Sei sulla pagina 1di 5

Kierkegaard

Timore e tremore

In Timore e tremore Kierkegaard (ora in avanti K.) situa il significato della fede e del
peccato al di là della sfera etica. Il peccato, infatti, non è il contrario della virtù, ma
della fede, che è una categoria teologica.

La fede è un modo d’essere di fronte a Dio. Questo concetto di fede viene elaborato
da K. attraverso l’interpretazione della storia di Abramo.

È il senso che diamo al sacrificio di Isacco a decidere del senso dei concetti di legge e
fede. Il sacrificio di Isacco sarebbe un crimine secondo la morale: ma è un atto di
obbedienza secondo la fede. Per obbedire a Dio, Abramo ha dovuto sospendere
l’etica.

Abramo doveva diventare il cavaliere della fede che avanza solo, al di là della
sicurezza della legge generale (la norma morale).

Timore e tremore dischiude così una nuova dimensione dell’angoscia, che procede
dalla contraddizione tra etica e fede. Abramo è il simbolo di questa nuova specie di
angoscia, legata alla sospensione teologica dell’etica.

L’angoscia può intercettare la disperazione. Ma attenzione, la disperazione è il


negativo della fede di Abramo. E proprio questa considerazione è la ragione per cui
K. non definisce prima il peccato e poi la disperazione, ma costruisce e scopre il
peccato proprio nella disperazione. Il peccato visto non più come un salto, ma come
uno stato esistenziale inerte.

La disperazione è una malattia, una malattia in cui si muore senza morire. È la


malattia mortale ed è un peccato più grave dell’ingiustizia.

Il tema posto da K. fa tremare le vene ai polsi. Riguarda il mistero tremendo del


rapporto del credente con l’Assoluto.

Se in Kant il fondamento della morale è dato dal «tu devi» dell’imperativo categorico
del singolo, e se in Hegel scompare ogni riferimento al Singolo (è la ragione
universale o spirito assoluto che regola il corso della storia universale, mediante gli
1
spiriti nazionali delle varie civiltà e culture), per K. il fondamento della fede è
Abramo.

Abramo è il singolo davanti a Dio. Da Abramo sappiamo che ogni uomo deve
rimanere fedele alla scelta del suo amore, e l’uomo che ama Dio non ha bisogno né di
lacrime, né di ammirazione.

Il gesto di Abramo rivela l’essenza della fede. Quindi: la fede è il fondamento della
morale, non la morale il fondamento della fede. La fede esige il salto che porta il
credente fra le braccia di Dio.

Il vero credente, come Abramo, cammina al buio, si abbandona a Dio che vede e può
tutto.

ANALISI TESTUALE

Timore e tremore è un’opera magistrale, perché offre una delle più interessanti
considerazioni filosofiche su che cosa sia la fede in relazione alla ragione e alla
morale.

Ma all’interno di Timore e tremore c’è anche una lucidissima e profondissima analisi


sul valore e il significato di questo sacrificio, sulle conseguenze che da esso
scaturirono, sull’immensa angoscia che questa scelta ha generato, ma soprattutto
sull’inaudito paradosso della fede, per cui l’Individuo si pone al di sopra del
Generale.

L’individuo, il Singolo, è superiore al generale, alla legge, alla norma, e nell’essere


superiore entra in quella dimensione di rapporto assoluto con l’Assoluto.

In Timore e tremore il sentimento religioso emerge in tutta la sua forza ed evidenzia


in prima battuta due concetti molto chiari.

1. La libertà di scelta che l’uomo possiede; 2. la terribile angoscia che può scaturire
da questa grandissima libertà.

2
Abramo dovette fare una scelta tragica. Chi conosce il passo biblico in questione,
saprà certamente che Isacco è stato un dono di Dio, un miracolo arrivato proprio
quando Abramo e la moglie Sara non erano più in età di poter procreare.

Ecco dunque la grazia divina che offre ad Abramo la gioia di un figlio che gli
garantirà una discendenza numerosa quante sono le stelle in cielo. Un giorno però,
Dio decide di mettere alla prova la fede di Abramo e gli ordina di recarsi nel monte
Moriah per sacrificare proprio quel suo unico figlio.

Il patriarca obbedisce e si prepara al terribile e assurdo gesto che se portato a termine


andrà a invalidare proprio la promessa della discendenza fatta da Dio.

Giunto a destinazione, Abramo lega Isacco, lo pone sull’altare e mentre si appresta a


compiere l’azione sente la voce di un angelo del Signore che gli intima di fermare la
sua mano. Isacco non viene sacrificato. Abramo ha superato la prova. Riavrà suo
figlio per la seconda volta.

La questione è basilare ma viene liquidata facilmente tanto dagli atei quanto dai
credenti. Dietro questa vicenda c’è un messaggio di portata inaudita che raramente
viene colto, ma non in Timore e tremore, dove la disamina di questo fatto è
minuziosa e approfondita.

Intanto c’è da fare chiarezza sull’espressione etico-religiosa del gesto di Abramo e


qui K. è molto preciso. L’espressione etica per l’azione di Abramo è che egli
voleva uccidere Isacco, l’espressione religiosa è che egli voleva sacrificare Isacco.

Ma in questa contraddizione si trova precisamente l’angoscia che può certamente


rendere un uomo insonne.
È qui che s’innesca il primo terribile contrasto.
Egli è un omicida mancato per un pelo, oppure il migliore dei figli di Dio?
K. non ha dubbi. Ammira il gesto di Abramo, lo esalta, lo capisce, non lo condanna
ma dice: “io non sono in grado di fare il movimento della fede: non posso chiudere
gli occhi e precipitarmi fiducioso nelle braccia dell’assurdo, questo è per me
impossibile ma non me ne vanto”.

Con la sola ragione K. arriva a pensare a Dio ma non riesce a credergli. E perché non
ci riesce? Perché Dio è al di là della stessa ragione. Dio non fonda nessuna etica
perché è al di là di qualunque etica.
3
Questa è una dimensione riservata solo alla fede. Per il pensatore danese la stessa
infinita essenza e potenza di Dio non può essere né compresa né colta in modo
razionale.

Un filosofo cristiano è riuscito a riassumere in maniera così efficace quello che non si
trova in centinaia di pagine teologiche. Dio è al di là dell’etica e della ragione. Punto.

Analizzando il testo si evince come in maniera estremamente convincente egli


risponda passo dopo passo a tre quesiti fondamentali.

– Esiste una sospensione teologica della morale?


– Esiste un dovere assoluto verso Dio?
– Si può giustificare moralmente il silenzio di Abramo con Sara, Elizer e Isacco?

Il filosofo danese dà tre risposte affermative.

Ma perché Abramo non è da considerare un assassino? Perché, nonostante egli sia


pronto a far cadere il pugnale su suo figlio e a macchiarsi, attraverso il più terribile
dei crimini di quel sangue innocente, noi non lo condanniamo?

Kierkegaard afferma che se si considera solo il punto di vista dell’etica il gesto di


Abramo è chiaramente condannabile da chiunque, ma ribadisce subito dopo che
questo gesto può essere compreso solo ed esclusivamente dal punto di vista della
fede, che lui definisce la passione più grande dell’uomo.

Affacciarsi a Dio equivale a gettare uno sguardo sull’abisso. Questo saltare nel vuoto,
questo creare una relazione da vivere in sincera e intima solitudine, sono tutti gesti
necessari, figli proprio di quello sguardo. Dello sguardo di Dio.

Nessuno potrebbe essere Abramo. Egli è l’unico uomo capace di fare il vero
“movimento della fede”, conscio che perdendo suo figlio perderebbe tutto, con
l’ulteriore beffa di sopravvivere a se stesso. Ecco il grande concetto di K.
dell’Individuo, del Singolo che deve porsi più in alto del Generale, come sacrificio e
non come atto eroico.

Ha ragione K. a definire la condizione di Abramo abissale; una condizione che fa


impazzire, una condizione così spaventosa da non poterne quasi parlare.
4
Le sole parole di Abramo (escluse quelle rivolte ai due servi), dopo tre lunghi giorni
di cammino, una volta giunti a destinazione, su domanda di Isacco che non scorge
l’ariete da sacrificare saranno: “Figlio mio, Dio si provvederà da sé l’agnello per
l’olocausto”.

La battuta suprema, la frase ultima e ineguagliabile, che, dice K., se fosse stata
diversa tutto si sarebbe risolto in confusione.

Nessuno avrebbe potuto e potrebbe mai essere Abramo, certo. Ma è anche vero


nessuno avrebbe voluto e vorrebbe mai esserlo. Bisogna essere un dio per poter
sacrificare il proprio figlio. Onestamente dobbiamo riconoscere una cosa: Abramo è
stato lì, a un passo, come mai nessun’altro, lì vicino, spaventosamente prossimo alla
misteriosa e terribile insondabilità di Dio.

Potrebbero piacerti anche