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Il Gattopardo Romanzo (postumo, 1958) dello scrittore italiano G.

Tomasi di Lampedusa (1896-


1957).
L'opera, cui Tomasi non poté mai dare l'ultima rifinitura, venne inizialmente pubblicata da G.
Bassani e poi in edizione integrale (1969), conforme al manoscritto redatto nel 1957.
Trama: nella Sicilia tra l'Unità d'Italia e il primo decennio del Novecento, si svolge la storia di
un'aristocratica famiglia, nella quale spicca la figura del protagonista, Fabrizio Corbera,
principe di Salina.
Il successo dell'opera fu immediato come pure il suo riconoscimento con la vincita del Premio
Strega (1959).
Dal romanzo il regista L. Visconti trasse l'omonima versione cinematografica (1963).

Il Gattopardo
(Italia/Francia 1963, colore, 205m)
regia: Luchino Visconti; produzione: Goffredo Lombardo per Titanus/Pathé/SCG; soggetto:
dall'omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa; sceneggiatura: Suso Cecchi d'Amico,
Pasquale Festa Campanile, Massimo Franciosa, Enrico Medioli, Luchino Visconti; fotografia:
Giuseppe Rotunno; montaggio: Mario Serandrei; scenografia: Mario Garbuglia; costumi: Piero
Tosi; musica: Nino Rota.
"La recita quotidiana del Rosario era finita. Durante mezz'ora la voce pacata del Principe aveva
ricordato i Misteri Dolorosi; durante mezz'ora altre voci frammiste avevano tessuto un brusio
ondeggiante... Adesso, taciutasi la voce, tutto rientrava nell'ordine, nel disordine, consueto". Il
celeberrimo incipit del romanzo postumo (1958) del principe Tomasi di Lampedusa si
materializza con precisione maniacale nella prima sequenza. Palazzo Salina viene svelato
nell'abbacinante luce del meriggio, tra soffi di vento e plumbea calura estiva, con lunghe
carrellate orizzontali che portano al primo piano del principe, signore e officiante del rito
casalingo. È l'estate del 1860 e i Mille di Garibaldi mettono a ferro e fuoco la Sicilia borbonica.
La violenza della guerra arriva anche tra le ovattate stanze di palazzo Salina, con l'annuncio del
ritrovamento di un soldato morto, proprio là, in giardino. Quindi ogni personaggio della saga
viene presentato: dal pauroso e passatista padre Pirrone alla timorata principessa Maria Stella,
dai cadetti Salina alla gente di casa fino al cane Bendicò. Su tutti svetta, alta e possente, la
figura di don Fabrizio, il principe, l'uomo che incarna il trapasso di un'aristocrazia immota e
intangibile in una nuova epoca. Il giovane Tancredi Falconeri, nipote prediletto del principe,
porta le novità di una Palermo in rivolta e annuncia di essersi lui stesso arruolato tra le Camicie
Rosse. Don Fabrizio, tra le proteste dei suoi, compresa la figlia Concetta (segretamente
innamorata di Tancredi) dà la sua benedizione al giovane rivoltoso che, nei moti di piazza, viene
anche ferito e si conquista così facile fama di eroe. Intanto il principe e la famiglia, come ogni
estate, partono per la tenuta di Donnafugata, dove giungono stanchi e impolverati ‒ quasi
fantasmi ‒ dopo un lungo viaggio in carrozza. A Donnafugata il sindaco, Calogero Sedara, viene
per la prima volta ammesso 'in società' (segno dei tempi) dove porta la bellissima figlia, la
diciassettenne Angelica. Per Tancredi è un colpo di fulmine, per Salina un'opportunità inattesa,
vista la dote garantita dai nuovi ricchi Sedara. Si consuma il rituale del Plebiscito d'annessione
della Sicilia al Regno d'Italia e Sedara ottiene una sospetta unanimità di voto. Il principe, come
spiegherà al suo costernato guardacaccia Ciccio Tumeo, avalla la nuova politica e così fa
Tancredi, che annuncia le nozze con Angelica e l'arruolamento nell'esercito sabaudo. È finito il
tempo dei sogni, comincia l'era del realismo politico. Un messo dei Savoia giunge a
Donnafugata per offrire a don Fabrizio un seggio nel nuovo Senato, ma il principe declina
l'onore candidando gli 'uomini nuovi' come Sedara. A coronamento di questa epocale
trasformazione ("bisogna che tutto cambi perché tutto rimanga com'era" dice don Fabrizio),
nel sontuoso palazzo Ponteleone a Palermo si festeggia con un ballo la ritrovata pace della
Sicilia. Per Tancredi e Angelica è una sfolgorante presentazione pubblica, ma don Fabrizio
coglie in quella lunghissima notte i segni della fine, la cenere della morte, la paura dell'ignoto.
Offre il braccio ad Angelica per il primo valzer, si apparta a contemplare nel silenzio della
biblioteca un luttuoso Compianto, funebre copia della tela di Jean-Baptiste Greuze, esce da
solo alle prime luci dell'alba. Si inginocchia al passare di un prete che porta l'estrema unzione a
un morente e alza gli occhi al cielo, ancora punteggiato di stelle in attesa del primo sole.
Premiato in patria (David di Donatello) e all'estero (Festival di Cannes), criticato da sinistra per
la partecipazione interiore al mondo aristocratico dello stesso autore e disprezzato da destra
per l'aspra critica che porta all'arrembante borghesia italica, Il Gattopardo segna una svolta
profonda nel cinema di Luchino Visconti dopo il più didascalico e storicista Senso. Confrontato
con un romanzo di cui conosce ogni piega e sfumatura (ironie comprese), il nobile lombardo
intercetta in profondità il senso di deità e di immobilità del siciliano principe Salina e ne fa
allegoria di una trasformazione del mondo che spiega l'oggi e motiva la Storia. Rispetto alla
struttura originale del testo, il regista compie una radicale trasformazione nella più assoluta
fedeltà: anziché seguire la struttura paratattica degli avvenimenti così come li allinea Tomasi di
Lampedusa, li concentra e li articola in funzione di una sola, emblematica scena, il celebre ballo
che occupa quasi un terzo del film e ne è fulminante metafora. È quello slittamento ritmico che
Nino Rota asseconda con una partitura di tipo sinfonico che si scioglie poi, quasi come un
concerto in casa, nel famoso valzer inedito di Verdi che il montatore Mario Serandrei (narra la
leggenda) avrebbe trovato in un canterano comprato d'occasione e regalato a Visconti, grande
regista di opera lirica. Costumi, ambienti, scene seguono i tradizionali precetti di realismo del
cinema viscontiano e spesso attingono al vissuto di casa Lampedusa. La fotografia di Giuseppe
Rotunno, poi autore di un impeccabile restauro integrativo che di recente ha riportato il film
alla versione originale voluta dall'autore, sperimenta tutte le possibilità tecniche dell'epoca. Gli
interpreti costituiscono un raro caso di perfetta simbiosi tra caratteri e potenzialità espressiva
di un cinema italiano che si arricchisce della partecipazione straniera (Serge Reggiani, Alain
Delon), ma non sfigura in nessuna occasione al confronto. Capitolo a parte costituisce
l'adesione di Burt Lancaster a un don Fabrizio da leggenda: tanto perfetto esteticamente
quanto totalmente in sintonia con il personaggio della sua vita. È un caso di 'doppio' tra attore
e regista che non per caso si ripeterà in Gruppo di famiglia in un interno (1974) e varrà a
Lancaster una profonda trasformazione interiore, anche sul piano personale. Prima ancora di
qualsiasi giudizio critico, vale a fare del Gattopardo un capolavoro il suo porsi a spartiacque nel
cinema di Visconti: nulla sarà dopo come era prima, e forse tutto cambia nel suo percorso
ideologico ed estetico perché nulla è fondamentalmente diverso.
Interpreti e personaggi: Burt Lancaster (don Fabrizio, principe di Salina), Alain Delon (Tancredi
Falconeri), Claudia Cardinale (Angelica Sedara), Romolo Valli (padre Pirrone), Paolo Stoppa
(don Calogero Sedara), Serge Reggiani (don Ciccio Tumeo), Rina Morelli (Maria Stella), Lucilla
Morlacchi (Concetta), Leslie French (Chevalley), Pierre Clementi (Francesco Paolo), Ivo Garrani
(generale Pallavicino), Giuliano Gemma (generale dei garibaldini), Mario Girotti (conte
Cavriaghi), Anna Maria Bottini (mademoiselle Dombreuil), Lola Braccini (donna Margherita),
Olimpia Cavalli (Mariannina), Ottavia Piccolo (Caterina), Rina De Liguoro (principessa di
Presicce), Ida Galli (Carolina), Brock Fuller (piccolo principe), Marino Masè (tutore), Giovanni
Melisenda (don Onofrio Rotolo), Howard N. Rubien (don Diego), Carlo Valenzano (Paolo), Lou
Castel, Vittorio Duse, Tina Lattanzi, Maurizio Merli.
BIBLIOGRAFIA
G. Aristarco, Il Gattopardo e il telepata, in "Cinema nuovo", n. 162, marzo-aprile 1963.
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M. Verdone, Il Gattopardo, in "Bianco e nero", n. 6, maggio 1963.
G. Gambetti, Note su Luchino Visconti, da 'Ossessione' al 'Gattopardo', in "Cineforum", n. 26,
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J.-A. Fieschi, Le prince, in "Cahiers du cinéma", n. 146, août 1963.
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D. Ehrenstein, 'Leopard' Redux, in "Film comment", n. 5, September-October 1983.
G. Nowell-Smith, Lampedusa Revisited, in "Sight & Sound", n. 4, autumn 1983.
D. Ranvaud, Remounting 'The Leopard', in "Monthly film bulletin", n. 559, December 1983.
Sceneggiatura: in Il Gattopardo, a cura di L. Miccichè, Napoli 1996.

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