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Approfondimenti di diritto tributario

diretta da: Massimo Basilavecchia, Mauro Beghin, Michele Cantillo, Eugenio della Valle,
Adriano Di Pietro, Franco Bimestrale di Flora,
Fichera, Giovanni diritto tributario
Guglielmo Fransoni, Maria Cecilia Fregni,
Franco Gallo, Marc Leroy, Giuseppe Marini, Valeria Mastroiacovo, Oliviero Mazza, Giuseppe Melis,
Joerg Manfred Moessner, Leonardo Perrone, Maria Pierro, Tulio Rosembuj, Claudio Sacchetto,
Livia Salvini, Salvatore Sammartino, Edoardo Traversa, Antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo

In questo numero:

Accertamento sintetico tra limitazioni alla prova contraria, moltiplicazione


delle basi imponibili e “necessaria coerenza dell’ordinamento”
Mauro Beghin
Note sul presupposto dell’imposta sui servizi digitali
Guglielmo Fransoni
Società non operative e perdite di periodo: aspetti problematici
Leonardo Perrone
Accesso ai documenti tributari: storia di un diritto negato
Alessia Funari
Spunti per una rivoluzione fiscale dopo la pandemia da COVID-19
Salvatore Villani
Internet e potestà impositiva degli Stati
Francesco Cannas
Ius superveniens, lex mitior e criteri di determinazione delle sanzioni
Marco Cedro
Requisito della fraudolenza nel reato di sottrazione fraudolenta
al pagamento delle imposte
Francesco Dimaggio
Responsabilità e tutela del cessionario d’azienda
Daniela Mazzagreco

P.I. S.p.A. - Sped. Abb. Post.


D.L. n. 353/2003 Gennaio-Marzo
(conv. in L. 27/2/2004 n. 46)
art. 1 co. 1, DCB Milano
1/2021
RASSEGNA
TRIBUTARIA
Trimestrale di diritto tributario diretto da:
Massimo Basilavecchia, Mauro Beghin, Michele Cantillo, Eugenio della
Valle, Adriano Di Pietro, Franco Fichera, Giovanni Flora, Guglielmo
Fransoni, Maria Cecilia Fregni, Franco Gallo, Marc Leroy, Giuseppe
Marini, Valeria Mastroiacovo, Oliviero Mazza, Giuseppe Melis, Joerg
Manfred Moessner, Leonardo Perrone, Maria Pierro, Tulio Rosembuj,
Claudio Sacchetto, Livia Salvini, Salvatore Sammartino, Edoardo
Traversa, Antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo
Fondatore di Rassegna Tributaria: Luigi Pietrantonio - Direttore responsabile: Giulietta Lemmi
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Comitato per la valutazione

Andrea Amatucci - Fabrizio Amatucci - Gianluigi Bizioli - Umberto Breccia -


Beniamino Caravita di Toritto - Loredana Carpentieri - Giuseppe Maria Cipolla -
Silvia Cipollina - Andrea Colli Vignarelli - Luigi Paolo Comoglio - Angelo Contrino -
Daria Coppa - Giuseppe Corasaniti - Roberto Cordeiro Guerra - Lorenzo del Federico -
Giacinto della Cananea - Gaspare Falsitta - Andrea Fedele - Valerio Ficari - Stefano
Fiorentino - Gianfranco Gaffuri - Alessandro Giovannini - Marco Greggi - Daniel
Gutman - Giuseppe Ingrao - Salvatore La Rosa - Agostino La Scala - Maurizio Logozzo
- Francesco Paolo Luiso - Corrado Magnani - Alberto Marcheselli - Enrico Marello -
Maurizio Sebastiano Messina - Marco Miccinesi - Salvatore Muleo - Salvatore
Muscarà - Mario Nussi - Franco Paparella - Raffaele Perrone Capano - Franco
Picciaredda - Francesco Pistolesi - Giovanni Puoti - Gaetano Ragucci - Francesco
Randazzo - Guido Salanitro - Roberto Schiavolin - Giuliana Scognamiglio - Dario
Stevanato - Thomas Tassani - Giuseppe Tinelli - Loris Tosi - Mauro Trivellin -
Francesco Tundo - Marco Versiglioni - Antonio Viotto

Regolamento di Autodisciplina di Rassegna Tributaria

La pubblicazione dei contributi della sezione “Dottrina”, della sezione “Profili istitu-
zionali” e della sezione “Giurisprudenza” è subordinata a due livelli di valutazione da
parte della Direzione della Rassegna e del Comitato per la Valutazione.
Il Comitato per la Valutazione è formato da almeno 12 membri, individuati dalla
Direzione fra professori ordinari di ruolo o fuori ruolo, indicati in un elenco periodi-
camente aggiornato.
I contributi devono essere previamente inviati alla Redazione di Rassegna che provvede
a trasmetterli ai Direttori anche in forma digitale.
Il contributo approvato collegialmente dalla Direzione è sottoposto, in forma anonima,
al giudizio di un membro del Comitato per la Valutazione designato a rotazione sulla
base delle specifiche competenze in relazione all’argomento del contributo. Il giudizio è
comunicato entro 15 giorni. La valutazione può essere positiva, negativa o subordinata a
ulteriori interventi da parte dell’autore. In quest’ultimo caso, l’autore è tempestiva-
mente informato delle indicazioni formulate e degli interventi suggeriti e provvede
all’ulteriore elaborazione. La Direzione, a sua volta, valutata la significatività dell’ul-
teriore elaborazione, decide in ordine alla pubblicazione.
Nel caso di valutazione negativa, la Direzione può decidere di sottoporre il contributo al
giudizio di altri due membri del Comitato per la Valutazione. Il giudizio è comunicato
entro 15 giorni. Nel caso entrambe le valutazioni siano positive si potrà procedere alla
pubblicazione. Nel caso in cui una valutazione sia positiva e l’altra subordinata a
ulteriori interventi da parte degli autori o entrambe siano subordinate ad ulteriori
interventi da parte dell’autore, quest’ultimo è tempestivamente informato delle indi-
cazioni formulate e degli interventi suggeriti e provvede all’ulteriore elaborazione. La
Direzione, a sua volta, valutata la significatività dell’ulteriore elaborazione, decide in
ordine alla pubblicazione.
Nel Colophon di ciascun numero di Rassegna sono indicati i membri del Comitato per la
Valutazione. Nell’indice di ogni numero di Rassegna, i contributi pubblicati a seguito di
una valutazione positiva sono contrassegnati da un asterisco.
Ferma restando comunque l’approvazione collegiale della Direzione, possono essere
pubblicati contributi che non siano stati sottoposti al giudizio del Comitato per la
Valutazione
La rivista è dotata di Codice Etico in conformità al REGOLAMENTO PER LA
CLASSIFICAZIONE DELLE RIVISTE NELLE AREE NON BIBLIOMETRICHE
(Approvato con Delibera del Consiglio Direttivo ANVUR n. 42 del 20/02/2019).
Il Codice Etico è consultabile su:
https://shop.wki.it/periodici/rassegna-tributaria-s13661/
INDICE

DOTTRINA

Guglielmo Fransoni - Note sul presupposto dell’imposta sui


servizi digitali (*)......................................................................... 13
Leonardo Perrone - Le società non operative e le perdite di
periodo: aspetti problematici (*) ................................................ 33
Alessia Funari - L’accesso ai documenti tributari: storia di un
diritto negato (*).......................................................................... 58

PROFILI ISTITUZIONALI

Salvatore Villani - Spunti per una rivoluzione fiscale che


acceleri la transizione ecologica e la riduzione delle disugua-
glianze dopo la pandemia da COVID-19 (*)............................... 103

Rassegna Tributaria 1/2021 - 7


INDICE

GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Francesco Cannas - Internet e potestà impositiva degli Stati:


la Corte di Giustizia pone alcuni paletti all’elaborazione
di modelli sanzionatori per l’economia digitale (*) ................... 152
[CORTE DI GIUSTIZIA UE, Grande Sezione, sentenza causa
C-482/18 del 3 marzo 2020 - Pres. Lenaerts - Rel. Rossi (stralcio)] 141

Mauro Beghin - L’accertamento sintetico del reddito comples-


sivo tra limitazioni alla prova contraria, moltiplicazione delle
basi imponibili e “necessaria coerenza dell’ordinamento” (*).. 175
[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza n. 21412 del 6
ottobre 2020 - Pres. Sorrentino - Rel. Di Marzio]......................... 171

Marco Cedro - Ius superveniens, lex mitior e criteri di determi-


nazione delle sanzioni: dalla Cassazione una interpretazione
rigorista (*) .................................................................................. 188
[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., sentenza n. 21694 dell’8
ottobre 2020 - Pres. Virgilio - Rel. Fuochi Tinarelli (stralcio)] .... 186

Francesco Dimaggio - Il requisito della fraudolenza nel reato


di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte (*)....... 213
[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., sentenza n. 30615 del 3
novembre 2020 - Pres. Izzo - Rel. Aceto] ...................................... 209

Daniela Mazzagreco - Recenti sviluppi della giurisprudenza


di legittimità in tema di responsabilità e tutela del cessionario
d’azienda (*)............................................................................. 234
[CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza n. 26480 del 20
novembre 2020 - Pres. Cirillo - Rel. Guida (stralcio)].................. 229

8 - Rassegna Tributaria 1/2021


INDICE

INDICE CRONOLOGICO

GIURISPRUDENZA

CORTE DI GIUSTIZIA, UE, Grande Sezione, sentenza 3 marzo 2020 C-482/18 141
causa,

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza 6 ottobre 2020 n. 21412 171

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., sentenza 8 ottobre 2020 n. 21694 186

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., sentenza 3 novembre 2020 n. 30615 209

CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza 20 novembre 2020 n. 26480 229

Gli articoli contraddistinti da un asterisco sono stati giudicati positivamente, su ba-


se anonima, da un membro del Comitato per la Valutazione designato a rotazione.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 9


DOTTRINA
Note sul presupposto dell’imposta sui servizi digitali
Guglielmo Fransoni

Estratto: L’imposta sui servizi digitali è il primo tentativo di realizzare un’imposta


specificamente conformata per tener conto delle caratteristiche delle imprese del
mercato digitale. L’analisi complessiva della disciplina indica che il presupposto di
questa imposta è il potere di controllo delle imprese sui dati nelle sue principali
manifestazioni. Si tratta di una scelta concettualmente condivisibile. I criteri di
collegamento territoriale e taluni ulteriori profili dell’imposta, tuttavia, non sem-
brano adeguati a questa scelta e questo indica che la disciplina dovrebbe essere
ulteriormente elaborata.

Abstract: The italian Digital Service Tax is the first attempt at designing a tax which
is specifically tailored to take into account the peculiarities of digital market’s
undertakings. The overall legal structure shows that DST is targeted to tax the
different forms through which some undertakings exercise their power of control
over data. Although this choice seems conceptually correct, the territorial nexus and
some other feature of DST are not in line with such choice and this leads to the
conclusion that the legal structure requires some further refinement.

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive a una proposta di interpretazione


dell’imposta sui servizi digitali - 2. Fattispecie, territorialità, ricavi rilevanti e base
imponibile dei servizi di veicolazione di pubblicità mirata - 3. Fattispecie,
territorialità, ricavi rilevanti e base imponibile dei servizi di trasmissione dei dati
- 4. Fattispecie, territorialità, ricavi rilevanti e base imponibile dei servizi di messa a
disposizione di interfacce digitali multilaterali - 5. Dalla fattispecie al presupposto -
6. Le criticità.

1. Considerazioni introduttive a una proposta di interpretazione dell’imposta


sui servizi digitali - Le nuove modalità di creazione e detenzione della
ricchezza sollecitano da tempo la comunità degli Stati e le organizzazioni
sovranazionali a ricercare formule impositive nuove e maggiormente
adeguate.
In questa ricerca - non sempre svolta con adeguata chiarezza di idee non
solo in Italia, ma anche negli altri ordinamenti e nella stessa dottrina1 - è

1
È noto che, da principio, l’approccio a questo tema sia generalmente consistito nell’e-
laborazione di ipotesi di modifica dei criteri di collegamento previsti dalle convenzioni
internazionali. Attualmente, invece, sembra farsi più decisamente strada l’idea che sia invece
necessario, alternativamente, intervenire sulla logica di fondo delle convenzioni ovvero

Rassegna Tributaria 1/2021 - 13


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

stata impegnata anche l’Italia, nel cui ordinamento si sono succedute


diverse soluzioni normative, alcune rimaste solo sulla carta dei documenti
che ne hanno parlato come pure della Gazzetta Ufficiale dove sono state
pubblicate2.
La soluzione probabilmente destinata a essere effettivamente applicata -
almeno nel breve periodo - è quella dell’imposta sui servizi di digitali,
contraddistinta anche dall’acronimo i.s.d., introdotta fin dal periodo d’im-
posta 2019, con l’art. 1, commi 35-50, della l. n. 145/2018.
Si tratta di un’imposta per tanti versi connessa al modello di i.s.d.
elaborato proprio nel corso del 2018 dalla Commissione europea e trasposto
in una proposta di Direttiva al Consiglio3.
La “discendenza” della soluzione nazionale da quella elaborata a livello
unionale4 è testimoniata, per un verso, dalla pressocché perfetta corrispon-
denza nelle singole disposizioni e nell’impianto complessivo; per altro verso,
dal fatto che il comma 49-bis5 prevede espressamente la cessazione dell’ef-
ficacia dell’i.s.d. a decorrere dalla data di introduzione di una disciplina
sovranazionale della medesima materia. Da quest’ultimo punto di vista,
l’i.s.d. si presenta, in altri termini, come una disciplina “transitoria” in

individuare nuove forme d’imposizione (autonome e non meramente sostitutive dell’imposta


sul reddito). Per questo diverso approccio, si vedano, senza pretesa di completezza, L. Del
Federico, “Introduzione al dibattito sulla tassazione della Digital Economy”, in AA.VV., Le
nuove forme di tassazione dell’economia digitale, a cura di L. Del Federico - C. Ricci, Roma,
2017; A. Uricchio - W. Spinapolice, “La corsa a ostacoli della web taxation”, in questa Rivista,
2018, pag. 452, ss.; A. Carinci, “La fiscalità dell’economia digitale dalla webtax alla presa
d’atto di nuovi valori da tassare”, in il fisco, 2019, pag. 4507; G. Fransoni, “La webtax: miti,
teoria e realtà”, in Id., Casi e osservazioni di diritto tributario, Pisa, 2018, pag. 86 ss. Da ultimo
cfr. anche F. Antonacchio, “Big Data al bivio fra IVA e imposta sui servizi digitali”, in il fisco,
2020, pag. 3356. In una prospettiva ancora più radicale, orientata cioè a una riconsiderazione
generale degli istituti della fiscalità, si muovono le acute riflessioni di F. Pepe, Dal diritto
tributario alla diplomazia fiscale, Milano, 2020.
2
Il rapido succedersi di ipotesi di disciplina - che testimonia anche quella non perfetta
chiarezza d’idee alla quale si è fatto cenno - ha preso avvio dall’art. 1-bis del d.l. n. 50 del 24 aprile
2017 (finalizzato a consentire l’“emersione” di forme di stabile organizzazione non dichiarate)
ha proseguito, poi, con l’art. 1, comma 1013, della l. 27 dicembre 2017, n. 205 (la cui fattispecie
era costituita da talune prestazioni di servizi) e si è concluso con la l. n. 145/2018 oggetto di
esame in questa sede. Più in generale, per un vivace quanto acuto quadro dei diversi approcci
che hanno animato i tentativi di introdurre forme impositive che si attagliassero specifica-
mente all’economia digitale, cfr. L. Del Federico, Introduzione al dibattito sulla tassazione della
Digital Economy, cit.
3
Cfr. la Proposta di Direttiva del Consiglio relativa al sistema comune d’imposta sui
servizi digitali applicabile ai ricavi derivanti dalla fornitura di taluni servizi digitali COM (2018)
148 final del 21 marzo 2018. Nel prosieguo ci riferiremo più semplicemente alla stessa come la
“Proposta”.
4
Sul punto si vedano, per tutti, T. Di Tanno, “L’imposta sui servizi digitali si allinea alla
proposta di Direttiva UE”, in il fisco, 2019, pag. 326 e E. Della Valle, “L’imposta sui servizi
digitali: tanto tuonò che piovve”, in il fisco, 2020, pag. 407 ss.
5
Nel prosieguo, le disposizioni richiamate solo con la designazione di “comma” seguito
dal relativo numero, s’intendono riferite all’art. 1, commi 35-50, della citata l. n. 145/2018.

14 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

quanto diretta a regolare il periodo (d’incerta durata) che precederà l’ap-


provazione della disciplina unionale6.
L’efficacia delle norme così introdotte non ha coinciso con la loro
entrata in vigore.
Nella sua forma originaria, l’efficacia della disciplina dell’i.s.d. era
condizionata a un Decreto attuativo previsto dal comma 45 che, tuttavia,
non è mai stato emanato.
Con la l. n. 160/2019, pertanto, il legislatore ha direttamente integrato la
disciplina recata dalla l. n. 145/2018 sia emendando leggermente talune
delle disposizioni originarie, sia introducendo alcune disposizioni ulteriori
dirette a rendere immediatamente applicabile la disciplina medesima che,
formalmente, avrebbe dovuto essere efficace dal 1° gennaio 2020.
Come abbiamo appena accennato, tuttavia, ancora adesso l’applicabilità
dell’i.s.d. è più teorica che reale in conseguenza del fatto che anche la sua
applicazione richiedeva l’emanazione di un “provvedimento” del Direttore
dell’Agenzia delle entrate che, in effetti, pur non essendo qualificato come
“di attuazione” (ai sensi del comma 46), è tuttavia destinato ad accogliere -
come emerge dalla bozza di provvedimento diffusa dall’Agenzia delle entrate7 -
talune disposizioni essenziali ai fini della concreta operatività dell’imposta.
In ogni caso, sembra adesso possibile, anche muovendo dalla bozza di
Provvedimento e sulla scorta delle disposizioni in esso contenute, provare a
operare un primo inquadramento della nuova i.s.d. e tentare di svolgere -
tenendo altresì nel debito conto le disposizioni contenute nella Proposta -
talune considerazioni sul suo presupposto.
Nell’accingerci ad affrontare, sia pure con la dovuta sintesi, tale com-
pito, ci sembra opportuna una precisazione preliminare.
A nostro avviso, nella disciplina di ogni imposta - conformemente alla
definizione dei tributi come istituti giuridici8 - devono essere tenuti distinti
la “fattispecie” e il “presupposto”.

6
Questo profilo, che per molti versi rappresenta un pregio dell’iniziativa, ne costituisce
anche un aspetto di debolezza come non ha mancato di sottolineare il governo USA nel Report
on Italy’s Digital Service Tax del 6 gennaio 2021 richiamando sia la circostanza che l’iter di
approvazione della Proposta è in una fase di stallo per assenza della necessaria unanimità, sia la
posizione dell’OCSE secondo cui “[t]here is no consensus on either the merit or need for interim
measures”. Posizione, quest’ultima, condivisa anche dall’Assonime nel proprio documento di
partecipazione al procedimento di consultazione di cui alla nota seguente nella consapevolezza
che le iniziative unilaterali “espo[ngono] più facilmente l’Italia a misure di ritorsione sul piano
economico del commercio internazionale, in particolare attraverso misure daziarie”.
7
La bozza del provvedimento ha formato oggetto di un procedimento di consultazione del
quale sono decorsi i termini per l’invio di commenti e osservazioni. Al momento di correzione
delle bozze del presente saggio non si è potuto tener conto della pubblicazione del provvedi-
mento definitivo. Alla bozza nella sua attuale versione ci riferiremo, nel prosieguo, con il
termine Provvedimento.
8
Ossia come un complesso di norme (e, quindi, un complesso di situazioni giuridiche
soggettive suscettibili di sorgere al momento dell’integrazione delle fattispecie previste dalle

Rassegna Tributaria 1/2021 - 15


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

La fattispecie (astratta) è definita da quel complesso di norme che


individuano i fatti il cui verificarsi integra le condizioni per la costituzione
delle situazioni giuridiche soggettive funzionali a realizzare la decurtazione
patrimoniale di coloro che assumono la qualifica di contribuenti dell’impo-
sta: fra queste situazioni sono comprese quelle che definiscono l’oggetto, il
profilo territoriale, la base imponibile, ecc. del tributo.
Il presupposto è, invece, la situazione di fatto che costituisce l’indice di
capacità contributiva che il tributo considera quale elemento giustificativo
della differenziata partecipazione di alcuni soggetti (quelli, cioè, ai quali è
riferibile il presupposto) al finanziamento delle spese pubbliche9.
I due profili (la fattispecie e il presupposto) sono concettualmente
distinti, ma non indipendenti. In particolare, il presupposto può e deve
essere identificato partendo dalla fattispecie o, se vogliamo, la disciplina
della fattispecie deve essere interpretata al fine di individuare il presupposto
e in coerenza con esso.
Alla stregua di tali premesse teoriche, procederemo, quindi, a inqua-
drare, preliminarmente, gli elementi essenziali della fattispecie dell’i.s.d.
Poiché, peraltro, sotto il profilo dell’elemento oggettivo, il comma 37 indi-
vidua tre distinte ipotesi di servizi digitali - cui sono correlate distinte regole
per ciò che riguarda il profilo territoriale, la determinazione dei “ricavi
rilevanti”, la base imponibile ecc. - dovremo necessariamente, almeno in
prima battuta, analizzare separatamente le tre distinte fattispecie.
Solo dopo aver completato tale ricognizione potremo effettivamente
procedere a un tentativo di individuazione del presupposto dell’imposta.

2. Fattispecie, territorialità, ricavi rilevanti e base imponibile dei servizi di


veicolazione di pubblicità mirata - Il primo tipo di servizi digitali rilevante ai
fini dell’i.s.d. è individuato dal comma 37, lett. a) nella “veicolazione di
pubblicità mirata”.
Il complesso delle disposizioni contenute nei commi 35-50 e nel
Provvedimento relative a tale servizio indica che:
A) la veicolazione è attività che si articola in due modalità operative: il
collocamento presso le piattaforme digitali e l’esposizione sulle piattaforme
digitali (cfr. punto 1, lett. l, del Provvedimento);
B) tali attività generano - nei rapporti fra il collocatore e l’espositore, da
un lato, e fra il collocatore e il relativo committente, dall’altro - ricavi

norme medesime) suscettibili di una considerazione unitaria in ragione di un medesimo


principio unificatore. In tale senso: E. Allorio, Prefazione ad Antonini. Studi di diritto
tributario, Milano, 1963, IV; A. Fedele, “Diritto tributario e diritto civile nella disciplina
dei rapporti interni tra i soggetti passivi del tributo”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1969, I, pag. 25
ss., F. Gallo, Profili di una teoria dell’imposta sul valore aggiunto, Roma, 1974, pag. 20, G.
Fransoni, Discorso sul diritto tributario, Pisa, 2017, pag. 33 ss., nonché E. De Mita, Principi di
diritto tributario, Milano, 2019, pag. 13 ss.
9
Cfr. G. Fransoni, Discorso intorno al diritto tributario, cit., pag. 107 ss.

16 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

considerati, in linea di principio e salva la delimitazione operata dal suc-


cessivo punto 3.3 del Provvedimento, come “rilevanti” ai fini dell’imposta. Il
punto 3.5 del Provvedimento definisce, infatti, come rilevanti i corrispettivi
conseguiti vuoi nell’ambito dell’attività di collocamento presso interfacce
digitali, vuoi quelli percepiti nell’ambito dell’attività di esposizione sulle
interfacce medesime10;
C) come abbiamo appena accennato, la nozione di “ricavi rilevanti” è
soggetta a una delimitazione assai significativa consistente in ciò che la
parte dei ricavi derivati da transazioni infragruppo non concorre, in quanto
esclusa, alla formazione del complessivo ammontare “mondiale” di tali
ricavi potenzialmente rilevanti (cfr. il punto 3.3 del Provvedimento e il
comma 38). Questo è un aspetto molto delicato perché, relativamente ai
soli servizi digitali di veicolazione di pubblicità, tale regola implica che
l’attività consistente nella veicolazione di pubblicità relativa a prodotti e
servizi di altre società del gruppo non rileva mai ai fini dell’integrazione della
fattispecie (e, in ultima analisi, del presupposto) dell’imposta. La società che
svolge un’attività di veicolazione di pubblicità mirata interamente captive,
quindi, non è, in definitiva, un soggetto passivo dell’imposta. Detto diversa-
mente, da questo punto di vista, la regola della “sterilizzazione” dei ricavi
infragruppo, in questo caso, non è diretta a evitare “duplicazioni” dell’im-
posta (come avviene là dove tale regola viene applicata relativamente ai
servizi di messa a disposizione di interfacce digitali e dei servizi di trasmis-
sione dati), risultando finalizzata, invece, ad attrare nella sfera applicativa
della digital tax solo i servizi di veicolazione svolti nell’interesse di terzi,
intendendosi per tali tutti gli operatori diversi dalle società del gruppo;
D) una volta individuati i ricavi rilevanti - che, giova ribadirlo, è nozione
attinente all’attività “mondiale” del soggetto passivo - si deve determinare
qual è parte di essi che costituisce la base imponibile [(nonché allo stesso
tempo, la soglia di riferimento per l’assunzione della qualità di soggetto
passivo dell’imposta ai sensi del comma 36, lett. b)] in quanto “collegata” al
territorio dello Stato. Tale quantificazione corrisponde a una percentuale
consistente in un rapporto il cui numeratore è dato dal numero di messaggi
di pubblicità mirata esposti su un’interfaccia digitale quando l’utente (i.e.
colui al quale la pubblicità è mirata) è localizzato nel territorio dello Stato e il
cui denominatore è rappresentato dal totale (mondiale) dei messaggi di
pubblicità diretta esposti sull’interfaccia;
E) una volta stabilita la predetta percentuale, i ricavi rilevanti a livello
mondiale sono moltiplicati per essa pervenendosi, in tal modo, alla

10
In realtà il punto 3.5 del Provvedimento fa riferimento ai soli siti web, ma si tratta,
verosimilmente, di un refuso destinato ad essere corretto nella versione definitiva del
Provvedimento in quanto in contrasto con la lett. a), del comma 37 e con la definizione di
interfaccia digitale di cui al punto 1, lett. g), del Provvedimento stesso.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 17


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

determinazione della base imponibile cui si applica l’aliquota del 3% di cui al


comma 41.
Resta da precisare che la pubblicità s’intende fruita nel territorio dello
Stato se l’utente si collega all’interfaccia digitale attraverso un dispositivo
localizzabile nel territorio medesimo in base al suo indirizzo IP o, in
difetto11, in base ai sistemi di geolocalizzazione.
Prescindendo da alcuni ulteriori dubbi interpretativi posti dalla disci-
plina sommariamente illustrata - su taluni dei quali ritorneremo più oltre -
possiamo adesso avviare la riflessione volta all’individuazione dell’effettivo
presupposto dell’imposta così com’è ricostruibile sulla scorta della fattispe-
cie complessivamente descritta in precedenza.
Una riflessione, si noti, solo preliminare, in quanto destinata a essere
completata e integrata dalla considerazione anche della disciplina imposi-
tiva propria degli altri servizi di cui al comma 37 che danno luogo a ricavi
imponibili.
Tuttavia, vista la complessità e astrattezza della disciplina qui conside-
rata, sembra preferibile procedere per gradi e prendere in esame, almeno
nella fase iniziale, le diverse ipotesi separatamente.
A questo riguardo, possiamo subito scartare l’ipotesi che il riferimento ai
ricavi valga a individuare il presupposto nell’attività di prestazione del
servizio (cosicché i ricavi rileverebbero come indice del diverso risultato
della stessa).
Nell’ottica di un’imposta sull’attività, in primo luogo, non avrebbe molto
senso distinguere - così come fa la disciplina in esame - l’attività infragruppo
da quella rivolta ai soggetti estranei al gruppo. In secondo luogo, non si deve
dimenticare che l’attività dei “collocatori” è assunta come rilevante al
ricorrere di condizioni che nulla hanno a che vedere, se si assume il
punto di vista dell’imposta sull’attività, con il territorio dello Stato; invero,
il servizio di collocamento potrebbe essere reso esclusivamente a favore di
committenti del tutto estranei al territorio nonché consistere nell’instaura-
zione di rapporti con “espositori” anch’essi estranei al territorio.
In effetti, come chiarisce anche la Relazione alla Proposta, i ricavi
attengono al solo momento della “monetizzazione”, ossia della valutazione
in termini monetari, dell’indice di capacità contributiva, ma non sono - in sé,
ossia quale misura del risultato dell’attività - l’indice medesimo.
Viceversa, l’intera disciplina ora descritta rende palese come l’imposta
attribuisca rilevanza centrale al “dato”.

11
Su questo aspetto sembrerebbe esservi un disallineamento fra la disciplina italiana e
quella contenuta nella Proposta, in quanto nella concezione unionale dovrebbe prevalere il
sistema di localizzazione più attendibile, mentre secondo la richiamata disciplina interna i
sistemi di localizzazione diversi dall’indirizzo IP sarebbero rilevanti non quando dotati di
maggiore attendibilità, bensì solo se e nella misura in cui non possa farsi riferimento all’indi-
rizzo IP.

18 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

È una centralità che risulta evidente se si considera che non rilevano i


servizi pubblicitari o i corrispondenti messaggi comunque esposti o collo-
cati, ma solo quelli “mirati” cioè la pubblicità specificamente diretta all’u-
tente in quanto i suoi contenuti sono determinati “in funzione dei dati
relativi” all’utente medesimo. Ciò che rileva, in altri termini, è che la
pubblicità sia il risultato di una profilazione dell’utente; e la profilazione,
a sua volta, è un’attività che dipende dai dati relativi all’utente e da questi
“forniti”.
In questa prospettiva, l’elemento decisivo ai fini dell’imponibilità non è
l’attività pubblicitaria, ma quella che presuppone la (o dipende dalla) pre-
detta “profilazione”.
In generale, infatti, un utile punto di vista per individuare il presupposto
di un’imposta è quello di esaminare cosa distingue, sotto il profilo oggettivo,
il soggetto che, a parità di ogni altra condizione, è escluso dall’imposta da
quello che vi è sottoposto.
Considerando l’i.s.d. in questa prospettiva, risulta abbastanza chiaro
che l’elemento discriminante è, per l’appunto, il fatto che il messaggio
pubblicitario è veicolato in funzione di una previa attività di raccolta di
dati relativi al suo destinatario e di successiva elaborazione dei medesimi al
fine di indirizzare (ossia di “mirare”) al medesimo un messaggio corrispon-
dente al suo profilo (ossia ai suoi gusti, esigenze, abitudini ecc.).
Si tratta, a nostro avviso, di una scelta che - salvo ulteriori approfondi-
menti che sarà necessario operare nel momento in cui prenderemo in
considerazioni gli altri due tipi di servizi che integrano la fattispecie ogget-
tiva dell’imposta - appare eminentemente razionale, nella misura in cui la
forza economica dei soggetti che operano in questo mercato si differenzia
rispetto a quella di tutti gli altri soggetti che svolgono servizi pubblicitari
proprio per il fatto di essere fondata sullo sfruttamento economico di una
risorsa tutt’affatto peculiare (il “dato”) e sulla sua elaborazione; un “dato”,
peraltro, acquisito in base a un rapporto che, pur essendo indubbiamene di
“scambio”, è socialmente avvertito come “gratuito”, almeno nella prima
fase, ossia in quella che coinvolge il privato cui esso (dato) si riferisce e il
soggetto che lo “raccoglie” in via immediata12.

12
Cfr. D. Nguyen - M. Paczos, “Measuring the Economic Value of Data and Cross-Border
Data Flows: A Business Perspective”, in OECD Digital Economy Papers, August 2020, n. 297, i
quali, pur qualificando l’iniziale scambio di dati come free, non mancano di evidenziare che in
dottrina si tende correttamente a “treat free content as a barter transaction where consumers and
businesses receive content in exchange for exposure to advertising or marketing, and ultimately,
households are treated as active producers of viewership services that they barter for consumer
entertainment”. In questo senso, si veda anche, W.C.Y. Li - M. Nirei - K. Yamana, “Value of Data:
There’s No Such Thing As A Free Lunch in the Digital Economy”, in U.S. Bureau of Economic
Analysis Working Paper, Washington, DC, 2019. Sul punto si vedano, altresì, le interessanti
considerazioni di F. Antonacchio, Big Data al bivio fra IVA e imposta sui servizi digitali, cit., il
quale prospetta la possibilità che l’acquisizione dei dati da parte degli utenti, proprio per il suo

Rassegna Tributaria 1/2021 - 19


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

Tuttavia, le considerazioni che precedono appaiono ancora generiche,


essendo necessario ulteriormente chiarire sotto quale profilo il “dato”
personale viene in rilievo.
Invero, se il presupposto dell’imposta consistesse (in modo indifferen-
ziato) nella raccolta o nella detenzione o nella elaborazione dei dati nel-
l’ambito del processo di profilazione, si dovrebbe osservare l’esistenza di
uno iato (se non, addirittura, di un profilo di irrazionalità) nella definizione
del profilo territoriale della fattispecie.
Ciò in quanto, in tutte le ipotesi precedentemente indicate (ossia quelle
in cui si supponesse di far consistere il presupposto nella raccolta, nella
detenzione o nella elaborazione dei dati), il profilo territoriale dovrebbe
essere congruente con tale presupposto e, quindi, si dovrebbero tenere in
qualche misura distinti, da tutti gli altri, i dati raccolti nel territorio dello
Stato o acquisiti da soggetti ivi localizzati da tutti gli altri.
Come abbiamo visto, però, ciò che rileva, ai fini del collegamento
territoriale, è il numero di messaggi pubblicitari “fruiti” dall’utente nel
momento in cui egli era localizzato nel territorio dello Stato.
Quindi, piuttosto che valorizzare la differente posizione dei soggetti del
mercato digitale in funzione della massa di dati acquisita, detenuta o
elaborata, l’imposta tende a diversificare il concorso alle pubbliche spese
delle imprese collocatrici o espositrici di pubblicità in funzione della loro
distinta capacità di diretto sfruttamento dei dati (detenuti e/o elaborati) in
termini di “indirizzamento” degli stessi al fine di incidere sulle scelte e le
preferenze dei consumatori localizzati nel territorio dello Stato.
Si potrebbe allora dire che il profilo rilevante è, più propriamente, la
capacità di “controllo del dato” che si realizza nell’efficace correlazione della
pubblicità mirata al suo “bersaglio”.
Ma si tratta di una conclusione del tutto provvisoria che dovrà essere
vagliata e trovare conferma attraverso l’esame della disciplina dell’i.s.d.
relativa agli altri due servizi digitali imponibili.

3. Fattispecie, territorialità, ricavi rilevanti e base imponibile dei servizi di


trasmissione dei dati - Il secondo tipo di servizi che conviene prendere in
esame è quello di cui al comma 37, lett. c), consistente nella “trasmissione di
dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale”.

carattere “corrispettivo” (in senso lato) del servizio (solo apparentemente gratuito) prestato,
ad esempio, dai motori di ricerca, possa attrarre queste operazioni nel campo di applicazione
dell’imposta sul valore aggiunto. Nel medesimo senso, cfr. S. Pfeiffer, “Comment on ‘Free’
Internet services”, in AA.VV., CJEU - Recent Developments in Value Added Tax 2017, Linde,
2018, pag. 133 ss. Per una panoramica di ampio respiro sulle problematiche proprie
dell’imposta sul valore aggiunto nel contesto dell’economia digitale, da ultimo, G. Marino,
“L’IVA nel contesto dell’economia digitale: eterogenesi di una imposta”, in Dir. prat. trib.,
2020, I, pag. 47 ss.

20 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Il motivo per il quale consideriamo questo tipo di servizi subito dopo il


servizio di veicolazione di pubblicità mirata - nonostante esso occupi il terzo
posto nell’elenco di cui al comma 37 - dipende dal fatto che, almeno nella
concezione originaria dell’imposta (ossia nella Proposta), la veicolazione di
pubblicità e la trasmissione di dati appaiono connotati da un forte grado di
complementarità.
Infatti, i due servizi digitali sono menzionati congiuntamente nella
Relazione alla Proposta. Analogamente, il Considerando 17 della stessa
conferma tale considerazione unitaria nel momento in cui indica, riferen-
dosi all’imposta nel suo complesso, che “L’obiettivo dell’ISD sono i ricavi
generati dalla trasmissione di dati ottenuti da un’attività molto specifica,
ossia le attività degli utenti sulle interfacce digitali”.
Sul punto avremo modo di ritornare.
Per il momento è sufficiente rilevare che:
A) la trasmissione di dati è un servizio che si connota per un elemento
che potremmo dire “giuridico” e per un elemento che potremmo definire
“materiale”. L’elemento giuridico è l’attribuzione a terzi della possibilità di
utilizzare i dati verso un corrispettivo (o, più genericamente, a titolo one-
roso); l’elemento materiale è costituito dal tipo di dati oggetto di questa
vicenda giuridica, infatti, ai fini dell’imposta, interessano solo i dati ottenuti
dall’interazione di un utente con un’interfaccia digitale;
B) relativamente all’elemento giuridico prima indicato, né la Proposta,
né la disciplina interna di fonte legale attribuiscono alcuna rilevanza allo
specifico titolo giuridico in base al quale i terzi sono investiti della facoltà di
utilizzare i dati. Invero, la stessa denominazione di questa fattispecie come
“servizio” allude implicitamente alla circostanza (o, quantomeno, alla
possibilità) che l’oggetto giuridico della “trasmissione” non sia la (cessione
della) “proprietà” del dato, ma (la concessione di) talune facoltà di sfrutta-
mento del valore economico dello stesso (volendo si potrebbe parlare di
“godimento”). Stupisce, quindi, che nel punto 3.11 del Provvedimento si
faccia riferimento ai dati “venduti totalmente o parzialmente e trasmessi”,
che sembrerebbe addirittura indicare la necessità - a nostro avviso non
coerente con la struttura generale dell’imposta - che concorrano due condi-
zioni: l’alienazione e la trasmissione dei dati13;
C) comunque sia, i ricavi rilevanti sono tutti quelli che derivano da tale
attività al netto di quelli generati dai trasferimenti infragruppo. In questo caso,
l’esclusione dei trasferimenti infragruppo ha propriamente lo scopo di evitare
la doppia imposizione del medesimo presupposto (ma, qualunque sia la
giustificazione, tale esclusione meriterebbe di essere rimeditata se si accoglie
la tesi secondo la quale è rilevante ai fini dell’imposta solo il trasferimento da
parte di chi è titolare dell’interfaccia attraverso cui si “raccoglie” il dato);

13
Questo nella misura in cui la “vendita” sembra venire in considerazione come elemento
ulteriore e aggiuntivo rispetto alla “mera” fattispecie della “trasmissione”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 21


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

D) rispetto a tali ricavi astrattamente rilevanti, la quota imponibile è


determinata sulla base di una percentuale costituita da un rapporto al cui
numeratore è posto il numero degli utenti i cui dati sono stati trasmessi (e, se
si segue l’impostazione del Provvedimento, venduti) localizzati nel territo-
rio dello Stato e al denominatore il totale degli utenti che hanno generato
dati complessivamente oggetto di trasmissione;
E) è evidente che, in questo caso, si devia rispetto al criterio sulla cui base
è calcolata la percentuale di imponibilità del servizio di pubblicità mirata: si
passa da un rapporto fra quantità di dati (sia pure espressa in termini di
“messaggi”), a un rapporto fra quantità di utenti. La probabile giustifica-
zione di questo criterio è da intravedersi nella difficoltà di stabilire con
esattezza il numero e/o il valore monetario dei dati (riferibili a ciascun
utente) generati o raccolti nel territorio di uno specifico Stato e poi oggetto
di “trasmissione”. Il criterio adottato costituisce, secondo la spiegazione
proposta, una forma di semplificazione che, in pratica, considera ciascun
utente come potenziale “fonte” di un numero costante e omogeneo di dati.
Crederemmo che sia questa esigenza di semplificazione a costituire altresì
la spiegazione del motivo per il quale il numero di utenti “localizzati” da
porre al numeratore comprende non solo quelli la cui localizzazione è
avvenuta nel periodo d’imposta di riferimento, ma anche quelli per i quali
la localizzazione nel territorio dello Stato si è realizzata nei periodi
anteriori;
F) anche in questo caso, una volta individuata la predetta percentuale, i
ricavi rilevanti a livello mondiale sono moltiplicati per essa pervenendosi, in
tal modo, alla determinazione della base imponibile cui si applica l’aliquota
del 3% di cui al comma 41.
La disciplina appena tratteggiata evidenzia ancora una volta, com’è
chiaro, la centralità dei dati.
Essa appare marcatamente orientata alla individuazione dei dati rac-
colti mediante la consultazione di un’interfaccia riferibile (secondo il cri-
terio della localizzazione) al territorio dello Stato sui quali il soggetto
passivo dell’imposta esercita un potere dispositivo (la “trasmissione”) con-
sistente nel legittimare l’uso degli stessi da parte di terzi.
E questa prospettiva sembrerebbe ulteriormente rafforzata ove si con-
sideri che - secondo un’interpretazione legittimata dal Considerando 17
della Proposta, ancorché non chiaramente esplicitata nella disciplina della
Proposta medesima e ancor meno nella disciplina interna - la “trasmissione”
rilevante (ossia l’unica idonea a generare ricavi soggetti a imposta) dovrebbe
essere solo quella propria del soggetto titolare dell’interfaccia attraverso la
cui consultazione si realizza la raccolta di dati per la successiva trasmis-
sione. Il che, per un verso, sembrerebbe coerente anche con la logica
applicativa dell’imposta, giacché coloro che pongono in essere le successive
“trasmissioni” dei dati potrebbero non disporre (anzi quasi sempre non
disporranno) delle informazioni necessarie per determinare la percentuale

22 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

di imponibilità; per altro verso, come accennavamo, rende meno lineare la


giustificazione dell’esclusione dei ricavi intragruppo.
Secondo la prospettiva illustrata, il controllo sui dati rilevante ai fini
dell’imposta sarebbe, allora, quello congiuntamente derivante sia dalle
particolari modalità di acquisizione, sia dalla presenza di un atto di dispo-
sizione a titolo oneroso dei dati.
Il criterio ispiratore della disciplina impositiva propria di questi servizi
digitali appare, quindi e secondo quanto avevamo anticipato, strettamente
contiguo a quello della tassazione dei servizi digitali di pubblicità mirata.
Nel caso dei servizi di pubblicità mirata, come abbiamo visto, il profilo
rilevante è quello del potere di sfruttamento dei dati nell’orientare la “dire-
zione” (in termini di contenuti confacenti ai gusti e alle esigenze del desti-
natario) del messaggio pubblicitario; nel caso dei servizi di trasmissione di
dati, il profilo rilevante è quello del controllo dei mezzi di acquisizione dei
dati e della capacità di disporne nell’interesse altrui.
Anzi, a dire il vero, la predetta complementarità potrebbe sembrare tale
da legittimare il dubbio che vi possa essere l’esigenza di un coordinamento
fra i prelievi fiscali relativi ai due diversi tipi di servizio. È evidente, infatti,
che il soggetto che è l’“avente causa” della trasmissione di dati può essere, a
sua volta, un collocatore di pubblicità mirata.
Si tratta, tuttavia, di un dubbio che deve essere risolto negativamente
proprio nella prospettiva qui privilegiata.
Invero, se il presupposto dell’imposta fosse da individuarsi nel “risultato
dell’attività”, l’esigenza di coordinamento sarebbe particolarmente stringente,
perché non potrebbe negarsi che il servizio di trasmissione dei dati e il servizio
di pubblicità mirata si collocano nella medesima “catena del valore”.
Se, tuttavia, si considera la vicenda dal punto di vista del potere di
controllo sui dati, l’esigenza di coordinamento diventa assai meno impel-
lente (ancorché, forse, senza annullarsi completamente) perché le due
forme di controllo, sebbene logicamente implicate, restano pienamente
distinte e autonomamente rilevanti.

4. Fattispecie, territorialità, ricavi rilevanti e base imponibile dei servizi di


messa a disposizione di interfacce digitali multilaterali - L’ultimo servizio
digitale - alla stregua dell’ordine di esposizione prescelto, ma in realtà il
secondo in base all’elencazione di cui al comma 37 - è quello della “messa a
disposizione di un’interfaccia multilaterale”.
La nozione di interfaccia multilaterale non è univoca. Nella letteratura
economica e aziendalistica il fenomeno ha formato oggetto di molte defi-
nizioni che, proprio per la loro varietà, conducono a individuare categorie
con perimetri applicativi significativamente differenziati14.

14
Per alcuni riferimenti, tutt’altro che esaustivi, cfr. M. Ardolino - N. Saccani - F.
Adrodegari - M. Perona, “A Business Model Framework to Characterize Digital Multisided

Rassegna Tributaria 1/2021 - 23


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

La Relazione alla Proposta (la quale ultima costituisce, è appena il caso di


ribadirlo, la base pressoché esclusiva di riferimento dell’i.s.d. nazionale),
muovendo da un’analisi nella quale si fa riferimento alle diverse modalità
di “creazione del valore” nell’ambito delle imprese digitali, individua una delle
modalità tipiche in quella che “[...] consiste nella partecipazione attiva e
continuativa degli utenti sulle interfacce digitali multilaterali, che si basano
sugli effetti di rete in cui, in generale, il valore del servizio aumenta in funzione
del numero di utenti che utilizzano l’interfaccia. Il valore di tali interfacce
risiede nei collegamenti tra gli utenti e nelle interazioni tra di essi”.
È questa, dunque, la realtà operativa che costituisce il punto di riferi-
mento della disciplina, ossia una forma di esercizio dell’attività d’impresa
che si concretizza nella costituzione di una rete tendenzialmente aperta sia
sul lato dell’offerta, sia sul lato della domanda (ed è per questo multilaterale)
e il cui valore dipende (secondo un circolo potenzialmente virtuoso) dalla
creazione di un effetto di rete consistente in ciò che all’espansione da un lato
(il numero degli offerenti o dei potenziali acquirenti) corrisponde un
ampliamento dall’altro.
Detto altrimenti, è la logica (trasposta nell’ecosfera digitale e da questa
infinitamente amplificata) delle fiere medioevali, dove l’incremento dei
visitatori determinava un incremento dei venditori a cui faceva seguito un
corrispondente incremento dei visitatorie così via. Le differenze (tutt’altro
che marginali) consistono nel fatto che la frequentazione del mercato e
l’interazione fra gli “utenti” sono meramente “digitali” nonché, per quanto
qui interessa, nella circostanza che ai benefici (anche in termini fiscali) che
le fiere producevano nei luoghi geografici ove esse si svolgevano, si sostitui-
sce l’utilità esclusiva del soggetto titolare dell’interfaccia multimediale.
È proprio su tale “utilità” che interviene l’i.s.d. la quale prevede:
A) la distinzione fra due tipi di interfacce multimediali: quelle in cui
l’interazione fra gli utenti è finalizzata a facilitare la conclusione diretta di
scambi e quelle nelle quali si svolge un’interazione che consente la mera
creazione di un collegamento fra utenti che solo in via mediata potrebbe dar
luogo a uno scambio;
B) coerentemente con tale distinzione, le interfacce digitali multime-
diali sono diversamente considerate a seconda che esse diano luogo a ricavi
connessi agli scambi effettivamente realizzati o a corrispettivi richiesti per
l’accesso all’interfaccia medesima;
C) tali ricavi ovunque realizzati sono “rilevanti” (al netto, sempre di
quelli realizzati infragruppo) ai fini dell’imposta: ovviamente quelli

Platforms”, in Journal of Open Innovation, 2020; A. Gawer, Digital Platforms’ Boundaries: The
Interplay of Firm Scope, Platform Sides, and Digital Interfaces, 2020, consultabile all’indirizzo
https://doi.org/10.1016/j.lrp.2020.102045; J. M. Sanchez-Cartas - G. Leon, Multi-sided
Platforms and Markets: A Literature Review, in Journal of Economic Surveys, 2021.

24 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

connessi agli scambi sono rilevanti solo per la parte che non corrisponde al
corrispettivo pagato per l’acquisto di beni e servizi;
D) i ricavi rilevanti realizzati a livello mondiale sono imponibili solo per la
parte riferibile al territorio dello Stato la quale è determinata sulla base di una
percentuale costituita: a) nel caso dei ricavi derivanti dalla messa a disposi-
zione di interfacce che agevolano gli scambi, dal rapporto fra il numero delle
consegne di beni e delle prestazioni di servizi di cui almeno una controparte
sia localizzata nel territorio dello Stato in base all’IP del dispositivo dal quale
accede (restando dubbio, in base all’attuale formula del punto 4.4 del
Provvedimento, se la “localizzazione” debba essere individuata per ogni
singola consegna oppure se un singolo ordine localizzato nel territorio
dello Stato attragga nel numeratore anche tutte le ulteriori consegne fatte
al medesimo utente, ancorché la conclusione degli ulteriori scambi non abbia
implicato l’uso di un dispositivo “localizzato”) e il numero totale di consegne
worldwide; b) nel caso di ricavi derivanti dalla messa a disposizione di
interfacce digitali che facilitano solo la comunicazione (ma non, in via
immediata, gli scambi) la percentuale d’imponibilità è calcolata come rap-
porto fra il totale degli utenti che hanno un conto (o, in termini anglosassoni,
un account) aperto (anche solo per una parte dell’anno) attraverso un dispo-
sitivo localizzato nel territorio dello Stato e il totale di tutti gli utenti;
E) ovviamente, come per gli altri tipi di servizi digitali imponibili, il
prodotto fra la percentuale, calcolata come sopra, e il totale dei ricavi
rilevante determina la base imponibile dalla quale si ricava l’imposta appli-
cando l’aliquota di cui al comma 41.
Al di là di alcuni profili della disciplina non perfettamente chiari o non
del tutto condivisibili nella prospettiva della razionalità complessiva del
prelievo sui quali non è il caso di soffermarsi in questa sede (sia perché forse
qualcuna di tali imperfezioni sarà risolta nella versione definitiva del
Provvedimento, sia perché la correzione può avvenire attraverso l’interpre-
tazione), ciò che occorre osservare è che, a ben guardare, anche in questo
caso, sebbene in modo meno immediato, i dati assumono una rilievo del
tutto centrale.
Come abbiamo già rilevato, infatti, la definizione stessa di interfaccia
digitale multilaterale fa leva sui “collegamenti” e sull’“interazione” fra gli
utenti che questa rende possibili.
Ma collegamenti e interazioni non sono altro che scambi di dati,
cosicché l’interfaccia (rectius il soggetto che ne è titolare) si caratterizza
per la sua attività di controllo sui dati scambiati.
Si diceva che, nella definizione della fattispecie di questo servizio, è
meno appariscente la centralità dei dati e del potere sugli stessi rispetto ai
casi precedentemente considerati.
Ciò è dovuto al fatto che l’interfaccia appare, da questo punto di vista,
essenzialmente come un sistema di “comunicazione”, piuttosto che come un
sistema di “controllo”. Ma si tratta di un’impressione superficiale, perché

Rassegna Tributaria 1/2021 - 25


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

anche nel mondo non digitale la titolarità delle vie di comunicazione garanti-
sce, al tempo stesso, anche un controllo sulla comunicazione medesima.

5. Dalla fattispecie al presupposto - Nell’esaminare le fattispecie dei servizi


imponibili e delle forme d’imposizione abbiamo sempre riservato alcune
considerazioni finali relative all’elemento - implicito nella definizione delle
singole fattispecie, ma non coincidente con esse - che ci è parso costituire la
reale giustificazione dell’imposta, cioè il motivo per il quale solo determinati
soggetti, e non altri, sono tenuti a contribuire (o, se si preferisce, a concor-
rere) al finanziamento delle spese pubbliche al verificarsi delle predette
fattispecie.
Volendo, a questo punto, tirare le fila del discorso, occorre vedere se
quegli elementi giustificativi si lasciano riassumere in un criterio unitario
idoneo a individuare la specifica forza economica dei soggetti passivi dell’i.s.
d. che costituisce il fondamento della loro posizione differenziata rispetto agli
altri soggetti dell’ordinamento in punto di concorso alle pubbliche spese.
Altrimenti detto, occorre vedere se è possibile ricostruire un autonomo indice
di capacità contributiva, cioè uno specifico presupposto del tributo.
Ovviamente, la risposta è in larga misura condizionata dall’adesione alle
tesi secondo cui gli unici indici di capacità contributiva concepibili sono il
reddito, il patrimonio o il consumo, ovvero alla diversa prospettiva secondo la
quale reddito, patrimonio e consumo sono, in definitiva, null’altro che espres-
sioni mediate della capacità (differenziata) dei soggetti dell’ordinamento di
soddisfare i propri bisogni e interessi e, come tali, possono naturalmente
coesistere, a seconda dei contesti, con altre espressioni della medesima
capacità idonee, come tali, ad assurgere a presupposti di specifici tributi.
Se si adotta questo secondo punto di vista15, appare assolutamente
giustificata la scelta di ritenere rilevante come indice di capacità
15
Si tratta di una tesi che ha avuto anche un chiaro avallo da parte della Corte costituzionale
la quale, nella sent. n. 288/2019 ha affermato che “in un contesto complesso come quello
contemporaneo, dove si sviluppano nuove e multiformi creazioni di valore, il concetto di
capacità contributiva non necessariamente deve rimanere legato solo a indici tradizionali come
il patrimonio e il reddito, potendo rilevare anche altre e più evolute forme di capacità, che ben
possono denotare una forza o una potenzialità economica” e che trova significative condivisioni in
dottrina: cfr., in particolare, F. Gallo, Le ragioni del fisco, Bologna, 2007, pag. 75 ss. e F. Gallo,
“Nuove espressioni di capacità contributiva”, in La nozione di capacità contributiva e un essenziale
confronto di idee, Milano, 2016, pag. 269 ss.; A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario,
Torino, 2003; G. Fransoni, Discorso intorno al diritto tributario, cit., pag. 68 ss. Non mancano, è
vero, approfondite e vigorose contestazioni di tale tesi. Cfr., per tutti, F. Moschetti, “‘Interesse
fiscale’ e ‘ragioni del fisco’ nel prisma della capacità contributiva”, in Atti della giornata di studi in
onora di Gaspare Falsitta, Padova, 2012, pag. 157. Tuttavia, a noi sembra che tali critiche siano
precipuamente dirette a contestare il percorso logico (o assiologico) che esse ravvisano quale
presupposto delle tesi avversarie, piuttosto che alcuni dei punti di arrivo in sé. Diversamente detto,
per quanto interessa in questa sede, la possibilità di individuare indici di capacità contributiva in
fatti espressivi di una differenziata ed economicamente rilevante condizioni sociale diversa da
quelle che trovano diretta espressione (solo) nel reddito, nel patrimonio o nel consumo, sembra

26 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

contributiva (ossia, di assumere a presupposto dell’i.s.d.) il potere sui


dati16.
Un potere che, a nostro avviso assai correttamente, si lascia giustap-
punto declinare in almeno tre modi diversi: come potere di controllare il
flusso dei dati, come potere di controllarne l’acquisizione in vista della loro
disposizione a titolo oneroso degli stessi e, infine, come potere di indirizzare
i dati a forme di pubblicità intese a orientare le scelte degli utenti del mercato
digitale.
Peraltro, è bene evidenziare che queste tre declinazioni del potere sui
dati non sono affatto reciprocamente esclusive. Secondo quanto si è in parte
accennato, e come qui occorre ribadire, è certamente possibile - e, forse, è
addirittura fisiologico - che almeno taluni dei soggetti del mercato digitale
integrino il presupposto nella sua triplice declinazione. Per intenderci,
un’interfaccia digitale multilaterale, oltre a esercitare il potere di controllo
sul flusso di dati, acquisirà i dati medesimi dei quali potrà sia disporre

essere criticata nella misura in cui tale posizione viene considerata quale argomento stru-
mentalmente orientato o, comunque, necessariamente collegato alla negazione del valore
“garantista” dell’art. 53 Cost. che le tesi critiche vogliono, invece, fortemente ribadire.
Tuttavia, se è probabilmente vero che la concezione del principio di capacità contributiva
come “criterio di riparto” (e non come garanzia) può certamente favorire una più ampia
considerazione degli indici di capacità contributiva, non è men vero che tale risultato non
dipende esclusivamente da tale concezione, in quanto esso, a ben vedere, riposa su un piano
di considerazioni totalmente distinto che, ove considerato al di fuori della rigida contrappo-
sizione riscontrabile nella concezione dell’art. 53 Cost., dovrebbe consentire l’accoglimento
di tale prospettiva anche ai fautori dell’approccio “garantista”. In particolare, la tesi che
individua nell’art. 53 Cost. un limite all’assunzione a indice di capacità contributiva delle
fonti produttive di reddito (cfr. G. Gaffuri, “L’attitudine alla contribuzione”, in La nozione
della capacità contributiva e un essenziale confronto d’idee, cit.) non dovrebbe intravedere
alcun ostacolo a valutare come idoneo indice di capacità contributiva il “potere di controllo
sui dati” (a meno di non estendere a qualunque declinazione dell’esercizio dell’attività
economica la nozione di fonte della produzione) come giustamente intuisce A. Fedele,
“L’essenza dell’attitudine alla contribuzione”, in La nozione della capacità contributiva e un
essenziale confronto d’idee, cit., pag. 264. E, a nostro avviso, senza che sia possibile dare
compiuta dimostrazione di questo rilievo nella presente sede, non sembra impossibile che,
sia pure con taluni adattamenti, la legittimità (ancorché, ovviamente, non sempre necessi-
tata) dell’assunzione a indici di capacità contributiva di circostanze di fatto denotanti
“condizioni” personali privilegiate dei membri della collettività diverse da quelle che trovano
diretta espressione nel patrimonio, nel reddito e nel consumo possa non risultare estranea
alla generalità delle tesi che declinano il principio di capacità contributiva in termini
essenzialmente garantistici.
16
Il particolare rilievo assunto dai dati (e, implicitamente, dalle diverse forme di impiego
e controllo sui medesimi) è perspicuamente sottolineato da F. Gallo, “Nuove espressioni di
capacità contributiva”, in questa Rivista, 2015, pag. 771 ss. e A. Uricchio - W. Spinapolice, La
corsa a ostacoli della web taxation, cit., i quali sottolineano che “accessi, navigazione sulla rete,
intelligenze artificiali e big data archiviano, elaborano, trasmettono informazioni esperienze e
conoscenze che esprimono un valore economico suscettibile di essere sottoposto a tributi di
diversa natura anche di nuova istituzione”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 27


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

attraverso la loro trasmissione, sia procedere alla loro elaborazione al fine di


collocare pubblicità mirata17.
Cosicché le tre fattispecie in cui si articola la disciplina sommariamente
esaminata sono correttamente oggetto di una considerazione unitaria,
perché tutte concorrono a cogliere un profilo, distinto ma complementare,
di un potere multiforme.
Peraltro, proprio nella loro complessiva formulazione, i tre tipi di servizi
digitali costituenti la fattispecie dell’imposta sembrano coerenti nel deli-
neare, quali titolari di questo potere multiforme, le sole imprese18 per le
quali l’utilizzo dei dati costituisce il fattore “abilitante” dell’esercizio
dell’attività19, ossia le imprese data enabled che, nella letteratura economica
vengono correttamente contrapposte20 a quelle (c.d. data enhanced) per le
quali l’impiego dei dati digitale rappresenta un fattore complementare che
ne incrementa l’efficienza e la produttività21.

6. Le criticità - Il giudizio positivo relativo all’individuazione del presuppo-


sto non esclude tuttavia che la disciplina possa comunque presentare altri
profili di criticità.

17
Questo aspetto è pacifico e, soprattutto, è altresì considerato quale specificità del
sistema. Cfr. D. Nguyen - M. Paczos, Measuring the Economic Value of Data and Cross-
Border Data Flows: A Business Perspective, cit., i quali evidenziano che: “[s]imilarly, many on
line platforms offer their services globally, relying on cross-border data flows to deliver digital
matching services (e.g. Uber, Airbnb, eBay). At the same time, they also collect transaction and
consumer behaviour data in various locations, which further need to be transferred across borders
in order to be stored, aggregated and analysed. Finally, insights based on aggregated global data
serve as the basis for commercial services that can be delivered in multiple locations (e.g. targeted
advertising, or demand forecasting, price elasticities of consumers)”.
18
Per questa distinzione che segue fra impresa data enabled e data enhanced si rinvia a D.
Nguyen - M. Paczos, Measuring the Economic Value of Data and Cross-Border Data Flows: A
Business Perspective, op. loc. cit.
19
Anche la dottrina italiana, in una prospettiva in larga misura convergente con quella
espressa nel testo, ha evidenziato la razionalità di un’imposta (concepita, tuttavia, in termini
essenzialmente “patrimoniali”) che avesse i “dati” come centro di riferimento: cfr. A. Carinci, La
fiscalità dell’economia digitale dalla webtax alla presa d’atto di nuovi valori da tassare, cit.
20
Il riferimento dell’imposta alle sole imprese data enabled toglierebbe valore - a nostro
avviso e sempre che si consideri l’imposta come qualcosa di diverso da un mero prelievo
sostitutivo dell’imposta sui redditi secondo la prospettiva sostenuta nel testo - alla critica mossa
alla Proposta da J. Becker - J. Englisch, “EU Digital Services Tax: A Populist and Flawed
Proposal”, in Kluwer Int’l Tax Blog (Mar. 16, 2018), http://kluwertaxblog.com/2018/03/16/eu-
digital-services-tax-populist-flawed-proposal, i quali, sminuendo il valore a tale distinzione,
ritengono che, “even if one were to argue that from the platform operator’s perspective, the users’
purposeful involvement in the data mining process turns consumers into an instrument of the
operator’s own production activities, such a view could not justify the Commission’s limited
choice of taxed digital activities. Clearly, user data are becoming increasingly relevant in the entire -
‘digitalized’ - economy, not only in the on line advertisement or sharing economy sector”.
21
La distinzione potrebbe essere alla base, poi, di alcune (anche se, verosimilmente, non
di tutte) le esclusioni previste dal comma 37-bis il quale meriterebbe un’analisi a sé stante anche
sotto il profilo della sua complessiva razionalità.

28 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Quello, fra essi, che risulta maggiormente evidente è ravvisabile nei


criteri di collegamento territoriale prescelti22.
A nostro avviso, il profilo territoriale di un tributo in tanto è razionale e
accettabile in quanto sia idoneo a cogliere un aspetto dell’appartenenza (varia-
mente graduata) del soggetto passivo alla collettività organizzata alle cui spese
egli è chiamato a contribuire in ragione del tributo di volta in volta considerato.
A prescindere da alcuni dubbi sulla razionalità “interna” dei singoli
criteri di collegamento normativamente previsti per l’i.s.d., la perplessità
più rilevante è, per l’appunto, quella relativa all’idoneità di tali criteri a
individuare e misurare l’appartenenza dei soggetti passivi di quest’imposta
alla collettività organizzata23.

22
Nello stesso senso, A. Uricchio - W. Spinapolice, La corsa a ostacoli della web taxa-
tion, cit.
23
In questo senso, cfr. R. Cordeiro Guerra, Diritto tributario internazionale, Milano, 2016,
pag. 95 ss., A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit., pag. 16 ss.; G. Fransoni, La
territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, passim. Questo punto di vista si discosta
nettamente da quello diffuso nella dottrina di diritto internazionale secondo cui il criterio di
collegamento esprima la corretta collocazione (o, almeno, una fra le possibili corrette collo-
cazioni) di un fatto nello spazio (territoriale). È evidente, in realtà, che questa concezione è
concettualmente opinabile sia perché la ricchezza o, in senso più ampio, i presupposti dei
tributi sono fenomeni apprezzabili concettualmente, non fatti puntuali collocabili spazial-
mente; sia perché lo stesso spazio territoriale (delle comunità politicamente organizzate) è
un’astrazione ideologica. Ma quell’idea è, con ogni evidenza, un “mascheramento”, in quanto si
propone di tradurre in termini tecnicamente neutri opzioni politiche molto impegnative e
altamente controvertibili. Un non marginale progresso rispetto alla concezione che si è prima
menzionata si registra in chi, di recente, in uno studio molto approfondito e di largo respiro
(cfr., F. Farri, Tax sovereignty and the law in the digital global economy, Torino, 2021 ma in realtà
2020) prospetta l’idea secondo cui il collegamento si instaurerebbe fra i “fatti” e una “comunità”
(cfr., ivi, pag. 35 ss.). Tuttavia, anche questa concezione risulta, in ultima analisi, ancora non
pienamente appagante perché se, a nostro avviso, è corretto affermare che la comunità sia,
effettivamente, uno dei termini di riferimento del collegamento, non appare persuasivo
individuare l’altro termine nei “fatti”, anche perché, logicamente, i modi per collegare un
fatto economico individuale a un gruppo umano sono innumerevoli e tutti equivalenti dal
punto di vista logico, là dove ciò che interessa è il “valore” di quel collegamento. Tanto è vero che
l’interrogativo sotteso all’affermazione secondo cui “it is unclear why the simple conduct of a
business in a certain community cannot be reasonably regarded in itself as a relevant criterion of
connection” (così F. Farri, Tax sovereignty and the law in the digital and global economy, cit., pag.
38) ha una soluzione impossibile e al contempo anche banale. È impossibile motivare la
negazione della validità di molte forme di collegamento di un fatto alla collettività se il
problema viene inquadrato in una mera prospettiva empirica, giacché, le possibili forme di
collegamento di un fatto a una comunità, proprio perché operanti sul piano delle idee e non su
quello della realtà empirica, sono innumerevoli e, fra loro, non è possibile operare alcuna
significativa differenza. Viceversa, la differenza risulta evidente e la ragione dell’esclusione
dell’inidoneità di alcuni criteri di collegamento appare, al tempo stesso, banale se si supera la
prospettiva della considerazione empirica dei fatti e si imposta la questione dal punto di vista
dei giudizi di valore. Se, cioè, si guarda al criterio di collegamento e al fatto che lo integra come
indicativi del rapporto di appartenenza di un soggetto alla comunità (quella alla cui spese il
soggetto è chiamato a contribuire), è senz’altro possibile operare una graduazione (di
significatività o di valore) fra i diversi criteri di collegamento. Fermo restando che, ovviamente,

Rassegna Tributaria 1/2021 - 29


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

È evidente che, rispetto al complesso e sfuggente mondo dell’attività


digitale, è difficile individuare criteri che assolvano a tale funzione con
precisione chirurgica. Si deve dare per scontato, in altri termini, il ricorso a
criteri di collegamento che tendano solo realizzare approssimazioni (in
qualche misura anche grossolane) rispetto a un effettivo indice di apparte-
nenza nel senso predetto.
Nondimeno, i criteri di collegamento specificamente previsti dalla disci-
plina dell’i.s.d. appaiono, specie alla stregua delle interpretazioni più radicali a
cui si prestano le pertinenti disposizioni, quasi del tutto avulsi da ogni effettiva
capacità di riferire il dovere tributario a un soggetto almeno per qualche
significativo profilo appartenente alla collettività che richiede l’assolvimento
di quel dovere per il finanziamento delle proprie spese pubbliche24.
La dimostrazione analitica di questa affermazione esorbita dall’econo-
mia di questo intervento. Ma è sufficiente la lettura delle varie disposizioni
concernenti questo profilo a rendere almeno intuitivamente chiaro il senso
della nostra critica25.

tale graduazione non riposa su basi puramente logiche, ma assume un valore eminentemente
politico. Ed in effetti, è la stessa “storia” dei criteri di collegamento attualmente privilegiati
ad attestare che essa è strumentale alla realizzazione dell’assetto nella distribuzione dei
poteri impositivi attualmente in essere a livello internazionale, il quale si è imposto non già (è
tautologico dirlo) per motivi “logici”, ma per ragioni tutt’affatto politiche: cfr., al riguardo, G.
Fransoni, “La stabile organizzazione: nihil sub sole novi?”, in Riv. dir. trib., 2015, I, pag. 123.
24
Nello stesso senso, cfr. A. Carinci, La fiscalità dell’economia digitale dalla webtax alla
presa d’atto di nuovi valori da tassare, cit. È bene segnalare che questo profilo di criticità della
disciplina territoriale del tributo riposa su considerazioni toto coelo diverse da quelle che
stanno alla base dell’obiezione, formulata nel citato Report on Italy’s Digital Tax del Governo
USA, secondo cui “Italy’s DST is unreasonable because it is inconsistent with prevailing interna-
tional tax principles. Italy’s DST applies to revenue rather than income; Italy’s DST applies to
revenues unconnected to a physical presence in Italy; Italy’s DST is extraterritorial; and Italy’s DST
results in double taxation. As such, the DST is unreasonable as it deviates from the prevailing tax
principles of international corporate taxation”. Questa critica, come si comprenderà, fa leva
sull’idea che le scelte che stanno alla base dell’odierno assetto del diritto internazionale
tributario hanno un fondamento oggettivo (in senso logico ed empirico). Una volta preso
atto che, invece, quelle scelte hanno una matrice esclusivamente politica (ancorché “masche-
rata” come si è detto alla nota precedente) - e che, correlativamente, l’extraterritoralità
lamentata dal Governo statunitense non è un “dato” - e ove si resti aderenti all’idea, largamente
dominante (ma si veda, in senso contrario, la posizione di R. Avi Yonah, “Does Customary
International Tax Law Exist?”, in University of Michigan Public Law & Legal Theory Research
Paper No. 640. Working Paper, disponibile a ssrn: https://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3382203),
secondo cui esse non hanno il rilievo di norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute (in quanto non fondate su consuetudini di diritto internazionale), resta comunque
il problema della giustificazione dell’imposta sotto un profilo costituzionale, cioè, secondo la
prospettiva indicata nel testo, in termini di idoneità del criterio territoriale prescelto a denotare
l’appartenenza del soggetto passivo del tributo alla comunità statale.
25
Ciò che, ovviamente, costituisce un punto a favore delle tesi secondo cui, in definitiva,
saremmo difronte a una tariffa soggetta alle regole e ai divieti dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio: cfr. G. C. Hufbauer - Z. Lu, The European Union’s Proposed Digital Services Tax: A De
Facto Tariff, Peterson Institute for International Economics, 2018. Si tratta di opinioni certamente

30 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Preme peraltro sottolineare che questa difficoltà nell’individuazione di


un criterio di collegamento pienamente significativo risulta enfatizzata
dalla circostanza che l’imposta sui servizi digitali appare marcatamente
connotata in senso “soggettivo”: non siamo, cioè, dinanzi a un’imposta reale
sugli scambi o sui dati, bensì a un prelievo che non astrae minimamente
dalle caratteristiche soggettive del contribuente. Il che sembra attestato, in
particolare, sia dal fatto che l’imposta è dovuta solo dai soggetti che supe-
rano determinati volumi di ricavi26, sia dalla particolare considerazione dei
gruppi societari.
Il che ci conduce a un ulteriore profilo di criticità che riguarda proprio la
disciplina dei gruppi.
Nemmeno in questo caso possiamo condurre, al riguardo, un’analisi di
dettaglio e ci sembra sufficiente dire che, se l’intenzione alla base della
“sterilizzazione” delle transazioni infragruppo appare, in astratto, sicura-
mente condivisibile, la sua concreta declinazione sembra prestarsi a distor-
sioni se non, addirittura, ad arbitraggi.
E questo (quantomeno) perché non sempre alla fine di una serie di
prestazioni di servizi digitali infragruppo (o, meglio, all’esito di una serie
di atti che concretizzano l’esercizio del potere di controllo sui dati nei vari

mosse dalla sensibilità a ben individuati interessi nazionali (non a caso riprese dal già citato
Report on Italy’s Digital Tax), ma che possono contenere un fondo di verità dal punto di vista
giuridico, nella misura in cui - secondo alcune prospettive - i dazi e le tariffe doganali
sarebbero prelievi a carico di soggetti non appartenenti alla collettività politicamente orga-
nizzate le cui spese pubbliche sono finanziate (anche) per il tramite di tali prestazioni
patrimoniali imposte. La tesi - nei suoi termini generali - è suscettibile di essere validamente
criticata, ma, quando si esaminano i casi particolari, quanto più il nesso di appartenenza si
attenua, tanto maggiore il rischio risulta concreto.
26
La previsione di soglie dimensionali il cui superamento è necessario per qualificarsi
come soggetti passivi dell’i.s.d. si presta a essere considerata come espressione dell’intento di
introdurre una discriminazione ai danni delle imprese statunitensi e, come tale, è stata
presentata non solo oltreoceano (il Report on Italy’s Digital Service Tax è, scontatamente,
molto insistente su questo punto), ma anche nella letteratura italiana (cfr. D. Stevanato, “A
Critical Review of Italy’s Digital Services Tax”, in Bull. Int’ Taxation, 2020, 413. In realtà, se si
astrae dalle possibili recondite intenzioni del legislatore (tanto quello unionale, quanto quello
europeo), la motivazione di questa scelta indicata nella Proposta potrebbe considerarsi sia
persuasiva, sia perfettamente coordinabile con la ricostruzione qui proposta del presupposto
dell’imposta. Si legge, infatti, nella Relazione alla Proposta, che la scelta di introdurre le
predette soglie dimensionali è determinata dalla considerazione che le imprese che le superano
sono quelle che “beneficiano maggiormente degli effetti di rete e sfruttano i megadati, fon-
dando quindi i loro modelli imprenditoriali sulla partecipazione degli utenti”. Anche secondo
A. Uricchio - W. Spinapolice, La corsa a ostacoli della web taxation, cit., la scelta dimensionale è
ritenuta coerente con la prospettiva di un’imposta che assume a presupposto “una capacità
economica di imprese di grandi dimensioni, che costituisce un elemento necessario alla
remuneratività del modello imprenditoriale considerato secondo il canone dell’apporto di
valore significativo dato dalla partecipazione della clientela”. Si potrebbe cioè dire che il
superamento delle soglie individua (e distingue) le imprese la cui attività è, in fin dei conti,
pienamente enabled dal dominio sui dati.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 31


G. FRANSONI - PRESUPPOSTO DELL’IMPOSTA SUI SERVIZI DIGITALI

modi considerati) vi è una prestazione di servizi idonea a generare ricavi


rilevanti, essendo ben possibile, invece, che il valore di quel servizio digitale
sia “incorporato” in altri servizi produttivi di ricavi non rilevanti e/o non
imponibili.
Un’attenta analisi - condotta anche muovendo da una concreta e appro-
fondita conoscenza delle multiformi caratteristiche del mercato rilevante -
probabilmente può evidenziare altri profili di criticità.
In questa sede, i rilievi svolti ci sembrano sufficienti a indicare che l’i.s.d.
appare il frutto di una concezione coerente e condivisibile a livello di
principi, ma la cui realizzazione pratica richiede, affinché si pervenga ad
esiti altrettanto coerenti e condivisibili, un ulteriore sforzo di elaborazione.
GUGLIELMO FRANSONI

32 - Rassegna Tributaria 1/2021


Le società non operative e le perdite di periodo: aspetti
problematici
Leonardo Perrone

Estratto: Nel sistema tributario italiano esiste una normativa speciale appli-
cabile alle società non operative. Essa configura un tema di particolare
complessità, anche alla luce delle modifiche operate dall’art. 2, comma 36-
decies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla
Legge 14 settembre 2011, n. 148). Le citate modifiche prevedono l’applicazione
di una gravosa disciplina, in tema di imposte dirette ed IVA, nei confronti delle
società che, per cinque periodi d’imposta consecutivi, conseguano perdite
d’esercizio. Tale disciplina appare non conforme al principio di capacità con-
tributiva, in quanto le perdite non sono di per sé espressione di mancanza di
operatività, ma spesso di fisiologiche dinamiche di mercato e non di condotte
elusive od evasive. In questo scenario, con una funzione parzialmente corret-
tiva, si colloca la clausola generale di esclusione da tale normativa (art. 30,
comma 4-bis, della Legge 27 dicembre 1994, n. 724), che regola il contenuto
delle prove che la società può offrire per escludere la sua inclusione dall’ambito
di quelle di comodo (esistenza di elementi oggettivi che indicano l’esercizio di
impresa commerciale). La società può rendere la prova contraria prima della
dichiarazione (attraverso il procedimento di interpello probatorio) o dopo la
dichiarazione ed in sede contenziosa, ove fosse emesso un avviso di accerta-
mento a suo carico, ovvero in entrambi i momenti (in caso di diniego espresso
all’istanza di interpello e di successiva non applicazione della disciplina di
esclusione in dichiarazione). La presenza di questo correttivo, per quanto
apprezzabile, non elimina tuttavia i profili asistematici della normativa appli-
cabile alle società che subiscano reiterate perdite di periodo.

Abstract: In the Italian fiscal framework it esists a rule regulating the ‘non
operating companies’. Such a rule faces a very complex theme, also generated by
the approval of art. 2, co. 36-decies of law decree n. 138/2011 (converted by law n.
148/2011), which provides for the application of an heavy discipline, for direct tax
and VAT purposes, towards companies soffering losses for more than 5 fiscal
periods. Such a discipline does not appears compliant with the ‘ability to pay’
principle, since losses are not, in it self, expression of a lack of being operative, but
they are often due to physiological market dynamics and not to elusive or evasive
conducts. In this scenario, with a partially corrective function, stands the general
rule provided from art. 30, co. 4-bis of law n. 724/1994 which indicates the proofs
that companies can provide in order to exclude theirself from the ‘non operating
companies’ category (so proving they are exercising a commercial activity).

Rassegna Tributaria 1/2021 - 33


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

Companies can render rebuttal evidence before filing the return (through an
‘evidential’ ruling) or later on, during the tax litigation, in case they where assessed
by Tax Authorities or in both cases (in case the Autorities expressely deny their
authorization after the ‘evidential’ ruling, which implies to apply the non operating
discipline in the Direct Tax and VAT returns). Such a corrective measure, although
appreciable, does not cancel however the critical issues related to ‘non operating
companies’ discipline.

SOMMARIO: 1. Premessa - 2. Le limitazioni all’impiego delle perdite di periodo


recate dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 - 3. L’inafferrabile ratio sottesa alle
previsioni recate dal D.L. n. 138/2011 - 4. Le cause di disapplicazione: profili
generali - 4.1. (segue) Le cause di disapplicazione per le società in perdita siste-
matica - 5. La clausola generale di esclusione per le società in perdita sistematica -
5.1. (segue) L’interpello probatorio. Disciplina ed effetti - 5.2. (segue) La “non
applicazione” della disciplina in dichiarazione e gli obblighi di comunicazione -
6. Osservazioni conclusive.

1. Premessa - L’evoluzione della disciplina delle c.d. società non operative1


offre l’occasione per svolgere alcune considerazioni intorno alla scarsa
capacità del legislatore di compiere scelte, non solo attente ai principi,
ma anche coerenti con la sostanza dei fenomeni regolati.
La vicenda è abbastanza nota.
Nel corso del 2011, nel bel mezzo di una delle più gravi crisi economi-
che registratasi a partire dal dopoguerra, il legislatore ha avvertito la
necessità di intervenire sulla disciplina delle società non operative2 e,
oltre a prevedere la maggiorazione di 10,5 punti percentuali dell’aliquota

1
Sul piano semantico, sembrano cogliere nel segno le precisazioni di L. Tosi, Le prede-
terminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, pag. 354, il quale, dopo aver
ricordato che le nozioni di “società non operativa” e di “società di comodo” vengono talvolta
utilizzate alternativamente, sottolinea come le stesse andrebbero “tenute distinte, come distinti
sono i fenomeni del mero godimento in assenza di impresa e dell’interposizione soggettiva”;
sullo specifico punto v. anche le riflessioni di R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale
dell’impresa, Pisa, 2017, pag. 21 ss.
2
Sulla disciplina dettata dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 v., tra gli altri e senza pretesa
di esaustività, M. Beghin, Diritto tributario, Padova, 2013, pag. 619 ss.; M. Beghin, “I soggetti
dell’imposizione reddituale sottoposti a predeterminazioni normative”, in G. Falsitta, Manuale
di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2018, XII ed., pag. 757 ss.; S. Capolupo, “La nuova
disciplina delle società di comodo”, in il fisco, n. 1/2006, pag. 4585 ss.; M. Leo, Le imposte sui
redditi nel Testo Unico, Milano, 2014, t. I, pag. 1177 ss.; R. Miceli, “Società di comodo”, in AA.
VV., Commentario breve alle leggi tributarie, t. III, Testo Unico delle imposte sui redditi e leggi
complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, pag. 951 ss.; R. Miceli, Società di comodo e
statuto fiscale dell’impresa, cit., passim; G. Petrillo, L’abuso dello schermo societario nella
disciplina fiscale delle società di comodo, Bari, 2018, passim; D. Stevanato, “Società di comodo,
buona giustizia e cattiva legislazione”, in Dialoghi Tributari, 2014, pag. 31 s.; L. Tosi, Le
predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, cit., pag. 354 ss., e i contributi raccolti
in AA.VV., Le società di comodo. Regime fiscale e scioglimento agevolato, Roma, 1995, passim, e
in AA.VV., Le società di comodo, a cura di L. Tosi, Padova, 2008, passim.

34 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

dell’IRES dovuta dalle società in parola3, ha significativamente ampliato il


relativo ambito di applicazione stabilendo che, “Pur non ricorrendo i
presupposti di cui all’art. 30, comma 1, della Legge 23 dicembre 1994, n.
724, le società e gli enti ivi indicati che presentano dichiarazioni in perdita
fiscale per tre periodi d’imposta consecutivi sono considerati non operativi
a decorrere dal successivo quarto periodo d’imposta ai fini e per gli effetti
del citato art. 30” (così, testualmente, la versione originaria dell’art. 2,
comma 36-decies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modifi-
cazioni, dalla Legge 14 settembre 2011, n. 148)4; un analogo effetto esten-
sivo è previsto per il caso in cui si siano registrate, nel medesimo lasso di
tempo, perdite per due periodi e risulti dichiarato, con riferimento al terzo
periodo, un reddito inferiore a quello minimo (cfr. versione originaria del
comma 36-undecies)5.
In buona sostanza, la reiterata sofferenza di risultati reddituali di segno
negativo implica l’assunzione dello status di società di non operativa con
tutto quel che ne consegue sul piano della tassazione di un reddito minimo
determinato applicando le note percentuali di redditività al valore degli
asset posseduti6, dell’applicazione dell’aliquota IRES maggiorata (ossia

3
Per due diverse opinioni circa la ratio sottesa all’intervento in materia di maggiorazione
dell’aliquota IRES v. sia M. Beghin, “I soggetti dell’imposizione reddituale sottoposti a prede-
terminazioni normative”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2014, pag. 773,
che D. Stevanato, “Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni occasione”, in Corr.
Trib., 2011, pag. 3891 s.
4
A commento delle disposizioni in parola v. M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddi-
tuale sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 765 ss.; G. Ferranti, “La nuova
disciplina delle società di comodo: le questioni ancora aperte”, in Corr. Trib., 2012, pag.
1046 ss.; R. Miceli, “Disciplina fiscale delle società non operative”, in AA.VV., Il libro dell’anno
del diritto 2013, Roma, pag. 424 ss.; R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit.,
pag. 137 ss.; G. Petrillo, L’abuso dello schermo societario nella disciplina fiscale delle società di
comodo, cit., pag. 86 ss.; D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni
occasione, cit., pag. 3889 ss.; D. Stevanato, “Società senza utili, imposte senza ricchezza: un
caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi Tributari, 2012, pag. 502 ss. In tema v. anche la
circolare dell’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili n. 25/IR del
31 ottobre 2011 e la circolare Assonime n. 17 dell’11 giugno 2013.
5
Soffermandosi sulla ratio di questa seconda ipotesi applicativa M. Beghin, I soggetti
dell’imposizione reddituale sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 766, nota 13,
rileva correttamente come la stessa risponda “all’esigenza di ostacolare manovre di aggira-
mento della disciplina, scoraggiando la dichiarazione ad arte di redditi esigui nel triennio, allo
scopo di sfuggire alla disciplina di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994” (corsivo nostro).
6
Stabilisce in particolare il comma 3, del già citato art. 30, della Legge n. 724/1994 che,
fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta personale sul reddito per le
società e per gli enti non operativi si presume che il reddito del periodo di imposta non
possa essere inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione,
ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali: i) l’1,50% sul valore dei
beni indicati all’art. 85, comma 1, lett. c), d) ed e); ii) il 4,75% sul valore delle immobilizzazioni
costituite da beni immobili e da beni di cui all’art. 8-bis, comma 1), del D.P.R. n. 633/1972; iii) il
12% sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 35


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

34,5%) e delle restrizioni sia all’utilizzo del credito IVA7 che all’impiego delle
perdite pregresse8.
Interessa subito notare, quanto a quest’ultima implicazione, come l’in-
tervento legislativo dell’estate del 2011 abbia comportato una parziale
alterazione del rapporto causa-effetto che è alla base della normativa di
cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994: ed invero, se fino al D.L. n. 138/2011, il
riscontro, all’esito del test di congruità del volume dei ricavi e/o delle
rimanenze dichiarate, di una condizione di “non operatività” comportava
una serie di conseguenze tra cui quelle legate all’impiego delle perdite
pregresse, oggi, per effetto delle previsioni in discorso, è (anche) la soffe-
renza reiterata di perdite di periodo a determinare l’applicazione della
disciplina delle società non operative.
Tale impostazione è stata espressamente confermata dal legislatore nel
2014 atteso che, con una scelta di fatto pilatesca, ha posto mano alla
disciplina in commento con il solo obiettivo di aumentare da tre a cinque
anni il periodo di osservazione (cfr., in specie, l’art. 18 del D.Lgs. 21 novem-
bre 2014, n. 175)9 e ciò malgrado fosse stata da più parti denunciata
l’opportunità di procedere quanto prima al superamento delle disposizioni
oggetto di commento10.

7
Sulla scorta di quanto previsto dal comma 4 del veduto art. 30, per le società e gli enti non
operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini IVA non è
ammessa a rimborso né può costituire oggetto di compensazione o di cessione. Qualora poi, per
tre periodi di imposta consecutivi, la società o l’ente non operativo non effettui operazioni
rilevanti ai fini IVA non inferiori all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di
cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a
debito relativa ai periodi di imposta successivi.
8
Come si vedrà di qui a poco, le società e gli enti non operativi sono obbligati ad utilizzare
le perdite sofferte nei precedenti periodi d’imposta solo in diminuzione della parte di reddito
eccedente quello minimo presunto (cfr. l’ultima parte, del comma 3, dell’art. 30).
9
Il comma 3, dell’art. 18, del D.Lgs. n. 175/2014 stabilisce che, in deroga all’art. 3, comma
1, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, la nuova disciplina si applica a decorrere dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del c.d. Decreto semplificazioni e cioè dal 2014;
sul carattere procedimentale di queste disposizioni e sulla possibilità di applicarle retroatti-
vamente, v. G. Ferranti, “Società in perdita sistematica: una disciplina in via di abolizione?”, in
il fisco, 2014, pag. 4621; A. Mastroberti, “Nuova disciplina delle perdite reiterate al nodo dei
rapporti con il pregresso”, in il fisco, 2014, pag. 4034 s., ed il documento del 30 gennaio 2015
della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Le società di comodo: attuale disciplina e
prospettive di riordino.
10
A favore del superamento della normativa in questione si sono espressi, tra gli altri, G.
Ferranti, “La revisione della disciplina delle società di comodo e dei beni in godimento ai soci”,
in il fisco, 2014, pag. 1911, e A. Mastroberti, Nuova disciplina delle perdite reiterate al nodo dei
rapporti con il pregresso, cit., pag. 4030. In direzione parzialmente diversa si è mossa la
Commissione finanze della Camera dei Deputati che, in occasione del parere reso il 7 agosto
2014, ha preso posizione rilevando che “risulta opportuno ridurre i soggetti coinvolti nell’ap-
plicazione delle procedure previste dalla disciplina sulle società in perdita sistemica di cui
all’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, del Decreto-legge n. 138 del 2011, in particolare

36 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Ebbene, alla chiarezza dell’equazione individuata dal legislatore del


D.L. n. 138/2011 (perdite reiterate = società non operativa) fanno da con-
traltare una serie di rilevanti interrogativi circa la coerenza di un’assunzione
che, come vedremo, poco o nulla ha a che fare con la ratio (già di suo
controversa) sottesa alla disciplina delle società non operative11.
In tale contesto, ad onor del vero, si innestano alcuni strumenti di difesa
offerti al contribuente e rappresentati dall’interpello probatorio di cui
all’art. 11 della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del
contribuente) nella versione modificata dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
156 e dalla richiesta di “disapplicazione” in sede di dichiarazione dei
redditi12.
Il contribuente, in entrambi i casi, ha facoltà di rilevare la sussistenza di
cause oggettive che hanno determinato il conseguimento di risultati eco-
nomici negativi per successivi periodi di imposta, così da dimostrare la
regolarità e la trasparenza della propria condotta fiscale13.
Ne consegue che il presupposto delle perdite sistematiche nell’ambito di
applicazione della disciplina, incoerente rispetto alla logica ed alla funzione
della normativa in esame, potrebbe così trovare un parziale correttivo.
In considerazione dell’importanza che la prova contraria assume in
questo assetto (connotato da predeterminazioni normative) si sarebbe

ampliando il periodo di osservazione previsto per l’applicazione della disciplina dagli attuali
tre a cinque periodi d’imposta”.
11
Per un’accurata rassegna delle diverse opinioni formatesi in dottrina circa la ratio della
disciplina introdotta nel 1994 e poi varie volte modificata, v. R. Miceli, Società di comodo, cit.,
pag. 952, e R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 189 ss., ove
puntuali riferimenti bibliografici.
12
Come evidenziato sempre nella Relazione illustrativa al Decreto, con il Titolo I, del
D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 156, nel rispetto delle linee guida essenziali individuate dalla Legge
delega, si è attuato un completo riordino della disciplina dell’interpello, specialmente sotto il
profilo procedurale, in funzione di una maggiore omogeneità delle regole applicabili alle varie
tipologie. Sono stati previsti termini perentori e una significativa riduzione dei tempi di
espletamento della procedura. Alla luce delle modifiche apportate dal suddetto Decreto
(Titolo I, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) allo Statuto del contribuente (art. 11, Legge
27 luglio 2000, n. 212), l’Amministrazione finanziaria può essere adita: per ottenere un parere in
merito all’applicazione o alla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie (c.d. inter-
pello “ordinario puro”), ovvero per la qualificazione delle fattispecie (c.d. interpello “qualifi-
catorio”) laddove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza (art. 11, comma 1, lett. a); al fine
di accertare “la sussistenza delle condizioni” nonché “la valutazione della idoneità” degli
elementi probatori richiesti dalla legge per avere accesso a determinati regimi fiscali (c.d.
interpello “probatorio”, art. 11, comma 1, lett. b); per verificare l’applicabilità della disciplina
sull’abuso del diritto ad una determinata fattispecie (interpello c.d. anti-abuso, art. 11, comma
1, lett. c); per richiedere la “disapplicazione di norme tributarie” di natura antielusiva (inter-
pello c.d. disapplicativo, art. 11, comma 2).
13
Per un approfondimento circa la funzione dell’interpello probatorio nella disciplina
delle società non operative si veda R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit.,
pag. 162 s.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 37


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

dovuta tuttavia introdurre una fase obbligatoria di difesa endoprocedimen-


tale e non rimessa alla sola condotta “attiva” del contribuente.
In definitiva, la risultante finale della disciplina, nonostante le chances
difensive offerte, rimane oggetto di profonda disapprovazione da parte della
dottrina, la quale ha peraltro da sempre evidenziato le incoerenze della
normativa tributaria delle perdite di periodo14.

2. Le limitazioni all’impiego delle perdite di periodo recate dall’art. 30 della


Legge n. 724/1994 - Prima di mettere a fuoco le questioni sollevate dall’e-
stensione dell’ambito di applicazione delle previsioni in materia di società
non operative ai soggetti che patiscono reiterate perdite di periodo, occorre
brevemente dire delle limitazioni all’utilizzo delle perdite pregresse cui
vanno incontro le società e gli enti che non superano il test di operatività.
Come si ricorderà, il comma 6, dell’art. 30, della Legge n. 724/1994
prevedeva, nella sua formulazione originaria, una rigida preclusione all’u-
tilizzo in compensazione verticale delle perdite in parola stabilendo, in
particolare, che “per le società non operative [...] è escluso il riporto a
nuovo delle perdite”.
A distanza di pochi mesi dall’entrata in vigore della citata disposizione, il
legislatore ha tuttavia avvertito la necessità di tornare sui suoi passi e,
cercando di temperare la rigidità dell’originario divieto, ha stabilito che,
in ipotesi di non operatività, “le perdite di esercizi precedenti possono essere
computate in diminuzione soltanto della parte di reddito eccedente quello
minimo di cui al primo periodo” (così il testo del comma 6 risultante dopo le
modifiche apportate dall’art. 27, comma 1, lett. d), del D.L. 23 febbraio 1995,
n. 41, convertito, con modificazioni, dalla Legge 22 marzo 1995, n. 85)15.
In buona sostanza, viene sterilizzato, limitatamente al reddito minimo,
il riporto verticale delle perdite pregresse lasciando aperte le porte ad
un’eventuale compensazione con riferimento alla sola parte di reddito
effettivo di periodo che eccede quello minimo16.

14
In tal senso, D. Stevanato, “Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni
occasione”, in Corr. Trib., 2011, pag. 3889; D. Stevanato, “Società senza utili, imposte senza
ricchezza: un caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi dir. trib., 2012, pag. 502; M. Beghin, “Gli
enti collettivi di ogni tipo ‘non operativi’”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova,
2014, pag. 722; M. Poggioli, “Gli interventi normativi sulla disciplina delle società non operative
tra esigenze di gettito e rispetto dei principi costituzionali”, in Riv. dir. trib., 2012, pag. 91; R.
Miceli, “Nuova disciplina fiscale delle società non operative”, in Treccani, Libro dell’anno 2013,
Roma, 2013, pag. 424.
15
Per un commento alle novità recate dal D.L. n. 41/1995 in materia di perdite e società
non operative, v. A. Monti - M. Nicodemo, “Le presunzioni di reddito ed i poteri di accertamento
dell’Amministrazione finanziaria”, in AA.VV., Le società di comodo. Regime fiscale e sciogli-
mento agevolato, in il fisco, n. 22/1995, pag. 67.
16
Per quel che concerne l’applicazione della limitazione de qua in presenza di società non
operative tassate per trasparenza v. la circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Affari giuridici e
contenzioso tributario n. 48/E/6-159 del 26 febbraio 1997, reperibile in il fisco, 1997, 2724, e la

38 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Quale la ratio di una simile previsione?


Ebbene, a giudizio di parte della dottrina, la preclusione in parola si
spiega considerando che vi è un’incompatibilità logica tra il riporto a nuovo
delle perdite e la forfetizzazione del reddito dovuta essenzialmente al fatto
che il primo vanificherebbe la seconda17. Altra parte della dottrina, invece,
ritiene che alla base della disposizione in discorso si pone semplicemente
l’esigenza di garantire che i soggetti “non operativi” assicurino “un livello
‘adeguato’ di imponibile e, conseguentemente, d’imposta”18.
Almeno due sono gli argomenti che militano a favore della tesi che pone
l’accento sulle esigenze di stabilizzazione del gettito.
In primo luogo, occorre considerare che la sterilizzazione del riporto in
avanti opera in via transitoria interessando esclusivamente il periodo d’im-
posta in cui si appalesa una condizione di non operatività: lo stock di perdite
riportabili resta, infatti, e non potrebbe essere diversamente, integro
potendo essere compensata nei successivi periodi d’imposta anche la por-
zione di queste rimasta inutilizzata a causa dell’operare della preclusione in
commento19.
Da questo punto di vista, la limitazione recata dal comma 3 del più volte
citato art. 30 sembra mostrare una ratio analoga a quella della restrizione
quantitativa all’utilizzo delle perdite recata dal comma 1, dell’art. 84 del
Testo Unico a mente del quale “la perdita di un periodo d’imposta [...] può
essere computata in diminuzione del reddito dei periodi d’imposta succes-
sivi in misura non superiore all’ottanta per cento del reddito imponibile di
ciascuno di essi e per l’intero importo che trova capienza in tale ammon-
tare”20: anche in questo caso, infatti, ci troviamo al cospetto di una misura

successiva circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 4 maggio 2007, reperibile in il fisco,
n. 2/2007, pag. 2661.
17
Si orientano in questo senso sia L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione
reddituale, cit., pag. 361 s., che A. Monti - M. Nicodemo, Le presunzioni di reddito ed i poteri di
accertamento dell’Amministrazione finanziaria, cit., pag. 67.
18
Il riferimento è alla posizione di M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddituale
sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 777, e di R. Miceli, Società di comodo e
statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 180; in argomento v. anche G. Petrillo, L’abuso dello
schermo societario nella disciplina fiscale delle società di comodo, cit., pag. 92 ss.
19
Sul punto v. la circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso
tributario n. 140/E/III-6-499 del 15 maggio 1995, reperibile in il fisco, 1995, pag. 5091, ove si
precisa, ancorché con riferimento alla vecchia formulazione dell’art. 84 del Testo Unico, che “le
perdite degli esercizi precedenti che la società non ha potuto portare in diminuzione dal reddito
complessivo potranno, ricorrendone i presupposti, essere utilizzate nei successivi periodi di
imposta rispettando il limite temporale dei cinque periodi di imposta successivi a quello in cui
si è determinata la perdita”; nello stesso senso e più di recente, v. la già citata circolare
dell’Agenzia delle entrate del 4 maggio 2007, n. 25/E.
20
Il richiamo al comma 1, dell’art. 84, del Testo Unico offre peraltro lo spunto per
ricordare che, a seguito dell’elisione del limite temporale al riporto in avanti intervenuta nel
2011, l’allungamento del periodo di assorbimento delle perdite pregresse indotto dalla pre-
clusione di cui al comma 3, dell’art. 30 non comporta più il rischio di perenzione, rischio cui era

Rassegna Tributaria 1/2021 - 39


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

che, come si evince anche dalla lettura della relazione di accompagnamento


al provvedimento di riforma, mira a garantire la stabilizzazione del
gettito21.
In secondo luogo ed in termini più generali, sembra doversi escludere
l’esistenza di un’incompatibilità logica tra l’impiego delle perdite pregresse e
la tassazione su basi forfetizzate ed una precisa conferma in questo senso
viene, ad esempio, dall’analisi delle disposizioni recate dall’ultimo comma
dell’art. 4 del Decreto ministeriale del 27 settembre 2007, n. 213, che, nel
regolare le modalità di esercizio dell’opzione per la tassazione su base
catastale delle società a responsabilità limitata e delle società cooperative
che rivestono la qualifica di “società agricole”, mantiene ferma
l’applicabilità dell’art. 84 del Testo Unico alle perdite formatesi in esercizi
anteriori a quello in cui ha effetto l’opzione22.
In buona sostanza, il sistema conosce modalità di compensazione delle
perdite pregresse con redditi soggetti a tassazione su base convenzionale e
quindi, e salvo che alla preclusione di cui al comma 3, della Legge n. 724/
1994 non voglia ascriversi carattere para-sanzionatorio, sembra potersi
escludere l’esistenza di una incompatibilità concettuale tra il riporto delle
perdite pregresse e la tassazione del reddito minimo.

3. L’inafferrabile ratio sottesa alle previsioni recate dal D.L. n. 138/2011 - E


veniamo così ad occuparci più da vicino delle novità introdotte nell’estate
del 2011.
Come si accennava, la reiterata sofferenza di perdite di periodo diventa
presupposto applicativo della disciplina delle società non operative e si fissa
in cinque periodi d’imposta l’orizzonte temporale cui occorre guardare per
stabilire se lo sviluppo reddituale sia tale da comportare l’applicazione delle
previsioni di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994.
Ne deriva, quale diretta ed immediata conseguenza, che anche società
dotate di una struttura patrimoniale complessa e capaci di produrre

esposto, in vigenza dell’ormai superato limite quinquennale al riporto in avanti, il soggetto


non operativo.
21
Si legge, in particolare, nella relazione di accompagnamento al D.L. n. 98/2011 che “la
nuova formulazione dell’art. 84 garantisce un effetto di stabilizzazione del gettito che, fin
dall’anno successivo a quello/i in perdita, verrebbe garantito in misura percentuale anche in
presenza di perdite riportate a nuovo”. Nello stesso senso v. i documenti interpretativi predi-
sposti dall’IRDCEC (circolare n. 24/IR/2011, § 1), dall’Agenzia delle entrate (circolare n. 53/E
del 1° ottobre 2011, § 1.2, reperibile in Boll. trib., 2010, pag. 1545 ss.) e da Assonime (circolare n.
33/2011, § l) e, in dottrina, P.L. Cardella, La perdita di periodo nel sistema di imposizione sul
reddito, Torino, 2012, pag. 108; M. Di Siena, “Note sparse a margine del rinnovato regime di
riporto delle perdite fiscali da parte dei soggetti IRES”, in Riv. trim. dir. trib., 2012, pag. 638, e G.
Ferranti, “La disciplina del riporto delle perdite si adegua alla crisi economica”, in Corr. Trib.,
2011, pag. 2480.
22
In argomento v. anche i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle entrate nella già citata
circolare del 1° ottobre 2010, n. 53/E.

40 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

ingentissimi volumi di ricavi possono essere considerate non operative e ciò


sol perché soffrono, nell’intervallo di tempo considerato, reiterati risultati
reddituali negativi.
Nulla si specifica in ordine alla dimensione quantitativa della perdita di
periodo e nessuna circostanza “esimente” risulta essere prevista sicché
determina l’assunzione dello status di soggetto non operativo anche la
sofferenza reiterata di una modestissima perdita fiscale cui magari fa da
contraltare un parimenti reiterato utile d’esercizio.
Già questa constatazione offre una prima indicazione circa il pressapo-
chismo con cui è stata approntata, nell’estate del 2011, la normativa oggetto
di commento e tale impressione si consolida considerando la particolare
fase storica in cui la stessa ha visto la luce: come si accennava in premessa, il
D.L. n. 138/2011 è stato varato al culmine di una violentissima crisi econo-
mica e finanziaria. E non bisogna essere ferrati economisti per compren-
dere come, in un contesto di acuta e prolungata recessione economica, si
contraggono i fatturati; si riducono i margini di redditività; aumentano le
insolvenze e, quale ovvia conseguenza, si moltiplicano i casi in cui la base
imponibile, ben lungi dal palesare un segno positivo, risulta essere caratte-
rizzata da un eccesso di elementi reddituali negativi rispetto a quelli
positivi23.
E peraltro il riferimento “storico” non è privo di rilievo ricostruttivo.
Qualche giorno prima del varo del D.L. n. 138/2011, il legislatore,
mettendo mano alla disciplina del riporto in avanti delle perdite sofferte
dalle società di capitale e dagli enti commerciali residenti, aveva mostrato
ben altro approccio alla delicata tematica della rilevanza dei risultati reddi-
tuali di segno negativo24: si legge, in particolare nella relazione illustrativa al
D.L. n. 98/2011, che l’elisione del vincolo quinquennale si spiega dovendosi
garantire un sostegno “alle imprese che, uscendo da una crisi economico/
finanziaria senza precedenti, si trovino ad avere ingenti volumi di perdite
pregresse che potrebbero non essere utilizzabili nell’arco di un
quinquennio”.
Che la riscrittura del comma 1, dell’art. 84, del Testo Unico sia coerente
con questa premessa è poi tutto da dimostrare, ma è fuor di dubbio che
l’approccio adottato dal legislatore in occasione dell’elisione dello storico
limite quinquennale sia ben diverso da quello fatto proprio nell’ampliare,
dopo poche settimane, l’ambito di applicazione della disciplina delle società

23
Scorrendo le rassegne di giurisprudenza ci si può imbattere in sentenze che, in modo
intelligente, declinano, contestualizzandolo, il rapporto tra la disciplina delle società non
operative e l’andamento del ciclo economico: in Comm. trib. reg. Friuli Venezia Giulia, Sez.
I, 30 maggio 2012, n. 54, si legge ad esempio che non deve essere applicata la disciplina di cui
all’art. 30 della Legge n. 724/1994 quando una società, “non per cause dalla stessa dipendenti e
meno che mai per proprie ‘soggettive scelte imprenditoriali’ - ha veduto venire meno la
‘fruttuosità’ dei propri investimenti in beni immobili e mobili”.
24
La contraddizione è colta anche dalla circolare dell’IRDCEC n. 24/IR/2011.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 41


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

non operative: ed invero, nel primo caso ci si limita a prendere atto di quello
che è un portato della congiuntura negativa adottando una prospettiva,
tutto sommato, neutra; nel secondo, non solo si ignora il dato congiunturale,
ma addirittura si “colpisce”, indirettamente punendola, la mancata produ-
zione di reddito25.
E si arriva così al cuore del problema. Qual è il nesso logico che giustifica
l’applicazione della disciplina delle società non operative a soggetti che
soffrono reiterate perdite?
La produzione di perdite reiterate è indice di impiego abnorme della
struttura societaria? O, ancora, esiste una chiara ed incontrovertibile cor-
relazione tra la mancata produzione di redditi imponibili ed il sostenimento
di costi da parte della società nell’interesse dei soci?
Le risposte sembrano ovvie, ma da qui bisogna partire per cercare di
comprendere quelle che sono le reali motivazioni sottese all’intervento
dell’estate del 2011.
Ed invero, posto che la mancanza di redditività non è affatto indice di
“abuso” nell’impiego della forma societaria e precisato, altresì, che il soste-
nimento di costi nell’interesse dei soci può ben essere presente in società che
dichiarano redditi imponibili anche di rilevante importo, risulta abbastanza
chiaro che, accanto a ragioni di compiacimento della pubblica opinione26,
ciò che può aver motivato l’agire del legislatore è la percezione di una
qualche “pericolosità fiscale” nel dichiarare perdite in modo reiterato.
In buona sostanza, il protrarsi di tale stato di cose può essere sintoma-
tico della mancata indicazione di componenti positivi di reddito ovvero, il
che è lo stesso sul piano della produzione dell’effetto, della indicazione di
costi per operazioni inesistenti ovvero, ancora, di costi non inerenti, perché
magari sostenuti nell’interesse dei soci.
Ora, a parte i dubbi legati all’individuazione del periodo di osservazione
(non sfugge che, sul piano della valenza segnaletica, risulta assai difficile
stabilire se sia adeguato il riferimento ad un solo quinquennio ovvero se, in
alternativa, sia necessario il rifermento ad un periodo più lungo), ciò che

25
Sul punto v. anche la già citata circolare Assonime n. 17/2013 ove, tra l’altro, si
manifestano perplessità nei confronti della scelta operata dal legislatore “e ciò soprattutto
nell’attuale fase di crisi economica finanziaria, nella quale i risultati negativi delle imprese
dipendono sempre più spesso, non tanto dall’utilizzo strumentale dello schermo societario,
bensì dall’impossibilità reale di conseguire il quantum di proventi richiesti dal legislatore”; la
totale assenza di attenzione per il contesto economico di riferimento è stigmatizzata anche da
D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni occasione, cit., pag. 3893.
26
Assai efficaci sono le parole di D. Stevanato, Società senza utili, imposte senza ricchezza:
un caso di “darwinismo fiscale”?, cit., pag. 504, il quale, riflettendo sul punto, osserva che “il
legislatore sembra aver del tutto perso la bussola, inseguendo le sirene mediatiche dell’opi-
nione pubblica, della lotta all’evasione diventata imperativo patriottico [….] del refrain rilan-
ciato di continuo dai media secondo cui il cinquanta percento delle società di capitali
dichiarano redditi negativi o pari a zero”.

42 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

lascia perplessi è l’equivoco sul piano dell’individuazione della risposta del


sistema.
Non sembra, infatti, avere molto senso ricorrere all’introduzione di una
presunzione di redditività, peraltro in palese contraddizione con il presup-
posto applicativo individuato dal legislatore (vale a dire: sofferenza reiterata
di perdite), quando il fenomeno denunciato potrebbe o, meglio, dovrebbe
essere contrastato attraverso il ricorso ad un’analisi accurata delle situa-
zioni di rischio da sottoporre a controllo27.
Ed è a questo punto che affiora un ulteriore profilo di asistematicità
nella tessitura dell’ordito normativo.
Come si ricorderà, al monitoraggio delle imprese in perdita “sistemica”,
già si riferisce l’art. 24 del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con
modificazioni, dalla Legge 30 luglio 2010, n. 122 (rubricato: Contrasto al
fenomeno delle imprese in perdita “sistemica”)28, disposizione che eleva al
rango di “fenomeno”, evidentemente disdicevole e - in quanto tale - da
contrastare con vigore, quella particolare condizione in cui vengono a
trovarsi le imprese allorquando patiscono, per più di un periodo d’imposta,
perdite di periodo29.
Si prevede, in particolare, che in sede di programmazione dei controlli
debba essere assicurata “una vigilanza sistematica, basata su specifiche
analisi di rischio, sulle imprese che presentano dichiarazioni in perdita
fiscale, non determinata da compensi erogati ad amministratori e soci, per
più di un periodo d’imposta e non abbiano deliberato e interamente liberato

27
In questa prospettiva sono assolutamente condivisibili le considerazioni di M. Beghin,
Diritto tributario, cit., pag. 628, il quale non manca di rilevare che “la reiterazione di perdite
fiscali può generare il sospetto di evasione da parte del soggetto che quelle perdite abbia
dichiarato. È dunque perfettamente logico e coerente che su tali situazioni s’innesti una seria
programmazione, funzionale al controllo della reale consistenza di quei risultati negativi. Ben
diversa è, invece, la scelta compiuta dal nostro legislatore, il quale, attraverso l’attribuzione
della qualifica di soggetto ‘non operativo’, impone la dichiarazione di materia imponibile che
potrebbe essere priva del ben che minimo punto di contatto con la realtà”; sulla stessa
lunghezza d’onda v. anche D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per
ogni occasione, cit., pag. 3893, e la circolare Assonime n. 17/2013.
28
Per un commento alla disciplina in parola, e senza pretesa di esaustività, v. P. Anello - R.
Salvati, “Indagini ‘ad hoc’ per imprese “apri e chiudi” ed in perdita sistemica”, in il fisco, 2010,
pag. 2671 ss.; P.L. Cardella, “Prime considerazioni sulla novella relative alle perdite ‘sistemi-
che’”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 125 ss.; R. Marcello - F.G. Poggiani, “Le imprese in perdita
‘sistemica’”, in il fisco, n. 1/2010, pag. 6133 ss.; L. Miele, “Rettifica dei periodi d’imposta in
perdita fiscale”, in Corr. Trib., 2010, pag. 2069 ss.; A. Lovisolo, “L’attività accertativa mirata
all’‘apri e chiudi societario’ e al ‘mordi e fuggi reddituale’ (artt. 23 e 24 Legge n. 122/2010), in AA.
VV., La concentrazione della riscossione nell’accertamento, a cura di C. Glendi - V. Uckmar,
Padova, 2011, pag. 321 ss., e P. Meneghetti, “Sotto controllo le imprese “apri e chiudi” e i
soggetti in costante perdita fiscale”, in Guida alle novità fiscali, agosto 2010, pag. 14 ss.
29
Val la pena di ricordare che la disposizione in commento fa il paio con quella recata
dall’art. 23 del D.L. n. 78/2010 che individua una specifica ed ulteriore situazione di rischio
“evasione” nelle imprese che cessano l’attività entro un anno dall’inizio della stessa.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 43


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo
almeno pari alle perdite fiscali stesse”.
La sofferenza, e la conseguente esposizione in dichiarazione, di reiterati
risultati fiscali negativi diviene, dunque, fattore d’innesco dell’attività di
controllo e ciò nella convinzione, chiaramente esplicitata nella relazione
illustrativa al D.L. n. 78/2010, che dietro le perdite possa celarsi “un rischio
di evasione complessiva particolarmente elevato”.
Evidenti sono le differenze sul piano del perimetro applicativo tra le
due previsioni considerate: ed invero, in tema di società non operative si fa
riferimento ad un periodo quinquennale, mentre l’art. 24 del D.L. n. 78/
2010 stima sufficiente che dalle dichiarazioni emerga una “perdita fiscale”
per più di un periodo d’imposta; ancora, mentre l’art. 2, comma 36-decies,
del D.L. n. 138/2011 richiama sic et simpliciter la presentazione di dichia-
razioni “in perdita fiscale”, la norma varata nel 2010 non si applica al
ricorrere di una delle due “esimenti” previste dal comma 1, del citato
art. 24.
Fermo ciò, risulta chiaro che il fenomeno su cui si innestano le due
previsioni legislative è lo stesso ossia la sofferenza reiterata di perdite di
periodo. Ed altrettanto chiaro è il fantasma che, in entrambi i casi, si
agita sullo sfondo: il pensiero corre agli insidiosissimi approdi giuri-
sprudenziali in tema di antieconomicità30 che, com’è noto, inducono la
Suprema Corte a bollare come irragionevole il comportamento econo-
mico dell’imprenditore che soffre perdite per più anni non essendo, si
sostiene, “conforme a logica ed esperienza impostare o proseguire
l’attività secondo criteri (o malgrado risultati) poco vantaggiosi o addi-
rittura dannosi”31.
Ciò detto, un conto è pianificare una mirata attività di controllo muo-
vendo da uno specifico fattore di rischio, altro è postulare una redditività
minima in ipotesi di perdite reiterate. Ed invero, seguendo questo secondo
itinerario, si trasforma quello che è un semplice “fattore di rischio” in un
presupposto impositivo assolutamente impalpabile con tutto quel che ne

30
Cfr., tra le tante, Cass., Sez. trib., sent. 9 giugno 2017, n. 14370; Id., sent. 4 marzo 2015, n.
4312; Id., sent. 6 dicembre 2011, n. 26167; Id., sent. 2 ottobre 2008, n. 24436, e Id., sent. 15
ottobre 2007, n. 21536.
31
Una conferma nel senso indicato nel testo viene dalla lettura della relazione illustrativa
al D.L. n. 78/2010 ove, tra l’altro, si legge che “le perdite reiterate contraddicono ogni logica
imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non
giustifica la sopravvivenza dell’impresa”; sullo specifico punto v. anche la già citata circolare
dell’IRDCEC n. 24/IR del 2011. Nello stesso senso ed in chiave critica, v. la condivisibile
opinione di D. Stevanato, Società senza utili, imposte senza ricchezza: un caso di “darwinismo
fiscale”?, cit., pag. 504, a giudizio del quale, “dietro all’estensione alle società in perdita della
normativa sulle ‘società di comodo’, non può esservi un giudizio di non operatività, quanto
un’insana estensione dell’abusato concetto di ‘antieconomicità’, riferito stavolta non già a
singole operazioni di acquisto, di vendita, ecc., bensì all’intera attività sociale, considerata
nel suo complesso”.

44 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

consegue sul piano della conformità ai precetti costituzionali di cui agli artt.
3 e 53 Cost.32

4. Le cause di disapplicazione: profili generali - Come anticipato nelle pre-


messe del presente scritto, la coerenza complessiva delle scelte compiute nei
quasi dieci anni che ci separano dal varo del D.L. n. 138/2011 deve essere
apprezzata (anche) considerando le cause di disapplicazione e le novità
recate, in punto di interpello probatorio ed obblighi di monitoraggio in
dichiarazione, dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, in grado di attenuare le
distorsioni sin qui evidenziate.
L’apparato normativo in esame, infatti, prevede fattispecie in cui la
disciplina delle società di comodo non si applica, in ragione di molteplici
giustificazioni, direttamente connesse alle ragioni di fondo della disciplina
stessa33.
Invero, si tratta di fattispecie eterogenee che rispondono ad una ratio
unitaria: quella di escludere dall’ambito di applicazione della disciplina
(delle società non operative) organismi che potrebbero solo apparente-
mente sembrare estranei ad una logica commerciale ma che, sul piano
materiale, si trovano per cause oggettive ed indipendenti in condizioni di
non poter espletare una la propria ordinaria attività economica.
Come noto, l’apparato normativo delle cause di disapplicazione si arti-
cola in tre livelli: le esclusioni previste dalla legge, le esclusioni stabilite dai
Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle entrate, la causa generale di

32
Un’interessante declinazione del rapporto tra il principio della capacità contributiva e
l’applicazione della disciplina delle società non operative in presenza di perdite di periodo può
essere letta in una pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Cagliari ove, in
particolare, si precisa che il meccanismo previsto dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 “si rivela
incompatibile in relazione a società che, nell’operare sul mercato, abbiano subito gravi perdite
economiche pur a fronte di investimenti altrettanto rilevanti, i quali si siano tradotti in gravi
perdite economiche per i soci che ne hanno sopportato il peso. Difatti un meccanismo
normativo che intende evitare ‘indebiti arricchimenti’ dei soci ai danni del Fisco non è
ragionevolmente applicabile a situazioni in cui gli stessi soci hanno subito ingenti perdite
economiche, per definizione incompatibili con una ‘ricostruzione virtuale in aumento’ dei
ricavi societari, che il legislatore ha concepito solo per le vere e proprie ‘società di comodo’, nelle
quali i soci poco o nulla hanno investito, utilizzandole come strumenti per conseguire vantaggi
fiscali non dovuti. Diversamente ragionando si finirebbe per ‘punire’ fiscalmente condotte
‘meramente colpose sul piano imprenditoriale’, assoggettando a un regime tributario gravo-
sissimo situazioni non espressive di capacità contributiva, in evidente contrasto con l’art. 53
della Costituzione” (così testualmente, Comm. trib. prov. Cagliari, Sez. VI, sent. 30 maggio
2014, n. 757).
33
Cfr., in questi termini, M. Nussi, “La disciplina impositiva delle società di comodo tra
esigenze di disincentivazione e rimedi incoerenti”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2010, pag. 494, il quale
evidenzia come le cause di disapplicazione dovrebbero essere qualificabili come esclusioni,
connotate da una unitarietà logica volta a concorrere a delineare la giustificazione della
disciplina.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 45


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

esclusione prevista dall’art. 30, comma 4-bis (Legge 23 dicembre 1994,


n. 724).
In tale assetto al ricorrere delle cause di esclusione previste dalla legge
ovvero da quelle stabilite dai Provvedimenti del Direttore dell’Agenzia delle
entrate, la disciplina delle società di comodo (o in perdita sistematica) non
può essere in alcun modo applicata al contribuente.
La non applicazione, in tale circostanza, è pertanto automatica e non
soggiace ad alcun iter amministrativo, discendendo da circostanze in forza
delle quali l’impresa si trova evidentemente in condizioni di non normale
svolgimento dell’attività economica ovvero ricorrono elementi che esclu-
dono una finalità di mero godimento dei beni. Le cause in esame sono
tassative e specifiche34.
La causa generale di esclusione è invece sostanzialmente rimessa alla
volontà del contribuente di avvalersene; quest’ultimo può evidenziarne
l’esistenza in dichiarazione o, in alternativa, ha facoltà di presentare un’i-
stanza di interpello probatorio, come si vedrà nel prosieguo della tratta-
zione, corredata dagli elementi a sostegno della legittimità della propria
condotta fiscale.
Su questo scenario normativo si innestano le cause di esclusione appli-
cabili alle società di comodo che realizzano il presupposto delle perdite
sistematiche, le quali necessitano di una specifica attenzione in ragione
della particolare stratificazione normativa e delle interpretazioni ammini-
strative che sono state rese sul punto.

4.1. (segue) Le cause di disapplicazione per le società in perdita sistematica -


Con specifico riferimento alle società in perdita sistematica, in ragione della
natura del tutto peculiare di questo presupposto, si registrano molteplici
interventi sia normativi che amministrativi volti alla individuazione di
adeguate cause di disapplicazione35.
In primo luogo, le cause di esclusione previste dall’art. 30, comma 1
(Legge 23 dicembre 1994, n. 724) sono riferibili anche alle società di comodo
che realizzano il presupposto delle perdite sistematiche, ai sensi di quanto

34
Per un approfondimento in ordine alle cause di esclusione automatiche si veda R.
Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 137 s. Tra di queste rientrano:
società tenute per legge a costituirsi in forma di società di capitali; società che si trovano nel
primo periodo d’imposta; società in amministrazione straordinaria; società quotate, control-
late (anche indirettamente) da quotate o controllanti di quotate; società esercenti pubblici
servizi di trasporto; società con numero di soci almeno pari a 50; società con numero di
dipendenti mai inferiore a 10 nel triennio di riferimento; società in fallimento, liquidazione
giudiziaria, liquidazione coatta amministrativa e concordato preventivo; società con valore
della produzione superiore all’attivo patrimoniale; società partecipate da enti pubblici almeno
per il 20%; società congrue e coerenti in base agli studi di settore.
35
Per un approfondimento sul punto v. R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale
dell’impresa, cit., pag. 153 ss., e la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 23/E dell’11 giugno 2012,
reperibile in Boll. trib., 2012, pag. 928.

46 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

espressamente sancito dall’art. 2, comma 36-decies, secondo periodo del


D.L. 13 agosto 2011, n. 13836.
In virtù del richiamo normativo espresso all’interno della disciplina
specifica, alle società in perdita risulta applicabile anche la causa di esclu-
sione relativa alle start up innovative e alle PMI innovative37.
Le cause di non applicazione previste in via amministrativa sono invece
stabilite dal Provvedimento 11 giguno 2012, n. 87956 del Direttore
dell’Agenzia delle entrate.
Con il suddetto Provvedimento sono state riconfermate (ovvero adattate
alle fattispecie delle società in perdita sistematica) tutte le cause previste in
via amministrativa per le società che non superano il test di operatività, con
l’unica eccezione di quella relativa alle società che dispongono di immobi-
lizzazioni costituite da immobili concessi in locazione ad enti pubblici
ovvero locati a canoni vincolati, e sono state richiamate anche due fatti-
specie previste dalla legge (art. 30, comma 1, Legge 23 dicembre 1994, n.
724) al fine di non creare dubbi interpretativi in sede di applicazione della
disciplina38.
Nella stessa sede sono state altresì introdotte due nuove cause relative
soltanto alle società in perdita sistematica. Si tratta, in particolare, della
nuova lett. f) applicabile alle società che conseguono un margine operativo
lordo positivo e della lett. h) applicabile alle società per le quali risulta
positiva la somma algebrica della perdita fiscale di periodo e degli importi
che non concorrono a formare il reddito imponibile per effetto di proventi
esenti, esclusi o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta o ad imposta
sostitutiva, ovvero di disposizioni agevolative.
A parere di chi scrive, con l’unica eccezione rappresentata dalle due
ultime cause di disapplicazione, le ipotesi di disapplicazione sono espres-
sione di una casistica meramente iterativa di quella già individuata dal

36
In relazione a tale rinvio, seppure potrebbe apparire complesso adeguare le suddette
cause (valutate per società che non superano il test di operatività) alle società in perdita
sistematica (in ragione delle differenti situazioni che connotano le due fattispecie), la previ-
sione normativa inequivocabile non lascia dubbi in merito alla necessaria applicazione delle
medesime cause alle società in perdita.
37
In particolare, l’art. 26, comma 4, della Legge 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che “alle
start-up innovative di cui all’art. 25, comma 2, non si applica la disciplina prevista per le società
di cui all’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, e all’art. 2, commi da 36-decies a 36-
duodecies del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla Legge
14 settembre 2011, n. 148”. Il suddetto art. 26 è riferibile anche alle PMI innovative, in virtù del
rinvio di cui all’art. 4, comma 9, della Legge 29 aprile 2015, n. 33.
38
Si tratta, per l’appunto, delle cause relative: alle società che risultano congrue e coerenti
rispetto agli studi di settore (lett. l) ed alle società che si trovano nel primo periodo d’imposta (
lett. m). Da tale richiamo si determina una sorta di qualificazione delle medesime in termini di
cause di esclusione previste in sede amministrativa, alla quale segue l’utilizzazione degli
specifici criteri definiti per l’applicazione di queste ultime. Si realizza, quale risultato, la
possibilità di utilizzare tali cause che, altrimenti, sarebbero state inapplicabili.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 47


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

Provvedimento direttoriale del 14 febbraio 2008, prot. n. 23681, che oblitera


del tutto dinamiche gestionali molto comuni nella pratica operativa, dina-
miche che risentono, come è logico, della costante evoluzione (o, volendo
purtroppo considerare il trend registratosi negli ultimi anni, involuzione)
dei cicli economici.
Tali cause di disapplicazione, che appaiono legittimamente e logica-
mente applicabili alle società di mero godimento, risultano invece inade-
guate a fotografare le problematiche operative che potrebbero condurre
un’impresa a conseguire, per più periodi d’imposta, risultati economici
negativi.
Si registrano, infatti, intere filiere produttive che, magari a causa della
vorticosa ridefinizione dei modelli distributivi (si pensi, solo per citare un
esempio, alla crescita esponenziale del commercio elettronico) ovvero per
effetto dei mutamenti strutturali che interessano l’organizzazione dei cicli
produttivi con fenomeni di delocalizzazione sempre più accentuati, ope-
rano in condizione di persistente squilibrio economico, condizione che può
talvolta essere giustificata in ragione del carattere strategico di alcune
produzioni ovvero dal tentativo di mantenere accettabili livelli occupazio-
nali ovvero ancora dall’appartenenza del soggetto che opera in condizione di
squilibrio economico a gruppi societari.
Chi scrive ammette che la tipizzazione di queste circostanze è impresa
ardua e ciò soprattutto se si considera l’abnorme grado di parcellizzazione
che caratterizza il nostro tessuto produttivo.
Tuttavia, la scelta di limitare la disapplicazione automatica alla sola
casistica individuata per le società di comodo nel 2008 significa tradire lo
spirito del combinato disposto del comma 4-ter, dell’art. 30, della Legge n.
724/1994 e dell’art. 2, comma 36-decies, del D.L. n. 138/2011, che, nel
meritorio tentativo di evitare applicazioni a strascico della normativa in
materia di società in perdita sistematica, rimette al Direttore dell’Agenzia
delle entrate il compito di selezionare determinate situazioni oggettive
indicative della carenza di “pericolosità” nella sofferenza reiterata di perdite
di periodo.

5. La clausola generale di esclusione per le società in perdita sistematica - Il


contribuente, nei cui confronti non ricorrano le cause di esclusione dinanzi
illustrate ma che ritenga comunque di non essere destinatario della disci-
plina delle società in perdita sistematica, ha, da ultimo, la possibilità di
avvalersi della clausola generale di esclusione di cui al comma 4-bis, art. 30,
Legge 23 dicembre 1994, n. 724, contraddistinta dai caratteri di generalità e
di residualità39.

39
Cfr., in tale direzione, M. Nussi, La disciplina impositiva delle società di comodo tra
esigenze di disincentivazione e rimedi incoerenti, cit., pag. 496, il quale evidenzia che anche la
causa di disapplicazione di cui all’art. 30, comma 4-bis, va sistematicamente interpretata

48 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Invero, tale causa risulta sia generale, in quanto vi rientrano molteplici


ipotesi non formalizzate e non tipizzate, che residuale, in quanto si applica
laddove il contribuente non possa ricorrere ad alcuna diversa causa di
esclusione individuata dalla legge o dal Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate.
La logica sottesa alla disposizione in esame è, evidentemente, quella di
porre il contribuente nella condizione di fornire una prova adeguata circa le
circostanze oggettive che rendono impossibile il raggiungimento di livelli
minimi di redditività economica, fornendo, nella specifica prospettiva che
qui interessa, gli elementi probatori idonei a dimostrare le ragioni che
rendono fisiologica, e non patologica, una perdita reiterata così da escludere
dinamiche gestionali anomale40.
Tale prova può essere presentata in sede di interpello probatorio ovvero,
come accade di frequente, mediante indicazione delle cause oggettive di
disapplicazione nella dichiarazione dei redditi41.
Il procedimento di interpello probatorio ex art. 11, comma 1, lett. b) della
Legge 27 luglio 2000, n. 212 definisce, in questo modo, la principale difesa
endo-procedimentale, basata sulla facoltatività dell’interpello e sulla auto-
determinazione da parte del contribuente della modalità e dei tempi in cui
intende rendere la prova contraria (dimostrando le oggettive situazioni).
Il D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 - dando attuazione all’art. 6, comma 6,
della Legge delega 11 marzo 2014, n. 23 - ha infatti operato un radicale

all’interno del campo applicativo della disciplina. La sussistenza di una effettiva attività
imprenditoriale, non di mero godimento, consente di per sé la disapplicazione del regime
penalizzante. Il contribuente deve quindi indicare situazioni di fatto che permettano di
qualificare l’attività all’interno della commercialità.
40
Sullo specifico punto D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per
ogni occasione, cit., pag. 3894, sottolinea, muovendo però da una precisa opinione circa la ratio
della norma di riferimento, che una prima linea di azione potrebbe essere costituita dalla
dimostrazione “che gli intenti elusivi contrastati dalla norma (l’intestazione societaria ‘di
comodo’ di cespiti patrimoniali per trarne un passive income) non si sono verificati, dato il
conseguimento di ricavi superiori al minimo. In secondo luogo, potrebbe essere dimostrata
l’assenza di anomalia nella produzione delle perdite, ovvero le circostanze che le hanno
prodotte, quali un andamento sfavorevole del mercato di vendita, un imprevisto aumento
dei costi, ed ogni altra situazione che renda evidente l’assenza di patologie nella conduzione
dell’attività imprenditoriale e di volontari assetti ‘antieconomici”.
41
A tal proposito, nell’analisi compiuta sulle circolari sull’argomento, si evince che, al fine
di ottenere la disapplicazione, risulta essenziale dimostrare che l’incapacità di produrre ricavi
non è dipesa dalla volontà del contribuente ma da eventi o circostanze, anche successive nel
tempo, che hanno determinato la suddetta condizione. Le circolari che hanno affrontato il
tema del contenuto delle oggettive situazioni sono: circolare 2 febbraio 2007, n. 5/E; circolare 9
luglio 2007, n. 44/E; circolare 26 febbraio 1997, n. 48/E. Sul punto si sottolinea che nella
Relazione ministeriale di accompagnamento all’art. 27, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41,
convertito con modificazioni nella Legge 22 marzo 1995, n. 85 (relativo alla prima versione
della norma sulle società di comodo), si stabiliva che “la prova contraria deve essere sostenuta
da una situazione oggettiva ed essa non è determinabile dalla volontà dell’imprenditore,
neppure attraverso la contabilità di supporto”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 49


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

riordino della disciplina dell’interpello, innovando l’art. 11 della Legge 27


luglio 2000, n. 212 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente).
In questo modo l’istituto generale dell’interpello è stato sottoposto ad
una importante rivisitazione, finalizzata a rendere la relativa disciplina
organica, razionale e sistematica, favorendo il dialogo tra
l’Amministrazione e il contribuente in un momento prodromico rispetto
al procedimento di accertamento42.
Nell’ambito di tale programma, come noto, sono stati differenziati
quattro tipi di interpello, tutti declinazione dell’istituto generale ma diversi
in relazione ai presupposti ed a qualche elemento della disciplina; si tratta,
in specie, dell’interpello ordinario (puro o qualificatorio), di quello proba-
torio, di quello antiabuso, di quello disapplicativo.
La nuova disciplina - emergente dai predetti interventi normativi - è
stata recepita nell’art. 11 dello Statuto dei diritti del contribuente, testo
normativo che, per antonomasia, è destinato a contenere i principi generali
della materia tributaria destinati a perdurare nel tempo. Tale disciplina è
stata interpretata da alcuni importanti atti amministrativi43.
A norma dell’art. 7, comma 12, lett. a) del D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
156 (che ha riformato la disciplina degli interpelli), per quel che concerne le
società non operative, è stata prevista la disposizione modificativa dell’ori-
ginario riferimento normativo in tema di interpello, in forza della quale si è
stabilita la possibilità di adire l’Amministrazione finanziaria mediante
interpello probatorio di cui all’art. 11, comma 1, lett. b), dello Statuto in
presenza della condizione relativa alle oggettive situazioni di cui all’art. 30,
comma 4-bis.
Si è, quindi, proceduto, per la disciplina in esame, a modificare la
precedente impostazione, sostituendo l’interpello disapplicativo con quello

42
Secondo quanto affermato nella Relazione illustrativa, con il Titolo I, del D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 156, dando attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 6, comma 6, della
Legge 11 marzo 2014, n. 23 (“Delega per la realizzazione di un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita”), il legislatore si è posto l’obiettivo di razionalizzare,
potenziare e modernizzare l’istituto dell’interpello. Quest’ultimo - da strumento di contatto
“episodico, occasionale e limitato alle fattispecie per le quali era espressamente contemplato” -
è destinato ad assumere nell’ambito del rapporto fiscale tra Amministrazione e contribuente il
ruolo di “strumento di portata generale di dialogo in una sede diversa e prodromica rispetto a
quella tradizionale di incontro col contribuente, ossia il procedimento di accertamento”.
43
La disciplina in materia di interpello è, quindi, oggi contenuta nell’art. 11, dello Statuto
dei diritti del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212) e nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156
(rubricato “Revisione della disciplina degli interpelli, in attuazione delle indicazioni di princi-
pio contenute nella Legge delega”). Sul punto, poi, sono intervenuti, a livello interpretativo, il
Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 4 gennaio 2016, n. 27 (che ha definito le
regole procedurali per le istanze di interpello presentate in base alla nuova disciplina) e la
circolare 1° aprile 2016, n. 9/E (che reca, invece, il “commento alle novità del Decreto legislativo
24 settembre 2015, n. 156, recante revisione della disciplina degli interpelli”).

50 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

probatorio, con importanti conseguenze per la difesa delle società che


hanno conseguito perdite reiterate.

5.1. (segue) L’interpello probatorio. Disciplina ed effetti - L’interpello proba-


torio costituisce una peculiare ipotesi di procedimento, con la quale si intende
comprendere, attraverso un parere qualificato dell’Amministrazione
finanziaria, l’idoneità degli elementi probatori forniti dal contribuente a
dimostrare la natura non di comodo della società o - in altre parole - la
vitalità della società commerciale e l’assenza del mero godimento dei beni
patrimoniali.
Si tratta di un procedimento il cui avvio è facoltativo per il contribuente,
come per la maggior parte degli interpelli, ad eccezione di quello
disapplicativo44.
In conseguenza di ciò, il passaggio dall’interpello disapplicativo all’in-
terpello probatorio definisce un importante cambiamento per i contri-
buenti coinvolti nella disciplina delle società non operative45.
Si ammette la facoltatività dell’interpello, alleggerendo notevolmente il
carico di adempimenti in capo ai contribuenti, i quali non hanno più un
dovere di presentare l’istanza, ma una facoltà che possono decidere di
esercitare (o meno) ed in merito alla quale - conseguentemente - non
subiranno alcuna preclusione nel caso in cui addivengano alla conclusione
di non presentare l’istanza.
La legittimazione a presentare una istanza di interpello spetta a tutti i
contribuenti potenzialmente coinvolti nell’ambito di applicazione della
disciplina delle società di comodo46. L’istanza è presentata alla Direzione

44
In questo senso, uno degli obiettivi specifici della radicale revisione dell’istituto del-
l’interpello è stato quello di eliminare, per quanto possibile, le forme di interpello obbligatorio
per il contribuente, volendo stabilizzare l’istituto in termini di facoltatività della sua utilizza-
zione. In tale direzione solo l’interpello disapplicativo ha mantenuto un carattere obbligatorio,
al quale consegue l’obbligo di presentare l’istanza nei casi di utilizzo del procedimento in esame
e di segnalare, in questo modo, alla Amministrazione la presenza di una situazione di fatto in
cui si ritiene necessaria la disapplicazione di una specifica disposizione antielusiva. Su questi
aspetti, in particolare, si rinvia alla circolare 1° aprile 2014, n. 9/E, che rileva le diverse
motivazioni sottese a questa scelta e la differente disciplina rivolta agli interpelli facoltativi
(da un lato) ed obbligatori (dall’altro lato). Alla obbligatorietà dell’interpello disapplicativo
segue, quale conseguenza, l’irrogazione di sanzioni amministrative in capo al contribuente che,
pur avendo l’obbligo di presentare l’istanza, non lo abbia fatto. Anche in merito all’interpello
disapplicativo non esiste un obbligo giuridico di adeguarsi alla risposta espressa fornita
dall’Amministrazione finanziaria.
45
Cfr. circolare 1° aprile 2014, n. 9/E, ove si evidenzia che una della più importanti
caratteristiche della riforma attiene alla definizione degli interpelli probatori, rispetto a quelli
disapplicativi in senso stretto ovvero secondo la disciplina previgente. Molte ipotesi che prima
connotavano il perimetro dell’interpello disapplicativo, oggi sono transitate in quello proba-
torio, come dimostra la precedente indicazione nella circolare 14 giugno 2010, n. 32/E.
46
Cfr., sul punto, art. 2 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 e circolare 1° aprile 2016, n. 9/
E, par. 2.1.1.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 51


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

regionale competente sulla base del domicilio fiscale del contribuente e la


suddetta Direzione risulta essere il soggetto preposto a fornire la risposta47.
L’istanza ha poi un contenuto tipico; la legge stabilisce requisiti neces-
sari per la ammissibilità della domanda e requisiti che è possibile integrare
nel corso del procedimento48.
L’Amministrazione finanziaria ha un termine di 120 giorni per rispon-
dere all’istanza del contribuente; tale termine ha natura perentoria e nel
corso del medesimo il contribuente può anche effettuare una rinuncia
all’interpello49. Laddove l’Amministrazione non emetta un atto di accogli-
mento dell’istanza nel termine previsto il “silenzio equivale a condivisione”.
In altre parole, entro 120 giorni ogni contribuente sarà in possesso di una
risposta, consistente in un atto di accoglimento o di diniego espresso ovvero
in un accoglimento tacito (silenzio-assenso). Questa costituisce una delle
più importanti novità, introdotte dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, con
riferimento alla materia delle società di comodo.
Quanto agli effetti, la risposta dell’Amministrazione finanziaria all’i-
stanza di interpello costituisce un parere qualificato, che produce gli effetti
stabiliti dalla legge ossia non vincola il contribuente in ordine al proprio
contenuto ma vincola l’Amministrazione nell’esercizio della funzione impo-
sitiva o sanzionatoria, in merito alla quale ogni atto di contenuto difforme è
nullo50. Il vincolo suddetto nasce con “esclusivo riferimento alla questione
oggetto dell’istanza e limitatamente al richiedente”.
La risposta resa in sede di interpello, costituendo un parere, non è però
impugnabile in sede giurisdizionale. Questo divieto è affermato nell’art. 6,
comma 1, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156, ove con tale previsione si è
sancita in sede legislativa la posizione da sempre sostenuta sul tema
dall’Amministrazione finanziaria51.

47
Disposizioni specifiche in ordine alla competenza in tema di interpello ed alle modalità
di presentazione delle domande sono stabilite dal Provvedimento 1° aprile 2016, n. 27, par. 2.1.
48
I requisiti dell’istanza di interpello sono regolati dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 156. Su tali aspetti, circolare 1° aprile 2016, n. 9/E. Nel suddetto Decreto si
ammette che vi sono elementi necessari (la cui assenza è causa di inammissibilità dell’istanza)
ed altri elementi (che, invece, possono essere regolarizzati attraverso integrazione).
49
Si veda il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 4 gennaio 2016, n. 27 e
circolare 1° aprile 2016, n. 9/E.
50
In tal senso l’art. 11, comma 3, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contri-
buente), in base al quale, a seguito dell’espletamento della procedura di interpello probatorio, a
norma dell’art. 11, comma 3, dello Statuto, in sede di accertamento, nasce un vincolo per
l’Amministrazione, con “esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitata-
mente al richiedente”, consistente nell’impossibilità di porre in essere atti “a contenuto
impositivo o sanzionatori difformi dalla risposta, espressa o tacita” e l’eventuale nullità degli
stessi. La disposizione in esame era presente nei medesimi termini anche in relazione alla
precedente formulazione della disciplina.
51
In particolare, circolare 14 giugno 2010, n. 32/E.

52 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Invero, ad interpretazione di tale disposizione si è ammesso che la


risposta all’interpello non presenta i requisiti minimi per l’impugnabilità
in quanto è espressione di una attività non di tipo autoritativo, ma consul-
tivo. Si tratta, specificamente, di un atto non provvedimentale, privo dei
caratteri della esecutività ed esecutorietà, non suscettibile pertanto di creare
alcuna lesione dei diritti dell’istante e di giustificare conseguentemente una
tutela giurisdizionale52.
In definitiva, ad avviso di chi scrive, non può che essere salutata con
favore la scelta compiuta dal legislatore in occasione della riforma della
disciplina degli interpelli.
Il superamento della prospettiva basata sull’interpello disapplicativo
offre un duplice vantaggio: (i) consente al contribuente di scegliere se adire o
meno l’Amministrazione con evidenti risvolti sul piano della gestione delle
istanze di ruling che non hanno carattere obbligatorio originando risposte
che, a loro volta, non vincolano l’operato del contribuente; e (ii) offre una
importante chance difensiva per esibire, in una fase antecedente a qualsivo-
glia contestazione, idonei elementi di prova circa la natura fisiologica delle
perdite conseguite.

5.2. (segue) La “non applicazione” della disciplina in dichiarazione e gli


obblighi di comunicazione - Alla previsione all’interno della disciplina
delle società non operative dell’interpello di tipo probatorio, connotato
dal carattere strutturale della facoltatività della presentazione dell’istanza,
è seguita, da ultimo, una disposizione generale sulla possibilità in capo al
contribuente di non applicare la medesima disciplina in sede di dichiara-
zione annuale. È una facoltà riconosciuta a chi non abbia presentato
interpello ovvero abbia ottenuto una risposta di segno negativo, ma asseri-
sca l’esistenza delle condizioni oggettive previste all’art. 30, comma 4-bis53.
Si tratta di un ulteriore strumento di tutela idoneo ad attenuare gli effetti
negativi che potrebbero conseguire da una applicazione automatica della
disciplina relativa alle società in perdita sistematica.

52
In questi termini qualifica la risposta all’interpello la circolare 1° aprile 2016, n. 9/E, che
conferma sostanzialmente quanto già espresso nella precedente circolare 14 giugno 2010, n.
32/E.
53
Ancora sul piano procedimentale, non possono sottacersi i dubbi sollevati da auto-
revole dottrina in merito alla eventuale rettifica della perdita riferita ad un periodo d’imposta (o
a più periodi d’imposta) ed alla conseguente, possibile neutralizzazione del presupposto che
rende possibile l’applicazione della disciplina di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994 (il
riferimento è alle perplessità palesate da M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddituale
sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 766, nota 14). In presenza di uno sviluppo
di questo tipo non sembra vi possa essere altra strada oltre quella che porta alla rettifica della
dichiarazione con riferimento alla quale è stata erroneamente applicata la disciplina delle
società non operative, rettifica che, tuttavia, porta con sé tutta una serie di ulteriori proble-
matiche di soluzione tutt’altro che agevole.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 53


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

Per meglio dire, in via generale, nel momento della redazione della
dichiarazione annuale si rende noto - attraverso il naturale meccanismo
di collaborazione del contribuente basato sulla autodichiarazione (e poi
sull’autoliquidazione) delle imposte - il presupposto realizzato dal contri-
buente stesso e la disciplina impositiva riferibile54.
In tale contesto, il contribuente - che non ritiene non applicabile la
disciplina speciale delle società in perdita sistematica - ha la facoltà di
asserire l’avvenuta (o meno) presentazione dell’istanza e dichiarare la pre-
senza delle condizioni oggettive di cui all’art. 30, comma 4-bis.
In altre parole, il contribuente in sede di dichiarazione - seguendo le
tradizionali impostazioni - non sceglie un regime impositivo e non disap-
plica nessuna disciplina, ma si limita a dichiarare un presupposto (reddito
di società operativa ovvero reddito di società di comodo) al quale sarà
riferita la normativa prevista dalla legge. Nessun effetto giuridico discende,
in questo assetto, dalla volontà del contribuente in quanto gli effetti deri-
vano solo dalla legge e dalla correttezza dei dati dichiarati dal contribuente
secondo lo schema proprio delle dichiarazioni di scienza55.
A questo proposito, in relazione alla disciplina in esame, non si condi-
vide la scelta dell’Amministrazione finanziaria e di alcune pronunce della

54
Venuto meno nell’ambito del secolo scorso il rapporto diretto contribuente - Fisco e la
funzione generalizzata di liquidazione delle imposte dell’accertamento tributario, si è realiz-
zato un sistema di collaborazione dei contribuenti nella determinazione delle imposte, basato
sulla autodichiarazione e autoversamento delle imposte. Cfr., su tali profili, L. Perrone,
“Evoluzione e prospettive dell’accertamento tributario”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag.
79; A. Fantozzi, “I rapporti fra il Fisco ed il contribuente nella nuova prospettiva dell’accerta-
mento tributario”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag. 216; E. Nuzzo, Modelli ricostruttivi della
forma del tributo, Padova, 1987, pag. 12; M. Basilavecchia, L’accertamento parziale. Contributo
allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988, pag. 86; L.
Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’IVA),
Padova, 1990, pag. 52. In tale assetto, la dichiarazione costituisce l’atto fondamentale di
collaborazione del contribuente con il Fisco, mediante il quale il contribuente porta a cono-
scenza i connotati qualitativi e quantitativi del proprio presupposto.
55
È noto, infatti, come attualmente possa considerarsi del tutto consolidato in dottrina e
in giurisprudenza il convincimento che la dichiarazione tributaria rappresenti essenzialmente
un atto avente natura di dichiarazione di scienza (e non anche di manifestazione di volontà), in
quanto il suo contenuto consiste nella esposizione e qualificazione giuridica dei fatti ai quali si
ricollegano gli effetti previsti dalla legge. In questo senso, E. Vanoni, “La dichiarazione
tributaria e la sua irretrattabilità”, in Opere giuridiche, I, Milano, 1961, pag. 299; P. Russo,
“Natura ed effetti giuridici della dichiarazione tributaria”, in Riv. dir. fin., 1966, pag. 231; I.
Manzoni, “La dichiarazione dei redditi: natura e funzione”, in Riv. dir. fin., 1979, I, pag. 616; E.
Nuzzo, “Natura ed efficacia della dichiarazione tributaria”, in Dir. prat. trib., 1986, I, pag. 38; C.
Magnani, “La dichiarazione tributaria”, in Digesto, disc. comm., IV, Torino, 1989, pag. 281. Tale
conclusione si riferisce alla maggior parte delle informazioni rese nell’ambito della dichiara-
zione. È noto però come quest’ultima possa contenere anche manifestazioni di volontà, che
possono esprimersi, per esempio, sotto forma di opzioni o di scelte di altro tipo, Su tali aspetti,
P. Boria, “La dichiarazione tributaria”, in AA.VV., Diritto tributario, a cura di A. Fantozzi, cit.,
pag. 582.

54 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

giurisprudenza di qualificare le informazioni rese in dichiarazione quale


“causa di disapplicazione della disciplina delle società non operative” in
senso stretto.
Si ritiene infatti che nel nostro ordinamento tributario - vincolato al
rigido rispetto di una riserva di legge e connotato da una naturale assenza
di poteri dispositivi del contribuente - non possa essere riconosciuto in
capo al contribuente un potere di disapplicazione della disciplina impo-
sitiva; quest’ultimo, infatti, nei casi definiti dalla legge può semmai essere
riferito agli organi amministrativi o giurisdizionali dello Stato, ma non al
contribuente56.
Il contribuente, anche nell’ipotesi oggetto di analisi, deve applicare la
disciplina riferita al suo presupposto in ossequio alle disposizioni previste
dalla legge, con possibilità che tale fattispecie sia oggetto di controllo e di
rettifica da parte dell’Amministrazione finanziaria, che non condivide la
ricostruzione effettuata.
In tale assetto, quindi, il contribuente non sceglie un regime e non
disapplica alcuna disciplina, ma si limita a dichiarare la propria situazione
di fatto sulla base del proprio personale convincimento circa le specificità
della fattispecie concreta (che giustificano le perdite subite per periodi
d’imposta consecutivi).

6. Osservazioni conclusive - Avviandoci a concludere queste brevi note, è


possibile avanzare qualche considerazione finale.
L’analisi delle modifiche apportate dall’art. 2, comma 36-decies, del D.L.
13 agosto 2011, n. 138 ha messo in luce come la tecnica normativa utilizzata
si sia caratterizza per alcune scelte molto importanti, rappresentate dal-
l’ampio utilizzo di presunzioni legali per ricostruire il reddito del contri-
buente a fronte di condotte che, ad una valutazione di massima, potrebbero
apparire contrarie alla corretta gestione economica dell’impresa (in specie,
perdite reiterate per cinque periodi d’imposta).
Senonché, la scelta legislativa di ancorare l’applicazione della disciplina
delle società di comodo anche alle società che manifestano perdite per più
esercizi consecutivi appare manifestamente irragionevole e contraria ai
principi di cui all’art. 53 Cost.
Infatti, la rilevazione di una perdita d’esercizio deriva essenzialmente
dalla sussistenza di costi (o comunque di componenti negative, pur se di
carattere straordinario) in misura superiore ai ricavi (ed alle altre compo-
nenti positive) e, come pare evidente, non è necessariamente sintomo di una
mancanza di operatività.
Si tratta, dunque, di una estensione delle norme presuntive a fattispecie
per le quali non ricorre la ratio tipica attinente alle società commerciali di

56
Si vedano, in tal senso, le riflessioni di S. La Rosa, “L’interpello obbligatorio”, in Riv. dir.
trib., 2011, pag. 720.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 55


L. PERRONE - SOCIETÀ NON OPERATIVE E PERDITE DI PERIODO

mero godimento e che dunque è riconducibile ad una logica diversa, pre-


sumibilmente riferibile alla pura esigenza di aumentare il gettito erariale (e
quindi all’interesse fiscale, nella sua versione più semplice e materiale).
Quanto rappresentato produce l’effetto di sottoporre ad un reddito
figurativo (determinato secondo le predeterminazioni legali) soggetti che
non soltanto non producono reddito, ma che addirittura sono in perdita e
che potrebbero non possedere alcun bene patrimoniale. Tali soggetti ven-
gono così trattati in modo ampiamente deteriore rispetto alle altre società,
con una evidente penalizzazione che ne mette a rischio la stessa sopravvi-
venza nel tessuto produttivo nazionale57.
A parere di chi scrive diviene palese la violazione dell’art. 53 Cost.: la
disciplina sin qui esaminata è espressione del solo interesse fiscale e non
bilancia, in alcun modo, i valori della capacità contributiva, secondo para-
metri di coerenza e di ragionevolezza.
Su questo scenario, con una funzione parzialmente correttiva delle
distorsioni esaminate, si colloca la clausola generale di esclusione (disci-
plinata dall’art. 30, comma 4-bis, della Legge 27 dicembre 1994, n. 724), che
regola anche il contenuto della prova contraria che la società può offrire per
escludere l’inclusione nella disciplina delle società di comodo laddove
sussistano elementi oggettivi che indicano l’esercizio di impresa
commerciale58.
Il contribuente può decidere il momento in cui rendere la prova con-
traria: prima della dichiarazione (attraverso il procedimento di interpello
probatorio), dopo la dichiarazione ed in sede contenziosa, ove fosse emesso
un avviso di accertamento a suo carico, in entrambi i momenti (in caso di
diniego espresso all’istanza di interpello e di successiva non applicazione
della disciplina in dichiarazione). In tale assetto la presentazione di un’i-
stanza di interpello è soltanto una facoltà in capo al contribuente, il cui
mancato esercizio non realizza alcuna preclusione.
Dal punto di vista procedimentale tali strumenti rendono la disciplina in
esame più equilibrata e maggiormente aderente ai principi costituzionali.
Nonostante questo, rimane immutato l’errore di fondo in cui è incorso il
legislatore.
Immaginare in presenza di perdite reiterate una presunzione di minima
di redditività significa ignorare che, nelle moderne economie globalizzate,
le determinanti di un risultato reddituale negativo non si lasciano mai

57
L’ulteriore penalizzazione fiscale, aggiunta alla ricorrente perdita d’esercizio, può ben
costituire un limite così rilevante alla capacità finanziaria ed economica della società da
portare alla decisione di sciogliere la società medesima, benché il progetto imprenditoriale
abbia la possibilità di essere portato avanti. In tal senso, D. Stevanato, “Società senza utili,
imposte senza ricchezza: un caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi dir. trib., 2012, pag.
502 ss.
58
Prova volta a dimostrare l’esistenza di un’attività di impresa che non ha potuto rag-
giungere i risultati fissati dalle predeterminazioni legali per alcuni eventi ostativi.

56 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

imbrigliare in un’equazione (perdita reiterata = società non operativa) rozza


e superficiale, equazione che, atteso l’allungamento del periodo di osserva-
zione e la possibilità di disapplicare la relativa disciplina senza dover
necessariamente ricorrere all’interpello, è peraltro destinata a trovare appli-
cazione in un numero oggettivamente risibile di casi59.
LEONARDO PERRONE

59
A fronte dei moltissimi dubbi che circondano la razionalità delle disposizioni introdotte
dal D.L. n. 138/2011, deve infatti essere tenuta nella giusta considerazione l’assoluta esiguità
delle società interessate dall’applicazione delle stesse: nella relazione tecnica al D.Lgs. n. 175/
2014 si parla di circa 1.300 società con una perdita di gettito conseguente all’aumento da tre a
cinque anni del periodo di osservazione pari a circa 23 milioni di euro.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 57


L’accesso ai documenti tributari: storia di un diritto
negato
Alessia Funari

Estratto: Il saggio indaga il tema dell’accesso agli atti dei procedimenti tributari e
offre alcuni spunti critici sulla sua effettività e legittimità costituzionale. In parti-
colare, muovendo da una ricognizione generale dell’istituto in ambito amministra-
tivo, si analizzano gli snodi legislativi e interpretativi – offerti tanto dalla Cassazione,
quanto dal Consiglio di Stato – che di volta in volta ne hanno graduato l’esercizio,
affievolendolo, con disamina anche del recente provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle Entrate dello scorso agosto 2020 e confronto con l’orientamento
della Corte di Giustizia sul tema. Dall’analisi emergono: 1) la violazione - in parti-
colare - dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.; 2) il contrasto tra la normativa interna e
gli indirizzi impartiti dalla CGUE; 3) la possibilità di devolvere alle Commissioni
tributarie la giurisdizione delle controversie aventi ad oggetto il diritto di accesso tra
contribuente e Amministrazione finanziaria.

Abstract: The article investigates the right of access to tax proceedings and offers
some remarks on its effectiveness and constitutional legitimacy. In particular,
starting from a general survey of the institute in administrative law, the articole
analyzes the legislative and interpretative interventions – by the highest Judicial
Authority – that each time have regulated its exercise, weakening it, with examina-
tion of the recent measure of the Italian Tax Authority and also the position adopted
by the Court of Justice of the European Union on the issue. Such analysis reveals: 1)
the violation of article 117, co. 2, lett. m) Const.; 2) the contrast between the internal
regulations and the guidelines given by the CJEU; 3) the possibility of devolving to the
Tax Commissions the jurisdiction of disputes concerning the right of access between
taxpayers and Financial Administration.

SOMMARIO: 1. Considerazioni preliminari - 2. Profili generali del diritto di accesso - 3.


La posizione legittimante, il soggetto passivo e i documenti accessibili - 4. La tutela della
riservatezza dell’azione del Fisco e il diritto all’ostensione del contribuente: un delicato
bilanciamento - 5. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 1,
lett. b), della Legge sul procedimento amministrativo nella giurisprudenza del Consiglio
di Stato - 6. Le nuove disposizioni in materia di accesso documentale dettate
dall’Agenzia delle entrate. Verso l’esclusione totale dal diritto - 7. Conclusioni.

1. Considerazioni preliminari - Sono trascorsi ben trent’anni da quando la


Legge n. 241/1990 ha elevato il diritto di accesso a principio generale

58 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

dell’attività amministrativa, ma, nonostante ciò, continuano a emergere


non poche criticità in relazione alla sua piena applicazione e al suo completo
riconoscimento nell’ambito dei procedimenti tributari.
In via generale, il transito di questo istituto dalla materia amministrativa a
quella tributaria incontra resistenze culturali, numerose e variegate, che sono
sostanzialmente legate ai rapporti difficili tra questi due rami del diritto, pur
contigui e in parte intersecantisi, alle peculiarità proprie del procedimento di
imposizione, ai tratti distintivi dell’azione (e dei poteri) dell’Amministrazione
finanziaria; insomma, a questioni che, soprattutto a causa di una confusa e
scarsa qualità della produzione legislativa, non riescono a trovare una solu-
zione soddisfacente. A ciò deve poi aggiungersi il ruolo della giurisprudenza
ordinaria e amministrativa che, chiamata a pronunciarsi sulle controversie
tra Fisco e contribuenti, non sempre si sforza di esaminare rigorosamente i
meccanismi propri del diritto tributario e, ancor più raramente, emette
decisioni che tengono conto dei relativi principi e regole.
Nello specifico, è indubbio che l’ostacolo primario sia rappresentato
dall’art. 24, comma 1, lett. b), della citata Legge n. 241/1990, il quale, da un
lato esclude l’applicazione della disciplina generale dell’accesso ai docu-
menti dei procedimenti tributari e, dall’altro, rimanda a specifiche norme di
settore che tuttavia non esistono1.
Ciò doverosamente premesso e riconosciuto, il punto sembra invero
un’altro: se è vero che il diritto di accesso - oltre ad essere un efficace
strumento di democraticità dell’agere publicum (art. 1 Cost.) e di garanzia
dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali
(art. 117, comma 2, lett. m, Cost.) - si atteggia anche a corollario dei diritti
di informazione (art. 21 Cost.) e di difesa (art. 24 Cost.) e dei principi di buon
andamento e imparzialità (art. 97 Cost.), non si comprendono le ragioni per le
quali, rispetto agli atti e ai documenti tributari, non vi sia alcuna previsione
legale che ne disciplini uniformemente l’applicazione e gli effetti su tutto il
territorio nazionale e che sia valevole per tutte le Amministrazioni
finanziarie.
Nel tentativo di fare un po’ di luce sulle problematiche esposte, la
presente indagine partirà da una breve disamina del diritto di accesso

1
Come si avrà modo di illustrare nelle pagine che seguono, anche la previgente formu-
lazione della disposizione, generica e poco chiara, ostava all’esibizione del fascicolo tributario
in pendenza del procedimento di accertamento e si accompagnava ad una logica (ancora) di
segretezza dell’azione dell’Amministrazione finanziaria. Per la funzione impositiva, a diffe-
renza di quanto è avvenuto per le altre funzioni pubbliche, la regola di segretezza ha continuato
a vivere tanto nel tessuto normativo, quanto nella prassi, tanto che, ad oggi, nella fase
dell’istruttoria del procedimento di accertamento la trasparenza e la pubblicità sono più
attenuate che negli altri procedimenti amministrativi. Conferma ciò l’art. 9, comma 1, lett.
b), della Legge delega n. 23/2014 (rimasto inattuato), là dove stabilisce l’“obbligo di garantire
l’assoluta riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione
dell’accertamento”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 59


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

esterno2, classico, ex art. 22 ss., Legge n. 241/1990, sotto i profili soggettivi e


oggettivi, per poi passare dall’analisi dei casi giurisprudenziali che, di volta
in volta, hanno perimetrato l’estensione di tale diritto in relazione al suo
esercizio nelle diverse fasi che caratterizzano i procedimenti tributari (da
quella di accertamento a quella di riscossione), fino a giungere al vaglio della
tipologia degli atti accessibili. In relazione a tale ultimo profilo si analizzerà
il “nuovo” Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 4
agosto 2020 recante l’elenco (aperto) di una serie atti sottratti all’accesso
e foriero di non pochi dubbi e perplessità in ordine alla compatibilità di
talune sue disposizioni ai precetti gerarchicamente superiori.
Oltre a mettere in evidenza i problemi derivanti dalla lacunosità della
normativa vigente, si cercherà adi dimostrare come il tradizionale orienta-
mento dei giudici amministrativi secondo cui “l’esclusione dall’art. 24,
comma 1, lett. b), della Legge 7 agosto 1990, n. 241 ha carattere temporal-
mente limitato alla fase di pendenza del procedimento tributario” debba
essere necessariamente rivisitato non solo perché non garantisce una tutela
effettiva dei diritti dei contribuenti, ma anche perché non si pone più in linea
con i principi e diritti immanenti interni ed eurounitari.
Rebus sic stantibus, l’auspicio che sin da ora si intende formulare, è
quello di una riforma organica e omogena del diritto di accesso ai documenti
dei procedimenti tributari, una riforma che si ponga in armonia con i
principi di leale collaborazione, partecipazione, giusto procedimento e
con il diritto di difesa - costantemente ribaditi anche dalla Corte di
Giustizia - e che determini in modo chiaro e preciso i limiti all’esercizio
dei poteri dell’Amministrazione finanziaria - in termini di autonomia,
autarchia e autotutela - così da collocarla sullo stesso piano di tutte le
altre Amministrazioni pubbliche dello Stato.

2. Profili generali del diritto di accesso - A livello unionale i Trattati istitutivi


della CEE, nella loro formulazione originaria, non riconoscevano ai citta-
dini dei Paesi membri un diritto di accesso agli atti. Il primo documento in
materia di trasparenza dei processi decisionali è stata la Dichiarazione n. 17,

2
L’accesso esterno, detto anche informativo, ha natura esoprocedimentale e dev’essere
mantenuto distinto dall’accesso interno (c.d. partecipativo), la cui configurabilità è preclusa
dalla stessa Legge n. 241/1990, là dove stabilisce che le norme di cui al del capo III non trovano
applicazione rispetto ai procedimenti tributari. In particolare, quest’ultimo - previsto all’art. 10
- si sostanzia nel diritto previsto in favore dei soggetti di cui all’art. 7 (ossia, coloro che, per
Legge, devono intervenire nel procedimento o che, in ragione degli effetti pregiudizievoli che
potrebbero subire, devono ricevere la comunicazione di avvio del procedimento al fine di
prendere visione ed estrarre copia degli atti di detto procedimento ed eventualmente presentare
memorie e documenti) e il cui esercizio è strettamente connesso al principio di massima
partecipazione. Diversamente l’accesso esterno, ex art. 22, di cui si parlerà a breve. Sul tema v. P.
Carpentieri, “Due domande in tema di diritto di accesso”, in Foro amm. TAR, n. 11/2009, pag.
3297.

60 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

allegata al Trattato di Maastricht del 1992 che impegnava la Commissione


ad individuare misure dirette ad accrescere l’accesso del pubblico alle
informazioni detenute dalle Istituzioni al fine di rafforzarne il carattere
democratico e consolidare la fiducia nei confronti dell’amministrazione3. Il
Trattato di Amsterdam del 19974, invece, nel tentativo di rendere operativa
l’applicazione del diritto di trasparenza principio, da un lato ha annoverato
il diritto di accesso tra i diritti primari dell’UE; dall’altro, piuttosto che
tracciare una disciplina organica per il suo esercizio ha optato di rimettere
a ciascuna Istituzione unionale il potere di introdurre disposizioni specifi-
che inerenti all’esibizione dei propri documenti5. Solo con il Trattato di
Lisbona6 del 2009 e la modifica del TUE7 e del TFUE8, è stata finalmente
portata a compimento l’opera di codificazione dell’istituto ed è stato esteso
l’ambito applicativo del principio di trasparenza9. Ad oggi, la normativa di

3
Sulla base della dichiarazione n. 17, il Consiglio e la Commissione hanno approvato un
codice di condotta sull’accesso ai documenti, ma come precisato dalla Corte di Giustizia si
trattava di un provvedimento di mera organizzazione interna all’istituzione non vincolante. V.
CGE sent. 30 aprile 1996, causa C-58/94, Regno dei Paesi Bass/Consiglio (con i commenti di L.
Limberti, “La natura giuridica del diritto di accesso resta ‘sospesa’ tra principio democratico e
poteri di autoorganizzazione delle istituzioni comunitarie”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6/
1996, pag. 1227 e C. Franchini, “Il diritto di accesso tra l’ordinamento comunitario e quello
nazionale”, in Giorn. dir. amm., n. 9/1996, pag. 823); Trib. UE sent. 11 dicembre 2001, causa T-
191/99, Petrie/Commissione. In dottrina v. anche A. Sandulli, “L’accesso ai documenti nel-
l’ordinamento comunitario”, in Giorn. dir. amm., n. 5/1996, pag. 446.
4
Ha inserito l’art. 255 nel TCE (ora art. 15 TFUE).
5
Sono state così adottate: la decisione 93/731/CE del Consiglio, la decisione 94/90/CECA/
CE/Euratom della Commissione e la decisione 97/632/CE/ CECA/Euratom del Parlamento
europeo.
6
Si rammenta che il Trattato ha altresì riconosciuto efficacia vincolante alla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea elevando indirettamente il diritto di accesso, ivi
contemplato all’art. 42, a diritto fondamentale dei cittadini.
7
All’art. 1 TUE si legge, in particolare, che la trasparenza consente una migliore parte-
cipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza
e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico.
Cfr. D. U. Galetta, “La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e Pubblica ammini-
strazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo”, in
Riv. it. dir. pubbl. com., n. 5/2016, pag. 1019.
8
V. il già richiamato art. 15, par. 3, TFUE che sancisce il diritto per “qualsiasi cittadino
dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato
membro” di accedere ai documenti delle Istituzioni.
9
Il principio di trasparenza viene concepito anche come “presupposto” per il potenzia-
mento della crescita economica e di equilibrio del mercato v. Commissione Europea, COM
(1998) 585, “L’informazione del settore pubblico: una risorsa fondamentale per l’Europa. Libro
verde sull’informazione del settore pubblico nella società dell’informazione, del 1° gennaio
1999”. Ad oggi detto principio trova fondamento agli artt. 15 TFUE e 1 TUE nella misura in cui è
stabilito che le decisioni dell’Unione sono prese nel modo più trasparente possibile e che le
Istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione devono operare nel modo più trasparente
possibile. Le attività dei pubblici poteri europei devono svolgersi sulla base di questo criterio
c.d. pentagonale poiché si sostanzia: 1) nella chiarezza del sistema istituzionale, semplicità e
comprensibilità dei Trattati istitutivi; 2) nell’accesso alla legislazione in termini di motivazione,

Rassegna Tributaria 1/2021 - 61


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

riferimento per l’accesso alla documentazione delle Istituzioni e agli organi


dell’Unione Europea è racchiusa nel Reg. 1049/2001/CE10.
Ciò premesso, prima di passare al vaglio della disciplina interna, è utile
svolgere due ulteriori precisazioni in chiave comparatistica: la prima attiene
la differenza tra diritto di accesso e trasparenza, molto più labile e sfumata
nel diritto europeo, decisamente più netta nel diritto interno; la seconda
riguarda la funzione del diritto d’accesso, poiché mentre in sede europea
costituisce uno strumento sia di partecipazione e di difesa riconosciuto a
tutti i cittadini dei Paesi membri, sia uno strumento di controllo generaliz-
zato sull’operato dei pubblici poteri11, in quella interna il legislatore nazio-
nale ha escluso che l’accesso (documentale) possa tradursi in un’azione
popolare, e l’ha fatto con l’art. 24, comma 312, Legge n. 241/1990, che, come
noto, oltre a contenere questa importante previsione, ha il pregio di aver
consacrato a livello domestico il diritto di prendere visione e di estrarre
copia dei documenti a principio generale dell’attività amministrativa,
segnando definitivamente il passaggio da un sistema permeato dal principio
di sostanziale segretezza degli atti amministrativi - realizzata mediante il
silenzio dei funzionari, il rifiuto di fornire informazioni e il diniego di
visionare gli atti - ad un sistema basato sui principi di pubblicità e
trasparenza13.

pubblicità e facilità di accesso; 3) nella possibilità per i cittadini di conoscere le varie fasi
dell’iter decisionale; 4) nella politica di informazione; 5) nell’accesso ai documenti. In ultimo,
si ricorda che il principio di trasparenza di dimensione unionale si applica a tutte le attività
di svolgimento di funzioni europee, tanto quelle normative, tanto quelle amministrative. Cfr.
C. Alberti, “La disciplina del diritto di accesso nel post Amsterdam tra consacrazione e
limitazione”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 1/2003, pag. 64.
10
È chiaro che il Regolamento de quo non obbliga gli Stati membri ad apportare
modifiche alle proprie normative nazionali, ma semplicemente li invita a tenere un comporta-
mento improntato alla leale cooperazione e che non vada a pregiudicare la corretta applica-
zione dello stesso. V. F. D’oriano, “Il diritto di accesso ai documenti comunitari”, in Dir. pubbl.
comp. eu., n. 4/2003, pag. 1990.
11
V. M. Migliazza, “Brevi riflessioni sugli sviluppi della trasparenza nell’Unione
Europea”, in Dir. pubbl. comp. eu., n. 3/2003, pag. 1351; R. Garofali, “I profili comunitari del
diritto di accesso”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6/1998, pag. 1285.
12
Il comma stabilisce che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un
controllo generalizzato dell’operato delle Pubbliche amministrazioni”. È evidente che detta
disposizione è sono ben lontana dall’originario schema di disegno di legge predisposto dalla
Commissione Nigro che, al contrario, riconosceva la titolarità del diritto d’accesso a tutti i
cittadini. La ratio della limitazione deve rinvenirsi nella precipua volontà del legislatore -
dettata dal bilanciamento tra la celerità dell’azione amministrativa e la trasparenza della stessa
- di prevenire la paralisi dell’attività degli Uffici dell’Amministrazione e evitare eccessivi intralci
all’attività gestoria pubblica.
13
È utile precisare che i due principi, per quanto simili, presentano comunque proprie
caratteristiche e proprie funzioni, di talché devono essere tenuti distinti. Il principio di
pubblicità (codificato art. 1, comma 1, Legge n. 241/1990 sin dalla sua versione originaria)
rappresenta un corollario anche dell’art. 97 Cost. e si concretizza nel dovere
dell’Amministrazione di rendere visibile e conoscibile all’esterno il proprio operato attraverso

62 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Orbene, senza ripercorre tutto l’iter storico-normativo della disciplina


dell’accesso dallo schema di disegno della Commissione Nigro ad oggi, basti
solo ricordare che l’istituto è stato oggetto di due significative modifiche
legislative (oltretutto a poca distanza l’una dall’altra) giustificate principal-
mente dalle innovazioni sostanziali del sistema costituzionale14, dalle ela-
borazioni interpretative della dottrina e della giurisprudenza. Ci si riferisce,
in ispecie, alla Legge n. 15/200515 - e al successivo D.P.R. n. 184/2006 che ha
sostituito il previgente D.P.R. n. 352/2006 - e alla Legge n. 69/200916.
Un aspetto che va approfondito è, invece, quello del fondamento costi-
tuzionale del diritto di accesso, intorno al quale sono state sviluppate tre
diverse ricostruzioni teoriche: quella che lo riconduce al principio di

la modalità di pubblicazione dei propri atti (circolari, Direttive, programmi, istruzioni, o


qualsiasi altro tipo di atto che dispone sulla sua organizzazione, sugli obiettivi e sulla
funzione): si tratta di un principio inerente ai rapporti tra governanti e governati volto ad
assicurare un controllo da parte di questi ultimi sul rispetto del principio di legalità
dell’azione amministrativa. Il principio di trasparenza (codificato nella Legge n. 241 solo
nel 2005 con la Legge n. 15, anche se già ampiamente noto nel nostro ordinamento), come si
vedrà più avanti, ha una portata più ampia e sfaccettata rispetto alla pubblicità essendo
generalmente inteso come “conoscibilità” dell’azione amministrativa e strumento di con-
trollo democratico sull’esercizio dei pubblici poteri ed è strumentale alla tutela di altri diritti:
cfr. R. Chieppa, “La trasparenza come regola della Pubblica amministrazione”, in Dir. econ.,
n. 3/1994, 613. Sulla distinzione tra pubblicità e trasparenza v. la relazione della I
Commissione permanente affari costituzionali del 6 novembre 2003 e, in dottrina, R.
Chieppa - R. Giovagnoli, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2018, pag. 447; P.
Tanda, “La trasparenza nel moderno sistema amministrativo”, in Nuove autonomie, n. 1/
2007, pag. 159; B. G. Mattarella, “Il rilievo costituzionale del principio di pubblicità”, in Gior.
dir. amm., 2007, pag. 271. In giurisprudenza v. sent. Corte cost. 17 marzo 2006, n. 104.
14
A seguito del nuovo assetto creato dalla riforma costituzionale n. 3/2001 modificativa
del Titolo V Cost. la dottrina si è posta il problema se le materie disciplinate dalla legge sul
procedimento amministrativo dovessero essere ricondotte all’alveo della potestà legislativa
statale o di quella regionale: la soluzione preferita quella dell’art. 117, comma 3, anche sulla
base del canone ubi lex voluti dixit, ubi noluit tacuit. Cfr. S. Gambino, “Il diritto di accesso.
Profili costituzionali e amministrativi (alla luce del novellato Titolo V Cost. e della Legge n. 15/
2005)”, in Ist. fed., n. 5/2006, pag. 826; G. Pastori, “Dalla Legge n. 241 alle proposte di nuove
norme generali sull’attività amministrativa”, in Amministrare, n. 3/2002, pag. 305; M. A.
Sandulli, “La riforma della legge sul procedimento amministrativo tra novità vere ed appa-
renti”, in Federalismi, 2005, pag. 5; E. Balboni, “Il concetto di ‘livelli essenziali e uniformi’ come
garanzia in materia di diritti sociali”, in Ist. fed., n. 6/2001, pag. 1105. V. anche Cons. St., Sez.
consultiva per gli atti normativi, 13 febbraio 2006, n. 3586.
15
La novella, come si avrà modo di osservare dettagliatamente nel corso della trattazione,
ha completamente modificato gli artt. 22 e 24. Cfr. G. Tinelli - A. Zito, “L’ambito di applicazione
delle norme sulla partecipazione”, in M.A. Sandulli (a cura di) Codice dell’azione amministra-
tiva, Milano, 2017, pag. 683.
16
La novella del 2009 ha inserito all’art. 29 il comma 2-bis con il quale ha esplicitamente
annoverato il diritto di accesso tra i livelli essenziali delle prestazioni inerenti ai diritti sociali e
civili così da assicurarne l’unitarietà dell’ordinamento giuridico e dell’interesse generale di cui
all’art. 117, comma 2, lett. m), Cost. Cfr. A. Sandulli, “La Legge n. 69/2009 e la Pubblica
amministrazione”, in Giorn. dir. amm., n. 11/2009, pag. 1133.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 63


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

trasparenza; quella che lo ricollega al diritto di informazione e, infine, quella


che lo collega al diritto di difesa e di tutela giurisdizionale.
Secondo il primo indirizzo interpretativo, la trasparenza trova fonda-
mento nell’art. 97, costituisce una forma di controllo democratico dei
cittadini sull’attività amministrativa ed è condizione di garanzia delle
libertà individuali, collettive, nonché dei diritti civili, politi e sociali17. Per
questa via, la trasparenza non ha un valore compiuto in sé, né tanto meno
rappresenta un istituto giuridico ben preciso, ma esprime piuttosto un
modo d’essere della Pubblica amministrazione, un risultato, un obiettivo
o un parametro mediante il quale commisurare lo svolgimento dell’azione
dei soggetti pubblici18, il quale acquisisce sostanza giuridica solo quando
viene garantita e realizzata mediante gli strumenti giuridici dell’accesso agli
atti e/o al proprio fascicolo, dell’obbligo di notifica, della motivazione e della
partecipazione degli interessati all’attività amministrativa. In considera-
zione di ciò, l’Amministrazione è quindi tenuta spiegare le proprie scelte e a
dimostrare di aver operato nel senso migliore, più conveniente, più ragio-
nevole e meno oneroso ed anche a garantire la visibilità delle sedi decisionali
e dei soggetti che vi operano.
A parere del secondo indirizzo interpretativo, l’istituto dell’accesso
svolgerebbe invece una funzione di garanzia analoga a quella del diritto
di difesa (art. 24 Cost.) e di effettività della tutela (art. 113 Cost.)19, atteso che
una piena conoscenza dell’attività amministrativa costituisce il presuppo-
sto per una consapevole valutazione della legittimità del provvedimento e

17
Favorendo il controllo democratico la trasparenza diviene anche uno strumento di
prevenzione dei fenomeni corruttivi e di contrasto alla maladministration (così nella Legge n.
190/2012) e mira a garantire una migliore accountability della Pubblica amministrazione
(così D.Lgs. n. 150/2009) due aspetti fondamentali per il buon andamento della Pubblica
amministrazione. V. S. Cassese, “Evoluzione della normativa sulla trasparenza”, in
SINAPPSI, n. 1/2018, pag. 5.
18
Così R. Villata, “La trasparenza dell’azione amministrativa”, in La disciplina generale del
procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso, Atti del XXXII
Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, settembre 1986, Milano, 1989,
pag. 151. In termini analoghi v. A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative.
Gradualità̀ e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, pag. 41. In diritto
pubblico la nozione di trasparenza è molto complessa e poliforme. V. i contributi di G. Arena,
“Le diverse finalità della trasparenza amministrativa”, in F. Merloni (a cura di) La trasparenza
amministrativa, Milano, 2008, pag. 26; G. Arena, “Trasparenza amministrativa”, in S. Cassese
(a cura di) Diz. dir. pubbl., 2006, pag. 5945; G. Arena, “La trasparenza amministrativa ed il
diritto di accesso ai documenti amministrativi”, in G. Arena (a cura di) L’accesso ai documenti
amministrativi, Bologna, 1991, pag. 25; G. Arena, (voce) “Trasparenza amministrativa”, in
Enc. giur., XXXI, Roma, 1995, 1; P. Tanda, “Trasparenza (principio di)”, in Dig. disc. pubbl.,
Aggiorn., II, Torino, 2008, pag. 88; V. Sarcone, “Dalla ‘casa di vetro’ alla ‘home page’: la
‘trasparenza amministrativa’ nella Legge n. 15/2009 e nel suo Decreto attuativo (passando
per la Legge n. 69/2009)”, in http://www.amministrativamente.com, 2009.
19
In questo senso depongono alcune pronunce della Corte cost. v. sent. 6 luglio 1994, n.
311; sent. 17 ottobre 1996, n. 383; sent. 29 novembre 2004, n. 372; sent. 12 giugno 2005, n. 32.

64 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

dell’utilità di un eventuale giudizio al fine di ottenerne l’annullamento: in


tale prospettiva, l’accesso diviene un filtro conoscitivo che consente al
privato di sapere “se” e “cosa” contestare di un provvedimento finale e,
soprattutto, in che modo farlo20.
Il terzo e ultimo indirizzo, che si prende qui in esame21, suole invece
qualificare l’accesso come capitolato applicativo del diritto all’informa-
zione22, come situazione giuridica soggettiva da intendersi in senso
ampio, ovvero: dal lato attivo (“tutti hanno diritto di manifestare libera-
mente il proprio pensiero...”) e dal lato passivo (quale diritto ad essere
informati)23, in senso proprio (coincidente con il principio di pubblicità e
volto a proteggere il bene “informazione” in sé considerato) e in senso
improprio (come conoscibilità strumentale per la tutela di altre posizioni
giuridiche sostanziali)24. Questa ricostruzione pone, in sostanza, il diritto di
accesso in linea con il diritto dei cittadini a conoscere, a informarsi e a essere
informati, al quale fa da contraltare il dovere dell’Amministrazione di

20
A. Perini, “L’autonomia del diritto di accesso in giudizio”, in Dir. proc. amm., 1996,
pag. 107.
21
In verità ci sarebbe un quarto orientamento i cui fautori riconducono sia il diritto di
accesso che il diritto all’informazione nel novero dei c.d. nuovi diritti di cittadinanza, categoria
appartenente a quella più ampia dei diritti sociali e inclusiva di tutte le situazioni giuridiche
volte alla realizzazione dei diritti positivi dell’eguaglianza, sviluppo della persona umana. Cfr.
F. Manganaro - A. Romano Tassone, I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto di informazione,
Torino, 2005; B. G. Mattarella, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2018, pag. 92.
22
Nel modello statunitense il diritto di accesso è concepito come un aspetto della più
ampia libertà di informazione e funge da strumento di controllo sull’azione dei pubblici poteri:
cfr. D. E. Pozen, “Freedom of information beyond the freedom of information act”, in University
of Pennsylvania Law Review, n. 165/2017, pag. 1103. Parimenti, anche in ambito Europeo la
trasparenza costituisce affermazione del diritto all’informazione, in quanto strumento demo-
cratico finalizzato ad avvicinare i cittadini alla vita delle istituzioni. Basti vedere le normative
settoriali in primis la Convenzione di Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione,
partecipazione dei cittadini e accesso alla giustizia in materia ambientale, ma anche nella
Dichiarazione sul futuro dell’Unione del 2000 e nella Dichiarazione di Laeken del 2001. In
letteratura G. Locchi, “Il principio di trasparenza in Europa nei suoi risvolti in termini di
Governance amministrativa e di comunicazione istituzionale dell’Unione”, in www.ammini-
strazioneincammino.luiss.it, 2011 e M. Migliazza, “Procedure istituzionali europee in tema di
democrazia partecipativa”, in Riv. it. comun. pubbl., n. 29/2006, pag. 14. In giurisprudenza v.
Trib. UE 26 aprile 2005, cause riunite T-110/03; T-150/03 e T-405/03, Jose Maria Sison/
Consiglio; Trib. UE 6 aprile 2000, causa T-188/98, Kuijer/Consiglio; Trib. UE 19 luglio 1999,
causa T-14/98, Hautala/Consiglio.
23
Ad avvalorare questa tesi non è solo la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Roma
-Lazio, Sez. II, 6 novembre 2017, n. 11029; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 23 giugno 2016, n.
404; Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 9 giugno 2009, n.
5486; Cons. St., Sez. VI, 14 dicembre 2004, n. 8062; Cons. St., Sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 193),
ma anche la Corte costituzionale, che nell’ordinanza del 23 marzo 2001, n. 80, ha ricondotto il
diritto di accesso al diritto all’informazione.
24
P. Costanzo, “Informazione nel diritto costituzionale”, in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino,
1993, pag. 351 e V. Sarcone, “Alcune considerazioni in merito al diritto all’informazione
pubblica”, in Riv. trim. sc. amm., n. 1/2004, pag. 63.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 65


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

informazione e comunicazione, rendendo, in tal misura, trasparente la


propria attività amministrativa25.
Al di là dell’adesione a uno piuttosto che a un altro indirizzo ermeneutico
piuttosto, e a prescindere dall’ancoraggio costituzionale che si voglia dare al
diritto di accesso26, è pacifico che esso rappresenti un presidio essenziale al
diritto di difesa e al diritto alla partecipazione consapevole del privato
cittadino al procedimento, diritti che, a loro volta, concorrono concreta-
mente ed effettivamente all’attuazione del “giusto procedimento”27 che deve
essere garantito sia nell’ambito del procedimento amministrativo che in
quello tributario28.

3. La posizione legittimante, il soggetto passivo e i documenti accessibili -


Svolte queste imprescindibili considerazioni di carattere generale, è ora

25
Autorevoli Autori sostengono, tuttavia, che vi sia una netta distinzione tra la libertà
d’informazione e l’informazione amministrativa: cfr. G. Virga, “La Trasparenza della Pubblica
amministrazione e tutela giurisdizionale del diritto di accesso agli atti amministrativi”, in
L’Amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Milano, 1991, pag. 358; D. Sorace,
Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna, 2000, pag. 57.
26
In questa sede si aderisce a tutte e tre le ricostruzioni prospettate poiché si ritiene che
l’una non escluda l’altra.
27
Il dibattito sul rilievo costituzionale del giusto procedimento è ampiamente noto e
risalente (v. Corte cost. sent. 2 marzo 1962, n. 13 e l’importantissima nota di V. Crisafulli,
“Principio di legalità e giusto procedimento”, in Giur. Cost., n. 7/1962, pag. 130). Per molto
tempo, il giudice delle leggi ha costantemente affermato che il principio di giusto procedimento
pur assolvendo a criterio di orientamento tanto per il legislatore quanto per l’interprete (Corte
cost. sent. 31 maggio 1995, n. 210), restava comunque privo di copertura costituzionale, non
riconducibile al diritto di difesa ex art. 24 Cost., essendo quest’ultimo valevole solo nell’ambito
di procedimenti di natura giurisdizionale e non invece per quelli amministrativi. Con l’acqui-
sizione di rango costituzionale del principio del giusto procedimento, la Corte costituzionale è
passata da un’interpretazione sistematica degli artt. 97 e 98 (Corte cost. sent. 23 marzo 2007, nn.
103 e 104) all’art. 111 Cost. Il giusto procedimento amministrativo è riconosciuto all’art. 41
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000. Sul punto v. C. Pinelli, “Commento all’art. 97, comma 1, Cost.”, in Commentario della
Costituzione, Bologna - Roma, 1994, pag. 173; U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa,
CEDAM, Padova, 1965; M. C. Cavallaro, “Il giusto procedimento come principio costituzio-
nale”, in Foro amm. TAR, n. 6/2001, pag. 1829; G. Manfredi, “Giusto procedimento e inter-
pretazioni della Costituzione”, in Foro amm. TAR, n. 7-8/2007, pag. 2707; A. Zito, “Il principio
del giusto procedimento”, in M. Renna - F. Saitta (a cura di) Studi sui principi del diritto
amministrativo, Milano, 2012, pag. 509; G. Colavitti, “Il ‘dibattito pubblico’ e la partecipazione
degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento”, in www.amministra-
zioneincammino.luiss.it, 2020; M. Cocconi, “Il giusto procedimento come banco di prova di
un’integrazione delle garanzie procedurali a livello europeo”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010,
pag. 1136; G. Roehrssen, “Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali”, in Aa.
Vv., Cinquant’anni di Corte costituzionale, Roma, n. 2/2006, pag. 1037.
28
In ambito tributario, v. S. La Rosa, “Il giusto procedimento tributario”, in Giur. imp., n.
3/2004, pag. 763; A. Marcheselli, Il giusto procedimento tributario. Principi e discipline, Milano,
2012; R. Schiavolin, “Il diritto ad una buona amministrazione ed il giusto procedimento
tributario”, in M. Pierro (a cura di) Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti
tributari, Milano, 2019, pag. 33.

66 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

possibile analizzare la disciplina di dettaglio secondo un’impostazione


metodologica tesa a ricostruire l’istituto dell’accesso documentale29 nel-
l’ambito del procedimento di accertamento e di riscossione sulla base della
Legge n. 241/1990, dei relativi decreti attuativi, nonché sulla consolidata
esperienza dottrinale e prassi giurisprudenziale30.

29
Non potendo approfondire l’accesso civico di cui al D.Lgs. n. 33/2013 e di quello
generalizzato, introdotto dal D.Lgs. n. 97/2016 che ha novellato l’art. 5 del citato Decreto
legislativo del 2013 è sufficiente qui precisare che i due istituti, apparentemente uguali,
presentano una importante distinzione circa l’ambito applicativo: l’accesso civico semplice,
essenzialmente, riconosce a chiunque la possibilità di chiedere all’Amministrazione l’adempi-
mento degli obblighi di pubblicazione on line prescritti dalla legge ma non osservati, l’accesso
libero ed universale, invece, presenta un ambito oggettivo ancora più ampio in quanto può
essere attivato anche con riferimento a dati ed informazioni ulteriori rispetto a quelli per i quali
è previsto l’obbligo di pubblicazione, ancorché nei limiti di cui agli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 33/
2013. In altre parole, i due accessi si pongono in rapporto di continenza. Sempre sull’onda delle
distinzioni, mentre per l’accesso civico semplice non è previsto alcun limite, per l’accesso
generalizzato il legislatore ha previsto due categorie di eccezioni al regime di conoscibilità
(quella assoluta e quella relativa), tra l’altro assai più incisivi e ampi di quelli posti per l’accesso
documentale, e ciò allo scopo di bilanciare l’interesse pubblico alla conoscibilità del dato con la
tutela di altri interessi considerati dall’ordinamento, c.d. interessi-limite indicati dal legislatore
(sicurezza, difesa nazionale, politica monetaria e valutaria, ordine pubblico, riservatezza dei
terzi). La valutazione dell’Amministrazione è parametrata sul pregiudizio che potrebbe subire
il l’interesse-limite e dev’essere volta a privilegiare l’adozione della misura protettiva dell’inte-
resse più favorevole al diritto del richiedente. Quanto alle analogie, invece, entrambi gli accessi
non presuppongono né legittimazione, né la sussistenza di un interesse qualificato, né un onere
motivazione in capo all’istante, tutte e due sono gratuiti e si concludono con un provvedimento
espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, ma cosa
ancora più importante, è che ambedue muovono dalla stessa ratio ispiratrice: favorire forme
diffuse e democratiche di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche, nonché tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione
degli interessati all’attività amministrativa e al dibattito pubblico. Per approfondimenti sul
tema, D. U. Galetta, “Accesso civico e trasparenza della Pubblica amministrazione alla luce
delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013”, in Federalismi.it, n. 5/2016,
pag. 10; M. Lipari, “Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla Legge n. 241/1990
all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettive”, in federalismi.it, n.
17/2019; v. M. Bombardelli, “Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del princi-
pio di trasparenza”, in Ist. fed., n. 3-4/2013, pag. 657; B. Ponti (a cura di), La trasparenza
amministrativa dopo il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, 2013; U. Allegretti, “Pubblica
amministrazione e ordinamento democratico”, in Foro it., 1984, V, pag. 205; M. A. Sandulli, “La
trasparenza amministrativa nel foia Italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la
sua difficile attuazione”, in Federalismi, n. 16/2020, pag. 48; A. Corrado, “L’accesso civico e i
poteri del giudice amministrativo: alla ricerca di una azione in materia di accesso generaliz-
zato”, in Federalismi.it, n. 10/2020, pag. 155; A. Amodino, “Dall’accesso documentale all’accesso
civico generalizzato: i nuovi paradigmi della trasparenza dell’azione amministrativa”, in
GiustAmm.it, n. 5/2018, pag. 42. V. anche la Delibera ANAC del 28 dicembre 2016, n. 1309.
30
È opportuno evidenziare sin da ora che, in tema di accesso ai documenti dei procedi-
menti tributari, gli orientamenti della giurisprudenza domestica non sono progrediti di pari
passo con quelli della Corte di Giustizia, e tutt’ora stentano ad ammettere che il diritto di
accesso sia una componente essenziale del diritto al contraddittorio, soprattutto durante
l’attività di indagine. Come si avrà modo di vedere più avanti, per i giudici europei la violazione

Rassegna Tributaria 1/2021 - 67


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

Ed invero, già da una prima lettura delle disposizioni definitorie di cui


all’art. 22, comma 131, si può agevolmente osservare che i tratti principali
dell’istituto dell’accesso su cui porre l’attenzione sono sostanzialmente tre: i

del diritto di accesso al fascicolo intervenuta nel corso del procedimento non può essere
sanata dall’Amministrazione finanziaria in forza di una successiva ostensione in sede
giurisdizionale, mentre per i giudici nazionali questa stessa violazione non ha alcuna
ripercussione sulla legittimità del procedimento. A ben vedere, detta questione si inserisce
e si innesta in quella ancor più complicata e dibattuta vertente sul contraddittorio procedi-
mentale rispetto alla quale la dottrina tributaria è oramai ricchisssima. V., per tutti, L.
Salvini, La partecipazione del privato, op. cit.; L. Salvini, “La nuova partecipazione del privato
(dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre)”, in Riv. dir. trib., n. 1/
2001, pag. 3; A. Di Pietro, “Il contribuente nell’accertamento delle imposte sui redditi: dalla
collaborazione al contraddittorio”, in V. Uckmar (a cura di) L’evoluzione dell’ordinamento
tributari, Atti del convegno “I settanta anni di Diritto e pratica tributaria”, Padova, 2000, pag.
352; M. Basilavecchia, “Contraddittorio preventivo e accesso al fascicolo”, in Corr. Trib., n. 8-
9/2020, pag. 737; M. Basilavecchia, “Per l’effettività del contraddittorio”, in Corr. Trib., n. 29/
2009, pag. 2369; L. Salvini, “La cooperazione del contribuente e il contraddittorio nell’ac-
certamento”, in Corr. Trib., n. 44/2009, pag. 3569; A. Marcheselli, “L’effettività del contrad-
dittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari”, in A.
Bodrito - A. Contrino - A. Marcheselli (a cura di) Consenso equità e imparzialità nello Statuto
del contribuente, Torino, 2012, pag. 413; A. Marcheselli, “Il contraddittorio va sempre
applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso”, in Corr. Trib., n.
33/2014, pag. 2536; R. Lupi, “Il timore di vanificazioni formalistiche delle ragioni del Fisco”,
in Dial. trib., n. 4/2015, pag. 383; G. Ragucci, “Il principio del contraddittorio nella giuri-
sprudenza della Corte costituzionale”, in questa Rivista, n. 5/2015, pag. 1217; G. Ragucci, Il
contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino 2009; G. Corasaniti, “Il principio del
contraddittorio nella giurisprudenza nazionale e dell’Unione Europea”, in Dir. prat. trib.,
n. 4/2016, pag. 1585; A. Colli Vignarelli, “Il contraddittorio endoprocedimentale, sua viola-
zione e rilevanza della c.d. prova di resistenza”, in Riv. dir. trib. on line, 2020.
31
Esula dalla presente trattazione il tema della natura giuridica del diritto di accesso, che
ha avuto una significativa risonanza (considerate le sue ricadute non solo teoriche ma anche
pratiche) e ha impegnato a lungo dottrina e giurisprudenza, che si sono interrogate se si
trattasse di un interesse legittimo (ex multis, Cons. St., Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16; Cons. St.,
Sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 367) o di diritto soggettivo
(per tutte, Cons. St., Sez. IV, 22 febbraio 1999, n. 56). La querelle ha trovato parziale soluzione
con la Legge n. 15/2005 che, come in precedenza osservato, ha elevato l’accesso ai documenti a
“diritto sociale” e con le decisioni Cons. st., Ad. plen., 18 aprile 2006, n. 6 e Id. 20 aprile 2006, n. 7
(v. anche l’ordinanza di rimessione Cons. St., Sez. VI, 7 settembre 2005, n. 4686), le quali, senza
prendere posizioni in merito alla natura giuridica dell’accesso, ne hanno posto in rilievo il
carattere strumentale e funzionale alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti. Detta
situazione, piuttosto che fornire utilità finali alla stregua degli interessi legittimi o dei diritti
soggettivi, mette a disposizione del titolare poteri di natura procedimentale volti alla tutela di
interessi giuridicamente rilevanti (tra le più recenti v. Cons. St., Sez. VI, 19 novembre 2018, n.
6510; Cons. st., Sez. VI, 25 agosto 2017, n. 4074). Sul punto R. Garofali - G. Ferrari, Manuale di
Diritto amministrativo. Parte generale e speciale, Roma, 2019, pag. 714; F. Caringella, Manuale di
Diritto amministrativo, Roma, 2015, pag. 1093; A. Sandulli, “L’accesso ai documenti ammini-
strativi”, in Gior. dir. amm., n. 11/1995, 1061.

68 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

soggetti legittimati a formulare istanze ostensive, quelli tenuti a soddisfarle


e l’oggetto del diritto di accesso32.
Per quanto riguarda l’individuazione dei titolati del diritto d’accesso, il
comma 1, lett. b), del citato articolo definisce come “interessati” tutti i
soggetti privati - compresi i portatori di interessi pubblici o diffusi, quali
associazioni, comitati, ecc. - che abbiano un interesse diretto, concreto e
attuale a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento di
cui è chiesta l’ostensione33. L’inciso “tutti” non deve tuttavia trarre in
inganno. Come già detto, l’accesso non si traduce in un controllo di natura
meramente esplorativa o emulativa da parte dei privati sull’agere ammini-
strativo, né tanto meno nel riconoscimento di azione popolare con la quale si
consente a chiunque (non abbia interesse) di ispezionare l’efficienza di un
servizio pubblico: il suo esercizio è riconosciuto solo al titolare di una
posizione soggettiva legittimante, giuridicamente rilevante che, a prescin-
dere della consistenza che può assumere - diritto soggettivo o interesse
legittimo34 - deve presentare i caratteri dell’attualità, personalità,

32
La letteratura sul diritto di accesso è sterminata. V. per tutti, M.A. Sandulli, (voce)
“Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi”, in Enc. dir., Aggiorn., IV, Milano, 2000, 1;
C. E. Gallo - S. Foà, (voce) “Accesso agli atti amministrativi”, in Dig. disc. pubbl., Aggiorn., IV,
Torino, 2000, pag. 55; D. Giannini, L’accesso ai documenti, Milano, 2013; M. Occhiena,
“Accesso agli atti amministrativi”, in S. Cassese (a cura di) Diz. dir. pubbl., I, Milano, 2006,
pag. 57; A. R. Tassone, “A chi serve il diritto di accesso?”, in Dir. amm., n. 3/1995, pag. 315; F.
Caringella - R. Garofali - M. T. Sempreviva, “L’accesso ai documenti amministrativi”, in F.
Caringella - G. De Marzo (a cura di) Il nuovo diritto amministrativo, Milano, 2007; F. Caringella,
L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2005; M. A.
Mazzarolli, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali, Padova, 1998; P. Burla -
G. Fraccastoro, Il diritto d’accesso ai documenti della Pubblica amministrazione, Roma, 2006; R.
Tomei, Nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, Padova, 2007; F. Nesta, Il
diritto di accesso ai documenti amministrativi, Torino, 2006 e, soprattutto, L. Salvini, “Accesso
agli atti del procedimento tributario”, in S. Cassese (a cura di) Diz. dir. pubbl., Milano, 2006, I,
pag. 66.
33
Prima dell’intervento riformatore del 2005, il diritto di accesso era riconosciuto a
chiunque vi avesse interesse e l’inclusione degli interessi diffusi o pubblici tra le situazioni
legittimanti l’accesso avveniva ad opera dell’interpretazione (peraltro, non univoca) della
giurisprudenza. La struttura aperta della disposizione, lungi dall’agevolare la comprensione
degli interpreti, rappresenta in realtà uno dei profili maggiormente problematici del diritto di
accesso, dunque non è un caso che in occasione della riforma del 2005 il legislatore abbia
ulteriormente circoscritto le posizioni legittimanti al punto che, ad oggi, l’ambito soggettivo di
applicazione risulta potenzialmente più restrittivo rispetto alla sua formulazione originaria.
34
Per quanto concerne la natura della posizione giuridica del soggetto istante, si è a lungo
discusso se si trattasse di interesse legittimo o di diritto soggettivo. Senza ripercorrere l’annoso
dibattito, ci si limita ricordare solamente che, in un primo momento, l’Adunanza plenaria (sent.
24 giugno 1999, n. 16) ha aderito all’orientamento che concepiva l’atto emesso dell’ammini-
strazione a seguito di un’istanza di ostensione alla stregua di un provvedimento amministra-
tivo, ma ciò non è valso a placare l’opposta interpretazione che configurava il diritto di accesso
come diritto soggettivo; tant’è vero che, con un’ordinanza del 2005 (ord. 9 settembre, n. 4686), la
sesta sezione del Consiglio di Stato ha nuovamente rimesso la quesitone all’Adunanza Plenaria
(sent. 18 aprile 2006, n. 6), la quale, in ultima analisi, ha preferito dirimere il problema in

Rassegna Tributaria 1/2021 - 69


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

concretezza e serietà. In questo senso, è sufficiente che il soggetto dimostri


che il provvedimento (o gli atti a questo afferenti) sia anche solo potenzial-
mente idoneo a spiegare effetti diretti o indiretti nei suoi confronti a nulla
rilevando l’esistenza di una lesione effettiva della propria posizione giuri-
dica e il possibile esito processuale35. Da qui, la valenza autonoma e il
carattere non strumentale (non servente) alla difesa in giudizio della legit-
timazione all’accesso rispetto alla legittimazione all’impugnazione del prov-
vedimento lesivo36. Come precisato dalla giurisprudenza, oltretutto, il bene
tutelato con il diritto di accesso è la conoscenza dei documenti ammini-
strativi in sé considerato - onde la non dimostrabilità di un interesse
ulteriore e distinto da quest’ultimo - da valutarsi in astratto, sicché è
legittimo il suo esercizio anche in pendenza del giudizio e verso atti
inoppugnabili37.
Ora, calibrando tutte queste argomentazioni nell’ambito tributario e,
più in particolare, nell’ambito dei procedimenti di imposizione deve rite-
nersi che la legittimazione all’accesso faccia capo non solo al soggetto
passivo del tributo sottoposto ad accertamento, ma anche ai soggetti terzi
sottoposti dall’Amministrazione finanziaria a verifiche, controlli e ispezioni
per il reperimento di elementi utili relativi all’accertamento avviato nei
confronti del contribuente controllato o per un riscontro sul loro possibile
coinvolgimento nell’infrazione o, addirittura, sul compimento di illeciti, al
coobbligato solidale, al sostituto d’imposta, insomma, a tutta quella platea
di soggetti che in relazione a un dato procedimento di accertamento assu-
mono (direttamente o indirettamente), secondo l’art. 22, comma 1, lett. b),
una posizione qualificata.
Venendo alla legittimazione passiva, ossia all’individuazione del sog-
getto cui è imputabile la competenza a formare l’atto conclusivo oggetto
dell’istanza o che lo detiene stabilmente, dal combinano disposto delle
disposizioni di cui alla lett. e), comma 1, dell’art. 22 e all’art. 23, Legge n.
241/1990 e all’art. 2, comma 2, D.P.R. n. 184/2006 emerge una definizione

un’ottica più pragmatica, ossia sostenendo la non utilità di una presa di posizione in favore di
un’interpretazione piuttosto che dell’altro. Ciò che viene in rilievo, a parere del Consesso, è il
carattere strumentale della posizione giuridica, esercitabile per la tutela ulteriori e diverse
situazioni giuridiche aventi ad oggetto delle utilità finali, non invece la sua consistenza.
35
A differenza dell’accesso endoprocedimentale (ove il soggetto istante deve dimostrare
di esser parte del procedimento per poter ottenere l’ostensione dei documenti), questo è
consentito e può essere esercitato al dichiarato fine di favorire la partecipazione e di assicurare
l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa, quindi indipendentemente
dalla pendenza di un procedimento.
36
Rispetto a tutto quanto sino ad ora detto, v. ex multis: Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2020, n.
1664; Cons. St., Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930; Cons. St., Sez. III, 27 luglio 2020, n. 477; Cons. St.,
Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1333; Cons. St., Sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 279; Cons. St., Sez. V, 30
dicembre 2019, n. 8904; Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2019, n. 8829; Cons. St., Sez. V, 2 ottobre
2019, n. 6603.
37
Cons. St., Sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 888; Cons. St., Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444.

70 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

molto ampia di Pubblica amministrazione, tale comprende non solo i


soggetti di diritto pubblico e di diritto privato limitatamente alla loro
attività di pubblico interesse in forza della disciplina interna o eurounitaria,
ma anche i gestori di servizi pubblici38.
Ai fini che qui interessano, tra i soggetti di parte pubblica chiamati a
curare l’applicazione delle norme tributarie e che pongono in essere le
attività di accertamento vi sono sia l’Amministrazione finanziaria -
Agenzie fiscali e Guardia di Finanza - sia gli altri organi delegati o ausiliari
che la coadiuvano nello svolgimento dell’esercizio dei poteri in materia di
imposizione, come ad esempio i concessionari del servizio di riscossione.
Con riguardo a questi ultimi, è pacifico che, indipendentemente dalla
loro natura privata (ad es. ex Equitalia) o pubblica (l’attuale Agenzia delle
entrate - riscossione), essi rientrino nel novero dei soggetti passivi, posto che
rileva non la loro veste formale, ma l’attività volta alla cura e all’espleta-
mento di compiti di interesse pubblico39.
Sul punto, i giudici amministrativi40 sono molto chiari nell’affermare
che il diritto del contribuente all’ostensione degli atti propedeutici alle

38
Sul punto si ricorda che l’orientamento giurisprudenziale favorevole all’accesso ad atti
e documenti riguardanti attività svolte in regime di diritto privato ha fatto qualche difficoltà ad
affermarsi. Secondo un indirizzo ormai superato, la richiesta di ostensione poteva essere
rivolta solo ad Amministrazioni pubbliche e a concessionari (gestori) di servizi pubblici che
agivano in vesti di autorità. Decisive sono state le sentenze Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999,
nn. 4 e 5 con il commento di S. Cassese, “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dei
concessionari di pubblici servizi (due recenti sentenze)”, in C. Corduas - R. Romei - G. Sapelli (a
cura di) La testimonianza del giurista nell’impresa: scritti in memoria di Massimo D’Antona,
Milano, 2001, pag. 231. Emblematici anche i casi noti di Ente Poste italiane Cons. St., Ad. plen.,
28 giugno 2016, n. 13 e Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2010, n. 252; Trenitalia S.p.A. Cons. St.,
Sez. VI, 23 novembre 2007, n. 5569; Autostrade per l’Italia S.p.A. Cons. St., Sez. IV, 5 settembre
2007, n. 4645; Enel S.p.A. Cons. St., Sez. VI, 17 settembre 2002, n. 4711.
39
V. la nota sentenza del Cons. St., Ad. plen., 5 maggio 2005, n. 5. In senso conforme
anche Cons. St., Sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3847; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2 agosto 2016,
n. 8948; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 629; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo,
Sez. I, 24 settembre 2015, n. 661; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 17 settembre 2015,
n. 4568. È pacifico che Equitalia S.p.A. pur essendo un soggetto di diritto privato svolgeva
un’attività di pubblico interesse essendo agente per la riscossione dei tributi (cfr. T.A.R.
L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 24 settembre 2015, n. 661; Cons. St., Sez. IV, 27 giugno 2012,
n. 3812; T.A.R. Bari - Puglia, Sez. I, 10 giguno 2010, n. 2369; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2
marzo 2010, n. 3231; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 12 settembre 2008, n. 475),
pertanto inclusa nell’elenco sei soggetti verso i quali presentare istanza di accesso. V. in
ultimo, la nota ordinanza della Corte cost. 9 novembre 2007, 377.
40
Cfr. Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2015, nn. dal 1696 al 1705. I giudici di prime cure sono soliti
precisare inoltre che l’articolo citato “non individua una modalità di accesso ai documenti, ma
disciplina il rapporto giuridico corrente tra l’agente della riscossione e il debitore con specifico
riferimento all’onere probatorio della pretesa di pagamento. Il che comporta che l’accesso ai
ripetuti atti non può essere negato, avuto conto che è solo sulla scorta degli stessi che può essere
comprovata, con onere a carico dell’agente di riscossione, l’idoneità del titolo esecutivo e non
opposto nei termini di legge a sorreggere validamente le pretese di cui trattasi ovvero a sorreggere
validamente dinieghi di rilascio di certificazioni di regolarità fiscale”: cfr. T.A.R. Salerno -

Rassegna Tributaria 1/2021 - 71


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

procedure di riscossione deve rinvenirsi all’art. 26, D.P.R. n. 602/197341 e


che la sussistenza di un interesse all’esibizione avviene ope legis, sicché “la
richiesta non può mai essere valutata sotto il profilo della meritevolezza
soggettiva da parte del concessionario, obbligato ex lege alla custodia ed
all’esibizione, senza che allo stesso residui alcun margine di scelta”42.
Qualche problema in più sorge, invece, in relazione alla Guardia di
Finanza, e ciò in ragione del carattere preparatorio degli atti da questa
posti in essere e della competenza a ricevere la richiesta di accesso.
Rispetto alla prima criticità, secondo la prassi dell’Amministrazione
finanziaria e l’indirizzo interpretativo dominante dei tribunali amministra-
tivi, gli atti delle indagini finanziarie devono ritenersi esclusi dall’accesso, a
meno la loro esibizione venga chiesta unitamente a quella del provvedi-
mento finale, essenzialmente per due ragioni: innanzitutto, perché essendo
inerenti a sub-procedimenti interni e finalizzati all’acquisizione di dati,
notizie, materiale necessari per un’efficace azione di accertamento non
sono in grado di incidere direttamente su posizioni soggettive di autonoma
tutela giurisdizionale43; in secondo luogo, perché in base agli artt. 24,
comma 2, lett. c), della Legge n. 241/1990 e 8, comma 5, lett. c), D.P.R. n.

Campania, Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 2284; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 8 ottobre 2015,
n. 689; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 15 aprile 2014, n. 2118; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez.
I, 18 aprile 2013, n. 882; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 26 ottobre 2011, n. 767.
Stante la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in caso di mancata riscossione dei tributi nel
quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, costituisce un
onere improntato alla diligenza per il concessionario quello di conservare la copia della
cartella oltre i cinque anni e per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia
stato recuperato (in modo da conservarne prova documentale ostensibile, anche a richiesta
dei soggetti legittimati, nelle varie fasi di definizione del rapporto, onde poter compiuta-
mente esercitare le prerogative esattoriali) cfr. T.A.R. Pescara - Abruzzo, Sez. I, 11 dicembre
2017, n. 356; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 20 settembre 2017, n. 4463; T.A.R. Lecce -
Puglia, Sez. II, 26 settembre 2016, n.1492; Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 317. Molto
interessante è la recente sentenza del T.A.R. Napoli - Campania, Sez. II, 8 maggio 2020, n.
1693 in tema di rapporto concessori tra ente locale e concessionario.
41
Laddove prevede che “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la
copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed ha
l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.
42
T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 17 ottobre 2019, n. 4959; T.A.R. Latina - Lazio, Sez. I,
27 settembre 2018, n. 496; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 22 marzo 2018, n. 136; T.A.R.
Pescara - Abruzzo, Sez. I, 27 febbraio 2018, n.68; T.A.R. Palermo - Sicilia, Sez. III, 11 settembre
2017, n. 2146; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 21 aprile 2017, n. 4890; Cons. St., Sez. IV, 6 agosto
2014, n. 4210; Cons. St., Sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486. Ad avviso dei giudici amministrativi,
se non fosse consentita l’esibizione, si finirebbe con l’introdurre una ingiustificata limitazione
all’esercizio di difesa del contribuente cfr. T.A.R. Catanzaro - Calabria, Sez. II, 9 luglio 2019, n.
1397; Id. 25 settembre 2018, n. 1620. V. anche la T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 12 settembre 2016,
n. 9662 e il commento di F. Farri, “Accesso agli atti in fase di riscossione e ‘imparzialità’
dell’esecuzione”, in Riv. dir. trib. on line, 2016.
43
In ordine all’inquadramento giuridico degli atti preparatori cfr. S. La Rosa, “Accesso
agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del diritto alla riservatezza”, in Riv. dir. trib., 1996,
pag. 1109.

72 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

352/1992, dalla loro diffusione potrebbe derivare pregiudizio alla preven-


zione e repressione della criminalità nei settori di competenza di quest’ul-
tima, anche sotto il profilo della conoscenza delle tecniche e delle fonti
informative ed operative44.
Circa la seconda criticità, ossia l’individuazione dell’Autorità a cui deve
essere inoltrata la richiesta di accesso (se al Comando del Corpo della
Guardia di finanza che ha eseguito le indagini finanziarie ovvero
all’Ufficio competente dell’Agenzia delle entrate), in forza del previgente
D.P.R. n. 352/1992 sono state adottate una serie di circolari interne con le
quali è stato ripetutamente escluso che la Guardia di finanza (data la sua
incompetenza a formare e a detenere stabilmente l’atto conclusivo dei
medesimi)45 potesse essere destinataria di istanze di accesso ad atti relativi
a procedimenti tributari, con la conseguenza che in caso di ricevimento di
richieste di questo genere avrebbe dovuto trasmetterla immediatamente
all’Amministrazione finanziaria competente e, al contempo, a darne comu-
nicazione all’interessato46. Per quanto non condivisibile, questa continua a
essere ad oggi la posizione dominante.
Delineato l’ambito soggettivo dell’istituto è ora possibile spostare l’at-
tenzione su quello oggettivo concernente i documenti amministrativi acces-
sibili47, la cui nozione, originariamente troppo ampia e generica, è stata
opportunamente riperimetrata dalla Legge n. 15/2005.

44
Cfr. T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 23 ottobre 2018, n. 988; T.A.R. Brescia -
Lombardia, Sez. I, 18 luglio 2018, n. 751; Cons. St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; Cons.
St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5127; Cons. St., Sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1817; Cons. St., Sez.
IV, 9 agosto 2010, n. 5449; Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 422; Cons. St., Sez. IV, 11 aprile
2002, n. 1977; Cons. giust. amm. 17 agosto 2000, n. 371; Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 1998, n.
1006.
45
Così la circolare del Ministero delle Finanze del 28 luglio 1997, n. 213/S/UCOP, in
particolare paragrafo II.3, e le circolari del Comando generale della Guardia di finanza
n.106900 del 25 marzo 1998 (III reparto); n. 36000 del 20 ottobre 1998 (III reparto) e la
successiva 263000 dell’08 ottobre 2001 (I reparto). Sul tema v. A. Iorio, “Il diritto di accesso
agli atti di verifica della Guardia di finanza”, in Corr. Trib., n. 48/2001, pag. 3619 che commenta
T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. I, 25 giugno 2001, 4479; G. Gallo - G. Pezzuto, “Il destinatario
della richiesta di accesso agli atti dell’accertamento”, in questa Rivista, n. 1/1998, pag. 93.
46
Così art. 4, D.P.R. n. 352/1992. Cfr. M. Pisani, “L’accesso agli atti del procedimento di
accertamento”, in Corr. Trib., n. 26/2002, pag. 2332. Sull’interpretazione sistematica tra la
circolare n. 32/E/2006, la circolare n. 165860/2006 e l’art. 25 della Legge n. 241/1990 e quindi
sull’individuazione dell’autorità competente a ricevere l’istanza di accesso v. P Burla - A.
Nastasia, “L’accesso al provvedimento di autorizzazione alle indagini finanziarie”, in il fisco,
n. 45/2006, pag. 6933. Sullo stesso tema, G. Fraccastoro, “L’accesso ai documenti ammini-
strativi nei procedimenti tributari”, in Corr. mer., n. 2/2007, pag. 243; M. Querqui - M. Querqui,
“Accesso agli atti dei procedimenti tributari: analisi delle norme di interesse alla luce delle
modifiche ed integrazioni alla Legge n. 241 del 7 agosto 1990”, in il fisco, n. 39/2005, pag. 6102;
V. Maresca, “Tutela del segreto istruttorio e indagini fiscali”, in questa Rivista, n. 1/2015,
pag. 171.
47
Sulla nozione di documento amministrativo v. I. F. Caramazza, “Documentazione e
documento (dir. amm.)”, in Enc. giur., Roma, 1989, 1; C. Aprile, “La nozione ampia di

Rassegna Tributaria 1/2021 - 73


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

Stante l’attuale formulazione della disposizione di cui alla lett. b),


comma 1, art. 22, oggetto della pretesa di accesso è costituito da: (a) ogni
supporto fisico (elemento materiale) anche diverso da quello cartaceo - e
quindi ogni “rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagne-
tica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni”, nonché
elettronica-digitale - contenente una certa informazione (elemento imma-
teriale)48; (b) non necessariamente inerente ad un procedimento specifico;
(c) formato o detenuto dall’Amministrazione; (d) individuato o individua-
bile49; (e) esistente50; e che, (f) a prescindere dalla natura pubblicistica o
privatistica della sua disciplina sostanziale, sia riferibile a un’attività di
pubblico interesse soggetta al canone di imparzialità51.
Nel corso degli anni la giurisprudenza ha via via specificato i singoli
elementi costitutivi sopra enumerati, e tra gli approdi interpretativi più
importanti vi è sicuramente quello raggiunto sull’inciso “atti interni”52,

documento amministrativo”, in Nuova Rass., n. 15/1991, pag. 1483; P. Carnevale, “Note e


considerazioni sulla disciplina del procedimento amministrativo e sul diritto di accesso ai
documenti amministrativi”, in Foro amm. TAR, n. 2/1990, pag. 336.
48
È inammissibile un’istanza di accesso ad oggetto un atto non formalizzato su alcun
supporto o finalizzata ad ottenere informazioni non veicolate da documenti amministrarvi cfr.
Cons. St., Sez. VI, 22 giguno 2020, n. 4000; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. I, 25 giguno 2020, n. 7174;
T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. IV, 17 aprile 2019, n. 876.
49
Cons. St., Sez. V, 6 aprile 2020, n. 2309.
50
Il diritto di accesso non può essere esercitato per promuovere la formazione o l’elabo-
razione di nuovi documenti destinati a contenere le informazioni richieste ex art. 2, D.P.R. n.
184/2006 e in giurisprudenza, ex multis v. T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. II, 19 novembre
2019, n. 2443; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez. II, 5 novembre 2019, n. 1700; T.A.R. Napoli -
Campania, Sez. VI, 20 settembre 2019, n. 4520; T.A.R. Campobasso - Molise, Sez. I, 3 settembre
2019, n. 285; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 9 luglio 2018, n. 7645; Cons. St., Sez. IV, 26 ottobre
2018, n. 6092; Cons. St., Sez. IV, 4 maggio 2018, n. 2665.
51
Al riguardo è stato osservato che ciò che identifica il documento amministrativo non è il
modo il cui viene rappresentato, che sia manifestazione di scienza o di volontà, ma il suo
contenuto e la sua derivazione da un’Amministrazione pubblica o anche da altro soggetto
estraneo, a condizione che sia utilizzata ai fini dell’attività amministrativa nella fase prepara-
toria all’avvio del procedimento o all’interno della sua fase di formazione: cfr. F. Caringella - R.
Garofali - M. T. Sempreviva, L’accesso, op. cit., pag. 142; S. Del Gatto, “Il diritto d’accesso nella
giurisprudenza: oggetto e limiti”, in Foro Amm. TAR, n. 4/2002, pag. 1470.
52
Si tratta, sostanzialmente, di tutti quegli atti che tendenzialmente non sono idonei ad
incidere da sé sulle posizioni giuridiche altrui - come ad esempio quelli aventi carattere orga-
nizzatorio (circolari, accordi interni, nulla osta) ma che sono potenzialmente capaci di determi-
nare il contenuto dell’atto finale e la relativa legittimità - si pensi al caso dei degli atti istruttori
(anche non provenienti dalla stessa autorità procedente) quali i parerei obbligatori, le auto-
rizzazioni, agli ordini di servizio e simili. Cfr. Cons. St., Sez. VI, 26 aprile 2005, n. 1896; Cons. St.,
Sez. IV, 13 ottobre 1999, n. 1577. Più problematica e discussa è l’accessibilità a documenti aventi
carattere investigativo, probatorio, di vigilanza o di controllo. In linea di principio, tutti questi atti
possono formare oggetto di una domanda di accesso qualora il privato dimostri la titolarità di un
interesse giuridicamente rilevante alla loro conoscenza. A riprova di quanto detto, si pensi al caso
dell’atto di denuncia dei fatti a carico del soggetto istante, o ancora più in generale agli atti relativi
ad un giudizio penale, i quali nonostante inseriti in un giudizio pendente non implicano uno

74 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

manifestamente comprensivo di una moltitudine di atti amministrativi


molto spesso riconducibili a categorie differenti. Rispetto a questi,
l’ammissibilità è sostanzialmente subordinata all’esistenza o meno di una
norma di Legge, e in ispecie: se è la Legge a richiederne espressamente
l’adozione (in quanto momenti senz’altro indispensabili nella fase prepa-
ratoria del procedimento e quindi destinati a riverberarsi sul contenuto del
possibile provvedimento finale), gli atti sono ritenuti ostensibili; all’oppo-
sto, in assenza di uno specifico vincolo normativo, se ne ammette l’accesso a
condizione che essi siano concretamente utilizzati dall’Amministrazione ai
fini dell’attività con rilevanza esterna53.
Un’altra questione rilevante (che oltretutto si riallaccia a quanto già
osservato in sede di legittimazione attiva) è quella inerente al rapporto di
strumentalità che deve sussistere tra l’interesse del soggetto istante e il
documento di cui si chiede l’ostensione. In merito, secondo l’orientamento
ormai consolidato della giurisprudenza, il rapporto in questione va inteso in
senso ampio, dal momento che la documentazione richiesta non costituisce
mero strumento di prova diretta di una lesione subita e lamentata dal
soggetto istante, ma un mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridica-
mente rilevante da valutarsi in astratto e senza la possibilità per
l’Amministrazione di svolgere apprezzamenti in ordine alla fondatezza o
ammissibilità della domanda giudiziale proponibile54.

specifico obbligo di segretezza. Cfr. T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2 gennaio 2020, n. 4; T.A.R.
Catania - Sicilia, Sez. IV, 3 giugno 2019, n. 1364; Cons. St., Sez. VI, 29 gennaio 2013, N. 547;
T.A.R. Napoli - Campania, Sez. V, 26 febbraio 2002, n. 1088; T.A.R. Sardegna, 6 luglio 2000,
n. 537. Diverso ancora è il caso degli atti coperti da segreto istruttorio, in quanto afferenti a
indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque
titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza. Cfr. T.A.R. Roma -
Lazio, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 242. In dottrina, v. M. V. Serranò, “Note minime
sull’ammissibilità dell’accesso agli atti interni nella più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato”, in Boll. trib., 2003, pag. 1537.
53
Il Consiglio di Stato ha costantemente precisato che, al di fuori dei casi di esclusione
espressamente previsti all’art. 24 e relativi decreti attuativi, il diritto di accesso dev’essere
generalmente riconosciuto atteso che le esigenze di cui all’art. 97 Cost., riguardano tutte le
attività finalizzate all’emanazione di provvedimenti. Cfr. Cons. St., Sez. VI, 22 giugno 2020, n.
4000; Cons. St., Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4372; Cons. St., Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3856;
Cons. St., Ad plen., 28 aprile 1999, n. 6.
54
Il soggetto pubblico “non può andare oltre una valutazione circa il collegamento
dell’atto - obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente - con la situazione soggettiva
da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare
nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato”.Cfr. T.A.R.
Brescia - Lombardia, Sez. I, 28 marzo 2019, n. 282; T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. III, 12
novembre 2018, n. 2143; Cons. St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; T.A.R. Roma, - Lazio,
Sez. I, 31 ottobre 2017, n. 10880; T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. III, 29 giugno 2016,
n.1283; Cons. St., Sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 527; Cons. St., Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1545;
Cons. St., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 461; Cons. St., Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55. Nelle
sentenze di primo grado di accoglimento del ricorso non è raro leggere tale ratio decidenti

Rassegna Tributaria 1/2021 - 75


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

In sostanza, oggetto della richiesta di ostensione possono essere tutti gli


atti relativi alle fasi di accertamento, riscossione e versamento (e, quindi, a
titolo esemplificativo e senza pretesa di completezza: verbali, fatture, avvisi
bonari, ruolo, cartelle esattoriali, relate di notifica delle cartelle, ecc.)55 e
l’Amministrazione, oltre a non essere titolare di alcun margine di apprez-
zamento in ordine alla determinazione degli atti da esibire (anzi, laddove vi
sia detenzione e custodia in capo all’Amministrazione medesima, l’obbligo
di consentire l’accesso opera in termini pressoché automatici), non può
neppure rilasciare un documento diverso, equipollente o incompleto in
quanto elemento fondante l’actio ad exhibendum è proprio la conformità
del documento esibito al privato cittadino all’originale56.

soprattutto laddove l’Amministrazione finanzia cerca di motivare il diniego all’accesso


asserendo la carenza di un interesse qualificato o di legittimazione o, più in generale, la
mancanza di un collegamento tra il documento e la situazione giuridica da tutelare. Ex
multis, T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. IV, 8 luglio 2020, n. 1679; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. I, 5
maggio 2020, n. 4660; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 9 marzo 2020, n. 161; T.A.R.
Brescia - Lombardia, Sez. II, 15 gennaio 2020, n. 32; Cons. St., Sez. IV, 19 ottobre 2017, n.
4838; Cons. St., Sez. III, 16 maggio 2016, n. 1978; Cons. St., Sez. VI, 15 maggio 2017, n. 2269;
Cons. St., Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55. Ed invero, costituisce jus receptum che “il
contribuente ha diritto ad accedere alla documentazione che attiene alla gestione del
rapporto di imposta, ovvero a tutti quegli atti intesi a sollecitare il pagamento della pretesa
tributaria e dalla cui conoscenza (o inesistenza) possano emergere vizi sostanziali e/o
procedimentali tali da palesare l’illegittimità totale o parziale della pretesa medesima.
Ferma infatti, in linea di principio, l’esclusione del diritto di accesso nei procedimenti
tributari sancita dall’art. 24, comma 1, lett. b), Legge n. 241/1990, vale comunque il
comma 7, primo periodo […]. L’amministrazione, pertanto, non solo è obbligata a rendere
disponibili gli atti richiesti dal contribuente, ma non è titolare di alcun margine di
discrezionalità in ordine alla determinazione di quali atti esibire” Così T.A.R. Roma -
Lazio, Sez. II, 29 maggio 2020, n. 5722 conformi Cons. St., Sez. IV, 6 febbraio 2019, n.
908; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez. II, 21 marzo 2018, n. 451; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI,
12 maggio 2016, n. 2420; Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 317; Cons. St., Sez. VI, 15
febbraio 2012, n. 766. Il richiamato art. 24, comma 7, primo periodo, recita testualmente che
“deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui
conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”. Come si
avrà modo di osservare nel capitolo che segue, in realtà la giurisprudenza tende ad ammet-
tere il diritto di accesso, ma fa dipendere il buon esito dell’istanza sostanzialmente dalla fase
di pendenza o meno del procedimento tributario.
55
V. T.A.R. Catanzaro - Calabria, Sez. II, 19 novembre 2018, Cons. St., Sez. IV, 22 giugno
2018, n. 3847; T.A.R. Catanzaro - Calabria, Sez. II, 9 ottobre 2015, n. 1543; Cons. St., Sez. IV, 31
marzo 2015, n. 1705; Cons. St., Sez. IV, 12 maggio 2014, n. 2422.
56
T.A.R. Lombardia - Brescia, Sez. I, 27 febbraio 2019, n. 189; T.A.R. Firenze - Toscana,
Sez. I, 27 giugno 2017, n. 890; T.A.R. Salerno - Campania, Sez. I, 25 maggio 2016, n. 1298; Cons.
St., Sez. IV, 30 novembre 2015, n. 5410 Quanto specificato, tuttavia, non trova sempre riscontro
nella prassi delle Agenzie e spesso accade che, ad esempio, alla richiesta di ostensione di una
cartella di pagamento, l’Agente della riscossione produce documenti intestati “estratto car-
tella” e stampigliati come “copia conforme dell’estratto di ruolo” o innanzi alla richiesta di
esibizione e copia conforme dei ruoli nominativi integrali completi di tutto quanto prescritto
all’art. 12 del D.P.R. n. 602/1972, è rilasciata una copia (semplice) di estratti di ruolo, insomma i
casi possono essere molti, differenti ma tutti paradigmatici. Sul punto, la giurisprudenza è

76 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

ricca di casi come questo v. per tutte T.A.R. Salerno - Campania, Sez. I, 7 maggio 2015, n. 921
nella misura in cui statuisce che, “poiché la cartella esattoriale costituisce presupposto di
procedure esecutive la richiesta di accesso ad essa è strumentale alla tutela dei diritti del
contribuente in tutte le forme dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed oppor-
tune, con la conseguenza che deve essere rilasciata, in copia, dalla società concessionaria al
contribuente che abbia proposto, o voglia proporre ricorso, avverso atti esecutivi iniziati nei
suoi confronti” (Cons. Stato, Sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4801); si tenga anche presente
quanto statuito nella recente sentenza della Sezione, del 6 agosto 2013, n. 1750: “Non è
sufficiente, ai fini dell’interesse alla estrazione degli atti, relativamente a cartelle esattoriali e
relative relate di notifica per i quali si chieda l’accesso, il mero deposito in semplice copia
degli estratti di ruolo, agli atti del fascicolo di causa, perché vanno esibiti gli atti in copia
integrale e conforme all’originale, allo scopo di consentire la piena conoscenza del loro
contenuto”. Nel diverso caso in cui la cartella è notificata mediante servizio postale, l’Agente
della riscossione può legittimamente rispondere a una richiesta di accesso producendo copia
degli estratti di ruolo delle cartelle di pagamento e delle relate di notifica o dei pertinenti
avvisi di ricevimento (cfr. Cass., Sez. trib., 19 aprile 2017, n. 9845; Cass., Sez. trib., 11
novembre 2017, n. 23902), ma a piena tutela dell’interesse del privato, è comunque tenuto ad
attestare (con una specifica dichiarazione formale, della quale si assume la responsabilità,
contenuta nella copia dell’estratto di ruolo prodotta o in un autonomo documento) che i dati
riportati nell’estratto corrispondono alle risultanze dei ruoli e che né presso di sé né presso
altra Amministrazione esistono gli originali richiesti cfr. Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2020,
nn. 1265 e 1264. Diversa ancora è l’ipotesi in cui negli archivi non sia più materialmente
esistente né l’originale né la copia dell’atto o documento richiesto dal contribuente (nel caso
di notifica delle cartelle a mezzo di PEC, si presuppone che il concessionario detiene
quantomeno la copia informativa dell’atto) : in tale circostanza l’Agente potrà dichiarare
(fornendone prova certa attraverso una certificazione del funzionario responsabile) che non
è più in possesso dell’originale o della copia (quanto meno, dovrebbero esservi le matrici
recanti le relate di notificazione) e che l’accesso non potrà aver luogo in forza del principio
generale espresso nel brocardo ad impossibilia nemo tenetur cfr. T.A.R. Salerno - Campania,
Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 2283; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez. II, 26 settembre 2016, n.1491; T.A.
R. Bari - Puglia, Sez. III, 5 novembre 2015, n. 1440. Per completezza deve tuttavia eviden-
ziarsi che non mancano decisioni che ritengono sufficiente a soddisfare l’interesse dell’i-
stante la conoscenza dell’estratto di ruolo in luogo della copia della cartella di pagamento cfr.
T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 17 luglio 2019, n. 9491; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 5 aprile
2018, n. 3779; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 30 novembre 2017, n. 11861. Come detto, si tratta
di un indirizzo minoritario che peraltro non adduce una motivazione così persuasiva da
superare il tradizionale orientamento del Consiglio di Stato secondo cui: 1) “la ragione per
cui non è permesso all’amministrazione, ed al privato che esercita funzioni pubbliche, di
sostituire arbitrariamente il documento richiesto con altro sebbene equipollente deriva
espressamente dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 […] che all’art. 22 lett. d) fornisce la nozione
di documento amministrativo e nello stesso contesto, alla lett. a) precisa come il diritto di
accesso sia ‘il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi’, ossia un diritto di acquisizione di quegli stessi documenti o delle loro copie e
non di succedanei. In questa ottica, questa Sezione ha già evidenziato come elemento
fondante dell’actio ad exhibendum sia la conformità del documento esibito al privato
all’originale, non avendo neppure rilievo scusante l’esistenza per la Pubblica amministra-
zione di impedimenti tecnici” cfr. Cons. St., Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209 conforme a Cons.
St., Sez. IV, 10 aprile 2009, n. 224; 2) “l’estratto di ruolo e le cartelle esattoriali (previste
dall’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973 per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli) sono
documenti diversi per forma e contenuto, sicché l’ostensione dell’estratto di ruolo non può
ritenersi equipollente al rilascio delle copie delle cartelle esattoriali” cfr. Cons. St., Sez. IV, 8

Rassegna Tributaria 1/2021 - 77


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

4. La tutela della riservatezza dell’azione del Fisco e il diritto all’ostensione


documentale del contribuente: un delicato bilanciamento - Dopo aver trat-
teggiato gli elementi essenziali del diritto di accesso è possibile esaminare la
questione inerente ai limiti al suo esercizio.
Già in sede di legittimazione attiva se n’è individuato implicitamente
uno di carattere soggettivo laddove si è affermato che in capo al richiedente
deve sussistere “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad
una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento”.
Accanto a questo, la Legge n. 241/1990 al successivo art. 24 ne prevede
espressamente degli altri, c.d. oggettivi, legati al tipo di informazioni con-
tenute nell’atto.
La questione è importante perché parlare di limiti (in diritto) significa, il
più delle volte, ragionare su interessi o diritti in conflitto tra loro, con
conseguente necessità di operare un bilanciamento.
I gruppi di principi che emergono e si contrappongono nell’ambito del
diritto all’ostensione sono essenzialmente due: da un lato, quelli di traspa-
renza e di pubblicità; dall’altro, quelli di segretezza e di riservatezza57. Per
evidenti ragioni, non è possibile in questa sede svolgere un’approfondita
riflessione sui predetti principi, e, per ciò, ci si limita a ricordare che il
segreto amministrativo: (a) ormai rappresenta l’eccezione e non più la
regola dell’agire degli Uffici dell’amministrazione pubblica58; (b) non si
rapporta più alla qualità del detentore delle informazioni ma alla qualità
delle informazioni da esso detenute e protette e, dunque, degli interessi che
ne costituiscono il sostrato; (c) conseguenza della sua “non assolutezza”
sono: i) la regola del differimento dell’accesso di cui all’ultimo co. dell’art. 24;
ii) l’accesso parziale nel caso di documento con pluralità di informazioni di
cui solo alcune inaccessibili59.
Scendendo nella particolarità della disciplina, colpisce innanzitutto che
l’art. 16 della Legge n. 15/2005 se per un verso ha profondamente innovato
l’art. 24, introducendo previsioni molto più precise e complete, per altro

luglio 2019, n. 4721 e n. 4714; Cons. St., Sez. IV, 9 giugno 2015, n. 2834; Cons. St., Sez. IV, 12
maggio 2014, n. 2422.
57
La riservatezza (ed il relativo right to be let alone) attribuisce rilievo all’interesse
privatistico a che sia mantenuto, appunto, il riserbo in ordine a vicende che ineriscono la
sfera personale, economica e patrimoniale di singoli soggetti (persone giuridiche o fisiche). La
segretezza, invece, risponde all’esigenza di tutelare gli interessi pubblici e generali.
58
Più diffusamente, G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1984, II, pag. 184; G.
Arena, “Le diverse finalità della trasparenza amministrativa”, in F. Merloni (a cura di) La
trasparenza amministrativa, Milano, 2008, pag. 29; G. Napolitano, “Diritto di accesso e segreto:
l’evoluzione possibile nella valutazione del segreto istruttorio come limite da ridimensionare
nei confronti delle esigenze di difesa”, in Giust. amm., n. 3/2006, pag. 601; D. Piccioni, (voce)
“Riservatezza (Disciplina amministrativa)”, in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, pag. 722.
59
V. l’illuminante contributo di M. Clarich, “Diritto di accesso e tutela della riservatezza:
regole sostanziali e tutela processuale”, in Dir. proc. amm., n. 3/1996, pag. 430.

78 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

verso ha fatto salvi alcuni elementi caratterizzanti la disposizione originaria


molto importanti: ci si riferisce, in ispecie, alla tipologia dei limiti e al
sistema delle fonti normative.
Quanto al primo profilo, è stata mantenuta la tradizionale distinzione
tra limiti tassativi (detti anche generali) previsti in qualunque ambito di
azione della Pubblica amministrazione o in relazione a specifici tipi di
procedimenti e finalizzati alla salvaguardia di interessi pubblici fondamen-
tali, prioritari rispetto alla conoscenza dei documenti amministrativi inde-
rogabili e limiti facoltativi (c.d. particolari) che invece attengono
procedimenti adottati in settori attinenti a compiti specifici della
Pubblica amministrazione60.
Quanto al secondo, come nel passato, il sistema di regolazione dei limiti
all’accesso continua a basarsi su un triplice ordine di fonti: in posizione di
preminenza resta ferma la disciplina dettata dalla legge sul procedimento
amministrativo recante l’indicazione dei settori e delle materie rispetto ai
quali vige una preclusione assoluta al diritto di accesso; seguono poi i
regolamenti da adottarsi ex art. 17, comma 2, Legge n. 400/1988 (anch’essi
tassativi), con i quali vengono definiti ulteriori casi di esclusione61; infine, vi
sono i regolamenti delle singole Amministrazioni pubbliche (discrezionali)
che individuano le categorie di documenti da esse formati o detenuti e
sottratti all’accesso62.
Proseguendo, l’altro aspetto su cui porre attenzione è dato dall’espressa
menzione dei procedimenti tributari tra i casi di esclusione del diritto di
accesso alla lett. b), comma 1, art. 24. Una novità di non poco conto e dalla
quale discendono rilevanti conseguenze sul piano pratico, al punto che -
come si avrà modo di approfondire più avanti - se ne potrebbe addirittura
affermare l’illegittimità costituzionale per la violazione degli artt. 1, 3, 24,
97e 11763.
Prima di andare avanti, è necessario ricordare brevemente com’era
regolato l’accesso agli atti tributari prima del varo della Legge n. 15/2005,
e ciò per due ordini di ragioni: in primis perché è sulla base della previgente
ricostruzione che si basa ancora la giurisprudenza amministrativa; in
secundis perché consente di avvalorare la tesi secondo cui il legislatore ha
operato un’irragionevole e illegittima reformatio in pejus.
L’originario art. 24, pur non facendo alcuna espressa menzione agli atti
tributari o al procedimento tributario, al comma 6 prevedeva che tra gli atti

60
Cfr. D. Giannini, L’accesso, op. cit., pag. 216.
61
Detti regolamenti non devono essere confusi con il D.P.R. n. 184/2006 - che ha sostituito
il D.P.R. n. 352/1992, che si limita ad integrare la Legge n. 241/1990 sotto i profili soggettivi,
oggettivi e strumentali.
62
V. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2004, n. 956.
63
Molti anni addietro, in Dottrina, era stata già paventata una simile prospettiva. V. sul
punto L. Ferlazzo Natoli - F. Martines, “La Legge n. 15/2005 nega l’accesso agli atti del
procedimento tributario. In claris non fit interpretatio?”, in questa Rivista, 2005, pag. 1490.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 79


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

sottratti all’esibizione vi erano anche gli “atti preparatori nel corso della
formazione dei provvedimenti di cui all’art. 13, salvo diverse disposizioni di
legge”64. Ora, a fronte del generico rinvio si pose subito l’interrogativo se
l’esclusione fosse riferita al primo o al comma 2, dell’art. 13, ossia agli atti
normativi, generali, di pianificazione e programmazione o ai procedimenti
tributari65.
L’acceso acceso e fervente dibattito che si sviluppo sul punto ebbe ad
oggetto essenzialmente due questioni: la prima riguardante l’interpreta-
zione meramente letterale del testo degli articoli citati; la seconda, invece, il
riconoscimento del diritto di accesso alla documentazione tributaria solo a
seguito dell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento
ovvero anche durante l’iter di formazione.
Intorno al primo problema si sono contrapposti due orientamenti:
quello avanzato dal Consiglio di Stato - sposato dall’Amministrazione
finanziaria66 - e quello formulato dalla dottrina.
In via di estrema sintesi, i primi erano favorevoli ad un’interpretazione
estensiva del combinato disposto di cui al comma 6, art. 24 e all’art. 13, e ciò
in forza di due ragioni: 1) quella letterale, secondo cui con il termine
“provvedimenti” il legislatore intendeva riferirsi al loro procedimento di
formazione e non invece all’atto in se considerato, onde l’espressione “nel
corso della formazione di cui all’art. 13” era equivalente a dire “nel corso di
formazione dei procedimenti di cui all’art. 13”; 2) quella logico-sistematico,
con la quale si assumeva che l’art. 13 che l’art. 24 avevano alla base le stesse
finalità: quella di sottrarre l’applicazione di alcuni principi generali a deter-
minati procedimenti amministrativi e quella di tutelare il segreto di
ufficio67.
Sul fronte opposto, la dottrina, ritenendo poco persuasiva la soluzione
ermeneutica prospettata dai giudici amministrativi, faceva notare innanzi-
tutto che la tesi non teneva affatto conto della relazione di accompagna-
mento ai lavori preparatori della legge sul procedimento amministrativo

64
In dottrina v. L. Salvini, Accesso agli atti, op. cit., pag. 68.
65
Il primo stabiliva che le disposizioni contenute al capo V in tema di partecipazione a
procedimenti “non si applicano nei confronti dell’attività della Pubblica amministrazione
diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la forma-
zione”, al secondo, aggiungeva che queste stesse disposizioni di cui al capo V “non si applicano
altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li
regolano”.
66
V. circolare del Ministero delle Finanze del 13 febbraio 1995, n. 49/S.
67
Cons. St., Sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1977; T.A.R. Trieste - Friuli-Venezia Giulia, 21
dicembre 2002, n. 1070; T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. I, 12 novembre 2001, n. 7191; Cons.
St., Sez. VI, 2 aprile 1998, n. 426; Cons. St., Sez. VI, 5 novembre 1995, n. 1083; Cons. St., Sez. VI,
5 ottobre 1995, n. 982. Cfr. A. Tencati, I documenti amministrativi escono dal segreto, Torino,
2000, 62; P. Alberti, “I casi di esclusione del diritto di accesso”, in M. A. Sandulli (a cura di)
Codice dell’azione amministrativa, 2011, pag. 1095.

80 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

nella misura in cui stabiliva che il rinvio del comma 6, art. 24 all’art. 13
doveva ritenersi limitato al suo comma 1; poi faceva osservare che la ratio
legis sottesa all’art. 24, in realtà, doveva rinvenirsi nella tutela e nella
salvaguardia delle attività preparatorie dei provvedimenti amministrativi
di cui al comma 1 dell’art. 13, ossia dai possibili impedimenti materiali che
potevano verificarsi se si fosse consentito l’accesso a tutti i soggetti poten-
zialmente interessati ed incisi dai loro effetti, non invece nella protezione
della segretezza e dell’attività endoprocedimentale svolta nei procedimenti
tributari68. In ultimo, sotto il profilo sistematico, si faceva altresì osservare
che gli artt. 24 e 13 erano contenuti in capi diversi della Legge n. 241/1990,
rispettivamente il V dedicato esclusivamente alla disciplina dell’accesso ed il
III relativo alla partecipazione al procedimento, di conseguenza non poteva
dubitarsi che gli “atti preparatori” di cui al comma 6, erano proprio quelli di
cui al comma 1, dell’art. 13, essendo il comma 2 finalizzato solo ad escludere
i procedimenti tributari dalla normativa della partecipazione al
procedimento69.
Intorno al secondo problema (sul riconoscimento dell’accesso nella fase
solo successiva o anche precedente all’adozione di un atto definitivo),
accanto ad un orientamento più rigido (avallato anche dal Ministero delle
Finanze con la circolare n. 213/1997)70 che ammetteva l’esercizio del diritto
di accesso agli atti preparatori71 solo a seguito dell’eventuale adozione del

68
Cfr. S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag. 1109; A. Voglino, “Ancora in
tema di accesso (amministrativamente negato, e giudizialmente accordato) agli atti del pro-
cedimento tributario di accertamento”, in Boll. trib., n. 13/1997, pag. 1035; A. Voglino,
“Osservazioni critiche sul prevalente orientamento della giurisprudenza in tema di accesso
ai documenti dei procedimenti tributari di accertamento”, in Boll. trib., n. 5/1996, pag. 395; L.
Ferlazzo Natoli - F. Martines, La tutela, op. cit., pag. 60; R. Labriola, “L’azionabilità del diritto di
accesso ai documenti relativi al procedimento tributario”, in Boll. trib., n. 6/1997, pag. 423; S. La
Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag. 1109; M. V. Serranò, La tutela del contribuente
nelle indagini tributarie, Messina, 2003, pag. 157.
69
Sul riferimento ai “provvedimenti” e non ai “procedimenti”, L. Salvini, La partecipa-
zione del privato nell’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’IVA), Padova, 1990, pag. 28.
70
Così il previgente paragrafo VII.4.
71
La dottrina amministrativistica suole distinguere gli atti preparatori dagli atti presup-
posto. I primi si collocano all’interno della sequenza procedimentale, ma non sono idonei a
produrre effetti sul piano della dinamica giuridica. I secondi, invece, sono atti appartenenti ad
una sequenza procedimentale, ma dotati di effetti esterni autonomi indipendentemente dalla
funzione svolta in relazione al provvedimento conclusivo. Cfr. A. M. Sandulli, Il procedimento
amministrativo, Milano, 1964, pag. 51; A. M. Corso, Atto amministrativo presupposto e ricorso
giurisdizionale, Padova, 1990; G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, pag.
221. In tema di atti preparatori tributari, merita particolare attenzione la sent. 19 aprile 1995, n.
264 con la quale il Consiglio di Stato censurando decisione del T.A.R. Bologna - Emila
Romagna, Sez. II, 19 novembre 1994, n. 1650 - che ordinava all’Amministrazione finanziaria
di rilasciare al contribuente la copia del provvedimento autorizzativo all’indagine bancaria -
statuiva che il diritto di accesso non poteva essere esercitato nei confronti dell’autorizzazione
all’acquisizione della documentazione bancaria emessa sul suo conto dal Direttore regionale
dell’Agenzia delle entrate, o per la Guardia di Finanza dal comandante di zona, se non al

Rassegna Tributaria 1/2021 - 81


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

provvedimento conclusivo del procedimento tributario72, se n’è sviluppato


uno più rispettoso delle garanzie procedimentali del contribuente che,
all’opposto, riconosceva a quest’ultimo il diritto di accesso a tutti gli atti

termine del procedimento amministrativo, poiché predetta autorizzazione costituiva un


“atto preparatorio” alla formazione del procedimento tributario non invece un provvedi-
mento autonomo quindi, come tale, né impugnabile autonomamente né oggetto di accesso se
non a conclusione del procedimento di tributario. Per ulteriori approfondimenti v. i com-
menti di G. Spaziani Testa, “Commento a Cons. Stato 19 aprile n. 264”, in il fisco, 1995, pag.
6695; R. Succio, “Sull’accesso del contribuente agli atti autorizzativi: il T.A.R. offre una tutela
in sede amministrativa ma il consiglio di Stato si affretta a negarla”, in Dir. prat. trib., 1996,
II, pag. 480. Sulla stessa linea della sentenza citata, anche T.A.R. Firenze -Toscana, Sez. I, 9
giugno 2003, n. 2329; Cons. St., Sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1977; Cons. St., Sez. V, 27
settembre 2004, n. 6326; Cons. St., Sez. IV, 9 luglio 2002, n. 3825 con commento di V.
Azzoni, “Sull’accesso agli atti del procedimento tributario”, in il fisco, n. 47/2002, pag. 1798;
T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 30 settembre 1999, n. 2982; T.A.R. Torino - Piemonte, Sez. I, 7
maggio 1998, n. 321; Cons. St., Sez. V, 13 luglio 1998, n. 1091; Cons. St., Sez. V, 11 aprile
2002, n. 1997; T.A.R. Bologna - Emila Romagna, Sez. II, 19 novembre 1994, n. 1630; T.A.R.
Bari - Puglia, Sez. I, 22 ottobre 1994, n. 1143. Con specifico riferimento ai rapporti tra diritto
di accesso e atti dispositivi di verifiche fiscali ante 2005 v. R. D’Angionella, “Negato il diritto
di accesso all’autorizzazione per l’acquisizione della documentazione bancaria, richiesta
nell’ambito del procedimento tributario”, in il fisco, n. 31/1995, pag. 7630; R. Fanelli,
“Quando è illegittimo l’accesso all’autorizzazione a indagini bancarie”, in Corr. Trib., 1996,
pag. 1690; G. Spaziani Testa, “Il diritto di accesso non si applica alle indagini bancarie”, in il
fisco, n. 26/1995, pag. 264; A. Serafini, “L’autorizzazione agli accertamenti bancari nella
giurisprudenza del Consiglio di Stato”, in il fisco, n. 6/1996, pag. 1226; G. Fraccastoro,
L’accesso, op. cit., pag. 243; A. R. Ciarcia, “L’accesso partecipativo e l’accesso conoscitivo
dal diritto amministrativo al diritto tributario”, in Dir. prat. trib., n. 6/2011, pag. 1153. In
ultimo v. anche la circolare n. 32/E del 19 ottobre 2006 dell’Agenzia delle entrate. Per
l’Amministrazione finanziaria, dunque, il contribuente può invocare l’eventuale
illegittimità dell’autorizzazione all’effettuazione di accertamenti bancari o, comunque, di
altri atti ispettivi solo in sede contenziosa. Così anche la circolare del Comando generale della
Guardia di Finanza n. 1/360000. In senso opposto e critico P. Borrelli, “Diritto di accesso del
contribuente agli atti del procedimento tributario”, in Corr. Trib., n. 30/2005, pag. 2377, il
quale nel ritenere accessibili gli atti formati nell’ambito dell’attività ispettiva anche ante-
riormente all’emanazione dell’avviso di accertamento fa leva sull’art. 7 della Legge n. 212/
2000. V. dello stesso Autore anche P. Borrelli - G. Ferrante, Gli accertamenti bancari ai fini
fiscali, Padova, 2004, pag. 73.
72
Tra sostenitori di tale posizione B. Bellè, “Partecipazione e trasparenza nel procedi-
mento tributario: Legge 7 agosto 1990, n. 241 e prospettive future”, in questa Rivista, n. 2/1997,
pag. 444; F. Ardito, “Il diritto di accesso nel procedimento tributario”, in Boll. trib., n. 13/1999,
pag. 1016; R. D’Angionella, “Negato il diritto di accesso all’autorizzazione per l’acquisizione
della documentazione bancaria, richiesta nell’ambito del procedimento tributario”, in il fisco,
n. 31/1995, pag. 7630; G. Ferraù, “L’accesso alla documentazione amministrativa è consentito
solo ad accertamento concluso”, in Corr. Trib., 1996, pag. 405; E. Grassi, “Diritto di accesso ai
documenti amministrativi e mezzi di tutela giurisdizionali nei confronti degli atti del proce-
dimento tributario”, in il fisco, 1995, pag. 5699; E. Grassi, “Ancora in tema di accesso ai
documenti amministrativi e dei mezzi di tutela giurisdizionale nei confronti degli atti del
procedimento tributario”, in il fisco, 1995, pag. 9109; A. Buscema, “Accesso agli atti dell’agente
della riscossione”, in Fin. trib., n. 3/2010, pag. 2013; S. Grassi - S. C. De Braco, La trasparenza
amministrativa nel procedimento di accertamento tributario. I rapporti tra Fisco e contribuente,
Padova, 1999, pag. 288.

82 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

adottati nel corso del procedimento di accertamento, indipendentemente


dalla sua conclusione o dal suo esito73.
Come risulta dalla ricostruzione effettuata, il tema dell’accesso agli atti
relativi ai procedimenti è tutt’altro che lineare nei contenuti e definito nei
contorni.

5. L’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 24, comma 1, lett.


b), della Legge sul procedimento amministrativo nella giurisprudenza del
Consiglio di Stato - Così essenzialmente ricostruito il previgente quadro
della disciplina dell’accesso ai documenti tributari è ora possibile illustrare
com’è stato novellato dalla riforma sul procedimento amministrativo del
2005 e come attualmente si configura.
Rispetto all’assetto normativo originario, l’accesso alla documentazione
inerente ai procedimenti tributari post-riforma è stato fortemente limitato
dal legislatore, tant’è che, se negli anni addietro dottrina e giurisprudenza
discutevano su quali atti fossero accessibili e sul momento della ostensione,
oggi discutono sul “se” il contribuente sottoposto ad accertamento possa
esercitare tale diritto e “se”, addirittura e più in generale, siano accessibili gli
atti detenuti o formati dall’Amministrazione finanziaria anche non neces-
sariamente inerenti a un procedimento ma ugualmente idonei a spiegare
effetti diretti o indiretti nei suoi confronti.
Per comprendere tale revirement dell’istituto in questo specifico settore
giuridico basta leggere la vigente formulazione dell’art. 24 - non a caso
definita “beffarda” da autorevole dottrina coeva74 - che da un lato esclude il
diritto di accesso nei procedimenti tributari e dall’altro stabilisce che
“restano ferme le norme che li regolano”, seppur al momento inesistenti75
(almeno se, con il termine “norme” il legislatore intendeva riferirsi a quelle
di rango primario o secondario).
Preso atto della criticità, la giurisprudenza amministrativa nel tentativo
di porvi rimedio ha fornito una lettura costituzionalmente orientata della
lett. b), comma 1, art. 24, lettura che dopo quasi 12 anni dalla sua

73
V. A. Voglino, “Il diritto di accesso ai documenti dei procedimenti tributari di accerta-
mento”, in Boll. trib., n. 18/1995, pag. 1303; L. Ferlazzo Natoli - F. Martines, La tutela, op. cit.,
pag. 60; R. Labriola, “L’azionabilità del diritto di accesso ai documenti relativi al procedimento
tributario”, in Boll. trib., n. 6/1997, pag. 423; S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag.
1109; S. Bardi, “Attività di verifica tributaria e diritto di accesso”, in Dir. prat. trib., n. 1/1998,
pag. 5.
74
Così M. Basilavecchia, Impossibile l’accesso, op. cit., pag. 3093.
75
Sul punto M. Basilavecchia, “L’importanza del processo (e dell’accesso) come controllo
dell’azione amministrativa tributaria”, in Dial. trib., n. 1/2010, pag. 27, secondo cui “sul piano
letterale, i dati negativi sono offerti da una disciplina tributaria, dove il diritto di accesso manca,
e da una disciplina generale del procedimento amministrativo che si autolimita rispetto agli atti
tributari, rinviando alla (inesistente) disciplina di settore. Banalizzando, il cane si morde la
coda”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 83


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

enunciazione non solo è rimasta invariata ma si pone soprattutto in con-


trasto con il diritto unionale.
A riprova si può leggere la recente sentenza n. 1336/2020 del Consiglio di
Stato, che, pur vertendo su una fattispecie molto ricorrente e per certi versi
banale, ingenera non poche perplessità a causa del decisium non del tutto
condivisibile.
Sinteticamente, la fattispecie concreta si articolava nei termini seguenti:
un contribuente propone ricorso per annullamento di un provvedimento
emesso dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli di diniego d’accesso a tutta
una serie di “atti interni” - in ispecie, sia documenti afferenti ad un proce-
dimento tributario a suo carico conclusosi con provvedimento definitivo
peraltro impugnato, unitamente all’avviso di intimazione, innanzi la
Commissione tributaria territorialmente competente, sia documenti for-
matesi a seguito del provvedimento impositivo definitivo - nonché alla
corrispondenza intercorsa tra l’Amministrazione finanziaria e
l’Avvocatura dello Stato. Il giudice di prima istanza ha accolto il ricorso
limitatamente ai documenti antecedenti la proposizione dei ricorsi tributari
(ovvero, la corrispondenza tra l’Ufficio territoriale, la Direzione
Interregionale e la Direzione Centrale), escludendo di converso quelli suc-
cessivi (ossia, le istruzioni rese dalla Direzione Interregionale all’Ufficio
delle Dogane territoriale richiamate nel verbale di udienza di discussione
pubblica e la richiesta di ulteriori chiarimenti trasmessa dalla Direzione
Interregionale alla Direzione Centrale a seguito dell’emissione da parte di
quest’ultima del proprio parere), nonché la corrispondenza intercorsa con
l’Avvocatura dello Stato (inclusiva della documentazione a supporto della
richiesta del parere, il quesito formulato e il testo integrale del parere).
Contro tale sentenza, il contribuente ha proposto appello chiedendone
la riforma e insistendo per l’accoglimento della sua domanda in ordine
all’ostensione di tutti i restanti atti. Il giudice di seconde cure, nel dichiarare
parzialmente infondata la doglianza dell’appellante, ha rigettato il gravame
e si è riservato di valutare in concreto l’ostensibilità della documentazione
successivi all’instaurazione del giudizio di primo grado.
Procedendo per gradi e iniziando dall’ostensibilità dei pareri legali resi
all’Amministrazione finanziaria da professionisti, è noto che questi oltre a
godere di una tutela qualificata ai sensi degli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p.76,

76
Cfr. M. Franchi, “Le limitazioni del diritto di accesso ai pareri dell’Avvocatura dello
Stato rilasciati alla Pubblica amministrazione”, in T.A.R., 2005, II, pag. 355; R. Garofali - G.
Ferrari, Manuale, op. cit., pag. 757; F. Caringella - R. Garofali - M. T. Sempreviva, L’accesso, op.
cit., pag. 430; V. Azzoni, “Accesso agli atti di consulenza a contenuto tributario”, in Boll. trib., n.
11/2012, pag. 872; S. Ingegnatti, “Pareri legali richiesti dalla PA: quando non è possibile il diritto
di accesso”, in Giur. it., n. 10/2018, pag. 2231; L. R. Bian, “Dalla trasparenza alla riservatezza:
accesso ai pareri legali”, in Giur. Mer., n. 9/2012, pag. 1950; R. M. Merlo de Fornasari,
“Latitudine del diritto di accesso ai pareri legali”, in Nuov. rass. legisl., n. 5/2012, pag. 565; L.
Ieva, “Ammissibile l’accesso al parere legale endoprocedimentale”, in Urban. app., n. 12/2011,

84 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

trovano espressa disciplina all’art. 2 del D.P.C.M. n. 200/1996, recante le


singole categorie di documenti formati o rientranti nell’ambito delle attri-
buzioni dell’Avvocatura dello Stato e sottratti all’accesso. Si tratta, in ispe-
cie: a) dei pareri resi in relazione a lite in potenza o in atto e la inerente
corrispondenza; b) degli atti defensionali; c) della corrispondenza inerente
alle precedenti lettere77.
L’Amministrazione può ricorrere alle consulenze legali in diverse forme,
in differenti momenti e distinte ragioni, tant’è che la giurisprudenza, nel-
l’ottica di un bilanciamento tra interessi contrapposti, ha individuato tre
macro-aree all’interno delle quali è possibile incasellare l’attività consu-
lenza esterna e, conseguentemente, graduare il diritto di accesso.
In particolare, secondo tale prospettiva, la richiesta di consulenza e la
relatività attività possono aversi: 1) nell’ambito di un’istruttoria procedi-
mentale; 2) dopo l’avvio di un procedimento contenzioso o a seguito dell’e-
spletamento di attività precontenziosa; 3) a conclusione del procedimento
amministrativo ma prima dell’instaurazione (o dell’eventuale avvio) di un
giudizio.
Nel primo caso, la consulenza legale essendo oggettivamente correlata a
un procedimento amministrativo - vale a dire, essendo inserita in un’istrut-
toria procedimentale e avente funzione endoprocedimentale - è soggetta ad
accesso. Nel secondo e nel terzo caso, diversamente, la consulenza - in
quanto non destinata a sfociare in una determinazione amministrativa
finale ma diretta a fornire all’Amministrazione gli elementi tecnico-giuri-
dici necessari e utili per tutelare i propri interessi - resta caratterizzata dalla
nota di riservatezza che tutela non solo l’opera intellettuale del legale, ma
anche la posizione giuridica dell’Amministrazione che, al pari di ogni altro
soggetto, ha il diritto costituzionale di esercitare il proprio diritto di difesa e
di articolare le proprie strategie difensive, quantunque si tratti di una lite
solo potenziale e non ancora in atto78.

pag. 1452; M. Capolupo, “Limiti all’accesso per i pareri legali dell’Avvocatura dello Stato”, in
Rass. Avv. St., n. 4/2010, pag. 49.
77
In passato si sono avuti casi in giurisprudenza in cui l’Amministrazione finanziaria, al
fine di sottrarre atti di un procedimento di autotutela, sosteneva che questi fossero caratte-
rizzati da riservatezza e coperti dal segreto professionale in quanto contenenti tesi difensive di
un procedimento giurisdizionale, tesi peraltro non accolta in giurisprudenza cfr. Cons. giust.
amm. Sicilia, Sez. giurisd., 16 luglio 2019, n. 684; T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. III, 19 febbraio
2018, n. 390; T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 16 gennaio 2015, n. 25; T.A.R. Milano -
Lombardia, Sez. IV, 2 aprile 2008, n. 795 e il relativo commento di M. Basilavecchia,
“Impossibile l’accesso agli atti tributari”, in Corr. Trib., n. 38/2008, pag. 3093 che mette
ottimamente in luce le contraddizioni della sentenza in questione.
78
Per tutto quanto detto sul diritto di accesso agli atti e ai documenti legali v. Cons. St.,
Sez. III,15 maggio 2018, n. 2890; Cons. St., Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1761; Cons. St., Sez. IV, 15
aprile 2004, n. 2163; Cons. St., Sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6200; Cons. St., Sez. V, 2 aprile 2001,
n. 1893; Cons. St., Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 85


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

Da questa summa divisio consegue che l’ostensibilità o meno dei pareri


legali dipende esclusivamente dall’individuazione del momento in cui la
consulenza è richiesta e viene svolta, individuazione che può risultare
tutt’altro che agevole per l’interprete data la labile linea di con confine fra
fasi affatto prodromiche e fasi precontenziose in senso stretto (come peral-
tro evidenzia il Consiglio di Stato nella sentenza in oggetto)79.
In verità, sarebbe possibile - almeno si reputa - contemperare questa
rigorosa logica protesa a sottrarre i pareri legali dall’alveo degli atti ostensi-
bili e, quindi, operare un più sottile bilanciamento tra questa ipotesi di
segreto e la trasparenza amministrativa, se solo venissero applicati i ragio-
namenti svolti dal Consiglio di Stato nella sentenza del 21 maggio 2009, n.
3263, in ordine all’accesso ai documenti inerenti all’attività di prevenzione e
gestione del rischio (c.d. risk management)80 e nella sentenza del 31 gennaio
2020, n. 808, sull’accesso parziale ai pareri medico legali del Comitato
Valutazione Sinistri (CVS)81.
E invero, se da una parte è indubbio che l’esercizio del diritto di accesso
non può prevalere sul diritto di difesa dell’Amministrazione e che non è
possibile riconoscere in capo al privato una “superlegittimazione” di
stampo popolare e di carattere inquisitorio sull’esercizio dell’attività ammi-
nistrativa di gestione del rischio (che è e resta di insindacabile apprezza-
mento del solo soggetto pubblico); dall’altra, in ragion del fatto che non è
sempre possibile stabilire con assoluta esattezza se un parere legale sia stato
reso in una fase affatto “prodromica” oppure in una fase precontenziosa “in
senso stretto”, è necessario che Amministrazione, al fine di giustificare la
mancata ostensione, non si limiti solo ad addurre che il parere assume
potenzialmente rilievo ai fini dell’elaborazione della propria strategia

79
Il problema dipende, essenzialmente, dall’ampia e generica formulazione dell’art. 2 del
D.P.C.M. (tra l’altro, valevole per tutti gli avvocati, sia del libero foro che appartenenti ad Uffici
legali di enti pubblici v. Cons. St., Sez. VI, 30 settembre 2010, n. 7237) e dal fatto che la
giurisprudenza tende il più delle volte a interpretarlo in senso restrittivo, inibendo in tal modo
l’accesso a consulenze espresse in relazione a problematiche che potrebbero essere suscettibili
di esitare in un giudizio (o, comunque, in un procedimento di tipo contenzioso) che si tratta di
atti che ricadono nel quadro di un rapporto connotato da “da pregnanti assorbenti aspetti di
riservatezza e segreto professionale” e, quindi, tale da inibire l’accesso all’istante.
80
Per la giurisprudenza, l’attività di risk management dev’essere intesa come: “un concetto
universale e trasversale, che ha trovato applicazione in ogni settore dell’economia moderna e,
quindi, anche dell’attività pubblica, ed è definibile come quel processo attraverso il quale si
identifica, si stima o misura un rischio e, successivamente, si sviluppano strategie mediante il
coordinamento delle risorse per minimizzarlo e governarlo” e “tale dimensione esclusivamente
collettiva del diritto della salute, in tale declinazione preventiva, prospettica, che guarda al
futuro, e non già riparatoria, retrospettiva, che guarda al passato, impedisce che il privato possa
ritenersi portatore di un interesse legittimo al suo corretto esercizio che, in ultima analisi, non
coincida con un interesse al ristoro del danno subito”.
81
È un organismo a composizione multidisciplinare con funzioni consultive, a carattere
obbligatorio, ancorché non vincolante, sulle richieste risarcitorie formulate nei confronti
dell’Azienda.

86 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

difensiva in vista di un procedimento contenzioso, ma dimostri piuttosto


che il parere sia stato reso in diretta e immediata funzione della strategia
difensiva da assumere in giudizio, e quindi non ai soli fini delle decisioni da
assumere in sede di eventuale definizione extra-giudiziale della
controversia82.
Bisogna considerare anche il caso in cui una consulenza, pur non
essendo direttamene funzionale alla difesa in giudizio
dell’Amministrazione, contenga valutazioni di ordine strategico-difensive.
Il fatto che il documento possa assumere un contenuto complesso non
implica necessariamente sia del tutto sottratto all’accesso. In detti casi,
riprendendo le parole del Collegio, “l’esibizione dei documenti in oggetto
dovrà avvenire mediante l’impiego degli opportuni accorgimenti (stralcio,
omissis ecc.), atti ad assicurare la salvaguardia del diritto di difesa
dell’Amministrazione appellante, accompagnati dalla attestazione da
parte del responsabile del procedimento che le parti omesse o stralciate
contengono effettivamente valutazioni di carattere difensivo
dell’Amministrazione elaborate in funzione del contenzioso”. Detto in
altre parole, al fine di comporre gli interessi in conflitto e tutelare le
posizioni giuridiche di entrambe la parti, si potrebbe consentire un accesso
parziale operando una sorta di distinzione grafica all’interno dell’atto/
documento richiesto tra la sezione non ostensibile (ossia la parte inerente
al risk management) e quella ostensibile (ovvero quella di carattere stretta-
mente ricognitivo o valutativo della fattispecie concreta).
Ritornando al caso concreto, la succinta descrizione dei fatti riportata
nella sentenza d’appello (ma anche in quella di primo grado) non permette di
capire in quale fase si collocava la documentazione/corrispondenza inter-
corsa tra l’Amministrazione finanziaria e l’Avvocatura dello Stato e se il
parere da questa reso contenesse o meno le valutazioni di cui sopra.
Discorso diverso deve invece svolgersi sulla documentazione formata
dopo la proposizione dei ricorsi tributari, ossia le istruzioni rese dalla
Direzione interregionale menzionate nel verbale di udienza. Dando per
assodato che si tratti di “atti interni” o comunque riferibili al procedimento
conclusosi a carco del ricorrente, prima di capire se siano accessibili o meno
occorre fare un po’ di chiarezza su come la giurisprudenza amministrativa

82
Deve segnalarsi la posizione del T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. III, 12 novembre 2019,
n. 2396, secondo cui i principi elaborati in materia di parere legale non possano essere applicati
analogicamente agli atti del CVS e alle perizie. A parere di questa giurisprudenza, per i pareri
legali trovano applicazione specifica gli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p., oltre che l’art. 28 del codice
deontologico forense che disciplinano e tutelano il segreto professionale degli avvocati, mentre
per la documentazione di carattere medico trova invece applicazione l’opposto principio della
trasparenza sancito dall’art. 4 della Legge n. 24 del 2017. Si tratta, tuttavia, di un’interpreta-
zione che non trova ulteriore seguito. Anche nella sopracitata sent. n. 808/2020 il Consesso non
si esprime sul punto tuttavia, dal ragionamento svolto, fa propendere verso un’assimilazione
tra i pareri legali e quelli del CSV.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 87


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

abbia interpretato la lett. b), del comma 1, dell’art. 24, poiché se applicata sic
et simpliciter, e quindi senza tener conto dell’evoluzione ermeneutica, si
dovrebbero ritenere esclusi dal diritto di accesso tutti gli atti (senza ecce-
zione alcuna) relativi ad un procedimento tributario (sia esso pendente che
concluso).
Come anticipato all’inizio del paragrafo, il Consiglio di Stato con sen-
tenza del 21 ottobre 2008, n. 5144 ha dato una lettura costituzionalmente
orientata della norma, stabilendo che essa “debba essere intesa nel senso che
la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase
di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di ‘segre-
tezza’ nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione
del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta [...]
Diversamente opinando si perverrebbe alla singolare conclusione che il
cittadino possa essere inciso dalla imposizione tributaria - pur nella più
lata accezione della ‘ragion fiscale’ - senza neppure conoscere il perché della
imposizione e della relativa quantificazione”83.
L’analogia tra questa conclusione e l’interpretazione giurisprudenziale
maggioritaria anteriforma è lampante: ieri come oggi il contribuente è
titolare del diritto di accesso agli atti preparatori del provvedimento impo-
sitivo, e a quelli successivi, ma l’esercizio di tale diritto gli è temporalmente
inibito - in quanto l’Amministrazione finanziaria può legittimamente rifiu-
tare l’istanza di accesso - fino alla conclusione del procedimento, ossia fino
all’emanazione dell’avviso di accertamento84.

83
In questo senso Cons. St., Sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4046; Cons. St., Sez. IV, 26 settembre
2013, n. 4821; Cons. St., Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047; Cons. St., Sez. IV, 15 febbraio 2012,
n. 766; Cons. St., Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 53. In dottrina v. R. Lupi, “Dall’amministrativo al
tributario e ritorno”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 46; G. Vanz, I poteri conoscitivi
dell’Amministrazione finanziaria, Padova, 2012, pag. 164; A. Iorio - S. Sereni, “Consiglio di
Stato, Sez. IV, n. 5144 del 21 ottobre 2008. Accertamento tributario: atti endoprocedimentali e
diritto di accesso”, in il fisco, n. 48/2008, pag. 8625. V. pure M. Di Siena, “L’accesso agli atti del
procedimento tributario: da ‘droit octroyé’ a diritto fondamentale desumibile dall’assetto
costituzionale”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 43, in ispecie laddove osserva che vietare com-
pletamente l’accesso agli atti tributari condurrebbe all’irrazionale conclusione “per cui il
procedimento tributario sarebbe stato contraddistinto da un livello di segretezza incompara-
bilmente superiore a quello del procedimento penale”. In tema di accesso agli atti di indagine
compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria v. anche M. G. Cipolla, “Diritto di
difesa del contribuente ed accesso informativo alla ‘notitia criminis’”, in GT - Riv. giur. trib., n. 1/
2012, pag. 55 e M. Di Siena, “Ma è proprio vero che la denunzia/informativa a fronte di un reato
tributario è sempre accessibile per l’indagato?”, in Dial. trib., n. 5/2011, pag. 552; M.
Basilavecchia, “Diritto di accesso alla notizia di reato all’interno del procedimento tributario”,
in Dial. trib., n. 5/2011, pag. 552.
84
Per completezza deve evidenziarsi che, nonostante siffatti approdi del Consiglio di
Stato, in alcune sentenze dei tribunali amministrativi regionali si legge che non è
consentito l’accesso agli atti dei procedimenti tributari non solo per espressa previsione
di cui all’art. 24, comma 1, lett. b), ma anche perché nella specifica normativa di settore
non vi sarebbe alcuna disposizione legittimante detta pretesa cfr. T.A.R. Milano -
Lombardia, Sez. IV, 2 aprile 2008, n. 795 con commento di E. Antivalle - S. Carmini,

88 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Anche le ragioni a sostegno del differimento sine die85 sono sempre le


stesse e vanno dalla provvisoria esigenza dell’Amministrazione finanziaria -
data la peculiare attività espletata - di segretezza e di celerità della fase
prodromica del procedimento tributario, volte all’acquisizione di dati ed
informazioni necessari per il recupero a tassazione di elementi reddituali
omessi o non dichiarati o inesatti funzionali all’adozione dell’atto finale
attraverso cui viene definitivamente stabilito il tributo effettivamente
dovuto, alla tutela della riservatezza dei terzi, la loro natura endoprocedi-
mentale non lesiva della posizione giuridica soggettiva del contribuente e
non impugnabili ex se, la mancanza di legittimazione dell’istante, ecc.
Si tratta di profili giustificativi molto radicati, ma che non possono più
trovare accoglimento e non hanno più alcuna ragion d’essere86.
È, infatti, erroneo continuare ammettere l’accesso documentale solo
a conclusione del procedimento poiché il procedimento tributario non
può essere ricondotto ad uno schema unitario, non si caratterizza per
una sequenza prestabilita di atti e non sempre si conclude con un
provvedimento espresso87. Né, tanto meno, è possibile fare appello al

“Accesso agli atti e diritto tributario”, in Dial. trib., n. 6/2008, pag. 61. V. anche F. Graziano,
“Conciliazione degli interessi del Fisco e del contribuente nell’accesso agli atti tributari”, in
GT - Riv. giur. trib., n. 2/2009, pag. 135. Analogamente T.A.R. Firenze - Toscana, Sez. I, 9
luglio 2009, n. 1215 ed il commento di M. Di Siena, “‘Nec recisi recedunt’: isolate resistenze
della magistratura amministrativa toscana sull’accesso agli atti tributari”, in Dial. trib., n. 1/
2010, pag. 24. Antecedentemente alla pronuncia del Consiglio di Stato del 2008 v. T.A.R.
Firenze - Toscana, Sez. I, 20 dicembre 2007, n. 5143.
85
Come detto già in precedenza, l’accertamento tributario non segue uno schema pro-
cedimentale unico e non è dato da sequenza di atti prestabilita, al contrario si caratterizza per
una pluralità di moduli procedimentali di conseguenza non è proficuo assumere la notifica
dell’avviso di accertamento a momento centrale e determinante per l’esercizio del diritto di
accesso. V. M. Basilavecchia, “Nuovi riconoscimenti al diritto di accesso”, in Corr. Trib., n. 4/
2010, pag. 260.
86
V. R. Lupi, “Irresistibili tentazioni giurisprudenziali e carenze concettuali”, in Dial.
trib., n. 6/2008, pag. 61 e M. A. Tropea, “Il limite al diritto di accesso agli atti aventi natura
tributaria”, in Riv. dir. trib., n. 1/2017, pag. 141.
87
In questo senso, è quanto mai attuale l’osservazione di autorevole dottrina secondo cui,
dando seguito a detta soluzione “si lascia in ombra il fatto che l’accertamento è solo una
conseguenza eventuale dei controlli tributari e che, quindi, quel temporaneo differimento
diviene di fatto una definizione definitiva”: cfr. S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit.,
pag.1109. Sul punto, v., altresì, M. Basilavecchia, “Il Consiglio di Stato recupera l’accesso agli
atti del procedimento tributario”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 42; R. Lupi, “Matrice ammini-
strativistica della tassazione e accesso agli atti”, in Dial. trib., n. 1/2010, pag. 23; A. Viotto, I poteri
di indagine, op. cit., pag. 339; S. Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie,
Milano, 2015, pag. 61; A. Giovannello, “Il diritto di accesso nel procedimento tributario”, in F. P.
Pugliese (a cura di) La legge sul procedimento amministrativo. Legge 7 agosto 1990, n. 241.
Prospettive di alcuni istituti, Milano, 1999, pag. 113. Sulla variabilità dello schema procedi-
mentale v. L. Salvini, “Procedimento amministrativo (Dir. trib.)”, in Diz. dir. pubbl., 2006, V,
pag. 4531.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 89


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

segreto, non essendo questo preordinato a evitare l’inquinamento delle


prove88.
Di converso, occorrerebbe un vero e proprio overruling in grado di
“arginare” più efficacemente la lacuna normativa e la ingiustificata restri-
zione della portata dell’art. 24, comma 1, lett. b)89.
A tale fine potrebbero soccorre le disposizioni dello Statuto che preve-
dono il dovere di informazione (art. 6, comma 1 e 2)90 e di collaborazione e
buona fede (10, comma 1)91 e potrebbe essere ulteriormente rafforzata la
portata della clausola di salvezza di cui l’art. 24, comma 7, Legge n. 241/1990.
che, come noto, costituisce un presidio al diritto di difesa (sia giudiziale che
stragiudiziale) e impone una valutazione in concreto degli interessi coin-
volti e un loro bilanciamento 92.

88
In merito, è stato efficacemente osservato “tale pericolo non sussiste per quanto attiene
alle prove già raccolte, sia perché il contribuente che richiede di accedere agli atti formati (e ai
documenti acquisiti) nel corso delle indagini è già di fatto a conoscenza dello svolgimento di
una verifica nei suoi confronti […] e dunque è già nella condizione di poter distruggere od
occultare i documenti che reputa compromettenti” così A. Viotto, I poteri di indagine, op.cit.,
pag. 335.
89
Come affermato da autorevole dottrina “non c’è alcuna ragione per cui l’istituzione
pubblica di riferimento del diritto tributario non debba fare accedere i cittadini ai propri
archivi, una volta che questo accesso sia sancito per la generalità delle Amministrative
pubbliche”: cfr. R. Lupi, “Matrice amministrativistica della tassazione e accesso agli atti”, in
Dial. trib., n. 1/2010, 23. V. anche L. Salvini, Accesso agli atti, op. cit., pag. 70.
90
L’estensione del diritto di accesso potrebbe trovare giustificazione sulla base del dovere
dell’Amministrazione di assicurare al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui desti-
nati, nonché dei fatti o delle circostanze che ne possono costituire l’oggetto e dai quali possa
derivare una lesione alla sua sfera giuridica. Il contribuente deve avere la possibilità di
conoscere per tempo l’esistenza di un procedimento a suo carico e che potrebbe incidere
sulla sua posizione giuridica in modo da poter eventualmente precisare o confutare le risul-
tanze istruttorie o chiarire la propria posizione prima che venga adottato un provvedimento
definitivo. In questa prospettiva, verrebbero tutelate le esigenze riferibili all’Amministrazione
di non aggravio del procedimento, di celerità, economicità e speditezza dell’esercizio della
funzione e non solamente quelle del contribuente. Da tempo la dottrina sostiene la centralità
del dovere di informazione quale principio generale applicabile ad ogni tipo di procedimento
tributario v. M. Pierro, Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2013.
91
Il principio di buona fede è stato fortemente valorizzato dalla dottrina: v. M. Trivellin, Il
principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009; A. Colli Vignarelli, “Considerazioni
sulla tutela dell’affidamento nello Statuto dei diritti del contribuente”, in Riv. dir. trib., n. 1/
2001, pag. 702; A. Marcheselli, Il giusto procedimento, op. cit., pag. 22; D. Stevanato, “Buona
fede e collaborazione nei rapporti fra fisco e contribuente”, in G. Marongiu (a cura di) Lo
Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, pag. 149; E. Della Valle, “Il principio di buona
fede oggettiva e la marcia inarrestabile dello statuto” [nota a sentenza: Cass., Sez. trib., 10
dicembre 2002, n. 17576], in Riv. dir. trib., 2003, pag. 249; E. Della Valle, “La tutela dell’affi-
damento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco”, in Corr. Trib., n. 25/2002, pag.
3968; E. Della Valle, Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001.
92
Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1451; Cons. Stato Sez. III, 1° agosto 2019, n.
5475; T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 26 luglio 2019, n.894; T.A.R. Brescia – Lombardia, Sez. I,
1° febbraio 2019, n. 106; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 1° agosto 2018, n. 8584; Cons. Stato, Sez.

90 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Da questa ricognizione emerge, con tutta evidenza, l’inadeguatezza


degli approdi interpretativi della giurisprudenza, i quali non sono ormai
neppure più in linea con l’orientamento della Corte di Giustizia, come
dimostra la recente pronuncia del 4 giugno 2020, causa C-430/1993.
Nello specifico, in questa occasione il giudice europeo - chiamato a
decidere una controversia vertente il diritto di accesso del contribuente
alle informazioni contenute nel proprio fascicolo - ha colto l’occasione per
ribadire il necessario rispetto delle garanzie di ordine partecipativo e cono-
scitivo nei procedimenti tributari (nel caso di specie, verifica della base
imponibile dell’IVA) e ha enunciato il principio di diritto secondo cui, se “un
soggetto passivo non ha avuto la facoltà di accedere alle informazioni
contenute nel suo fascicolo amministrativo e che sono state prese in consi-
derazione in sede di adozione di una decisione amministrativa che gli
impone obblighi tributari supplementari, laddove il giudice adito constati
che, in mancanza di detta irregolarità, il procedimento sarebbe potuto
giungere a un risultato diverso, tale principio esige che detta decisione sia
annullata”.
Si tratta, a ben vedere, di sentenza che si pone nello stesso solco di quella
pronunciata il 16 ottobre 2019, causa C-189/201894, nonché di quella del 9
novembre 2017, causa C-298/16 e di molte altre ancora95, tutte ferme nello

VI, 11 aprile 2017, n. 1692. Una diversa interpretazione, più restrittiva è invece fornita
dall’ordinanza del Cons. St., Sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 600 secondo il quale, il controlimite
di cui al comma 7 vale per i dati personali sensibili e sensibilissimi di cui al precedente
comma 5 e non invece per i casi di cui al comma 1. V. anche le riflessioni di M. Bambino,
“Accesso agli atti dell’Amministrazione finanziaria e tutela del contribuente”, in questa
Rivista, n. 6/2012, pag. 1557 laddove auspica di considerare il citato comma 7 come un
“assunto categorico”.
93
V. l’autorevole commento di M. Basilavecchia, Contraddittorio preventivo, op. cit.,
pag. 737.
94
Secondo la CGUE “poiché il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve
essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata,
al fine, in particolare, che l’autorità competente sia messa in grado di tenere utilmente conto di
tutti gli elementi pertinenti e che, eventualmente, tale destinatario possa correggere un errore e
far valere utilmente tali elementi relativi alla sua situazione personale, l’accesso al fascicolo
deve essere autorizzato nel corso del procedimento amministrativo. Quindi, una violazione del
diritto di accesso al fascicolo intervenuta durante il procedimento amministrativo non è sanata
dal semplice fatto che l’accesso a quest’ultimo è stato reso possibile nel corso del procedimento
giurisdizionale relativo ad un eventuale ricorso diretto all’annullamento della decisione
contestata”.
95
Tra le più importanti pronunce della Corte di Giustizia v. sent. 5 novembre 2014,
Mukarubega/Préfet de police - Préfet de la Seine-Saint-Denis, causa C-166/13; sent 22 ottobre
2013, Sabou/Finanční ředitelství pro hlavní město Prahu, causa C-276/12; sent. 18 dicembre
2008, Sopropé/Fazenda Pública, causa C-349/07; sent. 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./
Commissione, C-204/00, C-205/00, C-211/00, C-213/00, C-217/00, C-219/00; sent. 2 ottobre
2003, Corus UK/Commissione, causa C-199/99; sent. 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl
Maatschappij e a./Commissione, C-238/99, C-244/99, C-245/99, C-247/99, C-250/99; C-252/
99; C-254/99; sent. 8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, C-51/92.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 91


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

stabilire che l’accesso ha lo scopo di consentire al destinatario di una


comunicazione di addebiti di prendere conoscenza degli elementi di
prova contenuti nel fascicolo istruttorio (sia a carico che a discarico) e di
far valere le proprie osservazioni così da rendere edotta l’Autorità compe-
tente di tutti gli elementi rilevanti prima dell’adozione del provvedimento
finale, a meno che non vi siano obiettivi di interesse generale che giustifi-
chino la restrizione dell’accesso a dette informazioni e a detti documenti (ad
esempio, la protezione di interessi nazionali vitali o la salvaguardia di diritti
fondamentali altrui).
È, dunque, evidente che nell’ottica della giurisprudenza eurounitaria
l’accesso costituisce un corollario del diritto di difesa immanente al diritto
europeo, il quale deve essere garantito dalle Amministrazioni dei singoli
Paesi membri ed esercitato dai contribuenti antecedentemente alla conclu-
sione del procedimento a prescindere dal fatto che si tratti di tributi armo-
nizzati a livello unionale96, e rappresenta altresì connotazione del diritto
alla buona amministrazione di cui all’art. 41 CDFUE97.
Non si può che constatare che il sistema nazionale è rimasto “sordo” agli
indirizzi della Corte di Giustizia e restio a integrare pienamente i principi
che guidano l’azione amministrativa anche in ambito tributario.

6. Le nuove disposizioni in materia di accesso documentale dettate


dall’Agenzia delle entrate. Verso l’esclusione totale dal diritto - Un ultimo
aspetto su cui deve essere posta l’attenzione riguarda il provvedimento
del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 4 agosto 2020 dal titolo “dispo-
sizioni in materia di accesso documentale, accesso civico e accesso civico
generalizzato”. Semplice nella strutta ma complesso nei contenuti, si com-
pone di IV titoli - rispettivamente: I) disposizioni generali; II) Accesso
documentale; III) Accesso civico semplice (capo I) e accesso civico genera-
lizzato (capo II); IV) disposizioni finali - con i quali si regolano a grandi linee
tutti gli aspetti degli istituti.

96
Sul punto v. G. Della Bartola, “Diritto di accesso agli atti del procedimento tributario
(quasi) senza limiti”, in Corr. Trib., n. 6/2018, pag. 457; S. Marchese, “Attività istruttorie
dell’Amministrazione finanziaria e diritti fondamentali europei dei contribuenti”, in Dir.
prat. trib., n. 3/2013, pag. 587.
97
L’art. 41, per la verità, non esaurisce tutte le condotte che devono essere adottate per
dare attuazione alla c.d. buona amministrazione, la cui elaborazione giurisprudenziale della
CGE è molto più ampia e articolata, recando una serie di indicazioni attinte dalle tradizioni
costituzionali comuni ai singoli Paesi membri. Sulla portata e sui contenuti dell’art. 41, v. M.
Basilavecchia, “Per una buona azione amministrativa nella riscossione dei tributi”, in M. Pierro
(a cura di) Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti tributari, Milano, 2019, pag.
321; G. Ragucci, “Il diritto ad una buona amministrazione e il contraddittorio: materiali per un
bilancio”, in M. Pierro (a cura di), op.cit., pag. 153; M. Pierro, Il dovere di informazione, op. cit.;
A. Di Pietro (a cura di), Lo statuto della fiscalità dell’Unione Europea. L’esperienza e l’efficienza
dell’armonizzazione, Roma, 2003, passim.

92 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Limitatamente all’accesso classico, per quel che attiene alle definizioni,


all’individuazione dei soggetti attivi e passivi e alle modalità e all’iter pro-
cedurale dell’esercizio del diritto la normativa interna ricalca quasi pedis-
sequamente le previsioni di cui alla Legge n. 241/1990, al D.P.R. n. 352/2000,
al D.P.R. n. 184/2006; per quel che concerne l’oggetto e, in ispecie, l’elenca-
zione degli atti e dei documenti sottratti all’ostensione, esso si presenta
invece non del tutto conforme sia alle fonti primarie e secondarie ora
richiamate, sia all’assetto giuridico-normativo nel suo complesso.
Non è, ovviamente, possibile trattare ogni singolo documento ivi men-
zionato (essendovene indicati più di sessanta); si procederà, per ciò, a una
loro analisi per singoli gruppi in ragione della loro diretta inerenza all’og-
getto dell’indagine sino a qui svolta.
A questi fini, è utile osservare sin da ora che, all’interno del punto 15, si
possono individuare distintamente tre macro-categorie di atti e documenti
sottratti all’accesso, in ispecie: quelli indicati all’art. 24, comma 1, della
Legge su procedimento amministrativo (punto 15.2); quelli di cui l’art. 8,
D.P.R. n. 352/1992 e dagli altri atti emanati in base ad esso (punto 15.3); in
fine quelli individuati specificatamente dall’Agenzia (punto 15.4).
Il primo gruppo che viene in rilievo e che si inserisce nella prima macro-
categoria (punto 15.2.b) riguarda proprio i “documenti dei procedimenti
tributari, per i quali restano ferme le particolari norme che li regolano,
come di seguito specificato a titolo meramente esemplificativo, fino alla
conclusione dei medesimi”98, e pertanto qualunque atto o documento for-
mato nel corso dell’attività di accertamento e detenuto stabilmente
dall’Amministrazione finanziaria che, quantunque riferito a un soggetto
legittimato e potenzialmente strumentale alla sua difesa, resta “secretato”
(a tempo indeterminato o forse anche perenne) fino a che il procedimento di
accertamento non si concluda con un provvedimento definitivo.
Nihil novi sub sole. Ancora una volta l’Amministrazione finanziaria
dimostra latamente la tendenza a inibire al contribuente l’esercizio di un
fondamentale strumento di difesa, partecipazione, informazione e condi-
visione dei dati in proprio possesso (e dai quali potrebbero derivare

98
L’elencazione generica e onnicomprensiva è la seguente: “atti preparatori ed endopro-
cedimentali del procedimento tributario da cui scaturiscono attività di liquidazione, controllo
e gestione dei tributi; atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’emissione del-
l’autorizzazione all’esecuzione delle indagini finanziarie; segnalazioni in forma anonima e non
anonima utilizzate come fonti di innesco per attività di controllo; atti e documenti relativi ai
procedimenti riguardanti l’accertamento dei tributi e l’irrogazione delle sanzioni amministra-
tive tributarie; atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’iscrizione all’anagrafe
delle ONLUS e la cancellazione dalla stessa; gli atti e documenti relativi ai procedimenti
riguardanti l’adozione di provvedimenti di autorizzazione alla stampa di documenti fiscali e
relative revoche; gli atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’adozione di provve-
dimenti di autorizzazione alla gestione di depositi IVA; atti e documenti relativi ai procedi-
menti riguardanti l’adozione di provvedimenti di trasferimento del domicilio fiscale”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 93


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

conseguenze pregiudizievoli per lo stesso contribuente) nel corso di un


procedimento di accertamento in fieri - e, in più in generale, nello svolgi-
mento propria attività pubblicistica - e fornisce ulteriore credito alla solu-
zione costituzionalmente orientata elaborata dalla giurisprudenza del
Consiglio di Stato, che, come visto, è in contrasto con gli indirizzi interpre-
tativi della Corte di Giustizia. Con queste nuove indicazioni sembra quasi, in
sostanza, che per il contribuente valga un sistema impernato alla traspa-
renza capovolto, rovesciato, in cui il diniego o il differimento costituiscono
la regola e l’accesso l’eccezione99.
Il secondo gruppo che viene in rilievo100 (probabilmente più indefinito e
vago) appartiene alla terza macro-categoria (punto 15.4) e si contraddistingue
rispetto gli altri perché - accanto all’ipotesi di esclusione dall’accesso di prati-
camente tutti i documenti e gli atti interni senza alcuna distinzione di specie,
indipendentemente, cioè, se connessi a un procedimento pendente o conclusosi
e a prescindere se funzionali o meno all’adozione di un provvedimento defini-
tivo - contempla la clausola di salvaguardia di cui al comma 7, dell’art. 24 che
sancisce la tendenziale prevalenza del diritto di accesso anche sulle antagoniste
ragioni di segretezza e riservatezza delle parti controinteressate a condizione
che la documentazione richiesta sia strettamente indispensabile alla cura o alla
difesa deli interessi giuridici di chi ne abbia legittimamente titolo101.

99
Altrettando non può dirsi per all’Agenzia delle entrate rispetto alla quale la regola
continua ad essere la piena e completa acquisizione del maggior quantitativo di dati e di
informazioni della totalità della popolazione e la deroga l’esclusione. A riprova, basti ricordare
il parere del 9 luglio 2020 con il quale Garante della Privacy ha ritenuto contrario agli artt. 5, par.
1, lett. a), 6, par. 3, 9, 10, 24 e 25 del Reg. UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del
27 aprile 2016 e non proporzionato all’obiettivo di interesse pubblico lo schema del provvedi-
mento del Direttore dell’Agenzia delle entrate in materia di emissione e ricezione delle fatture
elettroniche in attuazione all’art. 14 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito dalla Legge 19
dicembre 2019, n. 157, che introduce la memorizzazione dei file delle fatture elettroniche.
100
Nella sequela meramente esemplificativa fornita dall’Agenzia delle entrate si leggono:
“note, appunti, pareri interni, proposte degli Uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di
studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti ad eccezione delle parti che
costituiscono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento, opportunamente oscu-
rate nel rispetto della normativa sulla riservatezza; documenti di definizione degli indirizzi, di
coordinamento e monitoraggio delle attività per il macroprocesso ‘Amministrare information
technology’; pareri di altre Pubbliche amministrazioni, ad eccezione delle parti che costitui-
scono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento amministrativi, opportunamente
oscurate nel rispetto della normativa sulla riservatezza; pareri legali relativi a controversie in
atto o potenziali e inerente corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto
logico giuridico di provvedimenti assunti dall’Agenzia e siano in questi ultimi richiamati; atti e
corrispondenza inerenti la difesa dell’Agenzia nella fase precontenziosa e contenziosa e
rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale; verbali delle riunioni del Comitato di
Gestione nelle parti riguardanti atti, documenti ed informazioni sottratti all’accesso o di rilievo
puramente interno”.
101
In ispecie, il comma 7, in altre parole, introduce un giudizio valutativo di tipo
compartivo che consente l’accesso alla documentazione di cui ai commi precedenti dell’art.
24 e di quelli riguardanti la privacy. Solo per i documenti che contengono dati sensibilissimi è

94 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

Il punto merita attenzione e la bontà del richiamo non deve trarre in


inganno. E infatti, sorge spontaneo chiedersi perché mai sia stato prevista
l’ipotesi di accesso defensionale solo per questa macro-categoria e non
anche verso altre, posto che, nella sua varietà, reca atti che per espressa
previsione di legge non sono ostensibili102, atti aventi la stessa natura e
funzione di quelli contenuti in altre categorie103 o, ancora, documenti che,
secondo la Legge n. 241/1990 sono ostensibili104 o cedevoli a fronte del
diritto di difesa105. Perché questa distonia e su quale ragione si fonda?
Il timore è, in verità, che l’inserimento del comma 7 all’interno di questa
macro-categoria non sia affatto casuale e che, anzi, si collochi perfettamente
nel solco della logica limitativa del diritto di accesso dell’Agenzia, poiché è
evidente che rispetto a questi atti e documenti risulta scarsamente esperibile
e utile. Insomma, l’impressione che si ricava, leggendo questo provvedi-
mento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, è quella di
un’Amministrazione dello Stato sempre meno incline ad “aprirsi” ai propri
cittadini-contribuenti (al di là della vincolatività o meno dei propri poteri) e
ad agire secondo i canoni di cui all’art. 97 Cost., ovviando in tal modo al
deficit di democraticità contrario ai principi costituzionali.
È necessario, a questo punto, valutare se, alla luce di tale nuova disci-
plina interna, i rimedi previsti dalla Legge n. 241/1990 e dal D.Lgs. n. 104/
2010 ss.mm.ii. avverso il diniego o il differimento di ostensione documen-
tale dell’Agenzia delle entrate possano considerarsi ancora idonei a tutelare
la posizione del contribuente interessato.
In linea di principio, la risposta purtroppo è negativa.

richiesto che la situazione che si intende tutelare con la richiesta di accesso è di rango pari ai
diritti dell’interessato o consiste in un altro diritto inviolabile o libertà fondamentale.
Sull’interpretazione del comma 7 v. M. Logozzo, “Il diritto ad una buona amministrazione
e l’accesso agli atti nel procedimento tributario”, in M. Pierro (a cura di), op.cit., pag.171.
102
Il riferimento è chiaramente ai “pareri legali relativi a controversie in atto o potenziali e
inerente corrispondenza” od anche gli “atti e corrispondenza inerenti la difesa dell’Agenzia
nella fase precontenziosa e contenziosa e rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale”.
103
Le “note, appunti, pareri interni, proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con
funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” di cui al punto 15.4
hanno la stessa funzione e natura degli “atti preparatori ed endoprocedimentali del procedi-
mento tributario da cui scaturiscono attività di liquidazione, controllo e gestione dei tributi” di
cui al precedente punto 15.3, lett. b).
104
Il provvedimento esclude l’accesso ai “documenti di privati detenuti dall’Agenzia per
fini pubblici”. Sul punto ci si limita solo ad osservare che, in verità, è la stessa definizione di
“documento amministrativo” ad includere anche quelli di natura privatistica, definizione
peraltro riportata a chiare lettere nel Titolo II, punto 4, lett. d), del provvedimento. Anche
qui emerge un’evidente contraddizione di difficile soluzione.
105
È espressamente previsto al comma 7, della Legge n. 241/1990 che “nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 95


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

Il giudizio sull’accesso trova specifica disciplina all’art. 116 c.p.a. e


si caratterizza per la sua specialità, sommarietà ed esclusività (art. 133
c.p.a.)106. La tutela cautelare, sebbene non espressamente vietata, non
pare del tutto compatibile con il carattere accelerato della procedura
funzionale alla rapida definizione del merito, e, per ciò, essa resta
ancora molto discussa; al contrario, il ricorso al Capo dello Stato è
stato pacificamente escluso dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato
già prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 104/2010. Oggetto del
ricorso, che si configura come rimedio impugnatorio, sono le deter-
minazioni - ossia, il diniego espresso, i differimenti e anche i provve-
dimenti positivi che però ledono la riservatezza dei terzi -, nonché il
silenzio significativo (in ispecie, rigetto) sulle istanze di accesso.
Ciò chiarito, la problematica che ora si pone, e che non permette di dare
una risposta positiva alla presente valutazione, è la seguente: se il contri-
buente dovesse impugnare un provvedimento di diniego o di differimento
prima della conclusione del procedimento di accertamento, il giudice adito,
ad oggi, potrebbe respingere il ricorso e dichiararlo infondato sulla base del
combinato disposto di cui all’art. 24, comma 1, lett. b) e al punto 15.2, lett. b),
del provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate.
Invero, se il diritto di accesso è escluso nei procedimenti tributari, per i
quali restano ferme le particolari norme che li regolano, e se quest’ultime, in
assenza di una disciplina prima o secondaria, si rinvengono nel nuovo
provvedimento dell’Agenzia delle entrate - che esclude espressamente e
tassativamente l’ostensione degli atti endoprocedimentali (e di tutti gli
altri indicati) in pendenza del procedimento di accertamento - è evidente
come il contribuente venga di fatto privato di ogni forma di tutela, poiché,

106
Il relativo procedimento di carattere svolge secondo le modalità di cui all’art. 87,
comma 3, c.p.a., pertanto: tutti i termini processuali sono dimezzati (il dimezzamento non
opera per il deposito del ricorso, che resta di 30 giorni); l’udienza si tiene in camera di consiglio
la quale è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente
dalla scadenza del termine di costituzione in giudizio delle parti intimate; non sono previsti
termini per il deposito di memorie e documenti; non è prevista una fase istruttoria in senso
stretto (qui il carattere sommario); i difensori delle parti sono sentiti in camera di consiglio se ne
fanno richiesta (in continuità con la normativa previgente, il c.p.a. ammette alle parti di stare in
giudizio personalmente); il termine per l’appello è di 30 giorni; la tipizzazione dei poteri del
giudice in caso di accoglimento totale o parziale (si tratta di un tipico giudizio sul rapporto in
cui il giudice è chiamato ad accertare la sussistenza o meno della richiesta di esibizione dei
documenti, quindi in caso di fondatezza della domanda, condanna l’Amministrazione ad un
facere specifico: l’ostensione); la sentenza è redatta in forma semplificata. La mancata notifica
del ricorso ai controinteressati (art. 22, Legge n. 241/1990) determina l’inammissibilità del
ricorso. Per quanto non previsto dal rito speciale, si deve fare riferimento alle disposizioni per il
giudizio ordinario. V., in dottrina, M. Sannino, “Il diritto di accesso ai documenti ammini-
strativi: Le modalità di esercizio della tutela”, in V. Cerulli Irelli (a cura di) La disciplina generale
dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 409; A. Police, “Riflessi processuali della disci-
plina generale dell’azione amministrativa”, in V. Cerulli Irelli (a cura di) La disciplina generale
dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 447.

96 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

anche adducendo la violazione del comma 7, dell’art. 24, della Legge n. 241 o
dei principi generali dello Statuto o di altre norme dell’ordinamento, il citato
provvedimento è il l’unico atto a fornire una regolazione ad hoc sull’esibi-
zione degli atti tributari attinenti alla fase antecedente all’emanazione del
provvedimento definitivo; con la conseguenza che il giudice amministrativo
può darvi legittimamente applicazione in forza dell’inciso “per i quali
restano ferme le particolari norme che li regolano” di cui all’art. 24,
comma 1, lett. b). In altre parole, in questo caso, non può operare il criterio
gerarchico delle fonti che consente la disapplicazione della norma inferiore
in contrasto con quella di rango superiore, poiché è la stessa legge sul
procedimento amministrativo a escluderlo per questa tipologia di
documenti.
Tanto meno è possibile far valere l’illegittimità del provvedimento
direttoriale e impugnarlo ex se: esso ha infatti natura regolamentare di
atto interno107, espressivo del potere di autorganizzazione proprio dei
vertici di qualunque Ente pubblico108 nei confronti dei soggetti in posizione
gerarchicamente inferiore, sottordinata, nell’ambito della stessa ammini-
strazione, e non è in grado di incidere immediatamente sulle posizioni
giuridiche esterne, quali quelle dei soggetti privati (richiedendo a tal fine
la mediazione di altri atti per la loro concreta attuazione)109. Tutto ciò porta
a escludere che detti atti, nel quadro delle fonti del diritto, possano avere
un’incidenza diretta sul piano sull’ordinamento generale e confronti di terzi
estranei all’organizzazione dell’Amministrazione110, onde la loro (even-
tuale) illegittimità non può essere fatta valere autonomamente e indipen-
dentemente dall’emanazione di un provvedimento che vi dia esecuzione.
A questo punto, e allo scopo di ovviare a questo vuoto di tutela a danno
del contribuente, si potrebbero ipotizzare due diverse soluzioni.

107
Si tratta di “atti che tutte le Pubbliche amministrazioni emanano, creando ordina-
menti giuridici particolari, al fine di disciplinare l’organizzazione e l’azione dei loro organi e
Uffici, dando luogo, in ossequio al principio della pluralità di ordinamenti giuridici, a un
ordinamento amministrativo interno separato dall’ordinamento giuridico generale” cfr. F.
Caringella, Manuale, op. cit., pag. 596.
108
Questo potere di supremazia c.d. speciale non ha bisogno di alcuna copertura legale a
differenza del potere normativo secondario che, all’opposto, necessita di una norma attributiva
del potere.
109
V. F. Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, 2013, I, Bari, pag. 188.
110
Avverso questi atti, quindi, non sono ammessi né il ricorso per Cassazione, né l’ap-
plicazione dei principi iura novit curia e ignorantia legis non excusat. Semmai, la violazione di
una sua norma da parte di un provvedimento avente rilevanza esterna potrà essere valere, ma
non sotto il profilo della violazione di legge, ma di eccesso di potere dell’organo o ufficio
sottordinato (oltre che la sua inosservanza da parte di un dipendente, se immotivata, può essere
fonte di responsabilità civile, penale e disciplinare). Solo in tale circostanza il giudice ammini-
strativo può accertare incidentalmente l’eventuale illegittimità della norma interna e mediante
un meccanismo per certi aspetti simile ala disapplicazione, decidere per la legittimità dell’atto
amministrativo applicativo.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 97


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

La prima potrebbe essere quella di considerare come “norma che regola”


l’accesso agli atti non il provvedimento direttoriale, ma l’art. 6 dello Statuto
del contribuente. Tale articolo, infatti, se letto in chiave regolatrice e non
meramente programmatica - anche in combinato disposto con l’art. 97
Cost.111 - dovrebbe consentire all’organo giudicante di valutare la
legittimità dell’esclusione o del differimento dell’accesso, ma anche dell’atto
regolamentare. La seconda soluzione potrebbe essere quella di spostare il
giudizio dall’atto sulla condotta dell’amministrazione, la quale, per quanto
vincolata, deve essere comunque conforme ai precetti di buona fede (ogget-
tiva)112 e correttezza (art. 10 Statuto) e dunque sottoposta al sindacato
giurisdizionale, seppur debole113.
Ma le criticità non finiscono qui. A indebolire il diritto di tutela giuri-
sdizionale del contribuente è (paradossalmente) la stesa esclusività del
giudizio sull’accesso.
A ben considerare, al di là del rito ex art. 116 c.p.a, non esistono forme
alternative giurisdizionali e/o non giustiziali114 che consentono di impu-
gnare la determinazione dell’Amministrazione, né tanto meno sono espe-
ribili ulteriori azioni - in aggiunta a quella avverso il silenzio - volte a tutelare
gli interessi o i diritti dei contribuenti lesi. Da qui la netta contrapposizione
tra quanto previsto tassativamente dal D.Lgs. n. 104/2010 e l’interpretazione
tendenzialmente onnicomprensiva dell’art. 2 del D.Lgs. n. 546/1992 invalsa
da anni nella giurisprudenza di legittimità.
A questo punto viene spontaneo chiedersi se, limitatamente alle con-
troversie in materia di accesso tra Fisco e contribuente, la giurisdizione
amministrativa sia inevitabile.

111
Sul punto, M. Trivellin, Il principio di buona, op. cit., pag. 37.
112
Al quale fa da pendant la tutela dell’affidamento, tutt’altro che trascurabile considerata
la posizione si soggezione del contribuente nel procedimento di accertamento cfr. A.
Marcheselli, Il giusto procedimento, op. cit., pag. 65.
113
Non ci si addentra nella distinzione tra comportamento amministrativo e comporta-
mento mero da cui dipende, a sua volta, la relativa giurisdizione, ma ci si limita solo ricordare
sinteticamente che nel caso in cui l’Amministrazione ponga in essere un atto di esercizio del
potere amministrativo la controversia spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ammi-
nistrativa; diversamente, ogniqualvolta si denunci un comportamento della PA privo di ogni
interferenza con un atto autoritativo - non potendosi reputare neanche mediatamente espres-
sione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta
dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere
unicamente l’illiceità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile
di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato - la giurisdizione spetta al giudice
ordinario. Cfr. Cass. civ., SS.UU., sent. 29 dicembre 2016, n. 27455 e del 28 aprile 2020, n. 8236.
114
In questa sede si preferisce non prendere neppure in considerazioni questa tipologia di
tutela, basti solo precisare che è esperibile innanzi alla commissione per l’accesso (se oggetto
del ricorso sono atti di amministrazioni statali e periferiche dello Stato) o al difensore civico
territorialmente competente (se oggetto del ricorso sono atti di amministrazioni comunali,
provinciali e regionali) e che ha natura di rimedio amministrativo la cui disciplina si rinviene
all’art. 25 della legge sul procedimento amministrativo.

98 - Rassegna Tributaria 1/2021


DOTTRINA

A far propendere verso una risposta negativa vi sarebbero due circo-


stanze: (a) l’incontrovertibile peculiarità dell’esercizio del diritto di accesso
alla documentazione inerente a un procedimento tributario verso
l’Amministrazione finanziaria (così come testimonia lo stesso art. 24,
comma 1, lett. b), Legge n. 241/1990; (b) la diretta incidenza del provvedi-
mento di accoglimento, di diniego o di differimento dell’istanza di osten-
sione non solo sul procedimento di accertamento, ma soprattutto
sull’eventuale provvedimento finale di (ri)determinazione, nell’an e/o nel
quantum, della debenza del tributo115.
La risposta dell’amministrazione (espressa o tacita) all’istanza di
accesso del contribuente, si aggancia comunque a una pretesa tributaria
di fondo che, se verificata e accertata, sfocia in un provvedimento definitivo,
per cui non appare del tutto irragionevole ritenere che la sedes materiae di
detti provvedimenti possa essere quella delle Commissioni tributarie.

7. Conclusioni - Da questa ricostruzione della disciplina in materia di


accesso ai documenti afferenti ai procedimenti tributari non pare revoca-
bile in dubbio che il quadro disegnato non sia affatto appagante.
Ad oggi, infatti, il contribuente si trova di fatto sprovvisto di ogni tutela
da parte dell’ordinamento giuridico a fronte: a) del diniego o del differi-
mento di esibizione della documentazione tributaria in pendenza del un
procedimento di imposizione; b) del diniego di ostensione degli “atti
interni” formati e/o detenuti dall’Amministrazione finanziaria.
È innegabile che la radice del problema debba rinvenirsi non tanto nel
monolitico orientamento della giurisprudenza amministrativa e nei prov-
vedimenti adottati dall’Amministrazione di riferimento, quanto piuttosto
nella lacuna legislativa.
La circostanza che non vi sia una fonte primaria o secondaria che regoli
in maniera organica e omogenea l’accesso agli atti tributari di tutte le
Amministrazioni finanziarie costituisce un grave vulnus al catalogo dei
diritti, aventi copertura costituzionale, che contribuente vanta a fronte
all’esercizio della funzione pubblica.
Anche la previsione di cui alla lett. b), comma 1, dell’art. 24, non è
immune da considerazioni critiche e da dubbi di legittimità costituzionale
al cospetto degli artt. 1, 3, 97 Cost., per violazione del principio di

115
Consentire al contribuente l’accesso alla documentazione inerente al proprio fascicolo
significherebbe - lo si ribadisce - garantirgli una più adeguata tutela e, prima ancora, consen-
tirgli di collaborare attivamente con l’Amministrazione finanziaria, di apportare elementi utili
ai fini dell’accertamento, di fornire ulteriori informazioni e chiarimenti ai fini del persegui-
mento dell’interesse fiscale. Queste facoltà non cambiano la sua posizione (che resta sempre di
soggezione) e l’Amministrazione continua ad essere il solo soggetto a cui spetta l’esercizio del
diritto di credito connesso all’obbligazione tributaria. In definitiva si otterrebbe: (a) una
funzione impositiva più efficace, efficiente ed economica; e (b) un maggior rispetto di una
giusta e imparziale applicazione della legge e dei precetti Costituzionali.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 99


A. FUNARI - ACCESSO AI DOCUMENTI TRIBUTARI

democraticità, di ragionevolezza e uguaglianza, di buon andamento e


imparzialità della Pubblica amministrazione; nonché dell’art. 117,
comma 1, in relazione all’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali
dell’Unione Europea (che sancisce il diritto di difesa e il diritto al contrad-
dittorio) e comma 2, lett. m), poiché la mancata previsione di una disciplina
sull’accesso ai documenti tributari si traduce, infatti, in una violazione degli
standard minimi che il legislatore deve assicurare nella normazione dei
livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; e, infine, dell’art. 24
Cost. per violazione del diritto di difesa.
L’avere demandato alle Amministrazioni il potere di individuare le
singole categorie di documenti da esse formati o detenuti sottratti all’ac-
cesso (art. 24, comma 2, Legge n. 241/1990 e art. 8, D.P.R. n. 352/1992) non
implica affatto un esonero totale per il legislatore di emanare una normativa
statale “quadro” in tema di diritto di accesso ai documenti tributari per
garantire agli aventi diritto il soddisfacimento dei diritti costituzionali loro
riconosciuti e, anzi, ne impone l’adozione per assicurare a tutti, sull’intero
territorio nazionale, il loro pieno ed effettivo godimento.
Dunque, non sembra eccessivo affermare che, almeno rispetto alla
materia dell’accesso in ambito tributario, sembra molto lontana l’afferma-
zione del concetto di democraticità dell’azione amministrativa; anzi, sotto
certi aspetti, pare ancora configurarsi - sia consentito - una sorta di rapporto
di “sudditanza” tra Amministrazione finanziaria e contribuente, il quale,
dopo gli slanci iniziali registrati a seguito all’entrata in vigore dello Statuto
del contribuente, è tornato a essere mero destinatario passivo del potere
pubblico a cui è sottratto il diritto di conoscere i processi decisionali che lo
riguardano, il diritto di ottenere tutela in sede giurisdizionale, insomma, in
sintesi, i diritti fondamentali.
ALESSIA FUNARI

100 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI

ISTITUZIONALI
Spunti per una rivoluzione fiscale che acceleri
la transizione ecologica e la riduzione delle
disuguaglianze dopo la pandemia da COVID-19*
Salvatore Villani

Estratto: La crisi sanitaria causata dalla pandemia di Coronavirus (COVID-19) ha


evidenziato la necessità di comprendere ed affrontare le sfide dello sviluppo
contemporaneo attraverso un cambiamento di paradigma, e cioè attraverso il
passaggio da un paradigma di sviluppo che riguarda soltanto alcune Nazioni o
Regioni del pianeta ad un paradigma di sviluppo globale. Il presente lavoro intende
mostrare come, all’epoca del Coronavirus, l’attuazione di una rivoluzione fiscale
green ed ispirata al Capabilities Approach potrebbe rappresentare il punto di
partenza ideale per avviare la suddetta trasformazione, organizzare la ripresa
economica ed accelerare la transizione verso modelli di sviluppo più sostenibili
ed inclusivi.

Abstract: The health crisis caused by the Coronavirus pandemic (COVID-19) has
highlighted the need to understand and face the challenges of contemporary
development through a paradigm shift, that is, through the transition from a
development paradigm which concerns only some Nations or Regions of the planet
to a global development paradigm. This paper intends to show how, in the
Coronavirus era, the implementation of a green tax revolution inspired by the
theoretical principles of the Capabilities Approach could represent the ideal star-
ting point to begin the aforementioned transformation, organize the economic
recovery and accelerate the transition towards more sustainable and inclusive
development models.

SOMMARIO: 1. Introduzione - 1.1. Effetti sul benessere del cambiamento climatico


e ruolo dei sistemi tributari - 1.2. COVID-19 e ambiente: i benefici effetti delle
restrizioni e i rischi di un “effetto rimbalzo” - 1.3. Obiettivi e struttura dell’articolo -
2. Misure fiscali anti-COVID e tutela dell’ambiente: il rischio di un ritorno al passato -
3. Produzione di energia, mitigazione del cambiamento climatico e benessere
umano - 3.1. Il cambiamento climatico ed i suoi possibili effetti di retroazione sul
benessere - 3.2. Il ruolo dell’ambiente e delle questioni ambientali nel Capabilities
Approach - 3.3. Il contributo del Capabilities Approach nella riformulazione della
questione dei beni comuni - 4. La struttura dei sistemi tributari nel terzo millennio e

* Una prima versione di questo scritto è stata presentata alla 2020 HDCA CONFERENCE:
“New Horizons: Sustainability & Justice”, organizzata dall’Human Development & Capability
Association presso l’Università di Massey (Nuova Zelanda) dal 30 giugno al 2 luglio 2020.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 103


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

l’incremento delle disuguaglianze - 5. Una rivoluzione fiscale per ridurre le disugua-


glianze e rafforzare la resilienza dei sistemi tributari - 6. Conclusioni e proposte di
policy.

1. Introduzione - La crisi sanitaria causata recentemente dalla pandemia di


COVID-19 ha evidenziato la necessità di comprendere ed affrontare le sfide
dello sviluppo contemporaneo attraverso un cambiamento di paradigma, e
cioè attraverso il passaggio da un paradigma di sviluppo che riguarda
soltanto alcune Nazioni (per es., le Nazioni più ricche al mondo, le più
povere, sottosviluppate o in via di sviluppo) o Regioni del pianeta (per es.,
Nord e Sud del mondo) ad un paradigma di sviluppo globale1. Molti stu-
diosi2 ritengono, infatti, che tale cambiamento sia inevitabile e che l’urgenza
di questo cambiamento sia giustificata essenzialmente da tre ragioni: 1)
l’interconnessione degli scambi, e soprattutto delle catene di produzione e
logistica, che caratterizza il capitalismo contemporaneo; 2) gli effetti del
cambiamento climatico e la conseguente sfida dello sviluppo sostenibile; 3)
l’impressionante crescita della disuguaglianza globale verificatasi nell’ul-
timo quarto di secolo. Tale cambiamento di paradigma costituisce indub-
biamente una sfida continua ed un’opportunità entusiasmante, che richiede
l’elaborazione di un rinnovato quadro teorico-concettuale ed una trasfor-
mazione economico-sociale globale e multidirezionale, volta alla realizza-
zione di un modello di sviluppo economico più sostenibile ed inclusivo.
Parte di questa trasformazione dovrebbe tuttavia essere accompagnata, a
mio avviso, da:
1) una maggiore comprensione dei dilemmi della compatibilità socio-
ambientale dello sviluppo;
2) una più completa integrazione degli assunti teorici della teoria del
benessere nelle strategie di contrasto al cambiamento climatico, al fine di
ridurne i possibili effetti di retroazione sul benessere dell’uomo contempo-
raneo, ancora eccessivamente dipendente dall’utilizzo dell’energia ricavata
dai combustibili fossili;
3) una rivoluzione fiscale che miri a limitare lo sfruttamento dei c.d. beni
comuni globali (global commons), agevolando così la transizione verso
un’economia più sostenibile ed equa, e a rafforzare la resilienza dei tributari
e previdenziali per garantire la fornitura ottimale di beni pubblici globali
(global public goods), quali la salute pubblica globale, il controllo delle

1
Cfr. J.A. Oldekop - R. Horner et al., “COVID-19 and the case for global development”, in
World Development, n. 134/2020, pag. 105044.
2
Cfr., fra gli altri, a tale riguardo, R. Horner - D. Hulme, “From international to global
development: new geographies of 21st century development”, in Development and Change, n. 50
(2)/2019, pagg. 347-378 e R. Horner, “Towards a new paradigm of global development? Beyond
the limits of international development”, in Progress in Human Geography, n. 44(3)/2020, pagg.
415-436.

104 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

malattie infettive, la sicurezza alimentare e sociale e il contrasto al cambia-


mento climatico.
Il presente lavoro intende mostrare come, nell’epoca della pandemia da
COVID-19, l’attuazione di una rivoluzione fiscale green e Capabilities
Approach-oriented potrebbe rappresentare il punto di partenza ideale per
avviare la suddetta trasformazione, organizzare la ripresa economica, e
realizzare contemporaneamente tutti gli obiettivi indicati.

1.1. Effetti sul benessere del cambiamento climatico e ruolo dei sistemi
tributari - Gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più tangibili
ed interessano tutte le Regioni del pianeta, spingendo quest’ultimo verso un
punto oltre il quale i danni alle condizioni di esistenza dell’umanità potreb-
bero diventare gravissimi ed irreversibili3. Il livello dei mari continua,
infatti, ad aumentare, i ghiacciai si stanno sciogliendo sempre più rapida-
mente e molte specie si stanno spostando dalle zone equatoriali, o prossime
all’Equatore, verso le Regioni polari alla ricerca di condizioni più adatte alla
loro sopravvivenza.
Tale cambiamento, sostengono di comune accordo gli scienziati, è
dovuto principalmente alle attività umane e ai sistemi attuali di produzione
(basati su tecniche capital-intensive e labour-saving) e di consumo (che
determinano l’esaurimento del capitale naturale disponibile, dal quale
dipende il benessere della generazione attuale e di quelle future), palese-
mente in contrasto con le regole biologiche che caratterizzano gli ecosistemi
terrestri4. Per definire i devastanti effetti sugli ecosistemi delle attività
umane è stata coniata persino una nuova nozione, che è attualmente al
centro di un vivo dibattito di natura interdisciplinare sulle sue caratteristi-
che e sulla sua periodizzazione5. Ci riferiamo alle attuali discussioni sul

3
Secondo un recente studio internazionale pubblicato sul Nature (T.M. Lenton - J.
RockStröm - O. Gaffney - S. Rahmstorf - K. Richardson - W. Steffen - H.J. Schellnhuber,
“Climate tipping points - too risky to bet against”, in Nature, n. 575, 28 novembre 2019, pagg.
592-595), la situazione climatica della Terra è davvero molto delicata: il pianeta avrebbe già
raggiunto, sebbene non ancora oltrepassato, ben nove punti di non ritorno (nine tipping points).
Se dovessero verificarsi interazioni tra essi o effetti dannosi a cascata, non è possibile escludere
un tipping point globale, ovvero una minaccia esistenziale alla civiltà umana. In tal caso,
nessuna analisi costi-benefici potrà aiutarci, ad eccezione di un radicale cambiamento di
approccio al problema, basato su una strategia di cooperazione globale. Non è possibile,
infatti, pensare di risolvere un problema mondiale senza un piano d’azione globale. Al riguardo,
v. amplius J.D. Sachs, Common Wealth: Economics for a Crowded Planet, cap. IV, Penguin,
Londra, 2008.
4
Cfr. Unep, Sustainable Consumption and Production. A Handbook for Policymakers, New
York, 2015; S. Pogutz - V. Micale, “Sustainable consumption and production: An effort to
reconcile the determinants of environmental impact”, in Society and Economy, n. 33(1)/2011,
pagg. 29-50; L. Lebel - S. Lorek, “Enabling sustainable production-consumption systems”, in
Annual Review of Environment and Resources, n. 33/2008, pagg. 241-275.
5
Per un’ampia ed accurata ricostruzione di questo dibattito, v. P. Heikkurinen (a cura di),
Sustainability and peaceful coexistence for the Anthropocene, Routledge, London, 2017; J.R.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 105


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

significato e sulle origini della nozione di Antropocène, termine coniato dal


premio Nobel per la chimica dell’atmosfera, Paul Crutzen, per definire
l’epoca geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come l’insieme delle
caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita,
è fortemente condizionato, a scala sia locale che globale, dagli effetti delle
attività umane6. Non essendo un periodo accolto nella scala cronostrati-
grafica internazionale del tempo geologico (secondo i dettami dell’ICS,
International Commission of Stratigraphy), l’Antropocène si fa coincidere
con l’intervallo di tempo che collega il tempo presente all’epoca della
rivoluzione industriale, il momento storico in cui è iniziato - secondo le
misurazioni degli studiosi effettuate tra il 1958 e il 2017 nell’osservatorio di
Mauna Loa nelle isole Hawaii - l’ultimo consistente aumento delle concen-
trazioni di CO2 e CH4 nell’atmosfera. A partire da questo periodo, infatti,
l’impatto dell’uomo sugli ecosistemi sembra essere progressivamente
aumentato, veicolato anche da un aumento di 10 volte della popolazione
mondiale, ed essersi tradotto in sostanziali alterazioni degli equilibri natu-
rali, che gli scienziati consigliano vivamente di ripristinare prima che le
condizioni dell’esistenza umana sulla Terra siano irreversibilmente
compromesse.
Le organizzazioni internazionali - e fra queste, in particolare, l’OCSE
(2005) - raccomandano da tempo di potenziare le politiche fiscali di tipo
ambientale e di ridurre gradualmente il peso dei sussidi economici ai
combustibili fossili, poiché incoraggiano gli sprechi, contribuiscono all’au-
mento delle emissioni ed ostacolano gli sforzi per una maggiore penetra-
zione delle fonti di energia pulita, penalizzando inutilmente i bilanci
pubblici.
L’adozione di un modello di sviluppo economico sostenibile passa,
dunque, inesorabilmente attraverso la realizzazione di riforme fiscali eco-
logiche, e cioè dirette ad incoraggiare la transizione verso la green economy e
a perseguire il c.d. doppio dividendo derivante dalle imposte ambientali.
Tuttavia, le misure per ridurre gli effetti del cambiamento climatico sul well-
being potrebbero confliggere con molte forme contemporanee di raggiun-
gimento del benessere, ancora fortemente dipendenti dall’uso di energia
derivata dai combustibili fossili. Per questa ragione, la questione principale

Mcneill - P. Engelke, The great acceleration: An environmental history of the Anthropocene


since 1945, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2016; S.L. Lewis - M.A. Maslin,
Human planet: How we created the Anthropocene, Yale University Press, Londra, 2018;
J. Stewart, “The Anthropocene: Where Are We Going?”, in S. Loeve - X. Guchet - B.B.
Vincent (a cura di) French Philosophy of Technology: Classical Readings and Contemporary
Approaches, vol. 29, Springer, Cham, 2018, pagg. 227-235; e, più recentemente, F. Lai,
“L’Antropocene e il problema dei mutamenti socio-ambientali nelle scienze sociali contem-
poranee”, in Palaver, n. 9(1)/2020, pagg. 5-34.
6
Cfr. P.J. Crutzen, “The Anthropocene: the current human-dominated geological era”, in
Pontifical Academy of Sciences, n. 18/2004, Acta, pagg. 199-293.

106 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

che richiede urgentemente la massima attenzione dei policy makers


riguarda gli effetti sul benessere delle varie forme di mitigazione e di
adattamento al cambiamento climatico. Molte di esse comportano, infatti,
il cambiamento dei processi di produzione, dei comportamenti di consumo
e degli stili di vita. Tale cambiamento potrebbe avere, tuttavia, effetti
sproporzionati su alcuni settori economici e sui gruppi sociali più vulnera-
bili da un punto di vista energetico, come le famiglie che, avendo un reddito
insufficiente o affrontando improvvisi problemi economici, sociali o di
salute, non riescono più a far fronte alle spese della vita quotidiana, a partire
dal pagamento delle utenze energetiche, o vivono in abitazioni energetica-
mente inefficienti.

1.2. COVID-19 e ambiente: i benefici effetti delle restrizioni e i rischi di un


“effetto rimbalzo” - Le abitudini di consumo e gli stili di vita stanno cam-
biando, fra l’altro, anche a seguito della spaventosa crisi sanitaria che ha
investito il pianeta e qualcuno ha iniziato a chiedersi se questo possa
rappresentare l’inizio di una svolta significativa7. Tali cambiamenti nei
comportamenti individuali stanno già determinando, infatti, a parere
degli esperti, una imponente riduzione delle emissioni globali: entro la
fine del 2020 è previsto un calo delle emissioni di gas serra del 4%, un
fenomeno che non si verificava da decenni8. Le emissioni sono calate,
infatti, anche durante la crisi finanziaria del 2008 e gli shock petroliferi
degli anni Settanta, ma sono poi risalite una volta superata l’emergenza. Si
teme, pertanto, che questi progressi nella lotta al cambiamento climatico
possano poi essere vanificati dalle misure di stimolo all’economia stabilite
dai governi di tutto il mondo.
La maggior parte dei Paesi OCSE coinvolti nell’emergenza sanitaria ha
messo in campo una serie di provvedimenti straordinari, unici per ambito,
per estensione e per rapidità di azione. Le risorse poste a disposizione non
sono state, tuttavia, in molti casi all’altezza della situazione e l’erogazione
diretta di denaro ai soggetti più vulnerabili e alle imprese è stata sinora
limitata a pochi Paesi. La maggior parte dei Paesi è intervenuta per sostenere
la liquidità delle imprese, stabilendo differimenti nel pagamento delle
imposte e dei contributi, facilitando l’accesso al credito e con strumenti di
prestito specifici. Due terzi dei Paesi OCSE ha istituito o rafforzato misure di
sostegno al reddito dei lavoratori (dipendenti e autonomi) ed introdotto od
ampliato forme di cassa integrazione per consentire alle imprese di ridurre
l’orario di lavoro senza licenziare. Pochissimi Paesi hanno, invece, adottato

7
Cfr. M. Crist, “Does Coronavirus Bring a New Perspective on Climate Change? Readers
discuss the effect of the virus on the environment going forward”, in The New York Times del 5
aprile 2020.
8
Cfr. S. Evans, “Analysis: Coronavirus set to cause largest ever annual fall in CO2
emissions”, in Carbon Brief del 9 aprile 2020.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 107


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

misure a tutela dell’ambiente o deciso interventi finalizzati a mitigare il


cambiamento climatico e a favorire l’adattamento ai mutamenti del clima.
Questi ultimi, infatti, sono spesso considerati costosi e visti come un ulte-
riore peso per l’economia. Pertanto, le politiche ambientali ed i risultati
raggiunti sinora dai governi nella lotta al cambiamento climatico rischiano
di essere vanificati da un improvviso ritorno dell’attività economica e della
mobilità ai livelli pre-crisi.
Una ripresa dell’attività produttiva che implichi un “effetto rimbalzo” ed
una repentina risalita del livello delle emissioni contribuirebbe indubbia-
mente a rilanciare l’economia, determinando un incremento del prodotto
interno lordo. L’effetto sull’ambiente e sul benessere economico potrebbe
essere, tuttavia, controproducente. L’attuale situazione, infatti, potrebbe
sottrarre risorse ed impegno politico alla causa climatica, ritardando o
addirittura bloccando la transizione energetica verso modelli di sviluppo
più sostenibili ed inclusivi. In altri termini, e come mostreremo nel prosie-
guo di questo lavoro (v. § 2), i cambiamenti nelle abitudini personali causati
dall’emergenza pandemica potrebbero risultare inutili a risolvere il
“dilemma ambientale” se i governi del pianeta decidessero di aumentare
gli investimenti nei tradizionali processi di produzione industriale, invece di
proseguire verso una completa decarbonizzazione dell’economia globale9.

1.3. Obiettivi e struttura dell’articolo - È evidente che il discorso sulle


strategie più idonee a fronteggiare il cambiamento climatico - oppure
altri eventi disastrosi, come le crisi economiche e sanitarie - dovrebbe essere
meglio integrato con gli assunti teorici della teoria del benessere10. Una più
completa integrazione di quest’ultima nelle strategie adottate per ridurre
l’impatto economico e sociale del cambiamento climatico potrebbe contri-
buire ad evitare i potenziali conflitti (tensioni) tra le misure di mitigazione
concretamente applicate ed il consumo dell’energia derivata dai combusti-
bili fossili. A tal fine, alcuni studiosi ritengono che le misure di mitigazione

9
Nicholas Stern, nel suo famoso rapporto del 2006 sul cambiamento climatico, illustrò
per la prima volta la gravità dei rischi dell’inazione o di un intervento tardivo volto a fronteg-
giare il c.d. dilemma ambientale. È evidente che ulteriori investimenti nei tradizionali processi
di produzione industriale, effettuati al fine di rilanciare l’economia dei Paesi colpiti dall’emer-
genza sanitaria da Coronavirus, potrebbero produrre effetti ancor più gravi ed irreversibili
rispetto a quelli che erano stati da lui originariamente prospettati. Cfr. ancora S. Evans,
Analysis: Coronavirus set to cause largest ever annual fall in CO2 emissions, cit., e L.Y.
Sulistiawati - D.K. Linnan, “COVID-19 Versus Climate Change Impacts: Lesson Learned
During the Pandemic”, in NUS Asia-Pacific Centre for Environment Law Working Paper, n. 20
(04)/2020.
10
Anche altri studiosi del cambiamento climatico e delle sue conseguenze hanno espresso
recentemente la stessa esigenza. Cfr., infra alios, W.F. Lamb - J.K. Steinberger, “Human well-
being and climate change mitigation”, in Wiley Interdisciplinary Reviews: Climate Change, n. 8
(6)/2017, pag. 485; N. Wood - K. Roelich, “Tensions, capabilities, and justice in climate change
mitigation of fossil fuels”, in Energy Research & Social Science, n. 52/2019, pagg. 114-122.

108 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

dei cambiamenti climatici ed i consumi di combustibili fossili non possono


essere considerati separatamente dalle loro relazioni con il benessere e che,
pertanto, è necessaria una nuova concezione filosofica ed economica, che sia
capace di catturare le complesse relazioni tra i suddetti fenomeni contra-
stanti. Tale concezione dovrebbe ispirarsi al Capabilities Approach e consen-
tire di inquadrare le potenziali implicazioni per il benessere dei “conflitti
energetici” tra consumo dell’energia derivata dai combustibili fossili e miti-
gazione del cambiamento climatico come questioni di giustizia11.
Il presente lavoro si muove all’interno del percorso tracciato da Wood e
Roelich (v. § 3)12, ma mira a svilupparlo ulteriormente da un punto di vista
operativo, mostrando come le riforme fiscali ecologiche contemporanee, se
ispirate al Capabilities Approach, potrebbero più efficacemente contribuire
a realizzare un sistema energetico globale inclusivo, sostenibile, accessibile
e sicuro, che fornisca soluzioni alle sfide energetiche e, nel contempo, crei
valore per le imprese e per l’intera società civile, senza compromettere
l’equilibrio fra i tre elementi fondamentali del tensions triangle descritto
da Wood e Roelich (consumo dell’energia derivata dai combustibili fossili,
mitigazione del cambiamento climatico e well-being attainment).
È da alcuni decenni ormai che si rileva come i suddetti cambiamenti in
corso nell’ambiente hanno ripercussioni di natura economica e sociale che
mettono a dura prova la sostenibilità non solo del settore finanziario, ma
anche dei sistemi di finanziamento pubblici intesi nel loro complesso. In
diversi Paesi, sono in corso dibattiti sull’impatto economico e sociale dei
suddetti cambiamenti e sono state progettate e/o realizzate riforme per
rendere i moderni sistemi tributari più resilienti, ovvero più idonei ad
affrontare adeguatamente le nuove sfide economiche, sociali e tecnologiche
del XXI secolo (v. § 4). Questo lavoro intende mostrare come l’allargamento
dell’area impositiva secondo nuovi criteri di giustizia distributiva ispirati al
Capabilities Approach potrebbe servire ad aumentare la mobilità degli
assetti sociali e a sviluppare strategie di adattamento dei sistemi di finanza
pubblica ai cambiamenti prodotti non solo dalle emergenze ambientali, ma
anche da altri fenomeni improvvisi ed avversi, come le crisi economiche e le
significative perdite di gettito causate dall’adozione di pratiche fiscali non
trasparenti o dannose.
Il lavoro affronta, pertanto, la delicata questione dell’ammissibilità di
tributi correlati al benessere degli individui, misurato sulla base di indica-
tori e parametri non monetari, come le capabilities13, e prende in esame la

11
N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabilities, and justice in climate change mitigation of
fossil fuels, cit., pag. 117 ss.
12
Ci riferiamo all’impianto teorico descritto in N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabi-
lities, and justice in climate change mitigation of fossil fuels, cit.
13
L’opportunità di utilizzare indicatori della capacità contributiva correlati alle capabi-
lities è stata sostenuta con forza, in una prospettiva redistributiva, da Gallo. Cfr. F. Gallo, Le
ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, Il Mulino, Bologna, 2007; F. Gallo,

Rassegna Tributaria 1/2021 - 109


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

proposta di istituire imposte sui c.d. beni comuni globali - come l’atmosfera,
il clima, la salubrità dell’ambiente, gli oceani, il bagaglio di conoscenza
umana e tutti quei beni, come Internet, che sono frutto della creazione
collettiva14 - e di redistribuirne il gettito per ridurre le disuguaglianze
economiche e la povertà (v. § 5). La rapacità del capitalismo è responsabile,
infatti, del progressivo esaurimento di queste risorse destinate a soddisfare
interessi della collettività e perciò meritevoli di tutela. È oggi più che mai
urgente una seria riflessione su come difenderli, obbligando coloro che ne

“Disuguaglianze, giustizia distributiva e principio di progressività”, in questa Rivista, n. 2/


2012, pag. 287 ss.; F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, Editoriale scientifica, Napoli, 2012; F.
Gallo, “L’evoluzione del sistema tributario e il principio di capacità contributiva”, Relazione
al convegno L’evoluzione del sistema fiscale e il principio di capacità contributiva, Roma, 11
giugno 2012, in questa Rivista, n. 56(3)/2013, pagg. 499-507; F. Gallo, “Ancora in tema di
uguaglianza tributaria”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 72(4)/2013, pagg. 321-353; F. Gallo, “Un
fisco che sa distribuire le risorse alla base delle democrazie moderne”, in Dir. prat. trib., n. 84
(4)/2013, pagg. 994-995; F. Gallo, “Ripensare il sistema fiscale in termini di maggiore equità
distributiva”, in Politiche Sociali, n. 2/2014, pagg. 221-232; F. Gallo, “Nuove espressioni di
capacità contributiva”, in questa Rivista, n. 4/2015, pagg. 771-784. In seguito, tuttavia, anche
altri autori ne hanno condiviso l’impostazione di fondo. Per una valutazione critica di questa
proposta v., invece, D. Lanzi, “Tassare le Capacità: Una Nota Critica”, in Studi e Note di
Economia, n. 15(1)/2010, pagg. 177-81 e D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta.
Tributi e determinabilità della ricchezza tra diritto e politica, Il Mulino, Bologna, 2014, pagg.
419-429.
14
Solitamente, in letteratura, si individuano tre categorie di beni comuni:
a) una prima categoria comprende i beni comuni materiali naturali, legati ai quattro
elementi naturali essenziali alla vita individuati da Empedocle nel IV sec. a.C. (acqua, aria, terra
e fuoco), definiti anche beni comuni naturali, o locali, in riferimento non solo e non sempre alla
risorsa materiale su cui insistono, ma anche alla comunità che se ne serve o li gestisce; si tratta
dei beni di sussistenza da cui dipende la vita, in particolare quella degli agricoltori, dei pescatori
e dei nativi che vivono grazie alle risorse naturali; a questa categoria di beni comuni appar-
tengono anche i saperi e i semi selezionati nei secoli dalle popolazioni locali, il patrimonio
genetico dell’uomo e di tutte le specie vegetali e animali e la biodiversità;
b) una seconda categoria comprende i beni comuni globali, come l’atmosfera, il clima, gli
oceani, la sicurezza alimentare, la pace, ma anche la conoscenza, i brevetti e Internet, cioè tutti
quei beni che sono frutto della creazione collettiva; tali beni solo recentemente sono stati inclusi
nella categoria dei beni comuni, dal momento cioè in cui sono sempre più invasi ed espropriati,
ridotti a merce, recintati od inquinati, ed il loro l’accesso è sempre più minacciato;
c) una terza categoria è quella dei beni pubblici globali, vale a dire i beni e i servizi pubblici
forniti dai governi in risposta ai bisogni essenziali dei cittadini, bisogni che ovviamente variano
nel tempo; si tratta di servizi quali l’erogazione dell’acqua e della luce, il sistema dei trasporti, la
sanità, il controllo delle malattie infettive, la sicurezza alimentare e sociale, la stabilità
finanziaria, gli aiuti umanitari e l’amministrazione della giustizia; i processi di privatizzazione
di alcuni di questi servizi ne mettono a rischio l’accesso universale.
Sulla definizione di bene comune globale e sulle diverse forme di classificazione dei beni
comuni, cfr. K. Bizzarri, Beni pubblici globali. Come gestire la globalizzazione nel XXI secolo,
Fondazione Culturale Responsabilità Etica, Firenze, marzo 2005; J.B. Rosser Jr., Frontiere della
ricerca economica, Istituto della Enciclopedia Treccani, Roma, 2009; G. Ricoveri, Beni comuni
vs merci, Jaca Book, Milano, 2010; e, più recentemente, V. Termini, “Beni comuni, beni
pubblici. Oltre la dicotomia Stato-mercato”, in P. Ciocca e I. Musu, Il sistema imperfetto.
Difetti del mercato, risposte dello Stato, Luiss University Press, Roma, 2016, pagg. 17-45.

110 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

dispongono, o che si trovano in situazioni di particolare vantaggio rispetto


ad essi, a sopportarne i costi, evitando che essi vengano poi a ricadere
sull’intera collettività sotto forma di danni.
In particolare, l’articolo si struttura come segue. Nel secondo paragrafo
sono esposte alcune delle questioni con cui molti dei Paesi più avanzati
dovranno cimentarsi nei prossimi anni, per accompagnare il processo di
transizione della loro economia verso modelli di sviluppo più sostenibili ed
inclusivi, all’indomani della recessione globale scatenata dal nuovo
Coronavirus noto col nome di COVID-19. Dopo una breve descrizione dei
pacchetti di stimolo fiscale varati, o in corso di approvazione, in molti di
questi Paesi, sono presentate alcune valutazioni di massima sull’efficacia
delle misure adottate e sulla loro compatibilità con la causa climatica. Le
politiche green sono risultate le più desiderabili in assoluto, perché adatte sia
a ridurre l’impatto ambientale dei sistemi energetici sia a stimolare la
crescita economica nei Paesi colpiti dalla pandemia. Nel terzo paragrafo
sono analizzate le relazioni tra le diverse forme di utilizzo/produzione
dell’energia, la mitigazione climatica, ed il benessere umano. Questa
parte dell’articolo è diretta, in particolare, ad evidenziare come il dibattito
sulle politiche pubbliche più idonee a ridurre l’impatto economico e sociale
del cambiamento climatico debba essere integrato con gli assunti teorici del
Capabilities Approach ideato da Amartya Sen e da Martha Nussbaum. Tale
approccio, infatti, oltre ad essere utile per la progettazione di politiche
ambientali che favoriscano la transizione ecologica dell’economia globale,
potrebbe diventare determinante per la comprensione e la risoluzione dei
conflitti energetici tra le misure di mitigazione ambientale ed il consumo di
energia derivante dai combustibili fossili. Nel quarto e nel quinto paragrafo,
alla luce delle più recenti tendenze nell’evoluzione dei sistemi tributari e
delle profezie sulla fiscalità del terzo millennio, formulate alla fine del secolo
scorso da Giulio Tremonti, è presa in considerazione l’idea di creare sistemi
di tassazione più equi e più attenti alle questioni ambientali, oltreché alle
esigenze delle persone economicamente o socialmente svantaggiate. È
discussa, in modo particolare, la delicata questione dell’ammissibilità di
tributi correlati al benessere degli individui, misurato sulla base di indica-
tori e parametri non monetari, come le capabilities, ed è presentata l’idea di
realizzare un sistema tributario fondato sull’impianto concettuale proposto
da Sen e dalla Nussbaum e diretto a: 1) limitare lo sfruttamento dei c.d. beni
comuni globali; 2) superare i summenzionati conflitti energetici tra le
misure di mitigazione ambientale ed il consumo di energia prodotta dai
combustibili fossili; 3) rafforzare la resilienza dei sistemi economici, finan-
ziari e previdenziali, riducendo le disuguaglianze nella distribuzione della
ricchezza, nelle dotazioni di capitale umano e nella fornitura di servizi
pubblici ed infrastrutture, che congiuntamente ostacolano il pieno sviluppo
della persona umana. Nel sesto paragrafo sono esposte le conclusioni del
lavoro ed alcune proposte di policy volte a contrastare il cambiamento

Rassegna Tributaria 1/2021 - 111


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

climatico, come quella di istituire una tassa multilaterale e coordinata sulle


emissioni di gas serra o di prevedere agevolazioni fiscali a favore dei c.d. fuel
poors (“poveri di energia”), vale a dire dei soggetti che non riescono ad
acquistare nemmeno quel livello minimo di energia che servirebbe a garan-
tire loro uno standard di vita dignitoso ed una buona salute.

2. Misure fiscali anti-COVID e tutela dell’ambiente: il rischio di un ritorno al


passato - La pandemia da Coronavirus (COVID-19) ha generato, come si è
detto, per moltissimi Paesi, una gravissima emergenza sanitaria e sta già
producendo una non meno grave crisi economica15. In risposta al peggio-
ramento delle prospettive di crescita e all’incremento della volatilità dei
mercati, le autorità di molti Paesi hanno deciso di adottare forti misure
espansive a sostegno dei redditi di famiglie e imprese, del credito all’econo-
mia e della liquidità sui mercati16. La maggior parte dei Paesi OCSE coin-
volti nell’emergenza sanitaria ha messo in campo una serie di provvedimenti
straordinari, sostenendo la liquidità delle imprese e stabilendo differimenti
nel pagamento di imposte e contributi, ma pochissimi Paesi hanno adottato
misure a tutela dell’ambiente o deciso interventi finalizzati a mitigare il
cambiamento climatico e a favorire l’adattamento ai mutamenti del clima.
Si teme, pertanto, che le politiche ambientali ed i risultati raggiunti tempo-
raneamente nella lotta al cambiamento climatico siano alla fine vanificati
dal verificarsi di un probabile effetto rimbalzo.
Un esempio è emblematico. In Cina, la Banca centrale, prevendendo un
drastico calo del PIL ed una probabile recessione, ha adottato diverse
misure di sostegno all’economia e ai mercati finanziari. Alcune di esse
hanno segnato, tuttavia, se non un’inversione di rotta, almeno un rallenta-
mento nell’attuazione delle norme sulla protezione dell’ambiente contenute
nei più recenti documenti di pianificazione socio-economica varati dal
governo cinese17. Pechino ha rivisto, infatti, i suoi obiettivi sulla mobilità
pulita riclassificando i veicoli ibridi benzina-elettrici e rendendo, in questo
modo, più agevole alle case automobilistiche il rispetto delle quote di

15
L’OCSE, nel suo ultimo rapporto sull’impatto economico della pandemia (cfr. OCSE,
OCSE Interim Economic Assessment - Coronavirus: The world economy at risk, OCSE
Publishing, Parigi, 2 marzo 2020), ha previsto che la crescita del PIL globale annuo scenderà
al 2,4% nel 2020, da un già debole 2,9% nel 2019, e ritornerà a crescere ad un ritmo più sostenuto
(3,3%) nel 2021, ammesso sempre che non si assista ad una probabilissima risalita dei contagi
nella seconda parte del corrente anno.
16
Per un confronto dettagliato tra le misure di emergenza adottate finora nei 32 Paesi che
il FMI considera “economie avanzate” per rispondere alla crisi economica causata dal
Coronavirus, v. F. Angei - E. Frattola - P. Mistura, Le misure fiscali anti-COVID nei 32 Paesi
avanzati: un confronto aggiornato, Università Cattolica di Milano, Osservatorio sui Conti
Pubblici Italiani, Milano, 2020.
17
Dal 1° gennaio 2015, in Cina è entrata in vigore la nuova legge per la protezione
ambientale, che manifesta la volontà del Governo cinese di incorporare la protezione ambien-
tale nella pianificazione socio-economica.

112 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

produzione di veicoli NEV (Neighborhood Electric Vehicles), ossia di veicoli


elettrici che non producono emissioni di scarico. Si tratta ovviamente di un
cambiamento mirato a dare respiro a tutta la filiera dell’auto, colpita
duramente dalla pandemia, e ad apportare benefici alle imprese leader del
settore. Tale cambiamento, tuttavia, se il governo cinese dovesse continuare
a prevedere ulteriori misure di questo genere nel tentativo di rilanciare la sua
economia, potrebbe cancellare i progressi faticosamente compiuti in pas-
sato da Pechino verso un modello di sviluppo più sostenibile18.
Un rischio analogo si ravvisa nel caso di un’altra delle più importanti
economie emergenti maggiormente responsabili dei livelli di gas serra
presenti oggi nell’atmosfera, e cioè l’India. Questo Paese ha registrato
infatti, nel primo quadrimestre del 2020, un calo delle emissioni di CO2
senza precedenti, invertendo un trend di crescita che resisteva da oltre 37
anni. Una iniziale riduzione delle emissioni dell’1% era stata prodotta, a
quanto risulta da alcuni recenti studi19, da tre concause: 1) un rallentamento
dell’economia indiana verificatosi nei primi mesi del 2019; 2) la crescita
della produzione di energie rinnovabili; 3) il diffondersi della pandemia da
nuovo Coronavirus SARS-CoV-2, iniziata nel 2019 e non ancora esauritasi.
È stato, tuttavia, l’improvviso blocco della produzione deciso a marzo dal
governo nazionale ad aver invertito il suddetto trend di crescita delle emis-
sioni indiane. Le emissioni di anidride carbonica del Paese sono così
diminuite del 15% durante il mese di marzo e del 30% ad aprile. Se però
l’emergenza sanitaria ha costretto le autorità indiane (e mondiali) a tirare il
freno, rallentando le attività economiche e di conseguenza la produzione di
emissioni inquinanti, il governo indiano in piena pandemia ha continuato
ad approvare una serie di importanti progetti industriali e ad allentare le
norme per la valutazione dell’impatto ambientale delle grandi opere,
rischiando così di annullare gli effetti di riduzione dell’inquinamento pro-
dotti durante il lockdown20.
L’impegno nella lotta contro il cambiamento climatico dei Paesi europei
e del Regno Unito sembra, invece, più concreto. Dall’inizio del XXI secolo le

18
La questione delle conseguenze causate dall’alto livello di inquinamento atmosferico,
della terra e dell’acqua nella maggior parte della Cina, soprattutto nelle grandi città, ha portato
gradualmente il Governo cinese ad adottare nuove leggi, decreti e standard nazionali in materia
di tutela ambientale. Ricordiamo alcuni degli interventi legislativi più rilevanti in materia di
prevenzione e controllo dell’inquinamento atmosferico: la Law on Prevention and Control of
Atmospheric Pollution, la Environmental Impact Assessment Law, la Cleaner Production
Promotion Law, la Renewable Energy Law, la Energy Conservation Law, la Water Pollution
Control Law, la Circular Economy Promotion Law e la Vehicles and Ships Tax Law.
19
Il miglioramento della qualità dell’aria prodotto dal blocco forzato della produzione è
stato confermato da numerose analisi effettuate mediante l’utilizzo di svariati strumenti di
misurazione. Per una sintetica rassegna, v. V. Chandrashekhar, “India’s push to relax envi-
ronmental assessment rules amid pandemic draws criticism”, in Science del 7 maggio 2020.
20
Cfr. ancora V. Chandrashekhar, India’s push to relax environmental assessment rules
amid pandemic draws criticism, cit.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 113


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

emissioni globali di gas a effetto serra sono costantemente aumentate, ma


gli Stati membri dell’UE ed il Regno Unito sono andati in controtendenza,
essendo riusciti a ridurre le emissioni di CO2 prodotte dalla combustione e
dalla lavorazione dei combustibili fossili del 3,8% nel 2019 rispetto all’anno
precedente. Ciò significa che le emissioni di CO2 di origine fossile dell’UE e
del Regno Unito sono state del 25% inferiori rispetto ai livelli del 1990, la
riduzione più significativa tra le principali aree economiche responsabili
delle emissioni a livello mondiale.
Il Governo britannico ha annunciato, inoltre, di volere investire 160
milioni di sterline (circa 176 milioni di euro) in infrastrutture portuali, per
supportare le compagnie che producono energia eolica al largo delle proprie
coste, con l’obiettivo ultimo di portare l’energia cinetica prodotta dal vento
in ogni abitazione entro il 2030. Secondo le anticipazioni fornite dai quo-
tidiani, l’investimento suddetto dovrebbe far parte di un programma più
ampio a favore dell’ambiente che il Regno Unito si appresta ad avviare entro
la fine dell’anno, nel quale dovrebbero essere previste misure ancora più
ambiziose, come incentivi all’utilizzo dell’idrogeno come carburante per
l’industria pesante e per il servizio di trasporto pubblico21. Molti osservatori
ritengono, tuttavia, che l’annunciato investimento e la rinnovata ambizione
di dare nuovo vigore alla tutela dell’ambiente siano solo una risposta del
governo UK alle critiche ricevute per non avere previsto alcuna misura a
favore del clima nel proprio piano di supporto e di stimolo all’economia del
Paese dopo lo scoppio dell’emergenza sanitaria. Se si esclude, infatti, il
progetto di riqualificazione edilizia da 3 miliardi di sterline, nel pacchetto di
politiche post COVID-19 del Regno Unito manca ad oggi qualsiasi misura
verde.
L’Unione Europea ha previsto, in particolare, di dedicare un quarto del
proprio bilancio alla lotta ai cambiamenti climatici e ha istituito un Piano di
investimenti per un’Europa sostenibile (COM (2020)21) ed un Fondo per la
transizione giusta (COM (2020)22), con una dotazione davvero consistente
(7,5 miliardi di euro) che rappresenta uno dei pilastri del Meccanismo per
una transizione giusta, volto a mobilitare investimenti a favore delle Regioni
più esposte alle ripercussioni negative della transizione a causa della loro
dipendenza dai combustibili fossili o da processi industriali ad alta intensità
di gas a effetto serra.
La Commissione europea ha inoltre annunciato la presentazione di:
1) una Strategia per l’idrogeno, che mira alla decarbonizzazione del-
l’industria, dei trasporti, della produzione di energia elettrica e dell’edilizia
in tutto il continente;

21
Il progetto del Governo britannico, importante ma al contempo ambizioso, prevede di
sostituire, entro il 2023, tutti i treni attualmente in circolazione nel Regno Unito, con le nuove
soluzioni completamente ad idrogeno. Cfr. M. Wright, “Hydrogen-powered trains could be
carrying UK passengers by 2023”, in The Telegraf del 30 settembre 2020.

114 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

2) una strategia industriale basata sulla digitalizzazione e le nuove


tecnologie per decarbonizzare e modernizzare le industrie ad alta
intensità energetica22;
3) una proposta per la produzione di acciaio a zero emissioni di carbonio
(entro il 2020);
4) il rilancio del piano d’azione strategico sulle batterie del 2018, anche
in vista della prevista maggiore diffusione dei veicoli elettrici.
Ulteriori misure sono state preannunciate, infine, per realizzare in
modo compiuto l’economia circolare e per promuovere cicli produttivi e
prodotti sostenibili.
Il 21 luglio, superando le resistenze dei Paesi “parsimoniosi” del Nord
Europa, è stata persino raggiunta una storica intesa sullo stanziamento di
1.074 miliardi per il bilancio 2021-27 (il c.d. Quadro Finanziario
Pluriennale) e di altri 750 miliardi per le misure del fondo Next
Generation Eu contro l’impatto del COVID-19 (il c.d. Recovery Fund).
Questi interventi segnano, tuttavia, un accordo al ribasso sul fronte della
lotta al cambiamento climatico e della sostenibilità. Il rispetto degli obiettivi
del Green Deal europeo, proposto prima della pandemia dalla presidente
della Commissione Ursula von der Leyen, resta in buona sostanza dipen-
dente dalla buona volontà dei governi e dai piani di sostenibilità delle
finanze pubbliche nazionali.
È vero, inoltre, che almeno il 30% degli stanziamenti di bilancio a lungo
termine e del Recovery Fund saranno dedicati a raggiungere gli obiettivi
climatici, in virtù dei quali l’Unione si è impegnata ad attuare l’Accordo di
Parigi e le intese sullo sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, ma l’accordo
ha comportato tagli alla spesa pubblica per il clima e a programmi ambientali.
Ad esempio, il Fondo per la transizione energetica equa (Just Transition Fund,
Jtf) ha subìto una riduzione a 17,5 miliardi dai 40 proposti inizialmente.
Tra i Paesi dell’UE, la Germania sta svolgendo il ruolo di apripista nella
svolta green del Vecchio Continente. L’anno scorso ha infatti annunciato un
importante piano di tutela ambientale (il c.d. Klima Paket) da ben 54
miliardi, spalmati in 4 anni, con l’obiettivo di favorire la mobilità sosteni-
bile, l’utilizzo di sistemi per il riscaldamento domestico più ecologici e la
creazione di un sistema di certificati per l’emissione di CO2 in quei settori
non inclusi nel mercato europeo ETS (Emissions Trading Scheme)23.

22
La strategia elenca 38 azioni per realizzare un sistema energetico più integrato. Tra
queste si annoverano la revisione della normativa vigente; il sostegno finanziario; la ricerca e
l’introduzione di nuove tecnologie e strumenti digitali; orientamenti per guidare gli Stati
membri nell’elaborazione di misure fiscali e nella graduale eliminazione dei sussidi ai combu-
stibili fossili; la riforma della governance del mercato; la pianificazione infrastrutturale e una
migliore informazione rivolta ai consumatori.
23
Il Klima Paket dovrebbe essere finanziato per una parte modesta mediante i ricavi
provenienti da questo schema di certificati e, in misura più ampia, attraverso la costituzione di
un veicolo privato ad hoc, operante al di fuori del perimetro della Pubblica amministrazione, il

Rassegna Tributaria 1/2021 - 115


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

L’impatto economico della pandemia è stato tuttavia dirompente per il


Paese e, nonostante l’approvazione dell’ambizioso piano di riforma, la
Germania non è riuscita a centrare l’obiettivo di riduzione delle emissioni
fissato dall’UE.
Il caso tedesco ha suscitato molto clamore mediatico. Si tratta, infatti, di
un caso emblematico, avendo la Germania presentato il suo piano mentre
era sull’orlo della recessione tecnica, con lo scopo di conciliare l’obiettivo
dello sviluppo economico con quello della lotta al cambiamento climatico. È
interessante notare, tuttavia, come all’esperienza di questo Paese si siano
ispirati anche altri Paesi europei (Polonia, Francia, Belgio, Lituania, Irlanda
e Paesi Bassi) che, in risposta alle sfide poste dagli environmental dilemmas,
sono già da alcuni anni impegnati per rendere il proprio modello di crescita e
di sviluppo sempre meno dipendente dal carbonio. Alcuni di essi (i Paesi
dell’Europa orientale, per esempio) sono oggi preoccupati per i costi eco-
nomici e sociali della transizione energetica, dal momento che la loro
economia è improntata ad un modello fortemente inquinante. Un problema
non di poco conto in questo senso è costituito dalla drastica riduzione,
prevista in conseguenza della pandemia da Coronavirus, del Jtf, il fondo
istituito nell’ambito delle negoziazioni sul Recovery Fund per favorire la
transizione energetica di quelle aree europee maggiormente legate a pro-
duzioni inquinanti.
Difficile dire se il Green Deal lanciato dalla presidente della Commissione
Ursula Von der Layen sarà implementato, in quanto tempo, e quale sarà il suo
grado di incidenza a livello mondiale. Negli Stati Uniti, intanto, «ci sono due
Americhe al lavoro»: quella della ricostruzione, della lotta al Covid-19, della
produzione dei vaccini, della ripresa economica e degli stimoli per le classi più
colpite dalla pandemia e quella delle battaglie tra democratici e repubblicani
(e tra repubblicani stessi all’interno del partito), del giustizialismo parlamen-
tare e dell’impeachment per Donald Trump, il presidente che più di ogni altro
ha mostrato tutta la sua avversità a ogni politica di tutela ambientale, espri-
mendo esplicitamente il suo scetticismo sulla realtà dei cambiamenti clima-
tici e della loro origine. Il nuovo presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha
annunciato, invece, che la sostenibilità ambientale sarà una delle priorità del
suo mandato e di voler procedere, per quanto riguarda l’ambiente, in una
direzione completamente opposta rispetto a quella del suo predecessore. Il
suo piano mira, infatti, a garantire al più presto il rientro degli Stati Uniti
nell’accordo di Parigi ed il raggiungimento dell’obiettivo “emissioni nette pari
a zero” entro il 2050. Il destino del clima e della transizione energetica non
dipende, tuttavia, solo dagli Stati Uniti e dalle decisioni del suo nuovo

cui capitale sarebbe raccolto principalmente presso gli investitori attraverso l’emissione di
maxi-obbligazioni green e sostenuto da una partecipazione statale una tantum. Il veicolo
concederebbe prestiti per finanziare progetti conformi a determinati requisiti di sostenibilità
ambientale.

116 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

presidente. La prima parte del piano di Biden (il rientro nell’accordo di Parigi)
è infatti realizzabile attraverso una facile procedura. Tuttavia, alcune inver-
sioni di marcia relative a disposizioni normative emanate sotto il mandato di
Trump potrebbero rivelarsi molto più difficili da compiere; l’abrogazione di
determinate leggi - come, ad esempio, l’Affordable Clean Energy e gli standard
sulle emissioni inquinanti - richiederà sicuramente un processo normativo
più lungo, che influenzerà i livelli di emissione di anidride carbonica del
settore dei trasporti e dell’industria americana. Sarà necessaria, inoltre, una
ridefinizione degli accordi bilaterali e multilaterali stipulati con Paesi limi-
trofi, notoriamente legati agli Stati Uniti da forti legami economici, politici e
strategici. Il nuovo presidente, per esempio, dovrà presto rivedere gli accordi
presi col Canada, pesantemente danneggiato dalla decisione di bloccare la
costruzione del megaoleodotto Keystone XL, un’opera fondamentale per
l’economia canadese e, in particolare, per il governo dell’Alberta, che ha
investito miliardi di dollari nella sua costruzione sperando di incrementare
così lo sviluppo dei suoi giacimenti e della sua industria petrolifera.
Nel frattempo, la crescita economica globale risulta gravemente com-
promessa e, stando alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale24,
l’economia globale dovrebbe tornare a crescere (del 5,8%) solo nel 2021. I
rischi per esiti ancor più gravi restano, tuttavia, considerevoli. Le simula-
zioni del FMI mostrano, infatti, che le prospettive economiche di medio
termine dipendono dalla capacità di Paesi ed istituzioni internazionali di
agire efficacemente e con tempestività per evitare che l’impatto della pan-
demia abbia effetti persistenti sulla fiducia, sugli investimenti e sulla
solidità dei sistemi finanziari.
La questione che a questo punto si pone è: una recessione globale
potrebbe rallentare, o addirittura fermare, il processo di transizione dell’e-
conomia globale verso modelli di sviluppo più sostenibili ed inclusivi? E, più
in particolare, il dilemma cruciale con cui i governi del mondo dovranno
cimentarsi è il seguente: i programmi di salvataggio e di stimolo fiscale
varati o in corso di approvazione in molti dei Paesi colpiti dal virus riusci-
ranno a rilanciare in modo efficace la crescita economica senza sottrarre
risorse ed impegno politico alla causa climatica?
Alcuni studiosi hanno già tentato di fornire una risposta a queste
domande. Una ricerca realizzata nel mese di maggio 2020 da un gruppo
di esperti di fama internazionale coordinato dal Prof. Hepburn
dell’Università di Oxford25 sono stati esaminati circa 700 pacchetti di stimoli
fiscali, classificabili in 25 tipologie di interventi, ed è stato intervistato un
cospicuo numero (231) di analisti e studiosi di tutto il mondo (tra cui,

24
Cfr. FMI, World Economic Outlook, Washington, aprile 2020.
25
Cfr. C. Hepburn - B. O’Callaghan - N. Stern - J. Stiglitz - D. Zenghelis, “Will COVID-19
fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change?”, in Oxford Review of
Economic Policy, n. 36(S1), 4 maggio 2020.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 117


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

funzionari di banche centrali e di ministeri delle Finanze, accademici ed


esponenti di numerosi think thank), cui è stato chiesto di valutare l’efficacia
relativa delle misure prese in esame, in base alla loro velocità di attuazione,
all’effetto moltiplicatore, al potenziale impatto sul clima e alla loro
“desiderabilità complessiva”. I dati hanno mostrato che le misure a favore
del clima sono da ritenere più vantaggiose rispetto a quelle “tradizionali”
non solo nel rallentare il riscaldamento globale, ma anche in termini di
impatto economico complessivo. Le politiche green, infatti, avrebbero la
capacità di produrre maggiore occupazione, offrire rendimenti più elevati
nel breve termine e generare maggiori risparmi sui costi nel lungo termine.
Esse, inoltre, produrrebbero - attraverso la diminuzione dei costi reali
dell’energia - una serie di altri benefici, come la riduzione delle disugua-
glianze sociali e sanitarie.
Tali conclusioni si rivelano estremamente interessanti se considerate
nella prospettiva di analisi che intendiamo proporre in questo scritto: in un
mondo globalizzato ed iper-connesso, dominato dall’incertezza e segnato
dal cambiamento climatico - che è determinato all’eccessiva dipendenza
delle nostre economie dai combustibili fossili ed influisce sul funziona-
mento degli ecosistemi, favorendo anche la diffusione di agenti patogeni e
l’insorgere di nuove epidemie - le politiche economiche green possono essere
considerate come le più desiderabili in assoluto, essendo contemporanea-
mente adatte a ridurre l’impatto ambientale dei sistemi energetici e a
stimolare la “resilienza trasformativa” del sistema socioeconomico.

3. Produzione di energia, mitigazione del cambiamento climatico e benessere


umano - L’energia rappresenta, com’è noto, il motore dell’economia
moderna e gioca un ruolo essenziale per lo sviluppo ed il benessere del-
l’uomo, soprattutto nel mondo contemporaneo, che appare sempre più
globalizzato ed interconnesso, ma anche sempre più inquinato e malsano.
La produzione ed il consumo di energia hanno, infatti, un significativo
impatto sul clima, che costringe i governi di tutti i Paesi a ripensare le
loro politiche economiche e sociali, prima che determinino la distruzione
degli ecosistemi da cui dipende la vita stessa dell’uomo sulla Terra.
L’assenza di energia può, d’altra parte, contribuire a ridurre il benessere
e la libertà delle persone. La difficoltà di accedere ad essa, o di averne
un’adeguata fornitura, è considerata, infatti, un importante indicatore di
deprivazione materiale, che rivela talvolta la presenza di una condizione di
povertà generale26.
Vi è dunque una chiara relazione tra le diverse forme di utilizzo dell’e-
nergia ed il benessere umano. L’utilizzo sistematico dei combustibili fossili

26
Cfr. B. Voltaggio, “La povertà energetica: definizione e dimensione del fenomeno”, in S.
Supino - B. Voltaggio (a cura di) La povertà energetica. Strumenti per affrontare un problema
sociale, Il Mulino, Bologna, 2018, pagg. 11-52.

118 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

per produrre energia risale alla fine del XVIII secolo ed è considerato
vantaggioso per alcune importanti caratteristiche che contraddistinguono
notoriamente tali materiali. Dall’utilizzo di questo tipo di energia dipen-
dono, inoltre, diverse forme di raggiungimento (e/o mantenimento) del
benessere umano ed il miglioramento della qualità della vita. Il ricorso
sistematico e massiccio a questa forma di produzione dell’energia com-
porta, tuttavia, come è stato mostrato in alcune importanti ricerche sul
tema, un aumento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera che
produce, a sua volta, l’innalzamento della temperatura media globale e
pericolosi effetti sul clima. Mitigazione, adattamento, ricerca, sviluppo e
sperimentazione di nuove tecnologie “verdi” sono le soluzioni indicate, già
dalla primavera del 2005, per risolvere questo problema.
Fra tali soluzioni, la mitigazione del cambiamento climatico è indub-
biamente prioritaria, perché punta a ridurre l’impatto ambientale delle
attività antropiche e a rallentare il descritto processo di surriscaldamento
dell’atmosfera terrestre. Le diverse strategie ed azioni di mitigazione
ambientale possono, tuttavia, contrastare con molte delle attuali forme di
raggiungimento del benessere, in particolare con quelle che dipendono
significativamente dall’utilizzo di energia derivante dai combustibili fossili.
Questo aspetto del problema non è preso molto spesso in considerazione.
Eppure l’impatto sul benessere delle diverse azioni e strategie di mitigazione
non dovrebbero essere trascurato. Esso potrebbe costituire un indicatore
molto importante per la scelta delle azioni e strategie da mettere in campo.

3.1. Il cambiamento climatico ed i suoi possibili effetti di retroazione sul


benessere - Da un’analisi minuziosa del problema descritto (annoverabile fra
i molteplici environmental dilemmas capaci di condizionare sensibilmente i
processi decisionali individuali e collettivi)27 discende, dunque, la necessità
di intervenire attraverso la mitigazione dei cambiamenti climatici, ma senza
incidere sul benessere effettivo degli esseri umani e sulla loro salute. In
molte società e Paesi, infatti, ridurre o eliminare l’utilizzo dell’energia fossile
potrebbe comportare modifiche dei comportamenti di consumo e degli stili
di vita su cui oggi gli individui fanno normalmente affidamento per rag-
giungere il benessere.
Questo particolare aspetto della lotta al cambiamento climatico e dei
suoi possibili effetti di “retroazione” sul benessere sono stati colti e rappre-
sentati, in modo molto efficace, in un recente lavoro scritto da due ricerca-
tori dell’Università di Leeds. Secondo la loro ricostruzione dei descritti
effetti di retroazione, le relazioni tra mitigazione climatica e consumo
dell’energia derivante dai combustibili fossili possono essere rappresentate
sotto forma di “tensioni” derivanti sostanzialmente da due processi in

27
Sul punto cfr. R. Mugerauer - L. Manzo, Environmental dilemmas: Ethical decision
making, Lexington books, Lanham, 2008.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 119


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

conflitto tra loro, che “tirano” in direzioni opposte, dando luogo ad una sorta
di “triangolo delle tensioni”28: il primo di questi due processi è attivato dalla
dipendenza dell’uomo contemporaneo dall’utilizzo dell’energia derivante
dai combustibili fossili, che porta a eccessive emissioni di gas serra e,
conseguentemente, al cambiamento climatico; il secondo, invece, è con-
nesso agli effetti del surriscaldamento globale e ai problemi di benessere su
larga scala che ne derivano e che richiedono, per essere ridotti o eliminati,
un notevole impegno nello svolgimento delle attività di mitigazione.
L’analisi di Wood e Roelich implica una concezione robusta ed olistica
del benessere, che permetta di comprendere e superare i conflitti incorpo-
rati nel descritto triangolo delle tensioni. Le misure per ridurre gli effetti del
surriscaldamento globale potrebbero confliggere, infatti, con molte forme
contemporanee di raggiungimento del benessere, ancora fortemente dipen-
denti dall’uso dell’energia che deriva dai combustibili fossili. È evidente che
il discorso sulle strategie più idonee a fronteggiare il cambiamento climatico
dovrebbe essere meglio integrato con gli assunti teorici della teoria del
benessere. Una più completa integrazione di quest’ultima nelle strategie
adottate per ridurre l’impatto economico e sociale del cambiamento clima-
tico potrebbe contribuire ad evitare i potenziali conflitti (tensioni) tra le
misure di mitigazione concretamente applicate ed il consumo dell’energia
derivata dai combustibili fossili.
A tal fine, Wood e Roelich ritengono che le misure di mitigazione dei
cambiamenti climatici ed i consumi di combustibili fossili non possono
essere considerati separatamente dalle loro relazioni con il benessere e
che, pertanto, è necessaria una nuova concezione filosofica ed economica,
che sia capace di catturare le complesse relazioni tra i suddetti fenomeni
contrastanti. Tale concezione dovrebbe ispirarsi al Capabilities Approach e
consentire di inquadrare le potenziali implicazioni per il benessere dei
conflitti energetici tra consumo dell’energia derivata dai combustibili
fossili e mitigazione climatica come questioni di giustizia ambientale o
ecologica.

3.2. Il ruolo dell’ambiente e delle questioni ambientali nel Capabilities


Approach - In realtà, le potenziali implicazioni per il benessere delle
questioni ambientali sono state affrontate, seppure in parte ed in
modo incompleto, anche nella teoria politica liberale dal filosofo
statunitense John Rawls29. L’approccio delle capacità di Martha

28
Cfr. N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabilities, and justice in climate change mitigation
of fossil fuels, cit., pag. 115 e 116.
29
Cfr. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 2008 (ed. or., A Theory of
Justice, Cambridge, The Belknap Press, 1971, trad. it. di U. Santini); J. Rawls, Giustizia come
equità. Una riformulazione, Feltrinelli, Milano, 2002 (ed. or., Justice as Fairness. A Restatement,
Cambridge, The Belknap Press, 2001, trad. it. di S. Veca).

120 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

C. Nussbaum30 permette, tuttavia, di riconoscere più facilmente,


rispetto alla teoria di Rawls, come le variazioni ambientali, nelle
circostanze individuali, pongano ostacoli alle tipologie di protezione
che la giustizia richiede e si rivela più sensibile nel comprendere come
le ingiustizie ambientali molto spesso creano conflitti che minacciano
la giustizia sociale31.
Già Sen aveva individuato il ruolo che lo Human Development Approach
(locuzione perfettamente sovrapponibile a quella di Capabilities Approach,
in ragione del contesto nel quale viene espressa e del modo in cui viene
sostanziata) può offrire per comprendere il rapporto tra sviluppo umano e
tutela delle risorse naturali (cfr. Sen, 2007: p. 28). Basandosi sull’impianto
teorico proposto da Amartya Sen (1995, 1999, 2009), Martha Nussbaum ha
individuato un elenco di dieci capacità centrali (o basilari) che dovrebbero
essere tutelate come materie primarie di giustizia da tutti i governi del
pianeta: 1) Vita; 2) salute corporea; 3) integrità fisica; 4) sensi, immagina-
zione e pensiero; 5) sentimenti; 6) ragion pratica; 7) appartenenza; 8) altre
specie; 9) gioco; 10) controllo del proprio ambiente (politico e materiale)
(Nussbaum, 2006, pag. 76). L’idea di base della filosofa statunitense,
rispetto a ciascuna delle capacità sopra menzionate, è che una vita vissuta
senza l’opportunità di sviluppare le capacità in questione non è una vita
degna di essere considerata umana (Nussbaum, 2006, pag. 78).
Nel pensiero della Nussbaum la qualità dell’ambiente ricopre dunque un
ruolo importante, anche perché da essa dipende in misura significativa il
benessere presente e futuro dell’umanità. Ne deriva che, prima di definire le
politiche più adeguate a garantire la salvaguardia dell’ambiente e del benes-
sere dell’umanità, occorre chiarire bene in che misura contino gli interessi
delle generazioni successive. Inoltre, le stesse capacità centrali, necessarie
per qualificare una vita come all’altezza della dignità umana, oltre ad essere
strettamente interconnesse tra loro, dipendono da fattori ambientali.
È utile ricordare anche il contributo di Holland32, che ha portato ad
un’interessante estensione del Capabilities Approach, attraverso l’elabora-
zione di un approccio puramente antropocentico all’impianto teorico

30
Cfr. M.C. Nussbaum, “The Costs of Tragedy. Some Moral Limits of Cost-Benefit
Analysis”, in Journal of Legal Studies, n. 29(S2)/2000, pagg. 1005-1036; M.C. Nussbaum,
Creating Capabilities. The Human Development Approach, The Belknap Press of Harvard
University Press, Cambridge (Mass.), Londra, 2011.
31
Cfr. E. Maestri, “Giustizia ecologica. Un confronto tra la teoria di Rawls e la teoria di
Nussbaum”, in Diritto e Questioni pubbliche, n. 16(1)/2016, pagg. 149-167.
32
Cfr., in particolare, B. Holland, Environment and Capability: A New Normative
Framework for Environmental Policy Analysis, tesi di dottorato non pubblicata, Chicago:
University of Chicago, agosto 2005; B. Holland, “Justice and the environment in Nussbaum’s
‘Capabilities Approach’ why sustainable ecological capacity is a meta-capability”, in Political
research quarterly, n. 61(2)/2008, pagg. 319-332; B. Holland, Allocating the Earth: A
Distributional Framework for Protecting Capabilities in Environmental Law and Policy,
Oxford University Press, New York, 2014; B. Holland, “Procedural justice in local climate

Rassegna Tributaria 1/2021 - 121


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

proposto da Sen e dalla Nussbaum, attraverso cui si individua uno specifico


legame tra human capabilities ed environment e si giunge così a proporre il
concetto di environmental capacity (o capability).
Analogamente al modo in cui Nussbaum sostiene che la tradizione del
contratto sociale ignora diversi problemi irrisolti di giustizia, Breena
Holland sostiene che questa tradizione, che vede in Rawls il suo principale
rappresentante, non considera affatto le questioni ambientali come pro-
blemi di giustizia, perché le risorse ambientali non sono soggette ad iniquità
nella loro distribuzione (cfr. Holland 2008, pag. 319). Dal punto di vista di
Rawls, pertanto, non sembra esserci alcuna ragione immediatamente ovvia
per affrontare gli environmental dilemmas come questioni di giustizia di
primaria importanza. Holland, al contrario, sostiene che questo punto di
vista è sbagliato, in quanto le conseguenze delle calamità naturali si riper-
cuotono sulle persone in misura sproporzionata, dando luogo a problemi di
giustizia (cfr. ancora Holland, 2008, pag. 319).
Holland utilizza questi casi per sostenere che le questioni di protezione
ambientale e di distribuzione delle risorse sono degne di essere prese in
considerazione e dovrebbero esser trattate come parte del complesso delle
rivendicazioni fondamentali di giustizia. L’approccio di Holland considera,
in particolare, le condizioni ambientali come strumentali alle capacità
umane. Siccome infatti il “funzionamento ambientale” (environmental
functioning) ad un certo livello è richiesto per produrre qualsiasi cosa,
Holland definisce le suddette condizioni ambientali come una sorta di
“meta-capacitazione” (meta-capability) indipendente, che è necessaria per
ottenere tutte le capacitazioni comprese nella lista della Nussbaum (cfr.
Holland, 2008, pag. 328).
Un altro concetto delineato da Holland (Holland, 2014), mutuato dal-
l’approccio filosofico della Nussbaum, sono i “conflitti di capacità” (capa-
bility conflicts). Questi sono conflitti che si verificano tra diversi mezzi di
ottenimento del benessere. Si pensi ad una famiglia che vive vicino ad un
fiume ricavandone l’acqua necessaria alla fruizione di servizi igienico-
sanitari (mediante l’utilizzo del fiume come mezzo di smaltimento dei
rifiuti), e quindi alla salute del corpo. Gli interessi di questa famiglia
potrebbero venire a confliggere con quelli di un’altra famiglia che vive a
valle e che utilizza il fiume come fonte di acqua potabile. Questo effetto,
infatti, si potrebbe produrre perché l’utilizzo del fiume fatto dalla famiglia a
monte potrebbe aver reso l’acqua sporca, imbevibile e nociva per la salute.
Le nozioni di “conflitti di capacità” (capability conflicts) e di “meta-
capacità” (meta-capabilities) possono aiutare a comprendere e a risolvere
i conflitti tra l’uso dell’energia derivante da combustibili fossili, la mitiga-
zione dei cambiamenti climatici e la privazione del benessere. Essi sono

adaptation: political capabilities and transformational change”, in Environmental Politics, n.


26(3)/2017, pagg. 391-412.

122 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

determinati dal fatto che l’uso dell’atmosfera come serbatoio per le emis-
sioni di gas serra può consentire ad una persona di ricavare benessere da
processi che richiedono la combustione di combustibili fossili, ad esempio
la combustione di carburante per alimentare il trasporto. Tuttavia, tale
forma di utilizzo dell’atmosfera su una scala sufficientemente ampia
contribuirà a far aumentare il surriscaldamento della stessa che è causa
del cambiamento climatico33.
È evidente, dunque, come l’approccio alla giustizia basato sulle capaci-
tazioni degli esseri umani abbia enormi potenzialità in relazione agli effetti
prodotti dal cambiamento climatico e alle questioni ambientali in generale.
Le teorie elaborate da Holland hanno mostrato, peraltro, come esso possa
essere efficacemente utilizzato per la progettazione di politiche ambientali
che spingano la società verso una maggiore equità e giustizia sociale.
Riteniamo, pertanto, che se l’originario impianto teorico proposto da Sen
e dalla Nussbaum fosse ripensato ed esteso secondo le indicazioni fornite da
ricerche più recenti34, potrebbe diventare determinante per la compren-
sione e la risoluzione dei conflitti energetici tra consumo dell’energia deri-
vata dai combustibili fossili, mitigazione del cambiamento climatico e
forme di conseguimento del benessere, perché fornirebbe un criterio ideale
per escludere politiche pregiudizievoli alla giustizia ecologica e per realiz-
zare un sistema energetico globale maggiormente sostenibile, inclusivo,
accessibile e sicuro.
In tale quadro generale - e allo scopo precipuo di proporre una via
concreta per sfruttare le suddette potenzialità insite nell’approccio teoriz-
zato da Nussbaum - riteniamo che possa essere utile e confacente, in questa
sede, una seria riflessione sulla delicata questione dell’ammissibilità di
tributi correlati al benessere degli individui misurato sulla base di indicatori
e parametri non monetari, come le capabilities, e prendere in esame l’idea di
istituire imposte sui c.d. beni comuni globali in un’ottica redistributiva e
conservativa, volta per l’appunto a limitarne l’accesso e a disincentivarne il
consumo35.

33
Molte persone e società (e in effetti le stesse persone e società) possono conseguire
capacitazioni tramite i servizi ambientali (o meta-capacità ambientali) che sono favoriti
dall’esistenza di un’atmosfera con temperatura stabile. Ad esempio, modelli meteorologici e
cicli di temperatura stabili favoriscono la produzione agricola, consentono di ottenere una
quantità adeguata di acqua potabile e quindi il raggiungimento di capacitazioni di salute fisica
e di gioco. Tuttavia, l’uso estensivo dell’atmosfera per il primo scopo (produzione agricola) è in
conflitto con il secondo (salute fisica e gioco).
34
Cfr per tutti D. Schlosberg, “Climate justice and capabilities: A framework for adapta-
tion policy”, in Ethics & International Affairs, n. 26(4)/2012, pagg. 445-461 e D. Schlosberg,
“Theorising environmental justice: the expanding sphere of a discourse”, in Environmental
politics, n. 22(1)/2013, pagg. 37-55.
35
Sull’utilizzo del prelievo fiscale quale strumento di tutela dei beni comuni, v. G. Chironi,
La tassazione dei beni comuni, Carocci, Bari, 2018, pagg. 57-76.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 123


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

3.3. Il contributo del Capabilities Approach nella riformulazione della


questione dei beni comuni - Come ben evidenziò Stefano Rodotà in una
delle sue ultime lezioni pubbliche, tenutasi a Napoli il 21 febbraio del 2017,
la questione dei beni comuni36 non si risolve nella mera creazione, più o
meno astratta, di una nuova categoria di beni37. Essa si sostanzia, piutto-
sto, nella riconosciuta rilevanza di talune categorie di bisogni cui si sceglie
di attribuire adeguate garanzie di effettività e di tutela. La questione dei
beni comuni si collega, in questo modo, alla questione delle garanzie che
impone, da una parte, l’individuazione dei soggetti capaci di gestire i beni
suddetti e di regolamentarne l’utilizzo e, dall’altra, la necessità di definire
l’insieme dei rapporti fra beni e soggetti considerati meritevoli di essere
sottratti alle logiche proprietarie, nonché alle norme che disciplinano
l’esercizio della sovranità, per consentire il pieno sviluppo della
personalità umana.
Siamo dunque all’interno di una logica nuova, rivoluzionaria, che ci
spinge al di là del mondo dei beni e ci riporta alla persona nella sua
integralità, o meglio, all’insieme delle libertà e dei diritti fondamentali
della persona, che l’ordinamento giuridico riconosce e si impegna a garan-
tire. Si tratta della stessa logica che anima l’approccio delle capacità e che
determina uno spostamento dell’asse concettuale dai beni ai soggetti che li

36
Negli ultimi anni la questione dei beni comuni ha assunto un grande rilievo nel dibattito
politico e scientifico, con importanti implicazioni sia in ambito economico che giuridico. Il
dibattito in corso sulla possibilità di configurare una teoria dei beni comuni rivitalizza, infatti,
la questione più ampia della democrazia e del soddisfacimento dei diritti fondamentali della
persona. Per approfondimenti sullo svolgimento del dibattito in Italia, cfr. E. Reviglio, “Per una
riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà”, in
Politica del diritto, n. 39(3)/2008, pagg. 531-550; M. Franzini, “Il significato dei beni comuni”, in
Labsus Papers, n. 21/2011, pag. 1-15; M.R. Marella, “Il diritto dei beni comuni. Un invito alla
discussione”, in Rivista critica del diritto privato, n. 29(1)/2011, pagg. 103-118; S. Rodotà, I beni
comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, La scuola di Pitagora, Napoli, 2008; S. Rodotà,
“Beni comuni e categorie giuridiche: una rivisitazione necessaria”, in Questione giustizia, n. 5/
2011, pagg. 237-247; L. Pennacchi, Filosofia dei beni comuni: Crisi e primato della sfera pubblica,
Donzelli, Roma, 2012; A. Gambaro, “Note in tema di beni comuni”, in Aedon, n. 1/2013, pagg.
11-20; P. Maddalena, “Per una teoria dei beni comuni”, in MicroMega, n. 9/2013, pagg. 91-118; S.
Marotta, “La via italiana ai beni comuni”, in Aedon, n. 1/2013, pagg. 1-10; A. Massarutto, “Il
dovere di avere doveri. I ‘beni comuni’ e la “scienza triste”, in Ragion pratica, n. 2/2013, pagg.
361-380; U. Mattei, Beni comuni: un manifesto, Laterza, Bari, 2012; U. Mattei, “I beni comuni
fra economia, diritto e filosofia”, in Spazio filosofico, 2013, pagg. 111-116; A. Lucarelli, La
democrazia dei beni comuni, Laterza, Bari, 2013; G. Micciarelli, “Le teorie dei beni comuni al
banco di prova del diritto La soglia di un nuovo immaginario istituzionale”, in Politica &
Società, n. 1/2014, pagg. 123-142; G. Micciarelli, “I beni comuni e la partecipazione democra-
tica. Da un ‘altro modo di possedere’ ad un “altro modo di governare”, in Jura Gentium, XI, n. 1/
2014, pagg. 58-83.; L. D’Andrea, “I beni comuni nella prospettiva costituzionale: note intro-
duttive”, in Rivista AIC (Associazione Italiana dei Costituzionalisti), n. 2/2015, pagg. 1-16; M.
Foroni, Beni comuni e diritti di cittadinanza: Le nuove Costituzioni sudamericane, Lampi di
stampa, Vignate, 2020.
37
Cfr. S. Rodotà, I beni comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, cit., pagg. 31-89.

124 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

detengono e ne dispongono. Seguendo questa logica, la problematica del-


l’individuazione del “bene comune” va ricompresa nella più generale cor-
nice di un progetto condiviso di società, all’interno del quale va costruito e
mediato il consenso alla promozione di beni determinati38, perché consi-
derati essenziali alla vita delle persone e, in quanto tali, meritevoli di essere
tutelati (garantiti) dall’ordinamento.
Siamo di fronte ad un nuovo modo di intendere il rapporto tra le persone
ed il mondo esterno, che conduce - come si è detto - non alla definizione di
una nuova categoria di beni, ma ad una “ridefinizione complessiva della
collocazione della persona in una organizzazione sociale globalmente
intesa, identificata appunto attraverso le caratteristiche dei beni da tutelare
come comuni”39.
Tali beni non sempre sono risorse in senso proprio, e cioè beni fisici o
materiali. Sono sempre, tuttavia, risorse collettive condivise, amministrate
o autogestite da comunità locali, che incarnano un sistema di relazioni
sociali fondato sulla cooperazione e sulla dipendenza reciproca. Siamo
dunque in presenza di un sistema in cui dominano non le leggi del mercato
e dell’economia, ma vincoli morali di reciprocità e solidarietà. Un sistema in
cui coloro che gestiscono o producono quei beni - o ne traggono i frutti - non
ne possono disporre escludendo gli altri, come se ne fossero proprietari. Essi
non hanno il diritto di escludere gli altri soggetti dall’uso o dal godimento di
quei beni, ma hanno anzi l’obbligo (morale) di collaborare per consentire
anche ad altri di poterne godere o fare uso40 e di partecipare alle decisioni
attinenti alla gestione degli stessi. Siamo insomma di fronte ad una istitu-
zione che si caratterizza per l’appartenenza collettiva e che si sottrae alle
regole del mercato, riguardando propriamente risorse materiali ed imma-
teriali indispensabili per garantire il godimento delle libertà e dei diritti
fondamentali, nonché il libero sviluppo della persona umana.
Se analizziamo attentamente le caratteristiche di questa istituzione non
possiamo non individuare i molteplici punti di contatto tra la teoria dei beni
comuni e l’interpretazione dell’approccio delle capacità fornita da Martha
Nussbaum (2011): un buon ordinamento politico dovrebbe garantire un

38
Sul punto, cfr. G. Chironi, La tassazione dei beni comuni, cit., pag. 55.
39
Cfr. ancora S. Rodotà, I beni comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, cit.,
pag. 76.
40
Alcuni studiosi, guardando proprio alla natura e alle caratteristiche dei beni comuni,
hanno coniato il termine “consumo collaborativo”, che definisce un modello economico ibrido,
concepito come alternativo al consumismo “classico”, e basato su di un insieme di pratiche di
scambio e condivisione di beni materiali, servizi o conoscenze. Per ulteriori approfondimenti,
cfr. R. Botsman - R. Rogers, What’s mine is yours. The rise of collaborative consumption, Harper
Collins, New York, 2010; V. Kostakis - M. Bauwens, Network society and future scenarios for a
collaborative economy, Springer, Londra, 2014; R. Perren - L. Grauerholz, “Collaborative
consumption”, in International Encyclopedia of the Social & Behavioral Sciences, n. 4/2015,
pagg. 139-144; e, più recentemente, G. Petropoulos, An economic review of the collaborative
economy, Bruegel Policy Contribution No. 2017/5.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 125


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

godimento minimo generalizzato di almeno 10 capacitazioni fondamentali.


Fra queste, con riferimento ai temi trattati in questo scritto, assumono
particolare rilievo quelle relative alla “salute” e al “controllo del proprio
ambiente”, politico e materiale, ma pure rilevano le “capacitazioni dei
gruppi” (capability of groups) o di particolari comunità, che rivendicano il
diritto di partecipazione alla vita politica del proprio Paese o all’ammini-
strazione condivisa dei beni comuni. L’assunzione dell’ambiente come bene
comune globale, meritevole di essere posto al centro delle scelte politiche dei
governi, induce oggi a definire uno statuto giuridico generale dei beni
comuni41 e a ripensare la struttura dei sistemi tributari alla luce degli
assunti teorici del Capabilities Approach, al fine di regolamentare l’accesso
a queste risorse e di limitarne il più possibile lo sfruttamento.

4. La struttura dei sistemi tributari nel terzo millennio e l’incremento delle


disuguaglianze - Alla fine del secolo scorso Giulio Tremonti scrisse due saggi
molto interessanti sui sistemi fiscali “moderni” e sulla loro possibile evolu-
zione verso la fiscalità del terzo millennio42. Comparando la struttura del
“mondo” contemporaneo con quella del mondo medievale, egli formulava
due “profezie”: 1) sulla migrazione fiscale dei capitali, causa di effetti
sostanziali di regressività a carico soprattutto del lavoro dipendente; e 2)
sulla regressione necessaria dei sistemi fiscali moderni verso forme di
imposizione empirica “medioevale”. In particolare, egli sosteneva che feno-
meni di portata globale (come la globalizzazione della ricchezza, la cre-
scente integrazione delle economie a livello internazionale, la
dematerializzazione e la finanziarizzazione) avrebbero “modificato radi-
calmente la struttura economica e sociale dell’esistente” e che gli schemi
fiscali del terzo millennio avrebbero dovuto progressivamente adattarsi alla
realtà43.
41
Nello stesso senso, cfr. A. Lucarelli, La democrazia dei beni comuni, cit., pag. XIII: “il
modello pubblicistico, per accelerare e valorizzare il processo di integrazione europeo, senza
sacrificare i diritti sociali a vantaggio delle libertà individuali, va ripensato. O, meglio, raffor-
zato. Non appare sufficiente il riconoscimento - peraltro debole - nella Carta europea, dei diritti
sociali, né il richiamo alle tradizioni comuni delle Costituzioni europee; occorre fondare le
politiche pubbliche intorno a nuovi principi in grado di fronteggiare e reagire a modelli
privatistici e neo-contrattualistici di gestione della cosa pubblica. È necessario porre le basi
per uno Statuto europeo dei beni comuni, che parta da iniziative partecipate e poste dalla
cittadinanza attiva”.
42
Cfr. G. Tremonti, La fiera delle tasse. Stati nazionali e mercato globale nell’era del
consumismo, Il Mulino, Bologna, 1991; G. Tremonti, “La fiscalità nel terzo millennio”, in
Riv. dir. fin. sc. fin., LVII, n. 1(1)/1998, pagg. 69-83.
43
Per ulteriori approfondimenti sul processo di adattamento dei sistemi tributari alle
conseguenze della globalizzazione e dell’integrazione economica internazionale, v. S. Fedeli -
F. Forte, “Concorrenza versus armonizzazione fiscale: la scelta delle regole del gioco
nell’Unione Europea”, in M. Bordignon - D. Da Empoli (a cura di) Concorrenza fiscale in
un’economia internazionale integrata, Franco Angeli, Milano,1999, pagg. 78-103; F. Fichera,
“Fisco ed Unione Europea: l’acquis communautaire”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 62(3)/2003, pagg.

126 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

Nello scenario politico del XXI secolo i nuovi corpi ed enti sovranazio-
nali (come l’OCSE, il FMI, le Nazioni Unite e l’Unione Europea), da
Tremonti denominati Quangos (Quasi autonomous non governmental orga-
nizations), otterranno gradualmente un ruolo politico crescente e, di
riflesso, aumentando anche il loro “bisogno finanziario”, accamperanno
un crescente titolo morale alla tassazione. Tuttavia, proprio a causa della
loro struttura “sovranazionale”, i Quangos dovranno anche misurarsi con
enormi difficoltà tecniche di riscossione. Per superare queste difficoltà e
procacciarsi le necessarie risorse finanziarie, essi dovranno assumere gli
Stati-Nazione come propri diretti contribuenti e costringerli, contempora-
neamente, ad applicare per proprio conto ritenute e/o imposte sostitutive
sui loro contribuenti.
Per questa ragione, sempre secondo Tremonti, gli Stati-Nazione
saranno costretti a reinventare le proprie politiche fiscali allo scopo di:
1) difendere i bilanci nazionali dalle perdite di gettito dovute alla pia-
nificazione fiscale aggressiva delle imprese multinazionali e al riciclaggio di
denaro;
2) impedire che la ricchezza sfugga al loro dominio territoriale, attratta
dai c.d. paradisi fiscali e dai Paesi a basso livello di tassazione;
3) accrescere la loro competitività a livello internazionale, non necessa-
riamente diventando paradisi fiscali, ma evitando almeno di presentarsi
come dei veri e propri “inferni fiscali”.
In estrema sintesi, la “profezia” fiscale di Tremonti per il terzo millennio
comprendeva:
1) un alto grado di standardizzazione della tassazione prodotta dalla
concorrenza fiscale;
2) un ruolo crescente della tassazione alla fonte, di più semplice appli-
cazione rispetto alla tassazione in base al principio di residenza;
3) uno spostamento graduale dalla tassazione diretta a quella indiretta,
con conseguente incremento della regressività dei sistemi tributari
nazionali;
4) un grande sviluppo dell’innovazione fiscale volto ad individuare le
nuove forme della ricchezza e ad elaborare nuove tecniche per misurarla ed
assoggettarla ad imposizione.
L’attendibilità di questa profezia è oggi provata da numerosi studi e
rapporti sulle proprietà che contraddistinguono i “moderni” sistemi tribu-
tari. È agevole notare, infatti, come le tendenze in atto di fronte agli
avanzamenti tecnologici (come lo sviluppo di Internet e delle reti di teleco-
municazione), ai mutamenti sociali (come il rapido processo di invecchia-
mento della popolazione, tipico delle economie più sviluppate) e alle

427-450; M.H. Grabowski, “Integrazione fiscale nell’unione europea: sfide, risultati e pro-
spettive”, in Economia pubblica, n. 4/2005, pagg. 145-157; G. Vitaletti, “Principi fiscali ed
economia globale”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 2/2010, pag. 117 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 127


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

trasformazioni delle strutture economiche (come la globalizzazione dell’e-


conomia e la crescente integrazione dei mercati internazionali) abbiano
condotto i sistemi tributari verso:
1) una discriminazione fiscale qualitativa a favore dei redditi da capitale;
2) l’estensione della tassazione indiretta a scapito di quella diretta,
motivata dalla maggiore certezza degli imponibili;
3) la riduzione delle ambizioni redistributive del prelievo tributario, con
la conseguente attenuazione della progressività dei sistemi di tassazione e
l’incremento delle disuguaglianze economiche.
La struttura dei sistemi tributari dovrebbe oggi essere rivista tenendo
nella massima considerazione tali fenomeni e soprattutto i modi in cui le
politiche redistributive dei governi possono incidere sulle disuguaglianze di
ricchezza e di opportunità. Tali aspetti, assieme alla questione dei molteplici
fattori che contribuiscono a determinare l’incremento delle disuguaglianze,
sono tuttora oggetto di un vivo dibattito fra gli studiosi44 e si presume che lo
saranno anche in futuro. Recenti studi hanno evidenziato, infatti, come una
maggiore capacità redistributiva del sistema tributario è condizione neces-
saria ma non sempre sufficiente a determinare una effettiva riduzione delle
disuguaglianze. Al riguardo è da considerarsi determinante anche il livello
di diffusione dell’evasione fiscale45 ed altre caratteristiche intrinseche del

44
Una prima interpretazione dei meccanismi socio-economici attraverso i quali le forze
immanenti nel capitalismo spingono verso un incremento delle disuguaglianze è stata fornita
da Piketty nel 2014 (Cfr. T. Piketty, Capital in the 21st Century, Harvard University Press,
Cambridge, MA, 2014), ma già prima di lui erano intervenuti sul tema, fornendo un contributo
originale, Milanović, Bourguignon e due economisti del Fondo monetario internazionale,
Kumhof e Rancière, che avevano analizzato in modo più approfondito la relazione tra
instabilità finanziaria e sperequazione dei patrimoni. Nel dibattito sono poi intervenuti
molti altri studiosi, ma i contributi principali sono da ascrivere ad Atkinson, Stiglitz,
Watson e Milanović. Cfr. B. Milanović, The haves and the have-nots: A brief and idiosyncratic
history of global inequality, Basic Books, New York, 2010; F. Bourguignon, La Mondialisation de
l’inégalité, Seuil-La République des idées, Parigi, 2012; M. Kumhof - R. Rancière, Inequality,
Leverage and Crises, IMF Working Paper N. 10/268, novembre 2010; A.B. Atkinson, Inequality:
what can be done?, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2015; J. Stiglitz, The great divide,
Penguin UK, London, 2015; W. Watson, The Inequality Trap: Fighting Capitalism Instead of
Poverty, University of Toronto Press, Toronto, 2015; B. Milanović, Global Inequality: A New
Approach for the Age of Globalization, Harvard University Press, Cambridge, 2016.
Lo stesso Piketty è tornato recentemente sul tema analizzandolo non soltanto da un punto
di vista sociale ed economico, ma anche in una prospettiva politico-ideologica, ovvero cercando
di fare luce, questa volta, sull’evoluzione delle narrative e delle ideologie finalizzare a legitti-
mare la disuguaglianza. Cfr. T. Piketty, Capital et idéologie, Le Seuil, Parigi, 2020.
45
Per ulteriori approfondimenti sulla relazione tra progressività del sistema tributario,
evasione fiscale e disuguaglianze, vedasi M. Freire-Seren - J. Panadés, Does Tax Evasion Modify
the Redistributive Effect of Tax Progressivity?, Research Project. The Ramon Areces Foundation,
Barcelona, 2005; D. Duncan - P.K. Sabirianova, Tax progressivity and income inequality,
Andrew Young School of Policy Studies Research Paper Series n. 08-26, Atlanta, GA, 2008;
A. Alstadsæter - N. Johannesen - G. Zucman, “Tax evasion and inequality”, in American
Economic Review, n. 109(6)/2019, pagg. 2073-2103.

128 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

sistema tributario, come la pressione fiscale complessiva46. Sebbene dun-


que esistano molti studi, teorici ed empirici, sulla relazione tra struttura dei
sistemi tributari e disuguaglianze, molta strada sembra che ci sia ancora da
fare per comprendere in che modo sia possibile arrestare la preoccupante
crescita delle disuguaglianze attraverso le riforme fiscali.

5. Una rivoluzione fiscale per ridurre le disuguaglianze e rafforzare la resilienza


dei sistemi tributari - Come diceva dunque Tremonti: “non è questione di
riforma fiscale, ma di rivoluzione fiscale”. Si impone un cambiamento di
approccio alla progettazione ed implementazione delle politiche pubbliche,
un cambiamento che coinvolga anche i moderni sistemi di tassazione
attraverso:
1) l’introduzione di nuove e più avanzate forme di comunicazione tra
l’amministrazione fiscale ed il contribuente, allo scopo di semplificare gli
adempimenti, stimolare l’adempimento degli obblighi tributari e favorire
l’emersione spontanea delle basi imponibili;
2) il recupero della funzione redistributiva, attraverso l’identificazione
delle “nuove” disuguaglianze47 e dei mezzi più appropriati per ridurle;
3) la sperimentazione di nuovi modelli di prelievo diretti ad aumentare
la resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali48 alle conseguenze
delle profonde trasformazioni intervenute nelle modalità di produzione
della ricchezza (come i cambiamenti climatici, l’inquinamento dell’aria,
dei mari, del suolo e del sottosuolo, i traffici illeciti di rifiuti, l’incremento dei

46
Sul ruolo giocato dai sistemi di imposizione e trasferimento nella riduzione delle
disuguaglianze di ricchezza cfr. H. Immervoll - L. Richardson, Redistribution Policy and
Inequality Reduction in OCSE Countries: What Has Changed in Two Decades?, OCSE Social,
Employment and Migration Working Papers, No. 122, OCSE Publishing, Parigi, 2011;
I. Joumard - M. Pisu - D. Bloch, “Tackling income inequality: The role of taxes and transfers”,
in OCSE Journal: Economic Studies,n. 2012(1)/2013 pagg. 37-70; G. Verbist - F. Figari, “The
redistributive effect and progressivity of taxes revisited: An international comparison across
the European Union”, in FinanzArchiv/Public Finance Analysis, 2014, pagg. 405-429; K.
Caminada - J. Wang - K.P. Goudswaard - C. Wang, Income inequality and fiscal redistribution
in 47 LIS-countries, 1967-2014, LIS Working paper series, 2017, pag. 724.
47
Dopo i decenni dell’egemonia liberista iniziata negli anni del thatcherismo e del
reaganismo, anche le istituzioni economiche mondiali hanno “scoperto” che le disuguaglianze
possono compromettere le stesse prospettive di sviluppo dell’economia. Ma le disuguaglianze,
specialmente oggi, non si esauriscono sul piano dell’economia. Esse coinvolgono la libertà,
l’identità culturale e religiosa, i rapporti tra i generi, l’accesso ai servizi fondamentali e tanti altri
aspetti che incidono sullo stesso funzionamento dei processi democratici. Più in particolare, su
tali aspetti cfr. F. Ippolito, “Le nuove disuguaglianze”, in Questione Giustizia, n. 2/2017, pagg.
9-13.
48
Sulla resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali, sulle metodologie per
misurarla e sulla questione delle loro determinanti, v. S. Villani, Resilienza, globalizzazione e
politiche pubbliche, Jovene, Napoli, 2017; S. Villani, “Brevi osservazioni sulla nozione di
resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali”, in E.M. Piccirilli - V. Russo,
Linguistica ed Economia. Vol. II. Un connubio tra due discipline come ricerca filosofica nell’e-
conomia degli scambi, Academy School, Napoli, 2019, pagg. 65-77.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 129


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

tumori provocati dalla diffusione nell’ambiente naturale di sostanze cance-


rogene o da cattive abitudini alimentari) e, più in generale, dei sistemi
economici e sociali (come le crisi economiche e finanziarie, la particolare
rapidità del processo di invecchiamento, i flussi migratori internazionali).
La resilienza dei sistemi tributari, in particolare, può essere considerata
come la condizione imprescindibile per garantire la realizzazione di obiet-
tivi fondamentali per il benessere e la crescita di un Paese, come la fornitura
di servizi pubblici di qualità, l’organizzazione di una rete di servizi di
trasporto pubblico e di infrastrutture efficace ed efficiente, il finanziamento
di attività pubbliche volte a tutelare l’ambiente e a fronteggiare le emergenze
ambientali, la promozione di pari opportunità e parità di trattamento per
tutti i cittadini, a prescindere dal genere, dalla razza, dalla religione, dalla
residenza e dalla loro condizione sociale.
Accrescere la resilienza dei sistemi tributari non è, tuttavia, una cosa
semplice. Essa presuppone:
1) la capacità di adattamento dei sistemi tributari alle suddette trasfor-
mazioni che intervengono nella società, nell’economia e nell’ambiente;
2) la disponibilità di risorse adeguate a sostenere gli sforzi (o costi) di
adattamento dei sistemi;
3) la redistribuzione delle risorse, nel caso in cui la loro eccessiva
concentrazione impedisca uno sviluppo economico sostenibile.
Ma com’è possibile progettare sistemi tributari che rispondano contem-
poraneamente a tutti questi requisiti? Senza alcuna pretesa di fornire una
soluzione certa né esaustiva al problema, vorremmo semplicemente far
notare come le tendenze in atto si inquadrano in una dinamica che spinge
inevitabilmente verso un drastico cambiamento di approccio ai problemi
della tassazione. L’adozione di nuovi criteri di indicatori di capacità con-
tributiva correlati al benessere degli individui, misurato sulla base di indi-
catori e parametri non monetari, come le capabilities, potrebbe servire, a
mio avviso, a perseguire tutti questi obiettivi contemporaneamente.
La proposta di allargare il novero dei fatti imponibili assoggettando a
tassazione anche le capabilities, od altre situazioni o posizioni di vantaggio
economicamente valutabili, fu avanzata per la prima volta da Franco Gallo
in un saggio del 2007 sulla giustificazione etica del tributo e sulla relazione
che intercorre tra giustizia fiscale e giustizia sociale49. In quel saggio l’autore
iniziò a sostenere la necessità di riformare il sistema fiscale, integrandolo
con l’introduzione di nuovi “indici di potenzialità economica rappresentati

49
Cfr. F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, cit. Per ulteriori
interessanti approfondimenti sulla giustificazione etica della tassazione in un mondo globa-
lizzato, v. F. Forte, L’etica della tassazione. Imposta, individuo, comunità, Fondazione Magna
Carta, Roma, 2007 e H.P. Gaisbauer - G. Schweiger - C. Sedmak (a cura di), Philosophical
explorations of justice and taxation: national and global issues, Vol. 40, Springer, New York,
2015.

130 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

da posizioni e valori - ‘capacitazioni’ direbbe Amartya Sen50 - solo social-


mente rilevanti, purché espressivi, in termini di vantaggio, di una capacità
differenziata economicamente valutabile”51.
In alcuni scritti successivi Gallo ebbe modo di illustrare meglio la sua
proposta. In particolare, egli suggeriva di ripensare radicalmente, soprat-
tutto sul piano etico, la missione dello Stato, sottolineando l’importanza
fondamentale della funzione redistributiva, condotta secondo una forte
direzione morale e bilanciando i diritti proprietari con i diritti di cittadi-
nanza: “se ci sono disuguaglianze endemiche, la loro riduzione deve essere
al primo posto tra gli obiettivi etici che lo Stato deve perseguire nel rispetto
dei diritti fondamentali dei suoi cittadini sanciti dalla Costituzione”52.
Richiamando questi “obiettivi etici” rilevava, inoltre, che i mercati hanno
una naturale inclinazione a sottovalutare i valori morali e a dare rilevanza
unicamente a quei bisogni che sono riconducibili a calcoli economici. I
mercati tendono, infatti, a valorizzare solo i beni materiali, finanziari e
patrimoniali e non danno alcuna importanza alle libertà fondamentali
dell’individuo, o - come le chiamava Sen - alle sue “capacità di funziona-
mento” (human functioning). Eppure vi sono “beni fondamentali ed uni-
versalmente riconosciuti che costituiscono condizione necessaria affinché
vi sia giustizia sociale, come la longevità, l’integrità fisica, l’ambiente, la
salute, l’accesso sia ai servizi sanitari di qualità sia alla conoscenza nel corso
di un’intera esistenza, il tenore di vita, la vita personale, famigliare e sociale,
l’identità, compresa quella religiosa. Ed è evidente che le disuguaglianze
derivanti dalla carenza o insufficienza di tali beni pubblici ‘base’ e di tali beni
‘comuni’ trasferiscono direttamente in capo allo Stato e agli enti territoriali
decentrati la responsabilità nella garanzia dei beni stessi; come dire, la
responsabilità delle politiche di spesa e fiscali dirette a rimuovere le cause
di ingiustizia distributiva socialmente e moralmente inaccettabili, oltre che
a rimediare alle situazioni estreme di esclusione, di assenza di opportunità e
di perdita della speranza. Per la maggioranza delle persone la garanzia di

50
Cfr., in particolare, A. Sen, Development as Freedom, Knopf, New York, 1999 (trad. it. Lo
sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2000); A. Sen,
The Idea of Justice, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 2009 (trad. it. L’idea di
giustizia, Mondadori, Milano, 2010).
51
Cfr. F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, cit., pagg. 86 e 87. A
sostegno della sua tesi lo studioso cita numerosi esempi di tributi aventi come presupposto
“qualificate situazioni di vantaggio economicamente valutabili”: 1) i tributi ambientali in senso
stretto, che gravano su chi utilizza beni ambientali scarsi o emette sostanze nocive alla salute
dell’uomo deteriorando l’ambiente; 2) le imposte sul valore aggiunto economico o le c.d.
business taxes, che colpiscono la capacità organizzatore dell’operatore o del produttore; 3) le
accise, che gravano sulla produzione organizzata di beni; 4) tutti quei tributi che hanno come
presupposto indici di capacità contributiva che non garantiscono la disponibilità di un saldo
patrimoniale attivo sufficiente ad adempiere all’obbligazione tributaria.
52
Cfr. F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit. e F. Gallo, Ripensare il sistema fiscale in
termini di maggiore equità distributiva, cit.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 131


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

detti beni da parte di uno Stato efficiente è più importante del profitto o della
crescita complessiva e crea, perciò, delle aspettative che solo uno ‘Stato
sociale’ può dare”53.
Gallo peraltro faceva notare come la carenza o insufficienza dei beni
suddetti sia ormai pacificamente assunta come un criterio fondamentale
per la valutazione del benessere e del grado di giustizia sociale. Quando tali
beni mancano o sono carenti, dovrebbe intervenire lo Stato, nella sua
qualità di “assicuratore e garante di ultima istanza”, avvalendosi del suo
potere impositivo per redistribuire le risorse e garantire a tutti la
disponibilità delle condizioni minime necessarie ad assicurare il pieno
sviluppo della persona umana. In coerenza con questo ragionamento,
come indicatori di capacità contributiva cui commisurare il prelievo tribu-
tario, egli suggeriva di prendere in considerazione non i beni “base” o
“fondamentali”, che lo Stato ha l’obbligo/responsabilità di garantire a
tutti, ma i c.d. beni-capacità (capability-goods), intesi come “posizioni e
situazioni attuali di vantaggio non necessariamente di natura patrimoniale,
ma pur sempre valutabili economicamente”54.
Sul piano dei principi, la “ricetta” di Gallo è dunque molto chiara e può
essere sintetizzata, come in un sillogismo, in tre principi o postulati:
1) occorre ripensare radicalmente la missione dello Stato, sottolineando
l’importanza fondamentale della funzione redistributiva, condotta secondo
una forte direzione morale e bilanciando i diritti proprietari con i diritti di
cittadinanza;
2) accanto ai beni primari esistono “beni-capacità” che, pur non essendo
beni economici tradizionali come il reddito o il patrimonio, se economica-
mente valutabili, possono costituire, al pari di essi, valide e significative
unità di misura di situazioni di vantaggio o di benessere degli individui;
3) lo Stato, nel perseguire gli obiettivi etici racchiusi nella sua missione,
deve evitare di tassare ancor di più i tradizionali cespiti di natura reddi-
tuale o patrimoniale, già così pesantemente gravati dai tributi vigenti, e
spostare l’onere del prelievo su diverse entità, che denotino l’esistenza di
specifiche situazioni di vantaggio e di soddisfazione di bisogni valutabili

53
Cfr. ancora F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit. e F. Gallo, Ripensare il sistema fiscale
in termini di maggiore equità distributiva, cit.
54
Sulla distinzione tra beni “base” o fondamentali (basic or fundamental goods) e “beni-
capacità” (capability-goods), v. F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit., e F. Gallo, Ripensare il
sistema fiscale in termini di maggiore equità distributiva, cit. Nel pensiero di questo studioso, i
beni fondamentali ed universalmente riconosciuti costituiscono la condizione necessaria
affinché vi sia giustizia sociale, come la longevità, l’integrità fisica, l’ambiente, la salute,
l’accesso ai servizi, la vita personale, famigliare e sociale, il tenore di vita e l’identità, compresa
quella religiosa. Accanto a tali beni, ne esistono altri, che egli definisce “beni-capacità”, cioè
beni (ma anche posizioni, condizioni e situazioni) che sebbene non siano scambiabili sul
mercato, rappresentano una potenzialità contributiva a partire dalla quale lo Stato potrebbe
fondare, a certe condizioni, il prelievo tributario sui soggetti che ne hanno la disponibilità.

132 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

economicamente e più adatte a concorrere all’equo riparto dei carichi


pubblici.
Tuttavia, le modalità di applicazione pratica di quei principi non sono
state finora chiarite, neppure dallo stesso Gallo. Per questa ragione la sua
“ricetta”, pur essendo logicamente ben strutturata, è divenuta oggetto di
critiche e polemiche. Si rileva, in particolare, come un cambio di focalizza-
zione nella logica del prelievo fiscale dagli indicatori economici tradizionali
(reddito, patrimonio e consumo) alle capacità o capabilities degli individui
possa ampliare il deficit informativo sofferto dalle pubbliche autorità a
vantaggio dei soggetti passivi d’imposta e, conseguentemente, produrre
effetti di incentivo perversi (disincentivo a rivelare le proprie capabilities
e ad investire in esse), in quanto diretti unicamente ad occultare la base
imponibile del tributo e ad ottenere un guadagno fiscale55. A supporto di
questa critica, si richiamano gli studi in materia di endowment taxation, e
cioè di tassazione rapportata alle “dotazioni” e alle potenzialità di guadagno
degli individui56, mostrando come non abbia senso concepire una imposta
sulla “buona sorte” (brute luck), in mancanza di una ricchezza tangibile che
ne consenta il pagamento57. Coerenza vorrebbe, infatti, “che si teorizzino
tributi strettamente ancorati a presupposti dotati di patrimonialità, e non
certo a ‘capacità’ o ‘valori sociali’, a doti personali o situazioni di vantaggio
legate alla salute dell’individuo, all’accesso ai servizi sanitari, alla salubrità
dell’ambiente e ad altri fattori privi di un sostrato economico-
patrimoniale”58.

6. Conclusioni e proposte di policy - La proposta di Gallo possiede, a mio


avviso, enormi potenzialità, ancora oggi non adeguatamente colte né svi-
luppate. In questa sede non ci è possibile spiegare dettagliatamente come sia
possibile farlo, traducendo nella pratica quei principi etico-filosofici su cui
essa si basa. Non possiamo, tuttavia, esimerci dal segnalare come il
Capabilities Approach potrebbe costituire la base ideale per una riforma
dei sistemi tributari nazionali volta a recuperare elementi di progressività e
di giustizia sociale che la globalizzazione ed il dominio incontrastato del
pensiero unico neoliberista hanno concorso a mettere in crisi. Recenti
ricerche59 hanno infatti evidenziato come tale approccio potrebbe

55
In questo senso, v. D. Lanzi, Tassare le Capacità: Una Nota Critica, cit.
56
Su questo tema, cfr. per tutti L. Zelenak, “Taxing Endowment”, in Duke Law Journal, n.
55/2006, pagg. 1145-1181.
57
Cfr. sul punto D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, cit., F. Gaffuri,
“Ancora dell’attitudine alla contribuzione”, in questa Rivista, n. 56(5)/2013, pagg. 975-1021.
58
Così D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, cit., pagg. 419-429.
59
Cfr. M. Stewart, “Gender Equity in Australia’s Tax System”, in Legal Studies Research
Paper, 443, University of Melbourne, Melbourne, 2009 e M. Stewart, “Gender inequality in
Australia’s tax-transfer system”, in M. Stewart (a cura di), Tax, social policy and gender:
rethinking equality and efficiency, Australian National University Press, Acton, 2017.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 133


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

consentire di realizzare sistemi di tassazione più equi e più attenti alle


esigenze delle persone economicamente o socialmente svantaggiate,
come i più poveri, i disabili, le donne e coloro che vivono in famiglie
numerose o monoparentali. Partendo dal delicato tema della tutela dell’am-
biente si potrebbe poi puntare a realizzare qualcosa di più. Per esempio, si
potrebbe iniziare a pensare alla costruzione di un sistema tributario glo-
bale60 che, avvalendosi di un impianto concettuale comune ispirato ai
principi del Capabilities Approach, punti a:
1) limitare lo sfruttamento dei c.d. beni comuni globali;
2) superare i potenziali conflitti energetici descritti dal “triangolo delle
tensioni” di Wood e Roelich;
3) rafforzare la resilienza dei sistemi economici, finanziari e
previdenziali61;
4) ridurre le “vecchie” disuguaglianze nella distribuzione del reddito, o
della ricchezza in generale, e le “nuove” disuguaglianze nelle dotazioni di
capitale umano, servizi pubblici ed infrastrutture, che congiuntamente
ostacolano il pieno sviluppo della persona umana62.
Un sistema tributario di questo tipo dovrebbe, però, escludere catego-
ricamente la possibilità di tassare qualità personali, capacità sociali o
relazionali degli individui e contemplare l’assoggettamento a tassazione
delle sole posizioni di vantaggio nella disponibilità e nell’accesso a beni e
servizi che dovrebbero essere garantiti a tutti. Pensiamo, in particolare,
all’istituzione di istituzioni sovranazionali di garanzia e all’applicazione di
imposte sull’uso ed abuso dei beni comuni dell’umanità, che costituiscono
risorse collettive, cui tutte le specie hanno uguale diritto e sono pertanto il
fondamento della ricchezza reale63. Questi beni sono sempre più invasi ed

60
Indubbiamente, la proposta di creare un sistema tributario globale, come quella di
istituire delle global taxes, incontra numerose difficoltà sul piano pratico, determinate princi-
palmente dall’inesistenza di un governo globale e dalla riluttanza degli Stati a rinunciare alla
propria sovranità fiscale. Parte della dottrina considera, tuttavia, la sfida per un diritto
tributario globale come importantissima, poiché consentirebbe di limitare lo sfruttamento
delle disparità transnazionali tra gli ordinamenti tributari e di recuperare le rilevanti perdite di
gettito prodotte dalle strategie di pianificazione fiscale delle multinazionali. Cfr. P. Pistone, “La
pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale”, in
Rivista trimestrale di diritto tributario, n. 2/2016, pagg. 395-440 e V. Tanzi, “Lakes, oceans, and
taxes: why the world needs a world tax authority”, in T. Pogge - K. Mehta (Eds.), Global tax
fairness, Oxford University Press, Oxford, 2016, pagg. 251-264.
61
Per ulteriori approfondimenti su questo tema, v. K. Aiginger, “Strengthening the
resilience of an economy”, in Intereconomics, n. 44(5)/2009, pagg. 309-316; S. Villani,
Resilienza, globalizzazione e politiche pubbliche, cit.; S. Villani, Brevi osservazioni sulla nozione
di resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali, cit.
62
In questo, cfr. A. Sen, Development as Freedom, cit.
63
Sul valore dei beni comuni globali e sul contributo fondamentale degli stessi al benes-
sere della società nel mondo globalizzato di oggi, v. S. Deneulin - N. Townsend, “Public goods,
global public goods and the common good”, in International Journal of Social Economics,

134 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

espropriati, ridotti a merce, recintati o inquinati ed il loro accesso è sempre


più minacciato.
Potremmo dunque immaginare istituzioni che ci permettano di valo-
rizzarli, di governare il processo di transizione ecologica in atto e di raffor-
zare la resilienza dei nostri sistemi di produzione. All’interno di un’area
economica integrata, quale quella dell’Unione Europea, si potrebbero, per
esempio, riformare i trattati istitutivi per creare un sistema di principi e di
regole condivise sulla gestione dei beni comuni. I Trattati europei hanno
impresso, infatti, al progetto iniziale dei Padri fondatori una direzione che lo
allontana dall’ideale di costruzione dei beni collettivi europei e ne istituzio-
nalizza, al contrario, la privatizzazione extraterritoriale. Le istituzioni
europee non hanno dato vita, cioè, ad un sistema di regole condivise di
gestione dei commons, ma ad un processo di privatizzazione di beni privati
extraterritoriali, che rischia di generare situazioni di equilibrio economi-
camente e socialmente sub-ottimali. Nel detto contesto, invece, una riforma
dei trattati istitutivi ispirata ai principi di reciprocità, di solidarietà e di
sussidiarietà, potrebbe condurre ad una riorganizzazione delle istituzioni
europee che lasci agli Stati membri la gestione dei beni pubblici e trasferisca
all’Unione la governance dei beni comuni64.
Potremmo, inoltre, immaginare il ricorso ad imposte “pigouviane”,
istituite ed applicate sulla base di accordi globali od internazionali, dirette
ad eliminare o ridurre le esternalità negative prodotte dall’aumento della
concentrazione dei gas serra nell’atmosfera. Gli studi più recenti sulle
environmental taxes rilevano che il livello attuale di tassazione sui prodotti
inquinanti è estremamente basso e non rispecchia in maniera adeguata il
danno ambientale e sociale che questi beni comportano65. L’applicazione
multilaterale e coordinata di una carbon tax66 produrrebbe, secondo alcune
analisi, un importante dividendo fiscale che potrebbe essere sfruttato per
perseguire altri obiettivi a sostegno non solo dell’ambiente, ma anche della
salute e del lavoro67. Il mercato delle quote di CO2 di cui l’Europa si è dotata a

n. 34(1-2)/2007, pagg. 19-36; G. Ricoveri, Beni comuni vs merci, cit.; P. Riordan, Global Ethics
and Global Common Goods, Bloomsbury, Londra, 2014.
64
Nello stesso senso, v. già G. Giraud, Illusion financière. Des subprimes à la transition
écologique, Les Édition de l’Atelier, Paris, 2012, pag. 107 ss. e G. Giraud, “Per ripartire dopo
l’emergenza COVID-19”, in La Civiltà Cattolica, Quaderno n. 4075, vol. II, 4 aprile 2020, pagg.
7-19.
65
Cfr. OCSE, Environmentally Harmful Subsidies: Challenges for Reform, OCSE
Publishing, Parigi, 2005 e OCSE, Taxing Energy Use 2019: Using Taxes for Climate Action,
OCSE Publishing, Parigi, 2019.
66
Un approccio “multilaterale” e “coordinato” consentirebbe, secondo alcuni, di superare
le difficoltà che normalmente determinano il fallimento dei tentativi unilaterali di applicazione
di una carbon tax. Cfr. T. Falcão, A Proposition for a Multilateral Carbon Tax Treaty,
International Bureau of Fiscal Documentation (IBFD), Amsterdam, 2019.
67
Cfr. al riguardo anche R.M. Bird, Global taxes and international taxation: Mirage and
reality, ICTD Working Paper 28, Institute of Development Studies, Brighton, gennaio 2015; R.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 135


S. VILLANI - RIVOLUZIONE FISCALE PER LA TRANSIZIONE ECOLOGICA

partire dal 2005 aveva in verità una finalità simile, ma non ha svolto
adeguatamente la sua funzione, non avendo fornito il benché minimo
incentivo ad investire in infrastrutture industriali a basso contenuto di
carbonio.
Pensiamo, infine, al ruolo chiave che può svolgere la fiscalità nella lotta
alla povertà energetica. È noto, infatti, che una delle determinanti della
povertà energetica è costituito dal costo dell’energia e che tale costo è spesso
pesantemente influenzato da componenti fiscali e parafiscali, le quali si
aggiungono alle altre componenti di costo delle bollette. In questo contesto,
come suggerito anche dall’OCSE, è fondamentale intervenire in senso
restrittivo sui sussidi ai combustibili fossili per tenere sotto controllo la
volatilità dei prezzi e per migliorare la competitività delle energie rinnova-
bili e delle tecnologie energetiche efficienti. È importante, tuttavia, nella
stessa logica, intervenire sia attraverso la previsione di agevolazioni fiscali a
favore dei fuel poors sia tramite la riduzione della pressione fiscale com-
plessiva sul “bene-energia”68. L’ulteriore passo verso la decarbonizzazione
del sistema economico globale potrebbe poi contemplare una riforma
coordinata dei sistemi tributari che stimoli l’autoconsumo collettivo di
energia rinnovabile attraverso la previsione di incentivi alla costituzione
di “comunità energetiche locali”, e cioè di comunità di individui, imprese ed
enti territoriali finalizzate alla condivisione dell’energia auto-prodotta
mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili69. L’utilizzo in questo senso della
leva fiscale si inquadra perfettamente, a mio avviso, in un sistema di
tassazione ispirato ai principi del Capabilities Approach, in quanto presup-
pone il riconoscimento dell’energia come bene primario e fondamentale per
la vita e per lo sviluppo sociale della persona70.

M. Bird, “Are Global Taxes Feasible?”, in International Tax and Public Finance, n. 25(5)/2018,
pagg. 1372-1400.
68
Cfr. al riguardo S. Supino - B. Voltaggio, “La povertà energetica in Italia: misure di
contrasto e prospettive future”, in S. Supino - B. Voltaggio (a cura di) La povertà energetica.
Strumenti per affrontare un problema sociale, Il Mulino, Bologna, 2018, pagg. 310-327.
69
La condivisione di energia da fonti rinnovabili attraverso l’autoconsumo collettivo e la
costituzione di comunità energetiche è stata disciplinata in Europa dalla Dir. UE 2018/2001
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e dalla Dir. UE 2019/944 relativa a
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, che abroga la precedente Dir. 2009/
72/CE sul mercato elettrico e modifica la Dir. 2012/27/UE in materia di efficienza energetica.
Nel testo della prima Direttiva (cfr. considerando n. 66) è stata sancita, in particolare, per la
prima volta, la necessità di stabilire un quadro normativo che consentisse agli “autoconsuma-
tori di energia rinnovabile” di produrre, utilizzare, immagazzinare e vendere energia elettrica
senza incorrere in oneri sproporzionati. In Italia, in attesa del recepimento della Direttiva, con
la conversione in legge del D.L. n. 162/2019 (Milleproroghe 2020) è stata avviata una speri-
mentazione che ne anticipa i tempi e prevede progetti pilota per l’attivazione dell’autoconsumo
collettivo e per la costituzione delle c.d. comunità energetiche rinnovabili.
70
In questo senso, v. già C. Blanchet, “Commons-Based Renewable Energy in the Age of
Climate Collapse”, in S. Bloemen - T. De Groot (a cura di) Our Commons: Political Ideas for a
New Europe, Commons Network, Amsterdam, 2019, pagg. 33-37, che in un recente saggio sulla

136 - Rassegna Tributaria 1/2021


PROFILI ISTITUZIONALI

Queste considerazioni rappresentano ovviamente solo una prima rozza


riflessione sulle riforme da realizzare per procedere verso la decarbonizza-
zione dell’economia globale. Ulteriori approfondimenti sarebbero neces-
sari per trasformarla in una proposta di policy più matura, ma si tratta in
ogni caso di questioni che meritano considerazione nel momento in cui si
cerca di integrare il discorso delle misure di contrasto al cambiamento
climatico con quello delle forme contemporanee di raggiungimento del
benessere, ancora fortemente dipendenti dall’uso di energia derivata dai
combustibili fossili.
SALVATORE VILLANI
Università degli Studi di Napoli Federico II, Dipartimento
di Scienze Politiche

giustizia climatica, come soluzione per realizzare una transizione energetica democratica ed
equa, suggerisce di combinare il modello tedesco delle cooperative energetiche con
l’inclusività delle aziende municipalizzate.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 137


GIURISPRUDENZA

TRIBUTARIA
SANZIONI

1 CORTE DI GIUSTIZIA UE, Grande Sezione, sentenza causa C-482/18


del 3 marzo 2020 - Pres. Lenaerts - Rel. Rossi (stralcio)

PRINCIPIO DI PROPORZIONALITÀ - Soggetti non residenti - Obbligo di


registrazione presso l’Amministrazione finanziaria - Inadempimento -
Sanzioni pecuniarie triplicabili su base giornaliera - Incompatibilità con
la normativa UE

Viola il Trattato sul funzionamento della UE la normativa di uno Stato


membro che impone ai soggetti non residenti obblighi di registrazione presso
l’Amministrazione finanziaria e faccia derivare dall’inadempimento di tali
obblighi l’inflizione di sanzioni pecuniarie il cui importo è triplicato su base
giornaliera.

(Omissis)

PROCEDIMENTO PRINCIPALE E QUESTIONI PREGIUDIZIALI - 11. Con


decisione del 16 gennaio 2017 l’amministrazione tributaria ha constatato, da un
lato, che la Google Ireland esercitava un’attività rientrante nell’ambito di appli-
cazione della legge relativa all’imposta sulla pubblicità e, dall’altro, che tale
società non si era registrata presso l’amministrazione tributaria entro il termine
di 15 giorni dall’inizio della sua attività, in violazione delle prescrizioni dell’art. 7/
B, paragrafo 1, di tale legge. Di conseguenza, l’amministrazione tributaria le ha
inflitto una sanzione pecuniaria di dieci milioni di HUF (circa EUR 31 000), in
applicazione dell’art. 7/B, paragrafo 2, della suddetta legge.
12. Con decisioni adottate nei quattro giorni successivi, l’amministrazione
tributaria ha inflitto alla Google Ireland quattro nuove sanzioni pecuniarie,
ciascuna di importo pari al triplo della sanzione pecuniaria precedentemente
inflitta, conformemente all’art. 7/B, paragrafo 3, della legge relativa all’imposta
sulla pubblicità. Con la decisione del 20 gennaio 2017, alla Google Ireland è
stato inflitto, in totale, l’importo massimo legale di 1 miliardo di HUF (circa 3,1
milioni di euro), prescritto all’art. 7/D di tale legge.
13. La Google Ireland ha proposto dinanzi al giudice del rinvio un ricorso per
l’annullamento di tali decisioni.
14. A sostegno del suo ricorso, la Google Ireland sostiene, anzitutto, che
l’irrogazione di sanzioni pecuniarie a causa di un inadempimento dell’obbligo di
registrarsi previsto all’art. 7/B della legge relativa all’imposta sulla pubblicità è
contraria agli artt. 18 e 56 TFUE. Essa fa inoltre valere che le società stabilite nel
territorio ungherese possono soddisfare più agevolmente gli obblighi stabiliti da
tale legge rispetto a quelle stabilite al di fuori di tale territorio. Infine, essa

Rassegna Tributaria 1/2021 - 141


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

considera che le sanzioni pecuniarie inflitte a queste ultime società per essere
venute meno al loro obbligo dichiarativo sono diverse da quelle applicabili alle
società stabilite in Ungheria che abbiano violato un obbligo analogo e sono
sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione commessa, costituendo per-
tanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi nell’Unione europea.
15. Secondo la Google Ireland, i soggetti passivi stabiliti all’estero si trovano
in una situazione meno favorevole rispetto alle società stabilite in Ungheria
anche per quanto riguarda l’esercizio del diritto a un ricorso effettivo. Sebbene
infatti essi abbiano il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale contro una
decisione che infligge loro una sanzione pecuniaria che - in applicazione delle
disposizioni degli artt. 7/B e 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità -
è definitiva ed esecutiva tramite la semplice notifica, le modalità di esercizio di
tale ricorso limiterebbero tuttavia la portata del loro diritto. In particolare,
nell’ambito della procedura di ricorso di cui all’art. 7/B, paragrafo 4, della
legge relativa all’imposta sulla pubblicità, il giudice adito potrebbe ammettere
solo prove documentali e deciderebbe senza tenere un’udienza di discussione,
mentre la procedura di contestazione applicabile ai contribuenti nazionali in
forza della legge sul sistema tributario non sarebbe soggetta a simili limitazioni,
dato che tali contribuenti dispongono, in particolare, del diritto di proporre un
ricorso amministrativo. Le disposizioni della legge relative all’imposta sulla
pubblicità non garantirebbero pertanto alla persona cui viene inflitta una simile
sanzione pecuniaria il diritto a un ricorso effettivo e a un processo equo, come
previsto dall’art. 47 della Carta.
16. In tale contesto, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità degli
artt. 7/B e 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità con l’art. 56 TFUE e
con il principio di non discriminazione. Secondo tale giudice, l’obbligo di regi-
strazione nonché le sanzioni pecuniarie inflitte in caso di inadempimento di tale
obbligo - sanzioni pecuniarie rientranti in un regime sanzionatorio di natura
molto repressiva e a carattere punitivo - sono fortemente pregiudizievoli per le
società stabilite al di fuori del territorio ungherese e sono effettivamente tali da
limitare la libertà di prestazione dei servizi nell’Unione. Esso ritiene in partico-
lare, per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie per inadempimento dell’obbligo
di registrazione di cui sono passibili di tali società, che il principio di
proporzionalità verosimilmente non sia stato rispettato nel caso di specie. Al
riguardo, esso indica, da un lato, che a tali soggetti passivi può essere inflitta, in
cinque giorni, una serie di sanzioni pecuniarie e l’amministrazione tributaria può
triplicare ogni giorno l’importo della sanzione pecuniaria precedente. Orbene,
tali sanzioni si applicherebbero ancor prima che i soggetti passivi possano
prendere conoscenza del triplicarsi quotidiano dell’importo della sanzione
pecuniaria precedente e possano porre rimedio all’inadempimento, ponendoli
così nell’impossibilità di impedire che la sanzione pecuniaria definitivamente
dovuta raggiunga il limite massimo di 1 miliardo di HUF (3,1 milioni di euro).
Secondo il giudice del rinvio, tale circostanza potrebbe anche sollevare la
questione della compatibilità di tale procedimento amministrativo con l’art. 41

142 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

della Carta. Dall’altro lato, il giudice del rinvio rileva che l’importo della sanzione
pecuniaria inflitta ai sensi dell’art. 7/D della legge relativa all’imposta sulla
pubblicità è complessivamente fino a 2 000 volte più elevato di quello della
sanzione pecuniaria che può essere inflitta a una società stabilita in Ungheria
che non ottemperi all’obbligo di registrazione fiscale previsto all’art. 172 della
legge sul sistema tributario.
17. Infine, detto giudice si pone la questione del rispetto dell’art. 47 della
Carta dal momento che, nell’ambito della procedura di controllo giurisdizionale
di cui all’art. 7/B, paragrafo 4, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, a
differenza che nel procedimento ordinario di ricorso amministrativo, sono
ammesse solo le prove documentali e il giudice adito non può procedere ad
un’udienza di discussione.
18. Ritenendo che la giurisprudenza della Corte non gli consenta di rispon-
dere a tali interrogativi, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság
(Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
“1) Se gli artt. 18 e 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere
interpretati nel senso che ostano alla normativa tributaria di uno Stato membro il
cui regime sanzionatorio prevede, per l’inadempimento dell’obbligo di registra-
zione ai fini dell’imposta sulla pubblicità, l’imposizione di una sanzione pecu-
niaria per omissione la quale, nel caso delle società non stabilite in Ungheria,
può essere complessivamente fino a 2 000 volte superiore a quella applicabile
alle società stabilite in Ungheria.
2) Se occorra considerare che la sanzione descritta nella questione prece-
dente, di importo considerevolmente elevato e a carattere punitivo, possa
essere tale da dissuadere i fornitori di servizi non stabiliti in Ungheria dal
prestare servizi in detto Stato.
3) Se l’art. 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere inter-
pretati nel senso che ostano a una normativa in base alla quale, nel caso delle
imprese stabilite in Ungheria, l’obbligo di registrarsi viene adempiuto auto-
maticamente, senza richiesta espressa, con l’attribuzione di un numero di
identificazione fiscale ungherese all’atto dell’iscrizione nel registro delle
imprese, indipendentemente dalla circostanza che l’impresa svolga attività di
pubblicazione di annunci pubblicitari, laddove, nel caso delle imprese non
stabilite in Ungheria e che invece svolgono attività di pubblicazione di annunci
pubblicitari in detto Stato, ciò non avviene automaticamente, dovendo queste
ultime per contro adempiere espressamente all’obbligo di registrazione e,
qualora non lo facessero, possono subire una sanzione specifica.
4) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’art. 56 TFUE e il
divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano ad
una sanzione come quella in discussione nel procedimento principale, applicata
per inadempimento dell’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulla
pubblicità, nella misura in cui detta norma risulti contraria al citato articolo.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 143


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

5) Se l’art. 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere inter-


pretati nel senso che ostano a una disposizione in base alla quale, nel caso delle
imprese stabilite all’estero, la decisione giudiziaria con cui alle medesime si
impone una sanzione pecuniaria è definitiva ed esecutiva dal momento della
sua notifica e può essere impugnata unicamente attraverso un procedimento
giudiziario nel quale l’organo giurisdizionale non può procedere ad udienza e nel
quale è ammessa unicamente la prova documentale, mentre, nel caso delle
imprese stabilite in Ungheria, è possibile proporre ricorso in via amministrativa
contro le sanzioni pecuniarie imposte e, in aggiunta, non sussistono restrizioni
sotto il profilo della procedura.
[6]) Se l’art. 56 TFUE, alla luce del diritto a un procedimento equo di cui
all’art. 41, paragrafo 1, della Carta, debba essere interpretato nel senso che tale
requisito non è soddisfatto quando la sanzione pecuniaria per omissione viene
imposta su base giornaliera triplicandone l’importo senza che il fornitore di
servizi abbia ancora preso conoscenza della decisione giudiziaria anteriore,
cosicché gli risulta impossibile sanare la propria omissione prima che gli venga
imposta la successiva sanzione pecuniaria.
[7]) Se l’art. 56 TFUE, in relazione al diritto a un procedimento equo di cui
all’art. 41, paragrafo 1, della Carta, al diritto di essere ascoltato stabilito all’art.
41, paragrafo 2, [primo trattino], della Carta e al diritto a un ricorso effettivo e a un
giudice imparziale stabilito all’art. 47 della Carta, debba essere interpretato nel
senso che tali requisiti non possono essere soddisfatti quando la decisione
giudiziaria non è impugnabile in via amministrativa e, nel procedimento in via
contenzioso-amministrativa, è ammessa unicamente la prova documentale e
l’organo giurisdizionale non può procedere ad udienza nella controversia di cui
si tratti”.

SULLE QUESTIONI PREGIUDIZIALI - 19. Con le sue sette questioni il


giudice del rinvio solleva sostanzialmente le tre seguenti categorie di questioni.
20. In primo luogo, con la sua terza questione, chiede se l’art. 56 TFUE
debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato
membro che assoggetta i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in un altro Stato
membro a un obbligo dichiarativo ai fini del loro assoggettamento a un’imposta
sulla pubblicità, mentre i prestatori di siffatti servizi stabiliti nello Stato membro di
imposizione ne sono dispensati per il fatto che sottostanno a obblighi dichiarativi
o di registrazione a titolo del loro assoggettamento a qualsiasi altra imposta
applicabile nel territorio di detto Stato membro.
21. In secondo luogo, con le sue questioni prima, seconda, quarta e sesta, il
giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’art. 56 TFUE debba essere
interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato membro in
base alla quale ai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro - che non
abbiano ottemperato a un obbligo dichiarativo ai fini del loro assoggettamento a
un’imposta sulla pubblicità - è inflitta, in pochi giorni, una serie di sanzioni
pecuniarie il cui importo, a partire dalla seconda, è triplicato rispetto all’importo

144 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

della sanzione pecuniaria precedente, ad ogni nuovo accertamento dell’ina-


dempimento di tale obbligo, e raggiunge un importo cumulativo di diversi milioni
di euro, senza che tali prestatori di servizi siano stati in grado di ottemperare a
siffatto obbligo dichiarativo prima di ricevere la decisione che fissa definitiva-
mente l’importo cumulativo di tali sanzioni pecuniarie, mentre l’importo della
sanzione pecuniaria che sarebbe inflitta a un prestatore di servizi stabilito nello
Stato membro di imposizione che non abbia ottemperato a un analogo obbligo
dichiarativo o di registrazione, in violazione delle disposizioni generali del diritto
tributario nazionale, è notevolmente inferiore e non viene aumentato, in caso di
inadempimento continuato di siffatto obbligo, né nella stessa misura né neces-
sariamente entro un periodo di tempo così breve.
22. In terzo luogo, con le sue questioni quinta e settima, il giudice del rinvio
chiede sostanzialmente se l’art. 56 TFUE, letto alla luce degli artt. 41 e 47 della
Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di
uno Stato membro che prevede che le decisioni sanzionatorie dell’amministra-
zione tributaria adottate nei confronti di un prestatore di servizi stabilito in altro
Stato membro, che non si è conformato all’obbligo dichiarativo da essa stabilito,
siano soggette a un ricorso giurisdizionale nel cui ambito, a differenza che nel
procedimento ordinario di ricorso amministrativo in materia tributaria, il giudice
nazionale adito decide esclusivamente sulla base di documenti e non ha il
potere di procedere ad un’udienza di discussione.
23. È opportuno esaminare tali questioni nell’ordine appena esposto.

SULLA TERZA QUESTIONE - 24. In via preliminare, occorre rilevare che il


giudice del rinvio interroga la Corte su un’eventuale restrizione alla libera
prestazione dei servizi, prevista all’art. 56 TFUE, che sarebbe costituita non
dall’assoggettamento dei prestatori di servizi pubblicitari a un’imposta sulla
pubblicità diffusa su Internet, come quella applicabile in Ungheria, ma unica-
mente dall’obbligo dichiarativo imposto in tale Stato membro a detti prestatori, a
titolo del loro assoggettamento alla suddetta imposta.
25. A tale riguardo occorre ricordare che l’art. 56 TFUE osta all’applicazione
di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la prestazione di
servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente
interna a uno Stato membro (sentenza del 18 giugno 2019, Austria/
Germania, C-591/17, EU: C: 2019: 504, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).
Infatti, l’art. 56 TFUE esige l’eliminazione di ogni restrizione alla libera presta-
zione dei servizi imposta per il fatto che il prestatore sia stabilito in uno Stato
membro diverso da quello in cui è fornita la prestazione (v., in particolare,
sentenza del 22 novembre 2018, Vorarlberger Landes- und Hypothekenbank,
C-625/17, EU: C: 2018: 939, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
26. Rappresentano simili restrizioni alla libera prestazione dei servizi le
misure nazionali che vietano, ostacolano o rendono meno attraente l’esercizio di
tale libertà. Viceversa, non rientrano nel divieto previsto all’art. 56 TFUE misure
il cui unico effetto sia quello di causare costi supplementari per la prestazione in

Rassegna Tributaria 1/2021 - 145


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

questione, e che incidano allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra Stati
membri e su quella interna a uno Stato membro (v., in particolare, sentenza del
18 giugno 2019, Austria/Germania, C-591/17, EU: C: 2019: 504, punti 136 e 137
nonché giurisprudenza ivi citata).
27. Nel caso di specie, occorre precisare che, in forza dell’art. 7/B, paragrafo
1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, ogni soggetto passivo di detta
imposta che l’amministrazione tributaria non abbia registrato come contribuente
a titolo di un’imposta qualsiasi è tenuto a registrarsi, mediante modulo, presso
detta amministrazione, entro un termine di quindici giorni dall’inizio dell’attività
imponibile.
28. Ne consegue che, da un lato, l’obbligo dichiarativo di cui all’art. 7/B,
paragrafo 1, di tale legge non condiziona l’esercizio dell’attività di diffusione
pubblicitaria nel territorio ungherese e che, dall’altro, sono soggetti a tale obbligo
i prestatori di servizi pubblicitari che, prima dell’inizio della loro attività pubbli-
citaria imponibile, non sono registrati fiscalmente in Ungheria, mentre sono
dispensati da tale obbligo i prestatori di servizi pubblicitari che sono già registrati
fiscalmente in tale Stato membro a titolo di una qualsiasi imposta, indipenden-
temente dal luogo di stabilimento dell’insieme di tali prestatori di servizi.
29. Detto obbligo dichiarativo, che è una formalità amministrativa, non
costituisce, in quanto tale, un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
30. Infatti, non risulta in alcun modo che l’obbligo dichiarativo, previsto
all’art. 7/B, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, implichi,
per i prestatori di servizi pubblicitari che non sono stabiliti nel territorio unghe-
rese, un onere amministrativo supplementare rispetto a quello cui sono assog-
gettati i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in tale territorio.
31. È vero che i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in Ungheria sono
dispensati da tale obbligo. Come infatti indicato dal giudice del rinvio, il diritto
tributario nazionale considera che essi ottemperano automaticamente all’ob-
bligo in questione.
32. Tuttavia, la circostanza che tali prestatori siano dispensati dal suddetto
obbligo dichiarativo non rappresenta, nei confronti dei prestatori di servizi
pubblicitari stabiliti in altri Stati membri, una differenza di trattamento che può
costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
33. Infatti, anzitutto, è pacifico che questi ultimi prestatori sono altresì
dispensati dall’obbligo dichiarativo, ai sensi dell’art. 7/B, paragrafo 1, della
legge relativa all’imposta sulla pubblicità, qualora abbiano già ottemperato
all’obbligo dichiarativo o si siano registrati presso l’amministrazione tributaria
a titolo di qualsiasi altra imposizione diretta o indiretta prelevata in Ungheria.
34. Inoltre, l’esonero da tale obbligo dichiarativo, sebbene vada per lo più a
vantaggio dei prestatori di servizi stabiliti nel territorio ungherese, ha l’effetto
non di dissuadere la prestazione transfrontaliera di servizi pubblicitari, bensì di
evitare ai prestatori già registrati presso l’amministrazione tributaria l’adempi-
mento di una formalità amministrativa inutile, dal momento che detto obbligo
dichiarativo ha proprio lo scopo di consentire a tale amministrazione di

146 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

identificare i soggetti passivi dell’imposta sulla pubblicità. In particolare, dagli


elementi di cui dispone la Corte risulta che un prestatore di servizi stabilito in
Ungheria è tenuto a presentare una domanda di iscrizione nel registro delle
imprese e di attribuzione di un numero di identificazione fiscale.
35. Infine, nessun elemento portato a conoscenza della Corte nell’ambito
del presente procedimento suggerisce che le azioni da effettuare per ottempe-
rare all’obbligo dichiarativo di cui trattasi sarebbero più onerose rispetto a quelle
che devono essere espletate sia per registrarsi presso l’amministrazione tribu-
taria a titolo di un’altra imposta sia per iscriversi nel registro nazionale delle
imprese.
36. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla terza
questione dichiarando che l’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso
che esso non osta a una normativa di uno Stato membro che assoggetta i
prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in un altro Stato membro a un obbligo
dichiarativo ai fini del loro assoggettamento a un’imposta sulla pubblicità,
mentre i prestatori di siffatti servizi stabiliti nello Stato membro di imposizione
ne sono dispensati per il fatto che sono soggetti a obblighi dichiarativi o di
registrazione a titolo del loro assoggettamento a qualsiasi altra imposta appli-
cabile nel territorio di detto Stato membro.

SULLE QUESTIONI PRIMA, SECONDA, QUARTA E SESTA - 37. Occorre


ricordare che - sebbene i regimi sanzionatori in materia fiscale rientrino, in
mancanza di armonizzazione a livello dell’Unione, nella competenza degli Stati
membri - tali regimi non possono avere l’effetto di compromettere le libertà
previste dal Trattato FUE (v., in tal senso, sentenza del 25 febbraio 1988, Drexl,
299/86, EU: C: 1988: 103, punto 17).
38. Pertanto, come sostanzialmente precisato dall’avvocato generale al
paragrafo 63 delle sue conclusioni, occorre esaminare se le sanzioni associate
alla mancata presentazione della dichiarazione prevista all’art. 7/B, paragrafo 1,
della legge relativa all’imposta sulla pubblicità siano contrarie alla libera pre-
stazione dei servizi, di cui all’art. 56 TFUE.
39. Dagli elementi sottoposti alla Corte risulta che, secondo l’art. 7/B,
paragrafi 2 e 3, di tale legge, ogni soggetto passivo dell’imposta sulla
pubblicità non ancora registrato presso l’amministrazione tributaria nazionale
in quanto contribuente a titolo di un’altra imposta, che non si conforma all’ob-
bligo dichiarativo cui è tenuto, si espone al pagamento di una serie di sanzioni
pecuniarie, ove l’importo della prima sanzione, fissato in 10 milioni di HUF (circa
EUR 31 000), è triplicato ogni giorno, ad ogni nuovo accertamento dell’inadem-
pimento di tale obbligo, fino a raggiungere in pochi giorni, in applicazione
dell’art. 7/D della suddetta legge, l’importo massimo cumulativo di 1 miliardo
di HUF (circa 3,1 milioni di euro).
40. Da un punto di vista formale, tale regime sanzionatorio è indistintamente
applicabile a tutti i soggetti passivi che non si conformano al loro obbligo

Rassegna Tributaria 1/2021 - 147


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

dichiarativo ai sensi della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, indipenden-


temente dallo Stato membro nel cui territorio essi sono stabiliti.
41. Tuttavia, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al para-
grafo 77 delle sue conclusioni, solo le persone fiscalmente non residenti in
Ungheria corrono realmente il rischio che siano loro inflitte le sanzioni previste
all’art. 7/B, paragrafi 2 e 3, e all’art. 7/D della legge relativa all’imposta sulla
pubblicità, dal momento che, alla luce dell’ambito di applicazione ratione per-
sonae dell’art. 7/B, paragrafo 1, di detta legge, i prestatori che l’amministrazione
tributaria nazionale ha registrato come contribuenti per qualsiasi imposta in
Ungheria sono dispensati dall’obbligo dichiarativo.
42. È vero che i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in Ungheria possono
essere sanzionati per l’inadempimento degli analoghi obblighi dichiarativi e di
registrazione loro imposti dalle disposizioni generali della normativa tributaria
nazionale.
43. Tuttavia, il regime sanzionatorio, previsto agli artt. 7/B e 7/D della legge
relativa all’imposta sulla pubblicità, consente di infliggere sanzioni pecuniarie di
importo significativamente superiore a quelle risultanti dall’applicazione dell’art.
172 della legge sul sistema tributario in caso di violazione, da parte di un
prestatore di servizi pubblicitari stabilito in Ungheria, del suo obbligo di regi-
strazione previsto all’art. 17, paragrafo 1, lettera b), di detta legge. Peraltro,
l’importo delle sanzioni pecuniarie inflitte a titolo di quest’ultimo regime non
viene maggiorato, in caso di inadempimento continuato dell’obbligo di registra-
zione di cui trattasi, né in proporzioni così rilevanti né necessariamente entro
termini così brevi come quelli applicabili nell’ambito del regime sanzionatorio
previsto dalla legge relativa all’imposta sulla pubblicità.
44. Tenuto conto della differenza di trattamento che esso instaura tra
prestatori di servizi pubblicitari a seconda che siano o meno già registrati
fiscalmente in Ungheria, il regime sanzionatorio di cui trattasi nel procedimento
principale costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi, in linea di
principio vietata dall’art. 56 TFUE.
45. Una simile restrizione può tuttavia essere ammessa solo se giustificata
da ragioni imperative di interesse generale, sempreché, in tal caso, essa sia
idonea a garantire la realizzazione dello scopo perseguito e non vada oltre
quanto è necessario per conseguire tale obiettivo [v., in particolare, in tal senso,
sentenze del 26 maggio 2016, NN (L) International, C-48/15, EU: C: 2016: 356,
punto 58, e del 25 luglio 2018, TTL, C-553/16, EU: C: 2018: 604, punto 52].
46. Nel caso di specie, per giustificare tale restrizione, il governo ungherese
invoca formalmente la necessità di preservare la coerenza del proprio sistema
fiscale, ma fa essenzialmente valere motivi vertenti sulla garanzia dell’efficacia
dei controlli fiscali e della riscossione dell’imposta.
47. A tale riguardo, la Corte ha già riconosciuto che la necessità di garantire
l’efficacia dei controlli fiscali nonché di assicurare la riscossione dell’imposta
possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare
una restrizione alla libera prestazione dei servizi. Essa ha parimenti affermato

148 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

che l’irrogazione di sanzioni, comprese quelle di natura penale, può essere


considerata necessaria al fine di garantire il rispetto effettivo di una normativa
nazionale, a condizione tuttavia che la natura e l’importo della sanzione inflitta
siano in ciascun caso di specie proporzionati alla gravità dell’infrazione che essa
intende sanzionare [v., in tal senso, sentenze del 26 maggio 2016, NN (L)
International, C-48/15, EU: C: 2016: 356, punto 59, e del 25 luglio 2018, TTL,
C-553/16, EU: C: 2018: 604, punto 57].
48. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’adeguatezza del regime sanzio-
natorio istituito dagli artt. 7/B e 7/D della legge relativa all’imposta sulla
pubblicità alla luce degli obiettivi invocati dal governo ungherese, occorre
rilevare che l’irrogazione di sanzioni pecuniarie di importo sufficientemente
elevato per sanzionare l’inottemperanza all’obbligo dichiarativo, previsto all’art.
7/B, paragrafo 1, di tale legge, è idonea a dissuadere i prestatori di servizi
pubblicitari soggetti a un simile obbligo dal disattenderlo e, pertanto, a evitare
che lo Stato membro di imposizione sia privato della possibilità di controllare
efficacemente le condizioni di applicazione dell’imposta in questione e di
esenzione dalla medesima.
49. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla questione di stabilire se la
normativa nazionale di cui al procedimento principale non ecceda quanto
necessario per raggiungere gli obiettivi dedotti dall’Ungheria, relativamente
all’importo delle sanzioni pecuniarie inflitte in caso di violazione dell’obbligo
dichiarativo, si deve constatare che tale normativa istituisce un regime di
sanzioni nell’ambito del quale al prestatore che non si è conformato a tale
formalità amministrativa possono essere inflitte in pochi giorni, con intervalli di
una sola giornata, sanzioni pecuniarie il cui importo, a partire dal secondo
giorno, è triplicato rispetto all’importo della sanzione pecuniaria precedente, ad
ogni nuovo accertamento dell’inadempimento di tale obbligo, giungendo a un
importo cumulativo di 1 miliardo di HUF (circa 3,1 milioni di euro), senza che
l’autorità competente conceda a tale prestatore di servizi il tempo necessario
per ottemperare ai suoi obblighi, gli offra la possibilità di presentare le sue
osservazioni ed esamini essa stessa la gravità dell’infrazione. In tali circostanze,
detta normativa risulta sproporzionata.
50. Infatti, da un lato, non esiste alcuna correlazione tra l’aumento espo-
nenziale, in termini particolarmente brevi, dell’importo cumulato delle sanzioni
pecuniarie, che può raggiungere diversi milioni di euro, e la gravità dell’inadem-
pimento, entro siffatti termini, della formalità amministrativa costituita dall’ob-
bligo dichiarativo previsto all’art. 7/B, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta
sulla pubblicità. Pertanto, risulta che l’importo delle sanzioni pecuniarie inflitte è
fissato senza tener conto del fatturato che costituisce la base imponibile
dell’imposta che deve essere riscossa. In tali circostanze, è del tutto possibile
che l’importo cumulato delle sanzioni inflitte in forza dell’art. 7/B, paragrafi 2 e 3,
della legge relativa all’imposta sulla pubblicità superi il fatturato realizzato dal
soggetto passivo.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 149


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

51. Dall’altro lato, poiché la normativa in questione prevede l’adozione


automatica e “su base giornaliera”, da parte dell’amministrazione tributaria,
di decisioni sanzionatorie come quelle adottate nel procedimento principale,
solo pochi giorni separano l’adozione e la notifica della prima decisione san-
zionatoria che infligge al soggetto passivo una sanzione pecuniaria di importo
pari a 10 milioni di HUF (circa EUR 31 000) dalla notifica dell’ultima decisione
sanzionatoria da cui risulta che l’importo cumulato delle sanzioni pecuniarie
raggiunge il limite legale di 1 miliardo di HUF (circa 3,1 milioni di euro). Pertanto,
anche se tale soggetto passivo agisse con piena diligenza, sarebbe comunque
nell’impossibilità materiale di ottemperare al proprio obbligo dichiarativo nello
Stato membro di imposizione prima di ricevere quest’ultima decisione nel suo
Stato membro di stabilimento e non potrebbe quindi evitare le rilevanti maggio-
razioni dell’importo delle sanzioni pecuniarie precedenti. Ciò dimostra altresì
che il metodo di calcolo delle sanzioni pecuniarie previsto dalla normativa
nazionale di cui al procedimento principale non tiene conto della gravità del
comportamento dei prestatori di servizi pubblicitari che hanno violato il loro
obbligo dichiarativo.
52. È vero che, come ha fatto valere il governo ungherese nelle sue
osservazioni scritte, in forza dell’art. 7/B, paragrafo 5, della legge relativa
all’imposta sulla pubblicità, l’amministrazione tributaria può ridurre “senza limiti”
l’importo delle sanzioni pecuniarie previste all’art. 7/B, paragrafi 2 e 3, di tale
legge, se il soggetto passivo ottempera al proprio obbligo dichiarativo quando vi
è invitato per la prima volta da tale amministrazione.
53. Tuttavia, dalla formulazione stessa della suddetta disposizione risulta,
con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che l’amministrazione
tributaria dispone al riguardo di una semplice facoltà. Orbene, una sanzione
pecuniaria non perde il suo carattere sproporzionato per il solo fatto che le
autorità di uno Stato membro possono, a loro sola discrezione, diminuirne
l’importo.
54. Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle que-
stioni prima, seconda, quarta e sesta dichiarando che l’art. 56 TFUE deve
essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa di uno Stato
membro in base alla quale ai prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro
- che non abbiano ottemperato a un obbligo dichiarativo ai fini del loro assog-
gettamento a un’imposta sulla pubblicità - è inflitta, in pochi giorni, una serie di
sanzioni pecuniarie il cui importo, a partire dalla seconda, è triplicato rispetto
all’importo della sanzione pecuniaria precedente, ad ogni nuovo accertamento
dell’inadempimento di tale obbligo, e raggiunge un importo cumulativo di diversi
milioni di euro, senza che l’autorità competente, prima di adottare la decisione
che fissa definitivamente l’importo cumulativo di tali sanzioni pecuniarie, con-
ceda a tali prestatori di servizi il tempo necessario per ottemperare ai loro
obblighi, offra loro la possibilità di presentare le loro osservazioni ed esamini

150 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

essa stessa la gravità dell’infrazione, mentre l’importo della sanzione pecuniaria


che sarebbe inflitta a un prestatore di servizi stabilito nello Stato membro di
imposizione che non abbia ottemperato a un analogo obbligo dichiarativo o di
registrazione in violazione delle disposizioni generali del diritto tributario nazio-
nale è notevolmente inferiore e non viene aumentato, in caso di inadempimento
continuato di siffatto obbligo, né nella stessa misura né necessariamente entro
un periodo di tempo così breve.

SULLE QUESTIONI QUINTA E SETTIMA - 55. Dalla risposta fornita alle


questioni prima, seconda, quarta e sesta risulta che una normativa nazionale
che prevede un regime di sanzioni pecuniarie come quello applicabile in caso di
inadempimento dell’obbligo dichiarativo di cui al procedimento principale è
incompatibile con l’art. 56 TFUE. Pertanto, non è necessario rispondere alle
questioni quinta e settima.

SULLE SPESE - 56. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la
presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale,
cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a
una normativa di uno Stato membro che assoggetta i prestatori di servizi
pubblicitari stabiliti in un altro Stato membro a un obbligo dichiarativo ai fini
del loro assoggettamento a un’imposta sulla pubblicità, mentre i prestatori di
siffatti servizi stabiliti nello Stato membro di imposizione ne sono dispensati per il
fatto che sono soggetti a obblighi dichiarativi o di registrazione a titolo del loro
assoggettamento a qualsiasi altra imposta applicabile nel territorio di detto Stato
membro.
2) L’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a
una normativa di uno Stato membro in base alla quale ai prestatori di
servizi stabiliti in un altro Stato membro - che non abbiano ottemperato a
un obbligo dichiarativo ai fini del loro assoggettamento a un’imposta sulla
pubblicità - è inflitta, in pochi giorni, una serie di sanzioni pecuniarie il cui
importo, a partire dalla seconda, è triplicato rispetto all’importo della
sanzione pecuniaria precedente, ad ogni nuovo accertamento dell’inadem-
pimento di tale obbligo, e raggiunge un importo cumulativo di diversi milioni
di euro, senza che l’autorità competente, prima di adottare la decisione che
fissa definitivamente l’importo cumulativo di tali sanzioni pecuniarie, con-
ceda a tali prestatori di servizi il tempo necessario per ottemperare ai loro
obblighi, offra loro la possibilità di presentare le loro osservazioni ed
esamini essa stessa la gravità dell’infrazione, mentre l’importo della

Rassegna Tributaria 1/2021 - 151


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

sanzione pecuniaria che sarebbe inflitta a un prestatore di servizi stabilito


nello Stato membro di imposizione che non abbia ottemperato a un ana-
logo obbligo dichiarativo o di registrazione in violazione delle disposizioni
generali del diritto tributario nazionale è notevolmente inferiore e non viene
aumentato, in caso di inadempimento continuato di siffatto obbligo, né nella
stessa misura né necessariamente entro un periodo di tempo così breve.

Internet e potestà impositiva degli Stati: la Corte di Giustizia pone


alcuni paletti all’elaborazione di modelli sanzionatori per l’economia
digitale

Estratto: Il contributo analizza la più recente giurisprudenza della Corte di


Giustizia in materia di tassazione dell’economia digitale. In particolare, si focalizza
sulle difficoltà recentemente incontrate dagli Stati nel proiettare la loro potestà
impositiva all’interno della realtà digitale. Una delle principali cause di queste
difficoltà è individuata nel quadro giuridico attualmente posto alla base dell’impo-
sizione sul reddito.

Abstract: The article analyses the most recent judgements delivered by the Court of
Justice with regard to the taxation of digital economy. In particular, it focuses on the
difficulties recently faced by the States in exercising their taxing powers within
digital reality. One of the main reasons of these difficulties is to be found in the legal
framework currently undelying income taxation.

SOMMARIO: 1. Introduzione - 2. Il quadro giuridico, i fatti all’origine della causa e la


decisione della Corte di Giustizia - 3. La proiezione della potestà impositiva nella
realtà virtuale ed il principio di proporzionalità - 4. L’idioma come criterio di
collegamento con il territorio dello Stato - 5. La contestualizzazione della pronuncia
e la decisione della Corte di Giustizia nel caso Vodafone - 6. Brevissimi cenni
conclusivi.

1. Introduzione - Poco prima che la pandemia da Covid-19 stravolgesse le


priorità e le agende di politica economica di numerosi Stati, cosa che
probabilmente avrà un radicale impatto anche sulle politiche fiscali future
di molti di essi, la Corte di Giustizia ha pronunciato una sentenza di grande
interesse per la tassazione dell’economia digitale.
A passare sotto la lente dei giudici europei sono state alcune parti della
normativa ungherese che istituisce e regola un’imposta sulla pubblicità che,
per le sue caratteristiche, è finalizzata ad assoggettare a tassazione i consi-
derevoli introiti delle multinazionali del web, che sono in grado di operare su
molteplici mercati contemporaneamente, anche senza avere una struttura
materiale in ciascuno di essi.
Pur essendo il ragionamento della Corte di Giustizia fortemente incen-
trato sulla compatibilità con il diritto dell’Unione del tributo riscosso nei

152 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

confronti delle realtà imprenditoriali residenti in altri Stati membri, sia la


sentenza che le conclusioni dell’AG Juliane Kokott1 sono di grande interesse
perché toccano alcuni dei principali cardini dei sistemi tributari contem-
poranei. Oltre alle tesi interpretative dei giudici, che saranno sicuramente
rilevanti per il legislatore tributario nel prossimo futuro, la lettura dei fatti di
causa conferma la presenza di alcune criticità, già ampiamente discusse
dalla dottrina, sia italiana che internazionale, che incontrano i sistemi
tributari contemporanei quando tentano di adattarsi alla nuova realtà
dell’economia digitale e dematerializzata2. Come emerge chiaramente
anche in questa sede, ciò è dovuto al fatto che i principi fondanti su cui si
basano furono concepiti alcuni decenni orsono, nell’ambito di una realtà
economica molto diversa e fortemente incentrata sulla manifattura.
La sentenza in questione, unitamente ad altre pronunce dello stesso
periodo, è di grande rilevanza perché fornisce un importante patrimonio di
esperienza ai fini dell’elaborazione di politiche fiscali che rendano possibile
una effettiva tassazione dei c.d. redditi nomadi generati nell’ambito dell’e-
conomia digitale3. In particolare, emerge come nell’ambito dell’odierno
quadro giuridico la proiezione della potestà impositiva degli Stati nella
realtà digitale sia spesso inefficace, anche ove si siano adottati meccanismi
sanzionatori talmente energici da sfociare in una violazione del principio di
proporzionalità4.

1
Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, presentate il 12 settembre 2019,
nella causa C-482/18, Google Ireland Limited contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó-
és Vámigazgatósága, ECLI:EU:C:2019:728.
2
Si veda, tra i tanti, F. Gallo, “Fisco ed economia digitale”, in Dir. prat. trib., 2015, IV, pag.
599 ss.
3
Si veda, ex multis, S. Cipollina, “I redditi ‘nomadi’ delle società multinazionali nell’eco-
nomia globalizzata”, in Riv. dir. fin. e sc. fin., 2014, I, pag. 21 ss.; S. Cipollina, I confini giuridici
nel tempo presente. Il caso del diritto fiscale, Milano, 2003. Per alcuni contributi di dottrina
straniera, W. Schön, “Ten Questions About Why and How to Tax the Digitalized Economy”, in
Bull. Int. Taxn., 2018, IV-V, pag. 278 ss.; E. Kemmeren, “Should the Taxation of the Digital
Economy Really Be Different”, in EC Tax Rev., 2018, II; pagg. 72-73; AA.VV, Taxing the Digital
Economy (a cura di P. Pistone, D. Weber), Amsterdam, 2019; F. S. Zawodsky, “Value Added
Taxation in the Digital Economy”, in British Tax Rev., 2018, V, pag. 606 ss.; M. Lang, I. Lejeune,
VAT/GST in a Global Digital Economy, Alphen aan den Rijn, 2015; J. Englisch, “BEPS Action 1:
Digital Economy - EU Law Implications”, in British Tax Rev., 2015, II, pag. 281 ss.; A. B. Moreno
- I. Brauner, “Taxing the Digital Economy Post BEPS… Seriously”, in Colum. J. Transnat’l L.,
2019-2020, I, pag. 121 ss.; M. Olbert - C. Spengel, “International Taxation in the Digital
Economy: Challenge Accepted?”, in World Tax J., 2017, I, pag. 3 ss.; A. Turina, “Which
Source Taxation for the Digital Economy”, in Intertax, 2018, VI-VII, pag. 495 ss.; K.
Anderson, “Taxation of the Digital Economy”, in Intertax, 2017, X, pagg. 590-592; A.
Cockfield - W. Hellerstein - M. Lamensch, Taxing Global Digital Commerce, Alphen aan den
Rijn, 2020.
4
Si veda A. Uricchio, “Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta ‘bit tax’.
Prospettive di riforma della fiscalità di Internet”, in Dir. informatica, fasc.4-5, 2005, pag. 753
ss. Oltre a fornire una spiegazione dettagliata circa il meccanismo di funzionamento della
pubblicità in rete (es. i banner, ecc.), cui si rimanda per approfondimenti, l’Autore ripercorre le

Rassegna Tributaria 1/2021 - 153


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

Le presenti brevi note, dopo una sommaria esposizione dei fatti all’ori-
gine della causa, analizzano da una prospettiva italiana il ragionamento che
ha portato i giudici a ritenere il meccanismo sanzionatorio collegato all’im-
posta ungherese sulla pubblicità incompatibile con il principio di
proporzionalità. Successivamente, è proposta una breve analisi del criterio
di collegamento utilizzato dall’Ungheria per sottoporre a tassazione la
pubblicità on line, ossia la lingua della pubblicità stessa ovvero del sito su
cui essa è ospitata.
Infine, prima di alcune considerazioni di chiusura, la pronuncia in
commento è contestualizzata attraverso una breve esposizione del conte-
nuto di un’altra sentenza, emessa lo stesso giorno dalla Corte di Giustizia,
riguardante un’imposta straordinaria applicata sempre dall’Ungheria alle
imprese attive nel settore delle telecomunicazioni. Anche in questo caso, i
giudici europei toccano alcuni dei principi cardine dei nostri sistemi tribu-
tari e la lettura congiunta delle due pronunce fornisce ampi spunti - non solo
di carattere strettamente giuridico - ai policy-maker che stanno lavorando e
lavoreranno in futuro all’adeguamento dei sistemi tributari alle esigenze
dell’economia dematerializzata.

2. Il quadro giuridico, i fatti all’origine della causa e la decisione della Corte di


Giustizia - La sentenza annotata trae origine da una domanda di pronuncia
pregiudiziale, proposta da una Corte ungherese nel 2018, con la quale si
ponevano una serie di quesiti circa la compatibilità di alcuni aspetti della
normativa di quel Paese relativa all’imposta sulla pubblicità con gli artt. 18 e
56 del Trattato sul funzionamento dell’UE.
I numerosi quesiti posti ai giudici europei possono essere brevemente
raggruppati e riassunti come di seguito5. In primo luogo, se l’art. 56 TFUE
osti ad una normativa di uno Stato membro che assoggetta i prestatori di
servizi pubblicitari stabiliti in un altro Stato membro ad un obbligo dichia-
rativo ai fini di un’imposta sulla pubblicità, mentre i prestatori di tali servizi
stabiliti nello Stato membro di imposizione ne sono dispensati per il fatto di
sottostare agli obblighi dichiarativi o di registrazione relativi ad altre impo-
ste applicabili nel territorio di detto Stato.
In secondo luogo, il giudice del rinvio chiede se violi lo stesso articolo del
Trattato la normativa di uno Stato membro in base alla quale ai prestatori di

principali tappe dell’evoluzione storica della fiscalità di Internet e riporta, inter alia, che:
“Logico corollario di tale impostazione è stata la percezione della rete come un fenomeno
virtuale del tutto inidoneo ad essere sottoposto a una propria disciplina (17), non compor-
tando alcun movimento fisico di merci, […] riducendosi soltanto a una serie di impulsi
elettronici. La virtualità della rete telematica ha indotto, peraltro, a considerare il c.d
cyberspazio, […] come un non luogo in quanto non radicato territorialmente. Nella pro-
spettiva fiscale, breve è stato il passo nella direzione della configurazione di Internet come
una no tax land”.
5
Cfr. par. da 18 a 22 della sentenza.

154 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

servizi stabiliti in un altro Stato membro che non ottemperano ad un obbligo


dichiarativo - collegato all’assoggettamento alla menzionata imposta sulla
pubblicità - siano inflitte, in pochi giorni, una serie di sanzioni pecuniarie il
cui importo è triplicato ad ogni nuovo accertamento dell’inadempimento a
tale obbligo, fino a raggiungere un importo cumulativo di diversi milioni di
euro. Ciò senza che detti prestatori di servizi siano stati in grado di ottem-
perare a tale obbligo dichiarativo prima di ricevere la decisione che fissa
definitivamente l’importo cumulativo delle sanzioni pecuniarie e mentre
l’importo della sanzione che sarebbe inflitta ad un prestatore di servizi
pubblicitari stabilito nello Stato membro di imposizione, in situazione
analoga di inadempimento continuato, sarebbe notevolmente inferiore e
non aumentato né nella stessa misura né entro un periodo di tempo così
breve.
Infine, la Corte ungherese chiede se l’art. 56 TFUE, letto alla luce degli
artt. 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE, debba essere
interpretato nel senso che osta alla normativa di uno Stato membro che
prevede che le decisioni sanzionatorie dell’Amministrazione finanziaria
riguardanti un prestatore di servizi stabilito in altro Stato membro siano
soggette ad un ricorso giurisdizionale che, a differenza del procedimento
ordinario di ricorso amministrativo in materia tributaria, è deciso dal
giudice adito esclusivamente sulla base di documenti e senza poter proce-
dere ad un’udienza di discussione6.
La controversia da cui trae origine la domanda di pronuncia pregiudi-
ziale vede l’Amministrazione finanziaria ungherese contestare alla Google
Ireland Limited, società con sede in Irlanda, la mancata registrazione nel
Paese entro il termine di 15 giorni dall’inizio della sua attività nel settore
pubblicitario.
A partire dal 1° gennaio 2017, infatti, la normativa nazionale ungherese
stabilisce che sia sottoposta all’imposta sulla pubblicità, con i relativi obbli-
ghi dichiarativi e di registrazione, qualsiasi pubblicazione o diffusione di
annunci pubblicitari, operata in Internet, che sia in lingua ungherese ovvero
su un sito web prevalentemente in lingua ungherese. Soggetto passivo di tale
imposta è chiunque pubblichi annunci pubblicitari con le caratteristiche
appena menzionate, “indipendentemente dal luogo in cui è residente”7.
In caso di accertamento del mancato adempimento degli obblighi di
registrazione, l’Amministrazione finanziaria ungherese è tenuta ad inflig-
gere al soggetto passivo una prima sanzione pecuniaria, di un importo in
valuta locale equivalente a circa 31 mila euro. Successivamente, la stessa
Amministrazione accerta su base giornaliera l’adempimento di tale obbligo
e, ove ciò non avvenga, infligge al soggetto passivo inadempiente una

6
R. Szudoczky - B. Károlyi, “The Troubled Story of the Hungarian Advertisement Tax:
How (Not) to Design a Progressive Turnover Tax”, in Intertax, 2020, I, pag. 46 ss.
7
Cfr. par. da 3 a 5 della sentenza.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 155


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

ulteriore sanzione pecuniaria di ammontare pari al triplo di quella applicata


il giorno precedente.
Tali atti sono definitivi ed esecutivi dal momento della loro notifica e,
come già detto, sono sottoponibili al controllo giurisdizionale nell’ambito di
un procedimento esclusivamente documentale.
Nel caso in cui il contribuente non paghi la sanzione entro il termine
stabilito, poi, l’importo della stessa è ulteriormente raddoppiato. A seguito
di adempimento da parte del contribuente, però, l’Amministrazione può
ridurre la sanzione cumulativa senza limite alcuno8.
Accumulati oltre tre milioni di euro di sanzioni, la Google Ireland Limited
proponeva ricorso dinanzi al giudice del rinvio, adducendo una violazione
degli artt. 18 e 56 TFUE che deriverebbe dalle differenze di trattamento tra le
società stabilite entro i confini dell’Ungheria e quelle stabilite in altri Stati
membri.
La Corte di Giustizia ha ritenuto che l’art. 56 TFUE non osti alla
sussistenza dei citati obblighi dichiarativi differenziati tra i prestatori di
servizi pubblicitari residenti e quelli stabiliti in uno Stato membro diverso,
mentre ha ritenuto incompatibile con lo stesso articolo il sistema sanzio-
natorio appena descritto. Ciò in virtù del fatto che l’autorità competente,
prima di adottare la decisione che fissa definitivamente l’importo cumula-
tivo della sanzione, non concede al contribuente il tempo necessario per
ottemperare ai suoi obblighi, né la possibilità di presentare osservazioni,
mentre l’importo della sanzione che sarebbe inflitto ad una società residente
analoga sarebbe inferiore e non aumentato con lo stesso meccanismo.
Nei successivi paragrafi si proporranno delle brevi riflessioni su alcuni
dei passaggi principali della sentenza, con particolare attenzione a quelli
che rilevano ai fini della costruzione di modelli impositivi da applicare
all’economia digitale ed alle sfide che essa sta ponendo.

3. La proiezione della potestà impositiva nella realtà virtuale ed il principio di


proporzionalità - Nel dichiarare il meccanismo sanzionatorio previsto dalla
normativa ungherese che regola l’imposta sulla pubblicità incompatibile
con l’art. 56 TFUE e, quindi, con la libertà di prestare servizi all’interno
dell’Unione, i giudici svolgono un ragionamento articolato in due passaggi
principali.
In primis, essi rilevano che, seppur da un punto di vista formale tale
regime sanzionatorio formalmente si applichi indistintamente a tutti i
soggetti passivi che non si conformano ai loro obblighi dichiarativi, indi-
pendentemente dallo Stato membro nel cui territorio sono stabiliti, de facto
solo chi è fiscalmente residente fuori dall’Ungheria corre realmente il
rischio di essere sanzionato9. Dal momento che gli obblighi di registrazione

8
Cfr. par. 9 - 10 della sentenza.
9
Cfr. par. 40 - 41 della sentenza.

156 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

si considerano assolti con la registrazione ai fini di qualsiasi altra imposta, i


soggetti passivi residenti sono in ogni caso automaticamente esclusi dal
meccanismo sanzionatorio.
Inoltre, il regime sanzionatorio per l’inadempimento degli obblighi
dichiarativi e di registrazione imposto dalla normativa tributaria nazionale
nei confronti dei residenti prevede sanzioni di importo significativamente
inferiore e che non vengono maggiorate, in caso di inadempimento conti-
nuato, né in proporzioni così rilevanti né in termini così brevi.
Non si può quindi che concordare con le conclusioni dei giudici europei,
formalmente ineccepibili, che vedono in questo meccanismo una restri-
zione delle libertà fondamentali non giustificabile da alcuna ragione impe-
rativa di interesse generale10.
La necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale nazionale,
motivo portato dal governo ungherese a difesa della propria posizione, è
bocciato dai giudici nel secondo passaggio del loro ragionamento alla luce
del principio di proporzionalità. In particolare, essi rilevano che il molti-
plicarsi della sanzione in un lasso di tempo lungo pochi giorni e che non vede
la possibilità per il contribuente di presentare le proprie osservazioni sia
sproporzionato rispetto alla necessità di non veder violata una normativa
nazionale. Né può renderla proporzionata la circostanza che, a fronte di un
aumento “automatico e su base giornaliera”11, l’Amministrazione finanzia-
ria abbia la facoltà, a sua sola discrezione, di ridurne l’importo in un secondo
momento12.
Bisogna infatti ricordare che, oltre alle limitazioni che il legislatore
nazionale incontra nel normare gli aspetti dell’IVA che sono puntualmente
regolati dalle fonti eurounitarie, nessun elemento del sistema d’imposta in
parola può dirsi completamente estraneo all’ambito dell’armonizzazione.
La Corte di Giustizia ha in più occasioni ribadito che i meccanismi
sanzionatori stabiliti dagli Stati membri debbano essere conformi al prin-
cipio di proporzionalità. Nella sentenza Ecotrade13, in particolare, essa ha
affermato che, anche ove l’unico mezzo di reazione adeguato al fine di
garantire un corretto funzionamento del meccanismo dell’imposta sia l’ir-
rigazione di una sanzione, questa dovrà comunque essere proporzionata
alla gravità della violazione di un obbligo ovvero un onere di tipo formale.
Nella sentenza Nidera14, poi, la Corte ha affermato che gli Stati membri
non possono disciplinare le modalità di funzionamento dell’IVA in modo da

10
In tal senso, si vedano in particolare CGE sent. 26 maggio 2016, causa C-48/15, NN(L),
ECLI:EU:C:2016:356 e sent. 28 luglio 2018, causa C-553/16, TTL, ECLI:EU:C:2018:604.
11
Cfr. par. 51 della sentenza.
12
Cfr. par. 53 della sentenza.
13
CGE sent. 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, ECLI:EU:
C:2008:267, par. 67.
14
CGE, sentenza 21 ottobre 2010, nella causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie,
ECLI:EU:C:2010:627.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 157


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

trasformare certi elementi formali previsti dalla Direttiva a fini puramente


informativi o di controllo, come ad esempio il possesso di un numero
identificativo, in elementi costitutivi dei diritti esercitabili dal soggetto
passivo. Ciò rappresenterebbe infatti un eccesso della normativa nazionale
che, seppure idoneo ed efficace nel contrastare le frodi, viola il principio di
proporzionalità e deborda dalla funzione fiscale assegnata agli Stati
membri.
Letta attraverso la lente del diritto tributario italiano, la normativa
ungherese oggetto della sentenza annotata presenta una sorta di elasticità
della sanzione pecuniaria15 posposta. Invece di un potere discrezionale che
gli organi preposti alla irrogazione della sanzione esercitano già in sede di
prima quantificazione della stessa16, analogamente a quanto avviene nel
giudizio penale ex art. 133 c.p., avendo riguardo della gravità della viola-
zione, la normativa ungherese prevede che la prima quantificazione
avvenga sulla base di un meccanismo automatico. La discrezionalità
dell’Amministrazione nella valutazione delle circostanze del caso specifico
è relegata ad un momento successivo, quando la stessa può facoltativamente
ridurne l’importo a fronte dell’adempimento, da parte del contribuente, dei
propri obblighi17.
Paiono esservi pochi dubbi circa il fatto che nell’ordinamento
italiano una siffatta previsione normativa sarebbe considerata contra-
ria al principio di proporzionalità. La dottrina è concorde sul fatto che
esso sia violato ogniqualvolta in cui, per errori non incidenti sulla
sostanza del rapporto, si creino conseguenze automatiche,

15
Sul concetto di elasticità della sanzione pecuniaria veda in particolare G. Falsitta,
Manuale di diritto tributario - Parte generale, Padova, 2010, pag. 537.
16
In specie, ex art. 7, D.L. n. 472/1997. A riguardo, si vedano per approfondimenti, tra gli
altri, L. Del Federico, “Prime note sui procedimenti sanzionatori disciplinati dal D.Lgs. del 18
settembre 1997, n. 472”, in questa Rivista, 1999, IV, pag. 1041; G. Marongiu, “La nuova
disciplina delle sanzioni amministrative tributarie”, in Dir. prat. trib., 1998, I, pag. 265; F.
Pistolesi, “Appunti sui procedimenti di irrogazione delle sanzioni tributarie”, in questa Rivista,
2002, III, pag. 90; G. Ragucci, “La partecipazione del privato all’irrogazione della sanzione
tributaria”, in Riv. dir. fin., 2001, I, pag. 251; AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative (a
cura di G. Tabet), Milano, 2000; AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni
amministrative in materia tributaria (a cura di L. Tosi - F. Moschetti), Padova, 2000; G. Falsitta,
“Confusione concettuale ed incoerenza sistematica nella recente riforma delle sanzioni tribu-
tarie non penali”, in Riv. dir. trib., 1998, I, pag. 475; F. Gallo, “L’impresa e la responsabilità per le
sanzioni amministrative tributarie”, in in questa Rivista, 2005, I, pag. 11.
17
Per una prospettiva storica dei principali contributi nel settore del diritto amministra-
tivo: A. Vigneri, La sanzione amministrativa: Origine e nozione, Padova 1984; G. Baratti,
Contributo allo studio della sanzione amministrativa, Milano 1984; G. Pagliari, Profili teorici
della sanzione amministrativa, Padova 1988; E. Rosini, Le sanzioni amministrative, Milano
1991. Per una prospettiva tributaria, invece, L. Perrone, “Le sanzioni amministrative in materia
tributaria”, in Riv. dir. sc. fin., 1978, I, pag. 637 ss.

158 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

equiparabili in senso lato a sanzioni improprie18, incidenti sul debito


d’imposta19.
Per analogia, si pensi ad esempio alle critiche rivolte da più parti alla
sentenza n. 24929/2013 della Suprema Corte, in cui, con riferimento alla
disciplina ante-2007, era attribuito all’esposizione formale dei costi c.d.
black-list in dichiarazione effetto costitutivo del diritto alla loro dedu-
zione20. Una omissione puramente formale poteva così trasformarsi in
una significativa alterazione in termini di imponibile21.
Ogni forma di automatismo espone al rischio di infrangere la
proporzionalità, dal momento che allontana la proporzione tra violazione
ed i sui effetti, prestandosi così alla creazione di un sistema sanzionatorio
eccessivamente sbilanciato verso la deterrenza22.
Il legislatore italiano è intervenuto in tempi piuttosto recenti sul sistema
delle sanzioni tributarie, proprio con il fine di rendere possibile la riduzione
delle sanzioni ove esse siano manifestatamente sproporzionate23. Il D.Lgs.
n.158/2015, con riferimento al meccanismo previsto ex art. 7, comma 3 e 4,

18
Per un approfondimento si vedano anche L. Del Federico, “Le sanzioni improprie nel
sistema tributario,” in Riv. dir. trib., 2014, I, pag. 693 ss.; L. Del Federico, “Sanzioni improprie
ed imposizione tributaria”, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale (a cura di L.
Perrone - C. Berliri), Napoli, 2006, pag. 519 ss.; A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione
amministrativa, Padova, 1998; D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdi-
zionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998. Per una prospettiva penalistica, invece, F.
Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, 2017.
19
G. Moschetti, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nel diritto
tributario, Padova, 2017, pag. 128.
20
Cass., Sez. tributaria, sent. 6 novembre 2013, n. 24929. I giudici riconoscono che
l’intervento normativo operato a mezzo dell’art. 1, commi 302 e 303, della Legge 27 dicembre
2006, n. 296 “ha sottratto la predetta prescrizione formale alla fattispecie costitutiva del diritto
alla deduzione, imponendo tuttavia al contribuente il relativo adempimento in funzione delle
esigenze di controllo degli Uffici finanziari”. Ciò, però, non varrebbe per i periodi d’imposta
ante 2007, rispetto ai quali la violazione che ha ostacolato il controllo è assunta a causa estintiva
del diritto alla deduzione. Si veda anche E. Della Valle, “I costi black list: cronaca di una morte
improvvisa”, in il fisco, 2016, VII, pag. 616 ss.
21
G. Moschetti, op. cit., pag. 129, nota a piè di pagina n. 88, afferma che “Ben diversa-
mente, nell’ordinamento austriaco la Corte costituzionale (sentenza B 916/02 del 12 dicembre
2003, in ÖstZ, 2004, pag. 547) ha dichiarato che è contrario al principio di proporzionalità
negare l’esclusione da IVA in un caso in cui non v’era dubbio circa l’esportazione, ma era
contestata la tenuta dei registri contabili”.
22
Sul principio in questione si vedano anche, tra gli altri, F. Amatucci, “I principi della
proporzionalità e del ne bis in idem nel sistema sanzionatorio tributario”, in Dir. prat. trib. int.,
2015, I, pag. 415 ss.; F. Petrillo, Il principio di proporzionalità nell’azione amministrativa di
accertamento tributario, Bari, 2015.
23
A riguardo, si veda anche F. Montanari, “La dimensione multilivello delle sanzioni
tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione”, in Riv. giur. trib.,
2017, I, pag. 1912 ss. Più in generale, invece, si vedano AA.VV., Le sanzioni nell’esperienza
europea (a cura di A. Di Pietro), Milano, 2001; L. Del Federico, “Violazioni e sanzioni in materia
tributaria”, in Enc. giur. Treccani, Vol. XXXII, Roma, 2000, pag. 19.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 159


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

D.Lgs. n. 472/1997 ha da un lato automatizzato l’istituto della recidiva,


eliminando l’elemento discrezionale e prevedendo che la sanzione debba
essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti,
si sia imbattuto in altra violazione della stessa indole24. Precedentemente, la
recidiva era una fattispecie complessa di causa aggravante legata ad un fatto
oggettivo riscontrabile e ad un ulteriore elemento discrezionale, che per-
metteva all’Ufficio di incrementare oltre il limite massimo edittale la san-
zione da irrogare25.
Tale automatismo è però in certa misura solo apparente e mitigato dalla
lettera del comma 4 dello stesso articolo, il quale prevede una riduzione
discrezionale fino alla metà del minimo ove le circostanze rendano “manifesta
la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la san-
zione”26. Ciò in ossequio anche a quanto stabilito poco prima di detta modifica
legislativa proprio dalla Corte di Giustizia, che nella sentenza del caso
Equoland27 in materia di imposte armonizzate ha affermato, inter alia, che
all’interno del concetto di proporzionalità delle sanzioni debba rientrare anche
una valutazione della natura e della gravità della violazione posta in essere28.
La normativa ungherese che regola il meccanismo sanzionatorio in
questione, poi, secondo quanto può inferirsi dalla lettura della pronuncia,
non presenta alcun collegamento con l’ammontare dell’imposta dovuta.
L’AG29 sottolinea come tale mancanza di collegamento concretizzi una
grave carenza rispetto all’omogeneità della tassazione, ossia a quella

24
Si vedano anche L. Salvini, “Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributa-
rio”, in questa Rivista, 2015, II, pag. 545 ss.; G. Zizzo, “L’offesa del bene giuridico protetto come
presupposto e parametro delle sanzioni amministrative tributarie”, in Riv. G. di F., 2015, pag.
1527 ss.
25
V. anche A. Albano, “Le sanzioni amministrative tributarie irrogate ai soggetti non
residenti ed il principio comunitario di proporzionalità”, in Riv. giur. trib., 2020, VIII/IX, pag.
669 ss.
26
L. Lodoli - B. Santacroce, “Automatismo o discrezionalità nell’applicazione della
recidiva per le sanzioni? Limiti di proporzionalità”, in il fisco, 2016, pag. 355 ss.; D. Liburdi -
G. P. Ranocchi, “Revisione dei principi sanzionatori all’insegna della gradazione e di una
maggiore razionalità”, in il fisco, 2016, I, pag. 24 ss.; A. Carinci, “Prime considerazioni sulla
riforma delle sanzioni amministrative tributarie”, in il fisco, 2015, pag. 3929 ss. Per un
approfondimento di carattere più generale, E.M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo,
Padova, 1997.
27
CGE, sent. 17 luglio 2014 nella causa C-272/13, Equoland, ECLI:EU:C:2014:2091, par.
35. Annotata da B. Santacroce - E. Sbandi, “IVA all’importazione: la sentenza “Equoland” e la
posizione restrittiva dell’Amministrazione doganale”, in Corr. Trib., 2014, pag. 3489 ss.; M.
Balzanelli - M. Sirri, “Depositi IVA: gli effetti della sentenza Equoland nei giudizi della
Cassazione e nella prospettiva delle Entrate”, in Corr. Trib., 2015, pag. 4305 ss.
28
Più in generale, si veda anche D. Freyer, “The Proportionality Principle under EU Tax
Law: General and Practical Problems Caused by Its Extensive Application”, in Eur. Taxn., 2017,
parte I in IX, pag. 384 ss., parte II in X, pag. 428 ss. Per una prospettiva belga, J. Malherbe,
“Administrative Tax Surcherges and the Proportionality Principle”, in AA.VV., Surcherges and
Penalties in Tax Law (a cura di R. Seer, A.L. Wilms), Amsterdam, 2016.
29
Cfr. par. 94 e 105 delle conclusioni dell’AG.

160 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

declinazione della proporzionalità che deve necessariamente informare


l’intero sistema tributario di uno Stato di diritto che si finanzia esclusiva-
mente a mezzo del gettito fiscale e pertanto incide sempre sui diritti dei suoi
cittadini.
Anche da una prospettiva italiana, è quasi superfluo menzionarlo, non
possono esservi dubbi sul fatto che l’applicazione dei principi di propor-
zione e ragionevolezza30 imponga che i meccanismi sanzionatori non pos-
sano raggiungere un livello di automaticità tale da comprimere
significativamente i diritti del contribuente, tra cui, ad esempio, quello
fondamentale di poter esporre le proprie ragioni in sede giurisdizionale
nel corso di una pubblica udienza31. Queste norme poste a difesa dei diritti
del contribuente, che sono di rango costituzionale, non possono essere
derogate neanche nell’ambito della ricerca di soluzioni innovative atte ad
adeguare il sistema tributario alla nuova realtà dell’economia digitale.
Ma la lettura delle conclusioni dell’AG suggerisce alcune considerazioni
generali ed ulteriori di tax policy. In particolare, da quanto riferito circa
alcune circostanze relative allo svolgimento del procedimento emerge una
certa fragilità delle soluzioni adottate dal legislatore ungherese nel tentativo
di sottoporre a tassazione quella tipologia di contribuente, sconosciuta in
passato, la cui presenza economica non è direttamente correlata alla pre-
senza di strutture materiali sul territorio del mercato di riferimento.
Nonostante la sanzione draconiana inflitta per la mancata registra-
zione, che in pochi giorni ha raggiunto la somma-limite di poco superiore
ai 3 milioni di euro, infatti, la società Google Ireland Limited, almeno fino al
momento dell’udienza, non si era comunque ancora mai registrata in
Ungheria ai fini dell’imposta sulla pubblicità32.
Ciò si può spiegare, come già ben evidenziato dall’OCSE nella prima fase
del progetto BEPS33 alcuni anni addietro, in primo luogo con un fattore
qualitativo, ossia proprio con la circostanza che l’economia digitale rende
possibile, per un’impresa multinazionale, “avere una presenza significativa

30
Vale la pena richiamare quanto affermato da G. Vanz, “I principi della proporzionalità e
ragionevolezza nelle attività conoscitive e di controllo dell’Amministrazione finanziaria”, in
Dir. prat. trib., 2017, V, pag. 1912, “Accanto al principio della proporzionalità, presenta un suo
autonomo ambito di applicazione il connesso principio della ragionevolezza… L’esame della
giurisprudenza e della dottrina (non tributarie) che se ne sono occupate dimostra che i due
termini sono in larga parte utilizzati come sinonimi… A mio avviso, invece, i principi della
ragionevolezza e della proporzionalità, pur essendo fra loro strettamente correlati, vanno
tenuti concettualmente distinti uno dall’altro”.
31
In questo senso, G. Moschetti, op. cit., pag. 131.
32
Cfr. par. 86 delle conclusioni dell’AG.
33
OECD, Addressing Base Erosion and Profit Shifting, febbraio 2013, in particolare pagg.
35-36. Si vedano anche V. Uckmar, “La fiscalità del commercio elettronico. Attualità e pro-
spettive,” in AA.VV., Commercio elettronico e Fisco (a cura di M.A. Galeotti Flori), Torino, 2002,
pag. 131 ss.; E. Pinto, E-Commerce and Source-Based Income Taxation, Amsterdam, 2002,
pag. 16.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 161


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

nella vita economica di un Paese... senza avere ivi una presenza tassabile”34.
Seppur l’imposta sulla pubblicità recentemente istituita in Ungheria rap-
presenti senza dubbio un tentativo apprezzabile di adeguamento del
sistema tributario alle esigenze poste dalla de-materializzazione dell’eco-
nomia35, il fatto che l’impianto del diritto tributario sia ancora quello
elaborato negli anni ‘20 del secolo scorso36, quando una certa presenza
fisica - e quindi tassabile - sul territorio era imprescindibile per svolgere i
propri affari, limita fortemente l’efficacia delle soluzioni adottate37.
Ci troviamo di fronte ad un tentativo di superamento di quelli che la
dottrina italiana38 ha sempre definito come i limiti spaziali della potestà di
polizia tributaria, operato nel tentativo di proiettare la potestà impositiva
dello Stato in una realtà, quella digitale, in un certo senso parallela e che non
esisteva quando tali limiti sono stati concepiti.
Se infatti da un lato abbiamo un ordinamento tributario che compie uno
sforzo di adattamento alla realtà dell’attuale panorama economico, chie-
dendo ai grandi player dell’economia digitale di registrarsi presso le autorità
nazionali ai fini fiscali ed imponendo sanzioni draconiane, dall’altro il
quadro fattuale mostra come tutto ciò non sia stato in alcun modo risolutivo.
Questa nuova tipologia di contribuente, invero, è costituita da realtà multi-
nazionali che sono molto diverse - sia in termini qualitativi che, come

34
Traduzione libera dell’autore della seguente citazione: “heavily involved in the economic
life of another country … without having a taxable presence therein”.
35
Per una analisi approfondita delle tematiche connesse alla tassazione della pubblicità
on line, si vedano in particolare L. Del Federico - C. Ricci - S. Giorgi, “La tassazione dei servizi di
pubblicità on line (c.d. Google Tax)”, in L. Del Federico - C. Ricci (a cura di) Le nuove forme di
tassazione della Digital Economy - Analisi, proposte e materiali per il dibattito politico e istitu-
zionale, Canterano, 2018, pag. 53. In un’ottica di diritto tributario internazionale, essi rilevano,
inter alia, che: “l’applicabilità, alla digital economy, dei principi propri della fiscalità interna-
zionale, basati sulla fisicità del collegamento dell’attività economica ad un determinato terri-
torio, viene messa in dubbio dalle peculiarità proprie di questo particolare mercato senza
confini territoriali, in cui è configurabile la fissazione di un indirizzo internet in un Paese
diverso da quello di residenza o da quello in cui viene esercitata effettivamente l’attività
commerciale, in cui è difficile stabilire l’identità delle parti e ancor più la localizzazione
delle imprese coinvolte nell’operazione. In questo contesto, la tassazione delle imprese e
delle società deve fare i conti con nuove e diverse modalità di produzione del reddito, che
impongono una rilettura, in chiave adeguatrice, dei principi […]”.
36
Così L. Carpentieri, “La tassazione delle imprese al tempo dell’economia digitale”, in L.
Carpentieri (a cura di) Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, pag. 2: “Dal nuovo
contesto nel quale si sono trovate ad operare, le imprese hanno presto imparato a trarre i
maggiori benefici possibili e si sono attrezzati per farlo al meglio, elaborando sofisticate
pianificazioni fiscali di shifting di profitti nati ‘apolidi’. I sistemi fiscali, dal canto loro, in un
primo tempo sono rimasti a guardare e, quando - preoccupati di salvaguardare livelli minimi di
gettito - hanno cominciato a reagire, sono apparsi inevitabilmente in ritardo”.
37
In generale, con riguardo all’approccio italiano si veda anche E. Della Valle, “La stabile
organizzazione ‘da remoto’: la lett. f-bis) dell’art. 162 del T.U.I.R. e l’approccio OCSE”, in questa
Rivista, 2019, III, pag. 470 ss.
38
G. Falsitta, Manuale di diritto tributario - Parte generale, Padova, 2010, pag. 130.

162 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

vedremo, quantitativi - rispetto alle realtà imprenditoriali per i quali le


suddette categorie del diritto tributario sono state pensate originariamente.
La loro assenza entro i limiti spaziali materiali del territorio dello Stato
impositore rende molto difficile, se non di fatto impossibile, l’esercizio di
tutte le potestà legate al prelievo tributario, a partire dalla fase
dell’accertamento39.
In secondo luogo, occorre rilevare un fattore quantitativo. Per quanto le
sanzioni previste possano essere draconiane, non si può non tener conto del
fatto che i c.d. giganti del web realizzino utili di entità talmente elevata da
modificare, in senso lato, perfino i rapporti di forza che storicamente hanno
caratterizzato le relazioni tributarie tra contribuenti e parte pubblica. È
significativo, nel caso qui oggetto di analisi, come anche una sanzione di
alcuni milioni di euro - accompagnata probabilmente dalla fiducia di poter
vincere dinanzi al giudice - non sia stata comunque sufficiente a persuadere
il contribuente a registrarsi in Ungheria ai fini fiscali, a riprova almeno
parziale del fatto che essa difficilmente possa rappresentare un deterrente
adeguato quando gli Stati si confrontano con certe tipologie di impresa.
In conclusione, si può affermare che anche in sede di elaborazione di
modelli impositivi e sanzionatori atti ad affrontare realtà completamente
nuove è di primaria importanza che il legislatore medi tra gli interessi
emergenti e le finalità già consolidate del sistema fiscale, promuovendo
soluzioni sempre conformi a parametri di adeguatezza, necessità e
proporzionalità dei mezzi allo scopo. Se da un lato non vi è dubbio sul
fatto che le fattispecie impositive debbano essere strutturate in modo da
realizzare la partecipazione di tutti i contribuenti al finanziamento delle
spese pubbliche, dall’altro non si può mai imporre al contribuente un
sacrificio che sia eccessivo. Un debordamento in questo senso non può
avvenire né sotto il profilo quantitativo, con un depauperamento spropor-
zionato, né sotto quello qualitativo, attraverso modalità di attuazione e
svolgimento dell’obbligazione tributaria e del rapporto giuridico d’imposta
che siano in contrasto con i diritti e gli interessi tutelati in capo a qualsiasi
contribuente.
In particolare, alla luce dell’esperienza ungherese giova rammentare
come il problema della proporzionalità dei modelli sanzionatori si ponga
ogniqualvolta sia riscontrata un’assenza di tutele e garanzie che controbi-
lancino il sacrificio di un diritto del contribuente, soprattutto ove ciò si
traduca in un sacrificio definitivo di un diritto fondamentale, come ad
esempio, nel caso di specie, quello di potersi difendere in una pubblica
udienza40.

39
M. Greggi, “Rise and Decline of the Westphalian Principle in Taxation: The Web Tax
Case”, in EC Tax Rev., 2020, I, pag. 6 ss.
40
A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA
europea, Pisa, 2012, pag. 100.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 163


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

4. L’idioma come criterio di collegamento con il territorio dello Stato - Sempre


l’AG, nelle sue conclusioni, ragiona circa l’utilizzabilità della lingua con cui
viene fornito un certo servizio come criterio di collegamento idoneo a
giustificare la pretesa impositiva dello Stato rispetto a determinati fatti
economici41.
La normativa ungherese in parola, infatti, prevede l’assoggettamento
all’imposta sulla pubblicità di qualsiasi pubblicazione o diffusione di
annunci pubblicitari in Internet che sia in lingua ungherese ovvero su un
sito web prevalentemente in lingua ungherese. Chiunque pubblichi annunci
con queste caratteristiche è quindi considerato come un soggetto passivo,
indipendentemente dal luogo in cui è residente42.
Dalla lettura delle conclusioni dell’AG emerge come il governo unghe-
rese in udienza abbia sostenuto che questo sarebbe un criterio di collega-
mento idoneo, dal momento che la maggior parte dei potenziali utenti di
lingua ungherese, verso i quali sarebbe inevitabilmente diretta tale
pubblicità, si trova entro i confini dell’Ungheria43. In un contesto di econo-
mia non-dematerializzata, continua l’AG, una parte consistente dei redditi
derivanti da tale pubblicità si sarebbe potuta conseguire solamente attra-
verso la presenza di una sede fissa d’affari in territorio ungherese, la quale
avrebbe reso più agevole la riscossione della corrispondente imposta sul
reddito. Tale criterio di collegamento sarebbe quindi funzionale al supera-
mento delle difficoltà create dal progresso tecnologico ed avrebbe quale
ratio quella di riequilibrare una situazione altrimenti troppo sbilanciata
rispetto alle grandi realtà economiche in grado di operare a livello globale
con una limitatissima presenza materiale44.
Questa parte del ragionamento dell’AG che, sia detto per inciso, non è poi
stato ripreso dalla Corte nella sentenza, pone almeno due ordini di problemi
nell’ambito di una riflessione generale sulla tassazione dell’economia digi-
tale. In primis, si rileva come l’AG, pur avendo affermato che quello della
lingua utilizzata sia “in linea di massima, un ragionevole (‘reasonable’) e
sufficiente nesso territoriale”45, abbia però anche ritenuto di non dover
considerare in quella sede quanto ciò sia applicabile anche ad idiomi diversi.
Ebbene, seppur non vi sia dubbio che in alcuni casi la lingua utilizzata in
una inserzione pubblicitaria leghi effettivamente tale servizio al territorio di
un certo Stato (e solo a quello), divenendo quindi anche teoricamente un

41
S. Dorigo, “Il superamento dei criteri di collegamento ‘tradizionali’ nell’epoca dell’e-
conomia digitale: le conclusioni dell’AG Kokott nella causa Google e la problematica della
localizzazione del reddito d’impresa”, in Riv. dir. trib. on line del 6 novembre 2019.
42
Cfr. par. da 3 a 5 della sentenza.
43
Cfr. par. 49 delle conclusioni dell’AG.
44
A riguardo, si veda anche, più in generale, A. Perrone, “L’equa tassazione delle multi-
nazionali in Europa: imposizione sul digitale o regole comuni per determinare gli imponibili?”,
in Riv. trim. dir. trib., 2019, I, pag. 63 ss.
45
Cfr. par. 50 delle conclusioni dell’AG.

164 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

criterio di collegamento idoneo ai fini fiscali, questo non è sempre vero e


difficilmente potrebbe essere utilizzato come standard internazionale per la
tassazione dell’economia digitale. La stragrande maggioranza dei poten-
ziali utenti che fruiscono di una pubblicità in lingua ungherese vive sicura-
mente entro i confini dell’Ungheria, con l’eccezione di alcune piccole
minoranze localizzate sul territorio della vicina Romania, così come la
maggior parte degli italofoni vive sul territorio della Repubblica italiana,
con l’eccezione di un ridotto numero di abitanti delle vicine Svizzera,
Slovenia e Croazia, oltre a San Marino. Questo criterio non può però essere
applicabile ad idiomi molto più diffusi, come ad esempio lo spagnolo o
l’inglese46.
Un’inserzione pubblicitaria in lingua spagnola, ad esempio, è sempre
fruibile da milioni di persone in molti Stati diversi, localizzati in più di un
continente, e sarebbe impossibile differenziare il trattamento fiscale delle
singole fattispecie sulla base del contenuto pubblicitario specifico. Infatti,
mentre non vi è dubbio sul fatto che la pubblicità di una bibita sia poten-
zialmente indirizzabile a chiunque nel mondo parli l’idioma in cui essa è
prodotta, quella relativa ad una polizza assicurativa ha molte più
probabilità di collegare una certa inserzione pubblicitaria ad uno Stato
specifico, dal momento che, a seconda dei casi, il suo contenuto può dover
essere almeno parzialmente vincolato dalla normativa locale. Ma è del tutto
evidente come, a prescindere dal fatto che anche la pubblicità di un certo
prodotto assicurativo possa essere generica abbastanza da essere di fatto
utilizzabile per campagne pubblicitarie trasmesse in più Paesi, una tale
distinzione non sarebbe certo svolgibile nel contesto applicativo del diritto
tributario. Un sistema così strutturato risulterebbe de facto ingestibile per
l’Amministrazione finanziaria e rischierebbe di risultare in una partizione
assolutamente arbitraria ai fini fiscali tra contenuti pubblicitari che, seppur
veicolano messaggi diversi, sono sostanzialmente identici nella funzione
economica e promozionale finalizzata all’incremento delle vendite47.
Diverso sarebbe se fosse possibile, dal punto di vista tecnico, effettuare
un tracciamento delle inserzioni pubblicitarie che sono visualizzate - ovvero
anche solo potenzialmente visualizzabili - dagli utenti localizzati in un
determinato Paese, così da potervi collegare il relativo flusso reddituale ai
fini fiscali. Ma a questo punto sarebbe irrilevante l’idioma in cui la
pubblicità è erogata, dal momento che non vi sarebbe motivo di escludere

46
Si veda anche F. Antonacchio, “Big Data al bivio tra IVA e imposta sui servizi digitali”, in
il fisco, 2020, pag. 3356 ss.
47
A riguardo, si vedano soprattutto L. Del Federico - C. Ricci, “La proposta OECD
dell’Equalisation Levy e la soluzione italiana”, in L. Carpentieri (a cura di), op. cit., pag. 76:
“i criteri di localizzazione dell’utente presuppongono strumenti di controllo di cui difficilmente
l’Amministrazione finanziaria, da sola, potrebbe dotarsi: è difficile, ad esempio, per l’Agenzia
delle entrate verificare dove l’utente abbia attivato l’Ipad su cui sia apparso il messaggio
pubblicitario, se in Italia o all’estero”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 165


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

dalla tassazione i redditi collegati alle pubblicità, ad esempio, in lingua


inglese, che sono sempre più spesso proposte anche al pubblico di Paesi non
anglofoni.
In secondo luogo, dobbiamo rilevare che l’utilizzo della lingua come
criterio di collegamento territoriale ai fini fiscali rappresenta una assoluta
novità rispetto al principio generale che la dottrina tributaristica italiana
chiama della c.d. territorialità in senso materiale48. In sostanza, assogget-
tando ad imposta le pubblicità ed i siti in una certa lingua, l’Ungheria ha
adottato un criterio di territorialità concepito ab origine per una realtà
virtuale ed impalpabile.
Dal momento che i siti Internet e le pubblicità on line esistono solamente
in una dimensione dematerializzata della realtà, la normativa ungherese in
parola, nel delimitare l’ambito spaziale del presupposto d’imposta, cerca
sostanzialmente di tracciare un confine entro tale dimensione, al fine di
potervi proiettare all’interno la potestà amministrativa d’imposizione eser-
citata dallo Stato.
A prescindere dalle specificità della lingua ungherese, che, per le ragioni
anzidette, potrebbe teoricamente portare al tracciamento di confini virtuali
di fatto quasi internamente sovrapponibili, nella corrispondente dimen-
sione materiale, a quelli entro cui lo Stato ungherese può effettivamente
esercitare la sua potestà impositiva, i fatti della causa dimostrano come
quest’ultimo non sia stato di fatto in grado di esercitarla efficacemente nei
confronti del contribuente in questione49.
Pur non essendo del tutto chiaro dalla lettura della sentenza quali siano
state le cause specifiche che hanno reso inefficiente l’esercizio della potestà
impositiva dell’Ungheria nei confronti della Google Ireland Limited, risulta
del tutto evidente come anche la creazione di singole categorie

48
G. Melis, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2018, pag. 126. Per approfondimenti sulla
tematica della territorialità del tributo, tra i tanti, C. Sacchetto, “l principio di territorialità in
materia tributaria del tributo”, in Enc. giur., XXXI, Roma, 1992, pag. 304; C. Sacchetto,
“Territorialità (dir. trib.)”, in Enc. dir., Milano, 1992, pag. 303; M. Russo, La territorialità, in
Principi di diritto tributario europeo e internazionale (a cura di C. Sacchetto), Torino, 2011, pag.
81 ss.; R. Lupi, “Territorialità del tributo”, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, pag. 9; G. Maisto,
“Brevi riflessioni sulla evoluzione del concetto di ‘genuine link’ ai fini della territorialità
dell’imposizione tributaria tra diritto internazionale generale e diritto dell’Unione Europea”,
in Riv. dir. trib., 2013, I, pag. 889 ss.; G. Fransoni, La territorialità nel diritto tributario, Milano,
2004; R. Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009.
49
Su questo punto di vedano anche, più in generale, E. Della Valle - E. D’Alfonso, “La
riscossione dei crediti tributari esteri e la riscossione all’estero”, in Corr. Trib., n. 33/2011, pag.
2714 ss.; A. Perrone, “Sovranità tributaria, territorialità dell’imposizione e mercato globale:
una sfida ancora aperta”, in V. Mastroiacovo (a cura di) Le sovranità nell’era della post
globalizzazione: atti del Convegno di Foggia 1° marzo 2019, 2019, Foggia, pag. 99 ss.; P.B.
Musgrave, “Sovereignty, entitlement, and cooperation in international taxation”, in Brook. J.
Int’l L., 2000, IV, pag. 1335 ss.; R.J. Jeffery, The changing global economy: the role of sovereignty
and jurisdiction in the creation and elimination of distortions to trade associated with interna-
tional taxation, 1998, Alphen aan den Rijn.

166 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

appositamente concepite per la realtà digitale, ma nell’ambito di un


impianto generale del diritto tributario che rimane quello concepito per
l’economia materiale, abbia di fatto mostrato notevoli limiti.

5. La contestualizzazione della pronuncia e la decisione della Corte di Giustizia


nel caso Vodafone - Lo stesso giorno, la Corte di Giustizia ha pronunciato
anche un’altra sentenza - nella causa Vodafone50 - riferita alla normativa,
sempre ungherese, che regola un’imposta speciale sul volume d’affari degli
operatori delle telecomunicazioni. I giudici europei hanno ritenuto che la
normativa eurounitaria non impedisca l’esistenza di un’imposta progres-
siva sul volume d’affari, riscossa periodicamente, il cui onere effettivo è
principalmente sostenuto da imprese controllate direttamente o indiretta-
mente da cittadini di altri Stati membri ovvero da società aventi sede in un
altro Stato membro.
In specie, il fatto che tale imposta straordinaria sia progressiva aveva
portato il contribuente interessato e la Commissione a sostenere l’esistenza
di una discriminazione indiretta, dal momento che sarebbero stati di fatto
favoriti i soggetti passivi detenuti da ungheresi a danno di quelli la cui
proprietà è localizzata in altri Stati membri51.
La Corte di Giustizia ha invece ritenuto che un’imposizione progressiva
possa essere basata sul volume d’affari, in quanto, per un verso, il suo
importo rappresenta un criterio distintivo neutro e, per altro verso, esso
rappresenta un indicatore pertinente della capacità contributiva dei sog-
getti passivi52. La circostanza che tale imposta sia sopportata da soggetti
passivi detenuti da persone fisiche o giuridiche di altri Stati membri non può
essere quindi tale da costituire, di per sé stessa, una discriminazione. In tal
modo, i giudici hanno implicitamente avvallato la ratio dichiarata dell’im-
posta, ossia quella di sottoporre a tassazione i soggetti passivi che, anche in
un periodo di crescita molto contenuta dell’economia, dispongono di una
elevata capacità contributiva che gli deriva dalla capacità di operare sul
mercato attraverso modelli imprenditoriali innovativi, fino ad arrivare, in
alcuni casi, a posizioni che si potrebbero quasi definire di monopolio53.
Analizzando la struttura di tale imposta, si evince che, oltre ai soggetti
residenti, vi sono sottoposte le “organizzazioni ed i singoli non residenti [...]
laddove svolgano tali attività (i.e. telecomunicazioni) sul mercato interno

50
CGE, sent. 3 marzo 2020, causa C-75/18, Vodafone Magyarország, ECLI:EU:
C:2020:139.
51
Cfr. par. 45 della sentenza.
52
D. Stevanato, “Are Turnover-Based Taxes a Suitable Way to Target Business Profits?”,
in Eur. Taxn., 2019, XI, pag. 538 ss. Per una prospettiva storica della dottrina straniera su questo
tema, W.J. Blum, H. Kalven, “The Uneasy Case for Progressive Taxation”, in The University of
Chicago Law Rev., 1952, III, pag. 420 ss.; G. Cassel, “The Theory of Progressive Taxation”, in The
Economic J., 1901, XLIV, pag. 481 ss.
53
Cfr. par. 4 e 50 - 51 della sentenza.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 167


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

tramite filiali”54. Al contrario di quanto avvenuto per l’imposta sulla


pubblicità, quindi, il legislatore ungherese in questo caso ha utilizzato un
criterio di connessione territoriale classico, ossia la presenza di una filiale,
che è stato originariamente concepito nell’ambito di un’economia materiale
e poi opportunamente reso funzionale al menzionato presupposto oggettivo
di imposta, così da risultare nell’assoggettamento a tassazione del settore
delle telecomunicazioni.
L’esperienza ci mostra però come in molti casi le grandi multinazionali
attive in questo settore operino ancora in una sorta di limbo posto tra
l’economia materiale e quella digitale. Oltre a fornire servizi digitali veri e
propri, infatti, esse forniscono alla loro clientela anche una ampia gamma di
servizi facilmente localizzabili nello spazio fisico, tra cui supporti hardware
(ad esempio, smartphone e tablet), la relativa assistenza in centri dedicati,
l’installazione di reti, ecc.
Ebbene, mentre una modulazione del presupposto oggettivo dell’impo-
sta come quella operata dal legislatore ungherese è sicuramente efficace
nell’assoggettare a tassazione un contribuente la cui attività economica è
almeno in parte anche materiale, lo stesso pare non possa dirsi per i servizi di
telecomunicazione interamente digitali che al giorno d’oggi proliferano in
rete. È il caso, in particolare, dei servizi c.d. di Voice over IP, anche detti VOIP
o, in italiano, di voce tramite protocollo Internet, che sono i corrispondenti
virtuali dei tradizionali operatori telefonici. Questi servizi permettono di
effettuare conversazioni e conferenze virtuali del tutto analoghi a quelli
effettuabili a mezzo di una rete telefonica tradizionale, ma, dal momento
che sfruttano esclusivamente la connessione ad Internet, anche le grandi
multinazionali che offrono questo tipo di servizi sono in grado di operare
potenzialmente in qualsiasi Paese del mondo con una presenza materiale
molto limitata ovvero, in alcuni casi, anche del tutto assente.
In conclusione, è possibile ribadire come le due sentenze in parola, oltre
a fornire importanti indicazioni ai policy-maker che lavorano e lavoreranno
in futuro sulle tematiche dell’economia digitale55, evidenzino anche le
criticità che affrontano i sistemi tributari nel tentativo di sottoporre a
tassazione queste nuove realtà multinazionali56. Se infatti la sentenza
pronunciata nel caso Vodafone ha mostrato come l’adattamento di categorie
pensate per un’economia materiale incentrata sulla manifattura possa
risultare inefficace nell’assoggettamento a tassazione della controparte
dematerializzata dell’oggetto dell’imposta, pur essendo le due almeno in

54
Cfr. par. 7 della sentenza.
55
Per una prospettiva itaiana si veda anche, ex multis, E. Della Valle, “La web tax italiana e
la proposta di Direttiva sull’Imposta sui servizi digitali: morte di un nascituro appena conce-
pito?”, in il fisco, 2018, XVI, pag. 1507 ss.
56
Anche se non strettamente collegato, per quanto concerne il gravoso onere che grava su
coloro i quali elaborano le politiche fiscali, si veda anche F. Fichera, Le belle tasse. Ciò che i
bambini ci insegnano sul bene comune, Torino, 2011.

168 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

parte sovrapponibili dal punto di vista del consumatore e quindi in compe-


tizione fra loro, quella pronunciata nel caso Google Ireland Limited ha
chiaramente mostrato come anche categorie appositamente pensate per
l’economia digitale possano de facto rivelarsi non idonee a perseguire il loro
scopo57. Anche se dalla lettura della sentenza non è del tutto chiaro se a
neutralizzare l’efficacia degli obblighi collegati all’imposta sulla pubblicità
ungherese sia stata la forza economica del contribuente in questione, o
piuttosto l’impossibilità dello Stato di superare i limiti spaziali imposti dalla
struttura degli odierni sistemi tributari ovvero, più probabilmente, una
combinazione di questi due fattori, appare del tutto evidente come anche
l’elaborazione di categorie apposite non possa prescindere da interventi di
ampia portata, che riformino dalle radici la normativa tributaria e gli
strumenti adottati per svolgere i rapporti giudici che sono alla base
dell’imposta.

6. Brevissimi cenni conclusivi - Le presenti brevi note hanno mostrato come


una risposta unilaterale da parte di un singolo Stato alle sfide poste dal-
l’economia digitale possa facilmente comportare violazioni dei principi
fondamentali dell’ordinamento tributario ovvero configurarsi quale misura
di fatto inefficace perché calata in un contesto con loro incompatibile.
Esempi in questo senso non mancano anche nel nostro ordinamento. Si
pensi al caso della c.d. web tax italiana, introdotta dall’art. 1, commi 1011 ss.,
Legge n. 205/2017 al fine di dar seguito alle risultanze del vertice informale
dell’Ecofin del 15 e 16 settembre 2017, svoltosi nella capitale estone Tallin,
ed alla Comunicazione della Commissione del 21 settembre dello stesso
anno su “un sistema fiscale equo ed efficace nell’Unione Europea per il
mercato unico digitale”58.
Già allora, la dottrina italiana aveva individuato una serie di criticità,
riproponibili anche in questo contesto, che caratterizzano gli interventi del
legislatore fiscale in questo settore59. Innanzi tutto, da una prospettiva più
prettamente italiana, la giustificazione teorica di tale imposizione.
Vi è infatti il rischio che, in quanto estremamente settoriale, tale tipo-
logia di imposizione sia considerata discriminatoria. Ben noto e significa-
tivo il precedente della sentenza della Corte costituzionale, n. 10/2015,
riguardante la c.d. Robin Hood Tax, in cui i giudici affermano che, sebbene
la Costituzione non imponga “affatto una tassazione fiscale uniforme, con
criteri assolutamente identici e proporzionali per tutte le tipologie di

57
In generale, per una prospettiva italiana su questo tema si veda anche A. Perrone, “Il
percorso (incerto) della c.d. web tax italiana tra modelli internazionali ed eurounitari di
tassazione della digital economy”, in RDT - supplemento on line del 30 agosto 2019.
58
Commissone europea, comunicazione 21 settembre 2017, COM(2017)547 final.
59
E. Della Valle, “La web tax italiana e la proposta di Direttiva sull’Imposta sui servizi
digitali: morte di un nascituro appena concepito?”, in il fisco, 2018, pag. 1507 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 169


F. CANNAS - INTERNET E POTESTÀ IMPOSITIVA DEGLI STATI

imposizione tributaria [...] ogni diversificazione del regime tributario, per


aree economiche o per tipologia di contribuenti, deve essere supportata da
adeguate giustificazioni, in assenza delle quali la differenziazione degenera
in arbitraria discriminazione”.
Inoltre, non si può non considerare come la enorme profittabilità dei c.d.
giganti del web non caratterizzi necessariamente la totalità delle imprese
operanti nel settore e potenzialmente interessate da interventi unilaterali
come quelli oggetto delle pronunce passate in rassegna. Si presenta il rischio
concreto, quindi, che queste imposte finiscano per essere semplicemente
trasferite economicamente sui consumatori finali, con tutte le distorsioni
che ciò comporta, ovvero per gravare significativamente su soggetti la cui
attività è profittevole in realtà solo su alcuni mercati.
Oltre alle criticità individuate, poi, si deve più in generale anche tener
conto che imposte come quelle sopra descritte difficilmente possono rien-
trare nell’attuale ambito applicativo dei trattati contro le doppie imposi-
zioni, con la conseguenza che una loro proliferazione renderebbe
necessaria una revisione radicale di molti di essi, oltre che degli strumenti
di soft law su cui sono negoziati60.
Alla luce di tutto quanto sopra, è evidente che l’elaborazione di nuovi
modelli di imposizione idonei ad affrontare le sfide dei prossimi decenni
dovrà interessare anche i principi fondamentali dei sistemi fiscali contem-
poranei e coinvolgere il maggior numero possibile tra gli stakeholder inte-
ressati, sulla scia di quanto è avvenuto in tempi recenti, ad esempio, nel
settore dello scambio di informazioni.
FRANCESCO CANNAS
Ricercatore presso l’Università di Hasselt

60
Su questo punto, si vedano anche R. Ismer - C. Jescheck, “Debate: Taxes on Digital
Srvices and the Substantive Scope of Application of Tax Treaties: Pushing the Boundaries of
Article 2 of the OECD Model?”, in Intertax, 2018, VI/VII, pag. 573 ss.; D. Hohenwarter - G. Kofler
- G. Mayr - J. Sinnig, “Qualification of the Digital Services Tax Under Tax Treaties”, in Intertax,
2019, II, pag. 140; G. Rolle, “Introduzione di nuovi tributi e vincoli posti dalle convenzioni
fiscali: il caso dell’imposta sui servizi digitali”, in il fisco, 2020, pag. 1554 ss.

170 - Rassegna Tributaria 1/2021


ACCERTAMENTO

2 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza n. 21412 del 6 ottobre


2020 - Pres. Sorrentino - Rel. Di Marzio

ACCERTAMENTO SINTETICO - Presunzione di maggior reddito -


Applicabilità - Esclusione - Redditi ottenuti da società di capitali a
ristretta base partecipativa - Insufficienza

L’accertamento di redditi percepiti dal contribuente e non dichiarati, conse-


guenziali all’accertamento di maggiori redditi ottenuti da una società di
capitali avente ristretta base partecipativa, non è in grado di dimostrare una
capacità di spesa del contribuente idonea ad escludere l’applicabilità delle
presunzioni derivanti dall’accertamento sintetico del reddito, operato ai
sensi dell’art. 38 del D.P.R. n. 600/1973, c.d. redditometro, perché tali proventi
non sono riconducibili alle categorie dei redditi: diversi da quelli posseduti
nello stesso periodo d’imposta, oppure esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a
titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base
imponibile, indicate dalla legge come idonee ad escludere l’applicabilità della
presunzione di conseguimento di un maggior reddito ai fini dell’accertamento
sintetico.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - 1. L’Agenzia delle entrate notificava


a D.M.P. l’avviso di accertamento n. (omissis), con il quale contestava un
maggior reddito imponibile ai fini Irpef, in relazione all’anno 2004, nella
misura di Euro 161.609,00. L’accertamento era stato eseguito in forma
sintetica ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in applicazione del c.d.
“redditometro”. Il contribuente era stato invitato a dichiarare gli indici della
capacità contributiva, ed aveva segnalato il possesso di due abitazioni
secondarie, oltre a quella principale, trascurando peraltro di comunicare
la disponibilità di un’autovettura Mercedes (intestata al coniuge) ed
essendo stata valutata dall’Amministrazione finanziaria non verosimile la
prospettazione secondo cui le spese per l’abitazione principale, avente
superficie di 190 mq., sarebbero state sostenute dal padre, D.M.M., che
non viveva presso quell’alloggio e comunque non possedeva redditi ade-
guati per sopportarne gli oneri. Ulteriori elementi rivelatori di reddito erano
poi costituiti, secondo l’Ente impositore, dall’acquisto di un’autovettura
“Porsche Carrera”, nonché dal finanziamento eseguito in favore di due
società, una di persone, l’altra di capitali, delle quali risultava socio.
Il contribuente proponeva impugnazione avverso l’atto impositivo
innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Vicenza, evidenziando
di essere socio della “D.M. Srl”, di cui deteneva l’80% delle quote, e
ricordando che nei confronti della società era stato emesso avviso di

Rassegna Tributaria 1/2021 - 171


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

accertamento del conseguimento di un maggior reddito, in riferimento


all’anno 2004, nella misura di Euro 511.286,00. In conseguenza, i maggiori
redditi accertati nei confronti della società, nella misura in cui dovevano
considerarsi distribuiti a lui, giustificavano ampiamente le maggiori
disponibilità accertate dall’Ufficio mediante il redditometro. In corso di
giudizio interveniva la conciliazione tra le parti ed il maggior reddito
conseguito dalla società rimaneva fissato nella minor somma di Euro
425.028,00. In considerazione di questi elementi, la CTP osservava che
nella determinazione del reddito imponibile del contribuente occorreva
“considerare, operando un abbattimento del reddito scaturente dai coeffi-
cienti presuntivi applicati, anche il reddito derivante dalla società” (ric., p.
VII), e concludeva accogliendo parzialmente il ricorso proposto da D.M.P.
2. La decisione adottata dalla CTP era impugnata da entrambe le parti
innanzi alla Commissione tributaria regionale del Veneto, che aderiva alla tesi
proposta dal contribuente osservando che “i ricavi accertati in capo alla società
di cui il medesimo contribuente è socio con la moglie, detenendo egli l’80% delle
quote, sono tali da coprire sicuramente il reddito accertato con l’atto impu-
gnato... tali importi dimostrano l’esistenza in capo al sig. D.M. della capacità
reddituale di mantenere i beni indice nelle sue disponibilità... l’appello va
accolto... va accolto in toto il ricorso introduttivo del giudizio e per l’effetto va
annullato l’avviso di accertamento impugnato” (sent. CTR, p. 4 ss.).
3. Avverso la decisione assunta dalla Commissione tributaria regionale di
Venezia-Mestre ha proposto ricorso per cassazione l’Ente impositore, affidan-
dosi ad un unico, articolato, motivo di ricorso. Il contribuente, D.M.P., non si è
costituito.

MOTIVI DELLA DECISIONE - 1. Con il suo motivo di ricorso, proposto ai


sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l’Amministrazione finanziaria contesta
la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, e dell’art.
2728 c.c., del D.M. 10 settembre 1992 e D.M. 19 novembre 1992, nonché del
D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32, in cui è incorsa l’impugnata CTR per aver errato
nell’applicazione della disciplina legale, ritenendo che l’accertamento di un
qualsiasi reddito non dichiarato del contribuente possa vanificare la fondatezza
dell’accertamento sintetico.
2. Mediante il suo strumento di gravame l’Ente impositore censura la
sentenza impugnata perché la CTR avrebbe ritenuto erroneamente che l’ac-
certamento di un reddito conseguenziale, percepito dal contribuente nella sua
qualità di socio di maggioranza della “ D.M. Srl”, in applicazione della presun-
zione di distribuzione tra i soci dei proventi societari non dichiarati in proporzione
delle quote possedute, comportasse la dimostrazione della disponibilità, da
parte dell’odierno intimato, di un reddito anche eccedente quanto calcolato
dall’Amministrazione finanziaria in sede di accertamento sintetico, e pertanto in
grado di annullare la presunzione di occultamento di un reddito imponibile
discendente dall’applicazione del redditometro.

172 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Nel suo ricorso l’Agenzia delle Entrate ripercorre il “ben noto meccanismo che
presiede all’accertamento sintetico... una metodologia che valorizza gli indici
esteriori esprimenti il tenore di vita del soggetto... attraverso tale procedimento, i
redditi occultati vengono portati ad emersione in occasione dell’acquisto di beni
destinati ad incrementare, con un certo grado di stabilità, il patrimonio del
contribuente... il risultato reddituale... dispensa l’Amministrazione finanziaria
dal fornire ulteriori prove” (ric., p. X). L’Ente impositore, quindi, si sofferma nel
suo ricorso al fine di dimostrare, anche attraverso vaste citazioni della giurispru-
denza di legittimità, che la disciplina normativa in materia di contrasto delle
presunzioni raggiunte mediante l’accertamento effettuato con il metodo sintetico
richiede al contribuente, che voglia opporre una prova contraria, “qualcosa in più
della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a
ritenuta alla fonte)... chiede espressamente una prova documentale su circo-
stanze sintomatiche” (ric., p. XIII).
Questa Corte di legittimità è recentemente tornata a sintetizzare qual è il
regime dell’onere della prova in presenza di un accertamento sintetico del
reddito, ed ha chiarito che “in tema di accertamento in rettifica delle imposte
sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo
sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre
e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione
da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della
capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi,
restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla
contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito
presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 31.10.2018, n.
27811. Tanto premesso, la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare che
“in tema di imposte sui redditi, l’accertamento del reddito con metodo sintetico,
D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, non impedisce al contribuente di dimostrare,
attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o deter-
minabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi
soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito
presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 19.10.2016, n.
21142.
2.1. Invero, all’orientamento interpretativo esposto occorre assicurare
continuità, risultando assolutamente condivisibile, sol che si proceda ad una
piana lettura della norma di riferimento. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, dispone
al comma 4 che “l’ufficio... può sempre determinare sinteticamente il reddito
complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere soste-
nute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento
è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta,
o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque,
legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”. Pertanto, una volta
effettuato nei modi di legge il calcolo del reddito con modalità sintetica, ed
accertate le spese sostenute dal contribuente, quest’ultimo può conseguire la

Rassegna Tributaria 1/2021 - 173


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

non applicazione delle presunzioni legali di percezione di un maggior reddito


non dichiarato dimostrando che il finanziamento delle spese da lui sostenute è
avvenuto: 1) con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’impo-
sta; 2) con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o,
comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. In queste
categorie, espressamente indicate dalla legge, non rientra la disponibilità di un
reddito ulteriore non dichiarato che sia conseguenza della presunzione di
distribuzione del maggior reddito percepito in quanto partecipe di una società
di capitali avente ristretta base partecipativa. Il ricorso proposto
dall’Amministrazione finanziaria risulta pertanto fondato.
La correttezza di questa conclusione si afferma, invero, anche in
relazione al profilo della necessaria coerenza dell’ordinamento. La tesi
affermata dalla CTR comporterebbe, infatti, che in presenza dell’accerta-
mento della percezione di un maggior reddito dipendente da partecipa-
zione societaria e non dichiarato, il contribuente potrebbe avvalersi della
sua condotta illegale ed invocare proprio quel reddito quale causa di
inutilizzabilità dell’accertamento sintetico effettuato nei suoi confronti.
Appare soltanto opportuno ricordare ancora che i tributi dovuti dal contri-
buente, in relazione al maggior reddito conseguenziale accertato, non
emerge in atti che siano mai stati dichiarati dall’odierno ricorrente, o
richiesti dall’Amministrazione finanziaria, e tantomeno risulta che siano
stati versati.
2.2. In conclusione può esprimersi il seguente principio di diritto: “l’accerta-
mento di redditi percepiti dal contribuente e non dichiarati, conseguenziali
all’accertamento di maggiori redditi ottenuti da una società di capitali avente
ristretta base partecipativa, non è in grado di dimostrare una capacità di spesa
del contribuente idonea ad escludere l’applicabilità delle presunzioni derivanti
dall’accertamento sintetico del reddito, operato ai sensi del D.P.R. n. 600 del
1973, art. 38, c.d. “redditometro”, perché tali proventi non sono riconducibili alle
categorie dei redditi: diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta,
oppure esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque,
legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile, indicate dalla legge
come idonee ad escludere l’applicabilità della presunzione di conseguimento di
un maggior reddito ai fini dell’accertamento sintetico”.
3. Il ricorso proposto dall’Amministrazione finanziaria deve essere quindi
accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Veneto che
procederà a nuovo giudizio, nel rispetto dei principi esposti esaminando, se
del caso, anche le questioni ritenute assorbite (es. sanzioni), e provvederà pure
a regolare le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M. - La Corte accoglie, per quanto di ragione, il ricorso introdotto


dall’Agenzia delle Entrate, cassa la decisione impugnata e rinvia alla
Commissione tributaria regionale del Veneto perché, in diversa composizione,

174 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

proceda a rinnovare il giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, provve-
dendo anche a disciplinare le spese del giudizio di legittimità.

L’accertamento sintetico del reddito complessivo tra limitazioni alla


prova contraria, moltiplicazione delle basi imponibili e “necessaria
coerenza dell’ordinamento”

Estratto: Il commento alla sentenza in rassegna dimostra quanto siano importanti,


in materia tributaria, la visione d’insieme e la capacità di coordinamento degli atti
impositivi notificati al medesimo contribuente. Il commento intende altresì orien-
tare la riflessione sui cosiddetti metodi di accertamento, spiegando le ragioni per le
quali, nella pratica, il loro impiego non debba condurre a duplicazioni d’imposta.

Abstract: The commentary on the judgement in review proves how important, on


tax matters, the overall view and the combined interpretation of tax notices notified
to the same taxpayer are. The commentary also intends to guide the reflection on the
so-called tax assessment methods, explaining the reasons why, in practice, their use
must not bring to tax duplications.

SOMMARIO: 1. Inquadramento del problema - 2. L’equazione “spesa uguale red-


dito” e la prova contraria all’accertamento sintetico - 3. L’esigenza di coordinare gli
avvisi di accertamento notificati nello stesso periodo d’imposta allo stesso contri-
buente - 4. Qualche osservazione conclusiva, tra presupposto dell’accertamento
sintetico e diritto del contribuente alla prova contraria.

1. Inquadramento del problema - L’ordinanza affronta il caso di un contri-


buente al quale è stato notificato un avviso di accertamento sintetico.
Le questioni esaminate dalla Suprema Corte sono essenzialmente due e
possono essere sintetizzate nei termini che seguono:
a) se la prova contraria, come configurata dall’art. 38, comma 4, D.P.R.
n. 600/1973, possa essere offerta dal contribuente soltanto nei modi “nomi-
nati” dalla disposizione o se lo stesso contribuente possa fare riferimento
anche a situazioni non contemplate dalla legge; in altre parole, si tratta di
capire quanto sia vincolante il testuale richiamo alla disponibilità di redditi
tassati in annualità diverse da quella cui si riferisce l’atto impositivo, di
redditi tassati con imposte sostitutive o con ritenute alla fonte o di redditi
comunque esclusi, per legge, da IRPEF;
b) se, nel caso in cui si acceda all’interpretazione più ampia dell’art. 38 cit.
e più favorevole al contribuente, la prova contraria alla determinazione
sintetica del reddito complessivo possa essere offerta invocando l’esistenza
di disponibilità monetarie provenienti da un illecito tributario. Il lettore si
sarà reso conto, attraverso la lettura dell’ordinanza, che, per la stessa
annualità alla quale si riferisce l’accertamento sintetico, l’Amministrazione
finanziaria ha notificato anche un avviso di accertamento alla società della

Rassegna Tributaria 1/2021 - 175


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

quale il contribuente era socio di maggioranza. In ragione della ristretta base


partecipativa, il contribuente si è difeso invocando la presunzione di occulta
distribuzione di utili extracontabili: presunzione reputata idonea a provare la
disponibilità del denaro utilizzato per il sostenimento delle spese personali.
La soluzione proposta dall’ordinanza è tranchant e interamente curvata
sull’interpretazione letterale dell’art. 38 cit.: per la Suprema Corte, la prova
contraria può essere offerta soltanto con gli argomenti espressamente
individuati dalla disposizione. Ciò esclude, anche in virtù della “necessaria
coerenza dell’ordinamento”, che il contribuente possa invocare la propria
condotta illegale per smontare un’accusa di evasione basata sull’incon-
gruenza tra tenore di vita accertato e reddito dichiarato.
Ed ecco il principio di diritto:
“l’accertamento di redditi percepiti dal contribuente e non dichiarati,
consequenziali all’accertamento di maggiori redditi ottenuti da una società
di capitali avente ristretta base partecipativa, non è in grado di dimostrare
una capacità di spesa del contribuente idonea ad escludere l’applicabilità
delle presunzioni derivanti dall’accertamento sintetico (...) perché tali pro-
venti non sono riconducibili alle categorie dei redditi: diversi da quelli
posseduti nello stesso periodo d’imposta, oppure esenti o soggetti a ritenuta
alla fonte a titolo d’imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla forma-
zione della base imponibile, indicate dalla legge come idonee ad escludere
l’applicabilità della presunzione di conseguimento di un maggior reddito ai
fini dell’accertamento sintetico”.
C’è spazio per qualche osservazione critica.

2. L’equazione “spesa uguale reddito” e la prova contraria all’accertamento


sintetico - Lasciamo per un attimo in disparte l’enunciato normativo di cui
all’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 e cerchiamo di ragionare sull’avviso
di accertamento incentrato sull’applicazione del metodo sintetico.
Cerchiamo di capire quale potrebbe essere, in siffatto contesto, il senso
della prova contraria e proviamo poi a verificare, a valle, se la disposizione lo
abbia colto oppure se, per qualche ragione, lo abbia trascurato1.

1
Sull’avviso di accertamento con metodo sintetico e, segnatamente, sul tema della prova
contraria si vedano senza pretesa di esaustività: G. Tinelli, L’accertamento sintetico del reddito
complessivo nel sistema dell’IRPEF, Padova, 1993, passim; F. Tesauro, “L’accertamento sinte-
tico del reddito ed il redditometro”, in Boll. trib., 1986, pag. 954; F. De Simone - C. Leuci,
“L’accertamento sintetico e la prova contraria: profili problematici”, in Dir. prat. trib., 2001, I,
pag. 830; M. Basilavecchia, “Al contribuente non si chiede più solo di dichiarare”, in Corr. Trib.,
2002, pag. 2629; M. Basilavecchia, “Nuove procedure per l’accertamento sintetico?”, in Corr.
Trib., 2007, pag. 3120; M. Basilavecchia, “Il nuovo accertamento sintetico impone maggiore
rigore nella motivazione dell’atto”, in Corr. Trib., 2013, pag. 425; M. Basilavecchia, “Sui limiti
alla prova contraria nell’accertamento sintetico e redditometrico”, in GT - Riv. giur. trib., 2014,
pag. 593; E. M. Bagarotto, “L’accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 78/
2010”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 967; R. L. Corrado, “Gli accertamenti standardizzati. Parte
Quarta: l’accertamento sintetico, Rassegna di giurisprudenza”, in Dir. prat. trib., 2010, II, pag.

176 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Il punto di partenza è il seguente: l’accertamento sintetico si fonda su


una legge economica racchiusa in un’equazione. Si tratta dell’equazione
stando alla quale, in termini che reputiamo efficaci e facilmente compren-
sibili, una spesa può essere sostenuta a condizione che esista, a monte, un
reddito.
L’idea sottostante è proprio questa: non si spende più di quanto se ne
produca. Qualora il contribuente sia stato in grado di garantirsi un deter-
minato tenore di vita, sotto forma di consumi o di investimenti, si può
immaginare che esso sia stato finanziato attraverso l’impiego di denaro
giuridicamente riconducibile alla nozione di “reddito”. Stiamo parlando di
quella nozione che alcuni studiosi hanno identificato con l’espressione
“reddito consumato”, per distinguerla, appunto, dal “reddito prodotto” e
dal “reddito entrata”2.
Pertanto, si può dire che il metodo sintetico presuppone che il contri-
buente, il quale, in un certo periodo d’imposta, abbia consumato beni o
servizi o abbia effettuato investimenti, sia un soggetto che possiede un
reddito rilevante dal punto di vista degli adempimenti dichiarativi.
Nell’impianto ideologico dell’art. 38 cit., questa prospettazione è destinata
a reggere fino a quando lo stesso contribuente non dimostri che il denaro
impiegato ha, in realtà, un’origine diversa e del tutto estranea alle fattispecie
dell’evasione.
Il lettore avrà già intuito che con il richiamo a questa “diversa origine”
stiamo già spostando il ragionamento sul versante della prova contraria.
Detto altrimenti: l’equazione “spesa uguale reddito”, nel caso di spese che
sovrastino il reddito dichiarato, segnala una situazione di potenziale
infedeltà della dichiarazione. Tuttavia, questa patina d’infedeltà, in man-
canza di un serio confronto tra il Fisco e il contribuente, può reputarsi

939; R. L. Corrado, “Il contribuente può giustificare le spese per incrementi patrimoniali con
ogni mezzo di prova”, in Corr. Trib., 2017, pag. 128; A.M. Gaffuri, “I nuovi accertamenti di
tipo sintetico”, in Riv. trim. dir. trib., 2013, pag. 577; P. Accordino, “Notazioni in tema di
accertamento sintetico del reddito complessivo netto delle persone fisiche”, in Boll. trib.,
2014, pag. 790; P. Accordino, “Limiti e ambiti della prova contraria nell’accertamento
sintetico”, in Boll. trib., 2014, pag. 1424; N. Sartori (a cura di), “Avviso di accertamento:
‘provocatio ad opponendum’ e accertamento sintetico, rassegna di giurisprudenza nazio-
nale”, in Giur. it., 2016, pag. 1509; B. Aiudi, “L’accertamento sintetico e la prova contraria”,
in Boll. trib., 2019, pagg. 939-994; G. Andreani - G. Ferrara, “La prova contraria nel nuovo
accertamento sintetico”, in Corr. Trib., 2013, pag. 441; P. Antonini, “Prova contraria e
accertamento sintetico: una soluzione ancora lontana”, in GT - Riv. giur. trib., 2016, pag.
207; P. Antonini, “Il sintetico può essere vinto se l’investimento è finanziato con denaro
altrui”, in Corr. Trib., 2016, pag. 2197. In modo poco elegante rinviamo pure al nostro M.
Beghin, “Profili sistematici e questioni aperte in tema di accertamento ‘sintetico’ e ‘sintetico
redditometrico’”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 717.
2
A tal proposito, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Il sistema delle
imposte in Italia, Padova, 2018, pag. 4, con ulteriori riferimenti in dottrina e in particolare allo
scritto di L. Einaudi, Saggi sul risparmio e l’imposta, Torino, 1965, pagg. 1-158.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 177


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

ancora a un livello embrionale o interlocutorio: può essere in tutto o in parte


rimossa dimostrando che il denaro speso per i consumi o per gli investimenti
è estraneo al circuito dichiarativo. Per tale motivo, il contribuente può
spendere cifre consistenti senza trasformarsi in modo automatico in un
evasore.
È questa la chiave di lettura dell’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973: il
contribuente è tenuto a dimostrare che le disponibilità monetarie, le quali,
stando al parametro del reddito complessivo dichiarato ai fini dell’IRPEF,
gli hanno consentito di vivere al di sopra dei propri mezzi, sono in verità
disponibilità monetarie non sovrastate da obblighi dichiarativi: non lo sono
perché la legge non prevede che lo siano, quale diretta conseguenza del
principio costituzionale della riserva.
Per questa ragione, l’art. 38, comma 4, cit. è stato considerato dalla
dottrina3 e dalla giurisprudenza più attenta4 come una disposizione

3
D. Stevanato, Fondamenti di diritto tributario, Milano, 2019, pag. 276; S. Muleo,
“Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e oneri impliciti di documen-
tazione”, in Corr. Trib., n. 7/2011, pagg. 509-514; A.M. Gaffuri, “I nuovi accertamenti di tipo
sintetico”, in Riv. trim. dir. trib., disponibile nel sito on line dell’editore Giappichelli; M.
Basilavecchia, Sui limiti alla prova contraria nell’accertamento, cit., pag. 594; A. Modolo, “La
prova contraria all’accertamento sintetico tra nesso eziologico e compatibilità tra spese e
risorse prive di significanza reddituale”, in Riv. dir. trib., 2016, II, pag. 41 e spec. pag. 46,
dove l’Autore evidenzia come la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare 9 agosto 2007, n.
49/E abbia attribuito rilevanza a prove diverse da quelle nominate nell’art. 38 del D.P.R. n. 600/
1973; M.P. Protano, “L’attuazione del nuovo accertamento sintetico-redditometrico nella
dialettica dei rapporti fisco-contribuente”, in A. Contrino (a cura di), Il nuovo redditometro,
Milano, 2014, pag. 24.
4
Per conferma del principio generale, indipendentemente dall’esisto del singolo caso
affrontato dalla Suprema Corte, si veda, tra le più recenti: Cass. civ., Sez. trib., 8 ottobre 2020, n.
21700, in tema di smobilizzi patrimoniali eseguiti dal coniuge e versamenti a favore del
contribuente corrisposti dai genitori; Cass. civ. ord. 20 ottobre 2020, n. 22846, riguardante il
reddito del coniuge e il disinvestimento di titoli; Cass. civ. ord. 19 ottobre 2020, n. 22693, in
materia di disinvestimenti e permuta di beni (imbarcazioni); Cass. civ. ord. 8 ottobre 2020, n.
21671, in tema di proventi derivanti dalla vendita di un immobile; Cass. civ. ord. 29 settembre
2020, n. 20604, in relazione alla natura non reddituale delle somme utilizzate per gli investi-
menti, in quanto provenienti dal patrimonio dei familiari; Cass. civ. ord. 29 settembre 2020, n.
20663, in tema di erogazioni liberali; Cass. civ. 19 agosto 2020, n. 17326, con riferimento al caso
di disinvestimento di dossier titoli di cui la moglie del contribuente era contitolare; Cass. civ.
ord. 13 agosto 2020, n. 17041, in tema di provenienza della provvista idonea al sostenimento
delle spese da un soggetto terzo (nel caso di specie, il genero); Cass. civ. ord. 24 luglio 2020, n.
15899 e Cass. civ. ord. 29 maggio 2020, n. 10245, relativa all’operazione di disinvestimento di
beni (titoli); Cass. civ. ord. 22 luglio 2020, n. 15600, con riferimento al ricavato della liquida-
zione del contribuente e di titoli esenti da imposte; Cass. civ. ord. 22 maggio 2020, n. 9419, in
tema di simulate cessioni di beni a titolo oneroso (ergo donazioni); Cass. civ. ord. 15 maggio
2020, n. 9040, con riferimento alla circostanza che una parte del prezzo sia stata pagata dal
contribuente mediante accollo di debiti del venditore; Cass. civ. ord. 17 maggio 2020, n. 7381 e
Cass. civ. ord. 17 marzo 2020, n. 7382, relativamente all’esibizione di un contratto di mutuo;
Cass. civ. 12 febbraio 2020, n. 3390 e Cass. civ. 12 febbraio 2020, n. 3391, in tema di regalie da
parte di parenti ed amici.

178 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

meramente esemplificativa: una disposizione secondo la quale l’accerta-


mento sintetico del reddito complessivo è destinato ad implodere qualora il
contribuente dimostri che la provvista utilizzata per trastullarsi tra seconde
case, auto di lusso, Rolex e motociclette è, in verità, estranea alla dimensione
dichiarativa.
Quali sono pertanto le tipologie di ricchezza che non comportano
l’obbligo di dichiarazione e che tuttavia realizzano le condizioni economi-
che, e di riflesso anche tributarie, per consumare e investire?
La prima risposta ci viene data dall’enunciato normativo: si tratta dei
redditi che hanno trovato posto in dichiarazioni riguardanti periodi d’im-
posta diversi da quello cui si riferisce l’accertamento sintetico.
Deve trattarsi di annualità anteriori rispetto a quella della quale si sta
interessando l’Agenzia delle entrate, perché con il denaro di oggi si può
comperare il pane di domani, mentre è problematico il perfezionamento
dell’operazione contraria.
Si spiega così il contenuto dell’art. 38, comma 4, cit., nel punto in cui si
ritrova un puntuale - ancorché non esaustivo - riferimento a “redditi” che,
per una ragione o per un’altra, non devono entrare nella dichiarazione alla
quale si riferisce l’accertamento sintetico: redditi tassati con imposta sosti-
tutiva, con ritenute alla fonte a titolo definitivo oppure esclusi, per legge, da
IRPEF.
La seconda risposta può essere ricavata dalle considerazioni svolte più
in alto a proposito dell’equazione sottesa all’accertamento sintetico: il
contribuente può spendere il denaro del quale ha la disponibilità, anche
se privo di natura reddituale. Può trattarsi di disponibilità monetarie che
derivino da eredità, legati, donazioni, prestiti oppure di denaro proveniente
da coniugi, ex coniugi, figli, nipoti, nonni, bisnonni, amanti, amici o amiche.
A condizione, ovviamente, che tale provenienza possa essere dimostrata.
Il lettore che abbia seguìto fin qui il filo del nostro ragionamento avrà già
capito dove stiamo andando a parare: l’equazione “spesa uguale reddito”,
pilastro del percorso logico-ricostruttivo dell’“accertamento sintetico”5,
non è infallibile6. Al contribuente deve perciò essere garantita, nel rispetto

5
Sui metodi di accertamento cfr. A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, pag. 426
ss.; G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, 2020, pag. 335; R. Lupi, Metodi induttivi e
presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, passim; A. Carinci - T. Tassani, Manuale
di diritto tributario, Torino, 2019, pag. 266; S. La Rosa, “Metodi di accertamento e riforma
tributaria”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, I, pag. 246; S. La Rosa, “Alternatività dei ‘metodi’ di
accertamento alla luce delle recenti innovazioni legislative”, in C. Preziosi (a cura di), Il nuovo
accertamento tributario tra teoria e processo, Roma-Milano, 1996, pag. 20.
6
Bisogna avere il coraggio di dire che l’equazione “spesa uguale reddito” incarna una
discutibile semplificazione normativa. Sullo sfondo c’è l’idea, tutta da dimostrare, stando alla
quale al reddito complessivo esposto nella dichiarazione ai fini della determinazione dell’IRPEF
corrispondano, quali che siano le fonti di produzione, mezzi monetari utilizzabili per i consumi e
per gli investimenti personali. Ma questa non è necessariamente la realtà.Infatti, il reddito di
categoria, che ha alimentato il reddito complessivo, potrebbe esser stato quantificato in base alla

Rassegna Tributaria 1/2021 - 179


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

dell’art. 24 Cost., la possibilità di dimostrare che il finanziamento del tenore


di vita non è dipeso da un’infedele dichiarazione, bensì dalla disponibilità di
somme di denaro prive di natura reddituale e comunque sganciate dagli
obblighi dichiarativi. Pertanto, passa in secondo piano l’indagine sulla fonte
genetica delle suddette disponibilità monetarie: può trattarsi di redditi, in
armonia con quanto stabilito dall’art. 38, comma 4, cit. oppure può trattarsi
di disponibilità patrimoniali, se non anche di debiti. Quel che conta è che si
tratti di ricchezza che non doveva essere dichiarata.
Possiamo quindi abbozzare una prima conclusione a margine del prin-
cipio di diritto enunciato dall’ordinanza: l’interpretazione letterale dell’art.
38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973 può essere foriera di uno spiacevole effetto,
consistente nella conferma di avvisi di accertamento emessi a carico di
contribuenti che non sono responsabili di alcuna evasione fiscale e che, per
contro, si sono limitati a sostenere spese per consumi o per investimenti
mediante l’impiego di liquidità legalmente acquisita, ancorché priva della
specifica curvatura reddituale prevista dalla disposizione qui esaminata.
Questo effetto è uno sfregio al diritto e, soprattutto, un’aberrazione rispetto
ai princìpi che ruotano intorno alla giustizia tributaria.
Dobbiamo insistere. All’art. 38, comma 4, cit. non è stato affidato il
compito di limitare, quasi per una sorta di sterile auto-compiacimento
legislativo, lo spettro delle prove contrarie all’accertamento sintetico.
Quella disposizione rappresenta, invece, un baluardo contro atti impositivi
che contestino l’infedele (o l’omessa) dichiarazione mediante l’aziona-
mento, in chiave presuntiva, di un’equazione economica che è, per sua
natura, fallace. È fallace perché dissociata dalla realtà, dato che i contri-
buenti possono finanziare consumi e investimenti anche attingendo a
risorse che non necessariamente manifestano natura reddituale.

regola generale della competenza, tipica dei redditi d’impresa, oppure in base alle risultanze
catastali, strutturali nella determinazione dei redditi fondiari.
Con particolare riguardo al reddito d’impresa, non è possibile affermare che, per esempio,
fatto pari a 100 la cifra di riferimento, il contribuente abbia avuto la disponibilità, in
concreto, di mezzi monetari per 100. Infatti, il reddito non va confuso con la liquidità,
cosicchè quest’ultima può oscillare non tanto in ragione della maturazione dei crediti e
dell’emersione dei debiti, bensì in ragione degli incassi e dei pagamenti.
Per questo motivo, in un certo numero di casi, il contribuente, il quale intenda difendersi
dall’accertamento sintetico, è costretto a indugiare sui propri flussi di cassa e a produrre
all’Amministrazione finanziaria documentazione bancaria. Ciò significa che questa meto-
dologia accertativa, che presuppone la valorizzazione in chiave presuntiva dei consumi e
degli investimenti personali, rischia di declinare in un controllo di tipo bancario e finanzia-
rio. Sull’assetto presuntivo dell’accertamento sintetico e, in particolare, dell’accertamento
redditometrico, vedi F. Tesauro, “Dalle origini al nuovo accertamento sintetico e redditome-
trico: un’introduzione”, in A. Contrino (a cura di), Il nuovo redditometro, Milano, 2014, pag. 3
ss.; A. Contrino - A. Marcheselli, “Il ‘nuovo’ redditometro tra accertamenti standardizzati e
metodi induttivi: natura giuridica, oneri procedimentali e strategie difensive”, in A. Contrino,
Il nuovo redditometro, Milano, 2014, pag. 29 ss.

180 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

In breve, la disposizione sulla prova contraria all’accertamento sinte-


tico, nonostante la conformazione letterale apparentemente chiara ed esau-
stiva, serve ad evitare che l’equazione “spesa uguale reddito” si abbatta su
contribuenti innocenti, che non hanno sottratto alcuna materia imponibile
all’IRPEF e che, de plano, non hanno maturato alcun debito nei confronti
dell’erario.
Ne discende che, qualora l’Amministrazione finanziaria abbia impo-
stato su quell’equazione la linea di accusa, la prova contraria non potrà che
essere ampia, fino a coinvolgere qualsiasi situazione che declini nella
disponibilità di mezzi monetari estranei al circuito dichiarativo dell’IRPEF.
Ed eccoci così arrivati alla seconda questione, che qui di seguito ripro-
poniamo: la testa d’ariete da usare contro la determinazione sintetica del
reddito complessivo rilevante ai fini dell’IRPEF deve essere costituita da
denaro che il contribuente si sia legittimamente procurato o può essere
costituita anche da denaro generato da un fatto illecito?

3. L’esigenza di coordinare gli avvisi di accertamento notificati nello stesso


periodo d’imposta allo stesso contribuente - L’ordinanza ha fatto leva sul-
l’argomento della “necessaria coerenza dell’ordinamento” per sostenere che
il contribuente non possa sottrarsi all’accertamento sintetico invocando
l’esistenza di ricchezza in precedenza non dichiarata e non tassata.
Tuttavia, per rimanere sotto il cappello della coerenza, ci sembra di
poter aggiungere che l’ordinamento nemmeno dovrebbe consentire la mol-
tiplicazione delle basi imponibili e il conseguente sovradimensionamento
delle imposte dovute.
In effetti, questo pernicioso risultato può facilmente verificarsi in man-
canza di coordinamento tra gli atti impositivi che siano stati notificati, per la
stessa annualità, al medesimo contribuente: da una parte, quello con il quale il
Fisco manda a tassazione i dividendi distribuiti in modo occulto nel contesto
della ristretta base partecipativa; dall’altra, quello basato sul tenore di vita.
Per evitare fraintendimenti, il lettore cerchi di ragionare sul seguente
caso e ponga attenzione alla movimentazione del denaro.
L’ipotesi di lavoro potrebbe essere la seguente: a) la società partecipata
in via maggioritaria dal socio-persona fisica non registra proventi, poniamo,
per 100; b) la società distribuisce al socio il frutto dell’evasione, che è di
nuovo pari a 100; c) il socio spende il denaro ricevuto dalla società (100) e,
ovviamente, non dichiara nulla al Fisco; d) sulla base dell’accertamento
notificato alla società, l’Amministrazione finanziaria emette un avviso di
accertamento a carico del socio e recupera a tassazione il dividendo occul-
tato per 1007; e) in virtù dell’equazione “spesa uguale reddito”, il socio, in

7
L’esempio non considera che, dopo l’entrata in vigore della c.d. Riforma Tremonti, i
dividendi incassati da persone fisiche residenti sono stati in parte esclusi da IRPEF. Su questo
aspetto, peraltro, si veda infra nel testo.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 181


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

mancanza di una congrua dichiarazione tributaria, è raggiunto anche da un


secondo avviso di accertamento, questa volta incentrato sulle spese perso-
nali (tenore di vita), con determinazione di un reddito complessivo rilevante
ai fini dell’IRPEF pari a 100.
La duplicazione d’imposta è evidente perché al contribuente, che pos-
siede un reddito pari a 100, è richiesto il pagamento di imposte su un
ammontare di redditi pari a 200.
Il reddito tassato in virtù dell’accertamento analitico attraverso il primo
atto impositivo corrisponde esattamente al reddito tassato con metodo
sintetico attraverso il secondo atto impositivo: l’uno si specchia nell’altro,
con l’effetto moltiplicatore del quale abbiamo detto sopra. È chiaro come,
così facendo, l’amministrazione arrivi due volte sullo stesso obiettivo,
ancorché attraverso percorsi argomentativi differenti.
Ed è proprio questo il punto: i percorsi argomentativi o logico-ricostrut-
tivi finalizzati all’accertamento del presupposto del tributo possono essere
molteplici nello sviluppo della teoria generale, che ha il compito di descri-
verli e di sistematizzarli; devono tuttavia essere alternativi nella pratica,
qualora entrino a far parte, in concreto, di un provvedimento impositivo.
Infatti, l’esempio qui sopra tratteggiato dimostra come il simultaneo
impiego dell’accertamento analitico e dell’accertamento sintetico per la
stessa annualità declini in una doppia imposizione vietata dall’art. 163
T.U.I.R. e dall’art. 67 D.P.R. n. 600/1973. Il che ci porta a riconoscere
l’illegittimità del secondo avviso di accertamento (quello argomentato
sulla base del metodo sintetico), perché quest’ultimo atto va a tassare
ricchezza che è già stata colpita, a monte, con l’accertamento analitico
(nel nostro caso, l’accertamento che ha riguardato i dividendi).
Per questa ragione, è fondamentale stabilire se al contribuente sia stato
per davvero notificato l’atto impositivo basato sulla ristretta base parteci-
pativa. Se quest’ultimo accertamento c’è e se al contribuente è stata richiesta
l’imposta evasa, lo stesso contribuente non può essere tassato una seconda
volta sotto la bandiera dell’abnorme tenore di vita. Se invece l’accertamento
concernente i dividendi non è mai stato notificato, l’accertamento sintetico
ha un fondamento perché, come si può evincere ancora dall’esempio pro-
spettato più in alto, il reddito complessivo di 100 si sovrappone al dividendo,
pure questo pari a 100, e finisce per incorporarlo.
Le osservazioni sin qui svolte possono spiegare il passo dell’ordinanza
che, per comodità del lettore, qui di seguito riproduciamo: “appare soltanto
opportuno ricordare ancora che i tributi dovuti dal contribuente, in rela-
zione al maggior reddito conseguenziale accertato, non emerge in atti che
siano mai stati dichiarati dall’odierno ricorrente, o richiesti
dall’Amministrazione finanziaria, e tanto meno risulta che sino stati
versati”.

182 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

La Corte si preoccupa della tassazione dei dividendi e l’intuizione è


corretta, anche se essa avrebbe potuto meglio coordinarsi con il principio
di diritto.
La Corte ci sta dicendo che la tassazione che è mancata in un primo
tempo, con riguardo ai dividendi, può verificarsi in un secondo tempo,
quando i frutti dell’evasione siano stati impiegati per i consumi o per gli
investimenti personali del contribuente. Se però la prima tassazione c’è
stata, la seconda è fuori bersaglio.
Oltretutto l’ordinanza incappa in una non del tutto insignificante svista
tecnica perché non considera che nel 2004, all’indomani della c.d. Riforma
Tremonti, i dividendi avevano assunto consistenza fiscale soltanto per una
parte del loro ammontare (il 40%), mentre la parte residua (il 60%) era
esclusa da imposizione. Era esclusa per legge, proprio com’è richiesto
dall’art. 38, comma 4, D.P.R. n. 600/1973.
Ciò significa che se l’accertamento relativo ai dividendi derivanti dalla
ristretta base partecipativa ha recuperato a tassazione - come avrebbe
dovuto - solamente il 40% dei maggiori utili accertati in testa alla società,
la capacità di spesa del contribuente/socio avrebbe dovuto considerarsi di
gran lunga superiore, perché quest’ultimo soggetto avrebbe potuto disporre
anche di somme di denaro inequivocabilmente estranee al circuito
dichiarativo.

4. Qualche osservazione conclusiva, tra presupposto dell’accertamento


sintetico e diritto del contribuente alla prova contraria - A questo punto, il
principio di diritto formulato nell’ordinanza potrebbe essere ulteriormente
approfondito, lasciando spazio ad un’ultima riflessione che tenga conto
delle particolarità del caso concreto.
Il lettore si sarà accorto che l’avviso di accertamento notificato alla
società riguarda la stessa annualità per la quale è stato formato l’accerta-
mento sintetico (2004). Perciò anche i dividendi si presumono distribuiti in
quel periodo, perché è proprio questa è la prassi dell’Agenzia delle entrate.
Crediamo si possa sostenere che, se questi dividendi sono stati tassati in
capo al socio attraverso il provvedimento impositivo basato sulla ristretta
base partecipativa, non c’è differenza rispetto ai dividendi che, ipotetica-
mente, il contribuente avrebbe potuto esporre, sin dall’origine, nella propria
dichiarazione. In entrambi i casi quei proventi finiscono per scontare
l’imposta prevista per legge; in entrambi i casi quei proventi entrano a far
parte del patrimonio conoscitivo dell’Agenzia delle entrate; in entrambi i
casi, infine, entrano nel circuito dichiarativo, ora attraverso l’auto-accerta-
mento dello stesso contribuente, ora attraverso l’atto amministrativo
dell’Agenzia delle entrate.
Possiamo pertanto ritenere che il primo avviso di accertamento notifi-
cato al socio per mandare a tassazione gli utili distribuiti dalla società a
ristretta base partecipativa possa esprimere, in luogo della dichiarazione

Rassegna Tributaria 1/2021 - 183


M. BEGHIN - ACCERTAMENTO SINTETICO

oramai rettificata, l’intera capacità di spesa del contribuente. Ciò perché si


tratta di un accertamento che, per l’appunto, ha corretto quella
dichiarazione8.
Per conseguenza, quando il Fisco compone l’accertamento sintetico, in
equilibrio sull’equazione “spesa uguale reddito”, deve tener conto che la
disponibilità monetaria da mettere a confronto con il tenore di vita non è più
quella espressa dalla dichiarazione originaria, bensì quella emergente dalla
dichiarazione rettificata.
Non sembra del tutto esatto, quindi, condurre il ragionamento sul piano
della prova contraria, come si evince dal principio di diritto tratteggiato
nell’ordinanza. Semmai c’è da riflettere a monte, sui presupposti dell’accer-
tamento, perché tutti sanno che il metodo sintetico può essere impiegato
soltanto se l’ammontare delle spese supera l’ammontare del reddito, tenuto
conto della franchigia. In altre parole, è richiesta un’incongruenza tra il
reddito dichiarato e il reddito consumato. Ma fin qui non si parla ancora di
prova contraria.
A diverse conclusioni saremmo giunti qualora i dividendi fossero stati
distribuiti in modo occulto nelle annualità precedenti rispetto a quella cui si
riferisce l’accertamento sintetico. Infatti, in questa ipotesi la dichiarazione
del periodo d’imposta interessato dall’accertamento sintetico non sarebbe
stata rettificata e non ci sarebbero stati incrementi dei mezzi monetari a
disposizione del contribuente. In questa eventualità, si pone il problema
della prova contraria.
Il diritto, come del resto la vita, può essere ricco di sorprese. Le leggi
tributarie hanno raggiunto, insieme ad un elevatissimo grado di tecnicismo
e di complessità, anche un impareggiabile livello di contraddittorietà e di
lacunosità, tale per cui i contribuenti possono incappare - per una ragione,
per un’altra e finanche in modo involontario - in una evasione.
Non c’è dubbio che, mercé l’evasione, quei contribuenti possano preco-
stituirsi le condizioni per spendere denaro e per garantirsi un certo tenore di
vita.
L’argomento della “necessaria coerenza dell’ordinamento” è pertanto
comprensibile, ma avrebbe richiesto una declinazione più precisa9.
Se con l’espressione “ordinamento” l’ordinanza ha inteso riferirsi
all’“ordinamento tributario”, noi crediamo che a questo insieme di norme
sia stata affidata una funzione molto precisa, che mal si attaglia ad esigenze

8
D. Stevanato, Manuale, cit., pag. 268; A. Carinci - T. Tassani, Manuale, cit., pag. 266. Sulla
identità di efficacia della dichiarazione dell’obbligato d’imposta e dell’atto d’imposizione
dell’Ufficio cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, 2020, pag. 360.
9
La lettura sul tema è sterminata, come dimostra F. Modugno, “Ordinamento giuridico
(dottrine)”, in Enc.dir., XXX, Milano, 1980, ad vocem. Per un primo inquadramento del tema, L.
Paladin, Diritto costituzionale, Padova, 1991, pag. 3 ss. con particolare riferimento alla conce-
zione istituzionalistica di Santi Romano e alla concezione dei normativisti come Hans Kelsen.
Si veda anche R. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, Torino, 2016, XXV dell’introduzione.

184 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

etiche, pedagogiche o puramente sanzionatorie: il diritto tributario mira in


effetti all’individuazione della ricchezza, alla sua determinazione e alla
conseguente tassazione10. Funzione, questa, che deve essere esercitata nel
rispetto dei principi di giustizia tributaria, tra i quali rammentiamo il
principio di uguaglianza e di capacità contributiva11. Anche qui si richiede
coerenza, perché è proprio da questi princìpi che deriva la regola, poi
incorporata nell’art. 163 T.U.I.R. e nell’art. 67 D.P.R. n. 600/1973, del divieto
di doppia imposizione.
Pertanto, crediamo si possa sostenere che il contribuente reo di evasione
tributaria, il quale sia stato raggiunto da un provvedimento impositivo e
abbia versato il corrispondente tributo, abbia estinto il proprio debito nei
riguardi della collettività. A questo punto, non si vede per quale ragione
quella ricchezza, sulla quale l’imposta è già stata prelevata a beneficio della
collettività, non possa essere impiegata per mantenere un determinato
tenore di vita. Ciò senza il timore che, sotto la bandiera di una non del
tutto esplicitata “coerenza dell’ordinamento”, si pretenda nuovamente il
versamento dell’imposta.
In conclusione, qualora l’evasione sia stata accertata (come sembra sia
avvenuto nel caso in esame, stando al principio di diritto fissato dall’ordi-
nanza) o sanata (come potrebbe accadere nel caso dei condoni o degli scudi
fiscali), non v’è ragione per impedire alla corrispondente ricchezza di
riemergere e di essere utilizzata in piena trasparenza, ancorché si tratti di
osteggiare la determinazione sintetica del reddito complessivo rilevante ai
fini dell’IRPEF.
MAURO BEGHIN

10
Sul profilo funzionale del diritto tributario cfr. R.Lupi, Diritto amministrativo dei
tributi, Roma, 2017, pag. 9 e ss.
11
Ci limitiamo a richiamare G. Falsitta, “Considerazioni conclusive”, in M. Beghin - F.
Moschetti - R. Schiavolin - L. Tosi - G. Zizzo, Studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012,
pag. 271 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 185


SANZIONI

3 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., sentenza n. 21694 dell’8 ottobre


2020 - Pres. Virgilio - Rel. Fuochi Tinarelli (stralcio)

SANZIONI AMMINISTRATIVE - Ius superveniens più favorevole -


Applicazione della norma successiva - Dimostrazione del trattamento
sanzionatorio - Necessità - Sanzione irrogata compresa tra la misura
minima e massima prevista dalla nuova norma - Ius superveniens -
Esclusione

La mera deduzione di uno ius superveniens più favorevole, senza alcuna altra
precisazione con riferimento al caso concreto, non consente l’immediata
applicazione della norma successiva, a ciò ostandovi la necessità di dimostrare
che la novella legislativa preveda un trattamento sanzionatorio complessiva-
mente più favorevole. Non trova applicazione lo ius superveniens quando la
sanzione irrogata è ricompresa tra la misura minima e massima prevista dalla
nuova norma.

FATTI DI CAUSA - L’Agenzia delle entrate di Latina emetteva nei con-


fronti di F.T., artista e cantante, avviso di accertamento, con cui, in relazione
all’omessa presentazione delle dichiarazioni per Iva, Irpef e Irap per l’anno
2007, recuperava le imposte dovute e non versate ed irrogava le conse-
guenti sanzioni. L’Amministrazione finanziaria riteneva che il formale tra-
sferimento della residenza nel Regno Unito, operato nel corso del 2006 dal
contribuente, fosse in realtà fittizio, sicché il medesimo era soggetto all’im-
posizione fiscale italiana.
Con ricorso il contribuente deduceva l’incompetenza dell’Agenzia proce-
dente, l’illegittimità e l’infondatezza della pretesa e, in ogni caso, l’inapplicabilità
delle sanzioni.
L’impugnazione era rigettata dalla CTP di Latina; la sentenza era confer-
mata dal giudice d’appello.
F.T. propone ricorso per cassazione con ventinove articolati motivi, chie-
dendo, in subordine, rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia ex art. 267 TFUE.
L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
Il contribuente deposita altresì memoria illustrativa, con la quale propone
ulteriori questioni, e sentenza penale irrevocabile di assoluzione emessa dal
Tribunale di Latina.

RAGIONI DELLA DECISIONE - (Omissis)


34. Il punto 20 della memoria, infine, chiede l’applicazione dello ius super-
veniens recato dal D.Lgs. n. 158 del 2015, art. 15 quanto alle sanzioni irrogate.

186 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Deduce il contribuente che l’Ufficio ha applicato sanzioni - per omessa


dichiarazione agli effetti Irpef, e relative addizionali, e omessa fatturazione agli
effetti Iva - con un aumento del 50% della misura del minimo edittale in
considerazione della personalità dell’autore, con applicazione del cumulo giu-
ridico, reputando, alla luce di quanto già irrogato nel precedente periodo
d’imposta, come sanzione più grave quella per l’infedele dichiarazione Ires,
aumentata del 50% rispetto alla misura minima. Per l’irregolare tenuta delle
scritture contabili, infine, la sanzione irrogata è stata di Euro 1.548,00.
Rileva, pertanto, che essendo stati, con la novella del 2015, ridotti i para-
metri edittali (passati da un importo ricompreso tra il 100% al 200% ad un
importo tra il 90% al 180%, mentre, in ordine all’irregolare tenuta della
contabilità, il minimo edittale è passato da Euro 1.032,00 a Euro 1.000,00), il
nuovo regime è più favorevole.
34.1. Giova premettere che la mera affermazione di uno ius superveniens
più favorevole non consente di operare sic et simpliciter la trasformazione della
sanzione irrogata in sanzione illegale (da ultimo v. Cass. n. 31062 del 30/11/
2018; Cass. n. 29046 del 11/11/2019).
Invero, ove la sanzione sia stata fissata nel minimo edittale e la stessa
determinazione a fondamento del provvedimento di irrogazione della sanzione
sia mirata, in ipotesi, sulla lieve offensività del fatto o su altri elementi tali da ancorare
il quantum irrogato sul livello minimo rispetto alla previsione edittale, può ritenersi
idonea la mera allegazione della minimalità della condotta a fronte di una variazione
dei minimi edittali e di una parallela già operata omologa valutazione.
34.2. Nella diversa ipotesi nella quale, invece, la determinazione della
sanzione sia stata in concreto operata in un livello intermedio, con specifica e
puntuale indicazione degli elementi valutativi e di fatto posti a suo fondamento, e
- va aggiunto - la sanzione continui a collocarsi all’interno dell’ambito modificato
dei parametri, occorre la specifica deduzione dell’applicabilità in concreto
(avuto riguardo agli elementi considerati nel provvedimento sanzionatorio,
alle specifiche condizioni esistenti, alla rilevanza della condotta e agli ulteriori
elementi di fatto pertinenti alla gravità della violazione) di una sanzione tributaria
inferiore rispetto a quella applicata.
34.3. Il ricorrente, per contro, si è limitato sul punto ad affermare che
l’importo è stato stabilito con un “aumento del 50% del minimo edittale in
considerazione della personalità dell’autore della violazione” e che, per una
violazione, la novella è intervenuta con un abbassamento del minimo.
In realtà, il provvedimento non ha determinato le sanzioni con un meccani-
smo di aumento percentuale riferito al minimo edittale ma ne ha stabilito
direttamente l’ammontare tra il minimo ed il massimo: per talune violazione
l’entità è stata rapportata ad un valore incrementale (non del minimo edittale ma)
dell’imposta evasa, mentre per l’irregolare tenuta della contabilità la sanzione è
stata fissata in una misura sopra il minimo (Euro 1.548,00 a fronte di parametri
edittali da Euro 1.032,00 ad Euro 7.746,00) a prescindere da un riscontro
meramente percentuale.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 187


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

La concreta determinazione del quantum delle sanzioni, inoltre, ha preso in


esplicita considerazione una pluralità di elementi specifici (la natura dolosa del
comportamento, ampiamente delineata nella motivazione dell’avviso; l’as-
senza di condotte intese ad eliminare gli effetti della condotta evasiva; l’elevato
livello economico e culturale del contribuente “personaggio famoso nel mondo
della musica”, pertanto in possesso degli “strumenti necessari per valutare la
giustezza di un determinato comportamento”, il quale, “essendo la sua condotta
“pubblica”, ha, rispetto ad altri contribuenti, maggiormente l’onere di una con-
dotta etica”), in alcun modo contrastati.
34.4. Ne deriva che deve escludersi che la mera deduzione di uno ius
superveniens più favorevole, senza alcuna altra precisazione con riferimento
al caso concreto, sia tale da imporre il rinvio della causa al giudice di merito, a ciò
ostandovi non soltanto il principio di necessaria specificità dei motivi di ricorso in
cassazione, ma anche e soprattutto il principio costituzionale di ragionevole
durata del processo, di cui all’art. 111 Cost. (Cass. n. 20141 del 07/10/2016).
35. In conclusione, va accolto il ventitreesimo motivo nei termini di cui in
motivazione, rigettati i motivi dal primo al quarto, il nono e il decimo, il dodice-
simo, il tredicesimo, il ventiquattresimo, il venticinquesimo e dal ventisettesimo
al ventinovesimo, nonché il punto 18 della memoria ex art. 378 c.p.c., inammis-
sibili tutti i restanti, ivi incluse le ulteriori questioni sollevate con la memoria ex
art. 378 c.p.c.
In relazione alla doglianza accolta, la sentenza va cassata nei termini e limiti
di cui in motivazione; non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, va
accolto, nei medesimi limiti, l’originario ricorso del contribuente.
La complessità delle questioni, parte delle quali inedite, giustifica la com-
pensazione delle spese dell’intero giudizio, per ogni fase e grado.

P.Q.M. - La Corte accoglie il ventitreesimo motivo di ricorso nei termini e limiti


di cui in motivazione; rigetta i motivi dal primo al quarto, il nono e il decimo, il
dodicesimo, il tredicesimo, il ventiquattresimo, il venticinquesimo e dal venti-
settesimo al ventinovesimo, nonché il punto 18 della memoria ex art. 378 c.p.c.;
dichiara inammissibili gli altri, ivi incluse le restanti questioni sollevate con la
memoria ex art. 378 c.p.c. In relazione al motivo accolto cassa la sentenza
impugnata nei limiti di cui in motivazione e, decidendo nel merito, accoglie
l’originario ricorso del contribuente negli stessi limiti.
Compensa integralmente le spese dell’intero giudizio, per ogni fase e grado.

Ius superveniens, lex mitior e criteri di determinazione delle sanzioni:


dalla Cassazione una interpretazione rigorista

Estratto: È condivisibile la tesi della Corte di Cassazione, secondo cui l’applicazione


dello ius superveniens più favorevole all’autore della violazione è subordinata alla
dimostrazione che la norma successiva preveda, con specifico riferimento al caso

188 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

concreto, un trattamento sanzionatorio complessivamente meno oneroso. Non è da


condividere né l’esclusione dello ius superveniens più favorevole, nel caso in cui la
sanzione irrogata si collochi tra le misure minima e massima fissate dalla nuova
norma, né la rilevanza attribuita alla notorietà dell’autore della violazione ai fini
della determinazione della sanzione.

Abstract: We can agree with the thesis of the Court of Cassation, according to which
the application of the ius superveniens more favorable to the perpetrator of the violation
is subject to the demonstration that the subsequent provision provides, with specific
reference to the specific case, an overall less onerous sanctioning treatment. Neither the
exclusion of the more favorable ius superveniens, in the event that the sanction imposed
falls between the minimum and maximum measures established by the new law, nor
the importance attributed to the notoriety of the author of the violation for the purposes
of determination of the sanction can be considered correct.

SOMMARIO: 1. Le conclusioni della sentenza in commento - 2. Ius superveniens e


favor rei: limiti all’applicabilità della norma sopravvenuta più favorevole nella
determinazione della sanzione amministrativa tributaria - 3. L’applicazione della
lex mitior nella sentenza in commento - 4. Criteri di determinazione delle sanzioni e
condotta “etica” del contribuente - 5. Considerazioni conclusive.

1. Le conclusioni della sentenza in commento - Con la sentenza n. 21694 del


17 gennaio 2020, depositata l’8 ottobre 2020, la Sezione V della Corte di
cassazione si è pronunziata sul ricorso per cassazione proposto da un noto
cantante italiano avverso la pronunzia della Commissione tributaria regio-
nale del Lazio, Sez. staccata di Latina, n. 206/39/14 depositata il 21 gennaio
2014.
La sentenza, molto estesa1, affronta una molteplicità di profili di impu-
gnazione, scaturenti dalla particolare natura della fattispecie oggetto di
giudizio. Al ricorrente, infatti, l’Agenzia delle entrate di Latina, con l’avviso
di accertamento dal quale scaturisce la controversia, contestava, con rife-
rimento all’anno 2007, il fittizio trasferimento della residenza fiscale in un
altro Paese allora appartenente all’Unione Europea; secondo l’Ufficio, il
contribuente doveva essere considerato, nell’anno oggetto di accertamento,
residente nel territorio dello Stato.
La sentenza si presta, com’è evidente, a parecchi spunti di commento,
tenuto conto della molteplicità dei profili affrontati dai giudici di legittimità.
Non è questa la sede per richiamare i vari profili di illegittimità ed
infondatezza della sentenza impugnata dal contribuente, sulla quale si
pronunziano i giudici di legittimità2. Nella presente nota l’attenzione sarà
1
La sentenza in commento consta di 35 paragrafi per un totale di 59 pagine.
2
Tra gli altri, si segnalano le interessantissime considerazioni formulate dalla Corte al
punto 30.9 e seguenti in tema di rilevanza della sentenza penale di assoluzione ai fini dell’ap-
plicazione delle sanzioni amministrative tributarie, e specificamente il principio, enucleato al
paragrafo 30.10, secondo il quale “la sentenza penale irrevocabile di assoluzione con la formula

Rassegna Tributaria 1/2021 - 189


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

rivolta al paragrafo 34 e successivi della sentenza, in cui la Corte di cassa-


zione, con un ragionamento articolato in quattro sottoparagrafi, affronta
due distinti profili di impugnazione aventi ad oggetto l’irrogazione delle
sanzioni amministrative tributarie.
In particolare, la Suprema Corte si pronunzia in ordine alla questione
relativa ai concreti limiti di applicazione dello ius superveniens nella deter-
minazione della sanzione amministrativa tributaria, qualora la norma
sopravvenuta contenga una disciplina più favorevole di quella in vigore al
momento del compimento della violazione. Inoltre, incidentalmente, la
Corte si pronuncia sulla legittimità dell’utilizzo, ai fini della determinazione
delle sanzioni da irrogare, di alcuni elementi attinenti alla condizione
sociale del contribuente.
La sentenza, con riferimento alla problematica inerente allo ius super-
veniens, pone dei limiti ben precisi. In particolare, il collegio giudicante
esclude l’applicabilità della norma sanzionatoria più favorevole qualora la
determinazione della sanzione sia stata effettuata “con specifica e puntuale
indicazione degli elementi valutativi e di fatto posti a suo fondamento” e,
comunque, “la sanzione continui a collocarsi all’interno” dell’intervallo tra il
valore minimo e quello massimo determinati secondo la normativa più
favorevole3. Inoltre, nella sentenza, seppur incidentalmente, sono richia-
mati alcuni elementi sulla base dei quali è stata determinata la sanzione
amministrativa (“l’elevato livello economico e culturale del contribuente
‘personaggio famoso nel mondo della musica’, pertanto in possesso degli
‘strumenti necessari per valutare la giustezza di un determinato comporta-
mento’, il quale, ‘essendo la sua condotta ‘pubblica’, ha, rispetto ad altri
contribuenti, maggiormente l’onere di una condotta etica’”) e ai quali la
Corte attribuisce rilevanza4. Tale ultimo profilo, sebbene affrontato dalla
Cassazione solo in via incidentale, ha richiamato l’attenzione della stampa
non specializzata, anche per la eccezionale notorietà del contribuente5.
I profili esaminati dalla Cassazione appaiono di particolare interesse e
sono meritevoli di un’attenta analisi. Nella presente nota saranno trattate le

‘perché il fatto non sussiste’ determina l’ineseguibilità definitiva della sanzione, ferma la
necessità di valutare l’identità del ‘fatto’ in relazione agli elementi costitutivi vuoi dell’illecito
amministrativo tributario vuoi di quello penale; il relativo accertamento di fatto va operato,
in concreto, nel giudizio avente ad oggetto l’eventuale riscossione avviata dall’Ufficio”. Si
tratta di un assunto sicuramente meritevole di approfondimento. Sul profilo del ne bis in
idem, senza pretesa di esaustività, si rinvia a A. Giovannini, “Il principio del ne bis in idem
sostanziale”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag.
1265.
3
Cfr. pag. 57, paragrafo 34.2, della sentenza.
4
Cfr. pagg. 57 e 58, paragrafo 34.3, della sentenza.
5
A titolo di esempio, la rilevanza di tali elementi ai fini della determinazione delle sanzioni
è stata oggetto di specifici articoli su quotidiani a rilevanza nazionale, quali La Repubblica del
10 ottobre 2020 a firma di C. Pistilli e Il Sole - 24 Ore on line dell’8 ottobre 2020 a firma di P.
Maciocchi.

190 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

tematiche attinenti ai limiti di applicazione della norma sanzionatoria più


favorevole intervenuta dopo l’irrogazione della sanzione amministrativa.
Inoltre, sarà esaminata la disciplina relativa ai criteri di determinazione
delle sanzioni amministrative, anche al fine di valutare se gli elementi
richiamati nella sentenza in commento possano invero assumere rilevanza
nell’applicazione della sanzione.

2. Ius superveniens e favor rei: limiti all’applicabilità della norma


sopravvenuta più favorevole nella determinazione della sanzione
amministrativa tributaria - I principi generali in tema di irrogazione delle
sanzioni amministrative tributarie sono contenuti nel D.Lgs. n. 472 del 18
dicembre 1997, emanato in dipendenza della delega contenuta nell’art. 3,
comma 133, della Legge 23 dicembre 1996, n. 6626.
Come esposto in precedenza, la Corte di cassazione, nella sentenza in
commento, al paragrafo 34 e seguenti, si è occupata dell’applicazione della
Legge sanzionatoria posteriore, ritenuta dal contribuente più favorevole
rispetto a quella in vigore al momento della commissione della violazione. In
particolare, la Corte ha escluso che, nel caso di specie, l’intervenuta novella
contenuta nel D.Lgs. n. 158/20157 comportasse l’applicazione della nuova
legge che è ritenuta più favorevole dal contribuente.
Appare opportuno rilevare che, a fronte della circostanza che il
contribuente “si è limitato sul punto ad affermare che l’importo è
stato stabilito con un ‘aumento del 50% del minimo edittale in consi-
derazione della personalità dell’autore della violazione’ e che, per una
violazione, la novella è intervenuta con un abbassamento del minimo”,
la Cassazione, nella sentenza in commento, sostiene che quando, come
nel caso di specie “la determinazione della sanzione sia stata in con-
creto operata in un livello intermedio, con specifica e puntuale indica-
zione degli elementi valutativi e di fatto posti a suo fondamento, e - va
aggiunto - la sanzione continui a collocarsi all’interno dell’ambito
modificato dei parametri, occorre la specifica deduzione
dell’applicabilità in concreto (avuto riguardo agli elementi considerati

6
Per un esame completo dei principi in tema di sanzioni tributarie, sia con riferimento
alla disciplina del D.Lgs. n. 472/1997, che a quella previgente, si rinvia, senza pretesa di
esaustività, a R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020; AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle
sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM,
Padova, 2000; AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, a cura di G. Tabet,
Giappichelli, Torino, 2000; R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni
amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 328; L. Del Federico, Le sanzioni
amministrative nel diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1993; R. Cordeiro Guerra, Illecito tribu-
tario e sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1996.
7
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, emanato in attuazione della delega contenuta all’art. 8
della Legge 11 marzo 2014, n. 23.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 191


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

nel provvedimento sanzionatorio, alle specifiche condizioni esistenti,


alla rilevanza della condotta e agli ulteriori elementi di fatto pertinenti
alla gravità della violazione) di una sanzione tributaria inferiore
rispetto a quella applicata”.
L’assunto della Suprema Corte si presta ad alcune considerazioni sul
principio secondo il quale va applicata la Legge sanzionatoria amministra-
tiva tributaria che si assume più favorevole.
Per quanto di interesse, l’art. 38, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997,
disciplina l’applicazione del c.d. favor rei nell’ipotesi di modifiche della
normativa sanzionatoria in misura più favorevole al contribuente, avvenute
successivamente alla commissione delle violazioni9. Tale comma così
dispone: “se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la
violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si
applica la legge più favorevole, salvo che il provvedimento di irrogazione sia
divenuto definitivo”.
La norma in commento, superando il principio di ultrattività della norma
sanzionatoria tributaria10 anche dopo la sua abrogazione o reformatio in
melius, recepisce, con alcuni correttivi11, il principio penalistico12 dettato

8
L’art. 3 nel suo complesso è dedicato, come risulta anche dalla rubrica, al “principio di
legalità”.
9
L’art. 3, del D.Lgs. n. 472/1997, ai primi due commi, prevede che “Nessuno può essere
assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione
della violazione.
Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto
che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata
irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa
ripetizione di quanto pagato”.
10
Il testo dell’art. 20 della Legge n. 4 del 7 gennaio 1929 era il seguente: “Le disposizioni
penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si
applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni
medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”. Per un esame di tale
principio, nella vigenza della Legge n. 4/1929, si rinvia a L. Del Federico, Le sanzioni ammini-
strative nel diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1993, pag. 109; M. Di Siena, “Abolitio del tributo e
punibilità amministrativa”, in questa Rivista, n. 4/2006, pag. 1324.
11
Come rilevato da R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 40, nel sistema delle sanzioni amministrative tribu-
tarie “il legislatore ha realizzato modifiche sostanziali non sempre pienamente coerenti con le
finalità e gli strumenti di matrice penalistica”. Si veda anche D. Coppa, “Questioni attuali in
tema di sanzioni amministrative”, in questa Rivista, n. 4/2016, pag. 1024, in cui si afferma che
“la singolarità di talune previsioni normative nella disciplina dell’illecito amministrativo
tributario ha finito col privare la sanzione delle sue naturali funzioni, deterrente e punitiva,
spingendo il legislatore ad apportare frequenti modifiche, non sempre idonee in relazione alle
finalità perseguite”. Cfr. altresì G. Ragucci, “La riforma delle sanzioni amministrative tribu-
tarie”, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, CEDAM, Padova, 2019, pag. 1549
nonché F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Milano, Utet, 2011, pag. 310.
12
Diversamente da quanto stabilito dall’art. 1 della Legge n. 689 del 21 novembre 1981.

192 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

dall’art. 2, comma 4, c.p.13, secondo il quale, in caso di successione di leggi


modificative, deve essere applicata retroattivamente la legge più favorevole14.
Tale principio sembra trovare la propria ratio in quello che sancisce la
parità sostanziale di trattamento di cui all’art. 3 della Costituzione, anche se
appare tuttavia necessario ricordare che, in vigenza della precedente nor-
mativa, la Corte costituzionale, con sentenza n. 6 del 16 gennaio 1978, ha
negato che il principio del favor rei trovi il suo fondamento nella
Costituzione15. Né sembra potersi utilmente richiamare la previsione di
cui all’art. 6, comma 2, del Trattato istitutivo dell’Unione Europea che
assicura il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo garantiti dalle tradi-
zioni costituzionali comuni degli Stati membri, tra i quali tuttavia non
rientra, secondo la Cassazione, il principio di retroattività della legge penale
più favorevole, poiché il valore da essa tutelato può essere sacrificato da una
legge ordinaria in favore di interessi di analogo rilievo (quali, ad esempio,
quelli dell’efficienza del processo e della salvaguardia dei diritti dei soggetti
che in vario modo sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli
che coinvolgono esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valori
costituzionali di rilievo primario)16. Tuttavia, recentemente, in ambito
prettamente penalistico, il principio secondo il quale va applicata la
Legge sanzionatoria più favorevole potrebbe aver trovato una propria tutela
nell’art. 7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo17 e, soprattutto,
nell’art. 49, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

13
L’art. 2, comma 4, c.p. così dispone: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le
posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che
sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Similmente, nel comma 3 del medesimo articolo
così si legge: “Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusiva-
mente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corri-
spondente pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 135”.
14
Va rilevato che la Legge n. 662/1997, all’art. 3, comma 133, non esplicitava, tra i principi
direttivi della delega per la riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, quello del favor
rei, ma si limitava ad un generico richiamo ai principi di legalità, imputabilità e colpevolezza.
15
In senso conforme, si veda altresì Corte costituzionale, sentenza n. 80 del 6 marzo 1995. Cfr.
altresì, con riferimento all’operatività del principio in campo penale, R. Alfano, Sanzioni ammini-
strative tributarie e tutela del contribuente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 43, nota 42.
16
Cass., Sez. II pen., sent. n. 35257 del 21 settembre 2007.
17
L’art. 7 della CEDU, di per sè, non richiama il principio dell’applicazione della Legge più
favorevole. Tuttavia la Corte Edu, fin dalla sentenza del 17 settembre 2009 (Scoppola contro
Italia) sembra aver desunto da tale articolo un generale riconoscimento del principio del favor
rei: si legge infatti in tale sentenza che “l’art. 7, par. 1, della Convenzione non garantisce
solamente il principio di non retroattività delle leggi penali più severe ma impone anche
che, nel caso in cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle
successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice deve applicare
quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo”.
Tale principio, in ipotesi, può addirittura travolgere il giudicato. In tal senso si richiamano
le sentenze della Cass., SS.UU. pen., 24 ottobre 2013 (dep. 7 maggio 2014), n. 18821 e Corte cost.
n. 210 del 18 luglio 2013. Si veda altresì S.M. Ronco, “Lex mitior e sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 153.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 193


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

Europea18 che, ai sensi dell’art. 6 del Trattato sull’Unione Europea, ha lo


stesso valore dei trattati istitutivi19.
Fatta tale premessa, va segnalato che, come riconosciuto da autorevole
dottrina20, l’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997, pur recependo i principi
operanti in sede penalistica, contiene una formulazione non perfettamente
coincidente con la prescrizione codicistica: mentre il codice prevede
l’applicabilità delle norme più favorevoli “se la legge del tempo in cui fu
commesso il reato e le posteriori sono diverse”, con riferimento alle sanzioni
amministrative tributarie viene richiamata esclusivamente la circostanza che
le due leggi “stabiliscono sanzioni di entità diversa”21. Appare evidente che la
formulazione dell’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997, da un punto di vista
meramente letterale, presenta un ambito più ristretto di quella codicistica22.
Invero, la disposizione di cui al citato comma 3 trova applicazione ogni
qualvolta intervenga un mutamento nella norma che, in qualsiasi modo,
incida sul trattamento sanzionatorio (purché il provvedimento che ha
irrogato la sanzione non sia ancora divenuto definitivo) relativo ad ogni
tipo di violazione tributaria23.

18
L’art. 49, comma 1, della Carta di Nizza così dispone: “1. Nessuno può essere condan-
nato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva
reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una
pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successi-
vamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve,
occorre applicare quest’ultima”. Cfr. S.M. Ronco, “Lex mitior e sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 159.
19
Sull’efficacia delle garanzie riconosciute dal diritto internazionale (e da quello comu-
nitario) in materia di sanzioni amministrative tributarie, si veda, tra gli altri, F. Amatucci, “Il
coordinamento sovranazionale delle norme procedimentali e sanzionatorie tributarie”, in Dir.
prat. trib internazionale, n. 4/2018, pag. 977.
20
S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali
sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM,
Padova, 2000, pag. 126, secondo il quale “le formule impiegate nell’art. 3 derivano dalla
combinazione dei canoni penali costituzionali (art. 25, comma 2, Cost.) e codicistici (artt. 1
e 2 c.p.) unita a discutibili, secondari mutamenti, privi peraltro di riflessi sostanziali”.
21
Per l’applicabilità dell’istituto in commento anche in tema di sanzioni improprie, si
rinvia a L. Del Federico, “Sanzioni improprie ed imposizione tributaria”, in AA.VV., Diritto
Tributario e Corte costituzionale, ESI, Napoli, 2006, pag. 547.
22
Tuttavia, non può ritenersi che la disposizione limiti l’applicazione del favor rei solo in
caso di diminuzione della sanzione: il principio deve essere applicato ogni qualvolta sia
possibile sostenere che la modifica intervenuta incida, in modo favorevole, sul trattamento
sanzionatorio (principale o accessorio). In tal senso S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.
VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a
cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 141. Si veda altresì S.M. Ronco, “Lex
mitior e sanzioni amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 161.
23
Sull’ampiezza del principio di legalità e dei connessi principi di abolitio criminis e favor
rei si rinvia a L. Del Federico, “Il principio di legalità”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio
tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag. 1421.

194 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Se il tenore della norma appare chiaro nel prevedere l’applicazione della


legge sanzionatoria più favorevole, sorge tuttavia la necessità di compren-
dere quando si verifichino le condizioni perché tale istituto trovi applica-
zione. Infatti, la dottrina maggioritaria ritiene che la mera modificazione
dell’entità della sanzione non può assurgere, di per sé ed in astratto, a
criterio di applicazione immediata della lex posterior, dovendosi valutare
se, con riferimento al caso concreto, si ottenga un trattamento sanzionato-
rio complessivo più favorevole al contribuente24. Tale indirizzo appare
sicuramente condivisibile.
Va dato atto che nella giurisprudenza della Suprema Corte25 si rinviene
un orientamento secondo il quale, in materia di successione di leggi sanzio-
natorie nel tempo, la valutazione della norma più favorevole va compiuta in
concreto, tenendo conto della sanzione che, in osservanza delle nuove
norme, sarebbe applicabile nel caso concreto26. Secondo tale orientamento,
per l’applicazione dell’istituto di cui al comma 3, dell’art. 3, si deve operare
un concreto confronto tra la disciplina complessiva dettata dall’una e
dall’altra disposizione sanzionatoria, non essendo sufficiente la mera
sopravvenienza di una norma sanzionatoria in astratto più favorevole.
Altra parte della giurisprudenza di legittimità ha invece ritenuto che sia
possibile un’applicazione diretta della disposizione posteriore in astratto
più favorevole27, sostenendo che “in applicazione del principio del favor rei,
trova applicazione il trattamento più favorevole assicurato dallo ius super-
veniens, a condizione che, come nella fattispecie in esame, vi sia un giudizio
ancora in corso ed il provvedimento impugnato non sia quindi divenuto
definitivo”28. Secondo tale orientamento, pertanto, non sarebbe necessaria
alcuna verifica degli effetti dell’applicazione della nuova norma sulla fatti-
specie concreta, essendo necessario esclusivamente che il provvedimento

24
R.Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, Editoriale
Scientifica, 2020, pag. 43.
25
Tra le altre, Cass., Sez. V, ord. 30 novembre 2018, n. 31062; Id., Sez. VI, ord. 11 novembre
2019, n. 29046; Id., Sez. V, ord. 28 giguno 2018, n. 17143.
26
La Cassazione, nella citata ord. n. 31062/2018, decidendo sulla rilevanza sopravvenuta
delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 158/2015, così si pronunzia: “La modifica normativa in
esame, in realtà, non opera in maniera generalizzata in favor rei, con la conseguenza che la mera
affermazione di uno ius superveniens più favorevole non consente di operare sic et simpliciter la
trasformazione della sanzione irrogata in sanzione illegale, specie in assenza di specifica
deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella
applicata”.
27
Cass., Sez. VI, ord. 27 giguno 2017, n. 15978 in cui si legge: “Rispetto a detto orienta-
mento il precedente indicato in senso contrario nella proposta del relatore (Cass., Sez. V, 7
ottobre 2016, n. 20141), secondo cui non sarebbe all’uopo sufficiente la mera deduzione in sede
di legittimità dello ius superveniens, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto,
ad imporre la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, appare minoritario e non idoneo
a restringere con adeguato supporto l’ambito di applicazione del principio del favor rei”.
28
Non richiede alcuna valutazione in concreto neppure Sez. V, sent. 24 gennaio 2018, n.
1706.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 195


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

impugnato non sia divenuto definitivo e che la norma sopravvenuta appaia,


in astratto, più favorevole.
È sostenibile che lo ius superveniens, qualora più favorevole al contri-
buente, vada applicato d’Ufficio dal giudice, senza che sia necessaria la
domanda del contribuente, con l’unico limite della definitività del provve-
dimento di irrogazione della sanzione29. È infatti innegabile che il giudizio
tributario, a differenza di quello penale, ha per oggetto un atto impugnabile,
i cui vizi vanno indicati, a pena di inammissibilità, nel ricorso introduttivo.
Ma, nel caso in cui la norma sanzionatoria più favorevole sia entrata in
vigore dopo la notifica del ricorso, non essendo consentito modificare o
integrare i motivi già espressi, è evidente che l’unico modo per garantire
l’applicabilità dell’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997 è riconoscerne la
rilevabilità d’ufficio da parte del giudice tributario.
A parere di chi scrive, non può dubitarsi che il giudice, chiamato a
pronunziarsi sull’applicabilità o meno della Legge sopravvenuta, debba
valutare se la stessa, nel complesso, preveda una sanzione in concreto più
lieve di quella disposta dalla norma in vigore al momento della commissione
della violazione. In caso contrario, infatti, la norma rimarrebbe priva di
rilevanza, non potendosi escludere che norme successive, pur prevedendo
sanzioni astrattamente più lievi, abbiano una portata punitiva in concreto
maggiore (ad esempio, prevedendo sanzioni accessorie di maggiore
gravità).
Il principio del favor rei, per operare, richiede pertanto che il giudice
ponga in essere una valutazione comparativa tra la sanzione irrogata e
quella concretamente irrogabile al caso di specie in applicazione della
norma posteriore.

3. L’applicazione della lex mitior nella sentenza in commento - Alla luce di


quanto suesposto, appare necessario verificare se, nella sentenza in com-
mento, la Corte di cassazione, nel rigettare la richiesta di applicazione dello
ius superveniens in materia di determinazione delle sanzioni amministra-
tive tributarie, abbia fatto buon governo dei principi summenzionati.

29
La circostanza che l’applicazione della norma più favorevole trovi un insormontabile
ostacolo nella definitività del provvedimento di irrogazione delle sanzioni ha sollevato fondate
perplessità nella più attenta dottrina, la quale non ha mancato di rilevare la possibile disparità
di trattamento, dipendente da eventi esterni alla commissione della violazione, tra soggetti che
abbiano commesso la medesima violazione in tempi assai prossimi, assoggettati a sanzioni
diverse solo in dipendenza dell’avvenuta impugnazione o meno del provvedimento sanziona-
torio, anche se è innegabile, come suesposto, che il giudizio tributario ha ad oggetto l’impu-
gnazione di un atto, in mancanza della quale si ha la definitività della pretesa sanzionatoria. In
tal senso si richiama Cass., Sez. V, sent. 24 luglio 2013, n. 17972. Cfr. D. Coppa, “Le sanzioni
amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovrana-
zionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 999 in cui sono contenute alcune
considerazioni che, seppur riferibili all’ipotesi di abrogatio criminis, possono essere estese
anche alla disciplina del favor rei.

196 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Dalla lettura della sentenza30, emerge che il contribuente ha evidenziato


come l’Ufficio, nell’irrogare la sanzione amministrativa tributaria relativa
all’omessa dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell’IVA, ha
applicato un aumento del 50% del minimo in virtù della personalità del
soggetto, ai sensi dell’art. 7, comma 1, del D.Lgs. n. 472/199731.
Secondo il ricorrente, essendo stata considerata come più grave la
sanzione per “infedele dichiarazione” ai fini delle imposte sui redditi32,
aumentata in relazione alla personalità del contribuente e posta a base
dell’applicazione del c.d. cumulo giuridico di cui all’art. 12, comma 1, del
medesimo D.Lgs.33, ed essendo intervenuta una riforma della norma san-
zionatoria34 che prevede una diminuzione dei parametri edittali, doveva
trovare applicazione il regime più favorevole, con conseguenziale riduzione
della sanzione complessivamente irrogata.
Nel caso di specie, la Suprema Corte, dopo aver aderito all’indirizzo
giurisprudenziale summenzionato35 secondo il quale “la mera afferma-
zione di uno ius superveniens più favorevole non consente di operare sic
et simpliciter la trasformazione della sanzione irrogata in sanzione ille-
gale”36, ritiene che il contribuente non abbia fornito la prova concreta che
dall’applicazione della norma posteriore possa derivare una diminuzione
della sanzione irrogata.
È interessante notare il percorso logico motivazionale sul quale la Corte
di cassazione fonda tale assunto. Infatti, dopo aver evidenziato che “ove la
sanzione sia stata fissata nel minimo edittale e la stessa determinazione a
fondamento del provvedimento di irrogazione della sanzione sia mirata, in
ipotesi, sulla lieve offensività del fatto o su altri elementi tali da ancorare il
quantum irrogato sul livello minimo rispetto alla previsione edittale, può
ritenersi idonea la mera allegazione della minimalità della condotta”, la

30
Ovviamente chi scrive non dispone degli atti di causa, ed in particolare dell’avviso di
accertamento e del ricorso introduttivo, oltre che del ricorso per cassazione. Le considerazioni
che sono svolte in questa sede trovano pertanto fondamento nelle asserzioni contenute nella
sentenza in commento.
31
Sui criteri di determinazione delle sanzioni, cfr., ex multis, L. Pistorelli, “Criteri di
determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle san-
zioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova,
2000, pag. 197; S. Buttus, “Le sanzioni pecuniarie e le sanzioni accessorie”, in AA.VV., Trattato
di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag. 1360.
32
Non avendo accesso all’avviso di accertamento, non è dato conoscere se il richiamo alla
“infedele dichiarazione IRES” contenuto al paragrafo 34 sia corretto ovvero se, trattandosi di
un accertamento nei confronti della persona fisica, si tratti di un refuso.
33
Il comma 1, dell’art. 12 così dispone: “È punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od
omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche
con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione”.
34
Nella sentenza viene appositamente richiamato il D.Lgs. n. 158/2015.
35
Cfr. supra, nota 24.
36
Cfr. paragrafo 30.1 della sentenza.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 197


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

Corte sostiene che ove l’Ufficio abbia applicato una sanzione ad un livello
intermedio, con specifica e puntuale indicazione degli elementi posti a
fondamento della sanzione irrogata, e quest’ultima continui a collocarsi
all’interno dell’intervallo previsto dalla norma successiva, occorre la “spe-
cifica deduzione dell’applicabilità in concreto” di una sanzione inferiore
rispetto a quella irrogata.
La Corte a tal fine non ritiene sufficiente che l’Ufficio abbia applicato, in
ragione della personalità dell’autore della violazione, un aumento del 50%
del minimo con riferimento alla sanzione più grave, e che la misura minima
di tale sanzione sia stata successivamente ridotta. I giudici giungono, al
paragrafo 34.4, alla conclusione che “la mera deduzione di uno ius superve-
niens più favorevole, senza alcuna altra precisazione con riferimento al caso
concreto”, non consentirebbe la cassazione con rinvio della sentenza di II
grado al fine di un nuovo ricalcolo delle sanzioni da applicare.
Pertanto, secondo i giudici della Suprema Corte, il contribuente avrebbe
dovuto dimostrare che, avendo riguardo agli elementi considerati nel prov-
vedimento sanzionatorio, in vigenza della legge posteriore sarebbe stata
irrogata una sanzione di entità inferiore.
La tesi sostenuta dalla Cassazione appare poco convincente ed invero
ispirata ad una interpretazione eccessivamente rigida.
In primo luogo, non si comprende il fondamento della statuizione della
Corte secondo la quale, nel caso di specie, la disposizione di cui al comma 3,
dell’art. 3 citato non possa trovare applicazione perché “il provvedimento
non ha determinato le sanzioni con un aumento percentuale riferito al
minimo edittale ma ne ha stabilito direttamente l’ammontare tra il minimo
ed il massimo”.
La Corte pertanto afferma che nel caso di specie l’Ufficio ha determinato
direttamente l’esatto ammontare della sanzione, e non attraverso un
aumento, in percentuale, del minimo irrogabile. Secondo la Cassazione,
in tale ipotesi non si verificherebbe il presupposto per l’applicazione della
legge sopravvenuta più favorevole: la sanzione in concreto irrogata, pun-
tualmente determinata nel suo ammontare, rientrerebbe nell’intervallo
previsto dalla novella legislativa.
La circostanza che l’Ufficio abbia determinato l’ammontare della san-
zione in modo puntuale, oltre ad essere in parte smentita nella stessa
sentenza, appare altresì, a parere di chi scrive, irrilevante ai fini dell’appli-
cazione della legge sanzionatoria più favorevole.
È la stessa Corte che, nello stesso periodo del paragrafo 34.3 della
sentenza, riconosce che per talune violazioni l’entità è stata rapportata ad
un valore incrementale (non del minimo edittale ma) dell’imposta evasa.
Inoltre, il giudice tributario, a fronte dell’entrata in vigore di una norma più
favorevole, dovrebbe comunque valutare se, alla luce delle nuove previsioni
normative, la sanzione concretamente irrogabile sarebbe stata diversa da
quella indicata nell’atto impugnato.

198 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

Va ricordato che, come riconosciuto dalla più attenta dottrina37, la


sanzione amministrativa tributaria è, nella stragrande maggioranza dei
casi, determinata in una percentuale dell’imposta evasa38: se la Legge
individua la sanzione irrogabile in una percentuale, fissata tra un minimo
ed un massimo, dell’imposta evasa, e l’Ufficio ha posto a fondamento della
determinazione della sanzione, a norma di legge, una percentuale dell’im-
posta che assume evasa, è evidente che l’aumento incrementale che la stessa
Corte riconosce applicabile all’imposta, coincide, senza alcun dubbio, con
l’“aumento incrementale” della sanzione minima prevista dalla legge.
Se così non fosse, non si spiegherebbe perché il legislatore abbia previsto
che l’Ufficio, ai sensi dell’art. 16 del D.Lgs. n. 472/1997, debba indicare nella
motivazione del provvedimento di irrogazione delle sanzioni non solo
l’entità della sanzione applicata, ma anche i minimi edittali e i criteri
utilizzati per determinare la sanzione in concreto irrogata.
È allora di tutta evidenza che applicare l’aumento percentuale all’impo-
sta che si assume evasa corrisponde, nella maggioranza dei casi, alla deter-
minazione della sanzione in misura diversa dal minimo edittale.
Appare inoltre ininfluente la circostanza che, per una delle sanzioni
irrogate39, la determinazione della stessa sia stata fissata in una misura
sopra il minimo “a prescindere da un riscontro meramente percentuale”:
come è riportato nella stessa sentenza, la sanzione “proporzionale” relativa
all’infedeltà della dichiarazione dei redditi è stata considerata la “sanzione
più grave” presa in considerazione ai fini dell’applicazione del cumulo
giuridico di cui all’art. 12, comma 1.
È innegabile che, sulla base di quanto è possibile desumere dalla sen-
tenza, la sanzione concretamente irrogata è stata determinata applicando,
in considerazione di taluni elementi inerenti alla personalità dell’autore
delle violazioni, un aumento percentuale alla sanzione minima edittale che è
quella che sta alla base del calcolo della sanzione complessiva da irrogare.
Il contribuente, almeno da quanto risulta dalla lettura della sentenza, ha
evidenziato che la “sanzione base”, sulla quale è stato dapprima operato
l’aumento percentuale dovuto alla personalità dell’autore della violazione, e
poi applicata la regola del c.d. cumulo giuridico, è stata oggetto di una novella
legislativa che ha previsto una diminuzione della sanzione irrogabile40.

37
R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative tributa-
rie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 331, secondo il quale “una proporzionalità diretta tra
sanzione e imposta evasa è quindi logicamente necessaria”.
38
Non può non rilevarsi che nella stessa sentenza la sanzione minima edittale, in vigore al
momento della commissione della violazione, viene individuata in misura pari al 100%
dell’imposta evasa.
39
Quella relativa all’irregolare tenuta della contabilità di cui all’art. 9 del D.Lgs. 18
dicembre 1997, n. 471.
40
Invero, come suesposto, il ricorrente, anche se non al fine di contestare la determina-
zione della sanzione amministrativa, ma per paralizzarne l’applicazione, ha portato a

Rassegna Tributaria 1/2021 - 199


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

Ne consegue che il percorso logico seguito dalla Cassazione per negare,


nel caso di specie, rilevanza alla norma sopravvenuta più favorevole non
appare, a chi scrive, pienamente convincente. Se è innegabile che per
l’applicazione dello ius superveniens è necessario dimostrare che in con-
creto dalla sua applicazione deriverebbe l’irrogazione di una sanzione più
mite, non può richiedersi al contribuente la prova diabolica di dimostrare
che l’Ufficio, qualora fosse stata in vigore la Legge successiva, avrebbe
irrogato una sanzione più lieve.
L’art. 3, comma 3, si limita a richiedere che la Legge precedente e quella
posteriore stabiliscano “sanzioni di entità diversa”, senza richiedere la
sussistenza di alcun ulteriore elemento. La circostanza che sia necessario
dimostrare che, in concreto, la legge posteriore sia più favorevole rispetto a
quella anteriore attiene ad una valutazione completa degli effetti delle
norme, tenendo conto delle sanzioni principali ed accessorie e di tutti gli
elementi della fattispecie41. Tale valutazione sicuramente deve essere sup-
portata da argomentazioni fornite dal contribuente con riferimento alla
concreta realtà dei fatti, ma in nessun caso può essergli richiesto di provare
che, in concreto, la sanzione sarebbe stata applicata in misura diversa: non
va dimenticato che la determinazione della sanzione, tra l’altro, attiene al
campo della discrezionalità tecnica dell’Ufficio irrogante42.
Di contro, non può negarsi rilevanza alla circostanza che, anche tenendo
conto dei vari criteri posti a disposizione dell’Ufficio ai fini della determi-
nazione delle sanzioni ai sensi dell’art. 7, il disvalore del comportamento del
contribuente che commette una violazione è predeterminato dal legislatore,
che prevede un minimo ed un massimo edittale. Se pertanto l’intervallo
previsto dal legislatore si riduce, ovvero se, come sembra avvenuto nel caso
di specie, il legislatore, nell’intento di ridurre gli effetti pregiudizievoli

conoscenza della Cassazione anche un ulteriore elemento che, se conosciuto dal giudice di
merito, avrebbe potuto incidere sulla “personalità del soggetto”, ossia la sentenza definitiva
di assoluzione “per non aver commesso il fatto” avente ad oggetto reati tributari per la stessa
annualità.
41
Come sostenuto da R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni
amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 337, in tal caso “la sanzione
resta, ma è più lieve”. Appare utile richiamare quanto oramai pacifico nella giurisprudenza
penale: “In tema di successione di leggi incriminatrici nel tempo, la disposizione più favorevole
deve essere individuata tenendo conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e
specifici aspetti della stessa (Cass., Sez. III pen., sent. n. 14198 del 23 marzo 2017)”.
42
Cfr. R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 340, secondo il quale “nella determinazione e
nella applicazione delle sanzioni, l’amministrazione svolge prima di tutto una funzione di
giustizia, che deve essere improntata a criteri di oggettività e di imparzialità”. Va da sé che tale
discrezionalità tecnica è comunque ridimensionata dal carattere officioso dell’irrogazione
della sanzione, non avendo l’Amministrazione discrezionalità sull’an dell’applicazione della
sanzione: in tal senso S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.VV., Commentario alle dispo-
sizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L.
Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 129.

200 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

connessi alla commissione di alcune violazioni dallo stesso ritenute meri-


tevoli di sanzioni più lievi43, riduce il minimo ed il massimo edittale, appare
corretto ritenere che il dato iniziale, dal quale l’Ufficio ha tratto le mosse per
determinare la sanzione in concreto applicabile, è mutato in diminuzione.
La sanzione è, dunque, diversa da quella in vigore al momento della com-
messa violazione.
Tale circostanza, a differenza di quanto si legge nella sentenza, dovrebbe
assumere rilevanza qualunque sia la sanzione applicata, anche se in misura
massima, e non solo quando la sanzione irrogata si attesta sul valore
minimo: il diminuito livello della sanzione irrogabile non può che essere
raccordato ad un diminuito disvalore riconosciuto dall’ordinamento al
comportamento dell’autore della violazione44, e di tale evento si deve tenere
conto45.
Nel caso di specie, la mera allegazione che la sanzione per la
violazione più grave, aumentata di “un valore incrementale” in virtù
della personalità del soggetto, e posta a fondamento del calcolo del
cumulo giuridico, sia stata successivamente ridotta nel suo ammontare
minimo ed in quello massimo dovrebbe essere sufficiente a dimostrare
in concreto che, applicando i medesimi criteri utilizzati dall’Ufficio, si
sarebbe giunti all’irrogazione di una sanzione inferiore a quella

43
In tal senso, R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 39; D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie:
principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib.
internazionale, n. 4/2018, pag. 1019. Sulla circostanza che quando viene meno nel legislatore
l’interesse a punire devono venire meno gli effetti delle condotte contrarie a tale interesse, cfr. S.
Vinciguerra, “Considerazioni sui principi generali di diritto sostanziale delle infrazioni ammi-
nistrative tributarie”, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, CEDAM, Padova, 2019,
pag. 1574. Argomentando in tal modo si dovrebbe ritenere, per analogia, che quando tale
interesse si riduce (e non si elide) anche gli effetti delle condotte devono attenuarsi.
44
Per la palese analogia delle fattispecie, non può che richiamarsi la giurisprudenza
formatasi in ambito penale. Appare opportuno a tal fine rilevare che la Suprema Corte, SS.UU.
penali, ha stabilito che “Il diritto dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen.,
di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo,
comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la ‘lex mitior’ anche nel caso in cui
la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la
finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità
impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei
parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità” (Cass., SS.UU. pen.,
sent. n. 46653 del 25 novembre 2015).
45
Si richiama altresì Cass., Sez. VI pen., sent. n. 50614 del 16 dicembre 2013 che così
statuisce: “A seguito del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la Legge n. 49
del 2006, dall’art. 73, comma primo, d.P.R. 309 del 1990 quanto al minimo edittale per le droghe
cosiddette pesanti, il giudice d’appello deve rimodulare la pena di ufficio anche nel caso in cui il
primo giudice, anteriormente alla novella, abbia determinato la pena base, o sia comunque
partito dal suo calcolo, in misura superiore al minimo edittale”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 201


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

effettivamente irrogata. Si tratta di una ricostruzione fatta propria dalla


stessa Sez. V della Corte di cassazione in una recente pronunzia46.
Se così non fosse, non si rispetterebbe il principio di proporzionalità47
che, formatosi in ambito comunitario, è oramai saldamente applicabile
anche nell’ordinamento sanzionatorio nazionale, e si giungerebbe, come
nel caso di specie, a svuotare di significato l’art. 3, comma 3, del D.Lgs. n.
472/1997 ed a riproporre, in una forma occulta, il principio di ultrattività che
il nostro ordinamento, quantomeno in materia sanzionatoria tributaria,
sembra avere abbandonato: si trasformerebbe la sanzione in un prelievo di
ricchezza che sfugge, in tal modo, ai limiti della capacità contributiva48.

4. Criteri di determinazione delle sanzioni e condotta “etica” del contribuente -


Dalla lettura della sentenza in commento, e precisamente dall’ultima parte
del paragrafo 34.4., emergono alcuni spunti interessanti in tema di indivi-
duazione dei criteri di determinazione della sanzione.
Uno dei profili esaminati nella sentenza in commento attiene agli
elementi che l’Ufficio pone a fondamento della concreta determinazione
delle sanzioni amministrative tributarie irrogate nei confronti del contri-
buente. Infatti, in via assolutamente incidentale, la Corte di cassazione
rileva che l’Ufficio ha tenuto conto, nella determinazione delle sanzioni,

46
Cass., Sez. V, sent. 24 gennaio 2018, n. 1706. La Cassazione, affrontando una contro-
versia avente ad oggetto una sanzione amministrativa irrogata in misura superiore al minimo
edittale, così si esprime: “la società controricorrente ha dedotto la sopravvenuta illegittimità
parziale delle sanzioni irrogate a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158, che ha sostituito le disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 contenute nell’l’art. 1,
comma 2 in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IRPEF ed IRAP, nell’art. 5, comma 4
in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IVA, nonché nell’art. 6, comma 1 in materia di
sanzioni per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione delle operazioni
soggette all’IVA, prevedendo in ciascuno dei predetti casi la determinazione del minimo
edittale della sanzione nella misura del 90% della maggiore imposta dovuta, in luogo del
previgente minimo pari al 100%.
Il rilievo deve essere accolto. In applicazione del principio del trattamento sanzionatorio
più favorevole al contribuente, stabilito del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3 la
sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015,
vigente dal 1° gennaio 2016 a norma del D.Lgs. n. 158/2015, art. 32 come modificato dalla Legge
28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133 è applicabile retroattivamente alla condizione,
ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non
definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (conforme Sez. VI-5,
ord. n. 15978 del 27 giugno 2017)”. In tal senso si richiama anche l’ord. della Se z. V. n.
32552 del 12 dicembre 2019.
47
F. Amatucci, “I principi riconosciuti dalla sentenza Taricco II e l’effettività del sistema
sanzionatorio tributario complessivo”, in Riv. dir. trib. internazionale, n. 1/2019, pag. 39; F.
Amatucci, “Sanzioni tributarie e proporzionalità”, in Riv. dir. trib. internazionale, n. 3/2014,
pag. 5; D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno
ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 1002.
48
D.Coppa - S. Sammartino, “Sanzioni tributarie”, in Enciclopedia del diritto, Milano
1989, XLI, pag. 442.

202 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

di alcuni elementi attinenti alla “personalità” dell’autore delle violazioni,


nonché alle sue “condizioni economiche e sociali”.
In particolare, la Corte fa riferimento all’“elevato livello economico e
culturale del contribuente ‘personaggio famoso nel mondo della musica’,
pertanto in possesso degli ‘strumenti necessari per valutare la giustezza di
un determinato comportamento’, il quale, essendo la sua condotta ‘pub-
blica’, ha, rispetto ad altri contribuenti, maggiormente l’onere di una con-
dotta etica”.
Tali circostanze, che dalla lettura della sentenza risultano non essere
state contrastate dal contribuente, sarebbero state poste, ex multiis,
dall’Ufficio a fondamento della determinazione della sanzione in misura
superiore al minimo, e vengono richiamate dai giudici a sostegno della tesi
surriportata secondo la quale la sanzione sarebbe stata determinata in un
preciso ammontare.
Ovviamente, esulando dalla domanda contenuta nel ricorso, la
Cassazione non si è pronunziata sulla portata probatoria di tali elementi,
nè sulla loro congruità ad essere utilmente considerati al fine di determinare
la sanzione applicabile.
Tuttavia, la ricorrenza di tali elementi, richiamati espressamente dalla
Corte, oltre a suscitare particolare interesse nella stampa non specializ-
zata49, non può che essere esaminata alla luce delle previsioni del D.Lgs. n.
472/1997.
Ci si deve chiedere se gli elementi summenzionati possano assumere o
meno rilevanza tra i criteri di determinazione delle sanzioni amministrative
tributarie.
Tali criteri, in ossequio al principio di legalità che investe l’intero
ordinamento sanzionatorio tributario, sono espressamente individuati dal-
l’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997. In particolare, i commi 1 e 2 così dispongono:
“Nella determinazione della sanzione si ha riguardo alla gravità della vio-
lazione desunta anche dalla condotta dell’agente, all’opera da lui svolta per
l’eliminazione o l’attenuazione delle conseguenze, nonché alla sua
personalità e alle condizioni economiche e sociali. La personalità del tra-
sgressore è desunta anche dai suoi precedenti fiscali”.
Si tratta di una serie di elementi che il legislatore offre all’Ufficio in sede
di determinazione della sanzione concretamente applicabile, al fine di
individuare la pena afflittiva appropriata alla violazione commessa50, simil-
mente a quanto previsto dall’art. 133 c.p.51.

49
Gli articoli della stampa quotidiana richiamati in nota 4 si soffermano esclusivamente
su tali elementi.
50
D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno
ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 1002.
51
L’art. 133 c.p. così dispone: “Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’arti-
colo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:

Rassegna Tributaria 1/2021 - 203


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

È possibile fin d’ora sostenere che, a mezzo dei criteri indicati


dall’art. 7 citato, il legislatore abbia inteso creare un collegamento
assai stretto tra la sanzione che viene concretamente irrogata ed il
soggetto autore della violazione, nel pieno rispetto del principio di
personalità della sanzione di cui all’art. 2, comma 2, del D.Lgs. n.
472/199752.
Tali criteri non vanno adottati secondo un ordine53 e la loro applicazione
è demandata alla discrezionalità tecnica dell’Ufficio, fondata sempre sul
rispetto del principio di ragionevolezza54.
Per quanto di interesse nella presente sede, deve rilevarsi che, a diffe-
renza di quanto previsto dall’art. 133 c.p., i criteri enucleati dall’art. 7,
comma 1 e 2, del D.Lgs. n. 472/1997 appaiono più vaghi, lasciando all’inter-
prete una certa libertà nel reperimento degli indici rappresentativi dei
criteri indicati dal legislatore55.
Ciò tuttavia non può condurre a ritenere che l’Ufficio possa utiliz-
zare, al fine di determinare la sanzione da irrogare, qualsiasi indice che
ritenga rappresentativo di uno degli elementi richiamati dalla norma.
Infatti, seppur il legislatore abbia inteso lasciare ampia discrezionalità
all’Ufficio, al fine di adattare la sanzione al caso concreto, non può
ritenersi che quest’ultimo goda di una libertà di scelta illimitata, doven-
dosi affermare che gli elementi posti a fondamento della determina-
zione della sanzione debbano comunque essere in qualche modo legati
alla condotta evasiva dell’agente.

1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra
modalità dell’azione;
2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,
antecedenti al reato;
3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.
52
Sul principio di personalità della sanzione, si rimanda a R. Cordeiro Guerra, “Il
principio di personalità”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè,
Milano, 2016, pag. 1439.
53
R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Editoriale
Scientifica, Napoli, 2020, pag. 129.
54
Come riconosciuto da L. Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.
VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a
cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 200, la determinazione della sanzione
amministrativa, a differenza di quella penale, è demandata ad una autorità che non presenta i
requisiti di terzietà propri del giudice penale.
55
Basti pensare alla “condotta dell’agente” o alla “personalità” dell’autore della viola-
zione, che può essere desunta “anche” (ma non solo) dai suoi precedenti fiscali.

204 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

È peraltro evidente che, al di là della “gravità”, desumibile dall’entità del


tributo evaso56, gli altri elementi richiamati dall’art. 7 dovranno in ogni caso
ricondursi alle “concrete modalità dell’azione (o dell’omissione) posta in
essere dal trasgressore”, ai fini della valutazione della “condotta dell’a-
gente”57, nonché alla personalità dello stesso, intesa come “evoluzione del
percorso professionale”, “possesso di capacità tecniche”, ma anche come
“natura e intensità58 dell’elemento psicologico”59.
Più problematica appare la ricostruzione del criterio delle condizioni
economiche e sociali dell’autore delle violazioni: mentre il riferimento alle
condizioni economiche appare più semplice da attualizzare, consentendo
all’Ufficio di graduare la sanzione in modo che la stessa svolga realmente
una funzione afflittiva nei confronti di soggetti con capacità economiche
differenziate, di difficile valutazione appare il richiamo alle condizioni
sociali.
Nell’ottica suesposta, si può sostenere che le condizioni sociali che
incidono sulla determinazione della sanzione debbano essere quelle deri-
vanti dalla condizione economica del soggetto, nonché dalle sue conoscenze
tecnico-professionali: in tal modo, le condizioni sociali costituiscono un
utile corollario delle condizioni economiche ovvero della personalità del-
l’agente60, senza che possano trovare spazio in sede di determinazione delle
sanzioni elementi estranei alla realizzazione della fattispecie.
In caso contrario, si rischierebbe che, attraverso la determinazione della
sanzione amministrativa tributaria, l’Amministrazione procedente effettui
un giudizio etico sulla persona o sulla vita del trasgressore, compito che la
legge non le affida.
La sentenza in commento sembra richiamare alcuni indici che non
sembrano pienamente rispondenti ai criteri indicati dall’art. 7, ed il cui
utilizzo potrebbe indurre a compiere una valutazione della persona o della

56
Oltre che dalla condotta dell’agente nel commettere la violazione, che, al di là del mero
elemento psicologico della violazione, attiene alla particolare insidiosità del comportamento
tenuto.
57
Nonché dalla rilevanza penale della condotta stessa, come rilevato da Cass., Sez. V, sent.
20 febbraio 2019, n. 4927.
58
Nell’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997 manca qualsiasi riferimento all’intensità dell’elemento
psicologico: in tal senso, R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 132.
59
L. Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle
disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti -
L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 207.
60
In tal modo, gli Uffici potrebbero graduare le sanzioni in modo da evitare che le stesse
producano “conseguenze distruttive sul patrimonio dei contribuenti”, come riconosciuto da L.
Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni
generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi,
CEDAM, Padova, 2000, pag. 209.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 205


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

vita sociale dell’autore delle violazioni su base etica61 e non esclusivamente


giuridica. Secondo quanto riportato nella sentenza, l’Ufficio, nel determi-
nare la sanzione in misura superiore al minimo, avrebbe tenuto conto, fra
l’altro, di alcuni criteri che poco attengono alle norme tributarie o alla loro
corretta applicazione da parte del contribuente.
Mentre sicuramente la condizione economica del soggetto può assu-
mere rilevanza ai fini della determinazione della sanzione, la circostanza
che il contribuente sia un “personaggio famoso nel mondo della musica”
appare a chi scrive totalmente ininfluente, non potendosi riconnettere le
abilità canore ad una maggiore capacità di interpretare le norme tributarie
ovvero ad una maggiore consapevolezza dei propri comportamenti fiscali.
Francamente eccessivo appare l’assunto, riportato nella sentenza, secondo
il quale il contribuente, in quanto personaggio famoso, sarebbe “pertanto in
possesso degli ‘strumenti necessari per valutare la giustezza di un determi-
nato comportamento’”: tale assioma, che sembra assurgere, nel testo della
sentenza, quasi ad una presunzione assoluta, è indimostrato e non corri-
sponde affatto all’id quod plerumque accidit. Si tratta invero di una mera
petizione labiale, priva di qualsiasi rilevanza.
Non risulta infatti che chi ha raggiunto notorietà internazionale nel
campo della musica sia necessariamente in possesso di competenze mag-
giori di qualsiasi altro soggetto, né emerge dalla sentenza che il contribuente
fosse in possesso di competenze tecnico-professionali specifiche in materia
tributaria, che comunque esulerebbero dalla sua abilità artistica.
Né si può ritenere che la notorietà dell’autore della violazione possa
incidere sulla determinazione della sanzione in quanto il contribuente
“famoso” avrebbe la possibilità di avvalersi di consulenti più preparati (e
dunque in grado di evitare il compimento di violazioni tributarie): nessuna
disposizione normativa impone ai contribuenti, più o meno noti, di dotarsi
di consulenti tributari di maggior prestigio. Vero è che nel citato art. 7 non è
rinvenibile alcun elemento a supporto di tale eventuale aggravamento della
responsabilità.
Parimenti criticabile è infine l’asserzione secondo la quale il contri-
buente, in quanto personaggio famoso, “essendo la sua condotta ‘pubblica’,
ha, rispetto ad altri contribuenti, maggiormente l’onere di una condotta
etica”. Tale assunto non corrisponde affatto ad alcun precetto normativo, e
si palesa contrario al disposto dell’art. 3 della Costituzione, sol che si
consideri che l’art. 53 della Costituzione impone a tutti, famosi o meno, di
partecipare alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contri-
butiva. Non esiste, infatti, nessuna disposizione di legge che imponga oneri
di condotta etici differenziati tra i consociati, quantomeno in materia
tributaria. Neppure può assumere rilevanza la circostanza che il

61
Sui rapporti tra etica e diritto tributario, si rimanda a A. Marcheselli, Le attività illecite
tra fisco e sanzione, CEDAM, Padova, 2001.

206 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

comportamento fiscale di un soggetto “famoso” possa influenzare quello dei


consociati, in virtù della notorietà del personaggio.
Invero, il criterio richiamato nella sentenza (ossia il tenere una condotta
pubblica che deve essere maggiormente etica) potrebbe forse avere rile-
vanza solo ed esclusivamente per i soggetti di cui all’art. 54, comma 2, della
Costituzione62, qualora si voglia far rientrare il rispetto delle norme tribu-
tarie nel concetto di adempimento di funzioni pubbliche “con disciplina ed
onore”, ma difficilmente un cantante, per quanto famoso, può essere consi-
derato tra i pubblici funzionari.
In conclusione non appare convincente il richiamo, effettuato dalla
sentenza, ad elementi che non appaiono riconducibili a quelli indicati
dall’art. 7, commi 1 e 2, del D.Lgs. n. 472/1997. A parere di chi scrive, una
interpretazione pienamente rispettosa dei principi costituzionali di legalità
delle sanzioni, di capacità contributiva e del diritto di difesa, impone che i
criteri di determinazione delle sanzioni siano interpretati in modo rigoroso,
e che gli stessi siano ancorati ad indici legati alla materia tributaria, senza
alcun riferimento alla condotta di vita dell’autore delle violazioni e senza
alcuna valutazione latamente “etica”.

5. Considerazioni conclusive - La sentenza in commento si pronunzia su


tematiche di rilevante interesse e, con riferimento ai profili oggetto della
presente trattazione, giunge a conclusioni che non sempre appaiono con-
divisibili. In particolare, la sentenza sembra restringere eccessivamente il
campo di applicazione del principio di favor rei in presenza di una legge
posteriore mitigatrice del trattamento sanzionatorio, frustrandone la ratio
che emerge con chiarezza dal tenore letterale della norma.
Si tratta di una sentenza poco coraggiosa, che, a differenza di altre
pronunzie della Suprema Corte, non recepisce in pieno principi oramai
consolidati nell’esperienza giuridica nazionale ed europea, restringendo lo
spazio di operatività di un principio, quale quello del favor rei, che certa-
mente contribuisce a mantenere la funzione afflittiva della sanzione com-
patibile con il “comune sentire”.
Parimenti non condivisibile è il richiamo, incidentalmente operato dalla
Cassazione, ad alcuni indici che l’Ufficio ha utilizzato per la determinazione
della sanzione da applicare nel caso concreto.
L’esigenza di adattare la sanzione da irrogare alla concreta situazione di
fatto dell’autore della violazione, tenendo conto della sua condotta, della
gravità dell’azione, della personalità e delle sue condizioni economiche e
sociali, non può essere spinta al punto di considerare rilevante qualsiasi

62
Il comma 2, dell’art. 54 così prevede: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche
hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti
dalla legge”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 207


M. CEDRO - IUS SUPERVENIENS E DETERMINAZIONE DELLE SANZIONI

elemento, ancorché privo di legame con l’applicazione delle norme


tributarie.
Operando in tal modo infatti, oltre ad ampliare a dismisura l’ambito di
discrezionalità dell’Amministrazione, si rischia concretamente (come sem-
bra avvenuto nel caso di specie) di introdurre disparità di trattamento che
non trovano alcun fondamento nella legge e di trasformare l’irrogazione
delle sanzioni tributarie in una valutazione della vita e della persona del
contribuente al di là di quanto non sia indispensabile ai fini della corretta
irrogazione della sanzione.
Si può concludere nel senso che la sentenza della Cassazione, se pur
riconducibile ad un orientamento non minoritario, non sembra in grado di
far coesistere le esigenze del Fisco con la tutela del contribuente. Le statui-
zioni in essa contenute non appaiono condivisibili ed è auspicabile che le
stesse vengano superate dalla successiva giurisprudenza della Corte di
cassazione ovvero da un intervento del legislatore.
MARCO CEDRO

208 - Rassegna Tributaria 1/2021


REATI TRIBUTARI

4 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., sentenza n. 30615 del 3


novembre 2020 - Pres. Izzo - Rel. Aceto

SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE -


Fuoriuscita del bene simulato dal patrimonio del debitore -
Impossibilità di recupero del bene da parte dell’Erario - Necessità

Ai fini della punibilità per il reato di “sottrazione fraudolenta al pagamento di


imposte” è necessario che, per effetto della condotta, si determini una situa-
zione tale per la quale il bene alienato simulatamente ovvero in relazione al
quale sono stati compiuti atti fraudolenti appaia all’Erario effettivamente
uscito dal patrimonio del debitore sì da rendere impossibile o comunque più
difficile il recupero.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - 1. Il sig. M.G. ricorre per l’annullamento


della sentenza del 19/06/2019 della Corte di appello di Palermo che, rigettando
la sua impugnazione, ha confermato la condanna alla pena (principale) di un
anno di reclusione (oltre pene accessorie) per il reato di cui al D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 11, a lui imputato perché, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte e
contributi previdenziali dell’ammontare complessivo di Euro 383.199,69, aveva
alienato la somma di Euro 200.000,00 in favore del coniuge, A.C., mediante
bonifico bancario disposto il 25/03/2013 così da rendere in parte inefficace la
procedura di riscossione coattiva.
1.1. Con unico motivo deduce, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., lett. b), l’erronea
applicazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, nonché del D.P.R. n. 602 del 1973,
art. 48-bis.
Il 20/03/2013, afferma, l’Agenzia delle Entrate aveva accreditato sul suo
conto corrente la complessiva somma di Euro 206.730,62; il 25/03/2013 aveva
accreditato sul conto corrente della moglie la somma di Euro 200.000,00,
trasferita, mediante bonifico bancario, dal proprio conto. Il D.P.R. n. 602 del
1973, art. 48-bis, impedisce all’Agenzia delle Entrate di pagare somme superiori
a Euro 10.000,00 se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di versamento
derivante dalla notifica di una o più cartelle di pagamento per un ammontare
superiore a detto importo. Il pagamento di una somma superiore di venti volte il
limite di legge ha determinato in lui il legittimo affidamento della assenza di
pendenze superiori al detto limite; a ciò si aggiunga, prosegue, che dal com-
pendio probatorio è emerso che egli vantava un credito cospicuo nei confronti
dell’Erario e che nessuna procedura di accertamento o riscossione di debiti
erariali era stata avviata nei suoi confronti. Altrimenti ragionando si arriverebbe
all’inaccettabile conclusione che qualsiasi trasferimento di somme o spesa da
parte della persona ignara di pendenze erariali a suo carico potrebbe essere

Rassegna Tributaria 1/2021 - 209


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

inteso quale atto fraudolento; nel caso di specie, tra l’altro, egli di certo non
avrebbe girato le somme alla moglie se avesse voluto frodare il fisco.

MOTIVI DELLA DECISIONE - 2. Il ricorso è inammissibile perché generico e


proposto al di fuori dei casi consentiti dalla legge nella fase di legittimità.
3. Dalla lettura della sentenza impugnata (e da quella di primo grado),
risulta, in fatto, che:
3.1. nel 2013 il M. era esposto nei confronti dell’Erario per l’importo com-
plessivo di Euro 383.000,00 a seguito di imposte dirette e indirette non pagate (e
relativi interessi) iscritte a ruolo negli anni 2002-2011;
3.2. egli era titolare di un rapporto di conto corrente acceso (omissis) e privo
di disponibilità liquide fino al 3 marzo 2013; il 4 marzo 2013 vi aveva effettuato in
versamento di 100,0 Euro;
3.3. il 20 marzo 2013, a seguito di un accordo transattivo del precedente 26
gennaio, l’Agenzia del Demanio vi aveva accreditato la somma di Euro
206.000,00;
3.4. il (omissis) era stato acceso, presso lo stesso istituto di credito, un
rapporto di conto corrente intestato alla moglie del M.;
3.5. Il 25 marzo 2013 il ricorrente, senza alcuna apparente giustificazione,
aveva girato 200.000,00 Euro dal proprio conto a quello della moglie;
3.6. nei periodi successivi da detto conto sarebbero stati effettuati solo
prelievi.
3.7. Tali circostanze non sono oggetto di contestazione e smentiscono il
presupposto, giuridicamente irrilevante, della assenza di procedure volte all’ac-
certamento o alla riscossione del debito erariale e del fine di frodare il Fisco.
4. L’intero D.Lgs. n. 74 del 2000 codifica condotte ciascuna potenzialmente
idonea a ledere, da angolazioni diverse, il medesimo ed unico bene giuridico,
individuato, come detto, nel dovere di concorrere alle spese pubbliche (e di
garantire, conseguentemente, il flusso di beni necessario a farvi fronte). A tal
fine il legislatore penale ha selezionato (e presidiato) le fasi dell’obbligazione
tributaria, dalla genesi alla sua riscossione, fasi ritenute essenziali al corretto
adempimento dell’obbligazione stessa ed individuate nell’obbligo (strumentale)
di dichiarare fedelmente i fatti costitutivi dell’obbligazione e il suo oggetto,
nell’obbligo di adempiere all’obbligazione tributaria nei tempi e modi previsti,
nella necessità (strumentale) di documentare fedelmente le operazioni fiscal-
mente rilevanti che incidono sull’an e sul quantum dell’obbligazione tributaria e
nel dovere di conservare tale documentazione, nella necessità di preservare la
riscossione del credito erariale da attività volte a depauperare in modo fraudo-
lento la garanzia costituita dal patrimonio del debitore. Il D.Lgs. n. 74 del 2000,
art. 11, comma 1, si ascrive a quest’ultima fase della vita dell’obbligazione
tributaria. Attraverso l’incriminazione della condotta da esso prevista il legisla-
tore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere
alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di
rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni

210 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

dell’Erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077,
secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento
di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai
beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il
compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’impo-
sta e dei relativi accessori).
4.1. L’antecedente storico immediato e diretto della norma in questione è
costituito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 97 che, come sostituito dalla
Legge 30 dicembre 1991, n. 413, art. 15, così recitava: “Il contribuente che, al
fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene
pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e
verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi
di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti
fraudolenti sui propri o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte inefficace
la relativa esecuzione esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La disposizione non si applica se l’ammontare delle somme non corrisposte
non è superiore a lire 10 milioni”.
4.2. Le diversità strutturali delle fattispecie, sin da subito segnalate da
questa Corte (Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006, De Nicolo, Rv. 234322), sono
evidenti: scompare, in quella nuova, ogni riferimento alla necessità dell’effettivo
avvio di un qualsiasi accertamento fiscale e non è più conseguentemente
richiesto che l’azione abbia effettivamente compromesso l’esecuzione esatto-
riale: è sufficiente che sia idonea a renderla inefficace (sulla conseguente
natura di reato di pericolo concreto la giurisprudenza di questa Corte è ormai
consolidata; cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648,
che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso
di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiu-
dicare secondo un giudizio “ex ante” - l’attività recuperatoria della amministra-
zione finanziaria; nonché, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771,
con richiami ai numerosi precedenti conformi); fa ingresso, nella fattispecie, la
condotta di “alienazione simulata”, che costituisce modalità alternativa al com-
pimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni.
4.3. Per il concetto di “alienazione simulata” non è necessario ricorrere
all’armamentario definitorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1,
lett. g-bis, introdotto successivamente all’art. 11, stesso decreto. È sufficiente
attingere alle comuni definizioni civilistiche, preesistenti alla norma in questione,
secondo le quali la simulazione è finalizzata a creare una situazione giuridica
apparente diversa da quellà reale. Sicché, l’alienazione è simulata quando il
programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione
assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti.
V’è piuttosto da dire che nell’ambito della alienazione simulata rientra anche
quella a titolo gratuito, non ponendo la norma limiti definitori al titolo (oneroso o
meno) della “alienazione” e non essendovi motivo alcuno per escludere la
donazione dall’ambito di applicabilità della norma. In ossequio al principio di

Rassegna Tributaria 1/2021 - 211


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

stretta legalità e tassatività della fattispecie penale, deve però trattarsi di


alienazione “simulata”.
4.4. Ove, come nel caso di specie, il trasferimento sia effettivo, la relativa
condotta non può essere considerata alla stregua di un atto simulato ma deve
essere valutata esclusivamente quale possibile atto fraudolento, dovendosi
intendere per tale l’atto idoneo a rappresentare una realtà non corrispondente
al vero e a mettere a repentaglio o comunque ostacolare l’azione di recupero del
bene da parte dell’Erario (Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, Rv. 268798). Come
spiegato in motivazione, “in conformità alla “ratio” della norma, per “atto frau-
dolento” deve intendersi qualsiasi atto che, non diversamente dalla alienazione
simulata, sia idoneo a rappresentare ai terzi una realtà (la riduzione del patri-
monio del debitore) non corrispondente al vero, mettendo a repentaglio o
comunque rendendo più difficoltosa l’azione di recupero del bene in tal modo
sottratto alle ragioni dell’Erario. Si è così affermato che integra la condotta,
rilevante come sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte dovute da
società, la messa in atto, da parte degli amministratori, di più operazioni di
cessioni di aziende e di scissioni societarie simulate finalizzate a conferire ai
nuovi soggetti societari immobili, dal momento che nella fattispecie criminosa
indicata rientra qualsiasi stratagemma artificioso del contribuente tendente a
sottrarre, in tutto o in parte, le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva del
debito tributario (Sez. 3, n. 19595 del 09/02/2011, Vichi, Rv. 250471), la
costituzione di un fondo patrimoniale (Sez. 3, n. 5824 del 18/12/2007,
Soldera, Rv. 238821; si veda però Sez. 3, n. 9154 del 2015, infra), la vendita
simulata mediante stipula di un apparente contratto di “sale and lease back”
(Sez. 3, n. 14720 del 06/03/2008, Ghiglia, Rv. 239972); ma anche la costituzione
fittizia di servitù, di diritti reali di godimento, la concessione di locazione, la
ricognizione di debito, insomma ogni atto di disposizione del patrimonio che
abbia la sua causa nel pregiudizio alle ragioni creditorie dell’Erario”.
4.5. La fraudolenza deve qualificare l’atto sul piano oggettivo, senza che sia
necessario attingere a fatti o comportamenti ad esso estrinseci per escluderne
la natura. Inoltre, poiché la fraudolenza qualifica l’atto sul piano oggettivo, essa
preesiste al dolo specifico dell’azione e non ne può essere contaminato a fini
qualificatori; il fine di sottrazione qualifica il dolo specifico non la natura fraudo-
lenta dell’atto mediante il quale l’agente persegue lo scopo, sicché non è
corretto qualificare la natura fraudolenta dell’atto in considerazione (e a
causa) dello scopo perseguito dal suo autore. I piani devono rimanere distinti
se si vuole evitare che il disvalore dall’azione si tramuti in disvalore della volontà
e, soprattutto, se si vuole evitare l’allargamento della fattispecie a condotte non
tipiche.
4.6. È piuttosto importante precisare (e ribadire) in questa sede che oggetto
di immediata tutela dell’incriminazione della condotta non è il patrimonio in sè
del contribuente, che costituisce garanzia (generica) del debito erariale con-
tratto (art. 2740 c.c.), quanto, piuttosto, la necessità di preservare la riscossione
del credito erariale da qualsiasi attività volta a depauperare in modo fraudolento

212 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

tale garanzia così da ostacolare l’attività di riscossione coattiva del credito.


L’interpretazione della norma non dà adito a dubbi posto che la natura simulata
ovvero fraudolenta, rispettivamente della vendita o dell’atto, qualifica l’azione
sotto il profilo della sua offensività. Occorre, cioè, che per effetto della condotta
si determini una situazione tale per la quale il bene simulatamente alienato o in
relazione al quale sono stati compiuti atti fraudolenti appaia all’Erario effettiva-
mente uscito dal patrimonio del debitore sì da renderne impossibile o comunque
più difficile il recupero. Non rilevano, dunque, i fisiologici atti di disposizione del
proprio patrimonio che il contribuente può liberamente compiere (si veda, sul
punto, Sez. 3, n. 25677 del 2012, citata dai ricorrenti e di cui oltre si dirà); rileva la
disposizione fraudolenta, quella cioè oggettivamente idonea a ingannare il terzo
sulla reale consistenza del patrimonio stesso.
5. Orbene, nel caso di specie l’azione del ricorrente è stata posta in essere
nella piena ed incontestata consapevolezza dell’esistenza di un ingente debito
tributario risalente ad anni prima. Sicché, come correttamente affermato dalla
Corte di appello, egli non può giovarsi dell’errore evidentemente compiuto
dall’Agenzia del Demanio; se così fosse, del resto, il ricorrente avrebbe dovuto
spiegare (e non lo ha mai fatto, nemmeno in questa sede) le ragioni della
accensione del conto intestato alla moglie subito dopo l’accredito della
somma e del trasferimento a favore di quest’ultima di una somma così ingente.
5.1. In disparte queste considerazioni, però, il ricorrente non deduce il vizio
di motivazione della sentenza impugnata ma solo il malgoverno sostanziale del
D.P.R. n. 602 del 1973, art. 48-bis, senza alcuna spiegazione delle ragioni per le
quali la norma suddetta sia stata erroneamente interpretata o violata dalla Corte
di appello e con quale effetto sulla corretta applicazione del D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 11.
6. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p.,
non potendosi escludere che essa sia ascrivibile a colpa del ricorrente (C. Cost.
sent. 7-13 giugno 2000, n. 186), l’onere delle spese del procedimento nonché
del versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, che si fissa
equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 3.000,00.

P.Q.M. - Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al paga-


mento delle spese processuali e della somma di Euro 3.000,00 in favore della
Cassa delle Ammende.

Il requisito della fraudolenza nel reato di sottrazione fraudolenta al


pagamento delle imposte

Estratto: Nella sentenza in commento, la Cassazione ricostruisce gli elementi


costitutivi del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ex art. 11
D.Lgs. n. 74/2000, affrontando un caso che si pone ai confini applicativi della
fattispecie e quindi particolarmente adatto a saggiarne la tenuta in ordine ai principi

Rassegna Tributaria 1/2021 - 213


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

di legalità e frammentarietà: trattasi di condotta indiscutibilmente pregiudizievole


per l’Erario, eppure priva di qualsiasi profilo di artificio o opacità. Nonostante la
Suprema Corte richiami la necessità di un puntuale accertamento della natura
fraudolenta dell’atto dispositivo, nel decisum sembra far coincidere la prova del
carattere fraudolento dell’operazione con la mera idoneità dell’atto a compromet-
tere il recupero del credito tributario e con la volontà di sottrarre i propri beni alla
riscossione. Una simile impostazione si risolve nel dilatare oltremodo i confini di
tipicità degli “altri atti fraudolenti” - che invece si connotano per una oggettiva
componente di artificio e inganno - nell’ottica di un’iper-effettività dei reati tributari,
funzionale agli obiettivi dell’Amministrazione Finanziaria.

Abstract: In the commented decision, the Supreme Court reconstructs the consti-
tutive elements of the crime of fraudulent evasion of tax payments pursuant to art. 11
D.Lgs. n. 74/2000 by addressing a case that straddles the application boundaries of
this criminal offence and is therefore particularly suitable for testing its compliance
with the principle of legal certainty and with the fragmented nature of criminal law:
we are indisputably dealing with a conduct prejudicial to the Treasury but devoid of
any artifice or opacity. Although the Supreme Court recalls the need for an accurate
ascertainment of the fraudulent nature of the transaction, the proof of this fraudu-
lent nature seems to be made to coincide with the transaction’s mere likeliness to
compromise the recovery of the tax credit and with the will to subtract one’s own
assets from tax collection. Such approach results in overexpanding the boundaries of
the concept of “other fraudolent acts” – which are, instead, characterized by an
objective component of artifice and deception – with a view to pursuing the objecti-
ves of the Tax Authorities through a hyper-effectiveness of tax crimes.

SOMMARIO: 1. Il caso in esame - 2. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento


delle imposte nel sistema punitivo tributario - 3. Gli elementi costitutivi del reato -
3.1. Il paradigma dell’alienazione simulata - 3.2. La sfumata tipicità degli altri atti
fraudolenti - 3.3. L’idoneità della condotta e il rapporto con la procedura di accer-
tamento e riscossione - 3.4. La (smentita) funzione tipizzante del dolo - 4. La tutela
del debito tributario: l’azione revocatoria - 5. Conclusioni: presunzioni di tipicità e
istanze di iper-effettività.

1. Il caso in esame - L’imputato riceveva dall’Agenzia del demanio, a seguito


di accordo transattivo, circa 206.000 euro, nonostante fosse esposto nei
confronti del Fisco per l’importo complessivo di euro 383.000 per imposte
dirette e indirette non pagate (con relativi interessi) iscritte a ruolo negli
anni precedenti.
A distanza di quasi due mesi dall’accredito da parte del Demanio, al fine
di sottrarsi al pagamento del debito tributario pendente, trasferiva al
coniuge, tramite bonifico bancario, una somma pari a 200.000 euro,
senza alcuna apparente giustificazione. Nei periodi successivi da detto
conto sarebbero stati effettuati solo prelievi.
Il ricorrente lamentava l’erronea applicazione dell’art. 48-bis, D.P.R. n.
602/1973 che impedisce alle Pubbliche amministrazioni di pagare somme

214 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

superiori ai 10.000 euro se il beneficiario è inadempiente all’obbligo di


versamento derivante dalla notifica di una o più cartelle esattoriali per un
valore superiore a detto importo, poiché, secondo la tesi difensiva, il paga-
mento effettuato in suo favore dall’Agenzia del demanio avrebbe determi-
nato in lui il legittimo affidamento dell’assenza di pendenze a suo carico in
favore dell’Erario.
La Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile e confermato la
condanna per il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte
ex art. 11, D.Lgs. n. 74/2000, qualificando il trasferimento di denaro effet-
tuato dall’imputato in favore della moglie quale atto fraudolento idoneo a
rendere in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva dell’ingente
credito che il Fisco vantava nei confronti del ricorrente.
La sentenza merita attenzione perché ricostruisce gli elementi essen-
ziali del reato di sottrazione fraudolenta, con particolare riferimento alla
esatta determinazione degli “altri atti fraudolenti”, formula di chiusura dai
confini certamente sfumati, sempre sospesa tra i principi di tassatività-
determinatezza e l’esigenza di effettività repressiva dell’arsenale dei reati
tributari.
In motivazione, la Suprema Corte richiama la necessità di un puntuale
accertamento della natura fraudolenta dell’atto di disposizione, da valutarsi
esclusivamente sul piano oggettivo, non potendosi far coincidere il conno-
tato di fraudolenza della condotta con la volontà soggettiva di sottrarre i
propri beni alla procedura di riscossione.
Tuttavia, alla prova dei fatti, la Cassazione sembra abbandonare la
formale distinzione tra profilo materiale e psicologico del reato, facendo
coincidere la prova del carattere fraudolento dell’operazione con la mera
idoneità dell’atto a compromettere il recupero del credito tributario.
Invero, una simile ricostruzione rischia di risolversi in un’interpreta-
zione sostanzialmente abrogatrice del requisito della fraudolenza richiesto
espressamente dalla norma incriminatrice. Come tale farebbe rientrare
nell’efficacia incriminatrice della norma ogni condotta che presenti conno-
tati latu sensu distrattivi, anche se priva della necessaria artificiosità e
ingannevolezza. Così in definitiva con il rischio di violare il principio di
legalità cui non solo la norma incriminatrice, ma anche l’attività ermeneu-
tica deve essere pur sempre ispirata.

2. Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nel sistema


punitivo tributario - Il reato di sottrazione fraudolenta di cui all’art. 11,
D.Lgs. n. 74/2000 punisce il contribuente che aliena simulatamente o com-
pie altri atti fraudolenti sui beni propri o altrui, allo scopo di sottrarsi al
pagamento delle imposte sui redditi o sull’IVA con relative sanzioni o
interessi per un ammontare superiore a 50.000 euro, in modo da impedire
o comunque ostacolare la procedura di riscossione da parte dell’Erario.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 215


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

La fattispecie si pone a presidio dell’effettivo adempimento dell’obbli-


gazione tributaria attraverso l’incriminazione di tutte le condotte volte a
depauperare in modo simulato o fraudolento la garanzia generale costituita
dal patrimonio del debitore ai sensi dell’art. 2740 c.c., che costituisce il bene
giuridico protetto, pur sempre funzionale però alla piena soddisfazione del
diritto di credito del Fisco1.
Rispetto al diretto antecedente storico, la c.d. frode esattoriale ex art.
97, D.P.R. n. 602/1973 rimasta quasi inapplicata per via della propria
rigidità strutturale2, l’attuale art. 11, D.Lgs. n. 74/2000 non richiede né
l’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale, né l’evento di danno
derivante della frustrazione della procedura di riscossione. Un evento che
secondo il legislatore avrebbe meritato una tutela anticipata, configu-
rando un reato di pericolo concreto, integrato dalla semplice idoneità
della condotta a rendere inefficace la procedura, da valutarsi con giudizio
prognostico3.
La tenuta costituzionale della fattispecie - “altrimenti davvero fragile”4 -,
in particolare rispetto ai principi di offensività e frammentarietà, è garantita
dalla necessità che la condotta si caratterizzi per la natura simulata dell’a-
lienazione o per la natura fraudolenta degli atti. Pertanto, all’anticipazione
della soglia di rilevanza penale deve corrispondere una stretta interpreta-
zione dei connotati di simulazione e fraudolenza, necessaria per evitare
l’applicazione di una sanzione indiscriminata di atti di disposizione, espres-
sione del diritto di proprietà ex art. 42 Cost.

3. Gli elementi costitutivi del reato - La natura simulata della vendita o quella
fraudolenta degli atti, l’idoneità della condotta a frustrare la procedura di

1
Cfr. P. Aldrovandi, “Sub art. 11”, in AA.VV., Diritto e procedura penale tributaria, a cura di
I. Caraccioli - A. Giarda - A. Lanzi, Padova, 2001, pag. 356; R. Pisano, “I delitti in materia di
documenti e pagamento di imposte, in A. Di Amato - R. Pisano, Trattato di diritto penale
dell’impresa, Padova, 2002, pag. 652; G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2013, pag. 362; R.
Zannotti, “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in AA.VV., Diritto penale tribu-
tario, a cura di E. Musco, Milano, 2002, 214.
2
Sulle problematiche attinenti alla fattispecie di cui all’art. 97 del D.P.R. n. 602/1973,
dopo la modifica attuata dall’art. 15 della Legge n. 413/1991: V. Napoleoni, I fondamenti del
nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, Milano, 2000, pag. 191; P.
Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 353. Come già acutamente osservato da G. Flora, “D.Lgs. 10
marzo 2000, n. 74 - Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, a norma dell’art. 9 della Legge 25 giugno 1999, n. 205”, in Legislazione Penale, n. 1-2/
2001, pag. 26, anche la stessa collocazione della disposizione in un testo normativo poco
conosciuto e di scarsa consultazione aveva privato la frode esattoriale di ogni efficacia general-
preventiva.
3
Cass., Sez. III pen., 23 settembre 2013, afferma la natura di reato di pericolo, “avendo il
legislatore in tal modo stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco”. La stessa
relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 sub §3.2.3 nota che “la linea della tutela
penale è stata opportunamente avanzata”.
4
Cass., Sez. III pen., 24 febbraio 2016, n. 13233.

216 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

riscossione e il dolo specifico di sottrazione operano su piani tra loro distinti


e devono essere accertati separatamente.

3.1. Il paradigma dell’alienazione simulata - Sicuramente il riferimento


alle alienazioni simulate assume un’importante valenza descrittiva
degli atti fraudolenti, contribuendo a meglio delinearne i confini
tipici5. Infatti la condotta di alienazione simulata si pone quale esem-
pio paradigmatico della classe residuale dei comportamenti fraudo-
lenti, giungendo a costituire una chiave di lettura dell’intera fattispecie
così da rendere omogenei sotto il profilo decettivo le due condotte tra
loro alternative6.
Per definire il concetto di alienazione simulata non è necessario far
riferimento alla definizione di cui all’art. 1. comma 1, lett. g-bis), D.Lgs. n.
74/2000, peraltro introdotta solo nel 2015, ma è invece sufficiente riferirsi
all’elaborazione civilistica: si avrà quindi simulazione quando il programma
contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione asso-
luta) o in parte (simulazione relativa)7 alla effettiva volontà dei contraenti,
comprendendo così qualsiasi atto (negozio giuridico) di trasferimento
fittizio della proprietà, a titolo oneroso o gratuito, caratterizzato da una
preordinata divergenza tra la volontà dichiarata e quella effettiva8.
Nonostante le perplessità di alcuni studiosi9, questa ricostruzione
riguarda non solo la simulazione oggettiva, ma anche quella soggettiva
(c.d. interposizione fittizia di persona)10. Ciò con l’intento comune di sot-
trarre le garanzie patrimoniali del contribuente alla riscossione coattiva del
debito tributario11.
In sintesi, sul piano penalistico, rileva ogni operazione, comunque
realizzata, che non produce un reale trasferimento di proprietà, così da

5
V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, cit., 203.
6
A. Perini, “Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: reato di
pericolo e limiti costituzionali”, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 3/2018, pag. 1198.
7
Sulla equiparazione della simulazione relativa a quella assoluta ai fini dell’integrazione
del reato in esame, si veda tra tutti E. Vagnoli, “Il delitto di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte”, in questa Rivista, n. 4/2004, pag. 1317 ss.; R. Zannotti, “Il delitto
di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in questa Rivista, n. 3/2001, pag. 771.
Contra, esclude la rilevanza della simulazione relativa U. Nannucci, “Il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento di imposte”, in U. Nannucci - A. D’Avirro (a cura di), La riforma del
diritto penale tributario (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), Padova, 2000.
8
In argomento, P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 366; U. Nannucci, Il delitto di
sottrazione fraudolenta, cit., pag. 297; V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale
tributario, cit., pag. 202; L. G. Soana, I reati tributari, cit., pag. 366.
9
P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 366.
10
S. Gennai - A. Traversi, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000, pag.174 l’interposizione
fittizia di persona è un metodo attuativo ricorrente per la vendita simulata.
11
Cass., Sez. III pen., 6 marzo 2008, n. 14720.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 217


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

creare un decremento della consistenza patrimoniale del contribuente solo


apparente12.

3.2. La sfumata tipicità degli altri atti fraudolenti - Se il trasferimento della


proprietà è effettivo, la condotta non può qualificarsi come atto simulato,
ma va valutata quale possibile atto fraudolento.
La definizione di “altri atti fraudolenti” rappresenta una delle formule di
chiusura tipiche del diritto penale dell’economia13, funzionali a punire
diverse modalità di abusi e frodi che si presentano “ineluttabilmente sospese
tra l’incudine della determinatezza ed il martello della duttilità necessaria a
non renderne smaccatamente agevole l’aggiramento”14. Una formulazione
di per sé già vaga15, resa ancor più elastica dalla portata residuale idonea a
ricomprendere tutto ciò che sfugge a l’incriminazione delle condotte
simulate.
Attorno alla “scivolosa” formula degli “altri atti fraudolenti” si regi-
strano due orientamenti. Un primo orientamento tende a obliterare il
requisito della fraudolenza, ritenendo il reato configurato da ogni atto
che, diminuendo la capacità patrimoniale, risulti idoneo ad ostacolare
l’interesse dell’Erario alla riscossione del credito16. Una simile interpreta-
zione pare criticabile in quanto opera una tacita abrogazione di un elemento
tipico, sovrapponendo il profilo della maggior difficoltà di riscossione alla
fraudolenza dell’operazione. Se questa coincide con la semplice violazione
dell’art. 2740 c.c., cioè con la gestione del patrimonio personale in modo da
frustrare le esigenze dell’Erario, allora il connotato della fraudolenza nulla
aggiunge alla portata selettiva della norma incriminatrice.
Così si cade però in un ragionamento circolare per cui è fraudolento
l’atto che risulta idoneo, mentre, al contrario, la verifica della idoneità della
condotta è un esame ulteriore e successivo a quello del carattere fraudolento
della stessa17. L’idoneità è il risultato tipico della condotta fraudolenta e non
una sua caratteristica.
La formulazione e la struttura di reato di pericolo dimostrano, invece,
che il legislatore ha incentrato il disvalore del reato sul carattere fraudo-
lento della condotta, elemento che ha la funzione di selezionare i fatti

12
F. La Grotta, “Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nella
dinamica del procedimento di imposizione”, in questa Rivista, 2007, pag. 608 ss.
13
A. Lanzi, “Il flebile incrocio tra illuminismo, legalità e diritto penale dell’economia”, in
Indice pen., 2016, pag. 1 ss.
14
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1210.
15
Per U. Nannucci, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 293, “è appena il caso di
segnalare quale ambito di incertezza e di aleatorietà di previsione la norma consenta”.
16
Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2012, n. 40561; Cass., Sez. III pen., 5 maggio 2011, n. 23986;
Cass., Sez. III pen., 10 giugno 2009, n. 38295.
17
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1990 ss.

218 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

meritevoli di sanzione penale perché caratterizzati da profili di


artificiosità e inganno.
In quest’ottica, un diverso orientamento esige una carica di decettività
ulteriore rispetto alla frontale violazione degli obblighi di cui all’art. 2740
c.c., attribuendo alla fraudolenza un significato autonomo e pregnante.
Quindi potrà qualificarsi come fraudolento ogni atto di disposizione patri-
moniale, non simulato, ancorché formalmente lecito, idoneo a rappresen-
tare ai terzi una fittizia riduzione del patrimonio del debitore. In sostanza,
uno stratagemma artificioso del contribuente, tendente a sottrarre in tutto o
in parte le garanzie patrimoniali alla riscossione coattiva18.
Si richiede cioè che la condotta presenti un quid pluris da individuarsi in
una componente oggettiva di inganno, artificio, falsa rappresentazione
della realtà19. Mentre nella simulazione l’inganno è relativo alla reale
volontà del soggetto agente, negli atti fraudolenti investe la reale sostanza
economica dell’operazione.
La sentenza qui annotata mette in guardia dal rischio di desumere la
natura fraudolenta dell’atto dallo scopo perseguito dall’agente, affermando
che i piani devono restare tra loro distinti per “evitare che il disvalore
dell’azione si tramuti in disvalore della volontà e, soprattutto, se si vuole
evitare l’allargamento della fattispecie a condotte non tipiche”. Però, nello
stesso tempo, pur aderendo chiaramente all’orientamento più restrittivo
appena richiamato, sembra farne un uso poco coerente nella decisione del
caso di specie.
Riconosciuto come effettivo - e non simulato - il trasferimento di
proprietà del denaro dal conto corrente del ricorrente a quello del coniuge,
la Cassazione pare eludere l’accertamento dello stratagemma artificioso
attribuibile all’agente, facendo coincidere il requisito della fraudolenza con
l’idoneità a pregiudicare l’efficacia della procedura di riscossione del debito
tributario, come dimentica della “necessaria autonomia e intrinseca pre-
gnanza della nozione di fraudolenza”20.
Già una giurisprudenza, mostratasi sensibile alla tenuta costituzionale
della fattispecie, aveva avvertito dei rischi che derivano dal valorizzare ecces-
sivamente la direzione finalistica della condotta, precisando che “in un
terreno ‘minato’ quale quello definito dalla norma in questione (già sotto
osservazione proprio sotto il profilo della genericità ed indeterminatezza del
concetto di ‘atti fraudolenti’), interpretazioni che fanno leva sul risultato

18
Cass., Sez. III pen., 8 aprile 2015, n. 15449; Id. 2 marzo 2018, n. 29636.
19
Facendo un parallelo con i reati in materia di dichiarazione caratterizzati anch’essi
dall’elemento della frode, si rileva che la C.M. n. 154/E/2000 che detta i criteri interpretativi sulle
nuove fattispecie penal-tributarie, richiede che la condotta di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000
presenti “l’utilizzo di modalità particolarmente artificiose e insidiose”.
20
S. Delsignore, “I delitti di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, in A.
Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Diritto penale dell’economia, tomo I,
pag. 405.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 219


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

comunque preso in considerazione dall’agente potrebbero innescare perico-


lose derive soggettivistiche a detrimento del concetto di ‘fraudolenza’ che
qualifica la condotta sul piano oggettivo, prima ancora che su quello
soggettivo”21.

3.3. L’idoneità della condotta e il rapporto con la procedura di accertamento e


riscossione - Per integrare il reato di cui all’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 non è
più necessario che la condotta arrechi un effettivo danno alla procedura di
riscossione, essendo, invece, sufficiente che sia idonea a rendere, in tutto o
in parte, inefficace la procedura stessa22. Non si richiede nemmeno l’inter-
venuta attività di verifica, accertamento o di riscossione tramite iscrizione a
ruolo23. Così la procedura esecutiva non configura un presupposto della
condotta, ma è prevista solo come futura evenienza che la condotta tende a
vanificare o ad ostacolare24.
Inoltre, la scomparsa del riferimento alle imposte “dovute” - cioè accer-
tate definitivamente dall’Amministrazione finanziaria - determina che gli
atti dispositivi possono essere compiuti non solo prima dell’avvio dell’ese-
cuzione, ma anche prima dell’inizio del procedimento di verifica e accerta-
mento, sempre che, in tale momento, l’avvio della procedura esecutiva
appaia comunque probabile e prevedibile25. L’unico presupposto necessa-
rio è la preesistenza del debito tributario superiore alla soglia di punibilità di

21
Cass., Sez. III pen., 5 luglio 2016, n. 3011.
22
Nonostante l’infelice formulazione della norma per cui l’idoneità parrebbe essere
riferita alla sola ipotesi degli altri atti fraudolenti e non anche a quella di alienazione simulata,
cosicché tale ultima condotta sarebbe di pericolo astratta, la dottrina è unanime nell’aggan-
ciare il requisito dell’idoneità ad entrambe le condotte alternativamente previste dall’art. 11,
D.Lgs. n. 74/2000. R. Pisano, in AA.VV., op. cit.; M. Giglioli, “I delitti in materia di pagamento
delle imposte”, in M. Giglioli - M. D’Avirro- A. D’Avirro (a cura di), Reati tributari e sistema
normativo europeo, Padova, 2015, pag. 510.
23
La relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 sottolinea la precisa scelta di
eliminare questo presupposto del reato perché “aveva fortemente limitato la capacità di presa
dell’incriminazione”.
24
E. Mastrogiacomo, “La frode nella riscossione: limiti e criticità”, in Riv. dir. trib., n. 6/
2011, pag. 670.
25
V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000,
n. 74, Milano, 2000, pag. 199; G. L. Soana, I reati tributari, cit., pag. 381. E. Mastrogiacomo, La
frode nella riscossione, cit., pagg. 671-672, distingue tale momento a seconda delle modalità di
evasione: nel caso di omesso versamento del tributo a debito risultate dalla dichiarazione
annuale presentata tale momento è da individuarsi dalla stessa scadenza per il versamento
dell’imposta risultante dalla dichiarazione, atteso che l’Agenzia delle entrate procede alla
liquidazione di tutte le dichiarazioni ai sensi degli artt. 36-bis, D.P.R. n. 6000/1973 e 54-bis del
D.P.R. n. 633/1972, a differenza della diversa procedura di controllo formale ex art. 36-ter del
D.P.R. n. 600/1973 che viene effettuata su un numero limitato di dichiarazioni. Nel caso, invece,
di omessa o infedele dichiarazione il controllo amministrativo è solo eventuale, per cui
l’idoneità potrà configurarsi solo se la condotta sia successiva all’avvio di qualsiasi controllo,
effettuato anche nei confronti di terzi, se appaia probabile l’estensione della verifica anche al
contribuente agente.

220 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

euro 50.00026, il cui ammontare complessivo può essere composto da una


stratificazione in più anni d’imposta.
Nel giudizio prognostico la garanzia generica del patrimonio del con-
tribuente funge da baricentro della fattispecie, nel senso che l’idoneità a
mettere in concreto pericolo la riuscita della procedura si pone in relazione
alla violazione dell’art. 2740 c.c. a tutela delle ragioni creditorie dell’erario27.
Il giudice deve cioè procedere ad un delicato giudizio ex ante in concreto
volto a verificare se la condotta, al momento in cui è stata realizzata, poteva
ritenersi capace di ostacolare la riscossione, in relazione alla capienza
residua del patrimonio del contribuente debitore28. A nulla rileva che la
pretesa tributaria sia stata successivamente soddisfatta29.
Va da sé che la prova della idoneità risulterà tanto più difficile quanto
l’atto dispositivo incriminato sia anteriore a qualsiasi iniziativa
dell’Amministrazione30. Proprio in motivazione la Cassazione ha valoriz-
zato la sequenza temporale, evidenziando che l’accensione del conto cor-
rente intestato al coniuge e il trasferimento del denaro in suo favore è stato
realizzato subito dopo l’accredito della ingente somma da parte dell’Agenzia
del demanio. Tale versamento da considerarsi in palese violazione del
divieto, previsto dall’art. 48-bis, D.P.R. n. 602/1973, per la Pubblica ammi-
nistrazione di pagare somme superiori ai 10.000 euro se il beneficiario è
esposto nei confronti del Fisco per somme superiori a detto importo.
Ebbene, si è già sottolineato come, nonostante la sentenza si soffermi
inizialmente sulla necessità dell’autonomo accertamento del carattere
decettivo della condotta, nella decisione del caso specifico la Suprema

26
Il dibattito sul momento genetico del debito tributario è tuttora aperto nella dottrina
tributaristica. In estrema sintesi, secondo la teoria dichiarativa l’obbligazione nasce ex lege al
verificarsi del presupposto di fatto espressivo della capacità contributiva, così P. Russo,
L’obbligazione tributaria, in AA.VV., Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, II,
Padova, 1994, pag. 4. Secondo la diversa prospettiva, c.d. costitutiva, il momento costitutivo
deve individuarsi nella dichiarazione ovvero al provvedimento di recupero, così F. Tesauro, Il
rimborso d’imposta, Torino, 1975, pag. 579.La questione non sembra interessare la dottrina
penalistica che considera unanimemente l’obbligazione tributaria come effetto diretto della
realizzazione del presupposto previsto dalla legge. Tra tutti, E. Musco - F. Ardito, Diritto penale
tributario, Bologna, 2016, per i quali l’atto di accertamento ha natura eminentemente dichia-
rativa e non costitutiva dell’obbligazione.
27
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., l’autore individua nell’art. 2740 c.c., o
meglio nella lesione della garanzia creditoria, il comune denominatore tra il delitto di sottra-
zione fraudolenta al pagamento delle imposte e i reati di bancarotta.
28
P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 372 s.; R. Pisano, in AA.VV., cit., pag. 663; V.
Napoleoni, I fondamenti, cit., pagg. 205-206. In giurisprudenza si veda Cass., Sez. III pen., 24
febbraio 2015, n. 13878; Id. 3 luglio 2015, n. 36378. Inoltre, si veda la stessa relazione di
accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000, § 3.2.3.
29
La giurisprudenza sul punto è pacifica. Ex multis, si segnala Cass., Sez. III pen., 27
ottobre 2010, n. 40481.
30
M. Romano, “Il delitto di sottrazione fraudolenta delle imposte (art. 11, D.Lgs. n. 74/
2000)”, in Riv. it. dir. e proc. pen., n. 3/2009, pag. 1010.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 221


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

Corte sembra polarizzare il disvalore del fatto sull’offesa al bene tutelato


della percezione dei tributi, quale apparenza che il bene sia effettivamente
uscito dal patrimonio del debitore sì da renderne impossibile o comunque
più difficile il recupero.
Vista la stringata esposizione dei fatti in commento, non è dato com-
prendere quali atti della procedura di accertamento e riscossione erano stati
compiuti e notificati al debitore. Nonostante il ricorrente lamentasse il
mancato avvio nei suoi confronti della procedura, la Cassazione ha smentito
la censura, evidenziando che risultava iscritto a ruolo negli anni 2002-2011
l’importo complessivo di euro 383.000 per imposte dirette e indirette non
pagate con relativi interessi.
In ogni caso, per la Cassazione l’assenza (sconfessata) di procedure di
accertamento e riscossione è un presupposto giuridicamente irrilevante ed il
trasferimento di denaro al conto corrente del coniuge è penalmente rilevante
perché posto in essere nella “piena ed incontestata consapevolezza dell’esi-
stenza di un ingente debito tributario risalente ad anni prima”, unico presup-
posto necessario per la configurazione del reato ex art. 11, D.Lgs. n. 74/2000.

3.4. La (smentita) funzione tipizzante del dolo - L’elemento soggettivo richie-


sto è il dolo specifico, integrato dalla precisa volontà di porre in essere la
condotta tipica al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul
valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrativi relativi a dette
imposte.
E necessario che il dolo abbracci la conoscenza dell’agente di essere
debitore verso il Fisco per una somma complessiva superiore a quella
indicata nella norma quale soglia di punibilità. Inoltre, deve ricorrere la
volontà dell’alienazione simulata o del compimento degli atti fraudolenti, la
finalità di sottrarsi al pagamento del debito e la consapevolezza dell’idoneità
della condotta a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di
riscossione.
La norma incriminatrice si limita a richiedere non tanto la conoscenza
formale degli atti esecutivi dell’amministrazione, quanto la sola consape-
volezza dell’esistenza del debito tributario. In mancanza di una formale
comunicazione al contribuente del proprio debito tributario, sarà sensibil-
mente più gravosa la prova che questi ne era comunque a conoscenza31.
La “volontà malvagia”32 di sottrarsi al pagamento del debito erariale può
concorrere con altri scopi, purché non esclusivi33, non essendo necessario

31
G.L. Soana, “Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e azione esecutiva
tributaria”, in Riv. giur. trib., 2007, pag. 156.
32
E. Lo Monte, “Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al paga-
mento delle imposte”, in questa Rivista, 2000, pag. 1145; A. Marcheselli, “Operazioni societarie
artificiose e reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in GT - Riv. giur. trib.,
2011, pag. 575.
33
Cass., Sez. III pen., 28 giugno 2012, n. 28567.

222 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

che l’atto sia totalmente privo di ogni altra ragione economica34. È esclusa la
configurabilità del dolo eventuale, ravvisabile nelle ipotesi di incertezza
sulla sussistenza del debito, atteso che la reale conoscenza di tale elemento è
essenziale a connotare la condotta di quel disvalore che caratterizza il dolo
specifico35.
Sicuramente l’elemento soggettivo ha una marcata influenza sulla perime-
trazione del fatto tipico, tant’è che la Cassazione in alcune precedenti pronunce
ha valorizzato oltremodo la finalizzazione della condotta, trascurando del tutto
la necessità che in prima battuta sussista la materialità del reato36.
La motivazione annotata, invece, mette in guardia dalla contaminazione
qualificatoria del dolo di sottrazione dalla distinta individuazione del disvalore
di azione, per cui il riconoscimento della finalità di evasione non risolve la
questione della fraudolenza dell’elemento materiale. Diversamente si scivola in
una eccessiva soggettivizzazione dell’illecito penale37. Quando il dolo specifico
assume una particolare rilevanza nell’economia della fattispecie finisce per
contrassegnare l’incriminazione in senso esasperatamente soggettivo, in con-
trasto con la concezione che considera il reato non in un semplice atteggia-
mento riprovevole ma in un fatto offensivo di bene tutelato38.

34
M.C. Parlato, “Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11,
comma 1, D.Lgs. n. 74/2000: considerazioni critiche”, in Riv. dir. trib., n. 7-8/2013, pag. 166.
35
R. Pisano, I delitti in materia di documenti e pagamento di imposte, cit., pag. 667. Di
avviso contrario, M. Romano, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1011, per cui “non
può precludersi uno spazio neppure al dolo eventuale, non essendo per sé incompatibile una
precisa e decisa finalità di sottrarsi al pagamento dell’imposta, pur permanendo il dubbio se
essa superi o meno la soglia medesima”. Invero, la rilevanza del dubbio sul quantum del debito,
pare scontare, a monte, la risoluzione sulla natura della soglia di punibilità quale condizione di
punibilità o quale elemento costitutivo. Nel primo caso la questione non si pone e la norma
incriminatrice assume una severità più marcata. Se invece si sostiene la natura di elemento del
reato, allora la rappresentazione che il quantum non pagato supera la soglia di punibilità può
rivelarsi spesso assolutamente aleatoria alla luce delle molteplici variabili che influiscono sulla
sua determinazione, per cui sarebbero tipiche solo quelle condotte che si pongono ben al di
sopra della soglia di punibilità oppure poste in essere dopo la notifica degli atti di accertamento.
Su quest’ultima conclusione, si veda A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1202.
In dottrina, ritiene che la soglia sia una condizione obiettiva di punibilità A. Martini, “Reati in
materia di finanze e tributi”, in C.F. Grosso - T. Padovani - A. Pagliaro (a cura di), Trattato di
diritto penale, pag. 572.
36
Emblematica la pronuncia in cui la Cassazione ha confermato la sussistenza del delitto
pur avendo escluso la natura fraudolenta della condotta: “pur dovendosi sicuramente affer-
mare che una condotta di disposizione, da parte del proprietario, dei proprio beni, non può,
evidentemente, integrare l’elemento oggettivo del reato di sottrazione fraudolenta al paga-
mento delle imposte, di cui all’art. 11, gli elementi in fatto della condotta tenuta dagli indagati,
lungi dall’essere indicativi di un comportamento semplicemente volto a cercare di disporre dei
proprio beni, sono stati ritenuti caratterizzati dalla componente di fraudolenza che, nella
struttura della norma ricordata, colora di illiceità un comportamento altrimenti del tutto
lecito”. Così Cass., Sez. III pen., 4 luglio 2012, n. 25677.
37
E. Lo Monte, Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag.
1136 ss.
38
N. Mazzacuva, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, pag. 219 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 223


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

In tale direzione, si svuota il fatto tipico della propria funzione garanti-


stica e si aprono le porte al diritto penale dell’atteggiamento interiore39 con
conseguente spostamento del giudizio di disvalore alla mera disobbedienza.
Nello stesso tempo, non deve dimenticarsi il rischio opposto di aggirare
l’accertamento del dolo, nel caso di specie addirittura specifico, verso forme
di dolo in re ipsa, tentazione tipica delle fattispecie soggettivamente
pregnanti40.

4. La tutela del debito tributario: l’azione revocatoria - Per garantire maggior


efficacia all’azione di recupero del credito tributario, la Legge n. 311/2004 ha
previsto che il concessionario della riscossione tributaria, oltre a poter
procedere con gli strumenti previsti dal D.P.R n. 602/197341, può promuo-
vere nei confronti del contribuente azioni cautelari e conservative, nonché
ogni altra azione prevista dalle norme ordinarie a tutela del creditore (art. 49
comma 1, D.P.R. n. 602/1973)42.
Tipico strumento di tutela delle ragioni creditorie è l’azione revocatoria
ex art. 2901 c.c. che la stessa Agenzia delle entrate erge a “rimedio naturale”
nei confronti degli atti dispositivi nocivi per la procedura di riscossione43.
Con l’azione revocatoria si mira a rendere inefficaci, nei confronti del
creditore agente, tutti quegli atti con i quali il debitore trasferisce ad altri un
proprio bene, al fine di ricostituire la garanzia generica fornita dal patri-
monio del debitore. L’atto dispositivo deve aver reso incerta o comunque più
difficoltosa la realizzazione del diritto di credito dell’agente della
riscossione.
Per l’esercizio dell’azione c.d. pauliana, il Codice civile richiede, oltre
alla sussistenza del diritto di credito, il pregiudizio che gli atti del debitore
arrecano alle ragioni del creditore e l’intenzione fraudolenta, da declinarsi

39
C. Roxin, Politica criminale e sistema del diritto penale, (Berlin - New York, 2 Aufl. 1973),
trad. it. a cura di S. Moccia, Napoli, 1986, pag. 40 ss.
40
E. Vagnoli, Il delitto, cit., pag. 1317 ss. In generale, sulla funzione tipizzante del dolo
nelle fattispecie soggettivamente pregnanti e nelle condotte che richiedono il dolo specifico, si
veda tra tutti M. Donini, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, 1991, pag.
76 ss.
41
Si fa riferimento alla: iscrizione di ipoteca esattoriale sui beni immobili ex art. 77,
D.P.R. n. 602/1973; sottoposizione a fermo per motivi fiscali dei beni mobili registrati ex art. 86,
D.P.R. n. 602/1973; espropriazione forzata dei beni del contribuente debitore ex art. 49 D.P.R n.
602/1973 ovvero surroga nell’esecuzione già iniziata ex art. 50, D.P.R. n. 602/1973.
42
L’intervento legislativo si era reso necessario in ragione della separazione della
titolarità del diritto di credito dalla titolarità dell’azione esecutiva. Il titolare del credito
sottostante la cartella di pagamento è l’ente pubblico che ha provveduto alla formazione del
ruolo e non l’agente incaricato della riscossione finale e pertanto, in mancanza dell’attribuzione
di specifici poteri le azioni cautelari e conservative del credito l’agente di riscossione non
avrebbe potuto promuovere azioni cautelari e conservative per il recupero di un credito non
proprio.
43
Circolare Agenzia delle entrate n. 52/E del 9 dicembre 2005.

224 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

come conoscenza del pregiudizio se l’atto è anteriore al sorgere del credito


ovvero la dolosa preordinazione se l’atto dispositivo è successivo alla genesi
del credito.
Senza dilungarsi oltre su questi argomenti di natura schiettamente
civilistica, si osserva solo come alcune situazioni in cui l’azione revocatoria
può essere promossa dal concessionario agiscono nel perimetro degli ele-
menti costitutivi del delitto ex art. 11, D.Lgs. n. 74/200044. Nell’ottica di
sussidiarietà dell’intervento penale, il legislatore ha eliminato l’incon-
gruenza di un intervento di carattere esclusivamente penale nella lotta
all’evasione da riscossione45, peraltro di portata eminentemente simbo-
lico-deterrente perché totalmente disinteressato dal recupero dei beni fitti-
ziamente usciti dal patrimonio del debitore e dalla effettiva soddisfazione
del debito erariale46, garantendo al concessionario questo ulteriore ed
efficace strumento volto all’effettivo recupero delle somme dovute dal
contribuente.
Nel caso di specie, l’agente della riscossione ben avrebbe potuto
promuovere l’azione revocatoria nei confronti del trasferimento di
denaro del contribuente al conto della moglie: parrebbe ricorrere sia
il danno alla procedura di riscossione, sia la consapevolezza di tale
pregiudizio in capo al debitore e al terzo (la moglie), suggerita proprio
dal rapporto di coniugio47. In tal modo, le ragioni erariali sarebbero
state tutelate in modo efficace e proporzionato, evitando di azionare
l’arsenale dei reati tributari in situazioni che paiono di natura civilista,
in ossequio al principio di sussidiarietà che “preclude al diritto penale
di scavalcare, per così dire, il livello di tutela segnato dalla disciplina
economica di base”48.

5. Conclusioni: presunzioni di tipicità e istanze di iper-effettività - Il vastis-


simo e variegato ventaglio di ipotesi in cui la Cassazione ha ritenuto
configurato il reato di cui all’art. 11, D.Lgs. n. 74/2000 dimostra come
negli ultimi anni stiamo assistendo ad un rinnovato interesse della giuri-
sprudenza nei confronti del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento

44
E difatti, la circolare n. 52/E del 9 dicembre 2005 dell’Agenzia delle entrate richiama a
proposito l’obbligo in capo al concessionario della riscossione di denuncia all’Autorità giudi-
ziaria ai sensi dell’art. 331 c.p.p.
45
F. Gallio - F. Terrin, “L’azione revocatoria dell’agente della riscossione”, in GT - Riv.
giur. trib, n. 3/2011, pag. 257.
46
E. Lo Monte, Gli aspetti problematici del delitto, cit., pag. 1136 ss.
47
La prova della consapevolezza in capo al terzo del pregiudizio delle ragioni del creditore
può essere provata anche mediante presunzioni ex art. 2729 c.c. Tra le tante, Cass. civ., Sez. III,
sent. 30 dicembre 2014, n. 27546.
48
F. Di Vizio, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ed i rapporti
con i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di riciclaggio, Relazione per la Scuola
Superiore della Magistratura Formazione territoriale di Bologna, Cod. D18497, Bologna, 29
ottobre 2018.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 225


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

delle imposte49, il cui potenziale punitivo ruota attorno allo “slabbrato


concetto di fraudolenza”50 a seconda di quanto si stringono o si allentano le
maglie del concetto di fraudolenza.
La sentenza in commento è meritevole di attenzione perché affronta un
caso che si pone ai confini applicativi della fattispecie e quindi particolar-
mente adatto a saggiare la tenuta della fattispecie rispetto ai principi
fondamentali del diritto penale liberale.
Trattasi di una condotta indiscutibilmente pregiudizievole per il gettito
fiscale, eppure priva di qualsiasi profilo di opacità o artificio.
Nonostante le pregevoli premesse sulla necessità di un autonomo e
puntuale accertamento del carattere fraudolento degli atti dispositivi, la
motivazione successivamente sposta l’attenzione dal momento dell’in-
ganno e della frode a quello dell’offesa all’Erario.
Di fronte a comportamenti particolarmente spregiudicati ed intrisi di un
valore non marginale perché costituiscono una palese e frontale violazione
dell’art. 2740 c.c. e tuttavia scevri da qualsiasi connotato fraudolento, la
giurisprudenza ha da tempo assunto un atteggiamento particolarmente
severo, di cui questa sentenza sembra esserne limpida espressione, vuoi
perché “le esigenze di tutela del bene percezione tributi continuano ad
esercitare una suggestione tanto forte da condurre spesso a travalicare i
confini della tipicità”51.
Anche se la giurisprudenza maggioritaria52 sembra aver superato quel-
l’orientamento di legittimità - formatosi soprattutto in sede cautelare - che
pretendeva di obliterare la fraudolenza per risolvere la dimensione della
condotta in chiave di (sola) idoneità53, in alcuni casi, lo sforzo di attribuire
un significato davvero autonomo all’attributo della fraudolenza sembra
fermarsi alla soglia delle buone intenzioni54. Infatti, di fronte a condotte -

49
La casistica è veramente ampia: pluralità di trasferimenti di beni immobiliari in rapida
successione Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2013, n. 19524; donazione di immobile alla moglie
Cass., Sez. III pen., 4 giugno 2009, n. 36838; cessione di azienda e scissione societaria Cass., Sez.
III pen., 9 febbraio 2011, n. 19595; trasformazione da S.r.l. a S.n.c. Cass., Sez. III pen., 12 aprile
2012, n. 20678; scissione societaria Cass., Sez. III pen., 9 gennaio 2018, n. 232; cessione e affitto
di ramo d’azienda Cass., Sez. III pen., 6 giugno 2017, n. 44451 e Cass., Sez. III pen., 16 febbraio
2017, n. 7394; conferimento di beni in società Cass., Sez. III pen., 28 febbraio 2017, n. 29243.
50
V. Napoleoni, I fondamenti, cit., pag. 203.
51
A. Lanzi, “Bene giuridico e principio di offensività nello specchio del delitto di sottra-
zione fraudolenta al pagamento delle imposte”, in Riv. dir. trib., n. 3/2020, pag. 149.
52
Tra le tante, particolarmente pregevole in materia di trust Cass., Sez. III pen., 8 aprile
2015, n. 15449; Id. 6 maggio 2012, n. 25677.
53
Solo a titolo esemplificativo: Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2012, n. 40561; Id. 5 maggio
2011, n. 23986; Id. 10 giugno 2009, n. 38925; Id. 4 aprile 2012, n. 21013.
54
Ad esempio, in tema di trust, particolarmente sbrigativa nel ritenere configurato il reato
di cui all’art. 11: Cass., Sez. III pen., 26 novembre 2015, n. 9238 e Id. 15 dicembre 2015, n. 6798.
Le stesse perplessità sono rinvenibili in altra sentenza dello stesso relatore Cons. Aceto, Cass.,
Sez. III pen., 11 maggio 2020, n. 14217. Ancora, in tema di trasferimento d’azienda, si segnala
Cass., Sez. V pen., 14 ottobre 2014, n. 48424.

226 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

come quella del caso di specie - smaccatamente orientate e idonee a osta-


colare la procedura di riscossione, la Cassazione non è nuova a conservare
quella prospettiva molto severa - e che pareva in via di superamento - che
dilata oltremodo i contorni della tipicità della fattispecie. Così dimostra di
voler far propri gli intenti funzionali dell’Amministrazione finanziaria,
nell’ottica di quella che si può definire un’iper-effettività dei reati tributari.
In ipotesi del genere il dolo specifico e l’idoneità sono divenuti gli unici
filtri selettivi della tipicità e, difatti, nella parte decisoria la Corte si sofferma
unicamente sulla consapevolezza del ricorrente del debito tributario risa-
lente ad anni prima.
In una simile prospettiva, “l’offesa tende a divorare la tipicità, con il
rischio di trasfigurare lo stesso in reato a forma libera”55, grazie all’utilizzo
del concetto di bene giuridico in funzione di “deframmentazione” del
sistema penale e di copertura di ogni (ritenuta) lacuna di tutela56.
L’illecito penale è per definizione illecito di modalità di lesione57. È espres-
sione del principio di frammentarietà la scelta di politica criminale di punire
con la sanzione penale solo alcune forme di aggressione per il loro maggiore
disvalore (oggettivo e soggettivo) e sottoporre altre alla sola sanzione ammini-
strativa, pur se ugualmente idonee a ledere il bene giuridico protetto.
E non vi è dubbio che il legislatore ha volutamente omesso di punire con
la sanzione penale il mero inadempimento dell’obbligazione tributaria58. Se
avesse voluto punire il semplice decremento effettivo, anche privo di qual-
siasi artificiosità, non avrebbe incentrato la fattispecie sulla fraudolenza e
simulazione59, terminologia già di per sé evocativa del disvalore intrinseco
alle modalità di esecuzione.
Nel delitto di cui all’art. 11, il concetto di frode evocato dalla norma
presuppone non soltanto la prevedibile o potenziale lesione del diritto altrui
che connota l’atto pregiudizievole in sé, ma altresì la specifica modalità
attraverso la quale la lesione viene effettuata60.
E in altri termini indispensabile che l’atto si qualifichi per un quid pluris
rispetto alla semplice idoneità a rendere inefficace la procedura, in quanto
solo così potrebbe delimitarsi l’ambito applicativo del reato di cui all’art. 11,
D.Lgs. n. 74/2000 in modo da rendendolo coerente con i principi di
offensività e di extrema ratio del diritto penale nell’ottica di differenziare
una condotta penalmente rilevante da un comportamento solo civilmente

55
A Lanzi, op. ult. cit., pag. 149.
56
A. Lanzi, op. ult. cit., pag. 137.
57
Sul tema si veda R. Rampioni, “Il reato quale illecito di modalità e di lesioni tipiche:
l’impraticabilità di un’equivalente funzionale al principio di riserva di legge”, in Riv. it. dir. proc.
pen., n. 2/2013, pag. 573 ss.
58
Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000, § 3.2.3.
59
M. Giglioli, I delitti in materia di pagamento delle imposte, cit., pag. 496.
60
F. Di Vizio, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 35.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 227


F. DIMAGGIO - SOTTRAZIONE FRAUDOLENTA AL PAGAMENTO

illecito e passibile, al ricorrere di tutti i requisiti, di essere travolto dall’a-


zione revocatoria.
Un atto di disposizione patrimoniale compiuto in pendenza di un debito
tributario conserva i crimi di liceità anche se in conseguenza dell’atto l’erario
vede diminuire le proprie possibilità di soddisfarsi sul patrimonio del sog-
getto agente e la condotta si colora di tipicità penale solo se l’atto gestorio
presenta profili di frode o di simulazione61. Diversamente, l’arsenale dei reati
tributari si atteggerebbe ad appendice sanzionatoria di situazioni illecite solo
sul profilo civilistico. In difetto di qualsiasi artifizio, la difesa del credito resta
affidata agli ordinari strumenti apprestati dall’ordinamento.
FRANCESCO DIMAGGIO

61
C. Santoriello, “Scissione societaria e conseguenze penali: la sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte”, in Il societario, n. 2/2018, nota a Cass., Sez. III pen., 27 settembre
2017, n. 23.

228 - Rassegna Tributaria 1/2021


SANZIONI

5 CORTE DI CASSAZIONE, Sez. trib., ordinanza n. 26480 del 20 novem-


bre 2020 - Pres. Cirillo - Rel. Guida (stralcio)

CESSIONE DI AZIENDA - Responsabilità del cessionario - Cessione


lecita - Responsabilità sussidiaria e limitata - Cessione in frode al Fisco -
Responsabilità sussidiaria e illimitata - Avviso di accertamento diretto
al cedente - Notifica al cessionario - Necessità - Esclusione

L’art. 14 del D.Lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del
cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute
dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità
del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode
al Fisco, in cui la responsabilità è sussidiaria e illimitata (comma 4); in
nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente
deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga
al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600 del
1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non
agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento
dell’imposta accertata.

RILEVATO CHE - 1. in data 11/12/2012 Equitalia Sud Spa notificò a Bernardi


Group Spa, a socio unico, una cartella di pagamento di euro 190.459.250,45,
sulla base di due ruoli straordinari, formati dall’Agenzia delle entrate, che
scaturivano da due avvisi di accertamento - uno per IRES, IRAP e uno per
IVA - per il periodo d’imposta 2007, emessi nei confronti di Nuova Distribuzione
Srl, fusa per incorporazione in Life Collection Srl, che contestavano alla società:
il primo, l’indebita deducibilità dei costi per operazioni soggettivamente inesi-
stenti e perché connessi ad attività qualificabili come reato; il secondo, l’indebita
detrazione dell’IVA di cui alle fatture di acquisto dal fornitore L.C. Srl, in quanto
relative ad operazioni oggettivamente inesistenti; la cartella di pagamento -
impugnata in questo giudizio - era diretta nei confronti di Bernardi Group Spa, in
qualità di cessionaria dell’azienda di L.C. Srl, e, quindi, come responsabile, in
solido con L.C. Srl, per i debiti tributari di quest’ultima, ai sensi dell’art. 14,
comma 4, d.lgs. 14 dicembre 1997, n. 472, sut presupposto che la cessione
dell’azienda fosse stata attuata in frode dei crediti tributari, e cioè per consentire
a L.C. Srl di sottrarsi ai gravosissimi obblighi fiscali, attraverso la cessione del
patrimonio a Bernardi Group Spa, che, dal canto suo, si sarebbe consapevol-
mente prestata al disegno fraudolento, anche perché cedente e cessionaria
appartenevano al medesimo gruppo societario, riconducibile alle stesse per-
sone; la contribuente impugnò la cartella e la Commissione tributaria provinciale
di Napoli, con sentenza n. 577/05/2013, rigettò il ricorso;

Rassegna Tributaria 1/2021 - 229


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

2. avverso tale decisione la società ha interposto appello innanzi alla


Commissione tributaria regionale della Campania; l’Agenzia delle entrate,
nelle proprie controdeduzioni, ha dedotto che la società era stata ammessa
ad amministrazione straordinaria ed ha perciò chiesto l’interruzione del pro-
cesso; Equitalia Sud Spa, nel proprio atto di costituzione, ha eccepito il difetto di
legittimazione attiva dell’appellante ed ha insistito per l’interruzione del giudizio;
con comparsa d’intervento volontario si è costituito Diego Di Tommaso, nella
qualità di ex amministratore di Bernardi Group Spa, insistendo per l’annulla-
mento della cartella; all’udienza del 27/03/2014, la CTR ha dichiarato l’interru-
zione del giudizio, che è stato riassunto da Di Tommaso; il commissario
straordinario della società appellante (Francesco Rinaldo De Agostini) ha
depositato atto di costituzione ed ha insistito per l’accoglimento del gravame;
la Commissione regionale, con la sentenza indicata in epigrafe, ha accolto
l’appello, e, in riforma della sentenza di primo grado, ha annullato la cartella di
pagamento, per quanto adesso interessa, rilevando che: (a) sussiste la legitti-
mazione processuale della società appellante; (b) è fondato il primo motivo
d’appello concernente il vizio della cartella a causa dell’omessa notificazione a
Bernardi Group Spa degli avvisi prodromici alla cartella medesima, poiché,
diversamente da quanto enunciato dalla CTP, la responsabilità illimitata prevista
dall’art. 14, comma 4, cit., qualifica il rapporto tra cedente e cessionario
dell’azienda come un rapporto solidaristico di tipo paritario, con la conseguenza
che, in tale ipotesi - che si discosta da quella del primo comma dello stesso
articolo (che configura, in capo al cessionario, una solidarietà dipendente,
perché l’obbligazione di quest’ultimo non ha un fatto generatore autonomo,
ma dipende dall’esistenza dell’obbligazione principale del cedente) - anche al
cessionario va riconosciuto il diritto a ricevere gli atti impositivi; (c) tale motivo di
gravame assorbe la censura di mancata allegazione, alla cartella, degli avvisi
d’accertamento in essa richiamati; (d) l’appellante ha piena legittimazione a fare
valere eccezioni che spetterebbero alla debitrice principale (Nuova Distribuzioni
Srl) in punto di regolarità della notifica degli avvisi ad essa indirizzati, e, in effetti,
tale notifica, testualmente, “non ha rispettato i dettami dell’art. 60 comma 4, del
dpr 600/73 e dell’art. 142 c.p.c. (notificata a società avente sede all’estero)”; (e)
sono invece infondate le censure circa l’illegittimità dell’iscrizione nei ruoli
straordinari che trova la propria giustificazione nella notevole entità del carico
iscritto, e nella cancellazione della società cedente dal registro delle imprese - e
circa la mancata indicazione, in cartella, del titolo di responsabilità della ces-
sionaria, in quanto in tale atto si fa riferimento all’art. 14, cit., e, ancora, in punto di
omessa indicazione del responsabile del procedimento, trattandosi di una figura
non immutabile, che può cambiare nel corso dell’iter amministrativo;
3. l’Agenzia ricorre, con cinque motivi, illustrati con una successiva memo-
ria, per la cassazione di questa sentenza; la contribuente resiste con controri-
corso, nel quale svolge ricorso incidentale, con quattro motivi; Equitalia Sud Spa
resiste con controricorso; Diego Di Tommaso non si è costituito;

230 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

4. la contribuente ha depositato memoria (datata 18/08/2020) con istanza dj


trattazione della causa in pubblica udienza;

CONSIDERATO CHE: - (Omissis)


2. con il secondo motivo [“2. Violazione e falsa applicazione dell’art. 42 del d.
p.r. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 14 del d.lgs. n. 472/97, in relazione
all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.”], l’Agenzia premette che la CTR ha ritenuto che
la cartella di pagamento notificata alla società fosse nulla a causa della mancata
notifica dei prodromici avvisi di accertamento emessi nei confronti della Nuova
Distribuzione Srl, in quanto i princìpi enunciati dalla Corte costituzionale (sen-
tenza n. 219 del 1991) non troverebbero applicazione nel caso di specie, ma
riguarderebbero soltanto l’ipotesi di responsabilità limitata del cessionario
dell’azienda, ex art. 14, comma 1, del d.p.r. n. 600/1973, e non anche quella
del comma 4 dello stesso articolo, che si riferisce alla cessione d’azienda in
frode, nella quale la responsabilità del cessionario sarebbe “paritaria” e non
“dipendente” (alla stregua di quella primo comma); aggiunge che, a giudizio
della CTR, tale soluzione sarebbe imposta da un’interpretazione costituzional-
mente orientata del quadro normativo, condivisa dalla giurisprudenza di
legittimità (Cass. 14/03/2014, n. 5979);
svolta questa premessa, l’ufficio censura la sentenza impugnata per avere
trascurato che le norme in tema di accertamento (art. 42, d.p.r. n. 600/1973)
prevedono che l’atto impositivo sia notificato soltanto al contribuente principale
e non fanno cenno ad altri soggetti che, a vario titolo, possono essere tenuti al
pagamento dell’imposta accertata, ferma la constatazione che, di regola, la
corresponsabilità (dipendente) nel debito di imposta si manifesta a posteriori,
allorquando il rapporto tributario nei confronti del debitore principale si è già
definito e occorre procedere esclusivamente alla riscossione dell’imposta. Ciò
vale, in particolare, nel caso di cessione di azienda, che può intervenire dopo (e
non prima) che il debito di imposta sia sorto e che la procedura di accertamento
si sia conclusa, il che renderebbe impossibile eseguire la procedura d’accerta-
mento nei confronti del corresponsabile solidale e addivenire alla tempestiva
notifica dell’accertamento anche nei confronti di quest’ultimo;
con la precisazione che la fattispecie dell’art. 14, comma 4, cit., non è
diversa, sul piano ontologico, da quella del primo comma del medesimo articolo,
ma rappresenta piuttosto un’ipotesi speciale all’interno della categoria generale
delle cessioni d’azienda: il primo comma si riferisce alla cessione d’azienda in
generale e prevede la regola comune della responsabilità del cessionario entro i
limiti del valore dell’azienda (o del ramo d’azienda), limitatamente alle imposte
ed alle sanzioni riferibili alle violazioni commesse entro un determinato arco
temporale; il quarto comma, invece, si riferisce alla diversa ipotesi in cui la
cessione d’azienda si caratterizzi per un quid pluris, rappresentato dall’intento
fraudolento realizzato con la consapevole partecipazione del cessionario; con
riferimento a quest’ultima situazione sostanziale, è dettata una disciplina dero-
gatoria e più rigorosa, che esclude le limitazioni sancite dal primo comma;

Rassegna Tributaria 1/2021 - 231


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

non è condivisibile, quindi, secondo la tesi erariale, la prospettazione della


contribuente, accolta dalla CTR, secondo cui si tratterebbe di ipotesi distinte ed
autonome, contrassegnate da presupposti e regole diverse, sicché la
responsabilità solidale “dipendente”, di cui al primo comma, assumerebbe
l’aspetto d’una autonoma figura giuridica di responsabilità “paritetica”.
L’Agenzia sostiene che l’appartenenza al medesimo genere di responsabilità
fa sì che anche quella delineata dal quarto comma sia una responsabilità
“dipendente”, fatta salva la sua più intensa misura, dovuta alla maggiore
gravità della situazione di fatto che ne scandisce la genesi;
muovendo da queste premesse giuridiche l’Agenzia perviene alla conclu-
sione che è erronea la sentenza della CTR nella parte in cui, escludendo che alla
fattispecie in esame siano applicabili i chiari princìpi enunciati dalla Corte
costituzionale, sentenza n. 219 del 1991, che ha affermato - in relazione
all’analoga disposizione contenuta nel previgente art. 66 del d.p.r. 209 settem-
bre 1973, n. 602 - che non occorre procedere alla notifica dell’avviso di accer-
tamento anche al cessionario d’azienda, corresponsabile (in tutto o in parte, con
o senza beneficio di escussione) del pagamento del tributo dovuto dal cedente;
2.1. il motivo è fondato;
2.1.1. è utile comporre il quadro giurisprudenziale di riferimento, delineato
da questa Sezione tributaria (Cass. 14/03/2014, n. 5979), secondo cui: “Le
disposizioni dell’art. 14 del decreto legislativo 18 dicembre 1997 n. 472 intro-
ducono misure antielusive a tutela dei crediti tributari, di natura speciale rispetto
alla ordinaria disciplina dell’art. 2560 co. 2 c.c., evitando che, attraverso il
trasferimento dell’azienda o di un ramo d’azienda, od anche mediante il tra-
sferimento frazionato di singoli beni appartenenti al complesso aziendale,
l’originaria generale garanzia patrimoniale del debitore possa essere dispersa
in pregiudizio dell’interesse pubblico alla riscossione delle entrate finanziare.
Tali misure, che trovano giustificazione nella particolare rilevanza che il com-
plesso dei beni destinati all’esercizio di una attività economica organizzata
assume rispetto alla generale responsabilità patrimoniale cui il debitore è tenuto
ai sensi dell’art. 2741 c.c., si risolvono nella previsione di una responsabilità
solidale e sussidiaria del soggetto cessionario per i debiti tributari gravanti sul
soggetto cedente, modulata secondo una diversa estensione correlata al legit-
timo affidamento ingenerato dalle informazioni fornite dalla Amministrazione
finanziaria al soggetto cessionario, venendo la norma a distinguere nettamente
la ipotesi di cessione di azienda conforme a legge (art. 14 commi 1, 2 e 3) dal
negozio di cessione d’azienda in frode al Fisco (art. 14 commi 4 e 5), nel primo
caso conformando la responsabilità del soggetto cessionario come sussidiaria
(beneficium excussionis) e limitata nel “quantum” (entro il valore della cessione
della azienda o del ramo di azienda) e nell’oggetto (con riferimento alle imposte
e sanzioni relative a violazioni commesse dal soggetto cedente nel triennio
anteriore il trasferimento dell’azienda o del ramo, ovvero relative a violazioni
commesse anche anteriormente, per sanzioni od imposte “già irrogate o conte-
state - nel triennio - comma 1 -, ovvero entro i limiti del “debito risultante, alla data

232 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

del trasferimento, dagli atti degli uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli


enti preposti all’accertamento dei tributi.” commi 2 e 3 -) secondo un criterio
incentivante volto a premiare la diligenza del soggetto cessionario nell’acquisire
dagli Uffici finanziari, prima della conclusione del negozio traslativo, le informa-
zioni sulla posizione debitoria del soggetto cedente nei confronti del Fisco; nel
secondo caso (accordo fraudolento), escludendo espressamente ogni prece-
dente limitazione di responsabilità del cessionario (art. 14 comma 4), ed
introducendo una presunzione legale l’iuris tantum” di cessione in frode “quando
il trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una viola-
zione penalmente rilevante” (art. 14 comma 5).”;
questa Corte, nella stessa sentenza, si è premurata di aggiungere che, in
caso di cessione in frode del fisco (art. 14, comma 4, cit.): “vengono espressa-
mente meno, come specificamente indicato dalla norma, tutte le limitazioni alla
responsabilità del cessionario previste dai precedenti commi. La “ratio legis”
della disposizione del comma 4 appare chiara: il “consilium fraudis” tra cedente
e cessionario di azienda è in danno dell’Erario e si attua attraverso il trasferi-
mento della proprietà dei beni aziendali del cedente riducendo in tal modo la
garanzia patrimoniale del debitore a soddisfazione dei crediti tributari. Il con-
corso delle parti contraenti nell’illecito fiscale esclude ogni ragione di tutela del
soggetto cessionario (quale parte dell’accordo fraudolento in danno dell’Erario)
in ordine al legittimo affidamento sulla situazione debitoria del cedente e dunque
esclude alla radice la esigenza di limitare la responsabilità solidale del cessio-
nario di azienda (o di ramo di azienda, o frazionatamente dei singoli beni del
complesso aziendale) ad un ambito cronologico predefinito (comma 1) o al
debito attestato negli atti dell’ufficio al momento della cessione (comma 2 e 3),
con la conseguenza che, venuti meno i limiti previsti nei precedenti commi
dell’art. 14, la responsabilità solidale di cui al comma 4 non potrà che essere
considerata illimitata e quindi riferita anche a debiti tributari inevasi dal soggetto
cedente pure se anteriori il triennio del trasferimento di azienda ed anche se
accertati soltanto in data successiva alla cessione.”. (conf. Cass. n. 24425/2008;
n. 23380/2009, n. 5979/2014, n. 9219/2017, n. 17264/2017, n. 31654/2019);
2.1.2. nel solco della consueta giurisprudenza di legittimità, si rileva, in
sintesi, che la norma in esame (art. 14, cit.), accanto alla responsabilità del
cedente per i tributi gravanti sull’azienda ceduta, pone la responsabilità solidale
del cessionario d’azienda, della quale modula diversamente l’estensione, a
seconda che si verta in ipotesi di cessione conforme alla legge (primi tre commi
dell’art. 14) o di cessione in frode dei crediti tributari (quarto e quinto comma
dell’art. 14);
tanto nella prima ipotesi (responsabilità solidale, sussidiaria e limitata, del
cessionario) che nella seconda ipotesi (responsabilità solidale ed illimitata del
cessionario) è escluso che al cessionario debba essere notificato l’avviso di
accertamento diretto al cedente, in mancanza di un’espressa deroga al principio
generale secondo cui l’avvio di accertamento è notificato al contribuente (art.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 233


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e non ad altri soggetti che, a
vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata;
2.2. la CTR non si è attenuta a questi nitidi princìpi di diritto e ha creato,
forgiandolo dal nulla, un “rapporto solidaristico di tipo paritario” tra cedente e
cessionario, al fine di attribuire a quest’ultimo un diritto (altrettanto estraneo
all’ordinamento positivo) a ricevere la notifica degli avvisi diretti al contribuente
(cedente), mossa dalla preoccupazione di evitare che, in assenza della notifica
al cessionario dell’avviso destinato al cedente, possa configurarsi, in capo al
primo, “una sorta di responsabilità esclusiva e non solidale” (cfr. pag. 27 della
sentenza), e sollecitata altresì dall’esigenza di garantire al cessionario stru-
menti aggiuntivi di tutela e l’esercizio del diritto di difesa (cfr. pag. 27 della
sentenza);
nell’ottica della salvaguardia, in giudizio, delle posizioni soggettive, giova
tenere a mente il condivisibile indirizzo di questa Corte, secondo cui, a favore del
cessionario d’azienda (ex art. 14, cit.) è approntata adeguata tutela processuale
mercé la sua partecipazione, per atto d’intervento adesivo dipendente, alla lite
tra l’erario ed il cedente (debitore principale);
si è infatti precisato, con riferimento alla cessione d’azienda conforme alla
legge (ma analoghe considerazioni valgono altresì per la simmetrica figura
giuridica della cessione d’azienda in frode al fisco), che: “Nel processo tributario,
in base all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 3,
del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 è ammissibile l’intervento adesivo dipen-
dente dei terzi che, pur non essendo destinatari dell’atto impositivo impugnato,
potrebbero essere chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, in quanto la
legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato
un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è collegata con il fatto
imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta
estraneo.” (Cass. 12/01/2012, n. 255);
(Omissis)

P.Q.M. - accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo del ricorso principale,


rigetta il terzo e il quarto motivo del medesimo ricorso, rigetta il ricorso inciden-
tale, cassa la sentenza impugnata, in relazione ai motivi accolti del ricorso
principale, rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in
diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Recenti sviluppi della giurisprudenza di legittimità in


tema di responsabilità e tutela del cessionario d’azienda

Estratto: L’ordinanza della Corte di Cassazione afferma in modo non condivisibile


che la responsabilità del cessionario che abbia trascurato di richiedere la certifica-
zione prevista dall’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997 possa essere estesa anche
ad imposte e sanzioni commesse prima del secondo anno anteriore a quello in cui è

234 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

intervenuta la cessione, anche se constatate dopo il trasferimento dell’azienda. I


giudici di legittimità correttamente fanno dipendere l’aggravamento della
responsabilità del cessionario dalla consapevolezza della frode posta in essere dal
cedente. Tuttavia escludono la necessità di notificare a quest’ultimo l’avviso di
accertamento che costituisce il presupposto dell’iscrizione a ruolo impugnata,
sostenendo, ed è da non condividere, che il coobligato solidale dipendente sia già
adeguatamente tutelato sul piano processuale attraverso l’intervento adesivo da
esperire nel giudizio instaurato dal cedente.

Abstract: The order of the Court of Cassation in a way that cannot be shared states
that the responsibility of the assignee, who did not require the certification referred
to in art.14, paragraph 3, D.Lgs.n.472/1997, may also be extended to taxes and
penalties detected after the transfer and committed before the second year prior
to the transfer. The judges of legitimacy correctly make the aggravation of the
assignee’s responsibility depend on the awareness of the fraud put in place by the
transferor. However, the Court in a way that cannot be shared excludes the need to
notify the assignee of the tax assessment notice, arguing that the dependent obliga-
ted is already protected in court by the adhesive intervention to be made in the
judgment instituted by the transferor.

SOMMARIO: 1. Considerazioni introduttive - 2. L’estensione della responsabilità


del cessionario nei trasferimenti di azienda - 3. La responsabilità del cessionario
nei trasferimenti in frode dei crediti tributari - 4. La tutela del cessionario
d’azienda - 5. Notazioni conclusive.

1. Considerazioni introduttive - L’ordinanza della Corte di cassazione inter-


viene sul dibattito mai sopito che investe la disciplina della responsabilità
del cessionario di azienda per i debiti tributari del cedente e il più vasto e
complesso tema delle possibili forme di tutela concesse al terzo coobbligato.
La vicenda trae origine dall’impugnazione di una cartella di pagamento
recante debiti della società cedente, notificata alla società cessionaria nel
presupposto che quest’ultima fosse solidalmente e illimitatamente respon-
sabile per i debiti della prima, perché partecipe di un negozio effettuato in
frode dei crediti tributari.
Il giudice di prime cure respingeva il ricorso della società cessionaria
ma, a seguito della proposizione dell’appello, la Commissione tributaria
regionale riformava la sentenza dei primi giudici e annullava la cartella di
pagamento, rilevandone l’illegittimità a causa dell’omessa previa notifica-
zione alla cessionaria degli avvisi di accertamento che erano stati emessi nei
confronti della società cedente.
La sentenza dei giudici di secondo grado, con la quale era stato accolto
l’appello della società cessionaria, veniva impugnata dinanzi alla Corte di
cassazione ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per la violazione
dell’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 235


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

In particolare, l’Agenzia ricorrente assumeva che i giudici di secondo


grado avrebbero errato nel ritenere illegittima la cartella di pagamento a
causa dell’omessa previa notificazione degli avvisi di accertamento alla
società cessionaria, dal momento che la fattispecie regolata dall’art. 14,
comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997, configura, al pari di quella prevista dal
comma 1, una forma di solidarietà dipendente, per la quale non sussiste
alcun obbligo di previa notificazione dell’avviso di accertamento al terzo
coobbligato.
La Suprema Corte, rifacendosi a un proprio precedente arresto in tema
di interpretazione dell’art. 141 del D.Lgs. n. 472/1997, ribadisce i principi che
regolano la responsabilità del cessionario per i debiti tributari del cedente e,
dopo aver escluso che l’avviso di accertamento debba essere notificato al
cessionario, in mancanza di un’espressa deroga al principio generale
secondo cui l’avviso di accertamento va notificato al contribuente, accoglie
il ricorso.
Anche se ad una prima lettura l’ordinanza sembra riaffermare soluzioni
già adottate in passato, una riflessione più attenta consente di rilevare che la
pronunzia merita di essere segnalata sotto due distinti profili. Il primo
investe l’estensione e i presupposti della responsabilità del cessionario
d’azienda per i debiti tributari del cedente. Il secondo ha per oggetto la
reiterata negazione dell’esistenza di qualsivoglia obbligo, gravante
sull’Amministrazione finanziaria, di notificare al terzo coobbligato l’atto
presupposto dell’iscrizione a ruolo.

2. L’estensione della responsabilità del cessionario nei trasferimenti di azienda -


Al fine di meglio delineare i profili di interesse dell’ordinanza in commento,
è necessario brevemente ricordare che l’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997
disciplina la responsabilità solidale del cessionario recuperando il modello
già previsto dall’art. 19 della Legge n. 4/1929 ed affiancando la più circo-
scritta responsabilità di cui all’art. 2560 c.c. per i debiti inerenti l’azienda
commerciale ceduta2.
A seguito del trasferimento dell’azienda commerciale, invero, l’art. 2560,
comma 2, c.c., limita la responsabilità dell’acquirente solo ai debiti inerenti
all’esercizio dell’azienda ceduta che risultano dai libri contabili obbligatori.
L’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, pur condividendo la medesima esigenza
di garanzia patrimoniale sottesa alla disciplina comune, finisce per disco-
starsene nella parte in cui, prescindendo dalle risultanze dalle scritture
contabili obbligatorie, estende la responsabilità del cessionario al trasferi-
mento di qualsiasi azienda, non soltanto commerciale, con l’evidente

1
Cfr. Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979, in www.italgiure.giustizia.it.
2
Si veda, con riguardo all’art. 19 della Legge n. 4/1929, D. Coppa - S. Sammartino,
“Sanzioni tributarie”, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989, pag. 441; R. Napolitano, “La
responsabilità tributaria del cessionario di azienda”, in Boll. trib., 1984, pag. 1399 ss.

236 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

intento di rafforzare la tutela del credito tributario. Il diverso perimetro di


operatività delle due norme non impedisce di ritenere che ne sia possibile
un’applicazione concorrente, tale cioè da consentire all’Amministrazione
finanziaria di ricorrere alla tutela di diritto comune a condizione che ne
sussistano i presupposti3.
A differenza dell’art. 2560 c.c., la norma fiscale individua quale unico
fatto idoneo a determinare la responsabilità tributaria dell’acquirente la
cessione di qualsiasi tipo di azienda, modulandone l’estensione in modo
diverso a seconda che il negozio sia stato o meno perfezionato in frode dei
crediti tributari4.
I primi tre commi dell’art. 14 disciplinano la responsabilità dell’acqui-
rente quando la cessione non interviene con la finalità di ridurre le garanzie
patrimoniali del creditore; i commi 4 e 5, invece, escludono qualsiasi limite
alla responsabilità del cessionario quando la cessione è “stata attuata in
frode dei crediti tributari”.
Come accennato in premessa, la Corte di cassazione, prima di escludere
che, nel caso di specie, potesse invocarsi qualsivoglia obbligo di previa
notifica, al coobbligato solidale, dell’avviso di accertamento presupposto,
richiama, mostrando di condividerne il contenuto, un precedente arresto
del 2014 in cui sono stati delineati estensione e presupposti della
responsabilità del cessionario.
L’ampio richiamo alla soluzione già tracciata nella sentenza n. 5979 del
14 marzo 2014 è indice delle perduranti incertezze in cui versa la giurispru-
denza di legittimità nell’affermare che l’estensione della responsabilità del
cessionario debba essere desunta dal combinato disposto dei commi 1 e 2
dell’art. 14, ovvero soltanto dall’una o dall’altra delle due norme. La prima
soluzione è stata sostenuta dalla Corte di cassazione nella sentenza n. 17264
del 13 luglio 2017, con la quale, in aperto dissenso rispetto alla tesi opposta
già enunciata nel precedente arresto del 2014, si è ritenuto che se la cessione

3
In tal senso, in dottrina, L. Del Federico, “Cessione di azienda”, in AA.VV., Commentario
alle disposizioni generali sulle sanzioni ammnistrative in materia tributaria, a cura di F.
Moschetti - L. Tosi, Padova, 2000, pag. 474; S. Donatelli, “Osservazioni sulla responsabilità
tributaria del cessionario d’azienda”, in questa Rivista, 2003, pag. 488; R. Baggio, “Appunti in
tema di responsabilità tributaria del cessionario d’azienda”, in questa Rivista, 1999, pag. 739; E.
Belli Contarini, “La responsabilità del cessionario tra gli artt. 14 D.Lgs. n. 472/1997 e 2560 c.c.”,
in Riv. dir. trib., 2015, I, pag. 531. In giurisprudenza si veda Cass., Sez. trib., 13 luglio 2017, n.
17264.
4
Per effetto del D.Lgs. n. 158/2015, che ha introdotto nel testo dell’art. 14, D.Lgs. n. 472/
1997 i commi 5-bis e ter, la responsabilità solidale del cessionario si applica “a tutte le ipotesi di
trasferimento d’azienda, ivi compreso il conferimento” (comma 5-ter), a condizione che la
cessione non avvenga “nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristruttu-
razione dei debiti di cui all’art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di un piano
attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento
di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio” (comma
5-bis).

Rassegna Tributaria 1/2021 - 237


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

non è operata in frode dei crediti tributari, la responsabilità del cessionario,


fermo restando il limite rappresentato dal valore dell’azienda ceduta, non
può comunque eccedere imposte e sanzioni riferibili a violazioni che risul-
tino, alla data del trasferimento, “dagli atti dell’Ufficio”5.
La tesi enunciata nella sentenza della Corte di cassazione n. 5979 del 14
marzo 2014, ribadita nell’ordinanza che si commenta, perviene invece
all’opposta conclusione secondo la quale, nei casi in cui la cessione non
interviene con la finalità di ridurre le garanzie patrimoniali dell’ente impo-
sitore, il comma 1 e 2, dell’art. 14 sono destinati a disciplinare ipotesi
distinte, con la conseguenza che l’estensione della responsabilità del cessio-
nario non avrebbe nelle due fattispecie un perimetro corrispondente6.
La tesi da ultimo prospettata muove dall’assunto che il comma 1, dell’art.
14 e i limiti ivi previsti alla responsabilità del cessionario debbano trovare
applicazione in tutti i casi in cui l’acquirente non abbia assolto all’onere di
richiedere la certificazione di cui all’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997.
Solo nel caso in cui il cessionario, prima del perfezionamento del
negozio traslativo, abbia diligentemente assolto all’onere di richiedere la
certificazione citata al fine di acquisire le informazioni relative alla posi-
zione debitoria del cedente, sarebbe possibile accedere all’ulteriore limita-
zione di responsabilità prevista dal comma 2, in cui è disposto che
l’obbligazione del cessionario è limitata al debito risultante “alla data del
trasferimento, dagli atti degli Uffici dell’Amministrazione finanziaria e degli
enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza”.
L’asserita autonomia del comma 1, applicabile in via esclusiva in tutti i
casi in cui l’acquirente non abbia assolto all’onere di richiedere la certifi-
cazione di cui all’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997, consente pertanto
di ritenere che la responsabilità del cessionario, pur non potendo eccedere
“il valore dell’azienda o del ramo d’azienda”, va estesa sia ad imposte pretese
e a sanzioni riferibili a violazioni commesse prima del secondo anno ante-
cedente a quello in cui interviene la cessione - se già irrogate e contestate nel
medesimo periodo - che ad imposte pretese e a sanzioni riferibili a violazioni
commesse nell’anno in cui avviene la cessione e nei due precedenti, quan-
d’anche constatate dopo il trasferimento dell’azienda.
Richiamando la “specialità della norma” e le “sue finalità antielusive”, la
Corte di cassazione ha pertanto ritenuto di potere individuare nell’art. 14,
comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997, una responsabilità oggettiva “in bianco”
gravante sul cessionario per tutti i debiti fiscali del cedente relativi al

5
A questo orientamento ha aderito anche la più recente giurisprudenza di merito: si veda
Comm. trib. reg. Toscana, Sez. VII, 17 gennaio 2019, n. 74, in Riv. dir. trib. Suppl. on line, 2019,
con nota adesiva di A. Gatto - D. A. Rossetti, “Brevi riflessioni in tema di responsabilità fiscale
del cessionario di azienda a margine di una recente sentenza di merito”.
6
La tesi, oltre che nell’ordinanza in commento, è ribadita anche nell’ordinanza della
Cass., Sez. VI, 10 aprile 2017, n. 9219.

238 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

triennio anteriore alla cessione, anche se incerti nell’an al momento del


trasferimento dell’azienda, ancorando tale responsabilità alla condotta
omissiva dell’acquirente che non assolve all’onere di richiedere la certifica-
zione di cui all’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997.
La tesi condivisa e ribadita nell’ordinanza in commento non convince
sotto diversi profili.
Sul piano strettamente letterale va subito osservato che, a differenza
di quanto sostenuto dai giudici di legittimità, non si evince affatto
dall’art. 14, comma 1, che la responsabilità del cessionario debba essere
estesa a qualsiasi debito per imposte e sanzioni relativo a violazioni
“commesse” dal cedente nell’anno in cui avviene il trasferimento e nei
due precedenti, anche se al tempo della cessione “non ancora constatate,
contestate od accertate”7.
Il binomio che segna il perimetro della responsabilità del cessionario,
all’interno del comma 1, è rappresentato da imposte e sanzioni riferibili a
violazioni commesse nell’anno in cui avviene la cessione e nei due prece-
denti e da imposte e sanzioni riferibili a violazioni commesse ancora prima,
purché già irrogate e contestate nel medesimo periodo. Ne discende che8 la
responsabilità per imposte e sanzioni riferibili a violazioni commesse nel
triennio antecedente alla cessione sussiste anche se al momento della
cessione non sia intervenuta l’irrogazione delle sanzioni o la contestazione
delle violazioni, non anche quando al momento della cessione non sia
ancora intervenuta la constatazione della violazione9.
L’obbligazione solidale del cessionario investe imposte e sanzioni rife-
ribili a violazioni commesse nell’anno in cui è intervenuta la cessione e nei
due precedenti, a condizione che le predette violazioni siano state quanto
meno constatate alla data del trasferimento e che, pertanto, come precisato
dall’art. 14, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, “risultino dagli atti degli
Uffici”.
Se, dunque, ai fini dell’applicazione della responsabilità solidale del
cessionario non è indispensabile che alla data del trasferimento sia già
stato notificato al cedente l’atto di contestazione o l’avviso di accertamento
con la contestuale irrogazione delle sanzioni, occorre almeno che alla
predetta data l’attività istruttoria si sia conclusa con la constatazione del

7
Così, testualmente, Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979, par. 7.4.
8
L’art.14, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede, infatti, che “il cessionario è respon-
sabile in solido (…) per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni
commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già
irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca
anteriore.
9
Sostiene che per le violazioni “meramente constatate” “la responsabilità è inequivoca-
bilmente prevista dal primo comma” dell’art. 14 L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit.,
pag. 483.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 239


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

fatto che, a giudizio dell’Amministrazione finanziaria, dovrà essere posto a


fondamento dell’accertamento della violazione10.
Sul piano sistematico, inoltre, non sembra che l’invocata “specialità
della norma fiscale” debba essere apprezzata prescindendo del tutto
dalla norma, contenuta nel Codice civile, che àncora la responsabilità
del cessionario all’iscrizione dei debiti tributari nella contabilità del
cedente.
Se l’art. 2560 c.c. prevede quale criterio limitativo della responsabilità
dell’acquirente la circostanza che il debito risulti dalle scritture contabili
obbligatorie, non si vede perché la norma fiscale, pur orientata ad
assicurare il rafforzamento del credito tributario, debba sottoporre
l’operatività di un elemento di certezza, rappresentato dalle risultanze
degli atti dell’ente impositore, alla condizione che il cessionario abbia
assolto ad un onere di diligenza di cui non vi è traccia nell’art. 14,
comma 3.
Quest’ultima norma, non solo non prevede alcun obbligo di preventiva
richiesta del certificato da parte del cessionario, ma neppure introduce a suo
carico un onere di diligenza, dalla cui inosservanza possa farsi discendere
un aggravamento della responsabilità solidale11.
L’unico obbligo previsto dall’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997,
invero, grava sull’Amministrazione finanziaria ed ha per oggetto il rilascio
di un certificato che il cessionario ha facoltà di richiedere al solo fine di
conseguire un risultato a sé favorevole, rappresentato dal conseguimento di
un effetto liberatorio anticipato.
L’assenza nella norma citata di qualsiasi onere di diligenza gravante sul
cessionario, si desume agevolmente anche dal successivo comma 4, che
circoscrive il venir meno degli effetti liberatori del certificato solo al caso in
cui il trasferimento dell’azienda sia stato effettuato in frode dei crediti
tributari, lasciando così inalterata l’estensione della responsabilità del ces-
sionario nei casi di mancata richiesta o di acquisizione del certificato in data
successiva a quella della cessione.
In definitiva il certificato, ove richiesto, si limita ad attestare l’esistenza
di debiti tributari già risultanti agli atti dell’Amministrazione finanziaria e
non a costituirli, con la conseguenza che l’unico effetto che può derivare

10
La constatazione del fatto potrà essere contenuta nel processo verbale di constatazione,
nell’invito a comparire di cui all’art. 5-ter del D.Lgs. n. 218/1997, o nell’avviso bonario che
precede l’iscrizione a ruolo.
11
L’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che gli Uffici dell’Amministrazione
finanziaria e gli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza “sono tenuti a
rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di
quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha
pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato
entro quaranta giorni dalla richiesta”.

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GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

dalla mancata richiesta è rappresentato dall’impossibilità di avvalersi anti-


cipatamente dell’effetto liberatorio previsto dalla norma12.
Non può che essere condivisa, sotto questo profilo, la sentenza della
Corte di cassazione n. 17264 del 13 luglio 2017, nella parte in cui precisa che
gli “atti degli Uffici” di cui all’art. 14, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997 hanno
“una funzione latamente sovrapponibile a quella svolta dai libri contabili”
nell’art. 2560 c.c., atteso che costituiscono l’oggetto della responsabilità del
cessionario, rispetto alla quale il certificato, invece, assolve ad una funzione
meramente informativa.
Non va infine sottaciuto che un’interpretazione dell’art. 14, commi 1, 2 e
3, che faccia conseguire alla mancata richiesta del certificato una ancor più
estesa responsabilità del cessionario, determinerebbe un effetto sostanzial-
mente sanzionatorio apertamente confliggente con la ratio sottesa alla
norma, che mira a rafforzare la tutela del credito tributario senza ostacolare
la circolazione dei compendi aziendali, ingiustificatamente vicino, come
subito si dirà appresso, al regime che il legislatore ha riservato alle cessioni
in frode dei crediti tributari.

3. La responsabilità del cessionario nei trasferimenti in frode dei crediti


tributari - Dopo avere delineato estensione e presupposti della
responsabilità del cessionario nei trasferimenti di azienda non attuati in
frode dei crediti tributari, la Corte di cassazione si sofferma sulla diversa
disciplina che regola la responsabilità dell’acquirente nei trasferimenti in
frode dei crediti tributari, di cui all’art. 14, commi 4 e 5, del D.Lgs. n. 472/
1997.
Ancora una volta l’ordinanza in commento si affida ai principi già
enunciati nella sentenza n. 5979 del 14 marzo 2014, precisando, al fine di
condividere nel caso di specie la rilevata violazione dell’art. 14, che la
responsabilità solidale del cessionario, quand’anche illimitata, è da ricon-
durre alle ipotesi di solidarietà dipendente.
Muovendo da questa significativa premessa, la Corte esclude che l’av-
viso di accertamento emesso nei confronti del cedente debba essere notifi-
cato al cessionario e conclude per l’accoglimento del ricorso.
Le precisazioni contenute nell’ordinanza in merito all’estensione della
responsabilità del cessionario nei trasferimenti in frode dei crediti tributari
recano profili di significativo interesse, da cui è possibile muovere per
indagare i riflessi di carattere teorico (e pratico) che da tale inquadramento
derivano.

12
In tal senso, C. Are - E. Della Valle, “Responsabilità per debiti tributari nella cessione di
compendi aziendali”, in il fisco, 2018, pag. 2419; A. Gatto, “La responsabilità del cessionario
d’azienda: oggetto, ambito di applicazione e limiti”, in Corr. Trib., 2018, pag. 2371.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 241


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

L’art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che “la responsabilità
del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo
qualora la cessione sia stata effettuata in frode dei crediti tributari”.
Ne deriva che, in questa ipotesi, l’esatta configurazione della
responsabilità del cessionario passa necessariamente attraverso la puntuale
identificazione dei limiti contenuti nei primi tre commi dell’art. 14, inap-
plicabili nei confronti del cessionario, coobbligato solidale.
Il combinato disposto dei commi 1 e 2 lascia emergere che la
responsabilità del cessionario è circoscritta sia da un limite quantitativo,
congiuntamente segnato dal valore dell’azienda ceduta e dal debito risul-
tante, al momento del trasferimento, “dagli atti degli Uffici”, che da un limite
temporale, in ragione del quale l’obbligazione solidale sussiste solo per il
pagamento di imposte e sanzioni relative a violazioni commesse nel triennio
antecedente al trasferimento, ovvero commesse in epoca anteriore, a con-
dizione che le predette violazioni siano state contestate (e le relative sanzioni
siano state irrogate) nel triennio.
L’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997, prevede, inoltre, che “il cessio-
nario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione
del cedente”. Anche se alcuni autori hanno ritenuto di qualificare tale beneficio
come ulteriore “limite” alla responsabilità del cessionario13, sembra preferibile
ritenere che la sussidiarietà, legata alla preventiva escussione, costituisca un
particolare modo di essere della responsabilità stessa, che quindi permane
anche quando il trasferimento è operato in frode dei crediti tributari14.
Tale soluzione è implicitamente condivisa anche dalla Corte di cassa-
zione nell’ordinanza in commento, la quale precisa, senza alcuno specifico
riferimento al beneficium excussionis, che la fattispecie disciplinata dal
comma 4 “esclude alla radice l’esigenza di limitare la responsabilità solidale
del cessionario di azienda (...) ad un ambito cronologico predefinito
(comma 1) o al debito attestato negli atti dell’Ufficio al momento della
cessione (comma 2 e 3)”15.
Se vengono meno sia il limite quantitativo di cui al comma 1, che il limite
temporale di cui al comma 2, la responsabilità solidale del cessionario non
può che essere illimitata, con la conseguenza che, sia pure a seguito della
preventiva escussione del cedente, l’Amministrazione finanziaria potrà
agire esecutivamente nei confronti del cessionario per ottenere il paga-
mento di imposte e sanzioni: i) eccedenti il valore dell’azienda ceduta; ii)

13
In tal senso, E. Belli Contarini, La responsabilità tributaria del cessionario…, cit., pag.
531; S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria…, cit., pag. 499; G. Marini, “Note
in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda”, in Riv. dir. trib., 2009,
I, pag. 198.
14
La soluzione prospettata è sostenuta in dottrina da R. Baggio, Appunti in tema di
responsabilità…, cit., pag. 746. Conclude in senso dubitativo, invece, L. Del Federico,
Cessione di azienda…, cit., pag. 485.
15
In tal senso anche Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979.

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GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

relative a violazioni commesse in epoca anteriore al triennio antecedente al


trasferimento, anche se le violazioni non sono state contestate e le sanzioni
non sono state irrogate nel medesimo periodo; iii) determinate da violazioni
commesse ma non constatate alla data del trasferimento16.
In questa prospettiva, non può che essere negato qualsiasi rilievo al
contenuto dell’eventuale certificato ottenuto dal cessionario che ne abbia
fatto richiesta all’Amministrazione finanziaria.
Se ordinariamente la responsabilità del cessionario è limitata al debito
che risulta dagli “atti degli Uffici” alla data del trasferimento, e se il certi-
ficato assolve ad una funzione meramente informativa di quel debito, il
venir meno dei limiti quantitativi e temporali alla responsabilità dell’acqui-
rente non può che determinare l’irrilevanza delle eventuali risultanze del
certificato in possesso del cessionario.
L’estensione della responsabilità del cessionario oltre i limiti segnati nei
primi tre commi dell’art. 14 trova la sua giustificazione nella circostanza che
la cessione è “stata attuata in frode dei crediti tributari”.
Chi scrive ritiene che la frode che determina l’inasprimento della
responsabilità di cui al comma 4 sia solo quella di cui il cessionario è
consapevole17.
La tesi che si sostiene è coerente, sia con la lettera dell’art. 14, che
esclude, in caso di frode, tutte le limitazioni contemplate nei primi tre
commi, sia con i principi di proporzionalità ed adeguatezza che, in linea
generale, devono essere osservati anche nella disciplina delle sanzioni
amministrative18. Diversa è l’ipotesi in cui il cedente, con un

16
La tesi che si sostiene, secondo cui la cessione in frode dei crediti tributari determina
l’estensione della responsabilità del cessionario oltre il limite segnato dal valore dell’azienda
ceduta, non è condivisa dal L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 485, il quale, pur
osservando che “la lettera dell’art. 14 depone per l’inefficacia dei limiti del valore”, conclude nel
senso che “risulta arduo giustificare la razionalità di una tale responsabilità del cessionario,
soprattutto in ragione delle direttive della Legge delega [art. 3, comma 133, lett. c)], per cui,
anche con l’ausilio dell’interpretazione adeguatrice, parrebbe preferibile ricondurre il limite
quantitativo di che trattasi nell’ambito oggettivo dell’obbligazione solidale, e quindi confer-
marne l’efficacia in caso di cessione fraudolenta”. In senso conforme, G. Marini, Note in tema di
responsabilità..., cit., pag. 203.
Convergono sull’estensione della responsabilità del cessionario oltre il valore dell’azienda
ceduta: S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria…, cit., pag. 498; R. Baggio,
Appunti in tema di responsabilità…, cit., pag. 746; C.M. 10 luglio 1998, n. 180/E.
17
Contra L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 486, il quale rileva che la norma
“dà rilievo al solo profilo oggettivo” e “ciò che fa scattare la presunzione è esclusivamente la
constatazione del reato, salva la prova contraria da parte del cessionario per quanto riguarda la
sua buona fede”.
In senso conforme alla tesi che si sostiene, G. Bellagamba - G. Cariti, Il sistema delle
sanzioni tributarie, Milano, 2011, pag. 465.
18
Si rinvia, per un approfondimento sul tema, a R. Alfano, Sanzioni amministrative
tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020, pag. 154; G. Petrillo, I limiti di
proporzionalità nella disciplina fiscale delle società di comodo, Napoli, 2020, pag. 17 ss.;

Rassegna Tributaria 1/2021 - 243


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

comportamento fraudolento, senza che il cessionario ne sia consapevole,


pone in essere una cosciente violazione dell’obbligo di condotta che gli
impone di mantenere il patrimonio in condizioni tali da garantire il soddi-
sfacimento dei crediti tributari. Questa ipotesi è disciplinata soltanto dai
primi tre commi dell’art. 14, con cui il legislatore ha voluto mitigare la
responsabilità del cessionario che ha acquistato l’azienda in buona fede.
Se il cessionario non è consapevole della frode, risponderà unicamente
entro i limiti di cui al sopra citato art. 14, comma 1. Il cedente andrà incontro
alla responsabilità patrimoniale e, ove ne ricorrano i presupposti, potrà
rispondere anche penalmente ai sensi dell’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000. In
modo speculare, la consapevolezza da parte del cessionario del pregiudizio
arrecato al soddisfacimento dei crediti tributari determina, non solo l’ag-
gravamento in capo a quest’ultimo della responsabilità per le imposte e le
sanzioni dovute dal cedente di cui all’art. 14, comma 4, ma anche l’eventuale
responsabilità penale a titolo di concorso nel reato di sottrazione fraudo-
lenta al pagamento di imposte, sanzioni e interessi19.
L’ordinanza in commento, richiamando anche sotto questo profilo il
precedente arresto del 2014, attribuisce decisivo rilievo all’elemento sog-
gettivo che, sia pure nel silenzio della norma, emerge dalla sua ratio. Se la
soluzione prospettata dalla Corte può essere condivisa nella parte in cui
individua la ratio dell’art. 14, comma 4, nella circostanza che l’aggrava-
mento della responsabilità del cessionario è determinata dal consilium
fraudis, meno convincente appare l’affermazione secondo cui l’esclusione
di ogni tutela del cessionario sarebbe determinata dal “concorso delle parti
contraenti nell’illecito fiscale”.
Posto che l’elemento soggettivo di cui si discute ricorre in un atto
dispositivo del patrimonio posto in essere dal cedente “in frode dei crediti
tributari”, è pacifico che l’unico illecito fiscale implicitamente richiamato
nell’ordinanza della Corte è quello previsto dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000,
che punisce la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte sui redditi,
imposta sul valore aggiunto, sanzioni amministrative e relativi interessi.
Il richiamo ad un “concorso nell’illecito fiscale” finisce quindi per
determinare una ingiustificata sovrapposizione tra il piano della
responsabilità penale, segnato dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, e quello
della responsabilità per il pagamento delle imposte e delle sanzioni

L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010,
pag. 20 ss.
19
Secondo Cass., Sez. pen., 16 gennaio 2020, n. 1564, il concorso nel reato di cui all’art. 11
del D.Lgs. n. 74/2000 è possibile da parte di chi ha ricevuto il ramo di azienda, atteso che “la
circostanza che la fattispecie in contestazione sia un reato costruito sulla figura del contri-
buente non impedisce che vi concorra un soggetto estraneo al rapporto tributario nell’ambito
del quale si realizzano le attività sottrattive, laddove egli ponga in essere un qualsiasi consa-
pevole contributo concorsuale”.

244 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

amministrative, di cui all’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997, che va invece


decisamente respinto.
Senza indugiare sulla diversa configurazione della fattispecie di delitto
punita dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000, è sufficiente ricordare che, ai sensi
dell’art. 14, comma 5, “la frode si presume, salvo prova contraria, quando il
trasferimento sia effettuato entro sei mesi dalla constatazione di una vio-
lazione penalmente rilevante”.
Ai fini della responsabilità illimitata del cessionario non è necessario che
ricorra la frode punita dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000. In questa direzione
depone sia l’art. 14, comma 4, che non contiene alcun rinvio all’art. 97,
comma 6, del D.P.R. n. 602/197320, che il successivo comma 5 del medesimo
art. 14. Quest’ultima norma prevede l’applicazione di una presunzione
legale relativa che solleva l’Amministrazione finanziaria dall’onere di pro-
vare l’esistenza della frode stessa, così estendendo l’operatività della dispo-
sizione recata dal comma 4 oltre i limiti che deriverebbero da una necessaria
configurabilità della fattispecie punita dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000.
L’accordo fraudolento richiamato nell’ordinanza che si commenta non
può, pertanto, coincidere con il concorso nella fattispecie di delitto punita
dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/2000 e si risolve, invece, nel consilium fraudis
posto a fondamento dell’azione revocatoria ordinaria di cui all’art. 2901,
comma 1, n. 2, c.c., il quale prevede, per gli atti a titolo oneroso, che il terzo
sia “consapevole del pregiudizio” che l’atto dispositivo arreca alle ragioni del
creditore21.
La rilevanza dell’elemento soggettivo ai fini della configurabilità della
responsabilità prevista dall’art. 14, comma 4, consente di svolgere alcune
considerazioni sull’obbligo gravante sul cessionario, ritenuto dalla dottrina
di natura tipicamente parafideiussoria22.

20
Questa norma recava, prima dell’abrogazione espressa intervenuta per effetto dell’art.
25, lett. a), del D.Lgs. n. 74/2000, l’omologa fattispecie oggi punita dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/
2000.
21
Si ritiene di dovere escludere, quanto meno limitatamente alle sanzioni, che la prova
contraria eventualmente fornita dal cessionario, di cui all’art. 14, comma 5, del D.Lgs. n. 472/
1997, possa investire la sua “buona fede” (in senso contrario, L. Del Federico, Cessione di
azienda…, cit., pag. 486). In questo particolare contesto, la buona fede da provare coincide-
rebbe con lo stato intellettivo del cessionario, consistente nell’ignoranza di ledere il diritto del
creditore. La buona fede idonea ad escludere l’aggravamento della responsabilità del cessio-
nario sarebbe pertanto una buona fede in senso soggettivo, degradata dall’art. 10 dello Statuto
dei diritti del contribuente a mero fenomeno psicologico improduttivo di qualsiasi effetto
giuridico. Ne discende che, al fine di escludere l’operatività della più grave responsabilità
prevista dal comma 4, la prova contraria che incombe sul cessionario dovrà investire l’eventus
damni, ossia l’insussistenza di qualsiasi pregiudizio delle ragioni creditorie per effetto della
cessione dell’azienda. Si rinvia, per un approfondimento sul tema, a M. Trivellin, Il principio di
buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009.
22
Cfr. in tal senso, L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 475; G. Marini, Note in
tema di responsabilità…, cit., pag. 181; S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributa-
ria…, cit., pag. 486.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 245


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

Questa ricostruzione è certamente da condividere in tutti i casi in cui la


cessione dell’azienda non interviene con la finalità di ridurre le garanzie
patrimoniali del creditore. La coobbligazione solidale del cessionario,
invero, costituisce un effetto legale che scaturisce esclusivamente dal tra-
sferimento di azienda e risponde soltanto ad esigenze di garanzia
patrimoniale.
A giudizio di chi scrive, è da ritenere, invece, che nei casi in cui la
cessione dell’azienda sia operata in frode dei crediti tributari, la coobbliga-
zione solidale del cessionario che sia consapevole di tale frode assuma
natura tipicamente sanzionatoria23 perché determinata dall’inosservanza
dell’onere gravante su quest’ultimo di astenersi dall’acquisto dell’azienda.
Ne deriva che alla fattispecie legale, integrata dal trasferimento di azienda,
occorra che si aggiunga un elemento ulteriore, rappresentato dal consilium
fraudis, della cui esistenza, salva l’operatività della presunzione legale
prevista dal comma 5, l’Amministrazione è onerata di fornire la prova24.
In questa prospettiva, anche il tradizionale inquadramento teorico della
responsabilità dell’acquirente dell’azienda nell’ambito della solidarietà
dipendente, successiva e limitata, merita di essere ulteriormente precisato.
È noto che, secondo autorevole dottrina, si configura la solidarietà
paritetica quando “gli effetti di un’unica fattispecie imponibile sono con-
temporaneamente riferibili a distinti soggetti, che si trovano rispetto ad essa
nella relazione prevista dalla norma”25. Ne deriva che in tutti i casi in cui il
presupposto è realizzato da più soggetti, tutti sono obbligati in solido. Si
tratta, invece, di solidarietà dipendente quando, al fine di garantire la sicura
esazione dei tributi, nonostante il presupposto sia riferibile ad uno o più
soggetti, la norma coinvolge nell’obbligazione tributaria, con vincolo soli-
dale, “anche soggetti cui sicuramente non è riferibile la capacità contribu-
tiva evidenziata nel presupposto”26.

23
Ritiene che “la disposizione di cui al comma 4 ha degli indubbi connotati sanzionatori”,
S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità…, cit., pag. 499. Di avviso difforme L. Del
Federico, Cessione di azienda…, cit., pagg. 486-487, il quale, tuttavia, dopo avere escluso che
abbia rilievo la consapevolezza del cessionario ai fini della configurabilità della sua
responsabilità, afferma che “è comunque evidente che l’atteggiamento soggettivo necessario
per poter configurare una cessione in frode merita particolare attenzione”.
24
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza maturata sull’applicazione
dell’art. 2901 c.c., la prova del consilium fraudis può essere fornita dal creditore anche
attraverso il ricorso a presunzioni, compresa la sussistenza di un vincolo di parentela tra il
terzo acquirente e il debitore “quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo
non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente” (cfr., ex multis,
Cass., Sez. III, 5 marzo 2009, n. 5359; Cass., Sez. III, 18 gennaio 2019, n. 1286; Cass., Sez. III, 9
giugno 2020, n. 10928).
25
Così A. Fantozzi, “La solidarietà tributaria”, in Trattato di diritto tributario, vol. II,
diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, pag. 461.
26
Così A. Fantozzi, La solidarietà…, cit., pag. 464.

246 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

L’estensione dell’obbligo tributario ai soggetti c.d. coobbligati è operata


dalla norma che la realizza individuando elementi ulteriori che si aggiun-
gono a quelli della fattispecie imponibile27.
Muovendo da questa premessa, è possibile distinguere la solidarietà
dipendente contestuale dalla solidarietà dipendente successiva, a seconda
che gli elementi ulteriori che si aggiungono a quelli della fattispecie impo-
nibile sussistano contemporaneamente a questi ultimi, ovvero vengano ad
esistenza solo dopo che la fattispecie imponibile si è manifestata28.
Tratteggiati brevemente i caratteri della solidarietà, è possibile ricon-
durre la coobbligazione del cessionario prevista dall’art. 14 al genus della
solidarietà dipendente successiva, atteso che l’obbligo che grava sull’acqui-
rente sorge, per effetto di una manifestazione di capacità contributiva
imputabile al cedente, solo a seguito del trasferimento dell’azienda, che
costituisce l’elemento “ulteriore” che determina l’estensione della
responsabilità ex lege29.
Si tratta, in particolare, di una fattispecie di solidarietà dipendente
successiva e limitata, quando la cessione non interviene con la finalità di
ridurre le garanzie patrimoniali del creditore. Il cessionario, in questa
ipotesi, risponde entro i limiti segnati dall’art. 14, commi 1 e 2, e comunque
entro il limite insuperabile rappresentato dal valore dell’azienda ceduta30.
A diverse conclusioni si ritiene, invece, di dover pervenire quando la
cessione interviene in frode dei crediti tributari. In questa diversa ipotesi, la
solidarietà dipendente sorge per effetto di due distinte fattispecie collaterali,
entrambe successive alla fattispecie imponibile, rappresentate dal trasferi-
mento dell’azienda e dalla provata consapevolezza, da parte del cessionario,
del pregiudizio che l’atto dispositivo arreca alle ragioni del creditore.
Se sussistono gli elementi ulteriori che si aggiungono alla fattispecie
imponibile, la coobbligazione del cessionario prevista dall’art. 14, comma 4,
sarà riconducibile al genus della solidarietà dipendente successiva illimi-
tata, con l’effetto che l’ulteriore estensione della coobbligazione solidale si

27
Si tratta di elementi ulteriori che contraddistinguono la fattispecie definita “collate-
rale” da A. Hensel, Diritto tributario, traduzione di D. Jarach, Milano, 1956, pag. 98 ss.
28
Così A. Fantozzi, La solidarietà…, cit., pag. 464.
29
La configurazione della responsabilità del cessionario quale ipotesi di solidarietà
dipendente successiva è unanime in dottrina. In tal senso, senza pretesa di esaustività, L.
Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 475; S. Donatelli, Osservazioni sulla
responsabilità…, cit., pag. 488; G. Marini, Note in tema di responsabilità…, cit., pag. 191.
30
Distingue opportunamente la fattispecie disciplinata dall’art. 14 da quella in cui
versano i titolari di beni soggetti a privilegio G. Fransoni, “L’esecuzione coattiva a carico dei
debitori diversi dall’obbligato principale”, in C. Glendi - V. Uckmar (a cura di), La concentra-
zione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, pag. 100. L’autore osserva che quella
disciplinata nell’art. 14 rappresenta “un’ipotesi di coobbligazione dipendente limitata in senso
proprio”, posto che qui “il limite non è costituito dal bene aggredibile (come nelle forme di
privilegio), perché il cessionario offre al fisco creditore sempre (e solo) la propria generica
garanzia patrimoniale ove l’azienda non fosse più ricompresa nel patrimonio stesso”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 247


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

configura solo se il cessionario viola un onere di diligenza proprio, che si


risolve nella necessità di non prendere parte alla frode preordinata dal
cedente in danno dell’ente impositore31.
L’obbligo del garante sorge, pertanto, in dipendenza di un fatto proprio,
rappresentato dall’inosservanza del predetto onere di diligenza, con la
conseguenza che deve escludersi, in questa particolare ipotesi, che il ces-
sionario possa essere definito “responsabile d’imposta”. Se è vero che il
cessionario è certamente estraneo alla fattispecie tributaria posta in essere
dal cedente, non si può anche ritenere che egli sia tenuto al pagamento per
fatti o situazioni riferibili al soggetto passivo, così come invece espressa-
mente richiede l’art. 64, comma 3, del D.P.R. n. 600/1973, che definisce il
“responsabile d’imposta”.
Sotto questo profilo la norma, insieme ad altre presenti nell’ordina-
mento32, consente di escludere che in tutte le ipotesi in cui sia prevista una
coobbligazione solidale possano ravvisarsi figure di responsabile
d’imposta33.

4. La tutela del cessionario d’azienda - L’ordinanza che si commenta esclude


che, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997,
possa configurarsi tra cedente e cessionario un rapporto di solidarietà
paritaria e fa discendere, da questa condivisibile premessa, che “in

31
Sottolinea efficacemente la progressiva espansione nel nostro ordinamento di forme di
solidarietà dipendente dalla “coloritura para-sanzionatoria”, perché collegate ad una condotta
che si risolve nella violazione di oneri di diligenza cui il sistema fa conseguire un giudizio di
sostanziale riprovevolezza posto a fondamento della responsabilità stessa, L. Castaldi, “Sulla
figura del responsabile d’imposta”, in Riv. dir. trib., n. 34/2018.
32
Si pensi, a titolo esemplificativo, ai notai e agli altri pubblici ufficiali, obbligati in solido
al pagamento dell’imposta di registro in ragione dell’Ufficio che essi esercitano, consistente
nell’adempimento dell’obbligo loro ascritto dalla legge di provvedere alla registrazione e al
pagamento del tributo (art. 57 del D.P.R. n. 131/1986); ai terzi che vengono in possesso di un
documento per il quale il soggetto obbligato non ha provveduto a corrispondere l’imposta di
bollo sin dall’origine, che a loro volta non ottemperano all’obbligo di regolarizzazione (art. 22,
comma 1, n. 1), del D.P.R. n. 642/1972); al garante che viola il divieto di compensazione previsto
dall’art. 1 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124. In tutte queste ipotesi non può essere attribuita ai
coobbligati la qualifica di responsabili d’imposta, perché l’estensione dell’obbligo di paga-
mento del tributo non è collegata alla realizzazione del presupposto, ma al verificarsi di una
fattispecie ulteriore e distinta, ancorché dipendente dal verificarsi del presupposto. Tale
fattispecie, da identificare rispettivamente nell’obbligo di provvedere alla registrazione, nel-
l’obbligo di procedere alla regolarizzazione del bollo, e nell’obbligo di osservare il divieto di
compensazione, interponendosi tra l’avvenuta realizzazione del presupposto e la nascita in
capo al terzo dell’obbligo di pagare il tributo, interrompe il nesso esistente tra la norma che
prevede l’obbligazione solidale e la riferibilità ad altri del presupposto, facendo venir meno uno
degli elementi che caratterizzano la figura del responsabile d’imposta.
33
In tal senso, cfr. D. Coppa, Gli obblighi fiscali dei terzi, Padova, 1990, pag. 45 ss.; D.
Coppa, “Responsabile d’imposta”, in Dig. comm., XII, Torino, 1996, pag. 383; A. Parlato, “Il
responsabile ed il sostituto d’imposta”, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci,
Padova, 1994, II, pag. 419; A. Parlato, Il responsabile d’imposta, Milano, 1962, pag. 76 ss.

248 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

mancanza di un’espressa deroga al principio generale secondo cui l’avviso di


accertamento è notificato al contribuente”, “è escluso che al cessionario
debba essere notificato l’avviso di accertamento diretto al cedente”. La
tutela processuale della posizione del cessionario sarebbe adeguatamente
approntata, secondo quanto precisato dalla Corte, “mercè la sua partecipa-
zione, per atto d’intervento adesivo dipendente, alla lite tra l’erario ed il
cedente”.
La soluzione prospettata dai giudici di legittimità si riannoda ad antiche
e solo apparentemente sopite questioni che investono, da una parte, la
possibilità che il coobbligato dipendente possa contestare in via diretta
solo i presupposti specifici della sua obbligazione - salvo l’esperimento
dell’intervento adesivo dipendente nel giudizio instaurato dall’obbligato
principale - e, dall’altra, la circostanza che il coobbligato possa essere
assoggettato all’esecuzione forzata solo sulla base della notifica della car-
tella di pagamento, non preceduta anche dalla notificazione dell’avviso di
accertamento emesso nei confronti del coobbligato principale.
Il punto di frizione su cui poggiano le complesse problematiche investite
dall’ordinanza in commento è rappresentato dall’estensione delle regole di
cui agli artt. 1292 ss. c.c., e in particolare dell’art. 1306 c.c., alle obbligazioni
tributarie solidali dipendenti.
Nei rapporti di solidarietà paritaria costituisce ius receptum l’efficacia
riflessa favorevole del giudicato ottenuto dal coobbligato solerte, ex art.
1306 c.c., con la conseguenza che ciascun coobbligato può determinare
autonomamente il suo rapporto con l’ente impositore, con l’avvertenza che
gli atti da o contro di lui posti in essere possono produrre effetti nei confronti
degli altri coobbligati solo se e in quanto ad essi favorevoli34.
Il rapporto di pregiudizialità - dipendenza che intercorre tra obbligato
principale e coobbligato solidale dipendente ha invece sollecitato alcune
resistenze all’estensione dei principi di diritto comune in materia di obbli-
gazioni solidali dipendenti35, tanto da determinare soluzioni oscillanti tra il
pieno recepimento della disciplina civilistica della solidarietà36 e la

34
L’abbandono della c.d. supersolidarietà tributaria è da attribuire alla sentenza della
Corte cost. 16 maggio 1968, n. 48, cui è seguito il sostanziale recepimento, da parte della
giurisprudenza, della tesi secondo la quale la solidarietà in materia tributaria è soggetta alla
stessa disciplina prevista per le obbligazioni solidali dal Codice civile. Si vedano, tra le
pronunzie più recenti, Cass., Sez. trib., 30 gennaio 2018, n. 2231; Id. 9 febbraio 2018, n.
3204; Id. 27 dicembre 2018, n. 33436; Id. 24 gennaio 2019, n. 2015; Id. 1° febbraio 2019, n.
3105; Id. 5 luglio 2019, n. 18154; Id. 5 dicembre 2019, n. 31807.
35
Così A. Parlato, Il responsabile d’imposta, Milano, 1963, pag. 82; G. Falsitta, “Aspetti e
problemi della responsabilità solidale del cessionario d’azienda, sancita dall’art. 197 del T.U.
delle imposte dirette”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1969, II, pag. 148.
36
In tal senso, Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 207; Id. 24 maggio 1991, n. 219. In dottrina,
C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pag. 667; M. Basilavecchia, “Ruolo
d’imposta”, in Enc. dir., Milano, 1989, pag. 178; R. Lupi, “Coobbligazione solidale dipendente
ed esecuzione esattoriale”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, pag. 200 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 249


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

riaffermata autonomia strutturale delle obbligazioni solidali dipendenti di


natura tributaria37.
L’adesione a quest’ultima tesi porta con sé ricadute significative, che
possono essere così sintetizzate: i) il coobbligato solidale dipendente è
legittimato a contestare direttamente solo i presupposti specifici della
propria responsabilità, dovendo, per il resto, subire gli effetti riflessi
degli atti (e del procedimento) già intervenuti nel rapporto obbligatorio
che fa capo al debitore principale, salva la possibilità di esperire inter-
vento adesivo dipendente nel processo instaurato da quest’ultimo
dinanzi al giudice tributario; ii) il coobbligato solidale dipendente
può essere sottoposto alla procedura esecutiva avviata nei suoi con-
fronti sulla base di atti impositivi e di riscossione esclusivamente
intestati all’obbligato principale.
L’adesione alla prima tesi, viceversa, fondata su progressivo abbandono
della teoria dell’efficacia riflessa del giudicato nelle ipotesi di solidarietà in
cui si ravvisano rapporti di pregiudizialità dipendenza, implica: i) l’esclu-
sione di qualsiasi efficacia degli atti intestati al debitore principale nei
confronti del coobbligato solidale dipendente e il conseguente obbligo,
gravante sull’Amministrazione finanziaria, di notificare tutti gli atti di
accertamento e riscossione anche al coobbligato dipendente; ii) la piena
applicabilità dell’art. 1306 c.c. alle obbligazioni solidali dipendenti, con la
conseguente inopponibilità al coobbligato dipendente della definizione del
rapporto in capo al debitore principale.
Senza alcuna pretesa di affrontare tali rilevanti questioni38, va subito
osservato che l’ordinanza in commento, escludendo, da una parte, che
sussista un obbligo di notificare l’avviso di accertamento nei confronti del
cessionario desumibile dall’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973 e richiamando,
dall’altra, la possibilità, da parte del cessionario, di esperire nel processo
tributario l’intervento adesivo dipendente, così assicurandosi l’esercizio del
diritto di difesa, mostra inequivocabilmente di aderire all’orientamento che
nega l’estensione delle regole di cui agli artt. 1292 ss. c.c., e in particolare
dell’art. 1306 c.c., alle obbligazioni tributarie solidali dipendenti.
La soluzione cui perviene rapidamente la Corte muove da una prece-
dente pronunzia, in occasione della quale i giudici di legittimità hanno
ritenuto ammissibile l’intervento adesivo dipendente del cessionario di
azienda nel giudizio che era stato introdotto dal cedente a seguito

37
In tal senso Cass., Sez. I, 11 luglio 1981, n. 4510. In dottrina, P. Russo, “Processo
tributario”, in Enc. dir., Milano, 1987, pag. 830.
38
Per un compiuto esame si rinvia a L. Castaldi, “Solidarietà tributaria”, in Enc. giur.
Treccani, 1993, e a F. Picciaredda, La solidarietà tributaria – Linee di tendenza, Roma, 2017, pag.
135 ss., nonché a tutti gli autorevoli studi ivi rispettivamente indicati nelle note bibliografiche.

250 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

dell’impugnazione dell’avviso di accertamento notificato esclusivamente a


quest’ultimo39.
Si trattava, in quel caso, di una cessione d’azienda non attuata in frode
dei crediti tributari, che i giudici di legittimità hanno ritenuto, nell’ordi-
nanza in commento, “simmetrica” alla fattispecie regolata dai commi 4 e 5
dell’art. 14.
Muovendo da questa premessa e ritenendo applicabile la soluzione già
tracciata nel precedente del 2012, i giudici di legittimità hanno escluso la
necessità di notificare al cessionario l’avviso di accertamento che costituiva
il presupposto dell’iscrizione a ruolo impugnata, asserendo che un’“ade-
guata tutela processuale” di chi è solidalmente obbligato in via dipendente è
già approntata dal sistema attraverso l’intervento adesivo dipendente da
esperire nella lite instaurata dal debitore principale.
La tesi tratteggiata non convince nella parte in cui si ritiene che il
compiuto esercizio del diritto di difesa, da parte del cessionario, sia assicu-
rato sol perché l’art. 14 non esclude, accedendo ad una lettura costituzio-
nalmente orientata, l’intervento adesivo dipendente nel giudizio instaurato
dal cedente; merita, invece, di essere meglio precisata nella parte in cui si
afferma che l’obbligo di previa notifica al cessionario dell’avviso di accerta-
mento sarebbe da escludere perché non espressamente previsto dall’art. 42
del D.P.R. n. 600/1973.
L’apertura manifestata dalla Corte di legittimità ad una interpretazione
estensiva dell’art. 14 del D.Lgs. n. 546/1992 e il conseguente riconoscimento
del diritto del cessionario di ricorrere all’intervento adesivo dipendente nel
processo tributario instaurato dal cedente, non possono essere considerati
sufficienti ad assicurare all’acquirente dell’azienda il compiuto esercizio del
diritto di difesa.
La tesi sostenuta dalla Corte di legittimità, invero, poggia sull’errata
premessa che la cessione d’azienda non attuata in frode dei crediti tributari
possa essere considerata “simmetrica” alla fattispecie regolata dai commi 4
e 5 dell’art. 14 del D.Lgs. n. 472/1997. Quale che sia la tesi che si condivide
circa l’estensione (o meno) della disciplina di diritto comune in materia di
obbligazioni solidali dipendenti, va rilevato che il pieno esercizio del diritto
di difesa da parte del cessionario merita di essere assicurato necessaria-
mente in un giudizio diverso da quello instaurato dall’obbligato principale,
in tutti i casi in cui le ragioni che il coobbligato intende opporre alla pretesa
dell’Amministrazione finanziaria abbiano per oggetto i presupposti della
sua responsabilità.

39
Si tratta della sentenza n. 255 del 12 gennaio 2012, in questa Rivista, 2012, con nota
adesiva di L. Castaldi, “L’intervento adesivo dipendente nella giurisprudenza della Corte di
Cassazione”, pag. 1284 ss.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 251


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

Quando, infatti, la cessione d’azienda non è attuata in frode dei crediti


tributari, la coobbligazione del cessionario costituisce un effetto legale che
scaturisce esclusivamente dal trasferimento di azienda.
Se, invece, ricorre la diversa ipotesi disciplinata dall’art. 14, comma 4,
del D.Lgs. n. 472/1997, la coobbligazione solidale del cessionario assume
natura tipicamente sanzionatoria e al trasferimento dell’azienda deve
aggiungersi un elemento ulteriore, costituito dal consilium fraudis, di cui
l’Amministrazione finanziaria deve fornire la prova.
Ne discende che, quand’anche si volesse ritenere che la cartella di
pagamento non debba essere necessariamente preceduta dall’avviso di
accertamento notificato (anche) al cessionario, l’iscrizione a ruolo e la
relativa cartella di pagamento dovrebbero comunque essere dotate di una
motivazione estesa ai presupposti specifici della sua responsabilità, in modo
tale da consentirgli di contestarne direttamente l’esistenza dinanzi al giu-
dice tributario40.
Il perimetro della motivazione della cartella di pagamento consente di
svolgere ulteriori precisazioni a proposito della tesi, sostenuta dai giudici di
legittimità, secondo la quale l’obbligo di previa notifica al cessionario
dell’avviso di accertamento sarebbe da escludere perché non espressamente
previsto dall’art. 42 del D.P.R. n. 600/1973.
È già stato rilevato che la soluzione prospettata dalla Corte rappresenta
il probabile corollario dell’implicita inapplicabilità degli artt. 1292 ss. cc.
alle obbligazioni tributarie solidali dipendenti. La tesi, invero, sottende
l’assunto che ove il ruolo sia stato formato in base ad un atto impositivo
regolarmente notificato al debitore principale, non sussiste alcun impedi-
mento alla notificazione della cartella di pagamento nei confronti del
coobbligato dipendente41.
Pur volendosi muovere da questa premessa, opposta a quella che sca-
turirebbe dalla tesi che nega qualsiasi efficacia ultrasoggettiva agli atti
notificati al debitore principale, all’obbligo della previa notifica dell’avviso
di accertamento al coobbligato dipendente si dovrebbe comunque sostituire
la contestuale notificazione di tale atto unitamente alla cartella di paga-
mento impugnata dal cessionario.
L’obbligo di motivazione del titolo esecutivo è infatti previsto dall’art.
12, comma 3, del D.P.R. n. 602/1973 e dall’art. 7, comma 3, della Legge

40
Ancor più incisivamente, individua “uno spazio per l’elaborazione del principio
secondo cui, prima dell’iscrizione a ruolo, occorre sempre notificare al condebitore dipendente
anche un atto volto ad accertare il titolo” della responsabilità del coobbligato, “sempre che si
aderisca all’idea secondo cui è esclusa ogni forma di efficacia riflessa del giudicato”, G.
Fransoni, L’esecuzione coattiva a carico dei debitori…, cit., pag. 115.
41
È appena il caso di ricordare che l’assunto sotteso alla tesi della Corte di cassazione è
coerente con la lettera dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, secondo cui l’Agente della riscossione
notifica la cartella di pagamento “al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti del
quale procede”.

252 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

n. 212/2000, in cui è stabilito che “sul tutolo esecutivo va riportato il


riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in man-
canza, la motivazione della pretesa tributaria”.
Ne discende che, quand’anche si dovesse escludere la necessità della
previa notifica al coobbligato dipendente dell’avviso di accertamento
emesso nei confronti del debitore principale, non resterebbe che procedere
ad un’autonoma formazione del ruolo nei confronti di quest’ultimo, in
modo tale da assicurare che il titolo esecutivo sia conforme alle norme
richiamate e che, pertanto, possa essere adeguatamente motivato.
La mancata allegazione dell’avviso di accertamento al ruolo che lo
richiama, invero, non può che essere concepita in relazione al soggetto
nei cui confronti il ruolo è formato, con la conseguenza che, ove l’accerta-
mento sia stato notificato al solo debitore principale, il titolo esecutivo
emesso nei confronti del coobbligato dipendente dovrà necessariamente
essere motivato attraverso la contestuale allegazione dell’atto richiamato,
ovvero mediante la riproduzione anche sintetica della motivazione ivi
contenuta42.
La questione agitata nel giudizio concluso dall’ordinanza in commento,
legata alla presenza del ruolo, non si porrà più con riguardo alle imposte sui
redditi, all’IVA, all’IRAP e ai tributi locali, per i quali per effetto dell’art. 29
del D.L. n. 78/2010 e dell’art. 1, comma 792, della Legge n. 160/2019, sono
adottati avvisi di accertamento che costituiscono anche titolo esecutivo.
Sia pure nei limiti, ormai ampi, in cui sia l’iscrizione a ruolo che la
cartella di pagamento sono sostituiti dall’avviso di accertamento esecutivo,
non resta che ritenere che spetti all’Agenzia delle entrate (e agli enti locali)
procedere alla notificazione anche ai coobbligati dell’avviso di accerta-
mento intestato al debitore principale, demandando all’Agente della riscos-
sione il compito di decidere verso quale, tra i vari condebitori, iniziare la
procedura esecutiva43.

5. Notazioni conclusive - L’ordinanza della Corte di cassazione ha rianimato


il dibattito mai sopito che investe la disciplina della responsabilità del

42
Esclude l’efficacia ultrasoggettiva del ruolo nelle obbligazioni solidali dipendenti A.
Carinci, “La riscossione nei confronti del coobbligato, tra ruolo e nuovo accertamento esecu-
tivo”, in M. Basilavecchia - S. Cannizzaro - A. Carinci (a cura di), La riscossione dei tributi,
Milano, 2011, pag. 149. Significative aperture alla tutela del cessionario sono riconosciute
anche da L. Castaldi, “Sulla figura del responsabile d’imposta”, in Riv. dir. trib., 2018, pag. 42.
43
La soluzione che si condivide trova significativa conferma nel provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate del 30 giugno 2011, recante le “modalità di affidamento
della riscossione delle somme intimate con gli atti di cui alla lett. a), dell’art. 29, comma 1, del
D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122, in carico agli agenti della
riscossione”. Il provvedimento citato prevede all’art. 1 che i flussi di carico devono contenere,
tra l’altro, “c) il codice fiscale e i dati anagrafici dei debitori, nonché degli eventuali coobbligati”.

Rassegna Tributaria 1/2021 - 253


D. MAZZAGRECO - RESPONSABILITÀ DEL CESSIONARIO D’AZIENDA

cessionario di azienda per i debiti tributari del cedente e il più vasto e


complesso tema delle possibili forme di tutela concesse al terzo coobbligato.
Sotto il primo profilo, i giudici di legittimità confermano le perduranti
incertezze in cui versa la giurisprudenza nello stabilire quale sia l’estensione
della responsabilità del cessionario.
Richiamando la “specialità della norma” e le “sue finalità antielusive”, la
Corte di cassazione ha ritenuto di poter individuare nell’art. 14, comma 1,
del D.Lgs. n. 472/1997, una responsabilità oggettiva “in bianco” gravante sul
cessionario per tutti i debiti fiscali del cedente relativi al triennio anteriore
alla cessione, anche se incerti nell’an al momento del trasferimento, anco-
rando tale responsabilità alla condotta omissiva dell’acquirente che non
assolve all’onere di richiedere la certificazione di cui al successivo comma 3,
del citato art. 14.
Con particolare riguardo alla fattispecie disciplinata dall’art. 14, commi
4 e 5, i giudici di legittimità hanno invece condivisibilmente posto l’accento
sulla circostanza che l’inasprimento della responsabilità gravante sul ces-
sionario, può aver luogo sempre che quest’ultimo sia consapevole della
frode.
Questa precisazione consente di ritenere che nei casi in cui la cessione
dell’azienda è operata in frode dei crediti tributari, la coobbligazione soli-
dale del cessionario assume natura tipicamente sanzionatoria e che alla
fattispecie legale, integrata dal trasferimento di azienda, occorre che si
aggiunga un elemento ulteriore, rappresentato dal consilium fraudis,
della cui esistenza, salva l’operatività della presunzione legale prevista dal
comma 5, l’Amministrazione è onerata di fornire la prova.
L’obbligazione solidale dipendente in capo al cessionario sorge, per-
tanto, per effetto di due distinte fattispecie collaterali, entrambe successive
alla fattispecie imponibile, rappresentate dal trasferimento dell’azienda e
dalla provata consapevolezza, da parte del cessionario, del pregiudizio che
l’atto dispositivo arreca alle ragioni del creditore.
L’obbligo del coobbligato solidale, in questa particolare ipotesi, non
costituisce più un effetto ex lege del trasferimento, ma sorge in dipendenza
dell’inosservanza di un onere di diligenza che l’ordinamento pone a carico
del cessionario.
Sotto il profilo delle possibili forme di tutela concesse al cessionario,
l’ordinanza mostra di aderire pienamente ad un precedente arresto del 2012,
assumendo che la cessione di azienda non attuata in frode dei crediti
tributari sia “simmetrica” alla diversa fattispecie regolata dai commi 4 e 5
dell’art. 14.
Muovendo da questa premessa, i giudici di legittimità hanno escluso la
necessità di notificare al cessionario l’avviso di accertamento che costituiva
il presupposto dell’iscrizione a ruolo impugnata, asserendo che un’“ade-
guata tutela processuale” di chi è solidalmente obbligato in via dipendente è

254 - Rassegna Tributaria 1/2021


GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA

già approntata dal sistema attraverso l’intervento adesivo dipendente da


esperire nella lite instaurata dal debitore principale.
Si è però dell’avviso che l’intervento adesivo dipendente del cessionario
nel processo tributario instaurato dal cedente non possa essere l’unico
strumento di difesa da riconoscere al cessionario.
Se nel trasferimento dell’azienda in frode dei crediti tributari la
responsabilità del cessionario sorge in dipendenza del consilium fraudis,
della cui esistenza, salva l’operatività della presunzione legale prevista dal
comma 5, l’Amministrazione è onerata di fornire la prova, è pacifico che
l’iscrizione a ruolo e la relativa cartella di pagamento devono essere dotate di
una motivazione estesa ai presupposti specifici della responsabilità del
cessionario, in modo tale da consentirgli di contestarne direttamente l’esi-
stenza dinanzi al giudice tributario.
Con l’intento di individuare opportune chances difensive da riservare al
cessionario cui non è stato notificato l’avviso di accertamento emesso nei
confronti del cedente, infine, si è rilevato che il diritto del cessionario a
vedersi notificato l’atto presupposto è in ogni caso tutelato dall’art. 12,
comma 3, del D.P.R. n. 602/1973 e dall’art. 7, comma 3, della Legge n.
212/2000, da cui discende che il titolo esecutivo emesso nei confronti del
coobbligato dipendente dovrà necessariamente essere motivato attraverso
la contestuale allegazione dell’atto richiamato, ovvero mediante la ripro-
duzione anche sintetica della motivazione ivi contenuta.
Non sfugge, tuttavia, che nonostante la presenza nel sistema di stru-
menti idonei ad assicurare al cessionario chances difensive equivalenti a
quelle riconosciute al cedente, il diritto del primo a contestare i presupposti
generici della pretesa manifestata nei confronti del secondo rischia di essere
depotenziato dalla giurisprudenza di legittimità, che mostra implicita-
mente di volere aderire sempre più alla tesi, a suo tempo ripudiata dalla
Corte costituzionale, dell’efficacia riflessa nei confronti del cessionario del
giudicato reso nel giudizio instaurato dal cedente.
DANIELA MAZZAGRECO

Rassegna Tributaria 1/2021 - 255


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