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Ma si può essere insensibili e indifferenti nei confronti del dolore degli altri? La professoressa
parla di un libro di Susan Sontag "davanti al dolore degli altri" , dove racconta di quando Virginia
Woolf era stata invitata a commentare delle fotografie di guerra insieme a un famoso avvocato
di Londra. Queste erano delle foto strazianti che ritraevano momenti della guerra. In un primo
momento Virginia disse "io non volgio commentare queste foto insieme a un uomo, perche gli
uomini fanno la guerra, le donne la subiscono". Lei era una femminista. In seguito si ricredette,
pensando che davanti a quelle foto, solo un mostro avrebbe potuto non provare niente. Fece
quindi una sua analisi. Susan disse che non è più così, non si può più dire che solo un mostro
potrebbe rimanere indifferente, perche anche le persone per bene possono dire che
quell'attacco è stato opportuno, dacchè abbiamo molti nemici. L'indifferenza è un
atteggiamento di chi guarda dal balcone, mentre gli altri trascorrono la loro vita, bella o brutta,
con i loro sbagli. Non ne prendono parte, lamentandosi però di cio che va bene e di cio che non
va bene. L'indifferente è apatico, passivo. L'indifferenza è complice del male.
Quando veniamo a sapere di quegli adolscenti che stuprano le ragazzine e dicono "non so
perche l'abbiamo fatto", "non so, ci stavamo annoiando", sentire tutte queste affermazioni è
quasi più spaventoso del venire a sapere il gesto che hanno compiuto. Non vengono educati ad
avere cura degli altri, ad avere un pensiero critico. Perchè succede? Come si può evitare tale
situazione? I pedagogisti hanno un ruolo molto difficile che a volte li rende anche un po' pesanti.
La professoressa riconosce che tutti alla parola pedagoista pensano "che pesantezza"; questo
perche a volte si lo sono oggettivamente, ma altre volte perchè mentre gli psicologi e gli
antropologi, i sociologi dicono cose molto interessanti, vanno in profondità spiegando i
problemi, ma fermandosi li. I pedagogisti tentano invece di trovare strade da percorrere per
cercare di superare tali problemi, non soltanto di spiegarli e interpretarli, ma andando oltre.
Vanno sul difficile. Si occupano del rapporto con gli altri soggetti in termini educativi.
Un ulteriore punto toccato dalla professoressa Contini è la deontologia. Comincia con una
domanda “qual'è la responsabilità dei pedagogisti?”. Heidegger diceva che tutti noi ci scopriamo
e capiamo di essere gettati nel mondo. Ma cosa vuol dire essere “gettati”? Vuol dire essere nati
in una certa epoca, vivere in un paese e non in un altro, avere una famiglia con un certo DNA. Il
nostro inizio è un inizio condizionato. E' brutto non poter scegliere il proprio destino. Heidegger
sottolinea un lato posotivo di questa gettatezza, ovvero il fatto che essa non è un inizio
predefinito, non abbiamo davanti a noi un'unica strada ma almeno due grazie all'orizzonte del
possibile. L'educazione ha un senso proprio perche c'è una doppia strada che si può
intraprendere. Se ce ne fosse una sola l'educazione servirebbe ad addestrare cio che i soggetti
devono essere e devono fare. In quel possibile c'è l'emancipazione di tutti i soggetti con cui ci
incontriamo. Noi siamo chiamati da quella emancipazione. Anche a quelli che hanno una
gettatizzazione molto problematica. La deontologia è molto importante. Quella medica c'è
sempre, sappiamo che il medico ha il dovere deontologico di prestare aiuto a tutti, anche al
nemico, quando ha bisogno. Non deve mai succedere che il medico dica "tu mi stai antipatico,
non ti curo".
Quando conosciamo le emozioni, le chiamiamo per nome, quando sappiamo se siamo tristi o
arrabbiati o felici e poi metterle in parola, farle diventare comunicazione con gli atri. E'
necessario che venga data un'educazione all'alfabetizzazione emozionale. Bisogna che qualcuno
insegni a parlare delle emozioni. E se questo qualcuno non c'è bisogna essere autonomi
nell'insegnare a noi stessi l'educazione.
La professoressa continua a sottolineare l'importanza del non amare l'indifferenza pochè essa è
una passione triste. Noi preferiamo quelle gioiose. Per combattere l'indifferenza bisogna avere
impegno etico e sociale.