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IMPIANTI IDRAULICI DI POTENZA

Gli impianti idroelettrici sfruttano l’energia potenziale gravitazionale resa


disponibile da una massa di acqua tra due punti posti ad una quota geodetica
differente. Distinguiamo due fondamentali tipi di impianti idroelettrici:

- ad accumulazione (bacino di una diga)

- ad acqua fluente

- di pompaggio

Se andiamo a veder l’andamento della richiesta di potenza nelle 24h, si vede


che c’è una forte differenza tra picco minimo e picco massimo, e quando c’è da far fronte ai picchi massimi di energia
richiesta gli impianti idroelettrici rivestono un ruolo molto importante.

Cosa vuol dire dal punto di vista energetico sfruttare questo tipo di risorsa?

Supponiamo di avere il nostro corso d’acqua dalla sezione 1 alla sezione 2 e andiamo ad applicare l’equazione di
conservazione dell’energia in forma meccanica.

Non abbiamo variazione di energia cinetica (velocità), non abbiamo superfici mobili o variazioni di pressione
notevoli, perciò posso eseguire tutte le relative semplificazioni (fai semplificazioni). Rimane allora un’equazione che
esprime che tutta l’energia potenziale del fluido viene dissipata sotto forma di attrito.

Per progettare un impianto in grado di canalizzare il fluido ed estrapolare energia da esso è necessario che il fluido
incontri meno perdite e non dissipi tutta l’energia potenziale sotto forma di attrito.

Il fluido deve incontrare meno perdite di quelle che avrebbe incontrato scendendo il letto del fiume normalmente,
per fare in modo di sfruttare la sua energia. Per questo ci saranno tubazioni in acciaio, che avranno delle perdite ma
sicuramente meno rilevanti di un percorso naturale e accidentato.

L’energia che è disponibile sfruttare è quindi la differenza di energia potenziale (ho


cambiato il segno per renderla positiva) al meno delle perdite di carico “R” che si
incontrano nei tubi utilizzati.

IMPIANTO AD ACCUMULO

Capiamo quindi che l’energia non deriva dall’accumulo ma dalle minori


perdite nel percorso, l’accumulo mi consente di avere una portata
spillata di fluido costante che fa lavorare la turbina sempre a regime e
quindi in condizione di massimo rendimento.
IMPIANTO AD ACQUA FLUENTE

Il concetto espresso prima è evidente negli impianti ad acqua fluente, l’acqua percorre lo stesso identico tragitto ma
con meno perdite rispetto al letto del fiume. Si sfrutta il corso del fiume che viene incanalato in appositi condotti
mantenendo una quota costante, per poi essere portato attraverso un dislivello e utilizzato per produrre energia per
poi essere reimmesso nel suo corso naturale.

Per realizzare un impianto idroelettrico bisogna avere


informazioni sul corso d’acqua, come ad esempio il diagramma
della frequenza degli ultimi 5-10 anni che indica le portate
giorno per giorno del flusso, per avere un’idea della portata
giornaliera di acqua che il corso mette a disposizione.

Un altro diagramma che potrebbe essere interessante è la


curva idrodinamica, un diagramma che ha la portata in
ordinata e la quota altimetrica in ascissa, utile per indicare la
presenza di affluenti che determinano una traslazione (verso
l’alto) della curva.

Un altro diagramma interessante è la cosiddetta curva di


durata, diagramma che ha in ordinata la portata e in ascissa il
numero di giorni, questa volta non intesi come i giorni
dell’anno come calendario ma come intervallo di tempo (es:
100 non è il centesimo giorno, ma tutti i 100 giorni precedenti).
È la curva a fianco la si ottiene dalla curva della frequenza. Mi
permette di determinare la portata minima che un fiume è in
grado di soddisfare in un certo intervallo di tempo.

Prendiamo per esempio un punto corrispondente il 100-esimo


giorno, a cui corrisponde una certa portata. La curva di durata
sta a significare che il corso, per 100 giorni, è in grado di
soddisfare una portata pari o maggiore a quella indicata dal diagramma. Questa curva di durata viene utilizzata per
gli impianti ad acqua fluente e fornisce un’indicazione per il dimensionamento della taglia dell’impianto.

Se invece abbiamo un IMPIANTO A BACINO, le considerazioni da fare sono un po’ diverse, perché l’obiettivo ultimo
di una diga è quello di fare lavorare la turbina a portata costante in condizione di massimo rendimento.

Sempre dal diagramma della frequenza giorno per giorno, posso definire la curva dei deflussi naturali, curva che ha
in ordinata il volume, ovvero l’integrale della portata giorno per giorno. Quello che leggo in corrispondenza della
lettera R è il volume di fluido che il corso mi ha messo a disposizione in un anno.
L’impianto dovrebbe essere progettato per elaborare una portata
costante e quindi massimo rendimento, nel grafico a fianco del
volume la portata sarebbe la sua derivata e sarebbe una retta
orizzontale (volume crescente in modo costante). Questa curva è
detta curva dei deflussi regolati ed è quello che voglio ottenere
grazie al mio bacino. Anche questa retta termine in R dove ho il
volume messo a disposizione dal fiume in un anno. Sul grafico
troviamo rappresentata anche la curva dei deflussi naturali, ovvero
la derivata della portata variabile del fiume nel caso reale (la portata
non è più costante).

Tracciando due rette parallele e tangenti alla curva dei deflussi


naturali (portata variabile del fiume) riusciamo a definire la
variazione di volume che subisce il bacino durante il suo
funzionamento. Nel primo tratto fino a V’’ succede che la portata
che prelevo per alimentare la turbina è data dalla retta ed è
maggiore della portata entrante, quindi il bacino si sta svuotando.
Dal punto V’’ al punto V’ la pendenza della curva dei deflussi
naturali è maggiore della pendenza della curva dei deflussi regolati,
quindi il bacino si sta riempiendo (è maggiore l’acqua che entra che quella che prelevo). Poi si torna alla condizione
di prima.

Si cerca quindi l’escursione del volume del bacino tra pieno e vuoto al fine di determinare la sua dimensione.

V = V’’+ V’ per cui si ottiene l’escursione di volume di acqua che si verificherà nel bacino.

IMPIANTI DI POMPAGGIO

Questi sistemi idraulici di accumulazione mi permettono di immagazzinare grandi quantità di energia: è presente una
pompa che preleva l’acqua dal bacino di valle per rimandarla al bacino di monte, immagazzinando grandi quantità di
energia potenziale.

Questo mi permette di sfruttare l’energia potenziale quando serve o di accumularla quando la rete (nucleare,
termoelettrica, etc…) ne produce di più di quanta ne serve, immagazzinandola per poi essere utilizzata quando
richiesto.

Naturalmente i rendimenti determinano uno spreco energetico in questa operazione e potrebbe sembrare uno
spreco sconvenite. La pratica in questione è giustificata dal fatto che il prezzo dell’energia elettrica oscilla a seconda
della domanda, quindi tradotto in soldi alla fine è conveniente. I gruppi di pompaggio si distinguono in binario e
ternario.

RENDIMENTI DEGLI IMPIANTI IDRAULICI


Partiamo da uno schema di impianto idraulico a bacino. Un bacino realizzato artificialmente raccoglie l’acqua in
modo da spillare una portata da conferire alla turbina a valle che viene messa in rotazione generando energia. La
turbina scarica l’acqua nel bacino di valle (come scarica l’acqua ne parleremo). La quota geodetica la indichiamo con
H0. Vediamo la potenza ideale che possiamo ottenere una volta fissato il salto geodetica di quota:

Introduciamo le prime perdite, ovvero le


perdite di adduzione, che sono le perdite che
avvengono per attrito nella condotta:

Si ottiene quindi un rendimento che permette di tenere conto delle perdite per attrito; questo viene comodamente
espresso come il rapporto tra la quota disponibile e quella ideale, ovvero la perdita viene vista come una riduzione
della quota geodetica. Ottengo quindi la potenza disponibile.

Aggiungiamo anche un rendimento idraulico, ovvero il rapporto tra potenza raccolta alla turbina e quella
disponibile per la turbina calcolata nel passaggio precedente.

Aggiungiamo anche il rendimento meccanico, definito come il rapporto tra la potenza effettivamente generata dalla
turbina e quella raccolta da essa.

Allora ottengo il rendimento della macchina, il prodotto dei due precedenti:

Allora il rendimento dell’impianto risulta il


prodotto dei precedenti:

Questo rendimento fornisce la potenza disponibile all’albero. Per la produzione dell’energia si usa anche un
rendimento elettrico dato dalla conversione dell’energia:

Il rendimento globale allora risulta come il prodotto tra quello dell’impianto e


quello elettrico; il suo valore si aggira nell’intervallo 0.65 – 0.8.

La potenza elettrica allora è:

Facciamo ora una conversione con un valore di rendimento globale all’interno dell’intervallo (0.73), scelto
appositamente per ottenere una cifra intera con cui poter avere un’indicazione della potenza ottenibile in funzione
del salto geodetico disponibile: ogni 500 m di altezza possiamo ottenere 1 kWh per ogni m^3 di acqua che scende a
valle.

TURBINE IDRAULICHE (VEDI SOKOL)


Il fluido arriva all’interno di un ugello con una pressione
e sbocca alla pressione ambiente (dove si trova la
turbina) e converte la sua energia elastica, a meno di
qualche perdita, in energia cinetica. L’energia viene
fornita alla turbina Pelton grazie alla sua particolare
geometria, per cui ogni pala (doppio cucchiaio)
permette di invertire quasi del tutto il flusso del liquido.
La quantità di moto trasferita permette di mettere in
rotazione la turbina.

Il getto d’acqua intercetta la pala e incontra il coltello


(bordo di giunzione tra due cucchiai), dividendo il
flusso in due parti. Il flusso d’acqua subisce una
variazione di flusso di quantità di moto notevolissima
(viene quasi invertito il senso), quindi nasce una forza
sulla palettatura a cui corrisponde una coppia sull’albero.

La macchina lavora a pressione costante, ovvero la differenza tra ingresso e uscita è nulla; di
conseguenza il GRADO DI REAZIONE, definito come il salto di pressione rapportato con
l’energia disponibile caratterizzata da un salto disponibile (Hd), può anche essere nullo nella
turbina Pelton.

Questa è una macchina a grado di reazione = 0 (P1 = P2), detta cioè turbina ad azione perché tutto avviene alla
pressione atmosferica. Tutta l’energia del fluido viene convertita in energia cinetica nella parte statorica e la
deviazione della
velocità determina
una spinta, quindi
una coppia.

Vediamo ora i
triangoli di velocità:

Vediamo che il fluido


arriva alla girante con
una velocità assoluta C1, con le sue componenti U1 e W1 (W1 c’è ed è maggiore di 0). La velocità della girante è U1
ed è possibile calcolarla tramite il prodotto tra la velocità angolare e il raggio scelto (U1 = w*R1). Il fluido viene
deviato e a meno di qualche perdita per attrito esce con una velocità relativa W2 che risulta appena ridotta rispetto a
W1. La velocità della girante invece rimane del tutto invariata, da cui risulta la velocità assoluta in uscita C2.

In questo caso si parla di macchine motrici, quindi il fluido diminuisce il proprio contenuto energetico per cui si
esprime l’equazione di Eulero come entrante – uscente:

La Spina Doble si può movimentare avanti e indietro, andando a


parzializzare la sezione di passaggio del fluido attraverso l’ugello (non troppo, deve esserci sempre la punta
sporgente all’uscita per guidare meglio il fluido). Questa variazione di sezione consente di variare la portata del
flusso all’intento della condotta, non varia la velocità perché questa è data dalla pressione che c’è a monte meno
la pressione che c’è e valle e sono entrambe fisse.

Parzializzando l’uscita dell’ugello si riduce la portata, quindi automaticamente si riducono le perdite (che variano
con il quadrato della portata) quindi la pressione che si ottiene appena prima dello sbocco sarà più alta di quella che
si aveva prima della parzializzazione, quindi aumenta il contenuto energetico che viene convertito in energia
cinetica e il fluido esce più forte. Si interviene sulla portata, non sulla velocità, che è una conseguenza della
pressione a monte e a valle.

Come posso interrompere il processo di produzione di


energia elettrica? Posso andare a chiudere la valvola di intercettazione (però si fa molto molto lentamente per
evitare i colpi di ariete). Un modo molto più rapido è introdurre un tegolo deviatore per deviare il flusso di acqua e
far arrivare meno acqua (o nessun
quantitativo) alla girante.
INTERAZIONE GETTO PALETTA

Il coltello (separazione dei cucchiai) è rastremato (curvo) in modo tale che durante la rotazione della girante
rimanga sempre perpendicolare al getto di fluido.

Notiamo un intaglio nella sezione inferiore della paletta, la prima interazione con il fluido vede le particelle
percorrere il tratto f-F, successivamente la pala ruota e si abbassa, il fluido viene raccolto nel punto D e percorre il
tragitto fino D-E per poi percorrere un tragitto conclusivo B-C nel momento in cui comincia a rialzarsi durante la
rotazione.

PASSO PALARE MASSIMO

Questo definisce di
conseguenza il numero minimo
di pale nella girante.

D: diametro Pelton (chiamato P)


ovvero la circonferenza
tangente al flusso di fluido.

F,X,Y: circonferenza disegnata


dal coltello durante la
rotazione.

E: circonferenza data dalla pala


(maggiore del coltello); il punto
E è dato dall’intersezione della
pala con la generatrice inferiore
del flusso di fluido.
Inizialmente il coltello intercetta il getto nel punto X, per poi intercettare TUTTO il getto in Y.

Il punto di partenza nel ragionamento è questo: bisogna dare il tempo alla particella di fluido che incontra la pala,
di lavorare sulla pala. Per tradurre in numeri questa affermazione, suppongo che tutto il fenomeno avvenga lungo il
piano perpendicolare alla girante (foglio) e passante per la generatrice inferiore del getto (tutte le lettere Y-C-B-E)
stanno sulla retta generatrice inferiore del getto. Vuol dire che ad un certo punto la particella raggiunge la pala e
disegna una traiettoria (l) dovuta al fatto che la pala sta ruotando.

Immaginiamo che in B la particella di fluido e la pala si incontrino, poi la pala si alza durante la sua rotazione perché
siamo nella metà di destra, e la particella rimanendo nel piano perpendicolare al disegno e passante per la
generatrice inferiore, abbandonerà la pala nel punto E (il punto E delle due figure sono lo stesso).

Se la particella e la pala si incontrassero più avanti, tra B ed E, la particella ha percorso un tratto che prima veniva
indicato con l, molto più breve. Quindi non posso andare più a destra di B, perché altrimenti non sfrutto tutto il
percorso massimo sulla pala in modo che venga perfettamente deviata l’acqua. Andrebbe benissimo se invece
particella e pala si incontrassero dove c’è H più o meno, perché la particella abbandonerebbe la pala ancora prima
che essa abbandoni il piano, il percorso massimo della particella è garantito. Ci posizioniamo nel punto limite B solo
perché ci interessa il PASSO PALARE MASSIMO, ovvero il numero minimo di pale, quindi ci interessa una
condizione limite: voglio che la particella d’acqua e la pala si incontrino e che abbiano giusto il tempo, prima che la
pala abbandoni il piano, di far sì che la particella percorra la palettatura.

La particella appena a destra al punto Y lavora sulla pala precedente, la particella appena a sinistra del punto Y
lavora proprio su questa pala. La particella che lavora appenda dopo il punto Y incontra la pala che sta in C, perché
sta in C e non B? perché entrambe si muovono. La pala è in C, la particella è in Y, che va più veloce della pala (circa il
doppio), e le due si incontrano in B. Da B ad E la particella lavora sulla pala.

Tutte queste considerazioni le devo tradurre in numeri e definire “a”, detto passo angolare massimo palare, da cui si
definisce il numero minimo di pale.

Che cos’è X’? in X’ c’è la particella di acqua che non è stata intercettata dalla pala disegnata. Quando la pala arriva in
X comincia ad intercettare il getto, la particella appena a destra di X, non intercettata dalla pala disegnata prosegue
verso destra, si muove più velocemente della pala e quindi va molto più avanti. Quando vado a terminare
l’intercettazione nel punto Y, se potessi fare una foto del getto che si muove verso destra, vedrei che è tagliato a
becco di flauto secondo la linea Y-X’.

Capito questo, capiamo anche perché studiamo la generatrice inferiore, perché la particella appena dopo Y è più
indietro della particella in X’, quindi quando la particella appena dopo Y incontra la pala nel punto B, la particella X’
sarà arrivata già da prima contro la stessa, quindi avrà più tempo a disposizione per lavorare sulla pala (avendola
incontrata prima). La condizione più gravosa da prendere da riferimento per calcolare il numero di pale massimo è
quella sulla generatrice inferiore del getto.

PASSO PALARE MINIMO

In questo caso bisogna preoccuparsi che il getto di


acqua che abbandona la pala, non vada a toccare il
dorso della pala precedente. Se si riesce in qualche
modo a stimare lo spessore di questo getto di acqua
ho la condizione limite, in realtà si misura lo spessore
della pala (quota s), bisogna fare in modo che s < b (b
è lo spessore tra le pale).

Queste quote, con l’angolo beta2 sono tutte correlate


al passo palare. Quindi, se si riesce a definire tramite
la velocità W2 lo spessore del getto di acqua, assumo
questo spessore come pari alla distanza minima tra il
dorso e il ventre di due pale successive (b) e con
questa dimensione vai a definire il passo palare minimo a cui è associato il numero massimo di pale.
Ci sono delle dimensioni geometriche quasi tutte correlate al diametro del getto, e in base a questo vado a disegnare
la pala.
TURBINA FRANCIS (TURBINE A REAZIONE)
Si vede la girante all’interno, è un po’ l’inverso di una pompa centrifuga con la sezione di scorrimento del fluido
decrescente da ingresso a uscita (distributore).

Il flusso che entra, entra sul diametro maggiore (ci ricordiamo


l’equazione di Eulero nella forma quadratica) entro sui grandi
raggi ed esco sui raggi piccoli per avere un contributo da
questo termine cinetico dell’equazione di Eulero:

TURBINA KAPLAN
NUMERO DI GIRI CARATTERISTICO
Le Pelton sono da una parte e le turbine
ad elica sono dall’altro, se ci si pensa
infatti, la Pelton si prestano ad alti salti
geodetici con velocità elevate, lavorando
molto bene sulla girante ma con poca
portata, le turbine ad elica invece sono
adatte ad essere attraversate da portate
elevate ma non sono adatti a salti
geodetici molto elevati.

Il numero di giri caratteristico che vede


la prevalenza a denominatore e la
portata a numeratore sarà elevato per le
turbine ad elica, piccolo per le turbine
Pelton. Si sono individuate delle famiglie
di macchine con rendimenti elevati sotto
certe condizioni, individuate dal numero
di giri caratteristica in modo tale da
svincolarsi dalla specifica portata,
specifico salto geodetico o specifico
regime di rotazione e queste informazioni danno al progettista l’architettura più adatta (rendimenti elevati) in
determinate condizioni.
TRATTAZIONE GENERICA DI UN IMPIANTO IDRAULICO
Non riguarda quindi nello specifico un impianto a bacino o ad acqua
fluente, ma è una trattazione generica. Si indichi con M la quota di
monte, V la quota di valle ed U la sezione di fine del condotto che
collega V alla turbina. 1 e 2 sono sezioni di ingresso e uscita della
turbina, L è il lavoro generato.

Indicando il termine “T” come il contenuto di energia meccanica in


una sezione, faccio il bilancio tra monte e valle tenendo conto delle
perdite:

Posso quindi ricavare le perdite totali “Ytot”, tenendo conto della velocità del fluido nella sezione “U”, delle perdite
che troviamo nella macchina che consideriamo come nulle dato che non ci concentriamo sulla macchina,
considerando la pressione sia al serbatoio di monte che di valle pari a
quella atmosferica.

Tramite le ipotesi sopra elencate l’espressione dell’energia per le due


sezione a monte e a valle risultano in semplici termini di quota,
permettendomi di ottenere l’espressione finale del lavoro “L”.

Definiamo allora come salto motore “g*Hm” l’energia disponibile per la turbina:

Il salto motore = salto geodetico - energia per portare l’acqua alla turbina che è esattamente quello che avevamo
detto nei rendimenti degli impianti idraulici, dove avevamo introdotto le perdite per adduzione.

Per la precisione, ci sono diverse definizioni di salto motore, in base alle normative.

Se abbiamo una turbina Pelton, già c’è una situazione un filo diversa. L’ugello che dirige il getto d’acqua contro la
girante non è alla quota V (valle), per ovvi motivi costruttivi è qualche metro sopra. Allora per esempio per la
Pelton il salto motore potrebbe essere definito come:

In questa formula si è tenuto conto dell’altezza di installazione dell’ugello, per indicare che non tutto il salto
geodetico tra monte e valle può essere sfruttato in molti casi.
Diffusore del canale di scarico delle macchine a reazione (turbina Francis o ad elica)
Rappresentiamo la sezione 2 di uscita turbina, notiamo che il
condotto divergente è immerso fino al di sotto della quota di
valle quindi nella realtà la U sarà sotto la V. Vediamo sotto
l’energia meccanica calcolata nella due sezioni:

Ho che Tv risulta differente da


Tu a causa del termine cinetico presente alla sezione di uscita
U che invece non ritrovo nella sezione di valle V.
Dall’equazione di Torricelli so che:

Ovvero nella sezione di uscita U ritrovo una componente cinetica che comporta le differenza di energia tra le due
sezioni, che altrimenti sarebbero uguali.

Riscriviamo quindi il lavoro tra monte M e valle V:

Per ottenere questa equazione sono partito dalla differenza di energia tra
monte e valle (Tm – Tv) considerando la velocità in entrambi i serbatoi come nulla, scomponendo poi i termini
energetici in pressione e quota. Infine sono state aggiunte le perdite di carico.

Posso applicare la stessa equazione del lavoro tra monte M e uscita U, dove questa volta non ho una velocità nulla
facendo comparire il contributo cinetico aggiuntivo già visto prima:

Siccome vale comunque l’equazione di Torricelli, allora posso sostituire con le condizioni a valle lasciando il termine
cinetico aggiuntivo. Le perdite in questo caso vengono calcolate tra la sezione di monte M e la sezione di uscita U,
invece che quella di valle.

Noto allora che per aumentare il lavoro devo necessariamente ridurre il contributo cinetico c 2u/2 oltre che alle
perdite di carico, ovviamente.

Volendo ridurre la velocità in uscita, risulta allora ovvio come


il condotto di uscita debba essere divergente, divenendo un
diffusore.

In alternativa si potrebbe anche lasciare un condotto di


scarico cilindrico, abbandonando l’obbiettivo di ridurre la
velocità in uscita.
Sorge adesso un problema conseguente alla riduzione di velocità in uscita, che consiste nella cavitazione.

Nella sezione 2 in ingresso troviamo la stessa energia della sezione di uscita U al meno delle perdite di carico tra le
due sezioni, calcolate nella configurazione diffusore (pedice D):

Tralasciando il fatto che la formula nel passaggio intermedio è sbagliata, possiamo ottenere tramite la conservazione
dell’energia in forma meccanica la pressione nella sezione 2 che risulta inferiore rispetto a quella della sezione di
uscita U, come accade nei diffusori dove la velocità diminuisce e la pressione aumenta. Dall’espressione posso
ricavare che:

- Se diminuisce la velocità all’uscita Cu allora la pressione P2 si riduce (mentre il lavoro aumenta, come ci sto
prima);
- Se aumenta la variazione di quota tra le due sezioni (z2 – zu) la pressione P2 si riduce.

Le due considerazioni riguardano la forma del condotto divergente, quanto è divergente e quanto è alto. Se il
condotto è troppo divergente per diminuire al massimo la velocità a favore del lavoro, o se il salto geodetico è
troppo elevato, P2 diminuisce al punto da andare incontro al rischio di cavitazione, che andrebbe ad interessare i
bordi di uscita della turbina, provocando danni rilevanti.

Per valutare se il sistema presenta il problema della cavitazione allora riprendiamo le funzioni energetiche NPSH:

Come abbiamo già visto, l’NPSH disponibile deve essere sempre maggiore dell’NPSH
richiesto, in modo da evitare il fenomeno della cavitazione.

L’NPSH richiesto viene fornito dal costruttore in seguito a prove di laboratorio, la sua formula è:

Nota bene: nel fenomeno della cavitazione si può distinguere quella gassosa (pressione di saturazione) e quella
vaporosa (pressione di vapore), nella prima i gas disciolti cominciano “fuoriuscire” dal liquido a causa
dell’abbassamento di pressione, mentre nella seconda il liquido cambia fase passando a quella gassosa. Noi
possiamo fare riferimento anche solo alla cavitazione vaporosa, anche se nella formula viene inserita la condizione
più cautelativa dove viene considerato anche il margine di pressione per arrivare al valore che determina la
cavitazione gassosa (sicuramente maggiore, dato che la pressione a cui si liberano i gas disciolti è ovviamente più alta
della pressione a cui il fluido cambia fase).

L’NPSH disponibile viene invece calcolato tramite la differenza della pressione totale alla sezione di uscita (espressa
come energia, ovvero carico) e la soglia energetica che rappresenta la cavitazione. Anche in questo caso,
rappresenta quindi il margine energetico disponibile prima che subentri il fenomeno della cavitazione.
Dai calcoli precedenti posso ricavare:

In questo modo possiamo vedere come:

- Se diminuisce la velocità all’uscita Cu allora la funzione NPSHD si riduce;


- Se aumenta la variazione di quota tra le due sezioni (z2 – zu) la funzione NPSHD si riduce.

Quindi avere un condotto molto divergente (basse velocità di uscite) e molto alto (alta variazione di quota tra le
due sezioni) comporta il rischio di ingresso nel fenomeno della cavitazione, che si verifica all’uscita dello scarico
invece che all’ingresso come nelle pompe centrifughe.

GRUPPI TURBOGAS (TURBINE A GAS)


Con gruppi turbogas si intende un sistema non composto solo dalla turbina ma piuttosto da un compressore, una
camera di combustione e in ultimo una turbina.

Il ciclo rappresentato è ideale: da 1 a 2 l’aria viene compressa con


una compressione isoentropica ideale, da 2 a 3 avviene una somministrazione di calore ideale (combustione
isobara, nella realtà non è isobara perché da 2 a 3 ci sono perdite di carico) ed infine un’espansione isoentropica
ideale ad opera della turbina da 3 a 4 per cui il lavoro di espansione è maggiore del lavoro di compressione,
permettendo alla macchina di “produrre energia”. La trasformazione da 4 a 1 non viene rappresentata perché il
sistema risulta aperto, con l’espulsione dei gas di scarico nell’atmosfera (considerazione personale).
I compressori li abbiamo già visti, in questo caso si tratta di un compressore assiale (sezione di passaggio si restringe,
aumenta la densità) in cui si vedono le pale rotoriche (scure) e pale statoriche (chiare). Come rappresentato nello
schema anche sopra il compressore assiale e la turbina sono calettate sullo stesso albero.

In figura si vede la parte anteriore con l’ogiva che convoglia l’aria nella zona anulare, un turbofan per variazione di
quantità di moto conferisce energia al flusso determinando una spinta in avanti. Il flusso principale passa prima in un
compressore assiale a bassa pressione e poi in un compressore assiale ad alta pressione (compressore centrifugo).
Poi si vede la camera di combustione posta dietro la turbina. Anche la turbina è una successione di pale statoriche e
rotoriche dove il flusso viene deviato, in questo caso la variazione del momento angolare vede il fluido cedere
energia per mettere in rotazione la palettatura. I modi per generare energia elettrica o propulsione sono svariati, a
seconda della configurazione e combinazione degli elementi del gruppo.

CAMERA DI COMBUSTIONE

Il bilancio del flusso entalpia della camera di combustione dice che l’entalpia del flusso entrante “a” (aria), più
l’entalpia conferita dal combustibile è uguale al flusso di entalpia uscente del gas (il bilancio di flusso entalpia
contiene anche il bilancio di massa).

L’entalpia conferita dal combustibile è suddivisa in due contributi:

1. Entalpia termodinamica legata al fatto che il flusso può essere più o meno caldo (meno rilevante);

2. Contributo legato all’energia termica identificata dal potere calorifico inferiore, sempre ipotizzando che qualche
molecola non bruci si tiene conto di un rendimento di combustione dell’ordine dello 0.90-0.99).

Tramite le semplificazioni sopra citate è allora possibile determinare il rapporto tra la portata di aria e quella di
combustibile:

Dato che il rendimento della camera di combustione, il potere calorifico inferiore, l’entalpia in ingresso (h2) possono
essere tutte considerate come costanti allora si evince che la relazione riguardi unicamente i termini α, ovvero il
rapporto tra le portate, e h3 che rappresenta l’entalpia in uscita dalla camera di combustione.

La turbina risulta stressata sia termicamente dalla temperatura dei fumi in uscita che meccanicamente dal momento
angolare dell’efflusso dei fumi e dalla forza centrifuga, perciò per evitare di incorrere in problemi legati alla
resistenza del materiale della turbina si pone un limite alla temperatura in uscita dalla camera di combustione e
quindi anche al valore di h3.
Dalla correlazione vista sopra possiamo quindi ricavare anche un valore limite del rapporto tra le portate “α”,
definendo rapporti elevati al fine di proteggere la turbina da temperature eccessive.

Per valori molto alti di α però si rischia di uscire dai limiti di infiammabilità, quindi bisognerà progettare la camera
di combustione in modo tale da tenere conto del forte eccesso d’aria. Il principio di funzionamento si basa sul fatto
di fare una combustione in più passaggi: inizialmente si lavora con rapporti poco al di sopra dello stechiometrico
(circa 15), con cui si raggiungono temperature elevate, e poi si aggiunge in un secondo momento altra aria in modo
da ridurre la temperatura in ingresso alla turbina.

Si vede l’aria primaria che si miscela subito con il combustibile e in seguito all’azione dell’accenditore si svilupperà la
fiamma, dopo di che c’è un ingresso di aria secondaria volta a garantire la totale e completa combustione del
combustibile in modo da esprimere tutto il proprio potenziale (alza al massimo il rendimento della camera di
combustione).

Successivamente si arriva alla zona di diluizione in cui l’aria di diluizione ha il compito di abbattere la temperatura
per non danneggiare la turbina. A titolo di esempio diamo qualche numero, si entra con un rapporto stechiometrico
di 20 con l’aria primaria, si raggiunge i 30 con l’apporto di aria secondaria e magari si raggiungono magari gli 80 con
l’aria di diluizione. Per innalzare il più possibile il rendimento del gruppo turbogas, è di interesse fare in modo che la
temperatura sia la più alta possibile. Quindi il compromesso è cercare di avere una temperatura più alta possibile
senza danneggiare la paletta: tutta la ricerca di queste macchine riguarda la resistenza della turbina durante le
condizioni di lavoro (es: palettature ceramiche).

Due modi principali di raffreddamento della paletta sono:

1) raffreddamento convettivo: aria spillata dal compressore che viene convogliata dentro la turbina

2) raffreddamento a film: aria refrigerante prelevata dal compressore, immessa all’interno della paletta (che sarà
quindi cava), e dei buchi presenti sulla palettatura consentono la fuoriuscita di questo fluido andando a rivestire di
un sottilissimo strato di aria la pala, proteggendola.

Chiaramente la pressione nella turbina andrà via via decrescendo, per cui a seconda della zona in cui si trova la
paletta che dovrò raffreddare, spillerò aria dal compressore in zone diverse. Nei primi stadi della turbina, dove la
pressione è alta, per fare in modo che l’aria esca dai fori (si diriga quindi verso una zona a pressione minore), spillerò
l’aria negli ultimi stadi del compressore e le farò seguire un percorso privilegiato con meno perdite di carico rispetto
al percorso dei fumi, in questo modo si troverà ad una pressione nella paletta maggiore rispetto alla pressione dei
fumi e potrà uscire a rivestire la paletta. Viceversa negli ultimi stadi della turbina dove i fumi hanno ridotto
notevolmente la loro energia non avrebbe senso spillare aria dagli ultimi stadi del compressore, sarebbe solo uno
spreco di energia. Per questo motivo l’aria viene prelevata ai primi stadi del compressore, facendo in modo che
comunque giunga ad una pressione maggiore dei fumi per gli stessi motivi elencati.

PROPULSIONE A REAZIONE (TURBOGETTO)


Il ciclo di nuovo va da 1 a 2 con compressione ideale isoentropica, in questo caso la turbina è funzionale solo e
soltanto a trascinare il compressore. Non espando quindi in turbina fino alla pressione atmosferica (5), ma ho
un’espansione ideale isoentropica da 3 a 4 in modo tale che il lavoro di espansione sia esattamente uguale al
lavoro di compressione. Dopo di che in 4 mi trovo un fluido che ha pressione più alta dell’uscita 5, quindi accelererà
uscendo ad alta velocità.

La macchina vede un fluido in ingresso ad una certa velocità, in uscita avrà velocità più alta, il flusso è stato quindi
accelerato e di conseguenza è stata applicata una spinta alla macchina.

In ingresso 1 non coincide con la pressione atmosferica semplicemente perché nell’ingresso ci possono essere effetti
dinamici per cui una porzione di energia cinetica può essere convertita in elastica ma trascuriamo questi effetti.

La spinta nasce dalla variazione del momento della quantità di moto:

Il gruppo turbogas ha quindi una funzione molto semplice, quella di garantirmi un


fluido nella sezione 4 a pressione più alta di quella che è presente valle dell’ugello 5, in modo che convertendo la sua
energia elastica in cinetica esca ad alta velocità. La velocità in uscita è più grande di quella in ingresso e nasce una
forza che da un lato accelera il fluido e per il III° principio accelera la macchina.

La spinta viene inoltre generata da una forza derivata dalla differenza di pressione tra la pressione di uscita Pj = P4 e
la pressione dell’ambiente all’ingresso della macchina Pa che risulta minore, perciò la spinta propulsiva totale viene
data da:
UGELLO PROPULSIVO
MOTORI A COMBUSTIONE INTERNA

Vediamo i due tipi di motore 4


tempi e 2 tempi, me vediamo prima il 4 tempi. Le valvole che gestiscono il fluido sono valvole comandate e non
automatiche. Abbiamo nuovamente la fase di aspirazione con il pistone che si muove verso il punto morto inferiore,
una di compressione con il movimento del pistone verso il punto morto superiore, con la successiva accensione
della miscela (comandata o spontanea). La fase di discesa durante l’espansione del fluido dello stantuffo mi
permette di raccogliere il lavoro dal motore grazie alla combustione, che aumenta la temperatura e la pressione che
agisce sul pistone in discesa, permettendo di generare lavoro. I fumi vengono poi appositamente scaricati. L’unica
fase attiva è quella di espansione in cui raccolgo lavoro, mentre le altre fasi (1 o 3) sono solo utili al ricambio della
carica per preparare il motore alla successiva combustione.

Definiamo il rapporto di compressione come il rapporto tra il volume massimo (cilindrata + volume minimo) che
viene lasciato al gas nel punto morto inferiore e quello minimo lasciato al fluido nel punto morto superiore.

Nel motore Diesel le fasi sono le medesimi ma l’accensione avviene in maniera spontanea grazie alla temperatura
raggiunta in seguito alla compressione della miscela.

Nel motore 2 tempi racchiudiamo più fasi in


un solo giro dell’albero. A parità di rendimento è come raddoppiare la potenza, posso fare motori più piccoli con
potenze più elevate, utilizzati in applicazioni con cilindrate contenute e poco costosi. . Avviene normalmente la salita
del pistone che comprime la miscela, ma la depressione che avviene nel volume inferiore al pistone aspira la miscela
fresca che tramite una valvola di travaso verrà introdotta
nel volume superiore al pistone. Mentre il pistone scende
in seguito alla combustione e all’espansione, il pistone
scopre una luce che permette di evacuare lo scarico,
fenomeno accentuato dall’ingresso di miscela fresca
tramite la valvola di travaso. Il rendimento è pessimo
perché abbiamo un momento in cui la luce di scarico è
scoperta mentre scarica i fumi ed entra la miscela fresca
rischiando di espellere anche miscela fresca.

Vediamo le diverse classificazione dei motori a combustione interna:

Segue carrellata di immagini che fanno vedere i diversi tipi


di motori, ma molto inutile, si parla in maniera introduttiva
dei componenti, della lubrificazione, del raffreddamento, e
così via.

PARAMETRI CARATTERISTICI
Vediamo il ciclo reale nel diagramma p -V sia per
il 4 tempi che per il 2 tempi. Vediamo prima
quello del 4 tempi.

Compressione espansione eccetera


Il lavoro totale viene fuori come la somma delle aree con segni opposti, l’area piccola è il lavoro di ricarica /
pompaggio per il ricambio della miscela.

Utilizzo un encoder
sull’albero per capire in ogni momento sapere dove
sta lo stantuffo.

La potenza indicata viene trovata moltiplicando il


lavoro indicato per il giri del motore diviso per 2 se il
motore è a 4 tempi (servono due giri per completare
un ciclo e ottenre il lavoro) o per 1 se parliamo di un
2 tempi (basta un giro per estrarre il lavoro e
completare tutte le fasi).

La pressione media indicata rapporta il lavoro per


ciclo per la cilindrata, per capire quanto lavoro posso
estrarre in relazione alla grandezza del motore.
Questa grandezza è una pressione, da cui prende il
nome.

Allora posso nuovamente ricavare la potenza del


motore utilizzando questa nuova definizione.

Il rendimento indicato è il rapporto tra la potenza


indicata e quella chimica offerta dal carburante.

La potenza effettiva si ricava tramite un rendimento meccanico/organico che tiene conto degli attriti e altre porzioni
di potenza utilizzate per pompa dell’olio, dell’acqua, generatore elettrico, detti ausiliari.

Il rendimento globale è il prodotto di entrambi.

La grandezza di nostro interesse è il rapporto di miscela, ovvero la portata di aria divisa per quella di combustibile,
indice delle proporzione della miscela.

Abbiamo anche il consumo specifico di carburante, che indica la portata di combustibile necessaria per ricavare un
kilowatt di potenza, espresso come rapporto tra la portata di combustibile e la potenza effettiva.

Può essere espresso in maniera adimensionale utilizzando il potere calorifico inferiore “Hi”.

Il rendimento globale della macchina è di fatto


l’inverso del consumo specifico adimensionale.
La potenza espressa come abbiamo
visto risulta fondamentalmente inutile,
allora vediamo di esprimerla in
maniera più congegnale.

Parliamo di lavoro effettivo e non


indicato come il lavoro che non è
direttamente calcolabile come dato di
laboratorio ma viene ricavato dalla
potenza effettiva che invece posso
misurare. Questo termine tiene conto
delle perdite di carico che riducono il
lavoro rispetto a quello ideale.

Scriviamo quindi la potenza effettiva


secondo tutti parametri visti prima.

Alpha di solito risulta fissato nei


benzina (nei benzina di solito è
stechiometrico), mentre nei Diesel è
un parametro di regolazione per il funzionamento.

Il coefficiente di riempimento nei benzina mi permette di modulare la potenza durante il funzionamento.

La variazione della densità di aspirazione porta a una variazione della potenza: essendo approssimabile come quella
dell’ambiente, a seconda delle condizioni dell’ambiente di funzionamento, allora varia la potenza del motore.
Il numero di giri varia la potenza.

Il combustibile scelto invece fissa il potere calorifico inferiore.

Vediamo alcune curve


caratteristiche di potenza e di
coppia, per un benzina.

La potenza effettiva ha un
particolare andamento, se
aumenta il regime di
funzionamento aumentano le
perdite di carico riducendo il
coefficiente di riempimento
perché il motore respira troppo
velocemente, motivo per cui
dopo un certo numero di giri
l’andamento è decrescente.

Le curve sono quindi figlie


dell’andamento del
coefficiente di riempimento.

Vediamo alcune curve caratteristiche di coppia e potenza per


un Diesel:

La curva è più piatta perché dosando il combustibile posso


comunque bruciare il combustibile anche se l’aria immessa
viene ridotta (alpha in questi casi è il parametro di
modulazione al contrario del benzina).

Le curve che stiamo vedendo sono tutte curve a piena


potenza. Questo vuol dire che l’acceleratore è premuto a
fondo, da cui misuro la coppia scambiata, imponendo un
freno che modula il numero di giri del motore. Possiamo
quindi modulare il freno e quindi il numero di giri,
misurando contemporaneamente la coppia. Genero così
una curva coppia – regime di funzionamento.

Questo diagramma ci fa vedere le curve di PME (che è la


stessa della curva di coppia perché i parametri restanti
sono costanti). La curva in alto è nella condizione di piena
potenza (o massimo carico).

Vedo che il massimo rendimento di un motore si ottiene a


pieno carico con l’acceleratore premuto a fondo. Tutte le considerazioni fatte, sono spesso facenti riferimento a una
condizione di pieno carico (quando prima abbiamo visto i valori tipici dei diversi motori).
Nei motori Diesel, invece, abbiamo:

Vediamo che le curve iso-rendimento hanno


valori molto più alti quando la curva della
coppia si abbassa perché pigiamo poco
l’acceleratore.

Quindi grazie alla regolazione del rapporto di


miscela il motore diesel vince in rendimento.

Il motore diesel ha un rapporto di


compressione (circa 20) circa il doppio di
quello di un benzina (circa 10) per ottenere
l’autocombustione.

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