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BIOCHIMICA
DEGLI ALIMENTI
E DELLA NUTRIZIONE
Con un contributo di Mauro Maccarrone
Presentazione di
Gino R. Corazza
PICCIN
Le figure seguenti sono tratte da "Vino e salute" di Ivo Cozzani; Aracne Editrice, Roma 2005:
5.8,6.8,6.11,6.12,8.19,9.10,9.12, 10.9, 11.5, 11.6, 13.24, 13.25, 14.1.
Le figure seguenti sono state realizzate e gentilmente fomite da Patrizia Linzi:
8.2,8.5,8.6,8.8,8.9,8.11,8.13,8.14,8.17,8.21,8.23, 9.2, 9.3, 9.4, 9.5, 9.7, 9.8,11.7,13.12,13.13,13.14,
13.15,13.17,13.18,13.19,13.20,13.21,13.23.
L'illustrazione della copertina è stata realizzata utilizzando le figure 8.9 e 10.11.
I due Autori hanno contribuito alla stesura dell'opera in modo paritario.
ISBN 88-299-1825-3
Stampato in Italia
Riconoscimenti e Ringraziamenti
Tutti i modelli delle strutture cristallografiche delle proteine riportate in questo libro
sono stati disegnati utlizzando il programma Swiss-Pdb Viewer (Guex, N. &
Peitsch, M. C. (1997) Electrophoresis 18, 2714-2723) disponibile sul sito
www.expasy.ch/spdbv. Per la preparazione di alcune figure del testo è stato utilizza-
to il programma "ScienceSlides", acquisito da "VisiScience Corp.". Gli autori desi-
derano ringraziare le Dott.sse Daniela Barsacchi, Annalaura Sabatucci e Clotilde
Beatrice Angelucci (Università degli Studi di Teramo), per la preziosa collaborazio-
ne nella realizzazione di chiari schemi e figure e l'Arch. Patrizia Linzi, per aver rea-
lizzato e gentilmente fornito numerosi originali disegni e figure che illustrano il
testo. Inoltre gli autori sono grati alle Dott.sse Filomena Fezza e Monica Bari
(Università degli Studi di Roma "Tor Vergata") ed al Dott. Andrea Paradisi
(Università degli Studi di Teramo), per il pregevole contributo alla realizzazione
delle illustrazioni relative al capitolo lO.
Presentazione
\
Il testo "Biochimica degli Alimenti e della Nutrizione" sorge da una necessità
maturata in noi durante la nostra esperienza di insegnamento e di ricerca nell'ambi-
to della Biochimica degli Alimenti in diversi corsi di Laurea triennali e specialisti-
ci. Tale necessità è strettamente connessa al fatto che gli Studenti che affrontano un
corso di Biochimica degli Alimenti non hanno a tutt'oggi un testo specifico dispo-
nibile che consenta loro di affrontare la materia in modo peculiare ed organico.
Conoscenze di base sulla biochimica degli alimenti e sui fondamenti molecolari dei
processi nutrizionali sono ormai essenziali per i corsi di lO livello in Scienze e
Tecnologie Alimentari e per altre attività didattiche e formative nel settore alimen-
tare (Corsi di Laurea in Scienze Dietetiche, in Produzioni Animali, studio delle
principali filiere alimentari nelle Facoltà di Medicina Veterinaria e di Agraria, ecc.).
Su tale percorso didattico di base abbiamo inoltre innestato e sviluppato una parte
relativa alla biochimica della nutrizione. Questa parte è particolarmente idonea non
solo per gli Studenti dei corsi specialistici delle Facoltà di Agraria, ma anche per le
scuole di specializzazione post-universitaria in Scienza dell' Alimentazione, attiva-
te in diverse Facoltà Mediche. Pertanto, il testo che presentiamo è peculiare anche
per il modo in cui i diversi capitoli sono affrontati in sequenza crescente di difficol-
tà e di approfondimento specialistico. Di conseguenza, pur essendo concepito come
unico sviluppo organico di conoscenze teoriche e pratiche dalla laurea di primo
livello alla laurea specialistica, alle scuole di specializzazione, può anche essere
agevolmente utilizzato in percorsi formativi di livello differenziato.
A nostro parere un testo di Biochimica degli Alimenti e della Nutrizione deve
infatti dare per scontata la conoscenza della chimica inorganica e organica e conte-
nere una presentazione delle basi della biochimica, che riguardano lo studio dell'en-
zimologia e del metabolismo, con un approccio immediato e non dispersivo per lo
Studente ed in modo fortemente mirato all' applicazione di tali conoscenze nel set-
tore agroalimentare e nutrizionale. Di conseguenza, nella prima parte del nostro
testo abbiamo presentato in modo sintetico ed essenziale gli aspetti classici della
biochimica quale necessario substrato su cui innestare una seconda parte in cui sono
stati affrontati gli aspetti relativi alle applicazioni dell' enzimologia nel settore
agroalimentare e quelli relativi alla biochimica della nutrizione. Per quanto attiene
le applicazioni dell'enzimologia nel settore agroalimentare, è stato descritto l'im-
piego di enzimi ottenuti mediante tecnologia del DNA ricombinante e sono state
anche toccate le attuali problematiche relative alla diagnostica degli alimenti conte-
nenti organismi geneticamente modificati e alle metodologie biochimiche di rileva-
zione più moderne in questo settore.
Per quanto riguarda invece la parte relativa alla biochimica della nutrizione, i
concetti di base, sviluppati nella prima parte del testo, sono stati ripresentati con una
chiave di lettura di tipo nutrizionale descrivendo dapprima le caratteristiche biochi-
miche dei principali gruppi di alimenti con particolare attenzione ai "nuovi alimen-
ti" ed ad alcune moderne problematiche relative all'evoluzione delle abitudini ali-
x Prefazione
GLI AUTORI
Indice generale
Gli organismi viventi sono sistemi aperti che crescono e continuamente rinnova-
no le proprie strutture e svolgono un grande numero di complesse funzioni. Per lo
sviluppo, il ricambio di molecole e strutture e per le loro molteplici funzioni, gli
organismi biologici necessitano di composti che fungano da mattoni costitutivi e di
energia.
I nutrienti forniscono agli organismi viventi sia le molecole adattabili ai ruoli
strutturali, sia le molecole utilizzabili a scopo energetico. L'uomo e gli animali
assumono i nutrienti estraendoli dagli alimenti di cui si cibano. I nutrienti, pertan-
to, assolvono due principali ruoli: "plastico", per costruire biomolecole e biostrut-
ture ed alimentare la crescita e lo sviluppo; "energetico", per sostenere sia i proces-
si biosintetici, sia le molteplici funzioni di cellule, tessuti ed organi.
I nutrienti proteici hanno principalmente funzione plastica, quelli glucidici e
lipidici esplicano fondamentalmente funzioni energetiche. Tuttavia, i glicidi ed i
lipidi concorrono anche alla costruzione di biomolecole e biostrutture; viceversa le
proteine possono essere utilizzate anche a scopo energetico.
Alcuni nutrienti (vitamine, oligoelementi) non hanno funzioni plastiche (non
entrando a costruire strutture cellulari o tissutali), né ruoli energetici (non venendo
consumati per produrre energia), ma questi micronutrienti funzionano generalmen-
te come cofattori di enzimi, concorrendo alla catalisi biologica, processo fondamen-
tale per la vita e l'attività cellulare.
Solo in parte i nutrienti si trovano negli alimenti in forma direttamente assorbi-
bile ed utilizzabile dall'organismo. Più spesso nell'apparato digerente devono esse-
re separati dalle altre componenti che costituiscono l'alimento, digeriti, assorbiti e
infine trasportati nel sangue ai diversi organi che li utilizzano.
Gli alimenti sono le fonti dei nutrienti, ma il contenuto di nutrienti non è suffi-
ciente a definire le qualità nutrizionali di un alimento, poiché questa dipende anche
dalla biodisponibilità e da altre caratteristiche dei nutrienti.
La biodisponibilità di un nutriente è la quantità presente in un alimento in con-
centrazione e forma chimica necessarie al suo assorbimento. Pertanto, essa è stret-
tamente correlata con la percentuale del nutriente (rispetto al contenuto totale), che
viene effettivamente utilizzata dall'organismo. La biodisponibilità varia, anche
notevolmente, in funzione delle caratteristiche del nutriente e delle altre componen-
ti dell'alimento (in particolare la presenza di antinutrienti) e dei processi di digestio-
ne ed assorbimento dello specifico nutriente.
Dopo aver esaminato le strutture e le funzioni delle principali macromolecole
biologiche (proteine, acidi nucleici, enzimi e coenzimi) ed i meccanismi deputati
alla produzione dell'energia, studieremo le strutture e le funzioni dei nutrienti, le
loro interconversioni metaboliche ed infine i processi molecolari della digestione e
dell'assorbimento e gli altri processi biochimici della nutrizione.
Page Blank
Capitolo 1
Le macromolecole biologiche
IL SOLVENTE: L'ACQUA
;jJ ow>
ow> ow> ;jJ
t> Mi=O ow> t>
t>
;jJ ow> ow>
ow>
~
t> ;jJ
ow> t> t> ow>
t>
ow> dS>O ;jJ
;jJ t> t> ;jJ
F = qlq2
2
r D
dove ql e ~ sono cariche di segno opposto, r la distanza tra esse e D la costante
dielettrica del mezzo. Tuttavia, poiché l'acqua presenta un alto valore di costante
Acidi nucleici e proteine 5
ribosomi presenti nel citoplasma e una volta completata la sintesi queste dissociano
dai ribosomi e cominciano ad assolvere alla loro funzione. Alcune delle proteine
sintetizzate nel citosol contengono specifiche sequenze segnale che guidano la pro-
teina all'interno del nucleo o del mitocondrio per dare luogo a funzioni specifiche
all'interno di questi organelli. Molte altre proteine vengono sintetizzate in ribosomi
associati al reticolo endoplasmatico e queste sono solitamente proteine destinate
alla secrezione dalla cellula o alla loro inserzione a livello della membrana plasma-
tica.
COOH
I
H3 W- -H
1
CH 2
I
CH
H3C
/ "- CH
3
Leucina (Leu) Prolina (Pro)
COOH
I COOH
H3 N+- -H I
HC-C-H
1 H3 W-
1 -H
3 I CH 3
CH 2
. I Alanina (Ala)
CH 3
Isoleucina (Ile)
COOH COOH
I I
H3 W- -H
1
CH 2
H3 W-
1
CH 2
-H
I I
CH 2 SH
I
S
I Cisteina (Cys)
CH 3
Metionina (Met) COOH
I
COOH H W-C-H
I 3 I
H3 W- -H CH 2
1
CH 2 CH 2
I
I I
-f'c" -f'C"
o NH 2 Glutammina (Gin) o NH 2
Asparagina (Asn)
COOH
COOH
I I
H3 W- -H
H3 W-
1 -H
H-C-OH
1
CH2 I
I CH 3
OH
Serina (Ser) Treonina (Thr)
Figura 1.2 Strutture dei 20 aminoacidi costituenti le proteine suddivisi in base alle loro
proprietà chimico-fisiche. (continua alla pagina seguente)
8 le macromolecole biologiche
Gruppi R aromatici
COOH
COOH I
I HN+-C-H
H3 W- -H 3 I
1
2) ~'
OH
COOH
I
H3 W- -H
1
CH 2
I
~c
~N,~H
H
Triptofano (Trp)
COOH
I
H3 W- -H
1
CH 2
I
HC=C
/ \
H+N'\.C~H
H
Istidina (His)
struttura
primaria struttura
secondaria
struttura
terziaria
struttura
quatemaria
Queste strutture a loro volta formano delle strutture più complesse definite superse-
condarie (o motivi) come le aa, le ~~~ e le ~a~ in cui le strutture secondarie sono
connesse da regioni ad ansa non strutturate. Allivello successivo di organizzazione
vi sono i domini che possono contenere diversi motivi strutturali stabilizzati da inte-
razioni tra catene laterali aminoacidiche conosciute come interazioni terziarie
(struttura terziaria). Questi domini sono porzioni della catena polipeptidica in grado
di assumere una conformazione nativa globulare in modo indipendente rispetto al
resto della proteina. Mentre le proteine di piccole dimensioni contengono general-
mente uno o due domini, le proteine di dimensioni maggiori contengono un nume-
ro di domini più elevato, spesso connessi da parti relativamente aperte della catena
polipetidica, organizzati a formare la struttura terziaria. Al livello successivo di
organizzazione troviamo le subunità (o protomeri). Una subunità è generalmente
una catena polipeptidica prodotta da un singolo gene che va a costituire gli oligo-
meri. Molti oligomeri sono assemblati da subunità diverse, essi contengono quindi
diversi prodotti genici. Gli oligomeri sono pertanto costituiti da subunità che si
associano tra loro e sono tenute insieme in una struttura geometricamente specifica,
la struttura quaternaria, dall'effetto idrofobico e da un enorme numero di intera-
zioni deboli non covalenti (figura 1.3).
In molti casi ulteriori stabilizzazioni strutturali sono date dalla presenza di lega-
mi covalenti (ponti disolfuro) o di ioni metallici (come lo Zn2+, il Mg2+, il Ca2+,
ecc.) i quali formando complessi stabili protetti irrigidiscono la struttura proteica.
Nella maggioranza delle proteine oligomeriche le subunità sono disposte simmetri-
camente, esse occupano quindi posizioni geometricamente equivalenti all'interno
dell'oligomero. La limitazione nel numero di subunità che costituiscono una data
struttura quaternaria è legata alla geometria della distribuzione delle interfacce delle
subunità stesse. La struttura quatemaria finale di un oligomero è pertanto dovuta al
fatto che sulla sua superficie non sono presenti regioni che possono ulteriormente
interagire con altre subunità. Le proteine naturali, sintetizzate a partire da L-ami-
noacidi nei ribosomi, non possono presentare simmetrie di tipo speculare o centri di
10 le macromolecole biologiche
LA CATALISI ENZIMATICA
A tutt'oggi sono stati identificati oltre 4.300 diversi enzimi (aggiornato al 2005,
dal sito http://au.expasy.org/enzyme/), ognuno dei quali catalizza una reazione dif-
14 I catalizzatori biologici
ferente. Molti enzimi vengono denominati aggiungendo il suffisso -asi al nome del
loro substrato. Pertanto, l'arginasi catalizza l'idrolisi dell'arginina e l'ureasi dell'u-
rea, ma a diversi altri enzimi è stato assegnato un nome in relazione a quello del pro-
dotto generato dalla reazione catalizzata in vi/ro e a volte due enzimi diversi sono
stati chiamati allo stesso modo. Per evitare una classificazione arbitraria e queste
ambiguità ogni enzima può essere indicato con due tipi di nomi: il nome raccoman-
dato che corrisponde a quello classico di uso corrente ed il nome sistematico.
Questo sistema suddivide tutti gli enzimi in sei classi (vedi tabella 2.1), ognuna con
diverse sottoclassi in base al tipo di reazione catalizzata. Esso consente di classifi-
care in modo preciso e scevro da errori il tipo di enzima mediante un nome sistema-
tico che deriva dalla reazione catalizzata e l'impiego di un numero di classificazio-
ne costituito da quattro cifre precedute dalle lettere EC (Enzyme Commission: nu-
mero stabilito dalla "International Union ofBiochemistry and Molecular Biology",
IUBMB, la commissione internazionale che stabilisce e aggiorna la nomenclatura).
Gli enzimi aumentano la velocità di specifiche reazioni chimiche che avverreb-
bero spontaneamente solo a basse velocità. Essi, come tutti i catalizzatori, non pos-
sono cambiare il punto di equilibrio delle reazioni cui partecipano e non sono con-
sumati o modificati permanentemente da queste reazioni. Pertanto, in una reazione
chimica che converte un composto S in un prodotto P, tale conversione può avve-
nire solo per le molecole di S che riescono ad avere uno stato energetico che con-
sente di raggiungere una forma reattiva chiamata stato di transizione che rappresen-
ta il punto più alto della barriera energetica da superare per dare luogo alla forma-
zione del prodotto P. L'energia di attivazione necessaria per una reazione chimica
è pertanto la quantità di energia in calorie (o in Joule, l cal = 4.184 J) richiesta per
portare una mole di una determinata sostanza (reagente) ad una data temperatura a
questo stato di transizione. A questo punto esistono uguali probabilità che una mole-
cola reagisca per formare il prodotto o che ritorni indietro allo stato di transizione e
la velocità di una reazione chimica sarà proporzionale alla quantità di molecole
Tabella 2.1 Classificazione internazionale degli enzimi basata sul tipo di reazione
che essi catalizzano
4 Liasi ("sintasi") Addizione di gruppi a doppi C-C liasi C-O Iiasi C-N liasi C-S liasi
legami o formazione di doppi
legami per rimozione di gruppi
6 Ligasi ("sintetasi") Formazione di legami C-C, C-O, C-C ligasi C-O ligasi C-N Iigasi C-S
C-N e C-S mediante reazioni di ligasi
condensazione accoppiate all'i-
drolisi di ATP.
la catalisi enzimatica 15
nello stato di transizione. Gli enzimi, come tutti i catalizzatori, sono in grado di
accelerare una reazione chimica abbassando il livello della barriera energetica che
è necessario superare perché avvenga la reazione. L'enzima E agisce pertanto com-
binandosi momentaneamente con il substrato S formando un complesso ES.
Successivamente si ha una stabilizzazione dello stato di transizione con un'energia
di attivazione molto più bassa di quella di S in una reazione non catalizzata.
L'enzima quindi interagendo con il substrato stabilizza lo stato di transizione ed in
questo modo si viene a formare il complesso EP e successivamente viene rilascia-
to il prodotto P e l'enzima libero E che in questo modo può interagire con un' altra
molecola di substrato S e ricominciare il ciclo consentendo ad un maggior numero
di molecole di S di reagire nell'unità di tempo rispetto a quelle che reagirebbero in
assenza di catalizzatore.
Gli enzimi mostrano una notevole efficienza catalitica c~e come già detto viene
esercitata in condizioni sperimentali blande. Le cause di questa particolare efficien-
za catalitica sono principalmente riconducibili a sei meccanismi fondamentali attra-
verso i quali gli enzimi possono accelerare la velocità delle reazioni chimiche:
l) catalisi acido-basica: in questo caso il sito attivo dell'enzima fornisce una cavi-
tà specializzata con gruppi R di opportuni aminoacidi orientati in grado da poter
donare o accettare protoni con facilità. Questi gruppi si comportano effettuando
una catalisi di tipo acida generale o basica generale estremamente potente nel
solvente acquoso;
2) catalisi covalente: alcuni enzimi sono in grado di formare legami covalenti con
il substrato formando un complesso ES molto instabile, che va incontro ad ulte-
riori trasformazioni molto più rapidamente che in reazioni prive di catalisi enzi-
matica;
3) catalisi favorita da ioni metallici: le proprietà di alcuni metalli forniscono fun-
zioni accessorie all'enzima che vengono impiegate nella catalisi a livello del sito
attivo, questo tipo di catalisi verrà discussa più ampiamente nel capitolo dedica-
to ai coenzimi e ai cofattori enzimatici;
4) catalisi elettrostatica: il legame del substrato al sito attivo dell'enzima può
escludere le molecole d'acqua alterando quindi la polarità del sito che acquisi-
sce le caratteristiche di un solvente organico (con costante dielettrica più bassa)
rendendo quindi le interazioni elettrostatiche molto più forti. Inoltre, le distribu-
zioni di carica a livello del sito attivo possono contribuire alla stabilizzazione
degli stati di transizione;
5) catalisi favorita da effetti di prossimità e di orientamento: l'enzima può coordi-
nare il substrato in modo tale che il legame suscettibile della catalisi non solo si
viene a trovare vicino ai gruppi responsabili dell'attività catalitica ma anche con
l'orientamento corretto aumentando la probabilità che il complesso ES entri
nello stato di transizione;
6) catalisi favorita dal legame preferenziale del complesso dello stato di transizio-
ne: il legame del substrato è in grado di modificare la struttura tridimensionale
dell' enzima ed in tal modo il sito attivo dell'enzima risulta modificato ed in
grado di provocare distorsioni a livello della struttura del substrato favorendo la
formazione del complesso ES.
È interessante rilevare che quest'ultimo fattore, in grado di accelerare la veloci-
tà delle reazioni catalizzate da enzimi, deriva da uno sviluppo di studi condotti in
un primo tempo da E. Fischer nel 1894 che propose il modello chiave-serratura in
grado di descrivere in modo adeguato la specificità degli enzimi per il loro substra-
to. Un'elaborazione successiva, sviluppata da D. Koshland nel 1958, consentì di
aumentare le conoscenze sui meccanismi catalitici e di comprendere la catalisi
favorita da meccanismi di stiramento e distorsione: il modello ad adattamento
indotto. L'adattamento indotto implica distorsioni a carico sia dell'enzima che del
substrato. Queste possono essere localizzate o comportare una grossa variazione
16 I catalizzatori biologici
conformazionale dell'enzima come quelle che si verificano nel caso dell' esochina-
si una volta che questo lega una molecola di glucosio. Le modificazioni della strut-
tura terziaria o quatemaria di una macromolecola così grande come un enzima pos-
sono essere trasmesse attraverso strutture secondarie rigide e comportare una note-
vole forza meccanica a livello del sito attivo su di una molecola molto più piccola
come il substrato.
PARAMETRI CINETICI
L'attività enzimatica può essere valutata mediante misure di velocità di reazione
che prendono il nome di cinetiche enzimatiche. Il loro studio consente di individua-
re il meccanismo di catalisi e di comprendere in che modo è possibile regolare
un'attività enzimatica. Per misurare la velocità di reazione abbiamo bisogno di un
sistema per seguire la formazione del prodotto o il consumo di substrato. Di regola
si preferisce predisporre una serie di esperimenti tutti alla stessa concentrazione di
enzima, ma a diverse concentrazioni di substrato e misurare la velocità iniziale Vo.
Nel capitolo 4, dedicato alle applicazioni degli enzimi nel settore agroalimentare,
faremo alcuni esempi di dosaggi delle attività enzimatiche mediante metodi spettro-
fotometrici.
Dall'analisi dei dati cinetici è possibile osservare che a concentrazioni molto
basse di substrato la velocità iniziale di una reazione è pure molto bassa, ma essa
aumenta all'aumentare della concentrazione di substrato (figura 2.1).
La formazione del complesso enzima-substrato ES è dimostrata dal fatto che
osservando l'andamento della velocità di reazione in funzione della concentrazione
di substrato è possibile notare un effetto di saturazione. Infatti, la velocità della rea-
zione aumenta in modo iperbolico e proporzionale all'aumento della concentrazio-
ne del substrato finché non viene raggiunto un valore a cui non vi è più aumento
della velocità che si stabilizza asintoticamente. Tuttavia, oltre a questa vi sono altre
diverse evidenze sperimentali che denotano una formazione del complesso ES:
v~----------------------------_·
[5]
Figura 2.1 Andamento della velocità iniziale in funzione della concentrazione di substra-
to in enzimi non allosterici.
Parametri cinetici 17
alcune modificazioni delle proprietà spettroscopiche dell'enzima E durante la for-
mazione del complesso ES e dati cristallografici dell'enzima complessato con ana-
loghi del substrato non reattivi.
Pertanto, la prima tappa di una reazione enzimatica è la reazione reversibile e
veloce che porta alla formazione del complesso ES, successivamente il complesso
si può convertire in una reazione reversibile più lenta in enzima libero E e prodot-
to P. Nel più semplice dei casi il processo avviene quindi nelle seguenti due tappe:
k, ~
E + S .. ~ ES -----+ E + p (1)
k.,
(2)
(3)
(4)
1 Km 1 1
-=----+-- (5)
v Vmax [S] Vmax
Se riportiamo in un grafico l/v in funzione di l/(S] otteniamo una retta che pre-
senta come intercetta sull'asse delle ordinate il valore di INrnax' mentre l'intercet-
ta sull'asse delle ascisse risulta essere uguale a -l~ e la pendenza della retta è
pari al rapporto ~Nmax (figura 2.2).
Tuttavia è preferibile calcolare in modo più preciso i parametri di V rnax e ~
mediante analisi al computer con programmi opportuni che consentono di effettua-
re una regressione non lineare dell'iperbole mediante interpolazione con l'equazio-
ne di Michaelis-Menten.
Alcune reazioni enzimatiche prevedono più passaggi dal complesso enzima-sub-
strato alla formazione dell'enzima libero e del prodotto:
k, ~ k3
(6)
E + S .. • ES -----+ EP -----+ E + p
k.,
-1/Km 1/[8]
Figura 2.2 Grafico dei doppi reciproci. L'intercetta sull'asse delle ordinate è uguale a
1IVmax' mentre quella su II' asse delle ascisse è pari a -l/K m .
Parametri cinetici 19
La kcat rappresenta una misura diretta della formazione del prodotto operata dalla
catalisi in condizioni ottimali (enzima saturato). La k cat è anche il numero di mole-
cole di substrato trasformate da una molecola di enzima in un secondo, per questo
motivo la kcat viene detta anche numero di lurnover. Quando la concentrazione di
substrato è molto minore del valore di ~ ([S]«~) la maggior parte delle mole-
cole di enzima è in forma libera, quindi:
(8)
Vmax ---------------~-=-~---~----------------------
[8]
1N max
1/[8]
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
I
1Nmax~ /
I
I
I
I
I
I
I
I
1N max
I
I
I
I
I
-1/Km 1/[8]
Figura 2.5 Grafico dei doppi reciproci in presenza ed in assenza di un inibitore non com-
petitivo puro.
quasi tutti sostanze tossiche e la maggior parte di essi reagisce con alcuni gruppi
funzionali del sito attivo dell'enzima rendendolo inaccessibile al substrato o inatti-
vandolo definitivamente. Per esempio, il diisopropilfluorofosfato (DFP) è un inibi-
tore irreversibile che forma un addotto covalente con i residui di serina di proteasi
e dell'acetilcolinesterasi a formare un composto tetraedrico analogo dello stato di
transizione inattivando definitivamente tali enzimi.
1No +1 .......
..
. .. .
......
. .... -I
..
.. . . ..
. ..
. . .. .
.. .
.... . .. .
.
. . .. .
..
.. . .
...... 1Nmax
.. . ..
.
.. . .
-1/K m -1/Km 1/[8]
Figura 2.6 Grafico dei doppi reciproci in presenza ed in assenza di un inibitore incompe-
titivo.
Regolazione dell'attività enzimatica 23
Regolazione enzimatica del metabolismo
Enzima 1
regolazione Enzima 2 Enzima 3 Enzima 4
A • B ----.~C -------l.~ D .E
Inoltre, in generale gli enzimi posti all'inizio delle sequenze metaboliche sono
spesso enzimi regolatori. In questo modo si evita di sottrarre substrati, metaboliti e
quindi energia ad altre sequenze di reazioni importanti.
Tali enzimi chiave esistono nella maggior parte delle vie metaboliche ed è lì che
intervengono i meccanismi di regolazione. L'attività degli enzimi regolatori può
essere controllata a tre livelli indipendenti. Il primo livello consiste nel regolare il
processo di biosintesi della proteina enzimatica che si riflette ovviamente sulla
modulazione della sintesi del corrispondente mRNA, cioè sulla regolazione della
trascrizione del gene che codifica per l'enzima. Di conseguenza, questo meccani-
smo viene detto controllo trascrizionale e può essere mediato da meccanismi epige-
netici (metilazione DNA, modificazioni delle proteine istoniche) e da proteine rego-
latrici, i fattori di trascrizione, che si legano al DNA. L'effetto di queste proteine è
a sua volta modulato da metaboliti ed ormoni. Pertanto l'induzione o la repressione
dell'espressione genica dell'enzima attraverso tali processi è da considerarsi un
meccanismo efficace solo dopo un certo periodo di tempo, mentre l'interconversio-
ne tra forme diverse di un enzima già presente all'interno della cellula è sicuramen-
te un meccanismo di regolazione più rapido.
Un esempio tipico di regolazione di una via metabolica è la regolazione a "feed-
back". La cellula può controllare la formazione del prodotto fmale di una via meta-
bolica tramite attivazione o inibizione di un passaggio della via stessa. Il sistema più
efficiente in generale è quello che consente di operare una regolazione sul primo
passaggIO.
24 I catalizzatori biologici
A$ Enzima 1
"B
Enzima 2
- - - -... C
Enzima 3
• D
Enzima 4
.E
A "i_~~~~~~~~.:_C ._D_~ E
La regolazione allosterica
,, .
I
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I
I
I
I ,
I
,"
.... . -. '
I
I
[S]
no allo stato T rendendolo più stabile. Il modello simmetrico (MWC) fornisce una
plausibile razionalizzazione delle proprietà di legame delligando in parecchie pro-
teine ed enzimi. Tuttavia, vi sono diverse valide obiezioni a questo modello. In
prima analisi, è difficile credere che la simmetria sia invariabilmente conservata in
tutte le proteine oligomeriche a seguito del legame delligando. Inoltre, il modello
MWC può descrivere solo effetti omotropici positivi, ma non quelli negativi.
Pertanto, il modello simmetrico (MWC) implicitamente assume il modello di
Fischer a "chiave serratura" per il legame dei ligandi. In questo modello i siti di
legame vengono considerati rigidi e complementari come forma al loro ligando.
Nell'ipotesi dell'adattamento indotto (sequenziale), più sofisticata, si postula inve-
ce che un'interazione flessibile tra substrato e enzima induca una modificazione
conformazionale dell'enzima stesso (trasmessa attraverso l'interfaccia tra le subuni-
tà) che, nel caso di effetto omotropico positivo, porta ad un aumento dell'affinità
per il substrato delle subunità interagenti. Koshland, Neméthy e Filmer nel 1966
proposero tale modello sequenziale confermato dalla presenza di intermedi struttu-
rali rilevata in molti enzimi mediante analisi ai raggi X. Nel modello sequenziale il
legame del ligando induce una modificazione conformazionale in un protomero
(subunità) e le interazioni cooperative derivano dagli effetti che queste variazioni
conformazionali hanno sulle subunità vicine. L'afrmità della proteina per il legame
del1igando varia con il numero di molecole di ligando legate, passando attraverso
una serie di forme intermedie.
Un classico esempio di regolazione allosterica dell'attività enzimatica è dato
dall'enzima aspartato transcarbamilasi (ATCasi). Esso catalizza la prima tappa della
via metabolica che porta alla biosintesi delle pirimidine, la sintesi di N-carbamil-L-
aspartato da aspartato e carbamil-fosfato, ed è un enzima che presenta una inibizio-
ne a feedback negativo. L'ATCasi di E. coli ha una struttura quaternaria con una
composizione in subunità di tipo C6R 6, dove C ed R sono rispettivamente le subuni-
tà catalitiche e regolatrici (figura 2.8).
Le subunità catalitiche sono organizzate in due trimeri (C 3) e dissociate manten-
gono l'attività enzimatica, ma presentano curve di saturazione da substrato iperbo-
liche non cooperative. D'altra parte, le subunità regolatrici se dissociate legano gli
effettori eterotropici ma non presentano attività catalitica. Pertanto, solo nell'enzi-
ma in forma oligomerica nativa, in cui tutte le subunità sono associate correttamen-
te tra loro, si manifesta una cooperatività allosterica e le subunità regolatrici modu-
lano l'attività delle subunità catalitiche. Utilizzando l'analogo bisubstrato N-(fosfo-
noacetil)-L-aspartato (PALA) non reattivo che si lega saldamente alI'ATCasi bloc-
cando l'enzima nella conformazione R, è stato possibile studiare la struttura ai
raggi-X della proteina nei due stati e conoscere le differenze conformazionali
responsabili della modulazione allosterica. A causa della sua carica netta negativa il
PALA si lega elettrostaticamente a quattro residui di arginina e ad una lisina del sito
attivo. Questo enzima possiede un legame omotropico di tipo cooperativo positivo
per entrambi i suoi substrati (aspartato e carbamil fosfato). Inoltre, l'ATCasi viene
inibita eterotropicamente dalla citidina trifosfato (CTP), un nucleotide pirimidinico
che è il prodotto fmale della via metabolica (feedback negativo), mentre viene atti-
vata eterotropicamente dall'ATP. Pertanto, come predetto dal modello allosterico
MWC descritto precedentemente, l'attivatore ATP si lega preferenzialmente alla
ATCasi attiva (stato R), mentre l'inibitore CTP si lega alla forma meno attiva del-
l'enzima (stato T). Ognuno dei sei siti attivi è posto all'interfaccia tra le subunità
catalitiche, ogni subunità regolatrice possiede un sito a cui possono legarsi il CTP
o l'ATP.
Dal punto di vista funzionale, la regolazione di tale enzima consente alla cellu-
la di attivare la via solo in condizioni opportune. Elevati livelli di CTP segnalano
che non sono necessarie altre pirimidine, mentre alte concentrazioni di ATP sono
sintomo sia di una situazione intracellulare di elevata disponibilità di energia, che è
Regolazione dell'attività enzimatica 27
Stato T Stato R
Q)
co
(f)
(f)
«
Q)
CO
~
ID
......
CO
.....J
Figura 2.8 StruHura quaternaria dell'Areasi. Sono rappresentate le proiezioni assiali e laterali dei conformeri T
ed R dell'enzima (files: 6ATl.pdb, 1D09.pdb). Azzurro e verde: trimeri catalitici; giallo: dimeri regolatori.
necessaria per attivare le biosintesi dell'RNA e del DNA, sia di un elevato livello
di purine e pertanto una necessità di attivare la biosintesi delle pirimidine.
Pj H20
Molte molecole di ~
glucosio attivate
Fosfatasi
Chinasi
~
Glicogeno sintasi Glicogeno sintasi D
(più attiva) ATP ADP (meno attiva)
GLICOGENO
(un polimero di glucosio)
ADP ATP
Molte
~
molecole
diATP ~
Molffi
molecole
) ~
diADP H 20 Pj
Molte molecole di
glucosio-1-fosfato
Glicogeno fosforilasi a Glicogeno fosforilasi b
(più attiva) (meno attiva)
Figura 2.9 La regolazione dell'aHività del sistema glicogeno sintasijglicogeno fosfori/asi (1RZP.pdb, 8GPB.pdb,
9GPB.pdb).
ATP + ADP
~
Fosforilasi chinasi
(meno
attiva)
Glicogeno
fosforilasi
Fosfoproteina
Fosfatasi -1
Figura 2.10 Controllo ormona/e dello rego/azione do legame covalente dello glicogeno fosforilasi (10ZI.pdb,
1PHK.pdb, 2CPK.pdb).
La conversione della glicogeno fosforilasi dalla forma inattiva (b) a quella atti-
va (a) è in realtà l'ultimo evento di una serie di reazioni che hanno inizio quando la
superficie della cellula viene raggiunta da uno specifico ormone, l'adrenalina attiva
nel muscolo e nel fegato ed il glucagone solo nel fegato (figura 2.11). In una
sequenza di reazioni note come trasduzione del segnale dell'adrenalina. Il segnale
dato da una singola molecola ormonale che prende contatto con la superficie cellu-
lare viene amplificato per trasformare molte molecole di fosforilasi b in fosforilasi
a. Il meccanismo di trasduzione del segnale comporta che la molecola di ormone
una volta legata al recettore, posto sulla superficie esterna della membrana plasma-
tica della cellula bersaglio, induca una modificazione conformaziona1e della stessa
che viene trasmessa attraverso la proteina G (così chiamata perché idrolizza GTP)
30 I catalizzatori biologici
A) Legame di
adrenalina o
glucagone
<~=
'1(&
C) Attivazione
(
dellaPKA da
parte del cAMP
D) Fosforilazione
di proteine E) Degradazione del cAMP
bersaglio da parte Viene a cessare l'attivazione della PKA
della PKA
all'adenilato ciclasi che viene così attivata e sintetizzaAMP ciclico (cAMP) daATP
(figura 2.11).
I livelli di questo secondo messaggero vengono controllati anche attraverso l'a-
zione di un altro enzima, la cAMP fosfodiesterasi, che idrolizza il cAMP a 5'-AMP
rendendolo inefficace. Il cAMP si lega alla proteina chinasi A attivandola. La pro-
teina chinasi A possiede molti bersagli, alcuni dei quali sono coinvolti nel metabo-
lismo del glicogeno. Infatti, utilizzando ATP come donatore del gruppo fosforico,
l'enzima è in grado di fosforilare la glicogeno sintasi, convertendola nella forma D
inattiva e bloccando la sintesi del glicogeno. Un altro substrato della proteina chi-
nasi A è la glicogeno fosforilasi chinasi. Questa chinasi fosforila la forma b inatti-
va della glicogeno fosforilasi rendendola attiva. In questo modo si ha la liberazione
di glucosio-l-fosfato che può essere introdotto nella glicolisi, previa sua conversio-
ne in glucosio-6-fosfato ad opera della fosfoglucomutasi. Tuttavia, la glicogeno
fosforilasi viene regolata anche allostericamente. La forma b inattiva può essere
infatti attivata dall'AMP che funziona come effettore eterotropico positivo.
Viceversa alti livelli di glucosio-6-fosfato e di ATP agiscono come effettori etero-
tropici negativi della glicogeno fosforilasi (figura 2.12). Inoltre, anche la glicogeno
fosforilasi a può essere inattivata allostericamente quando sono presenti alte con-
centrazioni di glucosio.
Questa duplice regolazione (ormonale e allosterica) dell'enzima consente una
fine regolazione dei livelli di glucosio. Se ad una cellula che già possiede sufficien-
ti riserve di glucosio arriva un segnale (ormonale) che attiva il sistema delle fosfo-
rilasi, l'enzima viene inibito finché quelle riserve non siano esaurite. Al contrario,
alti livelli di AMP significano per la cellula una bassa carica energetica e quindi
necessità di mobilitare riserve di energia. Quindi, a bassi livelli di glucosio e ATP
I coenzimi 31
2ADP
Forma T
(inattiva)
~?;:fOPro~
2PI fosfatasi 2H 20
l
Forma R
(attiva)
Fosforilasi b Fosforilasi a
I COENZIMI
Pertanto, dal punto di vista biochimico, gli enzimi, come tutte le altre proteine,
sono classificati come semplici o complessi. Gli enzimi semplici sono composti da
catene polipeptidiche costituite da soli aminoacidi, mentre negli enzimi complessi i
gruppi prostetici sono legati stabilmente alla struttura dell'enzima e vengono chia-
mati anche cofattori. La maggior parte dei cofattori organici, i coenzimi, sono deri-
vati di vitamine solubili in acqua (vedi anche capitolo 13). Per quanto riguarda i
cofattori inorganici, gli ioni metallici sono i più comuni.
Tutti gli enzimi appartenenti alla classe delle ossido-reduttasi impiegano i coen-
zimi durante il ciclo catalitico. In tabella 2.2 vengono riportati i coenzimi più impor-
tanti, alcuni dei quali possono agire come coenzimi solubili, mentre altri come grup-
pi prostetici legati all'enzima. Generalmente nelle reazioni di ossido-riduzione,
insieme agli elettroni, vengono trasferiti da una molecola ad un'altra anche uno o
due protoni. Per questo motivo si dice che vengono trasferiti equivalenti riducenti.
In tabella 2.2 vengono anche riportati i potenziali di ossido-riduzione, calcolati
in condizioni standard, dei diversi coenzimi, tuttavia i loro valori possono essere
notevolmente influenzati dal microambiente determinato dal legame alla matrice
proteica dell'enzima.
I nucleotidi pirimidinici NAD+ e NADP+ (figura 2.13) sono i coenzimi di molte
deidrogenasi. I due elementi nucleotidici uniti da un legame fosfoanidridico che
compongono il NAD+ sono iI5'-AMP e un nucleotide che contiene come base l'a-
mide dell'acido nicotinico. Il nicotinato e la nicotinamide, in inglese denominati
entrambi niacin, corrispondono alla niacina, una vitamina che può essere sintetiz-
zata, ma con una resa estremamente bassa, dal triptofano. Per questo motivo si
riscontrano avitaminosi solo quando nell'alimentazione mancano contemporanea-
mente il nicotinato, la nicotinamide ed il triptofano. L'avitaminosi si manifesta con
disturbi della pelle (pellagra), disturbi della digestione e depressione. Il NADP+
(NAD+-fosfato) ha la stessa struttura del NAD+, tranne che in questo caso la mole-
cola possiede il gruppo 2'-OH del ribosio legato all'adenina che è esterificato con
acido fosforico (figura 2.13). Come vedremo in seguito, nonostante questa somi-
glianza molecolare, i ruoli del NAD+ e del NADP+ nel metabolismo sono comple-
tamente diversi. Solamente l'anello nicotinamidico di questi due coenzimi parteci-
pa alle reazioni di ossido riduzione. L'anello aromatico nella forma ossidata possie-
de una carica positiva (NAD+). La reazione di ossidazione dei substrati, catalizzata
dalle deidrogenasi, comporta la sottrazione da questi di due atomi di idrogeno, cioè
due elettroni e due protoni. Tuttavia il NAD+ è in grado di accettare soltanto uno
ione idruro (H-, cioè un protone con due elettroni). Il protone che non si lega al
I coenzimi 33
Nicotinamide Nicotinamide
(forma ossidata) (forma ridotta)
pro-R pro-S
oIl O
Il
a
H Ione idruro,
C-NH2 H:- " aH
"'$'H IC-NH 2
+
o 5::7'" 1
3 '"
«z 1
6~ 2
ai
1:l
N+ N
~"p~-~C2
.~
al
U
::)
c:
O 1 I
'ti
/
c: ~ H H
'c O H H
al
1:l
<Il O OH OH NH2
t--/--
al
1:l
'E N
<Il ' " //0
c:
:s
()
-o/P"O-CH
k3;;-~
O N-l.,)
N
z
AMP H~H
OH OH
~
il NADP+ contiene un
su questo ossidrile 2'
a
Figura 2.13 Meccanismo di ossido-riduzione e struHura del NAD (0/ da R. GarreH, C.M. Grisham, Principi di
Biochimica, Piccin Nuova Libraria, Padova 2004). Questo coenzima si ritrova associato agli enzimi a livello di uno
specifico motivo di struHura supersecondaria (il motivo di Rossmann, b).
NAD+ viene rilasciato in soluzione, pertanto la forma ridotta del coenzima viene
indicata come NADH+H+. Inoltre l'atomo di carbonio a cui si lega lo ione idruro
diventa un gruppo CH 2 ed i doppi legami dell'anello aromatico cambiano posizio-
ne e vi è la scomparsa della carica positiva sull'atomo di azoto (figura 2.13).
Come vedremo in seguito nel capitolo 6, entrambi i coenzirni agiscono sempre
in forma solubile, il NADH trasporta equivalenti riducenti dalle vie cataboliche alla
catena respiratoria e serve per il metabolismo energetico, mentre il NADPH traspor-
ta elettroni che vengono impiegati prevalentemente nelle più importanti vie biosin-
tetiche. Pertanto gli enzimi che ossidano i substrati (le deidrogenasi) di norma
impiegano il NAD+, mentre quelli che riducono i substrati (le riduttasi) di solito uti-
lizzano il NADPH. Un'eccezione è rappresentata da due deidrogenasi della via del
pentosio fosfato che convertono il NADP+ in NADPH e costituiscono la via princi-
pale per la sintesi di nucleotidi ridotti.
Per quanto riguarda i coenzimi flavinici, il flavin mononucleotide FMN e il fla-
vin adenin dinucleotide FAD (figura 2.14), essi compaiono per lo più saldamente
legati alla struttura degli enzimi, a dare luogo ai cosiddetti flavoenzirni. Il gruppo
con proprietà ossido-riducenti dei due coenzirni è costituito dalla flavina (isoallosa-
zina), un sistema aromatico a tre anelli che nella forma ridotta può assumere due
elettroni e due protoni (figura 2.14). La molecola dell'FMN contiene il ribitolo, un
polialcol a cinque atomi di carbonio, in forma fosfori lata. Il coenzima FAD è deri-
vato dalI'FMN mediante legame con l'AMP. Dal punto di vista funzionale questi
due coenzimi sono paragonabili ed essi si ritrovano associati ad enzimi quali le
monoossigenasi, le ossidasi e le deidrogenasi.
34 I catalizzatori biologici
o
HCYyN0N/H
3
z
H3C~NÀN~O
~
I
u. CH 2
ai
"'O
I
HCOH
E
Q)
C3
I
::::l HCOH
C
o
C
o-Ribitolo I
o HCOH
E
c I
.~ CH 2
u::: I
O
I
O=P-O-
1--------
-----------------;;--I-o- CH
[:;;O~
<=6 AMP
~
OH OH
--~---------- -------'
R R H
9 110 1
i-i-+ H+
I I
Forma ossidata
H'CaN~yo l H'CÙN~io
~ SaN4a I I N
Imax = 450 nm "- Forma ridotta
(giallo)
HC?
I o NH
3 .~ I HC ~ N ........
(incolore)
3 6 5 4 H-+ H+ 3 I H
O
r
H O
FAO o FMN
FAOH 2 o FMNH 2
+H+, e-
+H+, e - l -H+. e-
X-H+,e-
R
I
Forma
semichinonica
Imax = 570 nm
H,C:(JCP(iO
HC
I~ N·
NH
,
pK a =" 8.4
"- Forma
semichinonica
anionica
(blu) 3 I Imax = 490 nm
H O (rosso)
FADHo FMNH
Figura 2.14 Meccanismo di ossido-riduzione e struHura dell'FMN e del FAD (da R. GarreH, c.M. Grisham, op.cit.).
I coenzimi 35
(a) (b)
S-S HS HS
I \ ~o I I ~o
H2 C-....... /CHCH 2 CH 2CH 2 CH 2C-....... H2 C-....... /CHCH 2 CH 2 CH 2 CH 2C-.......
CH 2 0- CH 2 0-
(c)
S-S H
~
I Hl
N~!J
eH
o "-c=o
'------Vy--------''''------Vy-----'
"-
Acido lipoico Lisina
Complesso Iipoamidico
-o-ro
6H
I
2
(-r"
N~N~
NH 2
~
OH
H H
3'
O OH
I
Po32-
3',5'-ADP
H C
3
AN
:)'
I Protone acido
trasferimento dei residui acilici da una molecola ad un'altra. La rottura del legame
tioestere è infatti una reazione termodinamicamente favorita e vedremo nel capito-
lo relativo alla bioenergetica che questo è un legame considerato ad alta energia.
Un altro coenzima che rientra in questo gruppo è la tiamina pirofosfato (TPP).
Essa è un composto derivato della vitamina BI (vedi anche capitolo 13) che consen-
te l'attivazione di aldeidi e chetoni sotto forma di gruppi idrossialchilici e il loro tra-
sferimento poi ad altre molecole. Partecipa quindi a reazioni di rottura e trasferi-
mento di un gruppo aldeidico attivato da un atomo di carbonio all'altro (figura
2.18). Tale trasferimento è importante per esempio nella reazione della transcheto-
lasi che ritroveremo nella via dei pentoso fosfati, ma la TPP è anche il coenzima
della piruvato decarbossilasi nella fermentazione alcolica, dell'enzima El del com-
plesso della piruvato deidrogenasi, ma anche dell'a-chetoglutarato deidrogenasi del
ciclo di Krebs (vedi capitolo 6).
il piridossalfosfato (pLP, derivato dalla vitamina B 6, vedi anche capitolo 13) è
invece il coenzima più importante nel metabolismo degli aminoacidi. Vedremo che
il suo ruolo è legato sia alle reazioni di transaminazione degli aminoacidi che alle
reazioni di decarbossilazione e deidratazione degli stessi. La forma aldeidica del
piridossaifosfato non esiste in forma lineare; in assenza di substrati il gruppo aldei-
dico è legato, a formare un'aldimina (una base di Schiff protonata), al gruppo E-
aminico di un residuo di lisina dell'enzima (figura 2.19). Tuttavia, ritroviamo il PLP
coinvolto anche nella attività della glicogeno fosforilasi, enzima che agisce rimuo-
vendo unità di glucosio-i-fosfato dalle estremità non riducenti del glicogeno. Nella
glicogeno fosforilasi il piridossale è legato covalentemente all'enzima e solo il
gruppo fosforico partecipa alla catalisi.
o Biotina
HNANH
~
H L1slna /
I HN
N, /'... /'... /.
s ~ ~ 'eH
o 'c
o1/\
1<-----1.5 nm------>i,1
Il complesso biotina-lIslna (bioeitina)
Figura 2.20 StruHura della biotina (da R. GarreH, C.M. Grisham, op.cit.).
H
I H
H2N y
:;tN
( N"'f- H
HN I N
A CH 2 -N-R
O I
H
Diidrofolato
Tetraidrofolato
Lo zinco non ha modo di partecipare a cicli redox a causa della grande stabilità
dello stato di ossidazione Znz+; esso, tuttavia, costituisce il gruppo prostetico di
enzimi (ne sono noti circa 140) dove funziona da acido di Lewis, catalizzando rea-
zioni idrolitiche che prevedono l'attivazione di piccole molecole neutre come l'HzO
e la COz. La relativa stabilità dei suoi complessi con i residui laterali di alcuni ami-
noacidi (cisteine e istidine) rendono possibile anche un suo ruolo strutturale, nei
casi in cui è richiesta una elevata stabilità conformazionale locale che non è possi-
bile realizzare né con ponti disolfuro, né legando ioni alcalino-terrosi.
Le metalloproteine contengono, per lo più, un solo ione metallico nel sito attivo,
ma, specialmente nel caso di proteine a rame e a ferro, sono relativamente frequen-
ti siti polinucleati in cui ciascuno ione può trovasi in un contesto di legame diverso
e assolvere pertanto un ruolo differenziato nel complesso del ciclo di catalisi. Il
rame e lo zinco sono invariabilmente legati direttamente a residui aminoacidici
della matrice proteica; il rame dà luogo anche a siti bi- (fenoloossidasi) e tri-nuclea-
ri (ceruloplasmina), mentre il ferro si trova direttamente legato in siti mono- o di-
nucleari, o associato ad un macrociclo legante (eme) oppure in vari tipi di clusters
con il solfuro (aconitasi mitocondriale). In qualche caso il sito attivo contiene
metalli di diversa natura: ne sono un esempio la citocromo-ossidasi che contiene
ferro-eme e rame, la xantina-ossidasi a ferro e molibdeno, la superossido-dismuta-
si a rame e zinco (figura 2.22).
Non tutti questi metalli sono stati acquisiti e integrati nei sistemi biologici fin
dall'inizio della storia evolutiva: alcuni lo sono stati successivamente, solo quando
processi geochimici, geofisici o biologici li hanno resi biodisponibili. In questi casi
si sono avute competizioni funzionali che si sono risolte o con lo sviluppo di nuove
specializzazioni, o con il forte ridimensionamento dei ruoli e dell'importanza del
metallo già integrato e perfino con il suo rimpiazzo da parte del nuovo metallo.
Competizioni funzionali di grande importanza ci sono state tra ferro e rame e pro-
babilmente anche tra zinco e rame, entrambe determinate dall'avvento dell' ossige-
no nell'atmosfera. Questo evento, a buon diritto, può essere considerato uno dei
massimi sconvolgimenti ambientali della storia evolutiva, le cui conseguenze hanno
portato alla vita come la conosciamo noi oggi. Infatti l'ossigeno ha capovolto il
carattere redox dell'atmosfera: da riducente, ricca di NH 3 e di HzS, ad ossidante,
Lienhard, G.E. (1973) Enzymatic catalysis and transition state theory. Science 180,
149-154.
Koshland, D.E. (1984) Control ofenzyme activity and metabolic pathways. Trends
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Capitolo 3
Gli enzimi della digestione
I più comuni carboidrati contenuti negli alimenti assunti con la dieta sono l'ami-
do, il saccarosio e illattosio. Essi costituiscono circa il 50% delle calorie della dieta
media nei paesi occidentali.
Come vedremo nei dettagli nel capitolo relativo alla digestione dei glucidi, l' a-
mido è la forma di riserva dei carboidrati nelle piante ed è simile al glicogeno ani-
male nella struttura; esso è costituito infatti da residui di glucosio legati da legami
glicosidici di tipo a(1 ~4) che formano l' amilosio e l'amilopectina con ramifica-
zioni con legami di tipo a(1 ~6) presenti ogni 24-30 residui.
È importante considerare che sono da distinguere due meccanismi fondamenta-
li nella degradazione di questi polisaccaridi (vedi anche capitolo 8): la scissione
idrolitica dell'amido (in misura molto minore del glicogeno che generalmente è già
degradato negli alimenti introdotti con la dieta) avviene mediante l'attività di enzi-
mi, le amilasi; mentre la rimozione di unità di glucosio dalle riserve cellulari di gli-
cogeno, come abbiamo visto nel capitolo 2 descrivendo i meccanismi di regolazio-
ne da legame covalente, avviene ad opera della glicogeno fosforilasi che catalizza
una scissione fosforolitica del glicogeno. Per quanto riguarda la mobilizzazione del
glicogeno, esso è l'unica fonte energetica usata dal cervello (ad eccezione dei perio-
di di digiuno prolungati) ed è presente nel citosol cellulare di fegato e muscolo sche-
letrico sotto forma di granuli che contengono proteine regolatrici ed enzimi che ne
catalizzano la sintesi e la degradazione. Come vedremo nel capitolo 6 relativo al
metabolismo dei macronutrienti, in questa reazione di fosforolisi, diversa dall'idro-
lisi dei legami glicosidici catalizzata dalle amilasi, parte dell'energia del legame gli-
cosidico viene conservata mediante la formazione del legame estere fosforico nel
glucosio-l-fosfato.
La digestione dei carboidrati introdotti con la dieta comincia nel cavo orale,
dove l'a-amilasi salivare idrolizza l'amido rompendo legami a(1~4) tra i residui
di glucosio all'interno della molecola. I prodotti principali di tale idrolisi sono le a-
destrine costituiti da oligosaccaridi lineari e ramificati. Successivamente, i prodotti
di questa prima idrolisi entrano nello stomaco dove l'acidità gastrica inibisce l'azio-
ne dell'a-amilasi. In seguito, quando il contenuto dello stomaco passa all'intestino,
il bicarbonato, secreto dal pancreas mediante l'induzione dell'ormone secretina,
neutralizza l'acidità gastrica comportando un innalzamento del pH a valori ottima-
44 Gli enzimi della digestione
li (circa 7.0) per l'azione degli enzimi intestinali e pancreatici. Il pancreas secerne
una a-amilasi che entra nel lume dell'intestino tenue e continua il processo digesti-
vo dei carboidrati. L'a-amilasi pancreatica come quella salivare catalizza l'idrolisi
di legami glicosidici di tipo a(l---74) fra i residui di glucosio all'interno della cate-
na dell'amido. I prodotti dell'a-amilasi pancreatica sono il disaccaride maltosio, il
trisaccaride maltotrioso e piccoli oligosaccaridi contenenti legami a(l---74) ed
a(l---76).
Gli enzimi prodotti dalle cellule epiteliali intestinali e localizzati sull'orietto a
spazzola continuano il processo digestivo dei carboidrati introdotti con la dieta. Una
a-glucosidasi idrolizza residui di glucosio dali'estremità non riducente degli oligo-
saccaridi ed è anche in grado come la maltasi di idrolizzare i legami a(l---74) del
disaccaride maltosio rilasciando due molecole di glucosio. Una a(1 ~6)-glucosida
si (a-destrinasi) idrolizza i legami a(l---76) rilasciando residui di glucosio dagli oli-
gosaccaridi ramificati e completando pertanto insieme agli enzimi anzidetti la
degradazione dell'amido in glucosio. Anche i diversi disaccaridi introdotti con la
dieta vengono idrolizzati nei monosaccaridi costituenti dagli enzimi presenti sul-
l'orietto a spazzola delle cellule epiteliali intestinali. La saccarasi converte il sacca-
rosio in glucosio e fruttosio, la lattasi il lattosio in glucosio e galattosio, la trealasi
catalizza l'idrolisi del trealosio (a-D-glucopiranosio-a-D-piranosio) in due moleco-
le di D-glucosio e la maltasi, come già detto, la conversione del maltosio (a-D-glu-
copiranosio-I3-D-piranosio) in due molecole di D-glucosio.
ENZIMI PROTEOLITICI
Figura 3.1 Struttura risolta mediante cristallografia ai raggi X del complesso tripsina-ini-
bitore pancreatico della tripsina (A). B) Ingrandimento della regioAe di interazione specifi-
ca che coinvolge un asportato della tripsina ed una lisina dell'inibitore.
stesso che porta alla forma attivata della tripsina. Il sito di taglio è sensibile anche
all'attività della tripsina, quindi una volta attivata essa può dare luogo per attivazio-
ne autocatalica alla conversione di altre molecole di tripsinogeno in tripsina. Tale
enzima è responsabile, inoltre, dell'attivazione del chimotripsinogeno, della proela-
stasi e della procarbossipeptidasi. La tripsina, la chimotripsina e l'elastasi sono
endopeptidasi, cioè scindono legami peptidici all'interno della molecola proteica da
digerire, mentre le carbossipeptidasi, ma ache le aminopeptidasi che vedremo nel
capitolo 8, sono esopeptidasi che catalizzano l'idrolisi del legame peptidico rispet-
tivamente a partire dall'aminoacido C-terminale ed N-terminale.
La sintesi degli enzimi pancreatici come zimogeni inattivi protegge le strutture
proteiche delle cellule del pancreas che li hanno sintetizzati da un attacco proteoli-
tico. Poiché la tripsina è il primo enzima che viene attivato e porta ad una cascata
di attivazione di tutte le altre proteasi pancreatiche, per evitare che questa si attivi a
livello del pancreas, in quest'organo viene sintetizzato un inibitore pancreatico della
tripsina in grado di formare un complesso molto stabile con la tripsina inibendone
totalmente l'attività (figura 3.1). Come verrà ripreso nel capitolo 11 relativo ai non
nutrienti, nei legumi sono presenti proteine specifiche con attività inibitoria (inibi-
tori di Kunitz) dell'attività catalitica della tripsina. Tali proteine possiedono sulla
loro superficie una piccola regione aminoacidica che è in grado di interagire speci-
ficamente con il sito attivo della trispina a dare luogo alla formazione di un com-
plesso tripsina-inibitore molto stabile. In questa regione arninoacidica è presente un
legame peptidico che viene specificamente idrolizzato dalla tripsina. Sia l'inibitore
idrolizzato che quello intatto rimangono comunque stabilmente associati alla tripsi-
na inibendone l'attivazione.
Il chimotripsinogeno viene attivato mediante la rottura del legame peptidico
Arg15-Ile16 catalizzata dalla tripsina. La 1r-chimotripsina così ottenuta è già attiva
e subisce in seguito un processo di autolisi scindendo in modo specifico due lega-
mi peptidici Ser14-Arg15 e Thr147-Asn148 con la rimozione di due dipeptidi. La
presenza di due ponti disolfuro intracatena fa in modo che i frammenti ottenuti
dalla precedente idrolisi non vengano rilasciati ma vadano incontro ad un riarran-
giamento molecolare che porta alla struttura fmale della a-chimotripsina attiva.
L'attivazione della proelastasi in elastasi prevede invece una singola digestione
operata dalla tripsina che rimuove un piccolo peptide nella regione N-terminale
della proteina. Infme, come già detto, la tripsina è in grado di attivare anche gli enzi-
mi pancreatici procarbossipeptidasi A e B.
46 Gli enzimi della digestione
O
Il
HO C"
OH
",
HO" Figura 3.3 StruHura dell'a-
cido colico.
Degradazione enzimatica dei Iipidi 49
Figura 3.4 Interazione tra lo superficie delle micelle di sali biliari con il complesso lipasi-
colipasi.
mazionale della colipasl che si associa alla regione C-terminale della lipasi dando
luogo ad una superficie idrofobica più estesa che favorirebbe il legame del comples-
so alla superficie della micella lipidica (figura 3.4).
Per quanto riguarda invece l'idrolisi dei glicerofosfolipidi, i principali compo-
nenti lipidici delle membrane biologiche costituiti dal glicerolo-3-fosfato le cui
posizioni Cl e C2 sono esterificate con acidi grassi, essi vengono idrolizzati dalle
fosfolipasi. In particolare, la fosfolipasi A 2> che viene sintetizzata come precursore
inattivo profosfolipasi A2 e attivata per scissione proteolitica dalla tripsina, cataliz-
za la scissione idrolitica dell'acido grasso esterificato in posizione C2 (figura 3.5)
del glicerolo producendo un lisofosfolipide. Tali composti possono agire come
potenti detergenti in grado di lisare le membrane cellulari. Per esempio, il veleno
dei serpenti e delle api è particolarmente ricco di fosfolipasi A2 e la sua azione si
esplica anche attraverso la lisi cellulare. Esistono altri tipi di fosfolipasi, il cui nome
deriva dalla posizione del legame di cui catalizzano l'idrolisi, la fosfolipasi A], che
catalizza la rottura del legame estere con l'acido grasso in posizione Cl del glice-
rolo, e le fosfolipasi C e D, che idrolizzano in due posizioni diverse il gruppo fosfo-
rico (figura 3.5).
Anche queste lipasi catalizzano di preferenza scissioni idrolitiche a livello del-
l'interfaccia lipide-acqua, ma, nel caso della fosfolipasi A2 , l'enzima possiede un
canale idrofobico che garantisce al substrato lipidico una via di accesso dalla super-
ficie della membrana fosfolipidica al sito attivo dell'enzima senza essere solvatato
e desolvatato. In questo modo illipide non incontra le barriere cinetiche dovute alla
rimozione del solvente acqua che devono invece superare i fosfolipidi dispersi non
organizzati in rnicelle per interagire con l'enzima.
Come vedremo nel capitolo lO relativo agli eicosanoidi e agli endocannabinoi-
di, i prodotti di idrolisi delle fosfolipasi non sono destinati sempre ad ulteriori
degradazioni per la produzione di energia, ma possono funzionare anche come
molecole segnale sia dentro la cellula che nell'ambiente extracellulare. Per esem-
pio, l'acido lisofosfatidico (l-acil-glicerolo-3-fosfato) non ha alcuna azione litica
sulle membrane cellulari, ma viene prodotto dall'idrolisi di fosfolipidi delle mem-
50 Gli enzimi della digestione
;;0
C'I V
"-O-CH
Fosfolipasi A2
O
I Il
HC-O-P-O-X
2 I
/O~
Fosfolipasi C Fosfolipasi D
brane delle piastrine e può stimolare la crescita cellulare come parte del meccani-
smo di riparazione delle ferite. Anche l' 1,2-diacilglicerolo prodotto dall'azione
della fosfolipasi C sui 1ipidi di membrana è una molecola segnale in grado di atti-
vare la proteina chinasi C così modulando diversi processi intracellulari attraverso
la fosforilazione di specifiche proteine bersaglio. L'acido arachidonico, che verrà
trattato nei dettagli nel capitolo 10 relativo agli eicosanoidi, viene staccato per azio-
ne della fosfolipasi A 2 dalla posizione C2 del fosfatidilinositolo delle membrane
cellulari.
Infine è importante ricordare che dall'idrolisi completa dei trigliceridi si forma-
no anche ridotte quantità di glicerolo (5%) che possono essere assorbite e tornare al
fegato attraverso la vena porta ed essere impiegate o nella glicolisi o nella gluco-
neogenesi a seconda dello stato metabolico dell'organismo. Il trasporto dei lipidi
nel flusso sanguigno avviene grazie alla presenza di lipoproteine a diversa densità
(VLDL, LDL, HDL) che verranno discusse nei dettagli nel capitolo 8 relativo alla
digestione e all'assorbimento dei lipidi.
vate. L'assorbimento della luce dipende dal tipo e dalla concentrazione della sostan-
za e dalla lunghezza d'onda impiegata. Per questo motivo generalmente viene
impiegata luce monocromatica, cioè ad una singola lunghezza d'onda. La luce
monocromatica con intensità lo attraversa la soluzione in cui è presente la sostanza
da misurare. La soluzione è contenuta all'interno di una cuvetta di quarzo.
L'intensità della luce che esce dalla cuvetta sarà più debole poiché una parte viene
assorbita dalla sostanza in esame e viene determinata da un opportuno rilevatore.
L'assorbanza A di una soluzione viene definita dalla legge di Lambert-Beer:
A = -log -I =c . c ./
lo
v v
10 11 10 20 30 40 50 60
T(·C)
pH B
A
Figura 4.1 Esempio di andamento dell'aHività enzimatica in funzione del pH (A) e della temperatura (B).
54 Enzimi e tecnologie alimentari
In generale gli enzimi già presenti nel materiale alimentare vengono detti endo-
geni poiché sono costitutivi dei tessuti o degli organi che compongono l'alimento.
Vedremo che in questo caso le reazioni da essi catalizzate possono essere desidera-
te o indesiderate secondo il tipo di alimento considerato. Gli enzimi che vengono
invece classificati come esogeni sono quelli che sono aggiunti al materiale alimen-
tare, in quanto non costitutivi, per migliorare un processo di trasformazione dando
luogo o ad un incremento delle reazioni enzimatiche endogene o a nuove reazioni
di interesse per la produzione della formulazione alimentare fmale.
Un esempio tipico di reazioni dovute alla presenza di un enzima endogeno è
quello relativo all'imbrunimento enzimatico di alcuni alimenti.
Viene definito imbrunimento enzimatico la trasformazione, enzimatica nelle
prime sue tappe, di composti fenolici in polimeri colorati. Le tappe fondamentali di
questa polimerizzazione sono quelle rappresentate in figura 4.2.
L'imbrunimento enzimatico è un processo che si osserva solo negli alimenti di
origine vegetale che sono ricchi in composti fenolici. Non sempre la reazione di
imbrunimento è indesiderata, per esempio nella produzione del cacao, del tabacco,
dei datteri secchi e del sidro la reazione opportunamente controllata dà luogo alla
colorazione richiesta del prodotto alimentare finito. Le prime due reazioni di figura
4.2, l'ossidazione dei monofenoli e l'ossidazione degli orto-difenoli (o-difenoli)
sono catalizzate dallo stesso enzima, una proteina con un sito attivo binucleare a
rame in cui viene attivata una molecola di ossigeno che diventa accettore di idroge-
no. Si parla di monofenolasi o cresolasi riferendosi alla prima tappa enzimatica e di
polifenolossidasi o di catecolasi (o-difenolo ossigeno ossidoreduttasi, EC 1.10.3.1.)
per quanto attiene la seconda tappa. L'enzima è localizzato nelle membrane dei clo-
roplasti e dei mitocondri. Poiché le polifenolossidasi provocano l'ossidazione di
diversi substrati, è stato proposto che il loro ruolo potrebbe essere correlato al tra-
sporto di elettroni nella catena respiratoria. Un altro ruolo fisiologico sembra esse-
re associato ad una funzione di barriera fisica dei polimeri pigmentati che si vengo-
no a formare nei tessuti vegetali lesionati nei confronti di aggressioni esterne anche
da parte di microrganismi patogeni. Anche se la concentrazione della polifenolossi-
dasi nei tessuti vegetali è molto bassa, il vero fattore limitante la velocità di imbru-
nimento è la concentrazione dei substrati. Infatti, nella frutta e nella verdura suscet-
tibile di imbrunimento la reazione enzimatica non avviene in modo significativo
fino a che i tessuti rimangono sani e privi di lesioni.
\
OH OH O
OH O
~ ~
Polimeri
ossidazione
• •
idrossilazione
• colorati
~ enzimatica
~ enzimatica ~
R R R
fenoli o-difenoli o-chinoni
generalmente generalmente di solito
incolorì incolori rossi
pectin-Iiasi
peClin-e~
COOCH 3 OH COOCH 3
~o O
OH\ COOH OH OH
eso-pectinasi endo-pectinasi
Come già anticipato nel capitolo 2 relativo agli enzimi, la tecnologia del DNA
ricombinante ha recentemente cambiato le prospettive dell' enzimologia. Grazie
allo sviluppo delle tecniche del DNA ricombinante oggi è possibile trasferire in
sistemi cellulari i geni che codificano per enzimi di interesse ed indurre una loro
consistente espressione mediante l'impiego di promotori opportuni. Una volta
che è stato identificato un enzima come potenzialmente utile per un processo
agroalimentare, il gene che lo codifica può essere infatti introdotto in un micror-
ganismo ospite che abbia i requisiti necessari per la produzione su larga scala del-
l'enzima.
Inoltre, la struttura e l'attività catalitica degli enzimi può essere conveniente-
mente modificata mediante manipolazione dei loro geni. La modificazione delle
proprietà strutturali degli enzimi, fmalizzata a migliorarne o ad alterarne le proprie-
tà catalitiche è una pratica che inizialmente veniva attuata introducendo modifica-
zioni casuali nella struttura primaria dell' enzima mediante cicli ripetuti di mutazio-
ne e selezione associati ad una ottimizzazione delle condizioni di crescita in coltu-
ra dei microrganismi.
Oggi invece si ricorre all'ingegneria delle proteine. Se la struttura tridimensio-
nale dell'enzima è stata risolta mediante cristallografia ai raggi-X, attraverso l'im-
piego di opportuni programmi di modellizzazione strutturale, è possibile avere alcu-
ne indicazioni importanti su quali aminoacidi, in quanto presenti in prossimità del
sito attivo, potrebbero essere mutati con altri per modificare le proprietà catalitiche
dell' enzima. Inoltre, sempre dall'analisi della struttura cristallografica, è possibile
avere capire quali regioni della proteina siano più idonee all'introduzione di muta-
zioni aminoacidiche atte a migliorare la stabilità dell'enzima o a facilitare le proce-
dure di immobilizzazione. In questo modo, è possibile ottenere una serie di aminoa-
Figura 4.4 A) Struttura cristallografica della subti/isina in cui sono evidenziate le due cisteine inserite mediante
mutagenesi per formare un ponte disolfuro. B) Struttura cristallografica della ~amilasi in cui sono evidenziati i due
siti mutati (Va1233AJa e Leu347Ser) responsabili della termostabilità dell'enzima.
60 Enzimi e tecnologie alimentari
cidi buoni candidati, dal punto di vista teorico, a dare luogo a modifiche delle pro-
prietà cinetiche, di specificità dell'enzima o in grado di stabilizzarne la struttura. In
seguito, si passa ad esperimenti di mutagenesi sito-diretta del gene, ottenuta
mediante l'impiego di diverse metodologie, e alle successive verifiche sperimenta-
li delle proprietà catalitiche e strutturali dell'enzima isolato dalle cellule in cui è
stato inserito il gene mutato.
In generale, si cerca di modificare la struttura e la funzione degli enzimi al fine
di perseguire i seguenti principali obiettivi: incrementare l'attività dell'enzima,
migliorare la stabilità dell'enzima, modificare le proprietà catalitiche permettendo
l'impiego dell'enzima in processi industriali diversi che richiedono la modifica
della temperatura e del pH ottimali, alterare la sensibilità ad opportuni inibitori,
modificare la specificità dell'enzima in modo che possa reagire con substrati diffe-
renti ed infine aumentare l'efficienza catalitica.
Un tipico enzima su cui sono stati effettuati diversi studi mediante esperimenti
di mutagenesi sito-diretta è la subtilisina portando ad un enzima con una stabilità
strutturale più elevata rispetto all'enzima originario. Tale enzima viene impiegato in
generale nei detergenti ed è utilizzato con successo anche per la pulizia degli
impianti nell'industria alimentare. In figura 4.4 A è riportata una delle mutazioni
ottenute sulla subtilisina; grazie alla sostituzione di due aminoacidi con due cistei-
ne si è potuto introdurre un nuovo ponte disolfuro che ha notevolmente stabilizza-
to la struttura dell'enzima in soluzione.
Un altro esempio di valutazione degli effetti di mutagenesi sito-diretta è quello
relativo alla ~-amilasi dell'orzo di interesse per la produzione della birra. In questo
caso l'enzima è stato mutato in due punti sostituendo una valina in posizione 233
con una alanina ed una leucina in posizione 347 con una serina (figura 4.4 B). En-
trambe le mutazioni incrementano la stabilità alla temperatura dell'enzima ma con
due meccanismi differenti. La prima rallenta il processo di denaturazione della pro-
teina indotto dal calore, mentre la seconda mutazione agisce facilitando il processo
di rinaturazione dopo trattamento ad alte temperature.
I geni ingegnerizzati possono essere inseriti permanentemente mediante diverse
procedure sperimentali nel genoma di batteri e di alcuni eucarioti inferiori, quali i
lieviti ed alcune muffe (cellule aploidi singole). Nelle cellule degli eucarioti inferio-
ri una molecola di DNA portatrice di un gene mutante può essere introdotta artifi-
cialmente sostituendo la singola copia del gene normale mediante ricombinazione
omologa. In questo modo si possono produrre cellule su misura in grado di sintetiz-
zare una forma alterata di qualunque proteina o RNA invece della forma normale
della molecola.
La scelta del microrganismo più adatto per la produzione di un enzima specifi-
co deve tenere in considerazione diversi fattori. Innanzitutto, il microrganismo non
deve comportare elevati costi di produzione che possono derivare sia dai terreni
necessari al mantenimento ed alla crescita delle colture cellulari sia dal fatto che
l'enzima sia di tipo endocellulare o esocellulare. Infatti, a seconda del tipo di enzi-
ma possono variare notevolmente i costi relativi alle cosiddette operazioni a valle
di recupero e purificazione dell'enzima. Inoltre, il microrganismo non deve pro-
durre enzimi o metaboliti nocivi per la salute dell'uomo o comportare la produzio-
ne di odori o colori sgradevoli che possono alterare la formulazione alimentare
finale.
La produzione industriale di enzimi da microrganismi avviene prevalentemente
in colture in fase liquida o su substrato solido. Fra i substrati più comuni figurano i
prodotti di degradazione dell'amido, la melassa, il liquido di spremitura dei torsoli
di mais, il siero del latte e diversi tipi di cereali. In alcuni casi, come nella produ-
zione di enzimi quali le amilasi, le proteinasi, le pectinasi e le cellulasi, in Giappone
ed in estremo Oriente si usano colture fungine che vengono mantenute su substrato
solido. In questo caso, come substrato per la coltura viene impiegata una miscela
Produzione di enzimi mediante tecnologia del DNA ricombinante 61
formata da crusca di grano o di riso e nutrienti salini depositati su grandi vassoi
incubati in camere a temperatura costante.
La produzione di enzimi microbici avviene generalmente in colture in fase liqui-
da simili a quelle impiegate per la produzione di antibiotici. In questo casi il terre-
no di coltura è molto importante, esso deve soddisfare i fabbisogni energetici dei
microrganismi e fornire un apporto adeguato di azoto e carbonio. La scelta fra mate-
rie prime a costi diversi verrà ovviamente effettuata in base al valore del prodotto
finale. Per gli enzimi microbici vengono impiegati dei bioreattori in acciaio inossi-
dabile con una capacità che può variare tra i lO e i 50 m3 . La crescita dei microrga-
nismi è influenzata dai nutrienti e dal fatto che parametri ambientali come la tem-
peratura, il pH e l'ossigenazione debbano essere mantenuti all'interno del bioreat-
tore a livelli ottimali. Nelle maggior parte dei casi gli enzimi vengono prodotti da
colture a sistema chiuso che durano da 30 a 150 ore mentre i metodi di coltura con-
tinua hanno trovato scarsa applicazione nella produzione industriale di enzimi.
Infatti, è essenziale che dentro il bioreattore permangano condizioni di assoluta ste-
rilità in ogni fase della produzione senza la possibilità di contaminazione da parte
di altri microrganismi.
Le colture a sistema chiuso presentano diversi vantaggi: la possibilità di prele-
vare l'enzima durante una fase specifica di crescita del microrganismo in cui si
ottiene la produzione più elevata dell'enzima ed il vantaggio di poter produrre l'en-
zima ogni volta partendo da inoculi freschi senza contaminazioni e soddisfando le
richieste del mercato che a volte sono interrnittenti. Inoltre, quando si impiegano
organismi geneticamente modificati (OGM) è obbligatorio per legge sia evitare
ogni contaminazione da parte di microrganismi indesiderati, sia la diffusione acci-
dentale nell'ambiente del microrganismo coltivato e sicuramente le colture a siste-
ma chiuso possiedono entrambi questi requisiti.
Come già detto nei processi industriali di produzione degli enzimi, tutte le ope-
razioni di estrazione e purificazione della proteina vengono definite "operazioni a
valle". Solitamente negli impianti di produzione la maggior parte del personale è
impegnato nelle operazioni a valle che richiedono l'integrazione di competenze
tra biochimici, tecnologi alimentari ed ingegneri dei processi produttivi. Le ope-
razioni a valle prevedono la messa a punto di strategie che prevedono l'impiego
combinato di diverse metodiche di separazione a dare luogo ad una procedura
standardizzata ed impiegata per la purificazione su larga scala dell'enzima di inte-
resse.
Infine, per essere adatti alla distribuzione commerciale, gli enzimi ottenuti
mediante i processi di purificazione devono essere stabilizzati in modo da poter pre-
servare quanto più a lungo possibile la loro attività catalitica. In generale, per la
maggior parte degli enzimi e proteine la forma di elezione è quella disidratata otte-
nuta mediante processi di essicazione o di liofilizzazione.
Tutti gli enzimi prodotti a livello industriale per uso alimentare o clinico devo-
no essere sottoposti a test di sicurezza secondo quanto prescritto dalla FDA (Food
& Drug Adrninistration, USA). In particolare, i test sono diversi a seconda del tipo
di microrganismo impiegato per la produzione dell'enzima. A tale scopo essi ven-
gono divisi nei seguenti tre gruppi: il gruppo A che comprende i microrganismi tra-
dizionalmente impiegati nei processi alimentari; il gruppo B che contiene i micror-
ganismi generalmente accettati come contaminanti innocui negli alimenti; il grup-
po C che comprende tutti i microrganismi che non compaiono né nel gruppo A né
nel gruppo B. Per i microrganismi del gruppo A non è richiesto nessun tipo di test
di sicurezza, mentre per quelli appartenenti ai gruppo B e C sono richiesti test di
tossicità orale acuta e sub-acuta nel topo e nel ratto a quattro settimane, test di tos-
sicità orale a tre mesi nel ratto e test di mutagenicità in vitro. Oltre a questi, per i
microrganismi del gruppo C sono richiesti anche test di patogenicità e in alcuni casi
studi di tossicità sul prodotto alimentare finito.
62 Enzimi e tecnologie alimentari
Diversi dosaggi enzimatici vengono effettuati negli alimenti per verificare l'at-
tività di enzimi indicatori (markers) che permettono di rilevare modificazioni chi-
mico-fisiche eventualmente subite dall'alimento.
Un esempio di enzima impiegato nella diagnostica degli alimenti è il dosaggio
dell'attività della lattoperossidasi che da diversi anni viene impiegato come marker
utile a discriminare il tipo di trattamento di sanitizzazione subito dal latte. Infatti,
uno dei metodi che comporta una sterilizzazione del latte è il trattamento ultra high
temperature (UHT) che può essere di tipo diretto (uperizzazione) o indiretto.
Entrambi i trattamenti UHT inattivano completamente l'attività della lattoperossi-
dasi. Il latte trattato con i sistemi UHT viene in genere messo in commercio con la
denominazione di latte a lunga conservazione e non con la denominazione di latte
sterile. Infatti, esso deve essere considerato solo commercialmente sterile poiché un
certo numero di campioni può contenere ancora spore vitali. Un sistema di pasto-
rizzazione che compromette in misura minore le caratteristiche organolettiche del
latte è quello condotto ad elevata temperatura per un breve periodo di tempo (high
temperature short time, HTST). Nel sistema HTST il latte fluisce attraverso uno
strato sottile (-I mm) tra piastre ravvicinate. Il latte pastorizzato con questa meto-
dica deve dare reazione negativa al saggio di attività enzimatica della fosfatasi alca-
lina (questo enzima si degrada a ~ 45°C) e positiva a quello della lattoperossidasi.
Pertanto, poiché la lattoperossidasi è piuttosto stabile al calore (~ 80°C), la sua
presenza in latte negativo per la fosfatasi alcalina e batteriologicamente in regola è
indice di pastorizzazione moderata. Questo tipo di dosaggio è stato recepito anche
a livello di alcune normative per il controllo del latte, secondo le quali il latte pasto-
rizzato fresco deve presentare la prova della lattoperossidasi positiva.
Per quanto riguarda l'impiego degli enzimi nelle analisi degli alimenti, un'altra
importante metodologia di successo è quella relativa all'utilizzo di saggi immu-
noenzimatici EIA (Enzyme Immuno Assay) in cui mediante anticorpi (i più comuni
le immunoglobuline, IgG) è possibile rilevare la quantità di antigene (proteine, poli-
saccaridi, lipidi e acidi nucleici) sfruttando il riconoscimento specifico di un deter-
minante antigenico (epitopo) ed il suo accoppiamento ad un metodo di visualizza-
zione mediato da una reazione enzimatica. La metodica EIA maggiormente impie-
gata nel settore agroalimentare è il dosaggio con enzimi legati ad immunoadsorben-
ti (ELISA: Enzyme-Linked Immunosorbent Assay). Nell'ELISA di tipo indiretto
competitivo (figure 4.5 e 4.6 A) gli antigeni vengono adsorbiti (coating) su di una
superificie inerte (per es. piastre in polistirene da 96 pozzetti, figura 4.5).
Successivamente la superficie viene lavata con una soluzione tampone conte-
nente una proteina a basso costo (per es. latte in polvere scremato contenente casei-
na del latte) per blocca~e gli antigeni adsorbiti (blocking) e per inibire il legame
aspecifico dell'anticorpo. Poi si esegue un'incubazione con un anticorpo (monoclo-
naIe o policlonale) contro l'antigene di interesse (anticorpo primario) e l'anticorpo
che non si lega all'antigene viene rimosso mediante lavaggi. La superficie così trat-
tata viene poi incubata con una soluzione contenente l'anticorpo (detto secondario)
diretto contro il complesso antigene-anticorpo primario. Il secondario è legato ad un
enzima che catalizza una reazione che dà luogo ad un prodotto colorato, di conse-
guenza, dopo aver rimosso il secondario non legato mediante lavaggi, si aggiunge
il substrato dell'enzima e si valuta l'intensità di colorazione (densità ottica) che è
proporzionale alla quantità di antigene presente nel campione alimentare analizza-
to (figura 4.5). Altri tipi di ELISA che vengono impiegati nella diagnostica degli ali-
menti sono: l'ELISA diretto competitivo, è simile a quello indiretto già descritto
tranne che l'enzima è direttamente legato all'anticorpo primario (figura 4.6 B),
l'ELISA indiretto con anticorpi primari ed enzima biotinilati e sistema di rilevazio-
Esempi di enzimologia applicata alla diagnostica degli alimenti 63
Figura 4.5 Esempio di ELISA di tipo indiretto competitivo in cui sono illustrate le tre fasi principali: l) adsorbimen-
to dell'antigene, 2) riconoscimento con anticorpo primario; 3) rilevazione con anticorpo secondario coniugato con
l'enzima.
A B
Streptavidina
c D
Figura 4.6 Metodi di immunorilevazione mediante ELISA. A) ELISA indiretto competitivo; B) ELISA diretto compe-
titivo; Cl ELISA indiretto con anticorpi primari ed enzima biotinilati; D) ELISA non competitivo (sandwich).
• 95°C
•••••• •• denaturazione
•••• 9.
•• 72°C
•••• • estensione
•• •
•
•• •••
••• •
•• •••
.
••
••••
•
••
.',--------,
60°C
A annealing
•
IDNAdsl li!
li!
- - Ciclo 1
• -.,.
li!
li!
li!
-.a - Ciclo 2
li! -
B
• .,.-
--... .,...
ili
li! Ciclo 3
li!
.,
...• --
...
li!
-•
Ulteriori amplificazioni
C
annealing, di solito a ~ 60°C) uno a monte e l'altro a valle della sequenza bersaglio
con l'orientamento 5'-3' in modo che nella fase successiva di estensione (solitamen-
te a ~ n°C) si abbia la sintesi in direzione opposta per ogni primer della sequenza
da amplificare (figura 4.7 B,C).
La reazione permette pertanto dopo un numero di cicli adeguato una amplifica-
zione esponenziale della sequenza compresa tra la coppia di primers che in questo
modo può essere facilmente rilevata con la contemporanea identificazione qualita-
tiva della sua presenza nell'alimento. L'andamento esponenziale della reazione è
descritto dalla seguente equazione:
N = No (l + E)n
A @ 2
D
2.0% 0.5% 0.1%
~
1,8
1,6
1,4
III 1,2
c:
a: 1
'Qt1~ 0,8
B
<J@t> 0,6
~R~
~JJ
0,4
0,2
-'
25 30 35 40
Cl
-..........
_ _ 111,..
llD.oo -
45.00
40.00
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111.00
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..- . . , . , 11.'2<
c:.n..._
Cooff,
0.965
0.00
-e.oo
'0" '0'2 '0'1 '0'4
...... -Ily
Figura 4.8 Principali fasi della real time PCR (A,B,C, vedi testo) ed esempio di curve di calibrazione (D) con stan-
dard per analisi di OGM.
Esempi di enzimologia applicata alla diagnostica degli alimenti 67
Un esempio di applicazione della PCR sono le analisi previste per gli alimenti
contenenti organismi geneticamente modificati (OGM). Recenti regolamenti hanno
introdotto sostanziali modifiche alle procedure per l'autorizzazione e la vigilanza,
nonché alle norme per la tracciabilità e l'etichettatura degli alimenti e dei mangimi
geneticamente modificati. Tali modifiche hanno avuto notevoli ripercussioni sulle
attività analitiche dei laboratori deputati al controllo ufficiale e allo sviluppo di
nuove metodologie per il rilevamento di OGM negli alimenti. Secondo tali regola-
menti è stata individuata una soglia in ordine alla presenza accidentale o tecnica-
mente inevitabile di materiale geneticamente modificato negli alimenti e nei man-
gtml.
Pertanto, nell'analisi di alimenti contenenti OGM devono essere utilizzate anche
metodiche di PCR di tipo quantitativo, come la rea/-lime PCR. Mediante la rea/-
time PCR è infatti possibile effettuare un'analisi quantitativa molto accurata di
DNA presente in un campione grazie alla possibilità di poter seguire in tempo reale
l'aumento di concentrazione della sequenza di DNA bersaglio direttamente nella
provetta in cui avviene la reazione di amplificazione. A questo scopo viene utilizza-
ta una sonda (probe) che è complementare ad una regione di DNA compresa tra due
primers e che presenta legati alle due estremità terminali dei fluorocromi: al 5' il
reporter e al 3' il quencher. Quest'ultimo "spegne" la fluorescenza del reporter
quando la sonda è integra (figura 4.8 A). Sfruttando l'attività 5'-nucleasica della
Taq polimerasi durante la PCR si ha la degradazione della sonda con la conseguen-
te separazione dei due fluorocromi. In questo modo si rende rilevabile l'emissione
di fluorescenza del reporter (figura 4.8 B). Inoltre, dato che ogni copia di DNA
duplicata durante la PCR è accompagnata dalla liberazione di una molecola di
reporter, il ciclo di PCR al quale si verifica un incremento sostanziale di fluorescen-
za rispetto a quella di fondo è proporzionale alla quantità di DNA presente inizial-
mente nel campione. In questo modo si può costruire una retta di taratura con degli
standard opportuni contenenti percentuali note di DNA geneticamente modificato
(figura 4.8 D) e avere una valutazione quantitativa assoluta del DNA eterologo pre-
sente nell'alimento analizzato.
Tuttavia, per questo tipo di metodiche è importante mettere a punto buoni pro-
tocolli di estrazione e purificazione del DNA dagli alimenti e tenere in considera-
zione gli eventuali fattori di degradazione del DNA all'interno di alimenti proces-
sati. Infatti, il DNA può subire idrolisi in seguito a prolungato trattamento termico,
Salame 100-15.000 bp
Paté 100-1.500 bp
può essere degradato da parte di nucleasi oppure vi possono essere effetti del pH
sulla sua depurinazione ed idrolisi. In tabella 4.2 sono riportate le lunghezze medie
dei frammenti di DNA in alcuni alimenti tipici.
Alla luce di queste considerazioni appare ovvio che, nelle analisi mediante PCR,
è importante che la lunghezza della sequenza selezionata come bersaglio da ampli-
ficare abbia una dimensione inferiore alla lunghezza media dei frammenti di DNA
contenuti nell' alimento da analizzare.
LE MEMBRANE BIOLOGICHE
Tutte le membrane biologiche presentano una struttura di base comune. Esse
sono formate da un doppio strato continuo di molecole lipidiche (con spessore
medio di circa 5 nm) in cui i gruppi polari sono disposti in direzioni opposte e nel
quale sono associate in modo diverso delle proteine. Alcune membrane contengono
anche dei carboidrati che possono essere legati alle proteine o ai lipidi. La compo-
sizione ed il contenuto di lipidi, proteine e carboidrati può variare in modo sostan-
ziale secondo il tipo di cellula e di membrana. Generalmente, le proteine costitui-
scono la parte più importante delle membrane delle cellule eucariotiche, rappresen-
tando circa il 50% del totale dei componenti, mentre i carboidrati sono presenti in
percentuale molto ridotta. Tuttavia, si osserva una composizione specifica per ogni
tessuto e tipo cellulare. Per esempio, la membrana lipidica della mie1ina, il materia-
le isolante delle cellule nervose, è costituita per il 75% di lipidi, mentre, la membra-
na interna del mitocondrio è caratterizzata da un basso contenuto di lipidi e da un
contenuto proteico particolarmente alto.
In generale nelle membrane biologiche ritroviamo tre tipi principali di lipidi: i
fosfolipidi, il colesterolo e i glicolipidi. Nei fosfolipidi il glicerolo è esterificato con
acidi grassi su due dei tre gruppi OH (diacilglicerolo, figura 5.1), mentre il terzo
ossidrile è esterificato con acido fosforico a formare acido fosfatidico (figura 5.1).
L'acido fosforico è legato dalla parte opposta a quella esterificata con il glicerolo
con una sostanza alcolica, a formare unfosfatide. Tale molecola di tipo alcolico è
caratteristica di ogni fosfatide: per esempio troviamo la colina, l'etanolamina, la
serina o l'inositolo. Nei fosfolipidi i due acidi grassi esterificati con il glicerolo pos-
sono variare per lunghezza e per numero di doppi legami. I fosfolipidi estratti dalle
membrane costituiscono pertanto una miscela complessa di sostanze con proprietà
simili; tra i più importanti possiamo annoverare la fosfatidilcolina (lecitina), la
fosfatidiletanolamina, la fosfatidilserina, il fosfatidilinositolo e la sfingomielina
(figura 5.1).
I glicolipidi possiedono gruppi di carboidrati legati alla parte lipidica che vanno
a formare, insieme alle glicoproteine e ad altri polisaccaridi, l'involucro cellulare
detto glicocalice. In generale, i lipidi delle membrane biologiche sono molecole
antipatiche con una testa polare idrofila e una coda apolare idrofobica. Il colestero-
lo, un derivato del cic1opentanoperidrofenantrene, la cui biosintesi vedremo nei det-
tagli nel capitolo 6, presenta un gruppo ossidrilico che conferisce alla molecola un
debole carattere anfipatico, mentre il suo sistema ad anelli fusi lo rende una mole-
cola tra le più rigide di tutti i lipidi componenti delle membrane biologiche.
Le proteine di membrana si distinguono in proteine transmembrana (o proteine
integrali della membrana) che attraversano il doppio strato lipidico una o più volte,
e in proteine periferiche che possono anche galleggiare sulla membrana (fornite a
volte di un'ancora lipidica) (figura 5.2 A) o essere debolmente associate con un
70 Biomembrane e Bioenergetica
~O
~O
c.::.e-CH z
C....O-CH z
~O I
~O I ~-CH
C....O-CH
I ~
HO-P-O-CH
I
diacilglicerolo HO-CH z acido fosfatidico I 2
OH
fosfatidilcolina
~O
c.:.a-CH z
~O I
c:.O- CH
I ~
H C-O-P-O
fosfatidilinositolo z I~OH
O
HO- OH
HO
eH)
I
sfingomielina /""VN - e H)
O I
OH I eH)
O-P-OH
Il
HN O
I
e~O
componente della membrana (figura 5.2 C). Generalmente la parte della catena poli-
peptidica che interagisce con la componente interna del doppio strato lipidico è for-
mata da a-eliche prevalentemente costituite da aminoacidi idrofobici (figura 5.2 B).
La porzione dei carboidrati legati alle proteine di membrana e ad alcuni lipidi
che costituisce il glicocalice è generalmente posta sulla superficie esterna della
membrana cellulare (figura 5.2 D). Nelle glicoproteine gli oligosaccaridi sono lega-
ti al gruppo ossidrilico di una serina nel caso delle proteine O-glicosilate, mentre al
gruppo amidico di un'asparagina se sono proteine N-glicosilate.
Nel doppio strato delle membrane biologiche le molecole lipidiche hanno una
Le membrane biologiche 71
B D
Figura 5.2 CStruttura tipica di una membrana p/asmatica. A: proteina periferica con ancora di fosfatidilinosit%; B:
proteina integra/e; C: proteina periferica; D: glicoproteina integra/e. \
grande mobilità. Esse possono avere uno spostamento laterale, cioè diffondere
lungo il piano della membrana, possono ruotare attorno al proprio asse e la parte
costituita dagli acidi grassi può dare luogo ad oscillazioni. La fluidità delle mem-
brane è strettamente correlata alla loro composizione e dipende dalla temperatura.
Essa aumenta con l'aumentare della quantità di acidi grassi insaturi presenti, in
quanto i doppi legami cis determinano delle alterazioni della struttura più compat-
ta (di tipo semicristallino) data dagli acidi grassi saturi. Anche le proteine di mem-
brana sono mobili, possono muoversi nello strato lipidico come in un liquido bidi-
mensionale. Tuttavia, il loro movimento, in particolare se proteine integrali di mem-
brana, è fortemente vincolato da altri sistemi quali il citoscheletro. Inoltre, è impor-
tante sottolineare che alcuni lipidi e proteine possono essere raggruppati a formare
degli aggregati mediante una separazione laterale di fase che spesso viene indotta
dalla presenza da cationi bivalenti (per es. il Ca2+). Anche il colesterolo ha la pro-
prietà di potersi intercalare tra le catene di acidi grassi dei fosfolipidi interagendo
con la loro testa polare mediante il suo gruppo ossidrilico a formare aggregati o
"zattere" di colesterolo e fosfolipidi in un mare di soli fosfolipidi. Queste "zattere
lipidiche" (dall'inglese lipid rafts) possono regolare l'attività di molti enzimi asso-
ciati alla membrana (figura 5.3).
Mentre gli spostamenti laterali lungo il piano della membrana sono facili e rela-
tivamente veloci, il passaggio da un lato all'altro della membrana (detto movimen-
to jlip-jlop) è difficile e lento per i lipidi e raro per le proteine. I fosfolipidi neces-
sitano quindi di particolari proteine ATP-dipendenti, dette flippasi, in grado di ren-
dere più veloce il trasferimento di lipidi da un lato all'altro della membrana. Tali
proteine possono essere considerate responsabili dell'instaurarsi e del mantenimen-
to della diversa composizione lipidica dei due strati. Solo la molecola del coleste-
rolo può diffondere facilmente in modo trasversale rispetto al piano della membra-
na.
Di conseguenza, un'analisi approfondita della struttura delle membrane rileva
che i vari lipidi che le compongono sono distribuiti in modo asimmetrico nei due
lati (quello esterno e quello interno). Per esempio la membrana plasmatica degli eri-
trociti, come quella di altre membrane biologiche, contiene sul lato esterno lipidi
diversi da quelli presenti nel lato citoplasmatico. In particolare, i fosfolipidi che
possiedono una carica netta (fosfatidilinositolo e fosfatidilserina) si ritrovano solo
sul monostrato lipido del versante citoplasmatico. Il colesterolo è invece distribui-
to uniformemente perché, come già detto, può diffondere facilmente da una lato
all'altro del doppio strato lipidico.
Anche le proteine di membrana sono distribuite in modo disomogeneo. Esse
possono essere presenti sul lato interno o sul lato esterno della membrana oppure
72 Biomembrane e Bioenergetica
fl!lflI~fl!lflIl!lflfIml!lflfl~ ~!R!l!ll'l!m~~~:
~
Figura 5.3 Separazioni laterali di fase in una membrana che possono dare luogo ad aggregati (zaHere lipidiche)
di proteine e Iipidi.
Figura 5.4 Principali membrane delle cellule animali. La membrana plasmatica (a), la
membrana nucleare e le membrane del reticolo endoplasmatico (b), dell'apparato di Golgi
(c), le membrane esterne ed interne dei mitocondri (d), lo membrana dei lisosomi (e).
IL TRASPORTO TRANSMEMBRANA
Piccole molecole come l'acqua, l'urea e l'ammoniaca ed i gas possono attraver-
sare le membrane mediante difiùsione. Tuttavia, quando le molecole superano una
determinata dimensione non riescono più a passare. Per esempio, le membrane sono
completamente impermeabili alle molecole del glucosio e di altri zuccheri, che
necessitano, come vedremo nel capitolo 8, di specifici trasportatori. Non solo le
dimensioni ma anche la polarità delle sostanze influisce notevolmente sulla permea-
bilità delle membrane. Infatti, mentre le sostanze completamente apolari (idrofobi-
che) possono attraversare agevolmente le membrane, le sostanze polari (idrofiliche)
ed in particolare molecole con carica elettrica netta (ioni), non riescono a passare
attraverso le membrane a prescindere dalla loro dimensione.
Nella diffusione semplice, che riguarda le sostanze permeabili alla membrana, la
74 Biomembrone e Bioenergetico
B c
o
Figura 5.5 I diversi modi in cui può avvenire il trasporto mediato da proteine: uniporto (A), simporto (B), antipor-
to (C).
Il trasporto transme~brana 75
Vedremo nel capitolo 6 che questi gradienti ionici sono essenziali per generare l'e-
nergia necessaria nel processo di fosforilazione ossidativa.
Nella catena di trasporto degli elettroni, infatti, sono presenti tre complessi
(complesso I, II e IV) in grado di trasportare H+ contro gradiente prendendo l'ener-
gia dall'ossidazione del NADH + H+ o del FADH2 .
Nelle cellule animali vi sono diversi tipi di ATPasi che trasportano attivamente
ioni: la Na+/K+ ATPasi, la H+/K+ ATPasi e la Ca2+ ATPasi. Tali proteine di traspor-
to generano pertanto un gradiente elettrochimico. La Na+/K+ ATPasi si ritrova sulla
membrana plasmatica di tutte le cellule ed è una proteina che viene fosforilata,
durante il processo di trasporto del potassio verso l'ambiente intracellulare e del
sodio verso quello extracellulare, ed appartiene quindi alla classe P delle ATPasi. Le
ATPasi della classe V si ritrovano nelle membrane dei vacuoli e di altri organelli.
Infme, vedremo nella fosforilazione ossidativa che le ATPasi della classe F, se asso-
ciate ad un canale di trasporto secondo gradiente elettrochimico di H+ (F o), vanno
a formare il complesso V della ATP sintasi che consente la produzione di ATP nei
mitocondri (vedi capitolo 6).
BIOENERGETICA
Considerata l'elevata resa energetica delle ossidazioni, rispetto alle altre reazio-
ni chimiche (tabella 5.1), si comprende facilmente come nel corso dell'evoluzione
dei viventi sia stata selezionata in prevalenza tale tipologia di reazioni per la produ-
zione di energia biologica. Essendo i processi energetici di importanza critica per la
biologia cellulare, le cellule eucariotiche hanno acquisito durante la loro evoluzio-
ne un organulo specifico, il mitocondrio, che accentra e coordina i processi ossida-
tivi ed i correlati meccanismi molecolari, deputati alla produzione e alla distribuzio-
ne dell'energia biologica. Tuttavia, le reazioni ossidative sostengono la produzione
di energia anche nelle cellule procariotiche, che non possiedono mitocondri, ed
anche nelle cellule anaerobie, che non utilizzano l'ossigeno, ma anzi devono elimi-
narlo perché tossico per loro. D'altronde, come già detto, si ritiene che l'ossigeno
abbia raggiunto concentrazioni elevate nell'atmosfera terrestre quando i meccani-
smi biologici erano già considerevolmente evoluti. Tutto ciò è possibile perché rea-
zioni di tipo ossidativo possono avvenire anche in assenza di ossigeno. In realtà
1'0ssidazione è la più comune delle reazioni ossido-riduttive (reazioni redox), in cui
elettroni vengono trasferiti da un donatore (riducente) ad un accettore (ossidante):
nelle ossidazioni l'accettore di elettroni (ossidante) è l'ossigeno. Ma una reazione
redox può trasferire elettroni su accettori diversi dall'ossigeno: pertanto nelle cellu-
le, come in laboratorio, possono decorrere processi ossido-riduttivi anche in assen-
za di ossigeno (anaerobiosi).
OSSIDAZIONI E FERMENTAZIONI
ilGo' = -RT In K eq
Pertanto, data una reazione A+B 4 C+D, la variazione di energia libera ilGo,
sarà negativa o positiva a seconda che la costante di equilibrio (Ke9~ sia superiore o
inferiore ad uno. Valori negativi elevati di ilGO' corrispondono a K eq elevate, cioè
alla tendenza della reazione a decorrere spontaneamente verso destra (formazione
dei prodotti); mentre valori positivi elevati di ilGO' corrispondono a Keq piccole,
cioè equilibrio spostato a sinistra (reagenti). Nel primo caso (reazioni esoergoniche)
L:ATP ed altri composti energetici 77
la reazione decorre spontaneamente verso i prodotti, liberando energia; nel secondo
caso (reazioni endoergoniche) la reazione decorre spontaneamente verso sinistra
(reagenti) e soltanto fornendo energia al sistema potrà decorrere verso i prodotti.
La reazione ATPasica (idrolisi del gruppo fosforico terminale (y) dell' ATP),
rompendo un legame altamente energetico, fornisce, in condizioni standard, 7.3
kcal/mol di energia libera, utilizzabile dai sistemi biologici per compiere lavoro:
reazioni biochimiche endoergoniche, lavoro meccanico, osmotico, elettrico, ecc.
La reazione inversa (endoergonica) di sintesi dell' ATP da ADP e P j :
La reazione di idrolisi del primo residuo fosforico (ex) dell'ATP ha invece carat-
teristiche diverse e rese energetiche molto più basse.
L'idrolisi e la risintesi dell'ATP è un processo centrale e fondamentale per il fun-
zionamento di qualunque cellula o organismo vivente, poiché tutte le funzioni bio-
logiche richiedono l'energia contenuta nei legami altamente energetici dell'ATP
stesso o in altri simili legami di analoghe biomolecole.
Considerando la struttura chimica dell' ATP (figura 5.6), osserviamo che il
nuc1eoside adenosina (adenina + ribosio) è legato al primo residuo fosforico (fosfa-
to ex) da un legame estere, mentre gli altri due residui fosforici (fosfato ~ e fosfato
y) formano col primo e tra loro legami anidride. La reazione di idrolisi di ciascuno
dei due legami anidride (indicati come altamente energetici: ~), ha un ~Go' = -7.3
kcal/mol, più che doppio rispetto a quello di idrolisi dell'estere (~Go' = -3.4
kcal/mol). Alla radice di questa importante differenza energetica esistono più carat-
teristiche e determinanti strutturali, che differenziano le reazioni di idrolisi dell' ani-
dride da quella di idrolisi dell'estere, contribuendo sinergicamente a spingere verso
destra il decorso del primo tipo di reazione rispetto al secondo:
- ionizzazione e idratazione, con conseguente stabilizzazione, dei prodotti di idro-
lisi dell'ATP e dell'ADP, rispetto ai prodotti di idrolisi dell'adenosina-monofosfa-
to (AMP) in adenosina e P j ;
- repulsione tra ioni, che portano entrambi cariche negative, nel caso dei prodotti di
idrolisi dell'ATP e dell'ADP, rispetto all'idrolisi dell'AMP;
- entrambi i prodotti di idrolisi dell'ATP e dell'ADP sono ibridi di risonanza, che
stabilizzano i prodotti stessi a livelli energetici assai più bassi rispetto al nuc1eo-
78 Biomembrane e Bioenergetica
ATP ADP
o O O O O
Il Il Il Il Il
HO---P---0-P-0-P-0-CH 2 HO-P---0-P-0-CH2
I I I O I I O
OH OH OH OH OH
OH OH OH OH
AMP
As ~
C~_)
O
Il
HO-P-OH
N N I
O OH
Il
HO-P-O-CH
I 20
OH
OH OH OH OH
tide d'origine; mentre nell'idrolisi di AMP solo un prodotto (Pi) possiede tali pro-
prietà;
- rilascio di un protone, tra i prodotti di idrolisi dell'ATP e dell'ADP, in una solu-
zione tamponata: manca nell'idrolisi dell'estere.
Oltre aH'ATP, esistono nelle cellule altri composti, che possiedono legami alta-
mente energetici (figura 5.7). Anche questi composti, molto importanti nella bio-
energetica, sono caratterizzati da elevati valori di energia libera di idrolisi, pari o
superiori a quello dell'ATP. Alcuni di questi composti (l ,3-difosfo-glicerato, acetil-
fosfato) sono fosfo-anidridi: pertanto l'elevato valore di ~Go' è dovuto alle stesse
caratteristiche della reazione e dei prodotti di idrolisi dei legami fosfo-anidride, pre-
senti nell'ATP. Il fosfo-enolpiruvato, pur essendo un estere, ha un ~Go, particolar-
mente elevato (tabella 5.2): in questo caso i prodotti della reazione di idrolisi del-
l'estere sono fortemente stabilizzati, oltre che dalla risonanza del fosfato, dalla tau-
tomerizzazione cheto-enolica del piruvato (figura 5.8). Un altro composto fosfori-
lato ad alta energia è la creatina fosfato, esso rappresenta una importantissima riser-
va energetica nel tessuto muscolare. Il trasferimento del gruppo fosforico dalla crea-
tina fosfato all'ADP, catalizzato dall'enzima creatina chinasi, è la somma della rea-
Potenziale di trasferimento del fosfato e reazioni accoppiate 79
Figura 5.7 Composti fosfori/a ti con legami ad
alta energia libera di idrolisi.
Difosfo-glicerato
Fosfo-enolpiruvato
0-
o NH I
O=P-O-
p
Il )l OH O I
HO/l'N N~ \
Il
O"-p-O/
O
HO H I Il I
CH 3 O 0-
Creatina-fosfato Pirofosfato
zione di idrolisi della creatina fosfato e della sintesi di ATP da ADP e Pio La varia-
zione di energia libera LlGO' della reazione complessiva corrisponde quindi alla
somma delle variazioni di energia libera delle due reazioni parziali.
Disponendo in scala i valori decrescenti (negativi) di LlGo" relativi all'idrolisi di
diversi composti fosforilati (come in tabella 5.2), otteniamo una scala dei potenzia-
li di trasferimento del fosfato. Detti potenziali, defrniti come -LlGO' di idrolisi, asse-
gnano valori quantitativi precisi ai legami precedentemente indicati come ad alta o
a bassa energia. Quando i valori di -LlGo, sono superiori a quelli dell' ATP, l'idroli-
si di tali legami (reazione fortemente esoergonica) può fornire l'energia libera per
la reazione endoergonica di fosforilazione dell' ADP ad ATP. Composti fosforilati
con valori di -LlGo, inferiori a quelli dell' ATP, non possono cedere energia libera,
ma possono essere sintetizzati, accoppiando la reazione di sintesi (endoergonica)
Fosfo-enolpiruvato -14.6
1,3-bisfosfoglicerato -11.5
Creatina-fosfato -10.1
Pirofosfato -7.8
AMP -3.3
Glicerol-fosfato -2.3
so Biomembrone e Bioenergetico
HO ~O
\C~ O
I Il
C-O-P-OH
Il I HO O HO /.0
H:zC OH \~ \/j
C C
Fosf<H!nolpiruvato I • I
C-OH ...====~ C=O
Il I
H~ CH:3
Piruvato Piruvato
Forma enollca Forma chetonica
con quella (esoergonica) di idrolisi dell'ATP o di altro composto con pari o più alto
-LlGO' di idrolisi.
L'accoppiamento di reazioni esoergoniche, come l'idrolisi di ATP, con reazioni
endoergoniche (sintesi di biomolecole) o con processi funzionali diversi che consu-
mano energia biologica, permette di distribuire e di utilizzare l'energia accumulata
nell' ATP e negli altri composti altamente energetici, per sostenere tutte le attività
vitali, dalla duplicazione cellulare alla crescita degli organismi, dal movimento al
trasporto di ioni e molecole attraverso le biomembrane, dalla conduzione di stimo-
li al trasferimento di informazioni e segnali. La risintesi dell'ATP è, a sua volta,
accoppiata al trasporto di elettroni nella catena respiratoria (''fosforilazione ossida-
tiva") in condizioni di aerobiosi, ma può anche essere accoppiata all'idrolisi di com-
posti con alto potenziale di trasferimento del fosfato (fosfo-enolpiruvato, 1,3-difo-
sfo-glicerato): questo secondo meccanismo (''fosforilazione a livello del substrato")
permette la risintesi di ATP anche in condizioni di anaerobiosi. In ogni caso la con-
tinua ricarica della molecola trasportatice e distributrice dell' energia è alimentata da
processi ossidativi (o fermentativi) a carico di nutrienti o di loro intermedi metabo-
lici.
La glicolisi
La glicolisi è una via catabolica che ha luogo nel citoplasma di quasi tutte le cel-
lule ed in tutti gli organismi sia di tipo aerobico che anaerobico. Il bilancio energe-
tico delle prime dieci reazioni della glicolisi è semplice: una molecola di glucosio
viene scissa in due molecole di piruvato con la formazione di due molecole di ATP
e due di NADH + H+. Anche se queste prime dieci reazioni vengono definite come
glicolisi aerobica esse possono avvenire anche in anaerobiosi. Inoltre, come già
anticipato nel capitolo relativo alla bioenergetica, in condizioni anaerobiche, nella
fermentazione, il piruvato può essere trasformato per rigenerare NAD+. In questo
processo, detto di glicolisi anaerobica, si formano i prodotti di fermentazione come
illattato e l'etanolo. In condizioni anaerobiche pertanto l'unica possibilità di sinte-
si di ATP daADP e P j dipende dalla glicolisi. Nella fermentazione lattica, che avvie-
ne in alcuni microrganismi e nei tessuti animali che vengono a trovarsi in condizio-
ni di anaerobiosi, il piruvato viene ridotto a lattato dalla lattato deidrogenasi (figu-
ra 6.1). Tale reazione avviene in condizioni di scarso apporto di ossigeno, come nel
muscolo in rapida contrazione o in tessuti scarsamente irrorati (per es. la cornea).
Dopo un esercizio fisico intenso la maggior parte dellattato che si è accumulato a
livello del muscolo deve entrare nel circolo sanguigno ed essere trasportato al fega-
to dove può dare luogo alla sintesi di glucosio nella gluconeogenesi.
Gli zuccheri vengono metabolizzati prevalentemente sotto forma di esteri fosfo-
rici. Nelle prime cinque reazioni della glicolisi, infatti, si ha un investimento ener-
getico a formare composti fosfori lati ad alta energia che nella seconda fase, le rea-
zioni dalla sesta alla decima, vengono impiegati per la sintesi di ATP e NADH + H+
(figura 6.1). Di conseguenza, nella prima reazione il glucosio, che viene assunto
dalla maggior parte dei tessuti dal circolo sanguigno, viene dapprima fosforilato
nella cellula da parte della esochinasi (figura 6.1) che utilizza ATP e forma gluco-
sio-6-fosfato. Il glucosio-6-fosfato subisce una reazione di isomerizzazione da parte
della glucosio-6-fosfato isomerasi a formare fruttosio-6-fosfato. In questa prima
fase di reazioni che comportano un investimento energetico, il fruttosio-6-fosfato va
incontro ad un' altra fosforilazione producendo fruttosio-l ,6-bisfosfato a spese della
seconda molecola diATP. Vedremo che lafosfofruttochinasi-l (PFK-l) che cataliz-
za questa reazione è un enzima chiave fondamentale nel processo di regolazione
della glicolisi. Il fruttosio-l,6-bisfosfato viene poi scisso dall' aldolasi, che cataliz-
za una reazione che è l'inverso di una condensazione aldolica, in due composti a tre
atomi di carbonio (triosi) fosforilati. Tali composti, la gliceraldeide-3-fosfato ed il
diidrossiacetone-3-fosfato sono resi interconvertibili dall'azione dell'enzima suc-
cessivo, la triosofosfato isomerasi. In particolare il diidrossiacetone-3-fosfato viene
convertito in gliceraldeide-3-fosfato e quindi otteniamo due molecole di quest'ulti-
82 Metabolismo dei nutrienti
AOP
:1L AOP
~U
TP
TP R
HZ o H HO~6-~-
Hz o HO-~-O-C~H
o CHzOH o
Il
o CHz-O-P-OH
HO-~-O-C~H
o
Il
H ~ HO
- - -... H HO H OH
H H o OH
OH .. OH Glucosi0-6 H
Glucosio Esochlnasl Glucosio- . losfato . F~~Osio- F05lolruttochinasi-l OH
HO,C"'O O
I
I
"
HC-O-P-OH
HzCOH OH
(2) 2-10510
I
olIlII
""IlI
Fosloglicerato
mutasi
'
...
HO,C"'O
I
HC-OH
I O
HzC'O_P_OH
OH
(2) 3-10510
"U
2 ATP
2AOP
H010
Fosloglicerato
chinasi
HO '~~
HC-OH
I O
o
HzC'O_P_OH
OH
(2) l, 3 Bisloslo
2 NADH+H +
~
2NAD+
Gliceraldeide-
3-loslato
deidrogenasi
2Pi
+
H, c:;:;o
I
HC-OH
Hz!:, R
O-~-OH
OH
..
/"'-..
t
Trio50
fosfato
isomerasi
Aldolasi
c=O
I
HzC-OH
9H
O-P-OH
l''
H'9 O
Diidrossiacetone3-
*
glicerato glicerato glicerato (2) Gliceraldeide- loslato
3-loslato
2AOP 2NADH+H+
Enolasi
HO,C"'O O
I "
C-O-P-OH
~P HO,C"'O
I
C=O
14~ HO,C"'O
I
HCOH
Hz~ I I
OH Piruvato CH, LattaIo CH,
(2)10510 chinasi deldrogenaal (2) Lattato
(2) Piruvato
enolpiruvato
È importante considerare che altre vie possono fornire substrati per la glicolisi.
Una delle principali è sicuramente la mobilizzazione del glucosio dal glicogeno
mediante la glicogenolisi. Il glicogeno, unica fonte energetica usata dal cervello (ad
eccezione dei periodi di digiuno prolungati in cui può impiegare anche alcuni deri-
vati degli acidi grassi, i corpi che tonici), è presente nel citosol cellulare di fegato e
muscolo scheletrico, sotto forma di granuli che contengono proteine regolatrici ed
enzimi che ne catalizzano la sintesi e la degradazione. Nell'organismo umano il gli-
cogeno è una riserva di carboidrati dalla quale possono essere scisse unità di gluco-
sio. Esso può contenere sino a 450 g di glicogeno, di cui circa un terzo sono presen-
ti nel fegato, mentre il rimanente lo troviamo nel tessuto muscolare e la quantità di
glicogeno negli altri tessuti è relativamente limitata. È interessante rilevare che
mentre non è possibile conservare all'interno delle cellule glucosio in forma libera,
in quanto alte concentrazioni di tale zucchero renderebbero il citosol cellulare alta-
mente ipertonico con conseguente afflusso d'acqua dall'ambiente extracellulare,
immagazzinando il glucosio sottoforma di un'unica molecola di polisaccaride inso-
lubile non abbiamo nessun effetto di tipo osmotico. L'allungamento della catena del
glicogeno viene catalizzato dalla glicogeno sintasi. La regolazione di questo enzi-
ma e della glicogeno fosforilasi è stata già ampiamente discussa nel capitolo 2. La
formazione dei legami glicosidici tra unità saccaridiche è una reazione endoergoni-
ca, quindi è necessario avere una forma attivata dello zucchero. Pertanto, per inizia-
re la sintesi del glicogeno il punto di partenza è il glucosio-6-fosfato prodotto dal-
l'esochinasi che viene convertito in glucosio-I-fosfato dall'enzima fosfoglucomu-
tasi. Successivamente questo reagisce con l'uridina trifosfato (UTP) a formare
UDP-glucosio in una reazione catalizzata dalla UDP-glucosio pirofosfori/asi (figu-
ra 6.2, I). Il trasferimento del residuo di glucosio da questo intermedio al glicogeno
è un processo termodinamicamente favorito (~G < O) catalizzato dalla glicogeno
sintasi. La proteina glicogenina innesca la sintesi del glicogeno legando ad un ossi-
OOle di un residuo di tirosina una molecola di glucosio (figura 6.2, I). Quando la
catena in fase di crescita raggiunge una lunghezza di circa Il residui, viene scisso
dalla sua estremità non riducente un oligosaccaride di 6-7 residui ad opera dell' en-
zima ramificante, la glicosi/-(4~6)-transferasi, e trasferito al gruppo ossiOOlico sul
carbonio in posizione 6 di un residuo di glucosio della stessa o di un'altra catena
localizzato in un punto più interno. Le ramificazioni vengono poi allungate nuova-
mente dalla glicogeno sintasi (figura 6.2, II).
Per quanto riguarda invece la degradazione del glicogeno, questa è una reazione
di fosforolisi catalizzata dalla glicogeno fosfori/asi, diversa dalla reazione di idroli-
si dei legami glicosidici operata dalle amilasi a livello intestinale per degradare i
carboidrati (amido) introdotti con la dieta. Nella reazione di fosforolisi parte dell'e-
84 Metabolismo dei nutrienti
~~ ,J
v~
vt=o" v""0..",,
~Lo-~-cr~.
OH
UDP-Glucoalo Glucoalo-1-
fosfoglucomutasi GlucoalcHl-
foafato fosfato
Glicogeno
Glicogeno
2
HO-P-QH
Glicogeno
o..
fosforilasi
Glicogeno
~
HO-b:~0'J 2 2
HO-P-OH
HO~O-~-()H
o..
OH OH HOC'"
HO~OH
OH
Glucoslo-l- Glucosi0-6- Glucosio
loslelo losfeto
Degradazione
del Glicogeno Il
(enzima deramificante)
~O~O~O~O*O~O*O*~O~O'"
~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~
Glicogeno
nergia del legame glicosidico viene conservata mediante la formazione del legame
estere fosforico nel glucosio-I-fosfato. Come descritto nel capitolo 2, la regolazio-
ne della glicogeno fosforilasi è di tipo sia allosterico che covalente. La glicogeno
fosforilasi lega un cofattore, il piridossal fosfato (PLP), necessario per la sua attivi-
tà. Come già introdotto nel capitolo 2 relativo agli enzimi e ai coenzimi questo com-
posto è un derivato dalla vitamina B 6 (vedi anche capitolo 13). Nel caso della gli-
cogeno fosforilasi il piridossale è legato covalentemente all'enzima e solo il grup-
po fosforico partecipa alla catalisi.
La molecola di glicogeno è pertanto un omopolimero di unità di glucosio unite
da legami di tipo a(1~4) che contiene un residuo ogni 8-12 una ramificazione data
da un legame di tipo a(1 ~6) glicosidico a formare una struttura complessa che può
contenere sino a 50.000 residui di glucosio. La struttura ramificata del glicogeno
permette la liberazione rapida dei residui di glucosio dalle estremità non riducenti.
Più alto è il numero di queste estremità e più molecole di glicogeno fosforilasi agi-
scono staccando unità di glucosio sottoforma di glucosio-I-fosfato dal glicogeno
idrolizzando i legami di tipo a(l ~4) (figura 6.3, I). La struttura dell'enzima con-
sente di scindere molecole di glucosio fino a raggiungere 4 residui dall'inizio di una
ramificazione (figura 6.3, II). A questo punto interviene l'azione di un enzima dera-
mificante che, mediante la sua attività transferasica, sposta dapprima un blocco di
tre residui di glucosio dalla ramificazione all'estremità non riducente più vicina,
legandoli con legame di tipo a(1 ~4) glicosidico (figura 6.3, II). Successivamente
lo stesso enzima taglia l'ultimo residuo rimasto sulla ramificazione con un attività
al-6-glucosidasica. Il glucosio-l-fosfato così ottenuto non può diffondere fuori
dalla cellula poiché non viene trasportato a livello della membrana plasmatica e
quindi generalmente nel muscolo viene convertito a glucosio-6-fosfato per entrare
nel flusso metabolico principale e produrre energia. L'enzima che catalizza questa
ultima reazione è lafosfoglucomutasi che richiede come cofattore il glucosio 1,6-
bisfosfato. D'altra parte, nel fegato, ma in misura minore anche nel rene e nell'in-
testino, vi è un particolare enzima, la glucosio-6-fosfatasi, che ha la funzione di par-
tecipare al mantenimento di livelli costanti di glucosio nel sangue (figura 6.3, I).
Esso è, infatti, in grado di catalizzare la conversione del glucosio-6-fosfato (imper-
meabile alla membrana) in glucosio che può essere così trasportato attraverso la
membrana ed entrare nel flusso sanguigno. La glucosio-6-fosfatasi è localizzata
sulla faccia luminale del reticolo endoplasmatico liscio e come vedremo è essenzia-
le per anche per la via di biosintesi dei carboidrati, la gluconeogenesi (vedi anche
capitolo 8).
substrato alla stessa velocità con cui viene fornito ed in questo caso il flusso all'in-
terno della via metabolica viene controllato dal substrato. Altre reazioni della glico-
lisi sono lontane dall'equilibrio e si comportano come valvole che controllano il
flusso lungo la via metabolica e che non possono essere controllate dalla concentra-
zione dei substrati. In questo caso, come anticipato nel capitolo 2 relativo alla rego-
lazione dell'attività enzimatica, il flusso è controllato dall'enzima.
Nella glicolisi muscolare ed epatica sono quattro gli enzimi che vengono regola-
ti: la glicogeno fosforilasi, l'esochinasi, la fosfofruttochinasi-l (PFK-1) e la piruvato
chinasi. Tuttavia, gli ultimi tre enzimi enzimi, poiché catalizzano reazioni lontane
dall'equilibrio, sono anche quelli che devono essere aggirati nella reazione di bio-
sintesi del glucosio: la gluconeogenesi. Di conseguenza, nella regolazione della gli-
colisi è importante considerare che il glucosio nei mammiferi può anche essere sin-
tetizzato a partire da precursori più semplici come il lattato, il piruvato, intermedi
del ciclo di Krebs (dalla degradazione di alcuni aminoacidi) e il glicerolo (dai lipi-
di) nella gluconeogenesi che avviene principalmente nel fegato ed in misura mino-
re (~ 10%) nelle cellule dei tubuli del rene. La sua funzione è quella di produrre glu-
cosio da esportare agli altri tessuti quando le altre fonti di glucosio sono esaurite.
Per esempio, nel caso della rigenerazione del glucosio a partire dal lattato pro-
dotto dai muscoli durante uno sforzo muscolare intenso, illattato raggiunge il fega-
to attraverso il circolo sanguigno dove si viene a rigenerare glucosio. Quest'ultimo
rientra nuovamente nel circolo sanguigno e raggiunge il muscolo dove viene impie-
~ato per la glicolisi anaerobica dando origine al cosiddetto ciclo di Cori (figura 6.4).
E interessante rilevare che, poiché la gluconeogenesi è un processo endoergonico
che consuma ATP, mentre nella glicolisi produciamo ATP, il fatto di separare in due
distretti tissutali diversi questi processi evita di avere un ciclo senza significato
energetico (ciclo futile). Successivamente, dopo lo sforzo muscolare intenso l'orga-
nismo consuma per un certo periodo di tempo una quantità di ossigeno superiore a
quello impiegato in condizioni basali. L'eccesso di ossigeno consumato durante il
periodo di riposo rappresenta il cosiddetto "debito di ossigeno", cioè la quantità di
ossigeno necessaria nella fosforilazione ossidativa per compensare la quantità di
ATP impiegata per la gluconeogenesi.
Per quanto riguarda la regolazione della glicogeno fosforilasi e della glicogeno
sintasi rimandiamo il lettore al capitolo 2 in cui la regolazione di tali enzimi è stata
scelta come esempio tipico di regolazione dell'attività enzimatica data sia da modi-
ficazioni di tipo covalente (fosforilazione e defosforilazione indotta da segnali di
tipo ormonale) che di tipo allosterico (glicogeno fosforilasi). Come vedremo anche
nel capitolo 8 relativo alla regolazione neuro-ormonale della digestione, una delle
funzioni più rilevanti del fegato è la capacità di conservare il glucosio in eccesso
sottoforma di glicogeno e di renderlo nuovamente disponibile a seconda del fabbi-
sogno dell'organismo.
La gluconeogenesi impiega pertanto quasi tutti gli enzimi della glicolisi, in par-
ticolare tutte le sette reazioni reversibili della glicolisi possono operare anche in
direzione opposta poiché, come già detto, l'attività di tali enzimi è regolata dalle
concentrazioni relative dei substrati e dei prodotti.
Altri enzimi sono invece specifici della gluconeogenesi e vengono sintetizzati in
base alle necessità della cellula. Mentre la glicolisi avviene solo nel citoplasma,
alcune tappe della gluconeogenesi avvengono nei mitocondri o nel reticolo endopla-
smatico. Le prime reazioni hanno luogo nel mitocondrio poiché è necessario supe-
rare il blocco operato dalla piruvato chinasi citosolica della glicolisi il cui equilibrio
è fortemente spostato verso il piruvato (vedi figura 6.1). L'accoppiamento dell'idro-
lisi dell'ATP alla reazione non è sufficiente a trasformare direttamente il piruvato in
fosfoenolpiruvato (PEP). Pertanto, il piruvato viene dapprima carbossilato ad ossa-
lacetato dalla piruvato earbossilasi che ha come coenzima la biotina (vitamina H,
vedi capitolo 13). L'ossalacetato è presente anche nel ciclo di Krebs, per cui nel
paragrafo relativo al catabolismo degli aminoacidi vedremo che tutti gli aminoacidi
la cui degradazione porta alla formazione di specifici intermedi del ciclo di Krebs
possono essere utilizzati nella gluconeogenesi (aminoacidi glucogenici). L'ossalace-
tato che si viene a formare nella reazione catalizzata dalla piruvato carbossilasi può
essere ridotto nei mitocondri a malato o transaminato ad aspartato ed impiegare i
sistemi a navetta descritti più avanti nel testo per uscire dal mitocondrio ed essere
riconvertito ad ossalacetato nel citosol. Qui l'enzimafosfoenolpiruvato earbossiehi-
nasi (PEPCK) lo converte in fosfoenolpiruvato a spese di GTP. Le altre reazioni
della gluconeogenesi fino alla formazione del fruttosio-l,6-bisfosfato sono cataliz-
zate dagli stessi enzimi della glicolisi. La conversione del fruttosio-l,6-bisfosfato in
fruttosio-6-fosfato è catalizzata invece dalla fruttosio-J, 6-bisfosfatasi-J (FBPasi-J).
Infine, il fruttosio-6-fosfato, dopo essere stato isomerizzato a glucosio-6-fosfato
dallo stesso enzima della glicolisi viene convertito dalla glucosio-6-fosfatasi presen-
te negli epatociti che è in grado di dare luogo alla formazione di glucosio libero.
Gluconeogenesi e glicolisi si svolgono pertanto in gran parte nel citosol e devo-
no essere regolate in modo reciproco. La regolazione reciproca è legata prevalente-
mente alla carica energetica degli adenilati e, come vedremo più avanti, alla con-
centrazione del fruttosio-2,6-bisfosfato. La capacità di una cellula di effettuare rea-
zioni sostenute dall'idrolisi dell' ATP dipende dalle concentrazioni relative dell'ATP
e dei suoi derivati.
. . _
Canea· energetlea - [
[ATP ]+
] [ ] [
li
[ADP]
]
ATP + ADP + AMP
Il metabolismo dei carboidrati 89
La maggior parte delle cellule sane funziona con un valore di carica energetica
pari a circa 0.9.
Le tre reazioni che differenziano la glicolisi dalla gluconeogenesi rappresentano
quindi i siti primari di regolazione reciproca di queste vie metaboliche. Per quanto
attiene la regolazione della esochinasi, primo enzima della via glicolitica, tale enzi-
ma è presente in due isoforme: una localizzata a livello dei muscoli ed una epatica.
L'esochinasi dei miociti (cellule del muscolo) ha una Km pari a 0.1 mM. Pertanto,
poiché nel sangue la concentrazione media di glucosio è pari a circa 4-5 mM, l'e-
sochinasi del muscolo viene regolata da substrato ed è praticamente sempre satura-
ta a tali concentrazioni. Inoltre, l'esochinasi nel muscolo è inibita dal suo prodotto,
il glucosio-6-fosfato. L'isoforma enzimatica del fegato è detta esochinasi D o glu-
cochinasi e differisce da quella del muscolo poiché non subisce una inibizione da
prodotto, ma dal suo isomero, il fruttosio-6-fosfato, la cui concentrazione nella cel-
lula, come già detto, è sempre in equilibrio con quella del glucosio-6-fosfato grazie
all'azione dell'enzima fosfoglucosio isomerasi. L'inibizione è mediata da una pro-
teina regolatrice della glucochinasi, la cui attività è modulata a sua volta dal frut-
tosio-6-fosfato (inibitore) e dal fruttosio-I-fosfato (attivatore) presente solo quando
c'è il fruttosio nel sangue. Questa proprietà della proteina regolatrice spiega come
assumendo fruttosio con la dieta si vada comunque a stimolare la fosforilazione del
glucosio nel fegato. Inoltre, la Km della glucochinasi è pari a lO mM, pertanto l'en-
zima epatico è in grado di funzionare solo quando vi sono livelli di glucosio più ele-
vati nel sangue e pertanto contribuisce al mantenimento di adeguati livelli di glice-
mia. Infatti, quando la concentrazione di glucosio nel sangue è alta, l'eccesso di glu-
cosio viene trasportato negli epatociti dove la glucochinasi lo converte in glucosio-
6-fosfato. La presenza di queste due isoforme consente inoltre al cervello e al
muscolo di usare per primi il glucosio quando la concentrazione nel sangue è bassa.
L'enzima corrispondente della via gluconeogenica è, come già detto, la glucosio-6-
fosfatasi. Tale enzima è presente nella membrana del reticolo endoplasmatico degli
epatociti e non è regolato allostericamente. Tuttavia, la sua Km per il glucosio-6-
fosfato è molto più alta della concentrazione intracellulare di questo metabolita, la
glucosio-6-fosfatasi quindi viene regolata secondo una cinetica di primo ordine.
Come accennato precedentemente, l'enzima più importante per la regolazione
della glicolisi è la fosfofruttochinasi-1 (PFK-1) che subisce una regolazione di tipo
allosterico. La reazione irreversibile di conversione del glucosio-6-fosfato a frutto-
sio-6-fosfato catalizzata dalla fosfofruttochinasi-1 è la tappa che consente ad una
cellula di far entrare il glucosio nella glicolisi. Infatti, il glucosio-6-fosfato può
entrare sia nella glicolisi, sia in una delle vie secondarie di ossidazione come la via
del pentoso fosfato che verrà descritta più avanti nel testo. La PFK-1 è costituita da
quattro subunità identiche (omotetramero) ciascuna delle quali possiede due siti di
legame per l'ATP, il sito attivo ed un sito regolatore. L'ATP è infatti un substrato
dell'enzima, ma anche un inibitore di tipo eterotropico negativo come prodotto fina-
le della glicolisi. Pertanto, livelli troppo elevati di ATP segnalano alla cellula che
esso è sintetizzato ad una velocità superiore a quella del consumo e pertanto l'ATP
inibisce la PFK-1 stabilizzando la forma T a bassa affinità per il glucosio-6-fosfato.
Viceversa, l'ADP e l'AMP, che aumentano quando l'ATP diminuisce, agiscono
allostericamente rimuovendo l'inibizione esercitata dall'ATP. Anche il citrato, inter-
medio chiave per l'ossidazione aerobica del piruvato che troveremo nel ciclo di
Krebs, funge da inibitore della PFK-l potenziando l'effetto inibitorio dell'ATP.
Tuttavia, il principale attivatore dell'enzima è il fruttosio-2,6-bisfosfato sintetizza-
to dallafosfofruttochinasi-2 (PKF-2) (figura 6.5).
Per impedire la generazione di un ciclo futile in cui il glucosio venga degradato
nella glicolisi e contemporaneamente sintetizzato dalla gluconeogenesi, gli enzimi
che fanno parte di una sola delle due vie sono regolati in modo inverso da effettori
allosterici comuni. Infatti, mentre il fruttosio 2,6-bisfosfato è un potente attivatore
90 Metabolismo dei nutrienti
cAMP
ATP - - - --- - - - - - - - - --
...
o
P,
o CH,OH
HO-~-O-C~H
HO H
OH
Fruttosio- p, P,
6-fosfato
o
Ho-P-O-C~H O-P-OH
HO H ÒH
tHzOH
OH
Fruttosio-
2-6-bisfosfato G
R
HO-~-O-C~"'OH
I
HO
OH I
Fruttosio-
Fruttosio- C
6-fosfato
6-fosfato O
~"""'IVtt V
MODIFICAZIONE
v
tt
~~~Ha-()-P-OH
v
ALLOSTERICA
HO-HO~-o-'i?'°~OHHa.()oo~
I
I
ATIIVA HO 'l:""'bH
Fruttosio-
1, 6-bisfosfato
lo< INATIIVA INATIIVA 'l:""'f'b
Fruttosio-
1,6-bisfosfato
6H
ATIIVA
•I
Figura 6.5 Regolazione di gluconeogenesi e glicolisi e il ruolo del glucagone nelle cellule epatiche.
della PFK-I e quindi della glicolisi, esso è un inibitore della fruttosio-l ,6-bisfosfa-
tasi-l (FBPasi-l) e rallenta quindi la gluconeogenesi. Il glucagone, l'ormone che
segnala bassi livelli di glucosio nel sangue, attiva una proteina chinasi cAMP dipen-
dente che è in grado di fosforilare una proteina bifunzionale costituita dalla fosfo-
fruttochinasi-2 (PFK-2) e dallafruttosio 2,6 bisfosfatasi-2 (FBPasi-2). La fosforila-
zione attiva la FBPasi-2 abbassando i livelli di fruttosio-2,6-bisfosfato, mentre la
proteina bifunzionale defosforilata presenta un'attività elevata della PFK-2 che
catalizza la sintesi di fruttosio-2,6-bisfosfato (figura 6.5).
Pertanto il glucagone regola il livello di glucosio nel sangue grazie a due mec-
canismi:
a) opera un'attivazione mediata da cAMP del meccanismo a cascata che porta alla
demolizione del glicogeno (come descritto precedentemente, vedi anche capito-
lo 2);
b) comporta una diminuzione, sempre mediata dall'cAMP, del livello del fruttosio-
2,6-bisfosfato, che stimola la gluconeogenesi (vedi figura 6.5).
Inoltre, il glucagone è in grado di controllare i livelli dell'enzima chiave della
gluconeogenesi, la fosfoenolpiruvato carbossichinasi PEPCK, attivando la trascri-
zione del suo gene strutturale, mentre deprime la sintesi della piruvato chinasi.
Infine, la piruvato chinasi che controlla il flusso di uscita della glicolisi, viene
Il metabolismo dei carboidrati 91
La via del pentoso fosfato, come la glicolisi, è una via metabolica che avviene
nel citoplasma e che impiega glucosio-6-fosfato. Questa via è costituita da unafase
ossidativa e da una non ossidativa e fornisce due importanti precursori per le vie
biosintetiche (anaboliche): il NADPH (vedi capitolo 2), usato ad esempio nella bio-
sintesi dei grassi e degli steroli, e il ribosio-5-fosfato, un precursore necessario per
la biosintesi dei nucleotidi.
La parte ossidativa della via converte il glucosio-6-fosfato in ribulosio-5-fosfa-
to con la formazione di una molecola di CO2 e 2 di NADPH. La fase non ossidati-
va è una parte di tipo rigenerativo molto più complessa in cui la via ritrasforma, a
seconda delle condizioni metaboliche, i pentosi fosfato in esosi fosfato o in altri pre-
cursori che possono entrare nella via glicolitica.
La fase ossidativa della via del pentoso fosfato comincia con l'ossidazione del
glucosio-6-fosfato catalizzata dallaglucosio-6-fosfato deidrogenasi con formazione
di NADPH+H+ e di 6-fosfogluconolattone (figura 6.6). Illattone è l'estere intramo-
NADPH+W
:1L
~ ~ ~
HO-~-O-CH,
HO-~-O-CH, HO~6-0~-CH'
O
HO ~0'J0H HO ~H ,OH
H =0 H C"o
HO~ Glucosio 6-fosfato
HO
OH
HO
OH
OH Glucolattonasi
Glucosio- deidrogenasi 6-foslogluconolattone 6-fosfogluconato
6-fosfato
O
HO-~-O-C~H
HO
O CH,OH
t H
Fosfoglucosio
isomerasi
?H,OH
O
HO-P-O
HO~
CH,OH
O
6-fosfogluconato
deidrogenasi
Fosfopentoso
epimerasi
O
HO-P-O
HO W=o
l-NADP+
~NADPH+W
CO
CH,OH
2
OH C=O
~ ~
I
OH HOCH OH OH OH
!
Fruttosio- I
HCOH xilulosio Ribulosio
6-Ioslato I
5-fosfato 5-Ioslato
HCOH
I
HCOH O
x
I " Fosfopentoso
H,C-O-~-OH
HO,C~O OH
Isomerasl
I
HCOH Sedoeptulosio-
I
HCOH O 7-foslato O
I
H,C-O-~-OH
"
HO,C~O
HO-~-O- C~H
O OH
OH Transchetolasi HO
I
Eritrosio Transaldolasi HCOH O H
4-foslato I "
H,C-O-~-OH
OH Ribosio-
5-fosfato
Gliceraldeide
3-Ioslato
lecolare del 6-fosfogluconato. Questo legame estere viene scisso da una idrolasi, la
glucolattonasi che in questo modo apre l'anello del lattone e rende accessibile il
gruppo carbossilico del 6-fosfogluconato. L'ultima tappa della parte ossidativa è
catalizzata dallafosfogluconato deidrogenasi. Tale enzima ossida il gruppo ossidri-
lico sul carbonio in posizione 3 a gruppo chetonico e comporta il rilascio del grup-
po carbossilico del 6-fosfogluconato sottoforma di CO z. In questa reazione si for-
mano un'altra molecola di NADPH+H+ ed il cheto-pentoso ribulosio-S-fosfato.
Attraverso l'azione di una isomerasi, quest'ultimo può essere trasformato in ribo-
sio-S-fosfato, il precursore della sintesi nucleotidica.
La sequenza di reazioni della fase non ossidativa (rigenerativa) converte tre zuc-
cheri fosfato a cinque atomi di carbonio a due zuccheri fosfato a sei atomi di carbo-
nio e a uno zucchero fosfato a tre atomi di carbonio. Le reazioni principali sono
descritte in figura 6.6. La parte rigenerativa consente di adattare la richiesta di
NADPH+H+ e di pentoso-fosfato al fabbisogno energetico della cellula.
Generalmente la richiesta di NADPH+H+ è sempre più alta di quella dei pentosi-
fosfato. In queste condizioni si formano cinque molecole di fruttosio-6-fosfato da
sei molecole di ribulosio-S-fosfato attraverso le reazioni riportate in figura 6.6.
Dalle cinque molecole di fruttosio-6-fosfato vengono rigenerate mediante isomeriz-
zazione cinque molecole di glucosio-6-fosfato. Se necessario, soprattutto nei tessu-
ti biosintetici (fegato, tessuto adiposo e ghiandole mammarie), il glucosio-6-fosfa-
to può rientrare nel ciclo del pentoso-fosfato e produrre nella sua fase ossidativa
altro NADPH.
È importante sottolineare l'attività catalitica di due enzimi coinvolti nella fase
non ossidativa nelle reazioni di trasformazione degli zuccheri fosforilati: la transal-
dolasi e la transchetolasi. Il primo enzima è in grado di catalizzare la reazione di
trasferimento di unità a tre atomi di carbonio dal sedoeptulosio-7-fosfato (un cheto-
zucchero a sette atomi di carbonio) al gruppo aldeidico della gliceraldeide-3-fosfa-
to. Il secondo, la transchetolasi, richiede la tiamina pirofosfato (TPP, derivato della
Vitamina BI) (vedi capitoli 2 e 13) come cofattore ed è quindi in grado di trasferi-
re unità a due atomi di carbonio da un donatore chetosio (lo xilulosio-S-fosfato) ad
un accettore aldosio (il ribosio-S-fosfato o l'eritroso-4-fosfato) (figura 6.6).
Le reazioni della parte non ossidativa della via del pentoso fosfato sono reversi-
bili e di conseguenza è possibile trasformare uno zucchero esoso fosfato in pentoso
fosfato utilizzando questa parte della via. Quest'ultimo tipo di reazione è particolar-
mente attiva nella fase del ciclo cellulare (fase S), durante la duplicazione, in cui vi
è la necessità di grandi quantità di pentosi fosfato per la replicazione del DNA.
Infme, se le richieste energetiche della cellula richiedono anche la produzione di
energia sottoforma di ATP oltre alla produzione di NADPH, la cellula può indiriz-
zare i prodotti della fase non ossidativa della via nella glicolisi.
La tappa limitante della via dei pentosi fosfati, che viene pertanto opportuna-
mente regolata, è la priII;la, vale a dire quella catalizzata dalla glucosio-6-fosfato dei-
drogenasi. Questa reazione è controllata dal NADP+ (controllo da substrato) che
compete con il NADPH per il legame all'enzima. Il destino del glucosio-6-fosfato
è pertanto determinato in larga misura, come già discusso precedentemente, dall'at-
tività della fosfofruttochinasi-l (PFK-l) della glicolisi e della glucosio-6-fosfato
deidrogenasi della via del pentoso fosfato.
Come già introdotto nel capitolo S, negli organismi aerobici i carboidrati, gli
acidi grassi e la maggior parte degli aminoacidi vengono ossidati ad HzO e CO z
mediante il ciclo di Krebs e la catena respiratoria. Tuttavia, lo scheletro carbonioso
degli zuccheri e degli acidi grassi prima di poter entrare nel ciclo devono essere
Il metabolismo dei carboidrati 93
degradati a gruppi acetilici e convertiti ad acetil-CoA. Prendiamo in esame ora
come il piruvato derivato dalla glicolisi venga ossidato a formare acetil-CoA e CO 2
dal complesso muitienzimatico della piruvato deidrogenasi.
Questo complesso, localizzato nella matrice mitocondriale delle cellule eucario-
tiche, è costituito da tre enzimi e da cinque coenzimi differenti (figura 6.7). I tre en-
zimi sono la piruvato deidrogenasi (E 1), la diidrolipoamide acetiltransferasi (E2) e
la diidrolipoamide deidrogenasi (E3). I cinque coenzimi sono in alcuni casi cofat-
tori la cui struttura e funzione sono state già descritte nel capitolo 2: la tiamina piro-
fosfato (TPP), il flavin adenin dinucleotide (FAD), il coenzima A (CoA), la nicoti-
namide adenin dinucleotide (NAD) e l'acido lipoico (lipoamide).
L'enzima El catalizza la decarbossilazione del piruvato mediante trasferimento
del residuo idrossietilico sulla TPP, a formare idrossietil-TPP, un acetaldeide attiva
che viene successivamente ossidata a gruppo acetilico. Questo residuo e gli equiva-
lenti riducenti che si vengono a formare sono impiegati per la riduzione della lipoa-
mide. A questo punto E2 catalizza il trasferimento del gruppo acetilico dalla lipoa-
mide al CoA a formare acetil-CoA. La forma ridotta della lipoamide così formata-
si, la diidrolipoamide, viene nuovamente ossidata da E3 mediante temporaneo tra-
sferimento di due elettroni al FAD che poi, nella tappa finale che dà luogo alla rige-
nerazione del complesso iniziale, vengono impiegati nella riduzione del NAD+ a
formare NADH+H+ (figura 6.7).
piruvato
HO,C""'O Piruvato
I
c=o deidrogenasi
I
CH 3
CH 3 C- S
Il
H-S)
TPP
°
NADH + H+
<) S-H
HS-CoA
( S-H
°
Il
C-CH 3
I
S-CoA
Acetil-CoA
I cinque coenzimi che partecipano alla reazione catalizzata dal complesso della
piruvato deidrogenasi sono associati in modo diverso ai tre enzimi che lo costitui-
scono. La TPP non è legata covalentemente ad El e la sua azione si esplica grazie
all'interazione con un residuo di acido glutammico dell'enzima. La lipoamide è
invece legata in modo covalente ad un residuo di lisina di E2, mentre il FAD è il
gruppo prostetico di E3. Infine il CoA ed il NAD+ si associano solo transitoriamen-
te al complesso durante la reazione e si comportano quindi come co-substrati.
Il complesso della piruvato deidrogenasi viene regolato in diversi modi.
L'enzima E2, la componente transacetilasica, è inibito dall'acetil-CoA e attivata dal
CoA. L'enzima E3, la componenete diidrolipoil deidrogenasica, viene invece inibi-
to dal NADH e attivata dal NAD+. Mentre l'ATP è un inibitore allosterico del com-
plesso e l'AMP ne è un attivatore. Infme, la fosforilazione dell'El da parte di una
chinasi specifica spegne l'attività del complesso. Tale chinasi viene a sua volta ini-
bita dal piruvato ed attivata dall'acetil-CoA e dal NADH. L'inattivazione di El
viene rimossa da una fosfatasi specifica che viene attivata dagli ioni calcio e magne-
sio.
Il ciclo di Krebs
Il mitocondrio è responsabile della sintesi di gran parte dell'ATP, daADP e Pi , a
spese dell'energia derivata dal trasferimento degli elettroni: tale processo è denomi-
nato fosforilazione ossidativa, poiché accoppia la fosforilazione dell'ADP (reazio-
ne fortemente endoergonica, come già visto) con il trasferimento di elettroni lungo
la catena respiratoria. L'esame dell'organizzazione strutturale e funzionale dell'or-
ganulo subcellulare (figura 6.8) ci consente di comprendere le fasi essenziali e la
sequenza spazio-temporale del processo. Il mitocondrio possiede una membrana
esterna ed una membrana interna. Quest'ultima presenta diverse invaginazioni ed
insieme alla prima si vengono a delimitare tre diversi ambienti: lo spazio intermem-
!S
,,0
Piruvato Acetil-CoA H,C-C'OH
HO,C"O
deidrogenasi I ,,0
I
°T"-CH, Citrato sintasi
HO-C-c'OH
I ,,0
Aconitasi
T=O
CH, H. C-C'OH
,,0
'-~
Piruvato S-CoA
Citrato HC-C'OH
HS-CoA ,,0
;» Il ,,0
C-C'OH
O=C-C'OH H20 I ,,0
HS-CoA
NAD NADH H ~-c"O H.C -C'OH Aconitasi
CO
2
• 'OH
Ossaloacetato Cis-Aconit~
Malato
deidrogenasi NADH
°
H2 H ,,0
HO-C-C'OH
O"C-~
; : : HO~ I ,,0
,,0 H,C-C'OH
HO-C-C'OH NAD Isocitrato
tI
I ,,0
H,C-C'OH
Malato
Ciclo di Krebs Isocitrato
deidrogenasi
,,0
O=C-C'OH
Fumarasi
g~c-~
,,0 I ,,0
HC-C'OH NAD H,C-C'OH
HC-C~OH
Il ° FADH
NADH~ssaiOSUCCinato
Fumarato . . . 1 - 2
~AD
NADH
CO2 NAD
CO2
C
,,0 Isocitrato
~S-COA
succinat~ ~C-C~~H
HS-CoA 0=7- 'OH deidrogenasi
GTP GDP H.~ ,,0
deidrogenasi I ,,0
~
H,C-C'OH c".9S-CoA H,C-C'OH
I a-chetoglutarato
Succinato H.C
Succinil-CoA H ~-c"O a-chetoglutarato
sintetasi • 'OH deidrogenasi
Succinil-CoA
Figura 6.9 Ciclo di Krebs o dell'acido citrico. In rosso i composti che alimentano il ciclo e lo reazione di fosfori-
lazione a livello del substrato (sintesi di GTP).
Questo enzima è abbondante nel cuore e nel muscolo scheletrico, viene attivato
dall'intermedio glicolitico fruttosio-l,6-bisfosfato, che tende ad aumentare quando
il ciclo opera ad una velocità troppo bassa e non utilizza tutto il piruvato che è pro-
dotto dalla glicolisi.
Fosforilazione ossidativa
•• • • •• • • •• • ••• • • • •
'1 '1
) ) ( ( 0 050( (00 JJ ) )
J J•
l i li X X Xli xx.JI X XI •
•• li
Spazio intermembrana (P)
2H+
4H+
+ + + + +
I
I
ilt:>
NADH+H + NAD+
ATP
MATRICE
CITOSOL
no, attraverso la catena di trasporto, nel mitocondrio, oppure li scarica su altri accet-
tori, nel citoplasma. Le concentrazioni della forma ossidata e ridotta del NAD, pre-
senti sia nel mitocondrio che nel citosol, oscillano intorno a valori costanti, caratte-
ristici di ciascuno dei due compartimenti cellulari, senza interscambi diretti fra i
compartimenti (dato che la membrana mitocondriale è impermeabile al coenzima).
Il mantenimento del rapporto NAD+/NADH + H+ in una sorta di equilibrio dinami-
co - "stato stazionario" - è essenziale, sia per mantenere ininterrotto il flusso di elet-
troni nel mitocondrio, sia nel citosol per il funzionamento della reazione energetica
"chiave" della glicolisi, catalizzata dalla gliceraldeide-3-fosfato-deidrogenasi. Il
NADH che si forma in questa reazione, non potendo superare la membrana mito-
condriale, deve necessariamente essere riossidato a NAD+ nel citosol; ciò avviene
attraverso due meccanismi diversi, a seconda che sia assente o presente l'ossigeno.
Come già detto, in anaerobiosi il NADH citoplasmatico viene riossidato nei due
seguenti processi fermentativi:
Matrice
Citosol
Diidrossi-
acetone-
fosfato
Glicerol-
fosfato-
Glicerol-
deidrogenasi
fosfato
FAD
ak~--+----::==--o::::....-I-_
Ossa1-
acetato
NADH
Glu --+--....:::--=----+-. .
Ossal-
acetato
te dai NADH, possono entrare nel mitocondrio, dove vengono riossidati dal NAD+
mitocondriale, mediante la reazione redox inversa di quella citoplasmatica. Le cop-
pie glicerol-fosfato/diidrossi-aceton-fosfato e malat%ssalacetato sono conosciute
come sistemi "navetta", poiché trasportano "equivalenti ridotti" (cioè e-) nel mito-
condrio (figura 6.12).
Il glicerol-fosfato e il malato trasportano all'interno del mitocondrio una coppia
di elettroni ricevuta dal NADH citosolico. L'ossalacetato può fuoriuscire dal mito-
condrio dopo transaminazione ad aspartato.
Una coppia di elettroni trasportata dal sistema glicerol-fosfato/diidrossi-aceton-
fosfato (attivo nel cervello) permette la sintesi di 2 ATP, poiché gli elettroni entra-
no nella catena respiratoria mediante trasferimento all'ubichinone saltando la prima
pompa protonica (il complesso I).
Il sistema malat%ssalacetato (attivo nel fegato, nel cuore e nel rene) prevede
l'ingresso del malato nel mitocondrio attraverso uno specifico sistema di trasporto
e la riossidazione del malato nel ciclo di Krebs. Poiché l'ossalacetato non può attra-
versare la membrana interna mitocondriale, viene transaminato nel mitocondrio ad
aspartato, che viene trasportato nel citosol e qui riconvertito ad ossalacetato da una
transaminasi citosolica. Questo sistema navetta rende 3 ATP per ogni coppia di elet-
troni trasportati, potendoli scaricare più a monte, sul complesso mitocondriale I,
Il metabolismo degli acidi grassi 101
che, essendo la prima pompa protonica, dà luogo ad un maggior gradiente elettro-
chimico impiegato per la sintesi di ATP, rispetto all'ingresso degli elettroni a livel-
lo dell'ubichinone (vedi figure 6.10 e 6.12).
I trigliceridi, come già descritto nel capitolo 5, sono costituenti importanti delle
membrane biologiche. Essi tuttavia formano anche la riserva energetica più impor-
tante dell'organismo e vengono depositati prevalentemente negli adipociti. Nel tes-
suto adiposo i trigliceridi vengono continuamente degradati e risintetizzati. Come
già descritto nel capitolo 3, in generale l'idrolisi dei grassi ad opera delle lipasi dà
luogo ad una molecola di glicerolo e tre molecole di acidi grassi liberi. Tale reazio-
ne a livello del tessuto adiposo è catalizzata da una lipasi o'ìmone sensibile attiva-
ta da adrenalina, noradrenalina, glucagone, corticotropina (ACTH), tirotropina
(TSH), ormone della crescita (GH) e vasopressina, mentre tale lipasi viene inibita
dall'insulina, dalla prostaglandina El e dall'acido nicotinico con meccanismi che
verranno discussi nel capitolo 8 relativo al controllo neuro-ormonale del metaboli-
smo. Gli acidi grassi a catena molto corta rilasciati nel tessuto adiposo possono
essere trasportati nel plasma come tali, mentre gli acidi grassi a catena lunga, total-
mente insolubili in acqua, vengono trasportati dall'albumina che può legame fino
a dieci molecole. Gli acidi grassi liberi presenti nel plasma vengono assunti dalle
cellule di quasi tutti i tessuti, ad eccezione del cervello e dei globuli rossi, per dare
luogo alle reazioni di catabolismo degli acidi grassi mediante la ~ossidazione.
Vedremo che il metabolismo degli acidi grassi è particolarmente attivo nel fegato
e, quando i livelli di acidi grassi sono elevati, come avviene in caso di digiuno pro-
lungato ed in alcune patologie come il diabete mellito, quest' organo è in grado di
produrre i corpi chetonici 'che possono essere impiegati dal cervello come fonte
energetica.
La ~.ossidazione
Una volta entrati nelle cellule, per andare incontro alla ~-ossidazione gli acidi
grassi devono essere dapprima attivati mediante il loro trasferimento sul coenzima
A (CoA), a formare un acil-CoA, catalizzato dall' acil-CoA sintetasi. Questo proces-
so è endoergonico e quindi è necessario accoppiare il consumo di due legami fosfo-
rici ad alta energia dell'ATP. La carnitina funziona come trasportatore dei gruppi
acilici attraverso la membrana interna dei mitocondri (figura 6.13) e garantisce un
continuo rifornimento alla ~-ossidazione. Gli acidi grassi attivati sotto forma di
acil-CoA devono essere prima trasferiti sulla carnitina nel citoplasma per poi esse-
re introdotti sotto forma di acil-carnitina nello spazio della matrice da un trasporta-
tore che opera un antiporto acil-carnitina/carnitina. La reazione di formazione
della acil-carnitina è catalizzata nel citosol dalla carnitina-aciltransferasi I, mentre
all'interno del mitocondrio è presente un'isoforma, la carnitina-aciltransferasi II,
che catalizza la reazione inversa liberando carnitina e dando luogo al trasporto netto
di acil-CoA nel mitocondrio (figura 6.13).
È importante sottolineare che il CoA mitocondriale è separato da quello citoso-
lico, il primo è coinvolto nella degradazione ossidativa del piruvato, degli acidi
grassi e di alcuni aminoacidi, mentre il secondo è necessario per la biosintesi degli
acidi grassi.
Vedremo che la carnitina aciltransferasi I è il punto di regolazione più importan-
te che decide se il destino dell'acil-CoA deve andare verso la biosintesi dei lipidi o
verso il catabolismo. Tale enzima viene infatti inibito dal malonil-CoA, il primo
102 Metabolismo dei nutrienti
~-ossidazione
~O
I OH
CH, O ~ Acetil-CoA
I
HC-O-C~
" •••
I O~
1 H
, Palmiloil camilina COAS...___C-CH,
CoASH
N[CH,l. o
Il
O~CoASH
CoASH C~
HcrC~
Palmilalo fCOA Mirisloil CoA
~O
IOH
r H
,
;
HC-OH ;
I CoASH
CH,
I
O~ /
/~
N[CH,l.
SCoA
/ o~C W
Camilina Palmiloil CoA ~ /~
o~ O~ SCoA 3-chelopalmiloil CoA
/~ ~
C~
Y
o~
c~ deidrogenasi
icOA TranSd2 enoilpalmiloil CoA NAD
O, OH
EnollCoA 'c~
Spazio idratasi
Citoplasma intermembrana LcoA 3-idrossipalmiloil CoA
Figura 6.13 1/ Catabolismo degli acidi grassi: la ~ossidazione (esempio di ossidazione del palmitato).
intermedio della sintesi degli acidi grassi, facendo in modo che biosintesi e ~-ossi
dazione non avvengano contemporaneamente.
Nella matrice mitocondriale ha luogo quindi il catabolismo degli acidi grassi
mediante una serie di reazioni di ossidazione in cui una unità a due atomi.di carbo-
nio viene staccata dall'acido grasso sottoforma di acetil-CoA. La rimozione sequen-
ziale di gruppi acetilici comincia dall' estremità carbossilica degli acil-CoA median-
te rottura del legame tra-il carbonio in posizione 2 (Ca) e quello in posizione 3 (C~).
Agendo sul carbonio ~ dell'acido grasso questo ciclo viene pertanto chiamato ~
ossidazione. La prima reazione di questa via catabolica è la deidrogenazione dell'a-
cido grasso attivato (acil-CoA) a formare un doppio legame con configurazione
trans; tale reazione è catalizzata dalla acil-CoA deidrogenasi. Gli atomi di idroge-
no che vengono rimossi dall'enzima vengono trasferiti ad una proteina contenente
FAD, una flavoproteina che trasferisce elettroni correlata alla catena respiratoria.
Tale ossidazione è analoga a quella della succinato deidrogenasi e comporta un tra-
sferimento di due elettroni all'ubichinone nella catena respiratoria e successivamen-
te al complesso III. La seconda reazione della ~-ossidazione consiste nell'addizio-
ne di una molecola d'acqua al doppio legame dell'acido grasso insaturo, una reazio-
ne di idratazione catalizzata dalla enoil-CoA idratasi. La terza reazione è un'altra
deidrogenazione che trasforma il gruppo ossidrilico presente sul carbonio in posi-
zione 3 in un gruppo carbonilico. Il NAD+ accetta gli equivalenti riducenti liberati
Il metabolismo degli acidi grassi 103
da questa reazione catalizzata dalla 3-idrossiacil-CoA deidrogenasi e viene conver-
tito in NADH+H+ che può entrare nella catena respiratoria. Nella quarta reazione si
ha una scissione tiolitica del B-chetoacido attivato, catalizzata dalla f3-chetotiolasi,
a dare luogo alla formazione di acetil-CoA e ad una molecola di acido grasso atti-
vato con una catena accorciata di due atomi di carbonio (Acil-CoA con n - 2 atomi
di carbonio) (figura 6.13).
Per dare luogo al catabolismo completo degli acidi grassi a catena lunga questa
serie di quattro reazioni deve essere ripetuta varie volte. Per esempio, per il palmi-
toil-CoA (16:0) deve essere ripetuta sette volte. L'acetil-CoA può essere ossidato
ulteriormente e condensato con l'ossalacetato a formare citrato nel ciclo di Krebs o
dare luogo alla sintesi di corpi chetonici in presenza di un eccesso di acetil-CoA. La
resa netta nel caso della B-ossidazione del palmitoil-CoA è la seguente:
Tuttavia, considerando che nella prima reazione in cui l'acido grasso (palmiti-
co) viene attivato legandosi al CoA, catalizzata dalla acil-CoA sintetasi, il costo
energetico è equivalente a due molecole di ATP (ricordiamo che per la formazione
del palmitoil-CoA si rompono entrambi i legami fosfoanidridici dell'ATP), la resa
netta della B-ossidazione dell'acido palmitico è pari a 108 - 2 = 106 molecole di
ATP.
Per quanto riguarda il controllo e la regolazione dell'ossidazione degli acidi
grassi, questa è una via regolata dalla disponibilità di substrato. Il livello degli acidi
grassi liberi (FFA) nel plasma è, infatti, sottoposto a controllo ormonale mediante
regolazione della lipolisi nel tessuto adiposo. Abbiamo già ricordato che vi è una
regolazione ormonale della mobilizzazione del grasso negli adipociti. In particola-
re, l'azione del glucagone e dell'adrenalina causa la demolizione ed il rilascio dei
grassi dagli adipociti, che si traduce in un accumulo di acidi grassi in altre cellule.
I tessuti utilizzano gli acidi grassi presenti nel plasma se non sono in grado di dare
luogo a biosintesi degli acidi grassi (lipogenesi) come può fare invece il fegato, il
tessuto adiposo, i reni, i polmoni e le ghiandole mammarie.
Nel fegato gli acidi grassi attivati ad acil-CoA possono andare incontro a due
destini: la B-ossidazione da parte degli enzimi presenti nei mitocondri o la conver-
sione a triacilgliceroli o fosfolipidi da parte di enzimi del citosol. Il processo a tre
tappe che abbiamo visto essere in grado di trasferire gli acili dal citosol ai mitocon-
dri mediante il trasportatore acil-camitina/camitina è un punto importante di rego-
lazione del metabolismo degli acidi grassi, come già detto precedentemente. Il
primo intermedio della biosintesi citosolica degli acidi grassi a catena lunga che si
viene a formare a partire dall'acetil-CoA mediante l'azione della acetil-CoA carbos-
silasi, il malonil-CoA, è un inibitore della carnitina acil-transferasi I citosolica. La
concentrazione di malonil-CoA è elevata quando vi è un elevato apporto di nutrien-
ti, in particolare di carboidrati, e quindi viene così inibito il trasporto nei mitocon-
dri dei gruppi acilici e attivata la lipogenesi. Mentre durante il digiuno, quando i
livelli plasmatici di glucagone e quindi di acidi grassi sono elevati, la camitina acil-
transferasi I è particolarmente attiva e viene favorita la B-ossidazione.
Un'altra reazione importante che avviene nel fegato è la conversione dell'acetil-
CoA in corpi che tonici, la chetogenesi; questi composti vengono poi esportati ad
altri tessuti (figura 6.14). Essi sono l'acetone, che viene generalmente prodotto in
piccole quantità ed eliminato con la respirazione determinando una alitosi caratte-
ristica, e l'acetoacetato e il D-B-idrossibutirrato che vengono ossidati nel ciclo del-
l'acido citrico per soddisfare le richieste energetiche di tessuti come il muscolo
scheletrico, il cuore e la corteccia surrenale.
Il cervello preferisce di norma il glucosio, ma, in condizioni di digiuno prolun-
gato, può adattarsi ad usare acetoacetato e D-B-idrossibutirrato. La produzione e l'e-
104 Metabolismo dei nutrienti
o o C~~H o
1L
1
C-CH, HS-CoA CH, C-CH, HS-CoA H,C " -cH,
T
s-co~
l'
1 1
o=c C0 HO-C - CH, S-CoA C~~H
o 1
S- 1
~ ::t
H,C H,C
I I
"
T -CH,
S-CoA
o=c
1
S-CoA
O=C
1
S-CoA
1
CH' ~CH,
0'1"'
Acetil-CoA Acetoacetil-CoA 3-idrossi-3-
metilglutaril-CoA
Acetoacetato ~ Acetone
.• ••··NADH+H+
Fegato ··
C~~H
I
C~~H
1
angue H,C
O=C
I
1
H,C
1
HO -C
1
CH' CH'
Acetoacetato 13-lldrossibutirrato
Tessuti extraepatici
C",O
l-OH
o 9Hz
Hz
" -CH,
T
9CH.
1",0
S-CoA C-OH
~ ~S-COA ",o
T's-coA
H,C
T-cH, 1
S-CoA o=c
I
CH'
Acetoacetil-CoA
Acetoacelalo
sportazione dei corpi chetonici dal fegato ai tessuti extraepatici consente di conti-
nuare l'ossidazione degli acidi grassi nel fegato, poiché si rende disponibile il CoA
anche quando l'acetil-CoA non viene ossidato dal ciclo dell'acido citrico. L'acetil-
CoA formato dall'ossidazione degli acidi grassi entra nel ciclo di Krebs solo se la
degradazione dei grassi e quella dei carboidrati sono bilanciate adeguatamente.
Pertanto, nei mitocondri del fegato, l'acetil-CoA può scegliere tra le seguenti
due vie metaboliche: la chetogenesi oppure la demolizione completa a CO2 e acqua
nel ciclo di Krebs e nella catena respiratoria. La velocità di questi due processi
dipende esclusivamente dal fabbisogno energetico della cellula: tutto l'acetil-CoA
che si forma in eccesso rispetto alle necessità della cellula viene convertito in corpi
chetonici.
La via catabolica principale dei lipidi è la ~-ossidazione, ma oltre a questa esi-
stono anche altre vie come quelle che riguardano il catabolismo degli acidi grassi
insaturi, quello degli acidi grassi con un numero di atomi di carbonio dispari, le
ossidazioni Cl e (O e le degradazioni degli acidi grassi nei perossisomi degli acidi
grassi a lunga catena. Tuttavia, queste ultime due vie sono da considerarsi meno
importanti dal punto di vista energetico e pertanto per la loro trattazione si rimanda
il lettore ad altri testi di biochimica.
r
HZC-C~~H ~
H,
O=CI _
••
I ",o
HO-C-C'OH S-CoA ",o
I ",o 7'OH
HzC-c'OH
Acetii CoA HS-CoA
Citrato ATP ADP+ Pi r~
~
O=c
HS-CoA I
ntelai -8
I
CH]
I
0
C0 2 =7
c~
I
o=c
CH]-CHZ-CHz-f,-S- tet" I
O tet.. -s
NADP
o
~-CH HS-CoA CH,
1
I ' I
? S-Co~ o=c
I
H,C
~-CH, ~ o=c
I
S-CoA S-CoA
Acetoacetil-CoA
H,C
I
C-CH,
"
HC
I
H,C-OH
o o
0= P-O-P-OH
OH OH ~Mevalonato
3,3-0imetilallilpirofosfato
~TP
t
_
•
C~~H C~~H
I
AOP
I H,C
H,C
"
C - CH,
....
....
H,C
I
HO-C - CH,
I
HO-C-CH,
I
I I H,C
n:
H,C l' • Il H,C I
I I H,C-OH
H,C- OH H,C-OH ,
o
o o o o 0= P-OH
O:P-O-P-OH 0= P-O-P-OH OH
OH OH OH ÒHAOP
3-lsopentilpirofosfato 5-Pirofosfomevalonato 5-fosfomevalonato
AOP
..
0= P-O-P-OH 3-lsopentenilpirofosfato O
Il
O
Il
OH OH CH,-O-P-O-P-OH
~~
3,3-0imetilallilpirofosfato
~ QC NAOPH
~ I OO~
Il
CH,-O- P-O-P-OH
Il
H,C OH OH O O
"
C - CH, ~ ~ Geranilpirofosfato O O HO- P-O-P-OH
I HO- P-O-P-QH Il Il
OH OH
H,C
I
OH OH HO-b~O-b~OH NAOP
H,C-OH
,
o O
0= P-O-P-OH
OH OH
3-lsopentenipirofosfato
..
HO ~O ~
~ Squalene
Lanosterolo Squalene 2,3 epossido
Figura 6.16 Le tre fasi principali nella biosintesi del colesterolo (continua alla pagina seguente).
108 Metabolismo dei nutrienti
NAD NADH
HO
V
Lanosterolo
HO
Colesterolo 7-Diidrocolesterolo
Figura 6.16 (continuazione) Le tre fasi principali nella biosintesi del colesterolo.
alto del necessario (raccomandato 50-100 grammi al giorno), poiché non possono
essere conservati, gli aminoacidi in eccesso vengono usati nel fegato per le biosin-
tesi o sono degradati. L'azoto che deriva dalla degradazione degli aminoacidi viene
pertanto trasformato in urea e così eliminato con le urine. È importante considerare
che una piccola parte di aminoacidi può anche essere sintetizzata a partire da pre-
cursori più semplici.
La velocità di formazione e degradazione delle proteine è elevata. Infatti, la
maggior parte delle proteine ha un'emivita relativamente breve, in media di 2-8
giorni. Alcune proteine strutturali o l'emoglobina degli eritrociti hanno tempi di
emivita più lunghi, mentre altri enzimi possono avere un'emivita di sole poche ore.
La degradazione in aminoacidi delle proteine introdotte con la dieta avviene,
come già descritto, ad opera delle proteasi a serina digestive, mentre la degradazio-
ne delle proteine endogene avviene grazie alla presenza di una proteina, l'ubiquiti-
na, che si lega alle proteine "vecchie" e agisce con un sistema proteolitico ATP-
dipendente, che costituisce il cosiddetto proteasoma, dando luogo alla loro degra-
dazione (vedi capitolo lO, Regolazione del bilancio dell'azoto).
Nel catabolismo delle proteine vedremo che si libera azoto aminico che, a diffe-
renza dei composti ridotti del carbonio, non è utilizzabile dal punto di vista energe-
tico. Pertanto, i gruppi aminici che non vengono riciclati nelle biosintesi vengono
integrati nell 'urea ed eliminati con le urine.
Le reazioni che comportano un trasferimento dei gruppi aminici vengono dette
transaminazioni e sono catalizzate da una famiglia di enzimi che prende il nome di
transaminasi (o aminotransferasi). Vedremo che questi enzimi catalizzano reazioni
importanti sia nel catabolismo degli aminoacidi che nella loro biosintesi. Nelle rea-
zioni di transaminazione, il gruppo aminico di un aminoacido viene trasferito ad un
a-chetoacido (l' a-chetoglutarato) e dall'aminoacido si forma un altro a-chetoaci-
do, mentre dal chetoacido di partenza si genera un nuovo aminoacido. Nelle transa-
minasi il gruppo aminico rimane temporaneamente legato al coenzima pirodossal
fosfato (PLP, derivato della vitamina B 6) (vedi anche capitolo 13) che partecipa alla
reazione in tutti gli enzimi appartenenti a questa classe agendo come trasportatore
transitorio di gruppi aminici a livello del sito attivo delle transaminasi. Come anti-
cipato nel capitolo 2, il PLP è legato covalentemente ad un residuo di lisina della
transaminasi mediante un legame di tipo aldimminico (base di Schifi). Durante la
reazione l'aminoacido sposta il residuo di lisina e si forma una nuova aldimmina.
Si forma poi mediante isomerizzazione una chetimmina che viene idrolizzata a for-
mare a-chetoacido e la piridossamina fosfato. Nella seconda fase avvengono le
stesse reazioni descritte ma in direzione opposta con donazione del gruppo amini-
co all'a-chetoglutarato.
Nel caso in cui il gruppo aminico venga liberato sotto forma di ammoniaca allo-
ra la reazione prende il nome di deaminazione. La deaminazione può essere di tipo
idrolitico quando si ha una scissione del gruppo aminico da un'amide, un esempio
di questo tipo che vedremo a breve è la glutaminasi. Un altro tipo di deaminazione
è la deaminazione ossidativa in cui il gruppo aminico viene dapprima deidrogenato
a gruppo imminico e gli equivalenti riducenti vengono trasferiti al NAD+ o al
NADP+ e poi avviene scisso idroliticamente. In questo modo si viene a formare un
a-chetoacido come nelle reazioni di transaminazione. Questo meccanismo di rea-
zione è quello tipico della glutammato deidrogenasi la cui funzione nel fegato è
fondamentale nel metabolismo degli aminoacidi.
Come già detto, le diverse transaminasi sono specifiche per l'a-chetoglutarato
come accettore del gruppo aminico, ma esse differiscono per la specificità dell'ami-
noacido donatore da cui traggono il loro nome (alanina aminotransferasi, aspartato
aminotransferasi, ecc.). Il risultato di tutte queste reazioni è quello di raccogliere i
gruppi aminici che derivano da diversi aminoacidi in un unico composto: il glutam-
mato.
110 Metabolismo dei nutrienti
Leucina
Lisina
Fenilalanina
Triptofano
Ti rosina
Fenilalanina
Tirosina CORPI
CHInONICI
Arginina
Isoleucina ~ Glutammina
Metionina
Istidina
Treonina
Prolina
Valina
L'alanina, grazie alla presenza di due isoforme di alanina transaminasi, una nel
muscolo ed una nel fegato, può dare origine al ciclo glucosio-alanina. In questo
ciclo l'alanina funge sia da trasportatore di gruppi aminici in forma non tossica che
dello scheletro carbonioso del piruvato dal muscolo al fegato. Come abbiamo già
detto, il muscolo durante un'intensa attività può andare in anaerobiosi ed utilizzare
il piruvato prodotto dalla glicolisi convertendolo in alanina grazie all'attività della
alanina transaminasi. L'alanina può entrare nel circolo sanguigno e raggiungere il
fegato dove verrà convertita da un isoforma epatica della alanina transaminasi in
piruvato. Il piruvato viene poi impiegato nella gluconeogenesi e darà origine a glu-
cosio che rientra nel circolo sanguigno e giunge al muscolo dove andrà nuovamen-
te incontro a glicolisi producendo piruvato (figura 6.18). Questo ciclo, insieme al
ciclo di Cori, che abbiamo già visto nel metabolismo dei carboidrati, realizza un'e-
conomia energetica ed è fonte importante di glucosio nel muscolo in rapida contra-
zione.
A questo punto è importante sottolineare che l'azoto aminico viene rilasciato
solo a livello dei mitocondri epatici e renali. Nel fegato l'ammoniaca deve poi esse-
re eliminata mediante la sintesi dell'urea. I reni normalmente ricevono poca glutam-
mina, se non in condizioni di acidosi. In questo caso, l'ammoniaca che si libera
dalla glutaminasi viene escreta direttamente nelle urine, formando sali con gli acidi
metabolici.
112 Metabolismo dei nutrienti
Come già detto, le reazioni catalizzate dalle transaminasi sono tutte reazioni
facilmente reversibili, pertanto l'organismo è in grado di dare luogo a biosintesi
solo di quegli aminoacidi dei quali riesce a sintetizzare gli a-chetoacidi precursori.
Le piante ed i microrganismi possono formare tutti gli aminoacidi, mentre i
mammiferi hanno perso nel corso dell'evoluzione la capacità di sintetizzare circa la
metà dei 20 aminoacidi costituenti le proteine. Tali aminoacidi sono pertanto dive-
nuti essenziali e devono perciò essere assunti con la dieta. L'organismo degli ani-
mali non è in grado di produrre aminoacidi aromatici e pertanto questi sono consi-
derati essenziali, tranne la tirosina che non è ritenuta essenziale perché può essere
derivata dalla fenilalanina se questa è presente in quantità sufficienti nella dieta.
Anche gli aminoacidi a catena ramificata (leucina, isoleucina, valina e treonina)
appartengono alla categoria degli aminoacidi essenziali così come quelli riportati in
tabella 6.1. Tali aminoacidi non vengono degradati nel fegato ma nel muscolo ed il
loro gruppo aminico viene trasportato al fegato con l'aiuto del ciclo glucosio-alani-
na.
L'istidina e l'arginina sembra che siano essenziali solo durante le fasi di accre-
scimento in cui bisogna garantirne un buon apporto con la dieta.
Negli aminoacidi non essenziali troviamo quelli che si formano mediante tran-
saminazione dai chetoacidi (alanina, aspartato e glutammato). La prolina può esse-
re sintetizzata in quantità sufficienti dal glutammato ed anche i membri derivati
dalla serina (glicina e cisteina) possono essere sintetizzati negli organimi animali. Il
valore nutrizionale delle diverse proteine dipende quindi in modo determinante dal
loro contenuto in aminoacidi essenziali. Molte proteine di origine vegetale hanno
un basso contenuto di lisina o metionina mentre generalmente tutti gli aminoacidi
sono presenti in un rapporto equilibrato nelle proteine di origine animale.
Il metabolismo degli aminoacidi 113
Arginina Alanina
Istidina Asparagina
Isoleucina Asportato
Leucina Cisteina
Lisina Glutammato
Metionina Glutammina
Fenilalanina Glicina
Treonina Prolina
Triptofano Serina
Volino Tirosina
Il ciclo dell'urea
L'urea viene sintetizzata nel fegato attraverso l'azione combinata di due enzimi
mitocondriali, la carbamilfosfato sintetasi I e l' N-aceti/glutammato sintetasi, e di
quattro enzimi che catalizzano una sequenza ciclica di reazioni: l'ornitina transcar-
bami/asi, nel mitocondrio, e l' argininosuccinato sintasi, l' argininosuccinato liasi e
l'arginasi, nel citoplasma (figura 6.19).
L'urea è la diamide dell'anidride carbonica e, a differenza dell'ammoniaca, è un
composto atossico che date le sue dimensioni e la sua apolarità può passare attra-
verso le membrane biologiche. Per questi motivi e grazie alla sua solubilità in
acqua, l'urea viene facilmente trasportata nel sangue ed eliminata con le urine.
I due atomi di azoto dell'urea derivano dall'ammoniaca e dal gruppo aminico del-
l'aspartato, mentre il gruppo carbonilico deriva dal carbamilfosfato. Nella prima rea-
zione si viene a formare, infatti, carbamilfosfato dall'idrogeno carbonato (ReOj) e
dall'ammoniaca con consumo di due molecole di ATP (figura 6.19). Il carbamilfo-
sfato è un composto con alto potenziale di trasferimento poiché contiene un legame
anidridico e nella seconda reazione del ciclo il suo residuo carbamilico viene trasfe-
rito all'ornitina a formare citrullina. Il secondo gruppo aminico dell'urea, come già
detto, viene dalla reazione dell'aspartato con la citrullina (figura 6.19). Questa rea-
zione porta alla formazione di argininosuccinato e richiede l'idrolisi dell'ATP a
AMP e pirofosfato che viene a sua volta idrolizzato a P j spostando la reazione verso
destra. Successivamente, da questo composto si ha il distacco di fumarato con la
formazione di arginina da cui, per idrolisi, viene liberata urea con formazione di
ornitina che può rientrare nel ciclo.
Il ciclo dell'urea comporta un alto consumo di energia poiché per la sintesi di
questo composto, come abbiamo visto, vengono scissi quattro legami energetici.
Tuttavia, è importante sottolineare che il fumarato che si viene a formare nel ciclo
114 Metabolismo dei nutrienti
et°
IOH
Urea ~N-CH
I
CH,
I
CH,
I
H,N-CH
Arginasi Carbamilfosfato
ornitina
...-0 O O
~N-CH
l'OH Il
-O-P-OH
I
OH H,N-CH
OHt
I I
CH, CH,
I I
CH, ~O CH,
I ì'~OH I
H,N-C-N-CH ~N-CH H,N-C-N-CH
Il H I Il H
NH CH, O
Arginina I Citrullina
CH,
I
Argininosuccinato H,N-C-N-CH
liasi Il H
N
O 1 ... 0
O ...0
~C-CH -CH-C:
HO" Z OH
O~C-CH
@
_CH_C"O
~C-CH=CH-C: Argininosuccinato AMP ATP HO" Z 'OH
HO" OH
Fumarato PPi Aspartato
può essere trasformato in ossalacetato mediante due reazioni parziali del ciclo di
Krebs che passano attraverso la formazione del malato e la produzione di
NADH+H+ che recupera parzialmente il costo energetico del ciclo dell'urea. A sua
volta, l'ossalacetato così formato può essere convertito in aspartato, mediante tran-
saminazione, rendendo disponibile questo aminoacido per il ciclo.
Il flusso di azoto attraverso il ciclo dell'urea varia con la composizione della
dieta. Un'alimentazione ricca in proteine induce un aumento dei livelli di espressio-
ne dei cinque enzimi del ciclo. La regolazione del ciclo dell'urea avviene anche in
modo allosterico sul primo enzima del ciclo: la carbamilfosfato sintetasi. Questo
enzima viene attivato allostericamente dall'N-acetilglutammato la cui concentrazio-
ne varia in funzione dei livelli di arginina.
La biosintesi dei nucleotidi è un processo lungo che richiede una grande quanti-
tà di energia. Di conseguenza, vedremo che nel loro catabolismo i componenti dei
nuc1eotidi non vengono completamente degradati ma possiedono diverse vie depu-
tate al loro recupero e riciclo (vie di salvataggio). Questa economia è particolar-
mente vera soprattutto per le basi puriniche adenina e guanina. Infatti, negli anima-
Linee del metabolismo nucleotidico 115
li circa il 90% di queste basi puriniche vengono riutilizzate per la sintesi di nucleo-
sidi monofosfato, mentre la percentuale di basi pirimidiniche che vengono riciclate
è molto inferiore.
Nell'organismo umano il catabolismo dei nucleotidi purinici e pirimidinici pro-
cede seguendo due vie diverse. Le purine vengono degradate ad acido urico ed eli-
minate in questa forma senza rottura dell'anello purinico. Mentre, l'anello delle
pirimidine, uracile, timina e citosina, viene decomposto in frammenti più piccoli
che possono essere riciclati od eliminati.
Per quanto riguarda le purine, la guanosina monofosfato (GMP) viene cataboliz-
zata dapprima a guanosina e poi a guanina che poi subisce una deaminazione a xan-
tina (figura 6.20). Per quanto riguarda invece il catabolismo dell'adenosina mono-
fosfato (AMP), essa subisce una deaminazione diretta a formare inosina monofosfa-
to (IMP) da cui si ottiene la base ipoxantina. Un unico enzima, l'ipoxantina ossidasi
converte poi l'ipoxantina in xantina e quest'ultima in acido mico (figura 6.20).
Diamo ora uno sguardo al catabolismo delle pirimidine. Le vie di degradazione
delle basi azotate uracile e timina, intermedi del catabolismo dei nucleotidi pirimi-
dinici, comportano entrambe la riduzione e la scissione idrolitica dell'anello pirimi-
dinico (figura 6.21). Nella tappa successiva si viene a formare B-alanina come pro-
AMP
NADf>+
NAD;:+H2 •
Diidrouracile
Diidrouracile
Uridina d-Timidlna Uracile Ti mina
Diidrotimina
Sintesi degli
acidi grassi
di_na-,~
IdrOPirim.i... Hp
Malonil-CoA
Melil malonil-CoA
Il-Alanina Il-Ureidopropionalo
Il-aminoisobutirrato Il-Ureidobutirrato
Succinil-CoA
~~ Carbammilloslalo Aspartalo
H,H-<:H o n "'-I. . . . . .",.HOJ ~
HN~Hz
bi H, """"lr---"'b~
...
HrH-~-o-~
L ,..~ HrJ;Ic 'fH
C
z
O""N).~OH
CH, OH , ~~ o" 'N' '~OH H
~NH, CO, 2 ATP C~=:i1 fOH HO-toH Carbammol Diidroorotalo
H,~H OH aspartato
CH,
~OH
o
HNr
O~~N"~
\I
Ribos»5-fosfato
o~
\I CO,
~
HO-~-o-CH O HN")
OH O~~W.!.l~OH
H
Orotalo
FOIforlboelI Orotalo
Orolidina
H H s' -monoloslalo
A
UMP
CTP
i~1
T~ ..
.o
"K
DHF
deossiUDP
deossiUMP TTP
il
~
B
"'!:O~' ~
2 2 r=o
HO-~~OH Ho-to-~H
Ribosio-S'-foslato PRPP
5-Fosforibosil Gllclnamlcle Glicinamide
~-."
amina ribolide
~
c:o
... ~OH
,OH
~H , ... ,
~H
Ho-to-~ 2~ lllI!V
Ho-to-C 2 ' 2 '
o
lllI'= Ho-to-~H Ho-~~H
Carbossiamino
Amlnolmldazolo 5-Aminoimidazolo Gllcinamlcle Formilgltcinamidina Fonnilgllclnamide Formilglicinamide
H
OO':c, imk1az~o
ribolide ribolide ribolide
. . . . . .~
~- ribolide ~ o
HzC ATP AmInoimIdazoIo :)cII
H~ f~;iiì;~, HN N
H~b~c.o H~ H ~
N10-Formil
HzN-C.o THF HzN-c.o I )J
~C-~H, t; o. r, t N
t N o ~NN
".~ ,.....,.iiO;;s.R-.CH~:\+ç{ "".iiiiiil.........-?~ ;;;jjiiiil~H.....O-X~o-CH o
S-aminoimidazolo- ~. . . . . . . . . ..,,"-aminoimidazolo amlnolmldazolo -Formaminoimidazolo~lìiIIlIIIIl._,1 H H
4-(N-succinilcarbossiamide) 4-carbossiamide carbossiamIcIe 4-carboSSi'-
ribolide ribolide ,;- ribolide IMP
A
~ IMP AMP+PP
Figura 6.23 La biosinfesi delle purine (A) e /'inferconversione dei nucleofidi purinici (B),
Linee del metabolismo nucleotidico 119
(OMP) che viene trasformato in UMP mediante decarbossilazione (figura 6.22 A).
Per quanto riguarda la biosintesi delle purine (figura 6.23 A), essa parte dal
PRPP e la formazione dell' anello purinico inizia con il trasferimento del gruppo
aminico della glutammina che darà luogo all' azoto in posizione 9. La glicina e
l'Nlo-formil-tetraidrofolato (ricordiamo che il THF è un coenzima discusso nel
capitolo 2 in grado di trasportare unità mocarboniose) sono i composti necessari a
formare l'anello a cinque termini e, successivamente, prima che l'anello si chiuda,
sono introdotti gli atomi di azoto N-3 ed N-6 dell'anello a sei termini.
Nell'ultima tappa della via si chiude pertanto l'anello a sei termini e si forma l'i-
nosina-5'-monofosfato (IMP) che viene convertito rapidamente in AMP e GMP
(figura 6.23 B). Anche la sintesi dell'IMP viene controllata mediante un meccani-
smo a retroinibizione (feedback), infatti l'ADP ed il GDP inibiscono la formazione
di PRPP dal ribosio-5'-fosfato eAMP e GMP inibiscono la fQrmazione di 5'-fosfo-
ribosilamina.
Atkinson, D.E. (1977) Cellular Energy Metabolism and its Regulation. Academic
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Page Blank
Capitolo 7
Alimentazione e nutrizione
Frumento 28 72 60-85
Riso 17 83 55-65
Mais 28 72 65-75
Legumi 30 70 70-85
Potate 20 80 58-65
Tabella.7.2 Distribuzione (%) delle diverse frazioni prateiche nei principali cereali
Frumento 9 5 40 46
Mais 4 2 55 39
Orzo 13 12 52 23
Avena 11 56 9 24
Riso 5 10 5 80
Le sorgenti dei nutrienti 125
20%). Anche le qualità nutrizionali delle proteine dei legumi (contenuto in aminoa-
cidi essenziali) sono discrete e diventano soddisfacenti quando si complementano
con quelle dei cereali. Infatti la deficienza di lisina nei cereali è ben compensata dai
legumi; questi, invece, difettano di aminoacidi solforati, che sono presenti in quote
sufficienti nelle proteine dei cereali. Nei legumi crudi sono presenti inibitori delle
proteasi e lectine: queste possono avere azione lesiva sulla mucosa intestinale (vedi
capitoli 3 e Il). Inibitori delle proteasi e lectine sono di natura proteica e vengono
inattivati dalla cottura.
Anche l'amido dei legumi, costituito per 1/3 da amilosio, richiede adeguata cot-
tura, per essere digerito ed assimilato. Tuttavia, anche dopo cottura, l'indice glice-
mico dell'amido presente nei legumi è più basso di quello dei cereali.
Cereali e legumi, soprattutto se consumati interi, forniscono una importante
quota di fibra alimentare (vedi capitolo 11).
Verdure e ortaggi sono vegetali di cui si utilizzano parti diverse a scopo alimen-
tare. Oltre all'acqua, di cui sono molto ricchi (80-95%), apportano importanti quote
di sali minerali e di vitamine. Tuttavia si deve ricordare che l'assunzione di alcuni
minerali, in particolare calcio e ferro, è condizionata dalla presenza di acidi organi-
ci (ossalico, citrico) e di altri composti chelanti (vedi anche capitolo 12). Il conte-
nuto vitaminico, variabile nei diversi vegetali, può essere notevolmente modificato
dalla cottura e da altri processi di trasformazione e conservazione.
Il contenuto di protidi (aminoacidi liberi e proteine) di verdure e ortaggi è mode-
sto (1-3%), eccezion fatta per i semi di legumi freschi.
Solo i tuberi, ricchi di amido, apportano quote importanti di glicidi. Il contenu-
to lipidico di verdure e ortaggi è mediamente scarso (0,5%).
Nella tabella 7.3 sono riportati i principali nutrienti presenti nelle parti eduli dei
diversi gruppi di vegetali freschi.
La frutta fresca, come le verdure e gli ortaggi, contiene, oltre all'acqua, sali
minerali, legati a composti organici (acido malico nelle mele, citrico negli agrumi,
Olii e grassi
Olio d'oliva 16 74 9 18 O
Olio di mais 15 31 50 35 O
Olio di soia 14 23 59 18 O
Burro 49 24 3 2 200
Strutto 43 43 12 tracce O
Latte e derivati
Il/atte contiene tutti i tipi di nutrienti, sia energetici (glicidi, lipidi), sia plastici
(protidi), sia minerali e vitamine. Il latte, infatti, deve sostenere tutte le esigenze
nutrizionali dei mammiferi appena nati e fornire tutti i nutrienti necessari alla cre-
scita ed allo sviluppo dell'intero organismo. Naturalmente ogni specie di mammi-
fero produrrà un latte completo dei nutrienti per il neonato della propria specie;
inoltre il latte materno contiene, oltre ai nutrienti, anche sistemi di difesa (anticor-
128 Alimentazione e nutrizione
I
Caseine a, ~, k, r
~-Lottoglobulino
a-Lottolbumino
Immunoglobuline
Enzimi
pi), che l'organismo appena nato non può ancora produrre e che sono ben differen-
ziati per ogni specie. Queste considerazioni generali sono già sufficienti ad eviden-
ziare i vantaggi dell' allattamento materno, rispetto a quello artificiale, che utilizza
generalmente latte vaccino.
Benché vari tipi di latte possano essere utilizzati per l'alimentazione umana, l'a-
limento "latte", se non diversamente specificato, indica il latte vaccino. Data la
grande importanza del latte e dei suoi derivati nell'alimentazione umana, non solo
dell'età infantile, ma anche dell'adulto, è opportuno esaminare i principali nutrien-
ti contenuti nel latte vaccino, confrontandoli con quelli del latte umano e, più in
generale, con le esigenze nutrizionali della nostra specie.
Le proteine del latte sono convenzionalmente distinte in due principali gruppi,
che hanno caratteristiche chimico-fisiche, valori nutrizionali ed impieghi tecnologi-
ci diversi. Le caseine, che costituiscono quasi 1'80% delle proteine del latte, preci-
pitano per blanda acidificazione (pH 4,6), ma sono stabili al calore. Il restante 20%
resta in soluzione a pH 4,6 (proteine del siero), ma precipita per riscaldamento sopra
80 cc.
La precipitazione delle caseine (vedi classificazione in tabella 7.5) mediante aci-
dificazione è dovuta all'elevata percentuale di aminoacidi dicarbossilici (glutamma-
to ed aspartato, aventi punto isoelettrico a 4,6 e 3,8, rispettivamente) e di fosfoseri-
na. La precipitazione enzimatica (aggiunta di rennina o caglio) provoca, invece,
coprecipitazione di fosfati e di calcio. Infatti la rennina catalizza l'idrolisi di un lega-
me peptidico a metà della catena della caseina k, lasciando in soluzione la parte C-
terminale (glicoproteica) e provocando l'aggregazione delle catene idrofobiche N-
terminali, che coprecipitano con altre componenti proteiche e minerali. La resisten-
za delle caseine al riscaldamento è dovuta, invece, all'elevato contenuto di prolina.
Le proteine del siero si denaturano più facilmente per riscaldamento. Rispetto
alle caseine contengono meno prolina ed aminoacidi acidi, ma più aminoacidi sol-
forati e triptofano. Il maggior equilibrio nella composizione aminoacidica conferi-
sce a queste proteine un valore nutrizionale superiore a quello delle caseine.
Confrontando la composizione del latte vaccino con quella del latte umano
(tabella 7.6), si notano importanti differenze qualitative e soprattutto quantitative.
Le caseine, presenti in alta percentuale nel latte vaccino, sono molto ridotte in
quello umano; viceversa l'a-Iattalbumina è molto più abbondante nel latte umano
che in quello bovino. La ~-lattoglobulina,principale componente delle proteine del
siero di latte vaccino, è quasi assente nel latte umano.
Le immunoglobuline presenti nel latte non vengono idrolizzate nello stomaco
del neonato (grazie al pH relativamente elevato) e possono raggiungere l'intestino
e difenderlo dagli agenti patogeni. Tuttavia l'alimentazione del neonato con latte
vaccino può provocare reazioni allergiche verso proteine del latte di mucca, ricono-
sciute come estranee da parte del sistema immunitario umano.
Le sorgenti dei nutrienti 129
Tabella 7.6 Composizione proteica del latte vaccino e di quello umano (g/I)
Caseine 26 3,6
Lottoferrino O, l 2
,
Immunoglobuline 0,7 l
Uova
Le uova forniscono proteine con il più elevato valore nutrizionale fra tutti gli ali-
menti, grazie all'abbondanza ed all'equilibrio degli aminoacidi essenziali. Le pro-
teine sono presenti sia nell'albume sia nel tuorlo. Quest'ultimo è anche molto ricco
di fosfolipidi, oltre che di trigliceridi, e contiene colesterolo (5% della quota lipidi-
ca).
Le uova apportano alcune vitamine del gruppo B, ma sono carenti di vitamina
BI e PP e prive di vitamina C: infatti l'embrione di pollo ha scarsa necessità di BI
e sintetizza le altre due vitamine. Il ferro è presente nel tuorlo, legato alla fosvitina,
che lo cede con difficoltà. Nell'albume è presente l'avidina, che lega stabilmente la
biotina, ma viene inattivata dal calore.
130 Alimentazione e nutrizione
Palmitico 20 23 25 22
Stearico 13 14 12 10
Palmitoleico 3 4 4 5
Oleico 26 43 45,5 30
Linoleico 11,5 8 10 21
Carni
Le carni sono costituite dal tessuto muscolare di diverse specie animali (bovine,
suine, ovine, equine, avicunicole) e pertanto apportano nutrienti qualitativamente
simili, ma con differenze quantitative secondo la specie.
Le carni sono una buona fonte di proteine (contenuto intorno al 20%) di eleva-
ta qualità nutrizionale. Solo il tessuto connettivo, presente in proporzioni variabili
nelle masse muscolari, possiede proteine (collagene) di scarso valore nutrizionale.
Nel collagene manca il triptofano e la composizione aminoacidica è fortemente
squilibrata, essendo predominanti solo tre aminoacidi: glicina, prolina ed ossipro-
lina.
Il contenuto lipidico delle carni varia sensibilmente rispetto alle specie, anche se
le moderne tecniche di allevamento tendono ad uniformare il contenuto lipidico
delle carni, riducendo il contenuto di acidi grassi saturi, attraverso il controllo del-
l'alimentazione animale. Nella tabella 7.7 è riportata la composizione in acidi gras-
si delle principali carni.
La carne è l'unica fonte alimentare della vitamina B 12 ; contiene altre vitamine
del gruppo B, ma è carente di vitamine liposolubili. La vitamina A è però abbon-
dante nel fegato e nella milza. Le carni sono anche una buona fonte di minerali bio-
disponibili: in particolare ferro, ma anche zinco, rame e selenio.
Bevande alcoliche
Nella seconda metà del Novecento, con la vasta diffusione della coltura della
vite nell'area mediterranea si pose il quesito se il vino potesse essere considerato e
utilizzato come alimento. Nonostante le numerose ed importanti limitazioni e cau-
tele da parte degli esperti e l'aperta opposizione di consistenti aree dell'opinione
pubblica, non si poté negare ad un settore produttivo, economicamente già impor-
tante ed in fase di ulteriore sviluppo, dignità ed incentivi pubblici alla pari con le
altre filiere di produzione di beni alimentari. Il nesso fra vino e salute, l'effetto posi-
tivo del consumo abituale di vino, purché in quantità moderate, convinzioni già da
lungo tempo radicate nelle tradizioni popolari mediterranee, ricevettero negli anni
ottanta una clamorosa conferma dalla medicina ufficiale: la notizia del "paradosso
francese". Indagini statistico-epidemiologiche avevano documentato una ridotta
incidenza di malattie cardiovascolari e relative complicanze in alcune regioni della
Francia meridionale, a dispetto dell'elevato consumo di grassi aterogeni, in netto
contrasto con l'elevato impatto delle stesse malattie in altre popolazioni europee ed
americane, che consumavano quantità equivalenti degli stessi grassi. Tale differen-
za fu subito attribuita all'abituale consumo di vino da parte dei Francesi, quale fat-
tore protettivo contro l'atero-arteriosclerosi e i danni cardiocircolatori ad essa cor-
relati.
La notizia del paradosso francese ha stimolato l'estensione degli studi statistici
in molti altri paesi europei, americani ed asiatici; ha anche moltiplicato le indagini,
già avviate da alcuni ricercatori, sulle sostanze attive ed i meccanismi biologici che
sottendono e sostengono tali effetti, di fondamentale importanza per la salute (vedi
capitolo 14).
La concordanza di risultati provenienti dalle indagini epidemiologiche, dalla
sperimentazione di laboratorio e dagli studi clinici mirati ha rinforzato le schiere di
esperti, nutrizionisti e clinici favorevoli ad introdurre nella dieta di adulti sani modi-
che quantità di bevande alcoliche, in particolare vino e birra, per la prevenzione del
rischio cardiovascolare.
I componenti chimici del vino sono alcune centinaia, ma nelle comuni analisi
chimiche si dosano i costituenti principali, utili per caratterizzare il prodotto dal
punto di vista merceologico e per verificame la rispondenza alle normative di legge,
alle classificazioni di qualità e ai relativi disciplinari. Dalla tabella 7.8, riassuntiva
132 Alimentazione e nutrizione
Acqua 750-900
Glicerolo 4-15
dei principali componenti chimici del vino, è facile verificare che questa bevanda
non fornisce quantità apprezzabili di nessuno dei principali nutrienti: né protidi, né
lipidi, né glicidi, eccezion fatta per i vini dolci. Anche il contenuto vitaminicoe
minerale del vino è pressoché trascurabile. Gli unici componenti di rilievo per l'a-
limentazione e la salute sono gli alcoli, in particolare l'etanolo Co alcol etilico o
alcol per antonomasia), presente nel vino a concentrazioni medie del 10%
(peso/volume).
L'etanolo Ce, in misura assai minore, il glicerolo) può essere considerato un
nutriente, anche se del tutto particolare: potendo l'etanolo essere utilizzato dall'or-
ganismo a scopo energetico, esso fornisce valenza alimentare al vino. Tuttavia l'e-
tanolo non può essere considerato alla stregua degli altri nutrienti: non tanto e non
soltanto perché chimicamente diverso, ma soprattutto perché ha unicamente funzio-
ne energetica; mentre gli altri nutrienti intervengono, in diversa misura e in momen-
ti distinti, in entrambe le funzioni, plastica ed energetica. Anche il percorso meta-
bolico per utilizzare l'etanolo, pur mostrando evidenti analogie con l'ossidazione
dei lipidi, segue vie indipendenti da quelle dei comuni nutrienti. Infille è importan-
Le sorgenti dei nutrienti 133
Fosforo 0,3-0,7
Potassio 0,3-0,6
Sodia 0,02-0,1
Magnesio 0,09-0,12
Calcio 0,01-0,07
te, anche sul piano pratico, ricordare che il sistema enzimatico, che utilizza l'etano-
lo estraendone energia biologica, è delicato e critico per più ragioni: va incontro a
saturazione a dosi relativamente basse, non ha alternative valide, è di efficienza
variabile dipendentemente da vari fattori (età, eredità genetica, frequenza e modali-
tà di consumo delle bevande alcoliche, ecc.).
L'apporto energetico delle bevande alcoliche deve essere tenuto presente nel
bilancio calorico della dieta: 30-35 g di etanolo, contenuti in 113 di litro (tre bicchie-
ri) di vino, quantità generalmente ben tollerata in un adulto sano, apportano 210-250
kcal, 1110 abbondante delle 2200 kcal giornaliere, ormai valore limite nel regime di
vita tendenzialmente sedentaria (e in ambienti relativamente caldi), che abitualmen-
te pratichiamo. Poiché l'ossidazione dell'etanolo risparmia quella degli acidi grassi,
si comprende subito come un consumo abituale di etanolo superiore ai valori otti-
mali porterà come prima conseguenza un aumento dei grassi di deposito, cioè
sovrappeso e successivamente obesità. Se però l'assunzione giornaliera sovrasatu-
ra i sistemi enzimatici che metabolizzano l'etanolo, ad episodi tossici acuti suben-
trano effetti ingravescenti di tossicità cronica e, nel lungo periodo, danni irreversi-
bili multipli e letali.
Il glicerolo (o glicerina), presente nel vino a concentrazioni apprezzabili (tabel-
la 7.8), ha più importanza organolettica che nutrizionale: l'apporto energetico del
glicerolo risulta quasi trascurabile, se si considera sia la concentrazione media quasi
lO volte inferiore a quella dell'etanolo, sia la resa energetica unitaria pari a quella
dei carboidrati. Infatti il glicerolo, che in realtà è un triolo e quindi più simile agli
zuccheri che agli alcoli, è assai meno ridotto dell'etanolo e il suo destino metaboli-
co è strettamente legato a quello dei glicidi. Il glicerolo, come altri intermedi del
metabolismo glicidico, può essere utilizzato per sintetizzare glucosio (vedi gluco-
neogenesi, capitoli 6 e 9): questa via è preclusa, invece, all'etanolo.
134 Alimentazione e nutrizione
La birra differisce dal vino (vedi tabella 7.9) soprattutto per la presenza di quan-
titativi non trascurabili di glicidi (3-4 gldI), che solo in parte compensano, dal punto
di vista energetico, la minor gradazione alcolica (4-9 gradi). Dal punto di vista stret-
tamente nutrizionale la birra a bassa gradazione alcolica ha indubbi vantaggi sul
vino: l'etanolo, che deve essere necessariamente e subito bruciato, è solo un terzo,
mentre il contenuto energetico potenziale totale è circa la metà. Di questo la quota
glicidica può essere, secondo le necessità energetiche, o immediatamente utilizzata
o accumulata come riserva glicidica (glicogeno). Se si tiene presente che, inoltre, la
birra apporta sali minerali, vitamine e quote non trascurabili di protidi, si compren-
de il maggior favore che la bevanda incontra fra i nutrizionisti rispetto al vino.
Nuovi alimenti
Per affrontare i numerosi problemi ed i gravi rischi per la salute, connessi alle
deviazioni delle abitudini alimentari e dello stile di vita nei paesi ad economia avan-
zata, l'impegno prioritario di studiosi ed operatori nel settore dell'alimentazione è
certamente rivolto alla definizione e diffusione di corrette linee guida alimentari. A
questo fondamentale scopo ed impegno può collaborare la tecnologia e l'industria
alimentare, quando siano in grado di fornire nuovi prodotti che, senza snaturare le
caratteristiche organolettiche dell'alimento tradizionale, possano contribuire a ripri-
stinare gli equilibri nutrizionali alterati da formulazioni incongrue ed associazioni
alimentari squilibrate.
Questi nuovi prodotti, che si stanno diffondendo dal Nuovo al Vecchio
Continente, si trovano ad affrontare, soprattutto in quest'ultimo, consistenti schiere
di consumatori convinti che la corretta alimentazione si identifichi col consumo di
prodotti naturali e di alimenti provenienti dall'agricoltura biologica. Se tali scelte
e convinzioni sono sostenute da una corretta informazione sulle caratteristiche
nutrizionali e sull' adeguato impiego di tali prodotti, certamente il consumatore
potrà acquisire sensibili vantaggi con le sue scelte. Se però l'assunzione di tali ali-
menti non è accompagnata da una sufficiente conoscenza delle regole alimentari e
dietetiche, alimenti naturali, biologici e biodinamici rischiano di diventare tabù
ideologici, privi di benefici pratici, se non addirittura apportatori di ulteriori squili-
bri e carenze. Anche gli alimenti integrali possono contribuire efficacemente al
riequilibrio nutrizionale, se vengono compresi sia i reali vantaggi di tali alimenti
(presenza di fibra, elevati contenuti di sali minerali e vitamine), sia gli svantaggi,
soprattutto per alcune fasce di età come gli anziani e i bambini (minor disponibilità
dei nutrienti, dovuta alla presenza di fibra e fitati). Soprattutto si deve essere infor-
mati che, contrariamente a ciò che comunemente si crede, il contenuto calorico di
una farina integrale non è sostanzialmente diverso da quello di una farina ratrrnata.
Differenze rilevanti per il controllo della glicemia esistono, invece, fra una farina
integrale o raffinata (indici glicemici non molto diversi da 100) e una zuppa di cerali
o di legumi, contenente lo stesso quantitativo di amidi (ma con indici glicemici
molto più bassi).
I nuovi alimenti che cercano di ridurre l'apporto calorico sono stati denominati
"leggeri" (light). Come si intuisce dal nome, sono prodotti "alleggeriti" di alcune
componenti ad alta densità calorica (zuccheri e grassi), presenti nell'alimento origi-
nale in percentuali relativamente elevate. Le innovazioni tecnologiche nella produ-
zione di alimenti a basso contenuto calorico sono molto fiorenti nei paesi ad econo-
mia avanzata. Anche il consumo di questi alimenti richiede adeguata informazione,
poiché una quota corrispondente al 20-30% del fabbisogno energetico giornaliero
deve provenire dai lipidi, che apportano acidi grassi essenziali e vitamine liposolu-
bili.
Gli alimentifortijicati possiedono maggiore densità di nutrienti, senza variazio-
Le sorgenti dei nutrienti 135
ni di contenuto energetico, rispetto all'alimento tradizionale. Tali alimenti potreb-
bero compensare carenze latenti di nutrienti, diffuse in gruppi o fasce di popolazio-
ne, qualora tali carenze siano accertate o fondatamente presunte. Un impiego razio-
nale di alimenti fortificati dovrebbe essere compreso in un piano di prevenzione
mirata, elaborato e controllato da organismi competenti. In caso diverso assume
significati commerciali, di scarso o dubbio interesse per la salute della popolazione.
L'obiettivo più alto cui mirano i nuovi alimenti travalica la loro stessa natura e
definizione: prodotti consumati per le loro caratteristiche gastronomiche e nutrizio-
nali. Gli alimenti funzionali devono possedere, in più, componenti nutrizionali o
non nutrizionali capaci di modulare positivamente alcune funzioni dell'organismo,
con effetti positivi sulla salute e sulla prevenzione delle malattie. Per raggiungere
questi traguardi ed aver diritto alla qualifica di alimenti funzionali, devono essere
stati acquisiti precisi risultati, sia sperimentali sia clinici. I primi prevedono lo stu-
dio dell'interazione fra l'alimento e le funzioni fisiologiche, biochimiche e biomo-
lecolari, che le componenti funzionali dell'alimento dovrebbero modulare. Lo stu-
dio clinico comporta una indagine nutrizionale sufficientemente vasta e statistica-
mente valida, che dimostri una reale efficacia dell'alimento nella prevenzione di
specifiche patologie. Oltre agli effetti della fibra alimentare e del contenuto vitami-
nico di alimenti e vegetali freschi (sicuramente importante nella prevenzione di
importanti patologie, come discusso nel capitolo 14), le ricerche sugli alimenti fun-
zionali si stanno orientando verso lo studio di alcuni specifici composti di origine
vegetale, con supposta attività antitumorale, collettivamente indicati come agenti
fitochimici (phytochemicals).
Effetti benefici per la salute più limitati, ma più precisi, possono provenire dai
probiotici, microrganismi presenti nel latte fermentato, capaci di modulare l'equili-
brio della flora batterica intestinale e di potenziare le difese immunitarie dell'inte-
stino.
I prebiotici, invece, sono carboidrati che sfuggono alla digestione, presenti in
alcuni alimenti, che sono ritenuti capaci di stimolare selettivamente la crescita ed il
metabolismo di alcuni stipiti di batteri colici, con positivi risultati sul funzionamen-
to del grosso intestino e dell'intero organismo (vedi anche capitolo 11).
Con l'introduzione delle biotecnologie anche nel settore alimentare sono entrati
nel mercato nuovi prodotti alimentari, denominati "alimenti innovativ;" (novel
food), per indicare che sono ottenuti utilizzando processi di produzione e trasforma-
zione diversi da quelli tradizionali, inclusa l'introduzione di DNA eterogeneo nel-
l'organismo produttore dell'alimento. Sul tema degli alimenti contenenti organi-
smi geneticamente modificati (OGM) sono nate accese polemiche politiche, ideo-
logiche, etiche, ecologiche, ecc.: queste sono generalmente frutto della carenza di
informazione da parte dell'opinione pubblica sulle complesse problematiche scien-
tifiche relative agli OGM o, peggio, delle informazioni distorte (aprioristicamente
detrattorie o laudative), che sono state e continuano ad essere divulgate. Delle
numerose ed importanti problematiche aperte dall'introduzione degli OGM nel set-
tore alimentare, accenniamo a quelle più direttamente attinenti alla biochimica degli
alimenti e della nutrizione.
Sembra opportuno, a nostro parere, distinguere almeno tre aspetti diversi del-
l'impiego di OGM in campo agroalimentare, anche in relazione ai problemi della
sicurezza e della salute.
Sembra molto interessante, anche se ancora in fase sperimentale, l'impiego di
enzimi, provenienti da OGM, purificati ed eventualmente immobilizzati su fasi soli-
de, in diversi processi tecnologici di produzione di alimenti e bevande, come meglio
dettagliato nel capitolo 4.
La produzione su scala industriale, a partire da OGM, di composti organici chi-
micamente ben noti, come fosfolipidi (lecitine), zuccheri, vitamine (acido ascorbi-
co), da utilizzare come additivi, coadiuvanti, ecc., già noti e consentiti, non sembra
136 Alimentazione e nutrizione
Bender, D.A and Bender, AE. (1997) Nutrition: a reference handbook. Oxford
University Presso
Fennema, O.R. (1996) Food Chemistry. Dekker, NewYork.
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Wong, D.W., Camirand, W.M., Pavlath, AE. (1996) Structure and functionalities of
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Gibson, G.R. and Williams, C.M. (2000) Functional Foods. CRC Press, Boca
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Ames, B.N. (1983). Dietary carcinogens and anticarcinogens. Science 221, 1256-
1264.
Capitolo 8
Assunzione dei nutrienti
Stomaco
Intestino tenue
_ Colon
discendente
Dotto pancreatico
Il bolo alimentare si forma nella cavità buccale durante la masticazione degli ali-
menti ed il mescolamento con la saliva, prodotta dalle ghiandole salivari. Nello sto-
maco comincia la digestione delle proteine, che prosegue nell'intestino tenue. Nel
duodeno prosegue anche la digestione dei glicidi (appena avviata dalla saliva) e
quella dei lipidi: nel duodeno, infatti, confluiscono i succhi pancreatici, - che con-
tengono gli enzimi digestivi per la degradazione di proteine, polisaccaridi e lipidi -,
e la bile, indispensabile per emulsionare e trasportare i composti lipidici. La bile,
prodotta dal fegato si raccoglie nella cistifellea (o colecisti o vescichetta biliare).
Dalla cistifellea la bile raggiunge il duodeno attraverso il dotto biliare, che conflui-
sce con il dotto pancreatico nell'ampolla di Vater (figura 8.2).
Le ultime fasi dei processi biochimici della digestione ed i meccanismi moleco-
lari di assorbimento e trasporto dei nutrienti dal lume intestinale ai vasi sanguigni e
linfatici si svolgono principalmente a livello degli enterociti, le principali cellule
funzionali dell'epitelio dei villi. L'intera superficie dell'intestino tenue si solleva in
pliche, a loro volta articolate in numerosissimi villi (figura 8.3), minuscole digita-
.-....
A
~
~1' "
c
Figura 8.4 Principali cellule dell'epitelio intestinale.
zioni della mucosa, che fanno apparire la superficie dell'intestino più rugosa di
quella dello stomaco.
Nell'epitelio dei villi predominano gli enterociti (figura 8.4 A), cellule specializ-
zate nella funzione assorbente, grazie alla presenza di numerose estroflessioni della
superficie luminale, dette microvilli, che conferiscono alla superficie di questo epi-
telio il caratteristico aspetto di "orlo a spazzola". Vilti e microvilti aumentano a
dismisura la superficie e la capacità assorbente dell'intestino tenue.
Nell'epitelio intestinale sono presenti anche altri tipi di cellule, come le cellule
"esocrine" (figura 8.4 B), presenti in tutte le formazioni ghiandolari dell'apparato
digerente e degli organi annessi: queste cellule secemono nel lume del tubo dige-
rente enzimi e fluidi specifici, richiesti per le attività digestive e di assorbimento. Le
cellule "a bicchiere" (figura 8.4 C) secemono muco.
Le attività di digestione degli alimenti e di assunzione dei nutrienti sono regola-
te dal sistema nervoso autonomo e pertanto sono largamente indipendenti dal siste-
ma nervoso centrale. Tuttavia numerose connessioni afferenti ed efferenti collega-
no l'apparato digerente al sistema nervoso centrale, soprattutto attraverso il nervo
vago.
Le principali funzioni autonome dell'apparato digerente sono: la peristalsi,
movimenti coordinati della muscolatura liscia, che regolano il transito del bolo ali-
mentare; la secrezione esocrina di fluidi nelle cavità luminali; la secrezione endo-
140 Assunzione dei nutrienti
Struttura dell'amido
La digestione degli amidi procede facilmente soltanto se gli amidi sono stati pre-
ventivamente sottoposti a cottura. La cottura favorisce l'idratazione dell' amido e
l'attacco enzimatico da parte degli enzimi digestivi (vedi anche il capitolo 11).
La saliva contiene piccole quantità di amilasi (ptialina), che comincia a degra-
dare l'amido durante la masticazione. Tuttavia l'enzima salivare viene inattivato
Assunzione dei glicidi 141
Granulo di amido
Tegumenti
B
Figura 8.5 Localizzazione e struHura dell'amido. Nella figura sono rappresentati sche-
maticamente: in un seme di cereale (A) la localizzazione dei granuli di amido (B), conte-
nenti amilosio al centro e amilopectina alla periferia del granulo. In C è rappresentata la
struttura elicoidale dell'amilosio; in D quella ramificata dell'amilopectina. I legami
a(l ~4) e le ramificazioni a(l ~6) sono rappresentati nella parte E della figura.
~. B
+HO
H~OCH2
O OH
HO~O~
OH OH
HO
OH OH OH OH
Glucosio Galattosio
~
Lattasi OH HO~OH
~.O~ -----..
HO
OH + OH
OH OH OH OH
Glucosio Fruttosio
HOCH HOCH 2
~
2o H~CH
o Saccarasi ~OH HOC~H
O CH 20H
HO
OH
O
HO
CH 20H
------l.~
HO
OH + HO
OH
OH OH OH OH
TRASPORTATORE
POMPA Na,K Na-DIPENDENTE
~
DP
+ ATP
N a ....~
~';J---_ N a .-::::=:::::t=;S:::::-
Glucosio
GIUCOSiO~ MEMBRANA
~ APICALE
(MICROVILLl)
•• GJUT-2
I Fruttosio
'" I _ Fruttosio
Fruttosio~
1f -...-
/
MEMBRA A
BASOLATERALE
FLUIDO LUME
INTERSTIZIALE INTESTINALE
Trasportatore
Esoso
Membrana apicale Membrana basolaterale
11
l'inserzione di GLUT-4 sulla plasmamembrana
della fibrocellula muscolare. Alternativamente il
trasportatore GLUT-4 può essere attivato dalla sti-
molazione nervosa (rappresentata in figura da un
potenziale d'azione, che raggiunge la terminazio-
Recettore_ ne sinaptica).
dell'insulina
Stimolazione
nervosa
\.
#'
~~ / Legame dell'insulina
• al recettore
I
,
I
,
,
~
Inserzione di GLUT-4
sulla plasmamembrana
Trigliceride
GLOBULO
L1PIDICO
===ID
---+(D
===ID
---+(D
~~ALI BILIARI
TRIGLICERIDE f.'11i DIGLICERIDE
2ATP
2AMP
+2PPi
o
U
~-s-@
O
Il
~-s-@
Chilomicron
catalizzata dalla lipasi pancreatica, che è attivata dalla colipasi, una piccola protei-
na secreta nel succo pancreatico.
Durante il processo di idrolisi dei trigliceridi ad acidi grassi e 2-C monogliceri-
di ed il passaggio dei prodotti dell'idrolisi attraverso la membrana apicale dell'en-
terocita i sali biliari giocano un ruolo essenziale, come tensioattivi, permettendo e
mantenendo la monodispersione di molecole idrofobiche in mezzi acquosi (figura
8.11).
Il succo pancreatico contiene altri enzimi per la digestione dei lipidi: la coleste-
rolo-esterasi idrolizza gli esteri del colesterolo e la fosfolipasi A 2 catalizza l' drolisi
dei fosfolipidi.
Appena attraversata la membrana apicale gli acidi grassi a catena lunga (oltre lO
C) si legano al gruppo sulfidrilico terminale del coenzimaA, formando tioesteri. Per
la formazione di ognuno di questi legami, che hanno un'energia libera di idrolisi
elevata (ilG o ,: - 7,3 kcallmol) vengono utilizzati entrambi i legami altamente energe-
tici dell'ATP: ATP--7AMP + PP j • L'energia di idrolisi del legame tioestere viene, a
sua volta, spesa per riformare il triacil-glicerolo dai suoi prodotti di idrolisi, all'in-
terno dell'enterocita (figura 8.12).
150 Assunzione dei nutrienti
Dono
TORACICO
~O
c::: OH
c",O
l'OH
2 N- CH 2
o
Il o
HO
Y c 3
Glicina o
cf
O
'N-CH
~OH
I
H 2
5'"
HN~'OH
/
Z Taurina
HO
Taurocolato
HO
Figura 8.15 Colato, glicocolato e taurocolato.
152 Assunzione dei nutrienti
Scheda applicativa
APPORTO DIETETICO DI TAURINA
La concentrazione di taurina è relativamente elevata nel muscolo e
nella retina, ma non sono ancora conosciute le funzioni di questo
aminoacido in tessuti ed organi diversi dal fegato e dall'intestino. Dal
punto di vista biochimico la taurina viene sintetizzata nel fegato dalla
cisteina, mediante ossidazione ad acido cisteinsulfinico, decarbossi-
lazione ad ipotaurina e nuova ossidazione a taurina (figura 8.16).
Nel neonato la capacità del fegato di sintetizzare la taurina è limita-
ta, ma il latte materno supplisce a questa deficienza. Nel gatto sono
state osservate turbe neuromotorie imputabili a diete carenti di tau-
rina, ma nell'uomo non sono note patologie da deficienza di questo
aminoacido. Tuttavia esistono preparazioni alimentari per l'infanzia e
preparati per alimentazione parenterale, che contengono taurina.
Non è ancora chiaro se l'apporto dietetico di taurina nell'uomo
possa arrecare benefici.
~
Cisteina NH2 ~
HO S.......
OH
Acido
O cisteinsulfinico
O O O
l Figura 8.16 Sintesi di taurina nel fegato.
\\ I;t .. Il
H2N~S"""'OH HO/S~NH2
Taurina Ipotaurina
Scheda applicativa
tica delle catene polipeptidiche, cominciano quando gli alimenti raggiungono lo sto-
maco.
Il succo gastrico, prodotto dalle ghiandole gastriche, contiene l'acido cloridrico,
che agisce sia come denaturante delle proteine, sia come attivatore del pepsinoge-
no, precursore inattivo della pepsina. Le ghiandole gastriche, localizzate soprattut-
to nella mucosa del fondo, possiedono diversi tipi di cellule: le cellule parietali
secernono ReI e fattore intrinseco, una proteina che lega la vitamina B 12 (vedi capi-
tolo 13); le cellule principali secernono pepsinogeno; le cellule a bicchiere produ-
cono muco.
L'attivazione, con processo autocatalitico, del pepsinogeno a pepsina (vedi capi-
tolo 3) permette una prima frammentazione delle catene polipeptidiche, come risul-
tato dell'idrolisi di alcuni legami peptidici interni alle catene stesse (attività endo-
peptidasica).
La digestione gastrica delle proteine è solo parziale e produce frammenti pepti-
dici di dimensioni relativamente elevate. L'idrolisi enzimatica dei protidi prosegue
nel duodeno, mediante altre endopeptidasi: la tripsina, la chimotripsina e l'elastasi,
che hanno specificità diverse da quella della pepsina e differenziate fra loro (vedi
tabella 8.4).
Tripsina, chimotripsina ed elastasi vengono secrete, in forma inattiva, dal pan-
creas esocrino (ghiandole pancreatiche), insieme con altri enzimi che digeriscono i
peptidi (carbossipeptidasi A e B), i lipidi (lipasi) e i polisaccaridi (amilasi). Poiché
tutti gli enzimi del duodeno e dell'intestino tenue agiscono a pR neutro, le cellule
del dotto pancreatico producono abbondanti fluidi ricchi di bicarbonato, per neutra-
lizzare il succo acido proveniente dallo stomaco.
I peptidi prodotti dalla digestione endopeptidasica vengono ulteriormente accor-
ciati mediante esopeptidasi, che attaccano i legami peptidici situati all'estremità
carbossilica (carbossipeptidasi) o aminica (aminopeptidasi). Le carbossipeptidasi A
e B (con diversa specificità per l'aminoacido che distaccano dalla terminazione C)
sono prodotte dal pancreas; mentre le aminopeptidasi sono legate ai microvilli e
liberano, dalla terminazione N di oligopeptidi, singoli aminoacidi, che possono
essere direttamente assorbiti.
Endopeptidasi
Tripsinogeno Tripsina Lisina, arginina
Chimotripsinogeno Chimotripsina 00. aromatici, leu., met.
Duodeno:
enzimi pancreatici Proelastasi Elastasi glicina, alanina, volino
A Esopeptidasi
Procarbossipeptidasi Carbossi peptidasi 00. arom., 00. ramif.
B lisina, arginina
~
Tripsinogeno Tripsina
~
TriPSinOgen~
Chimotripsinogeno Chimotripsina
Procarbossipeptidasi Carbossipeptidasi
Proelastasi Elastasi
Profosfolipasi Fosfolipasi
Gli enzimi digestivi ed i sistemi di trasporto dei nutrienti, distribuiti in sedi dif-
ferenziate ed attivi in diverse fasi della digestione, richiedono un complesso coor-
dinamento delle funzioni ed una precisa sincronia delle attività per una ottimale
assunzione dei nutrienti. L'attivazione ed il coordinamento spazio-temporale dei
processi digestivi sono affidati al controllo neuro-ormonale.
I processi meccanici di assunzione degli alimenti (masticazione, insalivazione,
deglutizione, ecc.) sono preceduti e provocati da molteplici stimolazioni sensoriali
e psichiche, legate alla sfera alimentare (fase cefalica della digestione). Agli stimo-
li fisici e psichici il sistema nervoso centrale risponde attivando, attraverso il nervo/
vago, la secrezione di ormoni, che a loro volta controllano e coordinano sistemi
enzimatici singoli, multipli o a cascata.
Nell'apparato digerente vengono sintetizzati diversi ormoni, che controllano
funzioni digestive, della motilità e del flusso ematico. I principali ormoni, coinvol-
ti nella regolazione delle funzioni digestive, sono la gastrina, la colecistochinina e
la secretina. I tre ormoni hanno in comune, oltre a diverse sinergie funzionali, una
comune struttura peptidica, ma differiscono per il numero e la sequenza degli ami-
noacidi componenti, la eventuale presenza di isoforme attive ed eventuali modifi-
cazioni degli aminoacidi terminali.
Stato inattivo
-Gastrina +Gastrina
Secrezione
LUME DELLO
STOMACO
CIRCOLO
EMATICO
CI- HC03
Sèheda applicativa
POMPE PROTONICHE E TRATTAMENTO
DELL'ULCERA GASTRO-DUODENALE
L'ulcera gastro-duodenale, trattata in passato con antiacidi e dieto-
terapia, si controlla assai più agevolmente con gli inibitori delle
pompe protoniche (omeprazolo e altri farmaci). L'omeprazolo (figura
8.22) si lega aIl'H,K-ATPasi, inibendola e bloccando la secrezione
acida. Agli inibitori delle pompe protoniche si associano antibiotici
quando all'etiopatogenesi dell'ulcera contribuisca l'Helicobader
pylori.
160 Assunzione dei nutrienti
Le riserve energetiche
GLUCOSIO
i GLUCONEOGENESI
t
PIRUVATO
t(NAOH
Il NAO+
-+foI'''"'+----+ LATTATO
'--+-----t--... ALANINA
Fegato
Tessuto
adiposo
l
Glucosio
'" ,
l' l' Glucosio Acidi grassi "
"
~ .~
\
/ \
I Glicerolo-3-P ACII-CoA \
/ ~
\
\
\
,
Trigliceridi
,,
I I
~ Lipasi
\ sensibile I
\ ad ormoni I
\ I
\ I
\ /
"" Glicerolo Acidi grassi
"',,1_
l'
_\--"
Fegato v
Figura 9.2 Sintesi e degradazione dei triglice-
ridi nel tessuto adiposo.
Dinamica delle riserve energetiche 167
Acidi
grassi
Acidi
grassi
Corpi
chetonici
Acidi grassi
Corpi chetonici SIDAZIONE
CICLO DI KREBS
GLICOLISI
Acidi
grassi
SINTESI E IDROLISI
'<ii!!~§>-- DEI TRIGLICERIDI
Mentre la sintesi degli acidi grassi avviene principalmente nel fegato, il tessuto
adiposo ha la funzione di attivare gli acidi grassi (legandoli al coenzimaA) e di este-
rificarli col glicerolo.
Per la biosintesi dei trigliceridi, gli adipociti necessitano di glicerolo-3-fosfato:
questo composto chiave non può essere ottenuto dalla fosforilazione del glicerolo,
ma dalla riduzione del diidrossiacetone fosfato, intermedio della glicolisi. Pertanto
gli adipociti devono utilizzare glucosio per la sintesi dei trigliceridi.
I livelli di glucosio regolano anche la sintesi di acidi grassi nel tessuto adiposo:
alta disponibilità di glucosio permette agli adipociti un'efficiente sintesi di triglice-
ridi. Al contrario bassi livelli di glucosio non rendono disponibile il glicerolo-3-
168 Percorsi del metabolismo energetico dei nutrienti
fosfato e gli acidi grassi vengono rilasciati dagli adipociti, per essere trasportati in
circolo legati all'albumina.
La degradazione dei trigliceridi negli adipociti è regolata mediante attivazione di
una lipasi sensibile ad ormoni (figura 9.2).
Per quanto riguarda, infine, le cellule del sangue, gli eritrociti (che costituisco-
no la stragrande maggioranza delle cellule ematiche), essendo privi di mitocondri,
dipendono esclusivamente dalla glicolisi anaerobica per i loro consumi energetici.
I profili metabolici dei principali organi, tessuti e sistemi sono riassunti nella
figura 9.3.
SH SH
I I
PRE-PROINSULINA slH
SH
H,N -ll!:!!!:m:::::::!~_""
Sequenza segnale
__"'__""111""'"
l
PROINSULINA
PEPTIDE C
iS-Sl
-COOH Catena A
I I
INSULINA S S
I I
...J S S
I_ _
Catena B
Figura 9.4 Maturazione dell'insulina.
Dinamica delle riserve energetiche 169
L'insulina, prodotta dalle cellule B del pancreas, è una piccola proteina (massa:
5,8 Kdalton), costituita da due catene polipeptidiche A e B (rispettivamente di 21 e
30 aminoacidi), collegate da due ponti disolfuro. Il processo di maturazione dell'or-
mone comporta il distacco dalla pre-pro-insulina (una singola catena polipeptidica)
della sequenza segnale, necessaria per l'ingresso nel reticolo endoplasmico.
All'interno di questo organulo la proinsulina subisce due specifici tagli proteolitici,
che rimuovono un peptide centrale (peptide di connessione, detto "peptide C"). Il
processo di maturazione dell'insulina è riassunto schematicamente in figura 9.4.
Scheda applicativa
DOSAGGIO DELL'INSULINA E DEL PEPTIDE C NEL SANGUE
Il dosaggio della concentrazione di insulina nel sangue, a seguito di
stimolazioni fisiologiche in individui sani, non è agevole, a causa
delle basse concentrazioni de II' ormone e della sua rapida demolizio-
ne nel fegato (tempo di vita media dell'insulina: circa 10 minuti). Nel
diabetico, sottoposto a terapia insulinica l'ormone iniettato masche-
ra i livelli di quello endogeno.
In questi casi una buona stima dei livelli di insulina endogena può
essere fornita dal dosaggio del peptide c: questo infatti viene secre-
to in quantità equimolecolari con l'ormone, ma permane in circolo
assai più a lungo.
Glucosio Glucosio
,,
,,
,,
,,
,,
,,
,,
,,
,,
,
, C ++
--- --- --- --- ',Ca++
..
a
Ca
++
---~
NH,
~
~5c~
N~N
a
l"N)lo,)J
o o o ? 9
HO~o-P-o- • OH-p-Q-p-o....c
ÒHbHOtt bHbH
OH OH
OH OH
ADP
o
•
HO-P-OH
I
OH o
L9
H2C
H I Il H
o
L9
H2C
H I
o
Il H
.......N-e-C-N, ....... N-e-C-N,
Legame dell'insulina
al recettore
\ Complesso
proteico
O PI3K
Tirosina
chinasi
Nelle cellule bersaglio viene attivata l'adenilato ciclasi: 1'AMP ciclico attiva la
glicogenolisi ed inibisce la sintesi di glicogeno nel muscolo; nel tessuto adiposo sti-
mola la degradazione dei trigliceridi, che vengono utilizzati dal muscolo in alterna-
tiva al glucosio. Di conseguenza rallenta l'assunzione di glucosio da parte del
muscolo; la glicemia aumenta anche perché le catecolamine delle surrenali inibisco-
no la secrezione di insulina e stimolano il rilascio di glucagone. Il risultato comples-
sivo è un aumento della glicemia, conseguente sia al rilascio di glucosio da parte del
fegato, sia al minor consumo da parte del muscolo.
I corpi chetonici, prodotti nel fegato ed immessi in circolo, vengono utilizzati dal
cuore e dal cervello. Nel digiuno prolungato (più settimane) i corpi chetonici diven-
tano la principale fonte di energia per l'organismo, riducendo ad 113 le richieste di
glucosio e risparmiando l'autolisi, a scopo energetico, delle proteine muscolari.
~
e> 50
ID
c
ID
g 25
Cl
ID
a.
E
o 80 160 240
Tempo (min)
RETICOLO
ENDOPLASMICO
~
: ~!,D+
~ .....
;ALD.DH
NAD+ NADH
CITOSOL r'À
CI-\,COOH
NADH
Figura 9.10 Sistemi enzima-
tici per l'ossidazione dell'eta-
nolo nel fegato. la figura indi-
ca anche la localizzazione
subcellulare dei diversi enzi-
mi,
Abbreviazioni: MEOS = mi-
crosomal ethanol-oxidising
system: sistema microsomiale
che ossida l'etanolo; AlC.OH
= alcol-deidrogenasi; AlO.OH
= aldeide-deidrogenasi.
Dinamica delle riserve energetiche 177
Mentre il secondo passaggio (ossidazione dell' acetaldeide) produce sempre
NADH (e quindi potenzialmente ATP), l'ossidazione dell'etanolo ad acetaldeide
può alternativamente produrre coenzirni ridotti (NADH) o consumarli (ossidazione
di NADPH a NADP+), a seconda che il sistema enzimatico che ossida l'etanolo ad
aldeide sia l'alcol-deidrogenasi o il sistema microsomiale per l'ossidazione dell'e-
tanolo (MEOS). Il rendimento energetico derivante dalla riossidazione dell'NADH
sarà tanto maggiore quanto più elevata la quota di etanolo ossidato via alcol-deidro-
genasi: infatti la coppia di elettroni dell 'NADH citosolico può essere trasportata nel
mitocondrio mediante il sistema navetta malat%ssalacetato, presente negli epato-
citi.
Nel mitocondrio viene poi ossidato l'NADH prodotto dalla reazione di ossida-
zione dell'aldeide e, sempre nel mitocondrio, può essere ossidato completamente,
con alte rese energetiche, l'acido acetico, previo ingresso nel ciclo di Krebs sotto
forma di acetil-CoA. Tuttavia l'acido acetico, unità bicarboniosa altamente diffusi-
bile, può essere facilmente esportato dal fegato ad altri organi (cuore, muscolo sche-
letrico e anche sistema nervoso), che lo ossidano sotto forma di acetil-CoA, in ana-
logia con il metabolismo dei corpi chetonici.
Come si vede, pur utilizzando tappe e sistemi enzimatici distinti, il metabolismo
dell'etanolo ha diversi punti di convergenza o di somiglianza con quello degli acidi
grassi:
- ossidazione della catena carboniosa, con produzione di coenzimi ridotti;
- produzione di acetil-CoA, immediatamente ossidabile nel ciclo di Krebs o espor-
tabile ad altri organi in forma solubile e diffusibile (acetato/ corpi chetonici);
- metabolismo chetogenico, non potendo originare intermedi glicidici;
- richiesta di intermedi glicolitici per l'ossidazione dell'acetil-CoA.
L'alcol-deidrogenasi
l'enzima è saturo e non può legare né trasformare ulteriori quote di substrato (eta-
nolo). Anche ai fini energetici e metabolici una regolare e completa ossidazione del-
l'etanolo da parte dell'alcol-deidrogenasi è molto importante, perché permette il tra-
sferimento progressivo dal citoplasma al mitocondrio degli equivalenti riducenti (la
coppia di e- assunta dal NAD+ nella riduzione a NADH). Infatti anche l'NADH che
si forma nella reazione alcol-deidrogenasica a sede citoplasmatica, come quello che
si forma dalla reazione fosfo-gliceraldeide- deidrogenasica nella glicolisi, può rios-
sidarsi a NAD+ utilizzando il sistema navetta malat%ssalacetato, presente nell'e-
patocita. Ma un sovraccarico del sistema di trasporto o un rallentamento della fosfo-
rilazione ossidativa possono deviare la riossidazione dell'NADH sui sistemi cito-
plasmatici fermentativi (in particolare la lattico-deidrogenasi), come avviene nella
glicolisi anaerobica.
Proprietà simili all'alcol-deidrogenasi epatica possiede l'enzima dello stomaco,
dove si è ipotizzato potesse iniziare il metabolismo ossidativo dell'etanolo e l'eli-
minazione di una consistente quota dell'alcol ingerito, prima di raggiungere il fega-
to. L'attività alcol-deidrogenasica della mucosa gastrica, già proposta come first
pass metabolism nella degradazione dell' etanolo e come barriera al rapido incre-
mento dell'alcolemia, è stata probabilmente sopravalutata, risultando in realtà la sua
capacità totale di ossidare l'etanolo circa 300 volte inferiore a quella epatica. Ciò
non esclude, anzi accentua l'importanza dei tempi di transito gastrico (diversi per
l'assunzione delle bevande alcoliche coi pasti oppure a digiuno) per l'assorbimen-
to dell'alcol, evidenziando l'effetto "tamponante" del pasto sull'incremento dell'al-
colemia, effetto da tempo osservato e riconosciuto.
L'aldeide-deidrogenasi
Citocromo P450
NADP
NADPH
Il citocromo P450 non è una singola proteina, ma una famiglia di molecole strut-
turalmente e funzionalmente correlate, e codificate, nei vertebrati, da più di 40 geni
diversi. La caratteristica strutturale comune alla grande famiglia dei citocromi è la
presenza dell'eme (Fe legato ad un anello porfrrinico), che conferisce loro il colore
rosso. In particolare il citocromo P450 assomiglia alla citocromo-ossidasi (comples-
so IV della catena respiratoria mitocondriale), per la sua capacità di legare l'ossige-
no e il monossido di carbonio; ma se ne differenzia, oltre che per la localizzazione
subcellulare, per il caratteristico picco d'assorbimento a 450 orn, dovuto alla forma
ridotta dell'eme legato al monossido di carbonio.
Le funzioni del citocromo P 450 sono connesse alla capacità di legare la moleco-
la dell'02 e di ossidare una grande varietà di composti, mediante uno dei due atomi
di O, mentre l'altro viene generalmente ridotto ad H 20 dagli elettroni del NADPH
(figura 9.11).
Il ciclo catalitico proposto per il citocromo P450 prevede la cessione di 2 e- da
parte del NADPH, l'incorporazione nel substrato di uno dei 2 atomi di ossigeno e
la riduzione ad acqua del secondo.
Queste reazioni sono finalizzate sia a modificazioni metaboliche di composti
endogeni (idrossilazioni di composti steroidei, idrossilazioni ed epossidazioni di
acidi grassi), sia a solubilizzazione (e successiva eliminazione attraverso gli emun-
tori) di xenobiotici: farmaci, tossine, cancerogeni e mutageni, ecc.
lattato-
deidrogenasi
PIRUVATO ~ LATTATO
/ ~NAD+
O O O
H
HO CH3
NADH
H'c0 OH
OH
glicerol-fosfato-
DIIDROSSIACETONE- deidrogenasi GLiCEROL-
FOSFATO ~ FOSFATO
O O / ~NAD+ ~
O
~ .....OH
H~O ....... Ilp ...... OH NADH
HO~o--~OH
I OH
OH
malato-
deidrogenasi
OSSALACETATO ~ MALATO
O
/
NADH
~NAD+ H y Y lOH
O
HY00H
O O O OH
in analogia con l'assorbimento dei trigliceridi (vedi figure 8.11 e 8.12). Dagli ente-
rociti la fosfatidilcolina, inglobata nei chilomicroni, passa in circolo attraverso il
sistema linfatico.
La sintesi endogena della fosfatidilcolina avviene attraverso due vie: in molti
tessuti a partire dalla colina; nel fegato dalla fosfatidiletanolamina. Questa seconda
via richiede il trasferimento di 3 gruppi metilici da parte dell'S-adenosilmetionina
(vedi anche capitolo 13).
Anche se non è dimostrato che la colina sia un nutriente essenziale nell'uomo,
potendo essere biosintetizzata, si ritiene importante assumerla con la dieta (è molto
abbondante nelle uova). Dal punto di vista biochimico per la sintesi della fosfatidil-
colina sono essenziali le reazioni di metilazione (vedi figura 13.10).
Una piccola frazione di colina viene acetilata (mediante acetil-CoA), a formare
il neurotrasmettitore delle sinapsi colinergiche. Successivamente alla trasmissione
sinaptica l'acetilcolina viene idrolizzata dall'acetil-colinesterasi.
Eicosanoidi
Gli eicosanoidi sono una famiglia molto importante di lipidi regolatori che agi-
scono come messaggeri a corto raggio, cioè trasmettono informazioni ai tessuti vici-
ni alla cellula che li ha prodotti. Per questa ragione gli eicosanoidi non si possono
definire propriamente "ormoni", bensì composti "ormono-simili". Il gruppo deve il
nome al suo precursore, l'acido grasso a venti ("eicosa" in greco) atomi di carbonio
acido arachidonico (o eicosatetraenoico, ETE). Questo è tetrainsaturo (C20:4 c(6)
ed è "essenziale" per l'uomo. Infatti, i mammiferi non sono in grado di sintetizzar-
lo direttamente, quindi devono riceverlo con la dieta. In altèmativa, è possibile per
le nostre cellule convertire in acido arachidonico un altro acido grasso essenziale,
l'acido linoleico (octadecadienoico, OD; C18:2 co-6), mediante due reazioni d'insa-
turazione ed una di allungamento. In risposta ad uno stimolo, che può essere anche
di natura ormonale, una fosfolipasi specifica, del tipo fosfolipasi A2 o fosfolipasi C,
stacca dai fosfolipidi delle membrane cellulari l'acido arachidonico, che può esse-
re utilizzato come substrato dagli enzimi che catalizzano la cascata dell'arachidona-
to (figura 10.1).
FOSFATIDILINOSITOLI
~ Fosfolipasi C
GLICEROFOSFOLIPIDI
DIGLICERIDI +
<:J
~
INOSITOLO
~
Fosfolipasi A2 ACIDO ç FOSFATO
Digliceride lipasi
ARACHIDONICO
Cicloossigenasi ~ Lipossigenasi
12-HPETE ~
~
COOH
COOH "/
~ perOSSidaSio__~
O--~..
I I
0--
/-
~
0-- /- 60H o ~OHOH
COOH
- OH
OH
PGH2
PGG
2 - - --.. - -
~~
I
5,6-EET 5,6-DIHET
~~ OH ~OOH
OH
C
19-HETE
Cicloossigenasi Citocromo P-4S0
I I
HO •
OH
~H
PGI 2
~COOH
I \
~
OOH
12·HPETE
~COOH
~
l
OH
Leucotriene A 4
12-HETE
LTAIdrOSSi7
~lutatione-S-tranSferaSi
HO H
~
HO~ yy COOH
H~ COOH
- CsH n
H S
9Ys-G1y
g..Gly
Leucotriene 8 4 Leucotriene C4
Figura 10.2 Cascata dell'acido arachidonico. L'acido arachidonico libero viene ossidato con reazioni enzimatiche
che portano alla formazione di composti ciclici o lineari: i metaboliti prodotti dalla via della cicloossigenasi sono
prostanoidi ciclici, quali prostaglandine (PGG 2 e PGH 2 ), prostacicline (PGI 2 ) e trombossani (TxA2 ). La via della
lipossigenasi (qui rappresentata dalla 5- e dalla 12-lipossigenasi) converte l'acido arachidonico (eicosatetraenoi-
co, ETE) negli acidi idro(pero)ssiarachidonici (5-H(P)ETE e 12-H(P)ETE), nei leucotrieni (LT) e nelle Iipossine (non
rappresentate); tutti questi metaboliti sono lineari. La via del citocromo P-450 porta alla formazione di acido 5,6-
epossiarachidonico (EET), del suo derivato acido 5,6-diidrossiarachidonico (DIHET) e di acido 19-idrossiarachido-
nico (19-HETE).
Tale cascata è costituita da due serie di reazioni principali, dette ''via della
cicloossigenasi" e "via della lipossigenasi", che generano rispettivamente prosta-
noidi, leucotrieni e lipossine. A queste due vie si affianca la "via del citocromo P-
450". Ciascuna di queste vie metaboliche (e soprattutto le prime due) genera meta-
boliti specifici che esplicano azioni importanti sul nostro organismo. La figura 10.2
rappresenta schematicamente le diverse strutture degli eicosanoidi, descritte di
seguito in maggior dettaglio.
Biochimica degli eicosanoidi e degli endoconnabinoidi 187
La via della cicloossigenasi
La via della cicloossigenasi è una serie di reazioni che portano alla formazione
di metaboliti ciclici dell'acido arachidonico, i prostanoidi. Questi comprendono
prostaglandine, prostacicline e trombossani (figura 10.2). Le prime tappe della via
sono catalizzate dali'enzima prostaglandina H (o prostaglandina endoperossido)
sintasi (E.C. 1.14.99.1), una diossigenasi di membrana di 72 kDa, contenente un
gruppo eme e nota comunemente come cicloossigenasi (COX). La figura 10.3
mostra il dimero che l'enzima forma nella sua associazione con le membrane bio-
logiche.
Esistono due isoforme principali della cicloossigenasi, la COXI (costitutiva) e la
COX2 (inducibile); ciascuna di esse è provvista di due diverse attività catalitiche,
localizzate su due siti diversi della proteina: l'attività cicloossigenasica propriamen-
te detta e l'attività perossidasica. La prima catalizza l'aggiiìnta di due molecole di
ossigeno ad una molecola di acido arachidonico, generando le prostaglandine, a
partire dalla prostaglandina G 2 (PGG2), un idroperossido endoperossido ciclico.
Figura 10.3 Gli enzimi che metabolizzano l'acido arachidonico. Strutture tridimensionali degli
enzimi critici per il metabolismo degli eicosanoidi e degli endocannabinoidi, descritti nel testo. COX,
cicloossigenasi-2 di topo (Mus musculus), alla risoluzione di 3.0 À [codice POB: 5COX.pdb]. lOX,
lipossigenasi-l di soia (Glycine max), alla risoluzione di lA À [codice POB: lYGE.pdb]. P450, cito-
cromo P450 di bacillo (Bacillus megaterium), alla risoluzione di 2.3 À [codice POB: l FAH.pdb].
FAAH, anandamide-idrolasi di ratto (Rattus norvegicus), alla risoluzione di 2.8 À [codice POli:
lMT5.pdb]. Si noti che sia lo COX che lo FAAH esistono in forma di omodimero. Nella COX e nel
P450 è evidenziato il gruppo eme nel sito attivo, mentre nella lOX e nella FAAH sono mostrati gli
aminoacidi del sito catalitico, con un atomo di ferro al centro nel caso della lOX.
188 Destini e percorsi non energetici dei nutrienti
La via della lipossigenasi genera una serie di metaboliti lineari dell'acido ara-
chidonico, comprendenti soprattutto leucotrieni e lipossine. Le tappe di questa via
sono catalizzate dalla lipossigenasi (E.C. 1.13.11.12; LOX), un enzima contenente
Biochimica degli eicosanoidi e degli endocannabinoidi 189
ferro non-eme nel sito catalitico (figura 10.3). Le lipossigenasi di mammifero sono
in realtà una famiglia di diossigenasi di circa 75 kDa, presenti nel citosol cellulare.
Esse inseriscono una molecola d'ossigeno su un qualsiasi acido grasso contenente
uno o più gruppi 1,4-pentadienici (-CH=CH-CH2-CH=CH-), generando l'idrope-
rossido coniugato corrispondente. La reazione generale catalizzata della LOX è la
seguente:
R-CH=CH-CH 2-CH=CH-(CH2)n-COOH + O2
-+ R-CH=CH-CH=CH-C02H-(CH2kCOOH
I diversi isoenzimi della LOX si distinguono a seconda della posizione del grup-
po idroperossido introdotto sull'acido arachidonico (si ricordi che la numerazione
degli atomi di carbonio di un acido grasso si fa a partire dal carbonio carbossilico,
che è per convenzione il numero l). Nell'uomo gli isoenzimi principali sono la 5-,
la 12- e la 15-lipossigenasi, che per l'appunto introducono il gruppo idroperossido
sugli atomi di carbonio 5, 12 o 15 dell'acido arachidonico. Le 12-lipossigenasi sono
divise a loro volta in due classi principali, definite "tipo piastrina" (P-12LOX) e
"tipo leucocita" (L-12LOX). Questa classificazione delle 12-lipossigenasi deriva
sia dal tipo di cellula da cui sono state isolate che dalle differenze di specificità per
il substrato, immunogenicità, sequenza e struttura genica. Tuttavia, è bene precisa-
re che la distinzione tra P-12LOX e L-12LOX non è rigorosa, dato che la P-12LOX
non si trova solo nelle piastrine e la L-12LOX è molto abbondante anche nei macro-
fagi peritoneali. Inoltre, una nuova lipossigenasi capace di introdurre l'idroperossi-
do sulla posizione 12 dell'acido arachidonico è stata recentemente identificata nella
pelle, quindi questa "lipossigenasi epidermica" dovrebbe essere aggiunta alla fami-
glia delle 12-lipossigenasi. Infme, nei tessuti di alcuni mammiferi è stata isolata una
lipossigenasi capace di perossidare l'acido arachidonico sull'atomo di carbonio 8,
ma questa 8-lipossigenasi non è molto diffusa.
La 5-lipossigenasi è l'enzima chiave nella sintesi di tutti i leucotrieni (figura
10.2), che si formano a partire dall'acido 5-idroperossieicosatetraenoico (5-
HPETE). L'attività di una deidratasi converte il 5-HPETE in leucotriene A4 (LTA4 ),
un composto instabile per via del gruppo epossidico. Esso viene rapidamente con-
vertito in leucotriene B4 (LTB 4), per attività di un'idrolasi specifica, oppure in leu-
cotriene C4 (LTC 4 ), per azione di una glutatione S-transferasi (figura 10.2). Dalleu-
cotriene C4 si forma poi illeucotriene D4 (LTD4), grazie all'attività di una y-gluta-
mil transpeptidasi, e da questo il leucotriene E4 (LTE4 ), per azione di una dipepti-
dasi (figura 10.1). I leucotrieni vengono sintetizzati soprattutto nei leucociti e nei
mastociti in risposta alla distruzione della membrana cellulare provocata da infezio-
ni, traumi, stimoli ormonali o di natura allergica. L'azione dei leucotrieni C4 , D4 ed
E4 , che possiedono rispettivamente un residuo di glutatione (C 4 ), di cisteinilglicina
(D 4) o di cisteina (E4) legati con un legame tioetere, si esplica soprattutto sulla
muscolatura liscia dei bronchioli, di cui provocano la contrazione con un'efficien-
za molto superiore a quella con cui agiscono l'istamina o le prostaglandine. Illeu-
cotriene B4 è un fattore chemiotattico e chemiocinetico dei granulociti, aumenta la
permeabilità vascolare, regola la risposta dei mastociti alle immunoglobuline E (e,
quindi, è coinvolto nell'asma e nella risposta infiammatoria acuta), controlla la
maturazione dei linfociti T e la plasticità neuronale. Inoltre, si è dimostrato che i
prodotti della 5-lipossigenasi sono coinvolti nella regolazione della crescita cellula-
re e della morte programmata (apoptosi). Una relazione importante esiste tra i leu-
cotrieni ed un altro mediatore lipidico, il "fattore di attivazione piastrinica" (PAF,
platelet-activating factor). Il PAF è un fosfolipide-etere (l-alchil-2-acetil-sn-glice-
ro-3-fosfocolina) strutturalmente correlato ai plasmalogeni. Viene rilasciato dai gra-
nulociti neutrofili e basofili, dai monociti e dai mastociti, è dotato di attività aggre-
gante sulle piastrine e stimola la liberazione di ~-tromboglobulina, di 5-idrossitrip-
190 Destini e percorsi non energetici dei nutrienti
Infine va ricordata la via del citocromo P-450 (E.C. 1.14.14.1; P-450), un enzi-
ma microsomiale contenente eme (figura 10.3). Il metabolismo dell'acido arachido-
nico da parte del sistema enzimatico microsomiale del citocromo P-450 dipende dal
NADH e coinvolge l'attività enzimatica di specifiche epossigenasi. Queste cataliz-
zano la sintesi di intermedi epossitrienoici, quali gli acidi 5,6-, 8,9-, Il,12- o 14,15-
epossieicosatrienoici (EET), che vengono poi idrolizzati nei rispettivi dioli adiacen-
ti dell'acido eicosatrienoico (DIHET). AncJ1e l'attività di monossigenasi specifiche
contribuisce al metabolismo dell'acido arachidonico mediato dal citocromo P-450,
generando acidi 19- o 20-idrossieicosatetraenoici (19-HETE) (figura 10.2). Tali
metaboliti si ritrovano nelle urine umane in concentrazioni paragonabili a quelle dei
Biochimico degli eicosonoidi e degli endoconnobinoidi 191
prostanoidi. Numerose condizioni sono in grado d'indurre l'attività enzimatica del
citocromo P-450 (per esempio, il diabete sperimentale, il danno ischemico renale e
la gravidanza), provocando la liberazione di epossidi dotati di attività vasodilatatri-
ce o vasocostrittrice nei vari distretti vascolari dell'organismo. Per esempio, nel
rene l'acido 5,6-epossieicosatrienoico (5,6-EET) è un moderato vasocostrittore, con
un'azione che è mediata verosimilmente dalla generazione secondaria di metaboli-
ti della cic1oossigenasi.
Aggregazione Piastrine
Chemiotassi Linfociti T
@~-
Acido AraChldon'
Figura 10.4 Sintesi delle prostaglandine. Uno stimolo esterno innesca la sintesi delle pro-
staglandine (PG) dall'acido arachidonico (ETE), o direttamente attraverso l'attivazione
della cicloossigenasi-2 (COX2), od indirettamente attraverso l'attivazione della fosfolipa-
si A2 citosolica (cPLA2 ). Questa, a sua volta, libera acido arachidonico dai fosfolipidi della
membrana plasmatica o nucleare. A seconda del tipo cellulare, si ha poi la sintesi dei vari
prostanoidi, incluse le prostacicline (PGI 2 ) ed i trombossani (TxA2 ). Le PG attivano vari
recettori, inclusi i PPAR di tipo y (dettagli nel testo). [Modificata da C.D. Funk (2001)
Science 294, 1871-1875J.
Biochimica degli eicosanoidi e degli endocannabinoidi 193
ma a sua volta libera l'acido arachidonico dai fosfolipidi di membrana, permetten-
done la conversione da parte della COX2 nei vari prostanoidi, a seconda del tipo
cellulare (figura 10.4).
Le prostaglandine vengono rilasciate dalle cellule mediante un meccanismo di
trasporto facilitato, catalizzato da un trasportatore delle prostaglandine (PGT, pro-
staglandin transporter). Esse agiscono poi su recettori specifici, di cui si conosco-
no almeno nove tipi diversi, appartenenti alla famiglia dei recettori a sette domini
transmembrana accoppiati a proteine G (GPCR, G protein-coupled receptors).
Benchè la maggior parte di tali recettori sia espressa sulla membrana plasmatica, se
ne conoscono alcuni presenti sulla membrana nucleare.
Anche i leucotrieni vengono prodotti a seguito dell'attivazione cellulare da
parte di uno stimolo esterno, che può agire direttamente sulle LOX, oppure indiret-
tamente sulla cPLA2 . Sono anch'essi esportati dalle cellule\attraverso trasportatori
specifici di membrana ed agiscono su specifici recettori GPCR, quattro dei quali
sono stati ben caratterizzati. Inoltre, alcuni dati indicano che i leucotrieni possono
legare i "recettori attivati dall'agente di proliferazione perossisomiale" (PPAR,
peroxisomal proliferator-activated receptors). In effetti, sembra che illeucotriene
B4 attivi il recettore di tipo a (PPARa), mentre metaboliti della prostaglandina D2
ed analoghi della prostacic1ina attivano quelli di tipo 'Y (PPAR'Y) e Ò (PPARÒ),
rispettivamente.
L'acido linoleico (CI8:2 (0-6; OD) è, in termini di massa, l'acido grasso essen-
ziale più importante nella nostra dieta, formando la base della "famiglia (0-6 (n-6)"
[vale a dire quella nella quale il primo doppio legame si trova a 6 atomi di carbonio
dal terminale metilico in fondo alla catena]. La sua predominanza riflette il fatto che
OD è. l'acido grasso polinsaturo più abbondante nei fosfolipidi di membrana
(soprattutto nella lecitina) e nelle lipoproteine. In particolare, OD è presente nelle
lipoproteine ad alta densità, ricche in fosfolipidi (HDL, high density lipoproteins),
che sono responsabili del trasporto lipidico nel nostro organismo. Come si è detto
in precedenza, OD può essere allungato ed ossidato per formare l'acido arachidoni-
co (C20:4 (0-6; ETE) e, quindi, tutti i lipidi bioattivi che ne derivano. Vi sono molte
evidenze epidemiologiche che indicano come la presenza di OD nella dieta sia un
importante fattore di protezione contro il rischio di infarto. Sulla stessa linea, si è
documentato che la presenza di OD nel siero correla in modo inverso con la morte
cardiovascolare in soggetti di mezza età già colpiti da attacco cardiaco. I meccani-
smi molecolari di questi effetti sono ancora oggetto di studio, ma in questa sede
sembra opportuno precisare che un ruolo importante può essere giocato dalI 'intera-
zione degli acidi grassi (0-6 con quelli della "famiglia (0-3 (n-3)". Il capostipite di
questi ultimi è l'acido a-linolenico (CI8:3 (0-3), dal quale derivano gli acidi eico-
sapentaenoico (C20:5 (0-3; EPA) e docosaesaenoico (C22.6 (0-3; DHA). La fami-
glia n-3 è presente nel grasso e negli olii di pesce, ed ha attirato molta attenzione
per la proprietà dimostrata in vitro ed in animali da laboratorio d'inibire lo svilup-
po dei tipi principali di cancro. Tuttavia, va detto che tale proprietà anti-carcinoge-
nica non ha ancora ottenuto una conferma definitiva da studi epidemiologici.
Sembra interessante il fatto che uno dei meccanismi con cui gli acidi grassi n-3 ridu-
cono il rischio di cancro sia quello d'inibire la sintesi degli eicosanoidi.
Ciò si otterrebbe mediante:
1. una riduzione dell'ETE nei fosfolipidi di membrana, a causa di uno spiazzamen-
to da parte degli acidi grassi n-3 ingeriti con la dieta;
2. una competizione per le desaturasi ed elongasi, verso le quali gli n-3 hanno mag-
gior affinità degli n-6;
194 Destini e percorsi non energetici dei nutrienti
3. un'inibizione della COX e della LOX, con possibile competizione per questi
enzimi (per esempio, la LOX preferisce EPA ad ETE come substrato);
4. un aumento del catabolismo degli eicosanoidi, per esempio tramite induzione
degli enzimi perossisomiali da parte degli n-3.
Quali che siano gli aspetti molecolari di questa regolazione, è paradigmatico che
gli elementi di due famiglie di acidi grassi così simili possano tenersi sotto control-
lo reciprocamente.
Endocannabinoidi
Gli endocannabinoidi sono una classe emergente di mediatori lipidici, isolati dal
cervello e dai tessuti periferici. Essi comprendono amidi, esteri ed eteri di acidi
grassi polinsaturi (soprattutto acido arachidonico), capaci di mimare gli effetti del
~9-tetraidrocannabinolo (TRC; figura 10.5). Questo è il principio psicoattivo degli
estratti della canapa (Cannabis saliva), quali hashish e marijuana.
L'anandamide (arachidonoiletanolamide, AEA) ed il 2-arachidonoilglicerolo
(2-AG), le cui strutture sono pure riportate nella figura 10.5, sono i maggiori ago-
nisti endogeni dei recettori attivati dal TRC, vale a dire i recettori cannabici di tipo
1 (CB1) e di tipo 2 (CB2). In questo modo, AEA e 2-AG mimano molti effetti peri-
ferici e centrali del TRC. L'attività biologica di AEA dipende dalla sua concentra-
zione nello spazio extra-cellulare, che a sua volta dipende dai meccanismi di degra-
THC
o
~OH
N
H
AEA
Scheda applicativa
ENDOCANNABINOIDI E OBESITÀ
La rilevanza degli endocannabinoidi come alimenti ha visto un'enor-
me interesse proprio nei primi anni della scoperta di questi composti.
Infatti, era stata riportata lo presenza, poi contestata, dell'anandami-
de nella cioccolata e si era attribuita proprio alle proprietà "cannabi-
mimetiche" dell'anandamide lo dipendenza da cioccolata tipica delle
società opulente. In effetti, era sembrato ovvio collegare gli effetti
euforizzanti dell'anandamide con il bisogno di affetto generalmente
ascritto ai consumatori di cioccolata! Negli ultimi anni il collegamen-
to tra endocannabinoidi e nutrizione è diventato assai forte per
ragioni totalmente diverse. Vi sono molte indicazioni sperimentali e
cliniche a favore dell'ipotesi che il sistema endocannabinoide regoli
il comportamento alimentare ed il peso negli esseri umani. In parti-
colare, lo stimolazione dei recettori CBl nell'ipotalamo provoca l'au-
mento dell'appetito, mentre lo sua attivazione nel fegato aumenta
l'accumulo di grasso epatico, lo produzione ed il rilascio di lipidi nel
siero e l'obesità. Vale lo pena ricordare che è proprio un antagonista
selettivo per i recettori CB1, il"Rimonabant", uno dei farmaci più pro-
mettenti dell'immediato futuro. Infatti, le sue proprietà anoressanti
hanno appena trovato conferma in studi clinici di fase III e forse già
entro il 2006 questa molecola potrà essere disponibile sul mercato
con il nome di '~complia". In effetti, il primo farmaco anti-fame ed
anti-obesità è un "proiettile magico" che l'umanità (soprattutto lo sua
componente più agiata) ha cercato per decenni.
198 Destini e percorsi non energetici dei nutrienti
COLESTEROLO E LlPOPROTEINE
HO Colesterolo
HO OH
Acido colico
Scheda applicativa
~O ~O
c.I . . OH HS-CoA 2 NADP+ e""O H
I
HzC HzC
I I
HO-e-CH] Ho-e-CH]
I I
HzC H2 C
I I
o=e HzC- OH
I
S-CoA HMG-CoA Mevalonato
Idrossimetil- reduttasi
glutaril-S-CoA
o
Lovastatina
H'C~Q eH] !
Nei paesi sviluppati è molto diffusa la consapevolezza che elevati livelli coleste-
rolemici comportano alti rischi di malattie cardiovascolari. Per evitare tali rischi,
molti controllano accuratamente il contenuto di colesterolo negli alimenti, ritenen-
do che la quantità di colesterolo assunto con la dieta sia determinante ai fini del
mantenimento di bassi livelli colesterolemici. Questa convinzione si è consolidata
anche a seguito della divulgazione di dati sperimentali, che sembravano conferma-
re questa ipotesi. La ricerca scientifica negli ultimi decenni ha chiarito, invece, che
nell'uomo non è il colesterolo alimentare che regola la colesterolemia. E questo per
diverse ragioni:
1. l'assorbimento intestinale del colesterolo ha un limite massimo intorno ad l gal
giorno;
2. la riduzione del colesterolo esogeno (alimentare), che è circa la metà di quello
endogeno (sintetizzato dall'organismo), viene compensata da un corrispondente
aumento della sintesi;
3. il colesterolo di origine alimentare rallenta la velocità di sintesi del colesterolo
endogeno, agendo con più meccanismi sinergici a livello dell'enzima regolatore
HMG-CoA-reduttasi.
Se questi complessi meccanismi omeostatici deludono le semplicistiche aspetta-
tive di controllare la colesterolemia riducendo il colesterolo alimentare, ciò non
significa affatto che il contenuto in colesterolo degli alimenti non abbia importanza
per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. Il colesterolo, infatti, essendo
essenzialmente localizzato nelle plasmamembrane delle cellule animali, sarà pre-
sente solo negli alimenti di origine animale e correlato con le quote di grassi anima-
li. In altri termini gli alimenti di origine animale, ed in particolare le carni rosse,
possono aumentare la colesterolemia ed il rischio cardiovascolare non per il loro
alto contenuto in colesterolo, ma per il loro contenuto in acidi grassi saturi, a loro
volta predominanti nelle molecole dei grassi animali. Anche se alcuni meccanismi
molecolari non sono stati ancora chiariti, oggi sappiamo che, per ridurre la coleste-
rolemia ed il rischio di danno cardiovascolare, è necessario mantenere l'apporto
dietetico di lipidi totali entro il 30% delle calorie giornaliere e, all'interno di questa
quota, privilegiare i lipidi ricchi di acidi grassi monoinsaturi (olio d'oliva), rispetto
ai lipidi ricchi di acidi grassi polinsaturi (olii di semi) ed ancor più rispetto ai gras-
si animali, che abbondano di acidi grassi saturi. All'interno di questi ultimi, tutta-
via, esistono importanti differenze riguardo al loro effetto sulla colesterolemia: dei
due principali acidi grassi saturi, presenti in proporzioni elevate nei grassi di origi-
ne animale, solo il palmitico aumenta i livelli plasmatici di colesterolo-LDL; men-
tre l'acido stearico è privo di tale effetto, forse perché subito dopo l'assorbimento
viene trasformato in acido oleico, ad opera di una insaturasi (vedi anche capitolo 6).
Il rapporto fra colesterolemia, lipidi e rischio cardiovascolare diventa più artico-
lato e stringente, se si considerano i meccanismi di trasporto del colesterolo e degli
altri nutrienti lipidici nel sistema circolatorio.
Peso molecola re
30 x 109 5-10 x 10 6 2-3,5 x 10 6 1,5-4 x 10s
dalton
Composizione (%)
Trigliceridi 86 55 7 " 4
Colesterolo libero 2 8 8 4
Colesterolo 40 16
3 9
esterificato
Fosfolipidi 8 18 20 26
do una scala di densità: dalle meno dense (chilomicroni), perché molto ricche di
lipidi e povere di proteine, alle più dense (lipoproteine ad alta densità), perché a
basso contenuto lipidico ed elevata componente proteica (tabella 10.4).
I complessi lipoproteici assumono forma sferica, con le componenti idrofobiche
situate nella parte centrale, mentre le teste polari dei fosfolipidi e le strutture protei-
che idrofiliche formano il guscio esterno. Ogni classe di lipoproteine contiene pro-
teine caratteristiche (apo-lipoproteine): per alcune di queste si conoscono specifi-
che attività nelle funzioni di trasporto e distribuzione dei lipidi e specifiche intera-
zioni con altre apo-lipoproteine, con enzimi e con recettori di plasmamembrane. Per
esempio l'apo-C II attiva l'idrolisi dei trigliceridi, catalizzata dalla lipoproteina
lipasi, un enzima localizzato sulla superficie esterna delle membrane cellulari.
Nell'uomo una deficienza di apo-C II può essere responsabile di elevati livelli di tri-
gliceridi nel plasma. La tabella 10.5 elenca le principali apo-lipoproteine presenti
nei diversi complessi lipoproteici.
I chilomicroni sono i vettori dei lipidi assunti con gli alimenti, che dall'intesti-
no, attraverso la linfa e il sangue, vengono convogliati ai tessuti periferici (tessuto
adiposo, muscoli cuore, ecc.). Le lipoproteine a densità molto bassa (VLDL) tra-
sportano dal fegato ai tessuti periferici sia trigliceridi sintetizzati dal fegato stesso,
sia lipidi provenienti dalla circolazione. Il fegato sintetizza anche le lipoproteine ad
alta densità (HDL), che nel circolo interagiscono con chilomicroni e VLDL, e fun-
zionano come trasportatori del colesterolo dai tessuti al fegato; mentre le lipopro-
teine a bassa densità (LDL) sono i principali vettori del colesterolo, sia libero sia
esterificato con acidi grassi, dal fegato ai tessuti. Nelle lipoproteine plasmatiche il
colesterolo è presente come colesterolo libero o come estere. La formazione del
legame estere coinvolge l'ossidrile del colesterolo e la catena acilica della fosfati-
dilcolina ed è catalizzata dalla lecitina: colesterolo aciltransferasi (LCAT), un enzi-
ma secreto dal fegato ed immesso nella circolazione ematica.
I trigliceridi rilasciati ai tessuti da cbilomicroni e VLDL vengono utilizzati a fini
energetici. Le "rimanenze" di cbilomicroni e VLDL, depauperate di trigliceridi,
vengono ricic1ate dal fegato come LDL ed utilizzate per trasportare il colesterolo. A
I
I~
CORRENTE P A8MATIC
'J\..DLI
TESSUTI
Figura 10.9 Traffico delle lipoproteine e del colesterolo. la parte proteica (apo-lipopro-
teine) dei complessi lipoproteici è rappresentata dal guscio esterno (marrone). le compo-
nenti lipidiche (parte interna) sono indicate: in giallo i trigliceridi; in rosso il colesterolo
libero; in verde il colesterolo esterificato; in azzurro i fosfolipidi; (dati numerici in tabella
1004). Il traffico del colesterolo è rappresentato dalle frecce rosse.
Colesterolo e lipoproteine 203
loro volta le HDL riportano al fegato il colesterolo non utilizzato. Le principali fasi
del trasporto dei lipidi mediante le lipoproteine sono schematizzate nella figura
10.9.
Il trasporto del colesterolo legato alle LDL dal fegato ai tessuti e la rimozione
dell'eccesso di colesterolo da parte delle HDL ha dato origine agli appellativi di
colesterolo "cattivo" e "buono" per indicare, rispettivamente, la frazione di coleste-
rolo legato alle LDL o alle HDL. È noto da tempo, infatti, che il rischio cardiova-
scolare è legato al rapporto colesterolo LDLlcolesterolo HDL, più che alla coleste-
rolemia totale. Infatti, non esistendo vie metaboliche che degradino il colesterolo,
lo smaltimento di questo lipide dipende dal ritorno al fegato con le HDL e dalla suc-
cessiva escrezione nell'intestino mediante la bile (vedi anche capitolo 8).
~~ ,Ha
eHa
~o
OH
Gin Glu
Figura 10.11 Struttura della ca/paina. Struttura cristallografica (file 1yge.pdb) della m-calpaina umana (A).
Triade catalitica non correttamente orientata (B).
us
PROTEASOMA
L'AMIDO RESISTENTE
Una parte dell' amido contenuto negli alimenti sfugge alla digestione da parte
dell'amilasi e transita indigerito nell'intestino tenue.
La resistenza dell'amido non è dovuta alla struttura chimica, ma alla struttura
fisica del polimero ed alla sua organizzazione in granuli (vedi figura 8.5). Negli ali-
menti crudi i granuli, insolubili in acqua, resistono alla digestione: per esempio, più
del 50% dell'amido di una banana non matura cruda resiste alla digestione da parte
dell'amilasi, mentre viene completamente digerito previa cottura. La cottura rompe
la struttura fisica dei granuli e provoca l'idratazione del polimero ("gelatinizzazio-
ne"), esponendolo all'azione idrolitica dell'amilasi. Il raffreddamento favorisce il
ripristino della struttura ordinata e la disidratazione del polimero ("cristallizzazio-
ne'').
L'amilosio forma strutture elicoidali compatte ed anidre, che tendono ad occu-
pare la parte centrale del granulo (vedi figura 8.5). Amidi ricchi di amilosio gelati-
nizzano con più difficoltà e ricristallizzano più facilmente, rispetto agli amidi con-
tenenti percentuali molto elevate di amilopectina (tabella 7.1). Anche l'associazio-
ne con altri polisaccaridi non digeribili (fibra) aumenta la resistenza dell'amido alla
digestione, ostacolando la disgregazione dei granuli e l'idratazione del polimero.
Granuli di amido resistente possono accumularsi in alimenti disidratati o in cibi
conservati a lungo a basse temperature dopo cottura.
L'INDICE GLICEMICO
4
I I
o 20 40 60 80 100 120
Tempo (min)
60% di quella ottenuta col pane bianco (alimento standard), come risulta dalla figu-
ra 11.1.
I diversi alimenti, contenenti quote importanti di glicidi (tabella 11.1) presenta-
no valori di indice glicemico inferiori o superiori a quello dello standard (conven-
zionalmente assunto come 100) in funzione di diversi fattori.
Zuccheri
Saccarosio 88 Lattosio 62
Frutta
Mele 52 Arance 59
Pere 47 Uva 93
Latte e derivati
Legumi
Fagioli 54 Lenticchie 44
LA FIBRA ALIMENTARE
Cellulosa Omopolisaccaride
Pectine
Mucillagini
212 Biochimica dei non-nutrienti e degli anti-nutrienti
Figura 11.2 Struttura chimica della cellulosa.
~~ OH OH OH
HOCH2
HO~0"'J0H H~OCH20OH
OHHO
~OH HO
Galattosio Mannosio
Figura 11.3 Alcuni monomeri delle emicellulose.
COOH
Ho~t"
HOV~~OH
I~I
OH OH
-O~~~ ~O~~~
~O~O~ ~O
Figura 11.4 Struttura chimica delle pedine.
OH COOH OH
L'importanza della fibra alimentare nella dieta non è legata soltanto alle funzio-
ni del grosso intestino ed alla prevenzione delle patologie di questo, in particolare
il cancro del colon. Numerosi studi epidemiologici associano un'adeguata assunzio-
ne di fibre con una consistente riduzione del rischio di malattie cardiovascolari. La
presenza di quote consistenti di fibra nella dieta e l'assunzione di alimenti a basso
indice glicemico rivestono notevole importanza anche nella prevenzione e nel con-
trollo del diabete e dell'obesità (vedi anche capitolo 14). I principali organismi
internazionali operanti nel campo della nutrizione, del controllo epidemiologico e
della prevenzione medica unanimemente riconoscono l'importanza della fibra ali-
mentare nella dieta e raccomandano un'assunzione giornaliera di fibra intorno a 25-
30 g.
Se il contributo della fibra alimentare nella prevenzione di alcune gravi patolo-
gie (cancro del colon, arteriosclerosi, diabete ed obesità) è indiscutibile, molto più
incerti e ancora in gran parte ipotetici sono i meccanismi chimico-fisici, biologici e
fisiologici, con cui la fibra può intervenire nella patogenesi delle malattie suddette.
Oltre alle funzioni trofiche sulla mucosa del colon, esercitate dai prodotti del suo
metabolismo, la fibra potrebbe positivamente interferire con alcune funzioni intesti-
nali e contribuire a controllare alcuni parametri ematologici, come la glicemia e la
colesterolemia.
La riduzione della colesterolemia è stata attribuita all'aumentato ricambio di
colesterolo, per rimpiazzare i sali biliari eliminati in maggior quantità con le feci, a
seguito dell'aumentata escrezione di bile, stimolata dalla fibra alimentare. Gli effet-
ti ipocolesterolemizzanti della fibra potrebbero essere spiegati con un meccanismo
completamente diverso: l'inibizione esercitata dal propionato, assunto dagli epato-
citi, sulla sintesi del colesterolo. Tale effetto è stato dimostrato in vitro, ma esisto-
no seri dubbi che sia valido anche in vivo.
La riduzione della glicemia post-prandiale da parte della fibra solubile è stata
214 Biochimica dei non-nutrienti e degli anti-nutrienti
messa in relazione con l'aumentata viscosità dei fluidi intestinali, che ridurrebbe
l'assorbimento di glucosio: benché non esista alcuna indicazione sperimentale che
confermi tale ipotesi. Anche il ritardato svuotamento gastrico ed il rallentato svuo-
tamento dell'intestino prossimale, per effetto della fibra solubile, potrebbero rallen-
tare la digestione dell'amido e l'assorbimento dei glicidi, riducendo il picco glice-
mico post-prandiale. La riduzione della glicemia e gli effetti positivi della fibra
nella prevenzione dell'obesità e del diabete potrebbero essere anche legati ad una
minor assunzione di nutrienti: le pareti dello stomaco e dell'intestino, distese dalla
fibra, inviano, per via nervosa, segnali di sazietà ai centri encefalici che regolano
l'appetito.
Queste ed altre ipotesi, idonee a spiegare i complessi meccanismi d'azione della
fibra, sono al vaglio della ricerca sperimentale e clinica. Ciò che appare certo fm
d'ora è che in molti casi la fibra non agisce separatamente dagli altri costituenti
degli alimenti di cui fa parte. Pertanto, nel valutare gli effetti degli alimenti ricchi
di fibra, bisogna tener conto delle multiple interazioni con nutrienti, antinutrienti,
vitamine e regolatori delle funzioni dell'apparato digerente e del metabolismo.
Infine è opportuno ricordare che i risultati ottenuti studiando un tipo di fibra iso-
lata e purificata, pur essendo importanti, non sono immediatamente ascrivibili a
quelli osservati utilizzando un alimento che contiene lo stesso tipo di fibra. Infatti
nell'alimento sono spesso presenti, oltre a diversi tipi di fibra, altre sostanze asso-
ciate alla fibra stessa, come si dirà nei paragrafi successivi.
Scheda applicativa
FIBRA E PRODUZIONE DI LATTE VACCINO
Nell'animale ruminante la degradazione della fibra da parte della
flora batterica del rumine, con ottimale produzione di acidi grassi a
catena corta, non solo copre rilevanti quote del fabbisogno energeti-
co, ma protegge anche la salute dell'animale.
Poiché i cereali incrementano la produzione di latte nelle bovine,
spesso gli allevatori somministrano quote eccessive di granaglie alle
mucche da latte. Tuttavia la fermentazione di elevate quantità di
cereali nel rumine produce quote eccessive di metaboliti acidi, che
rappresentano un pericolo per l'animale, potendo provocare acidosi,
talvolta anche mortale. Inoltre l'eccessiva produzione di acidi grassi
può perturbare gli equilibri della microflora del rumine, con negative
conseguenze sulla degradazione e l'utilizzo della cellulosa.
L'aggiunta del 20% di fibra cellulosica ai cereali, che ne sono piutto-
sto carenti, mantiene in buona salute l'animale e consente una otti-
male produzione di latte.
Nella fibra alimentare, associate alle molecole che costituiscono la fibra stessa,
si trovano spesso altre molecole, che esplicano ruoli diversi nella crescita e nel
metabolismo della pianta. Tali sostanze, assunte con la fibra alimentare, possono
esercitare sull'organismo umano o animale effetti indesiderati. Questi effetti si veri-
ficano soprattutto quando l'alimento non sia sottoposto a cottura o ad altri tratta-
menti fisici, chimici o enzimatici, capaci di modificare le molecole suddette, elimi-
Anti-nutrienti e sostanze tossiche 215
nando l'attività tossica o antinutrizionale. Tra le più importanti e diffuse sostanze ad
effetto antinutrizionale o tossico, presenti negli alimenti, ricordiamo le seguenti.
I legumi contengono inibitori delle proteasi, di natura peptidica, che interagisco-
no specificamente con il sito attivo della tripsina, oppure con i siti attivi della trip-
sina e della chimotripsina. I primi sono denominati inibitori di Kunitz o "a singola
testa" e possiedono due ponti disolfuro; gli inibitori del secondo gruppo vengono
detti "a doppia testa", per la loro struttura, che comprende cinque ponti disolfuro
(vedi anche capitolo 3).
Le lectine sono glicoproteine, di cui è nota la presenza in numerosi vegetali,
dove sembrano coinvolte in funzioni di difesa e nei meccanismi di interazione con
i batteri fissatori di azoto; sono presenti anche negli organismi animali, in partico-
lare nei tessuti di sostegno.
Le più note lectine vegetali sono: la concanavalina A del fagiolo, che riconosce
specificamente residui di a-mannosio interni alle catene, o in posizione terminale
ma non riducenti; l'agglutinina del germe di grano; la lectina delle arachidi; la fitoe-
moagglutinina del fagiolo rosso. Tutte legano specificamente unità disaccaridiche
od oligosaccaridiche. Alcune lectine presenti nei legumi non cotti possono provo-
care danno alla mucosa intestinale e ostacolare la digestione e l'assorbimento dei
nutrienti. Si ritiene che le lectine interagiscano specificamente con catene polisac-
caridiche ramificate, legate a proteine di membrana dei microvilli: come già ricor-
dato, le catene polisaccaridiche che ricoprono le estremità dei microvilli sono state
denominate "glicocalici".
Sia gli inibitori delle proteasi sia le lectine, essendo di natura proteica, si inatti-
vano al calore: pertanto i legumi, per essere assunti come fonti di nutrienti, devono
essere sottoposti ad adeguata cottura.
Altre molecole, presenti negli alimenti di origine vegetale, agiscono come anti-
nutrienti, legando ioni metallici ed interferendo, di solito negativamente, con i pro-
cessi di assorbimento dei minerali, in particolare calcio e ferro. È il caso dell'ossa-
lato, presente in diverse verdure, del citrato, abbondante negli agrumi, e delfitato,
presente in molti alimenti vegetali, compresi cereali e loro derivati e legumi (vedi
anche capitolo 12).
Durante la panificazione i fitati vengono idrolizzati dalle fitasi microbiche, se si
utilizzano procedure di lievitazione naturale dell'impasto e se la fermentazione è
sufficientemente prolungata da permettere una consistente degradazione enzimati-
ca dei fitati presenti. Altri processi fermentativi che possono degradare enzimatica-
mente i fitati, avvengono durante la preparazione dei crauti (cavolo fermentato) o
della "brovada" friulana (rape fermentate). L'attività delle fitasi microbiche anche
in questi casi rende disponibili quote consistenti di nutrienti minerali, originaria-
mente sequestrati nei complessi con i fitati. La degradazione dei fitati nei legumi e
nei cereali interi si ottiene, invece, con un adeguato ammollo, che attiva l'idrolisi
enzimatica dei fitati, aumentando considerevolmente la biodisponibilità dei minera-
li presenti nell'alimento.
Anche i tannini, composti fenolici presenti in diverse piante di interesse alimen-
tare, abbondanti nel tè, nel caffè, nel cacao, nel vino, nei mirtilli, ecc. possono inter-
ferire negativamente con l'assunzione di alcuni nutrienti presenti in tali bevande o
alimenti, potendo legare proteine e polisaccaridi e chelare metalli. I tannini vengo-
no distinti in due gruppi: i tannini condensati sono fenoli polimerici, che per ossi-
dazione monomerizzano, liberando catechina e cianidine (figura Il.5).
I tannini idrolizzabili sono esteri di polioli, che per idrolisi liberano acido gallico
o acido ellagico (figura Il.6.).
TI legame dei tannini alle proteine non è ancora conosciuto nei dettagli, ma vi
sono indicazioni che si tratti prevalentemente di interazioni idrofobiche (particolar-
mente frequenti con i residui di prolina) e di ponti idrogeno (soprattutto a livello dei
legami peptidici); meno frequenti sarebbero i legami ionici. Con basse concentra-
216 Biochimica dei non-nutrienti e degli anti-nutrienti
Figura 11.5 Cotechino e cia-
OH nidina.
H OH
H0'çOo.",,,,,aO
~I OH
~OH HO
OH
OH
Catechina Cianidina
I NUTRIENTI INORGANICI \
Il ferro è contenuto in una grande varietà di alimenti ed il suo ruolo come com-
ponente del sangue e come nutriente necessario a prevenire l'anemia è a tutti noto.
Tuttavia, il ferro è un tipo di nutriente piuttosto atipico. In primo luogo perché una
sua deficienza non è associata a sintomi particolarmente evidenti o devastanti, in
contrasto per esempio alla cecità data da una carenza di vitamina A o all' emorragia
causata da deficienza di vitamina K e C. In seconda istanza un'altra caratteristica
peculiare del ferro è che esso è stoccato in grandi quantità nel corpo umano in una
222 Biochimica dei nutrienti inorganici
NADp·
OH
~
~
Macrofagi nella milza
Globuli rossi
senescenti
10%
APl09
y
Emoglobina
Complesso
• Eme
Epatociti
Emopessina
Complesso Epatociti
B
Ribonucleotide reduttasi Riduzione dei NTP in dNTP per lo sintesi del DNA
Fe3+
Figura 12.3 Emoglobina, transferrina, ceruloplasmina e ferritina (da sinistra a destra e dali'alto al
bosso).
o
Il OH
O HO-P-OH I
Il \ O-P-OH
HO-P~J}d 8
,O O
HO-P-OH O \
Il I HO-P-OH
O HO-P-OH Il
Il O
O
Figura 12.4 Acido fifico.
228 Biochimica dei nutrienti inorganici
Scheda applicativa
IL RAME E LO ZINCO
La descrizione delle proprietà nutrizionali del rame e dello zinco viene trattata
nello stesso capitolo a causa dei loro simili processi di assorbimento. Una delle
principali proprietà condivise dal rame e dallo zinco è che entrambi i metalli si ritro-
vano legati ad una proteina detta metallotioneina.
Tuttavia questi metalli differiscono enormemente dal punto di vista biochimico.
Il rame è coinvolto in reazioni di ossido-riduzione e può essere presente nella forma
rameosa (Cu+) o rameica (Cu2+), mentre lo zinco non è in grado di donare o accet-
tare elettroni ed è presente solo nella forma Zn2+. Le attività catalitiche dello zinco
dipendono dal fatto che esso si può comportare come acido di Lewis. Entrambi i
metalli sono presenti negli organismi legati saldamente alle proteine piuttosto che
come ioni liberi. Lo zinco legato alle proteine assolve in alcuni casi a ruoli cataliti-
ci ed in molti altri casi a ruoli strutturali di stabilizzazione della proteine. Lo zinco
è contenuto in un numero considerevole di enzimi (tabella 12.2): uno degli enzimi
più importanti che richiedono zinco per l'attività è la carbonico anidrasi. Inoltre,
Il rame e lo zinco 229
Ossidoreduffasi
Trasferasi
Aminopeptidasi Proteasi
Idrolasi
Liasi
Altri
Enzima Funzione
Effettore Assorbimento
EDTA, orto-ossichinolina ii
Fitati J,J,
Lattosio i
Istidina i
Acido ascorbico i
Livello alto di calcio nello dieta J,
Rome J,
Cellulosio J,
gior parte dei fitati) con le comuni tecniche molitorie. Lo zinco contenuto nel pane
ottenuto con prolungata lievitazione può essere assorbito più agevolmente probabil-
mente a causa dell'idrolisi dei gruppi fosforici del fitato da parte di enzimi (fitasi)
contenuti nei lieviti ed in altri microrganismi (vedi anche capitolo 11). Generalmen-
te lo zinco viene assorbito dall'intestino tenue sia come ione libero o in alternativa
complessato con aminoacidi. L'assorbimento dello zinco può variare in modo inver-
samente proporzionale alle quantità apportate con la dieta. Infatti, sono stati riscon-
trati livelli di assorbimento dello zinco relativamente alti (50%) quando vengono
assunti bassi livelli di zinco con la dieta (5.5 mg al giorno). Mentre la percentuale
assorbita si riduce drasticamente (25%) quando vengono introdotti nell'alimenta-
zione più alti livelli di zinco (16.5 mg al giorno). Per quanto riguarda il rame, la per-
centuale di metallo che una volta assunto con la dieta viene assorbito varia dal 30
al 50%. In alcuni studi sono state riportate percentuali di assorbimento da parte del-
l'intestino pari al 56% con un basso consumo di rame nella dieta (0.8 mg al gior-
no). Anche in questo caso, una più bassa porzione di rame (12%) viene assorbita
quando si introducono grandi quantità di metallo con la dieta (8 mg di rame al gior-
no). Tale effetto sembra essere ascrivibile al ruolo della metallotioneina nel traspor-
to di questi due metalli (tabella 12.4).
Come già detto, nello studio del rame e dello zinco ritroviamo spesso proteine
come la ceruloplasmina e la metallotioneina. Quest'ultima è una piccola proteina in
grado di legare rame e zinco ma anche altri metalli pesanti che possono risultare tos-
sici (come il cadmio). La proteina ha un peso molecolare di 6.115 Da ed è costitui-
ta da 61 aminoacidi di cui un terzo è rappresentato da cisteine. I venti gruppi sulfi-
drilici di questi residui di cisteine possono legare in totale sette ioni metallici biva-
232 Biochimico dei nutrienti inorganici
lenti. In caso di elevato apporto di zinco con la dieta, alte concentrazioni del metal-
lo inducono un'elevata espressione di metallotioneine nell'intestino tenue che pos-
sono assolvere a funzioni di deposito limitando la quantità di zinco che viene assor-
bito ed entra nel circolo sanguigno. Anche alte dosi di rame possono indurre la sin-
tesi di metallotioneine con una risposta simile a quella osservata nel caso dello
zinco. Tuttavia, a livelli di tali ioni metallici più bassi e vicini a quelli che sono nor-
malmente presenti in una dieta normale, lo zinco è ancora un potente induttore della
sintesi di metallotioneine, mentre il rame non ha effetti di questo tipo. Di norma la
metallotioneina epatica contiene principalmente zinco, mentre la metallotioneina
renale contiene rame o, se presente nella dieta, cadmio. Tuttavia, il rame a livello
epatico può anche essere stoccato nella metallotioneina epatica e rilasciato nel pla-
sma sottoforma di ceruloplasmina. Pertanto, la regolazione dei livelli di metallotio-
neina in condizioni normali coinvolge principalmente lo zinco che sarebbe in grado
di legarsi ad uno speciale fattore di trascrizione che a sua volta lega alcune porzio-
ni dell'rnRNA sensibili al metallo (metal responsive elements) attivando la sintesi
della metallotioneina. L'espressione della metallotioneina è tuttavia modulata da
alte concentrazioni di metalli pesanti, come il cadmio, il rame ed il mercurio.
Questa proteina è in grado di legare saldamente l'eccesso di tali metalli prevenen-
do eventuali effetti tossici dovuti al legame degli stessi ad altre proteine o enzimi
contenenti cisteina che assolvono a funzioni vitali nell' organismo. In particolare, la
tossicità da cadmio è un problema molto sentito in diverse parti del mondo, soprat-
tutto per la eventuale contaminazione delle falde acquifere in vicinanza di industrie
deputate alla produzione di batterie di tipo alcalino o di impianti per la raffinazione
dello zinco. L'assunzione prolungata di alimenti o bevande contaminate da cadmio
può dare luogo a danni renali (proteinuria) e dare luogo a fragilità e deformazione
delle ossa. La tossicità da cadmio è stato un fenomeno per molti anni diffuso in
Giappone, a causa dell'impiego di acque contaminate da scarichi industriali per l'ir-
rigazione di risaie.
Lo zinco ed il rame che vengono assorbiti dall'intestino entrano nella vena porta,
dove si legano in modo debole all'albumina plasmatica. Successivamente lo ione di
entrambi i metalli entra nei tessuti dove viene legato da diverse metalloproteine.
Circa i due terzi dello zinco plasmatico è associato all'albumina, mentre il rimanen-
te è coordinato saldamente in siti specifici di altre proteine del plasma e solo una
piccola quantità (2-3%) è legato agli aminoacidi istidina o cisteina. In questa ultima
forma lo zinco può entrare nel filtrato glomerulare e di conseguenza una parte di
questo viene destinata alla sua escrezione nelle urine. Tuttavia, la maggior parte
dello zinco filtrata a livello del glomerulo renale è destinata al riassorbimento. Lo
zinco nei globuli rossi appare legato alla carbonico anidrasi, mentre un'alta quanti-
tà è presente nei mitocondri.
Per quanto riguarda il rame, la maggior parte di questo metallo contenuto nel
plasma è presente legato alla ceruloplasmina (60-95%). La ceruloplasmina viene
sintetizzata e secreta dal fegato in forma 010 (con il rame legato). Tuttavia, una pic-
cola frazione del rame plasmatico (inferiore al 7%) appare legata debolmente all'al-
bumina e ad aminoacidi liberi, in particolare istidina, treonina e glutammina. Per
quanto riguarda il rame presente nei globuli rossi esso è prevalentemente legato
all'enzima superossido dismutasi.
Infine, la concentrazione di zinco nel siero di un individuo adulto può variare da
Il a 18 ~M. La quantità di zinco escreta attraverso le urine varia da 300 a 700 ~g
al giorno che corrispondono a percentuali pari a solo il 2-5% dello zinco totale
assorbito. Di conseguenza, la maggior parte dello zinco assorbito viene pertanto
escreto dalla bile ed eventualmente perduto con le feci. Lo zinco presente nelle feci
deriva sia dallo zinco non assorbito, sia dalle secrezioni pancreatiche, sia dall'esfo-
liazione degli enterociti. Lo zinco rilasciato dal pancreas può essere riassorbito ed
è presente associato alle carbossipeptidasi A e B. Circa un milligrammo al giorno di
Il rame e lo zinco 233
zinco contenuto nelle feci deriva dai succhi pancreatici. Pertanto, gli enzimi ed i sali
rilasciati nei succhi digestivi vanno considerati come un secondo pasto in grado di
apportare eventuali nutrienti. Gli enzimi digestivi, per esempio, vengono anch'essi
in ultima analisi idrolizzati in aminoacidi e assorbiti. Di conseguenza, in presenza
di una dieta deficiente nell'apporto di zinco, lo zinco continua ad essere rilasciato
dai succhi pancreatici e questo continuo rilascio a lungo termine comporta un bilan-
cio negativo del metallo ed una sua carenza nell'organismo.
Hunt, J.R. (2003) Bioavailability of iron, zinc, and other trace minerals from vege-
tarian diets. Am J Clin Nutr 78, 633-639.
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phytic acid on mineraI availability. Crit Rev Food Sci Nutr 30, 1-22.
Page Blank
Capitolo 13
Biochimica delle vitamine
Le vitamine sono nutrienti essenziali, che devono essere assunti con la dieta,
perché l'organismo non è capace di biosintetizzarie. Tuttavia le vitamine differisco-
no dagli altri nutrienti, perché non hanno né funzione energetica (non venendo con-
sumate per produrre energia), né plastica (non entrando a costituire le strutture di
cellule e tessuti).
Molte vitamine funzionano come cofattori di enzimi, generalmente dopo essere
state modificate ("attivazione") nell'organismo. Alcune vitamine, dopo attivazione,
vengono legate covalentemente alla proteina enzimatica (come la biotina alle car-
bossilasi, la fosfopanteteina all'acido grasso sintasi, il cofattore riboflavinico alla
succinato deidrogenasi).
Più spesso le vitamine vengono attivate alla forma coenzimatica (vedi anche
capitolo 2) e partecipano all'attività catalitica legate, per lo più non covalentemen-
te, al sito catalitico. In taluni casi è possibile separare la parte proteica (apo-enzima)
dal cofattore e successivamente ricostituire l'enzima attivo (olo-enzima). In questi
casi (enzimi richiedenti vitamina B 6 , B 12 , tiamina e vitamina B 2) è anche possibile
utilizzare la riattivazione dell' apo-enzima (presente in un campione diagnostico) a
seguito dell'aggiunta del cofattore, come test di laboratorio per individuare stati
carenziali.
Due vitamine, la A e la D, vengono convertite nell'organismo a forme attive
dotate di funzioni ormonali.
A seconda della loro solubilità in acqua o nei lipidi, le vitamine sono classifica-
te come idrosolubili o liposolubili: tale classificazione può fornire indicazioni sulle
condizioni e sui meccanismi di assorbimento e di distribuzione nell'organismo.
VITAMINE IDROSOLUBILI
Tiamina (vitamina B1 )
:r
i#2"'S
~ ~CH-CH-O-H
'/" CH2 - N3 1
~N
I 2 2
CH3 CH3
Riboflavina (vitamina 8 2 )
o
H3
C
Y1T N0
H3C~W1:,Wto I
HCOH
I
HCOH
I
HCOH
I
HCOH
I
HCOH
H
Figura 13.2 Vitamina B2 .
Vitamine idrosolubili 237
Niacina (vitamina PP)
Con il termine niacina si indicano sia l'acido nicotinico sia la sua amide, entram-
be le molecole essendo dotate di attività vitaminica (figura 13.3).
La niacina, scoperta e studiata negli anni 20-40, è stata anche denominata vita-
mina PP, perché capace di prevenire la pellagra. La niacina resiste bene alla cottu-
ra, ma viene rilasciata in elevata percentuale nei liquidi di cottura, date le caratteri-
stiche di idrosolubilità.
Entrambe le forme della niacina sono rapidamente assorbite nello stomaco e nel-
l'intestino. Passate nel sangue vengono assunte dai vari tessuti mediante trasporto
dipendente da sodio o per diffusione passiva, a seconda che le concentrazioni di
vitamina siano basse o elevate.
Quando l'alimentazione è carente di niacina, la vitamina può essere sintetizzata
a partire dal triptofano, che può essere metabolizzato ad acìdo chinolinico, precur-
sore dell'NAD. Le rese di questa via biosintetica sono piuttosto scarse, e lo diven-
tano maggiormente quando il triptofano è, a sua volta, limitante. È stato ipotizzato
che la sintesi di niacina dal triptofano possa anche competere con la via biosinteti-
ca della serotonina, compromettendo l'omeostasi del neurotrasmettitore.
L'anello piridinico della niacina è la componente funzionale dei coenzimi piridi-
nici NAD e NADP. li meccanismo di reazione di tali coenzimi ed i loro ruoli meta-
bolici nelle reazioni ossido-riduttive sono stati già descritti nei capitoli 2, 5 e 6.
L'NAD è utilizzato anche in reazioni completamente diverse dalle ossido-ridu-
zioni. Una di queste reazioni, catalizzata dalla poli(ADP-ribosio) polimerasi è uti-
lizzata per la modificazione post-traslazionale delle proteine: la porzione ADP-ribo-
sio dell'NAD viene trasferita su alcune proteine ribosomiali (poliribosilazione).
L'ADP-ribosil ciclasi catalizza, invece, la sintesi di ADP-ribosio ciclico. Questa
molecola funge da regolatore del rilascio del calcio intracellulare, in analogia con
l'inositolo trifosfato.
o o
Il Il
~C----OH C)'C--- NH2
Figura 13.3 Vitamina PP.
l.) N N
Acido nicotinico Nicotinamide
Biotina (vitamina H)
La biotina è stata così chamata per la sua identità con un fattore di crescita deno-
minato "bios". Successivamente individuata ed identificata come vitamina H, è for-
mata da un anello imidazolico condensato con un ciclo tiofenico (figura 13.4).
Nel trasporto dei gruppi carbossilici è coinvolto l'atomo di N in posizione l del
primo anello.
La biotina è stabile al calore ed alle variazioni di pH, ma è sensibile alla luce ed
agli agenti ossidanti. Negli alimenti la biotina si trova sia libera sia legata a protei-
ne, ma nell'intestino viene liberata da una biotinasi. La biotina è anche sintetizzata
dalla microflora intestinale.
238 Biochimica delle vitamine
Acido pantotenico
A Acido pantotenico
CH 3 011
1 /.0
HO-CH -C-CH-G-NH-CH -CH~""
2 1 1 2 2 'OH
H3C OH
Acido pantoico ~-alanina
B 4-Fosfo-panteteina
?H 3 ~ ~
® O-CH 2 -C-CH-C-NH-CH 2
11
-CH-C-NH-CH
2 -CH-SH
2 2
Piridossina (Vitamina 8 6 )
CH 20H CHO
HO~CH20H HODCH20H
H3C
A..JN H3C N
THF C~O
I .... OH
H2 N-CH 2
Glicina
Folato
Pteroil-monoglutammato A
HN N N O
2~;X"
I
N~
OH
Nh
2 oIl c.",
I .... OH
22..
CH -N-/Q\-C-N-CH-CH -CH -e;-:::>0
H~
"--y-----J
H OH
Pteridina Glutammato
p-Aminobenzoato
2NADPH HN N
H
N H
B
N~ 2 Y:J(!H
H2N-"""::::J(N
HN
l'
o
Il
,
I /.
N
1 _Reduttasi
2
CH
HN
o
I N CH
Diidrofolato II H H I 2
N~
H O H
d
Tetraidrofolato
Il
N5,N10-Metilene-THF
N10-Formil-THF
À-
Adenosina ·~~I~U)
N
N N
NH z
0:-; / H O
--~---I~'" ~OH
O"""'C-CH-CH -CH -S-CH
HO'" I z z Omocisteina
HzN HzN-CH
I
CH z
I
CH z
S-Adenosilomocisteina I
SH
§ 5-Metil
THF
R
THF
~O
~~OH
HzN-CH Metionina
I
R CH z
I
CH z
I
Accettori: 5
Proteine,
Lipidi, (5)
Acidi
nucleici,
etc. S-Adenosilmetionina
O O O
O
Il
O
Il
O
Il
&:-;
Il Il Il HO-P-O-P-O-P-<rCH
HO-P-O-P-OH HO-P-OH I I I
I I I OH OH OH
OH OH OH
co è donato dal 5-metil-THF in una reazione catalizzata dalla metionina sintasi, che
richiede come coenzima la vitamina B 12 .
Infme l'S-adenosil metionina viene riformata dalla metionina, utilizzando una
molecola di ATP: questa è una delle rare reazioni in cui l'ATP libera tutti e tre i
gruppi fosforici.
Vitamine idrosolubili 243
Vitamina 8 12
Assorbimento e trasporto
GSSG
2GSH
ci, mediante la deidroascorbato reduttasi, che, per rigenerare l'acido ascorbico, uti-
lizza due molecole di glutatione ridotto, formando glutatione ossidato.
A pH alcalino l'acido ascorbico subisce l'idrolisi dell'anello lattonico, che inat-
tiva la vitamina: la reazione è attivata dal calore, dall'ossigeno e dai metalli.
NH z
I
. CHz
Dopamlna I
HO~
Semideidro-
ascorbato Dopamina
OH
Dopamina
idrossilasi
NH z
I
. f'nna CHz
Noreplne I
Ho~H
OH
Con meccanismo analogo funziona l'enzima che catalizza l'amidazione del resi-
duo terminale di ormoni peptidici, modificazione talvolta richiesta per l'attività
ormonale (ormoni amidati: vedi colecistochinina.).
L'acido ascorbico sembra coinvolto anche nei meccanismi di difesa dai radicali
(vedi stress ossidativo). In particolare alcune osservazioni indicano l'esistenza di
interazioni fra acido ascorbico e vitamina E: l'acido ascorbico può reagire con la
forma radicalica della vitamina E, rigenerandola in forma attiva (vedi figura 13.25).
VITAMINE LlPOSOLUBILI
Vitamina A
Strutture e funzioni
Retinolo
Retinale
Acido retinoico
Ciò spiega come le tre forme attive della vitamina A non siano interconvertibili
dal punto di vista funzionale. L'acido retinoico possiede solo una delle tre attività
biologiche della vitamina A: quella relativa al differenziamento delle cellule epite-
liali. Retinolo e retinale controllano anche la funzione del sistema riproduttivo e
l'attività del pigmento visivo della retina.
La vitamina A, liposolubile, è presente in diversi alimenti di origine animale
(vedi capitolo 7), sotto forma di retinolo e di retinil-esteri. Nelle piante esistono pre-
cursori inattivi (pre-vitarnina A), che possono essere convertiti nelle forme vitarni-
niche attive (figura 13.16).
I precursori vegetali della vitamina A sono i carotenoidi, che svolgono importan-
ti funzioni nei meccanismi molecolari della fotosintesi. Alcuni di questi composti
(esistono più di 500 diversi carotenoidi negli organismi fotosintetici), come il ~
carotene, l'a-carotene e la criptoxantina possono essere convertiti in vitamina A
nell'intestino; altri carotenoidi come il licopene, la luteina e la cantaxantina non
sono convertibili in vitamina A.
Assorbimento e trasporto
Dopo idrolisi del retinil-estere, da parte di esterasi, nel lume intestinale, il reti-
nolo è assunto dagli enterociti, che lo esterificano nuovamente e lo inglobano nei
chilomicroni, insieme con il ~-carotene, che non è stato convertito a retinale. Dai
chilomicroni i retinil-esteri ed il ~-carotene passano nelle rimanenze, da cui posso-
no essere assunti da parte degli epatociti. Dopo idrolisi dell'estere il retinolo passa
nel reticolo endoplasmico dell'epatocita, dove si lega ad una proteina di trasporto
(retinal binding protein: RBP). Dagli epatociti gran parte del retinolo, legato
all'RBP, viene trasferito alle cellule stellate: queste si trovano negli spazi pericapil-
248 Biochimica delle vitamine
~-carotene
CH]
........,..~."......-..~..-..
..... CHO
Retinale
l r
Retinolo
lari del fegato (spazi di Disse) e fungono da depositi di sostanze lipidiche. Le cel-
lule stellate accumulano retinil-esteri, che possono rilasciare nel caso di carenze di
vitamina A.
Nelle cellule bersaglio (cellule epiteliali, degli apparati riproduttivi, della retina,
ecc.) il retinolo e l'acido retinoico si legano a proteine citosoliche, che collaborano
al controllo del metabolismo dei retinoidi.
Nel nucleo esistono proteine che legano specificamente l'acido retinoico: tali
proteine, completamenteìdiverse da quelle citoplasmatiche, sono coinvolte nel con-
trollo dell'espressione di geni regolati da ormoni. Nel nucleo sono presenti protei-
. ne distinte che legano specificamente l'acido trans-retinoico e l'acido 9-cis-retinoi-
co. I due isomeri dell'acido retinoico, legandosi con tali specifici recettori nucleari,
controllano lo sviluppo e le funzioni di diversi tessuti. La loro funzione è sinergica
con altre attività ormonali, esercitate dalla vitamina D e dall'ormone tiroideo,
mediante lo stesso sistema di fattori di trascrizione genica (vedi capitolo 13, para-
grafi successivi).
Nella retina sono presenti sia la forma aldeidica, sia la forma alcolica della vita-
mina A, che si interconvertono, mediante reazioni redox. Inoltre sia il retinale sia il
Vitamine liposolubili 249
Figura 13.17 Interconver-
sione dei retinoidi nel ciclo
visivo.
O
Trans-retinale
11-cis-retinale O
OH
Trans-retinolo
Cellula epite\\a\0
Luce
11-cis- ~
retinale Trans-
Rodopsina retinale
Metarodopsina /I
~
Opsina
11-cis Trans-
retinale retinale
j
\
~,
Figura 13.18 Principali stadi del ciclo visivo dei reti-
noidi.
250 Biochimica delle vitamine
retinolo possono isomerizzare dalla forma cis alla trans e viceversa. Le reazioni di
isomerizzazione cis-trans e le reazioni redox sono coordinate in un ciclo legato alla
funzione visiva dei retinoidi (figura 13.17).
L' 11-cis-retinale isomerizza, per effetto della luce, a trans-retinale. La forma
aldeidica trans viene ridotta a trans-retinolo, che isomerizza (al buio) nella forma
cis. Le reazioni alla luce avvengono nei fotorecettori; quelle al buio nelle cellule
epiteliali della retina. Nei fotorecettori l' ll-cis-retinale è legato, mediante il gruppo
aldeidico, con l'e-amino gruppo della lisina di una proteina, l'opsina, a formare un
complesso, denominato rodopsina. (figura 13.18).
L'assorbimento di luce da parte dell'l1-cis-retinale e l'isomerizzazione a trans-
retinale inducono anche cambiamenti conformazionali nella rodopsina (formazione
di metarodopsina II). La metarodopsina II, prima di lasciare il trans-retinale e rifor-
mare opsina, attiva la proteina G, che, modificando i livelli di GMP ciclico, agisce
sulla permeabilità di membrana, producendo un impulso nervoso. I successivi even-
ti del ciclo visivo dei retinoidi consistono nella rigenerazione de II' ll-cis-retinale,
che può nuovamente legarsi all' opsina.
Vitamina D
Sia negli animali sia nelle piante è presente la provitamina D, che, per esposizio-
ne alla luce ultravioletta, viene convertita nella forma vitaminica attiva.
Nell'uomo e negli animali la provitamina D è il 7-deidrocolesterolo, che dalla
luce ultravioletta è convertito in colecalciferolo o vitamina D 3 (figura 13.19).
Nelle piante la provitamina D è l'ergosterolo, che differisce dal 7-deidrocoleste-
rolo per avere un doppio legame ed un gruppo metilico in più nella catena laterale:
anche l'ergosterolo viene attivato dalla luce e successivamente idrossilato in manie-
ra identica al 7-deidrocolesterolo.
Nell'uomo bastano lO minuti di esposizione alla luce solare per formare nella
pelle quote apprezzabili di vitamina D 3 . Questa, però, deve essere idrossilata per
poter svolgere le sue funzioni nell'organismo. La prima reazione di idrossilazione
enzimatica avviene nel fegato, dove si forma la 25-idrossi vitamina D3 (DrOH); la
seconda reazione di idrossilazione avviene nel rene, dove si forma la 1,25-diidros-
si vitamina D 3 (Dr(OH)2)'
Nella figura 13.19 sono indicati gli stadi di formazione dell'1,25-diidrossi vita-
mina D 3 forma funzionalmente attiva della vitamina D, a partire dal 7-deidrocole-
sterolo cProvitamina D).
Una sufficiente e periodica esposizione al sole può eliminare la necessità di
apporto dietetico di vitamina D. Alcuni alimenti di origine animale contengono
apprezzabili quote di vitamina D o dei suoi precursori: fegato di merluzzo, pesci
grassi, latte intero, formaggi a pasta dura, uova. A partire da tali fonti alimentari la
vitamina è assorbita dagli enterociti, dopo solubilizzazione con i sali biliari ed
inglobamento nei chilomicroni (vedi anche capitolo 8); anche la vitamina di origi-
ne alimentare viene idrossilata nel fegato e nel rene.
Carenze di vitamina D possono verificarsi quando un'insufficiente esposizione
al sole si associ con insufficiente apporto dietetico della vitamina e dei suoi precur-
sori. Tuttavia persino in questi casi una dieta ricca di calcio facilmente disponibile
può evitare l'insorgenza di disfunzioni da carenza della vitamina, derivanti da bassi
livelli del calcio nel plasma.
Vitamine Iiposolubili 251
Figura 13.19 Formazione della vita-
mina D dalla provitamina nell'uomo.
Ligando
Recettore
Complesso
recettore-Iigando
I
Eterodimero
Regione Regione
regolatoria trascritta
receptor); T 3 si lega a THR (thyroid hormone receptor); RXR è il recettore per l'a-
cido 9-cis-retinoico e PPAR lega le prostaglandine. La sequenza tipica di eventi che
porta all'attivazione genica è schematizzata nella figura 13.21.
L'ormone (ligando) si lega al proprio recettore (nel caso in figura l'acido trans-
retinoico (AR) si lega a RAR). Il complesso recettore-ligando successivamente lega
RXR, formando un eterodimero. È importante notare che RXR non è legato al suo
ligando (XR), l'acido 9-cis-retinoico: il legame di XR ad RXR bloccherebbe la for-
mazione dell'eterodimero, impedendo il meccanismo dell'attivazione genica. Il
254 Biochimica delle vitamine
Vitamina K
o
Figura 13.22 StruHura della vitami-
na K J•
Ruolo biochimico
Dicumarolo
OH OH
Glu
Vitamina KH 2
Vitamina
OH
Warfarina O
Acido grasso
R - Qi = CH - CH2 - CH = CH - poliinsaturo
l(:~
R - Qi = CH - C - Qi = CH _... Radicale d.~II'acido
I grasso polllnsaturo
r
qH
00·
I
R - Qi = CH - C - Qi = CH - Radicale perossile
I
------..II H
OOH
I
Figura 13.24 Perossidazione dei lipidi. Il R - Qi = CH - C - CH=CH- Idroperossido
radicale dell'acido grasso che va incontro a I
perossidazione innesca un'altra reazione radi- H
calica (reazione a catena).
258 Biochimica delle vitamine
Per proteggersi dai danni provenienti da radicali e ROS, gli organismi aerobi
hanno sviluppato diverse linee di difesa:
1. enzimi capaci di disattivare alcuni radicali e/o specie reattive dell'ossigeno;
2. proteine che sequestrano ferro e rame, controllando la concentrazione di ioni
metallici liberi, catalizzatori della reazione di Fenton;
3. antiossidanti non proteici, capaci di rimuovere ROS già formati e di rallentare o
bloccare la propagazione di specie radicaliche (reazioni a catena).
Negli eritrociti l'HzO z viene ridotta ad HzO dalla glutatione perossidasi, proba-
bilmente la più importante delle perossidasi, che ossida il glutatione:
2. Le proteine che legano e trasportano ferro e rame hanno come funzione prio-
ritaria, anche se certamente non unica, quella di sottrarre i catalizzatori metallici
(ioni ferro e rame liberi) alla reazione di Fenton, che produce il radicale idrossile.
Il ferro circola nel plasma legato alla transferrina e si deposita nei tessuti lega-
to alla ferritina (vedi anche capitolo 12); anche nel latte il ferro è veicolato da una
proteina specifica, la lattoferrina.
Stress ossidativo, perossidazione lipidica e vitamina E 259
Il rame è legato e trasportato da diverse proteine: la più importante per l'assor-
bimento è la metallotioneina; mentre il trasporto è effettuato principalmente dalla
ceruloplasmina, che fungerebbe anche da catalizzatore per l'ossidazione del ferro
(vedi anche capitolo 12).
I composti antiossidanti
I sistemi proteici di difesa da radicali eROS (enzimi, proteine che legano metal-
li) rappresentano il primo argine, endogeno all'organismo, contro la produzione e la
diffusione incontrollata di tali specie chimiche altamente reattive e pericolose.
:m:~:[~'l,
00·
I
R - CH =CH • C - CH =CH -
I
H CH] Acido ascorbico
Radicale perossile Vitamina E (Vitamina C)
a-tocoferolo
o
CH]
OOH
I .0yY'ì CHJ~]J, Glutatione
R-CH=CH-C-CH=CH- H]CY°,)(CH]
I
H CH]
Idroperossido Vitamina E
Radicale
ripristinando un rapporto molto elevato (circa 500: 1) della forma ridotta su quella
ossidata.
Anche per l'acido urico, il prodotto terminale del catabolismo purinico nell'uo-
mo, è stato recentemente confermato un ruolo antiossidante, in particolare nella
inattivazione del perossinitrito.
Diversi carotenoidi, sia convertibili sia non convertibili in vitamina A, esercita-
no in vitro effetti antiossidanti, ma ancora mancano convincenti dati che tali effetti
si producano anche in vivo. La sperimentazione dei carotenoidi nell'animale e nel-
l'uomo, per la prevenzione o la regressione di alcuni tumori, ha dato risultati con-
trastanti. Per esempio, la somministrazione di ~-carotene a fumatori ha aumentato,
anziché ridurre, l'incidenza di tumori polmonari; mentre i licopeni sembrano con-
trastare lo sviluppo e la diffusione di alcune neoplasie con meccanismi d'azione
diversi dall'attività antiossidante.
INTOLLERANZE ALIMENTARI
parte delle flora batterica del colon. Dal punto di vista nutrizionale, in questi casi,
si può sostituire il latte con i suoi derivati fermentati: nello yogurt la P-glicosidasi
dei fermenti lattici sostituisce l'enzima intestinale carente. La maggior parte dei
prodotti caseari contiene tutti i nutrienti del latte, pur essendo praticamente priva di
lattosio.
In alcune popolazioni artiche, come gli Esquimesi e gli abitanti della
Groenlandia si osserva una intolleranza al saccarosio, per alcuni aspetti simile a
quella per illattosio. Anche in questi casi si tratta, probabilmente, di meccanismi di
adattamento alle fonti alimentari, che in tali aree sono molto carenti di nutrienti di
origine vegetale, nel caso specifico di saccarosio.
L'intolleranza alfruttosio, anche se provoca disturbi simili a quella per illat-
tosio, origina da meccanismi molecolari differenti. Il trasportatore del fruttosio,
GLUT-5, a livello della membrana apicale dell'enterocita (vedi capitolo 8) ha una
~ relativamente bassa: pertanto viene saturato da quantità elevate dello zucche-
ro, che transita in parte notevole nel colon, dove viene fermentato dalla flora bat-
terica.
LA MALAnlA CELIACA
Danno alle LDL. Durante la loro permanenza ed attività nel torrente circolato-
rio le LDL possono andare incontro a danni, soprattutto ossidativi, sia nella compo-
nente lipidica, sia in quella proteica. Il danno ossidativo da parte di radicali liberi
colpisce selettivamente i lipidi (vedi figura 13.24), ma può ripercuotersi anche sulla
componente proteica. Quest'ultima può essere direttamente danneggiata da altri
agenti ossidanti (per esempio, 1'ipoclorito prodotto dai fagociti) o da altre reazioni
(per esempio, glicosilazione del gruppo E-aminico della lisina da parte del gruppo
aldeidico del glucosio, con formazione di una base di Schifi). A questa reazione va
facilmente incontro 1'apo-B, cioè la principale proteina delle LDL, quando la con-
centrazione di glucosio nel sangue permane su livelli elevati ("iperglicemia"). Le
LDL modificate sono catturate dai fagociti (o macrofagi), sia nel fegato sia nelle
pareti delle arterie dove si sviluppano le lesioni aterosclerotiche. La glicosilazione
dell'apo-B, favorita dal diabete, può spiegare, almeno in parte, l'aumentato rischio
cardiovascolare cui espone la malattia.
Internalizzazione delle LDL danneggiate. Le LDL che hanno subito danni nella
componente proteica vengono rapidamente rimosse dalla circolazione ad opera dei
macrofagi, presenti negli strati superficiali delle pareti interne delle arterie. I macro-
fagi riconoscono le LDL modificate mediante un recettore, detto "recettore spazzi-
no H, perché elimina dal circolo LDL e probabilmente altre proteine che hanno subi-
to danni. Le LDL legate dal recettore spazzino vengono "internalizzate H, cioè
inglobate dai macrofagi, mediante un processo di invaginazione della plasmamem-
brana, detto "endocitosi Il recettore spazzino non è inibito dal colesterolo - come
H.
i recettori specifici che legano le LDL non danneggiate -: pertanto i macrofagi pos-
sono internalizzare quote elevate di LDL danneggiate, infarcendosi di colesterolo
H
ed assumendo l'aspetto di "cellule schiumose •
LA DIETA MEDITERRANEA
Esiste ormai a livello internazionale un generale consenso fra gli esperti che, al
di là di particolari esigenze specifiche o contingenti (infanzia e pubertà, gravidan-
za, malattie, competizioni sportive, ecc.), nessuno specifico alimento vada vietato o
'prescritto, ma il regime alimentare debba essere il più possibile variato ed equilibra-
270 Alimentazione e malattie
to. Ciò significa che una grande varietà di alimenti vegetali crudi e cotti dovrebbe
essere ogni giorno sulla tavola, includendo non solo frutta e verdure, ma anche legu-
mi e cereali, sia interi sia trasformati. Anche gli alimenti di origine animale devono
essere presenti e variati, anche se le proporzioni ponderali, rispetto a quelli di ori-
gine vegetale, vanno rapportate sia al contenuto energetico totale sia alla distribu-
zione percentuale fra i principali nutrienti. Particolarmente controllata dovrà essere
l'assunzione giornaliera di nutrienti lipidici, da contenersi entro il 30% dell'appor-
to calorico totale, riservando almeno due terzi della quota lipidica agli olii (preva-
lentemente olio d'oliva) e non più di un terzo ai grassi di origine animale.
Il regime dietetico di cui stiamo parlando non corrisponde a nessuna delle innu-
merevoli diete, che sono state proposte e decantate nell'ultimo mezzo secolo, ma
semplicemente riassume ed applica le conoscenze scientifiche più solide ed aggior-
nate nel campo della nutrizione e della prevenzione primaria. Esiste, tuttavia, un
quadro pratico di riferimento, valido per chi voglia operare scelte informate e
responsabili senza necessariamente ricorrere alle trattazioni scientifiche o alla con-
sulenza degli esperti: si tratta della "dieta mediterranea", teorizzata mezzo secolo fa
in America, "riscoperta" negli ultimi due decenni e sostanzialmente confermata
nelle sue linee guida dalla ricerca scientifica e dai dati epidemiologici su scala inter-
nazionale. La dieta mediterranea prese il nome dalle abitudini alimentari di alcune
popolazioni mediterranee (Italia meridionale e insulare, Grecia continentale e insu-
lare), che all'inizio degli anni '50 presentavano assai bassa incidenza di malattie
cardiovascolari, rispetto agli Stati Uniti d'America. All'epoca le popolazioni medi-
terranee consumavano grande varietà di verdure, frutta, cereali e legumi, pesce; uti-
lizzavano l'olio d'oliva per cuocere e condire gli alimenti; usavano poca carne e
solo per alcuni piatti dei giorni festivi, qualche cucchiaio di formaggio per insapo-
rire alcuni piatti, poche uova per frittate e torte d'erbe. La dieta mediterranea com-
prendeva uno o due bicchieri di vino al giorno, durante i pasti principali.
Come si vede, il paradosso francese era stato anticipato dagli studi sulla dieta
mediterranea, che aveva già strettamente collegato il vino, antichissima bevanda
mediterranea, con gli alimenti, altrettanto antichi, della tradizione mediterranea: i
cereali, i vegetali freschi, l'olio e il pesce.
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Indice analitico
PICCIN
€ 25,00 ISBN 88-299-1825-3
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