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Una serie di studi pubblicati nel corso del 2013 sembra aver condannato, almeno per il momento, i
colloidi semisintetici all’oblio. Myburgh, nella sua revisione per il NEJM, ha sentenziato: “In light
of current evidence of the lack of clinical benefit, potential nephrotoxicity, and increased cost, the
use of semisynthetic colloids for fluids resuscitation in critically ill patients is difficult to justify”
(1).
Dunque, rimessi i colloidi nell’armadio, esistono evidenze per scegliere un cristalloide piuttosto che
un altro?
Tab. 1. Alcune soluzioni elettrolitche in commercio in Italia. Unità di misura: mmol/l se non
specificato altrimenti.
Come orientarsi di fronte alle varie opzioni? Sono equivalenti o l’impiego dell’una piuttosto che
dell’altra può avere un impatto clinico? Hanno provato a rispondere a queste domande Orbegozo
Cortes e colleghi per mezzo di una revisione sistematica di studi randomizzati (3). Sono stati
individuati 28 studi, di cui 22 condotti in ambito chirurgico peri-operatorio, volti soprattutto a
confrontare soluzione fisiologica rispetto al Ringer lattato. Non si sono registrate differenze né in
termini di quantità di liquidi e tempo necessari per completare il riempimento volemico, né in
termini di ricorso a terapie vasoattive o a trasfusione di emazie concentrate, né per quanto riguarda
l’impatto sulla funzione renale. Dal punto di vista metodologico, questo studio porta alla luce tutti i
limiti delle attuali evidenze sull’argomento: i lavori inclusi sono molto eterogenei (in termini di
pazienti arruolati, volume e tipo di fluidi somministrati, outcome valutati) e piccoli, includendo tra i
10 e i 54 pazienti ognuno.
Il lavoro di Orbegozo Cortes e colleghi non ci permette di trarre alcuna conclusione su quale
cristalloide scegliere. Dunque è giusto continuare a usare semplicemente la soluzione fisiologica?
Forse no, come dimostrerebbero due lavori recenti.
Nel primo, Yunos et al. hanno valutato, in uno studio prospettico before-after in terapia intensiva,
l’introduzione di un protocollo per la somministrazione di liquidi “poveri di cloro”: soluzione di
Hartmann o Plasmalyte (due cristalloidi con concentrazioni di cloro simili a quelle del plasma) al
posto della soluzione fisiologica e albumina al 4% al posto di quella al 20% (anch’essa con bassa
concentrazione di cloro) (4).
Lo studio ha arruolato nel complesso 1533 pazienti con un follow up medio di 11 giorni. Dopo
l’introduzione del protocollo si è osservato: 1) un minore incremento medio dei valori di
creatininemia durante la degenza (0,2 mg/dl nel gruppo di trattamento rispetto allo 0,3 mg/dl del
gruppo di controllo), 2) una minore incidenza di acute kidney injury, 3) un minore ricorso a terapia
sostitutiva renale. Queste differenze non si riflettevano però in una riduzione della mortalità, della
durata della degenza in Terapia Intensiva e in Ospedale (4).
I risultati dei due studi sono contraddittori e non sono sufficienti a mio avviso per capire se la
somministrazione di soluzione fisiologica possa essere svantaggiosa. Ipotizziamo comunque che
abbiano ragione: quale meccanismo fisiopatologico giustificherebbe questo effetto negativo? La
spiegazione principale ha a che fare con la presunta possibilità di indurre acidosi metabolica
ipercloremica (la cosiddetta “acidosi diluizionale”).
La soluzione salina all’0,9% presenta una concentrazione di Na+ simile a quella del plasma ma una
concentrazione di Cl- più alta (154 vs. 102 mmol/l). Per questo, a seguito della sua
somministrazione, la concentrazione plasmatica di Na+ rimarrà sostanzialmente invariata, mentre
quella di cloro tenderà ad aumentare. Ciò comporta una riduzione della SID, con il conseguente
aumento della concentrazione di H+ e la relativa riduzione del pH (6, 7).
Una revisione sistematica del 2010 (2) ha indagato approfonditamente la questione, confermando
che la somministrazione di soluzione fisiologica provoca un incremento della cloremia e una
riduzione del base excess (Orbegozo Cortes hanno riportato anche una riduzione del pH (3)). Tali
effetti però si verificano a seguito della somministrazione di grandi volumi di soluzione salina
(probabilmente superiori a 5 litri) in brevi intervalli di tempo e sono transitori, risolvendosi
nell’arco di 24-48 ore. Per altro verso, anche quando si verifica, non sembrerebbe avere alcun
impatto sulla funzione renale e sulla coagulazione (2).
Conclusioni
Chiuderò il post con alcune considerazioni, di fatto rubate a Myburgh e Mythen (1):
“I liquidi dovrebbero essere somministrati con la stessa cautela adottata per qualsiasi
farmaco per via endovenosa”.
“Soluzioni saline bilanciate e isotoniche rappresentano una scelta pragmatica tra i liquidi
disponibili per la rianimazione iniziale nella maggior parte dei pazienti critici”.
“E’ opportuno considerare la somministrazione di soluzione fisiologica in pazienti con
ipovolemia e alcalosi”.
Anche se penso che eventuali studi futuri difficilmente riusciranno a dimostrare un impatto
rilevante sull’outcome dei pazienti, penso anch’io che la somministrazione di soluzioni bilanciate,
con una composizione elettrolitica più simile a quella della plasma, possa contribuire quanto meno
ad un più rapido recupero del corretto equilibrio acido-base rispetto a quanto avviene con la
soluzione cosiddetta fisiologica.