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Discorso sul PIL di Robert Kennedy del 18 Marzo 1968

Il 18 Marzo del 1968 Robert Kennedy pronunciava, presso


l'università del Kansas, un discorso nel quale evidenziava, tra
l'altro, l'inadeguatezza del PIL come indicatore del benessere
delle nazioni economicamente sviluppate.
Tre mesi dopo veniva ucciso durante la sua campagna elettorale che
lo avrebbe probabilmente portato a divenire Presidente degli Stati
Uniti d'America.

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Sono contento di essere qui, nella casa di un uomo che ha scritto
pubblicamente: <<Se i nostri college e le università non allevano gente che
lotta, che si ribella, che aggredisce la vita con tutta la visione e il vigore
giovanili, allora c’è qualcosa che non va nei nostri college>>.
Nonostante tutte le accuse contro di me, queste parole non le ho scritte
io, bensì le ha scritte quel noto sovversivo che è William Alle White. E io so
quale grande affetto questa università nutra nei suoi confronti. Oggi egli è
un uomo onorato, qui nel vostro campus così come nel resto della nazione.
Ma quando visse e scrisse, egli fu bollato come estremista, se non di
peggio. Perché quando parlava diceva ciò che pensava. Non nascondeva le
proprie preoccupazioni dietro parole confortanti. Non deludeva i propri
lettori né se stesso con false speranze e illusioni. Lo spirito di onesto
confronto è ciò di cui oggi l’America ha bisogno. È mancato troppo spesso
in anni recenti, e questa è una delle ragioni per cui corro per la presidenza
degli Stati Uniti. […]

Non voglio correre per la presidenza, né voglio che quest’anno l’America


compia una difficile scelta di direzione e leadership, senza confrontarsi con
tale realtà. Non voglio ottenere voti nascondendo la condizione americana
dietro false speranze e illusioni. Voglio invece che tutti noi ci impegniamo a
scoprire quel che promette il futuro, cosa possiamo realizzare negli Stati
Uniti, cosa rappresenta questo paese e cosa ci attende negli anni a venire.
Desidero, inoltre, che si conosca e si esamini dove abbiamo sbagliato.
Desidero che per tutti noi, giovani e vecchi, vi sia l’occasione di costruire un
paese migliore e di cambiare la direzione degli Stati Uniti d’America.
[…]

Centinaia di comunità e milioni di cittadini stanno cercando le loro


risposte nella forza, nella repressione e nelle scorte private di armi.
Cosicché dobbiamo confrontarci con i nostri concittadini attraverso
insuperabili barriere di ostilità e di diffidenza. E questo, nuovamente, credo
che non lo si debba accettare. Non ritengo sia necessario ricorrere a queste
cose negli Stati Uniti d’America. Penso che possiamo lavorare insieme,
senza doverci sparare reciprocamente, colpirci reciprocamente, maledirci
reciprocamente e accusarci reciprocamente; penso che possiamo fare di
meglio per questo paese. È il motivo per cui mi candido alla presidenza
degli Stati Uniti.
Come se non bastasse la nostra impotenza nel fermare questa crescente
divisione tra americani, che almeno si confrontano tra loro, ci sono poi
milioni di persone che vivono in luoghi nascosti, i cui nomi e le cui facce
sono completamente ignoti.

Ma io ho visto questi altri americani, ho visto i bambini affamati in


Mississippi, con i loro corpi talmente falcidiati dalla fame e le loro menti così
danneggiate per tutta la vita da non avere futuro. Ho visto questi bambini
in Mississippi, qui negli Stati Uniti, un paese con un prodotto interno lordo
di 800 miliardi di dollari; ho visto bambini nella regione del delta del
Mississippi con le pance rigonfie e i volti coperti dalle piaghe per inedia; e
noi non abbiamo ancora sviluppato una politica che ci consente di
procurare il cibo necessario affinché essi possano vivere e affinché le loro
vite non siano distrutte. Non credo che questo sia accettabile negli Stati
Uniti d’America. Penso vi sia bisogno di un cambiamento.

Ho visto gli indiani vivere nelle loro riserve disadorne e misere, senza
lavoro, con una disoccupazione dell’80 per cento e con così poca speranza
nel futuro da parte dei giovani, ragazzi e ragazze di meno di vent’anni, che
tra loro la principale causa di morte è il suicidio. […]
Ho visto la gente del ghetto nero ascoltare promesse sempre più grandi
di eguaglianza e di giustizia, mentre in realtà siedono ancora nelle stesse
scuole fatiscenti e si accalcano nelle stesse stanze sudicie, senza
riscaldamento, difendendosi dal freddo e dai topi.
Se riteniamo che noi, in quanto americani, siamo legati insieme da una
comune preoccupazione gli uni per gli altri, allora incombe un’urgente
priorità nazionale. Dobbiamo iniziare a porre fine alla vergogna di
quest’altra America.
E questo è per noi, come individui e come cittadini, uno dei grandi
compiti da assegnare quest’anno alla leadership. Ma pur impegnandoci a
cancellare la povertà materiale abbiamo un altro compito, ancora più
grande, che è di confrontarci con la povertà di soddisfazione – negli scopi e
nella dignità – che ci affligge tutti

Troppo e per troppo tempo abbiamo dato l’impressione di riporre una


nostra personale soddisfazione nel mero perseguimento del benessere
economico e i valori della comunità nella mera accumulazione di beni
terreni. Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice
Dow-Jones, né i successi del Paese sulla base del prodotto interno lordo.
Perché il PIL comprende l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle
sigarette, e le ambulanze per sgomberare le nostre autostrade dalle
carneficine dei fine-settimana. Il PIL mette nel conto serrature speciali per
le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che cercano di forzarle.

Comprende la distruzione delle sequoie e la morte del Lago Superiore.


Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari, comprende
anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica. Il
PIL si accresce con gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le
rivolte nelle nostre città, e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si
ricostruiscono i bassifondi popolari.

Il PIL comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck e la


trasmissione di programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere
prodotti violenti ai nostri bambini.
E se il PIL comprende tutto questo, molte cose non sono state calcolate.
Non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro
educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la
bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari, l’intelligenza del
nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene conto
né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.

Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra


saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la
devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la
vita veramente degna di essere vissuta.
Può dirci tutto sull’America, ma non se possiamo essere orgogliosi di
essere americani.
[…]

Ritengo che possiamo fare meglio e che il popolo americano pensi a sua
volta che possiamo fare meglio.
George Bernard Shaw una volta ha scritto: << Alcuni uomini vedono le
cose così come sono e si domandano: “Perché?”.
Io sogno cose che non sono mai state e mi domando: “Perché no?”>>.

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