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INFERMIERISTICA ORTOPEDICA

Andretto Daniela

Ortopedia tratta le patologie dell’apparato muscolo-scheletrico (muscoli, tendini e legamenti)


Traumatologia tratta patologie muscolo-scheletriche secondarie a traumi

Obiettivi
- Cura delle deformità congenite ed acquisite
- Cura delle patologie traumatiche e post- traumatiche dell’apparato locomotore.
La riduzione della mobilità è influenzata dalla malattia, dolore, timore di muoversi, riduzione della forza e/o
della massa muscolare, prescrizione dell’immobilità.

Assistenza infermieristica
- Applicare le conoscenze di base riguardo alle limitazioni fisiche, rispettando l’ordine di qualità, sicurezza
ed evidenza scientifica
- Sapere quando e perché limitare i movimenti è nell’interesse del paziente
- Avere piena padronanza dei metodi attraverso quali le limitazioni possono essere realizzate
- Comprendere gli effetti sull’individuo delle limitazioni del movimento
- Comprendere perché la limitazione del movimento ha conseguenze per il paziente
- Aiutare attraverso educazione sanitaria e supporto a minimizzare gli effetti della limitazione dei
movimenti.

…ripasso anatomia
Le ossa sono costituite da diversi tessuti: osseo, fibroso e cartilagineo. In base alla forma si distinguono:
brevi (vertebre, ossa del capo), piatte (scapola, sterno), lunghe (omero, femore).Le epifisi sono rivestite di
cartilagine e concorrono alla costituzione delle articolazioni. La diafisi costituita da un involucro di osso
compatto al cui interno vi il canale midollare, dove troviamo il midollo osseo.
Le articolazioni sono strutture che permettono a due o più elementi scheletrici vicini di unirsi fra loro.
- Sinartrosi (immobili, prive di cavità articolare)
- Anfiartrosi o sinfisi (semimobili in cui l’unione tra due segmenti ossei data dalla presenza di una fibro-
cartilagine rinforzata da legamenti periferici)
- Diartrosi (ampia motilit e presenza di una cavit articolare. In esse si possono distinguere, le superfici
articolari ed i loro annessi, i mezzi fibrosi di unione (capsula e legamenti) e la membrana sinoviale).
I muscoli scheletrici sono muscoli striati, formati da fibre riunite in fasci. Sono muscoli lunghi, larghi, brevi.

Semeiotica ortopedica
• Anamnesi familiare accurata: alta frequenza di malformazioni ereditarie dell’apparato scheletrico.
• Esame clinico (riferito al contro laterale)
- prono
- supino
- in stazione eretta e seduta
- analisi della marcia.
• Ispezione (alterazioni della forma dei singoli distretti scheletrici e del trofismo articolare).
• Palpazione (presenza di masse patologiche o di punti dolorosi).
• Esame della motilita’ attiva e passiva delle varie articolazioni (ricercare la presenza d’eventuale motilit
abnorme).
Importante verificare le modificazioni che subisce un arto quando viene sottoposto a carico.








Esami diagnostici
Radiografie:per valutare la densit , la struttura e le alterazioni ossee (degenerazioni delle articolazioni e
fratture ossee).
TAC: per individuare alterazioni dei tessuti molli o lesioni di tendini, legamenti, oppure per identificare
fratture in zone difficilmente valutabili (fratture acetabolari).
RM: per identificare anomalie dei tessuti molli, muscoli, tendini, cartilagini.
Densiometria: valuta densit ossea, per valutare il grado di osteoporosi.
Scintigrafia ossea, PET: per identificare metastasi ossee, infezioni, necrosi.
EMG: per differenziare problemi muscolari e problemi nervosi.
Arteriografia: per identificare lesioni vascolari.

Terapia incruenta
• Apparecchi gessati
• Apparecchi ortopedici
• Protesi di arto
• Trazioni

APPARECCHI GESSATI
- Evitare punti di eccessiva pressione e linee trasversali di pressione (stringhe)
- Assicurare l'aderenza nei cosiddetti "punti di presa", cio nelle zone in cui il movimento tra gesso e piano
osseo minore
- Coprire i segmenti interessati in maniera sufficiente a immobilizzarli, senza applicare un apparecchio
troppo ingombrante
- Identificare e prevenire i potenziali problemi legati al confezionamento di un apparecchio gessato
- Saper agire rapidamente e appropriatamente, riconoscendo segni e sintomi di eventuali complicanze
- Coinvolgere il paziente, nei limiti delle sue potenzialit e abituarlo alla convivenza con il gesso.
Esistono in commercio molti tipi di bende gessate; le pi utilizzate sono le bende di garza di cotone
impregnate a caldo di gesso, cio solfato di calcio; esistono anche materiali sintetici dove le piccole molecole
di resina, aderenti a una benda di supporto, polimerizzano dopo l'immersione della benda in acqua.

Un gesso con le caratteristiche ideali dovrebbe essere:


- facile da plasmare e da modificare,
- non tossico tanto per il paziente quanto per l’operatore,
- inalterabile a contatto con i liquidi,
- trasparente ai raggi X,
- facile e sicuro da rimuovere,
- permeabile ad aria, acqua, odori ed eventuali secrezioni,
- leggero ma resistente • non infiammabile,
- facile da rimuovere sia sul paziente sia sulle superfici
- poco costoso e facilmente disponibile in un'ampia gamma di misure
In linea generale un apparecchio gessato dovrebbe essere confezionato in un ambiente apposito: la sala gessi.
Questo locale, di dimensioni sufficientemente ampie da accogliere un paziente allettato o sul letto
traumatologico, dovrebbe possedere i requisiti strutturali di una sala medica ed essere attrezzata con un
vuotatoio ove scaricare l'acqua utilizzata per immergere le bende gessate, ripiani e armadi ove riporre tutto il
materiale necessario, una capiente bacinella per l'acqua e la sega elettrica con aspiratore.

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Materiale occorrente:
- maglia tubolare di diverse misure - necessaria per proteggere la cute dal contatto con il cotone di
Germania e il gesso,
- cotone di Germania - ossia cotone compatto preparato in strisce di misure variabili, da avvolgere attorno
al segmento da immobilizzare,
- bende gessate di misura adatta al tipo di apparecchio gessato da confezionare,
- bende di cotone da applicare al termine per favorire l'impastamento del gesso stesso e la modellatura,
- forbici bottonute (senza punta) da gesso, con lame corte e robuste e leve lunghe,
- sega da gessi per rifinire il gesso, se necessario,
- catino con acqua a temperatura ambiente o comunque secondo le indicazioni fornite dalla scheda tecnica
del materiale da utilizzare e le abitudini dell’ortopedico,
- guanti monouso,
- per intervenire in caso di malori o crisi ipotensive: sfigmomanometro, fonendoscopio, farmaci idonei.

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Assistenza al paziente con gesso


Dopo aver confezionato l'apparecchio gessato, ci si deve assicurare che esso si asciughi correttamente e che
il paziente lo tolleri.
• Il gesso deve essere supportato per prevenire incurvature o avvallamenti; gli arti immobilizzati dovrebbero
essere elevati con l'utilizzo di cuscini, al fine di favorire il ritorno venoso e prevenire o ridurre l’edema.
• Al fine di prevenire la pressione delle prominenze ossee, il segmento ingessato dovrebbe riposare su
cuscini coperti da teli o materiale assorbente, da cambiare a intervalli regolari.
• Per una corretta asciugatura importante che il gesso venga esposto all'aria, possibilmente in ambiente con
aria secca, e che non venga mai coperto. Si sconsiglia l'utilizzo di calore artificiale (phon, lampade ecc.)
perch pu causare rotture del gesso, o anche scottature. Sarebbe opportuno che i pazienti sottoposti a
un'ampia ingessatura cambiassero posizione a intervalli regolari, per permettere di completare
l'asciugatura. Una corretta asciugatura si nota anche dal cambio di colore, dal rumore e dell'odore: dal
grigio opaco con odore di muffa e rumore sordo si passa, nel giro di 24 -72 ore, al bianco lucente, inodore,
con rumore risonante e consistenza dura.
• Controllare che le estremit dell'arto immobilizzato non siano fredde o cianotiche e che le dita conservino
movimento e sensibilit .
• Verificare che non compaia edema da stasi o da compressione.
• Controllare e monitorare la sintomatologia dolorosa: nel caso in cui si verificasse la comparsa o un rapido
aumento del dolore, accompagnato dopo qualche ora da parestesie o dalla perdita di sensibilit ,
necessario avvisare subito l'ortopedico, il quale proceder eventualmente alla fissurazione o alla rimozione
dell'apparecchio gessato.
• Sempre, ma soprattutto se vi sono soluzioni di continuo della cute o ferite chirurgiche sottostanti,
controllare attentamente colore e odore del gesso, evidenziando l'area macchiata presente con un
pennarello e monitorando nelle ore successive il possibile mutamento di dimensione: un aumento della
macchia potrebbe far pensare alla presenza di un'emorragia.
• Nel caso vi fossero ferite o medicazioni al di sotto del gesso, necessario aprire una finestra, realizzando
l'incisione di un tassello di dimensioni appropriate con la sega da gessi e rimuovendolo. Attraverso
quest'apertura possibile controllare la situazione cutanea e rinnovare le medicazioni.

Complicanze degli apparecchi gessati:


- alterazioni cutanee: desquamazione e/o macerazione degli strati superficiali, prurito, eritema, infezione
della cute (erisipela, impetigine, candidosi),
- ulcere da pressione nei punti di maggior compressione,
- sindrome compartimentale per eccessiva compressione,
- trombosi venosa profonda o tromboflebiti,
- infezioni profonde (rare e conseguenti anche a turbe del circolo),
- ipotrofia muscolare e sindrome da immobilizzazione,
- osteoporosi localizzata da non uso

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APPARECCHI ORTOPEDICI
Crioterapia: particolare tipo di terapia che fa uso del ghiaccio; il trasferimento tra quest'ultimo e il corpo
avviene per mezzo di un meccanismo di conduzione che porta a un abbassamento generale della temperatura
corporea. Gli effetti principali, sull'area trattata, sono una vasocostrizione iniziale a cui segue una successiva
vasodilatazione riflessa seguente a i primi 20-30 minuti di applicazione.

PROTESI DI ARTO
Apparecchio che sostituisce un arto o un segmento mancante per difetto congenito od amputazione. Arto
superiore (lavorative, estetiche). Arto inferiore (provvisorie, definitive).

Terapia chirurgica
• Chirurgia artroscopia
• Chirurgia protesica
• Fissazione esterna
• Stabilizzazione chirurgica delle fratture

CHIRURGIA ARTROSCOPICA
Fonda la sua efficacia sull’evoluzione tecnica delle fibre ottiche e sull’utilizzo di apparecchiature correlate
(software elettronici, video camere). Con adeguati strumenti, si ha la possibilit di penetrare in articolazione
attraverso piccolissime incisioni e porre rimedio alle pi diverse e disparte patologie articolari.

CHIRURGIA PROTESICA
Si propone la sostituzione di un’articolazione malata, attraverso l’impianto di elementi metallici che ne
riproducono la forma e la funzione.

FISSAZIONE ESTERNA
Il fissatore esterno un mezzo di sintesi che stabilizza i due monconi di frattura senza posizionare mezzi
metallici a livello del focolaio, creando un ponte esternamente all’arto. Il fissatore viene solidarizzato ai due
monconi di frattura con viti (dette fiches) o fili di k inseriti per via percutanea e raccordati al corpo del
fissatore. Il fissatore risulta insostituibile nelle fratture esposte con sofferenza della cute e dei tessuti molli,
dove il posizionamento di mezzi metallici aumenta il rischio di infezione.

STABILIZZAZIONE CHIRURGICA DELLE FRATTURE


Si compone di un’insieme assai vasto di procedure, in grado di garantire la guarigione delle fratture e la
ripresa funzionale del paziente in tempi assai rapidi, avvalendosi di mezzi di sintesi interni, introducibili
aprendo il focolaio di frattura, a cielo aperto o a cielo chiuso, con l’ausilio dell’amplificatore di brillanza.

Interventi sulle ossa


OSTEOTOMIA: sezione di un osso, pu essere completa o incompleta o essere associata all’asportazione di
un cuneo di sostanza ossea.
RESEZIONE: asportazione di una parte di osso, per rimuovere parti malate di un segmento scheletrico, sede
di processi neoplastici, primitivi o secondari o di infezione o di fratture irreparabili. Il segmento osseo
asportato pu essere sostituito da innesto osseo, in genere autologo, o omologo o da protesi metalliche.

Interventi sui tendini


TENOTOMIA: sezione tendinea. Si esegue quasi esclusivamente a livello degli adduttori dell’anca nella
lussazione congenita o a livello del tendine d’Achille per correzione equinismo.
ALLUNGAMENTI TENDINEI: del tendine d’Achille e dei flessori (piede torto).
TENORRAFIA: Sutura di un tendine interrotto, per lesione traumatica o patologica.
TRASPOSIZIONI TENDINEE: Si effettuano allo scopo di riattivare un movimento abolito per paralisi
muscolare, inserendo il tendine di un muscolo valido alla inserzione di un tendine con muscolo
paralizzato.
TENODESI: Trasposizione di un tendine sullo scheletro allo scopo di rinforzare l’apparato legamentoso di
un’articolazione. In pratica si trasforma un tendine in un legamento.






Interventi sulle articolazioni


ARTROTOMIA: apertura chirurgica di un’articolazione; per drenare il pus all’esterno (artrite acuta), o per
eseguire interventi all’interno di una articolazione.
SINOVIECTOMIA: asportazione della membrana sinoviale. Si esegue quando la membrana sinoviale
responsabile di patologie articolari evolutive. (es. Artrite reumatoide).
ARTRODESI: procedura chirurgica da cui trae origine l’abolizione della funzione articolare. Si esegue
eliminando il tessuto cartilagineo che riveste l’articolazione e fissando in compressione tra di loro le
superfici ossee sub condrali, con mezzi esterni (apparecchio gessato) o interni (viti, viti e placche, chiodi),
fino ad ottenere la fusione dei capi ossei che diventano un tutt’uno.
ARTROCENTESI: Procedura diagnostico-terapeutica che consiste nella puntura e svuotamento del liquido
raccolto nel cavo articolare. Viene eseguita per alleviare il dolore dovuto ad un versamento intra-articolare.
Caratteristiche del liquido sinoviale:
Aspetto limpido, di colore chiaro, giallo pallido e di scarsa quantit .
- Idrarto: aumenta la quantit
- Emartro: presenza di sangue.
Manovra asettica. Il medico introduce un ago 18G nello spazio articolare e aspira con una siringa 60ml il
liquido. È possibile procedere ad un eventuale iniezione di farmaci antinfimmatori nel cavo articolare. Dopo
lo svuotamento il paziente avverte subito una sensazione di sollievo in quanto si riduce la pressione
endoarticolare. Il liquido aspirato pu essere inviato in laboratorio per l’esecuzione di esami colturali, per
diagnosticare artriti settiche e altre artropatie infiammatorie.

Accoglienza del paziente in ortopedia


Intervista e osservazione = et , sesso, attivit lavorativa, attivit sportiva, abitudini voluttuarie, patologie
concomitanti, terapia, allergie a farmaci, metalli e tipo di reazione, capacit di apprendimento della persona
(riabilitazione e piano dimissione).

DOLORE
- Dolore sordo continuo, intenso che peggiora di notte, senza relazione col movimento e peggiorato dal
carico, suggerisce un’origine ossea.
- L’attacco improvviso o graduale del dolore a livello di un’articolazione, aumentatodal movimento e
alleviato dal riposo, suggerisce un origine articolare.
- Il dolore prolungato, insolito, legato ad un sforzo eccessivo e che permane anche a riposo, suggerisce un
origine muscolare.
- Irradiato causato da una compromissione nervosa.
- La maggior parte dei dolori muscolo-scheletrici, sono alleviati dal riposo.
Scale di valutazione del dolore= NRS, VRS, VAS.

Piano di assistenza
Ispezione e palpazione
- Tumefazione: segno importantissimo, quando localizzata all’articolazione, pu indicare
un’infiammazione della membrana sinoviale con un aumento del volume del liquido sinoviale.
- Rossore - si manifesta in presenza di un’infiammazione acuta o articolare.
- Presenza di ferite lacero contuse o ematomi, ecchimosi
Rossore, tumefazione e dolore articolare indicano una malattia infettiva acuta (artrite settica) o gotta.
- Rigidit articolare. Presente nelle artropatie, in particolare nell’artrite reumatoide.
- Deformit e immobilit di un distrettocorporeo (lussazioni, fratture).
- Valutazione dello stato neuro- vascolare, fondamentale per evitare ed individuare tempestivamente i segni
e sintomi della sindrome compartimentale.

Accoglienza del paziente traumatizzato


• Valutazione estremit interessata, stato dei tessuti molli, presenza deformit , stato neuro-vascolare.
• Alterazioni sensoriali, paresi, parestesie.
• Integrit cutanea presenza di ferite.
• Presenza di apparecchi gessati o tutori ortopedici.
• Necessit di applicare una trazione.
• Costante osservazione e valutazione dei parametri vitali e delle condizioni generali del paziente

Nei pazienti vittime di traumi, al momento dell’accoglienza, importante tener presente che un trauma un’esperienza
inattesa, anche se intenzionale (aggressione, tentato suicidio) o accidentale (incidente, infortunio), che causa
un’alterazione dell’equilibrio fisico, emotivo e psicologico sia della vittima che della famiglia.
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PIANO ASSISTENZIALE STANDARD DEL PAZIENTE SOTTOPOSTO A CHIRURGIA ORTOPEDICA


La gestione infermieristica del paziente traumatizzato, o anche del paziente che deve essere sottoposto a
chirurgia sull’apparato muscolo scheletrico, presenta alcune peculiarità derivanti dalla limitazione motoria
cui questi soggetti vanno incontro ovviamente in proporzione al tipo di lesione traumatica o alla patologia.

Giorno del ricovero


Diagnosi infermieristiche/problemi collaborativi Interventi assistenziali

Ansia correlata alla patologia, alle possibili procedure • Accogliere il paziente presentandosi, accompagnarlo
invasive a cui sarà sottoposto, all'imprevedibilità nella sua stanza, fornire informazioni adeguate
dell'esito e al cambiamento ambientale. (abitudini del reparto, logistica, figure di riferimento
ecc.)
• Eseguire la raccolta dati attraverso l'intervista e
compilare la valutazione multidimensionale
infermieristica
• Verificare il livello di informazione recepita dal
paziente in merito a tipo e natura del trauma,
determinando quindi il grado di comprensione e
rinforzando, se necessario, le informazioni fornite dal
medico
• Fornire informazioni generali sulla routine immediata
legata alla patologia
• Spiegare adeguatamente ogni procedura, insistendo
sulla motivazione e sull'importanza dell'intervento
invasivo

Dolore correlato alla frattura, al gonfiore o • Quantificare, attraverso l'utilizzo di scale,


all’immobilizzazione. caratteristiche e intensità del dolore
• Somministrare la terapia analgesica prescritta
• Applicare la crioterapia locale, se necessario
• Valutare l'efficacia del trattamento al fine di evidenziare
la remissione della sintomatologia dolorosa

Giorno precedente l’intervento chirurgico

Diagnosi infermieristiche/problemi collaborativi Interventi assistenziali

Rischio di stipsi correlato a diminuzione della peristalsi, • Valutare l'ultima evacuazione intestinale
all'immobilità e ai farmaci antidolorifici • Eseguire la pulizia intestinale

Rischio di nutrizione inferiore al fabbisogno, correlato a • Informare il paziente in merito alla necessità di
diminuito apporto secondario alle restrizioni dietetiche eseguire una specifica preparazione all'intervento
imposte dalla chirurgia • Somministrare cibi adeguati, in accordo con il servizio
dietetico e con la prescrizione medica, in relazione al
digiuno da osservare

Disturbo del sonno correlato allo stato ansioso indotto • Garantire un ambiente confortevole e tranquillo
dall'attesa dell'intervento chirurgico • Rassicurare il paziente incoraggiandolo a esprimere le
proprie paure
• Se necessario, richiedere l'intervento del medico per la
prescrizione di una terapia ansiolitica e,
successivamente, somministrarla

Giorno dell’intervento chirurgico


Diagnosi infermieristiche/problemi collaborativi Interventi assistenziali

Rischio di infezione postoperatoria correlato a una sede di • Procedere a un'accurata igiene del paziente, che
possibile invasione di microrganismi secondaria a consiste dapprima nella detersione con acqua e sapone,
intervento chirurgico poi nella disinfezione della cute della zona interessata,
con apposita soluzione antisettica (clorexidina 2%)
• Aiutare il paziente a indossare indumenti idonei
(camice e cuffia)
• Invitare il paziente a togliere tutti gli oggetti metallici,
smalto per unghie, eventuale trucco, protesi
• Somministrare la terapia antibiotica se prescritta

Rischio di incontinenza urinaria correlato a riduzione del • Invitare il paziente a urinare prima del trasferimento in
tono muscolare secondaria ad anestesia sala operatoria
• Eventuale verifica ristagno vescicale con bladder scan

BLADDER SCAN è un dispositivo ad ultrasuoni che misura il volume vescicale rapidamente, in modo non
invasivo e senza alcun disagio per il paziente. La misurazione del volume vescicale trova indicazione di uso
clinico principalmente per:
- determinare la Ritenzione Urinaria Acuta (RUA)
- verificare il residuo post-minzionale
- verificare lo svuotamento vescicale post-minzionale dopo la rimozione del catetere vescicale.
In sala operatoria…
• Il paziente viene trasferito su un apposito tavolo traumatologico oppure su un letto operatorio standard, in
posizione supina.
• Il trasferimento del paziente sul letto operatorio, se possibile, dovrebbe essere eseguito a paziente sveglio
(soggetto più collaborante) facendo attenzione, successivamente, a proteggere le sporgenze ossee e i punti
di pressione più esposti al fine di salvaguardarli da potenziali rischi lesivi e avendo cura che nessuna
attrezzatura gravi su di essi.
• È importante ricordare che anche in sala operatoria bisogna tutelare la privacy e la dignità del paziente.
• Viene somministrata un'anestesia generale o spinale e, per alcuni interventi che possono comportare una
considerevole perdita di sangue, viene prevista una tecnica di recupero e reinfusione del sangue perso.
• L’attrezzatura e la strumentazione necessarie per l'intervento vengono preparate prima dell'arrivo del
paziente in sala operatoria. Va ricordato che, come in qualsiasi intervento chirurgico, l'osservanza delle
norme di asepsi deve essere rigorosa.
• L’infermiere di sala operatoria conosce e controlla il corretto funzionamento di tutta l'attrezzatura della sala
(bisturi elettrico, defibrillatore, monitor, ventilatore, tubi, supporti ecc.). Una corretta assistenza al paziente
ortopedico in sala operatoria richiede una buona preparazione anatomo-fisiologica e precise conoscenze
tecniche: l'infermiere deve quindi possedere dimestichezza con termini quali "flessione", "estensione",
"abduzione“, “adduzione" e saperli tradurre in pratica al momento del posizionamento del paziente sul
letto operatorio oltre che avere padronanza delle conoscenze in merito al tavolo ortopedico e ai ferri
chirurgici da utilizzare.
• La strumentazione ortopedica è estremamente varia sia per dimensioni sia per caratteristiche: nel comporre
i set chirurgici è importante tenere conto delle molteplici necessità operatorie in relazione alle
caratteristiche dell'intervento e alla tecnica abitualmente utilizzata dal chirurgo ortopedico.

… in sala risveglio (ricoveri room)


Concluso l'intervento chirurgico, a seconda della tipologia degli ospedali, il paziente viene trasferito nella
sala risveglio (Recovery Room).
Monitorare
- Stato di coscienza Controllare
- Pervietà vie aeree - Accessi vascolari
- Frequenza respiratoria - Ferita chirurgica
- Frequenza cardiaca - Eventuali drenaggi
- Pressione arteriosa - Eventuale catetere vescicale
- Dolore

Verificare e mantenere
- La corretta ventilazione polmonare e gittata cardiaca
- La normale temperatura corporea
- Il controllo della sintomatologia dolorosa
- Un adeguato orientamento spazio temporale
- Cercare, nel limite del possibile, di creare un ambiente in grado di influire positivamente sullo stato
emotivo del paziente.

Rientro dalla sala operatoria


Diagnosi infermieristiche/problemi collaborativi Interventi assistenziali

Dolore acuto relativo all'incisione chirurgica, al gonfiore • Stabilire il tipo e la sede del dolore, attraverso l'uso di
e all'immobilizzazione apposite scale di rilevazione (nelle prime 8 ore tale
valutazione dovrebbe essere eseguita almeno ogni ora)
• Somministrare la terapia analgesica prescritta
• Valutare l'efficacia del trattamento al fine di evidenziare
la remissione della sintomatologia dolorosa. Nel caso il
dolore non regredisse, avvisare il medico, il quale
eventualmente provvederà a modificare il regime
terapeutico
• Insegnare al paziente i possibili di cambi di posizione
per controllare la sintomatologia dolorosa

Rischio di disfunzione neurovascolare periferica correlato • Monitorare ogni ora (nelle prime 24 ore) lo stato
all'intervento neurovascolare confrontando l'arto operato con quello
contro laterale: rilevare polsi periferici, colorito e
temperatura cutanea (colore e calore), sensibilità
• Incoraggiare il paziente a riferire sintomi insoliti o
sensazioni nuove (diminuita capacità di muovere le
estremità, insensibilità ecc.), dolore che aumenta con il
sollevamento dell'arto
• Segnalare tempestivamente al medico modificazione
della sensibilità, della capacità di movimento, del
colore cutaneo (se marezzato o cianotico), del polso
diminuito o assente

Rischio di deficit del volume di liquidi correlato a perdite • Impostare e controllare la terapia infusionale prescritta
intra-operatorie • Monitorare le entrate e le uscite considerando le
ulteriori perdite associate a vomito, febbre, drenaggi e
medicazione

Rischio di emorragia e shock ipovolemico • Controllare la medicazione, la qualità e la quantità del


liquido del drenaggio
• Rilevare la pressione arteriosa (PA) e la frequenza
cardiaca (FC) ogni 2 ore per le prime 6 ore
postoperatorie

Rischio di infezione postoperatoria correlato alla • Controllare lo stato della medicazione (che viene
possibile proliferazione di microrganismi in sede di ferita sostituita prima delle 48 ore successive all'intervento
chirurgica solo se strettamente necessario)
• Controllare il punto di inserzione del drenaggio
• Misurare la temperatura corporea per rilevare la
presenza o meno di iperpiressia

Disturbo del sonno correlato a dolore secondario • Ridurre il rumore e garantire un ambiente tranquillo
all'intervento chirurgico • Favorire, nel limite dell'immobilità obbligata, la
mobilizzazione nel letto affinché il paziente possa
assumere la posizione antalgica

Prima giornata postoperatoria e successive


Diagnosi infermieristiche/problemi collaborativi Interventi assistenziali

Compromissione della mobilità correlata a forza e • Mantenere l'arto in posizione neutrale


resistenza insufficienti per la deambulazione a seguito • Istruire e assistere il paziente negli spostamenti e nei
dell'intervento chirurgico cambi di posizione
• Istruire e assistere il paziente negli esercizi isometrici e
di contrazione dei quadricipiti e dei muscoli glutei
• In collaborazione con il fisioterapista, osservare e
istruire il paziente in vista di una deambulazione
progressivamente sicura, nei limiti di carico prescritti
• Incoraggiare il paziente a seguire il regime riabilitativo
• Assicurare l'uso degli ausili per la deambulazione
Dolore correlato a trauma tissutale e a spasmi muscolari • Chiedere al paziente di descrivere tipo e localizzazione
riflessi a loro volta secondari all'intervento chirurgico del dolore
• Ove possibile, impiegare tecniche non farmacologiche
per influire sulla percezione del dolore (posizione
confortevole e funzionale, frequenti cambiamenti di
posizione in modo da alleviare compressione e disagio)
• Somministrare gli analgesici prescritti, se necessario
• Incoraggiare il paziente a usare mezzi di controllo del
dolore prima di perderne il controllo
• Valutare l'efficacia del trattamento al fine di evidenziare
la remissione della sintomatologia dolorosa. Nel caso il
dolore non regredisse, avvisare il medico, il quale
eventualmente provvederà a modificare il regime
terapeutico.

Deficit nella cura di sé correlato a dolore postoperatorio e • Somministrare la terapia antalgica prescritta circa
prescritta limitazione di attività mezz'ora prima dell'inizio delle cure igieniche
• Prestare al paziente le cure igieniche, assicurando la
privacy e un adeguato microclima
• Valutare la capacità del paziente di partecipare alle
attività legate alla cura di sé rendendolo sempre più
autonomo

Rischio di nutrizione inferiore al fabbisogno, correlato ad • Valutare la presenza di nausea o vomito


aumento del apporto proteico e vitaminico per la • Ripristinare l'alimentazione per via orale secondo lo
cicatrizzazione della ferita schema dietetico prescritto (passaggio da una dieta
leggera a una ipercalorica)
• Impostare e controllare la terapia infusionale prescritta

Rischio di fenomeni tromboembolici secondari • Appena possibile e secondo le prescrizioni di carico,


all'immobilità mobilizzare il paziente
• Far indossare al paziente calze elastiche, se prescritte
• Somministrare la terapia antitrombotica prescritta
Rischio di inefficace funzionalità respiratoria, correlato • Invitare il paziente a proseguire la ginnastica
ad accumulo di secrezioni nelle vie respiratorie respiratoria iniziata nella fase preoperatoria
(spirometro) e a tossire in modo efficace
• Mobilizzare il paziente non appena possibile e al letto
sostenere la posizione semiseduta con cuscini
• Monitorare l'eventuale comparsa di dispnea e rumori
respiratori patologici
• Somministrare l'ossigenoterapia, se prescritta

Rischio di infezione correlato alla possibile proliferazione • Monitorare i parametri vitali (temperatura, polso e
di microrganismi in sede di ferita chirurgica ritmo respiratorio aumentano in risposta a un infezione)
• Eseguire, con tecnica asettica, la medicazione della
ferita chirurgica, valutando attentamente l'aspetto
dell'incisione e delle secrezioni, se presenti
• Se il paziente lamenta dolore in sede di intervento,
avvisare il medico strare la terapia antibiotica
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Rischio di disturbo della percezione sensoriale correlato • Valutare l'orientamento del paziente
a età avanzata, dolore e immobilità • Valutare eventuali carenze visive e/o uditive
• Aiutare il paziente a orientarsi dal punto di vista spazio
temporale e a riconoscere le persone
• Offrire spiegazioni semplici in merito alle procedure e
al piano di cura coinvolgendo il paziente nelle attività
(per esempio lavarsi il viso)
• Coinvolgere i familiari, se presenti

Disturbo del sonno correlato a dolore secondario • Ridurre il rumore e garantire un ambiente tranquillo
all'intervento chirurgico • Dopo aver accertato il tipo e la sede di dolore,
somministrare terapia antalgica se prescritta

Dimissione
Nel programmare la dimissione sarà necessario valutare l'ambiente domestico del paziente (barriere
architettoniche) in quanto potrebbe limitare la capacità di deambulazione e cura. Si dovrà anche raccogliere
informazioni sul tipo di assistenza di cui il paziente potrà godere al domicilio. Per i pazienti anziani, alla
dimissione dal reparto di ortopedia segue spesso un periodo di rieducazione presso un reparto di
riabilitazione.
• Eseguire la medicazione della ferita chirurgica
• Istruire il paziente o i familiari in merito al regime terapeutico da seguire, assicurandosi che abbiano
compreso le indicazioni fornite: limiti di attività, uso dei mezzi per la deambulazione, farmaci se prescritti,
istruzioni relative agli esercizi, cura della ferita
• Indicare modalità e tempistica per le visite di controllo
• Se necessario, mettere a disposizione il supporto dell'assistente sanitaria (Dimissione Protetta).

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TRAUMATOLOGIA DELL’APPARATO LOCOMOTORE


Le lesioni traumatiche dell’apparato locomotore interessano lo scheletro, le articolazioni, le parti molli (cute,
sottocute, fasce, muscoli e tendini), separatamente o nel loro insieme. La lesione traumatica può coinvolgere
un singolo o più segmenti scheletrici o più apparati (politrauma) coinvolgendo in diversa misura l’intero
organismo, in funzione delle modalità traumatiche e dell’entità della lesione, dell’età del paziente e delle
condizioni generali preesistenti all’evento, con conseguenze talora assai gravi.

Ruolo dell’infermiere nella prevenzione


- dei decubiti
- delle paralisi nervose
- delle broncopneumopatie
Correlate a:
- posture alternative o viziate,
- ad un eccessivo ed immotivato protrarsi dell’allettamento,
- danni che possono essere provocati da scorrette manovre elementari quali lo spostamento del paziente per
l’igiene personale.

FRATTURA, soluzione di continuo, parziale o totale , di un osso, prodotta da un’energia traumatica, capace
di superare i limiti di resistenza dell’osso.

Meccanismo di produzione
• Trauma diretto: lesione e punto di applicazione della forza traumatica coincidono
• Trauma indiretto: l’interruzione scheletrica avviene a distanza del punto di applicazione della forza
traumatica.

Frammenti di frattura= vari pezzi in cui l’osso si rompe.


Monconi= frammenti principali che costituiscono le due parti di un osso lungo fratturato.
Rima di frattura= sottile spazio interposto tra un frammento di frattura e l’altro.
Focolaio di frattura= zona compresa tra i vari frammenti dove si forma l’ematoma di frattura.
Frattura a legno verde= tipica dell’età infantile, in cui l’osso si piega più che interrompersi.
Frattura ostetrica= lesione traumatica che può insorgere durante l’espletamento del parto.
Distacco epifisario= tipica dei bambini, una rima di frattura decorrente a livello della cartilagine di
coniugazione, da cui trae origine la separazione più o meno completa dell’epifisi dalla metafisi.

Classificazione…
…In base all’eziologia
• Fratture traumatiche: se la lesione è determinata da una causa violenta esterna che ha agito su un osso sano.
• Fratture patologiche: se l’interruzione scheletrica si verifica, anche per traumi lievi, in corrispondenza di
una lesine ossea preesistente.

… In base alla completezza o meno delle rima di frattura


• Fratture complete: l’interruzione del segmento scheletrico è totale.
• Fratture incomplete: l’interruzione del segmento scheletrico è solo parziale.

…In base al decorso


• Fratture trasversali
• Fratture longitudinali
• Fratture oblique
• Fratture spiroide

… In base alla sede


• Fratture diafisarie
• Fratture metafisarie
• Fratture epifisrie
• Fratture articolari: quando la rima di frattura è in comunicazione con la cavità articolare; sono tipiche delle
epifisi delle ossa lunghe o delle ossa brevi.

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…In base allo spostamento dei monconi o dei frammenti


• Fratture composta
• Fratture scomposta: la scomposizione di una frattura è determinata sia dal tipo di trauma (diretto o
indiretto) sia dalla contrazione muscolare.
• Fratture esposta: lesione traumatica che si associa ad una lesione più o meno estesa delle parti molli, tale
da determinare la contaminazione del focolaio di frattura.

…In base al numero di frammenti


• Frattura pluriframmentaria : se oltre ai due monconi principali vi sono altri frammenti
• Frattura comminuta: se questi sono molti e di piccole dimensioni
• Frattura bifocale o plurifocale: se vi sono due o più rime di frattura

Segni clinici
sintomatologia locale
- Dolore
- Limitazione Funzionale di vario grado fino all’impotenza
- Deformità della parte
- Motilità preternaturale del segmento osseo fratturato
- Crepitio osseo
- Tumefazione
- Ecchimosi
sintomatologia generale
È legata alla concomitanza d’eventuali lesioni traumatiche in altri distretti e al grado di compromissione
delle condizioni generali. Secondo i casi si può avere:
- Stato commotivo o compressivo per coinvolgimento cerebrale
- Paresi o paralisi degli arti superiori o inferiori per lesioni del midollo spinale o dei nervi periferici
- Shock traumatico ipovolemico per lesione vascolare associata per lesione di organi toracici e addominali.
Diagnosi
• RADIOGRAFIE: sempre nelle due proiezioni ortogonali, in antero-posteriore e in latero-laterale
• T.A.C: nelle fratture complesse (es. F. del bacino) e in tutte le fratture articolari
• R.M.: per identificare anomalie dei tessuti molli, muscoli, tendini, cartilagini
• SCINTIGRAFIA OSSEA – P.E.T: per identificare metastasi ossee, infezioni, necrosi
• E.M.G: per differenziare problemi muscolari da problemi nervosi
• ARTERIGRAFIA: per identificare lesioni vascolari.

Consolidazione delle fratture, formazione del callo osseo

Giorni Fase Conseguenze

1-7 Dell’ematoma e dell’infiammazione Tumefazione


Dolore
Allargamento della rima

7-14 Dell’organizzazione dell’ematoma Riduzione della flogosi

14-21 Del callo fibroso Iniziale stabilizzazione


21-90 Del callo osseo vero e proprio Stabilizzazione
Ripristino funzioni meccaniche
Recupero della forma originaria

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Fattori che influenzano il processo riparativo


• età: la guarigione è tanto più rapida quanto è più giovane è il paziente
• tipo di frattura: fratture con notevole danno delle parti molli circostanti e le fratture comminute riparano
con difficoltà maggiori.
• sede della frattura: alcuni segmenti ossei (scafoide, ulna) e zone di segmenti ossei (terzo distale della tibia)
riparano con maggiore difficoltà per fattori vascolari locali.
• trattamento: un affrontamento, quanto più possibile congruente dei monconi di frattura e uno stabile
mantenimento degli stessi, sono condizioni indispensabili per la guarigione.
• condizioni generali del paziente
• preesistente patologia ossea
• ischemia legata a malattie sistemiche o a concomitanti lesioni vascolari.

L’insieme dei fattori, che influenzano negativamente il processo di riparazione di una frattura, possono
condurre ad un ritardo di consolidazione o alla mancata consolidazione. Produce pretermotilità (movimento non
fisiologico) tra i monconi, che simula la presenza di un’articolazione tra i due monconi la PSEUDOARTROSI.
In questo momento non si ritiene che sostanze particolari o farmaci possono influenzare positivamente la
guarigione di una frattura. Pare invece che particolari condizioni bio-elettriche del microambiente
fratturattivo, siano determinanti per abbreviare i tempi di guarigione. A tale scopo si applicano direttamente o
indirettamente campi magnetici pulsanti a bassa frequenza, correnti elettriche con caratteristiche particolari
(interferenziali).

Trattamento
1. PROVVISORIO
2. SPECIFICO:
- Riduzione incruenta estemporanea e stabilizzazione esterna
- Riduzione incruenta graduale (trazione)
- Riduzione e stabilizzazione cruenta con mezzi di fissazione interna
- Riduzione e stabilizzazione cruenta con mezzi di fissazione esterna
3. RIABILITATIVO

Trazioni transcheletriche
• La trazione è lo sforzo meccanico cui può essere sottoposta una parte anatomica.
• La trazione viene chiamata transcheletrica in quanto viene applicata direttamente sullo scheletro per mezzo
di un filo di acciaio (filo di Kirschner) infisso trasversalmente nell’osso e ancorato ai morsetti di una staffa,
a sua volta collegata ad un sistema di trazione mediante carrucola e pesi.

Materiale e procedura
- pulire con acqua e sapone la zona interessata
- eseguire tricotomia se necessaria
- Piano rigido (esempio asse di legno parte inferiore del letto per garantire stabilità dello Zuppingher )
- Zuppingher
- Sbarra di acciaio, carrucole, staffa, corda nylon per trazioni
- Porta pesi e pesi
- Traversa per Zuppingher
- Fili di K sterili di varie misure
- Trapano elettrico e guida fili sterile
- Chiave inglese per stringere i morsetti della staffa
- Tronchese
- Tappi in gomma
- Maglia tubolare, ovatta, garze
- Informare il paziente sulla necessità della manovra terapeutica
- Durante la fase di posizionamento della trazione,l’infermiere
collabora con l’ortopedico.

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Preparazione dell’unità di degenza


- Il telaio della trazione deve essere montato prima dell’arrivo del paziente in reparto
- Materasso antidecubito
- Preparare il letto senza coperte sopra
- Il telaio della trazione deve essere montato dal lato della frattura
- Imbottire bene lo Zuppinger
- Sul lato opposto posizionare la piantana con il trapezio e i cestelli per le infusioni
- Il paziente arriva in reparto con il filo e la staffa già posizionati in PS
Trasporto del paziente
- Prima di procedere a qualsiasi spostamento, tranquillizzare e rassicurare il paziente, garantendogli che una
volta a letto e l'arto in trazione il dolore diminuirà
- 3 operatori
- Si sposta il paziente dalla barella al letto e se il paziente è collaborante si richiede la sua massima
partecipazione nelle manovre
- Il paziente deve trovarsi bene al centro del letto con un allineamento corretto dell'arto

Trazioni cutanee
• Trazione a cerotto: viene esercitata un a trazione graduale sull’arto fratturato. Viene applicato un cerotto ai
lati della gamba, distalmente c’è una spugna da dove passa la corda a cui viene applicato il peso di
trazione.
• Trazione a zampale: viene posizionato uno zampale alla caviglia dell’arto fratturato, a cui distalmente
viene legata la corda dove verrà applicato il peso di trazione.

Prima di procedere all’applicazione di una trazione cutanea, occorre ispezionare lo stato della cute: se ci sono
segni di abrasione, lesioni, eritemi. (In particolare per la trazione a cerotto, in quanto il cerotto potrebbe
causare lesioni importanti all’epidermide). L’estremità dell’arto fratturato deve essere accuratamente lavata e
asciugata, eventualmente procedere alla tricotomia.

Trazione a cerotto
1.Applicare il nastro di trazione ai lati della gamba, lasciando la spugna all’estremità del piede.
2.Fasciare l’arto con la benda, lasciando libera l’estremità
3.Far passare la corda sulla carrucola del montante; regolandola all’asse dell’arto trazionato.
4.Annodare la corda all’estremità formando un’asola, dove verranno applicati i pesi molto lentamente. (I pesi
non devono mai eccedere la tolleranza della cute, che è di 2-3kg)
5.Fermare i nodi dell’asola con cerotto di tela
6.I pesi non devono mai toccare il pavimento, ma devono restare sospesi
7.Posizionare due cuscinetti in silicone ai lati del piede per mantenerlo in posizione corretta
8.Posizionare l’archetto (per far si che le coperte non cadano sulla corda di trazione)
9.Coprire il paziente
10.Riordinare il materiale
11.Controllare spesso i parametri locali per prevenire eventuali complicanze(es LDD)
12.Evitare di rimuovere i pesi anche durante le pratiche di nursing.

Trazione a zampale
1.Fasciare abbondantemente la caviglia con il cotone di germania
2.Applicare lo zampale, che non deve essere né troppo largo né troppo
stretto.
Dalla fase 3 in poi, come per trazione a cerotto

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Stabilizzazione chirurgica delle fratture


Si compone di un’insieme assai vasto di procedure, in grado di garantire la guarigione delle fratture e la
ripresa funzionale del paziente in tempi assai rapidi, avvalendosi di mezzi di sintesi interni, introducibili
aprendo il focolaio di frattura, a cielo aperto o a cielo chiuso, con l’ausilio dell’amplificatore di brillanza.

Fissazione esterna
Il fissatore esterno è un mezzo di sintesi che stabilizza i due monconi di frattura senza posizionare mezzi
metallici a livello del focolaio, creando un ponte esternamente all’arto. Il fissatore viene solidarizzato ai due
monconi di frattura con viti (dette fiches) o fili di k inseriti per via percutanea e raccordati al corpo del
fissatore. Il fissatore risulta insostituibile nelle fratture esposte con sofferenza della cute e dei tessuti molli,
dove il posizionamento di mezzi metallici aumenta il rischio di infezione.

Prima dell’intervento
- Coinvolgere il paziente fornendogli informazioni sullo strumento che gli verrà applicato: questo approccio
è di estrema importanza in quanto l'aspetto di un fissatore esterno può alterare l'idea della propria
immagine corporea e suscitare nelle altre persone un certo timore di avvicinarsi al paziente.
- Rassicurare il paziente spiegandogli che l'applicazione di tale strumento gli consentirà di anticipare la
mobilizzazione.

Dopo l’applicazione del fissatore


- Nell’immediato postoperatorio elevare l'estremità dell'arto per ridurre il gonfiore e monitorare
frequentemente la condizione neurovascolare dell'arto a cui è stato applicato lo strumento.
- Controllare le sedi di inserzione delle fiches per prevenire complicanze infettive: verificare l'eventuale
presenza di arrossamento, indolenzimento, dolore o cambiamento di posizione (non si dovrebbe mai
formare una crosta nel punto di inserzione delle fiches).
- Medicare i punti di inserzione delle fiches secondo la seguente procedura: rimozione delle garze,
detersione, disinfezione (antisettico iodato) e applicazione di garze sterili attraverso gli spazi tra le fiches .
- Controllare che non compaiano segni di compressione dello strumento sulla cute e prevenire lesioni
causate da possibili spigoli o punte del fissatore stesso.
- A seconda della prescrizione dei limiti di carico, mobilizzare il paziente favorendo una graduale ripresa
dell'autonomia.
- In previsione della dimissione, educare il paziente alla corretta gestione a domicilio dello strumento
avendo cura di focalizzare l'attenzione sull'importanza di una corretta e attenta igiene della cute e sulla
necessità di saper riconoscere segni e sintomi di una possibile infezione.
- Insegnare al paziente come medicare le fiches, rinnovando la medicazione un paio di volte alla settimana e
impregnando le garze ogni giorno con un disinfettante alcolico che evaporando mantenga asciutta la cute
attorno al foro di entrata.

LESIONI ARTICOLARI: DISTORSIONE E LUSSAZIONE


Le articolazioni vengono interessate, più frequentemente, da lesioni dovute a un meccanismo indiretto, per
l’azione di forze contrapposte sui due corpi articolari. La conseguenza è un movimento relativo dei due capi
articolari che supera la fisiologica ampiezza e comporta una momentanea perdita del rapporto tra i capi con
uno stiramento dei legamenti fino alla loro lacerazione (distorsione); se complicata da stravaso di sangue
nell’articolazione (emartro). Le sedi più colpite sono il ginocchio, la tibio-tarsica e le piccole articolazioni
delle dita delle mani. Se l’energia applicata è maggiore si può avere una perdita permanente dei rapporti
articolari (lussazione); qualora permanga un parziale contatto dei capi articolari si parla di sub lussazione.
Le sedi più colpite sono la spalla, il gomito, il ginocchio e l’anca.

Contusione= si intende la lesione dei tessuti investiti da una forza meccanica applicata a essi direttamente,
per un urto contro un ostacolo, per percosse con o senza corpo contundente, per azioni di fluidi ad alta
pressione, senza che vi sia un lesione di continuità dei tegumenti. I tessuti colpiti sono quelli superficiali,
come cute e sottocute, anche se è frequente l’interessamento muscolare o tendineo, mentre le strutture
articolari, le ossa e i tronchi nervosi sono interessati solo in quelle parti del corpo dove sono più superficiali.

Ferita= essere definita come la soluzione di continuo dell’apparato tegumentario conseguente a un’azione
meccanica. A seconda del tipo di agente lesivo si parlerà di ferita da punta (chiodo, spada sottile), da taglio
(coltello, vetro), lacerocontusa (corpo smusso), da arma da fuoco (proiettile), da scoppio. Altro aspetto
importante da valutare in caso di ferite è la loro profondità e l’eventuale interessamento di formazioni
anatomiche sottostanti. Nelle ferite agli arti molto spesso vi è l’interessamento delle fasce, dei muscoli e dei
tendini, o delle strutture vascolari e nervose: in questo caso si può parlare di ferita complicata.

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Lesioni dei muscoli e dei tendini= possono subire lesioni con meccanismo sia diretto, come conseguenza di
una ferita o di una contusione violenta, sia indiretto, imputabile a eccessiva trazione sulla loro struttura a
seguito di allungamenti eccessivi o, più spesso, per distensione passiva di un muscolo divenuto meno elastico
per affaticamento o contrattura. La lesione muscolare consiste nell’interruzione delle fibre. Se questa si
limita al livello cellulare viene generalmente definita stiramento o contrattura muscolare. Se alla rottura delle
fibre si associa quella della ricca rete vascolare che le accompagna, si ha l’effusione di sangue nel contesto
del muscolo, che tende a raccogliersi formando un ematoma muscolare. Se la lacerazione delle fibre è
importante si parla di strappo muscolare; se il muscolo è interessato per metà o più del suo spessore si parla
di rottura muscolare parziale o totale.

Lesioni complesse, trauma da schiacciamento amputazione= nel caso la parte traumatizzata rimanga
compressa tra il corpo contundente e un altro corpo rigido si parla di trauma da schiacciamento. Questa
evenienza causa: ferite lacero contuse con notevole sofferenza o necrosi dei tessuti molli, sofferenza dei
tessuti muscolari con edema, ematomi e lacerazioni, danneggiamento delle strutture vascolari e nervose,
fratture comminute. Danni simili si hanno in caso di lesioni da scoppio, dove i tessuti sono violentemente
colpiti dallo spostamento dell’aria causato dall’esplosione. Qualora una porzione di arto venga sottoposta a
forze molto intense di taglio o di trazione si può avere come conseguenza l’interruzione completa a tutto
spessore dei tessuti che la compongono, dalla cute all’osso, cioè un’amputazione o detroncazione. Se la
lesione interessa gran parte del segmento ma non è completa si parla di sub amputazione.

Complicanze delle fratture


Generali
• Reazione vasovagale: risposta sistema nervoso autonomo al dolore molto intenso, ipotensione importante
(lipotimia) con perdita di coscienza e possibile caduta a terra.
• Crisi d’ansia
• Emorragia
• Shock post-traumatico
• Ematomi o versamenti endocavitari
• Anemizzazione
• Sindrome da allettamento: infezioni broncopolmonari, infezioni urinarie, trombosi venose profonde,
ipotrofia muscolare
• Embolia Polmonare
• Embolia Adiposa: alla mobilizzazione di acidi grassi dal tessuto adiposo endomidollare segue con
l’occlusione del microcircolo, un danno tissutale, a livello del snc, dei polmoni e della cute.

Locali immediate (48-72ore)


• Lesioni associate muscolo-tendinee
• Compressione o sezione di vasi o nervi
• Lesioni di organi vicini
• Lussazione: per le fratture articolari
• Distrofia della cute circostante con formazione di vesciche e poi di escare.
• L’infezione dei tessuti molli o del focolaio
• Trombosi venosa profonda nel segmento interessato o nel distretto distale ad esso.

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SINDROME COMPARTIMENTALE: può portare a danni permanenti e ha spesso un esordio subdolo con scarse
possibilità terapeutiche se non si è tempestivi. A innescare la cascata di eventi possono essere lo stesso danno
tissutale all’interno del compartimento e una stasi del ritorno venoso o in caso di apparecchi gessati con
compressione eccessiva.

Tempo Evento Alterazione Sintomi e segni

Alcune ore • Stati venosa a monte Aumento della pressione Aumento della pressione
• Edema da lesione tissutale intracompartimentale intracompartimentale
• Emorragia intracompartimentale

Riduzione della perfusione tisutale Ipossia cellulare (più sensibili Dolore intenso, parestesie,
normalmente di 35-40mmHg le cellule muscolari dei nervi) difficoltà nei movimenti.
Compartimento molto teso

Ischemia muscolare e del nervo Deficit di contrattilità e Ipostesia, ipostenia


periferico trasmissione nervosa

Necrosi e ulteriore edema Liberazione di mediatori della Ulteriore dolore


flogosi

1-2 giorni Evoluzione fino alla necrosi Danno esteso delle strutture Incapacità di compiere
massiva muscolari movimenti

Settimane o Esiti cicatrizzazione Sostituzione del muscolo con Detrazione muscolare


mesi testo fibroso posizioni coatte

Tardive

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PAZIENTE CON PATOLOGIA DELL’ARTO INFERIORE


• Anca
• Coscia e gamba
• Ginocchio
• Caviglia e piede

ANCA
- Nell’adulto la regione dell’anca è sede di frequenti
patologie di origine traumatica e non, come le fratture
dell’estremo prossimale di femore o l’artrosi
dell’articolazione coxofemorale(coxartrosi), o, meno
frequentemente, di artrite o di localizzazione tumorali
secondarie.
- Nel bambino è sede di patologie importanti, come la
dispalsia congenita dell’anca o l’epifisiolisi

Le lesioni traumatiche a livello dell’anca sono:


• Le fratture dell’estremo prossimale del femore
• Le lussazioni dell’anca
• Le fratture del cotile
• Le fratture della testa femorale (molto rare)
• Borsite (reazione infiammatoria a seguito di una contusione dei tessuti molli)
• Pubalgia ((tendinopatia inserzionale dei muscoli adduttori dell’anca)

Triage e quadro riassuntivo del triage


Tranne che nei casi più lievi, il paziente affetto da traumatismo dell’anca accede alle cure attraverso il pronto
soccorso a breve distanza dall’evento fratturativo. Si presenta con l’arto inferiore del lato traumatizzato
accorciato rispetto al controlaterale e atteggiato in extrarotazione. È molto sofferente e qualunque movimento
dell’anca causa dolore intenso.

Accertamenti
• Raccolta dell’anamnesi con particolare attenzione al meccanismo traumatico.
• Valutazione dei polsi periferici, della sensibilità e della mobilità nella porzione distale dell’arto
• Esami strumentali: Rx bacino e TC bacino
• Se si prevede un intervento chirurgico: ECG – Emocromo, Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace –
Valutazione anestesiologica.

Linee guida per gli accertamenti, il ruolo dell’infermiere


- Esame clinico= liberare il paziente dagli indumenti relativi all’arto inferiore. Procedere all’igiene dell’arto
e all’eventuale disinfezione delle soluzioni di continuo presenti. Mantenere la privacy.
- Esami radiografici (rx bacino, rx torace)= Informare il paziente. Se necessario, trasferire il paziente dalla
barella al lettino radiotrasparente prestando attenzione alla mobilizzazione dell’arto fratturato. Rimuovere
indumenti con elementi metallici che possono interferire con l’esame.

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- Esami ematochimici= informare il paziente. Eseguire gli esami richiesti rispettando l’asepsi.
- Elettrocardiogramma= informare il paziente. Eseguire secondo prescrizione medica.
Trattamento conservativo
• Per lesioni lievi: riposo o scarico dell’arto, crioterapia, terapia antiflogistica per via generale (valutazione
ecografica successiva in caso di borsiti, tendiniti o ematomi).
• Per la lussazione dell’anca: in urgenza, riduzione incruenta in narcosi.

Le fratture dell’esterno prossimale del femore


•Traggono vantaggio da un intervento chirurgico eseguito in
urgenza differita (entro 12-24 ore)
•Se non possibile: per ridurre il dolore che il paziente avverte
durante la mobilizzazione dell’arto fratturato e per impedire che la
muscolatura pelvitrocanterica si retragga ostacolando la successiva
riduzione, si può posizionare l’arto in trazione.

Intervento di osteosintesi delle fratture del femore prossimale


Le fratture dell’estremo prossimale del femore vengono attualmente trattate chirurgicamente con interventi di
riduzione e osteosintesi (se pazienti giovani); o di artroprotesi (se pazienti anziani). I mezzi di osteosintesi
più utilizzati sono la vite e placca dinamica o la vite e chiodo endomidollare.

Evento fisiopatologico Diagnosi infermieristiche/ problemi collaborativi

Frattura del femore Dolore, gonfiore o infiammazione


Trattamenti
prossimale Ridotta mobilità per dolore o a causa di presidi -Trattamento con viti
utilizzati per l’immobilizzazione -Trattamento con chiodo gamma
Incapacità di prendersi adeguata cura di sé -Vite placca dinamica
Alterazione dell’immagine fisica

Il paziente con coxartrosi


L’anca, articolazione sottoposta al carico, è frequente sede di artrosi, soprattutto nei soggetti portatori di
alterazioni dell’articolazione di origine congenita, displasia dell’anca, o acquisita, osteocondrosi, epifisiolisi,
esiti di fratture del collo femorale o del cotile, che ne alterino la superficie articolare o il carico.

Accertamenti e preparazione all’intervento


Il paziente affetto da coxartrosi si ricovera per l’intervento di artroprotesi dell’anca provenendo dagli
ambulatori, con alle spalle una storia, generalmente lunga, di tentativi di trattamento incruento, con FANS e
fisioterapia, più raramente di pregressi interventi per correggere deformità preesistenti.

Anamnesi accurata con particolare attenzione alle patologie che possono aumentare il rischio di complicanze
(es. trombosi). Il sintomo che il paziente lamenta più frequentemente è il dolore nel cammino, soprattutto nei
primi passi dopo essersi alzato o dopo un certo tratto di strada, sempre più breve col passare degli anni.
Vi è poi la difficoltà a compiere alcuni gesti della vita quotidiana (es. infilarsi le calze o sedersi in auto).
Esami strumentali (realizzabili in regime di pre-ricovero)
• Radiografia bacino e anca
• Radiografia del torace
• Ecg
• Esami ematici di routine preoperatoria
• Altri accertamati, come visita cardiologica o eco-doppler (se pz con comorbilità rilevanti). TC o RMN in
presenza di displasie gravi

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Linee guida per gli accertamenti pre-operatori


- Esami radiografici (rx bacino, rx torace)= Prenotare l’esecuzione degli esami. Verificare che gli esami
siano stati eseguiti correttamente e che i referti giungano in reparto
- Esami ematochimici= Prenotare l’esecuzione degli esami. Verificare che giungano i risultati. Segnalare al
medico eventuali valori alterati. Inoltrare le richieste i eventuali trasfusioni e relativi prelievi.
- Elettrocardiogramma= controllare referto eco e consigli cardiologici
- Visite specialistiche= collaborare con lo specialista se necessario
- Visita anestesiologica= recepire le indicazioni relative alla preparazione dell’intervento. Eseguire
eventuali nuovi prelievi o monitoraggi richiesti.

Decorso post-operatorio
Concluso l’intervento chirurgico il paziente vene trasferito nella sala risveglio. Monitorare: stato di
coscienza, pervietà vie aeree, frequenza respiratoria, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, temperatura
corporea, dolore. Controllare: eventuali drenaggi, ferita chirurgica, accurato controllo del movimento della
sensibilità e del circolo, accessi vascolari.

Complicanze immediate e precoci


• La complicanza più frequente è la trombosi venosa profonda, per cui viene instaurata una Profilassi
Eparinica (Eparina a Basso Peso Molecolare) o con utilizzo degli Anticogulanti Orali Diretti (DOAC). Altri
presidi per combattere la trombosi venosa sono l’uso di calze elastiche dopo l’intervento e la
mobilizzazione precoce. Poiché il rischio trombotico permane a lungo dopo l’intervento, la profilassi viene
generalmente proseguita per 4 settimane.
• Altra temibile complicanza è l’infezione, che viene combattuta con l’antibiotico profilassi. Il trattamento si
protrae per circa 2 giorni.
• Sanguinamento eccessivo della ferita chirurgica: prevenuto con l’infusione endovenosa di Acido
TranexamicoAltre complicanze sono: infezioni delle vie urinarie e polmonari, piaghe da decubito, sacrali e
calcaneari.
• Non frequente, ma da tener presente, è la paresi del nervo sciatico-popliteo esterno, che si manifesta con
debolezza nella estensione dorsale del piede, e che è dovuta alla compressione del nervo nel suo decorso
molto superficiale dietro la testa del perone.

Potenziali problemi associati alla ricostruzione totale dell’anca


Lussazione della protesi= possibile accorciamento della gamba, un’incapacità a muoverla, la mancanza di
allineamento e dolore crescente accompagnato da anormale rotazione devono far intuire all’infermiere la
possibile lussazione della protesi.
Tromboembolia= il rischio è particolarmente elevato e proprio per questo motivo l’infermiere deve
monitorare il paziente con attenzione, oltre che mettere in atto interventi mirati alla riduzione della stasi
venosa e allo stimolo della circolazione.
Infezione= complicanza importante, può comportare la rimozione della protesi. I soggetti a rischio sono i
diabetici, gli obesi o i malnutriti e i pazienti con infezioni concomitanti. Bisogna segnalare arrossamenti,
secrezioni nelle medicazioni, febbre.

Rieducazione
• A seconda del tipo di intervento e in caso di osteosintesi, della sua stabilità, e della situazione generale del
paziente, iniziata la mobilizzazione, dapprima con movimenti passivi e con esercizi di rinforzo muscolare
isometrico dell’arto operato, poi con esercizi per recuperare postura seduta a letto, poi in poltrona.
• In caso di osteosintesi il carico sull’arto operato viene concesso solo parzialmente dopo 30-45 giorni e
aumentato gradualmente (dopo valutazione dei processi riparativi con radiografia); con l’ausilio del
deambulatore o di stampelle nel paziente più giovane.
• Una completa consolidazione della frattura si ha generalmente tra i 60 e i 90 giorni.
• Per i pazienti sottoposti a intervento di protesizzazione il recupero del carico è molto rapido e
generalmente è concesso già dopo 4 ore dopo la fine dell’intervento chirurgico.

Esiti a distanza
• Dolore in sede di frattura, per ritardo o mancata consolidazione (pseudoartrosi).
• Dismetria degli arti inferiori, dovuta all’accorciamento del collo femorale
• Nei pazienti sottoposti ad intervento di artroprotesi dell’anca; un dolore continuo che si accentua al carico
deve far pensare a una mobilizzazione della protesi (in caso di infezione mobilizzazione settica).
• Lussazione dell’artroprotesi
• Più raramente si ha la frattura dell’osso periprotesico, legata a nuovi traumatismi o a grave osteoporosi.

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COSCIA E GAMBA
Nei segmenti diafisari degli arti inferiori si riscontrano molte
lesioni traumatiche e relative complicanze, in pazienti di
qualunque età. Affezioni non traumatiche che colpiscono questi
segmenti sono i tumori, metastatici negli adulti e primari nei
soggetti in accrescimento e le infezioni dell’osso (osteomieliti).

- Le lesioni traumatiche consistono nelle fratture della diafisi


di femore, tibia e perone.
- Lesioni dei tessuti molli si trovano in associazione alle
fratture, ma possono anche essere conseguenza di traumi
diretti (contusioni e ferite) o indiretti (stiramento muscolare).
I più colpiti soni i muscoli ischiocrurali, il retto femorale e i
gemelli.

Triage e quadro riassuntivo del triage


• Il paziente si presenta molto sofferente, dolente a ogni piccola sollecitazione sull’arto leso e può essere
sotto shock a causa del dolore intenso, ma anche delle perdite ematiche, cospicue a livello femorale o in
caso di esposizione della frattura.
• Oltre all’impotenza funzionale, il segmento fratturato presenta di solito evidenti alterazioni del profilo
anatomico, con deviazione dell’asse, tumefazioni e accorciamento.
• Viene riferito un meccanismo traumatico ad alta energia; qualora questo non sia presente si deve sospettare
una frattura patologica.

Accertamenti
• Raccolta dell’anamnesi e visita medica: valutazione dei polsi periferici, della sensibilità e della mobilità
nella porzione distale dell’arto
• Esami strumentali: Rx mirato sul segmento leso. Nella rara eventualità che si sospetti una lesione vascolare
occorre richiedere un Eco-Doppler o un’arteriografia.
• Se si prevede un intervento chirurgico: ECG – Emocromo, Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace –
Valutazione Anestesiologica

Linee guida per gli accertamenti, il ruolo dell’infermiere


- Esame clinico= liberare dagli indumenti l’arto inferiore leso. Procedere all’igiene dell’arto e all’eventuale
disinfezione delle soluzioni di continuo presenti. Mantenere la privacy.
- Esami radiografici (rx arto leso, rx torace)= informare il paziente. Se necessario, trasferire il paziente dalla
barella al lettino radiotrasparente prestando attenzione alla mobilizzazione dell’arto fratturato. Rimuovere
indumenti con elementi metallici che possono interferire con l’esame.
- Esami ematochimici= informare il paziente. Eseguire gli esami richiesti rispettando l’asepsi.
- Elettrocardiograma= informare il paziente. Eseguire secondo prescrizione medica.

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Trattamento conservativo: posizionamento in trazione trans-schelettrica


• Se le condizioni generali del paziente lo consentono è utile eseguire l’intervento in urgenza, soprattutto in
caso di frattura esposta.
• Se è necessario rimandare l’intervento, l’arto deve essere messo in trazione al fine non solo di ridurre il
dolore e il rischio di complicanze, ma anche di impedire una retrazione muscolare che poi ostacolerebbe la
riduzione. La sede di infissione del filo di k: condili femorali per le fratture dei due terzi prossimali del
femore; calcagno per quelle di tibia. In caso di fratture di gamba modicamente scomposte si può
confezionare una stecca gessata ma è fondamentale controllare il circolo e rilevare tempestivamente i segni
rivelatori dell’insorgenza di una sindrome compartimentale.
• In caso di fratture composte della tibia e del perone si può trattare la frattura in modo incruento con un
apparecchio gessato, che verrà mantenuto per almeno 5 settimane.
• Nei bambini, anche in caso di fratture scomposte, si può eseguire una riduzione incruenta, magari in
narcosi, e immobilizzare la frattura con un gesso o ricorrendo a fili percutanei

Trattamento chirurgico
Osteosintesi con chiodo endomidollare bloccato (più utilizzato)
Osteosintesi con placca e viti
Osteosintesi con fissatore esterno

Decorso e complicanze
I pazienti sottoposti a interventi al femore devono essere monitorati nelle prime 24-48 ore per quanto
riguarda le perdite ematiche, mentre anemizzazioni importanti sono rare nel caso di interventi alla tibia.
Nella gamba occorre invece controllare la tensione dei compartimenti muscolari, il dolore e la situazione di
innervazione distale. Si dovranno controllare le medicazioni e segnalare abnormi tumefazioni. Un rialzo
febbrile è frequente, ma deve recedere dopo 24-48 ore. Dopo gli interventi di inchiodamento, si deve
monitorare lo stato di coscienza e, se il paziente appare obnubilato, la saturazione di ossigeno del sangue
periferico (embolia adiposa). È opportuna un’adeguata terapia per il controllo del dolore in quanto si tratta di
chirurgia importante.
Complicanze Segni da considerare
Complicanze degli interventi al femore e alla
Anemizzazione Tachicardia e ipotensione
gamba e loro segni clinici e strumentali
Sudorazione e agitazione
Colorito pallido

Trombosi venosa/ embolia Tumefazione dell’arto distalmente


polmonare Dispnea
Bassa pO2 al saturimetro
Fibrinogeno elevato

Embolia adiposa Obnubilamento e perdita di coscienza


Bassa pO2 al saturimetro

I n f e z i o n e i n s e d e d i Edema o eritema locale


intervento Deiscenza dei margini della ferita
Secrezione purulenta
Febbre e segni di flogosi

Sindrome compartimentale Dolore e parestesie al piede


nella gamba Edema teso della gamba
Ipostesia e ipostenia distale

Rieducazione
- La ripresa dei movimenti e del carico dell’arto è condizionata dalla qualità della stabilizzazione in caso di
frattura o dall’associazione di altre lesioni traumatiche. Mobilizzare pz seduto e iniziare la mobilizzazione
continua passiva con esercizi attivi per il recupero muscolare e passivi per quello articolare.
- La rieducazione al passo avviene già a breve distanza dall’intervento, dosando opportunamente il carico in
base alla tipologia di intervento.

Esiti a distanza
• Si possono osservare ritardi di consolidazione, o anche pseudoartrosi; l’osteomielite per infezione del
focolaio è più frequente nelle fratture esposta del terzo distale della tibia.
• Possono verificarsi intolleranza ai mezzi di sintesi, in particolare in corrispondenza dell’apice dei chiodi
endomidollari.

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GINOCCHIO
Il ginocchio è sede di frequenti lesioni traumatiche, come fratture, distorsioni e
lussazioni. Le fratture del ginocchio comprendono quelle dell’epifisi distale di femore,
quelle del piatto tibiale e quelle della rotula. Esistono anche patologie degenerative a
carico del ginocchio: condropatia e gonartrosi.

Le lesioni traumatiche a livello del ginocchio avvengono generalmente per un


traumatismo diretto, da caduta, o spesso durante gli incidenti automobilistici (cosiddetti
“traumi da cruscotto”)

Triage e quadro riassuntivo del triage


Il paziente, generalmente trasportato in posizione seduta o supina e con una storia di traumatismo, si presenta
con l’arto tenuto immobile, spesso in posizione antalgica. E’ molto sofferente e qualunque movimento
dell’arto gli causa dolore

Accertamenti
- Buona anamnesi con particolare attenzione al meccanismo di lesione, alle caratteristiche della
sintomatologia (cronica, acuta??).
- Valutazione dei polsi periferici, della sensibilità e della mobilità nella porzione distale dell’arto
- Esami strumentali: Rx ginocchio (in varie proiezioni) e/o TC ginocchio – RM (se sospetto per lesioni
legamenti, tendini o fibrocartilagini meniscali)
- Se si prevede un intervento chirurgico: ECG – Emocromo, Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace –
Valutazione Anestesiologica

Linee guida per gli accertamenti, il ruolo dell’infermiere


- Esame clinico= Liberare il paziente dagli indumenti relativi all’arto inferiore. Procedere all’igiene
dell’arto e all’eventuale disinfezione delle soluzioni di continuo presenti. Mantenere la privacy.
- Esami radiografici (rx ginocchio, rx torace, TC e RMN ginocchio)= Informare il paziente sulle procedure
da eseguire e rassicurarlo. Rimuovere indumenti con elementi metallici che possono interferire con
l’esame. Se il paziente è particolarmente sofferente e a rischio di lipotimia, è preferibile farlo distendere
- Esami ematochimici= Informare il paziente. Eseguire gli esami richiesti rispettando l’asepsi ed
effettuando il prelievo dal lato opposto a quello leso
- Elettrocardiogramma= Informare il paziente. Eseguire secondo prescrizione medica.
Artroscopia e meniscectomia: interventi per le lesioni meniscali

•Data la sua struttura anatomica, l’articolazione del


ginocchio è facilmente accessibile per l’osservazione
endoscopica.
•Le lesioni del menisco rappresentano la condizione più
frequentemente trattata mediante artroscopia.
•È un intervento chirurgico, che comporta un ricovero la cui
durata varia in base alla patologia trattata (generalmente
24ore).

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Plastiche legamentose
Gli obiettivi di una ricostruzione chirurgica di un legamento sono ripristinare la stabilità articolare, prevenire
un danno secondario delle altre strutture del ginocchio e mantenere un arco completo di movimento
articolare.

Condropatia e Gonartrosi
• Trattamento conservativo: infiltrazione intra-articolare di cortisone e/o acido ialuronico. Possono essere
praticate 2/3 all’anno, in condizioni di rigorosa asepsi, in quanto il rischio di infezione è sempre presente.
• Trattamento chirurgico: pulizia dell’articolazione in artroscopia per le condropatie; mentre per le gonartrosi
impianto di protesi di ginocchio (sostituzione sia della componente femorale sia di quella tibiale).

Decorso
- Nel paziente traumatizzato si raccomanda di tenere l’arto leso in scarico, nei primi giorni dopo
l’intervento; questa posizione va alternata con la posizione seduta e, se possibile con la stazione eretta.
Sarà utile controllare lo stato della ferita chirurgica e della cute ogni qualvolta il paziente viene medicato
- La terapia antibiotica che andrà proseguita per circa 4/5 giorni avrà lo scopo di ridurre l’incidenza delle
infezioni della ferita e dell’osso(osteomielite). Anche la terapia antitrombotica andrà continuata fino a
quando sarà consentito il carico completo sul arto operato. Sarà utile anche l’utilizzo di calze elastiche.
- Il paziente sottoposto a chirurgia protesica necessiterà di calze elastiche, bastoni canadesi, terapia
antibiotica e antitrombotica. La terapia antidolorifica post-operatoria viene effettuata in infusione continua
con pompa per i primi 2 giorni. È necessaria la crioterapia. Il carico sarà concesso dal giorno
dell’intervento con bastoni canadesi.
- Nel paziente sottoposto a plastica legamentosa o ad artroscopia semplice di ginocchio sarà concesso dalla
prima giornata post-operatoria, con l’ausilio di bastoni canadesi. La terapia antibiotica sarà effettuata solo
nelle 24 ore successive all’intervento. La terapia antitrombotica proseguirà per circa 15 giorni.

Complicanze immediate e precoci


• Le complicanze nel paziente traumatizzato sono: sviluppo di una patologia trombo-embolica, infezioni
della ferita, infezioni delle vie urinarie, piaghe da decubito, edema, dolore, tumefazione e rossore della
parte;riduzione inefficace o mal riuscita della frattura.
• Nel paziente sottoposto a chirurgia protesica il rischio più grave è lo sviluppo di una trombo-embolia;
seguono il rischio di infezione della protesi, la febbre post-operatoria, l’infezione delle vie urinarie, il
dolore, la persistenza della tumefazione e degli edemi. Un grosso rischio è quello della lesione e/o dello
stiramento del nervo sciatico popliteo esterno(SPE), con conseguenti paresi dei muscoli del compartimento
anteriore della gamba e caduta del piede che ne rende impossibile la dorsi-flessione.
• Nei pazienti sottoposti a chirurgia artroscopica le complicanze maggiori risiedono il più delle volte nella
gestione del dolore post-operatorio.

Rieducazione
• Nel paziente traumatizzato la rieducazione dipende dal tipo di frattura e dal tipo di sintesi. La concessione
del carico avviene sulla base della della valutazione radiografica della guarigione.
• Nel paziente sottoposto a chirurgia protesica la deambulazione viene ripresa in genere in prima giornata
post-operatoria con l’ausilio di due bastoni canadesi (anche dopo 4 ore dall’intervento chirurgico); già
nell’immediato post-operatorio il soggetto inizia gli esercizi attivi e passivi per il recupero dell’articolarità
partendo gradualmente dal raggiungimento di una minima flessione di 30/40° per finire gradualmente in
maniera progressiva nei giorni successivi all’ottenimento della totale flessione.
• Nel paziente sottoposto a chirurgia artroscopica la rieducazione inizia fin dalla prima giornata post-
operatoria con esercizi di ginnastica isometrica per il muscolo quadricipite femorale e con la
mobilizzazione attiva e passiva del ginocchio per il recupero articolare. Il paziente proseguirà il
programma riabilitativo dopo la dimissione.

Esiti a distanza
• Nelle fatture del ginocchio le complicanze tardive maggiori risiedono nella pseudoartrosi con dolore, nella
viziosa consolidazione della frattura con deviazioni assiali dell’articolazione (ginocchio varo o valgo) e
nella deformità locale dovuta a un callo osseo esuberante.
• Nelle protesi di ginocchio gli esiti a distanza consistono in una rigidità articolare, in una persistenza della
sintomatologia dolorosa e nella possibilità di una mobilizzazione delle componenti protesiche. In
quest’ultima eventualità il paziente dovrà probabilmente sottoporsi a un intervento di revisione della
protesi con sostituzione di una o di entrambe le componenti protesiche.
• Pz dopo plastica legamentosa potrà avere esito rigidità dell’articolazione o una residua lassità legamentosa.

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CAVIGLIA E PIEDE
La caviglia è un’articolazione complessa, nella quale sia le strutture ossee sia quelle legamentose svolgono
un ruolo importante per la stabilità. È formata dalle articolazioni tibiotarsica, sotto-atragalica e medio-tarsica
e dai relativi mezzi di fisicità: capsula articolare e legamenti di rinforzo. La distorsione rappresenta il più
frequente momento lesivo di tali strutture legamentose ed è l’infortunio più comune nelle attività sportive
che prevedono corsa e salti. Il piede è una struttura complessa, costituita da più ossa. Per comodità si
suddivide in avampiede, mesopiede e retropiede, ognuno dei quali presenta quadri patologici a suo carico. Il
retropiede è costituito dalle ossa del tarso, il mesopiede dalle ossa metatarsali e l’avampiede dalle falangi.
Anche a carico del piede si possono verificare eventi traumatici (fratture e lussazioni) o patologie
degenerative, congenite o acquisite (alluce valgo, dito a martello, dito en griffe, neuroma di Morton ecc.).

Triage e accertamenti
- Nel paziente con patologia traumatica della caviglia e/o del piede, si devono prima di tutto accertare le
condizioni cliniche generali, quindi le funzioni vitali di base.
- In seguito è necessario procedere all’analisi delle condizioni cliniche locali del paziente: valutare la
presenza di polsi periferici e lo stato della cute, stabilire se la frattura è esposta o chiusa, se ci sono zone di
alterata sensibilità o deficit motori.
- Raccogliere le informazioni anamnestiche del caso: età, sesso, modalità del trauma ( ad alta o bassa
velocità), patologie concomitanti.
- Esame obiettivo
- Esami di routine: esami ematochimici, ECG con eventuale valutazione cardiologica, Rx torace e
radiografie mirate sul segmento con sospetta frattura.

Interventi di osteosintesi malleolare


Le fratture malleolari purtroppo compromettono l’integrità delle strutture legamentose locoregionali che
sono il fulcro fondamentale della stabilità dell’articolazione tibiotarsica.
Il momento ideale per l’intervento è entro le 6-8 ore dal trauma, prima che si sviluppi un vero e proprio
edema o che compaiano flittene. In presenza di un edema importante e/ o di flittene, la riduzione cruenta
deve essere rinviata in attesa che le condizioni dei tessuti molli migliorino. L’intervento può essere rinviato
di 4/6 giorni, per far scomparire l’edema; nel frattempo la frattura viene ridotta e immobilizzata in gesso ben
imbottito, avendo cura di mantenere l’arto in posizione elevata, per ridurre il gonfiore. L’osteosintesi prevede
l’uso di viti in compressione interframmentaria o una placca 1/3 tubulare.

Interventi di osteosintesi delle fratture tarsali e matetarsali


• Fratture dell’astragalo: non sono molto frequenti e si verificano abitualmente per traumi indiretti (iper-
flessione del piede). Il trattamento si basa sulla riduzione incruenta o cruenta e sulla sintesi ossea per
mezzo di viti.
• Fratture del calcagno: sono le fratture più frequenti del tarso, tipiche dell’età adulta. Si verificano
generalmente per trauma diretto (caduta sui talloni). Il trattamento può essere cruento o incruento. I mezzi
di sintesi sono vari (viti, placche). Dopo l’intervento, il piede dovrà essere tenuto sollevato per 3-4 giorni;
sarà immobilizzato con un gesso che tenga il piede ad angolo retto, per evitare la deformità in equino.
• Fratture dello scafoide: sono spesso fratture da fatica. Possono anche avere un’origine traumatica, per una
lesione da schiacciamento.Per ridurre e sintetizzare la frattura vengono utilizzate delle viti.
• Fratture dei metatarsi: sono frequenti, per lo più determinate da trauma diretto o da un movimento forzato
in equino e torsione dell’avampiede. Il trattamento nella maggior parte dei casi è ortopedico con gesso o
bendaggio elastico, con o senza fissazione con fili di K. Il trattamento chirurgico è riservato alle fratture
complesse della diafisi metatarsale.

Il paziente con lesione al tendine di Achille


- La lesione del tendine di Achille rappresenta l’episodio terminale di un processo degenerativo che
coinvolge in maniera più o meno estesa la compagine tendinea.
- Il quadro clinico è abbastanza caratteristico: dolore acuto, sensazione di strappo nella regione posteriore
del collo del piede, impossibilità immediata alla deambulazione e al carico.
- All’esame obiettivo si riscontra una modificazione del profilo cutaneo con la presenza di avvallamento in
sede di rottura, mentre alla palpazione è possibile individuare la presenza di una vera e propria soluzione
di continuità nel decorso del tendine di Achille. A distanza di qualche ora si assiste alla comparsa di una
discreta tumefazione locale, secondaria allo stravaso ematico e all’edema, che rende più difficile il
riscontro obiettivo della lesione.
- La diagnosi clinica può essere confermata strumentalmente dalla valutazione ecografica.

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- Il trattamento della rottura è chirurgico e consiste nella sutura termino terminale del tendine, associata a
una plastica di rinforzo utilizzando la fascia lata.
- Sarà, poi, confezionata una stecca gessata in equino e mantenuta per almeno 30 giorni. Tale fase dovrà poi
essere seguita da un’accurata rieducazione funzionale comprendente esercizi di mobilizzazione articolare
e potenziamento della muscolatura posteriore della coscia, nonché di ricondizionamento propriocettivo
della tibiotarsica.

Il paziente con alluce valgo e patologie delle dita


L’alluce valgo, ossia la deviazione laterale dell’alluce, rappresenta il più comune problema del primo raggio.
Il paziente, il giorno prima dell’intervento, esegue il pre-ricovero, durante il quale si sottopone a esami di
laboratorio di routine, rx torace, rx piede destro e sinistro sotto carico, elettrocardiogramma con nullaosta
cardiologico e visita anestesiologica.

Linee guida per gli accertamenti, il ruolo dell’infermiere


- Esame clinico (rx piede, rx torace)= paziente in posizione seduta, informare il paziente sulle procedure da
eseguire e rassicurarlo, rimuovere indumenti relativi all’arto inferiore, mantenere la privacy.
- Esami ematochimici= Informare il paziente. Eseguire gli esami richiesti rispettando l’asepsi ed
effettuando il prelievo dal lato opposto a quello leso
- Elettrocardiogramma= Informare il paziente. Eseguire secondo prescrizione medica.
Il paziente entra il mattino stesso dell’intervento e viene dimesso generalmente il giorno seguente.
Il trattamento farmacologico prevede la profilassi antibiotica e antitrombotica peri-operatoria e la
somministrazione di farmaci analgesici dopo l’intervento. Per la deambulazione sarà necessario l’utilizzo di
una scarpa modello Talus (o piatta a secondo della tecnica chirurgica utilizzata) e di due bastoni canadesi. Il
carico è concesso dalla prima giornata post-operatoria.

Intervento per dito a martello


Il dito a martello è una deformità delle dita del piede, sovente associata all’alluce valgo, talora congenita;
colpisce con maggior frequenza il secondo dito. L’atteggiamento di flessione in cui viene costretto il dito
produce lesioni cutanee quali callosità e ulcerazioni, che rendono impossibile l’uso di calzature e provocano
acuto dolore. La terapia, chirurgica, mira alla restituzione dell’asse fisiologico al dito mediante sezioni
dell’osso (osteotomie). Nel post-operatorio l’infermiere deve valutare i bisogni del paziente in relazione
all’intervento chirurgico eseguito. Al momento della dimissione ospedaliera l’infermiere dovrà istruire il
paziente e/o i familiari in merito ai limiti di attività prescritti e ai farmaci da utilizzare.

Il paziente con artrosi della caviglia e del piede


L’artrosi post traumatica è spesso diretta conseguenza di una frattura o di una lussazione della caviglia. La
patologia si manifesta con dolore alla caviglia e ridotta articolarità. Il trattamento sarà in primo luogo
conservativo: FANS, ortesi, modifiche delle calzature. In casi molto gravi e non responsivi a terapia
conservativa può essere indicato un intervento di artrodesi tibioastragalica (artrodesi di caviglia). Ad oggi
esistono anche le protesi di caviglia (impiego ad oggi ancora poco diffuso). Dopo il trattamento chirurgico
viene concesso un carico graduale dopo 4 settimane.

Decorso e complicanze
Nel post-operatorio sarà sempre necessario effettuare la crioterapia e mantenere l’arto sollevato, onde evitare
la massiva formazione di edemi. Il paziente osserverà il riposo a letto per le prime 24 ore successive alla
procedura chirurgica e continuerà la terapia antitrombotica e antibiotica (quest’ultima solo per 4/5 giorni). La
terapia analgesica viene assicurata dall’uso di FANS in infusione continua per le prime 48 ore, cui viene
associata l’adeguata gastro-protezione per via endovenosa.
Le principali complicanze immediate possono essere tromboembolia, embolia polmonare, trombosi venosa
profonda, febbre, dolore ed edema post-operatorio.

Esiti a distanza
Le più frequenti complicanze, connesse agli interventi per alluce valgo e per la correzione del dito a martello,
sono la correzione incompleta e la recidiva per deformità. Nel paziente traumatizzato le principali
complicanze tardive sono una mancata consolidazione della frattura con pseudoartrosi e dolore, una necrosi
avascolare del segmento trattato e/o una viziosa consolidazione (deformità del tratto leso).

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PAZIENTE CON PATOLOGIA DELL’ARTO SUPERIORE


- Spalla
- Braccio e avambraccio
- Gomito
- Polso e mano

SPALLA
La regione della spalla è di frequente interessata da lesioni traumatiche, come frattura e lussazione, che
coinvolge clavicola, scapola e omero e le articolazioni interposte, ma anche da patologie dei tendini che
avvolgono l’articolazioni scapolo-omerale come un manicotto, la cosiddetta cuffia dei rotatori. A queste si
aggiungono le alterazioni dovute all’artrosi delle due articolazioni alle estremità della clavicola, sterno-
claveare e acromion-claveare e della scapolo-omerale. La regione della spalla può, inoltre, essere coinvolta
da patologie a livello cervicale o della regione sovra-claveare che comportano lesioni nervose delle radici o
del plesso brachiale.

Il paziente traumatizzato, le lesioni traumatiche sono:


• Le fratture dell’estremo prossimale dell’omero (frequenti nei soggetti anziani)
• La lussazione scapolo-omerale (molto frequenti nei giovani)
• Le fratture della clavicola o la lussazione acromion-claveare (conseguenza di traumatismi diretti sul
moncone della spalla)
• Le fratture di scapola
• Le lesioni dei tendini della cuffia dei rotatori ( conseguenza di sforzi o traumi indiretti in pazienti con
precedente tendinopatia)
• Periatrite scapolo-omerale: infiammazione delle strutture periarticolari scapolo- omerali, tendini e borse

Triage e quadro riassuntivo del triage


Il paziente affetto da traumatismo alla spalla
accede alle cure attraverso il pronto soccorso a
breve distanza dall’evento fratturativo se la
lesione è importante. In caso di frattura
complessa, soprattutto, di lussazione il paziente
è molto sofferente e qualunque movimento
dell’arto superiore causa dolore, ma se si tratta
di una frattura ingranata può essere anche
moderatamente sofferente e capace di muovere
la spalla. Il dolore può essere molto intenso e la
spalla bloccata in caso di periatrite, ma la
sintomatologia compare dopo alcuni giorni dal
trauma, che spesso è di lieve entità e consiste in
un brusco movimento di abduzione della spalla.
La reazione infiammatoria peritendinea si instaura nell’arco di qualche giorno in maniera graduale, tanto che
il paziente sottovaluta spesso la situazione, usando la spalla normalmente e la flogosi aumenta a tal punto che
il paziente ricorre al Pronto Soccorso.

Accertamenti
- Raccolta dell’anamnesi con particolare attenzione al meccanismo traumatico e alle patologie preesistenti.
- Esame obiettivo: molto agevole risulta porre il sospetto di una frattura di clavicola per il riscontro di
tumefazione, dolore e irregolarità del profilo osseo, facilmente palpabile sotto la cute. Mentre segni e
sintomi della sublussazione acromion-claveare sono tumefazione e dolore, la clavicola risulta sollevata per
l’azione dei muscoli elevatori sporgendo con tipico aspetto definito “a tasto di pianoforte”.
- Esami strumentali: Rx spalla e/o TC spalla
- Se si prevede un intervento chirurgico o la riduzione in narcosi della lussazione: ECG – Emocromo,
Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace.

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Trattamento conservativo
Per le lesioni lievi, per quelle muscolotendinee e per le fratture composte, viene consigliato di mantenere il
braccio al collo con una semplice benda o con tutori appositamente studiati o bendaggi specifici.

Bendaggio Desault
1. Eliminare dall’arto traumatizzato anelli, braccialetti e orologio
2. Posizionare il braccio intraruotato con gomito flesso a 90°.
3. Inserire sotto’ascella un’imbottitura di cotone di Germania rivestita da una benda di garza, per impedire
che il sudore rimanga a contatto con la cute causando la macerazione.
4. Mettere una maglia tubolare di cotone attorno al torace e all’arto leso.
5. Far girare delle bende di garza in modo che sostengano l’arto lesionato e lo accostino al torace; eseguire
un anello che contorni il gomito e spalla e continuare verso il torace obliquamente.
6. Fissare con della benda adesiva elastica eseguendo sempre lo stesso tipo di giro.
7. Al termine ribaltare le estremità della maglia fissandola ancora con la benda adesiva

Lussazione e fratture della clavicola


La clavicola è collegata allo sterno tramite l’articolazione sterno-claveare e alla scapola attraverso quella
acromion-claveare, entrambe sono soggette a lesioni traumatiche che portano a uno spostamento del capo
articolare claveare dalla cavità articolare contrapposta con conseguente lussazione o sublussazione, che si
accompagna a lacerazione di vario grado dei legamenti che stabilizzano queste due piccole articolazioni. Il
meccanismo traumatico è generalmente quello dell’urto diretto sulla spalla. È necessario procedere
tempestivamente alla riduzione della lussazione prima di immobilizzarla. La clavicola, con la sua particolare
forma a S e la sezione appiattita, è un osso discretamente flessibile, ma esposto a lesioni traumatiche sia per
urto diretto, sia per trauma sulla spalla. La frattura può avvenire in qualunque punto, ma è più frequente al
terzo medio. Il bendaggio utilizzato per il riallineamento dei due monconi è il BSO.

Bendaggio a otto (BSO)


Il più utilizzato per l’immobilizzazione della frattura della clavicola. Sostiene e retropone spalla e braccio,
riducendo la scomposizione della frattura che avviene sempre per spostamento verso il basso e in avanti del
moncone laterale della clavicola, a causa del peso dell’arto, e per sollevamento di quello mediale per azione
del muscolo sternocleidomastoideo. Il BSO è un bendaggio molto semplice, in quanto consiste in una striscia
di tessuto imbottito che viene fatta passare ad anello al di sotto delle ascelle e poi incrociata posteriormente,
a formare un otto, dietro alla base del collo. Questo bendaggio, purtroppo, è spesso poco tollerato a livello
ascellare perché irrita la cute e crea stasi venosa e linfatica dell’arto, in quanto, per ottenere la riduzione ed il
contenimento della frattura, deve essere sufficientemente teso. Per ridurre questi disturbi si invita il paziente
a sdraiarsi con le spalle abdotte ed extraruotate.

Lussazione della spalla


La lussazione scapolo- omerale consiste nella perdita completa e persistente dei rapporti tra testa omerale e
cavità glenoidea della scapola, conseguenti alla dislocazione della prima al di fuori della capsula articolare,
che viene lacerata. Se la lesione capsulare coinvolge il cercine glenoideo, questo spesso ripara in modo
insufficiente creando i presupposti per una recidiva della lussazione. Il paziente si presenta con il busto
lievemente inclinato in avanti e verso il lato della lesione, mentre l’arto è sostenuto dal controlaterale in lieve
flessione, abduzione e intrarotazione. Ogni movimento passivo è fonte di dolore intenso e l’impotenza
funzionale della spalla è pressochè assoluta. Spesso la lussazione è complicata dalla presenza di fratture dei
capi articolari. Altra complicanza frequente è la compressione o lo stiramento delle strutture vascolo-nervose
che decorrono dallo spazio sovra-claveare alla regione ascellare, come il plesso brachiale e sui rami, o i vasi
succlavi, con conseguenti alterazioni della sensibilità (parestesie e ipoestesie) o della motricità (ipostenie), o
alterazioni del circolo come edema da stasi. In genere tali disturbi scompaiono abbastanza rapidamente dopo
la riduzione della lussazione, ma se vi è stata una lesione delle strutture anatomiche possono essere
permanenti. La rigidità articolare è abbastanza rara e solo temporanea, mentre è frequente un’instabilità
residua che porta alle lussazioni recidivanti (lussazione abituale).

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Le fratture dell’estremo prossimale di omero


La porzione prossimale dell’omero è frequente sede di frattura, sia a causa dell’alta probabilità con cui l’arto
superiore trasmette alla sua radice energie traumatiche agenti su di esso, sia perché è costituita da osso
spongioso più spesso interessato dall’osteoporosi. Spesso le rime di frattura sono complesse e interessano
tutta la porzione prossimale , creando notevoli difficoltà nel trattamento per la difficoltà di ripristinare la
superficie articolare e per un maggior rischio di necrosi asettica della testa omerale. Il paziente con frattura
del collo omerale mantiene l’arto addotto al torace, in intrarotazione ed evita i movimenti, che sono possibili
con dolore più o meno intenso a seconda del tipo di frattura. Spesso si evidenzia tumefazione della spalla,
mentre dopo 24-48 ore compare un’importante ecchimosi, che si distribuisce in posizione declive lungo il
braccio e il torace. In caso di frattura scomposta si procede alla riduzione e osteosintesi a cielo chiuso con fili
di k percutanei. In caso di frattura non riducibile a cielo chiuso si ricorre alla riduzione a cielo aperto e alla
sintesi con placche o chiodi endomidollari.

Il paziente con sindrome da conflitto sub-acromiale…


…Trattamento conservativo
Con la definizione di sindrome da conflitto sub-acromiale si identifica il quadro
anatomo - patologico in cui il tendine sovraspinato viene ad avere uno spazio
ridotto in cui scorrere al di sotto dell’acromion. La sintomatologia riferita può
variare da modesto dolore con qualche sensazione di scatto a situazioni di
intenso dolore con limitazione quasi completa dei movimenti della spalla e
spesso è presente da anni. Questa situazione rientra tra quelle tradizionalmente
identificate con il termine di periartrite della spalla ed è trattata in prima battuta
conservativamente: riposo associato a crioterapia locale, farmaci
antinfiammatori per via generale e locale e se questi risultano inefficaci viene
praticata un infiltrazione periarticolare; seguita da un trattamento riabilitativo.

Infiltrazione periarticolare
1. Liberare il paziente dagli indumenti e farlo sedere sul bordo del lettino
2. Aspirare il medicamento in un siringa
3. Disinfettare la cute della regione sotto-acromiale lateralmente e anteriormente
4. Tamponare il foro dell’ago e coprire con un cerottino medicato

…Trattamento chirurgico
Il medico per perfezionare la diagnosi potrà richiedere oltre alla radiografia, un’ecografia, che consente
un’ottima visualizzazione delle strutture tendinee periarticolari e/o una RMN + routine preoperatoria.
L’intervento più utilizzato è quello della acromion-plastica, che consiste nel ridurre lo spessore del tetto
acromiale asportandone la parte inferiore, allargando così lo spazio a disposizione del tendine sovraspinato e
della cuffia dei rotatori. L’intervento viene disolito eseguito in artroscopia: viene insufflata della fisiologica
nello spazio sotto-acromiale per dilatarlo, per consentire la visione con l’artroscopio. Dopo l’intervento sarà
permesso una cauta mobilizzazione per due settimane circa; cui segue un’intensa riabilitazione. Qualora si
sia verificata la rottura del sovraspinato o di altri tendini della cuffia dei rotatori, si ricorre alla riparazione
dei tendini durante l’artroscopia. L’immobilizzazione deve essere proseguita per 4 settimane.

Il paziente con artrosi della spalla


La localizzazione dell’artrosi a livello dell’articolazione scapolo-omerale non è frequente e di solito è
favorita dalla presenza di patologie croniche della spalla. Il trattamento conservativo consiste nel ricorso a
farmaci antinfiammatori, infiltrazioni con steroidi nelle fasi di riacutizzazione; mentre nelle fasi sub acute si
può ricorrere all’infiltrazione di acido ialuronico. Se le cure conservative risultano inefficaci si può ricorrere
all’intervento di artroprotesi della spalla.

Decorso e complicanze immediate e precoci


Dopo l’intervento l’arto sarà immobilizzato già in sala operatoria. Sarà necessario controllare la medicazione
e rinnovarla, se intrisa o spostata, e controllare la ferita chirurgica per rilevare gemizzi ematici, secrezioni o
segni di flogosi. Occorrerà controllare anche il circolo e la sensibilità distalmente all’arto, oltre ai parametri
fisiologici di base. Non sussistono limitazioni teoriche alla mobilizzazione in piedi se l’arto è tutelato, ma
ovviamente, si dovrà tenere conto delle condizioni generali e del recupero dall’anestesia. Nella traumatologia
e nella chirurgia della spalla la complicanza più frequente è la formazione di ematomi e vaste ecchimosi sia a
livello periarticolare sia distalmente lungo il braccio. L’edema dell’arto e della mano sono molto frequenti, di
solito nei primi giorni, e vengono aggravati dall’immobilizzazione

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Linee guida per il post-operatorio


Dolore correlato all'incisione Rilevare i dati in merito a tipologia e sede della sintomatologia dolorosa, spiegando al
chirurgica paziente le cause del dolore, se conosciute
Se possibile, impiegare tecniche non farmacologiche per modificare la percezione
dolorosa (posizione confortevole e funzionale al paziente, respirazione lenta e
profonda ecc.), incoraggiando il paziente a usare mezzi di controllo del dolore prima
di perderne il controllo
Somministrare la terapia antalgica prescritta, ove necess rio, e valutarne l'efficacia

Rischio di infezione correlato a Monitorare i parametri vitali (temperatura, frequenza cardiaca e respiratoria
una sede di possibile invasione aumentano in risposta a un'infezione)
di microrganismi secondaria Rilevare le eventuali manifestazioni cliniche di infezione (febbre)
all'intervento chirurgico Istruire il paziente e/o i familiari in merito alle cause e ai rischi di infezione
Nell'eseguire la medicazione, mantenere una corretta co dizione di asepsi avendo
sempre cura di eseguire un met coloso lavaggio delle mani prima di procedere e
valutando attentamente lo stato della cute in sede di incisione
Somministrare il corretto dosaggio antibiotico prescritto

Rischio di compromissione Istruire il paziente a eseguire la ginnastica respiratoria e a tossire in modo efficace
della funzionalità respiratoria Mobilizzare il paziente appena possibile; sostenere la posizione semiseduta
correlato all'immobilità avvalendosi anche di cuscini quando è a letto
postoperatoria e dolore Monitorare l’eventuale comparsa di dispnea e rumori respiratori patologici
Somministrare l’ossigeno terapia, se prescritta

Deficit nella cura di sé correlato Garantire una corretta igiene e incoraggiare il paziente a partecipare attivamente alla
a dolore post-intervento cura di sé, nei limiti delle sue capacità
chirurgico e prescritta Promuovere l'indipendenza nel vestirsi scegliendo insieme al paziente indumenti
limitazione di attività funzionali e garantendogli tempo sufficiente affinché possa espletare tale funzione

Rischio di inefficace gestione Informare il paziente in merito alle necessità imposte dal regime di trattamento
del regime terapeutico correlato (immobilizzazione dell'arto, esercizi, farmaci, dieta), evidenziando le figure di
a insufficiente conoscenza delle riferimento in ambiente sia ospedaliero sia domiciliare a cui indirizzarsi per eventuali
limitazioni di attività, della cura necessità
dell'incisione dei segni e Educare il paziente a saper riconoscere eventuali segni e sintomi di complicanze
(febbre elevata, dolore acuto all'arto, edema all'arto, ipoestesie all'arto ecc.)
sintomi delle complicanze

Rieducazione
Una corretta rieducazione dopo le lesioni traumatiche e la chirurgia della spalla è fondamentale per il
raggiungimento di un risultato ottimale. Vengono fatte trattamenti passivi e attivi di fisiochinesiterapia ed
esercizi per il rinforzo muscolare.

Esiti a distanza
La conseguenza a distanza più frequente nella patologia della spalla è la rigidità articolare. L’ipotrofia della
muscolatura della spalla è pressochè costante e richiede il proseguimento della riabilitazione per lungo
tempo. A lunga distanza le alterazioni della cuffia e gli esiti di fratture portano spesso all’artrosi della
scapolo-omerale.

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GOMITO
Il gomito è sede frequente di lesioni articolari, distorsione e lussazione, ma anche di fratture di tutte e tre le
ossa coinvolte. Non rara è la compressine del nervo ulnare nel suo decorso nel canale osteofibroso attorno
all’epitroclea. Nei soggetti di età compresa tra i 4 e i 9 anni è tipica la frattura sovracondiloidea dell’omero,
che avviene nel punto in cui l’omero si assottiglia nella cosiddetta “paletta”, che in questa età è anche il
punto in più rapido accrescimento e quindi presenta una mineralizzazione non completa.

Paziente traumatizzato
• Le contusioni: sono molto frequenti, visto lo scarso spessore del tessuto sottocutaneo, in particolare
sull’apice dell’olecrano.
• La distorsione
• La lussazione posteriore: favorite da cadute sulla mano con iperestensione del gomito.
• Le fratture del capitello radiale e dell’omero distale: causate da meccanismo indiretto
• Le fratture dell’olecrano: causate da una componente diretta di urto del gomito

Triage e quadro riassuntivo del triage


Il paziente con lussazione del gomito o frattura scomposta si presenta molto sofferente, non riesce a muovere
l’avambraccio e spesso lamenta alterazioni della sensibilità alla mano. Il gomito appare tumefatto e può
presentare evidenti alterazioni del profilo, anche con deviazioni dell’asse; il paziente tenta di bloccarlo da
solo al torace. Anche i movimenti delle dita sono dolorosi, in quanto le inserzioni muscolari sono al gomito.
Si deve sempre valutare la sensibilità e la motilità distali per escludere compressioni o lesioni nervose.
Nell’infanzia è molto frequente la pronazione dolorosa, che consiste in una sublussazione del capitello
radiale conseguente a una trazione assiale sull’avambraccio, come succede quando un adulto tira il bambino
per una mano. Il bambino tiene l’avambraccio pronato, con gomito semiesteso dolente ai movimenti.

Accertamenti
- Buona anamnesi
- Esami strumentali: Rx del gomito (in due proiezioni) e/o TC gomito – RM (se casi complessi)
- Se si prevede un intervento chirurgico: ECG – Emocromo, Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace.
Trattamento conservativo: riduzione della lussazione, gomitiera gessata
Il trattamento conservativo, attuato nelle distorsioni e nelle fratture composte stabili, consiste
nell’immobilizzazione del gomito in un apparecchio gessato, esteso dal terzo prossimale del braccio fino alla
mano, detto brachiometacarpale (BAM). Spesso, invece di confezionare un gesso circolare, si preferisce
realizzare una valva brachiometacarpale, per evitare che un aumento del gonfiore a livello del gomito possa
rendere stretto il gesso a livello della piega del gomito. Ormai raramente utilizzato è il trattamento delle
fratture sovracondiloidee con la trazione trans-scheletrica applicata a livello dell’olecrano e appesa a un
telaio sopra il letto; a questa soluzione si ricorre solo quando non è possibile intervenire o in preparazione a
un intervento di osteosintesi differito nei giorni successivi alla frattura per favorire l’allineamento dei
frammenti e il deflusso venoso. In caso di lussazione prima dell’immobilizzazione in gesso si deve eseguire
la manovra di riduzione incruenta, meglio se in sedazione, considerati l’intenso dolore e la necessità di avere
un completo rilassamento muscolare.

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Trattamento chirurgico: riduzione e sintesi


Le fratture delle ossa del gomito sono generalmente intrarticolari e richiedono quindi una riduzione quanto
più possibile accurata per evitare gravi alterazioni della meccanica articolare. Quando sono scomposte, si
ricorre spesso al trattamento chirurgico di riduzione e sintesi, che viene eseguito a cielo chiuso con fili di K
percutanei, o a cielo aperto stabilizzando i frammenti con vari mezzi di sintesi (fili di K e cerchiaggi metallici,
placche e viti, placche con viti a stabilità angolare).

Lussazione del gomito


La dislocazione più frequente è quella posteriore, in cui la cavità sigmoidea dell’ulna perde rapporto con la
troclea omerale e si sposta posteriormente alla paletta omerale. La lussazione può essere complicata da
fratture dei capi articolari. Abbastanza frequente è la presenza di disturbi della sensibilità distalmente al
gomito con parestesie e ipoestesie, che però recedono rapidamente dopo la riduzione. Vi è sempre un
importante emartro e, quando la lacerazione capsulare è molto importante, si riscontra un’ampia soffusione
ecchimotica. L’infarcimento emorragico periarticolare è responsabile della rigidità che spesso residua dopo la
lussazione di gomito. Il trattamento consiste solitamente nella riduzione incruenta. La complicanza più
frequente a distanza è la rigidità articolare, poi calcificazioni periarticolari e l’artrosi post-traumatica.

Il paziente con borrite o tendinite


Un traumatismo diretto sull’apice dell’olecrano, anche i lieve entità ma ripetuto come lo sfregamento su
superfici dure, può causare l’irritazione della borsa retro-olecranica con aumento del suo contenuto di liquido
sinoviale (borsite acuta) o un sanguinamento nel suo in terno (borsite emorragica). A livello dei due epicondili
omerali si ha l’inserzione, attraverso un breve tendine dei gruppi muscolari delle due logge
dell’avambraccio: i flessori su quello mediale o epitroclea, gli estensori e il supinatore su quello laterale.
Queste formazione tendinee sono spesso sottoposte a un carico protratto e anche intenso, che può causare
una loro infiammazione o innescare una tendinopatia cronica. In entrambi i casi il quadro clinico è dominato
dal dolore localizzato a livello di un epicondilo: per questo si parla di epicondilite ed epitrocleite. Poiché si
tratta di infiammazioni tipiche di alcune attività sportive che sollecitano questi gruppi muscolari, si
definiscono anche “gomito del tennista” e “gomito del glofista” rispettivamente, nonostante siano spesso
conseguenza di attività più comuni. Il trattamento è di tipo conservativo: riposo dell’arto evitando il contatto
con superfici dure, applicazione di ghiaccio locale e farmaci antinfiammatori per uso topico e sistemico. Per
le tendiniti si procede all’immobilizzazione con tutori per garantire un vero riposo del tendine.

Decorso e complicanze immediate e precoci, gestione del paziente operato in reparto


Nelle ore successive agli interventi al gomito occorre controllare il dolore e l’edema, ricorrendo alla
crioterapia, alla terapia farmacologica. Il paziente si può mobilizzare non appena smaltita l’anestesia, con
l’arto tutelato in gesso tenuto al collo con una benda, per evitare sollecitazioni sul focolaio di frattura e il
formarsi di edemi alla mano. Quando il paziente è a letto, per favorire il drenaggio venoso e linfatico, è
necessario che la mano sia in posizione più alta rispetto alla radice dell’arto. Monitorare circolo e conduzione
nervosa distalmente al gomito, valutando la sensibilità nel territorio del nervo ulnare (quarto e quinto dito) e
del nervo mediano (prime tre dita). I problemi che possono complicare le fratture o gli interventi al gomito
sono essenzialmente la compressione dei tronchi nervosi che decorrano a stretto contatto con l’articolazione
e la compressione dei grossi vasi, in particolare della vena cubitale. La compressione può avvenire per la
presenza di irregolarità del piano osseo, come frammenti di frattura dislocati o mezzi metallici sporgenti, per
la pressione esercitata da gessi o bendaggi stretti o con stringhe, o infine per la presenza di un edema
importante. La riduzione del flusso venoso di ritorno è uno dei meccanismi con cui le fratture al gomito,
soprattutto quelle sovracondiloidee, possono innescare una sindrome compartimentale nell’avambraccio
(Sindrome di Volkmann). Bisognerà quindi non sottovalutare il dolore spontaneo distalmente alla frattura e la
presenza di parestesie o deficit di sensibilità alla mano.

Rieducazione
Le immobilizzazioni vengono lasciate in sede il minor tempo possibile e dopo si inizia la mobilizzazione
articolare sia attiva che passiva. Molto utile a ridurre l’edema e a prevenire le aderenze cicatriziali risulta la
mobilizzazione continua passiva, che viene spesso impiegata precocemente dopo gli interventi di
osteosintesi, rimuovendo eventuali stecche temporanee.

Esiti a distanza
Per le lesioni traumatiche del gomito è frequente una riduzione dell’ampiezza del movimento articolare, o
rigidità, con impossibilità a flettere o estendere. L’artrosi post-traumatica è la regola per le fratture
intrarticolari. Epicondiliti e borsiti hanno un decorso molto lento e talvolta lasciano strascichi dolorosi anche
a distanza, recidivando facilmente.

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BRACCIO E AVAMBRACCIO
Nei segmenti diafisari dell’arto superiore si riscontrano soprattutto lesioni traumatiche in pazienti di
qualunque età. In questi segmenti sono poco frequenti i tumori e le infezioni dell’osso, quasi sempre
secondarie a lesioni traumatiche.

Il paziente traumatizzato
Le fratture della diafisi omerale avvengono sia per sollecitazioni indirette sia per meccanismo indiretto e
sono più frequenti nell’età avanzata. Le fratture diafisarie dell’avambraccio, spesso a carico di entrambe le
ossa, sono invece tipiche dei giovani e avvengono per trauma diretto o combinato. Nei soggetti in
accrescimento si possono osservare le cosiddette ”fratture a legno verde”.

Triage e quadro riassuntivo del triage


Il paziente si presenta molto sofferente e accusa dolore ai movimenti dell’arto. Il segmento fratturato
presenta alterazioni del profilo anatomico, deviazione dell’asse, tumefazione e il paziente tenta di bloccarlo
da solo al torace. Un colorito ecchimotico compare a breve distanza dal trauma. Il segmento fratturato non
viene mosso, ma i movimenti di mano e dita sono possibili. Si deve sempre valutare la sensibilità e la
motilità attiva distalmente al punto di lesione, perché il rischio di lesioni nervose è elevato sia per le fratture
omerali sia per quelle dell’avambraccio

Accertamenti
• Raccolta dell’anamnesi e visita medica: meccanismo traumatico. E’ buona norma cercare di posizionare
l’arto in modo da ridurre il dolore e per evitare compressioni e stiramenti dei tronchi vascolo/nervosi.
• Esami strumentali: Rx mirato sul segmento leso.
• Se si prevede un intervento chirurgico: ECG – Emocromo, Biochimica di base, PT-PTT – RX Torace.

Trattamento conservativo: immobilizzazione dell’arto superiore


Il trattamento con immobilizzazione può essere sufficiente per trattare le lesioni dei tessuti molli e le fratture
composte. Per la diafisi omerale si può ricorrere al bendaggio Desault o al tutore toraco-brachiale. Per
l’avambraccio si impiega un apparecchio gessato brachio-metacarpale (BAM), con gomito flesso a 90°. In
caso di fratture modicamente scomposte, soprattutto nei soggetti in accrescimento, sono possibili manovre
incruente di riduzione prima dell’immobilizzazione.

Trattamento chirurgico
Le fratture scomposte vengono trattate chirurgicamente con interventi di riduzione e osteosintesi. Per la
diafisi omerale si possono utilizzare chiodi endomidollari o placche con viti. Per radio e ulna possono essere
utilizzati i fili di K, anche se molto spesso si ricorre all’osteosintesi con viti e placca.

Fratture diafisarie dell’omero


• La diafisi omerale, sebbene robusta, viene facilmente sottoposta a sollecitazioni meccaniche importanti, sia
flettenti sia torcenti, queste ultime di solito con meccanismo indiretto in cui partecipa l’azione muscolare.
L’azione dei muscoli porta a facile scomposizione con tendenza accorciamento e rotazione dei monconi.
• Le fratture del terzo medio scomposte sono quelle più spesso associate a lesioni del nervo radiale che in
quel tratto decorre attorno alla diafisi omerale. Il nervo può risultare stirato o compresso, ma se i monconi
sono molto acuminati può essere sezionato.
• Nel caso di impossibilità ad intervenire chirurgicamente in breve tempo (24-48 ore) per ottenere la
riduzione di queste fratture si deve applicare una trazione transolecranica.
• Raramente si riesce a stabilizzare la frattura con apparecchio gessato, comprendente la spalla e il gomito
(toraco-brachiale). In casi selezionati viene utilizzato il sistema del gesso pendente, dove un apparecchio
gessato brachio-metacarpale consente si applicare un peso di trazione al gomito che esercita la sua azione
quando il paziente è in piedi o seduto con il braccio al collo.

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Fratture dell’avambraccio
L’avambraccio è costituito dal radio e dal ulna, e le fratture che lo coinvolgono possono interessare uno o
entrambi (fratture biossee). Queste fratture sono conseguenza di forze agenti direttamente (es. l’ulna si frattura
nel tentativo di proteggersi il volto) o per via indiretta (es. caduta sulle mani). Sono molto frequenti nei bambini e
negli adolescenti, dove però in molti casi è possibile ottenere una buona riduzione grazie alla presenza di uno
spesso periostio che mantiene la continuità tra i due monconi di frattura consentendo il successo di manovre
incruente. Le complicanze più gravi delle fratture diafisarie sono la sindrome compartimentale e lesione del
nervo interosseo (ramo del nervo radiale, che innerva tutti i muscoli della loggia estensoria)

Decorso e complicante immediate o precoci, gestione del paziente operato in reparto


Nei pazienti operati all’arto superiore occorre controllare la sensibilità e la motilità attiva distalmente alla
mano per evidenziare eventuali deficit di conduzione nervosa. Il dolore deve essere controllato con la terapia
farmacologica, ma anche con la crioterapia e il ricorso a posizioni antalgiche con la mano in posizione
declive. Appena superata l’anestesia, il paziente si può alzare con il braccio al collo, libero o tutelato da un
apparecchio gessato, che rimarrà in sede per un periodo variabile da 0 a 30 giorni a seconda della stabilità
della sintesi. La complicanza più importante delle fratture dell’omero e dell’avambraccio è la lesione o la
sofferenza dei tronchi nervosi, che può avvenire al momento del trauma o come conseguenza di manovre di
riduzione o dell’applicazione dei mezzi di sintesi. Il meccanismo più frequente è quello della compressione
del nervo tra i monconi di frattura o il suo stiramento, mentre più rara è la sezione. Nei casi di deficit insorti
dopo la frattura è opportuno intervenire rapidamente per liberare o suturare il tronco nervoso. Le lesioni
vascolari sono più rare. Non infrequente è la sindrome compartimentale nell’avambraccio, in cui, all’interno
di una fascia piuttosto tesa, aumenta la pressione per l’edema e l’infarcimento emorragico conseguente a
fratture biossee, oppure per la riduzione del flusso venoso dovuta ad apparecchi gessati con stringhe o
comunque divenuti stretti per l’edema. Nelle osteosintesi con placche, la contaminazione batterica del
focolaio di frattura può complicare il decorso delle fratture esposte o delle incisioni chirurgiche.

Rieducazione
Se la sintesi è stabile la mobilizzazione dell’arto viene iniziata precocemente, con movimenti sia passivi,
ricorrendo anche ad apparecchiature di mobilizzazione continua, sia attivi, compatibilmente con il dolore.
Anche il rinforzo muscolare può essere precoce.

Esiti a distanza
Anche a distanza si può avere sofferenza del nervo radiale per il suo intrappolamento in un callo di frattura
ipertrofico; di conseguenza, non si deve sottovalutare la comparsa di parestesie o ipoestesie. Le limitazioni
dei movimenti del gomito e della prono-supinazione radio-ulnare sono frequenti, soprattutto a seguito di
trattamenti con immobilizzazioni prolungate. Le fratture della diafisi omerale vanno incontro non di rado a
pseudoartrosi, come nel terzo distale di ulna. Sono sempre possibili le osteomieliti per esposizione del
focolaio o per infezione di un accesso chirurgico.

Linee guida per il post-operatorio

Dolore correlato all'incisione chirurgica Rilevare i dati in merito a tipologia e sede della sintomatologia
dolorosa, spiegando al paziente le cause del dolore, se conosciute Se
possibile, impiegare tecniche non farmacologiche per modificare la
percezione dolorosa. Somministrare la terapia antalgica prescritta, ove
necessario, e valutarne l'efficacia

Rischio di infezione correlato a una sede di Monitorare i parametri vitali (temperatura, frequenza cardiaca e
possibile invasione di microrganismi respiratoria aumentano in risposta a un’infezione). Rilevare le
secondaria all'intervento chirurgico eventuali manifestazioni cliniche di infezione (febbre). Istruire il
paziente e/o i familiari in merito alle cause e ai rischi di infezione.
Nell’eseguire la medicazione, mantenere una corretta condizione di
asepsi avendo sempre cura di eseguire un meticoloso lavaggio delle
mani prima di procedere e valutando attentamente stato della cute in
sede di incisione. Somministrare il corretto dosaggio antibiotico
prescritto

Deficit nella cura di sé correlato a dolore Garantire una corretta igiene e incoraggiare il paziente a partecipare
post-intervento chirurgico e prescritta attivamente alla cura di sé, nei limiti delle sue capacità
limitazione di attività Promuovere l'indipendenza nel vestirsi scegliendo insieme al paziente
indumenti funzionali e garantendogli tempo sufficiente affinché possa
espletare tale funzione

Rischio di inefficace gestione del regime Informare il paziente in merito alle necessità imposte dal regime di
terapeutico correlato a insufficiente trattamento (immobilizzazione dell'arto, esercizi, farmaci, dieta),
conoscenza delle limitazioni di attività, evidenziando le figure di riferimento in ambiente sia ospedaliero sia 35
della cura dell'incisione dei segni e sintomi domiciliare a cui indirizzarsi per eventuali necessità. Educare il
paziente a saper riconoscere eventuali segni e sintomi di complicanze
delle complicanze (febbre elevata, dolore acuto all'arto, edema all'arto, ipoestesie all'arto ecc.)

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