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1) LA BIBBIA EBRAICO-CRISTIANA.

In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta, le te-

nebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque.

Dio disse: «Sia la luce!» e la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e se-

parò la luce dalle tenebre e chiamò la luce ‘giorno’ e le tenebre ‘notte’. E fu

sera e fu mattina: primo giorno.

Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque per separare le acque dalle

acque». Dio fece il firmamento e separò le acque che sono sotto il firmamento

dalle acque che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firma-

mento ‘cielo’. E fu sera e fu mattina: secondo giorno.

Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo si raccolgano in un solo luogo e appaia

l’asciutto». E così avvenne. Dio chiamò l’asciutto ‘terra’ e la massa delle acque

‘mare’. E Dio vide che era cosa buona.

E Dio disse: «La terra produca germogli, erbe che danno seme e alberi da

frutto, che facciano sulla terra frutto con il seme, ciascuno secondo la sua

specie.» E così avvenne: la terra produsse germogli, erbe che danno seme, cia-

scuna secondo la propria specie e alberi che fanno ciascuno frutto con il seme,

secondo la propria specie. E Dio vide che era cosa buona. E fu sera e fu mat-

tina: terzo giorno.

Dio disse: «Ci siano luci nel firmamento del cielo, per distinguere il giorno dalla

notte; servano da segni per le stagioni, per i giorni e per gli anni e servano da luci

nel firmamento del cielo per illuminare la terra.» E così avvenne: Dio fece le due

luci grandi, la luce maggiore per regolare il giorno e la luce minore per regolare la

notte, e le stelle. Dio le pose nel firmamento del cielo per illuminare la terra e

per regolare giorno e notte e per separare la luce dalle tenebre. E Dio vide che

era cosa buona. E fu sera e fu mattina: quarto giorno.


Dio disse: «Le acque brulichino di esseri viventi, e uccelli volino sopra la terra,

davanti al firmamento del cielo.» Dio creò i grandi mostri marini e tutti gli es-

seri viventi che guizzano e brulicano nelle acque, secondo la loro specie, e tutti

gli uccelli alati secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.

Dio li benedisse: «Siate fecondi e moltiplicatevi e riempite le acque dei mari;

gli uccelli si moltiplichino sulla terra.» E fu sera e fu mattina: quinto giorno.

Dio disse: «La terra produca esseri viventi secondo la loro specie: bestiame,

rettili, bestie selvatiche secondo la loro specie.» E così avvenne: Dio fece le

bestie selvatiche secondo la loro specie e il bestiame secondo la loro specie e

tutti i rettili del suolo secondo la loro specie. E Dio vide che era cosa buona.

E Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domi-

ni sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali

selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra.» Dio creò l’uomo a sua

immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.

Dio li benedisse e disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra,

soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni es-

sere vivente che striscia sulla terra.»

E Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la

terra e ogni albero in cui è il frutto, che produce seme: saranno il vostro cibo.

A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che

strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde.» E

così avvenne. Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E

fu sera e fu mattina: sesto giorno.


2) IL CORANO.

Dio ha creato i cieli e la terra: alto e perfetto è sopra di voi. Ha creato l’uomo

con una goccia di seme della vita, ma l’uomo gli si dichiara avversario.

Creò per voi le greggi, in modo che vi fornissero dei prodotti adatti alla vostra

alimentazione e a vestirvi. Ed esse rappresentano uno spettacolo di bellezza

quando le riconducete la sera nelle stalle e all’aurora quando le portate al pa-

scolo. E portano per voi i vostri pesi in paesi lontani che non avreste mai potu-

to raggiungere, perché il Signore è compassionevole e buono. E ha creato ca-

valli, muli e asini perché li cavalchiate e vi siano di ornamento, e crea anche al-

tre cose che ancora voi non conoscete.

È Dio che mostra la via. È lui che fa scendere l’acqua dal cielo per voi, che vi

serve come bevanda e che fa crescere le piante presso cui portate il bestiame

al pascolo. E che fa crescere per voi il frumento e l’olivo e le palme e le viti e

tante altre specie di frutti: e questo è un segno per chi sa riflettere.

E ha messo la notte e il giorno, il sole, la luna e le stelle al vostro servizio, e

anche questo è un segno per chi sa ragionare. Ed è lui che ha costretto il ma-

re a servirvi, affinché ne ricaviate carne freschissima e possiate trarne og-

getti di ornamento con cui rivestirvi. Egli ha lanciato sulla terra montagne

salde, affinché essa non vi tremasse sotto i piedi, e fiumi e strade perché non

abbiate a smarrirvi.

Forse chi crea è come chi non crea?


3) IL MITO CINESE (PANGU)

All’inizio il mondo non esisteva. C’era solo un grande uovo e dentro l’uovo c’era

Pangu, il gigante creatore. Pangu diventò grande e ruppe l’uovo. La chiara di-

ventò il cielo e il tuorlo diventò la terra. Pangu rimase con i piedi piantati nella

terra e la testa nelle nuvole. Il cielo e la terra cominciarono ad allontanarsi e

Pangu continuò a crescere. Lo sforzo fu troppo grande: il gigante cadde e mo-

rì. Il gigante si trasformò: il corpo diventò le montagne, dai muscoli nacquero

i campi, dalle vene le strade, dalla barba e dai capelli le stelle e le comete.

Dai denti e dalle ossa si formarono i metalli, le pietre e le perle. Poi dai suoi

peli nacquero gli alberi, dalla sua voce si formò il vento e dal suo sangue i fiu-

mi. Dai pidocchi che aveva sul corpo nacquero gli uomini e gli animali.
4) IL MITO SIKH (PUNJAB)

Per milioni e milioni di infiniti anni l’oscurità si era diffusa, quando non esiste-
vano né terra né cielo, ma solo l’infinito Divino Ordine. Allora non esistevano
né giorno né notte, né sole né luna, poiché il Creatore era assorbito in una
quiete ininterrotta. Dunque allora non esisteva alcuna forma di creazione o di
parola; né vento né acqua, né creazione o dissolvenza o trasmigrazione. Non
c’erano continenti né regioni, né i sette mari, né i fiumi con l’acqua che scorre.
E non esistevano né il paradiso né il mondo mortale né il mondo degli inferi; né
inferno né paradiso né il tempo che distrugge. Inferno e Paradiso, nascita e
morte non esistevano, nessuno arrivava o partiva.
Non c’erano Brahma, Vishnu o Shiva: nessuno tranne l’Unico Signore era visibi-
le. Non esistevano maschio o femmina, casta o nascita. Nessuno soffriva né
gioiva. L’Inconoscibile Stesso, era Lui la sorgente di tutto quanto; Egli stesso
l’Inconoscibile, ancora non manifesto. Quando più Gli piacque, Egli creò il mon-
do; senza un potere che lo supportasse, Egli sostenne l’espansione.
Egli creò Brahma, Vishnu e Shiva, e il mondo cominciò a formarsi.
Egli stesso rese operativo il Suo Ordine e lo sorvegliò con cura: creando conti-
nenti, sfere e il mondo infero, Egli rese manifesto tutto ciò che era nascosto.
Creando da Sé Stesso l’universo, Egli rimase svincolato.
Il Signore Compassionevole fece poi anche il sacro centro del mondo, l’essere
umano. Combinando aria, acqua e fuoco Egli creò la fortezza del corpo.
Poi il Creatore plasmò i Nove Templi delle sensazioni: nel Quinto - la mente
supercosciente – è alloggiato il Signore, infinito e inconoscibile.
L’infinito Signore nel Suo indefinito stato di vuoto assunse potenza: Egli,
L’infinito, rimase svincolato; dispiegando il suo potere, Egli stesso dal vuoto creò
le cose inanimate. Dal vuoto indefinito furono create aria e acqua. E man mano
che aumenta la creazione, Egli regna come un monarca nella fortezza del corpo.
Oh Signore! Nel fuoco e nell’acqua – del corpo – esiste la Tua luce; nel Tuo origi-
nale stato di vuoto era alloggiata – non manifesta – la potenza della creazione.
5) IL MITO BABILONESE.

Una volta c’erano gli dei, Marduk e Tiamat erano i loro capi e litigavano sempre

tra loro per avere il potere. Fecero una lotta terribile, con i loro eserciti, e

Marduk vinse: uccise Tiamat e incatenò i soldati nemici ribelli.

Poi Marduk prese il corpo della sua nemica abbattuta, Tiamat, la divise in due

come un’ostrica e, sollevatane in alto una metà, ne formò il firmamento cele-

ste. Quindi misurò con i suoi passi, in lunghezza e in larghezza, le acque che si

stendevano sotto il firmamento, e con l’altra metà del corpo di Tiamat fece al-

le acque una copertura, e con quella copertura costituì le fondamenta della

terra. Quindi pose Anu nel regno sopra il firmamento, ed Enlil nel regno tra il

firmamento e la terra, ed Ea nelle acque che scorrevano sotto la terra. Così

Anu divenne il re del cielo, Enlil il re dell’aria ed Ea il re degli abissi.

Poi Marduk assegnò a tutti gli altri dei i loro posti e creò lumi che splendesse-

ro nel cielo: il sole, la luna e le stelle. Regolò il tempo e le stagioni dei loro mo-

ti, fissò il corso degli astri e aprì a oriente una porta da dove il sole potesse

uscire all’alba, e una a occidente dove potesse ritirarsi la sera.

Ma ecco, quando tutto fu ordinato, gli dei si raccolsero intorno a Marduk e

proruppero in aspri lamenti: «Signore Marduk – gridarono – tu ci hai assegnato

le nostre incombenze, hai dato un compito a ognuno di noi. Ma non hai dato a

nessuno l’incarico di servirci e sostentarci mentre eseguiremo il nostro compi-

to. Chi, dunque, accudirà alla nostra casa, chi penserà a prepararci il cibo?»

Sentite queste parole, Marduk cadde in profonda meditazione. Poi,

d’improvviso, il suo volto si illuminò: «Ora so – disse tra sé – ciò che debbo fare.

Prenderò sangue e ossa e ne formerò un piccolo fantoccio. Il suo nome sarà Uo-

mo. Uomo servirà gli dei, accudirà ai loro bisogni mentre essi eseguiranno i loro

compiti!»
Ma quando raccontò il suo piano ad Ea, quel dio astuto e saggio seppe immedia-

tamente trovare un’idea migliore: «Perché nuovo sangue e nuove ossa? Prendile

da uno dei ribelli.»

Così Marduk diede ordine che i ribelli incatenati fossero condotti davanti a lui

e li interrogò e comandò di dire il vero, chi tra loro fosse il maggior colpevole,

perché quello egli avrebbe messo a morte.

«Il maggior colpevole – risposero i soldati ribelli – è stato Kingu, il nostro co-

mandante. Egli ha ideato il piano di guerra e lo ha diretto.»

E dunque Kingu venne tratto fuori di prigione e consegnato ad Ea. Questi gli

tagliò la testa, gli aperse le vene, con il suo sangue e le sue ossa formò un fan-

toccio al quale venne dato il nome di Uomo, per servire gli dei e accudirli.
6) IL MITO GRECO.

All’inizio Eurinome, Dea di tutte le cose, emerse dal Caos e non trovò nulla di

solido su cui posare i piedi: allora divise il mare dal cielo e intrecciò sola una

danza sulle onde.

Sempre danzando si diresse verso sud, e il vento che turbinava alle sue spalle

le parve qualcosa di nuovo e distinto; pensò dunque di iniziare con lui l’opera

della creazione. Si voltò all’improvviso, afferrò il Vento del Nord e lo soffregò

tra le mani: ed ecco apparve il grande serpente Ofione che subito si innamorò

di lei, perché danzava così bene nel vento.

Subito allora, volando sul mare, Eurinome prese la forma di una colomba e, a

tempo debito, depose l’Uovo Universale. Per ordine della dea, Ofione si arro-

tolò sette volte intorno all’uovo, finché questo si schiuse e ne uscirono tutte le

cose esistenti, figlie di Eurinome: il sole, la luna, i pianeti, le stelle, la terra

con i suoi monti, con i suoi fiumi, con i suoi alberi e con le erbe e le creature

viventi.
7) IL MITO DI PLATONE

Una volta gli uomini erano doppi: ciascuno di quegli antichi esseri era un blocco

di un pezzo solo, con dorso e fianchi disposti in tondo; aveva quattro mani e

gambe di numero uguale; inoltre, su un collo tondeggiante, c’erano due facce

del tutto identiche, ma una testa sola a cornice di questi due volti, opposti uno

all’altro; le orecchie erano quattro, e tutto il resto come ci si può figurare

partendo da questi dati. Quanto al camminare, essi potevano andare diritti,

come ora, nella direzione che volevano; oppure, quando andavano di fretta fa-

cevano la ruota come gli acrobati, rotolando facendo perno su braccia e gambe

che allora erano otto. I generi erano tre: infatti c’erano i maschi, figli del so-

le, le femmine, figlie della terra, e un terzo genere metà maschio e metà

femmina, che era figlio della luna perché la luna è simile sia al sole che alla

terra. Comprensibilmente essi erano sferici e molto forti, perché avevano la

forza uguale a quella di due uomini di oggi in un corpo solo. Per la loro forza e

il loro vigore straordinari erano molto superbi e cattivi, e prepararono un as-

salto agli dei.

Zeus e gli altri dei dunque si consultavano sul da farsi ed erano in difficoltà;

non volevano né annientare gli uomini fulminandoli, perché ciò avrebbe signifi-

cato perdere gli onori e i sacrifici che gli uomini facevano per loro, né lasciar

correre tanta malvagità. «Credo proprio – disse Zeus, dopo aver molto riflet-

tuto – di avere l’idea che ci permetterà di far continuare a vivere gli uomini e

mettere un freno alla loro cattiveria, una volta divenuti più deboli. Ora infatti

taglierò in due ognuno di loro e così, mentre saranno più deboli, nello stesso

tempo ci saranno più utili perché cresceranno di numero. Inoltre, cammineran-

no su due piedi, in stazione eretta. Se però continueranno a mancarci di ri-

spetto e non vorranno stare tranquilli, li taglierò ancora in due, in modo da

farli camminare su una gamba sola a saltelli.» Detto ciò, tagliò gli uomini in
due, come quelli che dividono le sogliole o le uova con un filo sottile. A mano a

mano che tagliava un uomo, ordinava a suo figlio Apollo di fargli girare il volto

e la metà del collo dal lato del taglio, affinché l’uomo, vedendo il taglio, si spa-

ventasse un po’; inoltre gli ordinava di ricucire la ferita. Quello rovesciava i

volti, e tirando da tutte le parti la pelle in direzione della pancia, la stringeva

fortemente verso il centro lasciando una sola apertura, che noi oggi chiamiamo

ombelico.
8) IL MITO FINLANDESE

Ilma, dea dell’aria, aveva una figlia di nome Luonnotar. Ella abitava da sola tra

le stelle e, stanca di starsene lì da sola, decise di tuffarsi nel grande mare

che là sotto galleggiava sulla cresta delle onde.

Mentre veniva sballottata qua e là, il soffio del vento la accarezzò e la poten-

za del mare la avvolse. Ma galleggiò sulla superficie delle acque per settecento

anni, senza mai trovare un luogo dove riposarsi.

Alla fine, incontrò un maschio di anatra che volava sul mare, cercando un luogo

dove poter costruire il suo nido. L’anatra scorse il ginocchio di Luonnotar e vi

costruì il suo nido, nel quale depose le uova. Quando le ebbe covate per tre

giorni diventarono fertili e calde, e allora la figlia di Ilma sentì un gran calore

sulla pelle, così che piegò il ginocchio violentemente e le uova caddero in acqua.

Esse però non si persero nel fondo fangoso del mare, ma si trasformarono in

cose belle e importanti: dalla loro parte inferiore prese forma la Terra, madre

di tutte le creature viventi, mentre dalla parte superiore sorse il Cielo subli-

me. Il tuorlo dell’uovo divenne il giallo Sole raggiante e l’albume la luna scintil-

lante, i frammenti chiazzati dei gusci divennero stelle e quelli scuri divennero

nuvole.

Poi la figlia di Ilma iniziò a dare forma al creato: dalle acque emersero le isole,

si elevarono promontori, golfi e tratti di costa.


9) IL MITO LAPPONE.

In principio Jubmel creò due fratelli, i quali vivevano insieme in un paese dove

c’erano paludi e montagne, ma dove l’inverno non era così crudo come quando,

per la prima volta, arrivò una tempesta di neve che minacciò di seppellire i due

uomini.

Uno di loro prese una decisione improvvisa: trovata una caverna nel fianco di

una montagna, vi si nascose e attese che la bufera cessasse; l’altro, invece,

rimase fuori all’aperto e combatté tenacemente per sopravvivere, e riuscì vin-

citore.

Da quest’ultimo discesero i Lapponi, che hanno scelto come loro paese uno dei

luoghi più freddi della terra; mentre da colui che si era nascosto provengono

tutti gli uomini del sud.


10) IL MITO AZTECO.

Due dei, Quetzalcoatl e Tezcatlipoca, portarono giù dal cielo la dea della ter-

ra. Essa aveva tutti gli arti sparsi di occhi e bocche, con cui mordeva come una

bestia feroce.

Ancor prima che i due portassero la dea giù dal cielo l’acqua già esisteva, an-

che se nessuno sa chi la creò. La dea si muoveva su quell’acqua e allora i due

dei dissero: «Dobbiamo creare la terra». Così si mutarono in grandi serpenti,

uno dei due afferrò la dea per la mano destra e il piede sinistro, l’altro per la

mano sinistra e il piede destro e tirarono tanto, che la dea si spaccò a metà.

Con una metà crearono la terra e la metà rimanente la portarono in cielo.

Gli altri dei montarono in collera per quanto era stato fatto e, per risarcire la

dea del danno che le era stato fatto, tutti scesero dal cielo a consolarla e de-

cisero che da lei dovessero nascere tutti gli alimenti necessari al sostenta-

mento dell’essere umano. Trasformarono i suoi capelli in alberi, fiori ed erbe,

la sua pelle in piante e fiorellini delicatissimi, i suoi occhi in piccoli pozzi, sor-

genti e piccole caverne, la sua bocca in fiumi e grandi caverne, le narici in valli,

le spalle in monti.

Di tanto in tanto, nella notte, la dea della terra gridava e chiedeva cuori uma-

ni; non si chetava se non glieli si offriva e non voleva dare più frutti se non ve-

niva dissetata di sangue umano.


11) IL MITO QUECHUA

Prima ancora che il mondo fosse creato, esisteva un uomo chiamato Uiracocha.

Questi creò prima il mondo tenebroso, cioè senza sole, senza luna, senza stel-

le; per la sua opera di creazione lo si chiamò Pachayachachic, che significa

“creatore di tutte le cose”.

Dopo aver creato il mondo, abbozzò e plasmò una stirpe di giganti dalle enormi

proporzioni, per vedere se era bene creare degli esseri umani di tale grandez-

za. Ma poiché le loro stature gli apparivano eccessive rispetto alla propria,

disse: «Non è bene che gli uomini siano tanto grandi; è meglio che abbiano la

mia statura.» Per questo fece gli uomini a sua immagine e somiglianza, e così

sono ancora oggi.


12) IL MITO OMAHA.

In principio tutte le cose erano nella mente del Wakonda. Tutte le creature,

compreso l’uomo, erano spiriti. Andavano in giro per lo spazio, fra la terra e le

stelle e cercavano un posto dove potessero incarnarsi in un’esistenza corpo-

rea. Salirono fino al sole, ma il sole non era una dimora adatta a loro. Prosegui-

rono fino alla luna, e scoprirono che neppure questa sarebbe stata una buona

casa. Allora scesero sulla terra e videro che era coperta d’acqua. Fluttuarono

nell’aria a nord, a est, a sud e a ovest, e non trovarono terre asciutte. Il loro

dolore era grande.

Improvvisamente proprio in mezzo all’acqua sorse una grande roccia: esplose

con una fiammata e le acque svaporarono nell’aria in forma di nuvole. Apparve

terra asciutta, crebbero erbe ed alberi. Legioni di spiriti discesero e divenne-

ro carne e sangue, si cibarono dei semi delle erbe e dei frutti degli alberi, e la

terra vibrò delle loro espressioni di gioia e di gratitudine per Wakonda, crea-

tore di ogni cosa.


13) IL MITO PELLEROSSA

Una bella mattina Manitù, che è il dio dei pellerossa, si svegliò di buon umore e
pensò di fabbricare l’uomo.
Prese un po’ di argilla e fece un bel pupazzo, con la testa, il busto, le braccia,
le gambe: una meraviglia! Poi, accese un gran forno e lo mise a cuocere.
Ma quel giorno faceva molto caldo e Manitù aveva un po’ sonno. Si addormentò
e si dimenticò di svegliarsi in tempo.
Quando finalmente si svegliò, sentì un forte odore di bruciato. Ahimè il pu-
pazzo era stracotto e, quando Manitù lo tirò fuori dal forno, vide che era nero
come il carbone!
«Sarà l’uomo dalla pelle nera!» esclamò Manitù.
Il giorno dopo, Manitù pensò di fare un altro pupazzo e di cuocerlo con mag-
giore attenzione. Ma, per paura di bruciarlo, mise poca legna nel forno e tolse
il pupazzo troppo presto. Altro disastro: il pupazzo era mal cotto e appariva
pallido pallido.
«Sarà l’uomo dalla pelle bianca!» disse. E così fu.
Manitù non si diede per vinto e il giorno dopo fece un altro pupazzo. «Perché
non bruci – pensò tra sé e sé – lo ungerò tutto di olio. Così cuocerà a puntino.»
Ma anche questo sistema andò male: Manitù era un cuoco ancora inesperto,
mise troppo olio e, quando tirò fuori il pupazzo, questo era giallo come il limo-
ne.
«Sarà l’uomo dalla pelle gialla!» disse.
Ormai Manitù aveva esperienza: fatto un quarto pupazzo, sapeva come cuocer-
lo. Mise legna in quantità sufficiente, non usò troppo olio, stette attento, ali-
mentò bene il fuoco, diede ogni tanto qualche sbirciatina all’interno del forno
e tirò fuori un pupazzo cotto alla perfezione, di un bel color rame.
«Oh, finalmente! Ecco l’uomo dalla pelle rossa!» esclamò Manitù, soddisfatto.
14) IL MITO APACHE.

Al principio Usen, colui che dà la vita, creò l’Universo. Nessuno sa come, però

lo fece, e questo è tutto.

Quando giunse il momento di fare la terra, disse ai Quattro Spiriti del Potere

di farlo per lui. Gli spiriti erano: Acqua Nera, Metallo Nero, Vento Nero e

Tuono Nero.

Insieme essi modellarono la terra, ma quando ebbero finito essa era spoglia e

soffriva per il freddo. Allora Tuono Nero le diede i capelli sotto forma di erba

e di alberi. Poi Acqua Nera le diede il sangue in forma di torrenti e fiumi; Me-

tallo Nero le diede lo scheletro sotto forma di rocce e montagne e infine Ven-

to Nero le diede il respiro sotto forma di brezza: ora la terra era viva.

I primi esseri umani vivevano nelle tenebre, nel profondo della Madre Terra,

ed emersero dal mondo sotterraneo per trovare la luce. Però la vita era diffi-

cile per la presenza di molti esseri malvagi che divoravano gli uomini e rapivano

le donne.

Allora Donna Dipinta di Bianco andò tra gli uomini e si lasciò bagnare dall’acqua

che sgorgava da una roccia, così ebbe un bambino. Ella chiamò il suo piccolo Fi-

glio dell’Acqua e lo protesse dai sospettosi giganti per mezzo di vari strata-

gemmi. Quando il figlio ebbe compiuto quattro anni decise che avrebbe sfida-

to e ucciso i mostri, e infatti li uccise uno dopo l’altro. Così gli uomini poterono

vivere tranquilli e moltiplicarsi.


15) IL MITO BANDA (AFRICA EQUATORIALE)

Tere viveva da solo sulla terra, che era un enorme deserto senza niente. Un

giorno Ivoro, l’essere supremo, con un tranello lo attirò nella sua casa nel cielo

e lo trattenne con sé per un po’ di tempo. Ma dopo qualche tempo Tere mani-

festò il desiderio di fare ritorno sulla terra. Così Ivoro gli disse: «Vuoi dunque

tornare al tuo inospitale deserto? Ebbene, prendi con te un po’ di quello che

abbiamo quassù e il tuo deserto si trasformerà in paradiso.»

Allora Tere fu rifornito di ogni sorta di semi, di piante, di animali e gli furono

dati anche un uomo e una donna per servirlo. Tutto venne messo in un enorme

tamburo e poi Ivoro disse: «Ora ti calerò sulla terra, entra nel tuo tamburo

colmo delle tue ricchezze. Quando un colpo di tamburo mi darà il segnale che

sei arrivato, taglierò la corda per la quale sarai disceso.»

Tere si mise dunque in viaggio. Già da un bel po’ la corda si svolgeva ed egli non

udiva più la voce di Ivoro, ma la terra era ancora assai lontana. D’un tratto un

animaletto, che stava aggrappato sulla corda, scivolò e cadde sul tamburo e

l’urto produsse un rumore che si propagò al di là delle nubi. Ivoro pensò che

quello fosse il segnale di Tere e perciò tagliò la corda; così il tamburo precipi-

tò sulla terra rovesciandosi. Le piante se ne andarono da ogni parte, i semi fu-

rono in balia del vento e gli animali si diedero alla fuga. Invano Tere cercava di

trattenerli: il tamburo arrivò a terra quasi vuoto. Le piante e gli animali che si

dispersero nella caduta sono quelli che ora popolano la boscaglia; quelli tratte-

nuti da Tere sono quelli che ancora oggi si vedono nei villaggi, cioè gli animali

domestici e le piante coltivate.


16) IL MITO MASAI

Al principio la terra era uno squallido deserto sul quale dimorava un drago di

nome Nemaunir. Dio scese dal cielo, combatté contro il drago e lo vinse. Il li-

quido che fluì dal cadavere del drago, cioè l’acqua, fecondò la petraia selvaggia

e lì dove era stato ucciso il mostro sorse il paradiso, un giardino ricco di lussu-

reggiante vegetazione.

Ora la terra era sicura, perciò Dio, con la sua parola, creò il sole, la luna, le

stelle, le piante e gli animali, e infine fece nascere la prima coppia umana.

L’uomo, Maitumbé, fu mandato giù dal cielo, mentre la donna, Naiterogòb,

emerse per volere di Dio dal seno della terra.


17) IL MITO INDU

Il mondo era immerso nell’oscurità, irriconoscibile e senza forma; era come se

fosse totalmente addormentato. A dissipare le ombre delle tenebre apparve

allora il grande Essere, che dispiegò questo universo dandogli la forma dei

grandi elementi e manifestando tutta la sua energia.

Lo Spirito Supremo, desiderando creare esseri di ogni specie dal suo proprio

corpo, emanò dalla sua mente le acque e collocò in esse un uovo d’oro splenden-

te come il sole, in cui si chiuse dentro.

In questo uovo d’oro splendente egli rimase per un anno e poi, con la sola forza

del pensiero, divise l’uovo in due parti, da cui uscirono il cielo e la terra, con

l’acqua a separarli, e gli otto punti cardinali e l’eterna dimora delle acque. In-

fine uscì dall’uovo lui stesso, come un dio, e prese il nome di Brama.
18) IL MITO GIAPPONESE.

Una volta cielo e terra non erano ancora separati l’uno dall’altro. Essi forma-

vano un caos su per giù simile a un uovo, e nella loro massa caotica era conte-

nuto un seme.

Poi la parte pura e chiara si allargò e divenne il cielo, mentre la parte più gros-

sa e densa si depositò pesantemente e divenne la terra. Il lavoro della parte

leggera fu più facile, invece quello della parte pesante e torbido si compì con

difficoltà; perciò, si formò prima il cielo, e soltanto dopo la terra prese forma.

Successivamente tra l’uno e l’altra apparvero degli esseri divini. Perciò si dice

che al principio della creazione del mondo il galleggiare della terra nel cielo

era paragonabile al nuotare di un pesce guizzante sull’acqua.


19) IL MITO MAORI.

Il Cielo che è sopra di noi e la Terra che si estende sotto i nostri piedi furono

i primi genitori degli uomini e l’origine di ogni cosa, poiché un tempo i cieli gia-

cevano sulla terra e tutto era oscuro. Non erano mai stati separati.

I figli del Cielo e della Terra cercarono di scoprire la differenza tra luce e te-

nebra, perché sebbene gli uomini fossero diventati molto numerosi, l’oscurità

continuava a regnare. Così i figli del Cielo e della Terra si consultarono e dissero:

«Cerchiamo insieme il modo di distruggere Cielo e Terra separandoli.» E il dio

della guerra ribadì: «Sì, distruggiamoli!» Ma intervenne il dio delle foreste:

«No, separiamoli soltanto: che uno vada verso l’alto e ci diventi estraneo; che

l’altra resti in basso e sia per noi una madre.» I figli del Cielo e della Terra deci-

sero così di separare i loro genitori con la forza.

Subito dopo la separazione di Cielo e Terra gli uomini diventarono visibili,

mentre fino ad allora erano rimasti nascosti fra le cavità del petto dei loro

genitori.
20) IL MITO DELLE FILIPPINE

Una volta la Terra era vuota e senza abitanti. Il dio Magbabaya, il Creatore,

pensa allora di scendere sulla Terra e di riempirla di persone.

Appena arrivato, prende la creta e costruisce tante figure umane. Poi mette le

figure umane al sole per asciugare la creta e torna in Cielo per andare a cac-

cia. Quando torna dalla caccia, si ricorda delle sue statue di creta. Corre a ve-

dere, ma hanno preso troppo sole e ormai la creta è nera come il carbone. Il

giorno dopo costruisce altre statue, mette queste statue all’ombra di un albe-

ro e va ancora a caccia. Quando torna, le statue sono tanto pallide.

Allora fa un’ultima prova: costruisce con la creta altre statue e mette queste

figure a seccare al sole. Questa volta, però, resta a guardare e, quando il sole

diventa troppo forte, copre le statue con grandi foglie fresche. Verso sera le

statue sono di un bel colore bruno, uguale a quello della pelle del dio.

Poi prende le statue che aveva preparato in quei tre giorni e con un soffio dà

loro la vita. Infine le sistema in tutti i luoghi della Terra ed è per questo che

oggi ci sono uomini con la pelle nera, bianca o bruna.


21) IL MITO SAMOA.

Tangaloa viveva nell’immensità; non c’era cielo, né terra, né mare. Egli era solo

e si aggirava nell’immensità, ma nel luogo dove si fermò venne su una roccia.

Egli disse alla roccia: «Spaccati!» E così furono generate sette rocce, una do-

po l’altra. Tangaloa parlò alla roccia e la colpì con la mano destra, e quella si

aprì e generò innanzitutto la terra, la madre di tutto il genere umano, e poi il

mare. Poi il mare coprì una delle sette rocce e le altre le dissero: «Bea-

ta te, che sei bagnata dal mare!» Ma quella rispose: «Il mare raggiungerà pre-

sto anche voi.» Poi apparve l’Acqua Dolce, dopo di che Tangaloa si rivolse

nuovamente alla roccia e fu formato il Cielo, quindi il Capo-che-sostiene-il-

cielo, l’Immensità, lo Spazio e l’Altitudine.

E Tangaloa di nuovo parlò alla roccia e vennero fuori Due Nuvole e Due Acque

Dolci, che egli destinò alla razza che sta al di là del firmamento. Poi tornò a

parlare e nacquero Aoa-lala e Mare Desolato; quindi, venne l’Uomo; poi lo Spi-

rito, poi il Cuore; poi la Volontà; quindi il Pensiero. Questa fu la fine delle

creazioni di Tangaloa, nate dalla roccia; ma esse non facevano che galleggiare

sul mare, senza stabilità. Allora Tangaloa impartì alla roccia precisi ordini.

Lo Spirito, il Cuore, la Volontà e il Pensiero dovevano comporsi insieme

nell’interno dell’Uomo, in modo che si formasse un essere intelligente che poi

si congiunse con la Terra, e così ci fu una coppia: Fatu, l’uomo, ed Ele-ele, la

donna. L’Immensità e lo Spazio ebbero l’ordine di unirsi con l’Altitudine lassù

nel cielo. Due Nuvole e Due Acque Dolci ricevettero l’ordine di popolare la regione

dell’acqua dolce. Aoa-lala e Mare Desolato ebbero l’ordine di popolare il mare. Fatu

ed Ele-ele ricevettero l’ordine di popolare il lato sinistro, l’opposto del cielo. Per

ordine di Tangaloa, Capo-che-sostiene-il-cielo puntellò il cielo. Egli però non riuscì

a tenerlo su e quello cadde. Infine, lo puntellò con le piante di masoa e di teve e il

cielo rimase in alto, raggiungendo Immensità e Spazio.


22) IL MITO HAWAII.

All'inizio c'era solo un'oscurità senza limiti, un nero profondo e intenso. Per
farsi anche solo una pallida idea di cosa fosse quell’oscurità bisognerebbe
stringere le pupille molto forte e avvolgere il viso in una benda tanto spessa
da non lasciar passare né un raggio di luce, né un rumore. Allora, e solo allora,
vedremmo quello che vedevano Kumulipo e Po’ele, i cui nomi significano “es-
senza dell’oscurità” e “oscurità in sé”.
Kumulipo e Po’ele crearono tutti gli esseri che abitano l'oscurità: i molluschi
che incontriamo nelle profondità degli oceani, le piante che crescono nelle
notti senza luna, i vermi che scavano le loro gallerie nella terra soffice.
Con quelle nuove creature, l'Universo appariva meno scuro e l'oscurità meno
profonda. Kumulipo e Po'ele crearono Pouliuli e Powehiwehi, i cui nomi signifi-
cano “oscurità profonda” e “oscurità attraverso la quale si scorge una piccola
luce”. A loro volta Pouliuli e Powehiwehi crearono altre creature, quelle che
vivono nella semioscurità, laddove filtra almeno un po' di luce.
Crearono così i pesci che si muovono nelle acque fredde dei mari, dove la luce
penetra a fatica, e tutte le specie di animali e di insetti che si accalcano sot-
to le ombre e penetrano nelle tane. Tutte queste bestie si moltiplicavano, e a
ogni nuova generazione l'Universo, così buio fino ad allora, sembrava illumi-
narsi. Era una luce quasi inavvertibile, una luce bianca e fredda, ma tuttavia
era pur sempre una luce.
Quindi Pouliuli e Powehiwehi crearono Po’el’ele, il cui nome significa “la notte”,
e Pohaha, che vuol dire “l'arrivo dell'alba”. Furono loro a creare gli esseri che
popolano la Terra prima della comparsa della luce del giorno. Crearono le fa-
lene, le farfalle che portano il polline per i fiori aperti solo di notte, crearono
le cavallette e i bruchi, e infine fecero un uovo. L'uovo si aprì e ne uscirono
centinaia di specie di uccelli, quelli che si odono cantare prima dell'alba. Gli
uccelli, i pesci e gli insetti si riproducevano, e ogni nuova nascita aggiungeva
luce e aiutava a scacciare la notte.
Il mondo si stava avvicinando all’alba. Una palla di fuoco si alzava all'orizzon-
te; il suo rossore vibrava, teso come le corde di un violino. Stava per arrivare
il giorno: ormai non avrebbe tardato.
Popanopano e Polalowwhehi nacquero in quest’epoca, che esitava ancora tra il
giorno e la notte. Crearono le tartarughe di mare, i crostacei che popolano le
acque poco profonde e, nei mari, nuotano non lontano dalle coste, là dove la
luce è più forte e dove, in pieno giorno, è sufficiente alzare appena il collo
per tenere la testa fuori dall’acqua.
Le due creature che seguirono si chiamavano Po’hiolo e Po’ne’a’aku; i loro nomi
significano, pressappoco, “fine della notte»”.
Esse crearono il topo e il maiale, due bestie che vivono e cacciano sia di gior-
no che di notte. Il mondo ora era pronto a conoscere la sua prima alba.
Po’hiolo e Po’ne’a’aku fecero spuntare il Sole, e apparve allora una luce poten-
te. Il giorno stava per arrivare: il Sole eruppe ancor più forte e la luce inondò
la Terra, dalla più piccola pietra alla montagna più alta.
Il primo uomo, Ki’i, e la prima donna, La’ila’a, avevano la pelle scura e gli occhi
neri. Erano nati assieme all'alba. Ebbero numerosi figli, e gli occhi e la pelle
di questi si schiarivano a mano a mano che il giorno avanzava. A mezzogiorno
sembravano gli abitanti delle isole del Pacifico, così come li conosciamo oggi:
avevano gli occhi chiari e la loro pelle era dorata come se l'avessero strofi-
nata contro il Sole.

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