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diretta da: Massimo Basilavecchia, Mauro Beghin, Michele Cantillo, Eugenio della Valle,
Adriano Di Pietro, Franco Bimestrale di Flora,
Fichera, Giovanni diritto tributario
Guglielmo Fransoni, Maria Cecilia Fregni,
Franco Gallo, Marc Leroy, Giuseppe Marini, Valeria Mastroiacovo, Oliviero Mazza, Giuseppe Melis,
Joerg Manfred Moessner, Leonardo Perrone, Maria Pierro, Tulio Rosembuj, Claudio Sacchetto,
Livia Salvini, Salvatore Sammartino, Edoardo Traversa, Antonio Uricchio, Giuseppe Zizzo
In questo numero:
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INDICE
DOTTRINA
PROFILI ISTITUZIONALI
GIURISPRUDENZA TRIBUTARIA
INDICE CRONOLOGICO
GIURISPRUDENZA
CORTE DI GIUSTIZIA, UE, Grande Sezione, sentenza 3 marzo 2020 C-482/18 141
causa,
CORTE DI CASSAZIONE, Sez. III pen., sentenza 3 novembre 2020 n. 30615 209
Abstract: The italian Digital Service Tax is the first attempt at designing a tax which
is specifically tailored to take into account the peculiarities of digital market’s
undertakings. The overall legal structure shows that DST is targeted to tax the
different forms through which some undertakings exercise their power of control
over data. Although this choice seems conceptually correct, the territorial nexus and
some other feature of DST are not in line with such choice and this leads to the
conclusion that the legal structure requires some further refinement.
1
È noto che, da principio, l’approccio a questo tema sia generalmente consistito nell’e-
laborazione di ipotesi di modifica dei criteri di collegamento previsti dalle convenzioni
internazionali. Attualmente, invece, sembra farsi più decisamente strada l’idea che sia invece
necessario, alternativamente, intervenire sulla logica di fondo delle convenzioni ovvero
6
Questo profilo, che per molti versi rappresenta un pregio dell’iniziativa, ne costituisce
anche un aspetto di debolezza come non ha mancato di sottolineare il governo USA nel Report
on Italy’s Digital Service Tax del 6 gennaio 2021 richiamando sia la circostanza che l’iter di
approvazione della Proposta è in una fase di stallo per assenza della necessaria unanimità, sia la
posizione dell’OCSE secondo cui “[t]here is no consensus on either the merit or need for interim
measures”. Posizione, quest’ultima, condivisa anche dall’Assonime nel proprio documento di
partecipazione al procedimento di consultazione di cui alla nota seguente nella consapevolezza
che le iniziative unilaterali “espo[ngono] più facilmente l’Italia a misure di ritorsione sul piano
economico del commercio internazionale, in particolare attraverso misure daziarie”.
7
La bozza del provvedimento ha formato oggetto di un procedimento di consultazione del
quale sono decorsi i termini per l’invio di commenti e osservazioni. Al momento di correzione
delle bozze del presente saggio non si è potuto tener conto della pubblicazione del provvedi-
mento definitivo. Alla bozza nella sua attuale versione ci riferiremo, nel prosieguo, con il
termine Provvedimento.
8
Ossia come un complesso di norme (e, quindi, un complesso di situazioni giuridiche
soggettive suscettibili di sorgere al momento dell’integrazione delle fattispecie previste dalle
10
In realtà il punto 3.5 del Provvedimento fa riferimento ai soli siti web, ma si tratta,
verosimilmente, di un refuso destinato ad essere corretto nella versione definitiva del
Provvedimento in quanto in contrasto con la lett. a), del comma 37 e con la definizione di
interfaccia digitale di cui al punto 1, lett. g), del Provvedimento stesso.
11
Su questo aspetto sembrerebbe esservi un disallineamento fra la disciplina italiana e
quella contenuta nella Proposta, in quanto nella concezione unionale dovrebbe prevalere il
sistema di localizzazione più attendibile, mentre secondo la richiamata disciplina interna i
sistemi di localizzazione diversi dall’indirizzo IP sarebbero rilevanti non quando dotati di
maggiore attendibilità, bensì solo se e nella misura in cui non possa farsi riferimento all’indi-
rizzo IP.
12
Cfr. D. Nguyen - M. Paczos, “Measuring the Economic Value of Data and Cross-Border
Data Flows: A Business Perspective”, in OECD Digital Economy Papers, August 2020, n. 297, i
quali, pur qualificando l’iniziale scambio di dati come free, non mancano di evidenziare che in
dottrina si tende correttamente a “treat free content as a barter transaction where consumers and
businesses receive content in exchange for exposure to advertising or marketing, and ultimately,
households are treated as active producers of viewership services that they barter for consumer
entertainment”. In questo senso, si veda anche, W.C.Y. Li - M. Nirei - K. Yamana, “Value of Data:
There’s No Such Thing As A Free Lunch in the Digital Economy”, in U.S. Bureau of Economic
Analysis Working Paper, Washington, DC, 2019. Sul punto si vedano, altresì, le interessanti
considerazioni di F. Antonacchio, Big Data al bivio fra IVA e imposta sui servizi digitali, cit., il
quale prospetta la possibilità che l’acquisizione dei dati da parte degli utenti, proprio per il suo
carattere “corrispettivo” (in senso lato) del servizio (solo apparentemente gratuito) prestato,
ad esempio, dai motori di ricerca, possa attrarre queste operazioni nel campo di applicazione
dell’imposta sul valore aggiunto. Nel medesimo senso, cfr. S. Pfeiffer, “Comment on ‘Free’
Internet services”, in AA.VV., CJEU - Recent Developments in Value Added Tax 2017, Linde,
2018, pag. 133 ss. Per una panoramica di ampio respiro sulle problematiche proprie
dell’imposta sul valore aggiunto nel contesto dell’economia digitale, da ultimo, G. Marino,
“L’IVA nel contesto dell’economia digitale: eterogenesi di una imposta”, in Dir. prat. trib.,
2020, I, pag. 47 ss.
13
Questo nella misura in cui la “vendita” sembra venire in considerazione come elemento
ulteriore e aggiuntivo rispetto alla “mera” fattispecie della “trasmissione”.
14
Per alcuni riferimenti, tutt’altro che esaustivi, cfr. M. Ardolino - N. Saccani - F.
Adrodegari - M. Perona, “A Business Model Framework to Characterize Digital Multisided
Platforms”, in Journal of Open Innovation, 2020; A. Gawer, Digital Platforms’ Boundaries: The
Interplay of Firm Scope, Platform Sides, and Digital Interfaces, 2020, consultabile all’indirizzo
https://doi.org/10.1016/j.lrp.2020.102045; J. M. Sanchez-Cartas - G. Leon, Multi-sided
Platforms and Markets: A Literature Review, in Journal of Economic Surveys, 2021.
connessi agli scambi sono rilevanti solo per la parte che non corrisponde al
corrispettivo pagato per l’acquisto di beni e servizi;
D) i ricavi rilevanti realizzati a livello mondiale sono imponibili solo per la
parte riferibile al territorio dello Stato la quale è determinata sulla base di una
percentuale costituita: a) nel caso dei ricavi derivanti dalla messa a disposi-
zione di interfacce che agevolano gli scambi, dal rapporto fra il numero delle
consegne di beni e delle prestazioni di servizi di cui almeno una controparte
sia localizzata nel territorio dello Stato in base all’IP del dispositivo dal quale
accede (restando dubbio, in base all’attuale formula del punto 4.4 del
Provvedimento, se la “localizzazione” debba essere individuata per ogni
singola consegna oppure se un singolo ordine localizzato nel territorio
dello Stato attragga nel numeratore anche tutte le ulteriori consegne fatte
al medesimo utente, ancorché la conclusione degli ulteriori scambi non abbia
implicato l’uso di un dispositivo “localizzato”) e il numero totale di consegne
worldwide; b) nel caso di ricavi derivanti dalla messa a disposizione di
interfacce digitali che facilitano solo la comunicazione (ma non, in via
immediata, gli scambi) la percentuale d’imponibilità è calcolata come rap-
porto fra il totale degli utenti che hanno un conto (o, in termini anglosassoni,
un account) aperto (anche solo per una parte dell’anno) attraverso un dispo-
sitivo localizzato nel territorio dello Stato e il totale di tutti gli utenti;
E) ovviamente, come per gli altri tipi di servizi digitali imponibili, il
prodotto fra la percentuale, calcolata come sopra, e il totale dei ricavi
rilevante determina la base imponibile dalla quale si ricava l’imposta appli-
cando l’aliquota di cui al comma 41.
Al di là di alcuni profili della disciplina non perfettamente chiari o non
del tutto condivisibili nella prospettiva della razionalità complessiva del
prelievo sui quali non è il caso di soffermarsi in questa sede (sia perché forse
qualcuna di tali imperfezioni sarà risolta nella versione definitiva del
Provvedimento, sia perché la correzione può avvenire attraverso l’interpre-
tazione), ciò che occorre osservare è che, a ben guardare, anche in questo
caso, sebbene in modo meno immediato, i dati assumono una rilievo del
tutto centrale.
Come abbiamo già rilevato, infatti, la definizione stessa di interfaccia
digitale multilaterale fa leva sui “collegamenti” e sull’“interazione” fra gli
utenti che questa rende possibili.
Ma collegamenti e interazioni non sono altro che scambi di dati,
cosicché l’interfaccia (rectius il soggetto che ne è titolare) si caratterizza
per la sua attività di controllo sui dati scambiati.
Si diceva che, nella definizione della fattispecie di questo servizio, è
meno appariscente la centralità dei dati e del potere sugli stessi rispetto ai
casi precedentemente considerati.
Ciò è dovuto al fatto che l’interfaccia appare, da questo punto di vista,
essenzialmente come un sistema di “comunicazione”, piuttosto che come un
sistema di “controllo”. Ma si tratta di un’impressione superficiale, perché
anche nel mondo non digitale la titolarità delle vie di comunicazione garanti-
sce, al tempo stesso, anche un controllo sulla comunicazione medesima.
essere criticata nella misura in cui tale posizione viene considerata quale argomento stru-
mentalmente orientato o, comunque, necessariamente collegato alla negazione del valore
“garantista” dell’art. 53 Cost. che le tesi critiche vogliono, invece, fortemente ribadire.
Tuttavia, se è probabilmente vero che la concezione del principio di capacità contributiva
come “criterio di riparto” (e non come garanzia) può certamente favorire una più ampia
considerazione degli indici di capacità contributiva, non è men vero che tale risultato non
dipende esclusivamente da tale concezione, in quanto esso, a ben vedere, riposa su un piano
di considerazioni totalmente distinto che, ove considerato al di fuori della rigida contrappo-
sizione riscontrabile nella concezione dell’art. 53 Cost., dovrebbe consentire l’accoglimento
di tale prospettiva anche ai fautori dell’approccio “garantista”. In particolare, la tesi che
individua nell’art. 53 Cost. un limite all’assunzione a indice di capacità contributiva delle
fonti produttive di reddito (cfr. G. Gaffuri, “L’attitudine alla contribuzione”, in La nozione
della capacità contributiva e un essenziale confronto d’idee, cit.) non dovrebbe intravedere
alcun ostacolo a valutare come idoneo indice di capacità contributiva il “potere di controllo
sui dati” (a meno di non estendere a qualunque declinazione dell’esercizio dell’attività
economica la nozione di fonte della produzione) come giustamente intuisce A. Fedele,
“L’essenza dell’attitudine alla contribuzione”, in La nozione della capacità contributiva e un
essenziale confronto d’idee, cit., pag. 264. E, a nostro avviso, senza che sia possibile dare
compiuta dimostrazione di questo rilievo nella presente sede, non sembra impossibile che,
sia pure con taluni adattamenti, la legittimità (ancorché, ovviamente, non sempre necessi-
tata) dell’assunzione a indici di capacità contributiva di circostanze di fatto denotanti
“condizioni” personali privilegiate dei membri della collettività diverse da quelle che trovano
diretta espressione nel patrimonio, nel reddito e nel consumo possa non risultare estranea
alla generalità delle tesi che declinano il principio di capacità contributiva in termini
essenzialmente garantistici.
16
Il particolare rilievo assunto dai dati (e, implicitamente, dalle diverse forme di impiego
e controllo sui medesimi) è perspicuamente sottolineato da F. Gallo, “Nuove espressioni di
capacità contributiva”, in questa Rivista, 2015, pag. 771 ss. e A. Uricchio - W. Spinapolice, La
corsa a ostacoli della web taxation, cit., i quali sottolineano che “accessi, navigazione sulla rete,
intelligenze artificiali e big data archiviano, elaborano, trasmettono informazioni esperienze e
conoscenze che esprimono un valore economico suscettibile di essere sottoposto a tributi di
diversa natura anche di nuova istituzione”.
17
Questo aspetto è pacifico e, soprattutto, è altresì considerato quale specificità del
sistema. Cfr. D. Nguyen - M. Paczos, Measuring the Economic Value of Data and Cross-
Border Data Flows: A Business Perspective, cit., i quali evidenziano che: “[s]imilarly, many on
line platforms offer their services globally, relying on cross-border data flows to deliver digital
matching services (e.g. Uber, Airbnb, eBay). At the same time, they also collect transaction and
consumer behaviour data in various locations, which further need to be transferred across borders
in order to be stored, aggregated and analysed. Finally, insights based on aggregated global data
serve as the basis for commercial services that can be delivered in multiple locations (e.g. targeted
advertising, or demand forecasting, price elasticities of consumers)”.
18
Per questa distinzione che segue fra impresa data enabled e data enhanced si rinvia a D.
Nguyen - M. Paczos, Measuring the Economic Value of Data and Cross-Border Data Flows: A
Business Perspective, op. loc. cit.
19
Anche la dottrina italiana, in una prospettiva in larga misura convergente con quella
espressa nel testo, ha evidenziato la razionalità di un’imposta (concepita, tuttavia, in termini
essenzialmente “patrimoniali”) che avesse i “dati” come centro di riferimento: cfr. A. Carinci, La
fiscalità dell’economia digitale dalla webtax alla presa d’atto di nuovi valori da tassare, cit.
20
Il riferimento dell’imposta alle sole imprese data enabled toglierebbe valore - a nostro
avviso e sempre che si consideri l’imposta come qualcosa di diverso da un mero prelievo
sostitutivo dell’imposta sui redditi secondo la prospettiva sostenuta nel testo - alla critica mossa
alla Proposta da J. Becker - J. Englisch, “EU Digital Services Tax: A Populist and Flawed
Proposal”, in Kluwer Int’l Tax Blog (Mar. 16, 2018), http://kluwertaxblog.com/2018/03/16/eu-
digital-services-tax-populist-flawed-proposal, i quali, sminuendo il valore a tale distinzione,
ritengono che, “even if one were to argue that from the platform operator’s perspective, the users’
purposeful involvement in the data mining process turns consumers into an instrument of the
operator’s own production activities, such a view could not justify the Commission’s limited
choice of taxed digital activities. Clearly, user data are becoming increasingly relevant in the entire -
‘digitalized’ - economy, not only in the on line advertisement or sharing economy sector”.
21
La distinzione potrebbe essere alla base, poi, di alcune (anche se, verosimilmente, non
di tutte) le esclusioni previste dal comma 37-bis il quale meriterebbe un’analisi a sé stante anche
sotto il profilo della sua complessiva razionalità.
22
Nello stesso senso, A. Uricchio - W. Spinapolice, La corsa a ostacoli della web taxa-
tion, cit.
23
In questo senso, cfr. R. Cordeiro Guerra, Diritto tributario internazionale, Milano, 2016,
pag. 95 ss., A. Fedele, Appunti dalle lezioni di diritto tributario, cit., pag. 16 ss.; G. Fransoni, La
territorialità nel diritto tributario, Milano, 2004, passim. Questo punto di vista si discosta
nettamente da quello diffuso nella dottrina di diritto internazionale secondo cui il criterio di
collegamento esprima la corretta collocazione (o, almeno, una fra le possibili corrette collo-
cazioni) di un fatto nello spazio (territoriale). È evidente, in realtà, che questa concezione è
concettualmente opinabile sia perché la ricchezza o, in senso più ampio, i presupposti dei
tributi sono fenomeni apprezzabili concettualmente, non fatti puntuali collocabili spazial-
mente; sia perché lo stesso spazio territoriale (delle comunità politicamente organizzate) è
un’astrazione ideologica. Ma quell’idea è, con ogni evidenza, un “mascheramento”, in quanto si
propone di tradurre in termini tecnicamente neutri opzioni politiche molto impegnative e
altamente controvertibili. Un non marginale progresso rispetto alla concezione che si è prima
menzionata si registra in chi, di recente, in uno studio molto approfondito e di largo respiro
(cfr., F. Farri, Tax sovereignty and the law in the digital global economy, Torino, 2021 ma in realtà
2020) prospetta l’idea secondo cui il collegamento si instaurerebbe fra i “fatti” e una “comunità”
(cfr., ivi, pag. 35 ss.). Tuttavia, anche questa concezione risulta, in ultima analisi, ancora non
pienamente appagante perché se, a nostro avviso, è corretto affermare che la comunità sia,
effettivamente, uno dei termini di riferimento del collegamento, non appare persuasivo
individuare l’altro termine nei “fatti”, anche perché, logicamente, i modi per collegare un
fatto economico individuale a un gruppo umano sono innumerevoli e tutti equivalenti dal
punto di vista logico, là dove ciò che interessa è il “valore” di quel collegamento. Tanto è vero che
l’interrogativo sotteso all’affermazione secondo cui “it is unclear why the simple conduct of a
business in a certain community cannot be reasonably regarded in itself as a relevant criterion of
connection” (così F. Farri, Tax sovereignty and the law in the digital and global economy, cit., pag.
38) ha una soluzione impossibile e al contempo anche banale. È impossibile motivare la
negazione della validità di molte forme di collegamento di un fatto alla collettività se il
problema viene inquadrato in una mera prospettiva empirica, giacché, le possibili forme di
collegamento di un fatto a una comunità, proprio perché operanti sul piano delle idee e non su
quello della realtà empirica, sono innumerevoli e, fra loro, non è possibile operare alcuna
significativa differenza. Viceversa, la differenza risulta evidente e la ragione dell’esclusione
dell’inidoneità di alcuni criteri di collegamento appare, al tempo stesso, banale se si supera la
prospettiva della considerazione empirica dei fatti e si imposta la questione dal punto di vista
dei giudizi di valore. Se, cioè, si guarda al criterio di collegamento e al fatto che lo integra come
indicativi del rapporto di appartenenza di un soggetto alla comunità (quella alla cui spese il
soggetto è chiamato a contribuire), è senz’altro possibile operare una graduazione (di
significatività o di valore) fra i diversi criteri di collegamento. Fermo restando che, ovviamente,
tale graduazione non riposa su basi puramente logiche, ma assume un valore eminentemente
politico. Ed in effetti, è la stessa “storia” dei criteri di collegamento attualmente privilegiati
ad attestare che essa è strumentale alla realizzazione dell’assetto nella distribuzione dei
poteri impositivi attualmente in essere a livello internazionale, il quale si è imposto non già (è
tautologico dirlo) per motivi “logici”, ma per ragioni tutt’affatto politiche: cfr., al riguardo, G.
Fransoni, “La stabile organizzazione: nihil sub sole novi?”, in Riv. dir. trib., 2015, I, pag. 123.
24
Nello stesso senso, cfr. A. Carinci, La fiscalità dell’economia digitale dalla webtax alla
presa d’atto di nuovi valori da tassare, cit. È bene segnalare che questo profilo di criticità della
disciplina territoriale del tributo riposa su considerazioni toto coelo diverse da quelle che
stanno alla base dell’obiezione, formulata nel citato Report on Italy’s Digital Tax del Governo
USA, secondo cui “Italy’s DST is unreasonable because it is inconsistent with prevailing interna-
tional tax principles. Italy’s DST applies to revenue rather than income; Italy’s DST applies to
revenues unconnected to a physical presence in Italy; Italy’s DST is extraterritorial; and Italy’s DST
results in double taxation. As such, the DST is unreasonable as it deviates from the prevailing tax
principles of international corporate taxation”. Questa critica, come si comprenderà, fa leva
sull’idea che le scelte che stanno alla base dell’odierno assetto del diritto internazionale
tributario hanno un fondamento oggettivo (in senso logico ed empirico). Una volta preso
atto che, invece, quelle scelte hanno una matrice esclusivamente politica (ancorché “masche-
rata” come si è detto alla nota precedente) - e che, correlativamente, l’extraterritoralità
lamentata dal Governo statunitense non è un “dato” - e ove si resti aderenti all’idea, largamente
dominante (ma si veda, in senso contrario, la posizione di R. Avi Yonah, “Does Customary
International Tax Law Exist?”, in University of Michigan Public Law & Legal Theory Research
Paper No. 640. Working Paper, disponibile a ssrn: https://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3382203),
secondo cui esse non hanno il rilievo di norme del diritto internazionale generalmente
riconosciute (in quanto non fondate su consuetudini di diritto internazionale), resta comunque
il problema della giustificazione dell’imposta sotto un profilo costituzionale, cioè, secondo la
prospettiva indicata nel testo, in termini di idoneità del criterio territoriale prescelto a denotare
l’appartenenza del soggetto passivo del tributo alla comunità statale.
25
Ciò che, ovviamente, costituisce un punto a favore delle tesi secondo cui, in definitiva,
saremmo difronte a una tariffa soggetta alle regole e ai divieti dell’Organizzazione Mondiale del
Commercio: cfr. G. C. Hufbauer - Z. Lu, The European Union’s Proposed Digital Services Tax: A De
Facto Tariff, Peterson Institute for International Economics, 2018. Si tratta di opinioni certamente
mosse dalla sensibilità a ben individuati interessi nazionali (non a caso riprese dal già citato
Report on Italy’s Digital Tax), ma che possono contenere un fondo di verità dal punto di vista
giuridico, nella misura in cui - secondo alcune prospettive - i dazi e le tariffe doganali
sarebbero prelievi a carico di soggetti non appartenenti alla collettività politicamente orga-
nizzate le cui spese pubbliche sono finanziate (anche) per il tramite di tali prestazioni
patrimoniali imposte. La tesi - nei suoi termini generali - è suscettibile di essere validamente
criticata, ma, quando si esaminano i casi particolari, quanto più il nesso di appartenenza si
attenua, tanto maggiore il rischio risulta concreto.
26
La previsione di soglie dimensionali il cui superamento è necessario per qualificarsi
come soggetti passivi dell’i.s.d. si presta a essere considerata come espressione dell’intento di
introdurre una discriminazione ai danni delle imprese statunitensi e, come tale, è stata
presentata non solo oltreoceano (il Report on Italy’s Digital Service Tax è, scontatamente,
molto insistente su questo punto), ma anche nella letteratura italiana (cfr. D. Stevanato, “A
Critical Review of Italy’s Digital Services Tax”, in Bull. Int’ Taxation, 2020, 413. In realtà, se si
astrae dalle possibili recondite intenzioni del legislatore (tanto quello unionale, quanto quello
europeo), la motivazione di questa scelta indicata nella Proposta potrebbe considerarsi sia
persuasiva, sia perfettamente coordinabile con la ricostruzione qui proposta del presupposto
dell’imposta. Si legge, infatti, nella Relazione alla Proposta, che la scelta di introdurre le
predette soglie dimensionali è determinata dalla considerazione che le imprese che le superano
sono quelle che “beneficiano maggiormente degli effetti di rete e sfruttano i megadati, fon-
dando quindi i loro modelli imprenditoriali sulla partecipazione degli utenti”. Anche secondo
A. Uricchio - W. Spinapolice, La corsa a ostacoli della web taxation, cit., la scelta dimensionale è
ritenuta coerente con la prospettiva di un’imposta che assume a presupposto “una capacità
economica di imprese di grandi dimensioni, che costituisce un elemento necessario alla
remuneratività del modello imprenditoriale considerato secondo il canone dell’apporto di
valore significativo dato dalla partecipazione della clientela”. Si potrebbe cioè dire che il
superamento delle soglie individua (e distingue) le imprese la cui attività è, in fin dei conti,
pienamente enabled dal dominio sui dati.
Estratto: Nel sistema tributario italiano esiste una normativa speciale appli-
cabile alle società non operative. Essa configura un tema di particolare
complessità, anche alla luce delle modifiche operate dall’art. 2, comma 36-
decies, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (convertito, con modificazioni, dalla
Legge 14 settembre 2011, n. 148). Le citate modifiche prevedono l’applicazione
di una gravosa disciplina, in tema di imposte dirette ed IVA, nei confronti delle
società che, per cinque periodi d’imposta consecutivi, conseguano perdite
d’esercizio. Tale disciplina appare non conforme al principio di capacità con-
tributiva, in quanto le perdite non sono di per sé espressione di mancanza di
operatività, ma spesso di fisiologiche dinamiche di mercato e non di condotte
elusive od evasive. In questo scenario, con una funzione parzialmente corret-
tiva, si colloca la clausola generale di esclusione da tale normativa (art. 30,
comma 4-bis, della Legge 27 dicembre 1994, n. 724), che regola il contenuto
delle prove che la società può offrire per escludere la sua inclusione dall’ambito
di quelle di comodo (esistenza di elementi oggettivi che indicano l’esercizio di
impresa commerciale). La società può rendere la prova contraria prima della
dichiarazione (attraverso il procedimento di interpello probatorio) o dopo la
dichiarazione ed in sede contenziosa, ove fosse emesso un avviso di accerta-
mento a suo carico, ovvero in entrambi i momenti (in caso di diniego espresso
all’istanza di interpello e di successiva non applicazione della disciplina di
esclusione in dichiarazione). La presenza di questo correttivo, per quanto
apprezzabile, non elimina tuttavia i profili asistematici della normativa appli-
cabile alle società che subiscano reiterate perdite di periodo.
Abstract: In the Italian fiscal framework it esists a rule regulating the ‘non
operating companies’. Such a rule faces a very complex theme, also generated by
the approval of art. 2, co. 36-decies of law decree n. 138/2011 (converted by law n.
148/2011), which provides for the application of an heavy discipline, for direct tax
and VAT purposes, towards companies soffering losses for more than 5 fiscal
periods. Such a discipline does not appears compliant with the ‘ability to pay’
principle, since losses are not, in it self, expression of a lack of being operative, but
they are often due to physiological market dynamics and not to elusive or evasive
conducts. In this scenario, with a partially corrective function, stands the general
rule provided from art. 30, co. 4-bis of law n. 724/1994 which indicates the proofs
that companies can provide in order to exclude theirself from the ‘non operating
companies’ category (so proving they are exercising a commercial activity).
Companies can render rebuttal evidence before filing the return (through an
‘evidential’ ruling) or later on, during the tax litigation, in case they where assessed
by Tax Authorities or in both cases (in case the Autorities expressely deny their
authorization after the ‘evidential’ ruling, which implies to apply the non operating
discipline in the Direct Tax and VAT returns). Such a corrective measure, although
appreciable, does not cancel however the critical issues related to ‘non operating
companies’ discipline.
1
Sul piano semantico, sembrano cogliere nel segno le precisazioni di L. Tosi, Le prede-
terminazioni normative nell’imposizione reddituale, Milano, 1999, pag. 354, il quale, dopo aver
ricordato che le nozioni di “società non operativa” e di “società di comodo” vengono talvolta
utilizzate alternativamente, sottolinea come le stesse andrebbero “tenute distinte, come distinti
sono i fenomeni del mero godimento in assenza di impresa e dell’interposizione soggettiva”;
sullo specifico punto v. anche le riflessioni di R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale
dell’impresa, Pisa, 2017, pag. 21 ss.
2
Sulla disciplina dettata dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 v., tra gli altri e senza pretesa
di esaustività, M. Beghin, Diritto tributario, Padova, 2013, pag. 619 ss.; M. Beghin, “I soggetti
dell’imposizione reddituale sottoposti a predeterminazioni normative”, in G. Falsitta, Manuale
di diritto tributario. Parte speciale, Padova, 2018, XII ed., pag. 757 ss.; S. Capolupo, “La nuova
disciplina delle società di comodo”, in il fisco, n. 1/2006, pag. 4585 ss.; M. Leo, Le imposte sui
redditi nel Testo Unico, Milano, 2014, t. I, pag. 1177 ss.; R. Miceli, “Società di comodo”, in AA.
VV., Commentario breve alle leggi tributarie, t. III, Testo Unico delle imposte sui redditi e leggi
complementari, a cura di A. Fantozzi, Padova, 2010, pag. 951 ss.; R. Miceli, Società di comodo e
statuto fiscale dell’impresa, cit., passim; G. Petrillo, L’abuso dello schermo societario nella
disciplina fiscale delle società di comodo, Bari, 2018, passim; D. Stevanato, “Società di comodo,
buona giustizia e cattiva legislazione”, in Dialoghi Tributari, 2014, pag. 31 s.; L. Tosi, Le
predeterminazioni normative nell’imposizione reddituale, cit., pag. 354 ss., e i contributi raccolti
in AA.VV., Le società di comodo. Regime fiscale e scioglimento agevolato, Roma, 1995, passim, e
in AA.VV., Le società di comodo, a cura di L. Tosi, Padova, 2008, passim.
3
Per due diverse opinioni circa la ratio sottesa all’intervento in materia di maggiorazione
dell’aliquota IRES v. sia M. Beghin, “I soggetti dell’imposizione reddituale sottoposti a prede-
terminazioni normative”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova, 2014, pag. 773,
che D. Stevanato, “Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni occasione”, in Corr.
Trib., 2011, pag. 3891 s.
4
A commento delle disposizioni in parola v. M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddi-
tuale sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 765 ss.; G. Ferranti, “La nuova
disciplina delle società di comodo: le questioni ancora aperte”, in Corr. Trib., 2012, pag.
1046 ss.; R. Miceli, “Disciplina fiscale delle società non operative”, in AA.VV., Il libro dell’anno
del diritto 2013, Roma, pag. 424 ss.; R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit.,
pag. 137 ss.; G. Petrillo, L’abuso dello schermo societario nella disciplina fiscale delle società di
comodo, cit., pag. 86 ss.; D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni
occasione, cit., pag. 3889 ss.; D. Stevanato, “Società senza utili, imposte senza ricchezza: un
caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi Tributari, 2012, pag. 502 ss. In tema v. anche la
circolare dell’Istituto di ricerca dei dottori commercialisti e degli esperti contabili n. 25/IR del
31 ottobre 2011 e la circolare Assonime n. 17 dell’11 giugno 2013.
5
Soffermandosi sulla ratio di questa seconda ipotesi applicativa M. Beghin, I soggetti
dell’imposizione reddituale sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 766, nota 13,
rileva correttamente come la stessa risponda “all’esigenza di ostacolare manovre di aggira-
mento della disciplina, scoraggiando la dichiarazione ad arte di redditi esigui nel triennio, allo
scopo di sfuggire alla disciplina di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994” (corsivo nostro).
6
Stabilisce in particolare il comma 3, del già citato art. 30, della Legge n. 724/1994 che,
fermo l’ordinario potere di accertamento, ai fini dell’imposta personale sul reddito per le
società e per gli enti non operativi si presume che il reddito del periodo di imposta non
possa essere inferiore all’ammontare della somma degli importi derivanti dall’applicazione,
ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle seguenti percentuali: i) l’1,50% sul valore dei
beni indicati all’art. 85, comma 1, lett. c), d) ed e); ii) il 4,75% sul valore delle immobilizzazioni
costituite da beni immobili e da beni di cui all’art. 8-bis, comma 1), del D.P.R. n. 633/1972; iii) il
12% sul valore complessivo delle altre immobilizzazioni anche in locazione finanziaria.
34,5%) e delle restrizioni sia all’utilizzo del credito IVA7 che all’impiego delle
perdite pregresse8.
Interessa subito notare, quanto a quest’ultima implicazione, come l’in-
tervento legislativo dell’estate del 2011 abbia comportato una parziale
alterazione del rapporto causa-effetto che è alla base della normativa di
cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994: ed invero, se fino al D.L. n. 138/2011, il
riscontro, all’esito del test di congruità del volume dei ricavi e/o delle
rimanenze dichiarate, di una condizione di “non operatività” comportava
una serie di conseguenze tra cui quelle legate all’impiego delle perdite
pregresse, oggi, per effetto delle previsioni in discorso, è (anche) la soffe-
renza reiterata di perdite di periodo a determinare l’applicazione della
disciplina delle società non operative.
Tale impostazione è stata espressamente confermata dal legislatore nel
2014 atteso che, con una scelta di fatto pilatesca, ha posto mano alla
disciplina in commento con il solo obiettivo di aumentare da tre a cinque
anni il periodo di osservazione (cfr., in specie, l’art. 18 del D.Lgs. 21 novem-
bre 2014, n. 175)9 e ciò malgrado fosse stata da più parti denunciata
l’opportunità di procedere quanto prima al superamento delle disposizioni
oggetto di commento10.
7
Sulla scorta di quanto previsto dal comma 4 del veduto art. 30, per le società e gli enti non
operativi, l’eccedenza di credito risultante dalla dichiarazione presentata ai fini IVA non è
ammessa a rimborso né può costituire oggetto di compensazione o di cessione. Qualora poi, per
tre periodi di imposta consecutivi, la società o l’ente non operativo non effettui operazioni
rilevanti ai fini IVA non inferiori all’importo che risulta dalla applicazione delle percentuali di
cui al comma 1, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a
debito relativa ai periodi di imposta successivi.
8
Come si vedrà di qui a poco, le società e gli enti non operativi sono obbligati ad utilizzare
le perdite sofferte nei precedenti periodi d’imposta solo in diminuzione della parte di reddito
eccedente quello minimo presunto (cfr. l’ultima parte, del comma 3, dell’art. 30).
9
Il comma 3, dell’art. 18, del D.Lgs. n. 175/2014 stabilisce che, in deroga all’art. 3, comma
1, della Legge 27 luglio 2000, n. 212, la nuova disciplina si applica a decorrere dal periodo
d’imposta in corso alla data di entrata in vigore del c.d. Decreto semplificazioni e cioè dal 2014;
sul carattere procedimentale di queste disposizioni e sulla possibilità di applicarle retroatti-
vamente, v. G. Ferranti, “Società in perdita sistematica: una disciplina in via di abolizione?”, in
il fisco, 2014, pag. 4621; A. Mastroberti, “Nuova disciplina delle perdite reiterate al nodo dei
rapporti con il pregresso”, in il fisco, 2014, pag. 4034 s., ed il documento del 30 gennaio 2015
della Fondazione Nazionale dei Commercialisti, Le società di comodo: attuale disciplina e
prospettive di riordino.
10
A favore del superamento della normativa in questione si sono espressi, tra gli altri, G.
Ferranti, “La revisione della disciplina delle società di comodo e dei beni in godimento ai soci”,
in il fisco, 2014, pag. 1911, e A. Mastroberti, Nuova disciplina delle perdite reiterate al nodo dei
rapporti con il pregresso, cit., pag. 4030. In direzione parzialmente diversa si è mossa la
Commissione finanze della Camera dei Deputati che, in occasione del parere reso il 7 agosto
2014, ha preso posizione rilevando che “risulta opportuno ridurre i soggetti coinvolti nell’ap-
plicazione delle procedure previste dalla disciplina sulle società in perdita sistemica di cui
all’art. 2, commi da 36-decies a 36-duodecies, del Decreto-legge n. 138 del 2011, in particolare
ampliando il periodo di osservazione previsto per l’applicazione della disciplina dagli attuali
tre a cinque periodi d’imposta”.
11
Per un’accurata rassegna delle diverse opinioni formatesi in dottrina circa la ratio della
disciplina introdotta nel 1994 e poi varie volte modificata, v. R. Miceli, Società di comodo, cit.,
pag. 952, e R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 189 ss., ove
puntuali riferimenti bibliografici.
12
Come evidenziato sempre nella Relazione illustrativa al Decreto, con il Titolo I, del
D.Lgs. 24 settembre 2016, n. 156, nel rispetto delle linee guida essenziali individuate dalla Legge
delega, si è attuato un completo riordino della disciplina dell’interpello, specialmente sotto il
profilo procedurale, in funzione di una maggiore omogeneità delle regole applicabili alle varie
tipologie. Sono stati previsti termini perentori e una significativa riduzione dei tempi di
espletamento della procedura. Alla luce delle modifiche apportate dal suddetto Decreto
(Titolo I, del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156) allo Statuto del contribuente (art. 11, Legge
27 luglio 2000, n. 212), l’Amministrazione finanziaria può essere adita: per ottenere un parere in
merito all’applicazione o alla corretta interpretazione delle disposizioni tributarie (c.d. inter-
pello “ordinario puro”), ovvero per la qualificazione delle fattispecie (c.d. interpello “qualifi-
catorio”) laddove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza (art. 11, comma 1, lett. a); al fine
di accertare “la sussistenza delle condizioni” nonché “la valutazione della idoneità” degli
elementi probatori richiesti dalla legge per avere accesso a determinati regimi fiscali (c.d.
interpello “probatorio”, art. 11, comma 1, lett. b); per verificare l’applicabilità della disciplina
sull’abuso del diritto ad una determinata fattispecie (interpello c.d. anti-abuso, art. 11, comma
1, lett. c); per richiedere la “disapplicazione di norme tributarie” di natura antielusiva (inter-
pello c.d. disapplicativo, art. 11, comma 2).
13
Per un approfondimento circa la funzione dell’interpello probatorio nella disciplina
delle società non operative si veda R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit.,
pag. 162 s.
14
In tal senso, D. Stevanato, “Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni
occasione”, in Corr. Trib., 2011, pag. 3889; D. Stevanato, “Società senza utili, imposte senza
ricchezza: un caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi dir. trib., 2012, pag. 502; M. Beghin, “Gli
enti collettivi di ogni tipo ‘non operativi’”, in G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Padova,
2014, pag. 722; M. Poggioli, “Gli interventi normativi sulla disciplina delle società non operative
tra esigenze di gettito e rispetto dei principi costituzionali”, in Riv. dir. trib., 2012, pag. 91; R.
Miceli, “Nuova disciplina fiscale delle società non operative”, in Treccani, Libro dell’anno 2013,
Roma, 2013, pag. 424.
15
Per un commento alle novità recate dal D.L. n. 41/1995 in materia di perdite e società
non operative, v. A. Monti - M. Nicodemo, “Le presunzioni di reddito ed i poteri di accertamento
dell’Amministrazione finanziaria”, in AA.VV., Le società di comodo. Regime fiscale e sciogli-
mento agevolato, in il fisco, n. 22/1995, pag. 67.
16
Per quel che concerne l’applicazione della limitazione de qua in presenza di società non
operative tassate per trasparenza v. la circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Affari giuridici e
contenzioso tributario n. 48/E/6-159 del 26 febbraio 1997, reperibile in il fisco, 1997, 2724, e la
successiva circolare dell’Agenzia delle entrate n. 25/E del 4 maggio 2007, reperibile in il fisco,
n. 2/2007, pag. 2661.
17
Si orientano in questo senso sia L. Tosi, Le predeterminazioni normative nell’imposizione
reddituale, cit., pag. 361 s., che A. Monti - M. Nicodemo, Le presunzioni di reddito ed i poteri di
accertamento dell’Amministrazione finanziaria, cit., pag. 67.
18
Il riferimento è alla posizione di M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddituale
sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 777, e di R. Miceli, Società di comodo e
statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 180; in argomento v. anche G. Petrillo, L’abuso dello
schermo societario nella disciplina fiscale delle società di comodo, cit., pag. 92 ss.
19
Sul punto v. la circolare Min. Fin. Dip. Ent. Dir. Centr. Affari giuridici e contenzioso
tributario n. 140/E/III-6-499 del 15 maggio 1995, reperibile in il fisco, 1995, pag. 5091, ove si
precisa, ancorché con riferimento alla vecchia formulazione dell’art. 84 del Testo Unico, che “le
perdite degli esercizi precedenti che la società non ha potuto portare in diminuzione dal reddito
complessivo potranno, ricorrendone i presupposti, essere utilizzate nei successivi periodi di
imposta rispettando il limite temporale dei cinque periodi di imposta successivi a quello in cui
si è determinata la perdita”; nello stesso senso e più di recente, v. la già citata circolare
dell’Agenzia delle entrate del 4 maggio 2007, n. 25/E.
20
Il richiamo al comma 1, dell’art. 84, del Testo Unico offre peraltro lo spunto per
ricordare che, a seguito dell’elisione del limite temporale al riporto in avanti intervenuta nel
2011, l’allungamento del periodo di assorbimento delle perdite pregresse indotto dalla pre-
clusione di cui al comma 3, dell’art. 30 non comporta più il rischio di perenzione, rischio cui era
23
Scorrendo le rassegne di giurisprudenza ci si può imbattere in sentenze che, in modo
intelligente, declinano, contestualizzandolo, il rapporto tra la disciplina delle società non
operative e l’andamento del ciclo economico: in Comm. trib. reg. Friuli Venezia Giulia, Sez.
I, 30 maggio 2012, n. 54, si legge ad esempio che non deve essere applicata la disciplina di cui
all’art. 30 della Legge n. 724/1994 quando una società, “non per cause dalla stessa dipendenti e
meno che mai per proprie ‘soggettive scelte imprenditoriali’ - ha veduto venire meno la
‘fruttuosità’ dei propri investimenti in beni immobili e mobili”.
24
La contraddizione è colta anche dalla circolare dell’IRDCEC n. 24/IR/2011.
non operative: ed invero, nel primo caso ci si limita a prendere atto di quello
che è un portato della congiuntura negativa adottando una prospettiva,
tutto sommato, neutra; nel secondo, non solo si ignora il dato congiunturale,
ma addirittura si “colpisce”, indirettamente punendola, la mancata produ-
zione di reddito25.
E si arriva così al cuore del problema. Qual è il nesso logico che giustifica
l’applicazione della disciplina delle società non operative a soggetti che
soffrono reiterate perdite?
La produzione di perdite reiterate è indice di impiego abnorme della
struttura societaria? O, ancora, esiste una chiara ed incontrovertibile cor-
relazione tra la mancata produzione di redditi imponibili ed il sostenimento
di costi da parte della società nell’interesse dei soci?
Le risposte sembrano ovvie, ma da qui bisogna partire per cercare di
comprendere quelle che sono le reali motivazioni sottese all’intervento
dell’estate del 2011.
Ed invero, posto che la mancanza di redditività non è affatto indice di
“abuso” nell’impiego della forma societaria e precisato, altresì, che il soste-
nimento di costi nell’interesse dei soci può ben essere presente in società che
dichiarano redditi imponibili anche di rilevante importo, risulta abbastanza
chiaro che, accanto a ragioni di compiacimento della pubblica opinione26,
ciò che può aver motivato l’agire del legislatore è la percezione di una
qualche “pericolosità fiscale” nel dichiarare perdite in modo reiterato.
In buona sostanza, il protrarsi di tale stato di cose può essere sintoma-
tico della mancata indicazione di componenti positivi di reddito ovvero, il
che è lo stesso sul piano della produzione dell’effetto, della indicazione di
costi per operazioni inesistenti ovvero, ancora, di costi non inerenti, perché
magari sostenuti nell’interesse dei soci.
Ora, a parte i dubbi legati all’individuazione del periodo di osservazione
(non sfugge che, sul piano della valenza segnaletica, risulta assai difficile
stabilire se sia adeguato il riferimento ad un solo quinquennio ovvero se, in
alternativa, sia necessario il rifermento ad un periodo più lungo), ciò che
25
Sul punto v. anche la già citata circolare Assonime n. 17/2013 ove, tra l’altro, si
manifestano perplessità nei confronti della scelta operata dal legislatore “e ciò soprattutto
nell’attuale fase di crisi economica finanziaria, nella quale i risultati negativi delle imprese
dipendono sempre più spesso, non tanto dall’utilizzo strumentale dello schermo societario,
bensì dall’impossibilità reale di conseguire il quantum di proventi richiesti dal legislatore”; la
totale assenza di attenzione per il contesto economico di riferimento è stigmatizzata anche da
D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per ogni occasione, cit., pag. 3893.
26
Assai efficaci sono le parole di D. Stevanato, Società senza utili, imposte senza ricchezza:
un caso di “darwinismo fiscale”?, cit., pag. 504, il quale, riflettendo sul punto, osserva che “il
legislatore sembra aver del tutto perso la bussola, inseguendo le sirene mediatiche dell’opi-
nione pubblica, della lotta all’evasione diventata imperativo patriottico [….] del refrain rilan-
ciato di continuo dai media secondo cui il cinquanta percento delle società di capitali
dichiarano redditi negativi o pari a zero”.
27
In questa prospettiva sono assolutamente condivisibili le considerazioni di M. Beghin,
Diritto tributario, cit., pag. 628, il quale non manca di rilevare che “la reiterazione di perdite
fiscali può generare il sospetto di evasione da parte del soggetto che quelle perdite abbia
dichiarato. È dunque perfettamente logico e coerente che su tali situazioni s’innesti una seria
programmazione, funzionale al controllo della reale consistenza di quei risultati negativi. Ben
diversa è, invece, la scelta compiuta dal nostro legislatore, il quale, attraverso l’attribuzione
della qualifica di soggetto ‘non operativo’, impone la dichiarazione di materia imponibile che
potrebbe essere priva del ben che minimo punto di contatto con la realtà”; sulla stessa
lunghezza d’onda v. anche D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per
ogni occasione, cit., pag. 3893, e la circolare Assonime n. 17/2013.
28
Per un commento alla disciplina in parola, e senza pretesa di esaustività, v. P. Anello - R.
Salvati, “Indagini ‘ad hoc’ per imprese “apri e chiudi” ed in perdita sistemica”, in il fisco, 2010,
pag. 2671 ss.; P.L. Cardella, “Prime considerazioni sulla novella relative alle perdite ‘sistemi-
che’”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 125 ss.; R. Marcello - F.G. Poggiani, “Le imprese in perdita
‘sistemica’”, in il fisco, n. 1/2010, pag. 6133 ss.; L. Miele, “Rettifica dei periodi d’imposta in
perdita fiscale”, in Corr. Trib., 2010, pag. 2069 ss.; A. Lovisolo, “L’attività accertativa mirata
all’‘apri e chiudi societario’ e al ‘mordi e fuggi reddituale’ (artt. 23 e 24 Legge n. 122/2010), in AA.
VV., La concentrazione della riscossione nell’accertamento, a cura di C. Glendi - V. Uckmar,
Padova, 2011, pag. 321 ss., e P. Meneghetti, “Sotto controllo le imprese “apri e chiudi” e i
soggetti in costante perdita fiscale”, in Guida alle novità fiscali, agosto 2010, pag. 14 ss.
29
Val la pena di ricordare che la disposizione in commento fa il paio con quella recata
dall’art. 23 del D.L. n. 78/2010 che individua una specifica ed ulteriore situazione di rischio
“evasione” nelle imprese che cessano l’attività entro un anno dall’inizio della stessa.
nello stesso periodo uno o più aumenti di capitale a titolo oneroso di importo
almeno pari alle perdite fiscali stesse”.
La sofferenza, e la conseguente esposizione in dichiarazione, di reiterati
risultati fiscali negativi diviene, dunque, fattore d’innesco dell’attività di
controllo e ciò nella convinzione, chiaramente esplicitata nella relazione
illustrativa al D.L. n. 78/2010, che dietro le perdite possa celarsi “un rischio
di evasione complessiva particolarmente elevato”.
Evidenti sono le differenze sul piano del perimetro applicativo tra le
due previsioni considerate: ed invero, in tema di società non operative si fa
riferimento ad un periodo quinquennale, mentre l’art. 24 del D.L. n. 78/
2010 stima sufficiente che dalle dichiarazioni emerga una “perdita fiscale”
per più di un periodo d’imposta; ancora, mentre l’art. 2, comma 36-decies,
del D.L. n. 138/2011 richiama sic et simpliciter la presentazione di dichia-
razioni “in perdita fiscale”, la norma varata nel 2010 non si applica al
ricorrere di una delle due “esimenti” previste dal comma 1, del citato
art. 24.
Fermo ciò, risulta chiaro che il fenomeno su cui si innestano le due
previsioni legislative è lo stesso ossia la sofferenza reiterata di perdite di
periodo. Ed altrettanto chiaro è il fantasma che, in entrambi i casi, si
agita sullo sfondo: il pensiero corre agli insidiosissimi approdi giuri-
sprudenziali in tema di antieconomicità30 che, com’è noto, inducono la
Suprema Corte a bollare come irragionevole il comportamento econo-
mico dell’imprenditore che soffre perdite per più anni non essendo, si
sostiene, “conforme a logica ed esperienza impostare o proseguire
l’attività secondo criteri (o malgrado risultati) poco vantaggiosi o addi-
rittura dannosi”31.
Ciò detto, un conto è pianificare una mirata attività di controllo muo-
vendo da uno specifico fattore di rischio, altro è postulare una redditività
minima in ipotesi di perdite reiterate. Ed invero, seguendo questo secondo
itinerario, si trasforma quello che è un semplice “fattore di rischio” in un
presupposto impositivo assolutamente impalpabile con tutto quel che ne
30
Cfr., tra le tante, Cass., Sez. trib., sent. 9 giugno 2017, n. 14370; Id., sent. 4 marzo 2015, n.
4312; Id., sent. 6 dicembre 2011, n. 26167; Id., sent. 2 ottobre 2008, n. 24436, e Id., sent. 15
ottobre 2007, n. 21536.
31
Una conferma nel senso indicato nel testo viene dalla lettura della relazione illustrativa
al D.L. n. 78/2010 ove, tra l’altro, si legge che “le perdite reiterate contraddicono ogni logica
imprenditoriale e depongono per un posizionamento fuori mercato che, ove persistente, non
giustifica la sopravvivenza dell’impresa”; sullo specifico punto v. anche la già citata circolare
dell’IRDCEC n. 24/IR del 2011. Nello stesso senso ed in chiave critica, v. la condivisibile
opinione di D. Stevanato, Società senza utili, imposte senza ricchezza: un caso di “darwinismo
fiscale”?, cit., pag. 504, a giudizio del quale, “dietro all’estensione alle società in perdita della
normativa sulle ‘società di comodo’, non può esservi un giudizio di non operatività, quanto
un’insana estensione dell’abusato concetto di ‘antieconomicità’, riferito stavolta non già a
singole operazioni di acquisto, di vendita, ecc., bensì all’intera attività sociale, considerata
nel suo complesso”.
consegue sul piano della conformità ai precetti costituzionali di cui agli artt.
3 e 53 Cost.32
32
Un’interessante declinazione del rapporto tra il principio della capacità contributiva e
l’applicazione della disciplina delle società non operative in presenza di perdite di periodo può
essere letta in una pronuncia della Commissione tributaria provinciale di Cagliari ove, in
particolare, si precisa che il meccanismo previsto dall’art. 30 della Legge n. 724/1994 “si rivela
incompatibile in relazione a società che, nell’operare sul mercato, abbiano subito gravi perdite
economiche pur a fronte di investimenti altrettanto rilevanti, i quali si siano tradotti in gravi
perdite economiche per i soci che ne hanno sopportato il peso. Difatti un meccanismo
normativo che intende evitare ‘indebiti arricchimenti’ dei soci ai danni del Fisco non è
ragionevolmente applicabile a situazioni in cui gli stessi soci hanno subito ingenti perdite
economiche, per definizione incompatibili con una ‘ricostruzione virtuale in aumento’ dei
ricavi societari, che il legislatore ha concepito solo per le vere e proprie ‘società di comodo’, nelle
quali i soci poco o nulla hanno investito, utilizzandole come strumenti per conseguire vantaggi
fiscali non dovuti. Diversamente ragionando si finirebbe per ‘punire’ fiscalmente condotte
‘meramente colpose sul piano imprenditoriale’, assoggettando a un regime tributario gravo-
sissimo situazioni non espressive di capacità contributiva, in evidente contrasto con l’art. 53
della Costituzione” (così testualmente, Comm. trib. prov. Cagliari, Sez. VI, sent. 30 maggio
2014, n. 757).
33
Cfr., in questi termini, M. Nussi, “La disciplina impositiva delle società di comodo tra
esigenze di disincentivazione e rimedi incoerenti”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 2010, pag. 494, il quale
evidenzia come le cause di disapplicazione dovrebbero essere qualificabili come esclusioni,
connotate da una unitarietà logica volta a concorrere a delineare la giustificazione della
disciplina.
34
Per un approfondimento in ordine alle cause di esclusione automatiche si veda R.
Miceli, Società di comodo e statuto fiscale dell’impresa, cit., pag. 137 s. Tra di queste rientrano:
società tenute per legge a costituirsi in forma di società di capitali; società che si trovano nel
primo periodo d’imposta; società in amministrazione straordinaria; società quotate, control-
late (anche indirettamente) da quotate o controllanti di quotate; società esercenti pubblici
servizi di trasporto; società con numero di soci almeno pari a 50; società con numero di
dipendenti mai inferiore a 10 nel triennio di riferimento; società in fallimento, liquidazione
giudiziaria, liquidazione coatta amministrativa e concordato preventivo; società con valore
della produzione superiore all’attivo patrimoniale; società partecipate da enti pubblici almeno
per il 20%; società congrue e coerenti in base agli studi di settore.
35
Per un approfondimento sul punto v. R. Miceli, Società di comodo e statuto fiscale
dell’impresa, cit., pag. 153 ss., e la circolare dell’Agenzia delle entrate n. 23/E dell’11 giugno 2012,
reperibile in Boll. trib., 2012, pag. 928.
36
In relazione a tale rinvio, seppure potrebbe apparire complesso adeguare le suddette
cause (valutate per società che non superano il test di operatività) alle società in perdita
sistematica (in ragione delle differenti situazioni che connotano le due fattispecie), la previ-
sione normativa inequivocabile non lascia dubbi in merito alla necessaria applicazione delle
medesime cause alle società in perdita.
37
In particolare, l’art. 26, comma 4, della Legge 18 ottobre 2012, n. 179, stabilisce che “alle
start-up innovative di cui all’art. 25, comma 2, non si applica la disciplina prevista per le società
di cui all’art. 30 della Legge 23 dicembre 1994, n. 724, e all’art. 2, commi da 36-decies a 36-
duodecies del Decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla Legge
14 settembre 2011, n. 148”. Il suddetto art. 26 è riferibile anche alle PMI innovative, in virtù del
rinvio di cui all’art. 4, comma 9, della Legge 29 aprile 2015, n. 33.
38
Si tratta, per l’appunto, delle cause relative: alle società che risultano congrue e coerenti
rispetto agli studi di settore (lett. l) ed alle società che si trovano nel primo periodo d’imposta (
lett. m). Da tale richiamo si determina una sorta di qualificazione delle medesime in termini di
cause di esclusione previste in sede amministrativa, alla quale segue l’utilizzazione degli
specifici criteri definiti per l’applicazione di queste ultime. Si realizza, quale risultato, la
possibilità di utilizzare tali cause che, altrimenti, sarebbero state inapplicabili.
39
Cfr., in tale direzione, M. Nussi, La disciplina impositiva delle società di comodo tra
esigenze di disincentivazione e rimedi incoerenti, cit., pag. 496, il quale evidenzia che anche la
causa di disapplicazione di cui all’art. 30, comma 4-bis, va sistematicamente interpretata
all’interno del campo applicativo della disciplina. La sussistenza di una effettiva attività
imprenditoriale, non di mero godimento, consente di per sé la disapplicazione del regime
penalizzante. Il contribuente deve quindi indicare situazioni di fatto che permettano di
qualificare l’attività all’interno della commercialità.
40
Sullo specifico punto D. Stevanato, Società di comodo, un capro espiatorio buono per
ogni occasione, cit., pag. 3894, sottolinea, muovendo però da una precisa opinione circa la ratio
della norma di riferimento, che una prima linea di azione potrebbe essere costituita dalla
dimostrazione “che gli intenti elusivi contrastati dalla norma (l’intestazione societaria ‘di
comodo’ di cespiti patrimoniali per trarne un passive income) non si sono verificati, dato il
conseguimento di ricavi superiori al minimo. In secondo luogo, potrebbe essere dimostrata
l’assenza di anomalia nella produzione delle perdite, ovvero le circostanze che le hanno
prodotte, quali un andamento sfavorevole del mercato di vendita, un imprevisto aumento
dei costi, ed ogni altra situazione che renda evidente l’assenza di patologie nella conduzione
dell’attività imprenditoriale e di volontari assetti ‘antieconomici”.
41
A tal proposito, nell’analisi compiuta sulle circolari sull’argomento, si evince che, al fine
di ottenere la disapplicazione, risulta essenziale dimostrare che l’incapacità di produrre ricavi
non è dipesa dalla volontà del contribuente ma da eventi o circostanze, anche successive nel
tempo, che hanno determinato la suddetta condizione. Le circolari che hanno affrontato il
tema del contenuto delle oggettive situazioni sono: circolare 2 febbraio 2007, n. 5/E; circolare 9
luglio 2007, n. 44/E; circolare 26 febbraio 1997, n. 48/E. Sul punto si sottolinea che nella
Relazione ministeriale di accompagnamento all’art. 27, del D.L. 23 febbraio 1995, n. 41,
convertito con modificazioni nella Legge 22 marzo 1995, n. 85 (relativo alla prima versione
della norma sulle società di comodo), si stabiliva che “la prova contraria deve essere sostenuta
da una situazione oggettiva ed essa non è determinabile dalla volontà dell’imprenditore,
neppure attraverso la contabilità di supporto”.
42
Secondo quanto affermato nella Relazione illustrativa, con il Titolo I, del D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 156, dando attuazione alle disposizioni contenute nell’art. 6, comma 6, della
Legge 11 marzo 2014, n. 23 (“Delega per la realizzazione di un sistema fiscale più equo,
trasparente e orientato alla crescita”), il legislatore si è posto l’obiettivo di razionalizzare,
potenziare e modernizzare l’istituto dell’interpello. Quest’ultimo - da strumento di contatto
“episodico, occasionale e limitato alle fattispecie per le quali era espressamente contemplato” -
è destinato ad assumere nell’ambito del rapporto fiscale tra Amministrazione e contribuente il
ruolo di “strumento di portata generale di dialogo in una sede diversa e prodromica rispetto a
quella tradizionale di incontro col contribuente, ossia il procedimento di accertamento”.
43
La disciplina in materia di interpello è, quindi, oggi contenuta nell’art. 11, dello Statuto
dei diritti del contribuente (Legge 27 luglio 2000, n. 212) e nel D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156
(rubricato “Revisione della disciplina degli interpelli, in attuazione delle indicazioni di princi-
pio contenute nella Legge delega”). Sul punto, poi, sono intervenuti, a livello interpretativo, il
Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 4 gennaio 2016, n. 27 (che ha definito le
regole procedurali per le istanze di interpello presentate in base alla nuova disciplina) e la
circolare 1° aprile 2016, n. 9/E (che reca, invece, il “commento alle novità del Decreto legislativo
24 settembre 2015, n. 156, recante revisione della disciplina degli interpelli”).
44
In questo senso, uno degli obiettivi specifici della radicale revisione dell’istituto del-
l’interpello è stato quello di eliminare, per quanto possibile, le forme di interpello obbligatorio
per il contribuente, volendo stabilizzare l’istituto in termini di facoltatività della sua utilizza-
zione. In tale direzione solo l’interpello disapplicativo ha mantenuto un carattere obbligatorio,
al quale consegue l’obbligo di presentare l’istanza nei casi di utilizzo del procedimento in esame
e di segnalare, in questo modo, alla Amministrazione la presenza di una situazione di fatto in
cui si ritiene necessaria la disapplicazione di una specifica disposizione antielusiva. Su questi
aspetti, in particolare, si rinvia alla circolare 1° aprile 2014, n. 9/E, che rileva le diverse
motivazioni sottese a questa scelta e la differente disciplina rivolta agli interpelli facoltativi
(da un lato) ed obbligatori (dall’altro lato). Alla obbligatorietà dell’interpello disapplicativo
segue, quale conseguenza, l’irrogazione di sanzioni amministrative in capo al contribuente che,
pur avendo l’obbligo di presentare l’istanza, non lo abbia fatto. Anche in merito all’interpello
disapplicativo non esiste un obbligo giuridico di adeguarsi alla risposta espressa fornita
dall’Amministrazione finanziaria.
45
Cfr. circolare 1° aprile 2014, n. 9/E, ove si evidenzia che una della più importanti
caratteristiche della riforma attiene alla definizione degli interpelli probatori, rispetto a quelli
disapplicativi in senso stretto ovvero secondo la disciplina previgente. Molte ipotesi che prima
connotavano il perimetro dell’interpello disapplicativo, oggi sono transitate in quello proba-
torio, come dimostra la precedente indicazione nella circolare 14 giugno 2010, n. 32/E.
46
Cfr., sul punto, art. 2 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156 e circolare 1° aprile 2016, n. 9/
E, par. 2.1.1.
47
Disposizioni specifiche in ordine alla competenza in tema di interpello ed alle modalità
di presentazione delle domande sono stabilite dal Provvedimento 1° aprile 2016, n. 27, par. 2.1.
48
I requisiti dell’istanza di interpello sono regolati dall’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 24
settembre 2015, n. 156. Su tali aspetti, circolare 1° aprile 2016, n. 9/E. Nel suddetto Decreto si
ammette che vi sono elementi necessari (la cui assenza è causa di inammissibilità dell’istanza)
ed altri elementi (che, invece, possono essere regolarizzati attraverso integrazione).
49
Si veda il Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate 4 gennaio 2016, n. 27 e
circolare 1° aprile 2016, n. 9/E.
50
In tal senso l’art. 11, comma 3, della Legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto del contri-
buente), in base al quale, a seguito dell’espletamento della procedura di interpello probatorio, a
norma dell’art. 11, comma 3, dello Statuto, in sede di accertamento, nasce un vincolo per
l’Amministrazione, con “esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza e limitata-
mente al richiedente”, consistente nell’impossibilità di porre in essere atti “a contenuto
impositivo o sanzionatori difformi dalla risposta, espressa o tacita” e l’eventuale nullità degli
stessi. La disposizione in esame era presente nei medesimi termini anche in relazione alla
precedente formulazione della disciplina.
51
In particolare, circolare 14 giugno 2010, n. 32/E.
52
In questi termini qualifica la risposta all’interpello la circolare 1° aprile 2016, n. 9/E, che
conferma sostanzialmente quanto già espresso nella precedente circolare 14 giugno 2010, n.
32/E.
53
Ancora sul piano procedimentale, non possono sottacersi i dubbi sollevati da auto-
revole dottrina in merito alla eventuale rettifica della perdita riferita ad un periodo d’imposta (o
a più periodi d’imposta) ed alla conseguente, possibile neutralizzazione del presupposto che
rende possibile l’applicazione della disciplina di cui all’art. 30 della Legge n. 724/1994 (il
riferimento è alle perplessità palesate da M. Beghin, I soggetti dell’imposizione reddituale
sottoposti a predeterminazioni normative, cit., pag. 766, nota 14). In presenza di uno sviluppo
di questo tipo non sembra vi possa essere altra strada oltre quella che porta alla rettifica della
dichiarazione con riferimento alla quale è stata erroneamente applicata la disciplina delle
società non operative, rettifica che, tuttavia, porta con sé tutta una serie di ulteriori proble-
matiche di soluzione tutt’altro che agevole.
Per meglio dire, in via generale, nel momento della redazione della
dichiarazione annuale si rende noto - attraverso il naturale meccanismo
di collaborazione del contribuente basato sulla autodichiarazione (e poi
sull’autoliquidazione) delle imposte - il presupposto realizzato dal contri-
buente stesso e la disciplina impositiva riferibile54.
In tale contesto, il contribuente - che non ritiene non applicabile la
disciplina speciale delle società in perdita sistematica - ha la facoltà di
asserire l’avvenuta (o meno) presentazione dell’istanza e dichiarare la pre-
senza delle condizioni oggettive di cui all’art. 30, comma 4-bis.
In altre parole, il contribuente in sede di dichiarazione - seguendo le
tradizionali impostazioni - non sceglie un regime impositivo e non disap-
plica nessuna disciplina, ma si limita a dichiarare un presupposto (reddito
di società operativa ovvero reddito di società di comodo) al quale sarà
riferita la normativa prevista dalla legge. Nessun effetto giuridico discende,
in questo assetto, dalla volontà del contribuente in quanto gli effetti deri-
vano solo dalla legge e dalla correttezza dei dati dichiarati dal contribuente
secondo lo schema proprio delle dichiarazioni di scienza55.
A questo proposito, in relazione alla disciplina in esame, non si condi-
vide la scelta dell’Amministrazione finanziaria e di alcune pronunce della
54
Venuto meno nell’ambito del secolo scorso il rapporto diretto contribuente - Fisco e la
funzione generalizzata di liquidazione delle imposte dell’accertamento tributario, si è realiz-
zato un sistema di collaborazione dei contribuenti nella determinazione delle imposte, basato
sulla autodichiarazione e autoversamento delle imposte. Cfr., su tali profili, L. Perrone,
“Evoluzione e prospettive dell’accertamento tributario”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag.
79; A. Fantozzi, “I rapporti fra il Fisco ed il contribuente nella nuova prospettiva dell’accerta-
mento tributario”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1982, I, pag. 216; E. Nuzzo, Modelli ricostruttivi della
forma del tributo, Padova, 1987, pag. 12; M. Basilavecchia, L’accertamento parziale. Contributo
allo studio della pluralità di atti di accertamento nelle imposte sui redditi, Milano, 1988, pag. 86; L.
Salvini, La partecipazione del privato all’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’IVA),
Padova, 1990, pag. 52. In tale assetto, la dichiarazione costituisce l’atto fondamentale di
collaborazione del contribuente con il Fisco, mediante il quale il contribuente porta a cono-
scenza i connotati qualitativi e quantitativi del proprio presupposto.
55
È noto, infatti, come attualmente possa considerarsi del tutto consolidato in dottrina e
in giurisprudenza il convincimento che la dichiarazione tributaria rappresenti essenzialmente
un atto avente natura di dichiarazione di scienza (e non anche di manifestazione di volontà), in
quanto il suo contenuto consiste nella esposizione e qualificazione giuridica dei fatti ai quali si
ricollegano gli effetti previsti dalla legge. In questo senso, E. Vanoni, “La dichiarazione
tributaria e la sua irretrattabilità”, in Opere giuridiche, I, Milano, 1961, pag. 299; P. Russo,
“Natura ed effetti giuridici della dichiarazione tributaria”, in Riv. dir. fin., 1966, pag. 231; I.
Manzoni, “La dichiarazione dei redditi: natura e funzione”, in Riv. dir. fin., 1979, I, pag. 616; E.
Nuzzo, “Natura ed efficacia della dichiarazione tributaria”, in Dir. prat. trib., 1986, I, pag. 38; C.
Magnani, “La dichiarazione tributaria”, in Digesto, disc. comm., IV, Torino, 1989, pag. 281. Tale
conclusione si riferisce alla maggior parte delle informazioni rese nell’ambito della dichiara-
zione. È noto però come quest’ultima possa contenere anche manifestazioni di volontà, che
possono esprimersi, per esempio, sotto forma di opzioni o di scelte di altro tipo, Su tali aspetti,
P. Boria, “La dichiarazione tributaria”, in AA.VV., Diritto tributario, a cura di A. Fantozzi, cit.,
pag. 582.
56
Si vedano, in tal senso, le riflessioni di S. La Rosa, “L’interpello obbligatorio”, in Riv. dir.
trib., 2011, pag. 720.
57
L’ulteriore penalizzazione fiscale, aggiunta alla ricorrente perdita d’esercizio, può ben
costituire un limite così rilevante alla capacità finanziaria ed economica della società da
portare alla decisione di sciogliere la società medesima, benché il progetto imprenditoriale
abbia la possibilità di essere portato avanti. In tal senso, D. Stevanato, “Società senza utili,
imposte senza ricchezza: un caso di ‘darwinismo fiscale’?”, in Dialoghi dir. trib., 2012, pag.
502 ss.
58
Prova volta a dimostrare l’esistenza di un’attività di impresa che non ha potuto rag-
giungere i risultati fissati dalle predeterminazioni legali per alcuni eventi ostativi.
59
A fronte dei moltissimi dubbi che circondano la razionalità delle disposizioni introdotte
dal D.L. n. 138/2011, deve infatti essere tenuta nella giusta considerazione l’assoluta esiguità
delle società interessate dall’applicazione delle stesse: nella relazione tecnica al D.Lgs. n. 175/
2014 si parla di circa 1.300 società con una perdita di gettito conseguente all’aumento da tre a
cinque anni del periodo di osservazione pari a circa 23 milioni di euro.
Estratto: Il saggio indaga il tema dell’accesso agli atti dei procedimenti tributari e
offre alcuni spunti critici sulla sua effettività e legittimità costituzionale. In parti-
colare, muovendo da una ricognizione generale dell’istituto in ambito amministra-
tivo, si analizzano gli snodi legislativi e interpretativi – offerti tanto dalla Cassazione,
quanto dal Consiglio di Stato – che di volta in volta ne hanno graduato l’esercizio,
affievolendolo, con disamina anche del recente provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle Entrate dello scorso agosto 2020 e confronto con l’orientamento
della Corte di Giustizia sul tema. Dall’analisi emergono: 1) la violazione - in parti-
colare - dell’art. 117, comma 2, lett. m), Cost.; 2) il contrasto tra la normativa interna e
gli indirizzi impartiti dalla CGUE; 3) la possibilità di devolvere alle Commissioni
tributarie la giurisdizione delle controversie aventi ad oggetto il diritto di accesso tra
contribuente e Amministrazione finanziaria.
Abstract: The article investigates the right of access to tax proceedings and offers
some remarks on its effectiveness and constitutional legitimacy. In particular,
starting from a general survey of the institute in administrative law, the articole
analyzes the legislative and interpretative interventions – by the highest Judicial
Authority – that each time have regulated its exercise, weakening it, with examina-
tion of the recent measure of the Italian Tax Authority and also the position adopted
by the Court of Justice of the European Union on the issue. Such analysis reveals: 1)
the violation of article 117, co. 2, lett. m) Const.; 2) the contrast between the internal
regulations and the guidelines given by the CJEU; 3) the possibility of devolving to the
Tax Commissions the jurisdiction of disputes concerning the right of access between
taxpayers and Financial Administration.
1
Come si avrà modo di illustrare nelle pagine che seguono, anche la previgente formu-
lazione della disposizione, generica e poco chiara, ostava all’esibizione del fascicolo tributario
in pendenza del procedimento di accertamento e si accompagnava ad una logica (ancora) di
segretezza dell’azione dell’Amministrazione finanziaria. Per la funzione impositiva, a diffe-
renza di quanto è avvenuto per le altre funzioni pubbliche, la regola di segretezza ha continuato
a vivere tanto nel tessuto normativo, quanto nella prassi, tanto che, ad oggi, nella fase
dell’istruttoria del procedimento di accertamento la trasparenza e la pubblicità sono più
attenuate che negli altri procedimenti amministrativi. Conferma ciò l’art. 9, comma 1, lett.
b), della Legge delega n. 23/2014 (rimasto inattuato), là dove stabilisce l’“obbligo di garantire
l’assoluta riservatezza nell’attività conoscitiva e di controllo fino alla completa definizione
dell’accertamento”.
2
L’accesso esterno, detto anche informativo, ha natura esoprocedimentale e dev’essere
mantenuto distinto dall’accesso interno (c.d. partecipativo), la cui configurabilità è preclusa
dalla stessa Legge n. 241/1990, là dove stabilisce che le norme di cui al del capo III non trovano
applicazione rispetto ai procedimenti tributari. In particolare, quest’ultimo - previsto all’art. 10
- si sostanzia nel diritto previsto in favore dei soggetti di cui all’art. 7 (ossia, coloro che, per
Legge, devono intervenire nel procedimento o che, in ragione degli effetti pregiudizievoli che
potrebbero subire, devono ricevere la comunicazione di avvio del procedimento al fine di
prendere visione ed estrarre copia degli atti di detto procedimento ed eventualmente presentare
memorie e documenti) e il cui esercizio è strettamente connesso al principio di massima
partecipazione. Diversamente l’accesso esterno, ex art. 22, di cui si parlerà a breve. Sul tema v. P.
Carpentieri, “Due domande in tema di diritto di accesso”, in Foro amm. TAR, n. 11/2009, pag.
3297.
3
Sulla base della dichiarazione n. 17, il Consiglio e la Commissione hanno approvato un
codice di condotta sull’accesso ai documenti, ma come precisato dalla Corte di Giustizia si
trattava di un provvedimento di mera organizzazione interna all’istituzione non vincolante. V.
CGE sent. 30 aprile 1996, causa C-58/94, Regno dei Paesi Bass/Consiglio (con i commenti di L.
Limberti, “La natura giuridica del diritto di accesso resta ‘sospesa’ tra principio democratico e
poteri di autoorganizzazione delle istituzioni comunitarie”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6/
1996, pag. 1227 e C. Franchini, “Il diritto di accesso tra l’ordinamento comunitario e quello
nazionale”, in Giorn. dir. amm., n. 9/1996, pag. 823); Trib. UE sent. 11 dicembre 2001, causa T-
191/99, Petrie/Commissione. In dottrina v. anche A. Sandulli, “L’accesso ai documenti nel-
l’ordinamento comunitario”, in Giorn. dir. amm., n. 5/1996, pag. 446.
4
Ha inserito l’art. 255 nel TCE (ora art. 15 TFUE).
5
Sono state così adottate: la decisione 93/731/CE del Consiglio, la decisione 94/90/CECA/
CE/Euratom della Commissione e la decisione 97/632/CE/ CECA/Euratom del Parlamento
europeo.
6
Si rammenta che il Trattato ha altresì riconosciuto efficacia vincolante alla Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea elevando indirettamente il diritto di accesso, ivi
contemplato all’art. 42, a diritto fondamentale dei cittadini.
7
All’art. 1 TUE si legge, in particolare, che la trasparenza consente una migliore parte-
cipazione dei cittadini al processo decisionale e garantisce una maggiore legittimità, efficienza
e responsabilità dell’amministrazione nei confronti dei cittadini in un sistema democratico.
Cfr. D. U. Galetta, “La trasparenza, per un nuovo rapporto tra cittadino e Pubblica ammini-
strazione: un’analisi storico-evolutiva, in una prospettiva di diritto comparato ed europeo”, in
Riv. it. dir. pubbl. com., n. 5/2016, pag. 1019.
8
V. il già richiamato art. 15, par. 3, TFUE che sancisce il diritto per “qualsiasi cittadino
dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato
membro” di accedere ai documenti delle Istituzioni.
9
Il principio di trasparenza viene concepito anche come “presupposto” per il potenzia-
mento della crescita economica e di equilibrio del mercato v. Commissione Europea, COM
(1998) 585, “L’informazione del settore pubblico: una risorsa fondamentale per l’Europa. Libro
verde sull’informazione del settore pubblico nella società dell’informazione, del 1° gennaio
1999”. Ad oggi detto principio trova fondamento agli artt. 15 TFUE e 1 TUE nella misura in cui è
stabilito che le decisioni dell’Unione sono prese nel modo più trasparente possibile e che le
Istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione devono operare nel modo più trasparente
possibile. Le attività dei pubblici poteri europei devono svolgersi sulla base di questo criterio
c.d. pentagonale poiché si sostanzia: 1) nella chiarezza del sistema istituzionale, semplicità e
comprensibilità dei Trattati istitutivi; 2) nell’accesso alla legislazione in termini di motivazione,
pubblicità e facilità di accesso; 3) nella possibilità per i cittadini di conoscere le varie fasi
dell’iter decisionale; 4) nella politica di informazione; 5) nell’accesso ai documenti. In ultimo,
si ricorda che il principio di trasparenza di dimensione unionale si applica a tutte le attività
di svolgimento di funzioni europee, tanto quelle normative, tanto quelle amministrative. Cfr.
C. Alberti, “La disciplina del diritto di accesso nel post Amsterdam tra consacrazione e
limitazione”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 1/2003, pag. 64.
10
È chiaro che il Regolamento de quo non obbliga gli Stati membri ad apportare
modifiche alle proprie normative nazionali, ma semplicemente li invita a tenere un comporta-
mento improntato alla leale cooperazione e che non vada a pregiudicare la corretta applica-
zione dello stesso. V. F. D’oriano, “Il diritto di accesso ai documenti comunitari”, in Dir. pubbl.
comp. eu., n. 4/2003, pag. 1990.
11
V. M. Migliazza, “Brevi riflessioni sugli sviluppi della trasparenza nell’Unione
Europea”, in Dir. pubbl. comp. eu., n. 3/2003, pag. 1351; R. Garofali, “I profili comunitari del
diritto di accesso”, in Riv. it. dir. pubbl. com., n. 6/1998, pag. 1285.
12
Il comma stabilisce che “non sono ammissibili istanze di accesso preordinate a un
controllo generalizzato dell’operato delle Pubbliche amministrazioni”. È evidente che detta
disposizione è sono ben lontana dall’originario schema di disegno di legge predisposto dalla
Commissione Nigro che, al contrario, riconosceva la titolarità del diritto d’accesso a tutti i
cittadini. La ratio della limitazione deve rinvenirsi nella precipua volontà del legislatore -
dettata dal bilanciamento tra la celerità dell’azione amministrativa e la trasparenza della stessa
- di prevenire la paralisi dell’attività degli Uffici dell’Amministrazione e evitare eccessivi intralci
all’attività gestoria pubblica.
13
È utile precisare che i due principi, per quanto simili, presentano comunque proprie
caratteristiche e proprie funzioni, di talché devono essere tenuti distinti. Il principio di
pubblicità (codificato art. 1, comma 1, Legge n. 241/1990 sin dalla sua versione originaria)
rappresenta un corollario anche dell’art. 97 Cost. e si concretizza nel dovere
dell’Amministrazione di rendere visibile e conoscibile all’esterno il proprio operato attraverso
17
Favorendo il controllo democratico la trasparenza diviene anche uno strumento di
prevenzione dei fenomeni corruttivi e di contrasto alla maladministration (così nella Legge n.
190/2012) e mira a garantire una migliore accountability della Pubblica amministrazione
(così D.Lgs. n. 150/2009) due aspetti fondamentali per il buon andamento della Pubblica
amministrazione. V. S. Cassese, “Evoluzione della normativa sulla trasparenza”, in
SINAPPSI, n. 1/2018, pag. 5.
18
Così R. Villata, “La trasparenza dell’azione amministrativa”, in La disciplina generale del
procedimento amministrativo. Contributi alle iniziative legislative in corso, Atti del XXXII
Convegno di studi di scienza dell’amministrazione, Varenna, settembre 1986, Milano, 1989,
pag. 151. In termini analoghi v. A. Police, La predeterminazione delle decisioni amministrative.
Gradualità̀ e trasparenza nell’esercizio del potere discrezionale, Napoli, 1997, pag. 41. In diritto
pubblico la nozione di trasparenza è molto complessa e poliforme. V. i contributi di G. Arena,
“Le diverse finalità della trasparenza amministrativa”, in F. Merloni (a cura di) La trasparenza
amministrativa, Milano, 2008, pag. 26; G. Arena, “Trasparenza amministrativa”, in S. Cassese
(a cura di) Diz. dir. pubbl., 2006, pag. 5945; G. Arena, “La trasparenza amministrativa ed il
diritto di accesso ai documenti amministrativi”, in G. Arena (a cura di) L’accesso ai documenti
amministrativi, Bologna, 1991, pag. 25; G. Arena, (voce) “Trasparenza amministrativa”, in
Enc. giur., XXXI, Roma, 1995, 1; P. Tanda, “Trasparenza (principio di)”, in Dig. disc. pubbl.,
Aggiorn., II, Torino, 2008, pag. 88; V. Sarcone, “Dalla ‘casa di vetro’ alla ‘home page’: la
‘trasparenza amministrativa’ nella Legge n. 15/2009 e nel suo Decreto attuativo (passando
per la Legge n. 69/2009)”, in http://www.amministrativamente.com, 2009.
19
In questo senso depongono alcune pronunce della Corte cost. v. sent. 6 luglio 1994, n.
311; sent. 17 ottobre 1996, n. 383; sent. 29 novembre 2004, n. 372; sent. 12 giugno 2005, n. 32.
20
A. Perini, “L’autonomia del diritto di accesso in giudizio”, in Dir. proc. amm., 1996,
pag. 107.
21
In verità ci sarebbe un quarto orientamento i cui fautori riconducono sia il diritto di
accesso che il diritto all’informazione nel novero dei c.d. nuovi diritti di cittadinanza, categoria
appartenente a quella più ampia dei diritti sociali e inclusiva di tutte le situazioni giuridiche
volte alla realizzazione dei diritti positivi dell’eguaglianza, sviluppo della persona umana. Cfr.
F. Manganaro - A. Romano Tassone, I nuovi diritti di cittadinanza: il diritto di informazione,
Torino, 2005; B. G. Mattarella, Lezioni di diritto amministrativo, Torino, 2018, pag. 92.
22
Nel modello statunitense il diritto di accesso è concepito come un aspetto della più
ampia libertà di informazione e funge da strumento di controllo sull’azione dei pubblici poteri:
cfr. D. E. Pozen, “Freedom of information beyond the freedom of information act”, in University
of Pennsylvania Law Review, n. 165/2017, pag. 1103. Parimenti, anche in ambito Europeo la
trasparenza costituisce affermazione del diritto all’informazione, in quanto strumento demo-
cratico finalizzato ad avvicinare i cittadini alla vita delle istituzioni. Basti vedere le normative
settoriali in primis la Convenzione di Convenzione di Aarhus sull’accesso all’informazione,
partecipazione dei cittadini e accesso alla giustizia in materia ambientale, ma anche nella
Dichiarazione sul futuro dell’Unione del 2000 e nella Dichiarazione di Laeken del 2001. In
letteratura G. Locchi, “Il principio di trasparenza in Europa nei suoi risvolti in termini di
Governance amministrativa e di comunicazione istituzionale dell’Unione”, in www.ammini-
strazioneincammino.luiss.it, 2011 e M. Migliazza, “Procedure istituzionali europee in tema di
democrazia partecipativa”, in Riv. it. comun. pubbl., n. 29/2006, pag. 14. In giurisprudenza v.
Trib. UE 26 aprile 2005, cause riunite T-110/03; T-150/03 e T-405/03, Jose Maria Sison/
Consiglio; Trib. UE 6 aprile 2000, causa T-188/98, Kuijer/Consiglio; Trib. UE 19 luglio 1999,
causa T-14/98, Hautala/Consiglio.
23
Ad avvalorare questa tesi non è solo la giurisprudenza amministrativa (T.A.R. Roma
-Lazio, Sez. II, 6 novembre 2017, n. 11029; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 23 giugno 2016, n.
404; Cons. St., Sez. V, 17 marzo 2015, n. 1370; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 9 giugno 2009, n.
5486; Cons. St., Sez. VI, 14 dicembre 2004, n. 8062; Cons. St., Sez. VI, 23 febbraio 1999, n. 193),
ma anche la Corte costituzionale, che nell’ordinanza del 23 marzo 2001, n. 80, ha ricondotto il
diritto di accesso al diritto all’informazione.
24
P. Costanzo, “Informazione nel diritto costituzionale”, in Dig. disc. pubbl., VIII, Torino,
1993, pag. 351 e V. Sarcone, “Alcune considerazioni in merito al diritto all’informazione
pubblica”, in Riv. trim. sc. amm., n. 1/2004, pag. 63.
25
Autorevoli Autori sostengono, tuttavia, che vi sia una netta distinzione tra la libertà
d’informazione e l’informazione amministrativa: cfr. G. Virga, “La Trasparenza della Pubblica
amministrazione e tutela giurisdizionale del diritto di accesso agli atti amministrativi”, in
L’Amministrazione pubblica tra riservatezza e trasparenza, Milano, 1991, pag. 358; D. Sorace,
Diritto delle amministrazioni pubbliche. Una introduzione, Bologna, 2000, pag. 57.
26
In questa sede si aderisce a tutte e tre le ricostruzioni prospettate poiché si ritiene che
l’una non escluda l’altra.
27
Il dibattito sul rilievo costituzionale del giusto procedimento è ampiamente noto e
risalente (v. Corte cost. sent. 2 marzo 1962, n. 13 e l’importantissima nota di V. Crisafulli,
“Principio di legalità e giusto procedimento”, in Giur. Cost., n. 7/1962, pag. 130). Per molto
tempo, il giudice delle leggi ha costantemente affermato che il principio di giusto procedimento
pur assolvendo a criterio di orientamento tanto per il legislatore quanto per l’interprete (Corte
cost. sent. 31 maggio 1995, n. 210), restava comunque privo di copertura costituzionale, non
riconducibile al diritto di difesa ex art. 24 Cost., essendo quest’ultimo valevole solo nell’ambito
di procedimenti di natura giurisdizionale e non invece per quelli amministrativi. Con l’acqui-
sizione di rango costituzionale del principio del giusto procedimento, la Corte costituzionale è
passata da un’interpretazione sistematica degli artt. 97 e 98 (Corte cost. sent. 23 marzo 2007, nn.
103 e 104) all’art. 111 Cost. Il giusto procedimento amministrativo è riconosciuto all’art. 41
della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre
2000. Sul punto v. C. Pinelli, “Commento all’art. 97, comma 1, Cost.”, in Commentario della
Costituzione, Bologna - Roma, 1994, pag. 173; U. Allegretti, L’imparzialità amministrativa,
CEDAM, Padova, 1965; M. C. Cavallaro, “Il giusto procedimento come principio costituzio-
nale”, in Foro amm. TAR, n. 6/2001, pag. 1829; G. Manfredi, “Giusto procedimento e inter-
pretazioni della Costituzione”, in Foro amm. TAR, n. 7-8/2007, pag. 2707; A. Zito, “Il principio
del giusto procedimento”, in M. Renna - F. Saitta (a cura di) Studi sui principi del diritto
amministrativo, Milano, 2012, pag. 509; G. Colavitti, “Il ‘dibattito pubblico’ e la partecipazione
degli interessi nella prospettiva costituzionale del giusto procedimento”, in www.amministra-
zioneincammino.luiss.it, 2020; M. Cocconi, “Il giusto procedimento come banco di prova di
un’integrazione delle garanzie procedurali a livello europeo”, in Riv. it. dir. pubbl. com., 2010,
pag. 1136; G. Roehrssen, “Il giusto procedimento nel quadro dei principi costituzionali”, in Aa.
Vv., Cinquant’anni di Corte costituzionale, Roma, n. 2/2006, pag. 1037.
28
In ambito tributario, v. S. La Rosa, “Il giusto procedimento tributario”, in Giur. imp., n.
3/2004, pag. 763; A. Marcheselli, Il giusto procedimento tributario. Principi e discipline, Milano,
2012; R. Schiavolin, “Il diritto ad una buona amministrazione ed il giusto procedimento
tributario”, in M. Pierro (a cura di) Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti
tributari, Milano, 2019, pag. 33.
29
Non potendo approfondire l’accesso civico di cui al D.Lgs. n. 33/2013 e di quello
generalizzato, introdotto dal D.Lgs. n. 97/2016 che ha novellato l’art. 5 del citato Decreto
legislativo del 2013 è sufficiente qui precisare che i due istituti, apparentemente uguali,
presentano una importante distinzione circa l’ambito applicativo: l’accesso civico semplice,
essenzialmente, riconosce a chiunque la possibilità di chiedere all’Amministrazione l’adempi-
mento degli obblighi di pubblicazione on line prescritti dalla legge ma non osservati, l’accesso
libero ed universale, invece, presenta un ambito oggettivo ancora più ampio in quanto può
essere attivato anche con riferimento a dati ed informazioni ulteriori rispetto a quelli per i quali
è previsto l’obbligo di pubblicazione, ancorché nei limiti di cui agli artt. 5 e 5-bis, D.Lgs. n. 33/
2013. In altre parole, i due accessi si pongono in rapporto di continenza. Sempre sull’onda delle
distinzioni, mentre per l’accesso civico semplice non è previsto alcun limite, per l’accesso
generalizzato il legislatore ha previsto due categorie di eccezioni al regime di conoscibilità
(quella assoluta e quella relativa), tra l’altro assai più incisivi e ampi di quelli posti per l’accesso
documentale, e ciò allo scopo di bilanciare l’interesse pubblico alla conoscibilità del dato con la
tutela di altri interessi considerati dall’ordinamento, c.d. interessi-limite indicati dal legislatore
(sicurezza, difesa nazionale, politica monetaria e valutaria, ordine pubblico, riservatezza dei
terzi). La valutazione dell’Amministrazione è parametrata sul pregiudizio che potrebbe subire
il l’interesse-limite e dev’essere volta a privilegiare l’adozione della misura protettiva dell’inte-
resse più favorevole al diritto del richiedente. Quanto alle analogie, invece, entrambi gli accessi
non presuppongono né legittimazione, né la sussistenza di un interesse qualificato, né un onere
motivazione in capo all’istante, tutte e due sono gratuiti e si concludono con un provvedimento
espresso e motivato nel termine di trenta giorni dalla presentazione della domanda, ma cosa
ancora più importante, è che ambedue muovono dalla stessa ratio ispiratrice: favorire forme
diffuse e democratiche di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo
delle risorse pubbliche, nonché tutelare i diritti dei cittadini e promuovere la partecipazione
degli interessati all’attività amministrativa e al dibattito pubblico. Per approfondimenti sul
tema, D. U. Galetta, “Accesso civico e trasparenza della Pubblica amministrazione alla luce
delle (previste) modifiche alle disposizioni del D.Lgs. n. 33/2013”, in Federalismi.it, n. 5/2016,
pag. 10; M. Lipari, “Il diritto di accesso e la sua frammentazione dalla Legge n. 241/1990
all’accesso civico: il problema delle esclusioni e delle limitazioni oggettive”, in federalismi.it, n.
17/2019; v. M. Bombardelli, “Fra sospetto e partecipazione: la duplice declinazione del princi-
pio di trasparenza”, in Ist. fed., n. 3-4/2013, pag. 657; B. Ponti (a cura di), La trasparenza
amministrativa dopo il D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33, Rimini, 2013; U. Allegretti, “Pubblica
amministrazione e ordinamento democratico”, in Foro it., 1984, V, pag. 205; M. A. Sandulli, “La
trasparenza amministrativa nel foia Italiano. Il principio della conoscibilità generalizzata e la
sua difficile attuazione”, in Federalismi, n. 16/2020, pag. 48; A. Corrado, “L’accesso civico e i
poteri del giudice amministrativo: alla ricerca di una azione in materia di accesso generaliz-
zato”, in Federalismi.it, n. 10/2020, pag. 155; A. Amodino, “Dall’accesso documentale all’accesso
civico generalizzato: i nuovi paradigmi della trasparenza dell’azione amministrativa”, in
GiustAmm.it, n. 5/2018, pag. 42. V. anche la Delibera ANAC del 28 dicembre 2016, n. 1309.
30
È opportuno evidenziare sin da ora che, in tema di accesso ai documenti dei procedi-
menti tributari, gli orientamenti della giurisprudenza domestica non sono progrediti di pari
passo con quelli della Corte di Giustizia, e tutt’ora stentano ad ammettere che il diritto di
accesso sia una componente essenziale del diritto al contraddittorio, soprattutto durante
l’attività di indagine. Come si avrà modo di vedere più avanti, per i giudici europei la violazione
del diritto di accesso al fascicolo intervenuta nel corso del procedimento non può essere
sanata dall’Amministrazione finanziaria in forza di una successiva ostensione in sede
giurisdizionale, mentre per i giudici nazionali questa stessa violazione non ha alcuna
ripercussione sulla legittimità del procedimento. A ben vedere, detta questione si inserisce
e si innesta in quella ancor più complicata e dibattuta vertente sul contraddittorio procedi-
mentale rispetto alla quale la dottrina tributaria è oramai ricchisssima. V., per tutti, L.
Salvini, La partecipazione del privato, op. cit.; L. Salvini, “La nuova partecipazione del privato
(dalla richiesta di chiarimenti allo statuto del contribuente ed oltre)”, in Riv. dir. trib., n. 1/
2001, pag. 3; A. Di Pietro, “Il contribuente nell’accertamento delle imposte sui redditi: dalla
collaborazione al contraddittorio”, in V. Uckmar (a cura di) L’evoluzione dell’ordinamento
tributari, Atti del convegno “I settanta anni di Diritto e pratica tributaria”, Padova, 2000, pag.
352; M. Basilavecchia, “Contraddittorio preventivo e accesso al fascicolo”, in Corr. Trib., n. 8-
9/2020, pag. 737; M. Basilavecchia, “Per l’effettività del contraddittorio”, in Corr. Trib., n. 29/
2009, pag. 2369; L. Salvini, “La cooperazione del contribuente e il contraddittorio nell’ac-
certamento”, in Corr. Trib., n. 44/2009, pag. 3569; A. Marcheselli, “L’effettività del contrad-
dittorio nel procedimento tributario tra Statuto del contribuente e principi comunitari”, in A.
Bodrito - A. Contrino - A. Marcheselli (a cura di) Consenso equità e imparzialità nello Statuto
del contribuente, Torino, 2012, pag. 413; A. Marcheselli, “Il contraddittorio va sempre
applicato ma la sua omissione non può eccepirsi in modo pretestuoso”, in Corr. Trib., n.
33/2014, pag. 2536; R. Lupi, “Il timore di vanificazioni formalistiche delle ragioni del Fisco”,
in Dial. trib., n. 4/2015, pag. 383; G. Ragucci, “Il principio del contraddittorio nella giuri-
sprudenza della Corte costituzionale”, in questa Rivista, n. 5/2015, pag. 1217; G. Ragucci, Il
contraddittorio nei procedimenti tributari, Torino 2009; G. Corasaniti, “Il principio del
contraddittorio nella giurisprudenza nazionale e dell’Unione Europea”, in Dir. prat. trib.,
n. 4/2016, pag. 1585; A. Colli Vignarelli, “Il contraddittorio endoprocedimentale, sua viola-
zione e rilevanza della c.d. prova di resistenza”, in Riv. dir. trib. on line, 2020.
31
Esula dalla presente trattazione il tema della natura giuridica del diritto di accesso, che
ha avuto una significativa risonanza (considerate le sue ricadute non solo teoriche ma anche
pratiche) e ha impegnato a lungo dottrina e giurisprudenza, che si sono interrogate se si
trattasse di un interesse legittimo (ex multis, Cons. St., Ad. plen., 24 giugno 1999, n. 16; Cons. St.,
Sez. V, 2 dicembre 1998, n. 1725; Cons. St., Sez. V, 4 febbraio 2004, n. 367) o di diritto soggettivo
(per tutte, Cons. St., Sez. IV, 22 febbraio 1999, n. 56). La querelle ha trovato parziale soluzione
con la Legge n. 15/2005 che, come in precedenza osservato, ha elevato l’accesso ai documenti a
“diritto sociale” e con le decisioni Cons. st., Ad. plen., 18 aprile 2006, n. 6 e Id. 20 aprile 2006, n. 7
(v. anche l’ordinanza di rimessione Cons. St., Sez. VI, 7 settembre 2005, n. 4686), le quali, senza
prendere posizioni in merito alla natura giuridica dell’accesso, ne hanno posto in rilievo il
carattere strumentale e funzionale alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti. Detta
situazione, piuttosto che fornire utilità finali alla stregua degli interessi legittimi o dei diritti
soggettivi, mette a disposizione del titolare poteri di natura procedimentale volti alla tutela di
interessi giuridicamente rilevanti (tra le più recenti v. Cons. St., Sez. VI, 19 novembre 2018, n.
6510; Cons. st., Sez. VI, 25 agosto 2017, n. 4074). Sul punto R. Garofali - G. Ferrari, Manuale di
Diritto amministrativo. Parte generale e speciale, Roma, 2019, pag. 714; F. Caringella, Manuale di
Diritto amministrativo, Roma, 2015, pag. 1093; A. Sandulli, “L’accesso ai documenti ammini-
strativi”, in Gior. dir. amm., n. 11/1995, 1061.
32
La letteratura sul diritto di accesso è sterminata. V. per tutti, M.A. Sandulli, (voce)
“Accesso alle notizie e ai documenti amministrativi”, in Enc. dir., Aggiorn., IV, Milano, 2000, 1;
C. E. Gallo - S. Foà, (voce) “Accesso agli atti amministrativi”, in Dig. disc. pubbl., Aggiorn., IV,
Torino, 2000, pag. 55; D. Giannini, L’accesso ai documenti, Milano, 2013; M. Occhiena,
“Accesso agli atti amministrativi”, in S. Cassese (a cura di) Diz. dir. pubbl., I, Milano, 2006,
pag. 57; A. R. Tassone, “A chi serve il diritto di accesso?”, in Dir. amm., n. 3/1995, pag. 315; F.
Caringella - R. Garofali - M. T. Sempreviva, “L’accesso ai documenti amministrativi”, in F.
Caringella - G. De Marzo (a cura di) Il nuovo diritto amministrativo, Milano, 2007; F. Caringella,
L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali e processuali, Milano, 2005; M. A.
Mazzarolli, L’accesso ai documenti amministrativi. Profili sostanziali, Padova, 1998; P. Burla -
G. Fraccastoro, Il diritto d’accesso ai documenti della Pubblica amministrazione, Roma, 2006; R.
Tomei, Nuova disciplina dell’accesso ai documenti amministrativi, Padova, 2007; F. Nesta, Il
diritto di accesso ai documenti amministrativi, Torino, 2006 e, soprattutto, L. Salvini, “Accesso
agli atti del procedimento tributario”, in S. Cassese (a cura di) Diz. dir. pubbl., Milano, 2006, I,
pag. 66.
33
Prima dell’intervento riformatore del 2005, il diritto di accesso era riconosciuto a
chiunque vi avesse interesse e l’inclusione degli interessi diffusi o pubblici tra le situazioni
legittimanti l’accesso avveniva ad opera dell’interpretazione (peraltro, non univoca) della
giurisprudenza. La struttura aperta della disposizione, lungi dall’agevolare la comprensione
degli interpreti, rappresenta in realtà uno dei profili maggiormente problematici del diritto di
accesso, dunque non è un caso che in occasione della riforma del 2005 il legislatore abbia
ulteriormente circoscritto le posizioni legittimanti al punto che, ad oggi, l’ambito soggettivo di
applicazione risulta potenzialmente più restrittivo rispetto alla sua formulazione originaria.
34
Per quanto concerne la natura della posizione giuridica del soggetto istante, si è a lungo
discusso se si trattasse di interesse legittimo o di diritto soggettivo. Senza ripercorrere l’annoso
dibattito, ci si limita ricordare solamente che, in un primo momento, l’Adunanza plenaria (sent.
24 giugno 1999, n. 16) ha aderito all’orientamento che concepiva l’atto emesso dell’ammini-
strazione a seguito di un’istanza di ostensione alla stregua di un provvedimento amministra-
tivo, ma ciò non è valso a placare l’opposta interpretazione che configurava il diritto di accesso
come diritto soggettivo; tant’è vero che, con un’ordinanza del 2005 (ord. 9 settembre, n. 4686), la
sesta sezione del Consiglio di Stato ha nuovamente rimesso la quesitone all’Adunanza Plenaria
(sent. 18 aprile 2006, n. 6), la quale, in ultima analisi, ha preferito dirimere il problema in
un’ottica più pragmatica, ossia sostenendo la non utilità di una presa di posizione in favore di
un’interpretazione piuttosto che dell’altro. Ciò che viene in rilievo, a parere del Consesso, è il
carattere strumentale della posizione giuridica, esercitabile per la tutela ulteriori e diverse
situazioni giuridiche aventi ad oggetto delle utilità finali, non invece la sua consistenza.
35
A differenza dell’accesso endoprocedimentale (ove il soggetto istante deve dimostrare
di esser parte del procedimento per poter ottenere l’ostensione dei documenti), questo è
consentito e può essere esercitato al dichiarato fine di favorire la partecipazione e di assicurare
l’imparzialità e il buon andamento dell’azione amministrativa, quindi indipendentemente
dalla pendenza di un procedimento.
36
Rispetto a tutto quanto sino ad ora detto, v. ex multis: Cons. St., Sez. V, 9 marzo 2020, n.
1664; Cons. St., Sez. V, 5 agosto 2020, n. 4930; Cons. St., Sez. III, 27 luglio 2020, n. 477; Cons. St.,
Sez. V, 21 febbraio 2020, n. 1333; Cons. St., Sez. IV, 13 gennaio 2020, n. 279; Cons. St., Sez. V, 30
dicembre 2019, n. 8904; Cons. St., Sez. V, 27 dicembre 2019, n. 8829; Cons. St., Sez. V, 2 ottobre
2019, n. 6603.
37
Cons. St., Sez. IV, 4 febbraio 2020, n. 888; Cons. St., Sez. VI, 15 novembre 2018, n. 6444.
38
Sul punto si ricorda che l’orientamento giurisprudenziale favorevole all’accesso ad atti
e documenti riguardanti attività svolte in regime di diritto privato ha fatto qualche difficoltà ad
affermarsi. Secondo un indirizzo ormai superato, la richiesta di ostensione poteva essere
rivolta solo ad Amministrazioni pubbliche e a concessionari (gestori) di servizi pubblici che
agivano in vesti di autorità. Decisive sono state le sentenze Cons. St., Ad. plen., 22 aprile 1999,
nn. 4 e 5 con il commento di S. Cassese, “Il diritto di accesso ai documenti amministrativi dei
concessionari di pubblici servizi (due recenti sentenze)”, in C. Corduas - R. Romei - G. Sapelli (a
cura di) La testimonianza del giurista nell’impresa: scritti in memoria di Massimo D’Antona,
Milano, 2001, pag. 231. Emblematici anche i casi noti di Ente Poste italiane Cons. St., Ad. plen.,
28 giugno 2016, n. 13 e Cons. St., Sez. VI, 25 gennaio 2010, n. 252; Trenitalia S.p.A. Cons. St.,
Sez. VI, 23 novembre 2007, n. 5569; Autostrade per l’Italia S.p.A. Cons. St., Sez. IV, 5 settembre
2007, n. 4645; Enel S.p.A. Cons. St., Sez. VI, 17 settembre 2002, n. 4711.
39
V. la nota sentenza del Cons. St., Ad. plen., 5 maggio 2005, n. 5. In senso conforme
anche Cons. St., Sez. IV, 22 giugno 2018, n. 3847; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2 agosto 2016,
n. 8948; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 4 febbraio 2016, n. 629; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo,
Sez. I, 24 settembre 2015, n. 661; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 17 settembre 2015,
n. 4568. È pacifico che Equitalia S.p.A. pur essendo un soggetto di diritto privato svolgeva
un’attività di pubblico interesse essendo agente per la riscossione dei tributi (cfr. T.A.R.
L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 24 settembre 2015, n. 661; Cons. St., Sez. IV, 27 giugno 2012,
n. 3812; T.A.R. Bari - Puglia, Sez. I, 10 giguno 2010, n. 2369; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2
marzo 2010, n. 3231; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 12 settembre 2008, n. 475),
pertanto inclusa nell’elenco sei soggetti verso i quali presentare istanza di accesso. V. in
ultimo, la nota ordinanza della Corte cost. 9 novembre 2007, 377.
40
Cfr. Cons. St., Sez. V, 31 marzo 2015, nn. dal 1696 al 1705. I giudici di prime cure sono soliti
precisare inoltre che l’articolo citato “non individua una modalità di accesso ai documenti, ma
disciplina il rapporto giuridico corrente tra l’agente della riscossione e il debitore con specifico
riferimento all’onere probatorio della pretesa di pagamento. Il che comporta che l’accesso ai
ripetuti atti non può essere negato, avuto conto che è solo sulla scorta degli stessi che può essere
comprovata, con onere a carico dell’agente di riscossione, l’idoneità del titolo esecutivo e non
opposto nei termini di legge a sorreggere validamente le pretese di cui trattasi ovvero a sorreggere
validamente dinieghi di rilascio di certificazioni di regolarità fiscale”: cfr. T.A.R. Salerno -
Campania, Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 2284; T.A.R. L’Aquila - Abruzzo, Sez. I, 8 ottobre 2015,
n. 689; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 15 aprile 2014, n. 2118; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez.
I, 18 aprile 2013, n. 882; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 26 ottobre 2011, n. 767.
Stante la giurisprudenza del Consiglio di Stato, in caso di mancata riscossione dei tributi nel
quinquennio e in occasione di rapporti giuridici ancora aperti e non definiti, costituisce un
onere improntato alla diligenza per il concessionario quello di conservare la copia della
cartella oltre i cinque anni e per tutto il periodo in cui il credito portato ad esecuzione non sia
stato recuperato (in modo da conservarne prova documentale ostensibile, anche a richiesta
dei soggetti legittimati, nelle varie fasi di definizione del rapporto, onde poter compiuta-
mente esercitare le prerogative esattoriali) cfr. T.A.R. Pescara - Abruzzo, Sez. I, 11 dicembre
2017, n. 356; T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 20 settembre 2017, n. 4463; T.A.R. Lecce -
Puglia, Sez. II, 26 settembre 2016, n.1492; Cons. St., Sez. IV, 28 gennaio 2016, n. 317. Molto
interessante è la recente sentenza del T.A.R. Napoli - Campania, Sez. II, 8 maggio 2020, n.
1693 in tema di rapporto concessori tra ente locale e concessionario.
41
Laddove prevede che “il concessionario deve conservare per cinque anni la matrice o la
copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o l’avviso del ricevimento ed ha
l’obbligo di farne esibizione su richiesta del contribuente o dell’amministrazione”.
42
T.A.R. Napoli - Campania, Sez. VI, 17 ottobre 2019, n. 4959; T.A.R. Latina - Lazio, Sez. I,
27 settembre 2018, n. 496; T.A.R. Reggio Calabria - Calabria, Sez. I, 22 marzo 2018, n. 136; T.A.R.
Pescara - Abruzzo, Sez. I, 27 febbraio 2018, n.68; T.A.R. Palermo - Sicilia, Sez. III, 11 settembre
2017, n. 2146; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 21 aprile 2017, n. 4890; Cons. St., Sez. IV, 6 agosto
2014, n. 4210; Cons. St., Sez. IV, 30 novembre 2009, n. 7486. Ad avviso dei giudici amministrativi,
se non fosse consentita l’esibizione, si finirebbe con l’introdurre una ingiustificata limitazione
all’esercizio di difesa del contribuente cfr. T.A.R. Catanzaro - Calabria, Sez. II, 9 luglio 2019, n.
1397; Id. 25 settembre 2018, n. 1620. V. anche la T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 12 settembre 2016,
n. 9662 e il commento di F. Farri, “Accesso agli atti in fase di riscossione e ‘imparzialità’
dell’esecuzione”, in Riv. dir. trib. on line, 2016.
43
In ordine all’inquadramento giuridico degli atti preparatori cfr. S. La Rosa, “Accesso
agli atti dispositivi di verifiche fiscali e tutela del diritto alla riservatezza”, in Riv. dir. trib., 1996,
pag. 1109.
44
Cfr. T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 23 ottobre 2018, n. 988; T.A.R. Brescia -
Lombardia, Sez. I, 18 luglio 2018, n. 751; Cons. St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; Cons.
St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5127; Cons. St., Sez. IV, 28 marzo 2012, n. 1817; Cons. St., Sez.
IV, 9 agosto 2010, n. 5449; Cons. St., Sez. VI, 8 febbraio 2008, n. 422; Cons. St., Sez. IV, 11 aprile
2002, n. 1977; Cons. giust. amm. 17 agosto 2000, n. 371; Cons. St., Sez. IV, 30 giugno 1998, n.
1006.
45
Così la circolare del Ministero delle Finanze del 28 luglio 1997, n. 213/S/UCOP, in
particolare paragrafo II.3, e le circolari del Comando generale della Guardia di finanza
n.106900 del 25 marzo 1998 (III reparto); n. 36000 del 20 ottobre 1998 (III reparto) e la
successiva 263000 dell’08 ottobre 2001 (I reparto). Sul tema v. A. Iorio, “Il diritto di accesso
agli atti di verifica della Guardia di finanza”, in Corr. Trib., n. 48/2001, pag. 3619 che commenta
T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. I, 25 giugno 2001, 4479; G. Gallo - G. Pezzuto, “Il destinatario
della richiesta di accesso agli atti dell’accertamento”, in questa Rivista, n. 1/1998, pag. 93.
46
Così art. 4, D.P.R. n. 352/1992. Cfr. M. Pisani, “L’accesso agli atti del procedimento di
accertamento”, in Corr. Trib., n. 26/2002, pag. 2332. Sull’interpretazione sistematica tra la
circolare n. 32/E/2006, la circolare n. 165860/2006 e l’art. 25 della Legge n. 241/1990 e quindi
sull’individuazione dell’autorità competente a ricevere l’istanza di accesso v. P Burla - A.
Nastasia, “L’accesso al provvedimento di autorizzazione alle indagini finanziarie”, in il fisco,
n. 45/2006, pag. 6933. Sullo stesso tema, G. Fraccastoro, “L’accesso ai documenti ammini-
strativi nei procedimenti tributari”, in Corr. mer., n. 2/2007, pag. 243; M. Querqui - M. Querqui,
“Accesso agli atti dei procedimenti tributari: analisi delle norme di interesse alla luce delle
modifiche ed integrazioni alla Legge n. 241 del 7 agosto 1990”, in il fisco, n. 39/2005, pag. 6102;
V. Maresca, “Tutela del segreto istruttorio e indagini fiscali”, in questa Rivista, n. 1/2015,
pag. 171.
47
Sulla nozione di documento amministrativo v. I. F. Caramazza, “Documentazione e
documento (dir. amm.)”, in Enc. giur., Roma, 1989, 1; C. Aprile, “La nozione ampia di
specifico obbligo di segretezza. Cfr. T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 2 gennaio 2020, n. 4; T.A.R.
Catania - Sicilia, Sez. IV, 3 giugno 2019, n. 1364; Cons. St., Sez. VI, 29 gennaio 2013, N. 547;
T.A.R. Napoli - Campania, Sez. V, 26 febbraio 2002, n. 1088; T.A.R. Sardegna, 6 luglio 2000,
n. 537. Diverso ancora è il caso degli atti coperti da segreto istruttorio, in quanto afferenti a
indagini preliminari o procedimenti penali in corso, o in quanto coinvolgenti, a qualunque
titolo, terzi soggetti interessati dalle informative di polizia di sicurezza. Cfr. T.A.R. Roma -
Lazio, Sez. I, 9 gennaio 2017, n. 242. In dottrina, v. M. V. Serranò, “Note minime
sull’ammissibilità dell’accesso agli atti interni nella più recente giurisprudenza del
Consiglio di Stato”, in Boll. trib., 2003, pag. 1537.
53
Il Consiglio di Stato ha costantemente precisato che, al di fuori dei casi di esclusione
espressamente previsti all’art. 24 e relativi decreti attuativi, il diritto di accesso dev’essere
generalmente riconosciuto atteso che le esigenze di cui all’art. 97 Cost., riguardano tutte le
attività finalizzate all’emanazione di provvedimenti. Cfr. Cons. St., Sez. VI, 22 giugno 2020, n.
4000; Cons. St., Sez. IV, 20 ottobre 2016, n. 4372; Cons. St., Sez. V, 13 settembre 2016, n. 3856;
Cons. St., Ad plen., 28 aprile 1999, n. 6.
54
Il soggetto pubblico “non può andare oltre una valutazione circa il collegamento
dell’atto - obiettivo o secondo la prospettazione del richiedente - con la situazione soggettiva
da tutelare e quanto all’esistenza di una concreta necessità di tutela, senza poter apprezzare
nel merito la fondatezza della pretesa o le strategie difensive dell’interessato”.Cfr. T.A.R.
Brescia - Lombardia, Sez. I, 28 marzo 2019, n. 282; T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. III, 12
novembre 2018, n. 2143; Cons. St., Sez. IV, 6 novembre 2017, n. 5128; T.A.R. Roma, - Lazio,
Sez. I, 31 ottobre 2017, n. 10880; T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. III, 29 giugno 2016,
n.1283; Cons. St., Sez. IV, 9 febbraio 2016, n. 527; Cons. St., Sez. V, 23 marzo 2015, n. 1545;
Cons. St., Sez. IV, 29 gennaio 2014, n. 461; Cons. St., Sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55. Nelle
sentenze di primo grado di accoglimento del ricorso non è raro leggere tale ratio decidenti
ricca di casi come questo v. per tutte T.A.R. Salerno - Campania, Sez. I, 7 maggio 2015, n. 921
nella misura in cui statuisce che, “poiché la cartella esattoriale costituisce presupposto di
procedure esecutive la richiesta di accesso ad essa è strumentale alla tutela dei diritti del
contribuente in tutte le forme dall’ordinamento giuridico ritenute più rispondenti ed oppor-
tune, con la conseguenza che deve essere rilasciata, in copia, dalla società concessionaria al
contribuente che abbia proposto, o voglia proporre ricorso, avverso atti esecutivi iniziati nei
suoi confronti” (Cons. Stato, Sez. IV, 26 settembre 2013, n. 4801); si tenga anche presente
quanto statuito nella recente sentenza della Sezione, del 6 agosto 2013, n. 1750: “Non è
sufficiente, ai fini dell’interesse alla estrazione degli atti, relativamente a cartelle esattoriali e
relative relate di notifica per i quali si chieda l’accesso, il mero deposito in semplice copia
degli estratti di ruolo, agli atti del fascicolo di causa, perché vanno esibiti gli atti in copia
integrale e conforme all’originale, allo scopo di consentire la piena conoscenza del loro
contenuto”. Nel diverso caso in cui la cartella è notificata mediante servizio postale, l’Agente
della riscossione può legittimamente rispondere a una richiesta di accesso producendo copia
degli estratti di ruolo delle cartelle di pagamento e delle relate di notifica o dei pertinenti
avvisi di ricevimento (cfr. Cass., Sez. trib., 19 aprile 2017, n. 9845; Cass., Sez. trib., 11
novembre 2017, n. 23902), ma a piena tutela dell’interesse del privato, è comunque tenuto ad
attestare (con una specifica dichiarazione formale, della quale si assume la responsabilità,
contenuta nella copia dell’estratto di ruolo prodotta o in un autonomo documento) che i dati
riportati nell’estratto corrispondono alle risultanze dei ruoli e che né presso di sé né presso
altra Amministrazione esistono gli originali richiesti cfr. Cons. St., Sez. IV, 20 febbraio 2020,
nn. 1265 e 1264. Diversa ancora è l’ipotesi in cui negli archivi non sia più materialmente
esistente né l’originale né la copia dell’atto o documento richiesto dal contribuente (nel caso
di notifica delle cartelle a mezzo di PEC, si presuppone che il concessionario detiene
quantomeno la copia informativa dell’atto) : in tale circostanza l’Agente potrà dichiarare
(fornendone prova certa attraverso una certificazione del funzionario responsabile) che non
è più in possesso dell’originale o della copia (quanto meno, dovrebbero esservi le matrici
recanti le relate di notificazione) e che l’accesso non potrà aver luogo in forza del principio
generale espresso nel brocardo ad impossibilia nemo tenetur cfr. T.A.R. Salerno - Campania,
Sez. I, 17 ottobre 2016, n. 2283; T.A.R. Lecce - Puglia, Sez. II, 26 settembre 2016, n.1491; T.A.
R. Bari - Puglia, Sez. III, 5 novembre 2015, n. 1440. Per completezza deve tuttavia eviden-
ziarsi che non mancano decisioni che ritengono sufficiente a soddisfare l’interesse dell’i-
stante la conoscenza dell’estratto di ruolo in luogo della copia della cartella di pagamento cfr.
T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 17 luglio 2019, n. 9491; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 5 aprile
2018, n. 3779; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. II, 30 novembre 2017, n. 11861. Come detto, si tratta
di un indirizzo minoritario che peraltro non adduce una motivazione così persuasiva da
superare il tradizionale orientamento del Consiglio di Stato secondo cui: 1) “la ragione per
cui non è permesso all’amministrazione, ed al privato che esercita funzioni pubbliche, di
sostituire arbitrariamente il documento richiesto con altro sebbene equipollente deriva
espressamente dalla Legge 7 agosto 1990, n. 241 […] che all’art. 22 lett. d) fornisce la nozione
di documento amministrativo e nello stesso contesto, alla lett. a) precisa come il diritto di
accesso sia ‘il diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti
amministrativi’, ossia un diritto di acquisizione di quegli stessi documenti o delle loro copie e
non di succedanei. In questa ottica, questa Sezione ha già evidenziato come elemento
fondante dell’actio ad exhibendum sia la conformità del documento esibito al privato
all’originale, non avendo neppure rilievo scusante l’esistenza per la Pubblica amministra-
zione di impedimenti tecnici” cfr. Cons. St., Sez. IV, 6 agosto 2014, n. 4209 conforme a Cons.
St., Sez. IV, 10 aprile 2009, n. 224; 2) “l’estratto di ruolo e le cartelle esattoriali (previste
dall’art. 25 del D.P.R. n. 602 del 1973 per la riscossione degli importi contenuti nei ruoli) sono
documenti diversi per forma e contenuto, sicché l’ostensione dell’estratto di ruolo non può
ritenersi equipollente al rilascio delle copie delle cartelle esattoriali” cfr. Cons. St., Sez. IV, 8
luglio 2019, n. 4721 e n. 4714; Cons. St., Sez. IV, 9 giugno 2015, n. 2834; Cons. St., Sez. IV, 12
maggio 2014, n. 2422.
57
La riservatezza (ed il relativo right to be let alone) attribuisce rilievo all’interesse
privatistico a che sia mantenuto, appunto, il riserbo in ordine a vicende che ineriscono la
sfera personale, economica e patrimoniale di singoli soggetti (persone giuridiche o fisiche). La
segretezza, invece, risponde all’esigenza di tutelare gli interessi pubblici e generali.
58
Più diffusamente, G. Arena, Il segreto amministrativo, Padova, 1984, II, pag. 184; G.
Arena, “Le diverse finalità della trasparenza amministrativa”, in F. Merloni (a cura di) La
trasparenza amministrativa, Milano, 2008, pag. 29; G. Napolitano, “Diritto di accesso e segreto:
l’evoluzione possibile nella valutazione del segreto istruttorio come limite da ridimensionare
nei confronti delle esigenze di difesa”, in Giust. amm., n. 3/2006, pag. 601; D. Piccioni, (voce)
“Riservatezza (Disciplina amministrativa)”, in Enc. dir., Annali, VIII, Milano, 2015, pag. 722.
59
V. l’illuminante contributo di M. Clarich, “Diritto di accesso e tutela della riservatezza:
regole sostanziali e tutela processuale”, in Dir. proc. amm., n. 3/1996, pag. 430.
60
Cfr. D. Giannini, L’accesso, op. cit., pag. 216.
61
Detti regolamenti non devono essere confusi con il D.P.R. n. 184/2006 - che ha sostituito
il D.P.R. n. 352/1992, che si limita ad integrare la Legge n. 241/1990 sotto i profili soggettivi,
oggettivi e strumentali.
62
V. Cons. St., Sez. IV, 2 marzo 2004, n. 956.
63
Molti anni addietro, in Dottrina, era stata già paventata una simile prospettiva. V. sul
punto L. Ferlazzo Natoli - F. Martines, “La Legge n. 15/2005 nega l’accesso agli atti del
procedimento tributario. In claris non fit interpretatio?”, in questa Rivista, 2005, pag. 1490.
sottratti all’esibizione vi erano anche gli “atti preparatori nel corso della
formazione dei provvedimenti di cui all’art. 13, salvo diverse disposizioni di
legge”64. Ora, a fronte del generico rinvio si pose subito l’interrogativo se
l’esclusione fosse riferita al primo o al comma 2, dell’art. 13, ossia agli atti
normativi, generali, di pianificazione e programmazione o ai procedimenti
tributari65.
L’acceso acceso e fervente dibattito che si sviluppo sul punto ebbe ad
oggetto essenzialmente due questioni: la prima riguardante l’interpreta-
zione meramente letterale del testo degli articoli citati; la seconda, invece, il
riconoscimento del diritto di accesso alla documentazione tributaria solo a
seguito dell’adozione del provvedimento conclusivo del procedimento
ovvero anche durante l’iter di formazione.
Intorno al primo problema si sono contrapposti due orientamenti:
quello avanzato dal Consiglio di Stato - sposato dall’Amministrazione
finanziaria66 - e quello formulato dalla dottrina.
In via di estrema sintesi, i primi erano favorevoli ad un’interpretazione
estensiva del combinato disposto di cui al comma 6, art. 24 e all’art. 13, e ciò
in forza di due ragioni: 1) quella letterale, secondo cui con il termine
“provvedimenti” il legislatore intendeva riferirsi al loro procedimento di
formazione e non invece all’atto in se considerato, onde l’espressione “nel
corso della formazione di cui all’art. 13” era equivalente a dire “nel corso di
formazione dei procedimenti di cui all’art. 13”; 2) quella logico-sistematico,
con la quale si assumeva che l’art. 13 che l’art. 24 avevano alla base le stesse
finalità: quella di sottrarre l’applicazione di alcuni principi generali a deter-
minati procedimenti amministrativi e quella di tutelare il segreto di
ufficio67.
Sul fronte opposto, la dottrina, ritenendo poco persuasiva la soluzione
ermeneutica prospettata dai giudici amministrativi, faceva notare innanzi-
tutto che la tesi non teneva affatto conto della relazione di accompagna-
mento ai lavori preparatori della legge sul procedimento amministrativo
64
In dottrina v. L. Salvini, Accesso agli atti, op. cit., pag. 68.
65
Il primo stabiliva che le disposizioni contenute al capo V in tema di partecipazione a
procedimenti “non si applicano nei confronti dell’attività della Pubblica amministrazione
diretta alla emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di
programmazione, per i quali restano ferme le particolari norme che ne regolano la forma-
zione”, al secondo, aggiungeva che queste stesse disposizioni di cui al capo V “non si applicano
altresì ai procedimenti tributari per i quali restano parimenti ferme le particolari norme che li
regolano”.
66
V. circolare del Ministero delle Finanze del 13 febbraio 1995, n. 49/S.
67
Cons. St., Sez. IV, 11 aprile 2002, n. 1977; T.A.R. Trieste - Friuli-Venezia Giulia, 21
dicembre 2002, n. 1070; T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. I, 12 novembre 2001, n. 7191; Cons.
St., Sez. VI, 2 aprile 1998, n. 426; Cons. St., Sez. VI, 5 novembre 1995, n. 1083; Cons. St., Sez. VI,
5 ottobre 1995, n. 982. Cfr. A. Tencati, I documenti amministrativi escono dal segreto, Torino,
2000, 62; P. Alberti, “I casi di esclusione del diritto di accesso”, in M. A. Sandulli (a cura di)
Codice dell’azione amministrativa, 2011, pag. 1095.
nella misura in cui stabiliva che il rinvio del comma 6, art. 24 all’art. 13
doveva ritenersi limitato al suo comma 1; poi faceva osservare che la ratio
legis sottesa all’art. 24, in realtà, doveva rinvenirsi nella tutela e nella
salvaguardia delle attività preparatorie dei provvedimenti amministrativi
di cui al comma 1 dell’art. 13, ossia dai possibili impedimenti materiali che
potevano verificarsi se si fosse consentito l’accesso a tutti i soggetti poten-
zialmente interessati ed incisi dai loro effetti, non invece nella protezione
della segretezza e dell’attività endoprocedimentale svolta nei procedimenti
tributari68. In ultimo, sotto il profilo sistematico, si faceva altresì osservare
che gli artt. 24 e 13 erano contenuti in capi diversi della Legge n. 241/1990,
rispettivamente il V dedicato esclusivamente alla disciplina dell’accesso ed il
III relativo alla partecipazione al procedimento, di conseguenza non poteva
dubitarsi che gli “atti preparatori” di cui al comma 6, erano proprio quelli di
cui al comma 1, dell’art. 13, essendo il comma 2 finalizzato solo ad escludere
i procedimenti tributari dalla normativa della partecipazione al
procedimento69.
Intorno al secondo problema (sul riconoscimento dell’accesso nella fase
solo successiva o anche precedente all’adozione di un atto definitivo),
accanto ad un orientamento più rigido (avallato anche dal Ministero delle
Finanze con la circolare n. 213/1997)70 che ammetteva l’esercizio del diritto
di accesso agli atti preparatori71 solo a seguito dell’eventuale adozione del
68
Cfr. S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag. 1109; A. Voglino, “Ancora in
tema di accesso (amministrativamente negato, e giudizialmente accordato) agli atti del pro-
cedimento tributario di accertamento”, in Boll. trib., n. 13/1997, pag. 1035; A. Voglino,
“Osservazioni critiche sul prevalente orientamento della giurisprudenza in tema di accesso
ai documenti dei procedimenti tributari di accertamento”, in Boll. trib., n. 5/1996, pag. 395; L.
Ferlazzo Natoli - F. Martines, La tutela, op. cit., pag. 60; R. Labriola, “L’azionabilità del diritto di
accesso ai documenti relativi al procedimento tributario”, in Boll. trib., n. 6/1997, pag. 423; S. La
Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag. 1109; M. V. Serranò, La tutela del contribuente
nelle indagini tributarie, Messina, 2003, pag. 157.
69
Sul riferimento ai “provvedimenti” e non ai “procedimenti”, L. Salvini, La partecipa-
zione del privato nell’accertamento (nelle imposte sui redditi e nell’IVA), Padova, 1990, pag. 28.
70
Così il previgente paragrafo VII.4.
71
La dottrina amministrativistica suole distinguere gli atti preparatori dagli atti presup-
posto. I primi si collocano all’interno della sequenza procedimentale, ma non sono idonei a
produrre effetti sul piano della dinamica giuridica. I secondi, invece, sono atti appartenenti ad
una sequenza procedimentale, ma dotati di effetti esterni autonomi indipendentemente dalla
funzione svolta in relazione al provvedimento conclusivo. Cfr. A. M. Sandulli, Il procedimento
amministrativo, Milano, 1964, pag. 51; A. M. Corso, Atto amministrativo presupposto e ricorso
giurisdizionale, Padova, 1990; G. Greco, Argomenti di diritto amministrativo, Milano, 2008, pag.
221. In tema di atti preparatori tributari, merita particolare attenzione la sent. 19 aprile 1995, n.
264 con la quale il Consiglio di Stato censurando decisione del T.A.R. Bologna - Emila
Romagna, Sez. II, 19 novembre 1994, n. 1650 - che ordinava all’Amministrazione finanziaria
di rilasciare al contribuente la copia del provvedimento autorizzativo all’indagine bancaria -
statuiva che il diritto di accesso non poteva essere esercitato nei confronti dell’autorizzazione
all’acquisizione della documentazione bancaria emessa sul suo conto dal Direttore regionale
dell’Agenzia delle entrate, o per la Guardia di Finanza dal comandante di zona, se non al
73
V. A. Voglino, “Il diritto di accesso ai documenti dei procedimenti tributari di accerta-
mento”, in Boll. trib., n. 18/1995, pag. 1303; L. Ferlazzo Natoli - F. Martines, La tutela, op. cit.,
pag. 60; R. Labriola, “L’azionabilità del diritto di accesso ai documenti relativi al procedimento
tributario”, in Boll. trib., n. 6/1997, pag. 423; S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit., pag.
1109; S. Bardi, “Attività di verifica tributaria e diritto di accesso”, in Dir. prat. trib., n. 1/1998,
pag. 5.
74
Così M. Basilavecchia, Impossibile l’accesso, op. cit., pag. 3093.
75
Sul punto M. Basilavecchia, “L’importanza del processo (e dell’accesso) come controllo
dell’azione amministrativa tributaria”, in Dial. trib., n. 1/2010, pag. 27, secondo cui “sul piano
letterale, i dati negativi sono offerti da una disciplina tributaria, dove il diritto di accesso manca,
e da una disciplina generale del procedimento amministrativo che si autolimita rispetto agli atti
tributari, rinviando alla (inesistente) disciplina di settore. Banalizzando, il cane si morde la
coda”.
76
Cfr. M. Franchi, “Le limitazioni del diritto di accesso ai pareri dell’Avvocatura dello
Stato rilasciati alla Pubblica amministrazione”, in T.A.R., 2005, II, pag. 355; R. Garofali - G.
Ferrari, Manuale, op. cit., pag. 757; F. Caringella - R. Garofali - M. T. Sempreviva, L’accesso, op.
cit., pag. 430; V. Azzoni, “Accesso agli atti di consulenza a contenuto tributario”, in Boll. trib., n.
11/2012, pag. 872; S. Ingegnatti, “Pareri legali richiesti dalla PA: quando non è possibile il diritto
di accesso”, in Giur. it., n. 10/2018, pag. 2231; L. R. Bian, “Dalla trasparenza alla riservatezza:
accesso ai pareri legali”, in Giur. Mer., n. 9/2012, pag. 1950; R. M. Merlo de Fornasari,
“Latitudine del diritto di accesso ai pareri legali”, in Nuov. rass. legisl., n. 5/2012, pag. 565; L.
Ieva, “Ammissibile l’accesso al parere legale endoprocedimentale”, in Urban. app., n. 12/2011,
pag. 1452; M. Capolupo, “Limiti all’accesso per i pareri legali dell’Avvocatura dello Stato”, in
Rass. Avv. St., n. 4/2010, pag. 49.
77
In passato si sono avuti casi in giurisprudenza in cui l’Amministrazione finanziaria, al
fine di sottrarre atti di un procedimento di autotutela, sosteneva che questi fossero caratte-
rizzati da riservatezza e coperti dal segreto professionale in quanto contenenti tesi difensive di
un procedimento giurisdizionale, tesi peraltro non accolta in giurisprudenza cfr. Cons. giust.
amm. Sicilia, Sez. giurisd., 16 luglio 2019, n. 684; T.A.R. Catania - Sicilia, Sez. III, 19 febbraio
2018, n. 390; T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 16 gennaio 2015, n. 25; T.A.R. Milano -
Lombardia, Sez. IV, 2 aprile 2008, n. 795 e il relativo commento di M. Basilavecchia,
“Impossibile l’accesso agli atti tributari”, in Corr. Trib., n. 38/2008, pag. 3093 che mette
ottimamente in luce le contraddizioni della sentenza in questione.
78
Per tutto quanto detto sul diritto di accesso agli atti e ai documenti legali v. Cons. St.,
Sez. III,15 maggio 2018, n. 2890; Cons. St., Sez. V, 5 maggio 2016, n. 1761; Cons. St., Sez. IV, 15
aprile 2004, n. 2163; Cons. St., Sez. IV, 13 ottobre 2003, n. 6200; Cons. St., Sez. V, 2 aprile 2001,
n. 1893; Cons. St., Sez. V, 26 settembre 2000, n. 5105.
79
Il problema dipende, essenzialmente, dall’ampia e generica formulazione dell’art. 2 del
D.P.C.M. (tra l’altro, valevole per tutti gli avvocati, sia del libero foro che appartenenti ad Uffici
legali di enti pubblici v. Cons. St., Sez. VI, 30 settembre 2010, n. 7237) e dal fatto che la
giurisprudenza tende il più delle volte a interpretarlo in senso restrittivo, inibendo in tal modo
l’accesso a consulenze espresse in relazione a problematiche che potrebbero essere suscettibili
di esitare in un giudizio (o, comunque, in un procedimento di tipo contenzioso) che si tratta di
atti che ricadono nel quadro di un rapporto connotato da “da pregnanti assorbenti aspetti di
riservatezza e segreto professionale” e, quindi, tale da inibire l’accesso all’istante.
80
Per la giurisprudenza, l’attività di risk management dev’essere intesa come: “un concetto
universale e trasversale, che ha trovato applicazione in ogni settore dell’economia moderna e,
quindi, anche dell’attività pubblica, ed è definibile come quel processo attraverso il quale si
identifica, si stima o misura un rischio e, successivamente, si sviluppano strategie mediante il
coordinamento delle risorse per minimizzarlo e governarlo” e “tale dimensione esclusivamente
collettiva del diritto della salute, in tale declinazione preventiva, prospettica, che guarda al
futuro, e non già riparatoria, retrospettiva, che guarda al passato, impedisce che il privato possa
ritenersi portatore di un interesse legittimo al suo corretto esercizio che, in ultima analisi, non
coincida con un interesse al ristoro del danno subito”.
81
È un organismo a composizione multidisciplinare con funzioni consultive, a carattere
obbligatorio, ancorché non vincolante, sulle richieste risarcitorie formulate nei confronti
dell’Azienda.
82
Deve segnalarsi la posizione del T.A.R. Milano - Lombardia, Sez. III, 12 novembre 2019,
n. 2396, secondo cui i principi elaborati in materia di parere legale non possano essere applicati
analogicamente agli atti del CVS e alle perizie. A parere di questa giurisprudenza, per i pareri
legali trovano applicazione specifica gli artt. 622 c.p. e 200 c.p.p., oltre che l’art. 28 del codice
deontologico forense che disciplinano e tutelano il segreto professionale degli avvocati, mentre
per la documentazione di carattere medico trova invece applicazione l’opposto principio della
trasparenza sancito dall’art. 4 della Legge n. 24 del 2017. Si tratta, tuttavia, di un’interpreta-
zione che non trova ulteriore seguito. Anche nella sopracitata sent. n. 808/2020 il Consesso non
si esprime sul punto tuttavia, dal ragionamento svolto, fa propendere verso un’assimilazione
tra i pareri legali e quelli del CSV.
abbia interpretato la lett. b), del comma 1, dell’art. 24, poiché se applicata sic
et simpliciter, e quindi senza tener conto dell’evoluzione ermeneutica, si
dovrebbero ritenere esclusi dal diritto di accesso tutti gli atti (senza ecce-
zione alcuna) relativi ad un procedimento tributario (sia esso pendente che
concluso).
Come anticipato all’inizio del paragrafo, il Consiglio di Stato con sen-
tenza del 21 ottobre 2008, n. 5144 ha dato una lettura costituzionalmente
orientata della norma, stabilendo che essa “debba essere intesa nel senso che
la inaccessibilità agli atti di cui trattasi sia temporalmente limitata alla fase
di pendenza del procedimento tributario, non rilevandosi esigenze di ‘segre-
tezza’ nella fase che segue la conclusione del procedimento con l’adozione
del procedimento definitivo di accertamento dell’imposta dovuta [...]
Diversamente opinando si perverrebbe alla singolare conclusione che il
cittadino possa essere inciso dalla imposizione tributaria - pur nella più
lata accezione della ‘ragion fiscale’ - senza neppure conoscere il perché della
imposizione e della relativa quantificazione”83.
L’analogia tra questa conclusione e l’interpretazione giurisprudenziale
maggioritaria anteriforma è lampante: ieri come oggi il contribuente è
titolare del diritto di accesso agli atti preparatori del provvedimento impo-
sitivo, e a quelli successivi, ma l’esercizio di tale diritto gli è temporalmente
inibito - in quanto l’Amministrazione finanziaria può legittimamente rifiu-
tare l’istanza di accesso - fino alla conclusione del procedimento, ossia fino
all’emanazione dell’avviso di accertamento84.
83
In questo senso Cons. St., Sez. IV, 31 luglio 2014, n. 4046; Cons. St., Sez. IV, 26 settembre
2013, n. 4821; Cons. St., Sez. IV, 20 settembre 2012, n. 5047; Cons. St., Sez. IV, 15 febbraio 2012,
n. 766; Cons. St., Sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 53. In dottrina v. R. Lupi, “Dall’amministrativo al
tributario e ritorno”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 46; G. Vanz, I poteri conoscitivi
dell’Amministrazione finanziaria, Padova, 2012, pag. 164; A. Iorio - S. Sereni, “Consiglio di
Stato, Sez. IV, n. 5144 del 21 ottobre 2008. Accertamento tributario: atti endoprocedimentali e
diritto di accesso”, in il fisco, n. 48/2008, pag. 8625. V. pure M. Di Siena, “L’accesso agli atti del
procedimento tributario: da ‘droit octroyé’ a diritto fondamentale desumibile dall’assetto
costituzionale”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 43, in ispecie laddove osserva che vietare com-
pletamente l’accesso agli atti tributari condurrebbe all’irrazionale conclusione “per cui il
procedimento tributario sarebbe stato contraddistinto da un livello di segretezza incompara-
bilmente superiore a quello del procedimento penale”. In tema di accesso agli atti di indagine
compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria v. anche M. G. Cipolla, “Diritto di
difesa del contribuente ed accesso informativo alla ‘notitia criminis’”, in GT - Riv. giur. trib., n. 1/
2012, pag. 55 e M. Di Siena, “Ma è proprio vero che la denunzia/informativa a fronte di un reato
tributario è sempre accessibile per l’indagato?”, in Dial. trib., n. 5/2011, pag. 552; M.
Basilavecchia, “Diritto di accesso alla notizia di reato all’interno del procedimento tributario”,
in Dial. trib., n. 5/2011, pag. 552.
84
Per completezza deve evidenziarsi che, nonostante siffatti approdi del Consiglio di
Stato, in alcune sentenze dei tribunali amministrativi regionali si legge che non è
consentito l’accesso agli atti dei procedimenti tributari non solo per espressa previsione
di cui all’art. 24, comma 1, lett. b), ma anche perché nella specifica normativa di settore
non vi sarebbe alcuna disposizione legittimante detta pretesa cfr. T.A.R. Milano -
Lombardia, Sez. IV, 2 aprile 2008, n. 795 con commento di E. Antivalle - S. Carmini,
“Accesso agli atti e diritto tributario”, in Dial. trib., n. 6/2008, pag. 61. V. anche F. Graziano,
“Conciliazione degli interessi del Fisco e del contribuente nell’accesso agli atti tributari”, in
GT - Riv. giur. trib., n. 2/2009, pag. 135. Analogamente T.A.R. Firenze - Toscana, Sez. I, 9
luglio 2009, n. 1215 ed il commento di M. Di Siena, “‘Nec recisi recedunt’: isolate resistenze
della magistratura amministrativa toscana sull’accesso agli atti tributari”, in Dial. trib., n. 1/
2010, pag. 24. Antecedentemente alla pronuncia del Consiglio di Stato del 2008 v. T.A.R.
Firenze - Toscana, Sez. I, 20 dicembre 2007, n. 5143.
85
Come detto già in precedenza, l’accertamento tributario non segue uno schema pro-
cedimentale unico e non è dato da sequenza di atti prestabilita, al contrario si caratterizza per
una pluralità di moduli procedimentali di conseguenza non è proficuo assumere la notifica
dell’avviso di accertamento a momento centrale e determinante per l’esercizio del diritto di
accesso. V. M. Basilavecchia, “Nuovi riconoscimenti al diritto di accesso”, in Corr. Trib., n. 4/
2010, pag. 260.
86
V. R. Lupi, “Irresistibili tentazioni giurisprudenziali e carenze concettuali”, in Dial.
trib., n. 6/2008, pag. 61 e M. A. Tropea, “Il limite al diritto di accesso agli atti aventi natura
tributaria”, in Riv. dir. trib., n. 1/2017, pag. 141.
87
In questo senso, è quanto mai attuale l’osservazione di autorevole dottrina secondo cui,
dando seguito a detta soluzione “si lascia in ombra il fatto che l’accertamento è solo una
conseguenza eventuale dei controlli tributari e che, quindi, quel temporaneo differimento
diviene di fatto una definizione definitiva”: cfr. S. La Rosa, Accesso agli atti dispositivi, op. cit.,
pag.1109. Sul punto, v., altresì, M. Basilavecchia, “Il Consiglio di Stato recupera l’accesso agli
atti del procedimento tributario”, in Dial. trib., n. 1/2009, pag. 42; R. Lupi, “Matrice ammini-
strativistica della tassazione e accesso agli atti”, in Dial. trib., n. 1/2010, pag. 23; A. Viotto, I poteri
di indagine, op. cit., pag. 339; S. Stufano, La tutela del contribuente nelle indagini tributarie,
Milano, 2015, pag. 61; A. Giovannello, “Il diritto di accesso nel procedimento tributario”, in F. P.
Pugliese (a cura di) La legge sul procedimento amministrativo. Legge 7 agosto 1990, n. 241.
Prospettive di alcuni istituti, Milano, 1999, pag. 113. Sulla variabilità dello schema procedi-
mentale v. L. Salvini, “Procedimento amministrativo (Dir. trib.)”, in Diz. dir. pubbl., 2006, V,
pag. 4531.
88
In merito, è stato efficacemente osservato “tale pericolo non sussiste per quanto attiene
alle prove già raccolte, sia perché il contribuente che richiede di accedere agli atti formati (e ai
documenti acquisiti) nel corso delle indagini è già di fatto a conoscenza dello svolgimento di
una verifica nei suoi confronti […] e dunque è già nella condizione di poter distruggere od
occultare i documenti che reputa compromettenti” così A. Viotto, I poteri di indagine, op.cit.,
pag. 335.
89
Come affermato da autorevole dottrina “non c’è alcuna ragione per cui l’istituzione
pubblica di riferimento del diritto tributario non debba fare accedere i cittadini ai propri
archivi, una volta che questo accesso sia sancito per la generalità delle Amministrative
pubbliche”: cfr. R. Lupi, “Matrice amministrativistica della tassazione e accesso agli atti”, in
Dial. trib., n. 1/2010, 23. V. anche L. Salvini, Accesso agli atti, op. cit., pag. 70.
90
L’estensione del diritto di accesso potrebbe trovare giustificazione sulla base del dovere
dell’Amministrazione di assicurare al contribuente l’effettiva conoscenza degli atti a lui desti-
nati, nonché dei fatti o delle circostanze che ne possono costituire l’oggetto e dai quali possa
derivare una lesione alla sua sfera giuridica. Il contribuente deve avere la possibilità di
conoscere per tempo l’esistenza di un procedimento a suo carico e che potrebbe incidere
sulla sua posizione giuridica in modo da poter eventualmente precisare o confutare le risul-
tanze istruttorie o chiarire la propria posizione prima che venga adottato un provvedimento
definitivo. In questa prospettiva, verrebbero tutelate le esigenze riferibili all’Amministrazione
di non aggravio del procedimento, di celerità, economicità e speditezza dell’esercizio della
funzione e non solamente quelle del contribuente. Da tempo la dottrina sostiene la centralità
del dovere di informazione quale principio generale applicabile ad ogni tipo di procedimento
tributario v. M. Pierro, Il dovere di informazione dell’Amministrazione finanziaria, Torino, 2013.
91
Il principio di buona fede è stato fortemente valorizzato dalla dottrina: v. M. Trivellin, Il
principio di buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009; A. Colli Vignarelli, “Considerazioni
sulla tutela dell’affidamento nello Statuto dei diritti del contribuente”, in Riv. dir. trib., n. 1/
2001, pag. 702; A. Marcheselli, Il giusto procedimento, op. cit., pag. 22; D. Stevanato, “Buona
fede e collaborazione nei rapporti fra fisco e contribuente”, in G. Marongiu (a cura di) Lo
Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2004, pag. 149; E. Della Valle, “Il principio di buona
fede oggettiva e la marcia inarrestabile dello statuto” [nota a sentenza: Cass., Sez. trib., 10
dicembre 2002, n. 17576], in Riv. dir. trib., 2003, pag. 249; E. Della Valle, “La tutela dell’affi-
damento e della buona fede nei rapporti tra contribuente e fisco”, in Corr. Trib., n. 25/2002, pag.
3968; E. Della Valle, Affidamento e certezza nel diritto tributario, Milano, 2001.
92
Cons. Stato, Sez. V, 28 febbraio 2020, n. 1451; Cons. Stato Sez. III, 1° agosto 2019, n.
5475; T.A.R. Venezia - Veneto, Sez. III, 26 luglio 2019, n.894; T.A.R. Brescia – Lombardia, Sez. I,
1° febbraio 2019, n. 106; T.A.R. Roma - Lazio, Sez. III, 1° agosto 2018, n. 8584; Cons. Stato, Sez.
VI, 11 aprile 2017, n. 1692. Una diversa interpretazione, più restrittiva è invece fornita
dall’ordinanza del Cons. St., Sez. VI, 7 febbraio 2014, n. 600 secondo il quale, il controlimite
di cui al comma 7 vale per i dati personali sensibili e sensibilissimi di cui al precedente
comma 5 e non invece per i casi di cui al comma 1. V. anche le riflessioni di M. Bambino,
“Accesso agli atti dell’Amministrazione finanziaria e tutela del contribuente”, in questa
Rivista, n. 6/2012, pag. 1557 laddove auspica di considerare il citato comma 7 come un
“assunto categorico”.
93
V. l’autorevole commento di M. Basilavecchia, Contraddittorio preventivo, op. cit.,
pag. 737.
94
Secondo la CGUE “poiché il destinatario di una decisione che arreca pregiudizio deve
essere messo in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata,
al fine, in particolare, che l’autorità competente sia messa in grado di tenere utilmente conto di
tutti gli elementi pertinenti e che, eventualmente, tale destinatario possa correggere un errore e
far valere utilmente tali elementi relativi alla sua situazione personale, l’accesso al fascicolo
deve essere autorizzato nel corso del procedimento amministrativo. Quindi, una violazione del
diritto di accesso al fascicolo intervenuta durante il procedimento amministrativo non è sanata
dal semplice fatto che l’accesso a quest’ultimo è stato reso possibile nel corso del procedimento
giurisdizionale relativo ad un eventuale ricorso diretto all’annullamento della decisione
contestata”.
95
Tra le più importanti pronunce della Corte di Giustizia v. sent. 5 novembre 2014,
Mukarubega/Préfet de police - Préfet de la Seine-Saint-Denis, causa C-166/13; sent 22 ottobre
2013, Sabou/Finanční ředitelství pro hlavní město Prahu, causa C-276/12; sent. 18 dicembre
2008, Sopropé/Fazenda Pública, causa C-349/07; sent. 7 gennaio 2004, Aalborg Portland e a./
Commissione, C-204/00, C-205/00, C-211/00, C-213/00, C-217/00, C-219/00; sent. 2 ottobre
2003, Corus UK/Commissione, causa C-199/99; sent. 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl
Maatschappij e a./Commissione, C-238/99, C-244/99, C-245/99, C-247/99, C-250/99; C-252/
99; C-254/99; sent. 8 luglio 1999, Hercules Chemicals/Commissione, C-51/92.
96
Sul punto v. G. Della Bartola, “Diritto di accesso agli atti del procedimento tributario
(quasi) senza limiti”, in Corr. Trib., n. 6/2018, pag. 457; S. Marchese, “Attività istruttorie
dell’Amministrazione finanziaria e diritti fondamentali europei dei contribuenti”, in Dir.
prat. trib., n. 3/2013, pag. 587.
97
L’art. 41, per la verità, non esaurisce tutte le condotte che devono essere adottate per
dare attuazione alla c.d. buona amministrazione, la cui elaborazione giurisprudenziale della
CGE è molto più ampia e articolata, recando una serie di indicazioni attinte dalle tradizioni
costituzionali comuni ai singoli Paesi membri. Sulla portata e sui contenuti dell’art. 41, v. M.
Basilavecchia, “Per una buona azione amministrativa nella riscossione dei tributi”, in M. Pierro
(a cura di) Il diritto ad una buona amministrazione nei procedimenti tributari, Milano, 2019, pag.
321; G. Ragucci, “Il diritto ad una buona amministrazione e il contraddittorio: materiali per un
bilancio”, in M. Pierro (a cura di), op.cit., pag. 153; M. Pierro, Il dovere di informazione, op. cit.;
A. Di Pietro (a cura di), Lo statuto della fiscalità dell’Unione Europea. L’esperienza e l’efficienza
dell’armonizzazione, Roma, 2003, passim.
98
L’elencazione generica e onnicomprensiva è la seguente: “atti preparatori ed endopro-
cedimentali del procedimento tributario da cui scaturiscono attività di liquidazione, controllo
e gestione dei tributi; atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’emissione del-
l’autorizzazione all’esecuzione delle indagini finanziarie; segnalazioni in forma anonima e non
anonima utilizzate come fonti di innesco per attività di controllo; atti e documenti relativi ai
procedimenti riguardanti l’accertamento dei tributi e l’irrogazione delle sanzioni amministra-
tive tributarie; atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’iscrizione all’anagrafe
delle ONLUS e la cancellazione dalla stessa; gli atti e documenti relativi ai procedimenti
riguardanti l’adozione di provvedimenti di autorizzazione alla stampa di documenti fiscali e
relative revoche; gli atti e documenti relativi ai procedimenti riguardanti l’adozione di provve-
dimenti di autorizzazione alla gestione di depositi IVA; atti e documenti relativi ai procedi-
menti riguardanti l’adozione di provvedimenti di trasferimento del domicilio fiscale”.
99
Altrettando non può dirsi per all’Agenzia delle entrate rispetto alla quale la regola
continua ad essere la piena e completa acquisizione del maggior quantitativo di dati e di
informazioni della totalità della popolazione e la deroga l’esclusione. A riprova, basti ricordare
il parere del 9 luglio 2020 con il quale Garante della Privacy ha ritenuto contrario agli artt. 5, par.
1, lett. a), 6, par. 3, 9, 10, 24 e 25 del Reg. UE 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del
27 aprile 2016 e non proporzionato all’obiettivo di interesse pubblico lo schema del provvedi-
mento del Direttore dell’Agenzia delle entrate in materia di emissione e ricezione delle fatture
elettroniche in attuazione all’art. 14 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito dalla Legge 19
dicembre 2019, n. 157, che introduce la memorizzazione dei file delle fatture elettroniche.
100
Nella sequela meramente esemplificativa fornita dall’Agenzia delle entrate si leggono:
“note, appunti, pareri interni, proposte degli Uffici ed ogni altra elaborazione con funzione di
studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti ad eccezione delle parti che
costituiscono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento, opportunamente oscu-
rate nel rispetto della normativa sulla riservatezza; documenti di definizione degli indirizzi, di
coordinamento e monitoraggio delle attività per il macroprocesso ‘Amministrare information
technology’; pareri di altre Pubbliche amministrazioni, ad eccezione delle parti che costitui-
scono motivazione per relationem dell’atto o provvedimento amministrativi, opportunamente
oscurate nel rispetto della normativa sulla riservatezza; pareri legali relativi a controversie in
atto o potenziali e inerente corrispondenza, salvo che gli stessi costituiscano presupposto
logico giuridico di provvedimenti assunti dall’Agenzia e siano in questi ultimi richiamati; atti e
corrispondenza inerenti la difesa dell’Agenzia nella fase precontenziosa e contenziosa e
rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale; verbali delle riunioni del Comitato di
Gestione nelle parti riguardanti atti, documenti ed informazioni sottratti all’accesso o di rilievo
puramente interno”.
101
In ispecie, il comma 7, in altre parole, introduce un giudizio valutativo di tipo
compartivo che consente l’accesso alla documentazione di cui ai commi precedenti dell’art.
24 e di quelli riguardanti la privacy. Solo per i documenti che contengono dati sensibilissimi è
richiesto che la situazione che si intende tutelare con la richiesta di accesso è di rango pari ai
diritti dell’interessato o consiste in un altro diritto inviolabile o libertà fondamentale.
Sull’interpretazione del comma 7 v. M. Logozzo, “Il diritto ad una buona amministrazione
e l’accesso agli atti nel procedimento tributario”, in M. Pierro (a cura di), op.cit., pag.171.
102
Il riferimento è chiaramente ai “pareri legali relativi a controversie in atto o potenziali e
inerente corrispondenza” od anche gli “atti e corrispondenza inerenti la difesa dell’Agenzia
nella fase precontenziosa e contenziosa e rapporti rivolti alla magistratura contabile e penale”.
103
Le “note, appunti, pareri interni, proposte degli uffici ed ogni altra elaborazione con
funzione di studio e di preparazione del contenuto di atti o provvedimenti” di cui al punto 15.4
hanno la stessa funzione e natura degli “atti preparatori ed endoprocedimentali del procedi-
mento tributario da cui scaturiscono attività di liquidazione, controllo e gestione dei tributi” di
cui al precedente punto 15.3, lett. b).
104
Il provvedimento esclude l’accesso ai “documenti di privati detenuti dall’Agenzia per
fini pubblici”. Sul punto ci si limita solo ad osservare che, in verità, è la stessa definizione di
“documento amministrativo” ad includere anche quelli di natura privatistica, definizione
peraltro riportata a chiare lettere nel Titolo II, punto 4, lett. d), del provvedimento. Anche
qui emerge un’evidente contraddizione di difficile soluzione.
105
È espressamente previsto al comma 7, della Legge n. 241/1990 che “nel caso di
documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia
strettamente indispensabile e nei termini previsti dall’art. 60 del decreto legislativo 30 giugno
2003, n. 196, in caso di dati idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale”.
106
Il relativo procedimento di carattere svolge secondo le modalità di cui all’art. 87,
comma 3, c.p.a., pertanto: tutti i termini processuali sono dimezzati (il dimezzamento non
opera per il deposito del ricorso, che resta di 30 giorni); l’udienza si tiene in camera di consiglio
la quale è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente
dalla scadenza del termine di costituzione in giudizio delle parti intimate; non sono previsti
termini per il deposito di memorie e documenti; non è prevista una fase istruttoria in senso
stretto (qui il carattere sommario); i difensori delle parti sono sentiti in camera di consiglio se ne
fanno richiesta (in continuità con la normativa previgente, il c.p.a. ammette alle parti di stare in
giudizio personalmente); il termine per l’appello è di 30 giorni; la tipizzazione dei poteri del
giudice in caso di accoglimento totale o parziale (si tratta di un tipico giudizio sul rapporto in
cui il giudice è chiamato ad accertare la sussistenza o meno della richiesta di esibizione dei
documenti, quindi in caso di fondatezza della domanda, condanna l’Amministrazione ad un
facere specifico: l’ostensione); la sentenza è redatta in forma semplificata. La mancata notifica
del ricorso ai controinteressati (art. 22, Legge n. 241/1990) determina l’inammissibilità del
ricorso. Per quanto non previsto dal rito speciale, si deve fare riferimento alle disposizioni per il
giudizio ordinario. V., in dottrina, M. Sannino, “Il diritto di accesso ai documenti ammini-
strativi: Le modalità di esercizio della tutela”, in V. Cerulli Irelli (a cura di) La disciplina generale
dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 409; A. Police, “Riflessi processuali della disci-
plina generale dell’azione amministrativa”, in V. Cerulli Irelli (a cura di) La disciplina generale
dell’azione amministrativa, Napoli, 2006, pag. 447.
anche adducendo la violazione del comma 7, dell’art. 24, della Legge n. 241 o
dei principi generali dello Statuto o di altre norme dell’ordinamento, il citato
provvedimento è il l’unico atto a fornire una regolazione ad hoc sull’esibi-
zione degli atti tributari attinenti alla fase antecedente all’emanazione del
provvedimento definitivo; con la conseguenza che il giudice amministrativo
può darvi legittimamente applicazione in forza dell’inciso “per i quali
restano ferme le particolari norme che li regolano” di cui all’art. 24,
comma 1, lett. b). In altre parole, in questo caso, non può operare il criterio
gerarchico delle fonti che consente la disapplicazione della norma inferiore
in contrasto con quella di rango superiore, poiché è la stessa legge sul
procedimento amministrativo a escluderlo per questa tipologia di
documenti.
Tanto meno è possibile far valere l’illegittimità del provvedimento
direttoriale e impugnarlo ex se: esso ha infatti natura regolamentare di
atto interno107, espressivo del potere di autorganizzazione proprio dei
vertici di qualunque Ente pubblico108 nei confronti dei soggetti in posizione
gerarchicamente inferiore, sottordinata, nell’ambito della stessa ammini-
strazione, e non è in grado di incidere immediatamente sulle posizioni
giuridiche esterne, quali quelle dei soggetti privati (richiedendo a tal fine
la mediazione di altri atti per la loro concreta attuazione)109. Tutto ciò porta
a escludere che detti atti, nel quadro delle fonti del diritto, possano avere
un’incidenza diretta sul piano sull’ordinamento generale e confronti di terzi
estranei all’organizzazione dell’Amministrazione110, onde la loro (even-
tuale) illegittimità non può essere fatta valere autonomamente e indipen-
dentemente dall’emanazione di un provvedimento che vi dia esecuzione.
A questo punto, e allo scopo di ovviare a questo vuoto di tutela a danno
del contribuente, si potrebbero ipotizzare due diverse soluzioni.
107
Si tratta di “atti che tutte le Pubbliche amministrazioni emanano, creando ordina-
menti giuridici particolari, al fine di disciplinare l’organizzazione e l’azione dei loro organi e
Uffici, dando luogo, in ossequio al principio della pluralità di ordinamenti giuridici, a un
ordinamento amministrativo interno separato dall’ordinamento giuridico generale” cfr. F.
Caringella, Manuale, op. cit., pag. 596.
108
Questo potere di supremazia c.d. speciale non ha bisogno di alcuna copertura legale a
differenza del potere normativo secondario che, all’opposto, necessita di una norma attributiva
del potere.
109
V. F. Bellomo, Nuovo sistema del diritto amministrativo, 2013, I, Bari, pag. 188.
110
Avverso questi atti, quindi, non sono ammessi né il ricorso per Cassazione, né l’ap-
plicazione dei principi iura novit curia e ignorantia legis non excusat. Semmai, la violazione di
una sua norma da parte di un provvedimento avente rilevanza esterna potrà essere valere, ma
non sotto il profilo della violazione di legge, ma di eccesso di potere dell’organo o ufficio
sottordinato (oltre che la sua inosservanza da parte di un dipendente, se immotivata, può essere
fonte di responsabilità civile, penale e disciplinare). Solo in tale circostanza il giudice ammini-
strativo può accertare incidentalmente l’eventuale illegittimità della norma interna e mediante
un meccanismo per certi aspetti simile ala disapplicazione, decidere per la legittimità dell’atto
amministrativo applicativo.
111
Sul punto, M. Trivellin, Il principio di buona, op. cit., pag. 37.
112
Al quale fa da pendant la tutela dell’affidamento, tutt’altro che trascurabile considerata
la posizione si soggezione del contribuente nel procedimento di accertamento cfr. A.
Marcheselli, Il giusto procedimento, op. cit., pag. 65.
113
Non ci si addentra nella distinzione tra comportamento amministrativo e comporta-
mento mero da cui dipende, a sua volta, la relativa giurisdizione, ma ci si limita solo ricordare
sinteticamente che nel caso in cui l’Amministrazione ponga in essere un atto di esercizio del
potere amministrativo la controversia spetta alla giurisdizione dell’autorità giudiziaria ammi-
nistrativa; diversamente, ogniqualvolta si denunci un comportamento della PA privo di ogni
interferenza con un atto autoritativo - non potendosi reputare neanche mediatamente espres-
sione dell’esercizio del potere autoritativo, o quando l’atto o il provvedimento di cui la condotta
dell’amministrazione sia esecuzione non costituisca oggetto del giudizio, facendosi valere
unicamente l’illiceità del comportamento del soggetto pubblico ex art. 2043 c.c., suscettibile
di incidere su posizioni di diritto soggettivo del privato - la giurisdizione spetta al giudice
ordinario. Cfr. Cass. civ., SS.UU., sent. 29 dicembre 2016, n. 27455 e del 28 aprile 2020, n. 8236.
114
In questa sede si preferisce non prendere neppure in considerazioni questa tipologia di
tutela, basti solo precisare che è esperibile innanzi alla commissione per l’accesso (se oggetto
del ricorso sono atti di amministrazioni statali e periferiche dello Stato) o al difensore civico
territorialmente competente (se oggetto del ricorso sono atti di amministrazioni comunali,
provinciali e regionali) e che ha natura di rimedio amministrativo la cui disciplina si rinviene
all’art. 25 della legge sul procedimento amministrativo.
115
Consentire al contribuente l’accesso alla documentazione inerente al proprio fascicolo
significherebbe - lo si ribadisce - garantirgli una più adeguata tutela e, prima ancora, consen-
tirgli di collaborare attivamente con l’Amministrazione finanziaria, di apportare elementi utili
ai fini dell’accertamento, di fornire ulteriori informazioni e chiarimenti ai fini del persegui-
mento dell’interesse fiscale. Queste facoltà non cambiano la sua posizione (che resta sempre di
soggezione) e l’Amministrazione continua ad essere il solo soggetto a cui spetta l’esercizio del
diritto di credito connesso all’obbligazione tributaria. In definitiva si otterrebbe: (a) una
funzione impositiva più efficace, efficiente ed economica; e (b) un maggior rispetto di una
giusta e imparziale applicazione della legge e dei precetti Costituzionali.
ISTITUZIONALI
Spunti per una rivoluzione fiscale che acceleri
la transizione ecologica e la riduzione delle
disuguaglianze dopo la pandemia da COVID-19*
Salvatore Villani
Abstract: The health crisis caused by the Coronavirus pandemic (COVID-19) has
highlighted the need to understand and face the challenges of contemporary
development through a paradigm shift, that is, through the transition from a
development paradigm which concerns only some Nations or Regions of the planet
to a global development paradigm. This paper intends to show how, in the
Coronavirus era, the implementation of a green tax revolution inspired by the
theoretical principles of the Capabilities Approach could represent the ideal star-
ting point to begin the aforementioned transformation, organize the economic
recovery and accelerate the transition towards more sustainable and inclusive
development models.
* Una prima versione di questo scritto è stata presentata alla 2020 HDCA CONFERENCE:
“New Horizons: Sustainability & Justice”, organizzata dall’Human Development & Capability
Association presso l’Università di Massey (Nuova Zelanda) dal 30 giugno al 2 luglio 2020.
1
Cfr. J.A. Oldekop - R. Horner et al., “COVID-19 and the case for global development”, in
World Development, n. 134/2020, pag. 105044.
2
Cfr., fra gli altri, a tale riguardo, R. Horner - D. Hulme, “From international to global
development: new geographies of 21st century development”, in Development and Change, n. 50
(2)/2019, pagg. 347-378 e R. Horner, “Towards a new paradigm of global development? Beyond
the limits of international development”, in Progress in Human Geography, n. 44(3)/2020, pagg.
415-436.
1.1. Effetti sul benessere del cambiamento climatico e ruolo dei sistemi
tributari - Gli effetti del cambiamento climatico sono sempre più tangibili
ed interessano tutte le Regioni del pianeta, spingendo quest’ultimo verso un
punto oltre il quale i danni alle condizioni di esistenza dell’umanità potreb-
bero diventare gravissimi ed irreversibili3. Il livello dei mari continua,
infatti, ad aumentare, i ghiacciai si stanno sciogliendo sempre più rapida-
mente e molte specie si stanno spostando dalle zone equatoriali, o prossime
all’Equatore, verso le Regioni polari alla ricerca di condizioni più adatte alla
loro sopravvivenza.
Tale cambiamento, sostengono di comune accordo gli scienziati, è
dovuto principalmente alle attività umane e ai sistemi attuali di produzione
(basati su tecniche capital-intensive e labour-saving) e di consumo (che
determinano l’esaurimento del capitale naturale disponibile, dal quale
dipende il benessere della generazione attuale e di quelle future), palese-
mente in contrasto con le regole biologiche che caratterizzano gli ecosistemi
terrestri4. Per definire i devastanti effetti sugli ecosistemi delle attività
umane è stata coniata persino una nuova nozione, che è attualmente al
centro di un vivo dibattito di natura interdisciplinare sulle sue caratteristi-
che e sulla sua periodizzazione5. Ci riferiamo alle attuali discussioni sul
3
Secondo un recente studio internazionale pubblicato sul Nature (T.M. Lenton - J.
RockStröm - O. Gaffney - S. Rahmstorf - K. Richardson - W. Steffen - H.J. Schellnhuber,
“Climate tipping points - too risky to bet against”, in Nature, n. 575, 28 novembre 2019, pagg.
592-595), la situazione climatica della Terra è davvero molto delicata: il pianeta avrebbe già
raggiunto, sebbene non ancora oltrepassato, ben nove punti di non ritorno (nine tipping points).
Se dovessero verificarsi interazioni tra essi o effetti dannosi a cascata, non è possibile escludere
un tipping point globale, ovvero una minaccia esistenziale alla civiltà umana. In tal caso,
nessuna analisi costi-benefici potrà aiutarci, ad eccezione di un radicale cambiamento di
approccio al problema, basato su una strategia di cooperazione globale. Non è possibile,
infatti, pensare di risolvere un problema mondiale senza un piano d’azione globale. Al riguardo,
v. amplius J.D. Sachs, Common Wealth: Economics for a Crowded Planet, cap. IV, Penguin,
Londra, 2008.
4
Cfr. Unep, Sustainable Consumption and Production. A Handbook for Policymakers, New
York, 2015; S. Pogutz - V. Micale, “Sustainable consumption and production: An effort to
reconcile the determinants of environmental impact”, in Society and Economy, n. 33(1)/2011,
pagg. 29-50; L. Lebel - S. Lorek, “Enabling sustainable production-consumption systems”, in
Annual Review of Environment and Resources, n. 33/2008, pagg. 241-275.
5
Per un’ampia ed accurata ricostruzione di questo dibattito, v. P. Heikkurinen (a cura di),
Sustainability and peaceful coexistence for the Anthropocene, Routledge, London, 2017; J.R.
7
Cfr. M. Crist, “Does Coronavirus Bring a New Perspective on Climate Change? Readers
discuss the effect of the virus on the environment going forward”, in The New York Times del 5
aprile 2020.
8
Cfr. S. Evans, “Analysis: Coronavirus set to cause largest ever annual fall in CO2
emissions”, in Carbon Brief del 9 aprile 2020.
9
Nicholas Stern, nel suo famoso rapporto del 2006 sul cambiamento climatico, illustrò
per la prima volta la gravità dei rischi dell’inazione o di un intervento tardivo volto a fronteg-
giare il c.d. dilemma ambientale. È evidente che ulteriori investimenti nei tradizionali processi
di produzione industriale, effettuati al fine di rilanciare l’economia dei Paesi colpiti dall’emer-
genza sanitaria da Coronavirus, potrebbero produrre effetti ancor più gravi ed irreversibili
rispetto a quelli che erano stati da lui originariamente prospettati. Cfr. ancora S. Evans,
Analysis: Coronavirus set to cause largest ever annual fall in CO2 emissions, cit., e L.Y.
Sulistiawati - D.K. Linnan, “COVID-19 Versus Climate Change Impacts: Lesson Learned
During the Pandemic”, in NUS Asia-Pacific Centre for Environment Law Working Paper, n. 20
(04)/2020.
10
Anche altri studiosi del cambiamento climatico e delle sue conseguenze hanno espresso
recentemente la stessa esigenza. Cfr., infra alios, W.F. Lamb - J.K. Steinberger, “Human well-
being and climate change mitigation”, in Wiley Interdisciplinary Reviews: Climate Change, n. 8
(6)/2017, pag. 485; N. Wood - K. Roelich, “Tensions, capabilities, and justice in climate change
mitigation of fossil fuels”, in Energy Research & Social Science, n. 52/2019, pagg. 114-122.
11
N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabilities, and justice in climate change mitigation of
fossil fuels, cit., pag. 117 ss.
12
Ci riferiamo all’impianto teorico descritto in N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabi-
lities, and justice in climate change mitigation of fossil fuels, cit.
13
L’opportunità di utilizzare indicatori della capacità contributiva correlati alle capabi-
lities è stata sostenuta con forza, in una prospettiva redistributiva, da Gallo. Cfr. F. Gallo, Le
ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, Il Mulino, Bologna, 2007; F. Gallo,
proposta di istituire imposte sui c.d. beni comuni globali - come l’atmosfera,
il clima, la salubrità dell’ambiente, gli oceani, il bagaglio di conoscenza
umana e tutti quei beni, come Internet, che sono frutto della creazione
collettiva14 - e di redistribuirne il gettito per ridurre le disuguaglianze
economiche e la povertà (v. § 5). La rapacità del capitalismo è responsabile,
infatti, del progressivo esaurimento di queste risorse destinate a soddisfare
interessi della collettività e perciò meritevoli di tutela. È oggi più che mai
urgente una seria riflessione su come difenderli, obbligando coloro che ne
15
L’OCSE, nel suo ultimo rapporto sull’impatto economico della pandemia (cfr. OCSE,
OCSE Interim Economic Assessment - Coronavirus: The world economy at risk, OCSE
Publishing, Parigi, 2 marzo 2020), ha previsto che la crescita del PIL globale annuo scenderà
al 2,4% nel 2020, da un già debole 2,9% nel 2019, e ritornerà a crescere ad un ritmo più sostenuto
(3,3%) nel 2021, ammesso sempre che non si assista ad una probabilissima risalita dei contagi
nella seconda parte del corrente anno.
16
Per un confronto dettagliato tra le misure di emergenza adottate finora nei 32 Paesi che
il FMI considera “economie avanzate” per rispondere alla crisi economica causata dal
Coronavirus, v. F. Angei - E. Frattola - P. Mistura, Le misure fiscali anti-COVID nei 32 Paesi
avanzati: un confronto aggiornato, Università Cattolica di Milano, Osservatorio sui Conti
Pubblici Italiani, Milano, 2020.
17
Dal 1° gennaio 2015, in Cina è entrata in vigore la nuova legge per la protezione
ambientale, che manifesta la volontà del Governo cinese di incorporare la protezione ambien-
tale nella pianificazione socio-economica.
18
La questione delle conseguenze causate dall’alto livello di inquinamento atmosferico,
della terra e dell’acqua nella maggior parte della Cina, soprattutto nelle grandi città, ha portato
gradualmente il Governo cinese ad adottare nuove leggi, decreti e standard nazionali in materia
di tutela ambientale. Ricordiamo alcuni degli interventi legislativi più rilevanti in materia di
prevenzione e controllo dell’inquinamento atmosferico: la Law on Prevention and Control of
Atmospheric Pollution, la Environmental Impact Assessment Law, la Cleaner Production
Promotion Law, la Renewable Energy Law, la Energy Conservation Law, la Water Pollution
Control Law, la Circular Economy Promotion Law e la Vehicles and Ships Tax Law.
19
Il miglioramento della qualità dell’aria prodotto dal blocco forzato della produzione è
stato confermato da numerose analisi effettuate mediante l’utilizzo di svariati strumenti di
misurazione. Per una sintetica rassegna, v. V. Chandrashekhar, “India’s push to relax envi-
ronmental assessment rules amid pandemic draws criticism”, in Science del 7 maggio 2020.
20
Cfr. ancora V. Chandrashekhar, India’s push to relax environmental assessment rules
amid pandemic draws criticism, cit.
21
Il progetto del Governo britannico, importante ma al contempo ambizioso, prevede di
sostituire, entro il 2023, tutti i treni attualmente in circolazione nel Regno Unito, con le nuove
soluzioni completamente ad idrogeno. Cfr. M. Wright, “Hydrogen-powered trains could be
carrying UK passengers by 2023”, in The Telegraf del 30 settembre 2020.
22
La strategia elenca 38 azioni per realizzare un sistema energetico più integrato. Tra
queste si annoverano la revisione della normativa vigente; il sostegno finanziario; la ricerca e
l’introduzione di nuove tecnologie e strumenti digitali; orientamenti per guidare gli Stati
membri nell’elaborazione di misure fiscali e nella graduale eliminazione dei sussidi ai combu-
stibili fossili; la riforma della governance del mercato; la pianificazione infrastrutturale e una
migliore informazione rivolta ai consumatori.
23
Il Klima Paket dovrebbe essere finanziato per una parte modesta mediante i ricavi
provenienti da questo schema di certificati e, in misura più ampia, attraverso la costituzione di
un veicolo privato ad hoc, operante al di fuori del perimetro della Pubblica amministrazione, il
cui capitale sarebbe raccolto principalmente presso gli investitori attraverso l’emissione di
maxi-obbligazioni green e sostenuto da una partecipazione statale una tantum. Il veicolo
concederebbe prestiti per finanziare progetti conformi a determinati requisiti di sostenibilità
ambientale.
presidente. La prima parte del piano di Biden (il rientro nell’accordo di Parigi)
è infatti realizzabile attraverso una facile procedura. Tuttavia, alcune inver-
sioni di marcia relative a disposizioni normative emanate sotto il mandato di
Trump potrebbero rivelarsi molto più difficili da compiere; l’abrogazione di
determinate leggi - come, ad esempio, l’Affordable Clean Energy e gli standard
sulle emissioni inquinanti - richiederà sicuramente un processo normativo
più lungo, che influenzerà i livelli di emissione di anidride carbonica del
settore dei trasporti e dell’industria americana. Sarà necessaria, inoltre, una
ridefinizione degli accordi bilaterali e multilaterali stipulati con Paesi limi-
trofi, notoriamente legati agli Stati Uniti da forti legami economici, politici e
strategici. Il nuovo presidente, per esempio, dovrà presto rivedere gli accordi
presi col Canada, pesantemente danneggiato dalla decisione di bloccare la
costruzione del megaoleodotto Keystone XL, un’opera fondamentale per
l’economia canadese e, in particolare, per il governo dell’Alberta, che ha
investito miliardi di dollari nella sua costruzione sperando di incrementare
così lo sviluppo dei suoi giacimenti e della sua industria petrolifera.
Nel frattempo, la crescita economica globale risulta gravemente com-
promessa e, stando alle previsioni del Fondo Monetario Internazionale24,
l’economia globale dovrebbe tornare a crescere (del 5,8%) solo nel 2021. I
rischi per esiti ancor più gravi restano, tuttavia, considerevoli. Le simula-
zioni del FMI mostrano, infatti, che le prospettive economiche di medio
termine dipendono dalla capacità di Paesi ed istituzioni internazionali di
agire efficacemente e con tempestività per evitare che l’impatto della pan-
demia abbia effetti persistenti sulla fiducia, sugli investimenti e sulla
solidità dei sistemi finanziari.
La questione che a questo punto si pone è: una recessione globale
potrebbe rallentare, o addirittura fermare, il processo di transizione dell’e-
conomia globale verso modelli di sviluppo più sostenibili ed inclusivi? E, più
in particolare, il dilemma cruciale con cui i governi del mondo dovranno
cimentarsi è il seguente: i programmi di salvataggio e di stimolo fiscale
varati o in corso di approvazione in molti dei Paesi colpiti dal virus riusci-
ranno a rilanciare in modo efficace la crescita economica senza sottrarre
risorse ed impegno politico alla causa climatica?
Alcuni studiosi hanno già tentato di fornire una risposta a queste
domande. Una ricerca realizzata nel mese di maggio 2020 da un gruppo
di esperti di fama internazionale coordinato dal Prof. Hepburn
dell’Università di Oxford25 sono stati esaminati circa 700 pacchetti di stimoli
fiscali, classificabili in 25 tipologie di interventi, ed è stato intervistato un
cospicuo numero (231) di analisti e studiosi di tutto il mondo (tra cui,
24
Cfr. FMI, World Economic Outlook, Washington, aprile 2020.
25
Cfr. C. Hepburn - B. O’Callaghan - N. Stern - J. Stiglitz - D. Zenghelis, “Will COVID-19
fiscal recovery packages accelerate or retard progress on climate change?”, in Oxford Review of
Economic Policy, n. 36(S1), 4 maggio 2020.
26
Cfr. B. Voltaggio, “La povertà energetica: definizione e dimensione del fenomeno”, in S.
Supino - B. Voltaggio (a cura di) La povertà energetica. Strumenti per affrontare un problema
sociale, Il Mulino, Bologna, 2018, pagg. 11-52.
per produrre energia risale alla fine del XVIII secolo ed è considerato
vantaggioso per alcune importanti caratteristiche che contraddistinguono
notoriamente tali materiali. Dall’utilizzo di questo tipo di energia dipen-
dono, inoltre, diverse forme di raggiungimento (e/o mantenimento) del
benessere umano ed il miglioramento della qualità della vita. Il ricorso
sistematico e massiccio a questa forma di produzione dell’energia com-
porta, tuttavia, come è stato mostrato in alcune importanti ricerche sul
tema, un aumento della concentrazione dei gas serra nell’atmosfera che
produce, a sua volta, l’innalzamento della temperatura media globale e
pericolosi effetti sul clima. Mitigazione, adattamento, ricerca, sviluppo e
sperimentazione di nuove tecnologie “verdi” sono le soluzioni indicate, già
dalla primavera del 2005, per risolvere questo problema.
Fra tali soluzioni, la mitigazione del cambiamento climatico è indub-
biamente prioritaria, perché punta a ridurre l’impatto ambientale delle
attività antropiche e a rallentare il descritto processo di surriscaldamento
dell’atmosfera terrestre. Le diverse strategie ed azioni di mitigazione
ambientale possono, tuttavia, contrastare con molte delle attuali forme di
raggiungimento del benessere, in particolare con quelle che dipendono
significativamente dall’utilizzo di energia derivante dai combustibili fossili.
Questo aspetto del problema non è preso molto spesso in considerazione.
Eppure l’impatto sul benessere delle diverse azioni e strategie di mitigazione
non dovrebbero essere trascurato. Esso potrebbe costituire un indicatore
molto importante per la scelta delle azioni e strategie da mettere in campo.
27
Sul punto cfr. R. Mugerauer - L. Manzo, Environmental dilemmas: Ethical decision
making, Lexington books, Lanham, 2008.
conflitto tra loro, che “tirano” in direzioni opposte, dando luogo ad una sorta
di “triangolo delle tensioni”28: il primo di questi due processi è attivato dalla
dipendenza dell’uomo contemporaneo dall’utilizzo dell’energia derivante
dai combustibili fossili, che porta a eccessive emissioni di gas serra e,
conseguentemente, al cambiamento climatico; il secondo, invece, è con-
nesso agli effetti del surriscaldamento globale e ai problemi di benessere su
larga scala che ne derivano e che richiedono, per essere ridotti o eliminati,
un notevole impegno nello svolgimento delle attività di mitigazione.
L’analisi di Wood e Roelich implica una concezione robusta ed olistica
del benessere, che permetta di comprendere e superare i conflitti incorpo-
rati nel descritto triangolo delle tensioni. Le misure per ridurre gli effetti del
surriscaldamento globale potrebbero confliggere, infatti, con molte forme
contemporanee di raggiungimento del benessere, ancora fortemente dipen-
denti dall’uso dell’energia che deriva dai combustibili fossili. È evidente che
il discorso sulle strategie più idonee a fronteggiare il cambiamento climatico
dovrebbe essere meglio integrato con gli assunti teorici della teoria del
benessere. Una più completa integrazione di quest’ultima nelle strategie
adottate per ridurre l’impatto economico e sociale del cambiamento clima-
tico potrebbe contribuire ad evitare i potenziali conflitti (tensioni) tra le
misure di mitigazione concretamente applicate ed il consumo dell’energia
derivata dai combustibili fossili.
A tal fine, Wood e Roelich ritengono che le misure di mitigazione dei
cambiamenti climatici ed i consumi di combustibili fossili non possono
essere considerati separatamente dalle loro relazioni con il benessere e
che, pertanto, è necessaria una nuova concezione filosofica ed economica,
che sia capace di catturare le complesse relazioni tra i suddetti fenomeni
contrastanti. Tale concezione dovrebbe ispirarsi al Capabilities Approach e
consentire di inquadrare le potenziali implicazioni per il benessere dei
conflitti energetici tra consumo dell’energia derivata dai combustibili
fossili e mitigazione climatica come questioni di giustizia ambientale o
ecologica.
28
Cfr. N. Wood - K. Roelich, Tensions, capabilities, and justice in climate change mitigation
of fossil fuels, cit., pag. 115 e 116.
29
Cfr. J. Rawls, Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano, 2008 (ed. or., A Theory of
Justice, Cambridge, The Belknap Press, 1971, trad. it. di U. Santini); J. Rawls, Giustizia come
equità. Una riformulazione, Feltrinelli, Milano, 2002 (ed. or., Justice as Fairness. A Restatement,
Cambridge, The Belknap Press, 2001, trad. it. di S. Veca).
30
Cfr. M.C. Nussbaum, “The Costs of Tragedy. Some Moral Limits of Cost-Benefit
Analysis”, in Journal of Legal Studies, n. 29(S2)/2000, pagg. 1005-1036; M.C. Nussbaum,
Creating Capabilities. The Human Development Approach, The Belknap Press of Harvard
University Press, Cambridge (Mass.), Londra, 2011.
31
Cfr. E. Maestri, “Giustizia ecologica. Un confronto tra la teoria di Rawls e la teoria di
Nussbaum”, in Diritto e Questioni pubbliche, n. 16(1)/2016, pagg. 149-167.
32
Cfr., in particolare, B. Holland, Environment and Capability: A New Normative
Framework for Environmental Policy Analysis, tesi di dottorato non pubblicata, Chicago:
University of Chicago, agosto 2005; B. Holland, “Justice and the environment in Nussbaum’s
‘Capabilities Approach’ why sustainable ecological capacity is a meta-capability”, in Political
research quarterly, n. 61(2)/2008, pagg. 319-332; B. Holland, Allocating the Earth: A
Distributional Framework for Protecting Capabilities in Environmental Law and Policy,
Oxford University Press, New York, 2014; B. Holland, “Procedural justice in local climate
determinati dal fatto che l’uso dell’atmosfera come serbatoio per le emis-
sioni di gas serra può consentire ad una persona di ricavare benessere da
processi che richiedono la combustione di combustibili fossili, ad esempio
la combustione di carburante per alimentare il trasporto. Tuttavia, tale
forma di utilizzo dell’atmosfera su una scala sufficientemente ampia
contribuirà a far aumentare il surriscaldamento della stessa che è causa
del cambiamento climatico33.
È evidente, dunque, come l’approccio alla giustizia basato sulle capaci-
tazioni degli esseri umani abbia enormi potenzialità in relazione agli effetti
prodotti dal cambiamento climatico e alle questioni ambientali in generale.
Le teorie elaborate da Holland hanno mostrato, peraltro, come esso possa
essere efficacemente utilizzato per la progettazione di politiche ambientali
che spingano la società verso una maggiore equità e giustizia sociale.
Riteniamo, pertanto, che se l’originario impianto teorico proposto da Sen
e dalla Nussbaum fosse ripensato ed esteso secondo le indicazioni fornite da
ricerche più recenti34, potrebbe diventare determinante per la compren-
sione e la risoluzione dei conflitti energetici tra consumo dell’energia deri-
vata dai combustibili fossili, mitigazione del cambiamento climatico e
forme di conseguimento del benessere, perché fornirebbe un criterio ideale
per escludere politiche pregiudizievoli alla giustizia ecologica e per realiz-
zare un sistema energetico globale maggiormente sostenibile, inclusivo,
accessibile e sicuro.
In tale quadro generale - e allo scopo precipuo di proporre una via
concreta per sfruttare le suddette potenzialità insite nell’approccio teoriz-
zato da Nussbaum - riteniamo che possa essere utile e confacente, in questa
sede, una seria riflessione sulla delicata questione dell’ammissibilità di
tributi correlati al benessere degli individui misurato sulla base di indicatori
e parametri non monetari, come le capabilities, e prendere in esame l’idea di
istituire imposte sui c.d. beni comuni globali in un’ottica redistributiva e
conservativa, volta per l’appunto a limitarne l’accesso e a disincentivarne il
consumo35.
33
Molte persone e società (e in effetti le stesse persone e società) possono conseguire
capacitazioni tramite i servizi ambientali (o meta-capacità ambientali) che sono favoriti
dall’esistenza di un’atmosfera con temperatura stabile. Ad esempio, modelli meteorologici e
cicli di temperatura stabili favoriscono la produzione agricola, consentono di ottenere una
quantità adeguata di acqua potabile e quindi il raggiungimento di capacitazioni di salute fisica
e di gioco. Tuttavia, l’uso estensivo dell’atmosfera per il primo scopo (produzione agricola) è in
conflitto con il secondo (salute fisica e gioco).
34
Cfr per tutti D. Schlosberg, “Climate justice and capabilities: A framework for adapta-
tion policy”, in Ethics & International Affairs, n. 26(4)/2012, pagg. 445-461 e D. Schlosberg,
“Theorising environmental justice: the expanding sphere of a discourse”, in Environmental
politics, n. 22(1)/2013, pagg. 37-55.
35
Sull’utilizzo del prelievo fiscale quale strumento di tutela dei beni comuni, v. G. Chironi,
La tassazione dei beni comuni, Carocci, Bari, 2018, pagg. 57-76.
36
Negli ultimi anni la questione dei beni comuni ha assunto un grande rilievo nel dibattito
politico e scientifico, con importanti implicazioni sia in ambito economico che giuridico. Il
dibattito in corso sulla possibilità di configurare una teoria dei beni comuni rivitalizza, infatti,
la questione più ampia della democrazia e del soddisfacimento dei diritti fondamentali della
persona. Per approfondimenti sullo svolgimento del dibattito in Italia, cfr. E. Reviglio, “Per una
riforma del regime giuridico dei beni pubblici. Le proposte della Commissione Rodotà”, in
Politica del diritto, n. 39(3)/2008, pagg. 531-550; M. Franzini, “Il significato dei beni comuni”, in
Labsus Papers, n. 21/2011, pag. 1-15; M.R. Marella, “Il diritto dei beni comuni. Un invito alla
discussione”, in Rivista critica del diritto privato, n. 29(1)/2011, pagg. 103-118; S. Rodotà, I beni
comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, La scuola di Pitagora, Napoli, 2008; S. Rodotà,
“Beni comuni e categorie giuridiche: una rivisitazione necessaria”, in Questione giustizia, n. 5/
2011, pagg. 237-247; L. Pennacchi, Filosofia dei beni comuni: Crisi e primato della sfera pubblica,
Donzelli, Roma, 2012; A. Gambaro, “Note in tema di beni comuni”, in Aedon, n. 1/2013, pagg.
11-20; P. Maddalena, “Per una teoria dei beni comuni”, in MicroMega, n. 9/2013, pagg. 91-118; S.
Marotta, “La via italiana ai beni comuni”, in Aedon, n. 1/2013, pagg. 1-10; A. Massarutto, “Il
dovere di avere doveri. I ‘beni comuni’ e la “scienza triste”, in Ragion pratica, n. 2/2013, pagg.
361-380; U. Mattei, Beni comuni: un manifesto, Laterza, Bari, 2012; U. Mattei, “I beni comuni
fra economia, diritto e filosofia”, in Spazio filosofico, 2013, pagg. 111-116; A. Lucarelli, La
democrazia dei beni comuni, Laterza, Bari, 2013; G. Micciarelli, “Le teorie dei beni comuni al
banco di prova del diritto La soglia di un nuovo immaginario istituzionale”, in Politica &
Società, n. 1/2014, pagg. 123-142; G. Micciarelli, “I beni comuni e la partecipazione democra-
tica. Da un ‘altro modo di possedere’ ad un “altro modo di governare”, in Jura Gentium, XI, n. 1/
2014, pagg. 58-83.; L. D’Andrea, “I beni comuni nella prospettiva costituzionale: note intro-
duttive”, in Rivista AIC (Associazione Italiana dei Costituzionalisti), n. 2/2015, pagg. 1-16; M.
Foroni, Beni comuni e diritti di cittadinanza: Le nuove Costituzioni sudamericane, Lampi di
stampa, Vignate, 2020.
37
Cfr. S. Rodotà, I beni comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, cit., pagg. 31-89.
38
Sul punto, cfr. G. Chironi, La tassazione dei beni comuni, cit., pag. 55.
39
Cfr. ancora S. Rodotà, I beni comuni. L’inaspettata rinascita dei beni collettivi, cit.,
pag. 76.
40
Alcuni studiosi, guardando proprio alla natura e alle caratteristiche dei beni comuni,
hanno coniato il termine “consumo collaborativo”, che definisce un modello economico ibrido,
concepito come alternativo al consumismo “classico”, e basato su di un insieme di pratiche di
scambio e condivisione di beni materiali, servizi o conoscenze. Per ulteriori approfondimenti,
cfr. R. Botsman - R. Rogers, What’s mine is yours. The rise of collaborative consumption, Harper
Collins, New York, 2010; V. Kostakis - M. Bauwens, Network society and future scenarios for a
collaborative economy, Springer, Londra, 2014; R. Perren - L. Grauerholz, “Collaborative
consumption”, in International Encyclopedia of the Social & Behavioral Sciences, n. 4/2015,
pagg. 139-144; e, più recentemente, G. Petropoulos, An economic review of the collaborative
economy, Bruegel Policy Contribution No. 2017/5.
Nello scenario politico del XXI secolo i nuovi corpi ed enti sovranazio-
nali (come l’OCSE, il FMI, le Nazioni Unite e l’Unione Europea), da
Tremonti denominati Quangos (Quasi autonomous non governmental orga-
nizations), otterranno gradualmente un ruolo politico crescente e, di
riflesso, aumentando anche il loro “bisogno finanziario”, accamperanno
un crescente titolo morale alla tassazione. Tuttavia, proprio a causa della
loro struttura “sovranazionale”, i Quangos dovranno anche misurarsi con
enormi difficoltà tecniche di riscossione. Per superare queste difficoltà e
procacciarsi le necessarie risorse finanziarie, essi dovranno assumere gli
Stati-Nazione come propri diretti contribuenti e costringerli, contempora-
neamente, ad applicare per proprio conto ritenute e/o imposte sostitutive
sui loro contribuenti.
Per questa ragione, sempre secondo Tremonti, gli Stati-Nazione
saranno costretti a reinventare le proprie politiche fiscali allo scopo di:
1) difendere i bilanci nazionali dalle perdite di gettito dovute alla pia-
nificazione fiscale aggressiva delle imprese multinazionali e al riciclaggio di
denaro;
2) impedire che la ricchezza sfugga al loro dominio territoriale, attratta
dai c.d. paradisi fiscali e dai Paesi a basso livello di tassazione;
3) accrescere la loro competitività a livello internazionale, non necessa-
riamente diventando paradisi fiscali, ma evitando almeno di presentarsi
come dei veri e propri “inferni fiscali”.
In estrema sintesi, la “profezia” fiscale di Tremonti per il terzo millennio
comprendeva:
1) un alto grado di standardizzazione della tassazione prodotta dalla
concorrenza fiscale;
2) un ruolo crescente della tassazione alla fonte, di più semplice appli-
cazione rispetto alla tassazione in base al principio di residenza;
3) uno spostamento graduale dalla tassazione diretta a quella indiretta,
con conseguente incremento della regressività dei sistemi tributari
nazionali;
4) un grande sviluppo dell’innovazione fiscale volto ad individuare le
nuove forme della ricchezza e ad elaborare nuove tecniche per misurarla ed
assoggettarla ad imposizione.
L’attendibilità di questa profezia è oggi provata da numerosi studi e
rapporti sulle proprietà che contraddistinguono i “moderni” sistemi tribu-
tari. È agevole notare, infatti, come le tendenze in atto di fronte agli
avanzamenti tecnologici (come lo sviluppo di Internet e delle reti di teleco-
municazione), ai mutamenti sociali (come il rapido processo di invecchia-
mento della popolazione, tipico delle economie più sviluppate) e alle
427-450; M.H. Grabowski, “Integrazione fiscale nell’unione europea: sfide, risultati e pro-
spettive”, in Economia pubblica, n. 4/2005, pagg. 145-157; G. Vitaletti, “Principi fiscali ed
economia globale”, in Riv. dir. fin. sc. fin., n. 2/2010, pag. 117 ss.
44
Una prima interpretazione dei meccanismi socio-economici attraverso i quali le forze
immanenti nel capitalismo spingono verso un incremento delle disuguaglianze è stata fornita
da Piketty nel 2014 (Cfr. T. Piketty, Capital in the 21st Century, Harvard University Press,
Cambridge, MA, 2014), ma già prima di lui erano intervenuti sul tema, fornendo un contributo
originale, Milanović, Bourguignon e due economisti del Fondo monetario internazionale,
Kumhof e Rancière, che avevano analizzato in modo più approfondito la relazione tra
instabilità finanziaria e sperequazione dei patrimoni. Nel dibattito sono poi intervenuti
molti altri studiosi, ma i contributi principali sono da ascrivere ad Atkinson, Stiglitz,
Watson e Milanović. Cfr. B. Milanović, The haves and the have-nots: A brief and idiosyncratic
history of global inequality, Basic Books, New York, 2010; F. Bourguignon, La Mondialisation de
l’inégalité, Seuil-La République des idées, Parigi, 2012; M. Kumhof - R. Rancière, Inequality,
Leverage and Crises, IMF Working Paper N. 10/268, novembre 2010; A.B. Atkinson, Inequality:
what can be done?, Harvard University Press, Cambridge, MA, 2015; J. Stiglitz, The great divide,
Penguin UK, London, 2015; W. Watson, The Inequality Trap: Fighting Capitalism Instead of
Poverty, University of Toronto Press, Toronto, 2015; B. Milanović, Global Inequality: A New
Approach for the Age of Globalization, Harvard University Press, Cambridge, 2016.
Lo stesso Piketty è tornato recentemente sul tema analizzandolo non soltanto da un punto
di vista sociale ed economico, ma anche in una prospettiva politico-ideologica, ovvero cercando
di fare luce, questa volta, sull’evoluzione delle narrative e delle ideologie finalizzare a legitti-
mare la disuguaglianza. Cfr. T. Piketty, Capital et idéologie, Le Seuil, Parigi, 2020.
45
Per ulteriori approfondimenti sulla relazione tra progressività del sistema tributario,
evasione fiscale e disuguaglianze, vedasi M. Freire-Seren - J. Panadés, Does Tax Evasion Modify
the Redistributive Effect of Tax Progressivity?, Research Project. The Ramon Areces Foundation,
Barcelona, 2005; D. Duncan - P.K. Sabirianova, Tax progressivity and income inequality,
Andrew Young School of Policy Studies Research Paper Series n. 08-26, Atlanta, GA, 2008;
A. Alstadsæter - N. Johannesen - G. Zucman, “Tax evasion and inequality”, in American
Economic Review, n. 109(6)/2019, pagg. 2073-2103.
46
Sul ruolo giocato dai sistemi di imposizione e trasferimento nella riduzione delle
disuguaglianze di ricchezza cfr. H. Immervoll - L. Richardson, Redistribution Policy and
Inequality Reduction in OCSE Countries: What Has Changed in Two Decades?, OCSE Social,
Employment and Migration Working Papers, No. 122, OCSE Publishing, Parigi, 2011;
I. Joumard - M. Pisu - D. Bloch, “Tackling income inequality: The role of taxes and transfers”,
in OCSE Journal: Economic Studies,n. 2012(1)/2013 pagg. 37-70; G. Verbist - F. Figari, “The
redistributive effect and progressivity of taxes revisited: An international comparison across
the European Union”, in FinanzArchiv/Public Finance Analysis, 2014, pagg. 405-429; K.
Caminada - J. Wang - K.P. Goudswaard - C. Wang, Income inequality and fiscal redistribution
in 47 LIS-countries, 1967-2014, LIS Working paper series, 2017, pag. 724.
47
Dopo i decenni dell’egemonia liberista iniziata negli anni del thatcherismo e del
reaganismo, anche le istituzioni economiche mondiali hanno “scoperto” che le disuguaglianze
possono compromettere le stesse prospettive di sviluppo dell’economia. Ma le disuguaglianze,
specialmente oggi, non si esauriscono sul piano dell’economia. Esse coinvolgono la libertà,
l’identità culturale e religiosa, i rapporti tra i generi, l’accesso ai servizi fondamentali e tanti altri
aspetti che incidono sullo stesso funzionamento dei processi democratici. Più in particolare, su
tali aspetti cfr. F. Ippolito, “Le nuove disuguaglianze”, in Questione Giustizia, n. 2/2017, pagg.
9-13.
48
Sulla resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali, sulle metodologie per
misurarla e sulla questione delle loro determinanti, v. S. Villani, Resilienza, globalizzazione e
politiche pubbliche, Jovene, Napoli, 2017; S. Villani, “Brevi osservazioni sulla nozione di
resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali”, in E.M. Piccirilli - V. Russo,
Linguistica ed Economia. Vol. II. Un connubio tra due discipline come ricerca filosofica nell’e-
conomia degli scambi, Academy School, Napoli, 2019, pagg. 65-77.
49
Cfr. F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, cit. Per ulteriori
interessanti approfondimenti sulla giustificazione etica della tassazione in un mondo globa-
lizzato, v. F. Forte, L’etica della tassazione. Imposta, individuo, comunità, Fondazione Magna
Carta, Roma, 2007 e H.P. Gaisbauer - G. Schweiger - C. Sedmak (a cura di), Philosophical
explorations of justice and taxation: national and global issues, Vol. 40, Springer, New York,
2015.
50
Cfr., in particolare, A. Sen, Development as Freedom, Knopf, New York, 1999 (trad. it. Lo
sviluppo è libertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano, 2000); A. Sen,
The Idea of Justice, Harvard University Press, Cambridge (Mass.), 2009 (trad. it. L’idea di
giustizia, Mondadori, Milano, 2010).
51
Cfr. F. Gallo, Le ragioni del fisco. Etica e giustizia della tassazione, cit., pagg. 86 e 87. A
sostegno della sua tesi lo studioso cita numerosi esempi di tributi aventi come presupposto
“qualificate situazioni di vantaggio economicamente valutabili”: 1) i tributi ambientali in senso
stretto, che gravano su chi utilizza beni ambientali scarsi o emette sostanze nocive alla salute
dell’uomo deteriorando l’ambiente; 2) le imposte sul valore aggiunto economico o le c.d.
business taxes, che colpiscono la capacità organizzatore dell’operatore o del produttore; 3) le
accise, che gravano sulla produzione organizzata di beni; 4) tutti quei tributi che hanno come
presupposto indici di capacità contributiva che non garantiscono la disponibilità di un saldo
patrimoniale attivo sufficiente ad adempiere all’obbligazione tributaria.
52
Cfr. F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit. e F. Gallo, Ripensare il sistema fiscale in
termini di maggiore equità distributiva, cit.
detti beni da parte di uno Stato efficiente è più importante del profitto o della
crescita complessiva e crea, perciò, delle aspettative che solo uno ‘Stato
sociale’ può dare”53.
Gallo peraltro faceva notare come la carenza o insufficienza dei beni
suddetti sia ormai pacificamente assunta come un criterio fondamentale
per la valutazione del benessere e del grado di giustizia sociale. Quando tali
beni mancano o sono carenti, dovrebbe intervenire lo Stato, nella sua
qualità di “assicuratore e garante di ultima istanza”, avvalendosi del suo
potere impositivo per redistribuire le risorse e garantire a tutti la
disponibilità delle condizioni minime necessarie ad assicurare il pieno
sviluppo della persona umana. In coerenza con questo ragionamento,
come indicatori di capacità contributiva cui commisurare il prelievo tribu-
tario, egli suggeriva di prendere in considerazione non i beni “base” o
“fondamentali”, che lo Stato ha l’obbligo/responsabilità di garantire a
tutti, ma i c.d. beni-capacità (capability-goods), intesi come “posizioni e
situazioni attuali di vantaggio non necessariamente di natura patrimoniale,
ma pur sempre valutabili economicamente”54.
Sul piano dei principi, la “ricetta” di Gallo è dunque molto chiara e può
essere sintetizzata, come in un sillogismo, in tre principi o postulati:
1) occorre ripensare radicalmente la missione dello Stato, sottolineando
l’importanza fondamentale della funzione redistributiva, condotta secondo
una forte direzione morale e bilanciando i diritti proprietari con i diritti di
cittadinanza;
2) accanto ai beni primari esistono “beni-capacità” che, pur non essendo
beni economici tradizionali come il reddito o il patrimonio, se economica-
mente valutabili, possono costituire, al pari di essi, valide e significative
unità di misura di situazioni di vantaggio o di benessere degli individui;
3) lo Stato, nel perseguire gli obiettivi etici racchiusi nella sua missione,
deve evitare di tassare ancor di più i tradizionali cespiti di natura reddi-
tuale o patrimoniale, già così pesantemente gravati dai tributi vigenti, e
spostare l’onere del prelievo su diverse entità, che denotino l’esistenza di
specifiche situazioni di vantaggio e di soddisfazione di bisogni valutabili
53
Cfr. ancora F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit. e F. Gallo, Ripensare il sistema fiscale
in termini di maggiore equità distributiva, cit.
54
Sulla distinzione tra beni “base” o fondamentali (basic or fundamental goods) e “beni-
capacità” (capability-goods), v. F. Gallo, L’uguaglianza tributaria, cit., e F. Gallo, Ripensare il
sistema fiscale in termini di maggiore equità distributiva, cit. Nel pensiero di questo studioso, i
beni fondamentali ed universalmente riconosciuti costituiscono la condizione necessaria
affinché vi sia giustizia sociale, come la longevità, l’integrità fisica, l’ambiente, la salute,
l’accesso ai servizi, la vita personale, famigliare e sociale, il tenore di vita e l’identità, compresa
quella religiosa. Accanto a tali beni, ne esistono altri, che egli definisce “beni-capacità”, cioè
beni (ma anche posizioni, condizioni e situazioni) che sebbene non siano scambiabili sul
mercato, rappresentano una potenzialità contributiva a partire dalla quale lo Stato potrebbe
fondare, a certe condizioni, il prelievo tributario sui soggetti che ne hanno la disponibilità.
55
In questo senso, v. D. Lanzi, Tassare le Capacità: Una Nota Critica, cit.
56
Su questo tema, cfr. per tutti L. Zelenak, “Taxing Endowment”, in Duke Law Journal, n.
55/2006, pagg. 1145-1181.
57
Cfr. sul punto D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, cit., F. Gaffuri,
“Ancora dell’attitudine alla contribuzione”, in questa Rivista, n. 56(5)/2013, pagg. 975-1021.
58
Così D. Stevanato, La giustificazione sociale dell’imposta, cit., pagg. 419-429.
59
Cfr. M. Stewart, “Gender Equity in Australia’s Tax System”, in Legal Studies Research
Paper, 443, University of Melbourne, Melbourne, 2009 e M. Stewart, “Gender inequality in
Australia’s tax-transfer system”, in M. Stewart (a cura di), Tax, social policy and gender:
rethinking equality and efficiency, Australian National University Press, Acton, 2017.
60
Indubbiamente, la proposta di creare un sistema tributario globale, come quella di
istituire delle global taxes, incontra numerose difficoltà sul piano pratico, determinate princi-
palmente dall’inesistenza di un governo globale e dalla riluttanza degli Stati a rinunciare alla
propria sovranità fiscale. Parte della dottrina considera, tuttavia, la sfida per un diritto
tributario globale come importantissima, poiché consentirebbe di limitare lo sfruttamento
delle disparità transnazionali tra gli ordinamenti tributari e di recuperare le rilevanti perdite di
gettito prodotte dalle strategie di pianificazione fiscale delle multinazionali. Cfr. P. Pistone, “La
pianificazione fiscale aggressiva e le categorie concettuali del diritto tributario globale”, in
Rivista trimestrale di diritto tributario, n. 2/2016, pagg. 395-440 e V. Tanzi, “Lakes, oceans, and
taxes: why the world needs a world tax authority”, in T. Pogge - K. Mehta (Eds.), Global tax
fairness, Oxford University Press, Oxford, 2016, pagg. 251-264.
61
Per ulteriori approfondimenti su questo tema, v. K. Aiginger, “Strengthening the
resilience of an economy”, in Intereconomics, n. 44(5)/2009, pagg. 309-316; S. Villani,
Resilienza, globalizzazione e politiche pubbliche, cit.; S. Villani, Brevi osservazioni sulla nozione
di resilienza dei sistemi economici, fiscali e previdenziali, cit.
62
In questo, cfr. A. Sen, Development as Freedom, cit.
63
Sul valore dei beni comuni globali e sul contributo fondamentale degli stessi al benes-
sere della società nel mondo globalizzato di oggi, v. S. Deneulin - N. Townsend, “Public goods,
global public goods and the common good”, in International Journal of Social Economics,
n. 34(1-2)/2007, pagg. 19-36; G. Ricoveri, Beni comuni vs merci, cit.; P. Riordan, Global Ethics
and Global Common Goods, Bloomsbury, Londra, 2014.
64
Nello stesso senso, v. già G. Giraud, Illusion financière. Des subprimes à la transition
écologique, Les Édition de l’Atelier, Paris, 2012, pag. 107 ss. e G. Giraud, “Per ripartire dopo
l’emergenza COVID-19”, in La Civiltà Cattolica, Quaderno n. 4075, vol. II, 4 aprile 2020, pagg.
7-19.
65
Cfr. OCSE, Environmentally Harmful Subsidies: Challenges for Reform, OCSE
Publishing, Parigi, 2005 e OCSE, Taxing Energy Use 2019: Using Taxes for Climate Action,
OCSE Publishing, Parigi, 2019.
66
Un approccio “multilaterale” e “coordinato” consentirebbe, secondo alcuni, di superare
le difficoltà che normalmente determinano il fallimento dei tentativi unilaterali di applicazione
di una carbon tax. Cfr. T. Falcão, A Proposition for a Multilateral Carbon Tax Treaty,
International Bureau of Fiscal Documentation (IBFD), Amsterdam, 2019.
67
Cfr. al riguardo anche R.M. Bird, Global taxes and international taxation: Mirage and
reality, ICTD Working Paper 28, Institute of Development Studies, Brighton, gennaio 2015; R.
partire dal 2005 aveva in verità una finalità simile, ma non ha svolto
adeguatamente la sua funzione, non avendo fornito il benché minimo
incentivo ad investire in infrastrutture industriali a basso contenuto di
carbonio.
Pensiamo, infine, al ruolo chiave che può svolgere la fiscalità nella lotta
alla povertà energetica. È noto, infatti, che una delle determinanti della
povertà energetica è costituito dal costo dell’energia e che tale costo è spesso
pesantemente influenzato da componenti fiscali e parafiscali, le quali si
aggiungono alle altre componenti di costo delle bollette. In questo contesto,
come suggerito anche dall’OCSE, è fondamentale intervenire in senso
restrittivo sui sussidi ai combustibili fossili per tenere sotto controllo la
volatilità dei prezzi e per migliorare la competitività delle energie rinnova-
bili e delle tecnologie energetiche efficienti. È importante, tuttavia, nella
stessa logica, intervenire sia attraverso la previsione di agevolazioni fiscali a
favore dei fuel poors sia tramite la riduzione della pressione fiscale com-
plessiva sul “bene-energia”68. L’ulteriore passo verso la decarbonizzazione
del sistema economico globale potrebbe poi contemplare una riforma
coordinata dei sistemi tributari che stimoli l’autoconsumo collettivo di
energia rinnovabile attraverso la previsione di incentivi alla costituzione
di “comunità energetiche locali”, e cioè di comunità di individui, imprese ed
enti territoriali finalizzate alla condivisione dell’energia auto-prodotta
mediante l’utilizzo di fonti rinnovabili69. L’utilizzo in questo senso della
leva fiscale si inquadra perfettamente, a mio avviso, in un sistema di
tassazione ispirato ai principi del Capabilities Approach, in quanto presup-
pone il riconoscimento dell’energia come bene primario e fondamentale per
la vita e per lo sviluppo sociale della persona70.
M. Bird, “Are Global Taxes Feasible?”, in International Tax and Public Finance, n. 25(5)/2018,
pagg. 1372-1400.
68
Cfr. al riguardo S. Supino - B. Voltaggio, “La povertà energetica in Italia: misure di
contrasto e prospettive future”, in S. Supino - B. Voltaggio (a cura di) La povertà energetica.
Strumenti per affrontare un problema sociale, Il Mulino, Bologna, 2018, pagg. 310-327.
69
La condivisione di energia da fonti rinnovabili attraverso l’autoconsumo collettivo e la
costituzione di comunità energetiche è stata disciplinata in Europa dalla Dir. UE 2018/2001
sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili e dalla Dir. UE 2019/944 relativa a
norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, che abroga la precedente Dir. 2009/
72/CE sul mercato elettrico e modifica la Dir. 2012/27/UE in materia di efficienza energetica.
Nel testo della prima Direttiva (cfr. considerando n. 66) è stata sancita, in particolare, per la
prima volta, la necessità di stabilire un quadro normativo che consentisse agli “autoconsuma-
tori di energia rinnovabile” di produrre, utilizzare, immagazzinare e vendere energia elettrica
senza incorrere in oneri sproporzionati. In Italia, in attesa del recepimento della Direttiva, con
la conversione in legge del D.L. n. 162/2019 (Milleproroghe 2020) è stata avviata una speri-
mentazione che ne anticipa i tempi e prevede progetti pilota per l’attivazione dell’autoconsumo
collettivo e per la costituzione delle c.d. comunità energetiche rinnovabili.
70
In questo senso, v. già C. Blanchet, “Commons-Based Renewable Energy in the Age of
Climate Collapse”, in S. Bloemen - T. De Groot (a cura di) Our Commons: Political Ideas for a
New Europe, Commons Network, Amsterdam, 2019, pagg. 33-37, che in un recente saggio sulla
giustizia climatica, come soluzione per realizzare una transizione energetica democratica ed
equa, suggerisce di combinare il modello tedesco delle cooperative energetiche con
l’inclusività delle aziende municipalizzate.
TRIBUTARIA
SANZIONI
(Omissis)
considera che le sanzioni pecuniarie inflitte a queste ultime società per essere
venute meno al loro obbligo dichiarativo sono diverse da quelle applicabili alle
società stabilite in Ungheria che abbiano violato un obbligo analogo e sono
sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione commessa, costituendo per-
tanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi nell’Unione europea.
15. Secondo la Google Ireland, i soggetti passivi stabiliti all’estero si trovano
in una situazione meno favorevole rispetto alle società stabilite in Ungheria
anche per quanto riguarda l’esercizio del diritto a un ricorso effettivo. Sebbene
infatti essi abbiano il diritto di proporre un ricorso giurisdizionale contro una
decisione che infligge loro una sanzione pecuniaria che - in applicazione delle
disposizioni degli artt. 7/B e 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità -
è definitiva ed esecutiva tramite la semplice notifica, le modalità di esercizio di
tale ricorso limiterebbero tuttavia la portata del loro diritto. In particolare,
nell’ambito della procedura di ricorso di cui all’art. 7/B, paragrafo 4, della
legge relativa all’imposta sulla pubblicità, il giudice adito potrebbe ammettere
solo prove documentali e deciderebbe senza tenere un’udienza di discussione,
mentre la procedura di contestazione applicabile ai contribuenti nazionali in
forza della legge sul sistema tributario non sarebbe soggetta a simili limitazioni,
dato che tali contribuenti dispongono, in particolare, del diritto di proporre un
ricorso amministrativo. Le disposizioni della legge relative all’imposta sulla
pubblicità non garantirebbero pertanto alla persona cui viene inflitta una simile
sanzione pecuniaria il diritto a un ricorso effettivo e a un processo equo, come
previsto dall’art. 47 della Carta.
16. In tale contesto, il giudice del rinvio si interroga sulla compatibilità degli
artt. 7/B e 7/D della legge relativa all’imposta sulla pubblicità con l’art. 56 TFUE e
con il principio di non discriminazione. Secondo tale giudice, l’obbligo di regi-
strazione nonché le sanzioni pecuniarie inflitte in caso di inadempimento di tale
obbligo - sanzioni pecuniarie rientranti in un regime sanzionatorio di natura
molto repressiva e a carattere punitivo - sono fortemente pregiudizievoli per le
società stabilite al di fuori del territorio ungherese e sono effettivamente tali da
limitare la libertà di prestazione dei servizi nell’Unione. Esso ritiene in partico-
lare, per quanto riguarda le sanzioni pecuniarie per inadempimento dell’obbligo
di registrazione di cui sono passibili di tali società, che il principio di
proporzionalità verosimilmente non sia stato rispettato nel caso di specie. Al
riguardo, esso indica, da un lato, che a tali soggetti passivi può essere inflitta, in
cinque giorni, una serie di sanzioni pecuniarie e l’amministrazione tributaria può
triplicare ogni giorno l’importo della sanzione pecuniaria precedente. Orbene,
tali sanzioni si applicherebbero ancor prima che i soggetti passivi possano
prendere conoscenza del triplicarsi quotidiano dell’importo della sanzione
pecuniaria precedente e possano porre rimedio all’inadempimento, ponendoli
così nell’impossibilità di impedire che la sanzione pecuniaria definitivamente
dovuta raggiunga il limite massimo di 1 miliardo di HUF (3,1 milioni di euro).
Secondo il giudice del rinvio, tale circostanza potrebbe anche sollevare la
questione della compatibilità di tale procedimento amministrativo con l’art. 41
della Carta. Dall’altro lato, il giudice del rinvio rileva che l’importo della sanzione
pecuniaria inflitta ai sensi dell’art. 7/D della legge relativa all’imposta sulla
pubblicità è complessivamente fino a 2 000 volte più elevato di quello della
sanzione pecuniaria che può essere inflitta a una società stabilita in Ungheria
che non ottemperi all’obbligo di registrazione fiscale previsto all’art. 172 della
legge sul sistema tributario.
17. Infine, detto giudice si pone la questione del rispetto dell’art. 47 della
Carta dal momento che, nell’ambito della procedura di controllo giurisdizionale
di cui all’art. 7/B, paragrafo 4, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, a
differenza che nel procedimento ordinario di ricorso amministrativo, sono
ammesse solo le prove documentali e il giudice adito non può procedere ad
un’udienza di discussione.
18. Ritenendo che la giurisprudenza della Corte non gli consenta di rispon-
dere a tali interrogativi, il Fővárosi Közigazgatási és Munkaügyi Bíróság
(Tribunale amministrativo e del lavoro di Budapest, Ungheria) ha deciso di
sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni
pregiudiziali:
“1) Se gli artt. 18 e 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere
interpretati nel senso che ostano alla normativa tributaria di uno Stato membro il
cui regime sanzionatorio prevede, per l’inadempimento dell’obbligo di registra-
zione ai fini dell’imposta sulla pubblicità, l’imposizione di una sanzione pecu-
niaria per omissione la quale, nel caso delle società non stabilite in Ungheria,
può essere complessivamente fino a 2 000 volte superiore a quella applicabile
alle società stabilite in Ungheria.
2) Se occorra considerare che la sanzione descritta nella questione prece-
dente, di importo considerevolmente elevato e a carattere punitivo, possa
essere tale da dissuadere i fornitori di servizi non stabiliti in Ungheria dal
prestare servizi in detto Stato.
3) Se l’art. 56 TFUE e il divieto di discriminazione debbano essere inter-
pretati nel senso che ostano a una normativa in base alla quale, nel caso delle
imprese stabilite in Ungheria, l’obbligo di registrarsi viene adempiuto auto-
maticamente, senza richiesta espressa, con l’attribuzione di un numero di
identificazione fiscale ungherese all’atto dell’iscrizione nel registro delle
imprese, indipendentemente dalla circostanza che l’impresa svolga attività di
pubblicazione di annunci pubblicitari, laddove, nel caso delle imprese non
stabilite in Ungheria e che invece svolgono attività di pubblicazione di annunci
pubblicitari in detto Stato, ciò non avviene automaticamente, dovendo queste
ultime per contro adempiere espressamente all’obbligo di registrazione e,
qualora non lo facessero, possono subire una sanzione specifica.
4) In caso di risposta affermativa alla prima questione, se l’art. 56 TFUE e il
divieto di discriminazione debbano essere interpretati nel senso che ostano ad
una sanzione come quella in discussione nel procedimento principale, applicata
per inadempimento dell’obbligo di registrazione ai fini dell’imposta sulla
pubblicità, nella misura in cui detta norma risulti contraria al citato articolo.
questione, e che incidano allo stesso modo sulla prestazione di servizi tra Stati
membri e su quella interna a uno Stato membro (v., in particolare, sentenza del
18 giugno 2019, Austria/Germania, C-591/17, EU: C: 2019: 504, punti 136 e 137
nonché giurisprudenza ivi citata).
27. Nel caso di specie, occorre precisare che, in forza dell’art. 7/B, paragrafo
1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, ogni soggetto passivo di detta
imposta che l’amministrazione tributaria non abbia registrato come contribuente
a titolo di un’imposta qualsiasi è tenuto a registrarsi, mediante modulo, presso
detta amministrazione, entro un termine di quindici giorni dall’inizio dell’attività
imponibile.
28. Ne consegue che, da un lato, l’obbligo dichiarativo di cui all’art. 7/B,
paragrafo 1, di tale legge non condiziona l’esercizio dell’attività di diffusione
pubblicitaria nel territorio ungherese e che, dall’altro, sono soggetti a tale obbligo
i prestatori di servizi pubblicitari che, prima dell’inizio della loro attività pubbli-
citaria imponibile, non sono registrati fiscalmente in Ungheria, mentre sono
dispensati da tale obbligo i prestatori di servizi pubblicitari che sono già registrati
fiscalmente in tale Stato membro a titolo di una qualsiasi imposta, indipenden-
temente dal luogo di stabilimento dell’insieme di tali prestatori di servizi.
29. Detto obbligo dichiarativo, che è una formalità amministrativa, non
costituisce, in quanto tale, un ostacolo alla libera prestazione dei servizi.
30. Infatti, non risulta in alcun modo che l’obbligo dichiarativo, previsto
all’art. 7/B, paragrafo 1, della legge relativa all’imposta sulla pubblicità, implichi,
per i prestatori di servizi pubblicitari che non sono stabiliti nel territorio unghe-
rese, un onere amministrativo supplementare rispetto a quello cui sono assog-
gettati i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in tale territorio.
31. È vero che i prestatori di servizi pubblicitari stabiliti in Ungheria sono
dispensati da tale obbligo. Come infatti indicato dal giudice del rinvio, il diritto
tributario nazionale considera che essi ottemperano automaticamente all’ob-
bligo in questione.
32. Tuttavia, la circostanza che tali prestatori siano dispensati dal suddetto
obbligo dichiarativo non rappresenta, nei confronti dei prestatori di servizi
pubblicitari stabiliti in altri Stati membri, una differenza di trattamento che può
costituire una restrizione alla libera prestazione dei servizi.
33. Infatti, anzitutto, è pacifico che questi ultimi prestatori sono altresì
dispensati dall’obbligo dichiarativo, ai sensi dell’art. 7/B, paragrafo 1, della
legge relativa all’imposta sulla pubblicità, qualora abbiano già ottemperato
all’obbligo dichiarativo o si siano registrati presso l’amministrazione tributaria
a titolo di qualsiasi altra imposizione diretta o indiretta prelevata in Ungheria.
34. Inoltre, l’esonero da tale obbligo dichiarativo, sebbene vada per lo più a
vantaggio dei prestatori di servizi stabiliti nel territorio ungherese, ha l’effetto
non di dissuadere la prestazione transfrontaliera di servizi pubblicitari, bensì di
evitare ai prestatori già registrati presso l’amministrazione tributaria l’adempi-
mento di una formalità amministrativa inutile, dal momento che detto obbligo
dichiarativo ha proprio lo scopo di consentire a tale amministrazione di
SULLE SPESE - 56. Nei confronti delle parti nel procedimento principale la
presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale,
cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per
presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1) L’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso non osta a
una normativa di uno Stato membro che assoggetta i prestatori di servizi
pubblicitari stabiliti in un altro Stato membro a un obbligo dichiarativo ai fini
del loro assoggettamento a un’imposta sulla pubblicità, mentre i prestatori di
siffatti servizi stabiliti nello Stato membro di imposizione ne sono dispensati per il
fatto che sono soggetti a obblighi dichiarativi o di registrazione a titolo del loro
assoggettamento a qualsiasi altra imposta applicabile nel territorio di detto Stato
membro.
2) L’art. 56 TFUE deve essere interpretato nel senso che esso osta a
una normativa di uno Stato membro in base alla quale ai prestatori di
servizi stabiliti in un altro Stato membro - che non abbiano ottemperato a
un obbligo dichiarativo ai fini del loro assoggettamento a un’imposta sulla
pubblicità - è inflitta, in pochi giorni, una serie di sanzioni pecuniarie il cui
importo, a partire dalla seconda, è triplicato rispetto all’importo della
sanzione pecuniaria precedente, ad ogni nuovo accertamento dell’inadem-
pimento di tale obbligo, e raggiunge un importo cumulativo di diversi milioni
di euro, senza che l’autorità competente, prima di adottare la decisione che
fissa definitivamente l’importo cumulativo di tali sanzioni pecuniarie, con-
ceda a tali prestatori di servizi il tempo necessario per ottemperare ai loro
obblighi, offra loro la possibilità di presentare le loro osservazioni ed
esamini essa stessa la gravità dell’infrazione, mentre l’importo della
Abstract: The article analyses the most recent judgements delivered by the Court of
Justice with regard to the taxation of digital economy. In particular, it focuses on the
difficulties recently faced by the States in exercising their taxing powers within
digital reality. One of the main reasons of these difficulties is to be found in the legal
framework currently undelying income taxation.
1
Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Juliane Kokott, presentate il 12 settembre 2019,
nella causa C-482/18, Google Ireland Limited contro Nemzeti Adó- és Vámhivatal Kiemelt Adó-
és Vámigazgatósága, ECLI:EU:C:2019:728.
2
Si veda, tra i tanti, F. Gallo, “Fisco ed economia digitale”, in Dir. prat. trib., 2015, IV, pag.
599 ss.
3
Si veda, ex multis, S. Cipollina, “I redditi ‘nomadi’ delle società multinazionali nell’eco-
nomia globalizzata”, in Riv. dir. fin. e sc. fin., 2014, I, pag. 21 ss.; S. Cipollina, I confini giuridici
nel tempo presente. Il caso del diritto fiscale, Milano, 2003. Per alcuni contributi di dottrina
straniera, W. Schön, “Ten Questions About Why and How to Tax the Digitalized Economy”, in
Bull. Int. Taxn., 2018, IV-V, pag. 278 ss.; E. Kemmeren, “Should the Taxation of the Digital
Economy Really Be Different”, in EC Tax Rev., 2018, II; pagg. 72-73; AA.VV, Taxing the Digital
Economy (a cura di P. Pistone, D. Weber), Amsterdam, 2019; F. S. Zawodsky, “Value Added
Taxation in the Digital Economy”, in British Tax Rev., 2018, V, pag. 606 ss.; M. Lang, I. Lejeune,
VAT/GST in a Global Digital Economy, Alphen aan den Rijn, 2015; J. Englisch, “BEPS Action 1:
Digital Economy - EU Law Implications”, in British Tax Rev., 2015, II, pag. 281 ss.; A. B. Moreno
- I. Brauner, “Taxing the Digital Economy Post BEPS… Seriously”, in Colum. J. Transnat’l L.,
2019-2020, I, pag. 121 ss.; M. Olbert - C. Spengel, “International Taxation in the Digital
Economy: Challenge Accepted?”, in World Tax J., 2017, I, pag. 3 ss.; A. Turina, “Which
Source Taxation for the Digital Economy”, in Intertax, 2018, VI-VII, pag. 495 ss.; K.
Anderson, “Taxation of the Digital Economy”, in Intertax, 2017, X, pagg. 590-592; A.
Cockfield - W. Hellerstein - M. Lamensch, Taxing Global Digital Commerce, Alphen aan den
Rijn, 2020.
4
Si veda A. Uricchio, “Evoluzione tecnologica e imposizione: la cosiddetta ‘bit tax’.
Prospettive di riforma della fiscalità di Internet”, in Dir. informatica, fasc.4-5, 2005, pag. 753
ss. Oltre a fornire una spiegazione dettagliata circa il meccanismo di funzionamento della
pubblicità in rete (es. i banner, ecc.), cui si rimanda per approfondimenti, l’Autore ripercorre le
Le presenti brevi note, dopo una sommaria esposizione dei fatti all’ori-
gine della causa, analizzano da una prospettiva italiana il ragionamento che
ha portato i giudici a ritenere il meccanismo sanzionatorio collegato all’im-
posta ungherese sulla pubblicità incompatibile con il principio di
proporzionalità. Successivamente, è proposta una breve analisi del criterio
di collegamento utilizzato dall’Ungheria per sottoporre a tassazione la
pubblicità on line, ossia la lingua della pubblicità stessa ovvero del sito su
cui essa è ospitata.
Infine, prima di alcune considerazioni di chiusura, la pronuncia in
commento è contestualizzata attraverso una breve esposizione del conte-
nuto di un’altra sentenza, emessa lo stesso giorno dalla Corte di Giustizia,
riguardante un’imposta straordinaria applicata sempre dall’Ungheria alle
imprese attive nel settore delle telecomunicazioni. Anche in questo caso, i
giudici europei toccano alcuni dei principi cardine dei nostri sistemi tribu-
tari e la lettura congiunta delle due pronunce fornisce ampi spunti - non solo
di carattere strettamente giuridico - ai policy-maker che stanno lavorando e
lavoreranno in futuro all’adeguamento dei sistemi tributari alle esigenze
dell’economia dematerializzata.
principali tappe dell’evoluzione storica della fiscalità di Internet e riporta, inter alia, che:
“Logico corollario di tale impostazione è stata la percezione della rete come un fenomeno
virtuale del tutto inidoneo ad essere sottoposto a una propria disciplina (17), non compor-
tando alcun movimento fisico di merci, […] riducendosi soltanto a una serie di impulsi
elettronici. La virtualità della rete telematica ha indotto, peraltro, a considerare il c.d
cyberspazio, […] come un non luogo in quanto non radicato territorialmente. Nella pro-
spettiva fiscale, breve è stato il passo nella direzione della configurazione di Internet come
una no tax land”.
5
Cfr. par. da 18 a 22 della sentenza.
6
R. Szudoczky - B. Károlyi, “The Troubled Story of the Hungarian Advertisement Tax:
How (Not) to Design a Progressive Turnover Tax”, in Intertax, 2020, I, pag. 46 ss.
7
Cfr. par. da 3 a 5 della sentenza.
8
Cfr. par. 9 - 10 della sentenza.
9
Cfr. par. 40 - 41 della sentenza.
10
In tal senso, si vedano in particolare CGE sent. 26 maggio 2016, causa C-48/15, NN(L),
ECLI:EU:C:2016:356 e sent. 28 luglio 2018, causa C-553/16, TTL, ECLI:EU:C:2018:604.
11
Cfr. par. 51 della sentenza.
12
Cfr. par. 53 della sentenza.
13
CGE sent. 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07, Ecotrade, ECLI:EU:
C:2008:267, par. 67.
14
CGE, sentenza 21 ottobre 2010, nella causa C-385/09, Nidera Handelscompagnie,
ECLI:EU:C:2010:627.
15
Sul concetto di elasticità della sanzione pecuniaria veda in particolare G. Falsitta,
Manuale di diritto tributario - Parte generale, Padova, 2010, pag. 537.
16
In specie, ex art. 7, D.L. n. 472/1997. A riguardo, si vedano per approfondimenti, tra gli
altri, L. Del Federico, “Prime note sui procedimenti sanzionatori disciplinati dal D.Lgs. del 18
settembre 1997, n. 472”, in questa Rivista, 1999, IV, pag. 1041; G. Marongiu, “La nuova
disciplina delle sanzioni amministrative tributarie”, in Dir. prat. trib., 1998, I, pag. 265; F.
Pistolesi, “Appunti sui procedimenti di irrogazione delle sanzioni tributarie”, in questa Rivista,
2002, III, pag. 90; G. Ragucci, “La partecipazione del privato all’irrogazione della sanzione
tributaria”, in Riv. dir. fin., 2001, I, pag. 251; AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative (a
cura di G. Tabet), Milano, 2000; AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni
amministrative in materia tributaria (a cura di L. Tosi - F. Moschetti), Padova, 2000; G. Falsitta,
“Confusione concettuale ed incoerenza sistematica nella recente riforma delle sanzioni tribu-
tarie non penali”, in Riv. dir. trib., 1998, I, pag. 475; F. Gallo, “L’impresa e la responsabilità per le
sanzioni amministrative tributarie”, in in questa Rivista, 2005, I, pag. 11.
17
Per una prospettiva storica dei principali contributi nel settore del diritto amministra-
tivo: A. Vigneri, La sanzione amministrativa: Origine e nozione, Padova 1984; G. Baratti,
Contributo allo studio della sanzione amministrativa, Milano 1984; G. Pagliari, Profili teorici
della sanzione amministrativa, Padova 1988; E. Rosini, Le sanzioni amministrative, Milano
1991. Per una prospettiva tributaria, invece, L. Perrone, “Le sanzioni amministrative in materia
tributaria”, in Riv. dir. sc. fin., 1978, I, pag. 637 ss.
18
Per un approfondimento si vedano anche L. Del Federico, “Le sanzioni improprie nel
sistema tributario,” in Riv. dir. trib., 2014, I, pag. 693 ss.; L. Del Federico, “Sanzioni improprie
ed imposizione tributaria”, in AA.VV., Diritto tributario e Corte costituzionale (a cura di L.
Perrone - C. Berliri), Napoli, 2006, pag. 519 ss.; A. Sandulli, La proporzionalità dell’azione
amministrativa, Padova, 1998; D.U. Galetta, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdi-
zionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998. Per una prospettiva penalistica, invece, F.
Mazzacuva, Le pene nascoste, Torino, 2017.
19
G. Moschetti, Il principio di proporzionalità come “giusta misura” del potere nel diritto
tributario, Padova, 2017, pag. 128.
20
Cass., Sez. tributaria, sent. 6 novembre 2013, n. 24929. I giudici riconoscono che
l’intervento normativo operato a mezzo dell’art. 1, commi 302 e 303, della Legge 27 dicembre
2006, n. 296 “ha sottratto la predetta prescrizione formale alla fattispecie costitutiva del diritto
alla deduzione, imponendo tuttavia al contribuente il relativo adempimento in funzione delle
esigenze di controllo degli Uffici finanziari”. Ciò, però, non varrebbe per i periodi d’imposta
ante 2007, rispetto ai quali la violazione che ha ostacolato il controllo è assunta a causa estintiva
del diritto alla deduzione. Si veda anche E. Della Valle, “I costi black list: cronaca di una morte
improvvisa”, in il fisco, 2016, VII, pag. 616 ss.
21
G. Moschetti, op. cit., pag. 129, nota a piè di pagina n. 88, afferma che “Ben diversa-
mente, nell’ordinamento austriaco la Corte costituzionale (sentenza B 916/02 del 12 dicembre
2003, in ÖstZ, 2004, pag. 547) ha dichiarato che è contrario al principio di proporzionalità
negare l’esclusione da IVA in un caso in cui non v’era dubbio circa l’esportazione, ma era
contestata la tenuta dei registri contabili”.
22
Sul principio in questione si vedano anche, tra gli altri, F. Amatucci, “I principi della
proporzionalità e del ne bis in idem nel sistema sanzionatorio tributario”, in Dir. prat. trib. int.,
2015, I, pag. 415 ss.; F. Petrillo, Il principio di proporzionalità nell’azione amministrativa di
accertamento tributario, Bari, 2015.
23
A riguardo, si veda anche F. Montanari, “La dimensione multilivello delle sanzioni
tributarie e le diverse declinazioni del principio di offensività-proporzione”, in Riv. giur. trib.,
2017, I, pag. 1912 ss. Più in generale, invece, si vedano AA.VV., Le sanzioni nell’esperienza
europea (a cura di A. Di Pietro), Milano, 2001; L. Del Federico, “Violazioni e sanzioni in materia
tributaria”, in Enc. giur. Treccani, Vol. XXXII, Roma, 2000, pag. 19.
24
Si vedano anche L. Salvini, “Prospettive di riforma del sistema sanzionatorio tributa-
rio”, in questa Rivista, 2015, II, pag. 545 ss.; G. Zizzo, “L’offesa del bene giuridico protetto come
presupposto e parametro delle sanzioni amministrative tributarie”, in Riv. G. di F., 2015, pag.
1527 ss.
25
V. anche A. Albano, “Le sanzioni amministrative tributarie irrogate ai soggetti non
residenti ed il principio comunitario di proporzionalità”, in Riv. giur. trib., 2020, VIII/IX, pag.
669 ss.
26
L. Lodoli - B. Santacroce, “Automatismo o discrezionalità nell’applicazione della
recidiva per le sanzioni? Limiti di proporzionalità”, in il fisco, 2016, pag. 355 ss.; D. Liburdi -
G. P. Ranocchi, “Revisione dei principi sanzionatori all’insegna della gradazione e di una
maggiore razionalità”, in il fisco, 2016, I, pag. 24 ss.; A. Carinci, “Prime considerazioni sulla
riforma delle sanzioni amministrative tributarie”, in il fisco, 2015, pag. 3929 ss. Per un
approfondimento di carattere più generale, E.M. Ambrosetti, Recidiva e recidivismo,
Padova, 1997.
27
CGE, sent. 17 luglio 2014 nella causa C-272/13, Equoland, ECLI:EU:C:2014:2091, par.
35. Annotata da B. Santacroce - E. Sbandi, “IVA all’importazione: la sentenza “Equoland” e la
posizione restrittiva dell’Amministrazione doganale”, in Corr. Trib., 2014, pag. 3489 ss.; M.
Balzanelli - M. Sirri, “Depositi IVA: gli effetti della sentenza Equoland nei giudizi della
Cassazione e nella prospettiva delle Entrate”, in Corr. Trib., 2015, pag. 4305 ss.
28
Più in generale, si veda anche D. Freyer, “The Proportionality Principle under EU Tax
Law: General and Practical Problems Caused by Its Extensive Application”, in Eur. Taxn., 2017,
parte I in IX, pag. 384 ss., parte II in X, pag. 428 ss. Per una prospettiva belga, J. Malherbe,
“Administrative Tax Surcherges and the Proportionality Principle”, in AA.VV., Surcherges and
Penalties in Tax Law (a cura di R. Seer, A.L. Wilms), Amsterdam, 2016.
29
Cfr. par. 94 e 105 delle conclusioni dell’AG.
30
Vale la pena richiamare quanto affermato da G. Vanz, “I principi della proporzionalità e
ragionevolezza nelle attività conoscitive e di controllo dell’Amministrazione finanziaria”, in
Dir. prat. trib., 2017, V, pag. 1912, “Accanto al principio della proporzionalità, presenta un suo
autonomo ambito di applicazione il connesso principio della ragionevolezza… L’esame della
giurisprudenza e della dottrina (non tributarie) che se ne sono occupate dimostra che i due
termini sono in larga parte utilizzati come sinonimi… A mio avviso, invece, i principi della
ragionevolezza e della proporzionalità, pur essendo fra loro strettamente correlati, vanno
tenuti concettualmente distinti uno dall’altro”.
31
In questo senso, G. Moschetti, op. cit., pag. 131.
32
Cfr. par. 86 delle conclusioni dell’AG.
33
OECD, Addressing Base Erosion and Profit Shifting, febbraio 2013, in particolare pagg.
35-36. Si vedano anche V. Uckmar, “La fiscalità del commercio elettronico. Attualità e pro-
spettive,” in AA.VV., Commercio elettronico e Fisco (a cura di M.A. Galeotti Flori), Torino, 2002,
pag. 131 ss.; E. Pinto, E-Commerce and Source-Based Income Taxation, Amsterdam, 2002,
pag. 16.
nella vita economica di un Paese... senza avere ivi una presenza tassabile”34.
Seppur l’imposta sulla pubblicità recentemente istituita in Ungheria rap-
presenti senza dubbio un tentativo apprezzabile di adeguamento del
sistema tributario alle esigenze poste dalla de-materializzazione dell’eco-
nomia35, il fatto che l’impianto del diritto tributario sia ancora quello
elaborato negli anni ‘20 del secolo scorso36, quando una certa presenza
fisica - e quindi tassabile - sul territorio era imprescindibile per svolgere i
propri affari, limita fortemente l’efficacia delle soluzioni adottate37.
Ci troviamo di fronte ad un tentativo di superamento di quelli che la
dottrina italiana38 ha sempre definito come i limiti spaziali della potestà di
polizia tributaria, operato nel tentativo di proiettare la potestà impositiva
dello Stato in una realtà, quella digitale, in un certo senso parallela e che non
esisteva quando tali limiti sono stati concepiti.
Se infatti da un lato abbiamo un ordinamento tributario che compie uno
sforzo di adattamento alla realtà dell’attuale panorama economico, chie-
dendo ai grandi player dell’economia digitale di registrarsi presso le autorità
nazionali ai fini fiscali ed imponendo sanzioni draconiane, dall’altro il
quadro fattuale mostra come tutto ciò non sia stato in alcun modo risolutivo.
Questa nuova tipologia di contribuente, invero, è costituita da realtà multi-
nazionali che sono molto diverse - sia in termini qualitativi che, come
34
Traduzione libera dell’autore della seguente citazione: “heavily involved in the economic
life of another country … without having a taxable presence therein”.
35
Per una analisi approfondita delle tematiche connesse alla tassazione della pubblicità
on line, si vedano in particolare L. Del Federico - C. Ricci - S. Giorgi, “La tassazione dei servizi di
pubblicità on line (c.d. Google Tax)”, in L. Del Federico - C. Ricci (a cura di) Le nuove forme di
tassazione della Digital Economy - Analisi, proposte e materiali per il dibattito politico e istitu-
zionale, Canterano, 2018, pag. 53. In un’ottica di diritto tributario internazionale, essi rilevano,
inter alia, che: “l’applicabilità, alla digital economy, dei principi propri della fiscalità interna-
zionale, basati sulla fisicità del collegamento dell’attività economica ad un determinato terri-
torio, viene messa in dubbio dalle peculiarità proprie di questo particolare mercato senza
confini territoriali, in cui è configurabile la fissazione di un indirizzo internet in un Paese
diverso da quello di residenza o da quello in cui viene esercitata effettivamente l’attività
commerciale, in cui è difficile stabilire l’identità delle parti e ancor più la localizzazione
delle imprese coinvolte nell’operazione. In questo contesto, la tassazione delle imprese e
delle società deve fare i conti con nuove e diverse modalità di produzione del reddito, che
impongono una rilettura, in chiave adeguatrice, dei principi […]”.
36
Così L. Carpentieri, “La tassazione delle imprese al tempo dell’economia digitale”, in L.
Carpentieri (a cura di) Profili fiscali dell’economia digitale, Torino, 2020, pag. 2: “Dal nuovo
contesto nel quale si sono trovate ad operare, le imprese hanno presto imparato a trarre i
maggiori benefici possibili e si sono attrezzati per farlo al meglio, elaborando sofisticate
pianificazioni fiscali di shifting di profitti nati ‘apolidi’. I sistemi fiscali, dal canto loro, in un
primo tempo sono rimasti a guardare e, quando - preoccupati di salvaguardare livelli minimi di
gettito - hanno cominciato a reagire, sono apparsi inevitabilmente in ritardo”.
37
In generale, con riguardo all’approccio italiano si veda anche E. Della Valle, “La stabile
organizzazione ‘da remoto’: la lett. f-bis) dell’art. 162 del T.U.I.R. e l’approccio OCSE”, in questa
Rivista, 2019, III, pag. 470 ss.
38
G. Falsitta, Manuale di diritto tributario - Parte generale, Padova, 2010, pag. 130.
39
M. Greggi, “Rise and Decline of the Westphalian Principle in Taxation: The Web Tax
Case”, in EC Tax Rev., 2020, I, pag. 6 ss.
40
A. Mondini, Contributo allo studio del principio di proporzionalità nel sistema dell’IVA
europea, Pisa, 2012, pag. 100.
41
S. Dorigo, “Il superamento dei criteri di collegamento ‘tradizionali’ nell’epoca dell’e-
conomia digitale: le conclusioni dell’AG Kokott nella causa Google e la problematica della
localizzazione del reddito d’impresa”, in Riv. dir. trib. on line del 6 novembre 2019.
42
Cfr. par. da 3 a 5 della sentenza.
43
Cfr. par. 49 delle conclusioni dell’AG.
44
A riguardo, si veda anche, più in generale, A. Perrone, “L’equa tassazione delle multi-
nazionali in Europa: imposizione sul digitale o regole comuni per determinare gli imponibili?”,
in Riv. trim. dir. trib., 2019, I, pag. 63 ss.
45
Cfr. par. 50 delle conclusioni dell’AG.
46
Si veda anche F. Antonacchio, “Big Data al bivio tra IVA e imposta sui servizi digitali”, in
il fisco, 2020, pag. 3356 ss.
47
A riguardo, si vedano soprattutto L. Del Federico - C. Ricci, “La proposta OECD
dell’Equalisation Levy e la soluzione italiana”, in L. Carpentieri (a cura di), op. cit., pag. 76:
“i criteri di localizzazione dell’utente presuppongono strumenti di controllo di cui difficilmente
l’Amministrazione finanziaria, da sola, potrebbe dotarsi: è difficile, ad esempio, per l’Agenzia
delle entrate verificare dove l’utente abbia attivato l’Ipad su cui sia apparso il messaggio
pubblicitario, se in Italia o all’estero”.
48
G. Melis, Lezioni di diritto tributario, Torino, 2018, pag. 126. Per approfondimenti sulla
tematica della territorialità del tributo, tra i tanti, C. Sacchetto, “l principio di territorialità in
materia tributaria del tributo”, in Enc. giur., XXXI, Roma, 1992, pag. 304; C. Sacchetto,
“Territorialità (dir. trib.)”, in Enc. dir., Milano, 1992, pag. 303; M. Russo, La territorialità, in
Principi di diritto tributario europeo e internazionale (a cura di C. Sacchetto), Torino, 2011, pag.
81 ss.; R. Lupi, “Territorialità del tributo”, in Enc. giur. Treccani, Roma, 1994, pag. 9; G. Maisto,
“Brevi riflessioni sulla evoluzione del concetto di ‘genuine link’ ai fini della territorialità
dell’imposizione tributaria tra diritto internazionale generale e diritto dell’Unione Europea”,
in Riv. dir. trib., 2013, I, pag. 889 ss.; G. Fransoni, La territorialità nel diritto tributario, Milano,
2004; R. Baggio, Il principio di territorialità ed i limiti alla potestà tributaria, Milano, 2009.
49
Su questo punto di vedano anche, più in generale, E. Della Valle - E. D’Alfonso, “La
riscossione dei crediti tributari esteri e la riscossione all’estero”, in Corr. Trib., n. 33/2011, pag.
2714 ss.; A. Perrone, “Sovranità tributaria, territorialità dell’imposizione e mercato globale:
una sfida ancora aperta”, in V. Mastroiacovo (a cura di) Le sovranità nell’era della post
globalizzazione: atti del Convegno di Foggia 1° marzo 2019, 2019, Foggia, pag. 99 ss.; P.B.
Musgrave, “Sovereignty, entitlement, and cooperation in international taxation”, in Brook. J.
Int’l L., 2000, IV, pag. 1335 ss.; R.J. Jeffery, The changing global economy: the role of sovereignty
and jurisdiction in the creation and elimination of distortions to trade associated with interna-
tional taxation, 1998, Alphen aan den Rijn.
50
CGE, sent. 3 marzo 2020, causa C-75/18, Vodafone Magyarország, ECLI:EU:
C:2020:139.
51
Cfr. par. 45 della sentenza.
52
D. Stevanato, “Are Turnover-Based Taxes a Suitable Way to Target Business Profits?”,
in Eur. Taxn., 2019, XI, pag. 538 ss. Per una prospettiva storica della dottrina straniera su questo
tema, W.J. Blum, H. Kalven, “The Uneasy Case for Progressive Taxation”, in The University of
Chicago Law Rev., 1952, III, pag. 420 ss.; G. Cassel, “The Theory of Progressive Taxation”, in The
Economic J., 1901, XLIV, pag. 481 ss.
53
Cfr. par. 4 e 50 - 51 della sentenza.
54
Cfr. par. 7 della sentenza.
55
Per una prospettiva itaiana si veda anche, ex multis, E. Della Valle, “La web tax italiana e
la proposta di Direttiva sull’Imposta sui servizi digitali: morte di un nascituro appena conce-
pito?”, in il fisco, 2018, XVI, pag. 1507 ss.
56
Anche se non strettamente collegato, per quanto concerne il gravoso onere che grava su
coloro i quali elaborano le politiche fiscali, si veda anche F. Fichera, Le belle tasse. Ciò che i
bambini ci insegnano sul bene comune, Torino, 2011.
57
In generale, per una prospettiva italiana su questo tema si veda anche A. Perrone, “Il
percorso (incerto) della c.d. web tax italiana tra modelli internazionali ed eurounitari di
tassazione della digital economy”, in RDT - supplemento on line del 30 agosto 2019.
58
Commissone europea, comunicazione 21 settembre 2017, COM(2017)547 final.
59
E. Della Valle, “La web tax italiana e la proposta di Direttiva sull’Imposta sui servizi
digitali: morte di un nascituro appena concepito?”, in il fisco, 2018, pag. 1507 ss.
60
Su questo punto, si vedano anche R. Ismer - C. Jescheck, “Debate: Taxes on Digital
Srvices and the Substantive Scope of Application of Tax Treaties: Pushing the Boundaries of
Article 2 of the OECD Model?”, in Intertax, 2018, VI/VII, pag. 573 ss.; D. Hohenwarter - G. Kofler
- G. Mayr - J. Sinnig, “Qualification of the Digital Services Tax Under Tax Treaties”, in Intertax,
2019, II, pag. 140; G. Rolle, “Introduzione di nuovi tributi e vincoli posti dalle convenzioni
fiscali: il caso dell’imposta sui servizi digitali”, in il fisco, 2020, pag. 1554 ss.
Nel suo ricorso l’Agenzia delle Entrate ripercorre il “ben noto meccanismo che
presiede all’accertamento sintetico... una metodologia che valorizza gli indici
esteriori esprimenti il tenore di vita del soggetto... attraverso tale procedimento, i
redditi occultati vengono portati ad emersione in occasione dell’acquisto di beni
destinati ad incrementare, con un certo grado di stabilità, il patrimonio del
contribuente... il risultato reddituale... dispensa l’Amministrazione finanziaria
dal fornire ulteriori prove” (ric., p. X). L’Ente impositore, quindi, si sofferma nel
suo ricorso al fine di dimostrare, anche attraverso vaste citazioni della giurispru-
denza di legittimità, che la disciplina normativa in materia di contrasto delle
presunzioni raggiunte mediante l’accertamento effettuato con il metodo sintetico
richiede al contribuente, che voglia opporre una prova contraria, “qualcosa in più
della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi (esenti ovvero soggetti a
ritenuta alla fonte)... chiede espressamente una prova documentale su circo-
stanze sintomatiche” (ric., p. XIII).
Questa Corte di legittimità è recentemente tornata a sintetizzare qual è il
regime dell’onere della prova in presenza di un accertamento sintetico del
reddito, ed ha chiarito che “in tema di accertamento in rettifica delle imposte
sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo
sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre
e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione
da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della
capacità contributiva, sicché è legittimo l’accertamento fondato su essi,
restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla
contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito
presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 31.10.2018, n.
27811. Tanto premesso, la Suprema Corte non ha mancato di sottolineare che
“in tema di imposte sui redditi, l’accertamento del reddito con metodo sintetico,
D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, non impedisce al contribuente di dimostrare,
attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito determinato o deter-
minabile sinteticamente è costituito in tutto o in parte da redditi esenti o da redditi
soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta e, più in generale, che il reddito
presunto non esiste o esiste in misura inferiore”, Cass. sez. V, 19.10.2016, n.
21142.
2.1. Invero, all’orientamento interpretativo esposto occorre assicurare
continuità, risultando assolutamente condivisibile, sol che si proceda ad una
piana lettura della norma di riferimento. Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, dispone
al comma 4 che “l’ufficio... può sempre determinare sinteticamente il reddito
complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere soste-
nute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento
è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta,
o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque,
legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile”. Pertanto, una volta
effettuato nei modi di legge il calcolo del reddito con modalità sintetica, ed
accertate le spese sostenute dal contribuente, quest’ultimo può conseguire la
proceda a rinnovare il giudizio nel rispetto dei principi innanzi esposti, provve-
dendo anche a disciplinare le spese del giudizio di legittimità.
1
Sull’avviso di accertamento con metodo sintetico e, segnatamente, sul tema della prova
contraria si vedano senza pretesa di esaustività: G. Tinelli, L’accertamento sintetico del reddito
complessivo nel sistema dell’IRPEF, Padova, 1993, passim; F. Tesauro, “L’accertamento sinte-
tico del reddito ed il redditometro”, in Boll. trib., 1986, pag. 954; F. De Simone - C. Leuci,
“L’accertamento sintetico e la prova contraria: profili problematici”, in Dir. prat. trib., 2001, I,
pag. 830; M. Basilavecchia, “Al contribuente non si chiede più solo di dichiarare”, in Corr. Trib.,
2002, pag. 2629; M. Basilavecchia, “Nuove procedure per l’accertamento sintetico?”, in Corr.
Trib., 2007, pag. 3120; M. Basilavecchia, “Il nuovo accertamento sintetico impone maggiore
rigore nella motivazione dell’atto”, in Corr. Trib., 2013, pag. 425; M. Basilavecchia, “Sui limiti
alla prova contraria nell’accertamento sintetico e redditometrico”, in GT - Riv. giur. trib., 2014,
pag. 593; E. M. Bagarotto, “L’accertamento sintetico dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 78/
2010”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 967; R. L. Corrado, “Gli accertamenti standardizzati. Parte
Quarta: l’accertamento sintetico, Rassegna di giurisprudenza”, in Dir. prat. trib., 2010, II, pag.
939; R. L. Corrado, “Il contribuente può giustificare le spese per incrementi patrimoniali con
ogni mezzo di prova”, in Corr. Trib., 2017, pag. 128; A.M. Gaffuri, “I nuovi accertamenti di
tipo sintetico”, in Riv. trim. dir. trib., 2013, pag. 577; P. Accordino, “Notazioni in tema di
accertamento sintetico del reddito complessivo netto delle persone fisiche”, in Boll. trib.,
2014, pag. 790; P. Accordino, “Limiti e ambiti della prova contraria nell’accertamento
sintetico”, in Boll. trib., 2014, pag. 1424; N. Sartori (a cura di), “Avviso di accertamento:
‘provocatio ad opponendum’ e accertamento sintetico, rassegna di giurisprudenza nazio-
nale”, in Giur. it., 2016, pag. 1509; B. Aiudi, “L’accertamento sintetico e la prova contraria”,
in Boll. trib., 2019, pagg. 939-994; G. Andreani - G. Ferrara, “La prova contraria nel nuovo
accertamento sintetico”, in Corr. Trib., 2013, pag. 441; P. Antonini, “Prova contraria e
accertamento sintetico: una soluzione ancora lontana”, in GT - Riv. giur. trib., 2016, pag.
207; P. Antonini, “Il sintetico può essere vinto se l’investimento è finanziato con denaro
altrui”, in Corr. Trib., 2016, pag. 2197. In modo poco elegante rinviamo pure al nostro M.
Beghin, “Profili sistematici e questioni aperte in tema di accertamento ‘sintetico’ e ‘sintetico
redditometrico’”, in Riv. dir. trib., 2010, I, pag. 717.
2
A tal proposito, G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte speciale, Il sistema delle
imposte in Italia, Padova, 2018, pag. 4, con ulteriori riferimenti in dottrina e in particolare allo
scritto di L. Einaudi, Saggi sul risparmio e l’imposta, Torino, 1965, pagg. 1-158.
3
D. Stevanato, Fondamenti di diritto tributario, Milano, 2019, pag. 276; S. Muleo,
“Accertamento sintetico per spesa per investimenti patrimoniali e oneri impliciti di documen-
tazione”, in Corr. Trib., n. 7/2011, pagg. 509-514; A.M. Gaffuri, “I nuovi accertamenti di tipo
sintetico”, in Riv. trim. dir. trib., disponibile nel sito on line dell’editore Giappichelli; M.
Basilavecchia, Sui limiti alla prova contraria nell’accertamento, cit., pag. 594; A. Modolo, “La
prova contraria all’accertamento sintetico tra nesso eziologico e compatibilità tra spese e
risorse prive di significanza reddituale”, in Riv. dir. trib., 2016, II, pag. 41 e spec. pag. 46,
dove l’Autore evidenzia come la stessa Agenzia delle entrate, con la circolare 9 agosto 2007, n.
49/E abbia attribuito rilevanza a prove diverse da quelle nominate nell’art. 38 del D.P.R. n. 600/
1973; M.P. Protano, “L’attuazione del nuovo accertamento sintetico-redditometrico nella
dialettica dei rapporti fisco-contribuente”, in A. Contrino (a cura di), Il nuovo redditometro,
Milano, 2014, pag. 24.
4
Per conferma del principio generale, indipendentemente dall’esisto del singolo caso
affrontato dalla Suprema Corte, si veda, tra le più recenti: Cass. civ., Sez. trib., 8 ottobre 2020, n.
21700, in tema di smobilizzi patrimoniali eseguiti dal coniuge e versamenti a favore del
contribuente corrisposti dai genitori; Cass. civ. ord. 20 ottobre 2020, n. 22846, riguardante il
reddito del coniuge e il disinvestimento di titoli; Cass. civ. ord. 19 ottobre 2020, n. 22693, in
materia di disinvestimenti e permuta di beni (imbarcazioni); Cass. civ. ord. 8 ottobre 2020, n.
21671, in tema di proventi derivanti dalla vendita di un immobile; Cass. civ. ord. 29 settembre
2020, n. 20604, in relazione alla natura non reddituale delle somme utilizzate per gli investi-
menti, in quanto provenienti dal patrimonio dei familiari; Cass. civ. ord. 29 settembre 2020, n.
20663, in tema di erogazioni liberali; Cass. civ. 19 agosto 2020, n. 17326, con riferimento al caso
di disinvestimento di dossier titoli di cui la moglie del contribuente era contitolare; Cass. civ.
ord. 13 agosto 2020, n. 17041, in tema di provenienza della provvista idonea al sostenimento
delle spese da un soggetto terzo (nel caso di specie, il genero); Cass. civ. ord. 24 luglio 2020, n.
15899 e Cass. civ. ord. 29 maggio 2020, n. 10245, relativa all’operazione di disinvestimento di
beni (titoli); Cass. civ. ord. 22 luglio 2020, n. 15600, con riferimento al ricavato della liquida-
zione del contribuente e di titoli esenti da imposte; Cass. civ. ord. 22 maggio 2020, n. 9419, in
tema di simulate cessioni di beni a titolo oneroso (ergo donazioni); Cass. civ. ord. 15 maggio
2020, n. 9040, con riferimento alla circostanza che una parte del prezzo sia stata pagata dal
contribuente mediante accollo di debiti del venditore; Cass. civ. ord. 17 maggio 2020, n. 7381 e
Cass. civ. ord. 17 marzo 2020, n. 7382, relativamente all’esibizione di un contratto di mutuo;
Cass. civ. 12 febbraio 2020, n. 3390 e Cass. civ. 12 febbraio 2020, n. 3391, in tema di regalie da
parte di parenti ed amici.
5
Sui metodi di accertamento cfr. A. Fantozzi, Il diritto tributario, Torino, 2003, pag. 426
ss.; G. Melis, Manuale di diritto tributario, Torino, 2020, pag. 335; R. Lupi, Metodi induttivi e
presunzioni nell’accertamento tributario, Milano, 1988, passim; A. Carinci - T. Tassani, Manuale
di diritto tributario, Torino, 2019, pag. 266; S. La Rosa, “Metodi di accertamento e riforma
tributaria”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1978, I, pag. 246; S. La Rosa, “Alternatività dei ‘metodi’ di
accertamento alla luce delle recenti innovazioni legislative”, in C. Preziosi (a cura di), Il nuovo
accertamento tributario tra teoria e processo, Roma-Milano, 1996, pag. 20.
6
Bisogna avere il coraggio di dire che l’equazione “spesa uguale reddito” incarna una
discutibile semplificazione normativa. Sullo sfondo c’è l’idea, tutta da dimostrare, stando alla
quale al reddito complessivo esposto nella dichiarazione ai fini della determinazione dell’IRPEF
corrispondano, quali che siano le fonti di produzione, mezzi monetari utilizzabili per i consumi e
per gli investimenti personali. Ma questa non è necessariamente la realtà.Infatti, il reddito di
categoria, che ha alimentato il reddito complessivo, potrebbe esser stato quantificato in base alla
regola generale della competenza, tipica dei redditi d’impresa, oppure in base alle risultanze
catastali, strutturali nella determinazione dei redditi fondiari.
Con particolare riguardo al reddito d’impresa, non è possibile affermare che, per esempio,
fatto pari a 100 la cifra di riferimento, il contribuente abbia avuto la disponibilità, in
concreto, di mezzi monetari per 100. Infatti, il reddito non va confuso con la liquidità,
cosicchè quest’ultima può oscillare non tanto in ragione della maturazione dei crediti e
dell’emersione dei debiti, bensì in ragione degli incassi e dei pagamenti.
Per questo motivo, in un certo numero di casi, il contribuente, il quale intenda difendersi
dall’accertamento sintetico, è costretto a indugiare sui propri flussi di cassa e a produrre
all’Amministrazione finanziaria documentazione bancaria. Ciò significa che questa meto-
dologia accertativa, che presuppone la valorizzazione in chiave presuntiva dei consumi e
degli investimenti personali, rischia di declinare in un controllo di tipo bancario e finanzia-
rio. Sull’assetto presuntivo dell’accertamento sintetico e, in particolare, dell’accertamento
redditometrico, vedi F. Tesauro, “Dalle origini al nuovo accertamento sintetico e redditome-
trico: un’introduzione”, in A. Contrino (a cura di), Il nuovo redditometro, Milano, 2014, pag. 3
ss.; A. Contrino - A. Marcheselli, “Il ‘nuovo’ redditometro tra accertamenti standardizzati e
metodi induttivi: natura giuridica, oneri procedimentali e strategie difensive”, in A. Contrino,
Il nuovo redditometro, Milano, 2014, pag. 29 ss.
7
L’esempio non considera che, dopo l’entrata in vigore della c.d. Riforma Tremonti, i
dividendi incassati da persone fisiche residenti sono stati in parte esclusi da IRPEF. Su questo
aspetto, peraltro, si veda infra nel testo.
8
D. Stevanato, Manuale, cit., pag. 268; A. Carinci - T. Tassani, Manuale, cit., pag. 266. Sulla
identità di efficacia della dichiarazione dell’obbligato d’imposta e dell’atto d’imposizione
dell’Ufficio cfr. G. Falsitta, Manuale di diritto tributario, Parte generale, 2020, pag. 360.
9
La lettura sul tema è sterminata, come dimostra F. Modugno, “Ordinamento giuridico
(dottrine)”, in Enc.dir., XXX, Milano, 1980, ad vocem. Per un primo inquadramento del tema, L.
Paladin, Diritto costituzionale, Padova, 1991, pag. 3 ss. con particolare riferimento alla conce-
zione istituzionalistica di Santi Romano e alla concezione dei normativisti come Hans Kelsen.
Si veda anche R. Bin - G. Pitruzzella, Diritto pubblico, Torino, 2016, XXV dell’introduzione.
10
Sul profilo funzionale del diritto tributario cfr. R.Lupi, Diritto amministrativo dei
tributi, Roma, 2017, pag. 9 e ss.
11
Ci limitiamo a richiamare G. Falsitta, “Considerazioni conclusive”, in M. Beghin - F.
Moschetti - R. Schiavolin - L. Tosi - G. Zizzo, Studi in onore di Gaspare Falsitta, Padova, 2012,
pag. 271 ss.
La mera deduzione di uno ius superveniens più favorevole, senza alcuna altra
precisazione con riferimento al caso concreto, non consente l’immediata
applicazione della norma successiva, a ciò ostandovi la necessità di dimostrare
che la novella legislativa preveda un trattamento sanzionatorio complessiva-
mente più favorevole. Non trova applicazione lo ius superveniens quando la
sanzione irrogata è ricompresa tra la misura minima e massima prevista dalla
nuova norma.
Abstract: We can agree with the thesis of the Court of Cassation, according to which
the application of the ius superveniens more favorable to the perpetrator of the violation
is subject to the demonstration that the subsequent provision provides, with specific
reference to the specific case, an overall less onerous sanctioning treatment. Neither the
exclusion of the more favorable ius superveniens, in the event that the sanction imposed
falls between the minimum and maximum measures established by the new law, nor
the importance attributed to the notoriety of the author of the violation for the purposes
of determination of the sanction can be considered correct.
‘perché il fatto non sussiste’ determina l’ineseguibilità definitiva della sanzione, ferma la
necessità di valutare l’identità del ‘fatto’ in relazione agli elementi costitutivi vuoi dell’illecito
amministrativo tributario vuoi di quello penale; il relativo accertamento di fatto va operato,
in concreto, nel giudizio avente ad oggetto l’eventuale riscossione avviata dall’Ufficio”. Si
tratta di un assunto sicuramente meritevole di approfondimento. Sul profilo del ne bis in
idem, senza pretesa di esaustività, si rinvia a A. Giovannini, “Il principio del ne bis in idem
sostanziale”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag.
1265.
3
Cfr. pag. 57, paragrafo 34.2, della sentenza.
4
Cfr. pagg. 57 e 58, paragrafo 34.3, della sentenza.
5
A titolo di esempio, la rilevanza di tali elementi ai fini della determinazione delle sanzioni
è stata oggetto di specifici articoli su quotidiani a rilevanza nazionale, quali La Repubblica del
10 ottobre 2020 a firma di C. Pistilli e Il Sole - 24 Ore on line dell’8 ottobre 2020 a firma di P.
Maciocchi.
6
Per un esame completo dei principi in tema di sanzioni tributarie, sia con riferimento
alla disciplina del D.Lgs. n. 472/1997, che a quella previgente, si rinvia, senza pretesa di
esaustività, a R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020; AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle
sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM,
Padova, 2000; AA.VV., La riforma delle sanzioni amministrative tributarie, a cura di G. Tabet,
Giappichelli, Torino, 2000; R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni
amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 328; L. Del Federico, Le sanzioni
amministrative nel diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1993; R. Cordeiro Guerra, Illecito tribu-
tario e sanzioni amministrative, Giuffrè, Milano, 1996.
7
D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, emanato in attuazione della delega contenuta all’art. 8
della Legge 11 marzo 2014, n. 23.
8
L’art. 3 nel suo complesso è dedicato, come risulta anche dalla rubrica, al “principio di
legalità”.
9
L’art. 3, del D.Lgs. n. 472/1997, ai primi due commi, prevede che “Nessuno può essere
assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione
della violazione.
Salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto
che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Se la sanzione è già stata
irrogata con provvedimento definitivo il debito residuo si estingue, ma non è ammessa
ripetizione di quanto pagato”.
10
Il testo dell’art. 20 della Legge n. 4 del 7 gennaio 1929 era il seguente: “Le disposizioni
penali delle leggi finanziarie e quelle che prevedono ogni altra violazione di dette leggi si
applicano ai fatti commessi quando tali disposizioni erano in vigore, ancorché le disposizioni
medesime siano abrogate o modificate al tempo della loro applicazione”. Per un esame di tale
principio, nella vigenza della Legge n. 4/1929, si rinvia a L. Del Federico, Le sanzioni ammini-
strative nel diritto tributario, Giuffrè, Milano, 1993, pag. 109; M. Di Siena, “Abolitio del tributo e
punibilità amministrativa”, in questa Rivista, n. 4/2006, pag. 1324.
11
Come rilevato da R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 40, nel sistema delle sanzioni amministrative tribu-
tarie “il legislatore ha realizzato modifiche sostanziali non sempre pienamente coerenti con le
finalità e gli strumenti di matrice penalistica”. Si veda anche D. Coppa, “Questioni attuali in
tema di sanzioni amministrative”, in questa Rivista, n. 4/2016, pag. 1024, in cui si afferma che
“la singolarità di talune previsioni normative nella disciplina dell’illecito amministrativo
tributario ha finito col privare la sanzione delle sue naturali funzioni, deterrente e punitiva,
spingendo il legislatore ad apportare frequenti modifiche, non sempre idonee in relazione alle
finalità perseguite”. Cfr. altresì G. Ragucci, “La riforma delle sanzioni amministrative tribu-
tarie”, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, CEDAM, Padova, 2019, pag. 1549
nonché F. Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, parte generale, Milano, Utet, 2011, pag. 310.
12
Diversamente da quanto stabilito dall’art. 1 della Legge n. 689 del 21 novembre 1981.
13
L’art. 2, comma 4, c.p. così dispone: “Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le
posteriori sono diverse, si applica quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che
sia stata pronunciata sentenza irrevocabile”. Similmente, nel comma 3 del medesimo articolo
così si legge: “Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusiva-
mente la pena pecuniaria, la pena detentiva inflitta si converte immediatamente nella corri-
spondente pena pecuniaria, ai sensi dell’art. 135”.
14
Va rilevato che la Legge n. 662/1997, all’art. 3, comma 133, non esplicitava, tra i principi
direttivi della delega per la riforma del sistema sanzionatorio amministrativo, quello del favor
rei, ma si limitava ad un generico richiamo ai principi di legalità, imputabilità e colpevolezza.
15
In senso conforme, si veda altresì Corte costituzionale, sentenza n. 80 del 6 marzo 1995. Cfr.
altresì, con riferimento all’operatività del principio in campo penale, R. Alfano, Sanzioni ammini-
strative tributarie e tutela del contribuente, Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 43, nota 42.
16
Cass., Sez. II pen., sent. n. 35257 del 21 settembre 2007.
17
L’art. 7 della CEDU, di per sè, non richiama il principio dell’applicazione della Legge più
favorevole. Tuttavia la Corte Edu, fin dalla sentenza del 17 settembre 2009 (Scoppola contro
Italia) sembra aver desunto da tale articolo un generale riconoscimento del principio del favor
rei: si legge infatti in tale sentenza che “l’art. 7, par. 1, della Convenzione non garantisce
solamente il principio di non retroattività delle leggi penali più severe ma impone anche
che, nel caso in cui la legge penale in vigore al momento della commissione del reato e quelle
successive adottate prima della condanna definitiva siano differenti, il giudice deve applicare
quella le cui disposizioni sono più favorevoli al reo”.
Tale principio, in ipotesi, può addirittura travolgere il giudicato. In tal senso si richiamano
le sentenze della Cass., SS.UU. pen., 24 ottobre 2013 (dep. 7 maggio 2014), n. 18821 e Corte cost.
n. 210 del 18 luglio 2013. Si veda altresì S.M. Ronco, “Lex mitior e sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 153.
18
L’art. 49, comma 1, della Carta di Nizza così dispone: “1. Nessuno può essere condan-
nato per un’azione o un’omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva
reato secondo il diritto interno o il diritto internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una
pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso. Se, successi-
vamente alla commissione del reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve,
occorre applicare quest’ultima”. Cfr. S.M. Ronco, “Lex mitior e sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 159.
19
Sull’efficacia delle garanzie riconosciute dal diritto internazionale (e da quello comu-
nitario) in materia di sanzioni amministrative tributarie, si veda, tra gli altri, F. Amatucci, “Il
coordinamento sovranazionale delle norme procedimentali e sanzionatorie tributarie”, in Dir.
prat. trib internazionale, n. 4/2018, pag. 977.
20
S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali
sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM,
Padova, 2000, pag. 126, secondo il quale “le formule impiegate nell’art. 3 derivano dalla
combinazione dei canoni penali costituzionali (art. 25, comma 2, Cost.) e codicistici (artt. 1
e 2 c.p.) unita a discutibili, secondari mutamenti, privi peraltro di riflessi sostanziali”.
21
Per l’applicabilità dell’istituto in commento anche in tema di sanzioni improprie, si
rinvia a L. Del Federico, “Sanzioni improprie ed imposizione tributaria”, in AA.VV., Diritto
Tributario e Corte costituzionale, ESI, Napoli, 2006, pag. 547.
22
Tuttavia, non può ritenersi che la disposizione limiti l’applicazione del favor rei solo in
caso di diminuzione della sanzione: il principio deve essere applicato ogni qualvolta sia
possibile sostenere che la modifica intervenuta incida, in modo favorevole, sul trattamento
sanzionatorio (principale o accessorio). In tal senso S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.
VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a
cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 141. Si veda altresì S.M. Ronco, “Lex
mitior e sanzioni amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 1/2017, pag. 161.
23
Sull’ampiezza del principio di legalità e dei connessi principi di abolitio criminis e favor
rei si rinvia a L. Del Federico, “Il principio di legalità”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio
tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag. 1421.
24
R.Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Napoli, Editoriale
Scientifica, 2020, pag. 43.
25
Tra le altre, Cass., Sez. V, ord. 30 novembre 2018, n. 31062; Id., Sez. VI, ord. 11 novembre
2019, n. 29046; Id., Sez. V, ord. 28 giguno 2018, n. 17143.
26
La Cassazione, nella citata ord. n. 31062/2018, decidendo sulla rilevanza sopravvenuta
delle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 158/2015, così si pronunzia: “La modifica normativa in
esame, in realtà, non opera in maniera generalizzata in favor rei, con la conseguenza che la mera
affermazione di uno ius superveniens più favorevole non consente di operare sic et simpliciter la
trasformazione della sanzione irrogata in sanzione illegale, specie in assenza di specifica
deduzione dell’applicabilità in concreto di una sanzione tributaria inferiore rispetto a quella
applicata”.
27
Cass., Sez. VI, ord. 27 giguno 2017, n. 15978 in cui si legge: “Rispetto a detto orienta-
mento il precedente indicato in senso contrario nella proposta del relatore (Cass., Sez. V, 7
ottobre 2016, n. 20141), secondo cui non sarebbe all’uopo sufficiente la mera deduzione in sede
di legittimità dello ius superveniens, senza altra precisazione con riferimento al caso concreto,
ad imporre la cassazione con rinvio della sentenza impugnata, appare minoritario e non idoneo
a restringere con adeguato supporto l’ambito di applicazione del principio del favor rei”.
28
Non richiede alcuna valutazione in concreto neppure Sez. V, sent. 24 gennaio 2018, n.
1706.
29
La circostanza che l’applicazione della norma più favorevole trovi un insormontabile
ostacolo nella definitività del provvedimento di irrogazione delle sanzioni ha sollevato fondate
perplessità nella più attenta dottrina, la quale non ha mancato di rilevare la possibile disparità
di trattamento, dipendente da eventi esterni alla commissione della violazione, tra soggetti che
abbiano commesso la medesima violazione in tempi assai prossimi, assoggettati a sanzioni
diverse solo in dipendenza dell’avvenuta impugnazione o meno del provvedimento sanziona-
torio, anche se è innegabile, come suesposto, che il giudizio tributario ha ad oggetto l’impu-
gnazione di un atto, in mancanza della quale si ha la definitività della pretesa sanzionatoria. In
tal senso si richiama Cass., Sez. V, sent. 24 luglio 2013, n. 17972. Cfr. D. Coppa, “Le sanzioni
amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovrana-
zionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 999 in cui sono contenute alcune
considerazioni che, seppur riferibili all’ipotesi di abrogatio criminis, possono essere estese
anche alla disciplina del favor rei.
30
Ovviamente chi scrive non dispone degli atti di causa, ed in particolare dell’avviso di
accertamento e del ricorso introduttivo, oltre che del ricorso per cassazione. Le considerazioni
che sono svolte in questa sede trovano pertanto fondamento nelle asserzioni contenute nella
sentenza in commento.
31
Sui criteri di determinazione delle sanzioni, cfr., ex multis, L. Pistorelli, “Criteri di
determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni generali sulle san-
zioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova,
2000, pag. 197; S. Buttus, “Le sanzioni pecuniarie e le sanzioni accessorie”, in AA.VV., Trattato
di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè, Milano, 2016, pag. 1360.
32
Non avendo accesso all’avviso di accertamento, non è dato conoscere se il richiamo alla
“infedele dichiarazione IRES” contenuto al paragrafo 34 sia corretto ovvero se, trattandosi di
un accertamento nei confronti della persona fisica, si tratti di un refuso.
33
Il comma 1, dell’art. 12 così dispone: “È punito con la sanzione che dovrebbe infliggersi
per la violazione più grave, aumentata da un quarto al doppio, chi, con una sola azione od
omissione, viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche
con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione”.
34
Nella sentenza viene appositamente richiamato il D.Lgs. n. 158/2015.
35
Cfr. supra, nota 24.
36
Cfr. paragrafo 30.1 della sentenza.
Corte sostiene che ove l’Ufficio abbia applicato una sanzione ad un livello
intermedio, con specifica e puntuale indicazione degli elementi posti a
fondamento della sanzione irrogata, e quest’ultima continui a collocarsi
all’interno dell’intervallo previsto dalla norma successiva, occorre la “spe-
cifica deduzione dell’applicabilità in concreto” di una sanzione inferiore
rispetto a quella irrogata.
La Corte a tal fine non ritiene sufficiente che l’Ufficio abbia applicato, in
ragione della personalità dell’autore della violazione, un aumento del 50%
del minimo con riferimento alla sanzione più grave, e che la misura minima
di tale sanzione sia stata successivamente ridotta. I giudici giungono, al
paragrafo 34.4, alla conclusione che “la mera deduzione di uno ius superve-
niens più favorevole, senza alcuna altra precisazione con riferimento al caso
concreto”, non consentirebbe la cassazione con rinvio della sentenza di II
grado al fine di un nuovo ricalcolo delle sanzioni da applicare.
Pertanto, secondo i giudici della Suprema Corte, il contribuente avrebbe
dovuto dimostrare che, avendo riguardo agli elementi considerati nel prov-
vedimento sanzionatorio, in vigenza della legge posteriore sarebbe stata
irrogata una sanzione di entità inferiore.
La tesi sostenuta dalla Cassazione appare poco convincente ed invero
ispirata ad una interpretazione eccessivamente rigida.
In primo luogo, non si comprende il fondamento della statuizione della
Corte secondo la quale, nel caso di specie, la disposizione di cui al comma 3,
dell’art. 3 citato non possa trovare applicazione perché “il provvedimento
non ha determinato le sanzioni con un aumento percentuale riferito al
minimo edittale ma ne ha stabilito direttamente l’ammontare tra il minimo
ed il massimo”.
La Corte pertanto afferma che nel caso di specie l’Ufficio ha determinato
direttamente l’esatto ammontare della sanzione, e non attraverso un
aumento, in percentuale, del minimo irrogabile. Secondo la Cassazione,
in tale ipotesi non si verificherebbe il presupposto per l’applicazione della
legge sopravvenuta più favorevole: la sanzione in concreto irrogata, pun-
tualmente determinata nel suo ammontare, rientrerebbe nell’intervallo
previsto dalla novella legislativa.
La circostanza che l’Ufficio abbia determinato l’ammontare della san-
zione in modo puntuale, oltre ad essere in parte smentita nella stessa
sentenza, appare altresì, a parere di chi scrive, irrilevante ai fini dell’appli-
cazione della legge sanzionatoria più favorevole.
È la stessa Corte che, nello stesso periodo del paragrafo 34.3 della
sentenza, riconosce che per talune violazioni l’entità è stata rapportata ad
un valore incrementale (non del minimo edittale ma) dell’imposta evasa.
Inoltre, il giudice tributario, a fronte dell’entrata in vigore di una norma più
favorevole, dovrebbe comunque valutare se, alla luce delle nuove previsioni
normative, la sanzione concretamente irrogabile sarebbe stata diversa da
quella indicata nell’atto impugnato.
37
R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative tributa-
rie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 331, secondo il quale “una proporzionalità diretta tra
sanzione e imposta evasa è quindi logicamente necessaria”.
38
Non può non rilevarsi che nella stessa sentenza la sanzione minima edittale, in vigore al
momento della commissione della violazione, viene individuata in misura pari al 100%
dell’imposta evasa.
39
Quella relativa all’irregolare tenuta della contabilità di cui all’art. 9 del D.Lgs. 18
dicembre 1997, n. 471.
40
Invero, come suesposto, il ricorrente, anche se non al fine di contestare la determina-
zione della sanzione amministrativa, ma per paralizzarne l’applicazione, ha portato a
conoscenza della Cassazione anche un ulteriore elemento che, se conosciuto dal giudice di
merito, avrebbe potuto incidere sulla “personalità del soggetto”, ossia la sentenza definitiva
di assoluzione “per non aver commesso il fatto” avente ad oggetto reati tributari per la stessa
annualità.
41
Come sostenuto da R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni
amministrative tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 337, in tal caso “la sanzione
resta, ma è più lieve”. Appare utile richiamare quanto oramai pacifico nella giurisprudenza
penale: “In tema di successione di leggi incriminatrici nel tempo, la disposizione più favorevole
deve essere individuata tenendo conto della disciplina nel suo complesso e non di singoli e
specifici aspetti della stessa (Cass., Sez. III pen., sent. n. 14198 del 23 marzo 2017)”.
42
Cfr. R. Lupi, “Prime osservazioni sul nuovo sistema delle sanzioni amministrative
tributarie”, in questa Rivista, n. 2/1998, pag. 340, secondo il quale “nella determinazione e
nella applicazione delle sanzioni, l’amministrazione svolge prima di tutto una funzione di
giustizia, che deve essere improntata a criteri di oggettività e di imparzialità”. Va da sé che tale
discrezionalità tecnica è comunque ridimensionata dal carattere officioso dell’irrogazione
della sanzione, non avendo l’Amministrazione discrezionalità sull’an dell’applicazione della
sanzione: in tal senso S. Riondato, “Principio di legalità”, in AA.VV., Commentario alle dispo-
sizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L.
Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 129.
43
In tal senso, R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 39; D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie:
principi e deroghe tra diritto interno ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib.
internazionale, n. 4/2018, pag. 1019. Sulla circostanza che quando viene meno nel legislatore
l’interesse a punire devono venire meno gli effetti delle condotte contrarie a tale interesse, cfr. S.
Vinciguerra, “Considerazioni sui principi generali di diritto sostanziale delle infrazioni ammi-
nistrative tributarie”, in AA.VV., Per un nuovo ordinamento tributario, CEDAM, Padova, 2019,
pag. 1574. Argomentando in tal modo si dovrebbe ritenere, per analogia, che quando tale
interesse si riduce (e non si elide) anche gli effetti delle condotte devono attenuarsi.
44
Per la palese analogia delle fattispecie, non può che richiamarsi la giurisprudenza
formatasi in ambito penale. Appare opportuno a tal fine rilevare che la Suprema Corte, SS.UU.
penali, ha stabilito che “Il diritto dell’imputato, desumibile dall’art. 2, comma quarto, cod. pen.,
di essere giudicato in base al trattamento più favorevole tra quelli succedutisi nel tempo,
comporta per il giudice della cognizione il dovere di applicare la ‘lex mitior’ anche nel caso in cui
la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice sopravvenuta, in quanto la
finalità rieducativa della pena ed il rispetto dei principi di uguaglianza e di proporzionalità
impongono di rivalutare la misura della sanzione, precedentemente individuata, sulla base dei
parametri edittali modificati dal legislatore in termini di minore gravità” (Cass., SS.UU. pen.,
sent. n. 46653 del 25 novembre 2015).
45
Si richiama altresì Cass., Sez. VI pen., sent. n. 50614 del 16 dicembre 2013 che così
statuisce: “A seguito del più favorevole trattamento sanzionatorio previsto, dopo la Legge n. 49
del 2006, dall’art. 73, comma primo, d.P.R. 309 del 1990 quanto al minimo edittale per le droghe
cosiddette pesanti, il giudice d’appello deve rimodulare la pena di ufficio anche nel caso in cui il
primo giudice, anteriormente alla novella, abbia determinato la pena base, o sia comunque
partito dal suo calcolo, in misura superiore al minimo edittale”.
46
Cass., Sez. V, sent. 24 gennaio 2018, n. 1706. La Cassazione, affrontando una contro-
versia avente ad oggetto una sanzione amministrativa irrogata in misura superiore al minimo
edittale, così si esprime: “la società controricorrente ha dedotto la sopravvenuta illegittimità
parziale delle sanzioni irrogate a seguito della entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n.
158, che ha sostituito le disposizioni del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 contenute nell’l’art. 1,
comma 2 in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IRPEF ed IRAP, nell’art. 5, comma 4
in materia di sanzioni per infedele dichiarazione IVA, nonché nell’art. 6, comma 1 in materia di
sanzioni per violazione degli obblighi di documentazione e registrazione delle operazioni
soggette all’IVA, prevedendo in ciascuno dei predetti casi la determinazione del minimo
edittale della sanzione nella misura del 90% della maggiore imposta dovuta, in luogo del
previgente minimo pari al 100%.
Il rilievo deve essere accolto. In applicazione del principio del trattamento sanzionatorio
più favorevole al contribuente, stabilito del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 3, comma 3 la
sopravvenuta revisione del sistema sanzionatorio tributario introdotta dal D.Lgs. n. 158/2015,
vigente dal 1° gennaio 2016 a norma del D.Lgs. n. 158/2015, art. 32 come modificato dalla Legge
28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 133 è applicabile retroattivamente alla condizione,
ricorrente nel caso in esame, che il processo sia ancora in corso con la conseguente non
definitività della parte sanzionatoria del provvedimento impugnato (conforme Sez. VI-5,
ord. n. 15978 del 27 giugno 2017)”. In tal senso si richiama anche l’ord. della Se z. V. n.
32552 del 12 dicembre 2019.
47
F. Amatucci, “I principi riconosciuti dalla sentenza Taricco II e l’effettività del sistema
sanzionatorio tributario complessivo”, in Riv. dir. trib. internazionale, n. 1/2019, pag. 39; F.
Amatucci, “Sanzioni tributarie e proporzionalità”, in Riv. dir. trib. internazionale, n. 3/2014,
pag. 5; D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno
ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 1002.
48
D.Coppa - S. Sammartino, “Sanzioni tributarie”, in Enciclopedia del diritto, Milano
1989, XLI, pag. 442.
49
Gli articoli della stampa quotidiana richiamati in nota 4 si soffermano esclusivamente
su tali elementi.
50
D. Coppa, “Le sanzioni amministrative tributarie: principi e deroghe tra diritto interno
ed interpretazioni sovranazionali”, in Dir. prat. trib. internazionale, n. 4/2018, pag. 1002.
51
L’art. 133 c.p. così dispone: “Nell’esercizio del potere discrezionale indicato nell’arti-
colo precedente, il giudice deve tener conto della gravità del reato, desunta:
1. dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra
modalità dell’azione;
2. dalla gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato;
3. dalla intensità del dolo o dal grado della colpa.
Il giudice deve tener conto, altresì, della capacità a delinquere del colpevole, desunta:
1. dai motivi a delinquere e dal carattere del reo;
2. dai precedenti penali e giudiziari e, in genere, dalla condotta e dalla vita del reo,
antecedenti al reato;
3. dalla condotta contemporanea o susseguente al reato;
4. dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo”.
52
Sul principio di personalità della sanzione, si rimanda a R. Cordeiro Guerra, “Il
principio di personalità”, in AA.VV., Trattato di diritto sanzionatorio tributario, Giuffrè,
Milano, 2016, pag. 1439.
53
R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente, Editoriale
Scientifica, Napoli, 2020, pag. 129.
54
Come riconosciuto da L. Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.
VV., Commentario alle disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a
cura di F. Moschetti - L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 200, la determinazione della sanzione
amministrativa, a differenza di quella penale, è demandata ad una autorità che non presenta i
requisiti di terzietà propri del giudice penale.
55
Basti pensare alla “condotta dell’agente” o alla “personalità” dell’autore della viola-
zione, che può essere desunta “anche” (ma non solo) dai suoi precedenti fiscali.
56
Oltre che dalla condotta dell’agente nel commettere la violazione, che, al di là del mero
elemento psicologico della violazione, attiene alla particolare insidiosità del comportamento
tenuto.
57
Nonché dalla rilevanza penale della condotta stessa, come rilevato da Cass., Sez. V, sent.
20 febbraio 2019, n. 4927.
58
Nell’art. 7 del D.Lgs. n. 472/1997 manca qualsiasi riferimento all’intensità dell’elemento
psicologico: in tal senso, R. Alfano, Sanzioni amministrative tributarie e tutela del contribuente,
Editoriale Scientifica, Napoli, 2020, pag. 132.
59
L. Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle
disposizioni generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti -
L. Tosi, CEDAM, Padova, 2000, pag. 207.
60
In tal modo, gli Uffici potrebbero graduare le sanzioni in modo da evitare che le stesse
producano “conseguenze distruttive sul patrimonio dei contribuenti”, come riconosciuto da L.
Pistorelli, “Criteri di determinazione della sanzione”, in AA.VV., Commentario alle disposizioni
generali sulle sanzioni amministrative in materia tributaria, a cura di F. Moschetti - L. Tosi,
CEDAM, Padova, 2000, pag. 209.
61
Sui rapporti tra etica e diritto tributario, si rimanda a A. Marcheselli, Le attività illecite
tra fisco e sanzione, CEDAM, Padova, 2001.
62
Il comma 2, dell’art. 54 così prevede: “I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche
hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti
dalla legge”.
inteso quale atto fraudolento; nel caso di specie, tra l’altro, egli di certo non
avrebbe girato le somme alla moglie se avesse voluto frodare il fisco.
dell’Erario (cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077,
secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento
di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai
beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il
compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’impo-
sta e dei relativi accessori).
4.1. L’antecedente storico immediato e diretto della norma in questione è
costituito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 97 che, come sostituito dalla
Legge 30 dicembre 1991, n. 413, art. 15, così recitava: “Il contribuente che, al
fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene
pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e
verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi
di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti
fraudolenti sui propri o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte inefficace
la relativa esecuzione esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La disposizione non si applica se l’ammontare delle somme non corrisposte
non è superiore a lire 10 milioni”.
4.2. Le diversità strutturali delle fattispecie, sin da subito segnalate da
questa Corte (Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006, De Nicolo, Rv. 234322), sono
evidenti: scompare, in quella nuova, ogni riferimento alla necessità dell’effettivo
avvio di un qualsiasi accertamento fiscale e non è più conseguentemente
richiesto che l’azione abbia effettivamente compromesso l’esecuzione esatto-
riale: è sufficiente che sia idonea a renderla inefficace (sulla conseguente
natura di reato di pericolo concreto la giurisprudenza di questa Corte è ormai
consolidata; cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648,
che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso
di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiu-
dicare secondo un giudizio “ex ante” - l’attività recuperatoria della amministra-
zione finanziaria; nonché, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771,
con richiami ai numerosi precedenti conformi); fa ingresso, nella fattispecie, la
condotta di “alienazione simulata”, che costituisce modalità alternativa al com-
pimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni.
4.3. Per il concetto di “alienazione simulata” non è necessario ricorrere
all’armamentario definitorio previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1,
lett. g-bis, introdotto successivamente all’art. 11, stesso decreto. È sufficiente
attingere alle comuni definizioni civilistiche, preesistenti alla norma in questione,
secondo le quali la simulazione è finalizzata a creare una situazione giuridica
apparente diversa da quellà reale. Sicché, l’alienazione è simulata quando il
programma contrattuale non corrisponde deliberatamente in tutto (simulazione
assoluta) o in parte (simulazione relativa) alla effettiva volontà dei contraenti.
V’è piuttosto da dire che nell’ambito della alienazione simulata rientra anche
quella a titolo gratuito, non ponendo la norma limiti definitori al titolo (oneroso o
meno) della “alienazione” e non essendovi motivo alcuno per escludere la
donazione dall’ambito di applicabilità della norma. In ossequio al principio di
Abstract: In the commented decision, the Supreme Court reconstructs the consti-
tutive elements of the crime of fraudulent evasion of tax payments pursuant to art. 11
D.Lgs. n. 74/2000 by addressing a case that straddles the application boundaries of
this criminal offence and is therefore particularly suitable for testing its compliance
with the principle of legal certainty and with the fragmented nature of criminal law:
we are indisputably dealing with a conduct prejudicial to the Treasury but devoid of
any artifice or opacity. Although the Supreme Court recalls the need for an accurate
ascertainment of the fraudulent nature of the transaction, the proof of this fraudu-
lent nature seems to be made to coincide with the transaction’s mere likeliness to
compromise the recovery of the tax credit and with the will to subtract one’s own
assets from tax collection. Such approach results in overexpanding the boundaries of
the concept of “other fraudolent acts” – which are, instead, characterized by an
objective component of artifice and deception – with a view to pursuing the objecti-
ves of the Tax Authorities through a hyper-effectiveness of tax crimes.
3. Gli elementi costitutivi del reato - La natura simulata della vendita o quella
fraudolenta degli atti, l’idoneità della condotta a frustrare la procedura di
1
Cfr. P. Aldrovandi, “Sub art. 11”, in AA.VV., Diritto e procedura penale tributaria, a cura di
I. Caraccioli - A. Giarda - A. Lanzi, Padova, 2001, pag. 356; R. Pisano, “I delitti in materia di
documenti e pagamento di imposte, in A. Di Amato - R. Pisano, Trattato di diritto penale
dell’impresa, Padova, 2002, pag. 652; G.L. Soana, I reati tributari, Milano, 2013, pag. 362; R.
Zannotti, “Sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in AA.VV., Diritto penale tribu-
tario, a cura di E. Musco, Milano, 2002, 214.
2
Sulle problematiche attinenti alla fattispecie di cui all’art. 97 del D.P.R. n. 602/1973,
dopo la modifica attuata dall’art. 15 della Legge n. 413/1991: V. Napoleoni, I fondamenti del
nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, Milano, 2000, pag. 191; P.
Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 353. Come già acutamente osservato da G. Flora, “D.Lgs. 10
marzo 2000, n. 74 - Nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore
aggiunto, a norma dell’art. 9 della Legge 25 giugno 1999, n. 205”, in Legislazione Penale, n. 1-2/
2001, pag. 26, anche la stessa collocazione della disposizione in un testo normativo poco
conosciuto e di scarsa consultazione aveva privato la frode esattoriale di ogni efficacia general-
preventiva.
3
Cass., Sez. III pen., 23 settembre 2013, afferma la natura di reato di pericolo, “avendo il
legislatore in tal modo stabilito una linea di tutela prodromica delle pretese del Fisco”. La stessa
relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 sub §3.2.3 nota che “la linea della tutela
penale è stata opportunamente avanzata”.
4
Cass., Sez. III pen., 24 febbraio 2016, n. 13233.
5
V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario, cit., 203.
6
A. Perini, “Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte: reato di
pericolo e limiti costituzionali”, in Riv. it. dir. proc. pen., n. 3/2018, pag. 1198.
7
Sulla equiparazione della simulazione relativa a quella assoluta ai fini dell’integrazione
del reato in esame, si veda tra tutti E. Vagnoli, “Il delitto di sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte”, in questa Rivista, n. 4/2004, pag. 1317 ss.; R. Zannotti, “Il delitto
di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in questa Rivista, n. 3/2001, pag. 771.
Contra, esclude la rilevanza della simulazione relativa U. Nannucci, “Il delitto di sottrazione
fraudolenta al pagamento di imposte”, in U. Nannucci - A. D’Avirro (a cura di), La riforma del
diritto penale tributario (D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74), Padova, 2000.
8
In argomento, P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 366; U. Nannucci, Il delitto di
sottrazione fraudolenta, cit., pag. 297; V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale
tributario, cit., pag. 202; L. G. Soana, I reati tributari, cit., pag. 366.
9
P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 366.
10
S. Gennai - A. Traversi, I nuovi delitti tributari, Milano, 2000, pag.174 l’interposizione
fittizia di persona è un metodo attuativo ricorrente per la vendita simulata.
11
Cass., Sez. III pen., 6 marzo 2008, n. 14720.
12
F. La Grotta, “Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte nella
dinamica del procedimento di imposizione”, in questa Rivista, 2007, pag. 608 ss.
13
A. Lanzi, “Il flebile incrocio tra illuminismo, legalità e diritto penale dell’economia”, in
Indice pen., 2016, pag. 1 ss.
14
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1210.
15
Per U. Nannucci, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 293, “è appena il caso di
segnalare quale ambito di incertezza e di aleatorietà di previsione la norma consenta”.
16
Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2012, n. 40561; Cass., Sez. III pen., 5 maggio 2011, n. 23986;
Cass., Sez. III pen., 10 giugno 2009, n. 38295.
17
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1990 ss.
18
Cass., Sez. III pen., 8 aprile 2015, n. 15449; Id. 2 marzo 2018, n. 29636.
19
Facendo un parallelo con i reati in materia di dichiarazione caratterizzati anch’essi
dall’elemento della frode, si rileva che la C.M. n. 154/E/2000 che detta i criteri interpretativi sulle
nuove fattispecie penal-tributarie, richiede che la condotta di cui all’art. 3, D.Lgs. n. 74/2000
presenti “l’utilizzo di modalità particolarmente artificiose e insidiose”.
20
S. Delsignore, “I delitti di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte”, in A.
Cadoppi - S. Canestrari - A. Manna - M. Papa (a cura di), Diritto penale dell’economia, tomo I,
pag. 405.
21
Cass., Sez. III pen., 5 luglio 2016, n. 3011.
22
Nonostante l’infelice formulazione della norma per cui l’idoneità parrebbe essere
riferita alla sola ipotesi degli altri atti fraudolenti e non anche a quella di alienazione simulata,
cosicché tale ultima condotta sarebbe di pericolo astratta, la dottrina è unanime nell’aggan-
ciare il requisito dell’idoneità ad entrambe le condotte alternativamente previste dall’art. 11,
D.Lgs. n. 74/2000. R. Pisano, in AA.VV., op. cit.; M. Giglioli, “I delitti in materia di pagamento
delle imposte”, in M. Giglioli - M. D’Avirro- A. D’Avirro (a cura di), Reati tributari e sistema
normativo europeo, Padova, 2015, pag. 510.
23
La relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000 sottolinea la precisa scelta di
eliminare questo presupposto del reato perché “aveva fortemente limitato la capacità di presa
dell’incriminazione”.
24
E. Mastrogiacomo, “La frode nella riscossione: limiti e criticità”, in Riv. dir. trib., n. 6/
2011, pag. 670.
25
V. Napoleoni, I fondamenti del nuovo diritto penale tributario nel D.Lgs. 10 marzo 2000,
n. 74, Milano, 2000, pag. 199; G. L. Soana, I reati tributari, cit., pag. 381. E. Mastrogiacomo, La
frode nella riscossione, cit., pagg. 671-672, distingue tale momento a seconda delle modalità di
evasione: nel caso di omesso versamento del tributo a debito risultate dalla dichiarazione
annuale presentata tale momento è da individuarsi dalla stessa scadenza per il versamento
dell’imposta risultante dalla dichiarazione, atteso che l’Agenzia delle entrate procede alla
liquidazione di tutte le dichiarazioni ai sensi degli artt. 36-bis, D.P.R. n. 6000/1973 e 54-bis del
D.P.R. n. 633/1972, a differenza della diversa procedura di controllo formale ex art. 36-ter del
D.P.R. n. 600/1973 che viene effettuata su un numero limitato di dichiarazioni. Nel caso, invece,
di omessa o infedele dichiarazione il controllo amministrativo è solo eventuale, per cui
l’idoneità potrà configurarsi solo se la condotta sia successiva all’avvio di qualsiasi controllo,
effettuato anche nei confronti di terzi, se appaia probabile l’estensione della verifica anche al
contribuente agente.
26
Il dibattito sul momento genetico del debito tributario è tuttora aperto nella dottrina
tributaristica. In estrema sintesi, secondo la teoria dichiarativa l’obbligazione nasce ex lege al
verificarsi del presupposto di fatto espressivo della capacità contributiva, così P. Russo,
L’obbligazione tributaria, in AA.VV., Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci, II,
Padova, 1994, pag. 4. Secondo la diversa prospettiva, c.d. costitutiva, il momento costitutivo
deve individuarsi nella dichiarazione ovvero al provvedimento di recupero, così F. Tesauro, Il
rimborso d’imposta, Torino, 1975, pag. 579.La questione non sembra interessare la dottrina
penalistica che considera unanimemente l’obbligazione tributaria come effetto diretto della
realizzazione del presupposto previsto dalla legge. Tra tutti, E. Musco - F. Ardito, Diritto penale
tributario, Bologna, 2016, per i quali l’atto di accertamento ha natura eminentemente dichia-
rativa e non costitutiva dell’obbligazione.
27
A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., l’autore individua nell’art. 2740 c.c., o
meglio nella lesione della garanzia creditoria, il comune denominatore tra il delitto di sottra-
zione fraudolenta al pagamento delle imposte e i reati di bancarotta.
28
P. Aldrovandi, Sub art. 11, cit., pag. 372 s.; R. Pisano, in AA.VV., cit., pag. 663; V.
Napoleoni, I fondamenti, cit., pagg. 205-206. In giurisprudenza si veda Cass., Sez. III pen., 24
febbraio 2015, n. 13878; Id. 3 luglio 2015, n. 36378. Inoltre, si veda la stessa relazione di
accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000, § 3.2.3.
29
La giurisprudenza sul punto è pacifica. Ex multis, si segnala Cass., Sez. III pen., 27
ottobre 2010, n. 40481.
30
M. Romano, “Il delitto di sottrazione fraudolenta delle imposte (art. 11, D.Lgs. n. 74/
2000)”, in Riv. it. dir. e proc. pen., n. 3/2009, pag. 1010.
31
G.L. Soana, “Sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e azione esecutiva
tributaria”, in Riv. giur. trib., 2007, pag. 156.
32
E. Lo Monte, “Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta al paga-
mento delle imposte”, in questa Rivista, 2000, pag. 1145; A. Marcheselli, “Operazioni societarie
artificiose e reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte”, in GT - Riv. giur. trib.,
2011, pag. 575.
33
Cass., Sez. III pen., 28 giugno 2012, n. 28567.
che l’atto sia totalmente privo di ogni altra ragione economica34. È esclusa la
configurabilità del dolo eventuale, ravvisabile nelle ipotesi di incertezza
sulla sussistenza del debito, atteso che la reale conoscenza di tale elemento è
essenziale a connotare la condotta di quel disvalore che caratterizza il dolo
specifico35.
Sicuramente l’elemento soggettivo ha una marcata influenza sulla perime-
trazione del fatto tipico, tant’è che la Cassazione in alcune precedenti pronunce
ha valorizzato oltremodo la finalizzazione della condotta, trascurando del tutto
la necessità che in prima battuta sussista la materialità del reato36.
La motivazione annotata, invece, mette in guardia dalla contaminazione
qualificatoria del dolo di sottrazione dalla distinta individuazione del disvalore
di azione, per cui il riconoscimento della finalità di evasione non risolve la
questione della fraudolenza dell’elemento materiale. Diversamente si scivola in
una eccessiva soggettivizzazione dell’illecito penale37. Quando il dolo specifico
assume una particolare rilevanza nell’economia della fattispecie finisce per
contrassegnare l’incriminazione in senso esasperatamente soggettivo, in con-
trasto con la concezione che considera il reato non in un semplice atteggia-
mento riprovevole ma in un fatto offensivo di bene tutelato38.
34
M.C. Parlato, “Il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ex art. 11,
comma 1, D.Lgs. n. 74/2000: considerazioni critiche”, in Riv. dir. trib., n. 7-8/2013, pag. 166.
35
R. Pisano, I delitti in materia di documenti e pagamento di imposte, cit., pag. 667. Di
avviso contrario, M. Romano, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1011, per cui “non
può precludersi uno spazio neppure al dolo eventuale, non essendo per sé incompatibile una
precisa e decisa finalità di sottrarsi al pagamento dell’imposta, pur permanendo il dubbio se
essa superi o meno la soglia medesima”. Invero, la rilevanza del dubbio sul quantum del debito,
pare scontare, a monte, la risoluzione sulla natura della soglia di punibilità quale condizione di
punibilità o quale elemento costitutivo. Nel primo caso la questione non si pone e la norma
incriminatrice assume una severità più marcata. Se invece si sostiene la natura di elemento del
reato, allora la rappresentazione che il quantum non pagato supera la soglia di punibilità può
rivelarsi spesso assolutamente aleatoria alla luce delle molteplici variabili che influiscono sulla
sua determinazione, per cui sarebbero tipiche solo quelle condotte che si pongono ben al di
sopra della soglia di punibilità oppure poste in essere dopo la notifica degli atti di accertamento.
Su quest’ultima conclusione, si veda A. Perini, Il reato di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 1202.
In dottrina, ritiene che la soglia sia una condizione obiettiva di punibilità A. Martini, “Reati in
materia di finanze e tributi”, in C.F. Grosso - T. Padovani - A. Pagliaro (a cura di), Trattato di
diritto penale, pag. 572.
36
Emblematica la pronuncia in cui la Cassazione ha confermato la sussistenza del delitto
pur avendo escluso la natura fraudolenta della condotta: “pur dovendosi sicuramente affer-
mare che una condotta di disposizione, da parte del proprietario, dei proprio beni, non può,
evidentemente, integrare l’elemento oggettivo del reato di sottrazione fraudolenta al paga-
mento delle imposte, di cui all’art. 11, gli elementi in fatto della condotta tenuta dagli indagati,
lungi dall’essere indicativi di un comportamento semplicemente volto a cercare di disporre dei
proprio beni, sono stati ritenuti caratterizzati dalla componente di fraudolenza che, nella
struttura della norma ricordata, colora di illiceità un comportamento altrimenti del tutto
lecito”. Così Cass., Sez. III pen., 4 luglio 2012, n. 25677.
37
E. Lo Monte, Gli aspetti problematici del delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag.
1136 ss.
38
N. Mazzacuva, Il disvalore di evento nell’illecito penale, Milano, 1983, pag. 219 ss.
39
C. Roxin, Politica criminale e sistema del diritto penale, (Berlin - New York, 2 Aufl. 1973),
trad. it. a cura di S. Moccia, Napoli, 1986, pag. 40 ss.
40
E. Vagnoli, Il delitto, cit., pag. 1317 ss. In generale, sulla funzione tipizzante del dolo
nelle fattispecie soggettivamente pregnanti e nelle condotte che richiedono il dolo specifico, si
veda tra tutti M. Donini, Illecito e colpevolezza nell’imputazione del reato, Milano, 1991, pag.
76 ss.
41
Si fa riferimento alla: iscrizione di ipoteca esattoriale sui beni immobili ex art. 77,
D.P.R. n. 602/1973; sottoposizione a fermo per motivi fiscali dei beni mobili registrati ex art. 86,
D.P.R. n. 602/1973; espropriazione forzata dei beni del contribuente debitore ex art. 49 D.P.R n.
602/1973 ovvero surroga nell’esecuzione già iniziata ex art. 50, D.P.R. n. 602/1973.
42
L’intervento legislativo si era reso necessario in ragione della separazione della
titolarità del diritto di credito dalla titolarità dell’azione esecutiva. Il titolare del credito
sottostante la cartella di pagamento è l’ente pubblico che ha provveduto alla formazione del
ruolo e non l’agente incaricato della riscossione finale e pertanto, in mancanza dell’attribuzione
di specifici poteri le azioni cautelari e conservative del credito l’agente di riscossione non
avrebbe potuto promuovere azioni cautelari e conservative per il recupero di un credito non
proprio.
43
Circolare Agenzia delle entrate n. 52/E del 9 dicembre 2005.
44
E difatti, la circolare n. 52/E del 9 dicembre 2005 dell’Agenzia delle entrate richiama a
proposito l’obbligo in capo al concessionario della riscossione di denuncia all’Autorità giudi-
ziaria ai sensi dell’art. 331 c.p.p.
45
F. Gallio - F. Terrin, “L’azione revocatoria dell’agente della riscossione”, in GT - Riv.
giur. trib, n. 3/2011, pag. 257.
46
E. Lo Monte, Gli aspetti problematici del delitto, cit., pag. 1136 ss.
47
La prova della consapevolezza in capo al terzo del pregiudizio delle ragioni del creditore
può essere provata anche mediante presunzioni ex art. 2729 c.c. Tra le tante, Cass. civ., Sez. III,
sent. 30 dicembre 2014, n. 27546.
48
F. Di Vizio, Il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte ed i rapporti
con i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e di riciclaggio, Relazione per la Scuola
Superiore della Magistratura Formazione territoriale di Bologna, Cod. D18497, Bologna, 29
ottobre 2018.
49
La casistica è veramente ampia: pluralità di trasferimenti di beni immobiliari in rapida
successione Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2013, n. 19524; donazione di immobile alla moglie
Cass., Sez. III pen., 4 giugno 2009, n. 36838; cessione di azienda e scissione societaria Cass., Sez.
III pen., 9 febbraio 2011, n. 19595; trasformazione da S.r.l. a S.n.c. Cass., Sez. III pen., 12 aprile
2012, n. 20678; scissione societaria Cass., Sez. III pen., 9 gennaio 2018, n. 232; cessione e affitto
di ramo d’azienda Cass., Sez. III pen., 6 giugno 2017, n. 44451 e Cass., Sez. III pen., 16 febbraio
2017, n. 7394; conferimento di beni in società Cass., Sez. III pen., 28 febbraio 2017, n. 29243.
50
V. Napoleoni, I fondamenti, cit., pag. 203.
51
A. Lanzi, “Bene giuridico e principio di offensività nello specchio del delitto di sottra-
zione fraudolenta al pagamento delle imposte”, in Riv. dir. trib., n. 3/2020, pag. 149.
52
Tra le tante, particolarmente pregevole in materia di trust Cass., Sez. III pen., 8 aprile
2015, n. 15449; Id. 6 maggio 2012, n. 25677.
53
Solo a titolo esemplificativo: Cass., Sez. III pen., 4 aprile 2012, n. 40561; Id. 5 maggio
2011, n. 23986; Id. 10 giugno 2009, n. 38925; Id. 4 aprile 2012, n. 21013.
54
Ad esempio, in tema di trust, particolarmente sbrigativa nel ritenere configurato il reato
di cui all’art. 11: Cass., Sez. III pen., 26 novembre 2015, n. 9238 e Id. 15 dicembre 2015, n. 6798.
Le stesse perplessità sono rinvenibili in altra sentenza dello stesso relatore Cons. Aceto, Cass.,
Sez. III pen., 11 maggio 2020, n. 14217. Ancora, in tema di trasferimento d’azienda, si segnala
Cass., Sez. V pen., 14 ottobre 2014, n. 48424.
55
A Lanzi, op. ult. cit., pag. 149.
56
A. Lanzi, op. ult. cit., pag. 137.
57
Sul tema si veda R. Rampioni, “Il reato quale illecito di modalità e di lesioni tipiche:
l’impraticabilità di un’equivalente funzionale al principio di riserva di legge”, in Riv. it. dir. proc.
pen., n. 2/2013, pag. 573 ss.
58
Relazione di accompagnamento al D.Lgs. n. 74/2000, § 3.2.3.
59
M. Giglioli, I delitti in materia di pagamento delle imposte, cit., pag. 496.
60
F. Di Vizio, Il delitto di sottrazione fraudolenta, cit., pag. 35.
61
C. Santoriello, “Scissione societaria e conseguenze penali: la sottrazione fraudolenta al
pagamento delle imposte”, in Il societario, n. 2/2018, nota a Cass., Sez. III pen., 27 settembre
2017, n. 23.
L’art. 14 del D.Lgs. n. 472 del 1997 prevede la responsabilità solidale del
cessionario d’azienda per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni dovute
dal cedente, distinguendo l’ipotesi della cessione lecita, in cui la responsabilità
del cessionario è sussidiaria e limitata (commi da 1 a 3), dalla cessione in frode
al Fisco, in cui la responsabilità è sussidiaria e illimitata (comma 4); in
nessuno dei due casi, tuttavia, l’avviso di accertamento diretto al cedente
deve essere notificato anche al cessionario, in mancanza di espressa deroga
al principio generale, desumibile dall’art. 42, comma 1, del D.P.R. n. 600 del
1973, secondo cui l’avviso di accertamento è notificato al contribuente e non
agli altri soggetti che, a vario titolo, possano essere tenuti al pagamento
dell’imposta accertata.
42, primo comma, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600) e non ad altri soggetti che, a
vario titolo, possano essere tenuti al pagamento dell’imposta accertata;
2.2. la CTR non si è attenuta a questi nitidi princìpi di diritto e ha creato,
forgiandolo dal nulla, un “rapporto solidaristico di tipo paritario” tra cedente e
cessionario, al fine di attribuire a quest’ultimo un diritto (altrettanto estraneo
all’ordinamento positivo) a ricevere la notifica degli avvisi diretti al contribuente
(cedente), mossa dalla preoccupazione di evitare che, in assenza della notifica
al cessionario dell’avviso destinato al cedente, possa configurarsi, in capo al
primo, “una sorta di responsabilità esclusiva e non solidale” (cfr. pag. 27 della
sentenza), e sollecitata altresì dall’esigenza di garantire al cessionario stru-
menti aggiuntivi di tutela e l’esercizio del diritto di difesa (cfr. pag. 27 della
sentenza);
nell’ottica della salvaguardia, in giudizio, delle posizioni soggettive, giova
tenere a mente il condivisibile indirizzo di questa Corte, secondo cui, a favore del
cessionario d’azienda (ex art. 14, cit.) è approntata adeguata tutela processuale
mercé la sua partecipazione, per atto d’intervento adesivo dipendente, alla lite
tra l’erario ed il cedente (debitore principale);
si è infatti precisato, con riferimento alla cessione d’azienda conforme alla
legge (ma analoghe considerazioni valgono altresì per la simmetrica figura
giuridica della cessione d’azienda in frode al fisco), che: “Nel processo tributario,
in base all’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 14, comma 3,
del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 è ammissibile l’intervento adesivo dipen-
dente dei terzi che, pur non essendo destinatari dell’atto impositivo impugnato,
potrebbero essere chiamati ad adempiere l’obbligazione tributaria, in quanto la
legge li riconosce solidalmente responsabili perché, pur non avendo realizzato
un fatto indice di capacità contributiva, la loro posizione è collegata con il fatto
imponibile o con il contribuente, sulla base di un rapporto a cui il fisco resta
estraneo.” (Cass. 12/01/2012, n. 255);
(Omissis)
Abstract: The order of the Court of Cassation in a way that cannot be shared states
that the responsibility of the assignee, who did not require the certification referred
to in art.14, paragraph 3, D.Lgs.n.472/1997, may also be extended to taxes and
penalties detected after the transfer and committed before the second year prior
to the transfer. The judges of legitimacy correctly make the aggravation of the
assignee’s responsibility depend on the awareness of the fraud put in place by the
transferor. However, the Court in a way that cannot be shared excludes the need to
notify the assignee of the tax assessment notice, arguing that the dependent obliga-
ted is already protected in court by the adhesive intervention to be made in the
judgment instituted by the transferor.
1
Cfr. Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979, in www.italgiure.giustizia.it.
2
Si veda, con riguardo all’art. 19 della Legge n. 4/1929, D. Coppa - S. Sammartino,
“Sanzioni tributarie”, in Enc. dir., vol. XLI, Milano, 1989, pag. 441; R. Napolitano, “La
responsabilità tributaria del cessionario di azienda”, in Boll. trib., 1984, pag. 1399 ss.
3
In tal senso, in dottrina, L. Del Federico, “Cessione di azienda”, in AA.VV., Commentario
alle disposizioni generali sulle sanzioni ammnistrative in materia tributaria, a cura di F.
Moschetti - L. Tosi, Padova, 2000, pag. 474; S. Donatelli, “Osservazioni sulla responsabilità
tributaria del cessionario d’azienda”, in questa Rivista, 2003, pag. 488; R. Baggio, “Appunti in
tema di responsabilità tributaria del cessionario d’azienda”, in questa Rivista, 1999, pag. 739; E.
Belli Contarini, “La responsabilità del cessionario tra gli artt. 14 D.Lgs. n. 472/1997 e 2560 c.c.”,
in Riv. dir. trib., 2015, I, pag. 531. In giurisprudenza si veda Cass., Sez. trib., 13 luglio 2017, n.
17264.
4
Per effetto del D.Lgs. n. 158/2015, che ha introdotto nel testo dell’art. 14, D.Lgs. n. 472/
1997 i commi 5-bis e ter, la responsabilità solidale del cessionario si applica “a tutte le ipotesi di
trasferimento d’azienda, ivi compreso il conferimento” (comma 5-ter), a condizione che la
cessione non avvenga “nell’ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristruttu-
razione dei debiti di cui all’art. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, di un piano
attestato ai sensi dell’art. 67, terzo comma, lettera d), del predetto decreto o di un procedimento
di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio” (comma
5-bis).
5
A questo orientamento ha aderito anche la più recente giurisprudenza di merito: si veda
Comm. trib. reg. Toscana, Sez. VII, 17 gennaio 2019, n. 74, in Riv. dir. trib. Suppl. on line, 2019,
con nota adesiva di A. Gatto - D. A. Rossetti, “Brevi riflessioni in tema di responsabilità fiscale
del cessionario di azienda a margine di una recente sentenza di merito”.
6
La tesi, oltre che nell’ordinanza in commento, è ribadita anche nell’ordinanza della
Cass., Sez. VI, 10 aprile 2017, n. 9219.
7
Così, testualmente, Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979, par. 7.4.
8
L’art.14, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede, infatti, che “il cessionario è respon-
sabile in solido (…) per il pagamento dell’imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni
commesse nell’anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già
irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca
anteriore.
9
Sostiene che per le violazioni “meramente constatate” “la responsabilità è inequivoca-
bilmente prevista dal primo comma” dell’art. 14 L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit.,
pag. 483.
10
La constatazione del fatto potrà essere contenuta nel processo verbale di constatazione,
nell’invito a comparire di cui all’art. 5-ter del D.Lgs. n. 218/1997, o nell’avviso bonario che
precede l’iscrizione a ruolo.
11
L’art. 14, comma 3, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che gli Uffici dell’Amministrazione
finanziaria e gli enti preposti all’accertamento dei tributi di loro competenza “sono tenuti a
rilasciare, su richiesta dell’interessato, un certificato sull’esistenza di contestazioni in corso e di
quelle già definite per le quali i debiti non sono stati soddisfatti. Il certificato, se negativo, ha
pieno effetto liberatorio del cessionario, del pari liberato ove il certificato non sia rilasciato
entro quaranta giorni dalla richiesta”.
12
In tal senso, C. Are - E. Della Valle, “Responsabilità per debiti tributari nella cessione di
compendi aziendali”, in il fisco, 2018, pag. 2419; A. Gatto, “La responsabilità del cessionario
d’azienda: oggetto, ambito di applicazione e limiti”, in Corr. Trib., 2018, pag. 2371.
L’art. 14, comma 4, del D.Lgs. n. 472/1997 prevede che “la responsabilità
del cessionario non è soggetta alle limitazioni previste nel presente articolo
qualora la cessione sia stata effettuata in frode dei crediti tributari”.
Ne deriva che, in questa ipotesi, l’esatta configurazione della
responsabilità del cessionario passa necessariamente attraverso la puntuale
identificazione dei limiti contenuti nei primi tre commi dell’art. 14, inap-
plicabili nei confronti del cessionario, coobbligato solidale.
Il combinato disposto dei commi 1 e 2 lascia emergere che la
responsabilità del cessionario è circoscritta sia da un limite quantitativo,
congiuntamente segnato dal valore dell’azienda ceduta e dal debito risul-
tante, al momento del trasferimento, “dagli atti degli Uffici”, che da un limite
temporale, in ragione del quale l’obbligazione solidale sussiste solo per il
pagamento di imposte e sanzioni relative a violazioni commesse nel triennio
antecedente al trasferimento, ovvero commesse in epoca anteriore, a con-
dizione che le predette violazioni siano state contestate (e le relative sanzioni
siano state irrogate) nel triennio.
L’art. 14, comma 1, del D.Lgs. n. 472/1997, prevede, inoltre, che “il cessio-
nario è responsabile in solido, fatto salvo il beneficio della preventiva escussione
del cedente”. Anche se alcuni autori hanno ritenuto di qualificare tale beneficio
come ulteriore “limite” alla responsabilità del cessionario13, sembra preferibile
ritenere che la sussidiarietà, legata alla preventiva escussione, costituisca un
particolare modo di essere della responsabilità stessa, che quindi permane
anche quando il trasferimento è operato in frode dei crediti tributari14.
Tale soluzione è implicitamente condivisa anche dalla Corte di cassa-
zione nell’ordinanza in commento, la quale precisa, senza alcuno specifico
riferimento al beneficium excussionis, che la fattispecie disciplinata dal
comma 4 “esclude alla radice l’esigenza di limitare la responsabilità solidale
del cessionario di azienda (...) ad un ambito cronologico predefinito
(comma 1) o al debito attestato negli atti dell’Ufficio al momento della
cessione (comma 2 e 3)”15.
Se vengono meno sia il limite quantitativo di cui al comma 1, che il limite
temporale di cui al comma 2, la responsabilità solidale del cessionario non
può che essere illimitata, con la conseguenza che, sia pure a seguito della
preventiva escussione del cedente, l’Amministrazione finanziaria potrà
agire esecutivamente nei confronti del cessionario per ottenere il paga-
mento di imposte e sanzioni: i) eccedenti il valore dell’azienda ceduta; ii)
13
In tal senso, E. Belli Contarini, La responsabilità tributaria del cessionario…, cit., pag.
531; S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria…, cit., pag. 499; G. Marini, “Note
in tema di responsabilità per i debiti tributari del cessionario di azienda”, in Riv. dir. trib., 2009,
I, pag. 198.
14
La soluzione prospettata è sostenuta in dottrina da R. Baggio, Appunti in tema di
responsabilità…, cit., pag. 746. Conclude in senso dubitativo, invece, L. Del Federico,
Cessione di azienda…, cit., pag. 485.
15
In tal senso anche Cass., Sez. trib., 14 marzo 2014, n. 5979.
16
La tesi che si sostiene, secondo cui la cessione in frode dei crediti tributari determina
l’estensione della responsabilità del cessionario oltre il limite segnato dal valore dell’azienda
ceduta, non è condivisa dal L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 485, il quale, pur
osservando che “la lettera dell’art. 14 depone per l’inefficacia dei limiti del valore”, conclude nel
senso che “risulta arduo giustificare la razionalità di una tale responsabilità del cessionario,
soprattutto in ragione delle direttive della Legge delega [art. 3, comma 133, lett. c)], per cui,
anche con l’ausilio dell’interpretazione adeguatrice, parrebbe preferibile ricondurre il limite
quantitativo di che trattasi nell’ambito oggettivo dell’obbligazione solidale, e quindi confer-
marne l’efficacia in caso di cessione fraudolenta”. In senso conforme, G. Marini, Note in tema di
responsabilità..., cit., pag. 203.
Convergono sull’estensione della responsabilità del cessionario oltre il valore dell’azienda
ceduta: S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributaria…, cit., pag. 498; R. Baggio,
Appunti in tema di responsabilità…, cit., pag. 746; C.M. 10 luglio 1998, n. 180/E.
17
Contra L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 486, il quale rileva che la norma
“dà rilievo al solo profilo oggettivo” e “ciò che fa scattare la presunzione è esclusivamente la
constatazione del reato, salva la prova contraria da parte del cessionario per quanto riguarda la
sua buona fede”.
In senso conforme alla tesi che si sostiene, G. Bellagamba - G. Cariti, Il sistema delle
sanzioni tributarie, Milano, 2011, pag. 465.
18
Si rinvia, per un approfondimento sul tema, a R. Alfano, Sanzioni amministrative
tributarie e tutela del contribuente, Napoli, 2020, pag. 154; G. Petrillo, I limiti di
proporzionalità nella disciplina fiscale delle società di comodo, Napoli, 2020, pag. 17 ss.;
L. Del Federico, Tutela del contribuente ed integrazione giuridica europea, Milano, 2010,
pag. 20 ss.
19
Secondo Cass., Sez. pen., 16 gennaio 2020, n. 1564, il concorso nel reato di cui all’art. 11
del D.Lgs. n. 74/2000 è possibile da parte di chi ha ricevuto il ramo di azienda, atteso che “la
circostanza che la fattispecie in contestazione sia un reato costruito sulla figura del contri-
buente non impedisce che vi concorra un soggetto estraneo al rapporto tributario nell’ambito
del quale si realizzano le attività sottrattive, laddove egli ponga in essere un qualsiasi consa-
pevole contributo concorsuale”.
20
Questa norma recava, prima dell’abrogazione espressa intervenuta per effetto dell’art.
25, lett. a), del D.Lgs. n. 74/2000, l’omologa fattispecie oggi punita dall’art. 11 del D.Lgs. n. 74/
2000.
21
Si ritiene di dovere escludere, quanto meno limitatamente alle sanzioni, che la prova
contraria eventualmente fornita dal cessionario, di cui all’art. 14, comma 5, del D.Lgs. n. 472/
1997, possa investire la sua “buona fede” (in senso contrario, L. Del Federico, Cessione di
azienda…, cit., pag. 486). In questo particolare contesto, la buona fede da provare coincide-
rebbe con lo stato intellettivo del cessionario, consistente nell’ignoranza di ledere il diritto del
creditore. La buona fede idonea ad escludere l’aggravamento della responsabilità del cessio-
nario sarebbe pertanto una buona fede in senso soggettivo, degradata dall’art. 10 dello Statuto
dei diritti del contribuente a mero fenomeno psicologico improduttivo di qualsiasi effetto
giuridico. Ne discende che, al fine di escludere l’operatività della più grave responsabilità
prevista dal comma 4, la prova contraria che incombe sul cessionario dovrà investire l’eventus
damni, ossia l’insussistenza di qualsiasi pregiudizio delle ragioni creditorie per effetto della
cessione dell’azienda. Si rinvia, per un approfondimento sul tema, a M. Trivellin, Il principio di
buona fede nel rapporto tributario, Milano, 2009.
22
Cfr. in tal senso, L. Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 475; G. Marini, Note in
tema di responsabilità…, cit., pag. 181; S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità tributa-
ria…, cit., pag. 486.
23
Ritiene che “la disposizione di cui al comma 4 ha degli indubbi connotati sanzionatori”,
S. Donatelli, Osservazioni sulla responsabilità…, cit., pag. 499. Di avviso difforme L. Del
Federico, Cessione di azienda…, cit., pagg. 486-487, il quale, tuttavia, dopo avere escluso che
abbia rilievo la consapevolezza del cessionario ai fini della configurabilità della sua
responsabilità, afferma che “è comunque evidente che l’atteggiamento soggettivo necessario
per poter configurare una cessione in frode merita particolare attenzione”.
24
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza maturata sull’applicazione
dell’art. 2901 c.c., la prova del consilium fraudis può essere fornita dal creditore anche
attraverso il ricorso a presunzioni, compresa la sussistenza di un vincolo di parentela tra il
terzo acquirente e il debitore “quando tale vincolo renda estremamente inverosimile che il terzo
non fosse a conoscenza della situazione debitoria gravante sul disponente” (cfr., ex multis,
Cass., Sez. III, 5 marzo 2009, n. 5359; Cass., Sez. III, 18 gennaio 2019, n. 1286; Cass., Sez. III, 9
giugno 2020, n. 10928).
25
Così A. Fantozzi, “La solidarietà tributaria”, in Trattato di diritto tributario, vol. II,
diretto da A. Amatucci, Padova, 1994, pag. 461.
26
Così A. Fantozzi, La solidarietà…, cit., pag. 464.
27
Si tratta di elementi ulteriori che contraddistinguono la fattispecie definita “collate-
rale” da A. Hensel, Diritto tributario, traduzione di D. Jarach, Milano, 1956, pag. 98 ss.
28
Così A. Fantozzi, La solidarietà…, cit., pag. 464.
29
La configurazione della responsabilità del cessionario quale ipotesi di solidarietà
dipendente successiva è unanime in dottrina. In tal senso, senza pretesa di esaustività, L.
Del Federico, Cessione di azienda…, cit., pag. 475; S. Donatelli, Osservazioni sulla
responsabilità…, cit., pag. 488; G. Marini, Note in tema di responsabilità…, cit., pag. 191.
30
Distingue opportunamente la fattispecie disciplinata dall’art. 14 da quella in cui
versano i titolari di beni soggetti a privilegio G. Fransoni, “L’esecuzione coattiva a carico dei
debitori diversi dall’obbligato principale”, in C. Glendi - V. Uckmar (a cura di), La concentra-
zione della riscossione nell’accertamento, Padova, 2011, pag. 100. L’autore osserva che quella
disciplinata nell’art. 14 rappresenta “un’ipotesi di coobbligazione dipendente limitata in senso
proprio”, posto che qui “il limite non è costituito dal bene aggredibile (come nelle forme di
privilegio), perché il cessionario offre al fisco creditore sempre (e solo) la propria generica
garanzia patrimoniale ove l’azienda non fosse più ricompresa nel patrimonio stesso”.
31
Sottolinea efficacemente la progressiva espansione nel nostro ordinamento di forme di
solidarietà dipendente dalla “coloritura para-sanzionatoria”, perché collegate ad una condotta
che si risolve nella violazione di oneri di diligenza cui il sistema fa conseguire un giudizio di
sostanziale riprovevolezza posto a fondamento della responsabilità stessa, L. Castaldi, “Sulla
figura del responsabile d’imposta”, in Riv. dir. trib., n. 34/2018.
32
Si pensi, a titolo esemplificativo, ai notai e agli altri pubblici ufficiali, obbligati in solido
al pagamento dell’imposta di registro in ragione dell’Ufficio che essi esercitano, consistente
nell’adempimento dell’obbligo loro ascritto dalla legge di provvedere alla registrazione e al
pagamento del tributo (art. 57 del D.P.R. n. 131/1986); ai terzi che vengono in possesso di un
documento per il quale il soggetto obbligato non ha provveduto a corrispondere l’imposta di
bollo sin dall’origine, che a loro volta non ottemperano all’obbligo di regolarizzazione (art. 22,
comma 1, n. 1), del D.P.R. n. 642/1972); al garante che viola il divieto di compensazione previsto
dall’art. 1 del D.L. 26 ottobre 2019, n. 124. In tutte queste ipotesi non può essere attribuita ai
coobbligati la qualifica di responsabili d’imposta, perché l’estensione dell’obbligo di paga-
mento del tributo non è collegata alla realizzazione del presupposto, ma al verificarsi di una
fattispecie ulteriore e distinta, ancorché dipendente dal verificarsi del presupposto. Tale
fattispecie, da identificare rispettivamente nell’obbligo di provvedere alla registrazione, nel-
l’obbligo di procedere alla regolarizzazione del bollo, e nell’obbligo di osservare il divieto di
compensazione, interponendosi tra l’avvenuta realizzazione del presupposto e la nascita in
capo al terzo dell’obbligo di pagare il tributo, interrompe il nesso esistente tra la norma che
prevede l’obbligazione solidale e la riferibilità ad altri del presupposto, facendo venir meno uno
degli elementi che caratterizzano la figura del responsabile d’imposta.
33
In tal senso, cfr. D. Coppa, Gli obblighi fiscali dei terzi, Padova, 1990, pag. 45 ss.; D.
Coppa, “Responsabile d’imposta”, in Dig. comm., XII, Torino, 1996, pag. 383; A. Parlato, “Il
responsabile ed il sostituto d’imposta”, in Trattato di diritto tributario, diretto da A. Amatucci,
Padova, 1994, II, pag. 419; A. Parlato, Il responsabile d’imposta, Milano, 1962, pag. 76 ss.
34
L’abbandono della c.d. supersolidarietà tributaria è da attribuire alla sentenza della
Corte cost. 16 maggio 1968, n. 48, cui è seguito il sostanziale recepimento, da parte della
giurisprudenza, della tesi secondo la quale la solidarietà in materia tributaria è soggetta alla
stessa disciplina prevista per le obbligazioni solidali dal Codice civile. Si vedano, tra le
pronunzie più recenti, Cass., Sez. trib., 30 gennaio 2018, n. 2231; Id. 9 febbraio 2018, n.
3204; Id. 27 dicembre 2018, n. 33436; Id. 24 gennaio 2019, n. 2015; Id. 1° febbraio 2019, n.
3105; Id. 5 luglio 2019, n. 18154; Id. 5 dicembre 2019, n. 31807.
35
Così A. Parlato, Il responsabile d’imposta, Milano, 1963, pag. 82; G. Falsitta, “Aspetti e
problemi della responsabilità solidale del cessionario d’azienda, sancita dall’art. 197 del T.U.
delle imposte dirette”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1969, II, pag. 148.
36
In tal senso, Corte cost. 25 febbraio 1988, n. 207; Id. 24 maggio 1991, n. 219. In dottrina,
C. Glendi, L’oggetto del processo tributario, Padova, 1984, pag. 667; M. Basilavecchia, “Ruolo
d’imposta”, in Enc. dir., Milano, 1989, pag. 178; R. Lupi, “Coobbligazione solidale dipendente
ed esecuzione esattoriale”, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1987, II, pag. 200 ss.
37
In tal senso Cass., Sez. I, 11 luglio 1981, n. 4510. In dottrina, P. Russo, “Processo
tributario”, in Enc. dir., Milano, 1987, pag. 830.
38
Per un compiuto esame si rinvia a L. Castaldi, “Solidarietà tributaria”, in Enc. giur.
Treccani, 1993, e a F. Picciaredda, La solidarietà tributaria – Linee di tendenza, Roma, 2017, pag.
135 ss., nonché a tutti gli autorevoli studi ivi rispettivamente indicati nelle note bibliografiche.
39
Si tratta della sentenza n. 255 del 12 gennaio 2012, in questa Rivista, 2012, con nota
adesiva di L. Castaldi, “L’intervento adesivo dipendente nella giurisprudenza della Corte di
Cassazione”, pag. 1284 ss.
40
Ancor più incisivamente, individua “uno spazio per l’elaborazione del principio
secondo cui, prima dell’iscrizione a ruolo, occorre sempre notificare al condebitore dipendente
anche un atto volto ad accertare il titolo” della responsabilità del coobbligato, “sempre che si
aderisca all’idea secondo cui è esclusa ogni forma di efficacia riflessa del giudicato”, G.
Fransoni, L’esecuzione coattiva a carico dei debitori…, cit., pag. 115.
41
È appena il caso di ricordare che l’assunto sotteso alla tesi della Corte di cassazione è
coerente con la lettera dell’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, secondo cui l’Agente della riscossione
notifica la cartella di pagamento “al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti del
quale procede”.
42
Esclude l’efficacia ultrasoggettiva del ruolo nelle obbligazioni solidali dipendenti A.
Carinci, “La riscossione nei confronti del coobbligato, tra ruolo e nuovo accertamento esecu-
tivo”, in M. Basilavecchia - S. Cannizzaro - A. Carinci (a cura di), La riscossione dei tributi,
Milano, 2011, pag. 149. Significative aperture alla tutela del cessionario sono riconosciute
anche da L. Castaldi, “Sulla figura del responsabile d’imposta”, in Riv. dir. trib., 2018, pag. 42.
43
La soluzione che si condivide trova significativa conferma nel provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate del 30 giugno 2011, recante le “modalità di affidamento
della riscossione delle somme intimate con gli atti di cui alla lett. a), dell’art. 29, comma 1, del
D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in Legge 30 luglio 2010, n. 122, in carico agli agenti della
riscossione”. Il provvedimento citato prevede all’art. 1 che i flussi di carico devono contenere,
tra l’altro, “c) il codice fiscale e i dati anagrafici dei debitori, nonché degli eventuali coobbligati”.
A chi si rivolgono
A tutti i Professionisti che a vario titolo (Commercialisti, Avvocati,
Notai, membri degli OCC) si occupano di sovraindebitamento:
Professionista nominato dal Tribunale, Professionista in qualità
di OCC, Consulente del debitore.
Cosa fanno
• Consentono di realizzare e completare automaticamente
tutte le fasi relative alle tre procedure previste dalla
Legge n.3 del 27 gennaio 2012
• Generano automaticamente la modulistica e gli allegati
• Permettono di redigere in modo preciso ed automatico
il Piano di riparto
• Determinano automaticamente le spese del debitore
• Calcolano automaticamente i compensi del professionista
• Generano automaticamente il piano di ammortamento del
debito.
5 000002 508707