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La Chimica Nel Piatto
La Chimica Nel Piatto
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Stefano Colonna, Giancarlo Folco
ISBN 978-88-6756-701-0
VII
Indice
Prefazione XV
Introduzione XVII
Capitolo 1 - I principi delle diete 1
1.1 Rapporti degli isotopi stabili: biomarkers nutrizionali 1
1.2 Frequenza dei pasti 3
1.3 Alimentazione in un tempo ristretto 4
1.4 Digiuno intermittente e periodico 5
1.5 Diete che imitano il digiuno 6
1.6 Una dieta vegetale di 17000 anni fa 7
1.7 Una dieta per astronauti 8
1.8 Fiori commestibili come fonte di nutraceutici 10
1.9 Nutrizione, cibo biologico (BIO, Organic) e miglior
sostenibilità della dieta 11
1.10 Trasmissione ed apprendimento sociale della sicurezza
del cibo negli animali (social transmission of food safety) 12
1.11 Interazioni farmaci-alimenti 12
1.12 Nuove coltivazioni di piante per la sicurezza alimentare 13
1.13 Nutrire il cervello 16
1.14 Proprietà nutraceutiche dei carotenoidi 17
1.15 Alimenti allergizzanti (o allergenici) 19
1.16 I nitrati della dieta e la performance fisica 23
1.17 Produzione e metabolismo di ossido nitrico 24
1.18 Nitrati e nitriti negli alimenti 25
1.19 Ingredienti alimentari che migliorano lo stato di salute 27
1.20 Sulforafano 29
1.21 Vitamina D 30
1.22 Il ruolo della carne rossa nella nostra alimentazione:
nutrizione e benefici per la salute 31
1.23 Analoghi della carne come cibo del futuro 33
IX
1.24 Alternative nutrizionali alla carne 36
1.25 Alimenti ricchi in proteine animali e vegetali e stato di
salute cardiovascolare: un enigma complesso 37
1.26 Alimenti di origine vegetale e microbioma nella tutela
della salute e nella prevenzione della malattia 38
1.27 Ruolo delle fibre dei cereali nei processi digestivi 41
1.28 Il vegetarianismo (o vegetarismo) è salutare per gli adulti
ed i bambini? 44
1.29 Il microbiota e la malnutrizione: impatto dello stato
nutrizionale nelle prime fasi della vita 46
1.30 I microbi aiutano a controllare (“monitorare”) il tempo 47
1.31 Sindrome metabolica 50
1.32 I microbi intestinali metabolizzano i farmaci utilizzati
nel trattamento farmacologico del morbo di Parkinson 51
1.33 Integratori alimentari 52
1.34 Capacità antiossidante totale e aspettativa di vita 53
1.35 Insetti nella dieta, una fonte di proteine 54
1.36 Le alghe negli alimenti 56
1.37 Spirulina 58
1.38 Le alghe marine ed il rischio di patologie cardiovascolari 59
1.39 Consumo di uova e rischio di patologie croniche 60
1.40 Nutrizione e vaccini 61
Bibliografia 62
Capitolo 2 - Il gusto 71
2.1 Umami 71
2.2 Umami e funghi edibili 73
2.3 Funghi Shiitake 73
2.4 Sciroppi con alto contenuto di fruttosio 74
2.5 Consumo di zuccheri, alimenti e bevande zuccherate e
rischio di cancro 75
2.6 Dolcificanti con poche calorie: più complicati dei
dolcificanti senza calorie 75
2.7 Riduzione dello zucchero senza compromettere la percezione
sensoriale: un sogno impossibile? 76
X
2.8 Le api usano tracce visive e odorose per trovare i fiori
del melo 79
2.9 Miele maturo 81
2.10 Propoli 83
2.11 Una strategia per aumentare il gusto del salato negli alimenti
mantenendo un basso contenuto di sale 84
2.12 L’importanza delle aldeidi alifatiche come sostanze volatili
olfattive negli alimenti umani 87
2.13 Il senso del gusto negli animali 88
2.14 Recettori del gusto amaro 89
2.15 Kokumi 90
Bibliografia 91
Capitolo 3 – Fermentazione 94
3.1 Cenni storici 94
3.2 Fermentazione e microbiota intestinali umani 95
3.3 Aceto 96
3.4 Fermentazione e cioccolato 97
3.5 Principi della fermentazione halal 99
3.6 Salsa di soia 100
3.7 Jet supersonici di CO2 quando si stappa una bottiglia
di champagne 102
3.8 Vini rossi Italiani 102
3.9 Un Riesling vecchio di 10 anni 104
3.10 I tappi 104
3.11 Astringenza del vino 105
3.12 Resveratrolo e salute umana 107
3.13 L’affinamento del vino in legno: impatto sulla stabilità
antiossidante 109
3.14 Birra e salute 110
3.15 Birra non alcolica 112
3.16 Uso di isotopi del carbonio per combattere le frodi
del whisky 113
3.17 Cognac 114
3.18 Il Liquore Qingke dal Tibet 115
XI
3.19 Baijiu 115
Bibliografia 116
XIII
7.20 Zafferano 174
7.21 Fieno greco 174
7.22 Spezie ed erbe a dosi relativamente alte migliorano
la pressione sanguigna in adulti 175
Bibliografia 175
Glossario 193
XIV
Prefazione
Questo libro nasce dall’idea di fornire a tutti i lettori uno strumento utile a
comprendere meglio il mondo della nutrizione, le sue mille sfumature,
dalle proprietà chimiche dei nutrienti alla lista degli alimenti funzionali,
chimica e biologia si fondono in un tutt’uno per dare forza e potere preven-
tivo e curativo a ciò che la natura ci ha donato gratuitamente, il cibo!
Il libro vuole, inoltre, diffondere la cultura di una sana e corretta alimenta-
zione, perché è importante mangiare in modo sano e consapevole, cono-
scere –come affermano gli autori nella loro introduzione- la scienza e la
chimica dei cibi, la composizione e qualità dei nutrienti e le varie tipologie
dietetiche. È altresì fondamentale demistificare concetti su presunti effetti
negativi di alcuni cibi e spazzare il campo da notizie fuorvianti, quali fake
news e bufale su cibi e diete miracolose. Spesso si commette l’errore di
associare il concetto di “dieta” all’idea di un’alimentazione restrittiva,
come se l’obiettivo principale di nutrirsi fosse il dimagrimento; invece la
parola dieta deriva dal greco dijaita (dìaita) e significa modo di vivere,
quindi ciò che sotto-intende è un concetto molto più profondo del semplice
nutrirsi, ma abbraccia una visione olistica di stile di vita. Il nostro modo di
mangiare si ripercuote sul modus vivendi e sull’equilibrio mente-corpo
(influenza sullo stato d’animo, sulle sensazioni, sull’umore), e sulla pre-
venzione/insorgenza di malattie croniche che sono in continuo aumento
nella società occidentale, quali quelle metaboliche (ipertensione, ipercole-
sterolemia, diabete, steatosi epatica), malattie infiammatorie, tumorali.
Altro errore frequente è il ricorso alla “pillola magica” (integratori) e la
convinzione che questa possa, da sola, apportare benefici: in realtà è sem-
pre preferibile ricorrere ad un percorso terapeutico basato su criteri scien-
tifici e non a qualcosa di magico e fantasioso, pubblicizzato come tale.
Non si diventa esperti di nutrizione per aver letto un libro o appreso qual-
che notizie dal web o via social.
“Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo”
(Ippocrate di Kos)
XV
Prefazione
Paolo Buonaiuto
XVI
Introduzione
1
Hall KD, Ayuketah A, Brychta R, Cai H, Cassimatis T, Chen KY, Chung ST, Costa E,
Courville A, Darcey V, Fletcher LA, Forde CG, Gharib AM, Guo J, Howard R, Joseph PV,
McGehee S, Ouwerkerk R, Raisinger K, Rozga I, Stagliano M, Walter M, Walter PJ, Yang
S, Zhou M. Ultra-Processed Diets Cause Excess Calorie Intake and Weight Gain: An In-
patient Randomized Controlled Trial of Ad Libitum Food Intake. Cell Metab. 2019 Jul
2;30(1):67-77.e3.
XVII
Introduzione
2
Monteiro CA, Cannon G, Moubarac JC, Levy RB, Louzada MLC, Jaime PC. The UN
Decade of Nutrition, the NOVA food classification and the trouble with ultra-processing.
Public Health Nutr. 2018 Jan;21(1):5-17. doi: 10.1017/S1368980017000234.
3
Tim Spector. Presi per la gola - Perché tutto quello che ci hanno detto sul cibo è
sbagliato ISBN 9788833934297. Bollati Boringhieri.2020
CAPITOLO
2
Capitolo 1 I principi delle diete
3
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
4
Capitolo 1 I principi delle diete
5
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
6
Capitolo 1 I principi delle diete
za essi hanno trovato che può avere effetti sinergici con la terapia antitumorale
(radioterapia e chemioterapia), anche se vi sono numerose eccezioni.
La nostra dieta ha chiaramente un grande impatto sul rischio di sviluppare
tumori. Interventi sulla dieta hanno la potenzialità di migliorare le conseguen-
ze della patologia senza introdurre tossicità addizionali e complicazioni a lun-
go termine (8).
In conclusione, interventi dietetici che sono accompagnati da periodi di
digiuno costituiscono una strategia promettente che ha come bersaglio una
miriade di parametri clinici che costituiscono il fondamento di patologie quali
la sindrome metabolica, disturbi cardiovascolari, neoplasie e perfino patologie
neurodegenerative.
7
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Al vitto Pitagorico, Vincenzo Corrado aveva dedicato un capitolo del suo volu-
me Il cuoco galante pubblicato nel 1773 e più volte ristampato. Scriveva: Il vitto
Pitagorico consiste in erbe fresche, radiche, fiori, frutta, semi, e tutto ciò che
dalla terra si produce per nostro nutrimento. Vien detto pitagorico, poiché Pita-
gora, com’è tradizione, di questi prodotti della terra soltanto fece uso. Nel 1781
Corrado pubblica tutta un’opera Del cibo Pitagorico ovvero erbaceo. Nella pre-
fazione precisa: Non senza ragione…la italiana gente, assai avvedutamente
oggi più che in altro tempo, le Pitagoriche leggi ha ripigliato a osservare con
tutto impegno nelle cucine e nelle mense: e le nazioni anche più culte, che
dall’Italia sono lontane, han preso il gusto di dare corpo al nutrimento più sano
e gustoso.
8
Capitolo 1 I principi delle diete
Questi problemi sono ben noti alle gerarchie militari, consapevoli dell’im-
portanza del cibo. A differenza della missione su Marte che, presumibilmente,
durerà circa 1000 giorni, l’arco temporale max, previsto dalle gerarchie mili-
tari per cibi pronti all’uso è di 21 giorni consecutivi (11).
Con lo sviluppo della scienza e delle tecnologie, la quantità e la qualità dei
cibi utilizzabili nelle missioni nello spazio sono aumentate rapidamente. At-
tualmente gli astronauti possono contare su un menu variato settimanalmente;
in talo modo gli astronauti americani non si sono fatti mancare gli alimenti
tradizionali della “cultura del fast food” con burger, insalate, salsiccie e perfi-
no il tacchino per il Thanksgiving. Analogamente, l’equipaggio impegnato
nelle missioni russe ha avuto a disposizione più di 300 piatti, quattro pasti al
giorno e molte opzioni per ciascun pasto, incluse purè di patate con noci, carne
di maiale in gelatina, broccoli e formaggio, carne di manzo secca-stagionata e
così via. Analogamente la cucina cinese è molto ricca e può fornire agli astro-
nauti più di cento varietà di cibo, dal maiale, al pollo, al porridge di semi di
loto, manzo stufato, polpette di riso.
Il cibo utilizzato dagli astronauti ha subìto una evoluzione, nel tempo. Du-
rante il progetto Mercury, nei primi anni sessanta, il cibo delle missioni spazia-
li era molto semplificato e sostanzialmente erano disponibili solo tre forme. La
prima costituita da cibo in tubo, che veniva utilizzato come fosse un dentifri-
cio. La seconda opzione era costituita da cubetti di circa 1 cm, che potevano
essere ingeriti tal quali. Infine, erano disponibili polveri essiccate che poteva-
no essere ingerite dopo reidratazione.
9
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
I fiori commestibili sono stati usati nell’arte culinaria per centinaia di anni,
per il loro aroma e per guarnire i piatti. I romani usavano fiori in cucina, come
anche i cinesi, le culture del Medio Oriente e dell’India. Durante il regno della
regina Vittoria, i fiori commestibili erano popolari, così come nel Nord America
ed in Europa (12). Finora non vi sono elenchi ufficiali di fiori commestibili, co-
dificate da istituzioni internazionali, quali FAO, FDA ed EFSA. Tuttavia, la Eu-
ropean Regulation (EC) no 258/97 concernente i nuovi alimenti e i nuovi ingre-
dienti alimentari, fornisce alcune informazioni sulla sicurezza di questi fiori.
In generale i fiori commestibili includono 97 famiglie, 100 generi e 180
specie. Nella medicina popolare, si ritiene che essi abbiano proprietà antiansia,
antitumorali, antidiabetiche, antinfiammatorie, antiossidanti, diuretiche, im-
munomodulatrici ed antimicrobiche (13).
Generalmente la composizione del 70%-95% dei fiori commestibili è rap-
presentata dall’acqua; la materia secca è fonte dei maggiori costituenti come
carboidrati, proteine, lipidi, così come di vitamine, minerali e fitochimici a
basso peso molecolare.
Le possibili fonti di fiori commestibili includono infiorescenze di piante da
frutto, piante medicinali e ornamentali. Specie come la borragine (Borago of-
ficinalis), violetta (Viola tricolor) e nasturzio (Tropaelum majus), sono utiliz-
zate negli Stati Uniti non solo per il loro valore estetico, ma anche come ali-
menti e/o piante medicinali. In Europa questo gruppo comprende l’altea,
(Althea officinalis), la margherita (Bellis perennis), la malva (Malva sylve-
stris), il tarassaco (Taraxacum officinalis) e molte altre specie.
Dal punto di vista nutrizionale i fiori possono essere distinti in tre specie: il
polline, il nettare ed i petali e altre parti. Il polline, presente in quantità molto scar-
sa, è una ricca fonte di proteine, amino acidi, carboidrati, lipidi saturi ed insaturi.
Il nettare è a sua volta un liquido dolciastro, contenente una miscela di
zuccheri (fruttosio, glucosio e saccarosio), amino acidi (soprattutto prolina),
proteine, ioni inorganici, lipidi, acidi organici, terpeni, alcaloidi. Il terzo grup-
po (petali ed altre parti) è un’importante fonte di vitamine (soprattutto vitami-
na A), minerali e antiossidanti. I fiori commestibili contengono quantità signi-
ficative di antiossidanti; ne sono un esempio i fiori delle begonie, rose,
nasturzi. Nella Rosa rugosa è presente una quantità cospicua di acido gallico,
10
Capitolo 1 I principi delle diete
11
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Succo di pompelmo, latte e alcol sono esempi comuni di alimenti che pos-
sono alterare l’efficacia dei farmaci, ma sempre più numerose sono le sostanze
12
Capitolo 1 I principi delle diete
13
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
14
Capitolo 1 I principi delle diete
ty). Solo due coltivazioni (patate e mais) sono state autorizzate sul mercato
negli ultimi vent’anni nessuna di queste per alimentazione umana. In Europa
poche coltivazioni GM sono approvate e molti prodotti sono importati o usati
per alimentazione animale (22). Al contrario, in altri paesi come gli Stati Uni-
ti, vale il principio della sostanziale equivalenza, che si basa sul confronto dei
prodotti GM con i consimili naturali. Essi sono riconosciuti generalmente
come sicuri a meno che non differiscano in modo significativo in struttura,
funzione o composizione dalle sostanze che si trovano correntemente negli
alimenti. I vari paesi tendono ad affrontare il problema degli alimenti GM in
base a quattro approcci distinti: promozionale, permissivo, precauzionale e
preventivo. Da una parte vi sono paesi come Perù, Turchia, Ucraina che hanno
regolamenti non restrittivi ed un approccio promozionale, mentre paesi come
Danimarca, Francia e Italia sono più restrittivi ed hanno politiche più preven-
tive. Paesi come il Messico, l’India e gli Stati Uniti sono fra quelli meno re-
strittivi.
Anche se circa 30 anni di ricerca hanno mostrato che le coltivazioni GM
non sono più rischiose di quelle convenzionali, molti paesi dell’Asia e dell’A-
frica sono restii a promuoverne l’uso a causa dei rischi (erroneamente percepi-
ti) e del timore di perdere i mercati di esportazione in Europa.
Nel frattempo, si è consolidato l’uso di Nuove Tecniche di Miglioramento
Genetico (NPBTs, New Plant Breeding Technique(s)). Queste tecnologie si
basano su presupposti più rassicuranti rispetto ai timori legati all’uso dei GM.
Per esempio, recenti progressi nelle tecniche di modifica del genoma (“geno-
ma editing”) consentono l’alterazione di geni endogeni senza trasferire
trans-geni fra specie vicine. In particolare il CRISPR-Cas9 (Clustered Regu-
larly Interspaced Short Palindromic Repeats), un taglia e incolla genetico che
consente la correzione mirata di una sequenza di DNA, si è imposto come uno
dei principali approcci metodologici con cui regolare il genoma dei cereali più
importanti quali riso, frumento, mais e di altri alimenti come banane e manio-
ca (cassava o yuca). La biochimica statunitense Jennifer Douda dell’Universi-
tà di Berkeley, California e la microbiologa francese Emanuelle Charpentier,
oggi al Max Plank Insitute di Berlino si sono aggiudicate il premio Nobel per
la chimica del 2020 per aver scoperto e sviluppato questo metodo.
L’uso di DNA ricombinante (estraneo) negli GM è la ragione principale
delle loro regolazioni molto stringenti. Facendo tesoro di esperienze pregresse,
la strategia dovrebbe essere basata su una comunicazione trasparente dei siste-
mi di innovazione (in particolare, approfondimento ed educazione permanente
dei ricercatori e di altri addetti), oltre che fornire un “corpus” di regole sempli-
ficate, efficienti ed in grado di garantire una informazione consapevole.
La tecnologia CRISPR-Cas9 è già usato, per esempio, per migliorare col-
tivazioni quali riso (con alte rese), frumento (resistente alla siccità) e pomodo-
ri (con maggior aroma). È importante sottolineare una recente sentenza della
Corte di Giustizia Europea, che applica alle coltivazioni che utilizzano tecni-
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
che di modifica del genoma (“genoma editing”) le stesse regole dei GM. Que-
sta presa di posizione potrebbe rallentare il suo utilizzo per migliorare le col-
tivazioni, nonostante il suo potenziale per combattere la fame e la povertà.
Benché il peso del nostro cervello costituisca in media il 2% del peso cor-
poreo di un adulto, esso consuma il 20-25% dell’energia totale richiesta
dall’organismo. Gli uomini sono unici tra i mammiferi a richiedere un impiego
di energia così importante per il suo funzionamento. Il consumo di glucosio, la
principale fonte di energia per il cervello umano, nei due anni postnatali, è
equivalente a quella di un adulto. Questo zucchero è essenziale per la forma-
zione ed eliminazione (“synaptic pruning”) delle sinapsi. In un adulto il gluco-
sio usato per queste funzioni neurologiche costituisce circa il 10-12% del glu-
cosio totale metabolizzato dal cervello. Nell’infanzia, però, si arriva anche a
picchi del 30%.
La formazione ed il continuo rimodellamento del nostro cervello sono un
processo che dura tutta la vita. Le strutture delle sue proteine si rinnovano in
tempi che possono variare da minuti, a ore o giorni. È perciò necessaria una
sua nutrizione adeguata, dal concepimento alla tarda età.
Oltre al glucosio, sono essenziali il ferro, lo zinco, lo iodio, il rame ed il
selenio. I dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ci dicono che la de-
ficienza di ferro interessa circa due miliardi di persone. Nel corpo umano la
maggior parte è incorporata nell’eme (65%) per il trasporto di ossigeno ed il
resto nella mioglobina o altre proteine, per consentirne l’attività enzimatica. Il
suo accumulo nella tarda età è stato associato all’insorgenza di malattie neuro-
degenerative quali Parkinson e Alzheimer (23). La deficienza di zinco è parti-
colarmente elevata in diete scarse di proteine animali o ricche di mais, che
contiene fitati che interferiscono con il suo assorbimento (24). Una deficienza
di zinco porta a uno sviluppo non appropriato della proliferazione delle cellule
staminali e della differenziazione neuronale. Anche la deficienza di iodio può
essere alla base di danni cerebrali, di sviluppo anomalo dei bambini e del cre-
tinismo. Questo elemento alogeno è essenziale per la produzione della tirossi-
na e della triiodotironina nella ghiandola tiroide.
Tra gli altri minerali presenti in tracce ed essenziali per un sano sviluppo del
nostro organismo e per un suo corretto funzionamento, possiamo ricordare il se-
lenio, un non metallo cofattore critico per enzimi antiossidanti, che protegge dai
radicali liberi e riduce la morte cellulare (apoptosi). Il rame, un altro catione biva-
lente, contribuisce anch’esso all’ attività antiossidante ed al metabolismo della
dopamina. Anche le vitamine della dieta sono necessarie per un salutare funzio-
namento del cervello. Tutte le otto vitamine essenziali del gruppo B giocano un
ruolo critico, in primo luogo come coenzimi nella produzione di energia.
16
Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
nelle carote e negli spinaci varia fra il 3%-15%; è quindi importante aumenta-
re la biodisponibilità dei carotenoidi della dieta. Il loro assorbimento dopo un
pasto può essere influenzato da molti fattori, tra cui la ritenzione od il rilascio
dalla matrice dell’alimento, la loro incorporazione nei lipidi della bile, il loro
assorbimento a livello degli epiteli intestinali.
La presenza di lipidi, assieme ai vegetali, ne aumenta in modo sostanziale
la biodisponibilità, data la loro liposolubilità. Si è visto per la prima volta che
l’ingestione di latte fermentato con una bevanda a base di carota, contenente
carotenoidi, ha effetti positivi in questo senso. Il latte fermentato aumenta la
concentrazione di carotenoidi in circolo, quali alfa-carotene, beta-carotene,
licopene e luteina.
Questi risultati indicano che le proteine ed i metaboliti presenti nel latte
fermentato, prodotto dai batteri acidi lattici, aumentando la biodisponibilità
dei carotenoidi, possono migliorare il nostro stato di salute (26). In natura i
carotenoidi sono coinvolti nella fotosintesi, interagendo con la clorofilla; essi
proteggono anche le cellule delle piante agendo come chelanti (“scavengers”)
di radicali liberi.
Il licopene è un idrocarburo poliene lineare di formula C49H56, che contie-
ne 11 doppi legami coniugati e due non coniugati, che danno isomerizzazione a
5-cis, 9-cis, 13-cis o 15-cis, dopo esposizione alla luce e reazioni chimiche.
La molecola di licopene ha una struttura ricca in elettroni, responsabile
delle sue straordinarie capacità antiossidanti. Allo stesso tempo, la presenza di
molti legami coniugati, lo rendono molto sensibile a degradazione e ossidazio-
ne. Le ossidazioni indotte da ossigeno, calore e metalli (Cu2+, Fe3+) causano
la sua degradazione. Analogamente, l’attività di eme-ossigenasi endogene
possono influenzare direttamente o indirettamente lo stesso processo, così
come quelle dei radicali liberi.
In vari frutti e vegetali freschi il licopene è presente in particolare nella
forma strutturalmente stabile (trans), mentre nei prodotti trattati o conservati
in presenza di ossigeno vi sono quantità significative della forma cis.
Questa ultima è la forma caratterizzata da una maggiore attività biologica.
L’incorporazione di una fase oleosa e la formazione di una emulsione licope-
ne-olio sono condizioni favorevoli per aumentare l’isomerizzazione e la sua
biodisponibilità. Molti studi hanno dimostrato che vegetali della specie Al-
lium, Brassica e Raphanus, ricchi in composti contenenti zolfo (alliina nell’a-
glio fresco), possono facilitare la conversione del trans-licopene alla forma cis.
Il licopene è il carotenoide responsabile del colore rosso nelle piante perché
assorbe la luce a una lunghezza d’onda massima a 444, 470 e 502 nanometri.
Lo si trova nei frutti e nei vegetali rossi, come cocomeri, carote, guava, pom-
pelmo rosa, patate dolci, zucche e pomodori. Questi ultimi sono una fonte
particolarmente ricca di questo composto, rappresentando dall’80 al 90% del
contenuto di tutti i carotenoidi presenti nel cibo. I livelli di licopene dipendono
dalla varietà e dal grado di maturazione dei vegetali. Anche la temperatura
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Capitolo 1 I principi delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Cereali
Le arachidi come tali o sotto forma di derivati, quali olio, la farina, il burro
di arachidi e così via sono spesso all’origine di allergie molto serie, che causa-
no difficoltà respiratorie, edemi della laringe, problemi intestinali e shock ana-
filattico
Frutta a guscio
22
Capitolo 1 I principi delle diete
Latte
Uova
Pesci
23
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Studi recenti indicano che l’assunzione di nitrati con la dieta, ad es. sotto
forma di succo di barbabietola, può migliorare l’efficienza muscolare:
a) riducendo il consumo di O2 in condizioni di esercizio sub massimale e
migliorando quindi la “performance” di resistenza;
b) aumentando la contrattilità dei muscoli e la capacità di effettuare scatti
improvvisi e veloci (sprint).
Molti atleti utilizzano una dieta bilanciata, per mantenere uno stato di sa-
lute adeguato e ricorrono ad integratori per migliorare le prestazioni durante le
competizioni. Esempi di questi integratori includono caffeina, creatina, bicar-
bonato di sodio, beta-alanina e più recentemente nitrati inorganici.
Questi ultimi, a differenza di altri integratori, possono dare anche benefici
cardiovascolari grazie ad un controllo ottimale della pressione sistemica.
Il nitrato inorganico è un componente naturale presente negli alimenti, so-
prattutto dei vegetali a foglia verde e viene utilizzato per preservare prodotti
come le carni trasformate-conservate.
Per molti anni, seppur a dispetto di deboli evidenze scientifiche, il nitrato
NO3 meno ed il nitrito NO2 meno, sono stati considerati cancerogeni; eviden-
ze recenti e ben documentate (35) indicano che il nitrato può essere considera-
to un componente chiave, bioattivo, ad es. nelle insalate, il cui consumo è
consigliato per migliorare la propria salute. Questo ha portato ad una rivaluta-
zione dei rischi e benefici dei nitrati della dieta.
24
Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
A questo proposito, uno studio recente di coorte (un studio di tipo osserva-
zionale) che merita, comunque, attenzione è stato condotto in Australia, su
soggetti anziani, di sesso femminile. Esso documenta che una più alta assun-
zione di nitrati vegetali. è associata ad un minore rischio di mortalità in pazien-
ti affetti da coronaropatia aterosclerotica e da episodi ischemici cerebrovasco-
lari (42).
E stato anche studiato l’effetto dell’assunzione giornaliera di 300 mg di
nitrati provenienti da vegetali a foglia verde o da integratori alimentari, per la
durata di 5 settimane, sulla pressione sistemica in soggetti normali o ipertesi.
I risultati hanno mostrato che non vi è riduzione della pressione in soggetti
normali o ipertesi rispetto a chi segue diete povere in nitrati. Ricordiamo che
la Società Europea di Cardiologia definisce come normali i seguenti valo-
ri: pressione sistolica, 130-139 mmm Hg; diastolica 85-89 mm Hg. Per quan-
to concerne l’ipertensione, rispettivamente 140-159 mm Hg e 90-99 mm Hg
(43). I nitriti presenti nella saliva reagiscono in soluzione con ammine secon-
darie e terziarie, ammidi N-sostituite, carbammati. Quando questo avviene, si
producono N-nitrosammine nel tratto gastrointestinale. Tuttavia, composti
come polifenoli, vitamine C ed E ed altri antiossidanti, largamente presenti nei
vegetali ne inibiscono la formazione. Si ritiene che la fonte maggiore di espo-
sizione alle nitrosammine, sia la fonte endogena, favorita dall’ambiente acido
dello stomaco.
Questo effetto del pH è stato confermato dall’incapacità di formare nitro-
sammine in un ambiente a pH neutro del colon, anche in presenza di ammine
secondarie.
La catalogazione di N-nitroso composti come cancerogeni, determina la
forte domanda dei consumatori per sostituire i nitriti negli alimenti, in modo
da minimizzarne l’esposizione.
Gli sforzi per ridurre l’esposizione a nitrati e nitriti negli alimenti non si
limitano ai prodotti trattati della carne.
In agronomia si è realizzata con successo la coltivazione di lattuga esente
da nitrati ed i livelli di nitriti nei sottaceti sono stati ridotti del 97% grazie
all’inclusione di funghi (Boletus edulis) che contengono la nitrato reduttasi.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
soggetti adulti ed anziani, a cui sono stati somministrati ogni giorno 236 ml di
succo. L’assunzione quotidiana ha stabilizzato la capacità di mantenere l’in-
formazione visiva e potrebbe correggere la perdita di memoria legata all’in-
vecchiamento (47). I fattori critici che possono garantirne una funzionalità
biologica ottimale sono due: a) il tipo di metaboliti, b) il loro assorbimento nel
tratto gastrointestinale.
Ad esempio, per quanto riguarda i sali biliari, che giocano un ruolo nella
digestione dei lipidi, è stato suggerito che il loro corretto funzionamento venga
modulato dal contenuto delle fibre della dieta (Diet Fibers, DF) e dagli effetti
dei microbiota intestinali. Infatti, DF legano gli acidi biliari nel tratto gastroin-
testinale, aiutando in questo modo a ridurre il riassorbimento del colesterolo
nel sangue.
E noto che acidi fenolici, flavonoidi ed altri polifenoli coniugati hanno un
ruolo nel prevenire l’ossidazione di lipoproteine a bassa densità (LDL) legan-
dosi alle proteine di trasporto ed evitando in questo modo la formazione di
placche che protrudono nel lume delle arterie, il primo stadio dell’aterosclero-
si.
Tra i polifenoli, l’acido ellagico e la quercetina hanno una spiccata capaci-
tà di legare (“binding”) le LDL e l’albumina.
Per quanto riguarda l’invecchiamento, l’acido cicorico, uno degli acidi
idrossicinnamici, un dicaffeoilestere presente in molte piante e soprattutto nel-
la famiglia delle Asteraceae (cicoria, basilico), è ben conosciuto per le sue
proprietà antinfiammatorie e immunostimolanti. Inoltre è stato anche dimo-
strato che le sue proprietà bi-funzionali favoriscono l’allungamento di vita
della Caenorhabditis elegans, un piccolo verme nematode che vive nel suolo;
tale effetto è associato ad una maggiore resistenza allo stress, come risultato
della riduzione “in vivo” di specie reattive dell’ossigeno (Reactive Oxygen
Species, ROS) (48).
Studi sperimentali, condotti nei roditori (topo), hanno messo in evidenza
che una dieta arricchita con polpa di fragole intere, ha un effetto protettivo
contro la colite indotta. La polvere essiccata a freddo è ricca in antocianine,
flavonoli, flavan-3-oli e ellagitannini che hanno attività antinfiammatoria e
mucoprotettiva. Tali effetti si associano altresì ad una ridotta alterazione del
microbiota intestinale nel topo, aumentando la quota di batteri benefici (Bifi-
dobacterium e Lactobacillus) e diminuendo quelli dannosi (49).
1.20 Sulforafano
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
1.21 Vitamina D
Non c’è dubbio circa il ruolo della vitamina D nello sviluppo e nel mante-
nimento di una struttura ossea in salute. Sulla base di studi osservazionali è
ipotizzabile che tale vitamina possa avere un ruolo ad ampio spettro e non li-
mitato alla prevenzione del rachitismo (52). Una elevata assunzione di vitami-
na D, l’esposizione al sole ed alte concentrazioni nel siero di 25-idrossivitami-
na D (25(OH)D), il “marker” della vitamina D, sono tutti parametri associati
ad un buono stato di salute. Al contrario basse concentrazioni di 25(OH)D
sono associate con la presenza di fattori di rischio, tra cui l’ipertensione e pa-
tologie cardiovascolari, diabete, neoplasie e perfino morte. Questo non prova,
necessariamente, l’esistenza di un rapporto causa-effetto e quando la vitamina
D è stata integrata nella dieta per migliorare lo stato di salute, sperimentata in
studi controllati e randomizzati (Randomized Controlled Trials, RCTs), i risul-
tati sono stati in genere negativi.
A questo proposito possiamo sottolineare come la depressione e la valuta-
zione della robustezza fisica siano buoni esempi in questo senso. Studi osser-
vazionali (53) mostrano l’esistenza di un’associazione molto significativa tra
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Capitolo 1 I principi delle diete
Si pensa che la carne rossa sia entrata a far parte della dieta dei nostri an-
tenati almeno 6,2 milioni di anni fa. Essa continua a giocare un ruolo impor-
tante, essendo una buona fonte di acidi grassi essenziali e proteine di alta qua-
lità, oltre ad una varietà di micronutrienti utili per la salute. La carne rossa
include manzo, maiale, agnello e selvaggina, quella conservata previa salatura,
affumicatura e conservanti comprende salcicce, pancetta, salami o prosciutto.
Il Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) definisce carne ros-
sa come “…ogni tessuto muscolare, di origine animale e dal colore rosso”; la
fonte del pigmento rosso è la proteina mioglobina che fornisce ossigeno al
tessuto.
La valutazione fisica e chimica della carne è effettuata di “routine” con
metodi fisici e molecolari per garantirne l’autenticità e qualità ed evitare frodi
alimentari che valgono 10-15 miliardi di dollari all’anno.
La maggior parte della carne rossa conserva un poco di questo colore dopo
la cottura, ma anche se il colore delle carni cotte è più tenue esse sono ancora
considerate come carne rossa (56). Il pollame, i volatili selvatici ed i pesci non
sono considerati carni rosse a causa della minore concentrazione di mioglobi-
na. USDA definisce carne conservata ogni carne che sia stata trasformata, at-
traverso salatura, conservazione, fermentazione, affumicatura o altri processi,
per aumentarne il sapore o migliorarne la conservazione. La carne conservata
comprende sia carne rossa che carne bianca in prodotti come salcicce, pancet-
te, tagli freddi. Tutte le diete più importanti, tra cui Alternative Eating Index,
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
La maggior parte del ferro è sotto forma di ferro-eme, che viene meglio
assorbito nella dieta (20-30%) rispetto al ferro non- eme (5-15%). Il ferro-eme
aumenta anche l’assorbimento del ferro non-eme da cereali, vegetali e legumi.
La carne ed i suoi prodotti contribuiscono (circa il 20%) all’assunzione di
ferro negli adulti con età compresa fra 19-64 anni. L’assunzione di vitamina D
è pari al 35% negli adolescenti ed al 30% negli adulti.
L’invecchiamento porta ad una perdita di massa muscolare (sarcopenia), che
può essere contrastata consumando proteine di alta qualità. Gli aminoacidi rami-
ficati (leucina, isoleucina e valina) sono gli amino acidi essenziali per la sintesi
delle proteine e questi sono in genere presenti in misura maggiore nelle proteine
animali rispetto a quelle vegetali, con i livelli più alti nella carne rossa.
Vi sono prove ben documentate che diete, con un periodo di durata bre-
ve-medio e contenuto di proteine “ad libitum”, aumentano il senso di sazietà e
la perdita di peso, in confronto con diete ricche in carboidrati. L’effetto può
perdurare per periodi prolungati, fino a dodici mesi.
La composizione della carne conservata può variare molto; in ogni caso, il
contenuto di sale è maggiore rispetto a quella non trattata. La carne ed i suoi
prodotti contribuiscono fino al 27% all’assunzione di sodio negli adulti, un
dato appena inferiore rispetto ai cereali (31%) (57).
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
dea-teoria di prodotti a base di carne preparata “in vitro”. Per carne “in vitro”
si intende carne commestibile, ottenuta prelevando cellule da animali, in uno
stato di salute controllato e garantito, che vengono fatte proliferare mediante
metodiche di ingegneria cellulare.
Il processo di produzione parte da piccoli frammenti di tessuto ottenute
mediante una biopsia sotto anestesia. La coltura di cellule di muscolo schele-
trico avviene grazie alla capacità di ricostituire il tessuto di alcune cellule di
tipo staminale, dette cellule satelliti. Le fasi di differenziazione e proliferazio-
ne completano la neo-formazione del tessuto muscolare.
In genere le cellule staminali hanno di per sé la capacità di rinnovarsi per
creare nuovo tessuto, finchè sono disponibili sufficienti fattori di crescita. A que-
sto scopo, sono coltivate in “medium” appropriati contenenti alcuni specifici
nutrienti, che forniscono le condizioni necessarie per la crescita del tessuto.
Il processo di proliferazione può durare 7-8 settimane e consente di ottene-
re un numero molto elevato di nuove cellule. Si calcola che 10000 fibre mu-
scolari consentano di preparare 85 g di hamburger (59). Mark Post, un ricerca-
tore dell’Università di Eindhoven (Olanda) è stato il primo a produrre carne in
vitro, facendo crescere cellule staminali utilizzando “medium” di coltura spe-
cifici (60).
La carne preparata in vitro non solo riduce il numero di animali sacrificati,
ma è anche una fonte di proteine animali più salutare, pulita ed esente da po-
tenziali patologie. Presenta indiscutibili vantaggi, ad es. 1) produzione indi-
pendente da allevamenti animali, 2) riduzione fino al 50% dell’energia consu-
mata, 3) minore utilizzo del suolo, 4) minore emissione di gas-serra, 5)
risparmio (80-95%) dell’acqua.
Accanto alla carne derivata da cellule staminali animali, sta acquistando
popolarità, tra i ricercatori e le industrie alimentari, la produzione di carne da
fonti vegetali. Quest’ultime sono ricche di costituenti chiave, come proteine
vegetali purificate (e.g. proteine dei piselli o della soia) mentre olio di cocco,
di girasole o di canola sono usati come fonte di grassi; le ghemiogolbin (un
pigmento rosso estratto dalle leguminosi e simile alla emoglobina animale) ed
estratti di bietola, impatiscono colore ed aroma.
Questa carne di origine vegetale riproduce sorprendentemente la consi-
stenza, il gusto e le sensazioni della carne vera. Su scala commerciale, due
gruppi alimentari, la Impossible Foods e Beyond Meat offrono burger di carne
basati su piante. Per quanto riguarda il valore nutrizionale, questi “burger”
hanno contenuto calorico e proteico simili a quelli della carne animale, ma un
minore contenuto di grassi saturi e sono privi di colesterolo; sono anche una
ricca fonte di minerali come Na (61).
Inoltre, l’aggiunta di componenti derivati da sintesi chimica o estratti da
fonti naturali comporta molti passaggi intermedi e questo potrebbe non rap-
presentare un approccio ottimale per la tutela della salute dei consumatori. In
effetti l’assunzione di alimenti eccessivamente lavorati (o ultra processati) è
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Capitolo 1 I principi delle diete
più alta tra vegetariani e vegani rispetto a chi consuma carne. Non tutte le
diete vegetariane comportano perciò, automaticamente, benefici per la salute,
a causa dei potenziali effetti negativi di questi prodotti (62). Come rivelato da
una indagine on line realizzata negli Stati Uniti, il consumatore ha opinioni
diverse sul consumo della carne prodotta “in vitro”; su un totale di 653 parte-
cipanti, con età compresa fra 18 e 70 anni, circa 2/3 si sono dichiarati disposti
ad accettare in futuro questo tipo di carne, 1/5 si sono dichiarati contrari e 1/3
disposto a consumarla regolarmente.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
In ogni caso, una dieta vegana interamente basata su cereali, legumi e ve-
getali misti, integrata da micronutrienti, può fornire un profilo bilanciato di
aminoacidi, utile per la crescita anche di bambini di un anno (vedi oltre).
Alla ricerca di sostituti della carne soddisfacenti dal punto di vista organo-
lettico e nutrizionale, un ruolo chiave è quello del latte (calcio, iodio, vitamina
B12, riboflavina e proteine). Inoltre, le proteine del latte sono considerate im-
portanti nella stimolazione postprandiale della neo-sintesi di proteine specifi-
che per le fibre muscolari (MPS).
L’alto contenuto di leucina, soprattutto della proteina del siero, che è rapi-
damente digerita e assorbita, ne fanno la proteina standard della dieta, per la
sua capacità di stimolare MPS in vivo.
Un altro potenziale sostituto della carne è un fungo a cellula singola, com-
mercialmente disponibile, il Myco, in grado di stimolare MPS in misura supe-
riore alle proteine del latte, in soggetti giovani ed in buono stato di salute.
Il microfungo filamentoso Fusarium venenatum è attraente come sostituto
della carne perché può crescere in colture continue per produrre un prodotto
denso in proteine, ricco di fibre (beta-glucano e chitina), con un profilo favo-
revole di acidi grassi (soprattutto PUFA). Esso ha inoltre un’alta concentrazio-
ne di zinco, selenio, e ferro, ma privo di vitamina B12 e può essere utilizzato
per fare molti sostituti della carne.
Tuttavia, il metodo di produzione (un substrato di glucosio con la necessi-
tà di ridurre l’alto contenuto di RNA per renderlo accettabile in termini di
concentrazione) lo rende attualmente più costoso della carne (65).
Il Myco è la sola micoproteina in vendita in Europa e Nord America con il
nome di Quorn. È un valido sostituto della carne; la composizione degli amino
acidi è simile alle proteine animali in termini di amino acidi essenziali (46%),
lisina (anche se quantità inferiore al latte), aminoacidi solforati e triptofano. È
stato introdotto in Gran Bretagna nel 1985 e utilizzato per preparare hambur-
ger; prodotto (bioreattori) in condizioni strettamente controllate, richiede una
manipolazione appropriata per modellarne la struttura filamentosa e disordina-
ta e trasformarla nell’alimento.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
microbica dei residui di piante da parte del colon, promuove la salute e genera
cataboliti che possono contribuire alla prevenzione di neoplasie. La maggior
parte degli studi di coorte, condotti su soggetti di età media, di ambo i sessi,
dimostra che un’alta assunzione di fibre alimentari, specialmente da frutti e
vegetali, riduce fra l’altro il rischio di diverticoli e di ospedalizzazione da di-
verticolosi (70). In generale, frutta e verdura contengono un più alto livello di
cellulosa rispetto ai cereali; trattandosi di una fibra insolubile, la cellulosa rap-
presenta in media il 30% nella frutta ed il 50% nei vegetali.
Nello studio sopra citato, il consumo medio di fibra nei soggetti (donne)
esaminati era di 8,5 g/die, con una “forbice” max-min pari a 12,6-4,1 g/die.
Per gli uomini, il consumo medio corrispondente era di 7,4 g. Nelle conclusio-
ni si sottolinea che una alta assunzione di fibre può ridurre il rischio di malattie
dei diverticoli e che individui che consumano 30 g di fibra al giorno hanno una
riduzione del rischio pari al 41% rispetto a persone che ne assumono una bas-
sa quantità.
Le fibre della dieta comprendono un ampio insieme di molecole comples-
se, molte delle quali sono presenti nelle cellule delle piante; fra queste vi sono
i glicani, carboidrati resistenti alla digestione da parte degli enzimi del nostro
organismo. Inoltre, come sappiamo dalla fisiologia umana, alcune fibre ingeri-
te sono escrete inalterate nelle feci, mentre la maggior parte sono metabolizza-
te dalla ricca flora batterica intestinale. Questi microbi hanno capacità metabo-
liche diverse ed estremamente complesse; batteri che esprimono enzimi
diversi per metabolizzare le fibre, possono sopravvivere e proliferare usando
svariati alimenti.
Alcune specie batteriche possono competere fra loro per lo stesso nutri-
mento e questo potrebbe rappresentare un importante fattore di autoregolazio-
ne delle diverse specie e costituire un meccanismo alla base della sopravviven-
za del batterio nell’ospite. È quindi lecito chiedersi se è possibile manipolare i
microbi intestinali attraverso interventi dietetici. A questo riguardo è stato
proposto l’uso di prebiotici, cioè composti presenti nel cibo che influenzano i
microbi intestinali e stimolano selettivamente la crescita di uno o di un nume-
ro limitato di batteri benefici.
Tuttavia, determinare se una fibra alimentare, presente nella dieta, sia in
grado di promuovere lo stato di salute, influenzando il microbioma-microbio-
ta, richiede la piena conoscenza delle interazioni che avvengono allorché co-
munità complesse di microbi intestinali incontrano una fonte di fibre.
Patnode e colleghi hanno ora chiarito quali particolari tipi di glicani posso-
no influenzare la competizione fra differenti specie di Bacteriodes residenti
nell’intestino umano (71).
Le fibre sono metabolizzate dando acidi grassi saturi a corta catena (Short-
Chain Fatty Acids SCFAs), che hanno interessanti proprietà antinfiammatorie,
antiproliferative e antineoplastiche. Colonie specializzate di microbi possono
essere responsabili della lisi delle pareti delle cellule vegetali, rilasciando fito-
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
chimici come polifenoli, antocianine, fenoli e flavine, che hanno le stesse pro-
prietà. Queste azioni amplificano quelle di SFCAs sull’epitelio del colon e sul
conseguente assorbimento sistemico. Diversi studi hanno mostrato che i resi-
dui fecali sono più potenti nel sopprimere la proliferazione di cellule cancero-
gene rispetto a miscele che contengono solo SCFAs.
Lampe e collaboratori hanno analizzato con accuratezza queste interessan-
ti implicazioni, che mettono in correlazione il metabolismo dei nutrienti con il
microbioma. In uno studio su 42 volontari sani, gli autori hanno esaminato
l’effetto di un supplemento di 50 mg di fitochimici sul microbioma fecale (72).
Il supplemento scelto è stato un lignano (un polimero fenolico) di semi di lino,
con un ingrediente attivo costituito dal secoisolariciresolo diglicoside (SDG).
Questo composto è rilasciato dai residui delle piante nel colon e convertito, da
parte di batteri intestinali specializzati, in enterolignani biologicamente più at-
tivi, enterodiolo e enterolattone (ENL). I lignani sono fitoestrogeni con attività
estrogeniche e antiestrogeniche nell’uomo. È stato dimostrato che riducono il
rischio di molte malattie, incluso il cancro al seno, CVD e diabete di tipo 2.
L’attività biologica degli integratori nutrizionali rappresenta un campo
molto controverso; non sempre la loro attività è correlabile con la dose (attivi-
tà dose-risposta), come dimostrato dall’esperienza con la vitamina A, la glu-
tammina e da studi su antiossidanti, nei quali l’aggiunta, non fisiologica, di
integratori peggiora il risultato finale.
La situazione è tuttavia diversa se prendiamo in considerazione le fibre, per-
ché in questo caso si ripristina la presenza di qualcosa che è andato perduto nel
processo di trasformazione agroalimentare e commercializzazione dell’alimento.
Tutti gli studi concordano sulla necessità fisiologica di una assunzione
quantizzabile in 50 g di fibra al giorno, la quantità contenuta nella tradizionale
dieta Africana, associata con la prevenzione delle malattie tipiche del mondo
occidentale. Questa quantità è circa il doppio dell’assunzione raccomandata
dall’USDA (United States Dept. of Agriculture), che è pari a 25 g al giorno per
le donne e 38 g per gli uomini; tali indicazioni sono basate sulla quantità rite-
nuta necessaria per prevenire CVDs e circa il triplo della quantità media assun-
ta nei paesi occidentali. Mentre sono stati pubblicati diversi studi di coorte
sull’importanza delle fibre della dieta nei paesi europei ed in USA, non si può
dire lo stesso per quanto riguarda i paesi orientali. Degno di nota è l’articolo di
R. Katagiri, uno dei pochi ricercatori a prendere in considerazione l’associa-
zione fra assunzione di fibre della dieta e mortalità (73).
Questo studio di coorte, basato su una popolazione particolarmente nume-
rosa (92924 partecipanti) di soggetti adulti, giapponesi, di età compresa tra
45-75 anni, ha mostrato una riduzione per tutti i rischi di mortalità pari al 23%
negli uomini ed al 18% per le donne. Uno degli aspetti più importanti di questo
studio è il coinvolgimento di soggetti le cui diete sono molto diverse da quelle
dei paesi Occidentali, anche se il tipo di occupazione e le caratteristiche
dell’attività fisica sono simili.
40
Capitolo 1 I principi delle diete
Le fibre della dieta (DF, Diet Fibers) sono una parte essenziale dell’ali-
mentazione umana. La maggior parte di DF deriva da alimenti di origine
vegetale, in particolare da carboidrati non digeribili che formano le pareti
delle cellule delle piante. La definizione più largamente accettata di DF è
quella proposta dalla Comunità Europea: polimeri di carboidrati, con tre o
più unità monomeriche (per escludere mono e disaccaridi, zuccheri semplici
di una o due molecole) che non sono né digeriti, né assorbiti nel piccolo in-
testino (74,75). La ricerca, negli ultimi anni, ha messo in luce molti benefici
salutari delle DF quali un rischio ridotto di obesità e di malattie croniche,
e.g. patologie cardiovascolari, diabete del tipo 2 e neoplasie del tratto co-
lon-rettale. In particolare, forme solubili delle fibre, che conferiscono alta
viscosità alle soluzioni acquose, sono state associate ad un controllo ottima-
le della glicemia e ad una ridotta colesterolemia, a prolungato svuotamento
gastrico e ridotta digestione di amido, oltre ad un ridotto assorbimento di
glucosio nel piccolo intestino. Nonostante questi benefici incontrovertibili,
l’assunzione delle fibre alimentari in Europa e nel Nord America resta al di
sotto dei livelli raccomandati.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
tiene che sia difficile ottenere un apporto sufficiente di nutrienti con una dieta
vegetariana/vegana. Per la DGE una dieta vegana non dovrebbe essere racco-
mandata durante la gravidanza e l’allattamento, nell’infanzia ed adolescenza.
Il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti (USDA) considera il vege-
tarismo ed il veganismo come alternative salutari. Sia AND che USDA racco-
mandano che i vegetariani sostituiscano la carne ed i prodotti ittici, in primo
luogo, con soia (e altri legumi), latticini e uova. Secondo USDA i vegani pos-
sono sostituire le uova ed i latticini con soia fortificata con aggiunta di vitami-
na B12.
Sulla base delle nostre attuali conoscenze, possiamo affermare in via defi-
nitiva che una dieta vegetariana o vegana, che aderisce alle raccomandazioni
USDA, è salutare per tutte le età.
Secondo Cofnas (82) vi sono poche prove riguardanti gli effetti di diete
prive di carne sulla salute dei bambini. Questo Autore non si spinge fino a so-
stenere che il vegetarismo ed il veganismo siano nocivi per i bambini; ritiene,
infatti, che il problema vada considerato sotto una diversa prospettiva. Il que-
sito che si pone è, di conseguenza, il seguente: esistono oggi sufficienti eviden-
ze per giustificare l’affermazione generica, secondo la quale le diete vegetaria-
ne e vegane possono essere altrettanto salutari delle diete onnivore?
Una recente meta-analisi sulle neo-mamme, asiatiche, vegetariane, indica
un aumentato rischio di neonati con un basso peso corporeo (83).
La AND ignora o sottovaluta l’evidenza che: a) il vegetarismo possa essere
dannoso durante la gravidanza; b) la considerazione che latte, soia, legumi e
uova non siano in grado di sostituire la carne; c) diete vegetariane rigorose
possano mettere i bambini a rischio di gravi carenze con conseguenze negative.
Le uova ad esempio sono una fonte di proteine di alta qualità e hanno un alto
contenuto di ferro e zinco. Un uovo intero contiene circa 1 mg di ferro non-eme
ed 1 mg di zinco, corrispondenti a circa il 10% della quantità raccomandata
(RDA, Recommended Daily Allowance) per ciascuno di questi minerali, per
bambini di 9-12 anni. Un uovo contiene 6 g di proteine, corrispondenti all’11%
della RDA, per soggetti di 14 anni di età. I bambini dovrebbero mangiare perciò
molte uova al giorno per soddisfare le raccomandazioni della AND.
La carenza di vitamina B12 (livelli nel siero inferiori a 156 pmol/L), colpi-
sce il 26% di vegetariani adulti, il 52% di vegani e l’1% di onnivori (84).
La AND sostiene che i vegani debbano consumare regolarmente alimenti
fortificati con B12, ma anche in questo caso vi sono dei rischi correlati all’as-
sunzione di quantità inadeguate. Le conseguenze della deficienza di vitamina
B12 nei bambini, per quanto riguarda lo sviluppo cerebrale e corporeo, posso-
no essere gravi e perfino irreversibili.
In conclusione le diete vegetariane e vegane possono essere associate a seri
rischi per il feto ed i bambini in fase di sviluppo e non è scontato che le diete
pianificate per sostituire, nei bambini, latte, soia, legumi o uova, siano altret-
tanto appropriate di quelle onnivore.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
In accordo con le nostre attuali conoscenze sullo sviluppo del nostro stato
di salute e le evidenze eziopatologiche delle malattie, la nostra salute è condi-
zionata dall’ambiente-ecosistema dell’utero e da quello che caratterizza la pri-
ma infanzia (85).
In effetti, le condizioni di nutrizione pre-natale e post-natale hanno un im-
patto sull’”architettura” iniziale del nostro organismo e sull’attività del micro-
biota. Recenti studi hanno sottolineato come la composizione del microbiota
sia di grande importanza nelle fasi iniziali della vita-sviluppo; la malnutrizio-
ne, sia nel caso di sottonutrizione che in quello di sovranutrizione, può condur-
re a sotto-sviluppo o a condizioni di sovrappeso.
La nostra percezione del concetto di nutrizione è in continua evoluzione. Il
ruolo fondamentale di una dieta personalizzata è quello di fornire i nutrienti
necessari per garantire l’energia al nostro organismo e soddisfare le necessità
metaboliche, come anche di assicurare la crescita e lo sviluppo dei bambini.
Poiché la dieta ha la capacità di regolare, a volte con grande specificità,
funzioni e meccanismi del nostro organismo, il suo utilizzo per migliorare il
benessere e la salute, riducendo il rischio di malattie, è diventato sempre più
importante.
Il dogma, riguardante lo sviluppo del feto in condizioni sterili, viene oggi
messo in discussione alla luce delle nostre attuali conoscenze. Nuove eviden-
ze, infatti, suggeriscono che la madre possa fornire l’inoculo della colonizza-
zione batterica nell’utero, poiché dei batteri sono stati scoperti nel meconio e
nel fluido amniotico, così come nella placenta ed in altri tessuti biologici coin-
volti nell’ interfaccia madre-feto. Durante la gravidanza si ha un drastico mu-
tamento dei microbiota intestinali, come messo in evidenza, nel terzo trimestre
di gravidanza, dalla presenza di un quadro clinico tipico di una infiammazione
sistemica e dall’aumento di peso che è associato.
La gravidanza influenza anche la composizione del microbiota orale,
orientandolo verso un profilo pro infiammatorio. Tradizionalmente, il processo
di colonizzazione nei neonati è influenzato in modo significativo dalle moda-
lità del parto e dall’allattamento al seno.
Alcuni fattori sono importanti, in relazione al rischio di patologie non tra-
smissibili (NCDs, Non Communicable Diseases): a) il tempo del contatto mi-
crobico iniziale; b) la composizione del microbiota. I periodi di gestazione e
prenatale sono considerati gli stadi più critici in termini di possibilità di svilup-
pare NCDs. La disbiosi (o disbacteriosi, squilibrio microbico dell’organismo)
del microbiota della madre può essere trasferita al feto-neonato, per esempio
durante la gravidanza, la nascita e l’allattamento al seno.
Questi fattori possono anche avere un impatto sulla composizione del
latte materno, che è la più importante fonte di nutrienti, e.g. gli oligosacca-
46
Capitolo 1 I principi delle diete
ridi del latte umano (Human Milk Oligosaccharides, HMOs) e dei microrga-
nismi necessari per la colonizzazione microbica durante la prima infanzia.
L’esposizione ai microbi inizia ancora prima di quanto generalmente si pos-
sa pensare. Infatti, il processo di fecondazione stesso può essere influenzato
dai microbiota vaginale e seminale. È noto che il liquido amniotico ha un
microbiota la cui composizione è relativamente diversificata, benché il nu-
mero assoluto di batteri sia contenuto. Quando il liquido amniotico è ingeri-
to, esso fornisce l’inoculazione iniziale per la colonizzazione primaria del
tratto gastrointestinale da parte dei batteri in esso presenti. L’esposizione a
batteri specifici durante il periodo neonatale è facilitato dalle modalità del
parto, poiché i neonati partoriti per via vaginale sono esposti ai microbi del-
la vagina stessa.
L’intestino della madre rappresenta una fonte importante di batteri, e si cal-
cola che possa fornire circa il 70% di batteri intestinali nei bambini partoriti per
via vaginale, in confronto con il 40% di quelli partoriti per taglio cesareo.
Riassumendo, la nutrizione materna, le modalità del parto e l’esposizio-
ne ambientale perinatale hanno un impatto sul microbiota intestinale del ne-
onato, influenzando in questo modo il suo stato nutrizionale nelle fasi suc-
cessive della vita.
Una colonizzazione microbica adeguata durante i primi 1000 giorni di vita
è critica per la maturazione appropriata del sistema immunitario, le attività
metaboliche e lo sviluppo del cervello. Le anomalie nei percorsi fisiologici di
colonizzazione intestinale possono indirizzare il microbiota verso la supernu-
trizione o la sottonutrizione.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
Questo è in accordo con l’effetto esercitato dai ritmi circadiani sul rilascio
di insulina e sull’effetto della melatonina che, agendo sull’ipotalamo e rego-
lando il ciclo sonno-veglia, può inibire il rilascio di insulina.
Nell’uomo, i livelli di melatonina nel plasma o nella saliva incominciano a
crescere 2-3 ore prima di coricarsi; l’ormone si lega successivamente ai suoi
recettori, rallentando la secrezione di insulina stimolata dal glucosio. Queste
osservazioni, nel loro insieme, suggeriscono che sia preferibile consumare un
pranzo più abbondante, rispetto ad una cena, per una migliore regolazione
della glicemia e del controllo del peso corporeo.
Come i ritmi circadiani, anche i microbiota intestinali aiutano a mantenere
l’integrità dell’intestino in risposta ad antigeni ambientali e microorganismi
patogeni. Di conseguenza, si amplia la diversità biochimica (biodiversità)
dell’ospitante, garantendone l’acquisizione di uno spettro più diversificato di
nutrienti.
Vi è un ritmo circadiano che regola la fame, che è verosimilmente un prodot-
to dell’attività veglia-sonno. Abitualmente, nell’uomo, lo stimolo della fame
tende a crescere nel pomeriggio e raggiunge un picco la sera (intorno alle 20).
Nel nostro organismo esiste un ritmo circadiano nella secrezione di saliva,
enzimi gastrici digestivi, sali biliari, la cui produzione diminuisce nella tarda
notte. In linea con la secrezione di questi fattori digestivi, la peristalsi intesti-
nale ha anch’essa un ritmo circadiano, con contrazioni ridotte durante la notte.
Infine, la peristalsi del colon aumenta di primo mattino, guidando il ritmo
quotidiano della propulsione e della eliminazione fecale. In accordo con que-
sto, la composizione e la funzione del microbiota intestinale può anch’esso
variare durante il giorno.
I microbiota intestinali possono anche influenzare il metabolismo e l’ome-
ostasi dell’organismo ospitante. Per esempio, il microbiota fecale trapiantato
da un topo obeso, può fare diventare obeso il ricevente stesso. Inoltre, la com-
posizione della flora batterica intestinale nei soggetti obesi, è spesso ricca in
batteri che predispongono alla conservazione di energia. Modificare la compo-
sizione del microbiota, indirizzandola verso batteri meno efficienti dal punto
di vista energetico, come accade nella chirurgia bariatrica, può aiutare la per-
dita di peso.
Come accade in risposta alla disarticolazione del ritmo circadiano, le alte-
razioni nei batteri intestinali sono associate con malattie non trasmissibili,
come obesità e tumori.
L’intestino umano è l’interfaccia più estesa tra l’ospitante e l’ambiente
esterno e la sua funzionalità rispetta, generalmente, frequenze circadiane. Una
fase diurna di assorbimento intestinale-picco di assorbimento, è stata scoperta
negli anni settanta e coincide con i tempi standard di biodisponibilità degli
alimenti. È stato infatti identificato un fattore di trascrizione, CLOCK, che
regola l’espressione dei trasportatori di nutrienti durante le fasi dell’alimenta-
zione. È stato inoltre suggerito che le oscillazioni del gene responsabile della
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
50
Capitolo 1 I principi delle diete
tà, diabete mellito di tipo 2 e steatosi epatica (Non-Alcoolic Fat Liver Disease,
NAFLD).
Mutamenti nella composizione della microflora intestinale, e.g. alterazioni
del rapporto fra Firmicutes/Bacteriodetes, ottenuti grazie all’utilizzo di com-
posti bioattivi della dieta Mediterranea (polisaccaridi dietetici e pre- e probio-
tici) possono essere usati come cibi funzionali per migliorare la compromis-
sione dei markers cardiometabolici correlata con la sindrome metabolica
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Gli integratori alimentari sono definiti come nutrienti (e.g. vitamine, mine-
rali) o altri composti bioattivi (e.g. prodotti di origine vegetale, altri prodotti
naturali, fitoestrogeni, etc.), sia monocomposti che pluricomposti, in forme
predosate, sotto forma di tavolette, pillole, fiale. Anche senza raggiungere la
diffusione che si riscontra negli Stati Uniti, dove sono usati regolarmente da
più del 50% della popolazione, anche in Europa la loro popolarità è cresciuta
negli ultimi decenni. In Francia, così come in altri paesi europei, gli utilizzato-
ri degli integratori alimentari ne fanno un largo uso.
Studi osservazionali suggeriscono che antiossidanti come vitamina C, E e
selenio, presenti in frutta e vegetali, possano avere effetti protettivi contro la
mortalità per tutte le cause o specifica da tumori.
L’assunzione di potassio e/o magnesio da frutta e vegetali ha un ruolo po-
tenziale nella prevenzione dell’osteoporosi. Anche calcio e vitamina D sono
composti di grande importanza per lo stato di salute delle ossa e gli integratori
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Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
sto ominide, le cui tracce sono state scoperte in Africa nel 1924. I primi casi
documentati di entomofagia sono datati da 30000 a 9000 anni a.C. nelle pittu-
re murali scoperte ad Altamira (nord della Spagna), che rappresentano diversi
alveari o nidi di api.
La pratica di nutrirsi di insetti è citata nella letteratura Cristiana, Ebrea e
Islamica. Nel libro il Levitico del Vecchio Testamento vengono menzionate
locuste, scarafaggi e cavallette fra i cibi permessi. Lo stesso apostolo Giovanni
(Il Battista) è sopravvissuto per mesi nel deserto, nutrendosi di alveari e locu-
ste. Gli antichi Greci e Romani utilizzavano larve di scarafaggi e locuste. Gli
aborigeni Australiani si nutrivano di falene, decapitate e cotte nella sabbia.
Al giorno d’oggi, l’uso di insetti come ingredienti alimentari riguarda
2300 specie di insetti ed è praticata da circa 3000 gruppi etnici in più di 100
paesi, localizzati soprattutto in Africa ed Asia, ma anche nell’America Latina.
In Sardegna va ricordato il Casu frazigu, un formaggio pecorino colonizzato
da larve della mosca del formaggio, meglio conosciuta come mosca casearia
(102).
Gli insetti più utilizzati sono, in ordine decrescente: scarafaggi (Coleopte-
ra 31%), bruchi (Lepidoptera 18%), api, vespe e formiche (Hymenoptera
14%), cavallette, locuste e grilli (Orthoptera 13%).
Vi è una ampia gamma di specie commestibili che sono comunemente
utilizzate in Messico, India e generalmente nel Sudest dell’Asia, in contrasto
con percentuali molto basse censite in Europa e Nord America. Il consumo di
insetti è parte della dieta tradizionale di 2 miliardi di persone. Se allevati in
condizioni ambientali appropriate, essi necessitano di una minore quantità di
alimenti organici, di acqua e di superficie utilizzata, rispetto ad altri animali.
Contribuiscono in misura minore alle emissioni di gas serra rispetto al be-
stiame, sono più efficienti nel produrre proteine animali trasformate, hanno un
ciclo di riproduzione breve e possono utilizzare scarti di cibo come nutrimen-
to. Gli insetti hanno un alto valore nutritivo oltre a quello già sottolineato in
proteine di alta qualità e rispetto alla carne animale hanno un miglior contenu-
to in lipidi, vitamine (vitamina B1, B2, B6, C, D, E e K) e minerali (sodio,
potassio, calcio, rame, ferro, zinco, manganese e fosforo). In aggiunta, gli in-
setti commestibili contengono carotene, una provitamina.
Il contenuto di amino acidi essenziali è pari al 10%-30%. Ad esempio il
verme della farina (Tenebrio molitor), uno degli insetti più comuni come infe-
stanti delle derrate alimentari, ha un contenuto elevato in isoleucina, leucina,
valina, tirosina, alanina.
Il contenuto di acidi grassi commestibili è normalmente fra il 10-50%; gli
acidi grassi essenziali sono presenti in quantità maggiori rispetto a quelli ani-
mali, soprattutto per quanto riguarda quelli a lunga catena come gli omega-3,
che giocano un ruolo importante per lo sviluppo dei tessuti cerebrali. I carboi-
drati degli insetti (6,6%-16%) sono presenti soprattutto nella chitina, il secon-
do polisaccaride in ordine quantitativo dopo la cellulosa.
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Numerosi studi hanno messo in luce la rilevanza che gli insetti possono
avere come fonte bilanciata di nutrienti, con benefici per il microbiota intesti-
nale (103). Tuttavia, almeno nei paesi occidentali, essi rappresentano un mer-
cato di nicchia e sono costosi. Nel momento in cui dovessero entrare diretta-
mente nella catena alimentare umana, dovrebbero soddisfare esigenze di
sicurezza particolarmente rigorose, e.g. l’allergenicità e la capacità di accumu-
lare tossine e biopatogeni ospiti (104). Molto lavoro di ricerca è necessario per
verificarne il rispetto degli standard internazionali di sicurezza alimentare,
secondo le normative del Codex Alimentarius.
Sostituire prodotti animali con nuove fonti di proteine nella nostra alimen-
tazione è certamente un tema di crescente interesse, per le ragioni ambientali
di cui abbiamo già accennato. Tuttavia è importante tenere in considerazione
la qualità di queste proteine, sia in termini di composizione di amino acidi che
di digeribilità. Le proteine degli insetti sono più ricche in amino acidi essen-
ziali di molte proteine di origine vegetale, ma resta da approfondire: a) l’even-
tuale presenza di fattori antinutrizionali (o antinutrienti, cioè sostanze naturali
che interferiscono con l’assorbimento dei nutrienti), b) la digeribilità.
Le alghe sono alcuni dei più comuni organismi conosciuti e sono in grado di
crescere anche in condizioni estreme. Sono presenti in ambienti terrestri ed ac-
quatici e possono crescere e riprodursi in acque dolci o salate. Si valuta che le
specie di alghe possano variare da 30000 a un milione ed il database AlgaeBase
descrive più di 150000 specie. La loro morfologia e dimensioni sono molto va-
riabili. Vi sono specie unicellulari che misurano 3-10 millimicron e grandi alghe
acquose che raggiungono 70 metri di lunghezza e crescono di 50 cm al giorno.
Le alghe sono tipiche Eucaryotes, con un nucleo ben sviluppato, una parete
cellulare, un cloroplasto contenente clorofilla ed altri pigmenti ed un flagello.
Le microalghe sono in grado di produrre sostanze organiche attraverso il
processo della fotosintesi, che permette loro di trasformare energia solare in
energia chimica, con assorbimento di anidride carbonica. Sono tradizional-
mente classificate in base ai loro aspetti citologici e morfologici, tipo di riserva
di metaboliti, componenti della parete cellulare e pigmenti.
Le microalghe sono classificate sulla base delle loro caratteristiche chimi-
che e morfologiche, in particolare la presenza di pigmenti specifici. Le diato-
mee sono color oro-scuro a causa del loro contenuto in pigmenti xantofille,
quelle blu-verde contengono clorofilla a, mentre quelle di colore blu contengo-
no ficocianine. Esse sono divise in alghe brune (Phaeophyceae), con colore
giallo-bruno dovuto alla presenza di fucoxantina, alghe rosse (Rhodophyceae)
con dominante ficoeritina e ficocianina e alghe verdi (Chlorophyceae) conte-
nenti clorofilla a e clorofilla b.
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Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
1.37 Spirulina
Alla luce delle nostre attuali conoscenze, uova, carne, pesce, soia, grano,
latte ed i loro derivati, sono particolarmente ricchi in peptidi bioattivi. A loro
volta le microalghe hanno attirato l’attenzione dei ricercatori poiché crescono
facilmente e sono ricche di proteine. Le microalghe rappresentano un gruppo
di organismi semplici, di solito di dimensioni tra 3 e 20 millimicron, preva-
lentemente autotrofici (cioè capaci di convertire, per fotosintesi, CO2 e mine-
rali in biomasse). Il consumo di microalghe nell’alimentazione risale a tempi
molto antichi, ad esempio la l’Arthospira platensis (spirulina), usata come
alimento da migliaia di anni (108). Questo organismo è caratterizzato da ca-
tene a spirale di cellule chiuse in sottili guaine. Contiene molti potenti antios-
sidanti naturali ed agenti chelanti di radicali liberi. È una microalga verde
azzurra lunga meno di mezzo millimetro appartenente alla classe Cyano-
bacteria; la Spirulina platensis é commercialmente disponibile per consumo
alimentare. Come riportato dalla FAO, la produzione mondiale di spirulina
nel 2014 ha raggiunto le 86000 tonnellate. È spesso pubblicizzata come un
“superfood”, benché questa definizione non sia riconosciuta legalmente. Vie-
ne utilizzata soprattutto come integratore, sotto forma di polvere o compres-
se. La dose raccomandata è di 3-9 g al giorno. Si può anche trovare come
additivo colorante in chewing gum, gelatine, gelati, yogurt ed in molti altri
prodotti. È uno delle fonti vegetali più ricche di proteine (60-70%) con livelli
moderati di carboidrati (20%) e lipidi (7%). Sono anche presenti vitamine,
pigmenti e microelementi.
È considerata una fonte importante di vitamina B12, soprattutto per vegani
e vegetariani dato che, all’analisi chimica, i livelli di vitamina variano fra 127-
244 microgrammi per 100g di sostanza secca. In altri termini, si calcola che il
consumo giornaliero di 1,6-3.2 g di spirulina consenta di soddisfare l’apporto
adeguato di cobalamina (4 microgrammi/die), come stabilito dall’EFSA. I
produttori di spirulina raccomandano una dose giornaliera di 3-9 g per soddi-
sfare la necessità di vitamina B12.
La spirulina è generalmente riconosciuta come sicura (Generally Recogni-
zed As Safe, GRAS) dalla U.S. Food and Drug Administration (FDA). Una
delle particolari precauzioni nella sua coltivazione è quella di evitare contami-
nazioni da metalli, poiché essendo localizzata al fondo della catena alimentare
acquatica, può facilmente accumulare metalli pesanti (mercurio, cadmio e ar-
senico), pestici, idrocarburi aromatici policiclici (109).
Ha un alto contenuto di polisaccaridi, lipidi, amino acidi essenziali, grassi,
minerali e vitamine. La spirulina ha un profilo farmacologico molto diversifi-
cato, caratterizzato da diverse attività, e.g. antimicrobica, antitumorale, antios-
sidante. È particolarmente indicata per la prevenzione di malattie cardiovasco-
lari, quali ipertensione, dislipidemie e diabete, che sono i principali fattori di
rischio di patologie coronariche correlate a disfunzioni endoteliali, ateroscle-
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Capitolo 1 I principi delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Le uova sono una fonte ricca di nutrienti essenziali, ma sono anche una
fonte alimentare di colesterolo. Perciò alcune linee guida raccomandano di li-
mitarne il consumo. Sono ricche di proteine di alta qualità e di componenti
bioattivi come la luteina e la zeaxantina. Sono largamente disponibili e la loro
produzione ha un basso impatto ambientale rispetto ad altre fonti di proteine
animali. Sono anche ricche in minerali, folati, vitamine B, vitamine liposolu-
bili ed acidi grassi monoinsaturi (Mono Unsaturated Fatty Acids, MUFA), tut-
te sostanze che possono migliorare la salute e garantire cardioprotezione.
Il tuorlo d’uovo è l’alimento più ricco in lecitina, un fosfolipide; ne contie-
ne il 17% del suo peso secco. Le lecitine sono degli emulsionanti naturali che,
ad esempio, tengono in sospensione i globuli di grasso nel latte e nella panna.
Sono anche utilizzate (0,2-0,4%) nella produzione del cioccolato (emulsio-
nante E322 nella legislazione Europea) e nei prodotti da forno, dove migliora-
no la lievitazione, rendendo il glutine più estensibile, ritardando la retrograda-
zione dell’amido.
Nell’edizione 2015-2020 delle Linee Guida Dietetiche per gli Americani
(Dietary Guidelines for Americans, DGA), una prima raccomandazione di li-
mitare il consumo di uova nella dieta (e conseguentemente quello di colestero-
lo a 300 mg al giorno), è stata in seguito ritirata per mancanza di evidenze
scientifiche adeguate.
Dehghan e collaboratori hanno recentemente pubblicato i risultati dei loro
studi in cui, il consumo di uova, è correlato con il quadro lipidico, l’insorgenza
di CVD e la mortalità (113). Questi autori hanno analizzato i dati tratti dallo
studio Prospective Urban Rural Epidemiology (PURE) condotto su 146011
soggetti di diversi paesi ed appartenenti a diverse fasce sociali.
60
Capitolo 1 I principi delle diete
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Capitolo 1 I principi delle diete
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70
Capitolo 2 Il gusto
Il gusto 2
2.1 Umami
71
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
72
Capitolo 2 Il gusto
I funghi commestibili sono considerati una prelibatezza non solo per il loro
valore nutritivo, ma anche per il loro aroma unico. I funghi sono ampiamente
distribuiti in natura, con approssimativamente 20000 specie, di cui 3000 com-
mestibili. Molte di queste sono coltivate per motivi commerciali, ad esempio
l’Agaricus bisprus, il Pleurotus ostreatus, il Pleurotus geesteranus e Lentinus
edodes. La loro caratteristica più rilevante è il loro gusto di umami (vedi so-
pra). Ad esempio nell’Agaricus bisporus si trovano molti peptidi umami, due
tripeptidi e tre dipeptidi.
Vi sono molti fattori che influenzano il gusto e l’aroma di umami, come le
modalità di coltivazione, lo stato di maturazione della specie, le parti dei fun-
ghi, i metodi di conservazione. Essi sono legati strettamente al metabolismo di
nucleotidi, amino acidi ed acidi grassi.
Gli odori caratteristici dei funghi sono principalmente causati dai com-
posti volatili. Benché siano numerosi, solo circa il 3% contribuisce all’aro-
ma totale. Fra questi i composti C8, tra cui l’1-otten-3-olo; in particolare,
l’enantiomero (-) ha odore di fungo, mentre la forma (+) è più assimilabile
all’erba ammuffita.
Nel Boletus edulis, il composto più attivo, dal punto di vista dell’odore, è
invece l’1-otten-3-one. La loro qualità si deteriora rapidamente dopo la raccolta
e la perdita della fragranza è l’aspetto più significativo di questo deterioramento.
Il gusto di umami è maggiore nelle varietà selvatiche rispetto a quelle col-
tivate. Fra dieci funghi commestibili reperibili in natura (in Croazia), il più alto
contenuto di monosodio glutammato e dei 5’ nucleotidi è presente nel Cantha-
rellus cornucopiodes (3).
73
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
74
Capitolo 2 Il gusto
Se l’effetto che i dolcificanti con poche calorie (LCSs, Low Calorie Swee-
teners) esercitano sul peso corporeo, fosse semplicemente quello di essere
edulcoranti a basso contenuto (o assenza) di valore calorico, allora tutti gli
LCSs dovrebbero avere lo stesso effetto…..ma non è così.
Recenti ricerche mostrano che i loro effetti, a lungo termine, sono variabili
e si può avere sia aumento che diminuzione di peso corporeo (12). In uno stu-
dio su individui obesi, della durata di dodici settimane, Higginns e Mattes han-
75
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
76
Capitolo 2 Il gusto
77
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
78
Capitolo 2 Il gusto
Gli insetti impollinatori usano segnali visivi ed olfattivi per trovare le pian-
te con cui stabiliscono rapporti esclusivi e l’importanza relativa di questi se-
gnali varia fra i sistemi di impollinazione (17).
In alcuni eco-sistemi, che regolano le interazioni fra le piante e alcune
farfalle diurne e sfingidi (lepidotteri) notturne, i più importanti sono i segnali
79
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
visivi. In altri sistemi, come quelli fra piante ed api specializzate e sfingidi
notturne, i segnali più importanti sono quelli olfattivi; ambedue, in combina-
zione, sono necessari per suscitare risposte attrattive e nutrizionali in altre api
specializzate e sfingidi, rispettivamente.
L’impollinazione e l’attrazione degli impollinatori sono importanti in si-
stemi d’impollinazione che coinvolgono piante coltivate, le quali per questa
ragione hanno rilevanza economica. L’impollinazione da parte di insetti è in-
fatti di importanza vitale per gli eco-sistemi terrestri e la produzione agricola
globale. Le statistiche più accreditate indicano che il 75% delle specie da noi
coltivate traggono beneficio dagli insetti impollinatori, il cui “servizio” vale
all’incirca 215 miliardi di dollari in alimenti (18). Questo è vero, ad esempio,
per i meli domestici, Malus domestica (Rosaceae); la maggior parte delle va-
rietà di meli non sono auto-compatibili (o autofertili) e richiedono impollina-
zione incrociata con altre varietà, mediata dal vento (impollinazione anemofi-
la) o da vettori animali, soprattutto api.
Quando si ha bassa densità di impollinatori, la raccolta di frutti non è otti-
male da un punto di vista economico; il ricorso a tracce particolarmente “se-
ducenti” potrebbe aumentare l’attrattiva dei fiori (per esempio spruzzando
miscele di odori attraenti). In contrasto, quando la densità degli impollinatori
è troppo alta, si hanno molti frutti, ma di scarsa qualità e sarebbe necessario
rendere le piante meno attraenti. I meli domestici sono fra le più importanti
piante fruttifere del mondo, con una produzione annuale mondiale di circa 83
mila tonnellate.
Gli alberi hanno fiori organizzati in infiorescenze, tipicamente costituite da
cinque fiori. Ciascuna infiorescenza è caratterizzata da un fiore centrale (detto
fiore re) e fiori laterali. Il fiore re si apre per primo e potenzialmente produce
frutti migliori. Il fiore re e quelli laterali differiscono nella tempistica della ri-
cettività. I fiori re sono fortemente ricettivi durante i primi due giorni che fan-
no seguito all’apertura del fiore, mentre i fiori laterali raggiungono lo stadio
delle ricettività al terzo giorno dopo l’apertura. Queste “performances” dello
stigma costituiscono una strategia per fronteggiare la variabilità ambientale
dell’impollinazione, assicurando un minimo di produzione di frutti per infio-
rescenza.
Le api (Apis mellifera) giocano un ruolo importante nell’impollinazione
dei meli. Il colore dei fiori varia da bianco a rosato ed hanno un odore dolcia-
stro, chiaramente percepibile al nostro odorato.
Le analisi chimiche dei componenti volatili che sono rilasciati dai fiori dei
meli rivelano che l’odore floreale è dominato da composti aromatici, soprattut-
to alcol benzilico. L’approccio chimico-analitico e quello elettrofisiologico,
sono stati usati dai ricercatori (17) per studiare le risposte delle antenne delle
api agli odori emanati dai ramoscelli fioriti.
I biosaggi (o saggi biologici, usati dagli entomologi) hanno mostrato che
le tracce visive e odorose sono ugualmente importanti per l’attrazione delle api
80
Capitolo 2 Il gusto
da parte dei fiori del melo. Gli odori floreali, costituiti in particolare da com-
posti aromatici, principalmente alcol benzilico, sono percepiti dalle antenne
delle api mellifere che rispondono ad un vasto spettro di componenti; tra que-
sti vale la pena di ricordare, oltre al già citato alcol benzilico, linalolo e indolo.
Il fiore re e quelli laterali rilasciano lo stesso segnale olfattivo; perciò i loro
profili floreali non sono responsabili delle diverse velocità di impollinazione
fra questi fiori. Tuttavia, lo spettro di composti cambia durante l’apertura dei
fiori laterali (antesi), ma non dei fiori re. Indipendentemente dal tipo e dall’età
del fiore, l’alcol benzilico è sempre il componente predominante che caratte-
rizza l’odore dei fiori del melo. Questa osservazione si basa su studi condotti
sulle mele Red Delicious. Altre varietà tuttavia rilasciano odori con un profilo
diverso; accanto all’‘alcol benzilico sono presenti benzaldeide, nerale, gera-
niale e linalolo.
Questa variazione nell’odore nelle diverse varietà, potrebbe essere molto
importante per la riuscita dell’impollinazione, poiché la maggior parte delle
coltivazioni dipendono dal polline di altre varietà; perciò gli impollinatori de-
vono trasferire il polline fra diverse varietà. Gli impollinatori, specialmente le
api, possono essere definiti, in un certo qual modo, “abitudinari”; il loro rap-
porto verso i fiori è poco variabile, cioè essi visitano fiori che trasmettono gli
stessi segnali.
2.9 Miele maturo
81
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
82
Capitolo 2 Il gusto
pi, lo schiarimento del miele con resine a scambio ionico, l’etichettatura del
miele con origini geografiche o botaniche fraudolente, il nutrimento artificiale
delle api durante il flusso del nettare (indice della velocità con cui il nettare è
secreto dal fiore) e la raccolta del miele immaturo (non coperto). Questo ulti-
mo tipo di frode è quello prevalente poichè comporta un aumento della resa
della raccolta del miele (aumenta la % di acqua). Dati statistici relativi agli
ultimi 5 anni collocano il miele fra i tre alimenti più adulterati, preceduto
nell’ordine da latte e olio d’oliva.
I metodi analitici possono identificare gli zuccheri adulteranti con una
composizione caratteristica. Il metodo ufficiale 13C/12C –IRMS (spettrome-
tria di massa di rapporto isotopico) può identificare in modo sicuro sciroppi
adulteranti vegetali, come sciroppi di mais e canna da zucchero, ma non pos-
sono identificare sciroppi di piante C3 come riso, grano e sciroppi di barbabie-
tola, a causa del loro rapporto isotopico simile a quello del miele. Recente-
mente sono state utilizzate metodologie basate sulla risonanza magnetica
nucleare e cromatografia liquida ad alta risoluzione (23). I risultati ottenuti
hanno permesso di identificare alcune frequenti adulterazioni (30%) fra diver-
se tipologie di miele commercialmente disponibili, in particolare acacia e ti-
glio (costosi) e colza (economico).
Durante la trasformazione naturale del nettare in miele, le api possono
aggiungere sostanze specifiche. La composizione chimica del miele è com-
plessa, dato che consiste non solo di zuccheri e acqua, ma anche di altri costi-
tuenti, inclusi amino acidi, vitamine, minerali ed acidi polifenolici delle pian-
te. Queste componenti, nel loro complesso, conferiscono al miele un distinto
aroma ed un ampio spettro di attività biologiche.
Il miele maturo ha un minore contenuto di acqua, una minore acidità ed
un maggiore contenuto di fruttosio rispetto al miele immaturo, meno pregia-
to perché ricco di acqua e con minor fragranza floreale. L’analisi cromato-
grafica, utilizzando una metodica di tipo HPLC (High Performance Liquid
Chromatography), combinata con la spettrometria di massa, consente di in-
dividuare la specifica composizione dei metaboliti presenti in un miele ma-
turo (MH) ed immaturo (IMH) In complesso il miele maturo ha una migliore
qualità rispetto a quello immaturo non solo perché è più ricco nella compo-
sizione polifenolica, ma anche perché ha una attività biologica più importan-
te e variegata (24).
2.10 Propoli
Il propoli, anche noto come la “colla delle api”, è una sostanza naturale
usata da secoli, come integratore alimentare, nella medicina tradizionale di
vari paesi, e.g. Cina, Egitto, Australia, Brasile, Africa e India. È prodotto dalle
api (Apis mellifera) attraverso un processo complesso. Le api raccolgono
83
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
frammenti di foglie, fiori, germogli, polline, resine delle piante. Mentre le tra-
sportano all’alveare esse mescolano a tutto questo, le loro secrezioni, come
cera e saliva, dando luogo a una complessa serie di reazioni, che producono il
propoli. Trattandosi di una sostanza resinosa essa è usata nell’alveare come
isolante contro fattori esterni o avverse condizioni climatiche.
Dal punto di vista chimico è una miscela estremamente complessa, di cui
sono stati individuati finora più di 300 componenti. Tra questi vi sono artepil-
lina C, acido clorogenico, derivati dell’acido caffeico, derivati dell’acido chi-
nico, pinocembrina, quercetina, galangina e agliconi flavonoidi. L’esatta com-
posizione dipende dalla zona geografica e dall’”habitat” botanico in cui volano
le api. Per esempio nei climi temperati della Cina centrale e dell’est, le api ri-
cavano il propoli soprattutto dai pioppi, mentre in Brasile preferiscono arbusti
della specie Baccharis.
A causa dell’alto contenuto di composti fenolici ed altri antiossidanti, può
essere usato per prevenire una vasta gamma di malattie cronico-degenerative,
quali patologie respiratorie, tumori, diabete, steatosi (fegato grasso), come an-
tinfiammatorio ed antimicrobico (25).
84
Capitolo 2 Il gusto
85
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
86
Capitolo 2 Il gusto
Questo dimostra che la reciproca dipendenza fra aromi e gusto del sale può
essere utilizzata in matrici complesse per ridurre la quantità di cloruro di so-
dio, mantenendo le caratteristiche organolettiche dell’alimento.
La necessità di ridurre NaCl ha giustificato il ricorso a soluzioni alternati-
ve, mediante l’utilizzo di composti che sono molto simili al prodotto originale
o che sono in grado di mascherarne l’assenza. In tal modo, l’aggiunta di altri
ingredienti rende l’alimento appetibile per il consumatore.
Il sodio ed il litio sono i soli ioni noti, in grado di provocare la sensazione
di salato. Tuttavia quest’ultimo non può essere utilizzato a causa della sua
tossicità. Vi sono prodotti come cloruro e lattato di potassio, miscele di cloruro
di sodio con altri sali, che conferiscono un retrogusto amaro o metallico.
Per favorire diete povere in sodio sono state proposte erbe o spezie come
aglio (allicina), zenzero (gingerolo), peperoncino (capsaicina), pepe nero (pi-
perina, isopiperina, isoclavicina, peperamina), che attivano i recettori vanilloi-
di (Transient Receptor Potential Vanilloid 1, TRPV1), mascherando l’assenza
o la riduzione del cloruro di sodio ma garantendone l’aroma.
L’aglio è usato in tutto il mondo come un ingrediente versatile per gli ali-
menti, in forme diverse, come tale, in polvere ed anche come salsa oleosa. È
ricco in quercetina e composti solforati come l’allicina e la gamma-glutammil-
cisteina, che proteggono contro le malattie cardiovascolari e respiratorie e con-
corrono al controllo dell’ipertensione (29,30). L’aglio rappresenta quindi una
buona alternativa per ridurre o sostituire il sale in alcuni alimenti.
Come sostituti del sale sono state proposte anche spezie come origano e
rosmarino. Queste piante sono ricche in flavonoidi ed acidi fenolici, derivati
dell’acido cinnammico. Vi sono anche miscele di erbe usate per esempio nei
curry (curcuma, coriandolo o cumino fra le altre) che possono essere utilizzate
per ridurre l’uso del sale fino al 50-60%.
Spezie piccanti come il peperoncino, il pepe nero, la senape o il wasabi
(ravanello giapponese) sono spesso presenti in piatti Asiatici o nella cucina
Messicana o Giamaicana e possono alterare la percezione dei gusti-base e far
diminuire il desiderio del sale. Oltre a dare sensazioni sensoriali particolari,
esse contribuiscono a ridurre la pressione sistemica (31).
87
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Il senso del gusto fornisce agli animali importanti informazioni sulla natu-
ra e qualità del cibo. I mammiferi possono riconoscere e rispondere a un diver-
so repertorio di entità chimiche, inclusi zuccheri, sali, acidi e una grande quan-
tità di sostanze tossiche. Molti amino acidi hanno un gusto dolce e delizioso
(umami) per gli uomini e sono attraenti per roditori e altri animali (34). Questo
è importante poiché gli L-amino acidi sono i building blocks delle proteine e
88
Capitolo 2 Il gusto
89
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
te con una salute migliore. I neonati hanno una preferenza innata per gusti
dolci, saporiti, mentre rigettano anche bassi livelli di gusto amaro e acido. In-
fatti, l’apprezzamento di alimenti dal gusto amaro è un comportamento appre-
so e studi hanno mostrato che l’apprendimento gioca un ruolo importante su
ciò che viene identificato come alimento e come l’educazione dei neonati (spe-
cialmente l’accettazione del gusto amaro) potrebbe avere un ruolo nella salute
degli adulti in futuro. È interessante osservare come l’intensità dell’amaro ab-
bia un ruolo speciale nel continuum della medicina alimentare: una amarezza
media è associata a piante usate come alimenti, mentre le piante percepite
come molto amare sono considerate solo come medicinali.
Si ritiene che i recettori del gusto amaro nel tessuto gastrointestinale (GI)
giochino un ruolo o almeno contribuiscano a mantenere un bilancio salutare
tra un micro bioma salutare, dieta e peso. I composti con gusto amaro cono-
sciuti sono più di 1000.
2.15 Kokumi
90
Capitolo 2 Il gusto
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Capitolo 2 Il gusto
93
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Fermentazione 3
3.1 Cenni storici
94
Capitolo 3 Fermentazione
3.2
Fermentazione e microbiota intestinale umano
95
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
3.3 Aceto
Gli aceti sono prodotti nel mondo da diverse fonti di carboidrati, inclusa
canna da zucchero, mele, riso, uva, datteri, prugne, cocco e altri succhi di
frutta L’ aceto non costituisce solo un condimento tradizionale, ma è anche
un salutare alimento funzionale. Viene prodotto a seguito di un processo di
fermentazione a due stadi, grazie ad un lievito (Saccharomyces) che conver-
te i carboidrati in etanolo e batteri (Acetobacteraceae), che lo convertono
successivamente ad acido acetico. I due aceti più tipici e rappresentativi del-
la cucina europea ed asiatica, rispettivamente, sono l’aceto balsamico tradi-
zionale di Modena prodotto a partire dal succo d’uva e quello di Sichuan,
prodotto principalmente da Sichuan Baoning Vinegar Co., nella provincia di
Sichuan.
L’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena (ABTM, insignito della DOP)
è ottenuto da mosti cotti di uve diverse, provenienti da cultivar locali (e.g.
Lambrusco, Trebbiano, Sauvignon, Berzemino, Occhio di Gatta, Spergola). Il
mosto cotto, viene innestato con aceto vecchio (innesto madre) e sottoposto a
fermentazione, acetificazione e invecchiamento (12-25 anni), che avviene se-
condo il metodo “solera”, utilizzando botticelle di legni diversi. L’aceto di
Sichuan è prodotto dalla crusca di grano ed è anche noto come aceto d’erba
perché usa il Qū, uno “starter” erbaceo che è preparato da 60 erbe tradizionali
cinesi (4).
In Cina è considerato il solo aceto medicinale, fra le erbe vi sono la liqui-
rizia e la radice di Eucommia, che favoriscono la crescita di Rhizopus spp, (il
fungo principale) durante il processo di fermentazione, dando un contributo
significativo al profilo aromatico tipico dell’aceto di Sichuan. Contiene il
5-7% di acido acetico ed è prodotto grazie ad una fermentazione allo stato
solido mediante tre passaggi consecutivi che includono saccarificazione, fer-
mentazione alcolica ed acetificazione. Durante questo processo, nella fase del-
la saccarificazione, i microrganismi crescono rapidamente sul substrato solido
anche con scarsa umidità.
Nell’aceto del Sichuan sono stati individuati 77 composti volatili, i più si-
gnificativi dei quali sono il 2-idrossi-3-butanone, il butirro lattone, la fu-
96
Capitolo 3 Fermentazione
3.4 Fermentazione e cioccolato
97
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
98
Capitolo 3 Fermentazione
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
3.6 Salsa di soia
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Capitolo 3 Fermentazione
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
102
Capitolo 3 Fermentazione
L’Italia è uno dei paesi più importanti al mondo per quanto riguarda la vi-
ticultura e l’enologia, con 705000 ettari di vigne (quarto posto), produzione di
8,6 milioni di tonnellate d’uva (secondo posto), produzione di 54,8 milioni di
ettolitri di vino (primo posto) e consumo di 22,4 milioni di ettolitri (12).
L’Italia è anche uno dei paesi più ricchi in termini di numero di cultivar,
poiché secondo il Catalogo Nazionale Italiano di varietà di uva, più di 500 culti-
var costituiscono la Piattaforma Ampelografica Italiana (ampelos. vite in greco).
Il vino ha una diretta e stretta relazione con la cultura italiana, poiché, al-
meno dal secondo secolo a.C., ogni regione produce il proprio vino usando
cultivar locali, in relazione alle caratteristiche del territorio ed alle proprie tra-
dizioni culinarie.
La produzione di ciascuna regione si è evoluta, con proprie caratteristiche,
nei secoli, fino a portare alla moderna cultura multi-enologica, caratterizzata
dalla presenza di 525 vini di Origine Protetta DOP (espressione comunità eco-
nomica europea), che comprende le denominazioni tradizionali italiane come
Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG; n-74), Denomina-
zione di Origine Controllata (DOC; n-333) o Indicazione Geografica Tipica
(IGT; n-118) (13).
Il Sangiovese è il principale cultivar italiano, con una estensione di 54000
ettari (inclusa Toscane e Romagna) ed è usato per produrre famosi vini Italiani
come il Brunello di Montalcino ed il Chianti classico. Il Nebbiolo è coltivato
principalmente in Piemonte (ed in Valtellina, Chiavennasca), copre una esten-
sione di quasi 7000 ettari per la produzione di vini celeberrimi come, come
Barolo e Barbaresco. Le uve di Corvina (6695 ettari) sono usate per la produ-
zione di Amarone e Valpolicella in Veneto.
Nell’Italia centrale e meridionale il Montepulciano (27000 ettari) rappre-
senta il cultivar più diffuso in Abruzzo; il Primitivo (16000 ettari) in Puglia,
l’Aglianico (9900 ettari) in Campania, il Cannonau (6200 ettari) in Sardegna,
il Nero d’Avola (12000 ettari) in Sicilia.
Teroldego (627 ettari), Raboso (circa 500 ettari), Sagrantino (930 ettari)
sono cultivar minori in termini di volumi di produzione (ma non certo di qua-
lità !) e sono coltivati principalmente in aree particolarmente vocate del Tren-
tino, Veneto, Umbria. Nel 2015 i cultivar menzionati rendevano conto di 445
delle aree coltivate a vino rosso DOP in Italia.
Lo studio analitico di Arapitsas e coll., basato sul metaboloma di 11 culti-
var individuali, ha fornito interessanti indicazioni sui presunti biomarkers (e.g.
antocianine, flavanoli, amino acidi etc) presenti nei vini di origine (putati-
ve Biomarkers of Origin Wines, pBOWs). I pBOWs caratterizzano un vino sia
dal punto di vista del cultivar che da quello del “terroir”.
Primitivo, Teroldego e Nebbiolo hanno avuto i pBOWs più alti. Il Primiti-
vo è risultato il cultivar con il metaboloma più significativo, essendo caratte-
rizzato dal più alto contenuto di molti amino acidi (tirosina, fenilalanina, argi-
nina, valina, leucina, isoleucina) ed il più basso contenuto di prolina.
103
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
3.10 I tappi
L’utilizzo dei tappi di sughero per chiudere le bottiglie dei vini, in partico-
lare i grandi vini destinati all’invecchiamento, è considerato sinonimo di raffi-
natezza; i consumatori, quasi all’unanimità, collegano l’utilizzo di un materia-
le vivo come il sughero al concetto di “vino di qualità”, anche se le basi
chimico-biologiche non sono ancora comprese del tutto. Il passaggio di ossi-
geno attraverso il tappo, anche se è un importante parametro che influenza le
proprietà organolettiche del vino imbottigliato, da solo non può spiegare l’evo-
luzione dei vini, in considerazione della limitata quantità trasferita. Alcuni
componenti del tappo, come polifenoli a basso peso molecolare (LMW) e tan-
nini idrolizzabili, possono “migrare” nel vino dopo l’imbottigliamento e con-
ferire proprietà sensoriali, come odore, aroma e astringenza. Polifenoli a basso
peso molecolare e aldeidi, che passano dal sughero al vino, sono: acido ellagi-
co, acido gallico, acido protocatecuico, vanillina ed acido caffeico. I tannini
sono legati all’astringenza ed al gusto amaro dei vini; è noto che essa è dovuta
alla capacità dei tannini di legarsi alle proteine della saliva, formando com-
plessi tannino-proteine che tendono a formare aggregati e/o precipitati. La for-
mazione di questi complessi dipende da molti fattori, quali il tipo di tannini, la
104
Capitolo 3 Fermentazione
105
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
106
Capitolo 3 Fermentazione
107
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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Capitolo 3 Fermentazione
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
3.14 Birra e salute
110
Capitolo 3 Fermentazione
2,4% dell’assunzione giornaliera (in una dieta di 2000 kcal),. Inoltre la birra è
ricca di minerali come calcio, ferro, magnesio, fosforo, potassio, sodio, zinco,
manganese, rame, selenio e silicio. Il contenuto alcolico è raramente superiore
al 10% (v/v) e la maggior parte delle birre variano fra 3-6 % (v/v). Il consumo
della birra è stato associato ad una aumentata circonferenza addominale (gi-
ro-vita), soprattutto negli uomini, un fenomeno comunemente chiamato “pan-
cia della birra”; è curioso che nelle donne, che bevono birra, la circonferenza
addominale sia minore di quella delle donne che non ne bevono (28). Notoria-
mente, la birra aumenta l’assunzione del cibo perché fa aumentare l’appetito.
In essa sono stati identificati molte centinaia di composti, tra cui più di
cinquanta composti polifenolici, che derivano per il 75-85% dal malto e per il
15%-25% dal luppolo. Tra questi vanno ricordati kaemferolo, quercetina, tiro-
solo e acidi fenolici. Sono anche presenti flavononi ed acidi amari (sostanze
amaricanti) come umoloni e lupuloni (29).
Studi epidemiologici e clinici hanno analizzato in dettaglio il potenziale
nutrizionale della birra, poiché componenti salutari di questa bevanda alcolica
potrebbero avere effetti positivi sull’apparato cardiovascolare (ed in certe for-
me di neoplasia) riducendone l’impatto socioeconomico globale. Per esempio,
a livelli moderati, la birra può proteggere contro la trombosi venosa, grazie
alla presenza di componenti quali amino acidi, vitamine, carboidrati, acidi
amari e vari flavonoidi (29).
Uno dei più importanti componenti usati nella produzione della birra è il
luppolo (Humulus lupulus), che serve come fonte primaria dietetica di acidi
amari e xantumolo.
Dal punto di vista botanico, Humulus lupulus è una pianta rampicante pe-
renne che genera fiori maschio e femmina. Le piante femminili sono caratte-
rizzate dalla presenza di infiorescenze lunghe 2,5-5 cm contenenti ghiandole
che secernono la lupulina e producono composti interessanti per l’industria
della birra e prodotti per la salute.
Evidenze storiche ed archeologiche suggeriscono che H. lupulus fosse
usato nel passato ed almeno fino all’ottavo secolo a.D., per fini medici, piutto-
sto che per la produzione della birra. La sua infiorescenza a forma di cono
venne aggiunta, nel Medio Evo, durante la fermentazione della birra, come
agente aromatizzante ed antisettico naturale.
Nella moderna fitoterapia, il luppolo e le sue infiorescenze trovano un uso
medico, in particolare per le proprietà antisettiche, afrodisiache, antidiureti-
che, antinfiammatorie e ipnotiche. Per esempio, H. lupulus, sottoposto ad un
particolare processo estrattivo usando CO2 supercritica, possiede proprietà
antiaggreganti, non solo riducendo l’aggregazione piastrinica, ma migliorando
l’attività antiaggregante delle cellule endoteliali che rivestono l’intima vasco-
lare. Questo suggerisce che esso possa prevenire patologie trombo-vascolari.
L’aroma ed il gusto amaro della birra sono dovuti agli iso-alfa- acidi ed
agli altri acidi presenti nel luppolo. Questi hanno un effetto positivo su diversi
111
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
112
Capitolo 3 Fermentazione
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
3.17 Cognac
114
Capitolo 3 Fermentazione
L’altopiano tibetano Quinghai è noto come il “tetto del mondo” con una
altezza media di 4000 metri. Le dure condizioni climatiche a questa altitudine
sono una sfida per tutti gli organismi viventi, piante o animali. Va comunque
sottolineato che, nonostante condizioni climatiche avverse, e.g. intense radia-
zioni UV, siccità stagionale, carenza di ossigeno e coltivazioni con rese partico-
larmente basse, viene favorito l’accumulo di nutrienti e metaboliti secondari.
Il Qingke, un orzo privo di baccello, è la sola pianta che può essere colti-
vata nel plateau himalayano e rappresenta il 98% di tutto l’orzo tibetano. I ti-
betani lo considerano un “dono di Dio” ed esso gioca un ruolo molto impor-
tante nella medicina Tibetana, nella sua cultura e nelle attività religiose. Il
Qingke ha una rinomanza mondiale per la ricchezza dei suoi nutrienti, quali
proteine, beta-glucani, flavonoidi, amino acidi, varie vitamine, elementi in
tracce (Zn e Se), e fibre alimentari (40). È un liquore che deriva dalla fermen-
tazione dell’orzo, con un contenuto di alcol fra il 42% ed il 55%, v/v.
I tibetani lo bevono in occasioni speciali, come matrimoni, festival, attività
religiose o per onorare ospiti importanti. Questo liquore è unico e differisce
dall’altro liquore cinese, chiamato Baijiu, che è invece distillato da sorgo fer-
mentato o da una miscela di sorgo, frumento, mais e riso.
Il Qingke è ottenuto da tre materie prime grezze molto speciali, l’orzo, lo
starter della fermentazione basato su una miscela di piselli e orzo, l’acqua di
origine glaciale delle montagne dell’Himalaya (con altezze maggiori di 3000
metri). La fermentazione avviene allo stato solido (e.g. microorganismi cre-
sciuti su un substrato solido) e la distillazione è ripetuta quattro volte. Per la
prima fermentazione i chicchi d’orzo vengono macinati, miscelati con acqua e
riscaldati a vapore per 50 minuti. Il liquore distillato è fatto invecchiare da 3 a
50 anni in recipienti di ceramica chiamati Jiu-Hai e infine imbottigliato. I com-
posti attivi, che caratterizzano la gamma di odori, sono più di 70, soprattutto
esteri, acetali e acidi grassi a corta catena. L’aroma predominante è il 3-meti-
butanale.
3.19 Baijiu
Il baijiu è un liquore Cinese, uno dei liquori distillato più vecchi de mondo
e quello più bevuto (più di 7,4 miliardi di litri nel 2020, per un valore di circa
90,57 miliardi di dollari (41). Esso costituisce circa il 70% dell’industria
dell’alcol Cinese e può essere facilmente differenziato da altri liquori, per il
suo aroma caratteristico.
Il Baijiu può essere classificato in 12 tipi; in esso sono stati trovati più di
1870 composti volatili, inclusi calcoli, esteri, acidi, chetoni, aldeidi, composti
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Latte e Latticini 4
4.1 Latte dei mammiferi (ruminanti) per neonati in
bottiglie preistoriche
Nel giugno del 2017 la Corte Europea di Giustizia ha stabilito che il termi-
ne latte deve riferirsi esclusivamente alla normale secrezione mammaria, otte-
nuta da una o più mungiture, senza alcuna aggiunta o estrazione. Pertanto, per
prodotti del latte, si devono intendere prodotti derivati esclusivamente dal lat-
te, come siero, panna, burro, formaggi, yogurt.
Prodotti di origine vegetale non devono contenere il termine latte, formag-
gio o yogurt. Alcune eccezioni sono permesse, come ad esempio latte di coc-
co, poiché questi liquidi sono così definiti da lungo tempo (2).
Il latte è spesso considerato come alimento perfetto. Prodotto dalle ghian-
dole mammarie di tutti i mammiferi, femmine, postpartum. È ricco in nutrien-
ti essenziali quali carboidrati, proteine, grassi, minerali e vitamine, che
sono adeguati ed equilibrati per soddisfare le specifiche necessità di sviluppo
dei neonati (3). Contiene, infatti, circa 40-50 nutrienti indispensabili per il so-
stentamento e la crescita.
120
Capitolo 4 Latte e Latticini
121
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
122
Capitolo 4 Latte e Latticini
Infatti, gli Stati Uniti sono il mercato mondiale di riferimento con un fatturato
nel 2017 pari a 1,17 miliardi di dollari.
Il latte “BIO” si propone come prodotto con una migliore qualità nutrizio-
nale rispetto al latte convenzionale e come tale è percepito dal consumatore.
La produzione del latte biologico è basata, sostanzialmente, su bestiame
che pascola nei prati, nutrendosi il più possibile di foraggio fresco; sono proi-
biti cereali o foraggi basati su cereali e questo determina la presenza di mag-
giori concentrazioni di acidi grassi di qualità, come quelli n-3.
Un altro mercato di nicchia è costituito dal latte fortificato con acidi grassi
n-3, prodotto mediante integrazione con olio di pesce o olio di alga per aumen-
tare il contenuto di acidi grassi a lunga catena n-3 (7).
Oltre al latte, anche l’industria dei latticini rappresenta un settore alimen-
tare significativo e trainante per la filiera agricola; nei soli Stati Uniti essa ha
generato nel 2020 un ricavo di 40 miliardi di dollari, che corrisponde al 9% del
totale delle vendite di prodotti agricoli (8).
I latticini si differenziano per tipi e contengono vari nutrienti che possono
essere benefici o dannosi per la salute. Le attuali evidenze epidemiologiche, ri-
cavate da diversi studi di meta-analisi (9), ci permettono di concludere che il
loro consumo ha un impatto trascurabile o moderatamente favorevole sulle
malattie cardiometaboliche.
Per esempio, i risultati di metanalisi di studi di coorte (9,10) indicano che
un più elevato consumo di yogurt, rispetto ad uno più contenuto, è inversamen-
te associato allo sviluppo di diabete di tipo 2.
Analogamente, un maggior consumo di latte e formaggio magro è inversa-
mente associato con il rischio di infarto (10,11).
Lo studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nu-
trition) è senza dubbio uno dei più ambiziosi studi prospettici di grandi dimen-
sioni; condotto sulla popolazione adulta (35-70 anni) europea, ha lo scopo di
verificare l’esistenza di una eventuale correlazione tra tumori ed alimentazio-
ne. Il “braccio” Norfolk di questo studio (condotto nel Regno Unito) ha mo-
strato che un maggiore consumo di latticini fermentati (includendo yogurt
naturale intero o con pochi grassi e formaggi magri) è associato con un minore
aumento del peso corporeo e dell’indice di massa corporea (Body Mass Index,
BMI) (12). Il fatto che un maggior consumo di yogurt e latticini poveri in
grassi sia associato, nel tempo, ad un minor accumulo di grasso corporeo (un
parametro determinante per sviluppare un diabete di tipo 2), è in linea con le
evidenze scientifiche a favore di una associazione inversa tra yogurt e latticini
magri ed il rischio di diabete di tipo 2.
In contrasto, un maggior consumo di latte intero e formaggi grassi è asso-
ciato con un aumento del peso corporeo e di BMI.
Inoltre, il consumo preferenziale di latticini con pochi grassi e latte magro
è associato ad una più bassa colesterolemia (e livelli di LDL); in controten-
denza, il consumo di latticini grassi (soprattutto burro e formaggi grassi) è
123
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
associato con un peggioramento del quadro lipidico, sia pure in misura con-
tenuta (12).
Il latte di asina è più ricco, rispetto al latte di altri animali, in certi nu-
trienti, come le proteine del siero, acidi grassi essenziali, calcio, selenio e vi-
tamine; tuttavia il contenuto in grassi è minore. Può quindi servire come un
sostituto per anziani e più in generale, consumatori di alimenti con pochi
grassi. Inoltre, il contenuto di lattosio e proteine, così come il rapporto fra
proteine del siero e caseina, sono più simili a quelli del latte umano rispetto
al latte di altri animali.
A parte questo, il latte di asina ha meno caseina del latte vaccino ed è un
importante sostituto per chi è allergico a questo latte e per bambini che soffro-
no di intolleranze alimentari multiple.
Alcuni studi hanno mostrato che esso ha effetti antibatterici e antiossidan-
ti e regola la funzione immunitaria. Questo suggerisce che il latte di asina
possa essere usato come potenziale cibo funzionale per ritardare la progressio-
ne di alcune malattie (14).
124
Capitolo 4 Latte e Latticini
nati che negli adulti. È indicato per trattare disordini metabolici, in presenza di
bassa densità ossea ed anemia.
Questi benefici per la salute sono strettamente correlati ai suoi componen-
ti strutturali, e.g. il quadro lipidico. I componenti principali dei suoi grassi
(circa il 97%), i triacilgliceroli, sono il cuore dei globuli del latte. Inoltre il
latte di capra è preferibile al latte di mucca per la sua maggiore concentrazione
di acidi grassi con catena corta e media.
4.7 Kefir
125
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
4.8 Yogurt
4.9 Formaggi
126
Capitolo 4 Latte e Latticini
127
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
La soia ed i suoi prodotti sono molto popolari fra i vegetariani per il loro
alto contenuto di proteine (840 mg/100g) secondo lo USDA (Dipartimento
dell’Agricoltura degli USA). Il latte di soia ha un contenuto proteico che è
paragonabile al latte vaccino.
Sono presenti livelli elevati di acidi grassi monoinsaturi e polinsaturi, che
possono contribuire a ridurre il rischio cardiovascolare.
Il latte di soia è una bevanda economica, rinfrescante e ricca di diversi
componenti attive dal punto di vista nutrizionale, come ad esempio gli isofla-
voni, riconosciuti per l’effetto protettivo contro le malattie cardiovascolari
(e.g. riduzione dei livelli di colesterolo) e gli effetti collaterali della menopau-
sa (e.g. l’osteoporosi). In aggiunta contiene una buona dose di fibre, minerali
(soprattutto ferro, calcio e zinco), vitamine B.
La fermentazione contribuisce a ridurre le componenti anti-nutrizionali
(inibitori di proteinasi, acido fitico, acido ossalico) e aumenta la biodisponibi-
lità dei componenti bioattivi, poiché i microrganismi sono responsabili della
lisi delle sostanze organiche complesse per dare molecole più semplici, au-
mentando la quota di isoflavoni e peptidi liberi. Circa il 14% dei consumatori
di latte vaccino sono allergici anche al latte di soia (22).
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128
Capitolo 4 Latte e Latticini
129
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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130
Capitolo 5 Bevande
Bevande 5
5.1 Tè, la civiltà cinese in tavola
5.2 Tè Pu-Erh
È un tè verde cinese, unico nel suo genere, che deriva dal màochà o tè
grezzo, una varietà di Camellia sinensis Linn, var. Assamica, a foglia larga,
diffusa nelle montagne dello Yunnan del sud. La fermentazione allo stato soli-
do, che viene attivata dalla presenza di colture batteriche e fungine, converte i
polifenoli delle foglie nei loro prodotti d’ossidazione, che costituiscono le
principali sostanze funzionali.
131
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
132
Capitolo 5 Bevande
133
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
La pratica della torrefazione del caffè data da più di 2000 anni. Tuttavia,
l’esatta comprensione dei complessi meccanismi che sono alla base della for-
mazione dell’aroma è recente. Lo studio della cinetica del processo di torrefa-
zione ha consentito importanti approfondimenti. Sappiamo infatti che vi è una
legge cinetica complessa che descrive le modalità di formazione dell’aroma
durante il processo di torrefazione.
Nella fase preliminare sono prodotti molti derivati volatili, provenienti dalla
degradazione di carboidrati ed amino acidi liberi. Questi raggiungono un picco
massimo e poi diminuiscono. Tale cinetica è caratteristica degli alfa-dichetoni e
del 4-idrossi-2,5-dimetil-3(2H)-furanone. Le aldeidi di Strecker e le alchilpira-
134
Capitolo 5 Bevande
Il caffè è una delle fonti maggiori di caffeina, uno degli stimolanti mag-
giormente usati nel mondo. Si calcola che 3 miliardi di tazze vengano bevute
ogni giorno. I benefici ed i rischi connessi al consumo del caffè sono stati og-
getto di studi e dibattiti, con risultati diversi. Benché l’assunzione di caffeina,
il componente bioattivo più importante del caffè porti, in casi sporadici, ad un
aumento della pressione sistemica, i dati che emergono dagli studi sistematici
riguardanti i consumi abituali di caffè, non sembrano indicare alcun aumento
del rischio cardiovascolare (CVD).
Un recente studio di meta-analisi, che riassume le conclusioni di 36 studi,
su un totale di 1279804 partecipanti e 36352 casi di CVD, suggerisce l’esi-
135
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
stenza di una associazione non lineare tra consumo abituale di caffè e rischio
CVD (8). Le conclusioni indicano che il consumo di 3-5 tazze/die ha un im-
patto positivo sulla salute mentre un consumo più elevato non è associato ad
un maggior rischio.
Il possibile effetto cardioprotettivo potrebbe essere attribuibile ai molteplici
componenti del caffè che hanno una azione antiossidante ed antinfiammatoria,
quali i composti fenolici, i diterpeni, la trigonellina e le melanoidine. È probabi-
le che ciò sia dovuto a modificazioni epigenetiche, cioè modificazioni ereditabi-
li che non alterano la sequenza del DNA ma l’espressione dei geni (9).
Sono stati usati diversi biomarkers (e.g. proteina C reattiva, estradiolo,
testosterone) per studiare i meccanismi responsabili degli effetti protettivi
del caffè. I risultati indicano che il consumo del caffè è in grado di esercitare
una azione di controllo su molti biomarkers che regolano vie (pathways)
metaboliche ed infiammatorie, tra cui alcune specifiche per le malattie car-
diovascolari.
Molti degli effetti osservati sono analoghi sia per caffè normale (con caf-
feina) che decaffeinato, suggerendo che gli effetti non siano riconducibili alla
caffeina (10).
Come già accennato, il caffè ed il tè sono tra le bevande più consumate al
mondo e la maggior fonte di caffeina nella dieta. Cornelis et al., hanno recen-
temente esaminato l’effetto di caffè e tè con caffeina sulla funzione cognitiva,
e.g. memoria, concentrazione, tempi di reazione (11). Questi autori hanno ana-
lizzato nello studio più di 500000 partecipanti, di età compresa fra 37-73 anni,
della UK Biobank e hanno messo in luce che il consumo abituale, regolare, di
queste bevande e della caffeina è irrilevante nel migliorare la funzione cogni-
tiva ma potrebbe causare un calo nella “performance”, intesa come capacità
complessiva di espletare prestazioni ed ottenere risultati nei test. I dati, non
sono di facile interpretazione e la conclusione più significativa dello studio
documenta l’esistenza di una associazione inversa tra consumo del tè (nero o
verde) e la “performance” complessiva su tutti i test cognitivi.
136
Capitolo 5 Bevande
Il caffè di cicoria è una bevanda con un gusto amaro e con note di spezie,
pepe e caramello. Non contiene caffeina e questo significa che è naturalmente
decaffeinato.
La data del suo utilizzo come surrogato del caffè non è sicura; di certo
esso divenne popolare nel periodo Napoleonico (circa 1808) a causa della
mancanza di caffè. Negli Stati Uniti la pratica di consumare caffè di cicoria
ebbe origine in Luisiana quando un blocco navale impedì gli approvvigiona-
menti al porto di New Orleans con conseguente carenza di materia prima.
Attraverso l’analisi di isotopi stabili (Stable Isotope Dilution Analysis)
sono stati individuati 46 composti; tra di essi il rotundone conferisce un aroma
speziato dal caratteristico impatto sensoriale. Sono anche presenti, fra gli altri,
sotolone, diidromaltolo, maltolo e pirazine. Il rotundone ha un caratteristico
aroma aromatico con note di legno, pepe dolce e caramello (12).
137
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
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139
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Frutta 6
6.1 Classificazione e caratteristiche dei frutti
140
Capitolo 6 Frutta
La superfice delle terre emerse, comprese fra i tropici, occupa circa il 36%
della superfice terrestre globale, vi abita un terzo della popolazione mondiale
ed il clima tropicale è tipico delle aree più calde (hotspots) della terra, influen-
zando la biodiversità delle piante (2,3).
Gli alimenti che crescono nelle aree tropicali, come riso, frutta e alghe
marine sono componenti importanti delle diete tradizionali e rappresentano
141
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
una quota molto importante dei mercati mondiali (4). I più noti alimenti tropi-
cali sono i frutti, come ad es. il mango, l’ananas, la papaia, la banana rossa e
l'avocado.
6.3 Banana
142
Capitolo 6 Frutta
6.4 Avocado
6.5 Mango
6.6 Papaia
La Papaia (Carica papaya L.) è un altro frutto tropicale, il cui utilizzo sem-
bra essere interessante nella prevenzione e trattamento dell’obesità e dei disor-
dini metabolici ad essa associati. La sua polpa contiene infatti le vitamine A,
C, E, B, acido pantotenico, folati e minerali come magnesio e potassio, così
come fibre alimentari.
6.7 Kiwi
143
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
6.8 Melagrana
144
Capitolo 6 Frutta
6.10 Mandorle
Vi sono più di 30 varietà di mandorle coltivate nel mondo; negli Stati Uni-
ti i mandorli crescono principalmente in California, la cui produzione è pari a
circa l’80% della produzione mondiale.
Sono considerate un alimento ricco di nutrienti (Nutrient-dense food), es-
sendo ricco in proteine, acidi grassi insaturi, fibre della dieta e micronutrienti.
Avendo un basso carico glicemico, il loro consumo può ridurre i rischi di ma-
lattie cardiometaboliche, abbassa la colesterolemia LDL, la glicemia ed alcuni
markers infiammatori. Il loro consumo abituale dovrebbe essere incoraggiato
come parte di una dieta salutare.
Nell’industria esse vengono classificate in base a criteri quali l’aspetto del
guscio, del frutto e l’aroma. I fenotipi di quest’ultimo sono diversi: dolce,
leggermente amaro, amaro. L’intensità del gusto amaro è legato alla presenza
di un composto naturale, l’amigdalina (vitamina B17). Le mandorle amare ne
145
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
146
Capitolo 6 Frutta
6.12 Uva
L’uva (Vitis vinifera L.) è una componente essenziale della dieta Mediter-
ranea e la fonte di una molteplicità di elementi bioattivi con proprietà antiossi-
danti, come resveratrolo, flavonoidi e quercetina (15).
Molti studi epidemiologici hanno messo in luce che il regolare consumo
dell’uva (uva da tavola) o di prodotti, come succo e vino, è associato ad una
minore incidenza di malattie cardiovascolari.
Dai primi anni novanta è emerso che un uso moderato di vino rosso,
con alti livelli di fitochimici ed antiossidanti, riduce il rischio di malattie
coronariche, anche in paesi (e.g. Francia) le cui tradizioni alimentari sono
ricche in grassi saturi. A questo proposito è stato coniato il termine di “pa-
radosso francese”. Tuttavia, la scarsa biodisponibilità di resveratrolo, il po-
lifenolo più rappresentativo e le sue basse concentrazioni nei prodotti
dell’uva suggeriscono che altri prodotti sconosciuti siano alla base della
cardioprotezione.
Il succo d’uva, una bevanda non alcolica, ha effetti cardioprotettivi, nono-
stante esso contenga meno resveratrolo del vino rosso. Perciò è plausibile che,
anche in questo caso, altri composti siano responsabili dei benefici cardiaci.
Gli autori sopra indicati hanno valutato l’impatto dell’assunzione di succo di
uva rossa (da cultivar Sangiovese Toscano, una delle varietà d’uva più coltiva-
te in Italia) in un modello sperimentale (topo) di infarto del miocardio confer-
mandone la cardioprotezione. Questi risultati aprono nuove prospettive allo
sviluppo di alimenti funzionali che possano assicurare una cardioprotezione
farmacologica.
6.13 Agrumi
147
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Si ritiene che questo “viaggio” abbia avuto inizio intorno al 500 a.C. e le
arance amare avevano raggiunto il medio Oriente e l’Europa già all’epoca del-
le crociate. Quelle dolci furono portate dai mercanti Portoghesi attorno al 1500
e introdotte nelle Americhe dagli esploratori Spagnoli. Brasile e Stati Uniti
sono i maggiori produttori mondiali.
Si pensa che tutti i frutti del cedro, addomesticati, derivino da tre soli pro-
genitori: il cedro (Citrus medica), il mandarino (Citrus reticolata) ed il pomelo
(Citrus grandis).
Da questi capostipiti discendono l’arancia amara (Citrus aurantium), quel-
la dolce (Citrus sinensis, probabilmente da pomelo e mandarino), pompelmo
(Citrus paradisi, da pomelo e arancia dolce), lime aspra (Citrus aurantifolia),
limone (Citrus limonum), chinotto (Citrus myrtifolia). Il mandarancio o cle-
mentina è secondo alcuni un ibrido dell’arancio e del mandarino, secondo altri
un incrocio fra il mandarino ed il chinotto. Il mapo è a sua volta un incrocio
ibrido di mandarino e pompelmo.
Le piante del genere Citrus rappresentano la famiglia più importante al mon-
do fra gli alberi da frutto. Circa i tre quarti di tutti i frutti sono arance; la varietà
più diffusa è la Navel, una varietà Brasiliana arrivata negli Stati Uniti nel 1870.
A sua volta la produzione annua di mandarini è dell’ordine di 24 milioni di ton-
nellate. Essi si suddividono in vari sottogruppi, che includono il mandarino co-
mune (Citrus reticolata Blanco) e la clementina (Citrus clementina).
I frutti Citrus devono il loro colore giallo-arancio ad una complessa misce-
la di carotenoidi; durante la maturazione, la clorofilla scompare dalla pelle e le
colorazioni diventano più evidenti. Il rosso porpora delle arance rosse deriva
dalle antocianine, mentre i pompelmi rosa sono colorati dal licopene. L’aroma
è prodotto da esteri fruttati, aldeidi, chetoni, acidi ed una miscela di terpeni
come il limonene, (presente nell’arancia in misura del 90%, nel limone 54%–
80%, nel bergamotto 25%–32%) ed il beta–mircene. Questi oli essenziali sono
largamente usati nelle industrie alimentari e farmaceutiche per la loro attività
antifungina (16).
Il gusto degli agrumi è legato all’acido citrico, agli zuccheri ed a composti
fenolici che sono concentrati nell’albedo. Sono presenti quantità significative
di glutammati. Nell’arancia, vitamina C e vitamina A arrivano fino a 75 mg per
100 g di frutto.
La principale classe di polifenoli è costituita da flavonoidi, i più abbondan-
ti antiossidanti naturali presenti nella nostra dieta. Quelli dei Citrus apparten-
gono a tre sottogruppi principali: flavanoni (soprattutto di e tri–O glicosidi e
C–glicosidi), flavone (forma glicosidica) e polimetossiflavoni.
Gli O–glicosidi in arance, mandarini e limoni sono presenti soprattutto
sotto forma di rutinosidi (fra cui esperidina, naritunina, eriocitrina). I limoni si
differenziano dagli altri agrumi perché sono i soli a contenere flavonoli (17).
Tra i flavonoidi, quelli del Citrus esercitano una moderata attività “scaven-
ger” nei confronti di specie radicaliche dell’ossigeno. Le loro attività biologi-
148
Capitolo 6 Frutta
6.14 Fragole
149
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
150
Capitolo 6 Frutta
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151
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
152
Capitolo 7 Verdure e spezie
Verdure e spezie 7
7.1 Diete vegetariane
Le diete vegetariane sono state adottate fin dal diciottesimo secolo a.C. in
cerca di salute fisica e spirituale. Non a caso l’etimologia del termine dieta
deriva dal greco daita = regola di vita; già Pitagora riteneva che essa dovesse
far parte di uno stile di vita ascetico.
Si basano su un’ampia varietà di alimenti che include praticamente ogni
parte delle piante, quali frutti, semi, foglie, radici e tuberi. Studi recenti hanno
messo in luce che i Nativi Americani (popolazioni che abitavano il continente
americano prima della colonizzazione europea) utilizzavano più di 130 specie.
I componenti principali dei vegetali a foglia e di radici e tuberi sono riassunti
in Tabella.
Come abbiamo già visto nella parte generale, numerosi studi epidemiolo-
gici degli ultimi vent’anni hanno dimostrato che vi è una stretta associazione
fra una dieta ricca di vegetali e frutta (e relativamente povera di carne) ed un
buono stato di salute.
I vegetali e la frutta, onnipresenti in una dieta standard nei paesi occidentali,
comprendono più di quaranta diverse famiglie botaniche, in cui sono stati
identificati numerosi nutrienti come vitamine, minerali, fibre. Particolarmente
interessanti sono i composti definibili come fitochimici o fitonutrienti, che
sono composti specifici e biologicamente attivi. Ne sono stati individuati più
di 5000 ma è molto probabile che un gran numero resti ancora sconosciuto. A
questo proposito, è opportuno porsi la seguente domanda: i fitochimici purifi-
153
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
cati hanno lo stesso effetto salutare rispetto a quelli che ritroviamo presenti nel
cibo completo? La risposta è negativa!. Un composto isolato ed in forma chi-
micamente pura non è più bioattivo o lo è molto meno.
Questo è stato verificato, ad esempio, per il beta-carotene presente in molti
vegetali; esso è molto attivo nel prevenire il cancro del polmone, se assunto con
i vegetali interi, mentre può essere addirittura controproducente allo stato puro.
Gli alimenti colorati (dal giallo zafferano, al blu viola della melanzana)
hanno proprietà antiossidanti, hanno cioè la capacità di difendere il nostro or-
ganismo dai danni causati dai radicali liberi dell’ossigeno; questi ultimi sono
una specie molto instabile dal punto di vista chimico che, a causa di un elettrone
spaiato, reagisce immediatamente con tutto ciò che si trova nel microambiente
circostante.
L’importanza dei radicali liberi può essere facilmente compresa se si
considera che essi attaccano molto facilmente le macromolecole organiche
(carboidrati, lipidi, proteine, acidi nucleici), i “mattoni” di molti sistemi biolo-
gici, dando luogo allo stress ossidativo.
Ogni colore è indicativo della presenza di uno o più fitochimici dotati di
meccanismi antiossidanti ed azioni protettive diverse. Uno dei consigli più
semplici e di facile attuazione quando si vuole arricchire la propria dieta con
frutta e vegetali, è quello di combinare alimenti di colore diverso.
L’azione dei fitochimici è coadiuvata da quella di oligoelementi e di vita-
mine. Queste possono derivare dai cibi vegetali, ad eccezione della vitamina
B12, presente solo nei cibi di origine animale e delle vitamine A e D presenti
nei vegetali solo sotto forma di pro–vitamine. Le vitamine o pro–vitamine con
attività anti-ossidante sono le vitamine C, E ed i betacaroteni.
Per quanto riguarda gli oligoelementi, frutta e verdura sono ricche di
metalli come il manganese, mentre la patata, se coltivata in condizioni oppor-
tune, può diventare fonte di selenio.
Le pectine contenute in grandi quantità nella frutta e le fibre in generale,
favoriscono un’azione ipocolesterolemizzante. L’alto contenuto di fibre e di
minerali, quali potassio e magnesio, contribuisce a controllare i valori pressori
in soggetti ipertesi.
Le liliacee (aglio, scalogno, cipolla) e le crucifere (cavolini di Bruxelles,
broccoli, cavoli e crescione) sono ricche di isotiocianati, importanti attivatori
di enzimi impegnati nella detossificazione epatica.
La combinazione di frutta e verdure può avere sia un effetto sinergico che
additivo; questo probabilmente spiega, almeno in parte, perché un singolo
antiossidante non può sostituire i fitochimici (fino ad 8000) presenti nel frutto
intero. Le pillole o le tavolette non possono imitare la combinazione bilanciata
di fitochimici presenti nella frutta e nella verdura.
Le verdure hanno in comune un valore di pH acido (dati FDA). Nei crauti
esso è 3,4-3,6; nelle olive verdi 3,4-3.8, negli asparagi 4,0-6,0; nei pomodori
4.2-4,8; nelle melanzane 4,5-4,9; nei fagiolini 4,6; nelle carote 4,9-5,2; nel
154
Capitolo 7 Verdure e spezie
cavolo 5,2-6,0; nelle cipolle 5,3-5,8; negli spinaci 5,5-6,8; nei carciofi 5,6; nei
cavolfiori 5,6; nei fagioli 5,7-6,2; nella lattuga 5,8-6,0, nelle patate 6,1.
Lo stesso accade per la frutta: il pH dei limoni 2,2-2,4; prugne 2,8-4,6;
melagrane 3,0; fragole 3,0-3,5; mele 3,4-3,5; uva 3,4-4,5; banane 4,5-5,2.
Tra le quasi 3000 specie di spezie approvate come sicure dalla Flavor and
Extract Manufacturer Association degli Stati Uniti (FEMA) più di un decimo
contengono composti solforati (2). Esse di solito provocano una risposta a
piccole dosi e svolgono un ruolo importante per quanto riguarda i condimenti
di carni, alimenti marini, caffè, cipolle, aglio, porri e frutti tropicali. Le spezie
contenenti zolfo hanno molte proprietà biologiche e funzionali per cui sono
spesso usate dall’industria alimentare e farmaceutica.
In anni recenti, molti studi ha messo in luce le loro molteplici attività, e.g.
antiossidante, antinfiammatoria, antiobesità, antitumorale, insetticida e nema-
ticida. In aggiunta, le spezie contenenti zolfo hanno la capacità di eliminare le
sostanze cancerogene durante la preparazione dei cibi e di proteggere i metal-
li da sostanze corrosive.
7.2 Spinaci
155
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
7.3 Patate
156
Capitolo 7 Verdure e spezie
157
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
158
Capitolo 7 Verdure e spezie
sponibili negli Stati Uniti) sia di 2277 mg/die, ben al di sotto del livello ade-
guato, che è considerato pari a 2600 mg/die per le donne e 3400 mg/die per gli
uomini. In aggiunta, l’assunzione di cereali raffinati supera le quantità racco-
mandate, perciò la loro sostituzione con una quantità giornaliera, isoenergeti-
ca, di patate cotte a vapore o al forno può esere parte di una dieta salutare, nel
rispetto delle raccomandazioni dietetiche secondo i parametri del Healthy Ea-
ting Index (HEI)-2015 (9).
Un recente studio di meta-analisi ha preso in considerazione le patate ed il
rischio di mortalità per tutte le cause ed in particolare patologie coronariche
(CHD), infarto e diabete dl tipo 2 (Type 2 Diabetes, T2D) (10). Il loro consu-
mo, in generale, non è correlato ad un aumentato rischio di molte patologie
croniche, se si esclude un modesto aumento del rischio per T2D, se consumate
bollite. Una correlazione positiva, significativa, è invece evidente tra il consu-
mo di patate fritte ed il rischio di T2D ed ipertensione.
7.4 Asparagi
159
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
7.5 Tartufi
160
Capitolo 7 Verdure e spezie
161
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
7.8 Aglio
162
Capitolo 7 Verdure e spezie
Il suo consumo (10 g al giorno) è associato ad una riduzione del 50% del
tumore alla prostata e studi epidemiologici hanno suggerito l’esistenza di una
relazione inversa fra assunzione di aglio e neoplasie allo stomaco, colon-retto
e pancreas.
Diversi studi hanno messo in evidenza gli effetti benefici che l’aglio grez-
zo esercita in modelli sperimentali (ratto) di colite indotta dall’acido acetico;
in molti paesi è commercializzato come integratore della dieta per alleviare
disordini a base infiammatoria.
Contiene centinaia di ingredienti, compresi composti solforati, come il
diallisolfuro, l’alliina, l’ajoene e l’allicina che forniscono il caratteristico aro-
ma ed odore. Inoltre, oltre ad aminoacidi e minerali come il selenio, è presen-
te un ricco corredo enzimatico.
Gli spicchi di aglio intatto contengono un precursore dell’aroma, l’alliina (S–
allilcisteina S–ossido) ed un enzima, l’allinasi. L’alliina è inodore e quando lo
spicchio è triturato si libera l’alliinasi che, tramite la formazione di un intermedio
instabile, la trasforma in allicina (dialliltiosolfinato). Quest’ultima è molto volati-
le e interagisce con i recettori olfattivi, producendo il caratteristico odore (18).
L’alliina ha interessanti attività biologiche; è antiossidante, inibisce l’ag-
gregazione piastrinica, è un antimicrobico, modifica la fluidità delle membra-
ne delle cellule tumorali e la loro proliferazione.
I composti volatili tipici dell’aglio triturato ed i suoi oli essenziali (diallil-
solfuro - DAS) e diallilidisolfuro (DADS), agiscono come fonte di idrogeno
solforato; questo gas ha effetti gastroprotettivi.
Inoltre DAS e DADS esercitano un’azione antiossidante importante, poi-
ché i radicali liberi giocano un ruolo strategico nella patogenesi delle flogosi
intestinali (Intestinal Bowel Diseases, IBD), patologie molto diffuse. Inoltre,
studi sperimentali hanno messo in luce che DAS e DADS esercitano un effetto
terapeutico sulla colite.
Come accennato in precedenza, molti studi sperimentali “in vitro” ed “in
vivo”, hanno messo in evidenza un potenziale effetto protettivo di vegetali
appartenenti al genere alllium in diverse forme di neoplasie, in particolare a
livello intestinale. L’ipotesi che le piante del genere allium possano contribui-
re alla prevenzione dei tumori, si basa sulle loro numerose proprietà fisiologi-
che e sui loro costituenti chimici, in particolare i composti organosolforati, in
grado di inibire la cancerogenesi in molti modelli animali.
Tuttavia, come vedremo di seguito, i molti studi epidemiologici sull’asso-
ciazione fra vegetali del genere allium e rischio di tumori (in diversi organi),
non hanno portato ad una conclusione univoca.
L’American Institute for Cancer Research, nel suo secondo rapporto del
2007, sostiene che un loro consumo, elevato e regolare, può ridurre il rischio
di cancro allo stomaco; tale effetto protettivo si manifesta secondo una relazio-
ne dose–dipendente e sono stati riportati effetti favorevoli anche sul cancro
colon–rettale.
163
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
164
Capitolo 7 Verdure e spezie
7.10 Cipolla
La cipolla (Allium cepa L.) è un’erba perenne (genere Allium) della fami-
glia delle Liliaceae, tra i vegetali di maggior diffusione e consumo e gode
della reputazione di “Regina dei vegetali”; è nativa del sud est dell’Asia ed è
coltivata in tutto il mondo. In base al suo colore può essere divisa in cipolla
rossa, bianca o gialla e la varietà rossa è quella più comunemente utilizzata.
La cipolla è ricca in nutrienti e contiene molti carboidrati, proteine, vitami-
ne idrosolubili, calcio, ferro ed altri composti che possono avere effetti benefi-
ci sul nostro stato di salute.
I fitochimici naturali, appartenenti alla classe dei flavonoidi, sono i suoi
principali costituenti biologicamente attivi (bioflavonoidi); fra di essi il princi-
pale è la quercetina. La loro struttura è caratterizzata dalla presenza di molti
gruppi ossidrili, che conferisce una significativa capacità antiossidante; questa
proprietà gioca un ruolo importante nella prevenzione delle affezioni corona-
riche e dei tumori. A questo proposito va ricordato che il danno ossidativo del
DNA può essere alla base di alcune forme di neoplasie
Tra i costituenti vi sono anche composti contenenti zolfo, che ne caratte-
rizzano l’odore irritante e che possono inibire in modo selettivo i batteri del
tratto gastrointestinale. Tali composti possono fungere da gastroprotettori e
contribuire alle difese contro alcune neoplasie come il tumore esofageo e ga-
strico. Il tiopropanal-S-ossido è il “gas lacrimogeno” responsabile delle lacri-
me, che si sviluppa quando essa viene tagliata.
La cipolla ha un elevato valore nutrizionale ed il suo utilizzo può contribu-
ire a regolare il bilancio fisiologico di fluidi ed elettroliti del nostro organismo,
così come il metabolismo, a prevenire e trattare lo scorbuto e l’avvelenamento
da metalli pesanti.
Lo stress ossidativo, come sappiamo, contribuisce a sviluppare tutta una se-
rie di affezioni, incluse patologie neurodegenerative (e.g. malattia di Alzheimer
e morbo di Parkinson), cardiovascolari ed il diabete. Studi clinici hanno mostra-
to che il consumo di cipolle e aglio contribuisce ad una riduzione significativa
165
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
7.11 Ginseng
Il ginseng (Panax Ginseng, dal latino Panax, derivato dal greco pan (tutto),
akeia (rimedio), deve l’utilizzo della denominazione Panax al botanico Meyer
nel 1843. È una specie della famiglia delle Araliacee, si sviluppa nell’emisfero
settentrionale ed è utilizzato da 2000 anni in Asia per i suoi effetti terapeutici.
Le prime specie Nord-Americane furono scoperte dai nativi Americani; le due
aree di coltivazioni più importanti sono localizzate in Asia e negli Stati Uniti,
mentre altre specie sono diffuse in Giappone, Nepal, Vietnam e Siberia.
I principali componenti del ginseng, biologicamente attivi, sono i ginseno-
sidi, caratterizzati da una vasta gamma di effetti farmacologici, quali proprietà
antidiabetiche, antinfiammatorie, epato- e cardio-protettive. I ginsenosidi sono
derivati del triterpenoide dammarano, che ha 4 anelli idrofobici e struttura
analoga agli steroidi, cui sono legati zuccheri, che possono essere suddivisi in
due categorie: saponine tipo protopanassadiolo e protopanassatriolo. Le pro-
prietà biologiche dei ginsenosidi dipendono dalle diverse componenti zucche-
rine, dal loro numero e dalla loro collocazione (24).
I risultati di analisi cliniche e di studi di meta-analisi, condotti in pazienti
diabetici, indicano che l’uso del ginseng Americano può essere di notevole
interesse nel trattamento del diabete ed in particolare nel controllo della glice-
mia a digiuno (25). Va comunque ricordato che il ginseng non è privo di con-
troindicazioni; può influenzare in modo negativo il citocromo p450, inducen-
done l’attività e ridurre l’attività anticoagulante della warfarina.
7.12 Liquirizia
La liquirizia (Glycyrrhiza glabra L.) è una delle piante più antiche, di uso
medicinale; il primo riferimento al suo utilizzo si trova nel Codice di Hammu-
rabi del 2100 a.C.; Dioscoride, botanico e farmacologo del I sec. a.D., la
chiamò glukurrhiza, che significa radice dolce.
Le parti della pianta maggiormente utilizzate sono le radici e gli stoloni, co-
munemente chiamati liquirizia grezza. Oltre all’utilizzo in medicina, per esempio
come farmaco antinfiammatorio ed antiulcera, viene usata nell’industria del ta-
bacco come umettante e agente aromatizzante. È largamente utilizzata in cosme-
tica per schiarire la pelle e per le sue proprietà lenitive e desensibilizzanti.
166
Capitolo 7 Verdure e spezie
Nel 2016 è stata scoperta a Megiddo, una delle più importanti città dei
Cananei, gli antichi abitanti dell’attuale Israele e Libano, una tomba datata
circa 1600 anni avanti Cristo (27). La sorpresa che ha maggiormente colpito
gli archeologi, è venuta dalla identificazione dei residui di tre piccoli boccali,
il cui contenuto, analizzato mediante metodiche di cromatografia-spettrome-
tria di massa, ha individuato la presenza dei componenti chimici della vani-
glia, tra cui 4-idrossibenzaldeide e acido vanillico.
Questa scoperta pone il quesito su quale possa essere l’origine di questo
tipo di spezie. La vaniglia (Vanilla planifolia) è una pianta della famiglia delle
orchidee ed è diffusa in tutte le regioni tropicali, in tutti i continenti, esclusa
l’Antartide e l’Australia. Tuttavia solo in America centro-meridionale ed in
Messico, in particolare, vi sono evidenze del suo primo addomesticamento; si
pensa che in Europa sia stata introdotta dagli Spagnoli che ve la portarono dal
Messico. È verosimile che l’origine dei residui rinvenuti a Megiddo sia stata
l’India, con cui la Mesopotamia aveva commerci fin dai tempi dell’età del
bronzo. Questa scoperta, qualora venisse convalidata da analoghi ritrovamenti
archeologici, confermerebbe l’esistenza di commerci estesi e diffusi nell’anti-
co Medio Oriente.
Una prova ulteriore potrebbe venire dal ritrovamento di grani di pepe, ve-
rosimilmente provenienti dallo Sri Lanka, contenuti nelle cavità nasali del fa-
raone Ramsete II, mummificato in Egitto nel 1213 avanti Cristo. Inoltre, can-
nella proveniente dallo Sri Lanka e dall’ India meridionale, è stata rinvenuta in
tombe egizie risalenti al 1000 a.C.
Come abbiamo più volte documentato nelle pagine precedenti, esiste una
ricca letteratura scientifica sul ruolo degli alimenti e delle bevande ricchi in
composti bioattivi (e.g. i polifenoli nel cacao o cioccolato, frutta, tè) nel mi-
gliorare lo stress metabolico postprandiale.
Le spezie utilizzate in cucina aumentano le qualità sensoriali di un pasto ed
arricchiscono gli alimenti con una varietà di composti bioattivi (e.g. antiossi-
danti ed antinfiammatori).
167
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Tuttavia vi è una carenza di dati sul ruolo delle spezie nel controllo dello stress
metabolico postprandiale, con una aumentata produzione di radicali liberi nel con-
testo di un quadro infiammatorio. Uno studio clinico recente (28) ha affrontato
questo problema, reclutando soggetti non fumatori in sovrappeso o obesi. I parte-
cipanti consumavano un pasto ricco in acidi grassi saturi e carboidrati (circa 1000
kcal), sia come tale, che arricchito con 2 diverse dosi di spezie, a giorni alterni,
secondo una modalità “cross-over” (lo stesso soggetto consuma 3 pasti diversi).
La miscela di spezie (2 g e 6 g cad.) era basata sulla combinazione di spe-
cie botaniche comunemente utilizzate, come basilico, foglie di lauro, pepe,
nero, cannella, coriandolo, cumino, zenzero, origano, prezzemolo, pepe rosso,
rosmarino, timo e curcuma.
Nell’insieme i risultati hanno mostrato un effetto significativo delle spezie
(solo alla dose di 6 g) nel diminuire il quadro infiammatorio ed i livelli plasma-
tici di specifiche citochine postprandiali.
Alcuni componenti della miscela di spezie usata nello studio sopracitato,
sono sensibili alla cottura ed al calore, che possono ridurne in modo significa-
tivo il contenuto di polifenoli ed i relativi effetti antiossidanti. Per esempio,
l’ebollizione ed il vapore diminuiscono in modo sostanziale il contenuto di
polifenoli del pepe rosso, rispetto al trattamento con calore secco, come
nell’arrostimento.
Un altro studio clinico, condotto con modalità analoghe al precedente, ha ri-
guardato una miscela di spezie aggiunta a carne macinata per “hamburger”; sono
stati reclutati soggetti volontari in buona salute, focalizzandosi sul ruolo delle spe-
zie nello stress ossidativo postprandiale (29). In questo secondo studio è stata uti-
lizzata una miscela di spezie a dose elevata (circa 11 g), che includeva chiodi di
garofano, cannella, origano, rosmarino, zenzero, pepe nero, paprika e aglio.
Sono stati presi in considerazione i livelli plasmatici, postprandiali, di ma-
londialdeide (MDA), un biomarker della perossidazione lipidica, in grado di
provocare l’ossidazione LDL e danni del DNA; i risultati indicano chiaramen-
te che il consumo di hamburger con spezie è associato a livelli più bassi di
MDA rispetto agli hamburger privi di spezie.
Altri studi sugli effetti postprandiali di una miscela di spezie su volontari
sani hanno messo in luce un miglioramento della glicemia postprandiale ed un
ridotto stress ossidativo (30).
7.15 Sesamo
168
Capitolo 7 Verdure e spezie
7.17 Peperoncino
169
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
170
Capitolo 7 Verdure e spezie
171
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
(ora largamente coltivato in Europa e nel sud degli Stati Uniti, Africa, India e
Cina), C. baccatum e C. pubescens Ruiz and Pav (L. Ruiz, J. Pavòn, botanici
peruviani) coltivati soprattutto in sud America (38). La specie C. annuum è
quella più comune.
Il C. annuum L. è uno dei vegetali con il più alto contenuto di antiossidan-
ti ed una fonte eccellente di vitamina C, superiore anche a quella di arance e
limoni. Il migliore metodo di cottura per ridurne la perdita si basa sull’uso
delle microonde, per assicurare la massima ritenzione di antiossidanti. Inoltre
è ricco in polifenoli, in particolare di flavonoidi, quecetina e luteolina. I caro-
tenoidi predominanti sono la protovitamina A (alfa e beta-carotene) e xantofil-
le, i carotenoidi ossigenati. Questi ultimi composti hanno un’azione potenziale
contro alcune neoplasie, prevengono l’ulcera gastrica, stimolano il sistema
immunitario, proteggono dalle malattie cardiovascolari, dalla degenerazione
maculare e dalla cataratta. L’aroma del peperone verde è dovuto alla 2-metos-
si-3-isobutilpirazina (39).
La paprika è usata normalmente per aggiungere aroma e colore a molti
alimenti come prodotti da forno, bevande, carne, zuppe, gelati e come condi-
mento; trova anche impiego in medicina ed in cosmetica. È una sostanza aro-
matica molto ricca in composti biologicamente attivi e dotati di proprietà salu-
tari, come carotenoidi (provitamina A), acido ascorbico (vitamina C), tocofe-
roli (vitamina E), capsaicinoidi e composti fenolici. Tra questi sono di partico-
lare importanza l’acido vanillico (usato soprattutto per intensificare l’aroma),
caffeico, ferulico (ha spiccate proprietà antiradicali), para-cumarico, e para-i-
drossibenzoico; sono metaboliti secondari essenziali che contribuiscono alle
proprietà sensoriali degli alimenti come colore e aroma.
I derivati della quercetina estratti dai frutti del Capsicum inibiscono la pro-
liferazione di molte cellule tumorali sia “in vitro” che “in vivo”. Questi com-
posti fenolici e polifenolici, come abbiamo visto in più occasioni, hanno una
elevata attività antiossidante ed un potenziale salutistico, come ad es. effetti
vasoprotettivi, attività epato-protettrice, anti-infiammatoria, antitumorale, an-
tidiabetica e antiobesità.
La paprika è soggetta ad adulterazioni di vario genere, a scopo di lucro,
come: sostituzione di ingredienti, aggiunta di sostanze illecite e false dichiara-
zioni di origine.
A questo proposito la legislazione Europea (ECC No.510/ 2006) definisce:
a) Denominazione di Origine Protetta (DOP), un marchio di tutela che certifi-
ca l’origine; b) Indicazione Geografica Protetta (IGP), un marchio che vincola
i prodotti ad aree geografiche ben definite dove è avvenuto almeno uno stadio
di produzione. Inoltre, il riconoscimento di Specialità Tradizionali Garantite
(STG) protegge metodi di produzione tradizionali.
Attraverso la determinazione dei composti fenolici, mediante cromatogra-
fia liquida ad alta prestazione (High Performance Liquid Chromatography,
HPLC), abbinata a spettrometria di massa con ionizzazione elettrospray
172
Capitolo 7 Verdure e spezie
La pianta del pepe nero (Piper nigrum L.) è una pianta rampicante perenne,
che appartiene alla famiglia delle Piperaceae. È nativa delle foreste sempreverdi
delle colline nel sudovest dell’India. Le varietà coltivate sono molteplici, ciascu-
na con livelli di resa e piccantezza diversi. I grani di pepe vengono raccolti quan-
do sono ancora acerbi e separati dagli steli con una trebbiatrice. Dopo la raccol-
ta vengono seccati, di solito per esposizione al sole, durante la quale ha luogo
una reazione enzimatica che contribuisce al colore scuro dei grani.
Il pepe nero non è solo la più consumata fra le spezie, ma anche quella con
maggiori sbocchi commerciali. Nel 2017 i paesi produttori più importanti sono
stati nell’ordine Vietnam, Brasile, India, Indonesia, Sri Lanka, Cambogia e
Malesia, con il 96% della produzione globale di pepe nero.
Il pepe nero ha proprietà antimicrobiche, antinfiammatorie ed antitumora-
li; sono state messe in evidenza anche proprietà antidiabetiche (25); l’attività
antiossidante è attribuibile alla piperina, un alcaloide che contribuisce ad ac-
centuarne l’aroma.
Il pepe nero o il trattamento con piperina inibiscono i radicali liberi e le
specie reattive dell’ossigeno, riducono la perossidazione lipidica e stimolano
l’attività degli enzimi antiossidanti. Inoltre la piperina interagisce con la strut-
tura di farmaci di uso terapeutico e di fitochimici, aumentandone la biodispo-
nibilità (25).
L’ adulterazione del pepe è una pratica ben consolidata e antica. Circa
duemila anni fa, Galeno di Pergamo, medico e botanico greco, aveva messo in
guardia contro la sua adulterazione. Le frodi, spesso grossolane, si basano
sulla sostituzione dei grani del pepe nero con frutti o chicchi di altre specie
(e.g. semi di papaia o di lantana), che un occhio esperto può identificare. Il
pepe macinato è anche chiamato pepe grigio, perché il colore risulta dal misce-
lamento e dalla macinazione di grani di pepe bianco e di pepe nero.
Molti adulteranti, riportati in letteratura, hanno una colorazione analoga a
quella del pepe bianco-pepe nero; alcuni di questi sono presenti in altre spezie,
come il caffè, la cannella e la noce moscata, mentre altre sono ad esempio
l’amido di tapioca.
L’analisi mediante spettroscopia infrarossa (IR) è spesso usata come meto-
do semplice e veloce per controllare l’eventuale adulterazione delle spezie.
Una tecnica recente, basata su una combinazione di microscopia e spettrosco-
pia infrarossa, consente di identificare il composto adulterante del pepe nero e
di rilevare le frodi (41).
173
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
7.20 Zafferano
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Cereali 8
8.1 Golden Rice
Il golden rice è una varietà di riso sviluppata alla fine degli anni ’90 dai
botanici tedeschi I. Potrykus e P. Beyer per risolvere la carenza di vitamina A,
che causa cecità nei bambini. Bassi livelli di vitamina A possono anche rappre-
sentare una delle concause che portano alla morte da malattie infettive come il
morbillo (1).
Spinaci, patate dolci e altre verdure forniscono sufficienti quantità di que-
sta vitamina, ma in alcuni paesi, in particolare quelli in cui il riso è il maggio-
re componente della dieta, la carenza di vitamina A è ancora diffusa.
Per creare il golden rice Potrykus e Beyer hanno collaborato con il co-
losso dell’agrochimica Syngenta per inserire nella pianta i geni responsabi-
li della produzione ed accumulo del beta-carotene nei chicchi. I ricercatori
hanno donato le loro piante transgeniche (OGM) a istituti di agricoltura del
settore pubblico, dando la possibilità ad altri studiosi di introdurre i geni del
golden rice in varietà che soddisfano il gusto locale e le condizioni di cre-
scita.
Recentemente esso è stato approvato per il consumo in Stati Uniti, Canada,
Nuova Zelanda ed Australia, anche se ne è impedita la coltivazione. Quello
messo a punto per soddisfare le necessità del Bangladesh, è stato creato all’In-
ternational Rice Research Institute (IRRI) in Los Banos, Filippine. I ricercato-
ri hanno introdotto i geni del beta-carotene in una varietà di riso chiamata dhan
29, che cresce facilmente durante la stagione secca in Bangladesh e contribui-
sce a circa il 14% del raccolto nazionale.
In Bangladesh è stata adottata un varietà di melanzane OGM, creata nel
2014 per resistere ad alcune malattie trasmesse da insetti. Queste coltivazio-
ne hanno dato riscontri positivi immediati (e.g. necessità di meno insettici-
da), mentre i benefici del golden rice sullo stato di salute avranno bisogno di
tempi più lunghi per essere pienamente apprezzati. Per quanto riguarda
quest’ultimo, i consumatori dovranno abituarsi al diverso colore dell’ali-
mento; d’altra parte, una volta cotto, esso assomiglia al khichuri, un piatto
popolare di riso e lenticchie, insaporito con curcuma, che può aumentarne la
appetibilità.
179
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
8.3 Crusca
180
Capitolo 8 Cereali
8.5 Grano
Il grano (Tricum aestivum L), con una produzione mondiale di 763 milioni
di tonnellate nel 2019, è il cereale più coltivato al mondo; se si considera che
la popolazione mondiale continua a crescere, ci si aspetta che la sua produzio-
ne aumenti di circa il 60% nel 2050.
Esso è anche la coltivazione più importante in termini di apporto nutrizio-
nale globale, poiché fornisce circa il 55% dei carboidrati e più del 20% delle
calorie alimentari (4)). Complessivamente, vi sono miliardi di persone che si
alimentano con il grano. Può essere macinato e la farina utilizzata per alimen-
ti come pane, pasta e così via, rappresentando una componente importante
nella alimentazione attuale.
Questo cereale non è solo una fonte di energia e di nutrienti essenziali, ma
contiene anche numerose sostanze bioattive, che sono benefiche per la nostra
salute.
I principali ingredienti del grano integrale includono, fibre, flavonoidi, aci-
di fenolici, alchenil resorcinoli, fitosteroidi, tocoli, carotenoidi e altri compo-
nenti minori. La biodisponibilità di questi componenti è influenzata da molti
fattori che comprendono: a) la loro concentrazione nel cereale originale, b) il
genotipo, c) l’habitat di crescita e d) le metodologie utilizzate per produrre gli
alimenti.
Un chicco di grano consiste principalmente di germe, endosperma ed un
guscio esterno. Generalmente le sostanze sono distribuite in modo non unifor-
181
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
me tra questi costituenti e sono presenti soprattutto nella crusca. Per questa
ragione esse non sono presenti nei prodotti raffinati in quanto le frazioni del
germe e della crusca vengono eliminate.
Diversi studi epidemiologici hanno messo in luce che il consumo a lungo
termine di alimenti raffinati è strettamente correlato al rischio di alcune pato-
logie croniche come l’obesità, il diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e
tumori, mentre il consumo di grano integrale ha un effetto protettivo. Tuttavia
l’esatto meccanismo alla base di questo effetto non è chiaro poiché i benefici
fisiologici complessivi possono essere la risultante delle molteplici interazioni
(con effetti additivi o sinergici) tra i numerosi composti bioattivi.
La Pasta
Parlare della pastasciutta, un vero e proprio simbolo dell’italianità nel mondo,
è impossibile senza ricordare il Boccaccio ed il suo Decamerone (1351)…“ Et
eravi una montagna tutta di formaggio Parmigiano grattugiato, sopra la qua-
le stavan genti, che niuna altra cosa facevan, che fare maccheroni e ravioli e
cuocerli in brodo di capponi, e poi li gittavan quindi giù, e chi più ne pigliava,
più se n’aveva”.
È un piatto ormai globale, fantasioso e diversificato, che spazia dalla pasta fre-
sca (ripiena o meno), per la quale Bologna si è sempre distinta come punto di
riferimento, alle pastine in brodo addizionate di glutine, tanto decantate nella
prima metà del Novecento come ‘rinforzo’ per la crescita dei bambini e la gua-
rigione dei malati. A questo proposito forse non tutti sanno che lo “scopritore”
del glutine è un bolognese, Jacopo Bartolomeo Beccari, insigne medico e fisico
docente dell’Alma Mater, che nel 1728 illustrò le proprietà della sostanza in una
182
Capitolo 8 Cereali
183
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
che nel 1931 si organizza una cena per festeggiare il “Quinto anniversario della
tagliatella” celebrato in Bologna dalla “Famèja bulgnèisa”.
Filippo Tommaso Marinetti solo pochi mesi prima, nel Manifesto della cucina
futurista, aveva tuonato contro le malsane abitudini alimentari italiche nel fa-
moso proclama Contro la pastasciutta, a cui i bolognesi rispondono con il po-
emetto dialettale In difèisa dla pasta sòtta.
Proprio alla storia della pastasciutta sono stati dedicati i testi di cucina cinque-
centeschi, compilati da , Bartolomeo Scappi, Cristoforo Messisbugo ed altri; la
pasta è un piatto riservato alle mense dei nobili e richiede lavorazioni comples-
se e sofisticate, nonché sorprendenti per le nostre abitudini alimentari. Ma nel
secolo XVIII la pasta diventa il piatto del popolo, soprattutto a Napoli, dove i
maccheroni vengono mangiati per strada direttamente con le mani e conditi
solo da un’abbondante nevicata di formaggio.
Ma pensare alla storia della pastasciutta significa anche ripercorrere le innova-
zioni tecnologiche che ne hanno permesso la produzione e la commercializza-
zione, dalla lavorazione artigianale – che prende le mosse proprio a Napoli e a
Genova nel XVIII secolo – fino alla piena meccanizzazione raggiunta a fine Ot-
tocento.
Vanno anche ricordati gli alimenti vegetali che nei secoli hanno arricchito i
piatti di pasta: i ripieni, i condimenti e gli elementi utilizzati per “colorare” l’im-
pasto – l’ortica, lo zafferano – di cui gli erbari antichi offrono magnifiche illu-
strazioni.
8.7 Quinoa
184
Capitolo 8 Cereali
Vi sono anche fibre e metalli come Ca, Mg. Sono presenti anche acido fiti-
co e saponine (0,1%-5%), che vengono eliminate durante il processo di am-
morbidimento in un bagno d’acqua, in quanto hanno un gusto molto amaro.
Oltre all’eccellente valore nutrizionale, la quinoa ha un alto contenuto di fito-
chimici, come fitosteroli, fitoecdisteroidi, composti fenolici e peptidi bioattivi,
che possono contribuire al benessere metabolico, cardiovascolare e gastrointe-
stinale.
Essa è stata classificata dalla FAO “future smart food”, cioè un alimento
completo che può essere alla base di una dieta ben diversificata e migliorare
l’apporto di micronutrienti. Inoltre garantisce un miglior stato di salute del
suolo, richiede poco fertilizzante e resiste a cambiamenti climatici ed a condi-
zioni agricole avverse.
Questo pseudocereale ha la potenzialità di aumentare la sicurezza alimen-
tare globale per una popolazione mondiale in crescita costante, fornendo cibo
molto nutriente e coltivabile in terreni non adatti per altre coltivazioni.
Il 2013 è stato dichiarato Anno Internazionale della Quinoa, che è ora col-
tivata in più di 70 paesi; i maggiori produttori globali restano le nazioni della
catena Andina, Perù, Bolivia ed Ecuador.
Quella brasiliana è una varietà con un alto contenuto di proteine e basso
contenuto di grassi, composti per l’86% di acidi grassi insaturi, prevalente-
mente polinsaturi. L’acido organico prevalente è l’acido chinico, e sono pre-
senti tocoferoli, e glicosidi della quercetina e kaemferolo (6).
185
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
8.8 Chia
186
Capitolo 8 Cereali
fibre (più del 30% del peso totale. I semi sono ricchi in acidi grassi insaturi e
quasi il 60% è acido alfa-linolenico (omega-3).
Nel complesso essa è ricca in componenti di grande interesse nutrizionale
ed è potenzialmente efficace nel contrastare le malattie cardiovascolari e l’o-
besità, nella regolazione del transito intestinale, della colesterolemia e triglice-
ridemia, così come nella prevenzione del diabete di tipo 2 ed in certe forme di
neoplasie.
D’altra parte il suo contenuto di proteine nei semi è più alto rispetto alla
maggior parte dei semi di comune utilizzo; essi ne contengono circa il 19%-
23%, frumento (14%), mais (14%), riso (8%), avena (15,5%) e orzo (9,2%).
I semi possono anche essere usati come addensante e la loro mucillagine è
stata utilizzata per preparare film commestibili.
Essi hanno acquistato crescente popolarità negli Stati Uniti, nell’America
Latina ed in Australia come ingrediente nutrizionale, così come nella prepara-
zione di cereali per colazione e biscotti (8).
Il consumo di chia è aumentato anche in Europa a causa delle sue proprietà
funzionali e nutrizionali. Nell’Unione Europea, l’EFSA ha consentito l’uso
dei suoi semi interi o macinati nel 2005, come nuovo ingrediente nel pane e nei
suoi prodotti; comunque permangono alcuni dubbi sulla potenziale allergeni-
cità delle determinanti antigeniche (epitopi) delle globuline dei semi di chia e
di sesamo (9).
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188
L’intossicazione 9
botulinica
Il botulismo è una delle più note e temute intossicazioni alimentari; è infat-
ti diffusa la consapevolezza che certi alimenti, preparati in condizioni non ap-
propriate, possono esserne la causa. Sebbene raro, si tratta di un evento grave,
i cui esiti possono essere fatali. Accanto a questa generica presa di coscienza,
esistono gravi carenze tra i consumatori sulle reali cause della malattia e sulle
misure di prevenzione onde evitare il rischio di intossicazione. Ogni anno, in
Italia, si registrano mediamente 20-30 casi, nella stragrande maggioranza do-
vuti al consumo di conserve prodotte in ambito domestico. Le linee guida at-
tuali sono realizzate dal Centro Nazionale di Riferimento per il Botulismo
(CNRB), istituito nel 1988 dal Ministero della Salute presso il Dipartimento di
Sanità Pubblica Veterinaria e Sicurezza Alimentare dell’Istituto Superiore di
Sanità, in collaborazione con il Ministero della Salute, la Facoltà di Bioscienze
e Tecnologia Agro-alimentari e Ambientali dell’Università degli Studi di Tera-
mo e con il Centro Antiveleni di Pavia.
L’intossicazione botulinica è una patologia rara, la cui diagnosi clinica
precoce è difficile. La maggior parte dei casi diagnosticati nel nostro Paese è
di origine alimentare: le conserve preparate in casa ne sono la causa principale,
anche se, praticamente ogni anno, vi sono motivi di allarme per preparazioni
dell’industria agro-alimentare. Talvolta possono risultare intossicate più per-
sone, indipendentemente dall’età e con sintomatologia di diversa gravità: la
concentrazione di tossina presente nell’alimento e la quantità di alimento inge-
rito determinano la gravità dell’intossicazione.
Tra i batteri patogeni, i più noti e importanti sono: Clostridium botulinum,
Salmonella spp., Listeria monocytogenes, Campylobacter spp., Escherichia
coli patogeni, Yersinia enterocolitica, Staphylococcus aureus, Bacillus cereus,
Clostridium perfringens, Shigella spp., Vibrio spp. Oltre ai batteri, vanno ri-
cordati tra i patogeni alimentari anche alcune specie di muffe e virus. Il Clo-
stridium botulinum e gli altri clostridi produttori di tossine botuliniche, sono i
microrganismi maggiormente implicati nelle malattie trasmesse da conserve
alimentari. Sono microrganismi sporigeni, anaerobi, molto diversi tra loro,
accomunati dalla capacità di produrre la sostanza più tossica per l’uomo fino
ad oggi conosciuta: la tossina botulinica.
Alla luce delle conoscenze attuali, oltre al noto Clostridium botulinum,
capace di produrre 8 tipi di tossine (denominate con le lettere dell’alfabeto
dalla A alla H), sono stati caratterizzati come produttori di tossine botuliniche,
anche altri microrganismi che solitamente non sono pericolosi e che si trovano
189
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
190
Capitolo 9 L’intossicazione botulinica
che ora fino a due settimane. La gravità della malattia dipende dalla quantità di
tossina ingerita; è discriminante anche il tipo di tossina, in quanto quella di
tipo A sembra essere responsabile delle forme più gravi. I sintomi sono essen-
zialmente costituiti da paralisi flaccida e disturbi secretori, in assenza di feb-
bre, spesso preceduti da spossatezza, bocca asciutta, nausea, vomito e diarrea.
L’analisi tramite elettromiografia (studio dei potenziali d’azione delle fibre
motrici) può mettere in luce alterazioni caratteristiche che consentono di diffe-
renziare il botulismo da altre patologie. Nei casi ad esito favorevole si osserva
un lento e progressivo recupero funzionale.
Tra le cause della carente sterilizzazione che permettono la germinazione
delle spore e la conseguente produzione di tossine, possiamo ricordare l’assen-
za di ossigeno all’interno dei contenitori, la temperatura ambiente ed il lungo
periodo di conservazione. Come sistema di controllo della sterilizzazione del-
le conserve poco acide (pH >4,6), viene applicato il criterio del “minimum
botulinum cook” che corrisponde al riscaldamento a 121°C per 3 minuti o
trattamento equivalente.
A livello domestico questo processo non è applicabile in quanto, per effet-
tuare trattamenti con vapore surriscaldato, è necessario utilizzare strumenta-
zioni in grado di reggere pressioni elevate. La pentola a pressione non è in
grado di garantire il raggiungimento delle pressioni richieste e quindi delle
temperature idonee alla distruzione delle spore resistenti al calore.
Secondo la definizione della Food and Drug Administration (FDA), la ste-
rilizzazione è un processo capace di distruggere tutte le forme vitali dei mi-
crorganismi, incluse le spore batteriche. La sterilizzazione avviene mediante
l’azione del vapore surriscaldato a temperature maggiori di 100 °C, in apposi-
te apparecchiature dette autoclavi ed è applicata quando sussiste il rischio che
si verifichino condizioni favorevoli allo sviluppo di Clostridium botulinum
come: a) conservazione a temperatura ambiente, b) confezionamento in scato-
le, vasi o buste sotto vuoto, c) bassa acidità (pH >4,6), d) valori elevati di atti-
vità dell’acqua (>95).
È curioso ricordare che anche il miele, essendo un prodotto naturale, può
contenere le spore di clostridi produttori di tossine, le quali però, date le carat-
teristiche chimico-fisiche del prodotto, restano quiescenti e non sono in grado
di germinare, crescere e produrre tossine. Pur tuttavia, l’ingestione di miele
contaminato può costituire un veicolo per l’introduzione delle spore nell’inte-
stino del neonato ed è consigliabile evitarne l’impiego.
Per quanto riguarda i prodotti confezionati sottovuoto in ambiente dome-
stico, l’estrazione dell’aria e quindi dell’ossigeno, se da un lato impedisce lo
sviluppo dei microrganismi aerobi, dall’altro può comunque permettere la ger-
minazione delle spore dei clostridi. Pertanto si suggerisce di evitare di conser-
vare gli alimenti sotto vuoto per lunghi periodi.
La conservazione domestica sottovuoto non costituisce un rischio se appli-
cata a carni trattate ed ai prodotti destinati al congelamento: infatti i primi,
191
La chimica nel piatto: fatti e misfatti delle diete
Bibliografia
192
Glossario
Acheni. Un piccolo frutto secco che non si apre per rilasciare il seme.
Acidi. Sono specie chimiche che cedono protoni (specie H+) a un mezzo acquoso.
Acidi grassi. Acidi carbossilici di formula generale R–COOH in cui R è una lunga ca-
tena di atomi di carbonio, legati fra di loro e con atomi di idrogeno mediante legami
semplici.
Acido docosaesaenoico (DHA). Un acido grasso omega–3 a 22 atomi di carbonio. Pro-
tegge dalle patologie cardiovascolari e contribuisce al mantenimento di una funzio-
nalità cerebrale ottimale. È presente in elevate quantità nei pesci grassi, aringhe,
sardine, salmone, tonno, sgombro.
Acido eicosapentaenoico (EPA). Un acido grasso omega–3 a 20 atomi di carbonio. È un
precursore della sintesi di DHA e può essere metabolizzato a prostaglandine con
scarsa attività pro–infiammatoria. È presente negli stessi pesci che contengono
DHA.
Acidi grassi essenziali (EFA). Acidi grassi omega–3 ed omega–6 che non sono sintetiz-
zati dal nostro organismo, ma vanno assunti con la dieta (pesce, noci, oli vegetali,
vegetali a foglia verde scuro).
Acidi grassi monoinsaturi (MUFA). Acidi grassi contenenti un doppio legame, ad esem-
pio olio d’oliva.
Acidi grassi polinsaturi (PUFA). Termine usato per descrivere la struttura molecolare di
acidi carbossilici a lunga catena contenenti doppi legami carbonio–carbonio. Sono
presenti soprattutto in oli vegetali.
Acidi grassi n–3 PUFA. Acidi carbossilici polinsaturi con il primo doppio legame
sull’atomo di carbonio 3 a partire dal metile teminale.
Acidi n–6 PUFA. Acidi grassi polinsaturi con il primo doppio legame sull’atomo di
carbonio 6 a partire dal metile terminale. Includono olio di soia, di mais e di gira-
sole.
Acidi grassi saturi. Acidi grassi privi di insaturazioni. Includono oli tropicali come l’o-
lio di palma e di cocco.
Additivi alimentari. Nome generico che indica le sostanze aggiunte agli alimenti per
conferire loro particolari proprietà antiossidanti, stabilizzanti, aromatiche, ecc.
Aglicone. La porzione non zuccherina di un glicoside.
Alcaloidi. Un largo gruppo di prodotti naturali basici strutturalmente diversi contenenti
azoto.
Alcoli. Composti organici di formula generale R–OH, che possono essere formalmente
considerati come derivati da un idrocarburo RH per sostituzione di un atomo di
idrogeno con un gruppo OH (ossidrile).
Alcol etilico o etanolo. È il più importante membro della famiglia degli alcoli, prodotto
dalla fermentazione enzimatica degli zuccheri monosaccaridi.
Alga. Semplice pianta fotosintetica, che non è divisa in radici, steli e foglie.
Alimenti biologici. Alimenti fatti crescere e raccolti senza l’uso di fertilizzanti chimici,
pesticidi, erbicidi e fungicidi.
Amido. Polisaccaride di origine naturale presente soprattutto nelle patate e nei cereali,
costituito da amilosio e amilopectina.
193
Glossario
194
Glossario
Colon. Parte inferiore dell’intestino, dove vivono la maggior parte dei batteri e dei mi-
crobi che digeriscono il cibo ricco di fibre non assorbito dall’intestino tenue.
Coloranti. Sostanze capaci di impartire colore ai materiali con cui danno interazioni
molecolari.
Denaturazione. Se riferita a proteine indica una modificazione della loro struttura tridi-
mensionale a causa di fattori fisici come il calore o chimici.
Dna. Acido desossiribonucleico, mattone fondamentale del nostro patrimonio genetico.
Emicellulose. Gruppi di polisaccaridi di varia natura, presenti in grande quantità nelle
pareti delle cellule vegetali e come materiale di riserva delle piante.
Enzima. Proteina dotata di proprietà catalitiche, in grado di accelerare di milioni di
volte le reazioni di tipo biologico.
Epidemiologia. Studio di ampi gruppi o popolazioni al fine di scoprire le cause di una
malattia.
Epigenetica. Descrive i meccanismi per cui i segnali chimici attivano o disattivano i
geni senza alterare la struttura del Dna.
Essenze od oli essenziali. Sostanze naturali complesse del mondo vegetale o animale, di
profumo intenso, spesso miscele di composti chimici, quali glucosidi, aldeidi e
chetoni, esteri, acidi, terpeni e fenoli.
Estrazione. Operazione chimica che consente la separazione di un componente liquido
o solido facente parte di una miscela dagli altri componenti, attraverso l’uso di un
opportuno solvente.
Fenoli. Derivati del benzene per sostituzione di un atomo di idrogeno dell’anello benze-
nico con un gruppo OH.
Fermentazione. Trasformazione operata su sostanze organiche da microrganismi (muf-
fe, lieviti, batteri).
Fibre. Componenti di piante, frutta, vegetali, noci, cereali integrali che non sono dige-
riti–assimilati dall’organismo. Esistono in forma solubile ed insolubile. Le fibre
solubili possono contribuire a regolarizzare i livelli ematici di zucchero e colestero-
lo LDL.
Flavonoidi. Sostanze di natura polifenolica presenti in frutta, fiori, noci, cacao; sono dei
fitochimici.
Fitoalessine. Composti prodotti da una pianta in risposta ad un attacco microbico.
Fitotossine. Metabolita microbico, che è tossico per la pianta.
Folato. Vitamina B9 presente in particolare in germogli di broccoli.
Fotosintesi. Processo che avviene nelle piante verdi per azione della clorofilla, che con-
sente la trasformazione di energia luminosa in energia chimica e la trasformazione
di anidride carbonica ed acqua in zuccheri.
Fruttosio. Monosaccaride naturale a sei atomi di carbonio, che si trova in molti frutti e
nel miele.
Funghi. Microrganismi eucariotici, che non sono fotosintetici e che ottengono i loro
nutrienti per degradazione o assorbimento dal loro intorno.
Geni. Sostanze chimiche presenti sul Dna che contengono le istruzioni per sintetizzare
una particolare proteina.
Glicosidi. Molecole composite che contengono uno o più zuccheri attaccati a un aglico-
ne.
Glucidi. Idrossialdeidi o idrossichetoni, che comprendono le classi di monosaccaridi,
disaccaridi e polisaccaridi.
Glucosio. Monosaccaride a sei atomi di carbonio, estremamente abbondante in natura,
noto anche come destrosio.
Glutammato di sodio. Sale monosodico dell’acido glutammico. È largamente presente
nel glutine, da cui proviene il nome. Viene usato nell’industria alimentare, per il suo
gusto di carne, per intensificare i sapori.
195
Glossario
Glutine. Massa elastica formata dalle proteine del grano in seguito alla miscelazione
della farina con l’acqua.
Gomasio. Un condimento fatto con semi di sesamo arrostiti, macinati e miscelati con
sale marino.
Grassi. Uno dei macronutrienti e una fonte di energia, si veda acidi grassi e oli.
Gusto. Sistema sensoriale capace di individuare cinque diverse modalità corrispondenti
ai gusti fondamentali: il salato, il dolce, l’acido, l’amaro e l’umami.
HDL. Lipoproteina ad alta densità; combinazione di un lipide e di una proteina che
permette di trasportare i grassi nel corpo in modo sicuro. Il livello di HDL nel san-
gue viene rapportato con la versione dannosa, le lipoproteine a bassa densità LDL.
Idrofilicità. Proprietà delle sostanze che mostrano affinità per l’acqua a causa dei grup-
pi polari presenti.
Idrofobicità. Proprietà delle sostanze con scarsa affinità per l’acqua e alta affinità per
sostanze organiche poco polari.
Indice di massa corporea (BMI). È un dato biomimetico, espresso come rapporto tra
peso e quadrato dell’altezza in metri di un individuo, un indicatore affidabile del
grasso corporeo totale.
Indice glicemico (GI). Indice degli zuccheri presenti negli alimenti e prontamente as-
sorbibili. GI è direttamente correlato alla rapidità di assorbimento degli zuccheri.
Infiammazione. Complesso di reazioni, che si verificano localmente in risposta ad agen-
te lesivo.
Insulina. Ormone che risponde al glucosio nel sangue, regolando la quantità di zucche-
ro immagazzinato come glicogeno nel fegato e come grasso nelle cellule adipose.
Insulino–resistenza. Innalzamento ridotto dell’insulina dopo l’ingestione di glucosio.
Comporta una maggiore produzione di insulina da parte del pancreas per tenere
sotto controllo il livello di glucosio; porta al diabete.
Inulina. Sostanza a forte azione prebiotica che favorisce il moltiplicarsi di batteri. Pre-
sente in concentrazioni elevate in topinambur, cicoria, aglio, cipolle e in piccola
quantità nel pane.
Irrancidimento. Fenomeno di degradazione dei grassi. Si manifesta con odori o sapori
sgradevoli dovuti all’autossidazione dei doppi legami presenti.
Kombu. Un’alga verde scuro, che cresce nelle acque profonde dell’oceano, ricca di
minerali essenziali.
Kukumi. Il sesto supposto sapore; significa pienezza al gusto.
Lattobacilli. Batteri che demoliscono il lattosio contenuto nel latte o in altri zuccheri
trasformandolo in acido lattico.
Lieviti. Microrganismi eucariotici simili ai funghi, che si trovano spesso sui frutti e che
possono essere responsabili della fermentazione di zuccheri per formare etanolo.
Lipidi. Famiglia eterogenea di sostanze idrofobe, solubili in solventi organici, compren-
de grassi, fosfolipidi, carotene, vitamina E, colesterolo. Il termine deriva dal greco
lipos, che significa grasso.
Lipoproteine. Complesso proteico che comprende proteine e lipidi e che funge da tra-
sportatore del colesterolo.
Lipoproteine a bassa densità (LDL). Lipoproteine che trasportano il colesterolo ai tes-
suti; alti livelli di LDL sono associati a patologie vascolari. Noto come “colesterolo
cattivo”.
Lipoproteine ad alta densità (HDL). Liporoteine che portano il colesterolo al fegato,
dove ha luogo il metabolismo e l’escrezione. Note come “colesterolo buono”.
Macronutriente. Nutriente presente nelle diete in quantità elevate che ha definiti effetti
nutrizionali, un ruolo metabolico certo ed è fonte di energia per l’organismo uma-
no.
196
Glossario
Meta–analisi. Tecnica che combina i risultati di molti studi di impianto simile e che
hanno esaminato quesiti simili, per aumentare la numerosità del campione di valori
su cui si ragiona e quindi l’affidabilità delle conclusioni. Può essere fuorviante se
tutti gli studi presentano errori sistematici.
Metabolismo. Modo in cui il corpo e le cellule usano e consumano energia.
Metabolomica. Studio dei metaboliti.
Micotossine. Metaboliti microbici prodotti da funghi filamentosi, che sono tossici per
l’uomo e per gli animali.
Microbioma. Comunità di microbi che abitano l’intestino umano, la bocca o il suolo.
Micronutrienti. Sostanze quali vitamine, sali minerali o elementi in traccia che sono
indispensabili per la crescita e lo sviluppo.
Monoinsaturi. Acidi carbossilici di formula generale R–COOH con un doppio legame.
Neurotrasmettitore. Sostanza chimica che permette alle cellule nervose (neuroni) di
comunicare e controllare l’umore.
Nutraceutico. Un cibo o una bevanda che fornisce vantaggi per la salute del consuma-
tore, al di là del semplice aspetto nutrizionale.
Nutriente denso. Alimento o bevanda che fornisce vitamine, minerali e altre sostanze,
senza aggiunta di calorie provenienti da grassi, zuccheri o amidi raffinati.
Olio. Tipo di grasso liquido a temperatura ambiente.
Omega–3. Sono acidi polinsaturi con doppio legame sul terzo atomo di carbonio a par-
tire dal metile terminale e composti essenziali che l’organismo non è in grado di
produrre da solo.
Omega–6. Sono acidi grassi polinsaturi con doppio legame sul sesto atomo di carbonio
a partite dal metile terminalecontenuti in molti alimenti quali soia, olio di palma,
frutta secca e semi.
Ossidazione. Con questo termine si indicava in origine la reazione di un elemento o un
composto con ossigeno che spesso veniva in essi incorporato. Il processo inverso,
la perdita di ossigeno, veniva a sua volta chiamato riduzione. In senso più generale
vengono ora chiamate ossidazioni quei processi che comportano perdita di elettroni
da parte di un elemento o un composto, e riduzioni i processi in cui vengono acqui-
siti elettroni.
Patologie coronariche. Degenerazioni aterosclerotiche delle arterie coronariche che
possono causare angina pectoris, infarto del miocardio e morte improvvisa.
Peptidi. Composti organici costituiti da due o più alpha–amino acidi, uniti fra di loro da
un legame peptico, detto anche ammidico (–CONH–).
Pericarpo. La parete di un frutto che circonda i semi.
pH. È la misura standard dell’attività dei protoni ed è compresa fra 0 e 14. Una soluzio-
ne acquosa è detta neutra se ha un pH eguale a 7, acida se ha un pH minore di 7 e
infine basica se ha un pH maggiore di 7.
Pigmenti. Sostanze che impartiscono colorazione ai supporti in cui sono incorporati.
Polifenoli. Vasto gruppo di sostanze chimiche, che comprende flavonoidi con proprietà
antiossidanti. Sono contenuti in frutta, verdura, frutta secca, tè, caffè, birra e vino.
Polimeri. Macromolecole di elevate dimensioni, formate dalla ripetizione di unità strut-
turali, dette monomeri, legate fra di loro da legami in genere covalenti. Compren-
dono fra gli altri proteine e polissaccaridi.
Polinsaturi. Acidi carbossilici di formula generale R–COOH con due o più doppi lega-
mi.
Prebiotici. Carboidrati complessi che contribuiscono alla crescita di batteri salutari nel
colon.
Precursore. Sostanza dalla quale nell’organismo se ne forma un’altra più complessa e
in genere più attiva attraverso il metabolismo.
197
Glossario
198
Appendice
Il parere del nutrizionista
Schede di approfondimento a cura di Paolo Buonaiuto
199
Appendice – Il parere del nutrizionista
200
Appendice – Il parere del nutrizionista
Riferimenti bibliografici
201
Appendice – Il parere del nutrizionista
Dieta mediterranea
202
Appendice – Il parere del nutrizionista
203
Appendice – Il parere del nutrizionista
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Dieta chetogenica
204
Appendice – Il parere del nutrizionista
205
Appendice – Il parere del nutrizionista
Tabella. Livelli ematici durante una dieta normale, dieta chetogenica e che-
toacidosi diabetica
Dieta Chetoacidosi
Livelli ematici Dieta normale
chetogenica diabetica
Glucosio (mg/dl) 80–120 65–80 >300
Insulina (µU/L) 6–23 6.6–9.4 ≈0
KB conc (mmol/l) 0.1 7/8 >25
pH 7.4 7.4 <7.3
206
Appendice – Il parere del nutrizionista
Wing e Hill nel 2001, che lo definisce come “individui che hanno intenzional-
mente perso almeno il 10% del loro peso corporeo e mantenuto almeno per un
anno”. Il criterio del 10% è scelto per i suoi effetti ben documentati nel miglio-
ramento dei fattori di rischio per il diabete e le malattie cardiovascolari.
Un periodo di dieta chetogenica a basso contenuto di carboidrati può aiutare
a controllare la fame e può migliorare il metabolismo ossidativo dei grassi e
quindi ridurre il peso corporeo. Inoltre, nuovi tipi di diete chetogeniche che uti-
lizzano pasti che imitano cibi ricchi di carboidrati potrebbero migliorare la com-
pliance alla dieta. Occorre fare attenzione alla funzionalità renale del paziente e
alla fase di transizione dalla dieta chetogenica a una dieta normale che dovrebbe
essere graduale, controllata e sotto la supervisione di specialisti. La durata della
dieta chetogenica può variare da un minimo (per indurre la chetosi fisiologica)
di 2–3 settimane a un massimo (seguendo un principio di precauzione generale)
di molti mesi (6–12 mesi). Eseguita correttamente la dieta chetogenica può esse-
re uno strumento utile per curare l’obesità sotto la supervisione di specialisti.
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Dieta DASH
207
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prima volta dall’American Heart Association nel 1996, dopo uno studio mul-
ticentrico randomizzato sull’alimentazione che ha valutato gli effetti di diversi
modelli dietetici sull’abbassamento della pressione sanguigna. Gli studiosi
hanno concluso che una dieta con molti cibi diversi, ricchi di nutrienti, è risul-
tata più efficace e funzionale sulla pressione arteriosa rispetto a diete che pre-
vedevano l’impiego di singoli nutrienti o l’impiego di integratori. La dieta
DASH prevede l’impiego dei seguenti alimenti: frutta, verdure, latte magro,
cereali integrali, pesce, carni bianche, legumi (fagioli), noci; il consumo limi-
tato di: sodio (sale da cucina), cibi e bevande con zuccheri aggiunti, carni
rosse. Questa dieta è, inoltre, un toccasana per il cuore in quanto limita i gras-
si saturi e trans, mentre aumenta l’assunzione di potassio, magnesio, calcio,
proteine e fibre, tutti nutrienti che si ritiene giovino al mantenimento di una
pressione sanguigna normale. Anche mangiare meno carboidrati a favore di un
introito maggiore di proteine o grassi insaturi può apportare benefici alla salu-
te del cuore. Lo studio clinico noto come OmniHeart (Optimal Macronutrient
Intake Trial to Prevent Heart Disease) ha evidenziato che, scambiando circa il
10% delle calorie provenienti da carboidrati con quelle di origine proteica (so-
prattutto proteine vegetali come legumi, noci, semi) o con grassi monoinsaturi
(olio di oliva, olio di canola, noci, semi) si abbassano i valori di pressione
sanguigna, colesterolo LDL, trigliceridi nei casi di ipertensione arteriosa pre-
coce. Diversi studi dimostrano i benefici per la salute di questa dieta che, oltre
a ridurre i livelli di pressione arteriosa, ridurrebbe anche i livelli sierici di aci-
do urico nelle persone affette da iperuricemia, condizione per la quale è alto il
rischio di una patologia infiammatoria detta gotta. I soggetti con gotta, molto
spesso, soffrono anche di ipertensione arteriosa e malattie cardiovascolari.
L’adesione al modello dietetico DASH, può contribuire a prevenire lo sviluppo
del diabete e delle malattie renali come riportato nello studio di coorte Athero-
sclerosis Risk in Communities (ARIC). In conclusione, sembrerebbe che l’a-
desione ad una dieta ricca di frutta, verdure, cereali, cereali non raffinati, pro-
teine per lo più di origine vegetale, pochi grassi migliorerebbe l’outcome in
soggetti ipertesi sottoposti a trattamento nutrizionale tipo DASH. Fa discutere
l’assenza di alcuni alimenti, come l’avocado. Una condizione da rivedere è
l’elevato contenuto di fibre, dovuto all’assunzione di molti vegetali come frut-
ta, verdure e cereali integrali, che potrebbe scatenare gonfiore per la presenza
notevole di gas in tutti i soggetti particolarmente sensibili a questa condizione.
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Dieta flexariana
Alimenti diversi possono avere impatti diversi sulla salute umana, ma an-
che impatti diversi sull’ambiente. La transizione verso una “dieta salutare per
il pianeta” può nutrire sia le persone che il pianeta. Salute umana e sostenibi-
lità ambientale è un binomio indissolubile che non può prescindere da una
dieta adatta a sostenere entrambe. L’aumento della produzione alimentare ne-
gli ultimi 50 anni ha contribuito a migliorare le aspettative di vita e a ridurre la
fame, i tassi di mortalità infantile e la povertà globale. Tuttavia, tali benefici
sono ora vanificati da spostamenti verso diete malsane. L’attuale modello die-
tetico in stile occidentale è caratterizzato da un elevato introito calorico, con-
sumo di cibi altamente trasformati (carboidrati raffinati, zuccheri aggiunti,
sale e grassi saturi) e quantità elevate di prodotti animali. È un modello inso-
stenibile per la salute umana (aumenta notevolmente il rischio di malattie,
quali diabete, ipertensione arteriosa, obesità, sindrome metabolica, malattie
cardiache e alcuni tipi di cancro) e anche per il pianeta, a causa dell’impatto
sui cambiamenti climatici, sulla perdita della biodiversità, sull’inquinamento e
sui drastici cambiamenti sull’uso dei campi e dell’acqua.
L’impatto che ha la produzione di cibo:
• contribuisce a circa il 30% delle emissioni globali di gas serra e il settore
zootecnico da solo rappresenta quasi la metà (14,5%) di queste emissioni;
• occupa circa il 40% del territorio mondiale;
• utilizza il 70% di acqua dolce;
• è il più grande fattore che minaccia l’estinzione delle specie;
• provoca eutrofizzazione (sovraccarico di nutrienti) e zone morte nei laghi
e nelle zone costiere;
209
Appendice – Il parere del nutrizionista
210
Appendice – Il parere del nutrizionista
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Dieta Nordica
La dieta nordica (DN) è un modello di dieta che non si discosta molto dalla
tradizionale dieta mediterranea con la quale ha molte cose in comune; rievoca
il modo di mangiare dei paesi nordici: Danimarca, Norvegia, Svezia, Finlan-
dia, Groenlandia e Islanda. I principi della DN sono legati alla valorizzazione
di alimenti tipici e più sostenibili della tradizione locale. La quasi totalità
delle calorie da assumere deriva da prodotti di origine vegetale e meno da
fonti animali, prediligendo legumi, tuberi e cereali integrali, avena, segale e
latte fermentato. I grassi derivano principalmente da frutta secca, semi e olio
di canola o colza, ma anche da pesce di lago e mare, utilizzato anche come
fonte proteica. La fonte più comune di grassi è l’olio di colza che viene rica-
vato dalla pianta di colza (Brassica napus), un membro della famiglia delle
Crucifere. Ciò è probabilmente da attribuire alla posizione geografica dei pa-
esi poiché la pianta di colza è prevalentemente coltivata a basse temperature
durante la stagione invernale. La carne rossa è consumata molto raramente.
Alla base della dieta, ci sono alimenti autoctoni e selvatici: frutti di bosco,
erbe selvatiche e funghi. È sconsigliato il consumo di alimenti processati,
quali carni conservate, salumi, prodotti confezionati ricchi di zuccheri ag-
giunti e conservanti. In definitiva, la DN è basata sul consumo di prodotti
biologici, a km zero e, possibilmente a basso impatto ambientale, con effetti
salutari per l’Uomo e per la Terra. La dieta nordica è simile alla dieta medi-
terranea (DM) per il forte legame dei suoi prodotti con il territorio, ma questo
è anche il motivo di alcune differenze tra i due modelli dietetici. La principa-
le fonte di grassi nella dieta mediterranea è l’olio extravergine di oliva, che
211
Appendice – Il parere del nutrizionista
Omega-3
212
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Appendice – Il parere del nutrizionista
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Appendice – Il parere del nutrizionista
• antiaging;
• controllare i sintomi legati a malattie croniche;
• coadiuvare il metabolismo glucidico;
• mantenere una vista normale;
• favorire un sonno regolare;
• mantenere la salute di ossa e articolazioni;
• favorire un microbiota sano;
• contrastare gli effetti negativi dovuti a troppo stress e vita frenetica;
• regolare i ritmi circadiani del corpo;
• contrastare lo stress ossidativo;
• depurare e purificare l’organismo.
Vitamina D
218
Appendice – Il parere del nutrizionista
lupus eritematoso sistemico. Altri studi osservazionali hanno rilevato una rela-
zione inversa tra le concentrazioni di vitamina D e il rischio di diabete mellito
di tipo 2. Sono in corso studi clinici randomizzati per verificare eventuali be-
nefici, dovuti all’integrazione con la vitamina D, nel declino cognitivo da lieve
a moderato e nelle patologie neurodegenerative. L’insufficienza di vitamina D
nelle donne in gravidanza può essere associata a diversi effetti negativi sia per
la gestante sia per il feto, tuttavia sono necessari ulteriori studi per confermare
i risultati. Studi osservazionali hanno documentato un’associazione tra caren-
za di vitamina D e aumento dell’incidenza e della gravità della malattia da
coronavirus, COVID-19. Studi preliminari hanno dimostrato risultati promet-
tenti nell’associazione tra assunzione di vitamina D e gestione della dermatite
atopica (eczema) e del morbo di Crohn. Riassumendo, la vitamina D:
• facilita l’assorbimento di calcio e fosforo;
• contribuisce a mantenere ossa sane e forti (gravi carenze possono provoca-
re rachitismo nei bambini e osteomalacia negli adulti);
• promuove un sistema immunitario efficiente;
• interviene nella differenziazione e crescita cellulare.
219
Appendice – Il parere del nutrizionista
Psicobiotici
Postbiotici
220
Appendice – Il parere del nutrizionista
recettori espressi nel cervello. Gli enzimi microbici possono anche metaboliz-
zare i precursori alimentari per la sintesi del neurotrasmettitore dell’ospite (ad
esempio, triptofano per la serotonina e tirosina per la dopamina) riducendone
la biodisponibilità. Inoltre, i metaboliti microbici, come gli SCFA, se presenti
in quantità sufficiente nella preparazione postbiotica, potrebbero stimolare le
cellule enteriche a produrre serotonina, che può successivamente entrare nel
circolo sanguigno. Inoltre, negli studi di intervento sull’uomo è stato dimostra-
to che gli SCFA sono in grado di modificare i comportamenti alimentari attra-
verso la promozione della sazietà stimolando il rilascio di ormoni anoressiz-
zanti, come il peptide 1 simile al glucagone e il peptide YY; le vitamine
sintetizzate dai batteri, come le vitamine del gruppo B (riboflavina, folato e
cobalamina), possono essere presenti anche nei probiotici e, probabilmente
conservate anche nei postbiotici. Le vitamine del gruppo B hanno importanti
ruoli benefici nella funzione del sistema nervoso centrale. Tuttavia, sono ne-
cessari ulteriori studi per confermare la loro sicurezza d’utilizzo e i potenziali
benefici per l’ospite.
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Geni e vitamine
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Appendice – Il parere del nutrizionista
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Appendice – Il parere del nutrizionista
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Appendice – Il parere del nutrizionista
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228
Appendice – Il parere del nutrizionista
mente lo stile di vita nella fase diurna, si può prevenire l’insorgenza precoce
di svariate malattie. Con ogni probabilità, l’uomo, ha “ereditato” ritmi bio-
logici circadiani, riferiti alle attività fisiche e cognitive, che devono essere
rispettati attraverso lievi modifiche comportamentali, tali da ridurre il rischio
di malattia. Negli animali da esperimento, un lieve stress alimentare (res-
trizione dietetica, DR) ritarda la maggior parte dei cambiamenti fisiologici
legati all’età e prolunga la durata massima e media della vita. Studi sugli
animali hanno anche dimostrato che la DR può prevenire o rendere meno
gravi le conseguenze di eventi quali cancro, ictus, malattie coronariche,
malattie autoimmuni, allergie, morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer. Si
pensa che gli effetti della DR siano condizionati da meccanismi ormetici. La
DR include: la restrizione calorica, la restrizione dei nutrienti totali, il digi-
uno a giorni alterni e il digiuno a breve termine. Un “lieve stress alimentare”,
inclusa la limitazione della quantità o della frequenza di assunzione degli
alimenti, è la base della DR. Per gran parte della loro storia, gli esseri umani
hanno vissuto come cacciatori-raccoglitori e si sono adattati alle restrizioni
nella loro ricerca-approvvigionamento di cibo. D’altra parte, l’eccesso di
cibo per molti oggi ha portato all’attuale epidemia globale di obesità e
malattie annesse. Il DR può essere utilizzato, quindi, come un nuovo approc-
cio per l’intervento terapeutico in diverse malattie, quando si ottengono in-
formazioni dettagliate sugli effetti di un lieve stress alimentare sulla salute
umana documentati da studi clinici. È difficile conoscere il fabbisogno indi-
viduale nutrizionale, sappiamo solo che ci sono livelli di nutrienti prestabil-
iti e raccomandati per fisiologia e per età (LARN). Quindi, l’approccio
ormetico potrebbe rappresentare la chiave per un “invecchiamento di succes-
so”, tenendo conto delle capacità ormetiche e della dose ormetica, dove per
capacità ormetiche s’intende stile di vita attivo nella fase diurna adattato alle
capacità di performance che potrebbero essere pre-determinate genetica-
mente, mentre la dose ormetica è la risposta bifasica delle cellule alla dose
di un fattore esogeno o endogeno, che può essere: stimolante (effetti benefi-
ci a basse dosi) o inibitore (effetti avversi ad alte dosi). In conclusione,
l’ormesi può rappresentare un valido approccio per ridurre il rischio di molte
patologie, in rapido aumento come obesità, sindrome metabolica e malattie
cardiovascolari, oltre a preservare la salute e a ridurre l’incidenza di malattie
croniche degenerative legate a stili di vita scorretti e diete malsane.
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Indice analitico
233
Indice analitico
234
Indice analitico
235
Indice analitico
236
Indice analitico
M
Macronutrienti 17,121 O
Mais 14-16 Obesità 19,41,48-50
Magnesio 52 Oleoresine 128
Malnutrizione 61,142 Oli essenziali 2,148
Malondialdeide (MDA)168 Olio 14
Maltaggio 110 di canola 208,211
Mango 143 di cocco 34
Maturazione 18,47,73 di colza 211
MCM6 224 di crusca di riso 180
Mele 14,41,81 di girasole 34
Mercurio 58 di oliva extra vergine 202
Meta-analisi 61,75,123 di sesamo 169
Metabolismo 4,13 di soia 14
Metformina 13 Omega-3 17, 54, 55
Microbiota 28-30 Omics 223
Micronutrienti 54,61 Organizzazione Mondiale della Sanità
Micro-ossigenazione 109 (OMS)16,26,76
Miele 81 Origano 87,168
Mindful eating 230 Ormesi 228
Minerali9,10,16,34,45,52 Ormoni di controllo dell’appetito 206
Mioglobina 16,31 Ortaggi 202,203
Mirosinasi 30 Orticaria 20,21,122
Monossido di azoto 23 Orzo 20,94,110
Myco 37 Ossidazione 18
Ossigeno 29,31,44
Osteoporosi 52,53
N Ossido nitrico 23
National Association of British and Irish
Flour Millers (NABIM) 42
Naringina 149 P
Nettare 10,81,82 Palatabilità 9,72
Next generation sequencing (NGS) 227 Pane 41,42
Niacina 57,146,156 Papaina 144
Nitrati 23 Parkinson, morbo 165,229
Nitrosammine 25,27 Parvalbumina 23
237
Indice analitico
238
Indice analitico
T Vanillina 3
Tannini 28,104 Vasodilatazione 24
Tarassaco 10,216 Vegetali rossi 18
Tartrazina (E102) 20 Vino 102
Tartufo 160 Viola tricolor 10
Taste Receptor Cells (TRC) 77 Vitamina A 10,17
Te nero 127,131 Vitamina B9 17
Te verde 131 Vitamina B12 (cobalamina) 17
Terpeni 10,89,114 Vitamina C (acido ascorbico) 52,144,148
Tiamina 9,42 Vitamina D (calciferolo) 218
Time-Restricted Feeding (TRF) 3 Vitamina E (tocoferolo) 172
Timo 12 Vitamina K 215
Timolo 162 Vitamine idrosolubili 165
Tiopropanal-S-ossido 165 Vitamine liposolubili 60
Tocoferoli 169 Vomito 20,21,53
Tocotrienoli 42
Torrefazione 134
Tossicita acuta 25 W-X-Y-Z
Tostatura 145 Wakame 59
Trasmissione sociale 12 Warfarina 166
Trasportatori di soluti 13 Wasabi 87
Trigliceridi 43,203,208 Weight cycling 206
Trimetilammina-N-ossido 38 Whisky 113
Triptofano 215 Wild 77
Trombosi111 World Wide Fund for Nature(WWFN) 210
Tuberi 7,153 Xantofille 56,172
Tuorlo d’uovo 60 Xantumolo 111
Xenobiotici 226
Xenotrapianto 6
U-V Yersinia enterocolitica 189
Umami 71 Yogurt 126
United States Dept. of Agriculture Z-3-esanale 88
(USDA)40 Zafferano 174
Uovo 45 Zeng 116
Uva 147 Zenzero 170
Vaccini 61 Zeaxantina 60,155
Valina 33 Zinco 16,17,32,37
Valore nutrizionale 2,34,36,42 Zolfo 18,155
Vaniglia 167 Zucchero 16,74-78
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