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MARKETING E COMUNICAZIONE D’IMPRESA

Esame orale: almeno 4 domande inerenti a parti diversi del programma.

Appelli 2017:

 11 gennaio.
 30 gennaio.
 22 maggio.
 19 giugno.
 3 luglio.
 11 settembre.

Orario di ricevimento: mercoledì e giovedì ore 11 durante il periodo delle lezioni.

Moduli:

1. Concetti introduttivi.
2. Processi analitici di marketing.
3. Processi strategici di marketing.
4. Processi operativi di marketing.
5. Processi di pianificazione e controllo di marketing.

Caratteri del marketing

Dinamicità. Fattori che determinano la dinamicità:

 Comportamento del consumatore.


 Tecnologia a disposizione.

Il marketing deve continuamente adeguarsi al progresso.

Il marketing rientra tra le discipline economico-aziendale, tuttavia è una disciplina di confine, in quanto
influenzata da altre scienze quali psicologia, sociologia, etica, ecc.

Concretezza.

Applicabilità del marketing a qualunque campo dell’agire umano.


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MARKETING E COMUNICAZIONE D’IMPRESA

MODULO 1: CONCETTI INTRODUTTIVI

Concetti introduttivi

Bisogno

Il bisogno secondo Adam Smith è “la molla dell’agire umano”.

Nel marketing il bisogno nasce dalla discrepanza tra stato attuale dell’individuo e stato desiderato o ideale
dell’individuo: è uno stato di tensione che si genera tra stato attuale e stato desiderato. Lo stato di tensione
nasce a seguito della funzione di risveglio, cioè quando sussiste un certo bisogno: i bisogni possono essere
interni o esterni all’individuo.

Analisi dei bisogni:

 Caratteri:
1. Illimitatezza: i bisogni sono illimitati.
2. Intensità: il grado di intensità dei bisogni, man mano che vengono soddisfatti, decresce.
 Classificazione. Maslow distingueva i bisogni in 5 categorie lungo una piramide (piramide dei bisogni
di Maslow):
1. Bisogni fisiologici: bisogni che mantengono in vita l’individuo. Sono i primi a dover essere
soddisfatti.
2. Bisogni di sicurezza: non intesa soltanto come incolumità fisica, ma in senso più ampio come
mantenimento delle condizioni minime di soddisfacimento dei bisogni fisiologici.
3. Bisogni sociali: esigenza di relazionarsi agli altri.
4. Bisogni di stima: esigenza di ottenere l’apprezzamento di un gruppo o, in generale, della società.
5. Bisogni di autorealizzazione: l’individuo tende a ricercare l’apprezzamento di se stesso.

Grafico della piramide dei bisogni di Maslow:

AUTOREALIZZA
ZIONE

STIMA

SOCIALI

SICUREZZA

FISIOLOGICI

Si tratta di un modello che indica il percorso evolutivo dei bisogni negli individui: Maslow indica una
situazione generica degli individui. Nelle società economicamente più progredite, dove i bisogni di livello
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inferiore sono largamente soddisfatti, la motivazione alla stima e alla autorealizzazione prevalgono su altri
bisogni gerarchicamente inferiori.

Delle critiche alla piramide di Maslow sono che non tutti gli individui dispongono i bisogni secondo questo
ordine e non necessariamente deve essere realizzata la piena soddisfazione dei bisogni posti a livello
inferiore prima di appagare quelli di ordine superiore.

Desiderio

In altre discipline bisogni e desideri sono considerati sinonimi. Nel marketing tuttavia vi è una differenza
fondamentale tra bisogni e desideri.

Il desiderio è qualcosa che l’individuo ritiene sia in grado di soddisfare un bisogno: i bisogni sono a monte, i
desideri a valle.

Le imprese non creano i bisogni, che sono all’interno dell’individuo, bensì creano, unitamente ad atri campi
della società, i desideri. I desideri si trasformano in domanda se sostenuti da una adeguata capacità di
spesa, da un sufficiente potere d’acquisto.

Prodotto

Il prodotto è tutto ciò che può essere ritenuto in grado di soddisfare un bisogno.

I prodotti possono avere carattere materiale, i beni, o carattere immateriale, i servizi. Tuttavia non è una
distinzione così netta nella pratica. Il prodotto può essere anche un’idea: il marketing può infatti essere
applicato a qualunque idea di prodotto. Appartengono alle categorie di prodotto anche: la fede o le
ideologie politiche, che rappresentano un prodotto a cui applicare metodi di marketing; un personaggio
famoso; un territorio o una città.

Anche l’esperienza rappresenta una categoria di prodotto. Si parla di economia dell’esperienza (di Pine e
Gilmore):

1. Economia di commodities (es. prodotti agricoli).


2. Economia di beni.
3. Economia di servizi.
4. Economia di esperienza. Si tratta di un’esperienza passiva del soggetto. Le esperienze tendono a
massificare.
5. Economia di trasformazione. Si tratta di una trasformazione attiva per il soggetto.

Ogni prodotto possiede delle caratteristiche, o attributi, da cui scaturiscono dei benefici. Un prodotto
possiede delle caratteristiche più o meno distintive che possono essere di natura concreta o astratta: gli
attributi concreti sono prevalentemente unidimensionali, oggettivamente misurabili e connessi
direttamente alle caratteristiche intrinseche del prodotto; gli attributi astratti sono prevalentemente
multidimensionali, non oggettivamente misurabili e non sono necessariamente connessi alle caratteristiche
fisiche del prodotto.

Generalmente un bisogno può essere soddisfatto da prodotti diversi: per questo, l’impresa deve chiedersi
come un consumatore possa scegliere un prodotto di fronte alle diverse alternative. Il consumatore può
fare un confronto tra vantaggi che il prodotto può offrire e costi, dal punto di vista monetario, e, più in
generale, sacrifici, intesi anche come fatica fisica, che il prodotto può comportare. Dal confronto tra
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vantaggi e sacrifici nasce il valore. Il soggetto individua da questo confronto l’oggetto che vorrebbe avere,
l’oggetto del suo desiderio, scegliendo fra le varie offerte delle diverse imprese presenti sul mercato quello
che reputa possedere il maggior valore.

In sintesi la decisione d’acquisto è basata sul valore percepito da parte del cliente delle caratteristiche dei
prodotti disponibili.

Ogni impresa si presenta sul mercato con una propria proposta di valore, ovvero con un insieme di benefici
che promette di offrire per soddisfare i bisogni dei consumatori e di sacrifici che si richiedono a questi
ultimi per poter usufruire di tali benefici.

L’individuo, una volta individuato il prodotto ritenuto in grado di soddisfare meglio degli altri il o i bisogni, si
attiva per procurarselo. Modalità di procacciamento dei prodotti:

 Autoproduzione. Oggi è una forma di procacciamento di beni marginale rispetto ad altre per due
ragioni: mancanza di conoscenze tecniche necessarie per costruire il prodotto; mancanza di risorse
necessarie per costruire il prodotto. Un soggetto, anche avendo le conoscenze tecniche necessarie,
non avrebbe le risorse, e viceversa. Questi due motivi sono alla base della specializzazione economica
(economia aziendale). In questi ultimi anni vi è un timido risveglio, un interesse molto limitato ad
auto prodursi (es. stampante 3D).
 Coercizione: modalità irrilevante nel marketing per motivi soprattutto etici.
 Mendicità: modalità di procacciamento dove il prodotto viene regalato. Soprattutto in Occidente
questa modalità risulta essere marginale. È tuttavia rilevante nel marketing specie per quanto
riguarda le idee e le ideologie.
 Scambio: è la forma di procacciamento dei beni più diffusa. Le condizioni affinché si realizzi uno
scambio sono:
1. Che vi siano almeno due parti: venditore e compratore. Ci sono operazioni di scambio più
complesse (es. acquisto in leasing).
2. Che ciascuna delle due abbia qualcosa di interesse per l’altra parte. In assenza di moneta lo
scambio risulterebbe difficile da applicare: il baratto venne superato solo dopo l’introduzione della
moneta, che ha semplificato questa condizione.
3. Che ciascuna parte sia in grado di comunicare e di trasferire valore all’altra.
4. Che ciascuna parte ritenga possibile o desiderabile trattare con l’altra parte.

Mercato

In economia aziendale il mercato è un insieme di negoziazioni che presentano determinate condizioni:


hanno per oggetto una certa classe di beni, che si manifestano con continuità, con caratteri omogenei e con
elevata interazione reciproca.

Nel marketing il mercato è un insieme di soggetti (sia individui che imprese) che hanno determinate
condizioni:

 Stessa tipologia di bisogno, quindi un certo “bisogno” da soddisfare.


 Del denaro da spendere.
 La disponibilità economica a spenderlo.

Le ultime due condizioni vanno trattate congiuntamente, perché vi deve essere una propensione
all’acquisto da parte del soggetto.
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Si configura così un mercato disponibile, che è una particolare configurazione di mercato. Il mercato può
essere analizzato sia in un senso più ampio che in un senso più ristretto del mercato disponibile.

Le imprese avvertono la necessità di considerare non solo quei soggetti che hanno la possibilità e la
propensione all’acquisto, ma anche quei soggetti che non hanno tali caratteristiche. Si parla quindi di
mercato potenziale, dove i soggetti non hanno le potenzialità economiche ma hanno l’interesse ad
acquistare. Il mercato potenziale è una configurazione più ampia del mercato disponibile.

Per certe categorie di prodotti tuttavia è necessario che il soggetto abbia una certa qualifica, ovvero il
soggetto fa parte del mercato disponibile, ma non possiede quella determinata qualifica. In questo caso
l’impresa si concentra quindi sul mercato disponibile qualificato. Il mercato disponibile qualificato è una
configurazione più ristretta del mercato disponibile.

Altre due configurazioni più ristrette sono il mercato obiettivo e il mercato penetrato.

Il mercato obiettivo (o target) è una parte di mercato qualificato che l’impresa vuole effettivamente
servire. L’impresa si concentra soprattutto su una certa categoria: si parla anche di mercato target.

Il mercato penetrato (o servito) è un mercato che riguarda quei soggetto che effettivamente comprano il
prodotto.

Grafico dei livelli di mercato:

PENETRATO

OBIETTIVO

DISPONIBILE QUALIFICATO -> QUALIFICA

DISPONIBILE -> REDDITO

POTENZIALE -> INTERESSE

Marketing: da funzione aziendale a filosofia di gestione

Il concetto di marketing è diverso da quello di vendita. L’attuale concetto di marketing è frutto di un lungo
processo evolutivo.

Etimologia del termine

Vi sono diverse tipologie del termine marketing in ambito etimologico. Marketing deriva dall’inglese “to
market”, verbo che tradotto in italiano corrisponde a “introdurre nel mercato” o “commercializzare”. Il
termine è utilizzato in forma progressiva (duration form), poiché il marketing è un’azione in movimento, in
divenire: già dall’etimologia del termine deriva subito la dinamicità del marketing.
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Origini del marketing

Il marketing non ha una data di nascita precisa, perché dipende dal fatto che al termine si può dare un
significato differente, e, a seconda del significato dato, datare in modo diverso.

Nascita del concetto:

 Concetto di marketing come attività di vendita: periodo storico del baratto.


 Concetto di marketing come attività sistematiche, ovvero attività ordinate ed integrate tra loro:
rivoluzione industriale, quel periodo storico dove si assiste all’applicazione delle scoperte nelle
metodologie di produzione. In questo contesto storico si pone il problema del collocamento del
prodotto nel mercato, problema che precedentemente non si poneva: in passato la vendita avveniva
per commessa, ovvero prima si vende il prodotto e poi si produce. Dopo la rivoluzione industriale si
inizia ad avere invece un flusso di produzione per il mercato: si ritiene che in quest’epoca sia
effettivamente nato il marketing.
 Concetto di marketing come filosofia di gestione: anni ’60. L’economista americano Theodore Levitt
scrisse negli anni ’60 un articolo, destinato a cambiare totalmente l’idea di marketing, che dal punto
di vista operativo venne assorbita dalla maggior parte dell’imprese solo alla fine del secolo scorso.

Il termine marketing viene generalmente utilizzato per indicare una particolare funzione aziendale, ovvero
come una parte della varia e complessa attività svolta da una qualunque organizzazione (gestione). La
gestione comprende un insieme assai eterogeneo di attività, scomponibili in varie parti chiamate funzioni.
Articolazione delle combinazioni economiche (economia aziendale):

1. Operazione: è costituita da un insieme di accadimenti (o azioni elementari) non utilmente


distinguibili tra di loro.
2. Processo: è costituito da un insieme di operazioni della stessa specie.
3. Coordinazione parziale: è costituita da aggregati di processi per affinità di specie delle operazioni che
li compongono. Coincide con la funzione aziendale.
4. Combinazione parziale: è costituita da aggregati di processi composti da operazioni di specie diversa,
relative a un medesimo oggetto.
5. Combinazione generale: è costituita dall’insieme di tutte le operazioni.

La coordinazione parziale è costituita da aggregati di processi per affinità di specie delle operazioni che li
compongono (es. “processo di acquisto A + processo di acquisto B + processo di acquisto C = funzione di
approvvigionamento”).

In prima approssimazione il marketing può essere interpretato come una particolare funzione aziendale
costituita da un insieme di processi. La coordinazione parziale, e quindi la funzione aziendale di marketing è
costituita da processi produttivi, comunicativi, di pricing, di packaging, ecc.

Marketing -> funzione aziendale -> coordinazione parziale


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La gestione dell’impresa si articola in una serie di funzioni, descritte da un grafico a “fette di torta”:

MARKETING

FINANZA

PRODUZIONE

R&S

Una “fetta” di questa gestione è la funzione di marketing, che è di conseguenza parte della gestione di
impresa. Il marketing rientra nell’area delle funzioni caratteristiche, così come la produzione e R & S.

Il marketing si occupa di realizzare un raccordo tra l’impresa e il mercato. Le attività svolte sono molto
differenti: il contenuto della funzione di marketing dipende infatti dal contesto nel quale l’azienda opera.
L’impresa, a seconda del contesto, assume degli orientamenti (o atteggiamenti) differenti: il marketing
cambia a sua volta a seconda degli orientamenti dell’impresa. Tali orientamenti vengono visti sotto un
profilo storico.

L’orientamento alla produzione è un atteggiamento che le imprese assumono quando si trovano in


contesti nei quali il sistema economico è in fase di primo sviluppo. Vi è un forte divario tra domanda e
offerta: il mercato potenziale è notevolmente più ampio del mercato disponibile. Si tratta di un tipo di
orientamento che caratterizzava le imprese americane agli inizi del Novecento, le imprese italiane dopo la
Seconda Guerra Mondiale e che oggi caratterizza le imprese di paesi come l’Afganistan o i paesi africani. In
questi ultimi contesti, e in generale con queste situazioni ambientali, il fattore critico è il prezzo: vi è un
forte divario tra domanda potenziale ed offerta, ed il mercato potenziale non si trasforma in mercato
disponibile. È necessario allora migliorare l’efficienza aziendale (massimi profitti e minimo impiego): le
imprese cercano di applicare tutte le modifiche utili per realizzare un prodotto ad un prezzo più basso,
concentrando l’attenzione sulla produzione con l’obiettivo di ridurre i costi produttivi. Si può così innescare
il paradigma tecnologico, che è un meccanismo alla base dei processi di sviluppo economico: se l’impresa
riduce i costi di produzione, di conseguenza riduce anche i prezzi; con la riduzione dei prezzi vi consegue un
aumento delle vendite; si ha una maggiore richiesta che richiede un aumento della produzione. L’esempio
classico di paradigma tecnologico è rappresentato dal caso delle autovetture Ford.

Grafico del paradigma tecnologico:

AUMENTO
PRODUZIONE

AUMENTO PARADIGMA RIDUZIONE DEI


VENDITE TECNOLOGICO COSTI

RIDUZIONE DEI
PREZZI
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In questo contesto il marketing ha un ruolo secondario: si deve fare lo stretto indispensabile per il
marketing. La funzione guida è la funzione di produzione. Il consumatore viene completamente ignorato:
vengono infatti venduti prodotti indifferenziati.

PRODUZIONE MARKETING CLIENTE

Questo tipo di orientamento ha avuto una diffusione limitata nel tempo: i sistemi economici iniziano a
progredire con l’aumento dei redditi, della disponibilità di offerta di mercato, ecc. Alcune imprese tendono
così ad indirizzarsi o ad un orientamento al prodotto o ad un orientamento alle vendite. Tuttavia esistono
ancora oggi imprese, anche in Italia, che, volendo servire determinati target, continuano ad adottare un
orientamento alla produzione.

Con un orientamento al prodotto, le imprese iniziarono a realizzare prodotti differenziati, concentrando


quindi la loro attenzione sul prodotto: i consumatori cominciarono a preferire prodotti con migliori qualità,
prestazioni elevate, ecc. Anche in questo contesto il marketing ha un ruolo secondario: la funzione guida
adesso è rappresentata dalla funzione di R & S (ricerca e sviluppo). La funzione R & S realizza un prototipo
di prodotto che viene successivamente prodotto nella funzione di produzione, per poi essere venduto dalla
funzione di marketing.

Questo tipo di orientamento ha come conseguenza per le imprese il rischio di attenzionarsi troppo alle
innovazioni dei prodotti, e quindi al prodotto, perdendo però contatto con i consumatori.

R&S PRODUZIONE MARKETING CLIENTE

Storicamente questo orientamento nacque negli anni ’30, subito dopo la crisi di Wall Street. Ancora oggi
alcune imprese puntano l’attenzione sull’innovazione e sul prodotto.

L’orientamento alle vendite è un tipo di orientamento che punta a vendere tutto ciò che viene prodotto. Si
parla di modello di forzatura del mercato: le imprese forzano il consumatore a comprare il prodotto.
Storicamente questo orientamento riguarda la fase post Seconda Guerra Mondiale, durante gli anni del
boom economico, caratterizzati dall’esistenza di beni di cittadinanza.

PRODUZIONE MARKETING CLIENTE

Mentre nell’orientamento di produzione tutto veniva acquistato purché il prezzo fosse basso ed il
marketing venisse utilizzato solo per la vendita dei prodotti, in questo orientamento il marketing cresce da
un punto di vista quantitativo, ma non qualitativo, in quanto rimane sempre secondario alla produzione.
L’attività di marketing è svolta con l’obiettivo di costringere il consumatore ad acquistare. Ancora oggi
alcune imprese adottano questo orientamento.
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Nell’orientamento al mercato le imprese studiano invece il consumatore al fine di individuare i suoi


desideri: si produce e si vende in base a ciò che sono i desideri del consumatore. Il marketing assume un
ruolo guida, a differenza degli orientamenti precedenti: si occupa sia della vendita del prodotto sia delle
ricerche di mercato, con l’intento di capire quali sono i desideri del cliente. Il marketing migliora dunque
anche qualitativamente. Storicamente questo orientamento si diffuse negli anni ’80.

MARKETING R&S PRODUZIONE MARKETING CLIENTE

Tuttavia spesso i consumatori non sono in grado di esprimere i propri bisogni e desideri in maniera
adeguata: farsi guidare nell’innovazione dal cliente ed attendere che egli si esprima porta ad una “malattia”
delle imprese. Theodore Levitt affermò in modo visionario che si trattava di “miopia del marketing”. Le
imprese soffrono di questa malattia: troppo spesso si concentrano sui desideri del cliente, ma questo non
assicura che le imprese soddisfino i bisogni del cliente stesso.

Con l’orientamento al cliente si ha il passaggio dai desideri ai bisogni del cliente: mentre nell’orientamento
al mercato le imprese si concentravano nei desideri dei clienti, nell’orientamento al cliente le imprese
concentrano l’attenzione sui loro bisogni.

Le imprese comprendono che il raggiungimento dei propri obiettivi presuppone la soddisfazione dei bisogni
del consumatore. I bisogni non vengono sempre esplicitati: è compito dell’impresa capire i bisogni del
cliente, trovare le loro effettive esigenze. L’impresa deve capire ciò che sta a monte dei desideri del cliente,
i bisogni latenti.

Nei precedenti orientamenti le funzioni seguivano un preciso schema logico, dove il cliente rappresenta un
soggetto esterno. Nell’orientamento al cliente si modifica questo schema: il marketing svolge una funzione
di raccordo, non più solo tra cliente e prodotto, ma anche con tutte le altre funzioni aziendali. Il cliente
diventa un soggetto interno: il cliente è al centro dell’organizzazione.

Grafico dell’orientamento al cliente:

PRODUZIONE R&S

MARKETING

CLIENTI

ALTRE FUZIONI

La funzione R & S deve da una parte assorbire i consigli provenienti dal mercato, ma dall’altra deve anche
avere come obiettivo il cliente, ovvero deve avere a monte le sue esigenze (rapporto R & S – MARKETING).
La funzione di produzione deve essere rivista in chiave cliente: si parla di customization, strategia di
produzione di beni e servizi orientata a soddisfare i bisogni individuali dei clienti e contemporaneamente

ALTRE FUNZIONI
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preservare l'efficienza della produzione (rapporto PRODUZIONE – MARKETING). Anche l’oggetto


dell’attività di controllo si modifica: dal controllo del prodotto si passa al controllo del cliente.

Il motivo per cui è necessario per le imprese soddisfare il cliente rappresenta quindi il presupposto per la
sopravvivenza stessa dell’impresa: è il consumatore che valorizza il prodotto e quindi la produzione.

Alla formula del profitto 𝜋 = 𝑅 − 𝐶, vista come differenza tra ricavi e costi, può essere data un’altra
rilettura:

𝑅 = 𝐶 + 𝜋,

con 𝑅 = 𝑝×𝑄.

Da questo differente punto di vista, solo se l’impresa riesce a generare un flusso di ricavi tale da coprire i
costi, può realizzare un margine di profitto. Tale passaggio matematico rappresenta concettualmente un
nuovo modo di pensare, una nuova filosofia di gestione. Nelle visioni precedenti l’idea fondamentale è che
le imprese sono al centro; nella nuova filosofia invece è il cliente ad essere al centro e sono le imprese a
dover soddisfare i clienti. Questo cambio di prospettiva è chiamato customer based view: non si guarda
nella prospettiva dell’impresa ma in quella del cliente.

QUATTRO P QUATTRO C
PRODOTTO CUSTOMER VALUE
PREZZO COSTO PER IL CLIENTE
PUNTO DI VENDITA (DISTRIBUZIONE) CONVENIENZA
PROMOZIONE COMUNICAZIONE

Il cambiamento di visione nella pratica è rappresentato dal passaggio da un sistema a “quattro P” a quello a
“quattro C”. Oggi le imprese non ragionano più sul prezzo da applicare ad un prodotto per ottenere un
margine di profitto (ottica interna di impresa), ma adesso sono disposte a vedere quanto il cliente è
propenso a pagare per acquistare il prodotto e, in relazione ai costi di produzione, apportare i
miglioramenti o le innovazioni nel prodotto stesso.

Il potere di mercato lentamente si sta trasferendo dai produttori ai consumatori. Due sono i fattori
principali:

 Normative giuridiche: le norme che tutelano il consumatore sono oggi più stringenti.
 Nuovi strumenti di comunicazione: la capacità d’informazione del cliente è ampliata rispetto al
passato.

Il passaggio da funzione a filosofia ha condotto ad uno sdoppiamento del marketing. Il marketing si articola
così in due diversi livelli: uno a carattere operativo (funzione vendite) e uno a carattere strategico (funzione
marketing). La funzione vendite, che si occupa della distribuzione del prodotto, ha quindi un ruolo
operativo; la funzione marketing ha un ruolo “di visione”, decisionale.

Ultimamente si sta facendo strada un nuovo orientamento, l’orientamento agli stakeholders (ciascuno dei
soggetti direttamente o indirettamente coinvolti in un progetto o nell'attività di un'azienda). Si parla di
marketing olistico.

Ogni impresa opera contemporaneamente in più mercati (es. mercato del lavoro, finanziario, ecc.),
tendendo a relazionarsi a più soggetti. Il marketing come filosofia di gestione complessiva conduce a
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considerare tutti gli interlocutori come clienti e quindi a ritenere che il soddisfacimento di loro interessi sia
il presupposto del mantenimento in vita dell’impresa. Il rischio di non soddisfare gli stakeholders comporta
come conseguenza quello di ottenere risorse qualitative più scarse e, non attraendo risorse migliori, ne
conseguono risultati ovviamente più scarsi.

Valore percepito dal cliente

Secondo la definizione dell’economista Philip Kotler, “create, communicate, deliver and value to a target
market at a profit”, l’impresa deve creare valore per il cliente.

Il termine valore è multisemico. In economia il valore richiama tre concetti:

 Rarità: il grado di limitatezza dell’offerta.


 Lavoro. Il valore di un bene viene determinato dal lavoro impiegato per realizzare il bene stesso.
 Utilità: la capacità di soddisfare i bisogni dell’individuo.

In marketing il valore di un bene è dato solamente dall’utilità che il bene può offrire. Il valore deve
intendersi come l’utilità che può fornire un prodotto a fronte dei sacrifici che si sostengono per
procurarselo.

Le imprese possono creare utilità adoperando in diversi modi. Modalità di creazione del valore:

 Trasformazione fisica: insieme di processi di gestione attraverso il quale le imprese trasformano le


materie prime in prodotti finiti. L’impresa acquista le materie prime e attraverso processi produttivi
ottiene il bene. Il consumatore trae utilità da chi produce il bene (specializzazione economica).
 Trasferimento nello spazio: rendere disponibile il prodotto nel momento in cui il consumatore ne ha
maggiormente bisogno. Le imprese producono un certo prodotto in un luogo, rendendolo disponibile
in un altro.
 Trasferimento nel tempo: rendere disponibile il prodotto nel luogo in cui il consumatore può
acquistarlo/consumarlo più comodamente. Le imprese acquistano un prodotto e lo rendono
disponibile in un momento diverso a seconda delle richieste di mercato.
 Trasformazione nel modo. Si distingue in: adeguamento quantitativo, quando le imprese acquistano
in grandi quantità il prodotto e poi lo immettono in partite di dimensioni adeguate alla domanda per
renderne più conveniente il trasferimento; adattamento qualitativo, quando le imprese acquistano il
prodotto e con atti di trasformazione molto modesti lo rendono disponibile al consumatore in tali
modalità.

La trasformazione fisica è tipica delle imprese industriali. Le imprese commerciali tipicamente utilizzano le
modalità del tempo, dello spazio e del modo.

Qualunque impresa se vuole esistere deve creare valore e utilità. L’utilità si crea non soltanto nella fase di
consumo del prodotto, ma anche in quella di pre-acquisto e di post-acquisto.

Parlando di valore per il cliente, il valore è il confronto tra la componente “get”e la componente “give”,
ovvero è il rapporto tra i benefici e i sacrifici che derivano da un certo prodotto: per qualunque prodotto si
guarda ai benefici che il prodotto può fornire e ai sacrifici, che non sono solo sacrifici di tipo economico,
quindi non rappresentano solo il prezzo del prodotto.

Componente “get” (benefici):


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 Benefici di tipo funzionale: si tratta dei benefici di tipo tecnico, dove le caratteristiche sono
intrinseche nel prodotto. Le caratteristiche sono quindi materiali.
 Benefici di tipo psico-sociale: si tratta di prodotti che presentano caratteristiche immateriali.
 Benefici di tipo esperienziale: non si collegano alle caratteristiche materiali e immateriali ma
riguardano le esperienze dell’individuo, e più in generale, il suo contesto.

Componente “give” (sacrifici):

 Sacrifici informativi.
 Sacrifici valutativi.
 Sacrifici per l’acquisto.
 Sacrifici per l’utilizzo.
 Sacrifici di riacquisto.

Il valore per il cliente è il confronto tra benefici e sacrifici ed è esprimibile o come rapporto o come
differenza tra benefici e sacrifici.

𝑉𝑐 = 𝐵⁄𝑆 oppure 𝑉𝑐 = 𝐵 − 𝑆,

con 𝑉𝑐 valore per il cliente, 𝐵 benefici e 𝑆 sacrifici. Si tratta di una formula concettuale, che difficilmente è
applicabile nella pratica.

Il valore per il cliente presenta le caratteristiche di:

 Multidimensionalità (es. aspetto monetario, aspetto tecnico, ecc.).


 Soggettività: ciascun individuo ad uno stesso prodotto dà un valore differente al prodotto stesso. La
soggettività dipende dal giudizio del soggetto ed anche dalla sua posizione in termini reddituali: si
tengono conto quindi le diverse condizioni e sensibilità del consumatore.
 Dinamicità: caratteristica valida solo per i beni durevoli. Il valore dei beni durevoli tende ad oscillare:
l’utilità del prodotto per il consumatore tende a modificarsi nel tempo e ciascuna componente get o
give può subire cambiamenti nel corso del tempo di utilizzo del prodotto, ossia nel ciclo di vita di
quest’ultimo.

La misurazione del valore percepito è soggetto ad un’analisi qualitativa ed un’analisi quantitativa. Momenti
nei quali il cliente effettua la valutazione:

1. Ex-ante (prima dell’acquisto): il consumatore fa una valutazione dei benefici e dei sacrifici. Si genera il
valore atteso, ciò che il cliente si attende.
2. Ex-post (post-acquisto): il consumatore esprime una valutazione dei benefici e dei sacrifici. Si genera
il valore percepito.

Tutte le imprese competono fondamentalmente sul valore atteso: il cliente fa una comparazione tra i
prodotti presenti per scegliere quello a lui più conveniente. L’impresa si rivolge al mercato con una
proposta di valore (value proposition): si tratta dell’insieme dei vantaggi che l’impresa promette di offrire
al cliente e dei sacrifici richiesti.
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Mappa del valore:


BENEFICI PERCEPITI DAL CLIENTE

VALUE
PROPOSITION
DELUDENTE

VALUE PRPOSITION

VALUE
PROPOSITION
IRRESISTIBILE

SACRIFICI PERCEPITI DAL CLIENTE

Sull’asse delle X sono rappresentati i sacrifici percepiti dal cliente. Sull’asse delle Y sono rappresentati i
benefici percepiti dal cliente.

Value proposition irresistibile: alto beneficio e basso sacrificio.

Value proposition deludente: alto sacrificio e basso beneficio.

Rappresentano i casi estremi della mappa del valore. Entrambe le proposte di valore hanno carattere
temporaneo: le proposte delle imprese tendono infatti a modificarsi nel tempo.

Le proposte di valore tendono a distribuirsi sulla diagonale.

Value proposition economica: l’impresa offre un beneficio limitato con un sacrificio basso.

Value proposition premium: l’impresa offre un beneficio elevato con un sacrificio alto.

Tra queste due proposte limite esistono delle proposte intermedie (value proposition medie).

L’impresa si occupa di creare valore per il cliente: cerca di avere una proposta di valore che venga preferita
dal cliente rispetto alla concorrenza. Le imprese creano una value proposition attraverso un processo di
marketing management: ovvero le imprese generano e diffondono valore.

𝑅 = 𝐶 + 𝜋,

con: i ricavi 𝑅 = 𝑝×𝑄; i costi 𝐶 remunerazione a lavoratori, fornitori, ecc.; il profitto 𝜋 remunerazione a
azionisti, Stato, ecc.

Solo creando valore per il cliente, l’impresa può ottenere in cambio valore dalla clientela.

Customer satisfaction e fedeltà del cliente

L’adozione della filosofia di marketing implica l’esigenza di focalizzazione sulla soddisfazione del cliente
(customer satisfaction).
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La customer satisfaction si collega al concetto di qualità. Concetto di qualità in ambito filosofico, ovvero
come concetto di bellezza:

 Aristotele affermava che la qualità è propria dell’oggetto: la bellezza deve avere delle caratteristiche
ben precise.
 Parmenide affermava che la qualità è propria del soggetto: la bellezza non è oggettiva ma soggettiva.
 Kant nella “Critica del giudizio” affermava che la bellezza non è proprietà delle cose, ma nasce dal
rapporto tra le cose e i soggetti.

L’ISO è l’organizzazione che definisce gli standard di qualità del prodotto. La norma UNI ISO 8402 definiva
che “la qualità è l’insieme delle proprietà e caratteristiche di un prodotto o servizio (elemento oggettivo)
che gli conferiscono l’attitudine a soddisfare bisogni espressi o impliciti (elemento soggettivo)”. Secondo
ISO 9000:2000 la qualità è “il grado con cui un insieme di caratteristiche intrinseche (elemento oggettivo)
soddisfa i requisiti (elemento soggettivo)”. Per requisiti si intende l’esigenza o aspettativa che può essere
espressa, generalmente implicita o cogente.

Ambiguità del termine qualità: è più corretto definire la qualità giusta o sbagliata piuttosto che parlare di
qualità buona o cattiva, termini che risultano essere inadeguati. Il concetto di qualità dipende infatti
dall’utilizzo, dalla finalità che il consumatore ha verso il prodotto.

La quantità è un aspetto della qualità che in genere viene utilizzato per effettuare dei confronti, delle
misurazioni.

La qualità si collega al valore per il cliente nella relazione:

𝑉𝑐 = 𝐵 − 𝑆,

dove 𝐵 = 𝑓(𝑄, 𝑖). I benefici sono la funzione della qualità 𝑄 e di 𝑖, dove con 𝑖 si intende l’importanza
dell’attributo, ovvero l’importanza che il cliente attribuisce alle caratteristiche del prodotto e la capacità del
prodotto di soddisfare l’esigenza del cliente.

Il valore, a seconda del soggetto e del momento di osservazione tende a modificarsi: si distinguono sei
diverse configurazioni di valore. La soddisfazione del cliente deriva dal confronto tra due o tre di queste
configurazioni di valore.

1. Valore desiderato dal cliente: è l’insieme di benefici e sacrifici che il consumatore desidererebbe
avere nel prodotto.
2. Valore pianificato dal management: è l’insieme delle attese che l’impresa ritiene opportuno
soddisfare e dei sacrifici che reputa possano essere sopportati. Il management tiene conto: delle
capacità interne dell’impresa (aspetto interno); della concorrenza delle altre imprese e della
numerosità ed attrattività dei consumatori (aspetti esterni).
3. Valore recepito dal personale: è l’insieme delle caratteristiche strutturali espresse sottoforma di
standard. Il management deve esprimere il valore pianificato in valore recepito dal personale,
attraverso gli standard di qualità.
4. Valore offerto dall’impresa: è l’insieme dei benefici e dei sacrifici che concretamente avrà il
prodotto.
5. Valore atteso dal cliente: è l’idea che il consumatore si è fatto dei benefici e dei sacrifici del
prodotto. Si viene a generare nella fase pre-acquisto.
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6. Valore percepito dal consumatore: è il valore che si viene a generare nella fase post-acquisto, dove il
consumatore valuta concretamente i benefici e i sacrifici del prodotto.

VALORE PIANIFICATO VALORE DESIDERATO

VALORE RECEPITO VALORE ATTESO

VALORE OFFERTO VALORE PERCEPITO

CONFIGURAZIONE DI VALORE CHE CONFIGURAZIONE DI VALORE CHE


ATTENGONO ALL’IMPRESA ATTENGONO AL CONSUMATORE

La soddisfazione del cliente è il confronto che si effettua tra le configurazioni di valore che attengono al
consumatore: è il rapporto tra il valore percepito dopo l’acquisto e il valore atteso e desiderato prima
dell’acquisto. La soddisfazione è il confronto tra performance e aspettative:

Soddisfazione = Performance (valore percepito)-Aspettative (valore atteso ponderato dal valore desiderato)

Dal confronto tra le tre configurazioni di valore (percepito, atteso e desiderato) scaturisce la soddisfazione
(quando le performance sono superiori alle aspettative) e l’insoddisfazione (quando le performance sono
inferiori alle aspettative). Il gap di valore è lo scostamento tra valore percepito e valore atteso e desiderato
che genera insoddisfazione.

Esistono vari tipi di gap:

 Gap di sintonia: scostamento che si viene a creare tra il valore desiderato e il valore pianificato.
 Gap di coinvolgimento: scostamento che si viene a creare tra il valore pianificato e il valore recepito.
 Gap di realizzazione: scostamento che si viene a creare tra il valore recepito e il valore offerto.
 Gap di percezione: scostamento che si viene a creare tra il valore offerto e il valore percepito.
 Gap di valore: scostamento che si registra all’interno dell’individuo e si viene a creare nelle tre
configurazioni di valore del consumatore.
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Modello dei gap:

Gap di sintonia
Valore Valore
pianificato desiderato

Gap di
Gap di valore
coinvolgimeto

Valore Valore
recepito atteso

Gap di
Gap di valore
realizzazione

Valore Valore
offerto percepito
Gap di percezione

L’insoddisfazione del cliente nasce dai gap che si possono generare dalle sei configurazioni. L’impresa deve
cercare di eliminare le problematiche che generano i gap.

La customer satisfaction non è il fine dell’impresa, ma un obiettivo: l’obiettivo è un “traguardo” intermedio,


strumentale al fine da raggiungere. Non necessariamente l’obiettivo deve essere coerente al fine. Le
imprese si pongono dei fini e degli obiettivi. In questo caso la soddisfazione del cliente è un traguardo
intermedio, ma non è fine a se stessa: l’impresa spera infatti che il cliente riacquisti i prodotti per
aumentare il profitto.

Soddisfazione del cliente -> Riacquisto -> 𝑅 = 𝐶 + 𝜋

Il concetto di riacquisto si collega al concetto di fedeltà: l’attività svolta dall’impresa è rivolta a fidelizzare il
cliente.

Esistono due tipi di fedeltà del cliente:

1. Fedeltà comportamentale: si ricollega al concetto di riacquisto e si concretizza in fenomeni di


regolarità dimostrata dal cliente nel processo di acquisto. Tanto più il cliente ripete l’acquisto di una
determinata marca o presso un dato punto vendita, tanto maggiore è la sua fedeltà. Si distinguono
differenti livelli di fedeltà comportamentale: le categorie di “fedelissimi” e “incostanti”
17

rappresentano i livelli estremi; le categorie di “fedeli mutevoli” e “fedeli timidi” rappresentano livelli
intermedi.
TIPOLOGIE SEQUENZA DI ACQUISTI LIVELLI DI FEDELTÀ
Fedelissimi A–A–A–A–A–A Massima
Fedeli tiepidi A–A–B–B–A–A Media
Fedeli mutevoli A – A – A – A –B – B Media
Incostanti A–C–E–B–D–A Nulla o bassissima

2. Fedeltà cognitiva (o mentale): si concretizza in fenomeni di regolarità dimostrata dal cliente nel
processo di acquisto basati sul pieno convincimento che la value proposition scelta ha un valore
superiore a quelle alternative presenti sul mercato. La fedeltà del cliente è assoluta.

Il consumatore fedele dal punto di vista comportamentale può non essere soddisfatto, ma tuttavia rimane
fedele all’impresa: il motivo è la presenza di barriere di switching cost (barriere di passaggio). Molti
consumatori non cambiano prodotto per la presenza di queste barriere di passaggio, che possono essere di
diversa natura (es. barriere legali). Il cliente è quindi fedele dal punto di vista comportamentale ma non lo è
dal punto di vista cognitivo, in quanto il cliente è insoddisfatto. Viceversa un cliente soddisfatto non
necessariamente è pure fedele.

Anche se non c’è il riacquisto, le imprese possono avere la fiducia del consumatore in altri modi: ad
esempio il consumatore acquista altri prodotti della stessa impresa, parla bene dei prodotti dell’impresa
oppure scrive recensioni positive. È evidente che un consumatore soddisfatto sarà in ogni caso indotto ad
effettuare un passaparola positivo nei confronti di altri soggetti o sarà spinto ad acquistare altri prodotti
della stessa impresa.

Un’indagine della società “Bain & Company” afferma che fra il 65% e il 95% dei clienti soddisfatti
sostituiscono nei propri acquisti il prodotto nei confronti del quale si sono dichiarati soddisfatti.

La società Xerox ha invece distinto i clienti in quattro categorie attraverso la matrice Xerox:

OSTAGGI APOSTOLI

ALTO Clienti pigri Clienti fedeli

LIVELLO DI FEDELTÀ TERRORISTI MERCENARI


COMPORTAMENTALE
BASSO Clienti dei Clienti
concorrenti potenzialmente
fedeli

INSODDISFATTI SODDISFATTI

LIVELLO DI CUSTOMER SATISFACTION


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1. Mercenari: clienti potenzialmente fedeli. Clienti soddisfatti ma con un basso livello di fedeltà.
2. Terroristi: clienti dei concorrenti. Clienti insoddisfatti che presentano un basso o nullo livello di
fedeltà. “Sporcano” il mercato, ad esempio parlando male dei prodotti dell’impresa in favore di quelli
della concorrenza.
3. Ostaggi: clienti pigri. Clienti insoddisfatti ma con un alto livello di fedeltà. Sono clienti insoddisfatti
che tuttavia sono costretti ad acquistare quel prodotto per la presenza di barriere di passaggio.
4. Apostoli: clienti fedeli. Clienti soddisfatti che presentano un alto grado di fedeltà. Solitamente
parlano bene dei prodotti dell’impresa a cui sono fedeli.

La società Xerox, mediante questa distinzione: da un lato, invita le altre società ad intraprendere una serie
di iniziative e strategie apposite per migliorare il rapporto con ciascuna categoria di clienti; dall’altro
ammonisce quelle società che si concentrano solo su una categoria di clienti.

Il concetto di fiducia è la capacità dell’impresa di mantenere le promesse e di far fronte ai propri impegni.
Si tratta quindi di qualcosa che si costruisce nel tempo: la fiducia si genera nel consumatore man mano che
acquista, e di conseguenza riacquista, il prodotto, sperimentando in modo sistematico la soddisfazione.

Se il consumatore ha fiducia, in lui si genera la lealtà. Se si raggiunge la lealtà il cliente in qualche modo non
agisce più in maniera opportunistica ma inizia a comprendere le esigenze dell’impresa: ne consegue che
l’impresa inizia a relazionarsi con il cliente.

Riacquisto -> Fiducia -> Lealtà

La lealtà è l’equilibrio di opposte esigenze che induce a sviluppare comportamenti cooperativi.

LEALTÀ

ESIGENZE ESIGENZE
CLEINTE IMPRESA

BENEFICI RICAVI

SACRIFICI COSTI

Modello dinamico della relazione:

1. In caso di soddisfazione da parte del cliente: si genera fiducia. La fiducia del consumatore si ottiene
passando da vari “step”: punto di partenza è la soddisfazione del cliente, a cui succede la fedeltà
comportamentale; l’ultimo passaggio è rappresentato dalla fedeltà cognitiva. La fiducia avvicina il
consumatore alla lealtà.
19

RICERCA DI
VALORE DESIDERATO VALORE ATTESO ACQUISTO
ALTERNATIVE

FEDELTÀ
RIACQUISTO SODDISFAZIONE VALORE PERCEPITO
COMPORTAMENTALE

CONFRONTO
VALORE DIFFERENZIALE FEDELTÀ COGNITIVA VALORE EQUITÀ
ALTERNATIVE

CUSTOMER LOYALITY

(* Il valore differenziale è la differenza tra le value proposition presenti.)

2. In caso di insoddisfazione da parte del cliente.

RICERCA DI
VALORE DESIDERATO VALORE ATTESO ACQUISTO
ALTERNATIVE

FEDELTÀ
RIACQUISTO INSODDISFAZIONE VALORE PERCEPITO
COMPORTAMENTALE

SUPERAMENTO DELLE
CAMBIO DEL
BARRIERE DI
FORNITORE
PASSAGGIO
20

Interesse dell’impresa è fare evolvere il rapporto con il cliente. Secondo indagini svolte:

 Acquisire nuovi clienti costa mediamente 5 volte di più che mantenere i vecchi clienti.
 La redditività offerta dal cliente cresce con l’allungamento della durata del rapporto.

La profittabilità del cliente non deve essere valutata con riferimento alla singola transazione. Si parla così di
customer lifetime value (valore del ciclo di vita del cliente): si valuta il consumatore, non speculando sul
singolo margine che si può ottenere da lui, ma giudicando il consumatore sull’arco della sua vita. Si passa
dalla transazione alla relazione: le imprese cercano di trasformare il rapporto con il cliente da una semplice
transazione, spesso speculativa, ad una relazione duratura.

La soddisfazione attiene alla singola transazione. Per questo motivo per l’impresa è necessaria invece una
soddisfazione, la fedeltà cognitiva, che porti ad una relazione con il cliente. Il passaggio alla relazione
induce a parlare di clienti e non più di semplici consumatori.

L’impresa deve creare e mantenere una proposta di valore che realizzi la piena soddisfazione nel tempo: le
imprese esistono solo se riescono a creare valore per il cliente. La soddisfazione diventa così elemento
centrale in quanto l’impresa deve fare in modo che il consumatore diventi cliente.

Creazione del valore per il cliente e per l’impresa

La creazione di valore è il frutto di un “meta processo”, ovvero un processo complesso, costituito da un


insieme di processi definito marketing management.

Tipologia di processi:

1. Analisi del valore: si analizza il valore che il consumatore desidera. Si analizza la concorrenza, ovvero
il valore creato dalle altre imprese (analisi della concorrenza). Si analizzano i potenziali consumatori
(analisi della domanda).
2. Progettazione del valore: si analizza il mercato. Si procede alla segmentazione del mercato dividendo
il mercato in insiemi più piccoli di consumatori, quindi si sceglie a chi rivolgere la value proposition
individuando quali consumatori servire (targeting). L’impresa si concentra poi sul posizionamento,
ovvero se offrire un valore uguale o diverso. In seguito deve definire il prodotto in termini di benefici
da offrire (politiche di prodotto) e di sacrifici da richiedere (pricing), sacrifici che trovano sintesi nella
determinazione e gestione del prezzo.
3. Comunicazione e distribuzione (delivery) del valore. Realizzata la value proposition, questa va messa
a disposizione, anche fisicamente (delivery), del consumatore, il quale deve essere messo al corrente
della value proposition (comunicazione).
4. Controllo e pianificazione del valore: si accerta l’accettazione della value proposition (controllo),
ovvero se gli obiettivi sono stati raggiunti, e successivamente si deve verificare l’attività da svolgere,
cioè sintetizzare le decisioni circa la value proposition (pianificazione).

Attraverso tutte queste fasi l’impresa ha la possibilità di creare valore.

Nel momento in cui il cliente compra il prodotto della value proposition valorizza la value proposition
stessa: si ha un ritorno di valore dal cliente. Le imprese acquisiscono e mantengono il valore tramite le
vendite.
21

La value proposition non è statica: anche se la value proposition è valida o addirittura vincente sul mercato,
è necessario innovarla continuamente agendo su essa. La value proposition è quindi oggetto di
miglioramento e rinnovo: innovazione del valore.

Creazione del valore per il cliente e per l’impresa:

COMUNICAZIONE E DELIVERY CONTROLLO E PIANIFICAZIONE


ANALISI DEL VALORE PROGETTAZIONE DEL VALORE
DEL VALORE DEL VALORE

CREAZIONE DEL VALORE PER IL CLIENTE

ACQUISIZIONE E MANTENIMENTO
DEL VALORE TRAMITE LE VENDITE

RITORNO DI VALORE DAL CLIENTE


22

MODULO 2: PROCESSI ANALITICI DI MARKETING

Concetti introduttivi

Processi analitici di marketing:

1. Analisi del macroambiente.


2. Analisi della concorrenza.
3. Analisi del mercato o della domanda finale.
4. Analisi della distribuzione o della domanda intermedia.

Marketing, ambiente, concorrenza

Il macroambiente

Per ambiente si intende il contesto nel quale opera l’impresa. Quando si parla di contesto ci si riferisce a
diverse condizioni (es. tecniche, legislative, politiche, demografiche, ecc.). Le condizioni ambientali
influenzano l’agire dell’impresa.

Si parla di macroambiente quando si hanno tutte quelle condizioni che influiscono nel modo di operare
delle imprese. Tali condizioni possono essere viste sia come limiti sia come possibilità: il macroambiente
origina forze e tendenze che offrono alle imprese nuove opportunità ma che al contempo pongono costanti
minacce. In genere, le imprese hanno quindi una scarsa controllabilità del macroambiente. Per questo
motivo le imprese studiano il macroambiente, cercando di coglierne le tendenze.

Forze o tendenze del macroambiente:

 Moda: è una tendenza che si registra nel mercato, con una durata breve.
 Trend: è una tendenza di medio termine che incide sul mercato.
 Mega-trend: è una tendenza di lungo termine che incide sul mercato.

Le imprese nel macroambiente hanno il compito di individuare queste tendenze e la loro durata.

Il microambiente

Il microambiente è quell’ambiente più ristretto, più vicino all’impresa, con la quale cioè l’impresa ha più
rapporti. L’impresa intesse rapporti di carattere più intenso e durativo.

Due aspetti del microambiente:

 Concorrenza.
 Domanda di mercato.

Concorrenza

Analisi dei concorrenti: approccio settoriale ed approccio di mercato (customer based view).

Nell’approccio settoriale viene studiato il settore. Il settore in economia aziendale è una dimensione
dell’ambiente.

Con l’approccio settoriale i concorrenti sono tutte quelle imprese che producono prodotti simili. Per
analizzare il settore si utilizza il modello struttura/condotta/performance:
23

1. Struttura: non è importante analizzare solo il numero di imprese presenti nel settore. Per questo
vengono studiati una serie di parametri. Il grado di concentrazione indica come il potere si
distribuisce all’interno del settore. Il grado di differenziazione indica il livello di differenza esistente
tra le imprese del settore, ovvero se i prodotti siano più o meno simili. Il grado di accessibilità
riguarda le barriere di ingresso e di uscita presenti nel settore. Il grado di integrazione misura in che
entità le imprese svolgono in tutto o in parte i processi produttivi o processi terminali di gestione.
2. Condotta: si analizzano le strategie che le imprese pongono in essere. L’insieme delle condotte delle
singole imprese determinano il comportamento del settore. La condotta è un’azione deliberata del
soggetto, mentre il comportamento è la risultante delle singole condotte.
3. Performance: le performance del settore sono date dal volume di vendita, dal livello dei prezzi, dalla
redditività, ecc.

Dalla struttura derivano le condotte delle imprese. Dalle singole condotte si determina il comportamento
del settore, da cui derivano le performance del settore.

Una evoluzione di questo modello è rappresentata dal modello della concorrenza allargata di Michael
Porter. Se nel modello precedente il settore riguardava solo i concorrenti diretti, secondo Porter si devono
analizzare anche i concorrenti indiretti, i quali possono diventare concorrenti diretti. Per un’analisi corretta
si deve infatti guardare anche: ai clienti; ai fornitori; ai potenziali concorrenti; ai produttori di beni
sostitutivi. Per la presenza di queste categorie il modello è chiamato anche modello delle 5 forze.

Sistema competitivo allargato:

CLIENTI

POTENZIALI CONCORRENTI
DIRETTI FORNITORI
CONCORRENTI

PRODUTTORI
DI BENI
SOSTITUTIVI

I beni, per essere sostitutivi (o complementari), dipendono dal grado di elasticità incrociata.

Il modello di Porter si sta allargando di recente: il numero di competitors si sta infatti ampliando.
24

Fenomeno della convergenza: settori che erano distanti gli uni dagli altri iniziano a convergere con il
passare degli anni, soprattutto attraverso il progresso delle nuove tecnologie. Nuovi ambiti competitivi
vengono generati dall’intersezione di settori e di mercati in passato ben distinti e separati. Alcuni esempi di
convergenza, anche estranei al progresso tecnologico, sono: “settore personal care + settore tessile =
cosmeto-tessile”; “settore farmaceutico + alimentazione = nutraceutica”.

Concorrenza a catena (o indiretta): due imprese che appartengono a settori diversi possono entrare in
concorrenza tra loro per effetto di una terza impresa in concorrenza con entrambe.

L’approccio settoriale pone al centro le imprese.

L’approccio di mercato (approccio customer based view) è un tipo di approccio più recente, basato
sull’idea che la concorrenza non deve essere analizzata con un approccio settoriale. Con l’approccio
customer based view i prodotti vengono valutati non in base alle caratteristiche intrinseche del prodotto
stesso, ma al significato che il consumatore dà al prodotto. L’obiettivo delle imprese deve essere quello di
capire come il consumatore percepisce i prodotti. Tramite questo approccio possono risultare imprese
concorrenti anche quelle imprese che vendono prodotti con processi produttivi diversi.

La concorrenza si manifesta a due diversi livelli:

 Shelf space: è lo spazio espositivo all’interno dei punti vendita (concorrenza settoriale).
 Mind space: è lo spazio della mente del consumatore (concorrenza customer based view).

Obiettivo dell’impresa è entrare nelle short list del consumatore: il consumatore sceglie quasi sempre il
prodotto non tra tutte le imprese concorrenti, ma solo tra un numero limitato (insieme evocato).

Per valutare la concorrenza nell’ottica del cliente si utilizza l’indice di Fishbein, il modello basato sugli
attributi. Questo indice viene costruito in tre fasi:

1. Scomporre la value proposition dell’impresa in un insieme di attributi elementari.


2. Comprendere quali attributi sono più importanti per i clienti (priorità).
3. Valutare come i vari concorrenti presenti sul mercato siano percepiti rispetto a questi attributi
(percezioni).

Indice di Fishbein:
𝑛

𝐹 = ∑ 𝐼𝑖 ×𝑃𝑖(𝑎)
𝑖=1

Sommatoria, da 1 a n, di attributi 𝐼, ovvero l’importanza che ha l’attributo, per la percezione 𝑃, ovvero la


presenza (o percezione) di quella caratteristica nel prodotto.

In base alla percezione dei clienti, i prodotti che hanno un indice di Fishbein più vicino sono maggiormente
in concorrenza, mentre i prodotti che hanno un indice di Fishbein più distante sono meno in concorrenza.
25

Esercizio:

ATTRIBUTO IMPORTANZA PERFORMANCE

NOKIA PANASONIC MOTOROLA SAMSUNG


PESO 0.20 6 7 5 6
DIMENSIONI 0.30 7 7 6 7
RICEZIONE 0.40 9 6 8 7
SERVIZI 0.10 8 6 7 6
AGGIUNTIVI
INDICE DI 7,7 6,5 6,7 6,7
FISHBEIN

𝐹 (𝑁𝑂𝐾𝐼𝐴) = (0,20×6) + (0,30×7) + (0,40×9) + (0,10×8) = 7.7

𝐹 (𝑃𝐴𝑁𝐴𝑆𝑂𝑁𝐼𝐶) = (0,20×7) + (0,30×7) + (0,40×6) + (0,10×6) = 6.5

𝐹 (𝑀𝑂𝑇𝑂𝑅𝑂𝐿𝐴) = (0,20×5) + (0,30×6) + (0,40×8) + (0,10×7) = 6.7

𝐹 (𝑆𝑀𝐴𝑆𝑈𝑁𝐺) = (0,20×6) + (0,30×7) + (0,40×7) + (0,10×6) = 6.7

Indice di competitività:

𝑈𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝐴
𝐼𝑐 (𝑎,𝑏) =
𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜 𝐵

Imprese che hanno lo stesso indice di Fishbein sono maggiormente in competitività: l’indice di competitività
sarà uguale a 1. Più ci si avvicina a 1, più la concorrenza aumenta; più ci si allontana da 1, la concorrenza
diminuisce.

Il punto debole dell’indice di Fishbein è che in un prodotto potrebbero essere considerate tantissime
caratteristiche. Per ovviare al problema di elevata numerosità degli attributi si ricorre all’analisi dei fattori
(o analisi fattoriale) o all’analisi discriminante.

Nell’analisi dei fattori (factor analysis) si cerca di ridurre il numero di variabili in un numero più ridotto. I
fattori sono variabili latenti, non osservabili direttamente, che rappresentano la parte comune a più
variabili osservate. Alle variabili osservate vengono sostituite delle varabili aggiuntive, che presentino
elementi in comune alle variabili osservate. Così si riduce il numero di variabili in variabili latenti, latenti in
quanto non rientrano tra le variabili originali.
26

Esempio:

Attributi: Fattori (o variabili latenti):

- Gusto. - Piacevolezza (gusto, facilità di


- Contenuto di vitamine. sbucciarla, sfiziosità).
- Digeribilità. - Salubrità (contenuto di
- Facilità di sbucciarla. vitamine, digeribilità,
- Leggerezza. leggerezza).
- Sfiziosità.

Grazie alla riduzione delle variabili da attributi a fattori si possono costruire delle mappe percettive dove:
più i prodotti sono vicini all’interno della mappa, più sono concorrenti; meno i prodotti sono vicini
all’interno della mappa, meno sono concorrenti.

6
Salubrità
4

2 Piacevolezza
0
-1 0 1 2 3 4
-2

Una volta individuata la concorrenza, occorre valutare le caratteristiche (strategie, obiettivi, punti di forza e
di debolezza, modelli di reazione). Le strategie che le imprese adottano vengono sintetizzate dalle mappe
strategiche, che sono rappresentazioni grafiche dove si analizzano, solitamente due alla volta, le strategie
dei concorrenti. Dalle mappe strategiche derivano i raggruppamenti strategici, che sono un insieme di
imprese che hanno strategie simili.

Domanda di mercato

Studio di due tipi di domanda: domanda finale e domanda intermedia.

Metodologia di analisi della domanda finale:

 Analisi quantitativa: si misura il grado di diffusione del prodotto in relazione alla domanda
complessiva potenziale.
 Analisi qualitativa: mira a descrivere ed interpretare il comportamento del consumatore in due
momento diversi, ovvero sia nella fase pre-acquisto che nella fase post-acquisto.

L’analisi quantitativa della domanda

L’analisi quantitativa della domanda misura il grado di diffusione del prodotto in relazione alla domanda
complessiva potenziale: è rivolta a capire qual è il numero di soggetti che consumano o potrebbero
consumare quel prodotto.

Esistono tre diverse dimensioni nell’analisi quantitativa della domanda:


27

 Mercato potenziale: soggetti che potenzialmente potrebbero acquistare il prodotto. Distinzione tra
domanda potenziale e domanda effettiva.
 Domanda primaria.
 Domanda secondaria.

Mercato potenziale, domanda primaria e domanda secondaria

Il mercato potenziale è una grandezza ideale: è un dato congetturato che si basa su delle ipotesi-finzione,
congruenti alla realtà. Non si ha un riscontro effettivo della grandezza potenziale.

Il mercato potenziale rappresenta la quantità massima vendibile o acquistabile di un prodotto in un dato


mercato, con riferimento a un orizzonte temporale predefinito. Esistono quindi dei confini spazio-temporali
che delimitano l’osservazione. Il mercato potenziale è quindi una quantità limite ipotetica.

Il mercato potenziale: nel breve periodo è ipotizzato come grandezza fissa; nel lungo periodo è soggetto a
variazioni.

VENDITE
POTENZIALE DI MERCATO

TEMPO

Stima del mercato potenziale:

1. Approccio teorico.
2. Break down methods: analisi dei dati storici, delle tendenze di un determinato periodo di tempo.
3. Build up methods: analisi dei dati raccolti con interviste ad hoc.
4. Approccio analogico: analisi dei dati di paesi/prodotti/mercati analoghi, con riferimento quindi ad un
determinato spazio.

Se il primo metodo è appunto teorico, gli altri tre metodi sono dei metodi empirici.

Nell’approccio teorico si fa una prima distinzione su:

 Prodotti (beni o servizi) indirizzati al mercato di consumo (es. singolo consumatore o famiglia).
 Prodotti (beni o servizi) indirizzati al mercato industriale (es. imprese).

Per quanto riguarda i beni destinati al mercato di consumo, è necessario distinguerli in:

 Beni durevoli: che non esauriscono la loro utilità al consumo.


 Beni non durevoli: che esauriscono la loro utilità al consumo.
28

Mercato potenziale di prodotti di consumo non durevoli:

𝑀𝐾𝑇𝑃𝑜𝑡𝑡 = 𝑁𝑡 ×𝑃𝑡 ×𝑂𝑡 ×𝐷𝑃𝑡

con:

 𝑁𝑡 = popolazione dell’area.
 𝑃𝑡 = % popolazione priva di impedimenti.
 𝑂𝑡 = numero max utilizzazioni.
 𝐷𝑃𝑡 = dose piena.

Esercizio: determinare il valore del mercato potenziale in termini di confezioni di schiuma da barba
annualmente vendibili.

Dati:

- Popolazione italiana: 60 mln


- Popolazione maschile > 16 anni: 40% (= 0.40)
- Occasioni d’uso: una al giorno (= 365 giorni)
- Dose: 5 gr
- Confezione: 200 gr.

𝑀𝐾𝑇𝑃𝑜𝑡𝑡 = 60.000.000×0.40×365×5 = 43.800.000.000 gr

43.800.000.000 ÷ 200 = 219.000.000 confezioni

Mercato potenziale di prodotti di consumo durevoli:

𝑃𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 = 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑠𝑡𝑖𝑡𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 + 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑜 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜

con:

 𝑃𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑜𝑠𝑡𝑖𝑡𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝑢𝑛𝑖𝑡à 𝑔𝑖à 𝑖𝑛 𝑢𝑠𝑜 𝑛𝑒𝑙 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜⁄𝑣𝑖𝑡𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 𝑑𝑒𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜
 𝑃𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑜 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 = 𝑢𝑛𝑖𝑡à 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖 𝑎 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑖 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑟𝑒𝑛𝑡𝑖 +
𝑢𝑛𝑖𝑡à 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑏𝑖𝑙𝑖 𝑎 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑖 𝑛𝑜𝑛 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖 𝑠𝑡𝑜𝑟𝑖𝑐𝑖

Per quanto riguarda i prodotti destinati al mercato industriale, i dati necessari per la stima del mercato
potenziale sono i medesimi utilizzati per i prodotti utilizzati nel mercato di consumo. Si distinguono in:

 Prodotti industriali di consumo: sono quei prodotti che il cliente-azienda utilizza nella sua attività
produttiva e non si ritrovano in un prodotto finito.
 Prodotti intermedi.
 Prodotti strumentali (o d’investimento).
29

La domanda primaria rappresenta le quantità vendute da tutte le imprese appartenenti ad un determinato


mercato, posti determinati confini spazio-temporali (settore).

VENDITE
POTENZIALE DI MERCATO

DOMANDA PRIMARIA
(SETTORE)

TEMPO

La domanda primaria coincide graficamente con il ciclo di vita del prodotto. Si mantiene sempre sotto al
mercato potenziale.

La domanda secondaria è la quantità che viene venduta da parte della singola impresa, quindi la domanda
effettiva di una singola marca, posti determinati confini spazio-temporali.

VENDITE
POTENZIALE DI MERCATO

DOMANDA PRIMARIA
(SETTORE)
DOMANDA SECONDARIA

TEMPO

Se c’è una sola impresa (mercato monopolistico) domanda primaria e domanda secondaria coincidono; se
ci sono più imprese domanda primaria e domanda secondaria non coincidono e la domanda secondaria
sarà sempre sotto a quella primaria.

La domanda potenziale è un dato teorico; la domanda secondaria è un dato certo, facilmente raggiungibili,
in quanto riguarda la singola impresa; la domanda primaria è più difficile da calcolare, in quanto riguarda
l’intero settore.

L’analisi dei gap:

1. Lo scostamento tra mercato potenziale e domanda primaria è detto gap di potenziale.


2. Lo scostamento tra domanda primaria e domanda secondaria è detto gap concorrenziale.
30

VENDITE
POTENZIALE DI MERCATO

Gap di
DOMANDA PRIMARIA
potenziale
(SETTORE)
DOMANDA SECONDARIA

Gap
concorrenziale

TEMPO

Il gap di potenziale misura quante parte del mercato non è stata servita da tutte le imprese.

𝐺𝑎𝑝 𝑃𝑜𝑡 𝑡 = 𝑀𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑃𝑜𝑡𝑡 − 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎𝑡

Cause del gap di potenziale di primo livello:

 Gap di non utilizzatori (non user gap): soggetti potenziali che effettivamente non utilizzano il
prodotto.
 Gap di occasioni (light user gap): diminuzione del numero massimo di utilizzazioni.
 Gap di uso leggero (light usage gap): diminuzione della dose piena.

La somma dei tre gap determinano il gap di potenziale.

Esercizio: determinazione dei gap di potenziale considerando il mercato della schiuma da barba.

Dati:

- Popolazione italiana: 60 mln


- Effettivi utilizzatori: 30% (= 0.30)
- Effettive occasioni d’uso: una ogni due giorni (365/2 = 182,5)
- Effettiva dose: 4 gr
- Dose: 5 gr

𝑑𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎 = 60.000.000×0.30×182,5 = 13.140.000.000 gr (domanda effettiva di schiuma


da barba)

𝑔𝑎𝑝 𝑑𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 43.800.000.000 − 13.140.000.000 = 30.660.000.000 gr

𝑛𝑜𝑛 𝑢𝑠𝑒𝑟 𝑔𝑎𝑝 = 60.000.000×0.10×365×5 = 10.950.000.000 gr

𝑙𝑖𝑔ℎ𝑡 𝑢𝑠𝑒𝑟 𝑔𝑎𝑝 = 60.000.000×0.30×182,5×5 = 16.425.000.000 gr

𝑙𝑖𝑔ℎ𝑡 𝑢𝑠𝑎𝑔𝑒 𝑔𝑎𝑝 = 60.000.000×0.30×182,5×1 = 3.285.000.000 gr

𝑔𝑎𝑝 𝑑𝑖 𝑝𝑜𝑡𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 10.950.000.000 + 16.425.000.000 + 3.285.000.000 = 30.660.000.000 gr


31

Le imprese cercano di limitare i gap. La determinazione dei singoli gap serve alle imprese per migliorare le
strategie di marketing.

Cause del gap di potenziale di secondo livello:

 Gap di prodotto: quando l’offerta dell’impresa non risulta idonea a soddisfare al meglio le esigenze
della domanda.
 Gap di comunicazione: è la conseguenza alla mancata consapevolezza del prodotto da parte degli
utilizzatori potenziali. L’esistenza del prodotto non è nota alla domanda.
 Gap distributivo: il prodotto non è presente nell’area geografica della domanda, oppure non gode di
adeguata visibilità nei punti vendita.
 Gap di prezzo: quando il prodotto risulta troppo costoso per una parte degli acquirenti potenziali.

Gap concorrenziale:

𝐺𝑎𝑝 𝐶𝑜𝑛𝑐 𝑡 = 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑝𝑟𝑖𝑚𝑎𝑟𝑖𝑎𝑡 (𝑄) − 𝐷𝑜𝑚𝑎𝑛𝑑𝑎 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑎𝑟𝑖𝑎𝑡 (𝑄𝑖)

Cause del gap concorrenziale per l’impresa:

 Gap di prodotto.
 Gap di comunicazione.
 Gap distributivo.
 Gap di prezzo.

Con interpretazioni differenti, gap di prodotto, gap di comunicazione, gap di distribuzione e gap di prezzo
valgono sia per i gap di potenziale sia per i gap concorrenziali.

Analisi della quota di mercato

Il gap concorrenziale è calcolabile anche come rapporto. Quando il gap concorrenziale è espresso come
rapporto si ha la quota di mercato (market share): ovvero l’ammontare delle vendite realizzato
dall’impresa (𝑄𝑖) espresse in percentuale sulle vendite complessive rilevate nel suo mercato di riferimento
(𝑄).

Quota di mercato dell’impresa 𝑖 :

𝑄𝑖
𝑄𝑀𝑖 =
𝑄

con 𝑄𝑖 domanda secondaria e 𝑄 domanda primaria.

Tipologie delle quote di mercato:

 Quota di mercato espressa in volumi e valori.


 Quota di mercato assoluta e quota di mercato relativa.
 Livelli di rivelazioni della quota di mercato: livello di sell-in; livello di sell-out; livello di consumo.

La quota di mercato può essere espressa sia in volume di vendita (unit market share) sia in valore (revenue
market share). Se la quota di mercato in valore è maggiore di quella calcolata in volumi, allora si è in
presenza di un’impresa che applica prezzi superiori rispetto alla media del mercato (𝑄𝑀𝑣𝑜𝑙 < 𝑄𝑀𝑣𝑎𝑙 ); se la
quota di mercato in valore è minore di quella calcolata in volumi, allora si è in presenza di un’impresa che
32

applica prezzi inferiori rispetto alla media del mercato (𝑄𝑀𝑣𝑜𝑙 > 𝑄𝑀𝑣𝑎𝑙 ). Queste due configurazioni
coincidono quando i prezzi dei prodotti sono uguali per tutte le imprese (𝑄𝑀𝑣𝑜𝑙 = 𝑄𝑀𝑣𝑎𝑙 ).

La quota di mercato si distingue in assoluta e relativa. La quota di mercato assoluta è calcolata in


riferimento a tutti i concorrenti presenti nel mercato dell’impresa (𝑄𝑀𝑖 = 𝑄𝑖 ⁄𝑄 ). La quota di mercato
relativa pone invece al numeratore la domanda secondaria dell’impresa 𝑖, mentre al denominatore
vengono prese in considerazione:

 Leader del mercato.


 Concorrente diretto.
 Primi due o tre concorrenti principali.

La quota di mercato è utile non solo in riferimento alla distanza competitiva dell’impresa rispetto ai
concorrenti, ma anche al grado di fedeltà della clientela.

Le vendite di un’impresa derivano:

 Dal riacquisto (fedeltà comportamentale) 𝛼.


 Dai nuovi acquirenti (attrazione) 𝛽.

Il grado di attrazione viene esercitato:

 Sui consumatori di altre imprese (transizione da un’impresa ad un’altra).


 Sui nuovi acquirenti in assoluto.

La quota di mercato deriva fondamentalmente dalla fedeltà comportamentale e dai nuovi acquirenti. La
quota di mercato che un’impresa tendenzialmente genera è data da:

𝑄𝑀𝑖,𝑡+1 = 𝛼(𝑄𝑀𝑖,𝑡 ) + 𝛽(1 − 𝑄𝑀𝑖,𝑡 )

con:

 𝛼 = tasso di fedeltà comportamentale (o tasso di ritenzione della clientela).


 𝛽 = tasso di attrazione.
 (𝑄𝑀𝑖,𝑡 ) = quota di mercato.

Effettuando una stima circa il tasso di fedeltà (𝛼 ) ed il tasso di attrattiva (𝛽 ) è possibile determinare la
quota di mercato tendenziale. La quota di mercato tendenziale è quella quota che si andrà a stabilizzare in
futuro. La quota di mercato tendenziale dell’impresa 𝑖 :

𝛽
𝑄𝑀𝐸𝑖 =
(1 − 𝛼) + 𝛽

È solitamente applicata ai mercati maturi, cioè con mercati che presentano pochissime variazioni.

Per semplicità, i nuovi acquirenti in assoluto vengono esclusi in quanto il modello viene definito statico,
ovvero il mercato è stabile e non subisce variazioni. L’impresa, conoscendo tasso di fedeltà e tasso di
attrazione, può determinare una quota di mercato che tendenzialmente si genererà in futuro, escludendo
la possibile presenza di nuovi acquirenti. (* nota)
33

VENDITA
IMPRESE

NUOVI
RIACQUISTO
ACQUIRENTI

formula della quota di mercato che CONSUMATORI NUOVI


un'impresa può potenzialmente DI ALTRE CONSUMATORI
generare IMPRESE IN ASSOLUTO

formula della quota di mercato


che un'impresa può (* nota)
potenzialmente generare

Esercizio:

Determinazione quota di mercato tendenziale.

Dati:

- Vendita complessiva pasta: 1000 tonnellate


- Vendita Barilla: 400 tonnellate
- Tasso di fedeltà stimato: 80%
- Tasso di attrazione stimato: 30%
0,30
𝑄𝑀𝐸𝑖 = (1−0,80)+0,30 = 60%

ANNO 𝑄𝑖 𝑄 concorrenti 𝑄𝑀𝑖


t 400 600 0,40
t+1 (400*0,80)+(600*0,30)=500 500 0,50
t+2 (500*0,80)+(500*0,30)=550 450 0,55
t+3 (550*0,80)+(450*0,30)=575 425 0,575
t+4 (575*0,80)+(425*0,30)=587,5 412,5 0,587
t+5 (587,5*0,80)+(412,5*0,30)=593,5 406,5 0,593
t+6 (593,5*0,80)+(406,5*0,30)=596,75 403,25 0,597
t+7 (596,75*0,80)+(403,25*0,30)=598,375 401,625 0,598
t+8 (598,375*0,80)+(401,625*0,30)=599,1875 400,8125 0,599
t+9 (599,1875*0,80)+(400,8125*0,30)=599,59375=600 400,40625=400 0,60
34

Livelli di rilevazione della quota di mercato in relazione: ai produttore; agli intermediari (retail, i
distributori); ai consumatori (consumatori finali come ad es. le famiglie o utilizzatori finali come ad es. altre
imprese).

Il produttore produce e vende il prodotto. Tuttavia non c’è coincidenza tra quantità prodotta e quantità
venduta: la differenza è rappresenta dalle rimanenze. Gli intermediari acquistano il prodotto, quindi
facendo entrare il prodotto nel punto di vendita (sell-in), per poi venderlo ai consumatori, quindi facendo
uscire il prodotto dal punto di vendita (sell-out).

Il sell-in coincide con le vendite dell’impresa produttrice (VENDITE = SELL-IN). Il sell-out è invece la quantità
di prodotto venduta dall’intermediario. Non c’è coincidenza tra sell-in e sell-out: la differenza tra le due
grandezze è rappresentata dallo stock.

Le vendite fatte dagli intermediari corrispondono agli acquisti dei consumatori o utilizzatori finali (SELL-OUT
= ACQUISTI). Non c’è coincidenza tra acquisti e consumi nei consumatori: la differenza è rappresentata
dalla scorta.

• PRODUZIONE
• ≠ RIMANENZE
PRODUTTORE • VENDITE

• SELL-IN
• ≠ STOCK
INTERMEDIARIO • SELL-OUT

• ACQUISTI
• ≠ SCORTA
CONSUMATORE • CONSUMI

Sell-in, sell-out e consumi sono tre grandezze diverse, che possono portare a differenti risultati nel calcolo
della quota di mercato. Le imprese distributrici possono alterare e condizionare le politiche di prezzo e le
strategie di marketing delle imprese produttrici. Per questo le imprese devono calcolare le quote di
mercato sia a livello di sell-in sia a livello di sell-out. Per le imprese è invece più complesso calcolare la
quota di mercato a livello dei consumi, in quanto è difficile prevedere le scorte del consumatore.

Ulteriori livelli di analisi della quota di mercato (market break down):

 Aree geografiche.
 Forme distributive.
 Caratteristiche demografiche.
35

Scomposizione della quota di mercato

La formula della quota di mercato 𝑄𝑀𝑖 = 𝑄𝑖 ⁄𝑄 è un indice di partenza, che può essere scomposto in indici
di primo livello, a loro volta scomponibili in altri sotto-indici.

Per la scomposizione della quota di mercato è necessario l’utilizzo di una nuova grandezza: 𝐴𝐶𝑆𝑖 ovvero gli
acquisti totali della categoria di prodotto nei PDV (punti di vendita) dove è presente il prodotto 𝑖. In altri
termini, si tratta degli acquisti di una certa categoria di prodotto effettuato dai punti di vendita dove sono
presenti i consumatori. 𝐴𝐶𝑆𝑖 è quindi la quantità di prodotto totale acquistata dagli intermediari o venduta
ai consumatori.

Scomposizione della quota di mercato:

𝑄𝑖 𝑄𝑖 𝐴𝐶𝑆𝑖 𝑄𝑖 𝐴𝐶𝑆𝑖
𝑄𝑀𝑖 = = × = ×
𝑄 𝑄 𝐴𝐶𝑆𝑖 𝐴𝐶𝑆𝑖 𝑄

(nota: si moltiplica e si divide per la stessa grandezza)

con:

 𝑄𝑖 ⁄𝐴𝐶𝑆𝑖 = grado di penetrazione. Il grado di penetrazione (o quote trattanti) misura l’incidenza


delle vendite sugli acquisti complessivi della categoria di prodotto effettuati dai clienti serviti.
 𝐴𝐶𝑆𝑖 ⁄𝑄 = copertura ponderata. Il grado di copertura ponderata esprime il peso dei clienti serviti
dall’impresa rispetto al mercato totale della categoria di prodotto considerata.

La quota di mercato è data dalla moltiplicazione tra l’indice del grado di penetrazione e l’indice della
copertura ponderata:

𝑄𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 = 𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑛𝑒𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒×𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎

Esercizio:

L’impresa Agnesi vende 600 tonnellate di pasta (Qi). Nel mercato vengono vendute 2000 tonnellate di
pasta (Q).
600
𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝐴𝑔𝑛𝑒𝑠𝑖 = 2000 = 0,3 = 30%

Agnesi è presente solo nei supermercati Sma, dove vende anche Barilla. Sma vende in tutto 1200
tonnellate di pasta (ACSi).
600
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑛𝑒𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑜 𝑞𝑢𝑜𝑡𝑒 𝑡𝑟𝑎𝑡𝑡𝑎𝑛𝑡𝑖 = 1200 = 0,5 = 50%

I consumatori che si recano al supermercato Sma ad acquistare la pasta, il 50% acquista la pasta Agnesi
e l’altro 50% quella delle altre marche presenti.
1200
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎 = = 0,6 = 60%
2000

Nei punti vendita in cui la Agnesi è presente, viene venduto il 60% della pasta.

𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑄𝑀 = 0,5×0,6 = 0,3 = 30%


36

Una stessa quota di mercato è determinata da due fattori: grado di penetrazione e grado di copertura
ponderata. Un’impresa deve analizzare come una quota di mercato è generata.

Si potrebbe infatti trovare con un grado di copertura basso ed un grado di penetrazione elevato, ovvero che
i consumatori scelgono il prodotto dell’impresa ma che l’impresa è presente in punti vendita dove non si
vende molto il prodotto in questione: l’impresa non deve quindi migliorare l’accessibilità del prodotto ma
piuttosto la sua distribuzione.

Viceversa, con un grado di copertura elevato ed un grado di penetrazione basso significa per l’impresa che
il prodotto è presente in punti vendita dove si vende molto il prodotto ma che i consumatori non scelgono il
prodotto dell’impresa: l’impresa in questo caso non deve migliorare la distribuzione ma l’accessibilità del
prodotto.

Quando il grado di penetrazione e il grado di copertura sono bassi, la quota di mercato sarà
necessariamente bassa: l’impresa dovrà creare una rete di distribuzione migliore e accrescere
l’accettazione del prodotto.

Quando invece il grado di penetrazione e il grado di copertura sono elevati, la quota di mercato sarà
necessariamente elevata: all’impresa non resterà che consolidare la propria posizione competitiva.

Migliorare la Consolidazione
accettazione sul PDV posizione competitiva
ALTA

COPERTURA Creare rete e Migliorare il


PONDERATA accrescere portafoglio clienti-
RIDOTTA accettazione distribuzione

RIDOTTA ALTA

PENETRAZIONE

L’efficacia è la capacità d’azione di raggiungere l’obiettivo. L’efficienza è il modo in cui si raggiunge


l’obiettivo. Un’azione può essere efficace ma non efficiente e viceversa.

Esercizio: calcolare grado di penetrazione e grado di copertura.

Dati:

- Fatturato rasoi Bic: 22,4 mld (Qi)


- Vendite complessive rasoi: 100 mld (Q)
- Vendite totali rasoi nei punti vendita dove è presente Bic: 80 mld (ACSi)
22,4
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑒𝑛𝑒𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 80
= 0,28 = 28%

80
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 = = 0,8 = 80%
100

𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑄𝑀 = 0,28×0,8 = 0,224 = 22,4%

In questo caso l’impresa deve migliorare il grado di penetrazione.


37

Scomposizione della copertura ponderata:

𝐴𝐶𝑆𝑖 𝐴𝐶𝑆𝑖 𝑛𝑖 𝑁 𝐴𝐶𝑆𝑖 𝑛𝑖 𝑁


= × × = × ×
𝑄 𝑄 𝑛𝑖 𝑁 𝑛𝑖 𝑁 𝑄

Si introducono due nuove grandezze:

 𝑛𝑖 = numero di clienti serviti dall’impresa 𝑖 .


 𝑁 = numero totale di soggetti che acquistano la categoria di prodotto.

Con la scomposizione della copertura ponderata si ottengono così tre indici:

𝐴𝐶𝑆𝑖
1. = acquisto medio clienti serviti.
𝑛𝑖
𝑛𝑖
2. = grado di copertura numerica.
𝑁
𝑁
3. = grado di dispersione.
𝑄

Il grado di copertura ponderata è data dalla moltiplicazione di questi tre indici:

𝐶𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑝𝑜𝑛𝑑𝑒𝑟𝑎𝑡𝑎 =
= 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑖𝑡𝑖×𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎
×𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒

L’acquisto medio clienti serviti indica la dimensione media dei clienti serviti (𝐴𝐶𝑆𝑖 ⁄𝑛𝑖 ).

Esercizio:

Dati:

- Numero supermercati: 100


- Quantità acquistata dai supermercati: 1200 tonnellate di pasta
1200
𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑖𝑡𝑖 = 100
= 12

Mediamente ciascun punto vendita dove l’impresa è presente vende 12 tonnellate di pasta.

Il grado di copertura numerica è il rapporto tra il numero dei clienti serviti rispetto a quello dei clienti
potenziali (𝑛𝑖 ⁄𝑁 ).

Esercizio:

Dati:

- Numero supermercati: 100


- Supermercati totali: 800
100
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑖𝑐𝑎 = 800 = 0,125 = 12,5%
38

Il grado di dispersione è il reciproco della dimensione media (𝑁 ⁄𝑄 ). Concettualmente se numeratore e


denominatore si invertono (𝑄 ⁄𝑁 ) si determina la vendita media del prodotto sul mercato.

Esercizio:

Dati:

- Supermercati totali: 800


- Quantità venduta sul mercato: 2000 tonnellate di pasta

800
𝑔𝑟𝑎𝑑𝑜 𝑑𝑖 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒 = = 0,4 = 40%
2000

Ulteriori indicatori ottenibili dalla scomposizione della quota di mercato sono l’indice di selezione e l’indice
di assortimento.

L’indice di selezione è il rapporto o confronto tra due indici: il primo indice, ovvero la dimensione media dei
clienti serviti (𝐴𝐶𝑆𝑖 ⁄𝑛𝑖 ), e il secondo indice, ovvero la dimensione dei clienti presenti sul mercato (𝑄 ⁄𝑁 ).

𝐴𝐶𝑆
𝐴𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑖𝑡𝑖 ( 𝑛 𝑖)
𝑖
=
𝐴𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑢𝑙 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 𝑄
(𝑁 )

Se l’indice di selezione è uguale a 1, i punti vendita trattano una quantità di prodotto che rispecchia la
media della clientela presente nel mercato; se è superiore o inferiore a 1, i punti vendita tratteranno una
quantità di prodotto rispettivamente superiore o inferiore alla media della clientela presente nel mercato.

Esercizio (esempio precedente):

1200
𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑒𝑟𝑣𝑖𝑡𝑖 12
𝑖𝑛𝑑𝑖𝑐𝑒 𝑑𝑖 𝑠𝑒𝑙𝑒𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = = 100 = = 4,8
𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑐𝑙𝑖𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑝𝑟𝑒𝑠𝑒𝑛𝑡𝑖 𝑠𝑢𝑙 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 2000 2,5
800

L’analisi qualitativa della domanda

L’analisi qualitativa della domanda consiste nell’analizzare il comportamento del consumatore sia nelle fasi
pre-acquisto, ovvero analizzando come il consumatore giunge alla scelta del prodotto, sia nelle fasi post-
acquisto, ovvero analizzando come il consumatore utilizza il prodotto, se ne è soddisfatto, ecc.

L’analisi qualitativa della domanda deve individuare chi acquista il prodotto, dove e quando lo acquista,
come lo acquista e soprattutto perché lo acquista.

Il processo decisionale di acquisto del consumatore è abbastanza complesso e si articola in due gruppi di
attività:

 Attività mentali o cognitive.


 Attività di natura comportamentale.
39

Articolazione del processo decisionale di acquisto. Si ha una distinzione teorica di 5 fasi:

1. Percezione del bisogno e motivazioni a soddisfarlo.


2. Ricerca delle informazioni rilevanti.
3. Valutazione e confronto delle alternative tra le value proposition e scelta della value proposition.
4. Azione: acquisto e uso/consumo.
5. Valutazione post-acquisto: si determina la soddisfazione del cliente e l’eventuale fedeltà.

Il processo decisionale d’acquisto si modifica a seconda del diverso grado di coinvolgimento psicologico.
Può essere quindi più o meno complesso a seconda del coinvolgimento del consumatore:

 Alto (high involvement).


 Basso (low involvement).

L’alto o il basso coinvolgimento è dato:

 Dalla rilevanza attribuita alla categoria.


 Dalla visibilità sociale dei processi di acquisto/consumo.
 Dal contesto di utilizzo.
 Dal grado di rischio percepito.

Tipologie di rischio percepito connesse all’acquisto del prodotto:

 Rischio funzionale: quando il prodotto non assolve alle funzioni base.


 Rischio fisico: quando l’uso del prodotto può determinare eventuali minacce per l’incolumità o la
salute del consumatore.
 Rischio economico-finanziario: è un rischio soggettivo, spesso è un valore relativo al reddito.
 Rischio psicosociale: ovvero dipende dal giudizio sociale.

Nei casi in cui il livello di coinvolgimento è ridotto, i processi cognitivi del cliente si configurano in modo
molto semplificato, in quanto generalmente si ricorre alla sperimentazione diretta del bene, saltando
pertanto tutte le attività di raccolta delle informazioni e di valutazione delle alternative. Articolazione del
processo d’acquisto in ipotesi di basso coinvolgimento psicologico:

1. Percezione del bisogno.


2. Acquisto/uso.
3. Valutazione post-acquisto (ed eventuale fedeltà).

Fasi del processo d’acquisto

1. Percezione del bisogno

Il bisogno è il gap, il “disagio” psicologico (o anche fisico), che si viene a generare tra lo stato attuale e lo
stato desiderato di un individuo. Causa di questo gap è la funzione di risveglio, che può essere determinata
da fattori interni e da fattori esterni.

1. Motivazioni a soddisfarlo

Concetto di motivazione: la motivazione è la spinta in base alla quale il consumatore, riconosciuto un


bisogno non adeguatamente soddisfatto, si comporta in modo da soddisfarlo.
40

La pressione del bisogno determina l’intensità della motivazione. Di fronte ad uno stesso bisogno inoltre i
consumatori possono presentare motivazioni differenti, scegliendo direzioni diverse.

Gli individui sono generalmente soggetti ad una molteplicità di motivazioni anche in relazione ad uno stesso
bisogno: si generano i conflitti motivazionali. Il conflitto motivazionale può essere:

 Positivo-negativo: direzione desiderabile ma che conduce ad un esito negativo. Le motivazioni sono


quindi divergenti.
 Negativo-negativo: direzioni alternative ma ugualmente non desiderabili. Sono motivazioni che
portano alla scelta del consumatore, ma che non lo appagano: per questo sono dette negative.
 Positivo-positivo: direzioni alternative ugualmente desiderabili. Sono motivazioni che appagano il
consumatore: per questo sono dette positive.

2. Raccolta delle informazioni rilevanti

Le fonti informative:

 Fonti commerciali: sono quelle fonti “di parte” delle aziende, che avanzano le loro value proposition.
 Fonti istituzionali: sono quelle fonti che derivano da soggetti “super partes”, che siano soggetti
istituzionali o “tecnici” del prodotto. Sono fonti caratterizzate dall’oggettività dei soggetti.
 Fonti interpersonali: riguardano i giudizi espressi dagli altri consumatori del prodotto. Sono quindi
delle valutazioni fornite da soggetti apparentemente “super partes”.
 Fonti empiriche: riguardano le esperienze precedenti del consumatore con quello stesso prodotto.
Sono le fonti più attendibili ed anche le più importanti per le imprese.

Non tutte le informazioni o stimoli cui è esposto un individuo vengono presi in considerazione nel momento
dell’acquisto: esistono infatti i filtri selettivi. I filtri selettivi riducono infatti il potenziale di informazioni che
il cliente ha a disposizione in un numero molto ristretto di informazioni sul prodotto.

Schema dei filtri selettivi:

Raccolta delle informazioni e


loro elaborazione
ESPOSIZIONE
SELETTIVA

ATTENZIONE
SELETTIVA

PERCEZIONE
SELETTIVA

RITENZIONE
SELETTIVA

RICHIAMO
SELETTIVO
41

L’esposizione selettiva è la capacità sia fisica che mentale di ricevere le informazioni all’interno di un
determinato contesto. Delle tante informazioni offerte dall’ambiente esterno, non tutte raggiungono il
consumatore.

Il consumatore non presta attenzione a tutti gli stimoli ricevuti. L’attenzione selettiva è l’attivazione da
parte dello stimolo dei processi mentali che trasferiscono la loro sensazione percepita al cervello per la
successiva elaborazione.

Solo una parte degli stimoli a cui il consumatore presta attenzione sono percepiti correttamente. La
percezione selettiva è il processo mediante il quale le sensazioni sono selezionate, organizzate e
interpretate.

Non tutti gli stimoli percepiti vengono conservati: in caso contrario si ha la ritenzione selettiva, che
riguarda la fase della memorizzazione degli stimoli.

Non tutti gli stimoli conservati vengono riutilizzati: in caso contrario si ha il richiamo selettivo, che riguarda
la fase in cui gli stimoli memorizzati vengono appunto “richiamati” dalla memoria del consumatore.

2. Ricerca delle informazioni

Gli operatori di marketing cercano di capire come il consumatore utilizzi le informazioni: il consumatore
viene studiato mediante l’utilizzo di due modelli.

Nel primo modello, il modello economico-razionale, il consumatore è un soggetto razionale che va a


ricercare una quantità di informazioni fino a che i benefici che può ottenere per acquisire informazioni
aggiuntive siano superiori ai sacrifici che deve fare per ottenere quelle informazioni aggiuntive. Il modello
della piena razionalità tuttavia non può essere sempre applicato: infatti il consumatore solitamente non va
di negozio in negozio per ottenere informazioni e confrontare prezzi e prodotti.

Nel secondo modello, il modello comprensione meccanismi percettivi, il consumatore non è così razionale:
il consumatore infatti nel momento in cui va ad acquistare il prodotto ottiene anche delle informazioni
aggiuntive che potrà riutilizzare in futuro. È un modello che si basa sulla shopping expedition.

Ricerca delle informazioni

MODELLO
MODELLO
COMPRENSIONE
ECONOMICO-
MECCANISMI
RAZIONALE
PERCETTIVI

Shopping
expedition

Acquista Acquisisce
prodotti informazioni
42

3. Valutazione alternative e scelta

Modelli per la comprensione dei processi valutativi del consumatore:

 Modelli multi-attributo.
 Modelli choice-set.

Sono dei modelli che cercano di spiegare come il consumatore sceglie un prodotto rispetto ad un altro.

Nei modelli multi-attributo, il presupposto è che il prodotto presenti determinate caratteristiche che
abbiano dei benefici per il consumatore. Il consumatore ricerca quindi una serie di benefici offerti dal
prodotto. I problemi a cui il modello cerca di rispondere sono: da una parte individuare quali sono gli
attributi rilevanti per il consumatore, ovvero quegli attributi che il consumatore ricerca nel prodotto (analisi
qualitative), mentre dall’altra quali sono le regole, le strategie di scelta.

Problemi del modello

Su quali attributi In base a quali regole

Il consumatore effettua il confronto

Ricerche qualitative Strategie di scelta

Esistono due tipi di strategie di scelta utilizzate dal consumatore: strategie valutative e strategie non
valutative.

Le strategie valutative si basano sull’idea che il soggetto sia molto razionale e che possa scegliere i prodotti
attraverso analisi:

 Analitiche (bottom down processing): il prodotto viene considerato sotto più caratteristiche o
attributi.
 Globali o sintetiche (top down processing): il prodotto viene considerato nel suo insieme.

Le strategie valutative di tipo analitico (bottom down processing) si hanno quando il consumatore
confronta due prodotti in base alle singole caratteristiche. Si possono applicare:

 Modelli compensativi: un singolo attributo che presenta una percezione negativa per il consumatore
può essere compensato da altre caratteristiche.
 Modelli non compensativi: un singolo attributo che presenta una percezione negativa per il
consumatore non può essere compensata da nessun’altra caratteristica. Il consumatore non sceglie il
prodotto: ciò determina la sua esclusione.

Questi due modelli si basano quindi sulle procedure comparative.


43

I modelli compensativi si distinguono in:

 Modello di atteggiamento multi-prodotto (o del valore atteso).


 Modello del prodotto ideale.

Modello di atteggiamento multi-prodotto (o del valore atteso): il consumatore sceglie il prodotto che
presenta il valore atteso più elevato. Il consumatore prende in considerazione tutti gli attributi, non scarta
quelli percepiti negativamente e sceglie quello che presenta il più elevato valore atteso.
𝑛

𝐴𝑗 = ∑ 𝑏𝑖 ×𝑒𝑖
𝑖=1

con:

 𝐴𝑗 = valore atteso o atteggiamento verso il prodotto 𝑗 (attitude-toward-object model).


 𝑏𝑖 = intensità della convinzione che il prodotto possieda l’attributo 𝑖 .
 𝑒𝑖 = valutazione (importanza) dell’attributo 𝑖 .

Il valore atteso è dato dalla sommatoria, da 1 a n, della intensità della convinzione che l’oggetto possieda
l’attributo 𝑖 ponderata con l’importanza (valutazione) dell’attributo 𝑖 .

È uguale all’indice di Fishbein: si applica la formula e si sceglie il prodotto che ha il valore atteso più elevato
tra le alternative.

Modello del prodotto ideale: il consumatore sceglie il prodotto che meno si distanzia (o più si avvicina) dal
prodotto ideale, ovvero dall’ideale rispetto a tutti gli attributi.
𝑛

𝐷𝑗 = ∑ 𝑒𝑖 ×(𝐼𝑖 − 𝑏𝑖 )
𝑖=1

con:

 𝐷𝑗 = insoddisfazione verso il prodotto 𝑗.


 𝑏𝑖 = intensità della convinzione che il prodotto possieda l’attributo 𝑖 .
 𝑒𝑖 = livello di importanza dell’attributo 𝑖 .
 𝐼𝑖 = livello di importanza dell’attributo 𝑖 .

L’insoddisfazione o la distanza dal prodotto ideale è la sommatoria, da 1 a n, che si ottiene ponderando


l’importanza dell’attributo 𝑒 per la differenza rispetto all’ideale 𝐼 .

1. Si determina la distanza del prodotto dall’ideale.


2. Si applica la formula di Fishbein sulla distanza dall’ideale.
3. Si sceglie il prodotto che più si avvicina dal valore ideale tra le alternative.

I modelli non compensativi si distinguono in:

 Modello congiuntivo.
 Modello disgiuntivo.
 Modello lessicografico.
44

Modello congiuntivo: il consumatore sceglie il prodotto che supera i livelli di soglia minima di accettabilità
su tutti gli attributi.

1. Si stabilisce un livello minimo di accettabilità per ogni attributo.


2. Si osservano i prodotti e si prendono in considerazione solo quelli che superano la soglia minima di
accettabilità.
3. Si sceglie il prodotto che soddisfa ( > o = ) tale livello per tutti gli attributi.

Modello disgiuntivo: il consumatore sceglie il prodotto che supera il livello di soglia minima su alcuni
attributi. Viene quindi preso in considerazione solo un numero ristretto di attributi.

1. Si stabilisce un livello minimo di accettabilità per ogni attributo.


2. Si sceglie il prodotto che soddisfa ( > o = ) tale livello solo per alcuni attributi.

Modello lessicografico: il consumatore sceglie il prodotto su una sola caratteristica, quella che per il
consumatore è più importante. Si presume che quindi il prodotto abbia la prestazione migliore
sull’attributo più importante.

Le strategie valutative sintetiche o globali (top down processing) sono valutazioni del prodotto nella sua
totalità: si ricorre alla conjoint analysis.

Schema delle strategie di scelta utilizzate dal consumatore:

STRATEGIE NON
STRATEGIE
VALUTATIVE
VALUTATIVE
(euristiche)

GLOBALI O ANALITICHE
SINTETICHE (top (bottom down
down processing) processing)

MODELLI MODELLI NON


COMPENSATIVI COMPENSATIVI

Procedure Procedure
comparative comparative
45

Esercizio:

ATTRIBUTO IMPORTANZA LIVELLO MARCA MARCA MARCA MARCA


MIN MAX A B C D
Efficacia 0,40 6 9 8 8 7 8
Notorietà 0,25 6 9 6 7 9 9
Profumo 0,20 6 9 6 6 5 4
Prezzo 0,10 5 9 6 6 9 7
Packaging 0,05 5 9 4 6 9 7

Per quanto riguarda i modelli compensativi:

 Utilizzando il modello di atteggiamento multi-attributo: il valore atteso più elevato è 7,4 della marca C.

MARCA MARCA MARCA MARCA


A B C D
3,2 3,2 2,8 3,2
1,5 1,8 2,25 2,25
1,2 1,2 1 0,8
0,6 0,6 0,9 0,7
0,2 0,3 0,45 0,35
6,7 7,1 7,4 7,3

 Utilizzando il modello del prodotto ideale: il prodotto che più si avvicina al prodotto ideale, con -1,6, è la
marca C.

Distanza dall’ideale Distanza ponderata


MARCA A MARCA B MARCA C MARCA D MARCA A MARCA B MARCA C MARCA D
-1 -1 -2 -1 -0,4 -0,4 -0,8 -0,4
-3 -2 0 0 -0,75 -0,5 0 0
-3 -3 -4 -5 -0,6 -0,6 -0,8 -1
-3 -3 0 -2 -0,3 -0,3 0 -0,2
-5 -3 0 -2 -0,25 -0,15 0 -0,1
-2,3 -1,95 -1,6 -1,7

Per quanto riguarda i modelli non compensativi:

 Utilizzando il modello congiuntivo: si sceglie il prodotto B perché gli altri tre non raggiungono il livello MIN in
ogni caratteristica.
 Utilizzando il modello disgiuntivo: prendendo in considerazione ad esempio le prime tre caratteristiche
(efficacia, notorietà e profumo), i prodotti C e D non superano la soglia di livello MIN nelle caratteristiche
prese in considerazione. Si sceglie infine il prodotto B perché presenta gli attributi più elevati.
 Utilizzando il modello lessicografico: se ad esempio si analizza solo la prima caratteristica, viene escluso solo
il prodotto C. Se si analizza la seconda caratteristica viene scelta la marca D.
46

Le strategie non valutative o euristiche sono semplici regole di scelta, delle “scorciatoie” mentali che
permettono di ridurre lo sforzo cognitivo (cues, ancoraggio, aggiustamento, ecc.). Tali “scorciatoie” mentali
sono dette euristiche.

Tipologie di euristiche:

 Euristica della disponibilità: i consumatori scelgono il prodotto che per primo viene alla mente.
 Euristica della rappresentatività: i consumatori basano le proprie scelte sul livello di somiglianza e di
rappresentatività rispetto ad altri esempi. Ad esempio si guarda alla marca più rappresentativa di una
determinata categoria di prodotto.
 Euristica di ancoraggio e adeguamento: i consumatori formulano un giudizio iniziale, una prima
impressione, e successivamente adeguano la prima impressione in base alle nuove informazioni.

I consumatori nei processi di scelta commettono spesso degli errori, i bias. Tali bias possono derivare da
scelte che si basano su una errata razionalità o da scelte che si basano su una errata percezione.

Mental accounting (o sistema di contabilità mentale): un consumatore, pur disponendo delle stesse
informazioni ed avendo le medesime motivazioni, può giungere a conclusioni differenzi.

I modelli choice-set si affiancano ai modelli multi-attributo. Nei modelli choice-set il consumatore non
sceglie il prodotto in maniera analitica ma attraverso una scelta selettiva tra un’insieme di prodotti.

Di tutte le marche presenti per una tipologia di prodotto è possibile individuare due insiemi:

 Insieme consapevole: insieme di marche che il consumatore conosce.


 Insieme inconsapevole: insieme di marche che il consumatore non conosce.

La scelta del consumatore ricade sull’insieme consapevole. Quest’insieme è divisibile in tre sottoinsiemi:

 Insieme inetto: insieme di marche per la quale il consumatore esprime un giudizio negativo.
 Insieme inerte: insieme di marche per la quale il consumatore è indifferente.
 Insieme evocato: insieme di marche per la quale il consumatore esprime un giudizio positivo.

Il consumatore va ad effettuare la propria scelta nell’insieme evocato.

L’insieme evocato tende a scomporsi a seconda del punto vendita, della possibilità di interazione con il
punto vendita, per motivi personali, ecc. Il consumatore estrae infatti dall’insieme evocato quei brand nei
confronti dei quali è disposto a sostenere uno sforzo per approfondire la conoscenza (action set), rispetto a
quelli che malgrado la valutazione positiva non vengono valutati in profondità (inaction set).

Un’ulteriore scomposizione è dovuta alla disponibilità del consumatore ad interagire con il prodotto e con il
personale di vendita: nell’action set si discriminano quei brand nei confronti dei quali il consumatore evita
di approfondire la conoscenza con il personale di vendita per non essere costretto all’acquisto (quiet set),
da quelli in cui il consumatore accetta di interagire con il personale di vendita (interaction set).
Quest’ultimo gruppo di marche ha superato le principali barriere di comunicazione e di inerzia del
consumatore ed ha maggiori possibilità di scelta (product chosen).

Il modello è dinamico: il consumatore può alterare nel corso del processo di scelta la valutazione espressa a
favore di una marca per cui alcuni brand collocati originariamente nell’insieme evocato, attivo o interattivo
possono confluire nell’insieme rifiutato (reject set).
47

Grafico del modello choice-set:

INSIEME TOTALE

INSIEME INSIEME
INCONSAPEVOLE CONSAPEVOLE

INSIEME
INSIEME INERTE INSIEME INETTO
EVOCATO

* INSIEME INSIEME
INSIEME ATTIVO
RIFIUTATO INATTIVO

* INSIEME INSIEME
INSIEME QUIETO
RIFIUTATO INTERATTIVO

* INSIEME
RIFIUTATO

La scelta del consumatore ricade quindi nella short list: il consumatore sceglie quasi sempre il prodotto tra
un numero limitato, ovvero tra quattro o cinque marche.

I due modelli, multi-attributo e choice-set, sono complementari tra loro e servono alle imprese per
migliorare le loro strategie di vendita.

4. Azione (acquisto/uso)

Si analizzano due dimensioni:

 I ruoli di acquisto.
 Le interazioni fra il processo di scelta dei prodotti e dei servizi commerciali.

I ruoli di acquisto non sono individuabili solo in questa fase, ma anche durante tutto il processo di acquisto.

Figure o ruoli di acquisto:

1. Iniziatore: è quel soggetto che fa emergere il bisogno latente nell’individuo. Si ricollega alla prima
fase del processo di acquisto.
2. Influenzatore: è quel soggetto che fornisce informazioni aggiuntive ed esprime giudizi sul prodotto
che possono condizionare la scelta del consumatore. Si ricollega alla seconda fase del processo di
acquisto.
3. Decisore: è quel soggetto che fa la scelta, che decide quale prodotto acquistare. Si ricollega alla terza
fase del processo di acquisto.
4. Acquirente: è il soggetto che acquista il prodotto. Si ricollega alla quarta fase del processo di
acquisto.
48

5. Utilizzatore: è il soggetto che usa o consuma il prodotto. Si ricollega alla quinta fase del processo di
acquisto.

Queste figure possono coincidere nella stessa persona o risiedere in soggetti differenti.

Per l’impresa è importante conoscere queste figure, individuare i ruoli per decidere quali strategie di
marketing adottare.

La seconda dimensione riguarda le interazione fra il processo di scelta dei prodotti e dei servizi
commerciali.

L’interazione tra punto vendita e scelta del prodotto è forte e reciproca.

SCELTE DEL PUNTO VENDITA INSIEME EVOCATO


(ASSORTIMENTO) (ALTERNATIVE DI MARCHE)

La scelta del punto vendita e, in particolare, il suo assortimento condiziona l’insieme evocato del
consumatore, che definisce le alternative in termini di marche.

BRAND LOYALTY STORE LOYALTY

La fedeltà acquisita dall’impresa condiziona le scelte dell’acquirente con riferimento sia al prodotto sia ai
servizi commerciali. La fedeltà alla marca influenza, oltre che la scelta relativa alla marca, anche quella
riferita al punto vendita, inducendo il consumatore a eliminare dalle sue possibili scelte tutti quei
distributori che non offrono la marca preferita. La medesima tipologia di interdipendenza si verifica con
riferimento alla fedeltà al punto vendita che, oltre a determinare la scelta del punto vendita stesso,
condiziona la scelta della marca.

BISOGNO RIFERITO AL BISOGNI RIFERITI AI SERVIZI


PRODOTTO COMMERCIALI

Il bisogno relativo ai servizi commerciali rappresenta una conseguenza derivata dall’emergere dei bisogni
riferiti al prodotto.

Dipendono da questa interazione:

 Il display: è la collocazione dei prodotti negli scaffali.


 Lo spazio espositivo: come vengono distribuite le varie aree nel punto vendita. Si individuano ad
esempio i punti caldi e i punti freddi del punto vendita, che dipendono dalla frequenza di clienti che
passano in quella determinata area.
49

 Le problematiche di assortimento e rotture di stock: quando il magazzino del punto vendita non
riesce a soddisfare la richiesta del consumatore. Tale problema può derivare dalla mancanza di
spazio nel punto vendita o anche in caso di invenduto.

Le imprese devono quindi guardare anche alle esigenze del distributore. Il rapporto tra impresa produttrice
e punti vendita caratterizza anche:

 Promozioni.
 Prezzo: il prezzo che viene praticato. Il distributore in base alle sue politiche può alterare il prezzo
fissato dal produttore.

Per aumentare le proprie value proposition, le imprese favoriscono la creazione e la crescita di valore da
parte dei consumatori: il consumatore può essere promotore di creazione di valore per un prodotto.

Classificazione dei processi di consumo. Distinzione dei prodotti in:

 Autotelici (valore fine a se stesso): prodotti che generano utilità per lo stesso consumatore.
 Strumentali (valore per altri obiettivi): prodotti che creano valore per il consumatore ma anche in
vista di altri obiettivi.

5. Valutazione post-acquisto

Per le imprese diventa importante la centralità del cliente: soddisfazione del cliente e fedeltà. Un certo
grado di insoddisfazione è tuttavia fisiologico.
50

MODULO 3: PROCESSI STRATEGICI DI MARKETING

Concetti introduttivi

La seconda fase del marketing management riguarda i processi di progettazione del valore:

1. Target e segmentazione: a chi rivolgere la value proposition.


2. Posizionamento: offrire un valore uguale o diverso, ovvero generare nella mente del consumatore il
posizionamento.
3. Politiche di prodotto: definire i benefici offerti dalla value proposition.
4. Pricing: definire i sacrifici richiesti dalla value proposition.

Con il termine segmentare si intende scomporre il mercato in gruppi di consumatori, con l’obiettivo di
scegliere a chi rivolgere la value proposition, ovvero individuare quale o quali gruppi andare a servire: si
determina quindi il target. Una volta individuato il target bisogna decidere il posizionamento, ovvero
decidere quale immagine abbia il prodotto nella mente del consumatore: si viene così a creare l’immagine
del prodotto. Tutte le fasi successive saranno consequenziali.

Segmentazione, targeting e posizionamento

Segmentazione e targeting

ANALISI QUANTITATIVA ANALISI QUALITATIVA


DELLA DOMANDA DELLA DOMANDA

DIMENSIONI VARIABILI

SEGMENTAZIONE

La segmentazione del mercato consiste nella scomposizione dell’eterogeneo mercato in insiemi meno
eterogenei di consumatori.

La segmentazione è un processo disaggregante (da insieme generale si distinguono degli insiemi più piccoli)
e aggregante (insiemi che hanno qualcosa in comune che li aggrega). La segmentazione è un processo
semplificativo della realtà ma anche creativo.

L’impresa deve individuare quel criterio di segmentazione efficace.

Presupposti fondamentali della segmentazione e del targeting:

 Eterogeneità della domanda: differente elasticità di risposta agli stimoli del marketing, ovvero la
capacità di diversa risposta dagli stimoli del marketing.
51

 Capacità dell’impresa di differenziare la propria offerta al fine di rendersi preferibile dai clienti.
L’impresa deve essere in grado di rendere differenti i propri prodotti da quelli dei concorrente ma in
modo che vengano preferiti dal consumatore.

Il modello base di segmentazione è il sistema di preferenze: la classificazione avviene su due o più


dimensioni riguardanti il livello di preferenze di un campione di intervistati su altrettanti attributi di
prodotto. Con riferimento a due diversi attributi, in base a tale modello è possibile delineare tre diverse
ipotesi:

 Preferenze omogenee: preferenze simili tra i soggetti. La segmentazione non si realizza.


 Preferenze diffuse: preferenze varie tra i soggetti. È il caso di segmentazione a base uno.
 Preferenze agglomerate: preferenze che si polarizzano in diverse aree.

La segmentazione si realizza quando le preferenze sono agglomerate, ovvero quando ci sono gruppi di
consumatori che manifestano delle preferenze diverse.

Il processo di segmentazione si articola in 5 fasi:

1. Selezione dei requisiti.


2. Definizione del mercato da segmentare.
3. Selezione della base di segmentazione.
4. Analisi di attrattività.
5. Scelta di marketing.

1. Selezione dei requisiti

La segmentazione deve individuare dei segmenti che siano in qualche modo selezionati, ovvero individuare
dei requisiti che devono possedere i segmenti.

Questi segmenti devono essere:

 Misurabili. La misurabilità fa riferimento all’impresa che deve essere in grado di determinare la


dimensione e il potere di acquisto dei consumatori. I segmenti devono essere oggetto di valutazione
sia in termini di volume sia di valore.
 Rilevanti.
 Differenziati. La differenziabilità fa riferimento alla possibilità di realizzare dei prodotti differenti
rispetto ad altri.
 Stabili. La stabilità fa riferimento al fatto che i soggetti presenti sul segmento tendano a non uscire
dal segmento stesso.
 Accessibili. L’accessibilità, sia fisica che comunicativa, è la capacità dell’impresa di raggiungere i
soggetti.

2. Definizione del mercato da segmentare

Si identificano tre livelli di mercato:


52

 A livello di bisogno.
 A livello di tipo di prodotto.
 A livello di variante di prodotto.

3. Selezione della base di segmentazione

Il termine base indica il criterio di segmentazione.

Si individuano tre tipi di basi:

 Segmentazione semplice.
 Segmentazione gerarchica.
 Segmentazione multipla.

Nella segmentazione semplice si utilizza una sola base o criterio.

Nella segmentazione gerarchica e nella segmentazione multipla si utilizzano più basi o criteri. In caso di
segmentazione gerarchica si utilizzano i vari criteri in successione; in caso di segmentazione multipla si
utilizzano i vari criteri contemporaneamente.

La segmentazione gerarchica è tipica dei mercati B2B (business to business). Il mercato B2B indica gli
scambi che avvengono tra un’impresa ed altre imprese: l’impresa promuove lo scambio, vendendo ad altre
imprese.

Le segmentazioni semplice e multipla sono tipiche dei mercati B2C (business to consumer). Il mercato B2C
indica gli scambi che avvengano tra un’impresa e i consumatori: l’impresa interagisce con i propri clienti,
vendendo loro il prodotto.

Approcci per la segmentazione del mercato di consumo (B2C):

 Metodo o criterio della correlazione (a priori).


 Metodo o criterio della strumentalità (a posteriori).

Nel criterio della correlazione (ex ante) si ritiene che persone che presentino le stesse caratteristiche
ricerchino gli stessi benefici. L’impresa ritiene di conoscere le basi a priori. È un approccio “impresa-
centrico”.

Con i criteri a priori le caratteristiche distintive e il numero dei segmenti sono pre-imposti dall’analista.
Vengono maggiormente considerate quattro variabili:

 Variabili geografiche: sono quelle più intuitive e distinguono i consumatori mediante fattori di
carattere geografico. Le variabili geografiche dipendono soprattutto dalla dimensione dell’area
geografica e non più dalla latitudine o dalla longitudine. Infatti le tipologie di variabili per latitudine o
longitudine hanno pian piano perso importanza al crescere del fenomeno della globalizzazione dei
mercati e delle nuove metodologie di comunicazione.
 Variabili demografiche: sono quelle connesse alle caratteristiche della vita dell’individuo (ad es.
sesso, età, caratteristiche del nucleo familiare, ecc.).
53

 Variabili sociologiche: sono connesse al reddito degli individui, che è uno dei fattori più considerati, al
livello di istruzione, alla classe sociale appartenente, ecc.
 Variabili psicografiche: dipendono dalla personalità, dallo stile di vita e dai valori dell’individuo.

Nel criterio della strumentalità (ex post), in base alle preferenze che manifestano i consumatori, le imprese
si basano sull’elemento che li accomuna. È un approccio tipico della customer based view.

Con i criteri a posteriori non si richiede di pre-determinare né il numero né la dimensione dei segmenti: il
mercato viene segmentato solo successivamente. Si utilizzano i dati primari derivanti da ricerche di
mercato dell’azienda. Vengono utilizzate tre categorie di variabili:

 Benefici ricercati: i dati che esprimono esplicitamente le preferenze dei consumatori. Il vantaggio di
queste variabili consiste nella precisione, in quanto si misura le preferenze del consumatore e non la
si ipotizza. Lo svantaggio consiste nella esaustività, ovvero nella possibilità che l’impresa non sia in
grado di individuare tutte le preferenze del consumatore.
 Tipo di utilizzo: fa riferimento all’intensità di utilizzo, che è spesso correlata con la redditività del
cliente per l’impresa.
 Comportamento post-acquisto: include tutte le tecniche che prendono in considerazione gli
atteggiamenti, le percezioni, le motivazioni dei consumatori a seguito dell’acquisto e dell’utilizzo del
prodotto. Esempi sono la soddisfazione, la fedeltà, la frequenza d’acquisto, ecc. Uno svantaggio di
queste variabili può essere l’eventuale instabilità dei segmenti.

Approcci per la segmentazione del mercato business (B2B):

 Stadio di macrosegmentazione: i criteri si basano su caratteristiche osservabili all’esterno


dell’impresa cliente, definite firmo-grafiche. Tali caratteristiche possono essere le variabili
demografiche industriali, le variabili tecnologiche e le variabili operative.
 Stadio di microsegmentazione: i criteri si basano su caratteristiche osservabili all’interno dell’impresa
cliente. Esempi sono le caratteristiche strutturali e di tipo organizzativo.

Le aziende utilizzano due tipi di tecniche di segmentazione:

 Tecniche di segmentazione univariata/bivariata. La tecnica più utilizzata è la tabulazione semplice:


l’identificazione dei segmenti viene definita con l’utilizzo di una (o due) variabile. Con le cross-
tabulation è possibile invece ottenere indicazioni specifiche negli incroci di potenziali variabili.
 Tecniche di segmentazioni multivariata: vengono utilizzate principalmente per l’identificazione di
relazione tra dati e per la riduzione di notevoli volumi di dati in un numero inferiore. La tecnica più
utilizzata è la cluster analysis, dove vengono identificati gruppi omogenei rispetto a più variabili
congiuntamente impiegati.

4. Analisi di attrattività

La scelta del segmento dipende dalla attrattività, ovvero se il segmento è appetibile all’impresa. L’impresa
deve valutare tre fasi:

1. Analisi interna.
2. Analisi esterna.
54

3. Analisi della redditività.

L’analisi interna e l’analisi esterna si svolgono mediante l’analisi SWOT:

 Analisi interna: si cerca di individuare i punti di forza, ovvero le capacità dell’azienda, e i punti di
debolezza, ovvero i punti di criticità dell’azienda, per poi stimare in quale misura il segmento
analizzato può essere efficacemente servito con le risorse e le competenze disponibili all’interno
dell’impresa.
 Analisi esterna: si guarda alla domanda e alla concorrenza presente nello stesso segmento, sia a
livello statico, cioè riguardo la concorrenza attuale, sia a livello dinamico, cioè riguardo la
concorrenza potenziale.

Le imprese devono infine effettuare una analisi della redditività: tutte le scelte dell’impresa non possono
infatti prescindere dall’impatto che l’impresa stessa può avere in termini di redditività. Si costruisce una
stima dei ricavi, dei costi e del margine di contribuzione che il segmento può generare nell’orizzonte
temporale di riferimento.

5. Individuazione del target

L’impresa, sulla base della attrattività, può scegliere:

 Di servire un particolare segmento di mercato con un prodotto specifico per quel segmento (es.
Primigi). L’impresa tende a specializzarsi sia sotto il profilo del prodotto sia sotto il profilo del
segmento. Si parla di targeting concentrato.
 Di servire più prodotti per un unico segmento di mercato (es. Prenatal). Si parla di targeting per
specializzazione di segmento.
 Di servire un unico prodotto per più segmenti di mercato (es. Calzedonia). Si parla di targeting per
specializzazione di prodotto.
 Inizialmente di rivolgersi con un solo prodotto ad un solo segmento di mercato, per poi servire più
segmenti con più tipi di prodotto (es. Montblanc). Si parla di targeting per specializzazione selettiva.
 Di servire tutti i segmenti con prodotti differenti (es. Fiat). Si parla di copertura completa.

Esempio di matrice delle tipologie di targeting:

SEGMENTI DI MERCATO
𝑀1 𝑀2 … 𝑀𝑛
𝑃1 (Primigi/Prenatal/Calzedonia) (Calzedonia) (Calzedonia) (Calzedonia)
PRODOTTO
𝑃2 (Prenatal) (Montblanc)
… (Prenatal)
𝑃𝑚 (Prenatal) (Montblanc) (Montblanc)

(La Fiat è presente in ogni casella della matrice perché serve tutti i segmenti con prodotti differenti)

La segmentazione è uno strumento che tende a limitare la concorrenza. Il problema della segmentazione è
tuttavia che questa porta a ridurre sempre più il mercato: la numerosità del mercato e l’attrattività
tendono a diminuire.
55

Si ricorre allora alla personalizzazione dove è possibile: segmentazione a base uno (o segmentazione one
to one). Questo tipo di segmentazione consiste nella realizzazione di un prodotto specifico per ogni
individuo: la segmentazione è quindi portata al massimo. Il caso opposto è rappresentato invece
dall’aggregazione del mercato: l’impresa non individua una segmentazione specifica del mercato.

Posizionamento

Il posizionamento consiste nel creare l’immagine del prodotto nella mente del consumatore.

Tutti i prodotti vengono collocati mentalmente in delle aree: ogni individuo ha infatti una certa idea di una
certa marca, di un determinato prodotto rispetto a quello dei concorrenti.

Quando l’impresa deve posizionarsi, deve prendere in considerazione le strategie di posizionamento, le


quali mirano a costruire l’identità della value proposition e si articolano su due momenti:

 La scelta delle caratteristiche idiosincratiche (fattori).


 La scelta dei punti di riferimento (soggetti).

Se l’impresa è l’unica del mercato, non ci sarà posizionamento; in caso di concorrenza invece, l’impresa
deve attuare il posizionamento del prodotto.

Le caratteristiche idiosincratiche rappresentano gli elementi o fattori su cui l’impresa deve fare leva per
creare l’immagine. L’impresa può posizionarsi rispetto:

 Agli attributi. Il posizionamento sugli attributi si ha quando l’impresa fa leva su certe caratteristiche
che il prodotto possiede.
 Ai vantaggi o benefici. Il posizionamento sui vantaggi (o benefici attesi) si ha quando l’impresa fa
leva su determinati benefici o vantaggi aggiuntivi che il consumatore può derivare dall’utilizzo del
prodotto.
 All’applicazione. Il posizionamento per applicazione (uso) si ha quando l’impresa fa riferimento ad
uno specifico utilizzo del prodotto.
 Alle categorie di utilizzatori. Il posizionamento per categorie di utilizzatori si ha quando il prodotto
viene presentato come specifico per una determinata categoria di soggetti ma che in realtà lo si
vuole vendere a tutte le categorie di soggetti.
 Al rapporto qualità/prezzo. Il posizionamento per qualità/prezzo si ha quando l’impresa punta sulla
convenienza dell’offerta secondo il rapporto tra qualità del prodotto e prezzo.

L’impresa non deve individuare solo gli elementi su cui fare leva (caratteristiche idiosincratiche), ma anche
su chi, su quali soggetti, fare leva. La scelta dei punti di riferimento si articola in:

 Per distinzione.
 In relazione.

Posizionamento per distinzione: l’impresa cerca di distinguersi da tutte le altre imprese concorrenti (es.
Apple). Ne consegue una serie di strategie, soprattutto di comunicazione, che sostengano tale scelta.

Il posizionamento in relazione si distingue in: contro (versus); associazione; dissociazione.

Posizionamento contro: l’impresa si contrappone ad un’altra determinata impresa (o imprese). L’impresa


afferma di avere un prodotto migliore rispetto a quello dell’impresa concorrente: l’impresa è superiore o
56

comunque differente a quella concorrente. Il richiamo all’impresa avversaria è evidente, in maniera


esplicita o meno esplicita.

Posizionamento per associazione (me too): l’impresa offre un prodotto uguale alla concorrente, ma con un
sacrificio minore per il consumatore. L’impresa cerca quindi di far sovrapporre l’immagine del prodotto con
quella del concorrente, facendo leva non soltanto alle caratteristiche intrinseche, ma anche ad un elemento
aggiuntivo come il valore o il prezzo.

Posizionamento per dissociazione: l’impresa sceglie un’immagine diversa rispetto ai concorrenti facendo
leva su una caratteristica idiosincratica.

Per un posizionamento efficace l’impresa deve seguire dei criteri di analisi dell’efficacia:

 Chiarezza: posizionamento chiaro e collegato alla value proposition. Le caratteristiche idiosincratiche


devono associarsi alla value proposition.
 Rilevanza: le caratteristiche idiosincratiche identificano la priorità a un bisogno.
 Positivo: vicinanza della value proposition al livello ideale di prestazioni richieste dal prodotto.
 Distintività: distanza dalla value proposition della concorrenza.

Si può effettuare la misurazione del posizionamento della value proposition di un’impresa mediante
l’approccio al multidimensional scaling (Mds), ovvero una mappa di posizionamento che deriva da altre
due mappe:

 Mappa delle percezioni: è la rappresentazione grafica che mostra il modo con cui i consumatori
percepiscono le varie marche.
 Mappa delle preferenze: è la rappresentazione grafica dell’insieme dei gusti e delle preferenze che i
consumatori presentano. Sta ad indicare il numero di soggetti che manifestano quella tipologia di
preferenze.

Mappa delle percezioni:

ALTO GRADO DI COMPLESSITÀ


5

BASSO 1 ALTO
GRADO DI GRADO DI
NOTORIETÀ 0 NOTORIETÀ
E PREZZO -5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 E PREZZO
-1

-2

-3

-4
BASSO GRADO DI COMPLESSITÀ
57

Mappa delle preferenze:

ALTO GRADO DI COMPLESSITÀ


5

BASSO 1 ALTO
GRADO DI GRADO DI
NOTORIETÀ 0 NOTORIETÀ
E PREZZO -5 -4 -3 -2 -1
-1
0 1 2 3 4 E PREZZO

-2

-3 PRODOTTO IDEALE

-4
BASSO GRADO DI COMPLESSITÀ

Sovrapponendo le due mappe si ottiene la mappa di posizionamento:

ALTO GRADO DI COMPLESSITÀ


5

BASSO 1 ALTO
GRADO DI GRADO DI
0 NOTORIETÀ
NOTORIETÀ
-5 -4 -3 -2 -1 0 1 2 3 4 E PREZZO
E PREZZO -1

-2

-3 PRODOTTO IDEALE

-4
BASSO GRADO DI COMPLESSITÀ

Se il prodotto è già sul mercato, le mappe servono per capire dov’è posizionato il prodotto e se questo è
ben posizionato rispetto alla concorrenza. Sono quindi utili anche per riposizionare il prodotto nel caso in
cui questo non ha una posizione favorevole rispetto al prodotto dei concorrenti. Se il prodotto deve essere
ancora lanciato, le mappe consentono di individuare le aree non ancora servite.

Una volta individuato il target e determinato il posizionamento del prodotto, le imprese competono fra loro
facendo leva su una delle due componenti della value proposition: la componente get, a cui segue la
58

differenziazione, e la componente give, a cui seguono il prezzo ed altri fattori che comportano sacrifici per il
consumatore. Differenziazione e prezzo sono le due leve a cui l’impresa fa principalmente ricorso.

La proposta di valore viene percepita dal consumatore mediante le due componenti: il consumatore sceglie
quel prodotto che abbia uno scarto maggiore. Un’impresa quindi o deve offrire più benefici al
consumatore, chiedendo un sacrificio uguale, oppure deve richiedere meno sacrifici con uguali benefici.

La definizione della value proposition: le politiche di prodotto

Il prodotto è un bundle of utilities, ovvero un insieme di benefici funzionali, psico-sociali ed esperienziali


che scaturiscono da attributi. Gli attributi possono avere il carattere di:

 Attributi tangibili (o concreti): le caratteristiche tangibili sono quelle che si possono concretamente
analizzare.
 Attributi intangibili (o astratti): una serie di attributi di carattere immateriale.

L’impresa se vuole realizzare una propria value proposition differente rispetto alla concorrenza, deve offrire
dei benefici aggiuntivi facendo leva sulla differenziazione del prodotto: deve quindi considerare tali
caratteristiche. Se l’impresa vuole competere in termini di differenziazione deve rendere il prodotto diverso
agendo o sugli attributi tangibili o su quelli intangibili. La competizione sugli attributi si sposta dagli
elementi intrinseci verso quelli estrinseci.

Il concetto di differenziazione viene messo in evidenza da Levitt, il quale affermò che di un prodotto si
possono considerare quattro/cinque livelli:

1. Vantaggio essenziale: è la ragion d’essere del prodotto. Se il prodotto non offre quel vantaggio o
beneficio essenziale, o non esiste o non rientra in quella categoria di prodotto. È l’utilità prima del
prodotto.
2. Prodotto generico: il beneficio essenziale si incorpora, si materializza in un prodotto generico. Le
imprese devono cercare di differenziare il prodotto per competere.
3. Prodotto atteso: è un prodotto dotato di una serie di attributi e condizioni che, in genere, rientrano
nelle aspettative degli acquirenti. Le imprese cercano di differenziare il prodotto facendo leva su
questi elementi. Se l’impresa si vuole differenziare deve utilizzare degli elementi aggiuntivi.
4. Prodotto ampliato: comprende dei vantaggi aggiuntivi. Gli elementi a cui l’impresa faceva ricorso per
la differenziazione vengono imitati dai concorrenti e scendono di livello.
5. Prodotto potenziale: insieme di tutti i possibili ampliamenti e trasformazioni che in futuro
potrebbero interessare il prodotto. Le imprese devono “inventarsi” un ampliamento per il prodotto
che superi l’attesa che il consumatore ha nei confronti del prodotto stesso.
59

Grafico dei livelli di prodotto:

VANTAGGIO ESSENZIALE

PRODOTTO GENERICO

PRODOTTO ATTESO
PRODOTTO
AMPLIATO
PRODOTTO
POTENZIALE

Condizioni per un’efficace differenziazione. Le differenze devono essere:

1. Distinte rispetto alla concorrenza.


2. Rilevanti per il cliente e percepite (riconosciute) dal cliente. L’elemento di differenza deve essere
ampio e al contempo percepito. Se il consumatore non è in grado di percepirlo il prodotto risulterà
uguale a quelli della concorrenza.
3. Sostenibile nel tempo (o rigenerabile). L’impresa deve rendere il più possibile duratura la
differenziazione del prodotto e deve difendersi dalla concorrenza: la differenza deve quindi essere
mantenuta nel tempo.

Segmentazione e differenziazione sono due strategie diverse ma che non operano come alternative: la
segmentazione è una strategie volta a realizzare un prodotto specifico per una certa categoria di prodotto;
la differenziazione è una strategia volta ad offrire un prodotto che si differenzi dagli altri in un determinato
segmento.

Il ciclo di vita del prodotto

Il ciclo di vita del prodotto o product life cycle (PLC) si distingue dal life cyclie assessment (LCA).

Il PLC (product life cycle) fa riferimento all’andamento delle vendite di un prodotto nel corso del tempo: è
una rappresentazione grafica che presenta nell’asse delle ascisse il tempo e nell’asse delle ordinate le
vendite. Tutti i prodotto hanno una propria vita, un proprio ciclo: il ciclo di vita del prodotto ha avvio
quando viene immessa nel mercato la prima unità del nuovo prodotto. Mediante una scomposizione
semplificata delle fasi di vita del prodotto, si possono distinguere 4 fasi di vita del prodotto:

1. Introduzione.
2. Sviluppo.
3. Maturità.
4. Declino.
60

Esempio tipico di PLC:


VENDITE E PROFITTI

MATURITÀ

DECLINO
INTRODUZIONE

SVILUPPO

TEMPO

La curva ha origine nell’origine degli assi: una volta in cui viene venduta la prima unità di prodotto, ha avvio
il ciclo di vita del prodotto con la prima fase, ovvero con l’introduzione. Le vendite inizialmente crescono in
maniera contenuta per varie cause: un primo motivo può essere che il prodotto non sia perfettamente
pronto ed abbia bisogno che vengano apportate delle modifiche. Le vendite possono essere modeste anche
per il livello del prezzo, piuttosto elevato in questa fase: l’impresa ha il problema di recuperare gli
investimenti fatti nel minor tempo possibile.

Il prodotto passa nella seconda fase, quella dello sviluppo: le vendite aumentano ad un ritmo sostenuto ma
maggiore rispetto alla prima fase, sia perché si inizia a vendere un maggior numero di prodotti che portano
ad un abbassamento dei prezzi, sia per il superamento dei problemi tecnici che caratterizzavano il prodotto.

Superata questa fase il prodotto entra nella fase di maturità: l’inclinazione della curva raggiunge il punto
massimo per poi tendere ad avere una leggera flessione. Le vendite continuano a crescere, ma ad un ritmo
più lento: le vendite tendono a saturare il mercato. Esistono diverse strategie per rallentare la saturazione
del mercato.

Dopo la fase della maturità inizia la fase del declino: le vendite tendono a diminuire. Riguardo la
conclusione del ciclo di vita del prodotto seguono tre ipotesi:

 Fine gioco: le vendite diminuiscono; il prodotto è destinato a morire e quindi viene eliminato dal
mercato.
 Pietrificazione: le vendite diminuiscono ma si stabilizzano ad un livello medio-basso. L’impresa non
elimina il prodotto dal mercato perché esiste ancora un certo numero di clienti che comprano il
prodotto, coprendo conseguentemente i costi i produzione. L’impresa si limita negli investimenti
perché non determinerebbero una crescita delle vendite: non si hanno grandi prospettive di
sviluppo.
 Rivitalizzazione: è un’attività volta a rilanciare il prodotto, ad invertire l’andamento delle sue
vendite. Il prodotto presenta una nuova crescita, grazie ad una nuova immagine, ad un diverso
posizionamento e a tutto ciò che ne consegue.
61

Conclusione del ciclo di vita del prodotto:


QUANTITÀ

RIVITALIZZAZIONE

PIETRIFICAZIONE

FINE GIOCO

TEMPO

Ciclo di vita del prodotto e redditività (contributo alla redditività che il prodotto dà all’impresa):
VENDITE E PROFITTI

MATURITÀ
SVILUPPO

DECLINO
INTRODUZIONE

VENDITE

PROFITTI

TEMPO (ANNI)

Inizialmente, in termini di redditività, la curva di redditività è negativa: l’impresa vende poche unità di
prodotto ed ha sostenuto una serie di costi che non vengono recuperati dalle vendite. Dal momento in cui
la curva incontra l’asse delle ascisse, la redditività non sarà più negativa: inizia la fase di profitto
dell’impresa. Il profitto aumenta nella fase di maturità del prodotto.

Il PLC è uno strumento di analisi che aiuta a prendere decisioni e permette di valutare le strategie da porre
per il prodotto in ogni sua fase. Ad esempio nell’introduzione l’attenzione è rivolta alla comunicazione;
nella fase di sviluppo e maturità invece l’attenzione è più rivolta a persuadere, cioè a convincere che il
prodotto sia migliore rispetto a quello della concorrenza, piuttosto che alla comunicazione.

Questo tipo di curva deve essere costruita sia in riferimento alla marca, sia in riferimento alla tipologia di
prodotto. Possono aumentare le vendite della marca dell’impresa ma la tipologia del prodotto è in declino,
oppure le vendite della marca dell’impresa è in declino ma le vendite riguardanti la tipologia del prodotto
sono in aumento: è quindi sbagliato fare riferimento o solo alla marca o solo alla tipologia di prodotto. Dalla
lettura comparata di entrambe si possono prendere decisioni in ordine degli investimenti.
62

Composizione e articolazione del portafoglio prodotti

Le tipologie di targeting sono riconducibili a tre diverse strategie:

 Concentrato: l’impresa una volta segmentato il mercato decide di concentrarsi su un singolo


segmento.
 Differenziato: l’impresa una volta segmentato il mercato decide di seguire più segmenti, ognuno con
una differente value proposition, con un diverso prodotto.
 Indifferenziato: l’impresa decide di offrire un prodotto che vada bene un po’ per tutti i segmenti.

Strategie:

INDIFFERENZIATO COMPETIZIONE SUL


PREZZO

DIFFERENZIATO DIFFERENZIAZIONE

CONCENTRATO MULTIPRODOTTO

Nelle imprese multiprodotto, l’esistenza di preferenze differenziate induce le imprese ad offrire prodotti
diversi: si parla così di portafoglio prodotti (gamma, product-mix, assortimento, catalogo).

L’insieme di tutti i prodotto offerti da una qualsiasi impresa prende varie nominazioni: portafoglio, gamma,
product-mix. il termine catalogo indica l’insieme di prodotti offerti dalle imprese industriali. Il termine
assortimento indica invece l’insieme di prodotti offerti dalle imprese commerciali.

Articolazione del portafoglio prodotti in:

 Gamma.
 Linea.
 Varianti, articoli, modelli (item, stock keeping unit).

Il portafoglio si articola innanzitutto in linee, le quali si scompongono in varianti, articoli, modelli, ecc., fino
ad arrivare allo stock keeping unit, ovvero alle unità di identificazione (o di rilevazione) di base.

Per l’analisi del portafoglio prodotti si guarda a 4 diversi aspetti:

 Ampiezza: numero delle linee presenti all’interno della gamma.


 Profondità: è riferita alla singola linea ed indica il numero delle varianti, dei modelli, degli articoli
presenti all’interno di ciascuna linea.
 Lunghezza: è data dall’insieme numerico dei prodotti presenti all’interno del portafoglio prodotti,
indipendentemente dalla linea: rappresenta quindi il numero complessivo. Cerca quindi di
sintetizzare profondità e ampiezza.
63

LINEA 1 LINEA 2 LINEA 3 LINEA 4

AMPIEZZA DEL PORTAFOGLIO

PROFONDITÀ Mod. 1.1 Mod. 2.1 Mod. 3.1 Mod. 4.1


DELLA LINEA Mod. 1.2 Mod. 2.2 Mod. 3.2
Mod. 1.3 Mod. 3.3
Mod. 3.4

LUNGHEZZA

 Coerenza: relazione che esiste tra le diverse linee di prodotto. La coerenza è data dalla propinquità
tecnologica e dalla propinquità di marketing. In caso di propinquità tecnologica, con stessi processi
produttivi si realizzano prodotti destinati agli stessi o a diversi consumatori/bisogni. In caso di
propinquità di marketing, con diversi processi produttivi si realizzano prodotti destinati agli stessi
consumatori/bisogni. In caso di propinquità sia tecnologica che di marketing vi è una concomitanza
sia dal punto di vista produttivo sia da quello di marketing. In mancanza di entrambe le propinquità,
non c’è alcuna concomitanza tra i processi produttivi e quelli di marketing.

I prodotti presenti all’interno del portafoglio prodotti hanno un ruolo preciso. In relazione al ruolo svolto i
prodotti si distinguono in:

 Prodotti da richiamo: hanno il compito di richiamare l’attenzione del cliente, di attirarlo nel punto
vendita. Sono detti anche prodotti “civetta”.
 Prodotti da reddito: danno il maggior contributo, ovvero rappresentano il maggior profitto per
l’impresa.
 Prodotti strategici (lock-in): vengono utilizzati dall’impresa per portare il consumatore ad acquistare i
prodotti da reddito.

Anche questa distinzione è vista sotto la visione della customer based view.

Il portafoglio prodotti non è statico ma dinamico: le imprese possono infatti agire sulle dimensioni
(ampiezza, profondità, lunghezza e coerenza).

Strategie di variazione del portafoglio prodotti: azioni sull’ampiezza.

 Espansione del portafoglio prodotti: l’impresa affianca nuove linee a quelle già esistenti.
 Riduzione del portafoglio prodotti: l’impresa elimina alcune linee già presenti.

Queste scelte dipendono anche dal ciclo di vita del prodotto: l’azione di riduzione dipende infatti dal fatto
che i prodotti sono in declino e le imprese si vedono costrette ad eliminarli dal mercato.

Strategie di variazione del portafoglio prodotti: azioni sulla profondità di linee.

 Azioni di tipo quantitativo: si agisce sulla profondità attraverso azioni di estensione (line extension)
o di eliminazione (line reduction) di articoli, modelli, varianti della linea.
64

 Azioni di tipo qualitativo: si agisce su articoli, modelli, varianti già presenti modificandoli sotto il
punto di vista delle caratteristiche. Il face lifting rappresenta tutti gli interventi fatti dal punto di vista
estetico. Il restyling rappresenta tutti i miglioramenti riguardanti anche le funzionalità del prodotto.
 Azioni di tipo quali-quantitativo: si introduce un nuovo prodotto all’interno della linea che presenti
variazioni di tipo qualitativo rispetto ai prodotti precedenti. Il flankering consente nuove modalità di
consumo del nuovo prodotto. Il trading up consiste in tutte le azioni volte a introdurre dei prodotti di
livello qualitativo superiore rispetto a quelli precedentemente realizzati. Il trading down consiste in
tutte le azioni volte a introdurre dei prodotti di livello qualitativo più basso rispetto a quelli
precedentemente realizzati.

Strategie di variazione del portafoglio prodotti: azioni sulla lunghezza. Tale dimensione risulta modificata
dalle scelte rispetto alle dimensioni di ampiezza e profondità; tuttavia la lunghezza può comunque
rimanere inalterata nonostante vengano modificate le due dimensioni che la determinano.

Strategie di variazione del portafoglio prodotti: azioni sulla coerenza. A seconda del grado di coerenza fra
nuovi prodotti introdotti nel portafoglio e i prodotti già presenti è possibile distinguere la diversificazione
dalla integrazione. Le imprese nell’agire sulla coerenza possono quindi aumentare oppure possono
diminuire la coerenza mediante azioni di:

 Diversificazione: le imprese espandono il loro portafoglio prodotti introducendo linee con una bassa
coerenza tra loro. La diversificazione nasce dal principio generale del frazionamento del rischio:
l’impresa aumenta il rischio complessivo, ma lo frazione diminuendo il peso del rischio per ogni tipo
di linea.
 Integrazione: le imprese espandono il loro portafoglio prodotti aumentando il grado di coerenza tra i
nuovi prodotti e quelli già esistenti. Il rischio è più contenuto per l’impresa, la quale rischia tuttavia di
legarsi troppo ad un unico settore.

Nel porre in essere le strategie di variazione del portafoglio prodotti, l’impresa deve valutare il rischio di
cannibalizzazione, che sorge quando l’impresa decide di introdurre dei nuovi prodotti. Si ha il rischio di
cannibalizzazione quando l’introduzione del nuovo prodotto tende ad erodere le vendite di altri prodotti
precedentemente realizzati dalla stessa impresa.

Esistono varie forme di cannibalizzazione: il rischio di cannibalizzazione può essere totale, parziale o
assente.

Situazione di partenza (prima del lancio del nuovo prodotto):

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
MERCATO
65

Cannibalizzazione totale:

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
MERCATO
NUOVO
PRODOTTO

L’introduzione del nuovo prodotto riduce parallelamente e totalmente le vendite dei prodotti
precedentemente realizzati.

Cannibalizzazione parziale con aumento della domanda primaria:

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
NUOVO
MERCATO PRODOTTO

L’introduzione del nuovo prodotto in parte ha ridotto le vendite dei prodotti precedentemente realizzati, in
parte ha aumentato la domanda primaria.

Cannibalizzazione parziale con aumento della domanda primaria e della quota di mercato:

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
MERCATO

NUOVO
PRODOTTO
66

L’introduzione del nuovo prodotto in parte ha ridotto le vendite dei prodotti precedentemente realizzati, in
parte ha aumentato la domanda primaria e in parte ha sottratto vendite ai concorrenti, aumentando la
quota di mercato dell’impresa.

Assenza di cannibalizzazione senza aumento della domanda primaria:

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
MERCATO
NUOVO
PRODOTTO

L’introduzione del nuovo prodotto ha sottratto vendite ai concorrenti, aumentando la quota di mercato
dell’impresa, senza tuttavia ridurre le vendite dei prodotto precedentemente realizzati (assenza di
cannibalizzazione) e senza aumentare la domanda primaria.

Assenza di cannibalizzazione con aumento della domanda primaria:

PRODOTTI PRODOTTI
PRESENTI SUL AZIENDALI
MERCATO

NUOVO
PRODOTTO

L’introduzione del nuovo prodotto in parte ha sottratto vendite ai concorrenti aumentando la quota di
mercato dell’impresa e in parte aumentando la domanda primaria, senza tuttavia ridurre le vendite dei
prodotto precedentemente realizzati (assenza di cannibalizzazione).

L’introduzione del nuovo prodotto sul mercato dipende da decisioni di convenienza. Gli elementi da
analizzare prima del lancio sono:

 Potenzialità di cannibalizzazione: studio della sostituibilità tra marche e varianti dal lato della
domanda.
 Effetti economico-finanziari della cannibalizzazione.
67

 Incremento (o decremento) delle vendite per neutralizzare la cannibalizzazione, per renderla cioè
ininfluente.

𝑉𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑛𝑒𝑢𝑡𝑟𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑎𝑛𝑛𝑖𝑏𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 =

𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑎𝑡𝑡𝑢𝑎𝑙𝑒


= 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑐𝑎𝑛𝑛𝑖𝑏𝑏𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒×
𝑚𝑎𝑟𝑔𝑖𝑛𝑒 𝑛𝑢𝑜𝑣𝑎 𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑛𝑡𝑒

L’impresa ha convenienza ad introdurre il nuovo prodotto solo se riesce a incrementare le vendite con
nuovi consumatori per almeno una unità aggiuntiva.

Esercizio: calcolo del volume incrementale per neutralizzare la cannibalizzazione.

Dati:

- Margine variante attuale: 1€


- Margine nuova variante: 1,50€
- Volume cannibalizzazione: 100 persone
1
𝑉𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑛𝑒𝑢𝑡𝑟𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑐𝑎𝑛𝑛𝑖𝑏𝑎𝑙𝑖𝑧𝑧𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 100× 1,50 = 67

Fino a 67 persone la cannibalizzazione conviene all’impresa, oltre non è più conveniente.

Marca e confezioni

Nella fase di progettazione del valore, l’impresa deve costruire la propria value proposition utilizzando vari
strumenti. Con riferimento agli ulteriori benefici che l’impresa ricerca, non connessi alle caratteristiche
tecniche del prodotto, un ruolo importante lo assumono la marca e la confezione, che al giorno d’oggi non
rappresentano più aspetti secondari.

La marca deriva dall’inglese brand, che significa marchiare, identificazione dell’appartenenza. È uno
strumento al quale le imprese fanno particolare ricorso, e dove in certi casi rappresenta addirittura quasi
l’intero valore dell’impresa. La marca può essere rappresentata:

 Dal naming: ovvero dal nome o espressione letterale/verbale.


 Dal symboling: ovvero dal simbolo o immagine.
 Dal wording (lettering): ovvero dal connubio tra la forma letterale e la forma simbolica.

La marca può essere identificata ed espressa anche mediante caratteri sonori o attraverso l’odore.

Il marchio, inteso come trademark, viene protetto dall’art. 2569 del codice civile, secondo cui: “chi ha
registrato nelle forme stabilite dalla legge un novo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto
di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato”.

La marca svolge una serie di funzioni:

 Funzione identificativa: è la funzione tipica che permette di identificare e distinguere un prodotto


dagli altri. Agevola il consumatore nell’identificazione distintiva di un’alternativa d’offerta.
68

 Funzione valutativa: consiste nelle valenze che il consumatore attribuisce alla marca (valenze tecnico-
funzionali, psico-sociali e simboliche). La marca tende a caricarsi di significati che si ricollegano a
valori che vengono professati da quella particolare impresa.
 Funzione fiduciaria: si basa sulla ragionevole certezza che l’associazione tra valenze e marca si ripeta
nel tempo.

Selezione del nome di marca: naming. Al fine di svolgere le sue funzioni la marca deve possedere alcune
caratteristiche:

 Appropriatezza. Il nome della marca deve essere appropriato, ovvero in sintonia con il prodotto che
viene offerto.
 Brevità e facilità (in linea di massima). Se la marca è breve e facile viene più facilmente ricordata dal
consumatore nel momento dell’acquisto. La brevità e la facilità devono essere valutate in riferimento
al segmento.
 Convincente. L’impresa nel nome della marca deve cercare di convincere i consumatori.
 Distintiva. Dal punto di vista giuridico l’impresa deve cercare di distinguere i propri prodotti dalla
concorrenza e non deve creare confusione, per evitare di concorrere slealmente con le altre imprese.
Tuttavia le imprese non vanno sempre a cercare la distinzione, come ad esempio nel caso del
posizionamento me too.

Occorre tutelare la marca contro il rischio che la marca stessa diventi un nome generico nella percezione
del consumatore. Questo accade soprattutto quando la marca di un’impresa ha un peso tale da
rappresentare l’intera categoria del prodotto.

Nella scelta del nome di marca occorre tenere in considerazione la relazione con gli altri prodotti
dell’impresa. Si parla di architettura di marca: l’impresa deve decidere di fronte ad una molteplicità di
prodotti il nome da dare. Nel dover attribuire il nome dei prodotti, l’impresa si trova di fronte a due
alternative opposte:

 Approccio corporate: consiste nel decidere di denominare tutti i prodotti con lo stesso nome, con la
stessa marca. Si parla di branded house: brand con il nome dell’impresa.
 Approccio furtive: ogni prodotto viene denominato in maniera diversa. Si parla di house of brands: le
marche dell’impresa sono indipendenti tra loro. Ciò significa che spesso non esistono legami cognitivi
né tra le marche né tra queste e l’eventuale marca dell’impresa.

Il vantaggio di utilizzare un solo nome deriva soprattutto dalla diminuzione dei costi. Inoltre l’utilizzo di un
solo nome richiama tutti i prodotti dell’impresa: un nuovo prodotto lanciato dall’impresa si carica dei valori
degli altri prodotti presenti. Lo svantaggio deriva dalla possibilità che l’eventuale bocciatura del nuovo
prodotto possa intaccare l’immagine degli altri prodotti. Un altro limite deriva quindi dal fatto che tutti i
prodotti dell’impresa debbano avere gli stessi standard. I vantaggi e gli svantaggi di un approccio corporate
si capovolgono nel caso in cui si dovesse applicare un approccio furtive, ovvero nel caso in cui ad ogni
prodotto venga dato un nome diverso.

Tra questi due estremi si pongono gli approcci misti, che si articolano in:

 Master brand sub-brands: i prodotti presentano un nome principale (branded house) e un nome
variabile. Questo approccio presenta i vantaggi e gli svantaggi dei due approcci estremi.
 Endorser endorsed brands: ogni linea ha un nome di marca diverso.
69

Il brand relationship spectrum:

APPROCCIO APPROCCI APPROCCI APPROCCIO


CORPORATE MISTI MISTI FURTIVE
• BRANDED • MASTER • ENDORSER • HOUSE OF
HOUSE BRAND SUB- ENDORSED BRANDS
BRANDS BRANDS

La marca può essere soggetta a modifiche o variazioni. Il re-branding è una delle motivazioni principali:
consiste nell’acquisizione di una marca da parte di un’altra impresa. Il passaggio dalla vecchia marca a
quella nuova avviene spesso gradualmente.

L’importanza e il peso che assume la marca incide anche nel fatturato dell’impresa (es. Coca-cola).

Esistono dei casi in cui la marca viene ideata prima del prodotto.

Il packaging (o confezione) è l’altro strumento attraverso il quale le imprese, nella progettazione del valore,
possono creare utilità.

Si distinguono tre livelli di packaging:

1. Primario: è quel tipo di packaging che sta a diretto e immediato contatto con il prodotto.
2. Secondario: è una confezione che racchiude più confezioni di tipo primario.
3. Terziario: è quel tipo di packaging che tende a raggruppare più confezioni di tipo secondario.

La funzione della confezione è che attraverso la confezione stessa si cerca di creare utilità per il cliente.
Questa utilità scaturisce da altre funzioni che la confezione svolge: esiste infatti una funzione originaria a
cui se ne sono aggiunte altre.

La funzione originaria del packaging è quella di proteggere il prodotto, di farlo arrivare integro al
consumatore, specie dal punto di vista della idoneità del prodotto per il consumo.

Altre funzioni sono:

 La conservazione del prodotto. È importante conservare il prodotto affinché abbia una durata
maggiore, ovvero in modo che crei un’utilità maggiore, specie dal punto di vista organolettico.
 L’identificazione della confezione. La confezione ha un ruolo identificativo, ovvero tende ad
identificare il prodotto: attraverso l’identificazione la confezione agevola il consumatore. Questa
funzione si è accresciuta negli anni soprattutto in presenza di punti vendita self-service: per questa
ragione questa funzione è anche detta silent-salesman.
 La differenziazione: attraverso la confezione è possibile differenziare il prodotto dalla concorrenza.
 La semplificazione dell’utilizzo.
 La semplificazione della conservazione del prodotto: sia dal punto di vista dello spazio, sia per
renderne più agevole il trasporto del prodotto, sia per una maggiore praticità del consumatore.
70

Un’altra funzione consiste nel livello di capacità comunicativa del packaging:

 Comunicazione verbale della confezione. Nella confezione sono presenti due tipi di informazioni:
quelle obbligatorie per legge, per le quali non vi sono grandi strategie da applicare; quelle
discrezionali, tendenti sempre più ad aumentare per l’importanza che gli dà il consumatore, come le
informazioni sul dosaggio o su come utilizzare il prodotto. Il codice a barre è uno strumento
identificativo, soprattutto per tutto ciò che riguarda la tracciabilità del prodotto, ovvero tutti i
passaggi che il prodotto compie, e l’irrintracciabilità del prodotto, ovvero per trovare il prodotto. I
codici a barre sono tuttavia meno utilizzati con il passare del tempo, in favore di un maggiore utilizzo
dei codici RFID (radio frequency identification), i quali contengono maggiori informazioni dei codici a
barre, e dei QR code.
 Comunicazione simbolico-visiva: la forma della confezione può comunicare dei significati.

Si crea utilità anche nella fase post-utilizzo del prodotto: il riciclo e il riutilizzo della confezione sono degli
aspetti importanti, soprattutto sotto il profilo ambientale.

La definizione e la gestione del prezzo

Dopo aver definito le strategie riguardanti i benefici da offrire ai consumatori, le imprese passano alla
determinazione dell’altro aspetto del valore, ovvero dei sacrifici e soprattutto del prezzo.

I sacrifici richiesti sono sintetizzati dal prezzo di vendita: anche i sacrifici di tipo non monetario vengono in
qualche modo quantificati in termini monetari.

Le imprese quando devono definire il prezzo di vendita tengono in considerazione il modello delle tre C:

 Costi.
 Concorrenza.
 Consumatori (customer value o valore del cliente).

Il costo rappresenta il punto minimo al di sotto del quale l’impresa non deve scendere, se non in casi
eccezionali, per generare profitto, e la percezione del valore da parte della clientela rappresenta il punto
massimo al di là del quale il consumatore non acquista il prodotto. Il prezzo viene fissato tra il punto
minimo e il punto massimo, tenendo conto anche della concorrenza.

A seconda del fattore considerato vengono distinti tre tipologie di metodi per la determinazione del prezzo.
Tali metodi tendono a privilegiare uno dei tre elementi rispetto agli altri due.

 Tipologie di metodi basati sui costi (cost based).


 Tipologie di metodi basati sulla concorrenza (competition based).
 Tipologie di metodi basati sul consumatore (customer based).
71

Modello delle 3 C per la determinazione del prezzo:

PERCEZIONE DEL PREZZO MASSIMO (AL


VALORE DA PARTE DI SOPRA NESSUNO
DELLA CLIENTELA ACQUISTA)

PREZZO DELLA AREA DI SCELTA


CONCORRENZA E DEI
PRODOTTI SOSTITUTIVI

COSTI PREZZO MINIMO (AL DI


SOTTO NESSUN
PROFITTO)

Metodi di determinazione del prezzo cost based

Questi metodi si pongono sulla base dei costi che l’impresa sostiene per approvvigionarsi dei beni per
effettuare la produzione. Il costo è il valore monetario che le imprese attribuiscono ai valori impiegati. Il
costo è quindi alla base della determinazione del prezzo.

I principali metodi sono:

 Mark-up pricing.
 Cost plus pricing.
 Prezzo obiettivo.
 Costo differenziale o costo marginale.

I primi due metodi si ricollegano alla distinzione tra full e direct costing. Sia il full costing che il direct costing
sono sistemi di contabilità analitica relativi ad un particolare oggetto di calcolo, ovvero il prodotto. Il full
costing consiste nell’imputare tutti i costi, sia diretti sia indiretti, all’oggetto di calcolo: è un metodo che
consente di ottenere così una configurazione completa ma più arbitraria. Nel direct costing invece vengono
imputati all’oggetto di calcolo solo i costi diretti: è un metodo che consente di ottenere una configurazione
parziale ma più precisa.
72

Il mark-up pricing è il metodo che viene determinato quando l’impresa utilizza un sistema direct costing.
L’impresa aggiunge a tutti i costi diretti un ricarico (o mark-up) che include in parte i costi indiretti più una
percentuale di margine che l’impresa spera di realizzare.

𝑃𝑅𝐸𝑍𝑍𝑂 = 𝐶𝑑 + (𝐶𝑑 ×𝑋%)

con:

 𝐶𝑑 = costi diretti.
 (𝐶𝑑 ×𝑋%) = ricarico.

Il ricarico serve sia a coprire i costi indiretti sia ad assicurare profitto per l’impresa.

Ai costi diretti di prodotto si aggiunge quindi un mark-up:

COSTI DIRETTI DI PRODOTTO


PREZZO DI VENDITA
COSTI INDIRETTI
MARK-UP
MARGINE DI UTILE

Il cost plus pricing è il metodo che viene determinato quando l’impresa utilizza un sistema full costing. Il
costo viene determinato considerando il costo pieno di prodotto, ovvero tenendo conto di tutti i fattori
della produzione, quindi sia dei costi diretti che dei costi indiretti, più la percentuale di profitto che
l’impresa vuole realizzare.

(𝐶𝑑 + 𝐶𝑖 )
𝑃𝑅𝐸𝑍𝑍𝑂 = +𝜋
𝑞

con:

 𝑞 = quantità.
 𝜋 = profitto o mark-up aggiuntivo.

COSTI DIRETTI DI PRODOTTO


COSTO PIENO QUOTA COSTI INDIRETTI PREZZO DI VENDITA

MARK-UP MARGINE DI UTILE

Questo metodo viene utilizzato soprattutto per le imprese monoprodotto.


73

Il prezzo obiettivo si basa invece sulla break even analysis.

C AREA DEL
PROFITTO
CF (Costi Fissi)

CV (Costi Variabili)

CT (Costi Totali) =
CV + CF

AREA DELLE
PERDITE

PREZZO
BEP Q

Il punto in cui la retta dei costi totali (CT) e dei ricavi totali (RT) si interseca è detto break even point (BEP): è
il punto in cui i costi totali e i ricavi totali sono uguali e che divide l’area delle perdite da quella del profitto.
Definizione di BEP: il break even point indica la quantità da vendere per realizzare l’equilibrio fra costi e
ricavi. Il BEP diminuisce all’aumentare del prezzo di vendita.

Il prezzo, che deriva dalla formula 𝑅𝑇 = 𝑝×𝑄, è il coefficiente angolare della retta RT.

Occorre integrare la break even analysis con la scheda di domanda: è la stima della domanda espressa in
valore (prezzo per quantità stimata del prodotto) della domanda secondaria ai vari livelli di prezzo.

La scheda di domanda può essere rappresentata graficamente: è una curva ad “U” prima crescente e poi
decrescente. Si sceglie il prezzo che determina il margine di profitto maggiore: graficamente quindi viene
scelto il segmento più ampio, ottenuto dalla distanza tra la curva della scheda di domanda e i costi totali.

RICAVI p più alti


C RICAVI

RICAVI p più bassi

COSTI = CF + CV

SCHEDA DI DOMANDA

Il prezzo obiettivo parte dalla determinazione del prezzo in base all’obiettivo di reddito, considerando però
non più la formula 𝑅𝑇 = 𝐶𝑇, con profitto uguale a zero, ma la formula 𝑅𝑇 = 𝐶𝑇 + 𝜋, ovvero immaginando
di avere un certo livello di profitto.
74

𝑅𝑇 = 𝐶𝑇 + 𝜋 =>

𝑝×𝑄 = 𝐶𝐹 + (𝐶𝑉𝑢×𝑄) + 𝜋 =>

𝐶𝐹+(𝐶𝑉𝑢×𝑄)+𝜋
𝑝= =>
𝑄

𝐶𝐹 + (𝐶𝑉𝑢×𝑄) 𝜋
𝑝= +
𝑄 𝑄
𝜋
con: = profitto unitario. Il profitto può essere espresso o in valore assoluto o in valore relativo
𝑄
percentuale.

Esercizio:

Dati:

- CF = 250.000
- CVu = 30
- P = 60, 80, 100, 150
𝐶𝐹
𝑄𝐵𝐸𝑃 = 𝑃−𝐶𝑉
𝑢

250.000 250.000
𝑄1 = 60−30
= 8333,34; 𝑄2 = 80−30
= 5000;

250.000 250.000
𝑄3 = = 3571,43; 𝑄4 = = 2083,34
100−30 150−30

Ai livelli di prezzo unitario corrisponde la seguente domanda di mercato: 7000, 6000, 5000, 2000. Si
deve scegliere il prezzo che determina il margine di profitto migliore.

𝑅𝑇60 = 60×7000 = 420.000; 𝐶𝑇60 = (7000×30) + 250.000 = 460.000;

𝜋60 = 420.000 − 460.000 = −40.000

𝑅𝑇80 = 80×6000 = 480.000; 𝐶𝑇80 = (6000×30) + 250.000 = 430.000;

𝜋80 = 480.000 − 430.000 = 50.000

𝑅𝑇100 = 100×5000 = 500.000; 𝐶𝑇100 = (5000×30) + 250.000 = 400.000;

𝜋100 = 500.000 − 400.000 = 100.000

𝑅𝑇150 = 150×2000 = 300.000; 𝐶𝑇150 = (2000×30) + 250.000 = 310.000;

𝜋60 = 300.000 − 310.000 = −10.000

In questo caso, il prezzo con il margine di profitto maggiore è 100, con un profitto di 100.000.
75

Nel costo differenziale o costo marginale il prezzo di vendita è determinato con l’obiettivo di coprire solo i
costi da sostenere per produrre e vendere una specifica quantità aggiuntiva.

I costi differenziali sono quei costi che si risparmiano o si sostengono a seconda delle alternative adottate. Il
costo marginale è un tipo particolare di costo differenziale: è il costo che si deve sostenere in più per poter
produrre una quantità aggiuntiva.

Si tratta di un procedimento di calcolo che viene adottato dalle imprese quando ricevono una commessa
aggiuntiva rispetto alla normale produzione. Il prezzo da richiedere, derivato dal costo aggiuntivo, sarà un
prezzo inferiore rispetto a quello praticato normalmente: si parla di rischio di arbitraggio, ovvero nel caso
in cui vi è la possibilità che nel mercato per uno stesso prodotto vi siano prezzi di vendita diversi.

Metodi di determinazione del prezzo competition based

Sono procedimenti basati sulla concorrenza, ovvero che cercano di stabilire i prezzi di vendita dei propri
prodotti guardando ai prezzi delle imprese concorrenti.

I principali metodi sono:

 Metodo della parità con la concorrenza.


 Metodo del discount price e del premium price.

Metodo della parità con la concorrenza: l’impresa sceglie il prezzo guardando il prezzo praticato dalla
concorrenza. Si distinguono due ipotesi:

1. Puro.
2. Differenziale costante.

Nella prima ipotesi (puro): si pratica lo stesso identico prezzo delle concorrenti.

𝑃𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑚𝑒𝑟𝑐𝑎𝑡𝑜 = 𝑝𝑟𝑒𝑧𝑧𝑜 𝑑𝑖 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑎

Nella seconda ipotesi (differenziale costante) sono le imprese price maker, ovvero quelle con una maggiore
quota di mercato, che fanno il prezzo. Le imprese che seguono le imprese maker e quindi che subiscono il
loro prezzo sono dette imprese taker. In questo caso le imprese non praticano lo stesso prezzo delle
concorrenti ma seguono in maniera costante il differenziale dei prezzi.

𝑃𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑚𝑎𝑘𝑒𝑟 − 𝑝𝑟𝑖𝑐𝑒 𝑡𝑎𝑘𝑒𝑟 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒

Metodo del discount price e del premium price: l’impresa guarda alle imprese concorrenti e pratica o un
prezzo superiore (premium price) o un prezzo inferiore (discount price) rispetto al prezzo mediamente
praticato sul mercato. Si pratica un premium price quando si ritiene che il prodotto possa essere percepito
di qualità superiore rispetto alla concorrenza, o quando sia uguale a quello della concorrenza ma che
presenta maggiori servizi; si pratica un discount price quando si ritiene che il prodotto possa essere
percepito di qualità inferiore rispetto alla concorrenza, o che presenti servizi minori o che possa dare una
percezione di risparmio.
76

Grafico del metodo del discount price e del premium price:

PREMIUM PRICE

PREZZO MEDIO DI
MERCATO

DISCOUNT PRICE

Metodi di determinazione del prezzo customer based

Sono procedimenti basati sul consumatore. I principali metodi sono:

 Evc (economic value for the customer).


 À la Fishbein.
 Conjoint analysis.

Questi tre metodi si distinguono a seconda che abbiano più una prospettiva management based (basata
sulla percezione delle imprese) o più una prospettiva consumer based (basata sulla percezione dei
consumatori).

Metodi di misurazione del valore:

PROSPETTIVA MANAGEMENT BASED

Evc semplificato

À la Fishbein

(approccio di composizione)

Conjoint analysis

(approccio di scomposizione)

PROSPETTIVA CONSUMER BASED


77

Il metodo EVC (economic o expected value for the costumer) viene utilizzato dalle imprese che ritengono
di sapere le caratteristiche e i benefici che vengono ricercati dal consumatore. Queste caratteristiche
possono essere osservate e misurate in maniera oggettiva.

L’EVC è quindi la misura del valore offerto ai clienti, fondata su caratteristiche tecniche osservabili e
misurabili con scale ampiamente condivise. È il valore misurabile offerto al cliente a partire dal confronto
fra i costi e i benefici offerti rispetto alle alternative di riferimento.

Nel caso di prodotti durevoli si ricorre alla prospettiva dinamica (total cost of ownership):

𝐸𝑉𝐶 = 𝐵 − (𝑃 − 𝑅 + 𝑀 + 𝑆 + 𝐺)

con:

 𝐸𝑉𝐶 = valore che il cliente attribuisce al prodotto. Il valore del cliente è dato dal confronto tra
benefici e sacrifici.
 𝐵 = benefici, che si danno per scontato in quanto sono sostanzialmente gli stessi per le imprese.
 𝑃 = investimento iniziale (prezzo d’acquisto).
 𝑅 = valore attuale del valore residuo, ovvero il valore che il prodotto avrà alla fine del periodo di
utilizzo.
 𝑀 = valore attuale dei costi di manutenzione.
 𝑆 = valore attuale dei costi di sostituzione.
 𝐺 = valore dei costi di gestione.

Per valore attuale si intende la attualizzazione del valore ad una stessa data.

Fasi per la determinazione dell’EVC:

1. Identificare i benefici e i sacrifici (uno o pochi) rilevanti per il consumatore, cioè che maggiormente
differenziano l’offerta aziendale rispetto a quella dei concorrenti.
2. Individuare le caratteristiche che originano tali benefici e tali sacrifici. Si tratta generalmente di
caratteristiche tecniche, ovvero caratteristiche osservate sotto un profilo tecnico in quanto devono
essere oggettivamente condivise.
3. Misurazione per ciascuna caratteristica del differenziale monetario con i concorrenti.

Nella quantificazione del valore non vengono considerati gli aspetti soggettivi per il cliente, come ad
esempio l’estetica.

Attraverso l’EVC si stabilisce il punto massimo, ovvero il prezzo oltre cui i consumatori non acquistano il
prodotto. La tecnica EVC viene applicata soprattutto nei mercati business to business (B2B).
78

Esercizio: determinazione prezzo unitario delle lampadine fluorescenti Philips.

BENEFICI SACRIFICI CARATTERISTICHE MISURAZIONE


Illuminazione Lumen/Watt 25 W = 100 W
Costo acquisto Prezzo €
Costo gestione Durata/consumi ore
Dati:

- Lampadina fluorescente:
- Consumo di energia (orario): 25 W
- Durata vita media (ore): 10.000
- Lampadina ad incandescenza:
- Consumo di energia (orario): 100 W
- Durata vita media (ore): 1000
- Prezzo unitario: 1,20 €

𝐸𝑉𝐶(𝑓𝑙𝑢𝑜𝑟𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑡𝑒) = ? +(10.000×25× 0,15⁄1000) = ? +37,50

In questo caso, applicando la tecnica EVC, R (valore che il prodotto avrà alla fine del periodo di utilizzo) ed M
(valore dei costi di manutenzione) sono trascurabili. 0,15/1000 è il consumo di energia in kilowatt/ora.

𝐸𝑉𝐶(𝑖𝑛𝑐𝑎𝑛𝑑𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎) = 1,20 + (1000×100×0,15) = 16,20 € per 1000 ore

Per arrivare alle 10.000 ore della lampadina fluorescente: 𝐸𝑉𝐶(𝑖𝑛𝑐𝑎𝑛𝑑𝑒𝑠𝑐𝑒𝑛𝑧𝑎) = 16,20×10 = 162 €

Entrambe le lampadine forniscono lo stesso beneficio ma determinano sacrifici diversi: il prezzo di una
lampadina ad incandescenza è di 162 € per 10.000 ore; il prezzo di una lampadina fluorescente è di
37,50 € + ? per 10.000 ore.

Ciò significa che il prezzo della lampadina fluorescente può spingersi fino a 124,50 € (162 − 37,50 = 124,50).

Se vengono considerati anche gli elementi di carattere soggettivo è necessario applicare gli altri due
metodi: sia il metodo à la Fishbein sia il metodo della conjoint analysis sono infatti due procedimenti più
orientati verso una prospettiva consumer based, ovvero nella prospettiva del cliente.

La differenza tra i due metodi consiste nel fatto che il metodo à la Fishbein ha un approccio di
composizione, mentre la conjoint analysis ha un approccio di scomposizione o decomposizione.

Valore percepito dal cliente nella prospettiva customer based:

Importanza delle singole Valutazione del prodotto nel


Composizione
caratteristiche suo complesso

Valutazione del prodotto nel Importanza delle singole


Decomposizione
suo complesso caratteristiche
79

Il metodo à la Fishbein si basa sulla tecnica di Fishbein: si parte dalle utilità parziali, ovvero dai diversi
attributi del prodotto importanti per il consumatore, e attraverso un processo di sommatoria di queste,
ponderata con le rispettive percezioni di performance, si ottiene l’utilità totale del prodotto nei confronti
del cliente, ovvero come il cliente valuta il prodotto nel suo complesso.

Approccio di composizione:

Funzione di utilità parziale Funzione di utilità totale

Il modello à la Fishbein (o modello del valore atteso):


𝑛

𝑉𝑎 = ∑ 𝐼𝑖 ×𝑃𝑖(𝑎)
𝑖=1

con:

 𝐼𝑖 = importanza dell’i-esimo attributo.


 𝑃𝑖,𝑎 = performance percepita del prodotto a con riferimento all’i-esimo attributo.

È la sommatoria della performance che il consumatore si attende dal prodotto, relativamente all’attributo 𝑖
del prodotto 𝑎, per l’importanza dell’attributo stesso.

Dopo aver considerato il valore atteso del prodotto dell’impresa, bisogna ragionare sul differenziale di
valore: è la differenza di utilità tra il valore che viene percepito dal prodotto dell’impresa (prodotto 𝑎) e il
valore percepito dai prodotti della concorrenza (prodotto 𝑏).

𝑉(𝑎) − 𝑉(𝑏) = 𝑑𝑖𝑓𝑓𝑒𝑟𝑒𝑛𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒

Con la tecnica di Fishbein è possibile quindi vedere il gap di valore tra l’offerta dell’impresa e quella dei
concorrenti: partendo dal prodotto praticato dalla concorrenza si può così determinare il prezzo del
prodotto 𝑎 mediante una proporzione.

𝑉(𝑎) ∶ 𝑃(𝑎) = 𝑉(𝑏) ∶ 𝑃(𝑏)

con:

 𝑉(𝑎) = valore percepito dall’impresa.


 𝑉(𝑏) = valore percepito dalla concorrenza.
 𝑃(𝑏) = prezzo praticato dalla concorrenza.
 𝑃(𝑎) = è l’incognita della proporzione.

𝑉(𝑎)×𝑃(𝑏)
𝑃(𝑎) =
𝑉(𝑏)
80

𝑃(𝑎) rappresenta il prezzo massimo praticabile o prezzo di indifferenza. Se l’impresa pratica un prezzo più
alto, i consumatori avranno convenienza ad acquistare il prodotto della concorrenza; se l’impresa pratica
un prezzo più basso, i consumatori avranno convenienza ad acquistare il prodotto dell’impresa rispetto alla
concorrenza; se l’impresa pratica un prezzo uguale, per i consumatori il prezzo sarà invece indifferente
rispetto alla concorrenza.

Esercizio:

Dati:

- P(b) = 1000
- V(a), V(b), P(a) = ?

IMPORTANZA PERFORMANCE
PRODOTTO A PRODOTTO B
20 7 5
12 6 4
15 5 4
11 6 7
8 5 6
6 6 6
3 1 7
10 6 4
5 7 3
15 7 7

V(a) = (20×7) + (12×6) + (15×5) + (11×6) + (8×5) + (6×6) + (3×1) + (10×6) + (5×7) +
(10×7) = 140 + 72 + 75 + 66 + 40 + 36 + 3 + 60 + 35 + 70 = 597

V(b) = (20×5) + (12×4) + (15×4) + (11×7) + (8×6) + (6×6) + (3×7) + (10×4) + (5×3) +
(10×7) = 100 + 48 + 60 + 77 + 48 + 36 + 21 + 40 + 15 + 70 = 515
597×1000
597: P(a) = 515: 1000 => P(a) = 515
= 1159,22

Tuttavia l’idea è che molto spesso il giudizio del consumatore sia diverso: il consumatore considera tutti gli
attributi di uguale importanza, ovvero guarda il prodotto nel suo complesso. Il metodo à la Fishbein ed altri
metodi risultano così depotenziati.
81

Si passa ad un approccio di decomposizione: si parte dall’utilità totale per capire quali sono gli elementi di
utilità parziale che hanno determinato l’utilità totale.

Approccio di decomposizione:

Funzione di utilità totale Funzione di utilità parziale

La tecnica più utilizzata è la conjoint analysis: si tratta di un’analisi caratterizzata da un approccio


decompositivo.

Consider Jointly: gli attributi del prodotto vengono considerati nella loro globalità, in quanto non disgiunti
all’interno di un prodotto.

La conjoint analysis consiste in una tecnica di analisi multivariata, ovvero composta da più variabili, dove
l’utilità totale è la variabile dipendente e le utilità parziali sono le variabili indipendenti.

Premessa terminologica:

 Attributi: caratteristiche del prodotto.


 Livelli: valori che possono assumere gli attributi.
 Concept: profilo costruito dalla combinazione dei differenti attributi. È il concetto di prodotto, ovvero
il particolare profilo di prodotto (reale o immaginario) ottenuto combinando i differenti attributi.
 Cartellino o card: scheda che riporta i singoli concept di prodotto.

Fasi di misurazione multivariata basato sulla conjoint analysis:

1. Identificazione dei benefici, degli attributi e dei livelli di prestazione: minima-attesa-ottimale.


2. Combinazione dei livelli e selezione dei prodotti simulati (profili di prodotto o card) da sottoporre a
valutazione.
3. Rilevazione delle preferenze o delle priorità di scelta relative alle alternative d’offerta.
4. Misurazione del contributo di ciascun livello di prestazione alla formazione del valore globale
percepito nel prodotto.
5. Misurazione dell’importanza relativa di ciascun attributo in funzione del gap di valore parziale tra i
suoi livelli estremi rispetto alla sommatoria dei gap.
6. Misurazione del valore monetario unitario dell’utilità (valore-parziale) in funzione del rapporto tra il
gap di prezzo e il gap di utilità/disutilità connesso al prezzo.
82

1. Identificazione dei benefici, degli attributi e dei livelli di prestazione: minima-attesa-ottimale.

Si identificano i benefici che un consumatore ricerca e gli attributi che possono generare tali benefici.
Questa ricerca viene sviluppata attraverso la catena mezzi-fini: il prodotto viene considerato uno
strumento che presenta degli attributi, i quali a loro volta portano dei benefici e dei valori per il
consumatore. Dalle caratteristiche tecniche del prodotto si risale fino ai benefici e quindi ai valori.

Grafico della catena mezzi-fini:

PRODOTTO ATTRIBUTI BENEFICI VALORI CONSUMATORE

La catena mezzi-fini è una struttura concettuale che lega insieme un prodotto (definito da insieme di
attributi) con un consumatore (visto come portatore di valori).

I collegamenti vengono rilevati con la tecnica del laddering. Si tratta di una tecnica qualitativa di intervista
in profondità one-to-one: si cerca di capire il valore che il consumatore ricerca nel prodotto ed è utile per
costruire le card del prodotto.

2. Combinazione dei livelli e selezione dei prodotti simulati (profili di prodotto o card) da sottoporre a
valutazione.

Sulle basi delle indicazioni ottenute nella prima fase si cerca di costruire i concept o le card di prodotto:
infatti attraverso l’analisi precedente si individuano gli attributi e i livelli che il consumatore ritiene
importante.

Prima si guarda agli attributi, poi ai livelli: le card da costruire consistono nella combinazione dei vari livelli
per ciascun attributo. Assegnando un livello (di presenza) a ciascun attributo si ottiene un prodotto
possibile o ipotetico (card): in alcuni casi le card possono essere reali, in altre ipotetiche o fittizie, ovvero
che non esistono sul mercato.

3. Rilevazione delle preferenze o delle priorità di scelta relative alle alternative d’offerta.

Si rilevano le preferenze tra concept di prodotto o card e al consumatore viene chiesto come giudica le
varie card. Queste preferenze vengono rilevate con alcuni metodi statistici quali:

 FPC Full Profile Conjoint.


 ACA Adaptive Conjoint Analysis.
 CBC Choise Based Conjoint.

Full Profile Conjoint (FPC): all’intervistato vengono date tutte le card e viene chiesto di indicare la
preferenza o di ordinare le card in base alle combinazioni che preferisce. Le varie proposte vengono poi
messe una di seguito all’altra.
83

4. Misurazione del contributo di ciascun livello di prestazione alla formazione del valore globalmente
percepito nel prodotto.

Per capire in che misura un certo livello di prestazione incide sul valore percepito dal cliente, si cerca di
risalire agli elementi, quindi agli attributi, che hanno portato il cliente a definire quell’ordine di successione.
Si utilizza perciò la regressione multipla o altre tecniche statistiche.

Si guarda alla presenza nella card di quell’attributo con quel livello: se è presente nelle card con preferenza
migliore vuol dire che è importante.

5. Misurazione dell’importanza relativa di ciascun attributo in funzione del gap di valore parziale tra i suoi
livelli estremi rispetto alla sommatoria dei gap.

Si calcolano i coefficienti di utilità o utilità parziali: occorre cioè determinare per ogni attributo il peso di
ciascun livello.

Si ricorre a tecniche che aiutino a capire le utilità parziali. A questo scopo, viene utilizzata una tecnica
semplificata, la quale si articola in:

 Ricodificazione del ranking (la graduatoria delle card) per far sì che alle card maggiormente preferite
corrispondano valori numerici maggiori. Si attribuisce un punteggio maggiore alle card in maggior
misura preferite ed un punteggio minore alle card preferite in minor misura. In genere all’ultima card
viene dato un valore zero.
 Calcolo dell’utilità parziale come differenza dal valore medio. La sommatoria delle differenze deve
essere sempre uguale a zero.

Il limite di questa tecnica semplificata è che non determina le reali distanze tra le card.

Si ottiene così l’importanza relativa di ciascun attributo, ovvero l’importanza che il consumatore dà ad ogni
singolo attributo:

max 𝑈𝑖 − 𝑚𝑖𝑛𝑈𝑖 𝑆𝑐𝑎𝑟𝑡𝑜 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑝𝑎𝑟𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑖𝑛𝑔𝑜𝑙𝑜 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑏𝑢𝑡𝑜


𝐼𝑖 =
∑𝑛𝑖=1 max 𝑈𝑖 − 𝑚𝑖𝑛𝑈𝑖 𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑠𝑐𝑎𝑟𝑡𝑖 𝑑𝑖 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à

con:

 𝐼𝑖 = importanza relativa dell’attributo i-esimo.


 𝑛 = numero degli attributi analizzati.
 𝑚𝑎𝑥𝑈𝑖 = valore massimo dell’utilità attribuita ad 𝑖.
 𝑚𝑖𝑛𝑈𝑖 = valore minimo dell’utilità attribuita ad 𝑖.

L’importanza relativa è quindi il rapporto tra lo scarto di utilità e la sommatoria degli scarti di utilità.

Quanto maggiori sono le differenze (o scarti) di utilità che producono i vari livelli, tanto maggiore è
l’importanza assegnata dal consumatore all’attributo.

Attraverso queste fasi si risale così dall’utilità complessiva all’utilità parziale.


84

Esercizio: calcolare l’importanza relativa di ciascun attributo.

Si prendono in considerazione i livelli maggiormente rilevanti per il consumatore in un automobile: livello


cilindrata (2000 o 1800 c.c.); livello porte (5 o 3 porte); livello motore (diesel o benzina).

Ricodificazione:

- Prima card: 5 porte, 2000 c.c., diesel. => 7


- Seconda card : 5 porte, 2000 c.c., benzina. => 6
- Terza card : 3 porte, 2000 c.c., diesel. => 5
- Quarta card : 3 porte, 2000 c.c., benzina. => 4
- Quinta card : 3 porte, 1800 c.c., diesel. => 3
- Sesta card : 5 porte, 1800 c.c., diesel. => 2
- Settima card : 3 porte, 1800 c.c., benzina. => 1
- Ottava card: 5 porte, 1800 c.c., benzina. => 0

Calcolo dell’utilità parziale come differenza dal valore medio (14):

- Livello 2000 c.c.: 7 + 6 + 5 + 4 = 22. => 22 − 14 = 8.


- Livello 1800 c.c.: 3 + 2 + 1 + 0 = 6. => 6 − 14 = −8.
- Livello 5 porte: 7 + 6 + 2 + 0 = 15. => 15 − 14 = 1.
- Livello 3 porte: 5 + 4 + 3 + 1 = 13. => 13 − 14 = −1.
- Livello diesel: 7 + 5 + 3 + 2 = 17. => 17 − 14 = 3.
- Livello benzina: 6 + 4 + 1 + 0 = 11. => 11 − 14 = −3.

16 è lo scarto di utilità del livello cilindrata (8+8); 2 è lo scarto di utilità del livello porte (1+1); 6 è lo
scarto di utilità del livello motore (3+3). La sommatoria degli scarti di utilità è il totale degli scarti di
utilità: 16 + 2 + 6 = 24.

Calcolo dell’importanza relativa di ciascun attributo:


16
𝐼𝑖 = 24 = 66,67%

2
𝐼𝑖 = 24 = 8,33%

6
𝐼𝑖 = 24 = 25%

6. Misurazione del valore monetario unitario dell’utilità (valore-parziale) in funzione del rapporto tra il
gap di prezzo e il gap di utilità/disutilità connesso al prezzo.

L’impresa applica le tecniche di determinazione dei prezzi per ciascuna caratteristica, potendo così inserire
anche il prezzo nelle card.

Tuttavia l’impresa deve prima determinare il valore monetario della singola utilità parziale.

𝑃𝑚𝑎𝑥 − 𝑃𝑚𝑖𝑛
𝑉𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑚𝑜𝑛𝑒𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎𝑟𝑖𝑎 =
𝑚𝑎𝑥𝑈(𝑃𝑚𝑖𝑛) − 𝑚𝑖𝑛𝑈(𝑃𝑚𝑎𝑥)
85

Si determina così il valore monetario dell’utilità unitaria: indica il prezzo che il consumatore è disposto a
pagare in più (o per cui si accontenterebbe di risparmiare, in caso di disutilità) per le differenze di utilità che
ci sono nei vari prodotti.

Esercizio: calcolare il valore monetario dell’utilità unitaria, ipotizzando che i livelli di prezzo siano 11.000
€ e 14.000 € e che le utilità parziali siano rispettivamente 3 e -3.
14.000−11.000
𝑣𝑎𝑙𝑜𝑟𝑒 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎𝑟𝑖𝑜 𝑢𝑡𝑖𝑙𝑖𝑡à 𝑢𝑛𝑖𝑡𝑎𝑟𝑖𝑎 = = 500 €
3−(−3)

Questo valore moltiplicato per il valore dell’utilità parziale dimostra quanto il consumatore è disposto a
pagare per le differenze di utilità presenti: 500×3 = 1500 €. Il consumatore è disposto a pagare 1500€
in più per avere quel determinato attributo.

* Calcolo utilità prodotti in concorrenza:

𝑈𝑖 = 𝑏0 + ∑ 𝑈𝑗 ×𝑊𝑗𝑖
𝑗=1

con 𝑏0 costante. (* il calcolo dell’utilità che i prodotti in concorrenza assumono per il cliente non verrà
chiesto all’esame)

La gestione del prezzo

Il prezzo per sua natura non è statico ma dinamico, in quanto tende sempre a modificarsi, soprattutto per
le dinamiche competitive delle imprese:

 Competizione basata sul prezzo (price competition): l’impresa utilizza il prezzo come strumento
principale di attrazione del cliente. Il successo di un’impresa sulle concorrenti si basa quindi sul
prezzo, che diventa quindi il fattore critico, l’arma competitiva: l’impresa chiederà, a parità di
benefici, minori sacrifici per il consumatore e di conseguenza un minor prezzo.
 Competizione non basata sul prezzo (no price competition): l’impresa si focalizza sulla
differenziazione oggettiva o simbolica del prodotto. Il successo di un’impresa si basa quindi sulla
differenziazione del prodotto: l’impresa chiederà, a parità di sacrifici, benefici maggiori e di
conseguenza differenziando il più possibile il prodotto da quello della concorrenza.

In taluni contesti competitivi, nei casi in cui la competizione è basata sul prezzo, si sviluppano spesso le
guerre di prezzo: le cause di queste guerre di prezzo sono dovute principalmente alla difficoltà delle
imprese a differenziare il prodotto. Questa situazione danneggia le imprese: attuare una guerra di prezzo
porta vantaggi solo al consumatore che vede abbassare i prezzi dei prodotti. A parità di benefici infatti le
imprese sono costrette ad abbassare il prezzo, causando di conseguenza anche una diminuzione del
profitto.

Le imprese cercano quindi di evitare guerre di prezzo attuando diverse manovre:

 Strategie cooperative.
 Strategie competitive non di prezzo.
86

 Strategie competitive di prezzo.

Strategie cooperative: sono accordi tra le imprese, le quali decidono di applicare strategie simili o di
cooperare sui livelli di prezzo per evitare di aggredirsi a vicenda (sono detti anche patti di non aggressione).
Si tratta spesso di accordi non ufficiali o addirittura segreti, per evitare conseguenze a livello legislativo
(leggi antitrust).

Strategie competitive non di prezzo: sono manovre che si attuano senza utilizzare il prezzo come leva.
L’impresa cerca di evitare la competizione facendo leva su altri fattori:

 Migliorando e rinnovando la value proposition, ad esempio lanciando nuovi prodotti oppure


apportando modifiche alla marca o alla confezione.
 Rafforzando la relazione fiduciaria: ovvero quando l’impresa in maniera costante rispetta le
aspettative del consumatore, che riceve ad ogni acquisto determinati benefici con un certo standard
di qualità. Il consumatore se soddisfatto e se ha un rapporto di fiducia solido con l’impresa sarà meno
tentato a cambiare fornitore: il competitor sarà quindi costretto ad abbassare drasticamente il
prezzo se vuole competere.
 Segmentando e ri-segmentando il mercato: ovvero cercare di andare ad offrire dei prodotti specifici
per quel determinato segmento.
 Potenziando la capacità di analisi del mercato: ovvero cercare di studiare in maniera più
approfondita il mercato. Un’analisi di mercato migliore è propedeutica anche alle fasi precedenti:
può ad esempio portare ad individuare nuovi segmenti da servire o a migliorare la propria offerta.
 Applicando le manovre di signaling (segnalazione): la segnalazione è un messaggio che l’impresa
manda ai concorrenti, non è quindi diretta ai consumatori. Si distinguono tre tipologie di strategie di
segnalazione:
1. Price match guarantee: l’impresa garantisce sempre un determinato prezzo al consumatore.
Questo strumento di garanzia per il cliente è in verità un messaggio di segnalazione per le altre
imprese concorrenti: qualora il consumatore fosse in grado di trovare un’altra impresa concorrente
che vende lo stesso prodotto ad un prezzo più basso, potrà ricevere dall’impresa la differenza di
prezzo esistente tra il prezzo corrente ed il prezzo più basso riscontrato sul mercato. Il consumatore
ha quindi diritto ad un rimborso.
2. Everyday low pricing (EDLP): l’impresa applica prezzi bassi costantemente e indifferentemente su
tutti i prodotti, senza offrire nessun altro beneficio e nessun’altra offerta ai consumatori. Le
imprese praticano un ricavo contenuto su ogni prodotto: tutti i prezzi sono particolarmente
convenienti al cliente. Questa strategia si contrappone alla high low pricing, per la quale le imprese
abbassano i prezzi non costantemente ma temporaneamente: è quindi presente il carattere della
temporaneità.
3. Signaling della struttura dei propri costi: messaggio che l’impresa manda ai concorrenti,
segnalando la propria struttura dei costi. Si applica questa strategia quando l’impresa ha la
potenzialità di abbassare i propri costi grazie alla propria struttura, non temendo quindi che
l’abbassamento dei prezzi da parte delle imprese concorrenti.

Strategie competitive di prezzo: sono strategie che si attuano dalle imprese agendo sul prezzo. Si
distinguono 4 tipologie di manovre:

 Fighting brand.
 Discriminazione e differenziazione del prezzo.
87

 Promozioni e sconti qualità.


 Bundling/unbundling di prodotto e di prezzo.

La fighting brand è la strategia che un’impresa pone in essere introducendo nel proprio portafoglio delle
linee che siano particolarmente convenienti. L’impresa lancia una linea più economica, da affiancare alle
linee precedenti, che si ponga contro le linee dei concorrenti, ovvero per contrastare i prodotti più
economici delle altre imprese senza ingaggiare una guerra di prezzo.

Nelle strategie di discriminazione e differenziazione del prezzo, i consumatori hanno una differente
capacità reddituale e un differente valore percepito (willingness-to-pay): ogni consumatore ha una
percezione soggettiva sia di sacrifici che di benefici. Per questa ragione, le imprese possono praticare:

 Prezzi unici: se l’impresa pratica uno stesso prezzo valido per tutti i consumatori.
 Prezzi differenziali: se l’impresa pratica prezzi differenti a seconda della categoria di consumatori.

Tipologie di differenziali (o discriminazioni) di prezzo:

 Differenziali verticali: se il consumatore acquista il prodotto in fasi diverse del processo distributivo.
 Differenziali geografiche: l’impresa pratica prezzi differenti a seconda della zona geografica in cui
risiede il consumatore. Tipologie di differenziali geografiche sono:
1. Prezzo d’origine f.o.b.: l’impresa fissa un prezzo prendendo come punto di partenza lo stabilimento
dell’impresa. Il prezzo finale viene calcolato in relazione alla vicinanza o alla lontananza del cliente
dal punto di partenza: si avranno prezzi differenti a seconda della localizzazione del cliente.
Un’importante incidenza sul prezzo finale è costituita dai costi di trasporto.
2. Prezzo di consegna uniforme: i costi di trasporto vengono spartiti equamente tra i clienti.
3. Prezzo per zona: il prezzo è fissato per grandi aree di destinazione e non per singole aree.
4. Prezzo base: si determina il punto base, che può essere ad esempio un importante nodo
ferroviario, portuale, aeroportuale, ecc. I costi fino al punto base sono a carico dell’impresa.
 Differenziali temporali: l’impresa pratica prezzi differenti a seconda del periodo (es. alta o bassa
stagione).

Le strategie degli sconti e degli abbuoni dipendono a seconda delle ragioni per cui viene concessa la
riduzione di prezzo. Esistono differenti tipologie di sconto:

 Sconti di quantità (cumulativi o non): dipendono a seconda della quantità di prodotti acquistati dal
consumatore. Gli sconti di quantità si distinguono in non cumulativi, quando il consumatore deve
acquistare subito un tot di prodotti, e cumulativi, quando il consumatore può acquistare un tot di
prodotti in più momenti diversi.
 Sconti commerciali (o funzionali): quando il consumatore svolge attività che sono invece di
competenza dell’impresa.
 Sconti di cassa: se il consumatore acquista e paga in termini più brevi rispetto a quanto previsto al
contratto, ha diritto ad una riduzione di prezzo.
 Sconti promozionali: riduzioni di prezzo che, a differenza dei precedenti tipi di sconto che operano in
maniera indipendente dal periodo temporale, riguardano un arco di tempo ben definito. Presentano
quindi la caratteristica della temporaneità. Possono essere di quantità, commerciali e di cassa.
 Sconti stagionali: riduzioni di prezzo applicate in alcune categorie di prodotto legate alle stagioni e
alle ricorrenze.
88

 Abbuoni (permute, promozionali): si distinguono dagli sconti, in quanto questi ultimi operano prima
della conclusione del contratto, mentre gli abbuoni operano a posteriori, ovvero dopo che viene
concluso il contratto. Gli abbuoni sono al giorno d’oggi più rari, mentre prima rappresentavano una
prassi nella vendita a dettaglio; operano ancora nei mercati B2B.

Prezzi dei pacchetti di prodotto (price bundling e price unbundling). Sempre più spesso le imprese tendono
a vendere dei prodotti in forma combinata: i bundle di prodotti. Esistono due tipologie di bundling:

 Di tipo puro: bundle costituito da un’insieme di prodotti che non possono essere venduti
separatamente.
 Di tipo misto: l’impresa dà la possibilità al consumatore di acquistare un’insieme di prodotti o
insieme o separatamente, ovvero di acquistare i singoli componenti.

L’impresa deve quindi determinare il prezzo del pacchetto. Il price bundling può essere:

 Aggiuntivo: il prezzo del pacchetto è la somma dei prezzi praticati dei singoli componenti.
𝑛

∑ 𝑝𝑖 = 𝑝1 + 𝑝2 + ⋯ + 𝑝𝑛
𝑖=1
 Sottrattivo: il prezzo del pacchetto è inferiore rispetto alla somma dei singoli componenti.
𝑛

∑ 𝑝𝑖 < 𝑝1 + 𝑝2 + ⋯ + 𝑝𝑛
𝑖=1
 Premium: il prezzo del pacchetto è superiore alla somma dei singoli componenti. Il prezzo è dovuto
soprattutto ai costi aggiuntivi.
𝑛

∑ 𝑝𝑖 > 𝑝1 + 𝑝2 + ⋯ + 𝑝𝑛
𝑖=1

Il price unbundling consiste nel frammentare l’offerta permettendo al cliente di acquistare una o più
componenti del pacchetto. Il cliente ha quindi la possibilità di richiedere ed acquistare singolarmente i
componenti di un prodotto: l’impresa può fissare un prezzo decisamente più elevato per il singolo
componente per avere un margine di profitto maggiore. Si tratta di una strategia molto remunerativa per le
imprese.

Altre strategie di prezzo sono con riferimento al portafoglio prodotti. Le strategie di prezzo nell’ambito del
portafoglio prodotti sono legate alla coerenza, ovvero alla relazione che esiste tra le diverse linee di
prodotto.

Prezzi della linea di prodotto: trading up e trading down.

Prezzi unici per linea di prodotto: l’impresa fissa un prezzo unico per tutti i prodotti presenti in quella linea.
Lo stesso prezzo viene praticato per tipologie di prodotto differenti.

Prezzi degli elementi opzionali: al modello base vengono aggiunti accessori.

Prezzi dei prodotti ausiliari (o complementari): ruolo strategico dei prodotti.


89

Altri tipi di strategie sono legate al prezzo di penetrazione e al prezzo di scrematura: vengono praticate da
imprese che devono introdotte nuovi prodotti.

La politica di penetrazione del mercato consiste nel fissare un prezzo iniziale modesto in modo da
raggiungere immediatamente elevati volumi di vendita. L’impresa introduce un nuovo prodotto ad un
prezzo relativamente basso, per poi aumentare sistematicamente il prezzo.

PREZZO

TEMPO
Strategia opposta è la scrematura: la politica di scrematura consiste nel praticare, inizialmente, un prezzo
elevato e, successivamente, abbassarlo.

PREZZO

TEMPO

Vengono colpiti più segmenti di mercato: con una strategia di scrematura si conquista la fascia alta del
mercato, per poi spostarsi sul resto del mercato attraverso un abbassamento graduale del prezzo.

Altre tipologie di strategie riguardano i prezzi psicologici:

 Loss leader: prodotti “civetta” che vengono venduti sottocosto, senza alcuna indicazione verso il
consumatore. Solitamente le imprese devono indicare la quantità di prodotti venduti sottocosto. In
questo caso invece l’impresa fa credere al consumatore che si tratti di un prezzo conveniente e che
riguardi tutti i prodotti di quel punto vendita.
 Prezzi limite: vengono fissati prezzi al di sotto di certe soglie psicologiche. Rispecchia un aspetto
psicologico del consumatore che ha una percezione diversa del prezzo del prodotto. Il grafico della
domanda risulterà non lineare ma irregolare.
90

 Prezzi prestige: vengono fissati prezzi al di sopra di certe soglie psicologiche. Se il prodotto viene
venduto al di sotto di questa soglia il consumatore potrebbe percepire il prodotto come di scarsa
qualità.

Esistono strategie di prezzo che riguardano i rapporti tra produttore e distributore. Strategie di prezzo nei
confronti dei distributori:

 Prezzi imposti: l’impresa produttrice impone al distributore i prezzi da vendere.


 Prezzi liberi: l’impresa produttrice non impone alcun prezzo ai distributori.
 Prezzi suggeriti: rappresenta la soluzione intermedia alle due precedenti. L’impresa produttrice
impone dei limiti di prezzo ai distributori.

Ognuna di queste strategie ha dei pro e dei contro. Nei prezzi imposti ad esempio un vantaggio è
rappresentato dal fatto che il distributore non intacca né l’immagine del prodotto né le strategie dei
produttori, mentre uno svantaggio è rappresentato dal fatto che il distributore è a diretto contatto con il
mercato, non dando possibilità di manovra ai produttori.
91

MODULO 4: COMUNICAZIONE E DELIVERY DEL VALORE

Concetti introduttivi

La terza fase del marketing management riguarda i processi di comunicazione e delivery del valore, ovvero:

1. Comunicazione: mettere al corrente il consumatore della value proposition.


2. Delivery: mettere la value proposition a disposizione del consumatore.

L’attività di comunicazione consiste nel far sapere che esiste la value proposition seguita da una fase di
delivery, ovvero mettere a disposizione al mercato la value proposition.

Le politiche di comunicazione

Il termine comunicazione viene utilizzato con un duplice significato:

 Significato generico: comunicare = informare.


 Significato specifico: comunicare ≠ informare.

In marketing per comunicare si intende un termine diverso da informare. Il termine comunicare significa
“mettere in comune, condividere”, mentre informare significa “mettere nella forma”.

Distinzione tra informazione e condivisione: il messaggio condiviso. Il soggetto A manda un messaggio al


soggetto B: per una parte il messaggio viene condiviso, ovvero viene compreso il pensiero dell’emittente,
per un’altra viene perso. Il destinatario del messaggio (B) manda un feed-back, un messaggio di ritorno ad A
facendogli capire che una parte non è stata compresa. I messaggi di ritorno possono essere inviati secondo
vari forme. A cerca di chiarire il messaggio precedente con l’obiettivo di ampliare l’area di condivisione.
Inoltre A può arricchire il messaggio. Si instaura così un dialogo tra A e B.

Processo di comunicazione:

Codifica Decodifica
Messaggio
Fonte Ricevente

Canale

Rumore Rumore

Feed-back

(risposta)
Decodifica Codifica

La fonte è l’emittente che invia il messaggio e che vuole condividere un pensiero col destinatario. La fonte
ha una motivazione per cui condividere il proprio pensiero.
92

Il processo di trasformazione del pensiero in messaggio è la codifica. Il messaggio viene veicolato attraverso
il canale, che rappresenta quindi il mezzo. È sempre presente un canale.

Il ricevente è il destinatario del messaggio. Il processo di trasformazione opposto alla codifica è la


decodifica: si trasforma il messaggio in pensiero. Attraverso questo processo una parte del pensiero viene
compresa, un’altra no.

Il feed-back o risposta rappresenta il messaggio di ritorno e può essere della stessa tipologia del messaggio
originale. Colui che ha ricevuto il feed-back cerca di interpretarlo: processo di decodifica dell’emittente.

I rumori sono elementi discorsivi del processo di comunicazione. Possono accadere in qualunque fase della
comunicazione.

Il messaggio è un’insieme di segni. I segni hanno due fondamentali elementi:

 Significante: forma espressiva.


 Significato: concetto sottostante.

Alla forma espressiva corrisponde un concetto. Il collegamento tra significato e significante viene condiviso
attraverso il codice. Il codice è uno strumento che tende a definire significato e significante. Per costruire
un messaggio bisogna scegliere un codice: si attua un processo di codifica.

Comunicazione e informazione sono distinti ma collegati:

 L’informazione è un’attività volta a modificare la conoscenza del destinatario. È un processo


unidirezionale che va da emittente a destinatario (flusso unilaterale). Se c’è un feed-back si attua
invece la comunicazione.
 La comunicazione è un’attività volta non semplicemente a informare ma a condividere un
determinato pensiero. È un processo bidirezionale, perché esiste una reazione del destinatario che è
la risposta o feed-back.

Prima condizione affinché la comunicazione sia efficace è che emittente e destinatario devono utilizzare lo
stesso codice.

Emittente e ricevente possono essere persone fisiche o organizzazioni o anche animali. La comunicazione
può essere sviluppata da soggetti diversi.

Comunicazione d’impresa

Si parla di comunicazione d’impresa quando l’attività comunicativa viene svolta dalle imprese: l’impresa
sviluppa quindi una comunicazione d’impresa.

Le imprese sviluppano una comunicazione non soltanto verso i consumatori ma anche verso gli
stakeholders (personale, clienti, fornitori, ecc.). L’impresa al suo normale operare entra in relazione con
moltissimi pubblici di riferimento (stakeholders) con l’obbiettivo di accrescere la credibilità dell’impresa allo
scopo di ottenere il consenso. L’obiettivo comune delle imprese è quindi quello di creare consenso.

Esistono due tipi di comunicazione:

 Interna: comunicazione indirizzata a stakeholders interni alla organizzazione. Un esempio è l’attività


di comunicazione nei confronti del personale.
93

 Esterna: comunicazione indirizzata a soggetti esterni alla organizzazione. Un esempio è l’attività di


comunicazione nei confronti dei fornitori.

Non è una distinzione così netta: ci sono infatti soggetti che possono svolgere contemporaneamente il
ruolo di soggetto interno e di soggetto esterno.

Aree della comunicazione d’impresa:

Comunicazione internaComunicazione esterna

In base agli obiettivi la comunicazione può distinguersi in:

 Istituzionale: comunicazione nei confronti della Pubblica amministrazione, dei sindacati, ecc. con
obiettivo principale il consenso.
 Commerciale: comunicazione rivolta al mercato con l’obiettivo principale di incrementare le vendite
e quindi di avere un ritorno di valore.
 Economico-finanziaria: comunicazione rivolta a finanziatori, banche, ecc. da cui l’azienda si attende
le risorse finanziarie per sviluppare i propri processi.
 Gestionale: comunicazione rivolta ai fornitori, al personale, ecc. ovvero rivolta a tutti i componenti
che partecipano direttamente o indirettamente alle attività operative dell’azienda, con l’obiettivo
principale di assicurare il corretto svolgimento dell’attività gestionale dell’impresa.

L’impresa può comunicare attraverso diversi strumenti e modalità di comunicazione:

 Advertising (pubblicità).
 Public relations.
 Sales promotions.
 Personal selling.
 Events.
 Direct marketing.

L’ampliarsi dei pubblici e degli strumenti e delle modalità di comunicazione pone un problema di
integrazione. I diversi tipi di comunicazione sono spesso gestiti da soggetti diversi all’interno
dell’organizzazione: si crea il problema di integrare le varie forme di comunicazione.

Le ragioni che inducono all’integrazione sono:

 Evitare messaggi contrastanti: ovvero evitare che le diverse funzioni sviluppino messaggi differenti.
 Realizzare economie: obiettivo dell’impresa è sì quello di attirare i potenziali compratori, ma allo
stesso tempo anche di attirare potenziali investitori.
94

 Sfruttare le sinergie: ovvero sfruttare le possibilità che si presentano all’impresa, come ad esempio
eventi.

Il problema dell’integrazione viene affidata al marketing: si parla di integrated marketing communication


(IMC).

Il processo di IMC:

Oggetto della campagna

Obiettivo della campagna

Budget

Imc strategy

Strategia creativa Implementazione Media strategy

Controllo dei risultati

Le fasi dell’IMC sono di tipo bidirezionale perché si influenzano reciprocamente.

Definizione di oggetto della campagna: per oggetto della campagna significa definire il prodotto o una
specifica marca (brand) che si vuole comunicare. Dal punto di vista della comunicazione l’oggetto della
campagna può anche essere il corporate, ovvero l’intera struttura organizzativa dell’impresa.

Gli obiettivi della campagna sono chi raggiungere (who?) e cosa si vuole raggiungere attraverso la
campagna di comunicazione (what?).

Rispondono alla domanda di “who?”:

 Target-group: è l’insieme di tutti i soggetti che l’impresa vuole raggiungere. Rappresenta il target che
l’impresa vuole servire ed è frutto della segmentazione.
 Focus-target: è quella parte del target group che l’impresa vuole specificatamente raggiungere. È
solitamente più ristretto del target-group.
 Audience: sono i soggetti esposti a quella determinata comunicazione. È solitamente più ampio del
target-group.
95

Focus group:

Target- Focus-
Audience group target

In riferimento alla domanda “what?”, le finalità della campagna di comunicazione si basano sul
posizionamento.

Positioning:

 Sugli attributi.
 Sui vantaggi.
 Per applicazione.
 Per qualità/prezzo.
 Per categorie di utilizzatori.

Il modello utilizzato per definire le finalità comunicative a cui tendere all’interno del processo di IMC è
l’hierarchy effects framework.

Questo modello gerarchico degli effetti della comunicazione si rifà al modello choice-set. A seconda dei
diversi obiettivi si distinguono tre grandi tipologie effetti:

1. In caso di insieme non conosciuto, conoscenza dell’esistenza: la comunicazione deve generare effetti
specifici sul livello di attenzione che il consumatore pone al messaggio.
2. In caso di insieme inetto, sviluppo di atteggiamenti favorevoli: la comunicazione deve generare
effetti specifici sull’atteggiamento.
3. In caso di insieme evocato, intenzione di acquisto e acquisto: la comunicazione deve indurre
all’intenzione e alla propensione all’acquisto.
96

Hierarchy effects framework:

Unawareness (non conoscenza)

La Awareness (conoscenza dell’esistenza)


comunicazione Conoscenza
fornisce dell’esistenza
informazioni e Knowledge (conoscenza delle caratteristiche, attributi e benefici
fatti offerti)

La Linking (sviluppo di atteggiamenti favorevoli)


comunicazione Sviluppo di
influisce su atteggiamenti
atteggiamenti Preference (sviluppo di una preferenza rispetto alle alternative di favorevoli
e convinzioni offerta disponibili)

La Conviction (intenzione di acquisto)


comunicazione Intenzione di
stimola acquisto e
direttamente il acquisto
Purchase (acquisto)
desiderio di
acquisto

Definizione di budget da destinare alla comunicazione. Risponde alla domanda “how much?”, ovvero
quanto destinare, a livello di investimenti, alla comunicazione.

Per la definizione del budget si impiegano:

 Metodi teorici.
 Metodi pratici.

I metodi teorici servono a definire concettualmente l’investimento: indicano come variano le vendite del
prodotto man mano che l’impresa effettua gli investimenti nella comunicazione. Viene rappresentato un
sistema di assi cartesiani, ponendo sull’asse delle ascisse gli investimenti e sull’asse delle ordinate le
vendite: la curva risultante sarà una curva delle vendite ad “S” che non parte dall’origine degli assi, ma da
un valore di ordinata positiva. Ciò significa che l’impresa, anche non facendo comunicazione, realizza
comunque un certo livello di vendite. Inizialmente la curva, man mano che l’impresa attua gli investimenti
in comunicazione, è quasi insensibile o cresce in maniera contenuta: questo sta a significare che, affinché
la comunicazione possa produrre gli effetti sperati, questa va sviluppata in maniera massiccia o comunque
più o meno intensa. L’impresa deve effettuare un certo volume di investimenti per poter avere una risposta
in termini di vendite significative: superato un certo livello di investimenti in comunicazione, le vendite
tendono ad aumentare, crescendo fino a raggiungere un livello di saturazione.
97

U5
(ritorno economico)

4
Vendite

L1

0
0 1 2 3 4 Investimento
5 6 comunicazione
nella 7 8

Le imprese guardano tuttavia al contributo che l’investimento può dare alla redditività dell’impresa. In
termini di contributo si introduce una nuova curva, ponendo sull’asse delle ordinate al posto delle vendite il
ritorno economico, ovvero il confronto fra ricavi e costi. In questo caso la curva ha un’andamento diverso.
Nella prima parte la curva parte da un valore di ordinata positiva, con zero investimenti: questo significa
che anche senza fare investimenti in comunicazione, l’impresa ha un proprio margine positivo sulla vendita
dei propri prodotti. Man mano che l’impresa effettua gli investimenti, le vendite non crescono.
All’aumentare degli investimenti il livello di ricavi rimane costante, mentre vi è un accrescimento dei costi,
che si aggiungono senza un ritorno dal punto di vista delle vendite: il contributo tende di conseguenza a
diminuire e la curva del ritorno economico si abbassa. Quando le vendite iniziano ad incrementarsi e quindi
i ricavi tendono ad aumentare, la curva del ritorno economico torna a crescere fino ad arrivare ad un livello
oltre il quale le vendite non crescono più o crescono in maniera molto modesta. Continuando a fare
investimenti in comunicazione, i ricavi non crescono o crescono molto limitatamente, mentre i costi sono
sempre maggiori: la curva del ritorno economico tende a diminuire.

6
Spesa massima
5
(ritorno economico)

4
Contributo

3
Spesa minima
2
Marca

0
0 1 2 3 4 5
M 6 7 nella comunicazione
Investimento 8
98

La curva è ad “S” perché inizialmente gli investimenti non danno grandi benefici in termini di ricavo, per cui
si sostengono costi senza una contropartita di ricavi significativi; più si fanno investimenti più il margine
diventa sconveniente per l’impresa. Incrementandosi le vendite la curva tende a risalire, fino a raggiungere
un livello massimo oltre il quale ulteriori investimenti sono antieconomici per l’impresa perché comportano
costi aggiuntivi senza un significativo incremento di ricavi. Il livello di spesa massima è il livello oltre il quale
il ritorno economico va a diminuire, ovvero oltre il quale per l’impresa non conviene andare; il livello di
spesa minima coincide al livello in cui l’impresa non faceva investimenti in comunicazione.

L’impresa andrà a scegliere un livello di budget compreso tra il livello di spesa minima e il livello di spesa
massima: scegliere un livello minore alla spesa minima non conviene perché avrebbe costi aggiuntivi
superiori ai ricavi aggiuntivi; scegliere invece un livello superiore alla spesa massima significa per l’impresa
andare ad effettuare costi di investimento senza ricevere un incremento dei ricavi o ricevendo un ricavo
modesto rispetto ai costi aggiuntivi.

Il problema dell’impresa diventa quello di determinare tra il livello minimo e il livello massimo l’entità degli
investimenti da effettuare: si passa così all’utilizzo di metodi più concreti, i metodi manageriali: questi
metodi servono quindi alla determinazione effettiva dell’investimento.

Metodi manageriali per la definizione del budget:

 Metodo della parità competitiva.


 Metodo dell’importo disponibile.
 Metodo della percentuale sulle vendite.
 Metodo degli obiettivi da raggiungere.

Il metodo della parità competitiva si ricollega dal punto di vista concettuale ai procedimenti di
determinazione del prezzo in base alla concorrenza: l’entità degli investimenti viene determinata tenendo
conto degli investimenti che vengono effettuati dalla concorrenza.

Il metodo dell’importo disponibile è detto anche metodo residuale: si cerca di vedere quali sono tutti i
costi che l’impresa sostiene e il margine che rimane in parte viene destinato al profitto e in parte viene
destinato alla comunicazione. Viene utilizzato da imprese che credono poco nel marketing e nella
comunicazione d’impresa, che non vengono visti come un’opportunità e una potenzialità di crescita.

Nel metodo della percentuale sulle vendite, il budget viene determinato in base al volume di ricavi che è
stato realizzato nell’esercizio precedente.

Nel metodo degli obiettivi da raggiungere, il budget viene determinato guardando alle prospettive di
vendita che l’impresa andrà a realizzare nel periodo successivo. Non viene calcolato sul fatturato che è
stato realizzato, ma viene calcolato sulla stima, sull’ipotesi del fatturato che si verrà a realizzare
nell’esercizio successivo.

Il metodo della percentuale sulle vendite è meno rischioso, in quanto considera risultati già conseguiti e
raggiunti, a differenza del metodo degli obiettivi da raggiungere, in quanto vengono considerati risultati
futuri: non è detto che l’impresa riesca a raggiungere i risultati voluti, rischiando così di trovarsi con costi
della comunicazione spropositati rispetto ai ricavi.

Tutti questi metodi vengono utilizzati in maniera congiunta dalle imprese.


99

Nella determinazione del budget, l’impresa non decide soltanto l’investimento complessivo in
comunicazione, ma anche le somme da destinare ai differenti strumenti.

Dopo aver definito il budget complessivo e i budget relativi ai vari strumenti, nel processo di IMC si passa a
definire “how”, “where” e “when”, facendo riferimento all’Imc strategy, che è data dalla strategia creativa
e dalla strategy media: attraverso l’Imc strategy si definiscono gli strumenti comunicativi da utilizzare. L’Imc
strategy cambia a seconda dello strumento di comunicazione che l’impresa utilizza.

Il processo IMC prevede poi la fase di implementazione, ovvero la fase dove viene lanciata la campagna di
comunicazione.

Una volta implementato, si passa alla misurazione dell’efficacia che si vuole raggiungere attraverso la
comunicazione: l’impresa guarda se gli obiettivi che si erano prefissati sono stati raggiunti. Cambiando il
tipo di obiettivo cambierà anche lo strumenti di misurazione. Il controllo dei risultati dipende quindi dagli
obiettivi che si sono prefissati.

Pubblicità

La pubblicità (o advertising) è una forma di comunicazione con caratteristiche ben precise.

È la presentazione di un prodotto (o di un brand o corporate) fatta da una fonte ben identificata o


identificabile in tempi brevi attraverso un canale non personale la cui utilizzazione comporta il pagamento
di un prezzo.

È una fonte identificata perché il consumatore deve essere in grado di riconoscere il prodotto e l’azienda
che vengono presentati. È una fonte identificabile in tempi brevi perché il consumatore, guardando per la
prima volta lo spot pubblicitario, può rimanere ignaro, ma nel giro di un certo lasso di tempo piuttosto
breve è in grado di identificarlo.

Il canale è il mezzo con cui il messaggio viene veicolato. L’impresa per fare pubblicità deve utilizzare un
canale non personale, quindi utilizzare i media, che possono essere internet, le televisioni, la radio, ecc.

L’utilizzazione di questo canale comporta il pagamento di un prezzo: l’impresa se vuole pubblicizzare quel
brand paga il canale (emittente televisivo, emittente radiofonico, quotidiano, ecc.) per presentare il
prodotto. Questo consente di distinguere la pubblicità da altre forme di comunicazione, come ad esempio
le sponsorizzazioni, perché in questo caso l’azienda produttrice non paga il media, o il product placement,
che è il piazzamento dei prodotti in televisione.

Se manca qualcuna di queste condizioni, si tratta di forme di comunicazioni diverse dalla pubblicità.

Si possono distinguere varie forme di pubblicità a seconda:

 Dell’oggetto che viene utilizzato.


 Dell’emittente.
 Del destinatario.

Con riferimento all’oggetto si può distinguere: la pubblicità istituzionale; la pubblicità per una marca o un
prodotto.
100

Con riferimento all’emittente si può distinguere:

 Produttore.
 Distributore.
 Forme congiunte: con più produttori, che si uniscono per fare una campagna pubblicitaria non per
promuovere un singolo prodotto ma l’intera tipologia di prodotto; tra produttore e distributore, il
quale promuove determinate marche di prodotti, solitamente dopo un accordo di iniziative di rater
promotion.

Con riferimento al destinatario si può distinguere:

 Pubblicità del produttore rivolta nei confronti del distributore.


 Pubblicità del produttore o del distributore rivolta nei confronti del consumatore.

In genere, non viene inviato un solo messaggio ma vengono realizzati una serie di messaggi dal contenuto
simile o uguale (a seconda anche delle risorse a disposizione dell’impresa). Si parla di campagna
pubblicitaria: è una serie di messaggi dal contenuto identico o simile che appaiono su uno o più media in
un determinato periodo di tempo con riferimento a un certo prodotto (o brand).

Nella realizzazione della campagna pubblicitaria solitamente intervengono varie figure: è piuttosto difficile
che l’impresa si occupi della realizzazione di una campagna pubblicitaria. Questo dipende dal fatto che ci
vogliono delle competenze specifiche che all’interno dell’impresa spesso non dispongono. Anche grandi
multinazionali non presentano un proprio ufficio pubblicità o hanno un ufficio pubblicità che non si occupa
della realizzazione della campagna pubblicitaria: le imprese si affidano quindi ad agenzie esterne, dette
agenzie di pubblicità.

Principali figure del settore della pubblicità:

Azienda-Utente

Agenzia di pubblicità

Agenzia media

Concessionarie
Media, Produzione, Ricerche Media, Produzione, Ricerche
pubblicità

Media

Pubblico/Audience
101

Le prime figure che intervengono sono: l’azienda come utente, che commissiona la campagna pubblicitaria
da realizzare, rivolgendosi ad un’agenzia di pubblicità.

L’agenzia di pubblicità è chiamata ad organizzare per intero una campagna pubblicitaria: questa, per
svolgere l’attività, tiene una serie di contatti con altri intermediari della comunicazione, ovvero l’agenzia
media.

Le agenzie media sono quelle agenzie che si occupano di fare da intermediario tra le singole agenzie di
pubblicità e i concessionari di pubblicità.

I concessionari di pubblicità vendono gli spazi pubblicitari.

L’agenzia media tiene i contatti tra le diverse concessionarie di pubblicità. Alle volte l’agenzia media
acquista direttamente gli spazi in pacchetti dalla concessionaria di pubblicità.

Altri soggetti che intervengono sono media, promozione e ricerca: sono altre figure che a seconda del tipo
di pubblicità intervengono nella realizzazione della campagna pubblicitaria (es. attori, registi, compositori,
fotografi, ecc.).

Nella realizzazione di una campagna pubblicitaria si distinguono quindi figure di intermediari e figure di
professionisti che forniscono il loro supporto.

In genere il rapporto di base che ha l’impresa è con l’agenzia di pubblicità: la creazione del messaggio viene
infatti delegata ad esse. Il primo momento particolarmente importante è quello del briefing: rappresenta
una serie di informazioni che l’agenzia di pubblicità riceve dall’impresa riguardo cosa pubblicizzare, quali
caratteristiche presentare nel messaggio, quale posizionamento dare al prodotto, a quali tipologie di
consumatore rivolgersi, ecc., per poter costruire una campagna pubblicitaria efficace.

Il brief contiene la strategia di marca dell’impresa e altre informazioni su:

 Caratteristiche del mercato.


 Consumatori.
 Prodotto.
 Positioning.
 Concorrenza.

L’acquisizione di queste informazioni può essere realizzata soltanto attraverso una serie di incontri che si ha
l’impresa con le agenzie di pubblicità.

Il messaggio cambia a seconda dell’obiettivo che si vuole raggiungere. Solitamente gli obiettivi della
campagna pubblicitaria si distinguono in:

 Obiettivi cognitivi: volti a sviluppare la consapevolezza e l’attenzione del consumatore e che possono
svolgere un ruolo prevalentemente informativo.
 Obiettivi affettivi e attitudinali: mirano a suscitare emozioni e creare preferenze ed atteggiamenti
favorevoli verso il prodotto.
 Obiettivi comportamentali: inducono all’acquisto e al riacquisto del prodotto.

Gli obiettivi, secondo un’altra classificazione, sono invece quelli di informare, persuadere e ricordare.
102

La fase successiva di una campagna pubblicitaria è quella di definire la strategia creativa, che deve essere
destinata poi ai singoli strumenti a disposizione.

La strategia creativa si compone di una serie di aspetti, quali quello di definire il contenuto della campagna
pubblicitaria e il modo in cui comunicare tale contenuto. La strategia creativa si concretizza nella
definizione di copy strategy: una volta che l’impresa ha definito a chi e cosa comunicare (focus-target e
posizionamento), deve determinare come comunicare.

Livelli del messaggio:

 Promise (promessa).
 Reason why (giustificazione).
 Supporting evidence (supporto).
 Tone of voice (tono).
 Must (obblighi).

Il primo livello del messaggio è la promessa: l’impresa attraverso la comunicazione deve far sì che si
evidenzino i benefici che si possono offrire o eventualmente la limitazione dei sacrifici richiesti. Non è
tuttavia sufficiente per l’impresa dire che quel determinato prodotto offra dei vantaggi: occorre anche
dimostrarlo. Per questo motivo si hanno i livelli di giustificazione e supporto.

La giustificazione ha il compito di sostenere la promessa e renderla credibile attraverso argomenti a


sostegno dei benefici proposti. I meccanismi promessa-giustificazione talvolta sono abbastanza palesi; oggi
tuttavia si ricorre a forme di legame tra promessa e giustificazione che non sono così palesi.

Il supporto è un ulteriore elemento che tende a rafforzare la promessa: rappresenta una garanzia in più per
il consumatore che il prodotto mantiene i benefici promessi.

Il tono riguarda il modo con il quale promessa e giustificazione vengono inviate: possono essere ad esempio
di tipo serioso o di tipo scherzoso. Si possono usare differenti tecniche o chiavi comunicative.

Gli obblighi o must non sono solo gli obblighi di legge che devono essere contenuti nei messaggi (es.
farmaci), ma anche gli obblighi che l’impresa stessa si pone (es. slogan alla fine dello spot).

Per quanto riguarda il come realizzare la promessa e la giustificazione esistono tante tecniche: l’impresa
può fare ricorso a diverse chiavi comunicative che vengono selezionate in funzione di ciò che meglio si
addice al concetto da esprimere e alla natura del prodotto.

Tipologie di chiavi comunicative: evidenza scientifica, testimonial, humor-ironia, dimostrazioni, confronto,


gente comune, buoni sentimenti, shock, ecc.

Nel caso di una pubblicità con testimonial, si utilizzano personaggi famosi e conosciuti per pubblicizzare un
determinato prodotto. Il ruolo del testimonial può essere di due tipi:

 Testimonial garante della qualità, delle caratteristiche e delle prestazioni del prodotto.
 Testimonial in grado di attirare e richiamare l’attenzione dello spettatore. Il testimonial non è un
soggetto in questo caso che testimonia la garanzia della promessa che viene data, ma è utile per
creare empatia con la marca.
103

L’utilizzo del testimonial è estremamente diffuso: la tecnica del testimonial può essere tuttavia rischiosa
per l’azienda. Ci può essere il rischio che l’impresa leghi troppo la propria immagine a quella del
personaggio famoso e quindi che il prodotto possa essere offuscato da questo. Un altro aspetto rischioso
rappresenta l’invecchiamento del testimonial, che a sua volta possa determinare un invecchiamento del
prodotto. Un ulteriore rischio legato al testimonial può essere determinato dalle vicende professionali e
personali del personaggio, che possono incidere sull’immagine del prodotto.

Per certe tipologie di prodotti l’uso del testimonial può essere poco credibile: alle volte si ricorre alla gente
comune. Si tratta sempre di una comunicazione commerciale di parte dell’impresa che va a scegliere
soggetti che parlano bene del prodotto.

Altra tecnica utilizzata è quella del confronto: quando l’impresa mette il proprio prodotto a confronto con
un prodotto della concorrenza non identificato. Quando invece il prodotto della concorrenza è identificato
o identificabile in maniera esplicita (o facilmente identificabile) si parla di pubblicità comparativa.

Vengono utilizzate anche la tecnica dell’humor (ironia) o la tecnica dei buoni sentimenti. La tecnica dei
buoni sentimenti rappresenta una situazione “idilliaca”: l’idea di fondo è che attraverso il prodotto il
soggetto può ricreare quella stessa situazione che viene mostrata nello spot.

Altre imprese utilizzano tecniche pubblicitarie all’antitesi rispetto alle pubblicità dei buoni sentimenti
(pubblicità shock): negli spot vengono denunciate determinate situazioni (es. contro l’AIDS o contro il
razzismo) o certi stereotipi. L’idea di fondo è quella di legare l’immagine dell’azienda a certi valori. È un
modo di fare comunicazione molto diverso, che determina clamore: spesso queste pubblicità sono state in
passato censurate.

Dopo aver realizzato il messaggio si pone il problema di quali media utilizzare, attraverso quale canale
diffondere la pubblicità: si deve definire la strategia media. Questa scelta riguarda sostanzialmente tre
aspetti:

1. Scelta dei media.


2. Selezione dei veicoli.
3. Distribuzione temporale del messaggio.

L’impresa deve scegliere che tipo di media utilizzare: la scelta del media influenza la tecnica utilizzata e la
creazione del messaggio. Ciascun media presenta vantaggi e svantaggi.

Un altro aspetto riguarda la scelta dei veicoli: i veicoli sono i vari strumenti attraverso i quali il media viene
utilizzato da parte dell’impresa. Nella selezione dei veicoli, l’impresa deve cercare di evitare fenomeni di
sovrapposizione del messaggio.

Nella scelta dei media e dei veicoli si cerca di avvalersi di indicatori che possono aiutare l’impresa nella
scelta:

 Copertura (reach).
 Frequenza (opportunity to see).
 Gross rating point.
 Continuità (continuity).
104

La copertura (reach) rappresenta l’estensione della campagna pubblicitaria. Indica quante persone nel
target-group sono state esposte almeno una volta ad un messaggio, ovvero quante persone del target
dell’impresa hanno visto una volta lo spot.

Esempio di copertura:

Audience

Target

Individui appartenenti al
target che sono stati
raggiunti

L’area di audience rappresenta quante persone sono state esposte al media; l’area di target rappresenta
quante persone fanno parte del target dell’impresa. Audience e target molto spesso sono due aree distinte:
l’area di sovrapposizione indica la copertura. L’impresa deve cercare, per i fini dell’efficacia e dell’efficienza
aziendale, di scegliere quei media in cui il più possibile il target sia dentro l’audience: più l’area di target si
sposta nell’area di audience, sempre più sarà efficace per l’impresa. L’impresa non deve solo guardare
l’efficacia ma anche l’efficienza, ovvero guardare anche ai costi. La situazione ideale per l’impresa sarebbe
che audience e target coincidono.

Il reach è un indicatore che esprime il rapporto tra l’area di sovrapposizione rapportata all’intero target: è il
rapporto tra gli individui raggiunti almeno una volta dal messaggio (che fanno parte del target) ed i soggetti
che fanno parte del target. Più alta è la copertura, più l’impresa è riuscita con quel media a raggiungere un
più alto numero di soggetti del target.

La frequenza (o opportunity to see) misura l’intensità della campagna: indica quante occasioni di contatto
con il messaggio, in media, ha ciascun individuo raggiunto, ovvero quante volte è stato visto quel messaggio
dalla singola persona facente parte del target.
105

Soggetti colpiti con più messaggi:

Messaggio 1

Target
Messaggio 2

La frequenza media determina quanto, mediamente, è stato visto il messaggio.

La frequenza è il rapporto tra il numero di contatti che sono stati sviluppati con gli individui appartenenti al
target e il numero di soggetti che sono stati raggiunti: è il rapporto tra il volume complessivo dei contatti
sviluppati ed il numero degli individui raggiunti.

Il gross rating point (grp) misura la pressione pubblicitaria. È data dal prodotto dei due indicatori
precedenti:

𝐶𝑜𝑝𝑒𝑟𝑡𝑢𝑟𝑎 𝑛𝑒𝑡𝑡𝑎 (𝑟𝑒𝑎𝑐ℎ)×𝐹𝑟𝑒𝑞𝑢𝑒𝑛𝑧𝑎 𝑚𝑒𝑑𝑖𝑎 (𝑂. 𝑇. 𝑆. )

I risultati del grp vanno visti in relazione degli obiettivi della campagna.

Esercizio: due ipotesi di piano media.

PIANO MEDIA 1 PIANO MEDIA 2


Target 100.000 100.000
Individui raggiunti 80.000 40.000
Volume complessivo contatti 300.000 300.000

80.000 80.000
𝑟𝑒𝑎𝑐ℎ1 = 100.000 = 0,8; 𝑂. 𝑇. 𝑆.1 = 300.000 = 3,75; 𝑔𝑟𝑝1 = 0,8×3,75 = 3

Dal piano media 1 viene raggiunto un numero di individui più alto con un numero di messaggi inviati più basso.
L’obiettivo della campagna è di informare, ovvero portare a conoscenza i consumatori dell’esistenza del
prodotto.
40.000 40.000
𝑟𝑒𝑎𝑐ℎ2 = 100.000 = 0,4; 𝑂. 𝑇. 𝑆.2 = 300.000 = 7,5; 𝑔𝑟𝑝2 = 0,4×7,5 = 3

Dal piano media 2 viene raggiunto un numero di individui più contenuto con un numero di messaggi inviati più
alto. L’obiettivo della campagna è di convincere il consumatore: è necessaria quindi una frequenza maggiore.

Anche se i risultati del gpr sono uguali per entrambi i piani media, questi vanno visti in relazione degli obiettivi.
106

L’impresa deve decidere non soltanto su quali emittenti far apparire lo spot, ma anche con quale frequenza
dal punto di vista temporale (distribuzione temporale dei messaggi):

Posto il budget, l’impresa deve decidere come distribuire i messaggi pubblicitari nel tempo.

L’ultimo indicatore è la continuità (continuity). Fa riferimento al tempo: indica in che misura viene
utilizzato un veicolo nel corso del tempo, ovvero quante volte nel corso del tempo ciascun soggetto ha visto
lo spot. Rappresenta l’intensità di trasmissione dei messaggi nei confronti di ciascun appartenente al target,
in una determinata unità di tempo con mezzi e veicoli selezionati: è quindi l’intensità di utilizzo del media o
del veicolo nell’unità di tempo.

Nell’ultima fase, dopo aver scelto le chiavi comunicative, come trasmettere il messaggio e con quali media
e veicoli trasmettere il messaggio, la campagna pubblicitaria viene lanciata. Si ottengono i risultati: tali
risultati devono essere soggetti ad un controllo. I risultati vanno sempre visti sia dal punto di vista
dell’efficacia sia dal punto di vista dell’efficienza (efficacia ≠ efficienza).

Il controllo dei risultati può avere come effetti-obiettivi:

 Obiettivi di vendita.
 Obiettivi di comunicazione.

Gli obiettivi di vendita consistono nel cercare di fare aumentare le vendite del prodotto. Possono essere
misurate attraverso il calcolo dell’incremento dei volumi delle vendite sia in termini quantitativi che di
valore, o anche in termini relativi (quota di mercato).

È tuttavia difficile calcolare la misurazione degli effetti della campagna pubblicitaria in termini di vendite.
Uno dei motivi è perché nell’integrated marketing communication si utilizzano contemporaneamente più
strumenti: è difficile stabilire per quanta parte sia attribuibile alla pubblicità e per quanta parte sia
attribuibile ad altri strumenti. In alcuni casi inoltre gli effetti della pubblicità potrebbero verificarsi in periodi
successivi.

Gli obiettivi di comunicazione consistono prima nel cercare di creare simpatia tra spettatore e prodotto,
per poi cercare di accrescere le vendite. Si cerca di capire come cambia l’atteggiamento del consumatore
nei confronti del prodotto: gli effetti della comunicazione possono riguardare quindi la conoscenza,
l’atteggiamento e la preferenza. Le stime possono riferirsi a:
107

 Singoli mezzi o veicoli: costo per contatto.


 Singolo messaggio: ricerche pre-test e ricerche post-test.

Nell’ambito delle vendite esistono altri strumenti che sono particolarmente efficaci: uno di questi è la
promozione delle vendite. La promozione delle vendite rappresenta uno strumento dell’integrated
marketing communication, insieme a direct marketing e comunicazione one-to-one.

Sales promotion

La promozione delle vendite (o sales promotion) è un’azione finalizzata al raggiungimento di precisi


obiettivi che consiste nella temporanea offerta di un vantaggio supplementare a un definito pubblico di
destinatari in modo da stimolarli ad assumere un comportamento desiderato.

Per promozione delle vendite ci si riferisce quindi a tutte quelle iniziative che sono rivolte al
raggiungimento di particolari obiettivi e che si caratterizzano per il carattere della temporaneità: ovvero si
tratta di iniziative che presentano un inizio e una fine, in genere abbastanza breve. Tali iniziative offrono un
vantaggio aggiuntivo rispetto alla normale value proposition che l’impresa offre: questo vantaggio viene
rivolto a particolari pubblici.

A differenza della pubblicità che può generare degli effetti anche in momenti successivi, le promozioni delle
vendite hanno come obiettivo quello di determinare immediatamente una modifica del comportamento
del consumatore.

Gli aspetti della sales promotion sono quindi:

1. La finalizzazione verso precisi obiettivi.


2. Temporaneità. È temporaneo.
3. Offerta di un vantaggio supplementare. Dà un vantaggio aggiuntivo rispetto a quella che è la normale
offerta.
4. L’identificazione dei destinatari. È rivolta ad un pubblico particolare.
5. Immediatezza dei risultati. Determina immediatamente un comportamento nel consumatore.

Gli obiettivi della promozione possono avere delle finalità diverse. La promozione può essere rivolta a:

 Far provare il prodotto al consumatore.


 Indurre il consumatore al primo acquisto.
 Indurre il consumatore a riacquistare il prodotto.
 Aumentare la fedeltà del consumatore.

A seconda dei vari possibili obiettivi esistono vari strumenti promozionali:

 Per far provare il prodotto al potenziale consumatore, si fa una promozione all’interno del punto
vendita offrendo un campione omaggio. Si tratta quindi di iniziative promozionali.
 Per indurre il consumatore ad acquistare per la prima volta il prodotto, si dà al consumatore un
buono sconto.
 Per indurre il consumatore al riacquisto del prodotto, si fanno delle attività promozionali che hanno
come obiettivo il riacquisto del prodotto stesso. Un esempio sono la partecipazione a concorsi o le
raccolte prove d’acquisto con premio finale.
 Per aumentare la fedeltà del consumatore, si dona al consumatore stesso un regalo.
108

Risposte del target ricercato:

Prova del Primo acquisto Riacquisto Fedeltà


prodotto

Campione Buono sconto Raccolta prove Regalo


omaggio acquisto

Un altro aspetto è la temporaneità della promozione delle vendite:

 Durata. La durata delle promozioni può essere estremamente variabile: può essere lunga o breve;
può essere di un giorno o anche di un anno.
 Frequenza: è il ritmo con il quale si alternano le varie promozioni.
 Periodo di propagazione degli effetti. Nella valutazione degli effetti l’impresa deve considerare che,
in presenza di promozioni, i consumatori possono anticipare gli acquisti per sfruttare le opportunità
ma probabilmente non effettueranno altri acquisti successivamente.

Ulteriore aspetto è il tipo di vantaggio supplementare. Il vantaggio può consistere in:

 Promozioni convenienza. Un esempio sono le offerte sottocosto (es. offerte 3x2): l’impresa richiede
al consumatore un sacrificio più basso rispetto a quello viene richiesto.
 Regali promozionali. La tipologia di regali è differente: in alcuni casi il regali è certo, in altri casi il
regalo è incerto (es. sorteggio).
 Confezioni promozionali: riguardano forme di confezioni particolari del prodotto.
 Eventi promozionali: all’interno del punto vendita o manifestazioni esterne.
 Altri vantaggi.

Il vantaggio supplementare può assumere diversi aspetti: può riguardare alle volte i benefici, alle volte i
sacrifici, oppure può riguardare aspetti marginali come la confezione o addirittura aspetti totalmente
estranei.

Per quanto riguarda i soggetti della promozione si distinguono in:

 Attivi: soggetti che compiono l’attività di promozione. Possono essere sia il produttore sia il
distributore.
 Passivi o destinatari: possono essere sia i distributori sia i consumatori.

I destinatari della promozione sono:

 I consumatori. Si parla di consumer promotion, ovvero di campagne di promozione che vengono


rivolte specificatamente ai consumatori.
 Gli intermediari. Si parla di trade promotion, ovvero di campagne di promozione che vengono rivolte
specificatamente agli intermediari.
109

 Forza di vendita. Riguarda gli incentive, gli incentivi che vengono dati per stimolare la vendita da
parte del personale interno di vendita.

L’ultimo aspetto della sales promotion è l’immediatezza. L’impresa deve cercare di ottenere un effetto
immediato: il vantaggio aggiuntivo non ha effetti oltre il limite di scadenza della promozione.

In base a tutti questi elementi possono essere classificate diverse tecniche promozionali. Tutte le tecniche
promozionali sono comunque onerose: l’impresa sostiene dei costi o consegue dei ricavi più bassi.
Classificazione delle tecniche promozionali:

 Tattiche vs strategiche: in base alla durata della promozione. Le promozioni tattiche sono
tipicamente di breve periodo, mentre le promozioni strategiche investono archi di tempo più lunghi.
 Store-oriented vs home-oriented. Le promozioni store-oriented vengono sviluppate nel punto
vendita, mentre le promozioni home-oriented sono le iniziative inviate nella casa del consumatore.
 Di sell-in vs di sell-out. Le promozioni di sell-in vengono fatte dal produttore nei confronti del
consumatore e sono rivolte a creare scorte: il produttore offre al consumatore una certa quantità di
prodotto in un determinato periodo con una certa riduzione di prezzo. Le promozioni di sell-out
sono rivolte a far acquistare il prodotto ai consumatori senza creare scorte all’interno del
distributore.
 Below the line vs above the line: in relazione alla natura dell’onerosità della promozione per
l’impresa. Le promozioni below the line si hanno quando le iniziative promozionali determinano una
riduzione dei ricavi, mentre le promozioni above the line sono quelle tecniche promozionali che
comportano dei costi aggiuntivi.
 Push vs pull: si collegano ma sono comunque distinte dalle tecniche di sell-in e di sell-out. Le tecniche
di tipo push sono tutte quelle tecniche promozionali destinate a spingere i prodotti lungo tutto il
canale distributivo: ovvero sono iniziative volte a far acquistare il prodotto dal distributore, il quale
poi vende il prodotto al consumatore. Le tecniche di tipo pull sono tutte quelle tecniche
promozionali volte ad agire sul consumatore finale, in maniera tale che: il consumatore finale si
rivolga all’intermediario chiedendo il prodotto; l’intermediario si rivolga all’impresa per acquistare il
prodotto da vendere al consumatore.

Distinzione tra push e pull:

PULL

IMPRESA INTERMEDIARIO CONSUMATORE

PUSH
 Iniziativa promozionale.
 Azione sperata.
110

Con le tecniche di tipo push: l’impresa agisce lungo tutto il percorso spingendo il prodotto sull’impresa
intermediaria per poi sperare che l’impresa intermediaria prosegua trasferendo quell’agevolazione nei
confronti del consumatore.

Con le tecniche di tipo pull: l’impresa effettua la strategia di promozione sul consumatore, il quale richiede
il prodotto al distributore. Se il distributore non possiede il prodotto, si rivolgerà all’impresa fornitrice per
aumentare la fornitura della merce.

Un’altra distinzione riguarda il livello di coinvolgimento dell’intermediario. Classificazione in base al livello


di coinvolgimento dell’intermediario (trade):

1. Promozioni sul prodotto: non richiedono alcun ruolo all’intermediario (es. regalo all’interno della
confezione).
2. Promozioni sul mezzo: non prevedono alcun coinvolgimento del produttore (es. raccolta punti
fedeltà nel punto).
3. Promozioni congiunte sul punto vendita: riguardano ad esempio delle offerte abbinate di prodotti in
quel particolare punto vendita.
4. Promozioni commerciali sul punto vendita: riguardano ad esempio la posizione dei prodotti che
vengono collocati nei punti vendita.

Dalle promozioni sul prodotto verso le promozioni commerciali si ha un coinvolgimento dell’intermediario


maggiore. Le promozioni sul prodotto sono esclusivamente del produttore, quelle commerciali sono
esclusivamente dell’intermediario: rappresentano le forme estreme. Le promozioni sul mezzo e le
promozioni congiunte sul punto vendita sono invece delle forme intermedie, dove distributore e
produttore si accordano per sviluppare delle forme di promozione “associate”.

Si distinguono quindi tre tipologie di promozioni nei confronti dei destinatari:

 Consumer promotion.
 Trade promotion.
 Incentive promotion.

Nelle consumer promotion si concretizzano:

 Offerta di campioni omaggio.


 Promozioni convenienza: consistono in una sostanziale riduzione del prezzo di vendita, che può
avvenire in diversi modi. Un esempio è dato dai buoni sconto, dai coupon: esistono vari tipi di
coupon. Il coupon classico viene ricevuto dal consumatore (ad es. sui giornali o per strada) che si reca
nel punto vendita per effettuare l’acquisto. In altri casi il coupon è attaccato alla confezione stessa
del prodotto: in questo caso o il buono sconto opera sulla confezione da acquistare oppure può
essere utilizzato per l’acquisto successivo. Altri tipi di coupon sono i coupon incrociati: il buono
sconto vale per un altro prodotto della stessa impresa.
 Regali promozionali: quando il consumatore acquista il prodotto in un determinato periodo ha diritto
ad un premio (premio certo) o a partecipare ad un sorteggio relativo ad un premio (premio incerto).
Si distinguono così premi certi dai premi incerti.
 Confezioni promozionali.
 Organizzazione di un evento (marketing dell’evento) sul punto vendita.
 Promozioni sul punto vendita.
111

Le trade promotion sono delle promozioni che vengono rivolte non al consumatore ma all’intermediario.
Essendo legate all’intermediario le promozioni sono più concrete: riguardano i prezzi, i margini, i tempi di
pagamento oppure promozioni che possono determinare un impatto sul consumatore.

Gli incentive promotion sono iniziative che vengono rivolte al personale interno di vendita. Tali promozioni
incentivano il proprio personale ad operare. Le tipologie di incentivi sono di varia forma: non consistono
solo in remunerazioni aggiuntive, ma anche in veri e propri premi (es. premi produzione).

Anche nelle sales promotion vengono valutati gli effetti. Nella valutazione delle iniziative promozionali si
distinguono:

 Effetto vendite.
 Effetto comunicazione.

In alcuni casi l’attività di promozione è rivolta ad un incremento delle vendite nel periodo considerato. In
altri casi è rivolta a far apprezzare il prodotto, mirando indirettamente ad incrementare le vendite.

Per quanto riguarda l’effetto vendite: a differenza della pubblicità in cui gli effetti possono verificarsi
successivamente, nel caso della promozione gli effetti possono essere più facilmente misurabili perché
riguardano un arco di tempo ben determinato.

Il problema sta nella corretta determinazione. Vanno infatti considerate le vendite incrementali: ovvero
vanno prese in considerazione le vendite che si verificano nel periodo promozionale considerato,
sicuramente superiori a quelle registrate normalmente.

L’impresa deve tener conto di una possibile riduzione delle vendite nel periodo immediatamente successivo
all’iniziativa promozionale, in virtù dell’incetta effettuata dai consumatori durante il periodo promozionale.
Inoltre i consumatori, in attesa dell’offerta successiva, rinviano gli acquisti al momento del periodo di
offerta: l’impresa deve tener conto anche di una possibile riduzione delle vendite nel periodo
immediatamente precedente l’inizio della promozione. L’impresa non deve considerare solo l’incremento
di vendite, ma anche quanto perde in termini di vendite sia prima sia dopo la promozione.

Al calcolo delle vendite incrementali vanno poi tolte le vendite che vengono effettuate normalmente nel
periodo promozionale. A queste si devono aggiungere le vendite che vengono guadagnate nel periodo post
promozionale: i consumatori non usuali, sfruttando l’offerta promozionale, apprezzano il prodotto e
decidono di diventare clienti, andando ad acquistare il prodotto anche dopo il periodo promozionale.

𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑖𝑛𝑐𝑟𝑒𝑚𝑒𝑛𝑡𝑎𝑙𝑖 =

𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒

− 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑛𝑜𝑟𝑚𝑎𝑙𝑖 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒

− 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑝𝑒𝑟𝑠𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑝𝑟𝑒 𝑒 𝑝𝑜𝑠𝑡 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑖

+ 𝑣𝑒𝑛𝑑𝑖𝑡𝑒 𝑔𝑢𝑎𝑑𝑎𝑔𝑛𝑎𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑝𝑒𝑟𝑖𝑜𝑑𝑜 𝑝𝑜𝑠𝑡 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒

Altri due indicatori che analizzano l’effetto vendite sono la variazione della quota di mercato e la
redemption.
112

La variazione della quota di mercato della marca nel periodo rilevante è un indicatore a cui si fa ricorso per
valutare l’efficacia delle consumer promotion: si guardano le vendite dell’impresa rispetto a quelle
dell’impresa concorrente, in termini di sottrazione dei consumatori alla concorrenza.

La redemption è invece la risposta tangibile del consumatore ad una promozione che richiede uno sforzo
aggiuntivo rispetto al semplice acquisto (es. restituzione buoni sconto, raccolta punti, ecc.).

Anche per quanto riguarda l’effetto comunicazione, l’obiettivo è di cercare di capire come quella campagna
promozionale ha determinato effetti in termini di coinvolgimento del consumatore. L’effetto
comunicazione può essere di vario tipo: può essere rivolta ad esempio a far aumentare la conoscenza del
prodotto o svolte a far apprezzare il prodotto. È facilmente misurabile attraverso delle indagini delle
campagne promozionali: ad esempio si può ottenere il numero di persone che, sfruttato il buono acquisti,
hanno riacquistato il prodotto oppure il numero di persone che hanno effettuato la raccolta punti del punto
vendita. Sono tutti strumenti che cercano, attraverso degli indicatori di vario tipo, di determinare l’effetto
comunicazione senza guardare direttamente all’incremento delle vendite.

Direct marketing

Il direct marketing è una realtà alquanto complessa, multiforme e in continua evoluzione. Alcuni aspetti
chiave del direct marketing sono: l’abilità di raggiungere uno specifico gruppo di clienti; la creazione o il
rafforzamento di un legame con la propria clientela; l’instaurazione di un dialogo con i consumatori;
l’utilizzo combinato di diversi mezzi e strumenti di comunicazione.

Le caratteristiche principali del direct marketing sono:

1. Multistrumentalità. È possibile utilizzare differenti mezzi di comunicazione, la cui azione sinergica


aumenta l’efficacia dell’operazione.
2. Selettività del messaggio. Il messaggio viene veicolato ad un’audience selezionata, senza dispersione
dei messaggi stessi.
3. Capillarità dell’azione. Il marketing diretto permette di raggiungere target selezionati sempre più
ristretti, aumentando la profondità della comunicazione stessa.
4. Interattività. Il destinatario della comunicazione è invitato e incentivato a rispondere al messaggio
dell’azienda, attraverso il mix di strumenti utilizzati nelle operazioni di direct marketing. L’interazione
può avvenire a diversi livelli, ovvero sia dalla semplice comunicazione e risposta a domande, sia alla
conclusione di transazioni commerciali. È la caratteristica fondamentale che contraddistingue il
marketing diretto.
5. Misurabilità dell’azione e dei risultati. È l’effetto derivante dall’interattività dello strumento: le
operazioni di marketing diretto prevedono generalmente il ritorno di informazioni da parte del
destinatario della comunicazione, il quale è sollecitato a rispondere in tempi brevi all’offerta.
6. Ripetitività. Le performance delle azioni aumentano con la ripetizione nel tempo delle operazioni
condotte sullo stesso target.
7. Personalizzazione della comunicazione e individualità. Il direct marketing offre la possibilità di
adattare il messaggio e lo strumento alla situazione specifica del destinatario, grazie al contatto
diretto e individuale con i consumatori.

A differenza di tecniche di comunicazioni come la pubblicità, in cui il messaggio è one to all, nel direct
marketing il messaggio è one to one: l’azienda può gestire in modo individuale ogni singolo cliente.
113

È possibile identificare tre principali modalità o strumenti di direct marketing:

 Direct response advertising (o pubblicità a risposta diretta): quando il messaggio, contenuto in


mezzi pubblicitari, presenta al suo interno le tecniche che consentono la risposta e quindi
l’interazione tra cliente e azienda (es. coupon, numero telefonico).
 Direct mail: tutto quello che l’impresa può inviare attraverso l’utilizzo del mezzo posta, richiedendo
una risposta. Sono esempi la lettera, la brochure, il dépliant, il catalogo, ecc.
 Telemarketing (in-bound): prevede l’uso di altri strumenti del marketing diretto che implichi l’utilizzo
del telefono per inviare messaggi e per ottenere risposte e informazioni più precise e dettagliate sul
mercato o sul consumatore. Questo strumento è definito in-bound (in entrata) o reattivo, per
distinguerlo dal telemarketing out-bound (in uscita) definito attivo.

Ha un ruolo importante nel direct marketing il database di marketing (Dbm): è uno strumento nella quale
vengono estratte tutte le informazioni conseguenti ed ottenute tramite iniziative di marketing diretto, per
un utilizzo successivo e negli ulteriori contatti con il cliente. Le informazioni di base solitamente contenute
nel Dbm riguardano i dati anagrafici, l’oggetto di acquisto, i volumi acquistati e il relativo valore.

Esistono alcune categorie di mezzi che, per le loro caratteristiche, sono sfruttati soltanto dal direct
marketing, mentre esistono altri mezzi che, a seconda delle modalità di utilizzo, possono supportare sia
comunicazioni di massa sia forme di comunicazione più mirate e selettive tipiche del direct marketing. I
mezzi utilizzati dal marketing diretto si distinguono in quattro categorie:

 Media classici monovalenti. Sono strumenti caratterizzati dalla monovalenza in quanto possono
essere utilizzati soltanto dal direct marketing; sono strumenti classici in quanto questa categoria di
media è sempre stata utilizzata nelle azioni di comunicazione diretta. Sono esempi i cataloghi e il
direct mail.
 Media innovativi monovalenti. Sono strumenti innovativi in quanto si fa riferimento a mezzi di
comunicazione più avanzati dal punto di vista tecnologico; sono monovalenti perché utilizzati solo
per il direct marketing. È un esempio il telemarketing.
 Media classici bivalenti. Sono mezzi sempre utilizzati sia nella comunicazione di massa che in quella
diretta. È un esempio la stampa.
 Media innovativi bivalenti. Sono mezzi che oltre ad essere sempre stati utilizzati per la
comunicazione di massa, vengono sempre più utilizzati al fine di instaurare un dialogo con il
consumatore. Sono esempi la radio e la televisione.

Per scegliere quale strumento utilizzare fra le varie forme di comunicazione diretta, l’azienda deve
considerare gli obiettivi che si pone di raggiungere. Per questo motivo le imprese devono considerare:

 Livello di interattività dello strumento utilizzato.


 Costo per contatto: il rapporto tra il costo totale dell’iniziativa e il numero di persone da esso
raggiunte.
 Ampiezza del target: ovvero il numero totale di persone raggiungibile dal messaggio.

Dall’interazione fra queste tre variabili risulta che all’aumentare dell’interattività cresce il costo per
contatto e si riduce l’ampiezza del target. Di conseguenza riducendo la personalizzazione del mezzo
utilizzato aumenta la dimensione del target da raggiungere e diminuisca il costo per contatto.
114

Attraverso il direct marketing le imprese perseguono sia obiettivi di natura conoscitiva sia obiettivi di
natura operativa.

Gli obiettivi conoscitivi si riferiscono alla capacità degli strumenti di avviare e approfondire le conoscenze
di mercato. Gli obiettivi conoscitivi sono:

 Farsi conoscere.
 Informare circa nuovi prodotti.
 Far imparare le modalità di impiego e di utilizzo di un prodotto.

Gli obiettivi operativi si riferiscono agli obiettivi di vendita e sono:

 Promuovere i prodotti.
 Supportare la forza di vendita.
 Vendere.
 Fidelizzare.

L’efficacia della comunicazione diretta è tuttavia strettamente connessa all’integrazione tra i vari strumenti:
il direct marketing si esprime infatti tramite l’utilizzo sequenziale e pianificato dei diversi strumenti.
Maggiore è l’integrazione tra gli strumenti, maggiore è la capacità di relazionarsi con il mercato. Alcune
possibili modalità di integrazione sono:

 Direct response advertising – direct mail – telemarketing in-bound.


 Telemarketing out-bound – direct mail – telemarketing in-bound.
 Direct response advertising – telemarketing out-bound – direct mail – telemarketing in-bound.

Instaurando un contatto diretto con i consumatori, l’impresa può valutare con precisione i risultati del
direct marketing. I risultati delle iniziative intraprese vengono valutati sia in termini di efficacia sia in
termini di efficienza.

Il grado d’efficacia è tanto maggiore quanto più il mezzo utilizzato raggiunge il target prescelto
dall’impresa: il risultato ottenibile può quindi essere calcolato con notevole precisione perché è uguale alla
quantità di risposte ottenute a seguito della iniziativa. I principali indicatori che possono essere utilizzati per
misurare il grado d’efficacia sono:

 Redemption o tasso di risposta.


 Conversion o tasso di conversione.
 Order o trial.

La redemption o tasso di risposta è il principale indicatore di misurazione dell’efficacia e rappresenta la


percentuale di risposte ottenute in rapporto al numero di contatti realizzati dall’impresa.

𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒
𝑟𝑒𝑑𝑒𝑚𝑝𝑡𝑖𝑜𝑛 = ×100
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑡𝑡𝑖

La conversion o tasso di conversione è un indicatore che presenta un approccio multi-fase o multi-step del
marketing diretto. L’obiettivo di questo indicatore è di capitalizzare sulle risposte ottenute, ovvero di
convertire i non clienti in clienti: viene utilizzato in modo combinato la redemption con un altro indicatore,
il tasso di conversione, che mette in relazione le risposte ottenute in diversi tempi.
115

𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒𝑡2
𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛 = ×100
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒𝑡1

Questa formula rappresenta in realtà la “redemption della redemption”, ovvero la redemption ottenuta al
tempo t2 rispetto a quella ottenuta al tempo t1. La formula della conversion può anche essere espressa
come:

𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒
𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛 = ×100
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑖𝑛𝑓𝑜𝑟𝑚𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑖

Il trial è un indicatore che riguarda quante persone hanno provato il prodotto. L’order è invece un
indicatore che indica quante persone hanno acquistato il prodotto.

𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜


𝑡𝑟𝑖𝑎𝑙 = ×100
𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑖𝑠𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑙 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑜
𝑜𝑟𝑑𝑒𝑟 = ×100
𝑡𝑟𝑖𝑎𝑙

Tutti questi indicatori d’efficacia devono essere analizzati in modo combinato con quelli di efficienza. I
principali indicatori che misurano il grado di efficienza di una campagna di direct marketing sono:

 Costo per contatto.


 Costo per risposta o per inquiry.
 Costo per ordine.

Il costo per contatto è il rapporto tra il costo totale per la realizzazione di un’iniziativa di direct marketing e
il numero di persone che si possono raggiungere tramite l’iniziativa stessa. È molto utile per valutare una
campagna di direct marketing in termini di costo relativo ad ogni singolo contatto realizzato.

𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑡𝑖𝑣𝑎


𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑡𝑡𝑜 (𝐶𝑝𝑐) =
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑡𝑡𝑖 (𝑝𝑒𝑟𝑠𝑜𝑛𝑒 𝑟𝑎𝑔𝑔𝑖𝑢𝑛𝑡𝑒)

Il costo per risposta o per inquiry rappresenta l’investimento necessario affinché l’impresa possa ricevere
una risposta da parte dei clienti attuali o potenziali del target selezionato. È dato dal rapporto fra
l’investimento promozionale (calcolato moltiplicando il costo per contatto per il numero di contatti) e il
numero di risposte ricevute.

𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎 (𝐶𝑝𝑟) =
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑒

Il costo per ordine rappresenta l’investimento necessario affinché l’impresa possa ricevere un acquisto dai
clienti del target selezionato. È dato dal rapporto tra investimento promozionale (calcolato moltiplicando il
costo per contatto per il numero di contatti) e il numero di ordini ricevuti.

𝑖𝑛𝑣𝑒𝑠𝑡𝑖𝑚𝑒𝑛𝑡𝑜 𝑝𝑟𝑜𝑚𝑜𝑧𝑖𝑜𝑛𝑎𝑙𝑒
𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑒 (𝐶𝑝𝑜) =
𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜 𝑑𝑖 𝑜𝑟𝑑𝑖𝑛𝑖
116

Un ultimo indicatore è il costo per contatto finale, che misura le iniziative di direct marketing articolate in
più fasi successive, con l’obiettivo di mirare alla vendita dei prodotti.

𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑟𝑖𝑠𝑝𝑜𝑠𝑡𝑎 𝑖𝑛𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒


𝑐𝑜𝑠𝑡𝑜 𝑝𝑒𝑟 𝑐𝑜𝑛𝑡𝑎𝑡𝑡𝑜 𝑓𝑖𝑛𝑎𝑙𝑒 =
𝑡𝑎𝑠𝑠𝑜 𝑑𝑖 𝑐𝑜𝑛𝑣𝑒𝑟𝑠𝑖𝑜𝑛𝑒

La progettazione e la gestione dei canali distributivi

Dopo aver analizzato la fase della comunicazione del valore, si passa ad analizzare la fase del delivery del
valore: l’obiettivo è capire come rendere disponibile il prodotto ai consumatori.

La problematica del delivery del valore riguarda due ambiti differenti:

 Progettazione: scegliere i canali distributivi.


 Gestione dei canali distributivi.

La progettazione è una scelta, in ambito di decisioni, che viene assunta di tanto in tanto, a differenza della
gestione, che è una scelta quasi quotidiana e continua.

La progettazione riguarda le scelte di struttura.

La gestione riguarda le scelte di processo e relazioni.

Problematiche di progettazione

L’impresa deve decidere come mettere a disposizione del consumatore la propria value proposition: è una
scelta che riguarda la progettazione della distribuzione del prodotto.

Si fa riferimento alla seconda tipologia di domanda: la domanda intermedia, importante nel momento in
cui l’impresa utilizza un particolare canale distributivo.

Impresa Consumatore
produttrice

Canale distributivo

L’impresa può decidere come il prodotto deve giungere al consumatore: la problematica non è soltanto di
carattere di trasporto fisico, ma comporta una serie di flussi comunicativi, finanziari, ecc.

Il canale distributivo è il percorso che idealmente il prodotto deve compiere. In questo percorso si
generano le utilità distributive di tempo, di spazio e di modo: l’impresa, quando sceglie il processo
distributivo da realizzare, deve tener conto che queste utilità devono essere generate e deve decidere se di
117

queste utilità debba farsi carico la stessa azienda produttrice oppure se devono essere delegate agli
intermediari.

Tali utilità si realizzano grazie all’attivazione di flussi di varia natura. I flussi che si possono realizzare sono:

 Fisico-logistico: messa a disposizione nel punto e nel luogo più comodo per il consumatore. È la
scelta della distribuzione per la quale la merce deve giungere fisicamente al consumatore finale. Vale
anche per le decisioni riguardanti i prodotti immateriali.
 Giuridico-negoziale: attiene il passaggio della proprietà della merce. In alcuni casi il rischio connesso
al trasferimento rimane a carico dell’azienda produttrice, in altri casi viene trasferito a soggetti
intermediari.
 Del rischio: rischi connessi alla garanzia. Fa riferimento all’assunzione e all’eventuale trasferimento di
rischi di varia natura relativi al prodotto. Sono esempi i rischi di danneggiamento, deperimento,
obsolescenza oppure rischio commerciale connesso alla mancata vendita.
 Comunicativo: riguarda lo scambio di dati e informazioni di varia natura. I distributori svolgono
quindi anche attività informativa.
 Monetario-finanziario: riguarda il trasferimento immediato o differito di mezzi monetari quale forma
di pagamento. In genere il produttore non vende la merce agli intermediari in contanti ma mediante
altri tipi di pagamento come ad esempio quello a 30/60/90 giorni, a differenza del distributore che
vende per contanti.

Si distinguono due tipi di canale:

 Canale diretto.
 Canale indiretto.

Il canale diretto si ha quando tra l’impresa che realizza il prodotto e il consumatore non si interpongono
degli intermediari commerciali.

Canale diretto:

PRODUTTORE CONSUMATORE

Il canale diretto si può realizzare attraverso diverse modalità:

 Creando dei propri punti vendita, che vengono gestiti direttamente dal produttore. Non va confuso
con il franchising, che invece è una forma di canale indiretto.
 Vendita tramite cataloghi. La vendita tramite cataloghi è ormai una forma di vendita meno utilizzata,
con l’avvento di internet, che è una forma diretta di vendita. I cataloghi sono sostituiti dai cataloghi
online o al massimo spediti per posta.
 Vendita tramite televendite. Le televendite sono canali dedicati alla vendita dei prodotti: si tratta di
un canale diretto perché, nonostante vi sia la presenza del media televisione che si interpone tra
produttore e consumatore, la televisione mette semplicemente in contatto le parti. Il consumatore
entra direttamente in contatto con il personale dell’impresa.
 Vendita a domicilio tramite proprio personale. Questa forma di vendita nel commercio B2C tende a
scomparire.
 Vendita online.
118

Il canale diretto riguarda quindi tutte le modalità di vendita eseguite nei punti vendita dell’azienda, o
mediante proprio personale o anche online.

Nel canale indiretto invece c’è la presenza di un soggetto o più soggetti che si interpongono tra il
produttore e il consumatore.

Canale indiretto:

INTERMEDIARIO
PRODUTTORE CONSUMATORE

Il soggetto che si interpone è detto intermediario. La presenza dell’intermediario tende a semplificare la


distribuzione e a creare utilità:

PRODUTTORI PRODUTTORI

1 2 3 1 2 3

I INTERMEDIARIO

A B C A B C

ACQUIRENTI ACQUIRENTI

La scelta dell’utilizzo del canale diretto o del canale indiretto è condizionata da numerosi fattori:

 Valore del prodotto: in genere più basso è il valore del prodotto, più si utilizza un canale di tipo
indiretto.
 Tipologia del prodotto.
 Distribuzione geografica dei potenziali consumatori.
 Entità degli acquisti che vengono effettuati di volta in volta: se ad esempio per un prodotto gli ordini
sono molto numerosi come quantità, il valore complessivo della negoziazione diventa più elevato e
quindi per l’impresa conviene utilizzare un canale di tipo diretto.
 Potenzialità economiche dell’impresa.
 Natura e trasferibilità del prodotto.
 Presenza di intermediari efficienti.

In genere: nel commercio B2B il canale tende ad accorciarsi; nel commercio B2C il canale tende ad
allungarsi e viene preferito il canale di tipo indiretto.

Sia il canale diretto che il canale indiretto hanno punti di vantaggio e punti di svantaggio.
119

Nel caso in cui venga scelto un canale indiretto, l’impresa deve compiere ulteriori decisioni:

1. Lunghezza del canale.


2. Tipologie di intermediari.
3. Grado di intensità distributiva.
4. Legami tra i soggetti del canale.
5. Tipologie di interfacce.

1. Lunghezza del canale

Per quanto riguarda la lunghezza del canale, l’impresa deve decidere se adottare:

 Un canale distributivo corto: quando tra produttore e distributore si inserisce un solo intermediario.
 Un canale distributivo lungo: quando tra produttore e distributore si inseriscono più intermediari.

Nel primo caso, ovvero quando l’impresa utilizza un solo intermediario, si parla di dettagliante.

Nel secondo caso, ovvero quando l’impresa utilizza più intermediari, si distingue la figura del grossista da
quella del dettagliante.

Il dettagliante ha la caratteristica di vendere prevalentemente al consumatore finale.

Il grossista ha la caratteristica di non vendere al consumatore finale: il grossista acquista dall’impresa e poi
vende al dettagliante. Sono tre le ipotesi di acquisto tramite grossista:

1. Il soggetto acquista con partita IVA il prodotto non per uso personale, per il consumo, ma come beni
“strumentali”, ovvero come mezzi da impiegare nell’attività professionale cui corrisponde quella
partita IVA.
2. Il soggetto che acquista dal grossista non acquista in qualità di persona fisica ma come soggetto che
fa parte di un’altra organizzazione (es. associazioni di lavoratori, circoli culturali).
3. Il soggetto acquista i prodotti in un punto vendita che venda sia all’ingrosso che al dettaglio.

Dettagliante e grossista sono due figure di intermediari che non devono essere confuse con altri soggetti
che possono essere presenti nel canale distributivo, come ad esempio l’agente o il rappresentante. La
differenza tra dettagliante e grossista e gli altri soggetti intermediari consiste che dettagliante e grossista
acquistano la proprietà della merce: si tratta quindi di un aspetto giuridico. Acquistando la proprietà della
merce dettagliante e grossista si assumono anche il rischio.

La figura del grossista è destinata a scomparire per il fenomeno dell’avvento della grande distribuzione
organizzata: i dettaglianti ormai non sono più piccole botteghe ma grandi catene di distribuzione, con
volumi di vendita molto più grandi rispetto al singolo dettagliante. La figura del grossista lentamente sta
scomparendo proprio per il fenomeno dello “scavalcamento” del dettagliante che va a relazionarsi
direttamente con il produttore.

2. Tipologie di intermediari

Dopo aver scelto il tipo di canale, l’impresa deve scegliere le tipologie di intermediari, cioè se utilizzare:
120

 Un solo tipo di sbocco, ovvero un solo format distributivo (mono-sbocco).


 Più format distributivi contemporaneamente (multi-sbocco).

In genere i format distributivi vengono distinti in due grandi tipologie: food e no food. Questa distinzione ha
origine da una precedente legge (sulle licenze commerciali) secondo la quale un soggetto poteva aprire
un’attività indicando la tipologia di prodotti venduti.

Classificazione delle tipologie di format distributivi:

Food: No food:

 Minimarket (125/199 mq)  Grande superficie specializzata


 Superette (200/399 mq)  Centro commerciale
 Supermercato (400/2499 mq)  Factory outlet center
 Superstore (2000/3000 mq)
 Ipermercato (> 2500 mq)
 Discount

 Negozio di prossimità

I format distributivi food sono delle forme di distribuzione che si distinguono fondamentalmente per
l’ampiezza della superficie di vendita. Non si tiene conto della dimensione complessiva del punto vendita
ma di superficie espositiva: vengono esclusi il back-office (il magazzino dove sono conservate le merce) e
l’eventuale serie di servizi offerti dal punto vendita.

La legge distingue le varie tipologie di format distributivi food a seconda della dimensione del comune e
quindi del numero di abitanti. Più crescono le dimensioni, più generalmente i punti vendita si vengono a
localizzare in zone periferiche: maggiori sono le dimensioni, più il punto vendita tende a decentrarsi
rispetto ai centri abitati. Solitamente vengono localizzati in determinate aree in cui si può realizzare una
maggiore attrattività, ovvero dove possa servire un bacino d’utenti significativamente maggiore. Più
crescono le dimensioni più vengono affiancati servizi aggiuntivi.

I format distributivi food sono punti vendita in cui si vende prevalentemente prodotti alimentari ma ci
possono anche essere altri tipi di prodotti: più ampie sono le dimensioni più cresce l’assortimento del
punto vendita.

In tutte queste forme di distribuzione vige la tecnica del self-service.

Nei format distributivi del settore food sono inclusi i discount alimentari. Si distinguono varie tipologie di
discount:

 Hard discount: punto vendita nel quale vengono venduti prodotti di marca non conosciuta. In genere
la merce viene disposta in maniera poco ordinata. Si tratta di imprese che fanno del prezzo la loro
arma più importante.
 Soft discount: punto vendita nel quale viene venduto qualche prodotto di marca accanto ai prodotti
non di marca.
121

Il settore food, proprio per la vendita di prodotti alimentari, viene distinto dal settore no food per ragioni di
maggiore sicurezza, di maggiore igiene, ecc.

Esistono poi altri format distributivi che riguardano tipologie di prodotti particolari con normative ancora
più stringenti rispetto al settore food: un esempio sono le farmacie.

I negozi di prossimità appartengono al settore food o al settore no food: un esempio sono le botteghe.
Sono detti di prossimità per la loro vicinanza ai consumatori.

Per quanto riguarda i format distributivi no food si distinguono:

 Grandi superfici specializzate: punti vendita specializzati in una tipologia particolare di prodotti della
stessa specie o prodotti di specie diversa ma complementari nell’utilizzo (es. Ikea, Decathlon).
 Centri commerciali: sono delle strutture che inglobano più negozi indipendenti in un’unica struttura
fisica. L’idea è di concentrare gli acquisti del consumatore in un’unica area per poter avere un
risparmio dei costi relativi alla struttura.
 Parchi commerciali: sono strutture che inglobano grandi superfici specializzate in una stessa area.
 Factory outlet center: sono delle strutture distributive che sfruttano gli outlet. L’outlet è lo “spaccio”
dell’azienda produttrice, cioè il punto vendita gestito direttamente dall’azienda che produce il
prodotto. I factory outlet center sono dei centri che concentrano in una stessa area outlet di aziende
diverse.

3. Grado di intensità distributiva

L’impresa deve successivamente decidere il grado di intensità distributiva:

 Distribuzione intensiva: l’impresa rende disponibile il prodotto in tutti o nella gran parte dei punti
vendita.
 Distribuzione selettiva: l’impresa decide di non essere presente in tutti i punti vendita ma soltanto in
alcuni punti vendita selezionati. Molto spesso si ricercano quei punti vendita che abbiano una
determinata immagine.
 Distribuzione esclusiva: l’impresa individua un solo punto vendita, per quella determinata area che
tratti il prodotto.

4. Legami tra i soggetti del canale

Un’altra scelta riguarda i legami tra i soggetti del canale:

 Canali indipendenti o convenzionali.


 Sistemi verticali di marketing.

Si hanno canali indipendenti o convenzionali quando all’interno del canale ciascun soggetto (produttore,
grossista, dettagliante) è indipendente, ovvero ognuno opera in maniera autonoma.

I sistemi verticali di marketing sono delle forme di collaborazione o di controllo che si vengono a realizzare
lungo il canale. Si distinguono tre tipologie di sistemi:
122

 Amministrati o controllati: all’interno del canale un soggetto assume il ruolo di amministratore del
canale, cioè gestisce tutti i rapporti all’interno. Dipende dal potere di mercato di un’azienda.
 Contrattuali: i legami sono frutto di contratti. Un esempio è il franchising: forma in cui i soggetti
(affiliante e affiliato) sono dipendenti dal punto di vista giuridico, ma collegati ad un contratto. Il
franchising è una forma di distribuzione molto diffusa oggi.
 Integrati: i legami e il coordinamento spettano al soggetto del canale che ha deciso di integrare sia le
attività di produzione che quelle di distribuzione. È quindi una coesione di natura proprietaria.

5. Tipologie di interfacce

Il problema dell’interfaccia è un problema che si pone non soltanto nel caso delle imprese che si avvalgono
di canali indiretti, ma anche da parte di imprese che utilizzano canali diretti.

L’interfaccia è il modo con il quale il cliente si relaziona all’impresa. Esistono vari tipi di interfacce: si
distinguono a seconda che implichino la copresenza spazio-temporale dell’impresa venditrice e del
soggetto acquirente.

Modo con il quale l’impresa decide di relazionarsi:

 In alcuni casi le interfacce impongono la presenza spazio-temporale del venditore e dell’acquirente


(copresenza spazio-temporale). Esempi sono i negozi o la vendita personale.
 In alcuni casi le interfacce non impongono la presenza spazio-temporale del venditore e
dell’acquirente (separazione spazio-temporale). Esempi sono la vendita a distanza o i distributori
automatici.
 In alcuni casi le interfacce non impongono la copresenza fisica ma la copresenza temporale
necessaria.

Molte imprese utilizzano contemporaneamente più interfacce e più canali distributivi (es. banche,
tabacchini): l’utilizzo contemporaneo di differenti tipologie di canali ed interfacce è detto multicanalità.

Gestione del canale distributivo

La gestione del canale distributivo riguarda delle scelte che si presentano con una maggiore frequenza:
hanno carattere routinario. Sono delle decisioni di carattere tattico-operativo.

Le decisioni possono essere distinte in tre tipologie:

 Decisioni strategiche: sono le decisioni maggiormente rilevanti, che incidono in maniera profonda
sulle sorti di un’impresa. Non sono facilmente modificabili o se lo sono comportano un certo
impegno di risorse: sono modificabili con tipologie e forme diverse di intervento.
 Decisioni tattiche: hanno un impatto minore rispetto alle decisioni strategiche. Sono anche dette
decisioni organizzative ed hanno il compito di consentire l’assunzione di decisioni operative.
 Decisioni operative: sono decisioni di carattere routinario.

Sono decisioni strategiche la scelta del percorso e dei canali distributivi.

Dopo aver scelto il o i canali distributivi, si pone il problema di gestione del canale distributivo: ovvero
riguarda tutte le relazioni tra i soggetti che fanno parte del canale e il coordinamento delle attività da questi
123

svolte. Un canale è coordinato quando i suoi vari soggetti agiscono in modo da perseguire gli obiettivi del
canale come sistema, piuttosto che privilegiare i rispettivi obiettivi individuali, spesso conflittuali.

Soprattutto nel caso in cui ci si avvale di un canale indiretto, per l’impresa produttrice diventa essenziale
che le imprese intermediarie collaborino al raggiungimento degli obiettivi distributivi, evitando così di
interferire. L’impresa deve quindi regolare i rapporti che deve instaurare con l’intermediario. Si parla di
trade marketing: ovvero quelle iniziative che vengono svolte dal produttore nei confronti del distributore.
Sono operazioni di trade marketing: accordi sul posizionamento dei prodotti negli scaffali, problematiche
relative al rifornimento costante e all’invenduto del punto vendita, attività promozionali che vengono
svolte in sinergia tra produttori e distributori, ecc.

Nel trade marketing si distinguono quattro fasi:

1. Fase analitica: comprende l’analisi della domanda, della concorrenza, ecc.


2. Fase strategica: segmentazione, targeting e posizionamento.
3. Fase operativa: leve di trade marketing.
4. Fase di controllo: verifica dei risultati.

Le prime due fasi, la fase analitica e la fase strategica, sono analoghe a quelle del marketing management,
con la differenza che il punto di riferimento è rappresentato dall’intermediario.

Nella fase strategica è abbastanza frequente l’utilizzo del piano cliente-canale, in cui vengono specificati gli
obiettivi da conseguire riguardo un dato cliente-canale e la strategia che si intende perseguire.

Nella fase operativa vengono utilizzate alcune leve: per questo si parla di trade marketing mix.
Classificazione delle leve di trade marketing:

 Prodotto/assortimento: riguarda ad esempio la proposta di inserimento di nuovi prodotti in


assortimento.
 Comunicazione: comprende sia attività di comunicazione pubblicitaria che promozionale rivolta
specificatamente agli intermediari.
 Prezzo: fa riferimento alle condizioni di vendita praticate dal produttore al cliente intermediario.
Riguarda anche la concessione di premi e contributi di vario tipo.
 Distribuzione/logistica: riguarda interventi legati alla logistica, come ad esempio la programmazione,
la puntualità delle consegne, l’ottimizzazione del trasporto e della gestione del magazzino.

Nella fase di controllo le imprese produttrici verificano i risultati delle azioni intraprese, rispetto agli
obiettivi stabiliti, considerando indicatori di performance sintetici e rilevazioni validi per monitorare
l’impatto delle singole leve manovrate o del trade marketing mix. Le analisi condotte in questa fase sono
poi utili per impostare le strategie successive.
124

Lo sviluppo e il lancio dei nuovi prodotti

Un altro problema che l’impresa deve affrontare attiene anche alla eventuale modifica della value
proposition: la proposta di valore che l’impresa ha costruito, comunicato e distribuito, deve essere
costantemente revisionata. Alle volte non si tratta solo di intervenire sulle caratteristiche intrinseche del
prodotto: anche nel caso di prodotti di successo, l’impresa deve comunque cercare di proporre sempre
qualche elemento di novità.

La value proposition è oggetto di attenzione da parte sia della funzione marketing sia dell’innovazione:
“poiché lo scopo di un’azienda è creare un cliente, essa ha da svolgere due funzioni base, e solo due: il
marketing e l’innovazione”. (P. Drucker)

Tipicamente l’innovazione è compito della funzione di ricerca e sviluppo (R & S). L’attività dell’impresa si
articola in una serie di funzioni, tra le quali vi è la funzione R & S: si tratta di una funzione
fondamentalmente dedicata a generare innovazione.

Si distinguono tre tipi di innovazione:

 Innovazione di processo.
 Innovazione di prodotto.
 Innovazione di prodotto e di processo al tempo stesso.

Un’innovazione di processo è una tipologia di innovazione che si concretizza in una modifica dei processi
produttivi, continuando a realizzare sempre lo stesso prodotto. Si tratta di modificare i processi produttivi
per rendere i prodotti più economici, per svolgere i processi produttivi con maggiore economicità,
maggiore efficienza, maggiore sicurezza.

Si ha un’innovazione di prodotto si tratta di realizzare un nuovo prodotto utilizzando gli stessi processi
produttivi o comunque apportando delle modifiche minime.

Il caso più frequente riguarda le innovazioni di prodotto e di processo al tempo stesso: si modificano i
processi produttivi per ottenere dei prodotti differenti.

Questa attività di innovazione può essere svolta a seguito di sollecitazioni che fondamentalmente
provengono da due cause (vettori):

 Technology push: innovazione spinta dalla tecnologia.


 Demand pull: innovazione spinta dalla domanda.

Si ha technology push quando l’innovazione di prodotto si viene a realizzare perché l’impresa sviluppa una
propria attività di ricerca che la porta ad effettuare delle scoperte, che poi trovano applicazione in nuovi
prodotti (es. industrie farmaceutiche).

Si ha demand pull quando l’innovazione è “tirata” dalla domanda: l’innovazione nasce da una esigenza che
viene avanzata dal mercato. Quando il mercato manifesta un certo problema, l’impresa cerca la soluzione
al problema della realizzazione del prodotto: sulla spinta di questa esigenza viene creato il nuovo prodotto.

L’impresa si concentra spesso nell’innovazione del prodotto. Tuttavia non si può parlare di prodotto nuovo,
di novità, facendo riferimento al singolo individuo, perché ogni singolo individuo ha un proprio livello di
conoscenza: l’impresa deve guardare non al singolo ma all’insieme di soggetti che costituiscono il mercato.
125

L’innovazione presenta gradi di intensità differente. Tenendo conto di come il mercato percepisce
l’innovazione e tenendo anche conto della possibilità che il prodotto era stato realizzato dall’impresa, si
possono distinguere i livelli di novità: vengono distinte varie tipologie di innovazione di prodotto a seconda
della possibilità che il prodotto sia nuovo o meno per il mercato (novità per il mercato) e della possibilità
che il prodotto sia nuovo o meno per l’impresa (novità per l’impresa). Dalla combinazione di queste due
dimensioni e dei possibili livelli (elevata, media, limitata) è possibile distinguere 9 configurazioni di novità.

Matrice sulle tipologie di innovazioni di prodotto:

NOVITÀ PER IL MERCATO

Limitata Media Elevata

Elevata Imitazioni Category extensions New to the world


NOVITÀ PER L’IMPRESA

Media Miglioramenti prodotti Line extensions New to the market


esistenti

Limitata Riduzione di costi Riposizionamento Risegmentazione

Le 4 tipologie estreme sono:

 New to the world: si ha nel caso in cui un prodotto è nuovo per il mercato e nuovo per l’impresa. Si
tratta del massimo grado di innovazione: il prodotto è infatti nuovo per l’impresa, cioè non veniva
realizzato in precedenza dalla stessa impresa, e che va a soddisfare un bisogno che non veniva
soddisfatto da alcun tipo di prodotto presente sul mercato.
 Imitazione: il prodotto non viene percepito dal mercato come un prodotto nuovo ma come un
prodotto simile ad altri presenti sul mercato e che però la singola impresa non realizzava in
precedenza. Si tratta quindi di prodotti imitativi: il prodotto è nuovo per l’impresa, ma non lo è per il
mercato. Il livello di innovazione è molto più basso.
 Riduzione dei costi: il livello di novità del prodotto è limitata sia per l’impresa sia per il mercato. Si
tratta di lanciare un prodotto fondamentalmente simile ad altri presenti sul mercato e simile ad altri
prodotti che già l’azienda offriva. In questo caso la ragione per cui viene offerto questo tipo di
prodotto è quella di ridurre, di contenere i costi. Il livello di innovazione è ancora più basso rispetto ai
livelli precedenti.
 Risegmentazione: il prodotto è nuovo per il mercato ma non lo è per l’impresa. Si realizza questo
tipo di innovazione quando si individuano nuove destinazioni d’uso del prodotto, andando così a
soddisfare nuove esigenze del mercato.

L’innovazione è frutto di un processo abbastanza articolato. Le fasi che introducono al nuovo prodotto si
possono ricollegare al ciclo di vita del prodotto: la fase antecedente al ciclo di vita del prodotto corrisponde
126

infatti alla fase del concepimento e della gestazione, che mostra come nasce il nuovo prodotto, e che porta
alla vendita della prima unità.

Principali fasi del processo di sviluppo di un nuovo prodotto:

Creazione delle idee

Selezione delle idee

Sviluppo del prototipo

Sviluppo del prodotto

Lancio del prodotto

Tempo

La fase antecedente al ciclo di vita del prodotto parte dallo sviluppo, dalla creazione delle idee. Queste idee
vengono confrontate e selezionate: di quella che si ritiene possa avere maggiori probabilità di successo
viene realizzato il prototipo, utile a verificare le funzionalità del prodotto e a risolvere le problematiche. A
seguito della realizzazione del prototipo e alla risoluzione di ulteriori possibili problematiche, si passa allo
sviluppo del prodotto: si apportano le modifiche al prototipo per realizzare il prodotto “definitivo”. Si
procede successivamente al lancio del prodotto sul mercato: ha così inizio tutto il ciclo di vita del prodotto.

Questo processo, che conduce alla realizzazione del prodotto, può essere sviluppato secondo due approcci:

 State-gate.
 Concurrent engineering.

L’approccio state-gate è un approccio basato su un criterio di progettazione basato sulla razionalità. Il


processo innovativo viene ripartito in una serie di fasi relative alle principali attività da svolgere per
trasformare un’idea innovativa in un prodotto finito. Il processo non è più concepito come casuale, ma
presenta una struttura completamente organizzata, costruita intorno ad una serie di fasi separate. Questo
approccio parte dall’osservazione del’ambiente esterno, per cercare di capire le esigenze del consumatore,
per poi svilupparsi in modo sequenziale passando da un’analisi aziendale, alla selezione dell’idea, allo
sviluppo di essa, fino ad arrivare alla commercializzazione. Ciascuna fase risulta funzionale allo svolgimento
della fase successiva.

L’approccio cuncurrent engineering mira ad attivare l’ambiente esterno e a produrre e diffondere in modo
continuativo la conoscenza necessaria alla creazione di nuovi prodotti. Secondo questo approccio l’impresa
non deve quindi adattare il processo innovativo all’ambiente esterno, come accadeva nel processo
razionalista, ma piuttosto deve fare in modo che le proprie azioni portino a creare nuovi stimoli ambientali
(processo di attivazione del mercato). Ogni fase non è rigida come nel processo state-gate, grazie allo
svolgimento in parallelo di alcune delle fasi del processo di innovazione e quindi grazie all’impiego di
127

diverse competenze: la struttura del processo diventa quindi circolare. Ne consegue una maggiore
ottimizzazione di efficacia ed efficienza.

Il processo di sviluppo del nuovo prodotto è un processo che può prevedere il coinvolgimento anche da
parte dei clienti: sempre più spesso i clienti vengono coinvolti nella creazione e nel lancio dei nuovi
prodotti. Il coinvolgimento dei clienti nel processo di innovazione giustifica questo ruolo di “cuscinetto” del
marketing tra funzione R & S e cliente.

Nel coinvolgimento del cliente si vengono a distinguere due figure particolari:

 Lead user.
 Trend setter.

I lead user sono delle figure particolari di clienti che intervengono nel processo di innovazione del prodotto,
soprattutto nei rapporti B2B: sostanzialmente sono altre imprese, a cui vengono venduti i prodotti, che
sviluppano nuovi prodotti e che sono disposti a collaborare con l’impresa produttrice. I lead user sono quei
soggetti con la quale l’impresa prioritariamente tende a relazionarsi: dal loro coinvolgimento si migliorano i
prodotti. I lead user hanno tre caratteristiche: hanno un evidente beneficio economico derivante
dall'introduzione dell'innovazione e, proprio per questo, essi sono altamente motivati e incentivati; hanno
un forte grado di expertise e quindi possono "dire la loro" con evidente cognizione di causa; riescono ad
anticipare il bisogno nel mercato mesi o a volte anni prima che questo si manifesti in modo evidente.

I trend setter sono quelle figure che intervengono maggiormente nei mercati di consumo (B2C). Vengono
coinvolti soprattutto nella fase di lancio dei prodotti: sono quei soggetti che creano tendenza, agevolano il
lancio dei nuovi prodotti, perché, soprattutto oggi, attraverso mezzi come i social, riescono a creare
opinione. Sono dei soggetti che in qualche modo “indicano la strada” alle imprese.

In genere l’adozione di un nuovo prodotto e quindi la creazione del nuovo prodotto è un processo graduale
che va a coinvolgere un numero via via crescente di soggetti, per poi declinare. L’adozione dell’innovazione,
ovvero i diversi tipi di clienti che adottano comportamenti differenti in risposta al lancio, è descritta dalla
curva di Rogers: la curva di Rogers rappresenta quindi la curva dei nuovi adottanti.

34 -
PERCENTUALE

13,5 -

2,5 -

Pionieri Primi Maggioranza Maggioranza Ritardatari


adottanti anticipatrice ritardataria

TEMPO
128

A differenza del grafico che descrive il ciclo di vita di un prodotto dove nell’asse delle ordinate venivano
considerate le vendite, nel caso della curva di Rogers, nell’asse delle ordinate, vengono considerati i
soggetti che adottano quel prodotto, che acquisiscono la novità. Vengono esclusi i riacquisti da parte dello
stesso soggetto.

È una curva che generalmente rispecchia come un’innovazione di prodotto viene man mano adottata. Nella
prima fase vi è un piccolo numero di soggetti adottanti di fronte al nuovo prodotto; segue una fase in cui il
numero delle adozioni tende ad aumentare in maniera più sensibile: questi soggetti sono i pionieri o primi
adottanti. Il numero tende ad ampliarsi, tuttavia il percorso della distribuzione è declinante: più il prodotto
viene adottato, meno saranno i soggetti “residui” che non hanno adottato il prodotto.

Secondo Rogers, è possibile frammentare la popolazione in 5 tipi di soggetti:

1. Pionieri: i soggetti che acquistano il prodotto in netto anticipo rispetto al mercato di massa.
2. Primi adottanti: i soggetti che acquistano il prodotto dopo i pionieri ma prima del mercato di massa.
3. Maggioranza anticipatrice: i soggetti del mercato di massa che adottano per primi il prodotto.
4. Maggioranza ritardataria: più o meno lo stesso numero di soggetti della maggioranza anticipatrice. I
soggetti acquistano il prodotto con lieve ritardo.
5. Ritardatari: rappresentano la coda della distribuzione del mercato.

La curva di Rogers ha particolare efficacia nel descrivere l’adozione della tecnologia, come ad esempio
l’adozione dei telefoni: inizialmente, per via dei costi eccessivi, il telefono era acquistabile solo da pochi
soggetti (pionieri e primi adottanti); con la diminuzione dei costi, i soggetti che si potevano permettere il
telefono sono aumentati sensibilmente (maggioranza anticipatrice e ritardataria); oggi anche i soggetti più
anziani possiedono un telefono (ritardatari), e sono veramente pochi gli individui residui che non hanno
comprato un telefono (ad es. i bambini sotto i 5 anni).
129

MODULO 5: CONTROLLO E PIANIFICAZIONE DEL VALORE

Concetti introduttivi

L’ultima fase del marketing management riguarda le fasi di controllo e pianificazione del valore, ovvero:

1. Controllo: accertare l’accettazione della value proposition.


2. Pianificazione: sintetizzare le decisioni circa la futura value proposition.

Attività di controllo: sistema informativo di marketing e ricerche di mercato

Attività di controllo

Dopo aver comunicato e distribuito il prodotto, il prodotto stesso viene messo sul mercato.

L’impresa deve infine verificare se riesce a raggiungere i propri obiettivi: in particolare l’impresa deve
accertare se vi è stata l’accettazione o meno della propria value proposition.

Si svolge l’attività di controllo (dell’area marketing): l’attività di controllo è rivolta innanzitutto ad accertare
il grado di accettazione della value proposition.

L’attività di controllo è un processo circolare in quanto da questa attività si acquisiscono dati e informazioni
che serviranno poi per pianificare l’attività futura: in sostanza serve per correggere gli eventuali errori e le
cause degli errori e quindi reimpostare nuovamente tutto il processo di marketing management.

Vengono utilizzati una serie di indicatori per verificare l’accettazione della value proposition. Indicatori di
accettazione:

 Le analisi delle performance di vendita (fatturato, volumi).


 La quota di mercato.
 I margini e i profitti.
 La valutazione del rapporto tra le vendite e i costi di marketing.
 Brand Awareness.
 Customer satisfaction e loyality.

L’indicatore delle performance di vendita è un indicatore che riguarda le vendite. L’impresa giudica se la
value proposition è stata accettata a seconda di quanti prodotti sono stati venduti o quante persone hanno
acquistato il prodotto. L’impresa giudica in termini di performance espresse o sottoforma di valore o
sottoforma di volumi (quantità fisiche del prodotto).

Si può verificare l’accettazione in relazione alla quota di mercato. Mentre l’indicatore delle performance di
vendita è un indicatore che consente di giudicare il risultato dell’impresa soltanto con riferimento a
situazioni passate e non a confronti di tipo parziale, attraverso la quota di mercato si può verificare se
l’impresa ha un effettivo guadagno in rapporto al mercato e alle concorrenti. Con la scomposizione della
quota di mercato, il grado di copertura e il grado di penetrazione, si può verificare non soltanto in termini
generali, ma anche in diversi target che l’impresa vuole servire: l’impresa si può accorgere ad esempio che
la propria value proposition è stata accolta maggiormente da un certo segmento di mercato piuttosto che
un altro.
130

L’accettazione va valutata anche in termine di margine e di profitto: anche se ad esempio l’impresa vede
aumentare le proprie vendite, questo risultato va visto anche in relazione alle strategie attuate e quindi ad
una eventuale riduzione dei margini.

La valutazione del rapporto tra le vendite e i costi di marketing si ricollega ad efficacia ed efficienza: un
risultato può anche essere conseguito, ma il modo in cui l’impresa ha operato può essere stato inefficiente
in termini di investimenti.

Si può valutare l’accettazione guardando la brand awareness: ovvero la conoscenza e la notorietà della
marca, quindi se la marca è cresciuta nell’apprezzamento.

Altri indicatori sono la fedeltà e la customer satisfaction.

Tanti sono gli indicatori che l’impresa può utilizzare per cercare di indicare l’accettazione della value
proposition. Tuttavia si tratta di indicatori non esclusivi, ma che si integrano a vicenda.

L’attività di controllo deve essere svolta non soltanto a conclusione, ma in tutte le fasi: il controllo è svolto
lungo tutte le fasi del processo di marketing management. Si parla di controllo concomitante.

Sistema informativo aziendale

L’attività di controllo nel marketing si sviluppa attraverso il sistema informativo di marketing (SIM): si
intende un insieme di persone preposte specificatamente allo svolgimento di queste attività di funzione di
informazioni che si avvalgono di una serie di strumentazioni, di macchine e di software particolari e che
seguono delle procedure particolari. L’insieme strutturato degli individui, delle macchine, dei software e
delle procedure necessarie configurano l’intero sistema informativo di marketing (SIM = Individui –
macchine – procedure).

Il sistema informativo di marketing ha sia il ruolo di produrre informazioni in grado di esercitare il controllo,
cioè verificare se gli obiettivi prefissati sono stati raggiunti, sia il ruolo di fornire informazioni per assumere
delle decisioni: il SIM non opera solo a conclusione del processo.

Nell’ambito della SIM, va distinto il concetto di dato da quello di informazione (dato ≠ informazione).

Il dato è un elemento grezzo che in genere di per sé non è utile per l’assunzione delle decisioni. Per poter
essere strumentale all’assunzione delle decisioni, quindi affinché il dato si trasformi in informazione, deve
essere oggetto di un processo di elaborazione:

PROCESSO DI
DATI ELABORAZIONE
INFORMAZIONE

In base alla provenienza dei dati si distinguono fonti interne e fonti esterne:

 Dati interni: sono quei dati che provengono da fonti interne all’impresa.
 Dati esterni: sono quei dati che provengono al di fuori dell’impresa (es. dato fornito dall’ISTAT).

Un’altra distinzione è tra dati primari e dati secondari:


131

 Dati primari: sono quei dati che vengono acquisiti direttamente per una particolare necessità, per
una particolare finalità di ricerche (es. indagine sulla soddisfazione del cliente). Sono dati costruiti
appositamente dall’impresa.
 Dati secondari: sono quei dati già disponibili e che si vogliono destinare per altro scopo, ovvero sono
utili per la ricerca che si vuole intraprendere, anche se non sono esplicitamente costruiti per tale
scopo. Sono dati costruiti per altre finalità, ma dalle quali si può desumere altre informazioni.

L’insieme dei dati provenienti dall’ambiente e/o dall’impresa vengono acquisiti ed elaborati dal sistema
informativo di marketing al fine di generare informazioni utili a chi deve assumere le decisioni.

Tale sistema informativo, che acquisisce i dati e li trasforma in informazioni, è un sistema costituito a sua
volta da quattro sotto-sistemi:

 Sub sistema della rilevazione interna.


 Sub sistema informativo di mercato.
 Sub sistema della ricerca di mercato.
 Sub sistema dei modelli di marketing.

Al sub sistema della rilevanza interna e al sub sistema informativo di mercato compete l’analisi dei dati
secondari. In particolare, il sub sistema della rilevanza interna si occupa della raccolta, conservazione e
trattamento dei dati necessari alla gestione aziendale. Il sub sistema informativo di mercato comprende
invece i dati riguardanti il macro e il microambiente.

Il sub sistema di ricerca del marketing prevede la raccolta di dati primari esternamente all’impresa: si
tratta quindi di rilevazioni ad hoc.

Il sub sistema dei modelli di marketing presidia due aree: l’insieme delle strumentazioni statistiche che
consentono l’analisi dei dati grezzi provenienti dal mercato; l’insieme dei modelli di marketing.

FONTE DEI DATI


Sub sistema rilevazione
interna

Ambiente Sub sistema informativo di


mercato Decisioni di
MKTG
Sub sistema di ricerca del
Azienda mercato

Sub sistema di modelli di


marketing

FLUSSO DI DATI FLUSSO DI INFORMAZIONI

Il sistema informativo di marketing ha il compito di acquisire i dati provenienti o dall’azienda stessa o


dall’esterno e rielaborarli per ottenere informazioni utili alla acquisizione e alla assunzione di decisioni.
132

Ricerche di mercato

L’acquisizione delle informazioni da dati primari si articola in varie fasi, che prendono il nome di ricerca di
marketing. Le ricerche di marketing rappresentano un elemento fondamentale per qualsiasi decisione di
marketing.

Le fasi di una ricerca di marketing sono:

1. Definizione dell’obiettivo di ricerca.


2. Definizione del disegno di ricerca.
3. Raccolta dei dati.
4. Elaborazione dei dati.
5. Presentazione di un report.

La definizione del disegno di ricerca è strettamente correlata alla definizione dell’obiettivo. A seconda
dell’obiettivo possono essere effettuate:

 Ricerca esplorativa: è una ricerca di tipo qualitativo. È volta a chiarire la natura di un problema, ad
acquisire una migliore comprensione di una situazione di mercato e a fornire indicazioni per indagini
future.
 Ricerca descrittiva: è una ricerca di tipo quantitativo. Stabilisce la frequenza con la quale un dato
fenomeno si verifica o definisce il rapporto tra due variabili. Un esempio è quello di definire la
struttura di un mercato.
 Ricerca causale: è una ricerca di tipo quantitativo. Si propone di determinare i rapporti causa-effetto
tra variabili.

La fase successiva riguarda la raccolta di dati primari: le ricerche di marketing hanno l’obiettivo di acquisire
questi dati attraverso varie modalità.

Se la ricerca è di tipo qualitativo, la raccolta può avvenire:

 Attraverso interviste in profondità. Si tratta di colloqui individuali gestiti da un ricercatore


specializzato. La distinzione più importante è tra interviste semistrutturate, ovvero un’intervista con
una serie di domande aperte dirette o indirette, e interviste non direttive, ovvero un’intervista con
una domanda iniziale e delle domande successive formulate a seconda delle risposte ottenute.
 Attraverso discussioni focus-group, ovvero quando ad un insieme di soggetti, riuniti in unico luogo,
viene chiesto di discutere su un particolare problema. Le discussioni focus-gruop possono avere al
loro interno un soggetto moderatore oppure un soggetto che si pone all’esterno.
 Attraverso l’osservazione partecipata, ovvero utilizzando dei meccanismi di rilevazione per vedere il
comportamento o l’atteggiamento degli individui.

Se la ricerca è di tipo quantitativo, la raccolta può avvenire:

 Attraverso il sondaggio. Consiste nell’intervista strutturata (somministrazione di un questionario) ad


un campione opportunamente selezionato di soggetti. Il questionario prevede una serie di domande
aperte e chiuse, predisposte in un preciso ordine.
 Attraverso l’osservazione strutturata. Consiste in un processo sistematico di registrazione degli
schemi comportamentali di persone, senza che il ricercatore comunichi con loro. La realizzazione di
133

un’indagine di questo tipo presuppone la messa a punto di una griglia di osservazione, in modo da
prendere nota sistematicamente dei comportamenti oggetti di studio.

La ricerca di marketing può essere interna (marketing intelligence) o esterna (ricerche ad hoc): tutti questi
dati possono essere infatti raccolti o dalla stessa impresa o avvalendosi di soggetti esterni, come le società
di ricerche di mercato.

Questo genere di raccolta può essere commissionata dall’impresa ad altre organizzazioni: in questo caso i
risultati, e quindi i dati che vengono forniti, sono di esclusiva proprietà dell’impresa committente, con la
conseguenza che i costi della commissione verranno coperti in gran parte, se non interamente, dall’impresa
stessa. In altri casi invece queste società di ricerche di mercato svolgono le ricerche indipendentemente
dalla commissione di un’impresa, per poi vendere il rapporto alle imprese interessate: in questa situazione
le informazioni contenute nei report potranno essere utilizzate da più soggetti anche tra loro in
concorrenza, con la conseguenza che i costi sostenuti per svolgere le ricerche saranno frazionate su tutti gli
acquirenti del rapporto.

Piano di marketing

Tutti i dati ottenuti dall’attività di controllo, mediante il sistema informativo di marketing, devono trovare
impiego per la costruzione del piano di marketing.

Il piano di marketing è un documento nel quale sono sintetizzati tutte le fasi del processo di marketing
management: tutti gli aspetti del marketing management trovano un momento di sintesi nel piano di
marketing. Il piano di marketing è un documento che si inserisce nella pianificazione aziendale.

Distinzione tra programmazione e pianificazione aziendale:

 La programmazione è di più breve termine (es. un mese).


 La pianificazione è tipicamente di lungo termine.

Nell’ambito del marketing, la distinzione tra programmazione e pianificazione tende a cadere: il periodo
storico attuale è caratterizzato dalla dinamicità. Le imprese in genere non fanno piani superiore ai 5-10 anni
perché le condizioni potrebbero completamente modificarsi in poco tempo. È una scelta che dipende
comunque da molti fattori, come il settore in cui opera l’impresa.

La pianificazione svolta dalle imprese si concretizza nel business plan o piano d’impresa: è un piano che
tende a definire l’intera attività svolta dall’impresa in un arco temporale molto variabile. In tema di
marketing, il piano di marketing è una parte del business plan: il piano d’impresa comprende il piano di
marketing, dove il piano di marketing è probabilmente l’elemento più importante perché tutte le attività
(es. investimenti da effettuare, vendite) partono del piano di marketing.
134

Il piano di marketing si articola in una serie di fasi. Struttura tipica del piano di marketing:

INTRODUZIONE AL PIANO

ANALISI DELLA SITUAZIONE


DI MARKETING

SWOT ANALYSIS

PLANNING

CONTROLLO DI
MARKETING

L’introduzione al piano di marketing si compone di due elementi:

1. Il sommario per l’esecutivo (executive summary).


2. La definizione della mission e degli obiettivi di fondo.

INTRODUZIONE AL PIANO
EXECUTIVE SUMMARY MISSION & OBIETTIVI DI FONDO

L’executive summary è sostanzialmente una sintesi dell’intero piano di marketing: è una sorta di sommario
in cui vengono evidenziati gli aspetti maggiormente rilevanti del piano e le idee di fondo del piano stesso.

La funzione del sommario è quella di fornire poche informazioni ma giuste. Nella scala gerarchica
dell’impresa, chi assume decisioni, le prende su dei rapporti sempre più sintetici: più informazioni si hanno
più si può verificare il fenomeno della ridondanza informativa, ovvero si creano dei meccanismi in cui si è
bloccati dalle decisioni.

Il sommario è quindi una sintesi del piano di marketing che serve per dare all’esecutivo una prima
immagine. L’executive summary serve anche per i soggetti finanziatori che devono o vogliono finanziare
l’impresa.
135

Definizione, secondo Pearce, della mission, della missione aziendale: “un enunciato definito in termini ampi
e duraturi dello scopo che contraddistingue l’impresa e identifica il suo campo di attività in termini di
prodotto e mercato”. La missione dell’impresa viene definita in termini di prodotto-mercato: l’impresa si
identifica nella realizzazione dei prodotti.

Questo concetto di missione proposto da Pearce oggi è superato. La mission non viene più definita avendo
una visione incentrata sull’impresa, ma viene sempre più definita sulla customer based view: si ha quindi
una mission definita non tanto in termini di prodotto e di mercato, quanto in termini di bisogni. Oggi la
missione aziendale viene sempre più definita in termini di bisogni da soddisfare: la missione serve per
individuare le attività, i servizi, i beni che l’impresa può offrire nel futuro tenendo conto di quella che è la
mission. La mission è un’idea dalla quale poi scaturiscono le possibilità di business per l’impresa.

Se l’impresa ha una mission orientata al prodotto, il rischio dell’impresa è che continui a concentrarsi solo
nella produzione e che rimanga quindi sempre nello stesso business; se l’impresa ha una mission orientata
ai bisogni, l’impresa può prendere in considerazione anche opportunità di sviluppo con modalità diverse:
l’impresa ha una visione più ampia che offre nuove opportunità di sviluppo.

Esempio mission Nike: da una mission orientata al prodotto (“vendiamo scarpe e attrezzature sportive”) ad
una mission orientata al cliente (“portiamo ispirazione e innovazione a ogni sportivo del mondo”).

La mission rappresenta un caso di applicazione del principio della customer based view.

Orientamento al prodotto -> Orientamento al marketing

La fase successiva è l’analisi della situazione di marketing: si fa riferimento ad un controllo, una verifica
dell’ambiente di marketing, della struttura e delle risorse aziendali. Si compone di due fasi:

1. L’analisi o audit dell’ambiente esterno.


2. L’analisi o audit interno, della struttura e delle risorse aziendali.

ANALISI DELLA SITUAZIONE DI MARKETING


AUDIT ESTERNO: AMBIENTE DI AUDIT INTERNO: STRUTTURA E RISORSE
MARKETING AZIENDALI

L’analisi o audit dell’ambiente esterno analizza appunto l’ambiente nel quale l’impresa va ad operare. Si
analizza e si riporta, sottoforma di informazioni, la situazione ambientale in un determinato momento o
nell’arco temporale a cui fa riferimento il piano di marketing.

L’audit esterno è volto alla conoscenza dell’ambiente di marketing e delle forze che in esso operano e
contribuiscono ad influenzare il comportamento dei clienti e dei concorrenti: l’obiettivo è quello di
evidenziare quali sono e come si comportano queste forze in modo da identificare e valutare minacce e
opportunità offerte. Tra le forze principali che agiscono nell’ambiente esterno si distinguono:

 Forze economiche (es. andamento della produzione industriale, reddito disponibile e spendibile da
parte delle famiglie, livello di occupazione, andamento dei prezzi, ecc.).
 Forze socio demografiche: riguardanti le caratteristiche e i cambiamenti del quadro socio
demografico.
136

 Forze tecnologiche e politiche. Si fa riferimento alla disponibilità di nuove tecnologie, di materiali


sostitutivi, ecc., per quanto riguarda le forze tecnologiche. Si fa invece riferimento al ruolo giocato
dalla politica e alla conseguente presenza di norme che possono limitare o estendere il campo
d’azione competitivo delle imprese, per quanto riguarda le forze politiche.
 Forze competitive. L’impresa deve guardare alle qualità delle risorse aziendali a disposizione e alle
minacce provenienti dalla concorrenza. Le valutazioni delle forze competitive deve indicare e
descrivere quali sono i principali competitori diretti e indiretti.

Tramite l’analisi di queste forze si determina l’esistenza o meno di opportunità non ancora sfruttate a
livello di mercato ed eventualmente di minacce che potrebbero ostacolare il successo della value
proposition dell’impresa.

L’analisi o audit interno analizza la struttura e le risorse, materiali e immateriali, tecniche ed umane,
dell’azienda.

Va compiuta un’analisi sulle aree dell’audit interno:

 Offerta: è una valutazione che riguarda il valore offerto dall’impresa al target servito.
 Politiche di prezzo: riguarda le politiche di pricing. Devono essere definite in modo chiaro le strategie
e le tattiche riguardanti il prezzo.
 Comunicazione: riguarda le principali attività di comunicazione svolte dall’impresa.
 Distribuzione e vendite: riguarda le scelte a livello dei canali distributivi (es. tipologie di canale, di
intermediari) e della forza di vendita.

Tutta l’analisi della situazione di marketing serve poi a sviluppare la SWOT analysis.

SWOT ANALYSIS
ANALISI ESTERNA: ANALISI INTERNA:
OPPORTUNITÀ /MINACCE FORZE/DEBOLEZZE

La SWOT analysis è lo strumento attraverso il quale l’impresa analizza le opportunità e le minacce, i punti di
forza e i punti di debolezza dell’impresa. Attraverso la SWOT analysis l’impresa cerca di individuare quali
sono i punti di forza e di debolezza che scaturiscono dall’audit interno, quindi dalle risorse, e quali sono le
opportunità e le minacce che scaturiscono dall’ambiente esterno di marketing. Nel piano di marketing tutti
e quattro gli elementi (opportunità, minacce, forze e debolezze) devono essere combinati tra di loro: non si
sviluppa una semplice analisi passiva, ma si tratta di considerare la possibilità di trasformare le minacce in
opportunità e i punti di debolezza in punti di forza.
137

Si ricorre alla matrice SWOT:

MATRICE SWOT

Strategia SO Strategia WO
Opportunità (O) (utilizzare le forze per trarre vantaggio (trarre vantaggio dalle opportunità
dalle opportunità) attraverso il superamento delle debolezze)
Strategia ST Strategia WT
Minacce (T) (utilizzare i punti di forza per evitare le (rendere minime le debolezze ed evitare le
minacce) minacce)

Forze (S) Debolezze (W)

Si individuano 4 diverse strategie:

 Strategia SO: si ha quando un’impresa individua se ci sono delle opportunità sul mercato e all’interno
ha le capacità per sfruttare queste opportunità.
 Strategia WO: si ha quando un’impresa individua delle opportunità, ma non ha le capacità per
sfruttarle, cioè alle opportunità corrispondono delle debolezze. L’obiettivo è superare queste
debolezze.
 Strategia ST: si ha quando l’impresa avverte delle minacce ma può utilizzare i propri punti di forza
per superarle.
 Strategia WT: si ha quando l’impresa avverte delle minacce su punti di debolezza. È la situazione
peggiore per un’impresa: per questo la strategia WT è rivolta a rendere minime, a contenere
debolezze per affrontare le minacce.

La fase successiva è la fase della pianificazione (planning). Per quanto riguarda la pianificazione in senso
stretto si tratta di:

1. Definire gli obiettivi di marketing.


2. Stabilire il programma d’azione.
3. Definire le scelte di struttura.
4. Definire il budget.

Gli obiettivi di marketing possono essere espressi in termini di fatturato che si vuole raggiungere, in
volume di vendita, in quote di mercato, in Brand Awerness, in termini di fedeltà e customer satisfaction. Gli
obiettivi di marketing per semplicità possono essere raggruppati in tre categorie:

 Obiettivi economici (es. fatturato).


 Obiettivi competitivi: fanno riferimento al livello di qualità del prodotto, al posizionamento
competitivo, alla quota di mercato, ecc.
 Obiettivi relazionali: fanno riferimento alla notorietà del prodotto, alla customer satisfaction, alla
fiducia ecc.

Per raggiungere gli obiettivi di marketing è necessario stabilire il programma d’azione: in particolare deve
essere subito chiaro cosa si vuole offrire, con che benefici e a che prezzo. È utile anche stabilire una
tempistica (timing) delle attività che bisogna svolgere in seguito.
138

Le scelte di struttura comprendono gli investimenti da effettuare circa le caratteristiche degli impianti, dei
processi produttivi, ecc. Queste scelte di struttura devono essere poi quantificate.

La definizione del budget consente al management di valutare la reale fattibilità delle azioni di marketing
previste. Il budget fornisce un’indicazione del margine atteso, risultante dal confronto dei ricavi con le
spese di marketing e vendite pianificate. La parte alta del budget fa riferimento al volume e al ricavo per il
periodo di riferimento; nella parte bassa del budget sono presenti invece le spese di marketing.

Il budget costituisce il presupposto necessario per la successiva verifica degli obiettivi.

L’ultima fase del piano di marketing è la fase del controllo di marketing: serve a definire l’attività di
controllo. L’attività di controllo si fonda sull’attività di verificare quelli che erano gli obiettivi.

PLANNING

OBIETTIVI DI PROGRAMMA SCELTE DI


BUDGET
MARKETING D'AZIONE STRUTTURA

CONTROLLI DI MARKETING

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