT
E’ diverso da riabilitazione (sono disturbi neurodegenerativi, la persona non può essere
riabilitata, ma solo alleviare i sintomi e ritardare la malattia)

OBB: la riabilitazione cognitiva ha come obiettivo il ristabilire il funzionamento cognitivo il più


vicino possibile a com'era prima dell'insorgenza della compromissione.
In questo caso si mira ad un recupero delle abilità cognitive danneggiate.
E' rivolta a soggetti di qualunque età che hanno subito una lesione cerebrale.

1. La Stimolazione Cognitiva - SC (protocollo spector)


DEF: programma mirato in cui si cercano di migliorare il funzionamento cognitivo globale ed
il funzionamento sociale della persona con demenza.

OBB: essa non ha come obiettivo il recupero delle abilità cognitive perse o danneggiate ma
il mantenimento di quelle funzioni che ancora non sono state compromesse dalla malattia.
Si parla di stimolazione cognitiva nelle patologie neuro-degenerative come nella demenza,
dove non è possibile un recupero ma, attraverso un costante allenamento, si può cercare di
contrastare l'impatto della malattia.

Il deterioramento cognitivo non si presenta in tutti i soggetti con le stesse caratteristiche e


con lo stesso livello di gravità.
I soggetti si differenziano per un diverso grado e qualità di capacità ancora presenti.
Fare stimolazione vuol dire anzitutto conoscere il livello di funzionamento complessivo e
specifico e modulare la proposta di attività in modo da promuovere l’utilizzo delle capacità
ancora sufficientemente conservate.

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SUGGERIMENTI
● Scegliere le attività in modo da assecondare predisposizioni, attitudini, gusti e passioni
della persona. Per far questo è utile confrontarsi con la famiglia in modo da conoscere più a
fondo gli interessi passati dell’anziano.
● Non avere fretta ma calibrare il ritmo con cui si propongono le attività al tempo di
elaborazione richiesto dal malato. E’ solitamente consigliabile scegliere bene poche cose da
fare con molta calma.
● Non forzare la persona ad adeguarsi alle richieste, ma cercare il momento ed il modo più
giusto per agganciarlo nelle attività proposte.
● Non preoccuparsi di fare bene il compito.
● Non protrarre lungamente le attività poiché le risorse di attenzione delle persone con
demenza sono limitate e potrebbero stancarsi rapidamente.
● Rinforzare positivamente gli sforzi compiuti elogiando sempre ogni atto che manifesti il
tentativo di coinvolgersi nelle attività proposte e di esprimere le proprie risorse.
● Non rimarcare mai gli eventuali errori.

ESERCIZI
- orientamento temporale
- orientamento spaziale
- orientamento sociale
- attenzione
- memoria
- linguaggio (es fluenze)
- sensoriali (stimolare i sensi con diversi odori, ecc)
- prassici motori
- calcolo

L’obiettivo non è quello di ottenere una prestazione elevata, ma di coinvolgere la


persona
La stimolazione cognitiva è quindi un’attività altamente strutturata, da non confondere con
qualsiasi tipo di proposta ludico-ricreativa!

La Cognitive Stimulation Therapy (Spector, 2003):


E’ un trattamento psico-sociale validato e strutturato in sessioni a tema per stimolare diverse
funzioni cognitive.
Nasce in Gran Bretagna ad opera di Aimèe Spector e dei suoi collaboratori nei primi anni del
2000.
Si tratta di un trattamento di gruppo (5/6 persone) basato sull’evidenza, indirizzato a persone
con demenza di grado lieve e moderato.

L’approccio sviluppato alla University College of London consiste in incontri due volte alla
settimana per 45 minuti, per un totale di 14 incontri.
All’inizio di ogni sessione viene ricordata la data, il luogo in cui ci si trova, eventuali
ricorrenze al fine di stimolare l’orientamento nei partecipanti, attraverso metodi impliciti che
non demoralizzino la persona.

Ogni incontro è caratterizzato da un tema specifico intorno al quale ruota l’attività principale:
➔ SESSIONE 1: giochi fisici (es. giocare con la palla, birilli, ..)

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➔ SESSIONE 2: suoni (quando la malattia avanza il significato del suono viene perso,
e non sanno da dove provengono e a cosa si riferiscono)
➔ SESSIONE 3: infanzia (domande per stimolare ricordi d’infanzia)
➔ SESSIONE 4: cibo
➔ SESSIONE 5: notizie di attualità
➔ SESSIONE 6: facce/scene (es. vedere volti famosi dei loro tempi..)
➔ SESSIONE 7: associazione di parole
➔ SESSIONE 8: creatività
➔ SESSIONE 9: categorizzazione
➔ SESSIONE 10: orientamento
➔ SESSIONE 11: utilizzo di denaro
➔ SESSIONE 12: giochi con i numeri
➔ SESSIONE 13: giochi con le parole
➔ SESSIONE 14: quiz a squadre

Ciascuna sessione è così articolata:


- Introduzione (10 minuti) → spiegare cosa si farà nella sessione
- Attività principale legata al tema caratterizzante dell'incontro (max 25 minuti →
dipende dalla difficoltà e dalla capacità di attenzione dell’anziano)
- Conclusione e saluti (10 minuti)

Tra i numerosi interventi esistenti, la Terapia di Stimolazione Cognitiva (CST), è l’unico


intervento per anziani con demenza lieve-moderata con evidenze di efficacia.
Studi randomizzati hanno osservato, attraverso l’utilizzo di vari strumenti tra i quali il
Mini-Mental State Examination (MMSE) e l’Alzheimer Disease Assessment Scale-Cognition
(ADAS-cog), notevoli miglioramenti:
→ nel funzionamento cognitivo globale
→ nella qualità della vita delle persone con demenza
→ delle funzioni cognitive globali e la qualità della vita tramite ripetute stimolazioni
multisensoriali
→ riducono la tendenza all’isolamento
→ favoriscono il livello di autostima.

Programma di mantenimento della Terapia di Stimolazione Cognitiva (MCST)


Le sessioni si svolgono una volta a settimana per ventiquattro settimane:
SESSIONE 1: la storia della mia vita SESSIONE 13: slogan pubblicitari
SESSIONE 2: notizie di attualità SESSIONE 14: arte
SESSIONE 3: cibo SESSIONE 15: volti e luoghi
SESSIONE 4: creatività SESSIONE 16: giochi di parole
SESSIONE 5: giochi con i numeri SESSIONE 17: slogan del cibo
SESSIONE 6: giochi e quiz di gruppo SESSIONE 18: associazioni di parole
SESSIONE 7: suoni SESSIONE 19: orientamento
SESSIONE 8: giochi fisici SESSIONE 20: utilizzo del denaro
SESSIONE 9: categorizzazione di oggetti SESSIONE 21: giochi di parole
SESSIONE 10: antichità domestiche SESSIONE 22: antichità domestiche
SESSIONE 11: rimedi della nonna SESSIONE 23: la mia vita lavorativa
SESSIONE 12: carte creative SESSIONE 24: consigli per una vita sana

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- Introduzione (10 minuti). Si inizia con un benvenuto a tutti i componenti del gruppo,
chiamando ciascuno per nome e tra le altre cose si canta la canzone scelta al primo
incontro, si discute del giorno, mese, anno, stagione etc. in modo da dare un orientamento
spazio temporale

- Attività principale di stimolazione cognitiva legata al tema dell’incontro (25 minuti)

- Conclusione e saluti della durata di 10 minuti, durante i quali si fa un riassunto dell’attività


cogliendo i feedback, si ringrazia ciascun partecipante, si ricanta la canzone e si ricorda
l’orario e l’argomento dell’appuntamento successivo.

2. Il training cognitivo
DEF: processo di stimolazione cognitiva che mira all'esercizio di specifiche funzioni cognitive
attraverso l'utilizzo di un set standard di compiti specifici.
Il training cognitivo si avvale di 2 PRINCIPI:

1. RIPETIZIONE → somministrare più volte la stessa tipologia di esercizi porta alla


riorganizzazione delle funzioni (riorganizzazione funzionale) vicariando le abilità
perse a causa della lesione o rinforzando le abilità preservate.

2. GRADUALITA’ → consiste nel dover scegliere i compiti da presentare al paziente


tenendo conto delle sue capacità attuali e modulando man mano la difficoltà a
seconda dei risultati ottenuti e degli scopi terapeutici che si è posto. Il training può
essere svolto in gruppo o individualmente, utilizzando carta e matita oppure supporti
informatici (computer, tablet ecc.).

3. Reality Orientation Therapy (ROT)


La Terapia di Orientamento alla Realtà è la più diffusa terapia cognitiva.
Essa è stata ideata da Folsom alla fine degli anni ‘50, presso la Veterans Administration
(Topeka, Kansas), e successivamente sviluppata da Taulbee e Folsom negli anni ’60.

Metodo: ripetute stimolazioni multimodali (verbali, visive, scritte, musicali) per rafforzare le
informazioni di base del paziente; indirizza l’attenzione del paziente verso il presente e sulle
informazioni fruibili dall’ambiente circostante.

→ Verso sé: ri-orientare il soggetto per quanto riguarda gli aspetti importanti della sua
biografia personale (es. data di nascita) o chiamando in causa argomenti connessi alla sua
storia di vita.

→ Verso l'ambiente: es chiedere l’orario e il luogo in cui si trova.


Maggiori evidenze di efficacia sui pz con deterioramento cognitivo lieve moderato.
(Spector et al, 2000).

2. INTERVENTI CENTRATI SULLE EMOZIONI


- Reminiscenza
- Counselling, supporto
- Validation Therapy

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● Reminiscenza: il continuo ritorno al passato (lavorando attraverso questi è possibile
comprendere maggiormente l’anziano e fargli ricordare emozioni positive)
La Reminiscenza è una delle tecniche psicosociali popolari e apprezzata anche da operatori
e partecipanti. Ha effetti molto positivi sull’umore, la cognizione e il benessere delle persone.

• Obiettivi: potenziare le abilità mnesiche residue, le associazioni logiche, la comunicazione


e migliorare il tono dell’umore/senso di autoefficacia

• Metodo: rievocazione di eventi del proprio passato, sfruttando la naturale predisposizione


dell’anziano

Nella terapia di Reminiscenza, le situazioni passate rappresentano lo spunto per stimolare le


risorse residue della memoria e proprio queste vengono stimolate al fine di far riemergere
esperienze dal punto di vista emotivo piacevoli.
Permette quindi alle persone ammalate di mantenere la propria autostima, anzi di
svilupparla ulteriormente quando sono ancora in grado di ricordare, piuttosto che frustarli su
quello che non possono tenere alla mente a causa della patologia.

● Counselling, supporto

● Validation Therapy
“Non è vero che non si può comunicare con il malato di demenza, al contrario è possibile
farlo durante tutta la durata della malattia. La comunicazione con il malato è parte integrante
della cura, contribuisce a migliorare la qualità della vita, evitare o ridurre molti disturbi
comportamentali, dare dignità alla persona e a chi le sta vicino.” (Naomi Feil)

NAOMI FEIL
Nasce a Monaco di Baviera, in Germania, nel 1932, cresce nella casa per anziani di
Montefiore di Cleveland, nell’Ohio, dove suo padre era direttore e sua madre a capo del
servizio sociale. Laureata alla Columbia University dello Stato di New York non è soddisfatta
degli approcci che comunemente vengono utilizzati nella relazione con i grandi anziani, in
particolare con gli anziani con deterioramento cognitivo, che comunemente venivano isolati,
o ignorati, perché troppo disturbanti e la relazione era considerata inutile, una perdita di
tempo.
Il suo contatto continuo con quegli anziani intrappolati in un mondo parallelo,
apparentemente distante ed incomprensibile, le darà l’opportunità di capire che a nulla serve
trattenerli nella realtà, così come la concepiamo.
→ Costruisce così il metodo “Validation”, che deriva dal verbo to validate in inglese,
legittimare, riconoscere che i sentimenti di una persona sono autentici.

La terapia di validazione si fonda sul rapporto empatico fra operatore e paziente laddove,
tramite l’ascolto, il terapista cerca di immedesimarsi e penetrare nella realtà distorta del
paziente (il cui deficit mnesico può portarlo a vivere, ad es. nella sua giovinezza), al fine di
creare contatti relazionali ed emotivi significativi.
Tale terapia:
- aumenta le capacità comunicative,
- riduce ansia e stress,
- diminuisce la necessità di ricorso a sedativi e contenzione.

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Ritenuto adatto anche in fase avanzata di malattia.
Inoltre i benefici influiscono sul personale di assistenza e sui familiari.

Metodo:
Il terapista non tenta di riorientare il paziente alla realtà, ma tramite l’ascolto cerca di
conoscere la visione della realtà da parte del paziente, immedesimandosi nel suo mondo,
per capirne comportamenti, sentimenti ed emozioni.
→ Utilizzata con pazienti con deterioramento cognitivo severo; poche evidenze (studi di
bassa qualità), ma un approccio utile per migliorare la relazione con il paziente demente
grave.

Con il termine validazione emozionale si intende un metodo per allenarci ad entrare


temporaneamente nel mondo mentale del malato.
Quando riusciamo a trovare questo contatto e sentiamo che l’ammalato vuole comunicare
con noi qualcosa che riguarda i suoi desideri o i suoi stati d’animo, teniamo bene a mente
che per quanto bizzarri, deliranti ed inopportuni ci appaiano i contenuti della comunicazione,
le emozioni che la persona prova sono sempre vere.

Bisogni emotivi fondamentali


Solitamente i contenuti delle affermazioni, anche le più bizzarre ed improbabili, sono
riconducibili ad alcune grandi aree dell’esperienza emotiva:
❖ Il bisogno di difendersi dalle possibili aggressioni reali o immaginarie
❖ Il bisogno di sentirsi accuditi e amati
❖ Il bisogno di conservare una buona immagine di sé
❖ Il bisogno di sentirsi utili

“E’ a questi bisogni fondamentali che dobbiamo cercare di fornire risposte validanti,
accoglienti e rassicuranti.
In molti casi, soprattutto quando il deficit è più avanzato, non è utile cercare di orientare
l’ammalato alla realtà.
Questo non farebbe altro che esacerbare il suo senso di solitudine, incomprensione e
rabbia” (Feil)

TECNICHE DI VALIDAZIONE EMOZIONALE


➢ riformulare
➢ accordare le emozioni
➢ collegare
➢ rispondere al bisogno emotivo

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ESEMPI:

● Psicoeducazione del caregiver intesa come modificazione del suo comportamento; è


efficace e il risultato dura nel tempo

PSICOEDUCAZIONE DEI CAREGIVER


Alla base dell’approccio psicoeducazionale vi è il concetto di coping.
Si ritiene infatti che molti problemi siano peggiorati da modalità inadeguate di
fronteggiamento.
La psicoeducazione familiare ha come obiettivi principali la riduzione dello stress familiare
(considerato un fattore di rischio per l’insorgenza di sintomi psicotici, depressivi e maniacali),
e la diminuzione/prevenzione delle ricadute e dei ricoveri dei pazienti (Massai V. et
al., 2009).
Scopo di questi gruppi è di insegnare ai familiari come affrontare le modificazioni del
comportamento e della personalità che si presentano e fornire delle modalità di gestione
della quotidianità più efficaci.
La demenza, infatti, colpisce non solo il paziente ma anche il suo sistema familiare
modificandone profondamente i rapporti interni.
Il familiare deve essere quindi accompagnato attraverso un percorso di comprensione della
malattia e di ridefinizione della relazione con il proprio caro, il quale non deve essere
considerato solo una fonte di difficoltà a causa dei suoi deficit, ma una persona con delle
risorse ancora presenti che hanno bisogno di essere comprese, mantenute e potenziate.
Il Ben-essere e l’equilibrio del Caregiver è fondamentale quindi anche per il benessere della
persona malata.

OBIETTIVI:
- informare
- sostenere
- spiegare strategie e prevenire

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Corso psicoeducazionale
• Costituito da un gruppo chiuso (8-10 persone)
• Sei-otto incontri di 2 ore a cadenza bisettimanale
• Durata fra 3-4 mesi
• Si parla delle proprie difficoltà nella gestione del paziente
• Si sfogano le proprie ansie e paure
• Si acquista consapevolezza della malattia del congiunto
• Si impara ad accettare la situazione
• Si apprendono nozioni di base sulla demenza
• Si imparano strategie per migliorare la gestione del paziente, a gestire e limitare i sintomi,
con un minor ricorso all’uso di farmaci contenitivi
• Si impara a conoscere e gestire le proprie emozioni (tristezza, paura, rabbia, sensi di
colpa…)
• Si migliorano i rapporti con gli altri familiari, amici, vicini…

3. INTERVENTI SULLA SENSORIALITA’


- Stimolazione multisensoriale (Snoezelen)
- Terapia occupazionale
- Touch therapy
- Aromatherapy
- Musica, arte, animali, danza
- Esercizio, attività fisica, movimento

MUSICOTERAPIA
Obiettivo: modificare lo stato emotivo, comportamentale e affettivo attraverso un canale non
verbale
Metodo: utilizzo di strumenti musicali (musicoterapia attiva), ascolti musicali (musicoterapia
recettiva)
Modalità: individuale o di gruppo
Evidenze cliniche di efficacia su agitazione, aggressività, wandering, irritabilità, difficoltà
emotive e sociali. Molti studi anche se con campioni di piccole dimensioni.

AROMATERAPIA
Obiettivo: ridurre l’agitazione psicomotoria
Metodo: applicazione oli essenziali sulla pelle (spesso accompagnato da massaggio),
posizionati in bagno, dispersi nell’aria con l’utilizzo di un fornellino brucia essenze
Generalmente applicato sui pz con deterioramento cognitivo moderato-severo per ridurre i
BPSD.

TERAPIA MULTISENSORIALE
La “Snoezelen” nasce in Olanda negli anni ’70; il termine (neologismo) deriva dalla fusione
di due verbi olandesi: Snuffelen, “esplorare” e Doezelen, “rilassare”.

Obiettivo: coinvolgere e stimolare le residue abilità senso motorie delle persone.


Dare calma e tranquillità. Ridurre agitazione e disturbi comportamentali.

Metodo: esposizione ad un ambiente “calmante” e “stimolante” sui cinque sensi.

Risultati incoraggianti sulla riduzione dell’apatia nella demenza in fase avanzata.

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Come sono fatte le stanze Snoezelen?
- Varie fonti luminose: tubo a bolle, proiettore di immagini, fibre ottiche ecc.
- Musica rilassante e/o intermittente
- Pavimento e/o soffitto multicolore o con fibre ottiche
- Pannelli “vibranti” o interattivi
- Superfici “tattili”
- Poltrone oscillanti e letti vibranti
- Diffusore di essenze profumate

Ambiti di applicazione
- Disabilità cognitive
- Autismo
- Esiti da ictus e trauma cranico
- Turbe psichiatriche
- Disturbo da stress post-traumatico
- Demenza/Parkinson
- Controllo del dolore acuto e cronico

TERAPIA ASSISTITA CON ANIMALI (AAT)


Molti studi non sono sperimentali, non tutti hanno gruppi di controllo e mancano di rigore
metodologico.
Assenza di valutazioni costo-beneficio e richiesta di preparazione adeguata dello staff.
Miglioramenti su apatia, depressione, interazione con l’ambiente ed aumento dell’appetito.

TERAPIA OCCUPAZIONALE
Obiettivo: ripristino del maggior grado di autonomia possibile, valorizzazione delle abilità
residue, aumento della qualità della vita.

TERAPIA FISICA E ATTIVITA’ MOTORIA


Evidenze di efficacia sull’umore, disturbi del sonno, wandering, agitazione e funzioni
cognitive.

MASSAGE AND TOUCH FOR DEMENTIA - Hansen NV, Jørgensen T, Ørtenblad L


Massaggi e interventi touch sono stati proposti come alternativa o complemento ai
trattamenti farmacologici e altri per contrastare l'ansia, l’agitazione, la depressione e per
rallentare il declino cognitivo nelle persone affette da demenza.
La piccola quantità di dati attualmente disponibili è a favore del massaggio e del tocco per
quanto riguarda l’efficacia terapeutica nei soggetti dementi con disturbi comportamentali, ma
gli stessi dati sono troppo limitati per consentire conclusioni generali.

TERAPIA DELLA BAMBOLA


Obiettivo: favorire la diminuzione di alcuni disturbi comportamentali attraverso l’attivazione di
relazioni tattili e di maternage mediante l’accudimento di una bambola con caratteristiche
particolari (peso, posizione delle braccia e delle gambe, dimensioni e tratti somatici).
Metodo: interazione con la bambola ed attività di accudimento
Utilizzato in soggetti con demenza moderata-severa; i pochi studi indicano potenziali effetti
positivi nella riduzione dei disturbi comportamentali e nell’incremento della partecipazione.

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TERAPIA DEL TRENO
La terapia del treno, ideata dal professore Ivo Cilesi, simula un viaggio immaginario, ma che
sul piano delle emozioni e delle sensazioni è vissuto come reale e dunque in grado di
stimolare la memoria affettivo-emozionale e, quando possibile, anche le capacità cognitive
residue delle persone malate.
Pensata per dare sollievo ai pazienti affetti da Alzheimer, la treno terapia fa riaffiorare ricordi
ed emozioni, calmando le persone e placando i tipici stati di agitazione della malattia.
Un viaggio virtuale di 45 minuti in una sala allestita come un vagone del treno con poltrone e
un finestrino attraverso il quale guardare le immagini di un paesaggio in movimento.

Obiettivi:
- Il viaggio come momento di aggregazione, conoscenza e confidenza, “racconto”.
- Il viaggio come svago, rottura dalla routine, percorso di benessere per ritornare a vedere
paesaggi dal “finestrino”.
- Il viaggio come riattivazione dell’immaginazione, della memoria, tornare bambini.
- Il viaggio come stimolo al mangiare.
- Il viaggio come rilassamento per il rumore e i suoni che esso produce.

E’ importante a seguito del viaggio, tenere un diario così da evidenziare cambiamenti,


reazioni immediate dell’ospite.
La terapia del viaggio è un’opportunità anche per gli operatori, infatti a coloro che seguono il
viaggio, vengono somministrati dei questionari per capire il loro vissuto rispetto all’attività.

Chi era Ivo Cilesi?


Ivo Cilesi, psicopedagogista bergamasco, era uno dei massimi esperti di demenza e
studioso appassionato di metodi non farmacologici per affrontarla e ridurne gli effetti. Fu il
primo a utilizzare la bambola con i pazienti anziani con demenza. Fu l'ideatore della Doll
Therapy. Prese spunto da Britt Marie Egidius Jakobsson, psicoterapeuta, la quale creò una
specifica bambola per aiutare il suo bambino autistico. Ivo Cilesi è morto di coronavirus, in
ospedale a Parma nel marzo 2020. Lo chiamavano anche il dottore del Treno.

65
IL PROCESSO DIAGNOSTICO

Tutti i cambiamenti, che compromettono sempre di più l’autonomia del paziente fino ad
interferire sul normale svolgimento delle attività quotidiane di cura personale, sulla attività
lavorativa e sulle relazioni interpersonali, devono essere documentati da una storia clinica.
Questa consiste nella raccolta del maggior numero di informazioni riguardanti l’esordio della
malattia (quando sono stati notati i primi sintomi e quali sono stati) e l’impatto dei disturbi
sulle attività normalmente svolte dal soggetto.

Anamnesi
- L’anamnesi familiare
- L’anamnesi fisiologica
- L’anamnesi patologica remota
- L’anamnesi patologica prossima
- L’anamnesi farmacologica
- L’anamnesi neuropsicologica
- La valutazione delle abilità funzionali nelle attività della vita quotidiana
- L’anamnesi psichiatrica
- L’anamnesi neurologica
- La valutazione della comorbilità

Strumenti di valutazione:
LA VALUTAZIONE DELLE FUNZIONI COGNITIVE

- Mini Mental State Examination


E’ sicuramente lo strumento più diffuso per la rapidità e facilità di applicazione.
Indaga sommariamente:
- la memoria immediata e differita di materiale verbale
- il linguaggio
- l’orientamento spazio-temporale
- l’attenzione
- il calcolo
- la prassia
E’ un buon strumento di screening sulla cognitività globale ma non consente
l’approfondimento di alcuna componente e soprattutto non rende possibile un'adeguata
differenziazione dei profili cognitivi.

- Milan Overall Dementia Assessment (MODA)


E’ una breve batteria testistica che fornisce una valutazione più articolata di: attenzione,
intelligenza, memoria, linguaggio, cognizione spaziale e percezione visiva.
Permette di differenziare le competenze nelle diverse aree cognitive al fine di strutturare un
intervento mirato ma anche di ottenere un punteggio globale indicativo del livello di
compromissione complessiva.
La sua somministrazione richiede un tempo approssimativo di circa 30 minuti.

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- Severe Impairment Battery (SIB)
Viene utilizzata con pazienti giudicati moderato-severi (inferiore a 13 MMSE) che non
riuscirebbero ad essere adeguatamente testati con gli strumenti precedenti.
Richiede un tempo relativamente breve di somministrazione (20 minuti) ed è composta da
richieste semplici che prevedono risposte sia verbali che non verbali.
Permette di valutare lo stato dell’attenzione, dell’orientamento, il linguaggio, le abilità
visuospaziali e prassiche.
E’ uno strumento attendibile e permette valutazioni ripetute nel tempo, prima e dopo gli
interventi riabilitativi.

- Alzheimer Disease Assessment Scale (ADAS):


Costituita da due scale:
● cognitiva
● non cognitiva
E’ uno strumento solitamente non utilizzato in fase diagnostica ma utile per valutare
l’efficacia di un intervento terapeutico o riabilitativo.
Utile per valutare la progressione della malattia.
Consente di sondare diverse funzioni cognitive (apprendimento immediato e differito,
riconoscimento, orientamento, prassie, comprensione, qualità del linguaggio spontaneo).
La somministrazione richiede un tempo medio di circa 30 minuti.

- Short portable mental status questionnaire (Pfeiffer, 1975) o Test di Pfeiffer:


Composto da una lista di dieci domande che indagano alcuni aspetti delle capacità
cognitive:
→ 7 item sono focalizzati sull’ORIENTAMENTO (spazio-temporale, personale e circostante),
→ 2 item valutano la MEMORIA A LUNGO TERMINE (numero di telefono/indirizzo e
cognome della madre),
→ 1 item valuta la capacità di CONCENTRAZIONE (sottrazione seriale).
Il punteggio al test viene calcolato conteggiando 1 punto per ogni risposta corretta in una
scala ordinale da 0 (massimo deficit cognitivo) a 10 (assenza di deficit cognitivo).

Altri sono:

- Fluenza verbale semantica (taratura Costa - Digit span (taratura Carlesimo et al, 2013)
et al, 2013) - Fluenza verbale fonemica - Test di Corsi (taratura Carlesimo et al,
(taratura Costa et al, 2013) 2013)
- Frontal Assessment Battery (taratura - 15 parole di Rey (versione in MDB)
Appollonio et. al, 2005) - Fig.complessa di Rey-Osterreith- recall
- Matrici Progressive Colorate di Raven (Cafarra et al. 2002)
(PM-47) - Memoria di Prosa (taratura Carlesimo et
- Test dell’Orologio (Vers. Freedman, al, 2002)
taratura Caffarra et al, 2011) - Trail Making Test (taratura Giovagnoli et
- Frontal Assessment Battery (taratura al, 1996)
Appollonio et. Al, 2005) - Test delle Matrici Attentive (taratura Della
- Matrici Progressive Colorate di Raven Sala et al.,1992)
(PM-47)Versione in MDB - Test di Stroop (taratura Caffarra et al,
- Test dell’Orologio (Vers. Freedman, 2002)
taratura Caffarra et al, 2011) - Denominazione visiva (Versione Sartori et
al, 1988, 1992)

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LO STATO FUNZIONALE

- Activities of Daily Living (ADL)


Fornisce un punteggio indicativo della capacità della persona di compiere in modo autonomo
alcune funzioni basilari della vita quotidiana (alimentazione, abbigliamento, igiene personale,
fare il bagno, uso dei servizi igienici, capacità di spostamento).

- Instrumental Activities of Daily Living (IADL)


Analizza la capacità di svolgere in modo autonomo attività complementari più complesse di
quelle analizzate dal ADL (uso del telefono, fare la spesa, preparare il cibo, cura della casa,
bucato, uso dei trasporti, assunzione di farmaci, gestione del denaro).

Altri sono:
- Disability Assessment for Dementia - Scala di Tinetti (rischio caduta)
(D.A.D.) - Physical Performance Test (PPT)
- Barthel Index (stabilisce il grado di (scrivere, simulare l'alimentazione,
autonomia) indossare una giacca ecc)
- Bedford Alzheimer Nursing Severity Scale - Direct Assessment of Functional Status
(BANSS) (per le fasi avanzate) (DAFS)

SINTOMI NON COGNITIVI

- UCLA Neuropsychiatric Inventory (NPI)


Consente di valutare attraverso un colloquio strutturato con i caregivers più prossimi
(operatori o familiari) lo stato psichico e comportamentale del soggetto in qualunque fase
della malattia.
Viene rilevato inoltre l’impatto stressante che i sintomi producono nelle persone che si
prendono cura del malato.

- Scala dei Disturbi Comportamentali nella Malattia di Alzheimer (BehaveAD)


Lo strumento rileva la presenza e la qualità dei sintomi neuropsichiatrici che caratterizzano
la demenza, in particolare di tipo Alzheimer.
E’ uno strumento che si presenta sotto forma di questionario e che può essere compilato
anche autonomamente dal caregiver.

- Cornell Scale, scala di osservazione dei sintomi depressivi in soggetti con demenza
severa, di Alexopulos et al. (1988).

- Geriatric Depression Scale (GDS)

- Cumulative Illness Rating Scale (CIRS): per la Valutazione della comorbidità somatica

68
I CAREGIVERS

Tale termine deriva dalla letteratura anglosassone dei primi anni Ottanta del Novecento.
In Gran Bretagna, negli anni Cinquanta, un gruppo considerevole di donne lasciava il proprio
lavoro retribuito per prendersi cura del genitore anziano.
Queste donne crearono un gruppo distinto dai familiari: si definivano Caregiver.

- Caregiver formale → infermiere o qualsiasi altro professionista


- Caregiver informale → persona che all'interno della famiglia si assume in modo
principale il compito di cura e di assistenza

LA FAMIGLIA
Sulla famiglia grava gran parte del peso assistenziale e la maggior parte dei caregiver sono
donne (74%):
➔ In media ¾ della giornata il caregiver la passa ad assistere (il 30,6% di familiari di
pazienti con demenza severa è impegnato più di 10 ore al giorno nell’assistenza
diretta e il 31,7% oltre quindici ore nella sorveglianza).
➔ Per il 40% dei casi in cui il malato è ad uno stadio avanzato di malattia, il tempo
libero del caregiver non supera le 4 ore in media a settimana.

CONSEGUENZE

A. Modificazione della routine familiare (ritmi, gestione vita quotidiana, necessità).

B. Modificazione della qualità delle relazioni familiari (spesso si creano attriti tra chi
assiste di più e chi di meno)

C. Modificazione delle relazioni sociali: la famiglia si chiude, emergono invidie e critiche.


Capita anche che gli amici spossano sparire.

D. Emergono difficoltà sul piano lavorativo, finanziario, di carriera

E. Importanti sono le conseguenze per i figli del caregiver che possono sentirsi
trascurati. In alcuni casi anche i figli vengono coinvolti come assistenti alla cura.

F. La consapevolezza della comune base genetica con il malato può favorire


aspettative di malattia ed una tendenza ad interpretare in senso patologico ogni
proprio momento di confusione o ogni sintomo difficile da comprendere
(es. “tanto lo so che finirò anch’io come lui”)

Legami familiari e cura degli anziani in Europa (ricerca del 2017)


Chi presta cura in Europa?
Alla domanda “da quale familiare (vicino di casa o amico) ha ricevuto assistenza nei 12 mesi
precedenti l’intervista?” nel 57% dei casi il rispondente over 65, indica i figli.
Questa categoria include anche generi/nuore e figli del partner, anche se le ultime tre
tipologie incidono per una percentuale minima (4,5% in totale).
A seguire vicini di casa (11,4%) e amici (8,7%), mentre gli sposi/partner sono rappresentati
per circa il 5%.

69
All’aumentare dell’età dei rispondenti, come prevedibile, i figli assumono un peso via via
crescente nella cura dei genitori, mentre si assottiglia la percentuale delle altre possibili fonti
di supporto.
Se si confrontano i Paesi europei posti a diverse latitudini, emerge un gradiente geografico.
I Paesi dell’Europa meridionale come Spagna e Italia si distinguono per percentuali
relativamente alte di figli che forniscono supporto ai genitori, a conferma della visione
familista dei Paesi mediterranei.
I Paesi del Centro e Nord Europa, invece, presentano percentuali minori per la categoria dei
figli, compensate da valori più alti di amici e vicini di casa.
Questi ultimi si distinguono soprattutto in Danimarca (23%) e Francia (17%), nazioni dove i
figli caregiver sono meno rappresentati rispetto agli altri Paesi.

L’eterogeneità nel legame fra genitori e figli che emerge fra diversi Paesi europei è in
qualche modo confermata da un’altra domanda che compare nel questionario SHARE: si
tratta della frequenza con cui i figli hanno un contatto (telefonico o personale) con i propri
genitori.
Si è visto che in Italia i figli contattano la propria madre molto più frequentemente che in altri
Paesi.
Ad esempio in Italia il contatto è giornaliero in 6 casi su 10, in Danimarca poco più che in 1
caso su 10.
Man mano che si procede dal Sud al Nord Europa si nota che la frequenza giornaliera di
contatti diminuisce, a rappresentazione di un legame più debole che unisce i figli ai propri
genitori anziani nell’Europa settentrionale.

Un’altra variabile determinante dei diversi legami che intercorrono fra genitori anziani e figli è
data dalla distanza tra le abitazioni dei figli e quelle dei genitori.
Spesso la scarsa autonomia dei genitori anziani e/o o la ricerca di un aiuto nella cura dei
bambini da parte dei figli che hanno ancora un ruolo genitoriale attivo, spinge una delle due
parti ad avvicinarsi all’altra, ma anche questa attitudine varia al variare dei Paesi Europei,
con una probabilità maggiore che questo evento si verifichi nei Paesi del Sud Europa.

Per quanto riguarda le cure personali, sul campione di anziani over-65 il dato per l’Italia è il
73% per le cure giornaliere e 18% per la frequenza settimanale, invece per Francia e Svezia
il dato giornaliero si abbassa rispettivamente a 48% e 25%.

Il trend demografico in atto suggerisce che ci saranno sempre meno figli a disposizione
per curare i genitori anziani.
In particolare negli ultimi decenni si hanno meno figli rispetto alle generazioni precedenti e
ad una età più avanzata, pertanto il numero di figli che accudiranno i genitori è destinato ad
assottigliarsi e ad avere meno tempo a disposizione per assistere gli stessi, a causa delle
responsabilità verso i propri figli non ancora autonomi.
Tutto ciò suggerisce che le cure prestate dai caregiver informali italiani su base giornaliera
potranno non esser più disponibili negli anni a venire.
Urge dunque una riorganizzazione sociale e sanitaria.

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IL BURDEN DEL CAREGIVER
Si deve a Cristina Maslach una più chiara definizione della “sindrome del burnout”
nell’ambito delle professioni socio sanitarie.

DEF: coinvolgimento emotivo ed un utilizzo eccessivo delle proprie risorse affettive ed
emotive, con conseguente sovraccarico ed esaurimento emozionale.
E' caratterizzato da un senso di inadeguatezza e dalla difficoltà di stabilire un'efficace
relazione d’aiuto.

Cosa influenza il Burden?


A. CARATTERISTICHE DEL PAZIENTE
B. CARATTERISTICHE DEL CAREGIVER
C. CARATTERISTICHE DELLA RELAZIONE CAREGIVER PAZIENTE
D. CARATTERISTICHE DEL CONTESTO SOCIALE

STRUMENTI:
- Cargiver Burden Inventory
- Zarit Burden Inventory

Caregiver Burden Inventory


La CBI (Caregiver Burden Inventory) di Novak e Guest, è uno strumento che permette di
approfondire le aree specifiche del caregiver su cui il burder grava maggiormente.
E' composto da 24 items, suddivisi in 5 dimensioni di burden:

1 - Carico oggettivo (item 1-5), descrive il carico associato alla restrizione di tempo per il
caregiver;

2 - Carico psicologico (item 6-10), inteso come la percezione del caregiver di sentirsi tagliato
fuori, rispetto alle aspettative e alle opportunità dei propri coetanei;

3 - Carico fisico (item 11-14), che descrive le sensazioni di fatica cronica e problemi di salute
somatica;

4 - Carico sociale (item 15-19), che descrive la percezione di un conflitto di ruolo;

5 - Carico emotivo (item 20-24), che descrive i sentimenti verso il paziente, che possono
essere indotti da comportamenti imprevedibili e bizzarri.
Prevedono una modalità di risposta su scala likert da 0 a 4, con un punteggio minimo di 0 e
uno massimo di 96, in cui più il punteggio è alto maggiore è il burden del caregiver.

CAREGIVER BURDEN INVENTORY (CBI)


0 = per nulla, 1 = un poco, 2 = moderatamente, 3 = parecchio, 4 = nulla

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CAUSE DEL BURNOUT
Lo stress derivante dall’assistenza può essere catalogato secondo tre diversi criteri:
- Oggettivo, cioè causato da attività reali da svolgere.
Rientrano tra queste:
→ la gestione della cura della persona (pulizia, pasti…)
→ la gestione delle terapie e degli effetti indesiderati
→ la gestione dei sintomi e dei comportamenti problematici
→ la responsabilità nell’assistenza

- Soggettivo, lo stress è causato dal modo in cui la singola persona vive la situazione
in cui si trova, considerando i propri sentimenti di rabbia e di perdita (per le rinunce
personali), l’angoscia dovuta alla sofferenza del proprio caro, l’instabilità emotiva
legata all’andamento della malattia

- Istituzionale, cioè derivante dalla difficoltà nel trovare informazioni e supporto


adeguati.

METAFORA DELLA BAMBOLA SPEZZATA (Manciaux, 1999)


Facendo cadere una bambola, essa si romperà più o meno facilmente a seconda:
• del materiale della bambola (rappresenta la resistenza dell’individuo ai traumi);
• della materia del suolo (rappresenta l’ambiente, la presenza o meno di reti di sostegno);
• della forza con cui è stata gettata (rappresenta l’intensità del trauma e la durata
dell’evento).

ALZHEIMER CAFFE’
Nasce nel 1997 a Leida, Olanda, da un progetto della psicogeriatra Bere Miesen.
DEF: spazio informale e de-istituzionalizzato per i malati ed i loro familiari, un luogo
accogliente, in cui trascorrere qualche ora insieme, socializzare, e parlare dei propri
problemi, con la presenza di operatori esperti.

Gli incontri, nello svolgimento pratico, presentano una duplice natura:


- quella terapeutica, che dà spazio anche all’informazione
- quella della socializzazione, alla quale è riservata una notevole considerazione.

La cadenza degli incontri negli Alzheimer Caffè del Coordinamento è settimanale: rispetto
all'organizzazione mensile, si è ritenuto più efficace e coinvolgente creare una maggiore
frequenza degli incontri.
OBB: creare un gruppo che si incontra costantemente, con maggiore efficacia (il volontariato
organizza anche il trasporto, se necessario).
Ai partecipanti vengono somministrate scale di valutazione standardizzate, all’inizio ed a
distanza di 6 mesi dall’intervento, con l’obiettivo di conoscere l’efficacia in diversi ambiti:
→ cognitivo
→ affettivo
→ funzionale
→ comportamentale

Schematicamente, ogni incontro può essere suddiviso in 5 parti:

- la prima è l’accoglienza

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- Segue una parte “formale” nella quale i caregiver possano apprendere informazioni sulla
malattia.

- Nella terza parte, un intervallo con musica e bevande, si lascia libera possibilità
all’interazione personale fra gli organizzatori ed i caregiver che preferiscono non fare
domande in pubblico.
Mentre i caregiver sono impegnati, altro personale si dedica ai malati, organizzando attività
piacevoli.

- Al termine dell’intervallo si lascia spazio a commenti, considerazioni personali, richieste.

- Al termine del dibattito inizia la fase conclusiva dell’incontro nella quale si lascia spazio
all’atmosfera informale del Caffè.
Alcuni ospiti andranno via quasi subito; altri, invece, approfitteranno di questo momento per
parlare con altri familiari, ascoltando le loro storie, o con gli specialisti.
In alcuni Alzheimer Caffè al termine dell’incontro si balla e si canta mentre in altri i visitatori
possono annotare le proprie impressioni sull’incontro su una sorta di “diario di bordo”.
Ciò può essere utile per valutare l’andamento del Caffè.
Gli organizzatori possono anche utilizzare questo momento per discutere con i visitatori
relativamente ad eventuali argomenti di futuri incontri.

Virtual Dementia Tour (VDT)


DEF: metodo originale, innovativo e scientificamente provato per generare una maggiore
comprensione del tema della demenza, attraverso l’uso di istruzioni e strumenti sensoriali
brevettati.
Il percorso esperienziale del VDT® è stato creato dalla specialista in geriatria P.K. Beville,
fondatrice di Second Wind Dreams®, un’organizzazione statunitense internazionale no
profit, con sede a Roswell (Georgia).
Durante l’esperienza del VDT, facilitatori qualificati guidano i partecipanti, equipaggiati con
dispositivi brevettati che alterano i loro sensi, mentre cercano di compiere comuni mansioni
quotidiane ed esercizi.

Il VDT permette ai caregiver di provare in prima persona le difficoltà fisiche e mentali che le
persone con demenza devono affrontare quotidianamente e di usare a loro volta questa
esperienza per fornire una migliore assistenza centrata sulla persona
(Person-Centred-Care).
Il progetto coinvolge gli operatori professionalmente deputati all’assistenza delle persone
anziane, le famiglie e il contesto sociale in cui la persona fragile vive.

Ad oggi il VDT è stato condotto da oltre tre milioni di persone in 20 Paesi nel mondo.
In Italia, la diffusione del VDT è affidata in esclusiva e per la prima volta all’Associazione
InsiemeAte Onlus, che la propone su tutto il territorio nazionale.

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SERVIZI DI ASSISTENZA - TIPOLOGIE

1. ASSISTENZA DOMICILIARE
• occasionale/estemporanea: intervento domiciliare di carattere sociosanitario dedicato ai
pazienti che necessitano di prestazioni sanitarie complesse

2. SERVIZI A SUPPORTO DELLA DOMICILIARITA’


• A.D.A., servizi pasti/lavanderia a domicilio;
• Servizio di trasporto (taxi sanitario);
• Servizio di telesoccorso

3. SERVIZI DIURNI
• C.D.I. (Centri Diurni Integrati) che garantiscono anche ricoveri notturni;
• C.D. (Centri Diurni)
• Centri Sollievo: per anziani con decadimento cognitivo lieve/medio

4. SERVIZI RESIDENZIALI
• R.S.A. (Residenze Sanitarie Assistenziali) anche per ricoveri di sollievo;
• Strutture riabilitative per ricoveri temporanei legati ad un evento acuto riabilitabile.

NUOVE FORME DI ASSISTENZA: I VILLAGGI ALZHEIMER

Villaggio Alzheimer De Hogeweyk di Weesp


Il primo villaggio al mondo per i pazienti affetti da demenza è nato nel 2009 in un paese
vicino ad Amsterdam, Weesp.

Da questa bellissima iniziativa hanno poi tratto ispirazione gli altri Paesi, compresa l'Italia. Il villaggio, gestito
dalla Vivium Company, accoglie 152 persone con demenza. Contiene al suo interno 23 appartamenti, e in
ognuno di essi vi abitano dalle 4 alle 7 persone. La struttura dà la possibilità, a chi lo desidera, di poter entrare
insieme al coniuge, anche se uno dei due non ha un problema di Alzheimer, al decesso della persona con
Alzheimer, il coniuge/compagno, viene trasferito in altro tipo di struttura o torna a casa.
Nel villaggio sono presenti: ristorante, caffè, negozi, un salone di bellezza, un teatro e un cinema. Dal punto di
vista organizzativo, in ogni appartamento, c'è una fig. professionale tipo OSS che si occupa di circa 6 persone
che: assiste e cucina, inoltre lava i vestiti e la biancheria nella lavanderia dell’appartamento. I cibi cucinati
vengono comprati dall'OSS, con i residenti che lo desiderano, al market del villaggio. Il pagamento della spesa
avviene con una card dell’appartamento che è compresa nella retta giornaliera.
Il turno degli OSS è dalle 7 alle 16 e dalle 16 alle 22. Per le pulizie, vengono considerate 2 ore giornaliere ad
appartamento. Viene previsto un infermiere per ogni 3/4 appartamenti che svolge le funzioni dei nostri Infermieri
(gestione-preparazione e somministrazione terapia e gestione di altri bisogni). Ogni appartamento ha un armadio
farmaci non divisi per ospite. Il villaggio ha un unico accesso, costituito da doppie porte in entrata ed in uscita,
dove è presente un portiere sulle 24 ore. La retta è di € 190 giornaliere ed in base ad una sorta di ISEE, gli ospiti
possono essere esenti o pagano in quota parte.
Nella retta non sono comprese le attività, esse vengono pagate a parte dalle famiglie. Ci sono pacchetti di circa 8
attività (ascolto musica, bingo, cucina, etc.) ad ospite. Per chi ha difficoltà economiche il comune paga 6 attività
ad ospite. Un grande valore per il villaggio è il volontariato. Sono presenti circa 250 volontari che danno un
enorme contributo nelle attività: il sistema olandese prevede che, per avere il sussidio di disoccupazione, bisogna
restituire in forma di volontariato il 50% delle ore che si svolgevano da contratto di lavoro

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I VILLAGGI ALZHEIMER IN ITALIA
I Villaggi sono pensati per lasciare più autonomia e indipendenza ai malati e rallentare il
decadimento cognitivo.
Il paese ritrovato a Monza (2018) e Villaggio Emanuele a Roma sono due esempi di una
nuova modalità assistenziale per le persone che soffrono di lieve e moderata forma di
Demenza.
Ci sono bar, cinema, orto, parrucchiere, casette, chiesa, giardinetti, panchine, qualche
negozietto che producono la sensazione di non essere rinchiusi, ma di sentirsi in un piccolo
paese, in cui si possono muovere in tutta sicurezza e comodità sempre supportati dal
personale medico ed infermieristico.

Un piccolo villaggio autosufficiente nel quale le persone, in tutta sicurezza, vivono in


appartamenti protetti ma possono muoversi anche in modo autonomo nelle strade e nella
piazza, al caffè, nei negozi ed al cinema, così da condurre una vita quasi normale, sentirsi a
casa e ricevere nello stesso tempo le necessarie attenzioni.
Il villaggio è costruito su misura dei suoi abitanti; tutti i lavoratori del villaggio: il barista, il
giornalaio, la parrucchiera sono operatori socio-sanitari o professionisti formati per entrare in
relazione con le esigenze dei pazienti.

Le porte dei condomini sono sempre aperte e al posto degli appartamenti ci sono delle
stanze singole su cui c’è indicato all’esterno in nome del proprietario.

Critiche
Iniziative come quella del villaggio di Hogewey in Olanda, il primo villaggio per malati di
Alzheimer, possono fare la differenza?
Il villaggio è concepito per poche persone e per le fasi iniziali della patologia.
Se da una parte questo può rappresentare una risposta per una fase definita e ridotta della
malattia, di fatto non modifica in modo rilevante la presa in carico delle fasi più critiche,
rischiando invece di spingere verso l’istituzionalizzazione persone che, se adeguatamente
assistite, potrebbero permanere a domicilio proseguendo la propria normal life (invece di
una normal life artificiale).

A questo proposito è significativa la domanda che pone il professor Marco Trabucchi nel
libro I volti dell’invecchiare a proposito dei villaggi Alzheimer:
“Una vita più facile o un villaggio dei folli dove, sotto l’apparente rispetto, si cela di fatto una
condizione di segregazione tra sfortunati?

Di ispirazione completamente diversa sono invece i progetti che discendono dall’idea delle
dementia friendly communities, che puntano all’inclusione delle persone con demenza nelle
attività comunitarie e nel contesto cittadino, senza la creazione di strutture protette ed
esclusive, che rischiano di diventare luoghi di solitudine.
Sono sempre più le comunità al lavoro per diventare amiche delle persone con demenza,
come quelle di: Conegliano (TV), Abbiategrasso (MI) e Torino (un'intera valle).

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COMUNITA’ AMICA
La “comunità amica” si adopera per preservare l’indipendenza e il vivere attivo dei malati e
dei loro familiari, coinvolgendoli per identificare gli aspetti della quotidianità da conservare e
quelli da migliorare, le difficoltà che incontrano nel vivere gli spazi pubblici, favorire il
benessere.

OBB:
→ far sì che le persone si sentano sempre parte della comunità in cui vivono e possano
parteciparvi attivamente.
→ rendere i cittadini consapevoli, aiutandoli a comportarsi nel modo migliore di fronte ad un
anziano in difficoltà.

Il progetto è coordinato dalla Fondazione Santa Augusta.


E' lo stesso gruppo promotore ad individuare le strutture che potranno vantare il
riconoscimento Dementia Friendly, sull'esempio di un ristorante stellato che esibisce il
proprio certificato di eccellenza.
La formazione in futuro riguarderà tutti gli esercizi pubblici: uffici postali e banche, ma anche
il personale delle forze dell'ordine, la Protezione Civile, ad esempio, e i Vigili del Fuoco.
Il progetto nasce nel 2012, in Gran Bretagna, dall’Alzheimer’s Society. Numerose, in seguito,
le sperimentazioni a livello internazionale.

Federazione Alzheimer Italia è stata scelta come riferimento e guida del progetto nel nostro
Paese; Abbiategrasso (Milano) la città scelta per avviare il progetto pilota, seguita in ordine
da Giovinazzo (Bari), Scanzorosciate (Bergamo) e Conegliano, primo Comune ad aderire in
tutto il Veneto.
Il progetto vuole combattere pregiudizi e discriminazioni, sensibilizzando l'opinione pubblica
ed evitando così che il malato ed i suoi familiari rimangano soli nell'affrontare il dramma della
malattia.

ALTRI ESEMPI DI ASSISTENZA AGLI ANZIANI

- Como: co-abitazioni per anziani e studenti


E' un progetto coordinato dall'Auser di Como in collaborazione con il Comune.
Permette di contrastare la solitudine e ammortizza i costi per gli studenti (in quanto una
parte dell'affitto è pagata dal Comune).
Stessi singoli progetti sono stati attivati anche in altre città come a Firenze.

- Trieste: l'infermiera di Comunità - Cohousing


(il primo in Italia si chiama Aquaris in Lombardia)

- Condominio solidale (Torino):


piani destinati ad anziani soli e piani destinati e famiglie in condizioni di fragilità economica.
Per promuovere anche lo scambio intergenerazionale.

- La badante di condominio:
Iniziativa del Comune di Milano

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ATTACCAMENTO AD UN LUOGO
L’attaccamento a oggetti, luoghi, idee si rafforza con l’età; indipendentemente dallo status
socio-economico, l’anziano riporta di essere fortemente legato all’abitazione e alla comunità
in cui vive, perché la propria casa permette di ottenere un senso di “comfort” fisico ed
emotivo.

L’”invecchiare in un luogo” è un processo complesso, che non può essere circoscritto al


semplice attaccamento ad una particolare abitazione.
Questo processo presuppone che:
- l’anziano continuamente si reintegri nell’ambiente
- metta in discussione la propria identità di fronte alle modificazioni sociali, politiche,
culturali oltre che personali.

“Casa” è un processo costante di negoziazione di significati, incorporazione di elementi


personali e della comunità circostante.

“place identity”: identità di luogo (ricordi, sentimenti, preferenze relativamente ad aspetti


del mondo fisico che derivano in gran parte dal “passato ambientale” dell’individuo, cioè
dalla relazione con i luoghi della sua vita che sono serviti alla soddisfazione dei suoi bisogni
biologici, sociali e culturali).

L’età anziana è caratterizzata da stili di attaccamento di forte intensità e lunga durata, per
tale motivo, qualora vi sia una rottura dell’attaccamento ai luoghi, così come alle persone,
può comportare per l’anziano un’esperienza molto dolorosa.

La casa inoltre svolge un’importante funzione di:


- mantenimento delle capacità cognitive residue
- permette di ricordare eventi del passato
- della storia individuale
- delle relazioni affettive avute all’interno di essa.

Per tale motivo, il trasferimento dell’anziano in un ambiente sconosciuto può rappresentare


una minaccia al benessere psicologico e fisico dell’anziano.
Nel caso che il trasferimento avvenga verso una casa di riposo, si devono aggiungere altri
fattori stressanti:
- socializzazione forzata con gli altri ospiti;
- mancanza di controllo sulle proprie attività, a cominciare dagli orari delle normali
routine quotidiane;
- problemi di densità e di affollamento.

L’INGRESSO IN RSA → ROTTURA DEL LEGAME DI ATTACCAMENTO E ESPERIENZA


DI PERDITA/LUTTO
L’inserimento di una persona anziana è un processo delicato, per l’anziano che ne è
direttamente coinvolto e per i familiari, soprattutto quelli più vicini ed impegnati
nell’accudimento.
L’ingresso di un anziano in una struttura assistenziale è uno degli eventi più delicati e difficili
dell’intera vita.

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La presa in carico da parte dei servizi deve avere lo scopo di accompagnare l'anziano e la
sua rete primaria all'interno di un percorso di cura condiviso e partecipato affinchè vengano
posti progetti e interventi personalizzati volti a garantire il benessere globale del paziente
fragile e dei suoi cari. Anche loro infatti sono “attori fragili”.

PSICOLOGO IN RSA
Lo psicologo in RSA svolge diverse attività:

● favorisce l’accoglienza: accompagna gli ospiti ed i familiari nel delicato momento


dell’inserimento, dell’adattamento e della convivenza in struttura. In particolare, lo
scopo del servizio psicologico all’interno delle residenze che ospitano persone
anziane è di favorire e promuovere il “ben-essere” e lo “stare bene” degli ospiti;

● esplora motivazioni e aspettative rispetto al ricovero;

● Supporta il percorso di consapevolezza (da parte soprattutto dei famigliari) nella


scelta, a volte sofferta, di questo servizio, indagando le relative ambivalenze (sensi di
colpa nell’affidare il proprio congiunto a persone estranee);

● compie valutazioni: indaga le funzioni cognitive, il tono dell’umore e i disturbi


comportamentali. Verifica l’adattamento della persona all’ambiente. Raccoglie
elementi, insieme agli altri membri dell’equipe, per la costruzione del PAI (Piano
Assistenziale Individualizzato). Utilizza come strumenti clinici il colloquio,
l’osservazione e somministra test neuropsicologici;

● effettua esercizi per stimolare le funzioni cognitive;

● offre sostegno agli ospiti e ai famigliari: valorizza le risorse individuali e i bisogni


dell’ospite. Accompagna i familiari durante la malattia del loro congiunto e ad
elaborare il lutto;

● offre supporto, formazione e supervisione agli operatori: aumenta le competenze


relazionali e comunicative sia verso l’utenza e i famigliari sia tra gli operatori;
accompagna gli operatori per l'elaborazione del lutto;

● Lo psicologo può avere un ruolo specifico all’interno dei Nuclei Alzheimer (reparti che
accolgono persone affette da demenza con disturbi comportamentali), nei quali
supporta i famigliari nel gestire emotivamente le diverse problematiche, aiuta gli
operatori nel lavoro di cura e collabora con l’equipe per favorire una migliore qualità
di vita per gli ospiti.

IN EQUIPE:
- CHI È QUESTA PERSONA?
- QUAL È IL DECORSO DELLA SUA MALATTIA?
- DI QUALE DEFICIT SOFFRE?
- QUALE INFORMAZIONE POSSO TRARRE DAL SUO COMPORTAMENTO?
- QUALE PROTESI (RELAZIONALE-AMBIENTALE FUNZIONALE) PUÒ ESSERE
NECESSARIA?
- DI FRONTE A UN DISTURBO COMPORTAMENTALE CHIEDERSI SE È
CAMBIATO QUALCOSA

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