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LE PAGINE DA 1 a 14 DI QUESTO FILE SONO MATERIA

D’ESAME SIA PER GLI STUDENTI FREQUENTANTI SIA


PER GLI STUDENTI NON FREQUENTANTI E SONO
OGGETTO DI SPECIFICHE DOMANDE DURANTE
L’ESAME

Igiaba Scego
ATTENZIONE: la storia coloniale italiana in Somalia (in
particolare a partire dagli anni del fascismo e fino all’AOI), la
storia della Somalia post-coloniale e la storia della Somalia
contemporanea sono parte integrante e imprescindibile delle
domande d’esame per i frequentanti e per i non frequentanti,
perché sono strettamente connesse alla vita della famiglia
Scego e dunque all’autobiografia di La mia casa è dove sono.
Per conoscere e argomentare all’esame la storia coloniale
italiana in Somalia, la storia della Somalia post-coloniale e la
storia della Somalia contemporanea, gli studenti devono
studiare con attenzione le pp. 166-177 di O. Studio, In tema.
Profilo storico della Somalia. Dal colonialismo ai giorni nostri:
(materia d’esame in piattaforma elearning), connettendole poi
con precisione a ciascun capitolo di La mia casa è dove sono,
che è l’autobiografia di Igiaba Scego e la storia vera della sua
famiglia. Le pagine di O. Studio (In tema. Profilo storico della
Somalia. Dal colonialismo ai giorni nostri) e il discorso
complessivo di La mia casa è dove sono vanno inoltre connessi
alla storia di Hamid in A. Leogrande, Hamid, in La frontiera
(Feltrinelli 2015, pp. 24-38: materia d’esame, in consultazione
provvisoria al bancone della biblioteca di Unistrasi).

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Igiaba Scego (Roma, 1974) è una scrittrice italosomala o
afroitaliana o italoafricana di seconda generazione
(biografia riadattata da Internazionale, Wikipedia e da Anna Proto Pisani, Igiaba Scego. Scrittrice
postcoloniale in Italia, in Italies 14, 2010)

Per conoscere Igiaba Scego:


https://www.youtube.com/watch?v=YIcxltMxIT4
« Io, nera romana nata all’ospedale Regina Margherita », « somala d’origine e
italiana per vocazione », « afro-italiana, una somala italiana », « africana
d’Occidente », dall’« identità composita », di « seconda generazione », « vecchia
italiana », « cittadina italiana nera »: così si definisce Igiaba Scego.
Figlia della diaspora somala, Igiaba Scego nasce in Italia nel 1974, da genitori fuggiti
da Mogadiscio in seguito al colpo di stato militare di Siad Barre nel 1969. La Somalia
è una Repubblica Federale, la cui costituzione politica e la cui vita quotidiana sono
però da circa trent’anni disgregate e impedite da una trentennale guerra civile (su cui
cfr. O. Studio. Profilo storico della Somalia, materia d’esame in piattaforma
elearning). Questa pericolosa condizione di caos, generata dalla guerra civile, ha
determinato una diaspora ininterrotta dei somali, che ha coinvolto anche la famiglia
di Igiaba.

il Corno
d’Africa, un’area geografica che comprende Somalia, Etiopia, Eritrea e Gibuti.

Nata e cresciuta a Roma, Igiaba Scego ha sempre mantenuto forti contatti con la
Somalia dove si recava nei mesi estivi e dove ha vissuto un anno e mezzo quando
aveva undici anni. È quindi una delle prime scrittrici della « seconda generazione »,
una definizione che lei stessa rivendica. L’italiano è del tutto naturalmente la sua
lingua letteraria.
Dopo la laurea in Letterature straniere presso la Sapienza di Roma, ha conseguito un
dottorato di ricerca in Pedagogia all'Università di Roma Tre e si occupa di scrittura,
giornalismo e di ricerche incentrate sul dialogo tra le culture e sulla migrazione.
2
Collabora con molte riviste che si occupano di migrazioni e di culture e letterature
africane, tra cui Latinoamerica, Carta, El Ghibli, Migra, e con alcuni quotidiani
come la Repubblica, il manifesto, L'Unità e Internazionale.
La sua scrittura è incentrata soprattutto sul rapporto tra le due culture, quella italiana
d’appartenenza e quella somala d’origine. Il suo romanzo d’esordio, per ragazzi, è La
nomade che amava Alfred Hitchcock (2003). La mia casa è dove sono esce invece
nel 2010 ed è una autobiografia con cui Igiaba Scego ricostruisce la storia
privata e pubblica della sua famiglia. La mia casa è dove sono ha vinto il Premio
Mondello nel 2011. Molto importanti sono anche i due racconti Dismatria e Salsicce,
contenuti nella antologia Pecore nere. Racconti, Laterza, 2005. Tra i romanzi si
ricordano: Rhoda (2004), Oltre Babilonia (2008), Adua (2015), La linea del colore. Il
gran tour di Lafanu Brown (2020).

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1. Tracce del passato coloniale italiano rimosso
da collegare al capitolo La stele di Axum di La mia casa è dove
sono

In La stele di Axum, il quarto capitolo di La mia casa è dove sono, Igiaba Scego
dichiara: “Nella guerra per l’impero mussoliniano, Rodolfo Graziani (…) fece uso di
armi chimiche severamente vietate dalla Convenzione di Ginevra” (p. 85).
Per vedere delle immagini della guerra italiana in Etiopia (1935-1936), al termine
della quale ha poi avuto origine nel 1936 l’Africa Orientale Italiana (AOI) vai su:
http://www.raiscuola.rai.it/articoli/fascismo-la-conquista-
delletiopia/7726/default.aspx

AOI = Africa Orientale Italiana (1936-1941) composta


da Etiopia (segnalata dalle province di Amara, Galla-Sidarno e Harar),
Somalia (in verde) ed Eritrea (in rosa)

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Il grande
graffito a parete del GIL (il palazzo della Gioventù Italiana del Littorio a Roma
nel quartiere trastevere) tuttora esistente. Il graffito raffigura l’impero coloniale
italiano in Africa nel 1936. In alto si legge la famosa frase (“Noi tireremo
dritto”) che Mussolini urlò nel 1935 dal balcone di Piazza Venezia in risposta
alle critiche e alle sanzioni della Società delle nazioni per l’attacco all’Etiopia.
Cosa dice Igiaba Scego a proposito di questo gigantesco graffito:
“l’Africa è immensa e domina tutta la parete, ma è un continente vuoto, dove sono
segnati solo i possedimenti italiani e si vede solo la M di Mussolini (insieme alla sua
famosa frase “Noi tireremo dritto”), che sembra incombere sui territori occupati.
Accanto alla mappa i nomi delle città conquistate dagli italiani: Adua, Adigrat,
Macallè… Cosa fare davanti a un tale sfoggio di fascismo coloniale? Quella mappa
lascia interdetti per la sua ferocia, ma picconarla sarebbe un grande errore, perché
solo osservandola si capiscono tante cose della nefasta visione che il fascismo aveva
del mondo, soprattutto di quei popoli che erano malauguratamente finiti sotto il suo
dominio. Quella mappa vuota ci parla ancora oggi delle violenze che si sono
abbattute sui corpi dei colonizzati”.
https://www.internazionale.it/opinione/igiaba-scego/2020/06/09/tracce-passato-
colonialismo-razzismo-fascismo

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2. Il colonialismo italiano e la strage di Debré Libanòs, in
Etiopia (1937)
(da collegare al capitolo La stele di Axum di La mia casa è dove
sono)
L’Etiopia era ed è una nazione dalla fortissima identità culturale e religiosa.
Nonostante sia conquistata nel 1936 dall’Italia, continua ad esprimere fino al 1941
(anno in cui l’AOI viene invasa dagli inglesi) una resistenza partigiana contro i
colonizzatori italiani. Nel 1937 il generale Rodolfo Graziani, Viceré d’Etiopia e
Governatore della Somalia, tristemente noto per i suoi metodi feroci e sanguinari,
subisce infatti un attentato ad Adis Abeba, organizzato dalla resistenza partigiana
etiope. L’attentato non ebbe successo. Graziani sopravvive all’attentato e ordina per
punizione una strage di uomini e donne inermi: diaconi, sacerdoti e civili riuniti nel
monastero etiope di Debré Libanòs - uno dei massimi centri della cristianità copta
etiope – per la festa dell’Arcangelo Gabriele. Si calcola che vennero uccise tra le
1800 e le 2200 persone. Le stragi indiscriminate su civili innocenti e inermi sono
crimini di guerra, sanzionati da tutte le convenzioni che regolano i codici militari di
guerra:
https://www.youtube.com/watch?v=za9jysT8DZY
ATTENZIONE: Rodolfo Graziani compare anche nel racconto familiare e
nazionale di Igiaba Scego, nel capitolo La stele di Axum. Il nonno di Igiaba,
Omar Scego, è stato infatti il traduttore di Rodolfo Graziani (cfr. pp. 84-89 di La
mia casa è dove sono).

3. Il colonialismo italiano, il madamato e la rimozione italiana


(da collegare alla costruzione della mappa di Igiaba in La mia
casa è dove sono)
In Il disegno ovvero la terra che non c’è, primo capitolo di La mia casa è dove sono
(p. 20), Igiaba Scego dichiara:
“L’Italia si è dimenticata del suo passato coloniale. Ha dimenticato di aver fatto
subire l’inferno a somali, eritrei, libici ed etiopi. Ha cancellato quella sotoria con un
facile colpo di spugna. Questo non significa che gli italiani siano stati peggio di altri
popoli colonizzatori. Ma erano come gli altri. Gli italiani hanno stuprato, ucciso,
sbeffeggiato, inquinato, depredato, umiliato i popoli con cui sono venuti in contatto.
Hanno fatto come gli inglesi, i francesi, i belgi, i tedeschi, gli americani, gli spagnoli,
i portoghesi. Ma in molti di questi Paesi dopo la fine della Seconda Guerra mondiale
c’è stata una discussione, ci si è accapigliati, gli scambi di vedute sono stati aspri e
impetuosi; ci si è interrogati sull’imperialismo e i suoi crimini: sono stati pubblicati
studi; il dibattito ha influenzato la produzione letteraria, saggistica, filmica, musicale.
In Italia invece silenzio. Come se nulla fosse stato”.
Cerchiamo di capire questa sua affermazione, che è un punto di vista centrale nella
costruzione della mappa e del terzo spazio di La mia casa è dove sono, attraverso un
breve percorso che mette insieme in questo paragrafo le parole di Igiaba, la pratica

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del madamato, la controversa testimonianza di Indro Montaneli e l’acceso dibattito
generato dalla posizione di Montanelli.
Durante la Guerra d’Etiopia del 1935, il giornalista Indro Montanelli si arruola
volontario come giovane ufficiale ventiseienne dell’esercito italiano. Al suo arrivo in
Eritrea, ai confini con l’Etiopia, acquista l’adolescente Destà dal padre di lei. In
seguito all’acquisto, la dodicenne o quattordicenne (le dichiarazioni di Montanelli
oscillano) Destà diventa la concubina sessuale e domestica di Montanelli, che per
contratto poteva poi restituire l’adolescente al padre o consegnarla ad un altro uomo
– come infatti accadde -, a suo piacimento.
L’ “acquisto” di Montanelli rientra nella diffusa pratica del madamato. All’interno
della lunga storia coloniale italiana nel Corno d’Africa, il madamato designa una
relazione a termine, su base mercenaria e subalterna, tra un italiano ed una donna
nativa delle terre colonizzate, definita appunto ‘madama’. Fino al 1937 è stata una
pratica ampiamente diffusa in Eritrea, Somalia ed Etiopia, nata dalla distorsione
colonialista di una pratica tradizionale ristretta ad alcune aree dell’Eritrea: il "dämòz"
- o matrimonio "per mercede" (una forma eritrea di contratto matrimoniale a termine, che
vincola però i coniugi ad una reciprocità di obblighi anche dopo lo scioglimento del matrimonio.
Tali obblighi includono, per l'uomo, quello di provvedere alla prole, anche dopo la risoluzione del
contratto. Obblighi di cui, in realtà, si perde traccia nelle forme di unione messe in atto dagli
italiani, i quali generalmente non vedono nel madamato altro che una forma di convivenza
temporanea che, assicurando l'accesso a prestazioni domestiche e sessuali, li lascia sostanzialmente
liberi da vincoli e responsabilità nei riguardi tanto della donna che della prole, in nessun modo
garantiti. http://www.akra.it/amis/schede.asp?idsch=108&id=7; cfr. anche D. Forgacs, Margini
d’Italia, Laterza, Roma-Bari, 2015, pp. 68-69 ). L’immagine qui di seguito è quella di una
cartolina dai presunti intenti umoristici, ad uso delle truppe italiane in Africa tra il
1935/1936 circa. In questa cartolina colonialista e razzista si propaganda il madamato
come pratica predatoria che consente di acquistare “schiave a prezzi da convenirsi”
(così nella cartolina) per i soldati e italiani. Nella cartolina, i due soldati si accordano:
“facciamo un tanto per uno, che poi facciamo a mezzo”.

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In quest’altra cartolina risalente sempre al 1935/1936, che vorrebbe essere sempre
umoristica, una donna africana dovrebbe essere spedita, in quanto preda di guerra,
come pacco dal soldato vittorioso ad un amico italiano. Nella didascalia si legge:
“vorrei spedire ad un mio amico questo ricordo dell’Africa Orientale”:

In tre occasioni pubbliche - dal 1969, al 1982 e fino al 2000 - Montanelli ha


raccontato il suo madamato con una adolescente con un linguaggio intriso di
superiorità e di compiacimento. In questa intervista della Rai del 1969, Montanelli
spiega: “pare che avessi scelto bene: era una bellissima ragazza bilena di 12 anni…
Scusate, ma in Africa è una altra cosa…” A questo punto Montanelli - inquadrato –
sorride divertito (‘3.15 https://www.youtube.com/watch?v=PYgSwluzYxs; cfr.
l’immagine qui di seguito ), e sono percepibili risate in Studio:

Al termine del racconto, Montanelli viene contestato dalla femminista italo-eritrea


Elvira Banotti, che afferma: “su un piano di consapevolezza dell’uomo un rapporto
con una bambina di 12 anni è un rapporto con una bambina di 12 anni. Se lo facesse
in Europa rischierebbe di violentare una bambina, vero?”:
https://www.youtube.com/watch?v=PYgSwluzYxs

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un momento dello scontro tra Banotti e Montanelli
Nel 1982, nel corso di una intervista condotta da Enzo Biagi, Montanelli definisce
Destà “un animalino docile” e ribadisce la posizione espressa nel 1969: “a 12 anni
quelle lì erano già donne”.
https://www.youtube.com/watch?v=zV16E0MK9bA
Nel 2000, infine, Montanelli rievoca quello che lui definisce il “leasing” (= “un uso a
termine”) di Destà sulle pagine di un importante quotidiano italiano, Il corriere della
sera. Nell’articolo, Montanelli sottolinea quelli che dal suo punto di vista erano i
tratti respingenti del corpo di Destà e dell’atto sessuale con lei: “faticai molto a
superare il suo odore, dovuto al sego di capra di cui erano intrisi i suoi capelli, e
ancor di più a stabilire con lei un rapporto sessuale perché era fin dalla nascita
infibulata”.

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dal Corriere della sera del 12-2-2000
In queste tre occasioni, Montanelli ha normalizzato inoltre la sua relazione
mercenaria sessuale con una adolescente usando due argomenti. Il madamato con una
adolescente sarebbe stato, in primo luogo, una soluzione igienica adottata da tutti gli
italiani colonizzatori per sfogare le proprie insopprimibili esigenze sessuali in guerra
(“si trattava di trovare una compagna intatta per ragioni sanitarie”). In secondo luogo,
il madamato con Destà sarebbe stato un adeguamento alle pratiche locali (come il
"dämòz") e alla consuetudine sempre locale di matrimoni con fanciulle adolescenti.
Altrove Montanelli avrebbe addirittura dichiarato: “volevo diventare un abissino” (=
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un etiope; Abissinia era uno dei nomi con cui si designava l’Etiopia; I. Montanelli-B.
Placido, Eppur si muove. Cambiano gli italiani?, Rizzoli 1995, pp. 126-127). Il suo
madamato sarebbe stato ispirato cioè a suo dire da una forma di riconoscimento (cfr.
Lezioni introduttive, paragrafi 10 e 11) verso il costume del Paese di cui era ospite.
Questa argomentazione piuttosto ambigua è smentita però dal fatto che il linguaggio
che Montanelli ha usato in queste tre dichiarazioni pubbliche non va nella direzione
del riconoscimento. Va, al contrario, nella direzione opposta della messa a distanza
ambigua o svalutante dell’oggetto del discorso, Destà (cfr. la scheda sul pregiudizio
di Giovanni Jervis e le strategie linguistiche di svalutazione prodotte dal pregiudizio).
Destà è definita infatti come un “grazioso animalino”, è “bellissima” e tuttavia dotata
di un “odore” respingente quanto la sua infibulazione; il contratto – Montanelli ci
tiene e precisarlo – non è un “matrimonio” ma “un uso a termine”, “un leasing”
quindi: una parola con cui si designa in genere l’acquisto revocabile di computer,
automobili, macchine utensili ecc. (cfr. Treccani
https://www.treccani.it/vocabolario/leasing/ ).
Nel momento in cui si colonizza un Paese, inoltre, non si è ospiti ma invasori, e la
colonizzazione è l’opposto del riconoscimento: essa si fonda infatti sulla pretesa di
“civilizzare” il popolo colonizzato, che proprio in quanto colonizzato è inferiore e
disprezzato. E la colonizzazione fascista, in particolare a partire proprio dal 1935, era
basata in modo particolarmente esplicito su una ideologia della superiorità razziale e
del prestigio dell’uomo bianco. Laddove non offrivano analoghe opportunità
predatorie, insomma, le pratiche e gli usi locali venivano disprezzati e repressi dagli
italiani colonizzatori, e non certo praticati con adattamenti di comodo degli usi locali
come il madamato. A partire dal 1937, il regime fascista impedì infine il madamato
proprio in nome della purezza della razza, e instaurò un regime di esplicito apertheid.
Questa messa a distanza di un oggetto del discorso al tempo stesso invitante e
repellente, animato e inanimato viene poi espressa non da un giovane Montanelli
trascinato dall’euforia della “avventura” coloniale e fascista, ma dal Montanelli
adulto e a distanza di molti - e tra loro consecutivi - decenni dai fatti, e nel contesto
storico di una diffusa consapevolezza internazionale (ma evidentemente non italiana)
degli orrori del colonialismo e della importanza del multiculturalismo. A causa di
questa apologia di madamato con una adolescente - espressa nei modi e nei tempi qui
rilevati -, la statua di Montanelli eretta dopo la sua morte a Milano è stata oggetto
recentemente di diverse contestazioni anonime.

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La statua di Montanelli, ricoperta via via di vernice rosa e rossa
La questione ha dato luogo tra il 2019 e il 2020 ad un acceso dibattito, nel corso del
quale diversi giornalisti e politici italiani hanno invece difeso la posizione di
Montanelli. Su posizioni analoghe la Fondazione Montanelli: cfr.
http://www.fondazionemontanelli.it/sito/pagina.php?IDarticolo=260
Sono state, infine, avanzate ipotesi sulla stessa veridicità del madamato di
Montanelli, mentre rimane in ogni caso vera, ed ancora in discussione, la sua postura
e il suo punto di vista:
https://www.tpi.it/cronaca/montanelli-sposa-bambina-eritrea-contraddizioni-video-testimone-
20200716637047/?fbclid=IwAR2_9l5uNMBL6QuTsAyHs45-gPig5M-
7xEYcm_mJI1Qwa7vRkn9AbJrxRq4

La presunta foto di Destà, incorniciata da Montanelli e mostrata a Biagi nel corso della intervista del 1982
https://www.youtube.com/watch?v=zV16E0MK9bA

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ingrandimento della presunta foto di Destà

contro-monumento in memoria di Destà, opera dello street artist Ozmo (Milano, 2020)

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riscrittura nel nome di Destà della strada di Palermo intitolata a Montanelli (Palermo, 2020)

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QUESTA PAGINA 15 DI QUESTO FILE E’ MATERIA
D’ESAME SOLO ED ESCLUSIVAMENTE PER GLI
STUDENTI FREQUENTANTI

Per gli studenti frequentanti


I collegamenti qui di seguito elencati tra La mia casa è dove
sono e le lezioni introduttive (testo d’esame solo per i
frequentanti) sono materia d’esame per i frequentanti, ma
non sono le uniche domande che possono essere poste
all’esame su La mia casa è dove sono.
Stabilire i seguenti collegamenti tra La mia casa è dove sono e
le lezioni introduttive:
- collegare il racconto delle fiabe nel primo capitolo di La mia
casa è dove sono (Il disegno ovvero la terra che non c’è) e il
racconto come superamento della crisi scolastica di Igiaba e
come forma di rappresentazione dell’identità nel capitolo
finale di La mia casa è dove sono (Essere italiano per me) con
la questione del riconoscimento e dell’identità inclusiva nelle
Lezioni introduttive (paragrafi 10 e 11).
- collegare la storia del percorso scolastico di Igiaba nel
capitolo finale di La mia casa è dove sono (Essere italiano per
me) con la questione del riconoscimento e dell’identità
inclusiva nelle Lezioni introduttive (paragrafi 10 e 11).
- collegare la mappa duplice di Roma/Mogadiscio creata da
Igiaba nel primo capitolo di La mia casa è dove sono con il
terzo spazio (par. 15 delle Lezioni introduttive).
- collegare la struttura complessiva di La mia casa è dove sono,
definibile attraverso l’indice e i titoli e i contenuti dei capitoli
2-7, con il terzo spazio (par. 15 delle Lezioni introduttive).
- spiegare attraverso quali eventi storici e sportivi lo Stadio
Olimpico (nel capitolo Stadio Olimpico di La mia casa è dove
sono) si trasforma in terzo spazio (par. 15 Lezioni
introduttive).
- collegare gli spazi di Roma rappresentati in La mia casa è
dove sono al terzo spazio (par. 15 Lezioni introduttive).

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