Sei sulla pagina 1di 2

“IL MESTIERE DI UOMO” ALEXANDRE JOLLIEN

Alexandre Jollien è un filosofo svizzero di 47 anni, con un grave handicap cerebro-motorio


causatogli da un parziale strangolamento del cordone ombelicale al momento della nascita. Ha
trascorso 17 anni in un centro specializzato per “handicappati”, avendo difficoltà a leggere,
camminare e parlare.

Il libro, pubblicato nel 2003, racchiude riflessioni esistenziali a partire dal suo vissuto. Nel corso
della storia, tanti studiosi hanno cercato di spiegare la complessità del mondo della disabilità, ma
chi può farlo meglio di una persona che vive questa condizione a 360 gradi?
I 7 capitoli del testo sviluppano riflessioni che partono dalla consapevolezza dell’autore verso la
propria condizione esistenziale, anche tramite il racconto delle sue esperienze dirette, fino ad
arrivare agli elementi che rendono un uomo come tale.
Il mestiere di uomo si configura in questo senso come universale, come un percorso che tutti gli
uomini affrontano nella vita: armarsi e combattere gioiosamente le difficoltà, presa coscienza delle
proprie singolarità, non è forse resilienza?
Potrebbe, ma per una persona con disabilità è sicuramente più ardua.
Partiamo dal presupposto che l’uomo (secondo troppi autori del passato) si differenzia dall’animale
perché capace di fare i nodi, perché presenta la parola, perché distilla i frutti per creare liquori.
Sono motivi che portano inesorabilmente alla conclusione che un essere umano avente paralisi o
disturbi motori, sia considerato inequivocabilmente un animale.
Non credo che questi studiosi, tra cui il grande Cartesio, volessero sminuire persone come Jollien,
suppongo non le abbiano proprio considerate. In questo senso si intensifica la riflessione del
filosofo: la diversità o non è considerata, o è marchiata.
Innanzitutto, ogni essere umano è singolare, con caratteristiche uniche ed irripetibili; quindi,
categorizzare tutto il genere umano come simile, in generale, è riduttivo. È sicuramente corretto
farlo dal punto di vista fisico: gli esseri umani hanno due gambe, due braccia, due occhi, un naso. E
quegli esseri umani che nascono senza una gamba? Sono altrettanto uomini?
Per questo Jollien parla di “consimili” quando si riferisce al genere umano, perché la variabilità è
una costante.
Platone diceva “mente sana in corpo sano”: questa espressione può certamente configurarsi come
un’ambizione, un’aspirazione di vita per alcuni, non certo come definizione del prototipo di uomo,
perché escluderebbe tanti individui e quindi non sarebbe più un’ideale utopico condiviso.
I racconti di vita di persone con disabilità sono diversi anche nel tempo e nello spazio, oltre che per
via della singolarità individuale. Mi spiego meglio: Jollien racconta di essere stato portato in tenera
età in un centro per cosiddetti “handicappati”, dove ha trascorso circa 20 anni della sua vita. Oggi
le prospettive pedagogiche e terapeutiche nell’ambito della disabilità, mirano a una maggiore
inclusione sociale rispetto a 30 anni fa. Questo è un ottimo risultato, ma c’è sempre modo e tempo
di migliorare. Il progresso non ha un capolinea.
Per Jollien la sofferenza è ambivalente: se da una parte insegna e può portare al miglioramento,
dall’altra, può innescare una sofferenza maggiore. Testimoni sono i diversi prigionieri di guerra, che
dopo anni di reclusione, una volta usciti, si tolsero la vita. Non si ambiva forse alla vita, in prigionia?
Si, ma una volta ricevuta, la tragicità degli eventi passati era troppa da “combattere gioiosamente”.
Forse esistono mali più grandi di altri, ma ne corrispondono persone diverse, con modalità di
approccio al dolore differenti.
Conoscere sé stessi e riconoscere il proprio dolore quindi, in una condizione svantaggiata, è
difficile. Lo svantaggio nasce dall’idea che la società, quindi individui sani e normodotati che
ricoprono posizioni importanti, ha delle persone disabili. Da qui nasce il concetto moderno di
disabilità: essa si configura quando la società non predispone gli strumenti necessari per
permettere a tutti gli individui di vivere la quotidianità serenamente. Non sono solo rampe fuori
dagli uffici, ascensori nei palazzi, gli strumenti sono anche atteggiamenti. Jollien nel corso della sua
vita, è sempre stato diversificato a causa della sua condizione di disabilità, ma solo in contesti
sociali con individui che invece ne erano privi. La gioia dell’eliminazione di stereotipi e della tanto
temuta categorizzazione, è stata vissuta soprattutto in contesti dove c’erano altre persone che
vivevano la sua stessa condizione. Chi educa, deve tenere a mente la diversità del genere umano,
non solo di un numero ristretto di individui. Fiumi di pagine di letteratura parlano a tal proposito
del concetto di “giusta vicinanza” o lontananza, nei confronti dell’Altro. Jollien risponde “è bene
cantare anche gli innumerevoli benefici dell’affetto”. Abbiamo sempre e comunque bisogno
dell’Altro per autorealizzarci, ma in una società giudicante spesso è difficile trarre sostegno. Un po’
come quei giochi di fiducia che si fanno per rafforzare i gruppi: “io sono dietro di te e ti prometto di
prenderti quando ti lascerai cadere ad occhi chiusi”, ma poi mi sposto e tu cadi per terra. La strada
verso l’inclusione è sicuramente ancora lunga e tortuosa, ma le testimonianze di persone con
Jollien ci insegnano l’empatia, la comprensione dell’Altro, magari non capendo davvero a pieno i
suoi sforzi, ma almeno cercando di sostenerlo quando li ammette, evitando infantilizzazioni e
discriminazioni, considerando sempre tutte le persone come portatrici di un vissuto più o meno
difficile di cui noi, ancora, siamo totalmente ignari.

Potrebbero piacerti anche