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L’INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DELL’ESSERE

Il sentimento delle possibilità della filosofia di Kierkegaard si rapporta alla


scelta di una coppia di opposizioni: leggerezza e pesantezza.
Questi concetti diametralmente opposti sono delle teorie espositive che
rimandano al loro contrario.
Analizzando il loro significato etimologico la parola leggerezza indica l’assenza
di peso. Dal latino levitas, levis indica anche rapidità e fugacità.
Il suo opposto gravitas indica non solo il peso reale, ma anche quello
figurativo: ovvero l’atteggiamento, o il modo di essere, contrario a quello della
leggerezza. Gravitas rappresenta la consapevolezza e un atteggiamento
passivo nei confronti del divenire.
Leggerezza e pesantezza sono dei concetti chiave per determinare
l’atteggiamento e l’attaccamento dell’uomo alla vita, poiché essa è distinta da
un legame statico e materiale, e l’abilità di poter esistere in quanto persona
libera.
La pesantezza del fardello ci schiaccia e ci opprime: tanto più il fardello è
pesante, maggiore è il nostro attaccamento alla vita. Tuttavia l’assenza
assoluta di un fardello fa smarrire l’uomo facendolo allontanare dalla terra
talmente tanto da rendere la sua vita priva di significato.
L’insostenibile peso della leggerezza si traduce nell’incapacità dell’uomo di
scivolare, secondo un principio di libertà, sulla superficie delle cose senza
farsene catturare. In contrasto con la leggerezza e l’evanescenza della vita
sostenuta da Nietzsche (dove N. lo dice? Almeno una citazione), si ha la
continua necessità dell’uomo di attribuire ad ogni cosa un significato
rimanendo così pesantemente attaccato alla terra.
L’ancoraggio dell’uomo a certezze precarie fa sì che egli diventi schiavo della
gravitas e che il «fardello più pesante» lo schiacci al suolo, alimentando
così la sua resistenza al divenire e l’attrazione all’esser stato e al dover essere.

La leggerezza dell’essere si risolve così in un insostenibile dubbio:


voler rimanere pesantemente attaccati a terra per paura di
perdersi, e l’essere attratti da tutto ciò che è leggero, e dalla
volontà di liberarsi dal proprio fardello.
Ma davvero la pesantezza è terribile e la leggerezza è meravigliosa?

“Che cosa dobbiamo scegliere, allora? La pesantezza o la leggerezza? Questa


domanda se l'era posta Parmenide nel sesto secolo avanti Cristo. Egli vedeva
l'intero universo diviso in coppie di opposizioni: luce-buio, spesso-sottile,
caldo-freddo, essere-non essere. Uno dei poli dell'opposizione era per lui
positivo (la luce, il caldo, il sottile, l'essere), l'altro negativo.
Questa suddivisione in un polo positivo e in uno negativo può apparirci
di una semplicità puerile. Salvo in un caso: che cos'è positivo, la
pesantezza o la leggerezza?
Parmenide rispose: il leggero è il positivo, il pesante è negativo. Aveva ragione
oppure no? Questo è il problema. Una sola cosa era certa: l'opposizione

pesante-leggero è la più misteriosa e la più ambigua tra tutte le opposizioni. ”

“A differenza di Parmenide, per Beethoven la pesantezza era a quanto pare


qualcosa di positivo […] la pesantezza, il valore, e la necessità, sono tre
concetti intimamente legati tra di loro: solo ciò che è necessario è pesante,

solo ciò che pesa ha valore. ”

(da: L’insostenibile leggerezza dell’essere – Milan Kundera)


Il peso del vivere si trasforma in una costrizione che alimenta le esigenze e i
bisogni dell’uomo determinando così un senso di angoscia e alienazione.
Il concetto di alienazione occupa un posto importante nella storia del pensiero
sociologico. Tuttavia alienazione è una parola malata poiché soffre di quello
che i lessicologi chiamano sovraccarico semantico e a forza di significare tanto
rischia di non significare più nulla.
All’origine la parola appartiene soprattutto al linguaggio giuridico per indicare
cessione del titolo di proprietà. L’uso attuale della parola proviene soprattutto
dagli studi di Marx sull’alienazione del ceto operaio nel lavoro in fabbrica. Ben
presto questa parola entrò nel vocabolario sociale indicando coloro che hanno
perso il senso di partecipazione alla vita comunitaria. Indica l’immedesimazione
del soggetto nell’oggetto. L’uomo diventa quindi smarrito e viene colpito nella
propria interiorità, strappandolo così dalla sua autenticità.
Kierkegaard concretizza la leggerezza del seduttore ma anche la pesantezza e
l’alienazione che egli ha nel sopportare la vita da esteta (fai almeno una
citazione). Il male di vivere e l’angoscia diventano punti fondamentali per la
sua filosofia e l’incarnazione di Kierkegaard nella figura del Don Giovanni
risulta pesante in quanto limita la sua visione del mondo nel senso assoluto e
individuale, ma non comunitario.
Lo stesso Kierkegaard afferma (dove?) che i rapporti sociali non sono basati su
una delicata e fedele comprensione, ma sull’abilità della prevaricazione e della
seduzione intellettuale.

Da questa prima analisi emerge la fragilità dell’animo del seduttore il quale,


soffriva di una certa exacerbatio cerebri ovvero la seduzione intellettuale:
l’arte di sedurre e di lasciarsi sedurre con le doti dello spirito e della parola.
Per introdurre il concetto di questa “malattia psicologica” bisogna analizzare lo
stadio estetico dell'esistenza, il quale è caratterizzato dall’ istante e dall’
immediatezza.

L’estetica di cui ci parla Kierkegaard non è, come invece in Schopenhauer e nel


senso moderno del termine, una dottrina sull'arte e la bellezza artistica o
naturale, ma è un’analisi della vita vissuta "ballando il valzer dell'istante"
(citazione precisa).
Il diario del seduttore
Don Giovanni seduce con l’immediatezza del proprio desiderare. Desiderare,
vedere e amare non sono tre momenti distinti in successione logica e
temporale, ma tre facce di uno stesso atto.

L’erotismo immediato e la genialità sensuale sono caratterizzare da una


seduzione intellettuale data dalla somma di questi tre momenti che si staccano
da una collocazione spazio-temporale e entrano nell’immediatezza.

Don Giovanni infatti non ha contorni o consistenza e non può essere espresso
spazialmente o plasticamente. Questo impedisce alla genialità sensuale di
essere rappresentata in maniera plastica, né scolpita né dipinta, perché essa
non risiede in un momento ma è la successione frenetica di momenti che non
possono essere fermati da un’immagine scultorea o pittorica.

Non a caso Kierkegaard descrive il Don Giovanni come qualcosa di


assolutamente lirico, in quanto un elemento di forza sonora (musica, respiro,
insofferenza o passione) arriva in maniera sintetica e immediata
all’interlocutore.

Come afferma Kierkegaard “Don Giovanni quindi non deve essere visto ma
ascoltato.” (Citazione precisa) Egli seduce in virtù dello spirito, ovvero in virtù
del suo stesso desiderare, perciò voler ridurre questo personaggio a dimensioni
fisiche equivale a eliminare la spinta interiore che muove il seduttore.

Soffermandosi sull’immedesimazione e le analogie che troviamo tra Soren e


Don Giovanni, vediamo come Kierkegaard sia finito sul “cammino della
perdizione”.

Egli infatti ammette: “Io non stato sballottolato nella vita, sono stato tentato in
molti modi, dalle cose più diverse, purtroppo anche nelle dissolutezze e,
ahimè, nel camminino della perdizione.” (Citazione precisa)

Considerando la sua devozione alla religione, è molto probabile che questa


esorcizzazione sia il frutto di un esasperato pentimento esistenziale
autopunitivo. Kierkegaard pensatore ed esistenzialista era un uomo molto
tormentato da una profonda malinconia, afflitto da un corpo sgraziato e
debole, veniva visto come un maniaco, ma allo stesso tempo era un
conversatore brillantissimo abituato a dominare il confronto con superiorità e
intelligenza.

Autopunendosi per la sua vita sregolata, si accorge che in nome dell’assunto


dialettico per il quale ponendo una cosa indirettamente si pone l’altra che si
esclude, il cristianesimo avrebbe introdotto la sensualità nell’atto stesso in cui
l’ha negata e condannata (dove lo dice precisamente?).
Possiamo quindi parlare di un eros paradossalmente cristiano, differente da
quello pagano. Eros nel mondo pagano era visto non come un fanciullo
innamorato, ma come un tramite tra la dimensione terrena e quella
sovrasensibile.

Soltanto con il cristianesimo questi due elementi si fondono. Da qui nasce il


Don Giovanni. Il grembo dal quale egli viene alla luce è propriamente il
“dissidio tra la carne e lo spirito.”

Don Giovanni quindi incarna la forza cosmica della sensualità. Farne un


simbolo della caducità e della perdizione è perciò sbagliato, perché incarna il
peccato della coscienza del limite.

Come presentazione mi sembra ben costruita. La parte carente è quella


metodologica: assenza di citazioni precise e affermazioni che necessitano di
essere fondate. Diversamente il lettore potrebbe essere indotto a ritenere che
le argomentazioni proposte siano tue deduzioni che, in assenza di una tua
preparazione specialistica, potrebbero apparire velleitarie. Inserisci note a piè
di pagina, una numerazione delle pagine e una bibliografia di riferimento
nell’ultima pagina. Ti faccio un esempio di come si cita un libro nella
bibliografia finale :

I. DE SANCTIS (autore in maiuscolo), L’insostenibile leggerezza


dell’essere (titolo in corsivo minuscolo), Enzo Rossi Editore (casa
editrice), Roma 2016 (luogo e anno di pubblicazione).

Lo stesso testo riportato in nota a piè di pagina si cita in questo modo:

DE SANCTIS, 2016, p. 3 (pagina della citazione)

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