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TECNOLOGIA E LEGISLAZIONE DEI PRODOTTI

ALIMENTARI
PROGRAMMA DIDATTICO
LEGISLAZIONE ALIMENTARE: premesse, evoluzione della normativa del settore. Reg CE 178/02:
la General Food Law; tracciabilità e rintracciabilità. Il pacchetto igiene. Etichettatura dei prodotti
alimentari, disposizioni principali.
MOCA: materiali a contatto con gli alimenti
PRINCIPALI TECNOLOGIE E METODICHE DI CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI. Premessa:
cause di alterazione e trasformazione degli alimenti, principi di sicurezza chimica e microbiologica.
Classificazione dei metodi di conservazione, classificazione dei prodotti conservati. Conservazione con
il calore: azione delle alte temperature su microrganismi ed enzimi, penetrazione del calore,
scambiatori di calore, pastorizzazione, sterilizzazione; valore nutritivo degli alimenti conservati con il
calore. Conservazione con il freddo: azione delle basse temperature su microrganismi ed enzimi,
refrigerazione, refrigerazione in atmosfera controllata, conservazione in “cryovac”, congelamento,
surgelazione; valore nutritivo degli alimenti congelati e dei “surgelati”.
Conservazione per disidratazione: azione della disidratazione su microrganismi ed enzimi,
concentrazione per evaporazione, crioconcentrazione, concentrazione tramite processi di memebrana,
essicazione, liofilizzazione; valore nutritivo degli alimenti disidratati. Conservazione con le radiazioni
ionizzanti: azione delle radiazioni ionizzanti sui microrganismi, valore nutritivo degli alimenti irradiati.
Le microonde: cenni. Mezzi chimici e chimico-fisici di conservazione: generalità, classificazione,
conservanti chimici naturali, affumicamento, additivi artificiali; valore nutritivo degli alimenti
conservati con sostanze chimiche.
LATTE E LATTICINI: generalità, caratteristiche chimico-fisiche, composizione chimica, risanamento
e conservazione (centrifugazione, bactofugazione, omogeneizzazione, microfiltrazione, trattamenti
termici), latti speciali, caratteristiche e modalità di vendita del latte crudo, confezionamento, richiami
legislativi, etichettatura latte alimentare, analisi del latte, latte fermentato, produzione dello yogurt,
composizione e caratteristiche nutritive dello yogurt.
BURRO: generalità e definizione, estrazione della crema, burrificazione, burrificazione continua, burri
speciali, composizione chimica e valore nutritivo, richiami legislativi, denominazioni di vendita.
FORMAGGIO: generalità, definizione, fabbricazione del formaggio, commercializzazione del
formaggio, classificazione dei formaggi, data di scadenza, protezione della denominazione (DOP, IGP,
STG), caratteristiche dei formaggi, valore nutritivo, cenni legislativi.
CARNE E SALUMI: definizione, generalità, struttura e composizione chimica, modificazione delle
carni dopo la macellazione, classificazione delle carni, legislazione, etichettatura carni biovine, le carni
alternative (pollo, tacchino, coniglio, struzzo), conservazione della carne, trasformazione delle carni
(salumi), Reg. CE 1760/00.
PESCE: generalità, classificazione, provenienza e consumo di pesce, composizione chimica,
modificazioni post mortem , valutazione della freschezza, etichettatura, sostanze tossiche nei prodotti
ittici (DL 531/92; Reg CE 853/04), conservazione trasformazione dei prodotti ittici, conserve e
semiconserve, produzione di farina e olio, olio di pesce, valore nutritivo dei prodotti ittici.
ZUCCHERO: generalità- definizione, industria saccarifera, produzione dello zucchero dalla
barbabietola e dalla canna, tipologie di zucchero, utilizzo dei sottoprodotti, controlli e parametri
analitici, cenni legislativi.
MIELE: estrazione e lavorazione del miele, composizione e proprietà fisiche, proprietà nutrizionali del
miele, alcuni tipi di miele ed il loro utilizzo.
SFARINATI, generalità- classificazione, il frumento, intolleranza al glutine, celiachia cenni,
trasformazione del frumento, classificazione delle farine, analisi degli sfarinati, pane, pasta, riso, mais,
orzo, avena, segale, kamut.
ORTAGGI, LEGUMI, FUNGHI: generalità, composizione chimica e classificazione.
FRUTTA: classificazione, i più importanti frutti, frutta di stagione. Conservazione di frutta e verdura,
caratteristiche nutrizionali prodotti ortofrutticoli, prodotti semilavorati, trasformazione della frutta
(sciroppata, osmodisidratata, candita, essiccata, salsa di frutta), succhi di frutta, trasformazione
profonda della frutta (confetture, gelatine, marmellate, crema di marroni); conservazione e
trasformazione del pomodoro.
ALIMENTI NERVINI: cacao, caffè, tè.
BEVANDE ALCOLICHE: Vino, aceto, birra, bevande liquorose.
INTEGRATORI ALIMENTARI.

INTRODUZIONE
PREMESSE
LEGISLAZIONE ALIMENTARE → Disposizioni normative aventi come oggetto le sostanze e i
prodotti alimentari – Norme che attengono all’igiene e al controllo dei prodotti alimentari che si
riferiscono alle varie fasi della vita del prodotto alimentare (produzione – preparazione –
confezionamento – imballaggio – vendita).
L’Unione Europea, per garantire un elevato livello di sanità pubblica, ha fatto della sicurezza
alimentare una delle grandi priorità del proprio programma politico.
Per quanto riguarda la legislazione alimentare, si tratta di una disciplina di tipo precauzionale,
composta di regole cautelari che intervengono non a seguito di lesioni del bene giuridico tutelato (ad
es. salute ed integrità del consumatore), ma al fine di prevenire lo stesso verificarsi di eventi lesivi.

Perché la necessità di una politica di sicurezza alimentare? A partire dagli anni ‘90 il settore alimentare
è stato coinvolto in diverse crisi, conducendo il tema della sicurezza alimentare al centro
dell’attenzione del Legislatore e dell’opinione pubblica.
- BSE (Bovine Spongiform Encephalopathy), o “morbo della mucca pazza”, una malattia del gruppo
delle Encefalopatie Spongiformi Trasmissibili (TSE), o malattie da prioni, che colpisce
prevalentemente bovini, ed è causata da un agente infettivo non convenzionale, una proteina modificata
rispetto alla forma “non patologica”, definita “prione”.
- Contaminazioni da Diossine e Bifenili Policlorurati (contaminanti ambientali nocivi), le diossine si
formano in piccole quantità durante i processi di combustione (ad es. durante la combustione dei rifiuti
domestici e industriali) e si diffondono nell’ambiente tramite l’aria, si accumulano soprattutto nel suolo
e, come i PCB, hanno una durata di vita molto lunga; in passato i PCB sono stati utilizzati per vari
scopi (liquidi non combustibili negli scambiatori di calore, trasformatori e condensatori elettrici o come
plastificanti nelle vernici, nei sigillanti e nelle materie plastiche) e nella maggior parte dei Paesi la
commercializzazione dei PCB è vietata fin dagli anni ‘80, tuttavia queste sostanze sono ancora presenti
nei vecchi apparecchi o nei materiali edili, e dunque si trovano ancora nell’ambiente a causa della loro
elevata durata di vita → gli animali da reddito agricolo assumono diossine e PCB soprattutto attraverso
le particelle del terreno, mentre gli animali acquatici tramite la catena alimentare. Gli animali possono
assumere queste sostanze anche attraverso il contatto con materiali contenenti PCB (per es. nel caso di
stalle costruite con materiali che lo contengono); essendo liposolubili, sia le diossine sia i PCB si
accumulano nel tessuto adiposo degli animali, quindi la carne, il pesce, le uova e il latte presentano
tenori superiori a quelli presenti nelle derrate alimentari di origine vegetale.
- Afta epizootica, una malattia infettiva di natura virale altamente contagiosa dei ruminanti e dei suini;
prende il nome dalle lesioni ulcerose che lascia in bocca e nelle estremità distali degli arti degli animali
colpiti.

In particolare sono emersi i seguenti punti critici:


- Inefficacia legislativa
- Disorganizzazione dei controlli ufficiali
- Importanza strategica dell’alimentazione degli animali
- Difficoltà nella previsione e gestione della crisi
La sicurezza alimentare è un’ emergenza permanente, i fattori di rischio e le occasioni di
contaminazione sono molteplici.

Inoltre alcuni cambiamenti culturali della società hanno interessato il settore alimentare:
- Globalizzazione dei mercati delle materie prime e dei prodotti alimentari
- Generale tendenza ad applicare tecnologie sempre meno drastiche al fine di ottenere prodotti più
freschi e gustosi
- Crescente frequenza dei pasti fuori casa
- Evoluzione dell’interesse dei consumatori verso la salubrità degli alimenti

STANDARD DI SICUREZZA ALIMENTARE QUALI PRIORITA’ STRATEGICA → Necessità di un


processo di sensibilizzazione e responsabilizzazione coinvolgente tutti gli attori della filiera agro-
alimentare; infatti la responsabilità della sicurezza in campo alimentare è complessa e deve essere
necessariamente condivisa (esiste una cooperazione e condivisione fra l’industria alimentare, gli attori
della filiera e i consumatori).

Quadro storico della Legislazione in materia alimentare:


- Titolo IV- Regio Decreto n. 1265 del 27/7/1934
“Della tutela igienica dell’alimentazione, dell’acqua potabile e degli oggetti di uso personale” →
dedicato, in sostanza, alla VIGILANZA da parte delle Autorità Sanitarie sulla genuinità e salubrità
degli alimenti e delle bevande.
- Legge n. 283 del 30/04/1962 (modifica del titolo IV del Regio decreto)
“Disciplina igienica della produzione e della vendita delle sostanze alimentari e delle bevande”
- D.P.R. 327 del 26/03/1980
(Regolamento di attuazione)

LEGGE N.283/62
Art. 1 “Sono soggette a vigilanza per la tutela della pubblica salute la produzione ed il commercio delle
sostanze destinate all’alimentazione. A tal fine l’autorità sanitaria può procedere.. Ad ispezione e
prelievo di campioni negli stabilimenti ed esercizi pubblici…”
Alcune disposizioni generali contenute:
- AUTORIZZAZIONE SANITARIA (art.2) → Rilascio condizionato dall’accertamento dei requisiti
igienico-sanitari
- LIBRETTO DI IDONEITA’ SANITARIA (art.14) → Periodiche visite mediche per tutto il personale
operante
- Commercio di alimenti nocivi e sostanze non genuine → E’ punito chiunque detiene per il commercio
o distribuisce per il consumo sostanze pericolose per la salute pubblica
DIVIETO DI : Impiegare nella preparazione, Vendere, Somministrare sostanze alimentari che …
- Abbiano ingredienti di qualità scadente o che modificano la composizione naturale
- Siano in cattivo stato di conservazione (con cariche microbiche superiori ai limiti, insudiciate,
alterate..)
- Contengano additivi non autorizzati
- Contengano residui di prodotti tossici (usati in agricoltura, nei magazzini, ..)

DPR N. 327/80
Requisiti di stabilimenti, ristoranti, laboratori: gli stabilimenti ed i laboratori di produzione,
preparazione e confezionamento delle sostanze alimentari devono essere provvisti di locali distinti e
separati: per il deposito delle materie prime; per la produzione, preparazione e confezionamento
delle sostanze alimentari; per il deposito dei prodotti finiti; per la detenzione di sostanze non
destinate all’alimentazione; i locali devono essere in numero adeguato al potenziale produttivo, alle
caratteristiche dello stabilimento e dei prodotti, devono essere dotati di separazioni e attrezzature
idonee tali da garantire l’igienicità dei prodotti in lavorazione.
Inoltre i locali devono:
- essere costruiti in modo tale da garantire una facile ed adeguata pulizia;
- essere sufficientemente ampi, cioè tali da evitare l’ingombro dell’attrezzatura e l’affollamento del
personale;
- essere idonei, sotto il profilo igienico-sanitario, aventi valori microclimatici tali da assicurare
condizioni di benessere ambientale, aerabili naturalmente o artificialmente e con sistema di
illuminazione naturale o artificiale, in modo tale da impedire la contaminazione degli alimenti;
- avere pareti e pavimenti le cui superfici siano in rapporto al tipo di lavorazione che viene effettuata,
facilmente lavabili e disinfettabili;

LA NORMATIVA EUROPEA
- 1957 Trattato di Roma TCE (Documento costitutivo della Comunità Europea) presenta fra gli
obiettivi il miglioramento costante delle condizioni di vita e di occupazione dei popoli che ne
fanno parte
- 1963 Costituzione PAC (Politica Agricola Comune) ha come obiettivo garantire l’autosufficienza
alimentare dei cittadini europei
- 1986 Concetto di Consumatore (introdotto dal TCE)
- anni ‘90 Direttive europee introducono il concetto di Autocontrollo e metodo HACCP (in Italia
recepite con il D. Lgs 155/97) e fra gli obiettivi è presente la TUTELA DEL CONSUMATORE.
- 1997 LIBRO VERDE DELLA COMMISSIONE EUROPEA “Principi generali della legislazione
in materia alimentare nell’Unione Europea”
- Stimolare la riflessione e avviare un dibattito volto a stabilire:
- In quale misura le disposizioni normative esistenti rispondono alle esigenze di consumatori,
produttori, trasformatori e commercianti
- In quale misura le azioni intraprese riescono a garantire la salubrità dei prodotti alimentari
- In quale modo gestire la futura legislazione alimentare
Il fine è prendere adeguate precauzioni.
Due esigenze prioritarie: 1) ADEGUAMENTO LEGISLATIVO 2) DEFINIZIONE DEI
PROVVEDIMENTI DEI SISTEMI UFFICIALI DI CONTROLLO E ISPEZIONE
Principali obiettivi della legislazione alimentare:
- Elevato livello di protezione di salute e sicurezza
- Libera circolazione delle merci
- Competitività dell’industria europea
- Responsabilizzare produttori, trasformatori, fornitori e consumatori
I LIBRI VERDI espongono una gamma di idee ai fini di un dibattito pubblico.
I LIBRI BIANCHI contengono una raccolta ufficiale di proposte in settori politici specifici e
costituiscono lo strumento per la loro realizzazione; esprimono filosofia, propositi ed intenti del
legislatore comunitario in tema di sicurezza degli alimenti, definendo i principi comuni che
sottenderanno alla legislazione alimentare e ponendo ai vertici delle priorità dell’UE la sicurezza
alimentare.
- 2000 LIBRO BIANCO DELLA COMMISSIONE EUROPEA → documento programmatico che
si prefigge l’attivazione di azioni concrete per il settore alimentare:
- Quadro giuridico migliorato che copra l’intera catena alimentare, compresa la produzione di mangimi
per animali
- Misure di salvaguardia rapide ed efficaci
- Creazione di un’Autorità alimentare europea autonoma
- Sistemi di controllo più armonizzati a livello nazionale ed europeo
- Dialogo con consumatori
- 2002 Regolamento CE 178/2002 (GENERAL FOOD LAW) → testo fondatore della nuova
legislazione in materia di sicurezza alimentare; pietra miliare della politica dell’Unione in campo
alimentare. Si occupa di definire i principi e requisiti generali atti a tutelare la salute pubblica
relativamente agli alimenti ed armonizzare le normative nel campo della sicurezza alimentare.
Ed inoltre → Istituzione Autorità Europea per la sicurezza alimentare (EFSA European Food Safety
Authority) Agenzia dell’UE con sede nella città di Parma; fornisce consulenza scientifica ed una
comunicazione efficace in materia di rischi, esistenti ed emergenti, associati alla catena alimentare.
- 2003 la CE (Comunità Europea) diventa membro della commissione del CODEX
ALIMENTARIUS → organismo internazionale congiunto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite
per l’Alimentazione e l’Agricoltura (FAO) e dell’OMS; creato nel 1963; 171 paesi oltre la CE;
l’obiettivo è promuovere la salute pubblica ed il commercio alimentare.
- 2004 PACCHETTO IGIENE
- Reg CE n. 852/04 Sull’igiene dei prodotti alimentari
- Reg CE n. 853/04 Norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale
- Reg CE n. 854/04 Criteri per il riconoscimento degli stabilimenti e per la conduzione dei controlli
ufficiali
- Reg CE n. 882/04 Controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di
mangimi e di alimenti ed alle norme sulla salute e sul benessere degli animali
Si verifica l’applicazione del nuovo quadro giuridico all’intera filiera alimentare ed esecuzione di
appropriati controlli ufficiali (“dalla fattoria alla tavola”).
Viene introdotta una strategia d’intervento basata su criteri scientifici ed univoci (Valutazione ed analisi
del rischio; Hazard Analysis Critical Control Point o HACCP) applicati adeguatamente sia da parte
dell’operatore che degli organi legislativi e di controllo.
Si verifica l’attribuzione della responsabilità della sicurezza alimentare ad ogni OSA (operatore del
settore alimentare) per i prodotti che importa, trasforma, elabora, commercializza o somministra.
La rintracciabilità dei prodotti è considerata come elemento essenziale per garantire la sicurezza
alimentare, rendendo possibile l’attuazione di rapide ed efficaci misure di intervento di fronte ad
emergenze sanitarie che si manifestano in qualsiasi punto della catena alimentare;
Diventa rilevante la comunicazione ai consumatori, i quali devono essere adeguatamente informati
sull’attività degli organismi istituzionalmente preposti all’assicurazione della salubrità degli alimenti.

COSA E’ CAMBIATO NEL TEMPO?


ANTE D. LGS. 155/97 c’era la delega totale sui controlli all’Autorità Sanitaria, che li eseguiva in
modo ufficiale e vigevano normative nazionali (dal regolamento carni 3298/28 alla 283/62 – 327/78)
e comunitarie “verticali”.
DAL D.LGS. 155/97 AL “PACCHETTO IGIENE” si verifica una restituzione parziale della delega sui
controlli all’Impresa e il mantenimento dell’attività di controllo ufficiale all’Autorità Sanitaria; viene
introdotto il concetto di supervisione sull’autocontrollo da parte delle autorità sanitarie.
PACCHETTO IGIENE c’è la delega quasi assoluta all’impresa sui controlli, secondo metodi e
procedure “discrezionali”; vengono introdotti controlli ufficiali finalizzati alla verifica (audit) dei
sistemi aziendali di autocontrollo e una supervisione a 360° con necessità di competenze
multidisciplinari.

Si è verificata un’evoluzione dei concetti di igiene e sicurezza negli anni ‘70-’90. Infatti c’è stato un
graduale passaggio da regole che definivano “metodi di produzione e controllo
della stessa e dei prodotti” a regole che “chiedono all’azienda di definire le corrette modalità operative
e le idonee modalità di controllo della produzione”.

Il prodotto sicuro alla fine del percorso è un prerequisito, non un obiettivo.


Le norme possono costituire un valido strumento per mettere in atto i sistemi di gestione e
stimolare l’azienda a fare qualcosa in più.
Esiste la possibilità di divenire strumento strategico per differenziare la propria azienda o che può,
comunque, portare a un miglioramento dell’organizzazione con incremento dei margini operativi.
La nuova filosofia operativa è ispirata al coinvolgimento di tutti i soggetti operanti nel settore e viene
data PRIORITA’ all’azione preventiva → si è verificata una transizione: prima era previsto nell’ordine
un controllo retrospettivo, un intervento repressivo e un’analisi finale; adesso si procede con un’analisi
iniziale, un controllo proattivo e un successivo intervento preventivo.

IL CONTROLLO PRIMA DEL D.LGS. 155/97


1) Analisi di laboratorio sul prodotto finito
2) Referto analitico di non conformità
3) Ispezione
4) Individuazione della fonte di contaminazione
5) Intervento correttivo
Con questo modus operandi l’intervento risultava spesso tardivo e il livello di sicurezza era basso

IL CONTROLLO DOPO IL D.LGS. 155/97


1) Ispezione (procedure, autocontrollo)
2) Individuazione della fonte di contaminazione
3) Intervento correttivo per ripristinare le condizioni ottimali
4) Analisi di laboratorio (per verificare l’efficacia dell’intervento correttivo)
Con questo modus operandi l’intervento risulta più tempestivo, si verifica una riduzione di non
conformità, i costi di intervento sono più bassi e si mantiene un alto livello di sicurezza.

In passato l’HACCP prevedeva sistemi di controllo qualità per il fornitore e per il cliente
completamente indipendenti. Poi si è passato a un processo di responsabilizzazione del fornitore, con
l’introduzione di una relazione di partnership e graduale eliminazione dei controlli in accettazione.
Oggi il sistema HACCP tiene in considerazione oltre al fornitore e al cliente anche la filiera agro-
alimentare. Ci sono rapporti di collaborazione e si instaura una progressiva integrazione e
condivisione dei sistemi gestionali e operativi.
Principi generali di sicurezza alimentare
- Approccio globale e integrato
- Responsabilità primaria agli operatori del settore alimentare (OSA) e dei mangimi
- Messa in atto della rintracciabilità
- Analisi del rischio alla base di ogni decisione
- Principio di precauzione

LIBRO BIANCO SULLA SICUREZZA ALIMENTARE

Due concetti:
→ QUALITA’: concetto di difficile definizione univoca poiché è basato su di una percezione
soggettiva. Considera sia attributi intrinseci (nutrizionali, sicurezza, organolettici, di processo) che
estrinseci, quindi ci sono tante variabili che vanno a definire la qualità.
→ SICUREZZA ALIMENTARE: è un importante attributo del prodotto legato all’assenza di
componenti intrinseche cui è associato un rischio di danno alla salute.
NB: Se il prodotto è di qualità, questo mi garantirà anche una maggior sicurezza alimentare e quindi
sarà minore il rischio di danni per la salute.

Principali aspetti della qualità di un prodotto alimentare:


-Qualità di origine (prodotti DOP, IGP, STG)
-Qualità igienico sanitaria (garanzie di sicurezza igienico-sanitaria)
-Qualità etica (produzione senza sfruttamento e/o maltrattamento)
-Qualità organolettica (bontà, aspetti gustativi tipici o particolari)
-Qualità ambientale (metodi di produzione eco-compatibili)
-Qualità nutrizionale (caratteristiche della composizione e di ingredienti)
-Qualità merceologica (caratteristiche commerciali e aspetto del prodotto)

Libro bianco della commissione europea sulla sicurezza alimentare → Nel 2000 la Commisione
Europea ha presentato il libro bianco sulla SICUREZZA ALIMENTARE e questo è stato un intervento
radicale sulla normativa vigente.
La commissione aveva preso atto della inadeguatezza delle regole e procedure comunitarie a presidio
della sicurezza di alimenti e mangimi, messa a nudo in occasione di gravi criticità alimentari di portata
internazionale (BSE, Diossina..) che avevano incrinato la fiducia dei consumatori europei.
La Commissione quindi si pone una priorità strategica fondamentale, ispirata all’esigenza di
garantire un elevato livello di sicurezza alimentare.
La strategia del Libro Bianco è incentrata su 5 elementi chiave:
1) Costituire un’autorità alimentare indipendente, punto di riferimento scientifico per l’intera Unione, i
cui compiti sono:
- Fornire pareri scientifici su tutti gli aspetti della sicurezza alimentare;
- Gestire dei sistemi di allarme rapido;
- Comunicare e dialogare con i consumatori in materia di sicurezza alimentare e di questioni sanitarie;
- Realizzare reti con Agenzie nazionali e organismi scientifici;
2) Istituire un nuovo quadro giuridico, a livello comunitario, che coprirà l’intera catena alimentare
(filiera alimentare), compresa la produzione di mangimi per animali;
3) Elaborare un quadro comunitario per lo sviluppo e la gestione di controllo nazionale;
4) Favorire il dialogo e l’informazione con attenzione alle preoccupazioni in tema di sicurezza
alimentare, ma anche sull’importanza di una dieta equilibrata e sulle ripercussioni a livello sanitario
(es. costi sociali, obesità);
5) Promuovere gli sviluppi europei in materia di sicurezza alimentare nei contesti internazionali,
attraverso i partner commerciali e le organizzazioni internazionali.

L’approccio del Libro Bianco → Il metodo di svilippo della politica alimentare è basato sull’analisi
del rischio, attraverso:
- VALUTAZIONE DEL RISCHIO (consulenza scientifica e analisi dell’informazione)
- GESTONE DEL RISCHIO (norme e controlli)
- COMUNICAZIONE DEL RISCHIO

REGOLAMENTO 178/2002 (GENERAL FOOD LAW)

Segna il passaggio da una moltitudine di normative nazionali, in attuazione delle direttive comunitarie,
ad un insieme razionale di regole comuni, testualmente applicate nell’intero Mercato Unico.
Consente l’aggiornamento contestuale ed identico di standard comuni nei 27 paesi membri, superando
gli ostacoli di libera circolazione delle merci, incontrati in passato per la difformità nella attuazione
delle direttive.
- Nella sostanza il regolamento raccoglie i principi cardine della legislazione vigente in tema di
sicurezza di alimenti e mangimi. Fissa alcune definizioni comuni, stabilisce i principi guida e gli
obiettivi generali, in modo da garantire un elevato livello di protezione sanitaria ed un efficace
funzionamento del mercato interno.
- Il regolamento “disciplina tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della
distribuzione degli alimenti e dei mangimi. Esso non si applica alla produzione primaria per uso
domestico privato o alla preparazione, alla manipolazione ed alla conservazione domestica di alimenti
destinati al consumo domestico privato”.
Il regolamento è composto da 5 parti:
1) Campo di applicazione e definizioni (artt 1-3);
2) Legislazione alimentare generale (artt 4-21);
3) Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) (artt 22-49);
4) Sistema di allarme rapido, gestione della crisi e situazione di emergenza (artt 50-54);
5) Procedure e disposizioni finali.
PRINCIPALI ASPETTI INNOVATIVI
- Fornisce una nuova definizione di “alimento” o “prodotto alimentare” o “derrata alimentare”,
comprendente bevande, gomme da masticare ed animali vivi: “ Qualsiasi sostanza o prodotto
trasformato, parzialmente trasformato o non trasformato, destinato ad essere ingerito o di cui si prevede
ragionevolmente che possa essere ingerito da esseri umani” (Art. 2)
- Pone l’analisi del rischio quale base scientificamente fondata della legislazione alimentare (art.6) e
vieta l’immissione sul mercato di prodotti non sicuri. Assume il principio di precauzione come
strumento politico di gestione del rischio, nelle circostanze in cui venga individuata la possibilità di
effetti dannosi per la salute (art.7)
- Pone la tutela degli interessi dei consumatori tra i principi generali (art.8) e la consultazione e
l’informazione dei cittadini tra i principi di trasparenza (artt 9-10)
- Stabilisce che non può essere immesso sul mercato un alimento “unsafe” (dannoso per la salute
umana o inadatto al consumo umano) (art.14)
- Al fine di fornire migliori garanzie di sicurezza alimentare e sanitaria, pone l’obbligo della
RINTRACCIABILITA’ (“traceability”) dei prodotti, definita come la possibilità di ricostruire e
seguire il processo di un alimento, mangime animale destinato alla produzione alimentare o sostanza
che entra a far parte di un alimento o mangime attraverso tutte le fasi di produzione, trasformazione e
distribuzione (art.18)
- Fissa le procedure di ritiro e richiamo di alimenti e mangimi in caso di non conformità ai requisiti di
sicurezza, per motivi di ordine sanitario (artt 19-20)
- Istituisce l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA) e ne descrive funzione,
competenze, organizzazione, personalità giuridica e funzionamento (artt. 22-49)
- Istituisce, sotto forma di rete, un sistema di allerta (“Rapid Alert System for Food and Feed”, RASFF)
più efficace riguardante alimenti e mangimi, gestito dalla Commissione e a cui partecipano gli Stati
Membri, la Commissione e l’EFSA, e fissa procedure cautelari in tema di allarme rapido, situazioni
d’emergenza e gestione della crisi, qualora si presentino gravi rischi per la salute umana e degli animali
(artt. 50-57).

Il Reg. CE 178/2002 riguarda la catena alimentare (filiera) nella sua integralità ed in ogni sua fase,
dalla produzione, alla trasformazione ed alla distribuzione di alimenti e mangimi.
La filiera alimentare è l’insieme di tutti gli elementi strutturali e funzionali che sono coinvolti nella
produzione di un alimento (materie prime, modalità di produzione, conservazione e distribuzione.

Nella logica del regolamento 178/2002, è stabilito che la responsabilità primaria nell’assicurare la
sicurezza dei cibi e dei mangimi grava sugli OPERATORI DEL SETTORE ALIMENTARE (OSA).

L’opinione pubblica chiede due cose fondamentali: la sicurezza igienica dei consumi alimentari e
informazioni accurate ed aggiornate. Al fine di conseguire l’obiettivo di mantenere un elevato livello
di tutela della salute umana, la legislazione alimentare applica i principi dell’ANALISI DEL
RISCHIO. L’analisi del rischio è un processo costituito da:
- Valutazione del rischio
- Gestione del rischio
- Comunicazione del rischio
L’analisi del rischio fornisce una metodologia sistematica per prendere provvedimenti o delineare
interventi efficaci, proporzionati e mirati, a tutela della salute.
E’ un processo su base scientifica costituito da:
- Individuazione del pericolo
- Caratterizzazione del pericolo (GRAVITA’)
- Valutazione dell’esposizione al pericolo (PROBABILITA’)
- Caratterizzazione del rischio

Pericolo → Qualsiasi agente chimico, fisico, biologico, microbiologico o condizione, avente la


potenziale capacità di provocare un danno alla salute del consumatore
Individuazione del pericolo → Individuare qualsiasi agente, presente o potenzialmente presente
nell’alimento o in un certo gruppo di alimenti, capace di provocare effetti avversi per la salute del
consumatore.
Caratterizzazione del pericolo → Valutazione degli effetti avversi associati ai pericoli dei quali si
ipotizza la presenza.
Caratterizzazione del rischio → Stima della probabilità di insorgenza di un evento negativo per la
salute del consumatore e della gravità degli effetti in una data popolazione.
Gestione del rischio → Processo che, tenendo conto della valutazione del rischio, consente di
individuare le varie alternative di intervento per compiere adeguate scelte di prevenzione e di controllo.

PRINCIPIO DI PRECAUZIONE (art.7)→ In presenza di un possibile effetto dannoso sulla salute


possono essere adottate misure provvisorie di gestione del rischio per garantire la tutela della salute.
Devono essere proporzionate e limitate al necessario, oltre che riesaminate entro un periodo di tempo
ragionevole.
Il principio di precauzione viene definito come una strategia di gestione del rischio nei casi in cui si
evidenzino indicazioni di effetti negativi sull’ambiente o sulla salute degli esseri umani, degli animali e
delle piante, ma i dati disponibili non consentano una valutazione completa del rischio.
L’applicazione del principio di precauzione richiede tre elementi chiave:
- Identificazione dei potenziali rischi (“Hazards” in terminologia anglosassone);
- Analisi del rischio, realizzata in modo rigoroso e completo in base a tutti i dati esistenti;
- Mancanza di prove scientifiche che permettano di escludere ragionevolmente la presenza dei rischi
identificati

RINTRACCIABILITA’ DEI PRODOTTI ALIMENTARI → L’art. 18 (Reg. CE 178/02) stabilisce la


rintracciabilità, in tutte le fasi della filiera, degli alimenti, dei mangimi e degli animali destinati alla
produzione alimentare e di altre sostanze atte a farne parte. Gli scopi sono:
- SICUREZZA: la possibilità di individuare tutti gli attori a valle della filiera coinvolti da un prodotto
pericoloso costituisce certamente sistema di garanzia;
- INFORMAZIONE AL CONSUMATORE
Obblighi degli operatori per quanto concerne la rintracciabilità → Registrare alimenti in uscita (a
chi si è fornito cosa) ed in entrata (da chi si è ricevuto cosa) e le consegne dei prodotti in uscita:
- Natura e quantità di materia prima/prodotto
- Nome e recapito di fornitore e cliente
- Data di ricevimento/consegna
Gli operatori possono conservare le informazioni (conservando, ad esempio, i documenti di
ricevimento delle materie prime sia quelli di spedizione dei prodotti).

Il Reg. ha istituito, inoltre, l’Autorità Europea per la sicurezza Alimentare (European Food Safety
Authority, EFSA), operante dal 1 febbraio 2003. Rappresenta un punto di riferimento scientifico,
indipendente, deputato all’analisi e valutazione dei diversi aspetti connessi al rischio alimentare nella
catena di approvvigionamento, nella trasformazione e nella distribuzione degli alimenti e dei mangimi.

Funzioni dell’EFSA:
- Ricerca su:
- Additivi alimentari, aromatizzanti, coadiuvanti tecnologici e materiali a contatto con gli alimenti
- Additivi e prodotti/sostanze usati nei mangimi
- Salute dei vegetali, prodotti fitosanitari e loro residui
- Prodotti dietetici, alimentazione e allergie
- Pericoli biologici
- Contaminanti nella catena alimentare
- Salute e benessere degli animali
- Valutazione e comunicazione del rischio in relazione a:
- Ogni materia che possa avere effetto diretto, o indiretto sulla sicurezza della catena alimentare;
- Nel suddetto ambito, materie quali salute e benessere animale, salute delle piante;
- Consulenza scientifica in materia di:
- Nutrizione umana
- Salute e benessere animale
- OGM, anche se non destinati all’alimentazione umana ed animale
Gli interlocutori sono Stati Membri, le Istituzioni comunitarie, le Organizzazioni operanti negli ambiti
di sua competenza.

SISTEMA DI ALLARME RAPIDO (Art.50) → E’ istituito, sotto forma di rete, un sistema di allarme
rapido per la notificazione di un rischio diretto o indiretto per la salute umana dovuto ad alimenti o
mangimi. Della rete fanno parte:
- Gli Stati Membri
- La Commissione ( Responsabile della gestione della rete)
- L’Autorità (EFSA)
RASFF → le notifiche possono essere:
- Misure che limitino o ritirino un alimento/mangime dal mercato
- Raccomandazioni o accordi con OSA volti a limitare o condizionare l’immissione di
alimenti/mangimi sul mercato
- Respingimento di alimenti alla frontiera

COMITATO NAZIONALE PER LA SICUREZZA ALIMENTARE → Nel Giugno 2004 la


Conferenza Stato-Regioni, in Italia, ha approvato un documento fra Ministro della Salute, Ministero
delle politiche agricole e Forestali, Regioni e Province per l’istituzione di un CNSA con il compito di
“promuovere e coordinare la definizione di metodi uniformi di valutazione del rischio alimentare”.

PACCHETTO IGIENE (1° GENNAIO 2006)

Per riorganizzare la frammentata normativa comunitaria in materia di igiene e sicurezza alimentare, la


Commissione Europea ha avviato un complesso lavoro di aggiornamento normativo che si è concluso
agli inizi del 2004 con la pubblicazione del cosiddetto PACCHETTO IGIENE, in applicazione dal 1°
gennaio 2006.
Il PACCHETTO IGIENE è l’insieme di norme comunitarie che traducono in legge gli obiettivi
individuati nel libro bianco.
Con l’entrata in vigore del PACCHETTO IGIENE si assiste ad un’accelerazione e al superamento del
processo cominciato con il D.Lgs. 155/97 e poi proseguito con il Regolamento CE 178/2002.
Il “pacchetto igiene” è composto dai seguenti Regolamenti (oltre che da una Direttiva che abroga
precedenti norme verticali):
- Regolamento n. 852/2004 (“Igiene 1”) sull’igiene dei prodotti alimentari
- Regolamento n. 853/2004 (“Igiene 2”) che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli
alimenti di origine animale
- Regolamento n. 854/2004 (“Igiene 3”) che stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di
controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano
- Regolamento n. 882/2004 (“feed and food”) relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la
conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul
benessere degli animali

Il nuovo corpus normativo si prefigge due obiettivi:


• Obiettivo prioritario: tutela del consumatore (immissione sul mercato di alimenti sicuri, attraverso
norme comportamentali, obblighi strutturali, di manipolazione e conservazione degli alimenti, nonché
di etichettatura e di rintracciabilità)
• Obiettivo secondario: libera circolazione degli alimenti tra gli Stati Membri
La tutela della salute delle popolazioni, primo obiettivo della nuova legislazione, viene basata sui
principi dell'analisi del rischio e sul principio di precauzione.
Il secondo obiettivo, la libera circolazione del mercato entro l’Unione Europea, viene assicurato
mediante la standardizzazione dei requisiti di sicurezza tra gli stati Membri.

Il “pacchetto igiene” ha introdotto elementi decisamente innovativi nel quadro giuridico della
legislazione alimentare europea:
- La responsabilità della sicurezza alimentare grava principalmente sulle aziende produttrici, non
sugli enti pubblici preposti ai controlli ufficiali: il legislatore attribuisce chiaramente la responsabilità
legale primaria per la sicurezza alimentare a tutti gli OSA. La gestione delle proprie responsabilità è un
processo che comporta per gli operatori del settore, relativamente alla sfera di propria competenza,
l’adozione di un sistema di registrazione e documentazione e di verifica, per le quali è prevedibile e
possibile che si venga chiamati a rispondere;
- La legislazione alimentare si applica alla filiera dei prodotti di origine animale e vegetale e degli
alimenti destinati agli animali, compresa la produzione primaria, intesa come “tutte le fasi della
produzione, dell’allevamento o della coltivazione dei prodotti primari, compresi il raccolto, la
mungitura e la produzione zootecnica precedente la macellazione”;
- Il controllo ufficiale igienico-sanitario degli alimenti, fino a ieri concentrato principalmente sul
prodotto finito, ora è distribuito lungo tutta la filiera e le garanzie date dal produttore sono parte
determinante del sistema sicurezza;
- L’applicazione del CONCETTO DI FLESSIBILITA’ nell’obbligo della conservazione di
documenti, onde evitare oneri inutili per le imprese molto piccole, e nel permettere di continuare ad
utilizzare metodi tradizionali in produzione: flessibilità che non deve compromettere gli obiettivi di
igiene alimentare;
- L’obiettivo della realizzazione della libera circolazione degli alimenti nell’UE;
- Esso (il pacchetto igiene) non si applica alla produzione primaria per uso domestico privato, alla
preparazione, alla conservazione ed alla manipolazione domestica di alimenti destinati al consumo
domestico privato.

Inoltre introduce i seguenti obblighi a carico degli operatori, i quali:


- Non devono immettere sul mercato alimenti o mangimi non sicuri (SICUREZZA)
- Sono responsabili della sicurezza degli alimenti e mangimi che producono (RESPONSABILITA’)
- Devono essere in grado di identificare rapidamente ogni soggetto, lungo l’intera filiera, dal quale
ricevono o al quale consegnano alimenti (TRACCIABILITA’)
- Devono informare immediatamente le Autorità competenti qualora abbiano motivo di ritenere che gli
alimenti o i mangimi non sono sicuri (TRASPARENZA)
- Devono identificare e rivedere regolarmente i punti critici dei loro procedimenti e devono provvedere
ad effettuare controlli su di essi (PREVENZIONE).
NOVITA’ PRINCIPALE → Estensione al settore della produzione primaria di procedure di analisi del
rischio non basate sui principi dell’HACCP, ma sull’applicazione di corrette prassi igieniche.
Si mira ad assicurare la salubrità di tutti i prodotti derivanti dalla terra, dall’allevamento, dalla caccia e
dalla pesca poiché rappresenteranno le materie prime di un qualunque alimento.

IGIENE 1 - REG. 852/2004

- E’ destinato agli OSA e stabilisce norme generali in materia di igiene di tutte le preparazioni
alimentari. È un Regolamento generale, che fissa i requisiti base a cui devono attenersi le aziende
alimentari e che va a sostituire de facto la Direttiva 93/43/CEE sull’igiene degli alimenti (recepita
dall’Italia con il D.Lgs 155/97)
- Impone l’applicazione di procedure di gestione dei pericoli “basate sui principi HACCP” (manuali di
corretta prassi operativa)

Secondo il Reg. 852/2004 gli operatori del settore alimentare:


- predispongono, attuano e mantengono una o più procedure permanenti basate sui principi del sistema
HACCP;
- dimostrano all’autorità competente che hanno predisposto, attuato e mantenuto una o più procedure
permanenti basate sui principi del sistema HACCP;
- garantiscono che tutti i documenti in cui sono descritte le procedure di autocontrollo siano
costantemente aggiornati;
- conservano ogni documento o registrazione per un periodo adeguato.

Il Reg. 852/2004:
- Esclude dal campo di applicazione la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal
produttore al consumatore finale o a dettaglianti locali
- Introduce il principio di sussidiarietà
- Garantisce la flessibilità
- Prevede la possibilità che vengano fissati criteri microbiologici e di temperatura
- Estende l’autocontrollo alla produzione primaria (incluse le attività di trasporto, magazzinaggio e
manipolazione, intese come operazioni collegate sul luogo di produzione).

FLESSIBILITA’ → L’attuale sistema di deroghe è abbastanza complesso e può indurre la falsa


impressione di un diverso livello di igiene a livello industriale, di produzione primaria o di produzioni
tradizionali. Il nuovo approccio è quindi quello di proporre degli «adattamenti» alla legislazione per
tenere conto delle situazioni particolari, senza che vengano mancati gli obiettivi del regolamento.
Gli Stati Membri possono adottare misure nazionali per alleggerire i requisiti in materia di
autocontrollo, di strutture e di igiene al fine di:
- consentire l’utilizzo di metodi tradizionali di produzione
- tenere conto delle esigenze di regioni soggette a particolari vincoli geografici
- agevolare le piccole imprese
Le misure si applicano dopo procedura di assenso da parte della Commissione e degli altri Stati
Membri.
L'applicazione delle disposizioni sulla flessibilità si basa sui principi di sussidiarietà e trasparenza:
secondo il principio di sussidiarietà, sono gli Stati membri che possono trovare le soluzioni più
adatte alle situazioni locali; secondo il principio di trasparenza, ogni progetto di tali misure
nazionali deve essere notificato alla Commissione e agli altri Stati membri.
Il PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETA’ mira a stabilire il livello d’intervento più pertinente nei settori di
COMPETENZA CONDIVISA tra l’UE e gli Stati Membri.

Le indicazioni specifiche per gli operatori sono raccolte in due allegati:


- Allegato I, relativo ai requisiti d’igiene per la produzione primaria e le operazioni associate
(trasporto, magazzinaggio, manipolazione di prodotti primari sul luogo di produzione; trasporto di
animali vivi; trasporto per la consegna dal luogo di produzione a uno stabilimento di lavorazione per i
prodotti vegetali e per quelli della pesca e della caccia);
- Allegato II, relativo ai requisiti d’igiene applicabili a tutti gli OSA (diversi da quelli di cui
all’allegato I).

Si tratta di un primo passo per inserire la FASE PRIMARIA nei processi di analisi del rischio e
portarla, a piccoli passi, all’applicazione generalizzata del sistema HACCP.
Però viene riconosciuto che i principi dell’HACCP non sono immediatamente applicabili alla
produzione primaria su base generale, quindi in questo ambito è necessario adottare misure preventive
e di controllo con modalità semplificate di registrazione e documentazione come l’utilizzo di
MANUALI DI BUONA PRASSI IGIENICA.
Buone prassi igieniche:
- GMP: Good Manufactoring Practies
- GHP: Good Hygienic Practies
- SOP: Standard Operating Procedures
- SPS: Sanitation Performance Standards
- SSOP: Sanitation Standard Operating Procedures

IGIENE 2 – REG. 853/2004

• Promuove una legislazione unitaria per tutti i prodotti di origine animale, riferito soltanto a chi
produce alimenti di origine animale.
• Si applica agli alimenti di origine animale «non trasformati» e «trasformati» carni rosse, carni
bianche, carni di selvaggina, carni macinate e preparazioni di carne, prodotti a base di carne, molluschi
bivalvi vivi, prodotti della pesca, latte e prodotti a base di latte, uova e ovoprodotti, cosce di rana,
lumache, grassi fusi e ciccioli, stomaci, vesciche e budella, gelatine, collagene
• Non si applica ai prodotti composti (che contengono prodotti di origine vegetale e prodotti
trasformati di origine animale, es. panini con salame o formaggio, pizza..)

Il Reg. 853/2004 esclude dal campo di applicazione:


- La vendita al dettaglio
- La fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari dal produttore al consumatore finale o a
dettaglianti locali

Il Reg. 853/2004 prevede:


- notevole semplificazione delle “regole” (scompaiono le deroghe per gli stabilimenti a limitata
capacità produttiva)
- riconoscimento per gli stabilimenti che trattano alimenti di origine animale, per i quali sono
previsti requisiti ai sensi del Regolamento, subordinato alla verifica dei requisiti da parte dell’Autorità
competente
- introduce l’obbligo per gli operatori della “filiera carne” di gestire l’informativa sulle condizioni di
allevamento dal momento della nascita a quello della macellazione
- garantisce la flessibilità.
Capo II, art. 5 Concerne la bollatura sanitaria e la marchiatura di identificazione
Gli operatori possono immettere sul mercato prodotti manipolati in uno stabilimento soggetto a
riconoscimento solo se il prodotto è contrassegnato:
- Dal bollo sanitario (Vedere Reg. 854/04)
- Dal marchio di identificazione apposto ai sensi dell’Allegato II, ove non sia previsto il bollo sanitario
La bollatura sanitaria è un elemento validante i requisiti sanitari propri dell’allevamento e
attestante la provenienza da impianti riconosciuti idonei per la commercializzazione
(l’allevamento è idoneo dal punto di vista igienico-sanitario).

Capo II, art. 6 Per i prodotti di provenienza esterna alla UE, gli operatori possono importare i prodotti
da un Paese terzo, solo se:
a) il Paese terzo figura in uno specifico elenco compilato ai sensi del Reg. 854/04
b) lo stabilimento o il macello o l’area di produzione (nel caso di molluschi bivalvi vivi, echinodermi,
tunicati e gasteropodi marini) figurano in uno specifico elenco compilato ai sensi del Reg. 854/04
c) il prodotto soddisfa i requisiti previsti dal regolamento e dal Reg. 854/04 in materia di certificazioni
e documentazioni

IGIENE 2 – Reg. 853/2004 Allegato III NORME SPECIFICHE PER:


- Carni fresche di ungulati, pollame, lagomorfi e selvaggina
- Carni macinate, preparazioni di carni, prodotti a base di carne
- Molluschi vivi e prodotti della pesca
- Latte crudo e prodotti a base di latte
- Uova e ovoprodotti Reg. 853/2004 Allegati
- Gelatina e collagene.

IGIENE 2 – Reg. 183/2005 – REQUISITI PER L’IGIENE DEI MANGIMI

Stabilisce i requisiti per l’igiene dei mangimi, a partire dalla produzione primaria fino alla
somministrazione agli animali destinati alla produzione di alimenti, con lo scopo di assicurare un
elevato livello di protezione della salute degli animali e dei consumatori mediante un controllo dei
mangimi lungo tutta la filiera alimentare.
Il Regolamento stabilisce:
• norme generali in materia di igiene dei mangimi;
• condizioni e disposizioni atte ad assicurare la rintracciabilità dei mangimi;
• condizioni e disposizioni per la registrazione e il riconoscimento di stabilimenti.
IGIENE 3 – REG. 854/2004 – Controlli ufficiali sui prodotti animali destinati al consumo umano

Il Regolamento CE 854/04 (23) stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui
prodotti di origine animale destinati al consumo umano ed è strettamente correlato al Regolamento
853/04.
- Completa la regolamentazione dell’igiene dei prodotti alimentari e dei mangimi stabilita dai due atti
precedenti, applicandosi soltanto ai prodotti di origine animale ed occupandosi essenzialmente del
riconoscimento degli stabilimenti e della bollatura sanitaria.
- Prevede inoltre che vengano effettuati da parte dell’Autorità competente controlli ufficiali su tutti gli
operatori finalizzati alla verifica della conformità alla normativa vigente.

“l’esecuzione dei controlli ufficiali lascia impregiudicata la responsabilità legale, in via principale,
degli operatori del settore alimentare per la sicurezza dei prodotti alimentari”

Il Reg. 854/04 in particolare stabilisce che vengano effettuati:


AUDIT → esami sistematici e indipendenti “per accertare se determinate attività e i risultati correlati
sono conformi alle disposizioni previste”, controlli specifici rispetto alla più generica ispezione per
controllare l’applicazione del sistema HACCP e delle buone prassi igieniche. L’aufit è uno strumento di
monitoraggio per verificare le conformità.
Gli audit di buone prassi igieniche hanno come oggetto l’igiene delle attrezzature, personale, la
manutenzione, la formazione e l’informazione, la lotta contro i parassiti, la qualità dell’acqua, il
controllo delle temperature e dei prodotti alimentari in entrata e in uscita dallo stabilimento.

I controlli ufficiali consistono in: Audit su buone prassi igieniche e HACCP


Controlli specifici previsti per:
- carni fresche
- molluschi bivalvi vivi
- prodotti della pesca
- latte crudo e prodotti a base di latte.

AUDIT → esame sistematico e indipendente per accertare se:


- Determinate attività e i risultati correlati sono conformi alle disposizioni previste
- Tali disposizioni sono attuate in modo efficace e sono adeguate per raggiungere determinati obiettivi

AUDIT sulle procedure basate sull’HACCP


Devono consentire di:
• verificare che gli operatori applichino le procedure costantemente e correttamente
• determinare se le procedure garantiscono che i prodotti di origine animale siano:
- conformi ai criteri microbiologici (gestione e controllo pericoli biologici)
- conformi alla normativa su residui, contaminanti e sostanze vietate (gestione e controllo pericoli
chimici)
- esenti da pericoli fisici (gestione e controllo pericoli fisici)

L’AUDIT è uno strumento di monitoraggio della “qualità” di un’intera organizzazione, di alcune sue
parti o dei suoi processi. Di solito riguarda tutti gli aspetti del processo produttivo, ma prioritariamente
le componenti organizzative e/o strutturali che permettono una valutazione complessiva del sistema
produttivo. Identifica le aree che manifestano carenze e le misure che devono essere prese per
correggerle.
Verifica anche la capacità dell’operatore di:
- Mantenere nel tempo i requisiti del processo produttivo
- Individuare le aree suscettibili di miglioramento
- Raggiungere obiettivi prefissati

LA NATURA E LA FREQUENZA DEI COMPITI DI AUDIT PER I SINGOLI STABILIMENTI


DIPENDE DAL RISCHIO VALUTATO IN BASE A:
- Rischi per la salute pubblica e animale
- Benessere animale (per i macelli)
- Tipo e produttività dei processi
- Dati precedenti per quanto riguarda la conformità alla normativa da parte dell’operatore
In caso di non conformità, l’autorità competente interviene per assicurare che l’operatore del
settore alimentare ponga riparo alla situazione. Nel decidere l’azione, l’Autorità competente tiene
conto: della natura della non conformità, dei dati precedenti relativi all’operatore per quanto riguarda la
non conformità.
Le azioni possono comprendere, a seconda dei casi:
- Imposizione di procedure di sanificazione
- Restrizione o divieto di commercializzazione
- Ritiro e/o distruzione dei prodotti
- Autorizzazione dell’uso dei prodotti per fini diversi da quelli originariamente previsti
- Sospensione delle operazioni o chiusura in toto o in parte dell’azienda
- Sospensione o ritiro del riconoscimento
- Sequestro, distruzione, respingimento in caso di prodotti provenienti da Paesi Terzi
- Altre misure ritenute opportune

REG. 882/2004 – Controlli ufficiali di mangimi e di alimenti “food and feed”

Costituisce un “regolamento quadro” che definisce i criteri sulla cui base i singoli Stati Membri devono
organizzare i controlli ufficiali. Non fissa criteri specifici (assenza di “allegati tecnici”).
Definisce gli obiettivi dei controlli ufficiali su mangimi, alimenti e condizioni di salute e benessere
degli animali da allevamento; tali controlli devono verificare la conformità alle normative volte a
prevenire, eliminare o ridurre a livelli accettabili i rischi per gli esseri umani e gli animali, garantendo
pratiche commerciali leali.
Stabilisce:
- attività, metodi e tecniche di controllo
- requisiti dei metodi di campionamento e analisi
- elaborazione di misure da attuare qualora i controlli rivelino rischi per la salute dell’uomo o degli
animali
- istituzione di Laboratori comunitari ai quali i Laboratori nazionali facciano riferimento nella loro
attività
- principi per la predisposizione e l’elaborazione di Piani nazionali di controllo (a partire dal 1
gennaio 2007 ogni Stato Membro dell’UE attuerà e manterrà aggiornato un Piano integrato di controllo
nazionale).

PIANO DI CONTROLLO NAZIONALE:


Contiene informazioni generali sulla struttura/organizzazione dei sistemi di controllo dello Stato
membro interessato, in particolare:
- Obiettivi strategici, priorità, stanziamento risorse;
- Analisi del rischio delle attività interessate;
- Designazione, compiti e risorse delle Autorità competenti a livello centrale, regionale e locale.

IL SISTEMA DI CONTROLLI UFFICIALI IN ITALIA


Il grande sforzo ri-organizzativo conseguente al Reg. CE 882/04 ha coinvolto e coinvolge tutti i
controlli effettuati in Italia sulle aziende che producono e somministrano alimenti.
Esistono vari organi di controllo che afferiscono a tre Ministeri competenti (Salute, Politiche agricole,
Finanze), ma le istituzioni presenti sul territorio sono principalmente:
- AUSL (Servizi Veterinari e Servizi di Igiene degli Alimenti e della Nutrizione, SIAN)→ ATTIVITA’
PREVENTIVA (Sian) E CONTROLLI SUL TERRITORIO (Servizi Veterinari AUSL)
- Laboratori deputati al controllo ufficiale di alimenti e mangimi (Agenzie Regionali per la
Prevenzione Ambientale, Istituti Zooprofilattici)
Nel nuovo scenario legislativo l’attività di controllo ufficiale viene ad assumere il ruolo di una attività
di parte “terza” che si colloca tra il consumatore, a cui è riconosciuto il diritto ad una alimentazione
sicura, e gli operatori della filiera alimentare che debbono assicurare la sicurezza nei prodotti da essi
fabbricati.
Le Regioni e le AUSL si stanno adoperando al fine di ridisegnare la gestione dei controlli, applicando
criteri per definire le priorità di intervento e l’ottimizzazione delle risorse, determinando il rischio per
ogni tipologia di attività produttiva (categorizzazione del rischio).
Organizzazione dei controlli ufficiali:
Il controllo ufficiale deve essere programmato:
- Sulla base della valutazione dei rischi connessi all’attività dell’impresa
- Sulla base della serie storica dei controlli
- Sulla base di episodi di allerta
Il controllo ufficiale è effettuato senza preavviso ad eccezione degli audit e riguarda tutte le fasi.

(NB. L TERMINE “RISCHIO”, NON VA CONFUSO CON LA VALUTAZIONE POSITIVA O


NEGATIVA DI UN’IMPRESA ALIMENTARE QUINDI, UN UN’IMPRESA ALIMENTARE “AD
ALTO RISCHIO” NON CORRISPONDE NECESSARIAMENTE A PRECARIE CONDIZIONI
IGIENICO SANITARIE)

I controlli ufficiali comprendono le seguenti attività:


- Esame dei sistemi di controllo messi in atto dagli operatori
- Ispezione di:
- impianti, locali, attrezzature, macchinari, etc.
- materie prime, ingredienti, coadiuvanti tecnologici
- semilavorati
- materiali destinati ad entrare in contatto con i prodotti alimentari
- prodotti e procedimenti di pulizia e manutenzione
- etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari
- Controlli delle condizioni igieniche
- Valutazione delle procedure in materia di buone prassi di fabbricazione (GMP), buone prassi
igieniche (GHP), corrette prassi agricole e HACCP
- Esame del materiale scritto e di altre registrazioni
- Interviste con gli operatori
- Lettura dei valori registrati dagli strumenti di misurazione dell’operatore o dell’Autorità competente
- Qualsiasi altra attività necessaria o, comunque, utile per assicurare l’attuazione degli obiettivi del
Regolamento

Se sono evidenziate non conformità. l’operatore deve adottare azioni correttive. Se l’operatore non
può o non vuole, l’autorità competente adotta gli opportuni provvedimenti a tutela della sicurezza
degli alimenti.

Provvedimenti possibili:
Imposizione di azione/i necessaria/e per la sicurezza degli alimenti o la conformità alla normativa in
materia di alimenti e di salute e benessere degli animali:
- restrizione o divieto di immissione sul mercato, di importazione o esportazione di alimenti
- monitoraggio e, se necessario, richiamo, ritiro e/o distruzione di alimenti
- autorizzazione all’uso di alimenti per fini diversi da quelli previsti originariamente
- sospensione dell’attività o chiusura, totale o parziale, per un appropriato periodo di tempo
- sospensione o ritiro del riconoscimento dello stabilimento
- sequestro degli alimenti provenienti da Paesi terzi che non sono conformi alla normativa in materia di
alimenti per la loro eventuale distruzione o trattamento
- qualsiasi altra misura ritenuta opportuna dall'autorità competente

E’ responsabilità degli Stati membri:


- organizzare un sistema ufficiale di controllo
- comunicare il rischio
- attuare la sorveglianza della sicurezza di alimenti e mangimi
- attuare altre attività di controllo lungo la filiera
- designare le Autorità competenti.

E’ responsabilita’ delle Autorità competenti:


- assicurare efficacia ed appropriatezza dei controlli
- assicurare personale libero da conflitti
- assicurare adeguata capacità di laboratorio
- assicurare strutture ed attrezzature appropriate per i controlli
- disporre i piani d’emergenza
Il controllo ufficiale svolge le sue attività non più sulla base di un sistema rigido di adempimenti
rispetto a norme dettagliate, ma mediante la valutazione che le attività produttive e le procedure di
gestione del rischio messe in atto dall’OSA siano adeguate ai fini del raggiungimento del livello di
sicurezza atteso per la tipologia di prodotto e rispetto alla fase di filiera nella quale agisce l’operatore
stesso.

TRE IMPORTANTI INNOVAZIONI DEL REG. 882/2004 FOOD & FEED


- Programmazione ed espletamento in funzione del livello di rischio in cui viene classificato l’operatore
della filiera alimentare
- I controlli ufficiali devono essere svolti sulla base di procedure operative basate sull’evidenza
scientifica ed essere documentati
- Deve essere operata costantemente una verifica della qualità del controllo ufficiale, sia da parte delle
autorità responsabili (Stato e Regioni) che in modo autonomo dalla struttura stessa che effettua i
controlli (AUDIT ESTERNI ED INTERNI).

TRACCIABILITA’ E RINTRACCIABILITA’

- Il regolamento CE 178/2002 del Parlamento Europeo e del Consiglio, oltre a istituire l’Autorità
Europea per la Sicurezza Alimentare e fissare procedure nel campo della sicurezza alimentare,
stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare.
- L’articolo 18, nello specifico, introduce nel diritto alimentare europeo, la RINTRACCIABILITA’ DI
TUTTI GLI ALIMENTI E I MANGIMI.
- A decorrere dal 1° gennaio 2005 tale prescrizione dovrà venire obbligatoriamente adempiuta
sull’intero territorio nazionale dell’Unione Europea, da parte di ogni operatore delle filiere
alimentare e mangimistica
La TRACCIABILITA’ è il processo che segue il prodotto da monte a valle della filiera e fa in modo
che, ad ogni stadio attraverso cui passa, vengano lasciate opportune tracce (informazioni). Il compito
principale della TRACCIABILITA’ è quello di stabilire quali elementi e quali informazioni debbano
essere tracciate.
La RINTRACCIABILITA’ è la possibilità di ricostruire e seguire il percorso di un alimento o di una
sostanza destinata atta a entrare a far parte di un alimento attraverso tutte le fasi della produzione, della
trasformazione e della distribuzione. Conoscenza di tutta la “storia” di un prodotto alimentare, dal
campo fino alla tavola del consumatore, attraverso un idoneo sistema documentale. Significa
identificazione delle materie prime, degli operatori, di tutte le fasi di produzione, registrazione dei dati
e delle informazioni associate a tale attività produttiva.
RINTRACCIABILITA’ INTERNA → è intra-aziendale e si tratta principalmente di evidenziare lo
strumento tecnico più idoneo a rintracciare queste “tracce”, quindi viene ricostruito il percorso seguito
da ogni materia prima o sostanza all’interno dello stabilimento. E’ detta rintracciabilita’ volontaria
poichè non è prevista dal Reg. CE 178/2002 e permette di identificare quali fornitori hanno contribuito
alla composizione di un prodotto finito e. nel caso, i controlli o le caratteristiche di uno specifico lotto.
La rintracciabilità è quindi fortemente interconnessa con la tracciabilità, anzi, ne è la diretta
conseguenza.
RINTRACCIABILITA’ ESTERNA → è la capacità di individuare a quali clienti sia stato consegnato il
lotto incriminato per poter ritirare tutti i lotti di quel prodotto dal mercato. Ciò comporta che tali lotti
siano identificati e quindi rintracciabili verso valle. E’ obbligatoria per legge.

L’ Art. 18 Reg. CE 178/2002 richiede di poter individuare due distinti elementi:


RINTRACCIABILITA’ VERSO MONTE: chi ha fornito gli alimenti, un mangime o in generale
qualsiasi sostanza destinata o atta a entrare a far parte di un alimento o mangime (fornitori)
RINTRACCIABILITA’ VERSO VALLE: chi è stato fornito dei propri prodotti (clienti)

Nell’art. 18 è rimarcata la responsabilità degli operatori del settore alimentare (OSA).


- Gli operatori del settore alimentare e dei mangimi devono essere in grado di individuare chi abbia
fornito loro un alimento, un mangime, un animale destinato alla produzione alimentare.
- Gli operatori devono disporre di sistemi e procedure che consentano di mettere a disposizione delle
autorità competenti le informazioni al riguardo.
- Il regolamento non prescrive agli operatori l’adozione di specifici mezzi (es. criteri di archiviazione,
strumenti elettronici, codici a barre etc.): gli strumenti di raccolta e custodia sono rimessi alle
responsabili scelte organizzative dei soggetti obbligati.
- L’obbligo viene espresso in termini di RISULTATO.

Dal 27/10/2006, con l’entrata in vigore del regolamento CEE/UE n° 1935/2004 del 27/10/2004 è
disposto l’obbligo di Rintracciabilità di tutti i materiali e gli oggetti destinati a venire in contatto con i
prodotti alimenti:
- Imballaggi- Vernici e rivestimenti
- Etichette- Carta e cartoni
- Inchiostri- Siliconi
- Contenitori- Legno
- Tappi - Altro

L’obbligo, a carico degli operatori, consiste nel:


- Registrare gli approvvigionamenti di materie prime in entrata e le consegne dei prodotti in uscita
- Natura e quantità di materia prima/prodotto
- Nome e recapito di fornitore/cliente
- Data di ricevimento e consegna
Il Reg. CE 178/02 non prescrive la RINTRACCIABILITA’ INTERNA , ovvero la ricostruzione del
percorso seguito all’interno dello stabilimento da ogni materia prima e sostanza utilizzata nella
trasformazione.

Scopo della rintracciabilità:


Lo sviluppo di sistemi avanzati di rintracciabilità, pur richiedendo impegni e investimenti anche
considerevoli, può contribuire alla crescita di un’azienda sotto diversi aspetti:
- Maggiore facilità nel risalire alle cause di eventuali problemi e mettere in atto opportune azioni
correttive e relativa limitazione dei costi e dei danni;
- Migliore definizione e verifica delle responsabilità, sia all’interno del comparto produttivo, sia
nell’ambito dell’intera filiera, per le fasi di rispettiva competenza;
- Contributo allo sviluppo di efficaci Sistemi Qualità.
Gli alimenti o i mangimi immessi sul mercato devono essere adeguatamente etichettati o identificati per
agevolarne la rintracciabilità, mediante documentazione o informazioni pertinenti. La rintracciabilità è
finalizzata a consentire agli operatori ed alle autorità di controllo di attivare e gestire i sistemi
d’allarme qualora sorgano eventuali problemi di sicurezza alimentare.

GESTIONE DELLA CRISI (art.19 Reg. 178/2002) → Obblighi dell’OSA in caso di prodotto non
conforme ai requisiti di sicurezza stabiliti dall’art.14 → AVVIO DI PROCEDURE DI
RITIRO/RICHIAMO.
- Identificare il prodotto
- Identificare l’ambito di commercializzazione
- Provvedere all’immediato ritiro
- Informare l’AUSL
- Informare l’anello a monte
- Attuare altre misure atte a tutelare la salute pubblica
- Informare il consumatore

Operatori della Vendita al Dettaglio o della Distribuzione:


- Ritirare dal mercato i prodotti di cui hanno ricevuto informazione di n.c. da parte del fornitore o della
AUSL
- Ritirare dal mercato, informando il fornitore, i prodotti che loro stessi, o a seguito di segnalazioni di
consumatori hanno motivo di ritenere n.c.
- Collaborare con gli OSA a monte e con l’AUSL ai fini della rintracciabilità
- Collaborare alle campagne di informazione e richiamo dei prodotti n.c.

OBBLIGHI RELATIVI AI MANGIMI: Operatori del settore dei mangimi (art.20)


- Se un operatore del settore dei mangimi ritiene… che un mangime da lui importato, prodotto,
trasformato… non sia conforme ai requisiti di sicurezza… deve avviare immediatamente procedure per
ritirarlo …
- Gli operatori del settore dei mangimi informano immediatamente le autorità competenti quando
ritengono… che un mangime da essi immesso sul mercate possa non essere conforme ai requisiti di
sicurezza dei mangimi…
- Gli operatori del settore dei mangimi collaborano con le autorità competenti riguardo ai
provvedimenti volti ad evitare i rischi provocati da un mangime che forniscono o hanno fornito.
Condivisione della responsabilità e collaborazione
SISTEMI DI RINTRACCIABILITA’ → L’implementazione di sistemi di rintracciabilità nelle aziende e
nelle filiere agroalimentari costituisce uno strumento indispensabile per:
- Rispondere agli obblighi cogenti;
- Valorizzare particolari caratteristiche di prodotto, quali l’origine/territorialità e le caratteristiche
peculiari degli ingredienti;
- Soddisfare le aspettative del cliente
Il solo sistema di rintracciabilità non è in grado di garantire la sicurezza del prodotto alimentare,
ma può sicuramente dare un importante contributo al raggiungimento di tale obiettivo. Infatti, qualora
si manifesti una non conformità di tipo igienico-sanitario, consente da un lato di risalire fino al punto
della filiera in cui si è originato il problema, dall’altro di procedere, se necessario, con il ritiro
“mirato”del prodotto.
La progettazione di un sistema di rintracciabilità deve necessariamente definire i seguenti aspetti:
- Obiettivi del sistema di rintracciabilità
- Normativa e documenti applicabili al sistema di rintracciabilità
- Prodotti ed ingredienti oggetto di rintracciabilità
- Posizione di ciascuna organizzazione nella catena alimentare, identificazione dei fornitori e dei clienti
- Flussi di materiali
- Le informazioni che devono essere gestite
- Procedure
- Documentazione
- Modalità di gestione della filiera

ETICHETTATURA degli ALIMENTI

Cosa si intende per etichettatura?


Qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si
riferisce all’alimento e che figura direttamente sull’imballaggio o su un’etichetta appostavi, su nastri o
fascette, su cartelli o documenti che accompagnano o si riferiscono al prodotto.
L’etichetta di un alimento rappresenta la sua carta d’identità ed ha lo scopo di fornire informazioni
sul prodotto in modo che il consumatore abbia piena consapevolezza di ciò che compra.
Le etichette riportate sulle confezioni dei prodotti alimentari ci aiutano a compiere una scelta informata
su ciò che mangiamo.

Perché e con quali obiettivi consultare l’etichetta dei prodotti alimentari?


- Aiuta il consumatore a effettuare una scelta consapevole e responsabile di ciò che acquista
- Garantisce che il consumatore disponga di informazioni complete sui prodotti alimentari che
acquista.
- Fornisce al consumatore informazioni sulle: caratteristiche, qualità, ingredienti dei prodotti.

Obiettivi generali dell’informazione sugli alimenti


- Consentire la libera circolazione delle merci;
- Consentire al consumatore di effettuare scelte consapevoli fornendo tre categorie di informazioni:
1) Informazioni sulle caratteristiche dell’alimento (identità, composizione, proprietà)
2) Informazioni sulla protezione della salute:
- Caratteristiche compositive del prodotto che possono aver un effetto nocivo sulla salute di alcune
categorie di consumatori;
- La durata e le condizioni di conservazione;
- Le condizioni di uso sicuro;
3) Informazioni sulle caratteristiche nutrizionali.

Etichettatura alimenti: Aspetti legislativi


- La regolamentazione inerente l’etichettatura dei prodotti alimentari è variegata. Il principale testo di
riferimento è il D.Lgs. 109/92 più volte modificato, in particolar modo dal D.Lgs. 181/2003 e dal
D.Lgs. 114/2006 che hanno via via recepito Direttive della Comunità Europea in materia.
- Per l’etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari il testo di riferimento è il D.Lgs. 77/2003.
- Il 25 ottobre 2011 è stato pubblicato il nuovo regolamento “Reg. UE 1169/2011” relativo alla “
fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori” che modifica o abroga la precedente normativa
europea in materia (fino al 2011 non c’era una legge chiara che regolamentasse l’etichettatura dei
prodotti alimentari)
- I regolamenti si occupano dell’etichettatura, presentazione e pubblicità dei prodotti alimentari, sia
preconfezionati che preincartati.

Responsabilità (Articolo 8)
L’operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti è l’operatore (nome o
ragione sociale) con cui è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell’Unione,
l’importatore nel mercato dell’UE. Di cosa è responsabile? Egli assicura la presenza e l’esattezza delle
informazioni sugli alimenti.
Gli operatori del settore alimentare che non influiscono sulle informazioni relative agli alimenti, non
forniscono alimenti di cui conoscono o presumono, in base alle informazioni in loro possesso in qualità
di professionisti, la non conformità alla normativa in materia di informazioni sugli alimenti applicabile
e ai requisiti delle pertinenti disposizioni nazionali,
Operatore responsabile delle informazioni in etichetta (Articolo 8)
Prodotto che riporta un marchio contenente il nome del produttore → in questo caso l’operatore
responsabile delle informazioni in etichetta è il produttore e il suo nome e indirizzo devono essere
riportati tra le indicazioni obbligatorie in etichetta.

Prodotto commercializzato con il marchio del distributore → in questo caso il responsabile delle
informazioni sugli alimenti è il distributore e il suo nome e indirizzo devono essere riportati tra le
indicazioni obbligatorie in etichetta (sia nel caso in cui il distributore produca direttamente l’alimento
sia nel caso in cui deleghi la produzione a terzi)

RESPONSABILITA’ DEGLI OPERATORI:


- Non possono immettere sul mercato prodotti che non sono in linea con le disposizioni del
Regolamento
- Non possono modificare le informazioni se tali modifiche risultano ingannevoli per il
consumatore finale o comportano la riduzione del livello di protezione del consumatore stesso
- Non vengono commercializzati (a qualsiasi livello) prodotti con etichettatura non conforme.

Regola fondamentale → ETICHETTA NON INGANNEVOLE


- Deve assicurare la corretta e trasparente informazione al consumatore;
- Non deve indurre in errore l’acquirente sulle caratteristiche del prodotto alimentare (natura,
composizione, scadenza, origine e provenienza, modalità di produzione);
- Non deve attribuire al prodotto effetti o proprietà che non possiede;
- Non deve suggerire che il prodotto possiede caratteristiche particolari quando tutti i prodotti analoghi
possiedono caratteristiche identiche

INDICAZIONI OBBLIGATORIE secondo il Reg. UE 1169/11 → devono essere facilmente


accessibili, poste in modo da risultare comprensibili e visibili, leggibili, scritte anche in più lingue ed
eventualmente indelebili

- DENOMINAZIONE DELL’ALIMENTO → accanto alla denominazione deve essere indicato lo


stato fisico nel quale si trova il prodotto o lo specifico trattamento che ha subito (ad es “in polvere”,
“ricongelato”, “liofilizzato”, “surgelato”, “concentrato”, “affumicato”).
- ELENCO DEGLI INGREDIENTI → è l’elenco di tutte le sostanze impiegate nella produzione, in
ordine decrescente di peso. Una delle novità più importanti riguarda l’indicazione degli allergeni che
deve essere evidenziata con carattere diverso rispetto agli altri ingredienti.
Per ingrediente, nel regolamento n.1169/2011 si intende “qualsiasi sostanza utilizzata o prodotto,
compresi gli aromi, gli additivi e gli enzimi alimentari, e qualunque costituente di un ingrediente
composto utilizzato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel
prodotto finito, anche se sotto forma modificata”.
Per ingrediente composto è inteso “un ingrediente utilizzato per la realizzazione di un prodotto, che, a
sua volta, è composto da più ingredienti”; ad esempio: il croissant ripieno; deve essere riportato in
etichetta nella lista degli ingredienti e menzionato con la propria denominazione di vendita seguito
dalla lista dei suoi ingredienti, in ordine ponderale decrescente, riportati in parentesi.

Invece, per ingrediente primario si intende “l’ingrediente o gli ingredienti di un alimento che
rappresentano più del 50% di tale alimento o che sono associati abitualmente alla denominazione di
tale alimento dal consumatore e per i quali nella maggior parte dei casi è richiesta un’indicazione
quantitativa”.

- QUALSIASI INGREDIENTE O COADIUVANTE TECNOLOGICO CHE PROVOCHI


ALLERGIE O INTOLLERANZE → queste sostanze devono essere evidenziate attraverso un
particolare tipo di carattere o colore di sfondo.

ALLERGENI: qualsiasi ingrediente o coadiuvante che provochi allergie deve figurare nell’elenco
degli ingredienti con un riferimento chiaro alla denominazione della sostanza definita come allergene.
Inoltre l’allergene deve essere evidenziato attraverso un tipo di carattere chiaramente distinto dagli
altri, per esempio per dimensioni, stile o colore di sfondo.
Riferimenti: - art. 9 comma 1 lettera c) “Elenco delle indicazioni obbligatorie”
- art. 21 “Etichettatura di alcune sostanze o prodotti che provocano allergie o intolleranze”
- allegato II “Sostanze e prodotti che provocano allergie”

Quali sono gli allergeni?


- Cereali contenenti glutine: grano, segale, orzo, avena, farro
- Crostacei e prodotti a base di crostacei
- Uova e prodotti a base di uova
- Pesce e prodotti a base di pesce
- Arachidi e prodotti a base di arachidi
- Soia e prodotti a base di soia
- Latte e prodotti a base di latte
- Frutta a guscio: mandorle, nocciole, noci, pistacchi e i loro prodotti
- Sedano e prodotti a base di sedano
- Senape e prodotti a base di senape
- Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo
- Anidride solforosa e solfiti
- Lupini e prodotti a base di lupini
- Molluschi e prodotti a base di molluschi

Anche gli ADDITIVI sono ingredienti. ADDITIVI → sostanze prive di valore nutritivo impiegate per
conservare le caratteristiche del prodotto, per evitarne l’alterazione spontanea, per esaltarne aspetto,
sapore, odore o consistenza.
- Conservanti (ac. sorbico, nitriti, nitrati, solfiti, ac ascorbico)
- Stabilizzanti, addensanti, gelificanti, emulsionanti
- Esaltatori di sapidità
- Agenti di rivestimento
- Sali di fusione
- Vari

- QUANTITA’ NETTA DELL’ALIMENTO → espressa in unità di volume per i prodotti liquidi (L,
cL, mL) o in unità di massa per gli altri prodotti (g, kg). Se un alimento solido è disperso in un liquido
di copertura (es. salamoia, aceto, olio, ecc.), viene indicato anche il peso netto sgocciolato.

- QUANTITA’ DI CERTI INGREDIENTI O CATEGORIE DI INGREDIENTI → l’indicazione


della quantità di un ingrediente (o di una categoria di ingredienti) è richiesta quando esso:
- figura nella denominazione dell’alimento o ne è generalmente associato dal consumatore;
- è evidenziato nell’etichettatura mediante parole, immagini o una rappresentazione grafica;
- è essenziale per caratterizzare un alimento e distinguerlo dai prodotti con i quali potrebbe essere
confuso a causa della sua denominazione o del suo aspetto.

- DURABILITA’ DEL PRODOTTO → distinguiamo due indicazioni che possiamo trovare sulla
confezione del prodotto,
Data di scadenza: nel caso di prodotti molto deperibili, la data è preceduta dalla dicitura “Da
consumare entro il” che rappresenta il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato.
Termine minimo di conservazione (TMC): nel caso di alimenti che possono essere conservati più a
lungo si troverà la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il” che indica che il prodotto, oltre la
data riportata, può avere modificato alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore, ma
può essere consumato senza rischi per la salute.

- CONDIZIONI DI CONSERVAZIONE ED USO → le condizioni di conservazione devono essere


indicate per consentire una conservazione ed un uso adeguato degli alimenti dopo l’apertura della
confezione.

- PAESE D’ORIGINE E LUOGO DI PROVENIENZA → Questa indicazione, già obbligatoria per


alcuni prodotti (carni bovine, pesce, frutta e verdura, miele, olio extravergine d’oliva), viene estesa
anche a carni fresche e congelate delle specie suina, ovina, caprina e avicola.
- DICHIARAZIONE NUTRIZIONALE → sono obbligatorie (dal 13 dicembre 2016) indicazioni su:
- Valore energetico
- Grassi
- Acidi grassi saturi
- Carboidrati, di cui Zuccheri
- Proteine
- Sale

La dichiarazione nutrizionale obbligatoria può essere integrata aggiungendo la quantità di uno o più dei
seguenti costituenti:
- Acidi grassi monoinsaturi;
- Acidi grassi polinsaturi;
- Polioli;
- Amido;
- Fibre;
- Sali minerali e vitamine, elencati nell’allegato XIII, parte A., se presenti nelle seguenti dosi:
Alimenti diversi dalle bevande: il 15% dei valori nutritivi di riferimento calcolato per 100 g o 100 ml.
Bevande: il 7,5% dei valori nutritivi di riferimento calcolato per 100 ml;
Alimenti porzionati: il 15% dei valori nutritivi di riferimento calcolato sulla singola porzione.

L’indicazione del valore energetico è riferita a 100 g/100 ml dell’alimento, oppure alla singola
porzione. Il valore energetico è espresso come percentuale delle assunzioni di riferimento per un
adulto medio ossia circa 2000 kcal al giorno.

Per quanto riguarda le modalità di presentazione, il Reg. UE n. 1169/2011 prevede regole precise
relative alla collocazione della dichiarazione nutrizionale, in quanto deve essere posizionata nel
medesimo campo visivo e non suddivisa su diverse parti della confezione. Vengono prese in
considerazione tutte le superfici di un imballaggio che possono essere lette da un unico angolo visivo.
È considerato “campo visivo principale”, quello più probabilmente esposto al primo sguardo del
consumatore al momento dell’acquisto; se sono presenti più facce principali, come nel caso di un
barattolo cilindrico, la parte principale viene scelta dall’operatore del settore alimentare.
Dal D.lgs 109/92 al UE
1169/11:
Informazioni obbligatorie
Nel confronto dei due elenchi si evince che alcune informazioni:
- Sono state indicate utilizzando pressoché la stessa terminologia del passato.
- Sono scomparse: la dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto e la sede
dello stabilimento di produzione o di confezionamento
- Sono state aggiunte: la dichiarazione nutrizionale e l’elenco di alcuni ingredienti, coadiuvanti
tecnologici o prodotti che potrebbero causare allergie.

Ulteriori simboli e pittogrammi presenti in etichetta (indicazioni volontarie)

Marchi
I marchi servono a distinguere i prodotti e a garantire il consumatore sull’origine, natura e qualità.
Aiutano a proteggere la tipicità di alcuni alimenti e a promuovere quelli tradizionali; comprendono tra
l’altro I livelli di riconoscimento europei DOP (Denominazione di Origine Protetta), IGP (Indicazione
Geografica Protetta) e STG (Specialità Tradizionale Garantita), come pure il marchio Bio per la
produzione biologica.

Il codice a barre
Il codice a barre o codice EAN (European Article Numbering) è costituito da una sequenza numerica e
di barre bicolori bianche e nere di diverso spessore, le cui cifre rappresentano alcune informazioni
riferite al prodotto, espresse in un formato che può essere compreso dai lettori ottici (come quello del
supermercato), le quali consentono di individuare il Paese del fabbricante, il produttore e il prodotto.
Sebbene il suo uso sia facoltativo il codice a barre è diventato ormai piuttosto diffuso perché facilita le
imprese nell’identificazione dei prodotti e nella movimentazione della merce.

- Le prime due cifre indicano il prefisso nazionale, ovvero il numero identificativo del Paese, che per
l’Italia va da 80 a 83; la conoscenza di questi numeri può servire al consumatore per stabilire l’esatta
provenienza del prodotto che acquista.
- Dalla terza alla settima, il “codice proprietario del marchio” identifica il responsabile commerciale
e viene assegnato dall’INDICOD;
- Dall’ottava alla dodicesima indica il codice prodotto che l’azienda sceglie di attribuire per identificare
il prodotto in base a parametri definiti (es. alla quantità, la composizione, confezione, ecc); ogni
azienda ha 1000 numeri a disposizione;
- L’ultima cifra è il codice di controllo dell’intero prodotto ed è calcolata tramite un algoritmo e sulla
base delle cifre presenti nel codice.
Se la confezione non è sufficientemente grande da ospitare tutti e 13 i codici è possibile utilizzare un
formato a 8 cifre.
Indicazioni metrologiche
La “e” presente sulle etichette alimentari rappresenta il marchio comunitario, riportato in caratteri di
almeno 3 mm di altezza e nello stesso campo visivo della quantità. Tale marchio attesta che il
produttore dell’imballaggio ha rispettato le modalità di controllo metrologiche previste per la
misurazione delle quantità nominali e perciò il suo prodotto può liberamente circolare all’interno del
territorio comunitario. Quindi questo simbolo può essere apposto

La marcatura ecologica
Sugli imballaggi o sulle etichette possono figurare indicazioni, simboli o pittogrammi che invitano il
consumatore ad una gestione “ecologicamente” corretta del contenitore, al fine di facilitare la raccolta,
il riutilizzo e il riciclaggio.

Il primo pittogramma riguarda le confezioni di carta o cartone, mentre il secondo quelle di plastica.
Essi possono significare: che l’imballaggio è riciclabile, ma non necessariamente riciclato, oppure che
parte del materiale è riciclato.
Il numero presente nel secondo marchio se è compreso tra 1 e 6 indica il tipo di plastica utilizzata
secondo un codice prestabilito. Se è presente il numero 7 indica che il materiale non è riciclabile.

Questi simboli specificano il materiale usato per la confezione. Alcune delle sigle utilizzate sono:
PVC: indica che la plastica è composta da polivinilcloruro.
PET: indica che la plastica è composta da polietilene tereftalato.
CA: indica che si tratta di carta accoppiata a materiale non riciclabile e pertanto deve essere buttata nei
rifiuti misti.
ACC: indica che il contenitore è in acciaio (banda stagnata) e può essere messo nei contenitori per la
raccolta differenziate delle lattine.

Questi simboli indicano che la confezione deve


essere dispersa nei contenitori della raccolta
differenziata.

Questo simbolo indica che il produttore aderisce


ai consorzi, previsti dalla legge, per organizzare
il recupero e il riciclaggio degli imballaggi.
LE GDA (facoltative)
Una novità per quanto riguarda le modalità di espressione delle indicazioni nutrizionali è rappresentata
dalle GDA.
Le GDA - Guideline Daily Amounts – sono le Quantità giornaliere indicative, ovvero Linee Guida per
stabilire i valori giornalieri di riferimento di apporto energetico e sostanze nutritive consigliate per un
adulto medio.
Fornendo questa informazione il consumatore ha la possibilità di fare una scelta alimentare informata,
con la consapevolezza di quanto ogni singolo prodotto contribuisce al raggiungimento di una dieta
generale bilanciata, indicandoci quali cibi dobbiamo consumare occasionalmente e quali spesso.
Servono a dare maggiore consapevolezza al consumatore.

I valori di GDA per l’energia derivano dai fabbisogni medi stimati di popolazione per l’energia e
tengono conto dei livelli attuali di attività e di stile di vita di un cittadino medio, che tende ad essere
abbastanza sedentario. L’energia viene espressa comunemente in “kilocalorie” (Kcal) ma anche in
“Calorie”: le espressioni sono equivalenti e comunemente utilizzate sulle etichette alimentari. Nel caso
di una donna adulta la GDA per l’energia è stimata pari a 2000 Kcal, mentre tale valore incrementa a
2500 Kcal per un uomo adulto: questi valori sono utilizzati come riferimento per calcolare i valori
giornalieri di riferimento. Quando non è possibile fornire linee guida separate per uomo e donna, le
GDA per un soggetto adulto si basano sui valori di GDA per la donna, al fine di evitare un consumo
eccessivo.I valori di GDA sono stati elaborati sulla base di studi e parametri convalidati dall’Efsa-
European Food Safety Authority, Autorità Europea per la sicurezza alimentare istituita con il Reg. UE
n. 178/2002.

Le GDA devono essere espresse per:


- 100g o 100 ml, oppure
- Per porzione/unità di consumo a condizione che sull’etichetta siano quantificate il numero di porzioni
contenute nell’imballaggio e che la porzione/unità di consumo sia indicata immediatamente accanto
alla dichiarazione nutrizionale.
INDICAZIONI NUTRIZIONALI SULLA SALUTE
- L’etichetta degli alimenti, oltre a fornire informazioni necessarie relative al prodotto
commercializzato, può essere utilizzata dal produttore come mezzo per valorizzare i propri prodotti e
dal consumatore per fare scelte più attente e in linea con le sue necessità. Queste diciture prendono il
nome di claims, ovvero informazioni pubblicitarie legate al marketing del prodotto atte ad indicare al
consumatore alcune caratteristiche salutistiche e/o nutrizionali presenti nel prodotto.

- Il Regolamento (CE) 1924/2006 armonizza i cosiddetti “claims”, ossia indicazioni nutrizionali e


sulla salute fornite sui prodotti alimentari, allo scopo di garantire ai consumatori l’accuratezza e
la veridicità delle informazioni.

Il Regolamento prevede due tipologie d’indicazioni: l’indicazione nutrizionale (claims nutrizionali) e


quella sulla salute (claims salutistici).
Claims nutrizionali: corrispondono, sostanzialmente, alla definizione di “informazione nutrizionale”
contenuta nel D. Lgs. N. 77/1993 e attestano che un alimento possiede particolari proprietà nutrizionali
dovute all’energia (kcal) che apporta, o meno, e alle sostanze nutritive o di altro tipo che contiene, o
meno;
Claims salutistici: qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un
rapporto tra un alimento, o i suoi componenti, e la salute.

INDICAZIONE NUTRIZIONALE: Qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda che


un alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche, dovute all’energia (valore calorico) che
apporta, apporta a tasso ridotto o accresciuto o non apporta; e/o alle sostanze nutritive o di altro tipo
che contiene, contiene in proporzioni ridotte o accresciute o non contiene. (Art. 2 Reg. 1924/2006)

- A BASSO CONTENUTO CALORICO: il prodotto contiene non più di 40Kcal/100g per i solidi o più
di 20Kcal/100ml per i liquidi.

- A RIDOTTO CONTENUTO CALORICO: il valore energetico è ridotto di almeno il 30%.

- SENZA CALORIE: il prodotto contiene non più di 4Kcal/100ml

- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI: il prodotto contiene non più di 3g di grassi per 100 g per i
solidi o 1,5 g di grassi per 100 ml per i liquidi

- SENZA GRASSI: il prodotto contiene non più di 0,5 g di grassi per 100g o 100 ml

- A BASSO CONTENUTO DI GRASSI SATURI: il prodotto non supera 1,5g/100g per i solidi o 0,75g/
100ml per i liquidi

- SENZA GRASSI SATURI: la somma degli acidi grassi saturi e acidi grassi trans non supera 0,1g per
100 g o 100 ml

- A BASSO CONTENUTO DI ZUCCHERI: il prodotto contiene non più di 5g di zuccheri per 100 g
per i solidi o 2,5 g di zuccheri per 100 ml per i liquidi

- SENZA ZUCCHERI: il prodotto contiene non più di 0,5g per 100g o 100ml
- SENZA ZUCCHERI AGGIUNTI: il prodotto non contiene zuccheri o ogni altro prodotto utilizzato
per le sue proprietà dolcificanti. Se l’alimento li contiene naturalmente si deve riportare sull’etichetta: “
Contiene naturalmente zuccheri”

- LEGGERO/LIGHT: il valore energetico è ridotto di almeno il 30%

- FONTE DI AC.GRASSI OMEGA-3: il prodotto contiene almeno 0,3g di acido alfa-linolenico (ALA)

- RICCO DI AC.GRASSI OMEGA-3: il prodotto contiene almeno 0,6g di ALA per 100g o 100Kcal

- RICCO DI GRASSI MONOINSATURI (o POLINSATURI): almeno il 45% degli acidi grassi presenti
nel prodotto derivano dai grassi monoinsaturi/polinsaturi e a condizione che gli stessi apportino oltre il
20% del valore energetico del prodotto

- RICCO DI GRASSI INSATURI: almeno il 70% degli acido grassi presenti derivano da grassi insaturi
e a condizione che gli stessi apportino oltre il 20% del valore energetico del prodotto

- FONTE DI FIBRE: il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100g o almeno 1,5 g per 100 Kcal

- AD ALTO CONTENUTO DI FIBRE: il prodotto contiene almeno 6 g di fibre per 100 g o almeno 3 g
per 100 Kcal

- AD ALTO CONTENUTO DI PROTEINE: almeno il 20% del valore energetico dell’alimento è


apportato da proteine

- FONTE DI/AD ALTO CONTENUTO DI (NOME DELLA VITAMINA E/O MINERALE): il


prodotto contiene almeno il 15/30% della dose giornaliera raccomandata di vitamina e/o minerale

- A TASSO RIDOTTO DI (NOME DELLA SOSTANZA NUTRITIVA): La riduzione è pari ad almeno


il 30% rispetto a un prodotto simile.

IN SINTESI: VERSIONE TRADIZIONALE DELL’ALIMENTO


(es. formaggio spalmabile)
- “SENZA”→ l’alimento contiene quel nutriente in quantità vicina allo zero (es. Formaggio spalmabile
SENZA grassi)
- “BASSO”→ l’alimento contiene quel nutriente in quantità maggiore rispetto ad alimenti con la
dicitura “senza” (es. Formaggio spalmabile A BASSO CONTENUTO di grassi)
- “ RIDOTTO” → l’alimento contiene quel nutriente in quantità inferiore del 30% rispetto alla versione
classica (es. Formaggio spalmabile A RIDOTTO CONTENUTO di grassi)

Tempi per l’entrata in vigore del Reg. UE 1169/2011:


- Fino al 12/12/2014 le informazioni nutrizionali sono FACOLTATIVE e si può scegliere se
indicarle conformemente al d.lgs. 77/93 oppure al Reg. UE 1169/2011
- Tra il 13/12/2014 e il 13/12/2016 la dichiarazione nutrizionale sarà ancora facoltativa, ma se resa
dovrà essere in conformità al Rag. UE 1169/2011
- Dal 13/12/2016 le informazioni nutrizionali saranno OBBLIGATORIE
Le informazioni nutrizionali dovranno apparire tutte nello stesso campo visivo e nell’ordine seguente:

INDICAZIONI SULLA SALUTE


- Qualunque indicazione che affermi, suggerisca o sottintenda l’esistenza di un rapporto tra un alimento
o uno dei suoi componenti e la salute (Art.2 Reg. UE 1924/2006)
- Le indicazioni sulla salute sono consentite solo se sull’etichetta sono comprese le seguenti
informazioni:
- una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano;
- la quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico indicato.

Vi sono diversi tipi di indicazioni sulla salute:


-Dichiarazioni relative a sostanze nutritive o di altro genere che possono contribuire alla crescita,
sviluppo e normali funzioni del nostro organismo, per esempio “ Il calcio è necessario per il
mantenimento di ossa normali”:
- Affermazioni sulla diminuzione del rischio di contrarre una malattia, per esempio “è dimostrato che la
sostanza X abbassa/riduce il colesterolo nel sangue”
Le indicazioni sulla salute fornite sui prodotti alimentari devono essere preventivamente autorizzate e
incluse in un elenco di indicazioni consentite.

I claims salutistici sono consentiti solo se nell’etichetta sono riportate:


a) Una dicitura relativa all’importanza di una dieta varia ed equilibrata e di uno stile di vita sano;
b) La quantità dell’alimento e le modalità di consumo necessarie per ottenere l’effetto benefico
indicato;
c) Dove necessario, l’indicazione relativa alle persone che dovrebbero evitare il consumo
dell’alimento;
d) Un’avvertenza per i prodotti che potrebbero avere controindicazioni per la salute se consumati in
quantità eccessive.
Invece, non è permesso:
e) Suggerire che il mancato consumo dell’alimento può creare problemi per la salute;
f) Fare riferimento alla percentuale o all’entità della perdita di peso corporeo nel consumatore che
ingerisce l’alimento;
g) Dare indicazioni che fanno riferimento al parere di un singolo medico o altro operatore sanitario.

Alcuni dei claims salutistici ammessi riguardano:


- carbone attivo: contribuisce alla riduzione dell’eccessiva flatulenza post-prandiale;
- fibre d’orzo e d’avena: contribuiscono all’aumento della massa fecale. I beta-glucani da orzo o avena,
come pure la cellulosa metilica propilica idrossilata , nell’ambito di un pasto contribuiscono alla
riduzione della risposta glicemica post-prandiale;
- polifenoli dell’olio di oliva: contribuiscono alla protezione dei lipidi ematici dallo stress ossidativo;
- omega 3: contribuiscono al mantenimento delle funzioni cardiache, il DHA contribuisce al
mantenimento delle funzioni cerebrali e della capacità visiva;
- beta-glucani (di avena, crusca d’avena, orzo o crusca d’orzo) – come pure l’acido linoleico e quello
alfa-linoleico, il chitosano, il glucomannano, la gomma di guar, la cellulosa metilica propilica
idrossilata: contribuiscono al mantenimento di livelli normali di colesterolo nel sangue.

Esistono claims che vengono utilizzati per fini commerciali in quanto evidenziano caratteristiche
particolari di un alimento relative alla sua qualità.
- “extra”: può essere utilizzato solo per alcuni prodotti che presentano caratteristiche qualitative
superiori rispetto alla medie dei prodotti analoghi; l’utilizzo di tale termine è previsto per: i pomodori
pelati e i concentrati di pomodoro, le confetture, le gelatine di frutta, il cioccolato e le uova.
- “puro”: vuole significare “solo” o “esclusivamente”, cioè indica l’esclusivo utilizzo di uno o più
ingredienti; ad esempio la dicitura “puro suino” evidenzia unicamente che le carni utilizzate nella
preparazione del prodotto sono “solo” di suino.
- “fresco”: indica i prodotti lavorati da poco tempo e serve per distinguerli da quelli destinati alla
medio- lunga conservazione; è utilizzato per specifici prodotti quali: le paste alimentari, il latte
pastorizzato e il latte pastorizzato di alta qualità, i prodotti della pesca, i formaggi a pasta filata e le
uova di categoria A.
-“alta qualità”: è attribuibile solo in riferimento alla produzione di latte fresco pastorizzato e per il
prosciutto cotto.

Etichettatura dei prodotti biologici


L’agricoltura biologica è un particolare metodo di gestione della produzione agricola e alimentare
basato sull’interazione tra le migliori pratiche ambientali, il mantenimento di un alto livello di
biodiversità e la salvaguardia delle risorse territoriali, il tutto indirizzato ad una gestione eco-
compatibile e sostenibile dell’agricoltura.
I Regolamenti e i Documenti a cui ci riferiamo quando parliamo di etichettatura dei prodotti biologici
sono:
- Regolamento CE 834/2007 relativo alla produzione biologica e all’etichettatura dei prodotti
biologici.
- Regolamento CE 889/2008 recante modalità di applicazione del regolamento n. 834/2007, per quanto
riguarda la produzione biologica, l’etichettatura e i controlli.
- Regolamento CE n. 271/10 che definisce l’uso del nuovo logo europeo e modifica alcune norme di
etichettatura.

L’etichetta dei prodotti biologici deve riportare le seguenti indicazioni:


1) Nome e indirizzo dell’operatore e, se diverso da quest’ultimo, del proprietario o venditore del
prodotto;
2) Nome del prodotto accompagnato da un riferimento al metodo di produzione biologico:
- nella denominazione di vendita, per i prodotti con almeno il 95% in peso degli ingredienti di
origine agricola biologici;
- solo nell’elenco degli ingredienti, per i prodotti con meno del 95% in peso degli ingredienti di
origine agricola biologici:
- nell’elenco degli ingredienti nello stesso campo visivo della denominazione di vendita, per i
prodotti in cui l’ingrediente principale sia un prodotto della caccia o della pesca;
3) Codice organismo di controllo e codice operatore:
- Il codice dell’autorità o dell’organismo cui è soggetto l’operatore che ha effettuato la produzione o
la preparazione più recente, indicato come “organismo di controllo autorizzato dal Mipaaf IT BIO
00X, dove:
- MIPAAF = Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;
- IT = sigla, con due lettere, identificativa dello Stato membro o del paese terzo, IT per l’Italia;
- BIO = termine che rinvia al metodo di produzione biologico;
- 00X = numero di riferimento stabilito dall’autorità competente.
- Il codice identificativo dell’operatore preceduto dalla dicitura “operatore controllato n …”,
indicato come “operatore controllato n. XXXX”.
4) Il logo comunitario
Nelle etichette stampate a partire dal 1° luglio 2010 è riprodotto il nuovo “logo di produzione biologica
dell’Unione Europea”, rappresentato dalla foglia europea. Il logo europeo si deve apporre ai prodotti
chiusi confezionati ed etichettati; deve avere un’altezza minima di 9 mm e una larghezza minima di
13,5 mm; la proporzione tra l’altezza e la larghezza deve essere sempre 1:1.5.
In via eccezionale le dimensioni minime possono essere ridotte ad un’altezza di 6 mm per confezioni
molto piccole. Il logo biologico dell’ UE deve essere conforme al seguente modello:

5) L’indicazione dell’origine, riportata utilizzando una delle seguenti diciture:


a) “Agricoltura UE” se il prodotto e/o i suoi ingredienti hanno origine comunitaria;
b) “Agricoltura non UE” se il prodotto e/o i suoi ingredienti provengono da un Paese terzo.
c) ” Agricoltura UE/non UE” se il prodotto e/o i suoi ingredienti provengono in parte dal territorio
comunitario e in parte da un Paese terzo.
L’indicazione “UE/non UE” può essere sostituita o integrata dal nome del Paese nel caso in cui tutte le
materie agricole di cui il prodotto è composto siano state coltivate in quel Paese. Nel caso di prodotti
coltivati in Italia può essere indicato “Italia”.

Esistono varie modalità di etichettatura dei prodotti biologici e per illustrarli è necessario distinguere
tre fattispecie:
1) Alimenti interamente biologici o con una quota di ingredienti biologici > al 95% in peso sul prodotto
finito:
i prodotti alimentari, semplici o trasformati, possono utilizzare in etichetta i termini “biologico”, “bio”
ed “eco”, nella denominazione di vendita (es. pasta di grano duro biologica) o nel suo stesso campo
visivo solo se:
- Almeno il 95% in peso degli ingredienti di origine agricola proviene da agricoltura biologica;
- Non contengono OGM né ingredienti derivati da OGM.

2) Alimenti nei quali gli ingredienti biologici sono < al 95% del peso del prodotto finito: tali prodotti
alimentari possono usare i termini “biologico” , e/o le sue abbreviazione , solo se riferite al nome
dell’ingrediente e nell’apposita lista degli ingredienti di origine agricola.
I termini devono essere riportati con colore, dimensioni e tipo di caratteri identici a quelli utilizzati per
indicare gli altri ingredienti.
Questa categoria di prodotti non può riportare in etichetta il logo comunitario, l’indicazione dell’origine
comunitaria e/o non comunitaria dell’alimento nonché i riferimenti all’organismo di controllo
responsabile di verificare la provenienza delle materie agricole di origine biologica.

3) Alimenti ottenuti da un sistema agricolo in conversione:


vengono inclusi gli alimenti ottenuti da aziende agricole che hanno avviato il passaggio dal regime
produttivo convenzionale a quello biologico, sulla base di un piano di conversione la cui durata viene
concordata con l’Organismo di controllo.
I prodotti agricoli ottenuti da aziende in conversione possono riportare in etichetta “prodotto in
conversione all’agricoltura biologica” solo se:
- Il periodo di conversione dura da almeno 12 mesi prima del raccolto;
- Il prodotto è composto da un solo ingrediente agricolo/vegetale (es. olio d’oliva);
- È presente in etichetta il codice identificativo rilasciato dalla struttura di controllo.
La dicitura “prodotto in conversione all’agricoltura biologica” deve essere riportata in colore, formato e
tipologia di carattere tale da non essere in evidenza rispetto alle altre e soprattutto alla denominazione
di vendita. Il logo comunitario, l’utilizzo del termine “biologico”, o le abbreviazioni, così come
l’indicazione dell’origine non possono essere riportati in etichetta fino a quando non sarà terminato il
periodo di conversione e l’azienda avrà positivamente superato le verifiche dell’Organismo di
controllo.

MATERIALI E OGGETTI A CONTATTO CON GLI ALIMENTI (MOCA)

Gli alimenti vengono a contatto con molti materiali e oggetti durante le rispettive fasi di produzione,
trasformazione, conservazione, preparazione e somministrazione, prima del loro consumo finale. Tali
materiali e oggetti sono denominati materiali ed oggetti a contatto con gli alimenti (MOCA) – ad
esempio contenitori per il trasporto degli alimenti, macchinari per la trasformazione dei prodotti
alimentari, materiali da imballaggio, utensili da cucina e posate e stoviglie – e dovrebbero essere
sufficientemente inerti da evitare che i loro componenti incidano negativamente sulla salute del
consumatore o influenzino la qualità degli alimenti.

- La sicurezza alimentare riguarda tutta la filiera (From Farm to Fork)


- I materiali destinati al contatto con gli alimenti fanno parte della filiera
- Esistono gli stessi criteri e principi di sicurezza per alimenti e materiali a contatto con essi.

Per scegliere quali materiali utilizzare, si individuano i materiali che si possono utilizzare o non
utilizzare; poi si testano i materiali per capire se si possono usare e in che condizioni si possono usare e
se questi vanno o meno ad alterare l’alimento. Per fare ciò ci si avvale di “test di stress” (come quelli
adottati per i farmaci): si pongono quindi i materiali in condizioni di temperatura, pressione e altri
fattori estremi e si valutano le eventuali alterazioni.

I materiali ed oggetti destinati a venire a contatto con gli alimenti sono :


- L’imballaggio (carte, pellicole, plastiche)
- I contenitori (pentole, scatole)
- Utensili, stoviglie
- Macchinari e impianti industriali

Il materiale destinato a venire a contatto con gli alimenti può trasferire componenti ai prodotti
alimentari e, in alcuni casi, determinare una contaminazione dell’alimento con cui viene a contatto.
Per tale motivo esistono le LISTE POSITIVE, limiti di cessioni e condizioni d’uso.
L’entità della migrazione dipende da una serie di fattori:
- Natura e composizione dell’alimento
- Superficie di contatto
- Tempo di contatto
- Temperatura di contatto

Le VALUTAZIONI DEL RISCHIO prendono in considerazione:


- La TDI (dose giornaliera tollerabile) → la massima quantità di sostanza che può essere
assorbita da tutte le fonti non deve superare la TDI
- Il livello di trasferimento dei componenti del materiale agli alimenti, determinato nelle peggiori
condizioni prevedibili (di temperatura, tempo e pH) con i test di migrazione.

Le norme autorizzative agiscono quindi su questi fattori:


- Controllando la composizione dei materiali (liste positive,elenchi di sostanze consentite per la
fabbricazione)
- Limitandone gli usi consentiti

I materiali a contatto con gli alimenti ricadono nella legislazione alimentare:


Reg. CE n.178/2002 → stabilisce i principi ed i requisiti generali della legislazione alimentare,
istituisce l’EFSA e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare.
Ad essi si applica il:
Reg. CE n.882/2004 → relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in
materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali.
Reg. CE n.1935/2004 → riguardante i materiali e gli oggetti destinati a venire a contatto con i prodotti
alimentari
Reg. CE n.2023/2006 → sulle Buone Pratiche di Fabbricazione (GMP) dei materiali e degli oggetti
destinati a venire a contatto con prodotti alimentari
LA NORMATIVA GENERALE MOCA CONTIENE I PRINCIPI DELLA LEGISLAZIONE
ALIMENTARE
Dal Regolamento(CE) n. 178/2002 al Regolamento (CE) n. 1935/2004:
• Armonizzazione
• Valutazione del rischio dell’EFSA
• Responsabilità dell’operatore alimentare
• Rintracciabilità

Art. 30 Regolamento (CE) n. 178/2002 “Gli operatori del settore alimentare sono in grado, meglio di
chiunque altro, di elaborare sistemi sicuri per l’approvvigionamento alimentare e per garantire la
sicurezza dei prodotti forniti; essi dovrebbero pertanto essere legalmente responsabili, in via principale,
della sicurezza degli alimenti …”

Art.1 SCOPO E OGGETTO Regolamento (CE) n. 1935/2004 Il presente regolamento mira a


garantire il funzionamento efficace del mercato interno per quanto attiene all’immissione sul mercato
comunitario dei materiali e degli oggetti destinati a venire a contatto direttamente o indirettamente con
i prodotti alimentari, oltre a costituire la base per assicurare un elevato livello di tutela della salute
umana e degli interessi dei consumatori.

Art.3 REQUISITI Regolamento (CE) n. 1935/2004 I materiali ed oggetti destinati a venire a contatto
con gli alimenti devono essere prodotti secondo Buone pratiche di fabbricazione affinchè non
trasferiscano ai prodotti alimentari componenti in quantità tale da:
- Costituire un pericolo per la salute umana;
- Comportare una modifica inaccettabile della composizione dell’alimento;
- Comportare un deterioramento delle caratteristiche organolettiche degli alimenti.

Art. 5 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Per gruppi di materiali e oggetti: adesivi, ceramiche,
turaccioli, gomme naturali, vetro, resine a scambio ionico, metalli e leghe… possono essere adottate
misure specifiche: elenco sostanze autorizzate, requisiti purezza, condizioni di impiego, limiti specifici
e globali..

Art. 6 Regolamento (CE) n. 1935/2004 In mancanza di misure comunitarie possono essere adottate
misure specifiche nazionali, a condizione che siano conformi alle norme del trattato.

da Art. 7 a 14 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Ruolo dell’EFSA, delle autorità Competenti e


procedure di autorizzazione di nuove sostanze

Art. 15 Etichettatura Regolamento (CE) n. 1935/2004 I materiali e gli oggetti non ancora entrati in
contatto con l’alimento al momento dell’immissione sul mercato sono accompagnati da:
a) la dicitura "per contatto con i prodotti alimentari" o un'indicazione specifica circa il loro impiego (ad
esempio come macchina da caffè, bottiglia per vino) o il simbolo riprodotto nell'allegato II;
b) Se del caso, speciali istruzioni da osservare per garantire un impiego sicuro ed adeguato;
- La dicitura o il simbolo non sono obbligatori se l’uso è inequivocabile.
- Le informazioni sono scritte in modo ben visibile, chiaramente leggibile ed indelebile.

Art. 16 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Prevede la dichiarazione di conformità, dichiarazione scritta


che attesti la conformità dei materiali e oggetti alle norme vigenti:
• Una documentazione appropriata deve essere disponibile per dimostrare tale conformità alla autorità
• In assenza di disposizioni comunitarie specifiche si seguono le disposizioni nazionali

Art. 17 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Richiede la rintracciabilità; Per “rintracciabilità” si intende la


possibilità di ricostruire e seguire il percorso dei materiali od oggetti attraverso tutte le fasi della
lavorazione, della trasformazione e della distribuzione. La rintracciabilità facilita il controllo, il ritiro
dei prodotti difettosi, le informazioni ai consumatori e l’attribuzione delle responsabilità.
Gli operatori economici devono disporre di sistemi e procedure che consentono di individuare:
- le imprese da cui sono forniti..
- le imprese a cui hanno fornito..

Art. 24 Regolamento (CE) n. 1935/2004 Prevede i requisiti per i controlli ufficiali:


- Metodi e tecniche appropriati per i controlli (monitoraggio, sorveglianza, verifica, audit, ispezione,
campionatura e analisi);
- Istituzione del Laboratorio Comunitario e Nazionale di riferimento

La NORMATIVA COMUNITARIA DI SETTORE disciplina specifici materiali :


• Pellicola di cellulosa rigenerata
• Ceramiche
• Plastiche
• Gomme e elastomeri
• Materiali attivi e intelligenti, che prolungano la durata di un alimento o che forniscono informazioni
sulla freschezza dell’alimento
In mancanza di misure specifiche comunitarie di cui all'articolo 5, il regolamento non impedisce agli
Stati membri di mantenere o adottare disposizioni nazionali, a condizione che siano
conformi alle norme del trattato.

La NORMATIVA NAZIONALE
• Contiene gli stessi principi generali della Comunitaria,
• Disciplina aspetti generali e stabilisce le sanzioni
- D.P.R. 23 agosto 1982 n. 777 e
- D. L. vo 25 gennaio 1992, n. 108
• Disciplina inoltre materiali non ancora armonizzati
“Ai fini dell’applicazione dei regolamenti CE 852/2004, 853/2004 e 882/04, e successive
modificazioni, per le materie riguardanti la sicurezza alimentare, le Autorità competenti sono:
Il Ministero della salute; le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano; le Aziende unità
sanitarie locali, nell’ambito delle rispettive competenze”
MATERIALI PER CONDIZIONAMENTO E IMBALLAGGIO
Servono per:
- proteggere e/o conservare il prodotto
- costituisce una fonte di informazione al consumatore, tramite l’etichettatura

L’imballaggio è di fondamentale importanza poiché svolge numerose funzioni: contenere, conservare,


commercializzare, trasportare
Gli imballaggi si suddividono in 3 tipologie:
• Primario: è detto “imballaggio per la vendita” cioè concepito per costituire l’unità di vendita per il
consumatore (es:una scatola di caramelle, una confezione di sottilette, ecc). Confenziona il singolo
prodotto pronto per il consumo.
• Secondario: è un imballaggio che, nel punto di vendita (negozio o supermercato), raggruppa un certo
numero di unità di vendita e che può essere o non essere venduto insieme al prodotto (es: film di
plastica che avvolge le bottiglie di acqua minerale)
• Terziario: è l’imballaggio che serve per il trasporto di un certo numero di unità di vendita
favorendone la manipolazione e proteggendole durante le operazioni di carico e scarico (es; casse,
cartoni e cartoncini).

A seconda del tipo di alimento e della tecnica di conservazione da applicare (es: la pasta si può mettere
nel cartone, un succo in una bottiglia di vetro sigillata, ecc..), vengono utilizzati diversi materiali.

METALLI
- Acciaio Inox – lega di ferro e carbonio [C 0.008-2%], contenente nichel e cromo – possiede ottime
qualità pratiche ed igieniche
- Alluminio: costoso, riciclabile, leggero, ottime proprietà termiche, impermeabile e resistente alla
corrosione
- Banda stagnata: lamiera di acciaio rivestita di stagno (non tossico e chimicamente inerte),
impermeabile, resistente e riciclabile.

VETRO
Ottenuto tramite la solidificazione di un liquido non accompagnata da cristallizzazione (è un solido
amorfo≈ liquidi sottoraffreddati ad elevatissima viscosità). Il costituente principale è SiO2 (ossido di
silicio). Molto usato per liquidie semiliquidi.
E’ un ottimo materiale perché presenta pochi svantaggi come il peso, la fragilità e la trasparenza (che
però è positiva perché permette di vedere il contenuto), ma molti vantaggi come la riciclabilità,
l’impermeabilità all’aria, all’umidità e ai microrganismi, la resistenza meccanica alla compressione, la
resistenza al calore e a quasi tutti gli agenti chimici.

VETRO – D.m. 21/03/1973 Il vetro destinato al contatto alimentare deve appartenere per legge a una
delle categorie ammesse:
- CATEGORIA A: vetri boro silicati e sodico calcici incolori o colorati destinati ad essere posti in
contatto con gli alimenti in qualsiasi condizione di tempo e temperatura, compresa la sterilizzazione
- CATEGORIA B: Vetri sodico calcici, anche opacizzati destinati ad essere posti in contatto con gli
alimenti in condizioni non superiori a 80°C
- CATEGORIA C: vetri al Piombo (cristalli). Per vasellame e bicchieri destinati a contatto breve e
ripetuto; limite di cessione di piombo 0,3 ppm
In base alla categoria di appartenenza la normativa prevede di eseguire test di migrazione globale e
specifica di Piombo.

MATERIE PLASTICHE
Composti macromolecolari organici ottenuti per
polimerizzazione o poliaddizione per combinazione
di molecole di peso molecolare inferiore oppure
per modifica chimica di macromolecole naturali.

I vantaggi sono dati dai costi di produzione


ridotti e dalla leggerezza. Gli svantaggi sono la
scarsa resistenza al calore, la scarsa
biodegradabilità, la possibile tossicità per gli
alimenti e che non è sempre possibile riciclarle.
Ci sono diversi tipi di plastica attualmente in uso:
PET o polietilene tereftalato – generalmente
usato per le bottiglie di acqua, bottiglie di bibite,..
PE o polietilene – uno dei più utilizzati oggi.
Costituisce il 66% di tutte le materie plastiche
destinate agli alimenti: involucri multistrato,
contenitori per il trasporto, bottiglie per bevande;
HDPE o polietilene ad alta densità – utilizzato
per contenitori degli yogurt, flaconi di detersivo.
PVC o polivinilcloruro – viene utilizzato come
imballaggio secondario o terziario (es.
contenitore per acqua minerali, non gassate).
PP o polipropilene – insieme al polietilene è il
più utilizzato nel settore alimentare (es. usato per
le bottiglie di ketchup, pellicole).
PS o polistirene o polistirolo – usato per
vaschette, sottotorte, bicchieri monouso. Resiste
poco al calore.
Resine di base: inerti dal punto di vista chimico, alcuni monomeri possono essere tossici
Additivi: stabilizzanti (Sali di Ca, Mg, Li, Na, K- esclusi Ba, Pb, Cd), plastificanti e coloranti (limiti
molto bassi di metalli pesanti e ammine)

CERAMICA - Miscela di materiali inorganici composti generalmente da una proporzione elevata di


minerali argillosi o silicei. Essi possono essere vetrificati, smaltati e/o decorati. Limiti di cessione di
piombo e di cadmio fissati da norma.

PORCELLANA- particolare tipo di ceramica, che si ottiene a partire da impasti di una particolare
argilla bianca (caolino). Gli utensili da cottura in porcellana sono dotati di elevata durezza e bassa
presenza di porosità. Sono ideali per la preparazione di zuppe, salse; possono essere usati nel forno
tradizionale e a microonde.

CARTA E CARTONI – costituiti da fibre naturali (cellulosa ricavata da legno) o sintetiche. Leggera e
biodegradabile, praticità d’uso e costi contenuti. Per aumentare la resistenza, deve essere maggiore la
% di materiale fibroso (cartone).

“TETRAPAK” O “TETRA BRIK ASEPTIC”-


materiale composito, fa parte dei poliaccoppiati,
contenitore ideale per prodotti deperibili a lunga
conservazione (latte, succhi di frutta, vino, ecc.).
In questo caso l’accoppiamento è realizzato con fogli
di polietilene (impermeabilizzanti), cartone e
alluminio, dove quest’ultimo assolve ad una duplice
funzione di barriera alla luce ed all’ossigeno. Tale
funzione è importante per mantenere inalterate le
proprietà organolettiche e nutrizionali dei prodotti
alimentari contenuti nell’imballaggio. Sono leggeri e pratici
e permettono di aumentare la durabilità del prodotto

NUOVE ALTERNATIVE NEL CAMPO DEGLI IMBALLAGGI


- Film polimerici biodegradabili: sostituiscono il contenitore sintetico, non gravando sull’ambiente;
- Film eduli: viene diminuita la quantità di materia plastica, passando da imballaggi multistrato a
monostrato (economici e riciclabili)
- Imballaggi “attivi”: prolungano la shelf-life
- Active packaging: la confezione interagisce con l’ambiente interno o con il prodotto; es. assorbitori
di O2, CO2, umidità..
- Intelligent packaging: indicatore interno o esterno della freschezza, della qualità e dell’andamento
termico del prodotto (es. indicatori di crescita antimicrobica segnalano la presenza di metaboliti
tossici)
La definizione di imballaggio funzionale indica quelle soluzioni di packaging nelle quali si prevede
l’impiego di un materiale, un contenitore o un accessorio di imballaggio in grado di svolgere una
funzione attiva ed aggiuntiva rispetto a quelle tradizionali di contenimento e generica protezione del
prodotto.
L’obiettivo dell’imballaggio funzionale diventa quindi quello di adattare le prestazioni della confezione
alle esigenze particolari di uno specifico prodotto alimentare: l’imballaggio e l’alimento non sono più
visti come due entità separate, ma come elementi che possono interagire, perseguendo sempre e
comunque l’obiettivo di migliorare l’accettabilità del prodotto confezionato.

Alla definizione “active packaging” sono state associate tutte quelle soluzioni di packaging che
costantemente ed attivamente interagiscono con l’atmosfera interna di una confezione, variando la
composizione quali-quantitativa dello spazio di testa, e con il prodotto in essa contenuto, mediante il
rilascio da parte dei materiali di antimicrobici, antiossidanti o altre sostanze utili per migliorare la
qualità.

L’espressione “intelligent packaging” indica una tecnica di packaging che prevede l’impiego di un
indicatore, interno o esterno alla confezione, capace di rappresentare attivamente la storia del prodotto
e quindi il suo livello di qualità.

Gli obiettivi del confezionamento sono quelli di ridurre la velocità di decadimento qualitativo del
prodotto, di protezione verso le contaminazioni biologiche e chimiche, ed infine di fornire ai
consumatori praticità d’uso, dal trasporto alla conservazione domestica.
Gli imballaggi funzionali possono essere veicolo di accorgimenti, di sostanze in grado di spostare la
generica protezione offerta dal materiali di imballaggio verso un intervento mirato e per questo più
efficace, mediante il controllo di fenomeni chimici, microbiologici, enzimatici, chimico-fisici,
meccanici. L’adozione di soluzioni attive/intelligenti consente di trasferire dal processo al
condizionamento alcune importanti funzioni per il mantenimento della qualità, e potenzialmente
potrebbe minimizzare i danneggiamenti che ogni applicazione tecnologica apporta.

CONSERVAZIONE DEGLI ALIMENTI

Alterazione delle sostanze alimentari: Serie di trasformazioni chimico-fisiche e biologiche che


modificano un alimento deteriorandolo fino a renderlo non commestibile.
Tutti gli alimenti si alterano con il processo di invecchiamento. Per migliaia di anni l’uomo ha
utilizzato tecniche come l’essiccamento, la salagione o l’affumicamento per fronteggiare le alterazioni
dei cibi.
Nicolas Appert, alla fine del settecento, inventò un metodo di conservazione degli alimenti
(appertizzazione) ponendo le basi per la nascita dell’industria conserviera (nata in Europa
nell’Ottocento). Oggi le tecniche di conservazione mirano a prolungare la shelf-life degli alimenti
cercando di mantenere il più possibile le loro caratteristiche nutrizionali e organolettiche.

OCCORRE CONOSCERE LE CAUSE DELL’ALTERAZIONE PER POTERLE CONTRASTARE o


ELIMINARE, DANNEGGIANDO IL MENO POSSIBILE I PRODOTTI. Le tecniche di
conservazione servono a impedire o rallentare l’instaurarsi di processi alterativi e a rispondere alle
attuali esigenze di mercato, che richiedono sempre più alimenti pronti, di qualità e salubri.
Durante i trattamenti gli alimenti subiscono inevitabilmente una serie di “danni tecnologici”:
- meccanici (azioni di pressione, sforzo da taglio,ecc.)
- termici (effetti del calore sui componenti degli alimenti)
- chimici (reazioni di ossidazione,ecc.)
- da inquinamento (contaminazioni di varia natura)
Per ridurre i danni tecnologici si fa ricorso:
- alle mild technologies
- ai trattamenti combinati (abbinamento più tecnologie)
- a nuove tecnologie

ALTERAZIONI DEGLI ALIMENTI

Le alterazioni dei prodotti alimentari sono determinate fondamentalmente da FATTORI BIOLOGICI:


- Microrganismi (batteri, lieviti e muffe), i principali responsabili delle modificazioni sia a livello del
valore nutrizionale che delle caratteristiche organolettiche del prodotto stesso;
- Enzimi presenti negli alimenti, con funzione di catalizzatori;
Se la contaminazione microbica è in fase iniziale le alterazioni organolettiche possono NON essere
avvertite dai nostri sensi. Se i microrganismi contaminanti sono patogeni, questi possono
compromettere la salute del consumatore.

Le alterazioni dei prodotti alimentari possono essere determinate da CAUSE FISICO-CHIMICHE:


OSSIGENO → provoca irrancidimenti nelle sostanze ricche di acidi grassi insaturi, inattiva le
vitamine, causa perdita di aroma, è responsabile di imbrunimenti di succhi vegetali, frutta e verdura
tagliata (sono sufficienti piccolissime quantità);
LUCE e RADIAZIONI UV → sono responsabili dell’innesco di reazioni radicaliche a catena come
l’irrancidimento ossidativo, inattivano le vitamine, inducono alterazioni di colori e sapori;
TEMPERATURA (CALORE) → un’elevata temperatura ambientale facilita la disidratazione degli
alimenti e influisce su tutti i cambiamenti di qualità; indirettamente causa alterazioni, poichè accelera le
reazioni chimiche ed enzimatiche nonché la riproduzione microbica;
UMIDITA’ (VARIAZIONI DEL CONTENUTO IDRICO) → la disidratazione provoca avvizzimento
dei vegetali freschi e la “scottatura” dei surgelati; l’eccesso di umidità provoca rammollimenti e
favorisce lo sviluppo di muffe, lieviti e batteri, l’irrancidimento dei grassi e le trasformazioni
enzimatiche.

Le CAUSE BIOLOGICHE sono di gran lunga le più importanti. Le principali reazioni di


degradazione (idrolisi e ossidazione) sono catalizzate da enzimi presenti nell’alimento o appartenenti ai
MICRORGANISMI che lo contaminano.
- ENZIMI PRESENTI NELL’ALIMENTO - gli enzimi delle cellule che compongono l’alimento sono
liberati e danno origine a fenomeni di autodigestione cellulare
- MICRORGANISMI - la maggior parte di sostanze alimentari costituisce terreno adatto
all’accrescimento di microrganismi che si sviluppano a spese dei composti organici; l’azione microbica
si esplica in due direzioni fondamentali:

1) Alterazione dei caratteri organolettici e del valore nutritivo


Normalmente le putrefazioni sono presiedute da microrganismi anaerobi, le decomposizioni dei
composti non azotati da quelli aerobi; quasi sempre l’azione degli uni è abbinata a quella degli altri.
Le principali alterazioni nella composizione chimica consistono in:
- Idrolisi delle proteine e degradazione degli aa (putrefazione)
- Idrolisi dei lipidi e irrancidimento
- Idrolisi carboidrati e fermentazioni
- Ossidazione di alcoli
Tutto ciò si traduce in cambiamenti più o meno sensibili dei caratteri organolettici: sapori e odori
sgradevoli, rammollimenti, marciumi.
Per quanto riguarda le alterazioni macroscopiche si possono avere:
- Cambiamenti nell’odore, nel sapore, di consistenza
- Variazioni di colore
- Formazioni di mucillagini (dovute allo sviluppo in superficie di specie batteriche o lieviti con
capsula polisaccaridica)
- Ammuffimenti superficiali (dovuti allo sviluppo di miceli funginei)

2) Compromissione della salubrità


L’alimento può diventare causa di disturbi o malattie se:
- Alterato da FLORA SAPROFITICA
- Contaminato da MICRORGANISMI PATOGENI
I microrganismi patogeni possono:
INFEZIONE – essere trasmessi all’ospite tramite l’alimento ed in esso si riproducono provocando
una patologia
INTOSSICAZIONE – rilasciare sostanze dannose per l’organismo (TOSSINE, particolari sostanze o
metaboliti del m.o.)

CLASSIFICAZIONE DEI METODI DI CONSERVAZIONE


Le tecniche di conservazione degli alimenti sono oggi molto numerose e possono essere classificate
secondo diversi criteri;
In base alle cause di alterazione contro cui i vari metodi sono rivolti, si distinguono in metodi
finalizzati a:
- CONTRASTARE I MICRORGANISMI → possono essere di tipo batteriostatico (metodi
microbiostatici), se bloccano o rallentano le reazioni metaboliche dei m. (es. refrigerazione,
essiccamento) o battericida, se distruggono i m. (es. sterilizzazione)
- BLOCCARE LE ATTIVITA’ ENZIMATICHE → gli enzimi vengono denaturati irreversibilmente
dalle alte temperature (es. pastorizzazione, scottatura, aggiunta antiossidanti)
- CONTRASTARE LE ALTERAZIONI CHIMICO-FISICHE (es. confezionamento asettico,
sottovuoto, in atmosfera modificata, active packaging)

Per ALIMENTO CONSERVATO si intende qualsiasi prodotto sottoposto a processi finalizzati a


preservarne le caratteristiche nutritive e sensoriali, mettendolo al riparo, per un periodo più o meno
lungo, da ogni alterazione che ne comprometta la salubrità.
Essi si distinguono in :
- CONSERVE (prodotti confezionati in contenitori più o meno ermetici, che si mantengono a lungo a
temperatura ambiente o a basse temperature (prodotti sterilizzati, congelati, liofilizzati, essiccati,
concentrati o addizionati con sostanze chimiche conservanti)
- SEMICONSERVE (prodotti stabilizzati per un tempo limitato attraverso trattamenti meno drastici
(pastorizzati, refrigerati, conservati in atmosfera controllata o modificata)
- PRODOTTI TRASFORMATI (prodotti che hanno subìto profonde modifiche della struttura
originale e dei caratteri organolettici (alimenti fermentati, salati, stagionati)

CONSERVAZIONE CON IL CALORE

Il calore agisce inattivando gli enzimi e uccidendo i microrganismi, i quali potrebbero andare ad
alterare le sostanze alimentari.
ENZIMI → La velocità delle reazioni enzimatiche aumenta con la temperatura (raddoppia ogni 10°C
circa di incremento). Gli enzimi però, essendo di natura proteica, oltre i 50°/60°C si denaturano e
diventano inattivi, anche se alcuni sono stabili fino a 85°C.
MICRORGANISMI → Sono particolarmente sensibili alle alte temperature, specialmente se associate
all’umidità. Il calore umido, che agisce coagulando le proteine, ha un effetto più energico e rapido del
calore secco, che denatura le proteine e ossida i componenti della cellula favorendo la produzione di
specie reattive dell’ossigeno (ROS).
Per esposizione al calore umido la maggior parte dei microrganismi (forme vegetative) soccombe a
60/70°C in 5-10 minuti .

L’azione battericida, più o meno energica, del calore, dipende da :

1) Fattori intrinseci ai microrganismi, fattori legati alla loro intrinseca natura:


- Caratteristiche delle diverse specie microbiche presenti negli alimenti
- Le spore batteriche sono più resistenti delle forme vegetative
- Muffe e lieviti sono più resistenti dei batteri
- Bacilli più resistenti dei cocchi
- Le cellule in fase stazionaria sono meno vulnerabili di quelle in fase logaritmica
- Carica batterica iniziale (maggiore infatti sarà il grado di contaminazione, più lungo è il tempo
necessario alla sterilizzazione del mezzo)

2) Fattori ambientali, specificamente dell’alimento in cui i microrganismi vengono a trovarsi:


- Composizione chimica ( esercitano azione protettiva sui microrganismi i grassi, le proteine, come
pure gli zuccheri e il sale, questi ultimi perchè, disidratando in parte le cellule, rendono più difficile la
coagulazione)
- pH, gli alimenti vengono suddivisi in due gruppi:
alimenti con pH < 4,5 in cui i microrganismi sporigeni non si sviluppano
alimenti con pH ≥ 4,5 in cui si possono sviluppare i microrganismi sporigeni (richiedono trattamenti
più drastici)
- la presenza di acqua e l’aw sono determinanti perchè il calore umido danneggia le strutture cellulari
più rapidamente di quello secco

3) Fattori esterni
- COMBINAZIONE TEMPO-TEMPERATURA → Il tempo di esposizione al calore necessario ad
ottenere un certo abbattimento della carica microbica varia in funzione della temperatura.

Per valutare i tempi minimi e le temperature massime è importante conoscere il valore del tempo di
morte termica (thermal death time) o T.D.T. Il rapporto tra la temperatura e il tempo necessario ad
uccidere ogni specie microbica è espresso tramite il T.D.T. Il T.D.T. è definito come il tempo necessario
a uccidere tutti i microrganismi presenti in una sospensione microbica a una determinata temperatura,
in particolari condizioni.

La tendenza è quella di abbreviare i tempi di sterilizzazione, anche a costo di alzare la temperatura di


esercizio, per raggiungere una sterilità molto spinta e soprattutto limitare contemporaneamente le
alterazioni microbiche.

PENETRAZIONE DEL CALORE → L’efficacia di un trattamento termico dipende anche :


- Dalla conducibilità termica dell’alimento
- Dalla superficie di scambio (contenitore)
Il calore si trasmette con tre diverse modalità: conduzione, convezione e irraggiamento.
1) CONDUZIONE → la trasmissione di calore avviene per contatto tra due superfici solide o
all’interno di un solido, passando dal corpo più caldo a quello più freddo grazie a movimenti oscillatori
delle molecole.
2) CONVEZIONE → il calore passa da una zona all’altra in un fluido per effetto dei moti delle
molecole che si spostano dalle zone più calde a quelle più fredde.
3) IRRAGGIAMENTO → i corpi riscaldati emettono radiazioni elettromagnetiche assorbibili da altri
corpi, più freddi, e convertibili in calore; a differenza delle prime due forme, la trasmissione può
avvenire nel vuoto
Solitamente il calore si trasmette con più modalità, di cui una predominante.

Non tutte le parti di un prodotto vengono riscaldate contemporaneamente: c’è sempre una zona critica
in cui il calore arriva più tardi, il punto freddo. E’ di fondamentale importanza che i tempi di
esposizione e la temperatura siano tali da consentire anche a questa parte di raggiungere la temperatura
voluta e quindi di ottenere l’efficacia voluta in quel punto.
La penetrazione del calore dipende anche dal tipo di contenitore: i migliori si sono dimostrati quelli
cilindrici di forma schiacciata (utilizzati per le conserve ittiche); per prodotti liquidi e semiliquidi
aumenta la velocità di penetrazione del calore se durante il trattamento termico i contenitori sono tenuti
in agitazione.

Nell’industria alimentare lo scambio di calore tra fluidi sta alla base di molti trattamenti (es.
Pastorizzazione, sterilizzazione).

GLI SCAMBIATORI DI CALORE


Sono dispositivi che sottraggono o forniscono calore all’alimento; solitamente lo scambio di calore è
indiretto, infatti vi è assenza di contatto tra il prodotto ed il fluido scaldante o refrigerante, separati
da una parete metallica.

Il flusso di calore (Q/t) che si genera tra due fluidi a diversa temperatura dipende da:
- la differenza di temperatura tra i due fluidi
- la superficie di contatto
- il coefficiente di scambio che dipende dalla natura dei due fluidi e dal materiale dello scambiatore.
Nella costruzione degli impianti si cerca di aumentare le superfici di contatto mantenendo ridotto
l’ingombro e il costo; il materiale più indicato è l’inox (ottimo conduttore, difficilmente corrodibile,
resistente). Il fluido scambiante migliore è l’acqua per riscaldare; per raffreddare si possono usare CO2,
N2, NH3.

Lo scambio di calore deve avvenire in condizioni di isolamento con l’ambiente esterno. Per questo ci
si avvale della coibentazione delle pareti dello scambiatore per evitare dispersioni di calore.

Gli scambiatori possono essere sommariamente classificati in scambiatori diretti e indiretti.


Diretti → c’è contatto tra il prodotto ed il mezzo di riscaldamento/raffreddamento (es. sistemi a
iniezione di vapore)
Indiretti → il prodotto ed il fluido di servizio sono mantenuti fisicamente separati generalmente da
una parete sottile (es. scambiatori a piastre, scambiatori a fascio tubiero)

Alcuni esempi:

SCAMBIATORI A FASCIO TUBIERO → costituiti da un


insieme di tubi nei quali scorre il fluido che scambia calore
con quello circolante all’esterno, nell’intercapedine fra i tubi; a
seconda dei casi, nei tubi può circolare l’alimento o il fluido
scaldante/refrigerante.

SCAMBIATORI A PIASTRE → costituiti da piastre metalliche


ravvicinate e saldate all’estremità, in modo da formare una serie di
intercapedini nelle quali circolano, in sequenza alterna, l’alimento ed il
fluido scaldante o refrigerante.
Le piastre sono assemblate e fissate ad un telaio in modo da creare uno
spazio tra due piastre in cui il fluido scorrerà in direzioni alterne. I bordi
e i fori delle piastre sono sigillati da guarnizioni di gomma naturale
o sintetica per prevenire la miscelazione dei flussi.
La posizione delle guarnizioni consente di direzionare
i flussi dei prodotti in riscaldamento e raffreddamento nei
rispettivi spazi alternati.
Le piastre sono di acciaio inossidabile e presentano
superfici con speciali corrugazioni con la funzione di
aumentare la turbolenza del flusso per migliorare il
trasporto di calore.
Sono utilizzati per fluidi poco viscosi. Hanno portate di
prodotto comprese tra 5000 e 20 000 Kg/h.
Vantaggi:
- Semplice manutenzione
- Impianti facilmente smontabili per ispezionare le superfici
di scambio termico
- Presentano disegno sanitario, adatto al trattamento dei prodotti alimentari
- La capacità può essere aumentata aggiungendo piastre
- Consentono risparmio e recupero di energia

SCAMBIATORI A SUPERFICIE RASCHIATA → adatti


per prodotti viscosi, costituiti da un cilindro nel quale scorre
l’alimento ed entro cui ruota un albero coassiale con lame
raschianti: in questo modo il prodotto, che viene a depositarsi
sulle pareti, è ciclicamente asportato; il fluido di scambio circola
in una intercapedine, isolata termicamente con l’esterno, che
avvolge il cilindro.
Utilizzati per il trattamento di succhi di frutta, minestre,
concentrati di agrumi, burro di arachidi, fagioli cotti, concentrato
di pomodoro..

SCAMBIATORI DI CALORE A DOPPIO CONO → adatti


per prodotti con grossi pezzi; prima del trattamento si effettua
una separazione liquido/solido: la parte in pezzi viene introdotta
nel doppio cono e, durante il trattamento con calore, il doppio
cono viene fatto ruotare lentamente, agendo da miscelatore.
La parte liquida viene scaldata separatamente tramite
iniezione di vapore. E’ un metodo adatto per minestre,
minestroni, spezzatini, vegetali in pezzi.

Tutti gli scambiatori di calore sono dotati di dispositivi per il


controllo del processo: controllo dei tempi e della temperatura.
Importante la pulizia.
PASTORIZZAZIONE
E’ il trattamento termico capace di distruggere le forme patogene e la maggior parte di quelle
vegetative dei microrganismi presenti nell’alimento, nonché di disattivare gli enzimi. Con essa non si
distruggono i microbi termofili né le spore, perciò l’alimento pastorizzato è una SEMICONSERVA.
Si esegue a temperature inferiori ai 100 °C.
In genere la pastorizzazione è abbinata ad altri sistemi di conservazione, quali la refrigerazione,
l’aggiunta di conservanti, il confezionamento sottovuoto (l’utilizzazione di più tecniche usate
sinergicamente viene definito hurdle technology, ovvero tecnologia a ostacoli).
La durata del trattamento varia a seconda del tipo di tecnologia, della natura dell’alimento, del suo
grado di contaminazione.
Si possono effettuare trattamenti veloci ad alte temperature o trattamenti più lunghi a temperature
inferiori.
La pastorizzazione bassa si esegue a 60-65 °C per 30 minuti e si usa per vino, succhi di frutta, birra,
latte per caseificazione.
La pastorizzazione alta si esegue a 75-85 °C per 2-3 minuti e veniva usata un tempo per il latte.
La pastorizzazione rapida o HTST (High Temperature Short Time) si esegue a 75-85 °C per 15-20
secondi ed è condotta su alimenti liquidi che scorrono in uno strato sottile tra due pareti metalliche,
scaldate da acqua calda che scorre tra altre due pareti (scambiatori a piastre o tubi)

STERILIZZAZIONE
E’ un trattamento più drastico della pastorizzazione che conduce alla distruzione di tutti i
microrganismi, comprese le spore.
Può essere definita come quel trattamento termico atto a distruggere tutti i microrganismi che possono
riprodursi nell’alimento durante lo stoccaggio e la distribuzione.
Si ottiene così una conserva che può mantenersi per alcuni mesi, a temperatura ambiente. Il prodotto,
però, non è completamente asettico e non può conservarsi all’infinito: si ottiene, infatti, una “sterilità
commerciale”. Non si può parlare di sterilità assoluta, nè di tempi indefiniti di conservazione (infatti
per ottenere ciò occorrerebbero alte temperature per tempi molto lunghi, con conseguenti gravi perdite
nutritive e costi energetici elevati), piuttosto della possibilità di mantenere l’alimento in uno stato
integro per un tempo relativamente lungo. Per es. il latte UHT si conserva a temperatura ambiente per
sei mesi.
Le temperature di sterilizzazione per alimenti acidi (pH<4,5), in cui non si sviluppano sporigeni e
quindi non vi sono spore, si aggirano intorno ai 100 °C, mentre per gli altri occorrono 115-120°C, per
almeno 20 minuti.
Possono distinguersi:

- STERILIZZAZIONE CLASSICA (o appertizzazione)


Si effettua a temperature di 120°C per circa 20 secondi e si applica ad alimenti solidi o liquidi già
inscatolati, chiusi in contenitori metallici o di vetro, in bagno aperto (per alimenti acidi come i
prodotti vegetali) o in autoclave (per superare i 100°C e si utilizza per carne bovina, prodotti ittici)

- SISTEMA UHT (Ultra High Temperature)


Si applica ad alimenti liquidi sfusi che subiscono un trattamento con temperature tra i 140-150°C per
pochi secondi e poi vengono raccolti in contenitori sterili = CONFEZIONAMENTO ASETTICO
(es. a caldo in vetro sterilizzato per succhi di frutta o pomodoro - a freddo in confezioni multistrato
“latte a lunga conservazione”)
SISTEMA UHT INDIRETTO → la scadenza del prodotto è di 6 mesi; la sterilizzazione si effettua
sull’alimento sfuso in scambiatori di calore ed è utilizzata soprattutto per alimenti fluidi. Differisce
dalla pastorizzazione HTST solo per le temperature più alte (fino a 150 °C). E’ più vantaggiosa della
sterilizzazione in autoclave poichè i tempi di sterilizzazione sono molto ridotti.
SISTEMA UHT DIRETTO o UPERIZZAZIONE → la scadenza è di 3 mesi; applicabile
esclusivamente ad alimenti fluidi; la sterlizzazione si effettua con iniezione di vapore surriscaldato
nel prodotto sfuso micronizzato. Con l’UHT diretto, il prodotto viene tenuto ad alte temperature per
un tempo più breve rispetto all’UHT indiretto, provocando meno danni su alimenti sensibili quali il
latte.

APPERTIZZAZIONE Ha avuto origine agli inizi del secolo XIX° grazie al cuoco francese F.Appert
che per conservare gli alimenti, li riscaldava chiusi in contenitori di vetro a bagnomaria. Fu
perfezionata introducendo i contenitori metallici e l’uso dell’autoclave, che permette di superare i
100°C.
Attualmente il processo Appert trova largo impiego nella conservazione di alimenti vegetali (ortaggi,
legumi e frutta) ed animali (carni bovine e suine, prodotti ittici) nonché di pietanze pronte (sughi,
minestre ecc.).
La buona riuscita di queste conserve dipende dai seguenti fattori:
- IGIENE dei prodotti di partenza e degli impianti di lavorazione;
- CARATTERI ORGANOLETTICI degli alimenti, che devono essere ottimali;
- Corretti TRATTAMENTI PRELIMINARI;
- Perfetta TECNICA DI APPERTIZZAZIONE.

Principali fasi del processo di appertizzazione:


1) Preparazione del prodotto Per i vegetali si procede a lavaggio, cernita, sbucciatura o pelatura,
denocciolatura, calibratura e cubettatura,.. Per i prodotti animali scongelamento, in caso di carne o
pesce congelati, a cui segue disossamento e taglio per la carne o eviscerazione e filettatura per il
pesce;
2) Pretrattamento Precottura di carne e legum; scottatura o blanching dei vegetali per diversi scopi:
3) Confezionamento All’interno del contenitore si deve creare una depressione o un vuoto parziale, in
modo che sia allontanata l’aria prima della chiusura ermetica;
4) Trattamento termico Per alimenti con pH < 4,5 (derivati del pomodoro e frutta) la temperatura
oscilla tra 90-100 °C. Per alimenti con pH ≥ 4,5 (ortaggi, carne, pesce) la temperatura è di circa 120
°C; Gli impianti di stelizzazione possono essere discontinui (come bagni aperti o autoclavi a doppia
parete) o continui (autoclavi a doppio portello)
5) Raffreddamento Se le scatole sono convesse (bombaggio) sono da scartate poichè l’alimento è
sicuramente alterato;
6) Stoccaggio Etichettatura, imballaggio ed eventuale periodo di maturazione.

CONFEZIONAMENTO ASETTICO E’ una delle tecnologie innovative “delicate” (mild


technologies) che si propongono di mantenere il valore nutritivo ed i caratteri organolettici del
prodotto.
Si basa sulla sterilizzazione (o pastorizzazione) in continuo dell’alimento sfuso seguita dal
confezionamento a freddo, in ambiente asettico in un contenitore sterilizzato o semplicemente pulito.
Questa tecnica è diventata ormai tradizionale per il latte e per molti altri prodotti fluidi (succhi di frutta,
passato, concentrato e polpa di pomodoro, minestre, salse pronte).

Principali fasi del confezionamento asettico sono:


1) Sterilizzazione dell’impianto
2) Trattamento termico in continuo dell’alimento
3) Raffreddamento immediato
4) Trasporto asettico del prodotto tramite pompe e tubazioni fino alla macchina confezionatrice
5) Riempimento
6) Chiusura ermetica
I contenitori possono essere destinati:
- Ai semilavorati, quindi in questo caso verrano usati sacchi di plastica, di capacità notevole, sorretti da
supporti rigidi di cartone chiamati “bag in box”
- Ai prodotti di diretto consumo e possono essere:
- Recipienti in plastica termoformati (usati per yogurt, budini, dessert)
- Recipienti in metallo (sistema “Dole”)
- Contenitori flessibili in triplice strato, costituiti da carta vergine non sbiancata e polietilene (Tetra
Pak). Nei contenitori asettici per le conserve è interposto un sottile film di alluminio, assente nei
contenitori destinati alle semiconserve (latte e panna pastorizzati)

Raffronto tra l’appertizzazione e il confezionamento asettico

APPERTIZZAZIONE TECNOLOGIA ASETTICA


- Riempimento e chiusura dei contenitori in ambiente - Sterilizzazione dell’alimento e del contenitore
non sterile separatamente
- Sterilizzazione termica del recipiente con l’alimento - Riempimento e chiusura in ambiente sterile
- Riscaldamento lento (100-120 °C): lunghi tempi di - Riscaldamento molto rapido (140-150°C)
trasmissione del calore attraverso il contenitore e - Minore consumo energetico
l’alimento - Perdite di principi nutritivi ridotte al minimo
- Consumo energetico notevole - Contenitori leggeri, flessibili, economici, senza
- Perdite notevoli di vitamine e aa essenziali; limiti capacità
variazione dei caratteri organolettici; imbrunimento - Costi di trasporto e distribuzione più contenuti
chimico - Difficoltà di trattamento di alimenti pastosi e solidi
- Contenitori robusti e pesanti di capacità limitata - Durata di conservazione più limitata (3 o più mesi)
- Elevati costi di trasporto e distribuzione
- Possibilità di trattamento di alimenti liquidi, pastosi e
solidi
- Lunga durata di conservazione a temperatura
ambiente

RIASSUMENDO:
Gli alimenti conservati si distinguono in: conserve, semiconserve e prodotti trasformati.
I metodi di conservazione sono diversi e si classificano in: fisici, chimici, fisico-chimici e biologici.
Le alte temperature inattivano gli enzimi e combattono efficacemente i microbi, specie sotto forma di
calore umido e in rapporto al pH degli alimenti e alla durata del trattamento.
La penetrazione del calore fino al punto freddo è influenzata anche dalla forma del contenitore ed è
favorita dall’agitazione.
La pastorizzazione disattiva gli enzimi, distrugge i patogeni e gli altri microbi, ma non le spore,
producendo una semiconserva conservabile per alcuni giorni in frigorifero.
Può essere bassa (60-65°C x 30’), usata per vino, birra e latte per caseificazione, alta oppure rapida o
HTST (75-85°C x 15-20’), usata per alimenti liquidi (latte per il consumo diretto ecc.)
La sterilizzazione distrugge tutti i microbi, comprese le spore. Si ottiene così una conserva che si può
conservare per alcuni mesi a temperatura ambiente.
Per prodotti acidi (pH< 4,5) come le conserve di pomodoro bastano 100°C. per gli altri occorrono
120°C per almeno 20’.
Vi è la sterilizzazione classica o appertizzazione (su alimenti solidi o liquidi già inscatolati, in bagno
aperto o in autoclave), il metodo U.H.T indiretto (sull’alimento sfuso in scambiatori di calore) e il
metodo U.H.T. diretto o Uperizzazione (con iniezione di vapore sul prodotto micronizzato).
I prodotti inscatolati si possono ottenere con l’appertizzazione, che prevede: preparazione del
prodotto, pretrattamento, confezionamento, trattamento termico continuo o discontinuo, raffreddamento
e stoccaggio oppure mediante il confezionamento asettico del prodotto sterilizzato in contenitori
asettici o puliti di plastica e cartone (bag in box), di metallo, termoformati di plastica o di triplice strato
di carta e polietilene, con o senza strato di alluminio (Tetra pak).

Valore nutritivo degli alimenti conservati con il calore


L’azione delle alte temperature, sufficienti a distruggere i microrganismi e a inattivare gli enzimi,
determina notevoli variazioni a carico dei caratteri chimici, fisici e organolettici dell’alimento.
Rispetto al classico processo di appertizzazione, i sistemi HTST e UHT ridimensiona notevolmente
le perdite di nutrienti.
PROTEINE: per azione del calore umido vengono denaturate con perdita di attività biologica e
aumento della digeribilità. A causa della denaturazione si liberano gruppi sulfidrilici che conferiscono
all’alimento il sapore di cotto. Se il trattamento termico viene prolungato, si verificano aumento della
viscosità, coagulazione e precipitazione.
LIPIDI: Vanno incontro ad irrancidimento ossidativo, soprattutto in presenza di ossigeno, luce e
metalli. Di conseguenza, saranno più stabili in caso di conservazione sottovuoto dell’alimento. Con
tempi di conservazione lunghi, si verificano processi di idrolisi e aumento dell’acidità (acidi grassi
liberi).
ZUCCHERI: Possono reagire con le proteine (reazione di Maillard) e caramellizzare, soprattutto se il
trattamento è prolungato. Con un rialzo termico moderato, i polisaccaridi idrolizzano a monosi e
l’amido a destrine (aumentando la digeribilità).
VITAMINE: Risentono più o meno delle alte temperature a seconda che siano termolabili o
termostabili. Le liposolubili sono termostabili, ma si ossidano con estrema facilità, infatti, in presenza
di ossigeno possono perdersi completamente. Se invece il trattamento termico avviene in assenza di
aria, il patrimonio di tali vitamine rimane inalterato.
Per le idrosolubili si può affermare che un trattamento prolungato a temperature moderate incida
maggiormente di uno a temperature elevate, ma per tempi minori.
Es. le vitamine B1, B12 e C sono temolabili; la B2 è stabile alle alte temperature, ma si altera alla luce.

CONSERVAZIONE CON IL FREDDO

I metodi di conservazione con il freddo sono metodi fisici ampiamente utilizzati;

Le basse temperature compiono la loro azione rallentando (refrigerazione) o bloccando


(congelamento e surgelazione) l’attività di tutti gli enzimi presenti in un alimento (sia quelli propri
dell’alimento, sia quelli prodotti dai microrganismi); i microrganismi inoltre vengono messi in
condizioni non più adatte per moltiplicarsi.
Le tecniche basate sull’applicazione delle basse temperature sono:
- LA REFRIGERAZIONE
- IL CONGELAMENTO
- LA SURGELAZIONE

AZIONE DELLE BASSE TEMPERATURE SU ENZIMI E MICRORGANISMI


Le basse temperature rallentano la degradazione enzimatica degli alimenti, ma non disattivano gli
enzimi che, una volta riportato l’alimento a temperatura ambiente, riacquistano le loro proprietà
catalitiche.
Il freddo ha un’azione microbiostatica, rallentando il metabolismo dei microbi che, a -18°C, arrestano
del tutto il loro sviluppo. Anche le tossine microbiche rimangono inalterate.
Con il congelamento, oltre all’azione inibente delle basse temperature si aggiunge l’effetto della
disidratazione.
Il freddo svolge anche una leggera azione microbicida per alterazione delle proteine citoplasmatiche e
per lesioni meccaniche dei cristalli di ghiaccio. Tale azione dipende da:
- Livello iniziale di contaminazione e Tipo di microrganismo (es. le spore microbiche e i virus sono più
resistenti);
- Fase di crescita in cui si trova la popolazione microbica (la più sensibile è la fase log);
- Temperatura e Tempo;
- Composizione del mezzo (grassi, proteine e zuccheri esercitano un’azione protettiva)
Il freddo ha, dunque, un effetto sostanzialmente microbiostatico e non ha azione risanante né
tantomeno sterilizzante; pertanto gli alimenti da conservare con le basse temperature debbono essere
igienicamente perfetti.
I prodotti conservati con le basse temperature si suddividono in :
- REFRIGERATI
- CONGELATI
- SURGELATI

REFRIGERAZIONE
La neve ed il ghiaccio hanno costituito senza dubbio la prima applicazione del freddo alla
conservazione degli alimenti. Nel 1875 fu presentato, in Germania, il primo frigorifero “a
compressione”. Tali dispositivi si basano sul principio che, comprimendo un gas fino a liquefarlo e
lasciandolo poi espandere, questo sottrae calore all’ambiente. I frigoriferi moderni sono “dinamici”
(continua circolazione di aria). Ciò permette la differenziazione di settori a diversa temperatura ed evita
la formazione di brina. La temperature di refrigerazione vanno normalmente da -3 a +8°C.
L’uso delle basse temperature coinvolge tutto il settore alimentare; importante durante la
distribuzione (mezzi di trasporto frigoriferi o autocarri con parete coibentate per brevi distanze)
La temperatura a cui vengono portati i PRODOTTI REFRIGERATI sono tali da consentire all’acqua in
essi contenuta di rimanere allo stato liquido;
Le T° variano da -1°C a +8°C (-2/-3°C per il pesce; 10-13°C per alcuni tipi di frutta).

Il D.Lgs 155/97 prevede che gli alimenti che devono essere conservati o serviti a bassa temperatura,
debbano essere raffreddati il più rapidamente possibile, per evitare la proliferazione dei batteri (i
batteri proliferano vertiginosamente tra i +70° e i +3°C). A tale scopo si usano ABBATTITORI DI
TEMPERATURA discontinui (armadi) o continui (tunnel) che impiegano aria forzata o getti di acqua
fredda.
Durante la refrigerazione occorre mantenere un’adeguata ventilazione e la giusta umidità relativa
(UR). Valori di UR troppo bassi provocano disidratazione dell’alimento; valori troppo alti favoriscono
lo sviluppo di muffe. In genere l’UR varia dall’80 al 95%, a seconda del prodotto.
La conservazione di frutta e verdura può essere prolungata installando ozonizzatori nelle celle
frigorifere. La produzione di ossigeno attivo mantiene la qualità ottimale dei prodotti e assicura un
ambiente libero da patogeni. L’ossigeno attivo infatti agisce rallentando la maturazione dei frutti ed
esercitando un effetto microbiostatico e microbicida su muffe e batteri.

I prodotti refrigerati si dividono in due categorie:


1) Quelli refrigerati durante il trasporto e l’immagazzinaggio, ma venduti a T° ambiente (frutta,
verdura, ecc.)
2) Quelli distribuiti, conservati, venduti a T° di frigorifero. Questi ultimi, a loro volta, si
suddividono in:
- ALIMENTI (carni, frattaglie, pollame, prodotti lattiero-caseari, burro, prodotti della pesca freschi..)
- VIVANDE (precucinati a base di carne e pesce, affettati e salumi freschi, snack, tramezzini,
insalate, creme, budini ecc.)

REFRIGERAZIONE IN ATMOSFERA NON NATURALE


Se alla refrigerazione si accompagna una modifica qualitativa dell’atmosfera che circonda
l’alimento, la conservazione si prolunga notevolmente e le caratteristiche organolettiche sono
preservate meglio.
Le modifiche dell’atmosfera si possono realizzare:
1) In celle frigorifere, nelle quali si può ottenere
a. La conservazione in ATMOSFERA CONTROLLATA o CAS (Controlled Atmosphere Storage),
largamente impiegata per mele, pere, agrumi, verdure e fiori, realizzando un’atmosfera ad es. così
composta: N2 92-95%; CO2 2-4%; O2 3-4%; T° ≈ 4°C; tempo di conservazione 7-8 mesi
b. La conservazione in ATMOSFERA MODIFICATA o MAS (Modified Atmosphere Storage),
quando la composizione dell’aria viene modificata dai processi respiratori del prodotto stesso, che
consuma O2 e produce CO2.
Questo metodo viene utilizzato, oltre che per frutta e verdura, per conservare cereali,
distruggendo, con l’eccesso di CO2 eventuali muffe e insetti.
2) In contenitori, di materiali impermeabili nei quali si realizza il CONFEZIONAMENTO IN
ATMOSFERA MODIFICATA o MAP. La miscela immessa nella confezione non cambia, con il
passare del tempo, solo nei rari casi di assoluta ermeticità dell’imballaggio e di inerzia del prodotto;
quasi sempre questa, invece, subisce variazioni in seguito alla permeabilità del contenitore e ai
fenomeni di assorbimento e/o immissione di gas da parte dell’alimento. Le atmosfere impiegate sono
miscele di: CO2/O2 ; CO2/N2 ; CO2/N2/O2.
La CO2 inibisce la crescita di muffe e batteri; L’N2 evita l’irrancidimento dei grassi e blocca
muffe, lieviti, batteri aerobi ed insetti; L’O2 blocca batteri anaerobi, migliora il colore della carne,
ma ne accelera il deterioramento.
La buona riuscita del processo dipende dalla corretta percentuale dei gas e dalla scelta del materiale per
il confezionamento.
Il confezionamento in atmosfera modificata è regolato in Italia dal DM 209/96 che disciplina gli
additivi alimentari e che definisce “GAS D’IMBALLAGGIO” quelli immessi in un contenitore prima,
durante e dopo avervi introdotto un alimento.
I GAS CONSENTITI per il settore alimentare sono: anidride Carbonica, azoto, ossigeno,
protossido di azoto, argon, elio. I materiali della confezione devono essere compatibili con i gas
impiegati e sull’involucro deve configurare l’indicazione “prodotto confezionato in atmosfera
protettiva”.

In associazione alla MAP si possono utilizzare anche active packaging che assorbono ossigeno.
Questi impediscono l’ossidazione nutrienti e i sapori sgradevoli; ritardano la crescita di muffe e batteri
aerobi e permettono di ridurre l’uso di additivi alimentari.
Le aree di maggiori applicazioni sono: affettati, pizza, pasta fresca e precotta.

MODIFICA DI ATMOSFERA SENZA AGGIUNTA DI GAS


L’atmosfera all’interno dei contenitori si può modificare anche riducendo leggermente la pressione
(CONFEZIONAMENTO IPOBARICO o LP, low pressure) o riducendola quasi a zero
(CONFEZIONAMENTO SOTTOVUOTO o Vac, under vacuum). L’obiettivo perseguito da queste
tecniche è sempre quello di prolungare la conservabilità del prodotto attraverso l’eliminazione
dell’ossigeno o la riduzione della sua pressione parziale con conseguente inibizione di microrganismi
aerobi e rallentando le reazioni di ossidazione.

CONSERVAZIONE IN “CRYOVAC”
Questo sistema prevede la refrigerazione del prodotto racchiuso sottovuoto in una pellicola
trasparente e impermeabile (cloruro di polivinilidene) che viene fatta aderire perfettamente
all’alimento (effetto “skin”) con l’immersione per pochi secondi in acqua a 90°C. In questo metodo
pertanto, all’azione del freddo si aggiunge l’assenza di ossigeno. Questa tecnica si usa molto per carni
fresche, salumi affettati, wurstel ecc.
Il trattamento con il calore si può prolungare fino a cuocere l’alimento (prosciutti cotti, stichi,
mortadelle, cotechini..). Le tecniche usate sono:
COOK-IN STRIP-OFF: durante la cottura sottovuoto si verifica una perdita di liquidi; viene quindi
aperta la confezione per poterli eliminare e successivamente l’alimento viene riconfezionato. Questo
metodo è utilizzato per prodotti di qualità medio-alta che presentano, di solito, un calo di peso durante
la cottura.
COOK-IN SHIP-IN: in questo caso, i prodotti, di qualità medio-bassa, non perdono liquidi durante la
cottura e vengono messi in vendita nell’involucro originale.
Un’importante applicazione di questo trattamento si ha nella COTTURA SOTTOVUOTO, molto
utilizzata nella moderna ristorazione collettiva.

CONGELAMENTO
Consiste nel sottoporre l’alimento a temperature basse o bassissime con conseguente cristallizzazione
dell’acqua e solidificazione del prodotto.
Il PUNTO CRIOSCOPICO o punto di gelo di un alimento non è 0°C, come per l’acqua pura, ma si
abbassa in modo più o meno sensibile essendo gli alimenti costituiti da soluzioni più o meno
concentrate. Per la maggior parte degli alimenti tale valore oscilla tra 0,5° e -4°C.
Negli alimenti, così come in tutti i sistemi biologici, l’acqua si trova sotto due forme:
- ACQUA LIBERA, che è normalmente allo stato liquido con soluti disciolti e che congela a
temperature dipendenti dalla quantità di questi ultimi;
- ACQUA LEGATA, attraverso legami di natura elettrostatica, a proteine, zuccheri, amido, cellulosa
ecc.. E’ presente in quantità compresa tra il 2 ed il 5% e possiede un punto di congelamento più basso
dell’acqua libera.
Con il procedere del raffreddamento, l’acqua si separa dalle soluzioni sotto forma di ghiaccio
lasciandole sempre più concentrate con un punto di gelo sempre più basso (persino oltre i -40°C)

Da un punto di vista pratico, un alimento si considera congelato quando l’80-90% dell’acqua


risulta trasformata in ghiaccio ( ciò accade quando le parti più interne dell’alimento raggiungono
temperature tra i -10 e i -25°C). A queste temperature, però, resta incongelata l’acqua legata e una certa
quantità di acqua libera. Tale quota può consentire lo svolgersi di reazioni chimiche ed enzimatiche
indesiderate che portano lentamente all’alterazione dell’alimento. Per questo motivo, anche i prodotti
congelati non si possono conservare all’infinito.

Nel processo di congelamento si distinguono due fasi:


- FASE DI NUCLEAZIONE, che inizia con la comparsa dei primi cristalli di ghiaccio, oltrepassato il
punto crioscopico; avviene a temperature comprese tra 0 e -7°C;
- FASE DI ACCRESCIMENTO dei cristalli.
L’entità della nucleazione e dell’accrescimento sono inversamente proporzionali: se prevale la
prima avremo tanti piccoli cristalli, se prevale l’accrescimento i cristalli risulteranno pochi e molto
grossi.
L’accrescimento prevale con il CONGELAMENTO LENTO, ottenuto con temperature non molto
basse (non inferiori a -20°C). Questo tipo di congelamento è stato del tutto abbandonato a livello
industriale, infatti, i grossi cristalli di ghiaccio danneggiano i tessuti. Il prodotto, una volta scongelato,
perde liquidi, si presenta stopposo e di sapore sgradevole.
Attualmente si pratica il CONGELAMENTO RAPIDO (da -30 a -50°C) o ULTRARAPIDO, così
da avere cristalli piccoli che non danneggino i tessuti e la qualità dell’alimento (prevale in fenomeno
della nucleazione). Allo scongelamento l’acqua torna a far parte dei sistemi colloidali, l’alimento
rimane quindi integro conservando l’aspetto naturale ed il valore nutritivo. Inoltre l’abbassamento
rapido della temperatura inibisce rapidamente le reazioni degradative, aumentando così il tempo di
conservazione del prodotto.
I metodi rapido e ultrarapido vengono impiegati per:
- Congelare merci destinate alle industrie: grossi pezzi di carne, quarti, mezzene, prodotti ittici di varia
mole ecc.
- Per congelare prodotti destinati al consumo diretto
- Per preparare i surgelati, ovvero dei congelati con caratteristiche specifiche. In questo caso, più
precisamente, si parla di SURGELAZIONE.
La durata del trattamento varia da pochi minuti a qualche ora, a seconda di volume e spessore
dell’alimento.
Fasi del metodo rapido e ultrarapido:
- PRERAFFREDDAMENTO in locali refrigerati;
- CONGELAMENTO vero e proprio;
- SOTTORAFFREDDAMENTO, per evitare aumenti di temperatura nel trasferimento dai locali di
produzione a quelli di stoccaggio, fino al consumo.

SURGELAZIONE
Per “alimenti surgelati” si intendono i prodotti alimentari che devono:
- Provenire da materie prime di assoluta freschezza
- Essere sottoposti a un metodo di congelamento ultrarapido;
- Mantenere una temperatura ≤ -18°C ininterrottamente fino alla distribuzione finale (CATENA DEL
FREDDO)
- Essere venduti nelle loro confezioni originali;
- Riportare in etichetta tutte le indicazioni a norma di legge
L’espressione “CATENA DEL FREDDO” indica il mantenimento dei prodotti SURGELATI ad una
temperatura costante e comunque inferiore a -18°C lungo tutto il percorso dalla produzione alla
vendita, comprese la fasi di trasporto, stoccaggio ed esposizione. Tale mantenimento è necessario per
evitare processi di scongelamento, anche parziale.
Principali fasi della surgelazione:
- Preparazione del prodotto consiste nelle operazioni di lavaggio, sbucciatura, cernita, taglio,..scottatura
o blanching dei vegetali; i prodotti destinati alla surgelazione devono possedere caratteristiche
igieniche e qualitative ineccepibili e la preparazione va effettuata nel medesimo stabilimento di
produzione, con la massima cura e nel più breve tempo possibile.
- Congelamento ultrarapido effettuato rapidamente fino a che il prodotto non abbia raggiunto “al cuore”
i -18°C.
- Confezionamento (obbligatorio per i prodotti destinati al consumo diretto);viene eseguito con
involucri che garantiscano l’integrità dell’alimento e che siano aperti solo dal consumatore; i
materiali utilizzati sono: alluminio per sacchetti flessibili, banda stagnata per scatole, il cartone e la
plastica abbinati o separati.
- Conservazione a temperatura inferiore o uguale a – 18°C durante il periodo che intercorre tra
produzione e vendita l’alimento deve essere conservato e trasportato a temperature inferiori o uguali
a -18°C; per garantire a lungo la conservabilità del prodotto, la temperatura dei locali che ospitano gli
alimenti prima della commercializzazione è mantenuta molto al di sotto di -18°C..
- Scongelamento dei surgelati e congelati rappresenta un’operazione delicata con la quale si deve
consentire all’acqua di rientrare a far parte dei sistemi colloidali e delle soluzioni; in ambito
industriale si utilizzano celle o tunnel riscaldati elettricamente o per mezzo di aria umida compressa,
le temperature vanno da 2 a 10°C. Attualmente risultano molto utilizzati i sistemi a microonde.

Quando il prodotto crudo viene scongelato deve essere utilizzato subito e mai ricongelato perché si
otterrebbe una cristallizzazione di tipo lento con macrocristalli e deterioramento del prodotto stesso;
In ambiente domestico evitare l’impiego di acqua calda e l’esposizione di prodotti privi di involucri a
getti di acqua fredda. Salvo diverse indicazioni sulle confezioni:
- Scongelamento completo: pesce intero o in filetti, carne, frutta e verdura da consumarsi cruda
- Scongelamento a metà: ortaggi e frutta da cuocere
- Da cucinare senza scongelare: alcuni ortaggi, prodotti a base di carne o pesce impanati e pronti per
friggere.

Valore nutritivo degli alimenti congelati e surgelati


L’abbassamento della temperatura rappresenta uno dei trattamenti che meno alterano le
caratteristiche chimiche degli alimenti, incidendo solo marginalmente sui caratteri fisici e
organolettici. Le modificazioni risultano accettabili tenuto conto degli indubbi vantaggi pratici.
Per tutelare la qualità:
- I prodotti, dopo la raccolta, devono essere immediatamente congelati;
- La scottatura, se indispensabile, deve avvenire in tempi brevi;
- Il congelamento deve procedere rapidamente;
- La temperatura deve essere costantemente inferiore o uguale a -18°C.
PROTEINE: subiscono denaturazione, che non comporta però variazioni del valore nutritivo. Con la
denaturazione i legami peptidici si scoprono, che diventano più facilmente attaccabili da enzimi
proteolitici e il prodotto risulta quindi più digeribile. La digeribilità aumenta del 10-40% nel primo
anno di conservazione, poi tende a diminuire.
GRASSI: possono andare incontro a idrolisi ed ossidazione, fenomeni che incidono negativamente sui
caratteri organolettici e ne diminuiscono il valore nutritivo (soprattutto in acidi grassi essenziali); i
composti di degradazione dei grassi (perossidi, idroperossidi, radicali liberi) possono reagire con le
proteine dando origine a sostanze dannose. Per alimenti ricchi di acidi grassi insaturi, come il pesce, si
consigliano temperature di conservazione inferiori a -18°C.
GLUCIDI: non presentano variazioni del valore nutritivo; i polisaccaridi subiscono idrolisi fino ai
corrispondenti monosi.
VITAMINE E SALI MINERALI: tale tecnica di conservazione preserva i sali minerali in misura
maggiore rispetto alla sterilizzazione; a temperature inferiori a -18°C non si riscontrano diminuzioni
del contenuto vitaminico, a temperature superiori a -9°C si possono perdere le vitamine più facilmente
ossidabili. Anche il contenuto vitaminico risulta maggiormente protetto rispetto alla sterilizzazione.
A carico dei CARATTERI ORGANOLETTICI si evidenzia una perdita dell’aroma che, con il
prolungarsi della conservazione, tende a scomparire del tutto.

CONSERVAZIONE PER SOTTRAZIONE DI ACQUA

Riducendo il contenuto d’acqua degli alimenti si rallentano o si impediscono l’attività microbica e i


processi enzimatici; quindi la riduzione del contenuto di acqua negli alimenti è un metodo di
conservazione e permette di prolungare la shelf-life dei prodotti.
L’acqua utilizzabile dai microrganismi è l’acqua libera; la disponibilità di acqua nell’alimento è
misurata tramite l’aw (attività dell’acqua), definita come il rapporto tra la pressione di vapore
dell’alimento e la pressione di vapore dell’acqua pura.

La pressione di vapore di un alimento diminuisce con l’aumento di soluti; quindi la riduzione dell’ aw
può avvenire per disidratazione (allontanamento dell’acqua) o per aggiunta di soluti.
La riduzione del contenuto d’acqua degli alimenti comporta la disidratazione anche delle cellule
microbiche, che porta a una riduzione del tasso di crescita fino a un suo blocco completo per arresto
dell’attività metabolica (azione microbiostatica).
Con la disidratazione, si verifica una riduzione parziale del numero di microrganismi vitali, ma resta la
possibilità di sopravvivenza di microrganismi patogeni (da ciò deriv al’esigenza di sottoporre ai
trattamenti disidratanti solo prodotti in ottimo stato igienico).
In generale il valore minimo di aw necessario allo sviluppo:
- 0.90 batteri (alofili 0.75)
- 0.85 lieviti (saccarofili 0.60)
- 0.80 muffe (xerotolleranti 0.65)
Nessun microrganismo cresce ad aw <0.60
In base al valore di aw gli alimenti possono essere classificati in:
- High Moisture Foods HMF = a elevata umidità (aw 1-0.9)
- Intermediate Moisture Foods IMF = a umidità intermedia (aw 0.9-0.6)
- Low Moisture Foods LMF = a bassa umidità (aw 0.6 – 0)
Negli alimenti LMF i microrganismi non crescono e quindi i prodotti risultano stabili; per HMF e IMF
la sola disidratazione non è sufficiente a conservare il prodotto.

Ai IMF o Intermediate Moisture Foods vi appartengono alimenti tradizionali (Parmigiano Reggiano,


insaccati, confetture) e di nuova concezione (biscotti coestrusi, alimenti astronauti, frutta disidratata);
Questi prodotti si conservano abbastanza a lungo, in alcuni casi a temperatura ambiente anche se
contengono H2O e non sono sterilizzati. Spesso si usano ingredienti/additivi che legano H2O, come
saccarosio, sale, glicerolo, sorbitolo, gelatina e spesso anche antimicrobici e antiossidanti. Per questi
prodotti è usata solitamente la tecnologia degli ostacoli, ovvero una combinazione di fattori in modo
da limitare l’intensità dei singoli trattamenti e ridurre i danni all’alimento (antimicrobici, antiossidanti,
confezionamento isolante).

I cibi stagionati (formaggi, insaccati..) costituiscono un esempio di concentrazione per evaporazione


naturale (l’abbassamento dell’aw è uno dei fattori che contribuisce alla loro conservazione).

I sistemi che si basano sul principio di conservazione per sottrazione di acqua sono:
- la CONCENTRAZIONE
- l’ESSICAZIONE
- la LIOFILIZZAZIONE

CONCENTRAZIONE DEGLI ALIMENTI LIQUIDI


Processo che riduce parzialmente l’acqua presente negli alimenti liquidi, ottenendo:
- un aumento della shelf–life;
- una diminuzione del volume/peso del prodotto e quindi permettendo il risparmio economico sia in
fase di stoccaggio che di trasporto
L’eliminazione di parte dell’acqua favorisce la conservazione dell’alimento, ma da sola non è
sufficiente e deve essere abbinati ad altri trattamenti come l’ aggiunta di sale o zucchero,
pastorizzazione o sterilizzazione.
Essa viene applicata per mosto, latte, succhi.
Le principali tecnologie di concentrazione dei liquidi sono:
- CONCENTRAZIONE PER EVAPORAZIONE a caldo, con temperature di 40-50 °C
- CRIOCONCENTRAZIONE a freddo, con temperature di –3/–9 °C
- CONCENTRAZIONE TRAMITE PROCESSI A MEMBRANA

CONCENTRAZIONE PER EVAPORAZIONE


Il calore necessario per eliminare l’acqua è la somma del calore vivo e del calore latente.
Calore vivo → necessario a raggiungere la temperatura di ebollizione
Calore latente → assorbito nel passaggio da liquido a gas
Calore di vaporizzazione = Energia necessaria a far evaporare 1 g di H 2O; varia con la temperatura e la
pressione.
L’evaporazione rallenta con l’aumentare dell’umidità relativa e della pressione atmosferica,
mentre accelera con l’incremento della temperatura. L’ ebollizione (o evaporazione violenta) si
verifica quando la tensione di vapore dell’acqua eguaglia la pressione atmosferica.
L’ aumento della concentrazione aumenta la temperatura di ebollizione (innalzamento ebullioscopico).

I processi classici di evaporazione possono essere:


- DIRETTI → quando il calore è trasmesso alla superficie del liquido per irraggiamento (metodo
naturale al sole o industriale che usa sottovuoto e riscaldamento effettuato con resistenze elettriche)
- INDIRETTI →in cui il calore è trasmesso tramite scambiatori di calore.
L’ideale sarebbe evitare trasformazioni nelle caratteristiche del prodotto.

Esistono diverse tipologie di evaporatori:


Evaporatore classico: in cui l’alimento da concentrare viene scaldato tramite uno scambiatore di
calore; l’agitazione migliora lo scambio termico. Si può diminuire la viscosità innalzando la
temperatura o rimuovendo le sostanze addensanti per degradazione enzimatica. Le schiume possono
essere ridotte se aumento la superficie di scambio.
Evaporatore a bassa pressione: per liquidi delicati (latte, succhi di agrumi); in questi evaporatori
tramite pompe si realizza vuoto parziale in modo che la temperatura di ebollizione venga abbassata a
40-50°C
Evaporatori a effetto multiplo: sono costituiti da due o tre unità poste in serie dette effetti. Si sfrutta il
calore del vapore prodotto dal primo effetto per scaldare il successivo e la pressione diminuisce da un
effetto all’altro: in questo modo il prodotto da concentrare avanza da un effetto senza necessità di
pompe. Questi evaporatori sono ad alto rendimento, ma non adatti a liquidi termosensibili che
richiedono trattamenti sottovuoto fin dall’inizio.

CRIOCONCENTRAZIONE
E’ una tecnica alternativa al processo classico di concentrazione per evaporazione che evita danni da
calore. Tramite questo processo l’acqua è allontanata sotto forma di ghiaccio.
La crioconcentrazione sfrutta il principio fisico dell’abbassamento crioscopico di una soluzione. Per es.
il punto di congelamento o punto crioscopico che nell’acqua è 0°C, si abbassa a -2 °C in succhi di
arancia che contengono l’11% di sostanza secca. Il punto eutettico è tanto più basso quanto più è
concentrata la soluzione di partenza. Raffreddando l’alimento a temperature leggermente superiori
al punto eutettico si provoca la separazione della maggiore quantità di acqua possibile sotto
forma di ghiacco.
Fasi della crioconcentrazione:
1) Preparazione dell’alimento
2) Cristallizzazione dell’acqua (formazione e accrescimento dei cristalli)
3) Separazione dei cristalli in questo modo ottengo l’alimento concentrato e i cristalli vengono lavati
per asportare ogni residuo di concentrato

CRISTALLIZZAZIONE La formazione dei cristalli di ghiaccio avviene in due fasi: nucleazione e


accrescimento. Nella crioconcentrazione si deve limitare la nucleazione e favorire l’accrescimento,
in modo da ottenere cristalli grossi e tondi.
1 – Nella fase di nucleazione la soluzione viene sottoraffreddata in uno scambiatore di calore a
superficie raschiata che stacca dalla parete i cristalli e li avvia
2- Nella fase di accrescimento viene adoperato il ricristallizzatore, in cui, grazie a un periodo di sosta
prolungata e al mescolamento provocato da agitatori meccanici, si formano cristalli grossi e sferici.
SEPARAZIONE E LAVAGGIO DEI CRISTALLI La separazione dei cristalli di ghiaccio dalla soluzione
avviene in recipienti cilindrici detti colonne di lavaggio. Sono chiusi ermeticamente, non vi è contatto
con l’aria e non c’è perdita di aroma.
I cristalli alla fine vengono lavati per diminuire le perdite di soluzione prima della fusione.
La soluzione concentrata può essere riavviata allo scambiatore e ripetere il ciclo fino a raggiungere la
concentrazione desiderata. A quel punto viene filtrata dal ricristallizzatore e avviata ai contenitori di
raccolta.

Applicazioni della crioconcentrazione:


- caffè destinato all’essiccazione (la crioconcentrazione permette di trattenere più aroma; infatti
l’essicazione successiva sarà più lieve perchè ho già eliminato una parte di acqua);
- birra (attraverso la crioconcentrazione si hanno volumi ridotti che rendono più semplice il trasporto;
inoltre si ha un prodotto più stabile, senza perdite di alcool né alterazioni organolettiche);
- succhi di frutta soprattutto di agrumi (prodotto senza danni termici e minore perdita di vitamine);
- aceto (permette la riduzione del peso (risparmio sul trasporto e stoccaggio) e la conservazione
dell’aroma; spesso l’aceto concentrato è preferito dalle industrie);
- vino (la crioconcentrazione è la sola tecnologia applicabile senza incovenienti);
- latte (può essere ridotto a ¼ del vol senza alcuna perdita);
- estratti di tè, aromi, ecc.

CONCENTRAZIONE TRAMITE PROCESSI A MEMBRANA


La membrana è una struttura di spessore molto ridotto che separa due fasi omogenee fluide (due
soluzioni o solvente e soluzione) e risulta chimicamente e fisicamente distinta.
Le membrane più utlizzate sono:
- Omogenee a struttura simmetrica →composte da sottili strati di sostanza omogenea; funzionano per
diffusione e vengono utilizzate nell’osmosi inversa;
- Porose a struttura simmetrica → simili a setacci, sono usate nella microfiltrazione;
- Asimmetriche: formate da 2 strati: 1 sottile omogeneo e 1 poroso.

In base alla dimensione dei pori delle membrane distinguiamo processi diversi:
- Filtrazione tradizionale con membrane con pori di diametro tra 10-103 μm, in grado di trattenere
sospensioni;
- Microfiltrazione con membrane con pori di diametro tra 10-1-10 μm, in grado di trattenere cellule,
colloidi, aggregati molecolari, macrocristalli;
- Ultrafiltrazione con membrane con pori di diametro tra 10-3-1 μm, in grado di trattenere
macromolecole
- Iperfiltrazione o Osmosi inversa con membrane con pori di diametro tra 10-4-10-2 μm, in grado di
trattenere molecole e ioni.

OSMOSI Fenomeno che avviene in presenza di membrana semipermeabile (ovvero che permette il
passaggio del solvente non del soluto): il solvente passa spontaneamente dalla soluzione più diluita alla
più concentrata. La pressione necessaria a impedire tale passaggio è la PRESSIONE OSMOTICA π.
La π dipende dal numero di particelle ioniche e non ioniche presenti in soluzione (concentrazione
osmolare), non dalle loro dimensioni, carica o forma.
Con l’osmosi diretta si disidratano frutta e verdura in soluzioni ipertoniche.
OSMOSI DIRETTA → La frutta a fettine, a cubetti o intera viene immersa per 12-15 ore in soluzioni
ipertoniche di saccarosio al 65-70% o sciroppi zuccherini a cui viene addizionato acido ascorbico per
evitare imbrunimenti. La pellicola di zucchero aderente alla superficie della frutta viene eventualmente
eliminata con un lavaggio leggero.
Dato che è un processo lungo, si opta per trattamenti ad alta temperatura per tempi brevi, in modo da
abbattere la carica batterica superficiale e inattivare gli enzimi.

OSMOSI INVERSA → Dalla parte della soluzione più concentrata si applica una pressione idrostatica
superiore a quella osmotica con conseguente inversione del flusso del solvente: il solvente esce dalla
soluzione più concentrata.
Si usano membrane permeabili solo all’ H2O; il flusso del liquido è tangenziale (non si formano
depositi sulla superficie delle membrane e queste pertanto si «autopuliscono», consentendo una
migliore funzionalità per un periodo di tempo più lungo). Sono richieste elevate pressioni operative
Possibili applicazioni:
- Potabilizzazione dell’acqua di mare (il prodotto di interesse è il permeato)
- Concentrazione di sostanze delicate (a temperatura ambiente): tè, caffè, succhi, latte, pomodoro,
mosto d’uva (retentato)

MICROFILTRAZIONE → il flusso del liquido è tangenziale. Questa tecnica permette di trattenere


sospensioni, batteri, colloidi, macrocristalli. Utilizzata per latte prima della pastorizzazione e per la
brillantatura del vino.

ULTRAFILTRAZIONE → il flusso del liquido è tangenziale. Nel filtrato restano discioliti soluti a basso
peso molecolare. Utilizzata per trattamento del latte per yogurt e creme; estrazione di proteine da latte,
soia, uovo, albume; chiarificazione di vini, succhi, birra per allontanamento di mucillagini.
ESSICCAZIONE
Consiste nell’esporre il prodotto a una fonte di calore allo scopo di rimuovere quasi completamente
l’acqua degli alimenti. Il contenuto idrico residuo è del 10-15%: la forte disidratazione blocca la
moltiplicazione dei microrganismi e per questo trattamento l’essiccazione può essere ritenuta un
trattamento batteriostatico.
Questo processo può effettuarsi attraverso:
- fonti di calore naturale → in questo caso gli alimenti sono esposti al sole e all’aria per settimane o
mesi fino al totale prosciugamento. Non è una tecnica standardizzabile e quindi utilizzabile a livello
industriale, ma viene praticata a livello domestico e artigianale nei paesi a clima caldo e anche nei paesi
nordici (lo stoccafisso si ottiene si ottiene dal merluzzo lasciato essiccare in questo modo). Questo
metodo può essere abbinato a affumicamento o solfitazione. Questo metodo però provoca
inquinamenti, non è standardizzabile, inoltre la prolungata esposizione al sole e all’aria modifica i
caratteri organolettici e i valori nutrizionali.
- fonti di calore artificiale → si applica in ambito industriale mediante:
- gas riscaldati (generalmente aria calda);
- radiazioni
- contatto con superfici calde

Il metodo più diffuso è l’ESSICCAMENTO AD ARIA CALDA.


In questo metodo l’aria calda ha una duplice funzione: trasmettere calore all’alimento e asportare il
vapore che da esso si libera.
L’alimento essiccherà tanto più velocemente quanto maggiore sarà la temperatura dell’aria (l’umidità
assoluta dell’aria aumenta con l’aumentare della temperatura). Se il processo è troppo veloce, si
verifica l’indurimento degli strati superficiali che inibisce il flusso di acqua dagli strati interni.
Essicatori più diffusi:
Essiccatori ad armadio: constistono in camere adiabatiche all’interno delle quali il prodotto è inserito
su vassoi. L’aria circola spinta da un ventilatore ed è scaldata da scambiatore di calore. Sono
apparecchi discontinui che richiedono operazioni di carico e scarico ad ogni ciclo.
Essiccatori a tunnel: il prodotto è posto su nastri o carrelli e passa in tunnel lunghi 10-15 metri. L’aria
circola in controcorrente o equicorrente, o in ambedue i modi in tratti contigui dello stesso tunnel. Sono
sistemii continui e molto impiegati per verdure.
Essiccatori a letto fluido: il prodotto è essiccato sospeso in una corrente d’aria che circola dal basso
verso l’alto e investe il prodotto in maniera uniforme su tutta la superficie. Sono completamente
automatizzati. Il prodotto non è a contatto con superfici, quindi non raggiunge alte temperature e
permette minore riduzione delle caratteristiche organolettiche.
Essiccatori a spruzzo o spray drying: il prodotto è pompato dal serbatoio e nebulizzato dentro una
camera in cui circola aria filtrata e riscaldata. Le gocce di liquido durante la caduta si asciugano e si
raccolgono come polvere sul fondo e trascinate fuori dal flusso d’aria. Le camere hanno dimensioni
variabili di alcuni metri di altezza fino a 30 metri. Sono sistemi continui e consentono tempi brevi di
trattamento. Sono i più utilizzati per i fluidi (latte, caffè, tè, succhi di frutta o pomodoro).

ESSICCAMENTO TRAMITE RADIAZIONI Il materiale scorre su un nastro passando sotto la


sorgente di radiazioni elettromagnetiche che possono essere raggi infrarossi (IR) oppure microonde, le
quali vanno a scaldare l’alimento e ne facilitano la disidratazione.
Al trattamento tradizionale di essiccamento a nastro si può abbinare l’azione delle microonde e del
sottovuoto, ottenendo così prodotti porosi, croccanti (snack, muesli,…) e a reidratazione istantanea
(caffè solubili). In generale le applicazioni di questi metodi sono più limitate.

ESSICCAMENTO PER CONTATTO DIRETTO Il calore è trasmesso al prodotto da una superficie


metallica che funge anche da supporto.
I più diffusi strumenti che sfruttano tale metodo sono gli Essiccatori a tamburo (drum dryer) adatti per
alimenti pastosi che vengono distribuiti sulla superficie di due cilindri ravvicinati, rotanti in senso
opposto e riscaldati dall’interno con vapore. Sulla superficie si forma una crosta di prodotto che viene
poi raschiata con coltelli e macinata.
Essiccatori per contatto sottovuoto Il calore è trasmesso dalle pareti di una vasca, a contatto con il
prodotto, che viene poi raccolto da un depolverizzatore posto sulla cima dell’apparecchio. Adatto a
prodotti termosensibili.

Lavorazione dei prodotti essiccati


Oggi l’essiccamento dei prodotti alimentari ha raggiunto un elevato livello tecnologico. E’ possibile
ottenere alti standard qualitativi, con prodotti accettabili dal punto di vista organolettico e nutrizionale,
oltre che igienico.
I prodotti essiccati hanno un basso costo di produzione, trasporto, stoccaggio; possono essere
conservati a temperatura ambiente per tempi lunghi e sono facili da usare (una volta reidratati
sono pronti).
Le fasi fondamentali dell’essiccamento sono:
1) Trasferimento di calore all’alimento (può essere trasmesso per convezione, conduzione o
irraggiamento, tuttavia non si ha mai la presenza esclusiva di un’unica forma)
2) Trasferimento di H2O dall’alimento verso l’esterno
- Inizio – migrazione importante di H2O per capillarità dagli strati più interni attraversando
canalicoli presenti o che si formano e evaporazione di essa una volta giunta in superficie; questa
fase deve avvenire rapidamente eper questo si innalza la temperatura dell’ambiente e si potenzia la
velocità e la turbolenza dell’aria.
- Seconda fase - asciugatisi i canalicoli, la migrazione dell’acqua avviene per diffusione ed è più
lenta, la temperatura deve essere abbassata.
- Stabilizzazione - migra l’umidità residua e si stabilisce un equilibrio alimento/ambiente; questa fase
richiede un ambiente il più possibile privo di umidità (U.R. 10-20%)

Fasi del processo di essiccamento:


1) Preparazione del prodotto Gli aliment liquidi vengono concentrati, gli alimenti solidi subiscono
lavaggio, cernita, e altri trattamenti stabilizzanti (SO2, scottatura) oltre che predisponenti al consumo
(sbucciatura, precottura legumi); è necessario aumentare la superficie di scambio (taglio a cubetti,
fette, strisce, sfarinatura patate, zucca, legumi…)
2) Essiccazione Si cerca di fare in modo che la temperatura dell’ alimento non oltrepassi i 70°C. Pr
alcune verdure sensibili (erbe aromatiche, cipolla, aglio…) si pratica essiccamento sottovuoto.
3) Confezionamento Si usano contenitori impermeabili a luce, aria e umidità

LIOFILIZZAZIONE (CRIOESSICCAZIONE O FREEZE DRYING)


La liofilizzazione o crioessiccazione consiste nella disidratazione per sublimazione di prodotti
previamente congelati in particolari condizioni di temperatura (inferiore a 0°C) e pressione
(sottovuoto).
I prodotti liofilizzati conservano meglio le caratteristiche nutritive e organolettiche originarie, rispetto
ai prodotti essiccati con metodi tradizionali («prodotti di pregio»)
Si applica in vari settori (farmaci, liquidi biologici, microrganismi, rifiuti radioattivi…) e su svariati
alimenti: caffè, tè, succhi, frutta esotica, funghi, alimenti dietetici e per l’infanzia, ecc.

La liofilizzazione comprende 4 fasi:


1) Preparazione del materiale I prodotti liquidi vengono concentrati ed eventualmente pastorizzati. Gli
aliment solidi devono essere granulati o con una dimensione inferiore a 2 cm; la granulazione può
essere effettuata contemporaneamente al congelamento, polverizzando il prodotto in un congelatore
ad aria;
2) Congelamento è un precongelamento rapido fino a -50°C per solidificare tutte le soluzioni; prima si
formano dei microcristalli che daranno una struttura spugnosa facilmente reidratabile. Oggi spesso si
utilizzano scambiatori adiabatici in cui prodotto si trova sottovuoto e l’H2O evapora rapidamente
sottraendo calore e provocando il congelamento
3) Liofilizzazione a) Essiccamento primario o sublimazione sottovuoto Il prodotto congelato viene
messo in autoclave, dove si crea un vuoto medio-basso tramite pompe. In queste
condizioni il ghiaccio sublima e si allontana come vapore che arriva a un
condensatore. La temperatura deve essere mantenuta a -20 °C; durante il processo si
fornisce calore per contrastare raffreddamento dovuto al cambio di stato.
b) Essiccamento secondario o evaporazione sottovuoto Eliminazione dell’H2O
legata o di cristallizzazione fornendo calore e operando in condizioni di vuoto
medio. La temperatura è maggiore di 0 e al max di 30°C. L’effetto complessivo di
queste due fasi è quello di una quasi totale disidratazione dell’alimento (umidità
residua <5%.
c) Rottura del vuoto Immissione di N2 deumidificato in autoclave per ripristinare la
pressione atmosferica.
Si possono utilizzare impianti discontinui, in cui tra un ciclo di liofilizzazione e l’altro devono
avvenrie le operazioni di scarico, scongelamento del condensatore, ripristino della temperatura di
regime, carico. Negli impianti continui possiamo avere autoclavi in serie (3 o più sfasate tra loro) o
tunnel (corridoio con a un’estremità camera di decompressione o carico e all’altra camera di
compressione o scarico, al quale può essere collegato l’impianto di confezionamento; un ciclo dura 4-
16 ore).
4) Confezionamento Reparto automatizzato e a elevato standard igienico; l’umidità è molto bassa e la
temperatura è controllata. Riempimento avviene in sottovuoto o sotto azoto. Contenitori più usati:
buste triplo strato
I prodotti liofilizzati costituiscono un valido mezzo per gli aiuti alimentari e sono utilizzati per la
ristorazione collettiva.

Valore nutritivo degli alimenti disidratati

L’attività microbica si blocca fino al momento della ricostituzione con acqua. E’ una tecnica valida solo
se il condizionamento isola completamente l’alimento dall’ambiente esterno.

Con le tecniche classiche di essiccamento si hanno modifiche frequenti a carico dei caratteri
organolettici e nutrizionali; le tecniche sottovuoto hanno un minore impatto poichè lavorano a
temperature più basse. La perdita di nutrienti è minore se si lavora a basse temperature per tempi brevi
e su prodotti di piccola taglia.
PROTEINE → diventanto dure e difficilmente reidratabili; le alterazioni sono principalmente la
denaturazione, la reazione di Maillard…
LIPIDI → possono subire irrancidimento ossidativo se il trattamento è avvenuto a temperature elevate
(per evitarlo si aggiungono di antiossidanti)
GLUCIDI → caramellizzazione e reazione di Maillard
VITAMINE → perdite dipendono dalle operazioni preliminari, operative e di conservazione; durante la
conservazione se l’ U.R. rimane bassa e si limita presenza di O 2 il contenuto vitaminico si conserva di
più
CARATTERI ORGANOLETTICI → soprattutto variazione di colore e perdita di costituenti volatili e
dell’aroma.

La liofilizzazione produce modificazioni minime a carico dei nutrienti rispetto all’essiccamento


tradizionale.
CONTENUTO PROTEICO e LIPIDO → pressoch immodificato
VITAMINE e MINERALI → perdite ridotte che dipendono soprattutto da trattamenti preliminari;
CARATTERI ORGANOLETTICI → si mantengono più sostanze aromatiche, probabilmente per
adsorbimento delle molecole odorose nella struttura spugnosa dell’alimento liofilizzato.

CONSERVAZIONE ATTRAVERSO MICROONDE

Le microonde costituiscono una forma di energia di impiego più recente, diversa da quelle tradizionali,
che offre vaste possibilità di applicazione e diversi vantaggi. Sono onde elettromagnetiche con una
frequenza che va da 300 MHz a 300 GHz e si collocano tra le onde radio e i raggi infrarossi.
Sono assorbite dalle sostanze organiche; la velocità di penetrazione dipende da molti fattori, tra cui
il contenuto idrico e salino, forma e lo spessore del corpo irradiato e l’intensità del campo
magnetico. Nel riscaldamento attraverso le microonde, la radiazione, che penetra nel corpo, sollecita
le molecole polari che si orientano nel senso del campo magnetico e, poichè questo si inverte
milioni di volte al secondo a seconda della frequenza impiegata, ciò provoca una violenta
agitazione delle molecole stesse, con aumento della loro energia cinetica. Il tutto si traduce in calore
intenso all’interno del corpo.
Il magnetron è il generatore di microonde. È situato in una cavità del forno, il quale è fatto da pareti
riflettenti in modo che la radiazione risulti uniformemente distribuita.
Le microonde attraversano senza essere assorbite alcuni materiali (vetro, plastica, cartone) per cui
alcuni alimenti possono essere inseriti nel forno all’interno dei loro involucri. I metalli invece
respingono le microonde.
Le applicazioni in campo alimentare sono svariate: scongelamento, essiccamento, liofilizzazione,
pastorizzazione, sterilizzazione e cottura.

SCONGELAMENTO →Attraverso le microonde è più rapido e uniforme che con aria o vapore.
L’alimento può rimanere nel contenitore. Si avranno migliori caratteristiche organolettiche e nutritive
del prodotto (per minori perdite di liquidi). E’ un metodo particolarmente adatto ai precucinati che in
pochi minuti sono portati a 65-75°C.

ESSICCAMENTO E LIOFILIZZAZIONE → I tempi di trattamento sono più brevi. Se le


microonde sono abbinate al sotttovuoto si ha migliore conservazione degli aromi e migliore attitudine
alla reidratazione.
Nel caso dei liofilizzati il vantaggio più importante è che lo spessore non risulta più un fattore così
limitante come col sistema delle piastre radianti (tramite microonde non si forma lo strato secco in
superficie, che impedisce la fuoriuscita di vapore dall’interno).

PASTORIZZAZIONE E STERILIZZAZIONE → I tempi di trattamento sono abbreviati, quindi si


ha anche un risparmio energetico. Prodotti possono essere trattati all’interno degli involucri, con
meggiori garanzie di igienicità. Hanno un effetto «cottura» inferiore.
COTTURA → I tempi risultano abbreviati, circa ¼ rispetto al forno tradizionale. Si hanno minori
perdite vitaminiche. Le microonde possono essere abbinate al grill, permettendo una cottura veloce in
profondità e la rosolatura.

CONSERVAZIONE ATTRAVERSO RADIAZIONI IONIZZANTI

Consiste nel sottoporre l’alimento a radiazioni ionizzanti, che possono essere raggi gamma, raggi X o
fasci di elettroni. Molti Paesi hanno autorizzato l’uso per i prodotti alimentari.
Nel 1980 una commissione di esperti (fra cui FAO/OMS) dichiarò che “gli alimenti trattati con
radiazioni sono innocui per l’uomo» e ne consigliò l’uso a dosi < 10KGy (il Gray è l’unità di misura
della dose di radiazion assorbita), preferendole ad additivi.
In Italia ci sono ancora molte reticenze… le radiazioni sono consentite per agli, patate, cipolle a scopo
antigermogliativo e per erbe aromatiche spezie e condimenti vegetali; il trattamento si effettua in
stabilimenti autorizzati.

Gli alimenti trattati devono essere etichettati e riconoscibili per il consumatore.


Devono riportare la dicitura «irradiato» o «trattato con radiazioni ionizzanti»;
può essere apposto un simbolo che contraddistingue tali prodotti.

Le radiazioni sono un’emissione e propagazione di energia elettromagnetica attraverso lo spazio con


andamento ondulatorio. Quelle utilizzate in campo alimentare sono raggi UV, X e γ e radiazioni
corpuscolate (β). Le radiazioni ionizzanti sono le X, γ e radiazioni corpuscolate (β).

RADIAZIONI ULTRAVIOLETTE UV
La luce del sole ha una lieve azione microbicida dovuta alla presenza di una piccola quantità di raggi
UV. Nelle applicazioni si usano lampade di quarzo a vapori di mercurio.
Le radiazioni ultraviolette determinano un danneggiamento del DNA che provoca l’arresto della
duplicazione (che però in alcune condizioni può essere reversibile grazie a fenomeni di riparazione)
L’efficacia del trattamento dipende da vari fattori:
- Tipo di microrganismo e fase di crescita
- Tempo di esposizione (più tempo maggiore è l’efficacia)
- Intensità dell’irraggiamento
- Capacità di penetrazione (tipo di alimento)
- Percentuale di acqua che influenza negativamente la penetrazione
Applicazioni:
- Disinfezione dell’aria e delle superfici (ad es. nelle stanze usate per il confezionamento asettico)
- A seconda dei Paesi dove è consentito si usa per la bonifica dell’acqua, stagionatura delle carni,
conservazione di salumi e formaggi

RADIAZIONI IONIZZANTI
RADIAZIONI X → Sono ottenuti mediante bombardamento sottovuoto con raggi catodici di lastre di
metallo pesante; oggi la tecnologia è in grado di direzionare e selezionare la banda di energia voluta. La
sorgente si può «spegnere». Hanno un buon potere penetrante.
RADIAZIONI γ → I raggi vengono liberati durante la disintegrazione nucleare di alcuni isotopi del
cobalto o del cesio, sorgenti radioattive dalla vita media piuttosto lunga. Il vantaggio è che i raggi
gamma penetrano in profondità, consentendo il trattamento di alimenti già confezionati o di elevate
dimensioni. Hanno un buon potere microbicida. L’emissione è continua per cui gli isotopi radioattivi
devono essere attentamente conservati.
RADIAZIONI β → Sono un fascio di elettroni provenienti da un cannone elettronico. I raggi beta
sono poco penetranti (pochi centimetri), ma hanno il vantaggio di non richiedere complesse procedure
di conservazione della sorgente radioattiva perché quando il cannone viene spento non c'è più
emissione di radiazione. Sono di impiego più semplice e sicuro. Agiscono a temperatura ambiente e
possono essere usati su alimenti già confezionati (penetrano tramite sottili strati metallici)

Azioni delle RADIAZIONI IONIZZANTI


Ionizzano in modo diretto o indiretto gli atomi, allontanando degli elettroni e originando IONI o
RADICALI LIBERI (specie chimiche con un elettrone spaiato, molto reattivi). Gli elettroni liberi
provocano ionizzazioni secondarie. Nell’interazione tra radiazioni ionizzanti e materia vivente
possiamo evidenziare tre fasi: fisica, chimica e biologica.
Nella fase fisica del trattamento si ha la formazione degli ioni e dei radicali. Questi, per la presenza di
un elettrone spaiato, sono estremamente reattivi poichè tendono a raggiungere una configurazione
elettronica stabile alterando le molecole vicine (fase chimica). Le molecole alterate a questo punto
perdono la loro funzione biologica (fase biologica). L’azione letale sui batteri avviene in maniera
diretta (le radiazioni colpiscono direttamente il bersaglio biologico) o indiretta tramite i radicali.

Efficacia delle RADIAZIONI IONIZZANTI


- Più la forma vivente è evoluta e più è sensibile alle radiazioni. La dose letale per l'uomo è di 4 Gray,
insetti e parassiti si uccidono con 100 Gray, i batteri patogeni con dosi da 1.500 a 4.500 Gray (muffe e
lieviti sono più resistenti dei batteri), i virus e le spore con 10.000-50.000 Gray.
- L’efficacia dipende anche dalla fase di crescita in cui si trovano I batteri; la più sensibile è la fase di
latenza.
- La dose necessaria per il trattamento di un alimento varia anche a seconda della temperatura
(maggiore se il cibo è congelato perché si producono meno radicali e non riescono a propagarsi); la
disidratazione protegge i microrganismi dalla ionizzazione.
- Le radiazioni ionizzanti sono poco efficaci sugli enzimi; quindi l’irraggiamento va abbinato a
trattamento termico di disattivazione.
Il valore nutritivo degli alimenti irradiati è paragonabile a quelli sottoposti ai processi tradizionali.
PROTEINE → non c’è alterazione rilevante del valore biologico, ma si possono produrre specie
chimiche caratterizzate da odori intensi e sgradevoli (ammine, ammoniaca); alterazioni maggiori in
presenza di acqua.
GLUCIDI → idrolisi e ossidazioni (imbrunimento, rammollimento); alterazioni maggiori in presenza di
acqua.
LIPIDI → formazione di sostanze per reazioni di decomposizione e ricombinazione molecolare,
irrancidimento, decarbossilazione con odori e sapori sgradevoli. Non influenzate dall’acqua.
VITAMINE → l’azione è varia e dipende, oltre che dalla vitamina, dall’alimento in cui si trova e dallo
stato fisico (es. congelamento); perdita vitaminica è minima se l’irradiazione è effettuata in assenza di
O2 e a basse temperature.

TRATTAMENTO AD ALTE PRESSIONI (PASCALIZZAZIONE)

E’ un trattamento realizzato a temperatura ambiente (fa parte delle mild technologies). E’ un metodo
che utilizza elevate pressioni, che hanno l’effetto di distruggere la maggior parte dei microrganismi,
ma non le spore, ha un limitato effetto sugli enzimi.
Mantiene pressoché inalterati caratteristiche organolettiche e il valore nutritivo e l’mpiego consentito
in ambito CE (Reg. 258/97) su alcuni alimenti.
Si basa sul principio di Pascal “una pressione esercitata su un liquido incomprimibile si distribuisce
uniformemente in tutte le direzioni e con la medesima intensità in tutti i punti del liquido e anche sulla
superficie di un corpo (alimento) immerso in quel liquido”.

Questo metodo consente di:


- pastorizzare a freddo alimento termosensibili (latte, succhi di frutta…);
- indurre un congelamento omogeneo, ma si usa anche per scongelare;
- modificare le proteine da solubili a fibrose, rendendole masticabili, idratabili e resistenti al calore.

Si applica su alimenti liquidi in maniera diretta oppure su prodotti confezionati in contenitori


flessibili in camere piene di acqua pressurizzate (100-800 MPa) a temperature variabili da 0 a 100°C,
per tempi che vanno da millesimi di secondo a 20 secondi.
Le alte pressioni si distribuiscono uniformemente su tutta la massa dell’alimento indipendentemente da
forma, composizione e dimensione. Si ha un leggero aumento di temperatura.

Effetti:
- Inattivazione dei microrganismi (non le spore) e alcuni enzimi; l’azione sui microrganismi è maggiore
in ambiente acido, aggiunta di sale o zucchero, alte o basse temperature;
- Inibizione delle reazioni di Maillard e della distruzione delle vitamine;
- Gelatinizzazione di amidi e denaturazione e coagulazione di proteine.
Effetti sui legami chimici:
• Legami covalenti: resistenti
• Legami a ponte idrogeno: sensibili
• Legami a ponte disolfuro: sensibili
• Legami ionici: sensibili
Quindi le vitamine e piccole molecole restano integre; le proteine e carboidrati complessi danno
origine a peptidi, aminoacidi, zuccheri semplici e composti gelatinosi.
Proprio per gli effetti ammorbidenti e gelatinizzanti questa tecnologia trova svariate applicazioni nel
settore dell’industria alimentare (succhi di frutta, marmellate, sughi, piatti precotti a base di carne,
pesci).

TRATTAMENTO CON ULTRASUONI L’azione degli ultrasuoni sui fluidi si basa sull’effetto noto
come cavitazione: quando gli ultrasuoni attraversano un mezzo liquido, formano una serie di bolle di
gas nel mezzo che, implodendo, rompono le membrane dei microrganismi uccidendoli. Le spore sono
più resistenti delle forme vegetative. Possono essere associati altri trattamenti quali la pressione
(manosonicazione) o il calore (termosonicazione).

RISCALDAMENTO OHMICO Il grosso vantaggio di questa tecnica è che la temperatura desiderata


(si tratta pur sempre un processo termico) viene raggiunta rapidamente e omogeneamente in tutta la
massa; di contro, necessita di costi d'investimento generalmente superiori ai metodi tradizionali e
questo la rende appetibile per produzioni di fascia alta.
I metodi chimici rappresentano un’alternativa ai metodi fisici, che risultano più costosi anche se più
sicuri. È possibile abbinare i due metodi per cercare di ridurre l’entità dei singoli trattamenti.
Le sostanze chimiche che hanno azione antimicrobica sono molteplici ma ci limiteremo a: sostanze
con potere batteriostatico o battericida attive a basse concentrazioni.

METODI CHIMICI NATURALI DI CONSERVAZIONE

SALAGIONE → E’ un metodo di conservazione molto antico, ancora oggi impiegato per conservare
(e dare sapore caratteristico) a carni, pesci e vegetali.
Il sale alimentare deve essre composto da almeno il 97% NaCl secondo il DM 106/97. Va venduto in
confezioni e in etichetta ci deve essere:
- l’indicazione «alimentare»/ «per uso alimentare» / «da cucina» / «da tavola»
- Tipo di estrazione da cui è stato ottenuto
- Consistenza (fino/grosso)
- Se addizionato (IODURATO e/o IODATO).

Il sale (NaCl) agisce in diversi modi :


- Aumenta la pressione osmotica del mezzo e quindi può causare fenomeni di plasmolisi
(disidratazione della cellula che oltre un certo limite può portare alla morte cellulare (il sale, alla
stessa concentrazione, determina un aumento maggiore della pressione osmotica rispetto allo
zucchero, in quanto in acqua si dissocia in ioni Na+e Cl-);
- Diminuzione della aw per aumento della concentrazione della soluzione e della proprietà degli ioni
Na+ e Cl- di idratarsi;
- Formazione, all’interno delle cellule, di complessi fra NaCl e enzimi proteolitici che limitano la
decomposizione;
- Minore solubilità dell’O2 nell’acqua contenuta nell’alimento.
L’effetto è comunque essenzialmente BATTERIOSTATICO.

La salagione ha un effetto selettivo sui microrganismi: vengono favoriti gli alofili e gli alotolleranti, e
alcuni tipi di muffe. Le salamoie talvolta favoriscono la crescita di determinati microrganismi,
responsabili delle fermentazioni tipiche di crauti, olive, cetriolini.
La concentrazione salina necessaria per inibire la crescita della maggior parte dei batteri è intorno al
10-14%; Clostridium botulinum in genere inibito da concentrazioni maggiori al 10%.
Normalmente il sale non è sufficiente da solo a garantire la conservazione ed è abbinato spesso a
refrigerazione o aggiunta di conservanti.

La salagione può essere: a secco o a umido (salamoia).

A SECCO → l’alimento viene posto a contatto diretto con sale grosso con eventuale aggiunta di
aromi, spezie, conservanti; a mano a mano che l’acqua fuoriesce dalle cellule, la concentrazione salina
diminuisce, ma rimarrà sempre maggiore rispetto ai liquidi cellulari. E’ da preferire il sale grosso a
quello fino; infatti quest’ultimo penetra più velocemente nelle cellule e può disidratare eccessivamente
gli strati superficiali del prodotto, coagulando le proteine e ostacolando la successiva penetrazione di
sale nelle parti più profonde dell’alimento. Per evitare un’eccessiva coagulazione delle proteine è
preferibile il trattamento a freddo (4-5°C), in modo lento e omogeneo per tutto il prodotto. Negli
insaccati, in cui il sale è aggiunto all’impasto, si usa il sale fino.
La salagione a secco può essere effettuata:
- per sfregamento
- per sovrapposizione → si alternano strati di prodotto e sale e ogni 3-4 giorni si cambia contenitore per
modificare la disposizione. La durata del trattamento dipende dalle dimensioni dell’alimento (da 15 gg
a oltre 50 gg). Usato per carne e pesce.

A UMIDO (SALAMOIA) → Metodo più rapido rispetto a quello a secco ed è usato


industrialmente per grandi quantità di prodotto. La velocità di trattamento però limita l’efficacia,
quindi va abbinato ad altri fattori (affumicamento, cottura). La salagione a umido si attua con soluzioni
di acqua e cloruro di sodio e in base alla concentrazione di NaCl si hanno:
- Salamoia debole (10% NaCl)
- Salamoia mediamente debole (18% NaCl)
- Salamoia forte (25 - 30% NaCl)
Solitamente si parte da soluzioni sature di sale poi diluite; si fanno bollire (sterilizzate) e si filtrano.
Devono essere controllate microbiologicamente e chimicamente.
A seguito dell’interazione col prodotto, le soluzioni possono dover essere corrette durante il processo
(variazioni di pH, diminuzione concentrazione sale…).
Essa può avvenire:
Per immersione →durante il processo va ripristinata la concentrazione di sale. Ci sono vari metodi che
abbinano altri fattori come il vuoto (nel metodo svedese), l’ agitazione (metodo italiano), gli ultrasuoni,
la corrente elettrica (metodo americano)
Per iniezione → la soluzione salina è iniettata nel muscolo o nel sistema arterioso (nel prosciutto nella
femorale). Salagione più apida e minori perdite di peso. Usata per carne e in particolare i prosciutti
destinati a essere cotti.
Modifiche nella carne:
- Cambiamento di colore (colore «grigio»)
- Abbassamento pH
- Aumento della ritenzione idrica
- Diminuzione del valore nutrizionale per fuoriuscita di sali, vitamine, composti azotati, alcuni aa, ..
- Accelerazione dei processi di ossidazione

USO DELLO ZUCCHERO → Lo zucchero esercita sui microrganismi un’azione disidratante


(provoca un aumento della pressione osmotica) simile a quella del sale ma più blanda. Occorre una
concentrazione di almeno il 65 - 70% di zucchero per avere l’azione batteriostatica. Quantità inferiori
possono determinare fermentazioni, superiori cristallizzazione. Se concentrazioni sono basse, sono
necessari altri trattamenti stabilizzanti.
Se sl posto del saccarosio si utilizzano glucosio e fruttosio, che avendo dimensioni molecolari più
piccole, possono essere utilizzati inminore quantità con la stessa efficacia. In sciroppi di frutta al 40%
di glucosio isi verifica l’inibizione batteri e muffe.
Zucchero può essere utilizzato sia allo stato solido che come sciroppo.
Non sono inibiti i microrgansmi osmofili (batteri, muffe, lieviti) che possono dare alterazioni. Quindi è
necessario abbinare un altro metodo di conservazione.

USO DELL’ALCOL ETILICO → La sua azione è battericida quando le sue concentrazioni sono tra
50 e 70%, è però inefficace sulle spore. L’azione antimicrobica è dovuta a: denaturazione delle
proteine; danni alla membrana; disidratazione.
L’alcol etilico viene aggiunto ad alcuni tipi di frutta per conserve di frutta.

USO DELL’OLIO DI OLIVA E OLIO DI SEMI → Esso non svolge direttamente un’azione
batteriostatica o battericidica, ma isola l’alimento dal contatto diretto con l’aria bloccando l’attività dei
microrganismi aerobi. È inefficace contro batteri anaerobi come il C. botulinum, soprattutto negli
alimenti che contengono acqua necessaria alla moltiplicazione batterica. Inoltre se prima di venire
messo sottolio l’alimento non è ben scolato, si può verificare la moltiplicazione batterica. Se l’olio non
copre completamente l’alimento si possono avere patine bianche.
Questo metodo va abbinato ad altri (es. pastorizzazione, sterilizzazione o aggiunta di aceto e sale)

USO DELL’ACETO → Usato per conservare ortaggi e alcuni pesci, grazie al suo contenuto di acido
acetico che deve essere almeno il 6%. L’azione conservativa dell’acido acetico è dovuta
all’abbassamento del pH dell’ambiente, creando condizioni sfavorevoli per lo sviluppo microbico, e
alla tossicità della molecola e dell’anione relativo.
L’alimento può essere messo direttamente dentro l’aceto in cui sarà conservato o prima subire una
macerazione poi messo in nuovo aceto. Si può usare a freddo o a caldo (75-80°C). Gli alimenti possono
subire prima scottatura o salagione. L’alimento può essere addizionato di spezie/aromi/zucchero
Denominazioni specifiche in base all’acidità del liquido di governo:
- «aromatizzato con aceto» acidità < 1,2%
- «all’aceto» o «con aceto» semiconserve con acidità > 1,2%
- «in aceto» conserve con acidità > 2,2%
AFFUMICAMENTO
È un sistema antichissimo di conservazione degli alimenti ancora utilizzato (soprattutto in Nord
Europa). Consiste nell’esporre gli alimenti, di solito carni o pesci, al fumo di legna di alberi, quali
quercia, castagno o faggio, oppure di piante aromatiche, come alloro, ginepro, rosmarino e origano. Il
fumo, per effetto del calore, disidrata il prodotto e crea un ambiente sfavorevole allo sviluppo
microbico grazie a certe sostanze antimicrobiche presenti nel fumo, specialmente l’ aldeide formica (se
a caldo 50 - 80 ° C anche la temperatura aiuta). Il fumo inoltre crea un ambiente riducente, con
diminuzione della quantità di O2 e trasformazione di nitrati in nitriti, più efficaci verso i batteri del
genere Clostridium.
Gli alimenti affumicati acquistano un sapore particolare e gradevole.

Nel fumo sono presenti anche idrocarburi policiclici aromatici, noti cancerogeni, per cui è bene non
consumare eccessive quantità di alimenti affumicati. La presenza di queste sostanze dipende dalla
quantità di O2 (più l’ambiente è aerato, minore è la formazione di idrocarburi), dalla distanza fra la
camera di combustione e affumicamento (maggiore è la distanza, minore è la quantità di idrocarburi
nell’alimento) e dalla temperatura di combustione (più alta è la temperatura, maggiore sarà la
produzione di idrocarburi policiclici aromatici). Per diminuire la presenza di IPA il fumo deve essere a
temperatura inferiore ai 400°C oppure sottoporlo a filtrazioni, condensazioni e distillazioni.

FUMO LIQUIDO E AROMATIZZANTI DI AFFUMICATURA Si ottengono per condensazione di


fumo in acqua. Il condensato è separato in due parti 1) condensato di fumo primario a base acquosa e
2) fase catramosa ad alta densità non solubile. Poi si esegue la purificazione per eliminare i
componenti dannosi. I prodotti ottenuti possono essere utilizzati sugli/negli alimenti o impiegati per la
produzione di aromatizzanti di affumicatura (in polvere, acquosi, oli o concentrati). Tali prodotti sono
regolamentati e in particolare tenore max di benzo[α]pirene e benzo[α]antracene
Ad oggi ci sono metodiche industriali che consentono di togliere totalmente la problematiche legate
all’IPA, mentre nella realtà casalinga è più semplice andare incontro a questi problemi.

FERMENTAZIONI
Gli agenti responsabili delle fermentazioni sono microrganismi, ossia esseri viventi . Le fermentazioni
più importanti sono:
- alcolica (lieviti saccaromiceti) in cui il glucosio è convertito in etanolo + CO2
- lattica (batteri lattici) in cui il lattosio è convertito in acido lattico + CO2
- propionica (batteri propionici) in cui zucchero è convertito in acido propionico + CO2
- acetica (batteri Acetobacter) in cui l’alcol etilico + O2 è convertito in acido acetico + H2O

ADDITIVI ARTIFICIALI

Reg. CE 1333/2008. Il legislatore comunitario – così come ha fatto recentemente anche per
l’etichettatura dei prodotti alimentari – ha adottato lo strumento del regolamento comunitario per
disciplinare tale materia al fine di rendere queste disposizioni immediatamente applicabili agli Stati
membri. L’intento unificatore è sia a tutela della salute umana che della libera commercializzazione
delle merci e per il miglior funzionamento del mercato comune. E’ rimasto fermo il principio per cui
solo gli additivi inclusi nell’elenco comunitario (ora previsto dall’allegato II del regolamento)
possono essere immessi sul mercato in quanto tali e utilizzati negli alimenti alle condizioni
d’impiego ivi specificate.
L’innovazione più rilevante del Reg. CE 1333/2008: il sistema di categorizzazione degli alimenti.
Ovvero lasuddivisione degli alimenti in macrocategorie (per esempio, prodotti della confetteria)
declinate a loro volta in più specifiche “sottocategorie” individuate da numeri progressivi (per esempio,
prodotti di cacao e di cioccolato, altri prodotti di confetteria compresi i microconfetti per rinfrescare
l’alito, gomme da masticare, decorazioni, ricoperture, ripieni ecc) per ciascuna delle quali nella parte E
dell’allegato al regolamento è possibile rinvenire gli additivi alimentari autorizzati e le relative
condizioni di impiego.
In etichetta sono obbligatoriamente designati con il nome della categoria, seguito dal loro nome
specifico o dal loro numero E. Si suddividono in:
- Coloranti E100-199
- Conservanti E200-299
- Antiossidanti E300-399
- Addensanti, stabilizzanti, emulsionanti E400-499

Acido sorbico / sorbati E200


E’ un conservante con azione antimicotica e antimuffa. Sono sempre più diffusi i prodotti in cui è
impiegato: ravioli, tortellini, gnocchi, alcuni formaggi, prodotti da forno, pane a cassetta confezionato,
pizze precotte, maionese, prodotti dolciari da forno….
In dosi limitate non è tossico e può essere metabolizzato come un normale acido grasso.

Acido benzoico / benzoati E210


Ha azione antimicrobica. E’ addizionato a bibite analcoliche, maionese, semiconserve ittiche (caviale).
E’ presente in natura nelle prugne e nei mirtilli. La DGA è = 5mg/kg e viene eliminato con le urine.

Anidride solforosa E220


Ha azione antisettica e antiossidante. Non viene mai aggiunta ad alimenti (es. legumi) che costituiscono
fonte alimentare di tiamina (poichè verrebbe inattivata). In alcuni alimenti si ritrova come residuo di
lavorazione (vino, acquavite, aceto, succhi di frutta, confetture, gelatine). In altri viene aggiunta
volontariamente (crostacei, frutta secca e candita, succhi di frutta, amidi, preparati alimentari a base di
patate).
La sua azione antisettica/antimicrobica è migliore a pH basso perché prevale la forma indissociata più
efficace (SO2). Non è ugualmente efficace su tutti i microrganismi: infatti sono favoriti i lieviti per
questo è sfruttata per selezionare quelli utili alla fermentazione alcolica del mosto in vino. Inibisce
l’imbrunimento enzimatico e non enzimatico (azione sfruttata soprattutto nei vegetali freschi). In dosi >
alle consentite è pericolosa per le vie respiratorie.

Acido L-ascorbico (Vitamina C)


Ha azione antiossidante (migliore in presenza di tocoferoli). Viene aggiunto a vino, birra, prodotti
dolciari, carne, succhi di frutta, farina (per migliorare la panificabilità). Evita l’imbrunimento della
frutta e della verdura appena tagliata.

Tocoferoli (Vitamina E)
Liposolubili, ricavabile da oli vegetali, sensibili alla luce (UV). Hanno azione antiossidante verso gli
a.g. polinsaturi. Sono termoresistenti e vengono aggiunti ad oli di semi, grassi, insaccati freschi.
Altre operazioni unitarie
- DISTILLAZIONE
- CENTRIFUGAZIONE
- FILTRAZIONE
- FLOTTAZIONE

DISTILLAZIONE
Comprende i seguenti passaggi di stato:
- Evaporazione di una o più sostanze a partire da una miscela o da una soluzione
- Condensazione dei vapori ottenuti che tornano allo stato liquido
Al fine di separare i componenti caratterizzati da diversa volatilità.
La distillazione è di fondamentale importanza per separare i componenti più volatili da quelli meno
volatili.
Somministrando calore ad una soluzione:
- si separa del vapore che sarà più ricco del componente più volatile
- il liquido che rimane sarà più ricco del componente meno volatile
- la temperatura di ebollizione della soluzione tende via via ad aumentare.

Ci sono tre tipi di distillazione:


- All’equilibrio (non usato a livello industriale)
- Semplice (o differenziale)
- Frazionata

Distillazione semplice o differenziale


E’ un processo discontinuo che prevede il riscaldamento della soluzione con aspirazione continua del
vapore avviato alla condensazione. Dato che la composizione del vapore varia col procedere
dell’evaporazione i vapori sono separati in tre o più frazioni caratterizzate da temperature di ebollizione
diverse. Il processo si interrompe quando la fase liquida è sostanzialmente pura. Per miscele a più
componenti la distillazione può essere ripetuta più volte sul residuo.
Se si vuole una più netta separazione dei componenti, i vapori sono avviati al deflemmatore dove
avviene una parziale condensazione; in questo modo il vapore che si forma è più ricco del componente
volatile. Il condensato è riavviato in caldaia e il vapore al condensatore vero e proprio.

Distillazione frazionata
Consiste in una serie di condensazioni parziali, ognuna simile al sistema del deflemmatore. L’impianto
prevede una serie di recipienti comunicanti di cui solo il primo è sottoposto a riscaldamento diretto. I
vapori salgono verso i recipienti superiori (sempre più ricchi del componente più volatile e con
temperature di ebollizione sempre minori) i liquidi ricadono verso quelli inferiori (sempre più ricchi del
meno volatile). In testa e in coda si può arrivare a separare completamente i due componenti.
La RETTIFICA è la distillazione frazionata fatta su una colonna a piatti.

E’ un processo usato per separare miscele di sostanze liquide che hanno temperature di ebollizione
molto vicine. Con questo metodo si distillano le acqueviti, i liquori, gli oli di semi con il recupero del
solvente di estrazione.

CENTRIFUGAZIONE
La centrifugazione separa miscele liquido-liquido, liquido-solido, solido-solido sfruttando la diversa
densità delle sostanze e la forza centrifuga.
Le centrifughe industriali funzionano in maniera continua e la miscela è continuamente alimentata
dentro il rotore mentre almeno una delle due fasi viene continuamente allontanata.
Per valutare il potere separatore di una centrifuga vanno considerati un numero di giri e il raggio della
centrifuga.

Centrifughe a piatti (ALFA LAVAL)


Prendono il nome dalla casa costruttrice. Possono separare: due liquidi, un solido e un liquido, due
liquidi e un solido. Ha una forma troncoconica e sull’asse di rotazione sono saldati piatti troncoconici
forati (ad ogni foro del piatto superiore ne corrisponde uno del piatto inferiore). Il prodotto entra dal
centro (albero cavo), durante la rotazione si creano fra un piatto e l’altro flussi laminari in senso
opposto che portano alla separazione dei vari componenti. Applicazioni: OLIO, LATTE.
Centrifughe orizzontali
Per la separazione di un liquido da un solido melmoso o a grana fine.
Il DECANTER è una speciale centrifuga orizzontale, di forma per metà cilindrica e per metà
troncoconica. Permette di separare fino a tre fasi: due liquide e una solida. La coclea ruota più
velocemente del tamburo e la coclea convoglia il solido verso la base minore del tronco di cono. I due
liquidi formano due cilindri concentrici di cui quello più esterno è del liquido più denso, che esce
separatamente dall’altro attraverso un tubo di efflusso.

FLOTTAZIONE
Permette la separazione di componenti di un miscuglio solido o colloidale per diversa bagnabilità.
Questi vengono messi in acqua in cui è insufflata aria e finiscono per separarsi per adesione sulle bolle
che li porta a risalire in superficie, mentre il restante materiale idrofilo si deposita sul fondo. Può essere
aggiunto un coadiuvante di flottazione (solitamente minerale in polvere) che aumenta la tensione
superficiale del liquido stabilizzando le bolle d’aria che diventano schiuma.

FILTRAZIONE
La filtrazione separa un solido da un liquido mediante filtro permeabile al liquido ma non al solido. E’
usata per rendere limpidi mosto, vino, olio, per la sfecciatura, brillantatura e sterilizzazione dei vini. Il
prodotto è il filtrato e il residuo è scarto. La separazione avviene per compressione sul materiale da
filtrare o per depressione nell’ambiente di raccolta del liquido filtrato o entrambi.
La portata del filtro o velocità di flusso dipende:
- dalla differenza di pressione (la velocità di flusso aumenta all’aumentare della differenza di pressione)
- dalla resistenza opposta dal filtro al passaggio del liquido (tanto maggiore è la resistenza, tanto
minore è la velocità di flusso). La resistenza del filtro varia durante il processo in funzione della «torta»
o «panello» che si viene a formare.
I coadiuvanti di filtrazione sono materiali solidi porosi in polvere che impediscono o limitano
l’intasamento. I coadiuvanti di filtrazione formano un letto filtrante che ha lo scopo di trattenere le
particelle solide senza che arrivino al filtro. La loro azione di esplica in due modi:
- Azione setacciante: i pori del letto filtrante hanno dimensioni minori delle particelle da filtrare, quindi
sono trattenute meccanicamente, Si forma letto rigido e incomprimibile ricco di canalicoli in cui può
scorrere il liquido (come materiali si usano la filtrina o farina fossile e perlite, entrambe a base di silice)
- Azione adsorbente: particelle con dimensioni inferiori al diametro dei pori trattenute all’interno da
forze elettrostatiche (cellulosa).
E’ importante l’utilizzo dei coadiuvanti di filtrazione quando i solidi da separare sono costituiti da
sostanze mucillaginose e colloidali come capita spesso. La filtrazione deve partire a pressione ridotta
per non compattare le sostanze mucillaginose e va calibrata durante tutto il processo in modo che ci sia
una buona distribuzione su tutta la torta del coadiuvante e del materiale difficile.

Filtri pressa
Sono filtri discontinui che sopportano alte pressioni. Adatti quando il liquido contiene poche parti
solide. Sono costituiti da una serie di elementi così composti:
- una piastra
- un elemento filtrante (piastra, foglio, tela)
- un telaio vuoto
- un altro elemento filtrante
La batteria è posta fra due testate una fissa e una mobile che si avvicina e assicura la tenuta idraulica.
La torbida entra, va a riempire gli spazi vuoti; il liquido attraversa il filtro e il solido rimane
intrappolato negli spazi vuoti dove forma un pannello che deve essere periodicamente rimosso.
Lavaggio con acqua controcorrente.

Filtri a campana
Sono una variante dei filtripressa; costituiti da piastre circolari scanalate e telai di supporto del
prepannello fissati su un asse centrale cavo internamente e comunicante con i canali di drenaggio delle
piastre: il tutto è dentro una campana ermetica. Si prepara un prepannello di filtrina sopra i telai
facendo fluire H2O e filtrina. Si fa fluire la torbida; il materiale sospeso si deposita sul prepannello di
filtrina mentre il liquido filtrato fluisce al centro tramite i canali di drenaggio delle piastre.
Rispetto a filtripressa le piastre sono distanziate l’una dall’altra e permetto pulizia più agevole con
acqua in flusso inverso.

Filtri rotativi sottovuoto


Costituiti da un corpo cilindrico cavo e rotante intorno all’asse centrale con le pareti costituite da listelli
di inox; la superficie esterna viene ricoperta da tele o cartoni filtranti. Il cilindro è immerso per metà in
una vasca riempita della soluzione da filtrare. Al momento della filtrazione viene fatto il vuoto
all’interno del cilindro; il liquido è aspirato e convogliato al centro.
All’esterno un coltello raschiante rimuove le parti solide (torta).

Filtri sterilizzanti
Sono utilizzabili solo se il liquido biologico ha già subito una prefiltrazione per allontanare particelle
solide grossolane e mucillagini (es. vino illimpidito prima dell’imbottigliamento). La sterilizzazione si
ottiene con FILTRI A MEMBRANA o A CARTUCCIA (che devono essere sterilizzati con vapore fra
un ciclo e l’altro):
- FILTRI A MEMBRANA sono dei filtripressa molto compatti che utilizzano dischi di materiale
ceramico oppure polimerico o misto in grado di bloccare particelle microscopiche
- FILTRI A CARTUCCIA, in cui le cartucce sono dello stesso materiale delle membrane e sono
montate dentro una campana. Il liquido entra lateralmente e attraversa radialmente la cartuccia che
presenta pori decrescenti dalla periferia al centro, in questo modo vengono fermate subito particelle più
grosse poi le più piccole. Elevata superficie di filtrazione.

Filtri a spirale
Vengono usate membrane polimeriche a flusso tangenziale disponibili con varie porosità (osmosi
inversa, nanofiltrazione, ultrafiltrazione, microfiltrazione).
La configurazione a spirale avvolta è scelta per la sua efficienza ed economia.
La membrana a spirale avvolta è composta da fogli di membrana e da particolari reti di spaziatura, il
tutto arrotolato su di un tubo plastico forato (tubo permeato). La membrana è mantenuta rigida da una
ricopertura esterna in vetroresina oppure da una rete rigida e sulle testate è trattenuta da particolari
dispositivi (ATD) che servono ad impedire la telescopizzazione durante il funzionamento.
Il liquido da trattare viene alimentato in pressione da un lato dell’elemento.
Per effetto della componente radiale della pressione, parte del liquido permea attraverso la membrana.
Per effetto della componente tangenziale della pressione il liquido non permeato viene spinto verso
l’uscita della membrana raccogliendo le particelle troppo grosse per essere filtrate e ripulendo di
conseguenza la membrana stessa.
Vantaggi:
- L’autopulizia: i solidi e i soluti sono eliminati con il concentrato (si instaura un regime turbolento che
produce un’asportazione continua)
- Non si apporta calore: si evitano degradazioni di prodotto e si riducono i costi di esercizio.
- Filtrazioni submicroniche: si possono operare filtrazioni a livello macromolecolare, molecolare e
ionico permettendo quindi di effettuare concentrazioni, purificazioni e frazionamenti.

LATTE ALIMENTARE

Per latte alimentare si intende il prodotto ottenuto dalla mungitura regolare, ininterrotta e completa
di animali in buono stato di salute e di nutrizione.
Il latte rappresenta una delle principali fonti alimentari proteiche per l’umanità. Nei paesi sviluppati
dell’occidente, il latte ed i suoi derivati forniscono alla popolazione quasi un terzo del fabbisogno
giornaliero di proteine.
Il latte che non ha subito nessun trattamento è detto “crudo”. Dal latte crudo si possono ottenere
mediante trattamenti termici, più o meno drastici, diversi tipi di prodotto (latte pastorizzato,
sterilizzato, ecc.)

Legge n. 169 del 1989 → “Disciplina del trattamento e della commercializzazione di latte alimentare
vaccino”
DPR 54 del 1997 → recepimento delle Direttive 92/46 e 92/47/CEE → Regolamenta la produzione di
latte e prodotti lattiero-caseari
Regolamento CE del 2004 Allegato III sez. IX (pacchetto igiene)→ “Norme specifiche in materia di
igiene per gli alimenti di origine animale”; in questa sezione vengono definiti i requisiti specifici per la
produzione di latte crudo e prodotti lattiero caseari.
Regolamento 2073 del 2005 → Definisce i criteri di sicurezza alimentare e di processo nella
produzione di latte e prodotti lattiero caseari.

Il latte crudo, per essere ammesso all’alimentazione umana non condizionata deve provenire:
“da allevamenti ufficialmente indenni da tubercolosi e brucellosi e da animali che non presentino
sintomi di malattie infettive trasmissibili all’uomo attraverso il latte, che denotino uno stato sanitario
generale buono e non evidenzino sintomi di malattie che possano comportare una contaminazione del
latte …” (Reg CE 853/2004)
“..Ai quali non siano stati somministrati sostanze o prodotti non autorizzati, o per i quali, in caso di
somministrazione di prodotti o sostanze autorizzati, siano stati rispettati i tempi di sospensione
prescritti per tali prodotti o sostanze.” (Reg.CE 853/2004)

CARATTERISTICHE CHIMICO-FISICHE DEL LATTE


Dal punto di vista chimico-fisico il latte si tratta di una dispersione acquosa di molte sostanze che si
trovano:
- in soluzione vera (lattosio, sali minerali, vitamine idrosolubili..);
- in soluzione colloidale (proteine, fosfati..);
- in emulsione (grassi, vitamine liposolubili);
- in sospensione (cellule, microrganismi).
I costituenti principali sono acqua, proteine, grassi, zuccheri ì, vitamine e minerali.
Acqua: la percenutale varia dal 32 al 89%; nel atte di vacca Bos taurus è del 87,5%;
Proteine: la caseina è circa l’80% della frazione proteica, mentre le proteine del siero sono il 20% (β-
lattoglobulina, α-lattoalbumina e altre);
Lipidi: rappresentati da gliceridi, fosfolipidi, steroli, frazioni insaponificabili comprese le vitamine
liposolubili;
Glucidi: lattosio (costituito da galattosio e glucosio)
Vitamine, Minerali (Ca), Ormoni, Cellule somatiche (cellule epiteliali e globuli bianchi).

COMPOSIZIONE LIPIDICA: Nel latte vaccino intero i lipidi ammontano al 3,5%. E’ la miscela
lipidica più complessa presente in natura (centinaia di acidi grassi diversi provenienti sia dal sangue
che dalla ghiandola mammaria).
I globuli di grasso non sono semplici gocce, ma sistemi biologici complessi con all’interno i
triacilgliceroli e all’esterno una pellicola lipoproteica. Quest’ultima è formata, oltre che dal doppio
strato fosfolipidico, anche da uno strato interno molto aderente di triacilgliceroli con funzione
cementante fra il grasso interno e la membrana stessa.

COMPOSIZIONE PROTEICA: caseina ≈ 80%, non coagula al calore, ma per leggera acidificazione o
per azione di enzimi proteolitici (rennina, pepsina). Si ritrova nel latte sotto forma di micelle, complessi
macromolecolari di circa 100 nm di diametro, che inglobano sali minerali. Le micelle disperdono la
luce e conferiscono colore bianco al latte.
Proteine del siero ≈ 20%:
β-lattoglobulina → buone proprietà gelificanti ed emulsionanti
α- lattoalbumina → potere batteriostatico e anticancerogeno, indispensabile per la sintesi del lattosio
altre proteine → Sieroalbumina (importante per test immunochimici, consente di svelare eventuali
frodi); Lattoferrina (azione batteriostatica); Immunoglobuline (conferiscono proprietà immunologiche
al latte); Enzimi.
La temperatura di raccolta del latte è inferiore o uguale agli 8°C per la raccolta giornaliera, mentre
è inferiore o uguale ai 6°C per la raccolta non giornaliera.
La temperatura di raccolta del latte destinato alla produzione di latte di alta qualità, che è solo
giornaliera, è inferiore o uguale ai 6°C fino al momento della consegna.

I pretrattamenti sono dei processi che vengono effettuati negli stabilimenti di lavorazione del latte
generalmente prima del trattamento termico vero e proprio o, in alcuni casi, durante i processi
successivi allo scopo di: eliminare eventuali impurità macroscopiche; ridurre il tenore in germi;
standardizzare il tenore in grassi e omogeneizzare il prodotto.

Un esempio è la CENTRIFUGAZIONE, in cui la forza centrifuga è utilizzata per l’eliminazione delle


impurità solide (peli, squame..) non trattenute dai sistemi di filtrazione presenti negli impianti
dell’allevamento e dello stabilimento di trattamento e per separare la panna, più leggera, del restante
latte. Il latte è sottoposto ad una forza centrifuga tale da sedimentare e separare le particelle più pesanti
a una temperatura di circa 55°C (5000-6000 giri/min), per mezzo di una CENTRIFUGA
SCREMATRICE.

La BACTOFUGAZIONE è un processo fisico che sfrutta l’azione combinata del calore e di una
centrifugazione ad alta velocità, come mezzo di risanamento del latte. Questo processo consente di
separare dal latte parte dei microrganismi e delle spore, significativamente più pesanti. L’effetto
bactofugo a 75°C elimina circa il 99% dei microrganismi e delle spore.

L’OMOGENEIZZAZIONE è un processo meccanico che consente di frantumare, in appositi


apparecchi detti “omogeneizzatori”, i globuli di grasso del latte, disperdendoli in modo uniforme nella
massa liquida. Consiste nel far passare il latte a forte pressione attraverso fori strettissimi.
Questo trattamento permette di aumentare la stabilità e l’uniformità dell’emulsione dei globuli di
grasso nel latte, riducendo la grandezza dei globuli stessi; diminuire la velocità di affioramento della
panna; ridurre la capacità di aggregazione dei globuli di grasso; migliorare la dispersione del grasso;
aumentare la digeribilità del latte.

La MICROFILTRAZIONE è un metodo di allontanamento fisico, non selettivo, delle impurità


microscopiche del latte. Si ottiene facendo passare il latte attraverso filtri di materiale ceramico inerte.
Le maglie filtranti presentano pori di diametro di circa 1,0,μm, inferiori alle dimensioni della quasi
totalità dei microrganismi e delle cellule somatiche presenti nel latte. La pressione transmembrana è
compresa tra 1 e 1,2 bar. (D.M. del 17/06/2003)

Il latte prodotto dagli animali da allevamento può essere destinato al consumo diretto o alle industrie di
trasformazione.
LATTE PER CONSUMO DIRETTO:
- LATTE NATURALE (latte crudo o latte che ha subito solo trattamenti necessari a garantirne la
salubrità e la conservabilità per un tempo più o meno lungo: latte intero pastorizzato, UHT, sterilizzato)
- LATTE MODIFICATO O SPECIALE (latte sottoposto a processi tali da conferire nuove
caratteristiche fisico-chimiche, nutrizionali, organolettiche: latte scremato, concentrato, in polvere,
aromatizzato, latti dietetici, latti con fermenti vivi aggiunti, latti fermentati)
“Il latte alimentare destinato al consumo umano diretto deve aver subito, in un’impresa che tratta il
latte, almeno un trattamento termico ammesso o un trattamento di effetto equivalente autorizzato …”
Legge n.169/89
Il trattamento termico ha lo scopo di ridurre e/o eliminare gli agenti patogeni e quelli responsabili di
eventuali alterazioni al latte, garantirne la sicurezza e migliorarne la conservabilità.
I trattamenti termici ammessi per il latte alimentare destinato al consumo umano diretto sono la
pastorizzazione e la sterilizzazione. (Legge n. 169 del 1989)

La PASTORIZZAZIONE è un “trattamento termico in flusso continuo per almeno 15 secondi a


temperatura inferiore al punto di ebollizione ma superiore ai 72°C, ovvero per tempi e temperatura
integranti una equivalente quantità di calore, idoneo ad assicurare la distruzione di tutti i
microrganismi patogeni e di parte rilevante della flora microbica saprofita, con limitate alterazioni
delle caratteristiche chimiche, fisiche e organolettiche” (Legge 169 del 1989)
Non è una sterilizzazione del latte, ma un suo risanamento dai microrganismi patogeni (es.
Mycobacterium tubercolosis, Brucella abortus) che tende a ridurre al minimo l’alterazione delle
caratteristiche organolettiche e nutritive del prodotto.
Al trattamento termico deve seguire un rapido raffreddamento, poichè la pastorizzazione è solo un
processo batteriostatico ed è necessario abbassare la temperatura per evitare la moltiplicazione
batterica. Possiamo avere:
- PASTORIZZAZIONE BASSA (L.T.L.T.)
- PASTORIZZAZIONE ALTA (H.T.S.T.)
- PASTORIZZAZIONE A TEMPERATURA ELEVATA (E.S.L.)

PASTORIZZAZIONE BASSA (Low Temperature Long Time o L.T.L.T.) → prevede il


riscaldamento del latte a 63°C per 30 minuti. Questo trattamento modifica in minima parte le normali
caratteristiche del latte, in particolare il colore ed il gusto e non rallenta l’affioramento della crema,
ma necessita di una installazione voluminosa e favorisce lo sviluppo di batteri termofili del latte
durante il riscaldamento.

PASTORIZZAZIONE H.T.S.T. (High Temperature Short Time) → prevede il trattamento termico


del latte ad una temperatura di 72-75°C per 15 secondi. E’ un trattamento termico veloce a temperature
elevate, ma comunque inferiori al punto di ebollizione. Questo metodo permette la conservazione
ottimale delle caratteristiche organolettiche e nutritive del latte crudo. Al trattamento termico deve
seguire un rapido raffreddamento che porti il latte, nel più breve tempo possibile, a una temperatura
non superiore a 6°C. Le fasi sono: Preriscaldamento, Pastorizzazione vera e propria, Sosta a
temperatura per 15 secondi e Raffreddamento a 3-4°C.

PASTORIZZAZIONE A TEMPERATURA ELEVATA E.S.L. (Extended Shelf Life) → impiega


temperature di pastorizzazione tra gli 80 e i 135 °C. Il latte è generalmente trattato ad una temperatura
di 121°C per 2-4 secondi. Si tratta di un sistema più efficace per l’inattivazione delle specie microbiche
e degli enzimi rispetto alla pastorizzazione classica, ma vengono maggiormente intaccate le
componenti organolettiche e nutrizionali del prodotto.

I pastorizzatori sono dei macchinari in cui gli scambi di calore avvengono attraverso una sottile
parete metallica che separa due fluidi circolanti in senso opposto (uno il latte e l’altro solitamente è
l’acqua). In uno stesso blocco il latte freddo è preriscaldato dal latte che esce dal settore riscaldamento
(garantendo un recupero dell’80% del calore). Il latte è poi portato alla temperatura di pastorizzazione
con acqua calda ed in seguito parzialmente raffreddato dal latte crudo che entra nell’impianto.
Possiamo distinguere tra scambiatori tubulari e scambiatori a piastre.
Scambiatori tubulari → Il latte circola attraverso un fascio orizzontale di lunghi tubi in uno spazio
anulare di qualche millimetro di spessore. Possiamo avere scambiatori multitubulari o monotubolari.
Sono apparecchiature abbastanza ingombranti; lo smontaggio per la pulizia è meno agevole rispetto
agli scambiatori a piastre, ma sono meno costosi degli scambiatori a piastre.
Scambiatori a piastre → I fluidi passano in celle sottili limitate da piastre di metallo, con un giunto di
gomma, serrate le une contro le altre. Da una parte e dall’altra di una piastra circolano, contro corrente,
il latte e il fluido di riscaldamento (acqua, vapore). Le piastre presentano rilievi e scanalature per
assicurare una distribuzione regolare del latte su tutta la superficie. Lo spazio tra due piastre vicine è di
2-4 mm. Gli scambiatori a piastre sono strumenti compatti poco ingombranti e hanno una grande
flessibilità di funzionamento (possiamo aumentare o diminuire il numero di piastre smontandole o
rimontandole a seconda delle esigenze). Lo smontaggio è rapido, il controllo e la pulizia sono agevoli.

La STERILIZZAZIONE è un “trattamento termico idoneo ad assicurare la distruzione di tutti i


microrganismi presenti nel latte o che ne impedisca definitivamente la proliferazione” L’obbiettivo
della sterilizzazione è la distruzione totale dei microrganismi in forma vegetativa, patogeni e non
patogeni, e delle spore. Permette di avere un prodotto sicuro e che possa conservarsi a lungo.
Essendo il latte un alimento i cui componenti nutritivi sono molto sensibili all’effetto del calore, le
temperature utilizzate non possono essere troppo elevate e dunque tali da eliminare qualsiasi forma di
microrganismo.
La sterilità commerciale si ottiene tramite o il metodo classico o il metodo UHT.
Sterilizzazione con metodo classico → Il latte viene riscaldato, in contenitori ermeticamente chiusi, a
118-120°C per 15-20 minuti. La salita e la discesa della temperatura sono progressive e lente;
Il latte sterilizzato con metodo classico presenta buone caratteristiche di conservabilità, ma
l’esposizione ad elevate temperature per tempi lunghi determina uno scadimento delle caratteristiche
organolettiche e nutrizionali del prodotto; Nella sterilizzazione in bottiglia si possono verificare
modifiche al colore e al gusto del latte ed il contenuto in vitamine idrosolubili del prodotto appare
notevolmente ridotto.
Sterilizzazione con metodo U.H.T. → Elevate temperature per un breve periodo di tempo, tale da
permettere di ottenere un latte sterilizzato le cui modifiche nutrizionali ed organolettiche sono
contenute rispetto alla sterilizzazione classica. La sterilizzazione si ottiene tra i 140-150°C per 1-5
secondi in flusso continuo. L’effetto conservativo sul latte viene potenziato dal fatto che il
confezionamento del prodotto avviene in maniera asettica e con l’utilizzo di contenitori in grado di
preservarne la qualità e l’igiene.
Nel metodo UHT diretto c’è un contatto diretto tra il latte e vapore di qualità alimentare. Prima il latte
viene preriscaldato a 75°C, poi il latte viene posto a contatto diretto con il vapore surriscladato e viene
scaldato a 141°C (temperatura di sterilizzazione) per alcuni secondi. Poi si prosegue con il
raffreddamento a circa 75°C con eliminazione di vapore e poi con un raffreddamento ulteriore a 25°C e
confezionamento asettico. Il metodo UHT diretto si ha un minor danno ai componenti del latte per via
dello scambio termico più rapido, ma gli svantaggi sono il funzionamento complesso e delicato e,
poichè il mezzo riscaldante è a diretto contatto con l’alimento, aumentano i possibili casi accidentali di
contaminazione.
Nel metodo UHT indiretto il latte è separato dal mezzo riscaldante da superfici (piastre, tubi, etc.) che
trasmettono il calore per via indiretta. L’omogeneizzazione è effettuata dopo la fase di preriscaldamento
del latte, prima del trattamento termico vero e proprio. I vantaggi di questo metodo sono la riduzione
dei costi di produzione per la maggiore flessibilità d’utilizzo e inoltre la separazione tra latte e mezzo
riscaldante evita i casi di contaminazione accidentale. Gli svantaggi sono la formazione di depositi di
prodotto sulle superfici dove avviene lo scambio termico e a lungo andare riduzione dell’efficienza e
della portata dell’impianto.

TIPOLOGIE DI LATTE ALIMENTARE IN COMMERCIO


Latti tradizionali → sono latti che non hanno subito particolari modifiche alla composizione, se non
una addizione o riduzione del titolo in grasso.
In base al trattamento termico sono classificati in:
- crudo;
- a breve conservazione (pastorizzato);
- a media conservazione (microfiltrato);
- a lunga conservazione (sterilizzato).
In base al titolo di grasso:
- Intero → con almeno 3,5% di materia grassa.
- Parzialmente scremato → con materia grassa tra 1,5% e 1,8%.
- Scremato → con materia grassa inferiore o uguale allo 0,5%.

Latti modificati → sono latti che attraverso procedimenti più ho meno complicati hanno subito
aggiunte di ingredienti particolari o sottrazione di qualche componente.

LATTE CRUDO
Non può essere sottoposto a temperatura superiore ai 40°C. Il latte crudo, prima della vendita, può solo
essere refrigerato ad una temperatura inferiore ai 4°C.
Reg.CE 853/2004 , autorizza la commercializzazione di latte crudo per il consumo umano diretto
Conferenza Stato-Regioni del 25 Gennaio 2007, regolamenta il commercio di latte crudo destinato al
consumo diretto e definisce i criteri microbiologici e quelli igienici per la produzione.
Vantaggi:
- Notevolmente ricco di enzimi, vitamine e altre componenti nutritivi
- Caratteristiche organolettiche eccellenti
- E’ considerato un alimento “genuino”
Svantaggi:
- Flora microbica non distrutta dal trattamento termico
- Possibile sopravvivenza di specie patogene
- Se non consumato previa bollitura è inadatto per soggetti sensibili (anziani, bambini, donne in
gravidanza etc.)

La vendita di latte crudo può avvenire direttamente in azienda dal produttore al consumatore finale
(cessione diretta di piccoli quantitativi al consumatore finale) oppure attraverso “macchine
erogatrici/distributori automatici”. Le erogatrici di latte crudo sono dei distributori automatici, nei quali
il latte deve essere mantenuto a temperatura di refrigerazione. Collocate all’interno o in prossimità
dell’azienda agricola di produzione, consentono all’acquirente di approvvigionarsi direttamente del
prodotto.
Le aziende che effettuano questo tipo di commercializzazione, oltre a rispettare tutte le disposizioni
previste dall’allegato I del regolamento CE 852/2004, devono predisporre un piano di autocontrollo
aziendale e rispettare i criteri igienici di processo riconducibili alla sanità degli animali e
all’igiene della mungitura e conservazione del latte.

LATTE RISANATO
E’ il latte che ha subito almeno un trattamento termico seguito da immediato raffreddamento. Il
latte è un alimento facilmente alterabile e rappresenta un terreno fertile per lo sviluppo di
microorganismi.
Il latte deve provenire da animali sani, e il risanamento deve essere preceduto da accorgimenti
precauzionali durante la fasi di mungitura, raccolta, stoccaggio e trasporto (DRP 54/97). Le leggi
vigenti prevedono anche norme sulla rintracciabilità del prodotto (DM 24/07/03).
Il trattamento termico non elimina corpi batterici e le eventuali tossine termostabili (stoccaggio del latte
crudo). Sono vietati metodi chimici e le radiazioni. Il confezionamento asettico garantisce l’assenza di
contaminazione a “valle” delle operazioni di risanamento.
Si suddivide in:
-Latte pastorizzato
-Latte UHT
-Latte sterilizzato.

LATTE PASTORIZZATO → subisce un trattamento ad elevata temperatura (almeno 71,7 °C) per un
breve periodo di tempo (15 s), seguito da rapido raffreddamento (6 °C). Deve dare reazione negativa
alla prova della fosfatasi alcalina, e positiva a quella della perossidasi.
Il latte in arrivo è sottoposto al controllo del pH (6.4-6.8) ed esami di laboratorio. Poi si esegue
pesatura e pulitura tramite centrifugazione: 5000-6000 giri/min.
Il trattamento di bonifica consiste in:
Preriscaldamento: 40-45 °C in scambiatore, sfruttando il calore del latte già pastorizzato in uscita;
Omogenizzazione: si frantumano i globuli di grasso per evitare l’affioramento; sono impiegate
pressioni di 150-200 bar; in questo modo il latte diventa più gradevole e digeribile
Degasazione: portando il latte a 45 °C sotto vuoto parziale, si allontanano le bolle d’aria e prodotti
volatili di odore sgradevole;
Pastorizzazione: HTST (75-80 °C, 15-20 s); il latte fluisce in uno strato sottile tra piastre ravvicinate;
Raffreddamento: 15 °C fino a 2-3 °C.
Confezionamento, stoccaggio (in celle frigorifere) e distribuzione.

Latte pastorizzato: trattamento termico marcato


Latte fresco pastorizzato tradizionale: trattamento termico entro 48 h dalla mungitura
Entrambi:
- Scremato (sostanza grassa 0.3 %)
- Parzialmente scremato (sostanza grassa compresa tra 1.5 e 1.8 %)
Latte fresco pastorizzato tradizionale di “alta qualità”: trattamento termico leggermente più blando, la
% di proteine sierosolubili deve essere non inferiore al 15,5% rispetto alle proteine totali. Solo di tipo
INTERO (sostanza grassa > 3.5 %)
DM 24/07/03 SCADENZA è fissata al 6° giorno dal trattamento termico.

LATTE UHT → DPR 54/97 prevede un riscaldamento continuo ad almeno 135 °C per non meno di un
secondo (inattivazione microorganismi e spore) e confezionato in recipienti opachi e asettici in modo
da ridurre al minimo qualsiasi variazione.
- UHT diretto o uperizzazione (ultra-pastorizzazione): iniezione di vapore a 13 bar, il latte arriva dagli
80 °C del preriscaldamento a 140-150 °C in 4 s.
- UHT indiretto: scambiatore di calore a piastre ravvicinate in cui circola vapore a 142 °C.
Conservazione: 3 mesi a temperatura ambiente; una volta aperta la confezione va conservato in
frigorifero e consumato entro pochi giorni.
Vantaggi:
- Assenza di microrganismi vitali in forma vegetativa;
- Caratteristiche organolettiche e nutritive meno modificate dei normali trattamenti di sterilizzazione;
- Possibilità di conservare il prodotto a temperatura ambiente.
Svantaggi:
- Possibile sopravvivenza di spore o virus;
- Appiattimento del gusto;
- Perdite in vitamine idrosolubili;
- Fenomeni di gelificazione o irrancidimento ad opera di proteasi e lipasi.

LATTE STERILIZZATO → Trattamento termico finale sterilizzante in confezioni ermeticamente


chiuse in autoclave: 120 °C per 15-20 min seguito da raffreddamento. Ha lunga conservazione: 6 mesi.
Reperibile in commercio, ma ha poco mercato. E’ stato sostituito dal latte UHT
Vantaggi: Si conserva a temperatura ambiente per lungo tempo; facile gestione e stoccaggio; possibilità
di raggiungere ampi mercati.
Svantaggi: notevole scadimento delle qualità organolettiche; evidenti modifiche nel gusto; notevole
riduzione del contenuto in vitamine idrosolubili.

La MICROFILTRAZIONE è un trattamento di risanamento alternativo. E’ un trattamento meccanico


e termico. La frazione lipidica del latte che non può essere microfiltrata, viene separata e trattata
termicamente a 120-140 °C. Il latte scremato viene filtrato attraverso una membrana porosa (diametro 1
μm). Le due frazioni vengono poi miscelate e pastorizzate. Maggiore durata del latte fresco e sicura
igienicità.
Scadenza: decimo giorno dal trattamento termico.
Il Decreto legge giugno 2004 vieta l’utilizzo della denominazione “Fresco” per il latte microfiltrato
(Nel 2001 Parmalat commercializzò un nuovo tipo di latte chiamato "Fresco Blu", ampiamente
pubblicizzato perché portava la data di scadenza a otto giorni dal momento che era microfiltrato e
pastorizzato secondo un procedimento esclusivo. Tuttavia dal momento che le aziende concorrenti
insorsero contro la scritta "fresco" che, per legge, doveva essere applicato solo a quel latte la cui data di
scadenza era di quattro giorni, la Parmalat fu multata per frode.)

LATTE SPECIALE
Latte scremato e parzialmente scremato → presentano totale o parziale rimozione della componente
lipidica. Sono sottoposti a centrifugazione a 6500-7000 giri/min. Hanno minore apporto calorico.
Ridotto l’apporto di grassi saturi responsabili dei fenomeni aterosclerotici.
Latte arricchito → è un latte UHT parzialmente scremato dal basso apporto calorico, addizionato di
acidi grassi insaturi ω-3, vitamine e oligoelementi.
Latte prebiotico → vengono addizionate al latte fresco pastorizzato sostanze indigeribili e
fermentabili, con effetti benefici sulla flora intestinale; es. fattore bifido (oligosaccaride)
Latte probiotico → vengono addizionati al latte microorganismi (lattobacilli, bifidobatteri,
streptococchi) che svolgono azione benefica e protettiva
Latte delattosato, ad alta digeribilità → per I soggetti intolleranti al latosio. Intolleranza al lattosio:
assenza dell’enzima b-galattosidasi o lattasi. Lattosio non idrolizzato si accumula nel lume intestinale,
richiamando acqua per aumento della pressione osmotica; viene inoltre fermentato dai batteri della
flora intestinale con produzione di acidi organici e CO2.
Processo biotecnologico che utilizza una b-galattosidasi immobilizzata su un supporto solido, oppure
viene aggiunto al latte l’enzima purissimo estratto da microorganismi geneticamente modificati.
L’enzima si limita a scindere la molecola di lattosio in glucosio e galattosio. E’ leggermente più dolce
del latte normale. Viene confezionato come il latte U.H.T
Latte aromatizzato → Latte addizionato con aromi naturali o altri aromi. Vengono sottoposti a
trattamento U.H.T. Nel processo produttivo è spesso utilizzato l’amido come stabilizzante.
Latte fortificato → aggiunta di Ca, vitamine, Fe e altri sali minerali.
Latte omega-3 → Prevedono l’aggiunta di acidi grassi Omega 3 al latte (non esistono naturalmente nel
latte).

DLgs 49/2004 → Latte concentrato o parzialmente disidratato: prodotto a partire dal latte intero,
parzialmente o totalmente scremato o da una miscela dei due con eventuale aggiunta di crema di latte e/
o latte totalmente disidratato (˂ del 25 % dell’estratto secco totale). Il latte deve aver subito un
trattamento termico di sterilizzazione o UHT.
Latte in polvere o totalmente disidratato: prodotto solido ottenuto direttamente per eliminazione di
acqua dal latte intero, parzialmente o totalmente scremato, dalla crema di latte o da una miscela di
questi; tenore di acqua ≤ 5% del peso del prodotto finito.
Il latte deve aver subito un trattamento termico di pastorizzazione.
L’ESSICCAZIONE può avvenire:
- su cilindri rotanti (processo Hatmaker o Roller): il latte è fatto passare tra 2 cilindri rotanti in senso
inverso, riscaldati internamente da vapor d’acqua surriscaldato; il latte essicca sulle superifici dei
cilindri, formando una pellicola che viene poi asportata tramite raschiatori.
- spray drying: nebulizzazione del latte in presenza di una corrente d’aria surriscaldata.

Confezionamento del latte alimentare ha lo scopo di mantenere inalterate le caratteristiche


organolettiche ed evitare la contaminazione del prodotto.
Confezionamento asettico in tetra-brik:
- Sterilizzazione del contenitore (con bagno caldo o freddo di perossido di idrogeno al 17-30%)
- Asciugatura del cartone con aria calda e formatura del cartone
- Chiusura ermetica del prodotto

Il cartone utilizzato per U.H.T. permette una protezione quasi completa dalla luce, dall’aria e
dall’umidità al fine di prevenire i fenomeni ossidativi durante la conservazione prolungata. Le
confezioni in Tetra Pak sono costituite da una struttura multistrato di cartone, plastica (polietilene) e
alluminio, dove il cartone rappresenta più del 75% del totale. Il cartone conferisce rigidità, il polietilene
l’impermeabilità, mentre l’alluminio rappresenta una barriera per l’ossigeno e per la luce.
Confezionamento in bottiglia del latte pastorizzato

DATA DI SCADENZA e TERMINE MINIMO DI CONSERVAZIONE:


- Latte fresco pastorizzato e fresco pastorizzato di alta qualità: da consumarsi entro 6 gg dalla data di
confezionamento (Decreto MIPA luglio 2003).
- Latte pastorizzato microfiltrato: da consumarsi entro 10 gg dalla data di confezionamento (Decreto
MIPA luglio 2003).
- Latte a pastorizzazione elevata: a cura del produttore (in genere 30 gg dal confezionamento).
- Latte U.H.T: da consumarsi preferibilmente entro 90 gg dalla data di confezionamento (Legge 169 del
1989)
- Latte sterilizzato: da consumarsi preferibilmente entro 180 gg dalla data di confezionamento (Legge
169 del 1989)

ETICHETTATURA DEL LATTE ALIMENTARE (Linee guida recanti istruzioni operative per
l’indicazione dell’origine del latte in etichetta D.M. 990 del 28 marzo 2017)

Premessa
Il decreto ministeriale 9 dicembre 2016, recante “Indicazione dell’origine in etichetta del latte e del
latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero caseari”, è stato emanato in attuazione del
Regolamento (UE) n. 1169/ 2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori,
il cui obiettivo dichiarato è quello di assicurare “un livello elevato di protezione della salute e degli
interessi dei consumatori” e di fornire loro “le basi per effettuare scelte consapevoli e per utilizzare gli
alimenti in modo sicuro”.
L’articolo 4 del D.M. 9 dicembre 2016, rubricato “Disposizioni per favorire una migliore informazione
dei consumatori”, assegna al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali la competenza per
definire apposite campagne di promozione dei sistemi di etichettatura previsti dal decreto medesimo.
Le presenti linee guida sono emanate ai sensi del D.M. 990 del 28 marzo 2017, come modificato dal
DM 1076 del 31 marzo 2017, finalizzato a favorire l’accesso del consumatore alle informazioni sui
prodotti lattiero-caseari in modo da renderle disponibili e facilmente utilizzabili.
Obiettivo è offrire sia agli operatori del settore alimentare (OSA) che agli organismi di controllo le
necessarie indicazioni sulla corretta applicazione della richiamata normativa al fine di assicurare una
corretta informazione ai consumatori.
Si ricorda che, oltre al Paese di origine, è obbligatorio riportare in etichetta le seguenti indicazioni di
cui all’articolo 9 del regolamento (UE) 1169/2011:
- la denominazione dell’alimento;
- l’elenco degli ingredienti;
- qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell’Allegato II al citato Regolamento (UE)
1169/2011 o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o
intolleranze usato nella preparazione del prodotto finito, anche se in forma alterata;
- la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
- la quantità netta dell’alimento;
- il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
- le condizioni particolari di conservazione;
- il nome o la ragione sociale e l’indirizzo dell’operatore del settore alimentare responsabile delle
informazioni sugli alimenti;
- una dichiarazione nutrizionale.

Leggibilità
La leggibilità inerente le indicazioni obbligatorie sull’origine è assicurata dai seguenti elementi:
1) font “chiari e leggibili”: I font utilizzati devono essere similari per leggibilità ai font delle
indicazioni obbligatorie di cui all’articolo 9, paragrafo 1 del Regolamento (UE) 1169/2011, sia che esse
appaiono sull’imballaggio o sull’etichetta apposta sull’imballaggio.
2) La dimensione dei font - commisurata alla parte mediana (altezza della x della parola Appendix),
definita nell’allegato IV del Regolamento (UE) 1169/2011 (vedasi allegato 1 alle presenti linee guida),
è pari o superiore a 1,2 mm. La parte mediana dei caratteri non deve essere inferiore a 1,2 mm.
3) Nel caso di imballaggi o contenitori la cui superficie maggiore misura meno di 80 cm2, l’altezza
della x di cui al precedente paragrafo è pari o superiore a 0,9 mm.
4) Le informazioni rese devono essere stampate in modo che siano indelebili.

Visibilità
Le indicazioni non devono essere in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre
indicazioni scritte o grafiche o da altri elementi suscettibili di interferire.

Requisiti linguistici
Le informazioni devono apparire in una lingua facilmente comprensibile da parte dei consumatori (art.
15 del Regolamento (UE) 1169/2011).
La lingua ufficiale: Italiano.
Nella provincia autonoma di Bolzano è facoltativo utilizzare la lingua tedesca.
Nella provincia di Aosta è facoltativo utilizzare la lingua francese.

Le diciture
1. Articolo 2 del DM 9 dicembre 2016 - Indicazione in etichetta dell’origine del latte e del latte usato
come ingrediente nei prodotti lattiero caseari
L'indicazione di origine del latte o del latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui
all'allegato 1, prevede l'utilizzo in etichetta delle seguenti diciture:
a) «Paese di mungitura»: nome del Paese nel quale è stato munto il latte;
b) «Paese di condizionamento”: nome del Paese nel quale è stato condizionato il latte,
“Paese di trasformazione»: nome del paese nel quale il latte è stato trasformato in prodotti lattiero-
caseari di cui all’allegato 1.

- Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, sia
stato munto, condizionato o trasformato sul territorio del medesimo Paese l'indicazione di origine può
essere assolta con il solo utilizzo della seguente dicitura: «origine del latte»: nome Paese.
- Qualora il latte o il latte usato come ingrediente nei prodotti lattiero-caseari di cui all'allegato 1, sia
stato munto, condizionato o trasformato sul territorio italiano l'indicazione di origine può essere assolta
con il solo utilizzo della seguente dicitura: «origine del latte»: Italia
- Oppure qualora il latte provenga esclusivamente da una regione italiana, l’indicazione d’origine può
essere integrata con il nome della regione o provincia autonoma seguito dal nome “Italia”:
«origine del latte»: nome della regione o provincia autonoma, Italia.

Le indicazioni volontarie per indicare l’origine del latte o del latte usato come ingrediente di un
prodotto lattiero caseario che è stato munto, condizionato e/o trasformato nel medesimo Paese, possono
avere un carattere differente e possono essere apposte in un campo visivo differente dalle
indicazioni obbligatorie.
Nel caso in cui le indicazioni volontarie relative a latte o ad un prodotto lattiero caseario di cui
all’allegato 1 munto, condizionato o trasformato in paesi differenti tutte le indicazioni volontarie
devono essere apposte nel medesimo campo visivo delle indicazioni obbligatorie previste dal DM 9
dicembre 2016.

ANALISI DEL LATTE → vengono effettuate:


- In entrata e in uscita
- Analisi chimico-batteriologiche
- Per verificare i requisiti igienici e qualitativi previsti dalla legge
- Per appurare se esistano alterazioni, frodi…
- Per verificare l’entità del trattamento termico

Latte di vacca
Peso specifico a 10 °C: ≥ 1,028;
Proteine : ≥ 2.8 %;
Residuo secco magro: ≥ 8.5 %;
Indice crioscopico: ≤ -0,52 °C
Coliformi: assenti
Carica batterica totale entro i limiti previsti di legge:
Pastorizzato ≤ 30 000/ml; UHT e sterilizzato ≤ 10/ 0.1 ml.

Indicatori di trattamento termico → sono dei parametri utilizzati dalla Legislazione Italiana per
valutare l’intensità del trattamento termico subito dal latte.

FOSFATASI ALCALINA → E’ una metallo proteina contenente zinco e magnesio e nel latte si trova
prevalentemente legata al grasso. Essa possiede una resistenza al calore di poco superiore a quella dei
microrganismi patogeni; infatti viene completamente inattivata a temperatura di 62 °C per 30 secondi.
E’ inattiva nel latte che ha subito almeno un processo di pastorizzazione.

LATTOPEROSSIDASI → E’ un’emoproteina ad attività antiossidante, associata alle proteine del siero.


E’ un enzima termoresistente, viene inattivata con trattamenti che prevedono temperature superiori a
quelle della pastorizzazione. Inattivata completamente alla temperatura di 80 °C per 20 secondi. La
presenza di questo enzima nel latte fosfatasi negativo è indice di pastorizzazione moderata; ciò indica
la scarsa contaminazione del latte di partenza e la migliore qualità di quello finale.

SIEROPROTEINE → Si tratta di monomeri o dimeri che precipitano facilmente con il riscaldamento


soprattutto a temperature superiori a quelle utilizzate per la pastorizzazione. La β-lattoglobulina è la più
termolabile e la sua denaturazione avviante già a temperature di poco superiori ai 70 °C.

FUROSINA → Non è presente nel latte all’origine. Si tratta di un composto che si forma dalla reazione
di Maillard che si innesca a temperature superiori agli 80 °C. Contenuto massimo di furosina nel latte
crudo e latte pastorizzato fosfatasi negativo e perossidasi positivo deve essere di 8,6 mg ogni 100g di
proteine.
Nel crudo e nel latte pastorizzato la presenza di furosina indica spesso l’aggiunta fraudolenta di latte
in polvere. La ricerca nel latte e nei prodotti lattiero caseari prevede l’utilizzo di apparecchiature per
analisi cromatografiche (HPLC in coppia ionica e fase inversa).

“E' possibile che i contenitori del latte riportino dei numeri sul fondo del pacchetto ..impiegati per
favorire o garantire la rintracciabilità del prodotto o dei contenitori utilizzati.
- nel caso del latte fresco pastorizzato il numero stampato sul fondo si riferisce al dosatore della
macchina di confezionamento (ogni macchina ha 4 dosatori, quindi è normale trovarne uno di
questi).. Per quanto riguarda il numero delle pastorizzazioni la normativa in vigore è molto chiara: si
può commercializzare solo latte fresco pastorizzato che abbia subito un unico trattamento termico, a
partire dal latte crudo.
- nel caso del latte UHT (a lunga conservazione), il numero, se è presente viene impresso dalla cartiera
della Tetra Pak (azienda che fornisce i contenitori). Anche in questo caso è utile per garantire la
rintracciabilità dei contenitori. Infatti il numero (da 1 a 5) si riferisce al taglio della bobina originaria
(ogni bobina viene tagliata in 5 strisce).”

Che fine fa il latte scaduto ? Può essere ritirato prima della scadenza e destinato al consumo immediato
(bar e alberghi) o riutilizzato nella produzione di derivati (per esempio latte in polvere), ma non certo
latte fresco né, verosimilmente, UHT.

LATTE FERMENTATO

Art 46 RD del 1929 → I latti fermentati sono preparazioni di latte speciali ottenuti per inoculo nel latte
pastorizzato o sterilizzato di ceppi microbici che provocano modifiche dei caratteri organolettici e
cambiamenti nella composizione chimica del latte di partenza, che devono rimanere vivi e vitali fino al
momento del consumo.
Latti acidi: yogurt, leben (paesi musulmani), gioddu (sardo)
Latti acido-alcolici: kefir, koumis (regioni asiatiche)

Yogurt: è un latte acido fermentato, ottenuto inoculando nel latte pastorizzato o sterilizzato una coltura
mista di due fermenti termofili, in relazione protosimbiotica: Lactobacillus bulgaricus e Streptococcus
thermophilus.
Fermentazione lattica: → trasforma il glucosio in acido lattico.
Nella produzione dello yogurt si distinguono due fasi:
- una a caldo, di trasformazione del latte in yogurt;
- una a freddo per la stabilizzazione delle caratteristiche chimico-fisiche .

Preparazione del latte: il latte intero o scremato è filtrato, standardizzato in lipidi, concentrato fino a
contenere un residuo secco minimo del 13,5 %.; poi viene omogeneizzato e trattato termicamente (95
°C per 5 min; 80-85°C per 20-30 min).
Inoculazione: in fermentatori a 45 °C, fino a raggiungere un pH compreso tra 3.5 e 4.5. Poi si blocca il
processo di fermentazione con il freddo per avere un prodotto a pH 4.5
Conservazione a 4 °C fino al consumo, validità: 30 giorni - x impedire ulteriori processi fermentativi
e abbassamento di pH.

Yogurt compatto (a coagulo intero): la fermentazione avviene dopo il confezionamento nelle “camere
di incubazione”; 3 h a caldo poi rapido raffreddamento (15-20 °C).
Yogurt cremoso (a coagulo rotto): la fermentazione avviene in serbatoi e dopo il raffreddamento viene
confezionato.
Yogurt da bere: si aggiungono aromi o frutti dopo l’incubazione; si miscela, si omogeneizza; si
raffredda e si confeziona;
Yogurt alla frutta: la frutta viene aggiunta come marmellata o a pezzi previa scottatura.

Tenore di materia grassa: minimo 3% nell’intero, massimo 1% in quello magro;


% massima di frutta, marmellata, succhi : 30%
Vietato uso di: addensanti, gelificanti, e latte in polvere

Lo yogurt presenta una: minore % di lattosio; Ca e P sono maggiormente disponibili e vengono


maggiormente assorbiti a causa dell’ambiente acido; elevato valore nutritivo; alta digeribilità;
elevato potere tampone; esercita un’azione antibiotica sui microrganismi intestinali patogeni, dovuta ai
metaboliti prodotti dai lattobacilli; stimola lo sviluppo della flora intestinale fermentativa.

BURRO

Il burro rappresenta uno dei primi prodotti lattiero-caseari fabbricati dall’uomo. E’ il grasso alimentare
più gradito per sapore e aroma delicati.
Secondo L 1526/56 e L 202/83 “il nome di burro è riservato al prodotto ottenuto dalla crema ricavata
dal latte o dal siero di latte di vacca”.
Quando si parte da latte di specie diversa, occorre precisarne l’origine (bufala, capra, pecora).
La denominazione di “BURRO DI QUALITA’” è riservata unicamente al prodotto ottenuto dalla crema
di latte, rispondente ai requisiti organolettici, analitici e igienico-sanitari previsti dalla legge.
Il burro si può considerare un concentrato della frazione lipidica del latte.
Tale concentrazione avviene in due fasi:
- Estrazione della crema dal latte
- Trasformazione della crema in burro (BURRIFICAZIONE)

La crema di latte, ossia “il prodotto ottenuto dal latte, sotto forma di un’emulsione di grassi in acqua
con un tenore minimo, in peso, di grassi lattieri del 10%” (Reg. CE 2991/94), è la materia prima da cui
si ottiene il burro. E’ un liquido di aspetto più o meno consistente, di colore giallino. Può essere
destinata al consumo diretto, alla fabbricazione del mascarpone, dei gelati, per l’arricchimento in lipidi
di formaggi e latticini.
La crema si può ottenere industrialmente seguendo dei processi differenti:
1) Centrifugazione del latte → a 6500-7000 giri/min, a 32-55 °C in apposite scrematrici, con una resa
del 35-40% per ottenere la crema di centrifuga o “dolce” (poichè il processo è rapido e non si insatur
alcun fenomeno fermentativo acidificante spontaneo);
2) Raccolta in superficie nel latte lasciato a riposo per 15-20 ore a 15°C, con una resa del 25% → in
questo modo si ottiene la crema di affioramento o “acida” (il lungo stazionamento del prodotto
favorisce lo sviluppo batterico e la produzione di acido lattico);
3) Crema rigenerata → recuperata a partire dal burro fuso rimiscelato.
4) Centrifugazione del siero di formaggi prodotti con caglio dolce o forte → Crema da siero dolce
o forte.

La crema, prima di essere utilizzata deve subire, al pari del latte, un trattamento termico e prima di
essere immessa sul mercato deve essere sottoposta ad analisi organolettiche, chimiche e
microbiologiche.

La burrificazione è l’insieme di operazioni che consentono la trasformazione della crema (emulsione


di grasso in acqua) in burro (emulsione di acqua in grasso). Nel metodo tradizionale, discontinuo,
abbiamo diverse fasi di lavorazione:
1) Pastorizzazione della crema Si effettua in continuo con il metodo rapido (HTST), grazie a
scambiatori di calore a piastre, a 90-95°C per 30 secondi; la pastorizzazione è un operazione
fondamentale per risanare il prodotto distruggendo i microrganismi patogeni, per ridurre la carica
batterica e inattivare gli enzimi. I grassi sono completamente liquefatti, favorendo così la successiva
fase di cristallizzazione;
2) Cristallizzazione Consiste in una rapida refrigerazione a 6-7°C per circa 2 ore, il raffreddamento
veloce determina una fine cristallizzazione della sostanza grassa con ripercussioni ottime sulla
plasticità del burro;
3) Addizione di colture batteriche la crema dolce è priva di aroma, di conseguenza è addizionata con
colture selezionate di batteri lattici acidificanti (Streptococcus lactis e S. cremoris) e batteri produttori
di aroma (S. diacetalactis e Betacoccus citrovorus). Questi ultimi producono il diacetile, principale
sostanza responsabile del flavour del burro.
4) Maturazione Viene fatta avvenire a 16-21 °C in tank o serbatoi di acciaio inox muniti di agitatori
meccanici e richiede circa 10 ore, fino al raggiungimento dell’acidità desiderata (pH 4,5-5,3). Tutte le
apparecchiature con cui la crema viene a contatto devono essere di acciaio inox a causa dell’effetto
catalizzante dei metalli (Cu, Fe) sull’autossidazione dei grassi.
5) Zangolatura Dai serbatoi la crema maturata viene inviata alle zangole dove viene adeguatamente
sbattuta per 40 minuti circa, a temperatura di 8-13 °C. Si ottiene così la separazione in due distinte
frazioni: il burro grezzo (solido) e il latticello (liquido). La sbattitura provoca la lacerazione della
membrana dei globuli di grasso, i trigliceridi così fuoriescono e si addensano in un unico ammasso che
avvolge anche globuli integri (coalescenza) dando luogo a grumi di burro che si separano dal latticello.
Il latticello è povero di grasso (1-1,5 %), ed è acido, con sapore gradevole. Nei Paesi anglosassoni è
venduto come bevanda salutistica. In Italia è utilizzato in zootecnia per la fabbricazione di mangimi per
animali, ma potrebbe anche essere destinato all’alimentazione umana, dato il buon apporto di
fosfolipidi che varia da 0,07 a 0,13%.
6) Lavaggio Viene eseguito mediante aggiunta di acqua potabile fresca (6-8°C) nella zangola allo
scopo di lavare i granuli di burro e asportare al massimo il latticello. L’operazione è ripetuta 2 o 3 volte
fino all’ottenimento di acqua completamente limpida.
7) Impastamento-modellatura I granuli di burro vengono impastati al fine di ottenere un’unica massa
omogenea. Tale fase avviene nelle stesse zangole.
Il burro viene quindi modellato meccanicamente in pani di 100-250-500-1000g per il consumo diretto,
o di dimensioni maggiori, per le vendite all’ingrosso.
9) Confezionamento/stoccaggio e distribuzione Il confezionamento originale è obbligatorio per
legge e viene effettuato in contenitori metallici, in vaschette di materiale plastico o in involucri di carta
o alluminio plastificati e muniti di sigilli.
RESA INTERO PROCESSO: 4Kg di burro per 100 l di latte
DATA DI SCADENZA: Normalmente 90 giorni dalla produzione

BURRIFICAZIONE CONTINUA → La produzione industriale di burro viene effettuata in impianti


continui ed altamente computerizzati che consentono rese fino a 104 Kg/h.
I processi seguiti nei Paesi UE si basano sul Metodo Fritz, improntato sull’impiego di un’unica
macchina di ridotte dimensioni che ripete tutte le fasi descritte in precedenza operando, però, in modo
continuo ed automatico. Il burro che si ottiene è indistinguibile da quello di zangola, mentre la resa è
leggermente inferiore.

Burri speciali
- Burro anidro: da creme con oltre il 99% di grassi, si conserva più a lungo e occupa meno volume del
burro. Non si può vendere al dettaglio: a tal fine viene aggiunta vaniglia e un colorante facilmente
riconoscibile. È destinato alla produzione dolciaria.
- Butter-oil: ha meno dell'1% di acqua, ha un basso punto di fusione ed è utilizzato per produrre gelati.
- Burro concentrato: detto anche burro chiarificato, ha un tenore di lipidi maggiore del 99.8% e una
acidità massima dello 0.35%. Questo tipo di burro può essere venduto anche al dettaglio. Grazie al suo
punto di fumo* molto elevato, può essere utilizzato per friggere. *Il punto di fumo è la temperatura a
cui un grasso alimentare riscaldato comincia a decomporsi (idrolizzarsi) alterando la propria struttura
molecolare e formando acroleina, una sostanza tossica e cancerogena.
COMPOSIZIONE CHIMICA E VALORE NUTRITIVO:
- Il burro si presenta, a 23°C, come una massa plastica, di consistenza solida, colore giallino, odore e
sapore gradevoli.
- Fonde tra 28 e 33°C.
COMPOSIZIONE CHIMICA BURRO DI ZANGOLA:
- ACQUA 15-18%
- GRASSO 80-84%
- SOLIDI NON GRASSI 1-2%
- PROTEINE 0,4-0,8%
- LATTOSIO 0,5-1%
- SALI 0,1-0,2%

ASPETTO LEGISLATIVO: “Dal punto di vista compositivo il burro deve contenere almeno l’82% di
materia grassa, non più del 16% di acqua e un massimo del 2% di altri costituenti, definiti
genericamente residuo secco magro e comprendenti lattosio, proteine e sali minerali”

E’ un alimento ricco di lipidi, molto energetico.


Il burro è una delle poche fonti di vitamina D, importante per il metabolismo del calcio. Contiene anche
significative quantità di vitamine liposolubili come la A. Il burro è anche ricco di vitamine E, K, e sali
minerali (calcio, fosforo, magnesio, potassio, rame, zinco e selenio).
Acidi grassi a catena corta hanno un punto di fusione inferiore alla temperatura del corpo. Si tratta di
un ottimo requisito per la digeribilità (coefficiente di digeribilità: 97%).
Colesterolo e acido palmitico: associati all’insorgenza delle malattie cardiovascolari.

COLORE: dal bianco al giallo, e dipende principalmente dall’alimentazione delle vacche. Più caroteni
queste ultime assumono con l’alimentazione, più il burro risulterà colorato.
Il burro prodotto d’inverno avrà un colore diverso da quello prodotto in estate. Può anche essere
colorato artificialmente con caroteni.

GUSTO: la maturazione biologica, che consiste nel riscaldare la panna a 10°C, al fine di permettere
l’acidificazione dovuta allo sviluppo dei fermenti lattici, avrà un’influenza particolare sul sapore;
produzione di “diacetile”, naturale suo aroma caratteristico.

CONSISTENZA : il burro contiene sempre l’82% di materia grassa e il 16% di acqua ma alcuni sono
più secchi o più grassi. Ciò viene da alcuni parametri:
- Lo stadio di lattazione, che corrisponde all’evoluzione dei bisogni del vitello.
- La stagione: d’estate, le vacche sono nutrite con foraggio verde e il latte contiene una maggiore
proporzione di acidi grassi insaturi (liquidi anche a temperature abbastanza basse ≈10°C), in questo
caso il burro ottenuto avrà un punto di fusione basso.
Il burro in inverno contiene invece più acidi grassi saturi, che rimangono cristallizzati fino ad una
temperatura di 45°C, ciò vuol dire burro più duro.

GRASSI LATTIERI: prodotti che si presentano sotto forma di emulsione solida e malleabile,
principalmente di grassi in acqua ottenuti esclusivamente dal latte e/o da taluni prodotti lattieri, di cui i
grassi sono la parte valorizzante essenziale; tuttavia, possono essere aggiunte altre sostanze alla
fabbricazione, purché le sostanze non siano utilizzate per sostituire, totalmente o parzialmente, uno
qualsiasi dei costituenti del latte.

BURRO → Grassi 80-90%; acqua max 16%; estratto secco non grasso 2%
BURRO TRE QUARTI → Grassi 60-62%; “burro leggero a ridotto tenore di grasso”
BURRO META’ → Grassi 39-41%; “burro leggero a basso tenore di grasso
GRASSO LATTIERO DA SPALMARE X % → può avere: Grassi <39%; 41%< Grassi < 60%;
62%< Grassi < 80%

FORMAGGIO

“Il nome formaggio o cacio è riservato al prodotto ottenuto dal latte intero, parzialmente scremato o
scremato, oppure dalla crema, in seguito a coagulazione acida o presamica, anche facendo uso di
fermenti e cloruro di sodio” (RD 2033/25 e RD 261/33).
Il formaggio, in altri termini, potrebbe essere definito come il risultato delle trasformazioni operate sul
latte dall’azione enzimatica del caglio e da quella fermentante dei microrganismi lattici.
La composizione chimica del formaggio è condizionata da quella del latte di partenza (in particolare
riguardo al contenuto di grassi e proteine), ma dipende persino da altri fattori:
- Qualità della flora microbica
- Procedimenti di lavorazione
- Grado di stagionatura

La fabbricazione del formaggio prevede le seguenti fasi:


1) Preparazione del latte La pastorizzazione è un pre-trattamento che consente di creare le condizioni
ottimali per la produzione del formaggio. La pastorizzazione è necessaria per i formaggi freschi e
eseguita per uccidere i batteri che compromettono la qualità dei formaggi, ad esempio i batteri
coliformi che, oltre a causare il cosiddetto gonfiore precoce, conferiscono un sapore sgradevole al
formaggio. E’ effettuata a 60-65°C per 30-40 minuti (pastorizzazione bassa) in caldaie o, nei
caseifici di grosse dimensioni, a 70°C per 10-15 secondi su piastre (pastorizzazione rapida). La
pastorizzazione riduce drasticamente la flora microbica naturale per cui è necessario
introdurre/inoculare colture microbiche scelte (colture starter o innesti) che agiscano in sostituzione
della flora originale. Le colture sono reperibili in forma liofilizzata, liquida o congelata. Le colture
starter principali sono:
- colture mesofile, con un optimum di temperatura compreso tra i 20 ed i 40 °C, (come
- colture termofile, che si sviluppano a circa 45 °C.
Le colture starter più impiegate sono quelle di:
- Streptococcus lactis, cremoris, termophylus
- Lactobacillus bulgaricus, casei, helveticus
- Batteri propionici
- Spore di muffa di Penicillium roqueforti, glaucum (utilizzati nei formaggi erborinati come il
Gorgonzola o il Roquefort).
Le colture starter devono possedere le seguenti caratteristiche fondamentali:
• Abilità a produrre acido lattico;
• Abilità a scindere le proteine;
• Eventualmente, abilità a produrre anidride carbonica essenziale per creare le tipiche cavità nei
formaggi granulari ed in quelli con “occhi circolari‘(Emmenthal), come i batteri propionici.
Durante la preparazione è consentita l’aggiunta di coloranti quali lo zafferano o l’annatto.
2) Coagulazione E’ una delle fasi più delicate dell’intero processo. Consiste nella precipitazione delle
caseine (micelle), seguita da separazione del siero e formazione della cagliata, la base per produrre
qualunque tipo di formaggio.
Nel latte tale fenomeno è impedito da:
- Carica dello stesso segno delle micelle, che è negativa al pH del latte e le micelle si respingono;
- Presenza di k-caseina, glicosilata e quindi idrofilica,con azione colloidal-protettrice.
La coagulazione avviene, quindi, quando uno od entrambi tali fattori è rimosso. Si parla di
COAGULAZIONE PRESAMICA quando la k-caseina è modificata enzimicamente; mentre si parla
di COAGULAZIONE ACIDA quando si acidifica il latte e avviene la neutralizzazione delle
cariche. Nei processi comuni di caseificazione si effettua la coagulazione presamica.
COAGULAZIONE PRESAMICA TRADIZIONALE Avviene per aggiunta di caglio al latte portato
a temperature di 30-37°C, rispettivamente per formaggi a pasta molle e per quelli a pasta dura.
Il CAGLIO TRADIZIONALE, o presame, è una polvere ottenuta dall’abomaso seccato e macinato
del vitello o capretto lattante. Contiene enzimi proteolitici naturali in grado di modificare la struttura
della k-caseina. I principi attivi sono l’enzima chimosina o rennina e la pepsina. Attualmente il caglio
(chimosina o rennina e pepsina) è di origine microbica (caglio microbico).
L'enzima fondamentale del caglio è la chimosina o rennina che scinde un particolare legame peptidico,
quello tra Phe e Met (amminoacidi 105 e 106), che si trova nella k-caseina e che trattiene un frammento
glucidico idrofilo (frammento carbossiterminale). Una volta allontanato questo frammento, viene a
mancare alla caseina il fattore di stabilizzazione nella soluzione acquosa e le micelle tendono a saldarsi
formando il coagulo. Quindi dalla k-caseina si stacca il peptide colloidal-protettore: le micelle si
addensano e precipitano.
La cagliata è una massa gelatinosa di paracaseinato bicalcico che forma un reticolo tridimensionale,
nelle cui maglie sono intrappolati i globuli di grasso e il siero,e che tende a contrarsi trattenendo i primi
ed espellendo il secondo.
Circa 50 anni fa sono state avviate delle ricerche per individuare alcuni succedanei al caglio animale.
Queste ricerche sono state condotte per prima in India ed in Israele per i consumatori vegetariani
contrari a mangiare formaggio ottenuto con caglio animale. Nel mondo islamico, essendo l'uso del
caglio di suino fuori questione per i noti motivi religiosi, risultava importante trovare dei succedanei
adeguati. L'interesse per i succedanei è cresciuto notevolmente negli ultimi anni per la carenza di caglio
animale di buona qualità. Vi sono due principali tipi di succedanei:
• succedanei di origine vegetale;
• succedanei di origine microbica.
Vari studi hanno dimostrato che la capacità di coagulazione dei succedanei di origine vegetale è
generalmente abbastanza buona. Lo svantaggio è che durante la conservazione il formaggio, molto
spesso, sviluppa un sapore amaro.
Attualmente, il cosiddetto caglio microbico è largamente impiegato ed è costituito da proteasi ottenute
industrialmente facendo crescere muffe del genere Mucor che le producono.Con l’entrata in vigore del
DM 446/91 è consentito anche in Italia l’uso di preparazioni di chimosina microbica da DNA-
ricombinante in sostituzione totale o parziale del caglio o di altri enzimi coagulanti per la produzione
di formaggi diversi da quelli a denominazione di origine protetta e tipici.
COAGULAZIONE ACIDA Può avvenire per aggiunta di sostanze acide oppure ad opera di fermenti
lattici che trasformano il lattosio in acido lattico, portando il latte a pH 4,6. In ambiente acido il latte
coagula, questo è dovuto al fatto che la caseina ha il suo punto isoelettrico a pH 4,6. In queste
condizioni, la proteina precipita sotto forma di caseina demineralizzata e in soluzione rimangono sali di
calcio solubili. La caseina precipitata o cagliata è una massa gelatinosa in cui rimangono
intrappolati i globuli di grasso e il siero. La cagliata tende a contrarsi trattenendo i primi e espellendo
il secondo.
3) Rottura della cagliata Consiste nello sminuzzare la cagliata in grani di dimensioni variabili dai 3 ai
15 mm a seconda del tipo di formaggio.
Per i formaggi molli la cagliata è sminuzzata in grani delle dimensioni di un'arancia o di una noce,
per i formaggi a pasta semidura i grani dovranno avere le dimensioni di un fagiolo, infine per i
formaggi duri la dimensione dei grani sarà pari a quelli di un chicco di riso. In altre parole, più fine è
lo sminuzzamento, maggiore sarà lo spurgo e più asciutto e duro sarà il formaggio. Dopo lo
spurgo la cagliata può essere trattata in vari modi.
(NB. Dal siero per trattamento termico a 80 °C (temperatura di coagulazione delle sieroproteine) si
ottiene la ricotta che è essenzialmente un precipitato di lattoalbumina contenente poche gocce di
grasso, lattosio e sali minerali. Non è considerato un formaggio, ma latticino.)
Dalla cagliata si ottengono i vari tipi di formaggi:
- Formaggi freschi, ottenuti rompendo la cagliata in frammenti grossi, che vengono spremuti e
impastati; contenuto d’acqua elevato: consumati subito o conservati in frigorifero (stracchino,
mozzarella, mascarpone ...);
- Formaggi semiduri, ottenuti rompendo la cagliata in frammenti abbastanza piccoli, che vengono
compressi e lasciati stagionare (provolone, caciocavallo...);
- Formaggi duri, ottenuti rompendo la cagliata in frammenti molto piccoli, che vengono cotti a 50-
60 °C e rimescolati in continuazione; l'impasto che si ottiene viene compresso, salato e lasciato
stagionare per un periodo variabile da qualche mese (pecorino, emmenthal) a qualche anno (grana
padano, parmigiano reggiano...).
4) Cottura Fatta eccezione per i formaggi crudi, la cagliata viene scaldata a temperature che vanno da
38 a 60°C (formaggi semicotti e cotti) per tempi variabili da 15 a 90 minuti. Il trattamento termico
completa la contrazione e lo spurgo del siero.
5) Estrazione della cagliata e messa in forma La cagliata viene estratta dal siero e messa in stampi
nei quali prosegue lo spurgo che può essere facilitato dalla pressatura. Quest’ultima conferisce al
formaggio compattezza e forma propria. Per quanto riguarda i FORMAGGI FRESCHI A PASTA
MOLLE le forme vengono messe a “stufare” in locali caldo-umidi per tempi che variano da alcune
ore a un intero giorno: ciò consente il proseguimento dello spurgo e della fermentazione lattica.
Per quanto riguarda i FORMAGGI A PASTA DURA E LUNGA STAGIONATURA le forme vengono
lasciate riposare per un po’ di tempo per completare lo spurgo e aumentare l’acidità. Con questa fase,
infatti, inizia la maturazione del formaggio, si accumula acido lattico e le proprietà chimico-fisiche
della cagliata cominciano ad evolvere.
6) Salagione Può essere eseguita a secco, sfregando il sale direttamente sulla superficie delle forme,
oppure immergendo queste in salamoie. Il sale, oltre che esaltatore di sapidità, è un antisettico e
contribuisce alla conservazione del formaggio selezionando la microflora e inibendo microrganismi
dannosi. In generale, il sale è aggiunto alla cagliata quando questa possiede un pH di 5.3-5.6. la
cagliata viene lasciata a contatto con il sale per circa 5-6 ore.
7) Maturazione E’ il periodo che segue la salagione e perdura fino a quando il formaggio non ha
acquisito le caratteristiche tipiche della sua varietà. Può durare da qualche giorno a oltre un anno.
Avviene in “celle di stagionatura” a temperature e umidità controllate. Durante questo periodo si
verificano profonde trasformazioni per opera di: enzimi microbici, enzimi del latte e attività
residua della rennina. Le attività enzimatiche sono regolate da temperatura, umidità, tasso di acqua,
di NaCl, pH del formaggio.

Principali fenomeni durante la maturazione:


- RIDUZIONE CONTENUTO IDRICO, le perdite di acqua vanno dal 25 al 60% della quantità
iniziale. Strettamente collegata alla disidratazione è la formazione della crosta con funzione
contenitiva, protettiva e barriera contro eccessiva evaporazione. Sulla crosta di alcuni formaggi si può
sviluppare una microflora naturale (Taleggio).
- TRASFORMAZIONI A CARICO DEI GLUCIDI: il lattosio viene fermentato da batteri lattici con
produzione di acido lattico (fermentazione omolattica) oppure acido lattico, alcool etilico e CO2
(fermentazione eterolattica). L’acido lattico conferisce elasticità, compattezza, facilita lo spurgo,
inibisce la flora batterica putrefattiva e, in formaggi come l’Emmenthal, costituisce il substrato per i
propionobatteri che lo metabolizzano a acido propionico, acido acetico e CO2, responsabile della tipica
occhiatura.
- TRASFORMAZIONE A CARICO DELLE PROTEINE: la degradazione della caseina costituisce
il fenomeno più importante della maturazione: essa è all’origine dell’ammorbidimento della pasta, di
cambiamento di colore e aspetto; determina inoltre lo sviluppo di sapore e aroma.
L’acido lattico, via via che viene prodotto, reagisce con il paracaseinato bicalcico e si forma dapprima
paracaseinato monocalcico, solubile in acqua calda, che fonde e può essere tirato a fili (questo
fenomeno è sfruttato per preparare la Mozzarella e il Fior di latte). In seguito tutto il calcio viene
sequestrato dall’acido lattico e si formano lattato di calcio e paracaseina. La paracaseina viene poi
attaccata dalle proteasi dei batteri lattici. Ciò posta alla liberazione di piccoli peptidi e aa liberi,
indispensabili per conferire al formaggio aroma e sapore. La proteolisi più spinta si verifica nei
formaggi molli a pasta cruda, come la Crescenza.
L’entità della proteolisi può essere espressa dal COEFFICIENTE DI MATURAZIONE, dato dal
rapporto tra l’azoto solubile (dato dall’azoto amminico più l’azoto ammoniacale) e l’azoto totale, per
cento. In base al CM i formaggi possono essere suddivisi in 4 categorie:
- a CM elevatissimo: 50-80%, formaggi molli con muffe;
- a CM elevato: 30-50%, formaggi molli;
- a CM basso: 15-30%, formaggi a pasta dura cotta o non cotta;
- a CM molto basso: <15%, formaggi crudi.
- TRASFORMAZIONI A CARICO DEI LIPIDI: I lipidi vengono attaccati da lipasi microbiche. I
batteri lattici sono, però, scarsamente lipolitici e liberano solo acidi grassi a media-corta catena
fondamentali nel determinare gusto e aroma.
- PRODUZIONE ANTIBIOTICI: i batteri lattici sono in grado di produrre antibiotici. Tra queste
sostanze, la più nota è la nisina, prodotta da alcuni ceppi di S. lactis, attiva contro i Gram-positivi.

DATA DI SCADENZA → La data di scadenza indica per quanto tempo il prodotto finito (giunto a
maturazione) può essere conservato. In realtà non è sistematicamente definibile, se non per i formaggi
freschi, una vera data di consumo del formaggio, poiché per perdita di umidità il formaggio diventa
sempre più duro, maturo e resistente alla degradazione accentuando le caratteristiche organolettiche
(formaggi a lunga stagionatura).

PROTEZIONE DELLA DENOMINAZIONE Reg. CE N. 509/2006 e 510 /2006 (regolamenti


relativi sia alla proteizione della denominazione di origine sia alle indicazioni geografiche sia
all’attestazione di specificità dei prodotti agricoli e alimentari)
DOP - denominazione di origine protetta - riguarda gli alimenti di origine e caratteristiche legati ad
un’area geografica definita; la materia prima, la produzione e il confezionamento sono vincolati
a quell’area (Asiago, Parmigiano-Reggiano, Grana Padano);
IGP - indicazione geografica protetta – riguarda gli alimenti di cui una caratteristica o una qualità
dipende dall’origine geografica; la trasformazione e/o la stagionatura devono avvenire in
un’area geografica determinata;
STG - specialità tradizionale garantita – non ha nessun legame con il territorio, ma vuole valorizzare
una composizione tradizionale del prodotto o un metodo di produzione tradizionale (mozzarella
e pizza napoletana).

Classificazione dei formaggi si verifica seguendo vari criteri:


- a seconda del latte impiegato (vacca, pecora, capra, bufala, misto)
- in base alla consistenza della pasta (molli, semiduri, duri)
- in base alla temperatura di cottura (crudi temp. < 38 °C, semicotti 38-48 °C, cotti > 48 °C)
- a seconda del periodo di maturazione (freschi, breve, media e lunga stagionatura)
- in base al contenuto di materia grassa (magri, grassi);
- a seconda della modalità di coagulazione (acida, presamica).

A seconda della consistenza della pasta:


- FORMAGGI A PASTA MOLLE hanno un contenuto di acqua compreso tra 45-70% (Robiola)
- FORMAGGI A PASTA SEMIDURA hanno un contenuto di acqua compreso tra il 35-45% (Fontina)
- FORMAGGI A PASTA DURA hanno un contenuto di acqua compreso tra il 30-38% (Grana Padano)

A seconda del periodo di maturazione:


- FORMAGGI FRESCHI non subiscono stagionatura e sono consumati entro pochi giorni dalla
produzione (Caprino);
- FORMAGGI STAGIONATI A MATURAZIONE BREVE la stagionatura non supera 20-40 giorni
(Crescenza, Taleggio);
- FORMAGGI STAGIONATI A MATURAZIONE MEDIA la stagionatura non supera i 6 mesi
(formaggi pressati);
- FORMAGGI STAGIONATI A MATURAZIONE LENTA la stagionatura dura da 6 mesi in poi.

A seconda della temperatura di cottura:


- FORMAGGI A PASTA CRUDA in cui la cagliata non subisce alcun riscaldamento
- FORMAGGI A PASTA SEMICRUDA il riscaldamento della cagliata non supera i 48 °C
- FORMAGGI A PASTA COTTA il riscaldamento della cagliata supera i 48 °C
- FORMAGGI A PASTA FILATA la cagliata viene sottoposta ad una filatura in acqua calda a 80 °C
(mozzarelle, fior di latte, scamorze)

VALORE NUTRITIVO DEI FORMAGGI:


Rappresentano gli alimenti più ricchi in proteine animali, Ca, P, vitamine A e gruppo B. Hanno un
elevato potere energetico (dalle 250 alle 400 Kcal per 100 g) a causa dell’elevato contenuto in lipidi.
Sono Poveri di Vitamina C e di Fe.

LEGISLAZIONE → In Italia il settore dei formaggi è disciplinato, in modo specifico, da tre leggi:
RDL 2033/25, che definisce il prodotto “formaggio” e detta le norme relative alla repressione delle
frodi;
L 142/92, che adegua la normativa italiana a quella Europea per cui non è più prescritto un contenuto
minimo di materia grassa . E’ consentita, quindi, la vendita di formaggi “magri” (lipidi ≤ 20% sulla
sostanza secca) e formaggi “leggeri” (lipidi 20-35% sulla sostanza secca) purchè indicato in etichetta;

L 125/54, che detta i principi per la tutela delle denominazioni di origine e tipiche dei formaggi.
La Direttiva 92/46/CEE prevede la presenza del «bollo sanitario» sulle etichette o sulle confezioni dei
formaggi.

UOVA

Le uova sono, da sempre, impiegate nell’alimentazione umana, in particolare quelle di gallina che
rappresentano la quasi totalità delle uova in commercio.
Solo in Italia ne vengono consumate in media 12 Kg pro capite l’anno (circa 200 a testa).
Sono costituite essenzialmente da tre strutture: a partire dall’interno è possibile distinguere il tuorlo, la
chiara o albume e il guscio.
- Il TUORLO è una cellula uovo gigante il cui citoplasma è stipato di sostanze nutritive e di riserva.
Costituisce la fonte nutritizia dell’embrione. Il colore del TUORLO dipende soprattutto dalla nutrizione
dell’animale (in particolare, dalla percentuale di caroteni) e solo in parte da fattori genetici.
Dal punto di vista chimico-fisico, si presenta come una dispersione di globuli lipoproteici in una
massa acquosa o plasma. I globuli sono costituiti da lipoproteine a bassa ed alta densità e da una
fosfoproteina che lega il ferro (fosvitina).
La frazione lipidica è composta da TAG (65%), lecitine, fosfolipidi, galattolipidi e colesterolo (5%:
200-250 mg per tuorlo). Gli AG sono per il 65% insaturi, soprattutto oleico e linoleico, per il 35%
saturi, principalmente palmitico e stearico. Il tuorlo, oltre a Fe e P legati alle proteine, contiene modeste
quantità di calcio. Notevole il contenuto in vitamine liposolubili e del gruppo B.
- L’ALBUME è una soluzione acquosa di diverse sostanze:
- PROTEINE, particolarmente ricche di AA solforati. Tali proteine costituiscono un complesso di
sostanze preposte alla difesa dell’embrione e alla naturale conservazione dell’uovo;
- SALI MINERALI, in particolare Na, K, Mg;
- VITAMINE del gruppo B: B1, B2, PP, acido pantotenico, biotina e B12;
- GLUCOSIO LIBERO

Le uova presentano numerosi pregi nutritivi: proteine ad alto valore biologico, grassi prevalentemente
insaturi, minerali e vitamine. Mancano glucidi e vitamina C.
Rappresentano una delle fonti alimentari più importanti di lecitina, sostanza ad azione
ipocolesterolemizzante. La lecitina favorisce la sintesi delle HDL e attiva l’enzima LCAT
attraverso il cui intervento il colesterolo in eccesso è asportato dai tessuti periferici e condotto al
fegato. La lecitina, inoltre, fornisce la colina, a sua volta precursore dell’acetilcolina, neuromediatore
implicato anche nei processi di memoria.
PRINCIPALI ACCUSE NUTRIZIONALI: la scarsa digeribilità, predisposizione all’aterosclerosi ed
alle conseguenti malattie cardio-circolatorie in virtù dell’elevato contenuto in colesterolo.
Nell’individuo sano le modeste quantità di colesterolo presenti non costituiscono un problema; il
colesterolo deriva per lo più dalla sintesi endogena e solo in piccola parte dagli alimenti; la completa
assenza di basi puriniche rende le uova adatte all’alimentazione dell’iperuricemico.
Sono consigliate nelle diete ipocaloriche, gastriti ed ulcera gastroduodenale in quanto la loro ingestione
è accompagnata da una scarsa produzione di HCl, devono essere evitate nella calcolosi biliare in quanto
provocano contrazione della cistifellea e spasmi.

CONSERVAZIONE DELLE UOVA → Le uova, al momento della deposizione, sono generalmente


sterili e tali si mantengono a T° ambiente per 10-15 giorni in inverno e 4-5 in estate.
I microrganismi penetrano più o meno rapidamente attraverso il guscio causando putrefazione e
ammuffimento dell’uovo.
Nelle uova possono annidarsi anche microrganismi patogeni per l’uomo: la tossinfezione più comune
trasmessa dalle uova è la salmonellosi.
Tale problema è stato affrontato elevando gli standard igienici ed i controlli negli allevamenti.
Le uova attualmente in commercio non costituiscono un pericolo per la salute, se consumate fresche o
conservate in frigorifero non troppo a lungo. Il rischio si riduce con la cottura.

COMMERCIALIZZAZIONE DELLE UOVA → Per la loro commercializzazione sono classificate


in:
- CATEGORIA A o uova fresche per il consumatore;
- CATEGORIA B o uova per l’industria di trasformazione.

Le uova di CATEGORIA A a loro volta, in relazione al momento dell’imballaggio, si suddividono in :


- uova la cui DATA DI DEPOSIZIONE coincide con l’imballaggio;
- uova EXTRA (l’imballaggio è avvenuto entro 3 giorni dalla deposizione), commerciabili fino al 9°
giorno dalla deposizione;
- uova FRESCHE (l’imballaggio è avvenuto entro 10 giorni dalla deposizione)

In base al PESO, le uova di CATEGORIA A possono essere:


- S o piccole (< 53g)
- M o medie
- L o grandi
- XL o grandissime (> 73g)

E’ obbligatorio che ogni uovo abbia una timbratura recante tutte le informazioni utili per conoscere il
suo percorso dal pollaio alla tavola. Sul guscio sono stampati:
- tipo di allevamento → 0 = biologico; 1 = allevamento all’aperto; 2 = allevamento a terra; 3 =
allevamento in gabbie;
- stato di produzione
- codice ISTAT del comune di produzione
- provincia di produzione
- codice dell’azienda di allevamento
- la data di scadenza o in alternativa la data di deposizione delle uova.

La scadenza delle uova coincide con il 28° giorno dalla deposizione. Devono comunque essere ritirate
dal commercio una settimana prima di tale data. DLgs 267/2003

La conservazione industriale delle uova intere può essere fatta tramite refrigerazione (fino a 6 mesi a
-1°C); o mediante atmosfera inerte a 0°. Le uova da refrigerare devono essere fresche e sane.
Le uova destinate alla trasformazione in ovoprodotti devono essere pastorizzate (65°C, 3-4 minuti) al
fine di renderle indenni da contaminazione microbica.

PRODOTTI D’UOVO → Si tratta di prodotti ottenuti dalle uova, dai loro diversi componenti o da
loro miscele dopo la rimozione del guscio, con o senza l’aggiunta parziale di altre sostanze alimentari
o di additivi autorizzati, pastorizzati o sottoposti a un trattamento termico corrispondente, che si
presentano come prodotti liquidi, concentrati, disidratati, cristallizzati, congelati, surgelati o
coagulati.
Molto utilizzati dalle industrie dolciarie e dai pastifici.
La pastorizzazione si effettua senza inconvenienti sull’uovo intero e sul tuorlo (65°C per 3-4 min), in
quanto la coagulazione avviene a 70°C;
Sull’albume, invece, già a 58°C per 2 min si verificano modifiche sostanziali (aumento della viscosità,
denaturazione..).
La pastorizzazione dell’albume pone sempre problemi, spesso si aggiungono quindi sostanze chimiche
che modificano il pH e rendono le proteine più resistenti al calore.
L’uovo liquido intero, il giallo e l’albume, si conservano anche tramite addizione di NaCl e saccarosio,
con o senza concentrazione;
Si possono usare, nella pasticceria industriale, chiare concentrate zuccherate con il 40% di saccarosio,
l’1% di Nacl e il 40% di acqua; si mantengono a lungo anche a T° ambiente.
Maionese: tuorlo conservato con il 10% di NaCl ed il 10% di saccarosio con aw di 0,85.
CARNE

Con il termine “carne” si intendono i muscoli striati e i tessuti strettamente connessi di:
- Animali da macello (bovini, suini, ovini, caprini, equini);
- Animali da cortile (pollame, tacchini, conigli);
- Selvaggina

La COMPOSIZIONE CHIMICA varia molto a seconda della specie, in rapporto all’età, allo stato
nutrizionale e all’alimentazione dell’animale.
- ACQUA, oscilla tra il 50 e il 70%. Si ritrova per il 4% sotto forma di acqua legata con legami di
natura elettrostatica ai gruppi polari delle proteine; il resto sottoforma di acqua di imbibizione, libera,
trattenuta meccanicamente dalle strutture proteiche.
Il rapporto acqua/proteine è di 3,5/4, costante biologica indipendente da specie, razza, alimentazione.
- PROTEINE, contenute per il 15-23%, hanno alto valore biologico, inferiore solo a quello delle
proteine dell’uovo e del siero del latte. A seconda della localizzazione avremo proteine miofibrillari
(miosina, actina, troponine e tropomiosina), sarcoplasmatiche (enzimi, mioglobina e citocromi; gruppo
eme) e dello stroma (collagene ed elastina).
- COMPOSTI AZOTATI NON PROTEICI, aa liberi, dipeptidi, oligopeptidi, ammine, nucleosidi,
nucleotidi, basi pirimidiniche e puriniche, creatina e creatinina, urea e ammoniaca.
- LIPIDI, la carne apparentemente magra può contenere l’8-9% di lipidi, suddivisi in grasso muscolare
e grasso di deposito. Il grasso di deposito (adiposo) è costituito per il 99% da TAG, quello muscolare
contiene maggiori quantità di fosfolipidi, glicolipidi e colesterolo. (carni magre = 60-85 mg/100 g di
colesterolo).
- GLUCIDI, i muscoli contengono piccole quantità di glucosio, fruttosio, ribosio, ribulosio,
amminozuccheri e zuccheri fosfati, inositolo e, in quantità notevoli, il glicogeno.
- VITAMINE E SALI MINERALI, abbondanti nelle frattaglie, soprattutto in fegato e rene.

MODIFICAZIONE DELLE CARNI DOPO LA MACELLAZIONE:


- Dopo l’abbattimento dell’animale, i muscoli vanno incontro a una serie di modificazioni biochimiche
e biofisiche, la prima delle quali è l’irrigidimento cadaverico o rigor mortis. Tale condizione è la
conseguenza dell’esaurimento delle riserve energetiche del muscolo, in particolare dell’ATP. Finchè
permane la rigidità cadaverica, la carne non è adatta per l’alimentazione.
Il rigor mortis si risolve, in un periodo di tempo più o meno lungo a seconda della temperatura
dell’ambiente, attraverso la cosiddetta maturazione o frollatura (le mezzene sono poste in celle
frigorifere a T 0-1°C per 24 ore; poi le mezzene sono suddivise in quarti e mantenute a T 0-4°C per 10-
14 giorni).
Il processo di maturazione continua fino all’ottenimento di caratteri organolettici ideali e alla fine del
processo le carni sono pronte per il consumo.

CLASSIFICAZIONE DELLE CARNI → In base alla specie animale da cui provengono, si


suddividono in :
- Carni bovine (vitello, vitellone, bovino adulto);
- Carni bufaline (bufalo, annutolo);
- Carni equine (equino);
- Carni ovine (agnello, castrato, montone, pecora) ;
- Carni caprine (capra, capretto, becco);
- Carni suine(suino, scrofa, verro);
- Carni avicunicole
- Selvaggina

Le carni di animali da macello fresche (che abbiano subito solo trattamenti refrigeranti) o congelate,
destinate al consumo umano, devono provenire da animali che siano stati sottoposti a visita ante
mortem e ispezione post mortem a cura del veterinario ufficiale dell’ASL. Questo controllo è
evidenziato dal bollo sanitario (previsto dal DL 286/94 e successivi decreti ministeriali). E’ previsto
poi un altro bollo speciale (dal L 171/64) che porti, per esteso, per le singole specie, l’indicazione della
categoria degli animali da cui le carni provengono. Es. per i bovini: vitello, bovino adulto.

- Dopo la macellazione, le carni devono subire un’ispezione veterinaria post mortem e la bollatura
sanitaria con uno specifico timbro dell’ASL.
- Anche le carni di provenienza comunitaria o importate da Paesi terzi devono avere un bollo che
consenta di risalire al Paese di origine e al macello.
- Bolli CEE sono previsti per le carni e i prodotti carnei confezionati
Le carni fresche devono poi essere refrigerate e mantenute costantemente a una temperatura ≤ 7°C e a
≤ 3°C per le frattaglie. Le carni congelate devono essere immagazzinate a T non superiori a -15°C.

CENNI LEGISLATIVI ED ETICHETTATURA DELLE CARNI


- La disciplina sanitaria relativa alla macellazione degli animali da carne, al trasporto, conservazione,
commercializzazione della carne, nonché alla produzione di insaccati è contemplata nel DL 286/94 e
dal DM 23/11/95.
- E’ stato vietato , a livello comunitario, l’utilizzo di alcune sostanze ad azione ormonale (androgeni,
estrogeni, stilbenici) e tireostatica, dotate di azione anabolizzante, tranne nel caso di somministrazione
terapeutica, previa denuncia al servizio veterinario delle ASL.
- La normativa regolamenta anche l’uso di medicinali veterinari e fissa i limiti massimi di residui
consentiti.
- Sono vietate farine proteiche di origine animale nell’alimentazione di animali da allevamento.
- E’ previsto inoltre un sistema di identificazione e registrazione dei bovini a cui si possa risalire
attraverso le etichette dei prodotti carnei.

L’etichettatura della carne bovina comprende: un’etichettatura OBBLIGATORIA e una


FACOLTATIVA.

INFORMAZIONI OBBLIGATORIE (CARNI BOVINE):


- Numero o codice identificativo dell’animale,
- Stato di nascita,
- Stato di allevamento,
- Stato di macellazione e numero di approvazione del macello e bollo CEE del macello
- Stato di sezionamento e il numero di approvazione del laboratorio e bollo CEE del laboratorio.

Oltre a queste sono ovviamente informazioni obbligatorie:


- bollo sanitario
- ragione sociale e sede dello stabilimento
- peso netto
- denominazione di vendita: specie, categoria e taglio
- data di scadenza
- lotto di produzione
- modalità di conservazione

Chiunque intenda etichettare le carni bovine con indicazioni aggiuntive rispetto a quelle obbligatorie
deve essere autorizzato dal MIPAAF (Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali).

CARNI ALTERNATIVE → Sotto questa denominazione vengono correntemente indicate le carni


degli animali da cortile: pollame, tacchino, coniglio.

POLLAME → Il pollo industriale può venir allevato secondo tre metodi:


- “in batteria”, cioè in gabbie in cui la possibilità di movimento dell’animale è molto ridotta;
- “a terra”, ovvero in grandi recinti in cui l’animale è libero di muoversi;
- Con il sistema misto: il 1° mese in batteria e poi a terra.
L’ultimo metodo è quello, oggi, più seguito, accomuna i vantaggi economici dell’allevamento in
batteria con la migliore qualità delle carni del pollo a terra. Gli animali così allevati vengono uccisi
dopo circa 75 giorni dalla nascita (1200-1300 g)

TACCHINO → Animale di origine messicana, importato in Europa nel ‘500; Ha una carne di
composizione simile a quella di pollo (proteine ad alto valore biologico, ottima digeribilità poiché le
fibre muscolari sono più corte e sottili rispetto a quelle di mammifero, con minore percentuale di
tessuto connettivo). Viene macellato quando raggiunge il peso di 3-5 Kg a 5-7 mesi di età, se femmina,
6-8 se maschio.

CONIGLIO → Il coniglio “industriale” viene allevato in gabbie o recinti e macellato all’età di 11-13
settimane, al peso di circa 2 Kg. Ha una carne tenera, facilmente digeribile, con elevato contenuto
proteico, bassa percentuale di lipidi, modeste quantità di colesterolo.

STRUZZO → La carne di struzzo, ricavata esclusivamente dalla coscia, per le rilevanti qualità
nutrizionali rappresenta una valida alternativa a quelle tradizionali.
Possiede un ridotto tenore lipidico, e quindi calorico, in colesterolo e in sodio. Rimane invece
INalterato l’apporto proteico e in Sali minerali, tra i quali Mg, P, K, Fe.
Prodotto molto digeribile.

La conservazione della carne può avvenire tramite diversi metodi:

REFRIGERAZIONE → E’ largamente diffusa per la frollatura e la conservazione (stoccaggio,


trasporto e vendita) delle carni fresche;
A 0-2 °C le carni di animali da mattanza si conservano per 35-50 giorni, mentre il pollame una
settimana circa;
Con la refrigerazione si verifica una perdita di peso dovuta all’evaporazione, entro certi limiti, però, la
carne migliora le sue qualità, in quanto si completa la frollatura, diventa più tenera e facilmente
digeribile;
Le carni fresche refrigerate possono anche essere vendute confezionate in atmosfera modificata o
sottovuoto.
CONGELAMENTO → Viene effettuato con metodi rapidi e ultrarapidi portando le carni,
rispettivamente, a -25/-30°C oppure a -50°C e oltre.
Tale processo avviene in tunnel o celle raffreddate ad aria o mediante l’immersione in liquidi
incongelabili, per un tempo variabile dalle 6 alle 30 ore;
La legge italiana detta alcune regole in merito alla commercializzazione di carne congelata:
- Max temperatura di conservazione -15°C
- Indicazioni precise ed obbligatorie da apporre sulle confezioni, nonché visibilità del tipo di carne,
stato (fresca o congelata) e categoria di animale.
Le carni congelate possono essere commercializzate come tali o previo rialzo termico a cui dovrà far
seguito l’asciugatura con aria forzata fredda e conservazione a temperatura pari o inferiore ai 4°C.
Le carni scongelate non possono venire ricongelate.

SURGELAZIONE → Consiste in un metodo rapido di congelamento, realizzato su prodotti destinati


soprattutto al consumo diretto i quali devono presentare: la confezione originale e una temperatura
massima di conservazione di -18°C.

LIOFILIZZAZIONE → Si può applicare solo su carne tagliata a fette sottili o granulata;


E’ una carne poco diffusa in commercio a causa di costi di produzione non competitivi rispetto a
surgelati o inscatolati.

STERILIZZAZIONE → La produzione di carne in scatola ha, in Italia, una storia più che centenaria
(1881 Pietro Sada - 1926 Simmenthal). La carne in scatola si produce a partire da quarti di bovino
freschi o congelati, precotti, liberati dall’eccedenza di grasso e dai tendini, tagliati ed inscatolati con
gelatina del brodo di cottura. Le scatole, ermeticamente chiuse, passano in autoclave poi, dopo il
raffreddamento, al reparto etichettatura.
E’ consentita l’aggiunta di alcuni additivi, tra cui nitrati e nitriti (per mantenere il colore rosso),
antiossidanti, addensanti, gelificanti ed il glutammato monosodico come esaltatore di aroma.

ESSICCAMENTO-SALAGIONE-AFFUMICATURA → Tecniche applicate contemporaneamente e


con l’aggiunta di additivi nella preparazione dei salumi crudi, mentre per quelli cotti l’uso di additivi, il
sale e, talora, l’affumicamento sono abbinati alla cottura.

TRASFORMAZIONE DELLE CARNI: I SALUMI

I salumi possono essere definiti come “preparazioni a base di carne, di grasso, di frattaglie, di
sangue, in pezzi singoli o sotto forma di miscuglio più o meno finemente triturato al quale sono stati
incorporati sale, spezie, additivi, altri ingredienti e, spesso, microrganismi selezionati, allo scopo di
ottenere una conservazione più o meno lunga, una particolare aromatizzazione, una colorazione simile
a quella della carne fresca, ma resistente alla cottura e all’essiccamento.”

La carne impiegata è in prevalenza quella di suino e, in misura minore,di bovino ed equino, nonché di
pollo e tacchino. Il grasso proviene esclusivamente dal maiale, poiché di sapore più gradevole e
consistenza morbida.
I salumi, al pari dei formaggi, possono essere considerati dei veri e propri “bioreattori” nei quali,
durante la maturazione, hanno luogo numerosi processi enzimatici che conferiscono loro le qualità
organolettiche finali.
Possono venire classificati in insaccati e non insaccati. Gli insaccati a loro volta si distinguono in:
- freschi (salsicce);
- stagionati (salami);
- cotti (mortadella, zampone, wurstel, salami cotti, sanguinacci).
I non insaccati si suddividono in:
- stagionati (bresaola, prosciutto e spalla, speck, pancetta, guanciale);
- cotti (prosciutto).

INSACCATI → Sono costituiti da un involucro che deve essere tenace, pieghevole, elastico, poroso,
aderente, di provenienza naturale (budella, altre membrane dei visceri di suino e bovino) o artificiale
(tela, film plastico ecc.) e dal contenuto o impasto, dato da un trito di carne suina pura o mischiata a
carni di altra origine e di grasso, addizionato con altri ingredienti, condimenti, additivi ecc.
Un tipico salame di puro suino ha la seguente costituzione:
- carne di maiale magra 62%
- grasso duro di maiale 33%
- latte magro in polvere 1,8%
- zuccheri 0,5%
- sale 2,5%
- spezie ed additivi.

La preparazione degli insaccati avviene secondo il seguente schema:


1) PREPARAZIONE DELLE CARNI: che consiste nel disossare i tranci, ripulirli del grasso, dei
tendini e dei nervi.
2) TRITURAZIONE: viene effettuata con tritacarne muniti di uno o più coltelli e stampi con fori di
varia grandezza.
3) IMPASTATURA: si realizza in apposite macchine mescolatrici, previa aggiunta di altri ingredienti
come zuccheri, sale, additivi, starter microbici; quindi si riempiono gli involucri con macchine
insaccatrici, e si legano.
4) ESSICCAZIONE: gli involucri vengono posti ad asciugare in essiccatoi ad aria calda per 30-48 ore.
5) STAGIONATURA: ha luogo in apposite sale dove gli insaccati permangono da 1 a 5 mesi a
temperatura di 11-15°C con UR 85%. Per i prodotti freschi (salsicce) la stagionatura non si verifica o
dura al massimo 10 giorni. Gli insaccati cotti subiscono un processo di cottura prima o dopo la
confezione.

Ogni ingrediente addizionato al prodotto di base ha una sua precisa funzione:


SALE: aggiunto in proporzione del 2,5-3,5% principalmente come conservante; conferisce anche
sapidità al prodotto;
DROGHE: hanno funzione aromatizzante, ma, se presenti in dosi massicce, anche azione inibente nei
confronti di stafilococchi e flora putrefattiva; le droghe più comuni sono, tra le spezie, pepe, cannella,
zenzero, chiodi di garofano ecc; tra le erbe aromatiche, rosmarino, salvia, alloro, sedano ecc.
ZUCCHERI: saccarosio, glucosio, fruttosio, lattosio (dosi massime consentite dalla legge: 1,5% da
soli o miscelati), favoriscono la conservabilità degli insaccati costituendo substrato per i lattobacilli.
Questi, producendo acido lattico, abbassano il pH e selezionano la flora batterica.
POLVERE DI LATTE MAGRO e CASEINATI DI Na e K: aggiunti per conferire maggiore
consistenza e omogeneità all’impasto;
STARTER MICROBICI (quali lattobacilli, pediococchi e micrococchi): influenzano positivamente la
flora batterica complessiva, consentono la corretta maturazione dell’insaccato e il processo di
“arrossamento”, ovvero la formazione di nitrosomioglobina e nitrosoemocromo;
ADDITIVI: - nitriti di Na e K, mantengono stabile il colore dei salumi mediante la formazione di
nitrosomioglobina e nitrosoemocromo, selezionano positivamente la flora responsabile della
maturazione;
- Nitrati di Na e K, hanno funzione di riserva o serbatoio di nitriti;
- Acido ascorbico e ascorbati, servono a mantenere allo stato ridotto il ferro mioglobinico facilitando la
formazione di NOMb (nitrosomioglobina).

Durante la stagionatura si verificano importanti cambiamenti nella struttura, nei caratteri chimico-
fisici e organolettici e nella composizione della flora microbica:
- Aumento della carica batterica totale
- Diminuzione dell’umidità
- Aumento della concentrazione salina, da 2,5-3,5 al 10%
- Variazione del pH che, dopo l’abbassamento iniziale, passa a 5,9-6 con la contemporanea scomparsa
dell’acido lattico
- Aumento dell’N2 solubile e degli AG liberi
- Comparsa del colore rosso stabile (Nitrosoemocromo)

NON INSACCATI → Nell’industria salumiera il prosciutto crudo stagionato costituisce il prodotto di


maggior valore nutritivo, gastronomico ed economico; è costituito dalle masse muscolari e dal tessuto
adiposo della coscia e zampa del maiale.
Si ottiene mediante 4 fasi di lavorazione: SALAGIONE; SOSTA; ASCIUGATURA;
STAGIONATURA.

Dopo una breve frollatura, le cosce vengono sottoposte a salagione con sale grosso a mano o mediante
salatrici meccaniche. Tale operazione viene ripetuta ogni 4-5 giorni per un periodo di 25 giorni, nel
frattempo la carne staziona in celle frigorifere.
Poi i prosciutti permangono per oltre un mese a 1-4°C, dopodichè vengono lavati con acqua calda e
fatti asciugare all’aria.
La stagionatura, che si protrae per 10-14 mesi, prevede una prima fase a UR ridotta, seguita da una
seconda a UR più elevata. La temperatura non deve superare i 22°C.

I PROSCIUTTI COTTI si ottengono dalle cosce di suino previamente sottoposte a salagione (a secco
o in salamoia), lavate, asciugate e disossate.
La cottura avviene in stampi di metallo da cui il prodotto verrà estratto e ricoperto di una patina
protettiva oleosa, oppure con il sistema cryovac.

REG CE 1760/00 → Con l’emanazione del Regolamento CE n. 1760/2000 viene istituito il sistema di
identificazione e registrazione dei bovini, relativo all’etichettatura delle carni bovine e dei prodotti a
base di carni bovine. A seguito di eventi critici verificatisi nella filiera alimentare (Bovine Spongiform
Encephalopathy, BSE), si è voluto rendere più trasparente l’informazione da diffondere ai consumatori,
consentendo altresì la rintracciabilità di tutta la filiera.
Secondo l’ART. 1 ogni Stato membro istituisce un sistema di identificazione e registrazione dei
bovini.
Secondo l’ART. 3 il sistema di identificazione e di registrazione dei bovini comprende i seguenti
elementi:
- MARCHI AURICOLARI
- BASI DI DATI INFORMATIZZATE
- PASSAPORTI PER ANIMALI
- REGISTRI DI STALLA

Secondo l’ART. 4 tutti gli animali di un’azienda (…) sono identificati mediante un MARCHIO
AURICOLARE apposto su ciascuno orecchio e approvato dall’autorità competente.
Secondo l’ART. 5 le autorità competenti degli Stati membri istituiscono una BANCA DATI
informatizzata. (in Italia se ne occupa l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale).
Secondo l’ART. 6 a decorrere dal 1° Gennaio 1998 per ciascun animale (…) l’Autorità competente
rilascia un PASSAPORTO. (…) Ogni qualvolta un animale è spostato deve essere accompagnato dal
suo passaporto.
Secondo l’ART. 7 ogni detentore di animali (eccetto i trasportatori):
- Tiene un REGISTRO aggiornato (manuale o su supporto informatico);
- Comunica all’Autorità competente tutti i movimenti a destinazione e a partire dall’azienda nonché le
nascite e tutti i decessi di animali avvenuti nell’azienda, specificandone la data;
- Completa il PASSAPORTO all’arrivo di ciascun animale nell’azienda e prima della sua partenza da
questa e provvede affinchè il passaporto accompagni l’animale;
- Il detentore fornisce all’Autorità competente (a richiesta) tutte le informazioni all’origine,
all’identificazione e alla destinazione degli animali.

ETICHETTATURA DELLE CARNI BOVINE: Ciascun operatore ed organizzazione responsabile di


etichettare le carni deve assicurare su base informatica:
- L’elenco delle aziende agrarie interessate
- L’elenco degli animali interessati con rispettivo numero di identificazione
- L’elenco dei macelli con codice univoco di identificazione
- Identificazione dei lotti commerciali
- L’elenco degli esercizi di vendita
- Lo scarico dei singoli animali e dei lotti.
La vigilanza sulla corretta applicazione della normativa relativa all’etichettatura delle carni bovine
viene svolta dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali) quale autorità
competente in collaborazione con le regioni e province autonome.

Informazioni facoltative approvate:


- Data di nascita
- Sesso
- Tipo genetico
- Denominazione e sede dell’allevamento
- Periodo di ingrasso in Italia
- Razza
- Sistema di allevamento
- Composizione razione alimentare
- Alimentazione priva di grassi animali aggiunti
- Alimentazione NO OGM
- Alimentazione senza additivi antibiotici
- Esclusione fattori di crescita
- Sospensione trattamenti terapeutici
- Denominazione macello
- Data di macellazione
- Categoria
- Denominazione laboratorio di sezionamento
- Periodo di frollatura

PESCE

Con il termine “pesce” si intendono le carni e le altre parti edibili di animali acquatici forniti dalle
attività di pesca e dall’acquacoltura. In realtà, l’ittiofauna, oltre che da veri e propri pesci, è costituita
anche da molluschi, crostacei e altri gruppi di minor interesse. In tutto il mondo si consumano oltre
1000 varietà di pesci, molluschi e crostacei (250 circa in Italia e in Europa).
Negli ultimi anni, in Italia si è avuto un discreto incremento del consumo di prodotti ittici, che
ammonta ora a circa 18 Kg annui pro capite. Tale aumento è amputabile alla maggior diffusione dei
punti di vendita sia del prodotto fresco sia di quello congelato e surgelato, ma anche alla rivalutazione
delle qualità nutrizionali e “salutistiche” dei pesci.

I prodotti ottenuti dalle attività di pesca costituiscono circa l’1-2% dei fabbisogni alimentari
dell’umanità. L’Italia importa i 2/3 del pesce consumato: 56% dalla Grecia, il resto da Marocco,
USA, Argentina e altri..
Di conseguenza, riveste sempre più importanza il controllo della qualità igienico-sanitaria,
organolettica e nutrizionale, vista la notevole deperibilità dei prodotti della pesca.

COMPOSIZIONE CHIMICA:
- ACQUA: come nella carne, è il componente principale. Oscilla tra il 60 e l’80% in proporzione
inversa al contenuto di lipidi.
- PROTEINE: sono ad alto valore biologico e rappresentano il 15-25% della composizione chimica
totale, percentuale che aumenta nei pesci magri e diminuisce in quelli grassi.
- SOSTANZE AZOTATE SOLUBILI: rappresentano lo 0,5-1% della composizione chimica totale e
sono rappresentati da aa liberi, dipeptidi, oligopeptidi, creatina e creatinina, ammine, ammoniaca, urea.
Nei pesci marini è presente l’ossido di trimetilammina, o TAO, che, dopo la morte dell’animale dà
luogo a trimetilammina (TMA), dimetilammina (DMA) e formaldeide, che conferiscono al prodotto
non più fresco l’odore tipico “di pesce”, non gradevole.
- GRASSI: oscillano tra lo 0,5 ed il 22% a seconda di specie, età, sesso, ambiente, alimentazione. In
base alla percentuale lipidica i pesci si suddividono in:
- Magri : lipidi < 3% (acciuga, merluzzo, nasello, sogliola, palombo, spigola, trota);
- Semimagri: lipidi 3-8% (dentice, sardina, cefalo, triglia);
- Grassi: lipidi > 8% (anguilla, sgombro, tonno, aringa, salmone).
Molluschi e crostacei sono prevalentemente magri.
Rispetto al grasso dei vertebrati, quello dei pesci si contraddistingue per avere:
- Maggiore percentuale di AG insaturi (80%) tra cui AGE
- Tasso maggiore di fosfolipidi
- Minor contenuto in colesterolo
- Varietà più ampia di AG, EPA e DHA
- GLUCIDI: presenti in modeste quantità (0,5-1%), costituiti più che altro da monosaccaridi;
- SALI MINERALI: P, Ca, I, meno Fe della carne
- VITAMINE: i pesci grassi ed il fegato di quelli magri sono ottime fonti di Vit A e D; nel muscolo
troviamo discrete quantità di Vit B;
- Elevato contenuto in ferro di cozze e ostriche, queste ultime caratterizzate da un elevato tasso di Vit
C.

VALUTAZIONE DELLA FRESCHEZZA:


I prodotti ittici sono caratterizzati, post-mortem, da facile deteriorabilità; I fenomeni biochimici che
sopravvengono sono:
- Esaurimento di ATP
- Formazione di legame irreversibile tra actina e miosina
- Abbassamento del pH (da 7 a 6,2)
- Liberazione di ioni Ca dal reticolo sarcoplasmatico e di enzimi lisosomiali responsabili di reazioni
autolitiche
- Conversione autolitica e batterica dell’ATP in ipoxantina, con formazione di NH3 (la determinazione
dell’ipoxantina costituisce indice di freschezza del pesce)
Nelle specie grasse si sovrappongono fenomeni di irrancidimento a carico della componente lipidica.
Il rigor mortis e la frollatura sono fenomeni rapidi : a 0°C durano 5 e 30 ore rispettivamente.

VALUTAZIONE SENSORIALE:
Per accertare lo stato di freschezza di un pesce vengono effettuate analisi chimiche e batteriologiche,
ma assume un’importanza rilevante la valutazione sensoriale, rapida e di facile esecuzione.
E’ un protocollo di indagine basato su giudizi soggettivi, nonostante siano emessi da persone di provata
esperienza come i veterinari delle ASL.
Ci sono delle TABELLE DI VALUTAZIONE a cui far riferimento per la classificazione del pesce
nonché per l’attribuzione del valore commerciale.
La tabella in vigore nei Paesi UE (Reg. 33/89- CE 2406/96) suddivide i pesci in 4 categorie (EXTRA,
A , B, NON AMMESSO) di cui solo le prime tre ammesse al commercio.
Parametri considerati: odore, aspetto, consistenza, occhio, colore delle branchie. L’odore dei pesci dei
crostacei e dei molluschi marini non più freschi è conferito principalmente da TMA, che si genera per
riduzione batterica del rispettivo ossido (TMAO) presente nei tessuti.

ETICHETTATURA:
In base al regolamento comunitario e secondo il principio della rintracciabilità, i pesci, i crostacei e i
molluschi, vivi, freschi, refrigerati, congelati, in filetti, tritati, salati, in salamoia, affumicati, precotti …
possono essere venduti al dettaglio solo se riportano, oltre al peso netto, il prezzo di vendita e al
termine minimo di conservazione, precise informazioni:
- Denominazione commerciale della specie
- Metodo di produzione (cattura in mare, acque aperte, allevamento)
- Zona di cattura

ETICHETTATURA di piccoli quantitativi:


- PRODUTTORE PRIMARIO (peschereccio): NON E’ TENUTO all’etichettatura, in quanto la
cessione diretta di piccoli quantitativi è esclusa dal campo di applicazione del Reg. 852-853, è
comunque tenuto durante la sua attività al rispetto delle regole di base dell’igiene e delle buone pratiche
di produzione.
- DETTAGLIANTE IN AMBITO LOCALE (es. pescivendolo, esercizi di vendita … ) HA
L’OBBLIGO di documentare la provenienza dei prodotti (Rintracciabilità) e si assume la
responsabilità diretta sui prodotti che acquista (ha quindi l’obbligo di attivare le procedure di
rintracciabilità in caso di allerta).
- Prodotti sfusi o preconfezionati da vendere previo frazionamento o confezionati sui luoghi di
vendita a richiesta dell’acquirente o preconfezionati ai fini della vendita immediata (preincarti)
- Cartello applicato al recipiente con:
• Denominazione di vendita
• Ingredienti
• Modalità di conservazione
• % di Glassatura, (considerata tara, per i prodotti congelati glassati)
- Prodotti sfusi nelle fasi precedenti la vendita al consumatore
- Sul documento commerciale di accompagnamento:
• Denominazione di vendita
• Ingredienti
• Nome, rag. sociale o marchio e sede produttore,confezionatore o venditore nella CE
• Lotto
- Prodotti Preconfezionati : sull’ imballaggio preconfezionato o su etichetta appostavi o su anelli,
fascette, dispositivi di chiusura riportanti:
• Denominazione di vendita
• Ingredienti
• Ingrediente caratterizzante evidenziato
• Quantità netta o nominale
• TMC o Scadenza
• Nome, rag. sociale o marchio e sede produtt, confez. o venditore stabilito nella CE
• Sede stabilimento
• Lotto
• Modalità conservazione e utilizzazione
• Istruzioni per uso (ove necessario)
• Luogo origine o provenienza

DL 531/92 →SOSTANZE TOSSICHE DEI PRODOTTI ITTICI


- Stabilisce le norme sanitarie da applicarsi alla produzione e commercializzazione all’ingrosso dei
prodotti della pesca; non riguarda la vendita al dettaglio;
- Stabilisce i requisiti strutturali e igienici riguardanti: imbarcazioni, stabilimenti a terra, locali ed
attrezzature per trasformazione, conservazione e trasporto.
- Stabilisce un sistema di controllo e sorveglianza
- Fissa criteri e limiti precisi per prove organolettiche e chimiche

I prodotti ittici possono costituire un veicolo di malattie infettive. La presenza di sostanze tossiche
deriva da:
- Contaminazione ambientale
- Attività microbica
- Produzione endogena (biotossine)
Tra gli inquinanti chimici (pesticidi, metalli pesanti ecc) riveste particolare importanza il MERCURIO;
limite max di Hg è di 0,5 mg/Kg ; tenore medio 1 mg/Kg

Le sostanze prodotte da germi possono essere: TOSSINE MICROBICHE (C. Botulinum, S. aureus);
COMPOSTI SECONDARI (Istamina: disturbi vasomotori, senso di angoscia, mal di testa, disturbi
intestinali).

Pericoli derivanti dal consumo di pesce crudo:


Parassiti: Anisakis simplex; I sintomi compaiono in genere dopo qualche giorno dal consumo del pesce
infestato. Si possono avere dolori addominali, diarrea, nausea, vomito fino ad arrivare in alcuni casi a
perforazione dell’intestino o dello stomaco. Sono state anche descritte reazioni allergiche in soggetti
predisposti.
Istamina: Deriva dall’Istidina per opera di decarbossilasi microbiche; la sua produzione è max a 27-
28°C e si arresta a T≤ 6°C. Resistente alle alte temperature, si può trovare anche nel prodotto cotto o
conservato (pesce in scatola, pesce affumicato o marinato). I principali sintomi, che si manifestano da
30 minuti a 2/3 ore dall’assunzione del cibo contaminato, sono nausea, vomito, diarrea, crampi
addominali, pressione bassa, mal di testa, palpitazioni, vampate di calore e prurito. Per diminuire il
rischio: Utilizzo di pesce molto fresco, il mantenimento della catena del freddo e il consumo del pesce
entro una o due ore dalla preparazione.

LA NORMATIVA COMUNITARIA ED, IN PARTICOLARE, IL REG.853/04 impongono che


negli stabilimenti di produzione tutti i prodotti della pesca destinati ad essere consumati crudi debbano
subire 24 ore di congelamento a -20°C
- Ordinanza ministeriale 12 maggio 1992 prevedeva tale obbligo oltre al divieto di somministrare nei
ristoranti ed esercizi analoghi piatti a base di pesce crudo o poco cotto che non fosse stato
precedentemente congelato.

CONSERVAZIONE E TRASFORMAZIONE DEI PRODOTTI ITTICI


I 2/3 del pescato mondiale sono destinati al consumo diretto, come pesce fresco o conservato, 1/3 è
impiegato per la produzione di oli e farine. Il pesce fresco, oltre che da quello appena pescato, è
costituito soprattutto da prodotti refrigerati, che devono mantenere la CATENA DEL FREDDO
(refrigerazione o congelamento a bordo dei natanti, conservazione a basse temperature a bordo dei
natanti, nei depositi portuali, nei mercati all’ingrosso … fino al consumatore).

Conservazione per mezzo del freddo:

- REFRIGERAZIONE: 0°C in celle frigorifere con o senza ghiaccio tritato, in queste condizioni si
mantiene bene per 4-5 gg, al max 10-15; oppure refrigerazionde mediante ghiacciatura (ricoprendo il
pesce con ghiaccio triturato in contenitori di polistirolo espanso)
Refrigerando il pesce prima del rigor mortis si prolunga il periodo di conservazione

- CONGELAZIONE: effettuata sia a bordo che negli impianti di lavorazione; i pesci devono essere
congelati non oltre 3 e 6 giorni di refrigerazione a seconda del contenuto lipidico, preferibilmente
durante il rigor mortis. Prima del congelamento il pesce subisce delle operazioni preliminari, poi la
“glassatura” per i pesci interi (che consiste nel far solidificare intorno al prodotto un sottle strato di
acqua), oppure si utilizzano film plastici per i filetti.
La temperatura di conservazione non superiore a -18°C. I pesci grassi non si conservano più di 4-6
mesi; quelli magri 9-12 mesi.

DLgs 524/95 → E’ consentita la vendita di pesce decongelato, ben distinto e separato dal prodotto
fresco, previa indicazione che ne attesti lo stato di “scongelato”.
Vendere pesce decongelato spacciandolo per fresco rappresenta una FRODE (valutazione caratteri
organolettici, esami microscopici, biochimici, fisici)

ESSICAZIONE → utilizzata per pesci magri, mediante operazioni preliminari ed asciugatura per circa
3 mesi (umidità residua = 15%) Es. merluzzo essiccato o “stoccafisso”;

SALAGIONE → IN SALAMOIA (azione più lenta e meno intensa, adatta per preparazioni delicate. Il
più alto grado di umidità causa una più breve conservazione); A SECCO (con sale non troppo grosso,
seguita da maturazione. Procedimenti e percentuali di NaCl variano a seconda del tipo di pesce) Es.
acciughe, aringhe..;

AFFUMICAMENTO → A FREDDO (aringhe o salmone) o con FUMO LIQUIDO. I prodotti solo


affumicati devono venir confezionati sotto vuoto e conservati a temperature di frigorifero.

CONSERVE ITTICHE: costituite principalmente da tonno, sardine, sgombri, salmone preparati in


vario modo e sterilizzati in recipienti ermeticamente chiusi. Es. Tonno sottolio

SEMICONSERVE ITTICHE: prodotti ittici e preparazioni gastronomiche a base di pesce, cucinate in


vario modo, confezionati sottovuoto in contenitori di plastica o vetro ed immersi in acqua a 80-90°C
per qualche secondo (pastorizzazione superficiale); prodotti non stabili che richiedono la conservazione
in frigorifero. Es. caviale e marinate
MARINATURA: salamoia addizionata di aceto o limone, sostanze aromatizzanti e, talvolta, zucchero,
sia a caldo che a freddo (azione batteriostatica e antiossidante).

PRODUZIONE DI FARINA E OLIO → A tale scopo vengono destinati gli scarti della pesca, il
pesce invenduto, gli avanzi di lavorazione. La materia prima viene taglia, poi cotta (l calore fa
coagulare le proteine e rompe le micelle lipidiche favorendo l’estrazione dell’olio). Dalla pasta cotta
pressata si separa una frazione solida (che viene essicata per ottenere la farina) e una frazione liquida
(da cui per centrifugazione si ottiene l’olio).
Le farine (ricche di proteine e P) sono impiegate più che altro in zootecnica e per l’alimentazione di
animali domestici.
L’olio di pesce è la più generosa fonte alimentare di omega-tre, in particolare di EPA (ac.
Eicosapentaenoico) e DHA (ac.docosaesaenoico); questi acidi grassi possono essere sintetizzati anche
nell’organismo a partire dall’acido alfa-linolenico, abbondante nelle noci, nell’olio di canola, di soia e
di canapa, nei semi di lino e nel relativo olio.
L’olio di pesce viene spesso utilizzato per la sua capacità di ridurre i fenomeni infiammatori ed
abbassare i livelli ematici di TAG. Utilizzato nella produzione di integratori alimentari.

VALORE NUTRITIVO DEL PESCE:


Il pesce rappresenta senza dubbio un alimento prezioso a causa della facile digeribilità, dell’elevato
contenuto in proteine ad elevato valore biologico, di minerali, vitamine nonché per la particolare
composizione della frazione lipidica.
A parità di condizioni, il pesce è più digeribile della carne a causa del minor contenuto di tessuto
connettivo, di fibre muscolari più corte e proteine contrattili più sensibili alla denaturazione.
Possiede lo stesso valore alimentare della carne, rispetto alla quale ha un contenuto proteico medio
inferiore, ma proteine a valore biologico e utilizzazione proteica più elevati.
L’abbondanza di acidi grassi polinsaturi della serie omega-tre, il basso contenuto il colesterolo e quello
relativamente alto in fosfolipidi, lo rendono un alimento particolarmente adatto nella prevenzione di
malattie cardiovascolari correlate all’aterosclerosi.
EPA → ha azione antitrombotica e vasodilatatrice; esercita un’inibizione enzimatica, per competizione
con l’acido arachidonico sulla formazione delle prostaglandine della serie 2 (TXA 2 e PGE2) che
facilitano la formazione di trombi.

ZUCCHERO

Per zucchero si intende il saccarosio, disaccaride formato da una molecola di glucosio e una di
fruttosio. Ha proprietà dolcificanti e viene impiegato nell’industria alimentare. Si ricava dalla canna da
zucchero (coltivata in America centrale e meridionale) e dalla barbabietola da zucchero Beta
vulgaris (coltivata in Europa).

INDUSTRIA SACCARIFERA → La produzione di zucchero si attua nell’industria saccarifera, tipica


industria su base agricola. L’industria saccarifera si preoccupa della qualità delle materie prime
destinate alla trasformazione e spesso provvede alla distribuzione del seme ai bieticoltori. L’attività
nell’industria saccarifera è concentrata in un periodo di durata di 3 mesi.
La qualità più adatta alla produzione del saccarosio è la “slesiana bianca”. Il contenuto di zucchero è di
oltre 18% nella radice, la parte della pianta da cui si estrae il saccarosio.
Lo zucchero è un alimento che copre mediamente il 10-15% il fabbisogno calorico nella dieta dei Paesi
industrializzati.
Il consumo annuo pro capite di zucchero è di circa 27kg in Italia, 35kg in Europa, di 19 kg nel mondo.
La produzione mondiale di zucchero è di circa 120 milioni di tonnellate, di cui oltre 34 milioni dalla
barbabietola, 17 milioni quella della Comunità Europea, 1,5 milioni quella italiana.

La produzione di zucchero si divide in diverse fasi:


1) Diffusione L’operazione inizia con il lavaggio delle bietole (per eliminare impurità, fango e corpi
estranei). Le barbabietole sono poi tagliate in fettucce, con apposite tagliatrici e coltelli, e avviate
all’impianto di diffusione. La fase di diffusione consiste nell’operazione di estrazione dello
zucchero dalla barbabietola. L’operazione si realizza trattando la bietola con acqua calda in modo da
consentire il passaggio dello zucchero dall’interno della bietola (a maggior concentrazione di soluto)
verso l’esterno (minore concentrazione di soluto). Il trattamento con l’acqua calda a 60-80 °C
determina la denaturazione della membrana cellulare che diventa permeabile consentendo la diffusione
dello zucchero. Se sono presenti enzimi del gruppo invertasi si forma zucchero invertito e gli esosi
sono trasformati in acidi organici che aumentano l’acidità; quindi è necessario controllare il pH.
L‘impianto di diffusione consiste in una serie di serbatoi cilindrici muniti di dispositivo di carico per le
fettucce fresche e di scarico per le fettucce esaurite (polpe). L’estrazione è favorita da innalzamento
della temperatura e dall’agitazione. Ciò che si ottiene dall’ estrazione dello zucchero sono il sugo
grezzo (11-15% zucchero) e le polpe (88-92% acqua). Il sugo è sottoposto all’operazione di
epurazione.
2) Epurazione Ha lo scopo di eliminare il più possibile i “non zuccheri” passati durante la fase di
diffusione. Il processo di epurazione inizia con il trattamento del sugo con ossido di calcio o
idrossido di calcio e acqua (latte di calce), chiamato defecazione. Si verifica la coagulazione di
proteine, albuminoidi e pectine e la precipitazione di sali insolubili (malati, tartrati, ossalati, solfati,
fosfati di Ca). Il sugo grezzo viene quindi trattato con anidride carbonica (carbonatazione) allo scopo
di eliminare l’eccesso di Ca sotto forma di CaCO 3. Tali operazioni si realizzano in appositi serbatoi
cilindrici (saturatori) e determinano la produzione del sugo leggero (contenente zucchero alla
concentrazione del 10 %).
3) Epurazione Il sugo viene sottoposto al processo di concentrazione che consiste nel far evaporare
parte dell’acqua della soluzione zuccherina. L’operazione si realizza in evaporatori e si ottiene il sugo
denso. Il sugo denso ottenuto per evaporazione viene sottoposto a filtrazione. Il trattamento consiste
nella purificazione del sugo denso con farina fossile (decolorazione), ossido di calcio e anidride
solforosa (per neutralizzare l’eccesso di calcio e potassio).
4) Cottura Si tratta di una cristallizzazione sotto vuoto (“cottura”) per progressiva concentrazione del
sugo denso, causata dall’eliminazione dell’acqua per ebollizione. Si realizza in apparecchi (boules)
mediante riscaldamento a pressione ridotta o sotto vuoto. Si ottiene la massa cotta che contiene il
massimo numero di cristalli in sospensione. È formata per circa la metà da zucchero in cristalli e per
l’altra metà da un liquido viscoso costituito da zucchero non cristallizzabile, acqua (10%) e sostanze di
varia natura (non zucchero).
La massa cotta viene fatta raffreddare in appositi mescolatori (malxeurs) per ottenere un ulteriore
accrescimento dei cristalli ed un impoverimento in zucchero dell’acqua madre. Viene infine trasferita
in centrifughe a paniere forato che, ruotando a forte velocità, permettono di espellere il liquido mentre
i cristalli rimangono aderenti alle pareti interne, ovvero separano lo zucchero grezzo (zucchero di
primo getto) dall’acqua madre (scolo verde o scuro). Lo scolo viene a sua volta sottoposto a cottura in
boules mediante riscaldamento a pressione ridotta o sotto vuoto. Si ottiene un prodotto chiamato
seconda massa cotta che come la prima è sottoposta a raffreddamento e centrifugazione. Il prodotto
ottenuto è lo zucchero grezzo di secondo getto.
5) Raffinazione Lo zucchero greggio di barbabietola, a differenza di quello greggio di canna, non può
essere consumato direttamente per il sapore ed il gusto sgradevoli ed ha una consistenza appiccicosa e
colore dal giallo al bruno. Lo scopo è quello di purificare ulteriormente lo zucchero greggio (99,9%)
Si esegue ri-disciogliendo lo zucchero grezzo in una soluzione acquosa di ossido di calcio, farina
fossile, in caldaie di fusione. Il prodotto ottenuto è sottoposto a depurazione per filtrazione e successivo
assorbimento su carbone.
Lo zucchero semolato che si ottiene dalle centrifughe deve essere essiccato e raffreddato prima
dell’insacco. Lo zucchero, asciutto e freddo, viene mandato alla vagliatura per eliminare i grumi e la
polvere, quindi si procede all’insacco, alla pesatura ed alla chiusura dei sacchi. Questi sono di juta o di
carta a seconda della portata.
Lo zucchero pilè è formato da zolle irregolari di varia grandezza e si ottiene passando ad un frantoio lo
zucchero in grossi pezzi che si ottengono lasciando indurire la massa cristallizzata in forme di
alluminio.
Lo zucchero a quadretti viene ottenuto comprimendo lo zucchero semolato umido entro speciali
presse oppure colando la massa cotta in forme e centrifugando successivamente.

6) Utilizzo dei sottoprodotti I sottoprodotti costituiscono circa il 40% in peso della bietola. Essi
comprendono:
- Melasso;
- Polpe;
- Melma di saturazione.
Le impurità melassigene, composti di varia natura quali pectine, albuminoidi, proteine, devono essere
separate dal sugo grezzo in quanto impediscono la cristallizzazione dello zucchero durante la cottura.
Il melasso è un liquido viscoso, scuro di sapore sgradevole, contenente circa il 50% zucchero non
cristallizzabile e il non zucchero (composti azotati e sali). Viene utilizzato per ottenere etanolo, lievito
per panificazione e mangimi zootecnici.
Le polpe rappresentano il prodotto di scarto dell’impianto di diffusione e sono costituite dalla fettucce
esaurite. Possono essere utilizzate tal quali come mangime o possono essere sottoposte a processi di
fermentazione ed essiccazione.
La melma di saturazione deriva dal residuo dei filtri di epurazione ed è costituita da carbonato di
calcio. Viene impiegata come concime e correttore del terreno.

L’ossido di calcio e l’idrossido di calcio necessari per il trattamento di epurazione sono prodotti in
impianti satelliti allo zuccherificio.
L’impianto consiste in forni verticali nei quali sono caricate le materie prime: calcare e carbone coke.
La produzione di ossido di calcio si ottiene secondo la reazione:
CaCO3 CaO + CO2
CONTROLLI E PARAMETRI ANALITICI
ICUMSA= International Commision for Uniform Methods of Sugar Analysis
Per definire la qualità dello zucchero si utilizzano diversi parametri: Titolo in saccarosio, umidità,
contenuto di zucchero invertito, colore e ceneri.
Lo zucchero viene determinato per via polarimetrica. Esistono speciali polarimetri (saccarimetri) la
cui lettura con una soluzione di 26,00 g di saccarosio in 100 cm3 di acqua dà la percentuale di
saccarosio. La concentrazione dei sughi si può misurare con i densimetri di Brix; i gradi Brix,
corrispondono alla percentuale in massa di saccarosio e misurano effettivamente il secco. Il secco (S)
rappresenta ciò che rimane della soluzione dopo l'evaporazione del solvente. Viene determinato sui
liquidi per rifrattometria, ma anche con densimetri. Alcuni rifrattometri danno lettura direttamente in
gradi Brix.
Il non-zucchero è il secco tranne il saccarosio. Nei sughi si ritrova sola la frazione solubile a sua volta
suddivisibile in non-zucchero organico e ceneri.
Il non-zucchero organico è costituito da composti azotati, principalmente proteine, amminoacidi, e
composti non azotati, quali pectine, acidi organici, glucosio e fruttosio. Gli zuccheri riducenti possono
essere determinati con il reattivo di Fehling.
Le ceneri sono ciò che residua dalla combustione del secco. Vengono determinate sui liquidi con
misure di conducibilità. Sono costituite da fosfati, solfati e cloruri di potassio, calcio e magnesio.
La purezza è definita dal rapporto percentuale tra lo zucchero e il secco: P = Z/S · 100. Per una
precisione più elevata si può utilizzare la cromatografia, specie la HPLC.
Il pH dei sughi è un parametro molto importante. Un pH anche debolmente acido catalizza l'idrolisi del
saccarosio e provoca una corrispondente perdita di zucchero. Durante la lavorazione si controlla il
livello di pH aggiungendo calce.

Le caratteristiche comuni sono:


a) asciutto, in cristalli a grana omogenea, facilmente scorrevoli;
b) polarizzazione minima 99,7;
c) umidità massima 0,06%;
d) contenuto massimo di zucchero invertito 0,04%.
Vengono commercializzate le seguenti qualità di zucchero:
- Zucchero di fabbrica;
- Zucchero o zucchero bianco o zucchero semolato;
- Zucchero raffinato o zucchero bianco raffinato o zucchero raffinato semolato;
- Zucchero raffinato per uso industriale (extrafino);
- Sciroppo di glucosio: soluzione acquosa depurata e concentrata di saccarosio alimentare, ottenuto da
amido/fecola/inulina;
- Sciroppo di glucosio disidratato: sciroppo di glucosio parzialmente essiccato con tenore minimo di
sostanza secca del 93% in peso;
- e altre…

ADEMPIMENTI → Produttori, importatori, venditori tengono registri di carico e scarico in bollo,


vidimato da Comune, in cui annotare entrate ed uscite di zucchero (nel caso di rivenditori, anche
generalità acquirente).
Utilizzatori (esclusi quanti somministrano bevande o alimenti al pubblico o laboratori alimentari
artigianali) tengono registri di carico e scarico in bollo, vidimato da Comune, in cui annotare quantità
di sostanze zuccherine impiegate.
Registri conservati per almeno 5 anni ed esibiti ad organi di controllo.

ZUCCHERO INVERTITO → Prodotto alimentare costituito da un mix di GLUCOSIO e FRUTTOSIO


in parti uguali, con tracce di saccarosio. Si ottiene per idrolisi enzimatica o chimica dello zucchero
tradizionale, replicando quanto avviene nel nostro intestino tenue. Si dice «invertito» poiché mentre in
soluzione acquosa in saccarosio è DESTROGIRO, la miscela di glucosio e fruttosio è LEVOGIRA.
E’ naturalmente presente nel miele e nei frutti più zuccherini (uva), viene aggiunto a livello industriale
nella preparazione di prodotti da forno e pasticceria. Possiede un maggior potere dolcificante (+30%
rispetto al saccarosio). La maggior quantità di zuccheri semplici produce una caramellizzazione
precoce (minor tempo di cottura, prodotti finiti più morbidi, fragranti, dorati e appetitosi)

CANNA DA ZUCCHERO
E’ una pianta delle Graminacee (Saccharum officinarum L.) che cresce nelle zone subtropicali,
richiedendo un clima caldo-umido. Si coltiva particolarmente a Cuba, nel Brasile, Messico, Portorico,
Perù, Argentina, Antille britanniche, Repubblica Dominicana, Hawaii, Filippine, India, Indonesia, Cina,
Egitto, Sud Africa, Australia; in Europa cresce nella Spagna meridionale e in Sicilia.
La lavorazione della canna per estrarne lo zucchero consiste nella separazione del sugo per
spremitura, anziché per estrazione come si fa con la barbabietola. I fusti, ripuliti delle foglie, arrivano
in fasci allo zuccherificio e dopo esser fatti passare tra due cilindri a denti robusti (crusher), che
schiacciano e sfibrano il materiale, con nastri continui arrivano alle batterie dei mulini, costituite da
gruppi di 3 cilindri (uno superiore e due inferiori) lisci spremitori, in ghisa, disposti a triangolo;
La separazione del sugo (vesou) per il 95% contiene saccarosio, mentre nella massa legnosa
(bagasse) sottoposta alla spremitura ne resta il 5%. Il melasso di canna, che si ottiene dopo la
separazione del saccarosio dai sughi di 1°, 2°, 3° getto, è un liquido di colore ambrato, di sapore e
odore gradevole, che contiene dal 30 al 45 % di saccarosio, dal 6 al 25% di zuccheri riduttori, il 10-
12% di non-zucchero ed il 6-15% di sali minerali. Esso viene adoperato per la preparazione del rhum,
in seguito a diluizione, fermentazione e distillazione.
ZUCCHERO GREZZO → È un semilavorato ottenuto dalla canna da zucchero o dalla barbabietola
(saccarosio) non raffinato (colore bruno). Stesso valore calorico e stesse caratteristiche nutritive dello
zucchero bianco “raffinato”. RAFFINATO: purificato, senza impurità.
Lo zucchero greggio di barbabietola, a differenza di quello greggio di canna, non può essere consumato
direttamente per il sapore ed il gusto sgradevoli.

FRUTTOSIO → Il fruttosio o levulosio (C6H12O6) si trova in abbondanza nei frutti zuccherini e nel
miele, insieme al glucosio. Sta emergendo nel mondo dei dolcificanti in competizione con un prodotto
consolidato come il saccarosio. Il fruttosio non provoca problemi di obesità, carie dentale, aterosclerosi
e diabete; particolarmente utilizzato dai diabetici. Elevato potere dolcificante, pari a circa due volte
quello del saccarosio; il fruttosio non gode di una vasta espansione commerciale a causa dell’
elevato costo di produzione. Si presenta sotto forma di polvere cristallina bianca o di sciroppo molto
denso.
Lo si fabbrica industrialmente partendo dal glucosio commerciale, dal saccarosio o mediante l'idrolisi
dell'inulina estratta dalle radici tuberose del topinambur. Ad oggi esso viene prodotto principalmente
partendo da amido attraverso tre stadi che si concludono con l’isomerizzazione enzimatica del
glucosio. Tuttavia, questo processo soffre di uno sfavorevole equilibrio termodinamico, lo sciroppo
ottenuto contiene solo il 42% in fruttosio e il 50% di glucosio.
Esistono tecniche di concentrazione per aumentare il contenuto in fruttosio nello sciroppo, ma gravano
pesantemente sui costi complessivi di produzione.

MIELE

E’ un prodotto alimentare che le api producono:


- Dal NETTARE dei fiori
- Da secrezioni proveniente da PARTI VIVE delle piante (melata).

Per miele si intende la sostanza dolce naturale che le api producono dal nettare di piante o da
secrezioni delle stesse o da secrezioni di insetti succhiatori che esse bottinano e trasformano.
Le principali varietà di miele sono:
1) Secondo l’origine: miele di nettare e miele di melata;
2) Secondo il metodo di estrazione: miele in favo, miele con pezzi di favo, miele scolato, miele
centrifugato, miele torchiato, miele filtrato (miele sottoposto a filtrazione attraverso una membrana
con pori sottilissimi per eliminazione significativa dei pollini e dei lieviti responsabili della
fermentazione e dell’invecchiamento);
3) Miele per uso industriale. (Decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 179)

COMPOSIZIONE DEI MIELI → L’allegato al Decreto Lgs n. 179/2004 riporta le caratteristiche di


composizione cui il miele deve corrispondere e stabilisce le metodiche analitiche.
Precisamente:
• Tenore di zuccheri- fruttosio e glucosio (somma dei due):
a) miele di nettare non meno di 60 g/100 g;
b) miele di melata e miscele con miele di nettare non meno di 45 g/100 g
• Tenore di acqua: non più del 20%;
• Conducibilità elettrica: rivela il contenuto di Sali minerali
• Acidità libera: 50 meq/Kg
• HMF (idrossimetilfurfurale): composto derivante dalla rezione di Maillard, si forma durante
l’invecchiamento del prodotto, utilizzato quindi come indice di freschezza e di qualità del miele

COMPOSIZIONE DEL MIELE:


- Zuccheri → 75-80% (glucosio, fruttosio e saccarosio)
- Acqua → 15-20%
- Enzimi → glucosio ossidasi e l’invertasi (o saccarasi), diastasi (o amilasi) e catalasi
- Acidi organici → l’acido gluconico (aroma), formico, piruvico, tartarico, lattico, malico, succinico e
butirrico.
- Vitamine → provitamina A (o carotene), alcuni gruppi della vitamina B, vitamina C, D e E
(nell’ordine dei mg/kg);
- Sostanze volatili → aroma; alcoli, acidi grassi, aldeidi, chetoni, esteri, eteri etc.; volatili e termolabili
si degradano e si trasformano con facilità.
- Sali minerali (K, S, Fe, etc) → determinano la colorazione del miele; quelli scuri sono solitamente
ricchi di Sali minerali, mentre quelli chiari ne sono poveri.

PROPRIETA’ DEL MIELE:


Densità - 1.39-1.44, influenzata dal processo di disidratazione;
Viscosità - influenzata dalla temperatura
Acidità - pH 3.4-6.1
Conducibilità termica
Colore - è influenzato da disopercolatura, centrifugazione, trattamento opercoli, pompaggio;
Cristallizzazione - influenzata da tutte le operazioni;
Conducibilità elettrica
Indice di rifrazione
Igroscopicità

PROPRIETA’ NUTRIZIONALE DEL MIELE:


Immediato apporto energetico: alta concentrazione di monosaccaridi (glucosio e fruttosio).
Il glucosio non deve subire alcun processo digestivo, perciò può entrare immediatamente nella
circolazione sanguigna attraverso le pareti intestinali.
Il fruttosio viene consumato più lentamente, perche prima di essere assimilato dal nostro organismo
deve essere convertito in glucosio dal fegato.
Facile digeribilità
Alto potere dolcificante, superiore a quello dello zucchero da cucina (saccarosio). E’ dovuto
principalmente al fruttosio, che presenta un potere dolcificante molto alto: infatti, ponendo a 100 il
potere dolcificante del saccarosio, in paragone avremo a 173 quello del fruttosio e a 74 quello del
glucosio.

1) Le api bottinatrici immagazzinano nettare nelle ingluvie (parte dell’apparato digerente con funzone
di deposito temporaneo di cibo);
2) Poi le api bottinatrici distribuiscono il nettare alle compagne che avviano il processo di
trasformazione in miele; per 30 minuti circa le api operaie digeriscono il nettare scindendo gli zuccheri
complessi in semplici, grazie ad enzimi come l’invertasi;
3) Il prodotto viene arricchito da enzimi prodotti dalle ghiandole salivari;
4) Sostanza esposta all’aria secca dell’alveare e successiva disidratazione per prevenire fenomeni
fermentativi;
5) Presenza di acqua al 17-18%: il miele viene sigillato nelle cellette del favo.

OPERAZIONI DI LAVORAZIONE DEL MIELE:


1) Disopercolatura dei favi → consiste nell’eliminazione degli opercoli che chiudono le celle
contenenti il miele. Può essere un’operazione manuale, mediante uso di coltelli oppure automatica,
mediante l’uso di disopercolatrici che sbriciolano la cera molto più degli altri sistemi a taglio, perciò
sono richiesti sistemi di purificazione molto più accurati.
2) Estrazione, che avviene per mezzo di smelatori centrifughi a temperatura vicina ai 30° C.
3) Purificazione al fine di eliminare bolle d’aria, particelle di cera ed altre impurità inglobate nel miele
durante l’estrazione. Si distingue in decantazione (che permette la separazione delle impurità dalla
massa del miele, per differenza di peso specifico) e in filtrazione (per mezzo di filtri a sacco con pori
di diametro di 0,1- 0,2 mm)
4) Riscaldamento finalizzato alla diminuzione della viscosità e allo scioglimento dei cristalli.
Si usano camere a circolazione di aria calda, bagnomaria termostatati. È importante limitare l’uso di
trattamenti termici alla temperatura più bassa e al tempo più breve.

E’ importante la prevenzione della fermentazione. Infatti tutti i mieli contengono cellule di lieviti,
microrganismi responsabili delle fermentazioni alcoliche. In condizione normali, la concentrazione di
zucchero ne impedisce lo sviluppo, ma se il tenore in acqua è elevato, i lieviti possono svilupparsi a
spese del glucosio. Le tecniche più utilizzate per evitare inconvenienti sono: Le tecniche
- Sistemi di conservazione (stoccaggio a bassa temperatura, in ambienti poco umidi)
- Opportune tecniche di produzione (estrarre mieli con contenuto d’acqua inferiore al 18%;
evaporazione forzata; macchine deumidificatrici; concentrazione sottovuoto)
- Pastorizzazione (78°C per pochi minuti)

TIPOLOGIE DI MIELE E IL LORO UTILIZZO:


- Miele di acacia (infiammazione delle mucose respiratorie e gastrointestinali, utilizzabile dai diabetici
leggeri); primo miele dell’anno;
- Miele di castagno (stimola la circolazione del sangue);
- Miele di eucalipto (azione antisettica e cicatrizzante);
- Miele di borragine (azione sedativa e depurativa)
- Miele di arancio (azione antispastica, sedativa e cicatrizzante)
- Miele millefiori
- Miele fiori di bosco (antianemico ricco in potassio, fosforo, ferro, enzimi ed amminoacidi)

CARATTERISTICHE DELLA MELATA: Ha un sapore meno dolce rispetto ai mieli di nettare e un


colore molto più scuro, tendente al nero. Presenta una minor quantità di glucosio e saccarosio, associata
alla maggior quantità di aminoacidi, minerali, che permette un assorbimento più modulato senza lo
shock energetico degli altri mieli. Regola la flora intestinale, accresce il tasso di emoglobina nel sangue
e combatte l’ipocalcemia.

PRESENZA DI RESIDUI NEL MIELE:


• RESIDUI DI PESTICIDI – Si applicano le tolleranze di legge. Per i quelli tossici (fosfo-organici e
clorurati): 10 ppb, inclusa nel piano nazionale residui.
• RESIDUI DI ANTIBIOTICI – Per le tetracicline, il sulfatiazolo, ecc., nonché per i metalli pesanti
(cadmio e piombo) non ci sono tolleranze. La presenza nel miele anche di piccole quantità di queste
sostanze da corso a denuncia.
• RESIDUI DI SOSTANZE MEDICAMENTOSE – L’allegato al Regolamento CE 37/2010 riguardante
le sostanze farmacologicamente attive è stato riportato sul n. 3/2010 di Apitalia. I limiti massimi di
residui (LMR) non sono richiesti per l’acido formico, l’acido lattico, l’acido ossalico, il mentolo, la
canfora, l’eucaliptolo e il timolo.

CEREALI

La diffusione dei cereali avvenne circa 10.000 anni fa con la nascita delle prime civiltà mediterranee.
Le prime coltivazioni di orzo e frumento risalgono a 7000 anni fa in Palestina e Siria. Valle del Nilo
circa 3000 anni fa. Nel Neolitico ci fu la rivoluzione agronomica (orzo, grano, segale) in Medio Oriente
(mezzaluna fertile: Palestina, Siria e Kurdistan) e in Europa. In India si iniziò la coltivazione del riso,
mentre in America del sud (dal Messico al Perù) la coltivazione del mais.

Produzione mondiale di cereali al 2002


(milioni di tonnellate)

Per quanto riguarda i cereali si tratta di piante erbacee appartenenti alla famiglia delle Graminacee
(tranne il grano saraceno, che appartiene alla famiglia delle Poligonacee) coltivate per i loro frutti o
cariossidi che sono alla base dell’alimentazione umana e del bestiame. La distribuzione geografica
delle colture cerealicole dipende principalmente dalle esigenze climatiche e ambientali delle piante,
oltre che dalle abitudini alimentari delle varie popolazioni:
Frumento – orzo – avena – segale sono cereali microtermi, con basse esigenze termiche, coltivati in
prevalenza con ciclo autunno-primaverile;
Riso – mais – sorgo – miglio sono cereali macrotermi, con alte esigenze termiche, e sono coltivati con
ciclo primaverile-estivo

IL FRUMENTO
Il frumento o grano (famiglia Graminacee, genere Triticum) rappresenta il principale cereale utilizzato
nella nostra alimentazione. Il frumento era detto frumentum in latino (dal verbo fruor = godere,
disporre di qualcosa). Le specie più note sono:
Triticum aestivum → (triticum deriva dal latino: strofinare, trebbiare, pestare, tritare). E’ originario del
Medio oriente, è il nome scientifico che indica il frumento comune conosciuto come grano tenero, ha
chicchi friabili che, una volta spezzati, mostrano uno strato interno bianco e farinoso dal quale si
ottengono i graniti e le farine utilizzate per produrre pane e dolci.
Triticum durum → Il grano duro, appartiene al genere "Triticum" e alla specie "durum", ed è coltivato
soprattutto nell'Italia meridionale. Dalla macinazione del grano duro si ottiene , uno sfarinato con
granuli grossi, spigoli netti e dal colore leggermente ambrato, la semola, destinata alla produzione di
paste alimentari.

Della pianta di frumento si utilizza la cariosside ed in particolare l’endosperma amilifero contenente


amido e proteine del glutine.
La cariosside è formata da:
- Involucri periferici (pericarpo), che costituiscono l’involucro esterno del chicco, conosciuto
comunemente come crusca, ricco di cellulosa (fibra alimentare) e sali minerali;
- Endosperma (che è la parte più importante della cariosside ai fini alimentari) costituito da: strato
aleuronico (esterno), ricco di proteine ad alto valore biologico, vitamine, sali minerali, lipidi ed
enzimi; endosperma amilifero (al centro), ricco di amido e proteine;
- Embrione (è la parte da cui si forma una nuova pianta), contenente lipidi e proteine.

COMPOSIZIONE CHIMICA DEL CARIOSSIDE


Acqua: presente in quantità variabile dall’8 al 16-18% (in media 12%) in relazione alla zona di
coltivazione. Tra i requisiti che servono a stabilire il valore commerciale del frumento vi è il grado di
umidità , fissato al 14%;
Glucidi: rappresentano in media il 72% del peso della cariosside. L’amido (60-68%) è il componente
tecnologicamente più importante in virtù della capacità di assorbire acqua. La presenza di enzimi
idrolitici (diastasi, costituita da α e β-amilasi) determina l’idrolisi dell’amido in zuccheri
fermentescibili (zuccheri riducenti quali glucosio e destrine), condizione indispensabile per la
lievitazione dell’impasto panario. I pentosani (in media il 6,5%) sono polimeri di aldopentosi non
fermentescibili. La cellulosa e la lignina (2-2,5%) sono presenti nella parte corticale del cariosside e
vengono allontanate durante l’abburattamento.
Proteine: ammontano mediamente al 12% (con valori minimi di 7% a massimi del 18%). Le albumine
(9% del contenuto proteico totale) sono proteine ad alto valore biologico, ricche in glutammina,
leucina, prolina, lisina e si ritrovano nella parte esterna della cariosside e nell’embrione. Le globuline
(5-7% del contenuto proteico tot) sono anch’esse proteine nobili, localizzate quasi esclusivamente
nell’embrione; contenuto di lisina, arginina, serina e cisteina è elevato. Le albumine e globuline sono
entrambe proteine complete, ma vengono allontanate durante la macinazione, dato che si trovano nel
germe e nel pericarpo. Le gliadine e glutenine (75-95%) a contatto con l’acqua si uniscono con legami
intermolecolari formando il glutine, sostanza lipoproteica responsabile di conferire elasticità, viscosità
e coesione alla pasta del pane. Queste proteine sono caratterizzate da quantità elevata di cisteina,
prolina e acido glutammico; basso è il tenore in lisina e metionina, che rappresentano gli amminoacidi
limitanti e diminuiscono notevolmente il valore nutrizionale complessivo delle proteine del grano.
Lipidi: (costituiscono il 1,5-2% della cariosside) sono costituiti da gliceridi esterificati con acidi grassi
insaturi (oleico, linoleico, linolenico) per l’80-84% e saturi (palmitico) per circa il 13%.
Nell’endosperma e nello strato aleuronico si ritrovano fosfolipidi, glicolipidi e steroli (sitosterolo e
campesterolo).
Sali minerali: sono situati nella parte esterna della cariosside. Rappresentano il 1,5-2% e troviamo
soprattutto fosfato di Mg e K, sali di Ca, Fe, S, Cu, Zn,..
Vitamine: si ritrovano quelle del gruppo B e E.
Enzimi: diastasi, lipasi, fitasi.
Fattori antinutrizionali: acido fitico, tannini, lectine e resorcinoli.

Glutenina e gliadina: a contatto con l’acqua e per azione meccanica, si legano fra loro (si instaurano
legami a idrogeno tra Cys, Pro, Glu e H 20) e formano un complesso lipo-proteico chiamato glutine,
creando una specie di maglia elastica. Il glutine assorbe una volta e mezzo il suo peso in acqua, e
durante la lievitazione trattiene l’anidride carbonica sviluppata dal lievito. La percentuale relativa di
gliadine e glutenine determina le proprietà dell’impasto: le glutenine lo rendono tenace ed elastico,
mentre le gliadine lo rendono estensibile.

INTOLLERANZA AL GLUTINE
Il morbo celiaco è uno stato patologico complesso che si manifesta spesso dopo il divezzamento con
alimenti contenenti glutine (farine, biscotti, pastina..), ma anche in età adulta e geriatrica. I sintomi
sono diarrea cronica, vomito, mancanza di appetito, disturbi del comportamento, arresto della crescita.
La patogenesi non del tutto chiara, ma a determinare l’insorgere della celiachia concorrono sia fattori
interni che esterni. All’insorgenza della malattia celiaca concorrono fattori genetici, ovvero una
sensibilità ereditaria dovuta a geni che codificano per HLA (Human Leukocyte Antigen), e fattori
esterni come la presenza del glutine nella dieta. L’α-gliadina (266 AA) durante la digestione si
idrolizza in peptidi tossici per il celiaco, in particolare il frammento tossico 31-49 (19 aa) e altri peptidi
(come Glu-Glu-Glu-Pro). La presenza di questi peptidi nel lume intestinale scatena una risposta
immunitaria abnorme mediata dai Linfociti T citotossici che, attivati dalle linfochine, si trasformano in
cellule killer e aggrediscono le cellule del villi intestinali. Di celiachia si guarisce eliminando il glutine
dalla dieta: - Alimenti privi di glutine: mais, riso, tapioca, grano saraceno, patate, castagne; prodotti
dietetici senza glutine;
- Alimenti da evitare: frumento, orzo, avena, segale.
Attualmente, sono allo studio varietà di frumento, ottenute attraverso le tecniche del DNA
ricombinante, prive di peptidi ad azione tossica.
MOLITURA DEL FRUMENTO, le varie fasi del processo sono:
1) Pulitura delle cariossidi ha luogo in due tempi: all’arrivo del grano (per eliminare pietre, sassi,
paglia e prima della macinazione (per allontanare le pellicole, le barbette, il germe). La separazione da
sostanze estranee avviene per aspirazione o mediante lavaggio con acqua.
2) Condizionamento serve a migliorare la macinazione (umidificazione superficiale dei chicchi e
stazionamento al freddo) e/o per ottenere sfarinati con maggiore attitudine all’impastamento
(umidificazione in profondità e stazionamento al caldo).
3) Macinazione viene effettuata in mulini a cilindri o laminatoi, costituiti da coppie di cilindri metallici
disposti orizzontalmente e ruotanti in senso opposto. Durante la molitura vengono impiegati tre tipi di
cilindri:
Cilindri di rottura (con profonde rigature, non molto vicini) che frantumano la cariosside con
separazione dell’endosperma da grandi scaglie di crusca;
Cilindri di svestimento (con scalanature più fitte, meno profonde e più ravvicinati) che allontanano
definitivamente la crusca;
Cilindri di rimacina (a superficie liscia) che riducono in farina gli sfarinati ancora grossolani.
I passaggi ai successivi cilindri sono intervallati da operazioni di setacciatura attuate con i Plansichter
(setacci piani sovrapposti con maglie decrescenti dall’alto verso il basso) e le semolatrici (separano le
particelle in base a dimensioni e peso specifico).

Attraverso la macinazione vengono ricavati:


Sfarinati (75-78%) costituiti prevalentemente dall’endosperma della cariosside, e scarti (crusca,
cruschello, tritello) per il 20-22%.
I prodotti della macinazione del GRANO TENERO sono detti FARINE DI GRANO TENERO, polveri
asciutte, soffici che, strette in mano, formano una massa compatta (DPR 187/01), classificate in base al
TASSO DI ABBURATTAMENTO; dalla macinazione del GRANO DURO si ottiene, invece, la
SEMOLA, il prodotto ricavato da ulteriore macinazione e abburattamento prende il nome di
SEMOLATO.

CLASSIFICAZIONE DELLE FARINE


Le farine sono classificate, dal punto di
vista merceologico, in base al loro grado
di abburattamento.  Il grado di
abburattamento indica la quantità di farina
(in Kg) che si ottiene da 100 Kg di
frumento.

Più elevato risulta il tasso di abburattamento, maggiore è il contenuto in parte corticale della farina; si
definiscono farine abburattate quelle più raffinate e, quindi, con un minor tasso di
abburattamento. La farina integrale di grano tenero si ottiene direttamente dalla macinazione del
grano tenero, liberato dalle sostanze estranee e dalle impurità.
ANALISI DEGLI SFARINATI
Esame microscopico per evidenziare la presenza di altre farine (cereali diversi, patate, legumi) di
qualità e costo inferiori.
Determinazione dell’umidità La farina è molto igroscopica ed è necessario evitare che l’umidità
aumenti durante la conservazione ed impedire sviluppo di muffe e fermentazioni indesiderate.
Determinazione delle ceneri Tassi elevati possono evidenziare aggiunte fraudolente di sostanze
minerali.
Determinazione del glutine eseguita con lavaglutine elettrico o manualmente: si prepara una soluzione
al 4% di fosfato mono e bisodico in q.tà tali da avere pH 6.8 e diluita con una soluzione al 2% di NaCl;
poi si prepara un impasto con 25 g di farina che viene poi trattato con la soluzione salina; il glutine è
insolubile e dopo essiccamento viene pesato. L’analisi verifica che il tenore di glutine sia nei limiti
previsti dalla legge e dà indicazioni sulla qualità e genuinità delle farine.
Determinazione delle sostanze azotate.

VALUTAZIONE DELLE QUALITÀ PANIFICATORIE


Farinografo: misura la resistenza dell’impasto nei confronti di una sollecitazione meccanica forte; si
valuta la consistenza dell’impasto e q.tà di acqua necessaria per ottenere tale consistenza;
Estensografo: misura estensibilità dell’impasto; valuta la forza della farina e influenza di alcuni
coadiuvanti la panificazione (acido ascorbico)
E altri..

PANE
È “il prodotto ottenuto dalla cottura totale o parziale di una pasta convenientemente lievitata
preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o senza aggiunta di sale comune” (L 580/67).
Gli ingredienti di base del pane sono gli sfarinati, l’acqua, il sale e i lieviti.

Sfarinati: le farine idonee alla panificazione sono quella di grano tenero e di segale, in relazione alla
loro migliore capacità di dare pane con eccellenti caratteristiche organolettiche e nutrizionali; si
possono utilizzare anche grano duro e altri cereali purchè l’eventuale provenienza diversa della farina
venga precisata nella denominazione di vendita. Il termine “integrale” può essere usato anche per farine
bianche alle quali è stata aggiunta la crusca. Il requisito più importante degli sfarinati deriva dalla
composizione in proteine (gliadine e glutenine), secondo la normativa UE il tenore in proteine ≥ 11.5%.
La capacità amilolitica della farina, che consente l’idrolisi dell’amido e la successiva fermentazione, è
importante per stabilire l’attitudine alla panificazione: essa è maggiore nelle farine integrali e più bassa
in quelle abburattate. A questo scopo in base alla normativa vigente è prevista l’aggiunta di cereali
maltati, estratti di malto e α- e β-amilasi (L 580/67). Il malto (non il cereale da cui deriva) può essere
fermentato dai lieviti.

Acqua: fondamentale per la panificazione; apporta all’impasto i sali minerali in essa disciolti e
concorre alla formazione di glutine. L’acqua da aggiungere alle farine è in media il 60 %, e la
temperatura deve essere 21-25°C per non ostacolare l’attività dei lieviti.

Sale: migliora le caratteristiche organolettiche e determina un aumento della qualità e quantità del
glutine (poichè la gliadina è meno solubile in acqua salata); ha una blanda azione antisettica, conferisce
colorazione marcata e croccantezza della crosta; la quantità usata è solitamente 1.82%.

Lieviti: nella panificazione vengono usate colture di Saccharomyces cerevisiae, che fermentano il
glucosio in alcol etilico e CO2 . Sono essenzialmente di due tipi:
 Lievito industriale compresso (è attivo anche con farine più deboli / consente tempi rapidi di
lavorazione / utilizzato per la produzione di pane di piccola pezzatura);
 Lievito naturale o di pasta acida è costituito da acqua e farina, esposte all’aria per qualche tempo
oppure da impasti eseguiti in precedenza. VANTAGGI: conferisce sapore a aroma tipici, maggiore
digeribilità, struttura del pane più regolare; SVANTAGGI: tempi di lavorazione più lunghi. In questi
impasti oltre al S. cerevisiae, troviamo batteri lattici eterofermentativi (come il Lactobacillus
sanfranciscensis) e altri lieviti (come Candida humilis).

LIEVITO DI BIRRA → Saccaromyces Cerevisiae è un fungo unicellulare con capacità fermentativa


disponibile in commercio sia fresco che secco. Viene coltivato industrialmente su strati di melassa,
mentre un tempo veniva ricavato dalla produzione della birra. Il lievito Saccaromyces cerevisiae si
sviluppa su uno strato idoneo, nella panificazione per esempio, in un impasto di acqua e farina,
nutrendosi di amidi. Durante il suo sviluppo l’amido contenuto nella farina viene scisso in zuccheri più
semplici producendo anidride carbonica (CO 2) e alcol etilico (CH3CH2OH) ed energia sotto forma di
ATP . Tale processo ossidativo anaerobico prende il nome di fermentazione, dal latino fervere (bollire).

PASTA MADRE .→ È una vera e propria microflora composta da batteri lattici, acetici e lieviti (oltre
300 specie diverse). Può avere vari livelli di idratazione (ad esempio pasta madre in coltura liquida o
semi-liquida). Si ottiene prelevando un pezzetto di impasto dalla precedente preparazione non cotta
(lievito capo).
È più digeribile e facilmente assimilabile, rende maggiormente disponibili i sali minerali e le proteine
presenti nell’impasto, non procura gonfiori addominali, è un valido riequilibratore della nostra flora
batterica intestinale ed arricchisce l’impasto di utili batteri lattici, conferisce un indice glicemico
minore anche utilizzando farine non integrali, ecc.
Vantaggi qualitativi: maggiore sofficità, elasticità degli impasti, contribuisce ad intensificare la
colorazione della crosta e inibisce le proteasi accrescendo la stabilità della farina. Le preparazioni con
la pasta madre si conservano più a lungo, possiedono un profumo caratteristico ed un intenso aroma.
AGENTI LIEVITANTI → Si definiscono AGENTI LIEVITANTI quelle sostanze o combinazioni di
sostanze che favoriscono la lievitazione dell’impasto mediante la liberazione di gas, in genere CO 2. A
tal scopo si usa bicarbonato di Na o NH4, a cui è opportuno aggiungere sostanze acide (ac. tartarico;
tartrato acido di potassio) per neutralizzare l’alcalinità del sale.
FASI DI LAVORAZIONE DEL PANE:
1) Impastamento può essere eseguito a mano o con macchine impastatrici. Le gliadine e glutenine per
la presenza di acqua ed energia meccanica, fornita dall’impasto, si uniscono originando una massa
plastica ed elastica, il glutine. Nel reticolo tridimensionale del glutine rimangono intrappolate le bolle
d’aria dentro le quali diffonderà la CO2 prodotta dalla fermentazione. La CO2 dilatandosi fa aumentare
l’impasto. La produzione dell’impasto può avvenire essenzialmente con due metodi:
- Metodo diretto: in cui gli ingredienti sono impastati a più riprese intervallate da periodi di riposo;
- Metodo indiretto: può essere eseguito con impasto-lievito o metodo Poolisch, in cui si prepara un
impasto con 1/3-1/4 della farina con acqua e lievito e si fa fermentare; dopo la lievitazione si aggiunge
quello che resta;
oppure con lievito naturale, in cui a un iniziale impasto di farina, lievito e acqua, lasciato fermentare,
vengono aggiunte, per due volte, quantità sempre maggiori di farina e acqua. E’ una “panificazione
casereccia” adoperata solo nelle lavorazioni artigianali.
2) Fermentazione Il glucosio, dall’idrolisi dell’amido, viene trasformato in alcol etilico e anidride
carbonica dai lieviti. Si generano anche glicerina, aldeide acetica, acido succinico, alcoli superiori,
derivati dalla desamminazione ossidativa degli a.a. Avvengono anche la fermentazione lattica (acido
lattico, trasformato in butirrico) e acetica (acido acetico).
La fermentazione alcolica determina, in seguito alla produzione di CO 2, la LIEVITAZIONE; il tempo
necessario viene valutato empiricamente premendo con le dita l’impasto. Tempi prolungati di
fermentazione provocano l’idrolisi del glutine con perdita della estensibilità e tenacità dell’impasto. La
temperatura ottimale è tra 23-25 °C, con un UR ~ 80-85%; la lievitazione ha luogo in ambienti
(camere di lievitazione) dotate di condizionatori d’aria dove stazionano i carrelli portateglie.
3) Cottura Il processo produttivo del pane prevede, dopo varie fasi di lavorazione, la fase di cottura
che rende il prodotto dal p.d.v. organolettico e nutrizionale idoneo al consumo sulla base di
caratteristiche oggettivamente rilevabili (consistenza, compattezza, assenza di particolari odori e/o
sapori se non quelli propri, aspetto esterno..) connesse alla % di umidità del prodotto finale, frutto di
condizioni ottimali di cottura (tempo/temperatura). La cottura avviene generalmente in forni elettrici a
temperatura oltre i 200°C con rapido riscaldamento del prodotto fino ad una temperatura di equilibrio a
circa 100°C dovuta alla evaporazione dell’acqua contenuta in forma libera nell’impasto, poi si forma la
crosta tipicamente colorata per formazione e caramellizzazione delle destrine.
Durata: ~ 1 h per le forme di 200 g; ~ 15 min per i panini.

Le fasi salienti della cottura in rapporto alla T:


- 30°C: espansione dei gas prodotti dai lieviti e produzione di zuccheri per azione di enzimi.
- 50°C: morte dei saccaromiceti.
- 60°C: attività enzimatica e modificazione dell’amido che inizia a consolidarsi.
- 80°C: consolidamento della struttura dell’amido (volume); l’alcol e le sostanze aromatiche
evaporano;
- 100°C: inizio evaporazione verso l’esterno con formazione della crosta: impedisce l’aumento della
temperatura di superficie fino a un certo punto quando, a
- 120°C: si formano le destrine nella crosta con conseguente coloritura del prodotto.
- Le fasi successive: temperature finali di cottura di circa 200°/230°C (fino anche a 260° C per 10’ -18’
per piccole pezzature…)

L 580 del 4/7/1967 → Definizione del Prodotto: il pane è un“ prodotto ottenuto dalla cottura totale o
parziale di una pasta convenientemente lievitata, preparata con sfarinati di grano, acqua e lievito, con o
senza aggiunta di sale comune ”.
La legislazione italiana definisce diverse tipologie di pane:
- se l’impasto è costituito solo dagli sfarinati di grano, acqua e lievito, il pane è denominato “comune”
(a sua volta classificato, a secondo della farina impiegata,…”pane tipo 00”…).
- se vi sono anche altri ingredienti (burro, olio di oliva, strutto) in q.tà non inferiore al 4.5% si ha il
pane “speciale” ,
- pane fatto con l’uso di farine diverse da quelle di grano duro, seguito dal nome dello sfarinato
caratterizzante;
La legge 580 stabilisce anche che il pane deve essere venduto a peso e quale sia il massimo contenuto
di umidità che deve avere il pane a cottura ultimata, in funzione della pezzatura (es. sino a 70gr.:
massimo 29%; oltre i 1000gr.: massimo 40%).

“grissino”: farine di grano tenero 0 e 00 acqua e lievito con o senza sale;


“cracker”: uguali componenti ma a lunga lievitazione (24-48h); più concentrati del pane e quindi più
calorici, ma più facilmente digeribili;
“pane a cassetta” o “pancarrè”: da impasti teneri lievitati a lungo;
“pane tostato”: umidità 4-8%;
“pangrattato”: macinazione del pane secco;
 Il DM 13/04/87 consente anche la produzione di PANE SURGELATO; vieta ai panifici che optano
per questo tipo di lavorazione di procedere anche a quella del pane fresco; inoltre, il quantitativo di
produzione deve essere limitato al 5% della capacità produttiva totale di pane nella provincia.

DM 209/96, attua la direttiva cominutaria in materia di additivi


Aggiunta di additivi in numero limitato e in base al principio “quanto basta”: Acido acetico e i suoi
Sali, acido lattico e i suoi Sali (per inibire il Bacillus mesentericus), lecitine, lattati, mono e digliceridi
degli acidi grassi, acido ascorbico (per aumentare l’elasticità degli impasti) e i suoi Sali di Na e Ca e i
suoi esteri con gli acidi grassi.
Aggiunta di alfa e beta-amilasi: per favorire l’idrolisi dell’amido;
Aggiunta di alcol etilico (DM 04/03/85) nel pane a cassetta confezionato in q.tà non superiore al 2%
(dichiarata in etichetta) se non trattato con acido ascorbico e suoi Sali.
Bacillus Mesentericus: le spore sono resistenti alla temperatura interna di cottura; determina
decomposizione dell’amido e fermentazione in seguito alle quali il pane presenta mollica filante e
odore sgradevolissimo.
VALORE NUTRITIVO DEL PANE:
Apporto energetico: glucidi, sono i componenti più rappresentati. L’apporto proteico è relativamente
elevato, ma non fornisce tutti gli AAE. La quota lipidica è ridotta. Il contenuto di sali minerali e
vitamine aumenta passando dalle farine a basso tasso di abburattamento a quelle integrali.
Il rapporto Ca/P è molto basso (0.1-0.2) (ALIMENTO “RACHITOGENO”)
Il pane integrale è ricco di lipidi, sali minerali e vitamine; basso apporto glucidico; la fibra grezza
riduce il tempo di permanenza del cibo nel tubo digerente diminuendone l’assorbimento.
Il Ministero della Salute e le associazioni di categoria rappresentative della filiera della panificazione
hanno siglato un accordo per la graduale riduzione del contenuto di sale nel pane in una misura
variabile che abbia come target di riferimento la raccomandazione emanata dall’U.E. a ridurre il
consumo in ciascuno dei Paesi aderenti in quattro anni a partire dal 2008.

LA PASTA
DPR 187/01 definisce: “pasta di semola di grano duro e pasta di semolato di grano duro i prodotti
dalla trafilatura, laminazione ed essiccamento di impasti preparati rispettivamente ed esclusivamente
con semola e semolati di grano duro e acqua.” Pasta di semola integrale di grano duro ottenuta da
semola integrale di grano duro e acqua.
La pasta prodotta in altri paesi con sfarinati di grano tenero deve essere commercializzata in Italia con
le seguenti denominazioni:
- pasta di semola di grano duro e farina di grano tenero (qualora il primo componente prevalga sul
secondo)
- pasta di farina di grano tenero e semola di grano duro
- pasta di farina di grano tenero

Italia: primo paese produttore in Europa Produzione è di 2.5 milioni di tonnellate e circa 60%
destinato al consumo interno. Tipologie di paste prodotte: paste secche, paste all’uovo, paste fresche.

Consumo di pasta nel mondo Kg/pro capite

PROCESSO DI PASTIFICAZIONE:
1) Miscelazione: semola (o semolato) e acqua. Con il DM 119/96 è consentito l’aggiunta di sale fino
ad un max del 4% sul prodotto secco.
2) Impastamento-gramolatura: effettuate in impastatrici-gramolatrici dove la semola o semolato è
mescolato al 20-30% di acqua con formazione di glutine e idratazione di amido, fino al conseguimento
di un’idonea consistenza e plasticità.
3) Trafilatura l’impasto è forzato a passare attraverso uno stampo della forma voluta, tagliando la
pasta della lunghezza voluta. Negli impianti moderni tali fasi avvengono in un unico apparecchio detto
ESTRUSORE (pasta con contenuto di umidità del 30%).
4) Essiccamento prima fase (INCARTAMENTO, strati superficiali), seconda fase (ESSICAMENTO
DEFINITIVO, la cui durata è funzione della temperatura raggiunta, dell’umidità, della misura e del
formato della pasta; 40-80°C per 6-28h; 40-45°C per 36-42h (migliore qualità/tempi più lunghi).
La pastorizzazione è riservata alla pasta fresca, per ridurne la carica batterica e prolungarne la shelf-
life.

IL RISO
E’ una Graminacea del genere Oryza di origine asiatica. Specie più comune è l’Oryza sativa asiatica di
cui sono conosciute e coltivate 3 sottospecie: indica (riso basmati e patna), japonica, javanica.
Italia: maggior produttore di riso in Europa - zone Vercelli, Novara e Pavia - Oryza sativa japonica.
Coltivazione (il riso può resistere a T° ed ambienti diversi): terreni asciutti, parzialmente sommersi, in
acque profonde. Semina: primavera, Raccolto: fine ottobre/ mietitrebbiatrici. Risone viene fatto
essiccare (elevato tenore umidità) e poi trattato per diventare commestibile.
Il riso è “il prodotto ottenuto dalla lavorazione del risone o riso greggio con completa asportazione
della lolla e successiva operazione di raffinatura, cioè parziale o completa asportazione del pericarpo
e del germe”.

La LAVORAZIONE DEL RISO comprende diverse fasi:


1) Pulitura consiste nell’allontanamento di sostanze estranee dal risone
2) Sbramatura eliminazione della lolla (cellulosa, lignina, pentosani; pula) costituita da glume e
glumelle, ottenendo il riso integrale.
3) Sbiancatura I chicchi sono sottoposti all’azione di macchine che li “limano”, allontanando via via le
parti più esterne.
Il prodotto poi può essere trattato con talco e glucosio (brillantatura) o con oli inodori e insapori come
quello di vaselina o di lino (oleatura); in tal modo I chicci risultano più brillanti e lucenti, ma meno
genuini del prodotto non trattato.

Legge n.325 del 1958 modificata dalla n. 109 del 1992 Il RISO è il “prodotto ottenuto dalla
lavorazione del risone con completa asportazione della lolla e successiva operazione di raffinatura”
Riso comune: cariosside piccola e tondeggiante di lungh. ˂ 5.5 mm (Originario)
Riso semifino: cariosside di lunghezza tra 5.5 e 6.5 mm (Vialone nano)
Riso fino: cariosside di lunghezza > 6.5 mm (Ribe)
Riso superfino: cariosside lunga e grossa (Arborio, Carnaroli)
La classificazione dei vari tipi di riso non avviene in base al valore nutrizionale, ma solo ad un fatto
puramente fisico ed estetico.

VALORE NUTRIZIONALE DEL RISO


E’ un alimento base in Cina, Giappone e India (consumi da 250-400 g a 750-800 g pro-capite).
Beri-beri: malattia introdotta con il consumo di riso brillantato in Cocincina (Vietnam); la brillatura
elimina la vitamina B1(Tiamina), necessaria alla conversione del glucosio in energia; la malattia
provoca danni al SN, che poi si estendono ai sistemi gastrointestinale e cardiovascolare.
Alto livello di carboidrati complessi. Medio livello di proteine (più basso di altri cereali): carente in Lys
aa essenziale. Scarso contenuto di prolammine che rende impossibile la formazione del glutine e la
lavorazione della farina. Amido facilmente digeribile: granuli di 2-10 micron. Ipoallergenico. Basso
contenuto di grassi (3% nel riso integrale).

MAIS – ZEA MAIS L.


Origine: America centrale oltre 7000 anni fa con lo sviluppo delle civiltà maya e azteche. Introdotto in
Europa nel 1500.
Produzione mondiale: 600 milioni di tonnellate
USA: 130 milioni di tonnellate all’anno
Italia: 11 milioni di tonnellate all’anno di cui 10% alimentazione umana; 10% uso industriale; 80%
alimentazione zootecnica.
Coltura del mais ha avuto uno sviluppo notevole nell’ultimo decennio: ricerca genetica (resa, resistenza
alle malattie e alle condizioni climatiche) e tecniche agronomiche. I chicchi sono disposti in più file
lungo il TUTOLO, un asse centrale costituito da cellulosa, formando la PANNOCCHIA.
Uso: industria alimentare, farmaceutica, cosmetica, della carta, della plastica (gomme, e adesivi) e in
zootecnia.

COMPOSIZIONE CHIMICA CARIOSSIDE:


Amido (72-75%);
Proteine (10% della cariosside) tra cui la zeina, prolammina di riserva carente in lisina e triptofano
Grassi (3,5-4%) presenti nel germe da cui viene estratto l’olio, ricco di tocoferoli e ac.grassi insaturi
Minerali 80% P/K, Ca in concentrazione molto ridotta (elemento limitante nelle diete a base di mais);
Buon contenuto di Vit E, biotina, riboflavina e tiamina, provitamina A (mais giallo); l’ olio estratto dal
seme: buoni requisiti alimentari (61.9 % di linoleico, 24.1 % oleico, 11.1% palmitico).
La contemporanea carenza di vitamina PP (B 3 o Niacina) e di triptofano può determinare la comparsa
dei sintomi della pellagra, nelle persone la cui dieta sia basata quasi esclusivamente sul mais.

ORZO
Alimentazione zootecnia 85%. Produzione di birra e whisky. Genere Hordeum, specie vulgaris.
Usato come sfarinato in mix con il frumento per la panificazione e come orzo perlato per zuppe e
minestre, tostato come succedaneo del caffè. Alto livello di fibra solubile.
Malto: cariossidi dell’orzo che hanno subito una germinazione provocata dall’idratazione delle stesse
(scissione dell’amido in composti zuccherini fermentescibili - maltosio); il ciclo di lavorazione è
composto da: idratazione cereale, germinazione, essiccatura; il malto è utilizzato nella produzione di
birra, estratti e farine per la panificazione.

AVENA
Avena sativa è diffusa nel Nord Europa, dove esistono climi molto rigidi. Popoli germanici e degli
scozzesi: porridge (piatto per la prima colazione).
Il 7% della produzione è destinato all’alimentazione, il resto alla zootecnia. Alto contenuto proteico:
Lys; buon rapporto saturi/ insaturi; fibre solubili e insolubili; ferro.
SEGALE
Predilige climi freddi del Nord e si adatta a terreni difficili e poveri (steppa, brughiera). Diffusa nei
paesi dell’Est; in Italia: Trentino, Valle d’Aosta, ancora oggi nell’Alto Adige e nel Sud Tirolo.
Utilizzata sola o, più frequentemente, mescolata al grano (avendo poca gliadina, non è adatta alla
panificazione) per pane dalla caratteristica consistenza e colore scuro. Segale integrale: 69% di
carboidrati, 11.6% di proteine.
Coltivazioni della segale possono essere infestate dalla Claviceps purpurea (fungo parassita): forma
degli sclerozi simili a speroni o cornetti che conferiscono alla pianta infetta il nome comune di "segale
cornuta". I cornetti che spuntano dalle spighe infestate sono costituiti dai corpi fruttiferi (sclerozi) del
fungo stesso, in cui sono contenuti molti alcaloidi velenosi del gruppo delle ergotine (tra cui l'acido
lisergico), che hanno gravi effetti su persone e animali che ne mangiano. Questi alcaloidi, essendo dei
vaso-costrittori, compromettono la circolazione; inoltre interagiscono con il SNC, agendo in particolare
sui recettori della serotonina. Gli sclerozi se macinati possono contaminare le farine e quindi essere
responsabili di una quadro patologico noto come ERGOTISMO. L’uso appropriato di fitofarmaci ha
annullato quasi completamente tale pericolo.

Farro: progenitore del frumento, alimento base dei Romani per secoli; cresce in terreni poveri e al
freddo; ricco di proteine, minerali e vitamine; si trova in commercio come farro decorticato e perlato.

Grano saraceno: ricco di aa essenziali (Lys e Trp) e minerali; contiene anche la rutina, glucoside della
quercitina (azione protettiva per i vasi sanguigni);

Triticale: deriva dall’incrocio del grano duro (elevato rendimento in chicchi, alto tenore proteico) con
la segale (resistenza e contenuto in Lys).

IL KAMUT
Grano khorasan originario del Medio Oriente, è un cereale antichissimo, antenato del grano duro
moderno, è stato riscoperto da Robert Quinn, agricoltore americano che ne ha brevettato il marchio per
tutelarne l’autenticità. Comparato al grano comune, il Kamut è più ricco in proteine (15% ed il 40%),
minerali come Se, Mg e Zn, Vit. B e Vit. E ed acidi grassi.

LE VERDURE

Con questo termine indichiamo l'insieme degli alimenti vegetali coltivati (ortaggi, legumi ed erbe
aromatiche), di cui si utilizzano diverse parti a scopo alimentare sia come tali sia come materie prime
per la preparazione di numerosi prodotti derivati (surgelati, congelati, piatti pronti). Sia da un punto di
vista alimentare che botanico, le verdure possono essere classificate secondo diversi criteri, in base alla
famiglia botanica di appartenenza (Solanacee, Liliacee..), al nutriente più rappresentato (acquose,
amidacee) ed in relazione alle parti commestibili usate: foglie, fiori e bulbi.
I legumi sono i semi delle leguminose (piselli, lenticchie, fagioli, fave, ceci, cicerchia). Infine tra le
verdure sono incluse le numerose erbe aromatiche (alloro, origano, prezzemolo, rosmarino, basilico,
menta, salvia, timo) che sono utilizzate per insaporire le pietanze.

La composizione chimica del vegetale varia a seconda della PARTE EDIBILE: le foglie sono in
genere più ricche di β-carotene, ferro e, a volte, di vitamina C e del gruppo B;
Nei tuberi si ritrova amido in rilevante concentrazione, così come nei semi, oltre a discrete quantità di
proteine, ferro e vitamine del complesso B.

LA FRUTTA
Con questo termine si indica l'insieme dei frutti commestibili di varie piante arboree o erbacee.
Nel classificare le diverse varietà di frutta si tiene conto di fattori molto diversi: alcuni intrinseci al
frutto stesso, ad esempio la composizione chimica; altri estrinseci, quali ad esempio la provenienza:
nazionale o esotica.
Una classificazione sotto il profilo nutrizionale è quella che suddivide la frutta in tre categorie: Frutta
polposa (zuccherina e acidula), farinosa e oleosa.

La maggior parte della frutta che arriva sulle nostre tavole, appartiene al gruppo della frutta polposa
zuccherina che deve il suo nome alla presenza di zuccheri semplici (glucosio e fruttosio) nella polpa.
Alcuni esempi sono: uva, mele, pere, albicocche, pesche, susine, fragole, nespole, banane, fichi, datteri,
meloni, cocomeri e ciliegie. Appartengono al gruppo della frutta polposa acidula gli agrumi come
mandarini, arance, limoni e cedri, dal sapore più aspro.
La frutta farinosa in Italia e nei paesi a clima temperato é essenzialmente rappresentata dalle castagne
che sono ricche in carboidrati complessi (amido).
Con il termine di frutta essiccata si intende frutta polposa e farinosa che ha subito un processo di
essiccazione per aumentarne la conservazione. Prugne, uva, fichi, datteri e albicocche, pesche e
castagne sono esempi di frutti che consumiamo sia freschi sia dopo essicazione.
La frutta oleosa definita anche secca (diversa da essiccata) é rappresentata da: noci, nocciole,
mandorle, pinoli, arachidi, noci del Brasile e pistacchi. Rispetto alla frutta fresca, a parità di peso tutti
questi frutti hanno un contenuto di acqua minore e un quantitativo maggiore di grassi e proteine.
In aggiunta a queste tre categorie, considerando la provenienza da zone tropicali, alcuni tipi di frutta
polposa vengono classificati come frutta esotica. Ne sono esempi la banana, ananas, avocado, mango,
papaia, cocco, litchi.

Con il termine frutta antica (o frutta dimenticata) si intende la frutta prodotta da specie arboree e
varietà oggi poco conosciute dalla maggior parte dei consumatori, in particolare dei più giovani. Tra gli
alberi da frutto dimenticati sono compresi azzeruoli, giuggioli, mandorli, melograni, cotogni, cornioli,
nespoli e sorbi, e cultivar perse e dimenticate di pere, pesche, fichi e mele, tra cui la mela rosa ancora
diffusa sull'Appennino marchigiano e in altre regioni dell’Italia centrale.

TIPI DI FRUTTA:
 Frutta a granelli: Mele, pere, cotogne, ecc.
 Frutta a nocciolo: Albicocche, ciliegie, pesche, susine, prugne ecc
 Frutta a bacche: More, fragole, mirtilli, lamponi, ribes, uvaspina, uva da tavola, ecc.
 Agrumi: Pompelmi, mandarini, clementine, arance, limoni, ecc.
 Frutta esotica: Ananas, banane, datteri, fichi, avocado, ecc.
 Frutta con guscio: Castagne, arachidi, noci, nocciole, noci di cocco, mandorle, noci del Brasile,
pistacchi, ecc

I LEGUMI
Fagioli, piselli, lenticchie, ceci, arachide, fave, roveja, soia sono i prodotti vegetali a più alto
contenuto proteico (circa 20 g/100 g) una quantità analoga alla carne, in passato definiti la “carne dei
poveri”. Le proteine dei legumi, non contengono tutti gli aminoacidi essenziali (sono carenti in Met e in
Cys), pertanto si definiscono di qualità inferiore rispetto a quelle di origine animale.
Costituiscono una fonte di carboidrati complessi (amidi) a lento assorbimento. Il glucosio che deriva
dalla digestione dell’amido dei legumi, passa nel sangue gradualmente e non provoca innalzamenti
troppo bruschi della glicemia e di insulina dopo il pasto pertanto i legumi hanno un indice glicemico
basso rispetto ad altri alimenti. Questo effetto è da mettere probabilmente in relazione al contenuto
elevato di fibre, infatti questi composti rallentano l’assorbimento dei carboidrati.
Fonte di vitamine in particolare alcune del gruppo B (B1, B2 e niacina), di folati e di minerali. Il calcio
nei legumi è presente in quantità paragonabile al latte, ma è meno facilmente assorbibile di quello dei
latticini. Lo stesso si può dire del ferro contenuto nei legumi (presente nella stessa quantità nelle uova e
in alcune carni), ma l’assorbimento di quest’ultimo può essere incrementato se contemporaneamente si
assume frutta o verdure ricca in vitamina C (kiwi, arance, fragole, cavoli, verza, peperoni, pomodori).
Fonte principale di saponine, composti ad azione ipocolesterolemizzante assieme alle fibre vegetali e
questo spiegherebbe, secondo alcuni autori, la bassa incidenza di malattie cardiovascolari nelle
popolazioni dell’America Latina la cui dieta è ricca di legumi.
E’ opportuno evidenziare la presenza, nei vegetali, di numerosi composti tossici, farmacologici e
antinutrizionali:
- aflatossine: micotossine prodotte da due specie di Aspergillus, un fungo che si trova in particolare
nelle aree caratterizzate da un clima caldo e umido, con proprietà genotossiche e cancerogene;
- glucosidi cianogenetici: in seguito ad azione enzimatica liberano acido cianidrico (fagioli, patate
dolci, mandorle, semi e noccioli di molti tipi di frutta, mais), casi di avvelenamento molto rari;
- allergeni: glicoproteine a basso pm, assorbite senza essere digerite, provocano una risposta
immunitaria tipo antigene-anticorpo, prevalentemente a carico di pelle e tratto respiratorio;
- fattori di flatulenza: produzione di gas intestinali dovuta alla presenza di oligosaccaridi che, non
attaccati da enzimi digestivi, subiscono nel crasso una fermentazione da parte della flora batterica con
produzione di H2, CH4 o CO2
- saponine: detergenti naturali a largo spettro di attività (antimicrobici, antiinfiammatori,
antineoplastici, ipocolesterolemizzanti).
- nitrati: contenuto influenzato dalla composizione del terreno e dall’uso di fertilizzanti (bietola,
spinaci, cavoli, lattuga); Reg CE 194/97 fissa limite a 2,5 g/kg per spinaci freschi, 2g/kg surgelati o
congelati; 2,5-4,5 g/kg per la lattuga.
- ossalati: presenti in varie verdure (spinaci, sedano, barbabietola, fagioli..) vengono assorbiti poco
poiché insolubili; possono chelare il calcio, limitando l’assorbimento.
- antitiroidei: con azione gozzigena (cavoli, cavolini di Bruxelles..) presenti in bassa concentrazione
vengono inattivati dalla cottura.

FAVISMO le fave sono coinvolte nel favismo o anemia emolitica che si manifesta in seguito alla loro
ingestione o dopo aver inalato il polline del fiore. Il favismo è dovuto a una carenza della G6P
deidrogenasi, anomalia genetica localizzata sul cromosoma X. Rottura degli eritrociti dovuta alla
presenza nelle fave del dopachinone (prodotto di ossidazione della dopa per azione della tirosinasi) che
agisce ossidando irreversibilmente il glutatione e i gruppi SH delle proteine in particolare l’emoglobina
che denaturata precipita all’interno delle cellule. La carenza di G6PD compromette il potere riducente
delle emazie poiché lo shunt dell’esosomonofosfato è interrotto e non si forma NADPH, la cui funzione
è quella di mantenere allo stato ridotto il glutatione, i gruppi SH delle proteine ed il ferro emoglobinico.
Il NADPH prodotto nel ciclo dei pentoso-fosfati, viene utilizzato per la riduzione del glutatione. Il
mantenimento del glutatione ridotto (GSH) è una condizione importante per la stabilità del globulo
rosso; infatti la ossigenazione dell’emoglobina ad ossiemoglobina è un processo a rischio, in quanto
una piccola aliquota di O2, anziché legarsi all’emoglobina, sottrae ad essa 1 elettrone per formare lo
ione superossido. Il Ribosio 5-P è utilizzato per la sintesi di acidi nucleici.

I FUNGHI
Appartengono alle Eumycophyta, che comprendono numerosi vegetali di rilevante importanza in
svariati campi (muffe,lieviti ecc). Privi di clorofilla, come sostanza di riserva contengono il glicogeno
(non l’amido), sono eterotrofi, vivono come saprofiti utilizzando i composti organici in
decomposizione come nutrimento. Le cellule costituiscono filamenti più o meno ramificate, le ife, che
riunite formano il micelio.
Basidiomiceti: presentano le ife fertili riunite nel corpo fruttifero (parte edibile); porzione inferiore del
cappello si sviluppano le spore. Ai Basidiomiceti appartengono I più importanti funghi commestibili.
Funghi commestibili: Boletus (porcino), Chantarellus (finferli), le Russule, Amanite (comprende
anche funghi velenosi A. phalloides, A. verna, A. phanterina).
Il consumo di funghi coltivati (75% Champignons o prataioli, 25% Pleurotus) è in costante aumento.
COMMESTIBILITÀ E TOSSICITÀ DEI FUNGHI Il concetto di “commestibilità” è legato alla
“cottura”. Le sostanze tossiche risiedono in quasi tutti i funghi allo stato “crudo” sotto forma di
“tossine” le quali si suddividono in:
• Termolabili: tossine neutralizzate dalla cottura non inferiore a 15 minuti ad una temperatura minima
di 70° C.
• Termoresistenti: non neutralizzate dalla cottura (tossicità)
• Assenti: funghi mangiabili anche crudi (Amanita caesarea od ovolo buono – Boletus edulis o
porcino) La commestibilità è legata anche allo stato di salute del fungo ed alla sua conservazione,
Possono essere pericolosi:
- Funghi troppo imbevuti (pieni d’acqua)
- Funghi troppo vecchi o mal conservati.
Un fungo commestibile può diventare tossico a causa della condizione ambientale nel quale cresce ed
agli effetti dell’inquinamento da pesticidi, per la vicinanza a strade di gran traffico o di zone industriali
ed urbane, e dalla radioattività.

DEFINIZIONI SULLA COMMESTIBILITÀ DEI FUNGHI


• Commestibili: funghi che una volta mangiati non danno disturbi d’alcun genere alla salute ed hanno
sapore e odore gradevoli; classificati in ottimi, buoni, mediocri.
• Non commestibili: funghi che non provocano disturbi alla salute, ma di sapore e odore sgradevoli, o
duri o legnosi.
• Tossici: funghi che, se mangiati, provocano disturbi lievi del tipo “gastrite”, “diarrea”, “vomito”,
“allucinazioni”.
• Velenosi: funghi che, se mangiati, provocano disturbi molto gravi con lesioni permanenti ad alcuni
organi, ed anche la morte.

ASPETTI NUTRIZIONALI
Contengono acqua (circa il 90%), carboidrati, lipidi, protidi, vitamine e sali minerali. Il valore nutritivo
è poco elevato, non riescono a sostituire la carne, il formaggio, le uova, i legumi e i cereali (minimo
tenore proteico e di sostanze azotate). Tra i carboidrati presenti ve ne sono di non digeribili come la
chitina che è un polisaccaride azotato costituente le pareti cellulari. Per quanto riguarda gli elementi
minerali, i funghi ne sono buoni portatori. Numerose, infine, le sostanze odorose, responsabili
dell’aroma tipico. Il valore nutrizionale aumenta, proporzionalmente alla disidratazione, nei funghi
secchi.

L 352/93, DPR 376/95 → Secondo la normativa vigente la vendita dei funghi freschi spontanei è
soggetta ad autorizzazione comunale (previa certificazione di avvenuto controllo da parte delle
ASL); quella dei coltivati freschi è regolamentata dalla legislazione inerente ai prodotti ortofrutticoli;
In entrambi i casi la commercializzazione riguarda solo le specie commestibili.
 Prodotti importati: devono essere riconosciuti commestibili dalle autorità competenti dei Paesi di
origine; verifiche e sondaggi vengono comunque effettuati dall’Ispettorato micologico competente.
 Funghi secchi: dopo essiccamento naturale o meccanico presentano un tasso di umidità non
superiore al 12%. Possono essere essiccati solo i funghi appartenenti alle specie elencate nella
normativa. Venduti interi o sminuzzati in confezioni chiuse; consumo entro 12 mesi dal
confezionamento.
Porcini: posti in commercio sfusi con autorizzazione comunale;
5 categorie commerciali: extra, speciali, commerciali, briciole e polvere.

Conservazione: Sottolio, Sottaceto, In salamoia, Congelati/surgelati.


Previo trattamento termico (inattivazione delle spore del Clostridum botulinum) o chimico (per
impedirne la germinazione).
La filiera è l’insieme concatenato di vari elementi strutturali e funzionali che, in ordine cronologico,
sono coinvolti nella produzione di un alimento, dalle modalità di produzione delle materie prime, fino
alla distribuzione del prodotto finito. Le filiere produttive hanno una notevole influenza sulla qualità
(chimica, nutrizionale, organolettica) dei prodotti ortofrutticoli e dei loro derivati.
Fattori ambientali (clima, l’altitudine, le escursioni termiche e la composizione del terreno) e il tipo
di coltivazione influenzano il contenuto in nutrienti e caratteristiche organolettiche dei prodotti
vegetali.
Un contenuto maggiore in antiossidanti e di altri nutrienti è stato osservato in alcuni tipi di frutta
(pesche, susine, arance, pere) coltivati mediante agricoltura biologica rispetto a quella ottenuta
mediante agricoltura convenzionale. Gli antiossidanti sono composti chimici che vengono sintetizzati
dal metabolismo delle cellule vegetali. Le tecniche di coltivazione (disponibilità ottimale di acqua,
concimi, trattamenti antiparassitari, ecc) influenzano tali sintesi, le piante che sperimentano ambienti
sub-ottimali tendono a potenziare il metabolismo secondario e in genere producono frutti di
dimensioni più piccole ma con un maggior valore nutrizionale.

Trattamenti tecnologici e di conservazione


La deperibilità è una caratteristica innata di tutti i sistemi biologici. Tra quelli più tradizionali troviamo
l’essiccamento al sole, la conservazione con olio, sale o aceto, che affondano le loro radici
nell’antichità; oggi vengono molto usati anche metodi come la surgelazione (dopo il blanching per
inattivazione enzimatica), prerefrigerazione/refrigerazione, la concentrazione (pomodoro e succhi di
frutta), l’essiccamento (legumi), la liofilizzazione (frutta e verdura disidratate),
pastorizzazione/sterilizzazione (conserve e semiconserve), radiazioni ionizzanti (agli, cipolle e
patate, erbe aromatiche e spezie).
Prima di venire sottoposti a qualsiasi trattamento di conservazione, i vegetali vengono puliti,
selezionati, privati di parti non edibili, sbucciati, frazionati o triturati.
26Nei prodotti freschi, sono microrganismi o enzimi a causare reazioni degradative. Nei prodotti di
quarta e quinta gamma (insalate pre-tagliate), grazie a particolari tecnologie come l’impiego di
atmosfera modificata e alle basse temperature, i prodotti rimangono turgidi più a lungo. I trattamenti di
conservazione, soprattutto se impiegano il calore (es. pastorizzazione, blanching..), consentono di
essere più sicuri sul piano igienico determinano la inattivazione di tossine, inattivano microrganismi,
tuttavia portano ad un impoverimento del contenuto in vitamine, alcune sono più sensibili come la
vitamina C, altre sono più resistenti. Impatto sul valore biologico, nutrizionale e organolettico dei
prodotti. Anche la cottura e altre manipolazioni domestiche, sono responsabili di una perdita in
vitamine e sali minerali.
Dovendo orientarsi nelle scelte, occorre sempre privilegiare prodotti di stagione, più ricchi di vitamine
e meno costosi.

CARATTERISTICHE NUTRIZIONALI DEI PRODOTTI ORTOFRUTTICOLI


• Contenuto di vitamine (ac. ascorbico, tiamina, niacina, riboflavina, carotene)
• Contenuto di fibra alimentare
• Contenuto in sali minerali
• Contenuto di sostanze bio-attive (fruttooligosaccaridi, polifenoli antiossidanti, ecc.)
Gli ANTINUTRIENTI sono molecole in grado di interferire con digestione/assorbimento degli alimenti
o con il nostro funzionamento metabolico, gastrointestinale, cerebrale o ormonale.
FITATI: composti che imprigionano i sali minerali rendendoli indisponibili all’assorbimento attraverso
un meccanismo detto CHELAZIONE. L’acido fitico è presente in cereali integrali, frutta secca e cacao.
Per quanto riguarda i legumi secchi, l’ammollo dei semi ne garantisce l’allontanamento; la cottura è un
altro metodo utile per allontanare i fitati;
OSSALATI: hanno un’azione diretta esclusivamente al calcio, lo imprigionano formando dei cristalli
di ossalato di calcio che possono dar luogo a calcoli renali (spinaci, barbabietole, rabarbaro, cacao,
melanzane, peperoni verdi);
TANNINI: inibiscono l’assorbimento di alcuni minerali, in particolare di calcio e ferro, sono contenuti
nelle bevande nervine (tè o caffè), nell’uva, nei cachi e nel vino.

ORTAGGI AL SELENIO Il contenuto in minerali dei vegetali, può essere aumentato durante la
coltivazione sottoponendo le piante a trattamenti particolari. Alcuni studi hanno evidenziato che il
contenuto in selenio di alcuni tuberi e bulbi, come la patata e la cipolla può essere aumentato
concimando le piante coltivate con prodotti a base di selenio organico. Il contenuto medio di selenio
nelle patate è in media di circa 0,5 a 1 mg/100 g, con il trattamento descritto, si ottengono ortaggi con
un contenuto di selenio dieci volte superiore alle comuni patate (da 5 a 10 mg di selenio/100 g). Il Se è
un elemento essenziale come cofattore della glutatione perossidasi, un enzima in grado di
neutralizzare gli idroperossidi, svolge quindi un ruolo antiossidante contro i radicali liberi ma ad
elevate dosi può essere dannoso per la salute.
PRODOTTI SEMILAVORATI
Il crescente interesse verso il mercato della ristorazione ha portato le aziende industriali a soddisfare le
esigenze degli operatori professionali e a creare prodotti alimentari altamente specializzati per le
diverse esigenze. Nascono quindi i prodotti SEMILAVORATI (I, II, III, IV, V gamma)

I gamma → Prodotti freschi o deperibili che non hanno subito nessun trattamento di conservazione
(es. ortofrutta, prodotti ittici, carne,..)
II gamma → Prodotti in scatola e conserve; essi hanno subito trattamenti di conservazione
(sterilizzazione e pastorizzazione)
III gamma → limenti congelati e surgelati (es. ortaggi pronti per la cottura che hanno subito una
mondatura)
IV gamma → Sono prodotti di pronto consumo. Sono inclusi tutti quei prodotti freschi, lavati e
tagliati, crudi e cotti, confezionati in atmosfera controllata o modificata (es. antipasti, insalate in busta).
V gamma → Prodotti pre-cotti o pre-cucinati. Oltre ad essere già stati puliti e mondati, sono già
cucinati e conservati sottovuoto con una conservabilità di 1-3 settimane a 0-3 °C pronti da rigenerare e
servire (es. lasagne, pizze pronte, minestre in busta).
I prodotti che più interessano l’evoluzione del mercato sono quelli compresi tra la II e V gamma, cioè
quelli con un contenuto maggiore di servizi.

Norme di qualità dei prodotti ortofrutticoli:


L’UE ha emanato nel corso degli ultimi anni vari regolamenti inerenti a norme di qualità di numerosi
prodotti ortofrutticoli freschi; in particolare, per ciascuno vengono date disposizioni per:
- definizione del prodotto: varietà;
- caratteristiche minime: intero, sano, pulito..
- maturazione dei frutti;
- calibratura (diametro minimo o max)
- categorie merceologiche: extra (prodotto di qualità superiore, senza difetti visibili); prima (buona
qualità senza difetti visibili); seconda (caratteristiche minime per la commercializzazione);
- imballaggio: deve contenere prodotti omogenei per origine, varietà, qualità e maturazione;
- etichetta: obbligatorie la natura del prodotto, origine (nazione, regione o comune di provenienza),
varietà (mele golden o renette), categoria merceologica (extra, prima o seconda); facoltative il tenore
minimo di zucchero, il numero di frutti…; prezzo.

CONSERVAZIONE DI VERDURA E FRUTTA


- Prerefrigerazione / Refrigerazione (in atmosfera controllata)
- Surgelazione (previo blanching per l’inattivazione enzimatica);
- Concentrazione (in particolare per pomodoro, frutta)
- Essiccamento (soprattutto per legumi e frutta, acqua residua 10-13%)
- Liofilizzazione (deidroliofilizzazione (ovvero essiccazione-liofilizzazione); deidro-
osmosiliofilizzazione (ovvero disidratazione osmotica-liofilizzazione);
- Alte temperature: pastorizzazione - semiconserve, sterilizzazione – conserve → diffuse per la
praticità delle confezioni, l’igienicità e l’economicità;
- Radiazioni ionizzanti: solo su aglio, cipolle e patate (a scopo antigermogliativo) e per le erbe
aromatiche essiccate e le spezie;
- Metodi chimici: conservazione sottolio (carciofini, funghi), sotto sale (olive, capperi), sottaceto, in
etanolo o con lo zucchero;
- Metodi biologici: fermentazione lattica (cavolo acido nel Nord Europa, verze, cetrioli).

TRASFORMAZIONE DELLA FRUTTA


• Trasformazione della frutta a prodotto in pezzi
• Trasformazione della frutta a succo
• Trasformazione profonda della frutta

PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DELLA FRUTTA IN PEZZI


- FRUTTA SCIROPPATA → Alcuni tipi di frutta possono essere conservati in soluzioni zuccherine,
in acqua acidulata o nel succo della frutta stessa. Questi prodotti vengono scottati interi, tagliati, e
addizionati al liquido caldo; le scatole vengono preriscaldate e sterilizzate a circa 100°C, segue
raffreddamento dei barattoli a ca. 40°C.
- FRUTTA OSMODISIDRATATA → L’osmodisidratazione è un trattamento di disidratazione a
freddo che utilizza specifiche soluzioni ipertoniche. Consiste nel mettere pezzi di frutta od ortaggi a
contatto con soluzioni zuccherine o saline, in modo da provocare una fuoriuscita di acqua e, in misura
minore, un acquisto di soluti propri della soluzione osmotizzante. Il processo implica due fenomeni:
quello di concentrazione e quello di sostituzione; in quest’ultimo, il prodotto “osmotizzato”, proprio
per il minor contenuto di acqua e per il maggior contenuto di soluti, ha caratteristiche organolettiche
particolari e risulta più idoneo a subire ulteriori processi come la surgelazione o il congelamento.
- FRUTTA CANDITA
- FRUTTA ESSICCATA
- SALSA DI FRUTTA

SUCCHI DI FRUTTA
La preparazione varia in base al tipo di frutta ed al prodotto finale desiderato. Ai succhi di frutta
possono essere aggiunti:
- Vitamine e Sali minerali
- Polpa
- Zuccheri (in quantità non superiore a 15 g/l di succo per correggere il gusto acido e a 150g/l di succo
per dolcificare il prodotto, ad eccezione di succhi di pera e uva)
- Succo di limone o succo concentrato di limone in quantità non superiore a 3 g/l di succo per
correggere il gusto. E’ vietata l’aggiunta di zuccheri e limone contemporaneamente
- CO2 come ingrediente
- gli additivi consentiti
CONFETTURE E MARMELLATE
DL 20 febbraio 2004, n. 50 stabilisce la denominazione di vendita e la definizione dei prodotti quali
confettura, confettura extra, marmellata e crema di marroni in base alla loro composizione.
Si possono considerare confetture i prodotti preparati con la polpa e/o purea di uno o più frutti;
precisamente le confetture devono avere non meno del 35% di polpa e frutta; per le confetture extra
il minimo legale di polpa di frutta aumenta al 45%.
Marmellate: prodotti preparati mediante polpa, purea, succo, estratti acquosi e scorza di agrumi con un
minimo di frutta del 20%, di cui almeno il 7,5% deve provenire dall’endocarpo.
Le creme di marroni sono una mescolanza di zuccheri e purea di marroni in quantità non inferiore al
38%.

CONSERVAZIONE E TRASFORMAZIONE DEL POMODORO


SPECIE → Solanum lycopersicum, famiglia delle Solanacee
Originario delle regioni andine dell’America tropicale e subtropicale. Importato in Europa nel XVI
secolo. Facilmente coltivabile, produzione localizzata in Emilia Romagna e Campania.
Composizione chimica: 94% acqua, zuccheri solubili, acidi organici, licopene, beta-carotene, vit C, K.
Licopene: proprietà antiox, azione protettiva verso malattie cardiovascolari.
Prodotti della lavorazione del pomodoro:
- pomodori pelati, passati e triturati,
- concentrato,
- succo,
- polvere, fiocchi, ketchup.

POMODORI PELATI → sottoposti a:


- Lavaggio e cernita
- Scottatura (acqua bollente o vapore acqueo)
- Raffreddamento (in acqua fredda per facilitare la pelatura)
- Pelatura
- Inscatolamento
- Sterilizzazione a 100°C
- Raffreddamento

CONCENTRATO → DPR 428/75 Si ritrovano in commercio i seguenti tipi di prodotti:


- semiconcentrato (con residuo secco non inferiore al 12%)
- concentrato (con residuo secco non inferiore al 18%)
- doppio concentrato (con residuo secco non inferiore al 28%)
- triplo concentrato (con residuo secco non inferiore al 36%)
- sestuplo concentrato (con residuo secco non inferiore al 55%)
Preparazione:
Fasi preliminari, triturazione, setacciatura (con passatrice), raffinazione (per ottenere concentrati
omogenei, eliminando impurità e eventuali residui di bucce e semi), concentrazione (con evaporatori
continui a effetto multiplo o per osmosi inversa), sterilizzazione (grazie a scambiatori di calore),
confezionamento del prodotto ancora caldo (contenitori in banda stagnata, tubetti di Al, o fusti).

Denominazione di vendita:
“Passata di pomodoro” è riservata al prodotto ottenuto per spremitura diretta del pomodoro fresco.
Per “succo di pomodoro” si intende il liquido polposo ottenuto per triturazione e setacciamento del
frutto separato da bucce e semi.
“Ketchup” si ottiene dal pomodoro fresco o concentrato addizionato di sale, zucchero, aceto, spezie e
aromi vari.
“Succo di pomodoro in polvere” ottenuto con essiccatoi a cilindri, in letto di schiuma, per ebollizione
sotto vuoto, metodo spry-drying e liofilizzazione.
“Fiocchi di pomodoro” preparati per zuppe, minestre e minestroni

CACAO

La pianta del cacao Theobroma cacao (cibo degli dei) ha origine nelle foreste umide dei tropici
americani, dalle quali due differenti specie sono emigrate ed evolute: il primo gruppo verso est, nei
bacini dell’Orinoco e del Rio delle Amazzoni; il secondo verso nord, addomesticato e coltivato dalla
civiltà Maya (1000 a.C.- 250 d.C.) che lo utilizzavano come alimento (bevanda fresca, amara, densa,
piccante..) e moneta di scambio. I semi di cacao arrivano in Europa solo con Cristoforo Colombo
nel 1502, senza però conoscere particolare fortuna; si deve attendere il 1528 per la diffusione della
ricetta della cioccolata, che consacra tale pianta e la sua diffusione in tutta Europa. L’Italia fu la
seconda nazione in cui approdò la cioccolata (1606), l’uso viene poi divulgato in Francia, Olanda,
Inghilterra.. Solo nel 1712 il cacao fu commercializzato a Boston, da un farmacista (medicamenti o
preparati medicinali), anticipandone le azioni antiossidante e antimicrobica.
Nel 1828 l’olandese Van Houten inventa una macchina per separare il grasso dai semi di cacao tostati
e macinati; passaggio dalla cioccolata liquida a solida; sviluppò anche un processo di
alcalinizzazione per neutralizzare gli acidi e rendere la polvere più solubile in acqua (processo
olandese). Nel 1847 Fry & Sons (Bristol) produssero la prima tavoletta solida di cioccolato. Nel
1865 a Torino Caffarel mescola cacao e nocciole producendo il cioccolato gianduja. Nel 1875 Nestlè
inventò insieme a Daniel Peter il cioccolato al latte. Alla fine dell’800 Lindt mise a punto la tecnica
del concaggio per l’ottenimento di pasta di cacao dalla palatabilità fine, omogenea ben accetta al
consumatore. Nel 1920 a Chicago Mars inventa la celebra barretta al cioccolato. Nel 1964 Michele
Ferrero ideò, ad Alba, la crema di nocciole al cacao spalmabile, imitata in tutto il mondo.

1900: America 73% - Africa 23% - Asia 4%


2008: America 14% - Africa 65% - Asia 20% (Ad oggi l’Africa è la principale produttrice)
• Ecuador è il primo produttore di cacao al mondo sino agli anni ‘20 (50.000 t nel 1915-16) con una
varietà “Cacao nacional” molto aromatica; i problemi di infestazioni e malattie provocano una grande
contrazione produttiva; la raccolta avviene tutto l’anno, ma le più importanti in marzo/maggio
(“Summer”), novembre/dicembre (“Navidad”) e agosto/settembre (“Epoca”) → cacao Forastero molto
aromatico.
• Brasile è la zona di origine della varietà Forastero; produzione concentrata nella zona di Baia;
produzione ha un andamento variabile; ora in riduzione (oltre 390.000 t nel ‘90, 130.000 t nel 2009)
due raccolte: Safra (ottobre/marzo, la principale e migliore) – Temporao (giugno/settembre, di scarsa
qualità).
• Ghana è un produttore molto importante con aziende in genere piccole e/o famigliari; vi è un raccolto
principale (ottobre/aprile) ed uno intermedio (maggio/settembre).
• Costa d’Avorio la produzione inizia verso il 1960 con l’indipendenza; coltivazioni in genere
famigliari; due raccolti, uno principale (ottobre/marzo) ed uno intermedio (maggio/settembre); esiste
una Cassa di Stabilizzazione che gestisce la commercializzazione ed i prezzi minimi.
• Nigeria ci sono In genere piantagioni famigliari; raccolta principale (settembre/marzo) e intermedia
(maggio/agosto); rese basse con abbandoni per il trasferimento delle persone alla produzione
petrolifera; problemi anche di instabilità politica; mercato libero.
• Indonesia è una zona storica di coltura del cacao a partire dal Criollo messicano (a cabossa chiara);
in forte espansione per il basso costo della manodopera, le zone disponibili e le scarse malattie.

VARIETA’:
Cacao criollo: originario del Venezuela, è diffuso in America Centrale. Fornisce un prodotto di ottima
qualità, ma è poco resistente a malattie e parassiti;
Cacao forastero: è originario della zona amazzonica ed è diffuso in Brasile, Ecuador e Africa
Occidentale. Ha una resa superiore a quella del cacao criollo ed è più resistente. E’ la varietà più
diffusa
Cacao trinitario: comprende tutte le forme ibride nate da incroci tra criollo e forastero e deve il nome
alla sua prima apparizione nell’Isola di Trinidad.

Cos’è il commercio equo e solidale


Associazione commerciale non governativa tra produttori del Sud del mondo e i consumatori finali del
Nord. I prodotti si differenziano da quelli del commercio tradizionale per la natura e le caratteristiche
del processo produttivo:
1) Pagare un salario giusto nel contesto locale;
2) Offrire agli impiegati opportunità di miglioramento;
3) Promuovere le pari opportunità di lavoro per tutte le persone, in particolare per i più svantaggiati;
4) Realizzare procedure ambientalmente sostenibili;
5) Adottare criteri di trasparenza;
6) Costruire relazioni commerciali a lungo periodo tra produttori ed importatori;
7) Fornire condizioni lavorative sane e sicure nel contesto locale;
8) Provvedere assistenza finanziaria e tecnica ai produttori qualora possibile.

Cacao - anno 2008 Prodotti dolciari

ASPETTI PRODUTTIVI → In Italia i prodotti di cioccolato rappresentano un valore 2.480 milioni


di Euro pari ad ¼ della produzione totale industria dolciaria.
I principali prodotti sono:
- Cioccolatini (84.700 t)
- Creme da spalmare (47.600 t)
- Snack al cioccolato (47.000 t)
- Tavolette (38.850 t)
- Uova di Pasqua (10.100 t)
- Cacao in polvere (9.700 t)
- Semilavorati (coperture di cioccolato, coperture di surrogato, burro di cacao)

L’albero del cacao si sviluppa nella zona calda a ridosso dell’Equatore (20° Sud / 23° Nord;
temperatura media > 27°C, 1500- 3000 mm pioggia; umidità elevata e costante a 85%); la pianta teme
l’insolazione diretta e quindi cresce all’ombra di alberi più alti quali palme e banani. Il frutto è una
bacca denominata cabossa o cabosside; i semi sono disposti in file regolari ed immersi in una polpa
mucillagginosa acidula contenente glucosio e fruttosio; i semi sono anche detti fave. Nel genere
Theobroma sono comprese più di 20 specie spontanee.

LAVORAZIONE DEL CACAO:


I frutti vengono raccolti a mano quando sono maturi; segue l’apertura delle cabosse e l’estrazione
delle fave, assieme alla mucillagine biancastra e acidula, ricca di carboidrati e acqua. Le fave
subiscono la fermentazione naturale prima dell’essicazione. La fermentazione “estrattiva” viene in
genere operata all’aperto, distendendo le fave ricoperte da mucillagini su foglie di banano, stuoie, barili
o appositi contenitori di legno traforati, che permettono la percolazione del liquido di fermentazione; la
durata varia da 2 a 12 giorni a seconda di tradizioni, clima e varietà. In realtà è la polpa attorno alle
fave ad essere fermentata e i meccanismi di trasformazione dei componenti della fava non sono ancora
del tutto conosciuti.
I microorganismi responsabili della fermentazione del cacao sono quelli naturalmente presenti nella
matrice vegetale. I carboidrati (glucosio e fruttosio) della mucillagine sono il substrato fermentato
(fermentazione alcolica) di diversi microorganismi: inizialmente lieviti (Saccharomyces,
Hansienaspora, Kloeckera,..) lo convertono in CO2 e alcool etilico; poi si passa ad una fase
fermentativa aerobia ad opera di batteri aerobi (Acetobacter e Gluconobacter) che ossidano l’etanolo
prodotto dai lieviti in acido acetico; successivamente si ha una fase fermentativa anaerobia ad opera
batteri lattici anaerobi (Lattobacillus e Leuconostoc) che completano la fermentazione a carico degli
zuccheri residui e degli acidi organici producendo ac. lattico, acetico ed etanolo. Durante la
fermentazione agiscono anche molti sistemi enzimatici endogeni: le pectine della mucillaggine si
liquefanno e vengono allontanate dalla massa (succo di fermentazione);
La temperatura si innalza fino 45-50 °C e, in seguito a riscaldamento e acidificazione naturale, i semi
perdono la vitalità e la capacità germinativa. Si modificano il colore e l’aroma della fave; le
trasformazioni chimiche e biochimiche che si verificano sono necessarie per lo sviluppo dell’aroma di
cacao, per la scomparsa dell’astringenza e dell’amaro delle fave fresche o poco fermentate.
I semi poi vengono essiccati in modo da: bloccare la fermentazione e ridurre il contenuto di acqua. Si
verifica una perdita in peso dopo essiccamento (circa 2/3 del peso del seme fresco). La riduzione di
umidità è fondamentale per la conservazione del cacao durante il trasporto via mare e lo stoccaggio.
L’eccesso di acqua potrebbe provocare lo sviluppo di muffe. L’essiccamento può essere attuato con:
1) metodo tradizionale in cui le fave vengono stese (3-4 cm spessore) ad asciugare al sole su stuoie od
in cassette piatte per almeno una settimana;
2) essiccamento artificiale (quando si hanno elevate quantità o periodi umidi) in cui si usano
essiccatori cilindrici ad aria; metodo vantaggioso per rapidità e semplicità di azione, economia di
spazio e di mano d’opera, prodotto omogeneo, fave molto secche.

PROCESSI DI TRASFORMAZIONE DEL CACAO:


L’industria di trasformazione del cacao concerne:
1) FASI PRELIMINARI DI PULITURA E TOSTATURA
2) PRODUZIONE VERA E PROPRIA DI DERIVATI, classificabili in 4 categorie:
- CIOCCOLATO DA STAMPO (tavolette)
- CACAO IN POLVERE
- CREME SPALMABILI
- CONFETTERIAAL CIOCCOLATO (cioccolatini, praline..)

Pulitura: consente di rimuovere il particolato estraneo, le fibre dei sacchi di juta, pietre, ghiaia, fave
immature.
Tostatura: può essere preceduta da un trattamento termico veloce in autoclave per l’abbattimento della
carica batterica. Può esserci una pre-tostatura 100 °C: serve per facilitare il distacco del rivestimento o
buccia (anche con lampade a infrarossi oltre ad aria calda e vapore).
Nella tostatura vera e propria (con vapore o aria calda) non si superano mai i 150 °C e i tempi variano
da 5 a 120 minuti. L’umidità è ridotta al 2-3 %. La tostatura ha una duplice funzione:
1) tecnologica consente la formazione dell’aroma (ossidazione dei composti fenolici, reazione di
Maillard, eliminazione dell’acido acetico, e esteri volativi negativi per l’aroma);
2) Igienico-sanitaria consente l’eliminazione dei microorganismi, uova, larve e parassiti sopravvissuti
ai trattamenti chimici.
Le bucce (10-12%) , residuo di lavorazione, vengono separate per aspirazione e adoperate come
mangime per animali.

Produzione del liquor o massa di cacao


Si esegue poi la frantumazione dei semi in granella a 85°C utilizzando una macchina rompicacao; la
granella di cacao è separata dalla buccia e inviata ai mulini che la trasformano in liquor (massa di
cacao liquefatta) favorendo la rottura delle cellule e la fuoriuscita del burro di cacao fuso; quindi il
liquor passa alle presse a caldo dove il burro di cacao viene separato dalla massa per spremitura, la
parte secca rimanente è il pannello di cacao, che verrà poi raffinato e diventerà cacao in polvere.

Produzione di cacao in polvere:


I semi sono immersi in una soluzione alcalina per neutralizzare l’acidità, diminuire l’amaro, rendere il
prodotto più solubile in acqua. Nel metodo olandese si effettua l’alcanilizzazione a caldo (ovvero
riscaldamento in ambiente basico con possibile formazione di D-amminoacidi /aa non naturali che
rappresentano marker di processo): per aumentare l’idrofilia (bagnabilità) e la dispersibilità. Le
soluzioni diluite al 2-2.5% sono scaldate a 75-100 °C di KOH, NaOH, Mg(OH) 2, K2CO3, Na2CO3.
Segue essiccamento sotto vuoto: umidità 2%. Durante l’alcalinizzazione si promuove lo swelling
dell’amido, si ottiene così il “cacao solubile”.

Produzione di cioccolato e derivati


A partire da liquor non alcalinizzato, vengono aggiunti saccarosio, burro di cacao, emulsionanti, aromi
ed eventualmente altri ingredienti e si ottiene cioccolato in tavolette.
Cioccolato di qualità: si deve mescolare a lungo e poi raffinare la massa con rulli cavi refrigerati ad
acqua, portando il cioccolato ad una consistenza pastosa, riducendo il particolato a dimensioni di 30-
40μm;
Miscelazione (cacao, burro di cacao, zucchero, vaniglia ecc.):
- fondente (pasta di cacao, burro di cacao, zucchero, vaniglia)
- al latte (pasta di cacao, burro di cacao, zucchero, latte in polvere, vaniglia)
- gianduia (pasta di cacao, burro di cacao, zucchero, pasta di nocciole)
- bianco (burro di cacao, zucchero, latte in polvere, vaniglia)
Pre-raffinazione con 2-5 cilindri 200 micron poi Raffinazione (per ottenere particelle 15-20 micron)
con raffinatori a 5 cilindri. La pasta viene poi trasferita al concaggio.

Concaggio (80 °C per diverse ore): prolungato rimescolamento della pasta per creare una amalgama
perfetta, ridurre gli aromi acidi ed astringenti, estrarre l’umidità residua (possibile aggiunta di lecitina
di soia). Si hanno due fasi:
1) La pasta è trasferita alle conche, dove viene macinata finemente, mescolata e ancora impastata,
assumendo una texture finissima e omogenea; perdita di umidità e di composti volatili;
2) Si aggiungono burro di cacao ed emulsionanti (lecitine di soia), liquefacendo ulteriormente la massa
e continuando l’azione meccanica di macinazione e rimescolamento.
Il grasso si distribuisce uniformemente su ogni particella di cacao e di saccarosio grazie alla lecitina
(0,5%).
Affinchè il cioccolato si trasformi in modo soddisfacente dal p.to di vista qualitativo passando dalla
fase liquida alla solida, deve essere temperato (ottiene aspetto lucido, omogeneo e giusta consistenza).
Temperaggio: permette la cristallizzazione del burro di cacao nella forma polimorfica stabile che
assicura la massima shelf-life al cioccolato, e la sua qualità. La cristallizzazione nella forma ottimale
non avviene semplicemente per raffreddamento, ma solo sottoponendo la massa liquida ad un
determinato programma termico. La massa arriva dal concaggio ad una temperatura di 40-50°C, viene
quindi portata a temperatura di 20°C per pochi minuti (si favorisce la cristallizzazione di alcune forme)
e si scalda nuovamente (32°C): le forme cristalline meno stabili fondono lasciando in maggioranza la
forma V. Il cioccolato viene immesso nelle forme e lasciato raffreddare per la solidificazione.

UTILIZZAZIONE DEI SEMI-LAVORATI:


Gusci sono in genere scarti; possono essere usati per recuperare cacao, per estrarre teobromina e
caffeina, per estrarre grassi, per alimentazione animale, per energia
Grani in genere sono usati per produrre polvere però possono essere incorporati in cioccolati di alta
gamma, usati per estrarre aromi, pressati per farine da destinazione umana
Massa usata per aromatizzare vari prodotti in quanto con l’estrazione del burro si perdono aromi
Burro di cacao può essere usato in farmacia e in cosmetica

Le polveri di cacao entrano nei seguenti prodotti:


Prodotti lattieri:
- Latte al cioccolato: sono latti interi/scremati aggiunti di zucchero (5-7%) e cacao (1-2%); è necessario
un pH elevato del cacao e carragenina come stabilizzante
- Mousse al cioccolato
- Gelati al cioccolato
Creme: prodotti composti in genere da zucchero, grassi vegetali, polvere di cacao
Sciroppi vari, prodotti per guarnizioni, gelati etc.: sono a base di acqua e 8-10% di polvere di cacao
Pasticceria: 3-6% di polvere alcalinizzata
Prodotti istantanei: 20-25% di polvere alcalinizzata e lecitina
Miscela in polvere per vari usi: miscele di zucchero, polvere di latte e cacao
Confetteria (caramelle mou, cioccolato): 2-6 % polvere alcalinizzata

Prodotti finiti:
Tavolette: grasso 26-28% sino a < 18%, peso 100-200 g; prodotto in genere economico con cacao di
Costa d’Avorio, Nigeria, Camerun; può avere anche molto zucchero
Tavolette di qualità: prodotto costoso
Cioccolatini: cacao molto fluido per riempire gli stampi
Forme cave
Rivestimenti: molto importante la fluidità del cioccolato
Cioccolato estruso (gianduja)
Pastiglie rivestite
Gelati rivestiti
Denominazioni previste dalla normativa 178/2003 in attuazione della Direttiva 2000/36/CE
1 - Burro di cacao: sostanza grassa ottenuta dai semi di cacao (tenore di acidi grassi liberi inferiore o
uguale 1,75%; frazione insaponificabile inferiore o uguale 0.5%)
2 - Cacao in polvere: tenore minimo di burro di cacao pari al 20%; tenore idrico max del 9%. Cacao
magro se tenore lipidico < 20%.
3 – Cioccolato in polvere: miscuglio di cacao in polvere (non meno del 32%) e zucchero
4 – Cioccolato: ottenuto da zucchero e cacao (tenore minimo di cacao 35%, di cui non meno del 18% di
burro di cacao e non meno del 14% di cacao secco sgrassato)
5 – Cioccolato al latte: costituito da cacao, zucchero e latte o prodotti a base di latte con un tenore
minimo di cacao del 25%, di latte del 14%, di cacao secco sgrassato del 2,5%, di grassi del latte del
3,5% e di grassi totali del 25% sulla sostanza secca totale.
6 - Cioccolato bianco: costituito da burro di cacao (> 20%), latte o prodotti a base di latte (> 14% di
sostanza secca del latte), grassi del latte.
7 - Preparati in polvere per cioccolato in tazza: in cui oltre a cacao e zucchero sono presenti anche
farina o amido di frumento, di riso, di granoturco come addensanti.

Novità della Direttiva 2000/36/CE


☺ Obbligo della indicazione in etichetta degli ingredienti del cioccolato e della data di durabilità
del prodotto
☺ Obbligo, per i prodotti contenenti altri grassi oltre al burro di cacao, di riportare in etichetta in
modo ben visibile e chiaramente leggibile, nello stesso campo visivo dell’elenco degli ingredienti e in
caratteri di dimensioni pari e in grassetto, della dicitura “Contiene altri grassi vegetali oltre al burro
di cacao”
☺ Facoltà per i produttori che non utilizzano grassi vegetali diversi dal burro di cacao di farne esplicita
menzione in etichetta
☺ Per il cioccolato prodotto o commercializzato in Italia il Parlamento ha espressamente disposto la
possibilità di utilizzare la dizione “cioccolato puro” per il prodotto che contiene solo burro di cacao.

Composizione chimica del cacao


- Lipidi: triacilgliceroli (97-98% del burro di cacao) dell’acido palmitico, oleico e stearico. Il burro di
cacao ammonta al 45-53% del peso delle fave; ha un colore giallo pallido e fonde a 35°C; è usato
insieme alla massa di cacao e saccarosio per cioccolato (30-40% del peso totale) e nell’industria
dolciaria e cosmetica/farmaceutica. Lipidi sono estratti dal liquor, massa o granella di cacao mediante
presse a caldo, expeller (torsione), solventi organici (esano), e CO 2 supercritica (mild technology).
Condizioni supercritiche per l’estrazione del burro di cacao: 15-35 MPa, T 318-333 °K.
Le proprietà di fusione dei TAG sono influenzate dalla loro composizione e dalla loro distribuzione nel
trigliceride; i TAG sono polimorfi: possono cristallizzare nelle forme conosciute come α, β’ e β,
differenziabili dal p.to di fusione e dalle proprietà cristallografiche. Durante il raffreddamento dei TAG
si assiste alla formazione preponderante di una delle forme, in rapporto alla velocità del processo.
Forme α: sistema esagonale, punto di fusione minore; per riscaldamento passa prima alla forma β’
(sistema orto-romboidale) poi alla β (sistema triclino), la più stabile, punto di fusione maggiore.
Gli acidi grassi insaturi interferiscono con l’impaccamento. Nei lipidi alimentari sono state descritte
altre forme di cristallizzazione: il burro di cacao può cristallizzare in 6 differenti arrangiamenti (Forme
I-VI). Nel cioccolato la forma V predomina, con fusione alla temperatura corporea.
- Proteine: 10-15% del peso secco dei semi e della buccia di cacao, rapparesentata soprattutto da
globuline, albumine, prolammine e gluteline, aa liberi (0,3%), NH 3 prodotto durante le fermentazioni
(0.03%), metilxantine (teobromina e caffeina), enzimi: le attività di alcuni è fortemente ridotta dalla
fermentazione (invertasi, aminopeptidasi); altri (carbossipeptidasi) sono parzialmente inattivati; altri
restano attivi durante tutta la fermentazione (glucosidasi, endoproteasi); durante l’essiccazione si ha
l’annullamento totale di alcune attività enzimatiche. La tostatura elimina l’attività enzimatica residua.
L’attività degli enzimi è un fattore chiave per la formazione dei precursori dell’aroma.
- Carboidrati: nelle fave fermentate il fruttosio predomina, poi abbiamo saccarosio, glucosio e
stachiosio (in q.tà minori); durante la tostatura gli zuccheri riducenti scompaiono (reazione di
Maillard). Polisaccaridi: amido (3-7%), cellulosa (9%);
- Polifenoli: catechine, antocianine e proantocianidine; la fermentazione e i trattamenti tecnologici
influiscono diminuendo il contenuto, in funzione delle temperature raggiunte (ossidazioni);
- Acidi: 1,2-1,6% del cacao fermentato; acido acetico (flavour), lattico si formano durante la
fermentazione; acido citrico, ossalico, malico nel seme a maturazione;
- Minerali: Mg (400 mg/100 g di cacao in polvere) - assume un ruolo significativo, in associazione con
la 2-feniletilammina, nel determinare gli effetti “antidepressivi” del cioccolato; Fe, Cu, Mn.

Fattori antinutrizionali
Polifenoli: attività positiva come antiossidanti, antiradicalici, antimicrobici, antifungini ma anche
negativa; limitano la biodisponibilità di proteine ed enzimi (per l’azione precipitante dei tannini) e dei
minerali (Fe).
Acido fitico: limita l’assunzione a livello intestinali di cationi (Fe2+, Ca2+, Mg2+, Zn2+) complessandoli e
formando sali insolubili.
Acido ossalico: limita l’assunzione di micro e macro elementi (ossalati insolubili); es. Ca2+
Acido clorogenico: classe di composti fenolici il cui maggior rappresentante è l’acido 5-caffeoil-
chinino che in ambiente acido a caldo si idrolizza in acido caffeico (limita la biodisponibilità della
tiamina- B1) e acido chinico; i gruppi chinonici reagiscono con in gruppi - NH 2, - SH, - SMe, - indolico
degli aa Lys, Cys, Met e Trp, diminuendo la loro biodisponibilità.

Sostanze naturali bioattive


Alcaloidi purinici: metilxantine (caffeina (0.6-0,8%), teobromina (2-2,7%), teofillina) stimolano le
funzioni del SNC, aumentano la concentrazione, lo stato di veglia; la teobromina è un anche un
vasodilatatore coronario e renale ad azione diuretica più marcata della caffeina, ma ha una azione meno
accentuata sul SNC.
Ammine biogene: sostanze basiche che derivano dalla decarbossilazione degli aa (triptamina dalla
decarbossilazione microbica del Trp, la tiramina dalla Tyr e 2-feniletilammina dalla Phe). Molecole
vasoattive se introdotte ad elevate dosi o simultaneamente a farmaci che inibiscono gli enzimi che le
catabolizzano (MAO inibitori): rossore al viso, mal di testa, variazione della pressione sanguigna, fino
a morte per shock cardiocircolatorio. Dose: 150-200mg, Cacao: minore di 20 ppm
2-feniletilammina ha una struttura simile alle amfetamine (stessi recettori): può facilitare gli effetti
della dopamina e noradrenalina favorendo la veglia, ritardando la fatica, producendo quindi gli effetti
psicoattivi delle catecolammine. Può provocare la “voglia di cioccolato” e la funzione di
“antidepressivo naturale”.
Anandamide: lipide endogeno in grado di legarsi al recettore CB1 per gli endocannabinoidi: effetti
comportamentali, e sul tono dell’umore (euforia e senso di soddisfazione) e sulle funzioni cognitive,
quali apprendimento e memoria. Ananda: deriva dal sanscrito e vuol dire felicità. In ogni caso, questa
molecola non rappresenta problemi legati a fenomeni di dipendenza: un uomo di 60Kg dovrebbe
assumere 10Kg di cioccolato per subirne.
Tetraidroisochinoline: composti dopaminergici che presentano diversi effetti neurofarmacologici:
inibizione MAO, della Tyr idrossilasi, dell’up-take delle catecolammine, formazione dell’AMP ciclico
e rilascio delle β-endorfine = effetto antidepressivo
Tetraidro-β-carboline: alcaloidi indolici naturali, neuromodulatori, inibiscono le MAO (ammino
ossidasi), si legano ai recettori per le benzodiazepine, e modulano l’up-take e il rilascio di serotonina.
Clovamide: attività antiossidante comparabile all’acido ascorbico e al tocoferolo.

Sostanze tossiche
Safrolo: Principale composto tossico del cacao, epatocancerogeno con bassa attività / non comporta
problemi tossici nell’uomo;
Micotossine: Prodotte da funghi filamentosi; aflatossine, ocratossina A (attività carcinogenetica,
nefrotossica, teratogena e immunotossica); Circolare Ministero della Sanità del 1999 ne fissa il valore
max tollerabile nei derivati del cacao.
Presidi fitosanitari: fungicidi, insetticidi, erbicidi; pesticidi clorurati (DDT, Linano) vietati dalla
normativa ma spesso utilizzati nei siti di produzione per lo scarso controllo da parte della autorità.
Solventi: (es.esano) limiti di residui (DL 4 Febbraio del 1993) 1 mg/Kg
Ricco in Nickel: metallo in grado di scatenare allergia in individui predisposti

ASPETTI NUTRIZIONALI:
Alimento altamente calorico: - 100 g di cioccolato fondente: 500 Kcal
- 100 g di cioccolato al latte: 550 Kcal
Contenuto in lipidi alto (58% saturi, 32% monoinsaturi); contenuto di colesterolo basso;
Presenza di minerali (Fe, Mg, Mn, K, P, Na): alimento per sportivi;
Proprietà toniche e nervine: teobromina, caffeina
Recentemente è stato formulato e commercializzato: Cioccolato a ridotto contenuto calorico. Si
sostituiscono carboidrati semplici con edulcoloranti di sintesi, fruttosio o polialcoli (mannitolo,
xilitolo..) e fibre alimentari (inulina). Proprietà antiossidanti, antimicrobiche, antivirali in vitro dovute
alla componente polifenolica ed alla clovamide. Negli ultimi 10 anni sono state dimostrate le proprietà
antiossidanti e anticarcinogeniche dei flavonoidi.

IL CAFFÈ

OMS: lo classifica come non nutritive dietary component. E’ al secondo posto a livello mondiale, dopo
il petrolio, di scambi commerciali. Insieme al tè, bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua.

Si diffonde in Arabia, dove la sua coltivazione raggiunge il primo successo, da cui giunge per via
commerciale dagli altopiani dell’Etiopia nel XII secolo; si diffonde in Europa insieme al cacao. Ad
Oxford nascono i coffee houses (1650). In Svezia l’uso del caffè venne liberalizzato solo dopo il 1853.
In Italia il caffè nel 1615 viene introdotto dai commercianti veneziani.
Produzione mondiale di caffè - anno 2008

Il caffè è una pianta tropicale appartenente alla famiglia delle Rubiaceae (genere Coffea); dal punto di
vista economicocommerciale solo due specie hanno un ruolo di rilievo; la Coffea arabica, e la Coffea
canephora, meglio conosciuta come robusta.
La specie arabica è tipicamente preferita dai consumatori in ragione del suo sapore delicato, la varietà
“Moka” è quella maggiormente rinomata. Cresce soprattutto in America Latina (Colombia), in Africa
centrale e orientale e in alcune zone dell’India e rappresenta il 70% della produzione mondiale.
La specie robusta ha un sapore maggiormente amaro, un maggior contenuto di caffeina (1,5-2,5%), e
un maggior grado di acidità. Più resistente alle malattie e ha un tasso di sopravvivenza maggiore
dell’Arabica, tollera condizioni più estreme. Costo di produzione e di impianto inferiore all’Arabica.
Cresce in Brasile e in alcune regioni occidentali dell’Africa e nel Sud-Est asiatico.

Il frutto è una drupa composta da:


- esocarpo (buccia) liscio e resistente, di colore verde che maturando diventa, secondo la varietà, rossa
o gialla;
- mesocarpo (polpa) carnoso e zuccherino, di color giallastro;
- endocarpo (involucro del seme) fibroso e pergamenaceo, di colore verde-grigio.

LAVORAZIONE DEL CAFFE’


Il primo trattamento dei frutti raccolti a piena maturazione è volto a liberare i semi dalla polpa, a farli
fermentare ed essiccare. I frutti sono quindi raccolti e poi si prosegue con la spolatura
(decorticazione) con la quale il seme viene estratto dal frutto. Esistono due metodi di decorticazione:
1) Decorticazione a secco consiste nell’essicazione dei frutti, precedentemente puliti, all’aria aperta
per 20-25 giorni o in essiccatoi per 2-3 giorni e nella successiva decorticazione mediante macchine
sgusciatrici che liberano i semi dalla polpa essiccata.
2) Decorticazione a umido Pulitura, lavaggio, cernita, macerazione dei frutti da cui viene
successivamente allontanata la polpa per schiacciatura meccanica; i semi sono liberati dalla mucillagine
attraverso un metodo a fermentazione naturale; I semi sono poi lavati, essiccati e decorticati (ottenendo
il caffè verde o crudo). Il caffè ottenuto in questo modo è il caffè lavato, di alta qualità e valore
economico. La fermentazione avviene ad opera di microrganismi naturalmente presenti nei frutti e semi
del caffè (batteri lattici omo ed eterofermentati; generi Lactobacillus e Leuconostoc): si raggiunge pH
4. Le sostanze pectiche della mucillagine sono degradate anche da sistemi enzimatici attivi durante il
processo.
La strigliatura consiste nella separazione del chicco di caffè dalla membrana chiamata pergamino. Il
caffè ottenuto è chiamato caffè verde (lavato). Poi si esegue la selezione: tramite il setaccio i chicchi
vengono classificati per dimensione e forma. Chicchi più grandi e regolari hanno un maggiore valore.
Successivamente si ha la tostatura, un processo combinato di cottura ed essiccazione finalizzato ad
incrementare le caratteristiche aromatiche del caffè. La torrefazione o tostatura viene effettuata
miscelando le diverse qualità di caffè al fine di ottenere un prodotto che sia conforme ai gusti e alla
domanda dei diversi mercati. La tostatura è un processo termico che trasforma il chicco verde in quello
tostato, pronto per essere macinato e usato nella preparazione della bevanda. Tale fase influisce
decisamente su dimensioni, colore e aroma.
Tramite tubazioni il caffè, scelto e miscelato, raggiunge un macchinario composto di tre parti:
- una camera di pre-carico, dove è messo in attesa;
- la tostatrice, dove sono tostati 120/150 kg di caffè, ad una temperatura di circa 200°C, per 15/20 min.
(produzione di circa 600 Kg/h); il trattamento varia secondo l’umidità del prodotto, maggiore è
l’umidità, maggiore è il tempo di tostatura;
- vasca di raffreddamento, dove il prodotto viene agitato da una pala meccanica e
contemporaneamente è attraversato da un flusso d’aria forzata a temperatura ambiente, la vasca è
protetta da una griglia metallica a sicurezza dei lavoratori.
Durante la torrefazione si verificano un aumento in volume dei semi, fino all’80%, modificazione della
struttura ed il colore, che da verde diventa bruno scuro, perdita di peso del 13-20% e sviluppo
dell’aroma tipico.
- A 50°C : le proteine denaturano e l’acqua evapora;
- A T° > 100°C: imbrunimento, a causa della pirolisi dei composti organici, accompagnato da un
rigonfiamento;
- A circa 150°C si ha un rilascio di composti volatili, acqua, anidride carbonica ecc.., che produce un
incremento di volume del chicco.
- La decomposizione avviene a 180-200°C: è riconoscibile dalla spaccatura dei chicchi e sviluppo
aroma;
- Fase di tostatura piena: caramellizzazione e riduzione d’umidità (1-3%). Poi si esegue un’eventuale
macinatura e il confezionamento.

Conservazione :
Caffè verde: fino a 2 anni se ben conservato;
Torrefatto: circa 3 mesi; basse temperature e in assenza di ossigeno (alterazioni: ossidazioni dirette per
effetto dell’ossigeno dell’aria e indirette per azione dei perossidi);
Macinato: deterioramento veloce, superficie più estesa; ossidazioni, irrancidimenti,
Il confezionamento può essere sotto vuoto/atmosfera modificata.

Il caffè prodotto in Italia, tipo “espresso”, presenta un colore scuro ed una perdita di peso del 20%;
inoltre si ha la totale distruzione dei microrganismi patogeni e delle micotossine presenti nel prodotto
crudo, oltre a contaminanti chimici; si raggiunge un valore di a w (<0,75) tale da non consentire lo
sviluppo di agenti microbici patogeni apportati con le successive operazioni di stoccaggio, macinatura e
confezionamento.

- Caffè in chicchi: tramite una macchina confezionatrice è messo sottovuoto in apposite buste, riposte
in cartoni, imballati da un film plastico e stoccati in magazzino;
- Caffè macinato: è macinato e fatto riposare per essere poi confezionato in buste, o in cialde, riposte
in cartoni, imballati da un film plastico e stoccati in magazzino;
- Caffè decaffeinato: l’estrazione della caffeina è effettuata con solventi organici (diclorometano con p eb
40 °C, oppure etile acetato con peb 70 °C), anidride carbonica supercritica e acqua. In America: 2.5 % di
caffeina; in Italia: 0.1%; caffeina estratta viene utilizzata per la produzione di farmaci (analgesici) e
altre bevande nervine (cola drink).
- Caffè solubile istantaneo: il primo caffè solubile fu Nescafè (1938); estrazione del caffè torrefatto;
tecniche dello spray-drying e freeze-drying; packaging: sotto vuoto o atmosfera inerte.

La pianta del caffè è soggetta all’attacco di numerosi patogeni e vengono quindi utilizzati fungicidi,
insetticidi, erbicidi → es Aldrin (organocloro), molto utilizzato: limite 0.01 ppm nel caffè crudo
Caffè biologico: dichiarato il non utilizzo di pesticidi

Composizione chimica del caffè


- Proteine: 30% nel caffè torrefatto, alte temperature degradano le proteine, scarso contenuto di aa
liberi;
- Carboidrati: fibre (cellulosa) e polisaccaridi insolubili (galattosio, mannosio e arabinosio);
- Lipidi: 80% TAG; ac. grassi principali sono linoleico e palmitico;
- Acidi organici: acetico e formico, lattico, tartarico, piruvico e citrico;
- Acido clorogenico: 6-10%, per idrolisi fornisce acido caffeico e chinico durante la torrefazione
(retrogusto metallico e amaro)
- Trigonellina: si degrada ad acido nicotinico e suoi esteri, piridina, 3-metilpiridina e pirroli (marker di
processo)
- Minerali: K, Mg, P, Ca
- Melanoidine: composti ad alto PM derivanti dalla fase avanzata delle reazioni di Maillard e
caramellizzazione dei carboidrati
- Vitamine: nicotinamide, gruppo B (si riducono con torrefazione), acido folico (più resistente alla
termizzazione).

Sostanze naturali bioattive:


Metilxantine: caffeina nel caffè Robusta fino a valori > al 4%; nell’Arabica 0.8-2.5%; è un alcaloide
purinico: influenza il SN, cardiocircolatorio, renale, respiratorio. Effetti: psicoattivo, aumento stato di
veglia, dilatazione vasi coronarici, broncodilatazione, diuresi renale, rilassamento muscolatura liscia,
lipolisi.
1 tazzina: 125 mg di caffeina
Dosi > 1 g: ansia, insonnia, aritmie cardiache, disturbi gastrointestinali
Dosi > 1.5 g: agitazione, tremori;
Dosi > 10 g: dose letale
Ammine biogene: basse concentrazioni, serotonina

Sostanze tossiche:
Micotossine: Ocratossina A, 80% distrutta dalla torrefazione; Circolare Ministeriale 1999 ne fissa i
limiti consentiti.
Presidi fitosanitari: (fitofarmaci/antiparassitari) → durante la torrefazione possono formarsi sostanze
tossiche e nocive, tra cui prodotti della pirolisi ed alcuni Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA);
nitrosamine cancerogene e amine eterocicliche potenzialmente mutagene presenti in tracce;
Solventi (DCM ed Etile acetato): tracce (2 mg/Kg residuo massimo).

Le uniche calorie sono fornite dagli edulcoranti usati per la dolcificazione. Ha proprietà tonico-nervine.
In una dieta bilanciata e completa, l’uso di 2-3 tazzine al giorno non comporta problemi per la salute.

OMS: lo classifica come non nutritive dietary component. Pur essendo classificabile negli alimenti
nervini, si differenzia per il fatto di non subire una fermentazione “estrattiva”.
Coltivato e utilizzato in Cina fin dall’antichità, si diffonde nel sud-est asiatico: Corea (I sec a.C.), Tibet
(VI sec), Giappone (VIII sec). Mercanti arabi lo scoprono intorno al ‘900. Raggiunge l’occidente nel
1600. Commercianti (Twining e Lipton) lo introducono in Gran Bretagna nel 1700. Nel 1650 in
Germania, Parigi e Italia. La caratteristica che lo contraddistingue (a differenza di cacao e caffè) è il
suo alto consumo negli stessi paesi produttori.
La pianta del tè fa parte della famiglia delle Theacae, genere Camellia, specie sinensis (Cina, Tibet,
Giappone) e assamica (Nord Est dell’India); richiede un clima moderatamente caldo e umido.

Produzione mondiale annua: 3.819.000 tonnellate. 40 paesi produttori: India è il principale produttore,
seguita da Cina, Brasile, Argentina, Sri Lanka e Kenya.
Consumo pro-capite europeo: 0.6 Kg/anno; in Italia: 0.1 Kg/anno.
Più pregiati: - Regione del Darjeeling (Himalaia)
- Alture dello Sri Lanka
Oggi il tè (in particolare la varietà verde) è considerato un vero e proprio “prodotto della salute”, grazie
alle numerose bioattività, prime fra tutte quelle antiossidanti.
LAVORAZIONE DEL TE’:
Il tè può essere classificato come: NERO (fermentato), VERDE (non fermentato), OOLONG
(semifermentato o rosso), BIANCO (non fermentato). Ognuna delle tipologie presenta caratteristiche
specifiche a livello di produzione, compositivo e aromatico.

TE' VERDE
I principali produttori e consumatori sono la Cina ed il Giappone, seguiti dal sud-est asiatico. Questi tè
non subiscono fermentazione delle foglie, ma esse vengono essiccate appena raccolte.
Nel processo di lavorazione del tè verde le foglie fresche appena colte, vengono torrefatte (metodo
cinese) o trattate con vapore fluente a temperatura di 95°C (metodo giapponese). Questo distrugge gli
enzimi contenuti nelle foglie e impedisce quindi la fermentazione, successivamente le foglie vengono
arrotolate e sottoposte di nuovo a essiccamento lasciandole al sole oppure in apposite camere riscaldate
e ventilate. Nel corso di questo processo la clorofilla non viene alterata e il tè mantiene il suo colore
verde e tutti i principi attivi.

TE’ NERO
Più diffuso e consumato in occidente. Questi tè vengono prodotti favorendo la reazione fra gli enzimi e
le catechine o i polifenoli (fermentazione), i tè neri vengono definiti fermentati. La lavorazione
prevede: avvizzimento, rullatura, fermentazione, essiccazione. Le foglie fresche vengono lasciate
appassire in camere o con essiccatori a rulli; le foglie vengono arrotolate in modo che le pareti cellulari
e le nervature si spezzino senza rompere la foglia, ciò conduce alla liberazione degli oli essenziali e dei
sistemi enzimatici responsabili dell’ossidazione dei precursori dell’aroma. L’ossigeno entra a contatto
con il fluido cellulare e inizia il processo di fermentazione durante la quale si sviluppano il sapore e
l’aroma. La fermentazione dura 1- 3 ore in ambienti umidi. Essiccazione finale: lasciando le foglie,
disposte a strati, a una temperatura di 80/100°C per 20 minuti. Questa fase porta le foglie a scurirsi
(colore bruno-nero).

TE’ SEMIFERMENTATO
La fermentazione viene bloccata prima che il tè diventi nero. Si ottiene secondo il modello del tè nero,
ma subisce una fermentazione abbreviata; e’ definito anche oolong o tè rosso.

TE’ BIANCO
Il tè bianco deriva dalle foglioline all’apice del fusto del germoglio, che viene raccolto prima che si
apra. Le foglie vengono raccolte, essiccate e confezionate cercando di impedire il processo di
fermentazione. Considerato un tè molto pregiato, scarso consumo in Occidente.

TÈ PROFUMATI/AROMATIZZATI Vengono prodotti miscelando fiori, oli essenziali o spezie. La


profumazione può essere ottenuta per mezzo di aromi naturali o di aromi sintetici (vietato in Europa).
Sono molto comuni, e i più bevuti e noti in occidente es. tè al gelsomino, il tè ai fiori di loto, il tè alla
rosa o il tè alla magnolia, e anche profumazioni ottenute da miscele di aromi come l’Earl Grey (al
bergamotto).

TE’ SOLUBILE Estratto liquido polverizzato mediante rulli riscaldati (drumdrying) o liofilizzato;
Prodotto ottenuto è solubilizzato in acqua calda o fredda (macchine distributrici automatiche, bevande
tipo tè freddo).
La pianta del tè è soggetta all’attacco di numerosi funghi, insetti e batteri. Fertilizzanti e fitofarmaci: si
possono ritrovare in tracce nel prodotto essiccato. Acefate, Aldicarb e Aldrin i più utilizzati: limiti max
0.1, 0.05 e 0.2 ppm. (97/41/CE; 1999/41/CE; 1999/71/CE)

Composizione chimica del tè


- Composti fenolici: 35% flavonoli (quercetina, kampferolo e miricetina) e flavanoli (catechine: sapore
amaro e astringente all’infuso)
- Proteine: 15%, enzimi responsabili per la fermentazione e formazione aroma;
- Carboidrati: polisaccaridi (pectine, cellulose, emicellulose) 26%;
- Lipidi: 6-7 % (glicolipidi, fosfolipidi, acido laurico, miristico, palmitico, stearico, oleico e linoleico);
- Acidi organici: ossalico (principale) e malico; citrico, isocitrico e succinico
- Minerali: K, Mg, Mn, Ca/Al come contaminante
- Vitamine: nicotinamide, gruppo B, vit K e il pantotenato; beta-carotene (precursore Vit A).

Sostanze naturali bioattive


Metilxantine: caffeina nel tè nero – valori 2.5-5.5 %; teobromina e teofillina in % minori (0.07-0.17 %
e 0.002-0.013%); teofillina è erroneamente considerata caratteristica del tè: in realtà è un metabolita
della caffeina, infatti ha effetti: vasodilatatore, diuretico e debole mio-rilassante.
Flavonoidi: antiossidanti; le catechine isolate permettono di inibire in vivo la cancerogenesi, inibizione
delle malattie coronariche; l’ EGCG è responsabile dell’inibizione dell’enzima urochinasi: limita
l’angiogenesi e l’invasione tumorale; abbassa livello di colesterolo, trigliceridi e LDL; i polifenoli del
tè sono anche attivi antimicrobici (streptococchi della carie dentale), antivirale (virus AIDS).

Sostanze tossiche
Micotossine: aflatossine;
Presidi fitosanitari (fitofarmaci)
Al- in diverse fasi della filiera produttiva: essiccazione su lastre di Al, confezionamento in sacchetti di
Al: dal terreno (stimola la crescita della pianta); neurotossico e potenzialmente tossico per il sistema
scheletrico ed ematopoietico.
Acqua: usata per l’infusione è quantitativamente il componente principale della bevanda e può
apportare altri residui (pesticidi, nitrati..)

Le uniche calorie sono fornite dagli edulcoranti o il latte usati per la dolcificazione;
Effetti benefici: ANTI-OSSIDANTE, ANTI-CANCEROGENO, ANTI-ATEROSCLEROTICO, dovuti
alla presenza di flavonoidi. Il tè apporta alte dosi di caffeina (generalmente più del caffè) e contiene
solo in bassa percentuale teobromina e teofillina.

BEVANDE ALCOLICHE

Si distinguono 3 categorie di bevande alcoliche:


- Bevande ottenute dalla fermentazione di liquidi zuccherini (mosti zuccherini di uva e orzo): vino,
birra;
- Bevande ottenute dalla distillazione di liquidi fermentati (mosti fermentati): acquaviti quali grappa
(distillazione di vinaccia/prodotto esclusivamente italiano), brandy e cognac (distillazione di vini
d’uva/denominazioni diverse a seconda del luogo d’origine), rhum, whisky, vodka, gin; allo scopo di
accrescere il tenore alcolico naturale dei prodotti di fermentazione si è fatto ricorso alla distillazione.
- Bevande ottenute aggiungendo etanolo a miscele di liquidi variamente composte (liquori).

VINO
Il termine “vino” indicava in origine qualsiasi bevanda ottenuta dal processo di fermentazione degli
zuccheri contenuti in frutti, cereali e miele. Oggi tale termine indica esclusivamente il prodotto ottenuto
dalla fermentazione dei frutti di Vitis, principalmente Vitis vinifera.
La Vitis Vinifera ha particolari esigenze climatiche; la maggiore concentrazione delle superfici investite
a vite è localizzata nell’area del bacino mediterraneo, in particolare in Francia, Italia e Spagna.

Si definisce vino il prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica totale o parziale dell’uva fresca,
o del mosto d’uva in presenza di saccaromiceti.
Lieviti = funghi unicellulari presenti nell’aria e sulle bucce dell’uva, capaci di secernere un sistema
enzimatico, la zimasi alcolica, che produrrà la trasformazione del glucosio in alcol etilico, anidride
carbonica, glicerina, acido succinico e tracce di aldeidi.

La qualità del vino dipende strettamente dalla qualità dell’UVA: solo da uve sane e al giusto grado di
maturazione è possibile ottenere vini di qualità.
Il grappolo d’uva è costituito da due parti ben distinte:
1) dal raspo (3,5%) presenta una struttura più o meno ramificata e legnosa in base al tipo di vitigno e al
grado di maturazione ed è lo scheletro che sostiene l’acino.
2) dagli acini (95-96%) che sono costituiti dalla buccia, dalla polpa e dai vinaccioli (semi). La
superficie è ricoperta da una cera, la pruina, che protegge l’acino dall’evaporazione dell’acqua. La
pruina, inoltre, trattiene sulla superficie del chicco vari microrganismi, quelli della fermentazione
alcolica ed anche quelli indesiderati delle alterazioni del vino. La buccia contiene notevoli quantità di
prodotti secondari d’interesse enologico come sostanze fenoliche ed aromatiche.

ACINO
Nella buccia dell’uva matura bianca e rossa sono presenti:
• ACIDI FENOLICI, acidi benzoici e cinnamici, composti non dotati di particolari odori, ma precursori
di fenoli volatili prodotti da lieviti e batteri;
• FLAVONOLI: pigmenti gialli;
• TANNINI: polimeri dei fenoli, hanno la capacità di chelare i metalli, precipitare le proteine ed
esercitare una forte azione antiossidante;
• ANTOCIANI: sostanze che conferiscono il colore all’uva rossa.
• SOSTANZE AROMATICHE: alcune centinaia di composti, appartenenti a numerosi classi chimiche
(idrocarburi, alcoli, esteri, aldeidi..) che concorrono a formare l’aroma dell’uva;
• SOSTANZE AZOTATE: costituiscono l’alimento essenziale per i lieviti durante la fermentazione
alcolica ed influiscono sulle caratteristiche organolettiche del vino;
• PECTINE: durante la maturazione dell’uva si solubilizzano, grazie all’azione enzimatica, con
aumento della frazione pectica solubile che si ritrova poi nel mosto.
• STILBENI: in risposta ad attacchi fungini, la buccia è in grado di sintetizzare composti ad azione
antifungina, come il resveratolo.
La polpa costituisce la frazione più rilevante dell’acino (dal 75 all’85%). E’ costituita prevalentemente
dal succo, che andrà poi a formare il mosto e da una minima quantità di tessuto cellulare. Nel succo
sono presenti acqua (70-85%); zuccheri (glucosio, fruttosio: glucosio/fruttosio 0,9) responsabili anche
della morbidezza del vino, gli zuccheri giocano un ruolo importante ed in particolare il fruttosio che
rimane di più rispetto al glucosio che viene fermentato; acidi organici (acido tartarico, che conferisce
al vino vivacità, freschezza e colore; acido malico, che conferisce aggressività (allappante se
eccessivo); citrico, che fornisce un gusto acidulo). Sono presenti inoltre minerali (K, Ca e Mg);
vitamine indispensabili per la vita dei lieviti e dei batteri (vit del gruppo B: B1, B2, B6, piccole
quantità di Vit C e nicotinammide (PP)); enzimi (invertasi (scindono il saccarosio in glucosio e
fruttosio), ossidasi (esercitano la loro azione su polifenoli e sostanze coloranti), enzimi proteolitici
(idrolizzano le strutture pectiche delle pareti cellulari)).
I vinaccioli o semi d’uva contengono:
- tannini composti fenolici con strutture molto complesse (tannini condensati); sono principalmente
presenti nelle bucce e nelle vinacce e quindi si ritrovano principalmente nei vini rossi. Con
l'invecchiamento del vino si ossidano, preservando il vino, e passano dal colore giallo al rosso bruno.
- frazione grassa (13-20% su 100g di semi), utilizzati per estrarre un olio usato nell’industria
alimentare.
E’ bene che i vinaccioli rimangano integri durante la vinificazione per non avere fuoriuscita di olio e
aumento della concentrazione di alcool metilico che deriva dalle sostanze pectiche. Queste sostanze
concorrono a determinare l’aroma del vino.

Il MOSTO è il liquido derivato dalla pigiatura e dalla torchiatura di uve fresche. Questo, con o senza
vinacce viene inviato, per mezzo di pompe, alle vasche o ai tini, dove avverrà la fermentazione
tumultuosa. E’ composto da:
- Acqua (70-80%), in cui si ritrovano il 15-20% di zuccheri costituiti da glucosio e fruttosio, in
quantità pressochè uguali, derivanti dall’attività fotosintetica delle foglie;
- Estratto secco formato da:
- Frazione elettrolitica: Acidi tartarico, malico, citrico, che conferiscono un pH compreso tra 3 e 3,6;
fondamentale per il processo fermentativo e per dare al vino la tipica “brillantezza”. Questi acidi si
ritrovano in forma indissociata e anche come sali, tra cui il tartrato acido di potassio; Anioni (Cl-,
SO42-, PO43-); Cationi (K+, Na+, Ca2+, Mg2+);
- Frazione non elettrolitica: Sostanze azotate, come aa, polipeptidi, proteine ed, in minima quantità,
ammoniaca, nitriti, nitrati, derivano prevalentemente dalla buccia e sono essenziali ai fini del
processo fermentativo in quanto utilizzate dai lieviti come nutrimento e trasformate (mediante
deamminazione e decarbossilazione) in alcoli superiori, che concorrono all’aroma del vino. le
proteine, se presenti in concentrazione rilevante, possono legarsi ai tannini e precipitare, favorendo
la chiarificazione del prodotto; Enzimi (ossidoriduttasi, idrolasi..); Sostanze pectiche, si ritrovano
nel vino in quantità inferiore perché in parte precipitano, legandosi alle proteine, in parte vengono
idrolizzate, dando origine all’alcool metilico; Vitamine (gruppo B, C, β-carotene); Sostanze
coloranti, tannini, sostanze aromatiche, qualora la vinificazione avvenga in presenza di vinacce
(buccia+vinaccioli).

VINIFICAZIONE
La vendemmia rappresenta il momento in cui l’uva viene raccolta, tale momento è molto variabile e
dipende dalla varietà dell’uva, dal tipo di vino desiderato e dalle condizioni climatiche. Durante la
maturazione dell’uva si ha un progressivo aumento degli zuccheri seguito da una riduzione dell’acidità.
Possiamo avere due tipi di vinificazione:
- IN BIANCO (avviene in assenza di vinacce, bucce e vinaccioli)
- IN ROSSO (in presenza di vinacce).
Inizialmente si effettua la PIGIATURA che consiste nella compressione dell’uva con conseguente
fuoriuscita del succo zuccherino (mosto). L’ operazione si realizza attualmente quasi esclusivamente
con l’impiego di attrezzature meccaniche (pigiatrici), alcune delle quali possono eliminare i graspi
(pigiatrici-diraspatrici).
Può essere condotta con 2 tecniche fondamentali:
- In presenza di vinacce (in particolare di bucce e vinaccioli) per ottenere vini rossi;
- In assenza di vinacce per ottenere vini bianchi o rosati, anche utilizzando uve rosse.

Il mosto prodotto per pigiatura è avviato tramite pompe nei tini di FERMENTAZIONE, previa
aggiunta di anidride solforosa. I tini possono essere contenitori di cemento, metallici o di vetroresina,
rivestiti internamente da diversi tipi di resine.

USO DELL’ANIDRIDE SOLFOROSA


E’ normalmente aggiunta ai mosti sottoforma di SO2 gassosa o di metabisolfito di K, per le numerose
funzioni che esplica. E’ estremamente reattiva con tutti i composti che presentano gruppo aldeidico e
chetonico, per cui si combina con zuccheri, ed in particolare con l’acetaldeide; all’equilibrio avremo
una frazione libera ed una combinata. La frazione libera è ripartita in forma di ione bisolfito e
molecolare, quest’ultima esplica l’ATTIVITA’ ANTISETTICA. Difatti il diossido di zolfo (o anidride
solforosa) svolge un’azione antisettica selettiva nei confronti dei microorganismi presenti nel mosto: a
bassa concentrazione (5–30 g/hL) uccide numerosi microrganismi senza danneggiare i saccaromiceti,
mentre dosi superiori (130-180 g/hL) rendono invece il mosto infermentescibile. Inoltre consente una
resa più elevata in alcol, per lo sviluppo dei lieviti saccaromiceti. Ha un’azione acidificante diretta,
(acidità delle soluzioni di SO2) e indiretta in quanto, inibendo i batteri lattici, riduce la fermentazione
malolattica (acido lattico è meno forte del malico). Consente di ottenere (uve rosse) vini più colorati,
favorisce la solubilizzazione nel mosto delle sostanze coloranti e dei polifenoli. Previene
l’insorgenza di malattie del vino (spunto, girato, agrodolce). Ha azione antiossidante, nei confronti
dei perossidi formatisi dai polifenoli. Distrugge e inattiva le ossidasi responsabili dell’ intorbidamento
del vino. Ha azione chiarificante poichè aumento dell’acidità facilita la flocculazione dei colloidi
carichi negativamente.

La fermentazione MALOLATTICA è un evento fermentativo caratteristico che porta il vino a


maturazione, successivo alla FERMENTAZIONE ALCOLICA. I batteri lattici (Oenococcus oeni), a
causa del rialzo termico che solitamente si viene a creare in primavera (18-20°C) innescano la
fermentazione malolattica nel vino. L’acido malico (acido più forte, più aspro), presente nell’uva, viene
trasformato in ACIDO LATTICO (acido più debole, più delicato e meno acre) E CO 2. L’effetto
principale è la diminuzione dell’acidità ed un incremento del pH → questa fermentazion permette di
ottenere un vino più morbido ed equilibrato, più ricco in corpo e con profumi più fini.

SO2 ASPETTI IGIENICO-SANITARI


La SO2 ingerita a dosi rilevanti determina alcuni effetti indesiderati:
- Anormale apporto di ossigeno al sangue con conseguente cefalee
- Inibizione della secrezione della pepsina
- Irritazione della mucosa gastrica con nausea e vomito
- Distruzione della tiamina con conseguente turbe del metabolismo dei carboidrati
L’O.M.S. ha indicato la dose giornaliera accettabile in 0,7 mg/Kg di peso corporeo, pari a 50mg
per un uomo di 70Kg.
Durante la vinificazione si verificano numerose e fondamentali trasformazioni chimiche, poichè i lieviti
con la pigiatura passano dalla buccia al mosto.
In un primo momento (8-10 ore), in presenza di ossigeno atmosferico, i lieviti utilizzano
completamente il glucosio attraverso la via ossidativa, crescendo e riproducendosi. Finito
l’ossigeno disciolto nel mezzo, i microrganismi iniziano a trasformare il glucosio in alcol etilico e
CO2 (fermentazione alcolica). I saccaromiceti secernono la zimasi alcolica: che permette la
trasformazione del glucosio in alcol etilico, anidride carbonica, glicerina, acido succinico e tracce di
aldeidi. La demolizione del glucosio avviene tramite la GLICOLISI, fino alla formazione di piruvato.
Il piruvato viene ridotto ad etanolo in due passaggi: una decarbossilazione ed una deidrogenazione.
La decarbossilazione è operata da un enzima (piruvato decarbossilasi) contenente, come coenzima, una
vitamina idrosolubile, la tiamina pirofosfato, un trasportatore di CO 2. La riduzione è operata da una
deidrogenasi NAD-dipendente (alcol deidrogenasi). Si ha così, in questi organismi la riossidazione del
NADH citoplasmatico a NAD+.

La fermentazione del mosto comprende 2 fasi:


- Fermentazione principale in tini aperti, in presenza delle bucce e dei graspi (fermentazione in rosso);
in assenza delle bucce e dei graspi (fermentazione in bianco).
- Fermentazione secondaria in botti.

1) Fermentazione in rosso consiste nella rapida fermentazione del mosto dovuta ai lieviti presenti nella
buccia. Il processo consiste in una fermentazione tumultuosa che determina lo sviluppo di anidride
carbonica e l’innalzamento della temperatura che deve essere rigorosamente controllata per evitare il
blocco del processo. Nel corso della fermentazione, le vinacce risalgono in superficie a formare il
cosiddetto cappello. Per evitare che il contatto del cappello con l’aria provochi l’acetificazione del
liquido, il cappello deve essere periodicamente sommerso.
2) Fermentazione in bianco consente la produzione di vini poco colorati e poco aromatici. Il processo è
reso possibile dall’aggiunta di lieviti selezionati, in fase di correzione del mosto, che sostituiscono i
lieviti presenti nelle bucce degli acini delle uve rosse.
Mancando l’azione chiarificante dei tannini, è opportuno che il mosto-fiore, prima della fermentazione,
subisca la defecazione, ossia la separazione delle sostanze in sospensione; questa viene preceduta
dall’aggiunta di SO2 e attuata con sistemi statici (sedimentazione) o dinamici (centrifugazione).
L’operazione più importante della vinificazione IN ROSSO è data dalla svinatura, cioè dalla
separazione del mosto-vino dalle vinacce. Il vino appena svinato si chiama VINO FIORE. La
svinatura è un processo meccanico eseguibile con differenti tecniche a seconda del contenitore dove il
mosto-vino ha completato la fermentazione, della quantità e degli obiettivi enologici; si tratta quasi
sempre di aspirare il vino-fiore dal livello di residuo solido che giace sul fondo e travasarlo in altro
contenitore.

La fermentazione secondaria è preceduta dal travaso del liquido dai tini aperti alle botti. In questo
modo si separano le vinacce dal vino nuovo (vino fiore). Il vino nuovo va quindi incontro a un processo
di fermentazione lento. Le vinacce sono utilizzate per la produzione di grappa, etanolo, aceto, mangimi.
La fermentazione secondaria è un processo di fermentazione lenta ad opera di particolari batteri. La
lavorazione del vino nuovo avviene in botti (di legno, cemento, vetroresina) e consiste in periodiche
operazioni di colmatura e travaso.

CURE E CORREZIONI AL VINO NUOVO


Dopo la svinatura e durante la fermentazione lenta, è necessario operare alcuni trattamenti in modo da
favorire l’ulteriore trasformazione degli zuccheri e la fermentazione malo-lattica; le più importanti cure
a cui è possibile sottoporre il vino nuovo sono:
- COLMATURE: consistono nell’aggiunta di vino della stessa qualità o di qualità superiore in modo da
colmare i cali che avvengono nelle botti; in alternativa si può conservare il prodotto in atmosfera inerte
(azoto o anidride carbonica);
- TRAVASI: servono ad allontanare le fecce depositatesi sul fondo del contenitore (lieviti, batteri,
sostanze pectiche, mucillagini, sali e proteine precipitate con i tannini)
La correzione del vino viene effettuata allo scopo di:
- Variare il grado alcoolico;
- Correggere l’acidità;
- Modificare il colore;
- Aumentare la limpidezza.
Esempi sono:
- TAGLIO; mescolanza di due o più vini diversi per aumentare la gradazione;
- RIFERMENTAZIONE: in presenza di vinaccia fresca o con aggiunta di colture di lievito selezionate
(si può effettuare quando nel vino è rimasto zucchero non fermentato);
- CRIOCONCENTRAZIONE: il vino viene portato a temperatura di congelamento: ciò determina la
formazione di cristalli di ghiaccio e precipitazione di sali e sostanze colloidali separati poi per
centrifugazione; effettuata per aumentare il grado alcolico.
- CORREZIONE DEL pH: sono utilizzati acidi citrico, tartarico, per aumentare l’acidità; mentre
carbonato di sodio, bicarbonato di potassio, per diminuirne l’acidità;
- CORREZIONE DEL COLORE: aumento del colore viene attuato mediante tagli con altri vini
variamente colorati per aumentare l’intensità; la diminuzione del colore si effettua con trattamento con
sostanze decoloranti e assorbenti (colle, albumina, carbone) per ridurre l’intensità.

CHIARIFICAZIONE E STABILIZZAZIONE
E’ indispensabile che il vino, quando viene imbottigliato, sia limpido e così si mantenga fino al
consumo. I trattamenti hanno lo scopo di:
- Renderlo limpido (chiarificazione)
- Mantenerlo limpido il più a lungo possibile (stabilizzazione)
L’aumento della limpidezza del vino è ottenuto attraverso filtrazione (meccanismo fisico) e
chiarificazione (con meccanismo fisico e fisico-chimico).
La filtrazione si esegue mediante filtri o filtro presse di vari tipi, che usano come materiale filtrante:
farina fossile (setacciante), cellulosa (adsorbente) e perlite (in mix alla farina fossile; inerte).
La chiarificazione si esegue mediante trattamento con silice, bentonite, gelatina, colla di pesce,
albumina, caseina.
Per la stabilizzazione si ricorre a REFRIGERAZIONE O PASTORIZZAZIONE
- Refrigerazione: raffreddamento del vino a temperature fino a -10°C in celle frigorifere; in tal modo si
favorisce la precipitazione dei tartrati, delle sostanze coloranti, delle pectine e del fosfato ferrico; segue
la filtrazione.
- Pastorizzazione: trattamento a caldo del vino (prima o dopo l’imbottigliamento) per distruggere
carica microbica ed enzimi e migliorarne la conservabilità; In alternativa può essere eseguita anche
microfiltrazione prima dell’imbottigliamento.

CLASSIFICAZIONE DEI VINI


Secondo la normativa comunitaria i vini si suddividono in due grandi categorie:
- VINI DA TAVOLA (non sottoposti a un particolare disciplinare di produzione);
- VINI DI QUALITA’ PRODOTTI IN REGIONI DETERMINATE (VQPRD) sottoposti a disciplinare
di produzione (tipi di uve, zone di produzione, grado alcolico, invecchiamento…). Comprendono
anche: - Vini liquorosi di qualità prodotti in regioni determinate (VLQPRD)
- Vini spumanti di qualità prodotti in regioni determinate (VSQPRD)
- Vini frizzanti di qualità prodotti in regioni determinate (VFQPRD)
MODALITA’ DI ETICHETTATURA
- Reg. CE 607/2009 del 14 luglio e del decreto 23 dicembre 2009
Indicazioni obbligatorie e facoltative che devono figurare sulle etichette dei vini DOP e IGP e dei
vini senza denominazione di origine a partire dal 1 gennaio 2011.

INDICAZIONI OBBLIGATORIE VINI DOP E IGP


1. Nome del prodotto seguito dall’espressione “Denominazione di origine protetta” o
“Indicazione geografica protetta” o, in sostituzione, dalla menzione tradizionale
DOC/DOCG/IGT (per esteso)
2. Titolo alcolometrico* volumico effettivo e per TITOLO ALCOLOMETRICO O GRADAZIONE
ALCOLICA s’intende la misura del contenuto di ETANOLO in una bevanda alcolica, ovvero la
percentuale in volume di alcol riferita a volume di vino. Es. 12° = 12 ml di etanolo su 100 ml di vino.
Per legge non può essere inferiore ai 3/5 della gradazione complessiva, né a 6°. Il termine “grado” o
“gradazione alcolica” è stato sostituito (Reg. CEE 822/87) dal TITOLO ALCOLOMETRICO.
3. Origine e provenienza L’indicazione dell’origine è obbligatoria per tutte le tipologie di vino e deve
essere riportata in etichetta utilizzando le diverse modalità contemplate dal Reg. Ce 607/09 a seconda
che si tratti di vino con o senza denominazione di origine/indicazione geografica. I vini DOP/IGP
devono riportare: - “Vino di …” o “Prodotto in …” o “Prodotto di …” indicando il nome dello Stato
membro/Paese terzo nel cui territorio sono state vendemmiate e vinificate le uve.
4. Riferimenti all’imbottigliatore Ai sensi del Reg. Ce 607/09, art. 56, per imbottigliatore si intende
“la persona fisica o giuridica, o l’associazione di persone, che effettua o fa effettuare
l’imbottigliamento per conto proprio”. I riferimenti ad altre categorie commerciali (es. produttore,
venditore, ecc.) sono facoltative; solo l’indicazione dell’importatore diventa obbligatoria se il vino ha
provenienza extra UE.
Ai sensi dell’art. 56, par. 2, del regolamento 607/09, per tutte le categorie di prodotti vitivinicoli a DOP
e a IGP sono stabilite le seguenti espressioni che possono completare il nome e l’indirizzo
dell’imbottigliatore relative all'imbottigliamento nell'azienda del produttore o di un'associazione di
produttori:
“Imbottigliato dall’azienda agricola…”/“Imbottigliato dal viticoltore…“/“Imbottigliato all'origine da
… ”/“Imbottigliato all'origine dalla cantina sociale …”/“Imbottigliato all'origine dai produttori riuniti
…”/“Imbottigliato all'origine dall'associazione dei produttori …” e altre espressioni similari;
5. Annata delle uve Almeno l’85% del quantitativo di uve impiegate per la realizzazione del vino
devono derivare da uve della stessa annata.
6. Tenore zuccherino (solo per gli spumanti)
7. Indicazione relativa alla presenza di allergeni
8. Lotto
9. Indicazione della quantità

INDICAZIONI FACOLTATIVE VINI DOP E IGP


1. Categoria merceologica (vino, vino spumante, ecc.).
2. Riferimenti (nome o marchio commerciale + indirizzo) ad altri operatori coinvolti nella filiera
(es. produttore, distributore, ecc.).
3. Utilizzo di termini quali abbazia, castello, rocca, ecc. riferiti all’azienda agricola ma solo se
tutte le operazioni di trasformazione avvengono nell’area menzionata.
4. Logo comunitario relativo alla presenza di allergeni
5. Varietà delle uve per i vini DOP/IGP, se si indica una sola varietà di uve, questa deve rappresentare
almeno l’85% del prodotto finito; in caso di indicazione di due o più vitigni, questi devono
rappresentare il 100% del prodotto finito. Le varietà, inoltre, devono figurare in ordine ponderale
decrescente di presenza e in caratteri tipografici della stessa dimensione.
6. Tenore zuccherino (per i vini non spumanti).
7. Indicazioni relative al metodo di invecchiamento e/o di elaborazione (es. superiore, novello,
ecc.).
8. Simboli comunitari della DOP/IGP
I simboli comunitari sono quello di cui al Reg. Ce 1898/2006, già in uso per le altre categorie di
prodotti DOP/IGP riconosciute ai sensi del Reg. Ce 510/06. Le diciture riportate nel pittogramma
“Denominazione di origine protetta” e “Indicazione geografica protetta” possono essere sostituite dalla
menzioni tradizionali del Paese di produzione (ovvero “Denominazione di origine controllata”,
“Denominazione di origine controllata e garantita” e “Indicazione geografica tipica”). Il simbolo
comunitario non può sostituire l’indicazione della denominazione geografica e indicazione tipica che
devono sempre e comunque figurare in etichetta.
9. Riferimenti al metodo di produzione (fermentato in botte, ecc.).
10. Indicazioni relative ad unità geografiche più piccole della DOP/IGP, solo se almeno l’85%
delle uve impiegate nella produzione del vino proviene da tali zone.

INDICAZIONI OBBLIGATORIE VINI SENZA DENOMINAZIONE


1. Denominazione di vendita obbligatoria per i vini senza denominazione di origine. Le
denominazioni di vendita ammesse per i prodotti vitivinicoli sono indicate all’all. IV del Reg. Ce
479/08 e comprendono, ad esempio, “vino”, “vino liquoroso”, “vino spumante”, “vino spumante di
qualità”, “vino frizzante”, ecc.
2. Titolo alcolometrico volumico effettivo
3. Origine e provenienza I vini senza denominazione di origine devono adottare una delle seguenti
modalità:
- “Vino di …” o “Prodotto in …” o “Prodotto di …” in caso di vino ottenuto da uve vendemmiate e
vinificate in uno stesso Stato membro/Paese terzo;
- “Vino della Comunità europea” o “Miscela di vini di diversi Paesi della Comunità Europea” in caso di
vini originari di diversi Stato membro;
- “Miscela di vini di diversi Paesi non appartenenti alla Comunità Europea” o “Miscela di vini di …” in
caso di vini originari da uno o più Paese terzo;
- “Vino ottenuto in … da uve vendemmiate in …” completato dal nome dello Stato membro/Paese
terzo in caso di luogo di provenienza delle uve diverso da quello della vendemmia
4. Riferimenti all’imbottigliatore (nome e/o marchio + indirizzo)
5. Tenore zuccherino (solo per gli spumanti)
6. Indicazione relativa alla presenza di allergeni
7. Lotto
8. Indicazione della quantità

INDICAZIONI FACOLTATIVE VINI SENZA DENOMINAZIONE


1.Riferimenti (nome o marchio commerciale + indirizzo) ad altri operatori commerciali coinvolti
nella filiera (es. produttore, distributore, ecc.).
2. Logo comunitario relativo alla presenza di allergeni
3. Annata delle uve, solo se almeno l’85% delle uve proviene dalla stessa annata (previo controllo
da parere dell’Organismo Certificatore)
4. Varietà delle uve
5. Tenore zuccherino (per i vini non spumanti)

ACETO

Con il termine di “aceto” si indica il prodotto della fermentazione acetica del vino che, per legge (DPR
162/65), deve contenere più del 6% di acidità totale, espressa come acido acetico, e una quota residua
di alcol non superiore all’1,5%. In Italia e Francia la materia prima è il VINO, che deve essere sano e
genuino. Si possono utilizzare VINI BIANCHI (aceto bianco), VINI ROSSI e ROSATI.
Oltre all’uso come condimento, l’aceto viene impiegato per la preparazione di salse, sottaceti, prodotti
a base di verdure o pesce (azione antisettica).

La trasformazione del vino in aceto non è una vera e propria fermentazione, ma un’OSSIDAZIONE
svolta da batteri acetici (principalmente Acetobacter aceti).
I BATTERI ACETICI appartengono alla famiglia delle Acetobacteriaceae e sono rappresentati dai
generi Acetobacter, Gluconobacter e Gluconoacetobacter. Sono bacilli Gram negativi, aerobi obbligati,
chemioeterotrofi, con temperatura ottimale 15-35°C. Sono marcatamente acidofili (crescono fino a pH
4) e si localizzano soprattutto sulla superficie di piante, in particolare fiori e frutti. Sono capaci di
metabolizzare anche l’etanolo come fonte di carbonio producendo acido acetico.
I metodi industriali sono attualmente due:
- In superficie su trucioli → in cui gli Acetobacter sono localizzati sulla superficie di trucioli di legno
o raspi d’uva localizzati nella parte centrale di un tino dalla cui sommità viene spruzzato il vino;
- A fermentazione sommersa → la fermentazione avviene all’interno della massa del vino,
completamente arieggiato (si compie in tempi ridotti, ma l’aceto così prodotto ha caratteristiche e
requisiti inferiori rispetto al primo).
Si utilizzano botti di volume relativamente piccolo (200/300 litri), in cui l’ etanolo presente in un vino
ottenuto da uvaggi dedicati viene ossidato ad acido acetico con lentezza.

LA BIRRA

La legislazione italiana attribuisce la denominazione “birra” al “prodotto ottenuto dalla fermentazione


alcolica con ceppi di Saccharomyces carlsbergensis o di Saccharomyces cerevisiae dei mosti preparati
con malto, anche torrefatto, d’orzo o di frumento o di loro miscele e acqua, amaricato con luppolo o
suoi derivati o con entrambi. Il luppolo può essere utilizzato anche in polvere, sotto forma di estratti o
di concentrati.
Il malto d’orzo e/o di frumento può essere sostituito con riso ed altri cereali anche rotti o macinati o
sotto forma di fiocchi fino alla percentuale massima del 40% calcolato sul peso complessivo del cereale
impiegato.
La birra in Italia: Rispetto ai paesi europei l'Italia non vanta un rilevante consumo annuo pro capite di
birra, ma è stata, negli ultimi trent'anni, protagonista di una vera e propria esplosione nel settore.
Quasi una rivoluzione, se si tiene conto delle sue radicate e intense tradizioni vinicole e del fatto che la
disponibilità di birra (cioè il totale della produzione nazionale più la quota importata) è aumentata
sensibilmente e costantemente. Allo stesso modo anche il consumo annuo pro capite è più che
raddoppiato. Leader italiano è il gruppo che porta il nome dei proprietari, i Peroni; seconda fabbrica
italiana per volume di produzione è la Dreher, controllata dal colosso olandese Heineken. Seguono
Wurher che produce birre con marchio Wuhrer, Simplon e Kronenbourg, e Sib-Nuova Birra
Messina che fabbrica su licenza la birra Henninger. Poretti è presente nel mercato con le birre
Splugen, Tuborg, Carlsberg e altre marche minori. Ci sono poi Forst di Merano (Bolzano), Prinz e
Moretti a Udine che produce l'omonima birra e la San Souci.

Le materie prime di elezione utilizzate sono: ORZO, ACQUA, LUPPOLO e LIEVITO.

L’orzo deve essere trasformato in malto: tale procedimento definito MALTAGGIO viene attuato in
fabbriche distinte dalle birrerie. La produzione di malto o maltaggio si basa sulla germinazione delle
cariossidi d’orzo che determina l’abbondante formazione di enzimi (amilasi). Gli enzimi determinano
la trasformazione dell’amido in zuccheri (maltosio e glucosio).
L'orzo è la sorgente più comune per gli zuccheri fermentabili utili alla birra. Il nucleo del chicco d'orzo
è il seme di una pianta della famiglia delle Graminacae. Il malto d'orzo è formato da chicchi d'orzo,
germogliati e o modificati fino ad una lunghezza desiderata, a cui vengono tagliate le radichette
per poi venire tostati fino al colore desiderato. L'orzo contiene zuccheri, amidi, proteine, enzimi,
tannino, cellulosa e composti azotati.
Il maltaggio comprende 3 fasi:
• Umidificazione (le cariossidi sono pulite, selezionate e umidificate a 10-15°C in appositi contenitori);
• Germinazione (le cariossidi sono investite da aria caldo-umida, che permette la ripresa vegetativa:
malto verde);
• Torrefazione (comporta l’essiccazione dell’orzo germinato in seguito a trattamento termico fino a
70°C).

AMMOSTATURA → L’orzo torrefatto è introdotto in una macchina molitoria che lo riduce in un


farina grossolana, poi diluita in acqua calda per dar luogo allo sfarinato (che può essere miscelato con
altri cereali). Nella fase di preparazione del mosto o ammostatura si verifica l’idrolisi del malto ad
opera delle amilasi in destrine e zuccheri (maltosio, glucosio) (saccarificazione). Le prime si
troveranno nella birra, mentre gli zuccheri fermenteranno. L’ammostatura è necessaria per degradare
l’amido e solubizzare i suoi componenti.
L’ammostatura è realizzata mediante cottura del mosto che può avvenire per INFUSIONE e
DECOZIONE.
La cottura per infusione (metodo tradizionale per la produzione di birre Lager e birre inglesi) avviene
riscaldando progressivamente il mosto mediante aggiunta di acqua calda fino alla temperatura di 63-
65°C, senza giungere alla ebollizione.
La cottura per decozione (metodo attualmente più diffuso) avviene portando all’ebollizione l’impasto
di malto sfarinato e acqua.

Al termine della cottura, che dà luogo al processo di saccarificazione, la fase liquida del mosto viene
separata dai residui solidi (cariossidi e sostanze coagulate: trebbie, utilizzabili come mangimi) tramite
filtrazione. È consentito impiegare, quale coadiuvante di filtrazione e di chiarificazione del mosto di
birra e della birra, il biossido di silicio sotto forma di gel o di soluzione colloidale e il
polivinilpirrolidone alla dose max di 70 g/hl.
Dopo la filtrazione la fase liquida è trasferita nelle caldaie di rame e, previa aggiunta di luppolo (300g
per hl di mosto), portata all’ebollizione per un periodo di circa 2 ore. Il luppolo è costituito dalle
infiorescenze femminili dell’Humulus Lupulus, che contengono oli essenziali, resine, tannini, e viene
aggiunto allo scopo di conferire alla birra il caratteristico aroma ed il sapore amaro. La sostanza più
importante per quanto riguarda il conferimento dell’aroma è la LUPPOLINA, la quale ha anche azione
antisettica (e perciò conservante) e favorisce la formazione e la persistenza della schiuma. Il luppolo
può essere utilizzato anche come polvere, estratto o concentrato.
Al termine dell’ebollizione il mosto risulta concentrato, sterilizzato e presenta il tipico sapore del
luppolo. Si procede quindi a filtrazione e raffreddamento del mosto in adatti scambiatori di calore.

La FERMENTAZIONE consiste nella trasformazione del maltosio in etanolo e anidride carbonica


ad opera di lieviti particolari.
A seconda del lievito impiegato si distinguono:
- Fermentazione bassa, che utilizza il Saccharomyces carlsbergensis. La fermentazione bassa (termine
dovuto al fatto che alla fine del processo i lieviti si depositano sul fondo) è utilizzata per la produzione
di birre chiare. Avviene in 2 fasi: - Fermentazione tumultuosa (in tini a 5-8°C per 12 giorni);
- Fermentazione lenta (in vasche chiuse a 2°C per 2 mesi).
- Fermentazione alta, che utilizza il Saccharomyces cerevisiae. La fermentazione alta (termine dovuto
al fatto che alla fine del processo i lieviti galleggiano in superficie) è utilizzata per la produzione di
birre scure. Essa avviene in 2 fasi: - Fermentazione tumultuosa (in tini a 18°C per 5 giorni);
- Fermentazione lenta (in vasche chiuse a 10°C per 1 mese).
Al termine della fermentazione si separa la birra dal lievito (filtrazione) e la si pone in vasche o botti
chiuse dove il processo fermentativo prosegue lentamente per 2-3 mesi; l’anidride carbonica che si
produce in questa seconda fase resta nella birra alla quale conferisce la proprietà di schiumeggiare
all’apertura dei recipienti.
La pastorizzazione della birra effettuata di norma sul prodotto imbottigliato: con opportuno ciclo
termico garantisce l’inattivazione delle cellule di lievito sfuggite alla filtrazione e quindi l’ottenimento
di una stabilità microbiologica. Essa consiste nel riscaldamento delle bottiglie con acqua a 60°C per 30
minuti.

Classificazione della birra: in commercio si trovano vari tipi di birre, in conformità alle disposizioni
n.89/395 e 89/396 della CEE nonché all’Art.19 del D.L. n.109, 27.1.1992; le denominazioni secondo
quanto stabilito, sono le seguenti:
- Birra Analcolica con grado saccarometrico* in vol. tra 3 e 8 e contenuto alcolico non superiore 1.2
mL/100mL;
- Birra Leggera (o light) con grado saccarometrico in vol. tra 5-11 e contenuto alcolico compreso tra
1.2 e 3,5 mL/100mL;
- Birra Normale con grado saccarometrico in vol. superiore a 11 e contenuto alcolico non inferiore a
3,5 mL/100mL;
- Birra Speciale con grado saccarometrico in vol. superiore a 13 e contenuto alcolico non inferiore a 4
mL/100mL;
- Birra Doppio Malto con grado saccarometrico in vol. superiore a 15 e contenuto alcolico non
inferiore a 4,5mL/100mL.

GRADO SACCAROMETRICO: quantità di zuccheri fermentabili presenti nel mosto prima della
fermentazione; Grado Plato = 10g di zuccheri in 1 Kg di mosto.

E' vietato nella preparazione della birra:


a) Impiegare sostanze amidacee o aggiungere ai mosti di birra zuccheri o succhi di frutta;
b) Colorare la birra con sostanze diverse da quelle provenienti dal malto d'orzo torrefatto;
c) Aggiungere alla birra additivi, salvo quelli autorizzati dal Ministero della sanità;
d) Aggiungere alla birra o, comunque, impiegare nella sua preparazione alcool, sostanze schiumogene o
sostanze amare diverse dal luppolo;
e) Impiegare ogni eventuale altra sostanza, il cui uso non sia stato specificatamente autorizzato dal
Ministro per la sanità, sentiti i Ministeri dell'agricoltura e delle foreste, dell'industria e del commercio e
delle finanze, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, e il Consiglio superiore di sanità. Per la
chiarificazione della birra debbono impiegarsi soltanto mezzi meccanici o sostanze innocue autorizzate.

SUPERALCOLICI

I SUPERALCOLICI comprendono bevande ottenute dalla distillazione di liquidi fermentati, quali


le acquaviti, e bevande ottenute aggiungendo etanolo a miscele di liquidi variamente composti.

La DISTILLAZIONE è una tecnica utilizzata per separare due o più sostanze presenti in una miscela,
che sfrutta la differenza dei PUNTI DI EBOLLIZIONE di tali sostanze. Comprende i seguenti passaggi
di stato:
- EVAPORAZIONE di una o più sostanze a partire da una miscela o da una soluzione;
- CONDENSAZIONE dei vapori ottenuti che tornano allo stato liquido al fine di separare i componenti
caratterizzati da diversa volatilità.
Somministrando calore ad una soluzione:
- Si separa vapore che sarà più ricco del componente più volatile;
- Il liquido che rimane è più ricco del componente meno volatile;
- La temperatura di ebollizione della soluzione tende ad aumentare.

Le ACQUAVITI sono bevande ottenute dalla distillazione di liquidi fermentati (mosti fermentati) e
comprendono grappa, brandy, cognac, whisky, vodka, gin. Il titolo alcolometrico del prodotto finito va
da 30 a 86% vol. La distillazione viene realizzata in 2 tipi di recipienti: l’alambicco e il distillatore
brevettato o distillatore Coffey.
Distillazione con alambicco: L’alambicco è un recipiente di rame di dimensioni e forma diverse
collegato a un condensatore. Il liquido alcoolico è riscaldato e fatto passare all’interno dell’alambicco
dove si realizza la distillazione della frazione alcoolica (più volatile della composizione acquosa). Il
raffreddamento dei vapori che avviene nel condensatore ne determina il passaggio allo stato liquido.

Distillazione con distillatore Coffey: Il distillatore Coffey impiega il vapor acqueo per separare
l’etanolo dal liquido fermentato. Questo tipo di distillatore è alla base dei moderni processi produttivi
che utilizzano la distillazione in continuo.

BEVANDE LIQUOROSE: I liquori sono bevande preparate artificialmente; sono miscele di alcol
etilico o acquavite con acqua, zucchero, aromi, essenze, oli essenziali e, a volte, con sostanze amare
toniche, bitter e amari.
Gli estratti aromatizzati sono ottenuti con diverse tecniche da:
- Semi e frutti (mirtillo, cumino, anice, caffè, cacao);
- Foglie (menta, assenzio, artemisia);
- Fiori (arancio, luppolo, camomilla);
- Radici (ginger, rabarbaro, liquirizia, genziana);
- Cortecce (angostura, china, sandalo, cannella).
Il titolo alcoolometrico è compresto tra il 20-50%.

INTEGRATORI ALIMENTARI

Il settore degli integratori alimentari è regolamentato a livello europeo dalla Direttiva 2002/46/CE del
10 giugno 2002, nata con lo scopo di assicurare da una parte un elevato livello di tutela della
pubblica salute, dall’altra una circolazione libera di questi prodotti all’interno dell’UE, garantendo,
tramite un’etichettatura adeguata ed appropriata, una miglior TUTELA DEI CONSUMATORI.

Secondo tale normativa gli INTEGRATORI ALIMENTARI sono “prodotti alimentari destinati ad
integrare la dieta normale che costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali vitamine e
minerali, o di altre sostanze aventi un effetto nutritivo o fisiologico, sia monocomposti che
pluricomposti”
Sono presentati in forma di tavolette, capsule, compresse, bustine di polveri, fiale di liquidi, flaconcini
e flaconi a contagocce ed altre forme similari di liquidi e polveri per fornire un apporto predefinito di
nutrienti e/o sostanze ad effetto fisiologico.

Considerazioni:
1) Gli integratori alimentari sono alimenti, regolamentati come tali e pertanto soggetti a tutte le regole e
norme applicabili agli alimenti;
2) Gli integratori alimentari sono fonti concentrate di nutrienti o altre sostanze con effetto nutrizionale
(vitamine, minerali ecc..) o fisiologico (estratti vegetali..), da soli o in combinazione;
3) Gli integratori vanno commercializzati in forme predosate, e cioè formulati per essere assunti in
piccole quantità misurate e misurabili;
4) Lo scopo di questi prodotti è di SUPPLEMENTARE, INTEGRARE la dieta normale.
5) Il RUOLO FISIOLOGICO DEGLI INTEGRATORI viene inteso come un effetto “salutistico” volto
a contribuire specificamente al benessere dell’organismo su base non nutrizionale, senza obiettivi di
cura.
6) Si allarga il quadro dei componenti dalle vitamine/minerali ad una più vasta gamma di ingredienti
che comprendono anche alcuni derivati vegetali.
“Esiste un’ampia gamma di sostanze nutritive e di altri elementi che possono far parte della
composizione degli integratori alimentari, ed in particolare, ma non in via esclusiva, vitamine, minerali,
amminoacidi, acidi grassi, fibre ed estratti di origine vegetale”.

In Italia la Direttiva è stata recepita e attuata con il Decreto legislativo n. 169 del maggio 2004 , che
ha normato il ruolo e la finalizzazione degli integratori alimentari parallelamente alla profonda
evoluzione che si è andata affermando in questo settore.

Decreto Lgs 169/04


Gli integratori vengono definiti come “prodotti alimentari destinati ad integrare la comune dieta e che
costituiscono una fonte concentrata di sostanze nutritive, quali vitamine e minerali, o di altre sostanze
aventi un effetto nutritivo o fisiologico, in particolare, ma non in via esclusiva, amminoacidi, acidi
grassi essenziali, fibre ed estratti di origine vegetale, sia monocomposti che pluricomposti, in forme
predosate” (art.2)
Le PREPARAZIONI PREDOSATE permettono al consumatore di conoscere la quantità corretta da
assumere giornalmente dei nutrienti e di altre sostanze contenuti nel prodotto.
La definizione riportata nel decreto Lgs 169/04 si tratta di una definizione molto semplice, ma assente
prima del 2002: in Europa mancava infatti un riconoscimento di tipo giuridico per questi prodotti
che adesso è stato definito e inquadrato con una normativa che è specifica proprio per gli integratori.

In linea con le normative vigenti l’integratore deve assicurare:


• SICUREZZA D’USO: in termini di tipologia e concentrazione delle sostanze utilizzate e di aspetti
legati a igiene e contaminazione;
• FUNZIONI E MODALITA’ D’USO: deve caratterizzarsi per il suo effetto nutritivo o fisiologico, che
deve essere legittimato da validi presupposti scientifici.

Tali punti sono molto importanti perché rappresentano un elemento informativo essenziale per orientare
nelle scelte e favorire corretti comportamenti da parte dei consumatori in funzione delle specifiche
esigenze individuali. Per risultare utile in tal senso deve necessariamente riguardare lo specifico
effetto coadiuvante che il prodotto è in grado di svolgere.

L’integratore deve presentare:


• CORRISPONDENZA TRA VALORI DICHIARATI E VALORI EFFETTIVAMENTE
RISCONTRABILI (contenuti delle sostanze ad attività nutritiva o fisiologica, periodo di shelf-life);
• COMPOSIZIONE (supportata da un adeguato razionale scientifico);
• CHIAREZZA DELLE INFORMAZIONI IN ETICHETTA (composizione, attività svolta ed
eventuali avvertenze; in linea con i requisiti di etichettatura del D. Lgs 169/2004 e con le circolari
emanate in materia).
EFFETTI NUTRITIVI E FISIOLOGICI
Dal 2008 l’EFSA ha avviato un processo di valutazione delle rivendicazioni di effetti sulla salute
sostenibili (claim) da parte di un panel di esperti (NDA), come diretta conseguenza dell’approvazione
del Reg CE 1924/2006 (relativo alle indicazioni nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti
alimentari).
Le opinioni espresse dal panel scientifico NDA dell’EFSA riguardo la lista di claim sono state recepite
dalla Commissione Europea che ha pubblicato il Reg.CE n.432/2012, relativo alle indicazioni sulla
salute consentite sui prodotti alimentari, compresi gli integratori.

PUBBLICITA E CORRETTA INFORMAZIONE


La pubblicità degli integratori è soggetta secondo le norme vigenti a due divieti fondamentali:
• Il divieto di INGANNEVOLEZZA (art.2 e 3 D. Lgs 74/1992), ribadito nella specifica materia
alimentare dall’art.2 del D. Lgs 109/1992;
• Il divieto di attribuire al prodotto proprietà atte a prevenire, curare o guarire malattie (art. 2
DM 109/1992).
Raccomandazioni particolari del Ministero della Salute (2009) si riferiscono in modo specifico a quella
parte di integratori ERRONEAMENTE definiti “DIMAGRANTI”, anziché coadiuvanti di diete
ipocaloriche per il controllo del peso (specifico regolamento per pubblicità), questo perchè
un’eccessiva enfasi sul valore della magrezza e sul ricorso generalizzato a prodotti e/o pratiche
dimagranti è da considerarsi un fattore di rischio per lo sviluppo di DCA e di quadri di squilibrio
nutrizionale passibili di evolvere in condizioni patologiche.

ETA’ PEDIATRICA
Se nell’etichetta del prodotto non è indicata alcuna limitazione d’uso per età questo non significa che il
Ministero ne abbia autorizzato l’utilizzo anche nella prima infanzia. Nel caso di bambini al di sotto dei
2 anni qualunque prodotto che non riporti specifiche indicazioni di uso in età pediatrica andrebbe
utilizzato solo previo parere del pediatra.

REGOLAMENTO CE 1924/2006 (relativo ai claim nutrizionali e salutistici degli alimenti ed anche


integratori alimentari) → Armonizza le diverse normative dei paesi europei concernenti le indicazioni
nutrizionali e i potenziali effetti benefici sulla salute riportati in tutte le forme di comunicazione
commerciale destinate a promuovere un prodotto.

Secondo il regolamento:
- I claim nutrizionali e salutistici devono essere scientificamente provati;
- Devono essere ben definiti e verificabili;
- Non si potrà attribuire agli alimenti e quindi agli integratori proprietà salutistiche o benefiche
generiche.

La normativa Europea si pone i seguenti obiettivi:


 Garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, vietando di attribuire ai prodotti alimentari
caratteristiche nutrizionali e sulla salute non scientificamente provate;
 Favorire un migliore funzionamento nell’ambito del mercato interno comunitario;
 Aumentare la certezza giuridica e concorrenza leale tra gli operatori;
 Promuovere e tutelare l’innovazione.
I CLAIM NUTRIZIONALI O SULLA SALUTE NON DEVONO:
- Essere falsi, ambigui o fuorvianti;
- Dare adito a dubbi sulla chiarezza o sull’adeguatezza nutrizionale di altri alimenti;
- Incoraggiare o tollerare il consumo eccessivo di un alimento o di un integratore;
- Affermare, suggerire o sottintendere che una dieta equilibrata e varia non possa in generale fornire
quantità adeguate di tutte le sostanze nutritive;
- Fare riferimento a cambiamenti delle funzioni corporee che potrebbero suscitare o sfruttare timori nel
consumatore, sia mediante testo scritto che rappresentazioni grafiche, figurative o simboliche.

I CLAIM SULLA SALUTE (indicazioni che affermano o suggeriscono l’esistenza di un rapporto tra
prodotto e salute) possono essere classificati in due categorie:
1) CLAIM SULLA SALUTE DIVERSI DA QUELLI SULLA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI
MALATTIE (art.13) detti anche CLAIM FUNZIONALI attraverso i quali viene espresso il ruolo di
una sostanza nutritiva o di un altro tipo sulla crescita, lo sviluppo e le funzioni dell’organismo, sulle
funzioni psicologiche e comportamentali, sul dimagrimento, sul controllo del peso o la riduzione dello
stimolo della fame o un maggiore senso di sazietà o la riduzione dell’energia apportata dal regime
alimentare.
2) CLAIM SULLA SALUTE RELATIVI ALLA RIDUZIONE DEL RISCHIO DI MALATTIE E
SULLA SALUTE E LO SVILUPPO DEI BAMBINI (art.14) I quali affermano o suggeriscono che il
consumo di una categoria di alimenti, di un alimento o di un suo componente riduce in modo
significativo un fattore di rischio di sviluppo di una malattia.
Le indicazioni che fanno riferimento specifico alla riduzione dei rischi di malattia o alla salute e
allo sviluppo dei bambini, devono essere autorizzate dall’EFSA, quindi è necessario un determinato
iter per l’approvazione claim.

REGOLAMENTO CE 432/2012 → La COMMISSIONE, dopo aver consultato l’EFSA, ha adottato


l’elenco comunitario delle INDICAZIONI CONSENTITE, che potranno essere utilizzate nelle etichette
e nella pubblicità dei prodotti, le quali sono riportate nel Reg. CE n. 432/2012.
A decorrere dall’applicazione di tale Regolamento, che riporta l’elenco comunitario dei claim ammessi,
le indicazioni non previste SONO VIETATE.

LIVELLI DI ASSUNZIONE MASSIMA GIORNALIERA DEI NUTRIENTI


La Direttiva comunitaria non stabilisce i livelli di apporto vitaminico-minerali ammessi. Indica le
modalità per procedere, basate fondamentalmente sulla definizione dei LIVELLI TOLLERABILI
risultanti da una valutazione dei rischi più che sui LIVELLI DI ASSUNZIONE ADEGUATI da un
punti di vista nutrizionale. Il processo di definizione degli apporti massimi, partendo dalle valutazioni
dell’EFSA, è tutt’ora in corso.
I livelli quantitativi massimi di VITAMINE e MINERALI per dose giornaliera verranno quindi stabiliti
tenendo conto sia dei livelli tollerabili (risultanti da valutazione del rischio) sia dall’apporto di vitamine
e minerali da altre fonti alimentari.

IN ITALIA → I livelli massimi ammessi sono riferiti principalmente alle RDA (Recommended Dietary
Allowances) riportate come “Consumi di riferimento giornalieri per vitamine e sali minerali”
nell’allegato XIII del Reg UE 1169/2011, che si trovano nelle linee guida del Ministero della Salute.
La Direttiva 2002/46/CE rappresenta solo un primo passo nel processo di armonizzazione tra gli Stati
Membri, in quanto si limita a considerare esclusivamente vitamine e minerali.
Per gli altri costituenti nutritivi diversi da vitamine e minerali e per i costituenti ad effetto “fisiologico”
il D.Lgs. 160/04 eleva a riferimento normativo le LINEE GUIDA MINISTERIALI sugli integratori
per i punti non ancora armonizzati.

ETICHETTATURA
L’etichettatura e la pubblicità non devono:
- Attribuire agli integratori alimentari proprietà terapeutiche, né capacità di cura o prevenzione malattie.
- Affermare o sottointendere che una dieta equilibrata non riesce a soddisfare le esigenze nutrizionali
dell’organismo.
CHIAREZZA E TRASPARENZA (169/04 e circolari).

L’etichettatura deve riportare obbligatoriamente, oltre ai componenti generali della normale


etichettatura degli alimenti, i seguenti elementi, indicati nelle LINEE GUIDA del dicembre 2002:
1) Il nome delle categorie delle sostanze nutritive o delle altre sostanze che caratterizzano il prodotto
(es. vitamine)
2) L’effetto nutritivo o fisiologico attribuito al prodotto sulla base dei suoi costituenti in modo idoneo
ad orientare correttamente le scelte del consumatore
3) La dose giornaliera raccomandata dal produttore
4) La quantità delle sostanze nutritive o con effetto fisiologico contenuta nel prodotto, espressa in mg o
μg, presente nella dose giornaliera raccomandata dal produttore. Questa va espressa anche in
percentuale dei valori di riferimento, RDA o LARN, che sono quelli che si riportano nell’ Etichettatura
Nutrizionale
5) L’avvertenza a non eccedere la dose giornaliera
6) In presenza di sostanze nutritive, l’indicazione che questi integratori non vanno intesi come sostituti
di una dieta variata
7) L’indicazione di tenere i prodotti fuori dalla portata dei bambini sotto 3 anni.
Gli integratori a base di erbe → come conseguenza dell’evoluzione normativa indicata, si evidenzia
che i prodotti con ingredienti di tipo “erboristico” di preparazione industriale, se assoggettati alla
legislazione alimentare per una valenza salutistica e non terapeutica, ricadono all’interno degli
integratori.
La legislazione vigente permette l’uso negli integratori solo di ingredienti “erboristici” che abbiano
fatto registrare un uso temporale “significativo” tale da deporre a favore della sicurezza, in caso
contrario si parla di novel food e pertanto si rende necessaria una preventiva autorizzazione.

La PRODUZIONE e CONFEZIONAMENTO degli Integratori Alimentari devono essere effettuati


in stabilimenti autorizzati dal Ministero della Salute (MS), il cui elenco verrà periodicamente
aggiornato. I requisiti tecnici e i criteri per la idoneità a produrre e confezionare gli Integratori
Alimentari sono stati emanati in un recente decreto del Ministero della Salute (DMS del 23/2/2006).

Al momento dell’IMMISSIONE IN COMMERCIO di uno dei prodotti in oggetto l’impresa informa


il MS con la trasmissione di un modello dell’etichetta (notifica), secondo le norme dell’art.7 del D. Lgs
111/92. Per l’accettazione della notifica il MS può richiedere la documentazione scientifica per una
valutazione più appropriata:
- Sulla sicurezza dell’uso
- Sugli effetti dei costituenti
prescrivendo eventuali modifiche dell’etichetta, o anche l’eventuale inserimento di avvertenze per una
migliore informazione e tutela sanitaria.

Per i prodotti provenienti da Paesi terzi l’immissione in commercio è consentita solo dopo 90
giorni dalla richiesta di notifica, se non sono state fatte osservazioni dal MS.
In caso di riscontrata pericolosità per la salute il MS impone il divieto della commercializzazione del
prodotto, informandone immediatamente la Commissione Europea.
I prodotti per i quali viene accettata la notifica vengono inclusi in un registro che il MS pubblica e
aggiorna periodicamente.
E’ facoltà dell’impresa che commercializza il prodotto citare in etichetta gli estremi dell’inclusione nel
registro dei prodotti notificati.
Il piano di vigilanza su questi prodotti, definito annualmente dal MS, viene svolto con il coordinamento
dell’Istituto Superiore di Sanità.

QUANTITATIVI AMMESSI negli INTEGRATORI ALIMENTARI


Con le quantità d’uso indicate in etichetta, l’apporto giornaliero di Vitamine e/o Minerali deve
essere compreso tra il 30% e il 150% del valore di riferimento, indicato in Tabella. Questi limiti
valgono anche per il beta-carotene.
Per le vitamine E e C l’apporto giornaliero è ammesso fino al 300% della RDA in considerazione
della loro azione fisiologica protettiva come antiossidanti.
Quando l’apporto di riferimento è espresso da un range, l’apporto giornaliero non può superare il
valore massimo.
I tenori vitaminico-minerali sulle quantità d’uso giornaliere raccomandate vanno riportati in etichetta
ed espressi anche come % delle RDA di riferimento, indicate nell’Allegato sull’ Etichettatura
Nutrizionale (D. Leg.vo 77/93), e che sono uguali a quelli della Tabella.
Gli integratori contenenti acido folico possono riportare in etichetta l’indicazione “per la gestante” solo
quando ne forniscono un apporto giornaliero di 400 μg.
TIPI DI INTEGRATORI ALIMENTARI regolamentati dal D. Legislativo 169 del 2004
Le caratteristiche di composizione e le indicazioni sono prese dalle Linee Guida del Ministero della
Salute - Revisione dicembre 2002

INTEGRATORI DI VITAMINE E/O MINERALI


Sono prodotti in forma di tavolette, capsule, polveri, flaconcini specificamente formulati per integrare
l'apporto di vitamine e/o minerali, essendo contemporaneamente privi di contenuto calorico
significativo.
Per la composizione e le materie prime utilizzabili devono essere seguite le Tabelle degli Allegati I e II
del suddetto D. Lgs.vo 169 del 2004. I quantitativi ammessi dei vari componenti consentiti nel
formulazione dell’integratore devono essere tali per cui l’apporto giornaliero, con le dosi consigliate,
sia compreso tra il 30% e il 150% del valore di riferimento (300% per vitamine C ed E), come indicato
dalla Tabella delle Linee Guida 2002 del Ministero della Salute, allegata al suddetto decreto.
Esempi di prodotti in commercio sono:
1) Integratori multivitaminici e/o multiminerali con Fe, Cu, Mg, Se e altri, associati per lo più a
vitamine e integratori proteico-calorici (Es. Ergovis, Multivitamin, Levitene ecc).
2) Integratori contenenti alcune vitamine e/o alcuni minerali (Es.: Selenium ACE, Newgen,
Geriatric ecc)

INTEGRATORI DI AMMINOACIDI (ESSENZIALI, ESSENZIALI E NON ESSENZIALI,


SINGOLI)
1) Miscele di amminoacidi essenziali
Sono miscele con tutti gli amminoacidi essenziali in proporzioni equilibrate e conformi a quelle della
Tabella di riferimento. Se gli AA essenziali sono, invece, presenti in proporzione diversa allora va
indicata in etichetta la finalità specifica. Infatti, l’indicazione per queste miscele è quella di un’
integrazione dell'apporto proteico della razione alimentare giornaliera quando esso risulta insufficiente
per l’ottimizzazione del bilancio azotato dell’organismo. Perciò le quantità di assunzione giornaliera,
con le indicazioni d'uso riportate in etichetta, devono essere inferiori a quelle di riferimento, ma
comunque non inferiore ad almeno il 15% del valore di riferimento (quota significativa).
2) Combinazioni di amminoacidi
Si tratta di miscele di amminoacidi con composizione incompleta ed non equilibrata, ed aventi una
finalità mirata e documentabile di tipo fisiologico-nutrizionale. Sono ammessi riferimenti trofici
specifici se realmente supportati da conoscenze scientifiche. Così, per i preparati contenenti gli
amminoacidi solforati Cys/Met, i quali alla dose giornaliera raccomandata, forniscono una quantità di
essi almeno pari al 25% del valore di riferimento, può essere indicato che la loro supplementazione
nella razione alimentare può essere utile per il trofismo del tessuto epidermico o dei capelli.

INVECE, le miscele di amminoacidi ramificati (leu, ile, val) che, per fini energetici, sono ossidati
maggiormente, rispetto agli altri, nel tessuto muscolare in esercizio o usati maggiormente nei casi di
malnutrizione proteica-energetica, NON SONO COLLOCABILI IN QUESTO GRUPPO, ma solo
negli integratori amminoacidici dietetici per sportivi, oppure negli alimenti dietetici a fini medici
speciali.

3) Amminoacidi singoli
Per essere immessi in commercio devono poter esercitare un qualche effetto trofico o funzionale,
inequivocabilmente suffragato da conoscenze scientifiche, che ne giustifichi l’utilizzo, ma al di fuori
delle attività fisico-sportive o delle condizioni di sforzo muscolare molto intenso. Devono essere
impiegati eventualmente solo amminoacidi L, fatta eccezione per la metionina che può essere usata
nella forma DL.

INTEGRATORI DI DERIVATI DI AMMINOACIDI DI INTERESSE NUTRIZIONALE


CARNITINA: Quantità integrativa max giornaliera, 200 mg. Indicazioni: favorisce la produzione di
energia per la cellula veicolando gli acidi grassi nelle sedi del loro utilizzo metabolico.
CREATINA: Quantità integrativa max giornaliera, 3 g. Indicazioni: E' un derivato di amminoacidi,
prodotto naturalmente dall'organismo e contenuto in vari alimenti. Nella forma fosforilata è coinvolta
nel mantenimento delle riserve energetiche cellulari.

INTEGRATORI DI PROTEINE E/O ENERGETICI


Per poter essere proposti come integratori, in situazioni di ridotta introduzione con gli alimenti o di
aumentato fabbisogno, con le quantità giornaliere consigliate, indicate in etichetta, devono fornire gli
apporti compresi nei limiti indicati:
- Proteine [stabilito l’apporto di riferimento giornaliero per un adulto di 70 Kg pari a 70 g (1g /Kg di
peso corporeo)]:
Apporto max = 35 g (50% rif.) Apporto minimo = 7 g (10% rif.)
Avvertenze in etichetta: Controindicati per patologie renali o epatiche, gravidanza, sotto 12 anni e per
usi prolungati di oltre 6-8 settimane (a meno di parere medico favorevole).
- Energia (apporto razione alimentare media di riferimento: 2400 Kcal)
Apporto max = 600 Kcal (25% del valore di riferimento) Apporto minimo : non inferiore al 5% del
valore di riferimento

INTEGRATORI LIPIDICI
1) Integratori di acidi grassi poliinsaturi (AGP-PUFA)
Sono integratori costituiti da oli ricchi di acidi grassi omega-6 e omega-3, provenienti:
- sia da vegetali comuni (oliva, arachidi, soia ecc., per gli acidi grassi a-b) o vegetali particolari
(borragine e ribes, per c)
- che da vari tipi di pesce (d-f)
a) Acido linoleico (C18:2, omega-6)
b) Acido linolenico (C18:3, omega-3)
c) Acido gamma linolenico (C18:3, omega-6)
d) Acido arachidonico (C20:4, omega-6)
e) Acido eicosapentaenoico (EPA, C20:5, omega-3)
f) Acido docosaesaenoico (DHA, C22:6, omega-3)

Possono essere commercializzati in preparazioni singole o in combinazioni contenenti entrambe le


tipologie omega-6 e omega-3.
Riguardo agli integratori di AGP omega-3 a lunga catena, per poter essere destinati a favorire il
controllo e la regolazione del metabolismo lipidico, devono fornire un apporto giornaliero minimo di
EPA + DHA non inferiore a 1 g (con EPA > DHA).
Nel caso di altre indicazioni il DHA può essere superiore all’EPA (es. nelle donne in stato di
gravidanza).

INTEGRATORI DI FOSFOLIPIDI
Sono generalmente di derivazione dalla soia. Questi integratori possono essere indicati, nell'ambito di
una dieta normale, per il controllo e la regolazione del metabolismo lipidico; in tal caso devono
apportare, con la dose consigliata, almeno 3 g di fosfolipidi al giorno,
In vari prodotti sia gli AGP che i fosfolipidi sono associati alla Vitamina E (antiossidante) e alla
Vitamina B6 (favorisce il metabolismo degli acidi grassi, intervenendo nel funzionamento della ∆6-
desaturasi) o altri nutrienti.
Esempi rappresentativi di integratori lipidici sono:
- AGE Din, Efamol: contenenti acidi grassi essenziali
- Fish Factor, Fish Omega, Maxepa: contenenti i derivati degli acidi grassi essenziali EPA e DHA
- Leciplus, Lecisoy, Nutrilsoia: fosfolipidi a base di lecitine di soia

INTEGRATORI DI FIBRA ALIMENTARE


Sul piano normativo, il D. Lgs 77 del 16/2/1993 definisce la fibra alimentare come "la sostanza
commestibile di origine vegetale che di norma non è idrolizzata dagli enzimi secreti dall'apparato
digerente dell'uomo".
Si suddivide in fibra solubile in acqua e fibra insolubile.
Gli integratori di fibra devono apportare almeno 4 g di fibra al giorno, con le quantità di assunzione
consigliate in etichetta.
Le indicazioni degli integratori di fibra riguardano i casi di ridotto apporto di fibra con la normale
alimentazione giornaliera, un apporto che, nelle condizioni ottimali, dovrebbe essere intorno a 30 g al
giorno (di cui circa 1/4, cioè 7,5 g, del tipo solubile).
Gli integratori a base di fibra insolubile (contenenti cellulosa, emicellulosa e lignina) sono indicati per
l'azione di stimolo e di regolazione del transito intestinale.

AZIONE DELLA FIBRA → La fibra solubile (contenenti glucomannano, guar, pectina), invece,
produce la sensazione di sazietà per cui gli integratori di questo tipo di fibra possono, per un primo
aspetto, servire per ridurre lo stimolo della fame. Infatti la fibra solubile si rigonfia nel mezzo acquoso
gastro-intestinale dando luogo alla formazione di una massa gelatinosa ad alta viscosità inglobante il
materiale ingerito.
Ciò provoca un ritardo nel tempo di svuotamento dello stomaco e un rallentamento sia dell’azione
digestiva da parte degli enzimi che dello assorbimento (insieme a riduzione) dei prodotti della
digestione a livello intestinale, con un' importante azione modulatoria sul loro impatto metabolico.
Assumendo, attraverso questi integratori, 2 g di fibra solubile (1,5 g per il glucomannano) prima di
ciascuno dei 2 pasti principali, essi possono trovare indicazione, nella normale alimentazione, per:
- facilitare la sensazione di sazietà e quindi favorire il controllo o una riduzione di peso
- un’azione tendente a rallentare l'assorbimento di nutrienti, in particolare glucosio e colesterolo, per
una regolazione e controllo del metabolismo glucidico e lipidico.
La possibile riduzione di assorbimento di Calcio, Magnesio e vari micronutrienti, come Fe, Zn, in
conseguenza della concomitante assunzione di fibra alimentare sembra che possa essere ovviata
consumando soprattutto la fibra presente negli alimenti vegetali naturali, con i quali si ha un effetto di
compensazione essendo contemporaneamente ricchi anche di macro e microelementi. In commercio
esistono integratori del tipo contenenti fibra generica in toto e di quelli a prevalente contenuto di
frazioni specifiche della stessa (frazioni solubili o gel forming e frazioni insolubili).
Inoltre si ritrovano anche nella forma di alimenti addizionati con fibre (pasta, biscotti, cracker).
Tra gli integratori a base di fibra alimentare possono essere indicati:
- i preparati a base di Glucomannani (Dicoman 5, Dicoman biscotto, Dietoman),
- i preparati a base di Guar (Leiguar, Guar gel) e/o alimenti addizionati di Guar e/o altre fibre (Pasta al
Guar, Pasta Snelling),
- i preparati a base di Cellulosa, con larghissima prevalenza di prodotti contenenti crusca (Crusca
Sohn, Crusca Albios, Crusken)

INTEGRATORI DI ALTRI FATTORI NUTRIZIONALI


Esistono integratori di sostanze che, pur non caratterizzandosi come nutrienti essenziali, sono
comunque assimilabili ad essi in quanto sono fisiologicamente coinvolti in vari processi metabolici. Per
alcuni sono previsti livelli massimi di apporto, tenendo conto del ruolo e delle finalità degli integratori
e della sicurezza d’uso.
β-Sitosterolo Max 150 mg
Coenzima Q 20 mg
Glucosamina 250 mg
Miscela di bioflavonoidi 1000 mg
Integratori con quercitina < 300 mg
Integratori con isoflavoni della soia 80 mg
Inositolo 2000 mg
Licopene, Acido lipoico

INTEGRATORI DI PROBIOTICI
Sono prodotti alimentari (come yogurt e latte fermentato) o preparati tipo fermenti lattici (in
compresse, bustine o fialette) che contenengono quantità elevate di microrganismi vivi del tipo
Lactobacillus (casei, acidophilus, bifidus ecc.), Streptococcus (thermophilus) e Bifidobacterium
(bifidum, lactis ecc.) che sono considerati benefici per la salute umana. Essi infatti raggiungono vivi il
tratto intestinale, rimanendo attivi anche vari giorni, dove favoriscono il ri-equilibrio della flora
batterica intestinale, in particolare di quella benefica a discapito di quella patogena. Alcuni
microrganismi sembrano potenziare anche le difese immunitarie. Questa azione benefica per
l’organismo delle specie batteriche utilizzate (attività probiotica) deve essere documentata. Possono
contenere anche componenti nutrizionali, principalmente una miscela vitaminica. La dose consigliata
deve fornire un numero significativo di cellule vive.
INTEGRATORI O COMPLEMENTI ALIMENTARI A BASE DI INGREDIENTI COSTITUITI
DA PIANTE O DERIVATI
Questi prodotti sono stati inclusi tra gli integratori alimentari dapprima con la circolare n. 3 del 18
luglio 2002 e poi con il Decreto Lgs.vo 169/2004 che hanno affiancato agli integratori con valenza
nutrizionale (vitamine, minerali, amminoacidi ecc.) quelli a solo effetto fisiologico e salutistico
contenenti “ingredienti erboristici”.
Questi prodotti contengono sostanze naturali, essendo costituiti da ingredienti erboristici provenienti da
estratti vegetali solamente di erbe idonee all’uso alimentare.
Vengono proposti nelle formulazioni commerciali sia da soli che in associazione o a complemento di
una componente nutrizionale.
Vengono consumati allo scopo di favorire le condizioni generali di benessere dell’organismo,
coadiuvando o migliorando le funzioni fisiologiche. Tra queste, quelle della memoria, concentrazione,
sonno, stress, oppure le funzioni intestinali, circolatorie, renali, immunitarie o osseoarticolari.
Gli ingredienti erboristici impiegabili negli integratori alimentari devono:
- presentare una composizione compatibile con un’azione salutistica e non terapeutica
- fornire le necessarie garanzie in termini di sicurezza (in base a criteri di purezza, ai loro effetti, alla
concentrazione dei principi attivi e alle eventuali associazioni).
Secondo la Circolare n. 3 del 18 luglio 2002 e relativi Allegati 1 e 2, questi integratori vegetali possono
essere commercializzati secondo l’art. 7 del Decreto Lgs.vo 111/92 con la notifica dell’etichetta al
Ministero della Salute, allegando le schede tecniche (Allegato 1) degli ingredienti presenti nel prodotto
o altra documentazione che ne attesti l’idoneità all’uso alimentare. In questa scheda deve essere
indicato il nome botanico, l’origine e parte utilizzata della pianta, i costituenti attivi con relativo
titolo, dati tossicologici, contaminanti, finalità fisiologiche e salutistiche, avvertenze,
controindicazioni ed eventuali interazioni.
Sono esclusi della procedura di notifica i prodotti contenenti ingredienti vegetali di tradizionale
uso alimentare (camomilla, the).
Nella suddetta circolare si dice che il Ministero della Salute pubblica e aggiorna periodicamente
l’elenco degli ingredienti erboristici ammessi negli integratori alimentari e predispone un piano di
verifica per la conferma delle autorizzazioni alla produzione e/o confezionamento di detti prodotti.
Tra i vari prodotti a base di erbe, commercializzati come integratori alimentari, possiamo citare quelli
contenenti: Aglio, Aloe, Citrus aurantium (Arancio amaro), Ginko biloba, Ginseng, Iperico, Mirtillo,
ecc.

EDULCORANTI Una citazione a parte meritano quei prodotti aventi funzione dolcificante alcuni dei
quali sono stati considerati, in passato, come dietetici, che oggi vengono considerati per legge additivi
alimentari.
Essi sono regolamentati dal Decreto ministeriale n. 209 del 27/2/1996 emanato in attuazione delle
direttive comunitarie 94/34/CE e 94/35/CE poi ampliate con la 96/21/CE e la 96/83/CE.
Gli edulcoranti o dolcificanti sono sostanze utilizzate per conferire sapore dolce a cibi e bevande,
oppure per la edulcorazione estemporanea, con capacità di assicurare o meno un apporto
calorico all’organismo, in conseguenza della loro assunzione.
Essi si dividono in: naturali (saccarosio, fruttosio, glucosio, maltosio, lattosio, polialcoli come xilitolo,
sorbitolo ecc), dotati di potere calorico (4 Kcal/g o 2 Kcal/g per i polialcoli) e sintetici (saccarina,
acesulfame, ciclamato, aspartame, neoesperidina), pressoché privi di potere energetico.
L'aspartame è un dolcificante artificiale a basso contenuto calorico. È composto da due amminoacidi,
l'acido aspartico e la fenilalanina, e l'estremità carbossilica della fenilalanina è esterificata con il
metanolo. Il suo potere dolcificante è 200 volte maggiore di quello dello zucchero, motivo per cui ne
sono necessarie piccole quantità per dolcificare cibi e bevande. L'aspartame, come altri prodotti
dolcificanti come il ciclamato e la saccarina, è per questo utile a chi soffre di diabete e per le persone
che vogliono ridurre l'apporto di calorie nella dieta.
Le persone che soffrono di fenilchetonuria, che hanno cioè difficoltà nell'assimilare la fenilalanina,
devono controllare l'assunzione di aspartame in quanto fonte di fenilalanina.
Normalmente non sono consentiti nei prodotti alimentari per la prima infanzia, ma possono essere
presenti nei prodotti alimentari comuni.
In tal caso, le etichette degli alimenti devono riportare le diciture:
- "con edulcorante/i", se contengono edulcoranti consentiti
- "contiene una fonte di fenilalanina", se contengono aspartame
- "un consumo eccessivo può avere effetti lassativi", se contengono polialcoli per un tenore > 10%
Il potere edulcorante di un prodotto X viene definito come "il rapporto tra la concentrazione (per es.
in g/100 ml) di una soluzione acquosa di saccarosio (preso come riferimento) che produce un certo
sapore dolce e quella del prodotto X che ha la stessa intensità di sapore dolce".

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