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Fert animus causas tantarum expromere rerum, Mi aspetta una fatica immane, quella cioè di
immensumque aperitur opus, quid in arma furentem svelare che cosa abbia spinto il popolo
impulerit populum, quid pacem excusserit orbi. impazzito alle armi, che cosa abbia cacciato
70 invida fatorum series summisque negatum via la pace dal mondo: invidiosa è la
stare diu nimioque graves sub pondere lapsus successione dei fati, non è consentito a ciò
nec se Roma ferens. sic, cum compage soluta che è giunto al culmine di durare a lungo,
saecula tot mundi suprema coegerit hora pesanti sono le cadute sotto un peso troppo
antiquum repetens iterum chaos, [omnia mixtis gravoso, né Roma è più in grado di
75 sidera sideribus concurrent,] ignea pontum sostenersi. Così - allorquando, scardinato il
astra petent, tellusque extendere litora nolet meccanismo che tiene insieme il mondo,
excutietque fretum, fratri contraria Phoebe l'ora estrema avrà concluso il ciclo di tante
ibit et obliquum bigas agitare per orbem generazioni, dando nuovamente luogo
indignata diem poscet sibi, totaque discors all'antico caos - tutti gli astri si
80 machina divulsi turbabit foedera mundi. mescoleranno e cozzeranno fra loro, le stelle
In se magna ruunt: laetis hunc numina rebus infuocate precipiteranno nel mare, la terra
crescendi posuere modum. Nec gentibus ullis non vorrà estendere le sue spiagge e
Commodat in populum terrae pelagique potentem respingerà le acque, Febe si dirigerà contro
Invidiam Fortuna suam. Tu causa malorum il fratello e, sdegnatasi di percorrere l'orbita
85 facta tribus dominis communis, Roma, nec umquam obliqua, chiederà per sé il giorno; e tutta la
in turba missi feralia foedera regni. struttura del mondo, ormai scardinatasi,
O male concordes nimiaque cupidine caeci! sconvolgerà le leggi dell'universo. La
grandezza precipita su se stessa: gli dèi
posero questo limite alla crescita della
Bellum Civile, I, 67 - 87 prosperità. Né la Fortuna offre ad alcuna
popolazione straniera la propria invidia
contro un popolo potente per terra e per
mare: tu, o Roma, sei la causa dei tuoi mali,
tu, resa possesso comune di tre padroni, e i
patti funesti di un dominio mai prima
affidato a tante persone. O uomini
malamente concordi e resi ciechi da una
eccessiva ingordigia!
"Sed narra mihi, Gai, rogo, Fortunata quare non recumbit? -- Quomodo nosti, inquit, illam, Trimalchio, nisi argentum
composuerit, nisi reliquias pueris diviserit, aquam in os suum non coniciet. -- Atqui, respondit Habinnas, nisi illa
discumbit, ego me apoculo." Et coeperat surgere, nisi signo dato Fortunata quater amplius a tota familia esset vocata.
Venit ergo galbino succincta cingillo, ita ut infra cerasina appareret tunica et periscelides tortae phaecasiaeque
inauratae. Tunc sudario manus tergens, quod in collo habebat, applicat se illi toro, in quo Scintilla Habinnae
discumbebat uxor, osculataque plaudentem: "Est te, inquit, videre?" Eo deinde perventum est, ut Fortunata armillas
suas crassissimis detraheret lacertis Scintillaeque miranti ostenderet. Vltimo etiam periscelides resolvit et reticulum
aureum, quem ex obrussa esse dicebat. Notavit haec Trimalchio iussitque afferri omnia et: " Videtis, inquit, mulieris
compedes: sic nos barcalae despoliamur. Sex pondo et selibram debet habere. Et ipse nihilo minus habeo decem
pondo armillam ex millesimis Mercurii factam." Satyricon 67
“Ma dimmi un po', Gaio, te ne prego, com'è che Fortunata non è della partita?”
“Come? Non lo sai? - gli risponde Trimalcione - che quella, finché non ha rimesso a posto tutta l'argenteria e
distribuito gli avanzi ai servi, non butta giù nemmeno una goccia d'acqua?”
“Va bene - incalza Abinna - ma se lei non si fa vedere, io alzo le chiappe e tolgo il disturbo”
E aveva già fatto il gesto di alzarsi, quando, su ordine del padrone, tutta la servitù si mette a chiamare
Fortunata quattro volte e più. Così lei arriva, con il vestito tenuto su da una cintura giallina che le si vedeva
sotto la tunica color ciliegia, i cerchietti intrecciati alle caviglie e gli stivaletti dorati. Allora, asciugandosi le
mani con un fazzoletto che aveva al collo, si va a sdraiare accanto a Scintilla, la moglie di Abinna, e mentre
questa batte le mani, la sbaciucchia dicendo: “Te, beato chi ti vede!” Tra un discorso e l'altro, si arriva al
punto che Fortunata si sfila i braccialetti dalle braccia grassissime e li mostra a Scintilla tutta presa dalla
cosa. Poi si toglie anche i cerchietti dalle caviglie e la reticella da capelli che a sua detta era di oro puro.
Trimalcione segue la scena e poi, alla fine, si fa portare il tutto dicendo: “Ecco qua le catene delle donne! E
noi, baccalà, ci facciamo ripulire fino all'osso. Questo qui mi sa che pesa almeno sei libbre e mezzo. Però un
bracciale da dieci libbre ce l'ho anch'io, che me lo son fatto fare coi millesimi del mio Mercurio”