ALIMENTARI
PROGRAMMA DIDATTICO
LEGISLAZIONE ALIMENTARE: premesse, evoluzione della normativa del settore. Reg CE 178/02:
la General Food Law; tracciabilità e rintracciabilità. Il pacchetto igiene. Etichettatura dei prodotti
alimentari, disposizioni principali.
MOCA: materiali a contatto con gli alimenti
PRINCIPALI TECNOLOGIE E METODICHE DI CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI. Premessa:
cause di alterazione e trasformazione degli alimenti, principi di sicurezza chimica e microbiologica.
Classificazione dei metodi di conservazione, classificazione dei prodotti conservati. Conservazione con
il calore: azione delle alte temperature su microrganismi ed enzimi, penetrazione del calore,
scambiatori di calore, pastorizzazione, sterilizzazione; valore nutritivo degli alimenti conservati con il
calore. Conservazione con il freddo: azione delle basse temperature su microrganismi ed enzimi,
refrigerazione, refrigerazione in atmosfera controllata, conservazione in “cryovac”, congelamento,
surgelazione; valore nutritivo degli alimenti congelati e dei “surgelati”.
Conservazione per disidratazione: azione della disidratazione su microrganismi ed enzimi,
concentrazione per evaporazione, crioconcentrazione, concentrazione tramite processi di memebrana,
essicazione, liofilizzazione; valore nutritivo degli alimenti disidratati. Conservazione con le radiazioni
ionizzanti: azione delle radiazioni ionizzanti sui microrganismi, valore nutritivo degli alimenti irradiati.
Le microonde: cenni. Mezzi chimici e chimico-fisici di conservazione: generalità, classificazione,
conservanti chimici naturali, affumicamento, additivi artificiali; valore nutritivo degli alimenti
conservati con sostanze chimiche.
LATTE E LATTICINI: generalità, caratteristiche chimico-fisiche, composizione chimica, risanamento
e conservazione (centrifugazione, bactofugazione, omogeneizzazione, microfiltrazione, trattamenti
termici), latti speciali, caratteristiche e modalità di vendita del latte crudo, confezionamento, richiami
legislativi, etichettatura latte alimentare, analisi del latte, latte fermentato, produzione dello yogurt,
composizione e caratteristiche nutritive dello yogurt.
BURRO: generalità e definizione, estrazione della crema, burrificazione, burrificazione continua, burri
speciali, composizione chimica e valore nutritivo, richiami legislativi, denominazioni di vendita.
FORMAGGIO: generalità, definizione, fabbricazione del formaggio, commercializzazione del
formaggio, classificazione dei formaggi, data di scadenza, protezione della denominazione (DOP, IGP,
STG), caratteristiche dei formaggi, valore nutritivo, cenni legislativi.
CARNE E SALUMI: definizione, generalità, struttura e composizione chimica, modificazione delle
carni dopo la macellazione, classificazione delle carni, legislazione, etichettatura carni biovine, le carni
alternative (pollo, tacchino, coniglio, struzzo), conservazione della carne, trasformazione delle carni
(salumi), Reg. CE 1760/00.
PESCE: generalità, classificazione, provenienza e consumo di pesce, composizione chimica,
modificazioni post mortem , valutazione della freschezza, etichettatura, sostanze tossiche nei prodotti
ittici (DL 531/92; Reg CE 853/04), conservazione trasformazione dei prodotti ittici, conserve e
semiconserve, produzione di farina e olio, olio di pesce, valore nutritivo dei prodotti ittici.
ZUCCHERO: generalità- definizione, industria saccarifera, produzione dello zucchero dalla
barbabietola e dalla canna, tipologie di zucchero, utilizzo dei sottoprodotti, controlli e parametri
analitici, cenni legislativi.
MIELE: estrazione e lavorazione del miele, composizione e proprietà fisiche, proprietà nutrizionali del
miele, alcuni tipi di miele ed il loro utilizzo.
SFARINATI, generalità- classificazione, il frumento, intolleranza al glutine, celiachia cenni,
trasformazione del frumento, classificazione delle farine, analisi degli sfarinati, pane, pasta, riso, mais,
orzo, avena, segale, kamut.
ORTAGGI, LEGUMI, FUNGHI: generalità, composizione chimica e classificazione.
FRUTTA: classificazione, i più importanti frutti, frutta di stagione. Conservazione di frutta e verdura,
caratteristiche nutrizionali prodotti ortofrutticoli, prodotti semilavorati, trasformazione della frutta
(sciroppata, osmodisidratata, candita, essiccata, salsa di frutta), succhi di frutta, trasformazione
profonda della frutta (confetture, gelatine, marmellate, crema di marroni); conservazione e
trasformazione del pomodoro.
ALIMENTI NERVINI: cacao, caffè, tè.
BEVANDE ALCOLICHE: Vino, aceto, birra, bevande liquorose.
INTEGRATORI ALIMENTARI.
INTRODUZIONE
PREMESSE
LEGISLAZIONE ALIMENTARE → Disposizioni normative aventi come oggetto le sostanze e i
prodotti alimentari – Norme che attengono all’igiene e al controllo dei prodotti alimentari che si
riferiscono alle varie fasi della vita del prodotto alimentare (produzione – preparazione –
confezionamento – imballaggio – vendita).
L’Unione Europea, per garantire un elevato livello di sanità pubblica, ha fatto della sicurezza
alimentare una delle grandi priorità del proprio programma politico.
Per quanto riguarda la legislazione alimentare, si tratta di una disciplina di tipo precauzionale,
composta di regole cautelari che intervengono non a seguito di lesioni del bene giuridico tutelato (ad
es. salute ed integrità del consumatore), ma al fine di prevenire lo stesso verificarsi di eventi lesivi.
Perché la necessità di una politica di sicurezza alimentare? A partire dagli anni ‘90 il settore alimentare
è stato coinvolto in diverse crisi, conducendo il tema della sicurezza alimentare al centro
dell’attenzione del Legislatore e dell’opinione pubblica.
- BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy), o “morbo della mucca pazza”, una malattia del gruppo
delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), o malattie da prioni, che colpisce
prevalentemente bovini, ed è causata da un agente infettivo non convenzionale, una proteina modificata
rispetto alla forma “non patologica”, definita “prione”.
- Contaminazioni da Diossine e Bifenili Policlorurati (contaminanti ambientali nocivi), le diossine si
formano in piccole quantità durante i processi di combustione (ad es. durante la combustione dei rifiuti
domestici e industriali) e si diffondono nell’ambiente tramite l’aria, si accumulano soprattutto nel suolo
e, come i PCB, hanno una durata di vita molto lunga; in passato i PCB sono stati utilizzati per vari
scopi (liquidi non combustibili negli scambiatori di calore, trasformatori e condensatori elettrici o come
plastificanti nelle vernici, nei sigillanti e nelle materie plastiche) e nella maggior parte dei Paesi la
commercializzazione dei PCB è vietata fin dagli anni ‘80, tuttavia queste sostanze sono ancora presenti
nei vecchi apparecchi o nei materiali edili, e dunque si trovano ancora nell’ambiente a causa della loro
elevata durata di vita → gli animali da reddito agricolo assumono diossine e PCB soprattutto attraverso
le particelle del terreno, mentre gli animali acquatici tramite la catena alimentare. Gli animali possono
assumere queste sostanze anche attraverso il contatto con materiali contenenti PCB (per es. nel caso di
stalle costruite con materiali che lo contengono); essendo liposolubili, sia le diossine sia i PCB si
accumulano nel tessuto adiposo degli animali, quindi la carne, il pesce, le uova e il latte presentano
tenori superiori a quelli presenti nelle derrate alimentari di origine vegetale.
- Afta epizootica, una malattia infettiva di natura virale altamente contagiosa dei ruminanti e dei suini;
prende il nome dalle lesioni ulcerose che lascia in bocca e nelle estremità distali degli arti degli animali
colpiti.
Inoltre alcuni cambiamenti culturali della società hanno interessato il settore alimentare:
- Globalizzazione dei mercati delle materie prime e dei prodotti alimentari
- Generale tendenza ad applicare tecnologie sempre meno drastiche al fine di ottenere prodotti più
freschi e gustosi
- Crescente frequenza dei pasti fuori casa
- Evoluzione dell’interesse dei consumatori verso la salubrità degli alimenti
LEGGE N.283/62
Art. 1 “Sono soggette a vigilanza per la tutela della pubblica salute la produzione ed il commercio delle
sostanze destinate all’alimentazione. A tal fine l’autorità sanitaria può procedere.. Ad ispezione e
prelievo di campioni negli stabilimenti ed esercizi pubblici…”
Alcune disposizioni generali contenute:
- AUTORIZZAZIONE SANITARIA (art.2) → Rilascio condizionato dall’accertamento dei requisiti
igienico-sanitari
- LIBRETTO DI IDONEITA’ SANITARIA (art.14) → Periodiche visite mediche per tutto il personale
operante
- Commercio di alimenti nocivi e sostanze non genuine → E’ punito chiunque detiene per il commercio
o distribuisce per il consumo sostanze pericolose per la salute pubblica
DIVIETO DI : Impiegare nella preparazione, Vendere, Somministrare sostanze alimentari che …
- Abbiano ingredienti di qualità scadente o che modificano la composizione naturale
- Siano in cattivo stato di conservazione (con cariche microbiche superiori ai limiti, insudiciate,
alterate..)
- Contengano additivi non autorizzati
- Contengano residui di prodotti tossici (usati in agricoltura, nei magazzini, ..)
DPR N. 327/80
Requisiti di stabilimenti, ristoranti, laboratori: gli stabilimenti ed i laboratori di produzione,
preparazione e confezionamento delle sostanze alimentari devono essere provvisti di locali distinti e
separati: per il deposito delle materie prime; per la produzione, preparazione e confezionamento
delle sostanze alimentari; per il deposito dei prodotti finiti; per la detenzione di sostanze non
destinate all’alimentazione; i locali devono essere in numero adeguato al potenziale produttivo, alle
caratteristiche dello stabilimento e dei prodotti, devono essere dotati di separazioni e attrezzature
idonee tali da garantire l’igienicità dei prodotti in lavorazione.
Inoltre i locali devono:
- essere costruiti in modo tale da garantire una facile ed adeguata pulizia;
- essere sufficientemente ampi, cioè tali da evitare l’ingombro dell’attrezzatura e l’affollamento del
personale;
- essere idonei, sotto il profilo igienico-sanitario, aventi valori microclimatici tali da assicurare
condizioni di benessere ambientale, aerabili naturalmente o artificialmente e con sistema di
illuminazione naturale o artificiale, in modo tale da impedire la contaminazione degli alimenti;
- avere pareti e pavimenti le cui superfici siano in rapporto al tipo di lavorazione che viene effettuata,
facilmente lavabili e disinfettabili;
LA NORMATIVA EUROPEA
- 1957 Trattato di Roma TCE (Documento costitutivo della Comunità Europea) presenta fra gli
obiettivi il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei popoli che ne
fanno parte
- 1963 Costituzione PAC (Politica Agricola Comune) ha come obiettivo garantire l’autosufficienza
alimentare dei cittadini europei
- 1986 Concetto di Consumatore (introdotto dal TCE)
- anni ‘90 Direttive europee introducono il concetto di Autocontrollo e metodo HACCP (in Italia
recepite con il D. Lgs 155/97) e fra gli obiettivi è presente la TUTELA DEL CONSUMATORE.
- 1997 LIBRO VERDE DELLA COMMISSIONE EUROPEA “Principi generali della legislazione
in materia alimentare nell’Unione Europea”
- Stimolare la riflessione e avviare un dibattito volto a stabilire:
- In quale misura le disposizioni normative esistenti rispondono alle esigenze di consumatori,
produttori, trasformatori e commercianti
- In quale misura le azioni intraprese riescono a garantire la salubrità dei prodotti alimentari
- In quale modo gestire la futura legislazione alimentare
Il fine è prendere adeguate precauzioni.
Due esigenze prioritarie: 1) ADEGUAMENTO LEGISLATIVO 2) DEFINIZIONE DEI
PROVVEDIMENTI DEI SISTEMI UFFICIALI DI CONTROLLO E ISPEZIONE
Principali obiettivi della legislazione alimentare:
- Elevato livello di protezione di salute e sicurezza
- Libera circolazione delle merci
- Competitività dell’industria europea
- Responsabilizzare produttori, trasformatori, fornitori e consumatori
I LIBRI VERDI espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico.
I LIBRI BIANCHI contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e
costituiscono lo strumento per la loro realizzazione; esprimono filosofia, propositi ed intenti del
legislatore comunitario in tema di sicurezza degli alimenti, definendo i principi comuni che
sottenderanno alla legislazione alimentare e ponendo ai vertici delle priorità dell’UE la sicurezza
alimentare.
- 2000 LIBRO BIANCO DELLA COMMISSIONE EUROPEA → documento programmatico che
si prefigge l’attivazione di azioni concrete per il settore alimentare:
- Quadro giuridico migliorato che copra l’intera catena alimentare, compresa la produzione di mangimi
per animali
- Misure di salvaguardia rapide ed efficaci
- Creazione di un’Autorità alimentare europea autonoma
- Sistemi di controllo più armonizzati a livello nazionale ed europeo
- Dialogo con consumatori
- 2002 Regolamento CE 178/2002 (GENERAL FOOD LAW) → testo fondatore della nuova
legislazione in materia di sicurezza alimentare; pietra miliare della politica dell’Unione in campo
alimentare. Si occupa di definire i principi e requisiti generali atti a tutelare la salute pubblica
relativamente agli alimenti ed armonizzare le normative nel campo della sicurezza alimentare.
Ed inoltre → Istituzione Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA European Food Safety
Authority) Agenzia dell’UE con sede nella città di Parma; fornisce consulenza scientifica ed una
comunicazione efficace in materia di rischi, esistenti ed emergenti, associati alla catena alimentare.
- 2003 la CE (Comunità Europea) diventa membro della commissione del CODEX
ALIMENTARIUS → organismo internazionale congiunto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dell’OMS; creato nel 1963; 171 paesi oltre la CE;
l’obiettivo è promuovere la salute pubblica ed il commercio alimentare.
- 2004 PACCHETTO IGIENE
- Reg CE n. 852/04 Sull’igiene dei prodotti alimentari
- Reg CE n. 853/04 Norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale
- Reg CE n. 854/04 Criteri per il riconoscimento degli stabilimenti e per la conduzione dei controlli
ufficiali
- Reg CE n. 882/04 Controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di
mangimi e di alimenti ed alle norme sulla salute e sul benessere degli animali
Si verifica l’applicazione del nuovo quadro giuridico all’intera filiera alimentare ed esecuzione di
appropriati controlli ufficiali (“dalla fattoria alla tavola”).
Viene introdotta una strategia d’intervento basata su criteri scientifici ed univoci (Valutazione ed analisi
del rischio; Hazard Analysis Critical Control Point o HACCP) applicati adeguatamente sia da parte
dell’operatore che degli organi legislativi e di controllo.
Si verifica l’attribuzione della responsabilità della sicurezza alimentare ad ogni OSA (operatore del
settore alimentare) per i prodotti che importa, trasforma, elabora, commercializza o somministra.
La rintracciabilità dei prodotti è considerata come elemento essenziale per garantire la sicurezza
alimentare, rendendo possibile l’attuazione di rapide ed efficaci misure di intervento di fronte ad
emergenze sanitarie che si manifestano in qualsiasi punto della catena alimentare;
Diventa rilevante la comunicazione ai consumatori, i quali devono essere adeguatamente informati
sull’attività degli organismi istituzionalmente preposti all’assicurazione della salubrità degli alimenti.
Si è verificata un’evoluzione dei concetti di igiene e sicurezza negli anni ‘70-’90. Infatti c’è stato un
graduale passaggio da regole che definivano “metodi di produzione e controllo
della stessa e dei prodotti” a regole che “chiedono all’azienda di definire le corrette modalità operative
e le idonee modalità di controllo della produzione”.
In passato l’HACCP prevedeva sistemi di controllo qualità per il fornitore e per il cliente
completamente indipendenti. Poi si è passato a un processo di responsabilizzazione del fornitore, con
l’introduzione di una relazione di partnership e graduale eliminazione dei controlli in accettazione.
Oggi il sistema HACCP tiene in considerazione oltre al fornitore e al cliente anche la filiera agro-
alimentare. Ci sono rapporti di collaborazione e si instaura una progressiva integrazione e
condivisione dei sistemi gestionali e operativi.
Principi generali di sicurezza alimentare
- Approccio globale e integrato
- Responsabilità primaria agli operatori del settore alimentare (OSA) e dei mangimi
- Messa in atto della rintracciabilità
- Analisi del rischio alla base di ogni decisione
- Principio di precauzione
Due concetti:
→ QUALITA’: concetto di difficile definizione univoca poiché è basato su di una percezione
soggettiva. Considera sia attributi intrinseci (nutrizionali, sicurezza, organolettici, di processo) che
estrinseci, quindi ci sono tante variabili che vanno a definire la qualità.
→ SICUREZZA ALIMENTARE: è un importante attributo del prodotto legato all’assenza di
componenti intrinseche cui è associato un rischio di danno alla salute.
NB: Se il prodotto è di qualità, questo mi garantirà anche una maggior sicurezza alimentare e quindi
sarà minore il rischio di danni per la salute.
Libro bianco della commissione europea sulla sicurezza alimentare → Nel 2000 la Commisione
Europea ha presentato il libro bianco sulla SICUREZZA ALIMENTARE e questo è stato un intervento
radicale sulla normativa vigente.
La commissione aveva preso atto della inadeguatezza delle regole e procedure comunitarie a presidio
della sicurezza di alimenti e mangimi, messa a nudo in occasione di gravi criticità alimentari di portata
internazionale (BSE, Diossina..) che avevano incrinato la fiducia dei consumatori europei.
La Commissione quindi si pone una priorità strategica fondamentale, ispirata all’esigenza di
garantire un elevato livello di sicurezza alimentare.
La strategia del Libro Bianco è incentrata su 5 elementi chiave:
1) Costituire un’autorità alimentare indipendente, punto di riferimento scientifico per l’intera Unione, i
cui compiti sono:
- Fornire pareri scientifici su tutti gli aspetti della sicurezza alimentare;
- Gestire dei sistemi di allarme rapido;
- Comunicare e dialogare con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie;
- Realizzare reti con Agenzie nazionali e organismi scientifici;
2) Istituire un nuovo quadro giuridico, a livello comunitario, che coprirà l’intera catena alimentare
(filiera alimentare), compresa la produzione di mangimi per animali;
3) Elaborare un quadro comunitario per lo sviluppo e la gestione di controllo nazionale;
4) Favorire il dialogo e l’informazione con attenzione alle preoccupazioni in tema di sicurezza
alimentare, ma anche sull’importanza di una dieta equilibrata e sulle ripercussioni a livello sanitario
(es. costi sociali, obesità);
5) Promuovere gli sviluppi europei in materia di sicurezza alimentare nei contesti internazionali,
attraverso i partner commerciali e le organizzazioni internazionali.
L’approccio del Libro Bianco → Il metodo di svilippo della politica alimentare è basato sull’analisi
del rischio, attraverso:
- VALUTAZIONE DEL RISCHIO (consulenza scientifica e analisi dell’informazione)
- GESTONE DEL RISCHIO (norme e controlli)
- COMUNICAZIONE DEL RISCHIO
Segna il passaggio da una moltitudine di normative nazionali, in attuazione delle direttive comunitarie,
ad un insieme razionale di regole comuni, testualmente applicate nell’intero Mercato Unico.
Consente l’aggiornamento contestuale ed identico di standard comuni nei 27 paesi membri, superando
gli ostacoli di libera circolazione delle merci, incontrati in passato per la difformità nella attuazione
delle direttive.
- Nella sostanza il regolamento raccoglie i principi cardine della legislazione vigente in tema di
sicurezza di alimenti e mangimi. Fissa alcune definizioni comuni, stabilisce i principi guida e gli
obiettivi generali, in modo da garantire un elevato livello di protezione sanitaria ed un efficace
funzionamento del mercato interno.
- Il regolamento “disciplina tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della
distribuzione degli alimenti e dei mangimi. Esso non si applica alla produzione primaria per uso
domestico privato o alla preparazione, alla manipolazione ed alla conservazione domestica di alimenti
destinati al consumo domestico privato”.
Il regolamento è composto da 5 parti:
1) Campo di applicazione e definizioni (artt 1-3);
2) Legislazione alimentare generale (artt 4-21);
3) Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) (artt 22-49);
4) Sistema di allarme rapido, gestione della crisi e situazione di emergenza (artt 50-54);
5) Procedure e disposizioni finali.
PRINCIPALI ASPETTI INNOVATIVI
- Fornisce una nuova definizione di “alimento” o “prodotto alimentare” o “derrata alimentare”,
comprendente bevande, gomme da masticare ed animali vivi: “ Qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito o di cui si prevede
ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani” (Art. 2)
- Pone l’analisi del rischio quale base scientificamente fondata della legislazione alimentare (art.6) e
vieta l’immissione sul mercato di prodotti non sicuri. Assume il principio di precauzione come
strumento politico di gestione del rischio, nelle circostanze in cui venga individuata la possibilità di
effetti dannosi per la salute (art.7)
- Pone la tutela degli interessi dei consumatori tra i principi generali (art.8) e la consultazione e
l’informazione dei cittadini tra i principi di trasparenza (artt 9-10)
- Stabilisce che non può essere immesso sul mercato un alimento “unsafe” (dannoso per la salute
umana o inadatto al consumo umano) (art.14)
- Al fine di fornire migliori garanzie di sicurezza alimentare e sanitaria, pone l’obbligo della
RINTRACCIABILITA’ (“traceability”) dei prodotti, definita come la possibilità di ricostruire e
seguire il processo di un alimento, mangime animale destinato alla produzione alimentare o sostanza
che entra a far parte di un alimento o mangime attraverso tutte le fasi di produzione, trasformazione e
distribuzione (art.18)
- Fissa le procedure di ritiro e richiamo di alimenti e mangimi in caso di non conformità ai requisiti di
sicurezza, per motivi di ordine sanitario (artt 19-20)
- Istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e ne descrive funzione,
competenze, organizzazione, personalità giuridica e funzionamento (artt. 22-49)
- Istituisce, sotto forma di rete, un sistema di allerta (“Rapid Alert System for Food and Feed”, RASFF)
più efficace riguardante alimenti e mangimi, gestito dalla Commissione e a cui partecipano gli Stati
Membri, la Commissione e l’EFSA, e fissa procedure cautelari in tema di allarme rapido, situazioni
d’emergenza e gestione della crisi, qualora si presentino gravi rischi per la salute umana e degli animali
(artt. 50-57).
Il Reg. CE 178/2002 riguarda la catena alimentare (filiera) nella sua integralità ed in ogni sua fase,
dalla produzione, alla trasformazione ed alla distribuzione di alimenti e mangimi.
La filiera alimentare è l’insieme di tutti gli elementi strutturali e funzionali che sono coinvolti nella
produzione di un alimento (materie prime, modalità di produzione, conservazione e distribuzione.
Nella logica del regolamento 178/2002, è stabilito che la responsabilità primaria nell’assicurare la
sicurezza dei cibi e dei mangimi grava sugli OPERATORI DEL SETTORE ALIMENTARE (OSA).
L’opinione pubblica chiede due cose fondamentali: la sicurezza igienica dei consumi alimentari e
informazioni accurate ed aggiornate. Al fine di conseguire l’obiettivo di mantenere un elevato livello
di tutela della salute umana, la legislazione alimentare applica i principi dell’ANALISI DEL
RISCHIO. L’analisi del rischio è un processo costituito da:
- Valutazione del rischio
- Gestione del rischio
- Comunicazione del rischio
L’analisi del rischio fornisce una metodologia sistematica per prendere provvedimenti o delineare
interventi efficaci, proporzionati e mirati, a tutela della salute.
E’ un processo su base scientifica costituito da:
- Individuazione del pericolo
- Caratterizzazione del pericolo (GRAVITA’)
- Valutazione dell’esposizione al pericolo (PROBABILITA’)
- Caratterizzazione del rischio
Il Reg. ha istituito, inoltre, l’Autorità Europea per la sicurezza Alimentare (European Food Safety
Authority, EFSA), operante dal 1 febbraio 2003. Rappresenta un punto di riferimento scientifico,
indipendente, deputato all’analisi e valutazione dei diversi aspetti connessi al rischio alimentare nella
catena di approvvigionamento, nella trasformazione e nella distribuzione degli alimenti e dei mangimi.
Funzioni dell’EFSA:
- Ricerca su:
- Additivi alimentari, aromatizzanti, coadiuvanti tecnologici e materiali a contatto con gli alimenti
- Additivi e prodotti/sostanze usati nei mangimi
- Salute dei vegetali, prodotti fitosanitari e loro residui
- Prodotti dietetici, alimentazione e allergie
- Pericoli biologici
- Contaminanti nella catena alimentare
- Salute e benessere degli animali
- Valutazione e comunicazione del rischio in relazione a:
- Ogni materia che possa avere effetto diretto, o indiretto sulla sicurezza della catena alimentare;
- Nel suddetto ambito, materie quali salute e benessere animale, salute delle piante;
- Consulenza scientifica in materia di:
- Nutrizione umana
- Salute e benessere animale
- OGM, anche se non destinati all’alimentazione umana ed animale
Gli interlocutori sono Stati Membri, le Istituzioni comunitarie, le Organizzazioni operanti negli ambiti
di sua competenza.
SISTEMA DI ALLARME RAPIDO (Art.50) → E’ istituito, sotto forma di rete, un sistema di allarme
rapido per la notificazione di un rischio diretto o indiretto per la salute umana dovuto ad alimenti o
mangimi. Della rete fanno parte:
- Gli Stati Membri
- La Commissione ( Responsabile della gestione della rete)
- L’Autorità (EFSA)
RASFF → le notifiche possono essere:
- Misure che limitino o ritirino un alimento/mangime dal mercato
- Raccomandazioni o accordi con OSA volti a limitare o condizionare l’immissione di
alimenti/mangimi sul mercato
- Respingimento di alimenti alla frontiera
Il “pacchetto igiene” ha introdotto elementi decisamente innovativi nel quadro giuridico della
legislazione alimentare europea:
- La responsabilità della sicurezza alimentare grava principalmente sulle aziende produttrici, non
sugli enti pubblici preposti ai controlli ufficiali: il legislatore attribuisce chiaramente la responsabilità
legale primaria per la sicurezza alimentare a tutti gli OSA. La gestione delle proprie responsabilità è un
processo che comporta per gli operatori del settore, relativamente alla sfera di propria competenza,
l’adozione di un sistema di registrazione e documentazione e di verifica, per le quali è prevedibile e
possibile che si venga chiamati a rispondere;
- La legislazione alimentare si applica alla filiera dei prodotti di origine animale e vegetale e degli
alimenti destinati agli animali, compresa la produzione primaria, intesa come “tutte le fasi della
produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la
mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione”;
- Il controllo ufficiale igienico-sanitario degli alimenti, fino a ieri concentrato principalmente sul
prodotto finito, ora è distribuito lungo tutta la filiera e le garanzie date dal produttore sono parte
determinante del sistema sicurezza;
- L’applicazione del CONCETTO DI FLESSIBILITA’ nell’obbligo della conservazione di
documenti, onde evitare oneri inutili per le imprese molto piccole, e nel permettere di continuare ad
utilizzare metodi tradizionali in produzione: flessibilità che non deve compromettere gli obiettivi di
igiene alimentare;
- L’obiettivo della realizzazione della libera circolazione degli alimenti nell’UE;
- Esso (il pacchetto igiene) non si applica alla produzione primaria per uso domestico privato, alla
preparazione, alla conservazione ed alla manipolazione domestica di alimenti destinati al consumo
domestico privato.
- E’ destinato agli OSA e stabilisce norme generali in materia di igiene di tutte le preparazioni
alimentari. È un Regolamento generale, che fissa i requisiti base a cui devono attenersi le aziende
alimentari e che va a sostituire de facto la Direttiva 93/43/CEE sull’igiene degli alimenti (recepita
dall’Italia con il D.Lgs 155/97)
- Impone l’applicazione di procedure di gestione dei pericoli “basate sui principi HACCP” (manuali di
corretta prassi operativa)
Il Reg. 852/2004:
- Esclude dal campo di applicazione la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal
produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali
- Introduce il principio di sussidiarietà
- Garantisce la flessibilità
- Prevede la possibilità che vengano fissati criteri microbiologici e di temperatura
- Estende l’autocontrollo alla produzione primaria (incluse le attività di trasporto, magazzinaggio e
manipolazione, intese come operazioni collegate sul luogo di produzione).
Si tratta di un primo passo per inserire la FASE PRIMARIA nei processi di analisi del rischio e
portarla, a piccoli passi, all’applicazione generalizzata del sistema HACCP.
Però viene riconosciuto che i principi dell’HACCP non sono immediatamente applicabili alla
produzione primaria su base generale, quindi in questo ambito è necessario adottare misure preventive
e di controllo con modalità semplificate di registrazione e documentazione come l’utilizzo di
MANUALI DI BUONA PRASSI IGIENICA.
Buone prassi igieniche:
- GMP: Good Manufactoring Practies
- GHP: Good Hygienic Practies
- SOP: Standard Operating Procedures
- SPS: Sanitation Performance Standards
- SSOP: Sanitation Standard Operating Procedures
• Promuove una legislazione unitaria per tutti i prodotti di origine animale, riferito soltanto a chi
produce alimenti di origine animale.
• Si applica agli alimenti di origine animale «non trasformati» e «trasformati» carni rosse, carni
bianche, carni di selvaggina, carni macinate e preparazioni di carne, prodotti a base di carne, molluschi
bivalvi vivi, prodotti della pesca, latte e prodotti a base di latte, uova e ovoprodotti, cosce di rana,
lumache, grassi fusi e ciccioli, stomaci, vesciche e budella, gelatine, collagene
• Non si applica ai prodotti composti (che contengono prodotti di origine vegetale e prodotti
trasformati di origine animale, es. panini con salame o formaggio, pizza..)
Capo II, art. 6 Per i prodotti di provenienza esterna alla UE, gli operatori possono importare i prodotti
da un Paese terzo, solo se:
a) il Paese terzo figura in uno specifico elenco compilato ai sensi del Reg. 854/04
b) lo stabilimento o il macello o l’area di produzione (nel caso di molluschi bivalvi vivi, echinodermi,
tunicati e gasteropodi marini) figurano in uno specifico elenco compilato ai sensi del Reg. 854/04
c) il prodotto soddisfa i requisiti previsti dal regolamento e dal Reg. 854/04 in materia di certificazioni
e documentazioni
Stabilisce i requisiti per l’igiene dei mangimi, a partire dalla produzione primaria fino alla
somministrazione agli animali destinati alla produzione di alimenti, con lo scopo di assicurare un
elevato livello di protezione della salute degli animali e dei consumatori mediante un controllo dei
mangimi lungo tutta la filiera alimentare.
Il Regolamento stabilisce:
• norme generali in materia di igiene dei mangimi;
• condizioni e disposizioni atte ad assicurare la rintracciabilità dei mangimi;
• condizioni e disposizioni per la registrazione e il riconoscimento di stabilimenti.
IGIENE 3 – REG. 854/2004 – Controlli ufficiali sui prodotti animali destinati al consumo umano
Il Regolamento CE 854/04 (23) stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui
prodotti di origine animale destinati al consumo umano ed è strettamente correlato al Regolamento
853/04.
- Completa la regolamentazione dell’igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi stabilita dai due atti
precedenti, applicandosi soltanto ai prodotti di origine animale ed occupandosi essenzialmente del
riconoscimento degli stabilimenti e della bollatura sanitaria.
- Prevede inoltre che vengano effettuati da parte dell’Autorità competente controlli ufficiali su tutti gli
operatori finalizzati alla verifica della conformità alla normativa vigente.
“l’esecuzione dei controlli ufficiali lascia impregiudicata la responsabilità legale, in via principale,
degli operatori del settore alimentare per la sicurezza dei prodotti alimentari”
L’AUDIT è uno strumento di monitoraggio della “qualità” di un’intera organizzazione, di alcune sue
parti o dei suoi processi. Di solito riguarda tutti gli aspetti del processo produttivo, ma prioritariamente
le componenti organizzative e/o strutturali che permettono una valutazione complessiva del sistema
produttivo. Identifica le aree che manifestano carenze e le misure che devono essere prese per
correggerle.
Verifica anche la capacità dell’operatore di:
- Mantenere nel tempo i requisiti del processo produttivo
- Individuare le aree suscettibili di miglioramento
- Raggiungere obiettivi prefissati
Costituisce un “regolamento quadro” che definisce i criteri sulla cui base i singoli Stati Membri devono
organizzare i controlli ufficiali. Non fissa criteri specifici (assenza di “allegati tecnici”).
Definisce gli obiettivi dei controlli ufficiali su mangimi, alimenti e condizioni di salute e benessere
degli animali da allevamento; tali controlli devono verificare la conformità alle normative volte a
prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per gli esseri umani e gli animali, garantendo
pratiche commerciali leali.
Stabilisce:
- attività, metodi e tecniche di controllo
- requisiti dei metodi di campionamento e analisi
- elaborazione di misure da attuare qualora i controlli rivelino rischi per la salute dell’uomo o degli
animali
- istituzione di Laboratori comunitari ai quali i Laboratori nazionali facciano riferimento nella loro
attività
- principi per la predisposizione e l’elaborazione di Piani nazionali di controllo (a partire dal 1
gennaio 2007 ogni Stato Membro dell’UE attuerà e manterrà aggiornato un Piano integrato di controllo
nazionale).
Se sono evidenziate non conformità. l’operatore deve adottare azioni correttive. Se l’operatore non
può o non vuole, l’autorità competente adotta gli opportuni provvedimenti a tutela della sicurezza
degli alimenti.
Provvedimenti possibili:
Imposizione di azione/i necessaria/e per la sicurezza degli alimenti o la conformità alla normativa in
materia di alimenti e di salute e benessere degli animali:
- restrizione o divieto di immissione sul mercato, di importazione o esportazione di alimenti
- monitoraggio e, se necessario, richiamo, ritiro e/o distruzione di alimenti
- autorizzazione all’uso di alimenti per fini diversi da quelli previsti originariamente
- sospensione dell’attività o chiusura, totale o parziale, per un appropriato periodo di tempo
- sospensione o ritiro del riconoscimento dello stabilimento
- sequestro degli alimenti provenienti da Paesi terzi che non sono conformi alla normativa in materia di
alimenti per la loro eventuale distruzione o trattamento
- qualsiasi altra misura ritenuta opportuna dall'autorità competente
TRACCIABILITA’ E RINTRACCIABILITA’
- Il regolamento CE 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio, oltre a istituire l’Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare e fissare procedure nel campo della sicurezza alimentare,
stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare.
- L’articolo 18, nello specifico, introduce nel diritto alimentare europeo, la RINTRACCIABILITA’ DI
TUTTI GLI ALIMENTI E I MANGIMI.
- A decorrere dal 1° gennaio 2005 tale prescrizione dovrà venire obbligatoriamente adempiuta
sull’intero territorio nazionale dell’Unione Europea, da parte di ogni operatore delle filiere
alimentare e mangimistica
La TRACCIABILITA’ è il processo che segue il prodotto da monte a valle della filiera e fa in modo
che, ad ogni stadio attraverso cui passa, vengano lasciate opportune tracce (informazioni). Il compito
principale della TRACCIABILITA’ è quello di stabilire quali elementi e quali informazioni debbano
essere tracciate.
La RINTRACCIABILITA’ è la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento o di una
sostanza destinata atta a entrare a far parte di un alimento attraverso tutte le fasi della produzione, della
trasformazione e della distribuzione. Conoscenza di tutta la “storia” di un prodotto alimentare, dal
campo fino alla tavola del consumatore, attraverso un idoneo sistema documentale. Significa
identificazione delle materie prime, degli operatori, di tutte le fasi di produzione, registrazione dei dati
e delle informazioni associate a tale attività produttiva.
RINTRACCIABILITA’ INTERNA → è intra-aziendale e si tratta principalmente di evidenziare lo
strumento tecnico più idoneo a rintracciare queste “tracce”, quindi viene ricostruito il percorso seguito
da ogni materia prima o sostanza all’interno dello stabilimento. E’ detta rintracciabilita’ volontaria
poichè non è prevista dal Reg. CE 178/2002 e permette di identificare quali fornitori hanno contribuito
alla composizione di un prodotto finito e. nel caso, i controlli o le caratteristiche di uno specifico lotto.
La rintracciabilità è quindi fortemente interconnessa con la tracciabilità, anzi, ne è la diretta
conseguenza.
RINTRACCIABILITA’ ESTERNA → è la capacità di individuare a quali clienti sia stato consegnato il
lotto incriminato per poter ritirare tutti i lotti di quel prodotto dal mercato. Ciò comporta che tali lotti
siano identificati e quindi rintracciabili verso valle. E’ obbligatoria per legge.
Dal 27/10/2006, con l’entrata in vigore del regolamento CEE/UE n° 1935/2004 del 27/10/2004 è
disposto l’obbligo di Rintracciabilità di tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire in contatto con i
prodotti alimenti:
- Imballaggi- Vernici e rivestimenti
- Etichette- Carta e cartoni
- Inchiostri- Siliconi
- Contenitori- Legno
- Tappi - Altro
GESTIONE DELLA CRISI (art.19 Reg. 178/2002) → Obblighi dell’OSA in caso di prodotto non
conforme ai requisiti di sicurezza stabiliti dall’art.14 → AVVIO DI PROCEDURE DI
RITIRO/RICHIAMO.
- Identificare il prodotto
- Identificare l’ambito di commercializzazione
- Provvedere all’immediato ritiro
- Informare l’AUSL
- Informare l’anello a monte
- Attuare altre misure atte a tutelare la salute pubblica
- Informare il consumatore
Responsabilità (Articolo 8)
L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore (nome o
ragione sociale) con cui è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione,
l’importatore nel mercato dell’UE. Di cosa è responsabile? Egli assicura la presenza e l’esattezza delle
informazioni sugli alimenti.
Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti, non
forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità
di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti applicabile
e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali,
Operatore responsabile delle informazioni in etichetta (Articolo 8)
Prodotto che riporta un marchio contenente il nome del produttore → in questo caso l’operatore
responsabile delle informazioni in etichetta è il produttore e il suo nome e indirizzo devono essere
riportati tra le indicazioni obbligatorie in etichetta.
Prodotto commercializzato con il marchio del distributore → in questo caso il responsabile delle
informazioni sugli alimenti è il distributore e il suo nome e indirizzo devono essere riportati tra le
indicazioni obbligatorie in etichetta (sia nel caso in cui il distributore produca direttamente l’alimento
sia nel caso in cui deleghi la produzione a terzi)
Invece, per ingrediente primario si intende “l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che
rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di
tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione
quantitativa”.
ALLERGENI: qualsiasi ingrediente o coadiuvante che provochi allergie deve figurare nell’elenco
degli ingredienti con un riferimento chiaro alla denominazione della sostanza definita come allergene.
Inoltre l’allergene deve essere evidenziato attraverso un tipo di carattere chiaramente distinto dagli
altri, per esempio per dimensioni, stile o colore di sfondo.
Riferimenti: - art. 9 comma 1 lettera c) “Elenco delle indicazioni obbligatorie”
- art. 21 “Etichettatura di alcune sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze”
- allegato II “Sostanze e prodotti che provocano allergie”
Anche gli ADDITIVI sono ingredienti. ADDITIVI → sostanze prive di valore nutritivo impiegate per
conservare le caratteristiche del prodotto, per evitarne l’alterazione spontanea, per esaltarne aspetto,
sapore, odore o consistenza.
- Conservanti (ac. sorbico, nitriti, nitrati, solfiti, ac ascorbico)
- Stabilizzanti, addensanti, gelificanti, emulsionanti
- Esaltatori di sapidità
- Agenti di rivestimento
- Sali di fusione
- Vari
- QUANTITA’ NETTA DELL’ALIMENTO → espressa in unità di volume per i prodotti liquidi (L,
cL, mL) o in unità di massa per gli altri prodotti (g, kg). Se un alimento solido è disperso in un liquido
di copertura (es. salamoia, aceto, olio, ecc.), viene indicato anche il peso netto sgocciolato.
- DURABILITA’ DEL PRODOTTO → distinguiamo due indicazioni che possiamo trovare sulla
confezione del prodotto,
Data di scadenza: nel caso di prodotti molto deperibili, la data è preceduta dalla dicitura “Da
consumare entro il” che rappresenta il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato.
Termine minimo di conservazione (TMC): nel caso di alimenti che possono essere conservati più a
lungo si troverà la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il” che indica che il prodotto, oltre la
data riportata, può avere modificato alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore, ma
può essere consumato senza rischi per la salute.
La dichiarazione nutrizionale obbligatoria può essere integrata aggiungendo la quantità di uno o più dei
seguenti costituenti:
- Acidi grassi monoinsaturi;
- Acidi grassi polinsaturi;
- Polioli;
- Amido;
- Fibre;
- Sali minerali e vitamine, elencati nell’allegato XIII, parte A., se presenti nelle seguenti dosi:
Alimenti diversi dalle bevande: il 15% dei valori nutritivi di riferimento calcolato per 100 g o 100 ml.
Bevande: il 7,5% dei valori nutritivi di riferimento calcolato per 100 ml;
Alimenti porzionati: il 15% dei valori nutritivi di riferimento calcolato sulla singola porzione.
L’indicazione del valore energetico è riferita a 100 g/100 ml dell’alimento, oppure alla singola
porzione. Il valore energetico è espresso come percentuale delle assunzioni di riferimento per un
adulto medio ossia circa 2000 kcal al giorno.
Per quanto riguarda le modalità di presentazione, il Reg. UE n. 1169/2011 prevede regole precise
relative alla collocazione della dichiarazione nutrizionale, in quanto deve essere posizionata nel
medesimo campo visivo e non suddivisa su diverse parti della confezione. Vengono prese in
considerazione tutte le superfici di un imballaggio che possono essere lette da un unico angolo visivo.
È considerato “campo visivo principale”, quello più probabilmente esposto al primo sguardo del
consumatore al momento dell’acquisto; se sono presenti più facce principali, come nel caso di un
barattolo cilindrico, la parte principale viene scelta dall’operatore del settore alimentare.
Dal D.lgs 109/92 al UE
1169/11:
Informazioni obbligatorie
Nel confronto dei due elenchi si evince che alcune informazioni:
- Sono state indicate utilizzando pressoché la stessa terminologia del passato.
- Sono scomparse: la dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto e la sede
dello stabilimento di produzione o di confezionamento
- Sono state aggiunte: la dichiarazione nutrizionale e l’elenco di alcuni ingredienti, coadiuvanti
tecnologici o prodotti che potrebbero causare allergie.
Marchi
I marchi servono a distinguere i prodotti e a garantire il consumatore sull’origine, natura e qualità.
Aiutano a proteggere la tipicità di alcuni alimenti e a promuovere quelli tradizionali; comprendono tra
l’altro I livelli di riconoscimento europei DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione
Geografica Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita), come pure il marchio Bio per la
produzione biologica.
Il codice a barre
Il codice a barre o codice EAN (European Article Numbering) è costituito da una sequenza numerica e
di barre bicolori bianche e nere di diverso spessore, le cui cifre rappresentano alcune informazioni
riferite al prodotto, espresse in un formato che può essere compreso dai lettori ottici (come quello del
supermercato), le quali consentono di individuare il Paese del fabbricante, il produttore e il prodotto.
Sebbene il suo uso sia facoltativo il codice a barre è diventato ormai piuttosto diffuso perché facilita le
imprese nell’identificazione dei prodotti e nella movimentazione della merce.
- Le prime due cifre indicano il prefisso nazionale, ovvero il numero identificativo del Paese, che per
l’Italia va da 80 a 83; la conoscenza di questi numeri può servire al consumatore per stabilire l’esatta
provenienza del prodotto che acquista.
- Dalla terza alla settima, il “codice proprietario del marchio” identifica il responsabile commerciale
e viene assegnato dall’INDICOD;
- Dall’ottava alla dodicesima indica il codice prodotto che l’azienda sceglie di attribuire per identificare
il prodotto in base a parametri definiti (es. alla quantità, la composizione, confezione, ecc); ogni
azienda ha 1000 numeri a disposizione;
- L’ultima cifra è il codice di controllo dell’intero prodotto ed è calcolata tramite un algoritmo e sulla
base delle cifre presenti nel codice.
Se la confezione non è sufficientemente grande da ospitare tutti e 13 i codici è possibile utilizzare un
formato a 8 cifre.
Indicazioni metrologiche
La “e” presente sulle etichette alimentari rappresenta il marchio comunitario, riportato in caratteri di
almeno 3 mm di altezza e nello stesso campo visivo della quantità. Tale marchio attesta che il
produttore dell’imballaggio ha rispettato le modalità di controllo metrologiche previste per la
misurazione delle quantità nominali e perciò il suo prodotto può liberamente circolare all’interno del
territorio comunitario. Quindi questo simbolo può essere apposto
La marcatura ecologica
Sugli imballaggi o sulle etichette possono figurare indicazioni, simboli o pittogrammi che invitano il
consumatore ad una gestione “ecologicamente” corretta del contenitore, al fine di facilitare la raccolta,
il riutilizzo e il riciclaggio.
Il primo pittogramma riguarda le confezioni di carta o cartone, mentre il secondo quelle di plastica.
Essi possono significare: che l’imballaggio è riciclabile, ma non necessariamente riciclato, oppure che
parte del materiale è riciclato.
Il numero presente nel secondo marchio se è compreso tra 1 e 6 indica il tipo di plastica utilizzata
secondo un codice prestabilito. Se è presente il numero 7 indica che il materiale non è riciclabile.
Questi simboli specificano il materiale usato per la confezione. Alcune delle sigle utilizzate sono:
PVC: indica che la plastica è composta da polivinilcloruro.
PET: indica che la plastica è composta da polietilene tereftalato.
CA: indica che si tratta di carta accoppiata a materiale non riciclabile e pertanto deve essere buttata nei
rifiuti misti.
ACC: indica che il contenitore è in acciaio (banda stagnata) e può essere messo nei contenitori per la
raccolta differenziate delle lattine.
I valori di GDA per l’energia derivano dai fabbisogni medi stimati di popolazione per l’energia e
tengono conto dei livelli attuali di attività e di stile di vita di un cittadino medio, che tende ad essere
abbastanza sedentario. L’energia viene espressa comunemente in “kilocalorie” (Kcal) ma anche in
“Calorie”: le espressioni sono equivalenti e comunemente utilizzate sulle etichette alimentari. Nel caso
di una donna adulta la GDA per l’energia è stimata pari a 2000 Kcal, mentre tale valore incrementa a
2500 Kcal per un uomo adulto: questi valori sono utilizzati come riferimento per calcolare i valori
giornalieri di riferimento. Quando non è possibile fornire linee guida separate per uomo e donna, le
GDA per un soggetto adulto si basano sui valori di GDA per la donna, al fine di evitare un consumo
eccessivo.I valori di GDA sono stati elaborati sulla base di studi e parametri convalidati dall’Efsa-
European Food Safety Authority, Autorità Europea per la sicurezza alimentare istituita con il Reg. UE
n. 178/2002.
- A BASSO CONTENUTO CALORICO: il prodotto contiene non più di 40Kcal/100g per i solidi o più
di 20Kcal/100ml per i liquidi.
- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI: il prodotto contiene non più di 3g di grassi per 100 g per i
solidi o 1,5 g di grassi per 100 ml per i liquidi
- SENZA GRASSI: il prodotto contiene non più di 0,5 g di grassi per 100g o 100 ml
- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI SATURI: il prodotto non supera 1,5g/100g per i solidi o 0,75g/
100ml per i liquidi
- SENZA GRASSI SATURI: la somma degli acidi grassi saturi e acidi grassi trans non supera 0,1g per
100 g o 100 ml
- A BASSO CONTENUTO DI ZUCCHERI: il prodotto contiene non più di 5g di zuccheri per 100 g
per i solidi o 2,5 g di zuccheri per 100 ml per i liquidi
- SENZA ZUCCHERI: il prodotto contiene non più di 0,5g per 100g o 100ml
- SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI: il prodotto non contiene zuccheri o ogni altro prodotto utilizzato
per le sue proprietà dolcificanti. Se l’alimento li contiene naturalmente si deve riportare sull’etichetta: “
Contiene naturalmente zuccheri”
- FONTE DI AC.GRASSI OMEGA-3: il prodotto contiene almeno 0,3g di acido alfa-linolenico (ALA)
- RICCO DI AC.GRASSI OMEGA-3: il prodotto contiene almeno 0,6g di ALA per 100g o 100Kcal
- RICCO DI GRASSI MONOINSATURI (o POLINSATURI): almeno il 45% degli acidi grassi presenti
nel prodotto derivano dai grassi monoinsaturi/polinsaturi e a condizione che gli stessi apportino oltre il
20% del valore energetico del prodotto
- RICCO DI GRASSI INSATURI: almeno il 70% degli acido grassi presenti derivano da grassi insaturi
e a condizione che gli stessi apportino oltre il 20% del valore energetico del prodotto
- FONTE DI FIBRE: il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100g o almeno 1,5 g per 100 Kcal
- AD ALTO CONTENUTO DI FIBRE: il prodotto contiene almeno 6 g di fibre per 100 g o almeno 3 g
per 100 Kcal
Esistono claims che vengono utilizzati per fini commerciali in quanto evidenziano caratteristiche
particolari di un alimento relative alla sua qualità.
- “extra”: può essere utilizzato solo per alcuni prodotti che presentano caratteristiche qualitative
superiori rispetto alla medie dei prodotti analoghi; l’utilizzo di tale termine è previsto per: i pomodori
pelati e i concentrati di pomodoro, le confetture, le gelatine di frutta, il cioccolato e le uova.
- “puro”: vuole significare “solo” o “esclusivamente”, cioè indica l’esclusivo utilizzo di uno o più
ingredienti; ad esempio la dicitura “puro suino” evidenzia unicamente che le carni utilizzate nella
preparazione del prodotto sono “solo” di suino.
- “fresco”: indica i prodotti lavorati da poco tempo e serve per distinguerli da quelli destinati alla
medio- lunga conservazione; è utilizzato per specifici prodotti quali: le paste alimentari, il latte
pastorizzato e il latte pastorizzato di alta qualità, i prodotti della pesca, i formaggi a pasta filata e le
uova di categoria A.
-“alta qualità”: è attribuibile solo in riferimento alla produzione di latte fresco pastorizzato e per il
prosciutto cotto.
Esistono varie modalità di etichettatura dei prodotti biologici e per illustrarli è necessario distinguere
tre fattispecie:
1) Alimenti interamente biologici o con una quota di ingredienti biologici > al 95% in peso sul prodotto
finito:
i prodotti alimentari, semplici o trasformati, possono utilizzare in etichetta i termini “biologico”, “bio”
ed “eco”, nella denominazione di vendita (es. pasta di grano duro biologica) o nel suo stesso campo
visivo solo se:
- Almeno il 95% in peso degli ingredienti di origine agricola proviene da agricoltura biologica;
- Non contengono OGM né ingredienti derivati da OGM.
2) Alimenti nei quali gli ingredienti biologici sono < al 95% del peso del prodotto finito: tali prodotti
alimentari possono usare i termini “biologico” , e/o le sue abbreviazione , solo se riferite al nome
dell’ingrediente e nell’apposita lista degli ingredienti di origine agricola.
I termini devono essere riportati con colore, dimensioni e tipo di caratteri identici a quelli utilizzati per
indicare gli altri ingredienti.
Questa categoria di prodotti non può riportare in etichetta il logo comunitario, l’indicazione dell’origine
comunitaria e/o non comunitaria dell’alimento nonché i riferimenti all’organismo di controllo
responsabile di verificare la provenienza delle materie agricole di origine biologica.
Gli alimenti vengono a contatto con molti materiali e oggetti durante le rispettive fasi di produzione,
trasformazione, conservazione, preparazione e somministrazione, prima del loro consumo finale. Tali
materiali e oggetti sono denominati materiali ed oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) – ad
esempio contenitori per il trasporto degli alimenti, macchinari per la trasformazione dei prodotti
alimentari, materiali da imballaggio, utensili da cucina e posate e stoviglie – e dovrebbero essere
sufficientemente inerti da evitare che i loro componenti incidano negativamente sulla salute del
consumatore o influenzino la qualità degli alimenti.
Per scegliere quali materiali utilizzare, si individuano i materiali che si possono utilizzare o non
utilizzare; poi si testano i materiali per capire se si possono usare e in che condizioni si possono usare e
se questi vanno o meno ad alterare l’alimento. Per fare ciò ci si avvale di “test di stress” (come quelli
adottati per i farmaci): si pongono quindi i materiali in condizioni di temperatura, pressione e altri
fattori estremi e si valutano le eventuali alterazioni.
Il materiale destinato a venire a contatto con gli alimenti può trasferire componenti ai prodotti
alimentari e, in alcuni casi, determinare una contaminazione dell’alimento con cui viene a contatto.
Per tale motivo esistono le LISTE POSITIVE, limiti di cessioni e condizioni d’uso.
L’entità della migrazione dipende da una serie di fattori:
- Natura e composizione dell’alimento
- Superficie di contatto
- Tempo di contatto
- Temperatura di contatto
Art. 30 Regolamento (CE) n. 178/2002 “Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di
chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la
sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale,
della sicurezza degli alimenti …”
Art.3 REQUISITI Regolamento (CE) n. 1935/2004 I materiali ed oggetti destinati a venire a contatto
con gli alimenti devono essere prodotti secondo Buone pratiche di fabbricazione affinchè non
trasferiscano ai prodotti alimentari componenti in quantità tale da:
- Costituire un pericolo per la salute umana;
- Comportare una modifica inaccettabile della composizione dell’alimento;
- Comportare un deterioramento delle caratteristiche organolettiche degli alimenti.
Art. 5 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Per gruppi di materiali e oggetti: adesivi, ceramiche,
turaccioli, gomme naturali, vetro, resine a scambio ionico, metalli e leghe… possono essere adottate
misure specifiche: elenco sostanze autorizzate, requisiti purezza, condizioni di impiego, limiti specifici
e globali..
Art. 6 Regolamento (CE) n. 1935/2004 In mancanza di misure comunitarie possono essere adottate
misure specifiche nazionali, a condizione che siano conformi alle norme del trattato.
Art. 15 Etichettatura Regolamento (CE) n. 1935/2004 I materiali e gli oggetti non ancora entrati in
contatto con l’alimento al momento dell’immissione sul mercato sono accompagnati da:
a) la dicitura "per contatto con i prodotti alimentari" o un'indicazione specifica circa il loro impiego (ad
esempio come macchina da caffè, bottiglia per vino) o il simbolo riprodotto nell'allegato II;
b) Se del caso, speciali istruzioni da osservare per garantire un impiego sicuro ed adeguato;
- La dicitura o il simbolo non sono obbligatori se l’uso è inequivocabile.
- Le informazioni sono scritte in modo ben visibile, chiaramente leggibile ed indelebile.
La NORMATIVA NAZIONALE
• Contiene gli stessi principi generali della Comunitaria,
• Disciplina aspetti generali e stabilisce le sanzioni
- D.P.R. 23 agosto 1982 n. 777 e
- D. L. vo 25 gennaio 1992, n. 108
• Disciplina inoltre materiali non ancora armonizzati
“Ai fini dell’applicazione dei regolamenti CE 852/2004, 853/2004 e 882/04, e successive
modificazioni, per le materie riguardanti la sicurezza alimentare, le Autorità competenti sono:
Il Ministero della salute; le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano; le Aziende unità
sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze”
MATERIALI PER CONDIZIONAMENTO E IMBALLAGGIO
Servono per:
- proteggere e/o conservare il prodotto
- costituisce una fonte di informazione al consumatore, tramite l’etichettatura
A seconda del tipo di alimento e della tecnica di conservazione da applicare (es: la pasta si può mettere
nel cartone, un succo in una bottiglia di vetro sigillata, ecc..), vengono utilizzati diversi materiali.
METALLI
- Acciaio Inox – lega di ferro e carbonio [C 0.008-2%], contenente nichel e cromo – possiede ottime
qualità pratiche ed igieniche
- Alluminio: costoso, riciclabile, leggero, ottime proprietà termiche, impermeabile e resistente alla
corrosione
- Banda stagnata: lamiera di acciaio rivestita di stagno (non tossico e chimicamente inerte),
impermeabile, resistente e riciclabile.
VETRO
Ottenuto tramite la solidificazione di un liquido non accompagnata da cristallizzazione (è un solido
amorfo≈ liquidi sottoraffreddati ad elevatissima viscosità). Il costituente principale è SiO2 (ossido di
silicio). Molto usato per liquidie semiliquidi.
E’ un ottimo materiale perché presenta pochi svantaggi come il peso, la fragilità e la trasparenza (che
però è positiva perché permette di vedere il contenuto), ma molti vantaggi come la riciclabilità,
l’impermeabilità all’aria, all’umidità e ai microrganismi, la resistenza meccanica alla compressione, la
resistenza al calore e a quasi tutti gli agenti chimici.
VETRO – D.m. 21/03/1973 Il vetro destinato al contatto alimentare deve appartenere per legge a una
delle categorie ammesse:
- CATEGORIA A: vetri boro silicati e sodico calcici incolori o colorati destinati ad essere posti in
contatto con gli alimenti in qualsiasi condizione di tempo e temperatura, compresa la sterilizzazione
- CATEGORIA B: Vetri sodico calcici, anche opacizzati destinati ad essere posti in contatto con gli
alimenti in condizioni non superiori a 80°C
- CATEGORIA C: vetri al Piombo (cristalli). Per vasellame e bicchieri destinati a contatto breve e
ripetuto; limite di cessione di piombo 0,3 ppm
In base alla categoria di appartenenza la normativa prevede di eseguire test di migrazione globale e
specifica di Piombo.
MATERIE PLASTICHE
Composti macromolecolari organici ottenuti per
polimerizzazione o poliaddizione per combinazione
di molecole di peso molecolare inferiore oppure
per modifica chimica di macromolecole naturali.
PORCELLANA- particolare tipo di ceramica, che si ottiene a partire da impasti di una particolare
argilla bianca (caolino). Gli utensili da cottura in porcellana sono dotati di elevata durezza e bassa
presenza di porosità. Sono ideali per la preparazione di zuppe, salse; possono essere usati nel forno
tradizionale e a microonde.
CARTA E CARTONI – costituiti da fibre naturali (cellulosa ricavata da legno) o sintetiche. Leggera e
biodegradabile, praticità d’uso e costi contenuti. Per aumentare la resistenza, deve essere maggiore la
% di materiale fibroso (cartone).
Alla definizione “active packaging” sono state associate tutte quelle soluzioni di packaging che
costantemente ed attivamente interagiscono con l’atmosfera interna di una confezione, variando la
composizione quali-quantitativa dello spazio di testa, e con il prodotto in essa contenuto, mediante il
rilascio da parte dei materiali di antimicrobici, antiossidanti o altre sostanze utili per migliorare la
qualità.
L’espressione “intelligent packaging” indica una tecnica di packaging che prevede l’impiego di un
indicatore, interno o esterno alla confezione, capace di rappresentare attivamente la storia del prodotto
e quindi il suo livello di qualità.
Gli obiettivi del confezionamento sono quelli di ridurre la velocità di decadimento qualitativo del
prodotto, di protezione verso le contaminazioni biologiche e chimiche, ed infine di fornire ai
consumatori praticità d’uso, dal trasporto alla conservazione domestica.
Gli imballaggi funzionali possono essere veicolo di accorgimenti, di sostanze in grado di spostare la
generica protezione offerta dal materiali di imballaggio verso un intervento mirato e per questo più
efficace, mediante il controllo di fenomeni chimici, microbiologici, enzimatici, chimico-fisici,
meccanici. L’adozione di soluzioni attive/intelligenti consente di trasferire dal processo al
condizionamento alcune importanti funzioni per il mantenimento della qualità, e potenzialmente
potrebbe minimizzare i danneggiamenti che ogni applicazione tecnologica apporta.
Il calore agisce inattivando gli enzimi e uccidendo i microrganismi, i quali potrebbero andare ad
alterare le sostanze alimentari.
ENZIMI → La velocità delle reazioni enzimatiche aumenta con la temperatura (raddoppia ogni 10°C
circa di incremento). Gli enzimi però, essendo di natura proteica, oltre i 50°/60°C si denaturano e
diventano inattivi, anche se alcuni sono stabili fino a 85°C.
MICRORGANISMI → Sono particolarmente sensibili alle alte temperature, specialmente se associate
all’umidità. Il calore umido, che agisce coagulando le proteine, ha un effetto più energico e rapido del
calore secco, che denatura le proteine e ossida i componenti della cellula favorendo la produzione di
specie reattive dell’ossigeno (ROS).
Per esposizione al calore umido la maggior parte dei microrganismi (forme vegetative) soccombe a
60/70°C in 5-10 minuti .
3) Fattori esterni
- COMBINAZIONE TEMPO-TEMPERATURA → Il tempo di esposizione al calore necessario ad
ottenere un certo abbattimento della carica microbica varia in funzione della temperatura.
Per valutare i tempi minimi e le temperature massime è importante conoscere il valore del tempo di
morte termica (thermal death time) o T.D.T. Il rapporto tra la temperatura e il tempo necessario ad
uccidere ogni specie microbica è espresso tramite il T.D.T. Il T.D.T. è definito come il tempo necessario
a uccidere tutti i microrganismi presenti in una sospensione microbica a una determinata temperatura,
in particolari condizioni.
Non tutte le parti di un prodotto vengono riscaldate contemporaneamente: c’è sempre una zona critica
in cui il calore arriva più tardi, il punto freddo. E’ di fondamentale importanza che i tempi di
esposizione e la temperatura siano tali da consentire anche a questa parte di raggiungere la temperatura
voluta e quindi di ottenere l’efficacia voluta in quel punto.
La penetrazione del calore dipende anche dal tipo di contenitore: i migliori si sono dimostrati quelli
cilindrici di forma schiacciata (utilizzati per le conserve ittiche); per prodotti liquidi e semiliquidi
aumenta la velocità di penetrazione del calore se durante il trattamento termico i contenitori sono tenuti
in agitazione.
Nell’industria alimentare lo scambio di calore tra fluidi sta alla base di molti trattamenti (es.
Pastorizzazione, sterilizzazione).
Il flusso di calore (Q/t) che si genera tra due fluidi a diversa temperatura dipende da:
- la differenza di temperatura tra i due fluidi
- la superficie di contatto
- il coefficiente di scambio che dipende dalla natura dei due fluidi e dal materiale dello scambiatore.
Nella costruzione degli impianti si cerca di aumentare le superfici di contatto mantenendo ridotto
l’ingombro e il costo; il materiale più indicato è l’inox (ottimo conduttore, difficilmente corrodibile,
resistente). Il fluido scambiante migliore è l’acqua per riscaldare; per raffreddare si possono usare CO2,
N2, NH3.
Lo scambio di calore deve avvenire in condizioni di isolamento con l’ambiente esterno. Per questo ci
si avvale della coibentazione delle pareti dello scambiatore per evitare dispersioni di calore.
Alcuni esempi:
STERILIZZAZIONE
E’ un trattamento più drastico della pastorizzazione che conduce alla distruzione di tutti i
microrganismi, comprese le spore.
Può essere definita come quel trattamento termico atto a distruggere tutti i microrganismi che possono
riprodursi nell’alimento durante lo stoccaggio e la distribuzione.
Si ottiene così una conserva che può mantenersi per alcuni mesi, a temperatura ambiente. Il prodotto,
però, non è completamente asettico e non può conservarsi all’infinito: si ottiene, infatti, una “sterilità
commerciale”. Non si può parlare di sterilità assoluta, nè di tempi indefiniti di conservazione (infatti
per ottenere ciò occorrerebbero alte temperature per tempi molto lunghi, con conseguenti gravi perdite
nutritive e costi energetici elevati), piuttosto della possibilità di mantenere l’alimento in uno stato
integro per un tempo relativamente lungo. Per es. il latte UHT si conserva a temperatura ambiente per
sei mesi.
Le temperature di sterilizzazione per alimenti acidi (pH<4,5), in cui non si sviluppano sporigeni e
quindi non vi sono spore, si aggirano intorno ai 100 °C, mentre per gli altri occorrono 115-120°C, per
almeno 20 minuti.
Possono distinguersi:
APPERTIZZAZIONE Ha avuto origine agli inizi del secolo XIX° grazie al cuoco francese F.Appert
che per conservare gli alimenti, li riscaldava chiusi in contenitori di vetro a bagnomaria. Fu
perfezionata introducendo i contenitori metallici e l’uso dell’autoclave, che permette di superare i
100°C.
Attualmente il processo Appert trova largo impiego nella conservazione di alimenti vegetali (ortaggi,
legumi e frutta) ed animali (carni bovine e suine, prodotti ittici) nonché di pietanze pronte (sughi,
minestre ecc.).
La buona riuscita di queste conserve dipende dai seguenti fattori:
- IGIENE dei prodotti di partenza e degli impianti di lavorazione;
- CARATTERI ORGANOLETTICI degli alimenti, che devono essere ottimali;
- Corretti TRATTAMENTI PRELIMINARI;
- Perfetta TECNICA DI APPERTIZZAZIONE.
RIASSUMENDO:
Gli alimenti conservati si distinguono in: conserve, semiconserve e prodotti trasformati.
I metodi di conservazione sono diversi e si classificano in: fisici, chimici, fisico-chimici e biologici.
Le alte temperature inattivano gli enzimi e combattono efficacemente i microbi, specie sotto forma di
calore umido e in rapporto al pH degli alimenti e alla durata del trattamento.
La penetrazione del calore fino al punto freddo è influenzata anche dalla forma del contenitore ed è
favorita dall’agitazione.
La pastorizzazione disattiva gli enzimi, distrugge i patogeni e gli altri microbi, ma non le spore,
producendo una semiconserva conservabile per alcuni giorni in frigorifero.
Può essere bassa (60-65°C x 30’), usata per vino, birra e latte per caseificazione, alta oppure rapida o
HTST (75-85°C x 15-20’), usata per alimenti liquidi (latte per il consumo diretto ecc.)
La sterilizzazione distrugge tutti i microbi, comprese le spore. Si ottiene così una conserva che si può
conservare per alcuni mesi a temperatura ambiente.
Per prodotti acidi (pH< 4,5) come le conserve di pomodoro bastano 100°C. per gli altri occorrono
120°C per almeno 20’.
Vi è la sterilizzazione classica o appertizzazione (su alimenti solidi o liquidi già inscatolati, in bagno
aperto o in autoclave), il metodo U.H.T indiretto (sull’alimento sfuso in scambiatori di calore) e il
metodo U.H.T. diretto o Uperizzazione (con iniezione di vapore sul prodotto micronizzato).
I prodotti inscatolati si possono ottenere con l’appertizzazione, che prevede: preparazione del
prodotto, pretrattamento, confezionamento, trattamento termico continuo o discontinuo, raffreddamento
e stoccaggio oppure mediante il confezionamento asettico del prodotto sterilizzato in contenitori
asettici o puliti di plastica e cartone (bag in box), di metallo, termoformati di plastica o di triplice strato
di carta e polietilene, con o senza strato di alluminio (Tetra pak).
REFRIGERAZIONE
La neve ed il ghiaccio hanno costituito senza dubbio la prima applicazione del freddo alla
conservazione degli alimenti. Nel 1875 fu presentato, in Germania, il primo frigorifero “a
compressione”. Tali dispositivi si basano sul principio che, comprimendo un gas fino a liquefarlo e
lasciandolo poi espandere, questo sottrae calore all’ambiente. I frigoriferi moderni sono “dinamici”
(continua circolazione di aria). Ciò permette la differenziazione di settori a diversa temperatura ed evita
la formazione di brina. La temperature di refrigerazione vanno normalmente da -3 a +8°C.
L’uso delle basse temperature coinvolge tutto il settore alimentare; importante durante la
distribuzione (mezzi di trasporto frigoriferi o autocarri con parete coibentate per brevi distanze)
La temperatura a cui vengono portati i PRODOTTI REFRIGERATI sono tali da consentire all’acqua in
essi contenuta di rimanere allo stato liquido;
Le T° variano da -1°C a +8°C (-2/-3°C per il pesce; 10-13°C per alcuni tipi di frutta).
Il D.Lgs 155/97 prevede che gli alimenti che devono essere conservati o serviti a bassa temperatura,
debbano essere raffreddati il più rapidamente possibile, per evitare la proliferazione dei batteri (i
batteri proliferano vertiginosamente tra i +70° e i +3°C). A tale scopo si usano ABBATTITORI DI
TEMPERATURA discontinui (armadi) o continui (tunnel) che impiegano aria forzata o getti di acqua
fredda.
Durante la refrigerazione occorre mantenere un’adeguata ventilazione e la giusta umidità relativa
(UR). Valori di UR troppo bassi provocano disidratazione dell’alimento; valori troppo alti favoriscono
lo sviluppo di muffe. In genere l’UR varia dall’80 al 95%, a seconda del prodotto.
La conservazione di frutta e verdura può essere prolungata installando ozonizzatori nelle celle
frigorifere. La produzione di ossigeno attivo mantiene la qualità ottimale dei prodotti e assicura un
ambiente libero da patogeni. L’ossigeno attivo infatti agisce rallentando la maturazione dei frutti ed
esercitando un effetto microbiostatico e microbicida su muffe e batteri.
In associazione alla MAP si possono utilizzare anche active packaging che assorbono ossigeno.
Questi impediscono l’ossidazione nutrienti e i sapori sgradevoli; ritardano la crescita di muffe e batteri
aerobi e permettono di ridurre l’uso di additivi alimentari.
Le aree di maggiori applicazioni sono: affettati, pizza, pasta fresca e precotta.
CONSERVAZIONE IN “CRYOVAC”
Questo sistema prevede la refrigerazione del prodotto racchiuso sottovuoto in una pellicola
trasparente e impermeabile (cloruro di polivinilidene) che viene fatta aderire perfettamente
all’alimento (effetto “skin”) con l’immersione per pochi secondi in acqua a 90°C. In questo metodo
pertanto, all’azione del freddo si aggiunge l’assenza di ossigeno. Questa tecnica si usa molto per carni
fresche, salumi affettati, wurstel ecc.
Il trattamento con il calore si può prolungare fino a cuocere l’alimento (prosciutti cotti, stichi,
mortadelle, cotechini..). Le tecniche usate sono:
COOK-IN STRIP-OFF: durante la cottura sottovuoto si verifica una perdita di liquidi; viene quindi
aperta la confezione per poterli eliminare e successivamente l’alimento viene riconfezionato. Questo
metodo è utilizzato per prodotti di qualità medio-alta che presentano, di solito, un calo di peso durante
la cottura.
COOK-IN SHIP-IN: in questo caso, i prodotti, di qualità medio-bassa, non perdono liquidi durante la
cottura e vengono messi in vendita nell’involucro originale.
Un’importante applicazione di questo trattamento si ha nella COTTURA SOTTOVUOTO, molto
utilizzata nella moderna ristorazione collettiva.
CONGELAMENTO
Consiste nel sottoporre l’alimento a temperature basse o bassissime con conseguente cristallizzazione
dell’acqua e solidificazione del prodotto.
Il PUNTO CRIOSCOPICO o punto di gelo di un alimento non è 0°C, come per l’acqua pura, ma si
abbassa in modo più o meno sensibile essendo gli alimenti costituiti da soluzioni più o meno
concentrate. Per la maggior parte degli alimenti tale valore oscilla tra 0,5° e -4°C.
Negli alimenti, così come in tutti i sistemi biologici, l’acqua si trova sotto due forme:
- ACQUA LIBERA, che è normalmente allo stato liquido con soluti disciolti e che congela a
temperature dipendenti dalla quantità di questi ultimi;
- ACQUA LEGATA, attraverso legami di natura elettrostatica, a proteine, zuccheri, amido, cellulosa
ecc.. E’ presente in quantità compresa tra il 2 ed il 5% e possiede un punto di congelamento più basso
dell’acqua libera.
Con il procedere del raffreddamento, l’acqua si separa dalle soluzioni sotto forma di ghiaccio
lasciandole sempre più concentrate con un punto di gelo sempre più basso (persino oltre i -40°C)
SURGELAZIONE
Per “alimenti surgelati” si intendono i prodotti alimentari che devono:
- Provenire da materie prime di assoluta freschezza
- Essere sottoposti a un metodo di congelamento ultrarapido;
- Mantenere una temperatura ≤ -18°C ininterrottamente fino alla distribuzione finale (CATENA DEL
FREDDO)
- Essere venduti nelle loro confezioni originali;
- Riportare in etichetta tutte le indicazioni a norma di legge
L’espressione “CATENA DEL FREDDO” indica il mantenimento dei prodotti SURGELATI ad una
temperatura costante e comunque inferiore a -18°C lungo tutto il percorso dalla produzione alla
vendita, comprese la fasi di trasporto, stoccaggio ed esposizione. Tale mantenimento è necessario per
evitare processi di scongelamento, anche parziale.
Principali fasi della surgelazione:
- Preparazione del prodotto consiste nelle operazioni di lavaggio, sbucciatura, cernita, taglio,..scottatura
o blanching dei vegetali; i prodotti destinati alla surgelazione devono possedere caratteristiche
igieniche e qualitative ineccepibili e la preparazione va effettuata nel medesimo stabilimento di
produzione, con la massima cura e nel più breve tempo possibile.
- Congelamento ultrarapido effettuato rapidamente fino a che il prodotto non abbia raggiunto “al cuore”
i -18°C.
- Confezionamento (obbligatorio per i prodotti destinati al consumo diretto);viene eseguito con
involucri che garantiscano l’integrità dell’alimento e che siano aperti solo dal consumatore; i
materiali utilizzati sono: alluminio per sacchetti flessibili, banda stagnata per scatole, il cartone e la
plastica abbinati o separati.
- Conservazione a temperatura inferiore o uguale a – 18°C durante il periodo che intercorre tra
produzione e vendita l’alimento deve essere conservato e trasportato a temperature inferiori o uguali
a -18°C; per garantire a lungo la conservabilità del prodotto, la temperatura dei locali che ospitano gli
alimenti prima della commercializzazione è mantenuta molto al di sotto di -18°C..
- Scongelamento dei surgelati e congelati rappresenta un’operazione delicata con la quale si deve
consentire all’acqua di rientrare a far parte dei sistemi colloidali e delle soluzioni; in ambito
industriale si utilizzano celle o tunnel riscaldati elettricamente o per mezzo di aria umida compressa,
le temperature vanno da 2 a 10°C. Attualmente risultano molto utilizzati i sistemi a microonde.
Quando il prodotto crudo viene scongelato deve essere utilizzato subito e mai ricongelato perché si
otterrebbe una cristallizzazione di tipo lento con macrocristalli e deterioramento del prodotto stesso;
In ambiente domestico evitare l’impiego di acqua calda e l’esposizione di prodotti privi di involucri a
getti di acqua fredda. Salvo diverse indicazioni sulle confezioni:
- Scongelamento completo: pesce intero o in filetti, carne, frutta e verdura da consumarsi cruda
- Scongelamento a metà: ortaggi e frutta da cuocere
- Da cucinare senza scongelare: alcuni ortaggi, prodotti a base di carne o pesce impanati e pronti per
friggere.
La pressione di vapore di un alimento diminuisce con l’aumento di soluti; quindi la riduzione dell’ aw
può avvenire per disidratazione (allontanamento dell’acqua) o per aggiunta di soluti.
La riduzione del contenuto d’acqua degli alimenti comporta la disidratazione anche delle cellule
microbiche, che porta a una riduzione del tasso di crescita fino a un suo blocco completo per arresto
dell’attività metabolica (azione microbiostatica).
Con la disidratazione, si verifica una riduzione parziale del numero di microrganismi vitali, ma resta la
possibilità di sopravvivenza di microrganismi patogeni (da ciò deriv al’esigenza di sottoporre ai
trattamenti disidratanti solo prodotti in ottimo stato igienico).
In generale il valore minimo di aw necessario allo sviluppo:
- 0.90 batteri (alofili 0.75)
- 0.85 lieviti (saccarofili 0.60)
- 0.80 muffe (xerotolleranti 0.65)
Nessun microrganismo cresce ad aw <0.60
In base al valore di aw gli alimenti possono essere classificati in:
- High Moisture Foods HMF = a elevata umidità (aw 1-0.9)
- Intermediate Moisture Foods IMF = a umidità intermedia (aw 0.9-0.6)
- Low Moisture Foods LMF = a bassa umidità (aw 0.6 – 0)
Negli alimenti LMF i microrganismi non crescono e quindi i prodotti risultano stabili; per HMF e IMF
la sola disidratazione non è sufficiente a conservare il prodotto.
I sistemi che si basano sul principio di conservazione per sottrazione di acqua sono:
- la CONCENTRAZIONE
- l’ESSICAZIONE
- la LIOFILIZZAZIONE
CRIOCONCENTRAZIONE
E’ una tecnica alternativa al processo classico di concentrazione per evaporazione che evita danni da
calore. Tramite questo processo l’acqua è allontanata sotto forma di ghiaccio.
La crioconcentrazione sfrutta il principio fisico dell’abbassamento crioscopico di una soluzione. Per es.
il punto di congelamento o punto crioscopico che nell’acqua è 0°C, si abbassa a -2 °C in succhi di
arancia che contengono l’11% di sostanza secca. Il punto eutettico è tanto più basso quanto più è
concentrata la soluzione di partenza. Raffreddando l’alimento a temperature leggermente superiori
al punto eutettico si provoca la separazione della maggiore quantità di acqua possibile sotto
forma di ghiacco.
Fasi della crioconcentrazione:
1) Preparazione dell’alimento
2) Cristallizzazione dell’acqua (formazione e accrescimento dei cristalli)
3) Separazione dei cristalli in questo modo ottengo l’alimento concentrato e i cristalli vengono lavati
per asportare ogni residuo di concentrato
In base alla dimensione dei pori delle membrane distinguiamo processi diversi:
- Filtrazione tradizionale con membrane con pori di diametro tra 10-103 μm, in grado di trattenere
sospensioni;
- Microfiltrazione con membrane con pori di diametro tra 10-1-10 μm, in grado di trattenere cellule,
colloidi, aggregati molecolari, macrocristalli;
- Ultrafiltrazione con membrane con pori di diametro tra 10-3-1 μm, in grado di trattenere
macromolecole
- Iperfiltrazione o Osmosi inversa con membrane con pori di diametro tra 10-4-10-2 μm, in grado di
trattenere molecole e ioni.
OSMOSI Fenomeno che avviene in presenza di membrana semipermeabile (ovvero che permette il
passaggio del solvente non del soluto): il solvente passa spontaneamente dalla soluzione più diluita alla
più concentrata. La pressione necessaria a impedire tale passaggio è la PRESSIONE OSMOTICA π.
La π dipende dal numero di particelle ioniche e non ioniche presenti in soluzione (concentrazione
osmolare), non dalle loro dimensioni, carica o forma.
Con l’osmosi diretta si disidratano frutta e verdura in soluzioni ipertoniche.
OSMOSI DIRETTA → La frutta a fettine, a cubetti o intera viene immersa per 12-15 ore in soluzioni
ipertoniche di saccarosio al 65-70% o sciroppi zuccherini a cui viene addizionato acido ascorbico per
evitare imbrunimenti. La pellicola di zucchero aderente alla superficie della frutta viene eventualmente
eliminata con un lavaggio leggero.
Dato che è un processo lungo, si opta per trattamenti ad alta temperatura per tempi brevi, in modo da
abbattere la carica batterica superficiale e inattivare gli enzimi.
OSMOSI INVERSA → Dalla parte della soluzione più concentrata si applica una pressione idrostatica
superiore a quella osmotica con conseguente inversione del flusso del solvente: il solvente esce dalla
soluzione più concentrata.
Si usano membrane permeabili solo all’ H2O; il flusso del liquido è tangenziale (non si formano
depositi sulla superficie delle membrane e queste pertanto si «autopuliscono», consentendo una
migliore funzionalità per un periodo di tempo più lungo). Sono richieste elevate pressioni operative
Possibili applicazioni:
- Potabilizzazione dell’acqua di mare (il prodotto di interesse è il permeato)
- Concentrazione di sostanze delicate (a temperatura ambiente): tè, caffè, succhi, latte, pomodoro,
mosto d’uva (retentato)
ULTRAFILTRAZIONE → il flusso del liquido è tangenziale. Nel filtrato restano discioliti soluti a basso
peso molecolare. Utilizzata per trattamento del latte per yogurt e creme; estrazione di proteine da latte,
soia, uovo, albume; chiarificazione di vini, succhi, birra per allontanamento di mucillagini.
ESSICCAZIONE
Consiste nell’esporre il prodotto a una fonte di calore allo scopo di rimuovere quasi completamente
l’acqua degli alimenti. Il contenuto idrico residuo è del 10-15%: la forte disidratazione blocca la
moltiplicazione dei microrganismi e per questo trattamento l’essiccazione può essere ritenuta un
trattamento batteriostatico.
Questo processo può effettuarsi attraverso:
- fonti di calore naturale → in questo caso gli alimenti sono esposti al sole e all’aria per settimane o
mesi fino al totale prosciugamento. Non è una tecnica standardizzabile e quindi utilizzabile a livello
industriale, ma viene praticata a livello domestico e artigianale nei paesi a clima caldo e anche nei paesi
nordici (lo stoccafisso si ottiene si ottiene dal merluzzo lasciato essiccare in questo modo). Questo
metodo può essere abbinato a affumicamento o solfitazione. Questo metodo però provoca
inquinamenti, non è standardizzabile, inoltre la prolungata esposizione al sole e all’aria modifica i
caratteri organolettici e i valori nutrizionali.
- fonti di calore artificiale → si applica in ambito industriale mediante:
- gas riscaldati (generalmente aria calda);
- radiazioni
- contatto con superfici calde
L’attività microbica si blocca fino al momento della ricostituzione con acqua. E’ una tecnica valida solo
se il condizionamento isola completamente l’alimento dall’ambiente esterno.
Con le tecniche classiche di essiccamento si hanno modifiche frequenti a carico dei caratteri
organolettici e nutrizionali; le tecniche sottovuoto hanno un minore impatto poichè lavorano a
temperature più basse. La perdita di nutrienti è minore se si lavora a basse temperature per tempi brevi
e su prodotti di piccola taglia.
PROTEINE → diventanto dure e difficilmente reidratabili; le alterazioni sono principalmente la
denaturazione, la reazione di Maillard…
LIPIDI → possono subire irrancidimento ossidativo se il trattamento è avvenuto a temperature elevate
(per evitarlo si aggiungono di antiossidanti)
GLUCIDI → caramellizzazione e reazione di Maillard
VITAMINE → perdite dipendono dalle operazioni preliminari, operative e di conservazione; durante la
conservazione se l’ U.R. rimane bassa e si limita presenza di O 2 il contenuto vitaminico si conserva di
più
CARATTERI ORGANOLETTICI → soprattutto variazione di colore e perdita di costituenti volatili e
dell’aroma.
Le microonde costituiscono una forma di energia di impiego più recente, diversa da quelle tradizionali,
che offre vaste possibilità di applicazione e diversi vantaggi. Sono onde elettromagnetiche con una
frequenza che va da 300 MHz a 300 GHz e si collocano tra le onde radio e i raggi infrarossi.
Sono assorbite dalle sostanze organiche; la velocità di penetrazione dipende da molti fattori, tra cui
il contenuto idrico e salino, forma e lo spessore del corpo irradiato e l’intensità del campo
magnetico. Nel riscaldamento attraverso le microonde, la radiazione, che penetra nel corpo, sollecita
le molecole polari che si orientano nel senso del campo magnetico e, poichè questo si inverte
milioni di volte al secondo a seconda della frequenza impiegata, ciò provoca una violenta
agitazione delle molecole stesse, con aumento della loro energia cinetica. Il tutto si traduce in calore
intenso all’interno del corpo.
Il magnetron è il generatore di microonde. È situato in una cavità del forno, il quale è fatto da pareti
riflettenti in modo che la radiazione risulti uniformemente distribuita.
Le microonde attraversano senza essere assorbite alcuni materiali (vetro, plastica, cartone) per cui
alcuni alimenti possono essere inseriti nel forno all’interno dei loro involucri. I metalli invece
respingono le microonde.
Le applicazioni in campo alimentare sono svariate: scongelamento, essiccamento, liofilizzazione,
pastorizzazione, sterilizzazione e cottura.
SCONGELAMENTO →Attraverso le microonde è più rapido e uniforme che con aria o vapore.
L’alimento può rimanere nel contenitore. Si avranno migliori caratteristiche organolettiche e nutritive
del prodotto (per minori perdite di liquidi). E’ un metodo particolarmente adatto ai precucinati che in
pochi minuti sono portati a 65-75°C.
Consiste nel sottoporre l’alimento a radiazioni ionizzanti, che possono essere raggi gamma, raggi X o
fasci di elettroni. Molti Paesi hanno autorizzato l’uso per i prodotti alimentari.
Nel 1980 una commissione di esperti (fra cui FAO/OMS) dichiarò che “gli alimenti trattati con
radiazioni sono innocui per l’uomo» e ne consigliò l’uso a dosi < 10KGy (il Gray è l’unità di misura
della dose di radiazion assorbita), preferendole ad additivi.
In Italia ci sono ancora molte reticenze… le radiazioni sono consentite per agli, patate, cipolle a scopo
antigermogliativo e per erbe aromatiche spezie e condimenti vegetali; il trattamento si effettua in
stabilimenti autorizzati.
RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE UV
La luce del sole ha una lieve azione microbicida dovuta alla presenza di una piccola quantità di raggi
UV. Nelle applicazioni si usano lampade di quarzo a vapori di mercurio.
Le radiazioni ultraviolette determinano un danneggiamento del DNA che provoca l’arresto della
duplicazione (che però in alcune condizioni può essere reversibile grazie a fenomeni di riparazione)
L’efficacia del trattamento dipende da vari fattori:
- Tipo di microrganismo e fase di crescita
- Tempo di esposizione (più tempo maggiore è l’efficacia)
- Intensità dell’irraggiamento
- Capacità di penetrazione (tipo di alimento)
- Percentuale di acqua che influenza negativamente la penetrazione
Applicazioni:
- Disinfezione dell’aria e delle superfici (ad es. nelle stanze usate per il confezionamento asettico)
- A seconda dei Paesi dove è consentito si usa per la bonifica dell’acqua, stagionatura delle carni,
conservazione di salumi e formaggi
RADIAZIONI IONIZZANTI
RADIAZIONI X → Sono ottenuti mediante bombardamento sottovuoto con raggi catodici di lastre di
metallo pesante; oggi la tecnologia è in grado di direzionare e selezionare la banda di energia voluta. La
sorgente si può «spegnere». Hanno un buon potere penetrante.
RADIAZIONI γ → I raggi vengono liberati durante la disintegrazione nucleare di alcuni isotopi del
cobalto o del cesio, sorgenti radioattive dalla vita media piuttosto lunga. Il vantaggio è che i raggi
gamma penetrano in profondità, consentendo il trattamento di alimenti già confezionati o di elevate
dimensioni. Hanno un buon potere microbicida. L’emissione è continua per cui gli isotopi radioattivi
devono essere attentamente conservati.
RADIAZIONI β → Sono un fascio di elettroni provenienti da un cannone elettronico. I raggi beta
sono poco penetranti (pochi centimetri), ma hanno il vantaggio di non richiedere complesse procedure
di conservazione della sorgente radioattiva perché quando il cannone viene spento non c'è più
emissione di radiazione. Sono di impiego più semplice e sicuro. Agiscono a temperatura ambiente e
possono essere usati su alimenti già confezionati (penetrano tramite sottili strati metallici)
E’ un trattamento realizzato a temperatura ambiente (fa parte delle mild technologies). E’ un metodo
che utilizza elevate pressioni, che hanno l’effetto di distruggere la maggior parte dei microrganismi,
ma non le spore, ha un limitato effetto sugli enzimi.
Mantiene pressoché inalterati caratteristiche organolettiche e il valore nutritivo e l’mpiego consentito
in ambito CE (Reg. 258/97) su alcuni alimenti.
Si basa sul principio di Pascal “una pressione esercitata su un liquido incomprimibile si distribuisce
uniformemente in tutte le direzioni e con la medesima intensità in tutti i punti del liquido e anche sulla
superficie di un corpo (alimento) immerso in quel liquido”.
Effetti:
- Inattivazione dei microrganismi (non le spore) e alcuni enzimi; l’azione sui microrganismi è maggiore
in ambiente acido, aggiunta di sale o zucchero, alte o basse temperature;
- Inibizione delle reazioni di Maillard e della distruzione delle vitamine;
- Gelatinizzazione di amidi e denaturazione e coagulazione di proteine.
Effetti sui legami chimici:
• Legami covalenti: resistenti
• Legami a ponte idrogeno: sensibili
• Legami a ponte disolfuro: sensibili
• Legami ionici: sensibili
Quindi le vitamine e piccole molecole restano integre; le proteine e carboidrati complessi danno
origine a peptidi, aminoacidi, zuccheri semplici e composti gelatinosi.
Proprio per gli effetti ammorbidenti e gelatinizzanti questa tecnologia trova svariate applicazioni nel
settore dell’industria alimentare (succhi di frutta, marmellate, sughi, piatti precotti a base di carne,
pesci).
TRATTAMENTO CON ULTRASUONI L’azione degli ultrasuoni sui fluidi si basa sull’effetto noto
come cavitazione: quando gli ultrasuoni attraversano un mezzo liquido, formano una serie di bolle di
gas nel mezzo che, implodendo, rompono le membrane dei microrganismi uccidendoli. Le spore sono
più resistenti delle forme vegetative. Possono essere associati altri trattamenti quali la pressione
(manosonicazione) o il calore (termosonicazione).
SALAGIONE → E’ un metodo di conservazione molto antico, ancora oggi impiegato per conservare
(e dare sapore caratteristico) a carni, pesci e vegetali.
Il sale alimentare deve essre composto da almeno il 97% NaCl secondo il DM 106/97. Va venduto in
confezioni e in etichetta ci deve essere:
- l’indicazione «alimentare»/ «per uso alimentare» / «da cucina» / «da tavola»
- Tipo di estrazione da cui è stato ottenuto
- Consistenza (fino/grosso)
- Se addizionato (IODURATO e/o IODATO).
La salagione ha un effetto selettivo sui microrganismi: vengono favoriti gli alofili e gli alotolleranti, e
alcuni tipi di muffe. Le salamoie talvolta favoriscono la crescita di determinati microrganismi,
responsabili delle fermentazioni tipiche di crauti, olive, cetriolini.
La concentrazione salina necessaria per inibire la crescita della maggior parte dei batteri è intorno al
10-14%; Clostridium botulinum in genere inibito da concentrazioni maggiori al 10%.
Normalmente il sale non è sufficiente da solo a garantire la conservazione ed è abbinato spesso a
refrigerazione o aggiunta di conservanti.
A SECCO → l’alimento viene posto a contatto diretto con sale grosso con eventuale aggiunta di
aromi, spezie, conservanti; a mano a mano che l’acqua fuoriesce dalle cellule, la concentrazione salina
diminuisce, ma rimarrà sempre maggiore rispetto ai liquidi cellulari. E’ da preferire il sale grosso a
quello fino; infatti quest’ultimo penetra più velocemente nelle cellule e può disidratare eccessivamente
gli strati superficiali del prodotto, coagulando le proteine e ostacolando la successiva penetrazione di
sale nelle parti più profonde dell’alimento. Per evitare un’eccessiva coagulazione delle proteine è
preferibile il trattamento a freddo (4-5°C), in modo lento e omogeneo per tutto il prodotto. Negli
insaccati, in cui il sale è aggiunto all’impasto, si usa il sale fino.
La salagione a secco può essere effettuata:
- per sfregamento
- per sovrapposizione → si alternano strati di prodotto e sale e ogni 3-4 giorni si cambia contenitore per
modificare la disposizione. La durata del trattamento dipende dalle dimensioni dell’alimento (da 15 gg
a oltre 50 gg). Usato per carne e pesce.
USO DELL’ALCOL ETILICO → La sua azione è battericida quando le sue concentrazioni sono tra
50 e 70%, è però inefficace sulle spore. L’azione antimicrobica è dovuta a: denaturazione delle
proteine; danni alla membrana; disidratazione.
L’alcol etilico viene aggiunto ad alcuni tipi di frutta per conserve di frutta.
USO DELL’OLIO DI OLIVA E OLIO DI SEMI → Esso non svolge direttamente un’azione
batteriostatica o battericidica, ma isola l’alimento dal contatto diretto con l’aria bloccando l’attività dei
microrganismi aerobi. È inefficace contro batteri anaerobi come il C. botulinum, soprattutto negli
alimenti che contengono acqua necessaria alla moltiplicazione batterica. Inoltre se prima di venire
messo sottolio l’alimento non è ben scolato, si può verificare la moltiplicazione batterica. Se l’olio non
copre completamente l’alimento si possono avere patine bianche.
Questo metodo va abbinato ad altri (es. pastorizzazione, sterilizzazione o aggiunta di aceto e sale)
USO DELL’ACETO → Usato per conservare ortaggi e alcuni pesci, grazie al suo contenuto di acido
acetico che deve essere almeno il 6%. L’azione conservativa dell’acido acetico è dovuta
all’abbassamento del pH dell’ambiente, creando condizioni sfavorevoli per lo sviluppo microbico, e
alla tossicità della molecola e dell’anione relativo.
L’alimento può essere messo direttamente dentro l’aceto in cui sarà conservato o prima subire una
macerazione poi messo in nuovo aceto. Si può usare a freddo o a caldo (75-80°C). Gli alimenti possono
subire prima scottatura o salagione. L’alimento può essere addizionato di spezie/aromi/zucchero
Denominazioni specifiche in base all’acidità del liquido di governo:
- «aromatizzato con aceto» acidità < 1,2%
- «all’aceto» o «con aceto» semiconserve con acidità > 1,2%
- «in aceto» conserve con acidità > 2,2%
AFFUMICAMENTO
È un sistema antichissimo di conservazione degli alimenti ancora utilizzato (soprattutto in Nord
Europa). Consiste nell’esporre gli alimenti, di solito carni o pesci, al fumo di legna di alberi, quali
quercia, castagno o faggio, oppure di piante aromatiche, come alloro, ginepro, rosmarino e origano. Il
fumo, per effetto del calore, disidrata il prodotto e crea un ambiente sfavorevole allo sviluppo
microbico grazie a certe sostanze antimicrobiche presenti nel fumo, specialmente l’ aldeide formica (se
a caldo 50 - 80 ° C anche la temperatura aiuta). Il fumo inoltre crea un ambiente riducente, con
diminuzione della quantità di O2 e trasformazione di nitrati in nitriti, più efficaci verso i batteri del
genere Clostridium.
Gli alimenti affumicati acquistano un sapore particolare e gradevole.
Nel fumo sono presenti anche idrocarburi policiclici aromatici, noti cancerogeni, per cui è bene non
consumare eccessive quantità di alimenti affumicati. La presenza di queste sostanze dipende dalla
quantità di O2 (più l’ambiente è aerato, minore è la formazione di idrocarburi), dalla distanza fra la
camera di combustione e affumicamento (maggiore è la distanza, minore è la quantità di idrocarburi
nell’alimento) e dalla temperatura di combustione (più alta è la temperatura, maggiore sarà la
produzione di idrocarburi policiclici aromatici). Per diminuire la presenza di IPA il fumo deve essere a
temperatura inferiore ai 400°C oppure sottoporlo a filtrazioni, condensazioni e distillazioni.
FERMENTAZIONI
Gli agenti responsabili delle fermentazioni sono microrganismi, ossia esseri viventi . Le fermentazioni
più importanti sono:
- alcolica (lieviti saccaromiceti) in cui il glucosio è convertito in etanolo + CO2
- lattica (batteri lattici) in cui il lattosio è convertito in acido lattico + CO2
- propionica (batteri propionici) in cui zucchero è convertito in acido propionico + CO2
- acetica (batteri Acetobacter) in cui l’alcol etilico + O2 è convertito in acido acetico + H2O
ADDITIVI ARTIFICIALI
Reg. CE 1333/2008. Il legislatore comunitario – così come ha fatto recentemente anche per
l’etichettatura dei prodotti alimentari – ha adottato lo strumento del regolamento comunitario per
disciplinare tale materia al fine di rendere queste disposizioni immediatamente applicabili agli Stati
membri. L’intento unificatore è sia a tutela della salute umana che della libera commercializzazione
delle merci e per il miglior funzionamento del mercato comune. E’ rimasto fermo il principio per cui
solo gli additivi inclusi nell’elenco comunitario (ora previsto dall’allegato II del regolamento)
possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni
d’impiego ivi specificate.
L’innovazione più rilevante del Reg. CE 1333/2008: il sistema di categorizzazione degli alimenti.
Ovvero lasuddivisione degli alimenti in macrocategorie (per esempio, prodotti della confetteria)
declinate a loro volta in più specifiche “sottocategorie” individuate da numeri progressivi (per esempio,
prodotti di cacao e di cioccolato, altri prodotti di confetteria compresi i microconfetti per rinfrescare
l’alito, gomme da masticare, decorazioni, ricoperture, ripieni ecc) per ciascuna delle quali nella parte E
dell’allegato al regolamento è possibile rinvenire gli additivi alimentari autorizzati e le relative
condizioni di impiego.
In etichetta sono obbligatoriamente designati con il nome della categoria, seguito dal loro nome
specifico o dal loro numero E. Si suddividono in:
- Coloranti E100-199
- Conservanti E200-299
- Antiossidanti E300-399
- Addensanti, stabilizzanti, emulsionanti E400-499
Tocoferoli (Vitamina E)
Liposolubili, ricavabile da oli vegetali, sensibili alla luce (UV). Hanno azione antiossidante verso gli
a.g. polinsaturi. Sono termoresistenti e vengono aggiunti ad oli di semi, grassi, insaccati freschi.
Altre operazioni unitarie
- DISTILLAZIONE
- CENTRIFUGAZIONE
- FILTRAZIONE
- FLOTTAZIONE
DISTILLAZIONE
Comprende i seguenti passaggi di stato:
- Evaporazione di una o più sostanze a partire da una miscela o da una soluzione
- Condensazione dei vapori ottenuti che tornano allo stato liquido
Al fine di separare i componenti caratterizzati da diversa volatilità.
La distillazione è di fondamentale importanza per separare i componenti più volatili da quelli meno
volatili.
Somministrando calore ad una soluzione:
- si separa del vapore che sarà più ricco del componente più volatile
- il liquido che rimane sarà più ricco del componente meno volatile
- la temperatura di ebollizione della soluzione tende via via ad aumentare.
Distillazione frazionata
Consiste in una serie di condensazioni parziali, ognuna simile al sistema del deflemmatore. L’impianto
prevede una serie di recipienti comunicanti di cui solo il primo è sottoposto a riscaldamento diretto. I
vapori salgono verso i recipienti superiori (sempre più ricchi del componente più volatile e con
temperature di ebollizione sempre minori) i liquidi ricadono verso quelli inferiori (sempre più ricchi del
meno volatile). In testa e in coda si può arrivare a separare completamente i due componenti.
La RETTIFICA è la distillazione frazionata fatta su una colonna a piatti.
E’ un processo usato per separare miscele di sostanze liquide che hanno temperature di ebollizione
molto vicine. Con questo metodo si distillano le acqueviti, i liquori, gli oli di semi con il recupero del
solvente di estrazione.
CENTRIFUGAZIONE
La centrifugazione separa miscele liquido-liquido, liquido-solido, solido-solido sfruttando la diversa
densità delle sostanze e la forza centrifuga.
Le centrifughe industriali funzionano in maniera continua e la miscela è continuamente alimentata
dentro il rotore mentre almeno una delle due fasi viene continuamente allontanata.
Per valutare il potere separatore di una centrifuga vanno considerati un numero di giri e il raggio della
centrifuga.
FLOTTAZIONE
Permette la separazione di componenti di un miscuglio solido o colloidale per diversa bagnabilità.
Questi vengono messi in acqua in cui è insufflata aria e finiscono per separarsi per adesione sulle bolle
che li porta a risalire in superficie, mentre il restante materiale idrofilo si deposita sul fondo. Può essere
aggiunto un coadiuvante di flottazione (solitamente minerale in polvere) che aumenta la tensione
superficiale del liquido stabilizzando le bolle d’aria che diventano schiuma.
FILTRAZIONE
La filtrazione separa un solido da un liquido mediante filtro permeabile al liquido ma non al solido. E’
usata per rendere limpidi mosto, vino, olio, per la sfecciatura, brillantatura e sterilizzazione dei vini. Il
prodotto è il filtrato e il residuo è scarto. La separazione avviene per compressione sul materiale da
filtrare o per depressione nell’ambiente di raccolta del liquido filtrato o entrambi.
La portata del filtro o velocità di flusso dipende:
- dalla differenza di pressione (la velocità di flusso aumenta all’aumentare della differenza di pressione)
- dalla resistenza opposta dal filtro al passaggio del liquido (tanto maggiore è la resistenza, tanto
minore è la velocità di flusso). La resistenza del filtro varia durante il processo in funzione della «torta»
o «panello» che si viene a formare.
I coadiuvanti di filtrazione sono materiali solidi porosi in polvere che impediscono o limitano
l’intasamento. I coadiuvanti di filtrazione formano un letto filtrante che ha lo scopo di trattenere le
particelle solide senza che arrivino al filtro. La loro azione di esplica in due modi:
- Azione setacciante: i pori del letto filtrante hanno dimensioni minori delle particelle da filtrare, quindi
sono trattenute meccanicamente, Si forma letto rigido e incomprimibile ricco di canalicoli in cui può
scorrere il liquido (come materiali si usano la filtrina o farina fossile e perlite, entrambe a base di silice)
- Azione adsorbente: particelle con dimensioni inferiori al diametro dei pori trattenute all’interno da
forze elettrostatiche (cellulosa).
E’ importante l’utilizzo dei coadiuvanti di filtrazione quando i solidi da separare sono costituiti da
sostanze mucillaginose e colloidali come capita spesso. La filtrazione deve partire a pressione ridotta
per non compattare le sostanze mucillaginose e va calibrata durante tutto il processo in modo che ci sia
una buona distribuzione su tutta la torta del coadiuvante e del materiale difficile.
Filtri pressa
Sono filtri discontinui che sopportano alte pressioni. Adatti quando il liquido contiene poche parti
solide. Sono costituiti da una serie di elementi così composti:
- una piastra
- un elemento filtrante (piastra, foglio, tela)
- un telaio vuoto
- un altro elemento filtrante
La batteria è posta fra due testate una fissa e una mobile che si avvicina e assicura la tenuta idraulica.
La torbida entra, va a riempire gli spazi vuoti; il liquido attraversa il filtro e il solido rimane
intrappolato negli spazi vuoti dove forma un pannello che deve essere periodicamente rimosso.
Lavaggio con acqua controcorrente.
Filtri a campana
Sono una variante dei filtripressa; costituiti da piastre circolari scanalate e telai di supporto del
prepannello fissati su un asse centrale cavo internamente e comunicante con i canali di drenaggio delle
piastre: il tutto è dentro una campana ermetica. Si prepara un prepannello di filtrina sopra i telai
facendo fluire H2O e filtrina. Si fa fluire la torbida; il materiale sospeso si deposita sul prepannello di
filtrina mentre il liquido filtrato fluisce al centro tramite i canali di drenaggio delle piastre.
Rispetto a filtripressa le piastre sono distanziate l’una dall’altra e permetto pulizia più agevole con
acqua in flusso inverso.
Filtri sterilizzanti
Sono utilizzabili solo se il liquido biologico ha già subito una prefiltrazione per allontanare particelle
solide grossolane e mucillagini (es. vino illimpidito prima dell’imbottigliamento). La sterilizzazione si
ottiene con FILTRI A MEMBRANA o A CARTUCCIA (che devono essere sterilizzati con vapore fra
un ciclo e l’altro):
- FILTRI A MEMBRANA sono dei filtripressa molto compatti che utilizzano dischi di materiale
ceramico oppure polimerico o misto in grado di bloccare particelle microscopiche
- FILTRI A CARTUCCIA, in cui le cartucce sono dello stesso materiale delle membrane e sono
montate dentro una campana. Il liquido entra lateralmente e attraversa radialmente la cartuccia che
presenta pori decrescenti dalla periferia al centro, in questo modo vengono fermate subito particelle più
grosse poi le più piccole. Elevata superficie di filtrazione.
Filtri a spirale
Vengono usate membrane polimeriche a flusso tangenziale disponibili con varie porosità (osmosi
inversa, nanofiltrazione, ultrafiltrazione, microfiltrazione).
La configurazione a spirale avvolta è scelta per la sua efficienza ed economia.
La membrana a spirale avvolta è composta da fogli di membrana e da particolari reti di spaziatura, il
tutto arrotolato su di un tubo plastico forato (tubo permeato). La membrana è mantenuta rigida da una
ricopertura esterna in vetroresina oppure da una rete rigida e sulle testate è trattenuta da particolari
dispositivi (ATD) che servono ad impedire la telescopizzazione durante il funzionamento.
Il liquido da trattare viene alimentato in pressione da un lato dell’elemento.
Per effetto della componente radiale della pressione, parte del liquido permea attraverso la membrana.
Per effetto della componente tangenziale della pressione il liquido non permeato viene spinto verso
l’uscita della membrana raccogliendo le particelle troppo grosse per essere filtrate e ripulendo di
conseguenza la membrana stessa.
Vantaggi:
- L’autopulizia: i solidi e i soluti sono eliminati con il concentrato (si instaura un regime turbolento che
produce un’asportazione continua)
- Non si apporta calore: si evitano degradazioni di prodotto e si riducono i costi di esercizio.
- Filtrazioni submicroniche: si possono operare filtrazioni a livello macromolecolare, molecolare e
ionico permettendo quindi di effettuare concentrazioni, purificazioni e frazionamenti.
LATTE ALIMENTARE
Per latte alimentare si intende il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa
di animali in buono stato di salute e di nutrizione.
Il latte rappresenta una delle principali fonti alimentari proteiche per l’umanità. Nei paesi sviluppati
dell’occidente, il latte ed i suoi derivati forniscono alla popolazione quasi un terzo del fabbisogno
giornaliero di proteine.
Il latte che non ha subito nessun trattamento è detto “crudo”. Dal latte crudo si possono ottenere
mediante trattamenti termici, più o meno drastici, diversi tipi di prodotto (latte pastorizzato,
sterilizzato, ecc.)
Legge n. 169 del 1989 → “Disciplina del trattamento e della commercializzazione di latte alimentare
vaccino”
DPR 54 del 1997 → recepimento delle Direttive 92/46 e 92/47/CEE → Regolamenta la produzione di
latte e prodotti lattiero-caseari
Regolamento CE del 2004 Allegato III sez. IX (pacchetto igiene)→ “Norme specifiche in materia di
igiene per gli alimenti di origine animale”; in questa sezione vengono definiti i requisiti specifici per la
produzione di latte crudo e prodotti lattiero caseari.
Regolamento 2073 del 2005 → Definisce i criteri di sicurezza alimentare e di processo nella
produzione di latte e prodotti lattiero caseari.
Il latte crudo, per essere ammesso all’alimentazione umana non condizionata deve provenire:
“da allevamenti ufficialmente indenni da tubercolosi e brucellosi e da animali che non presentino
sintomi di malattie infettive trasmissibili all’uomo attraverso il latte, che denotino uno stato sanitario
generale buono e non evidenzino sintomi di malattie che possano comportare una contaminazione del
latte …” (Reg CE 853/2004)
“..Ai quali non siano stati somministrati sostanze o prodotti non autorizzati, o per i quali, in caso di
somministrazione di prodotti o sostanze autorizzati, siano stati rispettati i tempi di sospensione
prescritti per tali prodotti o sostanze.” (Reg.CE 853/2004)
COMPOSIZIONE LIPIDICA: Nel latte vaccino intero i lipidi ammontano al 3,5%. E’ la miscela
lipidica più complessa presente in natura (centinaia di acidi grassi diversi provenienti sia dal sangue
che dalla ghiandola mammaria).
I globuli di grasso non sono semplici gocce, ma sistemi biologici complessi con all’interno i
triacilgliceroli e all’esterno una pellicola lipoproteica. Quest’ultima è formata, oltre che dal doppio
strato fosfolipidico, anche da uno strato interno molto aderente di triacilgliceroli con funzione
cementante fra il grasso interno e la membrana stessa.
COMPOSIZIONE PROTEICA: caseina ≈ 80%, non coagula al calore, ma per leggera acidificazione o
per azione di enzimi proteolitici (rennina, pepsina). Si ritrova nel latte sotto forma di micelle, complessi
macromolecolari di circa 100 nm di diametro, che inglobano sali minerali. Le micelle disperdono la
luce e conferiscono colore bianco al latte.
Proteine del siero ≈ 20%:
β-lattoglobulina → buone proprietà gelificanti ed emulsionanti
α- lattoalbumina → potere batteriostatico e anticancerogeno, indispensabile per la sintesi del lattosio
altre proteine → Sieroalbumina (importante per test immunochimici, consente di svelare eventuali
frodi); Lattoferrina (azione batteriostatica); Immunoglobuline (conferiscono proprietà immunologiche
al latte); Enzimi.
La temperatura di raccolta del latte è inferiore o uguale agli 8°C per la raccolta giornaliera, mentre
è inferiore o uguale ai 6°C per la raccolta non giornaliera.
La temperatura di raccolta del latte destinato alla produzione di latte di alta qualità, che è solo
giornaliera, è inferiore o uguale ai 6°C fino al momento della consegna.
I pretrattamenti sono dei processi che vengono effettuati negli stabilimenti di lavorazione del latte
generalmente prima del trattamento termico vero e proprio o, in alcuni casi, durante i processi
successivi allo scopo di: eliminare eventuali impurità macroscopiche; ridurre il tenore in germi;
standardizzare il tenore in grassi e omogeneizzare il prodotto.
La BACTOFUGAZIONE è un processo fisico che sfrutta l’azione combinata del calore e di una
centrifugazione ad alta velocità, come mezzo di risanamento del latte. Questo processo consente di
separare dal latte parte dei microrganismi e delle spore, significativamente più pesanti. L’effetto
bactofugo a 75°C elimina circa il 99% dei microrganismi e delle spore.
Il latte prodotto dagli animali da allevamento può essere destinato al consumo diretto o alle industrie di
trasformazione.
LATTE PER CONSUMO DIRETTO:
- LATTE NATURALE (latte crudo o latte che ha subito solo trattamenti necessari a garantirne la
salubrità e la conservabilità per un tempo più o meno lungo: latte intero pastorizzato, UHT, sterilizzato)
- LATTE MODIFICATO O SPECIALE (latte sottoposto a processi tali da conferire nuove
caratteristiche fisico-chimiche, nutrizionali, organolettiche: latte scremato, concentrato, in polvere,
aromatizzato, latti dietetici, latti con fermenti vivi aggiunti, latti fermentati)
“Il latte alimentare destinato al consumo umano diretto deve aver subito, in un’impresa che tratta il
latte, almeno un trattamento termico ammesso o un trattamento di effetto equivalente autorizzato …”
Legge n.169/89
Il trattamento termico ha lo scopo di ridurre e/o eliminare gli agenti patogeni e quelli responsabili di
eventuali alterazioni al latte, garantirne la sicurezza e migliorarne la conservabilità.
I trattamenti termici ammessi per il latte alimentare destinato al consumo umano diretto sono la
pastorizzazione e la sterilizzazione. (Legge n. 169 del 1989)
I pastorizzatori sono dei macchinari in cui gli scambi di calore avvengono attraverso una sottile
parete metallica che separa due fluidi circolanti in senso opposto (uno il latte e l’altro solitamente è
l’acqua). In uno stesso blocco il latte freddo è preriscaldato dal latte che esce dal settore riscaldamento
(garantendo un recupero dell’80% del calore). Il latte è poi portato alla temperatura di pastorizzazione
con acqua calda ed in seguito parzialmente raffreddato dal latte crudo che entra nell’impianto.
Possiamo distinguere tra scambiatori tubulari e scambiatori a piastre.
Scambiatori tubulari → Il latte circola attraverso un fascio orizzontale di lunghi tubi in uno spazio
anulare di qualche millimetro di spessore. Possiamo avere scambiatori multitubulari o monotubolari.
Sono apparecchiature abbastanza ingombranti; lo smontaggio per la pulizia è meno agevole rispetto
agli scambiatori a piastre, ma sono meno costosi degli scambiatori a piastre.
Scambiatori a piastre → I fluidi passano in celle sottili limitate da piastre di metallo, con un giunto di
gomma, serrate le une contro le altre. Da una parte e dall’altra di una piastra circolano, contro corrente,
il latte e il fluido di riscaldamento (acqua, vapore). Le piastre presentano rilievi e scanalature per
assicurare una distribuzione regolare del latte su tutta la superficie. Lo spazio tra due piastre vicine è di
2-4 mm. Gli scambiatori a piastre sono strumenti compatti poco ingombranti e hanno una grande
flessibilità di funzionamento (possiamo aumentare o diminuire il numero di piastre smontandole o
rimontandole a seconda delle esigenze). Lo smontaggio è rapido, il controllo e la pulizia sono agevoli.
Latti modificati → sono latti che attraverso procedimenti più ho meno complicati hanno subito
aggiunte di ingredienti particolari o sottrazione di qualche componente.
LATTE CRUDO
Non può essere sottoposto a temperatura superiore ai 40°C. Il latte crudo, prima della vendita, può solo
essere refrigerato ad una temperatura inferiore ai 4°C.
Reg.CE 853/2004 , autorizza la commercializzazione di latte crudo per il consumo umano diretto
Conferenza Stato-Regioni del 25 Gennaio 2007, regolamenta il commercio di latte crudo destinato al
consumo diretto e definisce i criteri microbiologici e quelli igienici per la produzione.
Vantaggi:
- Notevolmente ricco di enzimi, vitamine e altre componenti nutritivi
- Caratteristiche organolettiche eccellenti
- E’ considerato un alimento “genuino”
Svantaggi:
- Flora microbica non distrutta dal trattamento termico
- Possibile sopravvivenza di specie patogene
- Se non consumato previa bollitura è inadatto per soggetti sensibili (anziani, bambini, donne in
gravidanza etc.)
La vendita di latte crudo può avvenire direttamente in azienda dal produttore al consumatore finale
(cessione diretta di piccoli quantitativi al consumatore finale) oppure attraverso “macchine
erogatrici/distributori automatici”. Le erogatrici di latte crudo sono dei distributori automatici, nei quali
il latte deve essere mantenuto a temperatura di refrigerazione. Collocate all’interno o in prossimità
dell’azienda agricola di produzione, consentono all’acquirente di approvvigionarsi direttamente del
prodotto.
Le aziende che effettuano questo tipo di commercializzazione, oltre a rispettare tutte le disposizioni
previste dall’allegato I del regolamento CE 852/2004, devono predisporre un piano di autocontrollo
aziendale e rispettare i criteri igienici di processo riconducibili alla sanità degli animali e
all’igiene della mungitura e conservazione del latte.
LATTE RISANATO
E’ il latte che ha subito almeno un trattamento termico seguito da immediato raffreddamento. Il
latte è un alimento facilmente alterabile e rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di
microorganismi.
Il latte deve provenire da animali sani, e il risanamento deve essere preceduto da accorgimenti
precauzionali durante la fasi di mungitura, raccolta, stoccaggio e trasporto (DRP 54/97). Le leggi
vigenti prevedono anche norme sulla rintracciabilità del prodotto (DM 24/07/03).
Il trattamento termico non elimina corpi batterici e le eventuali tossine termostabili (stoccaggio del latte
crudo). Sono vietati metodi chimici e le radiazioni. Il confezionamento asettico garantisce l’assenza di
contaminazione a “valle” delle operazioni di risanamento.
Si suddivide in:
-Latte pastorizzato
-Latte UHT
-Latte sterilizzato.
LATTE PASTORIZZATO → subisce un trattamento ad elevata temperatura (almeno 71,7 °C) per un
breve periodo di tempo (15 s), seguito da rapido raffreddamento (6 °C). Deve dare reazione negativa
alla prova della fosfatasi alcalina, e positiva a quella della perossidasi.
Il latte in arrivo è sottoposto al controllo del pH (6.4-6.8) ed esami di laboratorio. Poi si esegue
pesatura e pulitura tramite centrifugazione: 5000-6000 giri/min.
Il trattamento di bonifica consiste in:
Preriscaldamento: 40-45 °C in scambiatore, sfruttando il calore del latte già pastorizzato in uscita;
Omogenizzazione: si frantumano i globuli di grasso per evitare l’affioramento; sono impiegate
pressioni di 150-200 bar; in questo modo il latte diventa più gradevole e digeribile
Degasazione: portando il latte a 45 °C sotto vuoto parziale, si allontanano le bolle d’aria e prodotti
volatili di odore sgradevole;
Pastorizzazione: HTST (75-80 °C, 15-20 s); il latte fluisce in uno strato sottile tra piastre ravvicinate;
Raffreddamento: 15 °C fino a 2-3 °C.
Confezionamento, stoccaggio (in celle frigorifere) e distribuzione.
LATTE UHT → DPR 54/97 prevede un riscaldamento continuo ad almeno 135 °C per non meno di un
secondo (inattivazione microorganismi e spore) e confezionato in recipienti opachi e asettici in modo
da ridurre al minimo qualsiasi variazione.
- UHT diretto o uperizzazione (ultra-pastorizzazione): iniezione di vapore a 13 bar, il latte arriva dagli
80 °C del preriscaldamento a 140-150 °C in 4 s.
- UHT indiretto: scambiatore di calore a piastre ravvicinate in cui circola vapore a 142 °C.
Conservazione: 3 mesi a temperatura ambiente; una volta aperta la confezione va conservato in
frigorifero e consumato entro pochi giorni.
Vantaggi:
- Assenza di microrganismi vitali in forma vegetativa;
- Caratteristiche organolettiche e nutritive meno modificate dei normali trattamenti di sterilizzazione;
- Possibilità di conservare il prodotto a temperatura ambiente.
Svantaggi:
- Possibile sopravvivenza di spore o virus;
- Appiattimento del gusto;
- Perdite in vitamine idrosolubili;
- Fenomeni di gelificazione o irrancidimento ad opera di proteasi e lipasi.
LATTE SPECIALE
Latte scremato e parzialmente scremato → presentano totale o parziale rimozione della componente
lipidica. Sono sottoposti a centrifugazione a 6500-7000 giri/min. Hanno minore apporto calorico.
Ridotto l’apporto di grassi saturi responsabili dei fenomeni aterosclerotici.
Latte arricchito → è un latte UHT parzialmente scremato dal basso apporto calorico, addizionato di
acidi grassi insaturi ω-3, vitamine e oligoelementi.
Latte prebiotico → vengono addizionate al latte fresco pastorizzato sostanze indigeribili e
fermentabili, con effetti benefici sulla flora intestinale; es. fattore bifido (oligosaccaride)
Latte probiotico → vengono addizionati al latte microorganismi (lattobacilli, bifidobatteri,
streptococchi) che svolgono azione benefica e protettiva
Latte delattosato, ad alta digeribilità → per I soggetti intolleranti al latosio. Intolleranza al lattosio:
assenza dell’enzima b-galattosidasi o lattasi. Lattosio non idrolizzato si accumula nel lume intestinale,
richiamando acqua per aumento della pressione osmotica; viene inoltre fermentato dai batteri della
flora intestinale con produzione di acidi organici e CO2.
Processo biotecnologico che utilizza una b-galattosidasi immobilizzata su un supporto solido, oppure
viene aggiunto al latte l’enzima purissimo estratto da microorganismi geneticamente modificati.
L’enzima si limita a scindere la molecola di lattosio in glucosio e galattosio. E’ leggermente più dolce
del latte normale. Viene confezionato come il latte U.H.T
Latte aromatizzato → Latte addizionato con aromi naturali o altri aromi. Vengono sottoposti a
trattamento U.H.T. Nel processo produttivo è spesso utilizzato l’amido come stabilizzante.
Latte fortificato → aggiunta di Ca, vitamine, Fe e altri sali minerali.
Latte omega-3 → Prevedono l’aggiunta di acidi grassi Omega 3 al latte (non esistono naturalmente nel
latte).
DLgs 49/2004 → Latte concentrato o parzialmente disidratato: prodotto a partire dal latte intero,
parzialmente o totalmente scremato o da una miscela dei due con eventuale aggiunta di crema di latte e/
o latte totalmente disidratato (˂ del 25 % dell’estratto secco totale). Il latte deve aver subito un
trattamento termico di sterilizzazione o UHT.
Latte in polvere o totalmente disidratato: prodotto solido ottenuto direttamente per eliminazione di
acqua dal latte intero, parzialmente o totalmente scremato, dalla crema di latte o da una miscela di
questi; tenore di acqua ≤ 5% del peso del prodotto finito.
Il latte deve aver subito un trattamento termico di pastorizzazione.
L’ESSICCAZIONE può avvenire:
- su cilindri rotanti (processo Hatmaker o Roller): il latte è fatto passare tra 2 cilindri rotanti in senso
inverso, riscaldati internamente da vapor d’acqua surriscaldato; il latte essicca sulle superifici dei
cilindri, formando una pellicola che viene poi asportata tramite raschiatori.
- spray drying: nebulizzazione del latte in presenza di una corrente d’aria surriscaldata.
Il cartone utilizzato per U.H.T. permette una protezione quasi completa dalla luce, dall’aria e
dall’umidità al fine di prevenire i fenomeni ossidativi durante la conservazione prolungata. Le
confezioni in Tetra Pak sono costituite da una struttura multistrato di cartone, plastica (polietilene) e
alluminio, dove il cartone rappresenta più del 75% del totale. Il cartone conferisce rigidità, il polietilene
l’impermeabilità, mentre l’alluminio rappresenta una barriera per l’ossigeno e per la luce.
Confezionamento in bottiglia del latte pastorizzato
ETICHETTATURA DEL LATTE ALIMENTARE (Linee guida recanti istruzioni operative per
l’indicazione dell’origine del latte in etichetta D.M. 990 del 28 marzo 2017)
Premessa
Il decreto ministeriale 9 dicembre 2016, recante “Indicazione dell’origine in etichetta del latte e del
latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero caseari”, è stato emanato in attuazione del
Regolamento (UE) n. 1169/ 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori,
il cui obiettivo dichiarato è quello di assicurare “un livello elevato di protezione della salute e degli
interessi dei consumatori” e di fornire loro “le basi per effettuare scelte consapevoli e per utilizzare gli
alimenti in modo sicuro”.
L’articolo 4 del D.M. 9 dicembre 2016, rubricato “Disposizioni per favorire una migliore informazione
dei consumatori”, assegna al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali la competenza per
definire apposite campagne di promozione dei sistemi di etichettatura previsti dal decreto medesimo.
Le presenti linee guida sono emanate ai sensi del D.M. 990 del 28 marzo 2017, come modificato dal
DM 1076 del 31 marzo 2017, finalizzato a favorire l’accesso del consumatore alle informazioni sui
prodotti lattiero-caseari in modo da renderle disponibili e facilmente utilizzabili.
Obiettivo è offrire sia agli operatori del settore alimentare (OSA) che agli organismi di controllo le
necessarie indicazioni sulla corretta applicazione della richiamata normativa al fine di assicurare una
corretta informazione ai consumatori.
Si ricorda che, oltre al Paese di origine, è obbligatorio riportare in etichetta le seguenti indicazioni di
cui all’articolo 9 del regolamento (UE) 1169/2011:
- la denominazione dell’alimento;
- l’elenco degli ingredienti;
- qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’Allegato II al citato Regolamento (UE)
1169/2011 o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o
intolleranze usato nella preparazione del prodotto finito, anche se in forma alterata;
- la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
- la quantità netta dell’alimento;
- il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
- le condizioni particolari di conservazione;
- il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile delle
informazioni sugli alimenti;
- una dichiarazione nutrizionale.
Leggibilità
La leggibilità inerente le indicazioni obbligatorie sull’origine è assicurata dai seguenti elementi:
1) font “chiari e leggibili”: I font utilizzati devono essere similari per leggibilità ai font delle
indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9, paragrafo 1 del Regolamento (UE) 1169/2011, sia che esse
appaiono sull’imballaggio o sull’etichetta apposta sull’imballaggio.
2) La dimensione dei font - commisurata alla parte mediana (altezza della x della parola Appendix),
definita nell’allegato IV del Regolamento (UE) 1169/2011 (vedasi allegato 1 alle presenti linee guida),
è pari o superiore a 1,2 mm. La parte mediana dei caratteri non deve essere inferiore a 1,2 mm.
3) Nel caso di imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 80 cm2, l’altezza
della x di cui al precedente paragrafo è pari o superiore a 0,9 mm.
4) Le informazioni rese devono essere stampate in modo che siano indelebili.
Visibilità
Le indicazioni non devono essere in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre
indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire.
Requisiti linguistici
Le informazioni devono apparire in una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori (art.
15 del Regolamento (UE) 1169/2011).
La lingua ufficiale: Italiano.
Nella provincia autonoma di Bolzano è facoltativo utilizzare la lingua tedesca.
Nella provincia di Aosta è facoltativo utilizzare la lingua francese.
Le diciture
1. Articolo 2 del DM 9 dicembre 2016 - Indicazione in etichetta dell’origine del latte e del latte usato
come ingrediente nei prodotti lattiero caseari
L'indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui
all'allegato 1, prevede l'utilizzo in etichetta delle seguenti diciture:
a) «Paese di mungitura»: nome del Paese nel quale è stato munto il latte;
b) «Paese di condizionamento”: nome del Paese nel quale è stato condizionato il latte,
“Paese di trasformazione»: nome del paese nel quale il latte è stato trasformato in prodotti lattiero-
caseari di cui all’allegato 1.
- Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, sia
stato munto, condizionato o trasformato sul territorio del medesimo Paese l'indicazione di origine può
essere assolta con il solo utilizzo della seguente dicitura: «origine del latte»: nome Paese.
- Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, sia
stato munto, condizionato o trasformato sul territorio italiano l'indicazione di origine può essere assolta
con il solo utilizzo della seguente dicitura: «origine del latte»: Italia
- Oppure qualora il latte provenga esclusivamente da una regione italiana, l’indicazione d’origine può
essere integrata con il nome della regione o provincia autonoma seguito dal nome “Italia”:
«origine del latte»: nome della regione o provincia autonoma, Italia.
Le indicazioni volontarie per indicare l’origine del latte o del latte usato come ingrediente di un
prodotto lattiero caseario che è stato munto, condizionato e/o trasformato nel medesimo Paese, possono
avere un carattere differente e possono essere apposte in un campo visivo differente dalle
indicazioni obbligatorie.
Nel caso in cui le indicazioni volontarie relative a latte o ad un prodotto lattiero caseario di cui
all’allegato 1 munto, condizionato o trasformato in paesi differenti tutte le indicazioni volontarie
devono essere apposte nel medesimo campo visivo delle indicazioni obbligatorie previste dal DM 9
dicembre 2016.
Latte di vacca
Peso specifico a 10 °C: ≥ 1,028;
Proteine : ≥ 2.8 %;
Residuo secco magro: ≥ 8.5 %;
Indice crioscopico: ≤ -0,52 °C
Coliformi: assenti
Carica batterica totale entro i limiti previsti di legge:
Pastorizzato ≤ 30 000/ml; UHT e sterilizzato ≤ 10/ 0.1 ml.
Indicatori di trattamento termico → sono dei parametri utilizzati dalla Legislazione Italiana per
valutare l’intensità del trattamento termico subito dal latte.
FOSFATASI ALCALINA → E’ una metallo proteina contenente zinco e magnesio e nel latte si trova
prevalentemente legata al grasso. Essa possiede una resistenza al calore di poco superiore a quella dei
microrganismi patogeni; infatti viene completamente inattivata a temperatura di 62 °C per 30 secondi.
E’ inattiva nel latte che ha subito almeno un processo di pastorizzazione.
FUROSINA → Non è presente nel latte all’origine. Si tratta di un composto che si forma dalla reazione
di Maillard che si innesca a temperature superiori agli 80 °C. Contenuto massimo di furosina nel latte
crudo e latte pastorizzato fosfatasi negativo e perossidasi positivo deve essere di 8,6 mg ogni 100g di
proteine.
Nel crudo e nel latte pastorizzato la presenza di furosina indica spesso l’aggiunta fraudolenta di latte
in polvere. La ricerca nel latte e nei prodotti lattiero caseari prevede l’utilizzo di apparecchiature per
analisi cromatografiche (HPLC in coppia ionica e fase inversa).
“E' possibile che i contenitori del latte riportino dei numeri sul fondo del pacchetto ..impiegati per
favorire o garantire la rintracciabilità del prodotto o dei contenitori utilizzati.
- nel caso del latte fresco pastorizzato il numero stampato sul fondo si riferisce al dosatore della
macchina di confezionamento (ogni macchina ha 4 dosatori, quindi è normale trovarne uno di
questi).. Per quanto riguarda il numero delle pastorizzazioni la normativa in vigore è molto chiara: si
può commercializzare solo latte fresco pastorizzato che abbia subito un unico trattamento termico, a
partire dal latte crudo.
- nel caso del latte UHT (a lunga conservazione), il numero, se è presente viene impresso dalla cartiera
della Tetra Pak (azienda che fornisce i contenitori). Anche in questo caso è utile per garantire la
rintracciabilità dei contenitori. Infatti il numero (da 1 a 5) si riferisce al taglio della bobina originaria
(ogni bobina viene tagliata in 5 strisce).”
Che fine fa il latte scaduto ? Può essere ritirato prima della scadenza e destinato al consumo immediato
(bar e alberghi) o riutilizzato nella produzione di derivati (per esempio latte in polvere), ma non certo
latte fresco né, verosimilmente, UHT.
LATTE FERMENTATO
Art 46 RD del 1929 → I latti fermentati sono preparazioni di latte speciali ottenuti per inoculo nel latte
pastorizzato o sterilizzato di ceppi microbici che provocano modifiche dei caratteri organolettici e
cambiamenti nella composizione chimica del latte di partenza, che devono rimanere vivi e vitali fino al
momento del consumo.
Latti acidi: yogurt, leben (paesi musulmani), gioddu (sardo)
Latti acido-alcolici: kefir, koumis (regioni asiatiche)
Yogurt: è un latte acido fermentato, ottenuto inoculando nel latte pastorizzato o sterilizzato una coltura
mista di due fermenti termofili, in relazione protosimbiotica: Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus
thermophilus.
Fermentazione lattica: → trasforma il glucosio in acido lattico.
Nella produzione dello yogurt si distinguono due fasi:
- una a caldo, di trasformazione del latte in yogurt;
- una a freddo per la stabilizzazione delle caratteristiche chimico-fisiche .
Preparazione del latte: il latte intero o scremato è filtrato, standardizzato in lipidi, concentrato fino a
contenere un residuo secco minimo del 13,5 %.; poi viene omogeneizzato e trattato termicamente (95
°C per 5 min; 80-85°C per 20-30 min).
Inoculazione: in fermentatori a 45 °C, fino a raggiungere un pH compreso tra 3.5 e 4.5. Poi si blocca il
processo di fermentazione con il freddo per avere un prodotto a pH 4.5
Conservazione a 4 °C fino al consumo, validità: 30 giorni - x impedire ulteriori processi fermentativi
e abbassamento di pH.
Yogurt compatto (a coagulo intero): la fermentazione avviene dopo il confezionamento nelle “camere
di incubazione”; 3 h a caldo poi rapido raffreddamento (15-20 °C).
Yogurt cremoso (a coagulo rotto): la fermentazione avviene in serbatoi e dopo il raffreddamento viene
confezionato.
Yogurt da bere: si aggiungono aromi o frutti dopo l’incubazione; si miscela, si omogeneizza; si
raffredda e si confeziona;
Yogurt alla frutta: la frutta viene aggiunta come marmellata o a pezzi previa scottatura.
BURRO
Il burro rappresenta uno dei primi prodotti lattiero-caseari fabbricati dall’uomo. E’ il grasso alimentare
più gradito per sapore e aroma delicati.
Secondo L 1526/56 e L 202/83 “il nome di burro è riservato al prodotto ottenuto dalla crema ricavata
dal latte o dal siero di latte di vacca”.
Quando si parte da latte di specie diversa, occorre precisarne l’origine (bufala, capra, pecora).
La denominazione di “BURRO DI QUALITA’” è riservata unicamente al prodotto ottenuto dalla crema
di latte, rispondente ai requisiti organolettici, analitici e igienico-sanitari previsti dalla legge.
Il burro si può considerare un concentrato della frazione lipidica del latte.
Tale concentrazione avviene in due fasi:
- Estrazione della crema dal latte
- Trasformazione della crema in burro (BURRIFICAZIONE)
La crema di latte, ossia “il prodotto ottenuto dal latte, sotto forma di un’emulsione di grassi in acqua
con un tenore minimo, in peso, di grassi lattieri del 10%” (Reg. CE 2991/94), è la materia prima da cui
si ottiene il burro. E’ un liquido di aspetto più o meno consistente, di colore giallino. Può essere
destinata al consumo diretto, alla fabbricazione del mascarpone, dei gelati, per l’arricchimento in lipidi
di formaggi e latticini.
La crema si può ottenere industrialmente seguendo dei processi differenti:
1) Centrifugazione del latte → a 6500-7000 giri/min, a 32-55 °C in apposite scrematrici, con una resa
del 35-40% per ottenere la crema di centrifuga o “dolce” (poichè il processo è rapido e non si insatur
alcun fenomeno fermentativo acidificante spontaneo);
2) Raccolta in superficie nel latte lasciato a riposo per 15-20 ore a 15°C, con una resa del 25% → in
questo modo si ottiene la crema di affioramento o “acida” (il lungo stazionamento del prodotto
favorisce lo sviluppo batterico e la produzione di acido lattico);
3) Crema rigenerata → recuperata a partire dal burro fuso rimiscelato.
4) Centrifugazione del siero di formaggi prodotti con caglio dolce o forte → Crema da siero dolce
o forte.
La crema, prima di essere utilizzata deve subire, al pari del latte, un trattamento termico e prima di
essere immessa sul mercato deve essere sottoposta ad analisi organolettiche, chimiche e
microbiologiche.
Burri speciali
- Burro anidro: da creme con oltre il 99% di grassi, si conserva più a lungo e occupa meno volume del
burro. Non si può vendere al dettaglio: a tal fine viene aggiunta vaniglia e un colorante facilmente
riconoscibile. È destinato alla produzione dolciaria.
- Butter-oil: ha meno dell'1% di acqua, ha un basso punto di fusione ed è utilizzato per produrre gelati.
- Burro concentrato: detto anche burro chiarificato, ha un tenore di lipidi maggiore del 99.8% e una
acidità massima dello 0.35%. Questo tipo di burro può essere venduto anche al dettaglio. Grazie al suo
punto di fumo* molto elevato, può essere utilizzato per friggere. *Il punto di fumo è la temperatura a
cui un grasso alimentare riscaldato comincia a decomporsi (idrolizzarsi) alterando la propria struttura
molecolare e formando acroleina, una sostanza tossica e cancerogena.
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRITIVO:
- Il burro si presenta, a 23°C, come una massa plastica, di consistenza solida, colore giallino, odore e
sapore gradevoli.
- Fonde tra 28 e 33°C.
COMPOSIZIONE CHIMICA BURRO DI ZANGOLA:
- ACQUA 15-18%
- GRASSO 80-84%
- SOLIDI NON GRASSI 1-2%
- PROTEINE 0,4-0,8%
- LATTOSIO 0,5-1%
- SALI 0,1-0,2%
ASPETTO LEGISLATIVO: “Dal punto di vista compositivo il burro deve contenere almeno l’82% di
materia grassa, non più del 16% di acqua e un massimo del 2% di altri costituenti, definiti
genericamente residuo secco magro e comprendenti lattosio, proteine e sali minerali”
COLORE: dal bianco al giallo, e dipende principalmente dall’alimentazione delle vacche. Più caroteni
queste ultime assumono con l’alimentazione, più il burro risulterà colorato.
Il burro prodotto d’inverno avrà un colore diverso da quello prodotto in estate. Può anche essere
colorato artificialmente con caroteni.
GUSTO: la maturazione biologica, che consiste nel riscaldare la panna a 10°C, al fine di permettere
l’acidificazione dovuta allo sviluppo dei fermenti lattici, avrà un’influenza particolare sul sapore;
produzione di “diacetile”, naturale suo aroma caratteristico.
CONSISTENZA : il burro contiene sempre l’82% di materia grassa e il 16% di acqua ma alcuni sono
più secchi o più grassi. Ciò viene da alcuni parametri:
- Lo stadio di lattazione, che corrisponde all’evoluzione dei bisogni del vitello.
- La stagione: d’estate, le vacche sono nutrite con foraggio verde e il latte contiene una maggiore
proporzione di acidi grassi insaturi (liquidi anche a temperature abbastanza basse ≈10°C), in questo
caso il burro ottenuto avrà un punto di fusione basso.
Il burro in inverno contiene invece più acidi grassi saturi, che rimangono cristallizzati fino ad una
temperatura di 45°C, ciò vuol dire burro più duro.
GRASSI LATTIERI: prodotti che si presentano sotto forma di emulsione solida e malleabile,
principalmente di grassi in acqua ottenuti esclusivamente dal latte e/o da taluni prodotti lattieri, di cui i
grassi sono la parte valorizzante essenziale; tuttavia, possono essere aggiunte altre sostanze alla
fabbricazione, purché le sostanze non siano utilizzate per sostituire, totalmente o parzialmente, uno
qualsiasi dei costituenti del latte.
BURRO → Grassi 80-90%; acqua max 16%; estratto secco non grasso 2%
BURRO TRE QUARTI → Grassi 60-62%; “burro leggero a ridotto tenore di grasso”
BURRO META’ → Grassi 39-41%; “burro leggero a basso tenore di grasso
GRASSO LATTIERO DA SPALMARE X % → può avere: Grassi <39%; 41%< Grassi < 60%;
62%< Grassi < 80%
FORMAGGIO
“Il nome formaggio o cacio è riservato al prodotto ottenuto dal latte intero, parzialmente scremato o
scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di
fermenti e cloruro di sodio” (RD 2033/25 e RD 261/33).
Il formaggio, in altri termini, potrebbe essere definito come il risultato delle trasformazioni operate sul
latte dall’azione enzimatica del caglio e da quella fermentante dei microrganismi lattici.
La composizione chimica del formaggio è condizionata da quella del latte di partenza (in particolare
riguardo al contenuto di grassi e proteine), ma dipende persino da altri fattori:
- Qualità della flora microbica
- Procedimenti di lavorazione
- Grado di stagionatura
DATA DI SCADENZA → La data di scadenza indica per quanto tempo il prodotto finito (giunto a
maturazione) può essere conservato. In realtà non è sistematicamente definibile, se non per i formaggi
freschi, una vera data di consumo del formaggio, poiché per perdita di umidità il formaggio diventa
sempre più duro, maturo e resistente alla degradazione accentuando le caratteristiche organolettiche
(formaggi a lunga stagionatura).
LEGISLAZIONE → In Italia il settore dei formaggi è disciplinato, in modo specifico, da tre leggi:
RDL 2033/25, che definisce il prodotto “formaggio” e detta le norme relative alla repressione delle
frodi;
L 142/92, che adegua la normativa italiana a quella Europea per cui non è più prescritto un contenuto
minimo di materia grassa . E’ consentita, quindi, la vendita di formaggi “magri” (lipidi ≤ 20% sulla
sostanza secca) e formaggi “leggeri” (lipidi 20-35% sulla sostanza secca) purchè indicato in etichetta;
L 125/54, che detta i principi per la tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi.
La Direttiva 92/46/CEE prevede la presenza del «bollo sanitario» sulle etichette o sulle confezioni dei
formaggi.
UOVA
Le uova sono, da sempre, impiegate nell’alimentazione umana, in particolare quelle di gallina che
rappresentano la quasi totalità delle uova in commercio.
Solo in Italia ne vengono consumate in media 12 Kg pro capite l’anno (circa 200 a testa).
Sono costituite essenzialmente da tre strutture: a partire dall’interno è possibile distinguere il tuorlo, la
chiara o albume e il guscio.
- Il TUORLO è una cellula uovo gigante il cui citoplasma è stipato di sostanze nutritive e di riserva.
Costituisce la fonte nutritizia dell’embrione. Il colore del TUORLO dipende soprattutto dalla nutrizione
dell’animale (in particolare, dalla percentuale di caroteni) e solo in parte da fattori genetici.
Dal punto di vista chimico-fisico, si presenta come una dispersione di globuli lipoproteici in una
massa acquosa o plasma. I globuli sono costituiti da lipoproteine a bassa ed alta densità e da una
fosfoproteina che lega il ferro (fosvitina).
La frazione lipidica è composta da TAG (65%), lecitine, fosfolipidi, galattolipidi e colesterolo (5%:
200-250 mg per tuorlo). Gli AG sono per il 65% insaturi, soprattutto oleico e linoleico, per il 35%
saturi, principalmente palmitico e stearico. Il tuorlo, oltre a Fe e P legati alle proteine, contiene modeste
quantità di calcio. Notevole il contenuto in vitamine liposolubili e del gruppo B.
- L’ALBUME è una soluzione acquosa di diverse sostanze:
- PROTEINE, particolarmente ricche di AA solforati. Tali proteine costituiscono un complesso di
sostanze preposte alla difesa dell’embrione e alla naturale conservazione dell’uovo;
- SALI MINERALI, in particolare Na, K, Mg;
- VITAMINE del gruppo B: B1, B2, PP, acido pantotenico, biotina e B12;
- GLUCOSIO LIBERO
Le uova presentano numerosi pregi nutritivi: proteine ad alto valore biologico, grassi prevalentemente
insaturi, minerali e vitamine. Mancano glucidi e vitamina C.
Rappresentano una delle fonti alimentari più importanti di lecitina, sostanza ad azione
ipocolesterolemizzante. La lecitina favorisce la sintesi delle HDL e attiva l’enzima LCAT
attraverso il cui intervento il colesterolo in eccesso è asportato dai tessuti periferici e condotto al
fegato. La lecitina, inoltre, fornisce la colina, a sua volta precursore dell’acetilcolina, neuromediatore
implicato anche nei processi di memoria.
PRINCIPALI ACCUSE NUTRIZIONALI: la scarsa digeribilità, predisposizione all’aterosclerosi ed
alle conseguenti malattie cardio-circolatorie in virtù dell’elevato contenuto in colesterolo.
Nell’individuo sano le modeste quantità di colesterolo presenti non costituiscono un problema; il
colesterolo deriva per lo più dalla sintesi endogena e solo in piccola parte dagli alimenti; la completa
assenza di basi puriniche rende le uova adatte all’alimentazione dell’iperuricemico.
Sono consigliate nelle diete ipocaloriche, gastriti ed ulcera gastroduodenale in quanto la loro ingestione
è accompagnata da una scarsa produzione di HCl, devono essere evitate nella calcolosi biliare in quanto
provocano contrazione della cistifellea e spasmi.
E’ obbligatorio che ogni uovo abbia una timbratura recante tutte le informazioni utili per conoscere il
suo percorso dal pollaio alla tavola. Sul guscio sono stampati:
- tipo di allevamento → 0 = biologico; 1 = allevamento all’aperto; 2 = allevamento a terra; 3 =
allevamento in gabbie;
- stato di produzione
- codice ISTAT del comune di produzione
- provincia di produzione
- codice dell’azienda di allevamento
- la data di scadenza o in alternativa la data di deposizione delle uova.
La scadenza delle uova coincide con il 28° giorno dalla deposizione. Devono comunque essere ritirate
dal commercio una settimana prima di tale data. DLgs 267/2003
La conservazione industriale delle uova intere può essere fatta tramite refrigerazione (fino a 6 mesi a
-1°C); o mediante atmosfera inerte a 0°. Le uova da refrigerare devono essere fresche e sane.
Le uova destinate alla trasformazione in ovoprodotti devono essere pastorizzate (65°C, 3-4 minuti) al
fine di renderle indenni da contaminazione microbica.
PRODOTTI D’UOVO → Si tratta di prodotti ottenuti dalle uova, dai loro diversi componenti o da
loro miscele dopo la rimozione del guscio, con o senza l’aggiunta parziale di altre sostanze alimentari
o di additivi autorizzati, pastorizzati o sottoposti a un trattamento termico corrispondente, che si
presentano come prodotti liquidi, concentrati, disidratati, cristallizzati, congelati, surgelati o
coagulati.
Molto utilizzati dalle industrie dolciarie e dai pastifici.
La pastorizzazione si effettua senza inconvenienti sull’uovo intero e sul tuorlo (65°C per 3-4 min), in
quanto la coagulazione avviene a 70°C;
Sull’albume, invece, già a 58°C per 2 min si verificano modifiche sostanziali (aumento della viscosità,
denaturazione..).
La pastorizzazione dell’albume pone sempre problemi, spesso si aggiungono quindi sostanze chimiche
che modificano il pH e rendono le proteine più resistenti al calore.
L’uovo liquido intero, il giallo e l’albume, si conservano anche tramite addizione di NaCl e saccarosio,
con o senza concentrazione;
Si possono usare, nella pasticceria industriale, chiare concentrate zuccherate con il 40% di saccarosio,
l’1% di Nacl e il 40% di acqua; si mantengono a lungo anche a T° ambiente.
Maionese: tuorlo conservato con il 10% di NaCl ed il 10% di saccarosio con aw di 0,85.
CARNE
Con il termine “carne” si intendono i muscoli striati e i tessuti strettamente connessi di:
- Animali da macello (bovini, suini, ovini, caprini, equini);
- Animali da cortile (pollame, tacchini, conigli);
- Selvaggina
La COMPOSIZIONE CHIMICA varia molto a seconda della specie, in rapporto all’età, allo stato
nutrizionale e all’alimentazione dell’animale.
- ACQUA, oscilla tra il 50 e il 70%. Si ritrova per il 4% sotto forma di acqua legata con legami di
natura elettrostatica ai gruppi polari delle proteine; il resto sottoforma di acqua di imbibizione, libera,
trattenuta meccanicamente dalle strutture proteiche.
Il rapporto acqua/proteine è di 3,5/4, costante biologica indipendente da specie, razza, alimentazione.
- PROTEINE, contenute per il 15-23%, hanno alto valore biologico, inferiore solo a quello delle
proteine dell’uovo e del siero del latte. A seconda della localizzazione avremo proteine miofibrillari
(miosina, actina, troponine e tropomiosina), sarcoplasmatiche (enzimi, mioglobina e citocromi; gruppo
eme) e dello stroma (collagene ed elastina).
- COMPOSTI AZOTATI NON PROTEICI, aa liberi, dipeptidi, oligopeptidi, ammine, nucleosidi,
nucleotidi, basi pirimidiniche e puriniche, creatina e creatinina, urea e ammoniaca.
- LIPIDI, la carne apparentemente magra può contenere l’8-9% di lipidi, suddivisi in grasso muscolare
e grasso di deposito. Il grasso di deposito (adiposo) è costituito per il 99% da TAG, quello muscolare
contiene maggiori quantità di fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo. (carni magre = 60-85 mg/100 g di
colesterolo).
- GLUCIDI, i muscoli contengono piccole quantità di glucosio, fruttosio, ribosio, ribulosio,
amminozuccheri e zuccheri fosfati, inositolo e, in quantità notevoli, il glicogeno.
- VITAMINE E SALI MINERALI, abbondanti nelle frattaglie, soprattutto in fegato e rene.
Le carni di animali da macello fresche (che abbiano subito solo trattamenti refrigeranti) o congelate,
destinate al consumo umano, devono provenire da animali che siano stati sottoposti a visita ante
mortem e ispezione post mortem a cura del veterinario ufficiale dell’ASL. Questo controllo è
evidenziato dal bollo sanitario (previsto dal DL 286/94 e successivi decreti ministeriali). E’ previsto
poi un altro bollo speciale (dal L 171/64) che porti, per esteso, per le singole specie, l’indicazione della
categoria degli animali da cui le carni provengono. Es. per i bovini: vitello, bovino adulto.
- Dopo la macellazione, le carni devono subire un’ispezione veterinaria post mortem e la bollatura
sanitaria con uno specifico timbro dell’ASL.
- Anche le carni di provenienza comunitaria o importate da Paesi terzi devono avere un bollo che
consenta di risalire al Paese di origine e al macello.
- Bolli CEE sono previsti per le carni e i prodotti carnei confezionati
Le carni fresche devono poi essere refrigerate e mantenute costantemente a una temperatura ≤ 7°C e a
≤ 3°C per le frattaglie. Le carni congelate devono essere immagazzinate a T non superiori a -15°C.
Chiunque intenda etichettare le carni bovine con indicazioni aggiuntive rispetto a quelle obbligatorie
deve essere autorizzato dal MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali).
TACCHINO → Animale di origine messicana, importato in Europa nel ‘500; Ha una carne di
composizione simile a quella di pollo (proteine ad alto valore biologico, ottima digeribilità poiché le
fibre muscolari sono più corte e sottili rispetto a quelle di mammifero, con minore percentuale di
tessuto connettivo). Viene macellato quando raggiunge il peso di 3-5 Kg a 5-7 mesi di età, se femmina,
6-8 se maschio.
CONIGLIO → Il coniglio “industriale” viene allevato in gabbie o recinti e macellato all’età di 11-13
settimane, al peso di circa 2 Kg. Ha una carne tenera, facilmente digeribile, con elevato contenuto
proteico, bassa percentuale di lipidi, modeste quantità di colesterolo.
STRUZZO → La carne di struzzo, ricavata esclusivamente dalla coscia, per le rilevanti qualità
nutrizionali rappresenta una valida alternativa a quelle tradizionali.
Possiede un ridotto tenore lipidico, e quindi calorico, in colesterolo e in sodio. Rimane invece
INalterato l’apporto proteico e in Sali minerali, tra i quali Mg, P, K, Fe.
Prodotto molto digeribile.
STERILIZZAZIONE → La produzione di carne in scatola ha, in Italia, una storia più che centenaria
(1881 Pietro Sada - 1926 Simmenthal). La carne in scatola si produce a partire da quarti di bovino
freschi o congelati, precotti, liberati dall’eccedenza di grasso e dai tendini, tagliati ed inscatolati con
gelatina del brodo di cottura. Le scatole, ermeticamente chiuse, passano in autoclave poi, dopo il
raffreddamento, al reparto etichettatura.
E’ consentita l’aggiunta di alcuni additivi, tra cui nitrati e nitriti (per mantenere il colore rosso),
antiossidanti, addensanti, gelificanti ed il glutammato monosodico come esaltatore di aroma.
I salumi possono essere definiti come “preparazioni a base di carne, di grasso, di frattaglie, di
sangue, in pezzi singoli o sotto forma di miscuglio più o meno finemente triturato al quale sono stati
incorporati sale, spezie, additivi, altri ingredienti e, spesso, microrganismi selezionati, allo scopo di
ottenere una conservazione più o meno lunga, una particolare aromatizzazione, una colorazione simile
a quella della carne fresca, ma resistente alla cottura e all’essiccamento.”
La carne impiegata è in prevalenza quella di suino e, in misura minore,di bovino ed equino, nonché di
pollo e tacchino. Il grasso proviene esclusivamente dal maiale, poiché di sapore più gradevole e
consistenza morbida.
I salumi, al pari dei formaggi, possono essere considerati dei veri e propri “bioreattori” nei quali,
durante la maturazione, hanno luogo numerosi processi enzimatici che conferiscono loro le qualità
organolettiche finali.
Possono venire classificati in insaccati e non insaccati. Gli insaccati a loro volta si distinguono in:
- freschi (salsicce);
- stagionati (salami);
- cotti (mortadella, zampone, wurstel, salami cotti, sanguinacci).
I non insaccati si suddividono in:
- stagionati (bresaola, prosciutto e spalla, speck, pancetta, guanciale);
- cotti (prosciutto).
INSACCATI → Sono costituiti da un involucro che deve essere tenace, pieghevole, elastico, poroso,
aderente, di provenienza naturale (budella, altre membrane dei visceri di suino e bovino) o artificiale
(tela, film plastico ecc.) e dal contenuto o impasto, dato da un trito di carne suina pura o mischiata a
carni di altra origine e di grasso, addizionato con altri ingredienti, condimenti, additivi ecc.
Un tipico salame di puro suino ha la seguente costituzione:
- carne di maiale magra 62%
- grasso duro di maiale 33%
- latte magro in polvere 1,8%
- zuccheri 0,5%
- sale 2,5%
- spezie ed additivi.
Durante la stagionatura si verificano importanti cambiamenti nella struttura, nei caratteri chimico-
fisici e organolettici e nella composizione della flora microbica:
- Aumento della carica batterica totale
- Diminuzione dell’umidità
- Aumento della concentrazione salina, da 2,5-3,5 al 10%
- Variazione del pH che, dopo l’abbassamento iniziale, passa a 5,9-6 con la contemporanea scomparsa
dell’acido lattico
- Aumento dell’N2 solubile e degli AG liberi
- Comparsa del colore rosso stabile (Nitrosoemocromo)
Dopo una breve frollatura, le cosce vengono sottoposte a salagione con sale grosso a mano o mediante
salatrici meccaniche. Tale operazione viene ripetuta ogni 4-5 giorni per un periodo di 25 giorni, nel
frattempo la carne staziona in celle frigorifere.
Poi i prosciutti permangono per oltre un mese a 1-4°C, dopodichè vengono lavati con acqua calda e
fatti asciugare all’aria.
La stagionatura, che si protrae per 10-14 mesi, prevede una prima fase a UR ridotta, seguita da una
seconda a UR più elevata. La temperatura non deve superare i 22°C.
I PROSCIUTTI COTTI si ottengono dalle cosce di suino previamente sottoposte a salagione (a secco
o in salamoia), lavate, asciugate e disossate.
La cottura avviene in stampi di metallo da cui il prodotto verrà estratto e ricoperto di una patina
protettiva oleosa, oppure con il sistema cryovac.
REG CE 1760/00 → Con l’emanazione del Regolamento CE n. 1760/2000 viene istituito il sistema di
identificazione e registrazione dei bovini, relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a
base di carni bovine. A seguito di eventi critici verificatisi nella filiera alimentare (Bovine Spongiform
Encephalopathy, BSE), si è voluto rendere più trasparente l’informazione da diffondere ai consumatori,
consentendo altresì la rintracciabilità di tutta la filiera.
Secondo l’ART. 1 ogni Stato membro istituisce un sistema di identificazione e registrazione dei
bovini.
Secondo l’ART. 3 il sistema di identificazione e di registrazione dei bovini comprende i seguenti
elementi:
- MARCHI AURICOLARI
- BASI DI DATI INFORMATIZZATE
- PASSAPORTI PER ANIMALI
- REGISTRI DI STALLA
Secondo l’ART. 4 tutti gli animali di un’azienda (…) sono identificati mediante un MARCHIO
AURICOLARE apposto su ciascuno orecchio e approvato dall’autorità competente.
Secondo l’ART. 5 le autorità competenti degli Stati membri istituiscono una BANCA DATI
informatizzata. (in Italia se ne occupa l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale).
Secondo l’ART. 6 a decorrere dal 1° Gennaio 1998 per ciascun animale (…) l’Autorità competente
rilascia un PASSAPORTO. (…) Ogni qualvolta un animale è spostato deve essere accompagnato dal
suo passaporto.
Secondo l’ART. 7 ogni detentore di animali (eccetto i trasportatori):
- Tiene un REGISTRO aggiornato (manuale o su supporto informatico);
- Comunica all’Autorità competente tutti i movimenti a destinazione e a partire dall’azienda nonché le
nascite e tutti i decessi di animali avvenuti nell’azienda, specificandone la data;
- Completa il PASSAPORTO all’arrivo di ciascun animale nell’azienda e prima della sua partenza da
questa e provvede affinchè il passaporto accompagni l’animale;
- Il detentore fornisce all’Autorità competente (a richiesta) tutte le informazioni all’origine,
all’identificazione e alla destinazione degli animali.
PESCE
Con il termine “pesce” si intendono le carni e le altre parti edibili di animali acquatici forniti dalle
attività di pesca e dall’acquacoltura. In realtà, l’ittiofauna, oltre che da veri e propri pesci, è costituita
anche da molluschi, crostacei e altri gruppi di minor interesse. In tutto il mondo si consumano oltre
1000 varietà di pesci, molluschi e crostacei (250 circa in Italia e in Europa).
Negli ultimi anni, in Italia si è avuto un discreto incremento del consumo di prodotti ittici, che
ammonta ora a circa 18 Kg annui pro capite. Tale aumento è amputabile alla maggior diffusione dei
punti di vendita sia del prodotto fresco sia di quello congelato e surgelato, ma anche alla rivalutazione
delle qualità nutrizionali e “salutistiche” dei pesci.
I prodotti ottenuti dalle attività di pesca costituiscono circa l’1-2% dei fabbisogni alimentari
dell’umanità. L’Italia importa i 2/3 del pesce consumato: 56% dalla Grecia, il resto da Marocco,
USA, Argentina e altri..
Di conseguenza, riveste sempre più importanza il controllo della qualità igienico-sanitaria,
organolettica e nutrizionale, vista la notevole deperibilità dei prodotti della pesca.
COMPOSIZIONE CHIMICA:
- ACQUA: come nella carne, è il componente principale. Oscilla tra il 60 e l’80% in proporzione
inversa al contenuto di lipidi.
- PROTEINE: sono ad alto valore biologico e rappresentano il 15-25% della composizione chimica
totale, percentuale che aumenta nei pesci magri e diminuisce in quelli grassi.
- SOSTANZE AZOTATE SOLUBILI: rappresentano lo 0,5-1% della composizione chimica totale e
sono rappresentati da aa liberi, dipeptidi, oligopeptidi, creatina e creatinina, ammine, ammoniaca, urea.
Nei pesci marini è presente l’ossido di trimetilammina, o TAO, che, dopo la morte dell’animale dà
luogo a trimetilammina (TMA), dimetilammina (DMA) e formaldeide, che conferiscono al prodotto
non più fresco l’odore tipico “di pesce”, non gradevole.
- GRASSI: oscillano tra lo 0,5 ed il 22% a seconda di specie, età, sesso, ambiente, alimentazione. In
base alla percentuale lipidica i pesci si suddividono in:
- Magri : lipidi < 3% (acciuga, merluzzo, nasello, sogliola, palombo, spigola, trota);
- Semimagri: lipidi 3-8% (dentice, sardina, cefalo, triglia);
- Grassi: lipidi > 8% (anguilla, sgombro, tonno, aringa, salmone).
Molluschi e crostacei sono prevalentemente magri.
Rispetto al grasso dei vertebrati, quello dei pesci si contraddistingue per avere:
- Maggiore percentuale di AG insaturi (80%) tra cui AGE
- Tasso maggiore di fosfolipidi
- Minor contenuto in colesterolo
- Varietà più ampia di AG, EPA e DHA
- GLUCIDI: presenti in modeste quantità (0,5-1%), costituiti più che altro da monosaccaridi;
- SALI MINERALI: P, Ca, I, meno Fe della carne
- VITAMINE: i pesci grassi ed il fegato di quelli magri sono ottime fonti di Vit A e D; nel muscolo
troviamo discrete quantità di Vit B;
- Elevato contenuto in ferro di cozze e ostriche, queste ultime caratterizzate da un elevato tasso di Vit
C.
VALUTAZIONE SENSORIALE:
Per accertare lo stato di freschezza di un pesce vengono effettuate analisi chimiche e batteriologiche,
ma assume un’importanza rilevante la valutazione sensoriale, rapida e di facile esecuzione.
E’ un protocollo di indagine basato su giudizi soggettivi, nonostante siano emessi da persone di provata
esperienza come i veterinari delle ASL.
Ci sono delle TABELLE DI VALUTAZIONE a cui far riferimento per la classificazione del pesce
nonché per l’attribuzione del valore commerciale.
La tabella in vigore nei Paesi UE (Reg. 33/89- CE 2406/96) suddivide i pesci in 4 categorie (EXTRA,
A , B, NON AMMESSO) di cui solo le prime tre ammesse al commercio.
Parametri considerati: odore, aspetto, consistenza, occhio, colore delle branchie. L’odore dei pesci dei
crostacei e dei molluschi marini non più freschi è conferito principalmente da TMA, che si genera per
riduzione batterica del rispettivo ossido (TMAO) presente nei tessuti.
ETICHETTATURA:
In base al regolamento comunitario e secondo il principio della rintracciabilità, i pesci, i crostacei e i
molluschi, vivi, freschi, refrigerati, congelati, in filetti, tritati, salati, in salamoia, affumicati, precotti …
possono essere venduti al dettaglio solo se riportano, oltre al peso netto, il prezzo di vendita e al
termine minimo di conservazione, precise informazioni:
- Denominazione commerciale della specie
- Metodo di produzione (cattura in mare, acque aperte, allevamento)
- Zona di cattura
I prodotti ittici possono costituire un veicolo di malattie infettive. La presenza di sostanze tossiche
deriva da:
- Contaminazione ambientale
- Attività microbica
- Produzione endogena (biotossine)
Tra gli inquinanti chimici (pesticidi, metalli pesanti ecc) riveste particolare importanza il MERCURIO;
limite max di Hg è di 0,5 mg/Kg ; tenore medio 1 mg/Kg
Le sostanze prodotte da germi possono essere: TOSSINE MICROBICHE (C. Botulinum, S. aureus);
COMPOSTI SECONDARI (Istamina: disturbi vasomotori, senso di angoscia, mal di testa, disturbi
intestinali).
- REFRIGERAZIONE: 0°C in celle frigorifere con o senza ghiaccio tritato, in queste condizioni si
mantiene bene per 4-5 gg, al max 10-15; oppure refrigerazionde mediante ghiacciatura (ricoprendo il
pesce con ghiaccio triturato in contenitori di polistirolo espanso)
Refrigerando il pesce prima del rigor mortis si prolunga il periodo di conservazione
- CONGELAZIONE: effettuata sia a bordo che negli impianti di lavorazione; i pesci devono essere
congelati non oltre 3 e 6 giorni di refrigerazione a seconda del contenuto lipidico, preferibilmente
durante il rigor mortis. Prima del congelamento il pesce subisce delle operazioni preliminari, poi la
“glassatura” per i pesci interi (che consiste nel far solidificare intorno al prodotto un sottle strato di
acqua), oppure si utilizzano film plastici per i filetti.
La temperatura di conservazione non superiore a -18°C. I pesci grassi non si conservano più di 4-6
mesi; quelli magri 9-12 mesi.
DLgs 524/95 → E’ consentita la vendita di pesce decongelato, ben distinto e separato dal prodotto
fresco, previa indicazione che ne attesti lo stato di “scongelato”.
Vendere pesce decongelato spacciandolo per fresco rappresenta una FRODE (valutazione caratteri
organolettici, esami microscopici, biochimici, fisici)
ESSICAZIONE → utilizzata per pesci magri, mediante operazioni preliminari ed asciugatura per circa
3 mesi (umidità residua = 15%) Es. merluzzo essiccato o “stoccafisso”;
SALAGIONE → IN SALAMOIA (azione più lenta e meno intensa, adatta per preparazioni delicate. Il
più alto grado di umidità causa una più breve conservazione); A SECCO (con sale non troppo grosso,
seguita da maturazione. Procedimenti e percentuali di NaCl variano a seconda del tipo di pesce) Es.
acciughe, aringhe..;
PRODUZIONE DI FARINA E OLIO → A tale scopo vengono destinati gli scarti della pesca, il
pesce invenduto, gli avanzi di lavorazione. La materia prima viene taglia, poi cotta (l calore fa
coagulare le proteine e rompe le micelle lipidiche favorendo l’estrazione dell’olio). Dalla pasta cotta
pressata si separa una frazione solida (che viene essicata per ottenere la farina) e una frazione liquida
(da cui per centrifugazione si ottiene l’olio).
Le farine (ricche di proteine e P) sono impiegate più che altro in zootecnica e per l’alimentazione di
animali domestici.
L’olio di pesce è la più generosa fonte alimentare di omega-tre, in particolare di EPA (ac.
Eicosapentaenoico) e DHA (ac.docosaesaenoico); questi acidi grassi possono essere sintetizzati anche
nell’organismo a partire dall’acido alfa-linolenico, abbondante nelle noci, nell’olio di canola, di soia e
di canapa, nei semi di lino e nel relativo olio.
L’olio di pesce viene spesso utilizzato per la sua capacità di ridurre i fenomeni infiammatori ed
abbassare i livelli ematici di TAG. Utilizzato nella produzione di integratori alimentari.
ZUCCHERO
Per zucchero si intende il saccarosio, disaccaride formato da una molecola di glucosio e una di
fruttosio. Ha proprietà dolcificanti e viene impiegato nell’industria alimentare. Si ricava dalla canna da
zucchero (coltivata in America centrale e meridionale) e dalla barbabietola da zucchero Beta
vulgaris (coltivata in Europa).
6) Utilizzo dei sottoprodotti I sottoprodotti costituiscono circa il 40% in peso della bietola. Essi
comprendono:
- Melasso;
- Polpe;
- Melma di saturazione.
Le impurità melassigene, composti di varia natura quali pectine, albuminoidi, proteine, devono essere
separate dal sugo grezzo in quanto impediscono la cristallizzazione dello zucchero durante la cottura.
Il melasso è un liquido viscoso, scuro di sapore sgradevole, contenente circa il 50% zucchero non
cristallizzabile e il non zucchero (composti azotati e sali). Viene utilizzato per ottenere etanolo, lievito
per panificazione e mangimi zootecnici.
Le polpe rappresentano il prodotto di scarto dell’impianto di diffusione e sono costituite dalla fettucce
esaurite. Possono essere utilizzate tal quali come mangime o possono essere sottoposte a processi di
fermentazione ed essiccazione.
La melma di saturazione deriva dal residuo dei filtri di epurazione ed è costituita da carbonato di
calcio. Viene impiegata come concime e correttore del terreno.
L’ossido di calcio e l’idrossido di calcio necessari per il trattamento di epurazione sono prodotti in
impianti satelliti allo zuccherificio.
L’impianto consiste in forni verticali nei quali sono caricate le materie prime: calcare e carbone coke.
La produzione di ossido di calcio si ottiene secondo la reazione:
CaCO3 CaO + CO2
CONTROLLI E PARAMETRI ANALITICI
ICUMSA= International Commision for Uniform Methods of Sugar Analysis
Per definire la qualità dello zucchero si utilizzano diversi parametri: Titolo in saccarosio, umidità,
contenuto di zucchero invertito, colore e ceneri.
Lo zucchero viene determinato per via polarimetrica. Esistono speciali polarimetri (saccarimetri) la
cui lettura con una soluzione di 26,00 g di saccarosio in 100 cm3 di acqua dà la percentuale di
saccarosio. La concentrazione dei sughi si può misurare con i densimetri di Brix; i gradi Brix,
corrispondono alla percentuale in massa di saccarosio e misurano effettivamente il secco. Il secco (S)
rappresenta ciò che rimane della soluzione dopo l'evaporazione del solvente. Viene determinato sui
liquidi per rifrattometria, ma anche con densimetri. Alcuni rifrattometri danno lettura direttamente in
gradi Brix.
Il non-zucchero è il secco tranne il saccarosio. Nei sughi si ritrova sola la frazione solubile a sua volta
suddivisibile in non-zucchero organico e ceneri.
Il non-zucchero organico è costituito da composti azotati, principalmente proteine, amminoacidi, e
composti non azotati, quali pectine, acidi organici, glucosio e fruttosio. Gli zuccheri riducenti possono
essere determinati con il reattivo di Fehling.
Le ceneri sono ciò che residua dalla combustione del secco. Vengono determinate sui liquidi con
misure di conducibilità. Sono costituite da fosfati, solfati e cloruri di potassio, calcio e magnesio.
La purezza è definita dal rapporto percentuale tra lo zucchero e il secco: P = Z/S · 100. Per una
precisione più elevata si può utilizzare la cromatografia, specie la HPLC.
Il pH dei sughi è un parametro molto importante. Un pH anche debolmente acido catalizza l'idrolisi del
saccarosio e provoca una corrispondente perdita di zucchero. Durante la lavorazione si controlla il
livello di pH aggiungendo calce.
CANNA DA ZUCCHERO
E’ una pianta delle Graminacee (Saccharum officinarum L.) che cresce nelle zone subtropicali,
richiedendo un clima caldo-umido. Si coltiva particolarmente a Cuba, nel Brasile, Messico, Portorico,
Perù, Argentina, Antille britanniche, Repubblica Dominicana, Hawaii, Filippine, India, Indonesia, Cina,
Egitto, Sud Africa, Australia; in Europa cresce nella Spagna meridionale e in Sicilia.
La lavorazione della canna per estrarne lo zucchero consiste nella separazione del sugo per
spremitura, anziché per estrazione come si fa con la barbabietola. I fusti, ripuliti delle foglie, arrivano
in fasci allo zuccherificio e dopo esser fatti passare tra due cilindri a denti robusti (crusher), che
schiacciano e sfibrano il materiale, con nastri continui arrivano alle batterie dei mulini, costituite da
gruppi di 3 cilindri (uno superiore e due inferiori) lisci spremitori, in ghisa, disposti a triangolo;
La separazione del sugo (vesou) per il 95% contiene saccarosio, mentre nella massa legnosa
(bagasse) sottoposta alla spremitura ne resta il 5%. Il melasso di canna, che si ottiene dopo la
separazione del saccarosio dai sughi di 1°, 2°, 3° getto, è un liquido di colore ambrato, di sapore e
odore gradevole, che contiene dal 30 al 45 % di saccarosio, dal 6 al 25% di zuccheri riduttori, il 10-
12% di non-zucchero ed il 6-15% di sali minerali. Esso viene adoperato per la preparazione del rhum,
in seguito a diluizione, fermentazione e distillazione.
ZUCCHERO GREZZO → È un semilavorato ottenuto dalla canna da zucchero o dalla barbabietola
(saccarosio) non raffinato (colore bruno). Stesso valore calorico e stesse caratteristiche nutritive dello
zucchero bianco “raffinato”. RAFFINATO: purificato, senza impurità.
Lo zucchero greggio di barbabietola, a differenza di quello greggio di canna, non può essere consumato
direttamente per il sapore ed il gusto sgradevoli.
FRUTTOSIO → Il fruttosio o levulosio (C6H12O6) si trova in abbondanza nei frutti zuccherini e nel
miele, insieme al glucosio. Sta emergendo nel mondo dei dolcificanti in competizione con un prodotto
consolidato come il saccarosio. Il fruttosio non provoca problemi di obesità, carie dentale, aterosclerosi
e diabete; particolarmente utilizzato dai diabetici. Elevato potere dolcificante, pari a circa due volte
quello del saccarosio; il fruttosio non gode di una vasta espansione commerciale a causa dell’
elevato costo di produzione. Si presenta sotto forma di polvere cristallina bianca o di sciroppo molto
denso.
Lo si fabbrica industrialmente partendo dal glucosio commerciale, dal saccarosio o mediante l'idrolisi
dell'inulina estratta dalle radici tuberose del topinambur. Ad oggi esso viene prodotto principalmente
partendo da amido attraverso tre stadi che si concludono con l’isomerizzazione enzimatica del
glucosio. Tuttavia, questo processo soffre di uno sfavorevole equilibrio termodinamico, lo sciroppo
ottenuto contiene solo il 42% in fruttosio e il 50% di glucosio.
Esistono tecniche di concentrazione per aumentare il contenuto in fruttosio nello sciroppo, ma gravano
pesantemente sui costi complessivi di produzione.
MIELE
Per miele si intende la sostanza dolce naturale che le api producono dal nettare di piante o da
secrezioni delle stesse o da secrezioni di insetti succhiatori che esse bottinano e trasformano.
Le principali varietà di miele sono:
1) Secondo l’origine: miele di nettare e miele di melata;
2) Secondo il metodo di estrazione: miele in favo, miele con pezzi di favo, miele scolato, miele
centrifugato, miele torchiato, miele filtrato (miele sottoposto a filtrazione attraverso una membrana
con pori sottilissimi per eliminazione significativa dei pollini e dei lieviti responsabili della
fermentazione e dell’invecchiamento);
3) Miele per uso industriale. (Decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179)
1) Le api bottinatrici immagazzinano nettare nelle ingluvie (parte dell’apparato digerente con funzone
di deposito temporaneo di cibo);
2) Poi le api bottinatrici distribuiscono il nettare alle compagne che avviano il processo di
trasformazione in miele; per 30 minuti circa le api operaie digeriscono il nettare scindendo gli zuccheri
complessi in semplici, grazie ad enzimi come l’invertasi;
3) Il prodotto viene arricchito da enzimi prodotti dalle ghiandole salivari;
4) Sostanza esposta all’aria secca dell’alveare e successiva disidratazione per prevenire fenomeni
fermentativi;
5) Presenza di acqua al 17-18%: il miele viene sigillato nelle cellette del favo.
E’ importante la prevenzione della fermentazione. Infatti tutti i mieli contengono cellule di lieviti,
microrganismi responsabili delle fermentazioni alcoliche. In condizione normali, la concentrazione di
zucchero ne impedisce lo sviluppo, ma se il tenore in acqua è elevato, i lieviti possono svilupparsi a
spese del glucosio. Le tecniche più utilizzate per evitare inconvenienti sono: Le tecniche
- Sistemi di conservazione (stoccaggio a bassa temperatura, in ambienti poco umidi)
- Opportune tecniche di produzione (estrarre mieli con contenuto d’acqua inferiore al 18%;
evaporazione forzata; macchine deumidificatrici; concentrazione sottovuoto)
- Pastorizzazione (78°C per pochi minuti)
CEREALI
La diffusione dei cereali avvenne circa 10.000 anni fa con la nascita delle prime civiltà mediterranee.
Le prime coltivazioni di orzo e frumento risalgono a 7000 anni fa in Palestina e Siria. Valle del Nilo
circa 3000 anni fa. Nel Neolitico ci fu la rivoluzione agronomica (orzo, grano, segale) in Medio Oriente
(mezzaluna fertile: Palestina, Siria e Kurdistan) e in Europa. In India si iniziò la coltivazione del riso,
mentre in America del sud (dal Messico al Perù) la coltivazione del mais.
Per quanto riguarda i cereali si tratta di piante erbacee appartenenti alla famiglia delle Graminacee
(tranne il grano saraceno, che appartiene alla famiglia delle Poligonacee) coltivate per i loro frutti o
cariossidi che sono alla base dell’alimentazione umana e del bestiame. La distribuzione geografica
delle colture cerealicole dipende principalmente dalle esigenze climatiche e ambientali delle piante,
oltre che dalle abitudini alimentari delle varie popolazioni:
Frumento – orzo – avena – segale sono cereali microtermi, con basse esigenze termiche, coltivati in
prevalenza con ciclo autunno-primaverile;
Riso – mais – sorgo – miglio sono cereali macrotermi, con alte esigenze termiche, e sono coltivati con
ciclo primaverile-estivo
IL FRUMENTO
Il frumento o grano (famiglia Graminacee, genere Triticum) rappresenta il principale cereale utilizzato
nella nostra alimentazione. Il frumento era detto frumentum in latino (dal verbo fruor = godere,
disporre di qualcosa). Le specie più note sono:
Triticum aestivum → (triticum deriva dal latino: strofinare, trebbiare, pestare, tritare). E’ originario del
Medio oriente, è il nome scientifico che indica il frumento comune conosciuto come grano tenero, ha
chicchi friabili che, una volta spezzati, mostrano uno strato interno bianco e farinoso dal quale si
ottengono i graniti e le farine utilizzate per produrre pane e dolci.
Triticum durum → Il grano duro, appartiene al genere "Triticum" e alla specie "durum", ed è coltivato
soprattutto nell'Italia meridionale. Dalla macinazione del grano duro si ottiene , uno sfarinato con
granuli grossi, spigoli netti e dal colore leggermente ambrato, la semola, destinata alla produzione di
paste alimentari.
Glutenina e gliadina: a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro (si instaurano
legami a idrogeno tra Cys, Pro, Glu e H 20) e formano un complesso lipo-proteico chiamato glutine,
creando una specie di maglia elastica. Il glutine assorbe una volta e mezzo il suo peso in acqua, e
durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito. La percentuale relativa di
gliadine e glutenine determina le proprietà dell’impasto: le glutenine lo rendono tenace ed elastico,
mentre le gliadine lo rendono estensibile.
INTOLLERANZA AL GLUTINE
Il morbo celiaco è uno stato patologico complesso che si manifesta spesso dopo il divezzamento con
alimenti contenenti glutine (farine, biscotti, pastina..), ma anche in età adulta e geriatrica. I sintomi
sono diarrea cronica, vomito, mancanza di appetito, disturbi del comportamento, arresto della crescita.
La patogenesi non del tutto chiara, ma a determinare l’insorgere della celiachia concorrono sia fattori
interni che esterni. All’insorgenza della malattia celiaca concorrono fattori genetici, ovvero una
sensibilità ereditaria dovuta a geni che codificano per HLA (Human Leukocyte Antigen), e fattori
esterni come la presenza del glutine nella dieta. L’α-gliadina (266 AA) durante la digestione si
idrolizza in peptidi tossici per il celiaco, in particolare il frammento tossico 31-49 (19 aa) e altri peptidi
(come Glu-Glu-Glu-Pro). La presenza di questi peptidi nel lume intestinale scatena una risposta
immunitaria abnorme mediata dai Linfociti T citotossici che, attivati dalle linfochine, si trasformano in
cellule killer e aggrediscono le cellule del villi intestinali. Di celiachia si guarisce eliminando il glutine
dalla dieta: - Alimenti privi di glutine: mais, riso, tapioca, grano saraceno, patate, castagne; prodotti
dietetici senza glutine;
- Alimenti da evitare: frumento, orzo, avena, segale.
Attualmente, sono allo studio varietà di frumento, ottenute attraverso le tecniche del DNA
ricombinante, prive di peptidi ad azione tossica.
MOLITURA DEL FRUMENTO, le varie fasi del processo sono:
1) Pulitura delle cariossidi ha luogo in due tempi: all’arrivo del grano (per eliminare pietre, sassi,
paglia e prima della macinazione (per allontanare le pellicole, le barbette, il germe). La separazione da
sostanze estranee avviene per aspirazione o mediante lavaggio con acqua.
2) Condizionamento serve a migliorare la macinazione (umidificazione superficiale dei chicchi e
stazionamento al freddo) e/o per ottenere sfarinati con maggiore attitudine all’impastamento
(umidificazione in profondità e stazionamento al caldo).
3) Macinazione viene effettuata in mulini a cilindri o laminatoi, costituiti da coppie di cilindri metallici
disposti orizzontalmente e ruotanti in senso opposto. Durante la molitura vengono impiegati tre tipi di
cilindri:
Cilindri di rottura (con profonde rigature, non molto vicini) che frantumano la cariosside con
separazione dell’endosperma da grandi scaglie di crusca;
Cilindri di svestimento (con scalanature più fitte, meno profonde e più ravvicinati) che allontanano
definitivamente la crusca;
Cilindri di rimacina (a superficie liscia) che riducono in farina gli sfarinati ancora grossolani.
I passaggi ai successivi cilindri sono intervallati da operazioni di setacciatura attuate con i Plansichter
(setacci piani sovrapposti con maglie decrescenti dall’alto verso il basso) e le semolatrici (separano le
particelle in base a dimensioni e peso specifico).
Più elevato risulta il tasso di abburattamento, maggiore è il contenuto in parte corticale della farina; si
definiscono farine abburattate quelle più raffinate e, quindi, con un minor tasso di
abburattamento. La farina integrale di grano tenero si ottiene direttamente dalla macinazione del
grano tenero, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.
ANALISI DEGLI SFARINATI
Esame microscopico per evidenziare la presenza di altre farine (cereali diversi, patate, legumi) di
qualità e costo inferiori.
Determinazione dell’umidità La farina è molto igroscopica ed è necessario evitare che l’umidità
aumenti durante la conservazione ed impedire sviluppo di muffe e fermentazioni indesiderate.
Determinazione delle ceneri Tassi elevati possono evidenziare aggiunte fraudolente di sostanze
minerali.
Determinazione del glutine eseguita con lavaglutine elettrico o manualmente: si prepara una soluzione
al 4% di fosfato mono e bisodico in q.tà tali da avere pH 6.8 e diluita con una soluzione al 2% di NaCl;
poi si prepara un impasto con 25 g di farina che viene poi trattato con la soluzione salina; il glutine è
insolubile e dopo essiccamento viene pesato. L’analisi verifica che il tenore di glutine sia nei limiti
previsti dalla legge e dà indicazioni sulla qualità e genuinità delle farine.
Determinazione delle sostanze azotate.
PANE
È “il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata
preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune” (L 580/67).
Gli ingredienti di base del pane sono gli sfarinati, l’acqua, il sale e i lieviti.
Sfarinati: le farine idonee alla panificazione sono quella di grano tenero e di segale, in relazione alla
loro migliore capacità di dare pane con eccellenti caratteristiche organolettiche e nutrizionali; si
possono utilizzare anche grano duro e altri cereali purchè l’eventuale provenienza diversa della farina
venga precisata nella denominazione di vendita. Il termine “integrale” può essere usato anche per farine
bianche alle quali è stata aggiunta la crusca. Il requisito più importante degli sfarinati deriva dalla
composizione in proteine (gliadine e glutenine), secondo la normativa UE il tenore in proteine ≥ 11.5%.
La capacità amilolitica della farina, che consente l’idrolisi dell’amido e la successiva fermentazione, è
importante per stabilire l’attitudine alla panificazione: essa è maggiore nelle farine integrali e più bassa
in quelle abburattate. A questo scopo in base alla normativa vigente è prevista l’aggiunta di cereali
maltati, estratti di malto e α- e β-amilasi (L 580/67). Il malto (non il cereale da cui deriva) può essere
fermentato dai lieviti.
Acqua: fondamentale per la panificazione; apporta all’impasto i sali minerali in essa disciolti e
concorre alla formazione di glutine. L’acqua da aggiungere alle farine è in media il 60 %, e la
temperatura deve essere 21-25°C per non ostacolare l’attività dei lieviti.
Sale: migliora le caratteristiche organolettiche e determina un aumento della qualità e quantità del
glutine (poichè la gliadina è meno solubile in acqua salata); ha una blanda azione antisettica, conferisce
colorazione marcata e croccantezza della crosta; la quantità usata è solitamente 1.82%.
Lieviti: nella panificazione vengono usate colture di Saccharomyces cerevisiae, che fermentano il
glucosio in alcol etilico e CO2 . Sono essenzialmente di due tipi:
Lievito industriale compresso (è attivo anche con farine più deboli / consente tempi rapidi di
lavorazione / utilizzato per la produzione di pane di piccola pezzatura);
Lievito naturale o di pasta acida è costituito da acqua e farina, esposte all’aria per qualche tempo
oppure da impasti eseguiti in precedenza. VANTAGGI: conferisce sapore a aroma tipici, maggiore
digeribilità, struttura del pane più regolare; SVANTAGGI: tempi di lavorazione più lunghi. In questi
impasti oltre al S. cerevisiae, troviamo batteri lattici eterofermentativi (come il Lactobacillus
sanfranciscensis) e altri lieviti (come Candida humilis).
PASTA MADRE .→ È una vera e propria microflora composta da batteri lattici, acetici e lieviti (oltre
300 specie diverse). Può avere vari livelli di idratazione (ad esempio pasta madre in coltura liquida o
semi-liquida). Si ottiene prelevando un pezzetto di impasto dalla precedente preparazione non cotta
(lievito capo).
È più digeribile e facilmente assimilabile, rende maggiormente disponibili i sali minerali e le proteine
presenti nell’impasto, non procura gonfiori addominali, è un valido riequilibratore della nostra flora
batterica intestinale ed arricchisce l’impasto di utili batteri lattici, conferisce un indice glicemico
minore anche utilizzando farine non integrali, ecc.
Vantaggi qualitativi: maggiore sofficità, elasticità degli impasti, contribuisce ad intensificare la
colorazione della crosta e inibisce le proteasi accrescendo la stabilità della farina. Le preparazioni con
la pasta madre si conservano più a lungo, possiedono un profumo caratteristico ed un intenso aroma.
AGENTI LIEVITANTI → Si definiscono AGENTI LIEVITANTI quelle sostanze o combinazioni di
sostanze che favoriscono la lievitazione dell’impasto mediante la liberazione di gas, in genere CO 2. A
tal scopo si usa bicarbonato di Na o NH4, a cui è opportuno aggiungere sostanze acide (ac. tartarico;
tartrato acido di potassio) per neutralizzare l’alcalinità del sale.
FASI DI LAVORAZIONE DEL PANE:
1) Impastamento può essere eseguito a mano o con macchine impastatrici. Le gliadine e glutenine per
la presenza di acqua ed energia meccanica, fornita dall’impasto, si uniscono originando una massa
plastica ed elastica, il glutine. Nel reticolo tridimensionale del glutine rimangono intrappolate le bolle
d’aria dentro le quali diffonderà la CO2 prodotta dalla fermentazione. La CO2 dilatandosi fa aumentare
l’impasto. La produzione dell’impasto può avvenire essenzialmente con due metodi:
- Metodo diretto: in cui gli ingredienti sono impastati a più riprese intervallate da periodi di riposo;
- Metodo indiretto: può essere eseguito con impasto-lievito o metodo Poolisch, in cui si prepara un
impasto con 1/3-1/4 della farina con acqua e lievito e si fa fermentare; dopo la lievitazione si aggiunge
quello che resta;
oppure con lievito naturale, in cui a un iniziale impasto di farina, lievito e acqua, lasciato fermentare,
vengono aggiunte, per due volte, quantità sempre maggiori di farina e acqua. E’ una “panificazione
casereccia” adoperata solo nelle lavorazioni artigianali.
2) Fermentazione Il glucosio, dall’idrolisi dell’amido, viene trasformato in alcol etilico e anidride
carbonica dai lieviti. Si generano anche glicerina, aldeide acetica, acido succinico, alcoli superiori,
derivati dalla desamminazione ossidativa degli a.a. Avvengono anche la fermentazione lattica (acido
lattico, trasformato in butirrico) e acetica (acido acetico).
La fermentazione alcolica determina, in seguito alla produzione di CO 2, la LIEVITAZIONE; il tempo
necessario viene valutato empiricamente premendo con le dita l’impasto. Tempi prolungati di
fermentazione provocano l’idrolisi del glutine con perdita della estensibilità e tenacità dell’impasto. La
temperatura ottimale è tra 23-25 °C, con un UR ~ 80-85%; la lievitazione ha luogo in ambienti
(camere di lievitazione) dotate di condizionatori d’aria dove stazionano i carrelli portateglie.
3) Cottura Il processo produttivo del pane prevede, dopo varie fasi di lavorazione, la fase di cottura
che rende il prodotto dal p.d.v. organolettico e nutrizionale idoneo al consumo sulla base di
caratteristiche oggettivamente rilevabili (consistenza, compattezza, assenza di particolari odori e/o
sapori se non quelli propri, aspetto esterno..) connesse alla % di umidità del prodotto finale, frutto di
condizioni ottimali di cottura (tempo/temperatura). La cottura avviene generalmente in forni elettrici a
temperatura oltre i 200°C con rapido riscaldamento del prodotto fino ad una temperatura di equilibrio a
circa 100°C dovuta alla evaporazione dell’acqua contenuta in forma libera nell’impasto, poi si forma la
crosta tipicamente colorata per formazione e caramellizzazione delle destrine.
Durata: ~ 1 h per le forme di 200 g; ~ 15 min per i panini.
L 580 del 4/7/1967 → Definizione del Prodotto: il pane è un“ prodotto ottenuto dalla cottura totale o
parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o
senza aggiunta di sale comune ”.
La legislazione italiana definisce diverse tipologie di pane:
- se l’impasto è costituito solo dagli sfarinati di grano, acqua e lievito, il pane è denominato “comune”
(a sua volta classificato, a secondo della farina impiegata,…”pane tipo 00”…).
- se vi sono anche altri ingredienti (burro, olio di oliva, strutto) in q.tà non inferiore al 4.5% si ha il
pane “speciale” ,
- pane fatto con l’uso di farine diverse da quelle di grano duro, seguito dal nome dello sfarinato
caratterizzante;
La legge 580 stabilisce anche che il pane deve essere venduto a peso e quale sia il massimo contenuto
di umidità che deve avere il pane a cottura ultimata, in funzione della pezzatura (es. sino a 70gr.:
massimo 29%; oltre i 1000gr.: massimo 40%).
LA PASTA
DPR 187/01 definisce: “pasta di semola di grano duro e pasta di semolato di grano duro i prodotti
dalla trafilatura, laminazione ed essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente
con semola e semolati di grano duro e acqua.” Pasta di semola integrale di grano duro ottenuta da
semola integrale di grano duro e acqua.
La pasta prodotta in altri paesi con sfarinati di grano tenero deve essere commercializzata in Italia con
le seguenti denominazioni:
- pasta di semola di grano duro e farina di grano tenero (qualora il primo componente prevalga sul
secondo)
- pasta di farina di grano tenero e semola di grano duro
- pasta di farina di grano tenero
Italia: primo paese produttore in Europa Produzione è di 2.5 milioni di tonnellate e circa 60%
destinato al consumo interno. Tipologie di paste prodotte: paste secche, paste all’uovo, paste fresche.
PROCESSO DI PASTIFICAZIONE:
1) Miscelazione: semola (o semolato) e acqua. Con il DM 119/96 è consentito l’aggiunta di sale fino
ad un max del 4% sul prodotto secco.
2) Impastamento-gramolatura: effettuate in impastatrici-gramolatrici dove la semola o semolato è
mescolato al 20-30% di acqua con formazione di glutine e idratazione di amido, fino al conseguimento
di un’idonea consistenza e plasticità.
3) Trafilatura l’impasto è forzato a passare attraverso uno stampo della forma voluta, tagliando la
pasta della lunghezza voluta. Negli impianti moderni tali fasi avvengono in un unico apparecchio detto
ESTRUSORE (pasta con contenuto di umidità del 30%).
4) Essiccamento prima fase (INCARTAMENTO, strati superficiali), seconda fase (ESSICAMENTO
DEFINITIVO, la cui durata è funzione della temperatura raggiunta, dell’umidità, della misura e del
formato della pasta; 40-80°C per 6-28h; 40-45°C per 36-42h (migliore qualità/tempi più lunghi).
La pastorizzazione è riservata alla pasta fresca, per ridurne la carica batterica e prolungarne la shelf-
life.
IL RISO
E’ una Graminacea del genere Oryza di origine asiatica. Specie più comune è l’Oryza sativa asiatica di
cui sono conosciute e coltivate 3 sottospecie: indica (riso basmati e patna), japonica, javanica.
Italia: maggior produttore di riso in Europa - zone Vercelli, Novara e Pavia - Oryza sativa japonica.
Coltivazione (il riso può resistere a T° ed ambienti diversi): terreni asciutti, parzialmente sommersi, in
acque profonde. Semina: primavera, Raccolto: fine ottobre/ mietitrebbiatrici. Risone viene fatto
essiccare (elevato tenore umidità) e poi trattato per diventare commestibile.
Il riso è “il prodotto ottenuto dalla lavorazione del risone o riso greggio con completa asportazione
della lolla e successiva operazione di raffinatura, cioè parziale o completa asportazione del pericarpo
e del germe”.
Legge n.325 del 1958 modificata dalla n. 109 del 1992 Il RISO è il “prodotto ottenuto dalla
lavorazione del risone con completa asportazione della lolla e successiva operazione di raffinatura”
Riso comune: cariosside piccola e tondeggiante di lungh. ˂ 5.5 mm (Originario)
Riso semifino: cariosside di lunghezza tra 5.5 e 6.5 mm (Vialone nano)
Riso fino: cariosside di lunghezza > 6.5 mm (Ribe)
Riso superfino: cariosside lunga e grossa (Arborio, Carnaroli)
La classificazione dei vari tipi di riso non avviene in base al valore nutrizionale, ma solo ad un fatto
puramente fisico ed estetico.
ORZO
Alimentazione zootecnia 85%. Produzione di birra e whisky. Genere Hordeum, specie vulgaris.
Usato come sfarinato in mix con il frumento per la panificazione e come orzo perlato per zuppe e
minestre, tostato come succedaneo del caffè. Alto livello di fibra solubile.
Malto: cariossidi dell’orzo che hanno subito una germinazione provocata dall’idratazione delle stesse
(scissione dell’amido in composti zuccherini fermentescibili - maltosio); il ciclo di lavorazione è
composto da: idratazione cereale, germinazione, essiccatura; il malto è utilizzato nella produzione di
birra, estratti e farine per la panificazione.
AVENA
Avena sativa è diffusa nel Nord Europa, dove esistono climi molto rigidi. Popoli germanici e degli
scozzesi: porridge (piatto per la prima colazione).
Il 7% della produzione è destinato all’alimentazione, il resto alla zootecnia. Alto contenuto proteico:
Lys; buon rapporto saturi/ insaturi; fibre solubili e insolubili; ferro.
SEGALE
Predilige climi freddi del Nord e si adatta a terreni difficili e poveri (steppa, brughiera). Diffusa nei
paesi dell’Est; in Italia: Trentino, Valle d’Aosta, ancora oggi nell’Alto Adige e nel Sud Tirolo.
Utilizzata sola o, più frequentemente, mescolata al grano (avendo poca gliadina, non è adatta alla
panificazione) per pane dalla caratteristica consistenza e colore scuro. Segale integrale: 69% di
carboidrati, 11.6% di proteine.
Coltivazioni della segale possono essere infestate dalla Claviceps purpurea (fungo parassita): forma
degli sclerozi simili a speroni o cornetti che conferiscono alla pianta infetta il nome comune di "segale
cornuta". I cornetti che spuntano dalle spighe infestate sono costituiti dai corpi fruttiferi (sclerozi) del
fungo stesso, in cui sono contenuti molti alcaloidi velenosi del gruppo delle ergotine (tra cui l'acido
lisergico), che hanno gravi effetti su persone e animali che ne mangiano. Questi alcaloidi, essendo dei
vaso-costrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il SNC, agendo in particolare
sui recettori della serotonina. Gli sclerozi se macinati possono contaminare le farine e quindi essere
responsabili di una quadro patologico noto come ERGOTISMO. L’uso appropriato di fitofarmaci ha
annullato quasi completamente tale pericolo.
Farro: progenitore del frumento, alimento base dei Romani per secoli; cresce in terreni poveri e al
freddo; ricco di proteine, minerali e vitamine; si trova in commercio come farro decorticato e perlato.
Grano saraceno: ricco di aa essenziali (Lys e Trp) e minerali; contiene anche la rutina, glucoside della
quercitina (azione protettiva per i vasi sanguigni);
Triticale: deriva dall’incrocio del grano duro (elevato rendimento in chicchi, alto tenore proteico) con
la segale (resistenza e contenuto in Lys).
IL KAMUT
Grano khorasan originario del Medio Oriente, è un cereale antichissimo, antenato del grano duro
moderno, è stato riscoperto da Robert Quinn, agricoltore americano che ne ha brevettato il marchio per
tutelarne l’autenticità. Comparato al grano comune, il Kamut è più ricco in proteine (15% ed il 40%),
minerali come Se, Mg e Zn, Vit. B e Vit. E ed acidi grassi.
LE VERDURE
Con questo termine indichiamo l'insieme degli alimenti vegetali coltivati (ortaggi, legumi ed erbe
aromatiche), di cui si utilizzano diverse parti a scopo alimentare sia come tali sia come materie prime
per la preparazione di numerosi prodotti derivati (surgelati, congelati, piatti pronti). Sia da un punto di
vista alimentare che botanico, le verdure possono essere classificate secondo diversi criteri, in base alla
famiglia botanica di appartenenza (Solanacee, Liliacee..), al nutriente più rappresentato (acquose,
amidacee) ed in relazione alle parti commestibili usate: foglie, fiori e bulbi.
I legumi sono i semi delle leguminose (piselli, lenticchie, fagioli, fave, ceci, cicerchia). Infine tra le
verdure sono incluse le numerose erbe aromatiche (alloro, origano, prezzemolo, rosmarino, basilico,
menta, salvia, timo) che sono utilizzate per insaporire le pietanze.
La composizione chimica del vegetale varia a seconda della PARTE EDIBILE: le foglie sono in
genere più ricche di β-carotene, ferro e, a volte, di vitamina C e del gruppo B;
Nei tuberi si ritrova amido in rilevante concentrazione, così come nei semi, oltre a discrete quantità di
proteine, ferro e vitamine del complesso B.
LA FRUTTA
Con questo termine si indica l'insieme dei frutti commestibili di varie piante arboree o erbacee.
Nel classificare le diverse varietà di frutta si tiene conto di fattori molto diversi: alcuni intrinseci al
frutto stesso, ad esempio la composizione chimica; altri estrinseci, quali ad esempio la provenienza:
nazionale o esotica.
Una classificazione sotto il profilo nutrizionale è quella che suddivide la frutta in tre categorie: Frutta
polposa (zuccherina e acidula), farinosa e oleosa.
La maggior parte della frutta che arriva sulle nostre tavole, appartiene al gruppo della frutta polposa
zuccherina che deve il suo nome alla presenza di zuccheri semplici (glucosio e fruttosio) nella polpa.
Alcuni esempi sono: uva, mele, pere, albicocche, pesche, susine, fragole, nespole, banane, fichi, datteri,
meloni, cocomeri e ciliegie. Appartengono al gruppo della frutta polposa acidula gli agrumi come
mandarini, arance, limoni e cedri, dal sapore più aspro.
La frutta farinosa in Italia e nei paesi a clima temperato é essenzialmente rappresentata dalle castagne
che sono ricche in carboidrati complessi (amido).
Con il termine di frutta essiccata si intende frutta polposa e farinosa che ha subito un processo di
essiccazione per aumentarne la conservazione. Prugne, uva, fichi, datteri e albicocche, pesche e
castagne sono esempi di frutti che consumiamo sia freschi sia dopo essicazione.
La frutta oleosa definita anche secca (diversa da essiccata) é rappresentata da: noci, nocciole,
mandorle, pinoli, arachidi, noci del Brasile e pistacchi. Rispetto alla frutta fresca, a parità di peso tutti
questi frutti hanno un contenuto di acqua minore e un quantitativo maggiore di grassi e proteine.
In aggiunta a queste tre categorie, considerando la provenienza da zone tropicali, alcuni tipi di frutta
polposa vengono classificati come frutta esotica. Ne sono esempi la banana, ananas, avocado, mango,
papaia, cocco, litchi.
Con il termine frutta antica (o frutta dimenticata) si intende la frutta prodotta da specie arboree e
varietà oggi poco conosciute dalla maggior parte dei consumatori, in particolare dei più giovani. Tra gli
alberi da frutto dimenticati sono compresi azzeruoli, giuggioli, mandorli, melograni, cotogni, cornioli,
nespoli e sorbi, e cultivar perse e dimenticate di pere, pesche, fichi e mele, tra cui la mela rosa ancora
diffusa sull'Appennino marchigiano e in altre regioni dell’Italia centrale.
TIPI DI FRUTTA:
Frutta a granelli: Mele, pere, cotogne, ecc.
Frutta a nocciolo: Albicocche, ciliegie, pesche, susine, prugne ecc
Frutta a bacche: More, fragole, mirtilli, lamponi, ribes, uvaspina, uva da tavola, ecc.
Agrumi: Pompelmi, mandarini, clementine, arance, limoni, ecc.
Frutta esotica: Ananas, banane, datteri, fichi, avocado, ecc.
Frutta con guscio: Castagne, arachidi, noci, nocciole, noci di cocco, mandorle, noci del Brasile,
pistacchi, ecc
I LEGUMI
Fagioli, piselli, lenticchie, ceci, arachide, fave, roveja, soia sono i prodotti vegetali a più alto
contenuto proteico (circa 20 g/100 g) una quantità analoga alla carne, in passato definiti la “carne dei
poveri”. Le proteine dei legumi, non contengono tutti gli aminoacidi essenziali (sono carenti in Met e in
Cys), pertanto si definiscono di qualità inferiore rispetto a quelle di origine animale.
Costituiscono una fonte di carboidrati complessi (amidi) a lento assorbimento. Il glucosio che deriva
dalla digestione dell’amido dei legumi, passa nel sangue gradualmente e non provoca innalzamenti
troppo bruschi della glicemia e di insulina dopo il pasto pertanto i legumi hanno un indice glicemico
basso rispetto ad altri alimenti. Questo effetto è da mettere probabilmente in relazione al contenuto
elevato di fibre, infatti questi composti rallentano l’assorbimento dei carboidrati.
Fonte di vitamine in particolare alcune del gruppo B (B1, B2 e niacina), di folati e di minerali. Il calcio
nei legumi è presente in quantità paragonabile al latte, ma è meno facilmente assorbibile di quello dei
latticini. Lo stesso si può dire del ferro contenuto nei legumi (presente nella stessa quantità nelle uova e
in alcune carni), ma l’assorbimento di quest’ultimo può essere incrementato se contemporaneamente si
assume frutta o verdure ricca in vitamina C (kiwi, arance, fragole, cavoli, verza, peperoni, pomodori).
Fonte principale di saponine, composti ad azione ipocolesterolemizzante assieme alle fibre vegetali e
questo spiegherebbe, secondo alcuni autori, la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nelle
popolazioni dell’America Latina la cui dieta è ricca di legumi.
E’ opportuno evidenziare la presenza, nei vegetali, di numerosi composti tossici, farmacologici e
antinutrizionali:
- aflatossine: micotossine prodotte da due specie di Aspergillus, un fungo che si trova in particolare
nelle aree caratterizzate da un clima caldo e umido, con proprietà genotossiche e cancerogene;
- glucosidi cianogenetici: in seguito ad azione enzimatica liberano acido cianidrico (fagioli, patate
dolci, mandorle, semi e noccioli di molti tipi di frutta, mais), casi di avvelenamento molto rari;
- allergeni: glicoproteine a basso pm, assorbite senza essere digerite, provocano una risposta
immunitaria tipo antigene-anticorpo, prevalentemente a carico di pelle e tratto respiratorio;
- fattori di flatulenza: produzione di gas intestinali dovuta alla presenza di oligosaccaridi che, non
attaccati da enzimi digestivi, subiscono nel crasso una fermentazione da parte della flora batterica con
produzione di H2, CH4 o CO2
- saponine: detergenti naturali a largo spettro di attività (antimicrobici, antiinfiammatori,
antineoplastici, ipocolesterolemizzanti).
- nitrati: contenuto influenzato dalla composizione del terreno e dall’uso di fertilizzanti (bietola,
spinaci, cavoli, lattuga); Reg CE 194/97 fissa limite a 2,5 g/kg per spinaci freschi, 2g/kg surgelati o
congelati; 2,5-4,5 g/kg per la lattuga.
- ossalati: presenti in varie verdure (spinaci, sedano, barbabietola, fagioli..) vengono assorbiti poco
poiché insolubili; possono chelare il calcio, limitando l’assorbimento.
- antitiroidei: con azione gozzigena (cavoli, cavolini di Bruxelles..) presenti in bassa concentrazione
vengono inattivati dalla cottura.
FAVISMO le fave sono coinvolte nel favismo o anemia emolitica che si manifesta in seguito alla loro
ingestione o dopo aver inalato il polline del fiore. Il favismo è dovuto a una carenza della G6P
deidrogenasi, anomalia genetica localizzata sul cromosoma X. Rottura degli eritrociti dovuta alla
presenza nelle fave del dopachinone (prodotto di ossidazione della dopa per azione della tirosinasi) che
agisce ossidando irreversibilmente il glutatione e i gruppi SH delle proteine in particolare l’emoglobina
che denaturata precipita all’interno delle cellule. La carenza di G6PD compromette il potere riducente
delle emazie poiché lo shunt dell’esosomonofosfato è interrotto e non si forma NADPH, la cui funzione
è quella di mantenere allo stato ridotto il glutatione, i gruppi SH delle proteine ed il ferro emoglobinico.
Il NADPH prodotto nel ciclo dei pentoso-fosfati, viene utilizzato per la riduzione del glutatione. Il
mantenimento del glutatione ridotto (GSH) è una condizione importante per la stabilità del globulo
rosso; infatti la ossigenazione dell’emoglobina ad ossiemoglobina è un processo a rischio, in quanto
una piccola aliquota di O2, anziché legarsi all’emoglobina, sottrae ad essa 1 elettrone per formare lo
ione superossido. Il Ribosio 5-P è utilizzato per la sintesi di acidi nucleici.
I FUNGHI
Appartengono alle Eumycophyta, che comprendono numerosi vegetali di rilevante importanza in
svariati campi (muffe,lieviti ecc). Privi di clorofilla, come sostanza di riserva contengono il glicogeno
(non l’amido), sono eterotrofi, vivono come saprofiti utilizzando i composti organici in
decomposizione come nutrimento. Le cellule costituiscono filamenti più o meno ramificate, le ife, che
riunite formano il micelio.
Basidiomiceti: presentano le ife fertili riunite nel corpo fruttifero (parte edibile); porzione inferiore del
cappello si sviluppano le spore. Ai Basidiomiceti appartengono I più importanti funghi commestibili.
Funghi commestibili: Boletus (porcino), Chantarellus (finferli), le Russule, Amanite (comprende
anche funghi velenosi A. phalloides, A. verna, A. phanterina).
Il consumo di funghi coltivati (75% Champignons o prataioli, 25% Pleurotus) è in costante aumento.
COMMESTIBILITÀ E TOSSICITÀ DEI FUNGHI Il concetto di “commestibilità” è legato alla
“cottura”. Le sostanze tossiche risiedono in quasi tutti i funghi allo stato “crudo” sotto forma di
“tossine” le quali si suddividono in:
• Termolabili: tossine neutralizzate dalla cottura non inferiore a 15 minuti ad una temperatura minima
di 70° C.
• Termoresistenti: non neutralizzate dalla cottura (tossicità)
• Assenti: funghi mangiabili anche crudi (Amanita caesarea od ovolo buono – Boletus edulis o
porcino) La commestibilità è legata anche allo stato di salute del fungo ed alla sua conservazione,
Possono essere pericolosi:
- Funghi troppo imbevuti (pieni d’acqua)
- Funghi troppo vecchi o mal conservati.
Un fungo commestibile può diventare tossico a causa della condizione ambientale nel quale cresce ed
agli effetti dell’inquinamento da pesticidi, per la vicinanza a strade di gran traffico o di zone industriali
ed urbane, e dalla radioattività.
ASPETTI NUTRIZIONALI
Contengono acqua (circa il 90%), carboidrati, lipidi, protidi, vitamine e sali minerali. Il valore nutritivo
è poco elevato, non riescono a sostituire la carne, il formaggio, le uova, i legumi e i cereali (minimo
tenore proteico e di sostanze azotate). Tra i carboidrati presenti ve ne sono di non digeribili come la
chitina che è un polisaccaride azotato costituente le pareti cellulari. Per quanto riguarda gli elementi
minerali, i funghi ne sono buoni portatori. Numerose, infine, le sostanze odorose, responsabili
dell’aroma tipico. Il valore nutrizionale aumenta, proporzionalmente alla disidratazione, nei funghi
secchi.
L 352/93, DPR 376/95 → Secondo la normativa vigente la vendita dei funghi freschi spontanei è
soggetta ad autorizzazione comunale (previa certificazione di avvenuto controllo da parte delle
ASL); quella dei coltivati freschi è regolamentata dalla legislazione inerente ai prodotti ortofrutticoli;
In entrambi i casi la commercializzazione riguarda solo le specie commestibili.
Prodotti importati: devono essere riconosciuti commestibili dalle autorità competenti dei Paesi di
origine; verifiche e sondaggi vengono comunque effettuati dall’Ispettorato micologico competente.
Funghi secchi: dopo essiccamento naturale o meccanico presentano un tasso di umidità non
superiore al 12%. Possono essere essiccati solo i funghi appartenenti alle specie elencate nella
normativa. Venduti interi o sminuzzati in confezioni chiuse; consumo entro 12 mesi dal
confezionamento.
Porcini: posti in commercio sfusi con autorizzazione comunale;
5 categorie commerciali: extra, speciali, commerciali, briciole e polvere.
ORTAGGI AL SELENIO Il contenuto in minerali dei vegetali, può essere aumentato durante la
coltivazione sottoponendo le piante a trattamenti particolari. Alcuni studi hanno evidenziato che il
contenuto in selenio di alcuni tuberi e bulbi, come la patata e la cipolla può essere aumentato
concimando le piante coltivate con prodotti a base di selenio organico. Il contenuto medio di selenio
nelle patate è in media di circa 0,5 a 1 mg/100 g, con il trattamento descritto, si ottengono ortaggi con
un contenuto di selenio dieci volte superiore alle comuni patate (da 5 a 10 mg di selenio/100 g). Il Se è
un elemento essenziale come cofattore della glutatione perossidasi, un enzima in grado di
neutralizzare gli idroperossidi, svolge quindi un ruolo antiossidante contro i radicali liberi ma ad
elevate dosi può essere dannoso per la salute.
PRODOTTI SEMILAVORATI
Il crescente interesse verso il mercato della ristorazione ha portato le aziende industriali a soddisfare le
esigenze degli operatori professionali e a creare prodotti alimentari altamente specializzati per le
diverse esigenze. Nascono quindi i prodotti SEMILAVORATI (I, II, III, IV, V gamma)
I gamma → Prodotti freschi o deperibili che non hanno subito nessun trattamento di conservazione
(es. ortofrutta, prodotti ittici, carne,..)
II gamma → Prodotti in scatola e conserve; essi hanno subito trattamenti di conservazione
(sterilizzazione e pastorizzazione)
III gamma → limenti congelati e surgelati (es. ortaggi pronti per la cottura che hanno subito una
mondatura)
IV gamma → Sono prodotti di pronto consumo. Sono inclusi tutti quei prodotti freschi, lavati e
tagliati, crudi e cotti, confezionati in atmosfera controllata o modificata (es. antipasti, insalate in busta).
V gamma → Prodotti pre-cotti o pre-cucinati. Oltre ad essere già stati puliti e mondati, sono già
cucinati e conservati sottovuoto con una conservabilità di 1-3 settimane a 0-3 °C pronti da rigenerare e
servire (es. lasagne, pizze pronte, minestre in busta).
I prodotti che più interessano l’evoluzione del mercato sono quelli compresi tra la II e V gamma, cioè
quelli con un contenuto maggiore di servizi.
SUCCHI DI FRUTTA
La preparazione varia in base al tipo di frutta ed al prodotto finale desiderato. Ai succhi di frutta
possono essere aggiunti:
- Vitamine e Sali minerali
- Polpa
- Zuccheri (in quantità non superiore a 15 g/l di succo per correggere il gusto acido e a 150g/l di succo
per dolcificare il prodotto, ad eccezione di succhi di pera e uva)
- Succo di limone o succo concentrato di limone in quantità non superiore a 3 g/l di succo per
correggere il gusto. E’ vietata l’aggiunta di zuccheri e limone contemporaneamente
- CO2 come ingrediente
- gli additivi consentiti
CONFETTURE E MARMELLATE
DL 20 febbraio 2004, n. 50 stabilisce la denominazione di vendita e la definizione dei prodotti quali
confettura, confettura extra, marmellata e crema di marroni in base alla loro composizione.
Si possono considerare confetture i prodotti preparati con la polpa e/o purea di uno o più frutti;
precisamente le confetture devono avere non meno del 35% di polpa e frutta; per le confetture extra
il minimo legale di polpa di frutta aumenta al 45%.
Marmellate: prodotti preparati mediante polpa, purea, succo, estratti acquosi e scorza di agrumi con un
minimo di frutta del 20%, di cui almeno il 7,5% deve provenire dall’endocarpo.
Le creme di marroni sono una mescolanza di zuccheri e purea di marroni in quantità non inferiore al
38%.
Denominazione di vendita:
“Passata di pomodoro” è riservata al prodotto ottenuto per spremitura diretta del pomodoro fresco.
Per “succo di pomodoro” si intende il liquido polposo ottenuto per triturazione e setacciamento del
frutto separato da bucce e semi.
“Ketchup” si ottiene dal pomodoro fresco o concentrato addizionato di sale, zucchero, aceto, spezie e
aromi vari.
“Succo di pomodoro in polvere” ottenuto con essiccatoi a cilindri, in letto di schiuma, per ebollizione
sotto vuoto, metodo spry-drying e liofilizzazione.
“Fiocchi di pomodoro” preparati per zuppe, minestre e minestroni
CACAO
La pianta del cacao Theobroma cacao (cibo degli dei) ha origine nelle foreste umide dei tropici
americani, dalle quali due differenti specie sono emigrate ed evolute: il primo gruppo verso est, nei
bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni; il secondo verso nord, addomesticato e coltivato dalla
civiltà Maya (1000 a.C.- 250 d.C.) che lo utilizzavano come alimento (bevanda fresca, amara, densa,
piccante..) e moneta di scambio. I semi di cacao arrivano in Europa solo con Cristoforo Colombo
nel 1502, senza però conoscere particolare fortuna; si deve attendere il 1528 per la diffusione della
ricetta della cioccolata, che consacra tale pianta e la sua diffusione in tutta Europa. L’Italia fu la
seconda nazione in cui approdò la cioccolata (1606), l’uso viene poi divulgato in Francia, Olanda,
Inghilterra.. Solo nel 1712 il cacao fu commercializzato a Boston, da un farmacista (medicamenti o
preparati medicinali), anticipandone le azioni antiossidante e antimicrobica.
Nel 1828 l’olandese Van Houten inventa una macchina per separare il grasso dai semi di cacao tostati
e macinati; passaggio dalla cioccolata liquida a solida; sviluppò anche un processo di
alcalinizzazione per neutralizzare gli acidi e rendere la polvere più solubile in acqua (processo
olandese). Nel 1847 Fry & Sons (Bristol) produssero la prima tavoletta solida di cioccolato. Nel
1865 a Torino Caffarel mescola cacao e nocciole producendo il cioccolato gianduja. Nel 1875 Nestlè
inventò insieme a Daniel Peter il cioccolato al latte. Alla fine dell’800 Lindt mise a punto la tecnica
del concaggio per l’ottenimento di pasta di cacao dalla palatabilità fine, omogenea ben accetta al
consumatore. Nel 1920 a Chicago Mars inventa la celebra barretta al cioccolato. Nel 1964 Michele
Ferrero ideò, ad Alba, la crema di nocciole al cacao spalmabile, imitata in tutto il mondo.
VARIETA’:
Cacao criollo: originario del Venezuela, è diffuso in America Centrale. Fornisce un prodotto di ottima
qualità, ma è poco resistente a malattie e parassiti;
Cacao forastero: è originario della zona amazzonica ed è diffuso in Brasile, Ecuador e Africa
Occidentale. Ha una resa superiore a quella del cacao criollo ed è più resistente. E’ la varietà più
diffusa
Cacao trinitario: comprende tutte le forme ibride nate da incroci tra criollo e forastero e deve il nome
alla sua prima apparizione nell’Isola di Trinidad.
L’albero del cacao si sviluppa nella zona calda a ridosso dell’Equatore (20° Sud / 23° Nord;
temperatura media > 27°C, 1500- 3000 mm pioggia; umidità elevata e costante a 85%); la pianta teme
l’insolazione diretta e quindi cresce all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. Il frutto è una
bacca denominata cabossa o cabosside; i semi sono disposti in file regolari ed immersi in una polpa
mucillagginosa acidula contenente glucosio e fruttosio; i semi sono anche detti fave. Nel genere
Theobroma sono comprese più di 20 specie spontanee.
Pulitura: consente di rimuovere il particolato estraneo, le fibre dei sacchi di juta, pietre, ghiaia, fave
immature.
Tostatura: può essere preceduta da un trattamento termico veloce in autoclave per l’abbattimento della
carica batterica. Può esserci una pre-tostatura 100 °C: serve per facilitare il distacco del rivestimento o
buccia (anche con lampade a infrarossi oltre ad aria calda e vapore).
Nella tostatura vera e propria (con vapore o aria calda) non si superano mai i 150 °C e i tempi variano
da 5 a 120 minuti. L’umidità è ridotta al 2-3 %. La tostatura ha una duplice funzione:
1) tecnologica consente la formazione dell’aroma (ossidazione dei composti fenolici, reazione di
Maillard, eliminazione dell’acido acetico, e esteri volativi negativi per l’aroma);
2) Igienico-sanitaria consente l’eliminazione dei microorganismi, uova, larve e parassiti sopravvissuti
ai trattamenti chimici.
Le bucce (10-12%) , residuo di lavorazione, vengono separate per aspirazione e adoperate come
mangime per animali.
Concaggio (80 °C per diverse ore): prolungato rimescolamento della pasta per creare una amalgama
perfetta, ridurre gli aromi acidi ed astringenti, estrarre l’umidità residua (possibile aggiunta di lecitina
di soia). Si hanno due fasi:
1) La pasta è trasferita alle conche, dove viene macinata finemente, mescolata e ancora impastata,
assumendo una texture finissima e omogenea; perdita di umidità e di composti volatili;
2) Si aggiungono burro di cacao ed emulsionanti (lecitine di soia), liquefacendo ulteriormente la massa
e continuando l’azione meccanica di macinazione e rimescolamento.
Il grasso si distribuisce uniformemente su ogni particella di cacao e di saccarosio grazie alla lecitina
(0,5%).
Affinchè il cioccolato si trasformi in modo soddisfacente dal p.to di vista qualitativo passando dalla
fase liquida alla solida, deve essere temperato (ottiene aspetto lucido, omogeneo e giusta consistenza).
Temperaggio: permette la cristallizzazione del burro di cacao nella forma polimorfica stabile che
assicura la massima shelf-life al cioccolato, e la sua qualità. La cristallizzazione nella forma ottimale
non avviene semplicemente per raffreddamento, ma solo sottoponendo la massa liquida ad un
determinato programma termico. La massa arriva dal concaggio ad una temperatura di 40-50°C, viene
quindi portata a temperatura di 20°C per pochi minuti (si favorisce la cristallizzazione di alcune forme)
e si scalda nuovamente (32°C): le forme cristalline meno stabili fondono lasciando in maggioranza la
forma V. Il cioccolato viene immesso nelle forme e lasciato raffreddare per la solidificazione.
Prodotti finiti:
Tavolette: grasso 26-28% sino a < 18%, peso 100-200 g; prodotto in genere economico con cacao di
Costa d’Avorio, Nigeria, Camerun; può avere anche molto zucchero
Tavolette di qualità: prodotto costoso
Cioccolatini: cacao molto fluido per riempire gli stampi
Forme cave
Rivestimenti: molto importante la fluidità del cioccolato
Cioccolato estruso (gianduja)
Pastiglie rivestite
Gelati rivestiti
Denominazioni previste dalla normativa 178/2003 in attuazione della Direttiva 2000/36/CE
1 - Burro di cacao: sostanza grassa ottenuta dai semi di cacao (tenore di acidi grassi liberi inferiore o
uguale 1,75%; frazione insaponificabile inferiore o uguale 0.5%)
2 - Cacao in polvere: tenore minimo di burro di cacao pari al 20%; tenore idrico max del 9%. Cacao
magro se tenore lipidico < 20%.
3 – Cioccolato in polvere: miscuglio di cacao in polvere (non meno del 32%) e zucchero
4 – Cioccolato: ottenuto da zucchero e cacao (tenore minimo di cacao 35%, di cui non meno del 18% di
burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato)
5 – Cioccolato al latte: costituito da cacao, zucchero e latte o prodotti a base di latte con un tenore
minimo di cacao del 25%, di latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del
3,5% e di grassi totali del 25% sulla sostanza secca totale.
6 - Cioccolato bianco: costituito da burro di cacao (> 20%), latte o prodotti a base di latte (> 14% di
sostanza secca del latte), grassi del latte.
7 - Preparati in polvere per cioccolato in tazza: in cui oltre a cacao e zucchero sono presenti anche
farina o amido di frumento, di riso, di granoturco come addensanti.
Fattori antinutrizionali
Polifenoli: attività positiva come antiossidanti, antiradicalici, antimicrobici, antifungini ma anche
negativa; limitano la biodisponibilità di proteine ed enzimi (per l’azione precipitante dei tannini) e dei
minerali (Fe).
Acido fitico: limita l’assunzione a livello intestinali di cationi (Fe2+, Ca2+, Mg2+, Zn2+) complessandoli e
formando sali insolubili.
Acido ossalico: limita l’assunzione di micro e macro elementi (ossalati insolubili); es. Ca2+
Acido clorogenico: classe di composti fenolici il cui maggior rappresentante è l’acido 5-caffeoil-
chinino che in ambiente acido a caldo si idrolizza in acido caffeico (limita la biodisponibilità della
tiamina- B1) e acido chinico; i gruppi chinonici reagiscono con in gruppi - NH 2, - SH, - SMe, - indolico
degli aa Lys, Cys, Met e Trp, diminuendo la loro biodisponibilità.
Sostanze tossiche
Safrolo: Principale composto tossico del cacao, epatocancerogeno con bassa attività / non comporta
problemi tossici nell’uomo;
Micotossine: Prodotte da funghi filamentosi; aflatossine, ocratossina A (attività carcinogenetica,
nefrotossica, teratogena e immunotossica); Circolare Ministero della Sanità del 1999 ne fissa il valore
max tollerabile nei derivati del cacao.
Presidi fitosanitari: fungicidi, insetticidi, erbicidi; pesticidi clorurati (DDT, Linano) vietati dalla
normativa ma spesso utilizzati nei siti di produzione per lo scarso controllo da parte della autorità.
Solventi: (es.esano) limiti di residui (DL 4 Febbraio del 1993) 1 mg/Kg
Ricco in Nickel: metallo in grado di scatenare allergia in individui predisposti
ASPETTI NUTRIZIONALI:
Alimento altamente calorico: - 100 g di cioccolato fondente: 500 Kcal
- 100 g di cioccolato al latte: 550 Kcal
Contenuto in lipidi alto (58% saturi, 32% monoinsaturi); contenuto di colesterolo basso;
Presenza di minerali (Fe, Mg, Mn, K, P, Na): alimento per sportivi;
Proprietà toniche e nervine: teobromina, caffeina
Recentemente è stato formulato e commercializzato: Cioccolato a ridotto contenuto calorico. Si
sostituiscono carboidrati semplici con edulcoloranti di sintesi, fruttosio o polialcoli (mannitolo,
xilitolo..) e fibre alimentari (inulina). Proprietà antiossidanti, antimicrobiche, antivirali in vitro dovute
alla componente polifenolica ed alla clovamide. Negli ultimi 10 anni sono state dimostrate le proprietà
antiossidanti e anticarcinogeniche dei flavonoidi.
IL CAFFÈ
OMS: lo classifica come non nutritive dietary component. E’ al secondo posto a livello mondiale, dopo
il petrolio, di scambi commerciali. Insieme al tè, bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua.
Si diffonde in Arabia, dove la sua coltivazione raggiunge il primo successo, da cui giunge per via
commerciale dagli altopiani dell’Etiopia nel XII secolo; si diffonde in Europa insieme al cacao. Ad
Oxford nascono i coffee houses (1650). In Svezia l’uso del caffè venne liberalizzato solo dopo il 1853.
In Italia il caffè nel 1615 viene introdotto dai commercianti veneziani.
Produzione mondiale di caffè - anno 2008
Il caffè è una pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Rubiaceae (genere Coffea); dal punto di
vista economicocommerciale solo due specie hanno un ruolo di rilievo; la Coffea arabica, e la Coffea
canephora, meglio conosciuta come robusta.
La specie arabica è tipicamente preferita dai consumatori in ragione del suo sapore delicato, la varietà
“Moka” è quella maggiormente rinomata. Cresce soprattutto in America Latina (Colombia), in Africa
centrale e orientale e in alcune zone dell’India e rappresenta il 70% della produzione mondiale.
La specie robusta ha un sapore maggiormente amaro, un maggior contenuto di caffeina (1,5-2,5%), e
un maggior grado di acidità. Più resistente alle malattie e ha un tasso di sopravvivenza maggiore
dell’Arabica, tollera condizioni più estreme. Costo di produzione e di impianto inferiore all’Arabica.
Cresce in Brasile e in alcune regioni occidentali dell’Africa e nel Sud-Est asiatico.
Conservazione :
Caffè verde: fino a 2 anni se ben conservato;
Torrefatto: circa 3 mesi; basse temperature e in assenza di ossigeno (alterazioni: ossidazioni dirette per
effetto dell’ossigeno dell’aria e indirette per azione dei perossidi);
Macinato: deterioramento veloce, superficie più estesa; ossidazioni, irrancidimenti,
Il confezionamento può essere sotto vuoto/atmosfera modificata.
Il caffè prodotto in Italia, tipo “espresso”, presenta un colore scuro ed una perdita di peso del 20%;
inoltre si ha la totale distruzione dei microrganismi patogeni e delle micotossine presenti nel prodotto
crudo, oltre a contaminanti chimici; si raggiunge un valore di a w (<0,75) tale da non consentire lo
sviluppo di agenti microbici patogeni apportati con le successive operazioni di stoccaggio, macinatura e
confezionamento.
- Caffè in chicchi: tramite una macchina confezionatrice è messo sottovuoto in apposite buste, riposte
in cartoni, imballati da un film plastico e stoccati in magazzino;
- Caffè macinato: è macinato e fatto riposare per essere poi confezionato in buste, o in cialde, riposte
in cartoni, imballati da un film plastico e stoccati in magazzino;
- Caffè decaffeinato: l’estrazione della caffeina è effettuata con solventi organici (diclorometano con p eb
40 °C, oppure etile acetato con peb 70 °C), anidride carbonica supercritica e acqua. In America: 2.5 % di
caffeina; in Italia: 0.1%; caffeina estratta viene utilizzata per la produzione di farmaci (analgesici) e
altre bevande nervine (cola drink).
- Caffè solubile istantaneo: il primo caffè solubile fu Nescafè (1938); estrazione del caffè torrefatto;
tecniche dello spray-drying e freeze-drying; packaging: sotto vuoto o atmosfera inerte.
La pianta del caffè è soggetta all’attacco di numerosi patogeni e vengono quindi utilizzati fungicidi,
insetticidi, erbicidi → es Aldrin (organocloro), molto utilizzato: limite 0.01 ppm nel caffè crudo
Caffè biologico: dichiarato il non utilizzo di pesticidi
Sostanze tossiche:
Micotossine: Ocratossina A, 80% distrutta dalla torrefazione; Circolare Ministeriale 1999 ne fissa i
limiti consentiti.
Presidi fitosanitari: (fitofarmaci/antiparassitari) → durante la torrefazione possono formarsi sostanze
tossiche e nocive, tra cui prodotti della pirolisi ed alcuni Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA);
nitrosamine cancerogene e amine eterocicliche potenzialmente mutagene presenti in tracce;
Solventi (DCM ed Etile acetato): tracce (2 mg/Kg residuo massimo).
Le uniche calorie sono fornite dagli edulcoranti usati per la dolcificazione. Ha proprietà tonico-nervine.
In una dieta bilanciata e completa, l’uso di 2-3 tazzine al giorno non comporta problemi per la salute.
TÈ
OMS: lo classifica come non nutritive dietary component. Pur essendo classificabile negli alimenti
nervini, si differenzia per il fatto di non subire una fermentazione “estrattiva”.
Coltivato e utilizzato in Cina fin dall’antichità, si diffonde nel sud-est asiatico: Corea (I sec a.C.), Tibet
(VI sec), Giappone (VIII sec). Mercanti arabi lo scoprono intorno al ‘900. Raggiunge l’occidente nel
1600. Commercianti (Twining e Lipton) lo introducono in Gran Bretagna nel 1700. Nel 1650 in
Germania, Parigi e Italia. La caratteristica che lo contraddistingue (a differenza di cacao e caffè) è il
suo alto consumo negli stessi paesi produttori.
La pianta del tè fa parte della famiglia delle Theacae, genere Camellia, specie sinensis (Cina, Tibet,
Giappone) e assamica (Nord Est dell’India); richiede un clima moderatamente caldo e umido.
Produzione mondiale annua: 3.819.000 tonnellate. 40 paesi produttori: India è il principale produttore,
seguita da Cina, Brasile, Argentina, Sri Lanka e Kenya.
Consumo pro-capite europeo: 0.6 Kg/anno; in Italia: 0.1 Kg/anno.
Più pregiati: - Regione del Darjeeling (Himalaia)
- Alture dello Sri Lanka
Oggi il tè (in particolare la varietà verde) è considerato un vero e proprio “prodotto della salute”, grazie
alle numerose bioattività, prime fra tutte quelle antiossidanti.
LAVORAZIONE DEL TE’:
Il tè può essere classificato come: NERO (fermentato), VERDE (non fermentato), OOLONG
(semifermentato o rosso), BIANCO (non fermentato). Ognuna delle tipologie presenta caratteristiche
specifiche a livello di produzione, compositivo e aromatico.
TE' VERDE
I principali produttori e consumatori sono la Cina ed il Giappone, seguiti dal sud-est asiatico. Questi tè
non subiscono fermentazione delle foglie, ma esse vengono essiccate appena raccolte.
Nel processo di lavorazione del tè verde le foglie fresche appena colte, vengono torrefatte (metodo
cinese) o trattate con vapore fluente a temperatura di 95°C (metodo giapponese). Questo distrugge gli
enzimi contenuti nelle foglie e impedisce quindi la fermentazione, successivamente le foglie vengono
arrotolate e sottoposte di nuovo a essiccamento lasciandole al sole oppure in apposite camere riscaldate
e ventilate. Nel corso di questo processo la clorofilla non viene alterata e il tè mantiene il suo colore
verde e tutti i principi attivi.
TE’ NERO
Più diffuso e consumato in occidente. Questi tè vengono prodotti favorendo la reazione fra gli enzimi e
le catechine o i polifenoli (fermentazione), i tè neri vengono definiti fermentati. La lavorazione
prevede: avvizzimento, rullatura, fermentazione, essiccazione. Le foglie fresche vengono lasciate
appassire in camere o con essiccatori a rulli; le foglie vengono arrotolate in modo che le pareti cellulari
e le nervature si spezzino senza rompere la foglia, ciò conduce alla liberazione degli oli essenziali e dei
sistemi enzimatici responsabili dell’ossidazione dei precursori dell’aroma. L’ossigeno entra a contatto
con il fluido cellulare e inizia il processo di fermentazione durante la quale si sviluppano il sapore e
l’aroma. La fermentazione dura 1- 3 ore in ambienti umidi. Essiccazione finale: lasciando le foglie,
disposte a strati, a una temperatura di 80/100°C per 20 minuti. Questa fase porta le foglie a scurirsi
(colore bruno-nero).
TE’ SEMIFERMENTATO
La fermentazione viene bloccata prima che il tè diventi nero. Si ottiene secondo il modello del tè nero,
ma subisce una fermentazione abbreviata; e’ definito anche oolong o tè rosso.
TE’ BIANCO
Il tè bianco deriva dalle foglioline all’apice del fusto del germoglio, che viene raccolto prima che si
apra. Le foglie vengono raccolte, essiccate e confezionate cercando di impedire il processo di
fermentazione. Considerato un tè molto pregiato, scarso consumo in Occidente.
TE’ SOLUBILE Estratto liquido polverizzato mediante rulli riscaldati (drumdrying) o liofilizzato;
Prodotto ottenuto è solubilizzato in acqua calda o fredda (macchine distributrici automatiche, bevande
tipo tè freddo).
La pianta del tè è soggetta all’attacco di numerosi funghi, insetti e batteri. Fertilizzanti e fitofarmaci: si
possono ritrovare in tracce nel prodotto essiccato. Acefate, Aldicarb e Aldrin i più utilizzati: limiti max
0.1, 0.05 e 0.2 ppm. (97/41/CE; 1999/41/CE; 1999/71/CE)
Sostanze tossiche
Micotossine: aflatossine;
Presidi fitosanitari (fitofarmaci)
Al- in diverse fasi della filiera produttiva: essiccazione su lastre di Al, confezionamento in sacchetti di
Al: dal terreno (stimola la crescita della pianta); neurotossico e potenzialmente tossico per il sistema
scheletrico ed ematopoietico.
Acqua: usata per l’infusione è quantitativamente il componente principale della bevanda e può
apportare altri residui (pesticidi, nitrati..)
Le uniche calorie sono fornite dagli edulcoranti o il latte usati per la dolcificazione;
Effetti benefici: ANTI-OSSIDANTE, ANTI-CANCEROGENO, ANTI-ATEROSCLEROTICO, dovuti
alla presenza di flavonoidi. Il tè apporta alte dosi di caffeina (generalmente più del caffè) e contiene
solo in bassa percentuale teobromina e teofillina.
BEVANDE ALCOLICHE
VINO
Il termine “vino” indicava in origine qualsiasi bevanda ottenuta dal processo di fermentazione degli
zuccheri contenuti in frutti, cereali e miele. Oggi tale termine indica esclusivamente il prodotto ottenuto
dalla fermentazione dei frutti di Vitis, principalmente Vitis vinifera.
La Vitis Vinifera ha particolari esigenze climatiche; la maggiore concentrazione delle superfici investite
a vite è localizzata nell’area del bacino mediterraneo, in particolare in Francia, Italia e Spagna.
Si definisce vino il prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca,
o del mosto d’uva in presenza di saccaromiceti.
Lieviti = funghi unicellulari presenti nell’aria e sulle bucce dell’uva, capaci di secernere un sistema
enzimatico, la zimasi alcolica, che produrrà la trasformazione del glucosio in alcol etilico, anidride
carbonica, glicerina, acido succinico e tracce di aldeidi.
La qualità del vino dipende strettamente dalla qualità dell’UVA: solo da uve sane e al giusto grado di
maturazione è possibile ottenere vini di qualità.
Il grappolo d’uva è costituito da due parti ben distinte:
1) dal raspo (3,5%) presenta una struttura più o meno ramificata e legnosa in base al tipo di vitigno e al
grado di maturazione ed è lo scheletro che sostiene l’acino.
2) dagli acini (95-96%) che sono costituiti dalla buccia, dalla polpa e dai vinaccioli (semi). La
superficie è ricoperta da una cera, la pruina, che protegge l’acino dall’evaporazione dell’acqua. La
pruina, inoltre, trattiene sulla superficie del chicco vari microrganismi, quelli della fermentazione
alcolica ed anche quelli indesiderati delle alterazioni del vino. La buccia contiene notevoli quantità di
prodotti secondari d’interesse enologico come sostanze fenoliche ed aromatiche.
ACINO
Nella buccia dell’uva matura bianca e rossa sono presenti:
• ACIDI FENOLICI, acidi benzoici e cinnamici, composti non dotati di particolari odori, ma precursori
di fenoli volatili prodotti da lieviti e batteri;
• FLAVONOLI: pigmenti gialli;
• TANNINI: polimeri dei fenoli, hanno la capacità di chelare i metalli, precipitare le proteine ed
esercitare una forte azione antiossidante;
• ANTOCIANI: sostanze che conferiscono il colore all’uva rossa.
• SOSTANZE AROMATICHE: alcune centinaia di composti, appartenenti a numerosi classi chimiche
(idrocarburi, alcoli, esteri, aldeidi..) che concorrono a formare l’aroma dell’uva;
• SOSTANZE AZOTATE: costituiscono l’alimento essenziale per i lieviti durante la fermentazione
alcolica ed influiscono sulle caratteristiche organolettiche del vino;
• PECTINE: durante la maturazione dell’uva si solubilizzano, grazie all’azione enzimatica, con
aumento della frazione pectica solubile che si ritrova poi nel mosto.
• STILBENI: in risposta ad attacchi fungini, la buccia è in grado di sintetizzare composti ad azione
antifungina, come il resveratolo.
La polpa costituisce la frazione più rilevante dell’acino (dal 75 all’85%). E’ costituita prevalentemente
dal succo, che andrà poi a formare il mosto e da una minima quantità di tessuto cellulare. Nel succo
sono presenti acqua (70-85%); zuccheri (glucosio, fruttosio: glucosio/fruttosio 0,9) responsabili anche
della morbidezza del vino, gli zuccheri giocano un ruolo importante ed in particolare il fruttosio che
rimane di più rispetto al glucosio che viene fermentato; acidi organici (acido tartarico, che conferisce
al vino vivacità, freschezza e colore; acido malico, che conferisce aggressività (allappante se
eccessivo); citrico, che fornisce un gusto acidulo). Sono presenti inoltre minerali (K, Ca e Mg);
vitamine indispensabili per la vita dei lieviti e dei batteri (vit del gruppo B: B1, B2, B6, piccole
quantità di Vit C e nicotinammide (PP)); enzimi (invertasi (scindono il saccarosio in glucosio e
fruttosio), ossidasi (esercitano la loro azione su polifenoli e sostanze coloranti), enzimi proteolitici
(idrolizzano le strutture pectiche delle pareti cellulari)).
I vinaccioli o semi d’uva contengono:
- tannini composti fenolici con strutture molto complesse (tannini condensati); sono principalmente
presenti nelle bucce e nelle vinacce e quindi si ritrovano principalmente nei vini rossi. Con
l'invecchiamento del vino si ossidano, preservando il vino, e passano dal colore giallo al rosso bruno.
- frazione grassa (13-20% su 100g di semi), utilizzati per estrarre un olio usato nell’industria
alimentare.
E’ bene che i vinaccioli rimangano integri durante la vinificazione per non avere fuoriuscita di olio e
aumento della concentrazione di alcool metilico che deriva dalle sostanze pectiche. Queste sostanze
concorrono a determinare l’aroma del vino.
Il MOSTO è il liquido derivato dalla pigiatura e dalla torchiatura di uve fresche. Questo, con o senza
vinacce viene inviato, per mezzo di pompe, alle vasche o ai tini, dove avverrà la fermentazione
tumultuosa. E’ composto da:
- Acqua (70-80%), in cui si ritrovano il 15-20% di zuccheri costituiti da glucosio e fruttosio, in
quantità pressochè uguali, derivanti dall’attività fotosintetica delle foglie;
- Estratto secco formato da:
- Frazione elettrolitica: Acidi tartarico, malico, citrico, che conferiscono un pH compreso tra 3 e 3,6;
fondamentale per il processo fermentativo e per dare al vino la tipica “brillantezza”. Questi acidi si
ritrovano in forma indissociata e anche come sali, tra cui il tartrato acido di potassio; Anioni (Cl-,
SO42-, PO43-); Cationi (K+, Na+, Ca2+, Mg2+);
- Frazione non elettrolitica: Sostanze azotate, come aa, polipeptidi, proteine ed, in minima quantità,
ammoniaca, nitriti, nitrati, derivano prevalentemente dalla buccia e sono essenziali ai fini del
processo fermentativo in quanto utilizzate dai lieviti come nutrimento e trasformate (mediante
deamminazione e decarbossilazione) in alcoli superiori, che concorrono all’aroma del vino. le
proteine, se presenti in concentrazione rilevante, possono legarsi ai tannini e precipitare, favorendo
la chiarificazione del prodotto; Enzimi (ossidoriduttasi, idrolasi..); Sostanze pectiche, si ritrovano
nel vino in quantità inferiore perché in parte precipitano, legandosi alle proteine, in parte vengono
idrolizzate, dando origine all’alcool metilico; Vitamine (gruppo B, C, β-carotene); Sostanze
coloranti, tannini, sostanze aromatiche, qualora la vinificazione avvenga in presenza di vinacce
(buccia+vinaccioli).
VINIFICAZIONE
La vendemmia rappresenta il momento in cui l’uva viene raccolta, tale momento è molto variabile e
dipende dalla varietà dell’uva, dal tipo di vino desiderato e dalle condizioni climatiche. Durante la
maturazione dell’uva si ha un progressivo aumento degli zuccheri seguito da una riduzione dell’acidità.
Possiamo avere due tipi di vinificazione:
- IN BIANCO (avviene in assenza di vinacce, bucce e vinaccioli)
- IN ROSSO (in presenza di vinacce).
Inizialmente si effettua la PIGIATURA che consiste nella compressione dell’uva con conseguente
fuoriuscita del succo zuccherino (mosto). L’ operazione si realizza attualmente quasi esclusivamente
con l’impiego di attrezzature meccaniche (pigiatrici), alcune delle quali possono eliminare i graspi
(pigiatrici-diraspatrici).
Può essere condotta con 2 tecniche fondamentali:
- In presenza di vinacce (in particolare di bucce e vinaccioli) per ottenere vini rossi;
- In assenza di vinacce per ottenere vini bianchi o rosati, anche utilizzando uve rosse.
Il mosto prodotto per pigiatura è avviato tramite pompe nei tini di FERMENTAZIONE, previa
aggiunta di anidride solforosa. I tini possono essere contenitori di cemento, metallici o di vetroresina,
rivestiti internamente da diversi tipi di resine.
1) Fermentazione in rosso consiste nella rapida fermentazione del mosto dovuta ai lieviti presenti nella
buccia. Il processo consiste in una fermentazione tumultuosa che determina lo sviluppo di anidride
carbonica e l’innalzamento della temperatura che deve essere rigorosamente controllata per evitare il
blocco del processo. Nel corso della fermentazione, le vinacce risalgono in superficie a formare il
cosiddetto cappello. Per evitare che il contatto del cappello con l’aria provochi l’acetificazione del
liquido, il cappello deve essere periodicamente sommerso.
2) Fermentazione in bianco consente la produzione di vini poco colorati e poco aromatici. Il processo è
reso possibile dall’aggiunta di lieviti selezionati, in fase di correzione del mosto, che sostituiscono i
lieviti presenti nelle bucce degli acini delle uve rosse.
Mancando l’azione chiarificante dei tannini, è opportuno che il mosto-fiore, prima della fermentazione,
subisca la defecazione, ossia la separazione delle sostanze in sospensione; questa viene preceduta
dall’aggiunta di SO2 e attuata con sistemi statici (sedimentazione) o dinamici (centrifugazione).
L’operazione più importante della vinificazione IN ROSSO è data dalla svinatura, cioè dalla
separazione del mosto-vino dalle vinacce. Il vino appena svinato si chiama VINO FIORE. La
svinatura è un processo meccanico eseguibile con differenti tecniche a seconda del contenitore dove il
mosto-vino ha completato la fermentazione, della quantità e degli obiettivi enologici; si tratta quasi
sempre di aspirare il vino-fiore dal livello di residuo solido che giace sul fondo e travasarlo in altro
contenitore.
La fermentazione secondaria è preceduta dal travaso del liquido dai tini aperti alle botti. In questo
modo si separano le vinacce dal vino nuovo (vino fiore). Il vino nuovo va quindi incontro a un processo
di fermentazione lento. Le vinacce sono utilizzate per la produzione di grappa, etanolo, aceto, mangimi.
La fermentazione secondaria è un processo di fermentazione lenta ad opera di particolari batteri. La
lavorazione del vino nuovo avviene in botti (di legno, cemento, vetroresina) e consiste in periodiche
operazioni di colmatura e travaso.
CHIARIFICAZIONE E STABILIZZAZIONE
E’ indispensabile che il vino, quando viene imbottigliato, sia limpido e così si mantenga fino al
consumo. I trattamenti hanno lo scopo di:
- Renderlo limpido (chiarificazione)
- Mantenerlo limpido il più a lungo possibile (stabilizzazione)
L’aumento della limpidezza del vino è ottenuto attraverso filtrazione (meccanismo fisico) e
chiarificazione (con meccanismo fisico e fisico-chimico).
La filtrazione si esegue mediante filtri o filtro presse di vari tipi, che usano come materiale filtrante:
farina fossile (setacciante), cellulosa (adsorbente) e perlite (in mix alla farina fossile; inerte).
La chiarificazione si esegue mediante trattamento con silice, bentonite, gelatina, colla di pesce,
albumina, caseina.
Per la stabilizzazione si ricorre a REFRIGERAZIONE O PASTORIZZAZIONE
- Refrigerazione: raffreddamento del vino a temperature fino a -10°C in celle frigorifere; in tal modo si
favorisce la precipitazione dei tartrati, delle sostanze coloranti, delle pectine e del fosfato ferrico; segue
la filtrazione.
- Pastorizzazione: trattamento a caldo del vino (prima o dopo l’imbottigliamento) per distruggere
carica microbica ed enzimi e migliorarne la conservabilità; In alternativa può essere eseguita anche
microfiltrazione prima dell’imbottigliamento.
ACETO
Con il termine di “aceto” si indica il prodotto della fermentazione acetica del vino che, per legge (DPR
162/65), deve contenere più del 6% di acidità totale, espressa come acido acetico, e una quota residua
di alcol non superiore all’1,5%. In Italia e Francia la materia prima è il VINO, che deve essere sano e
genuino. Si possono utilizzare VINI BIANCHI (aceto bianco), VINI ROSSI e ROSATI.
Oltre all’uso come condimento, l’aceto viene impiegato per la preparazione di salse, sottaceti, prodotti
a base di verdure o pesce (azione antisettica).
La trasformazione del vino in aceto non è una vera e propria fermentazione, ma un’OSSIDAZIONE
svolta da batteri acetici (principalmente Acetobacter aceti).
I BATTERI ACETICI appartengono alla famiglia delle Acetobacteriaceae e sono rappresentati dai
generi Acetobacter, Gluconobacter e Gluconoacetobacter. Sono bacilli Gram negativi, aerobi obbligati,
chemioeterotrofi, con temperatura ottimale 15-35°C. Sono marcatamente acidofili (crescono fino a pH
4) e si localizzano soprattutto sulla superficie di piante, in particolare fiori e frutti. Sono capaci di
metabolizzare anche l’etanolo come fonte di carbonio producendo acido acetico.
I metodi industriali sono attualmente due:
- In superficie su trucioli → in cui gli Acetobacter sono localizzati sulla superficie di trucioli di legno
o raspi d’uva localizzati nella parte centrale di un tino dalla cui sommità viene spruzzato il vino;
- A fermentazione sommersa → la fermentazione avviene all’interno della massa del vino,
completamente arieggiato (si compie in tempi ridotti, ma l’aceto così prodotto ha caratteristiche e
requisiti inferiori rispetto al primo).
Si utilizzano botti di volume relativamente piccolo (200/300 litri), in cui l’ etanolo presente in un vino
ottenuto da uvaggi dedicati viene ossidato ad acido acetico con lentezza.
LA BIRRA
L’orzo deve essere trasformato in malto: tale procedimento definito MALTAGGIO viene attuato in
fabbriche distinte dalle birrerie. La produzione di malto o maltaggio si basa sulla germinazione delle
cariossidi d’orzo che determina l’abbondante formazione di enzimi (amilasi). Gli enzimi determinano
la trasformazione dell’amido in zuccheri (maltosio e glucosio).
L'orzo è la sorgente più comune per gli zuccheri fermentabili utili alla birra. Il nucleo del chicco d'orzo
è il seme di una pianta della famiglia delle Graminacae. Il malto d'orzo è formato da chicchi d'orzo,
germogliati e o modificati fino ad una lunghezza desiderata, a cui vengono tagliate le radichette
per poi venire tostati fino al colore desiderato. L'orzo contiene zuccheri, amidi, proteine, enzimi,
tannino, cellulosa e composti azotati.
Il maltaggio comprende 3 fasi:
• Umidificazione (le cariossidi sono pulite, selezionate e umidificate a 10-15°C in appositi contenitori);
• Germinazione (le cariossidi sono investite da aria caldo-umida, che permette la ripresa vegetativa:
malto verde);
• Torrefazione (comporta l’essiccazione dell’orzo germinato in seguito a trattamento termico fino a
70°C).
Al termine della cottura, che dà luogo al processo di saccarificazione, la fase liquida del mosto viene
separata dai residui solidi (cariossidi e sostanze coagulate: trebbie, utilizzabili come mangimi) tramite
filtrazione. È consentito impiegare, quale coadiuvante di filtrazione e di chiarificazione del mosto di
birra e della birra, il biossido di silicio sotto forma di gel o di soluzione colloidale e il
polivinilpirrolidone alla dose max di 70 g/hl.
Dopo la filtrazione la fase liquida è trasferita nelle caldaie di rame e, previa aggiunta di luppolo (300g
per hl di mosto), portata all’ebollizione per un periodo di circa 2 ore. Il luppolo è costituito dalle
infiorescenze femminili dell’Humulus Lupulus, che contengono oli essenziali, resine, tannini, e viene
aggiunto allo scopo di conferire alla birra il caratteristico aroma ed il sapore amaro. La sostanza più
importante per quanto riguarda il conferimento dell’aroma è la LUPPOLINA, la quale ha anche azione
antisettica (e perciò conservante) e favorisce la formazione e la persistenza della schiuma. Il luppolo
può essere utilizzato anche come polvere, estratto o concentrato.
Al termine dell’ebollizione il mosto risulta concentrato, sterilizzato e presenta il tipico sapore del
luppolo. Si procede quindi a filtrazione e raffreddamento del mosto in adatti scambiatori di calore.
Classificazione della birra: in commercio si trovano vari tipi di birre, in conformità alle disposizioni
n.89/395 e 89/396 della CEE nonché all’Art.19 del D.L. n.109, 27.1.1992; le denominazioni secondo
quanto stabilito, sono le seguenti:
- Birra Analcolica con grado saccarometrico* in vol. tra 3 e 8 e contenuto alcolico non superiore 1.2
mL/100mL;
- Birra Leggera (o light) con grado saccarometrico in vol. tra 5-11 e contenuto alcolico compreso tra
1.2 e 3,5 mL/100mL;
- Birra Normale con grado saccarometrico in vol. superiore a 11 e contenuto alcolico non inferiore a
3,5 mL/100mL;
- Birra Speciale con grado saccarometrico in vol. superiore a 13 e contenuto alcolico non inferiore a 4
mL/100mL;
- Birra Doppio Malto con grado saccarometrico in vol. superiore a 15 e contenuto alcolico non
inferiore a 4,5mL/100mL.
GRADO SACCAROMETRICO: quantità di zuccheri fermentabili presenti nel mosto prima della
fermentazione; Grado Plato = 10g di zuccheri in 1 Kg di mosto.
SUPERALCOLICI
La DISTILLAZIONE è una tecnica utilizzata per separare due o più sostanze presenti in una miscela,
che sfrutta la differenza dei PUNTI DI EBOLLIZIONE di tali sostanze. Comprende i seguenti passaggi
di stato:
- EVAPORAZIONE di una o più sostanze a partire da una miscela o da una soluzione;
- CONDENSAZIONE dei vapori ottenuti che tornano allo stato liquido al fine di separare i componenti
caratterizzati da diversa volatilità.
Somministrando calore ad una soluzione:
- Si separa vapore che sarà più ricco del componente più volatile;
- Il liquido che rimane è più ricco del componente meno volatile;
- La temperatura di ebollizione della soluzione tende ad aumentare.
Le ACQUAVITI sono bevande ottenute dalla distillazione di liquidi fermentati (mosti fermentati) e
comprendono grappa, brandy, cognac, whisky, vodka, gin. Il titolo alcolometrico del prodotto finito va
da 30 a 86% vol. La distillazione viene realizzata in 2 tipi di recipienti: l’alambicco e il distillatore
brevettato o distillatore Coffey.
Distillazione con alambicco: L’alambicco è un recipiente di rame di dimensioni e forma diverse
collegato a un condensatore. Il liquido alcoolico è riscaldato e fatto passare all’interno dell’alambicco
dove si realizza la distillazione della frazione alcoolica (più volatile della composizione acquosa). Il
raffreddamento dei vapori che avviene nel condensatore ne determina il passaggio allo stato liquido.
Distillazione con distillatore Coffey: Il distillatore Coffey impiega il vapor acqueo per separare
l’etanolo dal liquido fermentato. Questo tipo di distillatore è alla base dei moderni processi produttivi
che utilizzano la distillazione in continuo.
BEVANDE LIQUOROSE: I liquori sono bevande preparate artificialmente; sono miscele di alcol
etilico o acquavite con acqua, zucchero, aromi, essenze, oli essenziali e, a volte, con sostanze amare
toniche, bitter e amari.
Gli estratti aromatizzati sono ottenuti con diverse tecniche da:
- Semi e frutti (mirtillo, cumino, anice, caffè, cacao);
- Foglie (menta, assenzio, artemisia);
- Fiori (arancio, luppolo, camomilla);
- Radici (ginger, rabarbaro, liquirizia, genziana);
- Cortecce (angostura, china, sandalo, cannella).
Il titolo alcoolometrico è compresto tra il 20-50%.
INTEGRATORI ALIMENTARI
Il settore degli integratori alimentari è regolamentato a livello europeo dalla Direttiva 2002/46/CE del
10 giugno 2002, nata con lo scopo di assicurare da una parte un elevato livello di tutela della
pubblica salute, dall’altra una circolazione libera di questi prodotti all’interno dell’UE, garantendo,
tramite un’etichettatura adeguata ed appropriata, una miglior TUTELA DEI CONSUMATORI.
Secondo tale normativa gli INTEGRATORI ALIMENTARI sono “prodotti alimentari destinati ad
integrare la dieta normale che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali vitamine e
minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che
pluricomposti”
Sono presentati in forma di tavolette, capsule, compresse, bustine di polveri, fiale di liquidi, flaconcini
e flaconi a contagocce ed altre forme similari di liquidi e polveri per fornire un apporto predefinito di
nutrienti e/o sostanze ad effetto fisiologico.
Considerazioni:
1) Gli integratori alimentari sono alimenti, regolamentati come tali e pertanto soggetti a tutte le regole e
norme applicabili agli alimenti;
2) Gli integratori alimentari sono fonti concentrate di nutrienti o altre sostanze con effetto nutrizionale
(vitamine, minerali ecc..) o fisiologico (estratti vegetali..), da soli o in combinazione;
3) Gli integratori vanno commercializzati in forme predosate, e cioè formulati per essere assunti in
piccole quantità misurate e misurabili;
4) Lo scopo di questi prodotti è di SUPPLEMENTARE, INTEGRARE la dieta normale.
5) Il RUOLO FISIOLOGICO DEGLI INTEGRATORI viene inteso come un effetto “salutistico” volto
a contribuire specificamente al benessere dell’organismo su base non nutrizionale, senza obiettivi di
cura.
6) Si allarga il quadro dei componenti dalle vitamine/minerali ad una più vasta gamma di ingredienti
che comprendono anche alcuni derivati vegetali.
“Esiste un’ampia gamma di sostanze nutritive e di altri elementi che possono far parte della
composizione degli integratori alimentari, ed in particolare, ma non in via esclusiva, vitamine, minerali,
amminoacidi, acidi grassi, fibre ed estratti di origine vegetale”.
In Italia la Direttiva è stata recepita e attuata con il Decreto legislativo n. 169 del maggio 2004 , che
ha normato il ruolo e la finalizzazione degli integratori alimentari parallelamente alla profonda
evoluzione che si è andata affermando in questo settore.
Tali punti sono molto importanti perché rappresentano un elemento informativo essenziale per orientare
nelle scelte e favorire corretti comportamenti da parte dei consumatori in funzione delle specifiche
esigenze individuali. Per risultare utile in tal senso deve necessariamente riguardare lo specifico
effetto coadiuvante che il prodotto è in grado di svolgere.
ETA’ PEDIATRICA
Se nell’etichetta del prodotto non è indicata alcuna limitazione d’uso per età questo non significa che il
Ministero ne abbia autorizzato l’utilizzo anche nella prima infanzia. Nel caso di bambini al di sotto dei
2 anni qualunque prodotto che non riporti specifiche indicazioni di uso in età pediatrica andrebbe
utilizzato solo previo parere del pediatra.
Secondo il regolamento:
- I claim nutrizionali e salutistici devono essere scientificamente provati;
- Devono essere ben definiti e verificabili;
- Non si potrà attribuire agli alimenti e quindi agli integratori proprietà salutistiche o benefiche
generiche.
I CLAIM SULLA SALUTE (indicazioni che affermano o suggeriscono l’esistenza di un rapporto tra
prodotto e salute) possono essere classificati in due categorie:
1) CLAIM SULLA SALUTE DIVERSI DA QUELLI SULLA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI
MALATTIE (art.13) detti anche CLAIM FUNZIONALI attraverso i quali viene espresso il ruolo di
una sostanza nutritiva o di un altro tipo sulla crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo, sulle
funzioni psicologiche e comportamentali, sul dimagrimento, sul controllo del peso o la riduzione dello
stimolo della fame o un maggiore senso di sazietà o la riduzione dell’energia apportata dal regime
alimentare.
2) CLAIM SULLA SALUTE RELATIVI ALLA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI MALATTIE E
SULLA SALUTE E LO SVILUPPO DEI BAMBINI (art.14) I quali affermano o suggeriscono che il
consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di un suo componente riduce in modo
significativo un fattore di rischio di sviluppo di una malattia.
Le indicazioni che fanno riferimento specifico alla riduzione dei rischi di malattia o alla salute e
allo sviluppo dei bambini, devono essere autorizzate dall’EFSA, quindi è necessario un determinato
iter per l’approvazione claim.
IN ITALIA → I livelli massimi ammessi sono riferiti principalmente alle RDA (Recommended Dietary
Allowances) riportate come “Consumi di riferimento giornalieri per vitamine e sali minerali”
nell’allegato XIII del Reg UE 1169/2011, che si trovano nelle linee guida del Ministero della Salute.
La Direttiva 2002/46/CE rappresenta solo un primo passo nel processo di armonizzazione tra gli Stati
Membri, in quanto si limita a considerare esclusivamente vitamine e minerali.
Per gli altri costituenti nutritivi diversi da vitamine e minerali e per i costituenti ad effetto “fisiologico”
il D.Lgs. 160/04 eleva a riferimento normativo le LINEE GUIDA MINISTERIALI sugli integratori
per i punti non ancora armonizzati.
ETICHETTATURA
L’etichettatura e la pubblicità non devono:
- Attribuire agli integratori alimentari proprietà terapeutiche, né capacità di cura o prevenzione malattie.
- Affermare o sottointendere che una dieta equilibrata non riesce a soddisfare le esigenze nutrizionali
dell’organismo.
CHIAREZZA E TRASPARENZA (169/04 e circolari).
Per i prodotti provenienti da Paesi terzi l’immissione in commercio è consentita solo dopo 90
giorni dalla richiesta di notifica, se non sono state fatte osservazioni dal MS.
In caso di riscontrata pericolosità per la salute il MS impone il divieto della commercializzazione del
prodotto, informandone immediatamente la Commissione Europea.
I prodotti per i quali viene accettata la notifica vengono inclusi in un registro che il MS pubblica e
aggiorna periodicamente.
E’ facoltà dell’impresa che commercializza il prodotto citare in etichetta gli estremi dell’inclusione nel
registro dei prodotti notificati.
Il piano di vigilanza su questi prodotti, definito annualmente dal MS, viene svolto con il coordinamento
dell’Istituto Superiore di Sanità.
INVECE, le miscele di amminoacidi ramificati (leu, ile, val) che, per fini energetici, sono ossidati
maggiormente, rispetto agli altri, nel tessuto muscolare in esercizio o usati maggiormente nei casi di
malnutrizione proteica-energetica, NON SONO COLLOCABILI IN QUESTO GRUPPO, ma solo
negli integratori amminoacidici dietetici per sportivi, oppure negli alimenti dietetici a fini medici
speciali.
3) Amminoacidi singoli
Per essere immessi in commercio devono poter esercitare un qualche effetto trofico o funzionale,
inequivocabilmente suffragato da conoscenze scientifiche, che ne giustifichi l’utilizzo, ma al di fuori
delle attività fisico-sportive o delle condizioni di sforzo muscolare molto intenso. Devono essere
impiegati eventualmente solo amminoacidi L, fatta eccezione per la metionina che può essere usata
nella forma DL.
INTEGRATORI LIPIDICI
1) Integratori di acidi grassi poliinsaturi (AGP-PUFA)
Sono integratori costituiti da oli ricchi di acidi grassi omega-6 e omega-3, provenienti:
- sia da vegetali comuni (oliva, arachidi, soia ecc., per gli acidi grassi a-b) o vegetali particolari
(borragine e ribes, per c)
- che da vari tipi di pesce (d-f)
a) Acido linoleico (C18:2, omega-6)
b) Acido linolenico (C18:3, omega-3)
c) Acido gamma linolenico (C18:3, omega-6)
d) Acido arachidonico (C20:4, omega-6)
e) Acido eicosapentaenoico (EPA, C20:5, omega-3)
f) Acido docosaesaenoico (DHA, C22:6, omega-3)
INTEGRATORI DI FOSFOLIPIDI
Sono generalmente di derivazione dalla soia. Questi integratori possono essere indicati, nell'ambito di
una dieta normale, per il controllo e la regolazione del metabolismo lipidico; in tal caso devono
apportare, con la dose consigliata, almeno 3 g di fosfolipidi al giorno,
In vari prodotti sia gli AGP che i fosfolipidi sono associati alla Vitamina E (antiossidante) e alla
Vitamina B6 (favorisce il metabolismo degli acidi grassi, intervenendo nel funzionamento della ∆6-
desaturasi) o altri nutrienti.
Esempi rappresentativi di integratori lipidici sono:
- AGE Din, Efamol: contenenti acidi grassi essenziali
- Fish Factor, Fish Omega, Maxepa: contenenti i derivati degli acidi grassi essenziali EPA e DHA
- Leciplus, Lecisoy, Nutrilsoia: fosfolipidi a base di lecitine di soia
AZIONE DELLA FIBRA → La fibra solubile (contenenti glucomannano, guar, pectina), invece,
produce la sensazione di sazietà per cui gli integratori di questo tipo di fibra possono, per un primo
aspetto, servire per ridurre lo stimolo della fame. Infatti la fibra solubile si rigonfia nel mezzo acquoso
gastro-intestinale dando luogo alla formazione di una massa gelatinosa ad alta viscosità inglobante il
materiale ingerito.
Ciò provoca un ritardo nel tempo di svuotamento dello stomaco e un rallentamento sia dell’azione
digestiva da parte degli enzimi che dello assorbimento (insieme a riduzione) dei prodotti della
digestione a livello intestinale, con un' importante azione modulatoria sul loro impatto metabolico.
Assumendo, attraverso questi integratori, 2 g di fibra solubile (1,5 g per il glucomannano) prima di
ciascuno dei 2 pasti principali, essi possono trovare indicazione, nella normale alimentazione, per:
- facilitare la sensazione di sazietà e quindi favorire il controllo o una riduzione di peso
- un’azione tendente a rallentare l'assorbimento di nutrienti, in particolare glucosio e colesterolo, per
una regolazione e controllo del metabolismo glucidico e lipidico.
La possibile riduzione di assorbimento di Calcio, Magnesio e vari micronutrienti, come Fe, Zn, in
conseguenza della concomitante assunzione di fibra alimentare sembra che possa essere ovviata
consumando soprattutto la fibra presente negli alimenti vegetali naturali, con i quali si ha un effetto di
compensazione essendo contemporaneamente ricchi anche di macro e microelementi. In commercio
esistono integratori del tipo contenenti fibra generica in toto e di quelli a prevalente contenuto di
frazioni specifiche della stessa (frazioni solubili o gel forming e frazioni insolubili).
Inoltre si ritrovano anche nella forma di alimenti addizionati con fibre (pasta, biscotti, cracker).
Tra gli integratori a base di fibra alimentare possono essere indicati:
- i preparati a base di Glucomannani (Dicoman 5, Dicoman biscotto, Dietoman),
- i preparati a base di Guar (Leiguar, Guar gel) e/o alimenti addizionati di Guar e/o altre fibre (Pasta al
Guar, Pasta Snelling),
- i preparati a base di Cellulosa, con larghissima prevalenza di prodotti contenenti crusca (Crusca
Sohn, Crusca Albios, Crusken)
INTEGRATORI DI PROBIOTICI
Sono prodotti alimentari (come yogurt e latte fermentato) o preparati tipo fermenti lattici (in
compresse, bustine o fialette) che contenengono quantità elevate di microrganismi vivi del tipo
Lactobacillus (casei, acidophilus, bifidus ecc.), Streptococcus (thermophilus) e Bifidobacterium
(bifidum, lactis ecc.) che sono considerati benefici per la salute umana. Essi infatti raggiungono vivi il
tratto intestinale, rimanendo attivi anche vari giorni, dove favoriscono il ri-equilibrio della flora
batterica intestinale, in particolare di quella benefica a discapito di quella patogena. Alcuni
microrganismi sembrano potenziare anche le difese immunitarie. Questa azione benefica per
l’organismo delle specie batteriche utilizzate (attività probiotica) deve essere documentata. Possono
contenere anche componenti nutrizionali, principalmente una miscela vitaminica. La dose consigliata
deve fornire un numero significativo di cellule vive.
INTEGRATORI O COMPLEMENTI ALIMENTARI A BASE DI INGREDIENTI COSTITUITI
DA PIANTE O DERIVATI
Questi prodotti sono stati inclusi tra gli integratori alimentari dapprima con la circolare n. 3 del 18
luglio 2002 e poi con il Decreto Lgs.vo 169/2004 che hanno affiancato agli integratori con valenza
nutrizionale (vitamine, minerali, amminoacidi ecc.) quelli a solo effetto fisiologico e salutistico
contenenti “ingredienti erboristici”.
Questi prodotti contengono sostanze naturali, essendo costituiti da ingredienti erboristici provenienti da
estratti vegetali solamente di erbe idonee all’uso alimentare.
Vengono proposti nelle formulazioni commerciali sia da soli che in associazione o a complemento di
una componente nutrizionale.
Vengono consumati allo scopo di favorire le condizioni generali di benessere dell’organismo,
coadiuvando o migliorando le funzioni fisiologiche. Tra queste, quelle della memoria, concentrazione,
sonno, stress, oppure le funzioni intestinali, circolatorie, renali, immunitarie o osseoarticolari.
Gli ingredienti erboristici impiegabili negli integratori alimentari devono:
- presentare una composizione compatibile con un’azione salutistica e non terapeutica
- fornire le necessarie garanzie in termini di sicurezza (in base a criteri di purezza, ai loro effetti, alla
concentrazione dei principi attivi e alle eventuali associazioni).
Secondo la Circolare n. 3 del 18 luglio 2002 e relativi Allegati 1 e 2, questi integratori vegetali possono
essere commercializzati secondo l’art. 7 del Decreto Lgs.vo 111/92 con la notifica dell’etichetta al
Ministero della Salute, allegando le schede tecniche (Allegato 1) degli ingredienti presenti nel prodotto
o altra documentazione che ne attesti l’idoneità all’uso alimentare. In questa scheda deve essere
indicato il nome botanico, l’origine e parte utilizzata della pianta, i costituenti attivi con relativo
titolo, dati tossicologici, contaminanti, finalità fisiologiche e salutistiche, avvertenze,
controindicazioni ed eventuali interazioni.
Sono esclusi della procedura di notifica i prodotti contenenti ingredienti vegetali di tradizionale
uso alimentare (camomilla, the).
Nella suddetta circolare si dice che il Ministero della Salute pubblica e aggiorna periodicamente
l’elenco degli ingredienti erboristici ammessi negli integratori alimentari e predispone un piano di
verifica per la conferma delle autorizzazioni alla produzione e/o confezionamento di detti prodotti.
Tra i vari prodotti a base di erbe, commercializzati come integratori alimentari, possiamo citare quelli
contenenti: Aglio, Aloe, Citrus aurantium (Arancio amaro), Ginko biloba, Ginseng, Iperico, Mirtillo,
ecc.
EDULCORANTI Una citazione a parte meritano quei prodotti aventi funzione dolcificante alcuni dei
quali sono stati considerati, in passato, come dietetici, che oggi vengono considerati per legge additivi
alimentari.
Essi sono regolamentati dal Decreto ministeriale n. 209 del 27/2/1996 emanato in attuazione delle
direttive comunitarie 94/34/CE e 94/35/CE poi ampliate con la 96/21/CE e la 96/83/CE.
Gli edulcoranti o dolcificanti sono sostanze utilizzate per conferire sapore dolce a cibi e bevande,
oppure per la edulcorazione estemporanea, con capacità di assicurare o meno un apporto
calorico all’organismo, in conseguenza della loro assunzione.
Essi si dividono in: naturali (saccarosio, fruttosio, glucosio, maltosio, lattosio, polialcoli come xilitolo,
sorbitolo ecc), dotati di potere calorico (4 Kcal/g o 2 Kcal/g per i polialcoli) e sintetici (saccarina,
acesulfame, ciclamato, aspartame, neoesperidina), pressoché privi di potere energetico.
L'aspartame è un dolcificante artificiale a basso contenuto calorico. È composto da due amminoacidi,
l'acido aspartico e la fenilalanina, e l'estremità carbossilica della fenilalanina è esterificata con il
metanolo. Il suo potere dolcificante è 200 volte maggiore di quello dello zucchero, motivo per cui ne
sono necessarie piccole quantità per dolcificare cibi e bevande. L'aspartame, come altri prodotti
dolcificanti come il ciclamato e la saccarina, è per questo utile a chi soffre di diabete e per le persone
che vogliono ridurre l'apporto di calorie nella dieta.
Le persone che soffrono di fenilchetonuria, che hanno cioè difficoltà nell'assimilare la fenilalanina,
devono controllare l'assunzione di aspartame in quanto fonte di fenilalanina.
Normalmente non sono consentiti nei prodotti alimentari per la prima infanzia, ma possono essere
presenti nei prodotti alimentari comuni.
In tal caso, le etichette degli alimenti devono riportare le diciture:
- "con edulcorante/i", se contengono edulcoranti consentiti
- "contiene una fonte di fenilalanina", se contengono aspartame
- "un consumo eccessivo può avere effetti lassativi", se contengono polialcoli per un tenore > 10%
Il potere edulcorante di un prodotto X viene definito come "il rapporto tra la concentrazione (per es.
in g/100 ml) di una soluzione acquosa di saccarosio (preso come riferimento) che produce un certo
sapore dolce e quella del prodotto X che ha la stessa intensità di sapore dolce".