Sei sulla pagina 1di 17

SUI CATALOGHI

EDITORIALI E ALTRI SAGGI


Cataloghi e comunicazione
editoriale in Italia tra 800 e 900
SUI CATALOGHI EDITORIALI E ALTRI SAGGI (R. Cesana)

Cataloghi e comunicazione editoriale in Italia tra 800 e 900

Dalla seconda metà del 900 a oggi sempre più editori hanno iniziato a percepire l’importanza di pubblicare il
catalogo storico delle proprie edizioni; non sono invece ancora state sviluppate in letteratura ricerche
sistematiche su questo genere bibliografico in età contemporanea. Spesso le introduzioni e le avvertenze
metodologiche poste in apertura dei cataloghi sono utili per ricostruire il metodo di lavoro e di selezione di
chi ha compilato il catalogo, ma in Italia la riflessione critica su questo genere bibliografico si limita ancora a
pochi interventi.

I cataloghi come fonti bibliografiche e commerciali

Nel campo dei cataloghi a stampa troviamo 3 grandi categorie principali: i cataloghi delle biblioteche
pubbliche e private, i cataloghi antiquari di vendita e i cataloghi editoriali o di librai. Gli ultimi possono
essere distinti in cataloghi storici (elenco delle pubblicazioni di un editore nell’arco di un periodo o di tutta
la sua attività) e in cataloghi di vendita (dedicati alla disponibilità di libri in commercio). I cataloghi degli
editori e dei librai contemporanei vengono considerati più come fonti commerciali per le ricerche
bibliografiche, non
come documenti degni di analisi. Il catalogo editoriale è misura dell’esercizio della bibliografia da parte di
un libraio o di un editore; è lo strumento promozionale principale del commercio librario. Per conoscere i
cataloghi degli editori italiani dell’800 è utile il volume di Marino Berengo: l’autore ricorda come un libraio
o un editore abbia a disposizione alcuni canali fissi per segnalare le opere di cui dispone. I 4 strumenti
principali sono: i cartelli murali, le inserzioni a pagamento nella Gazzetta, i cataloghi e i manifesti
(allegati a corrispondenze librarie e distribuiti gratis). I librai sono protagonisti di una serie di iniziative di
registrazione della bibliografia corrente che nascono tra 800 e 900 in quasi tutti i paesi europei. La
registrazione passava dalle mani degli editori e dei librai a quella dello Stato, cosa che non scoraggiava
l’associazione tipografico libraria italiana (AILI) che tra il 1890 e l’inizio del nuovo secolo promuove una
serie di strumenti ancora oggi utilizzati per le ricerche sulla produzione editoriale ottocentesca (ad es.
cataloghi, annuari etc.). A partire dalla seconda metà dell’800 la figura dell’editore si distingue nettamente
da quella del libraio e i cataloghi; di conseguenza non sono più cataloghi di assortimento ma possono essere
definiti cataloghi editoriali. Gli strumenti di cui un librario o editore dell’800 dispone per presentare la loro
produzione sono:
1) pubblicazione di cataloghi autonomi;
2) pubblicazione di brevi cataloghi in appendice alle opere di propria edizione;
3) recensioni su periodici letterari e gazzette;
4) pubblicità su periodici letterari e gazzette;
5) periodici bibliografici correnti;
6) manifestini a stampa inviati ai clienti e ai librai;
7) cartelli murali e affissioni.

È necessario distinguere tra 2 tipi di problemi differenti riguardanti i cataloghi editoriali: da una parte
troviamo la necessità di una raccolta e inventariazione dei cataloghi editoriali e dei cataloghi storici
esistenti, con l’obbiettivo primario di conservare la memoria del patrimonio librario contemporaneo;
dall’altra parte troviamo problemi nel momento in cui uno studioso vuole ricostruire il catalogo storico di un
editore, entrando in gioco cataloghi commerciali o bollettini editoriali per ricostruirlo. Un ulteriore campo
di indagine si apre con l’annalistica. Dal 700 a oggi numerosi studiosi hanno provato a ricostruire annali
tipografici-editoriali. È interessante citare la ricerca di Graziano Ruffini, che vuole ricostruire la genesi e lo
sviluppo del genere stesso. Anche Lorenzo Baldacchini ha posto l’accento su alcune questioni interessanti
nel campo dell’annalistica. L’autore propone di riconsiderare l’impostazione tradizionale degli annali e di
porsi obbiettivi nuovi e più ambiziosi, fiducioso del fatto che oggi l’accresciuta disponibilità dei dati
consente risultati qualitativamente migliori. Queste sono questioni metodiche che si ripropongono per
l’analisi bibliografica dei cataloghi degli editori anche del 900.
Catalogo storico: non riporta prezzo di copertina, compilato da un ricercatore.

Cataloghi e altre forme di comunicazione degli editori del 900

Nel 900 il catalogo editoriale è une delle tante forme di epitesto pubblico: secondo la definizione di Gérard
Genette, qualsiasi elemento paratestuale che non si trovi annesso al testo nello stesso volume ma che si trovi
ovunque al di fuori del libro. Tra le varie forme di comunicazione pubblicitaria e promozionale che l’editore
ha a disposizione Genette sembra dimenticare proprio il catalogo. L’editore usa diverse tecniche
pubblicitarie; come prima e più semplice troviamo quella che consiste nell’iscrizione del libro in una lista
bibliografica; poi una pubblicità commerciale di tipo normale che si indirizza direttamente al pubblico;
infine, i mezzi di propaganda non anonimi: comunicati stampa, articoli firmati, televisione, pubblicazione di
un libro di un giornale o di una rivista sotto forma di estratti o riassunti . Perché porti risultati, la pubblicità
editoriale deve necessariamente essere concentrata sulle poche persone che hanno una possibilità di essere
influenzate.
Il marketing entra in editoria relativamente tardi, solo negli anni 70 e 80 del 900. Prendiamo come esempio
Einaudi, il primo ad acquistare un’intera pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera per il lancio della Storia
di Elsa Morante. Dal 1970 l’Associazione Italiana Editori iniziava a curare il catalogo dei libri in commercio,
un repertorio di tutti i libri pubblicati in Italia e disponibili sul mercato. Per il 900 troviamo molte altre forme
di comunicazione pubblicitaria, bibliografica ed editoriale rispetto ai cataloghi che gli editori contemporanei
utilizzano per comunicare con librai e lettori. Gli strumenti operativi di cui dispongono l’ufficio stampa e
l’ufficio marketing di una casa editrice contemporanea per promuovere collane o singoli titoli sono:

1) supporti con i quali la rete di promozione e vendita presenta i volumi ai librai (volantini, dépliant
etc.);
2) strumenti promozionali per il punto vendita (locandine, manifesti, gadget etc.);
3) cataloghi di collana, tematici o editoriali;
4) cataloghi o altri tipi di pubblicazioni allegati a quotidiani e riviste;
5) periodici bibliografici pubblicati dalla casa editrice o periodici collettivi di informazione
bibliografica;
6) inserzioni, spot e campagne pubblicitarie (riviste, radio, tv, video online etc.);
7) recensioni (pre-pubblicazione, first serial, anticipazione di un brano del testo prima dell’uscita dei
libri; post-pubblicazione, second serial, di un brano del testo dopo l’uscita del libro; intervista con
l’autore);
8) promozione presso i media (conferenze stampa, invio copie omaggio etc.);
9) contatto diretto dell’autore con i librai e con i lettori (prestazione del libro, tour promozionali);
10) partecipazione a premi letterari;
11) invio di Newsletter a una mailing-list;
12) sito internet (può presentare anche contenuti originali e autonomi della produzione cartacea);
13) vendita on-line (tramite il sito internet).

Tipologie bibliografiche della comunicazione editoriale novecentesca

Negli anni 80 del 900 inizia anche un interesse erudito sui cataloghi editoriali visti come documentazione
storica del lavoro di una casa editrice. Luigi Crocetti fu il primo nel 1955 ad aprire la riflessione sulla
difformità nei criteri redazionali dei cataloghi storici degli editori contemporanei, rilevando che dei cataloghi
che conosciamo, non ce n’è uno fatto come un altro. Egli ha esaminato una serie di cataloghi degli editori
italiani del 900 e li definisce deludenti, dotati di imprecisione bibliografica delle descrizioni e
incomprensione riguardante il contesto dal quale sono sorti e nel quale si collochino. Molti cataloghi che
pretendono di essere storici sono invece espansioni di un normale catalogo a cui sono state aggiunte le
pubblicazioni esaurite e ormai storiche e andrebbero piuttosto definiti cataloghi storici aziendali. Le norme
della descrizione bibliografica stabiliscono quali sono i dati da fornire, in che forma e in quale successione : i
dati di ogni registrazione devono essere omogenei e confrontabili con quelli di ogni altra registrazione . Ci si
dovrà, invece, regolare caso per caso per tutti gli altri tipi di dati che si basano sulla cronaca della casa
editrice e dell’attività editoriale, dipendendo dalla disponibilità dei dati stessi. Per quanto riguarda il come
organizzare il materiale raccolto, Crocetti afferma che il quadro storico più efficace si ottiene disponendolo
cronologicamente in serie unica. Per gli editori moderni sarà difficile arrivare a stabilire una cronologia
esatta e all’interno di ogni anno si sarà quasi sempre costretti a un’elencazione in ordine alfabetico. Quindi il
minimo grado di informazione indispensabile dovrebbe essere: catalogo cronologico -indice dei nomi-
indice dei titoli. Ci si potrà poi attendere anche un’indicizzazione dei soggetti, ma si dovrà essere
consapevoli che il suo carattere è diverso dall’indicizzazione formale.

Carlo Maria Simonetti propone invece di applicare il metodo della trascrizione facsimilare ai cataloghi
storici degli editori moderni, partendo dal concetto di edizione e di copia ideale. Egli sostiene che un
catalogo storico
appartiene alla storia del libro in quanto manufatto e dovrebbe quindi fornire una descrizione più dettagliata,
idonea per mettere in rilievo le caratteristiche editoriale di quell’opera e della sua edizione che un modello
standardizzato non è in grado di fare. Il metodo più idoneo secondo lui è la descrizione facsimilare corredata
dalle seguenti aree: autore, titolo, anno, frontespizio in facsimile, ultima pagina in facsimile, formato
espresso
in millimetri e indicazioni pagine comprese quelle non numerate, indice di tutte le parti dell’opera con
relative
pagine, descrizione delle tavole, ecc. La bibliografia si occupa quindi della storia del libro come manufatto
cercando di capire come è stato fatto e a volte le sue competenze si estendono anche all’analisi del
testo; la catalografia, invece, si occupa del libro così come è fatto e lo descrive in modo da permettere
l’identificazione della pubblicazione ma non dell’edizione: e ciò è il contrario di quanto la bibliografia si
pone di fare.

Anche Carlo Di Carlo ha rilevato differenze notevoli per quanto riguarda la documentazione che i cataloghi
storici rappresentano, concludendo che alcuni forniscono pura citazione senza esaustività, mentre altri
forniscono informazioni raffinate. Quindi queste analisi affermano che i cataloghi degli editori
contemporanei non presentano uniformità descrittiva. Da una parte i cataloghi raramente hanno avuto una
loro collocazione all’interno delle biblioteche in quanto documenti storici di cui conversare memoria,
essendo considerati testi di utilità bibliografica dall’esistenza effimera; dall’altra, non godendo all’interno
dei cataloghi di voci specifiche, si è costretti a ricerche affannose in quelli ordinati alfabeticamente, a
testimonianza ulteriore di quanto le biblioteche li abbiano considerati di scarso valore.

La formazione del catalogo Guanda

Ugo Guandalini (nato nel 1905) fonda nel 1932 a Modena la casa editrice Guanda, inaugurando la
produzione con la pubblicazione di opere sue e dei suoi amici (A. Delfini, P. Zanfrognini, G. Cavicchioli, F.
Bocchi e N. Nava). Nel 1943 rievoca i suoi esordi di editore, in quello che è il primo catalogo della casa
editrice a noi noto. L’intero archivio della casa editrice è andato distrutto nel corso del bombardamento su
Parma (1944); quindi, oggi è possibile riscostruire i primordi dell’iniziativa solo attraverso i ricordi
dell’Editore. Non è una situazione facile per quanto riguarda la disponibilità delle fonti, come spesso accade
negli studi di storia dell’editoria contemporanea: l’archivio è inesistente, la corrispondenza va rintracciata
setacciando altri archivi culturali sparsi; la bibliografia disponibile su Guanda è scarsa e frammentata, non
sono ancora stati condotti studi sistematici sulla produzione della casa editrice e manca il catalogo storico.
Esiste un catalogo generale della casa editrice, pubblicato nel 1955. Nel 1982 Aroldo Benini ricostruirà il
catalogo Guanda, che però presenterà molte differenze se confrontato con quello di Guanda; sono presenti
inesattezze, omissioni in entrambe le pubblicazioni che possiamo quindi definire non storiche perché non
rispettano una serie di parametri necessari per essere definite tali. Il catalogo di un editore è frutto di un
momento riflessivo, introspettivo, spesso auto celebrativo in occasione di una ricorrenza. Oppure, in questo
caso, auto celebrativo, con l’obbiettivo di celebrare la nuova sede della casa editrice: non più Modena, ma
Parma, dove Guanda si era trasferito nel 1936. Per lungo tempo la sede dichiarata rimane Modena, nel 1946
troviamo 4 indirizzi per la casa editrice Guanda che comprendono indirizzi a Modena, Parma, Roma, Milano.
Sarà solo nel 1955 che Guanda si dichiarerà editore in Parma; fino a quel momento la casa editrice risulta
sdoppiata tra Modena e Parma, per esigenze produttive, ma anche per permettere all’editore di pubblicare
autori che sarebbero stati altrimenti impossibili da pubblicare a causa degli anni della censura.
Un editore in Parma

Guandalini scrive nella prefazione del catalogo del 1955 che la sua casa editrice è uno dei non molti
organismi editoriali italiani che vivono pubblicando esclusivamente opere di cultura. Egli aveva saputo
costruire quel sicuro punto di riferimento cui egli si riferisce quando scrive: “ci fu un momento, che non
ancora apparso Einaudi, la mia insegna di editore fu la sola cosa giovane e viva che palpitasse nel nostro
paese”. La continua fedeltà a quei filoni culturali è uno degli aspetti maggiormente caratterizzanti l’intera
attività editoriale. Lui stesso riconosce e dichiara i caratteri storici e culturali dell’impresa da lui fondata. La
redazione di un catalogo ha sempre una duplice motivazione: da una parte la memoria storica che coglie una
circostanza importante per emergere, dall’altra lo scopo commerciale. Non bisogna, però, definire storico il
catalogo di Guanda del 1955 e sottolineare la denominazione che l’editore stesso gli dà nel titolo, “generale”.
Mentre il catalogo storico raccoglie tutta la produzione di una casa editrice in un arco temporale stabilito, il
catalogo generale è la somma di diversi cataloghi editoriali di una casa editrice e può risultare parziale
perché non comprende tutte le pubblicazioni di un editore. La prima dimostrazione di questa generalità è data
dall’estromissione di una serie di autori dal catalogo del 1955. Sono presenti 2 casi: da una parte, autori
totalmente estromessi dal catalogo, dall’altra autori dei quali si ricordano alcune opere ma non altre.
La seconda evidenza che emerge riguarda la suddivisione del catalogo in collane: solo attorno alla metà
degli anni 40 l’editore iniziò ad attribuire alle collane i nomi che risulteranno avere nel 1955. Dall’inizio
della sua attività Guanda crea o pensa di creare delle collane che in realtà non avranno seguito o verranno
accorpate sotto un’unica denominazione. Il catalogo generale Guanda è strutturato come un elenco di opere
suddivise per collane, corredato da un indice delle collane e da un indice degli autori e dei titoli. Dal punto di
vista della documentazione e dell’impianto descrittivo, esso fornisce in generale la segnalazione delle opere
degli autori, senza troppa esaustività. Le singole collane vengono presentate con la loro denominazione, in
alcuni casi, ma non in tutti, ne viene indicata la direzione e in alcuni casi viene riportato lo slogan che
accompagna la collana. Non sono presenti estremi cronologici di apertura e di chiusura delle collane.
All’interno delle singole collane, le citazioni bibliografiche si susseguono senza un ordine dichiarato; i
volumi
non sono numerati né datati, i titoli si susseguono rispettando almeno in parte quello che fu il loro ordine di
apparizione al momento della pubblicazione. In alcuni casi viene riportata una breve
presentazione
redazionale del volume oppure vengono riportate recensioni uscite a stampa. L’analisi delle collezioni è
importante nello studio dei cataloghi editoriali e la storia delle collane permette di conoscere la casa editrice.
Per capire come si è formato il catalogo dell’editore partiamo dai suoi due protagonisti, che sono Guanda e
Antonio Delfini.

Guandadelfini
Nel 1931 Delfini pubblicherà le sue prime due opere, ma non con Guanda, che non aveva ancora esordito
come editore. Lo scrittore esordiva con “Ritorno in città” e Poesie. Sul frontespizio del primo troviamo la
dicitura “Scrittori padani”, che Guanda riprenderà poco dopo. Quest’opera venne poi ripubblicata nel 1933
da Guanda per inaugurare la collana “scrittori padani” che non avrà seguito. Nel catalogo del 55 infatti essa
viene segnalata come appartenente alla collana “Narrativa”. A parte la nuova copertina e il nuovo
frontespizio, le due edizioni sono identiche. In Poesie Delfini annuncia altre sue autoedizioni che in realtà
non usciranno mai e annuncerà anche l’uscita in autoedizione la ballata delle streghe di Guanda. Nel 1943
Delfini pubblica sotto lo pseudonimo di Franco Franchini la “Tabella delle più significative opere della
letteratura italiana uscite tra le due guerre” nella collana “Polemiche e curiosità”, collana che non avrà
seguito. Nel 1951 Guanda pubblicherà un’altra opera di Delfini, “Manifesto per un partito conservatore e
comunista in Italia”, che viene inserito come fuori serie nella collana “Problemi d’oggi”. Nel 1963 Guanda
ripubblicherà Ritorno in città nella collana “Piccola Fenice”.
Guandalini rappresenta un raro caso di editore che inizia l’attività della propria casa editrice con la
pubblicazione delle sue stesse opere. nel 1932 pubblica in auto edizione di 150 esemplari la sua prima opera,
La ballata delle streghe. A metà del 1932 Guanda pensa di scrivere altri romanzi ma crede di farne sempre
della auto edizioni; il salto si farà con Adamo, libro per gli uomini di buona volontà, che inaugura la nascita
della casa editrice e della sua prima collana, “Scrittori italiani d’oggi”. Il suo primo romanzo quest’ultima
collana non compariranno nel catalogo del 1955. Editori e autori si dedicavano reciprocamente i libri che
scrivevano e che pubblicavano: ad es. Adamo è dedicato da Guanda a Zanfrognini, di cui Guanda pubblica
Cristianesimo e Psicanalisi. Alla serie “Scrittori italiani d’oggi” vengono attribuiti altri titoli, nelle quarte di
copertina degli stessi o di altri volumi pubblicato da Guanda; nella collana potrebbero essere usciti altri titoli,
che però non sono stati rintracciati e che non è possibile riscontrare di seconda mano su altri fonti, dal
momento che nel catalogo questa collana non compare. Alcuni degli autori presenti in questa collana,
verranno inseriti sotto al cappello di “Narrativa”, che nel catalogo viene attribuito a diversi testi letterari. La
terza opera di Guanda è Il signor S.T., che esce nel 1934. Il volume si apre con un elenco delle opere di
Guanda (Ballare, Adamo, Il signor S.T.). sul frontespizio compare la dicitura “Collezioni Guanda”, mentre in
quarta copertina “Romanzieri”, della quale farebbero anche parte Vecchio e nuovo, Il signor S.T, Un uomo
provvisorio, di differenti autori. La dicitura “Romanzieri” non compare mai da nessuna parte, è la
specificazione “romanzo” ad accomunare questi 3 testi. Dal punto di vista grafico i 3 testi non hanno nessun
tratto in comune; ancora una volta si tratta di una collana che scomparirà dal catalogo. Ai fini della
ricostruzione del catalogo Guanda risulta molto utile la quarta di copertina di Vecchio e nuovo che inaugura
la collana “Romanzieri”. La collana “Narrativa” rappresenta un contenitore nel quale l’editore ha fatto
confluire tutti questi testi narrativi che ospitati originariamente in collane diverse, si ritrovano a un certo
punto orfani, perché le loro rispettive collane non esistono più.

Un “editore negli anni difficili”


Nel 1937, quando scrive e pubblica Verità e certezza, Guandalini si firma come Guanda. Questa sua opera è
l’unica che compare nel catalogo, risulta però inserita nella collana “Problemi d’oggi”, mentre quando esce
sul frontespizio è indicata un’altra collana “Quaderni di Ugo Guanda. N.2.” che però non compare nel
catalogo. In quarta copertina di quest’opera viene indicato il titolo di Meditazioni, opera che non verrà mai
pubblicata. Molti libri menzionati non verranno mai pubblicati e molti pubblicati non verranno ricordati nel
catalogo. Di ogni autore Guanda riporta sempre sulla seconda di copertina l’elenco cronologico delle opere
già pubblicate: anche se non compaiono mai riassunti, presentazioni, biografie o altri testi in copertina
l’elenco delle opere di ogni autore che Guanda fornisce è un aiuto per inquadrarlo e un’informazione precisa
offerta al lettore. Tra il 1933 e il 1953, “Problemi d’oggi” ospita oltre 50 titoli; nel 1957 inizia a uscire la
“Nuova serie” di questa collana. La collezione “Uomini e idee” esordisce nel 1936, conterrà 14 titoli tra il 36
e il 52, due di questi saranno inclusi nel catalogo. La collana riprenderà ad uscire nel 57 come “Uomini e
idee. Nuova Serie”. Nel 1939 troviamo la celeberrima collana “Fenice”: dal secondo titolo in uscita la
collana riporta sul frontespizio il logo della fenice. Per la Fenice il catalogo del 55 è abbastanza fedele, anche
se non indica le diverse edizioni della collana. Altre collane sono “Collana di cultura”, “Epoche e Viaggi”,
“Collana Orizzonti” con la quale troviamo un volume dalla grafica vivace e innovativa e per la prima volta
compaiono risvolti di copertina. Nel 1942 viene lanciata la “Collana il Castello” nella quale verranno
raggruppate opere inizialmente appartenenti ad altre collane. Le collane di poesia furono uno degli interessi
principali di Guanda. La prima opera in versi che esce da Guanda è Dono mattutino di Susini. Nella maggior
parte dei casi nessuno di questi volumi riporta un’indicazione di collana sul frontespizio, ma nella quarta di
copertina le opere sono inquadrate nella collana “Poeti d’oggi” o nella collana “Poesia”. Nel 43 troviamo
“Nuova serie di poeti italiani” e nel 1948 “Collana di poeti dialettali”. Per i primi 2 anni la produzione di
poesie e il loro inquadramento è del tutto occasionale. Nel 1935 si inizia a standardizzare e si crea la cornice
verde per le opere di poesia. Opere che vanno poi tutte a confluire nel catalogo del 1955
sotto la denominazione di “Poesie”. L’ipotesi che possiamo fare quindi, è che Guanda avesse pensato
inizialmente alle collane per la circolazione ma non per la produzione, che avveniva in modo “occasionale” e
di volta in volta differenziato. I “Saggi” una collezione che si inaugura nel 1940, collezione “Vite”, destinata
a cambiar nome in “Musica”. Nel ’43 troviamo la “Collana di studi Religiosi” e in seguito la “Nuova collana
storica” che verrà ricordata nel catalogo del 1955.

I cataloghi di un editore bibliografo

Giovanni Scheiwiller ha trascorso gran parte della sua vita dedicandosi a cataloghi tematici d’antiquariato,
ai libri “inutili” e alle bibliografie. Egli è editore bibliografo interessato a teoria e pratica bibliografica.
Intorno alla casa editrice dei “due Scheiwiller” c’è un filo conduttore che si snoda lungo tutta la vicenda. È
un filo bibliografico che inizia a partire dagli ultimi due decenni dell’800 con il padre di Giovanni, impiegato
da Hoepli e considerato esperto bibliografo; si svolge anche negli anni 20 nel 900 con Giovanni, anche lui
impiegato da Hoepli; si snoda poi durante tutto il secolo scorso prendendo forma di una produzione
editoriale e infine si chiude nel 1999 con la scomparsa di Vanni (il 2 o meglio 3 degli Scheiwiller).

Una passione ereditaria


La carriera editoriale di Giovanni Scheiwiller iniziava nel 1925, con un volume che inaugurava la prima
collana di Ugo Bernasconi dedicata al pittore lombardo Arturo Tosi. Giovanni aveva già maturato una lunga
esperienza con il mondo dei libri sin da quando era giovane; fin dal 1880 Giovanni senior, aveva lavorato a
Milano con Hoepli, era stato uno dei suoi primi collaboratori contribuendo a mettere le basi della gloriosa
libreria-editrice milanese. Quando nel 1904 morì, Hoepli si prese cura del figlio che cresciuto avrebbe fatto
parte dello staff della libreria: inizialmente andava e veniva, impegnato nel gran Tour che andava tanto di
moda (lavorando così in librerie di molti paesi esteri), poi si sposò e nel 1920 entrava stabilmente in Hoepli
di cui divenne il direttore nel 1941. Egli da Hoepli si occupava soprattutto di bibliografia e i suoi cataloghi
tematici di libri d’antiquariato vennero subito notati per la precisione ordinatrice e classificatoria, diventando
rapidamente testi di riferimento. Dal titolo di questi cataloghi bibliografici si comprendono l’estrema
accuratezza e larghezza di vedute. I suoi cataloghi forniscono informazioni sull’autore, titolo, anno di
pubblicazione, numero di pagine, prezzo e sono presenti tavole o illustrazioni. Un esempio di catalogo è la
guida bibliografica del 1930 dedicata alla letteratura mondiale “da Esopo a Cocteau”: si apre con una tavola
che spiega la divisione del catalogo ordinato per materie e dotato di un indice alfabetico; sono segnalati
scrittori e personaggi storici in grassetto e opere critiche che a loro si riferiscono in tondo; per le edizioni in
carta di lusso viene riportata anche la tiratura e per ogni notizia bibliografica si segnala l’edizione originale,
indicando quando apparve la prima volta in forma di libri (il primo catalogo che fa è “dall’età della pietra al
900” che propone una selezione di libri d’arte in diverse lingue e l’ultimo è “arte italiana dall’origine al 900”
che comprende una scelta di libri d’arte in italiano, inglese, francese, tedesco, spagnolo, norvegese, russo,
svedese). Il suo modo di classificare (cronologia, tematica, linguistica, geografica) diventa caratteristico della
sua produzione editoriale che viene definita enciclopedica, pratica e scientifica. Curando i cataloghi tematici
di Hoepli, Scheiwiller metterà a disposizione dei lettori e degli studiosi la sua esperienza di bibliografo ed
elabora i concetti di accuratezza ed esaustività che porterà avanti nella sua casa editrice. Per questo Giovanni
riceve attestazioni di merito della sua perizia bibliografica. Lo stesso Hoepli gli farà moltissimi complimenti
per i suoi elaborati.

Per “gli amici del libro”


Il rapporto tra Hoepli e Giovanni era oltre che professionale, affettuoso, come fosse uno zio; quest’ultimo
venne scoraggiato dal primo nell’imbarcarsi in quella che considerava una pericolosa avventura editoriale.
Scheiwiller aveva iniziato a pubblicare artisti moderni in monografie della serie “arte moderna italiana”,
durante il tempo libero; nel corso degli anni, in questa collana, pubblicherà diversi volumi e monografie e
parallelamente nel 1931 inaugurò la collana “arte moderna straniera”. I primi numeri di queste collane d’arte
apparivano a cura di Giovanni S. in vendita presso Hoepli, i successivi volumi verranno accolti nelle stesse
edizioni Hoepli. Morto Ulrico Hoepli, il figlio Carlo aveva chiesto e ottenuto da Giovanni di poter acquisire
la collana. Fecero un accordo, il cui contratto prevedeva che Giovanni cedeva a Hoepli la proprietà assoluta
dei suoi volumi per 10,000 Lire e al contempo si impegnava a continuare le due collezioni, a curarne la
ristampa, provvedendo a fornire foto necessarie alla compilazione della bibliografia. Inoltre, gli spettavano la
ricerca iconografica, la redazione degli apparati bibliografici, la scelta degli artisti e dei curatori e gli
spettavano 60 copie di ogni titolo. Inoltre, nel contratto era previsto che nel caso Hoepli avesse smesso di
pubblicare le sue collane il diritto di farlo sarebbe tornato a lui. Cosa che fece nel 1962, quando la casa
editrice è passata al figlio di Giovanni, Vanni, che volle riprendere la pubblicazione della collana arte
moderna italiana. Giovanni, nel 1936, aveva anche pubblicato “all’insegna del pesce d’oro”, un volumetto
contenente le 18 poesie di Leonardo Sinisgalli che inaugurava la “serie letteraria”. Ne vennero pubblicate
diverse. Giovanni, nel frattempo, aveva anche stampato a sua cura e spese altri 20 volumi, che nei cataloghi
successivi verranno ricordati come “edizioni varie”. Il primo volume nel frontespizio riporta “il presente
volume è stato composto e stampato per gli amici del libro (si intende quindi esemplare fuori commercio) a
cura e spese di Giovanni Scheiwiller”.

Editore per “passatempo”


Tra il 1925 e il 1951, anno in cui la casa editrice passava a Vanni, Giovanni aveva dato vita a 12 collane,
pubblicando oltre 200 titoli. Dal punto di vista commerciale le sue edizioni erano introvabili perché quando
Giovanni stampava un’opera in 200 copie, ne vendeva meno della metà ai sottoscrittori, gli amici del libro,
per pagare le spese, e le altre le regalava ad amici e biblioteche. Giovanni ha però provveduto a lasciare
(ancora oggi presenti) 3 rari e indispensabili cataloghi della sua produzione editoriale. Il primo pubblicato
nel 1944, intitolato passatempo, è un piccolo libro che raccoglie in ordine cronologico la produzione dal
1925 al 1944. Il secondo, il catalogo per gli amici del libro, raccoglie la produzione suddivisa per collane, dal
1944 al 1948. Il terzo, pubblicato nel 1949, l’Index librorum, ordinato per collane ma cumulativo della
produzione che va dal 1925 al 1949. La casa editrice rimane per Giovanni un passatempo, almeno fino al
1947 quando la costituisce in forma societaria con lo scopo di farne l’occupazione futura di Vanni. Nel
dicembre del 1951 Giovanni pubblicava la sua ultima edizione, poetesse del 900, e cedeva al figlio la casa
editrice che fin dal 1936 era stata denominata “all’insegna del pesce d’oro”, pesce che finalmente non è più
nascosto nel colophon ma presente in copertina.

È tuo, papà, questo catalogo


Per continuare sulle orme del padre, una delle caratteristiche di Vanni sarà mantenere l’indipendenza come
editore, sia per quanto riguarda le leggi di mercato, che per quanto riguarda la moda e i conformismi. Anche
il formato, mai più grande di un sedicesimo, doveva rimanere tale. Dal 1951 al 1999 (anno della sua morte),
Vanni pubblicò più di tremila titoli, su discipline e argomenti diversissimi. Molte di queste opere, raccolte e
pubblicate con costanza e passione da Vanni, sono una dimostrazione della funzione di pesce pilota svolta da
un piccolo editore nell’anticipare idee e progetti poi ripresi da grandi case editrici (es. Feltrinelli). I cataloghi
di Vanni pubblicati tra il 1956 e il 1999, dovrebbero essere circa 20. Spesso sono cataloghi double face: nello
stesso volume troviamo da una parte il catalogo dei libri Scheiwiller, dall’altro il catalogo dei libri.
All’insegna del pesce d’oro. I due cataloghi di Vanni più rappresentativi sono Edizioni Scheiwiller, che
riproduce in copertina il disegno di Modigliani già caro a Giovanni che lo aveva inserito in Passatempo;
Edizioni di Giovanni e Vanni Scheiwiller, perché rappresenta una sorta di catalogo generale e reca una
dedica di Vanni dedicata al trigesimo della morte del padre.

Progetto editoriale e lavoro redazionale nella Ricciardi milanese

Raffaele Mattioli ebbe molta importanza in tutte le decisioni della casa editrice Ricciardi, dall’ideazione
delle
collane alla scelta degli autori e dei curatori, dalla redazione dei cataloghi ai rapporti con gli stampatori e i
distributori, esperimento il suo carattere e il suo gusto personale sia nelle scelte editoriali che in quelle
dell’aspetto materiale del libro. Mattioli era amministratore delegato e poi presidente della
Banca
Commerciale Italiana; nonostante ciò, si dedicò pienamente alla casa editrice, anche se a volte viene
considerato solo come finanziatore dell’impresa. Ciò è falso e dimostrato dall’archivio della casa editrice che
testimonia il suo impegno nell’attività costituito da incontri con autori e curatori, revisione testi, controllo
frontespizi, parte commerciale ecc. Mattioli leggeva i libri che pubblicava e si occupava anche del lavoro
redazionale: correggere bozze, riscrivere i programmi editoriali, rendere chiari e comprensibili commenti
intro e note ai testi…

La Ricciardi napoletana: le origini


La Riccardo Ricciardi Editore fu fondata a Napoli nel 1907 da Riccardo Ricciardi e venne rilevata nel 1938
da
Raffele Mattioli che avrebbe poi passato il testimone alla sua morte, nel 1973, al figlio Maurizio. Ricciardi,
dopo aver abbandonato gli studi di medicina, aveva lavorato in una libreria ed era assiduo frequentatore di
un'altra, dove conobbe Croce che gli propose di diventare editore. Ricciardi non aveva una libreria,
tipografia, le tirature dei suoi volumi erano limitate a poche centinaia di copie e copriva appena le spese di
tipografia. Inviava personalmente i libri alle librerie e svolgeva lui stesso qualsiasi ruolo (amministratore,
consulente, correttore bozze, magazziniere etc.) le sue edizioni si distinsero sin da subito per la qualità
tipografica, tanto che Ricciardi verrà definito “il Manuzio della prima metà del 900” e grazie anche
all’influenza di Croce, la casa editrice seppe affermarsi come punto di riferimento per il mondo intellettuale
napoletano.

Gli anni dell’interregno


Alcuni sostengono che fu lo stesso Croce a suggerire a Mattioli l’acquisto della casa editrice. La vocazione
di Mattioli editore si era già manifestata dalla fine degli anni 20; intervenne nella produzione della casa
editrice a partire dal 1938. La stampa dei volumi continuerà ad essere affidata a tipografie napoletano fino
1949 e la sede milanese aprirà nel 1951; in questi anni, che possono essere definiti di “interregno”, dal 1938
al 1951, le proposte editoriali spesso nascevano dall’iniziativa di Mattioli (che fece moltissime proposte e
prese altrettante iniziative) e non più da Ricciardi. Fin da subito Mattioli non si limitò all’aspetto finanziario
ma si occupò del rapporto diretto con gli autori e i curatori delle opere che pubblicava e riguardava
strettamente la programmazione editoriale di cui egli si fa direttamente responsabile. Da quando Mattioli
“prende il comando”, Ricciardi non si disinteressa: la corrispondenza tra i due editori rimane fitta per molti
anni e Ricciardi continua ad occuparsi della stampa di alcuni volumi.

La Ricciardi milanese
Nel 1951 Mattioli affida ad Alberto Vigevani l’incarico di organizzare la sede milanese della casa editrice.
La
continuità con la sede napoletana viene mantenuta con la nomina a presidente di Riccardo Ricciardi e con
l’introduzione della doppia indicazione sul frontespizio: “Milano-Napoli”. La prima idea per la collana di
classici venne a Mattioli attorno al 1945-46, gli anni di rinascita quando a uomini di formazione anteriore
all’avvento del fascismo si impose come imperativo morale. Il primo contatto tra Mattioli e Gianfranco

Contini risale al 1943 quando il primo fa sapere al secondo di voler includere una raccolta dei suoi scritti

filologici nel
programma della Ricciardi. Il progetto poi non andrà mai in porto, ma nel 1949 Contini diventa curatore del
volume poeti del Duecento della serie dei classici Ricciardi; gestirà poi anche altre collane e continuerà a
collaborare anche dopo la morte di Mattioli. Le origini della LIST, “Letteratura Italiana Storia e Testi”
definita “la collana dei classici” o “i classici Ricciardi”. Nel 1951 uscirà un catalogo sempre dedicato
alla letteratura classica ma con un progetto che risulta ampliato rispetto a due anni prima: i volumi sono 75
anziché 50 e la collezione viene suddivisa in 7 sezioni anziché 8. La collezione verrà poi negli anni
modificata. Nel marzo del 1951 esce il volume di Croce, è il primo ad uscire e ad aprire la collana dei
classici. Filosofia, poesia, storia di Croce è anche il primo volume in cui compare la nuova marca editoriale,
il marchio con i due delfini e il versetto dantesco; gli altri marchi che erano stati utilizzati erano la caravella
con scritto “ventis secundis”, tipico delle edizioni napoletane e la losanga. Tipicamente Mattoliano sarà il
marchio con il delfino e l’emistichio omerico.

Il rapporto con la tipografia


Un tratto comune della gestione di Ricciardi e di quella di Mattioli sarà l’amore per le belle edizioni e il
conseguente rapporto strettissimo con stampatori e tipografie. Per realizzare questo progetto Mattioli sceglie,
come stampatore dei classici e della maggior parte dei volumi delle altre collane, Giovanni Mardersteig.
Negli anni, tra Mattioli e Mardersteig si crea un rapporto di amicizia, rispetto e fiducia; i due si consultano su
ogni particolare: dalla scelta della carta a quella della tela per la rilegatura, dal corpo in cui vanno composte
le pagine ai colori da usare nei frontispizi, fino al disegno e alla realizzazione dei loghi. Mattioli segue da
vicino ogni aspetto della pubblicazione di ogni singolo volume, il suo intervento va dalla scelta della carta
alla correzione delle bozze.

Gli interventi autografi di Raffaele Mattioli


Mattioli controlla da vicino ogni elemento che riguarda le pubblicazioni e tra i suoi interventi a livello
editoriale si segnalano, innanzitutto, quelli sui cataloghi che la casa editrice pubblicava regolarmente. Il
dattiloscritto con il piano dell’opera è stato più volte riveduto e corretto da Mattioli e ha studiato il marchio
che ha lui stesso disegnato. Mattioli leggeva e correggeva personalmente le bozze di tutti i volumi in uscita:
ad es. sul frontespizio della Spagna del Cid di Ramon Mendez Pidal, Mattioli scrive che nonostante la cura
gli è sfuggito di datare la prefazione a questa edizione. In un altro, “L’ascesa della Germania” di Helmut
Bohme, Mattioli interviene modificando e in alcuni casi riscrivendo completamente i titoli dei capitoli come
vuole lui. Mattioli si dedicava anche alla cura testuale e a volte forniva anche precise indicazioni
sull’impaginazione del testo, scrivendo a mano sulle bozze.

Conclusioni
L’archivio della casa editrice Ricciardi è ricco e totalmente integro. Conserva tutta la corrispondenza con gli
autori, con i curatori, con le tipografie, conserva i vari materiali preparatori alle pubblicazioni, compresi i
cataloghi di carte, tele e legature, conserva documenti amministrativi e contabili, recensioni, cataloghi
editoriali etc. fin qui si è cercato di mostrare l’impegno di Mattioli in prima persona in tutte le fasi di
lavorazione dei volumi pubblicati. Altri punti importanti sono: -la distribuzione dei classici e poi di tutti i
volumi della Ricciardi, che è stata poi affidata alla rete commerciale Mondadori. Rispetto agli anni di
Ricciardi la situazione era molto mutata e in archivio si conserva un rapporto dove viene analizzata la
differente organizzazione di Ricciardi e quella usata poi da Mattioli. Per quanto riguarda la comunicazione
editoriale della casa editrice Ricciardi di Mattioli, si è sempre detto che l’editore non amasse fare pubblicità
ai volumi della sua casa editrice, ma non si è mai spiegato il perché. La Ricciardi non aveva scelto tanto di
non fare pubblicità in assoluto, ma di farla in prevalenza con uno strumento informativo come il catalogo,
anziché con uno strumento commerciale come l’inserzione pubblicitaria. Il criterio dell’unità e della
continuità enunciato da Mattioli è presente in tutta la produzione della casa editrice. Un altro capitolo
interessante riguarda i progetti di Mattioli mai realizzati: nel 43 ad esempio pensava un settimanale di
informazione e di cultura, politica che si sarebbe dovuto intitolare il solco, il vaglio o l’ancora, come questa
progettava altre riviste, ma non si sa perché non furono pubblicate. Altri progetti riguardano collane, raccolta
di testi letterari storici e filosofici.

Le “comete Feltrinelli” (1959-1967). Il catalogo di “una collana come rivista di letteratura


internazionale”

La Giangiacomo Feltrinelli Editore, fondata a Milano alla fine del 1954, con i primi titoli in uscita nel
luglio del 55, si impegnò fin da subito sia sul versante della saggistica sia su quello letterario, seguendo il
principio che secondo Feltrinelli dovevano avere questi due rami: da una parte la ricerca, politicamente
impegnata e caratterizzata da temi antifascisti; dall’altra, la letteratura, che Feltrinelli stesso giudicava
veramente importante. Romanzi diventati casi letterari prima ancora della loro pubblicazione con Feltrinelli
sono “Il dottor Zivago” di Boris Pasternak, che esce in anteprima mondiale e dopo una trattativa contrastata
con le autorità sovietiche e con la dirigenza del PCI, e “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa,
pubblicato dopo una complicata vicenda di rifiuti editoriali all’indomani della morte del suo autore. Si
trattava di opere che avviavano il processo di unificazione tra il pubblico di sinistra e quello del romanzo
mondadoriano. Nel settore della narrativa l’affermazione della casa editrice Feltrinelli fu in gran parte dovuta
alla scoperta di alcuni scrittori stranieri contemporanei fino ad allora ignoti al pubblico italiano, usciti nella
collana “Narrativa”. In questa collana uscivano dagli anni 50 per la prima volta in Italia scrittori cinesi,
americani, indiani, francesi, rimasti estranei alla nostra cultura. La copertina della collana era ancora molto
sobria; in molti numeri appariva una caratteristica editoriale che vedremo poi essere propria della collana “Le
comete”, vale a dire la proposta, in quarta di copertina, di una scelta di recensioni ai volumi uscite sulla
stampa estera.
La più elegante e prestigiosa tra le collane letterarie pubblicate da F. era la “Biblioteca di letteratura diretta
da Giorgio Bassani”, che si divideva nelle sezioni dei contemporanei e dei classici moderni. La prima voleva
offrire una visione aggiornata della narrativa italiana contemporanea, pubblicando autori noti e meno nati,
pure sconosciuti, purché le loro opere fossero legate a quegli anni. I secondi accolsero opere già consegnate
alla storia delle letterature straniere a cavallo tra 800 e 900, testi che avevano avuto il tempo di diventare
classici. La collaborazione tra Feltrinelli e Bassani durerà poco: quando Feltrinelli ritenne utile formare il
gruppo di scrittori della neoavanguardia che saranno noti come gruppo 63, Bassani non condivide la scelta
del suo editore. Bassani si oppose alla pubblicazione di alcune opere che considerava frettolose e ridondante,
da riscrivere. Ci furono diverse vicende come quella che vide Bassani sospettato di spionaggio in favore
della Einaudi. Ebbero un diverso rapporto Giangiacomo Feltrinelli e Valerio Riva, il quale nutriva scopi
molto simili a quelli dell’editore; infatti, tra i due esistette una sinergia che si rifletteva a sua volta sui
collaboratori, creando un’unità operativa di grande efficacia. La casa editrice Feltrinelli aveva anche assunto
il principale organizzatore del fenomeno neoavanguardistico, Nanni Balestrini che è sempre stato il braccio
destro di Luciano Anceschi che si occupava della conduzione del “Verri”, la rivista che rimarrà fino alla
chiusura lo sbocco e l’espressione naturale delle poetiche del Gruppo 63, rivista della quale Feltrinelli era
diventato l’editore. Feltrinelli aveva inserito all’interno del suo gruppo anche Enrico Filippini. Nel 1964
Feltrinelli inaugurerà un’altra collana “Materiali”, che insieme a “Le Comete” ospiterà numeri scritti degli
autori appartenenti al gruppo. Il marchio Feltrinelli si esprime quindi attraverso il rapporto tra editore,
direttore editoriale e comunità intellettuale.
La prima impronta data da Feltrinelli e Riva a Le Comete è quella di “una collana come rivista di letteratura
internazionale”. La collana diretta da Riva dal 1959 al 67, quando interrompe le pubblicazioni giunta a un
totale di 44 titoli, lanciava autori nuovi destinati a diventare famosi anche da noi ma che spesso non lo erano
ancora nel loro paese d’origine. Materialmente i volumi sono senza risolvi; dal 1962 a ogni nuova uscita la
collana cambia i connotati inserendo diverse modifiche (es. segnalibro, contro copertina, risvolti ecc.). le
copertine, realizzate da Albe Steiner, erano tipicamente grafiche e utilizzavano il nero e un colore abbinato,
di volta in volta giallo, rosso, arancione, grigio. Verrà aggiunta in seguito in copertina anche una foto in
bianco e nero e dopo ancora oltre al nome dell’autore e il titolo, informazioni riguardanti il progetto. Tutte le
info su autore e romanzo sono riportate in quarta di copertina. Per ogni numero di uscita per i primi due anni,
le comete, l’autore per la prima volta tradotto in italiano proviene da un paese diverso. La proposta che Riva
vuole portare ai suoi lettori, è quella di una narrativa proibita, che fa scalpore. Nel secondo anno di vita della
collana arriva dall’America il successo e lo scandalo maggiore: viene pubblicato nel 1960 la prima edizione
italiana di Jack Kerouac, “I sotterranei”, che conferma il suo talento narrativo che rappresentava una delle
figure più singolari della scena della letteratura americana. Comparvero numero recensioni su diverse testate
e saranno più numerosi gli articoli riguardanti le vicende del processo a Kerouac e Feltrinelli: dopo la sua
uscita il volume venne sequestrato secondo il volere del procuratore della repubblica di Milano e solo
nell’ottobre del 63 Feltrinelli viene assolto dall’accusa di pubblicazioni oscene e il libro giudicato dal
tribunale “un’opera d’arte”. Una volta chiuso questo scandalo ne seguono altri riguardanti un autore
spagnolo, poi uno russo. Dalla seconda metà del 1961 nelle Comete vengono pubblicate alcune opere di
autori appartenenti al Gruppo 47 tedesco, gruppo a cui il 63 ita dichiarava di ispirarsi. Viene creata una
specifica serie all’interno della collana chiamata “panorami”. In seguito, troviamo un trionfo del gruppo 63, a
partire dalla pubblicazione
di Capriccio italiano di Edoardo Sanguineti e qui per la prima volta un volume delle comete si presenta con
la sovraccoperta. Riva presento questo libro con toni troppo entusiastici, termini ai quali si attaccheranno le
critiche dei giornali. Addirittura, lo paragonerà a Dante, cosa che indispettisce molti. Riva accortosi di aver
dato fastidio, coglie la sfida e continua a provocare pubblicando opere dove sono presenti suoi interventi
provocatori in contro-copertina riguardanti la polemica in corso tra avanguardie e tradizione letteraria. Da
qui anche le opere che vengono pubblicate successivamente contengono frasi provocatorie per presentare i
libri. il 1964 si apre ancora all’insegna del gruppo 63, stavolta con un’antologia, la prima prodotta dagli
appartenenti al gruppo e rappresenta praticamente il primo incontro degli scrittori del gruppo. La
controcopertina riporta un test redatto sempre da Riva e volto ancora a illuminare la polemica che si alzava
intorno agli esponenti della nuova avanguardia. Vengono poi pubblicate altre opere sempre degli autori del
gruppo.
Come era stato per “narrativa”, anche i titoli usciti nelle “comete”, che dimostreranno una migliore tenuta in
catalogo, andranno negli anni a confluire nella collana “I narratori di Feltrinelli”, collana tutt’ora in corso.
Alcuni testi rimangono, ma i toni di Riva andranno a scomparire. Queste variazioni non saranno senza
conseguenze per il significato del testo.

La memoria del lavoro editoriale


Scrivere la storia dell’editoria attraverso lo studio degli archivi editoriali è un’impresa che si rivela spesso
ardua perché in Italia gli archivi degli editori sono stati depositati nei luoghi più disparati su tutto il territorio
nazionale. Qui si vuole fornire una panoramica sullo stato degli archivi editoriali in Italia, sottolineando
l’importanza che le carte d’archivio hanno. Capita che gli editori siano negligenti nella conservazione della
memoria del proprio lavoro, come il caso Olschki. Negli anni 90 Gianfranco Tortorelli attira l’attenzione su
questa problematica e lo ha fatto sollevando due problemi: sottolinea che il motivo del perché solo ora si
affronta in Italia la questione degli archivi editoriali è legato al tipo particolare di archivio e alla diversa
sensibilità che ha guidato case editrici e all’interesse che l’intera disciplina della storia dell’editoria ha
suscitato. In altre parole, per Tortorelli gli studiosi della storia dell’editoria hanno privilegiato a seconda dei
periodi/contesti alcune fonti, trascurando per intere stagioni l’uso di alcuni archivi. Questo ha comportato
pesanti conseguenze sull’organizzazione degli archivi e sul reperimento delle fonti. A questi problemi se ne
può aggiungere un altro che Tortorelli ha sollevato nel 1995: la dispersione territoriale dei luoghi di
conservazione degli archivi editoriali, che possono essere molteplici e dislocati su tutto il territorio nazionale
(archivi di stato, comunali, biblioteche statali, comunali o private). La storia dell’editoria trova nella
documentazione dell’Archivio Centrale di Stato numerosi percorsi di ricerca: si va dai fascicoli intestati a
personalità politiche e culturali al ricco archivio del Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio. Altri
luoghi di conservazione sono gli Istituti e le Fondazioni che in Italia si occupano di archivi editoriali: tra i
primi si ricorda l’istituto Treccani, che si è imposto come una fonte di grande interesse per la storia
dell’editoria italiana; tra i secondi vanno citati due casi: la Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori e il
centro APICE dell’Università degli studi di Milano, che sono arrivati a imprimere una svolta nel settore della
conservazione e della valorizzazione degli archivi editoriali italiani. La Fondazione nasce nel 1978 per
iniziativa della famiglia Mondadori per salvaguardare e valorizzare il patrimonio archivistico rappresentato
da Arnoldo e Alberto Mondadori e acquisisce anche la biblioteca storica della casa editrice Mondadori, la
Biblioteca degli intangibili. Oggi la fondazione è un’istituzione no profit, diventata negli anni 90 un centro di
studi e ricerche sulla cultura editoriale in Italia. L’attività della fondazione si muove in 3 direzioni: la
salvaguardia della memoria del lavoro editoriale, la promozione di ricerche sul ruolo della mediazione
culturale e la diffusione della cultura editoriale. Inoltre, essa si propone di fornire strumenti per la ricerca,
come bibliografie e repertori, promuovere ricerche su figure, momenti, generi, tecniche di lavorazione e
sull’attività di mediazione culturale. La fondazione si è mossa in due direzioni: conservazione, catalogazione
e inventariazione di fondi archivistici e librari, ricevuti prevalentemente in dono o in deposito; raggiungere
archivi di altre case editrici, di autori e personalità dell’editoria e della cultura; nel corso degli anni hanno
anche accolto fondi bibliografici di diversa provenienza (es. biblioteche personali, collezioni, biblioteche
storiche...). La seconda direzione è quella che ha portato il censimento degli archivi editoriali, esteso a varie
regioni italiane. Questo ha portato alla costituzione nel marzo 2000 di una Commissione incaricata di
redigere il titolario e il massimario di scarto per gli archivi degli editori e a richieste di consulenza
provenienti da più parti per la realizzazione di interventi di recupero e riordino fondi d’archivio. Obbiettivi
del censimento sono stati quelli di mappare le situazioni a rischio, sensibilizzare il mondo editoriale ai temi
della conservazione, fornire spazi, strumenti e consulenze. Inoltre, il censimento ha mostrato come la scarsa
conoscenza del contenuto della documentazione prodotta nel corso del lavoro editoriale impedisca agli
editori di condividere con la collettività materiali di grande interesse e rilevanza culturale.
Eccellente per gli studi di storia dell’editoria nel nostro paese è APICE, Archivi della Parola, dell’Immagine
e della Comunicazione Editoriale, istituzionalmente Centro di Servizi dell’Università degli studi di Milano
che nasce nel 2002 con la finalità di acquisire, conservare e valorizzare fondi bibliografici, iconografici,
archivistici, etc. Le biblioteche dell’Università di Milano, oltre a custodire fondi librari e archivistici,
hanno ricevuto raccolte storiche importanti.
Altrettanto importanti sono le opere di istituzioni che custodiscono patrimoni documentari tra i più rilevanti
per lo studio dell’editoria italiana, come è il caso dell’Archivio contemporaneo del Gabinetto Vieusseux
di Firenze o del Fondo manoscritti di autori contemporanei della Biblioteca dell’Università di Pavia.
Esso fu fondato a Firenze nel 1819, è stato nell’800 uno dei principali tramiti tra la cultura italiana e quella
europea. Nasce come gabinetto di lettura, dove vengono messe a disposizione del pubblico cittadino e
straniero le più importanti riviste d’Europa, a fianco viene allestita una biblioteca circolante. Fino al 1919 è
esercizio privato diretto dagli eredi di Vieusseux, poi diventa nel 1925 Ente Morale, con un consiglio
d’amministrazione dove sono rappresentati l’università di Firenze e il consiglio comunale. Nel corso del 900
la sua attività sarà proseguita da letterati illustri (es. Eugenio Montale, Alessandro Bonsanti). Svilupperà poi
3 nuovi settori: il laboratorio di restauro, il centro romantico e l’archivio contemporaneo. Istituto con lo
scopo di raccogliere materiale relativo a personalità del mondo contemporaneo. Presso questo Gabinetto
troviamo anche preziose biblioteche d’autore. Il Fondo Manoscritti dell’Università di Pavia, nasce nel 1969,
è tra i più importanti istituti italiani che conserva e studia il patrimonio archivistico e bibliografico
moderno e contemporaneo. Ha l’obbiettivo principale di conservare documenti relativi agli scrittori degli
ultimi 2 secoli; possiede una biblioteca specializzata, costituita principalmente da biblioteche d’autore.
Tra storia letteraria e storia dell’editoria c’è uno stretto legame, 3 efficaci esempi di utilizzo dei materiali
d’archivio sono stati sono stati sottolineati da Lucio Felici : edizione delle Opere di Gadda, Felici ricorda
come il recupero e il restauro dei testi fu reso possibile dal materiale d’archivio Garzanti e con l’apporto di
altri fondi privati; edizione della narrativa e della saggistica di Pirandello, grazie a delle lettere tra l’autore e
Bemporad, Felici ha trovato diversi nuovi aspetti delle idee narratologiche pirandelliane; preparazione di
tutte le poesie di Trilussa, lo studio delle carte e delle prime edizioni conservate presso differenti fondazioni
hanno permesso di recuperare alcuni inediti e di scoprire lo spessore culturale, le frequentazione letterarie e il
metodo di lavoro di Trilussa. Felici ci porta a riflettere su come l’archivio di una casa editrice sia sempre
presente anche al di fuori dell’azienda, con materiale vario (carteggi, documenti presso archivi privati).
Considerati i casi della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, di APICE e delle altre istituzioni,
possiamo guardare con rinnovata speranza al futuro degli archivi editoriali. In Francia troviamo il caso
esemplare dell’IMEC, Institut Mémoires de l’Edition Contemporaine, unico nel suo genere. Ma occorre
considerare la situazione in quel Paese prima della fondazione dell’istituto: agli inizi degli anni 80 i
ricercatori francesi si resero conto che pochissimi editori offrivano un fondo di archivi consistente, sia a
causa della piccola dimensione delle case editrici, sia perché non esisteva una gestione razionale del
complesso di archivi perché non si pensava avessero valore storico. Per questo venne data vita all’istituto,
per non perdere gli archivi presenti e per raccoglierli con criteri. Esso ha potuto concretizzarsi grazie
all’appoggio degli organismi pubblici che con i finanziamenti ne hanno permesso la sopravvivenza. Le case
editrici affidano l’inventario e la gestione del materiale all’istituto, in cambio di una somma.
Ai documenti d’archivio si guarda frequentemente come a documenti primari, e ai libri a stampa come
secondari; ma la primarietà è in relazione con l’oggetto dell’indagine e quando si tratta delle procedure di
tipografia, la testimonianza proveniente dagli oggetti risultanti da queste procedure deve avere la
precedenza sulle formulazioni riguardanti le procedure stesse reperibili in altri documenti contemporanei. I
documenti dei tipografi e degli editori sono utilissimi, ma non infallibili; sono i libri stessi a fornire l’ultima
corte d’appello per giudicare ciò che pretendono i documenti. Tanselle, conclude dicendo che gli storici del
libro dovrebbe sempre fare attenzione a una regola elementare del metodo storico: “ricostruendo il passato,
attingete con riconoscenza ai documenti d’archivio, ma guardatevi dal prenderli per il loro valore apparente.”

Potrebbero piacerti anche